L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (XXVI)

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (XXVI)

INTERPRETAZIONE DELL’APOCALISSE Che comprende

LA STORIA DELLE SETTE ETÁ DELLA CHIESA CATTOLICA. DEL VENERABILE SERVO DI DIO BARTHÉLEMY HOLZHAUSER

RESTAURATORE DELLA DISCIPLINA ECCLESIASTICA IN GERMANIA,

OPERA TRADOTTA DAL LATINO E CONTINUATA DAL CANONICO DE WUILLERET,

PARIS, LIBRAIRIE DE LOUIS VIVÈS, ÉDITEUR RUE CASSETTE, 23 – 1856

LIBRO NONO


SUI CAPITOLI XXI E XXII

La nuova terra ed il cielo nuovo, la Gerusalemme celeste, e il fiume d’acqua viva, etc.


SEZIONE I.


§I.


Del cielo nuovo e della nuova terra.


CAPITOLO XXI. VERSETTI 1-8.

Et vidi cœlum novum et terram novam. Primum enim cœlum, et prima terra abiit, et mare jam non est. Et ego Joannes vidi sanctam civitatem Jerusalem novam descendentem de cœlo a Deo, paratam sicut sponsam ornatam viro suo. Et audivi vocem magnam de throno dicentem: Ecce u Dei cum hominibus, et habitabit cum eis. Et ipsi populus ejus erunt, et ipse Deus cum eis erit eorum Deus: et absterget Deus omnem lacrimam ab oculis eorum: et mors ultra non erit, neque luctus, neque clamor, neque dolor erit ultra, quia prima abierunt. Et dixit qui sedebat in throno: Ecce nova facio omnia. Et dixit mihi: Scribe, quia haec verba fidelissima sunt, et vera. Et dixit mihi: Factum est: ego sum alpha et omega, initium et finis. Ego sitienti dabo de fonte aquae vitæ, gratis. Qui vicerit, possidebit hæc: et ero illi Deus, et ille erit mihi filius. Timidis autem, et incredulis, et execratis, et homicidis, et fornicatoribus, et veneficis, et idolatris, et omnibus mendacibus, pars illorum erit in stagno ardenti igne et sulphure: quod est mors secunda.

[E vidi un nuovo cielo e una nuova terra. Poiché il primo cielo e la prima terra passarono, e il mare non è più. Ed io Giovanni vidi la città santa, la nuova Gerusalemme che scendeva dal cielo d’appresso Dio, messa in ordine, come una sposa abbigliata per il suo sposo.E udii una gran voce dal trono che diceva: Ecco il tabernacolo di Dio con gli uomini, e abiterà con loro. Ed essi saranno suo popolo, e lo stesso Dio sarà con essi Dio loro :e Dio asciugherà dagli occhi loro ogni lagrima: e non vi sarà più morte, né lutto, né strida, né vi sarà più dolore, per- ché le prime cose sono passata. E colui che sedeva sul trono disse: Ecco che io rinnovello tutte le cose. E disse a me: Scrivi, poiché queste parole sono degnissime di fede e veraci. E disse a me: fatto. Io sono l’alfa e l’omega: il principio e il fine. A chi ha sete io darò gratuitamente della fontana dell’acqua della vita. Chi sarà vincitore, sarà padrone di queste cose, e io gli sarò Dio, ed egli mi sarà figliuolo. Pei paurosi poi, e per gl’increduli, e gli esecrandi; e gli omicidi, e i fornicatori, e i venefici, e gli idolatri, e per tutti i mentitori, la loro parte sarà nello stagno ardente di fuoco e dì zolfo: che è la seconda morte.]

I. Vers. 1.E vidi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il primo cielo e la prima terra erano scomparsi e il mare non c’era più. In questo capitolo e nel prossimo, che sono gli ultimi due dell’Apocalisse, San Giovanni descrive la Chiesa Trionfante, cioè lo stato dei beati nella prossima vita. Infatti, come osserva Sant’Agostino (Civ., XXII, 27), sarebbe troppo stravagante intendere le cose che sono dette qui come dette del tempo presente; poiché le parole del verso di questo capitolo: “Dio asciugherà tutte le lacrime, ecc.“, sono così chiaramente adatte alla vita futura, all’immortalità e all’eternità dei Santi, che non saremmo in grado di trovare nulla di più ovvio nelle Scritture divine se dovessimo considerare questo passaggio come oscuro. Così, dopo la descrizione della caduta dell’anticristo e lo sterminio di tutti i nemici della Chiesa, e dopo aver parlato della risurrezione generale e del giudizio universale, San Giovanni passa alla descrizione della gloria dei beati e del loro trionfo eterno. E vidi un nuovo cielo e una nuova terra. Questo nuovo cielo e questa nuova terra di cui parla San Giovanni saranno dunque la dimora dei beati nella gloria eterna di Dio; perché il primo cielo e la prima terra, che ora abitiamo, erano passati e il mare non c’era più. Questo cielo e questa terra rappresentano i beni del mondo, e il mare rappresenta i suoi mali; ora questi beni e mali terreni, che saranno stati il fuoco con cui Dio prova l’oro, spariranno per sempre e saranno consumati a loro volta dal fuoco del cielo, secondo II. Pietro, III, 12: « La violenza del fuoco dissolverà i cieli e fonderà tutti gli elementi. » Non dobbiamo omettere qui questo passo di Isaia, LXV, 14: « I miei servi si rallegreranno, e voi (peccatori) sarete coperti di confusione; i miei servi esploderanno con canti di lode nell’estasi dei loro cuori, e voi scoppierete con grandi grida nell’amarezza delle vostre anime, e con tristi ululati nello strazio dei vostri spiriti; e voi renderete il vostro nome ai miei eletti come un nome di imprecazione: Il Signore Dio vi distruggerà e darà ai suoi servi un altro nome. Chi è benedetto in questo nome sulla terra sarà benedetto dal Dio della verità; e chi giura sulla terra giurerà nel Nome del Dio della verità, perché le precedenti tribolazioni saranno dimenticate e scompariranno da davanti ai miei occhi. Perché Io creerò nuovi cieli e una nuova terra, e il passato non sarà ricordato né risorgerà nel mio cuore. Ma voi vi rallegrerete e sarete pieni di gioia per sempre nelle cose che Io creerò, perché farò di Gerusalemme una città di gioia e del suo popolo un popolo di gioia. Mi rallegrerò di Gerusalemme, mi rallegrerò del mio popolo, e non ci sarà più né lutto né pianto. Non si vedrà un bambino che non viva che pochi giorni, né un vecchio che non completi i giorni della sua vita, etc. ».

II. Vers. 2Ed io, Giovanni, vidi la città santa, la nuova Gerusalemme, che scendeva da Dio dal cielo, adorna come una sposa per il suo sposo. San Giovanni si riferisce a se stesso come testimone di ciò che accadrà, volendo dare più forza alle sue parole e renderci più attenti ad esse. E io, Giovanni, vidi la città santa che scendeva dal cielo. Questa città santa è la Chiesa trionfante, o l’assemblea dei beati che regneranno con Dio. Questa Chiesa è la nuova Gerusalemme che è venuta da Dio, e di cui la Gerusalemme terrena era la figura. Perché, come è stato detto, i Profeti usano spesso la stessa figura per significare diverse cose; e così la Gerusalemme terrena, che rappresenta come città e in senso materiale, la grande Babilonia, rappresenta anche in senso mistico la Gerusalemme celeste. San Giovanni la vide scendere dal cielo e dice che veniva da Dio, perché, secondo Sant’Agostino, (Civit. XX, 17), la grazia con cui Dio l’ha formata è celeste, e che, in principio, essa è scesa dal cielo, da dove fu mandato lo Spirito Santo. Essa veniva da Dio, adornata come una sposa per il suo sposo. Cioè, splendente di gloria e di bellezza, con la gloria dei suoi trionfi e la bellezza delle sue virtù e dei suoi meriti. Infatti, la sposa, per essere gradita al suo sposo, deve essere come Lui, poiché devono essere una sola carne. (Gen. II, 23). Adamo, che è tipo dello sposo Gesù Cristo, dice, parlando di Eva, il tipo pure della Chiesa: « Ecco, costei è ora osso delle mie ossa e carne della mia carne. »   Poi la Genesi continua: « Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie (come Gesù Cristo lasciò suo Padre e la sua gloria celeste, per rivestirsi della nostra umanità e unirsi alla nostra carne); e saranno due in una sola carne. » Ora, i Santi, nutrendosi della carne di Gesù Cristo nella santissima Eucaristia, e Gesù Cristo, rivestendosi della nostra carne, sono uniti nella stessa carne; e così lo Sposo celeste e la sua Sposa sono due in una sola carne. E quanto bella, quanto pura, quanto santa e quanto gloriosa deve essere la Chiesa per potersi unire allo Sposo divino? Ecco perché San Giovanni ci dice che la Chiesa sarà adornata come una sposa per il suo sposo.

III. Vers. 3. E udii una grande voce dal trono, che diceva: Questo è il tabernacolo di Dio con gli uomini, ed Egli abiterà con loro. Ed essi saranno il suo popolo, e Dio sarà il loro Dio in mezzo a loro. San Giovanni ha sentito nella sua immaginazione una grande voce dal trono; questa voce sarà quella di Dio Padre, che dirà, annunciando Gesù Cristo alla sua amata sposa: Ecco il tabernacolo di Dio con gli uomini, cioè, ecco Gesù Cristo mio Figlio, che è il tabernacolo, o alleanza della Divinità con gli uomini. Abbiamo visto come spesso San Giovanni si riferisca all’antico tabernacolo e al tempio. Attraverso questo tabernacolo e questo tempio, Dio aveva dato dei segni dell’alleanza che voleva fare con il popolo giudaico. Ma i Giudei furono infedeli, e le nazioni della terra che divennero cristiane ebbero il grande privilegio di vedere la promessa fatta ai Giudei, compiuta in loro, sotto la figura del tabernacolo e del tempio. Questa promessa si compì nella santissima Eucaristia, dove noi possediamo realmente Gesù Cristo sotto le specie del pane e del vino, in attesa di possederlo in cielo, dove diventerà il vero oggetto della nostra beatitudine, come ora è il vero oggetto della nostra fede. E abiterà con loro, con i suoi eletti, per tutta l’eternità, perché Egli è il sacerdote eterno, secondo l’ordine di Melchisedec; ed essi saranno il suo popolo, e Dio in mezzo a loro sarà il loro Dio. Cioè, gli eletti saranno il popolo di Dio, ed Egli sarà loro Dio, il loro padre, il loro re, il loro sposo; li riempirà di ogni bene; i loro desideri eterni saranno sempre soddisfatti e la loro sete sarà sempre placata. Il loro amore salirà eternamente come una fiamma ardente verso l’oggetto immutabile del loro amore, e questo fuoco non sarà mai consumato. I giusti saranno sempre soddisfatti, secondo tutte le capacità delle loro anime, come vasi di diverse dimensioni che potrebbero sempre essere riempiti con le acque dell’Oceano, e infinitamente ancor più. Più godono, più vorranno godere, e non proveranno mai disgusto, perché ogni dolore cesserà. Questo è ciò che ci assicura San Giovanni nelle seguenti parole:

Vers. 4E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi; e non ci sarà più la morte, né il lutto, né il pianto, né il dolore, perché il primo stato è finito. Così dunque, il ricordo dei mali passati, il ricordo dei dolori, delle afflizioni, dei dispiaceri, delle disgrazie, delle malattie, dei disgusti, degli affanni, dei dolori, delle perdite, delle privazioni, della sete, della fame, dei rigori invernali, dei calori dell’estate, il ricordo delle tribolazioni, delle tentazioni, dei sacrifici più costosi alla natura; il ricordo delle ingiustizie, delle persecuzioni, degli insulti, del disprezzo, dell’abbandono, dell’isolamento; il ricordo dei travagli, della fatica, delle lotte, delle veglie, dei digiuni, delle mortificazioni; il ricordo delle umiliazioni, della perdita dei beni, della privazione dei piaceri; il ricordo stesso del peccato non affliggerà più i giusti, perché Dio asciugherà tutte le lacrime dai loro occhi. Il ricordo del peccato non affliggerà più i giusti, perché Dio asciugherà tutte le lacrime dai loro occhi. Tutti i mali della vita saranno cambiati per essi in beni immensi nella loro estensione ed eterni nella loro durata; perché non ci sarà più la morte, né il lutto, né il pianto, né il dolore, perché il primo stato è finito.

IV. Vers. 5: Allora colui che sedeva sul trono disse: Ecco, che Io faccio nuove tutte le cose”. Ed egli mi disse: “Scrivi, perché queste parole sono certissime e veraci. Ricordiamo che è Gesù Cristo stesso che è l’autore di questa rivelazione, secondo queste parole del capitolo I, 1: La rivelazione di Gesù Cristo, etc. Non c’è quindi alcun dubbio che sia Gesù Cristo che San Giovanni ci rappresenta seduto sul trono; perché gli dice: scrivi, etc. Così, dopo aver regnato per il tempo, questo Sposo celeste continuerà a regnare per l’eternità. Egli regna già sulla terra con la sua legge e la sua dottrina; ma San Giovanni ci rappresenta il suo regno nel momento in cui farà nuove tutte le cose. Allora colui che sedeva sul trono disse: Ecco, io faccio nuove tutte le cose. Ed Egli mi disse: Scrivi, perché queste parole sono degnissime di fede e veraci. Questo è un modo per attirare la nostra attenzione su ciò che ci verrà rivelato e per garantirci la certezza di esso.

V. Vers. 6Ed ancora mi dice: Tutto è compiuto. Io sono l’Alfa e l’Omega, il principio e la fine. Darò da bere gratuitamente dalla fonte di acqua viva a chi ha sete. Gesù Cristo disse a San Giovanni: Tutto si è compiuto, il tempo della profezia è passato e l’eternità è iniziata. Io sono l’Alfa e l’Omega, il principio e la fine. Queste parole sono molto notevoli, se si ricorda che nel capitolo I, 8, Gesù Cristo ha usato le stesse parole prima di annunciare tutto ciò che sarebbe accaduto nel corso delle epoche della Chiesa. E siccome tutto si sarà adempiuto come aveva predetto, ora ci avverte che tutto è compiuto. Io darò gratuitamente della fonte di acqua viva a colui che ha sete. Queste parole ci ricordano la giustizia di cui si parla nelle otto beatitudini, e di cui i Santi saranno stati assetati; e la giustizia dei Santi sarà la veste nuziale che li renderà degni di partecipare alla cena delle nozze dello Sposo. (Apoc. XIX, 8): E gli diede del puro lino bianco da indossare, e questo lino è la giustizia dei santi. Dobbiamo desiderare questa giustizia per ottenerla, e se la desideriamo veramente e sinceramente, saremo tra coloro di cui sta scritto, (Matth. V, 6): « Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati. » In effetti (Romani VIII, 27): « Chi scruta il cuore sa quali sono i desideri dello spirito, perché cerca per i Santi ciò che è secondo Dio. Ora sappiamo che tutto contribuisce al bene di coloro che amano Dio, di coloro che Egli ha chiamato, secondo il suo decreto, ad essere santi. Perché coloro che ha conosciuto nella sua prescienza, li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del suo Figlio, affinché Egli stesso sia primogenito tra molti fratelli. E quelli che ha predestinato li ha chiamati, e quelli che ha chiamato li ha giustificati e quelli che ha giustificato li ha glorificati. » Ora, questa glorificazione sarà la fonte di acqua viva di cui parla il nostro testo: Darò da bere gratuitamente dalla fonte di acqua viva a colui che ha sete.  E si dice: Io darò gratuitamente, perché la giustizia che dovrebbe renderci eredi del regno eterno ci è concessa gratuitamente per la misericordia di Dio, secondo San Paolo, (Tito III, 5): « Ci ha salvati non per le opere di giustizia che abbiamo fatto, ma per la sua misericordia, in quanto ci ha fatto rinascere per mezzo del Battesimo e ci ha rinnovati per mezzo dello Spirito Santo, che ha riversato abbondantemente su Gesù Cristo nostro Salvatore, affinché, giustificati dalla sua grazia, diventassimo eredi della vita eterna, secondo la speranza. »

VI. Vers. 7. Colui che vincerà, possederà queste cose, e Io sarò il suo Dio, ed egli sarà mio figlio.

Vers. 8Ma i timidi, gli increduli, gli abominevoli, gli omicidi, i fornicatori, gli avvelenatori, gli idolatri e tutti i bugiardi avranno la loro parte nel lago ardente di fuoco e di zolfo, che è la seconda morte. Questi due versetti possono ancora essere messi in relazione, per il significato che contengono, con la continuazione del passo di San Paolo che abbiamo appena citato, in cui l’Apostolo ci fa intravedere come avvemga la giustificazione degli eletti che hanno fame e sete di giustizia. E questi due passi di San Paolo e dell’Apocalisse coincidono mirabilmente insieme e si spiegano a vicenda. Infatti Gesù Cristo nella sua Rivelazione ci dice: Chi vincerà avrà queste cose, e Io sarò il suo Dio, ed egli sarà mio figlio. Ma i timidi, gli increduli, ecc. avranno la loro parte nello sconvolgimento del mondo. Ma i timidi, gli increduli, ecc. avranno la loro parte nel lago ardente di fuoco e zolfo, che è la seconda morte. Ora, San Paolo ci spiega come gli eletti e i predestinati potranno vincere, e  continua la sua spiegazione del mistero della giustificazione degli uomini mostrandoci come il Cristiano, attraverso il desiderio di giustizia, arrivi al possesso dell’ottava beatitudine, che è come la perfezione e il complemento delle altre, e ci garantisce il possesso del regno eterno, secondo San Matteo (V, 10): « Beati coloro che soffrono persecuzioni a causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. » Ora, soffrire la persecuzione per amore della giustizia è vincere, e chi vincerà possiederà queste cose. San Paolo, volendo farci capire come chi ha fame e sete di giustizia possa e debba vincere, aggiunge nella sua epistola ai Romani, (VIII, 31): « Dopo questo, cosa diremo? Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Se non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato alla morte per tutti noi, cosa non ci darà, dopo averlo dato a noi? Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio stesso li giustifica. Chi li condannerà, quando Gesù Cristo non solo è morto, ma è risorto ed è alla destra di Dio, intercedendo per noi? Chi, dunque, ci separerà dall’amore di Gesù Cristo? Sarà l’afflizione, l’angoscia, la fame, la nudità, il pericolo, la persecuzione o la spada? Come sta scritto: Per causa tua siamo quotidianamente consegnati alla morte, o Signore, e siamo considerati come pecore da macellare; ma in mezzo a tutti questi guai noi vinciamo per la virtù di Colui che ci ha amati. Perché io sono sicuro che né la morte, né la vita, né gli Angeli, né i Principati, né le Potenze, né le cose presenti, né le cose future, né la violenza, né alcunché di superiore o inferiore, né alcuna altra creatura, potranno mai separarci dall’amore di Dio che è in Cristo Gesù nostro Signore. » È dunque con l’aiuto di Dio e con i meriti e l’amore di Gesù Cristo che possiamo vincere l’amore dei piaceri e la paura dei mali di cui ci parla San Paolo. Ma i timidi, i codardi e i pusillanimi, gli increduli, che non hanno la fede di Gesù Cristo, senza la quale è impossibile piacere a Dio, gli abominevoli, che non mettono la loro speranza in Dio, gli omicidi, che non hanno carità, i fornicatori, che si crogiolano nei piaceri della carne, i venefici, che cercano i beni altrui ingiustamente, gli idolatri, che si prostituiscono bruciando incenso alle creature e cercando il fumo degli onori, e tutti i bugiardi, che sono figli del diavolo, avranno la loro parte nel lago ardente con fuoco e zolfo, che è la seconda morte, la morte eterna. – Dopo aver annunciato un nuovo cielo e una nuova terra, San Giovanni ce ne dà una descrizione sotto la figura della Gerusalemme celeste.

§ II.

Della Gerusalemme celeste.

CAPITOLO XXI. – VERSI 9-27.

Et venit unus de septem angelis habentibus phialas plenas septem plagis novissimis, et locutus est mecum, dicens: Veni, et ostendam tibi sponsam, uxorem Agni. Et sustulit me in spiritu in montem magnum et altum, et ostendit mihi civitatem sanctam Jerusalem descendentem de cœlo a Deo, habentem claritatem Dei: et lumen ejus simile lapidi pretioso tamquam lapidi jaspidis, sicut crystallum. Et habebat murum magnum, et altum, habentem portas duodecim: et in portis angelos duodecim, et nomina inscripta, quæ sunt nomina duodecim tribuum filiorum Israel: ab oriente portæ tres, et ab aquilone portae tres, et ab austro portae tres, et ab occasu portae tres. Et murus civitatis habens fundamenta duodecim, et in ipsis duodecim nomina duodecim apostolorum Agni. Et qui loquebatur mecum, habebat mensuram arundineam auream, ut metiretur civitatem, et portas ejus, et murum. Et civitas in quadro posita est, et longitudo ejus tanta est quanta et latitudo: et mensus est civitatem de arundine aurea per stadia duodecim millia: et longitudo, et altitudo, et latitudo ejus æqualia sunt. Et mensus est murum ejus centem quadraginta quatuor cubitorum, mensura hominis, quæ est angeli. Et erat structura muri ejus ex lapide jaspide: ipsa vero civitas aurum mundum simile vitro mundo. Et fundamenta muri civitatis omni lapide pretioso ornata. Fundamentum primum, jaspis: secundum, sapphirus: tertium, calcedonius: quartum, smaragdus: quintum, sardonyx : sextum, sardius: septimum, chrysolithus: octavum, beryllus: nonum, topazius: decimum, chrysoprasus: undecimum, hyacinthus: duodecimum, amethystus. Et duodecim portæ, duodecim margaritæ sunt, per singulas: et singulae portœ erant ex singulis margaritis: et platea civitatis aurum mundum, tamquam vitrum perlucidum. Et templum non vidi in ea: Dominus enim Deus omnipotens templum illius est, et Agnus. Et civitas non eget sole neque luna ut luceant in ea, nam claritas Dei illuminavit eam, et lucerna ejus est Agnus. Et ambulabunt gentes in lumine ejus: et reges terrae afferent gloriam suam et honorem in illam. Et portæ ejus non claudentur per diem: nox enim non erit illic.  Et afferent gloriam et honorem gentium in illam. Non intrabit in eam aliquod coinquinatum, aut abominationem faciens et mendacium, nisi qui scripti sunt in libro vitæ Agni.

[E venne uno dei sette Angeli che avevano sette coppe piene delle sette ultime piaghe, e parlò con me, e mi disse: Vieni, e ti farò vedere la sposa, consorte dell’Agnello. E mi portò in ispirito sopra un monte grande e sublime, e mi fece vedere la città santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo dappresso Dio, la quale aveva la chiarezza di Dìo : e la luce di lei era simile a una pietra preziosa, come a una pietra di diaspro, come il cristallo.  Ed aveva un muro grande ed alto che aveva dodici porte: e alle porte dodici An- geli, e scritti sopra i nomi, che sono i nomi delle dodici tribù di Israele. A oriente tre porte : a settentrione tre porte : a mezzogiorno tre porte: e a occidente tre porte. “E il muro della città aveva dodici fondamenti, ed in essi i dodici nomi dei dodici Apostoli dell’Agnello. E colui che parlava con me aveva una canna d’oro da misurare, per prendere le misure della città e delle porte e del muro. E la città è quadrangolare, e la sua lunghezza è uguale alla larghezza: e misurò la città colla canna d’oro in dodici mila stadi : e la lunghezza e l’altezza e la larghezza di essa sono uguali. E misurò il muro di essa in cento quarantaquattro cubiti, a misura d’uomo, qual è quella dell’Angelo. E il suo muro era costrutto di pietra di diaspro: la città stessa poi (era) oro puro simile a vetro puro. E i fondamenti delle mura della città (erano) ornati di ogni sorta di pietre preziose. Il primo fondamento, il diaspro: il secondo, lo zaffiro: il terzo, il calcedonio: il quarto, lo smeraldo: il quinto, il sardonico: il sesto, il sardio: il settimo, il crisolito: l’ottavo, il berillo: il nono, il topazio: il decimo, il crisopraso: l’undecimo, il giacinto: il duodecimo, l’ametisto. E le dodici porte erano dodici perle: e ciascuna porta era d’una perla: e la piazza della città oro puro, come vetro trasparente. E non vidi in essa alcun tempio. Poiché il Signore Dio onnipotente e l’Agnello è il suo tempio. E la città non ha bisogno di sole, né dì luna che risplendano in essa: poiché lo splendore di Dio la illumina, e sua lampada è l’Agnello. E le genti cammineranno alla luce di essa: e i re della terra porteranno a lei la loro gloria e l’onore. E le sue porte non si chiuderanno di giorno: perché ivi non sarà notte. E a lei sarà portata la gloria e l’onore delle genti. Non entrerà in essa nulla d’immondo, o chi commette abbominazione o menzogna, ma bensì coloro che sono descritti nel libro della vita dell’Agnello.]

I. Vers. 9. – E uno dei sette Angeli che avevano le sette coppe piene delle ultime piaghe venne e mi parlò, dicendo: Vieni, e io ti mostrerò quella che è la sposa dell’Agnello. Questo Angelo rappresenta tutti gli altri Angeli che tenevano le sette coppe piene delle ultime piaghe. Come è consolante questo Angelo, che prima era così terribile! O Dio onnipotente, quanto siete severo nei vostri giudizi, ma quanto siete magnifico nelle vostre ricompense! Questo Angelo è il vostro braccio destro che colpisce i peccatori e premia i giusti. Per quanto la vostra voce fosse tuonante prima, tanto il vostro linguaggio è dolce e consolante ora che gli ultimi peccatori sono stati convertiti, e tutti i giusti, da Abele all’ultimo dei martiri, sono riuniti per ricevere le carezze dello Sposo. Quest’Angelo venne dunque da San Giovanni e, dopo aver deposto il calice del vino dell’ira di Dio, gli parlò e gli disse: Vieni e ti mostrerò colei che è la sposa dell’Agnello.

II. Vers. 10E mi trasportò in spirito su un monte grande e alto, e mi mostrò Gerusalemme, la città santa, che scendeva dal cielo da Dio. – Questa montagna è una figura della grandezza e dell’elevazione di un’anima, alla quale Dio comunica le sue grazie per elevarla nelle regioni celesti. Questa montagna è sola, perché è solo la potenza di Dio che è capace di innalzarci così in alto. E San Giovanni ci dice espressamente che fu portato lassù in spirito, per farci capire che è con lo spirito, e non con la carne, che possiamo ascendere fino al cielo. Anche il nostro corpo è destinato a salire un giorno in queste alte regioni; ma sarà solo dopo che ci saremo spiritualizzati, per così dire, tagliando con la scure della mortificazione tutti i rami e le radici che ci tengono quaggiù e ci legano alla terra. Dopo essere arrivati in spirito su una grande e alta montagna, sulla montagna o sulla potenza di Gesù Cristo e della sua Chiesa, e dopo essere saliti per virtù di Dio al di sopra di tutte le altre montagne, al di sopra delle potenze terrene che erano appena scomparse nelle ultime piaghe, San Giovanni vide non più Gerusalemme, la grande Babilonia, ma la Gerusalemme celeste, la città santa, che scese da Dio dal cielo. Proprio come la grande Babilonia era sorta dalla terra, così la Gerusalemme celeste veniva da Dio. Lucifero era il re di quella, ed è Gesù Cristo, il Re dei re, che regna in questa. Se la potenza di Babilonia proveniva dall’inferno, la bellezza, la grandezza e la magnificenza della Gerusalemme celeste venivano dal cielo.

III. Vers. 11. – Questa città santa era illuminata dallo splendore di Dio, e la sua luce era come una pietra preziosa, come una pietra di diaspro trasparente come un cristallo. O ineffabile luce di Dio, dolce come la sua grazia, pura come la sua santità e giustizia, brillante come la sua gloria, e benefica come la sua misericordia e bontà! E la sua luce era come una pietra preziosa, come una pietra di diaspro, trasparente come il cristallo. Il diaspro è una pietra preziosa molto dura, il cui colore verdastro varia estremamente. Ora, questa solidità del diaspro rappresenta l’eternità della luce divina, e questa estrema varietà di colori rappresenta gli infiniti attributi di Dio. Inoltre, questa pietra era trasparente come il cristallo, per rappresentare la purezza di quella luce eterna in cui i Santi potranno vedere Dio come è. Essi ne godranno secondo l’ampiezza delle facoltà di cui ognuno di loro è dotato. E questa luce brillerà eternamente nei loro occhi, che non si stancheranno mai di contemplarla. Più la vedranno, più vorranno goderne; e tutti i loro desideri saranno soddisfatti in essa, perché la luce eterna li illuminerà e li aiuterà a contemplare le bellezze della luce eterna. Saranno come assorbiti per sempre nelle profondità infinite della felicità e della gloria di Dio stesso.

Vers. 12. – Questa città santa aveva una muraglia di grande altezza, dodici porte, dodici Angeli alle porte e nomi scritti, che erano i nomi delle dodici tribù dei figli d’Israele. Questa muraglia della città santa è la fede di Gesù Cristo, le cui fondamenta sono i dodici Apostoli, secondo lo stesso testo (vers. 14): « Il muro della città aveva dodici fondamenta, e su di esse i dodici nomi degli Apostoli dell’Agnello. » E come la fede di Gesù Cristo, unita alla pratica delle buone opere, fa salire gli eletti al cielo, poiché secondo San Paolo, è la fede che ci giustifica, (Rom . V, 1): « Giustificati dunque per fede, etc. », San Giovanni ha ragione nel dirci che questa muraglia fosse di grande altezza. Questa muraglia deve essere costruita con pietre preziose, poiché esse rappresentano la fede, che produce le buone opere e le virtù dei Santi; e queste virtù e buone opere, così poco conosciute nel mondo attuale e nascoste nelle profondità della terra e nel seno delle montagne, che sono le potenze del mondo, devono essere scoperte e scelte all’aperto, ciascuna secondo le sue qualità ed il suo valore intrinseco, per servire nella costruzione di questa muraglia. Perché se la fede produce buone opere, le buone opere mantengono ed elevano la fede. Questa muraglia sarà innalzata ad una grande altezza e formerà il recinto della città celeste. Il cemento di questo muro sarà solido e durevole quanto la ragione che lega la fede alle buone opere e le buone opere alla fede. Infatti, come abbiamo appena detto, è la fede che produce e vivifica le buone opere, e sono le buone opere che mantengono e rafforzano la fede, secondo le parole dell’Apostolo: « Il giusto vive per la fede. » Le dodici porte attraverso le quali si può entrare in questa città rappresentano i dodici Apostoli secondo San Girolamo e Sant’Agostino. Perché gli Apostoli, nel diffondere la fede di Gesù Cristo sulla terra, furono veramente le porte attraverso le quali le dodici tribù dei figli d’Israele entrarono nella città santa. E queste dodici tribù i cui nomi sono scritti su queste porte, rappresentano tutti gli eletti. E dodici Angeli alle porte. Questi Angeli sono i dodici capi delle tribù d’Israele.

IV. Vers. 13. – E questa città aveva tre porte ad Oriente, tre a Settentrione, tre a Mezzogiorno, e tre ad Occidente. 1º Queste porte distribuite così verso le quattro parti principali del mondo sono una figura sensibile dell’estensione del regno di Gesù Cristo su tutta la faccia della terra e della facilità con cui Egli offre a tutti gli uomini di entrare nel suo regno. 2° Si allude qui alla disposizione delle dimore delle dodici tribù di cui si è parlato nel libro dei Numeri, II. Vedere anche Ezechiele, XLVIII. Bisogna notare l’ordine in cui sono indicate queste parti del mondo; perché questo ordine sembra coincidere con la diffusione della fede e la conversione delle nazioni nelle varie epoche della Chiesa. Queste porte, divise in quattro categorie, alludono di nuovo al Vangelo di San Matteo XX, in cui il giorno di dodici ore è anche diviso in quattro parti di tre ore ciascuna, come anche la città è divisa in quattro parti, ciascuna delle quali ha tre porte; e tutte queste parole sono figure relative al tempo e all’eternità. Vediamo in questo Vangelo di San Matteo che i primi chiamati saranno gli ultimi, saranno i meno rappresentati nel regno di Dio; perché ci sono molti chiamati e pochi eletti tra coloro che dovevano entrare attraverso le prime tre porte in Oriente. Infatti, i Giudei sono stati i primi ad essere chiamati ad entrare nella Chiesa di Gesù Cristo, ma saranno gli ultimi a farlo; e siccome durante tutto il corso delle età della Chiesa, i Giudei saranno stati dispersi in tutte le regioni del mondo, potendo sempre entrare nella città santa attraverso tutte le porte, e poiché tuttavia non vi saranno entrati fino alla fine dei secoli, Gesù Cristo ha ragione di dirci che i primi saranno gli ultimi, e che questi ultimi saranno numericamente pochi rispetto alla massa di coloro che saranno periti nel corso delle epoche. «Perché molti sono chiamati, ma pochi sono gli eletti ».

V. Vers. 14. – Il muro della città aveva dodici fondamenta, e su di esse i dodici nomi degli Apostoli dell’Agnello. Infatti, sono stati gli Apostoli a porre le fondamenta della Chiesa in modo così solido che essa esisterà per tutta l’eternità. E poiché la pietra principale, la pietra d’angolo di questo edificio era l’Agnello sacrificato per i peccati del mondo, San Giovanni ha ragione di aggiungere: E su di esse sono i dodici nomi degli Apostoli dell’Agnello. Bisogna notare che San Giovanni parla espressamente dei nomi degli Apostoli, per farci capire meglio che si tratta dei dodici Apostoli dell’Agnello che hanno stabilito e propagato la fede di Gesù Cristo.

VI. Vers. 15. – E colui che mi parlava aveva una verga d’oro per misurare la città, le porte e le mura.

Vers. 16. E la città fu costruita in forma di quadrato, tanto lunga quanto larga. E misurò la città con la sua verga d’oro fino a dodicimila stadi, e la sua lunghezza e altezza erano uguali. L’Angelo delle piaghe che parlava a San Giovanni aveva in mano una canna, cioè una misura d’oro, per misurare la città, le porte e le mura. Si dice che questa misura fosse d’oro; e sappiamo che l’oro rappresenta la carità, che significa, in questa circostanza, l’amore e la misericordia di Dio nella distribuzione delle sue ricchezze eterne. Ora, come Dio è rigoroso nella sua giustizia e severo nei suoi giudizi, così magnifico e generoso è nel suo amore e nelle sue ricompense. Ecco perché la città santa che egli destina ai suoi eletti sarà di estensione prodigiosa, e poiché questa città sarà la dimora della gloria e della felicità eterna, si deve supporre che la sua popolazione sarà proporzionata ed anche maggiore di quella della città più fiorente. Da questo possiamo concludere che il numero dei beati in cielo sarà molto grande. Infatti, Dio disse ad Abramo, il padre degli eletti, Gen. XXII, 17: « Io ti benedirò e moltiplicherò la tua discendenza come le stelle del cielo e come la sabbia sulla riva del mare; la tua discendenza possederà le porte dei loro nemici e tutte le nazioni della terra saranno benedette in Colui che uscirà da te (in Gesù Cristo), perché tu hai obbedito alla mia parola. (Ibidem, XVII, 6): « Ti farò crescere con molta abbondanza e ti renderò il capo delle nazioni; e da te usciranno dei re. E stabilirò la mia alleanza con te e, dopo di te, con la tua progenie per tutte le loro generazioni, con un’alleanza eterna; affinché Io sia il tuo Dio e il Dio della tua progenie dopo di te. »  Faremmo un’ingiustizia al Dio di ogni bontà se credessimo che la sua misericordia cedesse alla sua giustizia; e poiché la misericordia è un attributo di Dio, che lo porta a perdonare all’infinito, dobbiamo sperare, se facciamo penitenza, e se combattiamo legittimamente le battaglie del Signore, dobbiamo sperare, diciamo, per l’infinita misericordia di Dio e per la fede e i meriti di Gesù Cristo, di essere ammessi un giorno nella città celeste, che sarà di estensione prodigiosa. Perché quando Gesù Cristo, nella sua rivelazione, ci dà la misura di esso, vediamo che avrà 160.000 leghe quadrate, e che la sua altezza sarà uguale ai lati. Ora è ripugnante supporre che una città così grande non sarà popolata in proporzione alla sua estensione. Tuttavia, poiché non sappiamo se siamo degni di amore o di odio, secondo l’Ecclesiaste, (IX), e che tutte le cose sono incerte e saranno conservate per il futuro, continuiamo a servire il Signore con timore e tremore, sperando nella sua infinita misericordia. Seguiamo l’esempio e l’ammonizione di San Paolo: perché questo Apostolo sapeva bene cosa debba costare il regno di Dio nelle pene, lui che fu assunto in spirito al terzo cielo. Ecco perché « egli sacrificò tutto, finanche la sua vita per ottenere questo regno. » – « Io faccio tutte queste cose per amore del Vangelo, per averne parte », ci dice nella sua lettera ai Corinzi, (I Cor. IX, 24); e poi aggiunge: « Non sapete che quando uno corre nella corsa, tutti corrono, ma solo uno vince il premio? Corri, dunque, affinché tu possa vincere. Ora tutti gli atleti vivono nell’esatta temperanza, eppure è solo per vincere una corona corruttibile, invece di quella incorruttibile che noi aspettiamo. Ma io corro, e non corro a caso; combatto, non come se colpissi l’aria, ma castigo severamente il mio corpo e lo porto in schiavitù, per evitare che, avendo predicato ad altri, io stesso sia riprovato. Per questo io non voglio che ignoriate, fratelli miei, che i nostri padri erano tutti sotto la nube, che mangiavano tutti la stessa carne misteriosa, e tuttavia, c’erano pochi tra un gran numero che erano graditi a Dio, ed infatti, perirono nel deserto. Ora tutte queste cose (dette ai Giudei) erano figure di ciò che ci riguarda, affinché non ci abbandoniamo a desideri malvagi, come si abbandonarono loro. Non diventate idolatri come alcuni di loro, dei quali sta scritto: Il popolo si sedette per mangiare e bere e si alzò per divertirsi. Non commettiamo la fornicazione, come fecero alcuni di loro, cosicché ne morirono ventitremila in un giorno. Non tentiamo Gesù Cristo, come lo tentarono alcuni di loro, che furono uccisi dai serpenti. Non mormorate, come mormorarono alcuni di loro, che furono colpiti dall’Angelo distruttore. Ora tutte queste cose che accaddero loro erano figure, e furono scritte per istruire noi che siamo alla fine dei tempi. Chi pensa di essere saldo, faccia attenzione a non cadere. » Questi sono i preziosi avvertimenti che San Paolo ci dà, avvertimenti che sono del massimo interesse per il nostro futuro nell’eternità. E come sarà questa eternità per noi? Saremo portati, come Lazzaro, nel seno di Abramo dalle mani degli Angeli per entrare a far parte delle dodici tribù dei figli d’Israele, o saremo precipitati, come il ricco cattivo, nell’abisso dell’inferno? Nessuno di noi può saperlo. Degni di odio o di amore; vittime forzate che il Signore rifiuta, o figli amati che chiama a sé; vasi di ignominia e di ira, o vasi di onore e di misericordia? Portiamo, come Uria, le nostre lettere sigillate; nessuno di noi può rispondere della sua sorte. Ma confortiamoci nel fatto che se siamo stati servi vigili e fedeli durante la nostra vita, Gesù Cristo ci assicura il suo regno alla nostra morte; e se, come le vergini sagge, teniamo le nostre lampade accese all’arrivo dello sposo, la sala delle nozze ci sarà aperta. Ascoltiamo San Paolo, che ci promette che se combattiamo con coraggio, ci sarà data una corona di giustizia dal più giusto dei giudici. Ascoltiamo anche San Giovanni, che ci dice che lo spirito di Dio testimonierà al nostro, che siamo figli del Signore, e che, anche se siamo incerti sulla nostra sorte, Egli ci concederà tutto ciò che gli chiederemo secondo la sua volontà, poiché già noi siamo stati esauditi in tanti casi.

VII. E misurò la città con la sua verga d’oro fino a dodicimila stadi, e la sua lunghezza e larghezza ed altezza sono uguali. Come è stato detto, questi dodicimila stadi corrispondono alle dodici tribù d’Israele, che rappresentano la massa degli eletti, così che ogni tribù occuperà mille stadi in lunghezza, in larghezza e altezza. Ci vogliono dieci stadi per fare un miglio romano, secondo il calcolo di Lucio Florus. (Vedi Martini, Nuovo Testamento, pagina 836) e sappiamo che tre miglia romane sono circa una lega di Francia. Da ciò possiamo concludere che questa città misurerà 160.000 leghe quadrate. Ma non dobbiamo dimenticare che Dio, volendo dare agli uomini un’idea delle cose celesti, fa uso di comparazioni tratti dal linguaggio degli uomini e delle cose terrene, così che questa figura della città celeste deve essere ammessa solo come figura, o per la sua forma, o per la sua estensione, o per i materiali di cui è costruita, o, infine, per coloro che dovrebbero essere i suoi abitanti, etc.

VIII. Vers. 17. – E misurò il muro, che era di centoquarantaquattro cubiti, la misura di un uomo, che era quella dell’Angelo. Questi centoquarantaquattro cubiti di misura dell’uomo corrispondono di nuovo alle dodici tribù d’Israele che rappresentano tutti gli eletti, perché 12 x 12 = 144. E siccome questa misura è una misura d’uomo, e siccome la misura del muro non è indicata in modo tale da poterla misurare, poiché l’Apostolo non dice se deve essere misurata in altezza, o in lunghezza, o in larghezza, si deve concludere che questa misura è indicata solo per misurare i posti che gli eletti occuperanno nel recinto delle muraglie della città. Abbiamo visto, inoltre, che questa muraglia rappresenta la fede; ora, gli effetti della fede sono incommensurabili e persino infiniti. Così questa misura dell’uomo, il cui numero corrisponde così esattamente al numero delle dodici tribù d’Israele, non è indicata se non per mostrarci che tutti i posti in paradiso sono contati, misurati e conosciuti dall’eterna prescienza di Dio, che nessuno di questi posti rimarrà vuoto, e che ognuno degli eletti occuperà il suo secondo la misura determinata di santità e di giustizia che avrà acquisito. Infine, questa misura indica un quadrato perfetto, come simbolo di perfezione.

Vers . 18. – Il muro era costruito in pietra di diaspro, ma la città era d’oro finissimo, come vetro di grande purezza. Il paragone contenuto in questo versetto è veramente ammirevole; perché, come abbiamo visto, questa muraglia della città santa rappresenta la fede. Ora, come una muraglia difende l’ingresso di una città e protegge i suoi abitanti, così la fede serve da bastione per la Chiesa e protegge i fedeli. E chi entrasse nella Chiesa altrimenti che attraverso le sue dodici porte, che sono gli Apostoli e la loro dottrina, troverebbe un muro di altezza infinita come la fede, e solido come il diaspro, che è una pietra molto dura e che rappresenta l’eternità. Abbiamo detto che questa muraglia protegge i fedeli; da qui queste parole di San Paolo (Rom. VIII, 31): « Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? » Perché Dio è per noi se abbiamo fede, secondo la promessa fatta ad Abramo, il padre dei credenti (Gen. XVII, 7): « Io stabilirò la mia alleanza con te e, dopo di te, con i tuoi discendenti, per tutte la loro generazioni, con un’alleanza eterna; affinché Io sia il tuo Dio e il Dio dei tuoi discendenti dopo di te. » Allora la fede ci dà la speranza di cose celesti e infinite. Ecco perché si dice che questo muro è fatto di diaspro, che è una pietra preziosa, di un colore verdastro, le cui sfumature variano estremamente, perché il verde è il colore della speranza, e questo colore verdastro del diaspro, che varia estremamente, è di nuovo una figura di speranza di cose celesti ed infinite. Ma non è tutto: la fede ci conduce all’amore di Gesù Cristo, ed è in questo che diventa una muraglia impenetrabile per i nemici ed infinitamente potente per proteggere i fedeli, secondo San Paolo (Rom. VIII, 35): « Chi dunque ci separerà dall’amore di Gesù Cristo? L’afflizione, l’angoscia, la fame, la nudità, il pericolo, la persecuzione o la spada. Come sta scritto: siamo ogni giorno consegnati alla morte per causa tua; siamo considerati come pecore da macello. Ma in mezzo a tutti questi mali noi vinciamo per la virtù di colui che ci ha amato. Perché io sono sicuro che né la morte né la vita, né gli angeli, né i principati, né le potenze, né le cose presenti né quelle future. Perché io sono sicuro che né la morte, né la vita, né gli angeli, né i principati, né le potenze, né le cose presenti, né le cose future, né la violenza, né tutto ciò che è di più alto o di più profondo, né qualsiasi altra creatura, potrà mai separarci dall’amore di Dio in Cristo Gesù nostro Signore. » Così la fede, che ci dà speranza e ci conduce all’amore di Gesù Cristo, diventa uno scudo e persino una muraglia impenetrabile ai nemici, e infinitamente potente per proteggere i fedeli. E il muro fu costruito di diaspro, cioè di una sola pietra, per rappresentare l’unità della fede. Di diaspro, cioè di pietra molto dura, per rappresentare la fermezza, l’invariabilità, la solidità e la perpetuità della fede. E la fede cristiana è paragonata ad una muraglia, perché, come il muro di una città ne forma il recinto, così la fede in Gesù Cristo è come il recinto che racchiude l’amore di Dio e del prossimo. Poi, come la carità è una virtù più grande della fede e della speranza, rappresentata dal diaspro, secondo San Paolo, (I. Cor. XIII, 13): « Fede, speranza e carità ora rimangono; esse sono tre; ma la più grande delle tre è la carità. » Così San Giovanni, dopo aver paragonato la fede e la speranza al muro di diaspro che circonda la città, rappresenta la carità con la città stessa, volendo farci intendere la superiorità di questa virtù sulle altre due; e aggiunge: Ma la città era d’oro finissimo, come vetro di grande purezza. Così la fede e la speranza sono inferiori alla carità, come il muro di una città è inferiore alla città stessa. Dobbiamo fare attenzione a non applicare questa osservazione agli Apostoli, che hanno fondato il muro ma non sono il muro stesso. La fede e la speranza sono inferiori alla carità, soprattutto in quanto le prime due scompariranno, mentre la seconda rimarrà in eterno. E anche se la fede e la speranza devono scomparire, San Giovanni ha fatto bene a lasciare in piedi il muro che le rappresenta, perché questo muro separerà i buoni dai cattivi per tutta l’eternità, proprio come li ha separati nel tempo. Poiché è scritto: « E le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa ». Inoltre, le pietre di questo muro sono le buone opere, e queste buone opere sono una sola pietra, perché le buone opere ne sono una sola nella fede di Gesù Cristo, e questa pietra resterà in piedi per sempre, perché è scritto, Apoc. XIV, 13: « Beati coloro che muoiono nel Signore. D’ora in poi, dice lo Spirito, si riposeranno dalle loro fatiche, perché le loro opere li seguono. » Infine, il muro di una città può essere visto da lontano, soprattutto se è grande; per questo la Chiesa è paragonata a una città. Infatti la Chiesa è visibile a tutti attraverso i quattro segni che la distinguono. 1° Poiché la Chiesa è una, cattolica, apostolica e santa, come la città di cui si tratta. Infatti, questa città celeste sarà una sola, poiché tutti i beati vi saranno riuniti in Dio. 2° Essa sarà cattolica, perché tutti, nel corso delle età, vi avranno avuto accesso. 3°. Sarà apostolica, perché è detto: Il muro della città aveva dodici fondamenta e su di esse i dodici nomi degli Apostoli dell’Agnello. 4. Infine, sarà santa, perché è detto: E io, Giovanni, vidi la città santa scendere dal cielo. Ma la città era d’oro finissimo, come vetro di grande purezza.  Si sa che l’oro rappresenta la carità, e questa carità dei beati sarà come l’oro più fine e più puro, poiché è detto al versetto 27 dello stesso capitolo, parlando di questa città: Niente di impuro entrerà in essa. – La città era simile a del vetro di grande purezza. Abbiamo visto, nel corso di quest’opera, che il Battesimo è paragonato ad un mare di vetro; così questo passaggio è una conferma di ciò che Gesù Cristo ci dice nel Vangelo sulla necessità assoluta del battesimo per purificarci (Jo. III, 5): « In verità, in verità vi dico che se uno non nasce da acqua e da Spirito Santo, non può entrare nel regno di Dio. »

IX. Vers. 19. – E le fondamenta della muraglia della città erano ornate con ogni sorta di pietre preziose. La prima fondazione era di diaspro, la seconda di zaffiro, il terzo di calcedonio, il quarto di smeraldo.

Vers. 20. – E il quinto di sardonico, il sesto di sardio, il settimo di crisolito, l’ottavo di berillo, il nono di topazio, il decimo di crisoprasio, l’undicesimo di giacinto, il dodicesimo di ametista. Queste dodici fondamenta della muraglia, che rappresenta la fede, sono gli Apostoli. E queste fondamenta, che San Giovanni descrive, erano adornate con ogni sorta di pietre preziose, che rappresentano tutti i doni dello Spirito Santo con i quali gli Apostoli erano particolarmente arricchiti e provveduti con più abbondanza. Questi doni sono paragonati a tutti i tipi di pietre preziose secondo le qualità particolari di ciascuna di queste pietre. E come tutti gli Apostoli si distinguono tra di loro per delle qualità più o meno speciali, San Giovanni designa queste qualità di ciascuno degli Apostoli con le pietre preziose che le rappresentano. Ecco perché queste pietre sono indicate nello stesso ordine degli Apostoli stessi. Così San Pietro, che è il primo di tutti, è paragonato al diaspro, cioè alla stessa pietra di cui è costruita la muraglia della città, che è la fede.  Da qui le parole che Gesù Cristo gli rivolse quando fondò la sua Chiesa, (Matth. XVI, 18): « Io ti dico che tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. » La seconda pietra di colore blu [zaffiro] rappresenta San Paolo che è salito al terzo cielo, ecc. Queste dodici pietre preziose erano rappresentate nell’Antico Testamento dalle dodici pietre del Razionale. Un interprete parlando di queste pietre preziose dice elegantemente: La pietra preziosa è un simbolo affascinante. Le pietre di questa natura sono più durevoli del sasso e dei metalli. sfidano il tempo, sovrano distruttore di tutto ciò che è deperibile; occupano poco posto nello spazio. Esse si abbeverano della più sottile di tutte le cose inanimate, la luce, e poi la irradiano in torrenti di colori brillanti. Questa è l’immagine delle anime perfette che si abbeverano alla luce della verità eterna e che sono infiammate dal fuoco dell’amore divino.

