IL SACRO CUORE DI GESÙ (18): Il Sacro Cuore di GESÙ e il povero.

[A. Carmagnola: IL SACRO CUORE DI GESÙ – S. E. I. Torino, 1920]

Dicorso XVIII

Il Sacro Cuore di Gesù e il povero.

In un sogno rimasto celebre, il gran Papa Innocenzo III vide barcollare le mura della Chiesa di S. Giovanni in Laterano, Madre e Capo di tutte le altre Chiese del mondo, sì che pareva, che quel tempio dovesse cadere rovinando a terra. Ma un uomo, un uomo solo di meschina apparenza, si fece a sostenere l’edificio. Quest’uomo Innocenzo lo vide ben presto in realtà; era un povero, il padre di una immensa famiglia di poveri, S. Francesco di Assisi. Miei cari, ciò che secondo il sogno di Innocenzo III, fu il poverello di Assisi per la Chiesa di Gesù Cristo a quei tempi, è quello che dovrebbe essere mai sempre ogni povero per la Chiesa e per la società. Ed in vero, il povero dovrebbe sostenere la Chiesa e la società, facendosi anzi tutto il commentatore più eloquente del mistero di un Dio nato nella povertà, vissuto nella privazione, morto ignudo sulla croce. Dovrebbe sostenere la Chiesa e la società, professando e predicando agli altri poveri ed a tutti gli uomini, quanto vi ha di più arduo e di più perfetto, vale a dire l’amor di Dio, la rassegnazione ai divini voleri, la fiducia e l’abbandono nella divina Provvidenza, la mortificazione, l’umiltà, la penitenza. Dovrebbe sostenere la Chiesa e la società, animando i ricchi col suo spettacolo e con le sue umili preghiere, ad esercitare generosamente la carità, quella carità, che, ben intesa e ben praticata, checché si dica dai sognatori di matematiche uguaglianze o dagli ammiratori di contrasti meccanici, farebbe sola scomparire la cupidigia, radice di tutti i mali, la separazione e l’odio fra le classi sociali, e farebbe regnare in quella vece l’amore e l’universale fratellanza, insieme con la sola sollecitudine per i beni imperituri del Cielo. Ecco l’opera grande, immensa, a cui dovrebbe riuscire il povero, essendo stato questo il disegno della Divina Provvidenza nell’ordinale, che nel mondo vi fosse il povero. E di ciò ci assicura Gesù Cristo con le flamine di predilezione, che ebbe nel suo Cuore Sacratissimo per il povero. E se il povero non riesce a compiere la grand’opera, a cui fu destinato, non è per altra ragione, se non perché o egli o il ricco, o l’uno e l’altro ignorano, dimenticano, disprezzano quello, che Gesù Cristo col suo Cuore, tutto acceso di amore per il povero, ha insegnato, ha stabilito, ha praticato a prò del medesimo. Miei cari, abbiamo veduto ieri che cosa abbia fatto il Cuore di Gesù in vantaggio dell’operaio; vediamo oggi che cosa ha fatto in particolare per il povero; e così verremo sempre meglio a conoscere che Gesù Cristo fece quanto conveniva per far scomparire le grandi distanze sociali, ed affratellare tutti, grandi e piccoli, padroni ed operai, ricchi e poveri in un solo affetto sotto la dipendenza e la benedizione di un solo e medesimo Padre, Iddio. Che cosa adunque ha fatto Gesù Cristo a prò del povero, animato dalle fiamme amorose del suo Cuore? Ecco ciò che riconosceremo oggi.

I. — Nessuno di voi ignora, come si trovi pressoché in tutti la persuasione, che la ricchezza sia il più gran fattore della felicità. È vero ciò? Se ci fu un uomo, che abbia nuotato in mezzo alle prosperità del mondo, fu certamente Salomone. Egli ricchi palagi, egli numerose schiere di servi, egli ridotti a tributari moltissimi re, egli abbondanza di fertili terreni, egli un popolo fiorente nella pace per opulenza di traffico e di commercio, egli insomma secondo il mondo il più beato dei mortali. I re e le regine, traendo alla sua reggia, si partivano pieni di meraviglia d’avervi trovato mille volte più tanto di quel che suonava la fama. Eppure che diceva quel monarca? « Ho veduto e goduto di ogni bene che vi sia sotto la cappa del cielo, ed ho trovato, che tutto è vanità delle vanità, ed afflizione di spirito. » No, per quanto siano numerosi coloro, che credono diversamente, le ricchezze non rendono felici neppure su di questa terra, e tutt’altro che appagare il cuor dell’uomo, lo gettano in continue angustie. Quante volte il povero, gettando lo sguardo sopra i marmorei palagi, sopra i cocchi superbi, sopra le vesti sfarzose, sopra il portamento altero, sopra gli spassi continui, che il ricco si prende, sente a nascere in cuore il sentimento della più profonda invidia! Insensato! Egli ignora, che il più delle volte sotto quelle rose si nascondono pungentissime spine; che con tutta l’apparenza di quei godimenti, talora vi sono pel ricco tormenti inesprimibili, e che a togliere dall’animo una pena terribile, no, non basta il marmo, l’oro e l’argento sparsi a profusione nella propria casa, non basta l’abbondanza dei servitori in livrea e la varietà dei cavalli e delle carrozze; non basta il lusso sfrenato della mensa e del vestito, non basta il vortice delle danze e il tintinnio delle tazze spumanti! Tutto ciò varrà per qualche istante ad attutirlo, ma non già a levar via il dolore acutissimo di certe piaghe, che nelle famiglie del ricco sono talora ben più larghe e profonde, che non in quelle del povero. E che dire poi, quando le ricchezze, che già si posseggono, per certi animi abbietti non servono che di esca ad accendere in loro una più ardente passione di sempre accumularne delle altre? Oh quali e quanti affanni non esperimentano, a quali stenti non si assoggettano coloro tra gli uomini, che non mirano ad altro che far denari! Quante fatiche nelle botteghe, nei fondachi, nelle compagnie, nei viaggi? Quanti pensieri inquieti, se non sortiranno i guadagni, se falliranno le merci, se andranno a male quelle speculazioni, e quei giuochi di borsa! Quante notti senza sonno, quanti giorni senza pace, quanti pranzi senza sapore per giungere ai sospirati acquisti! Che se poi questi adoratori del dio oro riescono nei loro intenti, ed avranno riempite le loro casse forti, allargati i loro poderi, saranno allora contenti e felici? Appunto! È proprio allora, che si sta in continue e terribili ansietà. Si teme delle stagioni, si teme dei ladri, si teme dei servi, si teme degli amici, si teme degli stessi figliuoli. E per usare il linguaggio di S. Basilio dirò di più, che se latra un cane o si muove un topolino, si teme tosto che già siano in casa i ladri a far man bassa di quanto troveranno. E questa potrà chiamarsi felicità? Oh, ben a ragione, esclama S. Bernardo, ben a ragione le ricchezze sono chiamate spine nel Vangelo: esse sono veramente spine, che prima del loro acquisto pungono pel desiderio, che se ne ha; che dopo il loro acquisto pungono per la paura che si ha di perderle; e che se poi realmente si perdono, pungono ancora per la pena dì non più possederle. Ma il dire che le ricchezze non rendono felici è dir troppo poco. Bisogna aggiungere che le ricchezze non rare volte rendono del tutto infelici, perché non rare volte producono la massima delle miserie, la corruzione dei costumi. Il lusso, vale a dire l’ornamento eccessivo dell’uomo, del suo corpo, della sua casa, delle sue ville, di tutto ciò in cui può far bella mostra di sé, non sarebbe possibile senza le ricchezze. Ma dal lusso si ingenera la mollezza, che spinge l’uomo a distruggere quella proporzione meravigliosa che Iddio ha posto nell’aria, nella luce, nelle stagioni, e in tutti gli elementi esteriori, nell’intento di preservarsi da tutto ciò che gli può recare afflizione. E la mollezza non è forse una delle principali cause della sensualità, che fluisce per condurre alla depravazione? Sì, le ricchezze non di rado depravano i costumi; e la cosa è così manifesta per lo spettacolo che il mondo presenta anche oggidì, che non vi è affatto bisogno di fermarsi più oltre a dimostrarlo. Stando adunque così le cose, ecco perché Gesù Cristo venuto sulla terra per rimuovere di mezzo agli uomini la infelicità e procacciare ai medesimi la felicità vera, tenne una condotta o predicò una dottrina, la quale ebbe di mira di distaccarci propriamente dall’amore delle ricchezze e per l’opposto farci amare la povertà. « Essa, dice San Bernardo, non si trovava in cielo, ma abbondava sulla terra e l’uomo ne ignorava il valore; perciò il Figlio di Dio la elesse per sé, affine di renderla a noi preziosa. » Difatti, gettando lo sguardo sulla vita e sugli insegnamenti di Gesù Cristo, bisogna riconoscere, che al povero rivolse di preferenza le fiamme del suo Cuore e i pensieri della sua mente, e che il povero fu uno degli oggetti principalissimi delle sue divine preoccupazioni. Io contemplo Gesù, che nasce in una spelonca, ed appena nato è posto a giacere in una mangiatoia sopra un po’ di paglia. Quale povertà! Ma forse che essa viene dal caso, da necessità, da impotenza? No certamente; Gesù Cristo è nella povertà perché lo volle, e lo volle con volontà eterna, con volontà efficace di ciò che vuole. Secondo il corso naturale dello cose avrebbe dovuto nascere nella casetta di Nazaret, ma quella povertà non gli basta, e col censimento del romano impero mette sossopra il mondo, conduce a Betlemme la Madre sua, la costringe per mancanza di un albergo a ricoverarsi in una stalla, e là nel colmo dell’abbandono e della miseria, fa il solenne suo ingresso nel mondo. Gesù non ha semplicemente accettato la povertà, ma l’ha proprio voluta con libera e sovrana elezione. Ha veduto prima di nascere da una parte i ricchi, dall’altra i poveri; e padrone assoluto delle sue sorti, ha detto: Preferisco esser povero, ed il più povero di tutti i poveri. E in seguito? in seguito ha voluto vivere povero guadagnandosi per trent’anni di vita privata il pane col sudore della sua fronte, in una casetta povera, sotto l’ubbidienza di un povero falegname. Durante la sua vita pubblica tale è la sua povertà, che è costretto a dire: « Le volpi hanno le loro tane, e gli uccelli dell’aria i loro nidi; ma il Figliuol dell’uomo non ha dove posare la testa. » (MATT. VI, 20) E finalmente dopo una nascita povera, una vita povera, fa una morte da povero, spogliato persino delle sue vesti, sicché per seppellirlo fu necessario, che gli dessero per limosina un lenzuolo ed un sepolcro. Ma ciò non è tutto? Perciocché non contentandosi di prediligere ed onorare la povertà nella sua persona, la predilesse e l’onorò ancora nella persona altrui. Difatti sono i poveri, che chiama per i primi alla sua capanna, ed i poveri sono quelli, con cui passa la sua vita privata. Nella vita pubblica attesta di essere stato mandato dal Padre suo per evangelizzare i poveri: i poveri elegge a compagni della sua predicazione, a cooperatori dell’opera sua. Epperò le primizie del sacerdozio, la continuazione del suo apostolato, la via privilegiata dell’angelica perfezione, tutto ciò che vi ha di più grande, di più eletto, di più sublime ei lo riserva ai poveri. Quale differenza tra l’operare di Gesù Cristo e il sentimento del mondo! Il povero secondo il mondo è un proscritto, un rifiuto della natura, un misero, che si trascina per mezzo al fango ed alla polvere, e direi quasi un uomo colpevole, sicché chi lo degna di uno sguardo, si crede di onorarlo, e chi gli volge una parola di fargli una grazia. Gesù Cristo invece lo riguarda e lo tratta come l’uomo più degno di stima e di onore. Ah! certamente il Cuore di Gesù, così infiammato di amore per il povero, non poteva far di più a sua esaltazione. Ed in vero si osservi, che Gesù Cristo è l’eterna Sapienza, la quale non può ingannarsi affatto sul pregio delle umane condizioni; che Egli in tutta la sua condotta non ebbe altro di mira che glorificare il suo Padre celeste ed operare la saluto degli uomini; che infine essendo egli non solo vero uomo, ma pure vero Dio, tutto ciò che Egli ha fatto, partecipa alle sue divine grandezze ed acquista un valore infinito. Perciò adunque alza pure, o povero, alza santamente la testa; non ostante l’umile tua condizione esclama con gioia: Checché il mondo pensi di me, di me ha pensato bene la Sapienza Incarnata; e la mia povertà nella persona di Gesù Cristo ha servito a glorificare Iddio ed a salvare il mondo; e davanti a questa povertà cielo e terra si sono incurvati, angeli e uomini hanno piegato il ginocchio. E voi adulatori del popolo, provatevi se potete a fare di più per conciliargli stima ed affetto.

II. — Ma ben altro ancora, o miei cari, ha fatto Gesù Cristo a prò del povero. Un giorno, sedendo Egli sopra il dosso di una collina che costeggia il bel lago di Genezaret, apriva la sua bocca per pronunciare quel discorso che rimase il più celebre di tutti e per la sua estensione, e per la sua celeste dottrina e per l’accento di magistero, con cui venne da Lui pronunziato. Or bene questo discorso così sublime, che ha per base otto beatitudini, le quali sono la Magna Charta del nuovo regno di Dio, come comincia esso? Udite, e restatene attoniti: « Beati i poveri di spirito, perché di essi è il regno dei cieli. » Beati pauperes spiritu, quoniam ipsorum est regnum cælorum. ( MATT. v, 3 ) Ma come? Il mondo ha sempre gridato e continua a gridare: Beati i ricchi! e Gesù Cristo invece incomincia il suo più grande discorso col dire: Beati i poveri? Tant’è, perché  lo spirito di Gesù Cristo è diametralmente opposto allo spirito del mondo e se il mondo s’inganna ed è ingannatore nelle massime che predica ai suoi seguaci, Gesù Cristo invece è sapienza eterna e verità infallibile. Difatti benché questa parola fosse stata già decisiva, il Divino Maestro non lasciò tuttavia di allargarla, di spiegarla, di confermarla. Parlando delle ricchezze le chiamò mammona di iniquità, nemiche di Dio, cattivo demonio, e volgendosi ai ricchi, pronunziò contro di essi dei terribili guai, e fece conoscere il gravissimo pericolo, che, in opposizione ai poveri, correvano della loro eterna salute. « È più facile, Egli disse, che una grossa fune passi per la cruna di un ago, anziché un ricco si salvi. » E per comprovar meglio questa sentenza raccontava ancora la parabola del ricco Epulone e del povero Lazzaro. Quegli ogni giorno banchettava splendidamente co’ suoi amici e intanto crudelmente negava al povero persino le briciole di pane che cadevano dalla sua mensa, tanto che i cani di questo avevano maggior compassione, perché venivano e gli leccavano le sue piaghe. Ma alla fine morirono e l’uno e l’altro; e il povero Lazzaro fu portato in seno di Abramo, mentre invece il ricco Epulone fu sepolto nel profondo dell’ inferno. Et sepultus est in inferno (Luc. XVIII, 22). Senza dubbio, le parole di Gesù Cristo vogliono essere intese esattamente. Perché altrimenti come spiegare che non pochi tra gli uomini si fecero santi, benché ricchi, nobili e potenti? Non era forse ricco nell’antica legge, un Abramo, che a testimonianza della Sacra Scrittura, per l’abbondanza dell’oro, dei greggi, degli armenti e dei servi appena poteva bastare la terra? Non erano ricchi Isacco, Giacobbe, Giuseppe, Davide, Giosia ed altri? Nella legge nuova non furono ricchissimi, fortunati e grandi un S. Enrico imperatore, un S. Luigi re di Francia, un S. Ferdinando re di Castiglia, un S. Edoardo re d’Inghilterra, un S. Venceslao re di Boemia, un S. Stefano re d’Ungheria, un S. Casimiro della stirpe dei re di Polonia, una S. Matilde, una S. Adelaide, una S. Edvige, una S. Elisabetta, una S. Clotilde, una S. Radegonda, una S. Margherita, una Bianca di Castiglia, una Matilde di Canossa, una Francesca di Chantal, una Cristina di Savoia, e tante altre regine e nobilissime donne? Non è dunque propriamente contro le ricchezze, che Gesù Cristo si scagli come se fossero cattive in sé medesime, e di loro natura cagione di mali fra gli uomini. Le ricchezze in sé non sono né cattive, né proibite, e a chi saggiamente ne usa, come fecero i Santi, possono servire per procacciarsi grandi meriti per il cielo, e tanto maggiori, quanto più torna difficile vivere tra di esse senza attaccarvi il cuore e riporvi ogni speranza. Gesù Cristo si scaglia contro l’abuso, che ne fanno la più parte dei ricchi. Come pure non è contro di tutti i ricchi, ch’Egli pronunzi la sentenza di dannazione, ma solo contro di quelli, che o amando smodatamente le loro ricchezze, le vanno con sordida avarizia tesoreggiando, o disprezzandone lo scopo le gettano prodigamente nei piaceri e nei godimenti della vita. Così non è già a prò di tutti i poveri, che Egli assicuri l’eterna salvezza, ma solo a prò dei veri poveri di spirito, di coloro cioè che non sono tali per la loro pigrizia e pei disordini della loro vita, che non si lamentano del loro stato, che sopportano con pazienza le privazioni, a cui devono andar soggetti, e non guardano i ricchi con occhio di maligna invidia e non si fanno a chiedere con pretensione superba. Con tutto ciò è certissimo che la dottrina, sgorgata in proposito dal Cuore Santissimo di Gesù, ha gettato un fascio di luce sulla condizione del povero, mostrando ed assicurando, che la sua è per eccellenza una di quelle condizioni, che importano la eterna felicità. Ed ecco perché in seguito a questa gran parola si sono veduti non solo dei poveri a benedire alla loro povertà, ma dei ricchi, dei principi, dei sovrani, dei Pontefici spogliarsi volonterosamente delle loro ricchezze e scendere dal fastigio della loro grandezza. S. Antonio Egiziano, ancor giovane di età, avendo perduto i suoi genitori, benché nobile e ricchissimo, vende tutte quante le sue possessioni, ne distribuisce il prezzo ai poveri e sciolto così da ogni impedimento terreno, va nel deserto a menar vita del tutto celeste. S. Francesco di Assisi, perché troppo largo coi poveri, costretto dal padre a rinunziare ai beni di famiglia, si spoglia spontaneamente persino delle vesti e professa d’allora in poi la povertà più perfetta, chiamandola col nome di sua madre, di sua sposa, di sua padrona e di sua regina. S. Francesco Borgia, quando può rinunziare il suo ducato di Candia e ritirarsi dalla corte di re Carlo V, si stima fortunatissimo di diventar povero per amore di Gesù. Nessuna pietanza del suo re gli è mai parsa tanto gustosa come il primo pane che egli mangia dopo averlo ottenuto per elemosina. S. Pietro Celestino sublimato all’apice del sommo Pontificato, volontariamente vi rinunzia, posponendolo per amore a Gesù Cristo ad una vita umile, povera. Tutti costoro e cento e cento altri vollero appartenere con la maggior sicurezza possibile al numero di quei fortunati, pei quali Gesù Cristo ha detto: Beati i poveri di spirito, perché di essi è il regno dei cieli! Ebbene, o miei cari, quando il Cuore di Gesù non avesse più fatto altro a prò del povero, non avrebbe già fatto tutto? Affidato alla parola di Gesù Cristo, quando pure il povero dovesse per ragione della povertà soffrire assai, ed anche presto morire, non dovrebbe incontrare volentieri il sacrifizio della sua stessa vita, che alla fin fine non è che un globo di fumo, sapendo di fare acquisto di quella vita, che non finirà più mai e sarà ricca di ogni bene?

III. — Ma è verissimo, che Iddio ha dato a tutti, e perciò anche al povero, l’istinto della propria conservazione, che anzi a tutti ne ha fatto espressamente una legge. E come potrà il povero seguire questo istinto e secondar questa legge quando egli o per la mancanza del lavoro, o per la debolezza o per l’infermità, o per la vecchiaia non potrà guadagnarsi il tozzo di pane per satollarsi? Dovrà egli in onta alla legge ed all’istinto abbandonarsi a perire miseramente di fame? Così era prima della venuta di Gesù Cristo. Già ebbi occasione di dirlo. I fanciulli, che nascevano deformi, od erano creduti soverchi nel seno della famiglia, venivano barbaramente gettati fuori di casa a morire d’inedia o in pasto ai cani. Gli infermi poi ed i vecchi erano riguardati come ingombro della famiglia e della società, e si poteva benanche, affine di sbarazzarsene rilegarli tutti dentro un’isola e lasciare, che presto senza alcun cibo finissero la vita. Ma venne Gesù Cristo e le cose quasi d’un tratto mutarono. Ecco degli asili per ricevere i fanciulli abbandonati. Ecco degli orfanotrofi per accogliere i figlioletti, che han perduto il padre e la madre. Ecco dei piccoli ospedali per allogarvi quei poveretti che nacquero con qualche deformità. Ecco delle scuole per i fanciulli poveri, dove imparano come i fanciulli dei ricchi, e forse assai meglio. Ecco degli ospedali per i malati poveri. Ecco degli ospizi e dei ricoveri per i vecchi poveri; ospedali, ospizi, ricoveri, dove tutti questi bambini, questi figlioletti, questi infermi, questi vecchi ricevono tali amorevolezze che si credono di avere a sé d’accanto degli Angeli e non delle creature di questo mondo. Ed ecco per di più queste dame, che se usano cavalli e carrozza non è che per recarsi a far visita ai poveri ed agli infermi, e con l’obolo generoso della carità cristiana sovvenire tanti bisognosi; ecco questi giovani, questi signori veramente nobili, questi soci di S. Vincenzo de’ Paoli, che si recano ancor essi

a confortare col danaro e con la parola i cuori di tante famiglie afflitte; ecco dei ricchi, che distribuiscono ogni giorno delle ingenti elemosine, ed eccone degli altri ancora, che non solo in sul morire coi testamenti, ma prima ancora, durante la loro vita, non si danno maggior cura, che di impiegare la massima parte dei loro averi nelle opere di beneficenza. Orsù, ditemi, trovate voi di siffatte cose presso l’antichità? No, non le troverete neppure presso il popolo più incivilito che vi fosse. A Roma voi troverete pure i ruderi del Palazzo dei Cesari, chiamato la montagna d’oro, tali e tante erano le ricchezze, che ivi si accumulavano; troverete le rovine del Colosseo e dei teatri, dove i patrizi e le matrone romane si adunavano gavazzando nel mirare dei poveri schiavi, che lottando gli uni contro gli altri, si toglievano miseramente la vita per divertire i signori; troverete gli avanzi di quei templi, all’ombra dei quali si commettevano le orge nefande del vizio; troverete i resti di quelle terme, ove i ricchi non solo nel bagno, ma nei lazzi, nelle ciance e nei divertimenti, cercavano di liberarsi dalla noia del far niente; anzi a Pompei troverete ben anche gli avanzi delle case del peccato, ma, ditemi troverete voi un sasso che possa dirvi: Io appartenni ad un asilo, ad un ospedale, ad un ospizio di carità? No, o miei cari. Tutto ciò era sconosciuto prima di Gesù Cristo. Or come mai Gesù Cristo ha ottenuto questo? In un modo semplicissimo; col fare uscire fuori dal suo Cuore, acceso di carità pel povero, una legge, non altrimenti espressa che con quattro brevi parole: Quod superest, date elæmosynam; (Luc. XI) « O ricchi: quello che vi sopravanza, datelo in elemosina. » Quello che vi sopravanza! Senza dubbio voi avete dei bisogni rispondenti allo stato di ricchezza in cui vi trovate. Soddisfate pure a questi bisogni legittimi; ma dopo che li avete soddisfatti, quanto vi resta non è più per voi, è per i poveri, giacché io non mi contento di dare al povero la sicurezza dell’eterna vita, ma voglio dargli ancora la sicurezza della vita presente, mercé il vostro superfluo. Ecco in sostanza quello che ha detto, che ha fatto Gesù Cristo. E per essere più sicuro di ottenere quanto comandava Egli non ha voluto lasciare di far conoscere al ricco la grandezza del premio, che avrebbe ricevuto per l’adempimento del suo dovere, e il gran castigo, che gli sarebbe stato inflitto per non averlo adempito. Date, egli disse, et dabitur vobis: date e sarà dato a voi: mensuram bonam et confertam et coagitatam, et supereffluentem dabunt in sinum vestrum: voi farete elemosina, ed in compenso riceverete una misura giusta e pigiata e scossa e colma. (Luc. VI, 38). Né crediate, che questa misura vi sia riservata solo nell’eternità: no, il centuplo lo riceverete anche quaggiù: Centumplum accipiet in tempore hoc, (MATT. XIX, 29 e MARC, X , 30) e non solo in beni spirituali, come spiegano i Santi Padri, ma anche i beni temporali. Ma ciò non è tutto; perché nel giorno della retribuzione eterna Io, volgendomi a voi, o ricchi elemosinieri, vi dirò: « Venite, o benedetti dal mio Padre celeste, possedete il regno preparato per voi fin dal principio del mondo. Imperocché io avevo fame e voi mi deste da mangiare, avevo sete e mi deste da bere, ero pellegrino e mi ospitaste, ero nudo e mi ricopriste, infermo e mi visitaste, carcerato e veniste a me. So bene, che allora voi meravigliati mi direte: Ma quando mai, o Signore, noi abbiamo fatto a Voi queste cose? Quando mai? Ogni volta, che avete fatto qualche cosa per qualcuno dei più piccoli di questi miei fratelli, l’avete fatta a me. « Quamdiu fecistis uni ex his fratribus meis minimi, mihi fecistis. » (MATT. XXV, 40) E per dirlo di passaggio almeno, ecco in seguito questo Divino Maestro verificare eziandio alla lettera la sua parola. Eccolo, nelle sembianze di un povero e nudo presentarsi ad un S. Martino, domandargli la elemosina e ricevutane una parte della sua clamide, farglisi poscia vedere nella notte seguente rivestito di quell’abito. Eccolo, sotto l’apparenza di un meschino, stendere la mano ad un S. Francesco di Assisi, ed avutane la carità manifestarglisi tutto splendido di luce celeste. Eccolo, come misero lebbroso farsi innanzi ad una S. Elisabetta, regina di Portogallo, da lei pietosamente raccolto, portato a casa, lavato, medicato, e coricato nel proprio letto, mostrarlesi come crocifisso nell’atto del più tenero affetto. Oh! tutto ciò Egli faceva per accrescere sempre maggior fede nella sua divina parola, e per renderci ognor più certi, che Ei ritiene e prenderà come fatto a sé tutto quello che si avrà fatto per qualcuno dei poveri. Quamdiu fecistis uni ex his fratribus meis minimis, mihi fecistis. Ecco adunque il premio promesso ai ricchi dispensatori del loro superfluo ai poveri. Ma ecco altresì il castigo, che sarà inflitto a coloro, che negheranno ai poveri questo loro superfluo. Miei cari! Vi hanno gli Epuloni, che pur potendo largamente donare, perché anche scapricciandosi a lor talento non trovan modo di dar fondo alle loro ricchezze, tuttavia ai poveri Lazzari, che si umiliano loro dinanzi per domandare le briciole, che cadono dalla loro mensa, rispondono con dispetto e con disprezzo : « Eh, non c’è nulla, andate con Dio….» Ebbene! questi poveri Lazzari andranno con Dio davvero, ma vi andranno per dirgli la vostra durezza, per domandargli giustizia dei loro diritti calpestati, per attirare sul vostro capo la più terribile vendetta. Davide nei suoi Salmi (CXXXIX) aveva già scritto, che il Signore farebbe giustizia ai bisognosi e vendicherebbe i poveri: Cognovi quia facit Dominus iudicium inopis, et vendictam pauperum. Ma Gesù Cristo ha voluto confermare e spiegare Egli stesso questa parola ispirata al suo profeta. No, non si tratta soltanto di sciagure temporali, benché anche queste ordinariamente non manchino su quelle case ricche, su quegli uomini potenti, che non fecero alcun caso del povero; si tratta della sciagura eterna, si tratta dell’irrevocabile sentenza d’un giudizio senza misericordia a chi non fece misericordia. « Su, su, dirà il divin Giudice nel giorno estremo di ira, quante lagrime, o ricchi, avete voi asciugate? quanti poverelli nudi avete ricoperto? a quanti famelici avete dato pane? Voi li vedeste strisciarvi ai piedi come vermi, voi li udiste gridare in massa: abbiamo fame, dateci pane; voi li vedeste persino accendersi di sdegno pei vostri rifiuti e minacciare le vostre case, i vostri averi, la vostra vita, eppure…. non vi scuoteste, non vi faceste perciò più pietosi, anzi diveniste anche più crudeli; arrivaste sino al punto da nascondere il frumento, per asciugare quanto potevate le misere borse dei poverelli; ebbene: andate, o maledetti, al fuoco eterno, perché sono Io, che nella persona de’ miei poveri ero nudo, avevo fame, pativo infermità, e vi domandavo soccorso, e sono Io, a cui lo avete rifiutato: Discedite, maledicti, in ignem æternum. (MATT. xxv, 46) Così adunque Iddio castigherà quei ricchi avari, i quali non avranno praticato in vita il suo precetto: Quod superest, date elæmosynam. Il che lascia facilmente comprendere quanto più terribile ancora sarà il furore, con cui Gesù Cristo si scaglierà a far vendetta di quei poveri, che per le usure di barbari creditori o per i balzelli intemperanti di prepotenti governanti sono ridotti all’estrema indigenza. Nella vita di S. Francesco di Paola si legge, che trovandosi un giorno dinnanzi a Francesco I, re di Napoli, con santo ardire gli dicesse: Sire, col sovraccarico delle imposte e dei tributi, che tutti i giorni rinnovate sul vostro popolo è il pane delle vedove e degli orfani che voi rapite, è la sussistenza dei poveri, che divorate, è il loro sangue che succhiate…; e che dicendo queste ultime parole, premendo nelle sue mani parecchie monete d’oro del re, ne facesse, con insigne miracolo, gocciolare propriamente del sangue. Se è adunque sangue il denaro, che si estorce al povero popolo con ingorde usure, con imposte intolleranti e con esazioni ingiuste, sangue che si spreme dalle sue vene e dal suo cuore, pensino i crudeli usurai e i potenti della terra, che questo sangue sale sino al trono di Dio per gridare vendetta, e che a questo grido dei poveri, Dio, che è il loro Padre, fin d’ora si commoverà e si leverà su a vendicarli con improvvise rovine e con umilianti obbrobri, riservandosi tuttavia di pienamente vendicarli nell’altra vita, poiché sta scritto, che potentes potenter tormenta patientur, (Sap. VI, 7 ) i potenti saranno potentemente tormentati. Ecco adunque, come quel Dio, che giusta l’osservazione di S. Ambrogio, non è ingiusto, non è inconsiderato, non è impotente, avendo creato i ricchi ed i poveri, ha pensato agli uni e agli altri. Ecco come quel Dio, che riveste di tanta gloria il giglio del campo, che nutre gli uccelli dell’aria e provvede al vermicciatolo, che striscia nel fango, non ha lasciato di determinare la necessaria porzione ai poveri, dando in loro proprietà il superfluo dei ricchi. Certamente essi non sono in diritto di appropriarselo per sé, ma ne hanno vero diritto e i ricchi sono in dovere di darlo, perciocché la parola di Gesù Cristo: Quod superest, date elæmosynamnon è parola di solo consiglio, ma è parola di assoluto precetto. E così mentre il ricco ha da essere il protettore del povero, il povero è destinato ad essere il salvatore del ricco, porgendogli il mezzo di tramutare le sue ricchezze nell’acquisto del cielo, e si manifesta il gran segreto della divina Provvidenza, il giudice che ha in mano la sorte dei grandi ed accumula sopra di essi benedizioni o maledizioni, l’uomo misterioso e possente, alla cui voce Iddio s’inchina per chiudere o dischiudere i tesori della sua misericordia e far piovere ancora sui ricchi l’abbondanza o colpirli di sterilità e castigo. Ah! pur troppo la miseria cresce spaventosamente, non ostante la forza del precetto di Gesù Cristo; ma certi poveri ne accagionino anzi tutto se stessi, che anzi tempo si sono resi deboli, infermi, incapaci al lavoro nelle ubriachezze, negli stravizi, nei disordini senza numero e persino in un lusso ridicolo, per cui alle volte non avendo pane in casa, vogliono poi al di fuori far la figura del conte e della contessa; accagionino sé, che talora nel giuoco, nelle crapule e nelle disonestà consumano in breve ora il guadagno di una settimana e forse anche di mesi, di anni; accagionino sé, che non avendo voglia di lavorare, vorrebbero vivere tuttavia alle spalle del ricco, e poi ne accagionino… Ah! ricchi, che mi ascoltate: tenetelo ben fermo, che noi, Sacerdoti, ministri del Dio di carità, saremo ben lungi, checché ne voglian giudicare certi politici, dall’eccitare le turbe all’odio di classe. Ma con tutto ciò, a noi incomberà sempre il dovere di ripetervi con santa libertà le parole di Gesù Cristo e di farvi conoscere, che se nel mondo regna tanta miseria e il povero popolo sentendo più e più aggravare le sue calamità, scarno per fame, coperto di cenci, circondato dalle mogli lagrimose, dai figli ignudi, non avendo per casa che un antro, per letto che il terren nudo, perde la fede nella divina Provvidenza, e dice bestemmiando che Iddio non si cura punto delle sue necessità, e alza grida di esecrazioni ed arma la mano sdegnosa contro la società, in cui vive, ciò è pure per causa di non pochi di voi, che dimenticano, che non curano, che disprezzano il precetto di Gesù Cristo: Quod superest, date elæmosynam, date ai poveri, ciò che vi sopravanza. Io so bene, che certi ricchi si danno a credere, che questo non sia più che un consiglio, del quale possono a lor talento tener conto o no; so, che ve n’hanno di quelli i quali, pur intendendo la gravezza del vero comando, pretendono tuttavia di sottrarsi all’obbligo di praticarlo con dire, che appena appena posseggono quel che è loro necessario; so infine, che taluni si credono di aver soddisfatto al loro dovere, se hanno gettato una vil moneta a qualche misero pezzente, che li andò seccando lungo la via. Ma so altresì, che è dovere assoluto del ricco, non meno che del povero, studiare il Vangelo e praticarlo; so, che ben di spesso chi asserisce di avere il puro necessario è un mentitore solenne, che si abbandona tuttavia ad un lusso immoderato, a piaceri, a divertimenti incessanti, a conviti epuloneschi; e profonde argento ed oro ad un labbro che canta, ad un piede che guizza, e forse anche ad una peccatrice che vende l’onore; so che, chi avendo molto dà poco, è come se non desse nulla; opperò posso dire e ripetere con tutta certezza che, se il povero manca talora del necessario sostentamento, è proprio per cagione di certi ricchi, che non intendono, che non vogliono intendere il gran precetto della carità cristiana, intimato solennemente da Gesù Cristo. Non così certamente accadeva nella Chiesa primitiva, e sebbene il furore dei Cesari dannasse i ricchi Cristiani, oltreché alle prigioni, agli esili, ai patiboli, anche alla confisca di tutti i loro beni, pur tuttavia non veniva meno mai la elemosina ai poverelli, ed anzi pareva, che tra i fedeli la povertà non non si conoscesse neppur di nome. Ma quei primitivi Cristiani avevano altamente impressa nel cuore la dottrina di Gesù Cristo ed è perciò che, riguardando nei poveri altrettanti fratelli, ponevano con tanto disinteresse i loro beni in comunanza, e con tanta generosità li distribuivano. Non altrimenti operavano i Santi; i quali tanto solleciti di farsi i padri dei poveri, giungevano sino al punto da spogliarsi essi di tutto e spezzare i vasi d’oro e d’argento e le collane preziose per assisterli e beneficarli, come un S. Agostino, un S. Ambrogio, un Amedeo di Savoia; da servir loro in ginocchio, chiamandoli col nome di padroni, come le due sante regine Margherita di Scozia ed Elvige di Polonia; e da vendersi schiavi per dar in limosina il prezzo della loro persona, come un S. Paolino, un S. Serapione, un S. Pietro Telonario ed un S. Raimondo. O ricchi! io non vi dirò: fate lo stesso ancor voi. No, voi non siete obbligati a questo eroismo. Anzi senza entrare nelle case vostre, nelle vostre guardarobe, nei vostri scrigni, per vedere se sia realmente vero quello che dite, non aver nulla di superfluo, lasciando che ciò faccia la vostra coscienza, e un giorno al Divin tribunale Gesù Cristo giudice, ammettendo pure che sia così, io vi dico tuttavia: voi almeno avete occhi: impiegateli dunque a guardare amorevolmente il povero. Voi avete orecchi: impiegateli ad ascoltare le sue miserie. Voi avete lingua: impiegatela a confortarlo nella sue condizione. Voi avete mani, impiegatele a prestargli qualche servizio. Voi avete piedi: impiegateli a recarvi qualche volta in casa sua. Oh la carità non è tutta di pane: è il trattare con dolcezza, con affabilità, con domestichezza col povero è già una delle carità più fiorite, che voi gli possiate fare, e della quale lui, il povero, e Dio vi saranno grati. Ma no, non contentatevi di questo. Questo fate, questo non tralasciate, ma non questo solo, perché Io lo so, e voi lo sapete meglio di me, voi potete fare di più. Animo adunque! Facendo tacere in cuor vostro ogni futile e crudele pretesto, lasciate che parli solamente la voce della carità e del dovere. Studiate le miserie, che più aggravano la povera società, e affrettatevi con mano generosa a sovvenirle. Vi sono tanti vecchi, tante vedove, tanti orfani, tante fanciulle abbandonate, tanti bambinelli esposti, tanti infermi derelitti, tante famiglie sofferenti, che con le lacrime agli occhi chiedono aiuto. Vi sono tanti istituti, tanti orfanotrofi, tanti oratorii, tanti ospedali, tanti ricoveri, tanti ospizi che minacciando di finire la loro esistenza, si volgono a voi per rimanere in piedi. Vi sono pure tante povere chiese che mancano degli arredi più necessari per i divini misteri, tante popolazioni, che mancano di chiese, tanti paesi che mancano di sacerdote, perché tanti buoni giovani mancano del necessario per entrare nei seminari, e i seminari mancano dei mezzi per accettarli; vi sono insomma necessità molteplici, gravi, imperiose, che si schierano tutte dinnanzi a voi. Muovetevi a pietà: aprite le vostre mani, date con la massima generosità, e meritatevi così i grandi beni, che perciò Gesù Cristo vi ha promesso. Gli infelici da voi soccorsi con la eloquenza del­ le loro preghiere e delle loro opere parleranno a Dio per voi, in vita, e in morte, e quando già sarete alle porte dell’eternità, Gesù Cristo contemplando il frutto delle vostre beneficenze, che come onda incessante si verseranno ancor sui poveri, vi accoglierà festanti nel suo immenso Cuore e vi cingerà il capo di diadema immortale. Poveri! voi con la rassegnata sofferenza; ricchi! voi con la generosa beneficenza, avete in mano gli uni e gli altri la chiave del regno de’ cieli. E voi, o Cuore Santissimo di Gesù, che essendo infinitamente ricco vi siete fatto per nostro amore infinitamente povero, e ne avete insegnato la più sublime dottrina intorno alla povertà, fate che tutti apprezziamo altamente l’esempio vostro, e seguiamo fedelmente i vostri insegnamenti; che, se poveri, viviamo rassegnati in quello stato, in cui ci avete posti per vostra somiglianza; che, se ricchi, adempiamo la vostra volontà ed impieghiamo le nostre ricchezze a farci degli amici, che ci accolgano un giorno negli eterni tabernacoli.

