IL SACRO CUORE DI GESÙ E LA DIVINIZZAZIONE DEL CRISTIANO (12)

H. Ramière: S. J.

Il cuore di Gesù e la divinizzazione del Cristiano (12)

[Ed. chez le Directeur du Messager du Coeur de Jesus, Tolosa 1891]

TERZA PARTE

MEZZI PARTICOLARI DELLA NOSTRA DIVINIZZAZIONE

Capitolo VI.

IL CUORE DI GESÙ È NELL’EUCARISTIA IL COMPAGNO DEL NOSTRO PELLEGRINAGGIO

Le visite di Dio agli uomini.

Se il primo dovere dell’uomo è quello di inchinarsi davanti al suo Creatore, con il sacrificio, il suo primo bisogno è quello di vedere il suo Creatore inchinarsi a lui e concedergli la sua amicizia. L’unione con Dio è lo scopo della Religione, così come il sacrificio è il suo atto supremo. Con il sacrificio testimoniamo a Dio la nostra assoluta dipendenza e il nostro bisogno del suo aiuto. Non serve nient’altro per attirarci nella sua infinita bontà e per fargli fare alleanza con la nostra debolezza in un’alleanza misericordiosa. Ma questo patto tra Dio e l’uomo non è sempre stato altrettanto intimo. Dio era sempre contento di conversare con i figli degli uomini, ma essi non erano ugualmente disposti a ricevere le sue visite paterne. Queste erano all’inizio solo poche apparizioni concesse alla fede dei Patriarchi. Poi fu innalzato il Tabernacolo e Dio fece la sua abituale dimora nell’Arca dell’alleanza, dove conversava direttamente solo con il Sommo Sacerdote ed in alcune circostanze solenni. La gente poteva parlargli solo dall’esterno. Finalmente il velo è stato strappato. L’ingresso del santuario è stato aperto agli uomini. Il vero Santo dei Santi, Colui di cui l’Arca dell’Alleanza non era che una pallida immagine, apparve alla vista degli uomini. Il Verbo stesso di Dio ha parlato la nostra lingua e per trentatré anni ha conversato con noi come uno di noi. E non solo Mosè, ma anche l’ultimo dei peccatori ha potuto affrontarlo faccia a faccia. Non è questo, per Dio, l’apice della condiscendenza? E non dovrebbe essere soddisfatto Egli che una volta aveva detto che le sue delizie erano “l’abitare tra i figli degli uomini”? No, non è soddisfatto! Per soddisfare tutte le esigenze del suo amore deve inventare un’unione molto più stretta, una disposizione che lo avvicinerà a tutti i suoi fratelli fino alla fine dei tempi. E questo, senza togliere il merito della fede, permette loro di vedere, in modo più sensibile, il suo immenso amore per loro. Questo è il capolavoro del Cuore di Gesù.

Dio resta con gli uomini fino alla fine dei tempi.

Aveva terminato la sua carriera mortale e doveva andare da suo Padre. La sola notizia della sua partenza aveva addolorato gli Apostoli; ma quanto più vividamente desiderava non essere separato da loro! Che cosa farà allora? Obbedirà al Padre che Lo chiama, ed allo stesso tempo al suo amore che Lo trattiene. Salirà in cielo, ma poco dopo scenderà di nuovo sulla terra in modo definitivo. I suoi figli non avranno perso nulla nella loro separazione, al contrario, ne avranno tratto vantaggi inestimabili. Perché l’amore del Cuore di Gesù ha saputo approfittare della sua impossibilità di rimanere sulla terra nella sua forma, per soddisfare più pienamente il desiderio di stare con ciascuno dei suoi figli. La sua presenza sarà d’ora in poi meno sensibile, ma molto più completa. Fino ad ora è stato presente in un solo luogo, e quanti uomini non hanno potuto vederlo! Egli stesso andò ad incontrare coloro che avevano bisogno del Suo aiuto; corse dietro alle infermità per curarle. Ma il suo stesso amore sacrificale gli impedisce di rimanere negli stessi luoghi in modo stabile e di soddisfare i desideri di chi avrebbe voluto tenerlo con sé. Passò facendo del bene e compiendo miracoli, ma passò. A parte le poche persone chiamate a seguirlo, la maggior parte di coloro che ebbero la grande gioia di vederlo, si rallegrarono solo per poco tempo. Non sarà più lo stesso in futuro: non in un solo luogo, ma in tutta la terra Gesù Cristo è presente: in tutte le regioni dell’Europa cristiana, in tutti i villaggi di montagna e nei quartieri delle città; in Asia, in Africa, in America, nelle isole dell’Oceania, ovunque il Cuore di Gesù è presente per fortificare i suoi ministri, per incoraggiare i suoi fedeli servi, per consolare coloro che soffrono, per lavare via le macchie dei peccatori. E non passa, rimane! Va dove viene chiamato, ma non si allontana da Se stesso e rimane fino a quando lo si vuol tenere. Non chiede palazzi splendidi, né brillanti cortei, ma un po’ di pane come velo, il recipiente più povero in cui riposare e la capanna più vile per preservarsi dalle intemperie, alcune anime sacrificate per tenergli compagnia, e nient’altro. E si rassegna, in molti luoghi, a rimanere solo per giorni interi. Solitudine alla quale la nostra vergognosa indifferenza lo condanna, e che non lo appesantirà finché Gli lasceremo la speranza di consolarci quando le necessità ci costringeranno a ricorrere a Lui. Questo è il modo in cui il Cuore di Gesù è costantemente presente, non in alcune anime privilegiate, ma in tutti i suoi fratelli e sorelle, sia nei peccatori che nei giusti. Questa presenza deve durare per secoli. Qualunque siano, le prove non ci mancheranno. In tutte le nostre lotte avremo con noi Colui che ha già combattuto in nostro nome e che ha sconfitto tutti i nostri nemici. E in tutte le nostre afflizioni il Divino Consolatore sarà alla nostra porta, pronto a ricevere la fiducia nei nostri dolori. Nell’ultimo giorno della nostra vita, quando non potremo andare da Lui, Egli verrà da noi per sostenerci nella battaglia suprema e per guidarci nel terribile passaggio. Egli farà lo stesso con gli uomini che ci seguiranno sulla terra. Fino alla consumazione dei secoli, il Cuore di Gesù avrà la sua delizia nell’abitare questa dimora di miseria e di peccato. Il suo amore avrà sempre più potere per trattenerli in Lui, ché la sua santità Gli impedisce di allontanarsene.

La nostra condizione è migliore di quella di chi ha visto il Salvatore.

Siamo, in un certo senso, meno favoriti di quelli che hanno vissuto durante la sua vita mortale. Ma siamo compensati per questo da un’altra e più grande grazia. Ricordiamo la risposta dell’apostolo S. Tommaso, quando, dopo essersi assicurato, con la testimonianza dei suoi sensi, della risurrezione del Salvatore, cadde ai suoi piedi ed esclamò: « Mio Signore e mio Dio »; « Tu hai creduto, Tommaso, perché hai visto; beati coloro che non hanno visto ed hanno creduto. » Perché siamo sulla terra? Vedere e riposare nello splendore di quella visione? No certo, ma per raggiungere, attraverso il cieco assenso della nostra fede, la dolcezza della visione eterna del cielo; per incrementare queste dolcezze con l’aumento della nostra fede. La felicità della vista è la felicità del cielo stesso, ma c’è, per gli abitanti della terra, una felicità che i Santi non possono avere: quella di accrescere il loro tesoro eterno con i loro meriti. Il Cuore di Gesù ha cercato di rendersi presente a noi, conciliando due interessi: quello della nostra debolezza, che richiedeva una presenza sensibile, e quello della nostra felicità futura, che chiedeva una presenza il più possibile favorevole all’esercizio della nostra fede. Se in questa presenza non ci fosse stato nulla per i nostri sensi, il nostro spirito, imprigionato in essi, non sarebbe stato in grado di raccoglierne i frutti. Se, al contrario, fossero stati completamente soddisfatti, la nostra fede non avrebbe avuto nulla a che fare con questo, e non avremmo potuto meritarla. Grazie sian dati al Cuore di Gesù, che ha così mirabilmente riconciliato interessi così contrastanti! Ha dato ai nostri sensi tutto ciò che la nostra debolezza richiedeva, senza togliere alcun merito alla nostra fede. Si manifesterà in modo tale da lasciarsi vedere, toccare e mangiare. Il Sacramento dell’amore diventerà il centro della Religione, la ragione dell’ergersi di magnifici templi, il legame più forte dei pii incontri in cui i figli di Dio si riuniscono attorno alla mensa paterna, l’oggetto principale di solenni cerimonie, davanti alle quali vengono oscurati gli splendori dell’antico culto. E senza dubbio, il Cuore di Gesù è rimasto nella Santa Eucaristia come oggetto della nostra fede. Egli lo esercita per quello che nasconde e per quello che mostra. San Tommaso vedeva l’umanità e credeva nella divinità che non vedeva. Il nostro merito sarà doppio, perché non vediamo né l’umanità né la divinità. È vero che l’una e l’altra ci vengono mostrati sotto le specie del pane e del vino, ma quelle specie, mostrandoci ciò che non sono, aumentano il merito, lungi dal diminuirlo. Perché se è un grande merito credere che Dio è in loro non vedendolo, non è meno meritorio credere che non ci sia il pane, anche se tutte le apparenze ci mostrano tutt’altro. Così, ci si dà l’opportunità di compiere un fervente atto di fede, che diventa un merito, e quanto meno ci viene mostrato Gesù Cristo, tanto più crescono i nostri diritti per godere della visione della sua bellezza.

Gesù Cristo è meno visibile nell’Eucaristia di quanto lo fosse sulla terra?

L’attributo che Dio vuole manifestare principalmente sulla terra è l’amore. Fin dall’inizio, sembra che si sia compiaciuto di nascondere tutti gli altri attributi, per non permettere agli altri di apparire. Raramente ha manifestato il suo potere attraverso i miracoli e la sua giustizia attraverso terribili punizioni. Erano eccezioni strappate alla ripugnanza di Dio per necessità forzate. L’Amore divino, al contrario, ha approfittato di ogni occasione e di ogni pretesto per far scaturire la sua generosità e la sua indulgenza. Le opere buone e i peccati, la fedeltà dei giusti e il pentimento dei colpevoli, sono serviti come rimedio. Nei momenti in cui la sola giustizia sembrava operare, l’amore la moderava. Solo l’Amore divino poteva guidare creature così miserabili come noi siamo al sublime fine per il quale siamo stati creati. L’Amore divino è il nostro sostegno, la nostra risorsa, l’oggetto principale della nostra fede, il più fermo sostegno della nostra speranza. Esso è lo stimolo del nostro amore. Come possiamo osare amare Dio se non ci dimostra Egli stesso che vuole trattarci come suoi amici? Dio Nasconde per il tempo debito gli altri attributi. Nasconde la sua grandezza e la sua potenza, che non farebbero che spaventarci allontanandoci da Lui. Quello che dobbiamo conoscere in Lui, l’unica cosa di cui dobbiamo essere sicuri, è il suo amore. Di tutti i modi in cui Egli può manifestarsi a noi, il più utile sarà quello che più chiaramente ci manifesta il suo amore. Stando così le cose, come possiamo dubitare che nell’Eucaristia, Gesù Cristo ci sia mostrato più visibilmente di quanto non fosse stato durante la sua vita mortale? Come si può scoprire l’amore se non attraverso gli sforzi che fa? E quando l’amore di Gesù Cristo si è maggiormente mostrato a noi? Quando gli ha imposto sacrifici maggiori di quando è stato costretto a spogliarsi non solo delle glorie della divinità, ma delle forme stesse dell’umanità per nascondersi in apparenze inanimate? Se san Bernardo poteva dire che nella culla il Figlio di Dio si è mostrato tanto più amabile quanto più si ancor più evidente? Confessiamo che in questo Sacramento divino Gesù Cristo nasconde tutti gli attributi della sua divinità. Ma diciamo ad alta voce che il suo amore non era mai stato così palpabile. Non vediamo l’umanità del Salvatore, né il suo adorabile volto, né le sue mani che curano le malattie, né sentiamo la sua voce, né possiamo toccare la sua veste. In Lui non vediamo altro che il suo Cuore. In questo Sacramento vediamo il Cuore di Gesù. Lo vediamo nella sua umiltà e dolcezza, con la sua condiscendenza e la sua indulgenza che perdona ogni ingratitudine; con la sua generosità che dona senza mai stancarsi, e la sua misericordia che ha consolazioni per tutte le miserie. Abbiamo sentito il Cuore Divino che ci parlava nel suo silenzio. Possiamo toccarlo, tenerlo vicino al cuore. Questa è veramente la presenza del Cuore di Gesù. È la sua manifestazione completa. Il Salvatore stesso ci ha mostrato l’intima connessione della devozione al suo Cuore con la devozione all’Eucaristia. Non separiamole mai. L’Eucaristia è il segno, e il Cuore di Gesù è la realtà divina da Lui indicata. Naturalmente, la carne del Salvatore è contenuta e simboleggiata dalle Sacre Specie. Ma è carne sacra, in quanto sacrificata per amore e che serve come organo di questo amore ineffabile per santificare le nostre anime. Ora, l’organo speciale dell’amore del Salvatore è il suo Cuore, ed è Lui che si manifesta a noi in modo speciale nelle specie sacramentali: è il Cuore che dobbiamo adorare in modo particolare.

Economia delle manifestazioni divine.

Riflettendo sulle varie manifestazioni divine, possiamo comprendere la loro economia misericordiosa. Sarà facile per noi vedere che la bontà di Dio ci sia stata mostrata più generosamente, poiché la sua grandezza è stata nascosta sotto i veli più oscuri. Il Verbo incarnato si è rivelato agli uomini in tre modi: in primo luogo, si è fatto conoscere agli uomini come il Verbo del Padre, quando ha conversato con Mosè, i Patriarchi e i Profeti, imponendo loro i suoi precetti e togliendo il velo del futuro. Si è poi circondato degli abiti della sua divinità, si è avvolto nelle nuvole, facendo scoppiare il fulmine e incutendo un rispettoso timore in tutti coloro che hanno ricevuto i suoi messaggi. La seconda manifestazione del Verbo divino è stata meno brillante, ma più misericordiosa. Era visto tra gli uomini vestito come un servo e come l’ultimo di noi. Nascondendo di più la sua divinità, si donava di più a noi. Più la sua unione con noi diventava intima, meno appariva la sua superiorità. Infine, la terza manifestazione adempie alla sua bontà e al misterioso stupore della sua grandezza. Il Dio che già si nascondeva nel Sinai e che a Betlemme si circondava della natura umana come di un velo, si nascondeva in un pezzo di pane. Coprendosi in questo modo, si è consegnato più che mai. Si è unito alla sua Chiesa ed a ciascuno dei suoi fratelli. Attraverso la sua Incarnazione ha unito la natura umana alla sua divinità; attraverso l’Eucaristia unisce tutto in una volta sola con ogni uomo: la sua divinità e la sua umanità. Ma fa anche di più: in quest’ultimo mostrarsi riunisce tutte le manifestazioni precedenti. Come la manna, senza avere un sapore proprio, aveva in sé il sapore di tutte le prelibatezze, così, il Cuore di Gesù nell’Eucaristia ripete a noi tutti ciò che ha rivelato ai Patriarchi, ai Profeti e agli Apostoli, e rinnova tutti i misteri che ha compiuto durante la sua morte: la grandezza di Dio, la sua potenza, la sua stessa giustizia, la sua misericordia e bontà, il prezzo delle nostre anime, l’orrore del peccato, la grandezza dei destini per i quali Dio ci ha fatti, e delle punizioni che subiremmo se ci mostriamo ingrati, le virtù che dobbiamo praticare, l’umiltà, la dolcezza, la pazienza, la dimenticanza del male. Tutto si manifesta a noi attraverso il Cuore di Gesù con un’incomparabile eloquenza. Non sarà difficile per noi trovare in questo Sacramento tutta la Religione, con tutti gli insegnamenti della sua fede e tutti i precetti della sua morale. Nell’Eucaristia, Gesù rinnova tutti i misteri della sua vita: si incarna come a Nazareth, nasce come a Betlemme, riceve l’adorazione dei Magi e dei pastori, fugge in Egitto, guarisce i malati, consola gli afflitti, passa facendo del bene. Ma sulla sua strada Egli raccoglie, come durante la sua vita mortale, ingratitudine e odio; viene di nuovo consegnato da Giuda, abbandonato da discepoli pigri, crocifisso dai farisei, tradito da un popolo ingrato. Lì muore e viene sepolto, ma anche risorge e riporta in vita molti. Che cosa gli manca per rispondere alle nostre esigenze ed essere il compagno inseparabile del nostro pellegrinaggio? Una sola cosa: che acconsentiamo a rimanere uniti a Lui, ad appoggiarci al suo braccio quando vacilliamo, a chiamarlo in nostro aiuto quando il pericolo ci minaccia, a permettergli di sollevarci quando siamo caduti, per dare al suo Cuore il conforto che desidera ardentemente per renderci santi e felici

Capitolo VII

IL CUORE DI GESÙ È NELL’EUCARISTIA IL CIBO DELLE NOSTRE ANIME

I figli della nuova alleanza sono superiori a Mosè.

L’ambizione del Cuore di Gesù è stata quella di essere non solo con l’umanità in generale, ma con ogni uomo in particolare, di abitare contemporaneamente in ogni parte della terra e in tutto il susseguirsi dei secoli, per poter soddisfare ogni esigenza e consolare ogni dolore. Una presenza universale e costante in mezzo a noi, iniziata nel momento stesso in cui la provvidenza sembrava obbligarlo a lasciarci. Ma non si è accontentato di questo. Non gli bastava essere presente ad ognuno di noi, voleva essere presente in noi. Gli sembrava poco mettersi a disposizione dei suoi fratelli, per ricevere le loro confidenze e rispondere ad esse con gli effluvi del suo amore. Non aveva fatto di più con Mosè. Le comunicazioni intime che ebbe con il legislatore degli Ebrei sulla cima del Sinai e nel Tabernacolo erano state sufficienti per elevarlo al di sopra di tutti i santi che lo avevano preceduto: « Mai prima d’ora, dice la Scrittura, c’era stato un uomo come Mosè, con il quale Dio si degnò di conversare faccia a faccia ». Ma la dignità dei figli della Nuova Alleanza sarà molto più alta. Con loro Dio non parlerà faccia a faccia, ma Cuore a cuore. Perché è il regno del Cuore di Gesù. La vecchia legge parlava all’esterno, la nuovo parla dall’interno. Il primo è stato scritto dal dito di Dio sulle tavole di pietra, il secondo dal Cuore di Gesù sulle tavole vive del cuore cristiano. È giusto che il Cuore di Gesù, incaricato di promulgare questa legge, penetri nel nostro interno e che imprima nel cuore di ciascuno dei suoi membri questa legge, che non è altro che il suo amore. Questo succede né più né meno nella Santa Comunione. È essa la consumazione di tutti i piani d’amore del Cuore di Gesù. Attraverso il Battesimo Egli si è donato a noi e ci ha uniti a sé per comunicarci la sua vita e formarci a sua immagine. Attraverso il santo Sacrificio della Messa è diventata la nostra vittima e l’ostia di un Sacrificio ininterrotto. Rimanendo presente sull’altare con il Sacrificio, era diventato il compagno del nostro pellegrinaggio. Lasciando l’altare per fare del nostro cuore un tabernacolo vivente, termina la sua opera.

La santa comunione alimenta la nostra vita divina.

La vita divina, come la vita animale e razionale, deve essere costantemente rinnovata, pena il decremento e l’estinzione. Perché siamo obbligati a dare cibo al nostro corpo ogni giorno? Perché tutti gli elementi sembrano togliergli la vita. L’aria che respiriamo, il calore che dilata i nostri organi, portano via parte della nostra sostanza in ogni momento. L’esercizio stesso di quegli organi li indebolisce e li logora. Il nostro corpo morirebbe presto di una morte orribile se, attraverso il cibo, non ci preoccupassimo di riparare queste perdite. Lo stesso vale per le facoltà della nostra anima. Se non ci preoccupiamo di nutrirle con lo studio e la riflessione, saranno irrimediabilmente indebolite. La memoria dimenticherà ciò che ha imparato. L’acutezza della comprensione sarà smorzata. L’energia della volontà si esaurirà. E le anime più adornate di doni naturali difficilmente si distingueranno dagli animali più stupidi, per non aver approfittato dei doni ricevuti dalla mano di Dio. Nostro Signore voleva che la nostra vita divina seguisse queste leggi. Essa può e deve crescere costantemente, perché altrimenti non può che indebolirsi. È una vita, questa, essenzialmente militante: tutti gli elementi esterni le fanno guerra. Tutta l’attenzione, la stima e l’affetto che se ne vanno per le cose del mondo, vanno a discapito della nostra unione con Dio. Il nostro cuore ha solo pochi limiti di forza e di amore. Tutto ciò che cade a terra è perduto per il cielo. Se non vogliamo che la nostra aspirazione a Dio si indebolisca e che il vaso della nostra vita divina si esaurisca, c’è solo un modo: rinnovarla incessantemente, attirarla fuori dalla fonte senza interruzioni. Come? Attraverso la Comunione! Perché la fonte della vita divina è il Cuore di Gesù che la Comunione porta nel nostro cuore.

Nella comunione, il Cuore di Gesù forma in noi la sua immagine.

Dobbiamo essere riformati in tutto: il nostro corpo con i suoi organi e la nostra anima con le sue facoltà; ma soprattutto il nostro cuore, l’organo attraverso il quale il nostro corpo influenza gli affetti e le tendenze dell’anima. Era giusto, quindi, che Gesù Cristo ci desse tutto il suo essere, il suo corpo e la sua anima, ma soprattutto il suo Cuore, sede principale dei suoi affetti e dei suoi meriti: questo è ciò che ha fatto e fa nella Comunione. In essa il Cuore di Gesù compie la seconda parte della sua missione, che consiste nel formare in noi la sua immagine. Questa contiene il frutto necessario della nostra unione con Lui e la condizione indispensabile della nostra felicità eterna. Più siamo simili a Gesù Cristo, più Dio Padre riconoscerà in noi i suoi figli adottivi e più ci riempirà di favori. Ma l’immagine divina ci può essere conferita solo dal modello divino che dobbiamo imitare. Gesù Cristo, nella Comunione, è il nostro cibo, ma in modo molto diverso dal cibo che prendiamo per riparare la nostra vita corporea, perché, mentre questi cibi sono morti ed ad essi noi diamo la vita, Gesù Cristo è un cibo vivo, che ci comunica la sua stessa vita e con essa la sua immagine divina. Ci nutriamo del suo Cuore, non per conservare la nostra vita naturale, ma per perderla e vivere solo della vita di quel Cuore che vuole prendere il posto del nostro. La Comunione completa in noi l’effetto del Battesimo e finisce con l’incorporarci nel tronco divino al quale siamo stati uniti dal primo Sacramento, non come un comune innesto destinato a dare al tronco la dolcezza dei suoi frutti, ma perché perda la sua linfa selvaggia ed acquisisca da esso le sue qualità divine. Nella Comunione Gesù Cristo si innesta su di noi e aumenta la nostra fecondità. La Comunione rinnova in ogni Cristiano il grembo di Maria. Il Verbo di Dio non è meno presente in noi di quanto lo sia stato nella Beata Vergine durante i nove mesi in cui lo ha portato nel suo grembo. Ma quando ricevette da Maria la forma dell’uomo, l’immagine di Adamo, Egli diede ai figli di Adamo, nella Comunione Eucaristica, la propria immagine e con essa la forma di Dio.

La Santissima Trinità è l’immagine dell’azione del Cuore di Gesù nell’Eucaristia.

Per comprendere l’azione del Cuore di Gesù, dobbiamo andare con Lui nel seno del Padre. Vediamo due Persone adorabili che non sono che una sola vita, e la cui felicità si traduce nell’intima, completa, eterna comunicazione della vita infinita che, senza mai essere esaurita o sminuita, va dal Padre al Figlio e da quest’ultimo al primo. Questo è l’esempio ineffabile che Gesù Cristo si è proposto nell’istituzione dell’Eucaristia, e che cerca di realizzare ogni volta che si dona a noi nella Comunione: « Come il Padre mio mi ha mandato, comunicandomi la sua vita – ci dice – e come Io vivo solo per il Padre mio, così chi si nutre di me vivrà solo per me. » Tra noi e Lui si stabilisce un rapporto simile a quello che esiste tra Lui e suo Padre. Come la vita del Figlio è solo l’espressione e l’irradiazione di quella del Padre, così la nostra vita soprannaturale non è altro che l’estensione e la irradiazione di quella di Gesù Cristo.

Capitolo VIII.

IL CUORE DI GESÙ CI DÀ LA VITA ETERNA NELL’EUCARISTIA

Con la Comunione noi raggiungiamo la vita eterna.

La nostra unione con il Cuore di Gesù non sarebbe completa, né soddisferebbe il suo amore, se avesse una fine. Perché la vita che questo cibo divino ci darà non è temporanea, ma eterna. Egli stesso è la vita eterna, e chi la riceve, anche se era già tra le braccia della morte, può sfidarla vittoriosamente, perché ha in sé l’immortalità. Se vogliamo misurare la ricchezza infinita e la potenza illimitata del Cuore di Gesù, dobbiamo metterci su questo terreno. Considerate un Cristiano che abbia raggiunto la sua ultima ora. La morte si è impadronita di lui, lo ha tenuto nelle sue crudeli grinfie e ora ne sta divorando le viscere. Non è più che un cadavere appena animato da un soffio di vita. I suoi occhi sono spenti, le sue guance sono incavate, le sue labbra non possono proferire più di qualche parola. E, in questo disfacimento del suo involucro mortale, l’anima non sembra meno depressa: l’intelligenza non può collegare i suoi pensieri, la volontà è impotente la sensibilità è assorbita dal dolore e dall’angoscia, l’annientamento sembra completo. Beh, a quell’uomo che la morte ha scelto come vittima, a quel cadavere che sarà prigioniero nella tomba, si presenta il Sacerdote, tenendo in mano il Pane Celeste, e con le stesse parole di Gesù Cristo dice: « Se mangiate di questo pane vivrete per sempre. » E quel Cristiano, dopo essere diventato un tutt’uno con quel cibo divino, ripete l’ultimo articolo del Credo: Credo nella vita eterna. Non solo credo che questa vita sia in cielo, ma credo che sia dentro di me e che io la possegga veramente. Non sento niente in me se non la morte, ma credo nella vita non meno fermamente. Nel momento preciso in cui ogni sostegno è inutile e tutte le forze umane stanno fallendo, l’amore del Cuore di Gesù si manifesta con tutta la sua potenza e ci insegna a superare la morte lasciandosi sconfiggere da essa. Il Cristiano che, attraverso la Comunione, ha ricevuto il Cuore di Gesù, possiede la vita eterna, per avere nel Cuore Divino un titolo sufficiente a raggiungere quella vita benedetta. Qual è il prezzo del paradiso? Non è il sangue di Gesù Cristo? Una sola goccia di sangue divino basterebbe per comprare tutte le glorie del paradiso. E il Cristiano ha appena ricevuto tutto questo nell’Eucaristia. Ogni nuova Comunione conferma e assicura i suoi diritti all’eredità dell’unico Figlio del Padre. La felicità che il Verbo di Dio possedeva per diritto di nascita, voleva conquistarla a prezzo della più dolorosa delle morti, per tutti coloro che la sua Incarnazione aveva reso suoi fratelli. E ci comunica questo diritto attraverso tutti i Sacramenti che ci rendono partecipi dei suoi meriti, ma soprattutto attraverso quello che ci mette in possesso della sua stessa Persona. Per mezzo di Lui ci appropriamo veramente dell’ostia del Sacrificio Divino che ha espiato le nostre colpe, placato la giustizia divina e acquistato per noi tutti i beni dell’eternità. La stessa carne che è stata immolata sulla croce, noi l’abbiamo nella Santa Comunione. Noi la possediamo e possiamo offrirla a Dio come nostra proprietà. Cosa non otterremo con una tale moneta? Quale felicità dal cielo non chiederemo in cambio di tali tesori? Quando il nostro Divino Salvatore ci dà il Suo corpo e il Suo sangue nella Comunione, Egli mette già l’equivalente del cielo nelle nostre mani. Ogni volta che questo dono si rinnova, ci rende più facile la conquista dell’eternità.

La comunione è il seme della vita eterna.

La Comunione non solo mette nelle nostre mani il prezzo della nostra eredità celeste, ma deposita in noi il seme della vita eterna. Il seminatore getta il seme nel terreno. Cosa succederà al chicco di grano sepolto nella terra? Marcirà. Tutte le sue parti si decomporranno. È per questo che l’operaio ha lavorato così duramente per rimuovere la terra che doveva riceverlo? Certo che no! È sicuro che la vita uscirà dal marciume, e che ogni grano produrrà una spiga viva. In mezzo agli elementi visibili che si stanno decomponendo, apparirà una forza vitale, fino ad allora invisibile, in attesa che la morte completi la sua opera distruttiva per manifestarsi. Questa forza misteriosa si impadronirà degli stessi elementi, spogliati dalla morte della loro vecchia forma, e ne darà una nuova. Molto presto, invece di un solo grano, ne avrete cento, una ricompensa sovrabbondante per le fatiche del campo. Ciò che la forza vitale è per il chicco di grano, lo è il Cuore di Gesù per il Cristiano che ha appena ricevuto il suo Salvatore nella Santa Eucaristia. La vita che il Cuore Divino porta con sé non può manifestarsi quaggiù. Finché il Cristiano mantiene la sua forma mortale, la vita divina è nascosta; ma ciò non di meno significa che non sia in lui. Cosa aspetta a farsi vedere? Che la morte abbia fatto il suo lavoro. Allora il Cuore di Gesù dispiega tutta la sua virtù. Il corpo nato da esso sarà restituito alla terra, ma nel momento in cui il corpo si dissolverà, l’anima, libera dai suoi legami, salirà a Dio, spinta dalla virtù del Cuore di Gesù. Ogni volta che questo Cuore Divino è stato donato al Cristiano, è servito come veicolo per lo Spirito Santo. E, mentre il corpo del Salvatore rimane unito a quello del Cristiano solo per un breve periodo di tempo, l’unione tra lo Spirito di Dio e quello dell’uomo conserva tutta la sua forza. La comunione dà al Cristiano un più completo possesso della sua eredità eterna; fa sì che lo Spirito di Dio entri più pienamente in suo possesso e permette allo Spirito Santo di disporlo in questo modo per godere un giorno della sua eredità divina. Come può un’anima piena di quello Spirito temere la morte? Ciò che lo Spirito di Gesù Cristo ha fatto nel nostro Capo non può non essere fatto nei suoi membri? Ascoltiamo San Paolo: « Se lo Spirito che ha risuscitato Gesù Cristo dai morti dimora in noi, Colui che ha risuscitato Gesù Cristo dai morti riporterà in vita anche i vostri corpi mortali, a causa dello Spirito che abita in voi. » E la cosa più bella è che in noi, come nel chicco di grano, il germe vivente si nutre delle spoglie stesse della morte. I nostri dolori, le miserie della nostra mortalità e, soprattutto, la nostra stessa morte, ci uniscono allo Spirito di Dio e ci rendono più degni della vita eterna. Ciò che per l’anima separata da Gesù Cristo è motivo di disperazione e di condanna, in quella del vero Cristiano è trasformato dalla virtù del Cuore di Gesù in una materia di merito. In questo modo il Cuore Divino, dopo averci dato il prezzo della nostra eterna beatitudine e aver depositato il suo seme nel nostro grembo, lo sviluppa fino ad aprirsi al sole dell’eternità.

La Comunione ci rende già da ora possessori della vita eterna.