X. Vers. 21.E le dodici porte erano dodici perle; e ogni porta era fatta di ogni perla, e il luogo della città era d’oro puro come vetro trasparente. O grandezza e potenza di Dio, quale linguaggio potrebbe mai esprimere la magnificenza e lo splendore delle vostre opere! O bellezza ineffabile della città santa, di quell’immensa Gerusalemme celeste, le cui porte saranno fatte di una sola perla, e il luogo sarà d’oro puro come vetro trasparente! Le parole di questo versetto sono particolarmente notevoli in quanto ci fanno capire che la città di cui si parla in questo capitolo è solo una figura, per cui Dio si serve di cose visibili e materiali, per darci un’idea di come sarà il paradiso, la cui gloria e felicità non saremo in grado di comprendere finché rimarremo sulla terra, poiché sta scritto (I. Cor., II, 9): « Occhio non ha visto, né orecchio ha udito, né il cuore dell’uomo ha compreso ciò che Dio ha preparato per coloro che lo amano.» Diciamo quindi che queste parole ci fanno capire che qui si tratta solo di una figura. Infatti, queste dodici perle rappresentano i dodici Apostoli che sono le porte della città e le fondamenta del muro, come è detto altrove. E le dodici porte erano dodici perle, cioè i dodici Apostoli secondo San Girolamo e Sant’Agostino. E il luogo della città era d’oro puro come il vetro trasparente. Come possiamo vedere, San Giovanni applica alla città le qualità che sono proprie del popolo che la comporrà, dal che dobbiamo concludere che tutte queste bellezze e questa magnificenza che egli attribuisce alla città devono essere intese in senso mistico. Le parole che seguono rendono la nostra idea ancora più sensibile, poiché San Giovanni aggiunge:

XI. Vers. 22. E non vidi alcun tempio nella città, perché il Signore Dio Onnipotente e l’Agnello sono il tempio, come gli Apostoli e tutti i Santi ne sono la città. San Giovanni ci lascia intravedere cosa queste parole sottendano queste parole. E non vidi una città, ma l’aspetto di una città, perché gli eletti sono la città stessa. San Giovanni non ha visto un tempio nella città, e perché? Perché il Signore Dio Onnipotente e l’Agnello sono il tempio. Ora, poiché Dio è immenso ed è il tempio di questa città, ne segue che questa città è in Dio come Dio è nella città, ed è così che i beati vedranno Dio così com’è. Da qui le parole di San Paolo, (1 Corinzi XIII, 12): « Noi vediamo Dio ora solo come in uno specchio e sotto immagini oscure, ma allora lo vedremo faccia a faccia. Ora lo conosco solo imperfettamente, ma allora lo conoscerò come sono conosciuto da Lui. » Ora, conoscere Dio, secondo il linguaggio della Scrittura, è godere di Lui; e godere di Dio è godere di una felicità immensa nelle sue perfezioni ed eterna nella sua durata. Questo è ciò che vediamo in queste parole: Perché il Signore Dio Onnipotente e l’Agnello sono il tempio. – Perché San Giovanni parla ora dell’Agnello, e perché dice che è anche il tempio? Ne troviamo la ragione nell’Umanità di Gesù Cristo che è l’Agnello immolato per i peccati del mondo e per la salvezza dei suoi. Ora, l’unione dell’Umanità di Gesù Cristo con i corpi dei fedeli sarà simile all’unione che esisterà tra il Signore Dio Onnipotente e le anime dei beati. E come questa unione di spiriti inizia quaggiù con la fede, è rafforzata dalla speranza e si perfeziona con la carità; così l’unione dei corpi è realmente stabilita quaggiù sotto le specie eucaristiche, e continuerà ad esistere in cielo, senza il velo della fede, e nella pienezza della felicità. E così l’Agnello sarà il tempio, secondo le parole dell’Apostolo, (II Cor. VI, 16): « Voi siete il tempio del Dio vivente, secondo quanto dice Dio stesso: Io abiterò in loro e camminerò in mezzo a loro; Io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo. »

XII. Vers. 23. – E la città non ha bisogno del sole o della luna per dare luce, perché la gloria di Dio la illumina e l’Agnello è la sua torcia. Questo verso è una continuazione della stessa idea, e vediamo che tutto ciò che ci ricorda gli oggetti materiali e corruttibili scompare nel contesto, per essere sostituito dall’Essere infinito stesso, che prenderà il posto di tutto, e sarà l’unico oggetto della gloria e della felicità eterna dei beati. Ed è così che la città non ha bisogno del sole o della luna per essere illuminata, perché la gloria di Dio la illumina, e l’Agnello è la sua torcia. Queste parole sono al presente, perché i Santi della Chiesa trionfante stanno già godendo di questa luce eterna. Gli stessi eletti saranno così cambiati e trasformati che i loro corpi diventeranno corpi spirituali; poiché la carne e il sangue non possono possedere il regno di Dio, e la corruzione non possiederà questa eredità incorruttibile. Potresti pensare, caro lettore, che stiamo esagerando, ma ascolta le parole dell’Apostolo che è stato elevato al terzo cielo, e capirai ancora meglio la felicità che ti aspetta se sei fedele al Signore (I. Cor. XV, 35): « Ma come risorgeranno i morti e con quale corpo ritorneranno? Insensati che siete, ciò che seminate non prende vita se non muore prima. E ciò che si semina non è il corpo stesso come deve essere un giorno, ma solo il grano, ad esempio di frumento o di qualsiasi altro seme. E Dio dà a questo grano un corpo come gli piace, e dà ad ogni seme il corpo che gli è proprio. Tutta la carne non è la stessa carne; ma altra è la carne degli uomini, altra è la carne delle bestie, altra è la carne degli uccelli, altra è la carne dei pesci. »  L’Apostolo vuole farci capire che Dio nella sua onnipotenza può anche cambiare il nostro corpo terreno in uno celeste; ecco perché continua in questi termini: « Perché ci sono anche corpi celesti e corpi terreni, ma i corpi celesti hanno una lucentezza diversa da quelli terreni. Il sole ha la sua luminosità, la luna ha la sua luminosità, e le stelle hanno la loro luminosità; e tra le stelle, una è più luminosa dell’altra. Sarà lo stesso nella resurrezione dei morti. Il corpo è ora seminato nella corruzione, ma risorgerà incorruttibile. È seminato nella vergogna e risorgerà nella gloria. È seminato nell’infermità e risorgerà nella forza. Egli è seminato nel corpo animale e risorgerà nel corpo spirituale. Come c’è un corpo animale, così c’è un corpo spirituale, come è scritto: « Adamo, il primo uomo fu creato con un’anima vivente, e il secondo Adamo fu riempito di uno spirito vivificante. » Quindi vediamo che lo stato della natura di Adamo era ben diversa da quella della nostra natura e della sua dopo il peccato; perciò l’Apostolo aggiunge: « E il secondo fu riempito di uno spirito vivente », (essendo stato rigenerato nel battesimo.) « Ma non è il corpo spirituale che è stato formato per prima; ma il corpo animale, ed im seguito quello spirituale » Così da queste ultime parole dobbiamo concludere che questo corpo animale di Adamo, sebbene dotato di un’anima vivente prima del suo peccato, non era però in uno stato così perfetto come sarà in seguito alla sua rigenerazione. Infatti l’Apostolo aggiunge: « Il primo uomo (cioè Adamo, prima del suo peccato) è quello terreno, formato dalla terra; il secondo (cioè l’uomo rigenerato) è quello celeste, che è del cielo. Ecco perché la Chiesa canta del peccato di Adamo: « 0 felix culpa quæ tantum meruit habere Redemptorem! 0 felice colpa che ci ha dato un così grande Redentore! ». Perché Dio, che sa trarre il bene dal male, vendicò l’uomo della gelosia del serpente distruggendo la sua creatura caduta e portandola in uno stato ancora più perfetto di come l’aveva creata. Poi l’Apostolo continua: « Come il primo uomo (Adamo) era terreno, così i suoi figli sono pure terreni; e come il secondo (Gesù Cristo) è celeste, così i suoi figli sono pure celesti. Come abbiamo portato l’immagine dell’uomo terreno, così portiamo l’immagine dell’uomo celeste. Ora quello che voglio dire, fratelli miei, è che la carne e il sangue non possono possedere il regno di Dio, e che la corruzione non possederà l’eredità incorruttibile. Ecco un mistero che vi insegnerò: tutti risorgeremo, ma non tutti saremo cambiati (nell’immagine di Gesù Cristo). In un momento, in un batter d’occhio, al suono dell’ultima tromba; poiché la tromba suonerà, e i morti risorgeranno incorruttibili d’ora in poi, e noi saremo cambiati (cioè, i buoni saranno cambiati nell’immagine dell’uomo celeste, che è Gesù Cristo). Perché questo corpo corruttibile deve essere rivestito di incorruttibilità, e questo corpo mortale di immortalità. E quando questo corpo mortale sarà rivestito di immortalità, allora si compirà questa parola della Scrittura: la morte è stata assorbita dalla vittoria. O morte, dov’è la tua vittoria? O morte, dov’è il tuo pungiglione? Ora, il pungiglione della morte è il peccato, e la forza del peccato è la legge (la legge di Dio violata). Ma grazie siano rese a Dio, che ci ha dato la vittoria per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore. Perciò, miei amati fratelli, rimanete fermi e incrollabili, lavorando sempre più per l’opera del Signore, sapendo che il vostro lavoro non sarà più inutile davanti al Signore. » Riprendiamo ora il nostro testo:

XIII. Vers. 24. Le nazioni cammineranno nella sua luce, e i re della terra vi porteranno la loro gloria e il loro onore.

Vers. 25. – E le sue porte non saranno chiuse di giorno, perché non ci sarà notte in quel luogo. Oltre al fatto che questo passo segue la descrizione della Gerusalemme celeste, dove saranno rappresentate tutte le nazioni della terra, e cammineranno nella luce eterna di Dio e dell’Agnello, alla quale i re della terra porteranno la loro gloria e il loro onore; queste  parole si riferiscono al primo passo del Vangelo secondo San Giovanni, dove si parla della luce che Gesù Cristo è venuto a diffondere tra gli uomini sulla terra, per dar loro il diritto di divenire figli di Dio a tutti coloro che avrebbero ricevuto questa luce e creduto in Gesù Cristo. Ora, questa luce divina, che è venuta nel mondo, condurrà coloro che la ricevono alla Gerusalemme celeste, le cui porte non saranno chiuse di giorno, perché non ci sarà notte in quel luogo. Infatti, questa luce è eterna, e l’oscurità della notte degli errori e dei vizi non la farà mai sparire. Il resto della notte sarà inutile, perché non ci sarà nessun lavoro, nessun dolore, nessuna fatica durante il giorno dell’eternità.

XIV. Vers. 26. E la gloria e l’onore delle nazioni saranno portati ad essa, perché tutte le nazioni avranno ricevuto quella luce, la luce vera che, secondo San Giovanni, (I, 9): « Illumina ogni uomo che viene in questo mondo. » E l’onore e la gloria delle nazioni saranno coloro che, avendo ricevuto questa luce, si sono distinti dagli empi per la pratica delle virtù cristiane, e coloro che, essendo stati illuminati da questa luce, si sono allontanati dalle tenebre che non l’hanno compresa. Perché i malvagi sono la vergogna delle nazioni, come i buoni ne sono la gloria e l’onore. Così la gloria e l’onore delle nazioni saranno coloro che, secondo San Giovanni, non sono nati dal sangue, né dalla volontà della carne, né dalla volontà dell’uomo, ma da Dio stesso.  In una parola, la gloria e l’onore delle nazioni saranno le pecore che hanno seguito il buon pastore nell’ovile della Chiesa, seguendo la sua luce, ascoltando la sua voce e vivendo della sua vita, secondo le parole di Gesù, (Jo, XIV. 6). « Io sono la via, la verità e la vita: nessuno viene al Padre se non per mezzo di me ». Così tutti coloro che non hanno conosciuto e praticato la dottrina di Gesù Cristo sulla terra non saranno ammessi nella città celeste. Poiché:

XV. Vers. 27.Non vi entrerà nulla di impuro, né alcuno di coloro che commettono abominazioni e falsità, ma solo coloro che sono scritti nel libro della vita dell’Agnello. – Perciò non ci sarà notte in quel luogo, né la notte del vizio, né la notte dell’errore, perché nulla di impuro vi entrerà, né alcuno di coloro che commettono abominio e falsità. Ma solo quelli che sono scritti nel libro della vita dell’Agnello, cioè quelli che hanno vissuto della sua vita; « perché in lui era la vita », dice San Giovanni, (I, 4): « E la vita era la luce degli uomini. » E tutti coloro che hanno conosciuto questa luce dell’Agnello e hanno vissuto della sua vita nel tempo, godranno della sua luce e vivranno della sua vita nell’eternità. E allora i loro stessi corpi saranno cambiati in corpi spirituali, secondo San Paolo, e questi corpi avranno impassibilità, la chiarezza, l’agilità e la sottigliezza. 1º Questi corpi saranno impassibili, perché non saranno mai più soggetti ad alcuna sofferenza; perché « Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi, e non ci sarà più la morte, né lutto, né pianto, né dolore, perché il primo stato è finito. » 2º Questi corpi possiederanno la chiarezza, poiché saranno la città che Dio abiterà, e Dio sarà il tempio e il sole di questa città. (Apoc. XXI, 22): « E non vidi alcun tempio nella città, perché il Signore Dio Onnipotente e l’Agnello sono il tempio. E la città non ha bisogno del sole, né della luna che le dia luce, perché la gloria di Dio risplende su di essa, e l’Agnello è la sua torcia. E le sue porte non saranno chiuse di giorno, perché non ci sarà notte in quel luogo. » – 3º Questi corpi avranno l’agilità; perché la loro vita sarà secondo la luce che li illuminerà; e poiché questa luce è immensa, la loro vita sarà nell’immensità di questa luce. E questa luce li condurrà e li illuminerà nell’immensità della vita di Dio, che potranno vedere e contemplare faccia a faccia, senza alcun ostacolo. Da qui queste parole: « Le nazioni cammineranno nella sua luce ». Così gli spazi non li fermeranno, dato che non ci saranno più limiti, e il tempo non li riterrà, perché non ci sarà più il tempo. 4 ° Perciò possederanno la sottigliezza, poiché non sperimenteranno più gli ostacoli che possono impedire loro di godere della gloria e della felicità infinita della luce eterna. – Da quanto abbiamo appena visto nel corso di questo capitolo, l’uomo può dare libero sfogo alla sua immaginazione finché gli piace, ma non riuscirà mai, finché è sulla terra, a immaginare la realtà della felicità che gli è riservata se ama Dio suo creatore, perché è scritto, (I Corinzi II, 9): « Occhio non ha visto, né orecchio ha mai udito, né il cuore dell’uomo ha mai compreso ciò che Dio ha preparato per coloro che lo amano. ». Possiamo trovare paragoni più toccanti e magnifici di quelli usati da San Giovanni per descrivere le delizie della gloria eterna? Certamente no. Se l’Apostolo ha fatto ricorso a immagini sensibili per istruirci, è perché ha dovuto parlare l’unico linguaggio possibile per essere compreso dagli uomini. E quando la felicità e la gloria del paradiso non consistono che nel possesso di ciò che le nostre facoltà intellettuali ci permettono di concepire più perfettamente della realizzazione di questa figura, quale uomo, comprendendo bene i suoi interessi più cari, non sacrificherebbe tutti i beni del mondo e sopporterebbe tutti i tormenti del tempo, per essere ammesso un giorno nel numero dei cittadini di questa Gerusalemme celeste? Cosa sono le ricchezze, gli onori e i piaceri della terra in confronto alle delizie di questa città? Eppure, per quanto la magnificenza e lo splendore di questa città possano apparire ai nostri occhi mortali, dopo tutto è solo un’immagine. Ora, se c’è già una differenza estrema tra un uomo e il suo ritratto, tra una luce e l’ombra che ne deriva, tra il giorno e la notte, che differenza ci sarà tra i beni del cielo e quelli della terra, tra la realtà di questi beni e la loro figura, tra la verità e l’espressione, tra il tempo e l’eternità? Questa differenza è espressa in una sola parola; ma né i secoli né gli spazi possono contenere la sua realtà. perché questa realtà è l’infinito.

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (XXVII)

LA SUMMA PER TUTTI (23)

LA SUMMA PER TUTTI (23)

R. P. TOMMASO PÈGUES

LA SOMMA TEOLOGICA DI S. TOMMASO DI AQUINO IN FORMA DI CATECHISMO PER TUTTI I FEDELI

PARTE TERZA

GESÙ CRISTO OSSIA LA VIA DEL RITORNO DELL’UOMO VERSO DIO

Capo XLIV.

Stato intermedio delle anime dopo la morte in attesa della resurrezione finale. – Il Purgatorio.

1791. Mediante la meravigliosa economia dei sette Sacramenti Gesù Cristo comunica agli uomini il frutto della sua Redenzione, fuori della quale non vi è salute né vita morale perfetta ad essi possibile. I primi cinque, vale a dire il Battesimo, la Confermazione, la Eucarestia, la Penitenza e la Estrema Unzione, perfezionano l’uomo in quello che riguarda la sua propria persona; mentre gli altri due, l’Ordine ed il Matrimonio, lo perfezionano in vista del bene comune di tutta la società in cui vive, e che doveva in effetto avere in se stessa la virtù di moltiplisarsi e di continuare ad essere sorgente di vita soprannature per tutti gli uomini sino alla fine dei tempi. A qual fine poi Gesù Cristo stesso che per mezzo dello Spirito Santo che la inviato e che ne è l’anima, conduce il genere umano da Lui riscattato col proprio sangue?

Lo conduce al fine della vita immortale, che deve schiudersi nella gloria celeste per tutta la eternità.

1792. Gesù Cristo, mediante l’azione del suo governo redentore, conduce gli nomini alla gloria della vita immortale immediatamente, e per così dire incontanente?

No; perché sebbene i misteri compiuti nella sua santa umanità ed i Saramenti che ci uniscono a tali misteri avessero la virtù di farlo, era tuttavia conveniente alla divina Sapienza che la natura umana, condannata nel suo stesso fondo come natura peccatrice e decaduta a portare la pena di questo peccato di natura, non fosse restaurata come natura in tutta la sua pienezza nella persona dei diversi individui, che al termine del suo corso fra gli uomini. Ed ecco perché anche i battezzati, ossia sia tutti quelli che partecipano ai sacramenti di Gesù Cristo, anche dopo la loro personale santificazione; rimangono soggetti alle pene della vita presente; e specialmente alla più terribile di tutte, cioè alla morte (LXIX, 1).

1793. Dunque soltanto alla fine delle umane generazioni la morte stessa sarà definitivamente vinta, e tutti i redenti di Gesù Cristo potranno risuscitare ad una vita immortale che si manifesterà pienamente nella loro anima e nel loro corpo nel cielo per tutta la eternità?

Sì; sarà soltanto allora, e dal momento che muoiono restano in uno stato intermedio che è uno stato di attesa.

1794. Che cosa intendete quando dite che restano in uno stato intermedio che è uno stato di attesa?

Con questo si vuole intendere che essi, o non ottengono subito la ricompensa della loro vita meritoria, oppure se si trovano posti in grado di ricevere la ricompensa per i loro meriti, o il castigo per i loro demeriti, fino al giorno della resurrezione non avranno tale ricompensa o tale castigo in tutta la pienezza quale l’avranno eternamente a partire da quel giorno (LXIX, 2).

1795. Come chiamate il luogo intermedio dove si trovano dopo la morte coloro che non ottengono subito la ricompensa della loro vita meritoria?

Si chiama Purgatorio (LXXI, 6; Appendice, Il).

1796. Quali sono le anime che dopo la morte occupano questo luogo intermedio che è il Purgatorio?

Sono le anime dei giusti che muoiono nella grazia di Gesù Cristo, ma che nel momento della loro morte non hanno interamente soddisfatto alla giustizia di Dio per la pena temporale dovuta al peccato (Ibid.).

1797. Dunque il Purgatorio è un luogo di espiazione, dove con pene  proporzionate si deve soddisfare alla giustizia di Dio, prima di poter essere ammessi alla ricompensa nel cielo?

Precisamente; il Purgatorio è questo, e niente poteva essere più in armonia tanto con la misericordia che con la giustizia di Dio (Ibid.).

1798. Come ed in che cosa la misericordia di Dio si manifesta nella espiazione del Purgatorio?

Essa si manifesta in questo, che anche dopo la morte Dio dà alle anime dei giusti il mezzo di soddisfare alla sua giustizia e di prepararsi ad entrare in cielo libere da ogni debito verso questa giustizia. Ma essa si manifesta anche in questo, che per mezzo della comunione dei Santi, Dio permette ai vivi che sono sulla terra di offrire in forma di suffragio le proprie soddisfazioni e di applicare, guadagnando indulgenze per loro, le soddisfazioni di Gesù Cristo, della Ss.ma Vergine, e dei Santi, in luogo ed in vece delle soddisfazioni che le care anime del Purgatorio dovrebbero dare alla giustizia di Dio, e con questo affrettare il loro ingresso in paradiso (LXXI, 6).

1799. Fra tutti gli atti che i giusti viventi sulla terra possono fare o procurare per abbreviare la espiazione delle anime del Purgatorio, ve ne è uno più particolarmente efficace?

Sì; è l’oblazione del santo Sacrificio della Messa.

1800. Importa molto che, quando si fa o si procura questa oblazione per le anime del Purgatorio, abbiamo noi stessi un più grande fervore?

Sì; perché quando si tratta di soddisfare alla giustizia di Dio nell’ordine della remissione dei peccati, Dio guarda senza dubbio al valore di ciò che si offre — e nella offerta del santo Sacrifizio della Messa il valore è infinito —; ma guarda più ancora al fervore di colui che offre, sia che offra per se stesso come il sacerdote, od offra per la intromissione o per il ministero di altri, come i fedeli che domandano al sacerdote di offrire in loro nome e secondo la loro intenzione il santo Sacrifizio della Messa (LXXI, 9; Parte Terza LXXIX, 5).

1801. Dunque Dio misura l’applicazione del frutto del sacrifizio della Messa secondo il fervore di coloro che domandano al sacerdote di offrire secondo la loro intenzione il santo saerifizio stesso?

Sì; e questo dimostra quanto essi stessi debbano eccitarsi a fervore facendo questa domanda.

1802. Le opere satisfattorie che i giusti compiono sulla terra offrendole a Dio per modo di suffragio e con la intenzione di applicarle sia alle anime del Purgatorio in generale, sia ad un dato numero di anime, sia ad una determinata anima particolare, vengono applicate conforme alla loro intenzione?

Sì; e con quel grado di valore che dà loro il fervore del soggetto che le compie, e le offre in ispirito di carità (LXXI, 6).

1803. Si possono applicare, sia alle anime delPurgatorio in generale, sia ad un dato numero di anime, sia ad una anima in particolare, le indulgenze che si acquistano e che sono applicabili alle anime del Purgatorio?

Si può ugualmente; e qui tutto dipende dalla intenzione di chi le acquista, regolata essa stessa dalla intenzione della Chiesa manifestata nel tenore dei termini che stabiliscono la concessione (LXXI, 6; Codice, can. 930).

1804. Compiuta la soddisfazione che le anime trattenute in Purgatorio dovevano offrire a Dio per i loro peccati trascorsi, sono esse introdotte immediatamente in Paradiso?

Sì; subito dopo compiuta la loro soddisfazione, le anime dei giusti trattenute in Purgatorio ne sono tolte per essere introdotte in Paradiso (LXIX, 2; Appendice, II, 6).

Capo XLV.

Il Paradiso.

1805. Che cosa intendete per il Paradiso?

Intendo il luogo dove si trovano dal principio del mondo gli Angeli beati, e dove sono ammessi tutti i giusti redenti dal Sangue di Gesù Cristo, dal giorno in cui Gesù Cristo vi ha fatto la sua gloriosa ascensione.

1806. Che cosa ci vuole perché i giusti redenti dal Sangue di Gesù Cristo siano ammessi in Paradiso?

Bisogna che siano giunti al termine della loro vita mortale, e non abbiano alcun debito da pagare alla giustizia di Dio (LXIX, 2).

1807. Si danno delle anime che sono ammesse in Paradiso subito dopo la morte?

Sì; sono le anime che hanno ricevuto con pieno effetto l’applicazione dei meriti di Gesù Cristo, o che su questa terra hanno offerto a Dio, in unione con la soddisfazione di Gesù Cristo, tutta la pienezza di soddisfazione di cui potevano essere debitrici a Dio per i loro peccati (LXIX, 2).

1808. I bambini che muoiono dopo ricevuto il Battesimo e prima di arrivare alla età di poter peccare, sono ammessi in Paradiso subito dopo la morte?

Sì; perché non hanno più il peccato originale, che solo avrebbe potuto loro impedire di entrare in Paradiso.

1309. E sarebbe lo stesso per gli adulti. Che avendo già commesso dei peccati mortali, ricevessero il Battesimo con buone disposizioni e morissero subito dopo, oppure «prima di commettere altri peccati?

Sì; perché il sacramento del Battesimo applica in tutta la loro pienezza, ossia con pieno effetto i meriti della Passione di Gesù Cristo (Parte Terza, LXIX, 1, 2,7, 8).

1810. E coloro che dopo aver commesso dei peccati anche mortali dopo il Battesimo, senza averne ancora fatta penitenza sufficiente, almeno in quanto alla soddisfazione della pena, ma che in punto di morte offrissero la loro vita a Dio con un atto di carità perfetta, potrebbero essere ugualmente accolti in cielo subito dopo la morte?

Sì; specialmente quando questo atto di carità perfetta fosse il martirio (Parte Seconda – Sezione Seconda, CXXIV, 3).

1811. Che cosa divengono le anime dei giusti, dal momento del loro ingresso in Paradiso?

Esse vengono subito ammesse alla visione di Dio, che le ricolma di una felicità in qualche modo infinita (Parte Prima, XII, 11).

1812. Possono vedere Dio di per se stesse, oppure bisogna che esse ricevano a tale effetto una perfezione affatto nuova, oltre alle perfezioni di ordine soprannaturale che potevano già possedere mediante la grazia, le virtù ed doni?

Bisogna che ricevano una perfezione affatto nuova, che è come l’ultimo coronamento di tutte le altre perfezioni soprannaturali – che già possedevano (Ibid., XII, 5).

1813. Come si chiama questa perfezione e questo coronamento?

Si chiama il lume della gloria (ibid.).

1814. Che cosa intendete per questo lume della gloria?

Intendo una qualità prodotta da Dio nella intelligenza dei beati, che dà ad essa la potenza di ricevere in sé, come principio proprio del suo atto di visione, la divina essenza in tutto lo splendore della sua luce infinita (Ibid).

1815. Che cosa risulta per il beato da questa unione della divina essenza con la sua intelligenza, perfezionata dal lume della gloria?

Ne risulta che esso vede Dio come Dio vede se stesso (Ibid.).

1816. È questo ciò che si chiama la visione faccia a faccia?

Sì; è la visione faccia a faccia che ci è promessa nella S. Scrittura, e che rendendoci simili a Dio in quanto una creatura possa esserlo, doveva essere come l’ultima parola di tutto nella opera divina.

1817. Dio ha creato tutte le cose, è le governa nel corso della evoluzione del mondo dal principio alla fine, per questa visione di se stesso da comunicarsi ai beati, e per la infinita felicità che loro ne deriva?

Sì; precisamente per questo. E quando tutte le sedi da Lui fissate nel suo Paradiso saranno riempite; quando mediante l’azione del suo divino governo avrà compiuto la preparazione dell’ultimo eletto che nel mistero della sua libera e sovrana Predestinazione ha stabilito di introdurvi, allora l’andamento attuale del mondo finirà, e Dio ordinerà il mondo in un nuovo stato che sarà quello della resurrezione.

1818. Possiamo noi sapere quando avverrà la fine del mondo attuale, e quando Dio stabilirà il mondo nel nuovo stato della resurrezione?

No; perché questo dipende unicamente dal consiglio di Dio, in ciò che Egli ha di più intimo quale è l’ordine della sua Predestinazione.

1819. I beati che godono già la visione di Dio in cielo si interessano delle cose terrene e del mondo umano in cui essi non sono più?

I beati eletti che godono già la visione di Dio in cielo si interessano sommamente delle cose terrene e del mondo umano, quantunque essi non vi siano più; perché in questo mondo umano continua a svolgersi il grande mistero della divina Predestinazione, ed il compimento perfetto di questo mistero deve coincidere con l’ultimo perfezionamento della loro propria beatitudine, nel giorno della gloriosa resurrezione.

1820. Gli eletti che sono già in Paradiso vedono tutto quello che accade sulla terra?

Nella stessa visione di Dio essi vedono tutto quello che delle cose della terra si riferisce più particolarmente a loro, nel compimento del mistero della Predestinazione nel mondo.

1821. Conoscono le preghiere che si indirizzano loro, ed anche i bisogni spirituali e temporali di coloro che a loro appartengono più da vicino?

Sicuramente; e sono sempre disposti a rispondere a queste preghiere ed a provvedere a questi bisogni, intervenendo presso Dio con la loro intercessione onnipotente (LXXII, 1).

1822. Donde viene dunque che noi non risentiamo sempre l’effetto del loro intervento?

Perché questo intervento si effettua nella piena luce di Dio, dove ciò che a noi e per noi può sembrare un bene, forse non lo è secondo la verità, ossia nell’ordine delle disposizioni divine (LXXII, 83).

1823. In realtà può dunque esservi un commercio continuo fra noi che viviamo sulla terra, ed i Santi che sono in cielo a godere la visione di Dio?

Sì; questo commercio può essere continuo, perché non sta che a noi di evocare il ricordo di queste anime sante, per rallegrarci con esse della loro felicità, e pregarle di aiutarci con la loro intercessione a guadagnarla noi stessi.

Capo XLVI.

L’Inferno.

1824. All’estremo opposto del luogo di eterna felicità che è il Paradiso, esiste un altro luogo che è il luogo della eterna dannazione; e come si chiama?

Sì; questo luogo esiste e si chiama Inferno (LXIX, 2).

1825. Che cosa è dunque l’Inferno?

L’Inferno è un luogo di tormenti in cui sono condannati tutti coloro che con i propri delitti si sono ribellati contro l’ordine della Provvidenza o della Predestinazione, e sono rimasti così fissi in questi delitti, da non convertirsene mai.

1826. Chi sono coloro che si trovano in questo caso?

Fra gli angeli sono tutti quelli che hanno peccato, e fra gli nomini tutti coloro che sono morti nella impenitenza finale (LXIX, 2).

1827. Dal fatto che i dannati sono talmente stabiliti nel male da non poter più ritrarsi dalla loro ostinazione, che cosa ne segue?

Ne segue che le pene ed i tormenti che meritano per causa dei loro delitti, dureranno sempre e non finiranno mai.

1828. Ma Dio non potrebbe porre un termine a queste pene ed a questi tormenti?

Di potenza assoluta lo potrebbe, perché niente è impossibile alla sua onnipotenza. Ma nell’ordine della sua sapienza non lo farà perché secondo questo ordine ormai immutabile, le creature ragionevoli giunte al termine della loro vita di prova, si trovano fisse per sempre nel bene o nel male; e durando sempre il male, bisogna pure che ugualmente ne duri il castigo (XCIX, 1, 2).

1829. Dunque i dannati dovranno subire eternamente le pene dell’Inferno?

Sì; i dannati dovranno subire eternamente le pene dell’Inferno (Ibid.).

1830. E quali sono le pene che i dannati dovranno subire eternamente?

Queste pene sono di due specie, cioè: la pena del danno e quella del senso (XCVII, 1, 2).

1831. Che cosa si intende per pena del danno?

La pena del danno è costituita dalla privazione: del Bene infinito che si possiede in cielo nella visione beatifica.

1832. Questa pena è molto sensibile per i reprobi dell’Inferno?

Essa è e sarà eternamente il tormento indicibile dei reprobi dell’Inferno.

1833. Donde viene che questa pena sarà risentita sì crudelmente dai reprobi dell’Inferno?

Prima di tutto perché essendo giunti al termine, essi avranno veduto il nulla di tutti gli altri beni che avevano cercato a pregiudizio di quello, ed avranno allora la nozione esatta della grandezza del Bene da essi perduto. Poi dalla coscienza certissima che avranno di averlo perduto unicamente per propria colpa.

1834. La vista della loro coscienza e della loro responsabilità nella perdita del Bene infinito, è proprio ciò che il Vangelo indica sotto il nome di « verme roditore che non muore mai »?

Sì; perché questo verme roditore è ciò che si dà di più orribile per un essere cosciente, e non è altro che il rimorso, la stretta del quale dovrebbe ucciderlo mille volte se potesse morire (XCVII, 2).

1835. Si deve intendere anche in senso metaforico, ossia puramente spirituale, l’altra

pena di cui parla il Vangelo, che la chiama «il fuoco che non si estingue mai»?

No; questo fuoco si deve intendere nel senso di un fuoco materiale, perché indica propriamente la pena del senso (XCVII, 5).

1836. Ma come può agire un fuoco materiale su degli spiriti, ossia su delle anime separate dai loro corpi?

Per un ordine speciale della giustizia di Dio, che comunica a questo fuoco materiale, in ragione della sua propria azione di ciò che questa azione significa, la virtù preternaturale del giudizio di servire di strumento a questa giustizia LXX, 3).

1837. I dannati saranno tutti tormentati nella stessa guisa dal fuoco dell’Inferno?

No; perché essendo lo strumento della giustizia di Dio, l’azione di questo fuoco sarà proporziona alla natura al numero e alla gravità dei peccati commessi da ciascuno. (XCVII, 5 ad 3).

1838. Il supplizio dei dannati sarà accresciuto dalla spaventevole compagnia costituita dalla orribile società dove si troveranno tutti i malfattori ed i criminali del genere umano, mescolati ai demoni che avranno l’ufficio di tormentarli sotto il comando del primo di loro; capo supremo del regno del male?

Certissimamente; ed è ciò che sembra significare il Vangelo quando parla delle « tenebre  esteriori, deve è pianto e stridore di denti » (XCVII, 3, 4)

Capo XLVII.

Dell’atto che compie la divisione fra il Purgatorio, il Paradiso l’Inferno; ossia del giudizio.

1939. Per quale atto avviene la divisione tra coloro che vanno immediatamente in Paradiso, oppure in Purgatorio, oppure l’Inferno?

Questa divisione avviene mediante l’atto del giudizio.

1840. Che cosa intendete per giudizio?

Intendo quell’atto della giustizia di Dio, che sentenzia definitivamente sullo stato di un dato soggetto, in ordine alla ricompensa od al castigo da ricevere.

1841. Quando avviene questo atto sovrano della giustizia di Dio?

Avviene immediatamente dopo la morte, nel momento in cui l’anima si trova separata dal corpo.

1842. E dove avviene questo atto del giudizio?

Nello stesso luogo dove avviene la separazione dell’anima dal corpo, che costituisce la morte.

1848. Da chi si fa l’atto del giudizio?

L’atto del giudizio si fa da Dio stesso, la virtù del quale passa attraverso la santa umanità del Verbo fatto carne, dopo l’Ascensione di Gesù Cristo al cielo.

1844. L’anima che viene giudicata, vede Dio e la santa umanità di Gesù Cristo?

Non debbono vedere Dio nella sua essenza né la santa umanità di Gesù Cristo che è in cielo, se non le anime il cui giudizio porta una sentenza di ingresso immediato in Paradiso.

1845. Ed il giudizio delle altre anime come avviene?

Avviene come per mezzo di un colpo di luce, che mette istantaneamente sotto i loro occhi tutto lo svolgimento della loro vita, e mostra loro che il luogo che ricevono immediatamente o nell’inferno o nel Purgatorio, è quanto v’ha di più giusto e di più meritato.

1846. Dunque avviene quasi per un medesimo atto e come nel medesimo istante, che le anime appena separate dal corpo sono giudicate, ed in forza di questo giudizio, collocate o nell’Inferno o nel Purgatorio o in Paradiso?

Sì; quasi per lo stesso atto e come nel medesimo istante, perché tutto ciò avviene per onnipotenza di Dio che agisce istantaneamente.

1847. E su che cosa verte questo grande atto del giudizio, e che cosa mostra all’anima che è giudicata?

Questo atto verte su tutto lo svolgimento della vita morale e cosciente, dal primo momento in cui si è avuto l’uso della ragione, fino all’ultimo atto che ha preceduto la separazione dell’anima dal corpo.

1848. Questo ultimo atto che avrà preceduto la separazione dell’anima dal corpo, avrà potuto qualche volta decidere da sé solo della sorte di un’anima per tutta la eternità, e valerle l’acquisto del cielo?

Sì; ma non avviene mai che per misericordia specialissima di Dio, e perché, il più spesso, altri atti nella vita del soggetto avranno in qualche modo preparato questa grazia; oppure in forza delle preghiere di anime sante che avranno piegato Dio a tale atto di suprema misericordia.

1849. E che cosa vedrà l’anima che è così giudicata, in questa luce che mette istantaneamente sotto i suoi occhi tutto lo svolgimento della propria vita, e le mostra che il luogo che nello stesso momento riceve o nell’Inferno o nel Purgatorio o in Paradiso è quanto vi è di più giusto e di più meritato?

Essa vedrà fino nei loro più minuti particolari tutti gli atti compiuti, e di cui ha potuto essere responsabile nel corso di tutta la vita per quanto lunga possa essere stata, e per ciascun giorno del corso di questa vita e per ciascun momento di questi giorni: i suoi pensieri più intimi e svariati; le sue affezioni, qualunque sia stato il loro oggetto, il loro carattere, il loro moto interno ed esterno; le sue parole gravi o leggere, riflessive od inconsiderate, vane od oziose; i suoi atti e la parte che vi avranno avuto i suoi sensi, gli organi e le membra del proprio corpo. Nell’ordine di ciascuna virtù e di ciascun vizio, dalla virtù della temperanza con tutto quanto le si riferisce, passando per la virtù della fortezza e sue annesse, la virtù della giustizia e sue infinite ramificazioni, la virtù della prudenza e le sue applicazioni in ogni istante nella pratica delle virtù morali, sia che si tratti della pratica di queste virtù sotto la loro ragione di virtù naturali, o di virtù soprannaturali ed infuse; ma più ancora e soprattutto in ciò che riguarda le grandi virtù teologali della fede, della speranza e della carità, che dovevano tutto dominare nella sua vita. Essa vedrà ciò che avrà fatto del Sangue di Gesù Cristo e di tutti i misteri di salute congiunti con questo Sangue redentore, per mezzo dell’uso dei Sacramenti della grazia dispensati nella Chiesa Cattolica: come avrà trascurato o utilizzato la grande virtù della penitenza con le soddisfazioni che le offriva per l’intervento del potere sovrano delle chiavi. E sarà questa visione istantanea che le farà dire, o con la gioia riconoscente degli eletti nel Cielo, o con la rassegnazione amante dei giusti nel Purgatorio, o con la rabbia disperata dei dannati nell’Inferno: «Il vostro giudizio, o Dio, e la vostra sentenza sono la stessa giustizia».

Capo XLVIII.

Del luogo di coloro che non vengono giudicati: Il Limbo dei bambini.

1850. Vi sono degli esseri umani che al momento della morte non sono sottoposti al giudizio?

Sì; sono tutti i bambini che muoiono prima dell’uso della ragione, ed anche coloro che sebbene adulti, muoiono senza avere avuto l’uso della ragione (LXIX, 6).

1851. Non avviene una divisione fra i bambini e fra coloro che muoiono senza avere avuto l’uso della ragione?

Sì; ma non in ragione dei loro meriti o demeriti, e non per modo di giudizio.

 1852. Come avviene dunque questa divisione?

Avviene soltanto per questo, che gli uni hanno ricevuto il sacramento del Battesimo, e gli altri no.

1853. Dove vanno quelli che hanno ricevuto il sacramento del Battesimo?

Vanno immediatamente in Paradiso.

1854. E quelli che non l’hanno ricevuto, dove vanno?

Vanno in un luogo loro riservato, che si chiama Limbo.

1855. Il Limbo dei bambini morti senza Battesimo è un luogo distinto dall’Inferno e dal Purgatorio?

Sì; il Limbo dei bambini nati senza Battesimo è un luogo distinto, diverso dall’Inferno e dal Purgatorio, perché a differenza dell’Inferno e del Purgatorio, non è un luogo dove si soffre la pena del senso per causa di peccati personali (LXIX, 6).

1856. Nel Limbo, i bambini morti senza Battesimo subiscono la pena del danno?

Sì; perché essi si sanno privati eternamente del Bene infinito che è la visione di Dio. Ma questa pena non ha affatto per loro il carattere di suprema tortura che ha per i dannati dell’Inferno (Appendice, I, 2).

1857. Donde nasce questa differenza nel carattere della pena del danno per i bambini morti senza Battesimo?

Nasce da questo che se essi sanno di essere privati della visione di Dio, sanno pure che questa pena li colpisce non in ragione  di una colpa personale da essi commessa, ma soltanto in forza della loro discendenza da Adamo peccatore, ossia in ragione del peccato di natura che essi hanno personalmente contratto per il solo fatto della loro nascita (ibid.).

1858. Non esiste dunque per loro l’orribile verme roditore che tormenta i dannati nell’Inferno?

Niente affatto; ma uno stato che, senza implicare sofferenza o tristezza, fa tuttavia che essi abbiano coscienza della felicità che avrebbero potuto avere se i meriti della Redenzione fossero stati loro applicati, e che non potranno mai avere benché non per loro colpa, ma. per un giusto decreto degli inscrutabili consigli di Dio (Ibid.).

1859. Le anime di questi bambini morti senza Battesimo conoscono, i misteri della Redenzione?

Sicuramente; ma li conoscono con una conoscenza affatto esteriore, se così possiamo dire (Ibid).

1860. Si può dire che queste anime abbiano il lume della fede?

No: non si può dire che queste anime abbiano il lume della fede, nel senso di lume interiore soprannaturale che perfeziona la intelligenza, e le permette di penetrare in certa maniera l’intimo dei misteri rivelati con un tale gusto di ordine soprannaturale che porta a desiderarli con desiderio efficace. Esse non li conoscono che dal di fuori, un po’ come tutti quelli che non possono non confessare la verità dei misteri divini affermati da Dio, ma che non sono punto portati da un moto della grazia ad aderire in modo soprannaturale a questi misteri, e sono nella impotenza radicale di penetrarne il senso intimo.

1861. È dunque una specie di lume affatto esterno e freddo, quello che fa loro conoscere i misteri della fede?

Precisamente; è un lume che non è lume di ribellione come nei dannati dell’Inferno, né lume di adesione ardente che generi la speranza e la carità come quello dei giusti sulla terra, né ancor meno lume di visione inebriante come per gli eletti nel cielo. Ma un lume in qualche maniera spento nell’ordine soprannaturale, che non è né lume di vita, né lume di morte nel senso che lo è per i dannati: è lume senza speranza che non genera affatto il rimorso e neppure il rimpianto, e che soltanto fa prendere loro coscienza di una infinita felicità che non possederanno mai, senza che frattanto esista per loro né pianto né stridore di denti come per i dannati nell’Inferno. Di più, sarà per loro una gioia grandissima il pensiero dei beni di ordine naturale che hanno già ricevuto da Dio, o che riceveranno poi e per sempre nel momento della resurrezione (Ibid. ad 3).

1862. Accanto al Limbo dove stanno le anime dei bambini morti senza Battesimo, non vi è un altro Limbo di cui si fa menzione nel linguaggio della Chiesa?

Sì; è il Limbo dove una volta si trovavano i giusti che non avevano più alcun impedimento personale per ricevere la ricompensa del cielo, ma che per ottenerla dovevano aspettare la venuta del Redentore (LXIX, 7).

1863. Nel Limbo degli antichi giusti non vi è ora più nessuno?

Dal giorno in cui Gesù Cristo discese in questo Limbo nel momento della sua morte e ne risalì nel giorno della sua resurrezione, conducendo seco tutte le anime dei giusti che vi stavano rinchiuse, questo luogo non ha più e non può avere più il suo primitivo uso. Ma può essere che da allora sia adibito ricevere le anime dei bambini morti senza Battesimo, non formando più che una cosa sola col Limbo dei bambini.

LA SUMMA PER TUTTI (24)

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI INFAMI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. LEONE XIII “MIRÆ CARITATIS”

La Lettera Enciclica Miræ caritatis, di S. S. Leone XIII, è una stupenda catechesi sull’importanza della Eucarestia come elemento centrale del culto cristiano e della intera vita spirituale del Cattolico, elemento di coesione sociale del popolo tutto, foriero quindi di benefici immensi non solo individuali, ma estesi a tutta la società ed all’umanità intera. Ben sapendo questo, i nemici di Dio, della Chiesa e dell’umanità tutta – infiltrati nei sacri palazzi dell’urbe che hanno subdolamente trasformato, con la connivenza di finti ed empi prelati e falsi fedeli, nella sinagoga di satana – hanno fatto in modo da alterare tutto il rito del Sacrificio eucaristico, con forma ed intenzioni blasfeme ed a-cattoliche, con sacrilega temerarietà inserendolo in una pseudo-messa, pantomima dell’offerta del culto al “signore dell’universo”, cioè il lucifero-baphomet delle logge massoniche di alto grado, così da farne una sacrilega “cena eucaristica” condotta dai falsi ed invalidi sacerdoti del “Novus ordo”, o da scismatici ed eretici non-preti tradizionalisti, per cui il Sacrificio eucaristico è stato trasformato in una ridicola e blasfema distribuzione ed accettazione di particole di pane, senza che abbiano subito alcuna transustanziazione apportatrice di grazia, bensì di “disgrazia” infernale. Indubbiamente questa è la peggior punizione o castigo che Dio potesse appioppare a nazioni in larga parte apostate ed ultra-pagane, a popoli dissoluti e privi di rispetto ed amore per Dio, loro Creatore, e di conseguenza per i loro simili che vengono trattati e considerati alla stregua di bestie da sfruttare e salassare. Questa è in effetti la disgrazia più grave che possa capitare ad un popolo indurito di cuore e cieco di intelletto, perciò avviato verso lo stagno di fuoco … mangiando, bevendo, ballando e fornicando come animali selvaggi. Fortunatamente per i pochi Cristiani della Chiesa Cattolica romana, resta la Comunione spirituale che, pur non apportando la medesima qualità di grazia, ci consente di comunicare col Corpo mistico, di assorbire linfa divinizzante – la grazia attuale dei teologi – con la debita disposizione ed il desiderio ardente, unito all’intenzione implicita di ricevere il vero Corpo e Sangue di Cristo sacramentale appena possibile da un vero Sacerdote cattolico in unione con Papa Gregorio, Vicario regnante attuale, materialmente impedito ma spiritualmente operante, se non altro per la sua sofferenza immensa, a pro della conversione dei falsi e sacrileghi Cristiani.