EXTRA ECCLESIAM NULLUS OMNINO SALVATUR (11)

EXTRA ECCLESIAM NULLUS OMNINO SALVATUR (11)

IL DOGMA CATTOLICO:

Extra Ecclesiam Nullus Omnino Salvatur

[Michael Müller C. SS. R., 1875]

CAPITOLO V, Parte II.

[Degli eretici non colpevoli del peccato di eresia]

Prima di parlare in dettaglio di questa classe di eretici dobbiamo spiegare cosa si intenda per LEGGE e COSCIENZA.

§ 1. IL DIRITTO NATURALE.

(Secondo San Tommaso d’Aquino)

« Le leggi della natura – dice san Tommaso d’Aquino – e tutti i princîpi di giustizia e di moralità, furono quasi cancellati nel tempo che intercorse tra Adamo e Mosè. Al tempo di Abramo, tutte le nazioni erano cadute nell’idolatria, immerse in ogni tipo di vizi, quasi tutti chiudevano gli occhi alla luce della ragione: erano come quelli che cadono in un abisso, più si cade in profondità, meno luce del giorno si vede. Dio ha permesso ai malvagi di cadere in questo stato di ignoranza universale e di empietà, per umiliare il loro orgoglio e la loro arroganza, essi che, sempre pieni di orgoglio e perversità, presumono che la loro ragione personale sia sufficiente a far loro conoscere i loro doveri e prevaricare i loro poteri naturali. In quella triste esperienza di ignoranza ed empietà, Dio, nella sua misericordia, venne in loro aiuto dando ad essi la legge scritta nella persona di Mosè, come rimedio per la loro cecità e ostinazione. La legge naturale è imperfetta. Quindi una Legge divina è assolutamente necessaria nel guidarci sulla via della beatitudine eterna. Non possiamo raggiungere un fine soprannaturale con mezzi naturali o umani. Abbiamo bisogno di una Legge divina per dirigere i nostri pensieri e le nostre azioni verso quel fine. Il giudizio degli uomini è incoerente e mutevole. Hanno essi perciò bisogno di una “legge infallibile” onde dirigere e rettificare il loro giudizio, al fine di sapere con certezza cosa debbano fare ed evitare per ottenere la felicità eterna. Ecco che allora, Dio Onnipotente aggiunse alla legge naturale, una Legge superiore, relativa ad un fine superiore, nella forma di quella Mosaica e della legge evangelica. « La Legge – dice San Paolo – … fu promulgata per mezzo di Angeli attraverso un mediatore ». (Gal. III, 19). E Santo Stefano disse agli ebrei: « …voi che avete ricevuto la legge per mano degli Angeli ». (Atti, VII 53.) San Dionigi l’Areopagita dice che gli Angeli sono incaricati di portare tutti i messaggi dal cielo alla terra, cioè da Dio all’uomo. L’obiettivo principale della Legge divina è quello di rendere l’uomo santo. « Siate santi, come Io sono santo », dice il Signore. Questa santità consiste nel perfetto amore tra Dio e l’uomo. Questa carità è il compimento della legge. È quindi con la pratica che diventiamo santi e assomigliamo a Dio. Era quindi necessario che l’antica Legge contenesse diversi precetti morali riguardanti le virtù necessarie per la perfetta felicità dell’uomo. Questi precetti morali sono tutti contenuti nei Dieci Comandamenti. Questi Comandamenti sono una spiegazione completa della legge naturale: essi sono di istituzione divina. Furono comunicati dal ministero degli Angeli a Mosè che li proclamò tutti al popolo ebraico; ma egli aggiunse altri precetti, ordinanze e cerimonie per la osservanza puntuale dei Comandamenti. I primi tre di essi, prescrivono i nostri doveri verso Dio; cioè, adorarlo per mezzo della fede, della speranza e della carità; e gli ultimi sette prescrivono i nostri doveri verso tutti i nostri simili.

§ 3. LA NUOVA LEGGE O LA LEGGE DELLA GRAZIA.

« L’intera razza umana – dice San Tommaso d’Aquino – era destinata a vivere in successione durante tre distinti periodi. Il primo periodo fu quello dell’Antica Legge, il secondo quello della Nuova Legge e il terzo ed ultimo, quello del Regno della gloria eterna. » San Paolo afferma che « l’antica legge (i molti precetti cerimoniali) fu abolita a causa della sua debolezza e non redditività, poiché non aggiunse nulla alla perfezione; … ma ha portato in noi una speranza migliore, grazie alla quale ci avviciniamo a Dio ». (Ebr. VII, 8). Dice ancora: « Che la vecchia legge e i comandamenti siano davvero santi, giusti e buoni ». Ora diciamo che una dottrina è buona quando è conforme alla Verità e diciamo pure che una legge è buona quando è coerente con la ragione. Tale era la Legge antica; perché reprimeva la concupiscenza, che agisce contro la ragione, e proibiva tutte le trasgressioni contrarie alla ragione umana e alla Legge divina. Questa ha agito come un medico nel rimettere in salute un malato con delle prescrizioni salutari. Il fine principale dell’uomo è la gloria eterna; ma è solo per grazia divina che possiamo meritarla. La vecchia legge non poteva conferirla. « La legge fu data da Mosè, la grazia e la verità vennero da Gesù Cristo ». (Giovanni, I, 17.) Ma la Legge Antica era buona poiché era una preparazione per la Legge di Grazia, per la venuta del Messia, sia dando testimonianza di Lui, che conservando tra gli Ebrei la conoscenza e il culto del vero Dio. « Prima che quella fede venisse, siamo stati tenuti sotto la Legge per quella fede che doveva essere rivelata ». (Gal. III, 23)  – Tuttavia, nonostante l’imperfezione della vecchia Legge, gli Ebrei avevano sufficienti mezzi di salvezza mediante la fede nel Redentore venturo: Gesù Cristo, ardentemente atteso, era il Salvatore dei Patriarchi, dei Profeti e di tutte le anime sante della vecchia Legge; così come Gesù Cristo, effettivamente giunto, è il Salvatore degli Apostoli, dei Martiri e di tutte le anime sante della nuova Legge.  – La Legge di Gesù Cristo, allora, o la Legge della Grazia, sostituì la Legge Antica. Questa legge è chiamata NUOVA per diverse ragioni: La Legge della Grazia è nuova nel suo Autore. L’antica legge fu data dal ministero degli Angeli, ma la nuova legge, dal Figlio unigenito di Dio. Quindi, per dimostrare la preminenza della nuova Legge sulla vecchia Legge, san Paolo dice: « Dio aveva parlato in passato ai nostri antenati tramite i Profeti, ora ci ha parlato per mezzo del Figlio suo, che ha nominato erede di tutte le cose. » (Ebrei I, 1-2).  – La Legge di Cristo è Nuova nella sua efficacia. L’antica Legge non conferiva la grazia della giustificazione; l’aveva solo prefigurata e promessa in vista della nuova Legge, e ne ha determinato l’insufficienza sostituendo la realtà alle figure e il dono delle grazie alle promesse. Quindi la Legge di Cristo è la perfetta realizzazione e il compimento della Legge mosaica. – La Legge di Cristo è Nuova nelle sue ricompense. Mosè, come leggiamo all’inizio del Libro dell’Esodo, conduceva il popolo ebraico dall’Egitto alla conquista di nazioni straniere e prometteva loro una terra ove scorreva latte e miele.  La Legge del Vangelo propone e promette, prima di tutto, la felicità e la gloria celeste ed eterna. Gesù Cristo cominciò a predicare il Vangelo con queste parole umili e sante; « Fate penitenza, ché è prossimo il regno dei cieli ». La Legge di Cristo è Nuova nella perfezione che richiede. La legge dovrebbe dirigere tutti gli atti umani all’osservanza della giustizia con la punizione di tutti i delitti. Ma la legge mosaica puniva solo gli atti esterni, mentre la legge del Vangelo sancisce anche gli atti interni. L’una reprimeva le azioni manuali, mentre l’altra reprimeva i pensieri e le passioni peccaminose del cuore.  La Legge di Cristo è Nuova nel motivo della sua operazione. L’antica Legge operava solo attraverso il timore e le punizioni, mentre la Legge di grazia opera con giustizia e carità perfette. «… Perché la legge dello spirito di vita in Cristo Gesù mi ha liberato dalla legge del peccato e della morte », dice San Paolo. (Rom. VIII, 2). Nell’Antico Testamento – dice Sant’Agostino – la legge è stata data in forma esterna per terrorizzare i malvagi, mentre nel Nuovo Testamento è data dall’effusione della carità divina per la nostra giustificazione. L’antica Legge delle parole era scritta su tavole di pietra, mentre la Legge della Grazia è incisa sulle tavole viventi dei cuori dei fedeli. Quindi la Nuova Legge è una legge di Grazia, infusa nelle anime dei giusti, e procede dalla fede in Cristo, che ha aggiunto consigli a tutti coloro che aspirano alla virtù e alla perfezione. – Con la sua autorità divina, la nuova Legge ha il potere di prescrivere opere esterne e proibirne certe altre. Poiché ci ha resi figli della luce, dobbiamo compiere opere di giustizia e di carità ed evitare quelle del peccato e delle tenebre. « Perché tu eri prima tenebra, ma ora sei luce nel Signore: cammina allora come figlio di luce ». (Eph. V. 8.). La nuova Legge è una legge di grazia e di santità. Ma per sapere se possediamo questo dono divino della grazia e della santità, sono necessari i segni visibili, e i Sacramenti sono appunto questi segni di grazia. Colui che ha ricevuto il dono della Grazia, deve manifestarlo con parole ed azioni; poiché la legge di Cristo ci ordina di professare la nostra fede e di non rinnegarla mai in nessuna occasione. (Matt. X. 32-33.) – La nuova Legge, essendo una legge di grazia, di carità e libertà, aggiunge consigli ai precetti, che non sono assolutamente obbligatori. I precetti della nuova Legge sono di obbligo morale, indispensabile, mentre i consigli sono di carattere discrezionale e lasciati alla nostra libera scelta. « Il profumo e l’incenso allietano  il cuore, e i buoni consigli di un amico sono dolci per l’anima ». (Prov. XXVII, 9). Ora, essendo Cristo l’essenza di ogni saggezza e carità, i suoi consigli evangelici sono i più utili e salutari per tutti i Cristiani. L’uomo è posto in questo mondo tra le beatitudini celestiali e i godimenti temporali; cosicché, più è attaccato agli uni, più rinuncerà agli altri. Tuttavia, non è necessario privarsi di tutti i beni di questo mondo per raggiungere la felicità eterna; ma privandosi dei beni di questo mondo, ci si pone in maggior sicurezza nell’opera della propria salvezza. Le ricchezze e le gioie di questo mondo ci seducono con l’attrazione dei tre tipi di concupiscenza. Quindi, la nuova legge, per portarci alla perfezione evangelica, propone la povertà come rimedio infallibile per superare la concupiscenza degli occhi; la castità, per resistere a quello della carne; e l’obbedienza, per avere la meglio sull’orgoglio e la vanità della vita. I consigli del Vangelo sono pertanto una disciplina morale che conduce alla santità ed alla perfezione. Quindi san Paolo, dopo aver consigliato la verginità, aggiunge: « E questo dico per il tuo profitto, non per gettarti addosso un laccio, ma per ciò che tu possa giungere fino  al Signore senza impedimento ». – Un certo viaggiatore fu costretto a passare attraverso una vasta foresta nel buio della notte. Per non perdere la strada per il suo paese, portava una lampada in mano, alla luce della quale poteva sempre vedere chiaramente il modo in cui doveva viaggiare per raggiungere la sua casa in tutta sicurezza. In questo mondo, tutti noi viaggiamo verso il nostro vero paese, che è il Paradiso. Dobbiamo viaggiare attraverso la vasta foresta di questo mondo, nell’oscurità della notte, cioè dobbiamo viaggiare attraverso l’oscurità delle tentazioni del diavolo, della carne e degli errori delle false religioni e dei principi perversi di uomini malvagi.  Ora, per non perdere la via del cielo, Dio ci ha dato una lampada alla luce della quale possiamo sempre vedere il modo in cui dobbiamo procedere per entrare nel regno dei cieli. Questa lampada è in particolare la Nuova Legge, la vera Religione di Cristo. Poiché il comando – dice la Sacra Scrittura – è una lampada, e l’insegnamento una luce, e un sentiero di vita le correzioni della disciplina ». (Proverbi VI, 23). La legge di Gesù Cristo è chiamata una lampada, una luce, perché mostra a tutti gli uomini la via per il cielo; essa dice loro cosa debbano fare e cosa debbano evitare per piacere a Dio ed essere salvati. « Osserva i miei precetti e vivrai, il mio insegnamento sia come la pupilla dei tuoi occhi. » (Prov. VII, 2). – La Legge di Cristo, quindi, è uno dei più grandi doni per ogni uomo. « Ti darò – dice il Signore un buon regalo – … poiché io vi do una buona dottrina; non abbandonate il mio insegnamento ». (Prov. IV. 2) Poiché la Legge di Grazia è perfetta in ogni modo, non può essere sostituita da alcun’altra legge. Essa durerà quindi fino alla fine del mondo.

§ 4. LA COSCIENZA IN GENERALE .

Dio non si accontentò di mostrare all’uomo la via per il Paradiso, che è l’osservanza dei Comandamenti di Gesù Cristo; inoltre, Egli ha dato a ciascuno un compagno invisibile, che rimane con lui giorno e notte, fino alla fine della sua vita. Alcuni danno a questo compagno il nome di coscienza; altri lo chiamano l’oracolo o la voce di Dio nella natura e nel cuore dell’uomo, distinta dalla voce della rivelazione. Un certo poeta dice: « Qualunque sia il credo insegnato, o la terra calpestata, la coscienza dell’uomo è l’oracolo di Dio ». Sì, la voce della coscienza proviene da Dio, e non dall’uomo; essa è posta in noi, prima di aver avuto qualsiasi addestramento, anche se tale addestramento è poi necessario per il suo rafforzamento, la crescita e la dovuta formazione; essa si trova anche nel selvaggio non addestrato. – Quando Colombo scoprì l’America, un giorno il capo di una tribù indiana gli disse: « Mi è stato detto che di recente sei venuto in queste terre con una forza possente, e hai soggiogato molte nazioni, diffondendo grande paura tra la gente, ma non essere, tuttavia, vanaglorioso. Sappi che, secondo la nostra convinzione, le anime degli uomini hanno due viaggi da compiere dopo che si siano allontanate dal corpo: uno, in un luogo triste e oscuro, coperto di oscurità, preparato per quelle anime che sono state ingiuste e crudeli con i loro simili; l’altra, piacevole e piena di luce, per coloro che hanno promosso la pace sulla terra. Se, dunque, sei mortale e ti aspetti di morire, e credi che ognuno sarà ricompensato secondo le sue azioni, fa’ attenzione a non ferire, né colpire, né danneggiare ingiustamente quelli che non ti hanno fatto del male. » (Irving’s “Columbus”, cap. V., P. 443.). – Da questa breve discorso di un pagano è evidente che ci sia la voce della coscienza anche nel selvaggio, voce che gli dice ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. – Questo fedele compagno sa fino a che punto ognuno conosca la legge di Dio. Esso conosce i nostri desideri, le nostre parole, le nostre azioni e l’omissione dei nostri doveri. Ora il suo ufficio è quello di applicare la legge della nostra conoscenza a tutto ciò che desideriamo, diciamo e facciamo, per vedere se i nostri desideri, le parole o le azioni siano conformi alla legge di Dio, o in opposizione ad essa. – Infatti San Tommaso dice: « La coscienza non è un potere, ma un atto dell’anima con cui applichiamo ad un’azione particolare, i principi primari del giusto e dell’errato. Se applichiamo questi principi alla commissione o all’omissione di un atto, la nostra coscienza ne è testimone. – « Perché la tua coscienza sa che hai anche parlato spesso male degli altri ». (Eccles. VII., 23.) Se applichiamo quei principi a ciò che dovrebbe o non dovrebbe essere fatto per quel momento, la nostra coscienza ci induce a farlo o ce ne dissuade. Se applichiamo questi principi ad una transazione passata per sapere se questa fosse buona o cattiva, la nostra coscienza ci accusa o ci scusa ». – La coscienza, o il senso del bene e del male, che è il primo elemento della Religione, è così delicato, così incostante, così facilmente indeciso, oscurato, pervertito; così sottile nei suoi metodi argomentativi, così impressionabile dall’educazione, così prevenuto dall’orgoglio e dalla passione, così instabile nella sua fuga, che questo senso del giusto e dell’errato è allo stesso tempo il più alto di tutti gli insegnamenti, eppure il meno chiaro e luminoso nella maggior parte degli uomini. Ecco che noi incontriamo diversi tipi di coscienza.

[11. Continua]

EXTRA ECCLESIAM NULLUS OMNINO SALVATUR (10)

EXTRA ECCLESIAM NULLUS OMNINO SALVATUR (10)

IL DOGMA CATTOLICO:

Extra Ecclesiam Nullus Omnino Salvatur

[Michael Müller C. SS. R., 1875]

§ 10. S. O. FA IN MODO DA EVITARE LA NOSTRA CORRETTA CONCLUSIONE, E RACCONTA TANTE FANDONIE

S. O. continua a citare dalla nostra Spiegazione della Dottrina Cristiana e a commentarla.

« D.: Una simile fede in tale Cristo salverà i protestanti?

R.: Nessun uomo ragionevole mai asserirà una simile assurdità. »

« La risposta è corretta, poiché una tale fede in tale Cristo, porterebbe ad una non salvezza, come ogni uomo ragionevole sarebbe perfettamente disposto ad ammettere, come fa un tale autore ».  –

Abbiamo dimostrato nella nostra Explanation … che la Chiesa Cattolica Romana sia la sola vera Chiesa di Gesù Cristo; che la dottrina di Cristo si trovi solo in questa vera Chiesa; che solo i membri di questa Chiesa hanno la FEDE assoluta, divina in Cristo e in tutto ciò che Essa ha fatto per la salvezza; che solo in questa Divina Fede sia possibile la salvezza, perché essa è il fondamento della giustificazione; abbiamo dimostrato come i protestanti abbiano respinto tutto la Fede Divina in Gesù Cristo e nella sua dottrina; che, respingendo la Chiesa di Cristo, essi hanno rigettato Cristo stesso e la sua dottrina, e che quindi di conseguenza, diciamo sia un’assurdità per chiunque, credere che essi possano essere salvati nella loro fede, la quale è solo un’invenzione umana che ha condotto e conduce ancora a vari tipi di abomini. – Ma poiché S. O. sembra avere tanta fede e fiducia nella fede dei protestanti in Cristo, pensa che tutti i Cattolici siano perfettamente disposti a non disturbarlo nella sua “onesta” convinzione e nella sua “invincibile ignoranza”. Ma nello stesso tempo protestiamo contro le menzogne che dice nella sua continuazione della risposta di cui sopra, vale a dire: « … È strano come alcune persone pie e buone considerino come loro dovere religioso e come un piacere, fare in modo tale da considerare che i loro vicini dissenzienti siano opportunamente e facilmente dannati. Ricordano una di quelle persone immortalate in Hudibras, che: “accusano dei peccati a cui essi sono inclini, condannando coloro che non hanno alcuna intenzione o proposito di farli” . – Qui S. O. afferma molto impudentemente che alcune persone pie e buone (cioè i Cattolici, e in particolare il Rev. M. Muller, CSSR, l’autore di Explanation of Christian Doctrine), considerino loro dovere e piacere religioso, … fare in modo che i loro vicini dissenzienti siano corretti propriamente e considerati irrimediabilmente dannati! Una calunnia più infame non è mai uscita neppure dalle labbra di un eretico contro i Cattolici! Ahimè! il Rev. Editor della BCU & T. assicura solennemente che le suddette parole non provengono né da un ebreo né da un eretico; ci assicura solennemente che sono state scritte dal “Prete più eminente” degli Stati Uniti, e le ha incoraggiate con gioia e le ha stampate a beneficio dei lettori di BCU & T. – Potete vedere come, in parole povere, S. O. proferisca menzogne in modo evidente e vergognoso citando dalla nostra “Explanation”  la seguente risposta:

« D.: Che cosa dobbiamo pensare della salvezza di coloro che sono fuori dalla Chiesa senza colpa loro, e che non hanno mai avuto l’opportunità di conoscerla meglio?

R.: La loro ignoranza incolpevole non li salverà; ma se temono Dio e vivono secondo la loro coscienza, Dio, nella sua infinita misericordia, fornirà loro i mezzi necessari per la salvezza, anche con l’inviare, se necessario, un Angelo per istruirli nella fede Cattolica, piuttosto che lasciali perire attraverso un’ignoranza incolpevole ». Ahimè! che peccato che S. O. cada di qua e di là, in un abisso di bugie e di false asserzioni.

§ 11. S. O. DICHIARA QUINDI CHE LA SENTENZA FINALE DEL GIUDICE ETERNO NELL’ULTIMO GIORNO SI ABBATTERÁ SOLTANTO SUI CATTIVI CATTOLICI – DALLA PROPRIA ARGOMENTAZIONE SI PROVA PERO’ CHE ANCHE I PROTESTANTI SIANO INCLUSI IN QUESTA SENTENZA.

Egli cita di nuovo: –

« D.: Cosa dirà loro Cristo nel giorno del giudizio?

R.: Io non vi conosco, perché voi non mi avete mai conosciuto. »

« Non è – egli dice – un elemento valido per me prendere in parola l’autore, dal momento che il suo argomento è quello che i protestanti non conoscono il vero Cristo, e poi dire che nel giorno del giudizio un uomo sarà condannato da Cristo perché non l’ha mai conosciuto. Nessun uomo sarà condannato a causa della sua ignoranza, né protestante, né pagano, né, posso aggiungere, Cattolico. Può essere condannato però perché, conoscendo Cristo, ha rifiutato di accettarlo, di credere in Lui, di fare la sua volontà e osservare i suoi Comandamenti. – Invece (S. O.) dice che nostro Signore, non si rivolge ai protestanti, che non hanno mai conosciuto la verità delle sue dottrine insegnate dalla Chiesa Cattolica, bensì minaccia di rinnegare solo quei Cattolici che, conoscendolo, lo hanno rinnegato con la loro vita peccaminosa e il non fare la volontà del Signore: « … Ed egli vi dirà: Io non so da dove venite, allontanatevi da me, voi tutti operatori d’iniquità ». (San Luca, XIII, 26-27). « Poiché per lui, S. O. non è un argomento speciale prendere l’autore di “Explanation” in parola, perché l’argomento dell’autore è che i protestanti non conoscono il vero Cristo, e non sarà comunque da prendere in parola un argomento importante dell’autore di “Explanation”, dal momento che il suo argomento è stato, per tutto il tempo, che i protestanti conoscono il vero Cristo e credono esattamente ciò che la Chiesa Cattolica insegna riguardo a Cristo. Se S. O. allora dichiara che la frase sopracitata riguarda solo « … quei Cattolici che, conoscendo Cristo, lo hanno rinnegato con le loro vite peccaminose, – che cioè, conoscendo la volontà del Signore, non l’hanno fatta », egli deve anche, per la stessa ragione, dichiarare che anche i protestanti sono inclusi nella sentenza del Giudice eterno: essi, infatti, ben conoscendo Cristo, lo hanno rinnegato con le loro vite peccaminose, e, conoscendo la volontà del Signore, non l’hanno fatta. Ecco che S. O., così come anche i protestanti, usa la sua personale interpretazione privata della Sacra Scrittura, almeno per la frase sopra riportata del Giudice eterno, contrariamente a quanto dichiarato dal Concilio Vaticano su questo argomento; aggiungiamo qui ciò che Sant’Agostino (Serm. 23) dice riguardo a quelle parole di Cristo: “Io non ti conosco”. « Se colui che conosce ogni cosa – dice questo grande Dottore della Chiesa, dichiara: “Io non ti conosco” , intende dire: “Io ti riprovo” perché non ti ho mai visto appartenere al mio ovile con la Fede assoluta, la Fede Divina in tutte le mie parole e in tutto ciò che ho fatto per la tua salvezza, e così sei sempre rimasto separato da me, e perciò … ti riprovo ». – S. O. farebbe bene a riflettere su questa interpretazione della frase finale di Cristo di cui sopra. Sottoponiamo inoltre al suo esame le seguenti parole di Cristo, che lui e tutti i suoi amici protestanti ascolteranno nel giorno del giudizio: « Colui che si vergognerà di me e delle mie parole in questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’Uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo, con i santi Angeli ». (Marco VIII, 38). In questo testo si afferma nei termini più semplici che non ci si deve vergognare, non solo di Cristo, ma anche delle sue parole, cioè della sua Dottrina, della sua Religione e, di conseguenza, della sua Chiesa – la depositaria di quella Fede, – cosa che costituisce un peccato mortale, e che comporterà pertanto la dannazione eterna dell’anima. Ma se il vergognarsi di Cristo e della sua Dottrina condanna l’anima all’inferno, quanto più negare Cristo e la sua Santa Chiesa Cattolica! Non è così in un certo qual modo vergognarsi di Cristo e della sua Dottrina, quando egli (S. O.) si dichiara così tanto a favore del credo protestante, e così poco in favore della Fede Cattolica, quando dichiara che si sono travisate le dottrine Cattolica e protestante, quando afferma che le prove che abbiamo dato e che vengono date dai migliori teologi circa la verità che “non c’è salvezza fuori dalla Chiesa”, sono false, ecc. ecc.? Non è negare, in una certa misura, Cristo e la sua Dottrina, quando egli dichiara che la fede dei protestanti in Cristo è esattamente la stessa di quella dei Cattolici? Non è così tanto vergognoso il dire: la religione del diavolo è buona come quella di Dio; la menzogna è buona quanto la verità; il cristianesimo contraffatto è buono quanto il vero Cristianesimo; la fede umana è buona quanto la Fede Divina; la strada per l’inferno è buona così come la via per il paradiso? – O felici protestanti! Poco fa, S. O. ha detto di voi, che “… voi credete precisamente ciò che insegna la Chiesa Cattolica, e cioè che Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo, ecc.; che i protestanti credono a tutto ciò che la Chiesa Cattolica crede, cioè ai fatti della sua vita divina, ai miracoli, alla passione, morte e risurrezione. … Questa è una verità innegabile! « E ora dice, nientemeno che non avete mai conosciuto la verità delle dottrine di Cristo così come insegnate dalla Chiesa Cattolica! », e quello che ha definito una innegabile verità, qui invece la nega in parole semplici. Dice anche di voi che « … la dottrina protestante della regola di fede, – l’interpretazione privata di ciascuno della Parola di Dio scritta – è indiscutibilmente errata, e subito dopo dice che non crede in questa regola! Dice che i protestanti sono in errore riguardo alla volontà divina, e questo lo sappiamo; ma a causa di questo errore, essi non sono però colpevoli davanti a Dio; e poi di nuovo nega in parte questa affermazione dicendo che i protestanti ostinati, cocciuti, che respingono la verità sono colpevoli! Che consolazione per i protestanti conoscere questi oracoli infallibili da S. O., per essere rassicurati da lui che le parole di Cristo, « Io non so voi di dove siate e da dove veniate, voi tutti operatori d’iniquità », saranno rivolte non ai protestanti, ma solo ai Cattolici, ed imparare da lui per certo che « … nessun uomo sarà condannato a causa della sua ignoranza, né protestante, né pagano, né cattolico ». – « Sebbene tutti i teologi Cattolici insegnino che l’ignoranza colpevole dei mezzi di salvezza e dei nostri grandi doveri sia un peccato mortale, tuttavia S. O. assicura enfaticamente ogni protestante, ogni pagano, ed ogni Cattolico che « … nessuno sarà condannato a causa della sua ignoranza ». Se la tua ignoranza è stata incolpevole, tanto meglio, perché, a meno che tu non abbia commesso peccati contro la tua coscienza, non sarai condannato, perché nessuno è condannato a causa di tale incolpevole ignoranza! Quale abbagliante luce teologica si irradia per i protestanti moderni dagli oracoli infallibili di S. O.! Come è consolante per essi l’essere tanto sicuri che in questo caso, come in ogni altro, egli abbia dimostrato la sua consueta onniscienza. Teologia cattolica, dogmatica e morale, logica, storia della Chiesa Cattolica e della società, come tutti possono vedere, sono i suoi punti di forza. Potrebbe sbagliare in altre questioni, ma non in questa. Gli antenati meno fortunati dei protestanti moderni non avevano questa guida. Essi potevano contare solo su qualche piccolo sostegno degli scritti di Sant’Agostino e di altri Padri della Chiesa; ma non avevano certo il più sicuro e più luminoso insegnamento di S.O., che, comunicato attraverso il C. U. & T. di Buffalo, era riservato ai protestanti della generazione attuale. Il sole di quel giornale non è sorto da molto sopra l’orizzonte, … è nato per ricevere e riflettere sui suoi lettori i raggi teologici elettrizzanti di uno dei più grandi oracoli che siano mai vissuti, egli che si considera un “apostolo dell’illuminazione” e misura il successo della sua illuminazione dal successo che ottiene nel persuadere non solo i Cattolici, ma soprattutto i protestanti, e persino i pagani, nel far credere che il Rev. M. Muller, C. SS. R., nella sua “Explanation…” abbia travisato la credenza cattolica e la credenza protestante: Dio e il diavolo.

§ 12. S. O. DICHIARA ALLORA CHE LA VITA ONESTA DEI PROTESTANTI SI ERGA A  RIMPROVERO DEI CATTIVI CATTOLICI.

« Molti protestanti – dice S. O. – a motivo delle loro vite oneste, rette e caritatevoli, sono un rimprovero per i cattivi Cattolici ». Insegniamo, anzi crediamo fermamente, che non ci sia salvezza fuori dalla Chiesa Cattolica; tuttavia non insegniamo che tutti coloro che sono membri della Chiesa Cattolica saranno salvati. « Certamente, nelle nostre città e nelle grandi città – dice il dottor O. A. Brownson – sì, anche nei piccoli villaggi del nostro grande Paese, si possono trovare molti cosiddetti Cattolici liberali o nominali, che non fanno onore alla nostra Religione, alla loro Madre spirituale, la Chiesa. Sottoposti come erano, nella terra della loro nascita, alle restrizioni imposte dai governi protestanti o semi-protestanti, sentono ora, venendo qui, di essere sciolti da ogni ritegno, e dimenticano l’obbedienza che devono ai loro Pastori, ai prelati che lo Spirito Santo ha posto sopra di loro, diventano insubordinati e vivono più come non-Cattolici che come Cattolici, trascurando in larga misura vergognosamente i loro doveri e stentando nel progredire senza sufficienti istruzioni morali e religiose, diventando così elementi della nostra popolazione corrotta. Questo è certamente da deplorare, ma può essere facilmente spiegato senza pregiudicare la verità e la santità della Religione Cattolica, rendendo anzi pubblica la condizione alla quale tali individui sono stati ridotti prima di venire in questo Paese, le loro delusioni in una terra straniera, la loro esposizione a tentazioni nuove e inattese, che essi non erano affatto il meglio dei Cattolici, anche nei loro Paesi nativi, la loro povertà, la miseria, l’ignoranza, la cultura insufficiente ed una certa naturale incapacità ed incuria, nonché la grande mancanza di scuole cattoliche, di Chiese e ferventi Sacerdoti. Ma pur abbassata e degradata come può essere questa classe di popolazione cattolica, essa non corrisponde alla classe di non Cattolici in ogni nazione; nel peggiore dei casi, c’è sempre un germe che, con la dovuta cura, può essere rivitalizzato, che può rifiorire e dare i suoi frutti. La loro Madre, la Chiesa, non smette mai di avvertirli di pentirsi e di purificarsi dai loro peccati con il Sacramento della Penitenza. Se non ascoltano la voce della loro Madre, ma continuano a vivere nel peccato fino alla fine della loro vita, la loro condanna sarà maggiore di quella di coloro che sono nati in seno  all’errore, e le cui menti non sono mai state penetrate dalla luce della verità. « Quel servo –  dice Gesù Cristo – che conosceva la volontà del suo Signore, e non ha fatto secondo la sua volontà, sarà battuto con molte percosse. » (Luca, XII 47.); – Senza dubbio, è, in generale, molto più facile riconciliare con Dio un Cattolico poco edificante, che non ha rinunciato alla Fede, piuttosto che ottenere un protestante che rinunci ai suoi errori, ai suoi pregiudizi e ai suoi peccati segreti, e sia disposto a fare tutto ciò che è necessario per ottenere il perdono. Quanti Cattolici ci sono stati, che per diversi anni hanno condotto vite per nulla edificanti ed in seguito sono diventati modelli di virtù, e persino grandi santi. Un Cattolico scandaloso, senza dubbio, dispiace a Dio a causa dei suoi peccati, ma non a causa della sua Fede. Un protestante, tuttavia, non può piacere a Dio, finché rimane senza Fede Divina, senza la quale è impossibile piacere a Dio, dice lo Spirito Santo nella Sacra Scrittura. E se la Fede, senza opere buone, è morta fino a un certo punto, va ricordato che anche le buone opere eseguite senza la Fede Divina sono morte. – Che diritto, quindi, ha S. O. da dire che, a motivo delle loro vite oneste, rette e caritatevoli, molti protestanti sono un rimprovero continuo ai cattivi Cattolici. Sarebbe stato più onorevole per lui, e avrebbe fatto più bene ai protestanti, se avesse detto loro che i milioni di Cattolici in Irlanda e in altri Paesi, che sono morti per la loro Fede nelle persecuzioni subite dai protestanti, sono un rimprovero permanente per tutti i tipi di protestanti; che le vite vissute nella verginità e nel sacrificio di sé di così molti santi Cattolici, sono una testimonianza data specialmente da migliaia di sorelle, fratelli e Sacerdoti, e costituiscono un monito permanente ai protestanti finché continueranno a vivere nell’eresia.

§ 13. LA LINGUA FARISAICA DI S. O.

