IL CUORE DI GESÙ E LA DIVINIZZAZIONE DEL CRISTIANO (10)

H. Ramière: S. J.

Il cuore di Gesù e la divinizzazione del Cristiano (10)

[chez le Directeur du Messager du Coeur de Jesus, Tolosa 1891]

TERZA PARTE

MEZZI PARTICOLARI DELLA NOSTRA DIVINIZZAZIONE

Capitolo III

IL CUORE DI GESÙ E LA CONFERMAZIONE

La Confermazione è il complemento del Battesimo.

I Sacramenti sono i principali legami che stabiliscono, tra il Cuore di Gesù e i cuori degli uomini, la comunicazione vitale che fa vivere Cristo in loro e loro in Lui. Il Battesimo ha iniziato quella grande opera in noi, facendoci nascere dalla morte del Salvatore. Tra il nostro cuore e quello del Divin Salvatore, si è stabilita una comunicazione costante che ci comunica i meriti, i sentimenti e le virtù del Divin Cuore, come del sangue. E con essa il calore e la vita fluiscono dal nostro cuore di carne attraverso tutte le membra del nostro corpo. Ma non è stato compiuto tutto coll’essere nati. Alla nascita, l’uomo non è altro che un uomo abbozzato e rudimentale. È un fiore nel suo bocciolo, in cui si nasconde il meglio del suo profumo e del suo splendore. Per essere un uomo perfetto bisogna che egli cresca e si sviluppi, bisogna che rafforzi le proprie membra e sviluppi le proprie facoltà. Lo stesso vale per il Cristiano. La nostra nascita in Gesù Cristo con il Battesimo ci aveva dato la vita divina, animando la nostra anima con il soffio dello Spirito Santo, che abitava in noi in modo sostanziale anche se ancora piuttosto limitato. Eravamo neonati e la Chiesa, la nostra balia, ci offriva il latte e gli insegnamenti di una madre. Ma non per sempre poteva tenerci in fasce. Incaricata di formarci ad immagine di Gesù Cristo, l’uomo perfetto, aspirava a darci una grazia più forte, un cibo più solido, per renderci Cristiani completi e perfetti. Per questo ci ha dato il Sacramento della Cresima. Essa, come dice il suo nome, finisce, conferma e sviluppa ciò che il Battesimo aveva iniziato e delineato. Esso non ci dà, come il Battesimo, un nuovo essere; ma una nuova partecipazione all’Essere divino, che è stato prodotto in noi dall’acqua santa. « Già con il Battesimo – ci dice San Cirillo nella sua bella Catechesi sulla Cresima – ci siamo rivestiti di Gesù Cristo e abbiamo ricevuto in noi l’immagine della sua forma divina; noi eravamo quindi già “altro Cristo”. Tuttavia, non potevamo ritenerci degni di quel nome se non con l’unzione del santo crisma, l’immagine dello Spirito divino riversata sul Salvatore stesso. » (S. Ciril. di Gerusal. MG: 33, 1089). La cresima completa l’immagine del Cristiano e del suo modello divino. Il Vangelo ci dice che quando Gesù Cristo uscì dalle acque in cui era stato immerso per prefigurare la sua morte e sepoltura, vide lo Spirito di Dio scendere dal cielo sotto forma di colomba e riposare sul suo capo, mentre il Padre celeste diceva: « Ecco il mio diletto Figlio nel quale mi sono compiaciuto ». Questa è stata la Confermazione del nostro Capo divino. Lo ricevette dal Padre all’inizio della sua vita pubblica, quando stava per ingaggiare con satana tre grandi battaglie, immagine dei nostri combattimenti. Fino ad allora, Egli, nella sua vita nascosta, sembrava vivere solo per se stesso. Da quel momento in poi si preoccuperà solo di istruire i suoi fratelli. Non è più un bambino come a Betlemme, ma un uomo compiuto e nella pienezza della vita. Tutti questi tratti devono apparire in colui che la Cresima ha reso un Cristiano perfetto: « Al bambino – dice San Tommaso – è permesso di occuparsi solo di se stesso e che tutti si occupino di lui; l’uomo perfetto, invece, deve mettere la sua gloria nel rendersi utile ed impiegare le sue forze a favore dei suoi simili. Così deve fare il Cristiano che ha ricevuto la virtù dello Spirito Santo. » (S. Tomm. D’A., III, q. 72. a. 12.). Non si tiri egli allora, indietro di fronte alle lotte, non abbia il desiderio di riposare. Dio stesso, per mano del suo ministro, ha impresso sulla sua fronte il segno del soldato, ha unto la sua anima con l’olio che fortifica gli atleti. Combattere e trionfare, deve essere la sua unica cura e pietà, come ricorda la croce disegnata sulla sua fronte. Questa parola di San Pietro può essere a lui rivolta: « Cristo ha sofferto nella sua carne, entrate in questo pensiero. » Cioè, ricordate che dovete, come il vostro Maestro, vivere inchiodato alla croce, e si noti:

  1° Che, come colui che è legato alla croce non può muovere gli arti a suo piacimento, perché li ha confitti in essa, così il Cristiano non può disporre delle sue membra secondo i capricci della sua volontà, ma deve sottometterli alla legge di Dio e di Cristo.

  2° Colui che è inchiodato alla croce si sente continuamente crocifisso. Il Cristiano deve anche crocifiggere instancabilmente i suoi sensi e la sua carne, sottomettendosi alla legge che gli ordina di mortificare e tagliare ogni desiderio, ogni azione colpevole.

  3° A chi è sospeso dalla croce non importa più degli uomini, dei fasti e delle delizie del mondo. Il Cristiano deve fare lo stesso.

  4° Il crocifisso non si preoccupa del domani, il suo cuore non conosce l’ambizione. Così deve essere il Cristiano.

  5° L’uomo crocifisso respira ancora, ma si considera già morto a tutte le cose del mondo, e pensa solo a quelle che presto incontrerà. Anche il Cristiano deve essere morto, non solo ai peccati e alle passioni, ma anche a tutto ciò che è effimero. Egli deve dirigere tutto il suo essere verso Dio, verso il cielo, dove spera di arrivare da un momento all’altro. Morto anche ad ogni azione, ad ogni desiderio a cui anela il mondo, non vivrà più, se Cristo non vivrà in lui, Cristo crocifisso per lui (Cornelio a Lapide, in I Ep. Petr., p. IV, 1).

Il Cristiano battezzato e confermato è un’immagine perfetta di Gesù Cristo morto nella sua carne, ma che ha riempito la sua anima con tutte le effusioni della divinità. Non si può negare che ciò che in Gesù Cristo si compie in piena realtà, si operi nel Cristiano sotto il velo del Sacramento. Come il Battesimo è un’immagine della morte del Salvatore, così anche il Crisma, effuso dalla mano del Vescovo, è un’immagine dello Spirito Divino effuso da Dio Padre nel suo Figlio: « Ma – continua San Cirillo – guardatevi dal credere che nessuna realtà corrisponda a quell’immagine. » Così come il Pane Eucaristico diventa ogni giorno pane vivo e veramente divino, l’olio della Cresima, santificato dalla benedizione della Chiesa, serve da veicolo per i doni di Gesù Cristo e riceve l’efficacia divina attraverso la presenza dello Spirito Divino: mentre il corpo è unto dall’olio visibile, l’anima è santificata dalla virtù vivificante dello Spirito Santo.

La confermazione ed il Cuore di Gesù

Possiamo già dedurre che, per formare un concetto proprio della Confermazione e del Battesimo, questi Sacramenti devono essere considerati nella loro relazione con il Cuore di Gesù. Questo Cuore Divino non è solo il modello, alla cui perfetta imitazione è diretta la venuta dello Spirito Santo con la Cresima, ma anche la fonte da cui questo Spirito vivificante si riversa in noi come nel Battesimo. Noi infatti riceviamo l’unzione dello Spirito Santo solo nella misura in cui siamo membri viventi del Figlio di Dio e sotto l’influenza di quel Capo Divino. San Cirillo non vuole che si perda di vista questo fatto. E in questo, come in tutte le cose: « L’unico principio della nostra salute è Gesù Cristo. Egli è la primizia, il lievito, la cui virtù voi, che siete la pasta, dovete appropriarvi. Se le primizie sono sante, come si può lasciare seriamente andare l’impasto che è stato influenzato da quella santità? » I Santi Dottori e lo stesso Re Profeta vedono un’immagine della consacrazione del Cristiano per grazia dello Spirito Santo, nell’unzione sacerdotale di Aronne. Infatti, l’olio santo versato da Mosè sul capo del Sommo Sacerdote era sparso sul suo viso e persino sui suoi vestiti: « Così – dice San Francesco di Sales – l’olio della benedizione, cioè lo Spirito Santo versato sul Salvatore, il Capo della Chiesa militante e trionfante, viene sparso sui beati, che, come sulla sacra barba del Divin Maestro, sono sempre attaccati alla sua gloriosa sofferenza, e poi distillati sui fedeli insieme, e uniti dall’amore per la sua divina maestà; l’uno e l’altro, come fratelli gemelli, possono giustamente esclamare: Oh! Com’è bello e gioioso vedere i fratelli uniti! È l’olio versato sulla testa di Aronne che si estende attraverso la barba e fino all’orlo dell’abito. » Questa unzione non è solo il frutto della Cresima, ma anche di tutti i Sacramenti e persino di tutti gli atti meritori, ognuno dei quali fa scendere dal Cuore di Gesù nel nostro cuore una nuova infusione della grazia dello Spirito Divino. Ma la Confermazione è dotata di una speciale efficacia per produrre questo risultato, perché ci rende veramente “nuovi Cristo”, i veri unti del Signore.

Frutti della Confermazione.

Completiamo le idee sui frutti della Cresima. La Chiesa era già nata dalla morte di Gesù Cristo, e ricevette ai piedi della croce il battesimo di sangue e acqua dal Cuore semiaperto del Salvatore. Probabilmente tutti gli Apostoli erano stati battezzati dallo stesso Maestro Divino. Credevano, speravano, amavano. Essi possedevano la vita soprannaturale e lo Spirito Santo abitava nei loro cuori. Due volte, come nota S. Gregorio Naz. (S. Gregorio Naz., Orat. XLI, In Pentec, MG: 36-427.), il Salvatore aveva dato il suo Spirito Santo ai suoi discepoli: la prima volta prima della sua Passione, quando li aveva rivestiti del potere di scacciare i demoni; la seconda dopo la Sua risurrezione, quando aveva conferito loro il potere di perdonare i peccati. Eppure, Egli annunciava la venuta dello Spirito, come se fosse ancora lontano da loro, dichiarando di non poter inviarglielo finché non fosse più con loro. Il fatto è che Lo avevano ricevuto con scarsità e Lui voleva che fosse loro donato con una pienezza molto maggiore. Ma perché ciò avvenisse, gli Apostoli dovevano liberarsi di ogni attaccamento naturale a Lui, in modo che Egli potesse compiere così tutti i suoi doveri e prendere il suo posto in cielo come Capo della Chiesa; da lì avrebbe riversato su di Essa la pienezza della vita. Così come, attraverso l’Incarnazione e la Redenzione, ha completato l’opera che Dio Padre aveva iniziato con la creazione, allo stesso modo, quando questa seconda opera sarà completata, lo Spirito Santo scenderà a coronarla con la santificazione delle anime. E poiché in cielo vi è il complemento della Trinità, l’opera di santificazione che continuerà nel mondo fino alla fine dei secoli, sarà il complemento delle opere attribuite alle tre Persone divine. In questo modo nessuno di esse sarà privata della gloria che i secoli lor devono. Inseparabili nelle loro operazioni ad extra, ognuna avrà la sua parte speciale nell’opera che viene attribuita a tutte e tre. E per tutta l’eternità, le anime degli eletti canteranno: Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo! Non ci si deve meravigliare che le sofferenze e la morte del Figlio di Dio abbiano prodotto risultati così incompleti prima della venuta dello Spirito Santo. Come Dio Padre non ha voluto salvare il mondo senza l’intervento del suo Figlio, così Dio Figlio non vuole santificarlo senza l’intervento dello Spirito Santo. La Chiesa, prima della sua Cresima, era debole, malaticcia, priva del potere di riprodursi e di diffondersi. Era come un bambino. Non c’è da stupirsi se vediamo in Essa le debolezze dell’infanzia. Ma poi improvvisamente lo Spirito della vita scende su di Essa. Dalla fornace dell’amore divino, che è il Cuore di Gesù, sono spuntate le fiamme che si sono posate sul capo degli Apostoli. Essi sono divenuti luminosi, perché lo Spirito di Gesù Cristo illumina le intelligenze nella stessa misura in cui Egli brucia i cuori. È l’amore per la verità che fa capire e indovinare la verità stessa. Fino a quel giorno gli Apostoli erano stati poco lucidi, perché avevano amato poco. Da quel momento in poi ameranno ardentemente, e tutti i misteri saranno rivelati al loro amore. Le fiamme avranno la forma di lingue, perché la Chiesa, d’ora in poi, non dovrà tenere per sé la verità, ma testimoniarla ed estenderla fino ai confini dell’universo. Queste lingue sono accompagnate da un vento, immagine dello Spirito Santo, che soffia dove vuole e fa piovere dove piace dalle fertili nuvole di grazia. Un vento che, all’inizio del mondo, è stato portato sulle acque e ha già sparso i semi della vita. Vento che in seguito ha scatenato le onde vendicative del diluvio e ha riportato la vita sulla terra purificata. Vento che in questo momento realizza una nuova creazione e rinnova la faccia della terra con un’infusione molto più abbondante dei suoi beni. Quanto è diversa la Chiesa dopo aver ricevuto il battesimo dello Spirito e del fuoco. Ciò che era debole e sterile solo poco tempo prima, acquista un vigore ed una fecondità incomparabili. È il bambino che ha raggiunto in un attimo la pienezza delle sue forze. Egli testimonia Gesù Cristo senza temere i castighi ai quali è esposto. E questa testimonianza è così efficace che tremila uomini chiedono subito il Battesimo. Questi sono i primi degli immensi frutti che la Chiesa confermata raccoglie in tutto l’universo, e i prodigi che non ha smesso di ripetere fino ai nostri giorni. Questi prodigi, che la venuta dello Spirito Santo ha prodotto nella Chiesa, dovrebbero essere rinnovati, anche se in misura minore, nelle anime di tutti i Cristiani confermati. Così lo stesso Spirito che è sceso visibilmente sugli Apostoli nel giorno di Pentecoste, scende invisibilmente su ciascuno di coloro che ricevono questo Sacramento. La grazia che ha riversato su coloro che ci hanno preceduto non ha in alcun modo diminuito la sua pienezza. Egli vuole arricchirci allo stesso modo, illuminarci con la stessa luce, bruciarci con lo stesso amore, vestirci con la stessa forza. La piccolezza dei nostri cuori deve essere stata l’unico ostacolo affinché si riempissero di questi beni celesti, mentre l’olio santo scorreva sulle nostre teste.

https://www.exsurgatdeus.org/2020/06/02/il-cuore-di-gesu-e-la-divinizzazione-del-cristiano-11/

SALMI BIBLICI: “CONFITEBOR TIBI, DOMINE, … QUONIAM AUDISTI (CXXXVII)

SALMO 137: “CONFITEBOR TIBI, DOMINE, … quoniam audisti”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS. 

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 137

Ipsi David.

[1]  Confitebor tibi, Domine, in toto corde meo, quoniam audisti verba oris mei. In conspectu angelorum psallam tibi,

[2] adorabo ad templum sanctum tuum, et confitebor nomini tuo super misericordia tua et veritate tua, quoniam magnificasti super omne nomen sanctum tuum.

[3] In quacumque die invocavero te, exaudi me; multiplicabis in anima mea virtutem.

[4] Confiteantur tibi, Domine, omnes reges terræ, quia audierunt omnia verba oris tui;

[5] et cantent in viis Domini, quoniam magna est gloria Domini;

[6] quoniam excelsus Dominus, et humilia respicit, et alta a longe cognoscit.

[7] Si ambulavero in medio tribulationis, vivificabis me; et super iram inimicorum meorum extendisti manum tuam, et salvum me fecit dextera tua.

[8] Dominus retribuet pro me. Domine, misericordia tua in sæculum; opera manuum tuarum ne despicias.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXXXVII.

Rendimento di grazie a Dio, che esaudì la sua supplica. Probabilmente era la supplica pel Messia, e ringrazia Dio che l’abbia esaudito, potendo ora predire la gloria del Cristo, e la conversione delle genti.

Dello stesso David.

1. Darò lode a te con tutto il cuor mio, o Signore, perché hai ascoltate le voci della mia bocca. Al cospetto degli Angeli canterò inni a te;

2. te adorerò nel tuo tempio santo, e darò lode al tuo nome. A motivo della tua misericordia e della tua verità; perché sopra qualunque cosa hai esaltato il tuo santo nome. (1)

3. In qualunque giorno io t’invochi, esaudiscimi: moltiplicherai nell’anima mia la fortezza.

4. A te dian lode, o Signore, tutti i re della terra, perché hanno udite tutte le parole della tua bocca.

5. E cantino le vie del Signore, perché grande è la gloria del Signore.

6. Perché il Signore è eccelso, e sopra le cose basse getta i suoi sguardi: e le alte mira da lungi.

7. Se io camminerò nel mezzo della tribolazione, tu mi darai vita; e contro l’ira dei miei nemici stendesti la mano tua, e la tua destra mi salvò.

9. Il Signore farà mie vendette: Signore, la misericordia tua è per sempre; non disprezzare le opere della tua mano.

(1) La Vulgata riporta “sanctum”, invece di “verbum” che si legge nel testo ebraico, ma il senso è lo stesso. Questo “nome” è quello del “Verbo” « ciò che nasce da te è santo. » Il rapporto con l’Incarnazione è evidente (Le Hir.

Sommario analitico

In questo salmo, che è un canto di azioni di grazie in cui Davide, liberato da tutti i suoi nemici, riconosciuto come re da tutte le tribù, celebra a suo nome e a nome del suo popolo la gloria ed i benefici del Signore, e gli rende grazie della promessa che ha fatto a Davide di far uscire da lui il Messia e stabilire il suo trono per sempre.

I. – Egli promette di cantare le lodi di Dio, ed indica:

1 ° Il modo o le qualità di sua azione di grazie:

a) la lode del cuore in presenza di Dio (1);

b) la lode esteriore, la salmodia in presenza degli Angeli (2);

c) l’adorazione del corpo nel tempio;

d) la glorificazione del nome di Dio con le opere (2);

2° La causa: a) la misericordia di Dio, b) la sua verità per il compimento delle sue promesse, c) la sua potenza con la quale egli ha glorificato il suo nome (2);

3° Il frutto che ne spera: a) è che Dio esaudirà la sua preghiera in ogni tempo, b) che moltiplicherà ed aumenterà la forza della sua anima (3).

II. – Egli invita tutti i re della terra a rendergli ugualmente l’omaggio e fa loro conoscere:

1° la maniera con cui devono espletare questo dovere: a) è riconoscerlo come sovrano padrone dell’universo (4); b) camminare nelle sue vie e cantare le sue lodi alla vista dei mezzi ammirabili che Egli usa per eseguire ciò che vuole (4, 5);

2° Le ragioni sulle quali è fondato questo dovere, che sono: a) perché essi hanno visto la gloria di questo Dio liberatore (5); b) perché Dio, sì elevato per la sua natura, abbassa i suoi occhi e guarda da lontano i superbi (6); c) perché Egli viene in soccorso dei suoi servi nella tribolazione (7); d) perché punisce i loro nemici stendendo la sua mano ed esercitando la sua vendetta su di essi; e) perché dà ai suoi servi, opera delle sue mani, una gloria eterna (8).

Spiegazioni e Considerazioni

ff. 1-3. – Una delle cose più rimarchevoli nei salmi, e forse una delle meglio sottolineate, è l’offerta che fa incessantemente il Profeta del suo cuore e di tutto il suo cuore. È – dice San Agostino – l’olocausto che brucia perpetuamente sull’altare del Signore. Io faccio del mio cuore tutto intero un altare per confessare il vostro Nome, ed io vi presento un olocausto di lode. È l’amore che consuma questo olocausto; il Profeta che non trattiene nulla per sé, ma consacra tutto a Dio … Quale differenza tra la preghiera del Re-Profeta e quella della maggior parte dei Cristiani! Noi preghiamo, sia con formule estratte dai Salmi, sia ripetendo le diverse preghiere della Chiesa, sia anche meditando le verità eterne, ma dov’è il cuore? Noi diciamo con Davide: « Signore, io vi lodo, vi rendo delle azioni di grazie con tutto il mio cuore; » ma il nostro cuore è d’accordo con la nostra bocca? (Berthier). « Perché avete ascoltato le parole della mia bocca. » La mia bocca, cos’è se non la bocca del mio cuore? Noi abbiamo in effetti, nel cuore, una voce che Dio ascolta e che alcun orecchio umano conosce. Questa bocca è dentro di noi: è là che noi preghiamo, e se noi abbiamo preparato in noi un alloggio o una casa per Dio, è là che gli parliamo, è là che veniamo esauditi (S. Agost.) – Bisogna che le nostre preghiere, che i nostri canti di azione di grazie siano in rapporto con l’alta elevazione dei nostri uditori. Noi abbiamo come spettatori e giudici gli Angeli che circondano il trono di Dio, bisogna dunque che tutto il nostro esterno, che le nostre parole, siano in armonia con la santità del cenacolo in mezzo al quale siamo, quando preghiamo. Se abbiamo sempre presente allo spirito questo pensiero che i santi Angeli ci contemplano e ci ascoltano, lodano il nostro zelo ed il nostro fervore e che condannano, al contrario, le nostre distrazioni, la nostra negligenza, la nostra tiepidezza, noi saremo più attenti e raccolti. – Il Profeta vuol dire anche che la sua preghiera imiterà le adorazioni di queste intelligenze celesti, che non vi mescolerà niente di umano, che si eleverà al di sopra di tutti gli oggetti terrestri. Io mi sforzerò di cantare con gli Angeli, di rivaleggiare nello zelo con essi. Io sono di natura diversa, è vero, ma mi sforzerò di eguagliarli con l’ardore dei miei desideri e prendere posto tra essi. (S. Chrys.). – « Io adorerò nel vostro tempio santo » Qual è questo tempio santo? Il luogo ove noi dimoreremo, il luogo dove noi adoreremo. Noi vi corriamo per adorare, il nostro cuore è grande, porta il suo fardello e cerca un luogo ove possa depositarlo. Qual è questo luogo ove Dio deve essere adorato? In qual mondo, in quale edificio, su quale trono, nel cielo ed in mezzo alle stelle? … Dio ha il suo trono in noi; « Il tempio di Dio è santo, e voi siete questo tempio. » (I Cor. III, 17). Tuttavia questo è evidente, Dio abita anche negli Angeli, dunque, quando la gioia che ci causano le cose spirituali ci fa cantare per Dio in presenza degli Angeli, questa celeste milizia è il tempio di Dio, e noi adoriamo nel tempio di Dio. C’è una Chiesa del basso, ed una Chiesa dell’alto: la Chiesa del basso è formata da tutti i fedeli, la Chiesa dell’alto è formata da tutti i santi Angeli (S. Agost.) – Il Profeta non separa mai la Misericordia dalla verità delle promesse di Dio; perché, ancorché Dio non possa mancare alla verità di ciò che Egli ha promesso, non promette che con un effetto della sua infinita Misericordia. – Ammiriamo egualmente, nell’una e l’altra delle sue perfezioni, la Potenza e la Gloria del suo santo Nome, elevate al di sopra di tutto, o meglio, secondo un’altra traduzione data da San Girolamo a questo versetto, secondo il testo ebraico, perché avete elevato al di sopra di ogni nome, il vostro Santo, cioè il Figlio di Dio, chiamato Santo in un senso assoluto, perché Egli è cosa santissima, e che non c’è, né nel cielo, né sulla terra, niente di più santo di Lui. È in questo stesso senso che l’Angelo dice a Maria: « Ecco perché il Santo che nascerà da voi, si chiamerà Figlio di Dio, » (Luc. I, 35). – E non è ad una sola nazione che il Nome di Dio si è fatto conoscere, ma è stato elevato, glorificato al di sopra di tutte le cose, e la grandezza della sua santità si è diffusa tra tutti gli uomini. Non c’è qui distinzione, barbaro, scita, schiavo, uomo libero, uomo, donna, tutte le età qui sono uguali: il Nome di Dio è stato glorificato al di sopra di tutte le creature. I templi sono stati distrutti, gli idoli sono stati sgretolati, gli auspici, grazie all’intercessione dei santi, restano silenziosi, la fede negli auguri è una fonte di inganno, il Nome solo di Dio resta santo tra le nazioni. Egli risponde sempre alla speranza che i santi mettono in Lui, e ovunque è invocato, dà soccorso efficace e divino (S. Hilar.). – « In qualunque giorno io vi invoco, esauditemi. » Perché? Perché io non chiedo più benessere terrestre; io ho imparato, con il vostro Nuovo Testamento, a concepire i santi desideri. Io non chiedo né la terra, né la fecondità carnale, né la salute temporale, né il dominio sui miei nemici, né le ricchezze, né gli onori: io non chiedo nessuno di questi beni … cosa chiedo dunque? « Voi moltiplicherete. » Si può intendere in diversi modi questa moltiplicazione: l’uno vuol moltiplicare la sua famiglia, il suo oro, il suo denaro; un altro le sue greggi; questi i suoi servi, quest’altro le sue terre; questi, tutti i suoi beni … quale moltiplicazione si cerca? « Voi moltiplicate nella mia anima, » non nella mia carne. Fate che aggiunga ancora qualche cosa, nel timore che questa moltiplicazione nella propria anima non comporti per se stessa l’idea di felicità? In effetti gli uomini possono risentire nella loro anima di una moltiplicazione di preoccupazioni; queste sembrano moltiplicate nella sua anima, e che i vizi si siano moltiplicati; l’uno è solamente avaro, l’altro è solamente orgoglioso, un terzo è solamente portato alla lussuria, mentre che tal altro è contemporaneamente avaro, superbo e lussurioso; c’è moltiplicazione nella sua anima, ma questa moltiplicazione è quella dell’indigenza e non quella dell’abbondanza … Voi dunque che avete detto: « esauditemi », che siete come strappato dal vostro corpo, staccato da ogni cosa terrestre, da ogni desiderio mondano, che pensate dicendo a Dio: « Voi moltiplicate nella mia anima? Qual è l’oggetto dei vostri desideri? » – « Voi moltiplicate nella mia anima la virtù. » Ecco il suo voto nettamente espresso, ecco il suo desiderio chiaramente formulato, staccato da ogni confusione (S. Agost.). L’Apostolo San Paolo, molto tempo dopo il Re-Profeta, chiedeva la stessa grazia per i nuovi Cristiani: « Io piego, diceva, il mio ginocchio davanti al Padre di Gesù-Cristo Nostro Signore, affinché, secondo la ricchezza della sua Gloria, vi fortifichi, vi moltiplichi con il suo Spirito, nell’uomo interiore (Ephes. III, 16). Questo linguaggio non era riservato ai solitari, a coloro che volevano tendere ad una più alta perfezione: l’Apostolo lo credeva necessario per la salvezza dei semplici fedeli.

ff. 4, 5. – Qual profondo sentimento di gratitudine nel Re-Profeta!! Non gli è sufficiente rendere grazie a Dio nel suo nome, invita i potenti della terra, coloro che portano il diadema, a venire ad associarsi alla sua riconoscenza. La loro potenza è grande, è vero, sembra dire, ma vi devono tuttavia delle azioni di grazie per i benefici che avete accordato agli altri uomini … « Perché hanno inteso le parole della vostra bocca. » Giammai la loro regale potenza procurerà loro vantaggi comparabili a quello di intendere le vostre parole. Ecco che si assicurerà loro, tutto in una volta, sicurezza, forza, splendore, gloria; ecco per essi la vera regalità; ecco ciò che darà alla loro autorità tanto splendore e potenza. (S. Chrys.). – « Signore, che tutti i re della terra vi glorifichino. » Così sarà e così è; è così ogni giorno, e noi vediamo che questa non era una vana parola, poiché essa doveva compirsi, « Signore, tutti i re della terra vi confessano. » Ma essi pure che confessano il vostro Nome, quando confessano il vostro Nome, quando vi lodano, non desiderano da Voi nulla di terrestre; perché cosa potrebbero desiderare i re della terra? Non hanno già l’impero? I più ampi desideri dell’uomo della terra non saprebbero salire più in alto dell’impero. Ove potrebbero andare oltre? La grandezza sovrana è una necessità di cose umane, ma forse è tanto più pericolosa quanto più elevata. Ecco perché, più i re sono elevati, più la loro grandezza è sublime sulla terra, più essi devono umiliarsi davanti a Dio (S. Agost.). – « Ed essi cantino nelle vie del Signore, che la gloria del Signore è grande. » I re della terra cantino nelle vie del Signore. In quali vie essi devono cantare? In quelle in cui è stato detto più in alto: « Nella vostra misericordia e nella vostra verità; » Perché « tutte le vie del Signore sono misericordia e verità. » (Ps. XXIV, 10). Che i re della terra non siano dunque orgogliosi, ma siano umili. Allora, che cantino nelle vie del Signore, se sono umili: che amino ed essi canteranno. Noi sappiamo che i viaggiatori cantano abitualmente: essi cantano e si affrettano per arrivare. Ci sono canti cattivi che appartengono al vecchio uomo; ma il cantico nuovo appartiene all’uomo nuovo. I re della terra, o mio Dio, camminino dunque nelle vostre vie; che camminino e cantino nelle vostre vie. Cosa canteranno? « Che la gloria del Signore è grande, » e non quella dei re (S. Agost.). – Le vie del Signore sono l’ordine di provvidenza che Egli tiene riguardo agli uomini, i mezzi di salvezza che dona loro, la scienza della religione che comunica loro (Berthier).

ff. 6-8. – Ecco la grande gloria di Dio: essa consiste, malgrado la sua elevazione, malgrado la grandezza infinita della sua natura, della sua dignità, potenza, saggezza ed autorità, l’abbassare il suo sguardo benevolo su ciò che è piccolo ed infimo (Bellarm.) – Vedete come il Profeta ha voluto che i re cantassero nelle vie del Signore, comportandosi umilmente con il Signore, lontano dal levarsi con orgoglio contro il Signore. Ma se essi si levano contro di Lui come dice loro il Profeta: « Perché il Signore è l’Altissimo e guarda a ciò che è umile ». I re vogliono dunque che Dio li riguardi che siano umili. Perché? Se essi si levano per orgoglio, potrebbero nascondersi ai suoi occhi? E perché avete sentito il Profeta dire: « Egli guarda ciò che è umile, » cercate di non divenire orgogliosi e dire nella vostra anima: Dio guarda gli umili, e non ha occhi su di me; io posso fare ciò che voglio. Chi mi vedrà in effetti? Ciò che io faccio è nascosto agli uomini; Dio non vuol vedermi, perché io sono poco umile ed Egli non guarda se non ciò che è umile; io farò tutto ciò che mi piacerà. O quanto insensati siete! Direste questo se sapeste ciò che dovete amare? Così dunque, se Dio non vuol vedervi, cesserete allora di temerlo, perché non vuol vedervi? Se voi salutate qualche personaggio potente, e costui, occupato in altra cosa, non vi vede, da qual dolore in vostro cuore non sarebbe colpito? E se Dio non vi vede, vi credete in sicurezza? Il Salvatore non vi vede, ma il nemico soddisfatto vi vede. E tuttavia Dio stesso vi vede. Non crediate che Egli non vi veda, pregate piuttosto di meritare di essere visti da Colui che vi vede (S. Agost.) – Il Profeta non dice: allontanate da me la tribolazione, ma conservatemi la vita in mezzo a rudi prove; vale a dire quando cadrò nei più grandi pericoli, Voi siate tanto potente da salvarmi. Ora, ciò che è veramente ammirevole, ciò che sorpassa ogni pensiero umano, è che, malgrado le calamità ed i nemici che mi assediano da ogni parte, Voi mi date una perfetta sicurezza … Vedete qui questa doppia prova della potenza di Dio? Voi mi conservate la vita, egli dice, in mezzo ai mali da cui sono circondato, e nello stesso tempo, umilierete, comprimerete la rabbia dei miei nemici: « e la vostra destra mi ha salvato. » Dio in effetti, è ricco di espedienti, ha risorse all’infinito, può salvarci in mezzo alle situazioni più disperate (S. Chrys.) – S. Agostino dà a queste parole una interpretazione molto più elevata: « Sappiamo – egli dice – comprendere la tribolazione di cui parla il Profeta … egli non ha voluto dire: se mi capita per caso qualche tribolazione, voi mi libererete. Che dice dunque? « Se cammino in mezzo alla tribolazione, Voi mi darete vita; » vale a dire, Voi non mi darete la vita se non cammino in mezzo alle tribolazioni (S. Agost.). – Le tribolazioni di questa vita mortale sono l’unico mezzo per giungere alla vera vita. – Che i miei nemici dispieghino il loro furore; cosa possono i miei nemici contro di me? Prendermi il denaro, spogliarmi, proscrivermi, mandarmi in esilio, torturarmi con dolori e tormenti; infine, se ne hanno il permesso, togliermi la vita; possono fare qualcosa di più? Ma Voi Signore, « avete steso la vostra destra contro la collera dei miei nemici, » avete steso la vostra mano, ben al di là di ciò che i miei nemici potessero farmi. (S. Agost.). – Notate queste parole del Re-Profeta: « Se vengo a camminare in mezzo alla tribolazione. » Nella via della virtù, bisogna necessariamente camminare. « Camminate nella carità » (Ephes. V, 2); « camminate nella saggezza; » (Coloss. IV, 5, 6); « camminate come figli della luce. » (Ephes. V, 8).  Nella via del cielo, non bisogna restare stesi a terra, per paura di essere coperto ed assalito dalla polvere del cammino; non bisogna rimanere seduti, per non perdere tempo; non bisogna restare in piedi immobili, per non essere abbattuto dal nemico che piomba su di noi all’improvviso; ma bisogna camminare per non essere raggiunto dal nemico, per attraversare rapidamente i luoghi infestati dai ladri, per raggiungere le truppe ausiliari che Dio ha predisposto sulla strada, per arrivare al termine. – Più ancora, bisogna camminare nella tribolazione, per seguire Gesù-Cristo e, caricato della sua croce, salire con Lui la montagna del Calvario, e raggiungere, con sforzi generosi, il regno dei cieli, che soffre violenza e non è raggiunto e conquistato se non da coloro che si fanno violenza. –  « Non disprezzate le opere delle vostre mani. » Io non dico, Signore, non disprezzate le opere delle mie mani; io non mi vanto delle mie opere. Ma in verità, « … io ho cercato il Signore con le mie mani, la notte, in sua presenza, e non sono stato deluso; » (Ps. XXXI, 3); ma tuttavia io non mi vanto delle opere delle mie mani; io temo che esaminandole, Voi troviate più peccati che meriti. Io non chiedo che una cosa, io non dico che una cosa, non desidero ottenere che una cosa: « Non disprezzate le opere delle vostre mani. » Vedete in me l’opera vostra, non la mia; perché se considerate la mia opera, Voi mi condannerete, se considerate la vostra opera, Voi mi coronerete. Tutte le mie buone opere, quali che siano, mi vengono da Voi; esse sono piuttosto vostre che mie; perché io sento il vostro Apostolo dirmi: « È la grazia che vi ha salvato con la fede e questa non viene da voi, perché è un dono di Dio, né dalle opere, affinché nessuno si glorifichi; perché noi siamo la sua opera, essendo stati creati nel Cristo Gesù per le buone opere. » (Ephes. II, 8, 10). Dunque, sia in quanto siamo uomini, sia in tanto che siamo giustificati della nostra empietà e cambiati, Signore, « … non disprezzate le opere delle vostre mani. » (S. Agost.) – Essere povero, carico di debiti, avere qualcuno che paghi i nostri debiti, è come essere ricco e non dover niente. – Questa è la condizione del Cristiano: egli è caricato, o piuttosto sommerso dai debiti dei suoi peccati; ma Gesù-Cristo ha pagato per lui. Egli ha pagato ciò che non doveva per acquistare colui che doveva, ha risposto per noi, si è reso cauzione per noi, ha pagato il nostro riscatto quando ha operato la grande opera della Redenzione … Occorre chiedergli dunque di completare ciò che ha cominciato e non disprezzare l’opera propria. (Dug.).

IL CUORE DI GESÙ E LA DIVINIZZAZIONE DEL CRISTIANO (9)

H. Ramière: S. J.

Il cuore di Gesù e la divinizzazione del Cristiano (9)

[Ed. Réganault/Egnault, chez le Directeur du Messager du Coeur de Jesus, Tolosa 1891]

SECONDA PARTE

MEZZI GENERALI DELLA NOSTRA DIVINIZZAZIONE

Capitolo X

LO SPIRITO CRISTIANO, SIGILLO DELLA NOSTRA DIVINIZZAZIONE

Terza vita del Cristiano: « La vita dello Spirito »

Sappiamo che, se siamo Cristiani, c’è qualcosa in noi che ci appartiene veramente e che ci eleva al di sopra di noi stessi rendendoci un essere veramente divino che ci fa uscire dalla sfera delle cose create: una terza vita che il giorno del Battesimo si è aggiunta alla vita animale e alla vita razionale, ricevute dalla natura, ma superiore alle altre due infinitamente più di quanto la vita razionale sia superiore a quella animale. Questo essere divino del Cristiano ha nella Scrittura un nome il cui significato è stato alterato dal linguaggio abituale: lo spirito. L’uomo è un insieme di corpo e di anima. Il Cristiano, per grazia, possiede, oltre alla vita del corpo e dell’anima, anche la vita dello spirito. I discepoli del Salvatore sono chiamati da San Paolo uomini spirituali mentre gli uomini carnali sono quelli che lo Spirito di Gesù Cristo non ha liberato dalle loro inclinazioni corrotte. Per l’Apostolo, la vita dello spirito è la vera vita. Non ci sono uomini vivi se non quelli in cui questa vita sia sufficientemente vigorosa tanto da soffocare quella della carne (Rm. VIII, 13). Qual è questo spirito con cui abbiamo a che fare adesso? La Scrittura, che usa continuamente questa parola, non le dà sempre lo stesso significato. A volte è difficile discernere se ci parli dello Spirito di Dio o del nostro. Esiste una differenza profonda, in verità, perché tra lo Spirito di Dio e lo spirito creato più perfetto c’è una distanza infinita. Non è molto glorioso che la nostra somiglianza con lo Spirito Creatore possa raggiungere il punto da confondersi con Lui? Egli l’ha voluto con ogni deliberazione usando, per indicare il risultato della nostra unione con Lui, una parola dal doppio significato, che può essere applicata nello stesso modo a Lui e a noi.

Similitudine dello spirito cristiano con lo Spirito Santo.

Negli uffici della Chiesa, la formula con cui finiscono quasi tutte le preghiere, viene a volte modificata. Invece di dire: per Gesù Cristo nostro Signore che vive e regna con Te nell’unità dello Spirito Santo, diciamo « … nell’unità dello stesso Spirito Santo ». Il che significa che si è parlato dello Spirito Santo nella preghiera così conclusa. Ora, alcuni anni fa la Sacra Congregazione dei Riti ha ordinato che le parole “dello stesso” venissero tolte dalla fine di alcune preghiere alle quali era stata aggiunta. Si era parlato di Grazia, tuttavia, e le parole “dello stesso” erano state introdotte partendo dal presupposto che questo spirito non poteva essere altri che lo Spirito Santo. Sopprimendo queste parole la Sacra Congregazione ha deciso che lo spirito in questione fosse lo spirito del Cristiano, unito per grazia allo Spirito di Dio. Si deve credere che l’inserimento delle parole “dello stesso” contenesse un errore dogmatico e che, nel pronunciarlo, i ministri della Chiesa attribuissero a Dio ciò che è proprio della creatura? Niente affatto! Tutto ciò che si dice dello spirito cristiano, in quanto vive della vita soprannaturale, può giustamente essere applicato allo Spirito di Dio come suo principio. Tra i due c’è lo stesso rapporto che c’è tra il volto di un uomo e la sua immagine riflessa in uno specchio dai raggi di luce. Così come si possono dare giudizi sull’immagine, questi stessi possono essere applicati allo spirito di grazia che è nel Cristiano, qualità e prerogative che, di per sé, non dicono altro che “nello Spirito di Dio”. Se c’è confusione, essa non ha altro fondamento che l’ineffabile bontà dello Spirito Santo, il Quale, nel contemplare Se stesso nell’anima giusta, si rallegra nel trasformarla tanto da poter essere confusa con Esso.