Leone XIII
Miræ caritatis

Lettera Enciclica

La santa eucaristia

28 maggio 1902

È nostro altissimo dovere tenere sempre presenti e diligentemente imitare i luminosi esempi della carità ammirabile di Gesù Cristo per la salvezza degli uomini. Abbiamo cercato fino ad oggi di fare questo, col suo divino aiuto, e Ci studieremo di continuare a farlo, fino alla fine della Nostra vita, Costretti a vivere in tempi assai avversi alla verità e alla giustizia, per quanto dipendeva da Noi, con gli insegnamenti, con le ammonizioni, con gli atti, come ne fa fede anche l’ultima Lettera Apostolica a voi indirizzata, non abbiamo mai tralasciato nulla di quello che poteva servire meglio sia a dissipare il molteplice contagio degli errori, sia a rinvigorire la pratica della vita cristiana. Fra questi atti, ve ne sono due più recenti, fra loro strettamente connessi, la memoria dei quali Ci torna di opportuna consolazione, in mezzo a tante cause di amarezza. L’uno ebbe luogo quando stimammo bene che tutta la famiglia umana si consacrasse al Cuore augustissimo di Cristo redentore; l’altro quando esortammo seriamente tutti coloro che si professano Cristiani ad unirsi a Lui stesso, il quale è in modo divino “via, verità, vita” non soltanto per i singoli individui, ma anche per l’intera società. – Ora poi da questa medesima carità apostolica, che veglia sui bisogni della chiesa, Ci sentiamo mossi e come spinti ad aggiungere a quei due atti già compiuti, qualche altra cosa, come a loro coronamento: a raccomandare cioè, quanto più possiamo, al popolo cristiano la santissima eucaristia, come quel divinissimo dono uscito dal fondo del Cuore del medesimo Redentore, ardentemente bramoso di unirsi con questo mezzo agli uomini, mezzo escogitato specialmente per elargire i salutari frutti della sua redenzione. Anche in questo campo Noi abbiamo già promosse e raccomandate diverse opere. Ricordiamo con gioia specialmente di avere approvato e arricchito di privilegi molti istituti e sodalizi, che sono addetti all’adorazione perpetua della Vittima divina; di aver curato che i congressi eucaristici fossero numerosi e fruttuosi come conviene; di avere ad essi e ad altre opere simili assegnato per protettore celeste san Pasquale Baylon, che si segnalò nella devozione e nel culto verso il mistero eucaristico. – Perciò, venerabili fratelli, di questo stesso mistero – nella difesa e illustrazione del quale si adoperò costantemente sia la solerzia della chiesa, non senza preclare palme di martiri, sia lo zelo di uomini dottissimi ed eloquentissimi, sia anche il magistero delle nobili arti -, Ci piace ora rilevare alcuni aspetti, affinché in modo più vivo risplenda la sua efficacia, specialmente per recare in maniera notevolissima rimedio ai bisogni dei nostri tempi. In verità, poiché Cristo Signore, la vigilia della sua morte, ci lasciò questo attestato d’immensa carità verso gli uomini, e questo presidio massimo “per la vita del mondo” (Gv VI, 52), Noi, cui resta poco da vivere, nulla possiamo desiderare di meglio, di quello che Ci sia dato d’eccitare negli animi di tutti e coltivare il dovuto affetto di gratitudine e di devozione verso quell’ammirabile sacramento nel quale giudichiamo basarsi in modo speciale la speranza e l’efficienza di quella salvezza e di quella pace che è il sospiro di tutti i cuori. – Questo Nostro pensiero, che al mondo, da ogni parte turbato e ridotto in così misera condizione, convenga provvedere principalmente con simili aiuti e rimedi, ad alcuni certamente farà meraviglia, e da altri sarà forse accolto con superbo disprezzo. Ma ciò viene soprattutto dalla superbia, vizio che, quando alligna negli animi, vi snerva necessariamente la fede cristiana, la quale esige un ossequio religiosissimo della mente, e vi addensa più scura la caligine intorno alle cose divine, così che a molti si addice quel detto: “Bestemmiano tutto ciò che non conoscono” (Gd. 10). Noi però, invece di desistere per questo dal Nostro proposito, continuiamo, con più vivo ardore, ad illuminare i ben disposti e ad impetrare da Dio perdono, interponendovi la fraterna implorazione dei giusti, ai bestemmiatori delle cose sante. – Il conoscere con perfetta fede quale sia l’efficacia della santissima Eucaristia, vale quanto conoscere quale sia l’opera che, a beneficio del genere umano, Dio fatto uomo compì con la sua potente misericordia, come e infatti ufficio della fede retta professare e adorare Cristo quale sommo fattore della nostra salute, che, con la sapienza, con le leggi, con le istituzioni, con gli esempi, con l’effusione del sangue, restaurò ogni cosa; così ad essa appartiene professarlo e adorarlo realmente presente nell’eucaristia in modo che, verissimamente egli rimane tra gli uomini sino alla fine del mondo, e da Maestro e Pastore buono e intercessore accettissimo verso il Padre, dà personalmente agli uomini, in continua abbondanza, i benefici della redenzione operata. Fra questi benefici poi provenienti dall’Eucaristia, chi attentamente e religiosamente considera, vedrà primeggiare e risplendere quello che tutti gli altri contiene: dall’Eucaristia cioè proviene agli uomini quella vita che è la vera vita; “II pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (Gv VI, 52). In più maniere, come abbiamo detto altra volta, Cristo è “vita”. Egli diede per motivo della sua venuta fra gli uomini il voler loro portare una sicura abbondanza di vita più che umana: “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in sovrabbondanza” (Gv X, 10). E infatti appena sulla terra “apparve la benignità e l’amore del Salvatore Dio nostro” (Tt 3,4), nessuno ignora che subito eruppe una certa forza creatrice di un ordine affatto nuovo di cose, e s’infiltrò in tutte le vene della società domestica e civile. Di là nuovi vincoli tra uomo e uomo; nuovi diritti privati e pubblici; nuovi doveri; nuova direzione alle istituzioni, alle discipline, alle arti; e, ciò che più importa, gli animi e le cure degli uomini furono volti alla verità della religione e alla santità dei costumi, e anzi fu comunicata agli uomini una vita del tutto celeste e divina. A ciò infatti si riferiscono quelle espressioni così frequenti nelle divine Scritture: “legno di vita, verbo di vita, libro di vita, corona di vita“, e soprattutto “pane di vita”. Ma poiché questa medesima vita, di cui parliamo, ha una evidente somiglianza con la vita naturale dell’uomo, come l’una si alimenta e vegeta col cibo, così bisogna che anche l’altra, con cibo suo proprio, si sostenti e si accresca. E qui cade a proposito il rammentare in qual tempo e in qual modo abbia Gesù Cristo mosso e indotto gli animi degli uomini a ricevere convenientemente e degnamente il pane vivo che stava per dare. Perché quando si sparse la fama di quel prodigio che Egli aveva operato sulla spiaggia di Tiberiade, moltiplicando i pani per saziare la moltitudine, subito molti accorsero a Lui, per vedere se per avventura potesse a loro toccare un ugual beneficio. E Gesù, colta l’occasione, come quando, dall’attingere che fece la Samaritana l’acqua del pozzo, prese lo spunto per mettere in lei la sete dell’acqua “che zampillerà in vita eterna” (Gv IV,14), così allora sollevò le menti avide delle moltitudini a bramare anche più avidamente un altro pane “che dura per la vita eterna” (Gv VI, 27). Né già questo pane, insiste ammonendo Gesù, è quella manna celeste che fu apprestata ai padri vostri pellegrinanti per il deserto; e neppure è quello che voi stessi testé avete ricevuto da me con tanta meraviglia; ma io medesimo sono questo pane: “Io sono il pane di vita” (Gv VI, 48). E la stessa cosa va sempre più insinuando a tutti, ora con gli inviti, ora coi precetti: “Chi mangerà di un tal pane, vivrà eternamente; e il pane che io darò è la mia carne per la salute del mondo” (Gv VI, 52). Dimostra poi la gravità del precetto asserendo: “In verità, in verità vi dico: Se non mangerete la carne del Figlio dell’uomo, e non berrete il mio sangue, non avrete in voi la vita” (Gv VI,54). – Si corregga perciò quel dannosissimo errore comune, che fa credere che l’uso dell’Eucaristia si debba lasciare a quelle persone che, libere da impegni e di animo gretto, amano dedicarsi alla vita devota. Quella cosa, che fra tutte è la più eccellente e salutare, appartiene a tutti, qualunque sia il loro grado e il loro ufficio; appartiene a tutti quelli cioè che vogliono (e ognuno deve volerlo) alimentare in loro la vita della grazia divina, che conduce al conseguimento della vita beata in Dio. – E Dio volesse che della sempiterna vita rettamente pensassero e si prendessero cura principalmente coloro, i quali, o per ingegno o per industria o per autorità, tanto possono nella direzione delle cose temporali e terrene, Ma invece siamo costretti a vedere e a deplorare che molti fastosamente spacciano d’aver essi dato al mondo vita nuova e felice, perché lo spingono a correre ardentemente all’acquisto di tutte le comodità e di tutte le meraviglie. Ma intanto, ovunque si guardi, si vede la società umana, che, se è lontana da Dio, invece di godere l’agognata tranquillità, soffre e trepida come chi è agitato da smaniosa febbre; mentre cerca ansiosamente la prosperità e confida solo in essa, se la vede sfuggire dinanzi, e corre dietro ad un’ombra che si dilegua. Perché gli uomini e la società, come necessariamente provengono da Dio, così in nessun altro possono vivere, muoversi e fare qualche bene, se non in Dio, per mezzo di Gesù Cristo; dal quale derivò sempre e deriva quanto vi è di buono e di eletto. – Ma la sorgente e il coronamento di tutti questi beni è soprattutto l’augusta Eucaristia, la quale, come nutre e sostenta quella vita, che tanto ci sta a cuore, così accresce immensamente quella dignità umana, che oggi sembra tenersi in gran pregio. Qual cosa infatti, è maggiore o più desiderabile che l’essere reso, per quanto è possibile, partecipe e consorte della divina natura? Or questo ci fa Gesù Cristo specialmente nell’eucaristia, nella quale, prendendo l’uomo già innalzato dalla grazia alle cose divine, più strettamente lo unisce e stringe a sé. La differenza tra il cibo del corpo e quello dell’anima, sta in questo, che il primo in noi si converte, il secondo ci converte in lui; perciò Agostino fa dire a Cristo medesimo: “Non tu muterai me in te, come il cibo della tua carne, ma tu stesso sarai mutato in me“. – Il grande progresso, che gli uomini fanno in ogni virtù soprannaturale, deriva da questo eccellentissimo sacramento, nel quale specialmente appare come gli uomini vengono inseriti nella divina natura. E prima nella fede, in ogni tempo la fede ebbe avversari perché, sebbene con la cognizione di importantissime cose elevi le menti umane, tuttavia sembra deprimere le menti umane, perché nasconde l’intima qualità di quelle cose che mostrò essere di soprannaturale. Una volta si combatteva ora questo ora quell’articolo di fede; nei tempi moderni invece la guerra divampò in campo assai più vasto, e siamo ora al punto che assolutamente nulla si ammette di soprannaturale. Orbene a ristorare negli animi il vigore e il fervore della fede nulla è più atto che il mistero eucaristico, detto per eccellenza il “mistero di fede”; come quello nel quale tutte le cose soprannaturali, con una singolare abbondanza e varietà di miracoli, sono comprese: “Ha lasciato un ricordo delle sue meraviglie il Signore clemente e misericordioso; ha dato un cibo a quelli che lo temono” (Sal CX, 4-5). Perché, se tutto quello che Dio fece di soprannaturale, lo riferì all’incarnazione del Verbo, in virtù del quale si doveva riparare la salute del genere umano, secondo quel detto dell’apostolo: “Ha stabilito… di riunire in Cristo tutte le cose, e quelle che sono nei cieli, e quelle che sono in terra” (Ef 1, 9-10); l’Eucarestia, per testimonianza dei santi padri, deve considerarsi come una continuazione e un ampliamento dell’incarnazione. Per essa infatti, la sostanza del Verbo incarnato si unisce coi singoli uomini, e si rinnova mirabilmente il supremo sacrificio del Golgota, come preannunziò Malachia: “In ogni luogo si sacrifica e si offre al mio nome un’oblazione pura” (Mal 1,11). Questo miracolo, massimo nel suo genere, è accompagnato da innumerevoli altri, perché qui tutte le leggi della natura sono sospese; tutta la sostanza del pane e del vino si converte nel corpo e nel sangue di Cristo, le specie del pane e del vino, senza appoggio alcuno, sono sostenute dalla potenza divina; il Corpo di Cristo si trova contemporaneamente in tutti quei luoghi nei quali si compie simultaneamente il sacramento. Affinché poi si faccia più intenso l’ossequio dell’umana ragione verso così grande mistero, vengono, come in aiuto, i prodigi fatti a gloria di esso, in antico, e anche a nostra memoria; dei quali in più luoghi vi sono pubblici e insigni monumenti. In questo sacramento dunque, vediamo alimentarsi la fede, nutrirsi la mente, sfatarsi le fisime dei razionalisti, e illustrarsi grandemente l’ordine soprannaturale. – Allo snervamento della fede nelle cose divine molto contribuisce non solo la superbia, come abbiamo detto, ma anche la depravazione dell’animo. Perciò, se avviene ordinariamente che quanto più uno è morigerato, tanto più è sveglio di mente, e che i piaceri sensuali annebbiano la mente; come riconobbe la stessa prudenza pagana, e la sapienza divina ci aveva già prima ammoniti (cf. Sap I, 4); assai più ciò si verifica nelle cose divine, perché le voluttà corporali oscurano il lume della fede, ed anche, per giusto castigo di Dio, totalmente l’estinguono. Di questi piaceri oggi arde una insaziabile cupidigia, che quasi morbo contagioso infetta tutti fin dalla più tenera età. Ma un eccellente rimedio a questo gravissimo male a nostra disposizione sempre nella divina Eucaristia. Perché, prima di tutto, aumentando la carità, raffrena la libidine, secondo quanto dice Agostino: “II nutrimento di essa (della carità) è lo smorzamento della passione, e la sua perfezione è il freno della passione“. Inoltre, la carne castissima di Gesù reprime l’insolenza della nostra carne, come ammonì Cirillo di Alessandria: “Cristo venendo in noi sopisce la legge che infuria nelle nostre membra”. È anche un singolare e giocondissimo frutto dell’Eucaristia quello che è significato da quel detto profetico: “Qual è il buono di lui (Cristo), qual è il bello di lui, se non il frumento degli eletti e il vino che fa germogliare le vergini?” (Zc IX, 17), cioè il forte e costante proposito della sacra verginità, il quale, anche in mezzo a un mondo che si stempera nella mollezza, di giorno in giorno più largamente nella Chiesa Cattolica fiorisce rigoglioso: e con grande vantaggio e decoro della religione e della stessa convivenza umana, come ognuno può constatare. – Si aggiunge che con questo sacramento mirabilmente si rinforza la speranza dei beni immortali e la fiducia nei divini aiuti, Aumenta infatti sempre più il desiderio della beatitudine, che in tutti gli animi è insito e innato, constatando la fallacia dei beni terrestri, la ingiusta violenza dei malvagi, e tutte le altre molestie dell’anima e del corpo. Ora l’augusto sacramento dell’Eucaristia è causa insieme e pegno della beatitudine e della gloria, e ciò non solo per l’anima, ma anche per il corpo. Perché nel tempo stesso che arricchisce gli animi con l’abbondanza dei beni celesti, li sparge anche di soavissime gioie, che di molto sorpassano ogni umana estimazione e speranza; sostenta nelle cose avverse, fortifica nella lotta della virtù, custodisce per la vita sempiterna, e ad essa conduce quasi apprestando il viatico. Similmente nel corpo caduco e labile ingenera la futura risurrezione, perché il Corpo immortale di Cristo vi inserisce un seme d’immortalità, che un giorno dovrà germogliare. La Chiesa ha sempre insegnato che questi due beni, uno per l’anima e l’altro per il corpo, provengono dall’Eucaristia; lo ha sempre insegnato in ossequio alla parola di Cristo: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna; ed Io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv VI, 55). – Torna qui opportuno e molto importa il considerare che l’Eucaristia, essendo stata da Cristo istituita quasi “memoriale perenne della sua passione”, manifesti al Cristiano la necessità della penitenza salutare. Gesù infatti a quei primi suoi sacerdoti disse: “Fate questo in memoria di me” (Lc XXII, 19), cioè fate questo per commemorare i dolori, le amarezze, le angosce mie, la mia morte di croce. Perciò questo sacramento e insieme sacrificio è per tutti i tempi un’esortazione alla penitenza e ad ogni maggiore mortificazione, e insieme è una grave e severa condanna di quei piaceri, che uomini impudentissimi vanno tanto magnificando: “Tutte le volte che mangerete questo pane e berrete questo calice, annunzierete la morte del Signore, nell’attesa della sua venuta” (1Cor XI, 26). – Oltre a ciò, se si cercano le cause dei mali presenti, si troverà che esse procedono dal fatto che, raffreddandosi la carità verso Dio, anche la carità fra gli uomini venne a languire. Si sono essi dimenticati di essere figli di Dio e fratelli in Gesù Cristo; non curano se non ciascuno le cose proprie; le cose altrui non solo le trascurano, ma spesso le combattono e invadono. Quindi sorgono, fra le diverse classi di cittadini, frequenti turbolenze e contese: arroganza, durezza, frodi nei potenti; miserie, odi, scioperi nei sottomessi. A questi mali si aspetta invano il rimedio dalla provvidenza delle leggi, dal timore delle pene, dai consigli dell’umana prudenza. Bisogna procurare, con ogni sforzo, ciò che più volte Noi stessi abbiamo particolarmente inculcato, che cioè le classi dei cittadini si concilino tra di loro mediante uno scambio di buone opere che, derivate da Dio, siano informate al vero spirito e alla carità di Gesù Cristo. Cristo portò la carità sulla terra, di questa volle infiammata ogni cosa, perché essa sola potrebbe fin d’ora far gustare qualche saggio della beatitudine non solo all’anima, ma anche al corpo. La carità infatti, reprime nell’uomo lo smodato amore di se stesso e frena l’avidità delle ricchezze, che “è la radice di tutti i mali” (1Tm VI, 10). Sebbene poi sia giusto che tra le classi dei cittadini tutte le parti della giustizia siano convenientemente tutelate; pure, con gli aiuti e moderazioni suggeriti dalla carità, sarà dato di ottenere che nell’umana società “si faccia quell’uguaglianza” (2Cor VIII, 14), che raccomandava san Paolo, e che, una volta realizzata, la si conservi. Ecco ciò che intese Cristo nell’istituire questo augusto sacramento: eccitando l’amor di Dio, volle fomentare il mutuo amore fra gli uomini. Perché questo da quello, com’è chiaro, naturalmente deriva e spontaneamente si effonde: né potrà mai mancare in parte alcuna, anzi sarà necessario che cresca e divampi, quando si consideri la carità di Cristo verso gli uomini, in questo sacramento; nel quale, come magnificamente spiegò la sua potenza e sapienza, cosi “effuse le ricchezze del suo amore divino verso gli uomini“. Dopo questo insigne esempio di Cristo, che ci dona tutte le cose sue, quanto dobbiamo noi amarci e soccorrerci a vicenda, ogni giorno sempre più uniti da un legame fraterno! E si noti come anche i segni esteriori di questo sacramento sono opportunissimi incitamenti all’unione. A questo proposito san Cipriano dice: “Infine anche il Sacrificio del Signore dichiara l’universale unione dei Cristiani fra di loro, e, con ferma e inseparabile carità, uniti a Lui. Perché quando il Signore chiama suo corpo il pane, fatto con l’unione di molti grani, significa che il popolo nostro da Lui condotto è un popolo riunito insieme, e quando suo sangue chiama il vino, che è spremuto da grappoli e acini moltissimi e fuso in uno, significa similmente che il nostro gregge è composto di una mista moltitudine raccolta insieme”. Così l’angelico dottore, ripetendo un pensiero di Agostino,dice: “Il Signore nostro ci lasciò rappresentato il corpo e il sangue suo in quelle cose che da più si raccolgono in uno; perché l’una di esse, cioè il pane, è un tutto formato da più grani, l’altra, cioè il vino, è un tutto composto di più acini: perciò Agostino dice altrove; O sacramento di pietà, o segno di unità, o vincolo di carità!”. Tutte queste cose si confermano con la sentenza del Concilio Tridentino, che insegna “avere Cristo lasciato alla Chiesa l’Eucaristia come simbolo di quella unità e carità, con la quale volle che i Cristiani fossero congiunti e uniti fra loro, … simbolo di quel corpo uno, di cui Egli è il capo, e al quale volle che noi, come membra, fossimo uniti con strettissimo vincolo di fede, di speranza e di carità”. E questo aveva detto Paolo: “Siccome vi è un unico pane, noi, pur essendo molti, formiamo un sol corpo, comunicandoci col medesimo pane” (1Cor X, 17). Ed è davvero un bellissimo e festosissimo spettacolo di cristiana fratellanza e uguaglianza sociale, l’accorrere che fanno assieme, ai sacri altari, il patrizio e il popolano, il ricco e il povero, il dotto e l’ignorante, partecipando ugualmente al medesimo convito celeste. – Che se giustamente nei fasti della Chiesa nascente si attribuisce a lode sua propria che “la moltitudine dei credenti formava un solo cuore e un’anima sola” (At IV, 32), certamente appare che questo gran bene essi dovevano alla frequenza della Comunione eucaristica, perché leggiamo di loro; “Erano assidui alla istruzione degli Apostoli, nell’unione, nello spezzare il pane” (At II,42), – Inoltre, la grazia della mutua carità fra i viventi, che tanta forza e incremento riceve dal sacramento eucaristico, in virtù specialmente del sacrificio, si partecipa a tutti quelli che sono nella comunione dei Santi. Poiché, come tutti sanno, la Comunione dei santi non è altro che una scambievole partecipazione di aiuto, di espiazione, di preghiere, di benefici, tra i fedeli, o trionfanti nella celeste patria, o penanti nel fuoco del purgatorio. o ancora pellegrinanti in terra, dai quali risulta una sola città, che ha Cristo per capo, e la carità per forma, Sappiamo poi dalla fede che, sebbene l’augusto Sacrificio solo a Dio possa offrirsi, si può pure celebrare in onore dei Santi che regnano in cielo con Dio, “che li ha coronati”, al fine di ottenere il loro patrocinio, e anche, come sappiamo dalla tradizione apostolica, per cancellare le macchie dei fratelli, che già morti nel Signore, non siano ancora interamente purificati. – Dunque quella sincera carità, che a salute e vantaggio di tutti, tutto suole fare e patire, scaturisce e divampa operosa dalla santissima Eucaristia, dov’è lo stesso Cristo vivente, dove allenta il freno al suo amore per noi, e spinto da un impeto di carità divina rinnova perpetuamente il suo Sacrificio. Così facilmente appare donde abbiano avuto origine le ardue fatiche degli uomini apostolici, e donde tanti e sì svariati istituti di beneficenza, insieme con l’origine, traggono le forze, la costanza e i felici successi. – Queste poche cose in materia sì ampia non dubitiamo che torneranno utilissime al gregge cristiano, se per opera vostra, venerabili fratelli, saranno opportunamente esposte e raccomandate. Ma un sacramento così grande ed efficace da ogni punto di vista non si potrà mai da nessuno né lodare, né venerare secondo il merito. Sia che esso si mediti, sia che devotamente si adori, sia ancora che con purezza e santamente si riceva, dev’essere considerato quale centro in cui tutta la vita cristiana si raccoglie: gli altri modi di pietà, quali che siano, tutti a questo conducono e in questo finiscono. E quel benigno invito e quella più benigna promessa di Cristo: “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, ed Io vi ristorerò” (Mt XI,28), si compie specialmente in questo mistero e in esso si avvera ogni giorno. – Infine esso è ancora come l’anima della Chiesa, e ad esso la stessa ampiezza della grazia sacerdotale si dirige per i vari gradi degli ordini. La Chiesa di là attinge ed ha tutta la virtù e gloria sua, tutti gli ornamenti dei divini carismi, infine ogni bene: ed essa perciò pone ogni cura nel preparare e condurre gli animi dei fedeli ad una intima unione con Cristo mediante il sacramento del corpo e sangue suo: e, con l’ornamento di cerimonie santissime, gli accresce la venerazione. La perpetua provvidenza di santa madre Chiesa, in questa parte, emerge chiarissima, principalmente da quella esortazione, che fu fatta nel sacro Concilio di Trento, spirante una certa carità e pietà mirabile, davvero degna di essere qui da Noi tutta intera ripresentata al popolo cristiano: “Con paterno affetto, ammonisce il santo sinodo, esorta, prega e scongiura, per la bontà misericordiosa del nostro Dio, che, tutti e singoli, quelli che appartengono alla professione cristiana, in questo segno d’unità, in questo vincolo di carità, in questo simbolo di concordia finalmente una buona volta si uniscano e si accordino; e memori di tanta maestà e di tanto esimio amore di Gesù Cristo Signore nostro, che diede la diletta anima sua a prezzo della nostra salute, e la sua carne ci porse a mangiare: con tanta costanza e fermezza di fede, con tanta devozione e pietà e culto, di cuore credano e adorino questi sacri misteri del corpo e sangue di Lui, affinché possano frequentemente ricevere questo pane soprasostanziale, ed esso sia veramente la vita dell’anima loro, e la perpetua sanità della mente, e confortati dal suo vigore, possano giungere, dalla via di questo misero pellegrinaggio, alla patria celeste, dove mangeranno senza alcun velo questo medesimo Pane degli angeli, che ora ricevono velatamente”. – La storia poi ci mostra che la vita cristiana allora fiorì più rigogliosa, quando fu più in uso l’accostarsi spesso a questo divin sacramento. Invece è manifesto che quando gli uomini avevano questo pane celeste in noncuranza e come in fastidio, a poco a poco veniva languendo il vigore della professione cristiana. Il quale affinché un giorno non si estinguesse del tutto, opportunamente provvide, nel Concilio Lateranense, Innocenzo III, gravissimamente ordinando che ogni Cristiano dovesse comunicarsi almeno per Pasqua. È chiaro poi che questo precetto fu dato a malincuore, e come rimedio estremo; perché il desiderio della Chiesa fu sempre questo, che ad ogni Messa vi fossero alcuni partecipanti a questa divina mensa. “Bramerebbe il sacrosanto sinodo che, nelle singole messe, i fedeli assistenti si comunicassero non solo spiritualmente ma anche col ricevere sacramentalmente l’Eucaristia, affinché potessero percepire in maggior abbondanza il frutto di questo santissimo sacrificio”. – Certamente una ricca abbondanza di salvezza, non solo per i singoli, ma per gli uomini tutti, ha in sé questo augustissimo mistero, in quanto è sacrificio; perciò dalla Chiesa suole assiduamente offrirsi “per la salute di tutto il mondo”, del quale Sacrificio è conveniente che tutti i buoni si uniscano per diffondere la devozione e il culto, anzi questo è, ai giorni nostri, assolutamente necessario, E perciò vorremmo che le sue molteplici virtù fossero più largamente conosciute e più attentamente valutate. – Sono princìpi chiari, al solo lume naturale, che Dio creatore e conservatore ha un supremo e assoluto dominio sugli uomini, in privato e in pubblico; che quanto siamo e quanto abbiamo di bene, in privato e in pubblico, tutto ci viene dalla divina bontà; e che per conseguenza noi dobbiamo somma riverenza a Dio, come Signore, e massima gratitudine, come munifico benefattore. Ma quanti sono oggi coloro che apprezzano e osservano come e quanto dovrebbero questi doveri? Più di ogni altra, l’età nostra riottosa s’inalbera contro Dio, e fa risuonare di nuovo contro Cristo quella nefanda parola: “Non vogliamo che costui regni su di noi” (Lc XIX,14), e quel nefando proposito: “Facciamolo sparire!” (Ger XI, 19); né altro con maggior forza molti cercano, se non che Dio venga allontanato dalla società civile. E, sebbene non si giunga ovunque a tale eccesso di scellerata demenza, è però cosa lacrimevole vedere quanti vivono affatto dimentichi della divina Maestà e dei suoi benefìci, e specialmente della salvezza portataci da Gesù Cristo. Orbene questa sì grande nequizia, o infingardaggine che dir si voglia, bisogna che sia riparata con un aumento di ardore nella comune pietà del culto del Sacrificio eucaristico, del quale nulla può tornare a Dio più onorevole, nulla più gradito. Poiché la Vittima che si immola è divina, ne consegue che tanto di onore all’augusta Trinità per lei si rende, quanto l’immensa dignità di questa ne esige; offriamo altresì al Padre un dono e per prezzo e per soavità infinito, quale è il suo Unigenito; e così non solo alla sua benignità porgiamo grazie, ma veniamo ad offrirle un vero ricambio. E un altro doppio insigne frutto si può e si deve ricavare da tanto sacrificio. Si stringe il cuore al pensare quanta colluvie di peccati dappertutto dilaga, una volta trascurata, come dicemmo, e disprezzata l’autorità di Dio. Una gran parte del genere umano sembra proprio volere attirarsi sul capo l’ira celeste, sebbene i mali stessi che ci premono, ci mostrano chiaramente che il giusto castigo è già maturato. Bisogna dunque eccitare i fedeli anche a questo; che piamente gareggino nel placare Dio, giusto Giudice, e nell’implorarne gli opportuni aiuti al mondo pieno di calamità. Or queste cose, s’intenda bene, si devono ottenere principalmente per mezzo di questo Sacrificio.
Ché il soddisfare abbondantemente alla giustizia di Dio e l’impetrare largamente i doni della sua clemenza, non può altrimenti farsi dagli uomini se non in virtù della morte sofferta da Gesù Cristo. Ma questa stessa virtù, sia d’espiare sia d’impetrare, volle Cristo che tutta intera restasse nell’Eucaristia, la quale non è una vuota e semplice memoria della sua morte, ma ne è una vera e mirabile, sebbene incruenta e mistica, rinnovazione. Per altro, non poco Ci rallegra, e lo palesiamo volentieri, che in questi ultimi anni si noti nei fedeli un certo risveglio dell’amore e dell’ossequio verso il Sacramento eucaristico; donde prendiamo augurio e speranza di tempi e cose migliori, Molte infatti e varie cose di questo genere, come da principio dicemmo, furono dalla solerte pietà introdotte, specialmente sodalizi, sia per accrescere lo splendore del culto eucaristico, sia per l’adorazione perpetua dell’augustissimo sacramento, sia per la riparazione delle ingiurie e contumelie che gli si fanno. In queste cose però, venerabili fratelli, non dobbiamo fermarci, né Noi, né voi; perché troppe altre ne restano da promuovere o da intraprendere, affinché questo divinissimo dono, presso quei medesimi che adempiono i doveri della religione cristiana, sia posto m quella luce e in quell’onore che merita, e un mistero così grande sia venerato il più degnamente possibile. – Questo perché le Opere già avviate si hanno da condurre sempre più innanzi; le antiche istituzioni, se in qualche luogo andarono in disuso, si devono richiamare in vigore, come sono ad esempio i sodalizi eucaristici, le preghiere delle Quarantore, le solenni processioni, le visite al santissimo sacramento nel tabernacolo, e altre simili pratiche molto salutari; e di più s’ha da intraprendere tutto quello che la prudenza e la pietà potranno suggerire a questo proposito. Ma soprattutto bisogna adoperarsi perché rifiorisca, in ogni parte del mondo cattolico, la frequenza alla mensa eucaristica. Questo ci dicono i sopra allegati esempi della Chiesa nascente; questo i decreti dei Condii, questo l’autorità dei Padri e dei Santi di tutti i secoli: perché come il corpo, così l’anima spesso abbisogna del proprio cibo, or l’alimento più vitale è fornito appunto dal sacramento dell’Eucarestia. Perciò bisogna togliere del tutto certi pregiudizi degli avversari, certi vani timori di molti, certi pretesti per astenersene: si tratta di cosa della quale nessun’altra è più vantaggiosa ai fedeli, sia per redimere il tempo dalle troppe sollecitudini terrene, sia per risvegliare lo spirito cristiano e costantemente mantenerlo, Ad ottenere questo saranno di grande aiuto le esortazioni e gli esempi delle classi più ragguardevoli, e soprattutto la solerzia e l’industria del clero. Poiché i sacerdoti, ai quali Cristo redentore affidò l’ufficio di celebrare e dispensare i misteri del corpo e sangue suo, non possono meglio ripagarlo del sommo onore ricevuto, che col promuovere con ogni diligenza, la sua eucaristica gloria, e con l’invitare e condurre, secondando cosi i desideri del suo sacratissimo Cuore, tutte le anime alle salutari sorgenti di un cosi grande Sacramento e Sacrificio. – In tale modo avverrà, ciò che grandemente bramiamo, che gli eccellenti frutti dell’Eucaristia si percepiscano sempre più abbondanti ogni giorno, mediante il felice aumento della fede, della speranza, della carità e d’ogni cristiana virtù, Ciò tornerà pure a vantaggio dello Stato: sempre più si manifesteranno i disegni della provvidentissima carità del Signore, che un tale mistero stabilì in perpetuo “per la vita del mondo”. – Con questa speranza, venerabili fratelli, a pegno dei doni divini e a testimonianza della Nostra carità, a tutti voi, al vostro clero, e al popolo, impartiamo con grande affetto la benedizione apostolica.

Roma, presso San Pietro, il giorno 28 maggio, vigilia della solennità del Corpo di Cristo, dell’anno 1902, anno XXV del nostro pontificato.

DOMENICA XVI DOPO PENTECOSTE (2021)

DOMENICA XVI DOPO PENTECOSTE (2021)

Semidoppio. • Paramenti verdi.

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Come Domenica scorsa, la lettura dell’Uffizio divino coincide spesso in questo giorno con quella del libro di Giobbe che si suol fare nella 1a e nella 2a Domenica di Settembre. – Continuiamo quindi a leggere i testi del Messale in corrispondenza con quelli del Breviario. Giobbe è la figura del giusto, che il demonio superbo cerca di umiliare profondamente, affinché si rivolti contro Dio. « Lascia che io lo provi, dichiarò satana all’Altissimo, egli ti bestemmierà ». E Jahvè glielo permise, per fare di Giobbe il modello dell’anima che proclama il supremo dominio di Dio e si sottomette interamente alla sua volontà divina. La gelosia del demonio non conobbe allora più freno e fece piombare sullo sventurato Giobbe, con gradazione sapiente, tutte le calamità che ebbero potuto abbatterlo. Pure, benché privo di tutto e coricato sul letamaio, Giobbe non maledisse la mano onnipotente di Dio, che permetteva al demonio di accanirsi contro di lui, ma la baciò umilmente. Il Salmo dell’Introito rende mirabilmente la sua preghiera. « Abbi pietà di me, o Signore, porgi, o Signore, il tuo orecchio, poiché sono misero e povero ». Il Salmo del Graduale è anch’esso « la preghiera del povero quando è nell’afflizione », e i Versetti da 3 a 6: «Sono stato colpito come l’erba, a forza di gemere le ossa mi si sono attaccate alla pelle », sembrano l’eco delle parole di Giobbe che dice: « Le mie ossa si sono attaccare alla pelle, non mi restano che le labbra intorno ai denti » (Vers. 19, 20). Il Salmo dell’Offertorio parla anch’esso «del povero e dell’indigente» che supplica Iddio: « Non allontanare da me le tue misericordie, o Signore, poiché mali senza numero mi hanno circondato. Siano svergognati coloro che insidiano la vita mia » (Versetti 12-14). Infine, l’antifona della Comunione dice: « Piega, o Signore, verso di me, il tuo orecchio! Quante numerose e crudeli tribolazioni mi facesti provare! La mia lingua proclamerà dovunque soltanto la tua giustizia, e questa giustizia mi renderai quando coloro che cercano il mio danno saranno coperti di confusione e di vergogna » (Vers. 2, 20 e 24). Iddio, dicono infatti gli amici di Giobbe, esalta coloro che si sono abbassati, rialza e guarisce gli afflitti. La gloria degli empi è breve e la gioia dell’ipocrita non dura che un momento. Quando anche il suo orgoglio si innalzasse fino al cielo e la sua testa toccasse le nuvole, alla fine egli perirà. Tale è il retaggio che Dio serba agli empi. Essi si sono innalzati per un momento e saranno umiliati. – E Giobbe aggiunge: « Iddio ritirerà il povero dall’angoscia. Dio è sublime nella sua potenza. Chi può dirgli: Hai commesso un’ingiustizia? L’uomo che discute con Dio non sarà giustificato». Infatti, commenta S. Gregorio, chiunque discute con Dio si mette alla pari con l’Autore di ogni bene; attribuisce a se stesso il merito della virtù, che ha ricevuta, e lotta contro Dio con gli stessi beni di Lui.. È quindi giusto che « l’orgoglioso sia abbattuto e l’umile innalzato » (2° Notturno, 2a Domenica di Settembre). « Chiunque si innalza sarà abbassato e chiunque si umilia sarà rialzato », dice anche il Vangelo di questo giorno. Dio, infatti, dopo aver umiliato Giobbe, lo rialzò, rendendogli il doppio di quanto prima possedeva. Giobbe è una figura di Gesù Cristo, che, dopo essersi profondamente abbassato, è stato esaltato meravigliosamente; è anche figura di tutti i Cristiani, ai quali Iddio darà un posto di onore al banchetto celeste se di tutto cuore avranno praticato la virtù dell’umiltà sulla terra. L’orgoglio, dice S. Tommaso, è un vizio per il quale l’uomo cerca, contro la retta ragione, di innalzarsi al disopra di quello che egli è in realtà; l’orgoglio è quindi fondato sull’errore e l’illusione; l’umiltà, ha, al contrario, il suo fondamento nella verità, ed è una virtù che tempera e frena l’anima, affinché questa non si innalzi al disopra, super, di quello che è realmente (donde il nome di superbia dato all’orgoglio). L’anima umile accetta in piena sottomissione il posto che ad essa si conviene; quel qualsiasi posto che da Dio, verità suprema ed infallibile, le è assegnato. Umiltà nelle parole, umiltà nelle azioni, umiltà nel sopportare le prove e le contraddizioni, è la virtù che Giobbe ci insegna durante tutta la sua vita e che Gesù Cristo ci raccomanda nel Vangelo della Messa di oggi. « Dopo aver guarito l’idropico, dice S. Ambrogio, Gesù dà una lezione di umiltà » (3° Notturno). Vedendo come i Farisei scegliessero sempre i posti migliori, Egli volle farli accorti della loro malattia spirituale e spingerli a cercarne la guarigione; a questo scopo guarì dapprima uno sventurato, che la malattia aveva fatto gonfiare, e cercò quindi, velando la lezione sotto una parabola, di guarire la spirituale enfiagione che affliggeva i convitati presenti e che purtroppo affligge anche la maggior parte degli uomini. – Il mondo è in balìa di tutte le esaltazioni e di tutte le infatuazioni dell’orgoglio, mentre l’umiltà è la condizione assoluta per entrar nel regno dei cieli, ed è questa la virtù che la Chiesa ci inculca nell’Orazione ove dice che la grazia di Dio deve sempre prevenire ed accompagnarci, e che S. Paolo insegna con energia ai Cristiani nell’Epistola di questo giorno. Senza merito alcuno da parte nostra, spiega l’Apostolo agli Efesini, ma unicamente perché serviamo di strumento di lode alla sua gloria, Dio ci ha eletti in Cristo. Allorché eravamo figli della collera, l’Onnipotente, che è ricco di misericordia, ci ha reso la vita in Gesù Cristo, per l’amore immenso che ci porta. Noi tutti, pagani ed estranei alle alleanze conchiuse da Dio col popolo di Israele, siamo stati riavvicinati e riuniti nel Sangue del Redentore, poiché Egli è la nostra pace, Egli che di due popoli ne ha fatto uno solo e per il quale abbiamo, gli uni e gli altri accesso presso il Padre, in un medesimo Spirito. Non siamo più dunque degli estranei, ma dei membri della famiglia divina. E questo non è opera nostra, ma di Dio, affinché nessuno glorifichi se stesso. Gettiamoci dunque ai piedi del Padre nostro di nostro Signore Gesù Cristo, che è anche Padre nostro, affinché, attingendo nei tesori della sua divinità, sempre di più ci mandi lo Spirito Santo che ha effuso sulla Chiesa nella festa di Pentecoste e che nella fede e nell’amore ci unisce a Gesù, in modo che noi siamo colmati della pienezza di Dio. E chi potrà mai misurare questa carità sconfinata che iddio ci ha manifestata per mezzo del Figlio Suo? Questo amore del Padre per i suoi figli sorpassa infinitamente tatto quello che noi potremmo concepire e domandare a Dio. – A Lui dunque sia gloria in Gesù Cristo e nella Chiesa per tutti i secoli. « Cantiamo al Signore un cantico nuovo, poiché Egli ha operato prodigi » (Alleluia). « Tutte le nazioni temano il nome del Signore, tutti i re della terra annunzino la gloria sua », perché  Dio ha stabilito il suo popolo nella celeste Gerusalemme (Graduale). E questo  popolo che prenderà parte al gran banchetto della visione beatifica, sarà formato di tutti quelli che, rifuggendo da un’orgogliosa ambizione, saranno sempre stati umili sulla terra: Dio li esalterà nella stessa misura in cui essi si saranno con buon volere sottomessi alla sua santa volontà.

S. Paolo ha ricevuto da Dio la missione di annunziare ai Gentili che essi, al pari degli Ebrei, sono eletti a far parte del popolo di Dio: elezione gratuita che deve riempirli di un’umile riconoscenza verso il Signore e premunirli contro lo scoraggiamento che è una forma di orgoglio.

Per non lasciare un asino o un bue annegare in fondo ad un pozzo, i Giudei non esitavano a fare tutto quello che era necessario per ritirarneli, non ostante il giorno di Sabato in cui ogni opera servile era proibita. Perché dunque il Redentore non doveva poter guarire un ammalato in quel giorno? – « Va, mettiti all’ultimo posto » non vuol dire che il superiore debba mettersi al di sotto dei suoi subordinati, né esporre la sua dignità al disprezzo; ma egli deve ricordare queste parole dei Sacri Libri: « Quanto più sei grande, tanto più devi mostrarti umile in tutte le cose e troverai grazia davanti a Dio » (Eccl. III, 20).

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps LXXXV: 3; 5
Miserére mihi, Dómine, quóniam ad te clamávi tota die: quia tu, Dómine, suávis ac mitis es, et copiósus in misericórdia ómnibus invocántibus te.

[Abbi pietà di me, o Signore, poiché tutto il giorno ti ho invocato: Tu, o Signore, che sei benigno e pieno di misericordia verso quelli che ti invocano].


Ps LXXXV: 1
Inclína, Dómine, aurem tuam mihi, et exáudi me: quóniam inops, et pauper sum ego.

[Porgi l’orecchio verso di me, o Signore, ed esaudiscimi, perché sono misero e povero].

Miserére mihi, Dómine, quóniam ad te clamávi tota die: quia tu, Dómine, suávis ac mitis es, et copiósus in misericórdia ómnibus invocántibus te.

[Abbi pietà di me, o Signore, poiché tutto il giorno ti ho invocato: Tu, o Signore, che sei benigno e pieno di misericordia verso quelli che ti invocano].

Oratio

Orémus.
Tua nos, quǽsumus, Dómine, grátia semper et prævéniat et sequátur: ac bonis opéribus júgiter præstet esse inténtos.

[O Signore, Te ne preghiamo, che la tua grazia sempre ci prevenga e segua, e faccia che siamo sempre intenti alle opere buone].

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Ephésios
Ephes III: 13-21

Fratres: Obsecro vos, ne deficiátis in tribulatiónibus meis pro vobis: quæ est glória vestra. Hujus rei grátia flecto génua mea ad Patrem Dómini nostri Jesu Christi, ex quo omnis patérnitas in cœlis et in terra nominátur, ut det vobis secúndum divítias glóriæ suæ, virtúte corroborári per Spíritum ejus in interiórem hóminem, Christum habitáre per fidem in córdibus vestris: in caritáte radicáti et fundáti, ut póssitis comprehéndere cum ómnibus sanctis, quæ sit latitúdo et longitúdo et sublímitas et profúndum: scire etiam supereminéntem sciéntiæ caritátem Christi, ut impleámini in omnem plenitúdinem Dei. Ei autem, qui potens est ómnia fácere superabundánter, quam pétimus aut intellégimus, secúndum virtútem, quæ operátur in nobis: ipsi glória in Ecclésia et in Christo Jesu, in omnes generatiónes sæculi sæculórum. Amen.

[“Fratelli: Vi scongiuro di non perdervi di coraggio a motivo delle tribolazioni che io soffro per voi. Esse sono la vostra gloria. Perciò io piego i ginocchi davanti al Padre del Nostro Signore Gesù Cristo, dal quale prende nome ogni famiglia, in cielo e in terra, affinché vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, d’essere fortemente corroborati, mediante il suo spirito, nell’uomo interiore: che Cristo per mezzo della fede abiti nei vostri cuori, affinché, profondamente radicati e fondati nella carità, possiate comprendere con tutti i santi quale sia la larghezza e la lunghezza e l’altezza e la profondità; e d’intendere anche quell’amore di Cristo che sorpassa ogni coscienza, di modo che siate ripieni di tutta la pienezza di Dio. A Lui che, secondo la possanza che opera in noi, può tutto infinitamente di là di quanto noi domandiamo e pensiamo: a Lui sia gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù per tutte le generazioni di tutti i secoli”.]

PIENI DI DIO IN GESU’ CRISTO.

Una delle cose più stupende, e, se volete anche strane, quando ci facciamo a studiare bene l’uomo, è la sua estrema elasticità. Gli animali sono quel che sono, tutti: i buoi tutti lenti, gravi; i cervi tutti veloci; i leoni tutti crudeli, e gli agnelli tutti mansueti. Ma l’uomo… l’uomo è capace di assumere gli atteggiamenti più diversi, più contrari. Può andare da un estremo all’altro. Un trasformismo fenomenale. Possiamo purtroppo abbrutirci, e quanti uomini si abbrutiscono! Potrebbero essere degli uomini e diventano animali e peggio. S. Paolo l’afferma nettamente l’esistenza di questo « animalis homo.» E’ l’uomo che discende la scala dell’abisso. Si abbrutisce nel pensiero, che non è più pensiero, ricerca faticosa, conquista umile della verità, ma schiavitù dei sensi, superficialismo di impressioni molteplici e varie. Pensa e ragiona come una bestia: cioè non pensa, non ragiona più; urla, non parla. Si abbrutisce l’animalis homo, nel cuore corrotto e violento. Nessun battito generoso più, ma bramiti come di belva. Sogni, compiacenze voluttuose: il fango. Oppure la crudeltà: la belva accanto al bruto; col fango il sangue. La guerra e il dopoguerra hanno moltiplicate queste dolorose esperienze di crudeltà feroce, di ferocia bestiale. Abbiam visti uomini capaci di far paura alla bestia. Artigli, zanne, occhi iniettati di sangue. E per queste vie trionfali di discesa, si direbbe non ci sia limite. Si può andare, e si va sempre più in giù, e ci si abbrutisce sempre più. Tutto questo bisognava ricordare, bisogna meditare per comprendere l’altro moto diametralmente contrario. L’uomo può angelicarsi, mi direte voi. Ciò, vi dico con San Paolo, è ancora poco, troppo poco per il Cristiano, il quale, invece, può e deve divinizzarsi. Dal fango a Dio. Sicuro, è il programma del Cristianesimo, di quel Cristianesimo che davvero atterra e suscita questa povera umanità. L’atterra nella polvere davanti a Dio, la umilia profondamente, ci proclama peccatori, guasti; corrotti, figli di ira, vuole che ci mettiamo in ginocchio, che ci mostriamo davanti a Lui. « Venite adoremus. » Ma ci esalta, perché ci scopre la nostra origine e razza divina, ci dà il diritto di chiamarci, e il potere di diventare figli di Dio, di divinizzarci. Meditiamo pure bene, meditiamo spesso questi contrasti. L’umanità è cattiva, peccatrice, ci insegna il Cristianesimo, ed eccoci nella polvere della abbiezione. E, a parte che dobbiamo stare in ginocchio, colla faccia a terra, perché siamo peccatori, dovremmo starci ginocchioni così, prostrati così davanti a Dio, perché siamo uomini, povere creature di Dio, scintille davanti a un incendio, gocce di fronte al mare. È questo il preludio del dramma, non è il dramma. Il dramma è l’esaltazione sino a Dio. L’eritis sicut Dei, che suonò audace bestemmia sulle labbra del demone, suona dolce invito sulle labbra di Gesù Cristo. « Estote perfectì sicut Pater vester coelestis perfectus est. » Gesù non invita all’impossibile; se mai, ci invita all’impossibile,rendendolo possibile. Dobbiamo diventare come Dio in ciò che Dio ha di più tipico, di più suo, di più caratteristico: la bontà.«Nemo bonus nisi unus Deus:» ma anche noi dobbiamo diventare buoni, anzi perfettamente buoni (estote perfecti), come Lui, come Dio. Non si può andare più in là, più in su. Ma San Paolo adopera un linguaggio ancor più espressivo, più enfatico, direi, se la parola enfasi non portasse con sé l’idea della esagerazione. Paolo vuole che ci riempiamo noi Cristiani, ci riempiamo di Dio, anzi, per usare proprio la sua frase, d’ogni pienezza divina. Quanti sono i Cristiani pieni di Dio? Ne conosco tanti pieni di ben altre cose, di vanità, d’orgoglio, di avarizia, di viltà, di invidia… ma pieni di Dio! Cerchiamo di fare noi questo miracolo in noi stessi, coll’aiuto di Dio, nel nome di Cristo.

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps CI: 16-17
Timébunt gentes nomen tuum, Dómine, et omnes reges terræ glóriam tuam.

[Le genti temeranno il tuo nome, o Signore, e tutti i re della terra la tua gloria.]

V. Quóniam ædificávit Dóminus Sion, et vidébitur in majestáte sua.

[Poiché il Signore ha edificato Sion e sarà veduto nella sua maestà.]

Alleluja

Allelúja, allelúja
Ps XCVII: 1
Cantáte Dómino cánticum novum: quia mirabília fecit Dóminus. Allelúja.

[Cantate al Signore un cantico nuovo: perché Egli fece meraviglie. Allelúia.]

 Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam.
Luc XIV: 1-11
In illo témpore: Cum intráret Jesus in domum cujúsdam príncipis pharisæórum sábbato manducáre panem, et ipsi observábant eum. Et ecce, homo quidam hydrópicus erat ante illum. Et respóndens Jesus dixit ad legisperítos et pharisæos, dicens: Si licet sábbato curáre? At illi tacuérunt. Ipse vero apprehénsum sanávit eum ac dimísit. Et respóndens ad illos, dixit: Cujus vestrum ásinus aut bos in púteum cadet, et non contínuo éxtrahet illum die sábbati? Et non póterant ad hæc respóndere illi. Dicebat autem et ad invitátos parábolam, inténdens, quómodo primos accúbitus elígerent, dicens ad illos: Cum invitátus fúeris ad núptias, non discúmbas in primo loco, ne forte honorátior te sit invitátus ab illo, et véniens is, qui te et illum vocávit, dicat tibi: Da huic locum: et tunc incípias cum rubóre novíssimum locum tenére. Sed cum vocátus fúeris, vade, recúmbe in novíssimo loco: ut, cum vénerit, qui te invitávit, dicat tibi: Amíce, ascénde supérius. Tunc erit tibi glória coram simul discumbéntibus: quia omnis, qui se exáltat, humiliábitur: et qui se humíliat, exaltábitur.

[“In quel tempo Gesù entrato in giorno di sabato nella casa di uno de’ principali Farisei per ristorarsi, questi gli tenevano gli occhi addosso. Ed eccoti che un certo uomo idropico se gli pose davanti. E Gesù rispondendo prese a dire ai dottori della legge e ai Farisei: È egli lecito di risanare in giorno di sabato? Ma quelli si tacquero. Ed egli toccandolo lo risanò, e lo rimandò. E soggiunse, e disse loro: Chi di voi, se gli è caduto l’asino o il bue nel pozzo, non lo trae subito fuori in giorno di sabato? Né a tali cose poterono replicargli. Disse ancora ai convitati una parabola, osservando com’ei si pigliavano i primi posti dicendo loro: Quando sarai invitato a nozze, non ti mettere a sedere nel primo posto, perché a sorte non sia stato invitato da lui qualcheduno più degno di te: e quegli che ha invitato te e lui venga a dirti: Cedi a questo il luogo; onde allora tu cominci a star con vergogna nell’ultimo posto. Ma quando sarai invitato va a metterti nell’ultimo luogo, affinché venendo chi ti ha invitato, ti dica: Amico, vieni più in su. Ciò allora ti fia d’onore presso tutti i convitati. Imperocché chiunque si innalza, sarà umiliato; e chi si umilia sarà innalzato”.]

Omelia

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. IV, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)

Sull’umiltà.

“Omnis qui se exaltat humiliabitur, et qui se humiliat, exaltabitur.”

(Luc.. XVIII, 14).

Poteva forse, Fratelli miei, il nostro divin Salvatore, mostrarci in modo più chiaro ed evidente la necessità di umiliarci, cioè di sentire bassamente di noi, nei pensieri, nelle parole, nelle azioni, se vogliamo sperare di andar a cantare le lodi di Dio per tutta l’eternità? — Trovandosi un giorno in compagnia di persone, le quali, a quanto pare, si gloriavano del bene che avevano fatto, e disprezzavano gli altri, Gesù Cristo propose loro questa parabola, che, nulla vieta credere riproduca un fatto storico: “Due uomini, disse, ascesero al tempio per farvi orazione; l’uno era fariseo, l’altro pubblicano. Il fariseo ritto in piedi, così parlava a Dio: “Ti ringrazio, o Signore, perché non sono come il resto degli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano: digiuno due volte la settimana, do le decime di quanto possiedo. „ Ecco la sua preghiera, ci dice S. Agostino: (Serm. CXV, cap. 2, in illud Lucæ) vedete bene che essa non è altro che uno sfoggio pieno di boria, di vanità e di orgoglio. Il fariseo non viene al tempio per supplicare Iddio o ringraziarlo: ma per dir le sue lodi ed insultare l’altro che sta pregando. Il pubblicano invece, stando lungi dall’altare, non osava neppure di alzar gli occhi al cielo; si percoteva il petto, dicendo: “Mio Dio, abbi pietà di me che sono peccatore. „ — “Vi dichiaro, aggiunge Gesù Cristo, che questi se ne partì giustificato, non l’altro. „ I peccati del pubblicano vengono perdonati, ed il fariseo con tutte le sue virtù, ritorna a casa più colpevole di quando ne era uscito. Se volete saperne la ragione, eccola: l’umiltà del pubblicano, quantunque peccatore, fu più accetta a Dio che tutte le pretese opere buone dei fariseo col suo orgoglio (Respexit in orationem humilium, et non sprevit precem eorum. Ps, CI, 18).E Gesù Cristo ne concluse che: “chi si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato.„ Ecco la regola, F. M., non illudiamoci; la legge è generale; è il nostro divino Maestro che l’ha pubblicata. “Quando avrete alzata la testa sino al cielo, dice il Signore, Io ve ne strapperò. „ (Jer. XLIX, 16) Sì, F. M., l’unica strada che conduce alla gloria dell’altra vita, è l’umiltà. (Gloriam præcedit humilitas. Prov. xv, 33). Senza umiltà, senza questa bella e preziosa virtù, non entrerete in cielo, come non vi entrerete senza il battesimo (Matth. XVIII, 3). Comprendiamo adunque oggi, F. M., l’obbligo che abbiamo di umiliarci, ed i motivi che vi ci devono impegnare. Perciò, F. M., vi mostrerò:

1° che l’umiltà è una virtù assolutamente necessaria, se vogliamo che le nostre azioni siano accette a Dio e ricompensate nell’altra vita;

2° che tutti abbiamo obbligo di praticarla, sia riguardo a Dio, sia riguardo a noi stessi.

I . — Prima, F. M., di farvi comprendere il bisogno che abbiamo di questa bella virtù, tanto necessaria quanto il battesimo dopo il peccato originale; tanto necessaria, aggiungo quanto il sacramento della Penitenza dopo il peccato mortale, bisogna vi dica in che cosa consiste questa amabile virtù, che dà si gran merito a tutte le nostre buone azioni, ed orna così riccamente tutte le nostre opere buone. – S. Bernardo, questo gran santo che l’ha praticata in modo così straordinario, che ha abbandonato beni, piaceri, parenti ed amici, per passare la sua vita nelle foreste, tra le fiere, a piangervi i suoi peccati, ci dico che l’umiltà è una virtù per la quale conosciamo noi stessi: cosa che ci porta a non avere per noi che disprezzo, ed a non provar nessun gusto nel sentirci lodati . (De gradibus humilitatis et superbiæ, cap. 1).

1° Anzitutto questa virtù ci è assolutamente necessaria se vogliamo che le nostre azioni siano premiate in cielo: poiché Gesù Cristo stesso ci dice che non possiamo salvarci senza umiltà, come non possiamo salvarci senza il battesimo. S. Agostino ci dice: ” Se mi domandate qual è la prima virtù del Cristiano, vi risponderò che è l’umiltà; se mi domandate qual è la seconda, vi dirò ancora l’umiltà; e ogni volta mi farete questa domanda, vi darò sempre la medesima risposta. „(Epist. CXIII ad Dioscorum, cap. III, 22). Se l’orgoglio genera tutti i peccati (Initium omnia peccati est superbia, Eccli. x, 15), possiamo anche dire che l’umiltà produce tutte le virtù (Vedi RODRIQUEZ, Trattato dell’umiltà, cap. III). Coll’umiltà, avrete quanto v’occorre per piacere a Dio e salvar l’anima vostra; senza umiltà, aveste pure tutte le altre virtù, avrete nulla. Leggiamo nel santo Vangelo che alcune madri presentavano i loro bambini a Gesù Cristo perché li benedicesse. Gli Apostoli li respingevano. Nostro Signore, volendo mostrare la sua disapprovazione, disse loro: “Lasciate venire a me questi pargoli, poiché il regno dei cieli è per loro e per chi ad essi rassomiglia. „ E li abbracciava, e dava loro la sua santa benedizione. Perché tanta accoglienza da parte del divin Salvatore? Perché  i bambini sono semplici, umili, e senza malizia. Parimente, F. M., se vogliamo essere bene accolti da Gesù Cristo, dobbiamo essere semplici ed umili in quanto facciamo. “Fu – ci dice S. Bernardo – fu questa bella virtù, la cagione per cui l’eterno Padre fermò sulla santissima Vergine lo sguardo della sua compiacenza: e se, la verginità, aggiunge, attrasse lo sguardo di Dio, l’umiltà fu causa che ella diventasse Madre del Figlio di Dio. Se Maria santissima è la Regina dei vergini, ella è altresì la Regina degli umili. „ (Hom. I, super Missus est, 5) S. Teresa domandava un giorno a nostro Signore, perché altre volte lo Spirito Santo si comunicava con tanta facilità ai personaggi dell’Antico Testamento, ai patriarchi, ai profeti, e manifestava loro i suoi secreti, mentre al presente non lo fa più. Nostro Signore le rispose perché erano più semplici e più umili, mentre gli uomini di oggi hanno il cuor doppio, e sono ripieni di orgoglio e vanità. Dio non si comunica ad essi, non li ama, come amava quei buoni patriarchi e quei profeti, che erano semplici ed umili. S. Agostino ci dice: “Se vi umiliate profondamente e riconoscete di esser nulla, di non meritar nulla, Dio vi darà grazie in abbondanza; ma se volete innalzarvi e credervi qualche cosa, Egli si ritirerà da voi, e vi abbandonerà nella vostra miseria. „ – Nostro Signore per farci ben comprendere che l’umiltà è la più bella e la più preziosa di tutte le virtù, comincia le beatitudini coll’umiltà, dicendo: “Beati i poveri di spirito, poiché di essi è il regno dei cieli. „ S. Agostino ci dice che questi poveri di spirito sono quelli che hanno l’umiltà per patrimonio! (Serm. LIII, in illud Matth. Beati pauperes spiritu). Il profeta Isaia dice a Dio: “Signore, su chi il vostro Spirito Santo discende? Forse su quelli che hanno gran riputazione nel mondo, o sugli orgogliosi? — No, dice il Signore, ma su chi ha il cuore umile. „ (Is. XLVI, 2).Non solo questa virtù ci rende accetti a Dio,ma anche agli uomini. Tutti amano colui che è umile; si gode della sua compagnia. Perché  ordinariamente i fanciulli sono amati, se non perché sono semplici ed umili? Una persona umile cede in tutto, non contraria e non affligge mai nessuno, s’accontenta di tutto, cerca sempre di nascondersi agli occhi del mondo. Ne abbiamo un bell’esempio nella persona di S. Ilarione. S. Girolamo racconta che questo gran santo era richiesto dagli imperatori, dai re, dai principi, dalla folla del popolo attirato nella solitudine del deserto dal profumo di sua santità e dallo splendore e dalla fama dei suoi miracoli; ma che egli al contrario fuggiva il mondo quanto poteva. Cambiava spesso di cella, per vivere nascosto e sconosciuto; piangeva senza posa alla vista di quella moltitudine di religiosi e d’altra gente che venivano da lui per essere guariti dai loro mali. Rimpiangendo l’antica solitudine: “Sono, diceva tutto in lacrime, sono ritornato nel mondo, riceverò la mia ricompensa in questa vita, poiché mi si tiene per una persona considerevole. „ — “E ci dice S. Girolamo, niente di più ammirabile che vederlo così umile in mezzo a tanti onori che gli venivano prodigati. Essendosi sparsa la notizia che si ritirava nel fondo di un deserto selvaggio, dove nessuno avrebbe potuto più visitarlo, ventimila uomini si misero ad invigilarlo; ma il Santo disse loro che non avrebbe preso cibo sinché non lo avessero lasciato libero. Gli si fece la guardia per sette giorni: ma vedendo che non mangiava nulla… Fuggì nel deserto più remoto e selvaggio dove si diede a tutto ciò che poteva ispirargli il suo amore per Dio. Solamente là credette di cominciare a servire il buon Dio. „ (Vita dei Padri del deserto). Ditemi, F. M., non è questa umiltà, disprezzo di se stesso? Ahimè! quanto queste virtù sono rare! ma anche i Santi sono rari! Quanto si odia un orgoglioso, altrettanto si ama una persona umile, perché essa prende sempre l’ultimo posto, rispetta tutti e stima tutti, e perciò appunto piace tanto la compagnia di persone che hanno così belle qualità.