[Predicare “Extra Ecclesiam nulla salus” è pienamente caritatevole]

« Questa “Explanation” – dice ancora S. O. – è un libro che ferisce il protestante sincero che cerca onestamente la verità e che lo fa allontanare senza speranza e demoralizzato dalla vera sposa di Cristo suo Redentore ». – Non c’è nulla in cui il grande Apostolo delle genti sembra meritare maggior gloria, che nel suo ardente zelo per la salvezza delle anime, e nella sincerità del suo cuore, consegnare al mondo le sacre eterne verità, pure e incorrotte. Non si vergognava l’Apostolo di queste divine verità; si rallegrava quando fu chiamato a soffrire per esse; egli non aveva alcuna mira ed interesse mondano nel predicarle; non cercava la stima e il favore degli uomini nell’esporle; il suo unico intento era quello di promuovere l’onore del suo santo Maestro e di guadagnargli anime, per cui non aveva bisogno di usare parole lusinghiere o di adattare la dottrina del Vangelo agli umori degli uomini. Sapeva che le verità rivelate da Gesù Cristo sono inalterabili; che « … il cielo e la terra passeranno, ma le sue parole non passeranno mai »; e che, quindi, corrompere queste parole sacre, seppure in un singolo articolo, sarebbe « … un pervertimento del Vangelo di Cristo » (Gal. I, 7), un peccato così doloroso, che lo Spirito Santo, con la sua bocca, pronuncia una maledizione su chiunque, anche un Angelo dal cielo, che avesse il coraggio di rendersene colpevole. Quindi descrive la sua condotta nella predicazione del Vangelo come segue: « … Voi sapete come mi sono comportato con voi fin dal primo giorno in cui arrivai in Asia e per tutto questo tempo: ho servito il Signore con tutta umiltà, tra le lacrime e tra le prove che mi hanno procurato le insidie dei Giudei. Sapete come non mi sono mai sottratto a ciò che poteva essere utile, al fine di predicare a voi e di istruirvi in pubblico e nelle vostre case,» (Atti XX 18, 20). – « … Abbiamo avuto il coraggio nel nostro Dio di annunziarvi il Vangelo di Dio in mezzo a molte lotte. E il nostro appello non è stato mosso da volontà di inganno, né da torbidi motivi, né abbiamo usato frode alcuna; ma come Dio ci ha trovati degni di affidarci il Vangelo così lo predichiamo, non cercando di piacere agli uomini, ma a Dio …». (I Tess. II, 2, 4). – « … noi non siamo infatti come quei molti che mercanteggiano la parola di Dio, ma con sincerità e come mossi da Dio, sotto il suo sguardo, noi parliamo in Cristo. » (II Corinzi II, 17.). – « … rifiutando le dissimulazioni vergognose, senza comportarci con astuzia né falsificando la parola di Dio, ma annunziando apertamente la verità, ci presentiamo davanti ad ogni coscienza, al cospetto di Dio. E se il nostro Vangelo rimane velato, lo è per coloro che si perdono, ai quali il dio di questo mondo ha accecato la mente incredula, perché non vedano lo splendore del glorioso Vangelo di Cristo che è immagine di Dio. Noi infatti non predichiamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore; quanto a noi, siamo i vostri servitori per amore di Gesù ». (II Cor. IV, 2, 5). – « … Oppure cerco di piacere agli uomini? Se ancora io piacessi agli uomini, non sarei più servitore di Cristo! » (Gal. I, 10.) Ora, « … Cristo infatti non mi ha mandato a battezzare, ma a predicare il Vangelo; non però con un discorso sapiente, perché non venga resa vana la Croce di Cristo. La parola della Croce infatti è stoltezza per quelli cha vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano, per noi, è potenza di Dio; è piaciuto a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della predicazione. …Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini … Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, …perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio … » (I Corinzi I, 17- 29). – « … Io infatti non mi vergogno del Vangelo, poiché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, … » (Rom. I. 16.). E quindi: « … o fratelli, quando sono venuto tra voi, non mi sono presentato ad annunziarvi la testimonianza di Dio con sublimità di parola o di sapienza … e la mia parola e il mio messaggio non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio. » (I. Cor. II 1-5). –  La Chiesa di Cristo, animata dallo stesso Spirito divino di Verità che ha ispirato questo santo Apostolo, ha sempre regolato la sua condotta sul modello che le era stato presentato con le sue parole e il suo esempio. « … combattere per la fede, che fu trasmessa ai credenti una volta per tutte » (Giuda, v. 3), la sua continua cura è « … custodisci il deposito; evita le chiacchiere profane e le obiezioni della cosiddetta scienza, professando la quale taluni hanno deviato dalla fede » (I. Tim. VI, 20.). – « … Il mio Spirito che è sopra di te e le parole che ti ho messo in bocca non si allontaneranno dalla tua bocca, né dalla bocca della tua discendenza, né dalla bocca dei discendenti dei discendenti, dice il Signore, da ora e per sempre. » (Isa. LIX, 21.). Quindi egli non sa cosa significhi temporeggiare nella Religione, per compiacere gli uomini, né adulterare il Vangelo di Cristo per animarli; dichiara le sacre verità rivelate da Gesù Cristo nella loro semplicità originale, senza cercare di adornarle con parole persuasive di saggezza umana, molto meno col mascherarle in un abito non proprio. La Verità, semplice e disadorna, è l’unica arma che impiega contro i suoi avversari, indipendentemente dalla loro censura o dalla loro approvazione. « Questa è la verità – dice – rivelata da Dio, questa devi abbracciare, o non puoi avere alcuna parte con Lui ». Se il mondo considera ciò che dice come follia, questo non costituisce una sorpresa, perché sa che  « … L’uomo naturale però non comprende le cose dello Spirito di Dio; esse sono follia per lui, e non è capace di intenderle. » – « l’uomo sensuale non percepisce le cose che sono dello Spirito di Dio, perché è follia per lui, e lui non può capire » (I Cor. II. 14.), ma che « la follia di Dio è più saggia degli uomini »; e compatendo questa cecità, prega sinceramente Dio di illuminarli, di essere « … dolce nel riprendere gli oppositori, nella speranza che Dio voglia loro concedere di convertirsi, perché riconoscano la verità e ritornino in sé sfuggendo al laccio del diavolo, che li ha presi nella rete perché facessero la sua volontà » (II Tim. II, 25.).  Se mai ci fosse stato un momento in cui questa condotta della Chiesa era necessaria, l’età presente sembra particolarmente esigerla. Al momento le porte dell’inferno sembrano aperte, e l’infedeltà di ogni sorta si propaga senza legge sulla terra; le sacre Verità della Religione sono contraddette e negate; il Vangelo adulterato da innumerevoli interpretazioni contraddittorie; la sua originale semplicità sfigurata dalla maestosità della parola e dalle espressioni persuasive della saggezza umana. Mille accondiscendenze e compiacenze sono ammesse ed accettate, grazie alle quali la purezza della Fede e della Morale soffre molto, e la « via stretta che conduce alla vita » è mutata nella « … strada larga che conduce alla distruzione ». Questa osservazione si applica in particolare a quell’opinione latitudinaria, così comune oggigiorno secondo la quale: « … un uomo può essere salvato in qualsiasi religione, purché viva una buona vita morale secondo la luce che ha»; pertanto la fede di Cristo è resa nulla, e il Vangelo non è servito a nulla. Un ebreo, un maomettano, un pagano, un deista, un ateo, sono tutti compresi in questo schema e, se vivono una buona vita morale, hanno uguale diritto alla salvezza così con un Cristiano! Essere membro della Chiesa di Cristo non è più necessario; è inutile il fatto che apparteniamo ad Essa o meno, poiché se viviamo una buona vita morale, siamo comunque sulla via della salvezza! Che ampio campo si apre alle passioni umane! Che licenza offre questo al capriccio della mente umana! È quindi della massima importanza affermare e mostrare chiaramente la Verità cattolica rivelata per cui: « … non c’è salvezza fuori dalla Chiesa cattolica «. – Una presentazione forte, vigorosa e intransigente di questa Verità cattolica deve essere fatta contro quei Cattolici mollicci, infingardi, deboli, timidi e liberalizzanti, che lavorano per spiegare tutti i punti della fede Cattolica offensivi per i non Cattolici, e per far sembrare che non si disputi di vita e di morte, di Paradiso e di inferno nelle differenze tra noi e i protestanti. Questa Verità è odiata da molti, lo sappiamo, eppure è una Verità rivelata da Dio alla sua Chiesa a nostra salvezza. San Tommaso si pone la domanda: « Può l’uomo odiare la verità? » e risponde: « La verità in generale non provoca mai odio, ma lo può in un modo particolare: per quanto riguarda il bene, che è sempre desiderabile, nessuno può resistere alle sue attrazioni o odiarlo, ma non è lo stesso per quanto riguarda la Verità. La Verità, in generale, è sempre in armonia con la nostra natura, ma può accadere in certi casi che non sia gradita ai nostri sentimenti e pregiudizi. Quindi Sant’Agostino dice: « L’uomo ama lo splendore e la bellezza della Verità, ma non può sopportare i suoi precetti e le sue rimostranze ». Il grande Apostolo dice allo stesso modo: « Sono dunque diventato vostro nemico dicendovi la verità? » (Galati IV, 16). Anche san Tommaso pone la domanda: « Cristo avrebbe potuto predicare agli ebrei senza offenderli? » La salvezza del popolo è preferibile al capriccio e al bigottismo degli individui. Se la loro perversione e il loro fanatismo sono soffocati da ciò che il vero ministro di Dio predica, egli, non deve essere scoraggiato e turbato per questo, perché la Parola di Dio è libera, nonostante la lingua e la spada. Se la Verità scandalizza i malvagi, dice san Gregorio, è meglio subire il loro scandalo piuttosto che celare la Dottrina della grazia e della verità. Chi erano coloro che si sono offesi per la dottrina del nostro Salvatore? Un piccolo numero di scribi e di farisei fanatici, pieni di ipocrisia e di malvagità, che, a causa della loro malizia e della gelosia, si opponevano alla Dottrina divina, che sola poteva salvare e santificare il popolo. « Lasciateli! Sono ciechi e guide di ciechi. E quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso! » (Matt. XV, 14) « Ai tempi del Concilio Vaticano – dice il cardinale Manning – alcuni pensavano che la Dottrina cattolica dell’infallibilità del Papa non dovesse essere definita, per timore che gli scismatici e gli eretici non dovessero essere respinti ulteriormente fuori dalla Chiesa. La ragione non era buona, la ragione per cui prevaleva la definizione del dogma in questione era che i Cattolici hanno il diritto di essere istruiti dal Concilio su ciò in cui devono credere in un modo così incisivo, onde evitare che l’errore pernicioso del tempo infetti le menti semplici e le masse del popolo inconsapevoli, così come pure i Padri di Lione e di Trento si ritenevano obbligati a stabilire la dottrina della Verità, resistendo all’offesa che potesse essere fatta agli eretici scismatici. Se la Verità viene cercata con sincerità, non sarà respinta, ma al contrario, attrarrà a noi, quando si vedrà su quali basi poggiano principalmente le verità insegnate dalla Chiesa Cattolica. Ma se qualcuno di loro si sente respinto dall’affermazione della Verità, lo è perché essi cercano un pretesto per non aderire alla Chiesa Cattolica. (Vedi Postulatum del Conc.Vat.). – Se desideriamo che tutti coloro che non sono membri della Chiesa Cattolica cessino di ingannare se stessi sul vero carattere della loro fede e proponiamo loro considerazioni che possano contribuire a tale risultato, non è certo per l’inimicizia alle loro persone, né per l’indifferenza al loro benessere. Finché essi resteranno vittime di una delusione tanto grave, quanto ad esempio quella che rende l’ebreo ancora aggrappato alla sua sinagoga decaduta, e che solo un miracolo di grazia può dissipare, alcuni di loro probabilmente si risentiranno del consiglio dei loro amici più  veri, non dovendoli considerare come dei nemici. « Il Cristiano – dice Tertulliano – non è il nemico di nessuno, nemmeno dei suoi persecutori. Odia l’eresia perché Dio la odia; ma ha solo compassione per quelli che sono intrappolati nelle sue insidie. Se li esorta o li riprende, non mostra malvagità, ma carità. Sa che sono, tra tutti gli uomini, i più indifesi; e quando la sua voce che avverte è più veemente, sta solo facendo ciò che la Chiesa ha sempre fatto fin dall’inizio [Clama, ne cesses!]. La sua voce è solo l’eco di Essa. Ci è detto che, prima del Concilio di Nicea, la Chiesa aveva già condannato trentotto diverse eresie; e in ogni caso pronunciava l’anatema su quelli che le praticavano. Ed Essa era veramente la portavoce di Dio nel suo ufficio giuridico, così come nel suo ufficio docente, ed in ogni caso pronunciava l’anatema su quelli che le affermavano. La Chiesa è, invero, intransigente in materia di Verità. La Verità è l’onore della Chiesa. La Chiesa è la più onorevole di tutte le società. È al più alto livello d’onore, perché giudica tutte le cose alla luce di Dio, che è la fonte di ogni onore. Un uomo che non ha amore per la Verità, un uomo che racconta una bugia intenzionale o fa un falso giuramento, è considerato disonorevole. A nessuno importa di lui, e sarebbe irragionevole accusare di intolleranza o di bigottismo colui che si rifiuta di associarsi con un uomo che non ha amore per la Verità. Sarebbe altrettanto irragionevole accusare la Chiesa Cattolica di intolleranza, o di bigottismo, o di mancanza di carità, perché esclude dalla sua società e pronuncia anatemi su chi non ha riguardo per la Verità e rimane volontariamente fuori dalla sua comunione . Se la Chiesa avesse creduto che gli uomini potessero essere salvati in qualunque religione, o senza alcuna di esse, non avrebbe avuto nessuna carità nel non annunciare al mondo che “fuori da Essa non c’è salvezza”. Ma siccome Essa sa e sostiene che c’è una sola Fede, poiché c’è un solo Dio e Signore di tutti, e che Essa è in possesso di quella sola Fede salvifica, e che senza quella Fede è impossibile piacere a Dio ed essere salvati, sarebbe molto poco caritatevole da parte sua e di tutti i suoi figli, nascondere la dottrina di Cristo al mondo. – Come mettere in guardia il prossimo, qualora sia in un imminente pericolo di cadere in un profondo abisso, è considerato un atto di grande carità, è un atto di carità ancora più grande avvertire i non Cattolici del pericolo certo di cadere nell’abisso dell’inferno, poiché Gesù Cristo, gli stessi Apostoli e tutti i loro successori, hanno sempre affermato in modo molto enfatico che « fuori dalla Chiesa non c’è salvezza ». Questa risposta, pensiamo, sia abbastanza chiara per S. O. L’animus eretico, che caratterizza la sua Queer in Explanation, è proiettato solo a mantenere i protestanti onesti il ​​più lontano possibile dalla Chiesa Cattolica.

EXTRA ECCLESIAM NULLUS OMNINO SALVATUR (9)

EXTRA ECCLESIAM NULLUS OMNINO SALVATUR (9)

IL DOGMA CATTOLICO:

Extra Ecclesiam Nullus Omnino Salvatur

[Michael Müller C. SS. R., 1875]

§. 8. S. O. CONTINUA A DICHIARARE FALSO QUEL CHE E’ VERO.

Egli (S. O.) continua a citare parte della nostra risposta: ” … le cui dottrine (di Cristo) essi possono interpretare a loro piacimento “.

“Questo è ancora falso”, egli dice; “I protestanti non credono di poter interpretare le dottrine di Cristo a loro piacimento, e chiunque lo affermi travisa l’insegnamento protestante”.  Prima che il nostro aspirante teologo dicesse che la nostra risposta era falsa, avrebbe dovuto dimostrare che i protestanti hanno una regola e un’autorità infallibile per mezzo della quale devono interpretare le dottrine di Cristo, e che non hanno mai interpretato le dottrine di Cristo a loro piacimento. Ma egli sa ovviamente, che non può fornire alcuna prova valida delle sue affermazioni. – Da dove, quindi, noi ci chiediamo, il protestantesimo e tutti gli altri “ismi” sono sorti? Non è forse dall’interpretazione privata della Sacra Scrittura e delle dottrine di Cristo? Il protestantesimo non ha introdotto il principio che “… non c’è autorità divinamente istituita per insegnare infallibilmente, e che: ogni uomo legga la Bibbia e giudichi da sé”? Non è un fatto storico? Monsignor de Cheverus, nei suoi sermoni, si soffermò spesso sulla necessità di una autorità divina nell’insegnare, per rendere incrollabile la fede dei non istruiti e degli ignoranti. Per convincere i protestanti di questa necessità, ripeteva spesso, nei suoi discorsi a loro rivolti, queste semplici parole: “Ogni giorno, miei cari fratelli, leggo le Sacre Scritture come voi, leggo con riflessione e preghiera, avendo precedentemente invocato lo Spirito Santo, eppure, in quasi tutte le pagine, trovo molte cose che non riesco a capire, e trovo grande necessità di qualche autorità che parli, e che possa indicarmi il significato del testo e rendere ferma la mia fede.” E i suoi ascoltatori ne fecero immediatamente l’applicazione a loro stessi. “Se Monsignor de Cheverus – si dissero tra loro – che è più istruito di quanto noi non possiamo comprendere la Sacra Scrittura, com’è che i nostri ministri ci dicono che la Bibbia è per ciascuno di noi una piena e chiara regola di fede, facilmente intesa da se stessi, e non richiede alcun aiuto perché se ne comprenda il significato?” Dal tempo degli Apostoli fino ai giorni nostri, ci sono stati sia uomini non istruiti, così come uomini dotti in ogni tipo di apprendimento, che si sono impegnati a interpretare la Bibbia secondo le proprie opinioni private: la conseguenza fu che gli ignoranti furono condotti in errori per mancanza di conoscenza, mentre i dotti, vi giunsero a causa dell’orgoglio e dell’autosufficienza. Invece di interpretare la Scrittura secondo l’insegnamento della Chiesa ed imparare da Essa ciò in cui dovrebbero credere, hanno cercato essi di insegnare alla Chiesa dottrine false e perverse. Si avvalgono delle Scritture per dimostrare … i loro errori. Dicono di avere le Scritture dalla loro parte, esse che sono la fonte della Verità. Ma quegli uomini illusi non intendono che la verità sia acquisita non solo leggendo, bensì comprendendo le Sacre Scritture. Questa arroganza nell’interpretare la Bibbia secondo la loro fantasia proviene dall’orgoglio. Ma Dio resiste agli orgogliosi e trattiene da loro la luce della fede. Nella punizione per il loro orgoglio e la mancanza di sottomissione all’insegnamento della sua Chiesa, permette a tali uomini di cadere in tutti i tipi di errori, di assurdità e di vizi; Egli permette alle Sacre Scritture, che sono una grande fonte di verità, di diventare per loro una grande fonte di errori, così che a loro possano essere applicate le parole del nostro divin Salvatore: ” … Voi vi ingannate, non conoscendo né le Scritture né la potenza di Dio.”; (Mt XXII, 29.) e di San Pietro, “In esse ci sono alcune cose difficili da comprendere e gli ignoranti e gli instabili le travisano, al pari delle altre Scritture, per loro propria rovina.”. (II Pet. III. 16.) – Gli Adamiti pretendevano di trovare nel Libro della Genesi la purezza dei nostri primi genitori, per cui non dovessero vergognarsi di essere nudi come Adamo ed Eva prima della caduta. Ario pretese di provare, in quarantadue passaggi della Bibbia, che il Figlio di Dio non fosse uguale al Padre. Macedonio sosteneva che dalla Sacra Scrittura poteva provare che lo Spirito Santo non era Dio; e Pelagio affermò, sull’autorità della santa Scrittura, che l’uomo poteva elaborare la sua salvezza senza la grazia di Dio. Lutero asseriva di aver trovato in Isaia che l’uomo non era libero; e Calvino cercò di dimostrare dalla Scrittura che è impossibile per l’uomo osservare i comandamenti. Non c’è errore così mostruoso, nessun crimine così atroce, nessuna pratica così detestabile, che gli uomini perversi non abbiano cercato di giustificare con qualche passaggio della Scrittura. Sant’Agostino chiede: “Da dove sono emerse le eresie e quegli errori perniciosi che conducono gli uomini alla perdizione eterna?” e risponde: “Sono risorti da questo: che gli uomini comprendono male le Scritture, e quindi ritengono presuntuosamente e con forza ciò che comprendono così ingiustamente”. (In Giovanni tr. XVIII.) Quindi, “il Vangelo – come S. Girolamo osserva – per loro non è più il Vangelo di Cristo, ma il Vangelo dell’uomo, o del diavolo: poiché il Vangelo consiste, non nelle parole, ma nel senso, della Scrittura: pertanto, con una falsa interpretazione il Vangelo di Cristo diventa il vangelo dell’uomo o del diavolo.” – “I miei pensieri – dice il Signore, non sono come i tuoi pensieri, né le tue vie sono le mie vie; poiché, come i cieli sovrastano la terra, anche così le mie vie  sovrastano le tue vie e i miei pensieri sovrastano i tuoi pensieri. “(Isaia LV, 9). Chi, quindi, per sua ragione privata , presumerà di sapere, giudicare, dimostrare, interpretare, le vie imperscrutabili di Dio e gli incomprensibili divini misteri, nascosti nella Sacra Scrittura? ” … Come posso comprenderlo, se nessuno me lo spiega?” (Atti, VIII. ). – Riassumendo quanto è stato detto: Nell’ordine del tempo, la Chiesa Cattolica precede la Scrittura. Non era ancora il tempo in cui esisteva un’autorità divina visibile e parlante, a cui non era dovuta la sottomissione. Prima della venuta di Gesù Cristo, quell’autorità tra gli ebrei era nella Sinagoga. Quando la Sinagoga fu sul punto di fallire, apparve Gesù Cristo stesso; quando questo personaggio divino si ritirò, lasciò la sua autorità alla sua Chiesa e con Essa il suo Santo Spirito. Tutte le verità che crediamo essere divine e che sono oggetto della nostra fede, sono state insegnate dalla Chiesa e credute da milioni di Cristiani, molto prima che essi si impegnassero a scriverle, e che così hanno formato ciò che è chiamato il Nuovo Testamento. E quelle verità sarebbero rimaste fino alla fine del mondo, pure e inalterate, se lo stato primitivo fosse continuato; cioè, se non fosse mai sembrato buono a nessuno degli uomini apostolici, come ad esempio a San Luca, il dedicarsi a scrivere ciò che avevano imparato da Cristo; … lo ha fatto, egli dice, perché Teofilo, a cui scrive, potesse conoscere la verità di queste parole in cui era stato istruito. – Perciò un Cattolico non forma mai la sua fede leggendo le Scritture; la sua fede è già formata prima che cominci a leggerle; la sua lettura serve solo a confermare ciò che ha sempre creduto; cioè, conferma la dottrina che la Chiesa gli aveva già insegnato. Di conseguenza, se questi libri non fossero esistiti, la credenza nei fatti e nelle verità del Cristianesimo sarebbe stata sempre la stessa; e non si sarebbe indebolita se quei libri non fossero più  esistiti.  Siccome la Chiesa Cattolica ha fatto conoscere ai Cristiani quei fatti e queste verità molto prima che fossero messe per iscritto, solo Essa avrebbe potuto giustamente decidere, e affermare infallibilmente, quali sono i libri, e quali no, che contengono la pura dottrina di Cristo e dei suoi Apostoli; solo Essa conosceva e sapeva quali fossero i libri, e quali no, ispirati divinamente; Essa sola poteva e faceva di quell’ispirazione un oggetto di fede; solo Essa può, con un’autorità infallibile, dare il suo vero significato e determinare l’uso legittimo delle Sacre Scritture. Sebbene la Scrittura, la vera parola di Dio, non sia per noi una regola di fede, presa indipendentemente dall’autorità di insegnamento dei pastori della Chiesa, i successori degli Apostoli, tuttavia non è inferiore alla Chiesa per eccellenza e dignità. È essa ispirata, santa e divina. Quindi, è consuetudine della Chiesa erigere un trono nel bel mezzo dei Concili, su cui pone i Libri Sacri come presidenti dell’assemblea, occupando, per così dire, il primo posto e decidendo con autorità suprema. Quando si celebra la Messa, la Chiesa desidera che i fedeli, durante la lettura del Vangelo, si alzino e rimangano in piedi per mostrare la loro riverenza per le sacre Verità. Noi veneriamo le Scritture come un sacro deposito che ci è stato tramandato dai buoni antenati, contenente la verità nel suo momento più alto, le lezioni pratiche di salvezza morale e i fatti della storia relativi alla vita del nostro divino Salvatore e alla condotta dei suoi discepoli, eminentemente interessante e istruttiva. Per tutto questo siamo loro molto grati. – Inoltre, le Scritture costituiscono un potente aiuto per sostenere, con l’evidenza dei contenuti, sia l’autorità divina della Chiesa, sia le divine verità della fede che abbiamo ricevuto da Essa, applicandole in suo aiuto a ciascun articolo, e dando lucentezza al tutto. Così Teofilo, quando lesse quella ammirabile narrazione che San Luca compilò per lui, fu sempre più confermato nella verità delle cose in cui era stato istruito. (San Luca, 1-4). – Per quelli, tuttavia, che rifiutano l’autorità divina della Chiesa, le Sacre Scritture non possono più essere degli scritti autentici e ispirati; non sono per loro la parola di Dio; perché non hanno nessuno che possa dire loro, con la divina certezza, quali libri siano, e quali  non siano, divinamente ispirati; non hanno nessuno che, nel nome di Dio, possa comandare loro di credere nell’ispirazione divina degli scrittori di quei libri. Spiegandoli come loro, secondo la loro fantasia e traducendoli in modo favorevole ai loro errori, essi hanno, nelle Scritture, non il Vangelo di Cristo, ma quello dell’uomo o del diavolo, allestito solo per confermare l’ignoranza nei loro errori, e i dotti nel loro orgoglio e presunzione. Leggiamo, nel Vangelo di San Matteo e di San Luca, che satana si nascose all’ombra della Scrittura quando tentò il nostro divino Salvatore. Ha citato brani della Sacra Scrittura, per tentarlo con l’ambizione e la presunzione. Ma Egli gli rispose: “Vattene, satana, è scritto: Non tenterai il Signore Dio tuo”. satana, così sopraffatto, partì per un tempo. Ma non molto tempo dopo, sotto la maschera di Ario, Nestorio, Pelagio, Lutero, Calvino, Giovanni Knox, Enrico VIII e una miriade di altri eresiarchi, rinnovò i suoi attacchi a Gesù Cristo, nella persona della Chiesa Cattolica. Questo demone è l’eresia, che si nasconde sotto l’ombra della Scrittura. Se satana avesse pronunciato bestemmie, sarebbe stato subito riconosciuto, e gli uomini sarebbero fuggiti da lui con orrore. Quindi egli li inganna sotto l’aspetto del bene; ripete i passaggi della Sacra Scrittura, e gli uomini lo ascoltano con naturalezza e sono propensi a credergli e seguirlo. Ma il buon Cattolico gli risponde: “Vattene, Satana! È scritto, colui che non ascolterà la Chiesa, sia per te come un pagano e un pubblicano.” (Matteo XVIII, 16). Questo è il grande, l’infallibile e l’unica regola di fede che conduce a colui che l’ha data, Gesù Cristo. – “Gli eretici e i cattolici ai quali San Domenico predicò il Vangelo misero insieme per iscritto gli argomenti più forti in difesa delle loro rispettive dottrine. Gli argomenti cattolici furono l’opera di San Domenico, che confermò la Dottrina Cattolica con molti passaggi della Sacra Scrittura. Anche gli eretici citavano la Sacra Scrittura a conferma della loro dottrina. Fu proposto che entrambi gli scritti dovessero essere affidati alle fiamme, in modo che Dio potesse dichiarare, con la sua stessa intervento, quale causa avrebbe favorito. Di conseguenza, fu fatto un grande fuoco; e le due scritture furono gettate in esso: quella degli eretici fu subito ridotto in cenere, mentre quella del Cattolico rimase incolume, dopo essere stata gettato nel fuoco per tre volte, venne estratta incolume. Questo miracolo pubblico avvenne a Fanjaux; il frutto di ciò fu la conversione di un gran numero di eretici di entrambi i sessi. Lo stesso tipo di miracolo è accaduto a Montreal. San Domenico redasse una breve esposizione della Fede Cattolica, con la prova di ogni articolo del Nuovo Testamento. Diede poi questo scritto agli eretici per essere esaminato. I loro ministri e capi, dopo molti alterchi a riguardo, acconsentirono a gettarlo nel fuoco, dicendo che, se fosse bruciato, avrebbero considerato la dottrina che esso conteneva, come falsa. Essendo stato per tre volte buttato nelle fiamme, non rimase danneggiato. -Ringraziamo incessantemente Dio Onnipotente per la grazia di essere figli della Chiesa cattolica. San Francesco di Sales esclama: “O Signore caro, molte e grandi sono le benedizioni che hai riversato su di me, e ti ringrazio per esse, ma come potrò mai essere in grado di ringraziarti per avermi illuminato con la tua santa fede? Dio! La bellezza della vostra santa fede mi appare così incantevole, che muoio di amore, e immagino di dover custodire questo dono prezioso in un cuore tutto profumato di devozione. “Santa Teresa non cessò mai di ringraziare Dio per averla resa figlia della santa Chiesa Cattolica, la sua consolazione nell’ora della morte era di gridare: “Muoio figlia della santa Chiesa, muoio figlia della santa Chiesa”. – Tutto ciò è innegabilmente vero; con quale diritto, quindi, S. O. chiama falso ciò che è un fatto ben noto ed una verità innegabile? E non dice egli stesso: “La dottrina protestante della regola di fede – l’interpretazione privata di ciascuno, della parola scritta di Dio – è senza dubbio errata”? Non si dà spazio alla menzogna con queste parole? Si può capire qualcos’altro nel parlare dell’interpretazione privata diversa da quanto la Chiesa Cattolica interpreti? Cerca di far credere che nessun protestante sensato creda di poter interpretare la Sacra Scrittura a suo piacimento, proprio come ritiene che un privato cittadino abbia il diritto di interpretare le leggi dello Stato come gli pare, prendere le decisioni spettanti alla Suprema Corte. Naturalmente, ogni protestante comprende che deve accettare le decisioni della Corte Suprema. Ma ne segue forse che i protestanti non interpretano la Bibbia a loro piacimento? Che logica stupida è questa? – Proprio dal fatto che nessun Protestante come cittadino privato ha il diritto di interpretare le leggi dello Stato, ma deve seguire la decisione della Corte Suprema, i protestanti stessi dovrebbero, ovviamente, capire che Dio Onnipotente non ha lasciato le sue leggi e la sua parola scritta per essere interpretata da individui privati, ma dalla Chiesa Cattolica Romana, l’autorità suprema nominata da Gesù Cristo per insegnare infallibilmente a tutti gli uomini la sua dottrina, e interpretare infallibilmente la parola scritta o non scritta di Dio. Ma i protestanti hanno respinto questa autorità nell’insegnamento divino e interpretano la Bibbia con un giudizio privata. Ciò significa che questo è sbagliato, ma egli scusa i protestanti per fare ciò che è sbagliato, perché “ciò che sembra così chiaro per noi non è così chiaro agli altri che si trovano in una condizione così diversa dalla nostra, tanto da non poter vedere le cose come le vediamo noi”. … perché non possono? È proprio perché non hanno la fede divina e hanno rigettato Cristo e il suo insegnamento quando hanno rigettato il Maestro divino: la Chiesa Cattolica Romana; e quindi concludiamo di nuovo che nessuno può essere salvato in tale fede.

§ 9. S. O. DICHIARA NON VERO TUTTO QUELLO CHE NON PUÒ CAPIRE.

[Il protestantesimo non è affatto cristiano]

Egli (S. O.) continua dicendo: « La risposta del libro continua: – … Cristo non si cura di ciò che crede un uomo, purché sia ​​un uomo onesto davanti al pubblico. – Io non riesco a concepire come l’autore abbia potuto trarre dalla sua penna questa sentenza! Ciò è completamente falso, all’inizio, a metà e alla fine. La personalità che l’autore definisce come il Cristo dei protestanti è una caricatura che l’autore non avrebbe dovuto associare al Santo Nome ».