Nella Comunione, Gesù Cristo ci dà il cielo e ci rende possessori della vita eterna. Egli stesso lo afferma in un modo che non lascia spazio a dubbi: « Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna. » Non dice che l’avrà, ma che ce l’ha già. Che cos’è la vita eterna se non il possesso di Dio, l’unione con Dio? Qual è la felicità dei Santi in cielo? Il cielo è Dio: la sua infinita Verità, che con il suo splendore illumina l’intelligenza dei beati; la sua infinita bellezza, che suscita in essi la sua ammirazione; la sua infinita bontà, che trascina e domina su tutti i loro affetti. Non riceviamo forse nella Santa Eucaristia lo stesso Dio che riempie i suoi eletti di sempre nuove delizie? È in questo mistero Egli meno buono ed infinito che in cielo? Quando si dà a noi, non ci dà la vita eterna? E quando Lo riceviamo, non abbiamo il cielo intero nei nostri cuori? Qual è la differenza tra il Cristiano che ha appena ricevuto la Comunione ed i Santi in cielo? Questi ultimi vedono chiaramente ciò che possiedono. Mentre il Cristiano, che possiede gli stessi tesori, non può vederli se non con gli occhi della fede. Questa è l’unica differenza tra la Comunione beatificata e la Comunione Eucaristica. Per il resto l’Oggetto è lo stesso e il possesso di questo Oggetto infinito può essere in un Cristiano sulla terra in grado superiore a quello di un Santo in cielo. L’intera differenza sta nel modo di possederlo. Entrambi sono figli di Dio ed eredi del suo regno; ma nell’uno è già mostrato ciò che è, mentre si nasconde nell’altro. La differenza, naturalmente, è immensa, perché la vista delle perfezioni divine costituisce la gioia dei beati. Ma se, per quanto riguarda la gioia, la Comunione beatificata ha un vantaggio, la Comunione Eucaristica vince, per la sua stessa oscurità, perché questa è la condizione del merito. La deliziosa comunione del cielo non ha un vantaggio così immenso. I beati godono dei meriti acquisiti, ma non ne ottengono di nuovi. Sono sicuri di non perdere il tesoro che possiedono, ma anche di non vederlo mai più aumentare. Dio li riempie della sua immensità, e anche se fa nascere nelle loro anime una nuova sete di felicità senza interruzione, non cessa di spegnerla; ma né la sete né la sazietà crescono di intensità. Raccolgono ciò che hanno seminato sulla terra, vedono ciò in cui hanno creduto, hanno ciò che speravano, godono di ciò che hanno amato liberamente. Ma né la chiarezza della visione, né la pienezza del possesso, né la soavità delle gioie si estendono oltre la fede, la speranza e l’amore che avevano quaggiù. Al contrario, ogni Comunione Eucaristica ci fa acquisire nuovi meriti. Tutto ciò che perdiamo nelle gioie attuali, lo guadagniamo in quelle eterne. Possiamo aggiungere qualcosa alla parola del Maestro e dire che, non solo abbiamo la vita eterna mangiando la sua carne e bevendo il suo sangue, ma ancor più la aumentiamo.

https://www.exsurgatdeus.org/2020/06/09/il-cuore-di-gesu-e-la-divinizzazione-del-cristiano-13/

SALMI BIBLIBI: “DOMINE, CLAMAVI AD TE, EXAUDI ME” (CXL)

SALMO 140: “DOMINE, CLAMAVI AD TE, exaudi me

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS. 

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 140

Psalmus David.

[1] Domine, clamavi ad te, exaudi me;

intende voci meae, cum clamavero ad te.

[2] Dirigatur oratio mea sicut incensum in conspectu tuo; elevatio manuum mearum sacrificium vespertinum.

[3] Pone, Domine, custodiam ori meo, et ostium circumstantiae labiis meis.

[4] Non declines cor meum in verba malitiæ, ad excusandas excusationes in peccatis; cum hominibus operantibus iniquitatem; et non communicabo cum electis eorum.

[5] Corripiet me justus in misericordia, et increpabit me: oleum autem peccatoris non impinguet caput meum, quoniam adhuc et oratio mea in beneplacitis eorum.

[6] Absorpti sunt juncti petræ judices eorum; audient verba mea, quoniam potuerunt.

[7] Sicut crassitudo terræ erupta est super terram; dissipata sunt ossa nostra secus infernum.

[8] Quia ad te, Domine, Domine, oculi mei; in te speravi, non auferas animam meam.

[9] Custodi me a laqueo quem statuerunt mihi, et a scandalis operantium iniquitatem.

[10] Cadent in retiaculo ejus peccatores: singulariter sum ego, donec transeam.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXL

Preghiera viva al Signore perché asterga nell’uomo le macchie dei peccati nel giorno contratte onde sicuro sia il riposo della notte.

Salmo di David.

1. Signore, a te ho alzate le grida, esaudiscimi; sii intento alla mia voce, quando io a te la rivolgo.

2. S’innalzi la mia orazione come l’incenso al tuo cospetto; sia l’elevazione delle mie mani come sacrifizio della sera.

3. Poni, o Signore, una guardia alla mia bocca; e un uscio alle mie labbra, che interamente le serri.

4. Non permettere che il mio cuore studii maliziose parole, ad accettare scuse a’ peccati, (1)

5. Come fanno gli uomini che operano iniquità; e io non avrò parte alle cose che ei pregiano.

6. Mi correggerà il giusto con misericordia, e mi sgriderà; ma l’olio del peccatore non impingui mai la mia testa. (2)

7. Perocché l’orazione mia tuttora sarà contro quelle cose, delle quali ei sin compiacciono; perirono i loro principi infranti alla pietra. (3)

8. Udiranno come le mie parole sono state efficaci: come una grossa zolla di terra nel campo si sbriciola; così le nostre ossa sono disperse fin presso al sepolcro. Ma giacché a te mirano, o Signore, o Signore, gli occhi miei, io ho sperato in te, non isperder l’anima mia.

9. Guardami dal laccio che mi hanno teso, e dalle insidie degli operai d’iniquità.

10. Nelle reti di essa cadranno i peccatori. Solitario son io fino al tempo del mio passaggio. (4)

(1) “Cum electis eorum”, non significa, come immaginano coloro che non hanno letto il testo ebraico, “cum viris electis”, ma “cum electis cibis, o, secondo il senso letterale e l’espressione ebraica, “cum dulcibus cibis eorum”.

(2) La seconda metà del versetto 5 ed il versetto 6 sono forse, dice M. Le Hir, il passaggio più difficile del salterio. Tuttavia noi non ammettiamo che il senso indicato dal sapiente interprete, « ora ancora, la mia preghiera è per i miei nemici, in mezzo ai loro contrattempi ed i loro mali. » Il testo ebraico recita “in malitiis eorum”, invece che “in beneplacitis eorum”; il profeta vuol dire dunque: « La mia preghiera si leverà contro i vizi ed i crimini nei quali essi si compiacciono ».

(3) Noi propendiamo volentieri per il legame di questi versetti: “sicut crassitudo, etc.” con il seguente, ed il senso sarebbe: benché siamo stati a due passi dalla nostra perdita, io non ho cessato, Signore, di sperare in Voi. – “Sicut crassitudo terræ” come le zolle di terreno che disperde colui che lavora, le mie ossa sono state disperse ai limiti dell’inferno.

(4) “Singulariter”, cioè singularis, unicus, solus.

Sommario analitico

Davide, prevedeva la disfatta dell’armata del ribelle Assalonne (Secondo M. Le Hir, questo salmo sarebbe stato composto dopo la morte di Saul, e Davide vi protesta che egli non vuol prendere alcuna parte nel crimine di coloro che hanno causato la perdita di Saul, o ne gioiscono (3-6) e, poiché è ancora circondato da pericoli, prega il Signore di procurargli una liberazione completa,

I. Prima della vittoria, domanda:

1° la grazia di ben pregare, cioè che la sua preghiera:

a) sia esaudita a causa del suo fervore (1),

b) che si elevi a Dio come incenso,

c) che sia gradita a Dio come il sacrificio della sera (2);

2° la vigilanza sulle sue parole: a) egli chiede che sia messa una guardia alla sua bocca  perché egli parli sempre a sproposito, b) affinché non cerchi di scusare i suoi peccati (3, 4);

3° la fuga dalla società degli empi (4);

4° la pazienza:

a) per amare le reprimende dei giusti,

b) affinché abbia in orrore le adulazioni dei malvagi (5).

II. Dopo la vittoria, predice ed ammira:

1° la potenza della sua preghiera, che trionfa dei suoi nemici (6);

2° la rovina dei suoi nemici precipitati e schiacciati contro la pietra (6);

3° il ritorno e la docilità degli altri alle sue parole piene di forza e di dolcezza;

4° ma siccome, per il momento in cui parla, le sue forze sono dissipate come le zolle del terreno dopo il lavoro del contadino (7), si indirizza al Signore, lo prega di conservargli la vita a causa della sua preghiera piena di speranza (8), e di preservarlo dalle insidie dei suoi nemici (9);

5° egli annunzia la loro distruzione, congiuntamente con il suo ristabilimento sul trono (10).

Spiegazioni e considerazioni

I. — 1-5.

ff 1, 2. — San Crisostomo, iniziando la spiegazione di questo salmo, indirizzava ai semplici fedeli del suo tempo le seguenti riflessioni, che non potremmo malauguratamente indirizzare ai Cristiani dei giorni nostri, ma che sono di un’applicazione rigorosa e scuotente per i sacerdoti che non conoscono le parole di questo salmo, che si canta in ogni età della vita, ma che sono pochi a conoscerne il vero senso. Ora, non meritiamo severi rimproveri lo quando si canta tutti i giorni, quando sulle labbra si hanno le parola di cui non si cerca di penetrare il senso e la forza? Voi, se intravvedete un’acqua pura e limpida non potete dispensarvi dal tuffarvi entro le vostre mani, dal dissetarvi. Colui che passeggia frequentemente in una prateria, non vuole uscirne senza aver raccolto qualche fiore. Ma per voi che, fin dai giovani anni fino all’estrema vecchiaia, non cessate di cantare questo salmo, non ne ricordate che le parole, mentre siete seduto su di un tesoro nascosto, portate da un fianco e dall’altro una borsa che resta chiusa: la curiosità non vi ispira il desiderio di comprendere ciò che significhi questo salmo … nessuna ricerca, ma elusione? Tuttavia non potete asserire che questo salmo sia così chiaro, da favorire la negligenza e non vi dia modo di cercare un senso che si presenta da solo (S. Chrys.). – « Signore io ho gridato verso di Voi, esauditemi. » Solo perché avete gridato, pretendete di essere esaudito e basando su questo motivo l’efficacia della vostra preghiera. Bisognerà dunque per pregare una voce forte e chiassosa? … No, il Profeta vuol parlare di un grido interiore che parta da un’anima infiammata di amore e da un cuore contrito. Colui che manda le sue grida, impiega tutte le sue forze, così come colui che grida dal fondo del cuore applica tutte le forze della sua anima (S. Chrys.) – Colui che non prega dal fondo del cuore, non prega, non si dà pena di dare alla voce della sua preghiera la forza e il fulgore delle gride. Può succede che coloro che cantano per abitudine o per interesse le lodi di Dio, gridino nel tempio o nella società dei fedeli, ma queste grida non saranno la preghiera del Profeta; non si verificherà mai che un uomo solo, ai piedi del suo oratorio, emetta grida nella sua preghiera, senza che un cuore sia toccato dal desiderio di ottenere ciò che desideri. Queste grida, del resto, sono più nel cuore che nella voce (Berthier). – Voi pensate che sia cosa finita quando avrete detto: « Io ho gridato verso di voi. »? Voi avete gridato per questo in piena sicurezza. Se la tribolazione è cessata, cessate egualmente le vostre grida; ma se restano ancora alla Chiesa ed al Corpo di Cristo delle tribolazioni da soffrire fino alla fine del mondo, il Corpo di Cristo non deve dire soltanto: io ho gridato verso di Voi, esauditemi; bisogna invece che dica ancora: « Siate attento alla voce della mia supplica, mentre grido verso di Voi. » La nostra indigenza non avrà per termine se non la nostra vita, e le nostre preghiere non devono cessare se non con il nostro ultimo sospiro. (S. Agost.). – Notate che il Profeta non dice: l’estensione delle mie mani, ma l’elevazione delle mie mani, perché l’estensione è ben diversa dalla elevazione. Un uomo può estendere le sue mani dietro di sé, o ai suoi lati, cioè verso i vizi, come Dio rimproverava al suo popolo: « Quando voi stenderete le vostre mani verso di me, io non vi ascolterò. » (Isai. I, 15). (S. Girol.). –  Tutte le qualità della preghiera sono contenute in questo versetto. Che la mia preghiera sia diretta verso di Voi come il fumo dell’incenso. Essa deve essere diretta dal Signore, perché senza il soccorso dello Spirito-Santo, noi non sapremmo, dice l’Apostolo, ciò che dobbiamo chiedere. – Essa deve essere fatta con purezza di intenzione, senza la quale non può salire, come l’incenso, fino al trono di Dio. – Essa deve essere sostenuta dall’attenzione dello spirito, perché, come il minimo soffio respinge il vapore dell’incenso ed impedisce di elevarsi nell’aria, così le distrazioni dello spirito dissipano la preghiera e rompono il corso che essa dovrebbe prendere verso il cielo. – Essa deve essere nell’ordine della volontà di Dio, così come i sacrifici della legge non potevano piacergli se non erano conformi al rito che Eli aveva prescritto. – Essa deve essere umile e fatta in spirito di sacrificio, qualità nominatamente espressa dalla comparazione di cui si serve il Profeta. – Essa deve essere fervente e partire da un cuore bruciante d’amore. L’incenso, di per se stesso è di odore gradevole, ma è sotto l’azione del fuoco che sprigiona tutto il suo profumo. Così la preghiera è buona di sua natura, ma diventa di molto migliore ed emette un odore più soave quando parte da un fuoco ardente. così come quando si pone l’incenso sul braciere acceso e sui carboni ardenti. – Essa deve essere costante, tal come i sacrifici della legge che non cessavano mai e si rinnovavano ogni giorno, mattino e sera. – Essa deve avere come scopo l’offerta per la santificazione delle nostre opere da Dio, ciò che il Profeta indica con l’elevazione delle mani. – Avete notato questo incenso che brucia nei nostri templi, nel giorno delle nostre grandi solennità? Vedete come si consuma al fuoco dell’altare, come si spande nel sacro ambiente, come si alza dolcemente verso i cieli! Sotto questo emblema materiale, la luce della fede spande un incenso misterioso che esce dal cuore dei Cristiani, si riunisce, si consuma nello stesso focolaio della carità, e di là risale verso Dio, come un profumo che bruci in coppe d’oro. Ma non è sufficiente che l’incenso sia nella coppa per bruciare e profumare lo spazio sacro, bisogna che si lasci polverizzare e che riposi su carboni ardenti; (Eccli. IV); solo allora si muta in vapori leggeri, ed il suo profumo è tanto più soave di quanto si possa ottenere con gli odori più delicati e variati. Così è per l’incenso e per la preghiera: esso non brucia e non si eleva fintanto che il fuoco dell’amore non lo abbia consumato, e più i carboni accesi del suo cuore sono ardenti, più il vapore è penetrante e profumato. Se ogni parte intima dell’anima, se ogni fibra del cuore ha dato ciò che possiede di più soave e di più divino, non saprebbe concepirsi nulla di più delizioso che il profumo di questa preghiera. O felice combustione dell’anima per mezzo della preghiera! O santa combustione dell’intelligenza, del cuore, della memoria, della volontà, dell’essere tutto intero! Felice l’uomo, dice San Crisostomo, che fa della sua anima un incensiere, che tutti i giorni vi pone carboni ardenti, vi riversa i suoi pensieri, i suoi desideri, le sue affezioni, come un profumo preso e portato dalle regioni più ricche dell’Oriente! Felice l’uomo la cui vita è un incenso che brucia. (Mgr LANDRIOT. Prière, I, 46).

ff. 3, 4. — Due cose sono necessarie perché esca ciò che debba uscire, e non esca ciò la cui uscita è interdetta: un portiere ed una porta; una porta senza portiere non è sufficiente, perché questa porta sarebbe necessariamente o sempre aperta o sempre chiusa; un portiere senza porta non avrebbe un facile servizio; bisognerebbe sempre essere sul chi vive, e avere tanta forza per impedire l’entrata e l’uscita a chiunque volesse violare la consegna. Ma con una porta ed un portiere, ogni cosa diventa più sicura e più facile. (Bellarm.). – Il Re-Profeta comincia la sua preghiera con ciò che può essere, senza grande vigilanza, la causa di tutti i mali, e divenire, al contrario, per un’anima attenta, il principio di tutti i beni … così come è inutile avere una casa, una città, dei merli, delle porte, delle aperture, se nello stesso non ci sono anche dei guardiani che sappiano quando bisogna aprire e quando chiudere, così la lingua e la bocca non sono di alcuna utilità qualora non siano dirette dalla ragione; ad essa Dio ne ha affidato la cura con l’aprirle e con il chiuderle con ogni vigilanza, con tutta la circospezione possibile, filtrando le parole che deve lasciar uscire e quelle che deve invece ritenere. «La spada ne ha fatto perire meno della lingua. » – Così l’autore sacro dell’Ecclesiastico ci fa questa raccomandazione: mettete alla vostra bocca delle porte e delle sbarre, fate una bilancia per le vostre parole; (Eccli. XXVIII, 28); e in altra parte: « Chi darà una sentinella alla mia bocca, chi metterà un sigillo inviolabile sulle mie labbra, affinché io non cada, e la mia lingua non causi la mia perdita? » (XXII, 33). Dio solo lo può: « è dell’uomo – dice Salomone – preparare la propria anima, e del Signore governare la sua lingua. » – Noi abbiamo qui la nostra parte di azione, ed è per questo che il saggio ci dà il precetto di mettere alla nostra bocca una porta e delle sbarre. Ma egli vi fa pure implorare il soccorso di Dio, se noi vogliamo che i nostri sforzi siano coronati da successo. Poniamo dunque una guardia costante alla nostra bocca, che la nostra ragione le serva da chiave, non per tenerla sempre chiusa, ma per non aprirla se non in tempo opportuno. Talvolta il silenzio è più utile della parola, altra volta la parola è preferibile al silenzio. Se la bocca doveva essere sempre costantemente aperta, che bisogno c’era di mettervi una guardia? Se insieme ci sono delle porte ed una guardia, è perché noi facciamo ogni cosa nel tempo opportuno. (S. Chrys.). – Quali sono queste parole di malizia da cui il Profeta chiede a Dio di preservarlo? Esse sono numerose e di tipo diverso: le parole insidiose e perfide, quelle che fanno oltraggio a Dio, che ispirano l’allontanamento dalle virtù e l’amore del vizio, quelle che, spargendo cattive dottrine, risentendo dell’eco di costumi perversi, si fanno ascoltare con piacere, e molte altre simili, quelle cioè che sono parole di malizia, e che provengono da un cuore profondamente corrotto. (S. Chrys.). – Le parole di malizia più pericolose sono quelle che cercano di scusare i peccati, e che malauguratamente, mascherano sì abilmente le colpe che appena si riconoscono. – Una delle vie che conducono più direttamente alla morte, è lo stato di un’anima peccatrice che, liberandosi di ogni timore, cerca dei pretesti per coprire il proprio lassismo. Il peccato è un gran male, sicuramente, ma un male ben più spaventoso è negare il peccato dopo che sia stato commesso. (S. Chrys.). – Non c’è colpevole che non abbia le sue ragioni; i peccatori non hanno fatto molto se non aggiungono l’audacia di scusare la loro colpa a quella di commetterla; e se poco era l’iniquità con lo spingerci a seguirla, essa si ingrandisce ancor più con il difenderla. Sempre, o qualcuno ci ha indotto, o qualche incontro imprevisto ci ha spinto nostro malgrado; diversamente, avremmo fatto … lo stesso. E se fuor di noi non troviamo su chi far ricadere la colpa, cerchiamo qualche cosa in noi che non venga da noi stessi, il nostro umore, la nostra inclinazione, la nostra natura. È il linguaggio ordinario di ogni peccatore. Così, noi non abbiamo più bisogno di cercar delle scuse; il nostro crimine basta a se stesso, e non cerchiamo un mezzo più forte per la nostra giustifica, se non nell’eccesso della nostra malizia (BOSSUET, Sur l’effic. de la Pén.). – Occorre non aver nessun rapporto – soprattutto di intimità – con coloro che fanno il male e non prendere parte i festini o ai piaceri di questi uomini di iniquità. È nella società dei peccatori che si impara non solo a conoscere il crimine, ma a giustificarlo, a rivestirlo addirittura dei colori della virtù. I peccatori orgogliosi sono come la donna adultera di cui parla il saggio. Dopo il suo crimine, ella sembra ancora piena di fiducia, « … ella mangia, asciuga la bocca e dice: non ho fatto alcun male (Prov. XX, 20).

ff. 5. – « Ecco il senso del Profeta. Io non voglio aver alcun rapporto con coloro che mi propongono un linguaggio ingannevole per perdermi; io mi lego di preferenza a coloro che, più severi, mi indirizzano rimostranze utili, scoprono i miei peccati e riprendono le mie colpe. » In effetti, uno delle più grandi caratteristiche della misericordia e della carità è curare le ferite dell’anima. (S. Chrys.). – « Ma l’olio del peccatore non ingrasserà la mia testa. » Ma direte: cosa posso fare? Io sono preda degli ingannatori, essi non cessano di mormorare alle mie orecchie. Adulatori, ingannatori, mendaci, essi lodano in me ciò che non vedo, lodano in me ciò che non stimo, e ciò che mi è più caro,  invece in me lo riprendono … Che il peccatore non ingrassi la vostra testa con il suo olio; vale a dire, non vi rallegrate di simili parole, non le accettate, non vi acconsentite, non vi felicitate. Egli vi avrà presentato l’olio dell’adulazione, ma la vostra testa resti intatta, non si gonfi, non abbia rigonfiamenti. (S. Agost.). – Il Profeta compara le adulazioni dell’uomo perverso e corrotto ad un profumo velenoso; questi ha l’odore di un profumo squisito, ma porta la morte come il più fatale dei veleni. (Berthier). – Diffidiamo dunque delle lodi e dei complimenti degli uomini. Guardatevi dall’adulatore che spande profumi sulla vostra testa: sappiate che egli non fa scoprire il suo gioco, con questa immensa profusione di lodi che sparge a piene mani, egli si prende la libertà di denigrare la vostra condotta, o anche tradirvi senza essere sospettato. Chi non ti odierebbe o adulazione corruttrice della vita umana, con i tuoi perfidi abbracci ed i baci velenosi, perché sei tu che dai il divin Salvatore tra le mani dei suoi nemici implacabili? (BOSSUET, III Serm. p. le Vend. Saint.).  

II. — 6 – 10.

ff. 6, 7. Nulla di più facile e di così comune che l’avere compiacenza per coloro che ne hanno nei nostri riguardi: adulare coloro che ci adulano, amare coloro che ci amano, e divenire simile a loro. -Non soltanto, dice il Re-Profeta, non voglio le loro perniciose adulazioni, né le loro reprimende, ma mi dichiaro apertamente contro la loro lussuria, e lungi dall’accettare la loro falsa compassione, opporrò la mia preghiera ai loro colpevoli desideri. (S. Chrys.). – Il Profeta, in questi versetti, predice dapprima il castigo, poi il ritorno e la riconciliazione di una parte dei suoi nemici: gli uni precipitati e battuti contro la pietra, gli altri arrendevoli alla sua voce. (Berthier). – Parola di Dio è potente ed efficace, particolarmente sulla bocca di un uomo animato dallo spirito di Dio e santo, come Davide. Pure la terra più dura si apre sotto lo sforzo del vomere dell’aratro; così il cuore dell’uomo non resiste alla potenza ed all’efficacia della parola divina. – « Essi comprenderanno le mie parole, perché esse hanno prevalso. » Le mie parole hanno prevalso sulle loro parole. Essi hanno parlato da uomini loquaci, ed io, io ho detto la verità … Perché esse hanno prevalso? Perché sono state predicate da uomini che non avevano paura. Non avevano paura di cosa? Dell’esilio, della rovina, della morte, della croce. Non solo non temevano la morte, ma non temevano la morte di croce, che sembrava fra tutte, la più ignominiosa, perché l’aveva scelta il Signore. Dunque, è per essere state predicate da uomini senza paura che esse hanno prevalso. (S. Agost.). Questo è il ritratto vivo di un giusto gravemente tentato o ingiustamente perseguitato: le sue ossa, cioè la forza della sua anima, sono indebolite. Noi abbiamo sofferto mali estremi, dice il Re-Profeta; come una terra strappata, scavata in ogni senso, siamo stati dispersi, votati a rovina certa, portati all’orlo della tomba. Noi siamo sull’orlo del precipizio, e tutto ciò che possiamo fare, è non cadere. (S. Chrys.) 

ff. 8-10. – « Nel segreto mi hanno teso un laccio lungo la strada sulla quale avanzavo, » tanto quanto è ad essi possibile fare, perché lo hanno posto vicino alla via. « Voi ignorate, dice la scrittura, che avanzate in mezzo alle insidie, » (Eccli. IX, 20). Che vuol dire: « in mezzo alle insidie? » Sulla via del Cristo, da ogni lato ci sono insidie, insidie a destra, trappole a sinistra; a destra la prosperità del secolo, a sinistra l’avversità del secolo; le trappole di destra sono delle promesse, quelle di sinistra, delle minacce. Quanto a voi, camminando in mezzo alle insidie, non uscite dalla vostra strada; non vi lasciate né sedurre dalle promesse, né abbattere dalle minacce. « Nella via in cui avanzavo, mi hanno teso un laccio in segreto. » (S. Agost.). – Sempre ci vengono poste insidie, o dagli eretici, o dagli empi, o dai demoni. Le vie hanno una certa affinità con le virtù. I demoni mi tendono una trappola nella elemosina, se apro le mie mai ai poveri per essere visto dagli uomini, e apparendo nel fare il bene, cado nel vizio e nel peccato di vanagloria. Se do la mia tunica a mio fratello per essere visto da un altro, mi è teso ancora un laccio. (S. Girol.). –  Due cose sono da temere per la morte dell’anima: 1° le insidie del demonio che sono o la concupiscenza della carne, o la concupiscenza degli occhi, o l’orgoglio della vita; 2° i cattivi esempi e gli scandali di coloro che vivono secondo i desideri della loro carne, degli avari e degli orgogliosi. – Il Profeta domanda due cose: la prima, di conoscere le insidie che gli tendono i suoi nemici; la seconda di essere preservato dalla protezione del Signore (Berthier-Duguet). – Il Profeta non ignora i pericoli che corre la sua speranza, quando dice: « guardatemi dalla insidia che mi hanno teso e dagli scandali di coloro che operano l’iniquità. » Dappertutto in effetti, ci sono insidie, dappertutto scandali; il mondo è pieno di imboscate che ci sono mosse dal principe di questo mondo, o dagli spiriti di malizia sparsi nell’aria, o dai figli della disobbedienza nei quali opera lo spirito di errore. Insidie ci vengono tese dagli uomini di cattivo consiglio, o da pericolosi esempi, quando ci eccitano a prendere parte alle voluttà ed ai piaceri del mondo; quando manifestano empietà contro Dio in seno alla prosperità; quando con i loro insulti ed oltraggi, seminano turbamenti ed agitazione nella nostra volontà. Ora, l’insidia o il laccio, differisce dallo scandalo: l’insidia è una eccitazione alla voluttà, ad un’azione illecita che, come un’insidia, allaccia colui che si lascia prendere; lo scandalo è una sposa senza religione, un figlio dalla cattiva condotta, un fratello blasfemo, avaro, invidioso o schiavo di vergognosi vizi. Questi sono posti là come soggetti di scandalo che ci mettono nella necessità di irritarci, di riprendere, di reprimere, di punire ed uscire dalla calma abituale della nostra fede (S. Hilar.). – È una proposizione assoluta e senza restrizione, che i peccatori cadranno prima o dopo nelle insidie che essi avranno teso agli uomini giusti ed alla virtù. – in mezzo alle insidie che coprono la terra, il miglior partito che c’è da prendere è il ridursi alla solitudine, sempre che lo stato in cui ci si trovi possa permetterlo. « Io sono solo, fino a quando io passi.» Non sembra che egli si paragoni ad un uomo impegnato in una via difficile, o circondato da nemici che lo pressano e gli impediscono il passaggio? Non si crederebbe che si trovi all’entrata di una oscura foresta o di un fiume pericoloso, e che non aspiri che a lasciare questo cattivo stato più presto che gli sarà possibile? Questa è la vita di ogni uomo che giunga al termine che è l’eternità. Egli deve dire: … che il mondo, con le sue frivolezze, mi lasci tranquillo, « … fino a che io passi. » Cosa mi interessa tutta la grandezza umana, dal momento che « … io passo. »? Perché, durante questo passaggio, intraprenderò di soddisfare le mie passioni? Io non mi stabilirò su questa terra che non è il mio termine, e sulla quale non faccio che transitarvi. Un viaggiatore non si arresta, passa; questa è la sua unica cura, e non ne desidera che il fine, fine che non debba essere un luogo di passaggio, ma un soggiorno fisso ed immutabile (Berthier).

IL CUORE DI GESÙ E LA DIVINIZZAZIONE DEL CRISTIANO (11)

H. Ramière: S. J.

Il cuore di Gesù e la divinizzazione del Cristiano (11)

[Ed. chez le Directeur du Messager du Coeur de Jesus, Tolosa 1891]

TERZA PARTE

MEZZI PARTICOLARI DELLA NOSTRA DIVINIZZAZIONE

Capitolo IV.

IL CUORE DI GESÙ E L’EUCARISTIA

Unione tra Cristo e noi.