Lo Spirito Santo si compiace di questa somiglianza.

Lo Spirito Santo è estremamente soddisfatto di questa somiglianza. Basta leggere le Lettere di San Paolo per convincersi che lo Spirito Santo, lungi dal temere che lo spirito cristiano sia simile a Lui, lo cerca e si compiace di questo. La parola “spirito”, che ad ogni passo scorre dalla penna dell’Apostolo, si riferisce tanto allo Spirito di Dio, come si riferisce al nostro. A volte i due sensi si confondono nella stessa frase, a volte c’è motivo di chiedersi quale dei due sia stato nella mente dell’Apostolo. In alcuni testi non c’è dubbio che egli abbia in mente lo Spirito Santo, terza Persona della Trinità, come quando ad esempio dice: « La carità di Dio è stata diffusa nei nostri cuori dallo Spirito Santo che ci è stato dato. Non sapete che i vostri membri sono templi dello Spirito Santo? » (1 Cor. VI, 19); « E poiché siete figli, Dio ha mandato lo Spirito del suo Figlio nei vostri cuori, che grida: “Abbà, Padre”. » (Gal. IV, 6). Ma ecco un testo, simile all’ultimo, in cui non si riferisce allo Spirito di Dio, ma al nostro: « Non avete ricevuto lo spirito di schiavitù che ispira paura, ma lo spirito di adozione di figli, per mezzo del quale gridiamo: Abbà, Padre! » (Rm. VIII, 16). La somiglianza tra Dio e noi, di cui abbiamo parlato poco fa, si mostra qui in tutto la sua chiarezza. Non possiamo non notare, nel confrontare i due testi di San Paolo, la stretta unione di questi due spiriti. Da un lato, lo Spirito del Figlio è mandato nei nostri cuori e grida in noi: Padre! Dall’altro, il nostro stesso spirito, sentendo la sua adozione divina, lancia lo stesso grido a Dio, che è la sintesi di ogni preghiera del Cuore di Gesù. Il Figlio di Dio, nel trasformare un’anima umana, l’ha riempita di Spirito Santo, che procede da Lui, e le ha dato il diritto di rivolgersi a Dio come suo vero Padre. Ma lo Spirito del Figlio viene dal Cuore di Gesù al nostro, e in Lui, come in Gesù, usa lo stesso linguaggio che con Dio e grida: Padre! invitandoci ad unire la nostra voce alla sua. Infatti, San Paolo dice: « Lo Spirito testimonia al nostro spirito che siamo figli di Dio. » (Rm VIII, 16). Se ascoltiamo la sua voce, se ci lasciamo trasportare dalla sua influenza divina, il nostro spirito sarà animato dai suoi sentimenti; esso concepirà per Dio un amore e una fiducia del tutto filiale; canterà all’unisono con Lui e dirà: “Padre!” Ascoltate l’Apostolo e vedete come spiega, con l’uso della stessa parola in entrambi i sensi, la comunità di vita e di finalità che risulta dall’unione dello Spirito di Gesù Cristo con lo spirito del Cristiano: « Non siete dalla carne – dice ai suoi discepoli – ma dallo spirito, se davvero lo Spirito di Dio abita in voi. Ma chi non ha lo Spirito di Cristo, Esso non è di Lui. E se Cristo è in voi, il corpo è morto a causa del peccato, ma lo spirito vive per la giustizia. E se lo Spirito di Colui che è stato risuscitato dai morti dimora in voi, Colui che ha risuscitato Gesù Cristo dai morti darà vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi. » (Rom. VIII, 9-11). L’intera dottrina di San Paolo sulla somiglianza e la relazione tra i due spiriti è riassunta in un confronto, la cui verità e bellezza i santi Padri si sono presi la briga di mettere in evidenza: « Voi avete ricevuto il suggello – dice l’Apostolo agli Efesini – dello Spirito Santo. » (Ef 1, 13). Ascoltiamo la spiegazione data da sant’Atanasio nella sua lettera a Serapione: « Lo Spirito Santo è il sigillo che il Verbo usa per incidere la sua immagine sulle creature; quel sigillo porta l’effigie di Colui che lo usa. Citando Gesù Cristo che ci imprime il suo sigillo (dandoci il suo Spirito), noi prendiamo la sua forma, secondo quanto dice l’Apostolo: « Figlioli, io soffro di nuovo per voi i dolori del parto, finché non vedrò Gesù Cristo formato in voi. » In questo modo la creatura è associata al Verbo e attraverso di Lui tutti noi partecipiamo della divinità. Basta pensare un po’ a questo confronto per vedere il rapporto tra la dottrina dei due spiriti che ora esponiamo e i princìpi precedentemente stabiliti sulla grazia increata e creata. Prendete un sigillo e applicatelo alla cera. Se questa è abbastanza morbida, l’impressione che si riceve sarà la riproduzione esatta e completa delle linee incise sul metallo. Avremo su entrambi i lati la stessa immagine con una sola differenza: nel sigillo l’immagine è come nel suo principio e nella cera come nella sua materia. Nel primo, l’immagine è in qualche modo attiva, si dà da se stessa, mentre nel sigillo viene ricevuto più passivamente. È, né più né meno, ciò che accade nell’anima quando è unita allo Spirito di Dio. Lo Spirito Santo non si accontenta di essere sostanzialmente presente nell’anima, ma si unisce ad essa e vi imprime i suoi sentimenti: « Egli lavora in essa in modo tale – dice San Tommaso – che l’anima comincia ad essere ciò che è sostanzialmente. » (S. Th. I, 2., q. 110, a 2 ad. 2.). Nuove luci, sono prodotte nell’anima, nuovi sentimenti, nuova forza, nuova vita, infinitamente superiore alle luci, ai sentimenti, alle facoltà, alla vita naturale della creatura razionale ed immagine perfetta della vita di Dio.

Cosa intende la Scrittura per spirito cristiano?

Questo è ciò che la Scrittura chiama lo spirito del Cristiano: non è la sostanza stessa dello Spirito di Dio, anche se suppone la presenza reale e sostanziale dello Spirito Divino nell’anima; né è una terza sostanza incompleta, distinta dall’anima, come essa lo è dal corpo. No, lo spirito cristiano è costituito da un insieme di facoltà, abitudini e atti che appartengono alla classe delle perfezioni che i teologi chiamano accidentali, perché si aggiungono alla sostanza dell’anima. Ma sono accidenti divini che portano l’anima ad una perfezione infinitamente superiore a quella che le sostanze più eccellenti possono avere naturalmente. Questo spirito è uno e molteplice. Come la nostra vita naturale nasce dallo stesso principio, l’anima razionale, che contiene in sé una meravigliosa varietà di forze e tendenze, così la nostra vita divina è formata in noi da un unico spirito, che è, rispetto alla nostra anima razionale, ciò che essa è rispetto al corpo: « Rinnovatevi – dice San Paolo – nello spirito della vostra mente. » (Ef. IV, 23). Applicato alle nostre facoltà, produce una moltitudine di spiriti che sono, per questo, ciò che i rami sono nell’albero. Essi sono tanti, quante sono le virtù e i doni gratuiti dell’ordine soprannaturale. C’è infatti lo spirito di fede e di amore, di saggezza e di intelligenza, di consiglio e di forza, di conoscenza, di pietà e di timor di Dio, di profezia e di molti altri. Sono queste altrettante forze divine, diverse nelle loro manifestazioni, ma identiche nel loro principio. Qual è questo principio? Innanzitutto lo Spirito di Dio che, attraverso la sua unione con l’anima, la rende capace di produrre opere soprannaturali: Hæc omnia operatur unus atque idem Spiritus (1 Cor XII, 2); e, nell’anima stessa, la grazia santificante si rende uno stesso spirito con Dio: Qui adhæret Deo unus spiritus est. Sì, San Paolo ha detto bene: uno stesso spirito. Ci allontaneremmo dalla verità se supponessimo che, nella divinizzazione della nostra anima, il sigillo divino sia separato dalla sua immagine. Quando facciamo questa separazione nell’ordine materiale, è molto facile per noi distinguere la traccia lasciata nella cera dal sigillo che l’ha prodotta. Ma prima che si separino l’uno dall’altro, quando il sigillo è ancora attaccato alla cera, non forma davvero una sola cosa con la sua immagine? Cera e metallo sono due sostanze, ma sono unite dalla stessa immagine, che è attiva in una e passiva nell’altra. Ora, l’anima cristiana, divinizzata dallo Spirito di Gesù Cristo, non è separata da quel sigillo divino. Se avesse la sfortuna di farlo, nello stesso istante, la divinizzazione cesserebbe. Essa rimane costantemente sotto questa feconda pressione. Essa è attaccata a Lui e riceve la Sua influenza, che non cessa di impressionarla e di renderla a Sé simile; in realtà non fanno più che un medesimo spirito, e ora si comprende come la parola spirito, usata per esprimere questa ineffabile unione, possa riferirsi a una delle due sostanze tra le quali si produce: Qui adhæret Deo unus spiritus est.

Cosa significa “spirito buono” e “spirito cattivo”?

Queste spiegazioni ci permettono di risolvere un problema di straordinaria importanza pratica. Si dice di certi uomini che abbiano uno spirito buono, di altri che siano animati da spiriti cattivi. Quale potrebbe essere il significato di queste parole? Certamente non intendiamo che tutti coloro ai quali attribuiamo uno spirito malvagio siano in peccato mortale. Ma, d’altra parte, se supponiamo che siano in uno stato di grazia, non dobbiamo forse riconoscere che abbiano lo Spirito Santo, che è lo spirito buono per eccellenza? Come è compatibile uno spirito cattivo con il possesso di questo Spirito? Per spiegare questo fatto, la cui realtà è dimostrata dall’esperienza quotidiana, ricordiamo ciò che abbiamo da poco ammesso. Il Cristiano è tale in ragione dello spirito buono; ma, diventando Cristiano, non cessa di essere uomo. La terza vita che la grazia di Cristo gli ha conferito, non ha distrutto in lui le due vite inferiori, quella animale e quella razionale. Egli rimane libero, anche dopo aver ricevuto lo Spirito Santo, di seguire l’impulso degli istinti animali e delle inclinazioni egoistiche. Se si lascia trascinare nel peccato mortale, distrugge in se stesso la vita divina, spegne lo spirito, secondo l’espressione di San Paolo (1 Tess. V, 9). Ma senza arrivare a quell’estremo, di quante infedeltà può diventare colpevole! Lo spirito buono rimarrà in lui per tutto questo tempo. Ma il Cristiano imperfetto, lungi dal mostrare nella sua condotta l’influenza di quell’Ospite, manifesterà movimenti e tendenze contrarie. Tutti coloro che lo vedono all’opera, giudicando l’albero dai suoi frutti e l’anima dalle sue abitudini, diranno di lui che ha uno spirito cattivo. Quale Cristiano si può dire che sia di buono spirito? Colui che non si accontenta di avere in sé lo Spirito di Dio, ma che opera abitualmente sotto la sua influenza, che lo consulta nei suoi dubbi, che ascolta attentamente le sue ispirazioni, segue il suo impulso con docilità, si sforza in ogni momento di vivere, non secondo la volontà della carne, né secondo visioni puramente umane, ma come un vero figlio di Dio (1 Giov. I, 13); colui che è continuamente in guardia contro i legami dello spirito maligno e che, con l’esercizio di un’instancabile vigilanza, abbia acquisito l’arte del discernimento e l’abitudine di preservarsi da essi. Poiché la santità consiste nella fedeltà alle ispirazioni dello spirito buono, non lo si può mai raggiungere se non si impara a discernere queste ispirazioni dalle illusioni con cui lo spirito malvagio si sforza di sedurre coloro che non riesce a trascinare con le tentazioni manifeste. La scienza del discernimento degli spiriti è uno dei rami più importanti della grande scienza dei Santi. Non ce n’è un altro il cui uso sia più continuo, poiché siamo sempre sotto l’influenza di questi vari spiriti. Da un lato, siamo inclini al bene per lo Spirito di Dio, per i nostri Angeli e per le inclinazioni soprannaturali della nostra anima, dall’altro al male, apparente o nascosto, per l’angelo di satana e per le inclinazioni corrotte della nostra natura. Se non ci armiamo di una instancabile vigilanza e di una risolutezza incrollabile, saremo senza dubbio abbattuti dalla violenza della tentazione, o deviati verso i terribili sentieri dell’illusione.

Risoluzione pratica.

Ecco perché è indispensabile che, docili all’esortazione così incoraggiante del Divin Maestro, chiediamo incessantemente lo spirito buono al nostro Padre Celeste, che non può negarlo ai suoi figli! (S. Lc. XI, 13). Ma non accontentiamoci di chiedere quello Spirito che deve venire dal cielo; ricordiamoci che c’è in noi un altro spirito che, nato da Dio, non può vivere o svilupparsi senza la nostra libera collaborazione. Dio non ha aspettato che le nostre richieste ci segnassero con il suo sigillo, perché abbiamo ricevuto l’immagine divina prima di poterne apprezzare il valore, prima di conoscere noi stessi. Ma noi non siamo cera morta in cui questa immagine può sempre essere ricevuta passivamente. Possiamo cancellarla, così come permettere all’amore divino di inciderla più profondamente nella nostra anima. Viviamo già secondo lo spirito; ma sta a noi camminare più velocemente, lavorare più coraggiosamente sotto la sua influenza (Gal. V, 25). Possiamo rinnovarci incessantemente nello spirito della nostra anima (Ef. IV, 23) e completare, sottomettendoci sempre più alla legge dello spirito della vita, la nostra liberazione dalla schiavitù del peccato e dalla morte.

PARTE TERZA

MEZZI PARTICOLARI DELLA NOSTRA DIVINIZZAZIONE

Capitolo 1

IL CUORE DI GESÙ ED I SACRAMENTI IN GENERALE

Introduzione alla terza parte

Nella conoscenza del nostro rapporto con Gesù Cristo sta la vera scienza del Cristiano, la scienza per eccellenza che lo pone al di sopra di tutti gli altri, quanto il cielo si innalza sopra la terra. Non c’è niente altro da imparare se sappiamo bene cosa sia il Cuore di Gesù per noi, il suo modo di stare con noi e come il nostro cuore debba corrispondere alla sua azione. Se sapessimo bene le condizioni dello scambio meraviglioso, attraverso il quale il Cuore di Gesù ci viene donato nella sua interezza,  potremmo donarci interamente a Lui. Coraggio, siamo sulla via più breve e sicura che possa guidarci per questa preziosa scienza. Studiamo con sempre maggiore attenzione e con un amore più ardente, i mezzi con cui il Cuore di Gesù ci viene comunicato, per sapere come dobbiamo andargli incontro. Sappiamo che Egli è la fonte della nostra vita divina; ci resta da scoprire quali siano i canali che distribuiscono questa vita nel nostro cuore. Ce ne sono alcuni che, da se stessi e indipendentemente dalla nostra azione, hanno la virtù di conferirci la vita in modo permanente, purché non mettiamo ostacoli sulla nostra strada. A questa classe appartengono i Sacramenti, chiamati da Isaia, le fonti del Salvatore. Il Cuore di Gesù ci comunica anche la vita divina attraverso tutti gli atti che ci fa compiere in unione con Lui, una volta che ci ha uniti a Sé con la giustificazione: a questa comunicazione, permanente come la grazia dei Sacramenti, si dà il nome di merito. Attraverso la grazia vera e propria, che può essere puramente esterna, ma che ci può essere data anche attraverso il ministero della Chiesa, il Cuore di Gesù esercita su di noi un’azione transitoria, che non costituisce un merito in sé, ma ci mette nella condizione di acquisirlo. Lo studio della nostra unione con il Cuore di Gesù, sotto questi diversi aspetti, ci aiuterà a conoscere meglio la nostra Religione ed a coordinare meglio le conoscenze che abbiamo acquisito da essa. La nostra pietà, ben fondata sui dogmi, sarà allo stesso tempo più solida e tenera. Perché è impossibile non amare il Cuore di Gesù più ardentemente, quanto più si penetra intimamente nella sua conoscenza. Tuttavia, non possiamo  comporre qui un trattato completo sui Sacramenti, che sono il mezzo con cui si realizza la grande opera di formazione di Gesù Cristo in noi. L’unico obiettivo che ci proponiamo è quello di far capire il legame che unisce questa parte importante del dogma cattolico con il centro di tutta la Religione. È bene far vedere, con sempre maggiore chiarezza, l’unità di tutte le cose in quel Cuore Divino. Per raggiungere questo obiettivo non abbiamo bisogno di ricorrere a ipotesi avventurose o a sottili speculazioni. Ci basterà considerare il Cuore di Gesù così com’è realmente e così come ci è stato proposto alla nostra venerazione dal Divin Maestro stesso, cioè come un Cuore vivo, che ci ama e che non cessa di riversare su di noi gli influssi vivificanti del suo amore. Non possiamo negare che lo Spirito Santo sia l’inizio immediato della nostra vita divina; ma le grazie dello Spirito Divino ci vengono comunicate attraverso la santa umanità del Salvatore e attraverso un libero atto del suo amore. Il suo Cuore, organo e sede di quell’amore, deve essere visto come la sorgente da cui scorre incessantemente il fiume di vita che irrora il paradiso della Chiesa. Questo è il punto di vista in cui dobbiamo porci se vogliamo comprendere la nostra vera relazione con il Cuore di Gesù, e non vogliamo esporci al compromesso arbitrario di una devozione così ampia come la Religione stessa e di cui la sua devozione è il centro. E come il centro in una sfera, lungi dall’assorbire e confondere i vari punti della circonferenza, dà a tutti il suo ordine e la sua posizione, così la devozione al Cuore di Gesù ben compresa, non solo non oscura le devozioni particolari, né sminuisce le varie parti della Religione, ma al contrario, fa emergere molto meglio la sua ammirevole varietà e la sua divina armonia.

Capitolo II.

IL CUORE DI GESÙ E IL BATTESIMO

Meraviglie che opera il Battesimo.

Il Battesimo è il primo legame che unisce i Cristiani al Cuore di Gesù; è il sigillo dell’alleanza che porta il figlio dell’uomo nella famiglia di Dio; è il primo anello di una meravigliosa catena che Gesù Cristo ha operato durante la sua vita mortale, curando lebbrosi, paralitici, sordi, muti, posseduti, resuscitando i morti, tutte cose che non sono nulla in confronto al miracolo che si opera nel bambino che riceve il Battesimo. Il miracolo del Battesimo è la realtà di ciò che è figurativo nelle altre cose. Perché essendo com’era, cioè in potere del diavolo, l’anima di quel bambino è liberata; egli era morto e ora riceve la vita; era coperto dalla lebbra e viene completamente purificato, al posto di una forza umana, gli vien data una forza sovrumana. Tutto questo viene fatto non nell’ordine delle cose visibili che passano, ma nell’ordine delle cose invisibili, che sono uniche. Tutto questo avviene nell’ordine divino, perché la vita che il figlio dell’uomo riceve è una vita divina; le sue forze sono forze divine; l’eredità che egli acquisisce per diritto infallibile, è un’eredità divina. LAutore di tutte queste meraviglie è il Cuore di Gesù che, nel momento in cui l’acqua benedetta tocca la fronte del bambino, comunica al suo cuore lo spirito e la vita che Egli stesso anima.

Battesimo, mistero della morte.

Il mistero del Santo Battesimo è insieme un mistero di morte e un mistero di vita. Da quando l’uomo, dopo essersi spogliato della vita di Dio attraverso il peccato, si è volontariamente condannato a morte, non può tornare nel suo stato precedente se non si sottomette alla giusta punizione che i suoi peccati meritano. La misericordia divina non può rigenerarlo se la giustizia divina non sia prima soddisfatta. Il bambino che ha appena aperto gli occhi alla luce ha un debito da pagare, il debito contratto dal nostro primo padre e che è stato esteso a tutti i suoi discendenti. Un debito che deve essere pagato prima che il nuovo figlio di Adamo possa riacquistare i suoi diritti sull’eredità celeste. Come può essere ripagato da un bambino che non riesce nemmeno a pensare o ad agire da solo? Lo pagherà così come l’ha contrattato. Ha peccato nella persona del suo primo padre, il vecchio Adamo. Ma ha un altro Padre, il nuovo Adamo, che ha preso su di Sé, espiandolo, il debito del suo peccato. Gesù Cristo è morto per quel bambino e il Battesimo lo renderà partecipe della sua morte in modo meraviglioso: infatti, egli si impadronirà della giustizia del nuovo Adamo per distruggere l’opera della morte e la grazia sovrabbonderà dove il peccato aveva abbondato. Il primo effetto del Battesimo è quello di innestarci nella morte di Gesù Cristo, secondo il dire di San Paolo; di seppellirci nella sua tomba e di battezzarci nella sua morte. Sono espressioni dell’Apostolo, il cui contenuto aveva reso la Chiesa più palpabile, nei primi secoli, per l’usanza che aveva di battezzare per immersione. Il catecumeno era immerso e sepolto completamente nelle acque, per poterne uscire trasformato, in qualche modo, in un uomo nuovo. Così è stato battezzato Gesù Cristo e in questa azione, la prima della sua vita pubblica, i Santi Padri vedono la figura dell’atto con cui ha dovuto chiuderla. Fu immerso nelle acque del Giordano, mentre doveva essere sepolto nella tomba per distruggere la carne del peccato, di cui portava l’immagine. Gesù Cristo, il Figlio dell’uomo, ha riunito tutta l’umanità colpevole, l’ha sommersa nelle acque e poi l’ha sepolta sulla terra per seppellirla e purificarne i crimini. Un santo Dottore dice che, quando uscì dal Giordano, sollevò ed estrasse con sé dalle acque il mondo sommerso da una nuova inondazione. (Secum quodam modo demersum educens et levans mundum – S. Gregorio Naz., Orat. 39: in s. lumina). Si vede in questo perché Dio Padre ha scelto quel momento per riconoscerlo solennemente come suo Figlio: fino ad allora, sembrava che lo avesse ignorato, perché lo vedeva vestito delle nostre iniquità. Ora lo riconosce e dice: “Ecco il mio diletto Figlio in cui ho riposto tutte le mie compiacenze”. Ogni volta che il Battesimo del Salvatore viene conferito ad un nuovo Cristiano, questo mistero si rinnova. Quello che è stato a lungo fatto nel Capo, si opera sul membro. La morte del Salvatore, raffigurata nell’immersione nel Giordano, è riprodotta dall’acqua versata sulla fronte del bambino. I suoi peccati vengono distrutti, le sue macchie lavate via, e Dio Padre, che prima vedeva in lui solo un figlio dell’ira, si compiace ora di riconoscere in lui l’immagine del suo Figlio diletto. In un altro tempo la giustizia divina, irritata dai crimini degli uomini, aveva mandato un diluvio sulla terra per purificarla. Era un battesimo d’ira che aveva distrutto sia i peccati che i peccatori. Il Battesimo di Gesù Cristo è un diluvio di misericordia, che distrugge il peccato molto più efficacemente del primo diluvio, ma che allo stesso tempo salva il peccatore. Per questo motivo, è molto meglio raffigurato nel passaggio del Mar Rosso, che porta il popolo eletto fuori dal paese della schiavitù e lo libera. Solo il faraone e il suo esercito, cioè i vizi che tenevano prigioniera l’anima, vengono inghiottiti dalle onde vendicative, mentre l’anima ne esce viva e libera.

Il Battesimo, mistero di vita

Questo mistero è un mistero di vita molto più che di morte, perché  la comunicazione di Gesù Cristo che distrugge il peccato nell’anima dei battezzati è la più vitale e vivificante di tutte le operazioni. Proprio come il Divin Salvatore ha dato vita al mondo, morendo per noi, così Egli dà la sua vita ad ogni uomo, rendendolo partecipe dei meriti della sua morte. Il Cuore di Gesù contiene due tesori ugualmente infiniti: quello delle soddisfazioni del Salvatore e quello dei suoi meriti. Comunicandoci i suoi meriti, ci dà la vita; distrugge la morte in noi, comunicandoci le sue soddisfazioni: è una doppia comunicazione che avviene nel Battesimo. È allora che il figlio dell’uomo diventa parte del Corpo mistico del Figlio di Dio e ne diventa membro vivente. Qualcosa di simile a ciò che accade nel nostro corpo, accade poi nel Corpo divino ogni volta che assimila nuovi elementi. Tutte le parti che al momento attuale compongono i nostri membri, erano sparse nell’aria o sulla terra, appartenevano alla natura inferiore, al mondo materiale. Ma una volta divenuti la nostra sostanza, sono stati messi in comunicazione con la nostra anima, che li ha presi, li ha uniti, ha comunicato loro le sue forze, dando loro un nuovo essere. Gli elementi, che prima erano puramente materiali, fanno ora parte di un essere spirituale e razionale; sono saliti alla categoria più alta della creazione. E mentre siamo sulla terra non smetteremo di assimilare sostanze inferiori e di elevarle in noi ad un ordine superiore alla loro natura. Questo mistero della crescita e della comunicazione della vita naturale è una figura ammirevole del mistero della propagazione della vita nell’ordine soprannaturale. Finché il Corpo mistico di Gesù Cristo, che è la Chiesa, sarà sulla terra, nuovi membri presi dall’umanità decaduta e degradata vi si uniranno continuamente. Ma, non appena queste anime sono messe in comunicazione con il Cuore di Gesù mediante il Battesimo, lo Spirito Santo, l’anima del suo Corpo mistico, li trasforma, li eleva al di sopra di se stessi, comunica loro la sua forza, la sua vita, il suo essere. In una parola, li innalza allo stato soprannaturale e divino. Un’altra comparazione, usata da San Paolo, ci dà una migliore comprensione degli effetti prodotti nell’anima del Cristiano dal Battesimo: è il paragone dell’innesto. Ammirate un olivo selvatico che non produce altro che frutti rachitici ed amari. Il contadino ha profuso la sua cura su di esso senza ottenere alcun risultato soddisfacente. Ma prima di decidere di sradicarlo, si risolve nell’innestarlo. Prende la parte di un olivo buono, fa un’incisione in uno dei rami e lo inserisce. Presto la pianta si innesta al ramo, gli comunica le sue qualità e allo stesso tempo si nutre della sua linfa. Da questa unione nascono frutti che, pur rimanendo dell’olivo selvatico, hanno un sapore ed una forza simile a quella dei frutti di un buon olivo. Questo bel simbolo ha una doppia applicazione: può essere applicato all’umanità malata e ad ogni Cristiano, all’Incarnazione e al Battesimo: esso si è realizzato per la prima volta nel modo più commovente nell’Incarnazione del Figlio di Dio, quando, attraverso la mediazione della Beata Vergine Maria, l’innesto divino, Gesù Cristo, è stato posto nell’albero selvatico e maledetto dell’umanità. È avvenuto di nuovo, ma in senso inverso, in ognuno di noi, il giorno del nostro Battesimo: l’innesto dell’olivo sterile nell’albero buono ha ricevuto da esso l’abbondanza della linfa ed il sapore dei suoi frutti. Prima che questo mistero di grazia si realizzasse in noi, non potevamo produrre altro che frutti di morte, né potevamo fare altro che opere colpevoli ed inutili per il cielo. La nostra linfa era corrotta, le nostre facoltà erano assopite, la nostra natura era condannata ad una irrimediabile sterilità. Eppure il contadino celeste, Dio, nostro Creatore e Padre, ci aveva destinato a portare frutti di vita immortale. Non poteva quindi rassegnarsi a vedere i suoi piani vanificati dalla malizia di satana. Ed allora che cosa ha fatto? Lo abbiamo già detto: ci ha innestati sull’olivo buono, la vite divina, Gesù Cristo, il suo Figlio prediletto. In questo modo, senza perdere nulla del nostro essere e delle nostre facoltà naturali, abbiamo acquisito un nuovo essere e una nuova fecondità, la vita stessa del Salvatore, siamo stati resi capaci di fare le opere che l’Uomo-Dio ha fatto sulla terra, di portare frutto in Lui, di appropriarci dei suoi meriti divini. Finché siamo disposti a rimanere in Lui, la Sua linfa divina ci viene comunicata in abbondanza sempre maggiore.

Gli effetti del Battesimo, secondo i Santi Padri.

Ciò che il Salvatore disse ai suoi Apostoli, ora ripete a coloro che si uniscono a Lui nel Battesimo: « Io sono la vite e voi i tralci; colui che dimora in me, e colui in cui risiedo, porta molto frutto; ma senza di me non potete fare nulla. Mio Padre mette la sua gloria nel farvi portare molto frutto. » Da essere maledetto, da figlio del nulla e destinato alla morte, senza eredità e senza speranza, spogliato di ogni merito e della possibilità di acquisirlo, si vede improvvisamente, per dono gratuito, infinitamente al di là della sua condizione naturale: unito al Figlio di Dio, reso partecipe della sua vita, fecondità e ricchezza. Questo è ciò che fa il Battesimo. Che meravigliosa trasformazione opera nel bambino! Che miracoli fa in un istante! I Santi Padri hanno esaltato gli effetti ammirevoli della giustificazione che il Cristiano riceve nel Battesimo: « Il Battesimo è – dice San Gregorio Nazianzeno – lo splendore delle anime, il cambiamento di vita in qualcosa di più perfetto, il sostegno della nostra debolezza, la dismissione della carne, l’acquisizione dello Spirito Santo, la condivisione del Verbo, la guarigione della nostra natura, il diluvio che ci lava dal peccato, la comunicazione della luce, la cacciata delle tenebre. Il Battesimo è un carro che Dio solo conduce, un pellegrinaggio con Gesù Cristo, il sostegno della fede, il perfezionamento dell’anima, la chiave del regno dei cieli, la trasformazione della vita, la cessazione della schiavitù, lo spezzarsi delle catene, la conversione dell’uomo ad uno stato migliore. » (2 S. Gregorio Naz., Orat. 40: in x. baptisma, MG: 36, 359). Cosa possiamo continuare ad aggiungere? Il Battesimo è il più bello e il più grande dei benefici di Dio. Come certe cose si chiamano le cose sante delle cose e i cantici dei cantici perché si diffondono maggiormente, abbracciano più oggetti ed hanno una dignità particolare, così il Battesimo si chiama l’illuminazione, perché per la sua santità supera tutte le altre illuminazioni. E come Gesù Cristo ha vari nomi ed attributi diversi, così questo dono si chiama in modi diversi, nel pervaderci dalla gioia che produce in noi, perché chi ama una cosa le dà una moltitudine di nomi, proprio per la moltitudine dei suoi effetti. « Chiamiamolo dono, grazia, battesimo, unzione, illuminazione, vestito di purezza, bagno di rigenerazione, sigillo, e in altri modi molto più eccellenti ancora. Chiamatelo dono perché è dato senza essere meritato; grazia, perché è dato ai peccatori; battesimo, perché attraverso di esso il peccato è sepolto nell’acqua; unzione, perché è sacra e regale, perché da essa si ha tutto ciò che sia unto; illuminazione, perché è splendore e chiarezza; vestito, perché copre la nostra ignominia; sigillo, perché ci preserva e rappresenta il nostro regno. I cieli sono in gratitudine per esso, gli Angeli lo celebrano, perché per il suo splendore siamo diventati suoi alleati. È l’immagine della beatitudine; vorremmo esaltarlo con inni e lodi, ma la sua dignità è così eccelsa che sarebbe impossibile per noi comprenderla. » San Giovanni Crisostomo avverte che alcuni Cristiani non vedono nel Battesimo altro che la remissione dei peccati, mentre esso contiene in sé magnifiche prerogative: ci rende liberi, giusti, santi, figli di Dio, eredi di Dio, coeredi di Gesù Cristo, membra di Gesù Cristo, templi e strumenti viventi dello Spirito Santo. (San Giovanni Crisostomo, Om. ad Neoph., apud Augustinum, ML: 44, 654-655.).

Il Battesimo è l’ultimo grado dell’ascensione della natura al suo Creatore.

Poiché Dio ha creato tutti quegli esseri cavandoli da Sé fin dall’eternità, tutti tendono a ritornare a Lui, come i fiumi che si dirigono verso l’oceano. Tutta la natura non è altro che una grande opera, uno sforzo con cui le creature si elevano di grado in grado fino a raggiungere una perfezione superiore e si avvicinano così alla perfezione sovrana. Nelle piante, la natura minerale viene portata alla vita vegetativa. Negli animali la natura minerale e vegetale viene elevata a quella sensibile. Nell’uomo i tre regni inferiori si elevano alla vita razionale, il grado più alto nella scala delle perfezioni naturali. Ma tra il massimo grado di perfezione creata e non creata, tra la vita razionale e quella divina, c’è un abisso infinito. Il Battesimo colma questo abisso in parte innalzando la vita razionale alla vita divina e portando l’uomo e tutte le sue nature inferiori nell’ordine divino. In questo modo l’idea di cui gli empi hanno fatto uno dei loro errori più mostruosi si realizza completamente. Dicono che Dio si è fatto, intendendo con questo che Dio non abbia una vera esistenza, e che non c’è altro Dio se non il mondo, che si perfeziona costantemente, avvicinandosi sempre più alla perfezione assoluta. Questo errore, come tanti altri, non è altro che la verità falsificata: cioè che Dio ha voluto, per un atto del suo libero arbitrio, rendere le creature razionali partecipi della sua natura, della sua vita, della sua felicità. Questa comunicazione della vita di Dio si espande costantemente attraverso il Battesimo: il Corpo mistico di Gesù cresce ogni volta che un nuovo membro vi si unisce. In questo modo aumenta il numero degli dèi creati. Dio stesso, secondo l’espressione di San Paolo, cresce, cioè: rimanendo in Sé perfettamente immutato, riceve da noi, attraverso la virtù del Cuore di Gesù, un nuovo prolungamento di vita (Ex quo totum corpus crescit in augmentum Dei. Col. II, 19). Il potere veramente meraviglioso che il Battesimo conferisce al Cristiano consiste nel fatto che lo fa crescere in Dio e fa crescere Dio in lui.

https://www.exsurgatdeus.org/2020/05/29/il-cuore-di-gesu-e-la-divinizzazione-del-cristiano-10/

SALMI BIBLICI: “SUPER FLUMINA BABYLONIS” (CXXXVI)

SALMO 136: “SUPER FLUMINA BABYLONIS”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS. 

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 136

Psalmus David, Jeremiæ.

[1] Super flumina Babylonis illic sedimus et flevimus, cum recordaremur Sion.

[2] In salicibus in medio ejus suspendimus organa nostra;

[3] quia illic interrogaverunt nos, qui captivos duxerunt nos, verba cantionum; et qui abduxerunt nos: Hymnum cantate nobis de canticis Sion.

[4] Quomodo cantabimus canticum Domini in terra aliena?

[5] Si oblitus fuero tui, Jerusalem, oblivioni detur dextera mea.

[6] Adhæreat lingua mea faucibus meis, si non meminero tui; si non proposuero Jerusalem in principio laetitiæ meæ.

[7] Memor esto, Domine, filiorum Edom, in die Jerusalem, qui dicunt: Exinanite, exinanite usque ad fundamentum in ea.

[8] Filia Babylonis misera! beatus qui retribuet tibi retributionem tuam quam retribuisti nobis.

[9] Beatus qui tenebit, et allidet parvulos tuos ad petram.

SALMO CXXXVI.

Lamentazione degli schiavi in Babilonia; desiderio della patria e predizione di severi castighi contro i Babilonesi e gli Idumei. Fu aggiunto il titolo aGeremia, perché Geremia predicò imminente ai Giudei la schiavitù babilonica; la pianse; e ne annunziò la fine dopo settant’anni.

Salmo di David a Geremia.

1. Sulle rive de’ fiumi di Babilonia, (1) ivi sedemmo, e piangemmo in ricordandoci di te, o Sionne.

2. A’ salci appendemmo, in mezzo a lei, i nostri strumenti.

3. Perché ivi domandarono a noi, quelli che ci avevano menati schiavi, le parole dei nostri cantici; e coloro che ci avevano rapiti dissero: Cantate a noi un inno, di que’ che si cantano in Sionne.

4. E come mai canteremo un cantico del Signore in una terra straniera?

5. Se io mi dimenticherò di te, o Gerusalemme, sia messa in oblio la mia destra.

6. Si attacchi la mia lingua alle mie fauci, se io non avrò memoria di te; se io non metterò Gerusalemme al di sopra di qualunque mia allegrezza.

7. Ricordati, o Signore, dei figliuoli di Edom, i quali nel giorno di Gerusalemme dicevano: Distruggete, distruggete fino ai suoi fondamenti. (2)

8. Figliuola infelice di Babilonia, beato colui che farà a te quello che tu hai fatto a noi. (3)

9. Beato colui che prenderà e infrangerà sulle pietre i tuoi figliuoli.

(1) Questi fiumi di Babilonia sono il Tigri, l’Eufrate ed il Chobar. Il salmista fa qui menzione dei fiumi non come vede Rosen-Muller, perché si costruivano le sinagoghe sulle sponde dei fiumi o correnti di acqua, affinché i Giudei potessero più facilmente lavarsi le mani secondo il precetto della legge; ma perché coloro che sono nella tristezza ed i giusti amano ritirarsi presso i corsi di acqua per librarsi al loro dolore o alle loro ispirazioni poetiche.

 (2) Si vede nel profeta Abdia (11, 12, 13, 14), che quando i Babilonesi invasero la Giudei, gli Idumei si aggiunsero all’armata di Nabucodonosor contro Gerusalemme e lo eccitarono a distruggerla.

(3) Il castigo invocato qui su Babilonia era estato predetto da Isaia, XIII, 16.

Sommario analitico

Questa bella elegia è, propriamente parlando, l’inno patriottico degli Ebrei. Mai l’amor di patria fu espresso in maniera più energica e più toccante. In questo salmo, così pieno di poesia e che traspira la più profonda tristezza, l’amore più tenero per la patria perduta, i Giudei prigionieri a Babilonia: (1)

I. esprimono il dolore che li opprime:

1° Con la loro tristezza e le loro lacrime (1);

2° Con il silenzio dei loro strumenti musicali (2);

3° Con il rifiuto di prender parte ad ogni gioia sacra o profana, trovandosi in disaccordo con le circostanze del luogo e del tempo in cui essi si trovano (3, 4).

II. – desiderano il ritorno in patria.

1° Essi lo hanno continuamente presente nei loro ricordi (5);

2° Essa è sarà sempre il principale oggetto della loro gioia. (6)

III. – predicono la vendetta che Dio attirerà sui loro nemici.

1° Essi pregano Iddio di punire gli Idumei. E danno la ragione per la quale essi meritano il loro castigo (7);

2° predicono ai Babilonesi che la loro città sarà distrutta dai Persiani, come essi hanno distrutto la città di Gerusalemme, e questo castigo terribile si estenderà fino ai lattanti.

(1) La poesia toccante di questo salmo, il suo sentimento così profondo, così vero, malinconico e naturale, è passato nell’anima delle masse e lo ha reso popolare. Esso risponde a tutte le note lamentevoli del cuore umano. A tutte le amarezze, a tutti i segreti, aspirazioni, errori, dolori, a tutti i gemiti e alle noie delle facoltà alterate, dei desideri ingannati, delle speranze deluse sia per gli individui che per le nazioni. È uno dei brani di poesia più pieno di eterna freschezza, rivestito delle più soavi e pure emanazioni del cuore, già dai primi accordi per cui ogni testa si inclina e sogna con la fronte nelle mani. « Super flumina Babylonis! » L’anima non ha più bisogno di intendere di più: l’estasi la sazia ben presto e la trasporta sulle sue ali sopra tutti i brusii della terra; essa canta e piange la sua elegia ineffabile come un’eco vivente, ed i suoi sublimi accenti tengono i cieli sospesi e fanno tacere le lire eterne. (Clause: I Salmi tradotti, etc. ).