Piano, S. O., … piano, dolcemente; voi avete probabilmente letto due trattati, 1° My Clerical Friends e 2° Church Defence scritti da un famoso convertito inglese. L’abile e simpatico scrittore ha, con la forza e la solidità del suo ragionamento, trasformato tutte le pretese della chiesa degli anglicani in un pasticcio perfettamente ridicolo. Sua Eminenza, il Cardinale Wiseman, non ha lasciato loro neppure un centimetro di terreno su cui poggiare il piede, disperdendo così le loro pretese di “… chiesa al vento” ». – « Non è difficile – dice Brownson – volgere in ridicolo gli anglicani e le loro pretese ecclesiastiche, e confessiamo di non aver quasi mai potuto trattare la cosa in modo serio. » Quanto al partito della “chiesa alta”, sua Eminenza il Cardinale Wiseman non ha lasciato nulla a cui ribattere, non ha lasciato loro un centimetro di terreno su cui stare in piedi, e ha disperso al vento le loro pretese di essere una chiesa. Per quanto riguarda i Low-Churchmen, o gli Evangelici – la gente di Exeter Hall – questi si attengono a Calvino e non hanno pretese ecclesiastiche, per cui devono essere collocati nella stessa categoria dei Presbiteriani, dei Riformati olandesi, dei Congregazionalisti e dei Metodisti, i quali collocano l’essenza della religione nelle emozioni e si appoggiano su dogmi di non grande importanza, forse anzi. di nessuna. Sono inconfondibilmente protestanti e altalenano tra fanatismo e l’indifferenza. « Si vede dunque che nient’altro è contemplato da questa gente, se non una caricatura di Cristo. In effetti, non è una caricatura ciò che rimane di un uomo, dopo che le sue braccia, i suoi piedi e la sua testa sono stati troncati? Non si avrebbe una caricatura di Cristo, se si negasse la sua divinità, o la sua umanità, o la sua anima e la volontà umana? Non avresti una caricatura del Battesimo, se si battezzasse con il vino, o solo nel nome del Padre, o solo nel nome del Figlio, o solo nel nome dello Spirito Santo? Bene, e allora il Protestantesimo non ha forse mozzato la testa al corpo di Cristo, che è la Chiesa Cattolica? Non ha forse mozzato il Corpo e il Sangue di Cristo nella santa Eucaristia, … il divin Sacrificio di Cristo offerto nella Messa, la Confessione dei peccati, la maggior parte dei Sacramenti, l’invocazione dei Santi? Non ha forse cercato di annientare, se fosse possibile, il Capo e il Corpo di Cristo, la Chiesa Cattolica, ecc.? Che cosa è rimasto nel protestantesimo di Cristo e della sua dottrina, se non una caricatura di Cristo e una caricatura della sua Religione? Perciò San Tommaso dice: « La vera Fede è l’assoluta fede in Cristo e in tutta la sua dottrina. Pagani ed ebrei, negando pubblicamente la sua divinità, sono dei veri infedeli; ma peggio ancora, l’eretico adotta o rifiuta i precetti del Vangelo secondo il proprio giudizio privato, con piena libertà di coscienza. Quindi questo tipo di dottrina, fondata sul giudizio privato, sulla fantasia e sull’interesse degli individui, non è altro che una spaventosa carcassa, uno spaventoso scheletro di Religione, e non è più la dottrina di Gesù Cristo e della sua Chiesa non lo è più di quella di ebrei, pagani o Turchi. » (Rev. E. O’ Donnell’s Comp. Theo. S. Thomas, vol. 2. cap. III.). – O grande San Tommaso e Dottore Angelico della Chiesa! Se S. O. fosse vissuto nel momento in cui TU hai pubblicato quelle parole, le avrebbe definite completamente false, all’inizio, a metà e alla fine !?!. Non ti avrebbe mai perdonato di aver definito la spaventosa carcassa della dottrina protestante, uno scheletro spaventoso di Religione, per dire che essa non è più la dottrina di Cristo e della sua Chiesa più di quella di ebrei, pagani o turchi. Ai tempi di San Tommaso d’Aquino, fortunatamente, sarebbe stato anche molto difficile trovare l’editore di un giornale che, come il Reverendo Padre Cronin, avrebbe allegramente appoggiato la dottrina di S. O. Ahimè! Egli che non riesce a cogliere la differenza tra la Fede Divina e la fede umana – tra la fede dei Cattolici e quella dei protestanti, come potrebbe vedere e comprendere le implicazioni della fede protestante? Egli evidentemente non ha mai imparato la logica, al punto da trarre conclusioni giuste da premesse giuste. Non essendo in grado di vedere che la nostra risposta, il credo in Cristo dei protestanti, è una conclusione molto naturale tratta dalle sue premesse, egli sfacciatamente dichiara che tutto questo è falso, all’inizio, a metà e alla fine. Quanto sia lontano l’inizio della risposta, dove inizi la metà di essa, e quanto lontano essa vada, e dove inizi la sua fine, egli però non lo dice, né fornisce la benché minima motivazione per cui l’inizio della risposta sia interamente non vera, né prova che il mezzo e la fine di essa siano falsi. Tutti gli uomini orgogliosi ed ignoranti danno tali risposte, quando non sono in grado di darne una migliore. È una risposta questa che può dare un predicatore protestante, ma non ce l’aspettiamo certo da S. O.. Se questo non è per lui il modo di dire la verità, una vergogna del diavolo, è però sicuramente il modo migliore per disonorarsi. – Come gli abbiamo spiegato le premesse della nostra risposta, ora dobbiamo anche chiarirgli la conclusione, cioè la risposta tratta dalle sue premesse. Egli dice abbastanza correttamente che « la personalità dell’autore (il Rev. M. Muller, C. SS. R.) stabilisce come il Cristo dei protestanti sia una caricatura che l’autore non avrebbe dovuto associare al Santo Nome. » – « Beh, c’è forse una caricatura peggiore di Cristo che nella personalità dell’Anticristo, come descritto nella Sacra Scrittura? Eppure, quanto spesso la Sacra Scrittura non associa questa caricatura di Cristo al Santo Nome quando parla del vero Cristo? Si ricorda che, come l’apostasia delle genti alla fede patriarcale portò alla luce le peggiori caricature del vero Dio, idoli e idolatria, così, allo stesso modo, l’apostasia dei protestanti dalla vera Fede Cattolica in Cristo, porterà finalmente alla luce la peggiore caricatura del vero Cristo, cioè  la personalità dell’Anticristo. – Un corpo che ha perso il principio della sua animazione, diventa solo polvere. Quindi è un assioma che il cambiamento o la perversione dei princîpi con cui viene prodotto qualcosa, sia la distruzione di quella stessa cosa. Se si può cambiare o pervertire i princîpi da cui scaturisce qualcosa, lo si distrugge. Per esempio, un singolo elemento estraneo introdotto nel sangue, produce la morte; un falso assunto ammesso nella scienza distrugge la sua certezza; un falso principio ammesso nella fede e nella morale è fatale. I cosiddetti “riformatori” hanno iniziato male. Hanno cominciato a riformare la Chiesa ponendola sotto il controllo umano. I loro successori hanno, in ogni generazione, scoperto che essi non sono andati abbastanza lontano ed hanno, ciascuno a sua volta, lavorato per spingerla sempre più lontano, fino a che si sono trovati con una chiesa priva di vita, senza fede, senza religione, e che comincia a dubitare che ci sia un Dio. È un fatto ben noto che, prima della cosiddetta “riforma”, gli infedeli erano poco conosciuti nel mondo Cristiano. Da quell’evento ne sono venuti fuori a sciami. È quindi storicamente corretto che lo stesso principio che ha creato il Protestantesimo tre secoli fa, non abbia mai cessato, da quel momento, di trasformarlo in mille diverse sette, ed abbia concluso coprendo l’Europa e l’America con quella moltitudine di liberi pensatori ed infedeli che pone i Paesi sull’orlo della rovina. – La ragione individuale che prende, come esso vuole, il posto della Fede, rende il vero protestante, che ci creda o no, in un infedele nel germe, e un infedele è un protestante in piena fioritura. In altre parole, l’infedeltà non è altro che il protestantesimo nel più alto grado. Quindi Edgar Quinet, un grande araldo del protestantesimo, ha ragione nel definire le sette protestanti, le mille porte aperte per uscire dal cristianesimo. Non c’è da stupirsi, allora, che migliaia di protestanti siano finiti e continuino a finire nel dichiarare la loro formula così: “io non credo in nulla”. « E qui chiedo: cosa ci sia di più facile, in questo stato di irreligione e infedeltà, che il passaggio all’idolatria? » – Questa affermazione può sembrare incredibile ad alcuni in questi giorni e può essere considerata un’assurdità; ma l’idolatria è espressamente menzionata nell’Apocalisse che giungerà al tempo dell’Anticristo. E, in effetti, la nostra sorpresa si attenuerà molto se prendiamo in considerazione il carattere e la disposizione dei tempi attuali. Quando gli uomini si spogliano, come sembrano fare attualmente, di ogni timore dell’Essere Supremo, di ogni rispetto per il loro Creatore e Signore; quando si arrendono alla gratificazione che loro offre la sensualità; quando danno piena libertà alle passioni umane e dirigono il loro intero studio al perseguimento di un mondo corrotto, con una totale dimenticanza delle condizioni di uno stato futuro; quando danno ai bambini un’educazione senza Dio e non hanno più alcuna religione da insegnar loro, non possiamo dunque dire che la transizione verso l’idolatria sia facile? (è quello che si è oggi visibilmente compiuto con il protestantesimo modernista-ecumenista della “chiesa-sinagoga dell’uomo”, la forma più deleteria di protestantesimo mai esistita – ndr. -). Quando tutti i passaggi a un certo punto vengono compiuti, quale meraviglia se arriviamo a questo punto? Tale fu esattamente la progressiva degenerazione dell’umanità nelle prime ere del mondo, degenerazione che provocò le pratiche abominevoli dell’adorazione degli idoli. Naturalmente, si dirà che abbiamo la felicità di vivere nella più illuminata di tutte le epoche; la nostra conoscenza è più perfetta, le nostre idee più sviluppate e raffinate, le facoltà umane migliorate e meglio coltivate di quanto non fossero mai state prima; in fin dei conti, è certo che l’attuale razza umana possa essere considerata una società di filosofi, se paragonata alle generazioni precedenti. Com’è possibile, quindi, che una tale stupidità possa impadronirsi della mente umana per affondarla nell’idolatria? – Questo tipo di ragionamento è più specioso che solido. Perché, pur concedendo ai tempi presenti che superino il passato per la raffinatezza e la conoscenza, bisogna dire che essi sono proporzionalmente più cattivi. Il perfezionamento della ragione ha contribuito, come tutti sanno, a perfezionare i mezzi per gratificare le passioni umane. Inoltre, per quanto la mente possa essere illuminata, se il cuore è corrotto, gli eccessi a cui un uomo può giungere sono evidenziati dall’esperienza quotidiana. Testimone il nostro moderno spiritismo (spiritualismo). Cos’altro è il nostro spiritualismo moderno se non una rinascita del vecchio culto pagano degli idoli? satana è costantemente impegnato a fare tutto ciò che è in suo potere per attirare gli uomini lontano da Dio e per farsi adorare al posto del Creatore (oggi come baphomet-signore dell’universo addirittura nelle finte chiese cattoliche! – ndt. -). L’introduzione, l’instaurazione, la persistenza e il potere delle varie crudeli e disgustose superstizioni dell’antico mondo pagano o delle nazioni pagane nei tempi moderni, non sono altro che l’opera del demonio. Rivelano un potere più che umano. Dio permise a satana di operare sulla natura morbosa dell’uomo, come punizione meritata per i Gentili per il loro odio per la verità e la loro apostasia dalla religione primitiva. Uomini lasciati a se stessi, solo alla natura umana, per quanto bassi possano essere ed inclini a scendere, mai potrebbero scendere così in basso da adorare il legno o la pietra, animali a quattro zampe ed esseri striscianti. Per fare questo serve un’illusione satanica. – Il paganesimo nella sua vecchia forma era condannato. Il Cristianesimo aveva messo a tacere gli oracoli e riportato i diavoli all’inferno. In che modo il diavolo ha ristabilito la sua adorazione sulla terra e proseguito la sua guerra contro il Figlio di Dio e contro la Religione che ci ha insegnato? Evidentemente solo cambiando le sue tattiche e trasformando la verità in una bugia. Ha trovato uomini in tutti gli eresiarchi che, come Eva, hanno prestato orecchio ai suoi suggerimenti e hanno creduto a lui più che all’infallibile Verbo di Gesù Cristo. Così è riuscito a bandire la vera Religione da interi Paesi o a mescolarla con false dottrine, ha prevalso in coloro che hanno creduto a migliaia di dottrine di uomini vanitosi e presuntuosi, piuttosto che alla Religione insegnata da Gesù Cristo e dai suoi Apostoli. È attraverso le eresie, le rivoluzioni, le abominevoli società segrete ed un’educazione scolastica statale senza Dio, che è riuscito a riportare migliaia di uomini nello stato di ateismo e di infedeltà. È giunto il momento per lui di presentare l’idolatria, che è la sua adorazione: per farlo usa lo spiritismo. Attraverso i medium spirituali esegue meraviglie: dà finte rivelazioni dal mondo degli spiriti, al fine di distruggere o indebolire ogni fede nella rivelazione divina. Si sforza così di ristabilire nelle terre cristiane quello stesso culto del demonio che esiste da tanto tempo tra le nazioni pagane e che nostro Signore Gesù Cristo è venuto ad estirpare. – Le Sacre Scritture ci assicurano che « … tutti gli dei adorati dai pagani sono diavoli (“Omnes dii gentium dœmonia. “–Ps. XCV). Questi demoni si impossessarono degli idoli fatti di legno o di pietra, di oro o argento; avevano templi eretti in loro onore; essi avevano i loro sacrifici, i loro sacerdoti e le loro sacerdotesse. Essi pronunciavano oracoli; venivano consultati, attraverso i loro medium, in tutti gli affari importanti, e specialmente per scoprire il futuro, proprio come sono oggi consultati dai nostri moderni spiritualisti. – Nello spiritismo moderno il diavolo comunica con gli uomini per mezzo di tavole, sedie, tavolette o planchette; oppure lo fa tramite medium, battenti, scriventi, veggenti, parlanti. Per il diavolo è lo stesso, sia che comunichi con gli uomini, sia che li porti fuori strada per mezzo di idoli, o per mezzo di tavoli, sedie, tavolette e simili. Sicuramente, se il filosofo non è governato dal potere della religione, la sua condotta sarà assurda e perfino spregevole per l’individuo più ignorante del rango più basso. Si dice che Socrate, Cicerone, Seneca, avessero la conoscenza di un unico Dio Supremo; ma non avevano il coraggio di professare la sua adorazione, e nella loro condotta pubblica sacrificavano in modo indegno, ad animali e a pietre con il volgo. Quando gli uomini hanno bandito dal loro cuore il senso della Religione e disprezzato i diritti della giustizia, (e non è questo il caso con i numeri?) molti di loro non avranno scrupoli nell’offrire incenso ad una statua, se così facendo assecondano la loro ambizione, il loro interesse o qualunque altra cosa che possa essere la loro passione preferita? Dov’è quindi la sorpresa, se l’infedeltà e l’irreligione si sono sostituite dall’idolatria? Solo questo orgoglio ardente, quando infiammato da un flusso costante di prosperità, può elevare un uomo alla presunzione stravagante di rivendicare per sé gli onori divini; ne vediamo un esempio in Alessandro, il celebre conquistatore macedone, e in vari imperatori di Babilonia e dell’antica Roma. Dalle suggestioni di quello stesso principio di orgoglio, avverrà che l’Anticristo, sostenuto da un continuo corso di vittorie e conquiste, si farà considerare un “dio”. E come a quel tempo, la propagazione dell’infedeltà, l’irreligione e l’immoralità, sarà diventata universale; questa defezione dalla fede, il disprezzo per i suoi insegnamenti, la licenziosità nelle opinioni, la depravazione nella morale, finirà per sradicare ogni influenza della Religione e causare una grande degenerazione nell’umanità, e molti saranno abbastanza abili perfino a sposare l’idolatria, e cedere all’empietà assurda di adorare la peggiore caricatura di Cristo, cioè l’Anticristo, come loro “signore”, alcuni per paura di quanto potrebbero perdere, altri per ottenere ciò che desiderano. Questo sarà evidente per tutte le infedeltà, ed anche nell’idolatria che esiste nel principio protestante del giudizio privato, così come la quercia esiste nella ghianda, come la conseguenza è nella premessa; o, in altre parole, questo principio era solo una potente arma di satana per portare avanti la sua guerra contro Cristo; … dei figli di Belial per combattere i guardiani della legge; della falsa libertà anti-sociale per distruggere la vera e razionale libertà – per rendere adoratori del diavolo gli adoratori di Dio.

[9 – Continua …]

EXTRA ECCLESIAM NULLUS OMNINO SALVATUR (8)

EXTRA ECCLESIAM NULLUS OMNINO SALVATUR (8)

IL DOGMA CATTOLICO:

Extra Ecclesiam Nullus Omnino Salvatur

[Michael Müller C. SS. R., 1875]

CAPITOLO V (2)

§ 5. COSA CREDE DI CRISTO IL PROTESTANTE.

Noi possiamo fare solo ciò che non sia al di sopra della nostra forza naturale. Ogni volta che dobbiamo fare qualcosa che si trovi al di sopra della nostra forza naturale, abbiamo bisogno dell’aiuto di un altro. L’uomo è dotato di grandi doni naturali, come i doni dell’intelletto, della volontà e della memoria. Per mezzo di questi doni, l’uomo può fare grandi cose: può imparare le lingue, costruire chiese, palazzi, grandi città, battelli a vapore, ferrovie; può contare i giorni, le date, le distanze e il denaro. Con il potere naturale della sua ragione, l’uomo può comprendere vari tipi di verità su questo mondo, sulla società umana, sui regni della natura, sulla materia, sull’anima. Con la sua ragione naturale, l’uomo può indagare, discutere e trarre conclusioni sulle verità religiose. Sulle verità religiose, tuttavia, i suoi pensieri e le sue parole, non si estenderanno oltre il semplice ragionamento. Il cardinale Newman ci dice che alcuni anni fa ci furono molte discussioni nel mondo nei confronti di un uomo di scienza, che si diceva avesse scoperto un nuovo pianeta. Come l’aveva scoperto? Guardava notte dopo notte, instancabilmente e con perseveranza, nell’aria gelida, attraverso il tedioso corso dei cieli stellati, cosa si potesse trovare in quel punto, finché, alla fine, per mezzo di qualche lente potente, scoprì, a lontana distanza, questa inaspettata aggiunta al nostro sistema planetario. Egli era lontano da esso. Si dice che si sedette comodamente nella sua biblioteca e che facesse calcoli sulla carta durante il giorno: e così, senza guardare una sola volta verso il cielo, determinò, da quello che era già noto del sole e dei pianeti, dal loro numero, dalle loro posizioni, dai loro moti e delle loro influenze, che, oltre a tutti questi, dovesse esserci un altro corpo nel luogo in cui aveva calcolato che sarebbe stato trovato, se gli astronomi avessero puntato i loro strumenti su di esso. Ecco, là c’era un uomo che leggeva i cieli non con gli occhi, ma con la ragione. Allo stesso modo, la ragione e la coscienza possono condurre l’uomo naturale a scoprire, e in una certa misura, a perseguire degli oggetti che sono, propriamente parlando, soprannaturali e divini. La ragione naturale è capace, dalle cose che si vedono, dalla voce della tradizione, dall’esistenza dell’anima e dalla necessità del caso, di giungere all’esistenza di Dio.  Un uomo senza occhi può parlare di forme e di colori. Un cieco può raccogliere una buona quantità di informazioni di vario genere e diventare molto pratico con gli oggetti contemplabili dalla vista, sebbene non li veda affatto. Potrebbe essere in grado di parlarne con fluidità, e potrebbe anche abituarsi a farlo; potrebbe anche asserire di vedere come se vedesse davvero, fino a che quasi sembri che possegga la facoltà della vista: parla di altezze, di distanze, di direzioni e disposizioni dei luoghi, delle forme e delle apparenze, naturalmente come gli altri uomini; eppure non è debitamente consapevole della sua deprecabile disabilità. Come è possibile ciò? In parte perché egli sente ciò che gli altri dicono di queste cose, ed è in grado di imitarli, e d’altra parte perché non può aiutarsi nel ragionare sulle cose che ascolta e trarre conclusioni da esse; quindi arriva a pensare di sapere cose che non conosce affatto. « Ora, questo può spiegare il modo in cui l’uomo naturale sia in grado di comprendere in parte o ancora di più, argomenti soprannaturali. C’è un grande corpo fluttuante di verità cattolica nel mondo. Esso è portato avanti dalla tradizione, di epoca in epoca, dalla predicazione e dalla professione da una generazione all’altra, e si riversa in ogni parte del mondo, ma si trova nella sua pienezza e nella sua purezza nella sola Chiesa: porzioni di essa, più o meno grandi, si diffondono lontano e con grande estensione, penetrando in luoghi che non sono mai stati sottoposti all’insegnamento della grazia divina. Ora, gli uomini possono prendere e professare queste verità sparse, semplicemente perché esse fanno parte della rivelazione, come ad esempio la dottrina della Santissima Trinità o dell’Espiazione, sono parte della Religione che è stata insegnata durante la loro infanzia; e perciò le conservano e le professano, e le ripetono, senza vederle realmente come invece le vede il Cattolico: le ricevono cioè semplicemente con il passaparola, ad imitazione di altri. In questo modo accade spesso che un uomo estraneo alla Chiesa Cattolica, scriva sermoni ed istruzioni, elabori e organizzi le devozioni, componga inni che sono impeccabili o quasi, frutto non della sua mente illuminata, ma del suo attento studio, a volte della sua accurata traduzione di originali cattolici. Il cuore naturale dell’uomo può prorompere, per incertezze, in emozioni d’amore verso Dio; l’immaginazione naturale può rappresentare la bellezza e la gloria degli attributi divini. « Le verità e i riti cattolici sono così belli, così grandiosi, così consolatori, che attirano nell’essere amati ed ammirati con un amore naturale, così come potrebbe essere la prospettiva, o un abile meccanismo artificioso. Si può professare questa o altra dottrina, adottare questa o quest’altra cerimonia o rito, soltanto e semplicemente per la loro bellezza, senza chiedersi se questa sia vera e senza averne alcuna percezione reale o mentale, in modo da decorare le chiese, allungare e rendere sfarzoso il rituale con candele, paramenti, fiori, incenso e processioni, ma tutto questo non verrebbe dalla fede, bensì da un sentimento poetico. – « Inoltre, il credo cattolico, provenendo come tale da Dio, è così armonioso, così coerente con se stesso, tiene insieme così perfettamente, così corrispondenti parte a parte, che una mente acuta, conoscendone una parte, spesso ne deduce un’altra semplicemente per mezzo di un giusto ragionamento. Un pensatore accurato sarebbe certo che, se Dio è infinito e l’uomo finito, ci devono essere dei Misteri nella Religione. Non è che egli percepisca la misteriosità della Religione, ma lo deduce e giunge ad essa come una questione di necessità, per una mera chiarezza della mente e, per amore di coerenza, la sostiene.  Gli uomini istruiti, al di fuori della Chiesa, possono comporre le opere più utili sulle prove della Religione, o in difesa di particolari dottrine, o nella spiegazione dell’intero schema del Cattolicesimo. In questi casi la ragione diventa l’ancella della fede. Tuttavia questa non è la Fede; non si eleva al di sopra di una visione o di una nozione intellettuale; essa afferma delle cose, non penetrandone la verità, non come vedendola, ma come un “essere dell’opinione”, come un “giudicare”, come un  “arrivare ad una conclusione”. – “L’uomo naturale, quindi, può sentire, può immaginare, può ammirare, può ragionare, può dedurre, in tutti questi modi può procedere a recepire l’intera o una parte della verità cattolica, ma non può vederla, non può amarla. I suoi sentimenti religiosi possono essere giusti e buoni in se stessi, ma non in lui. I suoi sentimenti eretici su altri punti, sono una prova che non vede ciò di cui parla.  « La coscienza naturale può accertare e mettere in ordine le verità della grande legge morale, però anche la condanna della concupiscenza è troppo debole per essere ad essa sottomessa, per cui si viene persuasi nel tollerarla. – « La volontà naturale può fare molte cose davvero buone e lodevoli; anzi, in casi particolari, o in particolari momenti, quando la tentazione è lontana, può sembrare che essa abbia la forza che in realtà non ha, fino ad imitare l’austerità e la purezza di un santo. Un uomo non ha alcuna tentazione nell’accumulare; un altro non ha alcuna tentazione circa l’ingordigia e l’ubriachezza; un altro non ha alcuna tentazione di malumore; un altro non ha alcuna tentazione nell’essere ambizioso ed autoritario. Pertanto la natura umana può spesso rivelarsi vantaggiosa: si può essere mite, amabile, gentile, benevolo, generoso, onesto, retto e temperato; e così un uomo può parlare di Cristo e anche del cielo, leggere la Scrittura e fare molte cose volentieri, in conseguenza della lettura, ed esercitare un certo tipo di credenza, per quanto diversa da quella fede che ci viene impartita per grazia.  – « L’uomo naturale, quindi, prima di essere posto sotto la grazia dalla nascita divina, può solo indagare, ragionare, argomentare e concludere sulle verità religiose, ma non le fa sue, non può vederle ». (Cardinale Newman, su “La grazia”). Non la fa sua e non può avere una fede in Cristo tal quanto sia necessario per la salvezza. Con questo diciamo, quindi, che loro (i protestanti) non hanno mai avuto alcuna Fede Divina in Cristo. « Colui che non crede a tutto ciò che Cristo ha insegnato – dice Sant’Ambrogio – rinnega Cristo stesso ». (In Luca IX, 9). – « È assurdo per un eretico – dice San Tommaso d’Aquino – affermare di credere in Gesù Cristo. Credere in un uomo, significa dare il pieno assenso alla sua parola e a tutto ciò che insegna. La VERA FEDE, quindi, è la fede assoluta in Gesù Cristo e in tutto ciò che Egli ha insegnato. Pertanto colui che non aderisce a tutto ciò che Gesù Cristo ha prescritto per la nostra salvezza, non ha la dottrina di Gesù Cristo e della sua Chiesa, più di quanto l’abbiano i pagani, gli ebrei e i turchi. « Egli è – dice Gesù Cristo – un pagano e pubblicano ». – « Siccome S. O. ha impudentemente affermato che si sia travisata la dottrina protestante, senza dubbio, non si vergognerebbe minimamente nemmeno di dire in faccia a san Tommaso d’Aquino che egli travisa la fede protestante, quando afferma che è assurdo per un eretico dire di credere in Gesù Cristo, ecc.  – Così egli dice di nuovo ai lettori di C. U. & T. che «… loro (i protestanti) dicono con noi, nel linguaggio e nel significato dell’Apostolo: ‘Non c’è nessun altro nome sotto il cielo dato agli uomini, per cui dobbiamo essere salvati. » – Questo vale solo per i Cattolici che hanno la vera Religione di Cristo e fanno la volontà del suo Padre celeste; poiché Cristo ha dichiarato solennemente: « Non tutti coloro che mi dicono “Signore, Signore”, entreranno nel regno dei cieli, ma solo colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, entrerà nel regno dei cieli ». (Matteo VII, 21). – Poiché i protestanti non hanno una Fede assoluta in Gesù Cristo, non possono nemmeno avere una Fede assoluta in queste parole di Cristo. Noi diciamo queste parole in verità, perché abbiamo una Fede Divina, mentre un protestante ha solo fede umana in se stesso. Ecco la differenza tra la credenza protestante e quella cattolica, come spiegheremo tra poco più chiaramente. – « Questo – S. O. ancora dice – essendo verità innegabile (cioè che la fede dei Cattolici e dei protestanti in Cristo sia la stessa), cosa dobbiamo noi pensare delle ragioni addotte per affermare che (i protestanti) non hanno mai avuto alcuna fede in Cristo? » Sentiamolo di nuovo:

« – D.: Perché no?

R.: Perché non è mai vissuto un Cristo come essi immaginano e credono.

Questa risposta posta sulla bocca del Cattolico è falsa, poiché i protestanti credono in un Cristo come quello che visse e morì per tutti noi, il Cristo come quello a cui noi crediamo e sappiamo aver vissuto, sofferto e morto ».  – Consentiamo a S. O. di rileggere la risposta riportata sopra di San Tommaso e di Sant’Ambrogio. Ripetiamo ancora: se i protestanti non hanno una fede assoluta o divina in Cristo, la risposta sopra riportata sulla bocca di un Cattolico è perfettamente vera. Ma, dato che è una buona opera istruire l’ignorante, soffermiamoci per qualche istante sulle parole del Signor Oracolo. Egli non si vergogna di dire dei Cattolici « che i protestanti credono in un Cristo come lo crediamo noi Cattolici che sappiamo come visse, soffrì e morì “. Ora noi Cattolici crediamo in un Cristo nel quale abbiamo una Fede assoluta e divina; e questa Fede assoluta e divina non l’abbiamo solo in Cristo stesso come persona, ma anche in tutto ciò che Egli ha operato per la nostra salvezza ed ha insegnato attraverso la sua Chiesa: Una, Santa, Cattolica e Apostolica. Ora un protestante non può avere Fede divina in Cristo né nel suo insegnamento, perché « … rifiutare un solo articolo di fede insegnato dalla Chiesa – dice San Tommaso d’Aquino – è sufficiente per distruggere la fede, … poiché un solo peccato mortale è sufficiente per distruggere la carità, … perché la virtù della Fede non consiste nel mero aderire alle sacre Scritture, e nel riverirle come Parola di Dio, ma consiste principalmente nel sottomettere il nostro intelletto e la nostra volontà all’autorità divina della vera Chiesa, incaricata da Gesù Cristo di esporle: « Non crederei alle Sacre Scritture – dice sant’Agostino – se non fosse per l’autorità divina della Chiesa ». – « Perciò, chi disprezza e rifiuta questa autorità, non può avere la vera Fede: e se ammette alcune verità soprannaturali, esse sono solo delle semplici opinioni, poiché le sue (le verità) dipendono dal suo giudizio privato ». (De Fide, q. V, art 3.). « In effetti, una religione – dice il cardinale Manning – che gli uomini compongono per se stessi, un Cristianesimo che gli uomini fanno opinando e scegliendo una dottrina qui e una dottrina lì, una forma di credenza che è fatta dalla selezione di testi da “Le Sacre Scritture” è tutta umana: i frammenti di cui sono fatte tali religioni possono essere presi dalla parola di Dio; tuttavia, essi hanno cessato di essere la parola di Dio non appena l’intelletto umano e la mano umana li ha ridotti in brandelli, e rimessi insieme, e per questo motivo: Supponiamo che ogni uomo prenda i quattro Vangeli, da essi ne selezioni alcuni testi, e li rimetta insieme: formerebbe forse un quinto Vangelo? No certamente, il Vangelo di San Matteo fu scritta da San Matteo, quella di San Marco da San Marco, quella di San Luca da San Luca, quella di San Giovanni da San Giovanni, e ogni uomo che si sforzasse di fare un quinto Vangelo avrebbe fatto un vangelo per conto proprio, non di alcuno degli Evangelisti, perché non conoscerebbe né il senso, né il significato e la coerenza dei testi in modo da rendere questo presunto vangelo un libro ispirato. Questi testi furono dettati agli scrittori ispirati dallo Spirito di Dio, per cui il nuovo “mosaico” sarebbe solo un Cristianesimo spezzettato fatto con frammenti di verità; sarebbe semplicemente una religione di istituzione umana, mentre nessuna verità che viene dall’uomo può essere materia della nostra fede ». – Ma alcuni protestanti, per esempio gli anglicani, pensano di avvicinarsi molto alla Chiesa Cattolica: essi ti diranno che le loro preghiere e le loro cerimonie sono uguali a molte preghiere e a molte delle cerimonie della Chiesa Cattolica, che il loro credo è il Credo degli Apostoli. Ma, realmente, in linea di principio, essi ne sono molto lontani. « Così – dice Marshall – professano di credere in una Chiesa, che purtroppo è diventata dimezzata; 1° nell’unità, ché ha cessato di esistere molto tempo fa per mancanza di un centro, 2° nell’autorità, perché nessuno ha obbligo di obbedirle, avendo perso il potere di insegnare, 3° nella presenza di Dio nella Chiesa, che non viene mantenuta se non da stupidi errori, 4° in una costituzione divina, ché ha bisogno di essere periodicamente riformata, 5° nella missione di insegnare a tutte le nazioni, mentre non è in grado di insegnare neanche a se stessa, 6° nei santi, che per gli anglicani sono solo oggetto di orrore e avversione, e 7° nella santità delle verità che la loro setta ha sempre contaminato. Questa è una credenza stupida. Anche un capo indiano non istruito, con l’aiuto del suo rude buonsenso, e la semplice intuizione della verità naturale, non manca di vedere la follia della fede protestante e la confonde davanti a quei missionari protestanti che vengono a convertire la sua tribù al protestantesimo. L’anziano Alexander Campbell, in una conferenza davanti all’American Christian Missionary Association, riferisce il fatto seguente: dei missionari settari erano andati tra gli indiani per diffondere sentimenti religiosi. Fu convocato un consiglio e i missionari spiegarono l’oggetto della loro visita. « Non è la religione degli uomini bianchi tutta in un libro? » Chiese il capo indiano. « Sì, risposero i missionari. » – « Non tutti gli uomini bianchi leggono il libro? », ha continuato il capo. Un’altra risposta affermativa. « Sono tutti d’accordo su ciò che dice? » domandò il capo, categoricamente. Ci fu un silenzio di tomba per alcuni momenti. Alla fine uno dei missionari rispose; « Non esattamente; i pareri differiscono su alcuni punti dottrinali. » – « Va’, allora uomo bianco – disse il capo – raduna un’assemblea, e quando i bianchi saranno tutti d’accordo, allora vieni ad insegnare ai pellerossa ». In che modo l’assurdità del protestantesimo viene percepita e confusa così facilmente persino dal bambino maleducato della foresta! Ecco perché un famoso convertito e revisore americano dice: « Ciò che i protestanti chiamano la loro religione è solo un secolarismo mascherato, che è ampiamente sostenuto dalla stampa secolare, dagli istinti della natura e dal sentimento anti-cattolico del Paese. » (Brownson’s Review, gennaio 1873).  – È quindi abbastanza assurdo parlare di protestantesimo come di una religione o di una chiesa; ed è scandalosamente assurdo che S. O. possa affermare che la fede protestante in Cristo sia la stessa di quella dei Cattolici! La verità è una, mentre gli errori sono molto numerosi; la Chiesa, la colonna e il fondamento della verità, è una sola, le sette sono molte, esse negano la verità e l’infallibile Autorità della Chiesa di insegnare la Verità. Ogni uomo sensibile, quindi, vedendo una marea di uomini trascinati in un vortice di infinite varianti e dissensi religiosi, è costretto a dire: « Questa è solo una setta effimera, senza sostanza e senza alcuna autorità divina, è una pianta non piantata dalla mano di Dio Onnipotente, e quindi sarà sradicata, è un regno diviso contro se stesso, e quindi sarà reso desolato, è una casa costruita sulla sabbia, e quindi non può sostenersi, è come una nuvola senza acqua che viene trasportata dai venti, un albero autunnale, infruttuoso, due volte morto per mancanza di Fede divina, e che quindi sarà sradicato dalle radici; è un’onda furiosa del mare, che spande la sua stessa confusione; una stella errabonda, a cui sono riservate per sempre tempesta e tenebre; un ramo inaridito tagliato dal Corpo di Cristo, l’unica, santa, Chiesa Cattolica Romana, che sola è stabilita da Cristo sulla terra essere il suo « pilastro e fondamento della verità » un solo gregge, sorvegliata dal suo Capo Pastore, sempre immutabile tra le tempeste dell’inferno; con fede incrollabile, tra le variazioni dei sistemi filosofici, le persecuzioni infernali dei malvagi, le rivoluzioni degli imperi, gli attacchi degli interessi, i pregiudizi, le passioni, le fatiche dissolute della critica, il progresso delle scienze fisiche, storiche e di altro genere, l’amore sfrenato della novità, gli abusi che prima o poi minano le istituzioni umane più saldamente radicate. – Solo la Fede di questa Chiesa è Divina, perché Essa sola insegna la Verità divinamente rivelata con l’autorità divina. Questo è chiaro per ogni mente imparziale, senza pregiudizi e ben riflettente. Il signor T. W. M. ​​Marshall riferisce quanto segue, in una delle sue lezioni: « Una giovane signora inglese, con la quale mi incontrai successivamente, e dalle cui labbra udii il racconto, informò i suoi genitori che si sentiva costretta ad abbracciare la Fede Cattolica. Qui nacque molta agitazione nei consigli dei genitori, e fu estorta alla figlia la riluttante promessa che non avrebbe comunicato con nessun Prete cattolico finché non avesse ascoltato dapprima gli argomenti convincenti con cui certi amici clericali della famiglia avrebbero dissipato facilmente i suoi dubbi irragionevoli: questi erano in numero di tre e li chiameremo pertanto signori “A”., “B”. e “C”. Arrivato il giorno stabilito per la discussione solenne, uno dei ministri stava per iniziare, quando la giovane donna gli si rivolse bruscamente con la seguente osservazione: « Sono troppo giovane e non istruita per disputare con signori della vostra età ed esperienza, ma forse mi permettete di farvi qualche domanda? » Anticipando un facile trionfo sulla povera ragazza, i tre ministri accolsero con sorrisi ammiccanti la sua richiesta: « Allora vi chiederò – disse al signor A. – se la rigenerazione accompagna sempre il Sacramento del Battesimo ». – « Indubbiamente – fu la pronta risposta – questa è la pura dottrina della nostra Chiesa ». – « E tu, signor B. – continuò – tu insegni quella dottrina? » –  « Dio non voglia, mia ​​giovane amica – fu la sua risposta indignata – che io debba insegnare un simile errore della distruzione dell’anima! Il Battesimo è un rito formale, che …, bla, bla, bla … ». – « E tu, signor C. – chiese ancora al terzo, qual è la tua opinione? » – « Mi dispiace – rispose egli con una voce blanda, poiché cominciò a sospettare che stavano facendo tanta confusione – che i miei amici reverendi si siano espressi un po’ incautamente. » La vera dottrina si trova tra questi due estremi » – e cominciò a svilupparla, allorquando la signorina, alzandosi dalla sedia, disse: « Vi ringrazio, signori, mi avete insegnato tutto quello che mi aspettavo di imparare da voi. Siete tutti ministri della stessa chiesa, eppure voi vi distinguete l’uno dall’altro, anche su una dottrina che San Paolo definisce uno dei fondamenti del Cristianesimo: mi avete confermato solo nella mia risoluzione di entrare in una Chiesa i cui ministri insegnano tutti la stessa cosa ». Essi quindi uscirono dalla stanza, uno dopo l’altro, probabilmente continuando la loro diatriba lungo la strada, ma i genitori della giovane donna il giorno dopo la fecero uscir di casa per seguire la sua intenzione. Spesso succedono di queste cose in Inghilterra! – « Un’altra mia amica, anche lei una donna, e una delle più intelligenti del suo sesso, è stata per diversi anni discepola del famoso ministro che ha dato un nome ad una certa scuola religiosa in Inghilterra, diventando poco soddisfatta dalla chiesa episcopaliana, che le apparve più impastata di terra, in proporzione alla sua aspirazione ardente verso il cielo, e così si persuase di assistere ad un certo “festival ritualistico” , che si sperava, avesse un effetto chiarificante sulla sua mente. L’evento si aprì, e le cerimonie dovevano prolungarsi per un’intera settimana. Tutte le celebrità ritualistiche del giorno dovevano essere presenti. Il suo alloggio venne appositamente fissato in una casa in cui vi erano cinque dei membri più autorevoli del partito della Chiesa Suprema. Si sperava così che la convincessero rapidamente della loro unità apostolica, ma, sfortunatamente, riuscirono a dimostrarle che nessuno di loro aveva la stessa idea. Pregare la Beata Vergine, era da uno condannato come, nel migliore dei casi, una superstizione poetica. Uno le disse che il Papa era, per nomina divina, il capo della Chiesa universale; un altro, che egli era un usurpatore e uno scismatico. Uno sosteneva che i ‘Riformatori’ erano canaglie profane e apostati; un altro, che essi avevano, in ogni caso, delle buone intenzioni … ma non ho bisogno di stancarvi con un resoconto delle loro varie credenze. Dolorosamente colpita da queste diversità, laddove ella invece si aspettava una completa uniformità, i suoi dubbi vennero naturalmente a confermarsi. – Durante la settimana fu invitata a fare una passeggiata con l’eminente personalità che fino ad allora ella aveva considerato un insegnante affidabile. A lui rivelò la sua crescente inquietudine, e presumibilmente lamentò il conflitto di opinioni a cui aveva recentemente assistito, ma solo per essere ricompensata da un severo rimprovero; perché è un fatto singolare che gli uomini che sono preparati in qualsiasi momento a giudicare tutti i santi ed i dottori, non tollereranno che si faccia su essi stessi alcun giudizio. Era in pieno inverno, e la compagna della signora, indicando gli alberi senza foglie sul ciglio della strada, disse, con un’adeguata solennità di voce e di modi: « Ora sono spogliati del loro fogliame, ma aspettate la primavera, e li vedrete ancora una volta svegliati alla vita. Così sarà per la chiesa d’Inghilterra che ora ti sembra morta ». – « Potrebbe essere – rispose lei – ma che tipo di primavera possiamo aspettarci dopo un inverno che dura da trecento anni? Non sarete sorpresi di sapere che questa signora presto divenne membro di una Chiesa che non sa nulla dell’inverno, ma nella quale, all’interno dei suoi confini pacifici regna la primavera eterna ». – Ahimè! S. O. non si è vergognato di affermare che si era travisato il credo protestante, anche se noi abbiamo parlato solo di ciò che hanno detto san Tommaso d’Aquino e tutti i grandi dottori della Chiesa!

§ 6. ULTERIORE FALSI ORACOLI DI S. O.