2° Inoltre l’umiltà è il fondamento di tutte le altre virtù (Cogitas magnam, fabricam construere celsitudinis? De fundamento prius cogita humilitatis. S. Aug., Serm. in Matth.). Chi desidera servire il buon Dio e salvare l’anima propria, deve cominciare dal praticar questa virtù in tutta la sua estensione, altrimenti la nostra divozione sarà simile ad uno stelo di paglia che fu piantato, ma che al primo soffio di vento sarà abbattuto. Sì, F. M., il demonio teme pochissimo quelle divozioni che non hanno l’umiltà per fondamento, perché sa benissimo che le potrà abbattere quando a lui piaccia; come accadde a quel solitario che giunse sino a camminar sui carboni ardenti senza abbruciarsi, ma, privo d’umiltà, cadde poco dopo negli eccessi più deplorevoli (Vita dei Padri del Deserto). Se non avete l’umiltà, dite che non avete nulla, e che alla prima tentazione cadrete. Si racconta nella vita di S. Antonio (ibid.), che il buon Dio gli fece vedere il mondo tutto ripieno di lacci tesi dal demonio per far cadere gli uomini nel peccato. Ne fu tanto stupito, che il suo corpo tremava come le foglie della foresta, e rivolgendosi a Dio:  “Ahimè! Signore, chi potrà evitare tante insidie? „ Intese una voce rispondergli: “Antonio, chi sarà umile; perché Dio dà la sua grazia agli umili per resistere alle tentazioni, mentre permette «he il demonio si prenda giuoco degli orgogliosi, i quali esposti all’occasione, cadranno nel peccato. Il demonio non osa neppure attaccare le persone umili. „ Quando S. Antonio era tentato, non faceva che umiliarsi profondamente innanzi a Dio, dicendo: “Ahimè, Signore, sapete che non sono altro che un miserabile peccatore! „ Allora il demonio fuggiva. Quando siamo tentati, F. M., teniamoci nascosti sotto il velo dell’umiltà, e vedremo che il demonio avrà poca forza su di noi. Leggiamo  nella vita di S. Macario, che andando egli un giorno nella sua cella carico le braccia di foglie di palma, gli si fece innanzi il demonio con spaventevole furore tentando di percuoterlo, ma non riuscendo perché Dio non gliene aveva dato facoltà, esclamò: “O Macario! quanto mi fai soffrire: non ho la forza di maltrattarti, quantunque io adempia più perfettamente di te ciò che tu fai; perché tu digiuni qualche volta, ma io non mangio mai: tu vegli qualche volta ed io non dormo mai. Non v’è che una cosa, in cui confesso che mi superi. „ S. Macario gli domandò quale fosse. “È la tua umiltà. „ Il santo si gettò con la faccia contro terra, domandò a Dio di non soccombere alla tentazione, e subito il demonio fuggi. (Vita dei Padri del deserto. S. Macario d’Egitto). Ah! F. M., questa virtù quanto ci rende cari a Dio, ed è potente a scacciare il demonio. Ma quanto è rara! ed è facile comprenderlo, poiché vi sono ben pochi Cristiani che resistano al demonio quando sono tentati. Ma, affinché non vi facciate illusione e riconosciate che questa virtù non l’avete avuta mai, entriamo in un semplice particolare. No, F. M., non sono prova che noi possediamo l’umiltà le belle parole e belle manifestazioni di disprezzo di noi stessi. E prima di cominciare vi citerò un esempio il quale vi proverà che le parole contano poco. Leggiamo nella Vita dei Padri, che essendo venuto un solitario a trovare S. Serapione, (idem)  quegli non voleva pregare con lui, perché, diceva, ho commesso tanti peccati e ne sono indegno: non oso neppure respirare l’aria in cui vi trovate. Seduto in terra, non osava neppure assidersi sullo stesso sgabello su cui stava S. Serapione. Volendo il santo lavargli i piedi secondo il costume, egli resisté ancor più. Ecco l’umiltà che secondo noi ha tutta l’apparenza di essere sincera, eppure vedete dove va a finire. S. Serapione si limitò a osservargli che avrebbe fatto assai meglio a starsene nella sua solitudine, invece di andare di cella in cella al pari di un girovago, e a lavorare per vivere. Allora il solitario non seppe trattenersi dal mostrare che la sua umiltà non era che falsa virtù; si adirò contro il santo, e lo lasciò. Perciò il santo gli disse: “Eh! figlio mio, mi dicevate or ora che avevate commesso tutti i delitti immaginabili, che non osavate né pregare né mangiare con me, e per un semplice avvertimento, che in nulla può offendervi, vi lasciate vincere dalla collera! Andate, amico mio, la vostra virtù e tutte le vostre opere buone sono prive della più bella dote, che è l’umiltà. „ Vedete da questo esempio, che ve n’è ben poca di vera umiltà. Ahimè! quanti vi sono che finché vengono adulati, lodati o ricevono dimostrazioni di stima, sono tutto ardore per le pratiche di pietà, darebbero tutto e si spoglierebbero di tutto; ma basta un piccolo rimprovero, un tratto d’indifferenza per gettare l’amarezza nel loro cuore; tutto questo li tormenta, li fa piangere, li mette di cattivo umore, fa commettere loro mille giudizi temerari, pensando che vengono trattati indegnamente, mentre con altri non si usa così. Ahimè! quanto questa bella virtù è rara fra i Cristiani dei nostri giorni! quante virtù non hanno che l’apparenza, ed al primo urto se ne vanno in fumo! Ma in che cosa consiste l’umiltà? Eccolo: vi dirò anzitutto che vi sono due specie di umiltà, l’una interiore e l’altra esteriore. L’umiltà esterna consiste:

1° nel non lodarsi di esser ben riusciti in qualche opera da noi fatta, e non ripeterne il racconto a tutti; nel non narrare le nostre prodezze spiritose, i nostri viaggi, la destrezza ed abilità mostrate, né ciò che per avventura è stato detto a nostro onore:

2° nel nascondere il bene che possiamo aver fatto, come le elemosine, le preghiere, le penitenze, i servigi prestati al prossimo, le grazie interne che Dio ci ha largito;

3° nel non compiacerci quando siamo lodati; nel cercare di divergere la conversazione, attribuendo a Dio il buon successo pel quale siamo encomiati; facendo conoscere che ciò ci dà fastidio, ed andandocene se lo possiamo;

4° nel non dir mai né bene né male di sé stesso. Alcuni parlano spesso male di se medesimi allo scopo di venir lodati: questa è falsa umiltà, è un’umiltà posticcia. Di voi stesso non dite nulla, accontentatevi di riconoscere che siete un miserabile, che occorre tutta la carità di Dio per sopportarvi sulla terra;

5° nel non mai disputare cogli eguali; bisogna loro ceder in tutto ciò che non è contrario alla coscienza; non creder d’avere sempre ragione; se la si avesse, bisogna pensar subito che potremmo ingannarci, come avvenne tante volte; e soprattutto non ostinarci mai a voler dire l’ultima parola, ciò che rivela uno spirito assai orgoglioso:

6° nel non mostrarci mai tristi, quando sembriamo disprezzati, né lamentarcene con altri; ciò proverebbe che non abbiamo umiltà, poiché se ne avessimo, non crederemmo mai d’essere disprezzati, giacché mai non potremmo essere trattati come meritiamo pei nostri peccati; al contrario bisogna ringraziare il buon Dio, come il santo re Davide, che rendeva bene per male (Ps. VII, 5), pensando quanto aveva egli stesso disprezzato Dio coi suoi peccati;

7° nell’essere ben contenti che ci si disprezzi, ad esempio di Gesù Cristo, di cui fu detto “che sarebbe stato saziato d’obbrobrio (Thren. III, 30), „ e ad esempio degli Apostoli, dei quali è scritto 3 (Act. V, 41) “che gioivano grandemente d’esser trovati degni di soffrire qualche disprezzo, qualche ignominia per amore di Gesù Cristo: „ e tutto questo all’ora della morte ci sarà argomento di sperare la felicità;

8° nel non scusarci delle nostre colpe, quando abbiamo fatto qualche cosa di riprovevole, e non dar ad intendere che non è così, o con menzogne o con rigiri, o col far apparire di non essere stati noi. Quand’anche fossimo accusati a torto, purché non siavi interessata la gloria di Dio, non dobbiamo dir nulla. Vedete che cosa capitò a quella giovinetta, alla quale si era messo il nome di fratello Marino Ahimè! chi di noi sottoposto a simili prove non sarebbesi giustificato, potendolo così facilmente? (v. XI Domenica dopo Pentecoste).

9° Finalmente l’umiltà esteriore consiste nel fare ciò che è più ripugnante, ciò che gli altri non vogliono fare, e amare di andar vestiti semplicemente. Ecco. F. M.. in che cosa consiste l’umiltà esteriore. Ma in che cosa consiste quella interiore?

Eccolo. Consiste:

1° nel sentire bassamente di noi, non applaudendosi in cuore, quando abbiamo fatto qualche cosa ben riuscita, ma crederci indegni e incapaci di fare qualsiasi buona azione, appoggiati alle parole di Gesù Cristo medesimo, che ci dice che senza di Lui nulla possiam fare di bene (Joan. XV, 5): non possiamo neppur pronunziare una buona parola, neppur ripetere il Ss. Nome di Gesù, senza il soccorso dello Spirito Santo (I Cor. XII, 3);

2° nell’essere lieti che gli altri conoscano i nostri difetti, per aver occasione di tenerci nel nostro nulla;

3° nell’essere contenti che gli altri ci superino in ricchezze, in ingegno, in virtù, od in altra cosa e nel sottometterci alla volontà, al giudizio altrui, ogni volta che non sia contro alla coscienza. Sì, F. M., una persona veramente umile deve essere simile ad un morto, che ne s’inquieta per le ingiurie che gli si fanno, né gode per le lodi che gli vengono date. – Ecco, F. M., che cos’è possedere l’umiltà cristiana, che ci rende così accetti a Dio ed amabili al prossimo. Vedete ora, se l’avete o no. E se non l’avete, non vi resta per salvarvi che di domandarla a Dio fin che l’abbiate ottenuta, perché senza di essa non entreremo in cielo. Leggiamo nella vita di S. Elzeario, che, trovatosi in pericolo di perire in mare con quanti erano nella nave, passato il pericolo, santa Delfina sua sposa gli domandò se non avesse avuto paura. Le rispose: “Quando mi trovo in simile pericolo, raccomando a Dio me stesso e quanti sono con me, e gli dico che se alcuno deve morire, sia io quello, come il più miserabile ed indegno di vivere. „ (Ribadeneira, 27 Sett.,m t. IX). Quale umiltà!… S. Bernardo era così penetrato del suo nulla, che quando entrava in una città, si metteva in ginocchio a pregare Iddio di non punire quella città a cagione de’ suoi peccati; credeva che. dovunque andasse, non fosse capace che d’attirare la maledizione su quel luogo. Quale umiltà, F. M., in un santo così grande in cui vita fu una catena non mai interrotta di opere meravigliose! Bisogna, F . M., che tutto quanto facciamo sia accompagnato da questa bella virtù, se vogliamo che abbia premio in cielo. Facendo le vostre preghiere, avete voi questa umiltà che vi fa riguardare voi stessi come miserabili, indegni di stare alla santa presenza di Dio? Ah! se così fosse non vi accontentereste di farle vestendovi o lavorando. No, non l’avete. Se l’aveste quando siete alla S. Messa, con qual rispetto, modestia e timore non vi assistereste? Ah! no, no, non vi si vedrebbe sorridere, parlare, voltar la testa, girare i vostri sguardi per la chiesa, dormire, far le preghiere vostre senza divozione, senza amor di Dio. Lontani dal trovar lunghe le funzioni, non potreste più uscirne, pensando quanto dev’essere grande la misericordia di Dio per sopportarvi in mezzo ai fedeli, voi che meritate pei vostri peccati d’essere annoverato fra i reprobi. Se aveste questa virtù, quando domandate qualche grazia al buon Dio, fareste come la Cananea che si inginocchiò ai piedi del Salvatore in presenza di tutti (Matt. XV, 25); come Maddalena, che baciò i piedi del Salvatore in una numerosa assemblea (Luc. VII, 88). Se l’aveste, fareste come quella donna che da dodici anni soffriva perdita di sangue, ed andò con tanta umiltà a chinarsi davanti al Salvatore per toccare umilmente il lembo del suo vestito (Marc. V, 25). Se aveste l’umiltà d’un S. Paolo, che era stato rapito fino al terzo cielo (II Cor. XII, 2), eppure si considerava come un aborto, come l’ultimo degli Apostoli, indegno del nome che portava (I Cor. XV, 8, 9) … Mio Dio! quanto è bella questa virtù; ma quanto è rara!… Se aveste questa virtù, F. M., quando vi confessate, ahi sareste lungi dal nascondere i vostri peccati o raccontarli come una storia divertente, e sovratutto raccontar quelli degli altri! Ah! da qual timore non sareste compresi, considerando da una parte la gravità delle vostre colpe, l’oltraggio che esse hanno recato a Dio, e osservando dall’altra la carità che Egli ha di perdonarvele? Dio mio! non sarebbe il caso di morire di dolore e di riconoscenza?,.. Se dopo aver confessato i vostri peccati, aveste quell’umiltà di cui parla san Giovanni Climaco (La scala santa, quinto grado), che essendo in un monastero, ci dice di aver visto coi propri occhi dei religiosi così umili, mortificati, i quali sentivano per modo il peso dei loro peccati che i loro lamenti, e le preghiere indirizzate a Dio erano capaci di toccare cuori duri some la pietra. Ve n’erano alcuni coperti di ulceri, da cui usciva un fetore insopportabile; essi curavano sì poco i loro corpi, che non avevano ormai più che pelle ed ossa. Si udivano risuonare pel monastero le grida più strazianti. – Ah! guai a noi peccatori miserabili! Giustamente mio Dio. potete precipitarci nell’inferno!,, Altri esclamavano: “Ah! Signore, perdonateci, se le nostre anime possono ancora ricevere perdono! Avevano tutti il pensiero della morte fisso nella lor mente e si dicevano gli uni gli altri: “Che sarà di noi dopo aver avuto la disgrazia d’offendere un Dio così buono? Potremo noi avere qualche speranza pel giorno delle vendette divine? „ Altri domandavano d’esser gettati nel fiume, per venirvi mangiati dai pesci. Il superiore vedendo S. Giovanni Climaco, gli disse : ” Ebbene! Padre mio, avete visto i nostri soldati? „ S.Giovanni Climaco ci dice che non poté né parlare né pregare, perché le grida di quei penitenti così profondamente umiliati, gli strappavano, suo malgrado, lagrime e singhiozzi. Come va, F. M., che noi non abbiamo umiltà, sebbene siamo assai più colpevoli? Ahimè! è perché non ci conosciamo abbastanza!

II. — Sì, F. M., ad un Cristiano, che si conosca bene, tutto serve per portarlo ad umiliarsi. Voglio dire tre cose: la considerazione delle grandezze di Dio, le umiliazioni di Gesù Cristo, e la nostra miseria.

1° Chi potrà considerare bene la grandezza di Dio, senza annichilarsi alla sua presenza, pensando che Egli dal nulla ha creato il cielo con una sola parola, ed un solo suo sguardo potrebbe tutto annientare? Un Dio che è così grande, e la cui potenza non ha confini, un Dio ripieno di ogni sorta di perfezioni, un Dio con la sua eternità senza fine, colla sua giustizia così severa, colla sua provvidenza che tutto governa con grande saggezza e provvede ai nostri bisogni con tanta cura! Mentre noi siamo un nulla vile e meschino! O mio Dio! non dovremmo, a più forte ragione, temere, come S. Martino, che la terra non si apra sotto i nostri piedi per inghiottirci, tanto siamo indegni di vivere? A questa considerazione, F. M., non fareste come quella grande penitente, di cui si parla nella vita di S. Pafnuzio? (Vita dei Padri del deserto. S. Pafnuzio e santa Taide) Questo buon vecchio, dice l’autore della sua vita, andato in cerca di quella peccatrice, e fu assai sorpreso di sentirla parlare di Dio. Il  santo abate le disse: “Sapete dunque che vi è un Dio? „ — “Sì, rispose ella: so di più che vi è un regno beato per quelli che vivono secondo i suoi comandamenti, ed un inferno, nel quale verranno cacciati i peccatori ad abbruciarvi. „ — “Se conoscete tutto ciò, sapete anche che avendo rovinato tante anime, vi siete messa in pericolo di andare a bruciare nell’inferno?,, La peccatrice, conoscendo a queste parole, che egli era un uomo di Dio, si gettò ai suoi piedi sciogliendosi in lacrime: “Padre mio, gli disse, datemi quella penitenza che vorrete, ed io la farò. ,, La rinchiuse in una cella dicendole: “Colpevole come siete non meritate di pronunciare il Nome di Dio; vi accontenterete di rivolgervi verso oriente, e per unica vostra preghiera direte: “O Voi che m’avete creata, abbiate pietà di me! „ Questa fu tutta la sua preghiera. S. Taide passò tre anni ripetendo tale preghiera, versando lagrime, e mandando sospiri giorno e notte. O mio Dio! l’umiltà ci fa davvero conoscere ciò che siamo!

2° Inoltre gli annientamenti di Gesù Cristo devono umiliarci ancor di più. “Quando considero, ci dice S. Agostino, un Dio che dalla sua incarnazione fino alla croce, ha trascorso una vita tutta di umiliazioni e di ignominie, un Dio disconosciuto sulla terra, temerò io di umiliarmi? Un Dio cerca le umiliazioni, ed io, verme della terra, vorrò elevarmi? „ Mio Dio! per pietà, distruggete quest’orgoglio, che tanto ci allontana da Voi.

3° Un altro motivo, F. M. , che ci deve umiliare è la nostra propria miseria. Non abbiamo che a guardarla davvicino, per trovare un’infinità di ragioni per umiliarci. Il profeta Michea ci dice: “Portiamo in noi stessi il principio ed il motivo della nostra umiliazione. Non sappiamo noi, ci dice, che il nulla è la nostra origine, che passò un’infinità di secoli prima che noi fossimo, e che da noi stessi non avremmo giammai potuto uscire da questo oscuro ed impenetrabile abisso? Possiamo ignorare che sebbene creati, abbiamo una violenta inclinazione al nulla, e che la mano potente di Colui che ce ne ha cavati, bisogna che ci impedisca di ripiombarvi, e che, se Dio cessasse di guardarci e sostenerci, saremmo cancellati dalla faccia della terra con la stessa rapidità d’una paglia trasportata da furiosa tempesta? „ Che cosa è dunque l’uomo per vantarsi della sua nascita e degli altri suoi comodi? “Ahimè! ci dice il santo Giobbe, chi siamo noi? Sozzura prima di nascere, miseria quando veniamo al mondo, infezione quando ne usciamo. Nasciamo di donna, ei dice (Giob. XIV, 1) viviamo poco tempo: durante la vita, sia essa pur breve, piangiamo molto e la morte non tarda a coglierci. „ — “Ecco la nostra porzione, ci dice S. Gregorio Papa, giudicate da questo se possiamo avere ragione di insuperbirci menomamente! Cosicché chi osa aver la temerità di credere d’esser qualcosa è un insensato, che non si è mai conosciuto, perché conoscendoci quali siamo, non possiamo avere che orrore di noi stessi. „ Ma non abbiamo minor motivo di umiliarci nell’ordine della grazia. Quali che siano i doni e le belle qualità che abbiamo, tutti li dobbiamo alla mano liberale del Signore, che li dà a chi gli piace per conseguenza non possiamo gloriarcene. Un Concilio ha dichiarato che l’uomo ben lungi d’esser l’autore della sua salvezza, non è capace che di perdersi, e non ha di proprio che il peccato e la menzogna. S. Agostino ci dice che tutta la nostra scienza consiste nel sapere che non siamo nulla, e che quanto abbiamo lo dobbiamo a Dio. Infine, che dobbiamo umiliarci per riguardo alla gloria e felicità che aspettiamo nell’altra vita, perché da noi, non possiamo meritarla. Se Dio è così buono da darcela, non possiamo fare assegnamento che sulla misericordia di Lui e sui meriti infiniti di Gesù Cristo, suo Figliuolo. Come figli di Adamo, noi meritiamo soltanto l’inferno. Oh! come Iddio è caritatevole dandoci la speranza di tanti beni, a noi che nulla abbiam fatto per meritarli! Che cosa dobbiamo concludere da ciò? F. M., eccolo: domandiamo al buon Dio, ogni giorno, l’umiltà, cioè che ci faccia la grazia di conoscere che noi siamo nulla, e che i beni, sia del corpo, sia dell’anima, ci vengono da Lui. .. Pratichiamo l’umiltà tutte le volte che potremo…; siamo ben persuasi che non c’è virtù più accetta a Dio dell’umiltà, e che con essa avremo tutte le altre. Per quanto siamo peccatori, stiamo sicuri che se possediamo l’umiltà, Dio ci perdonerà. Sì, F. M., attacchiamoci a questa bella virtù; essa ci unirà a Dio, ci farà vivere in pace col prossimo nostro, renderà le nostre croci meno pesanti, ci darà la grande speranza che un giorno vedremo Dio. Egli stesso ci ha detto: “Beati i poveri di spirito, perché vedranno Iddio! „ (Matt. V, 3). E quello che vi auguro.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps XXXIX: 14; 15
Dómine, in auxílium meum réspice: confundántur et revereántur, qui quærunt ánimam meam, ut áuferant eam: Dómine, in auxílium meum réspice.

[Signore, vieni in mio aiuto: siano confusi e svergognati quelli che insidiano la mia vita per rovinarla: Signore, vieni in mio aiuto.]

Secreta

Munda nos, quǽsumus, Dómine, sacrifícii præséntis efféctu: et pérfice miserátus in nobis; ut ejus mereámur esse partícipes.

[Purificaci, Te ne preghiamo, o Signore, in virtù del presente Sacrificio, e, nella tua misericordia, fa sì che meritiamo di esserne partecipi].

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps LXX: 16-17;18
Dómine, memorábor justítiæ tuæ solíus: Deus, docuísti me a juventúte mea: et usque in senéctam et sénium, Deus, ne derelínquas me.

[O Signore, celebrerò la giustizia che è propria solo a Te. O Dio, che mi hai istruito fin dalla giovinezza, non mi abbandonare nell’estrema vecchiaia.]

Postcommunio

Orémus.
Purífica, quǽsumus, Dómine, mentes nostras benígnus, et rénova coeléstibus sacraméntis: ut consequénter et córporum præsens páriter et futúrum capiámus auxílium.

[O Signore, Te ne preghiamo, purifica benigno le nostre anime con questi sacramenti, affinché, di conseguenza, anche i nostri corpi ne traggano aiuto per il presente e per il futuro].

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

12 SETTEMBRE (2020): SS. NOME DI MARIA

I SERMONI DEL CORATO D’ARS: “SULL’UMILTÀ”

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. IV, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)

Sull’umiltà.

“Omnis qui se exaltat humiliabitur, et qui se humiliat, exaltabitur.”

(Luc.. XVIII, 14).

Poteva forse, Fratelli miei, il nostro divin Salvatore, mostrarci in modo più chiaro ed evidente la necessità di umiliarci, cioè di sentire bassamente di noi, nei pensieri, nelle parole, nelle azioni, se vogliamo sperare di andar a cantare le lodi di Dio per tutta l’eternità? — Trovandosi un giorno in compagnia di persone, le quali, a quanto pare, si gloriavano del bene che avevano fatto, e disprezzavano gli altri, Gesù Cristo propose loro questa parabola, che, nulla vieta credere riproduca un fatto storico: “Due uomini, disse, ascesero al tempio per farvi orazione; l’uno era fariseo, l’altro pubblicano. Il fariseo ritto in piedi, così parlava a Dio: “Ti ringrazio, o Signore, perché non sono come il resto degli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano: digiuno due volte la settimana, do le decime di quanto possiedo. „ Ecco la sua preghiera, ci dice S. Agostino: (Serm. CXV, cap. 2, in illud Lucæ) vedete bene che essa non è altro che uno sfoggio pieno di boria, di vanità e di orgoglio. Il fariseo non viene al tempio per supplicare Iddio o ringraziarlo: ma per dir le sue lodi ed insultare l’altro che sta pregando. Il pubblicano invece, stando lungi dall’altare, non osava neppure di alzar gli occhi al cielo; si percoteva il petto, dicendo: “Mio Dio, abbi pietà di me che sono peccatore. „ — “Vi dichiaro, aggiunge Gesù Cristo, che questi se ne partì giustificato, non l’altro. „ I peccati del pubblicano vengono perdonati, ed il fariseo con tutte le sue virtù, ritorna a casa più colpevole di quando ne era uscito. Se volete saperne la ragione, eccola: l’umiltà del pubblicano, quantunque peccatore, fu più accetta a Dio che tutte le pretese opere buone dei fariseo col suo orgoglio (Respexit in orationem humilium, et non sprevit precem eorum. Ps, CI, 18).E Gesù Cristo ne concluse che: “chi si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato.„ Ecco la regola, F. M., non illudiamoci; la leggo è generale; è il nostro divino Maestro che l’ha pubblicata. “Quando avrete alzata la testa sino al cielo, dice il Signore, io ve ne strapperò. „ (Jer. XLIX, 16) Sì, F. M., l’unica strada che conduce alla gloria dell’altra vita, è l’umiltà. (Gloriam præcedit humilitas. Prov. xv, 33). Senza umiltà, senza questa bella e preziosa virtù, non entrerete in cielo, come non vi entrerete senza il battesimo (Matth. XVIII, 3). Comprendiamo adunque oggi, F. M., l’obbligo che abbiamo di umiliarci, ed i motivi che vi ci devono impegnare. Perciò, F. M., vi mostrerò:

1° che l’umiltà è una virtù assolutamente necessaria, se vogliamo che le nostre azioni siano accette a Dio e ricompensate nell’altra vita;

2° che tutti abbiamo obbligo di praticarla, sia riguardo a Dio, sia riguardo a noi stessi.

I . — Prima, F. M., di farvi comprendere il bisogno che abbiamo di questa bella virtù, tanto necessaria quanto il battesimo dopo il peccato originale; tanto necessaria, aggiungo quanto il sacramento della Penitenza dopo il peccato mortale, bisogna vi dica in che cosa consiste questa amabile virtù, che dà si gran merito a tutte le nostre buone azioni, ed orna così riccamente tutte le nostre opere buone. – S. Bernardo, questo gran santo che l’ha praticata in modo così straordinario, che ha abbandonato beni, piaceri, parenti ed amici, per passare la sua vita nelle foreste, tra le fiere, a piangervi i suoi peccati, ci dico che l’umiltà è una virtù per la quale conosciamo noi stessi: cosa che ci porta a non avere per noi che disprezzo, ed a non provar nessun gusto nel sentirci lodati 1. *(De gradibus humilitatis et superbiæ, cap. 1).

1° Anzitutto questa virtù ci è assolutamente necessaria se vogliamo che le nostre azioni siano premiate in cielo: poiché Gesù Cristo stesso ci dice che non possiamo salvarci senza umiltà, come non possiamo salvarci senza il battesimo. S. Agostino ci dice: ” Se mi domandate qual è la prima virtù del Cristiano, vi risponderò che è l’umiltà; se mi domandate qual è la seconda, vi dirò ancora l’umiltà; e ogni volta mi farete questa domanda, vi darò sempre la medesima risposta. „(Epist. CXIII ad Dioscorum, cap. III, 22). Se l’orgoglio genera tutti i peccati (Initium omnia peccati est superbia, Eccli. x, 15), possiamo anche dire che l’umiltà produce tutte le virtù (Vedi RODRIQUEZ, Trattato dell’umiltà, cap. III). Coll’umiltà, avrete quanto v’occorre per piacere a Dio e salvar l’anima vostra; senza umiltà, aveste pure tutte le altre virtù, avrete nulla. Leggiamo nel santo Vangelo che alcune madri presentavano i loro bambini a Gesù Cristo perché li benedicesse. Gli Apostoli li respingevano. Nostro Signore, volendo mostrare la sua disapprovazione, disse loro: “Lasciate venire a me questi pargoli, poiché il regno dei cieli è per loro e per chi ad essi rassomiglia. „ E li abbracciava, e dava loro la sua santa benedizione. Perché tanta accoglienza da parte del divin Salvatore? Perché  i bambini sono semplici, umili, e senza malizia. Parimente, F. M., se vogliamo essere bene accolti da Gesù Cristo, dobbiamo essere semplici ed umili in quanto facciamo. “Fu – ci dice S. Bernardo – fu questa bella virtù, la cagione per cui l’eterno Padre fermò sulla santissima Vergine lo sguardo della sua compiacenza: e se, la verginità, aggiunge, attrasse lo sguardo di Dio, l’umiltà fu causa che ella diventasse Madre del Figlio di Dio. Se Maria santissima è la Regina dei vergini, ella è altresì la Regina degli umili. „ (Hom. I, super Missus est, 5) S. Teresa domandava un giorno a nostro Signore, perché altre volte lo Spirito Santo si comunicava con tanta facilità ai personaggi dell’Antico Testamento, ai patriarchi, ai profeti, e manifestava loro i suoi secreti, mentre al presente non lo fa più. Nostro Signore le rispose perché erano più semplici e più umili, mentre gli uomini di oggi hanno il cuor doppio, e sono ripieni di orgoglio e vanità. Dio non si comunica ad essi, non li ama, come amava quei buoni patriarchi e quei profeti, che erano semplici ed umili. S. Agostino ci dice: “Se vi umiliate profondamente e riconoscete di esser nulla, di non meritar nulla, Dio vi darà grazie in abbondanza; ma se volete innalzarvi e credervi qualche cosa, Egli si ritirerà da voi, e vi abbandonerà nella vostra miseria. „ – Nostro Signore per farci ben comprendere che l’umiltà è la più bella e la più preziosa di tutte le virtù, comincia le beatitudini coll’umiltà, dicendo: “Beati i poveri di spirito, poiché di essi è il regno dei cieli. „ S. Agostino ci dice che questi poveri di spirito sono quelli che hanno l’umiltà per patrimonio! (Serm. LIII, in illud Matth. Beati pauperes spiritu). Il profeta Isaia dice a Dio: “Signore, su chi il vostro Spirito Santo discende? Forse su quelli che hanno gran riputazione nel mondo,o sugli orgogliosi? — No, dice il Signore, ma su chi ha il cuore umile. „ (Is. XLVI, 2).Non solo questa virtù ci rende accetti a Dio,ma anche agli uomini. Tutti amano colui che è umile; si gode della sua compagnia. Perché  ordinariamente i fanciulli sono amati, se non perché sono semplici ed umili? Una persona umile cede in tutto, non contraria e non affligge mai nessuno, s’accontenta di tutto,cerca sempre di nascondersi agli occhi del mondo. Ne abbiamo un bell’esempio nella persona di S. Ilarione. S. Girolamo racconta chequesto gran santo era richiesto dagli imperatori, dai re, dai principi, dalla folla del popolo attirato nella solitudine del deserto dal profumo di sua santità e dallo splendore e dalla fama dei suoi miracoli; ma che egli al contrario fuggiva il mondo quanto poteva. Cambiava spesso dicella, per vivere nascosto e sconosciuto; piangeva senza posa alla vista di quella moltitudine di religiosi e d’altra gente che venivano da lui per essere guariti dai loro mali. Rimpiangendo l’antica solitudine: “Sono, diceva tutto in lacrime, sono ritornato nel mondo, riceverò la mia ricompensa in questa vita, poiché mi si tiene per una persona considerevole. „ — “E ci dice S. Girolamo, niente di più ammirabile che vederlo così umile in mezzo a tanti onori che gli venivano prodigati. Essendosi sparsa la notizia che si ritirava nel fondo di un deserto selvaggio, dove nessuno avrebbe potuto più visitarlo, ventimila uomini si misero ad invigilarlo; ma il Santo disse loro che non avrebbe preso cibo sinché non lo avessero lasciato libero. Gli si fece la guardia per sette giorni: ma vedendo che non mangiava nulla… Fuggì nel deserto più remoto e selvaggio dove si diede a tutto ciò che poteva ispirargli il suo amore per Dio. Solamente là credette di cominciare a servire il buon Dio. „ (Vita dei Padri del deserto), Ditemi, F. M., non è questa umiltà, disprezzo di se stesso? Ahimè! quanto queste virtù sono rare! ma anche i santi sono rari! Quanto si odia un orgoglioso, altrettanto si ama una persona umile, perché essa prende sempre l’ultimo posto, rispetta tutti e stima tutti, e perciò appunto piace tanto la compagnia di persone che hanno così belle qualità.

2° Inoltre l’umiltà è il fondamento di tutte le altre virtù (Cogitas magnam, fabricam construere celsitudinis? De fundamento prius cogita humilitatis. S. Aug., Serm. in Matth.). Chi desidera servire il buon Dio e salvare l’anima propria, deve cominciare dal praticar questa virtù in tutta la sua estensione, altrimenti la nostra divozione sarà simile ad uno stelo di paglia che fu piantato, ma che al primo soffio di vento sarà abbattuto. Sì, F. M., il demonio teme pochissimo quelle divozioni che non hanno l’umiltà per fondamento, perché sa benissimo che le potrà abbattere quando a lui piaccia; come accadde a quel solitario che giunse sino a camminar sui carboni ardenti senza abbruciarsi, ma, privo d’umiltà, cadde poco dopo negli eccessi più deplorevoli (Vita dei Padri del Deserto). Se non avete l’umiltà, dite che non avete nulla, e che alla prima tentazione cadrete. Si racconta nella vita di S. Antonio (ibid.), che il buon Dio gli fece vedere il mondo tutto ripieno di lacci tesi dal demonio per far cadere gli uomini nel peccato. Ne fu tanto stupito, che il suo corpo tremava come le foglie della foresta, e rivolgendosi a Dio:  “Ahimè! Signore, chi potrà evitare tante insidie? „ Intese una voce rispondergli: “Antonio, chi sarà umile; perché Dio dà la sua grazia agli umili per resistere alle tentazioni, mentre permette «he il demonio si prenda giuoco degli orgogliosi, i quali esposti all’occasione, cadranno nel peccato. Il demonio non osa neppure attaccare le persone umili. „ Quando S. Antonio era tentato, non faceva che umiliarsi profondamente innanzi a Dio, dicendo: “Ahimè, Signore, sapete che non sono altro che un miserabile peccatore! „ Allora il demonio fuggiva. Quando siamo tentati, F. M., teniamoci nascosti sotto il velo dell’umiltà, e vedremo che il demonio avrà poca forza su di noi. Leggiamo  nella vita di S. Macario, che andando egli un giorno nella sua cella carico le braccia di foglie di palma, gli si fece innanzi il demonio con spaventevole furore tentando di percuoterlo, ma non riuscendo perché Dio non gliene aveva dato facoltà, esclamò: “O Macario! quanto mi fai soffrire: non ho la forza di maltrattarti, quantunque io adempia più perfettamente di te ciò che tu fai; perché tu digiuni qualche volta, ma io non mangio mai: tu vegli qualche volta ed io non dormo mai. Non v’è che una cosa, in cui confesso che mi superi. „ S. Macario gli domandò quale fosse. “È la tua umiltà. „ Il santo si gettò con la faccia contro terra, domandò a Dio di non soccombere alla tentazione, e subito il demonio fuggi. (Vita dei Padri del deserto. S. Macario d’Egitto). Ah! F. M., questa virtù quanto ci rende cari a Dio, ed è potente a scacciare il demonio. Ma quanto è rara! ed è facile comprenderlo, poiché vi sono ben pochi Cristiani che resistano al demonio quando sono tentati. Ma, affinché non vi facciate illusione e riconosciate che questa virtù non l’avete avuta mai, entriamo in un semplice particolare. No, F. M., non sono prova che noi possediamo l’umiltà le belle parole e belle manifestazioni di disprezzo di noi stessi. E prima di cominciare vi citerò un esempio il quale vi proverà che le parole contano poco. Leggiamo nella Vita dei Padri, che essendo venuto un solitario a trovare S. Serapione, (idem)  quegli non voleva pregare con lui, perché, diceva, ho commesso tanti peccati e ne sono indegno: non oso neppure respirare l’aria in cui vi trovate. Seduto in terra, non osava neppure assidersi sullo stesso sgabello su cui stava S. Serapione. Volendo il santo lavargli i piedi secondo il costume, egli resisté ancor più. Ecco l’umiltà che secondo noi ha tutta l’apparenza di essere sincera, eppure vedete dove va a finire. S. Serapione si limitò a osservargli che avrebbe fatto assai meglio a starsene nella sua solitudine, invece di andare di cella in cella al pari di un girovago, e a lavorare per vivere. Allora il solitario non seppe trattenersi dal mostrare che la sua umiltà non era che falsa virtù; si adirò contro il santo, e lo lasciò. Perciò il santo gli disse: “Eh! figlio mio, mi dicevate or ora che avevate commesso tutti i delitti immaginabili, che non osavate né pregare né mangiare con me, e per un semplice avvertimento, che in nulla può offendervi, vi lasciate vincere dalla collera! Andate, amico mio, la vostra virtù e tutte le vostre opere buone sono prive della più bella dote, che è l’umiltà. „ Vedete da questo esempio, che ve n’è ben poca di vera umiltà. Ahimè! quanti vi sono che finché vengono adulati, lodati o ricevono dimostrazioni di stima, sono tutto ardore per le pratiche di pietà, darebbero tutto e si spoglierebbero di tutto; ma basta un piccolo rimprovero, un tratto d’indifferenza per gettare l’amarezza nel loro cuore; tutto questo li tormenta, li fa piangere, li mette di cattivo umore, fa commettere loro mille giudizi temerari, pensando che vengono trattati indegnamente, mentre con altri non si usa così. Ahimè! quanto questa bella virtù è rara fra i Cristiani dei nostri giorni! quante virtù non hanno che l’apparenza, ed al primo urto se ne vanno in fumo! Ma in che cosa consiste l’umiltà? Eccolo: vi dirò anzitutto che vi sono due specie di umiltà, l’una interiore e l’altra esteriore. L’umiltà esterna consiste,

1° nel non lodarsi di esser ben riusciti in qualche opera da noi fatta, e non ripeterne il racconto a tutti; nel non narrare le nostre prodezze spiritose, i nostri viaggi, la destrezza ed abilità mostrate, né ciò che per avventura è stato detto a nostro onore:

2° nel nascondere il bene che possiamo aver fatto, come le elemosine, le preghiere, le penitenze, i servigi prestati al prossimo, le grazie interne che Dio ci ha largito;

3° nel non compiacerci quando siamo lodati; nel cercare di divergere la conversazione, attribuendo a Dio il buon successo pel quale siamo encomiati; facendo conoscere che ciò ci dà fastidio, ed andandocene se lo possiamo;

4° nel non dir mai né bene né male di se stesso. Alcuni parlano spesso male di se medesimi allo scopo di venir lodati: questa è falsa umiltà, è un’umiltà posticcia. Di voi stesso non dite nulla, accontentatevi di riconoscere che siete un miserabile, che occorre tutta la carità di Dio per sopportarvi sulla terra;

5° nel non mai disputare cogli eguali; bisogna loro ceder in tutto ciò che non è contrario alla coscienza; non creder d’avere sempre ragione; se la si avesse, bisogna pensar subito che potremmo ingannarci, come avvenne tante volte; e soprattutto non ostinarci mai a voler dire l’ultima parola, ciò che rivela uno spirito assai orgoglioso:

6° nel non mostrarci mai tristi, quando sembriamo disprezzati, né lamentarcene con altri; ciò proverebbe che non abbiamo umiltà, poiché se ne avessimo, non crederemmo mai d’essere disprezzati, giacché mai non potremmo essere trattati come meritiamo pei nostri peccati; al contrario bisogna ringraziare il buon Dio, come il santo re Davide, che rendeva bene per male (Ps. VII, 5), pensando quanto aveva egli stesso disprezzato Dio coi suoi peccati;

7° nell’essere ben contenti che ci si disprezzi, ad esempio di Gesù Cristo, di cui fu detto “che sarebbe stato saziato d’obbrobrio (Thren. III, 30), „ e ad esempio degli apostoli, dei quali è scritto (Act. V, 41) “che gioivano grandemente d’esser trovati degni di soffrire qualche disprezzo, qualche ignominia per amore di Gesù Cristo: „ e tutto questo all’ora della morte ci sarà argomento di sperare la felicità;

8° nel non scusarci delle nostre colpe, quando abbiamo fatto qualche cosa di riprovevole, e non dar ad intendere che non è così, o con menzogne o con rigiri, o col far apparire di non essere stati noi. Quan d’anche fossimo accusati a torto, purché non siavi interessata la gloria di Dio, non dobbiamo dir nulla. Vedete che cosa capitò a quella giovinetta, alla quale si era messo il nome di fratello Marino Ahimè! chi di noi sottoposto a simili prove non sarebbesi giustificato, potendolo così facilmente? (v. XI Domenica dopo Pentecoste).

9° Finalmente l’umiltà esteriore consiste nel fare ciò che è più ripugnante, ciò che gli altri non vogliono fare, e amare di andar vestiti semplicemente. Ecco. F. M.. in che cosa consiste l’umiltà esteriore. Ma in che cosa consiste quella interiore?

Eccolo. Consiste:

1° nel sentire bassamente di noi, non applaudendosi in cuore, quando abbiamo fatto qualche cosa ben riuscita, ma crederci indegni e incapaci di fare qualsiasi buona azione, appoggiati alle parole di Gesù Cristo medesimo, che ci dice che senza di Lui nulla possiam fare di bene (Joan. XV, 5): non possiamo neppur pronunziare una buona parola, neppur ripetere il Ss. nome di Gesù, senza il soccorso dello Spirito Santo (I Cor. XII, 3);

2° nell’essere lieti che gli altri conoscano i nostri difetti, per aver occasione di tenerci nel nostro nulla;

3° nell’essere contenti che gli altri ci superino in ricchezze, in ingegno, in virtù, od in altra cosa e nel sottometterci alla volontà, al giudizio altrui, ogni volta che non sia contro alla coscienza. Sì, F. M., una persona veramente umile deve essere simile ad un morto, che n’è s’inquieta per le ingiurie che gli si fanno, né gode per le lodi che gli vengono date. – Ecco, F. M., che cos’è possedere l’umiltà cristiana, che ci rende così accetti a Dio ed amabili al prossimo. Vedete ora, se l’avete o no. E se non l’avete, non vi resta per salvarvi che di domandarla a Dio fin che l’abbiate ottenuta, perché senza di essa non entreremo in cielo. Leggiamo nella vita di S. Elzeario, che, trovatosi in pericolo di perire in mare con quanti erano nella nave, passato il pericolo, santa Delfina sua sposa gli domandò se non avesse avuto paura. Le rispose: “Quando mi trovo in simile pericolo, raccomando a Dio me stesso e quanti sono con me, e gli dico che se alcuno deve morire, sia io quello, come il più miserabile ed indegno di vivere. „ (Ribadeneira, 27 Sett.,m t. IX). Quale umiltà!… – S. Bernardo era così penetrato del suo nulla, che quando entrava in una città, si metteva in ginocchio a pregare Iddio di non punire quella città a cagione de’ suoi peccati; credeva che. dovunque andasse, non fosse capace che d’attirare la maledizione su quel luogo. Quale umiltà, F. M., in un santo così grande in cui vita fu una catena non mai interrotta di opere meravigliose! Bisogna, F . M., che tutto quanto facciamo sia accompagnato da questa bella virtù, se vogliamo che abbia premio in cielo. Facendo le vostre preghiere, avete voi questa umiltà che vi fa riguardare voi stessi come miserabili, indegni di stare alla santa presenza di Dio? Ah! se così fosse non vi accontentereste di farle vestendovi o lavorando. No, non l’avete. Se l’aveste quando siete alla S. Messa, con qual rispetto, modestia e timore non vi assistereste? Ah! no, no, non vi si vedrebbe sorridere, parlare, voltar la testa, girare i vostri sguardi per la chiesa, dormire, far le preghiere vostre senza divozione, senza amor di Dio. Lontani dal trovar lunghe le funzioni, non potreste più uscirne, pensando quanto dev’essere grande la misericordia di Dio per sopportarvi in mezzo ai fedeli, voi che meritate pei vostri peccati d’essere annoverato fra i reprobi. Se aveste questa virtù, quando domandate qualche grazia al buon Dio, fareste come la Cananea che si inginocchiò ai piedi del Salvatore in presenza di tutti (Matt. XV, 25); come Maddalena, che baciò i piedi del Salvatore in una numerosa assemblea (Luc. VII, 88). Se l’aveste, fareste come quella donna che da dodici anni soffriva perdita di sangue, ed andò con tanta umiltà a chinarsi davanti al Salvatore per toccare umilmente il lembo del suo vestito (Marc. V, 25). Se aveste l’umiltà d’un S. Paolo, che era stato rapito fino al terzo cielo (II Cor. XII, 2), eppure si considerava come un aborto, come l’ultimo degli apostoli, indegno del nome che portava (I Cor. XV, 8, 9) … Mio Dio! quanto è bella questa virtù; ma quanto è rara!… Se aveste questa virtù, F. M., quando vi confessate, ahi sareste lungi dal nascondere i vostri peccati o raccontarli come una storia divertente, e sovratutto raccontar quelli degli altri! Ah! da qual timore non sareste compresi, considerando da una parte la gravità delle vostre colpe, l’oltraggio che esse hanno recato a Dio, e osservando dall’altra la carità che Egli ha di perdonarvele? Dio mio! non sarebbe il caso di morire di dolore e di riconoscenza?,.. Se dopo aver confessato i vostri peccati, aveste quell’umiltà di cui parla san Giovanni Climaco (La scala santa, quinto grado), che essendo in un monastero, ci dice di aver visto coi propri occhi dei religiosi così umili, mortificati, i quali sentivano per modo il peso dei loro peccati che i loro lamenti, e le preghiere indirizzate a Dio erano capaci di toccare cuori duri some la pietra. Ve n’erano alcuni coperti di ulceri, da cui usciva un fetore insopportabile; essi curavano sì poco i loro corpi, che non avevano ormai più che pelle ed ossa. Si udivano risuonare pel monastero le grida più strazianti. – Ah! guai a noi peccatori miserabili! Giustamente mio Dio. potete precipitarci nell’inferno!,, Altri esclamavano: “Ah! Signore, perdonateci, se le nostre anime possono ancora ricevere perdono! Avevano tutti il pensiero della morte fisso nella lor mente e si dicevano gli uni gli altri: “Che sarà di noi dopo aver avuto la disgrazia d’offendere un Dio così buono? Potremo noi avere qualche speranza pel giorno delle vendette divine? „ Altri domandavano d’esser gettati nel fiume, per venirvi mangiati dai pesci. Il superiore vedendo S. Giovanni Climaco, gli disse : ” Ebbene! Padre mio, avete visto i nostri soldati? „ S.Giovanni Climaco ci dice che non poté né parlare né pregare, perché le grida di quei penitenti così profondamente umiliati, gli strappavano, suo malgrado, lagrime e singhiozzi. Come va, F. M., che noi non abbiamo umiltà, sebbene siamo assai più colpevoli? Ahimè! è perché non ci conosciamo abbastanza!

II. — Sì, F. M., ad un Cristiano, che si conosca bene, tutto serve per portarlo ad umiliarsi. Voglio dire tre cose: la considerazione delle grandezze di Dio, le umiliazioni di Gesù Cristo, e la nostra miseria.

1° Chi potrà considerare bene la grandezza di Dio, senza annichilarsi alla sua presenza, pensando che Egli dal nulla ha creato il cielo con una sola parola, ed un solo suo sguardo potrebbe tutto annientare? Un Dio che è così grande, e la cui potenza non ha confini, un Dio ripieno di ogni sorta di perfezioni, un Dio con la sua eternità senza fine, colla sua giustizia così severa, colla sua provvidenza che tutto governa con grande saggezza e provvede ai nostri bisogni con tanta cura! Mentre noi siamo un nulla vile e meschino! O mio Dio! non dovremmo, a più forte ragione, temere, come S. Martino, che la terra non si apra sotto i nostri piedi per inghiottirci, tanto siamo indegni di vivere? A questa considerazione, F. M., non fareste come quella grande penitente, di cui si parla nella vita di S. Pafnuzio? (Vita dei Padri del deserto. S. Pafnuzio e santa Taide) Questo buon vecchio, dice l’autore della sua vita, andato in cerca di quella peccatrice, e fa assai sorpreso di sentirla parlare di Dio. Il  santo abate le disse: “Sapete dunque che vi è un Dio? „ — “Sì, rispose ella: so di più che vi è un regno beato per quelli che vivono secondo i suoi comandamenti, ed un inferno, nel quale verranno cacciati i peccatori ad abbruciarvi. „ — “Se conoscete tutto ciò. sapete anche che avendo rovinato tante anime, vi siete messa in pericolo di andare a bruciare nell’inferno?,, La peccatrice, conoscendo a queste parole, che egli era un uomo d Dio, si gettò ai suoi piedi sciogliendosi in lacrime: “Padre mio, gli disse, datemi quella penitenza che vorrete, ed io la farò. ,, La rinchiuse in una cella dicendole: “Colpevole come siete non meritate di pronunciare il nome di Dio; vi accontenterete di rivolgervi verso oriente, e per unica vostra preghiera direte: “O Voi che m’avete creata, abbiate pietà di me! „ Questa fu tutta la sua preghiera. S. Taide passò tre anni ripetendo tale preghiera, versando lagrime, e mandando sospiri giorno e notte. O mio Dio! l’umiltà ci fa davvero conoscere ciò che siamo!

2° Inoltre gli annientamenti di Gesù Cristo devono umiliarci ancor di più. “Quando considero, ci dice S. Agostino, un Dio che dalla sua incarnazione fino alla croce, ha trascorso una vita tutta di umiliazioni edi ignominie, un Dio disconosciuto sulla terra, temerò io di umiliarmi? Un Dio cerca le umiliazioni, ed io, verme della terra, vorrò elevarmi? „ Mio Dio! per pietà, distruggete quest’orgoglio, che tanto ci allontana da Voi.