Spiegazioni e Considerazioni

ff. 1, 2. – La santa Sion è la città di Dio, e Babilonia è la città del mondo. Quali sono i fiumi di Babilonia? «  È tutto ciò che si ama e che passa, vale a dire, i beni deperibili. » Così voi siete interamente dediti alle cure e vi date ai vostri campi e non sognate che di diventar ricchi. Questo benessere al quale voi tendete, non è la città di Sion, è un fiume di Babilonia. Io mi sento dire: è una gran cosa essere soldato; il soldato è temuto dall’uomo dei campi, o tutti gli obbediscono. Quando sarò soldato, il lavoratore tremerà davanti a me. Insensato! Voi vi gettate in un altro fiume di Babilonia, più turbolento e più avido. Un terzo viene e mi dice a sua volta: ciò che è bello, è essere avvocato, potente per eloquenza, veder gli altri pendenti dalle mie labbra, tanti interessi diversi, e tanti uomini attendere con una sola parola, la perdita o il guadagno, la vita o la morte, la rovina o la salvezza … Oh! In quale abisso vi gettate … anche questo è un fiume di Babilonia, più agitato di tutti gli altri e il cui colpo d’onda batte le rocce. Non vedete questo fiume breve, non vedete che precipita? Prendete cura di non precipitarvi (S. Agost.). – Noi ci imbarchiamo ogni giorno sui fiumi di Babilonia, vediamo questi fiumi passare davanti a noi, questi fiumi dei piaceri del mondo; noi vediamo le voluttà passare davanti a noi, le acque ci sembrano chiare, e nell’ardore dell’estate, si trova piacere nel rinfrescarsi; il corso sembra tranquillo, ci si imbarca facilmente e si entra ben avanti nel commercio di questa città criminale. (Bossuet, Serm. p. de d. de Quares.). – Vi sono altri cittadini della santa Gerusalemme che sono nella loro cattività, che considerano voci di questo mondo e le diverse voluttà che si impossessano degli uomini e li conducono qua e là verso il mare. Alla vista di questi pericoli, invece di abbandonarsi ai fiumi di Babilonia, restano seduti sul bordo dei fiumi di Babilonia, e là piangono sia su coloro che si lasciano trasportare dalla corrente dei fiumi, sia su se stessi, che hanno meritato di essere prigionieri in Babilonia. Essi sono seduti là, cioè umiliati: « Sulla sponda dei fiumi di Babilonia ci siamo seduti ed abbiamo pianto al ricordo di Sion. » O santa Sion, dove tutto dimora e niente scorre? Chi ci ha precipitato in mezzo a questi torrenti? perché abbiamo abbandonato il vostro fondatore e la vostra società, o Sion? Travolti ora in queste acque mobili ed in queste correnti rapide, colui che si trova nel fiume appena riesce a raggiungere un legno di salvezza e sfuggire al torrente. Nell’umiliazione della nostra cattività, sediamoci dunque sulla sponda dei fiumi di Babilonia, non siamo tanto arditi da precipitarci nella corrente di questi fiumi, o di levarci orgogliosamente in mezzo ai mali o alle tristezze della nostra cattività; ma sediamoci e piangiamo. Sediamoci sopra i fiumi di Babilonia, ma non sotto, e possa la nostra umiltà essere grande perché non veniamo sommersi. Sediamoci sopra i fiumi, non nel fiume o sotto il fiume; tuttavia, sedetevi umilmente e non parlate come se foste in Gerusalemme. Voi vi sarete un giorno, perché il profeta lo dice, in un altro salmo, ove parla della vostra speranza e vi dice nei suoi canti: « I nostri piedi stiano dritti negli atri di Gerusalemme. » (Ps. CXXI, 2). Là, voi vi eleverete se vi siete abbassati qui con la penitenza e la confessione: « I nostri piedi si tengano dunque retti negli atri di Gerusalemme. »  Ma « sulla sponda dei fiumi di Babilonia noi ci siamo seduti ed abbiamo pianto al ricordo di Sion. » (S. Agost.) – È una legge di provvidenza che la gioia succeda ai desideri; ed il Cristiano non merita di gioire in cielo, se prima non abbia imparato a gemere in questo luogo di pellegrinaggio; perché, per essere un vero Cristiano, bisogna sentire di essere un viatore, e voi facilmente confesserete che colui che non lo riconosce, non sospira alla sua patria. Ecco perché S. Agostino ha detto queste belle parole che meritano di essere meditate: « Colui che non geme come viandante non gioirà come cittadino: » vale a dire, se comprendiamo, egli non sarà mai abitante del cielo, perché ha voluto esserlo della terra; poiché egli rifiuta il lavoro del viaggio, e non avrà il riposo della patria; ed arrestandosi là dove bisogna camminare, non arriverà dove deve arrivare. Coloro, al contrario, che deplorano il loro esilio, saranno abitanti del cielo, perché non vogliono esserlo di questo mondo, e tendono, con santi desideri, alla felice Gerusalemme. Bisogna dunque che noi gemiamo. A voi, felici cittadini della Gerusalemme celeste, a voi appartiene la gioia; ma, nel mentre che languiamo in questo luogo di esilio, le lacrime ed i desideri fanno la nostra parte. Davide ha espresso i nostri veri sentimenti, quando ha cantato con voce gemente: « Seduti sulle sponde dei fiumi di Babilonia, noi abbiamo gemuto e pianto al ricordo di Sion. » (BOSSUËT, Pan. de S.te Thér.) – Notate qui le due cause del dolore che affliggono un’anima pia che attende con l’Apostolo l’adozione a figli di Dio … È il ricordo di Sion e dei fiumi di Babilonia. Perché non volete che ella pianga, allontanata da ciò che cerca ed esposta in mezzo a ciò che scorre? Ella ama la pace di Sion, e si sente relegata nei turbini di Babilonia, ove non vede che acque correnti, cioè piaceri che passano; e mentre ella non vede nulla che non passi, si ricorda di Sion, di queste felice Gerusalemme in cui tutte le cose sono permanenti. Così, nella diversità di questi due oggetti, essa non sa ciò che di più l’affligga, se Babilonia, in cui si vede, o Sion, da cui è bandita (Bossuet, ibid.). –  « Noi ci siamo seduti ed abbiamo pianto. » Le anime dei giusti piangono i peccati dei loro fratelli: « La carità geme – dice S. Agostino – noi gemiamo sovente sui peccati dei nostri fratelli, soffriamo violenza, il nostro spirito è in preda ad una vera tortura. »   (Serm. XLIV, Sur les par. du Seig.) — Exemple de saint Paul. (ROM. IV, 2.). essi piangono i loro peccati. « I miei occhi hanno sparso torrenti di lacrime, perché non hanno osservato la vostra legge; (Ps. CXVIII, 136); « Io mi sono consumato nei miei gemiti; il mio giaciglio, ogni notte, sarà bagnato dalle mie lacrime ed il mio letto impregnato delle mie lacrime. » (Ps VI, 6). Così, il Profeta dice alla figlia di Sion, infedele e colpevole: « piangi giorno e notte, e le tue lacrime scorrano come un torrente; Gerusalemme non dia riposo alla tua palpebre, e la pupilla del tuo occhio non taccia. » (Lam. II, 6). L’occhio è un oratore eloquente, la pupilla è come la bocca, e senza aver bisogno di parole, si persuade facilmente di tutto ciò che vede. Il torrente non basta, perché esso si dissecca molto presto, c’è bisogno di una fonte inestinguibile di lacrime: « Per questo io sprofondo in lacrime ed i miei occhi spandono torrenti di lacrime. » (Lam. I, 16). Ma bisogna che voi piangiate « al ricordo di Sion. » Non c’è santo dolore, né lacrime feconde, se il ricordo di Sion non viene a mescolarsi. Le lacrime sterili sono quelle che il dolore fa versare senza che la religione le consoli, né le consacri. Molti versano lacrime di Babilonia, perché gioiscono delle gioie di Babilonia. Gioire per un guadagno e piangere per una perdita appartiene egualmente a Babilonia. Voi dovete piangere, ma al ricordo di Sion. Se piangete al ricordo di Sion, piangerete anche quando sentirete le gioie di Babilonia … Che ciascuno esamini la felicità che ha come trasportato la sua anima di allegrezza, che l’ha come glorificata di gioia, l’ha elevate al di sopra di lui stesso e gli fa dire: Io sono felice! Che si domandi se questa felicità non passi e se non possa essere certo che durerà eternamente. Se non è certo e vede scorrere ciò che fa la sua gioia, l’oggetto della sua felicità non è che un fiume di Babilonia; che vi si sieda quindi vicino e pianghi. Egli si siederà e piangerà, se si ricorda di Sion. Oh questa pace che vedremo in Dio! Oh! Questa santa eguaglianza con gli Angeli! Oh! Questa visione, e questo magnifico spettacolo! Senza dubbio, voi trovate belle le cose di Babilonia che vi imprigionano; … che non vi catturino, non vi seducano! Altro è la consolazione dei prigionieri, altra la gioia degli uomini liberi (S. Agost.) – « Noi abbiamo sospeso i nostri strumenti musicali ai salici delle loro rive. » Essi sospendono ai rami gli strumenti della loro gioia, per mostrare ai loro oppressori che avevano più a cuore le loro lacrime che i cantici. Per noi, sospendere i nostri liuti ai salici di Babilonia, è abbandonare gli strumenti della gioia degli uomini di questo secolo, che come alberi sterili, sono irrorati incessantemente dalle acque di Babilonia. –  I cittadini di Gerusalemme hanno i loro strumenti: questi sono le Scritture di Dio, i precetti di Dio, le promesse di Dio, la meditazione della vita ventura; ma quando sono in mezzo a Babilonia, essi sospendono i loro strumenti ai salici. I salici sono degli alberi che non portano alcun frutto; questi alberi sono bagnati dai fiumi di Babilonia e sono sterili. Così come gli uomini cupidi ed avari sono sterili in buone opere, così i cittadini di Babilonia, nutriti di voluttà che procurano loro i beni passeggeri, somigliano agli alberi di questo paese bagnato dai fiumi di Babilonia: voi cercate del frutto in essi e non ne trovate alcuno. Quando dobbiamo sopportare tali uomini, noi viviamo con coloro che sono in mezzo a Babilonia. C’è in effetti una grande differenza tra il territorio di Babilonia e l’esterno di Babilonia; perché vi sono di coloro che non sono in mezzo a questa città, cioè che non sono profondamente affondati nei piaceri e nelle delizie del secolo. Ma, per parlare chiaramente e con poche parole, coloro che sono molto malvagi sono al centro di Babilonia e non sono che alberi sterili, come i salici di Babilonia. Quando li vediamo, li troviamo talmente sterili, che è difficile riconoscere in essi alcun mezzo che li conduca alla vera fede, alle buone opere, o alla speranza della vita futura, o al desiderio di essere liberati dalla schiavitù della nostra condizione mortale. Noi conosciamo le Scritture delle quali potremmo parlare loro, ma non raccogliendo in essi alcun frutto che ci serva da punto di partenza, noi volgiamo gli occhi sopra di essi e diciamo: essi non hanno ancora né gusto, né intelligenza, e tutto ciò che diremo loro, lo prenderebbero come parte cattiva e ce lo rivolgerebbero contro. Differendo dall’intrattenerli con le Scritture, noi sospendiamo i nostri strumenti ai salici; perché noi non troviamo questi uomini degni di portarli (S. Agost.) –  Quando i figli di Dio sono prigionieri in Babilonia, cioè quando lo spirito e le massime del mondo li tengono asserviti alla loro dura tirannia, allora la loro bocca si chiude come il loro cuore. Non più preghiera, non più lode di Dio, non più professione di fede. Si può oltraggiare, bestemmiare davanti ad essi impunemente Dio, Gesù-Cristo, i suoi misteri, la sua Religione, la sua Chiesa; essi restano silenziosi, restano muti: la parola di Dio è incatenata sulle loro labbra, essi tengono la verità di Dio prigioniera nell’iniquità.

f. 3, 4. – Perché era proibito loro di cantare in terra straniera? Perché orecchie profane non erano degne di ascoltare questi canti misteriosi. Essi vogliono dire: non ci è stato permesso di cantare. Noi abbiamo, è vero, perso la nostra patria, ma restiamo inviolabilmente fedeli alla nostra legge, e la osserviamo con scrupolosa esattezza. Così, benché siate i padroni dei nostri corpi, non trionferete mai delle risoluzioni della nostra anima (S. Chrys.). – Coloro in cui agisce il demonio, ci interrogano talvolta e ci dicono: dateci le ragioni della vostra fede, spiegateci perché il Cristo è venuto sulla terra ed in cosa il Cristo è stato utile al genere umano? Dopo la venuta del Cristo, le cose umane non sono che peggiorate rispetto a prima ed erano in altri tempi in uno stato più felice di quanto non lo siano ora! I Cristiani ci dicono che il Cristo abbia apportato il bene sulla terra? In cosa pensano che le cose umane siano più felici, dacché il Cristo è venuto sulla terra? Voi vedete dunque che se i teatri, gli anfiteatri ed i circhi restano sani e salvi, se nulla perisce in Babilonia, se gli uomini navigano nell’abbondanza delle voluttà, cantano e danzano al suono di canzoni oscene, se la corruzione dei libertini e delle donne di cattiva vita segue il suo corso piacevolmente in tutta sicurezza; se colui che grida per far dare onori ai pantomimi, che non aveva da temere la fame nella sua casa, se questo fiume di delizie colava senza diminuzione e senza turba alcuna, se tutte queste frivolezze erano accompagnate da una tranquillità perfetta, allora il nostro tempo sarà da questi dichiarato felice, ed il Cristo avrebbe – secondo loro – apportato alle cose umane una gran somma di felicità. Ma dal momento che le iniquità sono distrutte, che sulle rovine della cupidigia è impiantato l’amore di Gerusalemme, che la vita presente è mescolata all’amarezza, per far desiderare la vita eterna, che gli uomini sono istruiti dai castighi e ricevono colpidel loro Padre, per evitare l’alt del Giudice, il Cristo non avrebbe portato del bene, e secondo loro il Cristo non ha portato che sofferenze. Se cominciate a mostrare all’uomo i benefici del Cristo, egli non vi comprende … E che, egli dice, sono questi i beni che è venuto a portare il Cristo: che un uomo debba perdere ciò che possiede, darlo ai poveri e restare povero egli stesso? Che farete dopo questa risposta? Bisogna allora dire: voi non comprendete i beni che dà il Cristo … Coloro che ci hanno condotti prigionieri, quando entrano nel cuore di certi uomini e ci interrogano con la bocca di coloro che li dominano, ci dicono: « Cantate i vostri cantici. » Dateci le ragioni della venuta del Cristo, e fateci conoscere qual sia l’altra vita. Io non domando che di credere; ditemi solo perché mi ordinate di credere? Io rispondo a colui che mi interroga e gli dico: O uomo! Perché non vuoi ciò che ti ordino di credere … tu sei pieno di cattive convinzioni; se io parlo dei beni della Gerusalemme celeste, tu non li comprendi; occorre dapprima svuotarti di ciò che ti riempie, per poterti riempire di ciò di cui sei vuoto … Cosa gli risponderemo ancora? Babilonia vi porta, vi chiude nel suo seno, Babilonia vi nutre; Babilonia parla con la vostra bocca; voi non sapete comprendere se non ciò che brilla nel tempo, voi non sapete meditare le cose eterne, voi non comprendete ciò che chiedete « … come canteremo i cantici del Signore in terra straniera? » In verità è così! Cominciate a volere annunziare la verità, anche quel poco che conoscete, e vedete come sia inevitabile che abbiate da sopportare simili beffe, che viglio strappare la verità e che sono pieni di falsità … Rispondete loro, a questi ignoranti, incapaci di comprendere ciò che vi domandano, e dite loro, con profondo sentimento di amore per il vostro santo cantico: « Come canteremo noi il cantico del Signore in terra straniera? » (S. Agost.) – Ecco qua lo spirito del mondo che, attraverso la bocca dei più ignoranti e dei più indegni prende piacere nel beffarsi della pietà, nell’insultare coloro che ne fanno professione, che chiede talvolta con sorriso sdegnato: dove sono queste gioie e queste consolazioni spirituali di cui voi riempite la vostra immaginazione, e porta la temerità fino a voler trattare nelle assemblee tutte profane, le questioni più alte e profonde della Religione.

II. — 5, 6.

 ff. 5, 6. – Come il segno dell’oblio era stato il pizzicare l’arpa e cantare i cantici del Signore sulla terra straniera, così questo popolo chiama su di essa tutte le maledizioni, scongiurando il suo Dio di disseccare la sua mano, e attaccare al palato la sua lingua che aveva disimparato i suoi canti, se mai, dimenticando la patria, toccasse un’arpa e facesse ascoltare i cantici di Sion in terra straniera. (Bellarm.). – … che la mia lingua resti attaccata al palato se non mi ricordi di te; vale a dire: che io diventi muto, se non mi ricordo di te. In effetti, a che serve parlare, a che serve cantare se non si canta il canto di Sion? È il cantico di Gerusalemme la nostra lingua. Il cantico dell’amore di questo mondo è una lingua straniera, una lingua barbara, che abbiamo appresa in cattività. Questo dunque sarà muto davanti a Dio se avrà obliato Gerusalemme; ed è poco il ricordarsene, perché i suoi stessi nemici se ne ricorderanno volendo rinchiuderli. Qual è – essi dicono – questa città? Che sono i Cristiani? Che valgono i Cristiani? Oh, se non ci fossero più Cristiani! La folla dei cattivi ha vinto questi tiranni, e tuttavia questi mormorano; essi si abbandonano al loro furore, vogliono far perire questa santa città che viaggia in mezzo ad essi, come il faraone voleva distruggere il popolo di Dio, mettendo a morte i figli maschi, preservando le femmine, affondando le virtù e nutrendo le voluttà. È dunque poco ricordarvi di Gerusalemme, esaminate come ve ne ricordate. Noi ci ricordiamo di certe cose con un sentimento di odio, e di altre con un sentimento di amore; ecco perché, dopo aver detto: « O Gerusalemme, se mai ti dimenticassi, che la mia mano destra sia dimentica di me; che la mia lingua resti attaccata al mio palato, se non mi sovvengo di te, », il Profeta ha immediatamente aggiunto: « Se non faccio di Gerusalemme l’oggetto della mia gioia più dolce. » La nostra gioia più dolce si trova, in effetti, là dove gioiremo di Dio, là ove regna l’unione fraterna e dove saremo in piena sicurezza nell’amicizia dei nostri fratelli e l’unione dei nostri concittadini; là nessun tentatore ci farà violenza, nessuno potrà indurci alla minima sensualità, niente ci causerà gioia che non sia il bene; là si estinguerà ogni necessità, là comincerà una sovrana felicità, » … se non farò di Gerusalemme « l’oggetto della mia gioia più dolce. » (S. Agost.) –  Il Profeta si vota qui ad un’altra pena se dovesse dimenticare Gerusalemme: « Che la mia lingua si attacchi al mio palato. » Egli sa quanto sia grave che la lingua resti muta per le lodi di Dio; egli sa qual virtù felici ed eterne si tengono davanti al trono di Dio,  e non cessano di proclamare le sue lodi, dicendo: « Santo, Santo, Santo è il Signore Dio degli eserciti » (Isai. VI, 3); egli sa che la Scrittura ha detto di coloro che, come i morti, sono muti quando si tratta di lodare Dio: « La loro bocca è un sepolcro aperto, » (Ps. V, 2), perché la loro lingua rimane silenziosa e morta alle lodi di Dio. Il salmista si sottomette a questo castigo del silenzio come punizione del suo oblio, se cessa di ricordarsi di Gerusalemme e se non si propone Gerusalemme come il principale soggetto della sua gioia. Ciascuno di noi ha nelle inclinazioni della sua volontà e nelle affezioni della sua anima, delle cause diverse di gioia. L’ubriacone mette la sua gioia nel vino, l’uomo sensuale nei piaceri della tavola, l’avaro nel denaro, l’ambizioso negli onori, il sedizioso nelle rivoluzioni, il voluttuoso nelle dissolutezze. Il Profeta si propone Gerusalemme come principale oggetto della sua gioia; si rallegra al pensiero che sarà ricevuto un giorno in questa celeste città ove questa vita mortale farà posto all’immortalità, ove sarà riunito ai cori degli Angeli, prenderà possesso del regno di Dio e diverrà conforme alla sua gloria. Egli non conosce altri piaceri, nessun’altra cosa piace alla sua anima, Gerusalemme solo è il principale oggetto della sua gioia. (S. Hilar.). – Il Profeta Isaia ci invita a non conoscere gioia più vera e grande della gioia che risulta dall’amore e dalla speranza di questa santa città non fatta da mano d’uomo, ove risiede la divina allegrezza e della quale è detta nel Vangelo: « Entrate nella gioia del Signore. » (Matth., XXV).- Rallegratevi con Gerusalemme, trasalite di allegrezza, voi tutti che l’amate; unite i vostri trasporti ai suoi, voi tutti che piangete con essa; voi sarete riempiti dalle sue consolazioni, voi sarete inondati dal torrente delle sue delizie, gioirete dello splendore della sua gloria. » (Isai. LXVI, 10, 11).

III. – 7-9

ff. 7-9. – « Ricordatevi, Signore dei figli di Edom, nel giorno di Gerusalemme. » Si tratta del giorno di Gerusalemme sofferente e schiava, o del giorno di Gerusalemme liberata, rientrata dall’esilio, associate all’eternità? « Ricordatevi Signore, dei figli di Edom; » non li dimenticate mai. Quali sono questi figli? « Coloro che dicono: distruggetela, distruggetela fin dalle fondamenta. » Ricordatevi dunque di questo giorno nel quale essi hanno volute distruggere Gerusalemme. In effetti, quali terribili persecuzioni la Chiesa ha sofferto! Con quale rabbia i figli di Edom, cioè gli uomini carnali, sottomessi al demonio ed ai suoi angeli, adoratori della pietra e del legno, schiavi degli adoratori della pietra e del legno, schiavi dei piaceri della carne, gridavano: distruggete i Cristiani; che non ne resti neppure uno solo! Distruggeteli fino alle fondamenta. Non è questo che essi dicevano? E mentre parlavano così, i persecutori erano riprovati ed i martiri coronati. « Ricordatevi dei figli di Edom, … distruggeteli, distruggeteli fin dalle fondamenta. » I figli di Edom dicono: distruggetela, distruggetela, ed il Signore dice loro: servitela. Quale parola prevarrà, se non quella di Dio che dice: il primogenito servirà il più giovane? (S. Agost.). – « Distrugge, distruggete sin dalle sue fondamenta. » Non è ancora il grido di Guerra e lo scopo che la rivoluzione persegue ai giorni nostri? Il trionfo che essa proclama è riservato al nostro secolo, la missione che essa reclama e di cui si glorifica con la bocca dei suoi corifei, non è l’annientamento del Cristianesimo pubblico, il ribaltamento dell’ortodossia sociale? Distruggere i resti ultimi dell’antico edificio dell’Europa Cristiana, ed affinché la demolizione sia definitiva, abbattere la chiave di volta intorno alla quale le ultime pecore ancora sussistenti potrebbero, presto o tardi, riavvicinarsi o ricongiungersi: ecco l’opera alla quale le mille voci dell’empietà convengono apertamente nella nostra generazione; ecco il lavoro della disorganizzazione alla quale – è manifesto – noi assistiamo. E poiché non c’era mai stato un edificio così vasto come l’edificio Cristiano, mai si sono viste rovine così gigantesche (Mgr PIE, Disc, et Instruc, t. V, 2.). – È unanime l’indignazione del Profeta e di un’anima convertita che, riguardando la sua abiezione e la sua miseria, torna su Babilonia, causa unica delle sue disgrazie, degli sguardi di dolore, di collera e di disprezzo. – « Maledetta figlia di Babilonia, » grida, infelice per la tua allegria, infelice per il tuo odio. Ciò che hai fatto, ti sarà reso: « Felice che prenderà i tuoi figli e li sbatterà sulla pietra. » Egli dichiara Babilonia infelice e dichiara felice colui che le renderà ciò che ci ha fatto. Cerchiamo dunque ciò che gli sarà reso e che ci viene detto: « Felice che prenderà i tuoi figli e li sbatterà sulla pietra! » Ecco ciò che gli sarà reso. Cosa ci ha fatto dunque questa Babilonia? Noi l’abbiamo già cantata in un altro salmo: « I discorsi degli empi hanno prevalso contro di noi. » (Ps. LXIV, 4). In effetti, alla nostra nascita, noi veniamo piombati, piccolo infanti, nella confusione di questo mondo, e fin dalla più piccola età, veniamo tuffa nelle vane opinioni e nei diversi errori. E questo bambino, nato per essere cittadino di Gerusalemme, e già veramente Cittadino di questa città nella predestinazione di Dio; ma aspettando, prigioniero in un tempo, cosa apprende ad amare, se non ciò che i suoi genitori mormorano alle sue orecchie? Essi insegnano e fanno apprendere loro l’avarizia, le rapine, le menzogne di ogni giorno, le diverse maniere di adorare gli idoli ed I demoni. Che può fare questo piccolo bimbo, quest’anima tenera e flessibile esaminando ciò che fanno le persone più adulte, se non conformarsi a ciò che vede fare? Babilonia ci ha dunque perseguitato fin dalla nostra infanzia; ma diventati più grandi, abbiamo ricevuto da Dio il dono di riconoscerlo, per non seguire gli errori dei nostri genitori. «Le nazioni, dice Geremia, verranno da tutte le estremità della terra e diranno: Veramente i nostri padre hanno adorato la menzogna e la vanità, da cui non hanno tratto alcun profitto. » (Ger. XVI, 19). Ecco ciò che dicono I giovani che, nella loro infanzia, hanno trovato la morte seguendo queste vanità; che rigettino essi queste vanità e che, richiamati in vita, progrediscano in Dio rendendo a Babilonia tutto ciò che ella ha reso. Cosa gli renderanno? Ciò che ella ci ha dato. Che i suoi figli siano a loro volta sbattuti; in più, i loro piccoli sbattuti che muoiano. Quali sono i piccoli figli di Babilonia? Le cattive passioni nel momento in cui esse nascono. Ci sono in effetti degli uomini che devono combattere passioni inveterate. Quando la concupiscenza è al suo nascere, prima che abbia preso forza contro di voi; quando la concupiscenza è ancora molto piccola, prima che prenda la forza di un’abitudine depravata; quando è ancora piccola, schiacciatela. Ma temete che essa non muoia, benché schiacciata? Schiacciatela « … sulla pietra. Ora questa pietra è il Cristo. » (I. Cor., X, 4). – Qualunque sia la felicità che possa arridervi in questo mondo, non vi mettete la vostra fiducia, e guardatevi dall’intrattenervi con compiacenza nei vostri piaceri. Il nemico è grande? Uccidetelo sulla pietra. È piccolo, schiacciatelo sulla pietra. Uccidete i grandi sulla pietra, schiacciate i piccoli sulla pietra. Che la pietra trionfi su tutti! Costruite anche sulla pietra, se non volete essere trascinati o dal fiume o dai venti, o dalle tempeste. Se volete essere armati contro le tentazioni del secolo, che il desiderio della Gerusalemme eterna cresca e si fortifichi nei vostri cuori. La cattività passerà, la felicità arriverà; il vostro nemico sarà condannato alla fine, e noi trionferemo con il nostro Re, per non morire mai più. (S. Agost.). – Questa è una pietra che porta un nome divino, questa pietra è il Cristo, ed è anche colui che il Cristo ha chiamato Egli stesso … Pietro. Questa pietra salva coloro che essa tocca, resuscita coloro che sfiora. O generazione contemporanea, o figlia sfortunata di questa Babilonia che è la rivoluzione moderna, felice colui che afferrerà i tuoi figli, li fermerà, li schiaccerà sulla pietra, che è Gesù Cristo, e che è l’insegnamento apostolico. (Mgr PIE, Discours, etc., t. VII, 560).

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TIGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO IX – “SUPREMA PETRI”

In questa lettera Enciclica dell’inizio del Pontificato di S. S. Pio IX,, c’è un esempio perfetto del vero ecumenismo Cattolico, quello cioè che accoglie tutti i fedeli e gli uomini di ogni Nazione, lingua e cultura nell’unica Chiesa di Cristo, la Chiesa Cattolica, l’Arca fuori dalla quale non c’è assolutamente alcuna possibilità di salvezza dell’anima, secondo la parola evangelica di Cristo. Il grande Pontefice voleva accogliere, come altri Sommi Pontefici già nel passato, così come pure in Concili Ecumenici (es. il Concilio di Firenze), i fedeli Cristiani d’Oriente per riportarli nell’unico ovile del gregge guidato da un solo Pastore, il Vicario di Cristo. Assistiamo qui ad un atto di amore paterno, al desiderio di un padre misericordioso di accogliere tanti figli e fratelli erranti come pecore allo sbando, prede facili di lupi e leoni ruggenti, come di ladri e di briganti, nell’unica arca di salvezza scaturita dal costato di Cristo aperto sulla croce. Anche in quell’occasione però la perfidia e l’empietà di orgogliosi e ribelli uomini ebbe la meglio come già nel passato. E così come lo scisma di Firenze fu punito pochi anni dopo con l’invasione dei musulmani nei Paesi d’Oriente che compirono un terrificante eccidio con la distruzioni di intere città e deportazioni in massa di prigionieri ridotti alla più dura schiavitù, così questo rifiuto altezzoso fu seguito, pochi decenni dopo, dall’instaurazione di una ferocissima dittatura comunista nei Paesi scismatici d’Oriente che procurò morte e distruzione, lacrime e sangue senza misura, eccidi e sterminio di interi popoli e nazioni. Così diverso è invece l’ecumenismo massonico oggi praticato nella falsa chiesa dell’uomo, la “sinagoga di satana” insediata in Vaticano e nella città un tempo santa a perdizione di un infinito numero di anime, ove si pratica un indifferentismo religioso ed un modernismo gnostico mutuato dalle logge più spietate e criminali, quelle adoranti il baphomet-lucifero, il “signore dell’universo” già posto sugli altari come abominio della desolazione già annunciato dal profeta Daniele e ribadito dal Cristo stesso. Ed allora fuggiamo verso i monti, cioè verso la dottrina pura cattolica, rifuggiamoci nelle grotte e negli anfratti della santità, lontani dalla corruzione dottrinale il cui apice è appunto l’indifferentismo religioso, l’ecumenismo satanico che equipara i culti di Baal, di satana, del cabalismo talmudico, dell’idolatria e della stregoneria diabolica, dell’adorazione luciferina, al culto del vero unico Dio trino e del suo unico Figlio-Dio Gesù Cristo nella sua “vera” Chiesa, una, santa, cattolica ed apostolica romana, a perdizione di gran parte dell’intera umanità.   

S. S. PIO IX

Suprema Petri

L’unità della chiesa

Pressante invito alte chiese separate d’Oriente perché tornino all’unità della Chiesa cattolica.

Posti per volontà del Signore, nonostante i pochi meriti, sulla cattedra eccelsa dell’apostolo Pietro e assunta la cura di tutte le chiese, abbiamo rivolto l’attenzione fin dall’inizio delnostro pontificato alle diverse nazioni cristiane dell’oriente e delle regioni limitrofe di qualunque rito che sembravano esigere da Noi un impegno particolare per più di un motivo di rilevanteimportanza. In oriente infatti si manifestò l’unigenito Figlio di Dio fattosi uomo per noi uomini e attraverso la sua vita,morte e risurrezione si degnò di portare a compimento l’opera della redenzione umana. In oriente fu diffuso inizialmente dallo stesso divino Redentore e subito dopo dai suoi discepoli l’Evangelodella luce e della pace; e risplendettero numerosissimele chiese degli apostoli che le avevano fondate, insigni per fama. Ma anche nel periodo successivo, e dopo più secoli, fiorirononelle nazioni orientali i vescovi, i martiri e altri uomini eccellentiper santità e dottrina, tra i quali sono celebrati conencomio univoco di tutto l’oriente Ignazio d’Antiochia, Policarpo di Smirne, Gregorio di Cesarea, Gregorio di Nissa e Gregorio di Nazianzo, Atanasio di Alessandria, Basilio di Cerea,Giovanni Crisostomo, i due Cirillo, di Gerusalemme e di Alessandria, Gregorio Armeno, Efrem Siro, Giovanni Damasceno,nonché gli apostoli degli slavi Cirillo e Metodio; per tacere poi dì tutti gli altri pressoché innumerevoli, i quali pure affidarono il loro nome al ricordo perenne dei posteri, avendoanch’essi versato il loro sangue per Cristo o scritto cose sapienti ed attuato opere di esimia virtù. Tornano anche a merito dell’oriente i frequentissimi congressi dei vescovi, e soprattutto ipiù antichi concili ecumenici celebrati proprio in quella regione e nei quali sotto la guida del vescovo di Roma fu tutelata lafede cattolica contro quanti in quel tempo cercavano di introdurvi mutamenti, e fu fortificata con solenne giudizio. Infine anche in età successiva, benché una parte non piccola di cristiani d’orientesi fosse staccata dalla comunione con questa santa Sede e perfino dall’unione con la Chiesa Cattolica, e proprio inoriente abbiano preso il potere genti lontane dalla religione cristiana, tuttavia non vi mancò mai un nutrito numero di uomini i quali, fidando nell’aiuto della grazia divina, confermarono la loro saldezza nella professione della vera unica fede cattolica fra molteplici calamità e lunghi pericoli propri soprattutto di quei tempi. A questo punto però non possiamo astenerci dal ricordare con un elogio particolare i loro patriarchi, ì primati, gli arcivescovi e i vescovi, che custodirono con diligenza ilproprio gregge nella professione della verità cattolica; e certo fu per le loro cure, unite alla benedizione di Dio, che. Mitigatasi in seguito la crudeltà dei tempi, si trovò ivi un così gran nume di persone rimaste nell’unità cattolica. – Pertanto Ci rivolgiamo innanzitutto a voi, venerabili fratelli, diletti figli, vescovi cattolici, e chierici e laici di qualsiasi ordine, che siete rimasti saldi nella fedele comunione con questa Santa Sede, o che successivamente, riconosciuto l’errore, vi siete rivolti ad essa con virtù degna di non minor elogio. Benché infatti abbiamo già scritto a molti di voi. dai quali avevamo avuto lettere di congratulazione per la nostra elezione al Sommo Pontificato, e poi dal 9 novembre 1846 ci siamo rivolti per per mezzo di una lettera enciclica a tutti i vescovi dell’intero mondo cattolico, tuttavia è nostra intenzione di farvi consapevoli con questo altro specifico discorso dell’ardentissimo amore con cui Ci prendiamo cura di voi e della vostra situazione. Veramente l’opportunità di scrivere di questi argomenti ci è stata fornita dalla missione del venerabile fratello Innocenzo arcivescovo di Side, il quale è stato inviato da Noi a Costantinopoli presso la Sublime Porta [= nobile corte] ottomana, per incontrarsi in nostro nome col potentissimo Imperatore delle popolazioni turche e per ringraziarlo vivamente per Noi, da oratore qual è, per aver inviato lui per primo ambasciatori a salutarci. Ma abbiamo altresì incaricato scrupolosamente il venerabile fratello di raccomandare con le Nostre parole, con molta cura, allo stesso Imperatore voi e tutto ciò che riguarda la vostra causa e quella della Chiesa Cattolica all’interno del vastissimo Impero ottomano. E non dubitiamo che l’Imperatore stesso, già di per sé ben disposto nei vostri confronti, verrà incontro anche con maggior benevolenza ai vostri bisogni e non permetterà che nessuno dei suoi sudditi subisca dei torti a causa della Religione Cattolica. Poi il già ricordato arcivescovo di Side manifesterà assai eloquentemente l’impegno del nostro amore per voi a quelli tra i sacri presuli e tra i maggiorenti delle vostre nazioni che si troveranno presenti a Costantinopoli; e successivamente, quando vorrà ritornare, si dirigerà, così come lo permetteranno le circostanze del momento, verso alcune altre località dell’Oriente per visitare in nostro nome, con le modalità del mandato avuto da Noi, le chiese dei cattolici di qualsiasi rito che ivi si trovano e per rivolgersi con le nostre parole in modo affettuosissimo – e per confortarli – ai nostri venerandi fratelli e diletti figli che incontrerà in quei luoghi. Egli inoltre consegnerà loro personalmente e farà trasmettere agli altri di voi questa lettera, testimone, come abbiamo detto, del nostro sollecito amore per le vostre nazioni cattoliche; con essa rendiamo noto a voi tutti, e lo garantiamo, che nulla ci sarà più caro che acquisire benemerenza ogni giorno di più da voi stessi e dalla situazione della Religione Cattolica presso di voi. Perciò, poiché tra le altre cose ci è stato riferito che nella normativa ecclesiastica delle vostre nazioni alcuni punti restano ancora incerti per la situazione sfavorevole del passato o sono stati fissati in modo non organico, ben volentieri saremo presenti con la nostra Autorità apostolica affinché tutte le cose vengano ordinatamente composte e fissate secondo la norma dei sacri canoni e osservando le disposizioni dei santi padri. Salvaguarderemo però integralmente le vostre proprie liturgie cattoliche; le teniamo in massimo conto, benché in alcunipunti si discostino dalla liturgia delle chiese latine. Infatti le stessevostre liturgie furono tenute in altrettanta considera dai nostri predecessori; furono invero apprezzate per la veneranda antichità della loro origine, per essere state scritte nelle lingue degli Apostoli e dei Padri, e inoltre perché i loro riti si avvalgono di celebrazioni davvero splendide e magnifiche, adatte a rinvigorire la devota pietà dei fedeli per i divini misteri.  – Aquesto criterio di comportamento della Sede Apostolica nei confronti delle liturgie cattoliche degli orientali fanno riferimento parecchi decreti e costituzioni dei Pontefici Romani, promulgati per la loro conservazione; fra questi documenti sarà sufficiente lodare le lettere apostoliche di Benedetto XIV, nostropredecessore, in particolare quella scritta il 26 luglio 1755, il cui inizio è Allatæ sunt. Tende al medesimo scopo il fattoche ai sacerdoti orientali che vengono in occidente non soloè data libertà di celebrare negli edifici consacrati dei latini,ma sono disponibili chiese edificate proprio per l’utilizzo esclusivo da parte loro. Oltre a ciò non sono mancati monasteri di rito orientale, né altre dimore destinate ad accogliere gli orientali, eneppure collegi fondati allo scopo di educare i figli degli orientali, sia da soli sia con altri giovinetti, alle Scritture e alle scienze e altresì alla dottrina propria del clero, e di renderli idonei in seguito ad affrontare, ciascuno nella propria nazione,i doveri ecclesiastici. E benché alcune di queste istituzioni siano andate perdute per calamità abbastanza recenti, altre restano ancora e sono floride; e in esse, venerabili fratelli,diletti figli, avete una prova davvero evidente del particolareaffetto con cui la Sede Apostolica segue voi e le vostre necessità. – D’altra parte sapete già, venerabili fratelli, diletti figli, che Noi, nella cura delle vostre attività religiose ci avvaliamo dell’operadi promozione della nostra Congregazione di cui fanno parte parecchi cardinali della santa chiesa di Roma, detta «di Propaganda fide». Ma lo sforzo per ben meritare di voi è comune anche a moltissimi altri, sia romani sia stranieri, che dimorano in questa alma città. Tra questi, alcuni presuli di rito latino e anche dei vostri riti orientali, e altri uomini pii, poco tempo fa hanno progettato di costituire una pia società per sostenere con un impegno comune – sotto l’autorità della già ricordata nostra Congregazione – il culto della Religione Cattolica presso di voi, e un suo più fecondo sviluppo, con pie preghiere quotidiane, raccogliendo offerte e con ogni loro risorsa e attività. Per parte nostra, quando quel pio progetto ci fu riferito, lo elogiammo e approvammo e consigliammo loro di por mano all’opera senza indugio. – Ed ora indirizziamo le nostre parole in modo particolare a Voi, venerabili fratelli presuli cattolici degli orientali, di qualsiasi grado, affinché, lodando di nuovo il vostro zelo e quello del vostro clero nel compiere i doveri sacri, accresciamo ancora con questa esortazione  il vostro coraggioso slancio verso la virtù. Pertanto vi supplichiamo nel Signore Dio nostro, affinché confidando nel suo celeste aiuto attendiate con sempre maggior sollecitudine alla custodia del diletto gregge e non desistiate dal fargli luce con la parola e l’esempio, affinché si muova degnamente in modo gradito a Dio in tutto, fruttificando in ogni opera buona. Si impegnino attivamente nella medesima cura i Sacerdoti, che sono sotto di voi, in primo luogo curatori di anime, accogliendo l’invito ad amare il decoro della casa di Dio, a rinvigorire la pietà del popolo, ad amministrare con santità le cose sante e, senza trascurare gli altri aspetti del loro ministero, ad avere particolare diligenza nell’indirizzare i fanciulli ai rudimenti della dottrina cristiana e nel nutrire il restante popolo dei fedeli con eloquio semplice, adatto alla sua capacità di intendere. Dai Sacerdoti e da voi stessi deve essere profuso ogni sforzo affinché tutti i fedeli siano solleciti nel conservare l’unità dello spirito nel vincolo della pace, rendendo grazie a Dio padre dei lumi e delle misericordie, perché in momenti così pericolosi sono rimasti saldi, in virtù della sua grazia, nella comunione cattolica dell’unica Chiesa di Cristo, o sono ritornati in seguito ad essa, mentre altri del loro popolo vagano ancora fuori dall’unico autentico ovile di Cristo, dal quale già da tempo i loro padri erano usciti miseramente. – Non possiamo ora non indirizzare parole di carità e di pace anche a quegli orientali che venerano Cristo, ma non sono nella comunione con questa sede di Pietro. L’amore di Cristo infatti ci sprona a non lesinare sforzi nel seguire, conformemente aisuoi moniti e al suo esempio, le pecore disperse nei luoghi più impervi e aspri e a soccorrere la loro debolezza, affinché un giorno finalmente, ritornino nei recinti del gregge del Signore.