« Non è – egli dice – né vero né onesto affermare che il protestante crede a suo piacimento, il fatto è che crede a ciò che il suo Creatore e Dio voglia che egli  creda.  Egli è in errore riguardo alla volontà divina! Questo lo sappiamo. » Questa è una menzogna sul serio ed un grande insulto a Dio. Dio desidera che ogni protestante creda a tutto ciò che Cristo gli insegna attraverso la sua Chiesa e desidera che creda con fede divina; e S. O. confessa questa verità dicendo: « Lui (il protestante) è in errore riguardo alla volontà divina. Questo lo sappiamo ». Non è strano come questo prete si contraddica quasi nello stesso momento! « Ma – continua a dire S. O. – lui (il protestante) è colpevole perché “ha torto” nel dire più di quanto Dio abbia mai autorizzato qualsiasi essere umano a dire ». Bene, non era un essere umano San Paolo? Non era autorizzato dallo Spirito Santo a dire: «Tutti quelli che hanno peccato senza la legge, periranno anche senza la legge ». (Rom. II, 12). Se quei protestanti che vivono nell’ignoranza incolpevole della vera Religione non sono colpevoli del peccato di eresia, ne consegue forse che non sono colpevoli di peccati contro la loro coscienza? Ma questo ha bisogno di una buona spiegazione, che daremo in seguito; ne ha bisogno di una migliore rispetto al “prete più eminente degli Stati Uniti” che dice: « Pensare che noi Cattolici siamo le uniche persone oneste, significa essere colpevoli del più spregevole tipo di fariseismo. Il vero Cattolico non pensa mai in quel modo sciocco, ma ringrazia Dio di aver ragione, sa che ha ragione e prega affinché tutti possano essere portati alla conoscenza della verità. Non trova nulla nella sua teologia o nel suo cuore per maledire alcuno o desiderare che qualcuno sia dannato ». Per persone oneste: S. O. qui intende significare le persone che hanno la vera fede; perché dice: « Lui (il Cattolico) ringrazia Dio perché ha ragione, e sa che ha ragione, e prega che tutti possano essere portati alla conoscenza della verità ». È quindi falso dire che « … pensare che noi Cattolici siamo gli unici veri credenti è come essere colpevoli del più spregevole tipo di fariseismo ». Il vero Cattolico è costretto in coscienza a pensare in questo modo, perché sa che la Religione Cattolica è l’unica vera Religione. Quanto è sciocco dire il contrario. Quando S. O. dice: «Egli (un Cattolico) non trova nella sua teologia o nel suo cuore nulla per maledire alcuno o desiderare che qualcuno sia dannato », … in questo ha ragione, ma per essere onesto, avrebbe dovuto aggiungere, immediatamente dopo, queste parole, « né il Rev. M. Muller, C. SS. R., insegna qualcosa del genere nella sua Spiegazione della Dottrina Cristiana ». Ma un vero Cattolico educato non trova nella sua teologia né nel suo cuore le grandi menzogne ​​che S. O. racconta quando afferma solennemente che « … i protestanti credono a tutto ciò che il Cattolico crede, cioè ai fatti della sua vita (miracolosa), ai miracoli, alla passione, morte e resurrezione ». Che affermazione scandalosa questa! Se venisse dalle labbra di un protestante, la dichiareremmo una bugia ingiusta, ma venendo, come è, dalle labbra di S. O., è un terribile scandalo. C’è qualche fatto della vita divina di Cristo più evidente della fondazione della Chiesa Cattolica Romana? I protestanti credono a questo fatto divino? « La ragione, veramente – dice il Catechismo romano – e i sensi, sono obbligati ad accertare l’esistenza della Chiesa, cioè di una società di uomini devoti e consacrati a Gesù Cristo, e nessuna Fede è necessaria per comprendere una verità anche riconosciuta da ebrei e da turchi, ma … i protestanti credono nei privilegi e nella dignità della Chiesa come lo credono i Cattolici? In nessun modo, perché non hanno la luce della Fede, che sola ci permette di dire che: … io credo nella Chiesa Cattolica. »  – Di nuovo, Dio non ha ordinato sin dall’inizio del mondo che gli uomini gli dessero l’onore dell’adorazione offrendo sacrifici a Lui. Questa legge è stata mai abolita da Dio, nell’Antico Testamento, o da Gesù Cristo nella nuova legge? Anzi, al contrario, non lo ha confermato questa legge con l’istituzione del Sacrificio incruento del suo Corpo e Sangue nella Santa Messa che deve essere offerta fino alla fine del mondo? E non ha Gesù Cristo, a questo scopo, stabilito un nuovo ordine di sacerdozio nell’Ultima Cena? I sette Sacramenti, i mezzi visibili della grazia, non sono stati istituiti durante la vita divina di Cristo? I protestanti credono a tutti questi e molti altri fatti della vita divina di Cristo?!? Ah! Certo è che il più eminente Sacerdote degli Stati Uniti sa fin troppo bene che i protestanti non credono a questi fatti. Come può quindi dire con tanta sfrontatezza una tale bugia ai lettori della B. U. & T., a tutti i Cattolici, la cui fede in questi fatti, dice, è simile a quella dei protestanti? I Cattolici negano questi fatti? Nell’istante stesso in cui un Cattolico negherebbe uno qualsiasi di questi fatti, sarebbe un protestante, un eretico e tagliato via, come membro marcio, dalla Chiesa di Gesù Cristo. – La suddetta affermazione di S. O. è un vero insulto alla Fede cattolica, che è una Fede assoluta, divina, un dono gratuito dello Spirito Santo, mentre la credenza protestante è tutta umana, è solo un’opinione alterabile a piacere, senza fondamento; ricorda una teoria del Brahmin sulle fondamenta della terra. L’Hindu’ dice: « Il mondo poggia sulla schiena di un elefante, l’elefante poggia sul dorso di una tartaruga ». Ma su cosa si appoggia la tartaruga? Quindi S. O. è con i Brahmins protestanti. Essi ti diranno, con tutta la freddezza dell’ipocrisia e della pretesa indù, che la religione dipende dalla parola scritta di Dio, e fanno dipendere la parola di Dio dall’interpretazione privata; ma non dicono cosa sia la “tartaruga”. Questo è il dilemma da cui tutti vengono catturati quando poggiano la religione su una base umana o ateistica. Hanno tagliato la Religione dal divino Maestro designato – la Chiesa Cattolica Romana – e l’hanno riposta sulla autorità umana. Ma il guaio è che non hanno supporto per questa “tartaruga”.  – A beneficio di S. O. ripetiamo qui le parole del Dr. O. A. Brownson.  « Che i protestanti, almeno i cosiddetti protestanti ortodossi, professano di conservare e le rivendicano al loro protestantesimo, molte cose che sono professate anche dai Cattolici, nessuno lo nega, ma queste cose non fanno parte del protestantesimo, perché la Chiesa le ha insegnate loro secoli prima che nascesse il protestantesimo: tali cose sono parte integrante dell’unica Fede Cattolica e appartengono solo ai Cattolici, i protestanti possono legittimamente rivendicare come protestanti solo quelle cose in cui si differenziano dalla Chiesa, quelle che la Chiesa nega, e che essi asseriscono, ciò che è peculiare o distintamente protestante: non possono essi permettersi di rivendicare come loro, ciò che è, e che è sempre stato nostro; noi gli accordiamo volontariamente il loro, ma nulla di più, e tutto ciò che essi professano insieme a noi, è nostro, non loro! Adottando questa regola, che è giusta ed inappuntabile, nulla di fatto è loro, ma solo le loro smentite, e siccome tutte le loro negazioni sono, come abbiamo visto, fatte sopra nessun principio o secondo verità cattolica, sono delle pure eguaglianze, e poiché il protestantesimo è essenzialmente negativo, di conseguenza non c’è religione, perché ogni religione è affermativa “.

§ 7. DICHIARA INOLTRE LA VERITÁ ESSERE DEI DISCORSI VUOTI ED ABUSATI. CONTINUA A CITARE DA “EXPLANATION… “

D. In che tipo di Cristo credono?

Risp. In una di quelle persone che possono rendere impunemente un bugiardo. ”

“Quale significato possibile”, egli dice, “può un tale linguaggio e tale asserzione trasmettere alla mente di qualcuno, Cattolico o Protestante? È un parlare a vuoto e un abuso, niente di meno. L’idea di qualcuno che crede o vuole credere in uno che, come il suo Salvatore, possa diventare un bugiardo impunemente, è troppo assurdo per meritare un momento di riflessione. ”  – Piano, piano, S. O. Quando abbiamo dato la risposta di cui sopra, abbiamo anche dato le prove di questo. Ma tu e Coxe avete disonorato in modo disonesto queste prove, per poter chiamare la nostra risposta un parlare a vuoto e abuso, e dire che … è troppo assurdo per meritare un momento di riflessione. Un uomo così, che non vede alcuna differenza tra la fede divina e umana, risponderà come te. Intendi dire quindi che san Giovanni, Apostolo ed Evangelista, scrisse: “Chi non crede al Figlio (Gesù Cristo), fa di Lui un bugiardo” (I. Giovanni, v., 10). Lo Spirito Santo ha raccontato attraverso di lui vacuità ed abusi, e che queste parole dello Spirito Santo sono troppo assurde per meritare un momento di considerazione?  “Non credere a tutto ciò che Cristo ha detto – dice Cornelius a Lapide – è come dire che Cristo è un bugiardo, e questa è una terribile bestemmia.” Eroe aggiungiamo le prove che hai passato in silenzio. Gesù Cristo dice: “Ascolta la Chiesa”. “No”, dicono Lutero e tutti i protestanti, “non ascoltare la Chiesa, protesta contro di Ella con tutte le tue forze!” – Gesù Cristo dice: “Se qualcuno non ascolterà la Chiesa, consideralo un pagano e un pubblicano”. “No”, dice il protestantesimo, “se qualcuno non sente la Chiesa, guardalo come un apostolo, come un ambasciatore di Dio”.  – Gesù Cristo dice: “Le porte dell’inferno non prevarranno contro la mia Chiesa”. “No”, dice il protestantesimo, “È falso; le porte dell’inferno hanno prevalso contro la Chiesa per mille anni e più “.  – Gesù Cristo ha dichiarato San Pietro e ogni successore di San Pietro – il Papa – essere il suo Vicario sulla terra. “No”, dice il protestantesimo, “il papa è un anti-Cristo”.  – Gesù Cristo dice: “Il mio giogo è dolce e il mio carico leggero”. (Matteo XI, 30). “No”, dicono Lutero e Calvino “è impossibile osservare i comandamenti”. – Gesù Cristo dice: “Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti”. (Matt. Xix. 17.) “No”, dissero Lutero e Calvino, “la sola fede, senza opere buone, è sufficiente per entrare nella vita eterna”.  – Gesù Cristo dice: ” Se non fai penitenza, morirai allo stesso modo”. (Luca, III, 3.) “No”, dissero Lutero e Calvino, “il digiuno e altre opere di penitenza non sono necessarie per soddisfare il peccato”. – Gesù Cristo dice: “Questo è il mio corpo”. “No,” disse Calvin, “questa è solo la figura del Corpo di Cristo, diventerà il suo corpo non appena lo riceverai.” Gesù Cristo dice: “Io vi dico che chiunque lascerà sua moglie e ne sposerà un’altra, commetterà adulterio, e colui che la sposerà e la lascerà commette adulterio”. (Matt. XIX. 9.) “No”, dicono Lutero e tutti i protestanti, a un uomo sposato, “puoi lasciare tua moglie, divorziare e sposarne un’altra”. – Gesù Cristo dice ad ogni uomo: “Non rubare”. “No”, disse Lutero ai principi secolari, “Io ti do il diritto di appropriarti delle proprietà della Chiesa Cattolica Romana”. Ci sono circa trecento milioni di Cattolici che vivono attualmente in tutto il mondo. Ah! come si sentono scioccati da questi insulti con i quali i protestanti  offendono Gesù Cristo. Finanche i bambini piccoli sono scioccati da loro. – Un nobile calvinista contestava una volta la presenza reale con il padre di St. Giovanna Francesca de Chantal. Francesca aveva allora solo cinque anni. Mentre la disputa proseguiva, avanzò e disse al nobile: “Che cosa, signore, non credi che Gesù Cristo sia realmente presente nel Santissimo Sacramento, eppure ci ha detto che è presente? Bugiardo: se avessi osato attaccare l’onore del re, mio ​​padre l’avrebbe difeso a rischio della sua vita, e anche contro di te; che cosa hai allora da aspettarti da Dio per aver chiamato il suo Figlio un bugiardo? ” Il calvinista fu molto sorpreso dallo zelo della bambina e cercò di placare la sua giovane avversaria con regali; ma piena d’amore per la sua santa fede, prese i suoi doni e li gettò nel fuoco, dicendo “Così bruceranno nell’inferno tutti quelli che non credono alle parole di Gesù Cristo”. – “Dio dà una lingua fragile e debole
Una rovina è il parlare peccando e a torto. ”  – S. O. dice che i protestanti credono che Cristo sia “vero Dio” e vero uomo. Se credono che sia vero Dio, perché non credono tutte le sue parole e tutto ciò che ha fatto per la nostra salvezza? Perché non lo onorano come Dio, e si rifiutano di credere a tutta la sua dottrina? Come hanno trattato Gesù Cristo nel Santissimo Sacramento? È troppo orribile da raccontare. Ci si può aspettare che coloro che hanno così terribilmente disonorato Gesù Cristo nel Santissimo Sacramento, lo onoreranno e lo tratteranno come dovrebbero, e crederanno Gesù Cristo in cielo? Come lo hanno onorato in coloro che prendono il suo posto sulla terra, di cui Cristo dice: “Chi ascolta te, ascolta me, e colui che disprezza te, disprezzato me, e colui che ha disprezzato me, ha disprezzato Colui (Dio il Padre) che mi ha mandato “. (Luca, X, 16). Rivedete nuovamente il capitolo III, e scoprirete come Gesù Cristo sia stato trattato dai protestanti nel Papa, nei Vescovi e nei sacerdoti della Chiesa cattolica romana. – Stabilendo la sacrilega dottrina del suo primato sulla Chiesa inglese, Enrico VIII aveva messo a morte due cardinali, tre Arcivescovi, diciotto Vescovi e arcidiaconi, cinquecento sacerdoti, sessanta superiori di case religiose, cinquanta canonici, ventinove pari, trecentosessanta cavalieri e un numero immenso di nobili e di gente. Confiscò alla corona e distribuì tra i suoi favoriti la proprietà di seicento quarantacinque monasteri e novanta collegi, centodieci ospedali e duemilatrecento settantaquattro cappelle e cantorie. – E come hanno trattato Gesù Cristo nei poveri membri del suo corpo? “Amen, ti dico, quello che tu hai fatto ad uno di questi miei minimi fratelli, l’hai fatto a me.” (Matt. XXV. 40).  Per oltre trecento anni gli irlandesi hanno sofferto, lottato e sono morti per la fede. Hanno sofferto la povertà con tutta la sua amarezza, hanno sofferto l’esilio con tutti i suoi dolori, hanno sofferto oltraggi e persino la morte stessa, piuttosto che perdere il loro Dio. I servi dell’inferno promulgarono le diaboliche leggi penali, e presto quel paese così ricco e fecondo in collegi e conventi, divenne una vasta e desolata regione selvaggia. In zone di campagna, per trenta, quaranta, cinquanta miglia di estensione, non si vedeva da nessuna parte il fumo di una casa abitata, come dichiarano i cronisti inglesi. La gente era scomparsa e aveva lasciato solo scheletri nella terra. I vivi si incontravano solo nelle valli, nelle caverne e nelle montagne oscure. Lì hanno trascinato in una miserabile esistenza, a nutrirsi di erbacce e di rifiuti spazzatura della terra. Si muovevano come ombre, sparuti e afflitti, affamati e feriti, e sopportarono i crudeli morsi della fame, finché Dio, nella sua misericordia, li portò in un mondo migliore. Ripetutamente si presentavano queste scene strazianti. L’Irlanda tornò prospera nonostante l’oppressione più irritante; e il popolo irlandese fu di nuovo affamato e massacrato per la loro fede, e quelli che sopravvissero furono spediti nelle Indie occidentali britanniche e venduti lì come schiavi. La flotta britannica fu ordinata lungo la costa. Oltre ottantamila dei Cattolici irlandesi più influenti e più illustri furono imbarcati a bordo e le loro ossa sono marcite da tempo nel terreno delle piantagioni di zucchero inglesi della Giamaica.  – L’ultimo sforzo della tirannia è ancora vivo nella mente di molti, intendo gli ultimi anni della carestia. Ci sono, senza dubbio, alcuni dei nostri lettori che hanno assistito alle scene terrificanti di quel periodo cupo, che una volta vissute, non possono mai, mai essere dimenticate. Ah! No. Come il fuoco vivente, queste orribili scene bruciano nella memoria e lasciano la loro orrida cicatrice, un segno che non può mai essere cancellato. C’erano migliaia e migliaia di cadaveri e uccisi dalla fame. Cadevano e morivano mentre le foglie cadono in autunno. Il cibo che è stato inviato ai poveri dall’America, è stato trattenuto nei porti finché non è marcito. E lì, agli occhi del popolo affamato, il ricco protestante, le mogli e le figlie dei protestanti, grassi e obese, avevano gran quantità di cibo per il loro bestiame; avevano cibo in abbondanza per i loro uccelli domestici o per i loro cagnolini, mentre i poveri Cattolici affamati desideravano persino mangiare le bucce dei maiali, che non gli venivano date loro.  – Alcuni anni prima del cupo regno del terrore, viveva vicino a una certa città in Irlanda, un contadino povero e onesto con moglie e figli. Erano poveri, ma erano contenti e felici. Mai il povero o lo straniero hanno  varcato la loro porta senza partecipare alla loro ospitalità; e quello che avevano, lo davano con cuore volenteroso. Ma arrivato l’anno della carestia, il buon contadino non era in grado di pagare la decima. La sua piccola proprietà fu pignorata. La polizia, entrata nella sua fattoria, si impadronì del suo mais inspiegabilmente; portarono via i suoi raccolti; condussero il suo bestiame in una riserva. Il povero uomo infelice fu espulso da quel piccolo angolo di terra in cui era nato, dove aveva vissuto così a lungo e dove sperava di morire. Finì in mezzo alla strada con sua moglie e i suoi figli: niente tetto, niente cibo, niente vestiti: fu ridotto, a mendicare nudo, un un mondo freddo e senza cuore. Cercava un rifugio per i suoi piccoli, un impiego, ma non ne trovò nessuno. Era Cattolico, i suoi vicini erano rudi protestanti della specie più fosca. Gli offrirono riparo, cibo e indumenti, ma a condizione che apostatasse. O Dio! chi potrà dire l’agonia di quel povero, infelice padre? Nessuna speranza per lui, salvo la speranza della morte; nessun occhio pietoso per lui, salvo l’occhio misericordioso di Dio! Vide la sua povera moglie morire davanti ai suoi occhi. La vedeva spegnersi giorno dopo giorno – piangendo lentamente, mentre pregava e piangeva sui suoi bambini affamati; udì i suoi bambini affamati che piangevano per il cibo, e le loro grida pietose affittarono la sua stessa anima. Oh! Si potevano aiutarli, si poteva fornire loro cibo, vestiti e una casa piacevole, ma poi dovevano apostatare, rinunciare alla loro santa fede! Oh! che prova dolorosa, che martirio crudele! La sua moglie amorevole morì davanti ai suoi occhi – morì di fame. È morta con parole di pazienza, parole di speranza sulle sue labbra. Il povero marito si torceva le mani per l’angoscia. Si chinò sulla salma senza vita di sua moglie. La notte buia si stava addensando intorno a lui – si addensava persino dentro di lui; sentiva i crudeli morsi della fame che gli rosicchiavano la sua forte vitalità. E se non fosse stato sostenuto dalla sua santa fede, si sarebbe arreso alla disperazione. Ma le grida dei suoi figli lo eccitano. Dimenticò per un momento le sue stesse sofferenze. Prese le sue due ragazze affamate e i bambini affamati tra le sue braccia tremanti, e si affrettò via a passi vacillanti. Implorava di casa in casa, porta per porta; implorava una briciola di pane per i suoi figli poveri e affamati, ma nessuno gli diede un boccone di cibo. Gli offrirono cibo e vestiario ma solo se solo avesse apostatato, solo se volesse dare ai suoi figli il loro falso credo: “Ma – gridò il padre dal cuore spezzato – oh, come potrei permettere che i miei bambini vengano educati al falso credo e negare la loro santa fede? Oh, come potrei vendere le loro anime al demonio per un piatto di minestra? Dopo un po’ di tempo, l’infelice avvertì un carico che pesava come piombo sul suo braccio tremante. Guardò: una delle sue povere ragazze aveva smesso di lamentarsi. Era morta, fredda e rigida nella morte. Il padre con il cuore spezzato si sedette sotto un albero sul ciglio della strada e pregò, ma non riuscì a piangere. Ah! no; i suoi occhi erano asciutti, il suo cuore era appassito. Con toni disperati e passionali chiamava il cielo per testimoniare la sua agonia. chiamava Dio per testimoniare che non desiderava la morte dei suoi figli, che avrebbe volentieri sacrificare la sua vita per salvare la sua famiglia, ma non poteva – oh! no! no! – non poteva negare la sua santa fede; non poteva vendere le loro anime al diavolo. Tentò ancora una volta di procurarsi del cibo per il figlio rimasto, ma invano, e alla fine il povero sofferente innocente, ansimò e morì tra le sue braccia. Ah! il cui cuore può rimanere indifferente alle sofferenze del Cattolico irlandese? Cuore che, allo stesso tempo, si rallegra per la loro costanza nella fede.  – Nostro Signore Gesù Cristo, quando era appeso sulla croce, scusò quelli che lo avevano crocifisso. “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno”. (Luca, XXIII, 34.) Non sapevano che Cristo era il loro Dio. “Perché – dice San Paolo – se lo avessero saputo, non avrebbero mai crocifisso il Signore della Gloria”. (I. Corinzi II, 8). Ma il sacerdote più importante degli Stati Uniti, ci assicura solennemente che i protestanti credono nella divinità di Cristo. Come, quindi, tale fede è compatibile con tale trattamento di Cristo? Ahimè! ripetiamo, che vergogna per S. O. dire a Cattolici e protestanti che la loro fede in Cristo è la stessa cosa!

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI-APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO XII – MEDIATOR DEI (1)

Se vi è un documento che sbugiarda completamente, infallibilmente e definitivamente, la falsa chiesa dell’uomo del “Novus ordo”, i suoi falsi pastori e gli illusi suoi fedeli, questo è la grandiosa Enciclica di S. S. Pio XII “Mediator Dei”: essa li dichiara eretici, millantatori, temerari riformatori della dottrina e della Liturgia, e li pone inesorabilmente fuori dalla comunione della Chiesa Cattolica, Una, Santa, Apostolica Romana, l’unica Chiesa con l’unico culto che assicura la salvezza eterna dell’anima. Agli increduli narcotizzati fedeli della “chiesa (-sinagoga) dell’uomo”, che di tutto si preoccupa tranne che della salvezza dell’anima, basta semplicemente mettere sotto i loro occhi questa enciclica, per renderli edotti della strada da loro seguita, condotti da satanici “fasulli” pastori per giungere, senza fermate o soste intermedie, all’inferno e alla dannazione eterna. Ascoltino dunque, finché sono in tempo, perché nel giorno del giudizio non si sentano ripetere dal Giudice eterno il medesimo rimprovero che S. Stefano faceva al popolo deicida: « Dura cervice, et incircumcisis cordibus, et auribus, vos semper Spiritui Sancto resistitis gente testarda e pagana nel cuore e nelle orecchie, voi sempre opponete resistenza allo Spirito Santo! ». – Non ci sono da aggiungere altre parole a quelle eloquentissime, infallibili, inalterabili del Santo Padre Pio XII, che spiegano nel dettaglio e chiarissimamente la dottrina su cui si fonda la Liturgia Cattolica di sempre ed il Culto divino. Questo documento, da studiare con tutta calma ed attentamente, lo divideremo in varie sezioni, raccomandando di soffermarsi sulle INNOVAZIONI TEMERARIE, quelle che per intenderci sono state vergognosamente introdotte dal 1968 in poi dalla “ruspa” G. B. Montini, e dal “prestigiatore” massonico A. Bugnini, il famigerato BUAN 1365/75!

ENCICLICA

”MEDIATOR DEI”

DI S. S. PIO XII

“SULLA SACRA LITURGIA” (1)

AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI PRIMATI ARCIVESCOVI VESCOVI E AGLI ALTRI ORDINARI AVENTI CON L’APOSTOLICA SEDE

PACE E COMUNIONE

PIO PP. XII SERVO DEI SERVI DI DIO

VENERABILI FRATELLI SALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE

Introduzione

«Il Mediatore tra Dio e gli uomini» (1 Tim. II, 5), il grande Pontefice che penetrò i cieli, Gesù Figlio di Dio (Heb. IV, 14), assumendosi l’opera di misericordia con la quale arricchì il genere umano di benefici soprannaturali, mirò senza dubbio a ristabilire tra gli uomini e il loro Creatore quell’ordine che il peccato aveva turbato ed a ricondurre al Padre Celeste, primo principio ed ultimo fine, la misera stirpe di Adamo infetta dal peccato d’origine. E perciò, durante la sua dimora terrena, non solo annunziò l’inizio della redenzione e dichiarò inaugurato il Regno di Dio, ma attese a procurare la salute delle anime con il continuo esercizio della preghiera e del sacrificio, finché, sulla Croce, si offrì vittima immacolata a Dio per mondare la nostra coscienza dalle opere morte onde servire al Dio vivo (Heb. IX, 14). Così tutti gli uomini, felicemente richiamati dalla via che li trascinava alla rovina e alla perdizione, furono ordinati di nuovo a Dio, affinché, con la personale collaborazione al conseguimento della propria santificazione, frutto del Sangue immacolato dell’Agnello, dessero a Dio la gloria che Gli è dovuta. Il Divino Redentore volle, poi, che la vita sacerdotale da Lui iniziata nel suo corpo mortale con le sue preghiere ed il suo Sacrificio, non cessasse nel corso dei secoli nel suo Corpo Mistico che è la Chiesa; e perciò istituì un Sacerdozio visibile per offrire dovunque la oblazione monda (Matth, 1, 11), affinché tutti gli uomini, dall’Oriente all’Occidente, liberati dal peccato, per dovere di coscienza servissero spontaneamente e volentieri a Dio. La Chiesa dunque, fedele al mandato ricevuto dal Suo Fondatore, continua l’ufficio sacerdotale di Gesù Cristo soprattutto con la Sacra Liturgia. Ciò fa in primo luogo all’altare, dove il sacrificio della Croce è perpetuamente rappresentato (Conc. Trid., Sess. XXII, c. 1) e, con la sola differenza del modo di offrire, rinnovato (Conc. Trid., Sess. XXII, c. 2); poi con i Sacramenti, che sono particolari strumenti per mezzo dei quali gli uomini partecipano alla vita soprannaturale; in fine col quotidiano tributo di lodi offerto a Dio Ottimo Massimo. « Quale giocondo spettacolo – così il Nostro Predecessore di felice memoria Pio XI – offre al Cielo e alla terra la Chiesa che prega,quando, continuamente, durante tutti i giorni e tutte le notti, vengono in terra cantati i Salmi scritti per divina ispirazione: nessuna ora del giorno è priva della consacrazione di una propria liturgia; ogni età della vita ha il suo posto nel rendimento di grazie, nelle lodi, nelle preci, nelle aspirazioni di questa comune preghiera del mistico Corpo di Cristo, che è la Chiesa» (Enc. Caritate Christi, 3.V.1932). – Certamente vi è noto, Venerabili Fratelli, che, verso la fine del secolo scorso ed agli inizi del presente, si ebbe un singolare fervore di studi liturgici, sia per lodevole iniziativa di alcuni privati, sia soprattutto per la zelante ed assidua diligenza di vari monasteri dell’inclito Ordine Benedettino; cosicché non soltanto in molte regioni di Europa, ma anche nelle terre al di là dell’Oceano, si sviluppò a questo proposito una encomiabile ed utile gara, le cui benefiche conseguenze furono visibili sia nel campo delle sacre discipline, dove i riti liturgici della Chiesa Orientale ed Occidentale furono più ampiamente e profondamente studiati e conosciuti, sia nella vita spirituale e privata di molti Cristiani. Le auguste cerimonie del Sacrificio dell’altare furono meglio conosciute, comprese e stimate; la partecipazione ai Sacramenti più larga e frequente, le preghiere liturgiche più soavemente gustate, e il Culto eucaristico considerato come veramente è il centro e la fonte della vera pietà cristiana. Fu, inoltre, messo più chiaramente in evidenza il fatto che tutti i fedeli costituiscono un solo, compattissimo Corpo, di cui Cristo è il capo, dal che ne viene il dovere per il popolo cristiano di partecipare secondo la propria condizione ai riti liturgici. – Voi, senza dubbio, sapete benissimo che questa Sede Apostolica ha sempre avuto premura che il popolo ad essa affidato fosse educato ad un vero ed operoso senso liturgico, e che, con non minore zelo, si è preoccupata che i Sacri Riti splendessero anche all’esterno di una confacente dignità. Nello stesso ordine di idee, Noi, parlando, secondo la consuetudine, ai predicatori quaresimali di questa nostra alma Città, li abbiamo calorosamente esortati ad ammonire i loro ascoltatori perché partecipassero con sempre maggiore impegno al Sacrificio Eucaristico; e recentemente abbiamo fatto tradurre di nuovo in latino dal testo originale il libro dei Salmi perché le preghiere liturgiche, di cui esso è così grande parte nella Chiesa Cattolica, fossero più esattamente intese e la loro verità e soavità più agevolmente percepite (Motu proprio In cotidianis precibus, 24. III. 1945). Tuttavia, mentre, per i salutari frutti che ne derivano, l’apostolato liturgico Ci è di non poco conforto, il Nostro dovere Ci impone di seguire con attenzione questo «rinnovamento», nella maniera nella quale è da alcuni concepito, e di curare diligentemente che le iniziative non diventino né eccessive né difettose. Ora, se da una parte constatiamo con dolore che in alcune regioni il senso, la conoscenza, e lo studio della Liturgia sono talvolta scarsi o quasi nulli, dall’alto notiamo con molta apprensione che alcuni sono troppo avidi di novità e si allontanano dalla via della sana dottrina e della prudenza. Giacché all’intenzione e al desiderio di un rinnovamento liturgico, essi frappongono spesso princîpi che, o in teoria o in pratica, compromettono questa santissima causa, e spesso anche la contaminano di errori che toccano la Fede Cattolica e la dottrina ascetica. La purezza della fede e della morale deve essere la norma caratteristica di questa sacra disciplina, che deve assolutamente conformarsi al sapientissimo insegnamento della Chiesa e dunque Nostro dovere lodare e approvare tutto ciò che è ben fatto, contenere o riprovare tutto ciò che devia dal vero e giusto cammino. Non credano, però, gl’inerti e i tiepidi di avere il Nostro consenso perché riprendiamo gli erranti e poniamo freno agli audaci; né gli imprudenti si ritengano lodati quando correggiamo i negligenti ed i pigri. Quantunque in questa Nostra Lettera Enciclica trattiamo soprattutto della Liturgia latina, ciò non è dovuto a minore stima delle venerande Liturgie della Chiesa Orientale, i cui riti, trasmessi da nobili e antichi documenti, Ci sono egualmente carissimi; ma dipende piuttosto dalle condizioni particolari della Chiesa Occidentale, che sono tali da richiedere l’intervento della Nostra autorità. Ascoltino, perciò, tutti i Cristiani, con docilità, la voce del Padre comune, il quale desidera ardentemente che tutti a Lui intimamente uniti, si accostino all’altare di Dio, professando la stessa Fede, obbedendo alla stessa legge, partecipando allo stesso sacrificio con un solo intendimento e una sola volontà. Lo richiede l’onore a Dio dovuto; lo esigono i bisogni dei tempi presenti. Infatti, dopo che una lunga e crudele guerra ha diviso i popoli con le rivalità e le stragi, gli uomini di buona volontà si sforzano nel miglior modo possibile di ricondurre tutti alla concordia. Crediamo tuttavia che nessun disegno e nessuna iniziativa sia, in questo caso, più efficace di un fervido spirito e zelo religioso, da cui è necessario siano animati e guidati i Cristiani, in modo che, accettando con animo schietto le stesse verità e obbedendo docilmente ai legittimi Pastori, nell’esercizio del culto a Dio dovuto, costituiscano una fraterna comunità: « benché molti, siamo un sol corpo, partecipando tutti di quell’unico pane » (1 Cor. 10, 17).

I caratteri della Liturgia

Il dovere fondamentale dell’uomo è certamente quello di orientare verso Dio se stesso e la propria vita. «A Lui, difatti, dobbiamo principalmente unirci, e indefettibile principio, al quale deve anche costantemente rivolgersi la nostra scelta come ad ultimo fine, che perdiamo peccando anche per negligenza e che dobbiamo riconquistare per la fede credendo in Lui» (San Tommaso, Summa Theol., 2.a 2.æ, q. 81, a. 1). Ora, l’uomo si volge ordinatamente a Dio quando ne riconosce la suprema maestà e il supremo magistero, quando accetta con sottomissione le verità divinamente rivelate, quando ne osserva religiosamente le leggi, quando fa convergere verso di Lui tutta la sua attività, quando per dirla in breve presta, mediante le virtù della religione, il debito culto all’unico e vero Dio. Questo è un dovere che obbliga prima di tutto gli uomini singolarmente, ma è anche un dovere collettivo di tutta la comunità umana ordinata con reciproci vincoli sociali, perché anch’essa dipende dalla somma Autorità di Dio. Si noti, poi, che questo è un particolare dovere degli uomini, in quanto Dio li ha elevati all’ordine soprannaturale. Così se consideriamo Dio come autore dell’antica Legge, lo vediamo proclamare anche precetti rituali e determinare accuratamente le norme che il popolo deve osservare nel rendergli il legittimo culto. Stabilì, quindi, vari sacrifici e designò varie cerimonie con le quali dovevano compiersi; e determinò chiaramente ciò che si riferiva all’Arca dell’Alleanza, al Tempio ed ai giorni festivi; designò la tribù sacerdotale e il sommo sacerdote, indicò e descrisse le vesti da usarsi dai sacri ministri e quanto altro mai aveva relazione col culto divino (cfr. Levitico). – Questo culto, del resto, non era altro che l’ombra (Heb. X, 1) di quello che il Sommo Sacerdote del Nuovo Testamento avrebbe reso al Padre Celeste. Difatti, appena « il Verbo si è fatto carne » (Joh. I, 14), si manifesta al mondo nel suo ufficio sacerdotale facendo all’Eterno Padre un atto di sottomissione che durerà per tutto il tempo della sua vita: «entrando nel mondo dice: … Ecco, io vengo … per fare, o Dio, la tua volontà . . .» (Heb. X, 5-7), un atto che sarà portato a compimento in modo mirabile nel sacrificio cruento della Croce: «In virtù di questa volontà noi siamo stati santificati per mezzo dell’oblazione del Corpo di Gesù Cristo fatta una volta sola per sempre» (Heb. X, 10). Tutta la sua attività tra gli uomini non ha altro scopo. Fanciullo, è presentato nel Tempio al Signore; adolescente vi ritorna ancora; in seguito vi si reca spesso per istruire il popolo e per pregare. Prima d’iniziare il ministero pubblico digiuna durante quaranta giorni, e con il suo consiglio ed il suo esempio esorta tutti a pregare sia di giorno che di notte. Come maestro di verità, «illumina ogni uomo» (Joh. I, 9) perché i mortali riconoscano convenientemente il Dio immortale, e non «si sottraggano per perdersi, ma siano fedeli per la salvezza dell’anima» (Heb. X, 39). Come Pastore, poi, Egli governa il suo gregge, lo conduce ai pascoli di vita, e dà una legge da osservare perché nessuno si discosti da Lui e dalla retta via che Egli ha tracciata, ma tutti vivano santamente sotto il suo influsso e la sua azione. Nell’ultima Cena, con rito e apparato solenne, celebra la nuova Pasqua e provvede alla continuazione di essa mediante l’istituzione divina dell’Eucaristia; l’indomani, sollevato tra cielo e terra, offre il salutare Sacrificio della sua vita, e dal suo petto squarciato fa in certo modo sgorgare i Sacramenti che impartiscono alle anime i tesori della Redenzione. Facendo questo, Egli ha per unico scopo la gloria del Padre e la sempre maggiore santificazione dell’uomo. Entrando, poi, nella sede della beatitudine celeste, vuole che il culto da Lui istituito e prestato durante la sua vita terrena continui ininterrottamente. Giacché Egli non lasciò orfano il genere umano, ma come lo assiste sempre col suo continuo e valido patrocinio facendosi nostro avvocato in cielo presso il Padre (1 Joh. II, 1), così l’aiuta mediante la sua Chiesa, nella quale è indefettibilmente presente nel corso dei secoli. Chiesa che Egli ha costituito colonna di verità (1 Tim. III, 15) e dispensatrice di grazia, e che col sacrificio della Croce fondò, consacrò e confermò, in eterno. – La Chiesa, dunque, ha in comune col Verbo incarnato lo scopo, l’impegno e la funzione d’insegnare a tutti la Verità, reggere e governare gli uomini, offrire a Dio il Sacrificio accettabile e grato, e così ristabilire tra il Creatore e le creature quell’unione ed armonia che l’Apostolo delle genti chiaramente indica con queste parole: « Voi non siete più stranieri e ospiti, ma siete concittadini dei Santi e della famiglia di Dio, sovraedificati sul fondamento degli Apostoli e dei Profeti, con lo stesso Gesù Cristo come pietra angolare, su cui tutto l’edificio insieme connesso s’innalza in tempio santo nel Signore, e sopra di Lui anche voi siete insieme edificati in dimora di Dio nello Spirito » (Eph. II, 19-22) Perciò la società fondata dal Divino Redentore non ha altro fine, sia con la sua dottrina e il suo governo, sia col Sacrificio ed i Sacramenti da Lui istituiti, sia infine col ministero da Lui affidatole, con le sue preghiere e il suo sangue, che crescere e dilatarsi sempre più: il che avviene quando Cristo è edificato e dilatato nelle anime dei mortali, e quando, vicendevolmente, le anime dei mortali sono edificate e dilatate a Cristo; di maniera che in questo esilio terreno prosperi il tempio nel quale la Divina Maestà riceve il culto grato e legittimo. In ogni azione liturgica, quindi, insieme con la Chiesa è presente il suo Divino Fondatore: Cristo è presente nell’augusto Sacrificio dell’altare sia nella persona del suo ministro, sia, massimamente, sotto le Specie Eucaristiche; è presente nei Sacramenti con la virtù che in essi trasfonde perché siano strumenti efficaci di santità; è presente infine nelle lodi e nelle suppliche a Dio rivolte, come sta scritto: « Dove sono due o tre adunati in nome mio, ivi io sono in mezzo ad essi » (Matth. XVIII, 20).

[-1 Continua …]

DOMENICA DI PENTECOSTE (2019)

DOMENICA DI PENTECOSTE (2019)

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Sap I: 7. Spíritus Dómini replévit orbem terrárum, allelúja: et hoc quod cóntinet ómnia, sciéntiam habet vocis, allelúja, allelúja, allelúja. [Lo Spirito del Signore riempie l’universo, allelúia: e abbraccia tutto, e ha conoscenza di ogni voce, allelúia, allelúia, allelúia].

Ps LXVII: 2 Exsúrgat Deus, et dissipéntur inimíci ejus: et fúgiant, qui odérunt eum, a fácie ejus. [Sorga il Signore, e siano dispersi i suoi nemici: e coloro che lo òdiano fuggano dal suo cospetto].

Spíritus Dómini replévit orbem terrárum, allelúja: et hoc quod cóntinet ómnia, sciéntiam habet vocis, allelúja, allelúja, allelúja [Lo Spirito del Signore riempie l’universo, allelúia: e abbraccia tutto, e ha conoscenza di ogni voce, allelúia, allelúia, allelúia].

Oratio

Orémus.

Deus, qui hodiérna die corda fidélium Sancti Spíritus illustratióne docuísti: da nobis in eódem Spíritu recta sápere; et de ejus semper consolatióne gaudére.[O Dio, che in questo giorno hai ammaestrato i tuoi fedeli con la luce dello Spirito Santo, concedici di sentire correttamente nello stesso Spirito, e di godere sempre della sua consolazione.]

