IL SEGNO DELLA CROCE (2)

IL SEGNO DELLA CROCE AL SECOLO XIX (2)

PER Monsig. GAUME prot. apost.

TRADOTTO ED ANNOTATO DA. R. DE MARTINIS P. D. C. D. M.

LETTERA PRIMA.

Parigi, 25 novembre 1863.

Stato della quistione. — Il mondo moderno non fa piò il segno della Croce o lo fa raramente, o male. — I Cristiani primitivi la facevano soventemente e bene. — La ragione è per noi, ed il torto per essi? O questo per noi ed il torto per essi? Quale delle due?

Mio Caro Federico

Quindici giorni soltanto sono scorsi da che i giornali, ci annunziavano il naufragio del capitano Walker. Siffatta nuova, che leggevamo insieme, ci attristò grandemente, che per essa conoscemmo la morte di alquanti viaggiatori nostri amici. La nave avea dato in uno scoglio, ed una larga vena di acqua si era aperta in essa, e tutti gli sforzi dell’equipaggio tornando inutili a chiuderla, la nave s’immergeva oltre la sua linea di flottazione. Si cercò scemarne il peso col getto delle mercanzie al mare; dopo queste, delle provvigioni da guerra, che furono seguite da una parte dei mobili e degli attrezzi, serbando solo due o tre botti di acqua, e qualche sacco di biscotti. Tutto fu inutile. La nave affondava, il naufragio diveniva imminente. Come, estremo mezzo di salute, Walker comandò che le scialuppe si mettessero in mare; ciascuno vi si precipitò. Sventura! La maggior parte dei viaggiatori a vece di trovarvi la vita, vi trovò la morte.