Ascoltate perciò la nostra parola, voi tutti che nei territori d’Oriente e in quelli limitrofi vi gloriate, sì, del nome di cristianima non avete comunione con la santa chiesa di Roma; e soprattutto voi. che presso di loro siete addetti ai sacri ministeri, o che, insigniti di un grado ecclesiastico anche più elevato, esercitate la vostra autorità sugli altri. Riflettete e richiamatealla memoria l’antica condizione delle vostre chiese,quando di comune accordo si tenevano unite tra di loro e con le altre chiese del mondo cattolico nel vincolo dell’unità: pensatequindi se siano state per voi fonte di qualche vantaggio le divisioni che successivamente sono subentrate e a causa delle quali non siete stati in grado di conservare non solo con le chiese occidentali, ma neppure tra voi stessi l’antica unità sia della dottrina sia del sacro governo. Ricordate il simbolo della fede, nel quale insieme con noi confessate di credere «la Chiesa una santa cattolica e apostolica»; e valutate quindi se davvero possa ritrovarsi questa unità cattolica della Chiesa santa e apostolica nella divisione così profonda delle vostre chiese, mentre proprio voi vi rifiutate di riconoscere l’unità nella comunione della Chiesa romana, sotto la quale altre numerosissime chiese in tutto il mondo sono cresciute sempre insieme in un sol corpo, e ancora crescono insieme. E per comprendere più a fondo la ragione di quella unità, per la quale deve risplendere la Chiesa Cattolica, richiamate alla memoria quell’orazione scritta nel Vangelo di Giovanni, nella quale Cristo Figlio unigenito di Dio così pregò per i suoi discepoli: «Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi»; e subito dopo aggiunse: «Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano una sola cosa. Come Padre, sei in me e Io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me» (Gv XVII, 20 ss). In verità lo stesso Artefice della salvezza degli uomini, il Cristo Signore, pose il fondamento della sua Chiesa – l’unica contro la quale le porte dell’inferno non prevarranno – in Pietro primo degli Apostoli; a lui consegnò le chiavi del regno dei cieli (Mt XVI, 18-19); per lui pregò, perché non gli venisse mai meno la fede, dandogli anche mandato di confermare in essa i fratelli (Lc. XXII, 31-32); a lui infine affidò i suoi agnelli e le sue pecore (Gv XXI, 15 ss), e anzi tutta la Chiesa, che è formata dai veri agnelli e dalle vere pecore di Cristo. Queste prerogative sono state conferite anche ai Vescovi Romani successori di Pietro; infatti la Chiesa, che è destinata a durare fino alla fine dei secoli, non può essere privata, dopo la morte di Pietro, del fondamento sopra il quale fu edificata da Cristo. Perciò sant’Ireneo, discepolo di Policarpo – che aveva ascoltato personalmente l’apostolo Giovanni – e poi Vescovo di Lione, considerato dagli orientali non meno che dagli occidentali uno fra i più illustri lumi dell’antichità cristiana, volendo riportare contro gli eretici del suo tempo la dottrina tramandata dagli Apostoli, ritenne inutile elencare le successioni di tutte le chiese di origine apostolica, affermando che per lui era sufficiente allegare contro quelli la dottrina della Chiesa romana, perché «è necessario che ogni chiesa, cioè i fedeli di ogni luogo, si volga, in forza della sua origine superiore, a questa Chiesa, nella quale è stata conservata sempre dai fedeli di ogni luogo la dottrina tramandata dagli apostoli».Sappiamo che voi tutti desiderate rimanere fedeli alla dottrina custodita dai vostri avi. Seguite dunque gli antichi Vescovi e gli antichi fedeli di Cristo di tutte le regioni orientali, a proposito dei quali moltissimi documenti dimostrano che essi concordarono con gli occidentali nel riconoscere l’autorità dei Pontefici Romani. Tra i più significativi esempi di tale comportamento provenienti dall’Oriente stesso (oltre al passo di Ireneo che ho appena lodato) piace qui ricordare ciò che fu fatto nel IV secolo della Chiesa nella causa di Atanasio vescovo di Alessandria, illustrissimo per santità non meno che per dottrina e zelo pastorale, il quale, condannato senza alcun fondamento da certi presuli orientali nel concilio che si tenne prevalentemente a Tiro, e cacciato dalla sua chiesa, venne a Roma; qui giunsero anche altri Vescovi provenienti dall’Oriente, allontanati pure essi ingiustamente dalle loro sedi. «Allora il Vescovo Romano» (che era il nostro predecessore Giulio), «dopo aver conosciuto le cause dei singoli e averli trovati tutti credenti nella dottrina della fede nicena, li accolse nella comunione. E poiché per la dignità della sede spettava solo a lui la cura di tutti, restituì a ciascuno la sua chiesa. Scrisse anche ai Vescovi orientali, rimproverandoli perché nelle cause sopra ricordate non avevano giudicato rettamente e turbavano lo stato delle chiese». Anche all’inizio del V secolo Giovanni Crisostomo Vescovo di Costantinopoli, di altrettanta chiarissima fama, che nel sinodo di Calcedonia [tenuto nell’agosto del 403 da alcuni vescovi] in località La Quercia era stato condannato con sommo oltraggio, fece ricorso lui pure per mezzo di lettere e di messaggeri a questa Sede Apostolica e fu dichiarato innocente dal nostro predecessore sant’Innocenzo I.Della venerazione che i vostri avi ebbero per l’autorità dei Pontefici Romani resta un esempio insigne nel sinodo di Calcedonia del 451. Infatti i Vescovi, che erano convenuti lì in numero di circa seicento, e provenivano quasi tutti (con poche eccezioni) dall’Oriente, dopo che fu letta ad alta voce nella seconda sessione del Concilio la lettera del Romano Pontefice s. Leone Magno, esclamarono: «Così ha parlato Pietro per bocca di Leone». Subito dopo, portato a termine quel sinodo sotto la guida dei legati pontifici, gli stessi Padri conciliari nella relazione mandata a Leone sui lavori svolti affermarono che lui tramite i legati già ricordati aveva presieduto l’assemblea dei Vescovi «così come il capo presiede le membra». D’altronde non solo dagli atti del concilio di Calcedonia, ma anche dalla storia degli altri antichi sinodi orientali sarebbe possibile produrre altri numerosi documenti, dai quali risulta che i Pontefici Romani ebbero il primo posto principalmente nei sinodi ecumenici, e che la loro autorità era invocata sia prima della celebrazione dei Concili, sia inoltre al momento della conclusione. E anche al di fuori dell’argomento dei Concili, potremmo addurre moltissimi altri scritti e fatti di Padri e di antichi orientali dai quali pure si evince con chiarezza che la suprema autorità dei Romani Pontefici ebbe vigore sempre presso i vostri avi nell’intero Oriente. Ma poiché sarebbe troppo lungo considerare qui tutti quegli esempi, e quello che abbiamo già riferito è sufficiente per dimostrare la verità dell’assunto, ricorderemo soltanto, a questo punto, a guisa di Coronide, come si comportarono in età antichissima, proprio al tempo stesso degli Apostoli, i fedeli di Corinto nelle discordie dalle quali la loro chiesa era stata turbata in modo molto grave. I corinzi appunto con lettere portate da Fortunato, venuto qui a questo scopo, presentarono quelle loro discordie a s. Clemente, il quale pochi anni dopo la morte di Pietro era stato fatto Pontefice della Chiesa di Roma. Allora Clemente, ponderata con attenzione la cosa, rispose per mezzo dello stesso Fortunato e dei suoi addetti e messaggeri Claudio Efebo e Valerio Vitone: da loro fu portata a Corinto quella celebratissima epistola del santo pontefice e della Chiesa Romana, che fu tenuta in tanta considerazione sia presso gli stessi corinzi sia presso gli altri orientali da essere letta pubblicamente in parecchie chiese anche in epoca successiva. Conformemente a questi esempi, vi esortiamo e vi supplichiamo a ritornare senza ulteriore indugio nella comunione di questa santa Sede di Pietro, nella quale è il fondamento della vera Chiesa di Cristo, come dimostrano sia la tradizione dei vostri avi e degli altri antichi Padri, sia le parole di Cristo Signore riportate nei santi Vangeli, che abbiamo ricordato prima. E non potrà mai accadere che siano nella comunione della Chiesa una, santa, cattolica e apostolica quelli che abbiano voluto restare lontani dalla solidità della pietra, sopra la quale la Chiesa stessa fu edificata per volere di Dio. In più, non c’è davvero nessuna ragione per la quale possiate sottrarvi a questo ritorno alla vera Chiesa e alla comunione con questa Santa Sede. Sapete infatti che nei doveri inerenti alla professione della fede in Dio non c’è niente di così gravoso che non debba essere sopportato per la gloria di Cristo e per il premio della vita eterna. In verità, per quanto ci riguarda, attestiamo e garantiamo che nulla Ci sta più a cuore che, lungi dall’affliggervi con qualche imposizione che possa sembrare troppo dura, accogliervi invece, secondo l’uso costante di questa Santa Sede, con molto affetto e con benevolenza davvero paterna. Pertanto non vi imponiamo altri oneri fuorché questi necessari: che dopo essere ritornati all’unità, consentiate con noi nella professione della vera fede custodita e insegnata dalla Chiesa Cattolica e conserviate la comunione con la Chiesa stessa e con questa suprema Sede di Pietro. Conseguentemente, per ciò che attiene ai vostri sacri riti, sarà da respingere solo quanto vi si sia insinuato nei tempi della separazione, in contrasto con la stessa fede e unità cattolica: eccetto questo, conserverete perfettamente integre le vostre liturgie orientali; abbiamo già espresso nella prima parte di questa lettera l’apprezzamento di cui esse godettero presso i nostri predecessori e la grandissima stima che Noi ugualmente nutriamo per la loro venerabile antichità e per le cerimonie adatte ad alimentare la pietà. Inoltre siamo risoluti a tenere nei confronti dei sacri ministri, sacerdoti e presuli, che da queste nazioni tornino all’unità cattolica, lo stesso comportamento dei Nostri predecessori, sia quelli più vicini nel tempo, sia quelli vissuti in età più lontane: a mantenere cioè a quelli, inalterati, gradi e cariche e quindi ad avvalerci della loro opera non meno di quella del resto del clero cattolico orientale per conservare e diffondere il culto della Religione Cattolica fra i loro connazionali. Infine accoglieremo sia loro sia i laici che torneranno nella nostra comunione con lo stesso affetto riservato agli altri Cattolici d’oriente; anzi Ci sarà caro adoperarci in ogni modo per renderci benemeriti ogni giorno di più degli uni così come degli altri. Voglia Dio clementissimo degnarsi di dare a questo Nostro discorso la voce della virtù; benedire lo zelo dei Nostri fratelli e figli, che insieme con Noi si danno pena della salvezza delle vostre anime; allietare la Nostra umiltà col conforto di vedere ripristinata l’unità cattolica fra i Cristiani d’Oriente e di avere nell’unità stessa il sostegno per diffondere sempre di più la vera fede di Cristo tra i popoli che gli sono ancora lontani. Noi certamente non desistiamo dall’implorare ciò in ogni Nostra preghiera e supplica da Dio, Padre dei lumi e delle misericordie, per mezzo del suo Unigenito, il nostro Redentore; e di invocare al medesimo scopo il patrocinio della beatissima Vergine Madre di Dio, e dei santi Apostoli, Martiri, Padri dai quali con la predicazione, il sangue, le virtù e gli scritti fu diffusa ai primordi nell’Oriente, e poi conservata, la vera religione di Cristo. Mentre attendiamo con vivo desiderio di congratularci per il vostro tanto atteso ritorno nel seno della Chiesa Cattolica e di benedirvi come Nostri fratelli e figli, salutiamo frattanto tutti i Cattolici, Patriarchi, Primati, Arcivescovi, Vescovi, chierici, laici che si trovano ora in Oriente e nei luoghi ad esso vicini e impartiamo di vivo cuore a tutti loro l’apostolica benedizione.

Roma, presso Santa Maria Maggiore, 6 gennaio 1848, anno II del Nostro pontificato.

PIUS IX

DOMENICA FRA L’ASCENSIONE (2020)

DOMENICA FRA L’ASCENSIONE (2020)

Semidoppio. • Paramenti bianchi.

Noi celebreremo l’Ascensione del Signore rettamente, fedelmente, devotamente, santamente, piamente, se, come dice S. Agostino, ascenderemo con Lui e terremo in alto i nostri cuori. I nostri pensieri siano lassù dove Egli è, e quaggiù avremo il riposo. Ascendiamo ora con Cristo col cuore e, quando il giorno promesso sarà venuto lo seguiremo anche col corpo. Rammentiamoci però che né l’orgoglio, né l’avarizia, né la lussuria salgono con Cristo; nessun nostro vizio ascenderà con il nostro medico, e perciò se vogliamo andare dietro il medico delle anime nostre, dobbiamo deporre il fardello dei nostri vizi e dei nostri peccati (Mattutino). Questa Domenica ci prepara alla Pentecoste. Prima di salire al cielo Gesù, nell’ultima Cena ci ha promesso di non lasciarci orfani, ma di mandarci il Suo Spirito Consolatore (Vang., All.) affinché in ogni cosa glorifichiamo Dio per Gesù Cristo (Ep.). — Come gli Apostoli riuniti nel Cenacolo, anche noi dobbiamo prepararci, con la preghiera e la carità (Ep.) al santo giorno della Pentecoste, nel quale Gesù, che è il nostro avvocato presso il Padre, ci otterrà da Lui lo Spirito Santo.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XXVI: 7, 8, 9 Exáudi, Dómine, vocem meam, qua clamávi ad te, allelúja: tibi dixit cor meum, quæsívi vultum tuum, vultum tuum, Dómine, requíram: ne avértas fáciem tuam a me, allelúja, allelúja.

[Ascolta, o Signore, la mia voce, con la quale Ti invoco, allelúia: a te parlò il mio cuore: ho cercato la Tua presenza, o Signore, e la cercherò ancora: non nascondermi il Tuo volto, allelúia, allelúia.]

Ps XXVI: 1 Dóminus illuminátio mea et salus mea: quem timébo?

[Il Signore è mia luce e la mia salvezza: di chi avrò timore?].

Exáudi, Dómine, vocem meam, qua clamávi ad te, allelúja: tibi dixit cor meum, quæsívi vultum tuum, vultum tuum, Dómine, requíram: ne avértas fáciem tuam a me, allelúja, allelúja.

[Ascolta, o Signore, la mia voce, con la quale Ti invoco, allelúia: a te parlò il mio cuore: ho cercato la Tua presenza, o Signore,e la cercherò ancora: non nascondermi il Tuo volto, allelúia, allelúia.]

Oratio.

Orémus. – Omnípotens sempitérne Deus: fac nos tibi semper et devótam gérere voluntátem; et majestáti tuæ sincéro corde servíre. [Dio onnipotente ed eterno: fa che la nostra volontà sia sempre devota: e che serviamo la tua Maestà con cuore sincero].

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Petri Apóstoli. 1 Pet IV: 7-11

“Caríssimi: Estóte prudéntes et vigiláte in oratiónibus. Ante ómnia autem mútuam in vobismetípsis caritátem contínuam habéntes: quia cáritas óperit multitúdinem peccatórum. Hospitáles ínvicem sine murmuratióne: unusquísque, sicut accépit grátiam, in altérutrum illam administrántes, sicut boni dispensatóres multifórmis grátiæ Dei. Si quis lóquitur, quasi sermónes Dei: si quis minístrat, tamquam ex virtúte, quam adminístrat Deus: ut in ómnibus honorificétur Deus per Jesum Christum, Dóminum nostrum.”

[Carissimi: Siate prudenti e perseverate nelle preghiere. Innanzi tutto, poi, abbiate fra di voi una mutua e continua carità: poiché la carità copre una moltitudine di peccati. Praticate l’ospitalità gli uni verso gli altri senza mormorare: ognuno metta a servizio altrui il dono che ha ricevuto, come si conviene a buoni dispensatori della multiforme grazia di Dio. Chi parla, lo faccia come fossero parole di Dio: chi esercita un ministero, lo faccia come per virtù comunicata da Dio: affinché in tutto sia onorato Dio per Gesù Cristo nostro Signore.]

OMELIA I

[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia, 1921]

L’Apostolato

Il brano è tolto dalla I lettera di S. Pietro. Passerà il mondo, passerà la vita presente. Presto per noi verrà la fine di tutte le cose e il giorno del giudizio. È necessario che i Cristiani vi si preparino con la prudenza, la vigilanza, la preghiera e, soprattutto, con la carità scambievole. Questa si dimostrerà con l’ospitalità cordiale; — così necessaria in oriente ai tempi di S. Pietro — con il buon uso dei doni spirituali, sia in parole, sia in opere. I Cristiani devono considerare questi doni come ricevuti da Dio per usarne a vantaggio degli altri, e non devono proporsi altro fine che l’onore e la gloria del Signore. Le esortazione di S. Pietro ci suggeriscono di parlare dell’Apostolato.

L’Apostolato:

1. È vario,

2. È doveroso per tutti,

3. È facile per chi cerca la gloria di Dio.

1.

Da buoni amministratori della svariata grazia di Dio, ciascuno metta a servizio degli altri il dono ricevuto. – I doni e i favori che Dio concede ai Cristiani, e peri quali essi possono rendersi utili al prossimo sono vari. Se sono varie le attitudini e i talenti dati da Dio a ciascuno, è chiaro che vario è pure il campo dell’apostolato che ciascuno deve esplicare. Non è necessario che tutti si trovino nelle medesime condizioni e nelle medesime circostanze. Secondo le condizioni di ciascuno, e sempre usando quella discrezione e quella prudenza che sono suggerite dalle varie circostanze, gli uni saranno apostoli nella famiglia, gli altri nella scuola, nei campi, nelle officine, nelle botteghe, nei salotti, negli uffici, nei ritrovi, nei viaggi, ecc.Non è neppure necessario che l’apostolato prenda delle forme appariscenti. Chi ha la dovuta attitudine e preparazione faccia dell’apostolato, osservando le dovute norme, con istruzioni, con conferenze, con manifestazioni grandiose. Chi ha danari faccia dell’apostolato aiutando istituzioni benefiche, istituzioni che curano la formazione cristiana della fanciullezza; sostenga le opere di culto; aiuti la buona stampa, che tanta diffidenza e noncuranza trova anche da parte dei Cattolici, e che pure è tanto necessaria per contrastare alle conseguenze della stampa atea e immorale.Ma si può portare il sassolino all’edificio dell’apostolato, anche con mezzi, all’apparenza, più modesti. Un’affermazione fatta a proposito, un ammonimento dato a tempo opportuno, una verità fatta sentire a chi ne ha bisogno; un rimprovero fatto con carità, un consiglio a uno che non sa decidersi, possono ben spesso ottenere l’effetto di un lungo e dotto discorso. Chi non può sostenere le opere buone con mezzi finanziari, può aiutare i promotori e gli apostoli di queste opere, con parole di approvazione e di incoraggiamento, che tante volte son più necessarie del danaro. C’è, poi, una forma d’apostolato che può dirsi la più necessaria, ed è possibile a tutti indistintamente, l’apostolato della preghiera. Senza la grazia di Dio tutte le nostre opere non approderanno a nulla, come non approdò a nulla, senza la presenza di Gesù, la pescagione fatta dagli Apostoli per un’intera notte. Senza l’aiuto di Dio, alla fine di tutte le nostre fatiche dovremmo confessare, come gli Apostoli: «Abbiam affaticato tutta la notte, e non abbiamo preso niente » (Luc. V, 5). E l’aiuto di Dio si ottiene con la preghiera. A essa tutto è stato promesso:« Tutte le cose che domanderete nella preghiera, abbiate fede di ottenerle, e le otterrete » (Marc. 11, 24), disse Gesù. E anche voi, o vecchi, che non avete più il vigore necessario per le opere materiali, potete essere apostoli con i lumi della vostra esperienza, con l’offerta a Dio delle noie della vita. Voi, infermi, che state inchiodati sul letto, potete essere apostoli, unendo i vostri dolori a quelli di Gesù Cristo in offerta per la salvezza delle anime.

2.

S. Pietro vuole che ciascuno metta a profitto degli altri il dono ricevuto. Se i doni della grazia sono vari, e c’è chi ha ricevuto uno, e chi ha ricevuto cinque, nessuno ne è senza. Perciò sbagliano quei timidi, e quegli amanti del dolce far nulla, che vorrebbero l’apostolato come opera esclusiva dei Sacerdoti e dei religiosi. In guerra ci sono i capi che guidano, e che hanno maggior responsabilità degli altri. Ma tutti, dal comandante in capo all’ultimo soldato, combattono per lo scopo comune, che è la vittoria. Tutti i Cristiani sono soldati che devono combattere per il trionfo del regno di Gesù Cristo. Chi ha una parte principale, chi una parte secondaria, ma l’azione dev’essere comune a tutti. Clero e laicato, uomini e donne, adulti e giovani, padroni e dipendenti, professionisti e operai devono formare una esercito unico, che riconduca Gesù Cristo nella mente e nel cuore della nostra società. Qui la parola, là la penna. Ora il prestigio del proprio nome e della propria condizione; ora il contributo materiale. Quando l’opera privata, e quando l’opera collegata delle associazioni. Che l’Apostolato debba interessare tutti i Cristiani di qualsiasi condizione è cosa chiarissima per se stessa. È possibile che un Cristiano soffra indifferentemente che l’onore di Dio venga offeso, che il nome del Signore sia disconosciuto, magari bestemmiato, che la sua legge sia calpestata?« I miei occhi — dice il salmista, rivolto al Signore — spargono rivi di lagrime, perché non si osserva la tua legge » (Salm. CXVIII, 136).Non piange sulle sventure toccategli, sulle umiliazioni subite, piange perché i nemici non osservano la legge del Signore. Non si può rimanere indifferenti a vedere la rovina delle anime per le quali Gesù Cristo ha versato il suo sangue. Ci commoviamo alla notizia di un terremoto, di un’alluvione, di un incendio, che hanno seppellito e distrutto ricchezze e preziose opere d’arte; tanto più dobbiam commuoverci alla rovina delle anime create da Dio a sua immagine, e rese preziosissime, perché riscattate col prezzo del suo sangue. Le anime fredde provocano il disgusto di Dio. Ma « nulla è più freddo — dice il Crisostomo — d’un Cristiano che non si cura della salvezza delle anime» (In Act. Ap. Hom. 20,  4). Gesù Cristo ci ha detto di chiedere al Padre l’adempimento della sua volontà. È un’invocazione e, nello stesso tempo, un impegno che ci assumiamo di cooperare al trionfo di questa volontà. Ci impegniamo presso Dio a operare per le anime dei nostri fratelli poiché: « Volontà di Lui sopra ogni altra è la salvezza di coloro che ha Adottato » (Tertulliano – De orat. 4).

3.

Anche quelli che sono persuasi di dover essere apostoli, secondo la propria condizione, non trovano mai il momento di cominciare sul serio il loro apostolato. Ora la preoccupazione di non urtare i sentimenti degli altri, ora lo spirito d’inerzia impediscono di mettersi a lavorare davvero e alacremente per la gloria di Dio. Costoro pensano poco alla santità del fine dell’apostolato, quale ci viene descritto da S. Pietro: Se uno esercita un ministero, lo eserciti come usando una forza che vieti da Dio, affinché in ogni cosa sia glorificato Dio per mezzo dì Gesù Cristo Signor nostro. Il Cristiano non deve servire il prossimo per far risaltare il proprio io, per far pompa dei doni che Dio gli ha dato. Egli deve essere apostolo per un fine ben diverso: perché sia glorificato Dio. È un fine che, per chi ama Dio, ha una forza che tutto vince. Quanto più è grande l’amore che si porta a Dio, tanto più ci si sente spinti a operare per il suo onore e per la sua gloria. Dove manca l’amor di Dio si spiegano troppo bene le incertezze, i « se », i « ma », i « poi »,e tutte le tergiversazioni, suggerite dalla paura della fatica e del sacrificio. Amiamo il Signore e la sua gloria e ci sembrerà facile ogni cosa difficile; stimeremo breve tutto ciò che è lungo» (S. Gerolamo. Epist. 22, 40 ad Eust.). Amore non sente peso né fatica. Chi fa le cose per amore non dice mai: adesso basta; ho fatto anche troppo. Facciano gli altri la loro parte, che io ho fatto la mia. – Tra coloro che negli ultimi anni si dedicarono con zelo instancabile alle opere dell’apostolato per trarre anime a Dio, non è ultimo il Servo di Dio, Don Luigi Guanella, Trattato da pazzo, da visionario, sul suo cammino non incontrò che amarezze e avversità. Ma le avversità degli uomini e dei tempi non fiaccarono la tempra di questo apostolo invitto. Un giorno gli si rivolse una domanda, che le circostanze giustificavano: « E se tutto crollasse? E se contro di voi si scatenassero le persecuzioni più violente, e se i vostri preti e le vostre suore vi abbandonassero, che cosa fareste? ». A questa domanda inquietante Don Luigi Guanella rispose con calmo sorriso: Tornerei da capo» (Mons. C. Salotti: Prefaz. al libro – Pietro Alfieri Tognini, Don Luigi Guanella. – Roma 1927). Così son disposti a fare gli uomini, che nel compiere opere di apostolato cercano la gloria di Dio. Cacciati da una porta ritornano per un altra. Fermati da un ostacolo, trovano presto il modo di riprendere il cammino con la stesso alacrità di prima; come la corrente che, urtata e divisa dallo scoglio, tosto lo supera, e continua la sua rapida corsa. Distrutto il frutto delle loro fatiche non posano sfiduciati; ma ritornano al lavoro con la stessa fermezza e con la stessa speranza che sostenevano i primi tentativi. E se dopo anni e anni di lavoro non vedono alcun frutto, se non c’è speranza d’una adeguata corrispondenza? Non sostano ancora, perché sanno di far piacere a Dio. « Negli amici infatti non si richiede l’effetto, ma la volontà » (S. Girol. Epist. 68 ad Castrut.).

Alleluja

Allelúja, allelúja Ps XLVI: 9

V. Regnávit Dóminus super omnes gentes: Deus sedet super sedem sanctam suam. Allelúja.

[Il Signore regna sopra tutte le nazioni: Iddio siede sul suo trono santo. Alleluja.]

Joannes XIV: 18 V. Non vos relínquam órphanos: vado, et vénio ad vos, et gaudébit cor vestrum. Allelúja.

[Non vi lascerò orfani: vado, e ritorno a voi, e il vostro cuore si rallegrerà. Allelúia].

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Joánnem.

Joannes XV: 26-27; XVI: 1-4

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Cum vénerit Paráclitus, quem ego mittam vobis a Patre, Spíritum veritátis, qui a Patre procédit, ille testimónium perhibébit de me: et vos testimónium perhibébitis, quia ab inítio mecum estis. Hæc locútus sum vobis, ut non scandalizémini. Absque synagógis fácient vos: sed venit hora, ut omnis, qui intérficit vos, arbitrétur obséquium se præstáre Deo. Et hæc fácient vobis, quia non novérunt Patrem neque me. Sed hæc locútus sum vobis: ut, cum vénerit hora eórum, reminiscámini, quia ego dixi vobis”.

[In quel tempo: Disse Gesù ai suoi discepoli: Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza; e anche voi mi renderete testimonianza, perché siete stati con me fin dal principio. Vi ho detto queste cose perché non abbiate a scandalizzarvi. Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, verrà l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio. E faranno ciò, perché non hanno conosciuto né il Padre né me. Ma io vi ho detto queste cose perché, quando giungerà la loro ora, ricordiate che ve ne ho parlato.].

OMELIA II

[M. Billot, Discorsi parrocchiali, II ediz. S. Cioffi ed. Napoli, 1840 – impr. ]

Sulle disposizioni per ricevere lo Spirito Santo.

“Cum venerit Paraclitus, quem ego mittam. vobis a Patre, Spiritum veritatis, qui aPatre procedit, ille testimonium perhibebit de me, et vos testimonium perhibebitis quia ab initio mecum estis.”

 Jo. XV.

Perché  non volle Gesù Cristo, il Salvator del mondo, (domanda s. Agostino) far discendere il suo Santo Spirito sopra gli Apostoli se non dopo la sua gloriosa Ascensione al cielo? Ciò fu per far loro conoscere il bisogno che essi ne avevano. Imperciocché, mentre godevano della presenza visibile del loro divin Maestro, il sensibile attaccamento per la sua Persona li occupava in maniera ch’essi nulla pensavano a domandargli questo divino Spirito che doveva loro insegnare ogni verità; ma quando furon separati da Gesù Cristo conobbero allora il sommo bisogno che avevano di riceverlo. Essi dovevano annunziare il Vangelo a tutto il mondo, ed essere perciò esposti all’odio e ai furori degli uomini, soffrire le più atroci persecuzioni, come era loro stato da Gesù Cristo predetto. Qual coraggio, qual forza dunque era loro necessaria per condurre a buon esito una sì grande impresa! Ma Gesù Cristo li aveva più volte incoraggiati con le promesse d’inviar loro il suo Santo Spirito, che insegnerebbe ad essi ogni lingua e darebbe loro coraggio nei combattimenti. – Quando sarà venuto, diceva loro, sopra di voi lo Spirito consolatore ch’Io v’invierò, Egli renderà di me testimonianza, e conoscerete ch’Io non vi ho ingannati, e voi medesimi renderete testimonianza alla gloria del mio nome. Sarete scacciati dalle sinagoghe, e per un falso ragionare si crederanno di dar gloria a Dio nel farvi morire. Tutte queste cose Io vi dico, affinché non restiate scandalizzati e, allorché avverranno, vi ricordiate esservi state da me predette. Erano certi gli Apostoli che le predizioni di Gesù Cristo dovevano adempiersi; e perciò dopo l’Ascensione del loro divin maestro si ritirarono nel cenacolo per domandare il promesso Spirito consolatore; e con sì grande istanza lo domandarono, che finalmente il ricevettero; e sì gran forza loro fu da Lui comunicata che in istato si videro di potere adempiere la loro missione. – Non ai soli Apostoli promise Gesù Cristo il suo Santo Spirito, ma a tutti i fedeli eziandio e a tutti i membri della sua Chiesa: lo comunica insieme con tutti i suoi doni a coloro che sono bene disposti. Preparatevi dunque, fratelli miei, a ricevere questo Spirito consolatore, e a questo fine vi dimostrerò il sommo bisogno che ne avete, primo punto. E le disposizioni che dovete apportare per ricevere un sì gran dono: secondo punto.

I. Punto. Non v’ha alcuno che non desideri nelle sue afflizioni un consolatore, un medico nelle sue malattie e contro i nemici un protettore. Ora questo è ciò che opera lo Spirito Santo in un’anima che ha la bella sorte di riceverlo, e ciò deve farci comprendere il gran bisogno che abbiamo di Lui. Non fa d’uopo, fratelli miei, ch’io qui vi dimostri ciò che una trista esperienza ci fa pur troppo sentire, che la vita dell’uomo è tutta piena di miserie e d’afflizioni e che non v’ha condizione veruna nel mondo che dalle croci sia esente. Altri, dalle malattie, altri dalla perdita dei beni si vedono afflitti; questi abbandonati dagli amici, quelli perseguitati dai nemici; ora ci vediamo rapiti i beni ingiustamente, ora la calunnia ci toglie l’onore. Quante amarezze in casa ci fa soffrire l’indole difficile di coloro con cui dobbiamo convivere, e quante pene di corpo e di spirito per sovvenire ai bisogni della famiglia e per adempiere alle obbligazioni del proprio stato! Ma dove potrà cercarsi sollievo ai mali che ci affliggono? Inutil cosa sarebbe sperarlo dagli uomini; rarissimi sono gli amici che entrino a parte dei nostri affanni. Siccome l’amicizia degli uomini è per l’ordinario interessata, nelle prosperità ci sono d’intorno, ma nelle avversità si allontanano. Se qualche consolatore si trova, sarà piuttosto molesto e incomodo e, somigliante a quegli amici del santo Giobbe, altro non ci darà che compassionevoli parole, senza procurare di recarci sollievo. Voi solo dunque, o divino Spirito, potete essere il vero nostro consolatore: Voi solo potete alleggerire le nostre pene e temperare l’amarezza dei nostri mali. Epperciò noi vi chiamiamo il divino Paraclito, cioè l’unico e vero consolatore: qui diceris Paraclitus; perocché, essendo voi la sorgente di tutti i beni, potete non solamente riparare le nostre perdite, ma far tornare in vantaggio nostro i mali stessi che soffriamo… Imperciocché queste sono, fratelli miei, le due maniere con cui lo Spirito Santo consola un’anima da Lui visitata.. Quest’anima ha ella sofferta qualche perdita? Lo Spirito Santo che la visita la risarcisce del bene ch’ella ha perduto con un altro più prezioso: invece dei beni di fortuna ad essa rapiti, le da i beni della grazia di gran lunga maggiori che tutti quanti i beni del mondo: invece della sanità, che è stata alterata dalle malattie, Egli spande nel cuore di lei una salutevole unzione che raddolcisce i suoi dolori: invece di quell’amico, di quel protettore che l’hanno abbandonata, Egli medesimo è il suo protettore, il suo amico. In una parola, Egli le vale per tutto e la rifà di tutte le sue perdite. In questa maniera lo Spirito Santo, consolò gli Apostoli afflitti per l’assenza del loro divin Maestro: essi provavano una sensibile consolazione quando godevano sulla terra della sua divina presenza, e non poterono tralasciare di fargli conoscere la loro tristezza allorché vicini si videro ad esserne separati, e sentirono infatti dopo questa separazione un amarissimo dispiacere: essi avevano perduto il loro padre, il loro maestro, e si vedevano esposti al furore e alle persecuzioni dei loro nemici. Ma quando lo Spirito Santo scese sopra di loro, li riempì d’ineffabile consolazione, e fece lor sentire con la sua presenza un soavissimo contento, maggiore ancora e più perfetto di quello che avevano provato nell’affetto alla santa umanità di Gesù Cristo. Egli farà lo stesso con voi, o anime afflitte; voi conoscerete dagli effetti della sua visita che era espediente per voi l’essere privati delle sensibili consolazioni che trovavate nelle creature per meritare quelle del divino Spirito, che le supereranno di gran lunga in soavità ed in dolcezza. Farà di più ancora lo Spirito Santo per rendere più abbondante il vostro contento; Egli vi farà ricavare vantaggio da’ mali e dalle pene che soffrite. E in che maniera? Sollevando il vostro cuore e la vostra mente al di sopra dei castighi della natura, vi farà considerare queste pene come mezzi sicuri ed infallibili per procurarvi beni eterni: Egli dirà al vostro cuore che tutte le tribolazioni di questa vita non sono degne di essere messe in confronto con la ricompensa della gloria del cielo, e che un leggiero momento di tribolazioni può condurvi al possedimento d’una eterna felicità: Momentaneum et leve tribulationis nostræ æternum gloriæ pondus operatur in nobis (2 Cor.IV). A questo fine sopporterete non solamente con pazienza, ma con gioia eziandio tutte le afflizioni che Iddio vorrà inviarvi. Voi direte con l’Apostolo che siete ripieni di gaudio nelle vostre tribolazioni: Superabundo gaudio in omni tribulatione nostra ( 2 Cor. VII).Per qual cagione, fratelli miei, si vedono molti oppressi dalle avversità, e ciò non ostante egualmente tranquilli e contenti come se godessero delle dolcezze della prosperità, soffrire con eroica pazienza i dolori delle malattie, il rigore della povertà, gli affronti, i dileggiamenti e ogni sorta d’ingiustizia.Altro non è che l’allegrezza dello Spirito Santo di cui hanno ripieno il cuore, la quale li rende insensibili al dolore e superiori ad ogni disgrazia. Oh quanto è avventurato chi possiede in sé stesso una sì abbondante sorgente di consolazioni, come è lo Spirito Santo! Sta in vostre mani, fratelli miei, il farne esperienza, e troverete inoltre in Lui un possente medico che vi guarirà dalle vostre malattie.Le malattie di cui dobbiamo, fratelli miei, desiderare la guarigione sono i nostri peccati: malattie più funeste e più da temersi di quelle del corpo: imperciocché l’anima infetta dalla malattia del peccato, si trova in uno stato di morte, incapace per conseguenza di produrre alcuna azione di quella vita soprannaturale che ci unisce a Dio e degni ci rende delle sue ricompense. Oh quanto è lagrimevole lo stato di quest’anima! Quanto le è necessario un possente medico per guarirla! Un ammalato può ancora desiderare e chiedere la sua guarigione, ma l’anima morta per il peccato non può nemmeno per se stessa desiderare d’essere risanata né domandare il rimedio ai suoi mali, se lo Spirito, che è il suo medico, non le inspira questi buoni desideri. Imperciocché da noi medesimi, dice l’Apostolo, non siamo valevoli a formare un buon pensiero per la salute; non possiamo pronunziare il nome di Gesù, se non coll’aiuto dello Spirito Santo: Non sumus sufficientes cogitare aliquid a nobis quasi ex nobis (2 Cor. 3). Quanto è grande adunque il bisogno che abbiamo dello Spirito vivificante, affinché ci tragga dallo stato di morte a cui ci ha ridotto il peccato, e col soffio salutevole ci renda la vita che abbiamo perduta. Ed ecco appunto l’effetto che la sua visita produce in un’anima che ha la bella sorte di riceverlo. Egli incomincia a prevenire quest’anima con una grazia che le fa desiderare la sua conversione, che l’aiuta a cercar rimedio ai suoi mali; equando quell’anima corrisponde fedele alla grazia che la chiama e la previene, allora questo divino Spirito compie l’operach’Egli ha incominciata e infiamma il cuore di lei col fuoco del suo amore, il quale distrugge il regno del peccato, spezza le catene che la rendevano schiava del demonio e le rende la libertà dei figliuoli di Dio. Allo Spirito Santo siamo dunque noi debitori dell’opera della nostra santificazione; imperciocché Egli diffonde, come dice l’Apostolo, nel nostro cuore quella carità soprannaturale, che ci rende amici di Dio ed eredi del suo regno. Egli è vero che Gesù Cristo con i suoi patimenti e con la sua morte ci ha meritata la grazia della riconciliazione col suo eterno Padre e ha sparso il suo sangue sulle nostre piaghe per guarirle, ma egli è lo Spirito Santo quello che ci applica i meriti di Gesù Cristo con la infusione della grazia che ci giustifica; perché essendo questa grazia effetto del puro amore di Dio per gli uomini, lo Spirito Santo, che è per eccellenza l’amor del Padre e del Figliuolo, è il principio di questa grazia, la quale ci purifica dalla macchia del peccato per unirci a Dio col vincolo d’una perfetta carità: Abluti estis, santificati estis in nomine Domini nostri Jesu Christi (1 Cor.VII) E perciò egli è dal Concilio di Trento chiamato remissione de’ nostri peccati, e la santa Chiesa gli dà il titolo di Spirito vivificante, Spiritum vivificantem. – Siete ora persuasi, fratelli miei, del bisogno che avete dello Spirito Santo? Non posso io dirvi, come già disse il profeta Ezechiello alle ossa sparse che gli furono mostrate in una celebre visione, per farle ritornare in vita? Ossa aride, ascoltate la voce del Signore: ecco ch’io vi rendo lo spirito e la vita: Ossa arida, audite verbum Domini: ecce intromittam in vos Spiritum, et vivetis (Ezech. XXXII). Voi rassomigliate, o peccatori, a queste ossa sparse che non avevano alcun principio di vita: il peccato ha fatto in voi ciò che fa la morte nel corpo ch’ella spoglia della carne e lo riduce in fracidume, e del quale non rimangono dopo qualche tempo che alcuni avanzi inanimati. Il peccato vi ha spogliati della vita della grazia e di tutti gli ornamenti con cui Iddio aveva adornata l’Anima vostra: voi siete rinchiusi in un sepolcro come miserabili avanzi di morte; ascoltate dunque la voce del Signore che vuol richiamarvi a vita e restituirvi nel pristino stato dal quale eravate decaduti: audite verbum, Domini etc, uscite dal sepolcro, o peccatori, o voi che dormite in seno alla morte: Exurge, qui dormis, et exurge a mortuis. Ma invano io indirizzo le mie parole a questi morti per farli uscire dalla tomba, se Voi, o Spirito onnipotente, non li risuscitate e non date loro i primi eccitamenti, affinché possano ritornare in vita. Fate sentire a questi morti il vostro soffio salutevole che li rianimerà: Insuffla super interfectos istos, et reviviscent (Ezech. XXXVII). Illuminate questi ciechi che chiudono gli occhi alla luce, toccate questi cuori duri e insensibili alle vostre chiamate: imperciocché dalle più dure pietre voi potete trarne figliuoli d’Abramo, e dai più grandi peccatori farne i più gran santi. Piaccia al Signore Iddio, o fratelli miei, che le mie preghiere siano ascoltate e che io veda rinnovellato quel prodigio che operò già Dio per mezzo del profeta, allorché le ossa sparse si riunirono e si rianimarono a nuova vita. – Se voi corrisponderete alla grazia dello Spirito Santo che vi chiama, Egli vi darà la vita, anzi egli sarà la vita dell’anima vostra e il principio di tutti i vostri movimenti, in quella guisa che l’anima vostra è principio di tutti i movimenti del vostro corpo; Egli penserà in voi, parlerà, opererà in voi e imprimerà in tutte le vostre parole, pensieri e azioni un carattere di santità che sarà per voi una caparra dell’eterna vita: Unxit nos Deus et signavit nos et dedit pignus spiritus in cordibus nostris (2 Cor. 1). Se voi temete che i nemici della vostra salute vi rapiscano il prezioso tesoro della grazia di cui vi arricchirà, Egli sarà il vostro protettore per difendervi contro tutti gli assalti: ed è questo un benefizio che dovete ancora sperare da Lui e che deve farvi conoscere il sommo bisogno che avete della sua presenza. – Ora quanto dovete voi temere questi formidabili nemici, ai  quali lo Spirito Santo avrà ritolte quelle anime che aveva debellate. Il demonio scacciato dalla sua casa, farà ogni sforzo per rientrarvi e s’aggirerà intorno a voi come un leone che rugge per divorarvi: non perdonerà ad artifizio né a stratagemma per ingannarvi, egli si servirà delle vostre passioni e le solleverà contro di voi per farvi cadere nei suoi lacci; da altra parte il mondo vi tormenterà con lo splendor dei suoi beni, con gli allettamenti dei suoi piaceri, col fasto degli onori; sarete astretti a soffrire i dileggiamenti degli empi e dovrete resistere al torrente delle cattive usanze e alle seduzioni dei compagni: in una parola, sarete esposti a tutti i colpi di questi due feroci nemici, ma fatevi coraggio, il divino Spirito che in voi abiterà vi coprirà con l’ombra delle sue ali, sarà Egli stesso la vostra difesa: Scapulis suis obumbrabit tibi, et sub pennis eius sperabis (Psal. XC). Egli farà andare a vuoto tutti i colpi a voi diretti, e non riceverete alcuna ferita: Non accedet ad te malum. Nella stessa guisa che un principe, un conquistatore, il quale si è impadronito d’una città, la fa fortificare, mette opportune sentinelle e tutto dispone per guardarla e non esser sorpreso, così questo divino Spirito vi farà custodire dagli Angeli, anzi vi custodirà Egli medesimo e farà ridondare in vostro vantaggio le tentazioni stesse a cui sarete esposti. Che cosa avrete da temere con un siffatto protettore, che non vi abbandonerà giammai se non è da voi abbandonato? Se voi gli sarete fedeli, Egli vi guiderà di maniera tra gli scogli che vi circondano che arriverete felicemente al porto, ed Ei vi coronerà con la grazia finale, che è un dono speciale che la sua bontà comparte a coloro che ogni cura pongono a conservarlo, procurate dunque di riceverlo, e preparategli una stanza nel vostro cuore. Voi conoscete ora il bisogno che avete di riceverlo, ma che cosa dovete fare per meritare questa grazia?