Lectio

Léctio  Actuum Apostolórum. Act. II: 1-11

“Cum compleréntur dies Pentecóstes, erant omnes discípuli pariter in eódem loco: et factus est repéente de coelo sonus, tamquam adveniéntis spíritus veheméntis: et replévit totam domum, ubi erant sedentes. Et apparuérunt illis dispertítæ linguæ tamquam ignis, sedítque supra síngulos eórum: et repléti sunt omnes Spíritu Sancto, et coepérunt loqui váriis linguis, prout Spíritus Sanctus dabat éloqui illis. Erant autem in Jerúsalem habitántes Judaei, viri religiósi ex omni natióne, quæ sub coelo est. Facta autem hac voce, convénit multitúdo, et mente confúsa est, quóniam audiébat unusquísque lingua sua illos loquéntes. Stupébant autem omnes et mirabántur, dicéntes: Nonne ecce omnes isti, qui loquúntur, Galilæi sunt? Et quómodo nos audívimus unusquísque linguam nostram, in qua nati sumus? Parthi et Medi et Ælamítæ et qui hábitant Mesopotámiam, Judaeam et Cappadóciam, Pontum et Asiam, Phrýgiam et Pamphýliam, Ægýptum et partes Líbyæ, quæ est circa Cyrénen, et ádvenæ Románi, Judaei quoque et Prosélyti, Cretes et Arabes: audívimus eos loquéntes nostris linguis magnália Dei.” 

Omelia I

LA VENUTA DELLO SPIRITO SANTO

A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – [Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia, 1929]

“Giunto il giorno della Pentecoste, i discepoli si trovavano tutti insieme nel medesimo luogo. E all’improvviso venne dal cielo un rumore come di vento impetuoso, e riempì tutta la casa, dove quelli sedevano. E apparvero ad essi delle lingue come di fuoco, separate, e se ne posò una su ciascuno di loro. E tutti furono ripieni di Spirito Santo, e cominciarono a parlare varie lingue, secondo che lo Spirito Santo dava loro di esprimersi. Ora abitavano in Gerusalemme Giudei, uomini pii, venute da tutte le nazioni che sono sotto il cielo. Quando si udì il rumore la moltitudine si raccolse e rimase attonita perché ciascuno li udiva parlare nella sua propria lingua. E tutti stupivano e si meravigliavano, e dicevano: «Ecco, non son tutti Galilei, questi che parlano? E come mai, li abbiamo uditi, ciascuno di noi, parlare la nostra lingua nativa? Parti, Medi ed Elamiti, e abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappodocia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfilia, dell’Egitto e delle regioni della Libia in vicinanza di Cirene, e avventizi romani, Giudei e Proseliti, Cretesi e Arabi li abbiamo uditi parlare nelle nostre lingue delle grandezze di Dio”. (Atti II, 1-11).

Dopo l’Ascensione di Gesù Cristo al cielo, gli Apostoli con Maria madre di Gesù e con altre pie donne e discepoli, in tutto 120, si erano ritirati nel cenacolo. Vi perseveravano nella preghiera da dieci giorni, quando la mattina del di della Pentecoste, la solennità delle messi e della promulgazione della Legge che gli Ebrei celebravano cinquanta giorni dopo Pasqua, avvenne il fatto della discesa dello Spirito Santo sopra gli Apostoli, come è narrato nel capo secondo degli «Atti degli Apostoli». La venuta dello Spirito Santo:

1. Illumina e infiamma gli Apostoli,

2. Che danno principio alla loro missione,

3. La quale produce effetti diversi.

1.

All’improvviso venne dal cielo un rumore come di vento impetuoso, e riempì tutta la casa, dove quelli sedevano. Era ancor mattina, e sugli Apostoli, che con Mariae i discepoli sono radunati nel cenacolo, scende lo SpiritoSanto promesso. Gesù Cristo aveva posto il fondamentodella Chiesa, aveva insegnato la dottrina che gli Apostoli avrebbero fatta conoscere; aveva loro data la missione determinata di portare il suo Vangelo a tutti i popoli della terra; ma il sorgere della Chiesa fuori dalle fondamenta non si vedeva ancora. La mente degli Apostoli, che per tre anni sono stati alla scuola del Redentore, è ancora avvolta nelle nubi dell’oscurità e nella nebbia dei pregiudizi. La mattina stessa dell’Ascensione, mentre Gesù dà loro le ultime istruzioni, essi domandano:«Signore, in questo momento ricostruirai il regno d’Israele?» (Act. I, 6) interpretando materialmente le profezie sul regno di Gesù Cristo. Dovevano andare per tutto a predicare il Vangelo, ma intanto non osavano comparire per Gerusalemme. Perché si manifestasse la vita della Chiesa, era necessario il Battesimo dello Spirito Santo, promesso dal Fondatore. E lo Spirito Santo discende, manifestandosi all’improvviso con forte rumore di vento gagliardo. Al battesimo di Gesù lo Spirito Santo discende sotto forma di colomba, simbolo di innocenza, di semplicità, di riconciliazione. Adesso la sua discesa si manifesta con l’azione di un vento forte e sotto il simbolo del fuoco. Come un vento gagliardo, che tiri dai monti, dopo lunghe giornate di maltempo, spazza via le nubi e riconduce il sereno,e pare che abbia mutato la faccia del creato; parimenti la discesa dello Spirito Santo sopra gli Apostoli, cambierà, a così dire, il loro aspetto; li trasformerà. La risurrezione di Cristo e la sua Ascensione non erano bastate a togliere dall’animo loro ogni tristezza. Ora, lo Spirito Santo spazza via dall’animo loro ogni nube di mestizia, e vi porta il sereno. Gesù Cristo aveva detto agli Apostoli: «Ho ancora molte cose da dirvi ma per ora sono sopra la vostra capacità. Quando verrà lo Spirito di verità, Egli vi insegnerà tutta la verità (Giov. XVI, 12-13). Lo Spirito Santo non avrebbe insegnato agli Apostoli altra verità che quella insegnata da Gesù Cristo; « ma era necessario che la loro capacità si accrescesse, e che fosse moltiplicata la costanza di quella carità che scaccia ogni timore, e non teme il furore dei persecutori » (S. Leone M. Serm. 76, 5). Lo Spirito Santo che scende sotto la forma di fuoco farà una cosa e l’altra. Quelli che prima non potevano intendere pienamente le verità più chiare, che Gesù Cristo loro insegnava, ora comprendono i misteri più profondi. Il loro interno è purificato: non più gelosia, non più ambizione. La loro volontà è infiammata: ora non sentono che un bisogno; quello di uscire in pubblico a confessare Gesù.

2.

E tutti furono ripieni di Spirito Santo, e cominciarono a parlare varie lingue, secondo che lo Spirito Santo dava loro di esprimersi. Gesù Cristo aveva predetto: «Coloro che avran creduto… parleranno lingue nuove» (Marc. XVI, 17). Il miracolo comincia precisamente nel giorno natalizio della Chiesa, e comincia sulle labbra degli Apostoli nel momento che sono ripieni di Spirito Santo. Non avevano mai studiato l’arte del dire, e si dimostrano eloquentissimi. Non avevano mai imparato alcuna lingua, e ora se ne fanno intendere in parecchie con la più grande sicurezza. La cosa è così portentosa che riempie di meraviglia gente di varia condizione e di ogni regione, convenuta a Gerusalemme per la festa di Pentecoste. Sebbene costoro non parlino tutti la stessa lingua, tutti intendono il linguaggio degli Apostoli. Quante sono le lingue parlate da quella moltitudine, tante sono le lingue in cui gli Apostoli si fanno intendere. E questi forestieri si fanno la domanda: «Non son tutti Galilei questi che parlano? E come mai li abbiamo uditi, ciascuno di noi, parlare la nostra lingua nativa? Avrebbero potuto anche aggiungere: Non sono questi dei poveri pescatori? E come mai si dimostrano così eloquenti? Non sono quegli stessi che dal loro Maestro ebbero il rimprovero: «Non conoscetee non intendete ancora? Avete il cuore accecato? Avendo occhi non vedete, e avendo orecchi non udite?» (Marc. VIII, 17-18). E come mai adesso parlano con tanta sicurezza delle grandezze di Dio? Non sono costoro i medesimi che nella notte della passione fuggirono abbandonando Gesù, che più tardi si rinchiusero nel cenacolo per paura degli Ebrei? E come mai adesso rivolgono la parola agli Ebrei con tanta intrepidezza? La spiegazione è molto facile. Adesso sono ripieni di Spirito Santo. La Chiesa doveva estendersi a tutto il mondo; ma questo non doveva avvenire d’un tratto. Il suo Fondatore l’aveva paragonata a un albero che cresce, mano a mano, e si sviluppa fino al punto da raccogliere sotto i suoi rami le nazioni di tutta la terra. Se nel giorno della Pentecoste la Chiesa, nel suo nascere, non raccoglie sotto i suoi rami le nazioni di tutta la terra, manifesta, però, subito il suo carattere universale col fatto delle lingue parlate dagli Apostoli. Non è più, come per il passato, la sola lingua ebraica l’interprete della grandezza e della volontà di Dio. Sulla bocca degli Apostoli sono consacrate tutte le lingue parlate dall’umanità. Oggi gli Apostoli parlano le lingue delle varie nazioni che sono rappresentate a Gerusalemme: i loro successori parleranno altre lingue ancora, via via che gli scopritori di nuove terre additeranno altri popoli allo zelo dei missionari. E verrà il giorno, (il giorno in cui ci sarà un solo ovile e un solo pastore), che tutti i popoli della terra magnificheranno le grandezze di Dio, come nel giorno di Pentecoste le magnificarono gli Apostoli.« La Chiesa oggi incomincia da Gerusalemme e si dilata fra tutte le nazioni… Dovunque risuonano le voci degli Apostoli, che rendono testimonianza della nostra speranza nell’unità del corpo di Cristo» (S. Agost. En. in Ps. CXLVII, 20). E le voci degli Apostoli con la loro testimonianza, continueranno a risuonare senza affievolirsi. La forza che le vivifica non verrà mai meno. La loro forza vivificatrice non viene dagli uomini; viene dall’alto, dallo Spirito Santo.

3.

I forestieri convenuti a Gerusalemme, e che assistono al grande miracolo che si compie sulle labbra degli Apostoli, dichiarano candidamente: li abbiamo uditi parlare nelle nostre lingue le grandezze di Dio. «E tutti si stupivano ed erano pieni di meraviglia, dicendo l’uno all’altro: «Che vuol esser questo?». Ma altri schernendo dicevano: «Sono pieni di vino» (Att. II, 12-13). – Uomini retti, dalla mente non offuscata dalle passioni, non possono spiegare il grande avvenimento, ma ne ammettono l’importanza. «Che vuol essere questo?» Alla vista delle meraviglie che si compiono riflettono, e si prestano docili all’azione della grazia. E quando San Pietro avrà parlato di Gesù Cristo crocefisso e risorto, entreranno numerosi nella Chiesa. Di fianco a questi, però, ci sono i beffardi, che trattano gli Apostoli da ubriachi. Ciò che non si comprende, si mette in ridicolo. Qui, poi, lo scherno passa ogni misura. « Quanta audacia, quanta empietà, quanta sfacciataggine attribuire all’ubriachezza il dono stupendo delle lingue! » (S. Giov. Crs. In Act. Ap. Hom. 4, 3)). Questo modo di trattare il Cristianesimo al suo apparire non è stato più abbandonato. I beffardi dei nostri giorni non fanno che ripeterlo. Si chiamano spiriti illusi, menti deboli, fanatici, coloro che professano coraggiosamente la Religione Cattolica e si mostrano figli devoti della Chiesa. La prova di queste affermazioni? Non è più forte di quella degli Ebrei, quando chiamavano ubriachi, alle nove del mattino, gli Apostoli, proprio nel momento che operavano cose meravigliose. Questo differente contegno di fronte alle cose meravigliose operate dagli Apostoli, ripieni dello Spirito Santo, sarà ancor più spiccato quando San Pietro, in compagnia di Giovanni, guarirà uno storpio. Quei del popolo, « tutti glorificavano Dio per quello che era avvenuto » (Act. IV, 21); e molti di loro, dopo un secondo discorso di San Pietro, abbracciano la fede cristiana. Quei del Sinedrio sono pure testimoni del miracolo, che non possono mettere in dubbio. « E’ noto a tutti — dicono — che un miracolo evidente è avvenuto per opera loro, e non possiamo negarlo » (Act,. IV, 16); ma l’odio acceca. Quando Pietro dichiara che il miracolo è stato compito nel nome di Gesù Cristo, invece di credere in Lui, intimano a Pietro e a Giovanni di non parlare o insegnare in alcun modo nel nome di Gesù; e alla intimazione aggiungono le minacce. Ma gli Apostoli non hanno nulla da temere, poiché è con loro lo Spirito Santo. Tornati dal Sinedrio assieme con gli altri Apostoli e discepoli domandano a Dio: «E ora guarda alle loro minacce e concedi ai tuoi servi di annunciare con tutta libertà la tua parola». E terminata la preghiera « tutti quanti furono ripieni di Spirito Santo e annunziavano con franchezza la parola di Dio » (Act. IV, 29-31). – Lo Spirito Santo non abbandonerà mai la Chiesa. Uno dopo l’altro scenderanno nella tomba i banditori del regno di Gesù Cristo, ma questo, assistito dallo Spirito Santo, continuerà ad estendersi. Il Beato Cottolengo si trovava un giorno in udienza dal Re Carlo Alberto. Questi si mostrava trepidante per la sorte della Piccola Casa il giorno che il Fondatore fosse passato all’altra vita. Stando i due personaggi vicino a una finestra del Palazzo Reale, si poteva vedere benissimo il cambio della guardia che avveniva precisamente allora. Il Beato fa un cenno al Re e gli dice: «Maestà, vede là sulla piazza che si cambia la sentinella al portone del palazzo? Un soldato bisbiglia all’orecchio del compagno una parola, questo si ferma coll’archibugio sulla spalla, quell’altro se ne va e, senza che a palazzo nessuno se ne sia accorto, la guardia continua come prima. Così, sarà per la Piccola Casa. Io sono un nulla; quando la Divina Provvidenza lo voglia, dirà una parola ad un altro che verrà a prendere il mio posto e farà la guardia. E la Piccola Casa continuerà la sua strada meglio di prima (M. C. Luigi Anglesio, primo successore del b. G. B. Cottolengo, Torino, 1921, p. 28-29). Fino alla fine del mondo la Chiesa avrà sempre nemici implacabili che al suo espandersi opporranno ostacoli d’ogni genere. Di fronte a costoro lo Spirito Santo susciterà sempre nuovi campioni che prendono il posto di quelli che vanno a ricevere la corona. Noi seguiamo costoro. Anzi, preghiamo lo Spirito Santo che tocchi l’animo nostro, come il giorno della Pentecoste toccò l’animo degli Apostoli e dei primi fedeli. «Il solo suo toccare è insegnare. Poiché egli muta l’animo umano appena lo illumina: d’un tratto lo trasforma da quello che era, e subito lo fa diventare quello che non era» (S. Greg. M. Hom. 20, 8).

Allelúja, allelúja

Ps CIII: 30 Emítte Spíritum tuum, et creabúntur, et renovábis fáciem terræ. Allelúja. Hic genuflectitur:

Veni, Sancte Spíritus, reple tuórum corda fidélium: et tui amóris in eis ignem accénde.

Sequentia

Veni, Sancte Spíritus, et emítte cælitus lucis tuæ rádium.

Veni, pater páuperum; veni, dator múnerum; veni, lumen córdium.

 Consolátor óptime, dulcis hospes ánimæ, dulce refrigérium.

 In labóre réquies, in æstu tempéries, in fletu solácium.

O lux beatíssima, reple cordis íntima tuórum fidélium.

Sine tuo númine nihil est in hómine, nihil est innóxium.

Lava quod est sórdidum, riga quod est áridum, sana quod est sáucium.

 Flecte quod est rígidum, fove quod est frígidum, rege quod est dévium.

 Da tuis fidélibus, in te confidéntibus, sacrum septenárium.

Da virtútis méritum, da salútis éxitum, da perénne gáudium. Amen. Allelúja.

Evangelium

 Sequéntia sancti Evangélii secúndum Joánnem.

Joannes XIV: 23-31

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Si quis díligit me, sermónem meum servábit, et Pater meus díliget eum, et ad eum veniémus et mansiónem apud eum faciémus: qui non díligit me, sermónes meos non servat. Et sermónem quem audístis, non est meus: sed ejus, qui misit me, Patris. Hæc locútus sum vobis, apud vos manens. Paráclitus autem Spíritus Sanctus, quem mittet Pater in nómine meo, ille vos docébit ómnia et súggeret vobis ómnia, quæcúmque díxero vobis. Pacem relínquo vobis, pacem meam do vobis: non quómodo mundus dat, ego do vobis. Non turbátur cor vestrum neque formídet. Audístis, quia ego dixi vobis: Vado et vénio ad vos. Si diligere tis me, gaudere tis utique, quia vado ad Patrem: quia Pater major me est. Et nunc dixi vobis, priúsquam fiat: ut, cum factum fúerit, credátis. Jam non multa loquar vobíscum. Venit enim princeps mundi hujus, et in me non habet quidquam. Sed ut cognóscat mundus, quia díligo Patrem, et sicut mandátum dedit mihi Pater, sic fácio.”

OMELIA II

PER LA SOLENNITÀ DI PENTECOSTE.

SPIEGAZIONE XXVIII

[A. Carmignola, Spiegazione dei Vangeli domenicali, S. E. I. Ed. Torino,  1921]

“In quel tempo disse Gesù ai suoi discepoli: Chiunque mi ama, osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà, e verve ni da lui, e verremo da lui, e faremo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole. E la parola, che udiste, non è mia: ma del Padre, che mi ha mandato; queste cose ho detto a voi, conversando tra voi. Il Paracleto poi, lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel nome mio, Egli insegnerà a voi ogni cosa, e vi ricorderà tutto quello che ho detto a voi. La pace lascio a voi; la paco mia do a voi; ve la do Io non in quel modo, che la dà il mondo. Non si turbi il cuor vostro, né s’impaurisca. Avete udito, come io vi ho detto: Vo, e vengo a voi. Se mi amaste, vi rallegrereste certamente perché ho detto, vo al Padre: conciossiaché il Padre è maggiore di me. Ve l’ho detto adesso prima che succeda: affinché quando sia avvenuto crediate. Non parlerò ancor molto con voi: imperciocché viene il principe di questo mondo, e non ha da far nulla con me. Ma affinché il mondo conosca, che Io amo il Patire, e come il Padre prescrissemi, così fo” (Jo. XIV, 23- 31) .

La grande solennità, che celebriamo oggi, era pure festeggiata dal popolo ebreo. Presso di quel popolo nell’antica legge la solennità di Pentecoste era destinata a ricordare con gran giubilo il cinquantesimo giorno (poiché questo appunto significa la parola Pentecoste), dacché mercé i prodigi del Signore avevano potuto uscire dalla terra di Egitto, fare il passaggio del mar Rosso a piedi asciutti, e per mezzo di Mosè ricevere da Dio la sua legge, scritta col suo stesso dito su due tavole di pietra. Per noi Cristiani questa festa è ancor più solenne, perché ci ricorda dei fatti anche più grandi. In quest’oggi, trascorsi cinquanta giorni dacché Gesù Cristo risorse glorioso e trionfante, e dieci dacché ascese al cielo, adempì la promessa, che ripetutamente aveva fatto agli Apostoli, mandando sopra di essi lo Spirito Santo, che scolpì nei loro cuori la legge della nuova alleanza, la legge della bontà e dell’amore. Ecco il grande avvenimento compiutosi questo giorno; ecco la grand’opera, che lo Spirito Santo discese dal Cielo a compiere. Il quale avvenimento e la qual opera fu pure indicata dallo stesso Redentore in queste parole del santo Vangelo di questa solennità: Il Paracleto noi, lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel nome mio, Egli insegnerà a voi ogni cosa, e vi ricorderà tutto quello, che ho detto a voi. E noi, per nostro ammaestramento e per nostra consolazione, richiamiamo alla nostra memoria quest’avvenimento così grande e quest’opera così meravigliosa un po’ più ne’ suoi particolari.

I. Ci raccontano gli Atti degli Apostoli, come stando per finire il dì cinquantesimo della Risurrezione di Cristo, essi erano ancora tutti insieme raccolti nello stesso luogo, pregando. Quando circa le nove del mattino si udì ad un tratto un rumore come di un vento impetuoso, che riempì tutta la casa, dove abitavano. Nel tempo stesso apparvero alcune fiammelle a guisa di lingue di fuoco, le quali visibilmente andarono a posarsi sopra il capo di ciascuno di coloro, che si trovavano in quel santo luogo. Così pertanto discese meravigliosamente sopra di essi lo Spirito del Signore, e così rimasero pieni de’ suoi doni, per tal modo che cominciarono a parlare molti linguaggi prima loro sconosciuti, e di cui tosto si valsero a pubblicare le grandi cose, che si erano in essi operate, e a far conoscere il Vangelo. Difatti gli Apostoli cangiati in tutt’altri uomini da quei di prima, non più vili e paurosi come al tempo della Passione di Gesù Cristo, ma forti e coraggiosi, non potendo più rimanere nel Cenacolo, n’escono fuori e si spargono per Gerusalemme. La città è piena di stranieri venuti per la grande festa della Pentecoste. Oh quanta varietà di vestii E quanti diversi linguaggi, parlati da uomini che appartengono a tante differenti nazioni! Ecco dei Parti, dei Medi, degli Elamiti, degli uomini delia Cappadocia, del Ponto e dell’Asia, della Panfilia, della Frigia e dell’Egitto; ecco dei Romani, dei Cretesi e degli Arabi. Tutti questi forestieri erano stati attirati in numero così straordinario dalla divina Provvidenza, la quale in quel giorno per mezzo degli Apostoli e sopra tutto per mezzo di S. Pietro, capo dei medesimi, doveva convertirne una gran parte alla fede di Gesù Cristo. Ed in vero tutta quella moltitudine s’incontra negli Apostoliche predicano la Religione di Gesù Crocefisso; e ciascuno li intende ripetere le meraviglie del Signore nel linguaggio del suo paese. Dovunque lo stupore, dovunque l’ammirazione, dovunque questo grido di sorpresa: Che significa ciò che vediamo, ciò che udiamo? Alcuni dicevano in tono di sarcasmo: Costoro sono ubriachi. Ma si fece innanzi Pietro alla testa dei suoi compagni, ed ascoltate il santo ardimento della sua risposta a coloro, che calunniano lui e i generosi suoi compagni: « Uomini della Giudea, e voi tutti che abitate Gerusalemme, apprendete questo, e porgete orecchio alle mie parole, perciocché questi uomini non sono ubriachi come voi pensate, giacché non è ancor la terza ora del giorno Uomini d’Israele, udite queste parole: Gesù di Nazaret, uomo di Dio, famoso per le meraviglie, pei prodigi e pei miracoli, che Dio ha fatti per Lui in mezzo di voi, come sapete, è stato per consiglio e prescienza di Dio dato in vostra balia, ed immolandolo per man dei malvagi, voi l’avete messo a morte. Ma Dio lo ha resuscitato, liberandolo dall’orror del sepolcro, siccome era impossibile che vi fosse rattenuto… Davide ha palato di questa risurrezione del Cristo, ed ha detto che la sua anima non sarebbe stata nella tomba, né la sua carne avrebbe vista la corruzione. Ora Iddio ha resuscitato Gesù, e noi ne siamo tutti testimoni. Dopo adunque ch’Egli è stato innalzato per mano di Dio, ed ha ricevuto dal Padre suo la promessa dello Spirito Santo, Egli ha diffuso questo Spirito, che adesso vedete ed udite… » Ecco alcune delle parole che S. Pietro fe’ coraggiosamente risuonare al cospetto di Gerusalemme. Ed a quelle parole, accompagnate dalla grazia del Signore, si convertirono a Gesù Cristo ben tre mila persone. Ma ciò non è tutto. Sul far della sera S. Pietro recavasi con S. Giovanni a far orazione al tempio. Giunto alla porta incontrava un povero zoppo dalla nascita, il quale non potendo valersi delle proprie gambe, facevasi ogni giorno portare colà per chiedere la elemosina a quelli, che entravano. S. Pietro, mosso a compassione per lui, e rimiratolo gli disse: Io non ho né oro, né  argento, ma ti do quel che ho. Nel nome di Gesù levati e cammina. E lo zoppo si alzò. Sentì le sue gambe guarite, e pieno di gioia si mise a camminare. In breve si divulgava il miracolo e un gran numero di gente si raccoglieva nei pressi del tempio per vedere quell’uomo guarito. Allora S. Pietro, valendosi dell’opportunità, faceva la seconda predica e con tanta efficacia, che credettero in Gesù altre cinque mila persone, senza contare le donne ed i fanciulli. E così la Chiesa di di Gesù Cristo nel giorno stesso della Pentecoste contava già nel suo seno oltre ad ottomila fedeli. Ed ecco ciò che in quel gran giorno avvenne esteriormente nel cenacolo ed in Gerusalemme. Tutto ciò è senza dubbio assai meraviglioso, ma più meravigliosi ancora sono gli effetti, che lo Spirito Santo produsse dentro il cuore degli Apostoli.

2. Gesù Cristo l’aveva detto: Lo Spirito Santo venendo a voi vi insegnerà ogni cosa cosa. E così fu perl’appunto. Gli Apostoli erano uomini del popolo,poveri pescatori, che il Salvatore aveva raccoltisulle sponde di un lago, epperò profondamenteignoranti. Dirigere la loro barca e gettar le lororeti ecco tutta la loro scienza. È bensì vero che il Salvatore ha cercato di formarli per tre annialla divina sua scuola; è vero che hanno udito i mirabili suoi insegnamenti, la sua sublime morale, le sue commoventi parabole; è vero che disse loro: « Molti re e molti profeti hanno bramato di vedere quello che voi vedete, e di udire quello, che voi udite, e non l’hanno potuto ». È vero tutto questo, ma è vero altresì che se essi udirono tante cose dal divin Maestro, non ne intesero che pochissimo. Gesù aveva pur loro annunziata la sua Passione ed essi la ritenevano uno scandalo. Gesù aveva loro predetta la Risurrezione,ed essi, anche allora che era avvenuta, non la volevano credere, sicché ritenendo deluse ed annientate le loro speranze erano ritornati al loro mestiere del pescare. Ecco chi erano gli uomini, che Gesù Cristo aveva scelti per illuminare il mondo, e predicare alle genti la sua sublime dottrina: poveri pescatori immersi nella più profonda ignoranza! Cioè tali essi furono prima della venuta dello Spirito Santo. Ma dopo quella venuta, oh meraviglia! Lo Spirito di verità ha loro insegnato ogni cosa. Adesso comprendono tutto, adesso niente sfugge alla loro intelligenza; conoscono ogni verità, capiscono tutto ciò che il loro divin Maestro ha cercato d’insegnar loro, e sentono il bisogno di diffondere tale verità, e di farla spiccare al di fuori, di comunicarla ad altre intelligenze, di farla conoscere fino all’estremità dell’universo, veramente come quando il sole di primavera spande sulla terra il dolce calore de’ suoi raggi e il succo non può restare nascosto nelle radici e nel tronco dell’albero ed ha bisogno di salire, di uscire, di spargersi, di cangiarsi in verdeggianti foglie, in fiori profumati, in frutti saporosi. Ma per comunicare siffatta fede ai vari popoli dell’universo, per diffondere la luce del Vangelo in seno alle nazioni idolatre, era d’uopo intendere il linguaggio di quelle nazioni e di quei popoli; era mestieri parlarlo eglino stessi per esser compresi, e gli Apostoli sanno appena parlare la lingua del loro paese natio. È vero, ma sopra di essi è venuto lo Spirito Santo, ed a Lui, che è Dio, niente è impossibile. Quando gli uomini, abbandonandosi ad un pensiero di superbia, eressero la Torre di Babele. Iddio di repente confuse il loro linguaggio, e divenne inevitabile la dispersione di quei poveri orgogliosi. Oggi Iddio vuol riunire tutti quei popoli, formarne una sola e grande famiglia, di cui si riserba essere il Padre,

e per quest’opera Egli ha scelto dodici uomini rozzi e senza titoli. Ebbene, se li trasforma nella loro intelligenza, non solo fornisce loro il lume per conoscere la verità, ma dà ad essi altresì tutto quanto è lor necessario per predicarla e per diffonderla. Quelle lingue di fuoco che si mostrarono visibili nel Cenacolo, non erano che un emblema ed un simbolo del dono delle lingue, che gli Apostoli avrebbero ricevuto. E da quel momento potevano esser intesi da tutti i popoli del mondo, ed intenderli essi stessi. Ciò è quanto avviene il dì della Pentecoste, ed è ciò che fa stupire, che rapisce tutti quegli stranieri venuti a Gerusalemme. « Non sono forse, dicevano, tutti Galilei, costoro che parlano? Come dunque li udiamo noi parlare ciascuno nella lingua del loro paese! »

3. Ma la intelligenza di tutta la dottrina di Gesù Cristo e il dono delle lingue non sarebbe bastato agli Apostoli, se lo Spirito Santo non avesse comunicato loro eziandio il coraggio di una franca predicazione anche in vista delle più atroci persecuzioni. E lo Spirito Santo recò loro dall’alto anche questo dono della fortezza. Dapprima allora che cresceva l’audacia dei nemici del Salvatore, cresceva la paura nell’animo degli Apostoli. Tutti lo abbandonarono nell’ora della sua Passione, e S. Pietro lo rinnegò vilmente tre volte davanti ad una misera fantesca. Ma ora invece? ripieni di Spirito Santo escono coraggiosamente dal Cenacolo e senza timore alcuno si accingono alla loro grande missione, rimproverando persino con una santa audacia agli abitanti di Gerusalemme il gran delitto da essi compiuto nella morte di Gesù Cristo. E questo grande coraggio degli Apostoli non verrà più meno giammai. Stanno essi per separarsi fra breve, sono per dividersi l’universo conosciuto ed andarsene alla conquista del mondo. Che vanno ad incontrare? Ostacoli incredibili. Vi è il paganesimo sopra fondamenti che sembrano incrollabili; esso domina da quaranta secoli, e regna da vincitore. Un popolo solo ha potuto sfuggirgli, ed anco per intervalli cotesto paganesimo ha potuto alzare infami altari a lato agli altari del Dio vivente. Si presentano dodici uomini per rovesciare il colosso. Per armi non hanno che una croce di legno, un Vangelo che predica rinunzia, mortificazione, virtù eroiche… Ed il paganesimo ha contro di essi delle armate di carnefici, delle legioni di persecutori. O Apostoli di Gesù Cristo, che andate a fare di fronte a così spaventevole avversario? Voi certamente darete addietro nel compito che vi è imposto! No, o miei cari, essi non daranno addietro. Lo Spirito Santo li ha trasformati, e più non temono le prove più crudeli; vengono tratti in prigione, ed essi convertono i loro carcerieri; sono battuti con verghe, e sono pieni di gioia d’essere stati trovati degni di subire quegli oltraggi pel nome di Gesù. Vengono caricati di catene, ed essi le baciano con amore; sono per essi più soavi che le ghirlande di rose, più preziose che le perle brillanti sul diadema dei re. Si vuol loro imporre silenzio, ma essi rispondono: No, non possiamo tacere, perché il nostro Maestro ci ha detto di predicare la verità persino sui tetti. — Ma noi vi tormenteremo, vi faremo morire fra orribili tormenti. — Sia pure, e l’anima nostra volerà libera dagli inciampi verso il cielo. — E persistendo nella loro fede e nella loro missione finiscono tutti per dar la loro vita per Gesù Cristo. Ecco, o miei cari, la grand’opera compiuta dallo Spirito Santo nel cuor degli Apostoli in questo dì solenne della Pentecoste. Or bene, o carissimi, mentre pieni di meraviglia andiamo considerando un’opera così prodigiosa, preghiamo pure lo Spirito Santo che si degni di compierla in noi. Anche noi, come un giorno gli Apostoli, siamo ora tanto ignoranti e tanto deboli, così poco conosciamo i nostri doveri cristiani e così poca forza ci sentiamo di praticarli. O sì! Che lo Spirito Santo illumini le nostre menti: O lux beatissima, reple cordis intima tuorum fidelium; che lo Spirito Santo ci fortifichi contro le tentazioni di satana, contro le lusinghe del mondo, contro le nostre malvagie passioni, sicché possiamo acquistare il merito della virtù, l’esito dell’eterna salute ed il gaudio perenne del cielo: Da virtutis meritum, da salutis exitum, da perenne gaudium. Amen.  

Credo

Offertorium

Orémus – Ps LXVII: 29-30

Confírma hoc, Deus, quod operátus es in nobis: a templo tuo, quod est in Jerúsalem, tibi ófferent reges múnera, allelúja. [Conferma, o Dio, quanto hai operato in noi: i re Ti offriranno doni per il tuo tempio che è in Gerusalemme, allelúia].

Secreta

Múnera, quæsumus, Dómine, obláta sanctífica: et corda nostra Sancti Spíritus illustratióne emúnda. [Santifica, Te ne preghiamo, o Signore, i doni che Ti vengono offerti, e monda i nostri cuori con la luce dello Spirito Santo].

Communio

Acts II: 2; 4

Factus est repénte de coelo sonus, tamquam adveniéntis spíritus veheméntis, ubi erant sedéntes, allelúja: et repléti sunt omnes Spíritu Sancto, loquéntes magnália Dei, allelúja, allelúja. [Improvvisamente, nel luogo ove si trovavano, venne dal cielo un suono come di un vento impetuoso, allelúia: e furono ripieni di Spirito Santo, e decantavano le meraviglie del Signore, alleluja, alleluja.]

Postcommunio

Orémus.

Sancti Spíritus, Dómine, corda nostra mundet infúsio: et sui roris íntima aspersióne fecúndet. [Fa, o Signore, che l’infusione dello Spirito Santo purifichi i nostri cuori, e li fecondi con l’intima aspersione della sua grazia] .

LO SCUDO DELLA FEDE (63)

LO SCUDO DELLA FEDE (63)

[S. Franco: ERRORI DEL PROTESTANTISMO, Tip. Delle Murate, FIRENZE, 1858]S

CAPITOLO XV.