È verità che l’unione definitiva degli uomini con Dio attraverso Gesù Cristo non possa avvenire qui sulla terra. Essa avrà luogo in cielo. Quando tutto ciò che è terreno e mortale in noi sarà stato sepolto sulla terra e consumato nel sepolcro, allora la nostra anima potrà unirsi a Dio con tutte le sue forze, ricevere nella sua intelligenza tutto lo splendore della luce divina, fare spazio nella sua volontà alle fiamme dell’amore divino, unendosi a Dio con le facoltà sensibili, ed essere – secondo San Paolo – uno e medesimo spirito con Lui, inebriarsi del torrente delle sue delizie, entrare nella sua gioia, godere della sua beatitudine. Allora – come dice ancora l’Apostolo – Dio sarà tutto per tutti gli uomini, e tutti gli uomini saranno uno in Gesù Cristo e nel Padre suo, come il Padre è uno con il Figlio, e il Figlio uno con il Padre. Solo allora tutti i desideri del Cuore di Gesù saranno soddisfatti. Mentre siamo sulla terra ci saranno sempre in noi elementi che si opporranno alla nostra perfetta divinizzazione, e la nostra unione con Dio e tra di noi, attraverso Gesù Cristo, non potrà mai essere perfetta. Ma non crediamo che questa impossibilità spinga il Cuore di Gesù a rinunciare alle sue aspirazioni. Anche se la nostra unione con Lui non sarà completa sulla terra, Egli non cessa di lavorare per la sua realizzazione. Se è obbligato a mantenere l’unione beatifica per una vita migliore, ne creerà sulla terra, nella Comunione eucaristica, una più adatta alla nostra esistenza attuale, attraverso la quale potrà soddisfare il desiderio di unione che l’amore per noi fa nascere nel suo Cuore. Nessun Santo Dottore ha espresso meglio di San Cirillo d’Alessandria l’amorevole piano che ha spinto il Divin Salvatore ad istituire questo Sacramento: « Per aiutarci a raggiungere la perfetta unione con Dio e tra di noi, per quanto lontani siamo l’uno dall’altro nel corpo e nello spirito, il Figlio unigenito di Dio ha adottato un mezzo degno della sua sapienza: santificare i fedeli nella Santa Comunione, con il cibo dello stesso corpo, il suo, che li rende “concorporali” con Se stesso e tra di loro. Chi potrebbe, infatti, mettere in discussione e negare l’unione sostanziale che si opera tra tutti coloro che questa divina delizia unisce a Gesù Cristo? Nutriti dallo stesso pane, non possiamo che formare un unico corpo, perché Gesù Cristo non può essere diviso… Egli è uno ed indivisibile; e quando i nostri corpi sono uniti al Suo, con la più intima delle unioni, i nostri membri sono suoi più che nostri. » San Paolo testimonia la realtà di questa unione corporea che contraiamo con Gesù Cristo partecipando alla sua carne divina, quando ci ha parlato di questo mistero di pietà: « Sconosciuto in passato ai figli degli uomini, ai quali lo Spirito Santo lo rivela ora attraverso gli Apostoli e i Profeti, è giusto sapere che tutti i popoli sono invitati a diventare parte dell’eredità divina, ad essere incorporati a condividere insieme i frutti delle promesse di Gesù Cristo. » (Ef.. III, 5-6). Come possiamo dubitare di essere una cosa sola con Lui e tra di noi, se siamo tutti “concorporei”, non solo tra di noi, ma con il Divin Salvatore, presente in ognuno di noi attraverso la sua carne? Comprendiamo dunque questa ammirevole economia? Il Figlio di Dio che ci aveva dotato di una natura spirituale e corporale allo stesso tempo e che, per riscattarci, volle formarsi un corpo e un’anima simile alla nostra, si è compiaciuto di unirsi a noi spiritualmente e corporalmente in questo Sacramento. Nell’Incarnazione, il suo corpo sensibile e palpabile gli era servito come mezzo per rivelarsi agli uomini, immerso nell’oscurità dei sensi. Quel Corpo divino è stato per tutta l’umanità il veicolo materiale della sua dottrina celeste e della sua grazia spirituale. Nell’Eucaristia lo stesso corpo gli servirà non solo per mostrarsi, ma per donarsi. Egli verrà a portare lo Spirito di grazia non solo in seno all’umanità, ma al cuore stesso di ogni singolo uomo. Gesù Cristo ha due corpi ugualmente reali: uno materiale, simile al nostro; l’altro mistico, le cui membra siamo noi. Attraverso la Comunione eucaristica, le membra del suo corpo materiale servono come cibo per i membri del suo Corpo mistico, come nella Redenzione gli servirono come vittima e come riscatto. Mangiando la carne del loro Capo, essi sono uniti più strettamente a Lui e, attraverso di Lui, l’uno all’altro. Più Lo ricevono, più gli appartengono. Ogni volta che lo prendono come cibo, essi incorrono in un nuovo obbligo di consacrare a Lui la vita che Egli conserva per loro. Infatti, come il Divin Salvatore può vivere solo per il Padre suo, così chi si nutre di Lui è obbligato a vivere solo per Lui (Giov. VI, 58). La Comunione eucaristica realizza sulla terra le aspirazioni del Cuore di Gesù e i disegni misericordiosi del suo amore. È il centro al quale convergono tutte le operazioni divine nell’ordine della grazia e l’immagine più perfetta che abbiamo in terra delle meraviglie celesti dell’ordine della gloria. La vita e la felicità degli Angeli e dei Santi del cielo viene dal possesso di Gesù Cristo stesso che, nell’Eucaristia, ci viene donato nella sua interezza. In loro questo possesso è accompagnato da una certa gioia, ma è privato del merito. In noi si compensa con il merito ciò che si perde in gioia. Questo Sacramento dell’amore significa che sono in vera ed intima unione non solo i Cristiani con Gesù e i Cristiani della terra tra di loro, ma anche gli abitanti della terra con quelli del cielo, gli uomini con gli Angeli, consumando così nell’unità vivente del Cuore di Gesù, tutta la creazione razionale.

Comunione eucaristica e creazione materiale.

Ma essa fa ancora di più: estende alla natura materiale le glorie di questa unione di tutti gli esseri con Dio attraverso Gesù Cristo. Natura e grazia non sono che due parti della stessa opera, armoniosamente subordinate l’una all’altra. Non perdiamo di vista questa verità di fede così cara enunciata da San Paolo. È bene sapere che le cose materiali della terra, così come le cose spirituali del cielo, sono state create per Gesù Cristo. Non hanno altro scopo se non quello di glorificarlo, e devono trovare in Lui, come nel loro comune Capo, la loro perfezione e la loro unità. I Santi avevano questa verità davanti a sé ed hanno anche scoperto nel libro della natura, bellezze e ragioni per amare Dio. Imitiamoli e consideriamo la creazione materiale nel suo rapporto con la Comunione Eucaristica. Sarà facile per noi comprendere che questa Comunione non è solo il punto di unione tra cielo e terra, ma anche il coronamento soprannaturale dell’ordine della natura. La natura è una scala vivente, i cui passi tendono a salire incessantemente, ad unirsi a quelli più alti ed a salire verso Dio. È un’unione ininterrotta, in cui gli elementi si uniscono ai minerali, questi alle piante, le piante agli animali e questi all’uomo. Ma sembra che lì l’unione sia interrotta. Tra l’uomo e Dio c’è un abisso che nulla può colmare, eppure deve essere colmato. Perché Dio ha fatto la creazione non per separarsene, ma al contrario per unirla a Sé. Con quali mezzi userà il suo amore per unire tra loro termini separati da una distanza infinita? Molti si sono offerti a Lui. Potrebbe Egli, innanzitutto, accontentarsi di dare all’uomo il potere di conoscerlo nelle sue opere, di amarlo come un servo ama il suo padrone e di meritare una mercede commisurata ai suoi servizi. Queste relazioni del Signore con il servo avrebbero stabilito tra l’uomo e Dio una certa unione, anche se molto imperfetta, realizzando i disegni misericordiosi dell’amore divino. Egli ha progettato che l’uomo vivesse della sua vita, che fosse animato dal suo Spirito e che fosse degno della gioia dell’eterna visione “faccia a faccia”. La nostra unione con Dio si fermerà lì? Dandoci il Suo Spirito ci unisce al mondo degli spiriti; ma il mondo dei corpi non può così partecipare alla gioia di questa intima comunicazione. L’opera dell’Amore divino sarebbe incompleta. Affinché non fosse così, il Figlio di Dio assunse un corpo simile al nostro. A quel corpo, composto come il nostro da elementi presi dal mondo materiale, Egli comunica una dignità veramente divina, perché è il corpo di un Dio. In Lui, quindi, il mondo dei corpi e degli spiriti è in comunicazione con Dio. Tuttavia, questa è un fatto solo parziale. In tutto il mondo materiale e nell’immensità dello spazio c’è un solo punto illuminato dagli splendori della divinità. Questo non basta per l’Amore divino, che vuole un’unione più intima ed estesa allo stesso tempo, un’unione più universale e perfetta. Come ottenere questo risultato? Il corpo dell’Uomo-Dio avrà il potere di riprodursi simultaneamente in tutti i punti dello spazio, di unirsi a tutti gli altri corpi, di darsi in pasto a tutti gli uomini, di farli comunicare con Sé e, attraverso di Sé, con la Trinità. Per operare questa unione, alla quale tutti i corpi e gli spiriti sono invitati, Gesù userà due sostanze che si trovano ovunque: il pane ed il vino. Non c’è un solo chicco di grano, un solo grappolo d’uva sulla terra che, in virtù delle parole sacramentali, non possa diventare il corpo e il sangue di Gesù Cristo. E poiché ogni chicco di grano ed ogni acino d’uva è composto da parti prese dagli elementi, dall’aria, dalla terra, la creazione intera, materiale e spirituale, realizza incessantemente la sua ascensione a Dio nell’Eucaristia. Questo è il modo di considerare la Comunione Eucaristica. Non è solo l’unione dell’uomo con Dio e dei Cristiani con gli altri Cristiani. È, inoltre, l’unione universale di tutti gli esseri creati con il loro Creatore, attraverso Gesù Cristo, il Mediatore Universale. Attraverso la Comunione eucaristica, il Cuore di Gesù ha così colmato l’abisso che separa il finito dall’infinito. Attraverso di essa, si completa in modo soprannaturale l’ascesa della natura verso Dio, che sembrava destinata ad essere incompleta. Attraverso di essa, Egli unisce continuamente il mondo della natura a quello della grazia, e quello della grazia a quello della gloria. Realizza così il piano di raccogliere in Sé, come nel comune Capo, tutte le cose del cielo e della terra. Cosa c’è di più bello dell’unità di tutte le cose nel Sacramento che in modo molto speciale può essere chiamato il Sacramento del Cuore di Gesù? Se ci soffermassimo su questi pensieri, sarebbe molto più facile per noi elevarci a Dio attraverso la contemplazione della creazione. Si comprenderebbe meglio il linguaggio con cui ciascuno degli esseri che lo compongono glorifica non solo il Dio invisibile che lo ha fatto uscire dal nulla, ma anche il Dio incarnato, in previsione del quale è stato creato. Con i Santi saliremmo i gradini di questa scala mistica che porta dalla terra al cielo, dal visibile all’invisibile, dalla creatura al Creatore. Non potremmo prendere il pane materiale che nutre il nostro corpo ed il vino che lo fortifica, senza desiderare il Cibo divino di cui queste sostanze sono al tempo stesso simbolo e veicolo. Così, in ognuno di quegli oggetti sensibili, che così spesso ci distolgono da Gesù Cristo e da Dio, troveremmo i mezzi per unirci a Gesù Cristo e, attraverso Gesù Cristo, alla Trinità.

Capitolo V

IL CUORE DI GESÙ SI IMMOLA INCESSANTEMENTE PER NOI NELL’EUCARISTIA

Immolazione del Cuore di Gesù

Il primo e principale aspetto dell’opera divina, che dobbiamo realizzare con il Cuore Divino, è il sacrificio, poiché la sua prima funzione sulla terra è stata la continua immolazione di se stesso. Il nostro primo dovere verso di Lui è quello di immolarci con Lui. Tra tutti gli atti di religione, il sacrificio è il più perfetto di tutti, il più glorioso per Dio, il più meritorio per l’uomo, perché è la testimonianza più significativa che l’uomo possa dare alla sovrana maestà di Dio, la più solenne dichiarazione che possa fare della sua completa dipendenza dalla potenza assoluta del Creatore. Il primo e principale aspetto dell’opera divina, che dobbiamo compiere con il Cuore Divino, è il sacrificio, poiché la sua essenziale attività sulla terra è stata la continua immolazione di se stesso. Il nostro primo dovere verso di Lui è quello di immolarci con Lui. Le parole sono solo un suono passeggero che proviene frequentemente dalle labbra. I sentimenti del cuore sono ascoltati solo da Dio, ed il suo linguaggio è più sincero di quello delle labbra, anche se non è sempre privo di illusioni. Ma, quando la creatura si offre da se stessa alla propria immolazione per onorare il suo Creatore, non riconosce forse che Egli è il principio della sua vita, l’arbitro supremo dei suoi destini? Questo è esattamente ciò in cui consiste il sacrificio. Esso non è solo la testimonianza di sentimenti, di parole o di atti: è la testimonianza della morte; l’osservanza della volontà onnipotente di Dio, non solo nell’accettazione del bene, ma anche del male; è il nulla e la tomba che ci obbligati a glorificare l’Autore della vita. Ma ciò che rende meritoria questa testimonianza è proprio ciò che sembra renderla impossibile: Dio non ha fatto le sue creature per niente e, nell’immolarsi, esse operano contro i suoi piani: « Voi non vi dilettate della nostra distruzione », diceva Tobia al Signore. E non c’è, infatti, nessun crimine che sia punito più severamente nella Scrittura che i sacrifici umani. Cosa possiamo fare per esprimere a Dio, attraverso il sacrificio, la nostra completa dipendenza, senza privarci della vita che Egli ci ha dato? Per molto tempo gli uomini non potevano fare altro che ricorrere al sacrificio di animali. Hanno sostituito la loro vita con quella degli animali. Sceglievano dai loro greggi i tori più grassi, o gli agnelli più teneri, e, immolando sull’altare dell’Altissimo quelle vittime, riconoscevano di dipendere da Lui non solo nei loro possedimenti, ma in tutto il loro essere. Fino a che punto questa testimonianza è stata degna della maestà di Colui al quale è stata offerta! Che cos’erano quegli agnelli o quei capri che venivano macellati per manifestare la grandezza dell’Altissimo? Non erano nulla di per sé, ma Dio li ha accettati come figure dell’Ostia Immacolata che, nella pienezza dei tempi, gli sarebbe stata offerta. Infatti, è nel seno di Maria che comincia a battere il Cuore che darà a Dio tutta la gloria che merita. Il suo primo battito fu l’inizio del suo sacrificio: « I sacrifici non potevano esservi graditi – disse a Dio Padre fin da quel primo momento – ma per rimediare alla loro insufficienza mi avete dato un corpo; così io ho detto: eccomi, sono pronto a fare la vostra volontà. » Avete bisogno di una vittima parimenti divina come Voi; perché la vostra infinita maestà e potenza siano riconosciute, deve essere sacrificata una vita di valore infinito. In realtà, la vita mortale del Salvatore non fu che una lunga immolazione, durante la quale Egli non cessò di offrire nel suo Cuore il Sacrificio che doveva offrire poi sulla croce. Il Sacrificio di sangue è durato alcune ore, mentre quello del Cuore è durato trentatré anni. Cosa manca ora alla gloria divina? Cosa manca nella testimonianza data all’Onnipotente dall’umanità? Quando un uomo, che è vero Dio accettò la morte in croce, in quel giorno ci fu una perfetta uguaglianza tra il saldo ed il debito. Quel giorno gli omaggi della terra erano in perfetta consonanza con la Maestà che riempiva il cielo. Ma il sacrificio è finito, la vittima ha lasciato l’altare e Dio Padre gli ha restituito la vita che aveva perso per amore. Cosa ci resta da offrire a Dio? Rimarremo senza sacrificio? La più perfetta delle religioni sarà privata dell’atto supremo della religione? Qui l’immenso amore del Cuore di Gesù chiamerà in suo aiuto la sapienza del Verbo di Dio. Il Cuore Divino aveva trovato i mezzi per iniziare la sua immolazione trentatré anni prima del sacrificio del Calvario. È giusto che ora trovi i mezzi per continuare il suo Sacrificio fino alla fine dei secoli. Colui che è immortale deve sottomettersi alla distruzione della morte, perché senza di essa non c’è sacrificio. Inoltre, il rinnovarsi del Sacrificio cruento del Calvario, deve avvenire non tutto in una volta e in un solo luogo, ma ogni giorno e in quasi tutti i punti dello spazio. Il Profeta infatti lo aveva annunciato e il Cuore di Gesù è incaricato dell’attuazione di questa parola: « Da est ad ovest il mio Nome è grande tra le nazioni, e ovunque l’ostia immacolata viene sacrificata e offerta nel mio nome. » La profezia non si è forse compiuta? L’Immortale non muore in ogni momento? L’Agnello Divino non è costantemente sugli altari? Qual clima, per quanto sia mortifero, quale regione è così barbara da non essere fecondata dal sangue di questa vittima divina? In quale momento del giorno o della notte non è immolato in qualche parte nel mondo?

L’immolazione eucaristica è solo apparente?

Diremo allora che questa immolazione è apparente, e che, di conseguenza, non può soddisfare le esigenze di una Religione perfetta, che chiede un vero sacrificio? Chi non vede che nel sacrificio reale ciò che piace di più a Dio non è la distruzione del corpo, come atto esteriore, ma la libera accettazione che ne fa il cuore? Se così non fosse, il sacrificio più glorioso per Dio sarebbe la morte incessante ed eterna che i condannati soffrono all’inferno. No, quello che Dio vuole è l’abbandono di un cuore così penetrato nel rispetto della sua sovrana Maestà, così pieno d’amore della sua infinita bontà, che dimentica se stesso, che si abbandona, si arrende, non fa conto di ciò che non sia Dio, e, contento di compiacerlo, accetta finanche la morte con la stessa volontà come della vita, la ignominia con tanta gioia quanto la gloria. Non sono queste le disposizioni del Cuore di Gesù nella Santa Eucaristia? Se è impassibile in se stesso, non è impassibile nella specie in cui è coinvolto. Sotto queste Egli è davvero soggetto ad insulti, ad oltraggi ed a rifiuti. Si guardi come si arrende a loro, con quanta sincerità si dona. C’è mai stata una vittima più obbediente? La morte stessa è per caso più passiva ed immobile? E qual è la causa di questa indifferenza? È per caso impotenza? No, perché quella Vittima-Ostia immobile è l’Autore della vita. Solo l’amore lo riduce in quello stato, l’amore per Padre suo ed il nostro amore. Cos’è che manca nel suo sacrificio perché sia il più libero, il più espressivo ed efficace di tutte le testimonianze date alla Maestà divina? D’altra parte, il Sacrificio che il Cuore di Gesù offre sull’altare non è un sacrificio isolato: è il rinnovamento perpetuo del Sacrificio del Calvario. Come il Cuore Divino ha potuto, trentatré anni prima, offrire quel Sacrificio di sangue, anche se il sangue non scorreva ancora, così potrà rinnovarlo ora e fino alla fine dei secoli, anche se il sangue non scorre. Era necessario che il sangue fosse versato una sola volta, perché quel Sacrificio, essendo pubblico, non poteva essere compiuto solo nel silenzio del cuore; ma avendo soddisfatto a questo requisito, cosa può impedire che il sacrificio si rinnovi frequentemente?

Noi completiamo l’immolazione eucaristica.

Il Sacrificio Eucaristico non è del tutto completo di per sé. La sua unione con il sacrificio del Calvario non è sufficiente a dargli tutta la perfezione che dovrebbe avere nella mente della Vittima divina. Sta a noi dargli il suo ultimo complemento. Poiché la terra continua ad oltraggiare la giustizia divina, è opportuno che l’espiazione di questi oltraggi non venga interrotta. I continui eccessi di sensualità e di orgoglio, devono essere contrapposti ad una reale e perpetua immolazione. Il sangue deve scorrere senza sosta, per lavare via le macchie con cui gli uomini non smettono di coprirsi. Ma quel sangue, che non può scorrere dal Cuore di Gesù, può scorrere dalle membra del Corpo mistico del Salvatore. Ed infatti, deve essere così. E se non fosse così, in che modo i membri sarebbero degni del Suo Capo? Come riconoscerebbe Dio Padre nei fratelli adottivi di Gesù Cristo, l’immagine del suo Figlio naturale? Non è forse l’unica condizione per la salvezza degli uomini, la loroà somiglianza con il modello divino degli eletti? E possiamo sperare di raggiungere la somiglianza con un Dio la cui vita di sacrificio è stata una continua immolazione, se ci rifiutiamo di immolarci con Lui? Non sarebbe ingiusto volere che il nostro Capo Divino si sacrifichi per l’espiazione dei nostri crimini, e rifiutarsi assolutamente di far parte di questa espiazione? Quando si incaricò di soddisfare per noi, non è stato per compensare la nostra impotenza. Offrendo se stesso per primo in sacrificio, ci ha messo a disposizione infinite soddisfazioni, che non potrebbero essere applicate a noi se non volessimo sacrificarci con Lui. – Anche se l’unione con il sacrificio del Salvatore non fosse di assoluta necessità, esso sarebbe comunque un obbligo d’onore. Ed infatti, supponendo che sia in nostro potere unirci alla più divina di tutte le opere di Gesù Cristo, il Sacrificio del Calvario, e che spettasse solo a noi dare al Sacrificio Eucaristico il complemento che gli manca, non saremmo forse noi felici di usare un tale potere? Questa indifferenza dimostra che non prestiamo attenzione ai desideri che il Cuore di Gesù ci manifesta assistendo alla sua immolazione eucaristica. Infatti, ogni volta che si Egli presenta a noi sull’altare, chiede il sacrificio di coloro che lo amano. In un altro tempo disse ai suoi Apostoli: « Sarò battezzato con un battesimo di sangue, e come sono in angoscia finché non sarà compiuto! » – Ognuna delle palpitazioni del suo Cuore aveva lo stesso merito dello spargimento di tutto il suo sangue. Ma quel merito non gli bastava, perché sapeva che gli uomini avevano bisogno della potente voce del sangue per uscire dal loro letargo. Perché vedeva ovunque che l’orgoglio e la sensualità avevano strappato via la gloria di Dio, proclamando che i piaceri e la gloria di questa vita sono gli unici beni dell’uomo. E ardeva dal desiderio di poter protestare contro queste menzogne e di gridare, con i tormenti e le ignominie della sua morte, che la gloria ed il piacere non sono nulla; che solo Dio merita il nostro amore. Per questo desiderava poter offrire, in faccia del cielo e della terra, quel Sacrificio che già da tempo aveva offerto nel suo cuore. L’orgoglio e la sensualità non esercitano lo stesso impero nelle anime e non rinnovano gli stessi oltraggi contro la Maestà divina? Il sacrificio del sangue versato liberamente e delle persecuzioni subite con amore è meno necessario oggi che in passato? Senza dubbio il Cuore di Gesù offre in esso il suo sacrificio mistico, di valore pari a quello della croce. Ma pur avendo lo stesso merito, non brilla allo stesso modo. C’è bisogno di qualcos’altro, quindi, per riparare alla gloria divina. È necessario che il battesimo di sangue sia rinnovato nel corpo del Salvatore. Il Cuore di Gesù assaporerà un’angoscia indicibile fino a quando i suoi membri non gli daranno la soddisfazione di vederlo riprodotto in loro. Questo è proprio quello che chiede ad essi: « Io faccio quel che è la mia parte, e ciò che voi non potreste fare. Offro a Dio mio Padre un’immolazione di un prezzo infinito, che metto a vostra disposizione; c’è però qualcosa che non posso più fare e che voi dovete compensare. Non posso più soffrire, eppure per ciò è necessaria una sofferenza volontaria per compensare la giustizia divina e salvare il mondo. Compensate la mia impotenza in ciò che questo riguarda, e nulla mancherà al nostro sacrificio; così sarà veramente il sacrificio di tutto il mio Corpo mistico; voi presenterete la materia e io le darò la virtù. In questo modo il mio Cuore avrà compiuto in voi la sua grande funzione, che consiste nel riprodurre Me stesso in ciascuno dei miei membri, e nel continuare nella mia Chiesa, fino alla fine dei secoli, la grande opera che ho compiuto nella mia Persona durante la mia vita mortale. »

SALMI BIBLICI: “ERIPE ME, DOMINE, AB HOMINE MALO” (CXXXIX)

SALMO 139: Eripe me, Domine, ab homine malo  

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS. 

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 139

In finem. Psalmus David.

[1] Eripe me, Domine, ab homine malo;

a viro iniquo eripe me.

[2] Qui cogitaverunt iniquitates in corde, tota die constituebant praelia.

[3] Acuerunt linguas suas sicut serpentis; venenum aspidum sub labiis eorum.

[4] Custodi me, Domine, de manu peccatoris, et ab hominibus iniquis eripe me: qui cogitaverunt supplantare gressus meos;

[5] absconderunt superbi laqueum mihi, et funes extenderunt in laqueum; juxta iter scandalum posuerunt mihi.

[6] Dixi Domino: Deus meus es tu; exaudi, Domine, vocem deprecationis meae.

[7] Domine, Domine, virtus salutis meae, obumbrasti super caput meum in die belli.

[8] Ne tradas me, Domine, a desiderio meo peccatori; cogitaverunt contra me; ne derelinquas me, ne forte exaltentur.

[9] Caput circuitus eorum, labor labiorum ipsorum operiet eos.

[10] Cadent super eos carbones, in ignem dejicies eos; in miseriis non subsistent.

[11] Vir linguosus non dirigetur in terra, virum injustum mala capient in interitu.

[12] Cognovi quia faciet Dominus judicium inopis, et vindictam pauperum.

[13] Verumtamen justi confitebuntur nomini tuo; et habitabunt recti cum vultu tuo.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXXXIX.

Preghiera della Chiesa contro il demonio ed i suoi istrumenti, i malvagi, non già di Davide contro Saulle, non dicendosi nel Salmo cosa che si appropri a Davide ed a Saulle.

Per la fine: salmo di David.

1. Liberami, o Signore, dall’uomo cattivo; liberami dall’uomo iniquo.

2. Quei che in cuor loro macchinavano pensieri di iniquità, tutto il giorno preparavan battaglie.

3. Hanno affilate le loro lingue, come serpenti: hanno veleno di aspidi sotto le loro lingue.

4. Difendimi, o Signore, dalla mano del peccatore; e liberami dagli uomini iniqui. I superbi, che macchinavano di farmi cadere, mi han preparato un laccio nascostamente.

5. E le funi hanno tese per prendermi: mi hanno posto inciampo lungo la strada.

6. Ho detto al Signore: Tu se il mio Dio; esaudisci, o Signore, la voce di mia preghiera.

7. Signore, Signore, mia forte salute, tu facesti ombra alla mia testa nel dì del conflitto. (1)

8. Non darmi, o Signore, alle mani del peccatore, com’ei mi desidera; hanno macchinato contro di me, non mi abbandonare, affinché non s’insuperbiscano.

9. Il forte de’ loro raggiri, il faticoso lavoro delle loro labbra gli avvilupperà. (2)

10. Cadranno carboni sopra di essi; tu li getterai nel fuoco; non reggeranno alle miserie.

11. L’uomo di mala lingua non avrà prosperità sopra la terra; l’uomo ingiusto sarà preda delle sciagure nel suo morire.

12. Io so che il Signore farà giustizia ai bisognosi, e vendicherà i poveri.

13. I giusti poi daran laude al tuo nome; e gli uomini di rettitudine abiteranno sotto i tuoi occhi.

(1) Queste parole: « a desiderio meo, » significano più logicamente contro il mio desiderio, e, se si adottasse quest’ultimo senso, bisognerebbe intenderlo come di un desiderio corrotto.

 (2) « Caput circuitus eorum, »  vale a dire, ciò che c’è di essenziale, di più forte, di piu formidabile in coloro che mi circondano, o in ciò che è intorno a me, cioè la perversità della loro lingua. – O, se si vuole, il capo di coloro che mi circondano e mi assediano, vale a dire Doeg o Architofel, secondo che si riporti questo salmo alla persecuzione di Saul o Assalonne.

Sommario analitico

In questo salmo, che ha molte analogie con il LV, e che si può far risalire alla persecuzione di Saul e dei suoi cortigiani, o a quella di Assalonne,

I. – Il Re-Profeta prega Iddio di liberarlo dalla mano dei malvagi con cui dipinge, sotto diverse figure la malvagità e la malizia (1):

1° i loro disegni perversi (2),

2° le loro maldicenze, le loro calunnie e le loro menzogne (3),

3° le loro violenze e inganni (4-5).

II. – Egli esprime la fiducia che ha di essere esaudito, e dà a Dio come motivo:

1° che Egli è la sua forza e la sua salvezza (6),

2° che ha già provato gli effetti della sua protezione (7),

3° l’insolenza dei suoi nemici (8).

III. – Prevede e predice i castighi che subiranno gli empi, persecutori dei giusti:

1° l’arma più formidabile di coloro che lo perseguitano, le loro deviazioni piene di malignità e perversità delle loro lingue, ricadrà su di essi (9);

2° il fulmine piomberà su di essi ed essi saranno precipitati nel fuoco dell’inferno (10);

3° calamità innumerevoli saranno la parte degli uomini dalla lingua perfida, ed i mali più grandi perseguiranno gli uomini ingiusti, fino alla morte (11);

4° mentre una sorte migliore sarà riservata agli oppressi, ed una beatitudine eterna, con la gioia della vista di Dio, sarà il premio dei giusti e dei cuori retti (12, 13).

Spiegazioni e Considerazioni

I. —1-5.

ff. 1. – « Liberatemi dall’uomo malvagio. » Non da questo tale o tal altro uomo malvagio, ma dall’intera specie; non solo dagli strumenti, ma dal loro principe, cioè dal demonio stesso. Perché dunque dire: « dall’uomo malvagio, » se si tratta del diavolo? Perché egli è figurato così chiamato con questo nome nel Vangelo: « L’uomo nemico venne e seminò la zizzania sopra in buon grano. » (Matth. XIII, 20-28). Pregate dunque con tutto il vostro potere, per essere liberato dall’uomo malvagio. « Perché voi non lottate contro la carne ed il sangue, ma contro i principati e le potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebre, » (Ephes. VI, 12), cioè contro i dominatori dei peccatori (S. Agost.). – L’uomo malvagio è lo stesso che l’uomo ingiusto; perché il Profeta lo chiama malvagio? perché è ingiusto, per paura che voi non pensiate che un ingiusto possa essere buono. In effetti, ci sono degli ingiusti che sembrano essere dannosi: essi non sono né crudeli né duri, non perseguitano e non opprimono nessuno; ma essi sono ingiusti perché lussuriosi, invidiosi, voluttuosi. Come potrebbe, colui che non risparmia nulla a se stesso, non nuocere ad altri? In effetti, innocente è colui che non nuoce, ma non colui che nuoce a se stesso. E come colui che nuoce a se stesso potrebbe non muoversi? Ma in cosa vi nuoce? Egli vi nuoce almeno con l’esempio, poiché vivendo con voi, vi invita a fare ciò che egli fa. E vedendolo prosperare tra le sue turpitudini, non siete anche voi indotti in simili godimenti? Anche se voi non acconsentite, vi troverete almeno un’occasione di lotta. Come dunque non vi nuoce, se vi spinge a combattere nel vostro cuore l’attrattiva delle sue azioni? (S. Agost.).  

ff. 2. « Essi hanno meditato il male nel loro cuore; » essi non sono stati trasportati da un movimento irriflessivo, questi disegni iniqui sono l’opera di una profonda premeditazione. « Essi hanno meditato; » cioè essi hanno adoperato tutte le risorse, ogni attività del loro spirito (S. Chrys.). – « Essi hanno complottato ingiustizie nel loro cuore. » Il Profeta ha parlato così per coloro che hanno spesso sulle labbra delle buone parole. Voi comprendete la voce di un giusto, ma non trovate mai il cuore di un giusto; altrimenti, perché il Profeta avrebbe aggiunto: « Essi hanno complottato delle ingiustizie nel loro cuore? » Liberatemi da loro; che la vostra mano onnipotente mi strappi a loro. Perché è facile evitare inimicizie aperte; è facile sbarazzarsi di un nemico che si presenta e si mostra tale, e la cui iniquità è evidente nelle sue parole; questo nemico è inopportuno, ma l’altro è invece pericoloso; è difficile evitare colui che ha il bene sulle labbra e nasconde il male nel suo cuore (S. Agost.). –  « Essi ogni giorno mi combattono. » Il salmista abbraccia tutta la vita in queste parole. La guerra della quale parla qui, non è quella che si fa con le truppe schierate in battaglia e le armi in pugno, ma quella guerra che gli uomini si fanno in pubblica piazza e all’interno delle loro dimore, senza corazza protettiva, senza scudo di difesa; essi hanno come arma la loro malvagità, e lanciano le loro parole più spinose dei dardi più acuti. Ora ciò che dimostra l’eccesso della loro perversità, non è tanto che siano ricorsi all’inganno, alla dissimulazione, né che non concepiscano se non lotta e combattimenti, ma piuttosto che tutta la loro vita trascorra senza tregua in questa guerra omicida (S. Chrys.).

ff. 3. – « Essi hanno aguzzato le loro lingue come quella del serpente. » Vedete come è ignobile il vizio. Esso cambia gli uomini in animali velenosi, in aspidi, in serpenti e spinga fino agli istinti più feroci quella lingua creata per essere l’organo della ragione. (S. Chrys.). 

ff. 4. – È nel serpente soprattutto che si trova l’astuzia e l’inganno allo scopo di nuocere; è per questo che egli procede tortuosamente. Esso non ha piedi, il fruscio almeno avvertirebbe il suo arrivo! Nella sua marcia, si trascina dolcemente, ma mai seguendo una linea retta. È dunque così che questi uomini che procedono come serpenti per fare del male, nascondono il loro veleno in un contatto pieno di dolcezza. Essi avvolgono con le loro spire l’innocenza che li ossessiona, sibilano contro la virtù che insultano, lacerando con i loro morsi le virtù più divine. Il Profeta continua: « Sotto le loro labbra si nasconde il veleno degli aspidi. » Notate: il loro veleno è sotto le loro labbra, di modo che troveremmo sotto le loro labbra ben altra cosa di ciò che si mostra sulle loro labbra. Il Profeta li designa assai chiaramente in altro salmo, ove dice: « Essi hanno per il prossimo parole di pace, ma cattivi pensieri sono nei loro cuori. » (Ps. XXVII, 37), (S. Agost.). – Quando il serpente vede avanzarsi verso qualcuno per colpirlo, fa un cerchio di tutto il suo corpo, e al centro nasconde la testa, perché sa che essa è il principio della sua vita. È così che i nemici della Religione sembrano nascondersi, proteggersi e difendersi, avvolgendosi in discorsi filosofici. Ma il Sacerdote versato nella scienza delle Scritture, armato di una verga, cioè della croce, rompe questo cerchio, trova la testa che vi era nascosta, e la colpisce producendo le testimonianze delle Scritture. (S. Girol.). « Essi hanno teso un laccio sui miei passi. » Se essi non hanno potuto realizzare i loro pensieri, è alla sovrana bontà di Dio che bisogna attribuirlo; è Lui che ha deviato i loro ingiusti disegni. Vedete come il crimine è profondamente meditato, gli ostacoli sapientemente posizionati. Essi li hanno nascosti, li hanno tesi lungo il cammino, affinché la lunghezza stessa della trappola, la cura con cui era nascosta e la sua prossimità, vi faccia cadere inevitabilmente colui che essi vogliono perdere. Essi sono stati dei veri artigiani del crimine, mettendo insidie in ogni luogo, con l’unico scopo di prendere un uomo (S. Chrys.)

ff. 5. – Ma non si tratta solamente, come da un vostro nemico, di indurvi in errore in qualche affare che avete con lui, né di ingannarvi in un processo ove un tribunale è tra voi giudicante. Egli avrà ostacolato la vostra strada se vi ha fatto ostacolo nella via di Dio, in maniera da farvi vacillare nel bene, o scivolare via dalla via, o cadere sulla via, o restare immobile nella via, o tornare indietro verso il punto di partenza. Tutte le volte che riesce in qualche cosa del genere, esso vi soppianta, vi inganna. Pregate per sfuggire a questo tipo di insidie, per paura di perdere il vostro patrimonio celeste ed il vostro titolo di coerede di Cristo, poiché siete chiamato a vivere eternamente con Colui che vi ha fatto suo erede; perché Colui che vi ha costituito suo erede non vi chiama a succedergli dopo la sua morte, ma a vivere eternamente insieme a Lui (S. Agost.). –  « Essi hanno teso delle corde per servire da lacci ai nostri piedi. » Cosa significano questi lacci? È detto in altra parte: « Ciascuno è legato dalle catene del suo peccato; » (Prov. V, 22); ed Isaia dice chiaramente: « Maledizioni a coloro che trascinano i loro peccati come una lunga corda. » (Isai. X, 18). Ma perché comparare i peccati ad una corda? Perché ogni peccatore che persevera nei suoi peccati, aggiunge peccato su peccato, e mentre dovrebbero correggersi accusando il proprio peccato, lo raddoppiano difendendolo, non considerandolo tale nel confessarlo, e spesso perché vogliono premunirsi con nuovi peccati, contro quelli che hanno già commessi. (S. Agost.). –  Essi hanno dunque voluto farmi cadere per mezzo dei loro peccati. E queste corde, dove le hanno tese?  « Essi hanno posto delle trappole presso i miei sentieri, » non “nei” miei sentieri, ma « vicino ai miei sentieri. » I vostri sentieri, sono i Comandamenti di Dio. Essi hanno posto le loro trappole vicino ai sentieri; non uscite da questi sentieri e non cadrete nelle loro trappole (S. Agost.). 