II. Punto. Io non posso, fratelli miei, miglior via additarvi per disporvi a ricevere lo Spirito Santo che quella che han tenuto gli Apostoli. Ora la Scrittura Santa c’insegna che essi, dopo essere stati testimoni della gloriosa Ascensione del loro divin Maestro, si ritirarono nel cenacolo, secondo l’ordine che a loro era stato dato, in cui ritirati passarono dieci giorni nell’esercizio di ferventissima orazione: erant perseverantes unanimiter in oratione (Act. I). Ecco, Cristiani miei, la regola che dovete seguire per prepararvi a ricevere nei vostri cuori lo Spirito Santo. Il ritiro, la preghiera, la purezza dell’anima sono le disposizioni alle grazie che Egli vuol compartirvi. Il ritiro fu sempre stimato il più acconcio per ricevere le comunicazioni dello Spirito Santo; Egli non fa udire la sua voce nello strepito e nel tumulto, ma nella solitudine egli parla al cuore: Ducam eum in solitudinem et loquar ad cor eius (Ose.II). E perciò tante anime devote risolvono di separarsi dal mondo e vanno a seppellirsi in luoghi impenetrabili agli oggetti creati, ed altra cura non hanno che di parlare con Dio e pensare alla propria salute. Io so, fratelli miei, che non tutti sono chiamati a questo genere di vita, che è pure il più sicuro e il più perfetto. Iddio ha stabilite diverse condizioni nel mondo; nelle quali chi si trova impegnato può tuttavia operare la sua salute e sperar di giungere al regno dei cieli. Ma benché si viva in mezzo al mondo, si può di tempo in tempo dare qualche giorno al ritiro, come si pratica da’ molti Cristiani che hanno zelo per la loro salute, i quali depongono per qualche tempo ogni pensiero di affanni temporali per pensare all’eternità. – Se le occupazioni del vostro stato non vi permettono di seguitar questo esempio, o se non ne avete il comodo almeno dovete farvi un ritiro interiore, che sciolga il vostro cuore e la vostra mente dall’eccessiva premura che avete per gli affari del mondo e vi renda applicati all’affare della salute, che merita tutta la vostra attenzione: ogni Cristiano è obbligato a questo ritiro, cioè ad un raccoglimento delle potenze dell’anima, che la faccia rientrare in sé  stessa, per far serie considerazioni sul suo ultimo fine e sui mezzi di ottenerlo; ecco ciò che lo Spirito Santo esige assolutamente da un’anima alla quale Egli vuole comunicare sé stesso. In pericolo ciò che invano sperate, fratelli miei, di ricevere questo divino Spirito, se vivete in una continua dissipazione, e se la vostra anima s’aggira vagando sopra ogni sorta di oggetti che le stanno intorno, e se di tanto in tanto non si raccoglie in se stessa per trattenersi con Dio e pensare alle cose di Dio. Sin tanto che quest’anima si abbandonerà tutta alle occupazioni d’uno stato, al commercio del mondo, ella sarà sempre ripiena di mille fantasmi, che alcun luogo non lasceranno alle comunicazioni dello Spirito Santo. Conviene dunque purificare la mente e il cuore da tutti quegli oggetti esterni che impediscono di ascoltare la voce del divino Spirito e prendere le massime e i sentimenti dell’uomo interiore, che vive della fede, che cerca il regno di Dio. e la sua giustizia prima d’ogni altra cosa. Ecco, fratelli miei, il ritiro che lo Spirito Santo vi domanda per comunicarsi a voi. Se non vi separate affatto dal mondo, come gli Apostoli (il che non è però assolutamente necessario), dovete almeno separarvi da certe compagnie pericolose, da certi impegni che sono per voi occasione di peccato e che saranno sempre un ostacolo alle grazie dello Spirito Santo finché vi sarete affezionati. Se il vostro stato vi obbliga a star nel inondo, fa d’uopo almeno separarvi dal mondo perverso, il cui spirito, le cui massime sono incompatibili con quelle dello Spirito di Dio. Imperciocché se voi conservate lo spirito del mondo e seguite le sue usanze e le sue massime, voi non riceverete lo Spirito Santo giammai. Ciò sarebbe un volere unire le tenebre colla luce, accordar Gesù Cristo con Belial. Perciocché, lo sapete pure, fratelli miei, quali sono le massime del mondo che si cercano, che si amano nel mondo, i beni, gli onori, i piaceri; ecco gli oggetti delle inclinazioni degli amatori del mondo. Essi sono il soggetto dei loro ragionamenti, il fine delle loro azioni e dei loro pensieri. Ma che v’insegna lo Spirito di Gesù Cristo? Lo staccamento da tutte le cose, l’amore della povertà, delle umiliazioni e dei patimenti: che cosa può ritrovarsi più contraria allo spirito del mondo? E perciò Gesù Cristo ci assicura che il mondo non può ricevere il Santo Spirito: quem mundus non potest accipere (Jo. XIV). – Voi non potete dunque ricevere questo divino Spirito se non rinunciate allo spirito del mondo con un intero distacco dai suoi beni, dai suoi onori e dai suoi piaceri: non potrà giammai lo Spirito di Dio accordarsi con lo spirito mondano, cioè con quello spirito che giudica delle cose secondo il mondo, che regola i suoi desideri, le sue inclinazioni secondo le leggi del mondo, che ha in orrore ciò che il mondo abborrisce, e fa stima di ciò che il mondo ama ed onora. Se questo è lo spirito che vi conduce, non isperate che lo Spirito di Dio venga a fare in voi la sua dimora. Voi dovete ancora, per attirarlo ne’ vostri cuori, aver ricorso alla preghiera, che fu il mezzo di cui si servirono gli Apostoli per ottenerlo. Erant perseverantes etc. Oh! chi potrebbe esprimere l’ardore con cui essi porgevano i loro voti al cielo? Con quanti fervorosi gemiti domandavano questo Spirito consolatore, che doveva risarcirli della perdita del loro divino Maestro! Essi conoscevano il grande bisogno che avevan di Lui e sapevano ch’Egli sarebbe stato loro in luogo di padre, di maestro, di liberatore e di protettore, che li avrebbe illuminati e avrebbe loro data la forza necessaria per pubblicare il Vangelo, cui per comando di Gesù Cristo dovevano annunziare a tutta la terra che li avrebbero incoraggiati contro il furore e le persecuzioni degli uomini; – che senza di Lui non avrebbero mai condotta a fine la grand’opera per cui erano inviati: e perciò lo chiedevano così instantemente e con sì grande perseveranza che per dieci giorni continui non cessarono di pregare sin tanto che non l’ebbero ottenuto. Voi lo chiederete con lo stesso fervore e con la medesima costanza, fratelli miei, se conoscete il bisogno che ne avete. Or non vi ha fatto sentir questo bisogno ciò che vi è stato detto nella prima parte di questa istruzione? Non vi unirete voi dunque con la mente e col cuore ai desideri di quella santa adunanza degli Apostoli e dei discepoli, che pregavano tutti insieme lo Spirito Santo affinché discendesse sopra di loro? Se voi pregherete come essi, parimenti l’otterrete. E tanto più siete sicuri di ottenerlo perché, chiedendo a Dio il suo Santo Spirito, voi chiedete una cosa degna di Lui e a voi necessaria. Se domandaste beni ovvero onori del mondo, forse Iddio non vi esaudirebbe perché potrebbero forse essere ostacoli alla vostra salute. Ma lo Spirito Santo è un bene assolutamente necessario all’uomo, perché nulla può senza di Lui, ed ha bisogno delle sue ispirazioni per essere illuminato, della sua forza per essere fortificato e della sua grazia per operare la propria salute. Or se voi altri, quantunque malvagi, dice Gesù Cristo, non potete negare ai vostri figliuoli il pane che è lor necessario per vivere, con quanta maggior ragione il Padre celeste, che è tutto bontà per voi, vi darà il suo Santo Spirito, il quale deve essere vostro sostegno, vostra forza, vostro cibo e vostra vita? Si vos cum sitis mali, nostis bona data dare filìis vestris; quanto magis Pater vester de cœlo dabit spiritum bonum petentibus se (Luc. XI)? Ma non vi contentate d’indirizzare al cielo qualche voto passeggero, alcune preghiere d’un momento; perseverate sull’ esempio degli Apostoli nel santo esercizio della preghiera per chiedergli il suo divino Spirito, servendovi di quella che dalla Chiesa ci viene insegnata: Venite, o Santo Spirito, a riempiere i cuori dei vostri fedeli e ad infiammarli del fuoco del vostro divino amore: Veni, Sancte Spiritus. Recitate a questo fine sette volte il Pater e l’Ave per domandare i sette doni dello Spirito Santo. Ma invano, fratelli miei, voi preghereste lo Spirito Santo a venire a far dimora in voi, se voi non purificate il vostro cuore da tutto ciò che può essere di ostacolo alle grazie ch’Egli vuole compartirvi. – Ora quale è questo grande ostacolo alle grazie dello Spirito Santo? Voi lo sapete, egli è il peccato, suo mortale nemico. Sin tanto che regna in un’anima il peccato, ella non può essere la dimora dello Spirito Santo. Imperciocché come mai lo Spirito Santo, che è sì amico dell’umiltà, potrebbe abitare in un cuore gonfio d’orgoglio? Questo Spirito di carità come potrebbe alloggiare in un cuore divorato dall’invidia? Come mai questo spirito di pace e di mansuetudine, che comparve al battesimo del nostro Redentore sotto la figura d’una colomba, per farci conoscere ch’è nemico d’ogni fiele, potrebbe accordarsi con l’amarezza d’un cuor vendicativo? Come mai questo spirito di purità che non ama stare fuorché tra i gigli, potrebbe stare in un cuor voluttuoso e sensuale? No, dice il Signore, il mio Spirito non dimorerà con l’uomo sensuale: Non permanebit spiritus meus in homine; quia caro est (Gen. VI). Questo Spirito è lo sposo delle anime caste, e l’orrore che egli ha pel vizio opposto alla purità fa che non può in guisa alcuna comunicarsi ad un’anima che ne è infetta. Invece di compartirle i suoi favori, serba per essa soltanto i tesori del suo sdegno. Sappiate, dice l’Apostolo, che nel Battesimo i vostri corpi sono divenuti il tempio dello Spirito Santo; ora se alcuno profana questi templi con peccati vergognosi e brutali, Iddio lo perderà, dice lo stesso Apostolo: Si quis violaverit templum Domini, disperdet illum Dominus (1 Cor. III). – Riflettete dunque, fratelli miei, qual è quel peccato che vi signoreggia, se è l’orgoglio che vi tiene schiavi, se la collera vi trasporta, l’invidia vi divora, il piacere vi snerva; sbandite senza timore dal vostro cuore sì malvagi ospiti e date luogo allo Spirito Santo, che vuole farvi dimora. Mondatevi da ogni malvagio fermento che vi corrompe il cuore, affinché possiate gustare le dolcezze dello Spirito Santo; abbassate quell’orgoglio coll’umiltà, la carità sottentri all’invidia, scacciate dal vostro cuore quella impura passione, resistete a tutti i movimenti, a tutti ancora i pensieri contrari alla virtù della purità, e lo Spirito Santo farà sua delizia di abitare in voi. In una parola, qualunque peccato voi abbiate commesso, adoperate tutti i mezzi possibili per cancellarli con una penitenza sincera e con una buona confessione, che dovete fare in queste sante vicine feste: anzi non aspettate quel giorno per accostarvi al sacro tribunale, o almeno preparatevi fin da questo momento a render certa la vostra riconciliazione, rinunziare ai cattivi abiti, allontanarvi dalle occasioni, praticare le virtù cristiane. Ma ciò non è tutto ancora. Siccome questo spirito d’amore è uno spirito geloso che non può soffrire che altro affetto abbia parte nel vostro cuore, ma tutto ne vuole per sé il possedimento, fa d’uopo, fratelli miei, distaccarlo da ogni affetto per certi oggetti, i quali, quantunque non peccaminosi, non lascerebbero ciò nulla di meno di mettere ostacolo alle grazie di cui Egli vi vuol ricolmare. Santo pareva pure l’affetto che avevano gli Apostoli per la persona di Gesù Cristo; eppure questo divin maestro loro dice che era espediente ch’Egli si separasse da loro perché se egli non se ne fosse dipartito, non sarebbe su loro venuto lo Spirito Santo. E perché ciò? domanda qui sant’Agostino. Perché gli Apostoli, essendo troppo sensibilmente affezionati alla presenza di Gesù Cristo, non erano in istato di ricevere le comunicazioni del Santo Spirito; era d’uopo che si fossero privati della dolcezza di questa presenza visibile, affinché una maggior dolcezza ricever potessero dalla presenza invisibile dello Spirito Santo che doveva in loro fare la sua dimora. – Ora se a tal segno giungere doveva lo staccamento degli Apostoli per ricevere la pienezza dei doni dello Spirito Santo, con quanta maggior ragione dovete voi rinunciare ad ogni inclinazione per certi oggetti che potrebbero essere d’inciampo alla vostra virtù! Togliete dunque affatto dal cuore tutte le affezioni terrene; quanto più il cuor sarà vuoto di tali affezioni; tanto più sarà atto ad essere ricolmato delle dolcezze, delle inclinazioni e delle grazie dello Spirito Santo. Pregatelo che giustifichi Egli stesso il vostro cuore, che spezzi e consumi col suo celeste fuoco le catene che vi tengono avvinti alle creature e che prepari egli stesso la sua dimora nel vostro cuore, affinché vi abiti nel tempo e nell’eternità. Cosi sia.

Credo …

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Offertorium

Orémus

Ps XLVI:6. Ascéndit Deus in jubilatióne, et Dóminus in voce tubæ, allelúja.

 Secreta

Sacrifícia nos, Dómine, immaculáta puríficent: et méntibus nostris supérnæ grátiæ dent vigórem. [Queste offerte immacolate, o Signore, ci purífichino, e conferiscano alle nostre ànime il vigore della grazia celeste].

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/comunione-spirituale/

Communio

Joannes. XVII: 12-13; 15 Pater, cum essem cum eis, ego servábam eos, quos dedísti mihi, allelúja: nunc autem ad te vénio: non rogo, ut tollas eos de mundo, sed ut serves eos a malo, allelúja, allelúja.

[Padre, quand’ero con loro ho custodito quelli che mi hai affidati, allelúia: ma ora vengo a Te: non Ti chiedo di toglierli dal mondo, ma di preservarli dal male, allelúia, allelúia.]

Postcommunio.

Orémus.

Repléti, Dómine, munéribus sacris: da, quæsumus; ut in gratiárum semper actióne maneámus.

[Nutriti dei tuoi sacri doni, concedici, o Signore, Te ne preghiamo: di ringraziartene sempre.]

Ultimo Vangelo e Preghiere leonine

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/

https://www.exsurgatdeus.org/2018/09/13/ringraziamento-dopo-la-comunione-1/

https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/

https://www.exsurgatdeus.org/2020/04/13/tutta-la-messa-cattolica-momento-per-momento-1/

LO SCUDO DELLA FEDE (113)

1Paolo SEGNERI S. J.:

L’INCREDULO SENZA SCUSA

Tipogr. e libr. Salesiana, TORINO, 1884

PARTE PRIMA

CAPO XXIII.

Se l’astrologia vaglia punto ad invalidare la provvidenza.

I. E comune a tutti i ribelli il riconoscere ogni padrone più volentieri, che il proprio: onde a gittar questo dal soglio, non temerebbero di sostituirvi un Nerone. Mirate dunque se gli ateisti sono ribelli solenni. Purché Dio non sia quegli che li governi con la sua provvidenza da uomini ragionevoli, giungono a sognar sino un fato là su le stelle, che li governi da bruti.

II. E vero che non tutti procedono ad egual passo: mentre alcuni, più cauti nel favellare, se non più religiosi nel credere, protestano di non assegnare ai pianeti la parte di padroni nel gran teatro delle umane vicende, ma di messaggi. Contuttociò questi ancora, benché men empi, non però meno vani, conviene avvolgere in un’istessa rovina, precipitandoli per mano della ragione giù da quel cielo che essi con le lor predizioni infamano tanto, quanto i poeti lo infamarono con le loro insanie.

III. Conosco bene a qual cimento io mi esponga, pigliandola a viso aperto con un tal genere di persone ingannevoli, e pur amata: Genus hominum sperantibus fallax, quod semper vetabitur, semper et retinebitur (Tac. hist.1. 1). E l’ingegno umano sì avido di antivedereil futuro, che non si vergognò ne’ secolipiù vetusti di mendicarne gli annunzi da ridicolissime osservazioni: tanto che il garrirdegli uccelli, il tripudiar de’ polli, il trapassarde’ porci, ed altri sì vani auguri, valevan piùin una Roma ad accelerare le determinazioni o a sospenderle, di quello che valessero i voti de’ senatori. Ed oggi non ha tra noi chi tien per infausto l’inciampar su l’uscio di casa, l’abbattersi in un tal cane, l’ascoltare una tal civetta, o l’essere in un tal ruolo di convitati? Non è meraviglia però se riesca agli astrologi di ottenere dal commercio con gli astri, da lor vantato, quella credulità che ottenevano già gli aruspici dal budellame dei montoni, o dei manzi, da loro aperti a tal fine; e quella che più vecchierelle ottengono anche oggi per via di superstizioni più fievoli e più fallite, che vanno in volta. Tanto più che gli astrologi, a vantaggiare il loro partito, si travestono da politici, e promettendo sì al pubblico, sì al privato, con la previsione de mali un prò inesplicabile, qual è quello di ripararli fan sì che il dir loro contra sembri un volere opporsi all’umana felicità: né di ciò paghi, abbigliano i loro pronostici di voci sì pregnanti, sì pellegrine, che, benché non intese neppur da essi quando le proferiscono, fanno tuttavia rimanere la gente attonita, quasi perle tratte dagli stipi più ignoti della sapienza.

Oroscopo, mezzo cielo, aspetti, direzioni, dignità, esaltazioni, transiti, triplicità, erezioni, capo di dragone, coda di dragone, combustioni, stelle che veggano, ma non odano, stille che odano, ma non veggano, magne congiunzioni, magne rivoluzioni, case celesti, raggi felici, retrogradazioni funeste, gradi lucidi e tenebrosi, ed altrisì fatti, misteri tutti al dir loro, e pur null’altroin sé che palloni, tanto più vuoti diverità, quanto più gonfi di suono. Difficilissimoè pertanto pigliarsela in poche carte contracostoro, che coi soli vocaboli inauditi fannocorrersi dietro la gente matta.

IV. Mi basta nondimeno, o lettore, che voi siate contento di stare in bilico, senza declinar con l’affetto più ad una parte che all’altra; ed io confido nel peso delle ragioni, che in poco d’ora concorrerete voi pure da voi medesimo senza spinta, a dispregiare qual bugiarda una ciurmeria che va fra molti col passaporto di scienza; anzi ad abbominarla qual traditrice, mentre ella invece di giovar mai alla repubblica, come falsamente promette, perturba la repubblica insieme e la religione, porgendo nel latte di una verità immaginaria mille veleni di errori, tanto più nocevoli al mondo, quanto meno sospetti, e più dilettosi.

V. Senonchè prima di passare innanzi, conviene che io mi spieghi bene. E però, siccome io non voglio per mio nimico chi nimico non è della religione, così sappiate come io qui non intendo di uscire in campo contra l’astrologia naturale, che è quella la quale dagli aspetti de’ cieli predice i nuvoli, i nembi, le siccità, e le ricolte, or povere, or piene, agli agricoltori. Questa, a dir giusto, è più congettura, che arte. Perchè qualor vi fossero uomini daddovero intendenti di tali cose, a che prezzo non si torrebbono dai monarchi? Se Filippo II re delle Spagne, quando stava in procinto di porre in mare quella formidabile armata, che egli inviò contra l’Inghilterra, avesse in corte avuto un astrologo, il quale gli presagisse quella furiosa burrasca che gliela mandò tanto male; che non gli avrebbe egli dato di ricompensa? E così quanto pagherebbero i principi d’ogni grado, aver chi loro dinunziasse con sicurezza le carestie, le contagioni, i tremuoti, ed altri infortuni, che preveduti, potrebbero distornarsi opportunamente, o almeno debilitarsi? Eppur vediamo tutto di, che non gli hanno. Adunque è segno che tale scienza non v’è, e se pur v’ è, v’è da scena, non v’è da cattedra. Contuttociò, perché ella non va punto a ferire la provvidenza, non è dovere impiegare gli strali contra una fiera sì dimestica, quando frattanto scappano via le selvagge. Quella che non può soffrirsi è l’audacia de’ genetliaci, i quali non si curando di dar la buona ventura alle campagne, agli alberi, agli animali (da cui non possono cavar nulla di lucro), la danno agli uomini, con predir loro la vita, ora lunga, ora breve, e gli avvenimenti, ora prosperi, ed ora avversi: volendo che, come già gli egiziani aspettavano dal Nilo, e non dal cielo, la loro fertilità; così noi dal cielo, e non dal Fattore del cielo attendiamo la nostra sorte. Intendo io dunque di far vedere che tutta l’arte di questa professione superba è, se ben si rimira, sognar con arte. Ed eccovi su ciò la mia schietta proposizione.

VI. L’astrologia giudiziale è un ritrovamento fondato in aria, senza ragione alcuna, e senza esperienza bastevole a sostenerla. Cominciamo la ragione (L’astrologia giudiziale, od astromanzia, ebbe la sua culla nell’antico Oriente, e viene reputata una corruzione di antichissime dottrine astronomiche, detta per ciò da Keplero una figlia pazza di madre saggia; e la sua pazzia è così universalmente riconosciuta, che non v’ha oggidì uomo di senno, nonché pensatore serio, che la tenga in qualche conto)

SALMI BIBLICI: ” CONFITEMINI, DOMINO … CONFITEMINI ” (CXXXV)

SALMO 135: “CONFITEMINI DOMINO … CONFITEMINI”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS. 

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 135 (136)

Alleluja.

[1] Confitemini Domino,

quoniam bonus, quoniam in æternum misericordia ejus.

[2] Confitemini Deo deorum, quoniam in æternum misericordia ejus.

[3] Confitemini Domino dominorum, quoniam in æternum misericordia ejus.

[4] Qui facit mirabilia magna solus, quoniam in æternum misericordia ejus.

[5] Qui fecit caelos in intellectu, quoniam in æternum misericordia ejus.

[6] Qui firmavit terram super aquas, quoniam in æternum misericordia ejus.

[7] Qui fecit luminaria magna, quoniam in æternum misericordia ejus:

[8] solem in potestatem diei, quoniam in æternum misericordia ejus;

[9] lunam et stellas in potestatem noctis, quoniam in æternum misericordia ejus.

[10] Qui percussit Aegyptum cum primogenitis eorum, quoniam in æternum misericordia ejus.

[11] Qui eduxit Israel de medio eorum, quoniam in æternum misericordia ejus,

[12] in manu potenti et brachio excelso, quoniam in æternum misericordia ejus.

[13] Qui divisit mare Rubrum in divisiones, quoniam in æternum misericordia ejus;

[14] et eduxit Israel per medium ejus, quoniam in æternum misericordia ejus;

[15] et excussit Pharaonem et virtutem ejus in mari Rubro, quoniam in æternum misericordia ejus.

[16] Qui traduxit populum suum per desertum, quoniam in æternum misericordia ejus.

[17] Qui percussit reges magnos, quoniam in æternum misericordia ejus;

[18] et occidit reges fortes, quoniam in æternum misericordia ejus:

[19] Sehon, regem Amorrhaeorum, quoniam in æternum misericordia ejus;

[20] et Og, regem Basan, quoniam in æternum misericordia ejus;

[21] et dedit terram eorum haereditatem, quoniam in æternum misericordia ejus;

[22] hæreditatem Israel, servo suo, quoniam in æternum misericordia ejus.

[23] Quia in humilitate nostra memor fuit nostri, quoniam in æternum misericordia ejus;

[24] et redimit nos ab inimicis nostris, quoniam in æternum misericordia ejus.

[25] Qui dat escam omni carni, quoniam in æternum misericordia ejus.

[26] Confitemini Deo caeli, quoniam in æternum misericordia ejus. Confitemini Domino dominorum, quoniam in æternum misericordia ejus.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXXXV

Invita il profeta, siccome nel Salmo antecedente, a lodare la misericordia di Dio. Ad ogni versetto ripete che la misericordia di Dio è in eterno, a dimostrare che le opere tutte di Dio, in creare, provvedere e redimere sono non per necessità, o per debito, ma unicamente per bontà di Dio, che si effonde e comunica.

Alleluja: lodate Dio.

1. Date lode al Signore, perché egli è buono,

perché la misericordia di lui è in eterno.

2. Date lode al Dio degli dei, perché la misericordia di lui è in eterno.

3. Date lode al Signore dei signori, perché la misericordia di lui è in eterno.

4. Il quale solo fa grandi meraviglie, perché la misericordia di lui è in eterno.

5. Il quale con sapienza creò i cieli, perché la misericordia di lui è in eterno.

6. Il quale posò la terra sopra le acque, perché la misericordia di lui è in eterno.

7. Il quale fece i grandi luminari, perché la misericordia di lui è in eterno.

8. Il sole per presedere al giorno, perché la misericordia di lui è in eterno.

9. La luna e le stelle per preseder alla notte, perché la misericordia di lui è in eterno.

10. Il quale percosse l’Egitto co’ suoi primogeniti, perché la misericordia di lui è in eterno.

11. Il quale trasse Israele di mezzo all’Egitto, perché la misericordia di lui è in eterno.

12. Con mano possente e con braccio alzato, perché la misericordia di lui è in eterno.

13. Il quale divise in parti il mar Rosso, perché la misericordia di lui è in eterno.

14. E pel mezzo di esso condusse Israele, perché la misericordia di lui è in eterno.

15. E precipitò Faraone e l’esercito di lui nel mar Rosso, perché la misericordia di lui è in eterno.

16. Il quale fe’ passare il suo popolo pel deserto, perché la misericordia di lui è in eterno.

17. Il quale percosse dei re grandi, perché la misericordia di lui è in eterno.

18. E uccise de’ re forti, perché la misericordia di lui è in eterno.

19. Sehon re degli Amorrei, perché la misericordia di lui è in eterno.

20. E Og re di Basan, perché la misericordia di lui è in eterno.

21. E diede la loro terra in retaggio, perché la misericordia di lui è in eterno.

22. In retaggio ad Israele suo popolo, perché la misericordia di lui è in eterno.

23. Perché nella nostra umiliazione si è ricordato di noi, perché la misericordia di lui è in eterno.

24. E ci ha riscattati dai nostri nemici, perché la misericordia di lui è in eterno.

25. Il quale dà il nudrimento ad ogni animale, perché la misericordia di lui è in eterno.

26. Date lode al Dio del cielo, perché la misericordia di lui è in eterno. Date lode al Signore de’ signori, perché la misericordia di lui è in eterno.

Sommario analitico

Questo salmo, che sviluppa un po’ gli stessi pensieri del precedente, è un elogio della misericordia divina. Il salmista esorta il suo popolo a lodare Dio:

 (questo salmo è notevole per il ricorrersi del ritornello: « … perché eterna è la sua misericordia, » che chiude ogni versetto. Questo ritornello è ripetuto come risposta dei leviti o del popolo, come le strofe in risposta alle nostre litanie)

I. Perché in se stesso:

1° Egli è buono (1);

2° Egli è il Dio degli dei (2);

3° Egli è il Signore dei signori ed ha un sovrano controllo su tutto ciò che esiste (3)

II. – Perché nella creazione ha fatto meraviglie:

1° creando i cieli con la sua potenza (5);

2° fondando e stabilendo la terra sopra le acque (6);

3° ponendo nei cieli questi grandi lumi che devono presiedere al giorno ed alla notte (7-9)

III. – Perché nel governo del suo popolo:

1° in Egitto, Egli ha devastato questa regione, ne fatti morire tutti i primogeniti, e ne ha fatto uscire il suo popolo (10-12);

2° nel mar Rosso, ha diviso le sue acque che hanno liberato un passaggio agli Israeliti ed inghiottito gli egiziani (13, 14):

3° nel viaggio attraverso il deserto, Egli ha condotto il suo popolo e sconfitto re potenti che tentavano di attaccarlo (16-20);

4° nella terra promessa, ha dato un’eredità al suo popolo (21 22).

IV. Nella liberazione della cattività di Babilonia:

1° Egli è venuto in soccorso di coloro che erano nell’afflizione;

2° li ha liberati dai loro oppressori (23, 24);

3° li ha nutriti con questa paterna provvidenza, con cui nutre e conserva ogni creatura vivente (25, 26).

Spiegazioni e Considerazioni

I . — 1-4

 .

ff. 1-3. –  « … Perché eterna è la sua misericordia; » vale a dire che in Dio non si vede l’oblio seguire il beneficio, l’indifferenza alla misericordia, come succede troppo spesso tra gli uomini, che le passioni dominano, la loro condizione incatena, il loro stato di dipendenza arresta, e ai quali gli avvenimenti non permettono di agire come vorrebbero. Tale non è la condotta di Dio: Egli non interrompe mai il corso della sua misericordia, mai cessa di esercitarla, con mezzi variati all’infinito. La durata della sua misericordia non è limitata a dieci, venti, cento, duecento, mille anni; essa è uguale alla durata dell’esistenza dell’uomo sulla terra, si estende al tempo ed all’eternità. (S. Chrys.). – Dio è non solo elevato al di sopra di tutti i falsi dei del paganesimo, ma ancora è il loro Dio, il Dio di tutti coloro ai quali la Scrittura dà il nome di dei, come ai principi, ai giudici, ai magistrati. – Lodare Dio come il Signore dei signori, significa dare nel proprio cuore una vera preferenza al di sopra di tutto (Duguet).

II. – 5-9.

ff. 5 – 9. – Il Profetaprova ora ciò che andava dicendo, che Dio è il Padrone ed il Signore degli dei, e dimostra questa verità come già aveva fatto, con gli oggetti della sua potenza. Ora, egli non dice “che ha fatto”, ma «che fa », perché Dio non cessa di spandere le sue grazie ed operare i prodigi che sorpassano l’intelligenza umana. Egli fa soprattutto risaltare queste due caratteristiche dell’operazione divina: Dio agisce da solo, o piuttosto dà quattro caratteri della sua superiorità: Dio agisce, opera prodigi, questi sono grandi prodigi, ed Egli è solo ad operarli (S. Chrys.). – « Che fa solo i prodigi più grandi. » Vi sono certe meraviglie che Dio ha fatto da solo, ed il salmo le indica; vi sono altri miracoli che egli va ad enumerare, ma che il Signore ha fatto con l’intermediazione degli uomini. (S. Agost.). – Il cielo visibile non è il solo che Dio ha fatto, Egli ne ha creato un altro per insegnarci, dall’inizio del mondo, che Egli non ci avrebbe lasciato sulla terra, ma che ci avrebbe trasportato in questo altro cielo a cui ci destina. (S. Chrys.). – Egli ha dunque fatto i cieli con la sua sapienza e con la sua bontà, con l’atto della sua intelligenza e della sua volontà, che sono come le sue due mani, senza materia preesistente, senza strumenti, senza soccorso di nessuno. – La terra è stata raffermata al di sopra delle acque, non perché l’acqua sia al di sotto della terra, ma perché la superficie della terra è in gran parte più elevata della superficie dell’acqua, affinché gli uomini e gli animali possano abitarla e vivervi convenientemente. Il sole visibile rischiara gli occhi sani, ed acceca gli occhi malati; il sole invisibile delle nostre anime, Gesù-Cristo, illumina quelle che sono degne di avvicinarsi a Lui, e lascia nell’oscurità quelle dalle quali si ritira, perché esse si sono ritirate da Lui. – La Chiesa, figurata dalla lune, è nella notte, e diviene oscura quando le passioni terrene, o dei suoi figli, o di coloro che la governano, si trovano interposti tra essa e Gesù-Cristo, che è il suo sole. (Duguet.). – Il salmista parrebbe indicare qui la mirabile armonia dei doni variati della grazia che Dio fa agli uomini. « Ad uno, dice l’Apostolo, è dato dallo Spirito, il linguaggio di Sapienza; » ecco cosa figura il sole creato per presiedere al giorno; « ad un altro è stato dato, dal medesimo Spirito, il linguaggio della scienza, » ciò che è figurato dalla luna. Sembra far poi allusione alle stelle quando dice: « Agli altri, la fede per mezzo dello stesso Spirito, ad un altro la grazia di guarire dal medesimo Spirito; ad un altro la virtù di operare miracoli; ad un altro il discernimento degli spiriti; ad un altro l’interpretazione dei discorsi. » (I Cor. XIII; 8-40).Non c’è in effetti una sola delle sue grazie che non sia necessaria nella notte di questo mondo. (S. Agost.).

III. — 10-22.

ff. 10-22. – Questi miracoli operati in Egitto sono la figura di miracoli non meno reali e ben più elevati che Dio opera tutti i giorni nella Chiesa. – Egli colpisce il mondo, così come le cose reputate più preziose nel mondo. – Egli trae i suoi santi ed i suoi fedeli da mezzo i malvagi, « con mano potente e braccio levato.» Egli divide il mar Rosso, di modo che un solo e medesimo Battesimo è per gli uni causa di vita, e per gli altri causa di morte. – Egli fa passare il suo nuovo popolo in un battesimo di rigenerazione. – Egli distrugge rapidamente e i peccato dei suoi e le conseguenze di questo peccato, mediante il Battesimo. –  Egli ci conduce e ci guida come suo popolo attraverso le secche e le aridità di questo mondo, affinché non vi periamo. – Egli colpisce e distrugge le potenze diaboliche e malefiche (S. Agost.) – I popoli di Chanaan non erano che delle figure imperfette dei nemici della salvezza: essi erano uomini possenti, orgogliosi, dediti a tutti i disordini che descrive il libro sacro della Sapienza: « Era questa una razza maledetta dalla sua origine, una nazione perversa ed indurita nel crimine. » Dio attese lungo tempo questi empi, diede presentimenti della sua collera; Egli voleva ricondurli ai principi della saggezza e del vero culto, ma la loro ostinazione fu inflessibile, e le vendette divine si accesero infine contro di essi. (Berthier). – È a giusto titolo che il Profeta ripeta dopo ogni versetto: « … Perché eterna è la sua misericordia; » perché questi prodigi sono una testimonianza evidente di questa provvidenza, la cui azione non si esaurisce mai. Questa provvidenza paterna non si è manifestata solo nei prodigi dell’Egitto e della terra di Chanaan; ogni epoca, ogni periodo della storia dei Giudei (ed ancor più dei Cristiani), ha visto estendersi fino ad essa gli effetti sensibili della bontà divina (S. Chrys.).

IV. 23 – 26.

ff. 23 – 26. — « Egli ci ha liberato dai nostri nemici. » Senza fare una enumerazione dettagliata delle guerre, degli attacchi, delle vittorie del popolo di Dio, il salmista riassume in una sola parola la lunga serie dei loro trionfi. (S. Chrys.). « Egli dà nutrimento ad ogni carne. » Il principio produttore degli alimenti e dei frutti non è dunque né la terra, né le piogge, né l’aria, né il sole, né qualche altro alimento creato, ma è solo a Dio che bisogna rapportarlo. Queste parole esprimono, pertanto, lo stesso pensiero del Salvatore: « … Egli fa sorgere il sole sui buoni e sui malvagi, e piovere sui giusti e sugli ingiusti, » (Matth. V, 45), vale a dire che Egli dà nutrimento non solo agli uomini giusti e virtuosi, ma pure ai peccatori ed agli empi, ed alla natura umana tutta intera. (S, Chrys.). – Cominciamo come questo salmo e finiamo le nostre preghiere con il lodare il Dio del cielo ed il Signore dei signori, principalmente a causa della sua Misericordia eterna, nel suo principio e nei suoi effetti.  