3° Un altro motivo, F. M,, che ci deve umiliare è la nostra propria miseria. Non abbiamo che a guardarla davvicino, per trovare un’infinità di ragioni per umiliarci. Il profeta Michea ci dice: “Portiamo in noi stessi il principio ed il motivo della nostra umiliazione. Non sappiamo noi, ci dice, che il nulla è la nostra origine, che passò un’infinità di secoli prima che noi fossimo, e che da noi stessi non avremmo giammai potuto uscire da questo oscuro ed impenetrabile abisso? Possiamo ignorare che sebbene creati, abbiamo una violenta inclinazione al nulla, e che la mano potente di Colui che ce ne ha cavati bisogna che ci impedisca di ripiombarvi, eche, se Dio cessasse di guardarci e sostenerci, saremmo cancellati dalla faccia della terra con la stessa rapidità d’una paglia trasportata da furiosa tempesta? „ Che cosa è dunque l’uomo per vantarsi della sua nascita e degli altri suoi comodi? “Ahimè! ci dice il santo Giobbe, chi siamo noi? Sozzura prima di nascere, miseria quando veniamo al mondo, infezione quando no usciamo. Nasciamo di donna, ei dice (Giob. XIV, 1) viviamo poco tempo: durante la vita, sia essa pur breve, piangiamo molto e la morte non tarda a coglierci. „ — “Ecco la nostra porzione, ci dice S. Gregorio Papa, giudicate da questo se possiamo avere ragione di insuperbirci menomamente! Cosicché chi osa aver la temerità di credere d’esser qualcosa è un insensato, che non si è mai conosciuto, perché conoscendoci quali siamo, non possiamo avere che orrore di noi stessi. „ Ma non abbiamo minor motivo di umiliarci nell’ordine della grazia. Quali che siano i doni e le belle qualità che abbiamo, tutti li dobbiamo alla mano liberale del Signore, che li dà a chi gli piace per conseguenza non possiamo gloriarcene. Un Concilio ha dichiarato che l’uomo ben lungi d’esser l’autore della sua salvezza, non è capace che di perdersi, e non ha di proprio che il peccato e la menzogna. S. Agostino ci dice che tutta la nostra scienza consiste nel sapere che non siamo nulla, e che quanto abbiamo lo dobbiamo a Dio. Infine, che dobbiamo umiliarci per riguardo alla gloria e felicità che aspettiamo nell’altra vita, perché da noi, non possiamo meritarla. Se Dio è così buono da darcela, non possiamo fare assegnamento che sulla misericordia di Lui e sui meriti infiniti di Gesù Cristo, suo Figliuolo. Come figli di Adamo, noi meritiamo soltanto l’inferno. Oh! come Iddio è caritatevole dandoci la speranza di tanti beni, a noi che nulla abbiam fatto per meritarli! Che cosa dobbiamo concludere da ciò? F. M., eccolo: domandiamo al buon Dio, ogni giorno, l’umiltà, cioè che ci faccia la grazia di conoscere che noi siamo nulla, e che i beni, sia del corpo, sia dell’anima, ci vengono da Lui. .. Pratichiamo l’umiltà tutte le volte che potremo…; siamo ben persuasi che non c’è virtù più accetta a Dio dell’umiltà, e che con essa avremo tutte le altre. Per quanto siamo peccatori, stiamo sicuri che se possediamo l’umiltà Dio ci perdonerà. Sì, F. M., attacchiamoci a questa bella virtù; essa ci unirà a Dio, ci farà vivere in pace col prossimo nostro, renderà le nostre croci meno pesanti, ci darà la grande speranza che un giorno vedremo Dio. Egli stesso ci ha detto: “Beati i poveri di spirito, perché vedranno Iddio! „ (Matt. V, 3). E quello che vi auguro.

LO SCUDO DELLA FEDE (173)

A. D. SERTILLANGES, O. P.

CATECHISMO DEGLI INCREDULI (IX)

[Versione autoriz. Dal francese del P. S. G. Nivoli, O. P. – III ristampa. S. E. I. – Torino 1944]

LIBRO SECONDO

1 MISTERI

III. — Il mistero della Creazione.

a) La Creazione stessa.

D. Perché chiami la creazione un mistero?

R. Perché Dio è un mistero, e benché non si tratti qui delle sue intimità, come nel mistero in senso proprio, tuttavia per noi, l’oscurità è grande altrettanto. Per capire la creazione, punto di sutura tra Dio e il mondo, bisognerebbe poter comprendere e il mondo e Dio.

D. Il mondo è dunque tratto da Dio?

R. Così dev’essere, in una certa maniera. Come quest’indigente si sarebbe arricchito d’essere, se non per un prestito dall’Essere perfetto?

D. Sei dunque partigiano delle emanazioni?

R. S. Tommaso usa questa parola, ma non nel senso degli emanatisti. Costoro fanno dell’universo, materiale e spirituale, una derivazione, un irradiamento necessario del primo Principio; la loro concezione è panteistica e più o meno trascina Dio nel divenire, distruggendo la sua trascendenza. Per il pensiero giudeo-cristiano, Dio è la causa del mondo e il mondo partecipa di Dio; ma l’essere del mondo non esce dall’essere di Dio; non ne è punto una parte; contuttociò non si addiziona con esso, e lì appunto sta il mistero.

D. Dio e il mondo non sono più che Dio solo?

R. No, nello stesso modo che, in matematica, l’infinito più un numero qualunque è uguale all’infinito. Del resto abbiamo già toccato questo problema e ne abbiamo riconosciuto la necessaria oscurità.

D. Non dici forse che il mondo fu tratto dal nulla?

R. È un modo di parlare. Il niente, non essendo niente, non se ne può trarre niente, né come si trae un’opera d’arte da una materia, né come si trae un oggetto dal vaso in cui era contenuto.

D. Forse vuoi dire che il niente è qui un punto di partenza?

R. È ben questo che si vuole dire; ma non è ancora se non un modo di parlare; perché il niente non può essere un punto di partenza più che un recipiente o una materia: il niente è niente e non potrebbe avere alcun compito positivo. Quando si menziona il termine, bisogna intenderlo negativamente, e ciò vuol dire che la creazione non presuppone nessuna materia, nessun punto di partenza, nessun antecedente qualsisia; essa dà tutto, e non vi sono materie, punti di partenza, antecedenti, se non dopo di essa; voglio dire in ragione di essa; perché dopo o prima della creazione, questo non ha senso.

D. La creazione non ha avuto luogo in un dato momento?

R. Dove si prenderebbe questo momento, poiché i momenti stessi hanno bisogno di essere creati? Il tempo non è un figlio di Dio come tutto il resto, un attributo delle cose, dunque anche una cosa?

D. Ma allora la creazione ha luogo eternamente!

R. La creazione, se si vuol significarla come azione, è di fatto un’azione eterna; è un’azione di Dio, e l’azione di Dio è Dio. Se Dio è immutabile ed eterno, la creazione presa dal suo lato, dev’essere tale; se non che l’effetto, che è il mondo, è temporale. Il tempo è posteriore alla creazione, come uno de’ suoi risultati; non può dunque fornirle il suo momento. Per la creazione, tutto si radica nell’eternità, anche la nostra durata effimera.

D. Ecco una cosa assai oscura!

R. Ti ho già detto che la creazione è un mistero.

D. Che cosa è, finalmente, in se stessa?

R. Presa attivamente, se si vuole, è come l’irradiamento d’un Centro ineffabile, in cui il tempo e gli oggetti del tempo prendono la loro origine. Passivamente è la connessione del raggio al suo focolare, cioè la sospensione del temporale all’eterno, la sua dipendenza totale; è dunque una pura relazione; ma questa relazione forma il nostro essere. Per noi, essere, o dipendere da Dio, o prendere da Dio, è la stessa cosa.

D. Ma se Dio «irradia» così nel mondo, tu ritorni alle emanazioni.

R. Ti ho avvertito che noi ci esprimiamo come possiamo. Ci rappresentiamo così le cose, perché la nostra mente, abituata alle relazioni reciproche, concepisce che vi è irradiamento dovunque vi è il raggio. Ma in realtà, qui, il raggio non discende, ma sale. Da Dio a noi le relazioni non sono reciproche; noi dipendiamo, ma Egli non dipende affatto, ciò che avrebbe luogo se Egli «irradiasse » in modo da comunicarci qualche cosa. Perché chi tocca è anche toccato; chi agisce nel senso umano del termine riceve anche un’azione; non vi è azione senza reazione, e quando io appoggio la mano sulla tavola, anche la tavola preme sopra di me.

D. Allora?

R. Allora, finalmente, rimovendo ogni immagine e ogni concessione al discorso, bisogna dire che la creazione è la dipendenza del mondo relativamente a Dio; essa non è altro.

D. Raccolgo le tue parole e dico: Il mondo è eterno.

R. Perché ciò?

D. Perché, secondo te, la creazione è una relazione del mondo riguardo a Dio che è eterno; perché, presa attivamente, la creazione è azione di Dio, vale a dire è Dio, che è eterno; perché, non essendovi « momento » per collocare l’azione creatrice, e la creazione-relazione non toccando alcun momento piuttosto che un altro, non si vede posto per un cominciamento del mondo, il che è veramente essere eterno.

R. Tutto ciò non ne segue in alcun modo. Che per la creazione il mondo dipenda da un Dio eterno, ciò non rende il mondo eterno come il dipendere da un uomo bianco non rende un oggetto bianco; la dipendenza del mondo essendo totale, dipende anche la sua durata, ed essa sarà quello che Dio vuole che essa sia. Presa attivamente, la creazione è Dio stesso, ma Dio operante per la sua volontà, non per una necessità della sua natura (il che sarebbe un ritornare al sistema delle emanazioni): la durata del mondo sarà dunque misurata dalla volontà di Dio, non misurata alla natura di Dio, all’eternità di Dio. Finalmente, non vi è momento estraneo al mondo, che possa servire a creare il mondo; ma vi sono momenti nel mondo, e vi può essere un primo momento del mondo. In altri termini, la creazione in se stessa è intemporale, ma tale non è il suo effetto. Il mondo dura. Quanto dura? la sua durata è finita in avanti, finita in addietro, infinita in avanti, infinita in addietro, ciò dipende dalla pura e semplice volontà di Dio.

D. E allora nulla impedisce di dirlo eterno.

R. Difatti nulla lo impedisce, stando però nei limiti del ragionamento; ma poiché ciò dipende dalla volontà di Dio, è naturale riferirsene a Dio, ed è quello che fanno i Cristiani, ammaestrati dai loro sacri testi. Nulla, per noi, è sempre esistito. Ma del rimanente, e bisogna notarlo bene, essere sempre esistito non vorrebbe dire, per il mondo, essere eterno nel senso proprio, essere eterno come Dio. L’eternità di Dio è un’immobilità, un’indivisibilità, una semplicità; la corsa infinita del tempo sarebbe una moltiplicità inesauribile. Una tale durata sarebbe, in certo modo, più lontana ancora dalla durata eterna che una corsa che incomincia. Se si volesse rappresentare con un’immagine quantitativa l’eternità e il tempo infinito, questo sarebbe figurato da una linea senza termine, l’eternità da un punto.

D. Mistero!

R. Mistero.

b) Gli Angeli e i Demonii.

D. Quali sono, per ordine, gli esseri che godono il benefizio della creazione?

R. Gli Angeli, che noi crediamo aver preceduto la creazione materiale; la creazione stessa materiale; l’uomo, e, se esistono, gli esseri ragionevoli che abitano negli altri mondi.

D. Credi tu veramente a questi esseri che non si vedono? non è un’illusione, un inganno?

R. L’uomo ingannato — ingannato da’ suoi sensi — è colui che non crede se non a quello che si vede.

D. Perché questo mondo supererogatorio, questa creazione di esseri supplementare?

R. Tu trovi cosa naturale che Shakespeare abbia creato Ariel, che è al di sopra dell’uomo, e Caliban, che è al di sotto; e ricusi a Dio di creare dei gradi tra lui e la carne terrestre?

D. I poeti hanno tutti i diritti.

R. Se i poeti sono poeti, è perché prima Dio fu poeta. Del resto l’antichità filosofica credette agli Angeli quanto l’antichità istintiva. Aristotile e Platone li fanno intervenire in cosmologia, Socrate in morale; gli Angeli custodi figurano in Esiodo e la caduta dei cattivi angeli in Empedocle.

D. Quello che mi stupisce è la tua concezione dello spirito puro.

E. Lo spirito puro è un intermedio affatto naturale tra il Super-Spirito e gli spiriti intenebrati di materia, quei « mostri » nel senso pascaliano, che hanno l’aria di appartenere a due mondi,

D. Tu evochi così la Scala degli esseri?

R. Questa antica nozione rischiarava molti problemi. Si poté dimenticarla; ma la sua attualità reale non è indebolita. Le specie di esseri sono manifestamente disposte a gradi secondo un ordine di valore crescente o di valore decrescente, secondo il punto di vista da cui si considerano. Il minerale, l’essere vegetale, l’essere sensitivo, l’essere pensante si dispongono a gradi e s’appoggiano l’un l’altro. In noi lo spirito si schiude appena; è attivo durante un periodo assai ridotto della vita; durante questo periodo, è intorpidito una buona metà del tempo; impigliato, sempre, nelle insidie dell’immaginazione; sfuggente a se stesso perfino nel suo migliore funzionamento, che non pochi errori sviano. Come credere che tutto si fermi qui, e che lo spirito non abbia se non questi magri trionfi!

D. Non è già assai bello che la materia si desti allo spirito?

R. È così bello che essa non vi si potrebbe destare affatto da sola, come diremo presto. Ma se ne giudica così guardando dal basso, ciò che è l’atteggiamento del panteismo evoluzionista. Guarda dall’alto, come un figliuolo di Dio; prendi l’occhio del Padre supremo, e vedrai, da Lui a noi, un immenso posto vuoto. La creazione saliente si ferma tronca, « lo Spirito artefice che fece il mondo », come dice Bossuet, non s’è veramente rappresentato.

D. Non dici l’uomo «a immagine di Dio »?

E. Sì, ma è principalmente per opposizione a tutto il resto di ciò che si vede, e ciò che si vede, sia pure l’uomo, non è a immagine di Dio come spirito. Noi non siamo spiriti, come un ossido non è ossigeno o un cloruro non è cloro; noi siamo dei misti. La nostra natura è una natura limitrofa. La nostra intelligenza, anziché parlare, balbetta; il discorso che le è naturale è un tragitto titubante, come un camminare puerile. Il procedimento naturale dello spirito sarebbe l’intuizione, cioè la visione dell’idea come abbiamo per gli occhi la visione dei corpi, e questo, noi non facciamo altro che presagirlo e tendervi, senza raggiungerlo. Dov’è dunque lo spirito vero, lo spirito tutto Spirito, lo spirito che funziona secondo la legge dello spirito, senza nebbia di materia? Questo grado di essere e di valore dovrebbe mancare alla creazione? Un uomo che crede in Dio non lo potrebbe veramente ammettere. Dio spirito dovette rivelarsi prima di tutto per via dello spirito, e non ridursi a una degradazione dello spirito, a una concrezione di spirito. Dopo tutto, lo stato normale dell’essere è appunto lo spirito, benché noi, esseri inferiori, non concepiamo l’essere che come corpo o sotto gli auspici del corpo.

D. Come spieghi che vi possano essere degli esseri di cui non abbiamo nessuna idea?

E. Ti risponde Pascal: « L’anima nostra è gettata nel corpo, dove trova tempo, numero, dimensioni; essa ragiona lì sopra e chiama questo natura, necessità, e non può credere ad altro ». E ancora: « L’assuefazione è la nostra natura… Chi dunque dubita che, essendo l’anima nostra abituata a vedere numero, spazio, movimento, creda questo e nient’altro che questo? ».

D. Tu dicevi sopra che la natura stessa è spirito.

R. La natura è spirito in questo senso che l’importante, in sè, sono le idee che vengono alla luce, le sue invenzioni, anziché le sue opere materiali, di cui si vede che essa fa così poco conto. Ma le idee della natura sono fugaci; passano incessantemente e corrono dietro all’esistenza, senza fissarvisi; è come un gioco di folgori, un fuoco artificiale. Io cerco il mondo dell’idea stabile, il mondo di Platone senza le illusioni di Platone; il mondo che non sia l’inutile duplicato di questo, ma un altro, uno più alto, uno più perfetto, più prossimo alla Sorgente ideale. E, come filosofo, sono tutto sollevato, quando la Chiesa mi dice: Ecco il tuo mondo: un nuovo ripiano partendo dall’uomo, invece di terminare a lui; dei gradini di spirito in spirito, fino al supremo Spirito, come tu hai dei gradini di corpo in corpo, fino al corpo animato da spirito; ecco le mie celesti « gerarchie »; ecco i « cori » degli Angeli.

D. Dunque i tuoi Angeli non sono tutti della stessa natura, non sono dunque uguali?

È. Sono uguali e della stessa natura negativamente, cioè sono tutti esenti da materia, tutti puri spiriti. Ma positivamente, non ce ne sono due della stessa natura, non ce ne sono due uguali; perché, non differendo che secondo lo spirito, rappresentano ciascuno, necessariamente, un’idea di natura differente, e un’idea, come tale, non si ripete. Si può effettuare due volte l’idea d’uomo; ma non si può effettuare due volte Socrate, e se tutto ciò che vi è in Socrate fosse contenuto nell’idea d’uomo, l’idea dell’uomo non si ripeterebbe neppur essa. Tal è il caso degli Angeli.

D. Li credi numerosissimi?

E. L’Apocalisse ne parla come di miriadi di miriadi. E non è forse naturale che la loro varietà oltrepassi di molto, nei loro gradi, la scala vivente e la scala chimica, se è vero che essi, per i primi, posseggono il diritto dell’essere, che rappresentano la creazione, che sono l’opera di Dio? Così ragiona S. Tommaso, e l’osservazione è giusta.

D. Gli Angeli hanno relazione con noi?

E. Tutti i gradi dell’essere comunicano; i regni si compenetrano e si rendono servizi scambievoli. Gli Angeli collocati tra noi e Dio, sono come gli ambasciatori di Dio, i suoi inviati, come indica la parola angelo. Sono anche i nostri, per l’incarico che si prendono delle nostre preghiere e dei nostri voti. Lo stato in cui si trovano relativamente a noi crea in essi un movimento inverso del nostro. Noi cerchiamo quello che non possediamo; i nostri sguardi vanno dal basso all’alto, verso le regioni superne. Essi, che posseggono, tendono a comunicare con benevolenza quello che posseggono a quelli che vi tendono ancora e potrebbero sbagliarne la via.

D. Ve ne sono tuttavia dei cattivi?

R. Tutti furono creati buoni; ma crediamo di fatto che ce ne sono dei decaduti, cioè di quelli che rigettarono il bene e scelsero il male, nella inevitabile opzione proposta dalla Provvidenza a ogni essere libero.

D. È questa una ragione perché essi nuocciano?

E. È naturale che un essere ancorato nel male volga a male la sua stessa perfezione; caduto, egli ama che si cada; grande nondimeno, egli è propenso a trascinare dei più deboli, e si fa loro tentatore.

D. Una tale credenza non è oggi un po’ scaduta?

R. Di’ piuttosto che è ignorata. I veri Cristiani sanno che essa è attuale più che mai; i Santi l’appoggiano sopra la loro esperienza; in quanto agli spiriti forti, si ridono del diavolo e lo servono a gara.

D. Com’è possibile servirlo senza credervi?

R. «Mentre non si può servire Dio se non credendo in Lui, il diavolo, da parte sua, non ha bisogno che si creda in lui per servirlo. Anzi, non si serve mai così bene come gnorandolo » (ANDREA GIDE).

D. Come può agire sopra di noi?

R. Non ha che da entrare nella corrente delle nostre proprie inclinazioni, nel sorriso delle cose che ci seducono; non ha che da premere sopra ciò che si piega, da impedire ciò che sale. La sua influenza si spande come un gas deleterio che si assorbe senza sentirlo.

D. Non si ha dunque coscienza di quest’azione?

R. No; perché essa passa per l’intermedio dei nostri propri poteri, in certo modo vi si confonde e non si presta punto da parte nostra a una sicura dissociazione.

D. Lo stesso avviene indubbiamente delle felici influenze.

R. Certamente; ma piamente si attribuisce loro un compito nei lumi subitanei, nelle consolazioni insperate, negli stimoli virtuosi, nelle diffidenze istintive che ci avvertono di un pericolo, nelle vedute superiori che si presentano a noi per giudicare di questo mondo e dell’altro, ecc. Senza che si possa precisare, è certo che non tutte le nostre impressioni segrete vengono dall’ambiente umano o dal lavoro spontaneo dello spirito.

D. Noi siamo dunque circondati da esseri invisibili?

R. La nostra vita è in pieno cielo. Se i nostri occhi s’aprissero, voglio dire che se avessimo quell’intuizione della mente che ci manca, noi saremmo come Giacobbe rinvenuto dal suo misterioso sonno; anche noi vedremmo delle moltitudini salire e scendere la scala simbolica, e percepiremmo, coi gradi dell’essere, gli scambi di attività che riallacciano tutto.

LA SUMMA PER TUTTI (22)

LA SUMMA PER TUTTI (23)

R. P. TOMMASO PÈGUES

LA SOMMA TEOLOGICA DI S. TOMMASO DI AQUINO IN FORMA DI CATECHISMO PER TUTTI I FEDELI

PARTE TERZA

GESÙ CRISTO OSSIA LA VIA DEL RITORNO DELL’UOMO VERSO DIO

Capo XLI

Del sacramento della Estrema Unzione.

1742. Fra i sacramenti della Chiesa, Ve ne è uno che ha per oggetto speciale di preparare l’uomo ad entrare in cielo quando sta per morire?

Sì; è il sacramento della Estrema Unzione (XXIX, 1).

1743. Che cosa intendete per Estrema Unzione?

Intendo quel sacro rito istituito da Gesù Cristo, che consiste nell’ungere con gli oli santi un infermo in pericolo di morte, chiedendo a Dio che tutto ciò che può restargli di debolezza spirituale per causa dei suoi peccati passati, gli venga rimesso per ricuperare la piena e perfetta salute spirituale che gli permetterà di entrare, nel pieno vigore dell’anima, nella vita della gloria in cielo, per godervi eternamente Dio (XXIX – XXXII).

1744. Questo sacramento ha per effetto di rimettere i peccati?

No; perché non è ordinato né contro il peccato originale come il Battesimo, né contro i peccati mortali come la Penitenza; oppure in un certo senso, contro i peccati veniali come la Eucarestia; ma a ristabilire le forze, tolto che sia stato il male del peccato. Tuttavia, in forza della grazia speciale che esso conferisce e che è incompatibile col peccato, può rimettere, per modo di conseguenza, i peccati che per caso si trovassero nell’anima, purché non vi siano ostacoli da parte del soggetto, vale a dire che egli sia in buona fede ed abbia già fatto da se stesso ciò che da lui dipendeva, perché questi peccati fossero rimessi (XXX, 1).

1745. Il sacramento della Estrema Unzione può rendere anche la sanità del corpo?

Sì; ed è questo un effetto proprio di questo sacramento. Di modo che se il soggetto che lo riceve non mette ostacoli alla virtù del sacramento, per la virtù sacramentale che gli è propria, il sacramento stesso rende le forze fisiche e la sanità corporale, nelle circostanze e nella misura che questo ritorno alla sanità corporale è utile alla perfetta sanità spirituale, che il sacramento ha per effetto primo e principale di produrre (XXX, 2).

1746. Quando si può e si deve ricevere questo sacramento?

Non si può ricevere che in istato di infermità o di debolezza corporale che induca pericolo di morte. Ma si deve fare tutto il possibile perché sia ricevuto in piena conoscenza e col più grande fervore (XXXII, 1, 2).

1747. Si può ricevere più volte il sacramento della Estrema Unzione?

Non si può ricevere più volte nello stesso pericolo di morte. Ma se dopo averlo ricevuto si ritorna in salute, o almeno si cessa di essere nel primo pericolo di morte, si può ricevere di nuovo, e tante volte quante il pericolo di morte, per diverse malattie o nel corso della stressa malattia che si prolunga, potesse rinnovarsi (XXXIII, 1, 2).

1748. Il sacramento della Estrema Unzione è l’ultimo dei sacramenti istituiti da Gesù Cristo, per assicurare agli uomini il benefizio della vita della sua grazia?

Sì; esso è l’ultimo dei sacramenti ordinati al bene della vita della grazia. In quanto l’individuo ne vive per se stesso. Ma vi sono ancora altri due sacramenti di somma importanza, ordinati per assicurare il bene di questa vita di grazia, in quanto gli uomini

Formano una società che può e deve estendersi fino alle estremità del mondo, e fino alla fine dei tempi.

1749. Quali sono questi altri due sacramenti?

Sono l’Ordine ed il Matrimonio.

CAPO XLII.

Del sacramento dell’ordine. – I sacerdoti, i Vescovi ed il Sommo Pontefice. La Chiesa madre delle anime.

1750. Che cosa si intende per sacramento dell’Ordine?

Intendo quel sacro rito istituito da Gesù Cristo, per conferire a certi uomini il poterer speciale di consacrare il suo Corpo reale, in ordine al suo corpo mistico (XXXVII, 2).

1751. Il potere che si conferisce nel sacramento dell’Ordine è unico o molteplice?

È molteplice; ma la sua molteplicità non nuoce alla unità del sacramento dell’Ordine, perché gli ordini inferiori non sono che una partecipazione dell’Ordine superiore (XXXVII, art. 2).

1752. Che cosa intendete per Ordine superiore?

Intendo 1’Ordine dei sacerdoti, che nella loro consacrazione ricevono il potere di consacrare la Eucarestia (XXXVII, 2).

1753. E gli Ordini inferiori quali sono?

Sono tutti gli Ordini fuori del presbiterato, che hanno per ufficio di servire il sacerdote nell’atto della consacrazione. Vengono prima i ministri che servono il sacerdote all’altare: essi sono i diaconi, i suddiaconi e gli accoliti. I primi arrivano sino alla facoltà di distribuire la Eucarestia almeno sotto le specie del vino, quando si distribuisce anche sotto questa specie; i secondi dispongono la materia del Sacramento nei vasi sacri; i terzi presentano la materia stessa. Quindi vengono i ministri aventi l’ufficio di preparare coloro che devono ricevere il sacramento; non mediante l’assoluzione sacramentale che il solo sacerdote è in grado di dare, ma allontanandone gli indegni, istruendone i catecumeni e liberando gli ossessi: uffici che avevano soprattutto la loro ragione di essere nella Chiesa primitiva, quando si andava formando fra gli infedeli, ma che la Chiesa conserva sempre per la integrità della sua gerarchia (XXXVII, 2).

1754. Dei sette ordini che sono stati enumerati, quali sono quelli che si chiamano maggiori e quali i minori?

Gli ordini maggiori sono quelli del Presbiterato, del Diaconato e del Suddiaconato Gli ordini minori sono gli altri quattro, cioè di quello degli accoliti; degli esorcisti, dei lettori e degli ostiari (XXXVII, 2; 3).

1755. Dove stanno ordinariamente i soggetti dei diversi ordino, ad eccezione del presbiterato?

Stanno ordinariamente negli stabilimenti ecclesiastici dove si formano i membri del clero, e dove si preparano a ricevere il supremo ordine del Presbiterato.

1756. Dunque quando un soggetto è sacerdote, è messo veramente a contatto col popolo fedele per lavorare alla sua santificazione?

Sì; i fedeli debbono propriamente trattare con i sacerdoti.

1757. Il sacerdote è rivestito di un carattere speciale, che nella Chiesa di Dio lo distingue dagli altri uomini?

Non soltanto il sacerdote, ma ogni membro della gerarchia ecclesiastica, fin dal primo ordine minore, è rivestito di un certo carattere speciale che gli viene impresso quando riceve il sacramento dell’Ordine. Tuttavia, tale carattere è più particolarmente impresso nei soggetti degli ordini maggiori, e più ancora in coloro che hanno ricevuto il Presbiterato, nel quale viene conferita la potestà di consacrare il Corpo ed il Sangue di Gesù Cristo e di rimettere i peccati.

1758. Dunque i fedeli debbono veramente tutto al sacerdote, nell’ordine dei beni di grazia e di salute annessi ai sacramenti della redenzione operata da Gesù Cristo?

1758. Sì; perché ad eccezione del solo sacramento della Confermazione che è ordinariamente riservato al Vescovo, appartiene di ufficio al sacerdote di amministrare ai fedeli i sacramenti che abbiamo detto essere ordinati al bene della vita individuale, cioè il Battesimo, la Eucarestia, la Penitenza e la Estrema Unzione. Come pure è il sacerdote che ha, come abbiamo detto, la potestà suprema e divina di rendere presente in mezzo agli uomini e di offrire in sacrifizio, mediante la consacrazione sacramentale, il Corpo ed il Sangue di Gesù Cristo.

1759. I fedeli non debbono pure al sacerdote il bene inapprezzabile della conoscenza dei misteri cristiani e delle verità di salute?

Sì; perché egli, mediante il suo ministero continuo, è applicato ad istruirli in questi misteri ed in queste verità.

1760. Ma il sacerdote stesso da chi riceve tutte le sue facoltà?

Le riceve dal Vescovo (XXXVIII,1;XL,4).

1761. In che cosa ed in che modo il Vescovo è superiore al sacerdote e può conferirgli le sue facoltà?

Il Vescovo è superiore al sacerdote in ciò che riguarda la consacrazione del Corpo reale di Gesù Cristo nella Eucarestia, ma in ciò che riguarda il corpo mistico di Gesù Cristo, vale a dire i fedeli che formano la Chiesa. La potestà episcopale è stata infatti costituita

da Gesù Cristo stesso propriamente e. direttamente in ordine a questo Corpo mistico. Di per sé essa comprende tutto ciò che è necessario per la creazione e la organizzazione del Corpo mistico, allo scopo di comunicargli nella sua pienezza la vita della grazia annessa ai sacramenti della Redenzione. Per conseguenza il Vescovo ha in sé, per il fatto della consacrazione episcopale, la pienezza del sacerdozio col potere non soltanto di consacrare il Corpo reale di Gesù Cristo come qualunque sacerdote, ma anche di amministrare senza riserva tutti gli altri sacramenti compresa la Confermazione, e di conferire ai sacerdoti stessi ed ai ministri inferiori la loro potestà di ordine, consacrandoli od ordinandoli; e la loro potestà di giurisdizione sui fedeli, affidando loro, nella misura che gli piacerà di determinare, la cura di questi stessi fedeli (XL, 4, 5).

1762. Dunque in qualche modo tutta la vita della Chiesa si riconcentra nella persona del Vescovo?

Precisamente: nella persona del Vescovo si riconcentra tutta la vita della Chiesa; e niente può appartenere a questa vita che non provenga da Lui, e non resti alla sua piena e perfetta dipendenza.

1763. Che cosa ci vuole perché il Vescovo sia questo principio di vita per la sua Chiesa?

Bisogna che Egli stesso sia in piena e perfetta comunione col Vescovo di Roma, Capo dell’universo di tutte le Chiese riunite per mezzo suo e sotto la sua suprema autorità e somma potestà in un solo tutto, che forma in senso puro e semplice la Chiesa di Gesù Cristo (XL, 6).

1764. Il Vescovo di Roma, ossia il Sommo Pontefice, ha dei poteri che gli altri Vescovi non hanno?

Se si tratta di atti gerarchici riflettenti l’amministrazione dei Sacramenti in quanto tali, i poteri del Sommo Pontefice, Vescovo di Roma, sono gli stessi di quelli degli altri Vescovi. Ma se si tratta del potere di giurisdizione che comprende tutto ciò che ha attinenza col governo della società che forma la Chiesa, e col diritto di amministrare, i sacramenti a determinati soggetti, questo potere si trova tutto intero e come nella sua origine nella persona del Sommo Pontefice, applicandosi di per sé a tutta la società della Chiesa Cattolica nell’intero universo; mentre negli altri Vescovi non si trova se non in rapporto a quella porzione della Chiesa universale che forma la Chiesa di cui essi sono i Vescovi, o che formano le Chiese più o meno dipendenti da loro nella organizzazione della società della Chiesa universale. Ed anche in rapporto a questa parte determinata che è affidata al loro governo, il loro potere, nella sua natura e nel suo esercizio, dipende dal potere supremo del Sommo Pontefice, da cui lo ricevono ed in dipendenza del Quale essi lo esercitano (XL, 6).

1765. Perché questo supremo potere, nell’ordine della giurisdizione ossia del governo della Chiesa, è assegnato al Sommo Pontefice?

Perché la perfetta unità della Chiesa richiedeva che fosse così. Ed è per questo che Gesù Cristo incaricò di pascere tutto il suo gregge, agnelli e pecorelle, il solo Simon Pietro, di cui il Romano Pontefice resta il solo legittimo successore sino alla fine dei tempi (XL, 6).

1766. Dunque dal solo Sommo Pontefice, Vescovo di Roma, dipende in tutto l’universo e dipenderà sino alla fine del mondo, per ogni uomo vivente sulla terra, la sua unione  Gesù Cristo per mezzo dei Sacramenti, per conseguenza la sua vita soprannaturale e la sua eterna salute?

Sì; perché se è vero che la grazia di Gesù Cristo non è in modo assoluto attaccata al ricevimento dei Sacramenti quando è impossibile riceverli, almeno per gli adulti, e che l’azione interiore dello Spirito Santo vi può supplire purché non vi sia malafede nel soggetto, d’altra parte è assolutamente certo che nessun essere umano che scientemente si separa dalla comunione del Sommo Pontefice, può partecipare della grazia di Gesù Cristo; e per conseguenza se muore in questo stato va irrimediabilmente perduto.

1767. Si dice in questo senso che nessuno può salvarsi fuori della Chiesa?

Sì; precisamente in questo senso si dice che nessuno può salvarsi fuori della Chiesa, ed ancora che non può avere Dio per Padre chi non ha la Chiesa per Madre.

Capo XLIII.

Del sacramento del Matrimonio. – Sua natura.- Degli impedimenti. – Dei doveri. – Del divorzio. – Delle seconde nozze. – Degli sponsali.

1768. Accanto al sacramento dell’Ordine, destinato a perfezionare l’uomo in ordine alla vita sociale soprannaturale, per mezzo della potestà che gli conferisce di agire sugli altri uomini, per comunicare loro i beni della grazia di Gesù Cristo, quale è l’altro Sacramento istituito dallo stesso Gesù Cristo, per perfezionare l’uomo in ordine alla vita sociale sprannaturale?

È il sacramento del Matrimonio (XLII).

1769. Come è ordinato il sacramento del Matrimonio al bene della società soprannaturale?

Il sacramento del Matrimonio è ordinato al bene della società soprannaturale per la stessa ragione che è ordinato essenzialmente alla propagazione della specie umana, i cui membri sono chiamati a far parte della società soprannaturale (XLI, XLII).

1770. Che cosa intendete per il sacramento del Matrimonio?

Intendo la unione dell’uomo e della donna, indissolubile fino alla morte di uno dei due, coniugi, che esclude di per sé ogni partecipazione di terzi a questa unione, la quale si contrae tra soggetti battezzati mediante il consenso reciproco dei due soggetti che si danno l’uno all’altro, in ordine al diritto che acquisteranno ambedue di esigere di fare gli atti che hanno per effetto di dare alla patria terrena ed alla patria celeste membri degni che debbano popolarle (XLI, XLII).

1771. Perché questa unione, nel momento che si contrae tra battezzati, ha ragione di Sacramento?

Perché Gesù Cristo ha voluto così e l’ha elevata alla dignità di significare la propria unione con la Chiesa, uscita in certo modo dalle sue viscere sulla Croce, come la prima donna era stata da principio estratta da Dio dal primo uomo misteriosamente addormentato (XLII, 2).

1772. Che cosa ci vuole perché questi due soggetti battezzati abbiano il diritto di contrarre tale unione?

Bisogna che ambedue possano disporre di sé, e che non vi sia alcun ostacolo che si opponga alla loro unione.

1773. Quali sono gli ostacoli che possono opporsi alla unione matrimoniale?

Sono quelli che si chiamano impedimenti del matrimonio.

1774. Gli impedimenti del matrimonio sono tutti della stessa natura?

No; perché ve ne sono di quelli che non fanno che rendere il matrimonio illecito; ed altri che lo rendono nullo.

1775. Come si chiamano gli impedimenti che rendono il matrimonio illecito, e come si chiamano quelli che lo rendono nullo?

I primi si chiamano impedimenti proibenti o impedienti; i secondi, impedimenti dirimenti (Codice, can. 1036).

1776. Quali sono gli impedimenti impedienti?

Sono anzitutto il voto semplice di verginità, di castità, di non maritarsi o di ricevere gli ordini sacri e di abbracciare lo stato religioso; poi la parentela legale risultante dalla adozione, nei paesi dove la legge civile ne fa un impedimento impediente; finalmente quello che darebbe un matrimonio misto, quando uno dei due soggetti battezzati fosse affiliato ad una setta eretica o scismatica (Codice, can. 1058, 1059, 1060).

1777. Che cosa ci vuole perché il matrimonio si possa fare esistendo uno di questi impedimenti?

Bisogna che la Chiesa dispensi da questo impedimento, cosa che Essa non fa che per ragioni gravi, specialmente nel caso del matrimonio misto; e per questo caso esige l’assicurazione che la parte non cattolica escluda ogni pericolo di perversione per la parte cattolica, e che ambedue le parti procurino che tutti i figli ricevano il Battesimo e non altra educazione che la cattolica (Codice, Can. 1061).

1778. Se una delle due parti, senza appartenere ad una setta eretica o scismatica, fosse notoriamente empia, avendo ripudiato la fede cattolica, od essendosi iscritta in società condannate dalla Chiesa, vi sarebbe in questo caso impedimento per il matrimonio?

No; nel senso che vi sia bisogno di ricorrere ad una dispensa della Chiesa; ma la Chiesa vuole che i fedeli aborriscano dal contrarre tali unioni, per causa dei pericoli di ogni sorta che vi si trovano uniti (Codice, can. 1065).

1779. Potreste dirmi quali sono gli impedimenti dirimenti del matrimonio?

Eccoli quali sono determinati nel Codice del nuovo diritto canonico: 1° il difetto di età richiesta, vale a dire prima dei sedici anni compiuti per l’uomo, e dei quattordici parimente compiuti per la donna; 2° la impotenza anteriore al matrimonio e perpetua, tanto da parte dell’uomo che da parte della donna, conosciuta o non conosciuta, assoluta o relativa; 3° il fatto di essere già maritato, anche Se il matrimonio non è stato consumato; 4° la disparità del culto, quando una delle parti non è battezzata e l’altra è stata battezzata nella Chiesa Cattolica, o è venuta alla Chiesa convertita dallo scisma o dalla eresia; 5° il fatto di essere negli ordini sacri; 6° l’avere emesso voti solenni di religione, o anche voti semplici ai quali fosse unita, per una prescrizione speciale della S. Sede, la virtù di rendere nullo il matrimonio; 7° il ratto o la violenta detenzione della donna in ordine al matrimonio, finché la parte rapita o detenuta non sia restituita alla sua piena libertà; 8° il delitto di adulterio con promessa o tentativo di matrimonio anche solo civile, oppure l’adulterio seguito dal delitto di assassinio dell’altro coniuge commesso da uno dei due, oppure la cooperazione anche senza adulterio, sia fisica sia morale, all’assassinio del coniuge; 9° la consanguineità. in linea retta sempre, ed in linea collaterale fino al 3° grado, il quale impedimento si moltiplica tante volte quante si moltiplica lo stipite comune alle due parti; 10° la affinità in linea retta sempre, ed in linea collaterale fino al secondo grado inclusivamente; e questo impedimento si moltiplica in quanto si moltiplica l’impedimento di consanguineità che lo produce, oppure per il matrimonio susseguente con un consanguineo del coniuge defunto; 11° la pubblica onestà derivante da un matrimonio invalido, consumato o no, e dal concubinato. pubblico e notorio; questo dirime il matrimonio nel primo e secondo grado della linea retta fra l’uomo ed i consanguinei della donna e viceversa; 12° la parentela spirituale contratta fra il soggetto battezzato e colui che lo battezza, il padrino e la madrina; 13° la parentela legale proveniente dall’adozione, se la legge civile la riguarda come un ostacolo alla validità del matrimonio, diviene per diritto canonico un impedimento dirimente (Codice, can. 1067 a 1080; L-LXII).

1780. La Chiesa dispensa qualche volta da questi impedimenti dirimenti?

Non dispensa mai nè può dispensare dagli impedimenti dirimenti che sono di stretto diritto naturale o di diritto divino, quali ad esempio la impotenza, il matrimonio consumato, la consanguineità in linea retta o in linea collaterale troppo prossima. Ma dagli altri impedimenti che dipendono piuttosto da Lei, Essa può dispensare; cosa che peraltro non fa se non per gravi ragioni.

1781. Non esiste anche un altro impedimento dirimente, che non riguardi più la condizione delle parti contraenti, ma è qualche cosa di estrinseco?

Sì; è l’impedimento di clandestinità.

1782. Che cosa intendete per impedimento di clandestinità?

Intendo quella legge della Chiesa che dichiara nullo ogni matrimonio contratto fra loro da battezzati Cattolici che hanno appartenuto alla Chiesa cattolica; e da questi battezzati con dei non cattolici, battezzati o no; e dai latini con orientali: che non sia contratto davanti al Parroco della parrocchia o davanti all’Ordinario del luogo dove si celebra il matrimonio, davanti ad un sacerdote delegato dall’uno o dall’altro nei limiti del loro territorio, almeno alla presenza di due testimoni. Se il Parroco o l’Ordinario non potessero assolutamente o senza gravissime difficoltà essere chiamati e vi fosse pericolo di morte, oppure le difficoltà dovessero rendere impossibile per un mese questa chiamata, il matrimonio potrebbe contrarsi validamente con la sola presenza di due testimoni (Codice, can. 1094 a 1099).

1783. Quando da parte dei contraenti si trovano riunite tutte le condizioni richieste in ordine al sacramento del matrimonio, che cosa ci vuole perché essi ricevano di fatto questo sacramento e quale ne è il ministro?

Bisogna e basta che le due parti si diano luna all’altra, attualmente, mediante un consenso libero, ossia senza violenza e senza timore grave ed ingiusto incusso estrinsecamente, formale e reciproco, manifestato esternamente con parole o segni non equivoci; ed essi stessi. sono i ministri del Sacramento (Codice, can. 1081 a 1087; XLVII, 1-6).

1784. Il consenso che fa il matrimonio potrebbe essere infirmato ed annullato, se vi fosse errore da parte dei contraenti?

Se l’errore riguardasse la persona stessa, il matrimonio sarebbe nullo; se riguardasse le qualità della persona, sarebbe illecito (Codice, can. 1083).

1785. È cosa buona che nella occasione della celebrazione di questo Sacramento i contraenti assistano ad una Messa speciale, nella quale dal sacerdote sarà benedetta la loro unione?

Sì; anzi la Chiesa desidera vivamente che tutti i suoi figli, prima di ricevere questo grande Sacramento che deve loro accordare una grazia speciale in ordine ai doveri del matrimonio, si dispongano a ricevere questa grazia in tutta la sua pienezza, con una buona confessione ed una fervorosa Comunione (Codice, can. 1101).

1786. Quale è la grazia speciale unita al sacramento del Matrimonio?

E la grazia di una perfetta armonia coniugale ispirata ad un affetto vero, profondo, soprannaturale; tale da resistere a tutto ciò che potrebbe comprometterlo fino alla morte, e nel medesimo tempo la grazia di una generosità a tutta prova in ordine ai futuri piccoli esseri di cui la loro unione potrà essere benedetta da Dio, per non impedire la loro venuta, per vederli moltiplicati con santa gioia e per attendere con la cura più gelosa a tutto quanto potrà formare le loro anime ed i loro corpi, sia come membri della patria terrena sia come membri della patria celeste (XLI, 1-6).

1787. Il matrimonio una volta contratto, può essere sciolto dal divorzio civile?

Niente affatto; perché nessuna legge umana può separare ciò che Dio ha congiunto. Tanto che anche dopo il divorzio civile le due parti restano unite dal legame matrimoniale, e se l’una o l’altra passa a nuove nozze, la nuova unione agli occhi di Dio e della Chiesa è puramente concubinaria.

1788. Dopo la morte di uno dei coniugi è permesso alla parte che resta di contrarre un nuovo matrimonio?

Sì: la cosa è permessa quantunque lo stato di vedovanza sia di per se stesso più lodevole. Soltanto, nel caso di nuove nozze, la donna che ha già ricevuto la prima volta la solenne benedizione nuziale, non può riceverla di nuovo (LXIII; Codice, can. 1142, 1143).

1789. Gli sponsali celebrati prima del matrimonio sono cosa buona?

S’; essi consistono essenzialmente nella promessa che si fanno scambievolmente due aspiranti al matrimonio, in ordine al matrimonio stesso da contrarsi fra loro in avvenire. Perché siano validi, sia nel foro interno sia in quello esterno, bisogna che la promessa sia fatta in iscritto e firmata dalle due parti, dal Parroco o dall’Ordinario del luogo, o almeno da due testimoni. Se una delle parti non sapesse scrivere o non potesse farlo, bisognerebbe notarlo nell’atto ed addurre un altro testimone per firmare (XLIII, 1; Codice, can. 1017).

1790. Gli sponsali danno il diritto di usare del matrimonio prima che il matrimonio sia celebrato?

Niente affatto; ed i fidanzati che agissero siffattamente, oltre a commettere una colpa grave, si voterebbero da se stessi alla giustizia di Dio che potrebbe far loro pagar caro più tardi nel matrimonio l’abuso che avessero fatto della onestà degli sponsali.

LA SUMMA PER TUTTI (23)

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (XXV)

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (XXV)

INTERPRETAZIONE DELL’APOCALISSE Che comprende LA STORIA DELLE SETTE ETÁ DELLA CHIESA CATTOLICA.

DEL VENERABILE SERVO DI DIO BARTHÉLEMY HOLZHAUSER RESTAURATORE DELLA DISCIPLINA ECCLESIASTICA IN GERMANIA,

OPERA TRADOTTA DAL LATINO E CONTINUATA DAL CANONICO DE WUILLERET,

PARIS, LIBRAIRIE DE LOUIS VIVÈS, ÉDITEUR RUE CASSETTE, 23 – 1856

LIBRO OTTAVO.

SEZIONE II.

SUI CAPITOLI XIX E XX

DEL SECONDO AVVENTO DI GESÙ CRISTO E DELLA GRANDE CENA DI DIO.

OSSERVAZIONI PRELIMINARI.

I. Per ben comprendere il seguito di questo capitolo XIX ed il capitolo seguente, è importante notare che San Giovanni ha racchiuso e confuso, in un certo senso, le due apparizioni di Gesù Cristo sulla terra, cioè la sua prima venuta, quando ha stabilito il suo regno spirituale che è la Chiesa, e la sua seconda venuta, quando scenderà dal cielo per giudicare tutti gli uomini. La ragione di questo modo di raccontare di San Giovanni è ammirevole, in quanto egli ci mostra a colpo d’occhio l’intero piano della sapienza eterna nella grande opera della nostra redenzione. Sappiamo dalla teologia che l’ultimo giudizio avrà luogo per tre motivi principali: 1° per glorificare Gesù Cristo; 2° per la consolazione dei buoni; 3° per la confusione dei malvagi. Ora, cosa potrebbe essere più naturale, più vero e anche più ammirevole che rappresentare le due venute di Gesù Cristo, e in generale la sua presenza sulla terra, sempre nella stessa forma e con gli stessi caratteri? Perché come potrebbe Dio Padre glorificare meglio il suo unico Figlio fatto uomo, confortare i buoni e confondere i malvagi, che farlo nelle stesse circostanze e nelle stesse forme in cui Gesù Cristo e i suoi Santi hanno sofferto e i malvagi hanno peccato? Troviamo, inoltre, nella Scrittura, esempi sensibili di questo modo di descrivere gli eventi così simili tra loro, tanto da poter essere considerati come un’unica cosa, da poter essere rappresentati sotto le stesse figure; tra questi esempi, citeremo solo quello in cui il profeta Isaia predice, sotto la figura della Gerusalemme terrena, la gloria e la prosperità promessa alla Gerusalemme celeste. (Vedere Isaia, LX). Le seguenti parole si applicano ugualmente alle due venute di Gesù Cristo sulla terra.

§ 1.

Sulla seconda venuta di Gesù Cristo.

CAPITOLO XIX. – VERSETTI 11-16.

Et vidi cœlum apertum, et ecce equus albus, et qui sedebat super eum, vocabatur Fidelis, et Verax, et cum justitia judicat et pugnat. Oculi autem ejus sicut flamma ignis, et in capite ejus diademata multa, habens nomen scriptum, quod nemo novit nisi ipse. Et vestitus erat veste aspersa sanguine: et vocatur nomen ejus: Verbum Dei. Et exercitus qui sunt in cœlo, sequebantur eum in equis albis, vestiti byssino albo et mundo. Et de ore ejus procedit gladius ex utraque parte acutus, ut in ipso percutiat gentes. Et ipse reget eas in virga ferrea: et ipse calcat torcular vini furoris iræ Dei omnipotentis. Et habet in vestimento et in femore suo scriptum: Rex regum et Dominus dominantium.

[E vidi il cielo aperto, ed ecco un cavai bianco, e colui che vi stava sopra si chiamava il Fedele e il Verace, e giudica con giustizia, e combatte. I suoi occhi erano come fiamma di fuoco, e aveva sulla testa molti diademi, e portava scritto un nome, che nessuno conosce se non egli. Ed era vestito d’una veste tinta di sangue: e il suo nome si chiama Verbo di Dio. E gli eserciti, che sono nel cielo, lo seguivano sopra cavalli bianchi, essendo vestiti di bisso bianco e puro. E dalla bocca di lui usciva una spada a due tagli, colla quale egli percuota le genti. Ed egli le governerà con verga di ferro: ed egli pigia lo strettoio del vino del furore dell’ira di Dio onnipotente. Ed ha scritto sulla sua veste e sopra il suo fianco : Re dei re e Signore dei dominanti.]

.I. Vers. 11. – E vidi il cielo aperto, ed ecco un cavallo bianco; e Colui che lo cavalcava si chiamava il Fedele e il Verace, che giudica e combatte con giustizia.

Queste prime parole, E vidi il cielo aperto… , si riferiscono alle due venute di Gesù Cristo sulla terra, con la differenza che nella prima, il cielo fu aperto invisibilmente agli uomini, mentre nella seconda, tutti gli uomini vedranno Gesù Cristo apparire nelle nuvole, scendere dal cielo, per giudicare i vivi e i morti. La prima volta la sua venuta fu manifestata da una stella, che era il tipo della luce, della verità e della giustizia eterna che annunciava, in Gesù Cristo, il Sole di Giustizia, apparso realmente nella forma della nostra carne, in uno stato di povertà, umiltà e sofferenza. (Matth. II, 7ss). La seconda volta, apparirà pure realmente, ma in un modo molto diverso. Perché allora non sarà più preceduto da una stella, ma dalla sua Croce; e così lo strumento della sua umiliazione, povertà e sofferenza precederà Gesù Cristo in segno di trionfo, quando verrà nello splendore della sua gloria, maestà e potenza, come la stella che ne era il tipo, precedette Lui e la sua croce quando venne la prima volta, per rigenerare e illuminare il mondo con le sue virtù ed i suoi esempi. Nella sua seconda apparizione, non si mostrerà più sotto forma di un povero bambino neonato, ma scenderà dal cielo, splendente di gloria come Dio e come uomo. (Matth. XXIV, 30): « Allora il segno del Figlio dell’uomo apparirà nel cielo,  e tutte le tribù della terra gemeranno, e vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nuvole del cielo con grande potenza e grande maestà. » – Ed ecco un cavallo bianco. Queste parole sono una figura simile a quell’altro passo dell’Apocalisse, dove si dice: “E uscì un altro cavallo rosso, etc. ... La differenza nel significato di questi cavalli si spiega con il loro colore. Così, il cavallo bianco in questione rappresenta qui la giustizia, la santità e la verità di Gesù Cristo e la Sua dottrina, mentre gli altri cavalli, rosso, nero, pallido, etc. rappresentavano con i loro colori le false dottrine delle eresie. Questo cavallo bianco rappresenta dunque la dottrina di Gesù Cristo, nella sua prima venuta; ed anche la giustizia, la santità e la verità, che risplenderanno in Lui con tutto il loro splendore nel suo secondo avvento. Colui che era in alto si chiamava il Fedele e il Verace. Ora, questi due attributi insieme non possono convenire che a Dio solo, secondo San Paolo, (Rom. III, 4): « Dio è verace e ogni uomo è mendace, come sta scritto: Voi siete riconosciuto fedele nelle vostre parole, e vittorioso quando giudicate. » La parola verace di Dio è il Verbo, cioè Gesù Cristo, che si è fatto carne, secondo San Giovanni, (I, 14): « E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi, e noi vedemmo la sua gloria, come quella dell’unigenito Figlio del Padre, pieno di grazia e di verità. » – Che giudica e combatte con giustizia. Queste parole, che giudica e combatte, messe insieme, mostrano che Gesù Cristo è qui rappresentato nelle sue due apparizioni: 1° come Colui che combatte i malvagi sulla terra; e 2° come Colui che deve giudicare i vivi ed i morti.  Che giudica e combatte con giustizia, perché è il Fedele ed il Verace, cioè vero e fedele in tutte le sue promesse. Si può caratterizzare l’Uomo-Dio in una maniera più ammirabile di come lo fa San Giovanni in due parole che racchiudono tutta la storia dei tempi e dell’eternità?