II. — 6-8.

ff. 6-8. – Qual risorsa vi resta? Qual rimedio in mezzo a tanti mali, in mezzo a queste tentazioni, a questi pericoli? « Io ho detto al Signore, voi siete il mio Dio. » Se non siete santi, non potete dire al Signore: «Voi siete il mio Dio. » Non c’è che colui sul quale il peccato non regni che possa dire: « Il Signore è mia eredità. » (S. Girol.). – I malvagi sono degli uomini, ma essi non sono dei miei; ma Voi, Voi siete Dio ed il mio Dio. Ma forse che Dio non è il Dio degli ingiusti? Perché di chi non è Dio Colui che è il vero Dio? Tuttavia Egli è, propriamente parlando, il Dio di coloro che gioiscono di Lui, che lo servono, che gli sono sottomessi con gioia. (S. Agost.). – « Ascoltate la voce della mia supplica, non i suoni delle mie parole, ma ciò che dà vita alle mie parole. In effetti, i suoni che l’anima non vivifica, non possono chiamarsi suoni; non parole; la voce è propria degli essere animati, degli esseri che vivono. (S. Agost.). – « Voi siete la forza da cui viene la salvezza, e perché ho questa speranza? « Perché Voi avete protetto la mia testa con la vostra ombra nel giorno della guerra. » Ora ancora, io devo combattere, combatto fuori contro gli ipocriti, combatto dentro contro le mie voluttà, perché « io vedo nelle mie membra un’altra legge che combatte la legge del mio spirito e mi rende schiavo sotto la legge del peccato, che io sento nelle mie membra, maledetto uomo che sono! Chi mi libererà da questo corpo di morte? La grazia di Dio, per Gesù-Cristo nostro Signore (Rom. VII, 23-25). Nei duri lavori di questa guerra, egli ha dunque fissato i suoi sguardi sulla grazia di Dio; e siccome già cominciava a soffrire il calore ed a disseccarsi, ha trovato un’ombra che gli ha reso la vita. (S. Agost.). – Non molto tempo prima – egli dice – ma è nel giorno stesso in cui il malore mi minacciava, quando i miei nemici cioè stavano per venire alle mani, e correvo i più grandi pericoli, che mi avete messo in sicurezza. Dio non ha bisogno né di preparazione né di esortazione, Egli che conosce il presente, l’avvenire, il passato, e che è sempre là pronto a venire in nostro soccorso. « Voi avete messo la mia testa all’ombra; » Vale a dire, Voi mi avete messo al riparo dal più leggero pericolo, dal minimo calore. Grazie a Voi, io ho gustato una sicurezza, una gioia, una tranquillità senza pari; lungi dal soffrire un calore importuno, io mi sono riposato sotto la vostra ombra con delizia, libero da ogni pericolo, libero da ogni timore… David non dice: non mi abbandonate, perché io sono degno di questo favore; non mi abbandonate in considerazione della mia vita passata nella pratica della virtù. Qual motivo egli adduce? « Nel timore che essi non si ergano; » cioè per timore che non divengano più insolenti e che il mio abbandono non ispiri loro una arroganza ancor più grande. (S. Chrys.).

III. — 9-13.

ff. 9-11. –  L’espressione « Circuito, deviazione, » vuol dire le loro riunioni, I loro conciliaboli, i laboratori dei crimini, i loro abominevoli disegni. Il Salmista vuol loro dire: i loro progetti criminali e tutta la malignità del loro spirito perverso e corrotto li schiacceranno e li perderanno senza ritorno. (S. Chrys.). – Il principio del cerchio che descrivono, cioè l’orgoglio, il lavoro delle loro labbra, li coprirà. E cos’è il cerchio che essi descrivono? È il fatto che essi marciano girando su se stessi e non si arrestano mai, vagano nel labirinto dell’errore nel quale il cammino non ha mai fine. In effetti, ogni uomo che faccia un lungo viaggio comincia da una qualche parte e finisce in un altro luogo; ma colui che cammina in cerchio, non arriva mai. Questo è il lavoro degli empi che il Profeta descrive più chiaramente in un altro salmo, dicendo: « gli empi camminano in cerchio girando. » (Ps. XI, 9). Ma il principio del cerchio che essi descrivono, è l’orgoglio, perché è l’orgoglio l’inizio di ogni peccato. (Eccli. IX, 15). Ma come l’orgoglio è « il lavorio dei loro peccati? » Infatti ogni orgoglioso è ipocrita ed ogni ipocrita è mendace. Gli uomini lavorano per mentire, mentre nulla è più facile che dire la verità. È un lavoro fabbricare le proprie parole, ma non c’è lavorio per chi vuol dire la verità; la verità parla da sé senza sforzo (S. Agost.). « … Il lavoro delle loro labbra. » Questo lavoro, è la loro malvagità. In effetti la malvagità è un vero lavoro; essa diviene principio di rovina per il suo autore, e schiaccia chi se ne renda colpevole. (S. Crys.). – Pene inflitte agli empi sono i castighi che cadono dall’alto, inviati cioè dalla giustizia di Dio: il fuoco della collera di Dio, che cade dal cielo, le fiamme divoranti in cui saranno gettati, miserie insopportabili nelle quali non potranno sussistere, dalle quali saranno come schiacciati sena potersi sostenere né risollevare, e nelle quali dimoreranno eternamente, senza poterne mai uscire. – L’ « uomo della lingua » è una espressione che non si può troppo considerare. Si chiama uomo di piacere colui che cerca incessantemente di soddisfare il gusto che ha per la voluttà; si chiama uomo di buona carne, colui che fa dei piaceri della tavola un suo interesse capitale; ugualmente l’uomo della lingua deve essere colui che si dà a tutti gli eccessi che si possono commettere parlando. L’Apostolo San Giacomo dice che con la lingua si benedice Dio e si maledicono gli uomini, per far capire che i giusti si servono della lingua per rendere omaggio a Dio, ed i malvagi se ne servono per perseguitare il prossimo. Ora, colui che benedice Dio non è l’uomo della lingua, ma è l’uomo del cuore; egli medita molto e parla poco: è per questo che Gesù-Cristo raccomandava ai suoi discepoli di non fare lunghi discorsi pregando. L’uomo di lingua è assolutamente e senza eccezione, secondo il linguaggio della Scrittura, colui che abusa della parola, sia per oltraggiare il Signore, sia per nuocere al prossimo (Berthier). – Ora, quest’uomo non prospererà sulla terra; letteralmente, « non camminerà dritto. » L’uomo intemperante con la lingua, ama la menzogna. Qual è in effetti il suo piacere, se non quello di parlare? Poco importa di cosa parli, purché parli. È impossibile che cammini rettamente. (S. Agost.). – Ora, un tale uomo si vede per la maggior parte del tempo come oggetto di un odio condiviso sia dai buoni che dai malvagi. È il nemico generale, è odioso e di peso a tutti, nessuno può sopportarlo. E come l’uomo dolce, paziente, che sa tacere, è solidamente stabilito in una perfetta sicurezza, amato da tutti, così colui che non sa contenere la sua lingua conduce una vita sempre incerta, si fa numerosi nemici, ed oltretutto riempie la sua anima di agitazione e non si concede un momento di riposo. (S. Chrys.). – Questi mali di cui sarà caricato durante la sua vita, lungi dal meritare un giorno, come i giusti, le ricompense dovute alla pazienza, cadranno su di lui come un diluvio al momento della sua morte, e non gli serviranno che ad aggravare la sua sorte eterna.

ff. 12, 13. – Due elementi vi sono nella giustizia di Dio: punire i malvagi, ricompensare i buoni. – Il Profeta dichiara che questi due atti della giustizia di Dio sono di egual  verità. – Il Signore farà giustizia ai deboli ed ai poveri, punendo i loro persecutori e coronando essi stessi. – Essi loderanno eternamente il nome di Colui che avrà preso le loro difese. – Al momento in cui sosterrete la loro causa, o farete loro giustizia, essi confesseranno il vostro nome; essi non attribuiranno niente ai loro meriti, attribuiranno tutto alla vostra misericordia … E dove saranno le loro delizie, ove sarà il loro riposo, ove sarà la loro gioia, dove sarà la loro beatitudine? In se stessi? No, ma in Colui che li colmerà di gioia manifestandosi ad essi. Purifichiamo il nostro viso, per trovare la nostra gioia contemplando il suo volto: « Perché noi siamo i figli di Dio – dice San Giovanni – e ciò che noi saremo non è ancora apparso: noi sappiamo che, quando apparirà, noi saremo simili a Lui, perché lo vedremo così com’è. » (S. Agost.).

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: GIUGNO 2020

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA DEL MESE DI GIUGNO 2020

Il mese di Giugno è il mese che la Chiesa Cattolica consacra al

Divin Cuore di Gesù

SCOPO DELLA DIVOZIONE AL SACRO CUORE

L’amore vuole amore. L’amore sconosciuto vuole amoreriparatore.

Quando Gesù mostrava alla beata Margherita Maria il suo cuore infiammato d’amore per gli uomini e, incapace di contenere più a lungo quelle fiamme che lo consumavano, e desideroso di far parte a tutti delle ricchezze del suo . cuore, che cosa voleva? Attirare l’attenzione degli uomini su questo amore, indurli a rendergli omaggio, invitarli ad attingere in questo cuore infinitamente ricco. Se, al dire della santa, egli si compiace grandemente di essere onorato sotto la figura del suo Cuore di carne, che scopo vuole che ci proponiamo nel rendergli questo onore? Si tratta del fine preciso e prossimo della divozione, non già del fine ultimo e generale che è, evidentemente, la gloria di Dio e la santificazione delle anime. – Egli vuole che ci proponiamo di onorare il suo amore e di corrispondergli, rendendo amore per amore. La manifestazione del sacro Cuore alla beata Margherita Maria è la manifestazione dell’amore. Si può dunque collegare tutta la divozione a questo. Da una parte, un amore che reclama corrispondenza d’amore, un amore tenero, esuberante, che vuole ricambio proporzionato d’amore; dall’altra parte l’amore che risponde all’invito dell’amore, l’amore desideroso di non essere troppo al disotto dell’amore immenso che l’ha prevenuto e lo provoca. Se la devozione al sacro Cuore, secondo la parola di Pio VI, ci conduce a venerare l’immensa vita e il prodigo (effusum) amore di nostro Signore per noi, è evidente che ciò serve ad accendere il nostro amore a questo focolare dell’amore. Il che è evidente. Ricorderò qualche testo soltanto per mostrare che è proprio così.

La beata scriveva al P. Croiset : « Mi si mostrava di continuo un cuore che gettava fiamme da ogni parte, con queste parole: Se tu sapessi quanto io abbia sete d’essere amato dagli uomini tu non risparmieresti nulla per questo…. Io ho sete, io ardo dal desiderio d’essere amato ». E precedentemente aveva scritto alla madre de Saumaise: « Egli vivrà malgrado i suoi nemici, e si farà padrone e possessore dei nostri cuori e ne prenderà possesso; perché il fine principale di questa divozione è di convertire le anime all’amor suo ».

[J. V. Bainvel: La devozione al S. CUORE DI GESÙ. Soc. Ed. Vita e Pensiero, Milano, 1919]

Indulgenze per il mese di Giugno:

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Mensis sacratissimo Cordi Iesu dicatus

Fidelibus, qui mense iunio (vel alio, iuxta Rev.mi Ordinari prudens iudicium), pio exercitio in honorem Ssmi Cordis Iesu publice peracto devote interfuerint, conceditur:

Indulgentia decem annorum quolibet mensis die;

Indulgentia plenaria, si diebus saltem decem huiusmodi exercitio vacaverint et præterea peccatorum veniam obtinuerint, eucharisticam Mensam participaverint et ad Summi Pontificis mentem preces fuderint. Iis vero, qui præfato mense preces vel alia pietatis obsequia divino Cordi Iesu privatim præstiterint, conceditur:

Indulgentia septem annorum semel quolibet mensis die;

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo quotidie per integrum mensem idem obsequium peregerint; at ubi pium exercitium publice habetur, huiusmodi indulgentia ab iis tantum acquiri potest, qui legitimo detineantur impedimento quominus exercitio publico intersint (S. C. Indulg., 8 maii 1873 et 30 maii 1902; S. Pæn. Ap., 1 mart. 1933).

(A coloro che nel mese di giugno praticano un pio esercizio in onore del Sacro Cuore di Gesù in pubblico, si concedono 10 anni, ed in privato 7 anni, e Indulgen. Plenaria se esso verrà praticato almeno per 10 giorni con le s. c.).

Altre indulgenze ove viene celebrato solennemente il Cuore Sacratissimo di Gesù con corso di predicazione.

Queste sono le feste del mese di

GIUGNO 2020

1 Giugno Die II infra octavam Pentecostes    Duplex I. classis

2 Giugno Die III infra octavam Pentecostes    Duplex I. classis

3 Giugno Feria Quarta Quattuor Temporum Pentecostes    Semiduplex

4 Giugno Die Quinta infra octavam Pentecostes    Semiduplex

5 Giugno Feria Sexta Quattuor Temporum Pentecostes    Semiduplex

                   PRIMO VENERDI

6 Giugno Sabbato Quattuor Temporum Pentecostes    Semiduplex

                 PRIMO SABATO

7 Giugno Dominica Sanctissimæ Trinitatis    Duplex I. classis

9 Giugno Ss. Primi et Feliciani Martyrum    Feria

10 Giugno S. Margaritæ Reginæ Viduæ    Semiduplex

11 Giugno Festum Sanctissimi Corporis Christi    Duplex I. classis

12 Giugno S. Joannis a S. Facundo Confessoris    Duplex

13 Giugno S. Antonii de Padua Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

14 Giugno Dominica II Post Pentecosten    Semiduplex Dominica minor

                     S. Basilii Magni Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

15 Giugno Ss. Viti, Modesti atque Crescentiæ Martyrum    Feria

18 Giugno S. Ephræm Syri Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

19 Giugno Sanctissimi Cordis Domini Nostri Jesu Christi    Duplex I. classis

20 Giugno S. Silverii Papæ et Martyris    Feria

21 Giugno Dominica III Post Pentecosten    Semiduplex Dominica minor

                             S. Aloisii Gonzagæ Confessoris    Duplex

22 Giugno S. Paulini Episcopi et Confessoris    Duplex

23 Giugno In Vigilia S. Joannis Baptistæ    Duplex II. classis *L1*

24 Giugno In Nativitate S. Joannis Baptistæ    Duplex I. classis *L1*

25 Giugno S. Gulielmi Abbatis    Duplex

26 Giugno Ss. Joannis et Pauli Martyrum    Duplex

27 Giugno Sanctæ Mariæ Sabbato    Simplex

28 Giugno Dominica IV Post Pentecosten    Semiduplex Dominica minor

                      S. Irenæi Episcopi et Martyris    Duplex

29 Giugno SS. Apostolorum Petri et Pauli    Duplex I. classis *L1*

30 Giugno In Commemoratione S. Pauli Apostoli    Duplex *L1*

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO IX – “BENEFICIA DEI”

« Siamo angosciati dalla visione di tanti gravi mali, specialmente di quelli che mettono in pericolo la salvezza eterna del Nostro popolo: in questa amarezza la cosa per Noi più dolorosa è il non potere, a causa della Nostra libertà conculcata, adoperare i rimedi necessari contro tanti mali … » Questa era le preoccupazione principale del Sommo Pontefice, il grande paladino e custode della fede cristiana Pio IX: la salvezza delle anime dei fedeli, come è giusto che sia, per un Pontefice al quale il Capo della Chiesa ha affidato la cura dei suoi agnelli e delle sue pecore. Questa breve lettera fu scritta dal Santo Padre con inchiostro amaro dopo gli avvenimenti funesti che ne determinarono la perdita della libertà territoriale confinandola tra le strette mura del colle Vaticano « … l’avidità di un Potente vicino desiderò ardentemente le regioni del Nostro potere temporale, antepose ostinatamente i consigli delle sette della perdizione alle Nostre paterne e ripetute ammonizioni e ai Nostri richiami; ultimamente… espugnò con la forza delle armi anche questa Nostra città, che voleva per sé, e la tiene adesso in suo potere, contro ogni diritto, come cosa che gli appartenga »; si, è la nostra Italia ad essere accusata – perché soggiogata dalle sette della perdizione, cioè le logge massoniche che già tenevano saldamente in pugno i regnanti e gli amministratori del Regno dell’epoca – di un misfatto così grave e deleterio per la sua vita sociale, materiale ed infine spirituale. Tutto questo la nostra patria lo ha pagato con guerre, carestie, rivolte sociali, dittatura, stragi e con la perdita di una reale libertà giunta fine all’attuale quadro politico in cui si è instaurata una feroce dittatura mediatica che contraddice a tutte le regole ancorché naturali e biologiche, oltre che costituzionali, e che tutto lascia presumere essere solo l’inizio di ulteriori e più atroci sofferenze fisiche, morali e soprattutto spirituali perché orchestrate da servi più o meno occulti di lucifero, capo del corpo mistico massonico. Questi castighi che i nostri antenati ci hanno procurato e che i loro discendenti hanno pagato e stanno ancor più pagando oggi e pagheranno domani, oltre ad essere accompagnati da costumi abominevoli, quali l’irreligiosità, la sodomia spudorata, gli adulteri e gli aborti che gridano vendetta agli occhi di Dio, hanno il loro apice nell’abbandono della fede cristiana e nella totale scristianizzazione di una società sprofondata in un paganesimo pratico ed una idolatria senza precedenti, nella sovversione totale nel corpo ecclesiastico costituito oggi da invalidi e sacrileghi chierici “muti”, canonicamente senza alcun titolo valido – senza cioè giurisdizione né missione canonica – e che stanno trascinando nella voragine infernale un numero incalcolabile di anime. Aveva ragione allora il Sommo Pontefice Mastai-Ferretti ad essere angosciato, non per la situazione dovuta alle restrizioni della sua libertà personale e di quella di tutta la Chiesa Cattolica ma – facile profeta – per la perdita irreparabile di anime che ne sarebbe seguita per lungo tempo, anime che si sarebbero dannate e si danneranno in eterno.

S. S. Pio IX

Beneficia Dei

I benefici di Dio Ci chiamano a celebrare la sua benignità, mentre manifestano una nuova grazia della sua protezione verso di Noi e la gloria della sua maestà. Infatti già volge al termine il venticinquesimo anno da quando, per disposizione divina, assumemmo l’incarico di questo Nostro Apostolato, le cui travagliate circostanze sono talmente conosciute da Voi da non aver bisogno di un più lungo ricordo da parte Nostra. È evidentissimo, Venerabili Fratelli, per una serie di tanti avvenimenti, che la Chiesa militante seguita il suo cammino fra frequenti lotte e vittorie; davvero Dio guida lo svolgimento delle cose e domina sul mondo, che è lo sgabello dei suoi piedi; davvero si serve spesso di strumenti deboli e spregevoli per compiere con essi i disegni della sua sapienza. – Nostro Signore Gesù Cristo, fondatore e supremo reggitore della Chiesa, che acquistò col suo sangue, con l’ausilio dei meriti del Beatissimo Pietro, Principe degli Apostoli, che sempre vive e presiede in questa Sede Romana, si è degnato di sorreggere e di sostenere, in questo lungo periodo del Nostro Apostolico servizio, la Nostra debolezza e pochezza, con la sua grazia e la sua forza, a maggior gloria del suo nome e per l’utilità del suo popolo. Così Noi, sostenuti dal suo divino aiuto e servendoci costantemente dei consigli dei Nostri Venerabili Fratelli Cardinali di Santa Romana Chiesa, e più volte anche dei vostri, Venerabili Fratelli, che insieme foste presenti con Noi qui a Roma in gran numero, adornando questa Cattedra della verità con lo splendore della vostra virtù e dell’unanime pietà, abbiamo potuto nel corso di questo Pontificato, seguendo i desideri Nostri e di tutto il mondo cattolico, proclamare con definizione dogmatica l’Immacolata Concezione della Vergine Genitrice di Dio e decretare gli onori celesti a molti eroi della nostra Religione, l’aiuto dei quali, e soprattutto della divina Madre, non dubitiamo che sarà pronto per la Chiesa Cattolica in tempi tanto avversi. Fu anche in virtù della forza e della gloria divina che potemmo portare la luce della vera fede in regioni lontane e inospitali, mandandovi gli operai evangelici; potemmo costituire l’ordine della Gerarchia ecclesiastica in molti luoghi e bollare con solenne condanna gli errori (forti specialmente in questo tempo), contrari all’umana ragione, ai buoni costumi e alla società tanto cristiana che civile. Sempre con l’aiuto di Dio, procurammo, per quanto potevamo, che la potestà ecclesiastica e la civile, sia in Europa, sia in America, fossero congiunte con un fermo e solido vincolo di concordia; cercammo di provvedere alle molteplici necessità della Chiesa Orientale, che sempre guardammo con paterno affetto fin dall’inizio del Nostro Apostolico ministero; recentemente Ci fu concesso di promuovere ed iniziare il Concilio Ecumenico Vaticano, di cui tuttavia, per le notissime vicende, dovemmo decretare la sospensione, quando i frutti maggiori in parte erano stati raccolti e in parte erano attesi dalla Chiesa. – E neppure, Venerabili Fratelli, mai tralasciammo di eseguire, con l’aiuto di Dio, ciò che richiedevano il diritto e il dovere della Nostra potestà civile. Le congratulazioni e gli applausi, come ricordate, che accolsero gli inizi del Nostro Pontificato, si trasformarono in breve tempo in ingiurie e assalti, così da costringerci a fuggire da questa Nostra dilettissima Città. Ma quando, ad opera degli sforzi comuni dei popoli cattolici e dei Principi, fummo restituiti a questa Sede Pontificia, mettemmo continuamente tutte le Nostre forze e il Nostro impegno per promuovere e assicurare ai Nostri fedeli sudditi quella prosperità solida e non fallace che sempre riconoscemmo come fondamentale compito del Nostro Principato civile. Ma poi, l’avidità di un Potente vicino desiderò ardentemente le regioni del Nostro potere temporale, antepose ostinatamente i consigli delle sette della perdizione alle Nostre paterne e ripetute ammonizioni e ai Nostri richiami; ultimamente, come vi è noto, superata di gran lunga l’impudenza di quel Figliol Prodigo di cui leggiamo nel Vangelo, espugnò con la forza delle armi anche questa Nostra città, che voleva per sé, e la tiene adesso in suo potere, contro ogni diritto, come cosa che gli appartenga. Non può accadere, Venerabili Fratelli, che non siamo molto scossi per questa usurpazione tanto empia che subiamo. Siamo completamente angosciati per l’enorme iniquità di un disegno che mira, distrutto il Nostro potere temporale, a che siano distrutti, con la medesima operazione, la Nostra potestà spirituale e il Regno di Cristo in terra, se ciò potesse avvenire. Siamo angosciati dalla visione di tanti gravi mali, specialmente di quelli che mettono in pericolo la salvezza eterna del Nostro popolo: in questa amarezza la cosa per Noi più dolorosa è il non potere, a causa della Nostra libertà conculcata, adoperare i rimedi necessari contro tanti mali. A queste cause della Nostra afflizione, Venerabili Fratelli, si aggiunge anche quella lunga e miserevole serie di calamità e di mali che per tanto tempo percossero e afflissero la nobilissima Nazione Francese; serie di mali aumentata smisuratamente in questi giorni per i tanti inauditi eccessi commessi da una efferata e sfrenata moltitudine, come l’atroce delitto dell’empio parricidio consumato con l’esecuzione del Venerabile Fratello Vescovo di Parigi; ben capite quali sentimenti devono suscitare in Noi tali delitti, che hanno riempito il mondo intero di paura e di orrore. Infine, Venerabili Fratelli, abbiamo anche un’altra amarezza, perfino superiore alle altre, nel vedere tanti figli ribelli, sottoposti a tante e tanto gravi censure, che, non preoccupandosi affatto della Nostra voce paterna, né della loro salvezza, continuano tuttora a disprezzare il tempo della penitenza offerto da Dio, e preferiscono superbamente sperimentare l’ira della divina vendetta piuttosto che il frutto della misericordia, fin che sono in tempo. – Ma ormai, attraverso tante vicissitudini, con la protezione di Dio clementissimo, vediamo giunto il giorno anniversario della Nostra esaltazione al Soglio pontificio nel quale – come succedemmo nella Sede di San Pietro, benché infinitamente inferiori ai suoi meriti – risultiamo essergli uguali nella durata del servizio Apostolico. Questo è davvero un nuovo, singolare e grande dono della divina bontà, concesso dalla volontà di Dio solo a Noi, in un così lungo elenco di santissimi Nostri Predecessori per il lungo periodo di diciannove secoli. Anche in questo riconosciamo una più ammirabile benevolenza divina verso di Noi, quando vediamo che in questo tempo Noi siamo stati considerati degni di patire persecuzione per la giustizia, e quando osserviamo quel meraviglioso affetto di devozione e di amore che anima potentemente il popolo cristiano su tutta la terra, e lo spinge con unanime sentimento a questa Santa Sede. Poiché questi doni furono conferiti a Noi così immeritevoli, impegniamo tutte le Nostre deboli forze per esprimere il Nostro ringraziamento nel debito modo. Perciò, mentre chiediamo all’Immacolata Vergine Madre di Dio che ci insegni, con il suo medesimo spirito, a rendere gloria all’Altissimo con quelle sublimi parole “Grandi cose fece in me l’Onnipotente“, preghiamo istantemente anche Voi, Venerabili Fratelli, ad elevare con Noi a Dio, insieme alle greggi a Voi affidate, cantici ed inni di lode e di ringraziamento. “Magnificate il Signore con me“, diciamo con le parole di Leone Magno, ed esaltiamo il suo nome a vicenda, affinché tutte le grazie e le misericordie che ricevemmo, tornino a lode del loro Autore. Comunicate poi ai vostri popoli il Nostro ardente amore e i gratissimi sentimenti del Nostro animo per le loro bellissime testimonianze di pietà filiale verso di Noi e per i doveri compiuti così a lungo e con tanta perseveranza. Noi infatti, per quanto Ci riguarda, potendo usurpare a buon diritto le parole del Vate del Re “Il mio abitare è stato prolungato“, con l’aiuto delle vostre preghiere ormai desideriamo questo, cioè conseguire la forza e la fiducia di rendere la Nostra anima al Principe dei Pastori, nel cui seno sono il refrigerio ai mali di questa vita turbolenta e travagliata e il beato porto dell’eterna tranquillità e della pace. – Perché poi torni a maggior gloria di Dio quanto per sua benevolenza si aggiunse ai benefici del Nostro Pontificato, aprendo in questa occasione il tesoro delle grazie spirituali, diamo a Voi, Venerabili Fratelli, la potestà, ciascuno nella propria Diocesi, d’impartire la Benedizione Papale con annessa indulgenza plenaria, come usa fare la Chiesa, con la consueta Nostra autorità Apostolica, il sedici o il ventuno di questo mese o in altro giorno a vostra scelta. Desiderando poi provvedere al bene spirituale dei fedeli, con la presente lettera concediamo nel Signore che tutti i Cristiani, tanto secolari che regolari di entrambi i sessi, in qualunque luogo della vostra Diocesi si trovino, i quali, purificati dalla confessione sacramentale e nutriti della santa comunione, eleveranno a Dio devote preghiere per la concordia dei Principi cristiani, l’estirpazione delle eresie e l’esaltazione della Santa Madre Chiesa nel giorno che voi avrete designato o scelto per impartire la predetta Benedizione per Nostra autorità (oppure, nelle Diocesi in cui sia vacante la Sede Episcopale, i Vicari Capitolari del tempo avranno scelto o designato) possano ottenere l’indulgenza plenaria di tutti i loro peccati. Non dubitiamo affatto che in questa occasione il popolo cristiano sia stimolato con maggiore efficacia a pregare, e così per le preghiere moltiplicate meritiamo di ottenere quella misericordia che la visione di tanti mali presenti non Ci permette d’invocare celermente. –  Per Voi nel frattempo, Venerabili Fratelli, chiediamo a Dio Onnipotente costanza, speranza celeste e ogni consolazione, e di queste cose vogliamo che sia auspicio e testimonianza della Nostra particolare benevolenza la Benedizione Apostolica, che impartiamo con tutto il Nostro cuore a Voi, al Clero e al popolo affidato a ciascuno di Voi.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 4 giugno, giorno sacro alla Santissima Trinità, dell’anno 1871, venticinquesimo del Nostro Pontificato.

DOMENICA DI PENTECOSTE (2020)

DOMENICA DI PENTECOSTE (2020)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Stazione a S. Pietro in Vincoli.

Doppio di I Cl. con Ottava privilegiata di I ord. –  Paramenti rossi

Il dono della sapienza è un’illuminazione dello Spirito Santo, grazie alla quale la nostra intelligenza contempla le verità della fede in una luce magnifica e ne prova una grande gioia ».