IL PROTESTASTlSMO È FALSO PERCHÉ NON HA TRADIZIONE

Il Protestantismo è una religione falsa perché ha disconosciute e rigettate molte delle istituzioni che Gesù Cristo stabilì e volle che si conservassero poi sempre nella Chiesa. Tuttavia per darsi un po’ di colore e per ingannare più sicuramente, i Protestanti fingono di avere un gran rispetto alla parola di Dio, la lodano, l’esaltano, la magnificano, gridano sempre: parola di Dio, parola di Dio! Volesse il cielo che lo dicessero con sincerità, perché sarebbe almeno un poco di bene in mezzo al tanto lor male! Il vero è però che quel rispetto non è altro che apparente, poiché della parola di Dio ne hanno fatto e ne fanno con le loro interpretazioni un tale strazio che mette orrore. Alla parola di Dio fanno esprimere le più assurde contradizioni, le più empie bestemmie; la parola di Dio mutilata nella Bibbia la gettano a tutti i popoli anche selvaggi, anche gentili, sul pretesto di far conoscere la verità; e quelli ne adoprano poi le carte che la contengono a tutti gli usi anche più schifosi. Questo è quello che hanno ottenuto più frequentemente con le loro bibliche società. Ma il torto più grande che fanno alla parola di Dio, è con l’asconderne una gran parte ai fedeli. Come! 1 Protestanti ascondono la parola di Dio? Ci avevano detto tutto il contrario, che erano i Cattolici che la nascondevano, e adesso voi ci dite che sono invece i Protestanti? Eppure è proprio così. I Protestanti fanno come certi debitori falliti, che si fingono creditori, per non essere obbligati a pagare quello che debbono. Eccovi il come. Avete da sapere che la parola di Dio noi l’abbiamo per bocca dei Santi Apostoli e degli Evangelisti, i quali ce l’hanno tramandata, avendola essi avuta dalla bocca stessa di Gesù, od avendola ricevuta da quelli che avevano udito Lui; e siccome tanto gli Apostoli che gli Evangelisti erano assistiti specialmente dallo Spirito Santo per non errare, conforme alla promessa fatta loro da Gesù, così ebbero grazia di trasmetterla pura ed intatta senza mescolanza di errore. In due maniere però ce la tramandarono. Una col mettere per iscritto una parte delle cose intese da Gesù, e così è che noi abbiamo i Libri del nuovo Testamento, e perciò giustamente diciamo che quei libri contengono la Divina parola e noi portiamo ad essi una infinita riverenza. L’altra maniera con cui ci tramandarono questa divina parola, si è la predicazione che essi fecero di viva voce. Imperocché, com’erano assistiti dallo Spirito Santo quando scrivevano, così erano assistiti dal medesimo Spirito quando predicavano la S. Fede e fondavano le Chiese. Ed in questo secondo modo principalmente ci fecero conoscere la parola di Gesù, perché questo è stato il modo primamente inteso e voluto da Gesù, il quale mandò suoi Apostoli ad insegnare di viva voce la sua Fede e piantarla, prima che nei libri, nei cuori degli uomini. La parola di Dio insegnata così di viva voce fu accolta dai popoli, dai sacri pastori che gli Apostoli preponevano alle Chiese da loro fondate, e custodita con ogni diligenza nelle abitudini della S. Chiesa, negli scritti dei Padri, nei decreti dei Concili, nelle orazioni pubbliche, e fu tramandata infino a noi, ed è quella parola di Dio che noi chiamiamo tradizione, perché ci fu tradita ossia consegnata dai nostri maggiori nella Fede. Che però questa tradizione sia necessaria alla S. Chiesa Cattolica è a\ indubitabile, per l’autorità della stessa S. Scrittura. Non è la S. Scrittura che ne dice con S. Paolo: Pertanto, o fratelli, guardate le tradizioni che avete ricevute sia per discorso, sia per lettera? (2 Tess. II, 144) Sulle quali parole scrive S. Girolamo che dunque è manifesto che gli Apostoli non insegnarono ogni cosa per iscritto, ma molte ancora senza scritto. Non è S. Giovanni che afferma che: Avendo molte cose da scrivervi, noi volli fare per carta ed inchiostro (2 Joan.III, 12), sebbene di viva voce e così lasciarne la tradizione? Non è S. Paolo che dice al suo Timoteo: Tu hai la forma delle parole sane che hai udite da me, conservane il deposito buono? (1 Tim. I, 14) e più sotto: Le cose che hai udite da me, per molti testimoni, raccomandale ad uomini fedeli che saranno idonei ad ammaestrarne anche gli altri (ibid.) ? Puossi dir nulla di più chiaro per autenticar le tradizioni? Eccone tutto il processo. L’Apostolo parla, i testimoni ne autenticano le parole, S. Timoteo le commette ad altri e questi ad altri via via con una specie di fidecommesso sacrosanto e così la Tradizione si mantiene in tutta la Chiesa. Non è tutto ciò semplice e chiaro? Inoltre se nella tradizione non si contenesse la vera parola di Dio, bisognerebbe condannare come senza fede quasi tutte le Chiese più antiche, anche quelle fondate dai Santi Apostoli; imperocché tutte furono edificate dalla parola annunziata di viva voce e non iscritta, mentre certe parti del nuovo Testamento non furono scritte che sessanta anni dopo la morte di Gesù, e tutte non furono raccolte insieme e fatte comuni alla Chiesa se non dopo oltre quattrocento anni. Se dunque non vogliamo dire che molte Chiese piene di fervore, le quali avevano già trasmesse al cielo delle belle legioni di Martiri, non avessero avuto la Fede, perché non avevano la parola scritta, ma solo quella che si contiene nella tradizione; bisogna dire che anche questa sia viva e vera parola di Dio. – Finalmente volete più? Che la tradizione contenga la vera parola di Dio, noi l’abbiamo per testimonianza degli stessi Protestanti, i quali contradicendo a sé medesimi, come è proprio di tutti gli eretici, mentre si ostinano da una parte a negarla, dall’altra la ricevono. Essi mettono tutto il fondamento della loro fede nelle S. Scritture, ed affermano che quella sola è la parola vera di Dio. Ebbene, bisognerà adunque che sappiano con gran sicurezza quali siano i libri che compongono la vera Santa Scrittura, che siano certi che non sono stati guastati, poiché essendo stati composti in tempi tanto lontani da noi e confusi in mezzo a tanti altri libri, che pure si spacciano per S. Scrittura, se non si accerti quali siano i veritieri, i Protestanti mancheranno di quelle Scritture sopra cui si fondano interamente. Ora come si assicurano essi di tutto ciò? Unicamente col ricorrere alla tradizione che si conserva nella Chiesa Cattolica. Epperò se vogliono avere il tesoro delle Scritture debbono anche ammettere là verità della Tradizione. Qui dunque dove fa loro comodo l’ammettono, e poi perché ammettendola universalmente si troverebbero confusi e convinti di errore in tante loro pretensioni, allora la rigettano. Operano cioè del tutto a capriccio, mentre non si regolano con la norma della verità, ma con quello che torna meglio ai loro preconcetti disegni. –  Intanto però rinunziando come fanno a tante belle tradizioni che ci rivelano la verità anzi non rinunziandovi solo, ma condannandole, ci vengono a togliere gran parte della divina parola. Tutto quello cioè che non fu scritto nei Vangeli, ma che pure gli Apostoli tramandarono come udito di viva voce da Gesù Cristo: tutto quello che Dio inspirò a loro che c’insegnassero, e che essi misero subito in atto nel fondare la Chiesa, e nell’ammaestrare i Vescovi ed i Sacerdoti che costituivano dappertutto a reggere la greggia dei semplici fedeli, tutto ciò ce lo rapiscono, e così privano il popolo Cristiano di molte verità sublimi, di molte pratiche necessarie; in una parola ci tolgono gran parte della divina parola, mentre sempre gridano parola di Dio, parola di Dio. Non sono dunque essi che hanno tutta la parola di Dio, perché ne trascurano sì gran parte, e però non sono essi che costituiscono la vera Chiesa di Gesù Cristo, la quale se ha un rispetto infinito per quella parte della divina parola che si contiene nei libri Santi, non ha minor riverenza per quella che confidata di viva voce dai Santi Apostoli alle Chiese da loro fondate, vien custodita nel vivo insegnamento dei Sacri Pastori, cui Dio ha posti a reggere la sua Chiesa. Di qua avete da trarre un’altra conseguenza molto importante, ed è la risposta che dovete dare a certi maestri d’iniquità, quando vi fanno delle domande insidiose intorno ad alcuni punti della dottrina cattolica. Dove sta scritto, vi chiedono, nel S. Vangelo che si debba per esempio digiunare? dove sta scritto che dobbiamo sentire la S. Messa? dove sta scritto che andiamo in Chiesa, che riceviamo i Sacramenti, che ci esercitiamo in tante opere di pietà? E voi dovete rispondere: che tutto ciò sta scritto abbastanza chiaro nel nuovo Testamento per chi ha occhi da leggerlo; ma dove anche non fosse scritto non importerebbe nulla, perché è parola di Dio consegnata dai SS. Apostoli alla Chiesa, e dalla Chiesa insegnata a noi. E la parola di Dio che ci viene per questa via è tanto infallibile quanto è infallibile quella che è registrata nel nuovo Testamento. Epperò se è sacrilego chi rifiuta o disprezza le S. Scritture, è parimente sacrilego chi rifiuta o disprezza la Tradizione. Ma dicono i Protestanti che la S. Scrittura condanna le Tradizioni. E voi rispondete loro che mentono per la gola. Tutto all’opposto le S. Scritture le raccomandano e le inculcano grandemente. S. Paolo vuole che si custodiscano diligentemente le tradizioni e che niuno ammetta altra dottrina fuori di quella che egli ha insegnato di viva voce, e che certi insegnamenti non li vuol dare per iscritto, ma solo con la parola viva. Che se una volta Gesù Cristo riprese i Farisei, perché trasgredivano la legge per osservare le loro tradizioni (Matt. XV, 3 e segg.): Gesù non parlava né punto né poco delle tradizioni Apostoliche, di cui stiamo ora trattando; parlava di certe consuetudini introdotte dal popolo superstiziosamente, contro l’autorità divina. Oh bella perché si riprende un abuso introdotto dal popolo, si dovranno abolire tutte le leggi che sono state fatte pel popolo? Gesù Cristo vieta certe usanze dei Giudei, per osservare le quali essi violavano la legge divina: dunque conchiudono i dottori Protestanti, dunque non si hanno più ad accettare gl’insegnamenti santissimi degli Apostoli che sono adatto conformi ai precetti divini? Ma non è questo un discorso da pazzi? Eppure è così. Noi non riconosciamo per tradizione Apostolica, se non quelle tradizioni che sono provate tali con tutto rigore dai Padri, dai Dottori e dai monumenti di S. Chiesa. Noi non le accettiamo dal popolo ma bensì dai sacri Pastori. Noi non le accettiamo dove esse siano in opposizione alla parola divina che sta registrata nelle Sante Scritture, perché la parola divina non può esser contraria alla divina parola. Noi finalmente, non le ammettiamo se non sull’autorità della S. Chiesa che non può fallire intorno al deposito della verità che ha ricevuto da Gesù Cristo. E perciò riescono autenticate anche dalla divina Scrittura che ci obbliga a sottoporci alla Chiesa in tutte le nostre dubbietà. Lo schermirsi adunque dal ricevere la tradizione divina sul pretesto che Gesù Cristo ha vietato certe costumanze ed usi del popolo Giudaico male introdotti e peggio mantenuti, è un ignorare quel che sia la Tradizione, è un fraintendere quel che ha detto Gesù, è un cercar pretesti per ricoprire la propria disobbedienza e ribellione. Resti dunque, che i Protestanti non avendo la Tradizione, non hanno tutta la parola divina, e non avendo tutta la parola divina né sono, né possono essere la vera Chiesa di Gesù Cristo.

IL SACRO CUORE DI GESÙ (17): Il Sacro Cuore di GESÙ e l’operaio

[A. Carmagnola: IL SACRO CUORE DI GESÙ – S. E. I. Torino, 1920]

DISCORSO XVII

Il Sacro Cuore di Gesù e l’operaio.

“Voi altri preti, siete i nostri capitali nemici. Lo abbiamo ormai conosciuto: è con voi soli, che dovremo fra non molto disputarci il terreno. Ma intanto, voi che combattete con tanta asprezza le nostre idee, è egli vero, che nelle vostre abbiate trovato e teniate in pronto il rimedio ai mali dell’ora presente? Se l’avete trovato e lo tenete pronto, perché non lo applicate tosto? Perché non ponete fine a questa disuguaglianza immensa, che regna nel mondo? E non vedete? Da una parte dei nobili, dei padroni, dei capitalisti, dei ricchi sfondati che vengono meno di noia nella sazievole abbondanza di tutte le cose. Essi palazzi, ville, campagne, denari; essi ogni giorno banchettare allegramente coi loro amici ad una mensa imbandita dei cibi e dei vini più squisiti; essi vestire sfarzosamente e passeggiare, anzi adagiati mollemente nei più superbi cocchi farsi condurre in giro, quasi in trionfo, per le vie delle nostre città. E dall’altra parte il misero popolo, i proletari, poveri operai, poveri contadini, poveri manovali, che sono costretti a guadagnare a sé ed alla famiglia un tozzo di pane nelle dure fatiche e versando continui sudori; e che talvolta, peggio ancora, cacciati dal lavoro e divenuti inabili al medesimo sono obbligati, vincendo la vergogna ingenerata dall’umana dignità a stendere la mano al passeggero per chiedergli la elemosina. Or bene! Che cosa fate voi, o preti, per far scomparire questa enorme disuguaglianza? Che cosa fate contro il ricco capitalista a vantaggio del povero proletario? Che cosa fate? Accarezzate il ricco, perché vi giova e mandate in pace il povero, perché non vi dà nulla. Ecco quello che fate! E vi vantate poi d’avere nelle vostre idee il rimedio di tutti i mali ? » – Miei cari! Questo, voi lo avete già compreso, è il linguaggio del Socialismo, che attizzando nel povero popolo l’odio contro dei padroni e dei ricchi pretenderebbe senz’altro con la trasformazione della proprietà personale in collettiva, e con l’uguale distribuzione degli utili e degli agi tra gli uomini, mutare le sorti del mondo. Ma questo linguaggio lanciato contro i Preti e che ho lealmente riferito in tutta la sua crudezza, non è i Preti propriamente che vada a ferire: giacché se i Preti, come Preti hanno idee, queste non sono loro, ma di Gesù Cristo e del suo Vangelo, di cui sono i rappresentanti ed i predicatori su questa terra. Io dico i Preti, come Preti; perché anche i Preti come individui privati possono avere delle idee contrarie a Gesù Cristo ed al Vangelo, e persino idee socialistiche; ma i Preti come Preti no, perché i Preti sono ministri di Gesù Cristo, di quel Gesù Cristo, che è Dio e mai non muta le sue idee. E dunque contro di Gesù Cristo, che si dice: “Che ha fatto Egli per far scomparire le disuguaglianze sociali? Che ha fatto Egli a prò dei poveri proletari, a vantaggio del misero popolo?” – Che ha fatto? Si getti lo sguardo sopra il suo Cuore Sacratissimo. Quelle fiamme così ardenti, che lo circondano e ne erompono fuori, sono il simbolo de’ suoi particolari amori. E tra questi amori particolari, primeggia senza dubbio quello che ebbe per gli uomini del popolo, per gli operai e per i poveri. E per virtù di questo amore, con l’esempio e con la dottrina fece quanto conveniva per nobilitare l’operaio e il povero, per renderli contenti nel loro stato, per far scomparire la distanza che passa fra essi ed i ricchi. Ed ecco l’argomento che prenderemo a svolgere oggi e domani, cominciando in questo discorso a parlare peculiarmente della prova d’amore, che Gesù Cristo ha dato all’operaio.

I . — Prima di vedere quali fiamme di carità il Cuore Sacratissimo di Gesù abbia avuto in sé per gli uomini del popolo, e che cosa abbia fatto per far scomparire nel modo convenevole le disuguaglianze sociali, è necessario premettere due cose. Ed anzitutto è da osservare, che il lavoro, che la maggior parte degli uomini riguarda come gravosissimo peso, da cui vorrebbero essere liberati, è una legge che ha il suo principio da Dio medesimo, e che cominciò ad avere forza fin dal primo esistere dell’uomo. Perciocché Dio stesso, dalla Chiesa chiamato ne’ suoi inni: Patrator orbis, fabricator mundi, fattore e fabbricatore del mondo, allorquando si accinse a crearlo prese appunto a lavorare. Non già che la creazione del mondo abbia costato a Dio alcuna fatica, no: Egli disse un semplice fiat, e tutte le cose, l’una dopo l’altra, con l’ordine da Lui voluto, furono fatte. Ma il fiat che egli pronunziò fu propriamente il lavoro della pura intelligenza, che Egli è; e perché l’uomo avesse poi sempre dinnanzi a sé l’esempio divino del lavoro e persino la regola del tempo, che nel lavoro doveva impiegare, potendo con un fiat solo creare subito tutte le cose, che esistono, volle invece pronunciarlo ripetutamente per sei epoche distinte, dalla Sacra Scrittura chiamate giorni. Per tal guisa, avendo Iddio posta la base della legge del lavoro, la mise subito in vigore, appena ebbe creato l’uomo, ponendolo nel paradiso terrestre, ut operaretur, (Gen. II, 15) affinché lavorasse. Perciocché quantunque tutte le cose create da Dio fossero « molto buone, » tuttavia egli le aveva create in modo da lasciare in esse vasto campo all’operosità dell’uomo. Tutto il creato racchiudeva in sé delle forze, delle potenze, delle ricchezze immense e latenti, di cui toccava all’uomo, fatto sovrano della terra, impadronirsi e cavarne fuori delle opere che fossero financo nipoti con quelle di Dio. E cioè, toccava all’uomo valersi del legno delle piante, dei metalli della terra, dei marmi delle montagne, della pelle degli animali, della lana delle pecore, delle piume degli uccelli, dei colori dei minerali, delle sostanze dei vegetali, della luce dei gas, delle forze elettriche, di quelle magnetiche, di tutto ciò insomma che era in potenza, per formare le case, i mobili, gli abiti, gli ornamenti, i quadri, le statue, le macchine, la luce, il movimento e quante altre cose col suo genio avrebbe potuto inventare e compiere colle sue mani. Senza dubbio nello stato di grazia, il lavoro non tornava all’uomo di fatica. Era il lavoro di un uomo ricco e felice, che per gusto, e direi per passatempo, compone e adorna le aiuole del suo giardino, oppure si compiace di costruire un artificioso meccanismo, o si diletta di ritrarre sulla tela i più bei paesaggi. Ma tuttavia il lavoro era una legge, a cui l’uomo nella sua natura doveva sottostare; ed è perciò appunto, che in generale, non nutriamo pel lavoro una ripugnanza insuperabile come pel dolore e per la morte, ma anzi lo amiamo e persino quando ci impone dei veri sacrifici. Ma questa legge di natura, che sebbene legge non imponeva tuttavia che un lavoro dolce e piacevole, divenne poi una dura necessità dopo il peccato. Poiché allora il Signore, giustamente adirato, dopo di aver maledetto il serpente, dopo aver inflitta ad Eva massimamente la pena del dolore, voltosi all’uomo, inflisse a lui in particolare la gravezza del lavoro: « Maledetta la terra per quello che tu hai fatto, disse: tu, o uomo, la lavorerai con grandi fatiche, ed essa non ti produrrà che triboli e spino, e tu non ti ciberai, che di un pane guadagnato col sudor della fronte. » (Gen. III , 17-19) Ecco la causa del lavoro duro e penoso qual è presentemente, il peccato. Ma, notiamolo almeno di passaggio, anche in questo lavoro, che è un castigo della divina giustizia, ecco risplendere la divina bontà. Perciocché questa terra che abbandonata a se stessa non produce davvero che triboli e spine, come diventa bella, come si fa fiorita e frugifera quando dall’uomo è coltivata. E lavorando seriamente in qualsiasi genere di lavoro, mentre l’uomo si procaccia il necessario sostentamento, come giova altresì al suo spirito e al cuore! Il Savio ha detto che l’oziosità è maestra di molta malizia: ma per converso il lavoro aiuta efficacemente ad essere virtuosi. Sì, l’onestà e la castità sono ordinariamente la grandezza degli uomini e dei popoli laboriosi. Così pertanto Iddio condannandoci al lavoro, ci ha dato in esso non solo un mezzo di espiazione, ma altresì un mezzo di santificazione. Ma, tornando al nostro proposito, se il lavoro è una legge ed una pena giustamente meritata, tutti dobbiamo sottostarvi, ed il volerne andare esenti sarebbe lo stesso che un volersi ribellare a Dio. Ma qui intendiamo bene la cosa. Lavorare non vuol dire soltanto battere il ferro e rompere le zolle; se vi ha il lavoro che affatica e logora il corpo, non manca quello che affatica e logora la mente. È lavoro pertanto quello dell’operaio, che nell’officina esercita il suo mestiere, lavoro quello del contadino, che innaffia la terra de’ suoi sudori, lavoro è quello dell’artista, che trae fuori dal marmo o getta sulla tela le produzioni della mente; ma è lavoro altresì quello dello scienziato, che ricerca con sempre maggior profondità le utili cognizioni, quello del letterato, che scrive libri per erudire le menti e render buoni i cuori, quello dei capi della città e delle nazioni, che amministrano con intelligenza ed onestà le cose pubbliche, e vigilano con saviezza all’ordine ed al bene dei cittadini, quello del soldato, che serve la patria, quello del sacerdote, che intende alla santificazione delle anime, quello dell’avvocato, del medico, dell’ingegnere, del maestro e simili, perché ciascuno di questi lavori entra nella serie di quelli, che Dio volle comprendere nella gran legge del lavoro. Epperò si ingannano certamente l’operaio e il contadino, quando si credono di essere essi soli a lavorare, e molte volte s’ingannano altresì nel credere che il loro lavoro, più faticoso pel corpo sia il più grave di tutti. Riconosciuta questa legge e necessità del lavoro bisogna riconoscere altresì la necessità delle differenti condizioni sociali. Ed in vero, poiché Iddio secondo i disegni della sua sapienza infinita crea gli uomini con una grande varietà di forze fisiche e intellettuali, con sanità e robustezza diverse, con diverso ingegno e diversa solerzia, perciò solo nasce inevitabilmente e di necessità la differenza delle condizioni sociali. « E ciò torna a vantaggio sì degli individui, che di tutta la società; perché la vita sociale abbisogna di attitudini varie e di uffici diversi, e l’impulso principale, che muove gli uomini ad esercitare tali uffici, è la disparità della condizione. » (V. Enc. Rerum novarum SS. Leonis XIII). Supponete, per un istante, che tutti gli uomini avessero la stessa forza, lo stesso ingegno, la stessa solerzia, che sarebbe delle scienze, delle arti? dei mestieri? Gli uomini cesserebbero perciò avere dei bisogni e delle inclinazioni, alla cui completa soddisfazione è necessario il reciproco soccorso. Ma allora, dotati utti in ugual misura degli stessi beni e fisici e intellettuali, e per conseguenza eziandio dei beni materiali, chi vorrebbe ancora fare altrui gli abiti, fabbricare altrui le case, seminare e lavorare altrui i campi, impastare e cuocere altrui il pane? Nella varietà adunque delle forze, che Iddio ha distribuito e va distribuendo agli uomini, creandoli, rifulge mirabilmente la sua sapienza; e posta questa varietà bisogna ammettere altresì necessariamente le disuguaglianze sociali. Il Socialismo non ostante la varietà delle forze e fìsiche e intellettuali degli individui « vorrebbe tentare di far sparire dal mondo quelle disparità. Ma com’è ciò possibile? Si abolisca pure la proprietà, e di tutti i patrimoni particolari si formi un patrimonio comune da amministrarsi per mano del Municipio o dello Stato; » (V. Id.) la distribuzione degli utili e degli agi verrà fatta ugualmente? Ma allora dovrà essere ugualmente retribuito chi lavora più e chi lavora meno, chi lavora male e chi lavora bene, chi lavora in un’arte manuale e chi si applica al lavoro del pensiero? Chi fra gli uomini si adatterebbe a questa uguaglianza? « perciocché lo stesso operaio che si vorrebbe migliorare, non sarebbe perciò ridotto all’infelice condizione di aver perduto il diritto e la speranza di migliorarsi davvero? poi non ne nascerebbero al primo istante delle recriminazioni, delle discordie, degli asti? E tolto per tal guisa all’ingegno e all’industria individuale ogni stimolo, non inaridirebbero le fonti stesse della ricchezza. (V. Id.) » Che se la distribuzione degli utili e degli agi sarà fatta secondo il merito del lavoro, allora saranno perciò create di bel nuovo le disuguaglianze sociali, che si faranno in breve sempre maggiori, quanto maggiore sarà l’ingegno, l’attività e l’economia degli uomini, ed eccoci perciò di bel nuovo da capo con dei ricchi e dei poveri, dei capitalisti e dei proletari, dei padroni e degli operai, degli uomini elevati e del basso popolo. Si travagli pur dunque il Socialismo nella sua impresa, ne venga ben anche a capo; oltreché avrà consumate le più gravi ingiustizie manomettendo i diritti dei legittimi proprietari, alterando le competenze e gli uffici dello Stato, e scompigliando tutto l’ordine sociale, potrà riuscire a questo di invertire le parti, di fare padroni gli operai, capitalisti i proletari, ricchi i poveri, e poveri i ricchi, proletari i capitalisti, operai i padroni, ma questa sarà una sostituzione di persone e non già di principii. Non sono adunque i sistemi escogitati dalla mente umana quelli, che valgono a far camminare dirittamente il mondo, In tutto e per tutto a stabilire e far regnare l’ordine, l’armonia, la pace e la prosperità non vi ha che la parola di Dio, la dottrina del Vangelo, quella dottrina, che anche qui illumina di vera luce le menti, fa schivare le fallaci e sovversive teorie, fa accettare come un  fatto necessario la diversità delle classi e delle condizioni; quella dottrina, che a sciogliere i molteplici problemi sociali mette innanzi le regole di quella carità sovrumana, che Gesù Cristo ha dichiarato essere la nota caratteristica de’ suoi seguaci, e che sola è destinata a dare alla società un avvenire di pace, di prosperità e di fortuna.

II. — Riconosciuta la necessità del lavoro e delle disuguaglianze sociali, vediamo ora che cosa abbia fatto Gesù Cristo in pro dell’operaio, sia per animarlo al lavoro e renderglielo leggiero, sia per sollevare la sua misera condizione. Gesù Cristo anzi tutto ha dato all’operaio la proprietà del suo lavoro. Oggi un operaio, un servo, un contadino si presenta ad un padrone e gli dice: — Signore, io ho due braccia robuste; son capace di lavorare, perché ho appresa discretamente la mia arte, il mio mestiere; mi vuole al lavoro presso di lei? — Il padrone risponde: — Sì, vi prendo volentieri, perché capitate proprio in un punto che ho bisogno di operai. — E quale sarà la mia paga? soggiunge tosto l’operaio. — Venite, al lavoro: vi proverò, e quando avrò visto quel che siete capace di fare, ve lo dirò. — L’operaio fa la sua prova, terminata la quale, il padrone lo chiama e gli dice: — Operaio, ho visto quel che siete capace di fare, ho visto come lavorate. Ecco, per vostra mercede vi darei tanto. Vi piace? — Dite, o miei cari, l’operaio è libero di rispondere di sì o di no? Senza dubbio. E se risponde di no, perché non gli sembra equa la retribuzione offertagli dal padrone, egli liberamene se ne va in cerca di un altro padrone, che gli paia essere più generoso e convenirgli di più. Se risponde di sì, rimane al servizio di questo padrone, che ha trovato; darà ad esso il suo lavoro, ed il padrone darà a lui in ricambio la mercede pattuita. Cosa naturale, direte voi. Cosa naturale adesso, un tempo, prima che venisse Gesù Cristo sulla terra, benché così Dio avesse ordinato di fare nella sua legge, così tuttavia generalmente non era. Udite. Un giorno sotto al bel cielo di Napoli, alle radici del Vesuvio, si radunavano da duecento a trecento uomini. La miseria di tutta la loro persona diceva abbastanza chiaro, che erano schiavi. Se ne stavano tutti con le braccia conserte, con la testa china e muti, aspettando che un di loro sorgesse a parlare. E sorse. Salito egli sopra di un’altura, in vista di tutti, così prese a dire : « Miei cari compagni di sventura, e fino a quando porteremo noi le catene ai polsi? fino a quando non penseremo a spezzarle ed a metterci in libertà? È tempo, è tempo ornai che lo facciamo. Ed anzi tutto contiamoci. Noi siamo il numero, perché di gente come noi i nostri padroni ne hanno tanta, che la gettano eziandio nelle peschiere ad ingrassare le murene, di cui imbandiscono le loro mense. Ed i nostri padroni non sono altro che un pugno di patrizi, che ancora sopravvivono, perché sino ad ora a noi non è bastato l’animo di metter loro il ginocchio sullo stomaco e schiacciarli. Né siamo solamente il numero, ma siamo ancora l’ingegno e la forza; perché se i nostri padroni ed i figli loro sanno qualche cosa l’hanno appreso da noi: dà noi hanno appreso quelle lettere, quella filosofia, quell’eloquenza, di cui fanno sì boriosa pompa nel foro. E siamo noi che coltiviamo loro le terre, siamo noi, che loro fabbrichiamo i palazzi, noi, che facciamo la guardia alle loro case, noi che li portiamo sulle nostre spalle, noi insomma, che li serviamo vilmente in tutti i loro più stupidi capricci. Ma più che il numero, l’ingegno e la forza, noi siamo il diritto. Perciocché, che cosa è, che ha fatto sì, che essi siano i nostri padroni e noi siamo i loro schiavi? La guerra? Ebbene facciamo la guerra anche noi, e la guerra, ne son certo, deciderà adesso, che noi siamo i loro padroni ed essi siano i nostri schiavi. » Ciò detto, Spartaco distese una mano verso il cielo come per dire che gli dèi sarebbero stati propizi alla loro impresa. E quei duecento o trecento schiavi compresero, che avevano un capo. Di lì a pochi giorni essi eran più di quarantamila; e se il senato romano, accortosi ancora abbastanza a tempo del pericolo che correva la romana repubblica, non avesse spedito contro di essi Pompeo, Roma forse, come ai tempi di Annibale, sarebbe stata in procinto di far vedere da lungi le sue rovine fumanti. Ma perché, o miei cari, il grido di Spartaco : affranchiamoci? La cosa è facile a comprendersi. La libertà è cosa troppo cara all’uomo e troppo degna di lui. Ma ciò, a cui non tutti rifletteranno, si è, che il grido di Spartaco non era cagionato soltanto dal desiderio della libertà, ma eziandio da quello della ricchezza. Perché la schiavitù era la condizione pressoché generale del proletario, e la povertà era la condizione inevitabile dello schiavo, e tanto, che non solo era privo di ogni proprietà sulle ricchezze, ma privo eziandio della proprietà del suo lavoro. Il ricco diceva al povero: « Io sono ricco: ho denari in quantità, ho fondi sterminati. E perché sono ricco ed ho denari, voglio avere palagi, che mi prestino tutte le comodità e le agiatezze della vita. Perché ho fondi voglio che mi siano coltivati per modo, che mi fruttino il più abbondantemente, che sia possibile. Ma io non voglio lavorare, perché non voglio stancarmi. Tu sei povero e sei mio, perché ti ho comperato: mio in tutta la estensione e capacità del tuo essere: mio nelle tue braccia, mio nel tuo ingegno, mio nella tua abilità. Va dunque e lavora per me. Per me bagna de’ tuoi sudori la terra, e falla fruttificare. Per me costruisci i più superbi palagi. Va e fa tutto questo. Anzi vieni, portami sul tuo dosso, fa la guardia alla mia casa, solleva le cortine al mio passaggio, servimi come mi piace; ed io, finché mi piacerà, avrò cura che tu non abbia a morire di fame. » Queste parole, espresse più ancora col fatto, che con le labbra, dicono con tutta verità le cose come allora passavano. Il proletario, povero e schiavo, era riguardato come un animale domestico, che guarda la casa, e che lavora i campi, ed al quale due o tre volte al giorno si getta il pasto, perché non perisca di fame. Ora, chi ha spezzato questo infame diritto, secondo il quale si governava la società di un tempo? Chi ha rotte le catene del servo, dell’operaio, del contadino, e, affrancandolo, nella sua povertà gli ha dato tuttavia una proprietà, la proprietà del lavoro? Chi? Gesù Cristo, nessun altro che Gesù Cristo col suo Vangelo. Voi mi dispenserete certamente dall’addurvene le prove particolari, perché dovrei recarvi delle pagine intere; ma voi conoscete abbastanza, che il Vangelo, sgorgato dalla fonte del Cuore sacratissimo di Gesù, da capo a fondo, sia nei fatti, sia nelle parabole, sia negli insegnamenti è tutto nell’inculcare lo spirito di fraternità, di eguaglianza, di carità, di giustizia, di larghezza, da parte dei grandi verso i piccoli, dei ricchi verso i poveri, dei padroni verso dei servitori e degli operai, è tutto insomma nel dire ciò, che sembra aver compendiato in una frase semplice, ma ad un tempo grande e scultoria: Dignus est operarius mercede sua; (Luc., V, 7) all’operaio è dovuta la sua mercede. Frase così espressiva e così forte, che gli apostoli non dubitarono punto, nel ripeterla, di trarne la conseguenza, che il defraudare la mercede all’operaio, sia direttamente con la violenza, sia indirettamente con le frodi e con le usure, è colpa sì enorme che grida vendetta al cospetto di Dio. « Ecco, dice S. Giacomo, (V, 4) la mercede degli operai, che fu defraudata da voi, grida, e questo grido ha ferito le orecchie del Signore degli eserciti. » Egli è vero pur troppo, che anche oggidì vi hanno tra gli stessi popoli cristiani dei padroni, che pieni di cupidigia, pur caricando di pesante lavoro il povero operaio, gli negano la dovuta mercede, o con ingorda e crudele speculazione gliene vanno divorando la più gran parte, facendolo gemere per tal guisa sotto un giogo poco men che servile. Ma la ragione di questa scelleraggine non proviene d’altronde, che dalla dimenticanza, e dallo stesso disprezzo di ciò, che Gesù Cristo ha stabilito in proposito doversi fare. E se pure oggidì vi hanno in grande quantità degli operai veramente schiavi, come prima di Gesù Cristo, essi sono là, dove non è peranco entrato il Vangelo, o per la ostinazione degli uomini non ha potuto impossessarsi dei loro cuori. Che se il Vangelo potesse trionfare da per tutto, e da per tutto gli uomini si conformassero ai suoi santi dettami, egli è certo, che come in ogni altra cosa, così anche in questa il disordine scomparirebbe. Epperò apprendete, o miei cari, quanto sia nera la ingratitudine di certi uomini, che bestemmiando Gesù Cristo e accagionando persino il Cristianesimo dei mali presenti, combattono la sua morale dandosi a credere che le loro idee ed i loro sistemi debbano compiere un’opera più grande della sua! Sappiano i poveri illusi, che è gran ventura anche per essi, che la forza del Vangelo prevalga contro della loro. In quel giorno, in cui si abbassasse la croce in sull’orizzonte come un astro logoro, il proletario sarebbe schiavo di nuovo, e, quel che è più, tra i suoi figli sventurati vi sarebbero essi pure. – Ma al povero operaio la proprietà del lavoro non era ancor basta. Iddio nel creare l’uomo, lo ha fatto grande: perciocché non lo ha creato soltanto come gli altri esseri animati, ma a sua stessa immagine e somiglianza faciamus hominem ad imagineni et similitudinem nostram. (Gen. I, 26) L’uomo pertanto, chiunque egli sia, sente in fondo alla natura la sua grandezza: opperò egli non ha bisogno di pane soltanto, ma di stima e di rispetto. E così è dell’operaio. Ma pure prima che Gesù Cristo venisse al mondo, l’operaio, oltre ad essere schiavo, giaceva ancora per conseguenza della schiavitù nella più grande abbiezione. Gli stessi grandi filosofi lo riguardavano non già come uomo, ma come uno strumento qualsiasi, di cui a piacimento del padrone era lecito disfarsi. E i popoli, che si riputavano i più civili del mondo, dietro gl’insegnamenti di quei maestri, consideravano l’operaio come l’uomo più vile, anzi per poco diverso dal più vile giumento. Di fatti gettato per poche ore della notte a languire, non già a riposare, in umido od oscuro ergastolo, ne veniva tratto fuori al mattino o per essere condotto alla sferza del sole colla palla ai piedi e colle ciglia rase a battere le zolle del campo, o per essere seppellito di nuovo in fondo ad una pistrina a girarvi la mola, o per essere altrimenti rinchiuso ad esercitare gravissime fatiche, e non ricevere che scarso pane ed abbondanti scudisciate. E ciò finché fosse abile al lavoro, poiché in seguito, quando non era piaciuto al padrone di disfarsene prima, veniva miseramente abbandonato a perire di fame. Né crediate che in ciò vi sia esagerazione di sorta. Così pur troppo accade ancora presentemente dove non risplendette ancora la Croce, o presto si spense la sua benefica luce. Bisognava adunque, che l’operaio fosse sollevato dall’abbiezione, in cui giaceva, e che pigliando posto onorato nella società, potesse ancor egli, non meno degli altri uomini, drizzare con santa alterezza la fronte. È ciò, che accade da diciannove secoli, dove è conosciuto e amato Gesù Cristo, dove è apprezzata e fedelmente seguita la sua dottrina; perciocché Gesù Cristo venendo sulla terra col suo Cuore ardente di carità anche per l’operaio ha tolto da lui ogni ombra d’obbrobrio, e lo ha fatto singolarmente grande nella stima degli uomini. E che ha operato Egli a tal fine? Si è fatto operaio Egli stesso. Sì, benché venendo al mondo avesse potuto esimersi dalla legge del lavoro, volle tuttavia sottostarvi e nel modo più umiliante e perfetto. Nacque adunque da una madre povera, obbligata a guadagnare il pane col lavoro, pigliò per suo custode un povero falegname, e in questa famiglia di operai Egli stesso per trent’anni maneggiò la pialla, sudò, stentò, faticò lavorando. O Cuore Santissimo di Gesù! Che amore hai tu nutrito per l’operaio! Come lo hai esaltato. Sì, è vero, nei tre anni della tua vita pubblica, predicando e beneficando non lasciasti di innalzare anche il lavoro dello spirito e del cuore, ma prima e per trent’anni tu hai voluto innalzare il lavoro delle mani! E dopo tale condotta di Gesù Cristo, chi oserà ancora riguardare la condizione dell’operaio come condizione abbietta? Chi anzi non ambirà di stringergli con affetto la mano? E che stringendogliela, non si sentirà fremere in cuore un sentimento di gioia, pensando, che stringe una mano, per quanto incallita, così somigliante a quella di Gesù Cristo? E quale sarà ancora l’operaio, che sentirà fastidio del suo stato, che anzi non ne farà alta stima, e non l’amerà di sincero amore? E che bisogno avrà egli di conseguire altri titoli di nobiltà e di onoratezza per mettersi più vicini ai grandi ed ai ricchi? Ah sia pure, che mercé il nuovo spirito di uguaglianza, che domina nel mondo, egli abbia ottenuto il diritto di dare il suo voto nelle elezioni amministrative e politiche; sia pure che riesca a mandare per suoi rappresentanti ai Consigli ed alle Camere legislative gli stessi suoi compagni di officina; sia pure che abbia le sue Camere di lavoro, dove si fa forte de’ suoi diritti; tutto ciò è meno che nulla in confronto della sola vera grandezza, che gli ha dato Gesù Cristo. Questo Divino Benefattore gli ha tolto di mezzo l’immensa distanza, che lo separava dai grandi e dai ricchi, e col fatto gli h a detto: Tu sei più grande di tutti i grandi e di tutti i ricchi, perché Io, che sono giusto estimatore delle cose, essendo in cielo grande e ricco, ho preferito di farmi qui in terra povero e servo, misero operaio al par di te!