Questo racconto, trattane qualche circostanza, è la storia di tutti i grandi naufragi. Gl’infelici comandanti e la ciurma in questi estremi sono da scusare se gettano al mare tutto quello che si può. — La vita è da salvare innanzi tutto. Il mondo attuale, questo mondo che dicesi ancora cristiano, cui per fermo appartengono i tuoi compagni, presenta più di un tratto di somiglianza con una nave che ha sofferto avarie, ed è sul punto di naufragare. Le furiose tempeste, che da poi lungo tempo battono il legno della Chiesa, vi hanno aperte delle grandi vene di acqua, e per lo mezzo di esse vi si sono introdotti de’ grandi fiotti di dottrine, di costumi, di usi, di tendenze anticristiane. Guai, non per la nave, che non può perire, ma pei viaggiatori! Qual cosa mai è stata fatta? Io non parlo del mondo disvelatamente pagano; il suo naufragio è compiuto: ma di quello che pretende ancora di essere cristiano. Che ha egli fatto, e fa continuamente delle provvigioni da guerra e da bocca, delle mercanzie, dei mobili e degli attrezzi, di che la Chiesa avea provveduta la nave, per assicurare il successo della navigazione fino al porto della eternità a schermo degli scogli e delle bufere? Desso ha tutto, o quasi tutto, gettato al mare!  – Dov’ è la domestica preghiera nelle famiglie ? al mare. Le pie letture? al mare. La benedizione della mensa? al mare. L’assistenza frequente al santo Sacrifizio, lo scapolare, la corona? al mare. La santificazione della domenica, assistendo alle sacre istruzioni ed agli uffìzi divini, con le visite de’ poveri, degli afflitti e de’ malati? al mare. L’uso regolare de’ sacramenti, la osservanza delle leggi del digiuno e dell’astinenza? al mare. Lo spirito di semplicità e di mortificazione ne’ panni, nella mobilia, nel cibo e nell’abitazione? Il crocifisso, le sante immagini, l’acqua benedetta negli appartamenti? al mare, al mare!  La nave frattanto continua ad affondarsi. Lo spirito cristiano si scema, e lo spirito opposto cresce a vista. Si cerca riparare in qualche battello, voglio dire, in certe forme di religione che ciascuno stabilisce a seconda della propria età, condizione, temperamento e gusto, ed in esse si vive.  L’assistenza alla Messa bassa la domenica: e come? Alla messa solenne un tre, quattro fiate nell’anno; a vespro, giammai. Usare frequentemente a spettacoli e balli; la lettura di quanto si presenta; nulla negarsi, eccetto quello che non può aversi: ecco i battelli ne’ quali si cerca la salvezza. — È mestieri meravigliarsi di tanti naufragi? Poveri viaggiatori, separati dalla nave, voi movete a compianto! Ma più ancora è da compiangere la generazione che cresce! Fra le usanze del Cattolicismo, imprudentemente abbandonate dal mondo moderno, ve n’ha una più che altra mai rispettabile, che ad ogni costo vorrei salvare dal naufragare, ed è quella che i compagni tuoi disprezzano, senza sapere quello, che facciano; vo’ dire il segno della croce. — È tempo ormai di provvedere alla conservazione di esso; che altrimenti fra poco esso avrà la sorte di tante altre pratiche tradizionali, che noi dobbiamo alle materne cure della Chiesa, ed alla pietà de’ secoli cristiani trascorsi. Vuoi tu sapere, mio caro Federico, quel che sia divenuto il segno della croce nel mezzo del mondo che si pretende cristiano? Un dì di domenica ti ferma alla porta di una delle grandi chiese, ed osserva la folla che entra nella casa di Dio. Un gran numero si avanza scioperatamente, o con fasto, il che è tutt’uno, nel luogo santo, senza neppure guardare il vaso dell’acqua benedetta, e senza fare il segno della croce. Altri, in numero ad un dipresso uguale, prendono o ricevono, o fanno mostra di prendere o di ricevere l’acqua benedetta e di segnarsi. Tu vedrai cacciar nell’acqua benedetta la punta di un dito ricoperto di guanto, il che non è liturgico, come non l’è confessarsi e comunicarsi con i guanti (Nota A). Della maniera poi con che siffatto segno è eseguito, meglio sarebbe non far parola; poiché è tale, che il più abile geroglifichiere incontrerebbe della pena a spiegarla. Un movimento di mano senza riflessione, in fretta, a metà, macchinale, di che torna impossibile assegnare una forma, o darne un significato; oltre che gli autori di esso credono di nessuna importanza quello, che fanno: ecco il loro segno di croce della domenica.  Nel mezzo di questa folla di battezzati ti sarà difficile trovare qualcuno che faccia seriamente, regolarmente e religiosamente il segno venerabile di nostra salute. Or se in pubblico ed in circostanze solenni, la maggior parte non fa, o fa male il segno della croce, stento a persuadermi che lo facciano bene nelle altre, in cui, secondo l’apparenza, v’hanno minori ragioni da farlo, e ben farlo.  È dunque un fatto: i Cristiani di oggidì non fanno il segno della croce, o lo fanno raramente, o male. Su questo punto, come su molti altri, noi siamo agli antipodi de’ nostri antenati, i Cristiani della Chiesa primitiva. Quelli si segnavano, e si segnavano bene, e soventemente.  Nell’Oriente come nell’Occidente, a Gerusalemme, ad Atene, a Roma, gli uomini e le donne, i vecchi ed i giovani, i ricchi ed i poveri, i preti ed i semplici fedeli, tutte le classi della società osservavano religiosamente siffatto uso tradizionale. — La storia nulla ha di più certo; i padri testimoni oculari ne fanno fede; tutti gli storici Io accertano. Nulla mi sarebbe più facile del ripeterti le loro parole, ma tu le troverai presso il dotto tuo compatriota nella sua opera: De Cruce, Gretzer. Ma in vece di tutti ascolta il solo Tertulliano: A ciascun movimento e ad ogni passo, entrando e sortendo, prendendo gli abiti ed i calzari, al bagno, alla mensa, nel mettersi a Ietto, nei consigli, checché da noi si faccia, noi segniamo la nostra fronte del segno della croce (Ad omnem progressum atque promotum, ad omnem aditum et exitum, ad vestitum et calceatum, ad lavacra, ad mensas, ad lumina, ad cubilia, ad sedilia, quaecumque nos conversatio exercet. frontera crucis signáculo ferimus. (Tertull. De coron. milit. c. III – In frontibus, et in oculis, et in ore, et in pectore, et in ómnibus membris nostris. (S. Ephrem, Serm. In pret. Et vivif. Crucem).  – È chiaro: a ciascun momento i nostri antenati, odi un modo, o di un altro si segnavano, e non solamente sulla fronte, ma sugli occhi, sulla bocca e sul petto. Di che seguita, che se i Cristiani primitivi comparissero sulle nostre piazze, o nelle nostre abitazioni, facendovi quanto eglino eseguivano, or sono diciannove secoli, noi saremmo sul punto da reputarli maniaci; tanto è vero che noi siamo a loro antipodi sul conto del segno della croce. Eglino aveano torto, e noi abbiamo ragione; o eglino ragione, e noi torto? È una delle due; non v’ha mezzo. Quale delle due? Ecco la questione; l’essa è grave, gravissima, più che per fermo il pensino i tuoi compagni, e quelli, che ad essi si assomigliano. Spero rendertene convinto colle mie seguenti lettere.