IL CUORE DI GESÙ E LA DIVINIZZAZIONE DEL CRISTIANO (8)

H. Ramière: S. J.

Il cuore di Gesù e la divinizzazione del Cristiano (8)

[chez le Directeur du Messager du Coeur de Jesus, Tolosa 1891]

SECONDA PARTE

MEZZI GENERALI DELLA NOSTRA DIVINIZZAZIONE

Capitolo VIII

COME LO SPIRITO SANTO OPERA LA NOSTRA DIVINIZZAZIONE

Come si realizzerà questo miracolo?

Come avverrà mai questo miracolo? Tale è il grido che parte dal cuore di Maria alla notizia del grande mistero che deve essere consumato nel suo grembo: la divinizzazione dell’umanità. Come posso essere madre, e Madre del mio Dio, io figlia di Adamo, costretta per voto irrevocabile alla sterilità perpetua? E se quello che nascerà da me è il Figlio di Davide, come può essere allo stesso tempo il Figlio dell’Altissimo? Se davvero possiede la natura umana come può possedere la natura divina? – Anche noi vediamo simili impossibilità quando ci viene annunciato il piano divino, che ci fa partecipare all’Incarnazione del Verbo di Dio. Perché, se proprio non c’è una perfetta somiglianza tra questi due misteri, c’è almeno un’intima analogia, ed entrambi sono superiori alle forze e alle esigenze della nostra natura. Possiamo anche chiedere come l’umile Vergine di Nazareth: Come può accadere questo? Alla nostra domanda, il messaggero dell’amore divino risponderà in un senso diverso, ma con la stessa verità, come l’Arcangelo rispose a Maria: « Lo Spirito Santo scenderà su di voi e la potenza dell’Altissimo vi coprirà con la sua ombra. E così il Santo che nascerà da voi sarà chiamato Figlio di Dio ».

Lo Spirito Santo verrà su di noi.

Lo stesso Spirito che è sceso nel grembo di Maria per prepararla a diventare Madre di Dio, è stato mandato nei nostri cuori per farci rinascere, per farci figli adottivi del Padre Celeste e fratelli e sorelle di Gesù Cristo: « Poiché Dio ha voluto farvi suoi figli – esclama San Paolo – ha mandato nei vostri cuori lo Spirito del Figlio suo, che grida Abba Padre » (Gal. IV, 6). Queste due missioni, diverse nei risultati, sono ugualmente reali, e l’una è il complemento dell’altra. Lo Spirito di Dio è in noi, se abbiamo la felicità di essere in uno stato di grazia, come lo era Maria: come nel grembo di Maria Esso ha formato l’Uomo-Dio, così, unendoci a Gesù Cristo, ci rende uomini divini. A noi resta da capire, per quanto possiamo comprendere, in cosa consista la nostra divinizzazione. – Non è una divinizzazione per pura somiglianza, frutto della perfezione che un uomo può acquisire sviluppando le sue facoltà. Un abile pittore è in grado di riprodurre i lineamenti e l’espressione di un uomo vivo in modo tale che venga riconosciuto e si dica: è lui! Tuttavia, tra l’immagine della vita e la vita stessa c’è un abisso. Così l’uomo può rendere questa immagine sempre più simile, perfezionando la sua intelligenza con la conoscenza della verità, e la sua volontà con l’amore del bene. Alcuni uomini sono saliti a tal punto che sono stati chiamati divini: così si dice ad esempio “il divino Platone”. Nello stesso senso, si dice di un capolavoro d’arte, che è divinamente bello. Essendo Dio il modello sovrano di ogni perfezione, più divine sono le opere della natura e dell’arte, più si avvicinano alla perfezione. – È questa la natura della divinizzazione del Cristiano? Per niente! Supponiamo che l’uomo faccia, per secoli e per tutta l’eternità, un continuo progresso nella perfezione propria della sua natura; che la sua intelligenza penetri sempre più nella conoscenza della verità, e che la sua volontà si elevi altrettanto rapidamente sulla scala della virtù. Quando quest’uomo avesse raggiunto la vetta, sarebbe stato infinitamente al di sotto della perfezione conferita ad un bambino cristiano dal Battesimo. Perché la divinizzazione di quest’uomo sarebbe puramente metaforica, mentre quella del bambino cristiano è reale. – Quello che diciamo della natura umana lo possiamo dire anche della natura angelica. Secondo San Tommaso, tra gli spiriti puri ci sono tante specie diverse quante sono gli individui. Non c’è dubbio che le gerarchie celesti siano diverse l’una dall’altra, e che crescano nella perfezione dagli Angeli ai Serafini. – Ebbene, se il più eccellente di questi spiriti puri fosse stato lasciato nella sua condizione naturale, anche se la sua perfezione fosse stata incomparabilmente superiore alla perfezione naturale dell’uomo, sarebbe stato infinitamente inferiore al bambino battezzato. Quest’ultimo infatti è stato veramente elevato dal Battesimo all’ordine divino, che è infinitamente superiore a quello angelico.

La nostra divinizzazione non risultada un semplice contatto della divinità con l’anima.

La nostra divinizzazione non deriva dal semplice contatto della divinità con l’anima. Dobbiamo immaginare la santità dell’anima come il risultato di una sorta di contatto della santità divina? Supponiamo un bicchiere di ferro sporco e ammuffito. Un abile argentiere lo prende, e senza cambiarne la natura, anche senza toglierne la muffa, lo circonda con una placca dorata così ben aderente che assume tutte le forme del vaso e ne nasconde la bruttezza. Siamo santificati e divinizzati in questo modo? – Lutero la pensava così, ma il suo errore è stato anatemizzato dal Concilio di Trento. Secondo l’eretico, il peccatore può essere giustificato senza essere liberato dalla sua sporcizia e senza liberarsi del suo attaccamento al peccato: basterebbe che la giustizia di Gesù Cristo sia applicata per fede: da quel momento in poi l’uomo sarebbe giusto a causa di questa giustizia. Ed i suoi peccati quindi, senza essere distrutti, sono coperti. Dio non vede in lui le macchie dell’uomo colpevole, ma solo la santità del suo Figlio Divino. Così, per Lutero, Gesù Cristo, invece di distruggere i nostri peccati, non avrebbe fatto altro che nasconderli; invece di divinizzarci realmente, avrebbe coperto le nostre miserie con il mantello della sua divinità. Il Concilio di Trento ha definito che l’uomo peccatore riceve per la sua giustificazione una giustizia propria che, in luogo degli affetti colpevoli da cui lo libera, conferisce al suo cuore la carità divina e tutte le altre virtù soprannaturali. È di fede che l’uomo non è giustificato e divinizzato per il solo fatto di avere nel cuore la grazia e la carità increata, che è lo Spirito Santo. Affinché la nostra santificazione sia reale, deve essere posseduta da noi la santità; che le virtù naturali, che possiamo acquisire con il buon uso della nostra libertà, ci appartengono così come ci appartengono. La divinizzazione del Cristiano non deriva quindi dal contatto della divinità con l’anima, né dalla semplice somiglianza tra essa e la divinità. Le due spiegazioni peccano per difetto: la prima non attribuisce all’anima nulla di veramente divino; la seconda, avvicinando la divinità a noi, la lascia fuori di noi. Né l’uno né l’altro modo ci divinizza veramente.

La nostra divinizzazione non è unatransustanziazione, né l’unione divinadegli eutichiani. né l’unione ipostatica.

Per avere una certa idea di questa divinizzazione, dobbiamo concepirla come una sorta di transustanziazione? Siamo cambiati in Dio, o per grazia sulla terra, o per gloria in cielo, come il pane e il vino sono cambiati nel corpo e nel sangue di Gesù Cristo con le parole della consacrazione? – Questo è stato apparentemente insegnato da alcuni falsi mistici del XIII secolo, secondo i quali l’anima che ha raggiunto la perfezione, si spoglia del proprio essere e si immerge nell’oceano dell’Essere divino. Interpretare in questo senso certe metafore dei Santi Padri, è cambiare la più sublime di tutte le verità in un’assurdità. Privarci del nostro essere non sarebbe divinizzarci, ma annientarci. D’altra parte, come può mai la creatura unirsi a Dio in modo tale che il suo essere limitato sia confuso con l’Essere infinito di Dio? Gettiamo allora questa assurdità fuori dalla nostra mente. La nostra divinizzazione non può consistere nella confusione del nostro essere con l’Essere di Dio. Né può consistere in quell’altro tipo di unione divina che alcuni discepoli di Eutiche avevano attribuito all’umanità del Salvatore e che Michele Server, bruciato vivo da Calvino, concedeva a tutte le anime giuste. Secondo questi eretici, la divinità anima e vivifica l’umanità, così come l’anima anima e vivifica il corpo. Così come l’anima e il corpo, sebbene diversi, formano in noi un’unica natura, così la divinità diventerebbe un’unica natura con l’umanità. Questo secondo errore è stato condannato dalla Chiesa, quando ha definito contro gli eutichiani che, anche nell’Uomo-Dio, non ci può essere confusione o mescolanza tra la natura divina e la natura umana. – C’è un terzo tipo di unione che non è impossibile, poiché è stata realizzata in Gesù Cristo, ma a cui gli altri uomini non possono aspirare, poiché è il privilegio esclusivo del Figlio di Dio: è quella per cui la natura umana, pur rimanendo distinta dalla divina, forma con essa una sola Persona. Basti dire che ciò che costituisce la grandezza di Gesù Cristo e che lo eleva, considerato come uomo, al di sopra delle nature create è che, in virtù di quell’unione, Gesù Cristo è vero Dio senza cessare di essere vero uomo. Il suo nome proprio, come abbiamo detto, è quello di Uomo-Dio, mentre il Cristiano è un uomo divinizzato.

Nel mezzo c’è la verità.

Le ultime tre spiegazioni peccano per eccesso, come le prime hanno peccato per difetto. La verità sta tra questi due estremi. Ma chi ce lo mostrerà? Due paragoni, familiari ai santi dottori e riprodotti dai due principali maestri della scuola cattolica: San Tommaso e San Bonaventura, spiegheranno questo dolce mistero. Il primo è preso dalla luce materiale. Due condizioni sono necessarie perché la terra sia illuminata: la prima è che il sole sia all’orizzonte; la seconda che invii i suoi raggi nell’atmosfera. Queste due cose sono diverse. La prova è che in un’eclissi, il sole, è sopra l’orizzonte, eppure siamo circondati dall’oscurità. L’illuminazione della terra richiede come prima condizione la presenza del sole; ma richiede che il sole irradi luce su tutta la natura. Così, secondo san Bonaventura, la giustificazione e la divinizzazione del Cristiano sono il risultato di due tipi di grazia: la grazia increata, lo Spirito Santo, che è come il sole, e la grazia creata che è l’irradiazione di quel sole divino sull’anima giusta. – San Tommaso usa un’altra immagine: quella del ferro fuso nel fuoco: « quel ferro non ha perso la sua natura, esso è ancora ferro, e senza dubbio viene privato delle qualità del ferro per essere rivestito da quelle del fuoco. Invece di essere scuro, freddo, resistente, è diventato duttile, splendente e bruciante come il fuoco. Non si è mutato in fuoco, ma è stata ignificato, bruciato. Così, il Cristiano al quale Dio si dona con la grazia santificante, conserva la sua natura umana e la sua personalità, ma acquisisce la forza e le qualità divine. Non diventa Dio, ma un uomo divino. Questa divinizzazione non è l’effetto di una somiglianza. È il risultato dell’intima unione dell’anima con la divinità, e dell’immediata influenza della divinità sull’anima: « Poiché, come il fuoco ha il potere di ignificare, così nessuna influenza può divinizzare l’anima se non quella della divinità, dando all’anima una partecipazione della sua somiglianza e natura » (I. II. Q. 112, a I). Questi paragoni non dissipano tutte le nebbie del mistero della nostra divinizzazione. Come tutti gli altri misteri, esso si vedrà chiaramente solo in cielo. Ma possiamo farci un’idea della divinità infinita che la grazia ci conferisce. Possiamo determinare il luogo che la nostra unione con Gesù Cristo ci segnala ad una distanza infinita dall’Uomo-Dio, ma ad una distanza altrettanto infinita da tutto ciò che è puramente creato. – Abbiamo trovato il giusto mezzo che cercavamo tra la divinizzazione puramente morale e figurativa, e quello che ci voleva spogli del nostro essere per rivestirci dell’essere di Dio; tra la semplice somiglianza e l’incarnazione. Così l’anima giusta possiede in sé una santità distinta dallo Spirito Santo; ma essa è inseparabile dalla presenza dello Spirito Santo in questa anima ed è quindi infinitamente superiore alla santità più alta che potrebbe essere raggiunta da un’anima in cui lo Spirito Santo non abitasse. Quest’ultima anima non potrebbe che essere divinizzata moralmente dalla somiglianza delle sue disposizioni con quelle di Dio. Il Cristiano, al contrario, è fisicamente e, in un certo senso, sostanzialmente divinizzato; poiché, senza diventare una stessa sostanza e una stessa persona con Dio, egli possiede in sé la sostanza di Dio e riceve la comunicazione della sua vita.

Dottrina di altri santi Dottori.

Abbiamo già visto i Padri cercare nella vera divinizzazione del Cristiano un argomento inconfutabile per dimostrare la divinità dello Spirito Santo, l’Autore di essa. Per corroborarla, essi studiano la natura di questa azione dello Spirito Santo nelle anime e sollevano il velo del grande mistero. Si servono per questo di diversi confronti per chiarire i due punti che abbiamo appena stabilito: l’unione, non solo morale ma anche fisica, dello Spirito Santo con l’anima del Cristiano e la somiglianza divina che ne risulta per l’anima di questa unione. – Ascoltiamo la comparazione proposta da San Basilio e ripresa da San Tommaso: « Come il ferro posto al centro di un braciere non cessa di essere ferro, ma quando viene bruciato e ignificato dalla forza della sua unione con il fuoco, assume il suo colore, la sua virtù e la sua natura: così gli spiriti santificati acquisiscono, mediante la loro unione con lo Spirito Santo per essenza, una santità che penetra nella loro sostanza e diventa la loro seconda natura. La differenza tra loro e lo Spirito Santo è che quest’ultimo è Santo per natura, mentre gli altri sono santi solo attraverso la comunicazione. (S. Basil. L. III, adv. Eunom. Max. MG: 29, 654). E qual è la santità che nello Spirito Santo è per natura e nella nostra anima lo è per comunicazione? È la vita divina – risponde San Basilio – che lo Spirito Santo possiede come sua propria, e che i Cristiani ricevono da Lui: « Perché la vita che lo Spirito Santo riversa nelle anime, distinte da Esso nella sostanza, non si separa da Lui; ma nella stesso modo  che – citando il fuoco che riscalda l’acqua o un altro corpo – lo stesso calore è parte del fuoco e parte dell’acqua, così lo Spirito Santo possiede in sé la vita divina, e chi la riceve giunge, proprio per questo, a questa vita divina e celestiale come conviene agli dei » (Ibid. p. 710). – Sant’Atanasio usa altri due paragoni: quello del balsamo che consacra re e sacerdoti, e quello del sigillo che incide la sua immagine nella cera: « Lo Spirito Santo – egli dice – è il balsamo con cui il Verbo consacra le anime, il sigillo con cui le segna: coloro che hanno ricevuto l’impressione di quel sigillo partecipano alla natura divina, come afferma San Pietro. Siamo fatti, per mezzo dello Spirito, associati di Dio, come ci insegna San Giovanni, da parte sua, quando scrive: “Sappiamo che abitiamo in Dio e Dio in noi, a causa del sigillo che ci ha dato dal suo Spirito.” Ma se la partecipazione dello Spirito Santo ci rende partecipi della natura divina, sarebbe una sciocchezza affermare che lo Spirito Santo non possieda quella natura e che è del numero degli esseri creati. Se ci rende divinità è evidente che la sua natura debba essere la natura di Dio » (S. Atanasio, MG: 26, 530). – San Cirillo di Alessandria ragiona allo stesso modo, e spiega il suo pensiero commentando le parole di San Paolo: “Siete segnati dal sigillo dello Spirito” (Efes. 1, 14). « Se il sigillo dello Spirito Santo ristabilisce la forma divina in noi, come può essere creato se attraverso di Esso, l’immagine dell’essenza increata si imprime nelle nostre anime? Lo Spirito Santo, infatti, non deve essere rappresentato come un pittore che traccia in noi l’immagine dell’essenza divina come qualcosa di diverso da Lui; ma, essendo Dio stesso e procedendo da Dio, Egli si imprime invisibilmente nel cuore di chi lo riceve, come un sigillo si imprime sulla cera; e da questa materia l’immagine di Dio si riforma nella natura umana in quanto entra per partecipare di Dio ». – Possiamo già vedere con quale cura questi santi Dottori distinguano la vera divinizzazione, prodotta nell’anima del Cristiano dalla sua unione fisica con lo Spirito Santo, dalla divinizzazione puramente figurativa che risulta da una semplice conformità di sentimenti. « Non basta – dice san Cirillo – la semplice conformità della nostra volontà con quella di Dio per formare in noi quell’immagine e somiglianza fisica; sono richieste la similitudine di natura e la perfetta conformità che viene dall’essenza stessa di Dio, presente in noi … Per essere veramente conformi a Dio, è necessario che la forma suprema, che è il Verbo di Dio, sia impressa dal suo Spirito sulle nostre anime » (S. Cirillo di Ales.: Dial. V. de Trinitate, MG: 75, 950). Questi sono i tesori che il Figlio di Dio è venuto a portarci e che sono stati la causa delle umiliazioni della sua incarnazione e della sua morte. Ora capiamo che se Dio si fosse fatto uomo e avesse versato il suo sangue per dare agli uomini una perfezione umana, sarebbe stato come abdicare alla sua sapienza, alla sua dignità e alla sua divinità; ma che un Dio si faccia uomo per divinizzare gli uomini, è un piano degno della sua sapienza oltre che del suo amore.

Capitolo IX

LA PARTE SPECIALE DELLO SPIRITO SANTO NELL’OPERA DELLA NOSTRA DIVINIZZAZIONE

Cosa significa che « la nostra santificazione è l’opera dello Spirito Santo »?

Negli insegnamenti della Scrittura e dei Dottori sulla divinizzazione del Cristiano, c’è una formula che si ripete ad ogni passo e che potrebbe essere fraintesa, se non ne determiniamo con precisione il significato: quest’opera infatti è sempre attribuita allo Spirito Santo come sua opera speciale. La tradizione divide, tra le tre Persone della Trinità, le operazioni per mezzo delle quali siamo tratti dal nulla e condotti alla felicità eterna: la Creazione è attribuita al Padre, la Redenzione al Figlio e la Santificazione allo Spirito Santo. Questo significa che la nostra santificazione è veramente opera dello Spirito Santo, o che quest’opera gli si addice? Il lettore comprenderà presto il significato di queste due parole confrontando la parte attribuita allo Spirito Santo con quella delle altre Persone divine. Attribuiamo la Creazione a Dio Padre e la Redenzione a Dio Figlio. La differenza è così grande che chi sostiene che solo il Padre ci abbia creato o che nega che solo il Figlio ci abbia redenti merita di essere condannato come eretico. La fede cristiana ci insegna che l’onnipotenza, come gli altri attributi della divinità, è comune a tutte e tre le Persone. Tutti sono diventati parti uguali della creazione, ma poiché il Padre è in relazione alle altre due Persone della Trinità, il principio della Potenza e dell’Essere, gli attribuiamo soprattutto l’operazione per cui tutta la divinità è per gli esseri creati il principio di esistenza. Così attribuiamo a Dio Padre la Creazione, anche se non è esclusivamente sua. Nella Redenzione, al contrario, la fede ci dice che, se le tre Persone hanno lavorato insieme in quest’opera, creando la natura umana del Salvatore, una sola Persona, quella del Figlio, si è unita a quella natura, comunicandole la sua sussistenza, natura nella quale è nato, ha sofferto ed è morto, e con la sua morte ci ha salvati. Alcuni novatori dei primi secoli avevano negato questa verità. Dall’errata comprensione dell’unità della natura divina deducevano che Dio Padre avesse sofferto come Dio Figlio. Sono stati anatematizzati con il nome di patripasiani. – Cosa dobbiamo pensare allora dell’opera di santificazione? In che senso essa viene attribuita allo Spirito Santo? Deve questa essere paragonata all’opera della Creazione, o deve essere considerata come opera della terza Persona, allo stesso titolo per cui il riscatto è opera della seconda Persona? Non troveremo qui le stesse prove, né nella materia in sé, né nei monumenti della tradizione. Ci sono però cose che tutti ammettono e che non possiamo rifiutare senza separarci dalla fede.

Dottrina da tutti ammessa

Il cardinale Franzelin, nel suo Trattato De Trinitate, riassume in questo modo i punti che non danno adito al minimo dubbio: « la dottrina della Scrittura e dei Padri riguardo all’unione dello Spirito Santo con i giusti, dimostra con evidenza che, per quanto riguarda questa unione e la inabitazione santificante, c’è qualcosa di proprio e di personale dello Spirito Santo. Ma, d’altra parte, questa proprietà dello Spirito Divino non deve in alcun modo compromettere l’unità delle tre Persone nelle loro operazioni e nei loro rapporti con le creature. Alcune spiegazioni ci faranno sentire il senso e la verità di questa doppia affermazione. – Apriamo il Nuovo Testamento. Ovunque è attribuita allo Spirito Santo la stessa funzione: santificare le anime. È vero non di meno che il Padre e il Figlio non sono estranei a quest’opera. Il Sacramento che ci rigenera ci viene conferito a nome delle tre Persone. Tutte e tre vanno all’anima giusta e vi stabiliscono la loro dimora. Non si può negare, tuttavia, che una parte speciale sia costantemente riservata allo Spirito Santo. Come il Figlio di Dio fu inviato dal Padre per salvare il mondo, una volta terminata la sua missione, Egli promette di inviare il suo Spirito per completarla con la santificazione delle anime. Il Paraclito consolerà i discepoli addolorati per la partenza del loro amato Maestro. Egli li istruirà su tutto, ricorderà e farà loro capire ciò che Gesù Cristo ha insegnato loro. Non una volta, ma ben quattro volte, il Salvatore annuncia ai suoi discepoli questa invisibile missione dello Spirito Santo, destinata a succedergli nella sua missione visibile ed a completarla con successo. Infatti deve essere così reale e produrre così tanti frutti che, per goderne appieno, è opportuno che gli Apostoli siano privati delle gioie che danno i rapporti visibili con il loro Maestro. Non è forse questa l’espressione di un ruolo speciale affidato allo Spirito Santo nell’opera di santificazione delle anime? Dieci giorni dopo l’Ascensione del Signore, le promesse fatte agli Apostoli furono visibilmente mantenute. Lo Spirito Santo scende dal cielo sotto forma di lingue di fuoco, e non appena la Sua fiamma tocca la fronte degli Apostoli, questi si trasformano in uomini nuovi. La loro intelligenza è illuminata da luci sconosciute; il loro cuore brucia di ardore che non sarà mai spento. Una volta santificati, essi esercitano immediatamente il potere di santificare gli uomini. È impossibile non vedere in questo un intervento speciale dello Spirito Santo. Allo stesso modo San Paolo lo attribuirà costantemente allo Spirito di Dio. La sua teologia non è altro che la magnifica esposizione dell’unione dello Spirito Divino con l’anima del Cristiano. Ce lo mostra come abitante in essa come nel suo tempio, facendole vivere di una vita divina, le dà la forza di lottare contro le inclinazioni della carne, le comunica una sapienza infinitamente superiore alla sapienza di questo mondo, le ispira i sentimenti di Gesù Cristo, la brucia nelle fiamme della carità divina, prega in lei e le insegna a invocare Dio con amore filiale, deposita in lei il seme della vita eterna ed è per essa il pegno della felicità divina.

La Scrittura e la dottrina comune sono conformi alla tradizione.

Tutto ciò è ammesso dalla Tradizione e dalla Sacra Scrittura. Il nome stesso dello Spirito Santo, che la Chiesa ha dato alla terza Persona della Trinità, è la prova della sua azione santificante. Infatti, quel nome, perché è caratteristico e distingue esattamente la terza Persona dal Padre e dal Figlio, deve riferirsi ad una proprietà che è nello Spirito Santo in modo diverso rispetto alle altre due Persone. Ora, lo Spirito Santo non possiede in sé la santità in modo diverso dal Padre e dal Figlio. Questo nome può essergli particolarmente conveniente solo nella misura in cui ha una parte speciale nell’opera della nostra santificazione; poiché, come dice il Catechismo romano, « … Egli riversa in noi la vita spirituale e ci mette in condizione, attraverso le sue sante ispirazioni, di fare opere degne della vita eterna ». Egli è, secondo l’Apostolo, « lo Spirito di santificazione », e i Dottori della Chiesa gli attribuiscono « la virtù santificante ». Ci dicono, inoltre, che la sua caratteristica distintiva è quella di essere “il dono” per eccellenza. Come il Figlio procede dal Padre per mezzo della nascita – dice sant’Agostino – lo Spirito procede dal Padre e dal Figlio per mezzo del dono. Non che sia essenzialmente dato alle creature, perché l’opera di santificazione delle anime è libera come quella della Redenzione e, di conseguenza, l’esistenza dello Spirito Santo è indipendente da essa. Ma poiché l’amore del Padre e del Figlio è il primo dono che fanno a se stessi coloro che si amano, è nella natura dello Spirito Santo essere dato a tutti coloro che sono oggetto dell’Amore divino. I Santi Dottori deducono la realtà della missione dello Spirito Santo dal fatto che Egli abiti in noi e che per mezzo di Lui il Padre e il Figlio dimorino ugualmente, come inseparabili da Lui. Essi ci dicono che, incidendo in noi la sua immagine, ci rende simili al Figlio che ce lo manda, e attraverso il Figlio al Padre; che unendoci a Sé, ci unisce al Padre e al Figlio. Da tutti gli insegnamenti dei Padri possiamo dedurre questa speciale partecipazione dello Spirito Santo all’opera della nostra divinizzazione. Il cardinale Franzelin ha quindi ragione nel presentare questo punto come indubbio. Non meno vera è la seconda affermazione dell’eminente teologo: « La parte propria e personale dello Spirito Santo nell’opera della nostra santificazione non può nuocere all’unità delle tre Persone in tutte le operazioni e relazioni esterne. – A volte ci lasciamo ingannare dal significato della parola “persona” applicata alle creature. Questo significato viene trasferito alla divinità e le tre Persone divine sono concepite come tre nature distinte, anche se simili. Rappresentiamo così il Padre come mandante del Figlio e il Figlio come obbediente al Padre. Quando i predicatori parlano del concilio della Divina Trinità, nel quale è stata decretata l’Incarnazione del Verbo, queste espressioni figurative sono prese alla lettera, e in quell’augusto concilio ogni Persona ha un ruolo diverso. Questo modo di concepire la Trinità non è altro che l’errore del “triteismo”; perché, se il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo potessero dialogare tra loro, domandare e rispondersi, comandarsi e obbedirsi a vicenda, avrebbero tre intelligenze, tre volontà, tre nature distinte; sarebbero davvero tre dei. La loro unità non sarebbe altro che specifica, come quella di tre uomini che potrebbero essere simili in tutto e per tutto. Affinché le tre Persone non siano che un solo Dio, è necessario che siano non solo simili, ma anche identiche nelle loro proprietà naturali; che abbiano una sola e medesima intelligenza, una sola e medesima volontà e una sola e medesima operazione. Come possono quindi essere Persone diverse e in cosa consiste questa distinzione? Solo nel fatto che questa natura viene comunicata da una delle tre Persone e ricevuta dalle altre. Il Padre produce il Figlio, il Padre e il Figlio producono lo Spirito Santo. Produrre ed esser prodotto, sono due relazioni non solo diverse, ma anche opposte: in questa relativa opposizione, e solo in questo, consiste la distinzione delle Persone. Non cerchiamo di capire questo mistero, ammettiamolo con fede, come una verità innegabile. La teologia lo esprime con questo assioma: « in Dio tutte le cose sono una cosa sola, tranne i rapporti opposti delle Persone. »

Le opere delle tre Persone sono comuni a tutte e tre.

Da questa verità, ne scaturisce un’altra non meno vera. Poiché le relazioni delle Persone divine appartengono alla vita intima di Dio, la distinzione di cui esse sono causa, non può essere applicata alle opere che Dio vuole fare al di fuori di sé. Perché saranno necessariamente comuni a tutte e tre le Persone. Per questo motivo, abbiamo avvertito sopra dell’errore in cui saremmo caduti se avessimo attribuito la Creazione esclusivamente a Dio Padre. Tutti i teologi cattolici sono d’accordo nel sostenere questo assioma: tutte le operazioni esterne di Dio sono comuni a tutte e tre le Persone. Ma, stando così le cose, come può la Redenzione essere propria di Dio Figlio? Non è un’opera esterna di Dio? No, la Redenzione non è puramente e semplicemente esterna, perché, in un certo senso, è legata alla vita intima di Dio. La creazione dell’umanità del Salvatore, la sua conservazione, i suoi movimenti spirituali e corporei, appartengono all’ordine esterno della creazione ed è opera comune delle tre Persone. Ma ciò che è proprio del Verbo di Dio è l’unione, in virtù della quale Egli comunica a quella natura umana la sussistenza che riceve dal Padre suo, che lo rende Figlio di Dio. Attraverso questa unione la natura umana di Gesù Cristo penetra, in qualche modo, nella vita intima di Dio e partecipa alle relazioni delle Persone divine.

Applicazione della suddetta dottrina.

Nella divinizzazione del Cristiano possiamo considerare tre cose: la presenza di Dio nell’anima; l’unione dell’anima con Dio presente in essa, e il modo di essere che risulta per l’anima da questa unione. Che cosa può esserci in questo che sia esclusivo dello Spirito Santo? Non la prima delle tre condizioni, cioè la presenza di Dio nell’anima giusta; poiché essendo lo Spirito Santo inseparabile dal Padre e dal Figlio, non poteva abitare in un’anima senza le altre due Persone divine che coabitano con Lui. Questo è ciò che Gesù Cristo ci insegna quando promette di inviare il suo Spirito nelle anime dei suoi discepoli; poiché nello stesso tempo promette loro che, se osservano i suoi comandamenti, andrà da loro con il Padre suo e vi farà la sua dimora. Né si può attribuire allo Spirito Santo, come opera sua, il modo di essere soprannaturale che per l’anima deriva dalla sua unione con la Divinità, perché questa qualità, che abbiamo chiamato grazia creata, così come è stata creata, è opera delle tre Persone. Tutte le relazioni e le operazioni dell’ordine divino che sono, tuttavia, in essa, modificando le sue facoltà, sono il frutto della sua libera attività e hanno per loro causa primaria l’azione divina, comune al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo che produce, conserva, muove e governa l’intero universo. – Sia che la grazia sia considerata come la presenza di Dio nell’anima, o il modo soprannaturale di essere che distingue l’anima divinizzata, nessuno di questi effetti può essere attribuito allo Spirito Santo ad esclusione delle altre due Persone. Non c’è dubbio, però, che la grazia, considerata in questi due aspetti, è costantemente attribuita allo Spirito Santo dalla Sacra Scrittura e dai Santi Dottori. Per quale motivo? Due sono le ragioni addotte dal Cardinale Franzelin. In primo luogo, la divinizzazione delle anime è, tra tutte le opere di Dio, quella in cui il suo Amore si mostra più magnificamente e con più energia un’opera. Ora, lo Spirito Santo è l’Amore sussistente del Padre e del Figlio; è il termine sostanziale dell’atto, per mezzo del quale Dio ama la sua infinita bontà e in essa le sue creature. Perciò, per mezzo dello Spirito Divino, il Padre e il Figlio sono mossi ad operare la divinizzazione delle anime; Egli è, a titolo speciale, il principio della grazia. In secondo luogo, l’unione delle anime con Dio attraverso la grazia non è solo un principio ma anche un legame con l’Amore Divino; perché attraverso il suo amore Dio si unisce alla sua creatura e rispondendo a quell’amore, con un amore reciproco, la creatura accetta e consuma la sua unione con il suo Creatore. Poi, supponendo che il Padre e il Figlio si amino l’un l’altro per mezzo dello Spirito Santo, anche da Esso sono uniti alle anime. Egli è il legame sostanziale che li unisce a Dio e tra loro, così come in Dio si consuma l’unità delle Persone divine: « Il Padre e il Figlio – dice sant’Agostino – ci fanno comunicare con loro e tra di noi per ciò che è comune, cioè per lo Spirito Santo, Dio e dono di Dio » (Serm. XI, del Verbo Dom.).

L’unione dello Spirito Santo con le anime è personale.

Tutto quello che abbiamo appena stabilito è vero, ma è tutta la verità? Queste spiegazioni sono sufficienti a giustificare le affermazioni molto espressive della Sacra Scrittura e dei Dottori della Chiesa? L’unione dell’anima giusta con lo Spirito Santo non è forse più vicina e più reale? I due teologi moderni che più di tutti si sono applicati allo studio e all’esposizione della tradizione ecclesiastica, Petau e Tomassin, hanno accumulato numerose testimonianze dei Santi Padri, dalle quali sembra si possa dedurre che la santificazione delle anime sia veramente l’opera propria dello Spirito Santo, non nel senso che le altre Persone non cooperino a quest’opera, come cooperano all’Incarnazione, ma che, come tutta la Trinità divinizza sostanzialmente l’umanità di Gesù Cristo unendola alla Persona del Verbo, così tutta la Trinità divinizza accidentalmente l’anima giusta unendola alla Persona dello Spirito Santo. Come potrebbe lo Spirito Santo essere inviato dal Padre e dal Figlio, se non fosse stata una Persona diversa dall’altra? Una vera missione implica la reale distinzione tra chi invia e chi è inviato. Tutta la forza di questa argomentazione, come si vede, poggia sulla realtà della missione dello Spirito Santo alle anime che Egli santifica. Ma questa stessa missione presuppone che lo Spirito Santo abbia una parte speciale nella santificazione delle anime; che vi contribuisca in modo diverso dalle altre Persone. Supponiamo che non sia stato veramente inviato, e che questa missione non lo distingua veramente dal Padre e dal Figlio, ma nella misura in cui l’operazione per la quale è inviato sia reale in sé e diversa. – Il cardinale Franzelin distingue due tipi di missione quando parla delle Persone divine: quella visibile, che consiste nella manifestazione della loro presenza, e quella invisibile, che consiste in una speciale unione che Esse contraggono con le creature. Da questa nozione provata si può dedurre un argomento che ci sembra del tutto dimostrativo: la missione invisibile dello Spirito Santo verso le anime giuste è personale, posto  che serva a dimostrare la sua esistenza personale. Ecco allora, che se questa missione consiste nell’unione speciale della Spirito Santo con l’anima, allora questa unione è personale.

Come possiamo ammettere questa speciale unione dello Spirito Santo con l’anima giusta senza contraddire quanto detto sopra?

La difficoltà ci sembra irrisolvibile. Ricordiamo quanto è stato detto sull’Incarnazione che è anche, in un certo senso, l’opera esteriore di Dio e che non cessa di essere propria della Persona del Verbo. Non succede qualcosa di simile nell’opera di santificazione delle anime? In quest’opera abbiamo distinto tre cose: la presenza di Dio nell’anima, l’unione dell’anima con Dio e il modo di essere soprannaturale che deriva da questa unione. Abbiamo riconosciuto e dimostrato che il Padre e il Figlio sono veramente presenti, nell’anima giusta, con lo Spirito Santo; che cooperano ugualmente nelle abitudini e negli atti soprannaturali dell’anima; ma rimane un terzo punto che la maggior parte dei teologi perde di vista e dove si trova la soluzione alla difficoltà attuale. Tutti ammettono, nell’anima giusta, la grazia increata e la grazia creata. Ma si parla di santificazione delle anime come se consistesse solo nella grazia creata. Come se, tra il modo di essere dell’anima divinizzata e la presenza della Divinità in essa, non ci fosse unione. Tuttavia, gli insegnamenti della Scrittura e dei Santi Padri ci presentano la grazia creata come il risultato dell’unione dell’anima con lo Spirito Santo, che è una grazia increata: « La carità di Dio è diffusa nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato » (Rm V, 5); « Da questo sappiamo che siamo in Lui e Lui in noi: perché ci ha dato il suo Spirito » (1 Gv IV, 13). Questi testi sembrano considerare l’anima giusta come accidentalmente unita alla divinità dallo Spirito Santo, come l’umanità del Salvatore è sostanzialmente unita alla divinità dalla Persona del Verbo. Questo non per attribuire allo Spirito Santo e al Verbo un’opera esterna che non tocca le altre due Persone allo stesso modo. Perché la prima di questa unione non è un’opera esterna più di quanto non lo sia la seconda.

Un’altra difficoltà.

Come può lo Spirito Santo comunicare all’anima giusta ciò che gli è proprio, senza comunicare la sua personalità? Questa difficoltà è più grave della prima, ma non è nemmeno essa irrisolvibile. È vero che lo Spirito Santo non ha altro che la sua personalità. Ma esercita nella divinità una doppia funzione, per mezzo della quale, fatta salva la sua intrinseca semplicità, può avere con le creature due relazioni diverse: è il termine della natura e della volontà divina; perché la terza Persona procede dalle altre due per volontà, come la seconda dalla prima per l’intelligenza. – Lo Spirito Santo è carità sussistente. Perché non ammettere allora che lo Spirito Santo si comunichi all’anima come carità, senza farne parte della sua sostanza? Perché la volontà del Cristiano non potrebbe essere fisicamente unita alla volontà di Dio per il termine sostanziale del suo atto, senza che la natura del Cristiano riceva la comunicazione della personalità divina? Non è questo da ammettere nel caso degli Angeli e dei Santi del cielo? Vedendo Dio così com’è, conoscendolo come Egli conosce se stesso, amandolo come Egli ama se stesso, ammessi alla partecipazione della sua vita intima, la loro intelligenza è immediatamente unita al Verbo, fine dell’intelligenza divina, e la loro volontà allo Spirito Santo, fine della volontà divina. – In questo mondo non vediamo il Verbo, lo possediamo solo per fede. Ma la carità della terra è della stessa natura di quella del cielo. Da ciò sembrerebbe che sia la prima che la seconda stabiliscano, tra la volontà del Cristiano e lo Spirito di Dio, un’unione speciale. Con questa unione, l’anima sarebbe divinamente santificata, posto che la santità consista essenzialmente nella carità, e la carità di cui essa sarebbe illuminata, sarebbe il risultato della sua  unione con la carità sussistente di Dio. Così, le parole di San Paolo sarebbero fedeli alla lettera: « La carità di Dio è stata riversata sull’anima giusta dallo Spirito Santo che le è stato donato. » La parte speciale attribuita allo Spirito Santo in quest’opera non danneggerebbe minimamente quindi l’azione comune delle tre Persone.

https://www.exsurgatdeus.org/2020/05/26/il-cuore-di-gesu-e-la-divinizzazione-del-cristiano-9/

FESTA DELL’ASCENSIONE (2020)

ASCENSIONE

I. Commento, dogmatico: Ascensione.

La seconda festa che si celebra nel corso del Tempo Pasquale è l’Ascensione, coronamento di tutta la vita di Gesù Cristo. Era infatti necessario che il divino Risuscitato, cessando di calcare il fango di questa, povera terra, ritornasse al Padre, nel cui seno, come Dio, è fin dall’eternità. Egli accolse la sua umanità, dice S. Cipriano, « con una gioia che nessuna lingua saprebbe esprimere ». Bisognava che Gesù Cristo prendesse possesso del regno dei cieli che si era acquistato con i suoi patimenti e che collocando la nostra fragile natura alla destra della gloria di Dio, ci aprisse la casa del Padre per farci occupare, come figli di Dio, il posto degli angeli caduti. Gesù entra dunque in cielo, avendo vinto satana e il peccato: gli Angeli acclamano e salutano il loro Re; le anime dei Giusti, liberate del Limbo, formano la gloriosa sua scorta. « Vado a prepararvi il posto », disse ai suoi Apostoli, e San Paolo afferma che Dio ci ha fatti sedere con Gesù in cielo », poiché, « per la speranza siamo già salvi ». « Dove è entrato il capo, dice San Leone, anche il corpo è chiamato ad entrare. Il trionfo di Gesù Cristo è quindi anche il trionfo della sua Chiesa. Come il Sommo Sacerdote, che entrava nel Santo dei Santi per offrire a Dio il Sangue delle vittime sotto l’Antica Legge, Gesù, ci dice l’Apostolo, entrò nel Santo dei Santi della Gerusalemme celeste per offrirvi il suo proprio sangue, il sangue della Nuova Alleanza, e ottenerci i favori di Dio nel giorno dell’Ascensione. – Gesù, mostrando a Dio le sue piaghe gloriose, comincia il suo celeste Sacerdozio. « Egli divenne nostro intercessore perpetuo presso suo Padre » (Heb. VII, 25) e ci ottenne lo Spirito Santo con i suoi doni. – Complemento di tutte le feste di Gesù Cristo, l’Ascensione è il principio della nostra santificazione: « Egli sale al cielo, canta il Prefazio, per renderci partecipi della sua divinità ». « Non basta, dice Don Guéranger, che l’uomo si appoggi ai meriti della passione del Redentore, non basta che Egli unisca a questo ricordo quello della Risurrezione; l’uomo non è salvato e redento che con l’unione di questi due misteri con un terzo mistero, quello cioè dell’Ascensione trionfante di Colui che è morto e risorto. L’opera della Redenzione non sarà perfetta se non quando tutti gli uomini riaccettati saranno entrati nel giorno della risurrezione generale, dietro Gesù e per virtù della sua Ascensione, nel Cielo. Ecco la nostra speranza in questo mondo ».

