SACRO CUORE DI GESÙ (26): Il Sacro CUORE di GESÙ e il S. Sacrificio

DISCORSO XXVI.

Il Sacro Cuore di Gesù e il S. Sacrifizio.

Poiché l’uomo è fattura di Dio e Dio non può essere all’uomo un oggetto estraneo, è assolutamente indispensabile all’uomo il culto di Dio. Ma l’essenza del culto, la sua anima, ciò in cui il culto si compendia è il sacrifizio. Ed ecco perché l’umanità in ogni tempo e in ogni luogo ha innalzati degli altari e sopra di essi ha scannate delle vittime e le ha bruciate in onore della divinità. Abele innocente colle sue pure mani svenava il fiore del suo gregge e l’offriva in sacrifizio a Dio. Noè scampato dalle acque del diluvio, appena uscito dall’arca salvatrice immolava a Dio le vittime serbate. Abramo, Isacco, Giacobbe, Melchisedech seguivano l’esempio dei loro antenati, e compievano ancor essi dei sacrifizi. In seguito il popolo ebreo, uscito dalla schiavitù dell’Egitto, dapprima tra la semplicità del tabernacolo, dappoi nella grandiosità del tempio di Gerusalemme, con una liturgia ordinatissima, non solo nelle feste principali, ma al mattino ed alla sera d’ogni giorno, tra il profumo degli incensi e i gravi cantici dei Sacerdoti, adempiva questo sacro dovere. E quale altro popolo, anche tra i più barbari e selvaggi, non ha offerto dei sacrifizi, alla divinità? Certamente presso gl’idolatri furono crudeli ed esecrandi i loro riti, sia per le vittime che vi sgozzavano, sia per i misteri nefandi con cui li accompagnavano; ma con tutto ciò essi non facevano altro che alterare l’applicazione del più nobile e più imperioso istinto dell’uomo, quello cioè di rendere a Dio il culto dovutogli, per mezzo del sacrifizio. Il sacrifizio adunque, necessario ad esprimere nel modo più riverente le relazioni dell’uomo con Dio, il sacrificio che per ragione di questa necessità si trova in ogni tempo ed in ogni luogo, anche prima della venuta di Gesù Cristo in sulla terra, non doveva mancare dopo la sua venuta: anzi doveva essere infinitamente superiore ai sacrifizi dei tempi antichi, quanto i tempi nuovi superano per opera di Gesù Cristo i tempi antichi in amore ed in grazia, e quanto la realtà supera la figura. E questo sacrifizio già l’aveva annunziato Iddio stesso quando per bocca del profeta Malachia, diceva: « Dall’oriente all’occidente il mio nome è grande tra le genti, ed in ogni luogo sarà sacrificata ed offerta al mio Nome un’oblazione monda. » E questo sacrifizio fu realmente instituito mercé la carità infinita di Gesù Cristo. Perciocché il Cuore Sacratissimo di Gesù, nel trarre fuori dalla sua ferita la Eucaristia, non volle in essa trarre fuori soltanto un grande mistero ed un grande Sacramento, ma ancora il più augusto, il più prezioso, il più ammirabile dei sacrifizi, sia per l’eccellenza della vittima, che in esso si sacrifica, sia per la somma degli omaggi, che in esso si rendono a Dio, sia per la fecondità meravigliosa dei suoi effetti. Dopo d’aver dunque riconosciuto il grande amore di GesùCristo per noi nell’istituire l’Eucaristia come Sacramento, riconosciamo oggi il grande amore di Gesù Cristo nell”istituire l’Eucaristia come Sacrifizio.

I. — Amore di Dio per l’uomo, e poi amore di Dio per l’uomo, e da ultimo ancora amore di Dio per l’uomo: ecco, o miei cari, il compendio della vita e del ministero di Gesù Cristo. – Fu questa divina potenza che lo fece scendere dal cielo in terra; fu essa, che lo indusse a prendere la nostra carne di peccato, fu essa che gl’inspirò le più meravigliose dottrine, fu essa ancora che governò ogni opera, ogni passo, ogni pensiero, ogni affetto del Divin Redentore. Ma dove l’amore del Cuore Santissimo di Gesù per noi diede la sua prova estrema fu senza dubbio nel Sacrifizio da Lui compiuto sopra la croce. Tutti i disagi, tutte le angustie, tutte le pene della sua mortai vita non erano che file sparse che dovevano mettere capo sul Calvario ed avere il loro suggello nel Sangue preziosissimo di Gesù Cristo. E ben lo sapeva Egli, che prendendo a dipingere il suo ritratto in quello del buon pastore, non si contentò di mostrarcelo tutto sollecito di condurre il suo gregge ai buoni pascoli e tutto ansante nel ricercare là pecorella smarrita, e tutto lieto e festante per averla ritrovata, ma volle finire la sua dipintura col mostrarcelo ancora a dare la vita per le sue pecorelle: Bonus Pastor ponti animati suam prò ovibus suis. (Jo. X, 14). Orbene, se il sacrifizio del Calvario è il supremo slancio d’amore del Cuore Sacratissimo di Gesù Cristo, non dovremo riconoscere che tale, è pure il Santo Sacrifizio della Messa, che è la copia fedele, anzi la rinnovazione, sebbene in modo incruento, del Sacrifizio del Calvario? Sì, o miei cari, la Santa Messa che si celebra sui nostri altari è essenzialmente lo stesso, lo stessissimo Sacrifizio che Gesù Cristo compì sulla Croce. Perciocché la stessa è la vittima che si immola sui nostri altari, vale a dire Gesù benedetto, Figlio unico di Dio e di Maria Vergine; lo stesso è il Sacerdote, giacché quivi è pure Gesù che immola la vittima, non essendo altro il ministro che ascende l’altare, se non un rappresentante di Gesù Cristo, uno strumento, di cui egli si vale a compiere il sacrifizio. Ed in vero, che cosa ha fatto nostro Signor Gesù Cristo nell’ultima Cena, quando ha istituito la SS. Eucaristia? Poiché l’immolazione della vittima non è che la separazione del sangue dal corpo della vittima istessa, Gesù Cristo consacrando separatamente il pane ed il vino, e mettendo direttamente sotto le specie del pane il suo corpo e sotto le specie del vino il suo sangue, ha Egli stesso operato una vera immolazione separando il suo sangue dal suo corpo. E poiché ancora la condizione essenziale del Sacrifizio è la morte e la distruzione intera della vittima, G. Cristo dando a mangiare il suo Corpo e a bere il suo Sangue agli Apostoli, mercé la distruzione delle specie mangiate, cessò di esistervi in forma sacramentale, e benché non in modo reale come poscia sul Calvario, tuttavia in modo mistico, vale a dire occulto, Egli fece una vera morte. Per tal guisa nell’ultima cena Gesù Cristo rappresentò nel modo più sensibile l’immolazione che il giorno dopo avrebbe fatto di sé sul Calvario, spargendo per noi il suo Sangue, e la morte cui sarebbe sottostato per la nostra salute. Per tal guisa nell’ultima cena Gesù Cristo Sacerdote-Dio, offrendo a Dio una vittima divina, compiva un vero e reale Sacrifizio, già compreso anticipatamente nell’unico e gran Sacrifizio della Croce. – Ma Gesù spronato dall’amore del Cuor suo per noi, non fu pago di compiere Egli allora lo stesso Sacrifizio del Calvario, ma volle che un tal Sacrifizio si avesse a perpetuare sino alla fine del mondo. Epperò con aria di potenza e di impero Egli diceva ancora agli Apostoli, e nella persona degli Apostoli ai loro successori: « Questo fate in memoria di me: Hoc facite in meam commemorationem, vale a dire: Come Io ho in questo momento con quest’azione sublime compiuto un vero e reale Sacrifizio, anzi lo stesso Sacrifizio che domani compirò morendo sulla Croce, così ancor voi consacrando il pane separatamente dal vino, e consumando poscia nella Comunione le specie sacramentali, ricordate e ripetete sino alla fine del mondo quello stesso Sacrifizio, unico e vero, che Io ho voluto ora anticipare e rappresentare, il sacrifizio della mia morte: Quotiescumque manducabitis panetti liunc et calicem bibetis, mortem Domini annuntiabitis donec veniat. » (I Cor. XI). È dunque evidente che come il sacrifizio compiuto da Gesù Cristo nell’ultima cena fu lo stesso Sacrifizio da Lui compiuto sul Calvario, così ancora lo è il Santo Sacrifizio della Messa che Gesù Cristo nell’ultima cena coll’onnipotente suo comando dato agli Apostoli istituiva in modo permanente. Or dunque se lo stesso è il Sacrifizio che si compie sui nostri altari che quello compiuto sul Calvario, non sarà pure lo stesso l’amore? Sì,lo stesso amore con cui Gesù Cristo adempì la nostra redenzione è quello con cui nella Santa Messa perpetua ed applica a noi i frutti della redenzione istessa. Ci amò adunque il Cuore di Gesù, ci amò di amore grande istituendo la Santissima Eucarestia come Sacramento, per cui perpetua la sua reale presenza in mezzo a noi e si fa cibo delle anime nostre; ma quando pensò a fare dell’Eucarestia il gran Sacrifizio che doveva durare sino alla fine del secoli, fece tal cosa che del suo amore per noi trascese i limiti estremi. Ma ciò non è ancor tutto; perciocché guardando bene addentro alla natura del Sacrifizio della Croce e a quella del Sacrifizio degli altari, sembra vedere in questo una carità più che generosa. Sul monte Calvario Gesù Cristo muore per espiare le nostre colpe, e morendo sembra il massimo prodigio di debolezza. Ma al tempo stesso che appare meno di un uomo, Egli rivela coi più grandi prodigi la sua divinità. Il cielo si copre di dense tenebre, il sole si oscura, la terra traballa, il velo del tempio si squarcia, i sepolcri si aprono, i morti risorgono, e tutta la natura si scuote per modo, che un gentile è costretto ad esclamare: Vere Filius Dei erat iste! Ah! costui era veramente Figlio di Dio. E così Gesù Cristo che moriva in croce come un malfattore si dava a conoscere per quella divina Persona, che era di fatto. Ma invece nel Sacrifizio della Santa Messa non succede nulla di tutto ciò. Quivi, è vero, Egli non muore che misticamente, vale a dire non in modo reale come sul Calvario, ma in modo occulto mercé la consacrazione separata del pane e del vino e la cessazione della sua esistenza Sacramentale per la Comunione. Ma perciò appunto nel Sacrifizio della Santa Messa Gesù Cristo non solo non si fa conoscere come Dio, ma neppure come uomo; perché mentre per una parte Egli si offre in Sacrifizio sotto simboli che non hanno nulla di sanguinoso e di spaventevole, per ragione di questi simboli medesimi, qui vi è un’eclissi totale della sua gloria, vi è la prigionia delle sue membra, vi è la cessazione delle funzioni naturali che convengono ai suoi sensi, vi è l’oscurità, l’immobilità, l’annientamento, che lo mettono talmente in nostra balìa che noi possiamo trattarlo come materia inerte. Ora quanto più altri si abbassa e si umilia per chi ama, non dimostra per lui tanto più grande il suo amore? Questa per ciò è la ragione per cui mi sembra esservi nel Sacrifizio dell’altare una carità tanto più generosa che nel Sacrifizio del Calvario, quanta più in quello Gesù Cristo sembra trascurare il suo onore. – Ma vi ha di più ancora. Perciocché io domando: Quante volte Gesù Cristo vuole rinnovato il Santo Sacrifizio della Messa? Certissimamente, come insegna l’Apostolo S. Paolo, « Gesù Cristo, sacerdote sommo ed eterno, non ha bisogno di offrire ogni giorno delle vittime, come facevano i sacerdoti dell’antica legge; Egli ha adempiuto tutti i doveri dell’umanità verso Dio e ne ha espiati tutti i delitti offrendo se stesso per una volta sola: Hoc fecit semel, seipsum offerendo. (Hebr. VII, 27) Quest’unica oblazione basta anzi a santificarci: Sanctificati sumus per oblationem corporis Jesu Chrit semel; (Ib. X, 10) basta a consumarci eternamente nella nostra santità: Una oblatione consummavit in sempiternum sanctificatos. (Ib.) Epperò il Sacrifizio della Messa non aggiunge un millesimo al Sacrifizio della Croce, giacché se la Messa è vero Sacrifizio, essa non è, come dicemmo, che l’unico Sacrifizio della Croce. Laonde, a notarlo di passaggio, la sbaglia di gran lunga il protestantesimo il quale, supponendo falsamente che tutte le Messe che si celebrano siano altrettanti sacrifizi separati e distinti da quello del Calvario, esce fuori col ridicolo sofisma che « La Messa fa ingiuria alla Croce, e con l’imputazione a noi Cattolici di credere che il Sacrifizio del Calvario non sia stato sufficiente a salvarci. » No, questa non è assolutamente la nostra fede. Ma pur credendo fermamente che bastò alla nostra salute l’unico Sacrifizio della Croce, e che il Sacrifizio della Santa Messa non aggiunge nulla al primo, perché tutte le Messe che furono celebrate dal principio dal Cristianesimo e si celebreranno fino alla fine del mondo sono comprese col Sacrifizio della Croce in un solo e medesimo volere di Gesù Cristo come un solo e medesimo Sacrifizio, noi dobbiamo riconoscere tuttavia e credere altresì che il Sacrifizio del Calvario non bastando alla carità del cuore di Gesù Cristo, Egli volle che mercé il Sacrifizio dell’altare fosse rinnovato e fatto presente ogni giorno, anzi le migliaia di volte al giorno, e che mercé questo stesso sacrifizio della Messa fossero applicate agli uomini di tutti i tempi quelle grazie di salute che scaturirono dal Sacrifizio del Calvario. Ma che dico solo « di tutti i tempi? » Io debbo aggiungere « di tutti i luoghi. » Perché la carità di Gesù Cristo non fu paga di dare alla Chiesa la facoltà di celebrare la Santa Messa in ogni giorno e innumerevoli volte del giorno, ma in un sol luogo, o in pochi luoghi determinati, ma istituì questo Sacrifizio in modo che si potesse e si avesse a celebrare da per tutto, nell’oscurità delle catacombe come nello splendore delle basiliche, nelle umili chiesuole di campagna come nei templi superbi delle città, sulle cime dei monti come in fondo alle valli, in mezzo al deserto come sulle acque dell’oceano, nei clamori del campo di battaglia come nella pace silenziosa d’una vergine foresta, dovunque insomma fosse possibile ergere un altare e piantarvi sopra una croce. Or dite, non è questo un vero abisso di carità? Certamente il Cuore di Gesù Cristo ci ha dato qui una prova finale del suo amore: In finem dilexit eos.

II. – Ma il tesoro donatoci dal Cuore Sacratissimo di Gesù nella santa Messa ci si manifesterà sempre più prezioso se ci facciamo a considerare come per esso ci fu dato il mezzo di rendere a Dio il culto a Lui dovuto nel modo più perfetto. Non solo la fede, ma la ragione istessa ci insegna che noi siamo legati a Dio con ogni maniera di debito. Iddio si affaccia alla mente umana siccome ciò che si può concepire di più eccelso, di più sublime, di più perfetto, come il principio di ogni essere e di ogni perfezione, la perfezione eterna ed influita, la somma grandezza, la somma sapienza, la somma potenza, la somma bellezza, la somma bontà, la somma giustizia, la somma santità. Ora innanzi a questa vista di Dio, l’intelligenza umana non può rimanersi superbamente inerte; è necessario che santamente si commuova e induca tutto l’uomo nella sua anima e nel suo corpo a chinarsi in adorazione innanzi a tanta Maestà; anzi fa d’uopo che spinga l’uomo, re della Creazione, a raccogliere in se stesso le adorazioni di tutto il creato e offrirle a Dio. Tutte il mondo sembra risentire la grandezza di Dio, suo Creatore, e il conseguente dovere di adorarlo; ed è perciò che il Santo re Davide invitava la terra tutta a rendere a Dio questo omaggio: Omnis terra adoret te. (Ps. LXV) Ed è perciò ancora che i tre fanciulli nella fornace ardente sollecitavano la luce e le tenebre, il venti e le tempeste, le brine e le nevi, la pioggia e la rugiada, i fiumi ed i mari, i monti e le valli, le erbe e gli alberi, le bestie selvagge e gli animali da campo, gli uccelli dell’aria e i pesci dell’acqua, le creature tutte a benedire il Signore. Ma questo mistico prosternarsi di tutti gli esseri privi d’intelligenza resta senza vita religiosa, se non ve la trasfonde l’uomo, essere ragionevole e religioso! Tocca a lui, come dotato di ragione e come sacerdote della creazione animare le adorazioni di tutto il creato, raccogliere nel suo cuore il profumo come in un sacro incensiere! e farlo quindi salire al trono di Dio come incenso gradito. Ma con tutto ciò l’uomo come essere finito non potrà mai render a Dio la conveniente adorazione. Esprima pure dinnanzi a Dio il suo nulla con le preghiere più fervide e più nobili, bruci pure gli incensi più odorosi e più preziosi, arda pure migliaia e migliaia di ceri, sacrifichi pure i più pingui animali e ne moltiplichi a dismisura le ecatombi, unisca pure insieme gli omaggi più riverenti di tutti gli altri uomini, non sarà mai che ei possa rendere a Dio quel supremo e perfettissimo culto che a Dio è dovuto: Dio non può essere degnamente onorato se non da Dio. Or ecco a che serve anzi tutto il Santo Sacrificio della Messa. Poiché essa è un Uomo – Dio quegli che si immola in nostro nome con la stessa umiltà profonda, con la stessa devota riverenza, con la stessa perfetta obbedienza con cui si offrì sulla croce, ed in essa quest’Uomo-Dio ci ammette ad offrire questa sua immolazione divina, per tal guisa nella S. Messa noi siamo abilitati a rendere a Dio l’adorazione più perfetta, superiore immensamente a quella stessa adorazione, che gli rendono tutti gli Angeli e tutti i Santi del Cielo. Non basta. Iddio oltre al presentarsi alla nostra mente come l’essere più perfetto, si presenta altresì al nostro cuore come il nostro supremo benefattore. È forse necessario che vi ritessa qui la storia delle larghezze divine per noi? Che vi mostri come tutta quello che siamo e che abbiamo in ordine alla natura ed alla grazia, tutto ci viene dalla liberalissima mano del Creatore? – Ormai, dopo che nel corso di questo mese abbiamo ricordati i supremi benefizi fatti dal Cuore di Dio all’uomo, sembrerebbe inutile. Basta il dire che l’uomo in tutto il suo essere non è altro se non un cumulo di benefizi divini. Ora dinnanzi a questi benefizi immensi fa d’uopo che il cuore dell’uomo, riconoscendoli, si commuova ed esprima la sua gratitudine a Dio nel miglior modo possibile. Ed ecco perché la Chiesa volgendosi a Dio in uno slancio del suo culto per Lui ci ricorda questo grande dovere: Vere dignum et iustum est, æqunm et salutare, nos Ubi semper et ubique gratias agere. (Praef. Missæ) È veramente, o Signore, cosa degna, giusta, equa e salutare, che noi sempre e dovunque ti rendiamo le dovute grazie. Ma anche qui l’uomo, che è povero e privo d’ogni bene, come si adergerà a ringraziare Iddio in quella misura che Egli merita? Qual ricambio, chiedeva affannoso il santo re Davide, qual ricambio renderò io al mio Signore, per tutti i benefizi che mi ha fatti? Quid retribuam Domino prò omnibus, quae retribuii mihi?Ed ecco di bel nuovo il Santo Sacrificio della Messa, che viene in nostro soccorso.Lo stesso re Profeta mirando in lontananza a questo Sacrifizio, si confortava dicendo: Calicem salutaris accipiam, et nomen Domini invocabo: (Ps. CXV, 3, 4) Offrirò riverente il Calice d’un Dio Salvatore, ed il suo nome, la sua invocazione,il suo sacrifizio, soddisferanno per me al debito di gratitudine che ho con Dio. Si, in questo Sacrifizio, essendo Iddio ringraziato da noi per mezzo di Gesù Cristo, vero uomo ma pur vero Dio, riceve il rendimento di grazie in misura adeguata all’immensità dei suoi benefizi. Qual carità adunque ebbe per noi il Cuore di Gesù nell’istituire l’Eucaristia non solo come Sacramento,ma ancora come Sacrifizio! Per tal guisa egli soccorso meravigliosamente alla nostra necessità e picciolezza: poiché ci diede così il mezzo di fare a Dio un’offerta sensibile in segno di soggezione al suo supremo dominio e di rendimento di grazie alla sua infinita liberalità, e questa offerta è Lui stesso, Figlio eterno di Dio in atteggiamento di vittima, nell’atto cioè di adorare e ringraziare per noi Iddio nel modo più perfetto.

III. — Ma adorare e ringraziare Iddio, sebbene in modo perfetto, non è ancora tutto il culto che gli è dovuto e che noi siamo necessitati a rendergli. Perciocché ciò potrebbe bastare qualora noi non avessimo più di Lui alcun bisogno, ma non già nell’indigenza assoluta in cui ci troviamo. Ed in vero, che cosa siamo noi in ordine al corpo e in ordine all’anima? in ordine al tempo e in ordine all’eternità? Povertà, impotenza. E che è mai anche tutta la ricchezza, tutta la bellezza, tutta la sanità, tutta la forza, tutta la prosperità di tutti gli uomini raccolte in un sol uomo? Chi si può vantare di possederle senza timore di perderle? Più ancora, dove sono le nostre virtù, la nostra giustizia, la nostra fortezza d’animo contro gli assalti delle passioni, del mondo, di satana? Senza l’aiuto della grazia di Dio noi siamo nulla, possiamo nulla, nemmeno far nascere un buon movimento nel nostro cuore. E trovandoci ridotti a tale povertà ed impotenza non sentiremo noi la necessità di alzare i nostri occhi, di stendere le mani, di sollevare il nostro spirito e il nostro cuore col sacrifizio di propiziazione a quel Dio che può e vuole aiutarci? Ma l’uomo, chiunque egli sia, ha forse il sé i meriti per essere ascoltato da Dio? Era perciò che Gesù Cristo raccomandava a’ suoi discepoli di domandare al Padre celeste nel suo Nome e li rimproverava perché fino allora noi avevano chiesto in Nome suo, vale a dire per la virtù dei suoi meriti infiniti. Ah! senza dubbio perché le nostre domande giungano accette al trono di Dio e siano esaudite è necessario che siano vivificate dalla virtù di quell’Uomo-Dio, che senza avere per sé il minimo bisogno di pregare, ha voluto tuttavia per noi nel corso della sua mortal vita, come ci attesta S. Paolo, offrire a Dio preghiere e suppliche con forti grida e con lacrime. Ma ecco il Santo Sacrifizio della Messa. Ivi non solo domandiamo a Dio i suoi celesti favori nel nome di Gesù Cristo, ma, affine di rendercelo propizio ed ottenerli, offriamo a Dio lo stesso Gesù Cristo ricoperto di tutti i meriti infiniti della sua Passione e Morte. E come potrà essere che il Divin Padre nel vedere in questo sacrifizio augusto lo stesso suo divin Figlio che in atteggiamento di vittima implora grazie per noi, non ce le conceda tosto? Ed ecco perché una delle parti più importanti della liturgia della Messa consiste nelle preghiere che vi si fanno. In queste preghiere la Chiesa domanda ogni sorta di grazie; domanda la forza pei deboli, la consolazione pei tribolati, la provvidenza per i poveri, la conversione pei peccatori, la perseveranza per i giusti, la conservazione della salute del corpo, la cessazione delle malattie, la opportunità del tempo, la liberazione della guerra, la tranquillità degli Stati, il benessere delle famiglie, la protezione divina durante la vita, l’assistenza del cielo al punto di morte, il trionfo della verità e della giustizia, tutte le grazie per l’anima e per il corpo, per il tempo e per l’eternità. E tutte queste grazie ella domanda per i meriti infiniti di Gesù Cristo e specialmente per il merito del suo Sacrifizio che si offre in sull’altare. E tutte queste grazie ancora per lo stesso merito la Chiesa realmente impetra, così che la Santa Messa nella Chiesa è veramente la fonte divina di ogni bene, quella da cui deriva la conservazione, la vita, la forza, la prosperità di tutti i figli di Dio, e di tutti gli uomini del mondo. Ma infine nel culto che dobbiamo rendere a Dio, è per noi essenzialissimo espiare le nostre colpe. Tutti, senza eccezione di sorta, siamo miserabili peccatori che abbiamo più e più volte offeso la Maestà infinita di Dio. E ad ogni offesa che abbiamo commessa, noi avremmo meritato di essere distrutti. Tuttavia Iddio pietoso ci ha risparmiati e conservati in vita. Noi siamo adunque in dovere di riconoscere che Iddio poteva punirci perché ne eravamo ben degni. E a tal fine che dovremmo far noi? Poiché, come insegua l’Apostolo Paolo, non si fa la remissione delle colpe senza spargimento di sangue, non è del sangue che noi dovremmo far scaturire da una vittima ed offrirlo a Dio? Ma da quale vittima? Egli è certo che l’ecatombe intera del genere umano non varrebbe a soddisfare degnamente l’oltraggio recato a Dio col peccato. E se i sacrifizi dell’antica legge giungevano di fatto a placare Iddio ed a renderlo propizio al popolo od all’uomo peccatore, non era già per quello che erano in se stessi, ma bensì per quello che significavano, « essendo impossibile, come insegna lo stesso S. Paolo, che col sangue dei capri, dei vitelli e dei tori si cancellino i peccati. » Ma ciò che non può fare il sangue degli uomini, e tantomeno quello degli animali, lo potrà fare senza dubbio il Sangue di Gesù Cristo, che ha una virtù ed un merito infinito. Ed è questo appunto che si offre a Dio nel Santo Sacrifizio della Messa, come già un giorno nel Sacrifizio del Calvario; ed alla vista di questo Sangue che si offre per la remissione dei peccati, come non si placherà la giustizia di Dio e non trionferà la sua misericordia? Non già che nel Sacrifizio della Messa si rimettano immediatamente i peccati senza il bisogno di sottometterli alla podestà delle chiavi nel Sacramento della Penitenza, ma bensì perché in questo Sacrifizio sgorgano quelle grazie di conversione che valgono a spezzare i cuori colpevoli e a purificarli prima ancora che nel Sacramento delle divine misericordie abbiano ricevuto la sentenza! di assoluzione; perché in questo Sacrifizio scaturisce il dono della vera compunzione, lo spirito di penitenza, la grazia di ben praticarla e di ristorare per tal guisa in unione ai meriti infiniti di Gesù Cristo gli oltraggi recati a Dio con la colpa. È in questo senso che noi riconosciamo nel Sacrifizio della Messa una virtù espiatrice; e non solo per noi viventi ancora sulla terra, ma secondo la fede e la pratica costante della Chiesa, secondo la testimonianza dei Santi Dottori, secondo le attestazioni delle più antiche liturgie, non ostante le negazioni dell’eresia, ancora per le anime giuste, che passate a l’altra vita con le macchie di lievi peccati o senza aver fatta condegna penitenza dei peccati gravi, trovatisi ancora nella necessità di compiere la loro espiazione, prima di poter raggiungere la requie e la luce eterna. Più ancora: al Santo Sacrifizio della Messa noi attribuiamo giustamente una virtù espiatrice, non solo per coloro che intendono o per i quali si intende direttamente ad ottenerla, ma eziandio per quei peccatori che di ciò non si danno alcun pensiero, e per quelli medesimi che con diabolico proposito si abbandonano alla colpa con questo scopo diretto di sfidare le divine perfezioni. Alcuni si meravigliano, parendo loro che Iddio ai tempi nostri abbia cambiato il modo di governare, essendo che anticamente si faceva chiamare il Dio degli eserciti, e parlava ai popoli frammezzo alle nuvole, e con i fulmini alla mano, e castigava le colpe con tutto il rigor della sua giustizia, con le catastrofi più spaventose, mentre ora tollera con pazienza non solo le vanità e le leggerezze, ma i peccati più sordidi, gli scandali più iniqui e le bestemmie più orrende, che molti de’ Cristiani vomitano ad ogni tratto contro il suo Santissimo Nome. Come va dunque? Forse che le nostre ingratitudini sono ora più scusabili, di quello che erano prima? Tutto all’opposto. Sono assai più colpevoli quanto più grandi sono i benefizi, di cui noi nella nuova legge siamo ricolmati. La ragione vera di sì stupenda clemenza è la S. Messa, in cui si offre all’eterno Padre questa gran vittima di Gesù, questo agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo. « Io per me credo – dice mirabilmente S. Leonardo da Porto Maurizio – che se non fosse la Santa Messa, a quest’ora il mondo sarebbe già sprofondato, per non poter più reggere all’alto peso di tante iniquità; ma la Messa è quel poderoso sostegno, che lo tiene in piedi. » Sì, è la Santa Messa, che ferma più spesso di quel che si crede il braccio della divina giustizia pronto a percuotere, che allontana i molti flagelli dagli uomini, che li scampa da tanti pericoli, e che, provocando la divina misericordia, attira invece sopra di essi le più elette grazie. Oh se l’umanità comprendesse quello di cui va debitrice al Santo Sacrifizio della Messa! Così adunque col Sacrifizio dei nostri altari si rinnova e si fa presente lo stesso Sacrifizio del Calvario, e per tal guisa si rende alla Maestà di Dio il culto che a Lui è dovuto nel modo più perfetto. Così si onora come deve essere onorato. E poiché nell’offrire questo sacrifizio si ricordano e si esaltano quasi sempre le virtù, i meriti e le grazie di Maria, Madre di Dio, degli Angeli e dei Santi, e si invoca la loro intercessione secondo l’avvicendarsi delle loro feste, così collo stesso Sacrifizio, non già offerto ad essi direttamente, ma a Dio in loro onore, si rende anche ad essi l’omaggio di quel culto che loro pure è dovuto. Così specialmente si adora Iddio come deve essere adorato, gli si offre il più adeguato ringraziamento de’ suoi benefizi; se ne domandano dei nuovi nel modo più atto ad ottenerli, si implora e si ottiene la remissione dei peccati. Così ancora la Santa Messa è il compendio di tutti i sacrifizi dell’antica legge, perciocché da solo è sacrifizio latreutico, ossia di adorazione, sacrifizio eucaristico, ossia di ringraziamento, sacrifizio impetratorio, ossia di impetrazione delle grazie, sacrifizio espiatorio, ossia della remissione dei peccati. Amore pertanto, amore infinito del Cuore di Gesù per noi, ecco ciò che ci predica in modo eccellentissimo il Santo Sacrifizio della Messa. E dopo ciò come potrà essere che, dai devoti almeno del Sacro Cuore, non si corrisponda degnamente a tanta prova di amore? Come non vi sarà in noi il massimo impegno per ascoltare devotamente la Santa Messa, non solo nei giorni festivi, ma più volte ancora nel corso della settimana? Deh, o carissimi, non rifiutiamoci di partecipare il più sovente possibile con la nostra devota presenza ad un Sacrifizio che è la gloria della Chiesa, la consolazione e la delizia delle anime fedeli, la ricchezza e la fortuna di ogni cuore cristiano, la fonte inesauribile di tutte le grazie per il tempo e per l’eternità. Veniamo, veniamo spesso ad attingere con gaudio a questa fonte di salute, e siamone certi, per la bontà immensa del Cuore di Gesù Cristo, continueranno a sgorgarne zampilli di vita eterna. E voi, o Cuore Sacratissimo, nel vostro influito amore per noi, continuate ad ammetterci in questo Santo Sacrifizio ad essere partecipi delle vostre adorazioni, delle vostre azioni di grazie, delle vostre suppliche e delle vostre impetrazioni di perdono, affinché per questo gran mezzo compiendo degnamente i nostri doveri col vostro Padre Celeste, possiamo sempre nel corso di nostra vita essere da Lui mirati con sguardo benigno ed amoroso, ed al termine di essa meritarci d’essere accolti per tutta l’eternità tra le sue braccia in cielo.