II. Vers. 12I suoi occhi erano come una fiamma di fuoco, e aveva molti diademi sulla testa, e un nome scritto che nessuno conosce. Questi occhi di Gesù Cristo, come una fiamma di fuoco, rappresentano la giustizia, la verità, la penetrazione, la santità, la carità, la forza, il calore, etc; attributi infiniti di Dio con i quali, secondo l’Apocalisse stessa, (II, 23), Gesù Cristo è venuto e verrà di nuovo sulla terra. « Tutte le chiese sapranno che Io sono colui che scruta i reni ed i cuori ». Sarebbe troppo lungo citare i molti passi della Scrittura in cui si parla di questi occhi di Dio, quindi ci limiteremo ad uno il cui significato si applica al nostro testo. Prov. XVI, 1: « Spetta all’uomo preparare la sua anima e al Signore governare la lingua. Tutte le vie dell’uomo sono davanti ai suoi occhi, ma il Signore pesa gli spiriti. Esponete le vostre opere al Signore, ed Egli farà prosperare i vostri pensieri. » Questi occhi di Gesù Cristo brilleranno soprattutto come una fiamma d’amore per i buoni e d’ira per i malvagi, quando verrà nell’ultimo giorno a giudicare tutti gli uomini. Vedi Salmo VII, 8. Aveva molte corone sul capo, perché Gesù Cristo è Re dei re, Signore dei signori, Creatore del cielo e della terra; perché è Dio e uomo insieme; e infine perché regna su tutte le Virtù, i Principati, le Potenze, i Troni, le Dominazioni, gli Angeli, gli Arcangeli, i Cherubini, i Serafini; sugli Apostoli, i Profeti, i Martiri, i Confessori, i vergini; sui Pontefici, i Prelati, i Dottori, etc. E un nome scritto che nessuno conosce tranne Lui. Abbiamo già visto nel corso di quest’opera che i Santi stessi godranno in cielo di una gloria speciale che nessuna creatura conoscerà, cioè non possiederà, tranne essi, ed è nello stesso senso, e con infinitamente più ragione, che è detto qui di Gesù Cristo, che Egli ha un Nome scritto che nessuno conosce tranne Lui; perché questo nome di Gesù Cristo contiene tutti i suoi attributi divini e i meriti infiniti che nessuna creatura potrebbe possedere, e dei quali nessuna creatura potrebbe conoscere la profondità e l’immensità. Questo Nome di Gesù Cristo, che è menzionato qui, ha soprattutto a che fare con i grandi misteri della Santissima Trinità, l’Incarnazione e la Redenzione, secondo San Paolo, (Filipp., II, 6): « Gesù Cristo, che avendo la forma e la natura di Dio, non ritenne un’usurpazione l’essere uguale a Dio, tuttavia annientò se stesso, prendendo la forma e la natura di servo, rendendosi simile agli uomini, e facendosi riconoscere come uomo da tutto ciò che appariva di Lui fuori. Si è umiliato, facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Perciò Dio lo ha esaltato e gli ha dato un Nome che è al di sopra di ogni nome, affinché nel Nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e negli inferi, e ogni lingua confessi che il Signore Gesù Cristo è nella gloria di Dio suo Padre. »  Da questo si vede che San Paolo confonde in qualche modo il santo Nome di Gesù con la sua gloria, che è anche la gloria di suo Padre. Oh sì, pieghiamo il ginocchio al santo Nome di Gesù sulla terra, aspettando la felicità di piegarlo quando verrà in tutto lo splendore della sua gloria, per invitarci a partecipare alle nozze dell’Agnello!

III. Vers. 13. – Ed era vestito con una veste intinta nel sangue, e il suo nome è il Verbo  di Dio. 1° Chi non riconosce in questa veste macchiata di sangue, la veste di cui fu rivestito Gesù Cristo nella sua benedetta Passione. O adorabile veste che fu tinta del suo prezioso sangue! Aggrappiamoci ad essa come un bambino si aggrappa alla veste di sua madre. Cosa abbiamo da temere sotto una tale protezione? – 2° Queste parole e le seguenti alludono al passaggio di Isaia che citeremo per far ammirare al lettore la somiglianza delle espressioni di questi due Profeti, che apparvero, tuttavia, in epoche così distanti tra di loro? (Isaia, LXIII): « Chi è colui che viene da Edom e Bosra in vesti rosse? Com’è bello nel suo abito, come con quale forza e maestà cammina! Io che parlo con giustizia, sono grande nel soccorrere. Perché dunque la vostra veste è rossa e perché i vostri abiti sono come quelli di coloro che calpestano il vino nel torchio? Sono stato solo a calpestare il vino e nessun uomo del popolo era con me. Li ho calpestati nel mio furore, li ho calpestati nella mia ira, il loro sangue si è versato sulla mia veste e tutte le mie vesti ne sono macchiate. »  – 3º Questa veste rossa rappresenta anche i Martiri; perché il sangue dei Martiri è versato sulla veste di Gesù Cristo, come la veste di cui si copre la povertà di Gesù Cristo stesso, secondo questo detto in  Matth. (XXV, 36): « Ero nudo e mi avete rivestito ». E il suo Nome è il Verbo di Dio. Così questo Nome che nessuno conosce se non Gesù Cristo, questo Nome adorabile è il Verbo di Dio. Potremmo a malapena balbettare se volessimo scandagliare i misteri impenetrabili che sono nascosti sotto questo Nome benedetto. Ci basti adorarLo con timore, umiltà, obbedienza e amore.

IV. Vers. 14. – E gli eserciti che sono nei cieli lo seguivano su cavalli bianchi, vestiti di puro lino bianco.  Questo passaggio si applica anche alle due venute di Gesù Cristo; e il cielo qui significa la Chiesa militante e la Chiesa trionfante. Infatti, Gesù Cristo, nella sua prima apparizione sulla terra, è stato seguito da eserciti di Angeli custodi che combattono per la sua Chiesa, e da armate di Apostoli, Pontefici, Sacerdoti, Dottori, predicatori, vergini, ecc. E tutti questi eserciti lo seguivano su cavalli bianchi di giustizia, verità e santità, vestiti di puro lino bianco, dell’alba sacerdotale, di semplicità, carità, modestia, purezza, rettitudine e castità. 2° Questo passaggio si applica anche alla seconda venuta di Gesù Cristo, perché allora tutti i Santi della Chiesa trionfante e della Chiesa militante verranno con Gesù Cristo per giudicare i vivi e i morti, secondo le parole di Daniele, (VII, 21): « Guardai, ed ecco, questo corno (l’anticristo) faceva guerra ai santi e aveva la meglio  su di loro, finché finché non fosse venuto l’Antico di Giorni (Gesù Cristo). Poi ai santi dell’Altissimo diede il potere di giudicare; e quando il tempo fu compiuto, i Santi entrarono in possesso del regno. » Vediamo questa stessa verità espressa con altre parole nella stessa Apocalisse, (cap. XX , 4): « Vidi anche dei troni e coloro che vi sedevano sopra, e fu dato loro il potere di giudicare. » Ora, chi sono coloro che si siederanno su questi troni, è ciò che San Giovanni spiega nelle parole che seguono nello stesso capitolo: « E le anime di coloro che sono morti per aver reso testimonianza a Gesù, la parola di Dio, e che non hanno adorato la bestia, né la sua immagine, né hanno ricevuto il suo carattere sulla fronte o sulle mani, etc. » Così allora tutti i Santi sono paragonati per numero agli eserciti, così come i figli di Abramo secondo la fede saranno numerosi come le stelle del cielo e la sabbia dei mari; tutti i santi, diciamo, seguiranno il Verbo di Dio su dei cavalli bianchi e saranno vestiti di puro lino bianco per giudicare i vivi e i morti. Tutte queste parole ci danno un’idea della gloria e dell’imponente maestà con cui Gesù Cristo apparirà nelle nuvole per il giudizio universale.

V. Vers. 15. – E dalla sua bocca uscì una spada a doppio taglio per colpire le nazioni; poiché Egli le governerà con uno scettro di ferro; ed Egli stesso calcherà il torchio del vino del furore e dell’ira di Dio Onnipotente. Queste parole si applicano anche alle due venute di Gesù Cristo: E dalla sua bocca uscì una spada a doppio taglio. 1° Questa spada è la parola di Dio, secondo San Paolo; per questo si dice che è uscita dalla sua bocca. (Ef. VI, 17): « Prendete l’elmo della salvezza e la spada spirituale, che è la parola di Dio. » 2 ° Questa spada rappresenta anche la giustizia, la potenza e l’impero di Gesù Cristo sulla terra, Isaia, XI, 4: « Egli renderà giustizia ai poveri e si dichiarerà giusto vendicatore degli umili sulla terra. Egli colpirà la terra con la verga della sua bocca e ucciderà gli empi con il soffio delle sue labbra. » La spada è la figura del potere, della forza e della giustizia dei re; e Gesù Cristo, venendo sulla terra, era e sarà rivestito delle stesse prerogative di un re, secondo queste parole del Salmista (Ps. CIX): « Il Signore disse al mio Signore: Siedi alla mia destra, finché non avrò reso i tuoi nemici uno sgabello per i tuoi piedi. Il Signore farà uscire da Sion lo scettro della tua autorità; tu stabilirai il tuo impero in mezzo ai tuoi nemici. Il principato è con te nel giorno della tua forza, in mezzo allo splendore dei tuoi santi: ti ho generato dal mio seno prima dell’aurora. L’Eterno ha giurato, non si pentirà: tu sei Sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedec. Il Signore è alla tua destra, annienterà i re nel giorno della sua ira. Giudicherà i popoli: riempirà tutto di rovine, stritolerà la testa di un gran numero. Egli berrà sulla via dell’acqua del torrente (cioè le acque delle tribolazione), perciò alzerà il capo. » Sarà esaltato sulla croce, e trionferà eternamente attraverso la croce e con la croce. Tutto ciò che è stato appena detto e citato da Daniele e dal Salmista, spiega chiaramente le parole del testo: E dalla sua bocca uscì una spada a doppio taglio, per colpire le nazioni con la sua parola, con la sua giustizia e con la sua potenza; poiché egli le governerà con uno scettro di ferro. Questo scettro di ferro è la sua spada a due tagli; (Matth. X, 34): « Non sono venuto a portare la pace, ma una spada. » È anche lo scettro che il Signore farà uscire da Sion di cui abbiamo appena parlato. Perché egli governerà le nazioni con uno scettro di ferro. Chi non riconosce in queste parole il Dio degli eserciti, che comanda le potenze del mondo e le fa combattere tra loro secondo i disegni imperscrutabili della sua eterna saggezza, per la sua maggior gloria e per la salvezza dei suoi? E così Egli stesso calpesta il torchio del furore e dell’ira di Dio Onnipotente, per punire i malvagi e salvare i giusti. Poiché tutta la carne ha corrotto le sue vie, il divino Redentore è venuto nel mondo e apparirà di nuovo nell’ultimo giorno, armato della sua spada a due tagli e dello scettro della sua autorità, per governare su tutta la carne … per mezzo di piaghe: guerra, malattia, combattimento spirituale, afflizioni, persecuzioni, la tirannia dei malvagi; è, in una parola, con tutti i mali terreni, che il Signore seduto alla destra del Signore, calca il torchio del furore e dell’ira di Dio Onnipotente. E il risultato è il vino della sua vigna, attraverso la giustificazione dei buoni; e la feccia che resterà nel torchio sarà calpestata e gettata come inutile nel fuoco dell’inferno. Si ricorderà che nel passo di Isaia citato sopra, viene chiesto a Gesù Cristo: « Perché dunque è rossa la tua veste e rossa la tua carne? Perché dunque la tua veste è rossa e perché i tuoi abiti sono come la veste di coloro che calpestano il vino nel torchio? » A questa domanda, GesùCristo risponde: « Io solo ho calpestato il vino e nessun uomo del popolo era con me. » Ed è per questo che aggiunge: « Li ho calpestati nella mia ira, li ho calpestati nella mia collera, il loro sangue è schizzato sulla mia tunica e le mie vesti ne sono macchiate. » Perché quando Gesù Cristo venne a redimerci, Egli era solo a calpestare il vino spirituale della giustificazione degli uomini; perché i Giudei e persino i dottori della legge erano affondati nelle tenebre dell’errore e nel fango delle passioni, e i Gentili non conoscevano il vero Dio; e così Gesù Cristo era solo a calpestare il vino, e … qual vino? Il vino del furore e dell’ira di Dio Onnipotente. Perché Dio, vedendosi abbandonato da tutti gli uomini e persino dal popolo giudaico, che era il suo popolo eletto per osservare la sua legge, dovette entrare in furore contro il genere umano, come ne abbiamo un esempio al tempo di Noè, che fu un tipo di Gesù Cristo, come la sua arca era un tipo della Chiesa. E come allora Dio si pentì di aver creato il mondo, perché tutta la carne aveva corrotto le sue vie, e distrusse tutti gli uomini nelle acque del diluvio, così Dio si pentì di aver creato il mondo, tranne Noè e la sua famiglia, che erano gli unici giusti a rappresentare Gesù Cristo e la sua Chiesa; così alla venuta di Gesù Cristo, tutti gli uomini avevano corrotto le loro vie, e questo adorabile Redentore era il solo a calpestare il vino spirituale della giustificazione degli uomini. Non c’era da meravigliarsi, quindi, che le sue vesti fossero cosparse di sangue, poiché Egli era l’unico uomo giusto il cui sangue poteva essere trovato degno di soddisfare alla giustizia del Dio offeso. La differenza tra la prima ira che Dio fece scoppiare al tempo del diluvio, e la seconda al tempo di Gesù Cristo, è che al diluvio Dio ha sacrificato tutti gli uomini tranne una famiglia, mentre al tempo di Gesù Cristo ne ha sacrificato solo uno per tutti, tanto grande è la potenza, la giustizia e la bontà di Dio!

VI. Vers. 16. – Ed egli porta scritto sulla sua veste e sulla sua coscia: Re dei re e Signore dei signori. 1° La veste di Gesù Cristo è dunque la giustizia, la santità e la verità. 2°. È anche la veste della sua Passione; e poiché con la sua gloriosa Passione ha vinto il mondo e tutte le potenze della terra, sulle quali ha il dominio per la sua eterna giustizia, santità e verità, è con infinita ragione che si dice che egli porta scritto Re dei re e Signore dei signori. 3° San Gregorio, (Hom. XV, in Ezechiele), ci dice anche che per coscia, o per fianco, si intende l’incarnazione di Gesù Cristo: ne consegue, quindi, nella stessa idea, che con la sua incarnazione Gesù Cristo iniziò il regno della sua umanità; perciò, è detto ancora: Egli porta scritto sulla sua coscia: Re dei re e Signore dei signori.

§ II.

Della grande cena di Dio.

CAPITOLO XIX. – VERSETTO 17-21.

Et vidi unum angelum stantem in sole, et clamavit voce magna, dicens omnibus avibus, quæ volabant per medium cœli: Venite, et congregamini ad coenam magnam Dei: ut manducetis carnes regum, et carnes tribunorum, et carnes fortium, et carnes equorum, et sedentium in ipsis, et carnes omnium liberorum, et servorum, et pusillorum et magnorum. Et vidi bestiam, et reges terrae, et exercitus eorum congregatos ad faciendum prælium cum illo, qui sedebat in equo, et cum exercitu ejus. Et apprehensa est bestia, et cum ea pseudopropheta: qui fecit signa coram ipso, quibus seduxit eos, qui acceperunt caracterem bestiæ, et qui adoraverunt imaginem ejus. Vivi missi sunt hi duo in stagnum ignis ardentis sulphure: et ceteri occisi sunt in gladio sedentis super equum, qui procedit de ore ipsius: et omnes aves saturatæ sunt carnibus eorum.

[E vidi un Angelo che stava nel sole, e gridò ad alta voce, dicendo a tutti gli uccelli che volavano per mezzo il cielo: Venite, e radunatevi per la gran cena di Dio: per mangiare le carni dei re, e le carni dei tribuni, e le carni dei potenti, e le carni dei cavalli e dei cavalieri, e le carni di tutti, liberi e servi, e piccoli e grandi. E vidi la bestia, e i re della terra, e i loro eserciti radunati per far battaglia con colui che stava sul cavallo, e col suo esercito. E la bestia fu presa, e con essa il falso profeta, che fece davanti ad essa, prodigi coi quali sedusse coloro che ricevettero il carattere della bestia e adorarono la sua immagine. Tutti e due furono gettati vivi nello stagno di fuoco ardente per lo zolfo: e il restante furono uccisi dalla spada di colui che stava sul cavallo, la quale esce dalla sua bocca: e tutti gli uccelli si sfamarono delle loro carni.]

.I. Vers. 17. – E vidi un Angelo che stava in piedi nel sole, e gridò a gran voce, dicendo a tutti gli uccelli che volavano in mezzo all’aria: Venite e radunatevi alla grande cena di Dio. Queste parole sono una figura di ciò che accadrà alla fine del mondo, al tempo della rovina universale. Questo Angelo in piedi nel sole rappresenta il Re del cielo e della terra e di tutto ciò che esiste. Perché verso la fine dei tempi, Dio manifesterà la sua potenza nel sole, con i prodigi che il suo Angelo vi opererà. Con questo segno nel sole, tutti gli uccelli che volano in mezzo all’aria, cioè i giusti e i santi, saranno convocati e riuniti per la grande cena di Dio e per il trionfo dello spirito sulla carne. Si dice che egli gridò a gran voce, perché il suo segno nel sole produrrà un tale effetto che tutto l’universo sarà scosso. Questo Angelo sarà come quello di cui si è parlato altrove, che riunirà tutti gli uomini al il suono della tromba. Perché Dio, parlando agli uomini, ha dovuto servirsi di queste immagini sensibili per rappresentare la realtà di questa scena, la più imponente che sia mai avvenuta e che l’uomo non poteva immaginare. La migliore spiegazione di questo passaggio del nostro testo si trova in San Luca, dove vediamo che subito dopo la persecuzione dell’anticristo, e quando il tempo dei Gentili che calpesteranno Gerusalemme sarà compiuto, cioè, quando la grande catastrofe della caduta di Babilonia, menzionata sopra, avrà avuto luogo, gli uccelli che volano nell’aria saranno convocati e riuniti per la grande cena di Dio. Ascoltiamo allora San Luca, (XXI, 25): « (I giusti) cadranno a fil di spada e saranno portati in cattività in tutte le nazioni; e Gerusalemme sarà calpestata dai Gentili, finché sia compiuto il tempo dei Gentili. E ci saranno prodigi nel sole, nella luna e nelle stelle; e le nazioni saranno nella costernazione, a causa del rumore del mare e dei flutti. E gli uomini avvizziranno per la paura, aspettando quello che deve arrivare su tutto il mondo, perché le potenze celesti saranno scosse. Allora vedranno il Figlio dell’Uomo venire in una nuvola con grande potenza e maestà. Ora, quando queste cose cominceranno ad accadere, alzate il capo e guardate in alto, perché la vostra redenzione è vicina. » Queste ultime parole, perché la vostra redenzione è vicina, si spiegano con il passo del nostro testo, dove si dice che tutti gli uomini che sopravvivranno alla caduta di Gerusalemme e alla rovina delle città delle nazioni saranno presi dal timore e daranno gloria a Dio. Così Gesù Cristo, nella sua misericordia, vuole rassicurare, con la sua predizione, tutti gli uomini che moriranno di paura, o saranno distrutti in questa rovina generale della natura, promettendo ad essi la loro redenzione spirituale, secondo San Paolo, Ebr. IX, 27: « Come è stabilito che gli uomini muoiano una volta, e che poi siano giudicati; così Gesù Cristo è stato offerto una volta per cancellare i peccati di molti; e la seconda volta apparirà, non più come caricato dei nostri peccati, ma per la salvezza di coloro che lo aspettano. » Bisogna notare che San Giovanni parla solo del segno nel sole, e questo laconismo è ammirevole, se si considera che essendo il sole l’astro più splendido del cielo, bastava che San Giovanni indicasse un cambiamento in questo solo punto per annunciare lo sconvolgimento generale di tutta la natura, come vediamo, infatti, dal passo di San Luca che abbiamo appena citato. Venite e unitevi alla grande cena di Dio, dirà quest’Angelo.

Vers. 18. – Per mangiare la carne dei re, la carne dei tribuni, la carne dei forti, la carne dei cavalli e dei cavalieri, la carne di tutti gli uomini, liberi e schiavi, piccoli e grandi. 1° Vediamo, dal contesto, che la grande cena di Dio inizierà alla caduta della grande Babilonia e durerà finché si alzerà il fumo del suo incendio, cioè nei secoli dei secoli. (Vedi Apoc., XIX, 3). Infatti, da allora tutta la carne corruttibile e corrotta sarà distrutta per risorgere dopo, con questa differenza che i buoni risorgeranno con tutte le qualità dei corpi gloriosi, mentre i malvagi avranno corpi terribili e spaventosi. Questa distruzione universale di tutti gli uomini è espressa in queste parole: La carne di tutti gli uomini, liberi e schiavi, buoni e cattivi, piccoli e grandi, senza distinzione di persone; perché il peccato originale è comune a tutti noi. Solo la Beata Vergine Maria, Regina del Cielo e Madre degli uomini, ne è esente. È in questa grande cena, in questa eterna cena di Dio, che le anime dei giusti e di tutti i Santi saranno convocate. Sono rappresentati figurativamente come uccelli che volano nell’aria, perché sono si sono elevati dalla terra e sono stati comprati di tra gli uomini, come primizie consacrate a Dio e all’Agnello. (Vedi cap. XIV, 4.). È a questa grande cena, diciamo, che le anime dei giusti saranno invitate e riunite per mangiare la carne dei re, la carne dei tribuni, la carne dei forti, la carne dei cavalli e dei cavalieri, la carne di tutti gli uomini, liberi e schiavi, piccoli e grandi. Queste parole sono una figura che significa che lo spirito regnerà su tutta la carne e su tutto il potere terreno; come tutta la carne regnava sullo spirito nel mondo corrotto, o nella grande Babilonia e nella grande prostituta. 2º Si sa che i profeti rappresentano spesso, sotto un’unica figura, persone o cose diverse e anche opposte, purché abbiano qualche somiglianza tra loro; ora è così, diciamo, che San Giovanni rappresenta anche i demoni e le dieci corna della bestia o i re del regno dell’anticristo che odieranno la prostituta, la ridurranno all’ultima desolazione, la spoglieranno, divoreranno la sua carne e la bruceranno tra le fiamme. (Vedi cap. XVII, 16.). Questi demoni e queste dieci corna della bestia saranno usati come strumenti per punire i malvagi, rappresentati dalla carne, e per vendicare i buoni, rappresentati anche dagli uccelli che volano nell’aria. Poiché Dio ha messo nei loro cuori di fare ciò che gli piace. (Apoc. XVII, 17). 3º Questi uccelli di cui si è parlato, rappresentano anche, alla lettera, gli uccelli rapaci che si abbatteranno sui cadaveri degli empi per divorarli, dopo l’orribile carneficina della fine dei tempi. Così leggiamo nel primo libro dei Re, (capitolo XVII, 46), che Davide, andando a combattere contro Golia, gli disse: « Il Signore ti consegnerà nelle mie mani; io ti ucciderò e ti taglierò la testa, e darò oggi i corpi morti dei Filistei agli uccelli del cielo e alle bestie della terra, perché tutta la terra sappia che c’è un Dio in Israele. » 4° Questa grande cena di Dio allude, per contrasto, alla santa Cena in cui Gesù Cristo istituì la santissima Eucaristia, poiché scopriamo circostanze perfettamente simili. Infatti: 1° mangiando la carne e bevendo il sangue adorabile di Gesù Cristo, i giusti hanno cominciato a vivere spiritualmente e a diventare quegli uccelli che volano nell’aria, cioè nella sfera della grazia, della fede e della giustizia. (Jo., VI, 47): « In verità vi dico che chi crede in me ha la vita eterna. Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti. Questo è il pane disceso dal cielo, perché chiunque ne mangi non muoia. Io sono il pane vivo disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno; e il pane che Io darò per la vita del mondo è la mia carne. » Ora, per questa vita eterna che i giusti acquistano mangiando la carne di Gesù Cristo, essi acquistano anche l’incomparabile diritto e la prerogativa di dominare su tutta la carne corruttibile e corrotta, e di mangiare o immolare, nell’eterna cena di Dio, la carne dei re e la carne dei tribuni, etc. – 2°. La cena di Gesù Cristo ebbe luogo alla vigilia della sua morte, e attraverso la sua morte i Cristiani entrarono nella vita. E così, al contrario, la caduta della grande Babilonia, che sarà l’inizio della grande cena di Dio, avverrà alla vigilia della nuova vita, la vita eterna dei Santi, e anche alla vigilia della morte del mondo, che cesserà di esistere per sempre. – 3° Pochi giorni dopo l’ultima cena, Gesù Cristo è risorto dai morti. Allo stesso modo, pochi giorni dopo la caduta della grande Babilonia, gli uomini risorgeranno per l’eternità. – 4° Il pane della Cena del Signore doveva dare la vita ai buoni e la morte ai malvagi; e così nella grande Cena di Dio i buoni avranno la vita e i malvagi la morte eterna. – 5°. Il pane della Cena del Signore dà vita all’anima per il tempo, al corpo e all’anima dei buoni per l’eternità. Anche così, per contrasto, alla grande cena di Dio, alla caduta della grande Babilonia, la carne dei re, la carne dei tribuni, la carne dei forti, etc. sarà distrutta per il tempo, e l’anima e il corpo dei malvagi soffriranno per l’eternità. 5° Questa grande cena è letteralmente quell’immensa e terribile carneficina che avrà luogo sulle montagne della Giudea, quando tutti i popoli della terra vi accorreranno in massa, e gli stessi Giudei saranno tornati da terre straniere. La descrizione di questo orribile dramma si trova nella profezia di Ezechiele, XXXVIII, che contiene in altri termini quello che ci ha dato il venerabile Holzhauser. 6° Infine, queste parole sono una figura del giudizio universale.

II. Vers. 19. E vidi la bestia e i re della terra e i loro eserciti riuniti per far guerra a colui che sedeva sul cavallo e al suo esercito. San Giovanni ritorna di nuovo su questa grande catastrofe della caduta di Babilonia per presentarcela in tutti i suoi aspetti. La prima volta lo ha fatto in occasione della morte di Enoch ed Elia, e del trionfo dei santi sui malvagi; ora vi ritorna in occasione del trionfo di Gesù Cristo e della grande cena di Dio. Questo è ciò che vediamo in questo passaggio: E vidi la bestia, l’anticristo, e i re della terra e i loro eserciti riuniti, cioè vidi i malvagi, che l’anticristo riunirà sotto i suoi vessilli, per fare guerra contro Colui che montava sul cavallo ed il suo esercito; Gesù Cristo e i suoi Santi. E quale sarà il risultato di questa guerra? Questo è ciò che ci dice Gesù Cristo nelle seguenti parole, parole di incoraggiamento e di consolazione per la Sua Chiesa.

Vers. 20. Ma la bestia fu presa, e con essa il falso profeta che aveva fatto prodigi in sua presenza, prodigi con i quali aveva sedotto coloro che avevano ricevuto il carattere della bestia, e che avevano adorato la sua immagine; ed entrambi furono gettati vivi nello stagno pieno di fuoco e di zolfo.

Vers. 21. – E gli altri furono uccisi con la spada che usciva dalla bocca di Colui che sedeva sul cavallo, cioè con la potenza e il soffio di Gesù Cristo; e tutti gli uccelli si saziarono della loro carne. Queste parole significano che tutti i Santi saranno presenti al grande trionfo di cui si parla, e che avranno il potere di giudicare e condannare i malvagi. Queste parole sono anche una conferma di ciò che è stato detto, che la caduta di Gerusalemme e delle città delle nazioni sarà il preludio immediato alla fine del mondo, l’ultimo giudizio ed il trionfo eterno di Gesù Cristo con i suoi Santi.

III.

Ricapitolazione.

OSSERVAZIONE PRELIMINARE.

I. Prima di passare al capitolo XX dell’Apocalisse, è bene ricordare al lettore che questo capitolo contiene un riassunto di tutto il regno di Gesù Cristo sulla terra. Questo capitolo è diviso in tre parti che sono: – 1. Il primo Avvento di Gesù Cristo e il suo regno spirituale dalla Chiesa fino all’anticristo. Questo regno è rappresentato da un periodo di mille anni, durante il quale l’antico serpente che è il diavolo e satana sarà stato legato. – 2° Questo capitolo contiene il regno dell’anticristo, quando satana sarà nuovamente liberato. – 3° Infine, l’ultima parte contiene la seconda venuta di Gesù Cristo o l’ultimo giudizio.  – Inoltre, questo stesso capitolo presenta un’altra divisione in due punti principali, che sono: la prima e la seconda risurrezione. Si noterà che San Giovanni ritorna di nuovo sulle stesse cose, ed è, come abbiamo detto, per presentare questi eventi, così importanti e così interessanti per la Chiesa, sotto tutti i loro aspetti. Questo capitolo può quindi essere considerato come una ricapitolazione o una perorazione di queste rivelazioni di Gesù Cristo. Questo capitolo è di grande utilità per dare più forza e vigore a tutto ciò che San Giovanni ha predetto. Esso serve anche come una preziosa conferma ed una chiarificazione per la comprensione e lo sviluppo di tutto ciò che precede.

§ IV.

Sul Primo Avvento di Gesù Cristo e il suo regno di mille anni.

CAPITOLO XX. VERSETTI 1-3.

Et vidi angelum descendentem de cælo, habentem clavem abyssi, et catenam magnam in manu sua. Et apprehendit draconem, serpentem antiquum, qui est diabolus, et Satanas, et ligavit eum per annos mille: et misit eum in abyssum, et clausit, et signavit super illum ut non seducat amplius gentes, donec consummentur mille anni: et post hæc oportet illum solvi modico tempore.

[E vidi un Angelo che scendeva dal cielo, e aveva la chiave dell’abisso, e una grande catena in mano. Ed egli afferrò il dragone, il serpente antico, che è il diavolo e satana, e lo legò per mille anni, e lo cacciò nell’abisso, e lo chiuse e sigillò sopra di lui, perché non seduca più le nazioni, fino a tanto che siano compiti i mille anni: dopo i quali deve essere sciolto per poco tempo.]

I. E vidi un Angelo che scendeva dal cielo, avendo la chiave del pozzo senza fondo e una grande catena in mano. Questo Angelo che scende dal cielo è Gesù Cristo, quando si è fatto carne. Scese dal cielo, essendo uno spirito puro come gli Angeli, ma infinitamente perfetto come Dio; ed essendosi fatto carne è apparso sulla terra come Dio e come Uomo in qualità di Angelo, cioè come uno mandato da Dio suo Padre per compiere la grande opera della nostra redenzione. Avendo in mano la chiave dell’abisso. Questa chiave rappresenta il potere che possedeva come Dio e che usava come Dio e uomo insieme, per la salvezza del mondo. Questa chiave è dunque la figura di tutti i poteri di cui il nostro divino Redentore ha fatto uso contro il nemico della razza umana, il vecchio serpente, a cui ha dovuto schiacciare la testa. Questo potere è anche quello che ha conferito alla sua Chiesa, ed in generale a tutto il suo esercito in cielo e in terra. Potere di legare e sciogliere, di scacciare i demoni, di fare miracoli, etc. etc., insomma, questa chiave era la chiave dell’abisso, cioè la chiave dell’inferno; ed Egli teneva questa chiave in mano come la chiave della Chiesa, contro la quale le porte dell’inferno non prevarranno mai. Teneva anche in mano una grande catena, la catena dei Papi che sono i suoi anelli, il primo anello dei quali fu San Pietro, che ricevette il suo potere dalla mano di Gesù stesso, un potere che deve continuare ad estendersi fino all’ultimo Papa, che si chiamerà anch’esso Pietro, e che l’anticristo farà uccidere; ed è allora che il diavolo sarà nuovamente slegato per un po’. Questa chiave e questa grande catena sono dunque anche l’autorità della Chiesa e dei Papi.

Vers. 2. E prese il drago, il vecchio serpente, che è il diavolo e satana, e lo legò per mille anni. Si sa dalla storia che con la diffusione del Cristianesimo, gli idoli e il potere del diavolo scomparivano. E così Gesù Cristo legò satana per mille anni. San Giovanni cita di nuovo un numero certo per un numero indeterminato. Questi mille anni rappresentano l’intera durata della Chiesa, da Gesù Cristo fino all’avvento dell’anticristo. E prese il drago … che è il diavolo e satana, cioè il principe dei demoni e il tentatore della razza umana.

Vers. 3. E lo gettò nel pozzo senza fondo, e lo rinchiuse lì, e lo sigillò, affinché non seducesse più le nazioni, finché non fossero compiuti i mille anni, dopo i quali doveva essere sciolto per un po’ di tempo.  Con il suo primo avvento e l’istituzione della sua Chiesa, Gesù Cristo ha gettato satana nell’abisso, cioè ha relegato il suo potere all’inferno e vi ha posto un sigillo, il sigillo della sua parola, della sua volontà e della sua  promessa: (Matth. XVI, 18): « E io ti dico che tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia chiesa, e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. » E vi pose un sigillo, affinché non ingannasse più le nazioni, come ai tempi dei pagani, dagli idoli e dagli indovini, etc.; finché i mille anni, cioè gli anni della durata della Chiesa e del Sacrificio perpetuo, siano compiuti, dopo di che, perché si adempiano le profezie, deve essere sciolto per un po’ di tempo; per la durata cioè, del regno dell’Anticristo, che sarà breve, poiché quando entrerà nella pienezza del suo regno, vivrà solo quarantadue mesi naturali. Ed è durante questo intervallo che satana sarà sciolto per sedurre le nazioni, con i suoi prodigi, con le sue imposture e con le sue persecuzioni.

§ V.

Della prima risurrezione .

CAPITOLO XX . VERSI 4-6.

Et vidi sedes, et sederunt super eas, et judicium datum est illis: et animas decollatorum propter testimonium Jesu, et propter verbum Dei, et qui non adoraverunt bestiam, neque imaginem ejus, nec acceperunt caracterem ejus in frontibus, aut in manibus suis, et vixerunt, et regnaverunt cum Christo mille annis. Ceteri mortuorum non vixerunt, donec consummentur mille anni. Hæc est resurrectio prima. Beatus, et sanctus, qui habet partem in resurrectione prima: in his secunda mors non habet potestatem: sed erunt sacerdotes Dei et Christi, et regnabunt cum illo mille annis.

[E vidi dei troni e sederono su questi, e fu dato ad essi di giudicare: e le anime di quelli che furono decollati a causa della testimonianza di Gesù, e a causa della parola di Dio, e quelli i quali non adorarono la bestia, né la sua immagine, né ricevettero il suo carattere sulla fronte o sulle loro mani, e vissero e regnarono con Cristo per mille anni. Gli altri morti poi non vissero, fintantoché siano compiti i mille anni. Questa è la prima risurrezione. Beato e santo chi ha parte nella prima risurrezione: sopra di questi non ha potere la seconda morte: ma saranno sacerdoti di Dio e di Cristo, e regneranno con lui per mille anni.]

I. Vers. 4. – E vidi dei troni e coloro che vi sedevano, e fu dato loro il potere di giudicare; e le anime di coloro che morirono per la testimonianza di Gesù e per la parola di Dio, e che non adorarono la bestia, né la sua immagine, né ricevettero il suo carattere sulla loro fronte o nelle loro mani; e vissero e regnarono mille anni con Gesù Cristo. Questo passaggio offre, a prima vista, una difficoltà molto grande, a causa del tipo di confusione che San Giovanni sembra fare dei Martiri del tempo dell’anticristo, con gli altri che regneranno durante i mille anni del regno di Gesù Cristo e della Chiesa; e anche a causa dei due tipi di morte di cui parla in questo versetto e in quello seguente, il cui significato è difficile da afferrare a prima vista. Ma questa apparente confusione contiene una figura ammirevole, con la quale San Giovanni ci rappresenta l’unità e la stretta unione che esiste nel destino dei Santi e dei giusti in tutte le epoche della Chiesa; basta scomporre il suo quadro per cogliere il significato di ciascuna delle figure che contiene. E vidi anche dei troni, cioè San Giovanni vide i dodici troni di cui si parla in San Matteo, (XIX, 27): « Pietro disse (a Gesù): Ora che abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito, che ne sarà di noi? E Gesù disse loro: In verità vi dico: voi che mi avete seguito, quando il Figlio dell’uomo si siederà sul trono della sua gloria nel tempo della rigenerazione, anche voi siederete su dodici troni e giudicherete le dodici tribù d’Israele. » – E vidi anche coloro che sedevano su di essi, cioè i dodici Apostoli e anche tutti i Santi; perché questi dodici troni rappresentano l’universalità dei troni dei Santi che avranno seguito Gesù Cristo come gli Apostoli, e che avranno una parte, di conseguenza, in questa ricompensa nell’essere seduti su troni, per giudicare i vivi e i morti. San Girolamo, nella sua omelia su questo passo del Vangelo, dice anche: Lib. III, in Matth. XIX che: seguire Gesù Cristo è proprio dei credenti. – E fu dato loro il potere di giudicare; abbiamo appena visto che gli Apostoli e i Santi che hanno seguito Gesù Cristo saranno seduti sui troni all’ultimo giudizio, per giudicare, con Gesù Cristo, i vivi e i morti. E le anime di coloro che sono morti per la testimonianza di Gesù e per la parola di Dio, vale a dire cioè, che ho visto anche le anime di tutti i martiri della Chiesa in generale, e quelle degli Apostoli, missionari, dei Dottori, dei predicatori, ecc. che sono morti dando testimonianza di Gesù e della parola di Dio. E vidi anche nella stessa visione coloro che moriranno come martiri dopo i mille anni, al tempo dell’anticristo. Perché aggiunge: E le anime di coloro che non hanno adorato la bestia, né la sua immagine, né hanno ricevuto il suo carattere sulla loro fronte o nelle loro mani. San Giovanni vide dunque le anime di tutti i martiri della Chiesa in generale, e anche quelle della fine dei tempi. Bisogna notare che non menziona i corpi, ma solo le anime di questi Santi, e questo per mostrarci che queste anime godranno della gloria eterna prima della risurrezione universale dei corpi. E vissero e regnarono mille anni con Gesù Cristo. È come se dicesse: i primi martiri vissero e regnarono mille anni con Gesù Cristo. Ma San Giovanni sembra aver omesso questa distinzione dei primi e degli ultimi martiri della Chiesa, per farci capire che i martiri del tempo dell’Anticristo vivranno la stessa vita degli altri, cioè la vita di Gesù Cristo. Ora, vivere con Gesù Cristo è regnare, e in questo senso, i Santi appartengono tutti indistintamente al regno di Gesù Cristo e della sua Chiesa; e tutti saranno seduti su troni per giudicare i vivi e i morti. Queste parole: che non hanno adorato la bestia, né la sua immagine, etc., si intendono anche per i primi Martiri della Chiesa, che non si sono prostituiti agli idoli del mondo. Per quanto riguarda la vera e unica distinzione che esiste tra questi martiri, intendiamo la distinzione del tempo in cui furono messi a morte, San Giovanni la esprime chiaramente con le seguenti parole:

II. Vers. 5 Gli altri morti non entrarono nella vita se non dopo il compimento dei mille anni. Questa è la prima resurrezione. Gli altri morti, i martiri del tempo dell’anticristo, entrarono nella vita eterna attraverso il martirio solo dopo che i mille anni furono compiuti, cioè, sono solo quelli che subiranno il martirio dopo i mille anni del regno di Gesù Cristo, quando il diavolo sarà di nuovo slegato al tempo dell’anticristo. Questa è la prima resurrezione, la resurrezione particolare di ciascuno, la resurrezione spirituale che precede la resurrezione universale dei corpi; per questo si chiama la prima resurrezione. Questo passaggio si applica anche ai Giudei e ai gentili che si convertiranno alla fine del mondo; perché sappiamo che i profeti designano varie cose nella stessa figura. Gli altri morti non entrarono nella vita se non dopo che i mille anni erano passati. Anche qui il Profeta cita un numero definito per un numero indefinito. Troviamo la spiegazione di questi mille anni del regno di Gesù Cristo nella seconda epistola di San Pietro, (III, 8): « Ma una cosa non dovete ignorare, miei cari, è che agli occhi del Signore, un giorno è come mille anni, e mille anni come un giorno. Quindi il Signore non ha ritardato il compimento della sua promessa, come alcuni immaginano (anche se non è venuto dopo mille anni), ma Egli vi aspetta con santa pazienza, per gli appelli di Pietro, volendo che nessuno perisca, ma che tutti ritornino alla penitenza. » Così, le parole di San Pietro, spiegate nella parentesi che aggiungiamo, per sottolinearne meglio il senso, queste parole, noi diciamo, sono una profezia che preveniva già alla Chiesa primitiva, almeno indirettamente, che il secondo avvento di Gesù-Cristo potrebbe non avere luogo immediatamente dopo che i mille anni del suo regno si sarebbero adempiuti alla lettera. Perché tutto il contesto mostra che San Pietro ha voluto dare una spiegazione di ciò che si debba intendere moralmente per i mille anni di cui si questiona qui.

III. Vers. 6 – Beato e santo è colui che partecipa alla prima risurrezione; la seconda morte non avrà dominio su di loro, ma essi saranno sacerdoti di Dio e di Gesù Cristo e regneranno con lui per mille anni. Queste parole e quelle sopra sono un continuo incoraggiamento ai Cristiani, che sono costantemente esposti alla persecuzione da parte dei malvagi. Beato e santo è colui che ha una parte nella resurrezione di cui abbiamo appena parlato. Perché la seconda morte, la morte eterna, che segue la morte temporale, non avrà alcun potere su di loro; ma saranno sacerdoti di Dio e di Gesù Cristo, cioè saranno sacrificatori della propria vita per Dio e per Gesù Cristo; ed essi offriranno a Dio un continuo sacrificio di lode e di ringraziamento, ed intercederanno presso Dio per i fedeli della Chiesa, e le loro preghiere saranno potenti e facilmente esaudite in virtù dei loro meriti. E regneranno con lui per mille anni, come è stato spiegato sopra.

§ VI.

Del regno dell’anticristo, quando satana sarà nuovamente sciolto.

CAPITOLO XX. VERSI 7-10.

Et cum consummati fuerint mille anni, solvetur Satanas de carcere suo, et exibit, et seducet gentes, quæ sunt super quatuor angulos terrae, Gog, et Magog, et congregabit eos in prælium, quorum numerus est sicut arena maris. Et ascenderunt super latitudinem terræ, et circuierunt castra sanctorum, et civitatem dilectam. Et descendit ignis a Deo de cælo, et devoravit eos: et diabolus, qui seducebat eos, missus est in stagnum ignis, et sulphuris, ubi et bestia et pseudopropheta cruciabuntur die ac nocte in sæcula sæculorum.

[E compiti i mille anni, satana sarà sciolto dalla sua prigione, e uscirà, e sedurrà le nazioni che sono nei quattro angoli della terra, Gog e Magog, e le radunerà a battaglia, il numero delle quali è come la rena del mare. E si stesero per l’ampiezza della terra, e circondarono gli accampamenti dei santi e la città diletta. E dal cielo cadde un fuoco (spedito) da Dio, il quale le divorò: e il diavolo, che le seduceva, fu gettato in uno stagno di fuoco e di zolfo, dove anche la bestia, e il falso profeta saranno tormentati dì e notte pei secoli dei secoli.]

I. Vers. 7E dopo che i mille anni saranno compiuti, Satana sarà sciolto, uscirà dalla sua prigione e radunerà le nazioni che sono ai quattro angoli del mondo, Gog e Magog, e le riunirà per la battaglia, e il loro numero sarà come la sabbia del mare. – E dopo che mille anni saranno compiuti, cioè dopo il regno di Gesù Cristo e della Sua Chiesa sulla terra, durante le prime sei età, satana sarà slegato e lasciato libero di regnare di nuovo come ai tempi del paganesimo e peggio. Uscirà dalla sua prigione, dall’inferno, dove il suo potere era stato relegato, e sedurrà le nazioni che sono ai quattro angoli del mondo, cioè le nazioni della terra. Sedurrà anche Gog che, secondo Sant’Agostino, sarà l’anticristo; e secondo San Girolamo, il rappresentante di tutti gli eresiarchi. E Magog che, secondo lo stesso San Girolamo, rappresenta tutti i settari della dottrina dell’anticristo. Ora, questi settari saranno numerosi, poiché l’anticristo estenderà il suo potere su tutte le nazioni della terra. Ed egli li radunerà per la battaglia di cui si è parlato, per fare guerra a Dio stesso nel giorno della grande battaglia di Dio Onnipotente. E il loro numero sarà come la sabbia del mare, cioè un gran numero di tutti i popoli della Libia, dell’Etiopia, della Persia, dei popoli del Nord, di Gomer e di tutti i suoi battaglioni, della casa di Thogorma, vicina al Nord, con tutta la sua forza e la moltitudine dei suoi popoli, ecc. ecc. (Vedere Ezechiele, XXXVIII).

II . Vers. 8 . E salirono sulla faccia della terra e circondarono l’accampamento dei santi e la città amata, vale a dire che questi grandi eserciti si accamperanno sui monti della Giudea e circonderanno l’accampamento dei Santi e la città amata, che è Gerusalemme, figura della Chiesa, dove è stato trovato il sangue dei Profeti e dei Santi e di tutti coloro che sono stati sulla terra. (Vedi cap. XVII, 24). Ricordiamo che Gerusalemme, presa letteralmente, rappresenta la grande Babilonia e, in senso mistico, è una figura della Chiesa di Gesù Cristo.

Vers. 9. – Ma il fuoco di Dio scese dal cielo e li divorò, e il diavolo che li aveva ingannati fu gettato nel lago di fuoco e di zolfo, dove la bestia

Vers. 10. – … E i falsi profeti saranno tormentati giorno e notte nei secoli dei secoli. Questo passaggio è già stato citato e spiegato, in occasione della caduta di Babilonia. Si ripete qui, come abbiamo detto, in forma di perorazione, come tutto il capitolo.

§ VII.

Sulla seconda risurrezione e l’ultimo giudizio.

CAPITOLO XX. VERSETTI 11-15.

Et vidi thronum magnum candidum, et sedentem super eum, a cujus conspectu fugit terra, et caelum, et locus non est inventus eis. Et vidi mortuos, magnos et pusillos, stantes in conspectu throni, et libri aperti sunt: et alius liber apertus est, qui est vitae : et judicati sunt mortui ex his, quae scripta erant in libris, secundum opera ipsorum: et dedit mare mortuos, qui in eo erant: et mors et infernus dederunt mortuos suos, qui in ipsis erant: et judicatum est de singulis secundum opera ipsorum. Et infernus et mors missi sunt in stagnum ignis. Hæc est mors secunda. Et qui non inventus est in libro vitæ scriptus, missus est in stagnum ignis.

[E vidi un gran trono candido, e uno che sopra di esso sedeva, dalla vista del quale fuggirono la terra e il cielo e non fu più trovato luogo per loro. E vidi i morti grandi e piccali stare davanti al trono; e si aprirono i libri: e fu aperto un altro libro che è quello della vita: e i morti furono giudicati sopra quello che era scritto nei libri secondo le opere loro. E il mare rendette i morti che riteneva dentro di sé: e la morte e l’inferno rendettero i morti che avevano: e si fece giudizio di ciascuno secondo quello che avevano operato. E l’inferno e la morte furono gettati nello stagno di fuoco. Questa è la seconda morte. E chi non si trovò scritto nel libro della vita, fu gettato nello stagno di fuoco.]

. I. Vers. 11. – E vidi un grande trono bianco, e uno seduto davanti alla cui faccia la terra e il cielo fuggirono e il loro posto non fu più. San Giovanni passa ora al giudizio universale, e ci dice: Ho visto nella mia immaginazione un grande trono bianco. Questo trono è le nuvole sulle quali apparirà il Figlio dell’Uomo. … e uno solo seduto, cioè Nostro Signore Gesù Cristo stesso. (Matth. XXIV, 30): « E allora apparirà in cielo il segno del Figlio dell’uomo (il segno della croce) e tutte le tribù della terra gemeranno, e vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nuvole del cielo con grande potenza e maestà. » – Davanti al cui volto la terra e il cielo fuggiranno… Ah! allora il cielo e la terra saranno bruciati con il fuoco e poi saranno rinnovati. (II, Pietr., III, 7): « I cieli e la terra che ora esistono sono conservati dalla parola di Dio, e sono riservati per essere bruciati con il fuoco nel giorno del giudizio e della rovina degli empi. Ora come il ladro viene di notte così il giorno del Signore verrà all’improvviso; e allora con il rumore di una tempesta spaventosa i cieli passeranno, e gli elementi saranno dissolti, e la terra con tutto quello che c’è sarà bruciata con il fuoco. Poiché dunque tutte queste cose devono perire, come dovreste essere nelle vostre opere di pioetà e nel vostro comportamento, aspettando e desiderando la venuta del giorno del Signore, quando la violenza del fuoco dissolverà i cieli e fonderà tutti gli elementi! Perché noi attendiamo, secondo la sua promessa, nuovi cieli e una nuova terra, in cui dimorerà la giustizia. Perciò, miei cari, in questa attesa, che il Signore vi trovi puri, irreprensibili e in pace; e credete che la longa pazienza del nostro Signore è la vostra salvezza. » – Noi crediamo con Sant’Agostino, (De Civ. 20, XIV), che questo cambiamento della terra e dei cieli avrà luogodopo il giudizio e non prima. E il loro stesso posto non si troverà più, cioè essi spariranno completamente nello spazio, e saranno annientati per sempre.

II. Vers. 12.E vidi i morti, grandi e piccoli, in piedi davanti al trono; i libri furono aperti, e un altro libro, il libro della vita, fu aperto di nuovo, e i morti furono giudicati secondo quanto era scritto in quei libri, secondo le loro opere. – E vidi i morti, cioè tutti gli uomini che sono vissuti sulla terra e che tutti, grandi e piccoli, senza distinzione di persone, hanno subito la pena del peccato originale, di cui tutti sono macchiati, tranne la Donna benedetta fra tutte le donne, la Regina del cielo e nostra Madre, la beata Vergine Maria. Ho visto tutti questi morti in piedi davanti al trono per essere per essere giudicati. Il profeta Daniele ci parla anche di questo trono davanti al quale i morti, grandi e piccoli, appariranno per essere giudicati, e ci dice, (cap. VII, 9): « Io ero attento a ciò che vedevo, finché furono posti dei troni e l’Antico dei Giorni (Gesù Cristo) si sedette; la sua veste era bianca come la neve e i capelli del suo capo erano come la lana più bianca e più pura. Il suo trono era delle fiamme ardenti e le ruote di questo trono un fuoco ardente. Un fiume di fuoco uscì rapidamente dalla sua faccia, mille migliaia di Angeli lo servivano e centinaia di migliaia di uomini stavano davanti a Lui. Il giudizio iniziò e i libri furono aperti. » Questi libri sono i libri sacri e anche i libri in cui sono registrate le opere degli uomini; perché Dio le ricorderà tutte nei minimi dettagli e le confronterà con la sua legge, e la sua legge con le nostre opere.  Sant’Agostino ci dice che per l’onnipotenza di Dio, queste opere saranno viste e conosciute da tutti gli uomini con una celerità meravigliosa. I libri furono aperti e un altro libro, il libro della vita, fu aperto ancora; questo libro della vita è il libro in cui sono scritti i nomi degli eletti. E i morti furono giudicati da ciò che era scritto in quei libri, cioè sulle loro opere, e dalla legge di Dio applicata alle azioni degli uomini, … e sulle loro opere, cioè secondo il numero e il merito delle loro opere e sulla Legge di Dio applicata alle azioni degli uomini. E i morti furono giudicati da ciò che era scritto in questi libri. Come abbiamo detto, questi morti sono tutti i morti, grandi e piccoli, che stavano davanti al trono, cioè tutti gli uomini; perché secondo San Paolo, (Eb. IX, 27): « È decretato che gli uomini muoiano una volta sola. » Nessuna eccezione è fatta per coloro che hanno partecipato al peccato originale, quindi, queste parole devono essere intese in modo assoluto: E i morti furono giudicati. Inoltre, vediamo dalle differenze nei giudizi indicati nelle parole seguenti che si tratta qui di tutti i morti, i buoni e i cattivi, che saranno tutti giudicati, ed è solo dopo questo giudizio che seguiranno le diverse sentenze, secondo le due categorie a cui tutti gli uomini apparterranno per l’eternità. Queste due categorie sono indicate nel versetto seguente: quella dei buoni con i morti nel mare, e quella dei malvagi con la morte e l’inferno.