P. MESCHLER.

Gesù aveva posto le fondamenta della Chiesa durante la sua vita apostolica e le aveva comunicato i suoi poteri dopo la sua Resurrezione. Lo Spirito Santo doveva compiere la formazione degli Apostoli e rivestirli della forza che viene dall’Alto (Vangelo). Al regno visibile di Cristo succede il regno visibile dello Spirito Santo, che si manifesta scendendo sui discepoli di Gesù. La festa della Pentecoste è la festa della promulgazione della Chiesa; perciò si sceglie la Basilica dedicata a S. Pietro, capo della Chiesa, per la Stazione di questo giorno. Gesù, ci dice il Vangelo, aveva annunciato ai suoi la venuta del divin Paracleto e l’Epistola ci realizzazione di questa promessa. All’ora Terza il Cenacolo è Investito dallo Spirito dì Dio: un vento impetuoso che soffia improvvisamente intorno alla casa e l’apparizione di lingue di fuoco all’interno, ne sono i segni meravigliosi. — Illuminati dallo Spirito Santo (Orazione) e riempiti dall’effusione dei sette doni, (Sequenza), gli Apostoli sono rinnovati e a loro volta rinnoveranno il mondo intero (Introito, Antifona).E la Messa cantata all’ora terza, è il momento in cui noi pure « riceviamo lo Spirito Santo, che Gesù salito al cielo, effonde in questi giorni sui figli di adozione ». (Prefatio), poiché ognuno dei misteri liturgici opera dei frutti di grazia nelle anime nostre nel giorno anniversario in cui la Chiesa lo celebra. Durante l’Avvento, dicevamo al Verbo: «Vieni, Signore, ad espiare i delitti del tuo popolo»; ora diciamo con la Chiesa allo Spirito Santo: Vieni, Santo Spirito, riempi i cuori dei tuoi fedeli e accendi in noi il fuoco dell’amor tuo » (Alleluia). È la più bella e la più necessaria delle orazioni giaculatorie, poiché lo Spirito Santo, il « dolce ospite dell’anima », è il principio di tutta la nostra vita soprannaturale.

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Sap I: 7. Spíritus Dómini replévit orbem terrárum, allelúja: et hoc quod cóntinet ómnia, sciéntiam habet vocis, allelúja, allelúja, allelúja.

[Lo Spirito del Signore riempie l’universo, allelúia: e abbraccia tutto, e ha conoscenza di ogni voce, allelúia, allelúia, allelúia].

Ps LXVII: 2 Exsúrgat Deus, et dissipéntur inimíci ejus: et fúgiant, qui odérunt eum, a fácie ejus. [Sorga il Signore, e siano dispersi i suoi nemici: e coloro che lo òdiano fuggano dal suo cospetto].

Spíritus Dómini replévit orbem terrárum, allelúja: et hoc quod cóntinet ómnia, sciéntiam habet vocis, allelúja, allelúja, allelúja

[Lo Spirito del Signore riempie l’universo, allelúia: e abbraccia tutto, e ha conoscenza di ogni voce, allelúia, allelúia, allelúia].

Oratio

Orémus.

Deus, qui hodiérna die corda fidélium Sancti Spíritus illustratióne docuísti: da nobis in eódem Spíritu recta sápere; et de ejus semper consolatióne gaudére.

[O Dio, che in questo giorno hai ammaestrato i tuoi fedeli con la luce dello Spirito Santo, concedici di sentire correttamente nello stesso Spirito, e di godere sempre della sua consolazione.]

Lectio

Léctio  Actuum Apostolórum. Act. II: 1-11

“Cum compleréntur dies Pentecóstes, erant omnes discípuli pariter in eódem loco: et factus est repéente de coelo sonus, tamquam adveniéntis spíritus veheméntis: et replévit totam domum, ubi erant sedentes. Et apparuérunt illis dispertítæ linguæ tamquam ignis, sedítque supra síngulos eórum: et repléti sunt omnes Spíritu Sancto, et coepérunt loqui váriis linguis, prout Spíritus Sanctus dabat éloqui illis. Erant autem in Jerúsalem habitántes Judaei, viri religiósi ex omni natióne, quæ sub coelo est. Facta autem hac voce, convénit multitúdo, et mente confúsa est, quóniam audiébat unusquísque lingua sua illos loquéntes. Stupébant autem omnes et mirabántur, dicéntes: Nonne ecce omnes isti, qui loquúntur, Galilæi sunt? Et quómodo nos audívimus unusquísque linguam nostram, in qua nati sumus? Parthi et Medi et Ælamítæ et qui hábitant Mesopotámiam, Judaeam et Cappadóciam, Pontum et Asiam, Phrýgiam et Pamphýliam, Ægýptum et partes Líbyæ, quæ est circa Cyrénen, et ádvenæ Románi, Judaei quoque et Prosélyti, Cretes et Arabes: audívimus eos loquéntes nostris linguis magnália Dei.” 

Omelia I

LA VENUTA DELLO SPIRITO SANTO

A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – [Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia, 1929]

“Giunto il giorno della Pentecoste, i discepoli si trovavano tutti insieme nel medesimo luogo. E all’improvviso venne dal cielo un rumore come di vento impetuoso, e riempì tutta la casa, dove quelli sedevano. E apparvero ad essi delle lingue come di fuoco, separate, e se ne posò una su ciascuno di loro. E tutti furono ripieni di Spirito Santo, e cominciarono a parlare varie lingue, secondo che lo Spirito Santo dava loro di esprimersi. Ora abitavano in Gerusalemme Giudei, uomini pii, venute da tutte le nazioni che sono sotto il cielo. Quando si udì il rumore la moltitudine si raccolse e rimase attonita perché ciascuno li udiva parlare nella sua propria lingua. E tutti stupivano e si meravigliavano, e dicevano: «Ecco, non son tutti Galilei, questi che parlano? E come mai, li abbiamo uditi, ciascuno di noi, parlare la nostra lingua nativa? Parti, Medi ed Elamiti, e abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadocia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfilia, dell’Egitto e delle regioni della Libia in vicinanza di Cirene, e avventizi romani, Giudei e Proseliti, Cretesi e Arabi li abbiamo uditi parlare nelle nostre lingue delle grandezze di Dio”. (Atti II, 1-11).

Dopo l’Ascensione di Gesù Cristo al cielo, gli Apostoli con Maria madre di Gesù e con altre pie donne e discepoli, in tutto 120, si erano ritirati nel cenacolo. Vi perseveravano nella preghiera da dieci giorni, quando la mattina del di della Pentecoste, la solennità delle messi e della promulgazione della Legge che gli Ebrei celebravano cinquanta giorni dopo Pasqua, avvenne il fatto della discesa dello Spirito Santo sopra gli Apostoli, come è narrato nel capo secondo degli «Atti degli Apostoli». La venuta dello Spirito Santo:

1. Illumina e infiamma gli Apostoli,

2. Che danno principio alla loro missione,

3. La quale produce effetti diversi.

1.

All’improvviso venne dal cielo un rumore come di vento impetuoso, e riempì tutta la casa, dove quelli sedevano. Era ancor mattina, e sugli Apostoli, che con Maria e i discepoli sono radunati nel cenacolo, scende lo Spirito Santo promesso. Gesù Cristo aveva posto il fondamento della Chiesa, aveva insegnato la dottrina che gli Apostoli avrebbero fatta conoscere; aveva loro data la missione determinata di portare il suo Vangelo a tutti i popoli della terra; ma il sorgere della Chiesa fuori dalle fondamenta non si vedeva ancora. La mente degli Apostoli, che per tre anni sono stati alla scuola del Redentore, è ancora avvolta nelle nubi dell’oscurità e nella nebbia dei pregiudizi. La mattina stessa dell’Ascensione, mentre Gesù dà loro le ultime istruzioni, essi domandano:«Signore, in questo momento ricostruirai il regno d’Israele?» (Act. I, 6) interpretando materialmente le profezie sul regno di Gesù Cristo. Dovevano andare per tutto a predicare il Vangelo, ma intanto non osavano comparire per Gerusalemme. Perché si manifestasse la vita della Chiesa, era necessario il Battesimo dello Spirito Santo, promesso dal Fondatore. E lo Spirito Santo discende, manifestandosi all’improvviso con forte rumore di vento gagliardo. Al battesimo di Gesù lo Spirito Santo discende sotto forma di colomba, simbolo di innocenza, di semplicità, di riconciliazione. Adesso la sua discesa si manifesta con l’azione di un vento forte e sotto il simbolo del fuoco. Come un vento gagliardo, che tiri dai monti, dopo lunghe giornate di maltempo, spazza via le nubi e riconduce il sereno,e pare che abbia mutato la faccia del creato; parimenti la discesa dello Spirito Santo sopra gli Apostoli, cambierà, a così dire, il loro aspetto; li trasformerà. La risurrezione di Cristo e la sua Ascensione non erano bastate a togliere dall’animo loro ogni tristezza. Ora, lo Spirito Santo spazza via dall’animo loro ogni nube di mestizia, e vi porta il sereno. Gesù Cristo aveva detto agli Apostoli: «Ho ancora molte cose da dirvi ma per ora sono sopra la vostra capacità. Quando verrà lo Spirito di verità, Egli vi insegnerà tutta la verità (Giov. XVI, 12-13). Lo Spirito Santo non avrebbe insegnato agli Apostoli altra verità che quella insegnata da Gesù Cristo; « ma era necessario che la loro capacità si accrescesse, e che fosse moltiplicata la costanza di quella carità che scaccia ogni timore, e non teme il furore dei persecutori » (S. Leone M. Serm. 76, 5). Lo Spirito Santo che scende sotto la forma di fuoco farà una cosa e l’altra. Quelli che prima non potevano intendere pienamente le verità più chiare, che Gesù Cristo loro insegnava, ora comprendono i misteri più profondi. Il loro interno è purificato: non più gelosia, non più ambizione. La loro volontà è infiammata: ora non sentono che un bisogno; quello di uscire in pubblico a confessare Gesù.

2.

E tutti furono ripieni di Spirito Santo, e cominciarono a parlare varie lingue, secondo che lo Spirito Santo dava loro di esprimersi. Gesù Cristo aveva predetto: «Coloro che avran creduto… parleranno lingue nuove» (Marc. XVI, 17). Il miracolo comincia precisamente nel giorno natalizio della Chiesa, e comincia sulle labbra degli Apostoli nel momento che sono ripieni di Spirito Santo. Non avevano mai studiato l’arte del dire, e si dimostrano eloquentissimi. Non avevano mai imparato alcuna lingua, e ora se ne fanno intendere in parecchie con la più grande sicurezza. La cosa è così portentosa che riempie di meraviglia gente di varia condizione e di ogni regione, convenuta a Gerusalemme per la festa di Pentecoste. Sebbene costoro non parlino tutti la stessa lingua, tutti intendono il linguaggio degli Apostoli. Quante sono le lingue parlate da quella moltitudine, tante sono le lingue in cui gli Apostoli si fanno intendere. E questi forestieri si fanno la domanda: «Non son tutti Galilei questi che parlano? E come mai li abbiamo uditi, ciascuno di noi, parlare la nostra lingua nativa? Avrebbero potuto anche aggiungere: Non sono questi dei poveri pescatori? E come mai si dimostrano così eloquenti? Non sono quegli stessi che dal loro Maestro ebbero il rimprovero: «Non conoscete e non intendete ancora? Avete il cuore accecato? Avendo occhi non vedete, e avendo orecchi non udite?» (Marc. VIII, 17-18). E come mai adesso parlano con tanta sicurezza delle grandezze di Dio? Non sono costoro i medesimi che nella notte della passione fuggirono abbandonando Gesù, che più tardi si rinchiusero nel cenacolo per paura degli Ebrei? E come mai adesso rivolgono la parola agli Ebrei con tanta intrepidezza? La spiegazione è molto facile. Adesso sono ripieni di Spirito Santo. La Chiesa doveva estendersi a tutto il mondo; ma questo non doveva avvenire d’un tratto. Il suo Fondatore l’aveva paragonata a un albero che cresce, mano a mano, e si sviluppa fino al punto da raccogliere sotto i suoi rami le nazioni di tutta la terra. Se nel giorno della Pentecoste la Chiesa, nel suo nascere, non raccoglie sotto i suoi rami le nazioni di tutta la terra, manifesta, però, subito il suo carattere universale col fatto delle lingue parlate dagli Apostoli. Non è più, come per il passato, la sola lingua ebraica l’interprete della grandezza e della volontà di Dio. Sulla bocca degli Apostoli sono consacrate tutte le lingue parlate dall’umanità. Oggi gli Apostoli parlano le lingue delle varie nazioni che sono rappresentate a Gerusalemme: i loro successori parleranno altre lingue ancora, via via che gli scopritori di nuove terre additeranno altri popoli allo zelo dei missionari. E verrà il giorno, (il giorno in cui ci sarà un solo ovile e un solo pastore), che tutti i popoli della terra magnificheranno le grandezze di Dio, come nel giorno di Pentecoste le magnificarono gli Apostoli.« La Chiesa oggi incomincia da Gerusalemme e si dilata fra tutte le nazioni… Dovunque risuonano le voci degli Apostoli, che rendono testimonianza della nostra speranza nell’unità del corpo di Cristo» (S. Agost. En. in Ps. CXLVII, 20). E le voci degli Apostoli con la loro testimonianza, continueranno a risuonare senza affievolirsi. La forza che le vivifica non verrà mai meno. La loro forza vivificatrice non viene dagli uomini; viene dall’alto, dallo Spirito Santo.

3.

I forestieri convenuti a Gerusalemme, e che assistono al grande miracolo che si compie sulle labbra degli Apostoli, dichiarano candidamente: li abbiamo uditi parlare nelle nostre lingue le grandezze di Dio. «E tutti si stupivano ed erano pieni di meraviglia, dicendo l’uno all’altro: «Che vuol esser questo?». Ma altri schernendo dicevano: «Sono pieni di vino» (Att. II, 12-13). – Uomini retti, dalla mente non offuscata dalle passioni, non possono spiegare il grande avvenimento, ma ne ammettono l’importanza. «Che vuol essere questo?» Alla vista delle meraviglie che si compiono riflettono, e si prestano docili all’azione della grazia. E quando San Pietro avrà parlato di Gesù Cristo crocefisso e risorto, entreranno numerosi nella Chiesa. Di fianco a questi, però, ci sono i beffardi, che trattano gli Apostoli da ubriachi. Ciò che non si comprende, si mette in ridicolo. Qui, poi, lo scherno passa ogni misura. « Quanta audacia, quanta empietà, quanta sfacciataggine attribuire all’ubriachezza il dono stupendo delle lingue! » (S. Giov. Crys. In Act. Ap. Hom. 4, 3)). Questo modo di trattare il Cristianesimo al suo apparire non è stato più abbandonato. I beffardi dei nostri giorni non fanno che ripeterlo. Si chiamano spiriti illusi, menti deboli, fanatici, coloro che professano coraggiosamente la Religione Cattolica e si mostrano figli devoti della Chiesa. La prova di queste affermazioni? Non è più forte di quella degli Ebrei, quando chiamavano ubriachi, alle nove del mattino, gli Apostoli, proprio nel momento che operavano cose meravigliose. Questo differente contegno di fronte alle cose meravigliose operate dagli Apostoli, ripieni dello Spirito Santo, sarà ancor più spiccato quando San Pietro, in compagnia di Giovanni, guarirà uno storpio. Quei del popolo, « tutti glorificavano Dio per quello che era avvenuto » (Act. IV, 21); e molti di loro, dopo un secondo discorso di San Pietro, abbracciano la fede cristiana. Quei del Sinedrio sono pure testimoni del miracolo, che non possono mettere in dubbio. « E’ noto a tutti — dicono — che un miracolo evidente è avvenuto per opera loro, e non possiamo negarlo » (Act,. IV, 16); ma l’odio acceca. Quando Pietro dichiara che il miracolo è stato compito nel nome di Gesù Cristo, invece di credere in Lui, intimano a Pietro e a Giovanni di non parlare o insegnare in alcun modo nel nome di Gesù; e alla intimazione aggiungono le minacce. Ma gli Apostoli non hanno nulla da temere, poiché è con loro lo Spirito Santo. Tornati dal Sinedrio assieme con gli altri Apostoli e discepoli domandano a Dio: «E ora guarda alle loro minacce e concedi ai tuoi servi di annunciare con tutta libertà la tua parola». E terminata la preghiera « tutti quanti furono ripieni di Spirito Santo e annunziavano con franchezza la parola di Dio » (Act. IV, 29-31). – Lo Spirito Santo non abbandonerà mai la Chiesa. Uno dopo l’altro scenderanno nella tomba i banditori del regno di Gesù Cristo, ma questo, assistito dallo Spirito Santo, continuerà ad estendersi. Il Beato Cottolengo si trovava un giorno in udienza dal Re Carlo Alberto. Questi si mostrava trepidante per la sorte della Piccola Casa il giorno che il Fondatore fosse passato all’altra vita. Stando i due personaggi vicino a una finestra del Palazzo Reale, si poteva vedere benissimo il cambio della guardia che avveniva precisamente allora. Il Beato fa un cenno al Re e gli dice: «Maestà, vede là sulla piazza che si cambia la sentinella al portone del palazzo? Un soldato bisbiglia all’orecchio del compagno una parola, questo si ferma coll’archibugio sulla spalla, quell’altro se ne va e, senza che a palazzo nessuno se ne sia accorto, la guardia continua come prima. Così, sarà per la Piccola Casa. Io sono un nulla; quando la Divina Provvidenza lo voglia, dirà una parola ad un altro che verrà a prendere il mio posto e farà la guardia. E la Piccola Casa continuerà la sua strada meglio di prima (M. C. Luigi Anglesio, primo successore del b. G. B. Cottolengo, Torino, 1921, p. 28-29). Fino alla fine del mondo la Chiesa avrà sempre nemici implacabili che al suo espandersi opporranno ostacoli d’ogni genere. Di fronte a costoro lo Spirito Santo susciterà sempre nuovi campioni che prendono il posto di quelli che vanno a ricevere la corona. Noi seguiamo costoro. Anzi, preghiamo lo Spirito Santo che tocchi l’animo nostro, come il giorno della Pentecoste toccò l’animo degli Apostoli e dei primi fedeli. «Il solo suo toccare è insegnare. Poiché egli muta l’animo umano appena lo illumina: d’un tratto lo trasforma da quello che era, e subito lo fa diventare quello che non era» (S. Greg. M. Hom. 20, 8).

ALLELUJA

Allelúja, allelúja

Ps CIII: 30 Emítte Spíritum tuum, et creabúntur, et renovábis fáciem terræ. Allelúja.

[Manda il tuo Spírito e saran creati, e sarà rinnovata la faccia della terra. Allelúia.

[Hic genuflectitur:]

Veni, Sancte Spíritus, reple tuórum corda fidélium: et tui amóris in eis ignem accénde.

[Vieni Spirito Santo, riempi i cuori dei tuoi fedeli: ed accendi in essi il fuoco del tuo amore]

Sequentia

Veni, Sancte Spíritus,

et emítte cælitus lucis tuæ rádium.

Veni, pater páuperum; veni, dator múnerum; veni, lumen córdium.

Consolátor óptime, dulcis hospes ánimæ, dulce refrigérium.

 In labóre réquies, in æstu tempéries, in fletu solácium.

O lux beatíssima, reple cordis íntima tuórum fidélium.

Sine tuo númine nihil est in hómine, nihil est innóxium.

Lava quod est sórdidum, riga quod est áridum, sana quod est sáucium.

 Flecte quod est rígidum, fove quod est frígidum, rege quod est dévium.

Da tuis fidélibus, in te confidéntibus, sacrum septenárium.

Da virtútis méritum, da salútis éxitum, da perénne gáudium. Amen. Allelúja.

[Vieni, o Santo Spírito,
E manda dal cielo,
Un raggio della tua luce.

Vieni, o Padre dei poveri,
Vieni, datore di ogni grazia,
Vieni, o luce dei cuori.

O consolatore ottimo,
O dolce ospite dell’ànima
O dolce refrigerio.

Tu, riposo nella fatica,
Refrigerio nell’ardore,
Consolazione nel pianto.

O luce beatissima,
Riempi l’intimo dei cuori,
Dei tuoi fedeli.

Senza la tua potenza,
Nulla è nell’uomo,
Nulla vi è di innocuo.

Lava ciò che è sòrdito,
Irriga ciò che è àrido,
Sana ciò che è ferito.

Piega ciò che è rigido,
Riscalda ciò che è freddo,
Riconduci ciò che devia.

Dà ai tuoi fedeli,
Che in te confidano,
Il sacro settenario.

Dà i meriti della virtú,
Dà la salutare fine,
Dà il gaudio eterno.
Amen. Allelúia. ]

Evangelium

 Sequéntia sancti Evangélii secúndum Joánnem.

Joannes XIV: 23-31

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Si quis díligit me, sermónem meum servábit, et Pater meus díliget eum, et ad eum veniémus et mansiónem apud eum faciémus: qui non díligit me, sermónes meos non servat. Et sermónem quem audístis, non est meus: sed ejus, qui misit me, Patris. Hæc locútus sum vobis, apud vos manens. Paráclitus autem Spíritus Sanctus, quem mittet Pater in nómine meo, ille vos docébit ómnia et súggeret vobis ómnia, quæcúmque díxero vobis. Pacem relínquo vobis, pacem meam do vobis: non quómodo mundus dat, ego do vobis. Non turbátur cor vestrum neque formídet. Audístis, quia ego dixi vobis: Vado et vénio ad vos. Si diligere tis me, gaudere tis utique, quia vado ad Patrem: quia Pater major me est. Et nunc dixi vobis, priúsquam fiat: ut, cum factum fúerit, credátis. Jam non multa loquar vobíscum. Venit enim princeps mundi hujus, et in me non habet quidquam. Sed ut cognóscat mundus, quia díligo Patrem, et sicut mandátum dedit mihi Pater, sic fácio.”

“In quel tempo disse Gesù ai suoi discepoli: Chiunque mi ama, osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà, e noi verremo da lui, e faremo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole. E la parola, che udiste, non è mia: ma del Padre, che mi ha mandato; queste cose ho detto a voi, conversando tra voi. Il Paracleto poi, lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel nome mio, Egli insegnerà a voi ogni cosa, e vi ricorderà tutto quello che ho detto a voi. La pace lascio a voi; la paco mia do a voi; ve la do Io non in quel modo, che la dà il mondo. Non si turbi il cuor vostro, né s’impaurisca. Avete udito, come io vi ho detto: Vo, e vengo a voi. Se mi amaste, vi rallegrereste certamente perché ho detto, vo al Padre: conciossiaché il Padre è maggiore di me. Ve l’ho detto adesso prima che succeda: affinché quando sia avvenuto crediate. Non parlerò ancor molto con voi: imperciocché viene il principe di questo mondo, e non ha da far nulla con me. Ma affinché il mondo conosca, che Io amo il Patire, e come il Padre prescrissemi, così fo” (Jo. XIV, 23- 31) .

OMELIA II

[M. Billot, Discorsi parrocchiali, II ediz. S. Cioffi ed. Napoli, 1840 – impr. ]

Sopra il dono dello Spirito Santo

“Repleti sunt omnes Spiritu Sancto”, Act. II

Giunto il giorno di Pentecoste, cioè il giorno in cui gli Ebrei celebravano la festa della pubblicazione della legge da Mosè fatta, che era il cinquantesimo giorno dopo la loro liberazione dall’Egitto, e il cinquantesimo pure dopo la risurrezione di Gesù Cristo, il decimo dopo la sua Ascensione, giunto questo giorno, e adunati gli Apostoli insieme coi Discepoli nel luogo ove Gesù Cristo aveva loro detto di raccogliersi per aspettare la venuta dello Spirito Santo, udirono ad un tratto venir dal cielo come lo strepito d’un Vento impetuoso che fece rimbombare tutto il cenacolo dove erano. Nello stesso momento videro comparire come delle lingue di fuoco disperse che si fermarono sopra ciascuno d’essi; tutti allora furono ripieni dello Spirito Santo e cominciarono a parlare diverse lingue: Repleti sunt omnes Spiritu Sancto et cœperunt loqui variis lìnguis. Tale è, Cristiani, il mistero che noi celebriamo in questo giorno, mistero ineffabile che è l’adempimento delle promesse di Gesù Cristo, il fine della sua misericordia, il frutto de’ suoi meriti, e che mette il colmo all’ineffabile carità d’un Dio verso gli uomini. Il Padre eterno ci aveva dato il suo Figliuolo, il quale erasi dato Egli stesso per nostra redenzione: che cosa restava per consumar l’opera della nostra salute e rendere la nostra felicità perfetta se non che lo Spirito Santo, che procede dal Padre e dal Figliuolo e che è uguale all’uno e all’altro, si desse Egli stesso a noi, siccome Gesù Cristo aveva promesso ai suoi Apostoli d’inviarlo sulla terra per santificare il mondo? Si è dunque in questo giorno che il divino Spirito, il quale sino allora non erasi comunicato che con le sue grazie, si comunica in Persona; si è in questo giorno ch’Egli riempie non solamente gli Apostoli, ma tutta la terra d’una presenza intima e particolare che si fa sentir con i benefizi più segnalati. Spiritus Domini replevit orbem terrarum. – Si è in questo giorno che questo divino Spirito viene a scolpire la sua legge, non più sulla pietra come altre volte, ma nel cuore degli uomini coi tratti dell’amore più tenero, più liberale. Si è in questo giorno finalmente che sopra le rovine della sinagoga s’innalza una città santa, una nuova Chiesa che comincia a manifestarsi a tutte le nazioni della terra, che sono testimoni dei prodigi dallo Spirito Santo operati per mezzo degli Apostoli. E perciò noi, dobbiamo, fratelli miei, riguardare questa festa, come la nascita della Chiesa; perché gli è in questo giorno che gli Apostoli, divenuti uomini affatto nuovi, hanno pubblicato il Vangelo in una maniera più strepitosa che sin allora non s’era fatto. Benediciamo il Signore di questo favore immenso; ma adoperiamo nello stesso tempo a renderci degni delle grazie che lo Spirito Santo è venuto a spargere sopra gli uomini. Mentre non è solamente ai soli Apostoli ch’Egli si è comunicato, ma si comunica ancora a tutte le anime che sono ben disposte a riceverlo. Vi ho mostrato domenica scorsa ciò che conviene fare per questo; vediamo in quest’oggi gli effetti ch’Egli produce nelle anime ben apparecchiate. Qual è la felicità di un’anima che riceve lo Spirito Santo? Primo punto. A quali segni possiamo noi riconoscere, se l’abbiamo ricevuto? Secondo punto.

I. Punto. Noi non possiamo meglio, fratelli miei, conoscere la felicità di un’anima che riceve lo Spirito Santo e gli ammirabili effetti che vi produce, che da quelli che produsse negli Apostoli allorché scese su di essi. Ora se noi consideriamo le circostanze del mistero di questo giorno, quanti prodigi non vi scopriamo operati dalla virtù di quel divino Spirito? Egli fa primieramente annunziare la sua venuta con lo strepito d’un vento impetuoso che fa rimbombare tutta la casa ove erano gli Apostoli; figura ammirabile dello zelo di cui veniva a riempirli, Egli li rese cosi ardenti per la gloria del loro divino Maestro che, simili a nuvole spinte dal soffio veemente dell’Onnipotente, li fece volare sino all’estremità della terra per d’una dottrina affatto celeste. Lo Spirito Santo comparisce in appresso sopra gli Apostoli in forma di fuoco; altra figura ancora molto sensibile delle meraviglie ch’Egli opera in essi; mentre è proprio del fuoco d’illuminare, di scaldare, di penetrare, di purificare la materia cui egli si attacca; nello stesso modo lo Spirito Santo veniva ad illuminare gli Apostoli con la sua luce, ad infiammarli col suo ardore, a purificarli delle imperfezioni cui erano soggetti prima della sua venuta. Questi sono gli effetti ch’Egli produce nelle anime che lo ricevono d’una maniera, la quale sebbene meno sensibile, non è però meno reale; Egli le illumina, le infiamma, le santifica. Che erano gli apostoli prima della venuta dello Spirito Santo? Uomini semplici e grossolani, che non sapevano altra cosa che l’arte di condurre una barca. Egli è vero ch’erano stati istruiti alla scuola di Gesù Cristo, il quale aveva loro spiegato per tre anni la verità del regno di Dio. Ma il loro spirito era involto da sì dense tenebre che, non ostanti le istruzioni ricevute dal loro divino Maestro, nulla essi comprendevano dei molti misteri che loro Egli proponeva: Et erat verbum istud absconditum ab eis (Luc. XVIII). Essi si scandalizzavano dei patimenti, non volevano credere la Risurrezione, diffidavano delle promesse che loro aveva fatte, a tal segno che Gesù Cristo medesimo, prima di salire al cielo, fece ad essi rimproveri sopra la loro incredulità e la durezza del loro cuore: Exprobravit incredulitatem eorum, et duritiam cordis (Luc. XXIV). Quest’ignoranza degli Apostoli era accompagnata da molta debolezza e timidità. Essi ne diedero ben chiare prove nel tempo della passione del Salvatore; poiché taluni l’abbandonano, uno lo rinnega alla sola voce d’una fantesca; e sebbene Gesù Cristo fosse risuscitato ed avesse loro dati manifesti segni della sua risurrezione, se ne stavano nascosti né ardivano comparire in pubblico per tema della persecuzione de’ Giudei. – Ma che furono gli apostoli dopo la discesa dello, Spirito Santo? Essi divennero uomini affatto nuovi, furono illuminati dalle più sublimi cognizioni, istruiti nei misteri. Lo Spirito Santo che ricevettero insegnò loro, secondo le promesse di Gesù Cristo tutte le verità della sua religione, tutta la perfezione della sua morale, tutta l’estensione delle sue massime. Ripieni di quel divino Spirito che svela tutto ciò che avvi di più oscuro essi appresero in un momento tutto ciò che i più dotti uomini dell’antichità non avevano giammai potuto sapere con lo studio di più secoli. Qui, fratelli miei, si verifica quel che il Signore aveva predetto per uno dei suoi profeti, che Egli spargerebbe il suo Spirito sopra ogni carne: Effundam spiritum super omnem carnem; che i figliuoli, farebbero da profeti, avrebbero visioni, e i vecchi dei sogni che stupirebbero coloro che udissero: Filii vestri prophetabunt (Joel. 2). – Quale strano e meraviglioso spettacolo, vedere e udire quei poveri pescatori, all’uscir del cenacolo dove avevano ricevuto lo Spirito Santo annunziare a popoli innumerevoli, radunati in Gerusalemme da diversi climi del mondo, le verità più sublimi, i misteri più nascosti, la dottrina più santa farsi intendere da essi in ogni sorta di lingue, benché non le avessero giammai imparate! Il che cagionò tale stupore in quei popoli che meravigliati si domandavano gli uni agli altri: Come può egli darsi che questi uomini che sono Galilei, che non furono giammai nelle nostre contrade, parlino la lingua di ciascuno di noi? Quomodo nos audivimus unusquisque linguam nostram in qua nati sumus (Act. II)? Noi Parti, Medi, Elamiti,noi che abitiamo la Mesopotamia,la Giudea, la Cappadocia, il Ponto, l’Asia,la Frigia, la Panfilia, l’Egitto…Romani, Arabi, noi li abbiamo tutti intesi nella nostra lingua annunziare le meraviglie di Dio: Audivimus eos loquentes nostris linguis magnalia Deti (Ib.). Questa fu, fratelli miei, la meraviglia che diede subito un sì grande accrescimento,alla religione cristiana, chela divulgò, per così dire, in un sol giorno per tutto l’universo; poiché quei popoli convertiti dai discorsi degli Apostoli,sopraffatti dalle meraviglie che avevano vedute ed intese, le annunziarono successivamente quando furono nei loro paesi, pubblicarono questa religione ela fecero abbracciare a coloro che l’ignoravano. Or chi aveva reso gli Apostoli sì sapienti per annunziare questa santa religione, se non lo Spirito Santo che li aveva illuminati della sua luce divina, che aveva snodate le loro lingue per parlare con tutta eloquenza? Egli aveva data loro una scienza superiore a quella dei più dotti filosofi, che furono essi convinti, ed obbligati di arrendersi alle verità che intendevano. Confessiamo, fratelli miei, che non appartiene che allo Spirito Santo di fare in sì poco tempo simili discepoli, o più tosto sì dotti maestri. Or non fu solamente del dono della scienza, che lo Spirito Santo riempì gli Apostoli; esso li fortificò ancora di una forza affatto divina per sostenere le verità che dovevano annunziare al mondo. Qual differenza infatti tra ciò che erano gli Apostoli prima della discesa dello Spirito Santo e ciò che furono dopo averlo ricevuto? Quegli uomini grossolani, deboli e timidi, che non ardivano per lo innanzi farsi vedere, comparvero arditamente avanti alle potenze della terra più formidabili: loro annunziarono con santa libertà la religione di Gesù Cristo, senza che le minacce dei grandi, il rigore dei supplizi, il timore della morte più orribile fossero capaci d’intimorirli. Ben lungi dal temere la persecuzione e dal fuggirla, si stimano felici e sono trasportati da allegrezza perché sono stati trovati degni di soffrire pel nome di Gesù: Ibant gaudentes…. quoniam digni habiti sunt prò nomine Jesu contumeliam pati (Act. V). Affrontano il furore dei tiranni, vanno incontro ai supplizi e alla morte, trionfano colla loro pazienza dei più crudeli persecutori, confermano col sangue la religione che predicano ed ispirano il loro coraggio a quelli che debbono loro succedere, nello stesso ministero. Donde è venuta, fratelli miei, questa forza che gli Apostoli hanno mostrato per lo stabilimento della religione di Gesù Cristo? Si è la virtù divina e la possanza dello Spirito Santo che gli ha sostenuti; è il suo ardore che li ha animati, fortificati; ed è questo ardore medesimo questa medesima possanza che ha sostenute altresì schiere innumerabili di martiri che camminando sulle tracce degli Apostoli, hanno sparso il loro sangue per la gloria di Gesù Cristo e del suo Vangelo. Ecco gli ammirabili effetto che questo divino Spirito ha prodotti nei primi seguaci della santa religione che noi professiamo.Non ne dubitate, fratelli miei; le operazioni dello Spirito Santo non hanno avuto fine nei soli Apostoli, ed in quelli che li hanno seguiti nel loro ministero. Questo divino Spirito si comunica alle anime che sono ben disposte a riceverlo; Egli le illumina con la sua luce, le infiamma col suo ardore, le fortifica con le sue grazie. Egli le illumina con la sua luce, comunicando loro i doni di sapienza, d’intelletto, di scienza e di consiglio. Egli fortifica la loro volontà coi doni di fortezza, di pietà di timor di Dio: doni ammirabili di cui voglio io darvi una succinta spiegazione. –