II. — Commento storico: Ascensione.

Quaranta giorni dopo la Risurrezione di Cristo, il Ciclo Pasquale celebra l’anniversario del giorno che segnò il termine del regno visibile di Gesù Cristo sulla terra. Gli Apostoli, venuti a Gerusalemme prima della Pentecoste, stavano nel Cenacolo quando Gesù apparve loro e prese con essi un ultimo pasto; poi li condusse fuori di città, dalla parte di Betania, sul Monte degli Olivi che è il più alto fra quelli che circondano la capitale; Gesù allora benedisse i suoi Apostoli e ascese al cielo. Mentre saliva, una nube lo nascose agli sguardi e due Angeli annunziarono ai Discepoli che Cristo, risalito al cielo, ne scenderà di nuovo alla fine del mondo. – A Roma per ricordare questo corteo di Gesù e degli Apostoli si soleva fare, verso l’ora di Sesta (mezzogiorno) una solenne processione. Il Papa, celebrata la Messa Pontificale a S. Pietro, si recava, accompagnato, dai Vescovi e dai Cardinali, a S. Giovani in Laterano. – Sant’Elena fece innalzare sul Monte degli Olivi una Basilica sul luogo dove Gesù salì al cielo. La Basilica, sul tipo del Santo Sepolcro, era, con simbolismo felice, aperta in alto.

III. Commento liturgico: Ascensione.

Anticamente la solennità dell’Ascensione si confondeva con quella della Pentecoste, perché il Tempo Pasquale era considerato come una festa che s’iniziava a Pasqua per terminare con la discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli. Ma si cominciò presto a celebrare l’Ascensione al quarantesimo giorno dopo la Risurrezione, dandole una Vigilia e un Ottava. È festa di precetto. Con rito simbolico caratteristico si spegne oggi, il Cero pasquale che con la sua luce rappresentava, durante questa quarantena, la presenza di Gesù fra i discepoli e che si estingue dopo la lettura del Vangelo del giorno dell’Ascensione, ove è narrata la dipartita del Signore per il cielo. I paramenti bianchi e l’Alleluia, mostrano l’allegrezza della Chiesa al ricordo del trionfo di Cristo, al pensiero della felicità degli Angeli e dei Giusti dell’Antica Legge che vi parteciparono. – Lo spirito di questa festa è indicato dall’Orazione del giorno dell’Ascensione che ci mostra come, dopo aver seguito finora Gesù nella sua vita mortale, bisogna innalzare lo sguardo verso il cielo e con la fede e la speranza abitarvi con Lui, poiché quella è la vera patria dei figli di Dio.

ASCENSIONE DEL SIGNORE

Stazione a S. Pietro

Doppia di I cl. con ottava privilegiata di III ord. – Paramenti bianchi.

Nella Basilica di S. Pietro, dedicata a uno dei principali testimoni dell’Ascensione del Signore, si celebra oggi (Or.) l’anniversario di questo mistero, che segna il termine della vita terrena di Gesù. Durante i quaranta giorni, che seguirono la sua Risurrezione, il Redentore pose le basi della sua Chiesa, alla quale doveva poco dopo mandare lo Spirito Santo. L’Epistola e il Vangelo di questo giorno riassumono tutti gli insegnamenti del Maestro. Gesù lascia quindi questa terra, e tutta la Messa è la celebrazione della Sua gloriosa elevazione in cielo dove gli fanno scorta le anime liberate, dal Limbo (Ali.) che entrano al suo seguito nel regno celeste, ove partecipano più ampiamente alla sua divinità (Pref.). — L’Ascensione ci predica il dovere di innalzare i nostri cuori a Dio e infatti, l’Orazione ci fa chiedere di abitare in ispirito con Gesù nelle regioni celesti, dove siamo chiamati ad abitare un giorno con il corpo. Durante tutta l’Ottava si recita il Credo: «Credo in un solo Signore Gesù Cristo Figlio unico di Dio… che è asceso al cielo, dove siede alla destra del Padre ». Il Gloria dice pure: « Signore, Figlio unico di Dio Gesù Cristo, tu che siedi alla destra  del Padre, abbi pietà di noi. Nel Prefazio proprio che si recita fino alla Pentecoste, si rendono grazie a Dio pel fatto che « il Cristo risorto, dopo essere apparso a tutti i suoi discepoli, si sia innalzato in cielo sotto i loro sguardi ». Durante tutta l’Ottava si recita ugualmente un Communicantes proprio a questa festa; con esso la Chiesa ci ricorda che « celebra il giorno sacrosanto nel quale Nostro Signore, Figlio unico di Dio, si degnò di introdurre nella gloria e porre alla destra del Padre la nostra fragile carne ». alla quale si era unito nel Mistero dell’Incarnazione. – Ogni giorno la liturgia ci ricorda, all’Offertorio (Suscipe Sancta Trinitas) e al Canone (Unde et memores) che essa, secondo l’ordine del Signore, offre il Santo Sacrificio « in memoria della beatissima passione di Gesù Cristo, della sua risurrezione dalla tomba, e della sua gloriosa Ascensione al cielo ». Infatti l’uomo è salvato solo per l’unione dei misteri della Passione e della Risurrezione con quello dell’Ascensione. « Per la tua morte e per la tua sepoltura, per la tua santa risurrezione, per la tua mirabile Ascensione, liberaci, Signore » (lit. dei Santi). — Offriamo a Dio il sacrifizio divino « in memoria della gloriosa Ascensione del Figliuol Suo » affinché, liberati dai mali presenti, giungiamo con Gesù alla vita eterna (Secr.).

NELLA FESTA DELL’ASCENSIONE

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Acta 1:11.
Viri Galilæi, quid admirámini aspiciéntes in cœlum? allelúia: quemádmodum vidístis eum ascendéntem in coelum, ita véniet, allelúia, allelúia, allelúia.
[Uomini di Galilea, perché ve ne state stupiti a mirare il cielo? allelúia: nello stesso modo che lo avete visto ascendere al cielo, così ritornerà, allelúia, allelúia, allelúia].

Ps XLVI: 2
Omnes gentes, pláudite mánibus: iubiláte Deo in voce exsultatiónis.
[Applaudite, o genti tutte: acclamate Dio con canti e giubilo.]

Viri Galilæi, quid admirámini aspiciéntes in cœlum? allelúia: quemádmodum vidístis eum ascendéntem in cœlum, ita véniet, allelúia, allelúia, allelúia.

[Uomini di Galilea, perché ve ne state stupiti a mirare il cielo? allelúia: nello stesso modo che lo avete visto ascendere al cielo, così ritornerà, allelúia, allelúia, allelúia].

Oratio

Orémus.
Concéde, quǽsumus, omnípotens Deus: ut, qui hodiérna die Unigénitum tuum, Redemptórem nostrum, ad coelos ascendísse crédimus; ipsi quoque mente in coeléstibus habitémus.
[Concedici, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, che noi, che crediamo che oggi è salito al cielo il tuo Unigenito, nostro Redentore, abitiamo anche noi col nostro spirito in cielo].

Lectio

Léctio Actuum Apostólorum.
Act 1:1-11

Primum quidem sermónem feci de ómnibus, o Theóphile, quæ coepit Iesus facere et docére usque in diem, qua, præcípiens Apóstolis per Spíritum Sanctum, quos elégit, assúmptus est: quibus et praebuit seípsum vivum post passiónem suam in multas arguméntis, per dies quadragínta appárens eis et loquens de regno Dei. Et convéscens, præcépit eis, ab Ierosólymis ne discéderent, sed exspectárent promissiónem Patris, quam audístis -inquit – per os meum: quia Ioánnes quidem baptizávit aqua, vos autem baptizabímini Spíritu Sancto non post multos hos dies. Igitur qui convénerant, interrogábant eum, dicéntes: Dómine, si in témpore hoc restítues regnum Israël? Dixit autem eis: Non est vestrum nosse témpora vel moménta, quæ Pater pósuit in sua potestáte: sed accipiétis virtútem superveniéntis Spíritus Sancti in vos, et éritis mihi testes in Ierúsalem et in omni Iudaea et Samaría et usque ad últimum terræ. Et cum hæc dixísset, vidéntibus illis, elevátus est, et nubes suscépit eum ab óculis eórum. Cumque intuerétur in coelum eúntem illum, ecce, duo viri astitérunt iuxta illos in véstibus albis, qui et dixérunt: Viri Galilaei, quid statis aspiciéntes in coelum? Hic Iesus, qui assúmptus est a vobis in coelum, sic véniet, quemádmodum vidístis eum eúntem in coelum.

OMELIA I

[Mons. G. Bonomelli: MISTERI CRISTIANI, Queriniana Brescia, 1896 vol. II, impr.]

“Io primieramente ho trattato, o Teofìlo, delle cose che Gesù prese a fare e ad insegnare in fino al dì, ch’Egli fu accolto in alto, dopo aver dato i suoi comandi per lo Spirito Santo agli Apostoli ch’Egli aveva eletti. Ai quali ancora, dopo aver sofferto, si presentò vivente, con molte e sicure prove, essendo da loro veduto per lo spazio di quaranta giorni e ragionando con essi delle cose del regno di Dio. E trovandosi con essi, comandò loro che non si partissero da Gerusalemme, ma aspettassero la promessa del Padre, che, diss’Egli, avete da me udita. Perocché Giovanni battezzò con acqua, ma voi sarete battezzati con lo Spirito Santo fra pochi giorni. Essi adunque, stando con Lui, lo domandarono, dicendo: Signore, sarà egli in questo tempo, che tu restituirai il regno ad Israele? Ma Egli disse loro: Non spetta a voi conoscere i tempi e le stagioni, che il Padre serba in poter suo. Ma voi riceverete la virtù dello Spirito Santo, che verrà sopra di voi e mi sarete testimoni e in Gerusalemme e in tutta la Giudea e nella Samaria e fino alle estremità della terra. E dette queste cose, levossi a vista loro: e una nuvola lo ricevette e lo tolse agli occhi loro. E com’essi tenevano ancora fissi gli occhi in cielo, mentre se ne andava, ecco due uomini si presentarono loro in candide vesti e dissero loro: Uomini Galilei, perché state riguardando verso il cielo? Questo Gesù che è stato accolto in cielo d’appresso voi, verrà nella stessa maniera che l’avete veduto andarsene in cielo ” -. (Atti Apostolici, 1. I, 11). –

In questi primi undici versetti, che leggiamo nel principio del libro degli Atti Apostolici, che la Chiesa oggi fa recitare al sacerdote celebrante la Santa Messa e che ora vi ho riportato parola per parola nella nostra favella, S. Luca ci narra l’Ascensione di Gesù Cristo al Cielo. È il fatto strepitoso, è il mistero che la Chiesa festeggia in questo giorno, col quale si chiude la vita di Gesù Cristo quaggiù sulla terra. Mio compito è quello di ragionarvi di questo fatto: e qual miglior modo di sdebitarmene che quello di commentare la lezione sacra, che udiste? Eccovi il soggetto di questa, anziché Ragionamento, modesta Omelia, a cui vi piaccia porgere benigno l’orecchio. – S. Luca, nato nel gentilesimo, fornito di coltura greca più che comune, fu medico di professione. Abbandonò il paganesimo e abbracciò il Vangelo di Gesù Cristo per opera di S. Paolo, che seguì fedelmente ne’ suoi viaggi di terra e di mare fino a Roma, dove si trovava allorché l’Apostolo scrisse la sua seconda lettera a Timoteo, poco prima della morte. (II Tim. V. 11). S, Paolo si loda di lui e lo chiama carissimo. (Ai Coloss. IV, 12). Egli scrisse il suo Vangelo come l’aveva udito da S. Paolo e lo scrisse in lingua greca, allora abbastanza conosciuta in tutto l’Oriente e a Roma e lo scrisse per uso di quei Cristiani, che prima erano stati gentili. Dopo aver scritto il Vangelo pose mano a scrivere il libro, che porta il titolo Atti o Gesta degli Apostoli, particolarmente di S. Paolo, giacché la seconda metà del libro si restringe esclusivamente a narrare le opere di lui: cosa affatto naturale, essendo egli stato suo discepolo e compagno e testimonio di ciò che narra. Cominciando questo libro, lo lega col Vangelo, che prima aveva scritto e che racchiude per sommi capi la storia di circa trent’anni. Questo libro fa seguito al Vangelo e ci descrive l’origine della Chiesa e, come voleva la natura delle cose, si apre col racconto della Ascensione di Gesù Cristo, accennata appena nell’ultimo capo del Vangelo. Uditene il prologo: Primieramente, o Teofilo, ho ragionato di tutte le cose, che Gesù prese a fare e ad insegnare fino al giorno, nel quale, dati per lo Spirito Santo i suoi comandi agli Apostoli, da Lui eletti, levossi al cielo. S. Luca rivolge la parola a Teofilo. Chi è desso codesto Teofilo, al quale S. Luca si indirizza eziandio a principio nel suo Vangelo? Sembra fuori di dubbio che fosse un personaggio distinto, che aveva dato il suo nome a Gesù Cristo e la cui vita doveva rispondere al nome che portava, e che in nostra lingua significa Amatore di Dio. Gli ricorda il libro del Vangelo, che gli aveva mandato e nel quale aveva compendiato le opere e la dottrina di Gesù Cristo. – Quæ cœpit Jesus facere et docere. Ecco che cosa è il Vangelo: il compendio delle cose fatte e insegnate da Gesù Cristo; dal che è facile inferire che nel Vangelo le opere e la dottrina di Gesù Cristo non sono riferite tutte, ma le principali e per sommi capi. A ragione poi gli interpreti fanno osservare che S. Luca, compendiando la vita di Gesù Cristo nel Vangelo, alle parole di Lui manda innanzi le opere: – Cœpit facere et docere -. Prima fece e poi insegnò! E in vero: le opere sono assai più eloquenti delle parole e gli uomini apprendono più assai da quelle, che da queste: le parole non costano gran sacrificio, ma lo impongono spesso assai grave le opere. E poi, a che valgono le parole se non sono accompagnate dalle opere? Ciò che valgono le frondi senza i frutti; ed è per questo che di Gesù si dice che cominciò a fare e dopo ad insegnare. Imitiamolo, affinché gli uomini vedano le opere nostre e vedendole sollevino la mente a Dio e gli rendano lode. – Io, scrive S. Luca, vi ho narrata nel mio Vangelo la vita di Gesù dal suo miracoloso concepimento fino alla sua dipartita dalla terra, fino a quel dì nel quale, andandosene al Cielo, lasciò i suoi comandi agli Apostoli e li costituì esecutori dei suoi voleri. Quali siano questi comandi e quali i voleri di Gesù Cristo si fa manifesto dal Vangelo istesso, dove sono determinati. E badate bene, soggiunge S. Luca, che questi comandi sono dati da Lui, che come fu concepito per virtù dello Spirito Santo, cosi tutto fa e dice per virtù dello stesso Spirito Santo, di cui possiede la pienezza. I quali comandi e voleri manifestò a quegli Apostoli che elesse Egli medesimo e ammaestrò di sua bocca. Non è senza ragione e profonda che S. Luca, nominati gli Apostoli, volle tosto soggiungere quelle due parole: – Quos elegit – I quali egli elesse -. Scopo del libro è di far conoscere le opere compiute dagli Apostoli e singolarmente da San Paolo e quindi di mettere in rilievo l’organismo della Chiesa primitiva. Importava adunque che si facesse conoscere in chi risiedeva il potere di reggere quella Chiesa e da chi era dato; e S. Luca ce lo mostra negli Apostoli e qui ci dice ch’essi l’ebbero da Cristo, che li elesse. È questa, o cari, una verità che vuolsi spesso ricordare e inculcare in questi tempi, nei quali si tende a collocare la radice del potere nella moltitudine. Checché sia del potere civile, di cui non parlo, il potere della Chiesa viene dall’alto, deriva di Cristo e da Lui passa negli Apostoli e dagli Apostoli nei suoi successori fino al termine dei tempi, perché Egli li elesse ed eleggendoli li investì di quel potere, che non riceve da chicchessia, ma trae da se medesimo. – Fino al giorno nel quale fu assunto in Cielo – E da chi fu assunto Egli, Gesù Cristo? Non da altri fuorché dalla sua stessa onnipotenza, perché Egli era Dio eguale in ogni cosa al Padre; il perché la frase – Egli fu assunto in Cielo – vuolsi riferire alla natura umana, che aveva assunto, non alla sua divina Persona, che essendo immensa e onnipotente non può né salire, né discendere e per agire non ha bisogno di qualsiasi forza a sé estranea. Il sacro scrittore prosegue e in un versetto solo riassume la vita di Gesù Cristo, dalla sua Risurrezione alla sua Ascensione così: – Ai quali Apostoli, dopo la Passione, si era eziandio mostrato redivivo per lo spazio di quaranta giorni in molte maniere, parlando loro del regno di Dio -. Il punto capitale della vita di Gesù Cristo e la prova massima della sua divina missione, era senza dubbio il fatto della sua Risurrezione e questa, dice S. Luca, non poteva essere più certa e più splendida. Per il periodo di quaranta giorni si mostrò redivivo ai suoi Apostoli e nei modi più svariati per dileguare ogni ombra di dubbio. Si mostrò alle donne, a Pietro, a Giacomo separatamente, a due discepoli lungo la via di Emmaus, a sette sulle rive del lago di Tiberiade, a dieci e poi ad undici insieme raccolti nel Cenacolo di Gerusalemme; poi finalmente allorché salì al Cielo fu visto da circa cento e venti persone [S. Luca, narrata la Ascensione di Gesù Cristo, dice che gli Apostoli (e dà il nome di tutti undici) insieme con Maria e le donne si raccolsero nel Cenacolo in Gerusalemme, e tra parentesi aggiunge: – Che erano circa 120 -. Dal contesto sembra chiaro che questi 120 furono sul colle degli Olivi spettatori della Ascensione di Cristo. Si noti poi che gli Ebrei, allorché danno il numero delle persone, non comprendono mai le donne.], ed altra volta, che San Paolo afferma in modo solenne senza specificare il luogo e il modo, mostrossi insieme a cinquecento fratelli (I. Cor. XV. 6). Con loro parlò, con loro mangiò; volle che gli toccassero le mani e il costato perché si accertassero essere ben Egli il loro Maestro risuscitato, non ombra o spirito. La sua Risurrezione, considerata la lunghezza del tempo, la varietà delle apparizioni e delle prove e tenuto conto del numero dei testimoni, poteva ella essere più manifesta e più accertata? Mi appello a voi. – In tutte codeste apparizioni Gesù Cristo più o meno lungamente si trattenne e naturalmente parlò con gli Apostoli e con quanti erano presenti. E di quali cose parlò Egli con essi? Se noi scorriamo i quattro Evangeli e questo primo capo degli Atti Apostolici, troviamo alcuni cenni intorno alle cose che Gesù disse loro; ma ogni ragione vuole ch’Egli parlasse loro e ampiamente di tutto ciò che loro importava conoscere nell’esercizio dell’altissima missione loro affidata. S. Luca, con due sole parole, accenna il soggetto di queste istruzioni, che Gesù dava agli Apostoli e che dovevano essere la regola della loro condotta privata e specialmente pubblica, dicendo: – Loquens de regno Dei – Parlando del regno di Dio -. Qual regno di Dio? Certamente il regno di Dio sulla terra, cioè la Chiesa, che è la preparazione e il mezzo necessario per entrare nel regno di Dio, il Cielo e la vita beata. Ma se lo Scrittor sacro con estremo laconismo indicò l’argomento dei discorsi di Cristo con gli Apostoli in genere, non li significò in particolare, rimettendosi in questo alla tradizione orale. E qui riceve nuova e gagliarda prova la Dottrina Cattolica, che professa la Scrittura santa non contenere tutto l’insegnamento di Gesù Cristo, ma questo aversi pieno e perfetto nella tradizione orale. Dicano i fratelli nostri protestanti quante e quali furono le cose dette da Gesù Cristo agli Apostoli e comprese in quelle tre parole – Loquens de regno Dei? – E dovevano essere cose d’alto momento e perché venivano da tanto Maestro e perché riguardavano l’opera di Lui per eccellenza, la Chiesa, e perché  erano gli ultimi ricordi che loro lasciava. L’insegnamento orale adunque degli Apostoli e della Chiesa devesi considerare come il complemento non solo utile, ma necessario di. quello che abbiamo nei Libri Santi. – S. Luca nel versetto che segue ci fa sapere qual fu uno degli argomenti di queste conversazioni od istruzioni di Gesù Cristo, scrivendo: – Stando insieme a mensa, comandò loro non si dipartissero da Gerusalemme, ma vi aspettassero la promessa del Padre, che voi avete udito (disse) dalla mia bocca -. Dovevano fermarsi in Gerusalemme finché fosse adempiuta la promessa che Egli stesso aveva fatta a Nome suo e del Padre – di mandare loro lo Spirito Santo. E perché  fermarsi in Gerusalemme? Perché là e non altrove, Gesù Cristo vuole che ricevano lo Spirito Santo? Perché là dove Gesù Cristo patì e morì, là se ne vedesse il primo frutto: perché là dove sul vertice della sua croce fu posta per ischerno la scritta: – Questi è il Re dei Giudei -, là cominciasse il suo regno, regno di tutti i secoli. Perché là dove Gesù Cristo lasciava i suoi Apostoli, là ricevessero lo Spirito consolatore, che doveva tenerne il luogo e continuarne l’opera. Perché là dove Gesù Cristo con la sua morte aveva posto fine alla legge mosaica, lo Spirito Santo proclamasse la nuova legge e dal centro della Sinagoga uscisse la Chiesa, che ne era la meta ed il termine. Accennata la promessa dello Spirito Santo che sarebbe disceso sugli Apostoli, Gesù ne tocca gli effetti, chiamando quella comunicazione miracolosa: Battesimo e altrove Battesimo di fuoco – Giovanni battezzò con l’acqua, dice Cristo, e voi sarete battezzati con lo Spirito Santo fra pochi giorni -. – Giovanni, così il divin Salvatore, battezzava il popolo sulle rive del Giordano, e voi ed Io con voi vi andammo. Che Battesimo era quello? Battesimo con acqua: esso, per sé, non mondava l’anima, ma solo il corpo. Per esso voi vi riconoscevate peccatori, bisognevoli di purificazione: esso non infondeva grazia alcuna nelle anime vostre; vi eccitava soltanto a desiderarla, destandovi la fede in Lui, che Giovanni annunziava e che ora vi parla. Voi ora siete mondi in virtù della mia parola: nell’anima vostra alberga la mia grazia e con essa il germe della vita divina. Ma la missione, che siete per cominciare, domanda una forza più gagliarda, una vita più potente, un novello Battesimo, non di acqua, ma di fuoco e l’avrete tra pochi giorni -. È chiaro che Gesù Cristo in questo luogo col nome di Battesimo nello Spirito Santo designa la venuta dello Spirito Santo e la trasformazione operata negli Apostoli il giorno delle Pentecoste e la designa con questo nome perché vi è una certa somiglianza col Battesimo di acqua. Questo si riceve una sola volta e una sola volta in modo sensibile lo Spirito Santo discese sugli Apostoli: questo depose nell’anima una vita nuova, che si svolse nella vita cristiana, stampando in essi un segno incancellabile: e lo Spiritò Santo depose in essi una nuova energia, che si svolse nelle opere tutte dell’Apostolato. – Ma ritorniamo alla narrazione di S. Luca, il quale riporta una domanda degli Apostoli a Gesù, la quale se da una parte dimostra la semplicità e, diciamolo pure, la ignoranza degli Apostoli, dall’altra mette in piena luce la divinità del divino Maestro verso di loro e prova insieme l’ammirabile sincerità del sacro scrittore. Uditela: – Intanto i convenuti colà lo interrogarono dicendo: Signore, restituirai tu forse in questo tempo il regno ad Israele? – Per comprendere questa domanda, che sembra a noi molto strana, conviene conoscere le idee che allora fermentavano nel popolo giudaico non meno che nei suoi capi, alle quali naturalmente gli Apostoli non potevano essere estranei. E tanto più conviene conoscere queste idee, delle quali gli Apostoli si fanno interpreti presso del Maestro in quanto che esse ci danno la chiave per spiegare la terribile apostasia della nazione e la catastrofe che ne seguì. Scorrete i libri dell’antico Testamento e particolarmente i Salmi ed i Profeti: in moltissimi luoghi si promette il Messia e sotto le più svariate forme lo si presenta e si descrive. Si predicano, è vero, le sue umiliazioni, i suoi dolori, la sua morte in modo che sembrano una storia piuttostoché una profezia; ma lo si dipinge pure come un re potentissimo, un gran duce vincitore, un conquistatore glorioso, che strapperà il suo popolo dalle mani dei nemici, che lo rivendicherà a libertà e stenderà il suo scettro pacifico su tutta la terra. Che ne avvenne? Ciò che doveva avvenire in un popolo sì fiero della propria indipendenza, orgoglioso, tenacissimo e che dopo le terribili prove, da cui era uscito contro i Babilonesi e contro i re Siri, al tempo dei Maccabei, fremevano sotto il giogo romano. Come gli individui e più degli individui i popoli hanno il loro amor proprio, il loro egoismo nazionale, che può toccare i gradi estremi. Gli Ebrei tenevano salda la speranza del futuro Liberatore, del quale parlavano i profeti, i riti ed i simboli in tante forme rappresentavano; l’aspettavano, lo desideravano ardentemente. Ma la loro natura grossolana, il desiderio ardentissimo di scuotersi dal collo l’abbominata signoria straniera e l’orgoglio nazionale fecero sì che nel Messia promesso, nel Liberatore annunziato dai Patriarchi e dai Profeti, più che il Liberatore delle anime vedessero il liberatore dei corpi, più che il Redentore del mondo aspettassero il vindice della nazione, un Davide glorioso, un Maccabeo restauratore di Israele. Foggiatasi questa idea bizzarra e falsissima del Messia, che accarezzava il loro orgoglio e rispondeva alle condizioni politiche sì dolorose ed umilianti della nazione, è facile immaginare come i Giudei dovessero accogliere Gesù Cristo, che annunziava un regno spirituale, che voleva si rendesse a Cesare ciò che era di Cesare e che mandava in fumo le speranze di libertà e grandezza temporale, che si aspettavano. È questa la causa precipua della cecità de’ Giudei e del ripudio di Cristo e che trasse in rovina la nazione intera. Terribile lezione. che troviamo ripetuta sventuratamente anche in alcuni popoli cristiani! Perché l’Oriente ai tempi di Fozio e poi di Michele Cerulario si separò da Roma e cadde nello scisma e nella eresia, in cui giace ancora? La causa principale fu l’orgoglio nazionale dei Greci, ai quali pareva una umiliazione ubbidire al Pontefice di Roma e sottostare ai Latini. Perché la maggior parte della Germania consumò la sua separazione dal centro dell’unità cattolica, che risiede in Roma? Vuolsi ascriverne la causa principale alla gelosia nazionale: ai fieri Germani mal sapeva ricevere la legge da Roma, a loro, figli di Arminio. Perché l’Inghilterra ruppe i vincoli, che da secoli la tenevano unita a Roma? Perché le parve a torto minacciata la sua indipendenza nazionale. Se bene si guarda quasi tutti gli scismi e quasi tutte le grandi eresie, che desolarono la Chiesa, ebbero la loro funesta radice nel sentimento esagerato e male inteso della dignità e grandezza nazionale. È una prova tremenda per un popolo il sospetto, il solo timore, che gli interessi religiosi possano offendere il sentimento patriottico: nella lotta vera o immaginaria che sia v’è un grande pericolo, che il popolo agli interessi del Cielo anteponga i terreni e respinga una Chiesa od una Religione che gli sembra domandare il sacrificio della patria e tanto più grande è il pericolo quanto più ardente è l’amore della patria stessa. Ma guai a quel popolo che si lascia accecare! L’esempio d’Israele è là sotto gli occhi del mondo intero. Torniamo al sacro testo. – Gli Apostoli, benché poveri figli del popolo, rozzi pescatori, nati e cresciuti sugli estremi confini della nazione, ai piedi del Libano e lontani dal centro d’Israele, Gerusalemme, dove batteva il cuore della nazione e ardeva il focolare del patriottismo, non erano estranei alle speranze comuni, né insensibili al fremito del popolo. L’uomo nasce e vive patriota e tutto ciò che suona onore, libertà e grandezza della patria, trova sempre aperta la via del suo cuore e se vi è uomo, in cui l’amore della patria non trova eco, dite pure che è un miserabile, un essere degradato. Era dunque naturale che gli Apostoli, anime rette, forti e generose, ancorché prive d’ogni coltura, sentissero vivo l’amore della patria e partecipassero al sentimento comune, spingendolo fino al pregiudizio fatale di assegnare al Messia, e per conseguenza a Gesù Cristo, la missione di liberatore dal giogo straniero. E che gli Apostoli tutti fossero vittima di questo pregiudizio comune, figlio d’un patriottismo male inteso, e ciò fino alla Ascensione di Gesù Cristo al Cielo, apparisce in modo indubitato dalla domanda che ingenuamente e non senza qualche peritanza, gli mossero: – Signore, restituirai tu forse in questo tempo il regno ad Israele? – La domanda è fatta in modo, che sembra deliberata in comune, riserbata in sull’ultimo come cosa gravissima, nella speranza che il Maestro ne parlasse anche non richiesto e concepita in termini che esprimono l’angustia e l’incertezza dell’animo loro. Qual fu la risposta di Gesù? È semplicissima e l’avete udita. Egli, il divino Maestro, li lascia dire e li ascolta. Non una parola di stupore, non un accento solo di rimprovero per tanta ignoranza, dopo sì lungo tempo di scuola avuta da Lui, e tanta ignoranza sopra un punto capitale, che riguardava il fine della divina sua missione. Quanta benignità! Quanta carità con questi suoi cari Apostoli! Egli, vedendo le loro menti ingombre di sì gravi pregiudizi, tace e dissimula e non si prova nemmeno a dissiparli, perché non l’avrebbero compreso. Aspetta che il tempo e la luce che tra breve getterà nelle loro menti lo Spirito Santo, li rischiarino e mettano fine ai loro dubbi. Grande e sublime lezione per tutti e particolarmente per quanti hanno l’ufficio di ammaestrare il popolo! Quante volte accade di trovare persone piene di errori, che non si arrendono alle dimostrazioni più evidenti, che non sanno spogliarsi di certi pregiudizi succhiati col latte, che chiudono gli occhi della mente a verità chiarissime! Che fare? Talvolta sono vittime della educazione, dell’ambiente, come si dice, delle correnti popolari, di passioni per sé non sempre spregevoli. Combatterle risolutamente a viso aperto sarebbe forse cosa vana e talora anche nociva, perché ecciterebbe più vive le passioni facendosi l’amor proprio offeso loro patrocinatore. In molti casi giova tacere, dissimulare, attendere che le passioni sbolliscano, che il tempo ammaestri, e non è raro il caso che le menti si aprano da se stesse alla luce di quelle verità che prima si erano fieramente rigettate. L’esempio di Cristo lo prova. Egli lasciò cadere la domanda; non negò, né affermò; ma, riconducendo la mente dei suoi diletti Apostoli a ciò che maggiormente importava e dalle cose temporali richiamandoli, come sempre soleva fare, alle celesti, rispose: – Non spetta a voi conoscere i tempi e le congiunture, che il Padre ha serbato in sua balìa. – Che fu un dire: a che fermate il vostro pensiero sulle sorti future del regno d’Israele? Voi non potete mutarle; esse sono nelle mani di Dio, che solo le conosce e le regola nella sua sapienza. Ad altra impresa e troppo più alta e importante voi siete chiamati: di questa vi occupate, che è vostra, e quell’altra rimettete al divino volere. – Del resto qual era la sorte riserbata alla nazione giudaica e nominatamente alla sua capitale, Gerusalemme, cinquanta giorni innanzi l’aveva detto e descritto coi colori più vivi e la memoria doveva essere ancor fresca negli Apostoli. Non aveva lor detto, pochi giorni prima della sua passione, che sarebbe scoppiata una guerra sterminatrice con rivolte e tumulti? Non aveva chiaramente annunziato un assedio terribile, la presa della città, la distruzione del tempio, sì che non ne sarebbe rimasta pietra sopra pietra e ammonitili che fuggissero ai monti per non essere involti nella catastrofe? In quella profezia sì chiara e particolareggiata, che non potevano aver dimenticata, perché recentissima, si conteneva la risposta alla domanda: – È questo il tempo, nel quale restituirai il regno ad Israele? – Ma non è inutile il ripeterlo, quando un pregiudizio è profondamente abbarbicato nell’animo non valgono le ragioni più evidenti a svellerlo, ed è saggezza aspettare il beneficio del tempo e della esperienza, come fece Cristo, il quale, messo da banda questo argomento affatto umano e che allora non interessava, continuò, dicendo: – Piuttosto voi riceverete la potenza dello Spirito Santo, il quale verrà sopra di voi -. Ben altro regno che quello temporale d’Israele, del quale mi fate domanda, si deve fondare e tosto e per opera vostra. E come e quando? Appena avrete ricevuto lo Spirito Santo, che vi riempirà della sua forza divina tra pochi giorni e trasformandovi in altri uomini, vi renderà strumenti atti all’ardua impresa; e allora, da Lui supernamente illustrati, comprenderete qual sia il regno, ch’Io sono venuto a stabilire, regno della verità, regno dell’anime, che comincerà qui in Gerusalemme, si allargherà in tutta la Giudea e nella Samaria, che sono i confini del regno d’Israele, di cui parlate, e poi si distenderà fino agli estremi della terra. In tal modo Gesù Cristo accenna alla differenza immensa, che corre tra l’angusto e temporal regno sognato dagli Apostoli e quello senza confini e spirituale, ch’Egli per opera loro avrebbe fondato e implicitamente risponde alla domanda, che gli avevano fatta: – In questo tempo restituirai tu il regno ad Israele? – E qui cade in acconcio toccare alcune verità, che non sono senza importanza. E primieramente osservate tracciato agli Apostoli l’ordine della loro predicazione: essi dovevano cominciare la loro missione in Gerusalemme, poi spandersi nella Giudea, poi portarla in Samaria, che è quanto dire annunziare prima la buona novella ai figli di Abramo disseminati sul territorio delle dodici tribù, pigliando le mosse dalle due rimaste fedeli. Compiuta questa missione presso i figli d’Israele, il muro, che fino allora aveva separato il popolo eletto da tutti gli altri doveva cadere e aprirsi a tutti indistintamente la porta del novello regno, regno universale e duraturo fino al termine dei tempi. Disegno più audace di questo e umanamente di questo più impossibile non s’era mai visto, né mai era caduto in mente d’uomo e direttamente feriva l’orgoglio del popolo ebraico, sì tenace e sì geloso del suo più assoluto isolamento. Il carattere della più vasta universalità per ragione dello spazio e del tempo, che Cristo in questo luogo imprime al suo regno, siffattamente ripugna alle idee del mondo pagano e più ancora del mondo ebraico, che anche solo basta d’avvantaggio a mostrarli in Chi lo concepì e sì chiaramente l’annunzi la coscienza della propria forza al tutto sovra umana e divina. Osservate in secondo luogo che Cristo costituisce gli Apostoli testimoni – Eritis mihi testes – Testimoni di che? Dei fatti e dei miracoli (e per conseguenza della dottrina dai fatti e dai miracoli provata), che avevano veduto coi loro occhi. Ufficio adunque degli Apostoli e dei loro successori è quello di attestare e affermare costantemente e dovunque l’insegnamento di Cristo, la cui certezza poggia sui miracoli da Lui operati. Essi non sono che testimoni e perciò loro ufficio è quello di conservare pura e intatta la Dottrina di Cristo, quale uscì dalle sue labbra, senza aggiungere o levare ad essa pure un’apice. Perciò il ponetevelo bene nell’animo, o dilettissimi, la Chiesa, continuatrice dell’opera degli Apostoli non crea una sola verità nuova, non altera, né dimentica, né omette una sola delle verità caduta dalle labbra di Cristo e degli Apostoli: tutte le conserva e le trasmette fedelmente, come un cristallo tersissimo trasmette i raggi del sole, benché le svolga più largamente e di nuove e più ampie prove secondo i tempi e i luoghi le avvalori. Finalmente non dimenticate mai, o dilettissimi, che questo doppio ufficio di propagatrice e conservatrice infallibile della Dottrina di Cristo la Chiesa lo adempì e adempirà sempre, non per virtù propria, ma sì unicamente per virtù di quello Spirito Santo, che Cristo promise agli Apostoli e che rimarrà nella Chiesa fino all’ultimo giorno de’ secoli, secondo la sua promessa solenne. È bene a credere che Cristo, trattenendosi con gli Apostoli a lungo e più volte per lo spazio di quaranta giorni, altre cose disse loro, che non sono registrate da S. Luca, ma che si conservarono religiosamente nell’insegnamento orale degli Apostoli stessi e della Chiesa. S. Luca, compendiate queste cose, narra che Gesù condusse gli Apostoli fuori, in Betania, il castello di Marta, Maria e Lazzaro, presso Gerusalemme (S. Luca, XXIV, 51) e benedicendoli amorosamente – sotto i loro occhi levossi in alto – Videntibus illis, elevatus est –  Cristo levossi da terra per virtù della sua divina Persona e sembra che ciò facesse a poco a poco, volti sempre gli sguardi sorridenti e stese le braccia verso i suoi cari Apostoli e discepoli e sopra tutto verso la Madre sua, che indubitatamente era colà, come si rileva dal versetto quattordicesimo di questo primo capo degli Atti Apostolici. Levossi in alto – Elevatus est – cioè levossi al Cielo. Che vi sia un luogo dove Iddio si manifesta svelatamente nella sua gloria a quelli, che hanno meritato di vederlo e bearsi in Lui e che si dice cielo, non vi può essere dubbio alcuno e la natura stessa degli Angeli e particolarmente degli uomini, che vi sono chiamati, lo esige. Ma dove sia questo luogo e questo Cielo a noi è perfettamente ignoto. Finché gli uomini, giudicando secondo i sensi e perciò seguendo le idee astronomiche di Tolomeo credevano la terra immobile, centro universale del creato e gli astri e le stelle poste in alto e d’altra natura incomparabilmente più nobile della terra, si comprende come potessero e dovessero collocare il Cielo, questo luogo di delizie, questa dimora gloriosa lassù in alto, negli astri, nelle stelle, nel Cielo immobile, che a tutte le cose sovrasta. L’idea cristiana del Cielo, elevandosi ai sublimi concetti di Dio, della sua immensità, degli spiriti, delle anime e dei corpi gloriosi, conserva pur sempre l’idea d’un luogo particolare, dove Dio mostra la sua presenza e la sua gloria, ma non determinò mai precisamente in qual regione sia posto questo luogo, se sopra o sotto di noi, se ad Oriente od Occidente, a tramontana o mezzogiorno. I Libri Santi tacciono, la tradizione è muta e la Chiesa, che n’è l’interprete, insegna che il Cielo de’ beati, il paradiso vi è, ma dove sia nol disse mai. E perché non potrebb’essere sulla terra istessa? Là dove è Dio svelato alle anime, là può essere il Cielo; e non potrebbe Iddio mostrarsi loro qual è qui sulla terra, campo dei loro combattimenti e delle loro vittorie e perciò anche luogo del loro trionfo? Che importa che noi non vediamo nulla? Chi può vedere Iddio, i puri spiriti, i corpi gloriosi? Cristo non vive sulla terra nel Sacramento dell’altare invisibile? E certo dove è Cristo ivi è altresì il Cielo, di cui è il Re. Disse profondamente il poeta teologo che ogni dove è paradiso ed è questo il vero concetto del Cielo secondo la ragione e secondo la fede e questo teniamo. Ma voi direte: E pur sempre vero che il testo sacro, narrando l’ascensione di Cristo, ce lo descrisse in atto di salire in alto – Elevatus est -; e noi stessi, allorché accenniamo il Cielo, leviamo in alto le mani quasi fosse lassù sopra dei nostri capi. È vero: Cristo, salendo in Cielo, montò in alto, non perché il Cielo sia piuttosto in alto che in basso ma per mostrare che la sua presenza visibile cessava sulla terra e cominciava un’altra maniera differentissima di vita; e poiché le cose più nobili e più eccellenti per noi si dicono metaforicamente alte e ce le rappresentiamo, non in basso, ma in alto; così Cristo per farci conoscere il suo nuovo modo di esistere in Cielo, salì in alto. Per la stessa ragione, allorché noi parliamo del Cielo, leviamo in alto le mani e gli occhi come se il Cielo fosse sopra de’ nostri capi, poiché Gesù fu levato in alto, una nube – dice il sacro scrittore – lo tolse ai loro occhi. Qual nube? Forse fu vera nube, o come inclino a credere e mi sembra più conforme al fatto e alla maestà di Cristo, quella fu uno splendore di luce meravigliosa, che a guisa di nube lo circonfuse e lo rese invisibile agli occhi degli Apostoli, che lo seguivano con ansia amorosa, con gioia ineffabile e dolore vivissimo, come potete immaginare. – Allorché gli Apostoli stavano pur con gli occhi fissi in alto cercando di vedere il Maestro, che si era dileguato in mezzo a quei fulgori celesti, ecco ad un tratto due personaggi bianco vestiti stettero presso di loro, quasi inosservati, perché gli occhi loro erano fermi lassù in alto. S. Luca non dice che fossero Angeli, ma non è a dubitarne dal contesto. Li chiama personaggi (viri), non Angeli, perché apparvero con forme umane e certo non è questo il primo luogo, in cui gli Angeli si chiamano uomini. Essi, riscossi gli Apostoli da quella loro estasi, volsero loro la parola, dicendo: – 0 Galilei, che state a riguardare in Cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi fu assunto in Cielo, verrà al modo istesso, onde lo vedeste andarsene -. Quegli Angeli rammentarono agli Apostoli una verità, che più volte avevano udita dalla bocca di Cristo, cioè la sua venuta gloriosa al termine dei tempi. Vedete somiglianza tra i due fatti della salita di Cristo al Cielo e della futura sua venuta, toccata dal sacro Autore. E sempre sopra una nube, che Gesù si mostra, sia che parta dalla terra, sia che vi ritorni, per indicare la sua maestà e la piena signoria ch’Egli ha sopra ogni cosa. Nella stessa trasfigurazione la voce celeste si fa udire dal seno d’una nube e attraverso ad una nube Mosè intravvede Dio. Con la mente e col cuore abbiamo seguito Cristo, che sale al Cielo: prepariamoci con la mente e col cuore ad accoglierlo nella finale sua venuta per essergli compagni nel suo rientrare nella gloria celeste e vivere beati con Lui per tutti i secoli dei secoli.