DIO IN NOI (8)

DIO IN NOI (8)

[Versione p. f. Zingale S. J. – L. I. C. E. – Berruti & C. – Torino, 1923; imprim. Torino, 7 aprile 1923 Can. Francesco Duvina]

IO SOLO

A prima vista sembrerebbe che « rientrare in se stesso », raggiungersi, costituisca un esercizio facile ed elementare. L’uomo, dopo aver accudito ai suoi interessi, non ama forse rientrare in casa? Può darsi che ami rientrare in casa, ma in se stesso, non lo sembra affatto. Quando in una via di Galilea Nostro Signore invita Zaccheo a ritornare a casa sua, dov’è Zaccheo e che fa? È salito sopra un sicomoro per guardare. Tutti somigliano a Zaccheo; siamo fuori di casa nostra, e dall’alto di non so quale osservatorio, guardiamo la folla che passa, il moto, lo strepito, ed è solo ciò che ci interessa. Zaccheo almeno aspirava a vedere il Cristo, il suo modo di fare lo dice. È forse per trovare Nostro Signore che noi siamo «usciti», ovvero per divertirci a sentire le grida, gli strepiti, a vedere gli urti e i mutamenti perpetui della strada? « Zaccheo, scendi, discendi dal sicomoro, discendi dall’alto ». Dio ci rivolge lo stesso invito. Il giudeo agile fece presto a rimettere i piedi in terra. Ma quanto la discesa non è per noi più faticosa! « Hodie, in domo tua oportet me manere » oggi voglio dimorare in casa tua. Vieni giù e va subito a casa tua. Oggi stesso, a momenti, riceverai la mia visita. Non assentarti. Fa in modo ch’io ti trovi ». Dall’alto al basso dell’albero, dal piede dell’albero alla soglia della casa: ecco la distanza. In sé, non è molto; alcuni metri. Ma per noi, oh quanto ci costa percorrere questi pochi metri! Zaccheo, nella strada, incontrerà molta gente; qualcuno vorrà fermarlo, distrarlo, occuparlo, ritenerlo, divertirlo. Le cose inutili sono così attraenti! Qual coraggio non occorre per sacrificarle! Noi lo notiamo nella vita dei Santi. – S. Pambone, ascoltando un giorno un versetto di un salmo, si rende conto che Dio non è con colui il quale vive perpetuamente al di fuori di sé, alla ricerca di parole vane. Ed esclama: « Basta. Verrò a sentire il resto, quando avrò messo in pratica questa lezione ». Dopo quarant’anni trascorsi nel deserto, qualcuno gli domanda se vi è riuscito. Risponde: « Non ancora! ». È la risposta di un umile, che ha lottato per effettuare il suo disegno e non si fa illusioni. Chi non vedesse la difficoltà apra a caso uno dei tre primi libri dell’Imitazione, ovvero l’opuscolo Dell’unione con Dio del Beato Alberto Magno, e ne sarà convinto. Fin qui la sola via conosciuta per ottenere il raccoglimento, è la rinunzia di sé. Mettiamo quindi da parte il quietismo, il riposo beato e inattivo in Dio. Noi ne siamo cento miglia lontani. È inutile insistere; da quello che abbiamo detto sopra si è dovuto capire, fino all’evidenza, che le anime raccolte sono necessariamente anime d’immolazione. – La via che conduce alla « vita interiore » è ingombra di rottami: bisognò disfarsi di tutti gli idoli che ostruivano il cammino. Rari coloro che passano pei crocicchi e si dirigono verso l’uscita: sono gli stessi a cui alludeva Agostino; capricci e passioni sbrigliate che cercano di appiccicarsi a noi e si dileguano, messe in fuga. Una via trionfale, ma che ha dovuto saccheggiare, Dio solo sa al prezzo di quanti sacrifici, per passarvi da re.

LUI ED IO

La mortificazione non è meno necessaria al secondo stadio. L’anima in grazia che riesce a raccogliersi, trova subito Dio. La divisa « Io solo », si cambia in quest’altra: « Noi due soli! ». Ma in noi, oltre noi e Dio, vi sono ancora mille altre cose, e se si guarda da vicino che gravi ingombri non si vedono! Perciò in molli accade quello che accadde a Betlem, allorché Nostro Signore andò in cerca di un ricovero per ripararsi e nascere. Sono così vacue, le cose di quaggiù! Ma noi le apprezziamo tanto! Esse invadono tutto, e allorquando Dio batte, come fece altra volta, alla porta delle anime, « non vi è per Lui posto nell’albergo» – (E. HELLO ha una pagina vibrante nelle Physionomies des saints: « Non vi era posto nell’albergo ».« La storia del mondo si racchiude in quelle tre parole;e benché breve e sostanziale, nessuno la legge: giacché leggere importa capire. E l’eternità non sarà troppo lunga per misurare l’importanza di quanto sta scritto in queste parole: Non vi era posto nell’albergo. Ve n’era per gli altri viaggiatori. Non se ne aveva per questi soli. Quello che si dà a tutti, si rifiuta a Maria e a Giuseppe; e intanto Gesù nascerà fra alcuni minuti. L’aspettato dalle nazioni bussa alla porta del mondo, e per Lui non vi èposto nell’albergo! Il Panteon, quest’albergo degl’idoli romani, dava alloggio a trenta mila demoni, prendendo nomi creduti divini. Ma Roma non accolse Gesù Cristo nel Panteon.Si sarebbe detto che indovinasse che Gesù non voleva affatto quel posto e quell’onore. Quanto più qualcuno è meschino, altrettanto gli riesce facile trovare un posto. Ma colui che ha qualche qualità degna di un uomo, prova difficoltà a collocarsi. Chi portasse qualcosa di meraviglioso e prossimo a Dio, incontrerà maggiori ostacoli. Chi porta Dio, non troverà posto alcuno.« Sembra che si indovini che gli occorrerebbe un posto molto grande, e benché si sforzi di apparire piccolo, non riesce a disarmare l’istinto di coloro che lo respingono. Non può persuadere loro che somiglia agli altri uomini. Potrà in tutti i modi nascondere la sua grandezza, questa risplenderà suo malgrado e le porte al suo avvicinarsi, si chiuderanno come per istinto… »). –  Aperta a tutti, frequentata da molti clienti, l’anima nostra non ha un posto per il Signore.Ovvero se Dio vive in noi perché siamo in grazia. per noi è lo stesso, generalmente parlando, che se non vi fosse, giacché ignoriamo, oppure trascuriamo la sua presenza. E l’Ospite divino, esiliato, in un angolo polveroso e oscuro, paria dimenticato, aspetta che qualcuno si occupi di Lui – attesa, spesse volte, vana –  e la sua preghiera silenziosa che un giorno diventerà condanna eloquente, è questa. « Hospes eram et non collegistis me. Esurivi et non dedistis mini manducare. Sitivi et non dedistis mihi potum. Io ero in te; per mancanza di raccoglimento, non mi hai accolto. Avevo fame di darmi a te; avevo questo desiderio che non s’è mutato dalla sera del Giovedì Santo, di mangiare con te perpetuamente la Pasqua, e tu non hai risposto al mio desiderio; non ti sei impensierito della mia fame, non mi hai invitalo a pranzo. Io avevo sete, sete di quell’amore che ti vedevo sciupare nelle creature, in creature vili, talvolta indegne, e in ogni ipotesi, meno belle, mille volte meno di me, Creatore, di me che sono l’Amore; e tu hai sorriso della mia sete, ovvero non l’hai neppure supposta.Avevo sete di vederti interrompere qualche tuo comodo, rinunziare a un capriccio, a tutte quelle inutilità che accaparravano l’anima tua e vi stabilivano i disordini più tristi, perché io, che sono l’Essenziale, potessi, da padrone, regnare nell’anima tua, sgombra. E tu non hai visto nulla, nulla compreso — o se hai visto e compreso,non hai voluto nulla! Ammetto pure che sia penoso abbandonare il nulla per il tutto. Ma, in fin dei conti, non ti avevo creato un essere ragionevole? Non ti avevo naturalizzato divino? Che te ne pare… ».Ogni Cristiano, per seguire Gesù, deve portare la croce e mortificarsi. Molto più l’anima che professa la vita spirituale e tende alla perfezione della vita cristiana! La grazia che riceviamo nel Battesimo diffonde in noi la vita soprannaturale, non nella sua pienezza, ma come in germe. Dio è intero, ma si riceve in modo limitato, secondo la capacità di ciascuno, giudicata con la misura delle predestinazioni provvidenziali. Questo germe si sviluppa sotto l’azione dello Spirito Santo con la cooperazione dell’anima che per mezzo « dello Spirito », deve far morire « le opere del corpo ». S. Paolo nota giustamente che nel Battesimo noi riceviamo solamente « la caparra » di questa vita divina; il che spiega come il possesso di Dio possa venire limitato ad alcune anime in grazia, e in conseguenza, come la capacità di contenere Dio possa ingrandirsi, se non si impedisce che il Cristo, « il quale una volta per sempre ci ha col suo sangue riscattati dalla schiavitù del peccato », ci liberi gradualmente, per mezzo della nostra fedeltà ai suoi inviti. Dopo avere salvato le nostre anime, senza concorso alcuno da parte nostra, santifica ciascuna di esse, valendosi dello Spirito Santo, a seconda della nostra fedeltà. Si capiscono quindi i desideri ardenti dei Santi: « Finché Dio mi dà vita, scrive Paolina Reynolds nelle note di ritiro spirituale l’anno 1902, posso progredire nell’amore, nell’unione, nella capacità di possedere Dio per l’eternità! La morte mi stabilirà nello stato in cui mi troverò. Quanta gloria per il Signore e quanti meriti per me non ho io trascurato! Forse è l’ultimo sforzo della misericordia… ». – Chi si abbandona all’influsso della grazia, non resterà stazionario nel possesso della medesima. Sarà trasportato dalla corrente. La vita dei « Tre » aumenta in lui, nello stesso modo con cui si dilaterebbe un recipiente, che rimanesse sempre ripieno del suo contenuto. « Siamo tu e io solamente », diceva Nostro Signore a una Santa. Affinché in noi si verifichi la stessa affermazione, quanto distacco da ogni cosa ci è necessario! Affinché la divisa di suor Elisabetta « Solo col Solo » non sia una semplice formola, ma diventi una realtà, quanta abnegazione ci si richiede! « Non vi sia schermo tra Dio e voi, né fra i due », consigliava il Santo Curato d’Ars. Coloro che hanno provato, possono dire quanto costi sopprimere lo schermo. S. Paolo lo scriveva a Timoteo, e la regola è formale: « Si commortui, et convivemus. Per condurre la vita in due, bisogna aver subito la morte in due » (II TIM. II).

DIO SOLO

L’anima può fare un ultimo passo: perdere di vista a segno tale se stessa, che in tutto consideri Dio solo. Ha cominciato a possedersi pienamente, anima mea in manibus meis semper. Rientrata in sé ha trovato di non essere sola. Adesso che ha trovato Dio dentro di sé stima nulla il resto, ed anche il proprio essere lo considera meno di ogni altro. È l’ultimo stadio dell’ascensione spirituale, l’ultimo della discesa in se stesso.Riepilogando tutto in una frase scultoria, un tale diceva: « Al limite mio c’è Lui ». A prima vista potrebbe sembrare che « omettersi» sia relativamente facile. Ripetuti esami di coscienza mostrano l’anima fino al fondo, e un’anima d’uomo non è qualcosa di molto bello. Le indelicatezze più varie, le fiacchezze meno onorevoli, impegni non mantenuti, preghiere raccorciate, promesse diminuite, disattenzioni inescusabili, tutto questo forma materia abbondante. Non parlo del peccato, giacché supponiamo trattarsi di un’anima in grazia, generosa con Dio o che fa sforzi per divenirlo. Si prova quasi un bisogno di fuggire il proprio essere, di lasciarsi in un angolo; di non più occuparsi di sé nella preghiera, di non stancare le orecchie del Maestro con la mostra, mille volte ripetuta, delle stesse miserie, delle medesime piccole brutture. Del resto ciò non fa meraviglia, né dispetto; ma in alcuni giorni vi è dell’eccesso, e si sente il peso di se stesso. In tal caso, che soggetto di conversazione scegliere quando si va a trovare Dio? No, si vuole tutt’altro. Si è poi così poco atti a occuparsi di sé, come si farebbe a destare l’interesse di Dio per una meschinità simile? Se invece di parlargli di me, io riuscissi a parlare unicamente di Lui? In luogo della mia povertà, delle mie miserie, della mia croce, delle mie vili ambizioni, io gli parlassi delle sue ricchezze, della sua misericordia, della sua croce, della gloria sua: « Gloria in excelsis DeoGloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo Gratiam agimus tibi, propter magnam gloriam tuam» e il « cujus regni non erit finis», del Credo che S. Teresa ripeteva sempre con trasporti di gioia!Per quanto profondo e legittimo sia questo sentimento, non accadrà mai che in noi, non vi sia… il noi. Noi, «è un dio caduto che ricorda i cieli », ed è anche il « gorilla feroce » o ubriaco che ha rotto la gabbia. Noi, con le nostre tare, le nostre piccolezze e abitudini inveterate di miseria; con l’amor proprio indistruttibile, che San Francesco di Sales dice morire un quarto d’ora dopo la nostra morte. Gli autori spirituali, dopo S. Paolo, lo chiamano l’uomo vecchio, parola che si crederebbe scelta per antifrase, talmente questo personaggio singolare gode nel mondo di una giovinezza inalterabile. « Noi siamo due, diceva Giuseppe de Maistre, io e… l’altro ». Aveva ragione. Ma l’altro è strettamente unito all’«io», e l’intimità loro è la storia d’intese continue col nemico.Si attribuisce al P. de Ravignan questa risposta umoristica, data un giorno a un tale che lo interrogava sulle sue impressioni di noviziato:« Eravamo due. Ne gettai uno dalla finestra ». Si suppone facilmente quante immolazione necessiti questo gesto degno di un forte. S. Agostino l’aveva capito quando esclamava: « Eia dulcissime Deus, hoc mihi pactum erit: plane moriar mihi ipsi, ut tu solus in me vivas. Su via, Signore, ecco il nostro patto: voglio morire interamente a me stesso, perché Voi solo possa tevivere in me ».L’Olier poteva pregare nel seguente modo:« O Tutto, o mio Tutto, io non sono più io, io sono Voi unicamente». Ma per arrivare fino a tal punto si considerino i sacrifici che si era imposto, fino a quello di offrirsi a Dio come« vittima »: « Mi piaceva, o mio Dio, presentarmi dinanzi a Voi in qualità di vittima,e dirvi: O Dio del mio cuore, non mi risparmiate,tagliate, spezzate, fate in pezzi la vittima» (Vie, presso Lebel, Versailles, 1918, p. 359 e seg.). È noto quale fosse l’unione con Dio del generale de Sonis. Ma sono ugualmente noti gli accenti generosi con cui offrivasi alla rinunzia più assoluta di se stesso: « O mio Dio, siate benedetto quando mi provate. Io amo d’essere spezzato, consumato, distrutto da Voi. Annientatemi sempre più… Volgetemi e rivolgetemi. Distruggetemi e manipolatemi. Voglio essere ridotto a nulla per amor vostro… Che io sia crocifisso, ma crocifisso da Voi! ». – In una formola più breve, qualcuno diceva: « Io sono uguale a zero ». Non trattasi qui di sacrificare solo la parte più rilevante, ma le particolarità fino alle minime attrattive della natura. Ciò è così ovvio che un testo sarà sufficiente. S. Giovanni della Croce nel primo libro dell’Ascesa al Carmelo, intitola così il capitolo XI: « È necessario che l’anima domi fino le sue minime passioni, per entrare in possesso dell’unione divina ». – « La ragione ne è, egli dice, che lo stato d’unione divina consiste in questo, che l’anima sia completamente trasformata nella volontà di Dio, di modo che la volontà di Dio sia il solo principio e l’unico motivo, che la faccia agire in ogni cosa, come se la volontà di Dio e quella dell’anima non fossero che una sola volontà. Or questa trasformazione è necessaria, giacché senza di essa l’anima potrebbe inclinare verso imperfezioni che dispiacerebbero al Signore, volendo cose che il Signore non vorrebbe ». E l’Ascesa avrà un solo scopo: servire di commento al programma seguente: « Per gustare tutto, non abbiate gusto di cosa alcuna. » – « Per tutto possedere, desiderate di non aver nulla. « Per essere tutto, abbiate la volontà di essere nulla in ogni cosa. » – « Allorché vi date a qualche cosa, vi arrestate dal gettarvi nel tutto. » – « Per andare dal tutto (della creatura) al Tutto (di Dio), dovete rinunziare a voi stesso, assolutamente in tutto.» – « E allorquando sarete pervenuto al possesso del Tutto, dovete custodirlo, non cercando altro.» – « Giacché se voleste qualche cosa nel Tutto, non avreste il vostro tesoro completamente puro in Dio ». Nel suo Port Royal Sainte-Beuve riferisce la storia di un’antica abbadessa, molto santa, che depone la carica e non può risolversi a consegnare la chiave di un piccolo giardino, dove i suoi privilegi anteriori le davano diritto di recarsi. È cosa molto facile ritenere la chiave di un giardinetto, e spesso costa moltissimo distaccarsene! Noi somigliamo a un fanciullo il cui armadio è pieno di giocattoli. Invitato a darne alcuni a bimbi poveri, trova che sono appunto quelli che egli stima di più. Ovvero a quell’altro ragazzo che impara dalla madre le orazioni e che giunto al passaggio: « Dio, Dio, vi dò tutto quello che possiedo », si ferma e mormora, a voce bassa: « a eccezione del mio coniglio! » (Questo tratto di fine psicologia è narrato da P. RAYMOND, O. P., La guida dei nervosi e degli scrupolosi, 1909, p. 178). I grandi sacrifici li facciamo facilmente — beninteso con facilità relativa — ma i piccoli ci costano moltissimo. Paolina Reynolds notava, a ventitré anni, durante un ritiro mensile, nel retroscritto di un’immagine, queste parole: « Se volete essere perfetto, il vostro cuore non inclini a nulla; date a Gesù Cristo tutto il vostro amore ». « Il mio pensiero, scrive ancora, si fermò su piccole cose che conservavo come tesori. Determinai di farne un sacrificio… Avevo con me lettere care che datavano dalla mia fanciullezza. Le amavo tanto, che quasi non le lasciavo mai. Ne feci un involto, senza osare neppure fissarvi gli occhi e lo rimisi al Parroco (suo confessore) perché lo bruciasse; giacché a me sarebbe stato impossibile farlo… Quell’offerta fu per me uno strazio incredibile… Passai quindi in rivista la mia stanza, senza omettere nulla: lettere, capelli, fiori disseccati furono gettati al fuoco… Fu un sacrifizio immenso. Non credo di aver fatto mai nulla che mi sia costato tanto ». E dalla sua vita apparisce chiaro che Dio metteva appunto questo «immenso», come condizione di grazie segnalate. – Ella aggiunge: « A partire da quell’ora, non ho più sentito il minimo affetto a cosa qualsiasi. Avevo capito la gelosia divina di Colui che voleva il mio cuore, fino al punto da non soffrire l’attaccamento a una lettera o ad un fiore » (Vie, p. 76, 78). – Teresa Durnerin, fondatrice della Società degli Amici dei Poveri, aveva ricevuto in dono un crocifisso, portatole da Roma. « Molto spesso, racconta sua sorella Noemi, vedeva scorrere dalla piaga del Cuore, non sangue, ma pietre preziose, in un calice tenuto da mani invisibili. Negli anni di gravi dolori e in cui l’anima sua viveva tuffata come in un oceano di amarezze, questa visione la consolava sommamente». Per consumare la morte a se stessa, Teresa si ridusse al partito di rinunziare al crocifisso, e lo mandò alle Missioni, con un certo numero di oggetti che erano per lei altrettanti cari ricordi. « La divina gelosia» del Maestro, esigerà, a volte, un sacrifizio mollo più penoso. S. Giovanna de Chantal, per seguire la vocazione, dovrà passare sul corpo dei suoi figli che si sono posti attraverso la porta. La contessa d’Hoogvorst, Emilia d’Oultremont, per farsi Riparatrice, dovrà anch’essa rompere vincoli molto cari. – La prima — e l’ultima — parola che Dio rivolge a Mosè, alla ricerca della Terra Promessa, è la seguente: « Exi, esci… abbandona, taglia, rompi »; e tutte le anime, incamminate verso Canaan, hanno la stessa consegna, e ogni giorno più rigorosa, a misura che avanzano. Importa poco che trattisi di una gomena o di un filo sottile; se vi è qualcosa che ci ritiene, l’unione con Dio è impossibile. « Poco conta, dice nello stesso capitolo San Giovanni della Croce, se il filo con cui è legato un uccello sia grosso o debole, se in realtà impedisce che voli; ugualmente è cosa indifferente che un’imperfezione sia grande ovvero piccola, se impedisce, allo stesso modo, che l’anima voli nella perfezione e nell’unione a Dio ». – Che sia necessario misurare le proprie forze, conoscere i doveri del proprio stato, non avventurarsi senza discrezione e senza guida verso una perfezione, bella forse in sé, ma inaccessibile a noi, è cosa da non porre in dubbio. Bisogna darsi a Dio, secondo una frase prudente e vigorosa di S. Caterina da Siena, « con misura e senza misura ».

CONCLUSIONE

Molti collocano la devozione là dove essa non è. In alcuni atteggiamenti, in certi gesti: Mons. Camus, l’amico di S. Francesco di Sales, volendo imitare la perfezione del Vescovo di Ginevra, non trovava altro da ricopiare in lui, all’infuori di un certo modo di tenere il capo inclinato. Quella non era santità; e Mons. Camus lo comprese subito. Enrico d’Alzon cadde, da giovine nello stesso difetto. Santa Teresa del Bambino Gesù ci racconta quante volte una religiosa, sua compagna, fu sul punto di farla impazientire, mormorando, accanto a lei, le preghiere a mezza voce. – La pietà non è legata a una posa qualsiasi, e Dio ascolta ugualmente bene le preghiere recitate a voce bassa e senza strepito di labbra. Altri fa consistere la devozione nella molteplicità degli esercizi: un dato numero di rosari, di piccoli offici, di letture edificanti. Sarebbe imperfezione grave non abbonarsi a quella tale rivista edificante, e diventerà un affare di stato l’invertire l’orario stabilito per le devozioni, ovvero ammettere una lacuna. Le pratiche di pietà sono certamente necessarie; ma non costituiscono né l’intera devozione, né la parte principale di essa. Altri ripone la pietà nel sentimento. Se Dio concede loro qualche consolazione, stimano ciò denaro contante e confondono la facilità con la virtù. La vera devozione consiste in uno spirito: uno spirito che anima la vita. – La pietà vera, prima di ogni altro, è questione d’intelligenza. In questo dominio, come in molti altri, molte forze vanno perdute perché malamente usate. Numerose sono le anime dotate di generosità, ma che si smarriscono negli accessori, mancando di un principio unico, sicuro, largo, comprensivo e preciso, dinamico e dogmatico. La pietà, quale noi la concepiamo, è una pietà seria. Ha per fondamento il dogma in quella parte che sostiene tutte le altre, e alla quale ogni altra si connette. Stabilita nel dogma capitale, la pietà si alimenta, mediante l’ascetismo più semplice e più tradizionale a un tempo; ascetismo basato sulla fede e non nel sentimento che richiede la più grande energia e l’abnegazione più generosa, abnegazione che esso stesso sa ispirare. La pietà che si appoggia sul dogma più fondamentale e che ha come svolgimento e come termine la rinunzia dell’io, è una pietà seria. Ed è anche una pietà profonda. Non arriva forse fino al fondo di noi stessi, fino a quell’intimo interiore che portiamo in noi, dove ci sono confidati i secreti del Re? Chi vive con Dio in sé, e di Dio in sé, sarà un uomo superficiale, col cuore attaccato al nulla e all’inutile, solo nel caso in cui vi applichi ogni sua buona volontà; chi è avvezzo a distaccarsi dal centro per ricondurvi tutto, non proverà punto la dispersione che forma il difetto delle vite volgari e dissipate. È la riduzione all’unità. Quante anime corrono da una pratica devota a un’altra, senza mai avere cercato di stabilire un legame fra ciascuna di esse! Tutto è variabile, perché nulla è indicato in modo particolare. Nessun pensiero direttivo riannoda le diverse azioni della loro vita spirituale. Si è in balia di un libro, abbandonati a una corrente di devozione. Manca un’idea dominatrice, intorno alla quale l’esistenza si cristallizzi. – La dottrina di Dio in noi è il legame per eccellenza, giacché il grande problema dell’essere nostro, l’unico anzi, è la nostra divinizzazione. Pietà larga, che non si concentra in un campo ristretto, ma si estende, senza opposizione, a ciò che è più grande e più bello. Oh com’è vero che tutto s’illumina, sotto la luce di Dio in noi! Si diviene veramente intelligenti nel senso etimologico e nobile della parola: intus legere. Come s’acquista l’abitudine di leggere al di dentro di sé, nell’anima propria, questo libro così ricco, ma spesso così chiuso! E come in tutto quello che si vede, ormai solo l’interno interessa! Fra gli avvenimenti che si svolgono nella storia dell’umanità, si ricerca il gesto, l’azione divina, la storia di Dio. Negli uomini che ci passano accanto, l’essere umano ci sembra molto piccolo, comparato a Dio che vive o che vuole vivere in esso. Si percepisce che nel mondo una sola cosa importa: la vita di Dio nelle anime. Quando sulla terra non vi sarà più nessuno capace di divenire un eletto, la terra non conterà più. Largo è anche il pensiero di Dio in noi, perché mette l’anima al cimento di far continui sforzi per crescere, dilatarsi, lasciare il posto a Dio.