Il dono della sapienza che lo Spirito Santo dà all’anima è una cognizione della vanità delle cose della terra, cognizione che le fa dispregiare i beni passeggieri per non attaccarsi che ai beni eterni, ch’ella giudica soli degni delle sue ricerche e delle sue premure. Dono di sapienza che il re Salomone preferiva a tutte le ricchezze e a tutti i regni del mondo, præposui sapientiam regnis et sedibus (Sap. VII), perché  trovava in essa tutto ciò che può fare la felicità dell’uomo. Questa sapienza gli faceva vedere che quaggiù tutto non è che vanità ed afflizione di spirito, e che la sola cosa che non è vanità, si è di amare e di servir Dio: vanitas vanitatum, et omnia vanitas (Eccl. 1). Questo è, fratelli miei, ciò che lo Spirito Santo vi fa vedere di tempo in tempo quando vi apre gli occhi sul nulla degli onori, dei beni e dei piaceri del mondo, che non fanno che passare e sono incapaci di contentare il cuore dell’uomo; quando v’inspira il desiderio d’una felicità più degna di voi e v’insegna i mezzi di pervenirvi. Il dono dell’intelletto è una conoscenza dei misteri della fede, di cui lo Spirito Santo istruisce un’anima nella quale Egli fa la sua dimora, insegnandole le verità della religione cristiana e quanto le è necessario per adempiere i doveri dello stato in cui è impegnata. Il dono della scienza è un lume soprannaturale che lo Spirito Santo sparge nell’anima del giusto, che gl’insegna l’uso che deve fare delle cose di questo mondo, per non impiegarle che nel fine che Dio si è proposto creandole: cioè, per servirsene unicamente a sua gloria e a nostra salute. Finalmente il dono del consiglio, con cui lo Spirito Santo rischiara l’intelletto, è un giusto discernimento ch’Egli ci dà dei mezzi che ci conducono al nostro ultimo fine, per non confondere il bene col male, per saperci determinare nei casi particolari ove convien operare, per distinguere la vera virtù da quella che è solo apparente e che non è secondo Dio. – Dopo aver illuminato il nostro intelletto su di ciò che dobbiamo fare, lo Spirito Santo fortifica la nostra volontà per farcelo eseguire, comunicandoci i doni di fortezza, di pietà e di timor di Dio. Dono della fortezza, che c’innalza al di sopra di noi medesimi per farci superare gli ostacoli che s’incontrano nelle vie della salute, che ci fa trionfare delle tentazioni e vincere i nostri nemici, che c’induce a quella santa violenza che convien farsi per la pratica delle virtù e per guadagnare il regno dei cieli. Dono della fortezza, che ci sostiene nelle tribolazioni della vita, le quali ci opprimerebbero col loro peso, senza l’unzione salutare che lo Spirito Santo vi sparge, ma che divengono leggieri per le dolci consolazioni con cui questo divino Spirito ne tempera le amarezze. Dono della pietà, che ci rende soavi e felici gli esercizi della religione, che ci fa adempiere i nostri doveri a riguardo di Dio e del prossimo; a riguardo di Dio, ch’ella ci fa rispettare e rispettarlo come nostro vero Padre, a riguardo del prossimo, ch’ella ci fa amare come nostro fratello, rendendogli tutti i servigi che da noi dipendono. Dono del timor di Dio, che ci ritira e c’impedisce dal far cosa alcuna che possa dispiacergli, che ci fa risguardare il peccato come il più gran male che ci possa accadere. Con questo timore di Dio noi ci solleviamo al di sopra dei rispetti umani, noi dispregiamo le minacce degli uomini, che possono perdere i nostri corpi, per ubbidire a Colui che può perdere il corpo e l’anima per tutta un’eternità. – Mi rimane a dirvi come lo Spirito Santo santifichi l’anima in cui Egli viene a fare la sua dimora. Si è non solamente spargendo in quest’anima la grazia santificante, la carità abituale, che la rende amica di Dio, erede del regno eterno: Charitas Dei diffusa est in cordibus nostris per Spiritum Sanctum (Rom V), ma ancora correggendola de’ suoi difetti e purgandola delle imperfezioni che le restano anche nello stato di grazia. Oimè! fratelli miei, a quanti difetti siamo noi sottoposti! Qual fondo d’orgoglio nella nostra anima! Quante ricerche di noi medesimi! Quanta vanità! Quanto amor proprio! Qual propensione per tutto ciò che lusinga i nostri sensi! Quale avversione per tutto ciò che ci disgusta e fa soffrire la nostra natura! Qual felicità a trasportarci, a sdegnarci contro coloro che ci fanno qualche dispiacere! Or lo Spirito Santo che abita in un’anima ne corregge i difetti, ne rettifica le inclinazioni perverse. Come il fuoco purifica il ferro, così lo Spirito Santo purifica un’anima: di carnale e terrena che ella era, Egli la rende affatto celeste, la stacca da tutti gli oggetti creati, rompe le catene che la tenevano prigione per innalzarla sino a Lui e rendersene il solo padrone; Egli la trasforma, per così dire, in Sé stesso, comunicandole le virtù che la rendono per partecipazione ciò ch’Egli è per natura. Il candore, l’innocenza, la mansuetudine, l’umiltà, la carità, la pazienza, la bontà, la modestia, la continenza, la castità sono i frutti ch’Egli in essa produce, dice l’Apostolo s. Paolo, e che l’anima medesima produce d’accordo con questo divino Spirito, che è in essa il principio di tutte le sue buone azioni. Sì, fratelli miei, se noi facciamo qualche poco di bene, si è allo Spirito Santo che noi lo dobbiamo; Egli è che comincia e compie in noi la grand’opera della nostra predestinazione: Egli è, dice s. Leone, che fa versare le lagrime dei penitenti, che produce i sospiri dei supplicanti, che domanda anche per noi con gemiti ineffabili, dice l’Apostolo: Postulat prò nobis gemitibus inenarrabilibus (Rom. VIII). Egli è questo divino Spirito che ispira a tante anime sante, i cui esempi ci edificano, quel generoso staccamento dai beni della terra, quella rinuncia a se stesso, quell’amor della croce, quel fervore nel servigio di Dio, che noi ammiriamo in coloro che hanno abbandonato il mondo, ed anche in coloro che vivono nel mondo. Son questi, fratelli miei, gli effetti che lo Spirito Santo ha in voi prodotti? Oimè, forse si troverebbe tra voi chi dir potrebbe come quei popoli che, essendo richiesti se l’avevano essi ricevuto, risposero che non sapevano neppure se eravi un Santo Spirito! Io voglio credere che voi non siate in questa ignoranza; voi sapete che lo Spirito Santo è la terza Persona della Santissima Trinità, Dio eguale al Padre e al Figliuolo; voi sapete le meraviglie ch’Egli ha operate per la santificazione degli uomini. Ma avete provate in voi queste meraviglie? Siete voi al presente in uno stato di santità? Potete voi accertare con la testimonianza della vostra coscienza che lo Spirito Santo abita in voi? Lo conoscerete ai segni ch’io sono per darvene.

II. Punto. Siccome è proprio dello Spirito di Dio, di scacciare dai nostri cuori lo spirito del mondo, di darci la forza per combatterlo, d’unire i cuori dei fedeli coi legami d’una perfetta carità e d’ispirarci un santo ardore per il servizio di Dio, a questi segni, fratelli miei, voi potete riconoscere se avete ricevuto lo Spirito Santo; saranno altresì mezzi efficaci di conservarlo, se ricevuto l’avete. – Noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, dice l’Apostolo, ma lo Spirito di Dio, che il mondo non può ricevere, non spiritum huius mundi accepimus (1 Cor. II). Questi due spiriti sono incompatibili l’uno con, l’altro; le loro leggi e le loro massime sono interamente opposte. Perciò, fratelli miei se voi avete ricevuto lo Spirito di Dio, non dovete seguire lo spirito del mondo. – Bisogna necessariamente appartenere all’uno o all’altro. Niuna neutralità avvi a serbare; esaminate dunque quale di questi due spiriti vi anima, e conoscerete quello a cui appartenete; per saperlo, convien conoscere i loro differenti caratteri. – Che cosa è lo spirito del mondo? Egli è uno spirito d’orgoglio e di dominio, uno spirito d’interesse, uno spirito di immortificazione, nemico della penitenza e delle croci. Questi sono i tre mobili che lo guidano e che sono, dice s. Giovanni, le tre sorgenti della corruzione e della riprovazione del mondo. Primo carattere dello spirito del mondo si è lo spirito d’orgoglio e di dominio, che non cerca d’innalzarsi, che non s’occupa che d’idee di grandezza, che è idolatra della gloria e degli onori del secolo, che, non mai contento di ciò che ha, ambisce sempre ciò che non ha, e dice sempre, come il primo degli spiriti ribelli: Ascendam, io salirò ancora più alto. Spirito d’ostentazione, che si compiace di far pompa di ciò che ha di brillante, che si manifesta nel lusso delle vesti, nella magnificenza delle suppellettili, nelle novità delle mode, e con un esteriore autorevole di cui si serve per abbagliare i suoi partigiani. Spirito d’indipendenza, che non riconosce alcuna subordinazione, si sottrae all’autorità più legittima, dispregia le leggi più sacre; che cerca anche di scuotere il giogo della fede, combatte con una pertinace resistenza le verità della religione. Tali sono gli estremi a cui lo spirito del mondo conduce coloro che se ne lasciano predominare. – Ah! che lo Spirito di Dio ispira sentimenti molto diversi ad un’anima che Egli conduce! Questi sono sentimenti d’umiltà la più profonda, che fugge la gloria e gli onori, per non cercare che le umiliazioni; che invece di comparire e manifestarsi per via di ciò che può fargli onore, non cerca che di nascondersi per involare agli occhi del mondo ciò che può attribuire qualche gloria; che cammina con candore e semplicità, né cerca di farsi ammirare, né contesta le precedenze, e cede volentieri ai sentimenti altrui. Un’anima condotta dallo Spirito di Dio, invece di sollevarsi contro le autorità, di combattere la verità, si sottomette con docilità al giogo che le viene imposto, crede senza esitare le verità che la religione insegna; ella non parla, non opera che per la gloria del suo Dio. Tali furono le disposizioni in cui si trovarono gli Apostoli dopo avere ricevuto lo Spirito Santo. Essi non ebbero che del dispregio per i plausi e gli onori del mondo; si fecero gloria della umiliazione; ben lungi dal disputare sulla precedenza, si riguardarono come la feccia del mondo; tamquam purgamenta huius mundi (Cor. IV), e non ebbero altra ambizione che di procurare gloria a Dio coi loro discorsi e con le loro fatiche: loquebantur magnalia Dei. – Sono questi, fratelli miei, i vostri sentimenti? Preferite voi l’obbrobrio e l’umiliazione della croce alla gloria del mondo? Non cercate voi punto meritare sua stima e i suoi applausi? Amate voi piuttosto l’ultimo posto che il primo? Siete voi indifferenti alle lodi come ai dispregi? Non cercate voi in ogni cosa che la gloria di Dio? Se è così, voi avete ricevuto il suo divino Spirito; Egli fa in voi la sua dimora, e voi lo conserverete sinché avrete questi sentimenti: ma se l’orgoglio, la vanità signoreggia nel vostro cuore, è lo spirito del mondo che vi conduce. E che dovete aspettarvi? Schiavi del mondo, voi perirete col mondo. Voi conoscerete ancora se avete uno spirito d’interesse, che è il secondo carattere dello spirito del mondo, opposto allo Spirito di Dio. Su di che s’aggirano infatti tutti i progetti che si formano nel mondo? A che vanno a finire i passi della maggior parte degli uomini? Non hanno di mira che l’interesse; le ricchezze sono l’idolo cui tutto sacrificano: in esse ripongono la loro felicità, e non stimano felici che quelli cui prodiga la fortuna i suoi favori, riguardando come infelici coloro che sono nella povertà e nell’indigenza. Quando i ricchi sono i soli onorati, laddove gli altri sono nell’obbrobrio e nel dispregio. – Ma lo Spirito di Dio c’insegna a pensare  molto diversamente sui beni del mondo. Questo divino Spirito, che Gesù Cristo ci ha inviato per insegnare le massime del suo Vangelo, ci dice che beati sono i poveri perché di essi è il regno de’ cieli; disgraziati sono i ricchi, perché le ricchezze sono un grande ostacolo per entrare in quel regno. Per la qual cosa c’inspira il dispregio delle ricchezze e l’amore della povertà. Tali furono i sentimenti ch’Egli inspirò agli Apostoli e ai primi discepoli della religione. Gli Apostoli che avevano lasciato tutto per seguire Gesù Cristo, non vivevano che delle limosine che lorio facevansi, e passarono tutta la loro vita nella povertà. I primi Cristiani nulla possedevano di proprio, ma vendevano tutto quel che avevano per recarne il prezzo ai piedi degli Apostoli ad essere distribuito a ciascuno secondo i suoi bisogni. Ecco sino a qual punto portavasi il disinteressamento nella primitiva Chiesa, perché seguivansi i movimenti dello Spirito Santo. Esaminate dunque, fratelli miei, se voi siete animati da questo divino Spirito, dalle disposizioni in cui vi siete trovati a riguardo dei beni del mondo. Per verità Dio non esige da voi che vi spogliate dei vostri beni , come i primitivi Cristiani, con una rinuncia reale ed effettiva, ma bisogna almeno staccarne il cuore, di modo che voi siate tanto indifferenti per le ricchezze quanto per la povertà; voi nulla apprezzare dovete apprezzare le cose create, Dio solo deve fare il vostro tesoro: Or se voi siete poveri, siete voi contenti in quello stato? Se siete ricchi, qual uso fate dei vostri beni? Ne impiegate voi il superfluo a soccorrere i poveri? Siete voi pronti ad abbandonare ogni cosa, se Dio da voi lo richiede? E quando vi accade qualche sinistro accidente, qual è la vostra sommissione alla volontà di Dio che così permette? A questi segni voi conoscerete se avete lo Spirito di Gesù Cristo, che è uno spirito di povertà. Ma se siete sempre avidi dei beni, se soffrite mal volentieri le perdite che quando la fortuna vi è favorevole, è segno che lo spirito del mondo regna in voi e non lo Spirito di Dio. – Terzo carattere dello spirito del mondo, opposto a quello di Gesù Cristo, spirito d’immortificazione e di mollezza, nemico della penitenza e delle croci. Basta per esserne convinti di esaminare la vita dei mondani. Qual sollecitudine a soddisfare le loro brame, quali precauzioni per procurarsi i piaceri della vita! Quale indulgenza a lusingare la carne e a procurarle tutto ciò ch’ella domanda; qual violenza si fanno per reprimere le loro inclinazioni sregolate! Tutta la loro vita non è che un cerchio di divertimenti, che si succedono gli uni agli altri. Dopo essersi renduti colpevoli di molti delitti, non pensano in nessun modo a farne penitenza; lasciano la mortificazione a coloro che vivono nel ritiro: quanto ad essi si credono in diritto di vivere nell’allegrezza e nei piaceri. – Ma quanto le massime dello Spirito di Dio sono esse opposte a quelle del mondo! Questo divino Spirito, che porta la divisione sino nelle potenze dell’anima, come dice s. Paolo, reprime non solo le inclinazioni sregolate, ma mortifica ancora le più legittime; Egli inspira l’abnegazione di se stesso, la mortificazione dei sensi  l’amore della penitenza e delle croci. Un’anima condotta da questo divino Spirito si fa una violenza continua per correggersi dei suoi difetti; per ridurre le sue passioni in ischiavitù, essa si abbandona ai rigori della penitenza, ed abbraccia con piacere tutte le croci che il Signore le presenta, ed è così, fratelli miei, che voi combattete contro di voi medesimi per fare penitenza dei vostri sregolamenti, per reprimere le vostre malvage inclinazioni? Amate voi la mortificazione e le croci? Se la cosa va così, voi avete ricevuto lo Spirito Santo; e se persistete nelle vostre sante pratiche, Egli dimorerà con voi. Ma se vivete secondo la carne, se non la sottomettete allo spirito, se accordate alle vostre passioni tutto ciò che esse domandano, se la penitenza e le croci vi disgustano, voi non siete animati a quella vita divina che lo Spirito Santo comunica alle anime che lo ricevono, voi siete all’opposto in uno stato di morte, perché avete estinto in voi lo spirito della vita con le vostre resistenze alle sue grazie, voi non gli appartenete più, ma appartenete allo spirito delle tenebre, che è divenuto vostro padrone: Vos ex patre diaboli estis! Qual disgrazia, fratelli miei! Potete voi pensarvi senza fremere, e non fare ogni sforzo per rompere i vostri legami e ricuperare la libertà dei figliuoli di Dio? Si richiede per ciò della forza: ma lo Spirito Santo ve la darà; si è da questa virtù medesima che voi conoscerete se l’avete ricevuto. Io vi ho fatto vedere, fratelli miei, la forza che lo Spirito Santo comunicò agli Apostoli, ch’Egli rese intrepidi in mezzo delle più crudeli persecuzioni e superiori alle minacce, ai supplizi e alla morte più spietata. Tali sono gli effetti che produce in un’anima che l’ha ricevuto. Se voi avete questa sorte sosterrete la causa di Dio contro tutti gli sforzi del mondo, vi renderete superiori al rispetto umano, ai motteggi, alle persecuzioni degli uomini; vi opporrete al torrente dei cattivi costumi, reprimerete il vizio in coloro che vi sono soggetti, vi farete gloria della virtù avanti a coloro che la dispregiano; difenderete la gloria della vostra religione innanzi a quelli che l’attaccano. Ecco quel che lo Spirito Santo esige da un’anima cui Egli si comunica. Ma se voi non ardite dichiararvi per la verità, né prendere il partito della virtù per tema di dispiacere agli uomini, se un rispetto umano vi chiude la bocca mentre convien parlare; se per timidi riguardi, e per una falsa prudenza applaudite alle passioni altrui, se commendate il vizio in quelli che dovete riprendere, per tema d’incorrere la loro disgrazia; se non praticate la virtù che sin tanto che avete l’applauso del mondo, e l’abbandonate tosto che siete esposti alle censure degli uomini; ah! voi dovete giudicare che non avete punto ricevuto quello Spirito di fortezza che comparve nei primi Cristiani, quello che fu in s. Paolo, che non si riguardava più come discepolo di Gesù Cristo qualora avesse la disgrazia di piacere agli uomini: si hominibus placerem, Christi servus non essem (Gal. 1). No, dice questo grande Apostolo, noi non abbiamo ricevuto uno spirito di timidità, ma uno spirito di forza e di fermezza per sostenerci nella pratica del bene contro le false massime del mondo, contro le persecuzioni degli uomini: Non dedit nobis spiritum timoris, sed virtutis (2 Tim. 1).Finalmente, fratelli miei, lo Spirito Santo è uno Spirito di pace, che unisce i cuori coi legami d’una perfetta carità. Unione sì grande tra i primi Cristiani che facevano tutti un cuore solo ed un’anima sola. A questo segno voi conoscerete ancora se possedete questo divino Spirito; se vivete in pace col vostro prossimo, con quei medesimi che sono nemici della pace, se sopportate pazientemente gli affronti, le ingiurie, se perdonate ai vostri nemici e se rendete del bene a coloro che vi fanno del male, voi siete la dimora dello Spirito Santo. Ma se siete in dissensione col vostro prossimo, se seminate la discordia tra i vostri fratelli con i vostri cattivi rapporti, non è lo Spirito di Dio che vi conduce, è lo spirito del demonio, che non ama che la dissensione e la discordia. Si può forse dire che lo Spirito di Dio abiti in quelle case dove non s’odono che risse e contese, dove il marito e la moglie sono sempre in litigio, vomitando l’uno contro l’altra le ingiurie più atroci con grande scandalo dei figliuoli? No, questo divino Spirito non si trova nella discordia e nelle divisioni: non in commotione. Dominus (3 Reg. 19). Volete voi, fratelli miei, possederlo nelle vostre case, nei vostri cuori? Vivete in pace gli uni con gli altri, seguite in tutto gl’impulsi dello Spirito Santo; ch’Egli sia il principio ed il fine di tutti i vostri progetti e di tutte le vostre azioni; adempite con fervore tutti i vostri doveri: perché lo Spirito Santo non si compiace in un cuore che fa l’opera di Dio negligentemente: Egli richiede un cuore che agisca per amore, perché Egli è tutto amore. Egli è un fuoco che è sempre nell’azione e che comunica all’anima la sua attività: tosto che voi cesserete d’operare, l’estinguerete, lo soffocherete: siccome il fuoco si estingue da che si cessa di dargli materia, così lo Spirito Santo cesserà di essere in voi se non opererete con Lui. Quand’anche evitaste il male, la sola inazione, la negligenza a fare il bene saranno capaci d’allontanarlo da voi. Ma se ritrova in voi dei ministri che seguano la sua attività, Egli vi condurrà di virtù in virtù alla gloria eterna. Così sia.

Credo …

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/12/il-credo/

Offertorium

Orémus – Ps LXVII: 29-30

Confírma hoc, Deus, quod operátus es in nobis: a templo tuo, quod est in Jerúsalem, tibi ófferent reges múnera, allelúja. [Conferma, o Dio, quanto hai operato in noi: i re Ti offriranno doni per il tuo tempio che è in Gerusalemme, allelúia].

Secreta

Múnera, quæsumus, Dómine, obláta sanctífica: et corda nostra Sancti Spíritus illustratióne emúnda.

[Santifica, Te ne preghiamo, o Signore, i doni che Ti vengono offerti, e monda i nostri cuori con la luce dello Spirito Santo].

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/comunione-spirituale/

Communio

Acts II: 2; 4

Factus est repénte de coelo sonus, tamquam adveniéntis spíritus veheméntis, ubi erant sedéntes, allelúja: et repléti sunt omnes Spíritu Sancto, loquéntes magnália Dei, allelúja, allelúja. [Improvvisamente, nel luogo ove si trovavano, venne dal cielo un suono come di un vento impetuoso, allelúia: e furono ripieni di Spirito Santo, e decantavano le meraviglie del Signore, alleluja, alleluja.]

Postcommunio

Orémus.

Sancti Spíritus, Dómine, corda nostra mundet infúsio: et sui roris íntima aspersióne fecúndet. [Fa, o Signore, che l’infusione dello Spirito Santo purifichi i nostri cuori, e li fecondi con l’intima aspersione della sua grazia] .

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/

https://www.exsurgatdeus.org/2018/09/13/ringraziamento-dopo-la-comunione-1/

https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/

TEMPO DI PENTECOSTE

TEMPO PASQUALE – 3.

I. — Commento dogmatico: Pentecoste.

Pasqua e Pentecoste, coi cinquanta giorni intermedi sono considerate come formanti una sola festa. In essa si celebra prima il trionfo di Cristo, poi il suo ingresso nella gloria e finalmente, al cinquantesimo giorno, l’anniversario della nascita della Chiesa. La Risurrezione. l’Ascensione e la Pentecoste appartengono al mistero pasquale. « Pasqua è stata il principio della grazia, la Pentecoste ne è il compimento », dice S. Agostino, poiché le Spirito Santo vi completa l’opera di Cristo. E l’Ascensione, posta al centro di questo trittico del Tempo pasquale, unisce queste due  feste. Con la sua risurrezione Gesù Cristo ci ha reso i nostri diritti alla vita divina, e alla Pentecoste lì applica alle anime nostre comunicandoci il suo « Spirito Vivificatore ». Ma per fare ciò doveva prima prendere possesso del regno che aveva conquistato « Lo Spirito Santo non era ancora stato dato, perché Gesù non era ancora stato glorificato », dice S. Giovanni (VII, 39). L’Ascensione de’ Signore è infatti il riconoscimento ufficiale dei suoi titoli di vittoria; essa costituisce per la sua umanità la corona di tutta l’opera sua di redenzione e per la Chiesa il principio della sua esisterne e della sua santità. « L’Ascensione, scrive Dom Guéranger, è il mistero intermedio fra Pasqua e Pentecoste. Da una parte essa è il compimento della Pasqua, ponendo il Dio-Uomo vincitore della morte a capo della Chiesa e alla destra del Padre; dall’altra, determina l’invio dello Spirito Santo sulla terra ». « Il nostro bel mistero dell’Ascensione segna il limite fra i due regni divini quaggiù, il regno visibile del Figlio di Dio e il regno invisibile dello Spirito Santo. « Se io non me ne vado, il Paracleto non verrà a voi », dichiara Gesù ai suoi Apostoli: ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò (Giov. XVI, 7). II Verbo Incarnato ha finito la sua missione esterna presso gli uomini, lo Spirito Santo sta per cominciare la sua, poiché DioPadre ha non solo mandato il Suo Figlio incarnato per ricondurci a Lui, ma anche Io Spirito Santo, che « procede dal Padre e dal Figlio »  e che si rivelò al mondo con segni visibili: lingue di fuoco, vento impetuoso, ecc. — «II Padre fa tutto per mezzo del Figlio, nello Spirito Santo », dice S. Atanasio. Cosi quando l’Onnipotenza di Dio Padre ci si manifesta nella creazione del mondo, leggiamo nella Genesi che « Io Spirito di Dio si muoveva sulle acque per renderle feconde (Benedizione del Fonte). Quando ci si manifesta la sapienza del Verbo, di nuovo lo dobbiamo allo Spirito Santo. Egli ha « parlato per mezzo dei profeti », è la sua virtù che ha coperto della sua ombra la Vergine Maria e l’ha resa Madre di Gesù. Lo stesso Spirito Santo sotto forma di colomba, scese su Gesù Cristo al momento del battesimo, lo condusse nel deserto e lo guidò in tutta la sua vita di apostolato. — Ma lo Spirito di santità inaugura l’impero sulle anime soprattutto colmando gli Apostoli di luce e di forza nel giorno della Pentecoste. – « Nello Spirito Santo la Chiesa è battezzata » nel Cenacolo « il soffio suo vivificante dà la vita al corpo mistico di Cristo, organizzato da Gesù dopo la sua Risurrezione ». Cosi il Redentore, soffiando sugli Apostoli aveva detto loro: «Ricevete lo Spirito Santo, saranno rimessi i peccati a quelli ai quali li rimetterete » e come è noto, lo Spirito Santo è chiamato «la remissione dei peccati (Postcomm. del martedì) e il battesimo che ha per iscopo di purificare le anime dai loro peccati è conferito « nell’acqua e nello Spirito Santo ». « Esci da quest’anima, spirito immondo », dice il sacerdote che battezza, cedi il posto allo Spirito Consolatore. Questo Spirito guarisce con la sua grazia le anime nostre e le eleva (la grazia è insieme sanans et elevans); sottrae quindi l’uomo dalla morte alla quale questi non era capace di sottrarsi da sé. In grazia sua, le anime sono soprannaturalizzate e l’influenza soprannaturale di questo Spirito può e deve vivificare tutti i loro pensieri e tutte le loro azioni, poiché, come la vita del corpo proviene dalla unione del corpo con l’anima, così pure la vita dell’anima proviene dall’unione dell’anima con lo Spirito di Dio per mezzo della grazia santificante, (S. Ireneo e S. Clemente di Alessandria). «L’uomo riceve la grazia mediante lo Spirito Santo », dice San Tommaso (S. Th. Ia IIæ, q. 112). La grazia è la soprannaturalizzazione di tutto il nostro essere, in quanto cheè «una certa partecipazione della Divinità nella creatura ragionevole » . Inoltre là dove è la grazia vi è pure Colui che ne è l’Artefice divino, e perciò la Chiesa chiama lo Spirito Santo « dolce ospite dell’anima nostra », Colui che feconda la nostra attività con « la sua intima azione ». Questo Spirito compie l’opera di formazione degli Apostoli. « Egli vi insegnerà ogni cosa e vi rammenterà tutto quello che Io vi ho detto » dice Gesù (Giov. XIV, 26) . E ciò lo fa non solo illuminando l’intelligenza, ma anche purificando e riscaldando i cuori. La Chiesa lo chiama «luce dei cuori» e spesso durante questa settimana fa allusione a questa purificazione e a questo ritempramento della volontà, che permettono all’intelligenza di contemplare verità con maggior luce. «Chiunque fa il male, dice il Vangelo del lunedi, odia la luce e non viene alla luce per tema che le opere siano biasimate. Ma colui che compie la verità viene alla luce, in modo che le opere sue siano manifeste, perché sono state fatte in Dio ». Dimodoché lo Spirito Santo viene a render testimonianza a Cristo, come il Maestro lo aveva annunziato. E questa testimonianza Egli la rende non solo internamente con l’azione della sua grazia nei cuori, ma anche esteriormente servendosi della gerarchia visibile. E così nel corso della settimana di Pentecoste la liturgia parla costantemente dell’infusione della grazia dello Spirito Santo e insieme della predicazione della fede in Gesù. La testimonianza dello Spirito Santo nell’anima fa eco a quella che Gesù Cristo rende a se stesso per mezzo della Chiesa; negare, quindi la divinità di Gesù Cristo e la sua Risurrezione, che la Chiesa insegna, è un peccato contro lo Spirito Santo, peccato che porta già in sé una sentenza di riprovazione: « iam iudicatus est», dice Nostro Signore. Da  questo Spirito verrà, attraverso ai secoli, quella meravigliosa forza dottrinale e mistica, personificata nel Cenacolo dall’apostolo Pietro. Lo Spirito Santo, che ispirò gli autori sacri (2 Piet. I, 21), assicura al Papa e ai Vescovi, riuniti intorno a quest’ultimo, l’infallibilità dottrinale, che permette alla Chiesa docente di continuare la missione di Gesù. Lo Spirito Santo dà ai Sacramenti istituiti da Gesù la loro efficacia; lo Spirito Santo suscita anche, al di fuori dela gerarchia, anime fedeli che si prestano docilmente alla sua azione santificante; questa santità, è giustamente attribuita alla terza Persona della SS. Trinità, che è l’amore personale del Padre e del Figlio. La volontà è infatti santa quando non vuole se non il bene, ond’è che lo Spirito che procede eternamente dalla volontà divina identificata col bene, vien chiamato Santo e quindi Egli legando la nostra volontà alla volontà di Dio, è Colui che rende santi. – Così il Credo, dopo che dello Spirito Santo, ci parla della santa Chiesa, della Comunione dei Santi, della Risurrezione della carne che è il frutto della Santità e la sua manifestazione nei nostri corpi, e finalmente, della vita eterna che è la pienezza della Santità nelle anime nostre. Questa vita soprannaturale pervade i nostri cuori soprattutto nella festa della Pentecoste che ci ricorda la presa di possesso della Chiesa da parte dello Spirito Santo e che conferma, ogni anno più stabilmente, il suo regno divino nelle anime nostre. La Pentecoste celebra dunque non solo l’avvento dello Spirito Santo, ma anche l’ingresso della Chiesa nel mondo divino , dice San Paolo, « per Cristo abbiamo accesso presso il Padre nello Spirito Santo » (Ef. II, 18) . Questo anniversario della promulgazione della legge mosaica sul Sinai diventa per tutti i Cristiani quello della istituzione della nuova legge, nella quale riceviamo « non più lo spirito di servitù, ma lo spirito di adozione di figli, il che ci dà diritto a chiamare Dio nostro Padre ». La legge di Mosè mostrava quello che bisognava fare, ma non dava la forza dicompierlo, lo Spirito Santo al contrario fa conoscere la legge Evangelica e dà le grazie necessarie per metterla in pratica, poiché l’amore è il segreto della obbedienza. La Pentecoste non è quindi solamente un anniversario, ma è una vita, è la discesa dello Spirito Santo in noi; e la devozione allo Spirito Santo è il pegno della nostra santità.