III. Vers. 13. – Il mare restituì quelli che erano morti nelle sue acque; anche la morte e l’inferno restituirono i loro morti, e ogni uomo fu giudicato secondo le sue opere. San Giovanni distingue qui due tipi di morti: quelli che sono morti nel mare, e quelli che sono morti nella morte e nell’inferno: anche la morte e l’inferno hanno consegnato i loro morti. Cioè, tutti gli uomini risorgeranno nell’ultimo giorno, i buoni e i cattivi. La resurrezione dei buoni è espressa in queste parole: Il mare ha restituito coloro che sono morti nelle sue acque, nelle acque del Battesimo e nelle acque della penitenza e della tribolazione, secondo le parole dell’Apocalisse, (XXII, 14): « Beati coloro che lavano le loro vesti nel sangue dell’Agnello, perché abbiano diritto all’albero di vita, etc. » La resurrezione dei malvagi, invece, è espressa con queste altre parole: Anche la morte e l’inferno hanno consegnato i loro morti, e ciascuno fu giudicato secondo le sue opere. Ora vediamo chiaramente dalle parole del testo seguente che quelli della morte e dell’inferno sono un tutt’uno, e che saranno tutti condannati al fuoco dell’inferno. La parola morte qui, significa la morte temporale, ed è congiunta alla parola inferno, per significare la morte dell’anima o la morte eterna. E ognuno fu giudicato secondo le sue opere; cioè, i buoni giudicheranno e condanneranno i malvagi; poiché il giudizio di ciascuno sarà ratificato davanti al cielo e alla terra, davanti a tutti i Santi della corte celeste e davanti a tutti gli uomini, per glorificare Dio, per onorare i giusti e per confondere i malvagi. La sentenza di questo giudizio sarà pronunciata dal Giudice sovrano Gesù Cristo, quando dirà ai suoi eletti: Venite, benedetti del Padre mio, prendete possesso del regno preparato per voi, etc.;partite da me, maledetti, nel fuoco dell’inferno, etc. Allora i buoni uniranno la loro voce a quella di Gesù Cristo, dicendo, (Apoc. XIX): « Alleluia, salvezza, gloria e potenza al nostro Dio, perché i suoi giudizi sono veri e giusti, perché ha condannato la grande meretrice che ha corrotto la terra con la sua prostituzione, e ha vendicato il sangue dei suoi servi che le sue mani hanno versato. E diranno una seconda volta (dopo che la sentenza di Gesù Cristo sarà stata pronunciata), Alleluia. E allora il fumo dell’incendio di Babilonia si alzerà nei secoli dei secoli. » Troviamo conferma di questa interpretazione nel libro della Sapienza, V: « Allora i giusti si solleveranno con grande potenza contro coloro che li hanno afflitti e hanno portato via il frutto delle loro fatiche. » I malvagi, alla vista di questo, saranno colti da confusione e da un orribile timore, saranno stupiti quando vedranno improvvisamente i giusti salvati contro le loro aspettative. Diranno a se stessi, con rammarico e sospiro nei loro cuori: Questi sono quelli che erano oggetti dei nostri disprezzi e ne facevamo un esempio di persone degne di ogni tipo di rimprovero. Eravamo degli sciocchi, e la loro vita ci sembrava una follia, e la loro morte una vergogna. Eppure qui sono elevati al rango di figli di Dio, e la loro porzione è con i santi. Ci siamo dunque, smarriti dalla via della verità, e la luce della giustizia non ha brillato su di noi, né è sorto su di noi il sole della intelligenza. Ci siamo abbandonati nella via dell’iniquità e della perdizione; abbiamo camminato per vie difficili e abbiamo ignorato la via del Signore. Che cosa ha fatto per noi il nostro orgoglio? Cosa abbiamo guadagnato con la vana ostentazione delle nostre ricchezze? Tutte queste cose sono passate come un’ombra e come un corriere che corre; o come una nave che fende le onde turbolente, di cui non si trova traccia dopo che è passata, o come un uccello che vola nell’aria, senza che si noti dove è passato; si sente solo il rumore delle sue ali che battono l’aria, e la dividono con sforzo. E dopo che abbia completato il suo volo, non si trova più alcuna traccia del suo passaggio; o come una freccia che viene lanciata verso la sua meta; l’aria che divide si ricongiunge immediatamente, senza che nessuno riconosca da dove sia passata. Così non siamo nati che per cessare di essere. Non abbiamo avuto il coraggio di mostrare alcuna traccia di virtù in noi, e siamo stati consumati dalla nostra malizia. Questo è ciò che i peccatori diranno nell’inferno. »

IV . Vers. 14 . L’inferno e la morte furono gettati nello stagno di fuoco: questa è la seconda morte. 1° Risulta quindi da queste parole che i morti che moriranno nelle acque del mare, saranno salvati; e Sant’Agostino dice che questi morti del mare saranno gli uomini degli ultimi giorni del mondo; ora tutti questi saranno salvati; perché saranno tra coloro che temeranno e daranno gloria a Dio, secondo il nostro testo. 2° Il mare rappresenta anche le tribolazioni e le persecuzioni; perciò questi morti del mare saranno salvati, perché avranno fatto penitenza o avranno subito persecuzioni per aver vissuto piamente nel Signore, secondo San Paolo, (II Tim. III, 12): «Tutti coloro che vogliono vivere in modo pio in Cristo Gesù saranno perseguitati. » 3º Questi morti del mare sono anche i Giudei che saranno stati convertiti, e questi Giudei rappresentano la Chiesa di Gesù Cristo, cioè tutti i veri Cristiani, e specialmente quelli della fine del mondo, di cui si parla nell’Apocalisse, (capitolo XVIII, 17), come dovessero essere convertiti prima dell’ultimo giudizio. – 4 ° Il mare rappresenta il Battesimo e la fede, sia per le tribolazioni, sia per la barca di San Pietro. Per questo si fa riferimento qui alla seconda lettera di San Paolo ai Tessalonicesi, in cui vediamo che questo autore sacro concorda con il nostro testo sulla sorte riservata a coloro che avranno vissuto nella fede e nelle tribolazioni. Infatti  San Paolo ci dice, (II Tessal. II, 12): « Dobbiamo, fratelli miei, rendere continuamente grazie a Dio per voi, come è giusto e opportuno, poiché la vostra fede aumenta di giorno in giorno e l’amore che avete per Dio cresce giorno dopo giorno, e l’amore che avete gli uni per gli altri diventa più abbondante. In modo che noi stessi ci gloriamo di voi nelle chiese di Dio a causa della vostra pazienza e fede in mezzo a tutte le persecuzioni e tribolazioni che dovete sopportare, e che sono segni del giusto giudizio di Dio. Così vi rendete degni del suo regno, per il quale anche voi soffrite. Perché è giusto agli occhi di Dio che Egli dia afflizioni a coloro che vi affliggono, e che voi che siete nella tribolazione, godiate del riposo con noi quando il Signore Gesù scenderà dal cielo e apparirà con gli Angeli che sono i ministri del suo potere, in mezzo alle fiamme, per vendicarsi di coloro che non conoscono Dio e di coloro che non obbediscono al Vangelo di Nostro Signore Gesù Cristo, e che soffriranno la pena della dannazione eterna alla presenza del Signore e davanti allo splendore della sua potenza, quando verrà per essere glorificato nei suoi Santi e per essere ammirato in tutti coloro che avranno creduto in Lui, poiché la testimonianza che abbiamo reso alla sua parola è stata accolta da voi in attesa di quel giorno. »

V. Vers. 15. – E chiunque non fu trovato scritto nel libro della vita fu gettato nel lago di fuoco. Come è stato detto, questo libro della vita è il libro in cui sono scritti i nomi degli eletti, cioè di tutti i giusti che sono esistiti sulla terra e che Dio, nella sua infinita prescienza, ha conosciuto da tutta l’eternità, per essere salvati dalla misericordia di Dio e dalla loro fede e dalle buone opere unite ai meriti del divino Redentore. – Come possiamo vedere, questo capitolo dell’ultimo Giudizio stesso è una ricapitolazione e un riassunto di tutto ciò che precede, proprio come l’ultimo Giudizio, sarà un’analisi di tutto il bene e di tutto il male che gli uomini hanno fatto nel mondo presente.

FINE DEL LIBRO OTTAVO

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (XXVI)

LA SUMMA PER TUTTI (21)

LA SUMMA PER TUTTI (22)

R. P. TOMMASO PÈGUES

LA SOMMA TEOLOGICA DI S. TOMMASO DI AQUINO IN FORMA DI CATECHISMO PER TUTTI I FEDELI

PARTE TERZA

GESÙ CRISTO OSSIA LA VIA DEL RITORNO DELL’UOMO VERSO DIO

Capo XXXVII.

Il sacramento della Penitenza. – Sua natura – Virtù che esso implica.

1683. Che cosa intendete per il sacramento della Penitenza?

Intendo uno dei sette sacri riti, istituito da Gesù Cristo, per rendere agli uomini la vita della grazia già data ad es unsi per mezzo del Battesimo, comunicando loro di nuovo il frutto della sua Passione, quando hanno avuto la disgrazia di perderlo col peccato (LXXXIV, 1).

1684. In cosa consiste il sacramento della Penitenza?

Il sacramento della Penitenza consiste in certi atti ed in certe parole, che dimostrano da una parte che il peccatore ha abbandonato il peccato, e dall’altra che Dio rimette il peccato stesso per mezzo del ministero del sacerdote (LXXXIV, 2, 3)

1685. Questo sacramento è dunque cosa particolarmente preziosa per l’uomo, e questi deve averne una riconoscenza speciale a Gesù Cristo che lo ha istituito?

Sì certamente; perché attesa la fragilità della nostra natura decaduta, anche dopo aver ricuperato mediante la grazia del Battesimo la vita soprannaturale, era sempre possibile all’uomo di perderla. E se Gesù Cristo non avesse istituito il sacramento della Penitenza, l’uomo caduto non avrebbe avuto alcun mezzo esteriore sacramentale di rialzarsi. Bene a ragione quindi questo sacramento si chiama la seconda tavola di salute dopo il naufragio (LXXXIV, 6).

1686. E se l’uomo cade ancora dopo aver ricevuto questo sacramento, può ricorrervi di nuovo per rialzarsi?

Sì; perché Gesù Cristo nella sua infinita misericordia verso il peccatore e la sua miseria, non ha voluto mettere alcun limite al numero di volte che si può ricevere questo sacramento, che porta sempre seco il suo frutto di remissione e di perdono, con la sola condizione che l’uomo sia sincero e veramente pentito (LXXXIV, 10).

1687. Vi è una virtù speciale corrispondente a questo sacramento, il cui atto è imposto quando si riceve il sacramento stesso?

Sì; è la virtù della penitenza (LXXXV).

1688. In che cosa consiste la virtù della penitenza?

La virtù della penitenza è una qualità di ordine soprannaturale che induce la volontà dell’uomo, quando ha avuto la disgrazia di offendere Dio, a riparare a questa offesa, adoperandosi spontaneamente e di buon grado a soddisfare alla giustizia di Dio per ottenerne il perdono (LXXXV, 1, 5).

1689. La virtù della penitenza è isolata nel suo atto, oppure suppone il concorso delle altre virtù quando essa agisce?

La virtù della penitenza ha questo di specialissimo, che quando agisce implica il concorso di tutte le altre virtù. Implica infatti la fede nella Passione di Gesù Cristo, che è la causa della remissione dei peccati; implica la speranza del perdono; e l’odio dei vizi e dei peccati, in quanto si oppongono all’amore di Dio, il che suppone la carità. Essendo essa stessa una virtù morale suppone la virtù della prudenza, che ha l’ufficio di dirigere le virtù morali nei loro atti. D’altra parte, come specie della virtù di giustizia avente per oggetto di ottenere il perdono di Dio offeso, compensando la offesa con una soddisfazione volontaria, essa utilizza la temperanza quando si astiene da ciò che piace, e la fortezza quando si impone cose dure e difficili, oppure le sopporta (LXXXV, art. 3 ad 4).

1690. A che cosa mira la virtù della penitenza nel suo atto di giusta compensazione?

Essa mira a placare il Signore giustamente irritato; a rientrare in grazia presso il migliore dei Padri gravemente offeso: ed a riconquistare il più divino degli Sposi odiosamente tradito (LXXXV, 3).

1691. L’atto della virtù della penitenza è dunque qualche cosa di grande, e che non sarebbe mai troppo rinnovare quando si è avuta la disgrazia di offendere Dio?

L’atto della virtù della penitenza dovrebbe essere in qualche modo ininterrotto, soprattutto per quanto riguarda il dolore interiore di avere offeso Dio; e per quanto riguarda gli atti esteriori satisfattori, per quanto riguarda il dolore interiore di avere offeso Dio; e per quanto riguarda gli atti esteriori satisfattori, se è vero esservi una misura oltre la quale non si è più tenuti a soddisfare, siccome possiamo sempre temere  la nostra soddisfazione sia imperfetta, abbiamo ogni interesse a non tenersi mai per interamente sgravati presso Dio, per poterlo essere più sicuramente quando compariremo dinanzi a Lui. Con questo di più, che praticando la virtù della penitenza, noi pratichiamo a perfezione l’atto di tutte le virtù cristiane (LXXXIV,  art. 8, 9).

Capo XXXVIII

Effetti del sacramento della Penitenza.

1692. L’ effetto proprio del sacramento della Penitenza è quello di rimettere i peccati?

Sì; l’effetto proprio del sacramento della Penitenza è quello di rimettere i peccati a tutti coloro che lo ricevono con sentimenti di vera penitenza (LXXXVI, 1).

1693. Quali peccati rimette il sacramento della Penitenza?

Il sacramento della Penitenza rimette tutti i peccati che un uomo può avere sulla coscienza e che sono di natura tale da cadere sotto la potestà delle chiavi siccome commessi dopo il Battesimo (LXXXVI, 1).

1694. Questi peccati possono essere rimessi senza il sacramento della Penitenza?

Se si tratta di peccati mortali non possono essere mai rimessi, senza che il peccatore abbia la volontà almeno implicita di sottometterli al potere delle chiavi mediante la pratica del sacramento della Penitenza, in quanto gli sarà possibile di riceverlo. Ma per i peccati veniali, quando il soggetto è già in istato di grazia, basta un atto fervoroso di carità, senza che sia necessario di ricorrere al sacramento (LXXXVI, 2).

1695. Ne segue che soltanto coloro che hanno dei peccati mortali sulla coscienza debbono ricevere questo sacramento?

No; perché sebbene il sacramento sia necessario soltanto per essi, è però di grandissimo valore e di grandissimo aiuto anche per i giusti. Anzitutto per purificarli sempre più dei loro peccati passati, se ve ne sono stati dei mortali; ed inoltre per meglio aiutarli a purificarsi dei peccati veniali, ed a premunirsi contro di essi aumentando in loro la grazia (LXXXVII, 2 ad 2, 3).

1696. Se dopo aver ricevuto mediante il sacramento della Penitenza il perdono delle colpe passate, l’uomo ricade nelle medesime od in altre colpe gravi che gli fanno perdere la grazia del sacramento, il suo peccato ed il suo stato sono cosa più grave in forza di questa ricaduta?

Sì; il suo peccato ed il suo stato sono cosa più grave. Non che i peccati passati rimessi siano di nuovo imputati da Dio; ma per causa della ingratitudine e del disprezzo più grande della bontà di Dio che il peccato di ricaduta porta seco (LXXXVIII, 1, 2).

1697. Questo disprezzo della bontà di Dio e questa ingratitudine, sono un nuovo peccato speciale aggiunto al peccato di ricaduta?

Lo sarebbero se il peccatore si proponesse direttamente tale disprezzo della divina bontà e del bene ricevuto; ma in caso contrario essi non sono che una circostanza che aggrava il nuovo peccato (LXXXVII, 4).

1698. È dunque certo che il male distrutto mediante il sacramento della Penitenza, di per sé è distrutto per sempre, e Dio non lo imputa più in se stesso ed in quanto è stato perdonato?

Sì; è cosa del tutto certa, perché i doni di Dio sono senza pentimento (XXXVII, 1).

1699. Ed in rapporto al bene preesistente prima nel giusto, ma distrutto poi dal peccato; dobbiamo attribuire al sacramento della Penitenza qualche efficacia, in modo che per mezzo di esso questo bene possa rivivere?

Si; certamente il bene che preesisteva nel giusto, ma che il peccato aveva distrutto, può rivivere in virtù del sacramento della Penitenza. Di modo che per riguardo del bene essenziale che era la grazia ed il diritto alla visione di Dio, si ritrova lo stato primiero nella misura con la quale si riceve il sacramento con buone disposizioni. Se le disposizioni restassero al di sotto del primiero fervore, il bene essenziale sarebbe in grado minore; ma tutta la somma degli antichi meriti rivivrebbe nell’ordine della ricompensa accidentale (LXXXIX, 1-4; 5 ad 3).

1700. È dunque sommamente importante ricevere il sacramento della Penitenza nelle migliori disposizioni possibili?

Sì; ciò è sommamente importante, perché l’effetto del sacramento è proporzionato alle disposizioni di chi lo riceve.

Capo XXXIX.

Della parte del penitente nel sacramento della Penitenza: contrizione, confessione e soddisfazione.

1701. Chi riceve il sacramento della Penitenza, ha parte nell’effetto del sacramento stesso a titolo affatto speciale?

Sì; perché gli atti che produce fanno parte del sacramento (XC, 1)

1702. A qual titolo gli atti del penitente fanno parte del sacramento della Penitenza?

Gli atti del penitente fanno parte del sacramento della Penitenza, perché in questo sacramento in cui gli atti del ministro costituiscono la forma, quelli del penitente costituiscono la materia (XC, 1).

1703. Quali sono gli atti del penitente che sostituiscono la materia del sacramento?

Sono la contrizione, la confessione e la soddisfazione (XC, 2).

1704. Perché questi tre atti sono richiesti come materia del sacramento della Penitenza?

Perché il sacramento della Penitenza è il sacramento della riconciliazione tra il peccatore che aveva offeso Dio, e Dio che era stato offeso. Ora: in una siffatta riconciliazione bisogna che il peccatore offra a Dio un compenso che Dio accetti, in modo che l’offesa sia dimenticata ed il suo effetto distrutto. E per questo si richiedono tre cose: 1° che il peccatore abbia la volontà di offrire il compenso che piacerà a Dio di determinare; 2° che accetti dal sacerdote che tiene il luogo di Dio le condizioni di questo compenso; 3° che lo offra di fatto e soddisfaccia fedelmente. Queste tre cose si fanno appunto mediante la contrizione, la confessione e la soddisfazione (XC; 2).

1705. Potrebbe esistere il sacramento della Penitenza senza l’una o l’altra di queste parti?

Il sacramento della Penitenza non potrebbe esistere senza una qualche manifestazione esteriore queste diverse parti; ma può esistere senza la realtà interiore della contrizione o senza il compimento della soddisfazione. Tuttavia, la virtù del sacramento ne resta impedita o paralizzata (XC, 3).

1706. Che cosa intendete per contrizione?

Intendo quel dolore di ordine soprannaturale, per cui il peccatore si affligge al punto che la sua antica volontà cattiva ne sia come schiacciata pensando ai peccati commessi, per i quali si risolve a presentarsi al sacerdote ministro di Dio per confessarli, e riceverne una pena satisfattoria che si propone di compiere fedelmente (Supplemento, I: 1).

1707. Che cosa ci vuole perché questo dolore sia di Ordine soprannaturale?

Bisogna che sia causato da un motivo dell’ordine della grazia, potendo cominciare col timore dei castighi che Dio offeso, come si sa per fede, minaccia al peccatore, con la speranza di ottenere il suo perdono se si fa penitenza donde si passa a detestare il peccato in se stesso ed in quanto ostacola il bene soprannaturale e la vita perfetta; e soprattutto in ragione della offesa a Dio, oggetto supremo e sovrano del nostro amore. (I, 1, 2)

1708. Se si detestasse il peccato per il solo motivo dei castighi e delle pene del senso che attira sopra di noi da parte di Dio irritato, sia in questa vita che nell’altra, si avrebbe la contrizione?

No; perché per la contrizione bisogna che il peccato sia detestato per il male che arreca all’anima, avuto riguardo al Bene infinito che è Dio stesso, che può e deve essere posseduto da noi, quaggiù colla grazia ed in cielo colla gloria (I, 2).

1709. Come si chiama il primo dolore, anche soprannaturale, del peccato?

Si chiama dolore di attrizione (I, 2 ad 2)

1710 Dunque la contrizione e l’attrizione si distinguono tra loro a seconda dei motivi di dolore che si hanno dei propri peccati?

Si perché nell’attrizione il dolore non è causato che da un motivo di timore servile; mentre nella contrizione si ha, al termine del moto, un impulso di timore filiale (ossia di pura carità (I, 2)

1711. Basta l’attrizione per ottenere il perdono delle proprie colpe mediante il sacramento della Penitenza?

L’attrizione può bastare per accostarsi al sacramento. Ma sul punto di ricevere la grazia del sacramento coll’assoluzione del sacerdote, alla prima attrizione succede nell’anima la vera contrizione (a, 3; I 15 I, 1).

1712. Bisogna che la contrizione si estenda a tutti i peccati commessi?

Sì; bisogna che la contrizione si estenda a tutti i peccati commessi, specialmente al principio del suo moto e quando il peccatore concepisce dei peccati il dolore che a lui deve causare la malizia propria di ciascuno di essi, specialmente quando si tratta di peccati mortali. Ma al termine della sua azione ed allorchè il dolore è già informato dalla grazia, basta che si estenda a tutti in generale, detestandoli tutti sotto la loro comune ragione di offesa fatta a Dio (II, 3, 6).

1713. Potreste darmi una formula dell’atto di contrizione?

Sì; eccola per modo di omaggio Dio: Mio Dio, mi pento con tutto il cuore dei miei peccati, e li odio e detesto, come offesa della vostra Maestà infinita, cagione della morte del vostro divin Figliuolo Gesù, e mia spirituale rovina. Non voglio più commetterne in avvenire r propongo di fuggirne le occasioni. — Signore, misericordia, perdonatemi.

1714. Che cosa deve fare il peccatore dopo essersi eccitato al dolore dei suoi peccati per mezzo dell’attrizione o della contrizione, per ottenerne da Dio il perdono?

Deve confessarsene al sacerdote, quando la confessione gli è imposta sia per precetto della Chiesa, sia perché le circostanze in cui si trova gli fanno un dovere di confessarsi (VI, 1-5).

1715. Quando obbliga a confessarsi il precetto della Chiesa?

Per tutti i fedeli vi è l’obbligo una volta l’anno e preferibilmente nel tempo pasquale, in forza del precetto della Comunione pasquale, che nessuno ha diritto di ricevere senza essersi confessato, quando ha qualche peccato mortale sulla coscienza (VI, 5; Codice, Can. 906).

1716. Perché è necessaria la confessione per ricevere il sacramento della Penitenza?

Perché soltanto per mezzo della confessione il penitente può far conoscere al sacerdote i propri peccati, e metterlo in grado di pronunziarsi sia sull’attitudine del soggetto a ricevere l’assoluzione, sia sulla pena soddisfattoria che deve essere imposta per i peccati da parte di Dio, affinché dal peccatore venga offerta la giusta compensazione del suo ritorno in grazia (VI, 1).

1717. Come deve essere la confessione perché il sacramento sia valido?

Bisogna che in quanto è possibile il penitente faccia conoscere, secondo il numero e la specie, tutti i peccati mortali che ha commesso; e che compia questo atto in ordine all’assoluzione sacramentale che è venuto a domandare al sacerdote (IX, 2).

1718. Se nel momento in cui li accusa non avesse la contrizione o l’attrizione dei suoi peccati, questi potrebbero essere rimessi mediante l’assoluzione che il sacerdote potesse dare?

No; non lo potrebbero. Ma sarebbero confessati se la confessione fosse stata completa; e non vi sarebbe più bisogno di confessarli di nuovo perché fossero rime i per virtù del sacramento. Basterebbe che il peccatore supplisse alla mancanza di contrizione, e nella nuova confessione accusasse questa mancanza che aveva accompagnato la confessione precedente (IX, 1).

1719. Se uno in confessione avesse dimenticato senza propria colpa qualche peccato grave che in seguito ricorda, sarebbe tenuto a confessarlo nella prossima confessione?

Sì; perché ogni peccato grave deve essere direttamente sottomesso alla potestà delle chiavi (IX, 2).

1720. A quale titolo il sacerdote riceve la confessione del peccatore?

La riceve nel nome ed in luogo di Dio stesso. Di modo che nella sua vita, come uomo ed al di fuori del suo ministero di confessore, non ne deve niente conoscere e non ne deve fare assolutamente uso alcuno (XI, 1-5).

1721. Che cosa deve fare il penitente dopo la confessione?

Deve compiere con la massima cura la pena satisfattoria che il sacerdote gli ha imposto

nel nome di Dio, per il suo ritorno in grazia (XII, 1, 3).

1722. Si possono determinare le grandi specie di opere, alle quali si riducono tutte le pene satisfattorie?

Sì: esse si riducono tutte alla elemosina, al digiuno ed alla preghiera. Infatti, nella soddisfazione noi dobbiamo togliere qualche cosa per offrirlo a Dio in Suo onore. Ora: noi non abbiamo che tre specie di beni che possiamo offrire: i beni della fortuna, i beni del corpo ed i beni dell’anima. La offerta dei primi va sotto il nome generale di elemosina; quella dei secondi, sotto il nome generale di digiuno; la offerta dei terzi, sotto il nome generale di preghiera (XV, 3).

1723. Se non si compisse la penitenza sacramentale, ossia la pena satisfattoria imposta dal sacerdote nell’atto del sacramento, si perderebbe la grazia del sacramento stesso?

No; purché ciò non si faccia in onta al sacramento. Ma se ciò non avvenisse che per dimenticanza o anche per negligenza, la grazia della remissione ricevuta nel sacramento resterebbe. Tuttavia, si è sempre passibili, di  fronte alla giustizia di Dio, della pena dovuta al peccato, e bisogna scontarla in questa vita o nell’altra; e la grazia stessa del sacramento non riceve l’aumento annesso al compimento della soddisfazione sacramentale (Parte Terza, XC, art. 2 ad 2.)

Capo XL.

Del ministro del sacramento della Penitenza del potere delle chiavi.  Dell’assoluzione. -Delle indulgenze. – Della comunione dei Santi. – Della scomunica.

1724. Che cosa si deve intendere per potere delle chiavi?

Il potere delle chiavi non è altro che il potere di aprire la porta del regno dei cieli, rimuovendo l’ostacolo che chiude questa porta, vale a dire il peccato stesso e la pena che gli è dovuta (XVII, 1):

1725. Dove si trova questo potere?

Nella santissima Trinità come nella sua prima origine; poi nella santa umanità di Gesù Cristo, la Passione del quale ha meritato che questo doppio ostacolo fosse tolto e lo toglie essa stessa con la sua virtù. E poiché la efficacia della passione di Gesù Cristo rimane nei sacramenti, che sono come i canali della sua grazia per i quali rende gli uomini partecipi di tutti i suoi meriti, ne segue che i ministri della Chiesa che sono i dispensatori dei sacramenti, Sono essi pure i depositari del potere delle chiavi che hanno ricevuto da Gesù Cristo stesso (XVII, 1).

1726. Come si esercita il potere delle chiavi nel sacramento della Penitenza?

Il potere delle chiavi nel sacramento della Penitenza si esercita mediante l’atto del ministro che giudica lo stato del peccatore, e gli dà l’assoluzione ingiungendogli la penitenza, oppure gli nega l’assoluzione stessa (XVII, 2).

1727. Il sacramento della Penitenza produce il suo effetto di remissione unito al potere delle chiavi, nel momento della assoluzione data dal sacerdote e per la virtù dell’assoluzione stessa?

Sì; e senza questa assoluzione il sacramento non potrebbe esistere, né per conseguenza produrre il suo effetto di remissione o liberazione (X, 1, 2; XVIII, 1).

1728. Soltanto i sacerdoti hanno il potere delle chiavi?

Soltanto i sacerdoti ordinati validamente secondo il rito della Chiesa Cattolica, hanno il potere delle chiavi che aprono direttamente la porta del cielo, mediante la remissione delle colpe mortali nel sacramento della Penitenza (XIX, 3).

1729. Basta che il sacerdote sia ordinato validamente secondo il rito della Chiesa Cattolica, perché abbia questo potere delle chiavi rispetto a questo o quel battezzato, che vuol ricevere il sacramento della Penitenza?

No; bisogna che sia anche approvato dalla Chiesa per ascoltare le confessioni, e che il battezzato che ha da assolvere appartenga alla sua giurisdizione (XX, 1-3).

1730. Praticamente, ogni sacerdote che si trovi in qualche luogo con l’ufficio o la facoltà di ascoltare le confessioni, può assolvere tutti coloro che si presentano a lui con intenzione di ricevere il sacramento della Penitenza?

Sì; purché questi non accusino delle colpe riservate ad una potestà superiore; cosa che giudicherà egli stesso ascoltando la confessione del soggetto che si presenta.

1731. Esiste nella Chiesa un potere che si avvicina al potere delle chiavi, e che libera diversamente dall’assoluzione sacramentale e dalla ingiunzione di una compensazione che si fa per mezzo della penitenza sacramentale?

Sì; è l’ammirabile potere delle indulgenze (XXV, 1).

1732. In che cosa consiste questo potere?

Consiste nella facoltà che ha la Chiesa di prender dal tesoro infinito ed inesauribile di Gesù Cristo, della Santissima Vergine e dei Santi, nell’ordine della soddisfazione per il peccato, ciò che in tutto od in parte corrisponde alla soddisfazione che dovrebbe dare il peccatore alla giustizia di Dio, dopo la remissione del suo peccato sia in questo mondo che nell’altro; applicarlo a determinati soggetti, e per effetto di questa applicazione liberarli dal loro debito verso la giustizia di Dio (XXV, 1).

1733. Che cosa ci vuole perché possa farsi questa applicazione?

Ci vogliono tre cose: autorità in colui che la fa; stato di grazia o di carità in colui per il quale è fatta; ed un motivo di pietà come ragione per cui si fa, vale a dire qualche cosa che torni ad onore di Dio ed utilità della Chiesa. Tali sarebbero le pratiche di pietà, le opere di zelo e di apostolato, le elemosine e cose simili (XXV, 2).

1734. Le opere che sono la ragione ossia il motivo della indulgenza, ne sono forse il prezzo?

Niente affatto; perché la indulgenza non è una remissione della pena che si compra, e della quale si dà l’equivalente con altre pene satisfattorie. Essa è essenzialmente il trasferimento a determinati soggetti, per qualcuna delle ragioni di pietà che abbiamo enumerato, della pena o della soddisfazione che apparteneva ad altri, e che questi altri consentono di veder trasferire ad altri ancora in virtù della comunione dei Santi (XXV, 2).

1735. Solamente coloro che compiono la condizione apposta per la indulgenza, possono beneficiare di essa?

Possono essi stessi cederne il beneficio ad altro soggetto, guadagnandola per esso, se si tratta delle anime del Purgatorio, quando chi concede la indulgenza ne dà loro la facoltà (XXVII, 3 ad 2; Codice, can. 930).

1736. E chi dunque può concedere le indulgenze?

Colui soltanto al quale è stato affidato il tesoro dei meriti di Gesù Cristo e dei Santi, in forza della potestà che ha ricevuto di legare o di sciogliere rispetto a tutti coloro che appartengono al corpo mistico di Gesù Cristo su questa terra, vale a dire il Sommo Pontefice. Ma poiché i Vescovi sono ammessi a condividere la sua sollecitudine pastorale, preposti come sono a giudici nelle diverse parti della Chiesa, possono essi pure, nei limiti loro stabiliti dal Sommo Pontefice, accordare indulgenze ai loro sudditi (XXVI, 1-3).

1737. Che cosa consegue da una potestà così meravigliosa esistente nella Chiesa Cattolica ed in essa sola, in forza della Suprema autorità del Sommo Pontefice?

Da questa potestà meravigliosa, unita del resto a tutto ciò che è stato detto della potestà delle chiavi nel sacramento della Penitenza; ed in modo generale in tutto ciò che riguarda la comunicazione, per via di azione sociale e gerarchica, dei meriti della Passione di Gesù Cristo, ne consegue che non può esservi per l’uomo bene più grandesu questa terra che di essere incorporato mediante il Battesimo alla Chiesa Cattolica, e di poter partecipare a tutti i diritti conferiti dal Battesimo, essendo in perfetta comunione con tutti i membri della Chiesa Cattolica e col suo Capo ii Romano Pontefice, al quale solo sono stati affidati tutti i beni e tutti i tesori della vita soprannaturale da distribuirsi fra gli uomini.

1738. Può darsi che qualcuno, pur essendo incorporato nella Chiesa Cattolica mediante il Battesimo, non partecipi ai diritti che il Battesimo conferisce?

Si; è il caso di tutti quelli che cadono sotto le censure della Chiesa, specialmente sotto la più terribile di tutte che è la scomunica (XXI, 1, 2).

1739. Gli eretici e gli scismatici sono scomunicati?

Sicuramente. Tutti gli eretici e tutti gli scismatici sono scomunicati per il fatto stesso dello scisma e della eresia, e non hanno più parte alcuna alla comunione dei Santi.

1740. Non vi sono dunque che i soli Cattolici sottomessi al Pontefice Romano e non colpiti da censure, che possono pienamente godere i loro diritti in quello che concerne la partecipazione ai beni di Gesù Cristo nella Chiesa?

Sì: non vi sono che i Cattolici. Con questo di più che per partecipare a tali beni per via di indulgenza, bisogna essere pienamente, mediante la grazia e la carità, nella comunione dei Santi.

1741. Che cosa opera dunque questa comunione dei Santi quando esiste perfetta?

Essa fa sì che, ora per il tratto di unione vivente e personale che è lo Spirito Santo ed ora per l’azione gerarchica della Chiesa visibile di cui lo Spirito Santo è anima, tutti i membri del corpo mistico di Gesù Cristo viventi ancora sulla terra, o che si trovano nel Purgatorio o di già in cielo, possano continuamente comunicare insieme, in ordine alla eterna felicità che un giorno dovrà essere loro comune nella Patria celeste.

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (XXIV)

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (XXIV)

INTERPRETAZIONE DELL’APOCALISSE che comprende LA STORIA DELLE SETTE ETÁ DELLA CHIESA CATTOLICA.

DEL VENERABILE SERVO DI DIO

BARTHÉLEMY HOLZHAUSER

RESTAURATORE DELLA DISCIPLINA ECCLESIASTICA IN GERMANIA,

OPERA TRADOTTA DAL LATINO E CONTINUATA DAL CANONICO DE WUILLERET,

PARIS, LIBRAIRIE DE LOUIS VIVÈS, ÉDITEUR RUE CASSETTE, 23

1856

LIBRO OTTAVO


SUI CAPITOLI XVIII, XIX ET XX.


Il trionfo solenne ed assoluto della Chiesa cattolica sul mondo; l’avvento di Gesù Cristo, e la grande cena di Dio.


SEZIONE 1.
SUI CAPITOLI XVIII ET XIX.
DEL TRIONFO SOLENNE E ASSOLUTO DELLA CHIESA DI GESÙ-CRISTO SUL MONDO .


§ 1.


La rovina della grande Babilonia.


CAPITOLO XVIII. – VERSETTI 1-4.

Et post hæc vidi alium angelum descendentem de cœlo, habentem potestatem magnam: et terra illuminata est a gloria ejus. Et exclamavit in fortitudine, dicens: Cecidit, cecidit Babylon magna: et facta est habitatio dæmoniorum, et custodia omnis spiritus immundi, et custodia omnis volucris immundæ, et odibilis: quia de vino iræ fornicationis ejus biberunt omnes gentes: et reges terræ cum illa fornicati sunt : et mercatores terræ de virtute deliciarum ejus divites facti sunt. Et audivi aliam vocem de cælo, dicentem: Exite de illa populus meus: ut ne participes sitis delictorum ejus, et de plagis ejus non accipiatis.

[E dopo di ciò vidi un altro Angelo, che scendeva dal cielo, e aveva grande potestà: e la terra fu illuminata dal suo splendore. E gridò forte, dicendo: È caduta, è caduta Babilonia la grande: ed è diventata abitazione di demoni, e carcere di ogni spirito immondo, e carcere di ogni uccello immondo e odioso: Perché tutte le genti bevettero del vino dell’ira della sua fornicazione: e i re della terra fornicarono con essa: e i mercanti della terra si sono arricchiti dell’abbondanza delle sue delizie. E udii un’altra voce dal cielo, che diceva: Uscite da essa, popolo mio, per non essere partecipi dei suoi peccati, né percossi dalle sue piaghe.]

I. Vers. 1. – E dopo queste cose vidi un altro Angelo che scendeva dal cielo, con grande potenza; e la terra fu illuminata dalla sua gloria. Con queste parole, “E dopo queste cose vidi un altro Angelo“, San Giovanni ci avverte che sta passando ad un’altra visione rispetto a quella che l’Angelo precedente gli ha appena mostrato sotto forma di donna o prostituta seduta nel deserto. L’Apostolo ci dice quindi che non è più lo stesso Angelo, ma un altro che è sceso dal cielo; cioè un vero Angelo, appartenente a una delle categorie di spiriti celesti più elevate in potenza e dignità. Questo è indicato dalle parole: Avente un grande potere; e la terra fu illuminata dalla sua gloria. Anche questo passaggio deve essere preso in senso figurato; perché vediamo dal contesto che questo Angelo è uno degli spiriti celesti incaricati di comunicare le profezie. Quindi capiamo già in che senso è detto: E la terra fu illuminata dalla sua gloria. Questo Angelo rappresenta dunque tutti i profeti e soprattutto quelli che hanno predetto la fine del mondo. San Giovanni non ci dice chi sia questo Angelo, perché non lo sapeva lui stesso, almeno non per dircelo. Questo può essere visto da questo versetto, (Apoc. XIX, 10): « E caddi ai suoi piedi per adorarlo; ma egli mi disse: guardati dal farlo: io sono un servo come te e come i tuoi fratelli che hanno testimoniato di Gesù. Adorate Dio, perché lo spirito di profezia è la testimonianza di Gesù. » Così questo Angelo, che San Giovanni voleva adorare per lo splendore della gloria e della potenza che vedeva brillare in lui, dice di sé che è solo un servo di Dio come San Giovanni e come i suoi fratelli che hanno testimoniato di Gesù. Ed affinché si capisca che non ha dato questa testimonianza con il martirio, poiché è uno spirito, questo Angelo aggiunge: Adorate Dio, perché lo spirito di profezia è la testimonianza di Gesù. Questo Angelo rappresenta dunque nella sua persona l’universalità dei profeti, che sono tutti uno, perché la verità che annunciano in forme diverse e in tempi diversi è una sola. Questa verità annunciata dai profeti ha un grande potere, perché rischiara e illumina tutta la terra. Inoltre, questa verità scende dal cielo, e fa la gloria dei profeti sulla terra. Da qui queste parole del testo. E dopo questo vidi un altro Angelo che scendeva dal cielo con grande potenza; e la terra fu illuminata dalla sua gloria; San Giovanni, nel dirci che si prostrò ai piedi di questo Angelo per adorarlo, aggiunge che la sua potenza era così grande e la sua gloria così luminosa che tutta la terra ne fu illuminata; questo per insegnarci quanto bella e potente sia la verità, poiché l’Angelo che rappresentava questa verità era così raggiante di gloria che San Giovanni lo prese per la verità stessa che è Dio, e volle adorarlo. Ma l’Angelo gli disse: Stai attento a non farlo; io sono un servo di Dio come te, e come i tuoi fratelli che hanno dato testimonianza di Gesù. Adorate Dio, perché lo spirito di profezia è la testimonianza di Gesù. È come se questo Angelo gli avesse detto: Io non sono la Verità stessa che è Dio, ma sono un servo di Dio nel rendere testimonianza alla Verità; cioè, io non sono che uno dei rappresentanti della Verità, come te, che sei un profeta, e come tutti i tuoi fratelli che hanno testimoniato la Verità con la loro parola o con il loro martirio. Ora, se uno dei rappresentanti di questa Verità eterna, che è Dio, è già così radioso e splendente di gloria che tutta la terra è come illuminata, e San Giovanni stesso, testimone della verità, stava per adorarlo, cosa sarà quando gli uomini vedranno Gesù Cristo, la Verità stessa, venire sulle nuvole in tutto lo splendore della sua gloria e maestà per giudicare i vivi e i morti?

II. Qual è la missione di questo Profeta ora? È quella di annunciare la rovina della grande Babilonia, come vedremo in questo capitolo. Ma prima di entrare nel merito, dobbiamo far osservare al lettore il modo in cui San Giovanni ricevette questa rivelazione; perché sembra che l’ordine della narrazione sia invertito. Infatti, egli comincia descrivendo la grande catastrofe di questo evento; poi ci legge la sentenza pronunciata contro questa prostituta che egli raffigura nelle considerazioni; e solo nell’ultimo luogo profetizza questo evento. Non è questo un modo ingegnoso e ammirevole di far meglio emergerne la verità e la certezza? E questo capovolgimento non mostra forse la bontà di Gesù Cristo, autore di questa rivelazione, di annunciare con entusiasmo alla sua Chiesa e ai suoi amici un fatto della massima importanza e che deve interessarli e consolarli al più alto grado? Noi evocheremo qui la testimonianza di tutti gli uomini; non c’è nessuno che non ammetta che quando un messaggero porta ai suoi amici la felice notizia di una grande vittoria ottenuta su un nemico formidabile, il suo primo grido di gioia è: Vittoria, vittoria, il nemico è sconfitto! È solo dopo aver dato origine a questo primo impulso della natura, e dopo aver soddisfatto la prima e più ardente curiosità di chi lo ascolta con interesse, che il messaggero dà di seguito i dettagli più importanti e termina la sua narrazione con le circostanze le più remote. Ora, questo è precisamente il modo in cui il Profeta racconta alla Chiesa militante la felice notizia della sconfitta dei suoi nemici. È così che Dio, volendo parlare agli uomini, si conforma al loro linguaggio.

III. Vers. 2. – E gridò con forza, dicendo: “La grande Babilonia è caduta, è caduta, ed è ora dimora di demoni, e rifugio d’ogni spirito immondo, e d’ogni uccello immondo e sinistro. Come abbiamo appena detto, anche questo Angelo o messaggero del cielo inizia la sua narrazione gridando con forza, cioè facendosi sentire da tutta la terra con la voce della sua profezia. È caduta, è caduta, la grande Babilonia!  Lo ripete due volte per meglio farsi intendere, e per esprimere con più forza la felice notizia della rovina della capitale del regno dell’anticristo, e quella della rovina dei malvagi di tutta la terra. È da notare che San Giovanni usa, per descrivere questa rovina universale, più o meno le stesse espressioni che Isaia usò per descrivere lo sterminio della Babilonia caldea; (Isa. XIII, 19): « Babilonia, perla dei regni, splendore orgoglioso dei Caldei, sarà come Sodoma e Gomorra sconvolte da Dio. Non sarà abitata mai più né popolata fino alla fine dei secoli; l’Arabo non vi pianterà la sua tenda né i pastori vi faranno sostare i greggi. Ma vi si stabiliranno gli animali del deserto, i suoi palazzi saranno riempiti da serpenti, i gufi riempiranno le loro case, vi faranno dimora gli struzzi, vi danzeranno i satiri. Ululeranno le iene nei loro palazzi, gli sciacalli nei loro edifici adibiti alla voluttà, etc. ». Si veda l’adempimento letterale di questa profezia nella Storia antica di Rollin, volume I. E gridò ad alta voce, dicendo: E la grande Babilonia è caduta, è caduta, ed è diventata dimora dei demoni, e il rifugio di ogni spirito impuro e di ogni uccello impuro e sinistro. – Cioè, i luoghi e i paesi dove hanno regnato le potenze della prostituta saranno ridotti in un tale stato di abbandono che diventeranno desolati e saranno immersi nelle tenebre della notte eterna, secondo San Matteo (VIII, 12): « I figli del regno saranno gettati nelle tenebre esterne; e là ci sarà pianto e stridore di denti. » Questi luoghi diventeranno la dimora dei demoni e il rifugio di ogni spirito immondo e sinistro. Questi uccelli impuri e sinistri sono una figura di cui si serve il Profeta per descrivere meglio l’orrore di queste tenebre e di questi demoni. Perché gli uccelli impuri sono i gufi, che fuggono dalla luce, e sono anche gli uccelli sinistri e minacciosi di cui parla Isaia. Questi uccelli sono una vera figura dei demoni, come lo erano anche le capre selvatiche, i satiri e i rettili che occupavano la Babilonia caldea dopo la sua rovina e il suo sterminio. Inoltre, i luoghi deserti sono comunemente considerati come il rifugio e la tana degli spiriti maligni e degli spettri. Vedere Areta. E Dio si serve di nuovo di un linguaggio appropriato alle concezioni umane. Come si ripete spesso nella Scrittura che Dio e il suo Spirito dimorano nei corpi e nelle dimore dei santi, così si dice qui per contrasto che i demoni e gli spiriti immondi hanno il loro rifugio nei corpi dei reprobi, nel loro regno, nelle loro città e nei loro edifici dedicati alle voluttà. Tale sarà lo stato di nudità e l’orribile punto di degradazione a cui sarà condannata la prostituta, essa che ora è così imponente per la sua grandezza, il suo potere, le sue ricchezze, il suo lusso, il suo fasto, la sua ostentazione e per la sua gloria mondana!

IV. Vers. 3. – Perché tutte le nazioni hanno bevuto il vino dell’ira della sua prostituzione; i re della terra si sono corrotti con lei, e i mercanti della terra si sono arricchiti con l’eccesso del suo lusso. San Giovanni ci dà in questo testo la ragione di questa condanna, e ci dice che questa città sarà così ridotta, perché tutte le nazioni hanno bevuto il vino dell’ira della sua prostituzione; e perché i re della terra si sono corrotti con essa, etc. Abbiamo già visto sopra cos’è questo vino dell’ira della prostituzione, e cosa sono questi re della terra che si sono corrotti con la prostituta. Il Profeta, avendo voluto raffigurare il regno universale dell’iniquità sotto la figura di una donna e di una città, persiste nel suo paragone, e ci rappresenta i disordini di cui questa donna e questa città saranno state la causa tra gli uomini, dicendo che hanno sedotto re e popoli. Infatti, come il lusso sfrenato e la mollezza sono allo stesso tempo l’effetto e la causa della corruzione del mondo, così questa donna e questa città, con lo scintillio delle loro ricchezze, l’attrazione dei loro piaceri e il fasto del loro orgoglio, avranno arricchito i mercanti che venivano da tutte le parti della terra, per portare loro beni per soddisfare tutte le passioni degli uomini, come vedremo più avanti. Lo vediamo anche da queste parole: è perché tutte le nazioni della terra hanno bevuto il vino dell’ira della sua prostituzione, che tutta la terra sarà ridotta in questo stato terribile, poiché tornerà ad essere un caos come lo era prima della creazione e molto peggio, poiché diventerà la dimora dei demoni, cioè un vero inferno. Perché la figura di questo mondo scomparirà e non se ne troverà più nemmeno il posto. (Apoc. XVIII, 21 e XX, 11).

§ II.

Avviso di un Angelo alla Chiesa militante.

CAPITOLO XVIII. – VERSETTI 4-8.

Et audivi aliam vocem de cælo, dicentem: Exite de illa populus meus: ut ne participes sitis delictorum ejus, et de plagis ejus non accipiatis. Quoniam pervenerunt peccata ejus usque ad caelum, et recordatus est Dominus iniquitatum ejus. Reddite illi sicut et ipsa reddidit vobis: et duplicate duplicia secundum opera ejus: in poculo, quo miscuit, miscete illi duplum. Quantum glorificavit se, et in deliciis fuit, tantum date illi tormentum et luctum: quia in corde suo dicit: Sedeo regina: et vidua non sum, et luctum non videbo. Ideo in una die venient plagae ejus, mors, et luctus, et fames, et igne comburetur: quia fortis est Deus, qui judicabit illam.

[E udii un’altra voce dal cielo, che diceva: Uscite da essa, popolo mio, per non essere partecipi dei suoi peccati, né percossi dalle sue piaghe. Poiché i suoi peccati sono arrivati sino al cielo, e il Signore si è ricordato delle sue iniquità. Rendete a lei secondo quello che essa ha reso a voi: e datele il doppio secondo le opere sue: mescetele il doppio nel bicchiere, in cui ha dato da bere. Quanto si glorificò e visse nelle delizie, altrettanto datele di tormento e di lutto, perché dice in cuor suo: Siedo regina, e non sono vedova: e non vedrò lutto. Per questo in uno stesso giorno verranno le sue piaghe, la morte, e il lutto, e la fame: e sarà arsa col fuoco: perché forte è Dio, che la giudicherà.]

I. Vers. 4. – E udii un’altra voce dal cielo, che diceva: Uscite da Babilonia, popolo mio, affinché non siate partecipi dei suoi peccati e non siate coperti dalle sue piaghe. Quest’altra voce è quella di un Angelo; ciò è indicato dalle parole: Ho sentito un’altra voce dal cielo. Questo Angelo rappresenta 1° la persona dell’Angelo che annuncia il futuro a San Giovanni. 2° Rappresenta anche l’Angelo che effettivamente annuncerà ai fedeli degli ultimi tempi, di uscire da Babilonia, come abbiamo visto nel capitolo delle piaghe; e questo Angelo potrebbe essere un uomo; perché sappiamo che la parola Angelo significa generalmente messaggero, inviato di Dio. 3° Questo Angelo rappresenta anche la persona morale della Chiesa in generale, e dell’ultimo Papa in particolare, negli avvertimenti che daranno ai fedeli degli ultimi tempi, di uscire da Babilonia, cioè di non prendere parte alla sua prostituzione, e di non adorare la bestia, per non essere avvolti dalle sue piaghe, ed avere parte nei terribili castighi di cui si parla nel capitolo XIV, verss. 9 e seguenti. Uscite da Babilonia, popolo mio, etc. – Queste parole hanno diversi significati, secondo l’uso dei profeti, che spesso annunciano più cose contemporaneamente sotto una sola figura, perché la verità eterna è infinita, ed è allo stesso tempo una ed indivisibile. 1° Questo avvertimento sarà dato da un Angelo ai Cristiani che vivranno nel tempo della persecuzione dell’Anticristo; ed egli dirà loro di uscire da Gerusalemme e dalla Giudea, affinché non partecipino ai peccati dell’abominio della desolazione, adorando la bestia, e non siano avvolti dalle terribili piaghe che affliggeranno il suo regno. (Matth. XXIV, 16): « Allora quelli che sono in Giudea fuggano sui monti, etc. » – 2° Questo avvertimento è rivolto dalla Scrittura ai Cristiani di ogni luogo e di ogni tempo, affinché non bevano il vino dell’ira della prostituzione, e partecipino ai castighi e alle piaghe che ne sono le conseguenze: queste piaghe sono in particolare quelle della fine dei tempi, ed in generale i castighi fisici e morali con cui Dio è solito castigare gli empi già in questo mondo, secondo quel proverbio così noto e così vero: Si viene puniti per dove si è peccato. Queste piaghe rappresentano anche i mali dell’inferno. Tutto questo è così vero che ne troviamo la ragione nel versetto seguente:

Vers. 5: Perché i suoi peccati salirono al cielo e Dio si ricordò delle sue iniquità. Così la causa delle sue piaghe temporali ed eterne, sono e saranno i peccati di tutti gli uomini di tutti i tempi e luoghi; perché se si trattasse qui solo dei mali particolari della fine dei tempi, il Profeta non farebbe menzione del ricordo eterno di Dio: E Dio si ricordò delle sue iniquità.