« Bisogna che Egli aumenti e io diminuisca », diceva Giovanni Battista. La divinizzazione fu perfetta fin da principio nell’umanità di Nostro Signore. In noi, altri Cristo, la vita divina è suscettibile di aumento. Noi cominciamo con essere «dèi in germe», secondo l’espressione dei Padri, destinati a divenire « dèi in fiore ». Abbiamo prima l’initium substantiæ eius (Heb. III, 14); ma dobbiamo progredire fino allo sviluppo completo: crescit in augmentum Dei (Col., II, 19). Così concepita, la pietà di cui ci occupiamo, sarà anche dinamica. Agirà in noi come un perpetuo stimolo: Ecce non dormitabit neque dormiet qui custodit Israel. Come potrebbe dormire, il custode d’Israele? Qual principio potrà mai produrre la purità, migliore di questo: Dio vive in me! – « Il Cristo, dice S. Agostino, è al centro del nostro interno, e di là vede quello che la mano fa, ciò che dice la lingua, quello che la mente pensa e quali sono i nostri sentimenti intimi. Quanto bisogno quindi abbiamo di vivere molto vigilanti, pii e casti, giacché siamo sempre sotto lo sguardo di un maestro santissimo! » (De Ascens., Serm. II).E S. Anselmo aggiunge: «O Cristiano, non ti dice l’Apostolo che tu sei lo stesso corpo di Cristo? Custodisci quindi e il corpo e le membra con tutto quell’onore che ad essi è dovuto.Gli occhi tuoi sono gli occhi di Gesù Cristo; volgerai gli occhi di Gesù che è la verità, versola vanità? Le lue labbra sono labbra di Gesù Cristo, le aprirai, non dirò per pronunziare la calunnia e la maldicenza, ma anche solo per fare discorsi inutili e conversazioni frivole? Con quanta vigilanza e rispetto non dobbiamo governare tutti i nostri sensi e le membra del nostro corpo, poiché sono rette da Nostro Signore in persona, e sono possedute e dirette da lui nella loro attività! » (Medit. I). Quale altro principio produrrà, più di questo, lo zelo? Vedendo che il Cristo è scacciato dappertutto, messo alla porta dalle anime, non si avrà più quiete; ma come una volta Elia, ci si chiederà: « Quid hac agis, Elia?Elia che fai? — Altri si lanceranno al buon combattimento. Nunquid fratres vestri ibunt ad Pugnam?— E tu che fai, resti al tuo posto? Et vos hic sedebitis?». Pare impossibile non accorrere per gridare a tutti, come Giovanni Battista alle folle del Giordano: « Vi è qualcuno in mezzo a voi, dentro di voi che voi non conoscete ». « È forse troppo, si domandava Paolina Reynolds, che io vi conosca e vi ami? Oh no! Mio Gesù, manifestatevi al mondo, a tutti! Fate che i vostri amici, coloro che vi sono consacrati, vi conoscano a pieno e vi facciano conoscere! Rivelate alle anime l’incanto dei vostri santi misteri. Che tutti i vostri Cristiani siano santamente avidi di tutto ciò che può farvi dare, farvi consegnare alle anime, alle intelligenze, ai cuori! – « E poi, o Gesù, o Dio, quei milioni e milioni di uomini che non vi conoscono affatto, per i quali la vostra Incarnazione, i vostri .Misteri, l’Evangelo, la Chiesa, sono lettera morta… Oh pietà! pietà! manifestatevi al mondo » (T. II , cap. II, Médit. IV ). Pietà allegra. Esiste una sola tristezza, ed è quella di non essere santi. Quanti Cristiani sopporterebbero meglio le pene della vita, se avessero la conoscenza pratica e attuale del bene che portano, o che dovrebbero portare costantemente: Dio, nell’anima loro, mediante la grazia santificante! Possiamo perdere tutto, ma se Dio ci rimane, che altro bisogno avremo? Si può essere abbandonati da tutti; ma se da parte nostra non abbandoniamo Dio, saremo privati di poca cosa. – Vivere solo con Dio è agire da grandi; essere solo con Dio, è una solitudine ricchissimamente popolata, perché se ne possa restare contenti. Allorché S. Paolo consiglia di essere sempre allegri, che cosa dice in pratica, benché in apparenza sotto forma indiretta, se non: « siate sempre in istato di grazia »? Elisabetta Leseur scrive nel suo Diario: « Vi è una gioia che i dolori più acuti non distruggono, una luce che brilla nelle tenebre più dense, una forza che sostiene tutte le nostre fiacchezze. Soli, noi cadremmo per terra, come Cristo portando la croce; pertanto noi camminiamo, ovvero le nostre cadute sono meramente passeggere e ben presto ci rimettiamo coraggiosi in piedi. La ragione sta in questo che « noi possiamo tutto in Colui che ci fortifica ». Esseri deboli, portiamo in noi la Forza infinita, e nella profondità dell’anima nostra risplende la luce che non si estingue. Come non essere allegri, a dispetto di tutto, allegri di una gioia soprannaturale, quando possediamo Dio per la vita e per l’eternità? ». – Pietà liberatrice. Quale controsenso — che viltà — non è mai il rispetto umano: i buoni hanno vergogna di apparire buoni, e i malvagi si onorano di essere tali! Agire bene, è un difetto; agire male, è una gloria. Trionfo insolente del diavolo e aberrazione crudele dell’uomo che inverte, da barbaro, il valore delle opere. – Chi vive in colui che passa nella strada, e ride di me che vado a fare la Comunione? Ed io, che vivo di Dio, arrossirò, mi nasconderò, avrò vergogna. Il rispetto umano è il disprezzo del divino. I cadaveri che deridono i viventi, e i vivi che si preoccupano dello scherno dei cadaveri  – «Riconosci la tua grandezza, o Cristiano », diceva il Papa S. Leone: « Agnosce, o Christiane, dignitatem tuam, e apprendi a liberarti dalla schiavitù. Tu sei figlio di Dio, sei figlio di Re, e ti affliggi per il figlio di uno schiavo? Solleva il capo, cammina a fronte alta. Se vi è qualcuno che debba arrossire e nascondersi, non sei tu. Imparalo, e non lo dimenticare più ». – Noi viviamo in un mondo a rovescio (« Per una ragione misteriosa, non meno che significativa, avviene che chi stabilisce di condurre una vita onesta e regolata, è quasi sempre mal visto dai suoi antichi compagni, agli occhi dei quali è più degno di disprezzo convertirsi, che commettere il falso ». JOERGENSEN: Sainte Catherine de Sienne et ses disciples, « Revue des Jeunes » 25 nov. 1917) . Apprezziamo invece le cose al loro giusto valore. Rimanere puro, pregare, portare Dio, non sono fatti umilianti. Tradire la fede, dimenticare il cielo, darsi al peccato, ecco l’onta suprema. Credi questo, e proclamalo, all’occasione, a voce alta. – Del resto nessun disprezzo per gli altri, nessun orgoglio per te. Ciò che essi sono, lontani da Dio, tu potresti divenirlo; ciò che tu sei, senza Dio, non lo saresti per lungo tempo. Non orgoglio, ma immensa magnanimità. Tu vivi in grazia, porti Dio; questo vale. -« Forse- scriveva E. Hello – la vanità diventerebbe quasi impossibile, se gli uomini avessero un’idea della loro grandezza. La voce della gloria farebbe in loro tacere la voce dell’amor proprio. Dio vuole che viviamo della sua vita, vuole darsi a voi, Egli, l’Infinito, e vi proibisce, in vista della vostra grandezza, di contentarvi del meno. Vi ricorda il valore della vostra redenzione, affinché sappiate quanto gli costate, vi prescrive gioie e glorie il cui pensiero dovete essere capaci di sopportare, — e voi, nei più bei sogni d’ambizione, giovine, fratello di S. Giovanni, aspirate a divenire emulo di questo o di quell’altro imbecille, che da venti anni parla per non dire nulla ». — E a volte peggio. – Di questa devozione abbiamo un modello eminente nella Santissima Vergine. Cominciando a scrivere queste pagine, il nostro pensiero, naturalmente, fu rivolto a Maria; al fine del lavoro, è ancor più naturale che la nostra mente si diriga verso di Lei. Si racconta dell’Olier, che una voce gli ripeteva spesso: « voglio che tu viva in una contemplazione perpetua» (Vie, 1918, Zebel, Versailles, p. 483). Maria non aveva bisogno di un simile invito, per abitare al di dentro. Prima ancora dell’Annunziazione, che pienezza di vita divina non era in Lei! Se il grande dovere di ogni Cristiano, « consapevole di sé », istruito sulle ricchezze che porta in sé stesso, mediante la grazia santificante, dev’essere quello di « lasciarsi invadere dai Tre », quali non furono i desideri di Maria, la cui intelligenza, per i misteri divini, era così desta e che la Chiesa ci mostra « piena di grazia » fin dal suo nascere! – Ecco l’Annunziazione: « Spiritus Sanctus superveniet in te». Lo Spirito Santo farà in voi una sopravvenuta. Mediante la grazia, Egli abita già nell’anima vostra, o Maria, insieme col Padre e col Verbo. Ma in Voi avrà luogo una discesa prodigiosa di Dio, che renderà intensa, fino a un grado massimo, la vostra vita divina. Voi siete già gratia piena. Che cosa ormai bisognerà dire di voi? Superplena, ripiena in modo da traboccare. Ecco che fino al Natale voi portale in voi l’Umanità santa del Salvatore. Oh quanto vi fa grande un tal tesoro! Ma dobbiamo dir tutto: quello che vi fa grande, più che la venuta umana del Figlio di Dio, è la venuta dello Spirito Santo, il quale ha reso possibile l’altra. Il motivo della vostra bellezza presente, più che la presenza dell’Uomo Dio in voi, in virtù del mistero della maternità incomparabile, è la presenza sovraeminente di Dio in Voi, il quale permette il miracolo che il Verbo si faccia figlio vostro. Eccoci, adesso, alla Pentecoste. Durante il corso della vita umana del Salvatore, Maria perpetuamente accanto a Lui, cresceva in grazia, come suo figlio, al contatto del suo esempio, dei suoi consigli, della vita sua. È venuta, per Gesù, l’ora di lasciare la Vergine Santa, e di ascendere al Padre; e Maria, come noi tutti, ormai non avrà altra presenza umana del Salvatore, che l’Eucaristica. Ma dalla destra del Padre, il Figlio manderà lo Spirito agli Apostoli, e per mezzo loro, lo farà discendere sul mondo, e questa venuta è anch’essa una sopravvenuta di un genere speciale, della quale Maria, regina degli Apostoli, godrà nel Cenacolo, stando in loro compagnia. « Lascia il posto allo Spirito Paraclito », dice il Sacerdote al demonio, ogni qualvolta gli è presentato qualcuno per essere battezzato. In un cuore già libero, libero non solo, ma pieno di Dio, che cosa non produrrà questa terza invasione dello Spirito? Ciò che in Maria è più bello, non è tanto l’ufficio suo quanto il suo Cuore Immacolato; e la legge è per tutti la medesima. La cosa che solo conta, non è punto la nostra azione esteriore, o il nostro ufficio nel mondo, quanto il più o meno di vita divina che portiamo in noi. « Dio guarda il cuore; Deus intuetur cor »; non considera altro; con un colpo d’occhio si rende conto se Egli vi si trova, e fino a qual punto; nulla dei fatti nostri e dei nostri gesti l’interessa tanto: « Deus qui in corde Beatæ Mariæ dignum Filio tuo habitaculum preparasti,come dice la sacra liturgia; o Dio che avete preparato nel cuore di Maria, un’abitazione degna di vostro Figlio ». L’anima nostra è, sì o no, la dimora del Figlio di Dio, e se sì, in che misura e con quanto frutto per la nostra vita?L’uomo può preoccuparsi di altri affari. Ma per Iddio, al di fuori di questo, non vi è altro affare importante nel mondo. Impariamo a pensare come pensa Lui.Dopo la Pentecoste possiamo contemplare Maria in casa di S. Giovanni. Il figlio suo divino l’ha lasciata, ma non è abbandonata dalla vita divina che Ella porta con sé; sicché tutta l’esistenza della Vergine si trascorre conversando con gli ospiti divini dell’anima sua. Non vi sono episodi, eccetto quello della Messa che l’Apostolo rinnova ogni mattina,« l’avvenimento più grande della storia umana… la ripetizione dell’ora decisiva, in cui il mondo peccatore, giustamente diseredato, fu d’un tratto ricondotto verso la pienezza della vita soprannaturale » (G . GOYAU).« Non ho nulla da fare al di fuori », diceva Ruysbrock. Maria non la pensava altrimenti. Nulla da fare al di fuori, tutto al di dentro, questo è il programma di chiunque aspira a ben altro che ad una vita cristiana superficiale. La parola intus è compresa in quella di intimità. Or, intus significa al di dentro. Saremmo felici se almeno alcune anime, dopo aver letto queste pagine, provassero desiderio di non vivere più « fuori » ma, rientrando in sé stesse, cercassero Colui che si trova in loro mediante la grazia: Dio, Padre, Figliuolo e Spirito Santo. – Quante anime lanceranno un giorno un grido di sorpresa, scoprendo tutto quell’interno che portavano in sé e che ignorarono! ». Dal momento in cui le abbiamo lette, quanto, queste parole di Mons. d’Hulst, ci parvero dolorose! E come rassegnarci che sia ignorato l’interno? E non ostante le varie ragioni che ci inducevano ad astenerci, perché non tentare l’impresa di richiamarne alla mente l’esistenza e il valore? Per quanto imperfette siano queste pagine, la Guida interna che parla al fondo delle anime, supplendo a quello che manca, farà sì che esse conducano al bene almeno un cuore. Un’anima è una diocesi assai grande, diceva S. Francesco di Sales. Quale ricompensa più bella di questa: un Cristiano, una Cristiana di più, risoluti a non voler stimare in avvenire lettera morta la presenza di Dio in noi; risoluti a vivere della vita divina, la vita interiore!

FINE

SALMI BIBLICI: “EXSULTATE DEO, ADJUTORI NOSTRO, JUBILATE DEO JACOB” (LXXX)

SALMO 80: Exsultate Deo adjutori nostro, jubilate Deo Jacob.

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME DEUXIÈME.

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 80

In finem. Pro torcularibus. Psalmus ipsi Asaph.

[1] Exsultate Deo adjutori nostro, jubilate Deo Jacob.

[2] Sumite psalmum, et date tympanum; psalterium jucundum, cum cithara.

[3] Buccinate in neomenia tuba, in insigni die solemnitatis vestræ;

[4] quia præceptum in Israel est, et judicium Deo Jacob.

[5] Testimonium in Joseph posuit illud, cum exiret de terra Ægypti; linguam quam non noverat audivit.

[6] Divertit ab oneribus dorsum ejus; manus ejus in cophino servierunt.

[7] In tribulatione invocasti me, et liberavi te. Exaudivi te in abscondito tempestatis; probavi te apud aquam contradictionis.

[8] Audi, populus meus, et contestabor te. Israel, si audieris me,

[9] non erit in te deus recens, neque adorabis deum alienum.

[10] Ego enim sum Dominus Deus tuus, qui eduxi te de terra Aegypti. Dilata os tuum, et implebo illud.

[11] Et non audivit populus meus vocem meam, et Israel non intendit mihi.

[12] Et dimisi eos secundum desideria cordis eorum; ibunt in adinventionibus suis.

[13] Si populus meus audisset me, Israel si in viis meis ambulasset,

[14] pro nihilo forsitan inimicos eorum humiliassem, et super tribulantes eos misissem manum meam.

[15] Inimici Domini mentiti sunt ei, et erit tempus eorum in saecula.

[16] Et cibavit eos ex adipe frumenti, et de petra melle saturavit eos

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO LXXX

Esortazione a ben celebrare le feste; commemorazione dei beneficii ricevuti da Dio ; riprensione della negligenza ed ingratitudine del popolo ebraico.

Per la fine: per li strettoi; salmo allo stesso Asaph.

1. Esultate lodando Dio, aiuto nostro; alzate voci di giubilo al Dio di Giacobbe.

2. Intonate salmi, e sonate il timpano, il dolce salterio insieme colla cedra.

3. Date fiato alla buccina nel novilunio, nel giorno insigne di vostra solennità.

4. Imperocché tal è il comando dato ad Israele, e il rito istituito dal Dio di Giacobbe.

5. Egli lo ha ordinato per memoria a Giuseppe quando usci dalla terra d’Egitto, quando udì una lingua, che a lui era ignota.

6. Sgravò (Dio) gli omeri di lui da’ pesi; le mani di lui avean servito a portare i corbelli.

7. M’invocasti nella tribolazione, e io ti liberai; ti esaudii nella cupa tempesta; feci prova di te alle acque di contraddizione.

8. Ascolta popol mio, ed io t’istruirò; se tu ascolterai me, o Israele,

9. non sarà presso di te dio novello, né adorerai dio straniero.

10. Imperocché io sono il Signore Dio tuo, che ti trassi dalla terra d’Egitto; dilata la tua bocca, ed io adempirò i tuoi voti.

11. Ma il popol mio non ascoltò la mia voce, e Israele non mi credette.

12. E io li lasciai andare, secondo i desidero del loro cuore; cammineranno secondo i loro vani consigli.

13. Se il popol mio mi avesse ascoltalo, se nelle mie vie avesse camminato Israele,

14. Con facilità avrei forse umiliati i loro nemici; e sopra color che gli affliggono, avrei stesa la mia mano.

15. I nemici del Signore a lui mancaron di fede, ma verrà il loro tempo, che sarà eterno. (1)

16. Ed ei gli ha nudriti di ottimo frumento; e gli ha saziati del miele che usciva dal masso. (2)

(1) La parola “tempus” è spesso presa nella scrittura per “castigo”.

(2) In Palestina le api fanno il loro miele nelle fenditure delle rocce, miele considerato più delicato del miele delle api domestiche. Hengstenberg pensa che potrebbe essere in questione un miele miracoloso che Dio avrebbe fatto colare dalle rocce in favore del suo popolo. 

Sommario analitico

Questo Salmo, ha come oggetto la celebrazione delle feste e del culto di Dio, e sembra essere composto in occasione della Neomenia del mese di Abib (dopo Nissan), in cui si celebrava la festa di Pasqua, poiché il salmista ricorda che la festa che egli esorta il popolo a celebrare, fu stabilita in Egitto (5).

I. – Egli esorta il popolo di Dio a celebrare degnamente le feste.

1° Prescrive il modo in cui si debba lodare Dio (1, 2).

2° Ne indica i tempi (3);

3° ne designa le cause: – a) il precetto che Dio stesso ne ha fatto al suo popolo (4); – b) un motivo di riconoscenza per i benefici di cui ha ricolmato il suo popolo liberandolo dalla schiavitù dell’Egitto e vegliando su di esso nel deserto  (5-7).

II – Lo istruisce in nome di Dio stesso sul culto che Gli è dovuto:

1° Lo invita a prestare una grande attenzione alle sue parole (8);

2° Lo esorta a mai adorare un dio nuovo, né straniero (9);

3° Insegna ad esso a non adorare che Lui solo, – a) che per la sua natura e la sua maestà è il sovrano Signore; – b) che per la sua bontà e carità è il suo proprio Dio; – c) che, per la sua potenza, lo ha liberato dalla terra d’Egitto; – d) che per la sua liberalità, è sempre pronto a colmarlo di beni (10);

4° Gli fa vedere i danni nei quali lo fa precipitare la sua infedeltà: – a) il suo popolo ha rifiutato di ascoltare i suoi insegnamenti divini per seguire i desideri del suo cuore, ai quali Dio li ha abbandonati (11-13); – b) Dio aveva promesso di liberarlo dai suoi nemici se fosse stato fedele, e non lo lascerebbe in preda ai loro attacchi (13-14); – c) assegna come causa di questo pericolo l’incostanza e la fluttuazione nelle vie di Dio, e predice la grandezza e l’eternità del supplizio degli infedeli (15); – d) lo rimprovera di averlo dimenticato e preso in disgusto i soccorsi che Dio aveva loro recato nel cammino verso la terra promessa, nutrendoli del più puro frumento e saziandoli col miele di roccia (16). 

Spiegazioni e Considerazioni

I. – 1-7

ff. 1. – 1° Il Profeta ci invita alla gioia, perché la gioia dilata il cuore e riempie lo spirito di viva luce. Essa è come il sole dell’anima: – perché è onore e gloria del padrone che i suoi servitori siano nella gioia; – perché Dio ama la gioia nei suoi servi; essa aiuta a perseverare nel suo servizio, mentre la tristezza li allontana da Lui. 2 ° Egli ci invita a rallegrarci in Dio a causa della sovrana perfezione del suo Esere, e dell’estrema bassezza della creatura; – a causa del soccorso continuo che dà alla nostra debolezza: « Abbiate delle esplosioni di gioia in onore di Dio che è nostra forza; » – perché Egli circonda di un amore particolare coloro dei quali si dichiara il Protettore. « cantate con santi trasporti le lodi del Dio di Giacobbe ». Che altri celebrino la loro cerchia ed i loro piaceri, voi celebrate il vostro Dio; altri celebrino chi li inganna, voi Chi vi protegge; altri celebrino il loro dio, cioè il loro ventre, voi invece il vostro Dio, il vostro Protettore. « Lodate con il vostro giubilo il Dio di Giacobbe; » perché, anche voi appartenete a Giacobbe: » ben di più, voi siete Giacobbe stesso, il minore dei due popoli servito dal suo maggiore (Gen. XXV, 23). « Lodate con il vostro giubilo il Dio di Giacobbe. Tutto ciò che non potete esprimere con le parole, non cessate di celebrarlo con i vostri trasporti di giubilo (S. Agost.) –  Lodate Dio con una grande gioia del cuore. Dio ama colui che dona con gioia, quanto più chi loda con gioia. – Cantare o recitare freddamente, talvolta anche con disgusto l’Ufficio Divino, riguardarlo come un carico pesante, è il marchio sicuro di un’anima tiepida che ama poco Colui in onore del quale esercita questo dovere. – È questo uno strumento di musica utile per eccitare la devozione di coloro che si comportano in tal senso. Per i Cristiani, il cui culto deve essere più elevato, non devono servirsene o intenderli se non per persuadersi che tutta la loro vita e la loro condotta debba comporre agli occhi di Dio e della Chiesa, come una santa armonia, con il legare la carità e la giustizia a tutti gli altri esercizi di pietà (Dug.).

ff. 4-6. – « Perché questo è un precetto dato ad Israele ed il giudizio appartiene al Dio di Giacobbe. » dov’è il precetto, li è anche il giudizio. In effetti, « … coloro che hanno peccato sotto la legge saranno giudicati dalla legge. » (Rom. II, 12) – Dio comanda la celebrazione delle feste, e sanziona questo comandamento con il giudizio riservato ai trasgressori. – È bene che celebriamo le feste che Egli ha istituito a testimonianza dell’amore che ci porta e dei benefici di cui ci ricolma. – Il mese cominciava presso i Giudei con la luna nuova; la luna nuova è la vita nuova. Che cos’è la luna nuova? « Se qualcuno è in Gesù-Cristo, è una creatura nuova. » (II Cor. V, 17). Cosa vuol dire: « suonate la tromba all’inizio del mese della tromba? » . Predicate con fiducia la vita nuova; non temete i rumori della vita antica (S. Agost.). – « Quando uscì dall’Egitto intese una lingua che gli era sconosciuta. » Quando avrete passato il maro Rosso, quando vi sarete liberato dei vostri peccati per la potenza della mano di Dio e con la forza del suo braccio, scoprirete i misteri di cui non avete sentito parlare, intenderete una lingua che non conoscevate e che, ascoltandola ora e conoscendo coloro che sono capaci di attestare che la conoscono, apprenderete  dove donare il vostro cuore (S. Agost.). – Un Cristiano uscito dall’Egitto raffigura la corruzione del secolo, parla ed ascolta una lingua che gli era in precedenza sconosciuta. – Il cuore nuovo on parla più il linguaggio corrotto del mondo  al quale ha rinunciato: egli parla la lingua dello Spirito Santo; egli intende e gusta delle verità che gli erano in precedenza sconosciute, e Dio comincia a dargli l’intelligenza dei suoi misteri. – « Egli ha liberato le sue spalle dai loro fardelli. » Chi ha dunque liberato le spalle di Giuseppe dai loro fardelli se non chi ha detto: « Venite a me, voi tutti che soffrite e siete carichi. » (Matth. XI, 28). – L’effetto più funesto del peccato di cui è caricato il peccatore, è che spesso egli non lo sente, e si crede perfettamente libero in mezzo alla più dura schiavitù; egli è assoggettato alle azioni più basse e più degradanti di un uomo libero e se ne crede onorato (Duguet).

ff. 7. – « Voi mi avete invocato nella vostra tribolazione, ed io vi ho liberato. » Ogni coscienza cristiana si riconosca qui, se ha attraversato piamente il mar Rosso; se essa ha deciso, con volontà ferma di credere e praticare una lingua che in precedenza ignorava fino ad allora, che essa ha riconosciuto che l’ha esaudito nella sua tribolazione? Perché la grande tribolazione per essa era l’essere abbattuta sotto il fardello  dei suoi peccati. Qual è la sua gioia di essere ora risollevato? Ecco che siete stato battezzato; una coscienza – ieri travolta – è oggi ricolma di gioia. Voi siete stato esaudito nella vostra tribolazione: ricordatevi di ciò che era questa tribolazione. Prima di giungere a questa cura salutare, da quante inquietudini eravate caricato! A quale giogo eravate sottoposto! Che afflizioni portavate nel vostro cuore! Quale preghiera interiore, piena di pietà e di devozione! I vostri nemici sono stati uccisi, tutti i vostri peccati distrutti: « voi mi avete invocato nella vostra tribolazione, ed Io vi ho liberato. » (S. Agost.). – « Io vi ho liberato nel segreto della tempesta; » non la tempesta del mare, ma la tempesta del vostro cuore. « Io vi ho esaudito nel segreto della tempesta; Io vi ho provato nell’acqua di contraddizione. » Sicuramente, colui che è stato esaudito nel segreto della tempesta, deve essere stato provato nell’acqua della contraddizione. Perché quando un uomo avrà abbracciato la fede, quando sarà stato battezzato, quando avrà cominciato a seguire la via di Dio, troverà numerosi contraddittori che cercheranno di sviarlo dalla fede, che lo minacceranno anche per quanto potranno, per distruggerlo ed abbattere il suo coraggio: ecco che cos’è questa acqua di contraddizione (S. Agost.).- Tre sono i felici effetti della tribolazione: – 1° essa ci spinge ad implorare il soccorso di Dio: « Voi mi avete invocato nella tribolazione; » – 2° essa porta Dio a venire in nostro soccorso in mezzo anche alle tempeste della tribolazione: « Io vi ho esaudito cacciandomi nel mezzo della tempesta della tribolazione; » – 3° essa ci prova e ci rende più forti nel servizio di Dio: « Io vi ho provato, etc. » – È da notare come Dio metta qui, nel numero dei suoi benefici, la prova che aveva fatto con il suo popolo alle acque di contraddizione. – Dio è spesso nascosto in mezzo alla tempesta e alle contraddizioni per provare i suoi, benché essi non se ne accorgano, e li libera nei tempi in cui la sua bontà e la sua saggezza lo ritengano più utile. (Dug.). Il segreto della tempesta è una di quelle espressioni che appartengono alle sacre Scritture, e che istruiscono e consolano quanto più le si mediti. Questa tempesta che salva gli Israeliti e perde gli Egiziani, figura quella che si scatena contro la Chiesa ed anche in ogni anima fedele che si è decisa a domare le proprie passioni. Ogni tempesta di questa natura racchiude un segreto di Dio. Oltre al movimento esteriore, che colpisce lo sguardo degli uomini, essa compie una operazione misteriosa del Maestro supremo che produce, quando gli piace, la calma e la salvezza in mezzo ad un mare increspato ed agitato. Paolo e Agostino hanno sentito queste tempeste ed hanno conosciuto il segreto divino. Tuttavia – dice questo Padre della Chiesa – non c’è bisogno che un’anima così caricata dal fardello dei suoi pecca tisi propone di condurre una vita calma e piacevole: essa avrà, come abbiamo visto in precedenza, le sua acque di contraddizione (Rendu). 

II. 8-18.

ff. 8-10. –  Grande onore è che Dio voglia parlarci Egli stesso, dichiararci la sua volontà. – Ammirevole condiscendenza di un Dio che, essendo la sovrana Giustizia, viene ad abbassarsi fino ad entrare in discussioni con il suo popolo, a fargli sentire ciò che ha fatto per lui e nello stesso tempo la sua estrema ingratitudine. – « Israele, se mi ascoltassi, non avresti fra te un dio nuovo. » Un “dio nuovo” è un dio fatto per un tempo, ma il nostro Dio non è nuovo, Egli è da tutta l’eternità. Il nostro Cristo è senza dubbio nuovo come uomo; ma come Dio, è eterno! Cos’era in effetti prima di ogni inizio? « In principio era il Verbo e il Verbo era in Dio, ed il Verbo era Dio » (Giov. I, 1). E il nostro Cristo è il Verbo che si è fatto carne, per abitare tra noi. Lungi da noi questo pensiero che Egli sia in qualche cosa un dio nuovo. Un dio nuovo è una pietra, un pezzo di argento o di oro, o un fantasma … Un gran numero di eretici si sono fatti, come i pagani, questa o quella divinità, si sono fabbricati questo o quel dio, e se non lo hanno posto nei templi, essi li hanno – cosa ben peggiore – stabiliti nei loro cuori, e si sono fatti essi stessi templi di questi falsi e ridicoli idoli. È un gran lavoro bruciare questi idoli fuori da sé, e purificare il luogo, non per un dio nuovo, ma per il Dio vivente. Tutti questi eretici (e noi possiamo aggiungervi tutti i filosofi deisti, naturalisti, materialisti, panteisti), correndo da opinione in opinione, forgiandosi questa o quella divinità, e variando la propria fede con la diversità dei loro errori, sembrano combattersi tra di loro, ma né gli uni né gli altri si ritirano dai pensieri della terra, e si accordano in questi pensieri terrestri. Essi hanno differenti opinioni, ma non hanno che una stessa vanità. Essi hanno un bel da farsi in disaccordo per la varietà delle loro opinioni, perché sono legati insieme dalla comunanza della loro vanità … Io sono colpito da questa espressione: « Non avrete tra voi un dio nuovo. » Il profeta non ha detto: “che viene lontano da voi”, come per parlare di qualche immagine venuta dall’esterno, ma in voi, nel vostro cuore, nei fantasmi della vostra immaginazione, nelle delusioni del vostro cuore; perché è là che portate il vostro dio nuovo, restando voi nella vostra antichità. « E dunque ascoltatemi » Egli dice, perché « Io sono Colui che sono » (Es. III, 14), voi non avrete in voi un dio nuovo, non adorerete un dio straniero. Se non immaginate un falso dio, non adorerete un dio fabbricato dall’uomo, e non avrete in voi un dio nuovo (S. Agost.). – « Perché Io sono ». Perché volete adorare ciò che non è? « Perché Io sono il Signore vostro Dio », perché Io sono Colui che sono. Ed in verità Io sono – Egli dice – Colui che sono, e che sono al di sopra di ogni creatura. Ma quale temporale vi ha aiutato? « Sono Io che vi ho tratto dall’Egitto ». Queste parole non si indirizzano solo al popolo Giudeo; perché noi siamo tutti stati tratti dalla terra d’Egitto, noi siamo passati tutti per le acque del mar Rosso, ed i nostri nemici che ci perseguitavano, sono morti nell’acqua. Non siamo dunque ingiusti verso Dio; non dimentichiamo il Dio eterno, per fabbricarci un dio nuovo. « Sono Io che vi ho tratto dalla terra dell’Egitto; aprite la bocca ed Io la riempirò. » Voi siete alle strette in voi stessi a causa del dio nuovo che vi siete fatti nel vostro cuore; bruciate questa vana immagine, rigettate dalla vostra coscienza un idolo fatto dalla mano d’uomo. « Aprite la bocca » confessando ed amando Dio, ed Io la riempirò, » perché in me si trova la sorgente di vita (Ps. XXXV, 10, S. Agost.). – Dio dichiara qui tre cose: – 1° che Egli è Dio; – 2° che Egli è il nostro Signore; – 3° che Egli è il nostro Salvatore ed il nostro liberatore, è il nostro benefattore. Noi dobbiamo quindi ascoltarlo come nostro Dio, adorarlo come unico Dio degno di adorazione, temerlo come nostro Padrone e Signore, amarlo come nostro Salvatore, cercarlo come Benefattore la cui liberalità non tende che a soddisfare e colmare tutti i nostri desideri. – « Aprite la vostra bocca ed Io la riempirò. » Queste parole sono più energiche di quelle di Gesù-Cristo: « … chiedete e riceverete; bussate e vi sarà aperto? » possiamo noi temere da queste promesse divine, sì fortemente accentuate, di essere abbandonati a noi stessi, nelle nostre necessità temporali o spirituali? – « Spalancate la vostra bocca ed Io la riempirò. » Dio occupa nei nostri cuori il posto che noi Gli facciamo; più ne cacciamo i desideri, più Egli è racchiuso e durevole; quando, con un vero pentimento, un vero desiderio di amarlo meglio, una Confessione sincera, una sottomissione piena e completa, noi gli lasciamo completamente questa dimora che si è scelta creandola in noi, la sua promessa non inganna: Egli viene interamente.

ff. 11, 12. – « Ed il mio popolo non ha obbedito alla mia voce, ed Israele non mi ha prestato attenzione. » Chi? A Chi? « Israele, a me. » O anima ingrata, anima che non vive se non per me, anima chiamata da me, riportata alla speranza da me, lavata dal peccato da me! « Ed Israele non mi ha prestato attenzione. » In effetti, essi sono battezzati, passano per le acque del mar Rosso; ma lungo il cammino mormorano, contraddicono, si lamentano, sono agitati da sedizioni; sono ingrati verso Colui che li ha liberati dall’inseguimento dei loro nemici, che li ha condotti attraverso l’aridità del deserto, dando loro bevanda e nutrimento, luce durante la notte e frescura dall’alba durante il giorno (S. Agost.). – « Ed Io li ho abbandonati ai desideri dei loro cuori. » Io li ho abbandonati non alla direzione salutare dei miei comandamenti « ma ai desideri del loro cuore, » … li ho lasciati a se stessi. L’Apostolo ha detto nello stesso senso: « Dio li ha lasciati ai desideri del loro cuore » (Rom. I, 24). Io li ho abbandonati ai desideri del loro cuore; essi seguono l’inclinazione delle loro affezioni. Ecco cosa deve fare orrore … gli uni preferiscono il circo, gli altri l’anfiteatro; questi le baracche degli istrioni stabilite nei villaggi, quelli il teatro; gli uni una cosa, gli altri un’altra; altri infine, il loro dio nuovo. « Essi seguono l’inclinazione delle loro affezioni. » (S. Agost.). –  Il peccatore ama meglio ascoltare  i compiacenti che lo lusingano, piuttosto che ascoltare la verità di Dio che lo condanna. Egli vuole essere ingannato e che lo si inganni. È così che Dio si vendica in Dio; Egli fa nascere il suo supplizio dallo stesso peccato; Egli lo acceca con le proprie tenebre, e per metterlo nello stato più deplorevole, non fa altro che abbandonarlo ai desideri del suo cuore e allo smarrimento dei suoi pensieri (Dug.). –  Non si ammirerà mai abbastanza questa sublimità, questa profondità, questa calma terrificante, questo muto terrore della vendetta divina. Dio vuol combattere e punire infine i suoi nemici sopportati per lungo tempo. Dove prenderà le sue armi? Dove va a cercare i suoi strumenti di supplizio? È nel cuore dei colpevoli, così ricco di desideri, è nella loro immaginazione sì feconda di progetti; è nella loro memoria, sì piena di voluttuosi e brillanti ricordi, che Egli trova i castighi più formidabili. Questi desideri manterranno eternamente il loro divorante ardore; questa immaginazione riprodurrà sempre le stesse chimere; questa crudele memoria richiamerà sempre gli stessi ricordi, e tutto ciò con la certezza che il tempo sarà … l’eternità (Rendu).

ff. 13, 14. – « Se il mio popolo mi ascoltasse, se Israele avesse camminato per le mie vie ». Forse questo Israele si dice: io pecco, è evidente; io seguo le inclinazione delle affezioni del mio cuore; ma è colpa mia? Questo la fa il diavolo, ciò è fatto dai demoni. Che cos’è il diavolo, cosa sono i demoni? Sono i vostri nemici. Ora, « se Israele avesse marciato nelle mie vie, Io avrei umiliati i suoi nemici. » Dunque. « se il mio popolo mi avesse ascoltato,  »  ed è il mio popolo che non mi ascolta – « Se il mio popolo mi avesse ascoltato. » Che vuol dire « mi avesse ascoltato?» Se avesse camminato nelle mie vie. Esso piange e geme sotto l’oppressione dei suoi nemici; « Io avrei umiliato i suoi nemici, ed avrei appesantito la mia mano su coloro che l’affliggevano. » (S. Agost.).  – « Se tu avessi camminato nella via di Dio, avresti abitato in una pace eterna. » (Baruch III, 15). « Se tu fossi stato attento ai miei precetti, la tua pace sarebbe stata come un fiume e la tua giustizia come i flutti del mare, la tua posterità sarebbe stata moltiplicata come le sabbie del mare, i tuoi figli come le pietre delle sue sponde, mai sarebbe perito, mai il suo nome sarebbe stato cancellato dalla mia presenza. » (Isai. XLXVIII, 18, 19).