II. Commento storico: Pentecoste.

Prima della sua Ascensione al cielo Gesù aveva comandato aglii Apostoli « di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendervi la promessa del Padre », cioè l’effusione dello Spirito Santo. Al ritorno dal Monte degli Ulivi, i discepoli, in numero di centoventi, ritornarono al Cenacolo « dove tutti perseverarono unanimi nella preghiera con le donne e Maria, madre di Gesù » (Act. I, 14) . Dopo questa novena, la più solenne di tutte, ebbe luogo l’avvenimento miracolosoche coincidette provvidenzialmente con la festa ebraica della Pentecoste. « Questo giorno grandissimo e santissimo (Lev. XXIII, 21) era per Israele l’anniversario della promulgazione della Legge sul Sinai.Così un gran numero di forestieri, accorsi da ogni parte a Gerusalemme, furono testimoni dell’avvento dello Spirito Santo. Circa le nove del mattino « venne all’improvviso dal cielo un rumorecome di vento gagliardo che riempì tutta la casa in cui erano gli Apostoli. E apparvero ad essi delle lingue distinte, come di fuoco, e si posarono sopra ciascuno di loro. E furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare linguaggi vari, secondo che lo Spirito Santo dava ad essi di favellare» (Act. II, 2-4). Cosi, la Chiesa, « rivestita della forza celeste » (S. Luc. XXIV, 49), comincia a Gerusalemme l’opera di Apostolato che Gesù le ha affidata. Pietro, capo degli Apostoli, prende la parola davanti alla moltitudine e, diventato « pescatore di uomini» (S. Marc. I, 17), porta, con una sola retata circa tremila neofiti alla Chiesa nascente. I giorni seguenti, i Dodici si riuniscono sotto il portico di Salomone e, come il Maestro divino, predicano il Vangelo e guariscono i malati. Così «presto aumentò la moltitudine di uomini e donne che credevano nel Signore».  Poi, recatisi fuori dalla Giudea, gli Apostoli andarono ad annunziare Cristo e a dare lo Spirito Santo ai Samaritani, e quindi a tutti i Gentili »

III. — Commento liturgico: Pentecoste.

Il cinquantesimo giorno che seguì il passaggio dell’Angelo sterminatore e la traversata del Mar Rosso, il popolo ebreo si accampò ai piedi del Sinai e Dio gli diede solennemente la sua legge. Le feste della Pasqua ebrea e della Pentecoste che ricordavano questo doppio avvenimento, erano le più importanti dell’anno. Milletrecento anni più tardi, la festa di Pasqua è segnata dalla morte e dalla risurrezione di Gesù e quella di Pentecoste (cinquanta giorni dopo, come lo indica la parola Pentecosles) dalla discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli. Queste due feste, divenute cristiane sono le più antiche del Ciclo liturgico che deve ad esse la sua origine. Esse portano rispettivamente i nomi di Pasqua «bianca «e di « Pasqua rossa ». Pentecoste è dunque la maggior festa dell’anno dopo quella di Pasqua, ed ha quindi la sua Vigilia e la sua Ottava privilegiata; vi si leggono gli Atti degli Apostoli, poiché è l’epoca della fondazione della Chiesa di cui questo libro sacro ci narra le origini, e con questo si imita quello che si osserva nella Settimana di Pasqua. Comincia una vita nuova e conviene da questo momento leggere le Nuove Scritture. Il Nuovo Testamento del resto mette l’Antico in piena luce, mostrando che in esso tutto era figura (vedi: Orazione della 2a Profezia) e nella Messa della Domenica di Pentecoste e in quella dell’Ottava, la Legge Antica e la Nuova, le Sacre Scritture e la Tradizione, i Profeti, i Padri della Chiesa e gli Apostoli fanno eco alla parola del Maestro. Tutte queste parti si combinano tra loro, come i vari pezzi di un mosaico, di modo che presentano davanti all’anima un quadro meraviglioso che sintetizza l’azione dello Spirito Santo nel mondo attraverso tutti i secoli. E per mettere ancor più in rilievo questo magnifico capolavoro, la liturgia lo incornicia, per cosi dire, di tutto l’apparato esterno delle sue sacre cerimonie dei suoi riti simbolici. Il sacerdote è rivestito di paramenti rossi, colore che ricorda le lingue di fuoco e simbolizza la testimonianza del sangue che gli uomini dovranno rendere al Vangelo per virtù dello Spirito Santo. Anticamente, in alcune chiese, si faceva piovere dall’alto della cupola, durante il canto del Veni sancte Spiritus, una pioggia di rose rosse, mentre una colomba svolazzava al disopra dei fedeli, donde il grazioso nome di Pasqua di rose dato alla Pentecoste nel XIII secolo. Qualche volta anche, per maggiormente marcare l’imitazione scenica, si suonava la tromba durante la Sequenza per ricordare la tromba del Sinai, o il fragore in mezzo a cui lo Spirito Santo discese sugli Apostoli. In questo modo il Cristiano era immerso nell’atmosfera speciale che caratterizza il tempo di Pentecoste e riceveva una novella effusione dello Spirito Santo. La liturgia celebra questo mistero ad esclusione di qualunque altra festa durante tutta l’Ottava, per impedirci di distrarne il pensiero. Il desiderio della Chiesa, dunque, è chiaramente espresso: vederci scegliere in questi otto giorni, per soggetto dì meditazione o di pie letture testi che si riferiscano alla Pentecoste. Quale migliore preparazione o ringraziamento per la comunione, per esempio, che il canto o la recita della Prosa o Sequenza di Pentecoste, uno degli esempi più belli di poesia cristiana? — Con l’ora del Nona del Sabato nell’Ottava della Pentecoste termina il Tempo Pasquale, cominciato alla Messa del Sabato Santo.

LO SCUDO DELLA FEDE (113)

Paolo SEGNERI S. J.:

L’INCREDULO SENZA SCUSA

Tipogr. e libr. Salesiana, TORINO, 1884

PARTE PRIMA

CAPO XXIV.

L’astrologia giudiziale non ha ragione su cui si fondi.

I . Se i genetliaci hanno a risaper dalle stelle qualche poco degli eventi futuri, o liberi, o casuali, convien di necessità, che le stelle ne sieno, o segni, o cagioni; non avendo esso altre voci da palesarli. Ma le stelle non sono né cagioni, né segni di tali eventi; adunque è manifesto, che i genetliaci non possono dalle stelle risaper nulla degli eventi futuri, o liberi, o casuali, neppur da lungi. Tutta la difficoltà si riduce a mostrar per vera la minore proposizione; non si potendo contendere la maggiore, se non da chi non la intenda. Dunque mostriamola con levar prima alle stelle la virtù loro attribuita di sogni, giacché la godono a torto.

I.

II. E qui addimando: Se elleno sono segni delle vicissitudini umane, che segni sono i segni naturali, quale è l’iride della serenità, o segni, come dicono, a piacimento, quali sono la tromba e il tamburo della battaglia? Naturali non sono, perché, se fossero tali, non potrebbe non avvenire tutto ciò che da loro è significato. Ed ecco tolta in tal caso la contingenza, e con la contingenza il libero arbitrio, (mentre all’uomo tanto sarebbe il divertire ciò che di lui dicono i cieli, quanto il distogliere i cieli da’ loro corsi); eccovi l’uomo, non più uomo, ma bruto, e bruto guidato con freno d’oro bensì, ma però più forte: onde possa un puledro sperar di rompere quella cavezza che il priva di libertà, ma non lo possa già sperare un mortale, nato al comando: eccovi il destino funesto: eccovi il diamante fatale: eccovi tutte a terra le leggi più venerabili, come inette: ed eccovi alla giustizia cadute da una mano le bilance che ci ha, dall’altra la spada: le bilance, come inutili a pesare i meriti proceduti da forza; la spada, come iniqua a punire i falli. E però chiaro a chi ritiene scintilla ancor di discorso, che le stelle non possono essere segni naturali de’ fatti umani. E se non sono qual dubbio v’è, che non possono ne meno dirgli in confidenza agli astrologi, checché questi si vantino di saperli sì per minuto?

III. Saranno dunque segni imposti da libera istituzione: Sicché quel Dio, che antivede le cose prima che avvengano, abbia congegnati i pianeti con sì bell’arte, che questi col fuggirsi, coll’incontrarsi, coll’intrecciarsi, e col muoversi in tante guise, formino un’istoria del vivere di ciascuno in quel vasto cielo, che egli però distese a guisa di pelle: Extendens cælum sicut pellem (Ps. 103,2). Così le stelle non inducono alcuna necessità, ma sono meri interpreti del futuro, come sono i profeti: onde a saper ciò che dicano, basta intenderli.

IV. Un tal rispondere non può in prima valere per gli ateisti, perché essi negano la cura a Dio delle cose. Per quelli poi che l’ammettono, non può stare, perché se le stelle sono segni istituiti dalla provvidenza divina a farci antivedere sì il nostro male, come dunque Dio non c’invita a una scuola riguardevole di prudenza, con esortarci a leggere in quel suo libro continuamente, o a cercare chi vi legga per noi se non lo intendiamo? Anzi Egli non fa altro che ritirarci da tale studio, con metterlo in derisione. A chi sperava assai dalle stelle (e fu Babilonia) Stent, disse egli, stent, et salvent te augures cœli, qui contemplabantur siderei, et supputabant menses, ut ex eìs annuntiarent ventura tibi – si presentino e ti salvino gli astrologi che osservano le stelle, i quali ogni mese ti pronosticano che cosa ti capiterà.(Is. XLVII. 13). Ed a chi ne temeva (ed era Gerusalemme) A signis, disse, a signis cæli nolite metuere, quæ timent gentes – … e non abbiate paura dei segni del cielo, (Ier. X, 2). Se dunque per avviso di Dio medesimo non dobbiamo noi regolarci da tali segni, né a sperar bene, né a temer male, che segni sono? Sicuramente non sono segni da Dio istituiti a significarcelo, ma segni finti dagli uomini a lor piacere; onde che resta a noi far più di quei libri, i quali ci dichiarano tali segni? Resta gettarli sul fuoco. Tanto fecero quei gentili, convertiti già in Efeso dall’Apostolo, e tanto abbiamo a far noi: Multi autem ex eis, qui fuerant curiosa sentati contulerunt libros, et combusserunt coram omnibus – … e un numero considerevole di persone che avevano esercitato le arti magiche portavano i propri libri e li bruciavano alla vista di tutti.  (Act. XIX. 19). E che quei fossero libri di astrologia, ne fa fede sant’Agostino (In Ps. 61) . L’avere però Dio steso il cielo a guisa di pelle, fu solo per denotarci, averlo steso con tanta facilità con quanta da noi suole stendersi un padiglione (Bellar. i n Ps. 103. 2). Ma se egli è padiglione, conviene adunque, che qualcuno ce l’alzi, a volere entrarvi col guardo.

V. E vaglia la verità, se in cielo fosse cosi descritta l’istoria dell’ avvenire, come pur si divisano tali astrologi, chi mai di loro potrebbe aspirare ad intenderla, senza Dio che gli porgesse quasi in mano le chiavi di sì gran cifera? Potrebbe forse una chiave tale porgersi dall’inferno? Ma come dall’inferno, se quegli spiriti non l’hanno sicuramente nemmen per sé ? Quinci è, che negli antichi oracoli sì famosi di Delfo, di Didone, di Delo, aveano i demoni per uso di dare risposte sì artifiziose. sì ambigue, che del pari valessero ad ogni evento: Ibis redibis non morieris in bello. Che accadeva loro però lavorar questi, come specchietti a più facce, se le verità contingenti stanno là sui cieli descritte a sì chiare note? Non hanno i demoni all’ingegno più forti l’ale, di quelle che abbiavi verun astrologo sommo? Ora come dunque non potevano essi poggiar tant’alto da leggere quei caratteri i n vicinanza, ed esporli poi, con gloria tanto maggiore, alla vista de’ riguardanti in uno specchio pianissimo di parole sincere e schiette? So non lo fecero, segno dunque è, che non lo potevano fare: e posto ciò, convien dire, che il futuro accidentale e arbitrario non è da Dio registrato in que’ vasti fogli. E quando volessimo violentar la ragione a credere, che vi fosse, non v’è registrato di modo che possa leggersi da nessun occhio creato, se Dio non glielo discopra. Ma con chi Egli ciò fece mai, se piuttosto egli divietò qualunque spezie di auguri, con dichiararsi, che sue parti sono renderli tutti vani? Ego sum Dominus, irrita faciens signa divinorum – Io sono il Signore, … Io svento i presagi degli indovini (Is. XLIV, 25). Forse. Dio scrisse tali cose in cielo per gli Angeli dell’empireo, a cui le può tanto meglio mostrare in se medesimo quando voglia?

VI. Senonché i moti degli aspetti celesti ci danno chiaro a veder, che non ve lo scrisse. Perché tali moti sono uguali, uniformi, e regolatissimi, come moti ordinati dalla natura: laddove gli eventi umani, come dipendenti dalla libertà, sono irregolari, e tutti differenti fra loro, e tutti difformi. Come dunque è possibile, che questi eventi siano mai per quei moti significati, se quelli e questi sono quasi due linee che non han misura comune? Non l’hanno nella qualità pur ora accennata, non l’hanno nel numero; essendo i moti degli aspetti celesti, secondo sé, di numero certo, e gli eventi umani più e più sempre movibili in infinito: onde que’ moti potrebbero al più spiegare alcune universalità corrispondenti al numero che ebber essi dalla natura, ma non potrebbero discendere a mille individualità particolari e precise che non han fine.

II.

VII. Ed ecco tolto alle stelle l’essere segni degli eventi futuri, di cui si disse. Ma né  anche ne son cagioni, né possono essere, che è l’altra parte che rimane a provarsi. E prima è certo, che non sono esse cagioni necessitanti: altrimenti urteremmo di subito nello scoglio, da noi scorto di sopra per troppo infame, qual è, che l’arbitro riconosciuto nell’uomo da tutti i teologi, da tutti i filosofi, da tutti i fisici, da tutti i giureconsulti, anzi da tutti i popoli ad una voce, per padrone di sé, sia ristretto in ceppi. Eppure in ceppi egli saria più che mai, quando a lui si assegnasse una cagion necessaria, da cui dipenda. Ma appunto tali a lui sarebbon le stelle, che, a guisa di tutti gli altri agenti naturali, sono costantemente determinate agli stessi corsi: Omnis naturæ actio terminatur ad aliquid unum (S. Th. 1. p. q. 96. a. 1. in c). Così cesserebbe ogni considerazione, ogni consiglio, ogni elezione di mezzi, ogni politica, ogni prudenza; anzi cesserebbe ogni virtù fra gli uomini, ed ogni vizio; mentre non si dovrebbe ad un uomo più maggior lode, dì quella che si meriti il ferro, quando si lascia tirare dal polo amico della sua calamita; nè ad un uomo empio dovrebbesi maggior biasimo di quello che si meriti il ferro stesso, quando dal polo avverso della medesima calamita si lascia mandar lontano.

VIII. Che se, conforme abbiam già veduto, Dio è l’architetto di questo tutto, chiamato mondo, come può egli averne mai disposte le parti sì malamente, che la natura inferiore, qual è la materiale, regga la superiore, qual è l’intellettuale? quella che è cieca, guidi la veggente? quella che è insensata, governi la ragionevole? Ogni dominio naturale è fondato sulla eccellenza della natura, dice Aristotile; (L. 3. de anima tex. 57) che però l’uomo naturalmente comanda alla donna, perché dentro la medesima spezie egli è un individuo più perfetto di lei; e però molto più signoreggia anche gli animali, e gli sferza ritrosi, e li sottomette ribelli, perché è molto più perfetto di loro ancor nella spezie. Pertanto, come hanno i cieli a dominare le nostre menti, se quanto sono a noi superiori di sito, tanto sono inferiori di dignità? Se le loro combinazioni e i loro contrasti sono la cagiono del nostro operare, converrà che si disordini il tutto con ritornare nell’antico suo caos, mentre le sostanze perfette sono tiranneggiate dalle imperfette, le spirituali dalle corporali, le semplici dalle composte; e l’uomo, in una parola che è il fine dell’universo, vien sottoposto alla natura incapace di proprio bene (Arist. 1. 4 phys. test. 34).

IX. E notisi il dir che è fine: perché se l’uomo fosso soggetto alle stelle nell’operare, l’uomo dunque sarebbe fatto per le stelle, o non le stelle per l’uomo. Ma come ciò? Non è l’uomo quegli, in grazia di cui fu da Dio già creato tutto il visibile? Non ve ne ha dubbio: mercecchè l’uomo è l’ottimo che vi sia. Se però le stelle sono fatte anch’esse per l’uomo come dunque l’uomo ha da dipendere dalle stelle nelle opere che egli fa? Chi da un altro non è dipendente nell’essere, né anche n’è dipendente nell’operare, dice l’Angelico (Contra  gentes!.. 2. c. 8), perché l’operare seguita in tutti la condizione dell’essere.

X. Ma che stancarsi in tal cosa? Non prova ciascuno in sé, che la ragione domina il corpo e che il corpo non domina la ragione? Per quanto la fame mi stimoli, se io mi risolva di anteporre il diletto stabile della temperanza al diletto de’ cibi, che è sì fugace, la mano mia non si stende a prenderli da veruna mensa più lauta cui sia presente. Se mi sollecita l’appetito inferiore, non mi violenta: ed io ho la gloria di levarmi digiuno da quel convito, che darebbe alla gola si grato pascolo. Adunque la mente comanda al corpo, non il corpo alla mente. Onde, a conchiuderla, quantunque l’uomo non abbia podestà sopra i cieli, perché non li può volgere a suo talento; non però è loro soggetto in veruna azione, ma egli è padrone di sé, ed ha le redini in mano del suo volere, senza che tutti i moventi sì rapidi delle sfere possano violentarlo a dare neppure un passo se a lui non piace.

XI. Né sia chi dica, che non i corpi celesti ma le intelligenze motrici di tali corpi (Come ancora oggi ritengono i neo platonici cabalisti della massoneria mondiale, che adorano il sole e l’inventato assurdo sistema eliocentrico – ndr.-) son quelle, cui l’uom soggiace; perché le intelligenze, a muovere l’uomo, non possano valersi d’ogni istrumento, quantunque improporzionato. Come lo scultore non può mai col pennello far la sua statua, o come il dipintore non può mai fare il suo quadro con lo scalpello; così le intelligenze non possono muover mai l’arbitrio dell’uomo coi giri di verun corpo. Convien che il muovano con rappresentargli alla mente il bene che a lui ridondi dalla tal opera, che è quanto dire, convien che il muovano a modo di chi consiglia e di ehi conforta, non di chi trascina in catene. Ma ciò non ha che far punto col caso nostro: perché  i consigli e i conforti lasciano l’uomo indifferente ad ammettergli, o a ributtarli: e però da’ giri de’ cieli non sarà mai possibile antivedere di lui ciò che sia per farsi.

XII. Senonchè quanto si è divisato finora vale a provar, che le stelle non abbiano che far colle sorti umane, quali cagioni diretto (secondo che gli antichi le veneravano, fino ad adorarle però, come loro numi); ma non vale a provar, che non vi abbiano almeno a fare, quali cagioni indirette, che è il ricovero sotto il quale i moderni astrologi si fan forti, affermando, più cauti, se non più casti, che i cieli non influiscon nell’animo de’ mortali di primo lancio, ma di rimbalzo, in quanto alterando gli organi delle potenze sensitive, il temperamento, i fluidi, le flemme, e le qualità tanto a lui necessarie nell’operare, possono fare, che egli operi di un modo più che di un altro. E fin qui dicono bone: ma con ciò confessano insieme, che né sanno né possono saper nulla di quanto pronosticano intorno al tempo della vita e della morte dell’uomo, intorno alle ricchezze e alla povertà, intorno alla prosperità e alle disgrazie, che pur sono tutto quel fondo su cui lavorano i ricami delle loro fole. E che sia vero, osservate, che se nell’astrologia vi ha nulla di sodo, è questo discorso. Il temperamento dell’uomo dipende dalle stelle; l’indole, le inclinazioni, ed i costumi di lui dipendono dal temperamento; dunque altresì l’indole, le inclinazioni ed i costumi di lui dipendono dalle stelle, indirettamente, sì, ma pur quanto basti a formarne un giudizio retto. Ora un tale discorso è tutto fallace. Se però traballa sì forte la prima pietra, che sarà della mole, che su vi sorge?

XIII. Ma su, esca pure in luce il bambino sotto un oroscopo il più fortunato a dar buono il temperamento: se s’incontra in una balia mal atta a cooperarvi, io veggo le stelle in un labirinto grandissimo, senza filo da giungere a mantenere ciò che promisero. Conciossiachè tutti i filosofi e tutti i fisici son d’accordo, che il latte della nutrice, giovane o vecchia, gagliarda o vizza, porti al temperamento divario grande: e che il latte congenito della madre sia sempre migliore alla prole che quello di una straniera: la quale, ove pure ammettasi, vogliono che sia scelta anche di costumi, mentre le istorie romane tutt’ora piangono il loro Romolo, allattato da una lupa crudele, un Comodo ed un Caligola, abbeverati di sangue più che di latte; ed un Tiberio, allattato da una levatrice intemperantissima.

XIV. Spoppato quinci il bambino, ecco che egli incomincia a nutrirsi di cibo sodo, e con ciò cresce l’impegno alle stelle, e l’impossibilità di mantenersi veridiche, benché vogliano. Perciocché chi non sa quanto possa nel nostro corpo la qualità del nutrimento quotidiano? Basta leggere i trattati che ci hanno sopra ciò lasciati i medici più famosi, tanto benemeriti del genere umano, quanto ne sono traditori gli astrologi. Fino i poeti intesero questo vero: ond’è che Omero, formando nel suo Achille l’idea di un eroe magnanimo, lo finse nutrito colle midolle dei leoni, per figurarlo robusto di forze insieme e di cuore. Fate però, che il garzoncello, mirato sì benignamente da’ luminari celesti ne’ suoi natali, si dia tosto in preda ai banchetti, ai bagordi, all’intemperanza; con quale stame le stelle sue natalizie potranno allungargli la vita? Plures occidit gula, quam gladius. E il simile dite se egli nasca in luogo d’aria insalubre, o vada a soggiornare per accidente in valli palustri, umide, uliginose, e non dominate da venti, fuorché nocevoli. Vinceranno le stelle la qualità di quel suolo infausto? E finalmente, se egli, caduto infermo a cagione de’ suoi disordini, si abbatta in un di quei medici che si fanno pagare per ammazzarvi, con quale scudo il ripareranno da questo colpo i pianeti promettitori?

XV. Direte forse, che se egli nacque sotto buono ascendente, non ha da temere di quegli incontri sinistri da me accennati? Ma perché non ha da temerne? Perché le stelle che lo tolsero in cura gli abbiano per ventura a tenere indietro quali protettrici amorevoli? Ma ciò sarebbe altro che farle operare da cagioni particolari e parziali, influitrici nel solo temperamento. Sarebbe farle operare da cagioni universalissime, anzi vive, veggenti, e piene in sé di perfetta divinità, la qual disponesse dì tante varie creature a bacchetta per giungere al fine inteso. E poi, se le stelle potranno provvedere il lor caro allievo di medico ottimo, quando egli sarà in pericolo di morire: come potranno, quando egli ancora non nacque, provvederlo di ottimi genitori, se i genitori non poté veruno sortire fuorché nascendo? Non vedete voi, che coteste sono follie da contarsi per ridere in su le veglie? A voler però, che l’astrologo possa farci promessa di lunga vita a nome delle stelle, da lui considerate al nostro natale, converrà prima che egli conosca assai bene il temperamento di quei che ci generarono, e poi che da quelle stelle medesime egli risappia ad uno ad uno gl’innumerabili casi i quali, nel temperamento nostro influendo più da vicino, avranno sempre possanza somma a rifrangere e ripercuotere quegli influssi che sì da lungi mandino a noi le costellazioni celesti per nostro prò. Ma chi può ridir tali casi, se, come innumerabili, sono ignoti a qualsivoglia altra mente, che alla divina? Nè anche gli Angeli, motori dello stelle, potrian ridirli, se non fossero interrogati.

XVI. Certo è, che Sisto di Eminga, dopo di avere, in questa scuola de’ pianeti, consunti poco men che tutti i suoi giorni, confessa che gli astrologi, per quanto studio si facciano sopra l’oroscopo di un bambino nascente, non potranno mai risaper dalle pure stelle se egli sia nato vivo, o sia nato morto (In Genitura Caroli a Brimeu); giudicate poi se ne potran risapere (come si vantano), se egli sarà per vivere molto o per viver poco ? E forse che tal prova non è stata già fatta più d’una volta con gran piacere, chiedendo la natività di un bambino estinto, come s’egli fosse anche vivo, e ricevendola tuttavia dall’astrologo felicissima?

XVII. Mi giova riferire una beffa, anche più piacevole, che un principe italiano si fè di sì vana scienza, affine di schernire, come a lui parve giusto, frode con frode (Millet. prop. 19): Questi avvisato del nascimento di un mulo nelle sue stalle, ne fece dare all’astrologo il punto esatto, sotto un nome di un bastardo nato in palazzo. E l’astrologo di ciò ignaro, postosi lungamente a studiare su quell’oroscopo, per la speranza di ottener tanto più di vantaggio alla sua fortuna, quanto più egli ne presagisse all’altrui, trovò subito in cielo due luminari ne’ segni maschi, assistiti da cinque pianeti mattutini in riguardo al sole, e vespertini in riguardo alla luna; e conchiuse che il cielo non poteva essere mai più bello, e che però non potendo quel bambino essere re, come ad ogni patto volevate Tolomeo sotto quegli aspetti (L. 4. de iudic. c. 3), conveniva per necessità che fosse sollevato alle prime dignità, ancora sacre, di cui capaci si fossero i suoi natali. Questi furono i vaticini che, recati al principe e letti da lui pubblicamente a’ suoi cavalieri, empirono tanto il volto di rossore a quel valent’uomo, quanto credea che gli dovessero empire le mani d’oro. Pertanto converrà dire che se le stelle mandano su tutti i viventi gli stessi raggi, una bestia nata sotto i più favorevoli che vi sieno dovesse andar per lo meno libera da ogni soma per tutta la vita sua, o che se alcuna ne avesse pure a portar mai, come l’altre, dovesse puramente, qual mulo illustre, sottoporgli omeri a qualche lettiga reale.

XVIII. Non è di poi meno falsa, l’altra proposizione, su cui si appoggia l’astrologia giudiziaria per tenersi in piedi, ed è, che le volontà degli uomini seguano per lo più il temperamento de’ corpi subordinato alle stelle: ond’è, che per esso può verisimilmente congetturarsi ciò che quegli sian per volere. Sì, se null’altro ostasse a tal congettura.  Conciossiachè quanto importa primieramente a variar l’indole, l’inclinazione, i costumi, la buona e rea educazione che sortisca? Su ciò si fonda principalmente la stima in che tutte le genti han tenuta sempre la nobiltà de’ natali: su la presunzione, che reca seco di andar congiunta con educazione più onorevole, attesi gli stimoli che di più lo porgono al fianco le operazioni degli antenati, in virtù di cui, quasi a generoso corsiere, se le raddoppi la necessità  di portarsi più risoluta in cima alla gloria. Onde in ordine ad un allevamento tale (stimato da’ legislatori la base potissima dell’umana felicità), che parte hanno le stelle? Se non vogliam delirare, nessuna affatto: mentre ciò non dipende da alcuna qualità corporea, cui solo può stendersi l’efficienza de’ cieli. Tanto più, che questa medesima educazione riceve gran vantaggi e gran varietà dal governo de’ dominanti, dalle pene, da’ premi e dalle leggi da loro tenute in vigore. Vogliamo noi credere, che le stelle influissero diversamente in Atene, in Sibari, in Sparta, situate in distanza nulla considerabile quanto agli astri? Eppure gli ateniesi erano sì ingegnosi di spirito, i sibariti sì femminili, gli spartani sì forti. La diversità non veniva però dal cielo, ma dal governo. Quel bracco di buona razza, che, se da piccolo fosse stato avvezzato a latrare intorno alla morta pelle di un orso, avrebbe animo di sfidar le fieranche vive nella lor tana; perché all’incontro fu avvezzato in cucina da un guattero poltroncello a covar la cenere, appena da lontano lo mira, che fugge in salvo.

XIX. Medesimamente il vivere in compagnia de’ cattivi, chi non sa, forse anche a suo costo, quanto pregiudichi alla sincerità de’ costumi? Un cedro marcio è men abile ad ammorbare quel sano, cui sta vicino, che un reo compagno quel buono: Sumuntur a conversantibus mores, diceva Seneca (De ira 1. 3. c. 8), et ut quædam in contactos. corporis vitia transiliunt. ita animus mala sua proximistradit.

XX. Cosi anche il rimprovero interno della coscienza, quanto vale a ridurci sul buon sentiero? quanto l’avviso di un consigliere fedele? quanto l’ambizion di una carica fruttuosa? Il timore di non rovinare i figliuoli, non è bastante a rattenere da più vendette anche un animo pronto all’ira? Quanti disordini viene a distornar nelle case una moglie saggia, coll’autorità che le danno le sue maniere? quanti raffrena la dignità del suo grado? quanti ritiene il detto delle sue genti? E con ciò, che hanno a fare giammai le stello? Anzi tanto meno vagliono queste di tutto ciò, che non v’è tra’ saggi chi esse chiami più volentieri a consulta sui propri affari, con persuadersi, che esse li guidino meglio. Ne’ matrimoni, ne’ cambi, nelle compere, ne’ litigi da imprendersi che si fa? Si pesano le ragioni, non si va di notte, neppur dagli astrologi, a interrogare i pianeti apparsi.

XXI. Però, quando ben per via delle stelle potesse risapersi il temperamento di verun uomo (che neppur si può risapere), il volere tuttavia dal temperamento raccorre in altri le propensioni che egli abbia, e dalle propensioni indovinare le operazioni libere che abbia a fare, è molto più temerario, che se entrando nelle stanze di Apelle, volessero altri indovinar le figure ch’egli formerà sulla tela che ha quivi all’ordine. Perché in fino né Apelle, né Protogene, né Parrasio, né Raffaello, indettati insieme, sapranno mai rimenare sì variamente, e rimescolare le loro tinte, che non sia sempre più varia la combinazion che può fare l’arbitrio umano de’ suoi pensieri, nelle risoluzioni a cui vuole apprendersi.