Alleluia

Allelúia, allelúia.

Ps XLVI:6.
Ascéndit Deus in iubilatióne, et Dóminus in voce tubæ. Allelúia.

Iddio è asceso nel giubilo e il Signore al suono delle trombe. Allelúia.]

Ps LXVII:18-19.
V. Dóminus in Sina in sancto, ascéndens in altum, captívam duxit captivitátem.
Allelúia.  

[Il Signore dal Sinai viene nel santuario, salendo in alto, trascina schiava la schiavitú. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Marcum.
Marc XVI:14-20

In illo témpore: Recumbéntibus úndecim discípulis, appáruit illis Iesus: et exprobrávit incredulitátem eórum et durítiam cordis: quia iis, qui víderant eum resurrexísse, non credidérunt. Et dixit eis: Eúntes in mundum univérsum, prædicáte Evangélium omni creatúræ. Qui credíderit et baptizátus fúerit, salvus erit: qui vero non credíderit, condemnábitur. Signa autem eos, qui credíderint, hæc sequéntur: In nómine meo dæmónia eiícient: linguis loquantur novis: serpentes tollent: et si mortíferum quid bíberint, non eis nocébit: super ægros manus impónent, et bene habébunt. Et Dóminus quidem Iesus, postquam locútus est eis, assúmptus est in cœlum, et sedet a dextris Dei. Illi autem profécti, prædicavérunt ubíque, Dómino cooperánte et sermónem confirmánte, sequéntibus signis.

“In quel tempo: Gesú apparve agli undici, mentre erano a mensa, e rinfacciò ad essi la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano prestato fede a quelli che lo avevano visto resuscitato. E disse loro: Andate per tutto il mondo: predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo: chi poi non crederà, sarà condannato. Ed ecco i miracoli che accompagneranno coloro che hanno creduto: nel mio nome scacceranno i demoni, parleranno lingue nuove, maneggeranno serpenti, e se avran bevuto qualcosa di mortifero non farà loro male: imporranno le mani ai malati e questi guariranno. E il Signore Gesú, dopo aver parlato con essi, fu assunto in cielo e si assise alla destra di Dio. Essi se ne andarono a predicare per ogni dove, mentre il Signore li assisteva e confermava la loro parola con i miracoli che la seguivano.”

OMELIA II

[Discorsi di San G. B. M. VIANNEY, Curato d’Ars, vol. II, IV ed. TORINO – ROMA; Marietti ediz. 1933]

Il Cielo.

(laudate et exultate, quoniam merces vestra copiosa est in cælis.

(MATTH. V., 12).

Queste furono, F. M., le consolanti parole che Gesù Cristo rivolse ai suoi Apostoli per confortarli, ed animarli a soffrire coraggiosamente le croci e le persecuzioni future. ” Sì, figli miei, diceva loro questo tenero Padre, diverrete oggetto dell’ira e del disprezzo dei cattivi, sarete vittime del loro furore, gli uomini vi odieranno. vi condurranno davanti ai principi della terra per essere giudicati e condannati ai supplizi più spaventosi, alla morte più crudele ed ignominiosa: ma, lungi dallo  scoraggiarvi, rallegratevi, poiché una gran ricompensa vi è preparata in cielo. „ O cielo bello! chi non ti amerà, poiché tanti beni tu racchiudi? Non è infatti il pensiero di questa ricompensa che rendeva gli Apostoli infaticabili nel loro lavoro apostolico, invincibili contro le persecuzioni che soffrirono dai loro nemici? Non è il pensiero di questo bel cielo che faceva comparire i martiri davanti ai giudici, con un coraggio che meravigliava i tiranni? Non è la vista del cielo che spegneva l’ardore delle fiamme destinate a divorarli, e spuntava le spade che li dovevano colpire? Oh! come erano felici di sacrificare i beni, la vita per il loro Dio, nella speranza di passare ad una vita migliore che non finirebbe mai! O fortunati abitanti della città celeste, quante lagrime avete versate e quanti patimenti sofferto per acquistare il possesso del vostro Dio! Oh! ci gridano essi dall’alto di quel trono di gloria, sul quale si trovano; oh! come Dio ci ricompensa di quel po’ di bene che abbiamo fatto! Sì, noi lo vediamo, questo tenero Padre: sì, lo benediciamo questo amabile Salvatore: sì, lo ringraziamo questo caritatevole Redentore, per anni senza fine. O felice eternità! esclamano essi; quante dolcezze e gioie non ci farai tu provare! Cielo bello, quando ti vedremo noi? O momento fortunato, quando verrai per noi? Senza dubbio, F. M., desideriamo tutti e sospiriamo beni sì grandi: ma per farveli desiderare con maggior ardore, vi mostrerò, per quanto mi sarà possibile,

1° la felicità della quale sono inebriati i santi in cielo;

2° la strada da seguire per andarvi.

È certo che noi siamo fatti per essere felici: ognuno dal più povero fino al più ricco, cerca qualche cosa che l’accontenti e compia i suoi desideri. (Nota del Beato),

I. — Se’ dovessi, F. M., farvi il triste e doloroso quadro delle pene che soffrono i reprobi nell’inferno, comincerei a provarvi la certezza di queste pene: poi spiegherei innanzi ai vostri occhi con spavento, od, a meglio dire, con una specie di disperazione, la grandezza e la intensità dei mali che soffrono, e che soffriranno eternamente. A questo racconto lagrimevole, vi sentireste presi d’orrore; e per farvelo ancor meglio comprendere, vi mostrerei le ragioni per cui quelle anime sono divorate dalla disperazione senza tregua. Vi direi che sono quattro: la privazione della vista di Dio, il dolore che soffrono, la certezza che non finirà mai, ed i mezzi che ebbero, coi quali potevano così facilmente schivarla. Infatti, se un dannato, per mille eternità, quando ve ne potessero essere mille, domandasse con le grida più strazianti e commoventi la felicità di veder Dio per un minuto solo, è certo che giammai gli verrebbe accordata. In secondo luogo, vi dico che ad ogni istante egli soffre da solo più che non abbian mai sofferto tutti i martiri insieme, o, per dir meglio, soffre in ogni minuto dell’eternità tutti i patimenti che deve sentire durante l’eternità. La terza causa dei loro supplizi è che, malgrado il rigore delle loro pene, sono sicuri che non finiranno mai. Ma ciò che metterà il colmo ai loro tormenti, alla loro disperazione, sarà il ricordo di tanti mezzi così efficaci non solo per evitare quegli orrori, ma anche per essere felici per tutta l’eternità: ricorderanno che avevano a lor portata tutte le grazie che offrì loro Iddio per salvarsi: e queste saranno altrettanti carnefici che li tortureranno. Dal fondo di quelle fiamme vedranno i beati seduti su troni di gloria, accesi d’amore sì ardente e tenero da immergerli in una ebbrezza continua: mentre il pensiero delle grazie a loro concesse da Dio, il ricordo del disprezzo fattone farà ad essi emettere urla di rabbia e di disperazione così spaventose che l’intero universo, se Dio permettesse fossero intese, ne morrebbe e cadrebbe nel nulla. E bestemmie orribili lanceranno gli uni contro gli altri. Un figlio griderà che è perduto solo perché i suoi genitori lo vollero, e invocherà la collera di Dio, e gli domanderà colle più orribili grida di concedergli d’essere il carnefice del padre suo. Una giovane strapperà gli occhi a sua madre che invece di condurla al cielo, l’ha spinta, trascinata all’inferno co’ suoi cattivi esempi, colle parole che spiravano solo mondanità, libertinaggio. Quei figli vomiteranno bestemmie orribili contro Dio per non aver abbastanza forza e furore di far soffrire i loro parenti : correranno attraverso l’abisso disperati, prendendo e trascinando i demoni, gettandoli sui padri e sulle madri loro: per fare sentire ad essi che non saranno mai abbastanza tormentati di averli perduti, mentre facilmente potevano salvarli. O eternità infelice! o sventurati padri e madri, quanto sono terribili i tormenti a voi riservati! Ancora un istante, e li proverete; ancora un istante, ed abbrucerete nelle fiamme!… – Ma no, F. M., non andiamo più oltre: non è il momento di trattenerci su un argomento così triste e doloroso: non turbiamo la gioia che abbiamo provato all’avvicinarsi del giorno consacrato a celebrare la felicità di cui godono gli eletti nella città celeste e permanente. – Vi dissi, che quattro cose opprimeranno di mali i reprobi nelle fiamme: lo stesso avviene dei beati. Quattro cose si uniscono insieme per non lasciar loro nulla più a desiderare. Queste cose sono:

1° la vista e la presenza del Figlio di Dio, che si manifesterà in tutto lo splendore di sua gloria, di sua bellezza, e di tutte le sue amabilità; cioè quale è nel seno del Padre suo;

2° il torrente di dolcezze e di caste delizie che godranno, e sarà simile al traboccar d’un mare agitato dal furore della tempesta: esso li travolgerà nei suoi flutti e li sommergerà in una ebbrezza così estasiante che quasi oblieranno di esistere.

3° Altra causa di felicità in mezzo a tutte le delizie sarà la certezza che esse non avranno mai fine, e da ultimo,

4° ciò che li immergerà totalmente in questi torrenti d’amore, sarà che tutti questi beni sono dati loro per ricompensa delle virtù e delle penitenze esercitate. Quelle anime sante vedranno che alle proprie opere buone sono debitrici dei casti amplessi dello sposo. Anzitutto il primo trasporto d’amore che si accenderà nel loro cuore sorgerà alla vista delle bellezze che scopriranno accostandosi alla presenza di Dio. In questo mondo sia pur bello e seducente un oggetto che ci si presenta, dopo un istante di piacere il nostro spirito si stanca e si volge da un’altra parte, per trovarvi di che soddisfarsi meglio; passa da una ad altra cosa senza poter trovare d’accontentarsi: ma in cielo non sarà così: bisognerà anzi che Dio ci partecipi le sue forze, per poter sostenere lo splendore delle sue bellezze, e delle cose dolci e meravigliose che si offriranno continuamente ai nostri occhi. E ciò sprofonderà le anime degli eletti in un abisso tale di dolcezza e d’amore, che non potranno distinguere se vivano o se siano tramutate in amore. O avventurata dimora! o felicità permanente! chi di noi ti gusterà un giorno? Poi per quanto grandi e inebrianti siano queste dolcezze, sentiremo continuamente gli Angeli ripetere che esse dureranno sempre. Vi lascio pensare quanto i beati ne godranno. Notate, F. M., se gustiamo in questo mondo alcuni piaceri, non tardiamo a provare qualche pena che ne diminuisce le dolcezze, sia per il timore che abbiamo di perderli, sia anche per le premure necessarie per conservarli: dal che avviene che non siamo mai perfettamente contenti. In cielo non succederà così: ci troveremo nella gioia e nelle delizie, sicuri che nulla potrà mai rapircele né diminuirle. Finalmente l’ultimo dardo d’amore che colpirà il nostro cuore, sarà il quadro che Dio metterà davanti ai nostri occhi di tutte le lagrime venate e delle penitenze fatte durante la nostra vita, senza lasciare da parte neppure un pensiero o un desiderio buono. Oh! qual gioia per un buon Cristiano, vedere il disprezzo avuto per se medesimo, il rigore esercitato sul suo corpo, il piacere che provava in vedersi disprezzato, vedere la sua fedeltà nel respingere quei cattivi pensieri coi quali il demonio aveva cercato di turbare la sua immaginazione: ricorderà le preparazioni per la confessione, la premura di nutrire l’anima sua alla sacra mensa: avrà davanti agli occhi tutte le volte che si privò degli abiti per coprire il fratello povero e sofferente. “O mio Dio! mio Dio! esclamerà ad ogni istante, quanti beni per così poca cosa!„ Ma Dio, per infiammare gli eletti di amore e di riconoscenza, metterà la sua croce sanguinosa in mezzo alla sua corte celeste, e farà loro la descrizione di tutti i patimenti sofferti per renderli felici, mosso com’era soltanto dal suo amore. Vi lascio immaginare i loro trasporti di amore e di riconoscenza: quali casti abbracci non le prodigheranno durante l’eternità, ricordandosi che questa croce è lo strumento di cui si servì Iddio per donar loro tanti beni! I santi Padri, facendoci la descrizione delle pene che soffrono i reprobi, ci dicono che ognuno dei loro sensi è tormentato, a seconda delle colpe commesse e dei piaceri gustati: chi avrà avuto la sfortuna di essersi abbandonato al vizio impuro sarà coperto di serpenti e dragoni che lo divoreranno per tutta l’eternità: i suoi occhi che ebbero sguardi disonesti, le orecchie che si compiacquero di canzoni impudiche, la bocca che pronunciò quelle impurità, saranno altrettanti canali donde usciranno turbini di fiamme a divorarli: gli occhi non vedranno che oggetti orribili. Un avaro soffrirà tal fame che lo divorerà, un orgoglioso verrà calpestato sotto i piedi degli altri dannati, un vendicativo sarà trascinato dai demoni tra le fiamme. Non vi sarà parte alcuna del nostro corpo che non soffrirà in proporzione dei peccati da essa commessi. O orrore! o sventura spaventevole! Altrettanto sarà della felicità dei beati nel cielo: la felicità, i piaceri, le gioie loro saranno grandi in proporzione di quanto fecero soffrire ai loro corpi durante la vita. Se avremo avuto orrore delle canzoni e dei discorsi disonesti, non udremo lassù che cantici dolci e meravigliosi, di cui gli Angeli faran ripercuotere la vòlta dei cieli: se saremo stati casti negli sguardi, i nostri occhi non saranno occupati che in contemplare oggetti, la cui bellezza li terrà in continua estasi senza potersene stancare: cioè scopriremo sempre nuove bellezze, come ad una sorgente d’amore che scorre senza esaurirsi mai. Il nostro cuore che aveva emesso gemiti, pianto durante l’esilio, proverà una ebbrezza tale di diletto che non sarà più padrone di sé. Lo Spirito Santo ci dice che le anime caste saranno simili ad una persona stesa sopra un letto di rose, le cui fragranze lo tengono in un’estasi continua. In una parola, solo di piaceri casti e puri i santi saranno nutriti ed inebriati per tutta l’eternità. – Ma, penserete dentro di voi, quando saremo in cielo, saremo tutti felici ugualmente? — Sì, amico mio, ma v’è qualche distinzione da fare. Se i dannati sono infelici e soffrono secondo i delitti commessi, parimente non devesi dubitare che più i Santi fecero penitenze, più la lor gloria sarà brillante; ed ecco come avverrà. E necessario, o piuttosto, conviene che Dio ci dia aiuti proporzionati alla gloria della quale vuol incoronarci, perciò ci darà soccorsi in proporzione delle dolcezze che vuol farci gustare. A coloro che fecero grandi penitenze, senza aver commesso peccati, darà delle forze sufficienti per reggere alle grazie che comunicherà loro per tutta l’eternità. È verissimo che saremo tutti completamente felici e contenti, perché troveremo tante delizie quante ce ne occorrerà per non lasciarci nulla a desiderare. – “O mio Dio! mio Dio! esclamava san Francesco in una furiosa tentazione provata, i vostri giudizi sono spaventosi: ma se io fossi tanto sventurato da non amarvi nell’eternità, accordatemi almeno la grazia d’amarvi quanto potrò in questo mondo.„ Ah! poveri peccatori che non volete tornare al vostro Dio, se almeno aveste gli stessi desideri di questo gran santo, amereste il Signore quanto potete in questa vita! O mio Dio! quanti Cristiani che mi ascoltano non vi vedranno mai! O cielo bello! o bella dimora! quando ti vedremo? Mio Dio! sino a quando ci lascerete languire in questa terra straniera? in questo esilio? Ah! se vedeste Colui che il mio cuore ama! ah! ditegli che languisco d’amore, che non vivo più, ma che muoio ad ogni ora!… Oh! chi mi darà ali come di colomba per lasciar questo esilio e volare nel seno del mio diletto?… O città felice! donde sono bandite tutte le pene, e dove si nuota in un torrente delizioso di eterno amore!…

II. – Ebbene! amico mio, vi affliggerà di essere in questo numero, mentre i dannati abbruceranno e manderanno grida orribili senza speranza che ciò debba finire? — Oh! mi direte, non solo non me ne affliggerò, ma vorrei già esservi. — Pensavo bene che m’avreste risposto così: ma non basta desiderare il cielo, bisogna lavorare per guadagnarselo. — E che si deve fare adunque ? — Nol sapete, amico mio? ebbene, eccovi: ascoltate bene, e lo saprete. Bisognerebbe non attaccarvi tanto ai beni di questo mondo, aver un po’ più di carità per la moglie, i figli, i domestici e i vicini: aver un cuore un po’ più tenero per gli sventurati: invece di non pensare che ad accumular denaro, acquistar terreni, dovreste pensare a guadagnarvi un posto in cielo: invece di lavorare la domenica, dovreste santificarla venendo nella casa di Dio per piangervi i vostri peccati, domandargli di non più ricadervi, e di perdonarvi: lungi dal non conceder tempo ai figli ed ai domestici di compiere i loro doveri di religione, dovreste essere i primi ad indurveli colle parole e col buon esempio: invece di incollerirvi alla minima perdita o contraddizione che vi succede, dovreste considerare che essendo peccatore, ne meritate ben di più, e che Dio si diporta con voi nel modo più sicuro per rendervi un giorno felice. Ecco, amico mio, ciò che occorrerebbe per andare in cielo, e che voi non fate. E che sarà di voi, fratello mio, poiché seguite la strada che conduce là dove si soffrono mali sì spaventosi? Ricordatevi, che se non lasciate questa strada, non tarderete a cadervi: fate le vostre riflessioni, e poi mi direte che cosa avrete trovato; ed io vi dirò che cosa bisognerà fare. Non invidiate forse, amico mio, tutti quei felici abitanti della corte celeste? — Ah! vorrei esservi già; almeno sarei liberato da tutte le miserie di questo mondo. — Ed anch’io lo vorrei; ma v’è ben altro da fare e da pensare.  Cosa devesi dunque fare e lo farò? — Le vostre intenzioni sono assai buone: ebbene! ascoltate un istante, e ve lo mostrerò. Non dormite, per favore. Bisognerebbe, sorella mia, essere un po’ più sottomessa al marito, non lasciarvi salire il sangue alla testa per un nonnulla; bisognerebbe avere con lui un po’ più di garbo; e quando lo vedete tornare a casa ubbriaco, ovvero dopo aver fatto un cattivo contratto, non dovreste scagliarvi contro di lui e farlo infuriare tanto che non sappia più trattenersi. Di qui vengono le bestemmie e le maledizioni senza numero contro di voi, e che scandalizzano i figli ed i domestici: invece di girar per le case a riferire quanto vi dice o fa il marito, dovreste occupare questo tempo in preghiere per domandare a Dio di darvi la pazienza e la sottomissione dovuta al marito: domandare che Dio gli tocchi il cuore per cambiarlo. So bene quanto sarebbe ancora oltre a ciò necessario per andare in cielo: madre di famiglia, ascoltatelo e non vi sarà inutile. Sarebbe necessario impiegare un po’ più di tempo nell’istruire i figli e i domestici, nell’insegnar loro ciò che devono fare per andar in cielo: sarebbe necessario non comperar loro abiti così belli, per aver modo di fare elemosina, ed attirar le benedizioni di Dio sulla vostra casa; e fors’anche poter pagare i vostri debiti: bisognerebbe lasciar da parte le vanità; e che so io? Bisognerebbe che non vi fossero nella vostra condotta che dei buoni esempi, l’esattezza nel far le vostre preghiere mattina e sera, nel prepararvi alla santa Comunione, nell’accostarvi ai Sacramenti: sarebbe necessario il distacco dai beni del mondo, un linguaggio che mostri il disprezzo che avete di tutte le cose di quaggiù, ed il conto che fate delle cose dell’altra vita. Ecco quali dovrebbero essere le vostre occupazioni e tutte le cure vostre: se fate diversamente, siete perduta: pensatevi bene oggi, forse domani non sarete più in tempo: fatevi sopra il vostro esame, giudicatevi da voi stessa: piangete i vostri sbagli, e procurate di far meglio; altrimenti non entrerete mai in cielo. Non è vero, sorella mia, che tutte queste meravigliose bellezze di cui i santi sono inebriati vi fanno invidia? — Ah! mi direte, si invidierebbe anche una fortuna meno grande di questa. — Avete ragione, ed anch’io sono del vostro parere: ma m’inquieta il pensiero che non ho fatto nulla per meritare il cielo; e voi? — Qualsiasi cosa occorra fare, pensate voi, la farei se la conoscessi: che cosa non dovrebbesi fare pur di procurarsi un sì gran bene? Se fosse necessario tutto abbandonare e sacrificare, lasciare il mondo per passare il resto dei propri giorni in un monastero, lo farei ben volentieri. — Ecco una bellissima disposizione: questi pensieri sono degni davvero d’una buona cristiana: non credeva che il vostro coraggio fosse così grande: ma vi dirò che Dio non ve ne domanda tanto. — Ebbene! pensate voi; ditemi che cosa bisogna fare, e la farò assai volentieri. — Vel dirò adunque, e vi prego di porvi ben attenzione. Occorrerebbe non prender tanta cura del vostro corpo, farlo soffrire un po’ di più: nontemer tanto che questa beltà si perda o diminuisca: non essere così lunga alla domenica mattina in abbigliarvi, osservarvi davanti allo specchio, per aver più tempo da dare al buon Dio. Bisognerebbe avere un po’ più sottomissione ai parenti, ricordandovi che dopo Dio dovete ad essi la vita, e obbedir loro di buon animo e non mormorando. Bisognerebbe anche, invece di vedervi ai divertimenti, ai balli, alle conversazioni, vedervi nella casa del Signore a pregare, a purificarvi dei peccati, e nutrir l’anima vostra col pane degli Angeli. Bisognerebbe anche essere un po’ più riservata nelle vostre parole, nelle relazioni che avete con persone di sesso diverso. Ecco quanto domanda Dio da voi: se lo fate, andrete in cielo. – E voi, fratel mio, che pensate voi di tutto ciò? da qual lato volgete i vostri desideri? — Ahi voi dite, preferirei bene d’andare in cielo, giacche vi si sta così bene, piuttosto che d’esser cacciato all’inferno dove si soffre tanto ed ogni sorta di tormenti: ma v’è molto da fare per andarvi, e mi manca il coraggio. Se un solo peccato ci condanna, io, che ad ogni istante vado in collera, non cerco neanche di incominciare “Voi non osate provare? Ascoltatemi un momento, e vi mostrerò chiaramente che non è tanto difficile come credete: e che fareste meno fatica per piacere a Dio e salvar l’anima vostra, che per procurarvi i diletti e per contentare il mondo. Rivolgete solo a Dio le cure e premure che aveste pel mondo; e vedrete che Egli non ve ne domanda tante quante il mondo. I vostri piaceri sono sempre uniti a tristezza ed amarezza, seguiti dal pentimento d’averli gustati. Quante volte ritornato dall’aver passato una parte della notte all’osteria od al ballo, dite: “Son malcontento d’esservi stato: se avessi saputo quanto vi avviene, non vi sarei andato.„ Ma, invece, se aveste passato una parte della notte in preghiere, ben lungi dall’esser afflitto sentireste dentro di voi una tal gioia, una dolcezza che vi accenderebbe il cuor d’amore. Ripieno di gioia, direste come il santo re David: “Mio Dio! un giorno passato nella casa vostra quanto è preferibile a mille passati nelle riunioni del mondo.„ I piaceri che provate nel mondo vi disgustano: quasi ogni volta che vi abbandonate ad essi, risolvete di non più ritornarvi: spesso anche vi sciogliete in lagrime, sino a disperarvi di non potervi correggere: maledite coloro che incominciarono a sviarvi: ve ne lamentate ad ogni istante: invidiate la fortuna di quelli che ora scorrono tranquillamente i loro giorni nella pratica della virtù, in un intero disprezzo dei piaceri del mondo: quante volte anche gli occhi vostri versano amare lagrime vedendo quella pace, quella gioia che brillano sulla fronte dei buoni Cristiani: che dico? Invidiate sin coloro che hanno la ventura di abitare sotto il vostro tetto. Dissi, amico mio, che quando avete passata la notte negli eccessi del vino, non trovate in voi che agitazione, noia, rimorso, disperazione: eppure avete fatto quanto potevate per accontentarvi, ma senza alcun risultato. Ebbene! amico mio: vedete quanto è più dolce soffrir per Iddio che pel mondo. Quando si ha trascorsa una notte o due in preghiera, lungi dall’esserne annoiati, pentiti e dall’invidiare coloro che passano questo tempo nel sonno e nelle comodità, si piange invece la loro sventura ed accecamento: mille volte si benedice il Signore di averci mandata l’ispirazione di procurarci tante dolcezze e consolazioni: lungi dal maledire chi ci fece abbracciare un tal genere di vita, non possiam vederlo senza la sciare scorrere lagrime di riconoscenza, tanto ci troviamo felici: lungi dal risolvere di non più ritornarvi ci sentiamo decisi di fare ancor più, ed abbiamo una santa invidia di coloro che non sono occupati che a lodare il buon Dio. Se avete speso del danaro per i vostri piaceri, il domani lo piangete: ma un Cristiano che l’ha adoperato per conservare in vita un povero che non poteva sostenersi, un Cristiano che ha vestito uno sventurato ignudo, lungi dal rimpiangerlo, cerca invece di continuo il mezzo di farlo ancor più: è pronto se occorre, a privarsi del necessario, a spogliarsi di tutto, tanta gioia risente soccorrendo Gesù Cristo nella persona dei suoi poveri. Ma, senza andar così lontano, non vi costerà certo di più, amico mio, quando siete in chiesa, lo starvi con rispetto e modestia che non ridere e volger attorno lo sguardo: sareste egualmente comodo avendo le ginocchia piegate a terra quanto tenendone uno levato per aria: quando ascoltate la parola di Dio, sarebbe più penoso ascoltarla con intenzione di approfittarne e di metterla in pratica appena il potrete, oppure andarvene fuori per divertirvi a chiacchierare di cose indifferenti, forse cattive? Non sareste più contenti se la coscienza non vi rimproverasse di nulla, e vi accostaste di tempo in tempo ai Sacramenti, ricevendo così molta forza per sopportare con pazienza le miserie della vita? Se ne dubitate, F. M., domandate a coloro che fecero la loro pasqua, come erano contenti per un po’ di tempo; cioè sino a quando ebbero la fortuna di restare amici del buon Dio. Ditemi, amico mio, vi sarebbe più duro e penoso che i parenti vi rimproverassero perché vi fermaste troppo in chiesa, ovvero vi rinfacciassero d’aver passato la notte negli stravizi? — No, no, amico mio, da qualsiasi lato consideriate quanto fate pel mondo, vi costa più caro che fare ciò che occorre per piacere a Dio e salvare l’anima vostra. Non vi parlerò della differenza, che vi sarà all’ora della morte, tra un Cristiano che servì bene Iddio, ed i rimorsi e la disperazione di chi non seguì che i suoi piaceri, non cercò che d’accontentare i corrotti desideri del cuore: perché nulla è tanto bello quanto il veder morire un santo: Dio stesso si compiace assistervi, come narrasi nelle vite di molti. Si può forse paragonarla agli orrori che accompagnano quella del peccatore, mentre i demoni lo circondano sì dappresso, e si dilaniano gli uni gli altri, per avere la barbara soddisfazione d’essere i primi a trascinarlo negli abissi? Ma, no, lasciamo tutto ciò: consideriamo soltanto la vita presente. Concludiamo, che se faceste per Iddio quanto fate pel mondo, sareste santi. — Oh! soggiungete dentro di voi, ci andate dicendo che non è difficile arrivare in cielo; a me sembra che v i siano molti sacrifici da fare. — Non v’ha dubbio: vi sono dei sacrifici da fare, altrimenti Gesù Cristo, contro verità, ci avrebbe detto che la porta del cielo è stretta, che bisogna sforzarsi per entrarvi, che occorre rinunciare a se stessi, prender la croce e seguirlo, che molti non saranno nel numero degli eletti: perciò ci promette il cielo come una ricompensa che avremo meritata. Vedete quanto fecero i santi per procurarsela. Andate, F. M., in quegli antri in fondo ai deserti, entrate nei monasteri, percorrete quelle rocce, e domandata a tette quelle schiere di santi: Perché tante lagrime e penitenze? Salite sui patiboli, ed informatevi dai martiri che cosa aspettano. Tutti vi diranno che fanno così per guadagnarsi il cielo. O mio Dio! quante lagrime versarono quei poveri solitari durante tanti anni! O mio Dio! quante penitenze e rigori non esercitarono sui loro corpi tutti quegli illustri anacoreti! Ed io non vorrò soffrir nulla! io, che ho la medesima loro speranza, ed il medesimo giudice che mi deve esaminare? O mio Dio, quanto sono neghittoso quando trattasi di lavorare pel cielo! Come mi condanneranno i santi, quando mostreranno tanti sacrifici da loro fatti per piacervi! Voi dite che è faticoso andar in cielo: ma, amico mio, non costò forse nulla a san Bartolomeo il lasciarsi scorticare vivo per piacere a Dio? Nulla a S. Vincenzo martire l’essere disteso su d’un cavalletto, ove gli si abbruciò il corpo con torce accese, finché le sue viscere caddero nel fuoco, e l’essere poi condotto in prigione, ove gli si fece un letto di pezzi di vetro e vi fu steso sopra? Amico mio, domandate a S. Ilarione perché durante ottanta anni visse nel deserto, piangendo giorno e notte. Andate, interrogate S. Girolamo, quel gran santo: domandategli perché si percuoteva il petto con un sasso, fino ad esserne tutto ammaccato. Andate nelle spelonche a trovare il grande Arsenio, e domandategli perché lasciò i piaceri del mondo per venire a piangere tutto il resto dei suoi giorni frammezzo alle belve feroci. Non avrete altra risposta, amico mio, che questa: “Ahi per guadagnar il bel cielo; eppure non ci è costato nulla: oh! queste penitenze sono ben poca cosa, se le confrontiamo alla felicità che ci preparano! „ Non vi è qualità di tormenti che i santi non siano stati pronti a soffrire per guadagnare il cielo. Leggiamo che l’imperatore Nerone, trattò i Cristiani con crudeltà sì spaventose, che il solo pensiero ci fa fremere ancora. Non sapendo con qual pretesto incominciare la persecuzione contro di essi, incendiò la città, per far credere che n’erano stati autori i Cristiani. Vedendosi applaudito dai suoi sudditi, si abbandonò a tutto quanto il furore suo poteva ispirargli. Simile aduna tigre furibonda, spirante strage, faceva uscire gli uni entro pelli di belve, e li gettava nel circo in pasto ai cani: altri faceva ricoprire di vesti intrise di pece e zolfo, poi li appendeva agli alberi delle vie maggiori por servir da torce ai passeggieri durante la notte: egli stesso ne aveva disposti due file nel suo giardino, e di notte li faceva accendere per avere il barbaro diletto di condurre il suo cocchio allo splendore di questo spettacolo triste e  straziante. Non trovandosi ancora soddisfatto il suo furore, inventò un altro supplizio: fece fondere urne di bronzo in forma di toro, nelle quali, arroventate per più giorni, gettava i Cristiani in gran numero e stava a vederli abbrustolire spietatamente. In questa stessa persecuzione S. Pietro fu messo a morte. Essendo in prigione con S. Paolo, al quale fu troncata la testa, trovò S. Pietro il mezzo di fuggire. Sulla strada apparvegli nostro Signore, che gli disse: “Pietro, vado a Roma a morire una seconda volta, „ e scomparve. S. Pietro conoscendo da ciò che non doveva fuggire la morte, ritornò in prigione, e fu condannato a morire in croce. Quando udì pronunciar la sentenza: “O grazia! esclamò: o felicità, il morire della morte del mio Dio! „ Ma domandò un favore ai suoi carnefici, di essere cioè crocifisso con la testa in giù : ” … perché, diceva, non merito la fortuna di morire in modo somigliante al mio Dio. „ Ebbene! amico mio, non è costato nulla ai santi l’andare in cielo? O cielo bello! se deve costare a noi quanto a tutti questi beati, chi di noi vi andrà? Ma no, F. M., consoliamoci Dio non ci domanda tanto. Ma, penserete, cosa bisogna far dunque per andarvi? — Ah! amico mio, lo so ben io cosa bisogna fare. Avete desiderio d’andarvi? — Oh! senza dubbio, voi dite; è ben questo il mio desiderio; se prego, se faccio penitenze è appunto per meritar questa fortuna. — Ebbene! ascoltatemi un istante e lo saprete. Cosa dovete fare? non tralasciar le preghiere mattina e sera: non lavorare in domenica: frequentar di tratto in tratto i Sacramenti: non ascoltare il demonio quando vi tenta, e ricorrere subito a Dio. — Ma, penserete voi, molte cose si possono benissimo fare, ma certe altre, il confessarsi, p. es., non è tanto comodo. — Non è tanto comodo, amico mio? dunque preferite restare in mano al demonio che cacciarlo per rientrare nel seno di Dio, che tante volte vi fece provare quanto è buono? Non considerate adunque come il momento più felice per voi quello in cui avete la fortuna di ricevere il vostro Dio? O mio Dio! se vi si amasse come si sospirerebbe questo momento felice!…Coraggio, amico mio, non disanimatevi: presto sarete al termine delle vostre pene; guardate al cielo, quella dimora santa e permanente; aprite gli occhi,e vedrete il vostro il vostro Dio che vi stende la mano per attrarvi a Lui.  Si, amico mio, tra poco farà con voi ciò che fu fatto con Mardocheo, per celebrare la grandezza delle vostre vittorie sul mondo e sul demonio. Il re Assuero per riconoscere i benefizi del suo generale,volle farlo montare sul suo carro di trionfo, con un araldo che camminava innanzi a lui, gridando: “Così il re ricompensa i servizi a lui resi. „ Amico mio, se adesso Dio presentasse agli occhi nostri uno di quei beati in tutto lo splendore della gloria di cui è rivestito in cielo, e ci mostrasse quelle gioie, quelle dolcezze e delizie delle quali sono inondati i santi nella patria celeste, e gridasse a noi tutti: O uomini! Perché non amate il vostro Dio? Perché non faticate a guadagnare un sì gran bene? O uomo ambizioso, che attaccasti il tuo cuore alla terra, che cosa sono gli onori di questo mondo frivolo e perituro a confronto degli onori e della gloria che Dio ti prepara nel suo regno? O uomini avari che desiderate queste ricchezze periture, quanto siete ciechi a non lavorare per meritarvi ora quelle che non finiranno mai! L’avaro cerca la felicità nei suoi beni, l’ubriacone nel vino, l’orgoglioso negli onori, e l’impudico nei piaceri della carne. Ah! no, no, amico mio, vi ingannate; alzate gli occhi dell’anima vostra verso il cielo, volgete i vostri sguardi a questo cielo bello e troverete la felicità perfetta: calpestate e disprezzate la terra è troverete il cielo! Fratel mio, perché ti immergi in questi vizi vergognosi? Osserva quali torrenti di delizie Gesù Cristo ti prepara nella patria celeste! Ah! sospira questo felice momento!… „ Sì, F. M., tutto ci predica, tutto ci sollecita di non perdere questo tesoro. I santi che sono in quel bel soggiorno ci gridano dall’alto dei loro troni di gloria: “Oh! se poteste comprendere bene la felicità di cui godiamo per alcuni momenti di combattimento. „ Ma i dannati cel dicono in modo più toccante: “O voi che siete ancor sulla terra, quanto siete fortunati di poter guadagnare il cielo, che noi perdemmo! Oh! se fossimo al vostro posto quanto saremmo più saggi di quello che fummo: abbiam perduto il nostro Dio, e l’abbiamo perduto per sempre! O sventura incomprensibile!… o sventura irreparabile!… cielo bello non ti vedremo mai!… „ F. M., chi di noi non sospira una sì grande felicità?

Credo …

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/12/il-credo/

Offertorium

Orémus
Ps XLVI:6.
Ascéndit Deus in iubilatióne, et Dóminus in voce tubæ, allelúia.
[Iddio è asceso nel giubilo e il Signore al suono delle trombe. Allelúia.]

Secreta

Súscipe, Dómine, múnera, quæ pro Fílii tui gloriósa censióne deférimus: et concéde propítius; ut a præséntibus perículis liberémur, et ad vitam per veniámus ætérnam. [Accetta, o Signore, i doni che Ti offriamo in onore della gloriosa Ascensione del tuo Figlio: e concedi propizio che, liberi dai pericoli presenti, giungiamo alla vita eterna.]

Comunione spirituale

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/comunione-spirituale/

Communio

Ps LXVII: 33-34
Psállite Dómino, qui ascéndit super coelos coelórum ad Oriéntem, allelúia.

[Salmodiate al Signore che ascende al di sopra di tutti i cieli a Oriente, allelúia.]

Postcommunio

Orémus.
Præsta nobis, quǽsumus, omnípotens et miséricors Deus: ut, quæ visibílibus mystériis suménda percépimus, invisíbili consequámur efféctu.

[Concedici, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente e misericordioso, che di quanto abbiamo ricevuto mediante i visibili misteri, ne conseguiamo l’invisibile effetto].

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/

https://www.exsurgatdeus.org/2018/09/14/ringraziamento-dopo-la-comunione-2/

https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/