ff. 15. – Ma or anche hanno da lamentarsi dei loro nemici? Essi sono diventati da se stessi i loro nemici più accaniti. E come? Vedete ciò che viene in seguito. Voi vi lamentate dei vostri nemici, che siete voi stessi? « I nemici del Signore hanno violato la parola che Gli avevano dato. » Voi rinunciate? Io rinuncio! E ritorna alle cose alle quali rinunzia. A cosa rinunciate, in effetti, se non alle azioni cattive, alle azioni che il demonio suggerisce, alle azioni che Dio condanna, ai furti, alle rapine, agli omicidi, agli adulteri, ai sacrilegi, alle colpevoli curiosità? Voi rinunciate a tutte queste colpe e ben presto, ritornando sui vostri passi, vi lasciate ricadere di nuovo. » (S. Agost.). « Essi fanno professione di conoscere Dio, ma vi rinunciano con le loro azioni: essi sono abominevoli, ribelli ed incapaci di ogni bene. » (Tit. I, 16).  Essi lo hanno amato con le labbra, ma la loro lingua ha mentito al Signore; il loro cuore non era retto davanti a Lui, non erano fedeli alla sua alleanza. » (Ps. LXXVII, 39, 40), (S. Agost.). – « I nemici di Dio hanno violato la fedeltà che Gli hanno promesso. » E quanto grande è la pazienza del Signore! Perché i suoi nemici non sono abbattuti? Perché non si trova la terra per ingoiarli? Perché il fuoco del cielo non li riduce in cenere? Perché la pazienza del Signore è grande. Resteranno dunque impuniti? Non si può. Non si lusinghino della sua misericordia al punto da pensare ad una ingiustizia da parte sua: « Ignorate che Dio è paziente per indurvi alla penitenza? Ma voi nella durezza del vostro cuore, nell’impenitenza del vostro cuore, ammassate contro di voi tesori di collera per il giorno dell’ira e della manifestazione del giusto giudizio di Dio, che renderà a ciascuno secondo le sue opere. » (Rom. II, 5-6). Se non lo fa oggi lo farà allora; se lo fa anche oggi, non lo fa che temporaneamente. Ma allora, per chi non sarà convertito né corretto, Egli lo farà eternamente … ma voi dite, che farà loro? Essi non sono viventi? Non respirano l’aria, non vedono la luce, non bevono l’acqua, non mangiano i frutti della terra? « Il loro tempo sarà l’eternità … » io non posso comprendere queste parole che del fuoco eterno, di cui la scrittura dice: « Il loro fuoco non si estinguerà, ed il loro verme non morirà » (Ps. LXVI, 24). Ma la Scrittura – mi si dirà – ha parlato degli empi e non di me; perché, benché io sia peccatore, benché io sia adultero, benché sia ingiusto, benché io sia rapinatore, benché spergiuro, io ho come fondamento il Cristo, io sono Cristiano, sono stato battezzato: sarò purificato dal fuoco, a causa del fondamento sul quale sono stabilito, io non perirò! Rispondetemi dunque ancora: Chi siete voi? Io sono un Cristiano, voi rispondete. Passi provvisoriamente. Cosa siete ancora? Un rapinatore, un adultero, uno di questo altri colpevoli di cui l’Apostolo ha detto che coloro che commettono questa sorta di peccati non possederanno il regno dei cieli (Gal. IV, 21). E cosa? Non essendo emendati da questi peccati, non avendo fatto penitenza di queste cattive azioni, voi sperate di possedere il regno dei cieli? Mettetevi dunque in questo momento sotto gli occhi la venuta del Giudice superiore. Ebbene! Grazie a Dio, Egli non ha taciuto sulla sua sentenza definitiva, non ha messo fuori gli accusati, non ha tirato il velo su di essi. Egli ha voluto farci conoscere in anticipo ciò che si è proposto di fare; ed eccolo: « … Tutte le nazioni saranno radunate davanti a Lui (Matth. XXV, 32). Cosa farà? Le separerà: metterà gli uni alla sua destra, gli altri a sinistra. Vedete qualche altro posto intermedio? Coloro dunque che quaggiù fanno tutte queste cose, avendoci detto l’Apostolo che non possiederanno il regno di Dio: essi non saranno alla destra del Cristo, con coloro ai quali dirà. « venite, benedetti del Padre mio, ricevete il regno. » Ma se non sono alla destra di Dio, non resta loro altra alternativa che essere alla sua sinistra: « … andate dunque nel fuoco eterno. » (Matth. XXV, 34). « Il loro tempo sarà l’eternità. » 

ff. 16. – « Voi conoscete – dice S. Agostino – il puro frumento di cui si nutrono i nemici stessi che hanno mentito al Signore; voi sapete che Egli li ha ammessi ai suoi Sacramenti, che Giuda il traditore vi ha partecipato. Gli ingrati! Essi sono stati nutriti con il fiore del frumento più puro, sono stati saziati col miele uscito dalla roccia, e questa roccia è Gesù-Cristo; ed essi sono stati in seguito infedeli al Signore, sono diventati i suoi nemici « … il tempo del loro supplizio sarà l’eternità. » – Quanti numerosi sono i nemici di Dio che violano la fedeltà che hanno promesso, e che sono nutriti non solo col fior di frumento più puro, ma ancora col miele estratto dalla roccia, vale a dire dalla saggezza del Cristo! Quanti sono coloro affascinati dalla sua parola, dalla conoscenza dei suoi Sacramenti, dalla spiegazione delle sue parabole! Quanto numerosi sono coloro che vi trovano le loro delizie, quanto numerosi coloro che esclamano: il miele non è fornito da alcun uomo, esso viene dalla pietra, che è il Cristo! Quanto numerosi sono coloro che si saziano di questo miele, ed esclamano: esso è soave, non c’è niente di meglio, niente di più dolce allo spirito ed alla bocca! E tuttavia questi uomini sono nemici di Dio, violano la fedeltà che Gli hanno promessa (S. Agost.).

ff. 17. – Nessuno più di Davide ha conosciuto ed espresso il fascino del simbolo eucaristico: « Dio –egli dice- ha nutrito il suo popolo col grasso di frumento, e lo ha saziato. » Quale frumento, riprende S. Agostino, se non quello del quale Egli stesso ha detto: « Io sono il pane vivente disceso dal cielo? ». Se Dio nutre anche le nostre anime in esilio, quanto più farà per saziarci in patria? » – Il Dottore angelico ci fa percepire l’ammirevole relazione tra il frumento e questo corpo divino: « nascosto nel covone, il frumento è figura del corpo di Gesù-Cristo nel seno della Vergine Santissima, perché si può applicare a Maria questa parola dello Sposo del Cantico alla sua Sposa: « … Il tuo seno è come un mucchio di grano » (Cant. VII, 2). Quando il lavoratore semina il suo campo, il chicco di frumento che egli semina, ricorda la morte del Salvatore, predetta da Lui stesso con questi termini: « Se il chicco non cade e non muore in terra, non porta frutto » (Giov. XII, 24). Infine il frumento trasformato in pane rappresenta il Corpo glorioso di Gesù-Cristo, che è in cielo l’alimento degli Angeli e dei Santi, secondo questa parola del salmista: « L’uomo è nutrito dal pane degli Angeli » (S. Thomas, opusc. XLV).

MESSA DI CAPODANNO 2020

MESSA DI CAPODANNO (2020)

CIRCONCISIONE DI N. SIGNORE E OTTAVA DELLA NATIVITÀ.

Stazione a S. Maria in Trastevere

Doppio di II classe. – Paramenti bianchi.

La liturgia celebra oggi tre feste: La prima è quella che gli antichi sacramentari chiamano « nell’Ottava del Signore ». Gesù è nato da otto giorni. Così la Messa ha numerosi riferimenti a quelle di Natale. La seconda festa ci ricorda che, dopo Dio, noi dobbiamo Gesù a Maria. Cosi un tempo si celebrava in questo giorno una seconda Messa in onore della Madre di Dio nella Basilica di Santa Maria Maggiore. Ne è rimasta una traccia nella Orazione, nella Secreta e nel Postcommunio, che sono prese dalla Messa votiva della SS. Vergine, e nei Salmi dei Vespri, tolti dal suo Officio. – La terza festa, infine, è quella della Circoncisione, che si celebra dal VI secolo. Mosè imponeva questo rito purificatore a tutti i bambini Israeliti, l’ottavo giorno dalla loro nascita (Vang.). È una figura del Battesimo per il quale l’uomo è circonciso spiritualmente. « Tu vedi – dice S. Ambrogio – che tutta la legge antica è stata la figura di quello che doveva venire; infatti anche la circoncisione significa espiazione dei peccati. Colui che è spiritualmente circonciso con la correzione dei suoi vizi, è giudicato degno dello sguardo del Signore » (1° Notturno). Così, parlando del primo sangue divino che il Salvatore versò per lavare le nostre anime, la Chiesa insiste sul pensiero della correzione di quello che di cattivo è in noi. « Gesù Cristo ha dato se stesso per riscattarci da ogni iniquità e purificarci » (Ep.). « Degnati, Signore, con questi celesti misteri, di purificarci » (Secr.). «Fa, o Signore, che questa Comunione ci purifichi dei nostri peccati » (Postcom.).

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Isa. IX: 6
Puer natus est nobis, et fílius datus est nobis: cujus impérium super húmerum ejus: et vocábitur nomen ejus magni consílii Angelus. [Ci è nato un bambino, ci è stato dato un figlio, il cui impero poggia sugli ómeri suoi: e il suo nome sarà: Angelo del buon consiglio.
Ps XCVII: 1
Cantáte Dómino cánticum novum: quia mirabília fecit. [Cantate al Signore un cantico nuovo: perché ha fatto cose mirabili.]
Puer natus est nobis, et fílius datus est nobis: cujus impérium super húmerum ejus: et vocábitur nomen ejus magni consílii Angelus. [Ci è nato un bambino, ci è stato dato un figlio, il cui impero poggia sugli ómeri suoi: e il suo nome sarà: Angelo del buon consiglio.]

Oratio

Orémus.
Deus, qui salútis ætérnæ, beátæ Maríæ virginitáte fecúnda, humáno géneri praemia præstitísti: tríbue, quǽsumus; ut ipsam pro nobis intercédere sentiámus, per quam merúimus auctórem vitæ suscípere, Dóminum nostrum Jesum Christum, Fílium tuum:  O Dio, che mediante la feconda verginità della beata Maria, hai conferito al genere umano il beneficio dell’eterna salvezza: concédici, Te ne preghiamo: di sperimentare in nostro favore l’intercessione di Colei per mezzo della quale ci fu dato di ricevere l’autore della vita: il Signore nostro Gesú Cristo, tuo Figlio:

Lectio

Léctio Epístolæ beati Pauli Apóstoli ad Titum.
Tit 2:11-15
Caríssime: Appáruit grátia Dei Salvatóris nostri ómnibus homínibus, erúdiens nos, ut, abnegántes impietátem et sæculária desidéria, sóbrie et juste et pie vivámus in hoc saeculo, exspectántes beátam spem et advéntum glóriæ magni Dei et Salvatóris nostri Jesu Christi: qui dedit semetípsum pro nobis: ut nos redímeret ab omni iniquitáte, et mundáret sibi pópulum acceptábilem, sectatórem bonórum óperum. Hæc lóquere et exhortáre: in Christo Jesu, Dómino nostro.

OMELIA I

IL PROGRAMMA DELLA NOSTRA VITA

[A, Castellazzi: Alla Scuole degli Apostoli. Ed. Artigian. Pavia, 1929]

“Carissimo: La grazia di Dio nostro Salvatore si è manifestata per tutti gli uomini, insegnandoci che, rinunciata l’empietà e i desideri mondani, viviamo con temperanza; con giustizia e con pietà in questo mondo, in attesa della beata speranza e della manifestazione gloriosa del grande Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo; il quale ha dato se stesso per noi, per redimerci da ogni iniquità, e formarsi un popolo puro che gli fosse accetto, zelante delle buone opere. Così insegna ed esorta in Cristo Signor nostro” (Tit. II, 11-15). –

Quando S. Paolo si recò nell’isola di Creta col suo discepolo e collaboratore Tito, vi trovò parecchi gruppi di Cristiani, che non erano organizzati in una gerarchia regolare. Non potendo l’Apostolo trattenersi a lungo nell’isola, vi lasciò Tito a organizzare quella Chiesa. Più tardi gli scrive una lettera. In essa gli dà norme da seguire nell’adempimento del suo ufficio pastorale rispetto agli uffici ecclesiastici, ai doveri delle varie classi di persone e ai doveri generali dei Cristiani. Nel brano riportato, avendo prima stabiliti i doveri secondo i differenti stati, reca la ragione per la quale i Cristiani sono tenuti a questi doveri. Sono tenuti perché Dio, che nella sua bontà è sceso dal cielo per tutti, ha insegnato a tutti a rinunciare all’empietà e ai desideri del secolo per vivere nella moderazione, nella giustizia, nell’amor di Dio. Così vivendo saranno consolati dalla presenza della venuta del Redentore, il quale ha dato in sacrificio se stesso per riscattarci dal peccato, e così formare di noi un popolo veramente eletto, tutto dato alle buone opere. Sul cominciare dell’anno la Chiesa ripete a noi questo insegnamento, per esortarci a vivere secondo

1. Pietà,

2. Temperanza,

3. Giustizia.

1.

L’Incarnazione e la vita su questa terra del Figlio di Dio, sono una scuola efficacissima per tutti gli uomini. « Tutta la sua vita mortale — dice S. Agostino — fu una scuola di ben vivere per mezzo della natura umana che si è degnato di assumere» (De vera Relig. 16, 32). In primo luogo Gesù Cristo ci insegnò che per attendere la beata speranza dobbiamo aver rinunciata l’empietà e i desideri mondani. – Nella religione pagana, che i novelli Cristiani avevano abbandonata, il culto della verità non esisteva. Si aveva qualche conoscenza di Dio, ma non si adorava come Dio. Il culto che gli si prestava era superstizioso quando non era immorale. Dell’ultimo fine dell’uomo si aveva un’idea sbagliata. Non si cercava tanto di condurre una vita terrena, che fosse preparazione alla vita celeste, quanto di godere quaggiù più che fosse possibile, come se tutto dovesse finire in questa valle di lacrime. Non si alzava a Dio la mente, la quale non sapeva sollevarsi da quanto cadeva sotto gli occhi. Tra queste dense tenebre di errori e di corruzione apparve Gesù, sapienza increata, che insegnò la vera dottrina rispetto a Dio uno ed eterno: che ci manifestò le verità che riguardano la seconda vita; ne indirizzò le menti e i cuori a Dio, nostro principio e nostro fine. – I novelli convertiti avevano rinunciato alle dottrine empie del paganesimo, ma ciò non era tutto. L’edificio vecchio dell’empietà era stato demolito, e al suo posto bisognava innalzare l’edificio della pietà. Quanti esempi ci ha lasciato Gesù Cristo in proposito! A dodici anni sale al tempio con Maria e con Giuseppe per la solennità di Pasqua. Terminata la solennità, rimane in Gerusalemme. Quando, dopo tre giorni di ricerche, Maria e Giuseppe lo ritrovano, al lamento della Madre Gesù risponde: « Perché mi cercavate? Nulla sapevate che io devo attendere a ciò che riguarda il Padre mio? » (Luc. II, 49). E come attendeva Gesù in quei giorni alle cose del Padre suo? Stando nel tempio seduto in mezzo ai dottori in atto di ascoltarli e interrogarli. Grande scuola di pietà pei fanciulli, i quali dall’apprendimento delle cognizioni profane non devono disgiungere l’apprendimento delle cognizioni divine. Appena la loro mente si apre devono incominciare a interessarsi della loro sorte celeste, a conoscer Dio, a conoscere la sua volontà. Grande scuola anche per gli adulti. L’obbligo di interessarsi di Dio, del nostro ultimo fine incomincia alla soglia, della vita, e non cessa che alla nostra partenza da questo mondo. Se le verità che riguardano Dio le abbiam dimenticate, bisogna richiamarle alla mente con lo studio del Catechismo, con la frequenza alle prediche. – Interessarsi di Dio vuol dire procurare la sua gloria. Questa procurò sempre Gesù in tutta la sua vita. E la sera che precedette la sua passione poteva dire : «Padre, io ti ho glorificato sulla terra» (Giov. XVII, 4). Noi possiamo dar gloria a Dio mostrandoci Cristiani pubblicamente, edificando gli altri con la frequenza ai santi Sacramenti, con la pratica degli esercizi di pietà. Interessarsi di Dio vuol dire intrattenersi con Lui mediante la preghiera. Gesù Cristo, che ci ha insegnato ed esortato a pregare con la parola, ci ha anche grandemente confortato alla pratica della preghiera col suo esempio. Egli prega nel tempio e prega sul monte quando ha cessato di ammaestrare le turbe. Prega nel deserto e prega nella gloria della trasfigurazione; prega di giorno e prega di notte. Prega quando risuscita Lazzaro, quando istituisce l’Eucaristia. Con la preghiera incomincia e chiude la sua passione. In una parola, Egli ha praticamente dimostrato come «bisogna pregar sempre, senza stancarsi mai» (Luc. XVIII, 1).

2.

E’ naturale che nella religione pagana l’uomo non fosse portato alla rinuncia, al sacrificio. Il piacere, l’accontentamento delle passioni non vi trovavano ostacolo alcuno. Tutt’altro, invece, è nella Religione Cristiana. Gesù Cristo venne su questa terra a darci insegnamenti ed esempi affatto opposti agli insegnamenti e agli esempi pagani. Egli è venuto a insegnarci che rinunciati i desideri mondani viviamo con temperanza. Si tratta di una vera riforma della vita. Non solo bisogna voltare la schiena alle antiche abitudini: bisogna formarsi abitudini nuove. Uno può voltare la schiena alle antiche abitudini, senza allontanarsene troppo. Senza staccare da esse il cuore. È un addio forzato col desiderio, se non sempre con la speranza, dell’a rivederci. Non siamo noi che ci distacchiamo da ciò che domina in questo mondo: sono spesso le circostanze che cene staccano: sono questi beni apparenti che spesso ci abbandonano, lasciando noi nell’amarezza. Questa non è la sobrietà e la temperanza insegnataci da Gesù Cristo e dai suoi Apostoli. Gesù Cristo ci ha insegnato la rinuncia ai desideri sregolati dei beni di questo mondo. E rinuncia vuol dire staccarsene senza rimpianto, e senza desiderio di ritornarvi. Rinuncia vuol dire essere pronto a sostenere qualunque sforzo, a impegnarsi in un combattimento lungo e faticoso, a provare avversione per ciò che prima si amava, ad amare e praticare ciò che prima si odiava. « Gesù Cristo ci ha redenti, affinché, conducendo una vita illibata e ricca di buone opere possiamo divenire eredi del regno di Dio» (Ambrosiaster, in Ep. ad Tit.. cap. II, v. 11). Il Cristiano che vuol conseguire l’eredità del regno celeste, deve saper porre un freno alle proprie tendenze; altrimenti non riuscirà a condurre una vita illibata, ad arricchirsi di buone opere. Senza la temperanza saremo ben presto travolti dalle passioni. La malerba cresce presto: tagliata, ricompare ben tosto. Le passioni, anche rintuzzate, rialzano subito il capo. L’odio, la superbia, l’avarizia, la lussuria, la gola si fanno sentire a nostro dispetto. Che avverrà se, invece di combatterle con la mortificazione ne porgiamo loro alimento, con l’assecondarle? Presto ci prenderanno la mano e ci trasporteranno dove esse vogliono. Tanto, coloro che non sanno mai porre un limite alle loro brame non possederanno mai neppure su questa terra il godimento che vanno immaginandosi. Un viandante si propone di arrivare a quell’altura che si presenta al suo sguardo. Quando vi è giunto vede che, dopo uno spazio più o meno esteso di terreno piano, si trova un’altra altura. Non si dà pace finché non ha raggiunta anche quella. Arrivato vi vede ripetersi la scena di prima. Nuova altura, e dopo quella un’altra ancora, ed egli è inquieto perché non può raggiungerle tutte. Così, coloro che non sanno mai mettere un limite ai loro desideri, che non sanno imporsi delle privazioni saranno sempre malcontenti e irrequieti per le disillusioni che provano. I volti sereni, l’allegria schietta, che è il riflesso della pace dell’anima, si cercherebbero invano tra coloro che si fanno un idolo del ventre, degli onori, delle ricchezze, dei piaceri. Chi vuol trovarli li deve cercare tra coloro che sanno porsi un freno nell’uso dei beni di questa vita, e sanno moderare le loro voglie.

3.

Gesù Cristo ci ha anche insegnato a vivere con giustizia rispetto al prossimo. Questa giustizia richiede « che nessuno desideri ciò che è del prossimo » (S. Efrem). Molto più richiede che non si tolga ciò che è del prossimo. Richiede che non gli tolgano i beni materiali coi furti, con le appropriazioni indebite, con le dannificazioni, con le frodi, con la sottrazione della paga dovuta, col non mettersi in grado di pagare i debiti ecc. Richiede che non gli si tolgano i beni morali con le calunnie, con le mormorazioni, con le critiche ingiuste, con le insinuazioni. Richiede che non gli si tolgano i beni spirituali con il cattivo esempio, con la propaganda dell’errore, con toglierlo alle pratiche di pietà, con avviarlo alle usanze mondane. – L’uomo è creato per vivere in società. La vita sociale ha molti privilegi; ma, si sa: ogni diritto ha il suo rovescio. La vita sociale porta con sé anche i suoi pesi. Caratteri perfettamente uguali non si trovano. Ogni creatura ha la sua natura. E questo basta perché possano sorgere dissensi, contrasti tra coloro che, o per un motivo o per un altro, si trovano a contatto. Lo spirito della giustizia vuole che in questi casi non si abbia a scendere a liti o a recriminazioni. « Gli uni portate i pesi degli altri, e così adempirete la legge di Cristo », ci dice l’Apostolo (Gal. VI, 2). Il quale ancor più chiaramente dice ai Corinti: « In tutti i modi è già un mancamento l’aver delle liti gli uni con gli altri. E perché piuttosto non sopportate qualche ingiustizia? Perché piuttosto non soffrite qualche danno? » (I Cor. VI, 7). Invero se domandiamo a Dio che sopporti noi, è troppo giusto che noi sopportiamo gli altri. Sentiamo l’Ecclesiastico: «Un uomo nutre lo sdegno contro un altr’uomo, e chiede che Dio lo guarisca? Egli non usa misericordia verso il suo simile, e chiede perdono de’ suoi peccati? Egli che è carne conserva rancore, e chiede che Dio gli sia propizio?» (Eccli XXVIII, 3-5). – È spirito di giustizia non restringere la mano quando si tratta di soccorrere i fratelli bisognosi. La solennità di quest’oggi c’insegna che Gesù Cristo ha dato per noi il suo sangue. E noi, seguaci di Gesù Cristo, non faremo cosa straordinaria se daremo al nostro prossimo un po’ di quei beni, che Dio ci ha largiti. Dovessimo dare al nostro prossimo tutto quanto possediamo non daremo mai quanto a noi ha dato Gesù Cristo, il quale ha dato se stesso per noi, per redimerci da ogni iniquità. Non lesiniamo nel dimostrare la nostra giustizia verso il prossimo,se vogliamo sperare la manifestazione gloriosa del grande Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo.« Chiunque, pertanto, vuol pervenire al regno celeste, viva con temperanza verso se stesso, con giustizia verso il prossimo, con pietà perseverante verso Dio» (S. Fulgenzio, De remiss. Pacc. L. 1 c. 23).Cominciamo subito da quest’oggi a mettere in pratica questo programma affinché, se il Signore volesse chiamarci al rendiconto nel corso di quest’anno, in qualunque momento ci chiami abbia a trovarci pronti.Mons. Francesco Iannsens, Vescovo di Nuova Orleans, venerato dai suoi figli come un santo, viaggiando sopra un piroscafo alla volta d’Europa, è colpito improvvisamente dalla morte. Non gli rimane che il tempo di inginocchiarsi in cabina e dire: «Mio Dio, vi ringrazio che son pronto» (La Madre Francesca Zaverio Cabrini; Torino 1928, p. 144-45). Che d’ora innanzi la nostra vita sia tale, da poter anche noi dare questa risposta alla divina chiamata, in qualunque momento e in qualunque circostanza si faccia sentire!

Graduale

Ps XCVII:3; 2
Vidérunt omnes fines terræ salutare Dei nostri: jubiláte Deo, omnis terra.
V. Notum fecit Dominus salutare suum: ante conspéctum géntium revelávit justitiam suam. Allelúja, allelúja.

[Tutti i confini della terra videro la salvezza del nostro Dio: acclami a Dio tutta la terra.
V Il Signore ci fece conoscere la sua salvezza: agli occhi delle genti rivelò la sua giustizi. Alleluia, alleluia.]
Heb I: 1-2
Multifárie olim Deus loquens pátribus in Prophétis, novíssime diébus istis locútus est nobis in Fílio. Allelúja.

[Un tempo Iddio parlò in molti modi ai nostri padri per mezzo dei profeti, ultimamente in questi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio. Allelúia.]

Evangelium

Luc II:21
In illo témpore: Postquam consummáti sunt dies octo, ut circumciderétur Puer: vocátum est nomen ejus Jesus, quod vocátum est ab Angelo, priúsquam in útero conciperétur.

OMELIA II.

(L. Goffiné, Manuale per la santificazione delle Domeniche e delle Feste; trad. A. Ettori P. S. P.  e rev. confr. M. Ricci, P. S. P., Firenze, 1869).

 “In quel tempo compiuti gli otto giorni per far la circoncisione del bambino, gli fu posto nome GESÙ, come era stato nominato dall’Angelo prima di esser concepito”.

Perché Cristo fu circonciso l’ottavo giorno dopo la sua nascita; e quali sentimenti deve ridestare in noi il Nome di Gesù?

La circoncisione si faceva otto giorni dopo la nascita del fanciullo. Gesù, essendo Dio, poteva dispensarsi da questa dolorosa cerimonia della legge mosaica; ma ci si volle sottomettere per più ragioni, egualmente degne della sua sapienza ed amore.

1° Nell’assoggettarvi la sua sacra persona abolì onorevolmente un rito stabilito da Dio per un certo tempo soltanto.

2.° Provò così che Egli avea veramente un corpo umano, e confuse fin d’allora i sofismi dell’eresia, che nonostante la chiara prova dei suoi patimenti e fatti nella sua vita mortale, dovevano un giorno negarne la realtà.

3.° Mostrò che Egli era Figlio di Abramo, dal quale il Messia doveva uscire. Prevenne le obiezioni possibili a farsi dai Giudei per impugnare la divinità del Messia, sotto pretesto che Egli era straniero, ed acquistò il diritto di conversare con essi per la salute delle loro anime.

4. ° Divenne nostro modello, ci insegnò l’obbedienza, ci ispirò un giusto orrore per il peccato, e si fece nostra vittima. – Il nostro dovere è d’entrare nei sentimenti del Salvatore, e di profittare delle lezioni che oggi ci porge. Perciò sforziamoci:

1. ° Di concepire un vivo orrore del peccato, che sottopone questo tenero fanciullo ed una così dolorosa cerimonia.

2. ° Di staccarci sinceramente dalle cose create, e vegliare attentamente sui nostri sensi, perché non siano sedotti dagli oggetti esterni.

3. ° Di unire i nostri cuori al cuor di Maria. Chi può esprimere ciò che questa tenera Madre provò, quando vide scorrere le prime gocce del sangue del suo Figlio? Come Gesù e Maria offriamoci in sacrifizio al Signore: sottomettiamoci con fedeltà e rispetto a tutte le pratiche sante che la sua legge c’impone, ed accettiamo senza lamento le pene che la sua Provvidenza c’invia. Tali debbono essere in questa solennità sì istruttiva, sì commovente, i sentimenti e le disposizioni nostre. – Usava tra i Giudei di dare un nome al fanciullo il giorno della sua circoncisione. Non era egli giusto che al momento in cui il Figlio dell’uomo era ascritto tra i figli di Dio, onorato della sua alleanza, ricolmo dei suoi doni e fatto erede delle sue promesse, prendesse un nome che richiamasse questa gloriosa adozione e il sublime ufficio ond’era rivestito? Il Cristo ancora volle prendere il suo augusto Nome quando fu circonciso, per conformarsi in tutto non solamente alle leggi, ma ancora alle pie costumanze del popolo di Dio, ed insegnarci così con qual fedeltà noi dobbiam seguitare le usanze religiose ed i riti della Chiesa. Ma qual nome prenderà Egli? E chi ha il diritto d’imporre a Lui un nome? Ai padri spetta il diritto d’imporre il nome ai loro figli; ed i nomi più convenienti son quelli che indicano meglio le essenziali qualità delle cose a cui si applicano. Ne consegue che nessuna creatura nel cielo o sulla terra, nemmeno Giuseppe e Maria, potevan dare il nome al Figlio di Dio; perocché nessuno era capace dì comprendere l’eccellenza di sua natura e la dignità del suo ufficio. Dio Padre solo poteva dare al suo Figlio il Nome che perfettamente esprimesse l’adorabil carattere di Lui. Ed ecco infatti che l’eterno Padre incarica un principe della sua corte di recare dal cielo in terra il nome del suo Figlio. L’Arcangelo Gabriele, onorato di questo augusto incarico, venne ad annunziare a Maria e la sua divina maternità e il Nome da porsi al Figlio che a Lei nascerebbe. Fu ancora indicato da un Angelo a s. Giuseppe in un’altra occasione. Fin allora quell’adorabile Nome non era conosciuto che dall’eterno Padre, dagli Angeli, da Maria e da Giuseppe; il momento di svelarlo al mondo è arrivato. Dall’alto dei cieli, contemplando il suo amatissimo Figlio, sottoposto all’umiliante e dolorosa cerimonia della circoncisione, Dio Padre ruppe all’improvviso il silenzio, e gli dette un Nome per il quale lo dichiarò senza peccato, innocente, santissimo, ed il principe della salvezza per tutti gli uomini. – Infatti questo nome è un Nome d’ineffabile gloria, un Nome superiore a tutti i nomi. Se bramate saperlo, prostratevi con la fronte nella polvere; poiché a questo Nome  ogni ginocchio si piegherà eternamente in cielo, in terra e nell’inferno. Gesù, cioè Salvatore, ecco il Nome del Figlio di Dio. Vedete con quanta cura l’eterno Padre solleva ogni umiliazione del suo Figlio con una rivelazione della sua gloria! Ogni volta che il Salvatore mostra la sua umanità, il Padre fa risplendere la divinità di Lui. Sì, il Nome di Gesù è sopra a tutti i nomi: nel cielo l’ammirazione, sulla terra la riconoscenza, nell’inferno lo spavento, a questo Nome di potenza, d’amore e di vittoria, faranno eternamente piegare il ginocchio agli Angeli, agli uomini, al demonio. – Il Nome di Gesù è un nome di potenza. Ci ricorda Colui per il quale tutto è stato fatto; il Verbo di Dio, che porta nella sua mano il mondo; il Re dei re, il Signore dei signori, il cui regno spirituale è su tutte le nazioni ed età; l’Agnello dominatore del mondo, per cui sono stati fatti tutti i secoli; ed i re ed i popoli, lo vogliano o no, sono come il bastone nella mano del viandante, o come i servi sotto la potestà dei loro padroni; servi che Egli innalza, glorifica, se a Lui sono fedeli; e getta via e spezza come fragili vasi, se osano ribellarsi a Lui. –

Nome d’amore. Il semplice suono di due sillabe che compongono il Nome di Gesù, risveglia la nostra attenzione e riconoscenza per l’Autore della nostra salute, che s’è fatto uomo a fine d’innalzarci a Lui, è nato in una stalla, ha pianto, è stato perseguitato, calunniato, colmo di ingiurie, deriso, flagellato e crocifisso per noi; che, per riconciliarci col Padre suo, è resuscitato da morte, asceso al cielo, ove fa per noi l’ufficio d’avvocato e mediatore; e che finalmente, per consolarci, per sostenerci, si è fatto compagno del nostro pellegrinaggio, dimorando notte e giorno sui nostri altari.