XXII. Replicheranno gli astrologi che essi non pronosticano ciò che assolutamente sia per succedere dalle volontà de’ mortali, ma ciò che succederebbe, se le inclinazioni impresse dalle stelle nel temperamento de’ corpi non fossero disturbate. Bellissimo sotterfugio. Ma se è cosi, pronosticano dunque essi ciò che non sanno, né possono sapere, se sarà mai. Perciocché queste inclinazioni verranno sempre variate dalle cagioni mentovate di sopra, che sono inescogitabili; ed affinché non si varino, converrà ritrovare un uomo, che viva fuori del mondo o non v’entri mai. Che se, al detto dell’Angelico (1. p. q. 57. art. 5), quelle verità contingenti, che accadono rade volte, non possono mai sapersi da verun uomo prima che accadano, bisognerà pure confessar, che l’astrologia giudiziale non è scienza, ma ciurmeria.

XXIII. E che sia così, non ha dubbio, che ad arrivare le inclinazioni degli uomini molto più dovrebbon valere le regole della fisonomia, la quale si fonda sul temperamento già lavorato dalla natura nel corpo umano, di quelle che ci porga l’astrologia, la quale si fonda sul temperamento che ancora ha da lavorarsi (Arist. Prior, 1. 2. e ult. phys. c. 1. etc.). Il curatore de’ cani, all’aspetto sa riconoscere il cane ardito: il cozzon de’ cavalli, all’aspetto sa ravvisare il cavallo altero. Così il fisonomista, all’aspetto sa raffigurare se l’uomo sia forte o timido, verecondo o sfacciato, umile o superbo, ingegnoso o goffo; mercecché convenendo in quei segni tutti gli animali sottoposti a tali affezioni, e non vi convenendo alcuno degli altri non sottoposti, giustamente egli ne deduce, che siano segni da poterle indicare al pari negli uomini anch’essi, benché superiori agli altri per la ragione. Eppure da que’ segni di forte, di timido di verecondo, di sfacciato, di umile, di superbo d’ingegnoso, di goffo, anzi neppure dalle inclinazioni già comprovate per tali segni, può mai sapersi, come Aristotile afferma (Physon. c. 2. n. 11), se uno sia soldato, sia musico, sia medico, sia architetto, e per aggiungere ancora ciò, sia prelato di santa chiesa. E come dunque da’ segni di quelle inclinazioni, anzi da quelle inclinazioni medesime può dedursi che egli sarà? E la ragione fondamentale si è, perché ad essere, a cagion d’esempio, prelato di santa chiesa, non basta l’inclinazione della natura data allo studio, alla pietà, alla prudenza, alla rettitudine, ci vuole di più chi ti ammaestri a proposito, chi ti porti, chi ti promuova, e chi al confronto di mille competitori, non meno di te meritevoli, elegga te. E ciò si può inferir dalla inclinazione che in te prevalga?

XXIV. Divinamente insegnò Aristotile (L . 2. phys. c. 7. text. 53), esser la fortuna, sì prospera come avversa, ignota ad ogni uomo, perché gli effetti, separati e sconnessi, a cui ella può stendersi, non han fine: e l’infinito, come infinito, non abita nella mente di alcun mortale. Eppure la fortuna, sì prospera come avversa, è quella che si arrogan gli astrologi di mettere alla tortura tra le lor sèste, perché confessi loro tutto ciò che ella sia per fare.

SALMI BIBLICI: “DOMINE, PROBASTI ME ET COGNOVISTI ME” (CXXXVIII)

SALMO 138: DOMINE, PROBASTI ME ET COGNOVISTI ME”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS. 

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 138

In finem, psalmus David.

[1] Domine, probasti me, et cognovisti me;

[2] tu cognovisti sessionem meam et resurrectionem meam.

[3] Intellexisti cogitationes meas de longe; semitam meam et funiculum meum investigasti;

[4] et omnes vias meas prævidisti, quia non est sermo in lingua mea.

[5] Ecce, Domine, tu cognovisti omnia, novissima et antiqua. Tu formasti me, et posuisti super me manum tuam.

[6] Mirabilis facta est scientia tua ex me; confortata est, et non potero ad eam.

[7] Quo ibo a spiritu tuo? et quo a facie tua fugiam?

[8] Si ascendero in cælum, tu illic es; si descendero in infernum, ades.

[9] Si sumpsero pennas meas diluculo, et habitavero in extremis maris,

[10] etenim illuc manus tua deducet me, et tenebit me dextera tua.

[11] Et dixi: Forsitan tenebrae conculcabunt me; et nox illuminatio mea in deliciis meis.

[12] Quia tenebrae non obscurabuntur a te, et nox sicut dies illuminabitur; sicut tenebrae ejus, ita et lumen ejus.

[13] Quia tu possedisti renes meos; suscepisti me de utero matris meæ.

[14] Confitebor tibi, quia terribiliter magnificatus es; mirabilia opera tua, et anima mea cognoscit nimis.

[15] Non est occultatum os meum a te, quod fecisti in occulto; et substantia mea in inferioribus terræ.

[16] Imperfectum meum viderunt oculi tui, et in libro tuo omnes scribentur. Dies formabuntur, et nemo in eis.

[17] Mihi autem nimis honorificati sunt amici tui, Deus; nimis confortatus est principatus eorum.

[18] Dinumerabo eos, et super arenam multiplicabuntur. Exsurrexi, et adhuc sum tecum.

[19] Si occideris, Deus, peccatores, viri sanguinum, declinate a me;

[20] quia dicitis in cogitatione: Accipient in vanitate civitates tuas.

[21] Nonne qui oderunt te, Domine, oderam? et super inimicos tuos tabescebam?

[22] Perfecto odio oderam illos, et inimici facti sunt mihi.

[23] Proba me, Deus, et scito cor meum; interroga me, et cognosce semitas meas.

[24] Et vide si via iniquitatis in me est; et deduc me in via æterna.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXXXVIII.

Dio premia le opere buone, e punisce le cattive. Egli vede e considera tutte le cose più nascoste; onde niuna può sfuggire al suo giudizio, per ricevere da lui o premio o punizione.

Per la fine: salmo di David.

1. Signore, tu hai fatto saggio di me, e mi hai conosciuto;

2. tu hai conosciuto il mio stare e il mio andare.

3. Tu da lungi vedesti i miei pensieri; osservasti il filo dei miei passi. (1)

4. E le mie vie tutte tu prevedesti, anche quando parola non è sulla mia lingua. (2)

5. Ecco che tu, o Signore, le cose tutte hai conosciute, le ultime e le antiche; tu mi formasti, e ponesti sopra di me la tua mano.

6. Mirabile, si è renduta in me la tua sapienza; ella è molto elevata, e ad essa non potrò io aggiungere.

7. Dove anderò io lontan dal tuo spirito, e dove l’uggirò io lontan dalla tua faccia?

8. Se salirò al cielo, ivi se’ tu; se scenderò nell’inferno, tu sei presente.

9. Se io prenderò le ali al mattino, e anderò a stare nelle ultime parti del mare, (3)

10. Colà pure mi guiderà la tua mano, e starò sotto il potere della tua destra.

11. E io dissi: Forse mi occulteranno le tenebre; ma la notte è luce, che mi disvela ne’ miei piaceri;

12. Perocché le tenebre non sono oscure per te, e la notte sarà illuminata come il giorno; il buio e la luce son la stessa cosa per lui.

13. Perocché tu se’ padrone de’ miei affetti; prendesti cura di me fin dal seno di mia madre.

14. Darò lode a te, perché sommamente grande ti se’ dimostrato: le opere tue son mirabili, e troppo bene il conosce l’anima mia.

15. Non sono ignote a te le mie ossa lavorate nel segreto, la mia sostanza lavorata nelle viscere della terra.

16. Gli occhi tuoi mi videro quand’io era informe: or tutti nel tuo libro saranno scritti; nuovi giorni si formeranno, e neppur uno ne mancherà. (4)

17. Ma sono grandemente onorati da me, o Dio, gli amici tuoi; grandemente possente è divenuto il loro impero.

18. Se vorrò contarli, saran più che l’arene del mare; mi alzai, e sono ancora con te. (5)

19. Se tu, o Dio, porrai a morte i peccatori: ritiratevi da me, o uomini sanguinari.

20. Perché voi dite dentro di voi: Inutilmente si faranno eglino padroni di tue cittadi.

21. E non ho io odiati, o Signore, quelli che ti odiano? e non mi struggeva a cagione dei tuoi nemici?

22. Con odio perfetto io gli odiava, e mi son fatti nemici.

23. Provami, o Signore, e il mio cuore disamina; interrogami, e riconosci i miei andamenti.

24. E vedi se per la via di iniquità io cammini; e per la via dell’eternità mi conduci.

(1) « Funiculum meum, » La misura, l’estensione della mia corsa. Gli Egiziani contavano le misure del cammino con le corde. L’espressione dei Settanta, « la mia corda, » ha rapporto con questo uso.

(2) Queste parole: « Quia non est sermo lingua mea, » potevano egualmente significare: “quando non c’è discorso sulla mia lingua, voi conoscete tutto: senza che io dica tutto questo, Voi lo sapete già; oppure: mi mancano le parole per esprimere fino alla vostra scienza ».   

(3) Il mare è posto qui per le regioni dell’Occidente.

(4) Nel vostro libro sono scritti i giorni che verranno, benché non ne esista ancora qualcuno di essi. – Si potrebbe tradurre ancora, seguendo la Vulgata: quando non ero che una massai informe, i vostri occhi mi vedevano, tutte le mie membra erano scritte nel vostro libro; di giorno in giorno, esse erano formate da Voi; nessuna di esse era ancora formata, e Coi già mi vedevate, o mio Dio (Le Hir).

(5) Quando al mattino mi alzo, dopo aver riflettuto tutta la notte al numero dei vostri amici ed ai benefici di cui li colmate, io non ho ancora finito, ma sono troppo occupato della vostra bontà al loro riguardo.

Sommario analitico

Davide, in questo salmo, si rende testimonianza della sua innocenza alla presenza di Dio che penetra fin nel fondo dei cuori, e rende omaggio alla sapienza infinita ed alla provvidenza ammirabile di Dio.

I. – Egli descrive questa sapienza divina, che è universale, inevitabile, incessante, che conosce interamente e che abbraccia:

1° tutte le nostre azioni (1, 2),

2° tutti i nostri pensieri,

3° tutti i nostri progetti e tutte le nostre intenzioni (3, 4),

4° tutte le cose passate e future, e ne dà la ragione: questo avviene poiché è Dio che ci ha creato e che ci conserva (5).

II. – Egli dipinge l’estensione di questa sapienza immensa come Dio, e che agisce non solo con la sua presenza, ma con la sua operazione:

1° su tutti gli occhi (6-10),

2° in tutti i tempi (11-12).

III. – Egli rende ragione dell’impossibilità di sfuggire alla conoscenza di Dio:

1° tutto ciò che noi abbiamo di più segreto gli è conosciuto, dipende da Lui (13, 14);

2° la struttura mirabile del nostro corpo è opera sua (15);

3° noi gli siamo presenti già prima di nascere, e questa scienza provvidenziale si estende a tutti i giorni (16).

IV. – Egli passa in seguito da questa sapienza, a questa provvidenza di Dio su tutti gli uomini:

1° sui giusti, dei quali la gloria, la potenza ed il numero lo strabiliano (17, 18);

2° sui peccatori, il cui castigo lo fa rifuggire dalla società (17, 20);

3° di là il suo odio per i malvagi ed il suo ardore per la giustizia, sentimenti dei quali prende Dio a testimone (21, 24).

Spiegazioni e Considerazioni

I. – 1-5.

ff. 1. – « Signore, mi avete provato e mi avete conosciuto. » Cosa dite? Dio vi ha conosciuto dopo avervi provato, e prima di questa prova forse non vi conosceva? Badiamo di non mal intendere la sorte di Colui « che conosce tutte le cose prima che siano fatte. » (Dan. XIII, 42). Queste parole: « Voi mi avete provato, » significano: Voi mi avete perfettamente conosciuto. Quando l’Apostolo ci dice che Dio sonda i cuori, questa espressione indica non l’ignoranza in Dio, ma una scienza profonda. Dio non ha bisogno di provare, di sperimentare per conoscere; Egli conosce tutti in virtù della sua prescienza divina (S. Crysost.). – Con il riposo ed il risveglio o l’alzarsi, egli fa intendere la vita intera, che si non si può ridurre a queste due situazioni che abbracciano tutte le nostre azioni, le nostre opere, le nostre entrate, le nostre uscite, il risveglio ed il sonno, il lavoro ed il riposo, il dolore e la prosperità, la vita e la morte (S. Chrys.). 

ff. 2-5. – Dio conosce non soltanto le nostre azioni esteriori, ma tutto ciò che passa nella nostra anima, non solo Egli conosce i nostri pensieri nascosti, quando si agitano nel nostro spirito, ma anche quelli che iniziano a nascere; diciamo meglio, molto tempo prima. « Voi avete penetrato i nostri pensieri da lontano, » (S. Chrys.). Lo sguardo di Dio, che abbraccia la nostra vita nel suo insieme, ne penetra pure i più impercettibili dettagli: Egli conosce il cammino lungo il quale marciamo, i disegni e le imprese che formiamo, lo scopo e il fine che abbiamo di vista, l’oggetto dei nostri desideri e delle nostre aspirazioni; in una parola, i principi, i mezzi e il fine di tutte le nostre azioni (Duguet). – Così la scienza di Dio, non comprende le nostre vie, i nostri disegni quando li mettiamo in esecuzione, ma Egli li prevede tutti con piena certezza, sa tutto ciò che dobbiamo dire, prima di aprir bocca e prima che la parola sia sulla nostra lingua. – E che dico … questa scienza conosce tutto ciò che deve succedere negli ultimi tempi, e tutto ciò che si è compiuto nei secoli più remoti. Tutti i secoli, passati e venturi si  svolgono e passano sotto lo sguardo fisso della sua eternità. – Siete Voi che mi avete formato, che « avete steso la vostra mano su di me. » Il Profeta prova che Dio sa tutto ciò che ci riguarda; prima, perché Egli conosce tutte le cose passate e future; in secondo luogo, perché Dio stesso ha voluto fare l’uomo, ed è Egli stesso che lo governa, lo conserva, ed ha steso su di lui la sua mano. Ora, come il suo essere potrebbe avere qualche segreto per il Dio che lo ha creato, che lo muove, che lo penetra, che ne conserva e ne fa agire tutte gli “ingranaggi”?

II. — 6 – 12.

ff. 6 – 10. – La scienza di Dio, oltre che universale, è pure inevitabile. « La vostra sapienza è elevata in maniera ammirevole sopra di me. » Essa mi sorpassa, è elevata ben al di sopra di me, è troppo grande perché una ragione possa comprenderla, tanto è meravigliosa, tanto è superiore! Ma che?! Se ogni meraviglia è così grande come essa, può essere compresa? Questo è impossibile, essa mi sorpassa infinitamente e non potrà mai raggiungerla (S. Chrys.). – San Basilio traduce: « È da me che la vostra sapienza ha ricevuto una magnifica esaltazione. » Perché  questa parola: « da me, » se non perché il Profeta trovava in se stesso una testimonianza della scienza infinita ed incomprensibile di Dio, allorché egli sentiva bene che gli era impossibile comprendersi da se stesso? (S. Agost. De l’âme, etc.) – È a me che la vostra scienza mi è sembrata ammirevole; » vale a dire, io ho scoperto, con meravigliosa ragione, la grandezza e l’estensione della vostra sapienza. E come? Da me1 Considerando l’arte meravigliosa, la saggezza strabiliante con la quale avete organizzato tutte le parti del mio corpo, da questa piccola ma mirabile parte delle vostre opere, io ho concepito l’idea più alta del suo divin Fattore (S. BASILE. De hom. Struct.) – Ciò che è più formidabile nella divina Sapienza, e che la rende così adorabile, è che essa è la conoscenza che Dio ha di noi in se stesso. Egli non ci contempla come uno spettatore infinitamente intelligente; Egli guarda in se stesso, vi si vede, ci conosce, come conosce tutte le cose, nelle cause più recondite, più intime, più profonde; Egli ci giudica con una verità la cui luce e l’infallibilità sono irresistibili. Santa Maddalena De’ Pazzi, esaminava tutta la sua alta conoscenza in un’estasi, ed abbiamo là un monumento soprannaturale della più delicata conoscenza di se stesso; Ma cos’è la conoscenza di un esame di coscienza, rispetto alla conoscenza istantanea, penetrante, completa, che Dio ha di noi in se stesso? (FABER. Le Créateur et la Créât., p. 148) –  Che fare per sfuggire a questo sguardo penetrante di Dio? Quando noi vogliamo sottrarci allo sguardo dell’uomo, ci si offrono due mezzi: l’allontanamento e l’oscurità; ma allo sguardo di Dio, questi due mezzi sono impotenti. Se ricorro alla fuga, qual fuga potrà mai allontanarmi da Dio; come potrei nascondermi dal suo Spirito, dalla sua intelligenza, dalla sua presenza che riempie tutti i luoghi? Che io salga nei cieli, o che io scenda negli abissi impenetrabili della terra, che piombi negli anfratti più nascosti dell’Occidente, o che abiti le estremità dei mari, io non posso sfuggire agli sguardi di Dio, né fuggire la sua presenza, né scappare alla sua sapienza infinita, inseparabile dalla sua presenza. – Cercheremo un rifugio nella notte, un riparo da questo sguardo di Dio? La notte più oscura circonda un peccatore di chiarezza per scoprirlo e servire  da testimone contro lo stesso. Non ci sono tenebre per Colui che è la luce, ciò che noi chiamiamo oscurità non è oscuro per Lui, incapace di sottrarre alcunché alla sua vista. Per Lui, ogni notte si illumina e diviene così chiara come il giorno più radioso. Le tenebre della notte e la luce del giorno sono per Lui la stessa cosa, perché Dio non vede gli oggetti per la proiezione di una luce che viene dall’esterno degli oggetti stessi, ma Egli li conosce e li penetra perfettamente con la luce del suo Spirito (Duguet). – Temete Dio in pubblico ed in segreto. Voi uscite dalla vostra dimora: Egli vi vede; voi entrate: Egli vi vede; la vostra lampada è illuminata: Egli vi vede; voi la spegnete: Egli continua a vedervi; voi vi ritirate nei distretti più segreti della vostra dimora: Egli vi vede; voi pensate tra voi: Egli vi vede. Temete dunque Colui il cui sguardo gira da ogni parte, che illumina la vostra notte, che trionfa delle vostre tenebre, per conservarvi nel timore della sua giustizia, per santificarvi con il pensiero della sua presenza; e … se volete darvi al peccato, cercate un luogo ove Dio non vi veda, e fate ciò che volete  (S. AUG. Serm. XLVI sur les par. du Seig.) – È una proprietà dell’Essere di Dio che il Profeta reale ha sottolineato, e del quale ha preteso farne soggetto di elogio, quando ha detto che le tenebre in cui Dio si nasconde ai nostri occhi e che ce lo nascondono in questa vita, non sono meno ammirabili della sua stessa luce; e che tutto ciò che noi scopriamo di splendido e di luminoso nelle adorabili perfezioni, non è più glorioso per Lui, né più venerabile per noi, di ciò che ci sembra avviluppato da nuvole, e coperto dal velo di una misteriosa oscurità; perché è così che San Ambrogio ha spiegato questo passaggio del salmo: « sicut tenebræ ejus, ita et lumen ejus: »  La sua luce è come le sue tenebre, e le sue tenebre hanno qualche cosa di così divino come la sua luce. (BOURD. P. F. de S. Thom.). – Le tenebre della fede Cristiana non somigliano affatto a quelle di cui stiamo parlando, esse sono tenebre luminose. « La notte è divenuta la mia luce in mezzo alle mie delizie. » Come la notte – si domanda S. Agostino – si è illuminata per me? Gesù Cristo è sceso in questa notte, Egli ha preso una carne simile alla mia, e così ha illuminato la mia notte. La mia notte è divenuta la mia luce in mezzo alle mie delizie. Quali sono, in effetti le mie delizie, se non Gesù Cristo stesso? – È ai piedi del tabernacolo, è alla presenza del più tenebroso ma anche del più mirabile dei nostri misteri che mi piace ripetere nel mio spirito quella parola di Davide: « La mia notte è la mia luce in mezzo alle mie delizie. Nessuna parte delle più profonde tenebre avvolgono la Maestà divina, né la stessa carne di Gesù-Cristo si nasconde ai nostri sguardi. La notte, niente che la notte! Ma o notte, voi siete la mia luce, perché Colui che io adoro sotto i veli del Sacramento mi fa gustare ineffabili delizie. Io gusto nella notte oscura quanto il Signore sia dolce, e le delizie che assaporo mi danno come una chiara veduta della soavità del Signore. – Le delizie dell’Eucaristia mi fanno veder chiaro nell’Eucaristia: la notte diviene un luce in mezzo alle mie delizie. (Mgr DE LA BOUILLERIE. Symb., 168).

III. — 13-16.

ff. 13-16. – Non soltanto Dio penetra attualmente tutti i segreti della nostra esistenza, ma il suo sguardo ha raggiunto ciò che nessun altro ha mai penetrato, cioè il mistero della formazione dell’uomo. La madre dei Maccabei diceva ai suoi figli: « Io non so come siate stati formati nel mio seno, perché non sono io che vi ho dato lo spirito, né l’anima, né la vita; e non sono io che ho assemblate tutte le vostre membra, ma il Creatore del mondo, che ha plasmato l’uomo dalla sua nascita, e che ha provveduto alla generazione di tutti » (II Macc., VII, 22, 23.). Questa operazione di Dio è l’effetto della sua sapienza e della potenza infinita. Nessun’opera si esegue se non dopo un disegno formato nello spirito del suo autore. Prima che Dio realizzi la sua opera, essa è già in Lui, si svolge interamente nella sua suprema ed infinita intelligenza. – « I vostri occhi mi hanno visto che era ancora informe. » Il Re-Profeta mostra di nuovo che nulla sfugge alla sapienza infinita di Dio. Allora, benché non fossi che allo stato embrionale, io non sfuggivo alla vostra conoscenza, Voi penetravate distintamente tutte le parti del mio essere; allorché la natura formava successivamente la sua opera, benché il suo lavoro si compisse nel segreto e come nelle viscere della terra, ognuna delle mie membra con il loro accrescimento particolare veniva presentato al vostro sguardo. Gesù-Cristo esprime questa stessa verità, quando dice: «Tutti i capelli del vostro capo sono contati. » (Luc. XII, 7). Noi vediamo qui riuniti, in una stessa proporzione, la sapienza e la provvidenza di Dio. (S. Chrys.). – Opera ammirevole di Dio nella formazione del corpo umano, in questa struttura tanto ben legata di un gran numero di ossa, grandi e piccole, senza alcuno strumento, in un luogo segreto ed oscuro. – Quanto è penetrante l’occhio di Dio, che vede chiaramente l’uomo ancora informe, o anche prima che sia formato. È questo l’idea eterna che Egli ha avuto di tutte le parti dei nostri corpi, che vi erano distintamente marcati, come se fossero stati scritti in un libro. Cos’è questo libro in cui tutti sono scritti, se non l’ordine della Provvidenza che Dio osserva nei nostri confronti? Tutti i nostri destini sono scritti in questo libro eterno. Ma cosa sarebbe questo ordine di Provvidenza, se non vi fosse una vita futura, una eternità dopo questa sequela di giorni che percorriamo e si allontanano in successione? Noi siamo scritti nel libro di Dio, non per i giorni, ma per l’eternità (Duguet, Berthier). 

IV. — 17-24.

ff. 17, 18. – Questa Sapienza infinita di Dio non è una sapienza indifferente o impotente. Dio guarda, conosce, ma se guarda, conosce per giudicare, ricompensare o punire. Questo intervento di Dio nelle cose umane si manifesta in due atti: Dio onora e ricompensa i giusti; Dio odia e castiga i peccatori. – Tre cose, dice il Re- Profeta, contribuiscono a rendere più brillante la gloria che circonda i santi: – gli onori di cui Dio li circonda: « I vostri amici mi sono sembrati straordinariamente onorati; » – la forza della loro potenza: « Il loro impero si è estremamente fortificato; » – la loro grande moltitudine: « Io li conterò, essi saranno più numerosi della sabbia del mare. » Onori straordinari resi ai Santi che durante la loro vita, erano sconosciuti, reietti, disprezzati dal mondo, e che ora brillano di uno splendore che si accresce nei secoli, mentre i mortali più ricchi e più famosi, qualche anno dopo la loro morte, sono destinati all’indifferenza ed all’oblio. – È per l’onore di Dio che i suoi servi sono onorati, e dopo averli impiegati a procurare la sua gloria, Egli si prende cura di glorificarli Egli stesso. È per questo che il Profeta reale gli diceva: Signore, Voi sapete ben rendere ai vostri amici ciò che ne avete ricevuto; e se essi hanno avuto la gioia di farvi conoscere tra gli uomini, ne sono ben ripagati dall’alto grado di elevazione ove Voi li fate salire nel cielo, ed anche con la profonda venerazione per cui i loro nomi sono sulla terra. « I vostri amici sembrano ai miei occhi ricolmi di una gloria infinita. » (BOURD., P. la fête de Ste Genev.). – Comparate, nel corso dei secoli, le rovine sparse dalle istituzioni umane, con le opere, gli edifici solidi, indistruttibili della santità. – È la fecondità mirabile della Chiesa, sposa di Gesù-Cristo, questa risplendente moltitudine degli eletti del cielo che il Profeta vedeva in spirito, e che l’Apostolo San Giovanni descriveva in questi termini, dopo aver determinato il numero dei santi della sinagoga: « Dopo questo, io vidi una gran moltitudine che nessuno poteva contare, di ogni nazione, di ogni tribù, di ogni popolo e di ogni lingua, che era in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, vestiti di una veste candida, con palme nelle loro maini. » (Apoc. VII, 9) « Io mi sveglio e sono sempre con Voi, » il Profeta esprime qui la speranza di essere un giorno ammesso nel numero degli amici di Dio; io entrerò come essi nella tomba, ma ne uscirò un giorno, come da un letto da riposo; questo sonno della morte finirà, io mi risveglierò, sarò ancora da Voi, e vi sarò in una maniera ben più perfetta di quanto fossi sulla terra. (Berthier).

ff. 18-22. – « Se voi portate i peccatori alla morte, uomini di sangue, allontanatevi da me. » Il secondo effetto dello sguardo di Dio sui figli degli uomini è dunque l’esercitare la sua giustizia vendicativa sui peccatori, annientandoli. Il frutto da raccogliere da questa condotta di Dio riguardo ai peccatori, è quello di rompere ogni commercio con i malvagi, da cui non si riporta quadi mai tutta la virtù che vi si è portata; bisogna allontanarsi da queste vittime maledette della giustizia di Dio, che Egli condannerà alla morte eterna, ed evitare particolarmente quegli uomini di sangue che uccidono od odiano gli altri, quei peccatori scandalosi che fanno perire le anime. (Duguet). –  « Qual legame può esserci tra la giustizia e l’iniquità? Quale unione tra la luce e le tenebre? Quale accordo tra Gesù-Cristo e belial? Qual società tra il fedele e l’infedele? (II Cor. VI, 13, 14). – Ciò che dicevano in altri tempi i nemici dei Giudei, rientranti in possesso delle loro città dopo il ritorno dalla cattività, i nemici di Gesù-Cristo e della sua Chiesa lo ripetono ancora nel loro cuore, pieno di odio geloso per la propagazione del regno di Gesù-Cristo. Siccome la conseguenza della propagazione della Religione Cristiana, è stata quella di strappare le città, cioè i grandi centri di popolazione, alla schiavitù del demonio, essi dicono sempre nel loro cuore che invano i giusti sperano di abitare tranquillamente nelle città sotto la protezione del Signore, loro primo ed unico Padrone assoluto. Ma noi, noi abbiamo lo Spirito di Gesù-Cristo, e ciò che il Cristo provava in se stesso, noi lo proviamo in noi; noi crediamo e professiamo altamente che Dio è tanto potente da conservare ciò che Egli ha acquisito. E come mai il demonio potrà prevalere contro i suoi eletti. Ai nostri tempi, in cui i nemici di Dio, di ogni religione, di ogni virtù, predicono in tutti i modi, nelle assemblee dei giusti, alla Chiesa Cattolica, alla Città di Dio, la distruzione ed il niente, al Cristianesimo, la decadenza, l’indebolimento e l’annientamento; nel momento in cui essi dicono nei loro pensieri: “vanamente i Cattolici vogliono estendere le loro conquiste per la libertà di associazione, di insegnamento; in questo stesso momento Dio rinnova loro le promesse di immortalità fatte alla sua Chiesa. Non temete nulla: « Io sono con voi fino alla consumazione dei secoli, » (Matth. XXVIII, 20). – E siccome i giusti non formano che un cuore solo, un’anima sola, un solo pensiero, un sentimento con il Dio che li illumina e li fortifica, essi condividono i loro sentimenti di odio per i nemici del suo Nome e della sua Chiesa. « Io li ho odiati con odio perfetto. » Che vuol dire un odio perfetto? Io odiavo in loro la loro iniquità, giammai in essi le vostre creature. Ecco l’odio perfetto, non odiare gli uomini in ragione dei loro vizi, né amare i vizi in ragione degli uomini. (S. Agost.). – Il nostro odio ha un carattere veramente religioso, tutte le volte che noi odiamo colui per il quale Dio è l’oggetto del suo odio. Ci viene comandato di amare i nostri nemici, ma i nostri, non i nemici di Dio; perché, secondo le parole del Salvatore, è un atto di religione odiare per Dio suo Padre, sua Madre, la sua Sposa, i suoi figli ed i suoi fratelli (S. Hilar.). – Non siamo quindi indifferenti agli oltraggi che vengono fatti a Dio, sentiamoli vivamente, sforziamoci di opporci per quanto possiamo e, se non possiamo fare altro, gemiamo almeno nel segreto (Duguet).

ff. 23, 24. – « O Dio, provatemi e sondate il mio cuore. » Bisogna essere ben certi della propria innocenza per osare fare questa domanda a Dio. Chi di noi, al contrario, non teme il terribile interrogatorio che Dio ci farà subire, e forse ben presto: Qual è la vita che avete condotto? Quella attraverso i sentieri stretti del Vangelo, o quella attraverso i sentieri larghi del mondo e della moda? Preveniamo questo terribile interrogatorio: « Se noi ci giudicheremo da noi stessi, non saremo giudicati da Dio. » (I Cor. XI, 31). – Tutto il frutto di questo mirabile salmo è racchiuso in queste ultime parole: « Guidami alla vita eterna. »  Qual è questa vita eterna? La via spirituale che conduce al cielo e che non ha fine. Tutte le altre cose sono di breve durata, racchiuse come sono nello spazio ristretto della vita presente. Il Salmista lascia dunque tutti questi beni passeggeri, per rivolgersi a ciò che è immortale, eterno, infinito. (S. Chrys.). – Niente di più importante, nulla di più necessario che ben conoscere se la via sulla quale si cammina sia la via retta; niente di più facile, niente di così ordinario che ingannarsi su questo punto. Tante ingiustizie che non percepiamo, tante illusioni dell’amor proprio che non si scoprono, tanti deragliamenti del proprio cuore che non si vedono! Chi non tremerebbe di spavento a questa parola che lo Spirito Santo ripete due volte in uno stesso libro: « C’è una via che sembra retta all’uomo, e di cui l’estremità raggiunge la notte. » (Prov. XIV, 12; XVI, 25).  Non basta temere solo i propri peccati, ma occorre applicarsi alle buone opere (Duguet). – Non c’è che l’Essere al quale nulla è sconosciuto che possa servire da guida agli uomini in questa strada, perché è il solo che possa evitare i pericoli, spianare le difficoltà, sostenere la costanza, raddrizzare i falsi sentieri, e raggiungere il momento del passaggio nella eternità beata. (Berthier).