III. — Con tutto ciò, o miei cari, sebbene Gesù Cristo col suo Cuore infiammato di carità per gli uomini del popolo, ne abbia così mirabilmente sollevata la condizione, non bisogna darsi a credere, che Egli lo abbia fatto a scapito della giusta superiorità dei grandi, dei ricchi e dei padroni. Tutt’altro. Egli volle che l’operaio ricevesse la debita mercede del suo lavoro e fosse giustamente stimato, ma volle altresì, che nel posto assegnatogli dalla divina Provvidenza si diportasse in modo del tutto conveniente al suo stato imponendogliene i doveri. E qui, o miei cari, notate ben la diversità che passa tra i predicatori del Vangelo e i predicatori del mondo: questi predicando agli operai, non gli parlano mai d’altro che dei suoi diritti; noi gli parliamo altresì de’ suoi doveri. Io dico adunque che Gesù Cristo ha pur stabilito pel proletario dei doveri. All’opposto dei demagoghi odierni, che nel padrone mostrano all’operaio il suo maggior nemico, Gesù Cristo mostrò in esso l’immagine di Dio; pur troppo non tutti i padroni la fanno risaltare; cheanzi ve ne saranno di quelli che con la loro poco savia condotta la sfigureranno: pur non importa, Gesù Cristo mostra sempre in essi i rappresentanti divini. Epperò mostrando in essi dei divini rappresentanti anzitutto richiede per essi dall’operaio il rispetto, la sudditanza e l’obbedienza. S. Pietro e S. Paolo parlano in suo nome e parlano chiaro. Il primo dice: « Siate soggetti ai padroni, e non solo ai buoni e moderati, ma altresì ai tristi . » (I Petr. II, 18) E il secondo: « Tutte le potestà che esistono sono stabilite da Dio, epperò chi resiste alla potestà, è all’ordine stesso di Dio che resiste. Di necessità pertanto bisogna star soggetti all’autorità, non solo per timore della pena, ma ancora per coscienza. » (Rom. XII, 1-5) Dalle quali parole è al tutto manifesto, che l’operaio deve stimare, riverire, ubbidire ai suoi padroni, ne mai può insorgere contro i medesimi. Che se pure dovrà talora difendere i suoi diritti, e lo potrà legittimamente, non è mai tuttavia agli atti violenti, agli ammutinamenti ch’egli si possa appigliare, ma alle calme e rispettose ragioni. – In secondo luogo Gesù Cristo impone all’operaio il lavoro coscienzioso, vale a dire compiuto con giustizia, in quel tempo e in quel modo che egli è richiesto, e in corrispondenza alla mercede che riceve. Ciò Gesù Cristo fece chiaramente conoscere con la parabola del servo infingardo, che nell’assenza del padrone anzi ché trafficare il talento, che ne aveva ricevuto, lo andò a nascondere sotto terra, e che perciò in seguito fu giustamente punito della sua pigrizia e della sua ingiustizia. L’operaio pertanto che lavora solamente quando lo scorge l’occhio del padrone e poi riceve la mercede, come avesse lavorato sempre; l’operaio che non ha cura della roba del padrone, ma la guasta e la sperde, talora a bella posta per recargli danno e offesa; l’operaio che si appropria la roba del padrone, sotto il pretesto di darsi delle compensazioni per la poca mercede che riceve, benché sia quella pattuita, commette delle vere ingiustizie, dei veri furti, di cui pur rimanendo impunito dagli uomini, assai difficilmente andrà impunito da Dio, anche in questa stessa vita. Ecco adunque come Gesù Cristo, sollevando la condizione dell’operaio, non ha lasciato tuttavia di stabilire esattamente i suoi doveri. E in ciò gli ha resa sempre più manifesta la prova del suo amore per lui. Perciocché, se l’operaio porge benigno ascolto ai dettami di Gesù Cristo, anche nella bassezza di sua condizione si sentirà felice e gusterà delle gioie, che non gustano neppure i re sui loro troni. Sia pure che debba versare molti sudori in gravose fatiche, che sia meschina la sua abitazione, povera e sufficiente appena per sé e per i figli la sua mensa, modestissimo il suo vestito… Sia pure che tal volta gli tocchino dei rimproveri, delle parole umilianti e persino delle oppressioni e delle frodi nella mercede a lui dovuta!… sia pure che gli giungano quei momenti critici … quando viene a mancare il lavoro… quando sopraggiunge una malattia… quando lo assale la miseria… e si vede lì dinnanzi i figlioletti laceri, tremanti per la fame e per il freddo …; momenti terribili, in cui la natura inferma e risentita vorrebbe sospingerlo a metterele mani nei capelli, a digrignare i denti, a levare la voce, ad imprecare, a maledire… Sia pur tutto ciò; ma l’operaio, che ha stampato nel cuor suo la dottrina di Gesù Cristo sa tacere, sa soffrire, sa pregare, sa affidarsi alla divina Provvidenza, sa essere contento del suo stato, anche in mezzo alle sue grandi sofferenze, perché sa che se qui in terra gli tocca di faticare assai, avrà in cielo un eterno riposo; che se magro e inadeguato è il salario che riceve quaggiù, grandissimo sopra ogni dire sarà quello che riceverà lassù: dove sarà saziato di ogni bene; e che poi… anche nel corso di questa vita Iddio, Padre amoroso, non abbandona giammai il giusto, che in Lui confida, né lascia che vadano raminghi e pieni di fame i suoi figli. E non sarà mai, che questo operaio Cristiano si associ a quei miserabili, che stanno impazienti alle vedette per azzannare il patrimonio del padrone e sfruttare come cosa comune il suo campo e la sua vigna; non sarà mai che egli scenda in piazza con la più trista canaglia per avventarsi contro le abitazioni dei ricchi, invaderle e saccheggiarle; non sarà che con la sua mano brandisca un pugnale od apparecchi le bombe per lanciarsi contro dei padroni e dei governanti a toglier loro la vita. L’assassino dei sovrani e dei padroni, l’invasore rapace degli altrui averi, il ribelle alle autorità, il tumultuante, il rivoluzionario, l’incendiario, il nemico dell’ordine e della società si trova in quell’operaio, che insulta la Religione, maledice ai Preti, impreca a Dio, in quel dissennato, che vive non più da uomo, ma da bestia, ignaro o dimentico affatto di Gesù Cristo e della sua dottrina. Operai Cristiani, che mi ascoltate, deh! continuate a stimare e praticare quella Religione, che appalesandovi la vostra grandezza ed insegnandovi i vostri doveri vi dà modo di essere felici nel tempo e nell’eternità. Ma guardatevi bene dal porgere ascolto a quegli sciagurati, i quali col pretesto di voler rialzare la vostra condizione, ve la dipingono a neri colori e mettendovene in cuore il malcontento, cercano di eccitarvi alla rivolta contro dei padroni e dei ricchi. Tutti costoro sono folli utopisti, che anziché fare il vostro bene, fanno la vostra rovina. E se voi darete ascolto a questi sobillatori e traditori, passerete la vostra vita nell’agitazione, la farete passare agitata alle vostre donne ed ai vostri figli, non otterrete mai ciò che valga, secondo voi, a farvi felici, e dopo una sì grama esistenza, priva di ogni consolazione vi resterà poi al termine di essa da aggiustare i vostri conti con Dio. – Ma voi pure, o padroni non venite meno alla parte vostra. Rispettate nell’operaio la dignità della persona umana, perciocché sebbene dall’insufficienza delle sue risorse sia costretto a porsi sotto la vostra dipendenza e vendervi le sue fatiche, dell’umana dignità divide tuttavia con voi le sacre prerogative. Non abbiatelo adunque in conto di schiavo; non imponetegli lavori sproporzionati alle sue forze o mal confacenti con l’età e col sesso. Retribuitelo con la giusta mercede, ne abusatevi della sua necessità, o della sua debolezza, o della sua ignoranza per fargli accettare delle condizioni leonine, per dare un salario inferiore al giusto, per frodarlo, ledendo così i diritti della stessa naturale giustizia. Se è necessario, siate severi, o per lo meno franchi o decisi; la debolezza è pure un’abdicazione della giusta autorità; ma più ancora siate buoni. La bontà del padrone è l’olio che nell’operaio fa girare senza fatica la ruota del dovere, che lenisce l’asprezza del suo lavoro, che suscita e riscalda nel suo cuore l’amore per il padrone istesso. Mettetevi dunque al suo contatto, partecipate alle sue gioie, compatite le sue pene: interessatevi della sua famiglia, confortatelo all’onestà e al bene, correggetelo ma senza collera e senza disprezzo, soccorretelo ne’ suoi bisogni, ma senza avvilirlo, fatevi insomma i suoi veri padri. Ma sopra tutto, avendo riguardo alla Religione ed ai beni dell’anima, » asciategli la comodità e il tempo richiesto per compiere i doveri religiosi; e precedetelo ed animatelo agli stessi con l’esempio e con la parola. (V. Enc. Rerum novarum di S. S. Leone XIII, da cui sono stati raccolti lesti doveri pei padroni, e por gli operai.). La Religione, checché si pensi da insani politici, che osano metterla in fascio coi sistemi sovversivi, sarà mai sempre il più forte riparo contro il socialismo e qualsiasi altro sistema di disordine e sovversione, perché è la Religione;, che a tutti impone quei doveri, dall’adempimento dei quali non può nascere che ordine e pace. Guai adunque, se voi negando agli operai di poter essere religiosi, se non essendolo voi stessi, ridendovi della Chiesa, dei suoi insegnamenti, delle sue leggi, violandole apertamente, toglierete la base dell’edificio sociale! Non la filosofia dell’interesse, non le improvvisate elargizioni, non le affrettate leggi dei dazi sospesi, non il pane venduto a dieci centesimi il chilogramma, non gli stati d’assedio e i governi militari, non gli eserciti sguinzagliati contro le moltitudini, non i cannoni puntati e sparati contro le città lo ratterranno ancora in piedi! Esso cadrà, e voi sarete schiacciati sotto le sue rovine. – Il secolo decimottavo aveva cominciato in Francia col grido: schiacciamo l’infame. Ma si chiuse con uno spettacolo sì orrendo, che l’umanità non riuscirà a dimenticarlo sì presto. Sì, si chiusero i templi, si spezzarono le croci, si atterrarono gli altari; ma vi furono allora dei mostri, che, come Nerone, avrebbero desiderato, che l’umanità non avesse che una sola testa per troncarla d’un tratto. Il sangue scorse a rivi e le teste si ammonticchiarono sul suolo. Iddio tenga lontane dalla società nostra sì orrende catastrofi; ma noi, o carissimi, non stiamo con le mani in mano. Operai e padroni ritornino tutti all’amore di Gesù. Cristo, in cui solo vi è salute. E voi, o Cuore Sacratissimo di Gesù, che di tanta carità avvampate per gli uomini del popolo, deh! continuate a far sentire sopra di essi il benefizio del vostro peculiare amore. Chiudete le loro orecchie ai lusinghieri discorsi ed ai fallaci insegnamenti, con cui gli odierni demagoghi e bugiardi maestri tentano di trascinarli sulla via della rivolta e della rapina; raffermateli nella fede alla vostra parola, che è parola di ordine, di pace e di prosperità; difendeteli dalle sventure e dalla miseria; forniteli mai sempre del pane, che abbisognano per sé e per le loro famiglie, ma soprattutto confortateli della vostra grazia e delle vostre benedizioni, perché abbiano mai sempre a magnificare la bontà vostra, adesso e per tutti i secoli.

EXTRA ECCLESIAM NULLUS OMNINO SALVATUR (7)

EXTRA ECCLESIAM NULLUS OMNINO SALVATUR (7)

IL DOGMA CATTOLICO:

Extra Ecclesiam Nullus Omnino Salvatur

[Michael Müller C. SS. R., 1875]

§ 2. IL SIGNOR ORACOLO (S. O.) ORA CONTINUA A PARLARE EX CATHEDRA.

« E nella speranza – egli Dice – di contrastare le false impressioni trasmesse da tale insegnamento, che desidero sottoporre le domande precedenti e le risposte ad un equo esame, lasciateci dire la verità – dice ancora – e svergognare il diavolo ». Per comprendere bene l’esame a cui quel grande Sacerdote della Chiesa sta per sottoporre alcune nostre domande e risposte, bisogna ricordare che abbiamo dato molte prove chiare a favore della verità che non esiste salvezza fuori dalla Chiesa Cattolica Romana, vale a dire che: Cristo ha dichiarato solennemente che saranno salvati solo coloro che hanno fatto la volontà di Dio sulla terra, come spiegato, non con una interpretazione privata, ma mediante l’insegnamento infallibile della Chiesa Cattolica Romana. « Non tutti coloro che mi dicono: “Signore, Signore” – dice Cristo –  entreranno nel regno dei cieli, ma solo colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, entrerà nel regno dei cieli ». (Matteo VII, 21). La volontà del Padre celeste è che tutti gli uomini ascoltino e credano a suo Figlio, Gesù Cristo.  « Questo è il mio diletto Figlio. Ascoltatelo ». Ora, Gesù Cristo disse ai suoi Apostoli e a tutti i loro legittimi successori: « Colui che ascolta te, ascolta me, e colui che disprezza te, disprezza me, e colui che disprezza me, disprezza il Padre celeste, che mi ha mandato ». – Ora tutti quelli che non ascoltano Gesù Cristo che parla loro attraverso San Pietro e gli Apostoli, nei loro legittimi successori, disprezzano Dio Padre; non fanno la sua volontà, e quindi il Paradiso non sarà mai loro possesso. Il non-Cattolico è come un servo che nell’essere assunto dice al suo padrone: « Ti servirò a condizione che tu mi dia trecento dollari al mese, ma ti servirò secondo la mia volontà, non secondo la tua ». Come può, quindi, Dio Padre, ammettere nel suo Regno un tale che ha sempre rifiutato di fare la sua volontà? … che, invece di imparare a fare la volontà di Dio, ad osservare la piena dottrina di Cristo, attraverso la Chiesa Cattolica, presume di essere egli stesso maestro, legislatore e giudice, in tutte le questioni religiose? – « Andate e insegnate a tutte le nazioni: insegnate loro ad osservare tutto ciò che ho Io vi ho comandato: Chi non crede a tutte queste cose sarà condannato ».  – Il nostro divin Salvatore dice:  « Nessuno può venire al Padre se non attraverso me ».  Se poi desideriamo entrare in cielo, dobbiamo essere uniti a Cristo, al suo Corpo, che è la Chiesa, come dice San Paolo. Pertanto, fuori dalla Chiesa non c’è salvezza. – Ancora Gesù Cristo dice: « Chiunque non ascolterà la Chiesa, consideratelo un pagano e un pubblicano », cioè un grande peccatore. Pertanto, fuori dalla Chiesa non c’è salvezza.  – La Sacra Scrittura dice: « Il Signore ha aggiunto ogni giorno alla Chiesa coloro che dovevano essere salvati ». (Atti, II, 47.). Perciò gli Apostoli credevano e le Sacre Scritture insegnavano che “… non c’è salvezza fuori dalla Chiesa”. – Quindi i Padri della Chiesa non hanno mai esitato a definire perduti per sempre tutti quelli che muoiono fuori dalla Chiesa Cattolica Romana: « Chi non ha la Chiesa per madre – dice San Cipriano – non può avere Dio per il Padre »; e con lui i Padri in generale dicono che « come tutti coloro che non erano nell’arca di Noè perirono nelle acque del Diluvio, così periranno tutti coloro che sono fuori dalla vera Chiesa ». Sant’Agostino e gli altri vescovi dell’Africa, al Concilio di Zirta, 410 d. C., dicono: « Chiunque sia separato dalla Chiesa Cattolica, per quanto lodevole possa essere considerata la sua vita, per la ragione stessa che è separato dall’unione di Cristo, non vede la vita, ma l’ira di Dio dimora su di lui ». Perciò, dice Sant’Agostino, « un Cristiano non dovrebbe temere nulla tanto quanto l’essere separato dal corpo di Cristo (la Chiesa), perché, se è separato dal corpo di Cristo, non è un membro di Cristo; se non è un membro di Cristo, non è vivificato dal suo Spirito ». (Tract. XXVII. In Joan., N 6, col. 1992, tom. III). « Ai nostri tempi – dice Pio IX – molti dei nemici della fede cattolica dirigono i loro sforzi nell’equiparare ogni opinione mostruosa al medesimo livello della Dottrina di Cristo, o confondendola con essa, e così provano sempre di più a propagare quel sistema empio dell’indifferenza delle religioni. Ma inoltre, rabbrividiamo nel dirlo, certi uomini non hanno esitato a calunniarci dicendo nella loro follia che noi condividiamo, favoriamo il sistema il più malvagio, trattando con benevolenza ogni classe dell’umanità, come se supponessimo che non solo i figli della Chiesa, ma anche i restanti, per quanto alienati dall’unità cattolica, possano essere ugualmente nella via della salvezza ed arrivare alla vita eterna. Abbiamo come uno smarrimento, per l’orrore, nel trovare parole onde esprimere la nostra riprovazione per questa nuova ed atroce ingiustizia che ci viene fatta ». (Allocuzione ai Cardinali, tenutasi il 17 dicembre 1847). Possiamo anche aggiungere che Papa Leone XIII., nella sua Lettera Enciclica agli Arcivescovi e Vescovi di Baviera, insegna, come Pastore della Chiesa Universale, che « la sottomissione al Papa è necessario per la salvezza ». – « Quanto grati allora – dice Sant’Alfonso – dovremmo essere a Dio per il dono della vera fede: quanto è grande il numero degli infedeli, eretici e scismatici. Il mondo è pieno di essi e, se muoiono fuori dalla Chiesa, saranno tutti condannati, tranne i bambini che muoiono dopo il Battesimo. » (Catech, primo comand., n. 10 e 19). « Perché – come dice sant’Agostino – dove non c’è fede divina, non può esserci carità divina e dove non c’è carità divina, non può esserci grazia giustificante o santificante, e morire senza essere in grazia santificante, significa essere perso per sempre ». (Lib. I. Serm. Dom. In monte, cap. V.). – La Chiesa, come abbiamo già visto, insegna molto chiaramente che questa fede è richiesta nella professione di fede che i convertiti devono fare prima di essere ricevuti nella Chiesa; il primo articolo infatti recita come segue:  « Io, N. N., avendo davanti ai miei occhi il santo Vangelo che tocco con la mia mano, e sapendo che nessuno può essere salvato senza quella fede che la Santa, Cattolica, Apostolica, Romana Chiesa detiene, crede e insegna, verso la quale mi pento ché ho grandemente peccato, ecc. ».  Quindi è evidente che non c’è salvezza fuori dalla Chiesa Cattolica. Abbiamo fornito molte di queste prove per questa grande verità nella “spiegazione familiare…”. Coxe, il vescovo protestante, e il Signor Oracolo hanno riportato questo in modo disonesto, e quest’ultimo in particolare ha impudentemente affermato che abbiamo travisato la Dottrina Cattolica; egli afferma, inoltre, che questa Dottrina, che noi abbiamo provato con le parole di Nostro Signore, dei suoi Apostoli e dei Padri della Chiesa, sia stata travisata dal nostro Signore stesso, dai suoi Apostoli, e dai Padri e dai Dottori della Chiesa. Che grande pietà, fa tutto questo! Ma, per costoro, un piccolo libro come la Familiar Explanation, che dà così tante semplici ragioni per dimostrare che la salvezza fuori dalla Chiesa sia impossibile, è una “mano cattiva”, e non dovrebbe cadere nelle mani dei non-cattolici, perché la sua lettura potrebbe indurli ad unirsi alla Chiesa Cattolica Romana. – In risposta alla D. 19., abbiamo riportato dieci motivi popolari sull’argomento per dimostrare che nessuna salvezza sia possibile per coloro che aderiscono colpevolmente ai principi protestanti e muoiono in essi. Queste ragioni sono:

1. Perché i veri protestanti o i veri eretici non hanno fede divina;

2. Perché ritengono bugiardi Gesù Cristo, lo Spirito Santo e gli Apostoli;

3. Perché essi non hanno fede in Gesù Cristo;

4. Perché si sono allontanati dalla vera Chiesa di Cristo;

5. Perché sono troppo orgogliosi per sottomettersi al Papa, il Vicario di Cristo;

6. Perché non possono compiere buone opere per cui possano ottenerne il Paradiso;

7. Perché non ricevono il Corpo e il Sangue di Cristo;

8. Perché muoiono nei loro peccati;

9. Perché mettono in ridicolo e bestemmiano la Madre di Dio e i Santi del cielo;

10. Perché calunniano la Sposa di Gesù Cristo, la Chiesa Cattolica. –

Abbiamo dimostrato ciascuna di queste affermazioni; ma il vescovo Coxe e S. O. hanno omesso disonestamente di nuovo otto di queste prove, perché esse sarebbero state così tante “mani cattive” per i non Cattolici, e che, dopo la lettura di queste ragioni, avrebbero potuto decidere di unirsi alla Chiesa Cattolica, nonostante tutte le difficoltà. Che modo eccellente di dire la verità sopprimendola e nascondendola al pubblico! Che modo ridicolo di far vergognare il diavolo! Che modo onorevole di svergognarsi!  Per impedire ai non Cattolici di ottenere il piccolo volume contenente prove così chiare della verità della nostra Religione, hanno attaccato alcune ragioni date per dimostrare che i veri protestanti non hanno fede in Cristo. S. O. ha ripreso alcuni di questi motivi per dimostrare che abbiamo travisato sia le credenze cattoliche che quelle protestanti. Ma vediamo di nuovo come abbia detto la verità e umiliato il diavolo, e soprattutto se stesso. Bisogna ricordare che egli ha dovuto dimostrare innanzitutto che la salvezza fuori dalla Chiesa sia possibile, avendo noi dimostrato con molte ragioni come ciò sia impossibile. Egli ha poi solennemente dichiarato che questa Dottrina Cattolica sia stata travisata, cosa che avrebbe dovuto provare, qualora la sua affermazione fosse stata vera, con la Sacra Scrittura, con i Concili generali della Chiesa e con gli scritti dei Padri,; purtroppo però la sua anonima autorità non vale niente… non ha provato nessuna delle sue affermazioni, né è stato in grado di confutare la nostra dottrina, perché dicendo il contrario si sarebbe dimostrato un eretico. Non è questo un bel modo di dire la verità, di svergognare il diavolo e soprattutto se stesso!

§ 3. S. O. ESAMINA E SPIEGA DOMANDA E RISPOSTA.

D. I protestanti hanno qualche fede in Cristo?

R. Non l’hanno mai avuta. ”

A questa risposta S. O.: –

« Mi chiedo, allora, che cosa fanno tutti i protestanti, tranne quelli chiamati Unitari, credono essi in Gesù Cristo? Essi credono precisamente a ciò che insegna la Chiesa Cattolica, cioè che Egli sia vero Dio e vero uomo, la Persona del Verbo incarnato, concepito dallo Spirito Santo e nato dalla Vergine Maria, che Egli sia il Messia, il Redentore, che per i Suoi infiniti meriti sia possibile ed ottenibile la salvezza dell’umanità ». S. O. afferma che i protestanti credono precisamente ciò che la Chiesa Cattolica insegna di Cristo; ma si ricordi che non credono a quelle verità perché la Chiesa cattolica le insegna; se le credono, è perché scelgono di crederle. La nostra FEDE in Cristo è assoluta e DIVINA; quella dei protestanti è tutta umana. – Ma il nostro aspirante teologo probabilmente non ha mai compreso la differenza tra Fede divina e umana, altrimenti avrebbe fatto la distinzione che noi facciamo, e quindi non avrebbe potuto dire quello che dice della Fede Cattolica e protestante in Cristo. Ed allora insegniamogli la differenza.

§ 4. CHE COSA È LA FEDE CATTOLICA.

Nessuno può andare in Paradiso se non conosce la via per il Paradiso. Se vogliamo andare in una determinata città, la prima cosa che facciamo, è chiederci il modo in cui ci si possa arrivare. Se non ne conosciamo la strada, certo non possiamo aspettarci di arrivare in quella città. Allo stesso modo, se desideriamo andare in Paradiso, dobbiamo conoscere la via che conduce ad esso. Ora, la via che conduce ad esso è la conoscenza ed il fare la volontà di Dio. Ma è Dio solo che può insegnarci la sua volontà, cioè quello che ci richiede di credere e di fare, per essere felici con Lui in Paradiso. Il fine per il quale l’uomo è stato creato – la sua unione eterna con Dio – dice il Concilio Vaticano, è di gran lunga al di sopra della comprensione umana. Era quindi necessario che Dio si facesse conoscere all’uomo e gli insegnasse il fine per il quale è stato creato, e ciò che deve credere e fare per diventare degno della felicità eterna. « Se vuoi giudicare bene di un grande edificio, devi studiare in dettaglio la sua forma e le sue dimensioni, devi esaminare minuziosamente il suo stile architettonico e sforzarti di comprendere il progetto dell’architetto. Tutto ciò ti causerà molti problemi ed impazienza, e ciononostante la tua conoscenza dell’edificio non sarà completa. Ma se l’architetto stesso ti spiega il suo piano e, oltre alla conoscenza che hai già dell’edificio, ti dà sufficienti informazioni sulla sua prima causa, allora sarai in grado di dare una descrizione completa e precisa dell’intero edificio ». – « Allo stesso modo, un uomo istruito può impegnarsi in tutte le occasioni, con tutti i mezzi naturali in suo potere, a conoscere la causa prima del grande edificio della creazione, il suo piano e il suo oggetto. Tutto questo gli darà molti problemi, eppure la conoscenza dell’opera della creazione sarà molto incompleta fintanto che non avrà appreso la sua causa prima, il piano e l’oggetto dello stesso divino Architetto. » (San Tommaso d’Aquino). Ora, Dio stesso, nella sua infinita misericordia, venne a dirci perché ci aveva creati; è venuto e ci ha insegnato le Verità che dobbiamo credere, i Comandamenti che dobbiamo osservare ed i mezzi di Grazia che dobbiamo usare per realizzare la nostra salvezza. Conoscere la volontà di Dio è conoscere la vera Religione che è la vera VIA verso il Paradiso. Come Dio non è che Uno, così la sua santa volontà non è che una, e quindi la sua Religione è solo una stessa e medesima cosa. Per poter apprendere, con infallibile certezza, questa unica vera Religione, Dio Onnipotente stabilì una sola autorità per l’insegnamento infallibile – la Chiesa Cattolica Romana – e comandò a tutti di ascoltarla e credere alla sua Dottrina infallibile, sotto pena di esclusione dalla vita eterna. Ora, Dio è la stessa verità infinita. Egli solo conosce le cose così come sono e può parlare di esse perché le conosce. Come Autore, Sovrano e Signore di tutte le cose, ha un’autorità assoluta su tutti gli uomini, – Autorità che può esercitare direttamente da solo, o attraverso un Angelo, o un Profeta, o una o più delle sue creature ragionevoli. Dio, quindi, ha il diritto di comandare, sotto pena di dannazione eterna, ha il diritto di imporre alla comprensione umana di credere a certe verità; ha il diritto di comandare alla volontà umana di adempiere a certi doveri, ed ai sensi di fare certi sacrifici. Niente può essere più ragionevole che il sottomettersi a un tale comando di Dio. Questa sottomissione della comprensione e della volontà alla rivelazione di Dio si chiama FEDE, che, come dice san Paolo, « rende ogni intelligenza soggetta all’obbedienza al Cristo » . (II Cor. X, 5.) Non appena, quindi, l’uomo percepisce la voce del suo Creatore, è destinato a dire: Amen, è così, ci credo, non importa se lo capisco o no. Il Signore del cielo e della terra è la stessa Verità infallibile, Egli non può né ingannare né essere ingannato. Egli è il come e il perché della mia convinzione. Quindi, San Basilio dice: « La fede, sempre potente e vittoriosa, esercita sulle menti un maggior ascendente di tutte le prove che la ragione e la scienza umana possano fornire, perché la fede ovvia a tutte le difficoltà, non dalla luce di prove manifeste, ma con il peso dell’Autorità infallibile di Dio, che li rende incapaci di ammettere qualsiasi dubbio » . « C’è – dice Tommaso d’Aquino – più certezza nella fede, che nella scienza umana e in tutte le altre virtù intellettuali. Dobbiamo considerare la certezza di una cosa nella sua causa, e non dall’oggetto che la riceve. Essendo Dio, la fonte e l’origine di ogni verità, secondo questo principio quindi, nessuna certezza è paragonabile a quella della fede » . « Si potrebbe dire che colui che sa, percepisce meglio di colui che crede; ne conseguirebbe che la conoscenza naturale abbia più certezza della fede? No, perché una cosa deve essere considerata piuttosto dalla sua causa che dalla disposizione di colui che la riceve. – La scienza umana e l’arte sono solo contingenze, ma l’oggetto della fede è la conoscenza delle Verità eterne: la prudenza e la conoscenza procedono dalla ragione e dall’esperienza, ma la fede viene dall’operazione dello Spirito Santo ». Tutti i nostri organi sensibili e le facoltà intellettuali sono passibili di errore, ma la fede è infallibile, poiché è fondata sulla parola di Dio: « … l’avete accolta non quale parola di uomini, ma, come è veramente, quale parola di Dio, che opera in voi che credete » (I Tess. II, 13. )  – Ora, Gesù Cristo, il Figlio di Dio, ha rivelato la nostra Religione e ha investito tutte le verità della sua rivelazione in un Corpo insegnante infallibile: la Santa Chiesa Cattolica Romana, attraverso la quale le ha fatto conoscere e continua a farle conoscere a tutte le nazioni, fino alla fine dei tempi, nel modo più semplice e infallibile. Essa è l’erede dei diritti di Gesù Cristo; Essa è la fedele depositaria dei tesori spirituali di Gesù Cristo; Essa è l’infallibile Maestra delle dottrine di Gesù Cristo; Essa esercita l’autorità di Gesù Cristo, Essa vive della vita e dello spirito di Gesù Cristo, ama la guida e l’aiuto di Gesù Cristo; Essa parla, ordina, comanda, concede, proibisce, definisce, scioglie e lega nel nome di Gesù Cristo. Alla luce della fede divina, ricevuta nel Battesimo, il Cattolico crede all’Autorità divina della Chiesa, e perciò crede ed obbedisce a tutte le cose; credendo e obbedendo ad Essa, crede ed obbedisce a Dio Onnipotente stesso, che disse agli Apostoli e ai loro legittimi successori nella Chiesa Cattolica: «Chi ascolta te, ascolta me, e colui che disprezza te, disprezza me”. (Luca: X, 16.) La fede del Cattolico, quindi, è divina, perché è basata sull’Autorità divina: egli sa e crede che Gesù Cristo gli parla attraverso la sua Chiesa, e quindi crede tutte le verità che Egli insegna, con la massima fermezza e semplicità, con una convinzione incrollabile della loro realtà. Il fatto che Gesù Cristo l’abbia detto, l’abbia fatto, l’abbia insegnato alla sua infallibile Chiesa alla quale ha comandato di insegnarlo a tutte le nazioni, è per lui il più importante di tutti i motivi per crederci. La famosa parola dei Pitagorici, « … lo ha detto il maestro », era solo un’idolatria sciocca, credendo essi, che nessuno potesse essere così ingannato. Applicato, tuttavia, a Gesù Cristo, questo è un principio capitale, un assioma sacro per ogni Cattolico. I cieli e la terra passeranno, ma « la verità del Signore rimane per sempre ». (Salmo CXVI, 2.) Il buon Cattolico zittisce ogni obiezione alla sua fede dicendo: « Il Figlio di Dio, Gesù Cristo, ce lo ha rivelato mediante la sua Chiesa, e non abbiamo più domande da porre ». Infatti san Tommaso d’Aquino dice: « I princîpi e la regola della fede dipendono dall’autorità e dalla dottrina della Chiesa Una, Santa, Cattolica e Apostolica, quindi fuori dalla vera Chiesa non c’è fede o salvezza. Quando la luce della fede e della grazia brilla nell’anima, allora l’uomo crede fermamente a tutto ciò che Dio ha rivelato e propone alla nostra fede mediante la sua Chiesa; pertanto un atto di fede differisce da tutti gli altri atti dell’intelletto umano per quanto è vero o falso ». – Questo è il motivo per cui la Chiesa non consente a nessuno dei suoi figli di rimettere in discussione la sua missione divina. La luce della fede che risplende nella mente di un Cattolico, scioglie così completamente ogni dubbio, che da quel momento in poi, non può essere intrattenuto se non per sua grande colpa.  « La fede – dice Sant’Alfonso – è una virtù, o un dono, che Dio infonde nelle nostre anime nel Battesimo, dono mediante il quale noi crediamo alle verità che Dio stesso ha rivelato alla Santa Chiesa e che Essa propone alla nostra credulità.  – « Per Chiesa si intende la Congregazione di tutti coloro che sono battezzati e professano la vera fede sotto un Capo visibile, cioè il Sovrano Pontefice. »  – « Io dico, la vera fede, per escludere gli eretici che, sebbene battezzati, sono separati dalla Chiesa.  « Io dico, sotto un capo visibile, per escludere gli scismatici, che non obbediscono al Papa, e per questo motivo passano facilmente dallo scisma all’eresia. » San Cipriano dice bene: « Eresie e scismi non hanno altra origine che questo: il rifiuto di obbedire al Sacerdote di Dio, e alla nozione che ci possano essere più di un Sacerdote per volta a presiedere la Chiesa, e che più di un Giudice alla volta assuma  l’ufficio di Vicario di Cristo ». – « Abbiamo tutte le verità rivelate nelle Sacre Scritture e nelle Tradizioni gradualmente comunicate da Dio ai suoi servi, ma come potremmo essere capaci di accertare quali siano le vere Scritture e le vere Tradizioni, e quale sia il loro vero significato, se noi non avessimo la Chiesa che ci  insegni? » Questa Chiesa Gesù Cristo ha stabilito come pilastro e fondamento della verità. A questa Chiesa il nostro stesso Salvatore ha promesso che non sarà mai conquistata dai suoi nemici. « … Le porte dell’inferno non prevarranno contro di Essa » (Matteo, XVIII) Le porte dell’inferno sono le eresie e gli eresiarchi che hanno fatto sì che tante anime illuse deviassero dalla retta via: questa Chiesa è colei che ci insegna, attraverso i suoi Pastori, le Verità che dobbiamo credere. Perciò Sant’Agostino dice: « Non crederei al Vangelo se non fossi mosso dall’Autorità della Chiesa, quindi la causa che mi impone di credere alle verità della fede è che Dio, la Verità infallibile, le ha rivelate, e perché la Chiesa le propone alla mia fede. La nostra regola di fede, quindi, è questa: Mio Dio, perché tu che sei la verità infallibile, e hai rivelato alla Chiesa le verità di fede, io credo tutto ciò che la Chiesa propone alla mia fede. » (Primo comand., 5, 6). Tale è la Fede che Dio prescrive nel primo Comandamento. È solo con tale Fede che Egli è veramente onorato e adorato; poiché, con tale fede, lo riconosciamo come l’Essere Sovrano delle infinite Perfezioni, reso a noi noto per rivelazione; come Sovrana Verità, che non può né ingannare né essere ingannato. – Quando al famoso e valoroso conte di Montfort fu detto che nostro Signore nell’ostia era apparso visibilmente nelle mani del Sacerdote, disse a quelli che lo spingevano ad andare a vedere il miracolo: « Lasciate che vadano a vederlo coloro che dubitano. Per quanto mi riguarda, io credo fermamente nella Verità del Mistero della Santa Eucaristia, come insegna la nostra Madre Santa Chiesa. Pertanto spero di ricevere in cielo una corona più brillante delle corone degli Angeli; perché essendo faccia a faccia con Dio, non posso dubitare. » – Guarda i martiri che, da pagani, sono diventati Cristiani. Non morirono per il gusto di un’opinione religiosa; morirono per amore della Religione, perché erano certi e convinti della sua Verità. I martiri videro la Verità, e come potevano essi parlar di quello che avevano visto? Essi potevano rabbrividire per il dolore, ma non potevano fare a meno di vedere la Verità della loro Religione. Le minacce non potevano annullare le Verità celesti, e quindi non potevano far tacere la loro confessione. « La Verità – dice San Tommaso d’Aquino – è il bene dell’intelletto, la vita dell’intelletto, mentre la menzogna è il male, la morte dell’intelletto. Finché l’uomo è rimasto innocente, era impossibile per l’intelletto umano credere che fosse vero ciò che era veramente falso: come nel corpo del primo uomo non poteva esserci presenza di alcun male, così, allo stesso modo, nella sua anima non poteva esserci la credenza in nulla di falso ». Quindi comprendiamo facilmente perché anche i bambini Cattolici innocenti abbiano un’intuizione della Verità senza alcuna paura e confusione, e parlano di Dio e dei suoi Misteri come se avessero conversato con gli Angeli, mentre mostrano una chiara conoscenza dell’intero circolo delle verità rivelate, a confronto delle quali, le conoscenze, le supposizioni selvagge e le contraddizioni perpetue dei più famosi ed istruiti pagani, filosofi o settari non credenti, sono solo grida inarticolate. – Un giorno una ragazzina irlandese piangeva nel trovarsi in una scuola protestante, nella quale era stata portata con la forza, e dove era considerato un utile impiego di tempo, bestemmiare la Madre di Dio. « Come sai che è in paradiso? », disse un’acida zitella protestante alla ragazzina. La bambina sapeva molto bene che la Madonna era la Regina del cielo, e sedeva sul trono del suo divin Figlio, ma non si era mai chiesta come lo sapesse, né aveva mai incontrato nessuno che fosse così tanto sfacciato da negarlo. Trasalì per un momento, come se avesse ricevuto un colpo, poi tirandosi indietro i lunghi capelli che le ricadevano sul viso, questa figlia di un contadino di Galway rispose con fierezza: « Come faccio a sapere che Ella è in paradiso? Perché tu protestante non credi nel Purgatorio: quindi se non è in Paradiso, deve essere all’inferno, e un bravo Figlio non manderebbe mai sua madre all’inferno! Una simile risposta non sorprenderà nessun Cattolico; potrebbe stupire solo un protestante. Altri bambini dicono tali parole centinaia di volte. Il dono della Fede è una luce dello Spirito Santo che illumina le menti dei fedeli, anche dei bambini, nel sapere e nel credere che ciò che insegna la Chiesa è una Dottrina santa e divina. Senza questo inestimabile dono di grazia – la luce della FEDE DIVINA – è impossibile essere salvati, come abbiamo dimostrato nella nostra Familiar Explanation. Ma Coxe e S. O. hanno soppresso in modo disonesto questa verità e l’hanno nascosta ai loro simili.