Nome di vittoria. Gesù significa Salvatore, conquistatore, trionfatore. L’uomo e il mondo eran caduti sotto la potestà del demonio; di questo forte armato che teneva la sua preda incatenata da quattro mila anni. E Dio sa come egli usasse del suo potere! Il Figlio del Padre discese dal cielo per discacciare l’usurpatore, spezzare il suo giogo e liberar lo schiavo universo; il suo Nome ricorda le sue vittorie. Gesù è nostro Salvatore nel significato il più esteso di questa parola. Salvatore di tutto intero l’uomo: Egli salva il nostro spirito dal giogo dell’errore e delle umilianti, infami, crudeli superstizioni; salva il nostro cuore dalla tirannia delle passioni; salva il corpo dai mali che pesavan su lui nel paganesimo; gli comunica il germe della gloriosa immortalità; salva il fanciullo, lo sposo, il padre, la società: tutto Egli ha salvato. Ancora un po’ di tempo, quando il Salvatore venne al mondo; e la società era perduta: ed or c’impedisce di ricadere nell’abisso onde ci ha tratti. Gesù è sempre nostro Salvatore, il Salvatore del mondo intero. Senza Gesù il mondo fisico rientrerebbe all’istante nel caos; senza Gesù il mondo intellettuale ricadrebbe subito nelle tenebre dell’errore, siccome la terra cade nelle tenebre quando il sole abbandona l’orizzonte; senza Gesù il mondo morale si inabisserebbe all’istante nella cloaca del vizio e della corruzione, come il corpo si dissolve quando l’anima l’abbandona, come l’alimento si putrefa quando perde il sale che lo conserva. L’istoria dei popoli da diciotto secoli rende testimonianza a questa verità. – Non è facil cosa il comprendere che la più intera fiducia, l’amor più tenero, la gioia più viva ed il più profondo rispetto, debbono essere i sentimenti del nostro cuore, quando le nostre labbra pronunziano l’adorabile nome di Gesù? Sia la nostra prima parola allo svegliarci dal sonno, e l’ultima nel momento del riposo, sicché resti impresso tutta la notte sulle nostre labbra come un sigillo; nelle tentazioni, nei pericoli, nelle pene, pronunciamo il Nome di Gesù; Egli è onnipotente per rallegrare il nostro cuore, e mettere in fuga il demonio. Prendiamo la bella usanza di pronunziare spesso il Nome di Gesù nella nostra vita; e proveremo una gran fiducia nel pronunziarlo per l’ultima volta al momento di nostra morte. Entriamo nei sentimenti di un pio servo di Dio che esclama: « O divino Gesù, da voi dipende la mia felicità, la mia vita e la morte: tutto ciò che io farò sarà fatto sotto la vostra protezione e nel vostro Nome. Se io veglio, Gesù farà davanti ai miei occhi; se dormo, respirerò il suo santo amore; se passeggio, lo farò con la dolce compagnia di Gesù; se io seggo, Gesù sarà al mio fianco; se studio, Gesù sarà il mio maestro; se scrivo, Gesù guiderà la mia mano e la mia penna; il mio maggior piacere sarà quello di tracciare il suo adorabile Nome; se prego, Gesù mi detterà le parole, animerà le mie azioni; se io sono stanco, Gesù sarà il mio riposo; se ammalato, Gesù sarà il medico mio ed il consolatore; quand’io muoio, morrò nel seno di Gesù; Gesù sarà la mia felicità, ed il suo Ndome sarà il mio epitaffio. » – Noi siamo obbligati di prestare omaggio al Nome di Gesù, non solamente per gratitudine, ma ancora per obbedire all’eterno Padre, il quale ha voluto che a questo Nome ogni ginocchio si pieghi in cielo, in terra e nell’inferno. Perciò v’è il costume di chinare il capo ogni volta che si pronunzia o si sente pronunziare il Nome di Gesù.

Quali pensieri ci deve ispirare il primo giorno dell’anno?

Il primo giorno dell’anno deve ispirarci pensieri assai gravi. Quest’anno che finisce e cade come una goccia d’acqua nel grande oceano dell’eternità, vi cade lasciandomi purificato da tutti i miei peccati? Che ho fatto io per Iddio e per l’anima mia? Alla fine di quest’anno sono io migliore che non era al principio? Di qual difetto mi son io emendato? Qual virtù ho acquistata? Se bisognasse render conto, quali meriti avrei da presentare? Eppure quante grazie non ho io ricevuto! Un utile esercizio nella vigilia e nel giorno del nuovo anno, è il confessarsi e comunicarsi come se dovessimo farlo per viatico. Per questo si fa l’esame per un quarto d’ora; si recitano le orazioni degli agonizzanti, e ci si prepara alla morte; in una parola, si cerca di regolar gli affari della coscienza, come i mercanti regolano in questo tempo i conti del loro commercio. Fino a quando, o mio Dio, i figli del secolo saranno più prudenti dei figli della luce?

Risoluzione. Io pronunzierò ogni mattina appena svegliato, col più gran rispetto, con la maggior fiducia, i santi Nomi di Gesù e di Maria.

CREDO ...

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/12/il-credo/

Offertorium

Orémus
Ps LXXXVIII: 12; 15
Tui sunt cæli et tua est terra: orbem terrárum et plenitúdinem ejus tu fundásti: justítia et judícium præparátio sedis tuæ.
[Tuoi sono i cieli e tua è la terra: Tu hai fondato il mondo e quanto vi si contiene: la giustizia e l’equità sono le basi del tuo trono].

Secreta

Munéribus nostris, quǽsumus, Dómine, precibúsque suscéptis: et coeléstibus nos munda mystériis, et cleménter exáudi. [Ti preghiamo, o Signore, affinché gradite queste nostre offerte e preghiere, Ti degni di mondarci con questi celesti misteri e pietosamente di esaudirci.]

COMUNIONE SPIRITUALE

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/comunione-spirituale/

Communio

Ps XCVII: 3

Vidérunt omnes fines terræ salutáre Dei nostri.
[Tutti i confini della terra videro la salvezza del nostro Dio.]

Postcommunio

Orémus.
Hæc nos commúnio, Dómine, purget a crímine: et, intercedénte beáta Vírgine Dei Genetríce María, cæléstis remédii fáciat esse consórtes.
[Questa comunione, o Signore, ci purífichi dal peccato e, per intercessione della beata Vergine Maria Madre di Dio, ci faccia partecipi del celeste rimedio.]

Preghiere leonine:

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/

Ordinaro della Messa: https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: GENNAIO 2020

CALENDARIO LITURGICO DI GENNAIO 2020

Fidelibus, qui mense ianuario speciale aliquod obsequium Ss. Nomini Jesu, devote exhibuerint, conceditur: (ai fedeli che praticheranno un qualunque ossequio al Ss. Nome di Gesù, si concede:)

INDULGENTIA septem annorum semel quolibet mensis die; (sette anni per ogni giorno del mese)

Indulgentia Plenaria

suetis conditionibus, si huismodi pietatis obsequium per integrum mensem quotidie praestitum fuerit (Breve Ap., 21 dic. 1901; S. paen. Ap., 2 ian. 1933).

https://www.exsurgatdeus.org/2017/04/08/salmi-sul-nome-di-gesu/

GENNAIO  è il mese che la Chiesa Cattolica dedica alla S. INFANZIA DI GESÙ CRISTO

[Sac. D. C. D. G.: Il mese di Gesù Bambino; Dai torchi del Tramater, Napoli, 1840]

Motivi di praticare fedelmente questa Divozione.

I . Con la devozione di questo Mese possiamo guadagnarci il Cuore di Dio, che volle fino coi prodigj onorato il S. Bambino. Oh quando ci gioverà il suo gradimento.

II. Con la divozione di questo Mese possiamo farci un gran capitale di affetti santi. La grandezza di Gesù, dice S. Bernardo, umilia; ma la sua piccolezza innamora. Oh che consolazione ne avremo!

III. Con la divozione di questo Mese ci potremo meritare la protezione del S. Bambino. Egli non si fa vincere di cortesia, e sarà liberale con chi l’onora, quando è più oltraggiato. Oh che grande appoggio ci acquisteremo!

ESEMPIO

Vivea in Bona, Città della Borgogna, la Vener. Suor Margherita del SS. Sagramento Monaca Carmelitana, quando gli Spagnoli entrarono nella Piecardia, e poi anche in Borgogna. Ora apparsole il S. Bambino, le ordina di fare certa divozione alla sua santa infanzia, come sarebbe questa del Mese presente, promettendole in premio la perseverazione della Città. Non mancò la divota Verginella di adempire esattamente l’ordine datole, e ogni dì offriva al S. Bambino devoti ossequi, e preghiere, animando insieme le sue Sorelle a confidare nel suo Sposo fedele. Intanto avanzandosi l’armata nemica, tutta la Città era in pianti e in confusione. Apparsole allora il Signore le fece animo, e le rivelò il giorno, e l’ora, in cui sarebbe seguita la ritirata dei nemici da Verdun. Corse ella ad avvisarne la Priora, e veramente seguì come le aveva predetto. Ma tornando di nuovo il nemico in Borgogna, ricorse essa con le altre Suore al S. Bambino, il quale apparsole, le tornò a prometter la sua protezione. Infatti mentre ognuno consigliava la Superiora ad uscir con le Religiose, Suor Margherita la dissuase dicendo, che una paglia del Presepio valeva più di tutte le armi nemiche. Ed ecco improvvisamente i nemici si ritirarono, e tutta l’armata si sbandò.

[G. Perardi: La Vergine Madre di Dio e la vita cristiana – Torino, LIBRERIA DEI SACRO CUORE, 1908]

L’adorazione dei Magi –

aggiungendosi a quella dei pastori – viene a compiere il mistero della nascita del Figliuolo di Dio: così all’adorazione degli Ebrei si aggiunge quella dei Gentili; e non solo la natura angelica, ma anche la natura fisica divulga il grande insegnamento. Chiamati dall’invito divino, avendo superato ogni difficoltà di ostacoli, quei santi personaggi arrivarono a Betlemme, e guidati dalla stella raggiunsero la dimora di Gesù, la capanna, o la modesta casetta nella quale si era allogata la santa Famiglia. Colà anziché essere turbata dalle apparenze della povertà, la fede dei Magi diviene più forte: e il loro ardore non è scosso, anzi è colmo d’ammirazione per lo strano abbassamento di un Dio; ed entrano senza dubitare nell’umile abitazione. Quale spettacolo si svela in quel momento ai loro occhi! « Re della terra, dice san Giovanni Grisostomo, non v’aspettate di trovare qui una regina con la fronte cinta di un diadema, o un principe sontuosamente vestito, che riposi sotto un padiglione ornato di ricche stoffe intessute d’oro o di porpora. No: ma venite a vedere nel fondo di una rustica ed umida stalla una povera Madre, la sposa di un artigiano e vicino ad essa un piccolo Bambino avvolto in panni e collocato in un presepio. Commossi a tale spettacolo, vivamente colpiti dallo sguardo angelico e dalla bellezza celeste che raggia dal volto della Vergine, soggiogati dal sorriso del divino pargoletto, i Magi si prostrano ed adorano il Figlio dell’Altissimo: poi gli offrono i loro doni, oro, incenso e mirra, i più ricchi prodotti del loro paese ». — « Che fate voi, o Magi, esclama S. Bernardo, che fate voi”? Voi adorate un bambino lattante, sotto un tetto di paglia, in miserabili fasce? È forse questi un Dio? Dio sicuramente è nel tempio; il Signore è nel cielo, sola dimora degna di Lui : e voi lo cercate in una vile stalla, al seno di una madre? » (Sermone I in Epiph.). Quale fede! quale semplicità! Quale esempio per noi dei sentimenti che dobbiamo portare appiè degli altari di Gesù e di Maria. Dice ancora S. Bernardo: « A chi paragonerò io questi uomini? Se considero la fede del buon ladrone, la confessione del centurione, essi la vincono d’assai, perché al tempo di costoro, Gesù aveva ricevuto molte adorazioni, aveva compito moltissimi miracoli, era stato proclamato Dio da molte voci » (Sermone II in Epiph.). I Magi scoprivano così nel Bambino, Colui che dopo di essi tutta la terra doveva adorare come Dio.

Queste sono le feste del mese di Gennaio 2020

1 In Circumcisione Domini    Duplex II. classis *L1*

3 Gennaio I Venerdì del mese.

4 Gennaio I Sabato del mese.

5 Gennaio DOMENICA Sanctissimi Nominis Jesu    Duplex II. classis *L1*

6 In Epiphania Domini    Duplex I. classis *L1*

12 Gennaio DOMENICA Sanctæ Familiæ Jesu Mariæ

13 Gennaio In Octava Epiphaniæ   – Duplex majus

Commemoratio Baptismatis Domini Nostri Jesu Christi    Duplex II. classis

14 Gennaio S. Hilarii Episcopi Confessoris Ecclesiæ Doctoris    Duplex m.t.v.

15 Gennaio S. Pauli Primi Eremitæ et Confessoris    Duplex m.t.v.

16 Gennaio S. Marcelli Papæ et Martyris    Semiduplex

17 Gennaio S. Antonii Abbatis    Duplex

18 Gennaio Cathedræ S. Petri    Duplex majus *L1*

19 Gennaio Dominica II post Epiphaniam    Semiduplex Dominica minor *I*

  Ss. Marii, Marthæ, Audifacis, et Abachum Martyrum  –  Simplex

20 Gennaio Ss. Fabiani et Sebastiani Martyrum    Duplex

21 Gennaio S. Agnetis Virginis et Martyris    Duplex *L1*

22 Gennaio Ss. Vincentii et Anastasii Martyrum    Semiduplex

23 Gennaio S. Raymundi de Peñafort Confessoris    Semiduplex m.t.v.

24 Gennaio S. Timothei Episcopi et Martyris    Duplex

25 Gennaio In Conversione S. Pauli Apostoli    Duplex majus *L1*

26 Gennaio DOMINICA III, post Epiphaniam

S. Polycarpi Episcopi et Martyris  – Duplex

27 Gennaio S. Joannis Chrysostomi Episcopi Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex m.t.v.

28 Gennaio S. Petri Nolasci Confessoris – Duplex m.t.v.

29 Gennaio S. Francisci Salesii Episcopi Confessoris et Ecclesiæ Doctoris  – Duplex

30 Gennaio S. Martinæ Virginis et Martyris  – Semiduplex

31 Gennaio S. Joannis Bosco Confessoris    Duplex

ANNO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA 2020

L’ANNO LITURGICO 2020

1 Gennaio – Circoncisione di Gesù

5 – SS. Nome di Gesù

6 Gennaio – Epifania

12 Gennaio – Sacra Famiglia   (Domenica entro l’Ottava dell’Epifania)

19 Gennaio – 2a Domenica dopo l’Epifania

26 Gennaio – 3a Domenica dopo l’Epifania

2 Febbraio – 4a Domenica dopo l’Epifania

 – Festa dell’Arciconfraternita del Cuore Immacolato di Maria Ss.

9 Febbraio – Domenica di Septuagesima

16 Febbraio – Domenica di Sessuagesima

23 Febbraio – Domenica di Quinquagesima

26 Febbraio – Mercoledì delle CENERI  – Inizio della Quaresima    

1 Marzo – 1a Domenica di Quaresima 

(GIORNI DI QUATEMPORA IN QUESTA SETTIMANA )

8 Marzo – 2a Domenica di Quaresima

15 Marzo – 3a Domenica di Quaresima

22 Marzo – 4a Settimana di Quaresima

29 Marzo  – I DOMENICA DI PASSIONE

5 Aprile – II DOMENICA DI PASSIONE – DELLE PALME

12 Aprile – DOMENICA DI PASQUA

19 Aprile – Domenica in Albis

26 Aprile – 2a Domenica dopo Pasqua

3 Maggio  – 3a Domenica dopo Pasqua

10 Maggio – 4a Domenica dopo Pasqua

17 Maggio – 5a Domenica dopo Pasqua

18 a 20 Maggio – Giorni delle Rogazioni

21 Maggio – Giovedì in Ascensione Domini

24 Maggio – Domenica entro l’Ottava dell’Ascensione

31 Maggio  – Domenica di Pentecoste

(GIORNI DI QUATEMPORA IN QUESTA SETTIMANA )

7 Giugno – Domenica della SS. Trinità

11 Giugno – Corpus Christi

14 Giugno – 2a Domenica dopo Pentecoste

19 GiugnoSACRO CUORE DI GESÙ (Venerdì dopo l’Ottava del Corpus Christi)

21 Giugno – 3a Domenica dopo Pentecoste

28 Giugno – 4a Domenica dopo Pentecoste

5 Luglio – 5a Domenica dopo Pentecoste

12 Luglio – 6a Domenica dopo Pentecoste

19 Luglio  – 7a Domenica dopo Pentecoste

26 Luglio  – 8a Domenica dopo Pentecoste

2 Agosto – 9a Domenica dopo Pentecoste

9 Agosto – 10a Domenica dopo Pentecoste

16 Agosto – 11a Domenica dopo Pentecoste

23 Agosto – 12a Domenica dopo Pentecoste

30 Agosto – 13a Domenica dopo Pentecoste

6 Settembre – 14a Domenica dopo Pentecoste

13 Settembre – 15a Domenica dopo Pentecoste

 (GIORNI DI QUATEMPORA IN QUESTA SETTIMANA )

20 Settembre – 16a Domenica dopo Pentecoste

27 Settembre – 17a Domenica dopo Pentecoste

4 Ottobre – 18a Domenica dopo Pentecoste

11 Ottobre – 19a Domenica dopo Pentecoste

18 Ottobre – 20a Domenica dopo Pentecoste

25 Ottobre – 21a Domenica dopo Pentecoste

 FESTA DI CRISTO RE

1 Novembre – 22a Domenica dopo Pentecoste

8 Novembre – 23a Domenica dopo Pentecoste

15 Novembre – IV Domenica post Epiphaniam

22 Novembre – 24a Domenica dopo Pentecoste

29 Novembre 1a Domenica di Avvento

6 Dicembre – 2a Domenica di Avvento

8 Dicembre – 3a Domenica di Avvento

13 Dicembre – 3a Domenica di Avvento

 (GIORNI DI QUATEMPORA IN QUESTA SETTIMANA )

20 Dicembre – 4a Domenica di Avvento

25 Dicembre – GIORNO DI NATALE

26 Dicembre – SANTO STEFANO,  Primo Martire

27 Dicembre – SAN GIOVANNI, Apostolo ed Evangelista

28 Dicembre – SANTI INNOCENTI

30 Dicembre – Domenica entro Ottava di Natale

31 Dicembre – SAN SILVESTRO I, Papa.

1s GENNAIO 2021 – CIRCUMCISIONE DI NOSTRO SIGNORE

3 Gennaio – SANTO NOME DI GESÙ

6 Gennaio – FESTA DELL’EPIFANIA

MEDITAZIONE PER L’ULTIMO GIORNO DELL’ANNO

MEDITAZIONE PER L’ULTIMO GIORNO DELL’ANNO

MEDITAZIONE PER IL 31 DICEMBRE

[Sac. Albino Carmagnola, Sac. Salesiano: MEDITAZIONI vol. I; Torino, S. E. I. 1942)

Sopra l’ultimo giorno dell’anno.

Mediteremo sopra i pensieri che ci ispira l’ultimo giorno dell’anno: il pensiero della fugacità del tempo, il pensiero della morte e quello del ringraziamento a Dio. C’immagineremo di trovarci al divin tribunale davanti a Gesù Cristo giudice, che ci domanda conto del modo, con cui abbiamo passato questo altro anno di vita. E conoscendo di non potergli rispondere d’averlo passato tutto bene, imploreremo la sua infinita misericordia e ci prometteremo di fare in avvenire miglior uso del tempo. Lo ringrazieremo inoltre di tutti i benefizi, che in questo passato anno ci ha fatto.

PUNTO 1°

Della fugacità del tempo.

Quanto velocemente è trascorso questo anno che sta per finire! Sembra ieri che ebbe principio e fra poche ore sarà già annoverato fra gli anni che furono e non torneranno mai più. Oh come è fugace il tempo! quanto presto ci avviciniamo all’eternità! Epperò quanto ancora è prezioso il tempo! Esso vale quanto il paradiso, perché il tempo ben impiegato ce lo fa acquistare; vale quanto il sangue del Divin Redentore, perché impiegando bene il tempo mettiamo convenientemente a profitto quel sangue; vale quanto Dio medesimo, perché con esso possiamo farci dei meriti per posseder Dio eternamente. Quanto gran bene potevamo noi fare in questo passato anno sia a pro nostro, sia a vantaggio delle anime dei nostri fratelli! L’abbiamo noi fatto? Ahimè! quante ore e forse quanti giorni trascorsero per noi nella neghittosità, nell’inoperosità, nell’ozio! Quante ore furono da noi passate in pensieri vani e frivoli, in desideri e disegni strani e chimerici! Quante ore impiegate in ciance inutili, in giuochi e divertimenti non necessari al sollievo del nostro spirito e fuori del tempo ad essi determinato! Quante ore sprecate in letture pericolose, in conversazioni poco degne, in critiche e mormorazioni contro il prossimo! Quante ore infine gittate per non aver fatto in esse i nostri doveri, per non averli compiuti con l’ordine prescritto, per aver lavorato a vanagloria nostra e non a gloria di Dio, e forse anche per avere commessi peccati, o fatto del bene non in stato di grazia! Oh Signore, datemi grazia per riparare a tanto tempo sì malamente speso.

PUNTO 2°.

Pensiero della morte.

In questo passato anno la morte ha continuato il suo cammino sulla faccia della terra, mietendo le sue innumerevoli vittime. Quante migliaia d’uomini anche in questo anno sono passati all’eternità! Grandi e piccoli, giovani e vecchi, ricchi e poveri, dotti e ignoranti, deboli e robusti, anche quest’anno, in numero di circa quaranta milioni, divisi per oltre a centomila ogni giorno e per più di quattromila e cinquecento ogni ora, sono scomparsi dalla scena del mondo: gli uni morendo di morte preceduta da una malattia, gli altri morendo repentinamente o di morte violenta. Sono pure passati all’altra vita non pochi dei nostri conoscenti, amici, fratelli. Che sarebbe stato di noi, se anche della nostra vita Dio avesse reciso il filo? Quale misericordia forse ci ha usato Iddio nello scamparci! Misericordia Domini, quia non sumus consumpti: proprio per la misericordia del Signore non siamo morti (Thren., III, 22). Nel riconoscere la bontà di Dio a nostro riguardo, domandiamogli sinceramente perdono della nostra poca corrispondenza e ben anche  della nostra ingratitudine.

PUNTO 3°.

Pensiero di ringraziamento a Dio.

Durante quest’ultimo anno aggiuntosi alla nostra vita Dio ciha beneficati in molte guise. Da quanti pericoli siamo stati da Dio salvati, di quanti beni favoriti, di quante grazie ricolmi! Oltre all’averci scampati da morte Dio ci ha sostenuti, ci ha dato ogni giorno il pane necessario per la vita, ci ha liberati da tante infermità, ci ha guariti da qualche grave malattia, ci ha concesse soddisfazioni e consolazioni inattese, ci ha dato giorni lieti e sereni. Ma più ancora che nelle cose materiali Dio ci ha beneficati nell’ordine spirituale, preservandoci, se giusti, dal precipitare nelle più gravi colpe, scampandoci, se peccatori, dai gravi castighi meritati, animandoci con le sue sante ispirazioni a liberarci dal peccato, eccitandoci a pentircene e a farne penitenza. Oh quanti benefizi il Signore ci ha elargiti nella sua generosa bontà! Rendiamo dunque a lui le debite lodi, innalziamogli i più umili e fervidi ringraziamenti. Ma nel tempo stesso avvedendoci di non avere debitamente corrisposto ai tanti benefici suoi, promettiamogli di volere d’ora innanzi, nella vita che ancorasi compiacerà di concederci, adoperare tutte le nostre forze per tenerci lontani dal male, per praticare la virtù e farci santi.

Te Deum


Te Deum laudámus: * te Dóminum confitémur.
Te ætérnum Patrem * omnis terra venerátur.
Tibi omnes Ángeli, * tibi Cæli, et univérsæ Potestátes:
Tibi Chérubim et Séraphim * incessábili voce
proclámant:

(Fit reverentia) Sanctus, Sanctus, Sanctus * Dóminus Deus Sábaoth.

Pleni sunt cæli et terra * maiestátis glóriæ tuæ.
Te gloriósus * Apostolórum chorus,
Te Prophetárum * laudábilis númerus,
Te Mártyrum candidátus * laudat exércitus.
Te per orbem terrárum * sancta confitétur Ecclésia,

Patrem * imménsæ maiestátis;
Venerándum tuum verum * et únicum Fílium;
Sanctum quoque * Paráclitum Spíritum.
Tu Rex glóriæ, * Christe.
Tu Patris * sempitérnus es Fílius.


(Fit reverentia)
Tu, ad liberándum susceptúrus hóminem: * non horruísti Vírginis uterum.

Tu, devícto mortis acúleo, * aperuísti credéntibus regna cælórum.
Tu ad déxteram Dei sedes, * in glória Patris.
Iudex créderis * esse ventúrus.


(Sequens versus dicitur flexis genibus)
Te ergo quǽsumus, tuis fámulis súbveni, * quos pretióso sánguine redemísti.

Ætérna fac cum Sanctis tuis * in glória numerári.
Salvum fac pópulum tuum, Dómine, * et bénedic hereditáti tuæ.
Et rege eos, * et extólle illos usque in ætérnum.
Per síngulos dies * benedícimus te.


Fit reverentia, secundum consuetudinem
Et laudámus nomen tuum in sǽculum, * et in sǽculum sǽculi.


Dignáre, Dómine, die isto * sine peccáto nos custodíre.
Miserére nostri, Dómine, * miserére nostri.
Fiat misericórdia tua, Dómine, super nos, * quemádmodum sperávimus in te.
In te, Dómine, sperávi: * non confúndar in ætérnum.

Himnus Ambrosianus

a) Fidelibus, qui, ad grates prò acceptis beneficiis Deo agendas, hymnum Ambrosianum Te Deum laudamus devote recitaverint, conceditur:

Indulgentia quinque annorum.

b) Iis vero, qui ultima anni die eiusdem hymni cantui interfuerint in ecclesiis vel publicis aut (prò legitime utentibus) semipublicis oratoriis, ad gratias Deo referendas prò beneficiis totius anni decursu acceptis, conceditur:

Indulgentia decem annorum;

Indulgentia plenaria, si peccatorum veniam obtinuerint, eucharisticam Mensam participaverint et ad Summi Pontificis mentem preces fuderint (S. Pæn. Ap., 10 aug. 1936).

DIO IN NOI (7)

DIO IN NOI (7)

[Versione p. f. Zingale S. J. – L. I. C. E. – Berruti & C. – Torino, 1923; imprim. Torino, 7 aprile 1923 Can. Francesco Duvina]

LIBRO QUINTO

Pratica dell’intimità

con Dio in noi

Abbiamo visto quale sia il nostro tesoro. Esso diventerà veramente nostro, se ci sforzeremo di:

Desiderarlo,

Proteggerlo,

Acquistarlo.

CAPO I.

Desiderare il nostro tesoro.