Vers. 6. Trattala come lei ti ha trattato, e ripagala due volte per tutte le sue opere; falle bere due volte dallo stesso calice in cui ti ha dato da bere. Questo Angelo si rivolge ora non ai fedeli credenti della Chiesa militante sulla terra, ma ai Santi che saranno in cielo dopo la rovina della grande Babilonia; e dice loro: Trattatela come lei ha trattato voi, perché il tempo del perdono dei torti è passato, ed è venuto il tempo delle vendette eterne. Sulla terra, i giusti devono obbedire a Gesù Cristo, seguire il suo esempio e non restituire male per male, ma bene per male. Devono perdonare i loro nemici, fare loro del bene quando possono, e pregare per i loro persecutori; ma dopo la rovina della grande Babilonia, non ci sarà più perdono da dare o da chiedere, perché non ci sarà più perdono da sperare. Perché allora le profezie si realizzeranno, e la legge del perdono dei torti non sarà più applicabile ai reprobi, e il Dio onnipotente che tiene in mano le vendette eterne, inviterà i suoi santi amici, per voce di questo Angelo, a unirsi a lui nel far cadere sui malvagi e sugli empi tutto il peso della sua ira per i secoli dei secoli. Allora questi giusti saranno animati e come inebriati, a loro volta, dall’ira del giusto Giudice, secondo le parole del santo re Davide, Ps. LVII, 4: « I peccatori si sono allontanati dalla giustizia fin da quando sono nati; si sono smarriti fin dal grembo della madre loro; hanno detto falsità. Il loro furore è come quello del serpente; è come quello dell’aspide, che si rende sordo turandosi le orecchie. ….. Dio spezzerà i loro denti nella bocca; il Signore ridurrà in polvere le mascelle dei leoni. Saranno ridotti a niente, come un’acqua che passa; Egli ha teso il suo arco perché cadano nell’ultima debolezza. Saranno distrutti come cera che il calore fa colare; il fuoco è caduto su di loro dall’alto e non hanno più visto il sole. Prima che essi abbiano visto le loro spine giunte fino alla forza di un arboscello, Egli li inghiottirà come ogni vivente nella sua ira. Il giusto si rallegrerà quando vedrà la vendetta, e si laverà le mani nel sangue del peccatore. E gli uomini diranno: Poiché l’uomo giusto raccoglie il frutto della sua giustizia, c’è sicuramente un Dio che giudica gli uomini sulla terra. » Così questo Angelo, che allora parlerà in nome di Dio Onnipotente, dirà ai Santi che possono e devono rallegrarsi, con una festa solenne, sulla rovina della grande Babilonia; ed Egli dirà loro: ridatele raddoppiate le sue opere, perché hanno oltraggiato Dio come voi e più di voi. Il loro crimine è il crimine di lesa maestà; il loro reato è salito fino al cielo del Signore; ed è dal cielo del Signore che il castigo deve scendere nei secoli dei secoli. Sulla terra non hanno ricevuto che l’equivalente delle loro opere, nell’eternità, devono ricevere il doppio. Fateli bere due volte dallo stesso calice in cui vi ha dato da bere. Perché sulla terra non hanno potuto farvi bere che il vino dell’amarezza del corpo, nel calice della passione di Gesù Cristo; ma nell’eternità li farete bere dal calice dell’amarezza del corpo e dell’anima. Essi vi hanno vinto nel tempo, voi li avete vinti nell’eternità. Abbeverateli dunque in questo stesso calice in proporzione ai loro crimini nei secoli dei secoli.

Vers. 7. – Quanto si glorificò e visse nelle delizie, altrettanto datele di tormento e di lutto, perché dice in cuor suo: Siedo regina, e non sono vedova: e non vedrò lutto; cioè, moltiplicate i tormenti e i dolori eterni degli empi in proporzione alle delizie e ai godimenti temporali e terreni di cui si sono inorgogliti. E come i vostri digiuni, le mortificazioni, le preghiere e le pratiche di pietà furono derisi da quegli empi che si vantavano di sfidare la legge di Dio abbandonandosi alle delizie della terra, e che consideravano la croce come una stoltezza; così dovete ora confonderli, mostrando loro che la legge di Dio non si viola impunemente, e che la sua parola è eterna. Poiché ella dice in cuor suo: Io sono una regina e non sono vedova, e non sono in lutto. 1° Queste parole si applicano agli empi di tutti i tempi e luoghi, che agiscono sempre come se il loro regno fosse eterno e come se non dovessero mai morire. 2° Queste parole si riferiscono anche e principalmente al tempo dell’anticristo, quando gli uomini crederanno che egli è il Messia promesso e il Re dei Giudei; e che il suo regno non avrà fine; e questo regno sarà considerato come il paradiso in cui i malvagi potranno indulgere impunemente in tutti i vizi e le voluttà. Allora soprattutto quando Dio avrà cessato di manifestare la sua presenza per un momento, con le piaghe con cui affliggerà la terra e il regno della bestia; quando i due profeti Enoch ed Elia saranno sconfitti ed uccisi, ed il gregge di Gesù Cristo sarà disperso, e la Chiesa sarà distrutta, allora la prostituta dirà in cuor suo: Sono una regina e non sono una vedova, né sono in lutto.

Vers. 8Perciò in un giorno solo verranno le sue piaghe, la morte, il lutto e la carestia, ed essa sarà bruciata col fuoco, perché il Dio che la giudicherà è il Dio forte. Queste parole si riferiscono a diverse circostanze: alle piaghe degli ultimi tempi e ai tormenti dell’eternità; poi queste parole annunciano la punizione degli empi in ogni tempo e di ogni luogo. Perché ognuna delle sue piaghe trova la sua applicazione in ognuna di queste circostanze del tempo e dell’eternità.

§ III.

Lamentazioni sulla rovina della Grande Babilonia, e la conversione delle nazioni e dei Giudei.

CAPITOLO XVIII. VERSETTI 9-24.

Et flebunt, et plangent se super illam reges terræ, qui cum illa fornicati sunt, et in deliciis vixerunt, cum viderint fumum incendii ejus: longe stantes propter timorem tormentorum ejus, dicentes: Væ, væ civitas illa magna Babylon, civitas illa fortis: quoniam una hora venit judicium tuum. Et negotiatores terræ flebunt, et lugebunt super illam: quoniam merces eorum nemo emet amplius: merces auri, et argenti, et lapidis pretiosi, et margaritæ, et byssi, et purpurae, et serici, et cocci (et omne lignum thyinum, et omnia vasa eboris, et omnia vasa de lapide pretioso, et aeramento, et ferro, et marmore, et cinnamomum) et odoramentorum, et unguenti, et thuris, et vini, et olei, et similæ, et tritici, et jumentorum, et ovium, et equorum, et rhedarum, et mancipiorum, et animarum hominum. Et poma desiderii animæ tuæ discesserunt a te, et omnia pinguia et præclara perierunt a te, et amplius illa jam non invenient. Mercatores horum, qui divites facti sunt, ab ea longe stabunt propter timorem tormentorum ejus, flentes, ac lugentes, et dicentes: Væ, væ civitas illa magna, quæ amicta erat bysso, et purpura, et cocco, et deaurata erat auro, et lapide pretioso, et margaritis: quoniam una hora destitutæ sunt tantæ divitiæ, et omnis gubernator, et omnis qui in lacum navigat, et nautae, et qui in mari operantur, longe steterunt, et clamaverunt videntes locum incendii ejus, dicentes: Quæ similis civitati huic magnæ? et miserunt pulverem super capita sua, et clamaverunt flentes, et lugentes, dicentes: Væ, væ civitas illa magna, in qua divites facti sunt omnes, qui habebant naves in mari de pretiis ejus: quoniam una hora desolata est. Exsulta super eam cælum, et sancti apostoli, et prophetæ: quoniam judicavit Deus judicium vestrum de illa. Et sustulit unus angelus fortis lapidem quasi molarem magnum, et misit in mare, dicens: Hoc impetu mittetur Babylon civitas illa magna, et ultra jam non invenietur. Et vox citharœdorum, et musicorum, et tibia canentium, et tuba non audietur in te amplius: et omnis artifex omnis artis non invenietur in te amplius: et vox molæ non audietur in te amplius: et lux lucernæ non lucebit in te amplius: et vox sponsi et sponsæ non audietur adhuc in te: quia mercatores tui erant principes terræ, quia in veneficiis tuis erraverunt omnes gentes. Et in ea sanguis prophetarum et sanctorum inventus est: et omnium qui interfecti sunt in terra.

[E piangeranno e meneranno duolo pei lei i re della terra, i quali fornicarono con essa e vissero nelle delizie, allorché vedranno il fumo del suo incendio: Stando da lungi per tema dei suoi tormenti, dicendo: Ahi, ahi, Babilonia, la città grande, la città forte: in un attimo é venuto il tuo giudizio. E i mercanti della terra piangeranno e gemeranno sopra di lei: perché nessuno comprerà più le loro merci: le merci d’oro, e di argento, e le pietre preziose, e le perle, e il bisso, e la porpora, e la seta, e il cocco, e tutti i legni di tino, e tutti i vasi d’avorio, e tutti i vasi di pietra preziosa, e di bronzo, e di ferro, e dì marmo, e il cinnamomo, e gli odori, e l’unguento, e l’incenso, e il vino, e l’olio, e il fior dì farina, e il grano, e ì giumenti, e le pecore, e i cavalli, e i cocchi, e gli schiavi, e le anime degli uomini. E i frutti desiderati dalla tua anima se ne sono partiti da te, e tutte le cose grasse e splendide sano perite per te, e non si troveranno mai più. I mercanti di tali cose che da essa sono stati arricchiti, se ne staranno alla lontana per tema dei suoi tormenti, piangendo, e gemendo, e diranno: Ahi, ahi, la città grande, che era vestita di bisso, e di porpora, e di cocco, ed era coperta d’oro, e di pietre preziose, e di perle: Come in un attimo sono state ridotte al nulla tante ricchezze. E tutti i piloti, e tutti quei che navigano pel lago, e i nocchieri, e quanti trafficano sul mare, se ne stettero alla lontana, e gridarono guardando il luogo del suo incendio, dicendo: Qual città vi fu mai simile a questa grande città? E si gettarono polvere sul capo, e gridarono piangendo e gemendo: Ahi, ahi la città grande, delle cui ricchezze si fecero ricchi quanti ave- vano navi sul mare, in un attimo è stata ridotta al nulla. Esulta sopra di essa, o cielo, e voi, santi Apostoli e profeti: perché Dio ha pronunziato sentenza per voi contro di essa. Allora un Angelo potente alzò una pietra come una grossa macina, e la scagliò nel mare, dicendo: Con quest’impeto sarà scagliata Babilonia, la gran città, e non sarà più ritrovata, e non si udirà più in te la voce dei suonatori dì cetra, e dei musici, e dei suonatori di flauto e di tromba: e non si troverà più in te alcun artefice dì qualunque arte: e non sì udirà più in te rumore di macina: e non rilucerà più in te lume di lucerna: e non sì udirà più in te voce di sposo e di sposa: perché i tuoi mercanti erano i principi della terra, perché a causa dei tuoi venefici furono sedotte tutte le nazioni. E in essa si è trovato il sangue dei profeti, e dei santi, e di tutti quelli che sono stati uccisi sulla terra.]

.I. Vers. 9. E i re della terra, che si sono corrotti con lei e che hanno vissuto nelle delizie, piangeranno su di lei e si batteranno il petto quando vedranno il fumo del suo incendio. Abbiamo visto in precedenza che dopo la rovina di Gerusalemme e lo sterminio degli empi, il resto sarà preso dal timore e darà gloria a Dio. Ora, tra questi resti ci saranno anche i re della terra, cioè i re infedeli. Questi re rappresentano le nazioni che non appartengono alla Chiesa, o che l’hanno abbandonata. Perché Dio, nella sua infinita bontà, non vuole che il peccatore muoia, ma che si converta e viva. (Ezek. XXXIII, 11 e seguenti). Questo è ciò che la Scrittura ci insegna e ciò che l’esperienza quotidiana ci conferma. Ma se Dio è infinitamente misericordioso, è anche infinitamente giusto e vero nelle sue parole. Ed è per manifestare meglio la sua giustizia e la sua bontà agli uomini che Egli colpisce alcuni e risparmia altri, affinché gli uomini imparino a temerlo e a servirlo, sperando in Lui. Ora, è soprattutto alla fine dei tempi che Dio manifesterà questi due grandi attributi, la sua giustizia e la sua bontà. Guai dunque ai peccatori ostinati che cadranno sotto i suoi colpi; ma beati coloro che partecipano alla misericordia di Dio, che moltiplica i suoi eletti tanto quanto lo permette la sua giustizia. Ecco perché, un gran numero di questi re della terra, che rappresentano i principi e le nazioni infedeli, e anche i resti dei Giudei, come vedremo più avanti, saranno risparmiati in questo terribile disastro. Sopravviveranno a questa grande catastrofe della rovina di Gerusalemme e delle città delle nazioni che il fuoco del cielo e i terremoti distruggeranno. E i re della terra, che sono stati corrotti e hanno vissuto con essa nelle delizie, piangeranno su di lei e si batteranno il petto quando vedranno il fumo del suo incendio. Avranno paura e si convertiranno. Queste lamentazioni si applicano a Gerusalemme considerata come Babilonia, cioè la grande città figura della prostituta; ed è in questo senso che queste parole e quelle che seguono devono essere intese come espressione sia della desolazione dei reprobi, sia dell’amaro rimpianto che gli ultimi convertiti proveranno per i loro peccati ed i loro abomini, quando vedranno le conseguenze delle loro opere e l’immenso pericolo che avranno corso. Nella sua rivelazione, Gesù Cristo usa questi stessi re che saranno stati corrotti con la prostituta, e che si convertiranno alla fine dei tempi, per dare più forza alla sua parola facendo lor confessare con la loro stessa bocca i mezzi che questa donna avrà usato per attirarli nella sua prostituzione, e anche per fare esprimere da loro stessi le orribili conseguenze temporali ed eterne del peccato. Perché queste parole indicano anche i mali e gli amari rimpianti che gli empi proveranno nell’inferno per la perdita dei loro beni e dei loro piaceri sensuali. Ascoltiamo dunque questi re e questi Giudei nei loro gemiti e lamenti sulla rovina temporale ed eterna della grande Babilonia.

II. Vers. 10E stando in piedi lontano da essa nel timore dei suoi tormenti, diranno: “Guai, guai! Babilonia, grande città, potente città, è giunta la tua condanna in un’ora….. E stando in piedi, cioè sopravvivendo a questa distruzione generale degli empi, lontano da essa, risparmiati da questa orribile catastrofe, e separandosi dai malvagi con la penitenza. Essi diranno: nel timore dei suoi tormenti, cioè nel timore del Signore che è l’inizio della sapienza, (Ps. CX , 10). Guai, guai! Babilonia, grande città, potente città, la tua condanna è giunta in un’ora. Così parleranno questi re convertiti. È da notare che essi dicono due volte Guai, guai, e due volte, grande città, città potente, per esprimere i due guai temporali ed eterni di questa grande città che è Gerusalemme, capitale del regno dell’anticristo, e Gerusalemme considerata come la grande Babilonia, o la grande prostituta che rappresenta i malvagi di tutti i tempi e luoghi. La tua condanna è arrivata in un’ora, cioè all’improvviso e inaspettatamente, secondo le parole di Gesù Cristo: « Verrò come un ladro ».

Vers. 11. – E i mercanti della terra piangeranno e gemeranno per essa, perché nessuno comprerà più le loro mercanzie. 1 ° Questi mercanti della terra rappresentano la classe comune del popolo, e il profeta sceglie i mercanti tra questa classe, per far loro svolgere questo doppio ruolo di rappresentanti del popolo e di rappresentanti di tutti coloro che hanno preso parte alla prostituzione, come i mercanti che hanno approfittato del lusso sfrenato della prostituta per arricchirsi a sue spese.  Questi mercanti saranno dunque tutti gli uomini che, come i re di cui sopra, si convertiranno dopo essere stati presi dalla paura. Poteva il Profeta scegliere meglio di questi re e mercanti per rappresentare tutte le classi della società? 2º Questi mercanti rappresentano letteralmente i Giudei che si convertiranno anch’essi e diranno: Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Si dice più avanti che questi mercanti erano i principi della terra, cioè che essi avranno regnato sulla terra con il loro denaro e con il loro commercio, e che avranno dominato gli uomini con la loro opulenza, con le loro ricchezze e con la loro influenza, etc. Per questo si dice abusivamente, ma con una certa verità, “Il denaro governa il mondo“. Infine, questi mercanti saranno quelli che hanno fornito tutti gli oggetti di lusso menzionati nei versetti seguenti; perché sono soprattutto i Giudei che commerciano in questi oggetti, e che procurano di che soddisfare le passioni e il gusto depravato della prostituta. È soprattutto ai Giudei che questa donna chiede incessantemente nei suoi desideri sfrenati e insaziabili e nel suo orgoglio infernale.

Vers. 12. – Queste mercanzie d’oro e d’argento, di gioielli, di perle, di lino fino, di porpora, di seta, di scarlatto, tutti i loro legni profumati, e tutti i loro mobili d’avorio, di pietre preziose, di bronzo, di ferro e di marmo.

Vers. 13. – Di cannella, di spezie, gli odori, incenso, vino, olio, fiore di farina di grano, di bestie da soma, pecore, cavalli, carri, schiavi e uomini liberi. Tutti questi beni e cibi menzionati nel testo sono mirabilmente ben scelti per rappresentare gli articoli di commercio dei Giudei, e anche gli oggetti degli idoli della grande prostituta. Vi si trova infatti tutto ciò che è necessario per soddisfare le tre grandi concupiscenze di cui parla San Giovanni, l’orgoglio, i piaceri e le ricchezze. Inoltre, la scelta di queste mercanzie ed alimenti di lusso è ammirevole in quanto possono convenire ed applicarsi a tutti i tempi del mondo e che non ce n’è alcuno che non sia conosciuto in tutti i tempi e luoghi, dalle pecore di Caino, alle perle preziose che il demone Moasim farà conoscere all’Anticristo.

III. Perché nessuno comprerà più la loro merce. Infatti:

Vers. 14. I frutti che erano le tue delizie non sono più; ogni delicatezza e ogni magnificenza è perduta per te, e non si troverà mai più, non solo a Gerusalemme, ma anche nel mondo intero. Non si troveranno mai più, perché il secolo sarà consumato.

Vers. 15. – Quelli che si sono arricchiti con la vendita delle sue mercanzie staranno in piedi lontano nel timore dei suoi tormenti; essi piangeranno e gemeranno, cioè  i commercianti, gli operai, i commissionari, gli uomini d’affari, i banchieri, ecc. ecc. quelli dei Giudei che saranno stati risparmiati dalla bontà di Dio nella catastrofe dell’ultima piaga, saranno in piedi:; essi sopravviveranno e saranno nel numero di coloro di cui parla Daniele, XII, 12: « Beato chi aspetta e arriva a milletrecento trentacinque giorni ». Perché il regno dell’Anticristo durerà solo milleduecentosettantasette giorni e mezzo, compresa l’abbreviazione predetta in San Matteo, XXIV, 22: « E se quei giorni non fossero stati abbreviati, ogni carne sarebbe stata distrutta; ma saranno abbreviati per amore degli eletti ». La meravigliosa bontà di Dio che sa sempre trarre il bene dal male e dirigere le disgrazie che gli uomini si sono procurati con i loro peccati, affinché servano come mezzo per moltiplicare il maggior numero possibile di eletti! E questi mercanti staranno in piedi lontani, cioè separati dalle vittime del peccato, dopo la rovina di Babilonia, nel timore dei suoi tormenti, essi saranno dal numero di coloro di cui è detto, Apoc. XI, 13: Il resto fu colto da timore e rese gloria a Dio. Il resto degli uomini, dunque, sarà testimone di questa terribile sciagura, e ne concepirà un grande timore, e sarà allora l’inizio della loro conversione, secondo quel detto dell’Ecclesiastico, (I, 16): « L’inizio della saggezza è il timore del Signore ».

Vers. 16.Piangeranno e si lamenteranno, dicendo:

Vers. 17. – Guai, guai, questa grande città, vestita di lino fine, porpora e scarlatto, ornata d’oro, di gioielli e di perle, ha perso in un momento queste grandi ricchezze. Tutte queste parole continuano a riferirsi a Gerusalemme, la grande città, e alla grande città che rappresenta la gloria, le ricchezze e gli onori del mondo con l’universalità degli empi di tutti i tempi e luoghi, come è indicato ancora queste parole ripetute due volte: Guai, guai! Questa grande città, vestita di lino fine, porpora e scarlatto, ornata d’oro, di gioielli e di perle, ha perso in un attimo queste immense ricchezze. Questo abito pomposo e ricco aggiunge la brillantezza della verità, e queste parole ha perso in un momento, indicano chiaramente la grande catastrofe della consumazione del secolo, e mostrano che si parla qui della rovina di Gerusalemme e delle città dei Gentili, rovesciate dal grande terremoto di cui abbiamo parlato. E tutti questi mali saranno l’inizio dei mali dell’eternità, secondo le parole citate sopra: Tutta la delicatezza e la magnificenza sono perdute per te, e non saranno mai più ritrovate.

IV. Vers. 18. E tutti i piloti, coloro che navigano i mari, i nocchieri, e tutti quelli che sono impiegati sui vascelli, si tenevano lontani, e gridavano vedendo il luogo dell’incendio e dicevano: Quale città è simile a questa grande città? Questi piloti, questi marinai, coloro che navigano e sono impiegati sulle navi, sono i pochi Cristiani e direttori di anime che saranno sopravvissuti alla persecuzione dell’Anticristo; perché avranno navigato a lungo sul mare tempestoso della persecuzione, e si saranno tenuti in disparte e nascosti, secondo le parole di Gesù Cristo stesso, Matteo, XXIV, 16: « Allora quelli che sono in Giudea fuggono sui monti, etc. » È anche a questo passaggio che dobbiamo mettere in relazione queste parole del testo, Apoc. XIV, 20: « E tutte le isole fuggirono »; così come quelli del cap. XVIII, 4: « Uscite da Babilonia, popolo mio, per non essere coinvolti dalle sue piaghe. »  Tutti i piloti, coloro che navigano sul mare, i marinai e tutti coloro che sono impiegati sulle navi, sulla nave della Chiesa o sulla barca di San Pietro, o nell’arca di Noè, sono rimasti lontani. Queste parole si applicano anche ai buoni di tutti i tempi e luoghi, che si sono tenuti lontani dal mondo, dimorando nel vascello della Chiesa. Inoltre, queste parole si applicano letteralmente ai Giudei e ai ricchi mercanti, etc.

V. Ora ecco la prova evidente che questi re, mercanti e marinai, che rappresentano i resti degli uomini che sono sopravvissuti a questa catastrofe e a queste disgrazie, faranno penitenza:

Vers. 19E si coprirono il capo di polvere e gridarono, piangendo, gemendo e dicendo: Guai, guai, questa grande città, che ha arricchito della sua opulenza tutti coloro che avevano vascelli in mare, è stata desolata in un momento.

Vers. 20. – Il cielo, rallegratevi su di essa, e voi, santi apostoli e profeti, perché Dio vi ha vendicato di essa. Notiamo bene queste parole: E si coprirono il capo di polvere … cioè essi hanno fatto penitenza, perché nella Scrittura il segno della penitenza è coprirsi il capo con cenere e polvere. Così, dunque, essi hanno iniziato ad essere rappresentati in piedi, cioè, come se fossero sopravvissuti a queste disgrazie, grazie alla bontà di Dio. Poi rimasero lontani, soggetti ai tormenti di quella grande città. Dopo di che rifletterono e considerarono il luogo di questo grande incendio e gridarono: Quale città era come quella grande città? Infine, nei sentimenti di penitenza, gridarono, piangendo, lamentandosi e dicendo: Guai, guai! Questa grande città, che ha arricchito con la sua opulenza tutti coloro che avevano vascelli in mare, fu desolata in un momento. Queste ultime parole, oltre ad essere prese alla lettera quando sono applicate ai Giudei ed ai grandi del mondo, hanno un significato figurato. Perché, nell’opulenza, si è potenti, e nel potere, gli uomini abusano della loro forza e diventano persecutori; è così che percuotendo i buoni che avevano il loro rifugio nell’arca di Noè, figura della nave della Chiesa costantemente battuta dalla tempesta, e nella barca di San Pietro, simbolo della fede della Chiesa, questi ricchi e potenti persecutori arricchirono i giusti con i beni spirituali della carità e della pazienza. Questa grande città fu desolata in un attimo. Cioè, questa Gerusalemme, o grande Babilonia, cadrà e sarà rovinata in un momento, come il mondo di cui è la figura. Tra un momento, cioè tra qualche giorno, come si vede dai milletrecentotrentacinque giorni di Daniele, che devono essere presi qui come naturali; perché sarebbe assurdo supporre un incendio così lungo di una città. Abbiamo visto, inoltre, nell’opera del venerabile Holzhauser, la spiegazione di questo passaggio e sappiamo che il regno dell’Anticristo sarà breve e persino abbreviato. La sua rovina non inizierà che negli ultimi giorni, e continuerà fino alla consumazione dei secoli, secondo San Matteo e San Marco, che dicono: « Questo sarà l’inizio dei dolori. » Infine, questi re, mercanti e marinai, ecc., avendo fatto penitenza, parteciperanno alla gioia dei buoni e dei santi, e diranno: Cielo, rallegratevi di essa, e voi, santi apostoli e profeti, perché Dio vi ha vendicato di essa… Che mirabile descrizione di tutti i movimenti di un cuore penitente, che comincia con l’essere preso dalla paura, poi si separa dai giorni malvagi, deplora le proprie  disgrazie, si copre di cenere e di polvere in segno di contrizione, piange e geme; poi entra nel tempio del Signore, la cui maestà e potenza non può dapprima comprendere a causa del fumo delle sue piaghe, e infine riconosce la sua bontà verso i santi, e la giustizia delle sue vendette sui malvagi, unendosi ai sentimenti comuni degli apostoli, dei profeti e di tutta la Chiesa, e gridando a gran voce: Cielo, rallegratevi di essa, e voi, santi apostoli e profeti, che avete sofferto tanto con tutti i giusti della Chiesa, gioite, perché Dio vi ha vendicato su di essa. Va notato che questi sono i re che rappresentano i grandi e le nazioni infedeli, e poi i resti dei cattivi Cristiani che avranno prevaricato adorando la bestia, e anche i mercanti, cioè i Giudei, che diranno: Perché Dio vi ha vendicato di essa. Non dicono noi, ma voi, poiché i Gentili e gli Giudei non saranno appartenuti alla Chiesa di Gesù Cristo, e di conseguenza, non saranno stati oggetto, non più dei cattivi Cristiani, degli insulti e delle persecuzioni con cui i malvagi avranno afflitto la Chiesa, rappresentata dai santi Apostoli e dai Profeti.

VI. Vers. 21. – E un Angelo forte sollevò una pietra come una grande macina e la gettò nel mare, dicendo: “Così sarà gettata giù la grande città Babilonia e d’ora in poi non sarà più trovata”. E San Giovanni vide nella sua immaginazione un Angelo forte, rappresentante della potenza di Dio, che gettava in mare una pietra come una grande macina. E l’Angelo gli disse: “Babilonia, quella grande città, sarà precipitata così, con la stessa forza e fragore di una grande macina da mulino, la cui caduta un braccio forte rende ancora più celeree. E quella grande città scomparirà nelle profondità dell’inferno, come una grande macina scompare nelle profondità del mare. E non si troverà più, mai più e infinitamente meno di quanto una pietra possa essere trovata nelle profondità dell’oceano.

VII. Vers. 22. – E la voce degli arpisti e dei musicisti, il flauto dei cantori e le trombe non suoneranno più in te; nessun artigiano si troverà più nella tua cinta, né si intenderà più il rumore della macina.

Vers. 23. – E la luce delle lampade non risplenderà in te per sempre, né vi si udrà più la voce dello sposo e della sposa. Tutte queste parole seguono questo patetico e toccante lamento sul triste stato di questa grande Babilonia, che rappresenta il mondo intero. Che lutto e miseria, che tristezza mortale ispirano queste parole! Il Profeta ci dà poi la ragione e il motivo di questa terribile condanna di Gerusalemme, e dice: Perché i tuoi uomini malvagi erano principi della terra, e tutte le nazioni sono state traviate dai tuoi incantesimi. Vediamo in questo le cause principali dei giudizi di Dio su Gerusalemme e sulla nazione giudaica. 1º Questi mercanti, cioè i Giudei, erano i dominatori della terra. Ora, come abbiamo detto sopra, i Giudei sono il popolo che più ha contribuito alla perversione del mondo e alla prostituzione degli uomini, essendo i principi della terra con il loro oro, il loro commercio e l’influenza che hanno acquisito dalle loro ricchezze.  2° Tutte le nazioni sono state sviate dai tuoi incantesimi, cioè dal lusso e dalle merci che i tuoi mercanti hanno fornito alle passioni degli uomini, e anche dalla tua doppiezza, dalle tue frodi, dalle tue menzogne, ecc. e, infine, dai prodigi e dagli incantesimi dell’anticristo e dei suoi falsi profeti. Poi San Giovanni termina questo capitolo con il rimprovero del più grande crimine che egli rivolge a questa città, colpevole della morte del Dio di ogni bontà, Nostro Signore Gesù Cristo di Nazareth crocifisso.

Vers. 24. – E in questa città fu trovato il sangue dei profeti e dei santi e di tutti quelli che erano sulla terra. Cioè il sangue di Gesù Cristo, che rappresenta tutti i Martiri, i Profeti e i Santi. Perché i Giudei, uccidendo Gesù Cristo, parteciparono ai crimini di tutti i persecutori della Chiesa e di tutti gli empi del mondo, come tutti gli empi del mondo avranno partecipato al più grande dei crimini, il crimine della morte di Gesù Cristo, uccidendo i Martiri e i Profeti e perseguitando i Santi.

VIII. Noteremo, concludendo questo capitolo, che San Giovanni parla in tre passaggi diversi dei “guai” che rovineranno Gerusalemme alla fine dei tempi. Infatti dice nel capitolo XI, 13: « E in quella stessa ora ci fu un grande terremoto, e la decima parte della città cadde, e settemila uomini morirono nel terremoto; e gli altri furono presi da spavento e diedero gloria a Dio. » Poi dice nel capitolo XVI, 18: « E ci furono lampi e tuoni e un grande terremoto, così grande che nessun uomo ne ha sentito uno simile da quando sono sulla terra. E la grande città fu divisa in tre parti, e le città delle nazioni caddero; e Dio si ricordò della grande Babilonia per darle da bere il vino dello sdegno della sua ira. E tutte le isole fuggirono, e le montagne scomparvero. » Infine il Profeta, senza aver annunciato nessun altro terremoto oltre a quello che abbiamo descritto nel capitolo delle piaghe della consumazione, dice improvvisamente, (capitolo XVIII, 18): « Ed essi gridarono, vedendo il luogo del suo incendio, e dissero: Quale città fu come questa grande città? » Bisogna concludere da tutto questo, che Dio, nella sua infinita bontà, colpirà questa città di Gerusalemme e tutte le città delle nazioni, in modo da spaventare i più ostinati tra gli uomini e dare loro il tempo di convertirsi. Ma gli empi ostinati periranno con le città delle nazioni, perché i terremoti ed il fuoco continueranno a rovinare queste città fino alla consumazione dei tempi. Questo è confermato dagli evangelisti, (Matteo, XXIV, 7): « Nazione si leverà contro nazione, regno contro regno, pestilenze, carestie e terremoti saranno in diversi luoghi. Ora tutte queste cose sono l’inizio dei dolori. » E San Marco, (XIII, 8): « Perché i popoli si solleveranno contro i popoli e i regni contro i regni; e ci saranno terremoti in diversi luoghi e carestie; questo sarà il principio dei dolori ». Infine, (San Luca, XXI, 11): « E ci saranno grandi terremoti, pestilenze e carestie in diversi luoghi; e ci saranno cose spaventose e grandi segni nel cielo.  Ma prima vi prenderanno e vi perseguiteranno, etc. » Possiamo vedere che i quattro Evangelisti sono d’accordo, i tre precedenti nel loro Vangelo, e San Giovanni nella sua Apocalisse, nell’annunciare terribili terremoti che precederanno la fine. – La precipitazione con cui San Giovanni passa, nella sua Apocalisse, dalla descrizione di questo grande terremoto, di cui gli uomini non hanno mai avvertito uno simile, sentito l’effetto, a queste espressioni: e grideranno, vedranno il luogo del suo incendio, ed essi diranno: qual città è stata pari a questa grande città? Questa precipitazione, diciamo, è un modo ammirevole ed energico di mostrarci il pronto adempimento di quelle profezie di San Marco e San Matteo, che ci dicono che tutte queste cose saranno l’inizio dei dolori; cioè della fine dei malvagi sulla terra e dell’apertura dei supplizi dell’eternità. Infatti, vediamo da tutto il contesto che i terremoti che colpiranno Gerusalemme e le città delle nazioni, continueranno a devastarle fino alla loro totale rovina, poiché, secondo San Marco e San Matteo, queste disgrazie devono essere la l’inizio dei dolori. Ciò è dimostrato anche dalle parole del testo: E gridarono quando videro il luogo del suo incendio, e dissero: Quale città è simile a questa grande città? Così, dunque, il fuoco sarà mescolato ai terremoti, e non si vedrà più il luogo dell’incendio di questa città, rappresentante di tutte le altre città delle nazioni. E allora i piloti e i marinai potranno dire con verità: quale città era simile a questa grande città? Cioè a Gerusalemme, la capitale del regno dell’anticristo, e a Gerusalemme considerata come la grande Babilonia che rappresenta i malvagi di tutti i luoghi e di tutti i tempi.

§ IV.

Applausi, acclamazioni e rallegramenti della Chiesa militante e della Chiesa trionfante, sulla rovina della grande Babilonia, e l’avvicinarsi delle nozze dell’Agnello.

CAPITOLO XIX. VERSETTI 1-10.

Post hæc audivi quasi vocem turbarum multarum in caelo dicentium: Alleluja: salus, et gloria, et virtus Deo nostro est: quia vera et justa judicia sunt ejus, qui judicavit de meretrice magna, quæ corrupit terram in prostitutione sua, et vindicavit sanguinem servorum suorum de manibus ejus. Et iterum dixerunt: Alleluja. Et fumus ejus ascendit in saecula sæculorum. Et ceciderunt seniores viginti quatuor, et quatuor animalia, et adoraverunt Deum sedentem super thronum, dicentes: Amen: alleluja. Ex vox de throno exivit, dicens: Laudem dicite Deo nostro omnes servi ejus: et qui timetis eum pusilli et magni. Et audivi quasi vocem turbæ magnæ, et sicut vocem aquarum multarum, et sicut vocem tonitruorum magnorum, dicentium: Alleluja: quoniam regnavit Dominus Deus noster omnipotens. Gaudeamus, et exsultemus: et demus gloriam ei: quia venerunt nuptiæ Agni, et uxor ejus præparavit se. Et datum est illi ut cooperiat se byssino splendenti et candido. Byssinum enim justificationes sunt sanctorum. Et dixit mihi: Scribe: Beati qui ad cœnam nuptiarum Agni vocati sunt; et dixit mihi: Hœc verba Dei vera sunt. Et cecidi ante pedes ejus, ut adorarem eum. Et dicit mihi: Vide ne feceris: conservus tuus sum, et fratrum tuorum habentium testimonium Jesu. Deum adora. Testimonium enim Jesu est spiritus prophetiœ.

[Dopo di ciò udii come una voce di molte turbe in cielo, che dicevano: Alleluja: salute, e gloria, e virtù al nostro Dìo: perché veri e giusti sono i suoi giudizi, ed ha giudicato la gran meretrice, che ha corrotto la terra colla sua prostituzione, ed ha fatto vendetta del sangue dei suoi servi (sparso) dalle mani di lei. E dissero per la seconda volta: Alleluia. E il fumo di essa sale pei secoli dei secoli. E i ventiquattro seniori e i quattro animali si prostrarono, e adorarono Dio sedente sul trono, dicendo: Amen: alleluja. E uscì dal trono una voce, che diceva: Date lode al nostro Dio voi tutti suoi servi: e voi, che lo temete, piccoli e grandi. E udii come la voce di gran moltitudine, e come la voce di molte acque, e come la voce di grandi tuoni, che dicevano: Alleluia: poiché il Signore nostro Dio onnipotente è entrato nel regno. Rallegriamoci, ed esultiamo, e diamo a lui gloria: perché sono venute le nozze dell’Agnello, e la sua consorte sì è messa all’ordine. E le è stato dato di vestirsi di bisso candido e lucente. Perocché il bisso sono le giustificazioni dei Santi. Sono stati chiamati alla cena delle nozze dell’Agnello: e mi disse: Queste parole di Dio sono vere. E mi prostrai ai suoi piedi per adorarlo. Ma egli mi disse: Guardati dal farlo: io sono servo come te e come i tuoi fratelli, i quali hanno testimonianza di Gesù. Adora Dio. Poiché la testimonianza di Gesù è lo spirito di profezia.]

I. Vers. 1. Dopo questo, io intesi nel cielo come la voce di una grande moltitudine che diceva: Alleluja, salvezza, gloria e potenza al nostro Dio …

Dopo questo …, vale a dire, dopo la rovina della grande Babilonia, San Giovanni intese per immaginazione, nel cielo, nella Chiesa trionfante e nella Chiesa militante, come la voce di una grande moltitudine. Questa grande moltitudine è la riunione di tutti i santi che faranno parte della Chiesa militante, dopo la conversione del resto degli uomini, così come la riunione di tutti i Santi della Chiesa trionfante. Questa grande moltitudine farà sentire come una sola voce per mostrarci l’accordo, l’insieme, l’unità delle vedute e dei sentimenti che uniranno strettamente tutti i re, i mercanti, i piloti, i marinai, di cui si è parlato nel capitolo precedente, in tal modo che essi non formeranno, per così’ dire, che una sola persona con la Chiesa trionfante. E tutti questi Santi diranno: Alleluja. Questa parola è un grido di gioia che significa: lodate il Signore. Ed essi aggiungeranno: Salvezza, gloria e potenza al nostro Dio. Tutte queste parole esprimono la gioia, le lodi e la riconoscenza che questi Santi della Chiesa militante e della Chiesa trionfante manifesteranno altamente e solennemente, in occasione della vittoria finale e del trionfo assoluto che la Chiesa militante avrà ottenuto sul mondo con la caduta della grande Babilonia. Vediamo nel versetto seguente le ragioni di questa gioia e di questa lode; e queste ragioni sono espresse così chiaramente che non hanno bisogno di alcun commento.

Vers. 2. Perché i suoi giudizi sono veri e giusti, ha condannato la grande prostituta che ha corrotto la terra con la sua prostituzione, ed ha vendicato il sangue dei suoi servi, sparso dalle mani di lei. Così, dunque, questi motivi di gioia e di lode sono tratti dai giudizi di Dio, fondati sulla sua verità e la sua giustizia, che questi nuovi convertiti riconosceranno e confesseranno allora altamente, dicendo che Dio ha condannato veracemente e giustamente la grande prostituta, perché essa ha corrotto la terra con la sua prostituzione agli idoli, che sono sue creature; in più, essi diranno che Egli ha vendicato il sangue dei suoi servi, cioè il sangue di Gesù-Cristo, che come uomo è anche un servo di Dio; ed il sangue dei suoi profeti, dei suoi apostoli, di tutti i Martiri della Chiesa, da Abele fino all’ultimo martire che morrà nella persecuzione dell’anticristo. E questo sangue sarà sparso dalla mano dei malvagi di tutti i tempi e di tutti i luoghi.

II. Vers. 3. Ed essi dissero una seconda volta: Alleluja, ed il fumo del suo incendio si eleva nei secoli dei secoli. Si devono osservare queste parole con attenzione. San Giovanni, dopo aver descritto la gioia della Chiesa militante, passa tutto ad un tratto alla Chiesa trionfante designata nel primo versetto e che aveva accomunato alla Chiesa militante con queste parole, in cielo, parole che si applicano ugualmente ad entrambe queste due Chiese. Perché ora ci dice: E dissero una seconda volta: Alleluia? È per meglio farci capire la stretta unione di queste due Chiese, che sono una nello spirito di fede, speranza e carità, e che si uniranno anche nel corpo, dopo la caduta della grande Babilonia. E hanno detto una seconda volta: Alleluia. Queste parole implicano che i santi della Chiesa militante e della Chiesa trionfante diranno Alleluia due volte. La prima volta sarà quando la grande Babilonia sarà caduta cade e prima dell’ultimo giudizio. La seconda volta sarà quando queste due Chiese saranno così strettamente unite che formeranno una sola Chiesa trionfante nei secoli dei secoli. Questo è chiaramente indicato dalle seguenti parole: ed il fumo della sua combustione si alza nei secoli dei secoli. – San Giovanni dice al presente: il fumo della loro combustione si alza, per farci intendere che questo secondo grido, Alleluia, è il grido di gioia che sarà manifestato dalle due Chiese al momento della loro riunione. Perché appena avranno detto una seconda volta Alleluia, l’Apostolo aggiunge immediatamente: E il fumo della sua combustione si alza nei secoli dei secoli. San Giovanni vuole quindi farci capire con questo che a questo secondo grido Alleluia, inizia la beata eternità per i santi di queste due Chiese, così come un’eternità di dannazione per i figli della prostituta e per tutti gli abitanti della grande Babilonia. Avrebbe potuto l’Apostolo esprimere con più forza e verità l’eternità ed il rigore dei tormenti a cui saranno condannati gli abitanti di questa grande città, che dicendo: E il fumo del suo incendio si eleva per i secoli dei secoli?

 III. Vers. 4.E i ventiquattro vegliardi ed i quattro animali si prostrarono ed adorarono Dio, che era assiso sul trono, dicendo: Amen, Alleluja. Questi ventiquattro vegliardi sono i dodici patriarchi dell’Antico Testamento ed i dodici Apostoli del Nuovo. C’è così, l’universalità dei Pontefici e dei Dottori della Chiesa, etc. I quattro animali sono gli Evangelisti. Ora tutti questi Santi uniranno le loro voci a quella di tutta la Chiesa, si prostreranno ed adoreranno Dio, che è seduto sul trono della sua gloria nel cielo. E con questo atto unanime di adorazione, essi manifesteranno i loro sentimenti di gioia, di amore, di riconoscenza sì solennemente. . ed essi diranno: Amen, così sia; cioè che si faccia la giustizia di Dio, e così si compia la sua parola, ed aggiungeranno questa parola, Alleluja; Dio sia lodato per tutte le sue opere.

IV. Vers. 5. E dal trono uscì una voce dicendo: Lodate il nostro Dio, voi tutti suoi servi che lo temete, grandi e piccoli.

II. Vers. 3. Ed essi dissero una seconda volta: Alleluja, ed il fumo del suo incendio si eleva nei secoli dei secoli. Si devono osservare queste parole con attenzione. San Giovanni, dopo aver descritto la gioia della Chiesa militante, passa tutto ad un tratto alla Chiesa trionfante designata nei primo versetto e che aveva accomunato alla Chiesa militante con queste parole, in cielo, parole che si applicano ugualmente ad entrambe queste due Chiese. Perché ora ci dice: E dissero una seconda volta: Alleluia? È per meglio farci capire la stretta unione di queste due Chiese, che sono una nello spirito di fede, speranza e carità, e che si uniranno anche nel corpo, dopo la caduta della grande Babilonia. E hanno detto una seconda volta: Alleluia. Queste parole implicano che i santi della Chiesa militante e della Chiesa trionfante diranno Alleluia due volte. La prima volta sarà quando la grande Babilonia sarà caduta cade e prima dell’ultimo giudizio. La seconda volta sarà quando queste due Chiese saranno così strettamente unite che formeranno una sola Chiesa trionfante nei secoli dei secoli. Questo è chiaramente indicato dalle seguenti parole: ed il fumo della sua combustione si alza nei secoli dei secoli. – San Giovanni dice al presente: il fumo della loro combustione si alza, per farci intendere che questo secondo grido, Alleluia, è il grido di gioia che sarà manifestato dalle due Chiese al momento della loro riunione. Perché appena avranno detto una seconda volta Alleluia, l’Apostolo aggiunge immediatamente:  E il fumo della sua combustione si alza nei secoli dei secoli sempre. San Giovanni vuole quindi farci capire con questo che a questo secondo grido Alleluia, inizia la beata eternità per i Santi di queste due Chiese, così come un’eternità di dannazione per i figli della prostituta e per tutti gli abitanti della grande Babilonia. Avrebbe potuto l’Apostolo esprimere con più forza e verità l’eternità ed il rigore dei tormenti a cui saranno condannati gli abitanti di questa grande città, che dicendo: E il fumo del suo incendio si eleva per i secoli dei secoli.

III. Vers. 4 E i ventiquattro vegliardi ed i quattro animali si prostrarono ed adorarono Dio, che era assiso sul trono, dicendo: Amen, Alleluja. Questi ventiquattro vegliardi sono i dodici patriarchi dell’Antico Testamento ed i dodici Apostoli del Nuovo. C’è così, l’universalità dei Pontefici e dei Dottori della Chiesa, etc. I quattro animali sono gli Evangelisti. Ora tutti questi Santi uniranno le loro voci a quella di tutta la Chiesa, si prostreranno ed adoreranno Dio, che è seduto sul trono della sua gloria nel cielo. E con questo atto unanime di adorazione, essi manifesteranno i loro sentimenti di gioia, di amore, di riconoscenza sì solennemente. . ed essi diranno: Amen, così sia; cioè che si faccia la giustizia di Dio, e così si compia la sua parola, ed aggiungeranno questa parola, Alleluja; Dio sia lodato per tutte le sue opere.

IV. Vers. 5.E dal trono uscì una voce dicendo: Lodate il nostro Dio, voi tutti suoi servi che lo temete, grandi e piccoli. Questa voce è quella dell’Agnello, Gesù-Cristo, considerato come uomo e come capo di tutta la Chiesa; infatti, questa voce esce dal trono stesso. Ora, non c’è che Gesù-Cristo che sieda sul trono alla destra del Padre, secondo questa parola del Salmista, Ps. CIX: « Il Signore ha detto al mio Signore: siedi alla mia destra, finché non ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi ». Così l’umanità di Gesù Cristo vincerà i suoi nemici e regnerà sul mondo fino alla consumazione dei secoli; ed Egli regna e regnerà anche per tutta l’eternità. Ora, questi   nemici della sua umanità gli saranno serviti per essere sgabello per arrivare a questo Regno di gloria; e così l’Uomo-Dio continuerà ad essere il Sacerdote eterno secondo l’ordine di Melchisedech. Perciò Gesù Cristo, considerato come uomo e come Capo di tutta la Chiesa, dirà: Lodate il nostro Dio. Gesù Cristo come uomo, anche se Dio stesso, può dire, come rappresentante della nostra umanità: Lodate il nostro Dio, voi tutti suoi servi, che lo temete, grandi e piccoli. Perché è qui che vediamo chiaramente l’ufficio di “mediatore” che Gesù Cristo esercita tra Dio e gli uomini. Troviamo nella Scrittura un esempio di questo modo di parlare di Gesù Cristo, quando al momento della sua morte chiamò Dio suo Padre: Mio Dio! Marco, XV, 34: « All’ora nona Gesù gridò a gran voce, dicendo: Eloi, Eloi, lama sabacthani, cioè: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? » Queste parole devono essere attentamente esaminate: tutti voi che lo temete; cioè tutti voi che il timore del Signore ha contenuto nella bontà di Dio e che siete stati abbandonati alla penitenza. Cosa di più vero, pertanto, che Gesù Cristo, come Capo della Chiesa, invita in questo momento solenne, tutti i suoi che saranno stati i servi di Dio e che l’avranno temuto durante la vita del mondo, inviti a lodare Dio nella sua gloria, nella sua potenza, nella sua giustizia e nella sua santità!

V. Vers. 6. Ed io intesi come la voce di una grande moltitudine, come il fragore di grandi acque e come la voce dei tuoni, che dicevano: Alleluia, perché il Signore nostro Dio, l’Onnipotente, regna. Su questo invito che Gesù-Cristo indirizza alla sua Chiesa, San Giovanni sentì come una voce, cioè come una sola voce, che rappresentava l’unione e l’accordo di tutti gli Angeli ed i Santi della corte celeste, indicata dalle parole: di una grande moltitudine… L’ho sentita come la voce di grandi acque, cioè la voce di tutti i Santi della Chiesa militante, che hanno sofferto nelle acque delle tribolazioni, e come la voce dei tuoni; i Dottori ed i predicatori, che tutti insieme si faranno sentire come una sola voce, dicendo: Alleluia, lodiamo il Signore, perché il Signore nostro Dio, l’Onnipotente, regna.

Vers. 7. Rallegriamoci, stiamo nella gioia e rendiamogli gloria, perché è giunto il momento delle nozze dell’Agnello, e la sua sposa vi si è preparata. Tutti questi Santi, dunque, diranno: rallegriamoci. Gioiamo e rendiamo gloria a Dio Padre, perché è giunto il momento delle nozze dell’Agnello Gesù-Cristo; cioè è giunto il momento in cui lo sposo Gesù-Cristo debba essere glorificato ed unirsi alla sua Sposa che è la Chiesa, nei secoli dei secoli. Questa Sposa gioirà delle presenza dello Sposo, non con la fede e la speranza, ma essa lo vedrà così com’è, ed il suo amore non avrà più limiti e non sarà più velato. E la sua Sposa vi si è preparata; in effetti i Santi della Chiesa militante si sono preparati a queste nozze; infatti, le virtù ed i meriti dei Santi sono i loro abiti, e la loro veste nuziale. È ciò che San Giovanni spiega con le seguenti parole.

VI. Vers. 8. E le è stato dato di vestirsi di lino bianco e puro; e questo lino è la giustizia dei Santi … – E le è stato dato … cioè è Dio Padre che ha dato ai Santi della Chiesa, Sposa di Gesù Cristo, di rivestirsi di giustizia, secondo San Giacomo, (I, 17): « Ogni grazia buona e ogni dono perfetto viene dall’alto e discende dal Padre dei lumi, nel quale non c’è cambiamento, né ombra, né mutamento di stato. ». È Dio Padre che ha dato alla Chiesa il dono di essere vestita di puro lino bianco per le nozze dell’Agnello. E le ha fatto questo dono per mezzo del suo Figlio Gesù Cristo, senza la fede nel Quale è impossibile piacere a Dio, secondo San Paolo, (Rom. V): « Giustificati dunque per fede, abbiamo pace con Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore, il quale mediante la fede ci ha dato accesso a quella grazia nella quale stiamo e ci gloriamo nella speranza della gloria dei figli di Dio, etc. » E questo lino è la giustizia dei Santi, di cui saranno rivestiti dalla grazia di Dio Padre, nella fede di Gesù Cristo suo Figlio, per apparire ed essere ammessi alla cena delle nozze dell’Agnello. –

VII. vers. 9. L’Angelo allora mi disse: scrivi: beati coloro che sono stati chiamati alla cena delle nozze dell’Agnello; e aggiunse: queste parole di Dio sono veraci. L’Angelo raccomanda specialmente a San Giovanni di scrivere queste parole di incoraggiamento per tutta la Chiesa militante, e ci esorta con ciò a rivestirci di giustizia, mediante le buone opere fatte nella fede di Gesù-Cristo; infatti, è questo il vestito di lino puro e bianco, che deve essere la nostra veste nuziale, senza la quale non saremo trovati degni di essere nel numero di coloro di cui qui è detto:; beati quelli che sono stati chiamati alla cena della nozze dell’Agnello. – La cena è il pasto alla fine del giorno; e questa cena delle nozze dell’Agnello sarà alla fine del giorno della vita di questo mondo; e solo coloro che hanno lavorato nella vigna del Signore, almeno all’undicesima ora, potranno partecipare alla cena di queste nozze. Gli altri che sono stati chiamati e non hanno risposto alla chiamata saranno gettati, mani e piedi, nelle tenebre esterne; … e là ci sarà pianto e stridore di denti. Vedi San Matteo, XXII, 2, ecc. E l’Angelo aggiunse: Queste parole di Dio sono veraci; cioè, queste parole sono una promessa solenne, fondata sulla verità eterna di Dio, a favore di coloro che, essendo stati invitati alla cena delle nozze dell’Agnello, vi compariranno vestiti con l’abito di nozze; e l’Angelo aggiunge queste parole per la consolazione e l’incoraggiamento dei buoni.

Vers. 10 E mi prostrai ai suoi piedi per adorarlo. Ma egli mi disse: Guardati dal farlo: io sono servo come te e come i tuoi fratelli, i quali hanno testimonianza di Gesù. Adora Dio. Poiché la testimonianza di Gesù è lo spirito di profezia. Questo versetto è stato già spiegato.

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (XXV)