L’Olier, narrano i suoi biografi, spesso sentiva una voce interna mormorargli con una soavità imperiosa: « Vita divina, vita divina! ». Dalla sua seconda conversione, che fu un’oblazione assoluta di se stesso, « … la sua esistenza rassomiglia a una solennità ». La bruttezza delle apparenze svanisce dietro la grandezza delle realtà. Tutta la sua vita è espressa in questa preghiera che rivolgeva a Dio: « La vostra luce sia la sola luce che mi guidi e mi faccia vedere tutte le cose, tali quali sono in se stesse » (E. HELLO: Le Siecle, p. 400. — Alla sua volta l’Olier faceva del P. de Condren questo elogio: « Si vedeva in lui una semplice apparenza ed una scorza di ciò che mostrava essere in realtà: al di dentro era invece tutto un altro, essendo come l’interiore di Gesù Cristo, e la sua sacra vita; di modo, che piuttosto era Gesù Cristo vivente nel P. de Condren che il P. de Condren vivente in se stesso. Era come un’ostia dei nostri altari: al di fuori si vedono gli accidenti e le apparenze, ma al di dentro vi è Gesù Cristo). Abbiamo noi pure bisogno d’una voce, simile a quella che si faceva sentire all’Olier, per adottare queste due parole: « Vita divina » come nostra regola abituale? No; basta ricordare gl’insegnamenti della fede. Bisogna inoltre, essere « dotali di perspicacia », per sapere « coltivare accuratamente il proprio Battesimo » (La vie spirituelle e l’oration, di Madre CÉCILE De Solesmes, c. V). – Quando il patriarca Giacobbe scorse in una visione la scala misteriosa che dalla terra giungeva al cielo, per la quale gli Angeli salivano e discendevano, si svegliò in preda a un terrore soprannaturale e disse: «Certamente il Signore è qui, e io non lo sapevo! Questo luogo è in verità la casa di Dio e la porta del cielo » (Gen. XXXIII, 16, 17). Accadrebbe lo stesso a noi, dice il cardinale Manning, se ci svegliassimo e avessimo il sentimento intimo che lo Spirito Santo ci sta vicino, ci circonda, vive in noi, « che è tutto orecchi per ascoltare ogni palpito del nostro cuore, che è attento a ogni pensiero, che penetra la nostra immaginazione, che tutto l’essere nostro gli è manifesto ». Ma per nostra sciagura, la maggior parte degli uomini vive come se non avesse un’anima… Anche la maggior parte di coloro che più o meno hanno il sentimento del prezzo dell’anima loro, che possono salvarsi o perdersi eternamente, vivono come se Dio non dimorasse in loro. « Non pensano punto alla presenza divina, non voglio dire in tutto l’universo… parlo per adesso della presenza di Dio nell’anima. Quegli stessi che sono Cristiani per la loro fede e per i lumi spirituali, che sanno e ripetono di avere un’anima da salvare, vivono senza avere il sentimento abituale o giornaliero di non essere mai soli (Il Manning non vuol dire conoscenza sentita, ma conoscenza « effettuata » vivente):  che cioè Dio abita nell’anima come l’anima nel corpo. Questa è la verità ». « Senza provarlo, noi siamo il Paradiso di Dio; bisogna pensare e agire in maniera che Dio sia, alla sua volta, il nostro Paradiso » (SERTILLANGES: « La Vie en présence de Dieu »  R. des Jeunes, 10 mai 1918).Questo programma che potrebbe sembrare ambizioso, dovrebbe essere quello di ogni battezzato.« Il vero Cristiano si definisce, diceva Newman, allorquando lo si chiama un uomo imbevuto dal sentimento della presenza di Dio dentro di sé …, che vive del pensiero che Dio è là, nel cuore del suo cuore…, un uomo la cui coscienza è illuminata da Dio in modo che viva nell’impressione abituale che tutte le sue pene, tutte le fibre della sua vita morale, tutti i suoi motivi e desideri, sono spiegati dinanzi all’Onnipotente» (H. BRÉMOND: « Sermons choisis de Newman » sotto Il titolo: La Vie chrétienne, p. 236). Ohimè! se bisogna attenersi a questo modello, quanto pochi sono i « veri Cristiani »! Nostro Signore se ne lamenta. Non rivelava difatti, ultimamente, a un’anima santa: «Io sono in molti cuori come un tesoro infruttuoso; mi possiedono perché hanno la grazia, ma non sanno valersi di me: supplisci a questo »? (Benigna Consolata Ferrero, visitandina di Como). Come pervenire alla conoscenza pratica dell’abitazione continua di Dio in noi, mediante la grazia? In primo luogo scegliendo questa dottrina come soggetto frequente di meditazione. (Alle anime che si sentono attratte dall’argomento dell’Abitazione divina, indichiamo la nostra piccola Imitazione: Vivere con Dio, raccolta di pensieri rapidi ed atti a farci riflettere sul grande tesoro nascosto dentro di noi). È manifesto che se, volontariamente e con uno sforzo coraggioso, ogni mattina o almeno in circostanze frequenti, ci studiamo di fissare il nostro pensiero al centro dell’anima nostra, dove è il grande tesoro, subito, con l’intervento della grazia e in virtù della buona abitudine, il ricordo involontario, spontaneo, senza sforzo, di Dio presente in noi ci diventerà familiare. « Gli uomini vivono alla superficie dell’anima, senza mai penetrarne il contenuto profondo. Oh se sapessimo raccoglierci, veder chiaro in noi stessi, e capire » (ELISABETTA LESEUR) (Nel suo « Journal », p. 298). « Dio abita in noi, quale accoglienza facciamo a quest’ospite? Io mi confondo al pensiero che non appena Egli entra in me, io mi volgo e l’abbandono per attendere a bagatelle » (PAOLINA REYNOLDS). – Citiamo espressamente due persone che vissero nel mondo, l’una durante tutta la sua vita, l’altra fino all’età di cinquanta anni (Poi entrata al Carmelo. Due volumi dal titolo: Paoline Reynolds, dell’abate PICOT, Beauchesne Paris, 1916). Si crede troppo che la dottrina dell’Abitazione di Dio in noi appartenga al dominio esclusivo dei chiostri. Ma in realtà, poche anime fra lo strepito generale delle cose che passano, consentono a imporsi il silenzio necessario per ascoltare lo strepito misterioso che fanno in noi le cose divine. Dio si tiene nascosto: Deus absconditus. Si rivela nella calma, non mai fra lo strepito; non in commotione Dominus. « Io lo sento: la prima disposizione che debbo portare, scrive ancora Paolina Reynolds, è il silenzio secondo la parola di Taulero; il Padre ha una sola parola, è il suo Verbo e suo Figliuolo. Egli la pronunzia in un silenzio eterno, e l’anima la riceve e l’ascolta nel silenzio». E continua: «Silenzio, adunque, o anima mia, per ascoltare Dio. Silenzio per ricevere il Verbo; silenzio per permettere che ti parli, che si faccia capire da le e viva in te. Silenzio e preghiera! ». Per disavventura, « quello di cui più difetta la nostra generazione, è il raccoglimento». Ognuno avrà potuto fare la stessa osservazione di Elisabetta Leseur. – Il P. Gratry pensava un giorno che cosa diventerebbe il mondo se consentisse a osservare quella mezzora in silenzio, di cui parla la Scrittura; se tutti gli uomini, durante mezz’ora, consentissero ad occuparsi insieme dei loro privilegi eterni. Che cosa diventerebbe il mondo? È facile indovinarlo. Ma dove trovare questa solitudine in cui Dio, nascosto nell’interno dell’anima, si manifesterà? Un soldato, Psichari, nipote di Renan, si convertì mediante il contatto prolungato col deserto. Lo strepito scompiglia e corrompe: « Il deserto è una terra benedetta. Nostro Signore vi risiede; centinaia di religiosi ne hanno compreso la santità. Sarei per dire che le Tebaidi esistono ancora, ma mancano le anime pronte per ascoltarvi la voce di Dio ». Le Tebaidi esistono tuttora. Il deserto non difetta alle anime che non si spaventano alla vista « degli spazi infiniti », e che sono stimolate dal desiderio di esplorarli, perché sospettano anticipatamente dinanzi a quali scoperte conduce la loro pia carovana. Dovunque siano, queste anime solerti e audaci, sanno trovare un angolo silenzioso a loro vantaggio. « La solitudine non difetterà mai a coloro che ne sono degni » (Non sarebbe conveniente, con la pratica della meditazione giornaliera, consigliare qui l’uso dei « Ritiri » e specialmente dei « Ritiri chiusi »?). Il desiderio di conoscere meglio « l’interno » dell’anima nostra, genera l’amore della preghiera e del raccoglimento. L’uso della preghiera e del raccoglimento, alla sua volta, produce un desiderio più intenso per penetrare ognora più, fino al cuore « del nostro interno ». Si ha, come effetto, che ogni giorno si scoprono nuove ricchezze e il grido degli Apostoli corre alle labbra: « Qui si sta bene. Rimaniamo qui. Spieghiamo qui una tenda». Quel grido, del resto, è l’eco del grido di Dio, la cui misericordia, avendo scorto l’abitazione meschina del cuore umano, ha voluto farne la sua dimora prediletta, un succedaneo del Paradiso. « Donum est nos hic esse, ha detto la Trinità divina. Qui si sta bene. Mansionem apud eum faciemus, noi vi resteremo ! ». Ciò spiega l’ambizione invincibile di alcune anime. L’una di esse fece questo proposito:« Voglio essere continuamente la piccola occupata del grande Dimenticato ». « Quante cose possono raccontarsi, quando si vive sempre insieme, osserva la medesima anima, quando siama infinitamente, e l’uno dei due è Dio! ». Aveva scritto nel suo programma: «Sfruttare particolarmente la solitudine, è per me come un sacramento. Egli è sempre là » (Questo programma è quello di tutti i santi. La vita di S. Gregorio Magno fu riassunta dal suo biografo in una sola parola: « Secum vivebat. Era un uomo ” interiore ,, ». — S. Girolamo scriveva a Eustochio: « Semper te cubiculi fui secreta custodiant, semper tecum Sponsus ludat intrinsecus, Oras, loqueris ad Sponsum; legis, Vie tibi loquilur, ecc. ». Chiudete dietro a voi la porta della vostra cella e vivete « interiormente » là dove lo Sposo abita familiarmente con voi ». —  È superfluo ricordare che « vita interiore» non significa esame scrupoloso, ricerca continua e morbosa dei più piccoli difetti, con incessanti e inutilissimi richiami sul passato. Ciò è molto lontano dalla vera devozione. Quanto più il raccoglimento è sorgente di vita, così come l’abbiamo descritto, e perviene a trovare Dio; altrettanto il ritorno febbrile su se stessi, e gli esami di coscienza indefiniti, sono sterili, se non pericolosi, per la pietà). – Dio è sempre là; ma noi non possiamo esservi sempre; altrimenti non saremmo più in terra, ma in cielo. Possiamo, nondimeno, sforzarci di essere là il più spesso che ci sia possibile. – Per molti, un’immensa lacuna separa il tempo della preghiera da quello delle occupazioni quotidiane. Quanti Cristiani, anche non alieni dalla pietà, quante anime devote e ferventi, la cui vita è spezzata da una strana interruzione! Alcuni momenti, più o meno lunghi, sono consacrati, al mattino, alla preghiera, alla meditazione e all’orazione, se si vuole; tutto il resto del giorno si trascorre poi senza punto ricordarsi della meditazione o preghiera fatta all’aurora. Un’esistenza spezzata in due parti. Pochi minuti per pensare a Dio, tutti gli altri trascorsi senza più pensarvi. « Non confinare Gesù nelle mie comunioni e orazioni. Dirgli: non vi lascerò partire » (T. II, p. 336). Proposito fatto da Paolina Reynolds, e che tutti dovremmo fare nostro. Ella aggiungeva (T. II, p. 22): « L’uso della preghiera nelle minime occasioni, ci aiuta a effettuare la prossimità del mondo invisibile ». Diciamo meglio. Senza l’abitudine della preghiera, nelle più piccole occasioni, è impossibile ottenere la prossimità del mondo invisibile — che pertanto è una condizione indispensabile della vita « interiore ». Allorquando Marta va a chiamare Maddalena per prevenirla che il Maestro è là e aspetta, non trattasi di un’ora determinata. Dentro di noi il divino Maestro è presente. Ci chiama, ci chiama perpetuamente, dice S. Paolo. Magister adest et vocat. Egli chiama. Risponderemo noi? Perché chiama proprio noi. Vocat te. –Al pozzo di Giacobbe, quando Gesù conversa con la Samaritana, l’Evangelo riferisce: «Era l’ora di sesta ». Nostro Signore è presente alla sesta, alla prima, all’undecima, a tutte le ore. Lungo tutto il giorno — durante la vita intera — il Maestro ci aspetta. Siamo sempre in tempo per andare a Lui. Noi invidiamo la sorte della Samaritana. La Samaritana siamo noi. È l’ora sesta. Gesù sta al pozzo di Giacobbe. Ci aspetta. L’orlo del pozzo su cui il Salvatore riposa, aspettando, è l’orlo del nostro cuore. Non può fare a meno di noi. Vuole che siamo là dove Egli abita. Egli non abita all’orlo del cuore, ma nel mezzo; ecco il santuario preferito da Lui, ma poiché non possiamo stare continuamente prostrati ai piedi dell’altare, Egli si degna fare dei nostri cuori altrettanti tabernacoli. Dal fondo di essi ci invita, e perché desidera moltissimo che noi desideriamo Lui, vuole sapere se viviamo nel bisogno di Lui, o se ne siamo soddisfatti. – Quanto poche sono le anime che cercano con avidità qualche cosa, allorquando hanno bisogno del soprappiù. Si direbbe che noi abbiamo tutto quello che ci occorre. Creature singolari che ci contentiamo del nulla, che il nulla basta a colmare. Bisogna aver prima visto passare il Maestro per rivolgere la domanda: « Dove abita il Messia? ». Bisogna amarlo molto, per dire come Maddalena al pseudo ortolano del mattino di Pasqua: «Oh! Ditemi, ditemi dov’è ». Del resto chi così cerca, come Maddalena al sepolcro, lo possiede già. S. Francesco Saverio non poteva capire che vi fossero tanti mercanti, in cerca di pepe e altre droghe dell’Oriente. Noi stessi non giudichiamo forse troppo l’ardore degli scavatori d’oro fra i ghiacci dell’Alaska? Perché non sarebbe maggiore il numero di quelli che amano unicamente la perla preziosa, e che, per quanto dipende da loro, studiano i mezzi per trarre vantaggio dal tesoro che possiedono costantemente? Psichari diceva: « Si trema a scrivere in presenza della Santa Trinità ». Premettiamo a ogni nostra azione, come egli faceva, un intervallo di tempo, affine di ricordarci della presenza di Colui che vive dentro di noi. Un soldato diceva: « Non ho chiesa. Rientro in me stesso, dove si trova Dio ». Si cita anche l’esempio di un ammiraglio, morto poco tempo fa, che per vivere «interiormente», si esercitava a non perdere il sentimento della presenza di Dio. « Egli è in me, e io non vi penso. Mi porta nel suo cuore, e io duro fatica a portarlo un momento nel mio spirito », confessava, più che per conto proprio, per utilità nostra, il Padre De Gonnelieu, in un trattato suggestivo sulla Presenza di Dio. « Ogni battezzato, secondo il consiglio che dà con espressione felice il P. Sertillanges, dovrebbe fare di tutto un’aspirazione, una preghiera, una cerimonia rituale, un’azione salvatrice, un amore; della casa un oratorio, della tavola, del letto, del banco, dello scrittoio, del fornello domestico o della officina, un altare; fare della vita, dal mattino alla sera e dalla sera al mattino, del sonno, del riposo, del giuoco, della conversazione, del lavoro a un tempo e della preghiera, un avvenimento religioso, un rito d’eternità in un tempo provvisorio. Ecco il pensiero cristiano, ed anche lo sforzo di coloro che lo capiscono a dovere; nessuno può dirsi Cristiano se non nella misura in cui vi si adatta ». « Formare di tutto un’aspirazione ». Noi ripetiamo qui l’ideale di cui dicevamo al principio di questo capitolo: «Condurre una vita che rassomigli a una solennità ». Altro, in realtà è possedere Dio, per la grazia, al fondo dell’anima; altro penetrare tutte le fibre del proprio essere della grazia di Dio. È diverso il caso di chi vive abitualmente in grazia e di chi vive in grazia in un modo sempre attuale. – Sempre attuale, che cosa vuol dire? Possiamo aspirare a trascorrere la vita col pensiero costante di Dio presente? No, e non bisogna ingannarsi, per evitare gli scrupoli o i malintesi. Senza una grazia molto rara e meramente gratuita, è psicologicamente impossibile pensare a Dio costantemente. « Sempre » significa dunque non assoluta interruzione, ma continuità morale, cioè desiderio di dimenticare, il meno che ci riesca possibile, il nostro ospite divino, applicandoci ad andare a Lui, non con eccessiva costrizione della mente, ma per inclinazione consueta del cuore. E questo modo non deve sembrare a nessuno troppo rudimentale: « La pena costante di non aver Dio sempre presente, è già una presenza continua di lui » (BAUDRAND: L’Ame intérieure, p. 199).

CAPO II.

Proteggere il nostro tesoro.

Depositum custodi! Custodite con cura il vostro deposito. Il semplice desiderio di vivere « interiormente » non basta per creare tra noi e il tesoro che portiamo l’intimità che ci vuole. Una perla così ricca ha molti invidiosi e bisognerà custodirla con molte precauzioni. Il soldato in trincea non si appaga della sola attenzione. Per evitare le sorprese moltiplica i mezzi accessori di difesa, come rovi artificiali, razzi e altro. L’anima nostra, scrigno di Dio, dovunque deve vegliare sulle sue ricchezze, e passare,come Tarcisio, in mezzo ai giocatori di dischi e di piastrelle, respingendo gl’indiscreti e i noiosi. – Un principe dell’impero romano, abitualmente portava appesa al collo una piccola palla d’oro con quest’incisione: « Ricordati che sei di Cesare ». Noi potremmo dire assai meglio: « Ricordati che Cesare è tuo! ». Ma questo porta con sé alcune esigenze. Dobbiamo vivere in mezzo agli uomini. L’autore dell’Imitazione di Cristo, che senza dubbio ne aveva fatto l’esperienza, giudica il suo soggiorno «all’esterno» assai severamente: « Ogni volta che sono andato in mezzo agli uomini, egli dice valendosi di una parola di Seneca, ne sono tornato meno uomo ». E noi possiamo aggiungere: « Ne sono tornato meno “Dio”, meno penetrato della presenza del divino Maestro in me. Dunque eviteremo i passatempi e le occupazioni inutili, le amicizie, le intimità e le riunioni inutili. Non diciamo indispensabili ovvero utili, né dannose; ma inutili. E ciò comprende tante, tante circostanze! « La vostra conversazione, dice San Paolo, dev’essere con Gesù Cristo in Dio: Societas vestra cum Cristo in Deo». Non parla di alcun’altra. Avremo così la « conversatio in cœlis», la sola che possa permettersi in una « cappella » e vicino al « tabernacolo ». Che se la carità, lo zelo, gli obblighi del nostro stato ci ingiungono o ci invitano ad abbandonare l’«interiore», è allora il caso di non parlare se non per dire qualcosa che valga più del silenzio. Siamo più pronti ad ascoltare, e più difficili a parlare. Questo è il consiglio di S. Giacomo. Chi parla molto, ha poche occasioni di ascoltare. – S. Alfonso Rodriguez osservava: «Bisogna parlare poco con gli uomini, e molto con Dio. Avere sempre Dio presente nel fondo del cuore e stabilirvi una specie di ritiro… Non fare, né dire cosa alcuna, senza avergli chiesto consiglio ». Consiglio di un santo, dirà qualcuno, buono per i santi, o d’un religioso per religiosi! — No, ma avviso che serve a tutti, e molto più utile per coloro che non sono protetti dalla regola del silenzio contro le invasioni che vengono dall’esterno. « Ci formiamo un’idea falsa della vita soprannaturale. Quanto a me, la vita cristiana è interamente legata alla fedeltà con cui si pratica questa massima: Vivere a ogni momento la propria vita con Gesù Cristo. Sapere che Lui, l’amico, il confidente, il Maestro, sta accanto a noi e in noi ». Chi parla così? Un avvocato, presidente della Gioventù cattolica. E il direttore di un nostro grande oratorio festivo dà questo avviso: « Non tutti saremmo capaci di vivere in un chiostro o la vita sacerdotale; e tuttavia ciascuno deve vivere della vita interiore, la vita della grazia, la vita divina ». – E a coloro, cui una vita troppo esteriore impedisce di raccogliersi, consiglia il libretto dell’Imitazione. « La dottrina dell’Imitazione è in realtà la vera dottrina cattolica della rinunzia di se stesso, della vita intima con Dio. Il Cattolico di oggi non è esonerato dal praticare simile vita, benché ad alcuni sembri fuori moda, ad altri impraticabile » (E. MONTIER, direttore dei Filippini di Rouen: La culture catholique, 1913, cap. IV, p. 61).Quanto più la vita esteriore è attiva, altrettanto il consiglio di « rientrare in se stessi ». s’impone. Le Catholique d’action (Del P. GABRIEL PAPAU, Tr. Lebessou-Jury (Casterman). nota molto bene:« Se vuoi gustare le dolcezze dello spirito,ritirati in disparte, in luogo dove tu possa conversare con me liberamente.« Sii persuaso di non aver fatto nulla per Dio, finché non avrai appreso quanto sia dolce abitare da solo con me.« Non dire: non posso raccogliermi; non ne ho il tempo; se questo fosse vero, sarebbe un motivo di più per isolarti e riposarti un poco» (Il P. DE RAVIGNAN diceva: « Nei giorni in cui sono sovraccarico di lavoro e non so donde cominciare, fo in primo luogo mezz’ora di meditazione come supplemento »). Questo ideale non è chimerico. Il Maze-Sencier, facendo l’elogio di un soldato, Pietro de Morel, vittima della guerra, lo dipingeva come un’anima profonda che sapeva « raccogliersi, cioè ricercarsi, scrutarsi, ritrovarsi ». – Abbiamo già parlato di Pietro Poyet, giovine studente della rue des Postes, della sua conoscenza della « vita interiore ». « Ascoltare in se stesso la voce interna di Dio, e conformarvisi senza indugio », era il suo programma. Faceva sue le parole di S. Paolo: « Gratia Dei urget nos, la grazia di Dio ci stimola », rendendosi conto che l’acqua delle sorgenti divine agisce nell’anima come una gora sopra una chiusa; e che dipende da noi, dai nostri sforzi, di lasciarci invadere dal torrente. Quante precauzioni quindi non usava, per non perdere occasione alcuna di lasciarsi penetrare dalla grazia! Nella sua regola di vita sta scritto che per mezzo di segni convenzionali spingeva se stesso a frequenti aspirazioni verso Dio. – Il Maestro interiore risiede effettivamente, a ogni istante, nell’anima nostra, in grazia; ma la sua presenza è rivelata solo a colui che Lo cerca e si mette nelle condizioni richieste per trovarlo; sempre presente, ma sempre invisibile. E il giovine studente si applicava a rappresentarsi al pensiero, per mezzo di richiami preveggenti e di una lunga « ginnastica di ricordi », Colui verso il quale il suo cuore e la sua fede gli suggerivano di andare (Notice, dell’abate Rouzic, pp. 23-29). Lo strepito delle conflagrazioni recenti fa apparire più chiara che mai l’opportunità, la necessità della vita « interiore » : « Per riprendere vita occorre in primo luogo che la Nazione si raccolga. Vi sono molti che io chiamo nel fondo del loro cuore e che non ascoltano il mio appello » (Journal spirituel de Lucie Christine, pubblicato dal P. POULAIN, p. 85). La salvezza del mondo non è affidata allo strepito delle armi, né al fragore delle macchine; meno ancora ai fiumi della parola: « la discesa di Dio nelle sue creature con la santificazione individuale, ecco ciò che procura la salvezza dei popoli, moltiplicando gli eletti » (M.gr Moneslès, nella sua lettera d’approvazione dei Souvenirs de Soeur Elisabeth). – Forse nessuno ha dimostrato meglio di Elisabetta Leseur come praticamente si possa conciliare l’attività della vita esteriore con l’attività di quella interiore. Essa non ignora il conflitto: «Tenere l’anima sempre semi-aperta alle anime che vorrebbero confidarsi a lei; ma non aprirla interamente; riservarne sempre la parte più intima a Dio solo» (pag. 174 e seg.). «Divenire affabile… Riservarmi intanto alcuni minuti di raccoglimento più lunghi che mi sia possibile, per dare all’anima mia l’alimento che la renda più forte, più pacifica, più ripiena di vita soprannaturale ». Il primo apostolato sarà quello del raccoglimento, l’apostolato dell’esempio: « Intorno a me vi sono molte anime che io amo profondamente e ho una grande missione da compiere attorno a loro… Bisogna che attraverso all’anima mia si possa intravedere il mio Ospite adorato… Tutto in me deve parlare di Lui … Non voglio essere una chiacchierona spirituale » — oh quanto è bella questa risoluzione! — « e salvo il caso in cui la carità me ne faccia un dovere, voglio conservare questo grande silenzio dell’anima, questo solo a solo con Dio, che è il custode della forza e della virilità interna. Non bisogna dissipare nulla, — l’anima soprattutto! — ma concentrarla interamente in Dio, affinché essa mandi i suoi raggi più lontano » (pp. 61 e 139). – Quindi nell’ordine dei valori, Dio da custodire al di dentro, in primo luogo; e solo in seguito, Dio da dare agli altri; ordine che spesso è purtroppo invertito! (Leggansi le pagine penetranti di D. CHAUTARD, in L’anima di ogni apostolato: le opere senza vita interiore). – Quanti potrebbero rivolgere a se stessi il rimprovero che si rivolgeva il Cardinale Du Perron nell’atto di morire, quello di aver cercato, durante la vita, di perfezionare l’intelligenza, per mezzo dello studio, piuttosto che la volontà con l’esercizio della vita interiore! – Che regola d’oro questa: « Dare di sé unicamente quello che può riceversi con profitto dagli altri; custodire il resto gelosamente, come l’avaro fa del suo tesoro, negli angoli più reconditi dell’anima, ma con l’intenzione di sacrificarlo allorché l’ora sarà arrivata » (p. 287). « Riassumendo, notava Elisabetta alla fine di un ritiro, riservare a Dio il fondo dell’anima mia e la mia vita interiore e cristiana. Dare agli altri incanto, serenità, bontà, parole ed opere utili » (p. 147). E nel dono di sé agli altri, lasciare Dio il meno possibile, ciò che riassume il miglior modo di dare Dio. « Fare del Cristo, sempre vivo e presente in mezzo a noi, il modello della nostra vita e l’amico di ogni ora, dolorosa o benedetta. Domandargli di farsi amare da altre anime per mezzo nostro, ed essere, secondo un paragone che mi piace, il vaso rustico che racchiude una luce brillante, attraverso il quale questa luce rischiara e riscalda tutto ciò che la circonda» (p. 291). I direttori della vita spirituale non parlano altrimenti. « Imitate l’esempio, dice il P. Nouet (La Grandeur du chrétien danx ses rapports avec la Trinitè, p. 236), del Padre Eterno che continuamente si contempla nel suo Verbo e che lo manda nel mondo, ma in tal maniera da ritenerlo nel suo seno. Il vostro Verbo è la considerazione di Dio in voi, e di voi in Dio, che non dovete mai abbandonare.Se qualche volta la trasportate ad altri oggetti, dovete subito richiamarla. Sì, a volte si allontana, ma non bisogna mai permettere che si separi da voi: il suo progresso non dev’essere mai un’uscita; ovvero se esce, non deve abbandonarvi».S. Francesco di Sales unisce al consiglio un doppio paragone: « Un uomo che abbia ricevuto, in un recipiente di bella porcellana, un liquore di molto valore, per portarlo a casa cammina a passi lenti: non guardando mai di lato, ma ora innanzi a sé per non urtare contro una pietra e non fare un passo falso, ora lo stesso vaso, per impedire che s’inclini da un lato qualunque. Al termine delle vostre pratiche di devozione, voi dovete fare lo stesso. Non dovete distrarvi ad ogni momento, ma guardare semplicemente davanti a voi; e se vi occorre d’incontrare qualcuno a cui siete tenuti di parlare o siete costretti di ascoltare, non potendo fare altrimenti, adattatevi, ma in maniera che possiate guardare anche il vostro cuore, affinché il liquido prezioso della preghiera sfugga il meno possibile ». Così nell’Introduzione alla vita devota, nel libro VI dell’Amore di Dio si legge (cap. X):« Come il fanciullo che sollevata la testa dal grembo di sua madre per vedere dove ha i piedi, la rimette subito, perché si sente vezzeggiato, così noi, accorgendoci di distrarci dalle pratiche devote a causa della curiosità, dobbiamo subito rimettere il nostro cuore nell’attenzione soave della presenza di Dio, dalla quale ci eravamo sottratti ».Dio concede favori speciali ai suoi privilegiati.C’insegnano gli storici di S. Teresa che lungo i suoi viaggi non perdeva mai, per dir così, un sol momento la vista dell’Ospite interiore. Possedeva nel più intimo dell’anima sua le tre Persone divine; sentiva in modo meraviglioso la loro presenza, e se ne vedeva accompagnata sempre. Quindi non si dava mai, per la Santa, un momento in cui le mancasse la solitudine. Avrebbe desiderato di non dover mai parlare con gli uomini. Confessiamo francamente che i Santi non ci rassomigliano affatto! (nella settima dimora del Castello Interiore, la Santa descrive così le operazioni dell’ammirabile Trinità nell’anima sua: « Avendo Dio introdotto l’anima nella sua dimora, le tre Persone della Trinità Santa si comunicano a lei, le parlano e le fanno capire il senso delle parole che nostro Signore dice nell’Evangelo: Se qualcuno mi ama osserverà i miei comandamenti, e mio Padre l’amerà, e verremo a lui e stabiliremo in lui la nostra dimora. Oh, mio Dio, quanto si è lontani dall’avere l’orecchio colpito da queste parole, di vederle anche, di capirne la verità nel modo in cui ho detto! Dal momento in cui quest’anima ha ricevuto un tal favore, prova uno stupore che aumenta ogni giorno, perché le pare che le tre Persone divine non l’abbiano mai abbandonata: vede chiaramente che sono nell’interno dell’anima e nel posto più recondito, e come in un abisso molto profondo; questa persona non saprebbe dire che cosa sia quest’abisso cosi profondo, dove sente in sé stessa questa divina compagnia »). – Nella vita di alcune anime molto interiori, si nota che Dio, per ricompensare senza dubbio la loro buona volontà e il desiderio che hanno di vivere unicamente «nel loro interno», si compiace di concedere loro, in circostanze in apparenza meno favorevoli al raccoglimento, una facilità singolare a raccogliersi. – Santa Margherita Maria prova, in modo speciale, il benefizio del raccoglimento al refettorio, non ostante le letture di regola. Ed Emilia d’Oultremont, che fondò l’Istituto di Maria Riparatrice, sul più bello della danza, sente un primo attraente appello di Nostro Signore, e fa questo proposito irrevocabile: «Maestro, voi solo nella mia vita! ». Teodolinda Dubouché (Fondatrice dell’Istituto dell’Adorazione Riparatrice) un giorno è costretta ad andare al teatro dell’Opera. Durante l’intera serata, continua a tenersi unita con Dio. Privilegi speciali questi che non possiamo pretendere. – La vita divina nell’anima in grazia non implica in sé nulla di simile. E se, come accade, cerchiamo le distrazioni, aspetteremo invano l’aiuto di Dio per raccoglierci. Ma anche in mezzo allo strepito non potrebbe ognuno di noi imitare la piccola venditrice ambulante che nella sua baracca, inginocchiata in un angolo, nei giorni di comunione, diceva: «Signore Gesù, io non dimentico che voi siete in me » (Alcune giaculatorie possono aiutarci molto: « Dominus tecum. — Noi due soli. — Per ipsum, cum ipso, et in ipso. Per Lui con Lui, in Lui ». — E quante altre simili!). Con un po’ di sforzo, si acquisterà l’uso di valersi delle occasioni, anche le meno atte in apparenza, per rientrare « dentro di noi ». Dobbiamo conversare col prossimo? Tre regole s’impongono. Parlare con discrezione: io sono un tabernacolo. Parlare con sincerità:parlo a un tabernacolo, o a qualcuno che Dio destina a divenire tale. Parlare con carità: colui del quale parlo è anch’egli un tabernacolo, ovvero può divenirlo (Spontaneamente le anime di fede hanno questo rispetto, questa deferenza cristiana, questa cortesia santa per gli altri. I Superiori domandarono a San Luigi Gonzaga che limitasse le manifestazioni di rispetto verso i suoi compagni. L’Olier, quando passava accanto alla cella del P. de Condren, suo secondo superiore dopo il Card, de Berulle, soleva fare una genuflessione e a chi gliene domandava la ragione, rispondeva: « Dentro non c’è il P.de Condren, ma Dio nel P. de Condren »).E se la voce che ci chiama fuori è quella dell’apostolato, del bene che dobbiamo fare alle anime, è regola impreteribile che occorre perdere Dio di vista il meno possibile. In ogni Messa il sacerdote si rivolge ai fedeli parecchie volte, per ricordare che Dio è con loro: Dominum vobiscum. Ciò non indica forse che parecchie volte al giorno il fedele dovrà rientrare in se stesso e ripetere: Dominus tecum? Se sapesse farlo anche a ogni Ave che recita! Da vera discepola della sua Santa Madre,Suor Elisabetta scrive che « per raggiungere la vita ideale dell’anima, bisogna vivere nel soprannaturale, avere coscienza che Dio è nel più intimo di noi e portarsi dovunque insieme con Lui; allora non si agisce in modo comune, pur facendo cose molto ordinarie, giacché non si vive in esse, ma si sorpassano. Un’anima soprannaturale non tratta con le cause seconde, ma semplicemente con Dio ».E aggiunge: « Nell’azione, allorché si compie in apparenza l’ufficio di Marta, l’anima può sempre dimorare, come Maddalena, assorta nella contemplazione, tenendosi a questa sorgente come un’assetata. Io non so concepire altrimenti l’apostolato » (In ogni pagina di Santa Teresa si trova un invito. Ecco un passo fra i molti: « Voi potreste credere che allorquando le occupazioni necessarie vi sottraggono a questo ritiro interno del cuore, facciate una larga breccia al raccoglimento; disingannatevi. Purché in seguito siate fedeli a rientrarvi, il divino Maestro disporrà tutto a benedell’anima vostra. Allorquando l’occupazione ha interrotto il raccoglimento, non vi è altro rimedio che ricominciare a raccogliersi ». – Castello Interiore, seconda dimora, cap. I— Forse degni di nota particolare sono i capitoli XXIX e XXX del Cammino della Perfezione).L’apostolato così compreso, facile per una carmelitana, non è meno indispensabile a tutti, perché apporti vantaggio. Al di fuori di questa regola, potrà essere clamoroso, ma non mai fecondo.Monsignor Gay raccoglieva il suo pensiero in una frase che nello stesso tempo è un riassunto e un richiamo: « Voi siete un tempio: mettetele cose nel vestibolo, gli uomini nella navata; ma riservate a Dio il santuario ».

C A P O III.

Conquistare il nostro tesoro.

La difensiva non è mai stata la grande regola dei popoli, né delle anime che vogliono regnare. Non basta proteggere il nostro interno dove Dio alberga. Affinché quest’ « interno » ci appartenga, diventi nostro veramente, bisogna conquistarlo e spesso a forza di lotte dure e perseveranti. I maestri della vita spirituale sono unanimi nel dire, e in mancanza loro, l’esperienza personale più elementare lo attesta che allora solo si trova Dio, quando si è decisi a perdere se stessi. Sarebbe un mero sogno credere che il viaggio dalle cose esteriori all’intimo di se stesso, possa farsi in « sleeping-car », o in vettura imbottita di seta! Se aprite il libretto dell’Imitazione, il Combattimento spirituale, gli Esercizi di S. Ignazio, S. Teresa, S. Francesco di Sales o qualsiasi autore ascetico di qualche importanza, troverete ripetute le stesse espressioni: vincersi, andare contro il proprio capriccio, distruggere, sacrificare, agere contra, ut homo vincat seipsum; tutto questo annunzia la lotta. Ogni libro di devozione che non è un manuale sul modo di combattere, non sarà mai un vero libro di pietà. Ma per non avere esaminato la ragione intima di questo combattimento contro se stesso, molti si scoraggiano, inciampano, esitano. Fin dal principio risalta la parola: « vincersi », parola che è scritta in rilievo sul frontone, e che fa spavento. «Vincersi»…. bisognerà dunque combattere? arrischiare qualcosa… E poi « vincere se stesso », vi sarà quindi in me una parte che resterà vinta; sarò diminuito, amputato proprio di quanto io stimo di più! Dal punto di vista di una buona accoglienza, è meglio entrare subito nel cuore dell’edificio; svelare là dentro tutte le ricchezze contenute, l’intimità possibile, certa… e uscendone, mostrare — allora solamente le parole terribili scritte sul frontone. È semplice questione di metodo, ma che ha il suo valore. Ho bisogno di un parafuoco tra il dolore e la paura: — l’amore — un riparo tra il legno dell’olocausto e la mia timidezza — il divin Salvatore — di un risultato garantito e importante, tra gli sforzi miei e la mia oppressione supposta, premeditata, voluta — l’intimità col mio Dio. — Allora io cammino. Se ho presenti gli scopi di guerra, mi batterò finché sarà necessario! Il posto — e con esso — lo scopo della battaglia so quale è: entrare in possesso di questo « interiore » che porto in me, e dove Dio stesso abita. Tre stadi fisseranno la storia della conquista. Il primo lavoro consisterà nel ritrovare me stesso. Pervenire fino a me. In me, rendermi conto che non sono solo, siamo due: l’Ospite divino e io. Ciò verificato, capire che dei due uno è superfluo. Sforzarmi di rimpicciolire il mio posto per lasciare a Dio tutto il regno. – Riassumendo:

Io solo;

Lui ed io;

Lui solo.

[7- Continua …]

https://www.exsurgatdeus.org/2020/01/02/dio-in-noi-8/

SALMI BIBLICI: “QUI REGIS ISRAEL, INTENDE” (LXXIX)

SALMO 79: “Qui regis Israel, intende”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME DEUXIÈME.

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 79

In finem, pro iis qui commutabuntur. Testimonium Asaph, psalmus.

[1] Qui regis Israel, intende;

qui deducis velut ovem Joseph. Qui sedes super cherubim, manifestare

[2] coram Ephraim, Benjamin, et Manasse. Excita potentiam tuam, et veni, ut salvos facias nos.

[3] Deus converte nos, et ostende faciem tuam, et salvi erimus.

[4] Domine Deus virtutum, quousque irasceris super orationem servi tui?

[5] Cibabis nos pane lacrimarum, et potum dabis nobis in lacrimis in mensura?

[6] Posuisti nos in contradictionem vicinis nostris, et inimici nostri subsannaverunt nos.

[7] Deus virtutum, converte nos, et ostende faciem tuam, et salvi erimus.

[8] Vineam de Aegypto transtulisti, et ejecisti gentes, et plantasti eam.

[9] Dux itineris fuisti in conspectu ejus; plantasti radices ejus, et implevit terram.

[10] Operuit montes umbra ejus, et arbusta ejus cedros Dei.

[11] Extendit palmites suos usque ad mare, et usque ad flumen propagines ejus.

[12] Ut quid destruxisti maceriam ejus, et vindemiant eam omnes qui praetergrediuntur viam?

[13] Exterminavit eam aper de silva, et singularis ferus depastus est eam.

[14] Deus virtutum, convertere, respice de caelo, et vide, et visita vineam istam;

[15] et perfice eam quam plantavit dextera tua, et super filium hominis quem confirmasti tibi.

[16] Incensa igni et suffossa, ab increpatione vultus tui peribunt.

[17] Fiat manus tua super virum dexterae tuae, et super filium hominis quem confirmasti tibi.

[18] Et non discedimus a te; vivificabis nos, et nomen tuum invocabimus.

[19] Domine Deus virtutum, converte nos, et ostende faciem tuam, et salvi erimus.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO LXXIX.

Testimonianza di Asaph: cioè testimonianza cantata da Asaph della cattività e liberazione del popolo ebreo. — Spiritualmente, delle anime sotto il giogo del demonio.

Per la fine: per quelli che saranno cangiati; testimonianza di Asaph, salmo.

1. Ascoltami tu, pastor d’Israele, tu che conduci Giuseppe, come una pecorella.

2. Tu, che sei assiso sopra i Cherubini, (1) fatti vedere dinanzi ad Ephraim, a Beniamin e a Manasse. (2) Sveglia la tua potenza, e vieni a salvarci.

3. O Dio, convertici: e mostra a noi la tua faccia, e sarem salvi.

4. Signore Dio degli eserciti, fino a quando ti adirerai, né darai ascolto all’orazione del tuo servo?

5. E ci nutrirai con pane di lagrime, e bevanda di lagrime darai a noi in larga misura? (3)

6. Ci hai renduti oggetto di contraddizione a’ nostri vicini, e i nemici nostri si fan beffe di noi.

7. Dio degli eserciti, convertici; e mostraci la tua faccia, e sarem salvi.

8. Tu dall’Egitto trasportasti una vigna; discacciasti le nazioni, e la piantasti.

9. Tu le andasti avanti come condottiere nel viaggio; tu facesti barbicare le sue radici, ed ella empiè la terra.

10. L’ombra di lei ricoperse i monti, e i rami di lei i cedri di Dio.

11. Fino al mare stese ella i suoi tralci, e le sue propaggini sino al fiume. (4)

12. Per qual motivo hai tu distrutta la sua siepe, e la vendemmiano tutti quei che passano per istrada?

13. Il cinghiale del bosco l’ha sterminata, e la fiera solitaria feroce ne ha fatto pasto. (5)

14. Dio degli eserciti, volgiti a noi, mira dal cielo, e vedi, e visita questa vigna.

15. E lei coltiva, che fu piantata dalla tua destra; e mira quel figliuolo dell’uomo, cui tu eleggesti.

16. Ella è stata arsa dal fuoco e diradicata, ma ai minacciosi tuoi sguardi periranno i nemici.

17. Sia la mano tua sopra l’uomo della tua destra e sopra il figliuolo dell’uomo, cui tu eleggesti. (6)

18. E noi non recediamo da te ; tu ci darai nuova vita, e noi invocheremo il tuo nome.

19. Signore Dio degli eserciti, convertici; e mostraci la tua faccia, e sarem salvi. (7)

(1) Per Israele è espresso tutto il popolo di Israele, tutto il popolo che usciva dall’Egitto, come suo tronco; anche Giuseppe, il prediletto di Giacobbe, è posto qui per tutti i suoi fratelli, per tutti gli Israeliti, perché questo patriarca aveva meritato l’onore di designare con il suo nome tutta la posterità di Giacobbe, nutrendola per intero in Egitto, e perché solo, tra i dodici figli di Giacobbe, era rappresentato da due tribù, Manasse ed Efraim.

(2) Le tre tribùqui designate erano accampate più vicino all’Arca, e la seguivano immediatamente nella sua marcia.

(3) In mensura. Questa misura è quella che occorre per istruirvi, non per sopraffare, o meglio secondo la misura dei nostri peccati.

(4) Questo mare è il mare Mediterraneo, ed il fiume l’Eufrate, limiti estremi dell’occidente e dell’oriente, della maggior potenza degli Ebrei, sotto Salomone. Talvolta queste stesse espressioni designano l’estremità della terra.

(5) Questa bestia selvaggia significa Teglatphalasar, Sahanasar. Sennacherib, o Nabuchodonosor, se si considera questo salmo nella presa di Gerusalemme dei Caldei.

(6) È visibile che una parte di questo salmo è perduto, e che i versetti 15 e 16 non sono che semi-versetti male assemblati. La seconda parte del versetto 16 non è che quella del versetto 17, ricavata dalla similitudine della fine della prima parte, dextera tua.

(7) Il versetto, ripetuto tre volte, è come il ritornello del salmo.

Sommario analitico

Il profeta, considerando i malori delle dieci tribù portate in cattività da Salmanazar, prega Dio di porvi un termine. Questo salmo sembra ricondursi alle dieci tribù. Infatti il salmista vi parla in generale di Israele e di Giacobbe, e quando specifica, parla di Giuseppe, Efraim e Manasse. Questo salmo è una preghiera che si può fare per la conservazione della Chiesa.

I- Il salmista richiede l’avvento del Messia:

1° per manifestare la cura particolare che prende di Israele, per far brillare la sua gloria e la sua potenza (1, 2);

2° Per dare la salvezza alle anime in attesa e che supplicano Dio di esaudire i loro voti (3, 5).

3° Per dare la consolazione agli afflitti che subiscono gli oltraggi dei popoli vicini (6, 7).

II. – Egli chiede il ristabilimento del popolo di Dio che compara ad una vigna:

1° Esso è stato provato da numerose vicissitudini: – a) all’inizio: 1) è stato trapiantato miracolosamente dall’Egitto, come una vigna; 2) è stato piantato al di la del Giordano, dopo che Iddio ne ebbe cacciati gli abitanti (8); 3) ha posto delle radici profonde; – b) nel suo progredire 1) ha riempito tutta la terra promessa (9); 2) ha coperto le montagne della sua ombra; 3) i rami hanno sopravanzato i cedri più alti (10); i suoi rami si sono estesi fino al mare  e le sue propaggini fino al fiume (11); – c) alla fine 1) è stato privato della protezione di Dio, che lo difendeva come un muro (12); 2) spogliato dei suoi frutti dai suoi nemici (12); sradicato da Salmanazar come un cinghiale, e divorato da Nabucodonosor come una bestia feroce (13);

2°Esso attende la salvezza da Dio solo che, – a) si dia interamente a lui, 1) gettando su di Lui uno sguardo di affezione; 2) visitando la sua vigna diletta; 3) facendo prosperare quella che la sua destra ha piantato (14); – b) invia il Messia, 1) che Egli conferma con l’unione ipostatica (15); 2) confida nel ristabilimento di questa vigna devastata (16); 3) che egli riveste della sua forza contro i suoi nemici (17); – c) istruisce il suo popolo: 1) gli da la vita della grazia; 2) l’anima alla professione della vera fede (18); 3) lo favorisce della sua presenza; 4) lo salva e lo conduce nei cieli (19).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-7

ff. 1, 2. – Dio conduce i suoi servitor come delle pecore, a causa della loro innocenza, della loro docilità e della loro obbedienza. « Le mie pecore ascoltano la mia voce, Io le conosco ed esse mi seguono » (Giov. X, 27). Il discepolo fedele deve dire a Dio incessantemente con l’autore dell’Imitazione: « ponetemi dove voi vorrete, e disponete assolutamente di me in ogni cosa ». Io sono nelle vostre mani, voltatemi e rivoltatemi a vostro gusto. Ecco che io sono pronto a servirvi in tutto, perché non desidero vivere per me, ma per Voi solo (Lib. III, cap. XV]. Lasciarsi condurre dalla mano di Dio solo, come una pecora, con la dolcezza, docilità e sottomissione di questo piccolo animale. « Voi che siete seduto sui Cherubini »: i Cherubini sono la sede della gloria di Dio, ed il loro nome vuol dire: “pienezza della scienza”. È su di loro che Dio è assiso nella pienezza della scienza. Ma anche se i Cherubini sono elevati al di sopra delle potenze e delle virtù dei cieli, tuttavia, se volete, sarete un cherubino; perché se i Cherubini sono la sede di Dio, ascoltate ciò che dice la Scrittura: « L’anima del giusto è la sede della sapienza » (Sap. VII, 27). Ma come divenire la pienezza della scienza? Chi può assumere questa condizione? Voi avete un mezzo per assumerla: « … L’amore è la pienezza della legge » (Rom. XIII, 10). Cercate di non vagare e correre di qua e di la. La vasta estensione dei rami vi spaventa? Restate alla radice e non pensate alla grandezza dell’albero. Che l’amore venga in voi e la pienezza della scienza ne seguirà inevitabilmente. Chi può ignorare in effetti colui che sa amare, poiché è stato detto: « Dio è amore » ? (Giov. IV, 8) (S. Agost.). – « Eccitate la vostra potenza e venite ». L’Incarnazione del Figlio di Dio è l’opera per eccellenza della potenza divina; perché nulla di più sublime può avvenire che un Dio-uomo, ed un uomo-Dio! È questa un’opera mirabile, un’opera al di sopra di tutte le sue altre opere (S. Bern. Serm. III, in Vig. Nativ.).

ff. 3, 4. – Gesù-Cristo è venuto per salvare gli uomini, Egli è l’oggetto principale della sua incarnazione. Nulla è sì sovente ripetuto nelle Scritture e l’Angelo Gabriele lo spiega chiaramente quando dice a Giuseppe: « … voi lo chiamerete Gesù, cioè Salvatore, perché Egli salverà il suo popolo dai suoi peccati » (Matth. I, 21). Egli è venuto per salvarci, convertendoci a Lui e al Padre suo: « Voi siete come pecore sbandate, ma ora siete tornate e convertite a Colui che è il Pastore ed il Vescovo delle vostre anime (I Piet., II, 2). – La salvezza dell’uomo è l’effetto non solo della bontà, ma anche della potenza di Dio. « O Dio, voltateci verso di Voi ». Noi non siamo voltati verso di ;se Voi non vi volgete a noi, noi non lo faremo mai da noi stessi ». Noi ci siamo allontanati da Voi, e se non vi girate verso di noi, noi da noi stessi non lo faremo, « Mostrateci il vostro volto e noi saremo salvati ». Dio ha forse un viso tenebroso? Dio non ha un volto tenebroso, ma ha nascosto il suo volto sotto il velo della carne e come sotto il velo della debolezza; Egli è stato misconosciuto quando era sospeso sulla croce, ma per essere poi riconosciuto quando sarà assiso nel cielo (S. Agost.). – « Mostrateci il vostro volto e noi saremo salvi ». Prima dell’Incarnazione noi vediamo, in ogni pagina delle sante Scritture, il terrore che colpiva naturalmente ogni uomo alla presenza di Dio, dopo che il peccato era entrato nel mondo; ma, con l’Incarnazione, ci è apparsa la grazia e la benignità di Dio nostro Salvatore (Tito III, 4), e noi possiamo dirgli con tutta fiducia: « Mostrateci il vostro volto e noi saremo salvi ». – Questa faccia del Padre, è il Cristo, perché lo splendore della sua gloria e l’immagine della sua sostanza (Hebr. I, 3), e come si conosce un uomo vedendo il suo volto, così si conosce il Padre vedendo il Cristo (S. Gerol.). – « Filippo – diceva Gesù-Cristo a questo Apostolo – colui che vede me, ha visto il Padre » (Giov. XIV, 19). « Ecco Io mando il mio Angelo, ed egli preparerà la via davanti alla mia faccia » (Malac. III, 1), cioè Giovanni-Battista davanti al Cristo.

ff. 5-7. – « Signore, Dio degli eserciti, fino a quando sarete irritato contro la preghiera del vostro servo? », di colui che ora è il vostro servitore. Voi che vi irritate contro la preghiera del vostro nemico, vi irritate pure contro la preghiera del vostro servo? Voi ci avete voltato verso di Voi, noi vi abbiamo riconosciuto, e vi irritate ancora contro la preghiera del vostro servo? Si, Voi vi irritate ancora, ma la vostra collera sarà quella di un padre che corregge e non quella di un giudice che condanna … Non crediate che la collera di Dio sia passata, dal momento che siete tornati a Lui; essa è passata ma solo per non condannarvi eternamente. Ma Egli vi castiga, non vi risparmia, perché Egli castiga tutti coloro che riconosce come figli (Hebr. XII, 6). « Fino a quando ci nutrirete con pane di lacrime, e ci farete bere lacrime in abbondanza? » Ascoltate l’Apostolo: « Dio è fedele, non permetterò che siate tentati al di la di ciò che potete sopportare » (I Cor. X, 13). Questa misura è quella delle vostre forze, questa misura è ciò che vi necessita per istruirvi, e non per sopraffarvi (S. Agost.). – Il bene ed il male, la gioia e la tristezza, tutto si dà quaggiù con misura. Le gioie del mondo, le sue tristezze non meritano di essere contate. – Tutte le lacrime non sono le lacrime cristiane: la cupidigia ha le sue lacrime così come la carità; non ci sono che le lacrime di penitenza che siano cristiane, e non c’è che Colui che ha estratto altre volte l’acqua dalla pietra, che possa estrarne dalla durezza del nostro cuore.

II. — 8-19.

ff. 8-10. – Niente di più comune c’è nelle Sacre Scritture, che la comparazione del popolo di Dio, della Chiesa, ad una vigna, e questa comparazione si giustifica per numerose ragioni: – 1° è nei terreni petrosi che la vigna cresce più facilmente; è su Gesù-Cristo, come sulla pietra, che la Chiesa si radica e fruttifica. – 2° La vigna ha bisogno di puntelli che la sostengano e di legacci per fermarla; altrimenti essa si trascina, strisciando sulla terra; essa non può elevarsi se non è sostenuta, altrimenti cade. Ma pur essendo sostenuta, da dove non si eleva? Gesù-Cristo è nel contempo il piolo che la sostiene ed il legaccio che la tiene sospesa a questo piolo, ed è della Sapienza incarnata che è detto: « In essa c’è una bellezza che dona la vita, e le sue catene sono legami che guariscono e che salvano » (Eccl. VI, 31). – 3° La vigna ha bisogno di una coltura assidua e di cure incessanti. Così è per la Chiesa di Cristo. Egli recluta dei lavoratori per inviarli nella sua vigna, non soltanto dall’aurora, ma anche all’ora terza, alla sesta, alla nona ed all’undecima, di modo che sia coltivata ad ogni ora. – 4° I tralci della vigna seccherebbero e perirebbero senza risorse, se non fossero attaccati ed uniti al loro gambo, e se fossero privati della linfa da cui continuamente la traggono. Lo stesso è dei Cristiani: se essi non dimorano in Gesù-Cristo se non ricevono continuamente la grazia che li fa vivere. –  5° Quando la vigna è potata, colpita nel vivo, quando si recide non solo il legno secco, ma anche il legno verde, è allora che essa porta i frutti più abbondanti. È così che la Chiesa cresce e fruttifica in mezzo alle prove e pone nelle persecuzioni il principio di una più grande fecondità. – 6° Il tralcio staccato dal ceppo, seccherà, sarà gettato nel fuoco e seccherà, sarà gettato nel fuoco e brucerà. « Che si farà del legno della vigna, se lo si compara a tutti gli altri alberi che sono nei boschi e nelle foreste? Si utilizzerà il legno della vigna per qualche opera, lo si potrà fissare al muro e sostenervi ciò che si vorrà? Lo si getta nel fuoco del quale diventa preda, la fiamma ne consuma le due parti, ed il mezzo è ridotto in cenere; dopo questo, potrà mai essere buono per qualcosa altro? » (Ezech. XV, 2-4). Più essa è eccellente quando porta « il suo frutto delizioso che rallegra Dio e gli uomini » (Sap. IX, 13), più essa è  inutile se non ne porta più. E non ha più nulla da attendere se non il fuoco di cui è degna. Il legno della vigna è quello in cui si caratterizza al meglio la vita del Cristiano: non gli resta che portare frutto, o di essere gettato nel fuoco. –  I caratteri dello stabilirsi della Chiesa non sono marcati in modo meno incisivo nei diversi tratti di questa parabola! 1° Dio l’ha trapiantata, questa vigna, dall’Egitto, nella terra che aveva promesso, vale a dire che fa passare la sua Chiesa dalle tenebre del peccato, alla luce della fede e della grazia. – 2° Dio ha sterminato gli antichi abitanti di questa terra per farle posto e piantarla. (8). È così che Dio ha piantato la sua Chiesa nella fede. – 3° Dio ha fatto sviluppare delle radici profonde a questa vigna. « Voi le avete fatto da guida camminando davanti ad essa, Voi avete rafforzato le sue radici. »  È ciò che Dio ha fatto per la Chiesa, nel senso delle parole di queste San Paolo: « Dio, secondo le ricchezze della sua gloria, vi fortifichi nell’uomo interiore con il suo Spirito; Gesù-Cristo abiti nei vostri cuori per mezzo della fede, e siate radicati e fondati nella carità. » – 4° Questa vigna si è estesa da collina in collina e si è elevata al di sopra delle alte montagne che essa ha coperto. Tutta la terra, fino al fiume e fino al mare, ne è stata ripiena, tanto il vitigno è stato fecondo ed abbondante. È così che Dio concede alla sua Chiesa di moltiplicarsi e di propagarsi, con le sue propaggini ed i suoi frutti. –  « L’ombra di questa vigna ha coperto le montagne, ed i suoi tralci i cedri più elevati. ». Così la Chiesa si è elevata al di sopra di tutti i reami del mondo, di tutte le superbe altezze del secolo. Le montagne ed i cedri erano come al coperto sotto questa vigna, come le potenze del secolo, sottomesse alla Chiesa, trovavano il loro riposo, la loro sicurezza e la loro salvezza sotto l’ombra della fede. – La vigna – dice S. Ambrogio – è l’immagine della Chiesa. Il popolo cristiano si eleva come una vigna verdeggiante al di sopra del suolo avvilito. Questa tenera propaggine, innestata sulla vecchia vigna, è cresciuta sul legno nodoso della croce; e lo Spirito Santo, inondandola con la sua grazia, ha purificato la vigna. È essa che il colono si compiace di vangare, irrorare e tagliare (Comm. In Evang. Luc XV). – È anche questa vigna della Chiesa, i cui fiori spandono lontano i profumi di Gesù-Cristo, i cui frutti maturi ed abbondanti ispirano allo stesso santo dottore questo cantico di lode: « Signore», vi lodino coloro che vedono la vostra Chiesa estesa lontano, i suoi rami carichi, e tutte le anime che la circondano come dei monili preziosi, facendo in essa brillare la maturità e la prudenza, lo splendore della fede, il bagliore della giustizia, la fecondità della misericordia » (Hex. III, cap. 10).

ff. 12-13. – In questi versetti, il Profeta compone un quadro spaventoso e troppo naturale delle persecuzioni, delle prove, delle devastazioni alle quali Dio ha permesso che la Sinagoga, e poi la Chiesa cristiana, fossero sottoposte. –  Il muro della Chiesa, è Dio stesso: « Io sarò attorno ad essa, dice Jeowah, come un muro di fuoco, e sarò in mezzo ad essa nella mia gloria » (Zacc. II, 5). I muri della Chiesa sono ancora gli Angeli, i Santi, i Vescovi ed i Dottori, i precetti di Dio, le virtù e la preghiera. Tutti questi muri, questi bastioni sono abbattuti e distrutti, quando Dio permette allo spirito di persecuzione e di errore di prevalere per un tempo contro la sua Chiesa. Abbattuto questo muro, la vigna è aperta ad ogni tipo di devastazioni. « Essa è vendemmiata da tutti coloro che passano per strada. » Non solo essi ne prendono le radici, ma le bestie feroci vengono a strapparla fino alle radici, « ed il cinghiale della foresta l’ha devastata ». – Noi abbiamo qui un’immagine non meno spaventosa dello stato di un’anima che il peccato abituale ha sprofondato nell’indurimento. Dio la lascia in qualche modo indifesa, senza bastioni: tutti gli oggetti sensibili vi portano devastazione; essa è come una vigna che non ha più muraglia, e che resta esposta al saccheggio dei passanti.

ff. 14-16. – Malgrado queste sventure, tornate verso di noi. Guadateci dall’alto del cielo, vedete questa vigna e visitatela, « … e rendete perfetta quella che la vostra destra ha piantato ». Non ne piantate un’altra, ma rendete perfetta quella; perché essa è la razza stessa di Abramo; essa è la razza nella quale tutte le nazioni sono benedette (Gen. XXII, 18); là è la radice sulla quale è inserita l’olivo selvaggio (S. Agost.). –  Il profeta chiede qui Dio tutto intero: – 1° il suo volto, « Dio degli eserciti, volgetevi a noi; – 2° i suoi sguardi favorevoli: « Guardate dall’alto del cielo e vedete »; è lo sguardo di Dio che il Profeta Geremia domandava come un raggio di sole vivificante: « Vedete, Signore, che io sono nella tribolazione » (Gerem-Lam. I, 17): « O mio Dio, inclinate il vostro orecchio ed ascoltate; aprite i vostri occhi, e guardate la nostra desolazione, e la città sulla quale è stato invocato il vostro Nome;» – 3° egli domanda che Dio stesso venga a visitare la sua vigna e constati lo stato di devastazione nel quale i suoi nemici l’hanno ridotta: « e visitate la vostra vigna; » – 4° egli domanda la mano di Dio per riparare le sue rovine e ristabilirle nel suo stato originario. È ciò che Dio ha fatto con il suo Cristo: « e rendetela perfetta per il Figlio dell’uomo che Voi avete rafforzato per Voi. » Magnifico fondamento! Costruite sopra tutto ciò che potete costruire perché « non si può porre altro fondamento diverso da quello che è stato già posto, che è il Cristo Gesù » (1 Cor. III, 2). – Le cose sradicate e date alle fiamme periranno con l’indignazione del vostro volto. » Quali sono queste cose sradicate e date alle fiamme, e che periranno con l’indignazione del volto di Dio? Contro chi il Cristo è indignato? Contro i peccati! I peccati periranno dunque per l’indignazione del suo volto. Perché i peccati saranno sradicati e dati alle fiamme? Due cose producono in noi tutti i peccati: il desiderio ed il timore. Riflettete, discutete, interrogate i vostri cuori, sondate le vostre coscienze, vedete se potete commettere qualche peccato se non per desiderio o per paura. Per portarvi al peccato vi viene presentato un’esca, cioè qualcosa che vi piace; voi agite in vista di ciò che desiderate. Al contrario, voi non sperate nulla che vi porti al peccato, ma delle minacce vi spaventano, vi agitano in vista di ciò che voi temete … che farà dunque il volto di Dio che distrugge i peccati? Quali sono i peccati sradicati e dati alle fiamme? Che aveva fatto il cattivo amore? Esso aveva come illuminato una fiamma. Che aveva fatto il cattivo timore? Aveva come scavato il suolo. In effetti l’amore infiamma, la paura umilia; ecco perché i peccati nati dal cattivo amore sono dati alle fiamme, ed i peccati nati dal cattivo timore sono come sradicati (S. Agost.). – Gesù-Cristo è veramente l’uomo della destra di Dio: 1° perché è seduto alla destra del Padre; 2° perché è per Lui  che Dio opera tutto quel che fa; perché tutte le sue opere sono fatte in saggezza, con la saggezza e per la saggezza, che è il suo Verbo eterno ed increato.  – Dio non getta gli occhi che sul Figlio dell’uomo e suo, che è Gesù-Cristo. Egli non vede che Lui, non conosce che Lui, non accorda grazie se non per Lui e in vista di Lui. Dio ha stabilito Gesù-Cristo principalmente per se stesso, a suo onore e gloria. « Voi siete di Gesù-Cristo, e Gesù-Cristo è di Dio Voi » (I Cor. III, 23).

 ff. 19-20. – Allontanarsi da Dio, è sorgente di tutti i mali; tornare a Lui, per non separarsene mai, è sorgente di tutti i beni. – « Noi non ci allontaneremo da Voi, Voi ci vivificherete, e noi invocheremo il vostro nome. » (Ibid.). Voi ci sarete caro, « perché Voi ci vivificherete. » Noi amiamo dapprima la terra, noi non ci amiamo; ma Voi avete mortificato le nostre membra che appartengono alla terra (Coloss. III, 5). In effetti l’antico Testamento, che contiene promesse terrene, sembra invitare l’uomo a non adorare Dio senza interesse, ma ad amarlo perché Egli doni qualcosa sulla terra. Che amerete dunque per non amare Dio? Ditelo … guardate intorno a voi tutta la creazione. Vedete se sarete attirato da qualche parte per il desiderio della voluttuosità ed impedito di amare il Creatore, se non per le creature stesse di Colui che voi negligete. E perché amate queste creature se non perché esse sono belle! Possono essere belle così come Colui che le ha fatte? Voi ammirate le creature, perché non vedete il Creatore; ma gli oggetti della vostra ammirazione vi facciano amare Colui che non vedete. Interrogate la creatura: se essa è per se stessa, non andate al di la di essa; ma se essa viene da Lui, sappiate che ella non è funesta a chi ne è innamorato se non perché la preferisce al Creatore. Perché avete detto queste cose? È in ragione dei versetti che spieghiamo. Questi erano dunque dei morti che adoravano Dio al fine di riceverne dei beni carnali; perché « … essere saggi secondo la carne, è come essere morto » (Rom. VIII, 6). Sono dunque questi, dei morti che non adorano Dio se non per interesse, vale a dire perché Egli è buono, e non perché dona loro dei beni che accorda anche ai malvagi. Voi chiedete dei soldi a Dio? Anche un ladro ne ha. Una sposa, una famiglia numerosa, la salute del corpo, gli onori del mondo? Vedete quanti malvagi possiedono questo tipo di benefici. È qui tutto ciò che vi fa servire Dio?  I vostri piedi cancelleranno, e crederete di adorarlo inutilmente, quando vedrete questi stessi beni in possesso di coloro che non Lo adorano (Ps. LXXII, 2). Egli dona dunque questi beni anche ai malvagi; si conserva Lui solo, per i buoni. « Voi ci vivificherete », perché noi eravamo morti, quando eravamo attaccati alle cose della terra; noi eravamo morti quando portavamo in noi l’immagine dell’uomo terrestre. « Voi ci vivificherete; » Voi ci rinnoverete, Voi ci darete la vita dell’uomo interiore; « ed invocheremo il vostro Nome », cioè noi vi ameremo. Voi sarete il dolce Salvatore che rimette i nostri peccati; Voi sarete tutta la ricompensa delle nostre anime giustificate.

UN’ENCICLA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI (… CON CAZZUOLA E GREMBIULINO) DI TORNO: S. S. LEONE XIII – DALL’ALTO DELL’APOSTOLICO SEGGIO”

Leggere questa lettera enciclica, scritta in italiano, mette i brividi, tanto è attuale, nella sua illuminata lucidità, nell’additare e denunciare le cause dei mali che, già allora evidenti, si trascinano ancor più oggi nella loro tragica realizzazione. Il Sommo Pontefice, benché a conoscenza degli artefatti ed inganni perpetrati dalla setta infernale, benché avvertito da una profetica visione sull’infiltrazione massonica della Chiesa, oggidì completata compiutamente con l’insediamento di esponenti di altissimo livello della sinagoga di satana, non sapeva di avere nella sua segreteria di Stato, nientemeno che un cardinale esponente di spicco dell’O.T.O. – una setta tra le più agguerrite nemiche del Cristianesimo e del Vicario di Cristo – nonché organizzatore di una rete di prelati corrotti e marrani che alla lunga è risultata vincente – in apparenza – prendendo pieno controllo di una falsa ma… vera anti-chiesa che si proclama attualmente Chiesa Cattolica. Uguale sorte toccò a Papa Pacelli, Pio XII, che nella sua segreteria aveva tra gli infiltrati, quello che poi sarebbe divenuto il Pontefice degli Illuminati, cioè il capo della massoneria mondiale. I figli delle tenebre sono più scaltri di quelli della luce … ci avvertiva già il divin Redentore! Ma a ben vedere, il “Mistero di iniquità” era stato già profetizzato da San Paolo che ne discorreva con i suoi fedeli di Tessalonica, ed è oggi apparentemente trionfante, per permissione di Dio. E perché mai Dio avrebbe permesso tutto questo, come è evidente dalla storia ecclesiastica dal 26 ottobre del 1958 in poi? … Ce lo dice già lo stesso Apostolo nella 2 Tess. al cap. II: … « Ideo mittet illis Deus operationem erroris ut credant mendacio, ut judicentur omnes qui non crediderunt veritati, sed consenserunt iniquitati ». E allora, al pusillus grex cattolico, cosa resta da fare? Ce lo suggerisce lo stesso Pontefice Leone XIII, in questa medesima lettera: « … Il loro dovere è di rimanere al posto, di mostrarsi a viso aperto veri Cattolici per credenze ed opere conformi alla loro Fede, e ciò tanto a onor di quella e a gloria del sommo Duce, di cui seguono le insegne …». Quindi nessun timore, perché è “… quando siamo deboli che siamo forti”, ricordando pure che … “se Dio è con noi, chi sarà contro di noi?” Ricordino invece gli apostati, i marrani, i finti prelati ed i conniventi con gli antipapi, gli indifferenti pseudofedeli e tutti coloro che sono fuori dal Corpo Mistico di Cristo: il Giudizio è vicino e … chi vi salverà dal fuoco che il padre vostro ha preparato per voi per l’eternità?

DALL’ALTO DELL’APOSTOLICO SEGGIO

LETTERA ENCICLICA
DI SUA SANTITÀ
LEONE PP. XIII

Ai Vescovi, al clero e al popolo d’Italia.

Il Papa Leone XIII.

Venerabili Fratelli, diletti figli, salute e Apostolica Benedizione.

Dall’alto dell’Apostolico seggio, dove la Provvidenza divina Ci ha collocato per vegliare alla salvezza di tutti i popoli, il Nostro sguardo sovente si posa sopra l’Italia, nel cui seno Iddio, per atto di singolare predilezione, ha posto la sede del suo Vicario, e dalla quale peraltro Ci vengono al presente molteplici e sensibilissime amarezze. – Non Ci constristano le personali offese, non le privazioni e i sacrifici impostici dall’attuale condizione di cose, non le ingiurie e i dileggi, che una stampa procace ha piena balìa di lanciare ogni giorno contro di Noi. Se si trattasse solo della Nostra persona, se non fosse la rovina alla quale vediamo andare incontro l’Italia minacciata nella sua fede, porteremmo in silenzio le offese, lieti di ripetere anche Noi ciò che diceva di sé uno dei più illustri Nostri Predecessori: “Se la schiavitù della mia terra non crescesse di giorno in giorno, rimarrei muto, lieto del mio disprezzo e dello scherno” [S. Gregorio M., Lettera all’Imperatore Maurizio, Regist. 5]. – Ma oltreché dell’indipendenza e dignità della Santa Sede, trattasi della stessa Religione e della salute di tutta una Nazione, e di tal Nazione, che fin dai primi tempi aprì il seno alla Fede cattolica e conservolla in ogni tempo gelosamente. Sembra incredibile, ma è pur vero: siam giunti a tanto da dover temere per questa nostra Italia la perdita della fede. Più volte abbiam dato l’allarme perché si avvisasse al pericolo: ma non per questo crediamo di aver fatto abbastanza. Di fronte ai continuati e ognor più fieri assalti, sentiamo più potente la voce del dovere che Ci sprona a parlare di nuovo a Voi, Venerabili Fratelli, al vostro clero e al popolo Italiano. Come non fa tregua il nemico, così non conviene rimanere silenziosi od inerti né a Noi né a Voi, che per divina mercé fummo costituiti custodi e vindici della Religione dei popoli alle nostre cure affidati, Pastori e scolte vigili del gregge di Cristo, pel quale dobbiamo esser pronti, se fia d’uopo, a tutto sacrificare, anche la vita. – Non diremo cose nuove, perché i fatti, quali accaddero, non si mutano; e di essi abbiamo dovuto parlare altre volte, secondo che Ce ne venne il destro. Ma qui intendiamo ricapitolarli in certa guisa ed aggrupparli come in un sol quadro, per ricavarne a comune ammaestramento le conseguenze che ne derivano. Sono fatti incontestabili, accaduti alla gran luce del giorno; non isolati, ma connessi fra loro per forma che nella loro serie rilevano con piena evidenza un sistema, di cui sono l’attuazione e lo sviluppo. Il sistema non è nuovo: ma è nuova l’audacia, l’accanimento, la rapidità con cui si va ora attuando. È il piano delle sette, che si svolge ora in Italia, specialmente nella parte che tocca la Chiesa e la Religione Cattolica; collo scopo finale e notorio di ridurla, se fosse possibile, al niente. Ora è superfluo fare il processo alle sette che diconsi massoniche: il giudizio è già fatto; i fini, i mezzi, le dottrine, l’azione, tutto è conosciuto con certezza indiscutibile. Invasate dallo spirito di satana, di cui sono strumento, ardono, come il loro ispiratore, di un odio mortale e implacabile contro Gesù Cristo e l’opera sua; e fanno ogni loro potere d’abbatterla od incepparla. Questa guerra al presente si combatte più che altrove in Italia, dove la Religione Cattolica ha gettato più profonde radici, e soprattutto in Roma, dove è il centro della Cattolica Unità e la Sede del Pastore e Maestro universale della Chiesa. – Giova riprendere fin dalle prime le diverse fasi di questa guerra. Si cominciò col rovesciare sotto colore politico il principato civile dei Papi: ma la caduta di esso nelle intenzioni segrete dei veri capi, apertamente poi dichiarate, doveva servire a distruggere o almeno tenere in servitù il supremo potere spirituale dei Romani Pontefici. E perché non rimanesse alcun dubbio sullo scopo vero a cui si mirava, venne subito la soppressione degli Ordini religiosi, che assottigliò di molto il numero degli operai evangelici per il sacro Ministero e per l’assistenza religiosa, come pure per la propagazione della fede tra gl’infedeli. – Più tardi si volle esteso anche ai chierici l’obbligo del servizio militare, colla necessaria conseguenza di ostacoli gravi e molteplici frapposti alla recluta e alla conveniente formazione anche del clero secolare. Si misero le mani sul patrimonio ecclesiastico, parte confiscandolo assolutamente, e parte caricandolo delle più enormi gravezze, a fine d’impoverire il clero e la Chiesa, e privar questa dei mezzi di cui abbisogna quaggiù per vivere e promuovere istituzioni ed opere in aiuto del suo divino apostolato. Lo hanno apertamente dichiarato gli stessi settari. “Per diminuire l’influenza del clero e delle associazioni clericali, un solo mezzo efficace è da impiegare: spogliarli di tutti i loro beni e ridurli ad una povertà completa”. D’altra parte l’azione dello Stato è tutta diretta per sé a cancellare dalla Nazione l’impronta religiosa e cristiana: dalle leggi e da tutto ciò che è vita officiale ogni ispirazione ed ogni idea religiosa è per sistema sbandita, quando non sia direttamente osteggiata: le pubbliche manifestazioni di fede e di pietà cattolica o sono proibite, o sotto vani pretesti in mille modi intralciate. Alla famiglia si è sottratta la sua base e la sua costituzione religiosa col proclamare quello che chiamano matrimonio civile, e coll’istruzione che si vuole al tutto laica, dai primi elementi fino all’insegnamento superiore delle Università; di guisa che le nuove generazioni, per quanto dipende dallo Stato, sono come obbligate a crescere senza alcuna idea di Religione, digiune affatto delle prime ed essenziali nozioni dei loro doveri verso Dio. È questo un mettere la scure alla radice, né saprebbe immaginarsi mezzo più universale e più efficace per sottrarre all’influenza della Chiesa e della fede la società, la famiglia, gl’individui. “Scalzare con tutti i mezzi il clericalismo (ossia il Cattolicesimo) nelle sue fondamenta e nelle stesse sue sorgenti di vita, cioè nella scuola e nella famiglia”, è la dichiarazione autentica di scrittori massonici. – Si dirà che ciò non avviene solo in Italia, ma che è un sistema di governo, al quale gli Stati generalmente si conformano. Rispondiamo che questo non distrugge, ma anzi conferma quanto Noi diciamo degl’intendimenti e dell’azione della massoneria in Italia. Sì, quel sistema è adottato e messo in uso dovunque la massoneria esercita la sua empia e nefasta azione; e poiché questa è largamente diffusa, così quel sistema anticristiano è pur largamente applicato. Ma l’applicazione ne addiviene più rapida e generale e si spinge più agli estremi in quei paesi, i cui governi sono più sotto l’azione della setta e meglio ne promuovono gli interessi. E per mala sorte nel numero di questi paesi è presentemente la nuova Italia. Non è da oggi che essa soggiace all’influsso empio e malefico delle sette: ma da qualche tempo queste, addivenute assolutamente dominanti e strapotenti, la tiranneggiano a loro talento. Qui l’indirizzo della pubblica cosa, per ciò che concerne la Religione, è tutto conforme alle aspirazioni delle sette; le quali, per attuarle, trovano nei depositari del pubblico potere fautori dichiarati e docili strumenti. Le leggi avverse alla Chiesa e le misure per essa offensive sono prima proposte, decretate, risolute in seno alle adunanze settarie; e basta che una cosa qualunque abbia una cotale, sebbene lontana, apparenza di far onta o danno alla Chiesa, per vederla incontanente favorita e promossa. Tra i fatti più recenti ricorderemo l’approvazione del nuovo codice penale; in cui quello che si è voluto con maggior pertinacia, nonostante tutte le ragioni in contrario, furono gli articoli contro il Clero, che costituiscono per esso come una legge di eccezione, e vanno fino a considerare come criminosi alcuni atti che sono per lui sacrosanti doveri di Ministero. La legge sulle Opere pie, per la quale tutto il patrimonio della carità, accumulato dalla pietà e dalla Religione degli avi all’ombra e sotto la tutela della Chiesa, venne sottratto ad ogni azione ed ingerenza di essa; quella legge era stata già da più anni promossa nelle adunanze della setta, appunto perché doveva infliggere una nuova offesa alla Chiesa, diminuirne l’influenza sociale, e sopprimere d’un tratto una grande quantità di lasciti a scopo di culto. Si aggiunse a questo l’opera eminentemente settaria, l’erezione cioè del monumento al famigerato apostata di Nola, promossa, voluta, attuata coll’aiuto e il favore dei governanti dalla Frammassoneria, che per la bocca degli stessi più autorevoli interpreti del pensiero settario non arrossì di confessarne lo scopo e di dichiararne il significato: lo scopo fu di far onta al Papato; il significato è che si vuole ora sostituire alla Fede Cattolica la libertà più assoluta di esame, di critica, di pensiero e di coscienza: e si sa bene ciò che significhi in bocca dei settari un tal linguaggio. Vennero a mettere il suggello le dichiarazioni più esplicite fatte pubblicamente da chi è a capo del governo, dichiarazioni che suonano appunto così: la lotta vera e reale, che il governo ha il merito di aver compreso, è la lotta tra la fede e la Chiesa da una parte, il libero esame e la ragione dall’altra. Che la Chiesa cerchi pure di reagire, di incatenar di nuovo la ragione e la libertà del pensiero e di vincere. Quanto al governo, in questa lotta, si dichiara apertamente in favore della ragione contro la Fede, e si attribuisce come compito proprio di far sì, che lo stato Italiano sia l’espressione evidente di questa ragione e libertà: triste compito, che udimmo testé in occasione analoga audacemente riaffermato. – Alla luce di tali fatti e di queste dichiarazioni torna più che mai evidente che l’idea maestra, la quale, per ciò che tocca la religione, presiede all’andamento della cosa pubblica in Italia, si è l’attuazione del programma massonico. Si vede quanta parte ne fu già attuata; si sa quanto ancora ne rimanga ad attuare; e si può preveder con certezza che, fino a tanto che i destini d’Italia saranno in mano di reggitori settari o ligi alle sette, se ne spingerà l’attuazione più o meno rapidamente, secondo le circostanze, fino al più completo sviluppo. La loro azione ora è diretta a raggiungere i seguenti scopi, secondo i voti e le risoluzioni prese nelle loro assemblee più autorevoli, voti e risoluzioni tutte ispirate da un odio a morte contro la Chiesa. Abolizione nelle scuole di qualsiasi istruzione religiosa, e fondazione d’istituti, in cui anche la gioventù femminile sia sottratta ad ogni influenza clericale, qualunque essa sia; giacché lo Stato, che deve essere assolutamente ateo, ha il diritto e il dovere inalienabile di formare il cuore e lo spirito dei cittadini, e nessuna scuola deve essere sottratta né alla sua ispirazione né alla sua vigilanza. Applicazione rigorosa di tutte le leggi in vigore dirette ad assicurare l’indipendenza assoluta della società civile dalle influenze clericali. Osservanza rigorosa delle leggi che sopprimono le corporazioni religiose ed uso di tutti i mezzi per renderle efficaci. Sistemazione di tutto il patrimonio ecclesiastico, partendo dal principio che la proprietà di esso appartiene allo Stato, e l’amministrazione ai poteri civili. Esclusione d’ogni elemento Cattolico o clericale da tutte le amministrazioni pubbliche, dalle opere pie, dagli spedali, dalle scuole, dai consigli nei quali si preparano i destini della patria, dalle accademie, dai circoli, dalle associazioni, dai comitati, dalle famiglie; esclusione da tutto, dovunque, per sempre. Invece l’influenza massonica deve farsi sentire in tutte le circostanze della vita sociale, e divenire padrona e arbitra di tutto. Con questo si spianerà la via all’abolizione del Papato; così l’Italia sarà libera dal suo implacabile e mortale nemico, e Roma che fu in passato il centro della Teocrazia universale, sarà nell’avvenire il centro della secolarizzazione universale, d’onde deve essere proclamata in faccia al mondo intero la Magna Charta della libertà umana. Sono altrettante dichiarazioni, aspirazioni e risoluzioni autentiche di frammassoni o delle loro assemblee. – Senza esagerar punto, è questo lo stato presente e l’avvenire che si prevede per la religione in Italia. Dissimularne la gravità sarebbe un errore funesto. Riconoscerlo qual è, ed affrontarlo con evangelica prudenza e fortezza, dedurne i doveri, che esso impone a tutti i cattolici, e a noi specialmente, che come Pastori dobbiamo vegliar su di essi e condurli a salvezza, egli è entrare nelle mire della Provvidenza, e fare opera di sapienza e di zelo pastorale. Per quello che riguarda Noi, l’Apostolico officio C’impone di protestare altamente di nuovo contro tutto ciò che a danno della religione si è fatto, si fa o si attenta in Italia: difensori e tutori quali siamo dei sacri diritti della Chiesa e del Pontificato, apertamente respingiamo ed a tutto il mondo cattolico denunziamo le offese che la Chiesa e il Pontificato ricevono del continuo, specialmente in Roma, e che rendono a Noi più malagevole il governo della cattolicità, più grave ed indegna la Nostra condizione. Del resto abbiamo fermo nell’animo di nulla omettere per parte Nostra, che possa valere a mantenere viva e vigorosa in mezzo al popolo italiano la fede, e a proteggerla contro gli assalti nemici. Facciamo perciò appello, Venerabili Fratelli, anche al vostro zelo e al vostro amore per le anime affinché, compresi della gravità del pericolo che esse corrono, avvisiate ai rimedi e tutto poniate in opera per iscongiurarlo. Nessun mezzo è da trascurare che sia in poter nostro: tutte le risorse della parola, tutte le industrie dell’azione, tutto l’immenso tesoro di aiuti e di grazie, che la Chiesa pone in nostra mano, sono da adoperare per la formazione di un Clero istruito e pieno dello spirito di Gesù Cristo; per la cristiana educazione della gioventù, per l’estirpazione delle ree dottrine, per la difesa delle verità cattoliche, per la conservazione del carattere e dello spirito cristiano nelle famiglie. – Quanto al popolo cattolico, è necessario innanzi tutto che sia istruito del vero stato delle cose in Italia in fatto di Religione, dell’indole essenzialmente religiosa che ha in Italia la lotta contro il Pontefice, e dello scopo vero a cui costantemente si mira, affinché vegga con l’evidenza dei fatti in quante guise è insidiato nella sua religione, e si persuada quanto rischio corredi essere derubato e spogliato del tesoro inestimabile della fede. Formatasi negli animi tale persuasione, e certi d’altra parte che senza la fede è impossibile piacere a Dio e salvarsi, comprenderanno che trattasi di assicurare il massimo, per non dir unico, interesse che ciascuno quaggiù ha il dovere di porre in salvo innanzi tutto, e a costo di qualunque sacrificio, sotto pena della sua eterna infelicità. Comprenderanno altresì facilmente che, essendo questo un tempo di lotta accanita e manifesta, sarebbe viltà disertare il campo e nascondersi. Il loro dovere è di rimanere al posto, di mostrarsi a viso aperto veri Cattolici per credenze ed opere conformi alla loro fede, e ciò tanto a onor di quella e a gloria del sommo Duce, di cui seguono le insegne; come per non aver la somma disgrazia di essere sconfessati nel dì finale e non riconosciuti per suoi dal Giudice supremo, il quale ha dichiarato che chi non è con lui è contro di lui. Senza ostentazione e senza timidezza, diano prova di quel vero coraggio che nasce dalla coscienza di compiere un sacrosanto dovere innanzi a Dio e agli uomini. Con questa franca professione di fede i Cattolici devono unire una perfetta docilità e un filiale amore verso la Chiesa, un sincero ossequio ai Vescovi, e una assoluta devozione ed obbedienza al Romano Pontefice. Insomma riconosceranno quanto sia necessario cessarsi da tutto ciò che è opera delle sette o che dalle sette ha favore ed impulso, perché certamente contaminato dallo spirito anticristiano che le anima: e darsi invece con attività, coraggio e costanza alle opere cattoliche, alle associazioni ed istituzioni benedette dalla Chiesa, incoraggiate e sostenute dai Vescovi e dal romano Pontefice. E poiché il principale strumento di cui si servono i nemici è la stampa, in gran parte ispirata e sostenuta da loro, conviene che i Cattolici oppongano la buona alla cattiva stampa per la difesa della verità, per la tutela della Religione, e a sostegno dei diritti della Chiesa. E come è compito della stampa cattolica mettere a nudo i perfidi intendimenti delle sette, aiutare e secondare l’azione dei sacri Pastori, difendere e promuovere le opere cattoliche, così è dovere dei fedeli di sostenerla efficacemente, sia negando o ritirando ogni favore alla stampa perversa; sia direttamente concorrendo, ciascuno nella misura che può, a farla vivere e prosperare: nella qual cosa crediamo che finora non siasi in Italia fatto abbastanza. Da ultimo i documenti da Noi dati a tutti i Cattolici, specialmente nell’enciclica Humanum genus e nell’altra Sapientiæ christianæ debbono essere particolarmente applicati ed inculcati ai cattolici d’Italia. Che se per restar fedeli a questi doveri avranno qualche cosa da patire o da sacrificare, si rincorino pensando che il regno dei cieli patisce violenza, e che sol con farsi violenza si conquista; e che chi ama sé e le cose sue più di Gesù Cristo, non è degno di lui. L’esempio di tanti invitti campioni, i quali per la fede tutto generosamente in ogni tempo sacrificarono, gli aiuti singolari della grazia che rendono soave il giogo di Gesù Cristo e leggiero il suo peso, debbono valere potentemente a ritemprare il loro coraggio e a sostenerli nel glorioso combattimento. – Non abbiamo considerato fin qui della presente condizione di cose in Italia che il lato religioso, come quello che per Noi è principalissimo ed eminentemente proprio, per ragione dell’officio Apostolico che sosteniamo. Ma è pregio dell’opera considerare eziandio il lato sociale e politico, affinché veggano gl’italiani, che non è solo l’amor della Religione, ma altresì il più sincero e il più nobile amor di patria che deve muoverli ad opporsi agli empi conati delle sette. Basta osservare, per convincersene, quale avvenire si prepari all’Italia, nell’ordine sociale e politico, da gente che ha per iscopo, e non lo dissimula, di guerreggiare senza tregua il Cattolicismo e il Papato. – Già la prova del passato è per se stessa molto eloquente. Ciò che in questo primo periodo della sua nuova vita sia addivenuta l’Italia per moralità pubblica e privata, per sicurezza, ordine e tranquillità interna, per prosperità e ricchezza nazionale, è più noto per fatti di quello che Noi potremmo dire a parole. Quelli stessi che pur avrebbero interesse di nasconderlo, costretti dalla verità, non lo tacciono. Noi diremo solo, che nelle condizioni presenti, per una triste ma vera necessità, le cose non potrebbero andare altrimenti: la setta massonica, per quanto ostenti uno spirito di beneficenza e di filantropia, non può esercitare che un’influenza funesta: ed appunto funesta perché combatte e tenta distruggere la religione di Cristo, vera benefattrice dell’umanità. – Tutti sanno quanto e per quanti capi influisca salutarmente la Religione nella società. È incontestabile, che la sana morale pubblica e privata fa l’onore e la forza degli Stati. Ma è incontestabile egualmente che senza Religione non vi è buona morale né pubblica né privata. Dalla famiglia solidamente costituita sulle naturali sue basi piglia vita, incremento e forza la società. Ora, senza Religione e senza moralità il consorzio domestico non ha stabilità, e i vincoli di famiglia si indeboliscono e si dissolvono. La prosperità dei popoli e delle nazioni viene da Dio e dalle sue benedizioni. Se un popolo non solo non la riconosce da Lui, ma contro di Lui si solleva, e nella superbia del suo spirito tacitamente gli dice di non aver bisogno di Lui, quella non è che una larva di prosperità destinata a svanire, non appena piaccia al Signore di confondere la superba audacia dei suoi nemici. La Religione è quella che, penetrando nel fondo della coscienza di ciascuno, gli fa sentire la forza del dovere e lo spinge a seguirlo. La Religione è quella che dà ai Principi sentimenti di giustizia e di amore pei loro sudditi, che rende i sudditi fedeli e sinceramente ad essi devoti, che fa retti e buoni i legislatori, giusti ed incorrotti i magistrati, valorosi fino all’eroismo i soldati, coscienziosi e diligenti gli amministratori. La Religione è quella che fa regnare la concordia e l’affezione tra i coniugi, l’amore e la riverenza tra i genitori ed i figli; che ispira ai poveri il rispetto pei beni altrui e ai ricchi il retto uso delle loro sostanze. Da questa fedeltà ai doveri e da questo rispetto ai diritti altrui nasce l’ordine, la tranquillità, la pace, che sono tanta parte della prosperità di un popolo e di uno Stato. Tolta la Religione, tutti questi beni immensamente preziosi in un con la Religione sparirebbero dalla società. – Per l’Italia la perdita sarebbe altresì più sensibile. Le sue maggiori glorie e grandezze, per cui tra le più colte nazioni ebbe per lungo tempo il primato, sono inseparabili dalla Religione; la quale o le produsse, o le ispirò, o certo le favorì, le aiutò e diede ad esse incremento. Per le pubbliche franchigie parlano i suoi Comuni; per le glorie militari parlano tante imprese memorande contro nemici dichiarati del nome cristiano; per le scienze parlano le Università che fondate, favorite, privilegiate dalla Chiesa, ne furono l’asilo e il teatro; per le arti parlano infiniti monumenti d’ogni genere, di cui è seminata a profusione tutta Italia; per le opere a vantaggio dei miseri, dei diseredati, degli operai parlano tante fondazioni della carità cristiana, tanti asili aperti ad ogni sorta d’indigenza e d’infortunio, e le associazioni, e corporazioni cresciute sotto l’egida della Religione. La virtù e la forza della Religione è immortale, perché viene da Dio: essa ha tesori di soccorso, ha rimedi efficacissimi per i bisogni di tutti i tempi, e di qualsivoglia epoca, ai quali sa mirabilmente adattarli. Quello che ha saputo e potuto fare in altri tempi, è capace di fare anche adesso con una virtù sempre nuova e rigogliosa. Togliere pertanto all’Italia la Religione è inaridire d’un colpo la sorgente più feconda di tesori e di soccorsi inestimabili. – Inoltre, uno dei più grandi e dei più formidabili pericoli che corre la società presente sono le agitazioni dei socialisti, che minacciano di scompaginarla dalle fondamenta. Da tanto pericolo l’Italia non va immune; e sebbene altre nazioni siano più dell’Italia infestate da questo spirito di sovversione e di disordine, non è men vero però che anche nelle sue contrade va largamente serpeggiando quello spirito e ogni giorno si afforza. E tale è la sua rea natura, tanta la potenza della sua organizzazione, tanta l’audacia dei suoi propositi, che fa mestieri riunire tutte le forze conservatrici per arrestarne i progressi, ed impedirne con felice successo il trionfo. Di queste forze prima e principalissima tra tutte è quella che può dare la Religione e la Chiesa: senza di essa, riusciranno vane od insufficienti le leggi più severe, i rigori dei tribunali, la stessa forza armata. Come già contro le orde barbariche non valse la forza materiale, ma la virtù della Religione cristiana, che penetrando nei loro animi, ne spense la ferocia, ne ingentilì i costumi, li rese docili alla voce delle verità e della Legge evangelica, così contro l’infuriare delle moltitudini sfrenate non vi sarà riparo efficace senza la virtù salutare della Religione; la quale facendo balenare nelle menti la luce della verità, e stillando nei cuori i santi precetti della morale di Gesù Cristo, faccia loro sentire la voce della coscienza e del dovere, e prima che alla mano ponga freno all’animo e smorzi l’impeto della passione. Osteggiare pertanto la Religione è privare l’Italia dell’ausiliare più potente per combattere un nemico che diviene ogni giorno più formidabile e minaccioso. – Ma non è tutto. Come nell’ordine sociale la guerra fatta alla Religione riesce funestissima e sommamente micidiale all’Italia, così nell’ordine politico l’inimicizia colla Santa Sede e col Romano Pontefice è per l’Italia sorgente di grandissimi danni. Anche qui la dimostrazione non è più da fare; basta, a compimento del Nostro pensiero, riassumerne in brevi parole le conclusioni. La guerra fatta al Papa vuol dire per l’Italia, al di dentro, divisione profonda tra l’Italia officiale e la gran parte d’italiani veramente Cattolici, e ogni divisione è debolezza; vuol dire privarla del favore e del concorso della parte più schiettamente conservatrice; vuol dire alimentare nel seno della nazione un conflitto religioso che non approdò mai a pubblico bene, ma porta anzi sempre in se stesso i germi funesti di mali e di castighi gravissimi. Al di fuori, il conflitto colla Santa Sede, oltre che privare l’Italia del prestigio e dello splendore, che le verrebbe infallibilmente dal vivere in pace col Pontificato, le inimica i Cattolici di tutto il mondo, le impone immensi sacrifici, e ad ogni occasione può fornire ai nemici un’arma da rivolgere contro di lei. – Ecco il benessere e la grandezza che apparecchia all’Italia chi, avendone in mano le sorti, fa quanto può per abbattere, secondo l’empia aspirazione delle sette, la religione cattolica e il Papato! – Si ponga invece che, rotta ogni solidarietà e connivenza colle sette, sia lasciata alla religione e alla Chiesa, come alla più gran forza sociale, vera libertà e il pieno esercizio dei suoi diritti. Qual felice cambiamento non avverrebbe nelle sorti d’Italia! I danni e i pericoli che lamentavamo qui sopra come frutto della guerra alla religione e alla Chiesa, cesserebbero al cessar della lotta: non solo, ma tornerebbero altresì a fiorire sull’eletto suolo dell’Italia cattolica le grandezze e le glorie, di cui la Religione e la Chiesa fu sempre attrice feconda. Dalla loro divina virtù germoglierebbe spontanea la riforma dei pubblici e dei privati costumi; si rafforzerebbero i vincoli della famiglia; e in ogni ordine di cittadini sotto l’influsso religioso si desterebbe più vivo il sentimento del dovere e della fedeltà nell’adempierlo. Le questioni sociali, che ora tengono tanto preoccupati gli animi, si avvierebbero verso la migliore e la più completa soluzione, mercé la pratica applicazione dei precetti di carità e di giustizia evangelica; le pubbliche libertà, impedite di degenerare in licenza, servirebbero unicamente al bene e addiverrebbero veramente degne dell’uomo; le scienze, per la verità di cui la Chiesa è maestra, e le arti, per l’ispirazione potente che la Religione deriva dall’alto e che ha il segreto di trasfondere negli animi, salirebbero presto a nuova eccellenza. Fatta la pace con la Chiesa, sarebbe vie più cementata la unità religiosa e la concordia civile; cesserebbe la divisione tra i Cattolici fedeli alla Chiesa e l’Italia, la quale acquisterebbe così un elemento potente di ordine e di conservazione. Fatta ragione alle giuste domande del Romano Pontefice, riconosciuti i sovrani suoi diritti, e ripostolo in condizione di vera ed effettiva indipendenza, i Cattolici delle altre parti del mondo non avrebbero più motivo di considerare l’Italia come nemica del loro Padre comune: essi che non per alieno impulso, né inconsapevoli di quel che vogliono, ma sì per sentimento di fede e dettame di dovere, alzano ora concordemente la voce a rivendicare la dignità e libertà del Pastore supremo delle anime loro. Che anzi crescerebbe all’Italia rispetto e considerazione presso gli altri popoli dal vivere in armonia con la Sede Apostolica; la quale, come fece sperimentare in particolar modo agl’italiani i benefici della sua presenza in mezzo a loro, così coi tesori della Fede che si diffusero sempre da questo centro di benedizione e di salute, fece che si diffondesse presso tutte le genti grande e rispettato il nome italiano. L’Italia, riconciliata col Pontefice e fedele alla sua Religione, sarebbe avviata ad emular degnamente le avite glorie, e da tutto ciò che è vero progresso dell’età nostra non potrebbe che ricevere novello incitamento ad avvantaggiarsi nel suo glorioso cammino. E Roma, città cattolica per eccellenza, preordinata da Dio a centro della Religione di Cristo e Sede del suo Vicario, il che fu cagione della sua stabilità e grandezza a traverso di tante età e di sì svariate vicende, riposta sotto il pacifico e paterno scettro del Romano Pontefice, tornerebbe ad essere ciò che la fecero la Provvidenza e i secoli, non rimpicciolita alla condizione di capitale di un regno particolare, né divisa tra due diversi e sovrani poteri, dualismo contrario alla sua storia; ma capitale degna del mondo cattolico, grande di tutta la maestà della Religione e del Sommo Sacerdozio, maestra ed esempio di moralità e di civiltà ai popoli. – Non sono queste, Venerabili Fratelli, vane illusioni, ma speranze poggiate sul più solido e verace fondamento. L’asserzione che si va da tempo divulgando, essere i cattolici ed il Pontefice i nemici d’Italia, e quasi altrettanti alleati dei partiti sovversivi, non è che gratuita ingiuria e spudorata calunnia, sparsa ad arte dalle sette per palliare i loro rei disegni e non incontrare intoppo nell’opera esecranda di scattolicizzare l’Italia. La verità che discende chiarissima da quanto abbiamo detto finora, è che i cattolici sono i migliori amici del proprio paese: e che danno prova di forte e verace amore non solamente verso la religione avita, ma anche verso la patria loro distaccandosi interamente dalle sette, avversandone lo spirito e le opere, facendo ogni sforzo acciocché l’Italia non perda, ma conservi vigorosa la fede; non combatta la Chiesa, ma le sia fedele qual figlia, non osteggi il Pontificato, ma si riconcili con lui. Adoperatevi a tutt’uomo, o Venerabili Fratelli, affinché la luce della verità si faccia strada in mezzo alle moltitudini, sicché queste abbiano finalmente a comprendere dove si trova il loro bene e il loro verace interesse, ed a persuadersi che solo dalla fedeltà alla religione, dalla pace con la Chiesa e col romano Pontefice si può sperar per l’Italia un avvenire degno del suo glorioso passato. Alla qual cosa vorremmo che ponessero mente, non diremo gli affigliati alle sette, i quali di proposito deliberato s’argomentano di assodare sulle rovine della religione cattolica il nuovo assetto della Penisola, ma gli altri che, senza accogliere sì biechi intendimenti, aiutano l’opera di quelli col sostenerne la politica: e particolarmente i giovani, sì facili a errare per effetto d’inesperienza e predominio di sentimento. Ognuno vorremmo si persuadesse come la via che si sta percorrendo, non possa essere che fatale all’Italia: e se Noi denunziamo ancora una volta il pericolo, non altro Ci muove che coscienza di dovere e carità di patria. – Ma ad illuminare le menti e rendere efficaci i nostri sforzi, è d’uopo d’invocare soprattutto gli aiuti del cielo. E però alla nostra comune azione, Venerabili Fratelli, vada unita la preghiera, e sia una preghiera generale, costante, fervorosa, che faccia dolce violenza al cuore di Dio, lo renda propizio a questa nostra Italia, sì che allontani da essa ogni sciagura, quella in specie che sarebbe la più terribile di tutte, la perdita della fede. Mettiamo per mediatrice appresso Dio la gloriosissima Vergine Maria, l’invitta Regina del Rosario, che tanta potenza ha sopra le forze d’inferno e tante volte ha fatto sentire all’Italia gli effetti della sua materna dilezione. Facciamo altresì fiducioso ricorso ai santi Apostoli Pietro e Paolo che questa terra benedetta conquistarono alla fede, santificarono colle loro fatiche, bagnarono del loro sangue. – Auspice intanto degli aiuti che domandiamo, e pegno del Nostro specialissimo affetto vi sia l’Apostolica Benedizione, che dall’intimo del cuore impartiamo a Voi, Venerabili Fratelli, al vostro clero e al popolo italiano.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 15 ottobre 1890, anno decimo terzo del Nostro Pontificato.

LEONE PP. XIII


[1] S. Gregorio M., Lettera all’Imperatore Maurizio, Regist. 5.