Nota A.

È costume de’ fedeli in Francia di accostarsi ai sacramenti con le mani nude, come le donne usano del cappello con velo, e non del solo velo nell’accostarsi alla sacra mensa. Questo costume delle mani nude, pare che rimonti a’ primi secoli della Chiesa.  Nell’amministrazione dell’Eucaristia ne’ primi secoli, i fedeli ricevevano dal Vescovo non nella bocca, ma nella mano destra il corpo del Signore. S. Cirillo di Gerusalemme nella catechesi quinta ci descrive come doveasi presentare la mano. Accedens autem ad comunionem, non expansis manibus velis accedere, neque cum disjunctis digitis, sed sinistravi, veluti sedem quamdam subjicias dexteræ, quæ tantum Regem susceptura est: et concava marni suscipe Corpus Christi, dicens: Amen: Parimente S. Giovanni Damasceno, Orlhod. fidei, lib. 4, cap. 14, espone questa postura delle mani. Le donne la ricevevano ancora nelle mani, ma sopra di un pannolino, chiamato Domenicale, ed il concilio Antisidiorense comanda che le donne che avessero dimenticato il domenicale dovrebbero attendere la seguente domenica per ricevere il Signore. Cap. 42. S. Agostino dalla bianchezza del domenicale, espone il candore della coscienza da portare alla santa mensa. Ser. 252. de tempore. Consentaneamente ne’ peristilii delle basiliche si trovavano de’ vasi da acqua benedetta per purificare e santificare le mani e la bocca che doveano ricevere il corpo del Signore, e chiamavansi Canthara (Degli stessi vasi parlaS. Gregorio: De cura pastorali, p. 2, cap. III, chiamandoli Intere.) S. Giovanni Crisostomo ci parla di questi vasi, e di tale purificazione delle mani, e da essa trae argomento per esortare i fedeli ad essere larghi con i poveri alla porta della Chiesa, dove questi si trovano per darci un mezzo da accrescere con la elemosina la nostra purificazione. Semi. 25, inter Hom. de dic. IV. Test. Locis – S. Paolino in diversi luoghi delle sue opere ci parla di queste fonti. Ep. 32, alias 12, ad Severum. Pœmate 25, de S. Fel. Natal. 9, car. 463. Ma nella lettera 13, alias 37 ad Pammach., descrivendoci la basilica de’ santi Apostoli ce ne assegna ancora l’uso. Questi vasi furono in seguito introdotti nelle chiese, e sono i presenti vasi da acqua benedetta. La purificazione che con quest’acqua era fatta da’ primitivi cristiani, è venuta tanto in disuso, che ora vediamo lo spettacolo di che parla l’autore. Un tale disprezzo è prodotto dai protestanti i quali si burlano de’ cattolici, dicendo che hanno preso il costume di prendere 1′ acqua benedetta da’ gentili, che aveano l’acqua lustrale (Virgil. Æneid. lib. II). I nostri fratelli dissidenti riflettano che la Chiesa ha preso dalla Sinagoga una tale instituzione, la quale avea l’acqua di espiazione ordinata da Dio stesso. Num. cap. XIX. IN’on è meraviglia poi trovare presso i pagani una tal cosa, avendone molte altre copiate dagli Ebrei, come Tertulliano afferma: De præscrip. cap. 40. De Corona, cap. 14; e santo Agostino dice esservi vari usi comuni fra il paganesimo ed il Cristianesimo; ma il fine essere diverso. Contra Faustum, lib. XX, c. 23.

IL SEGNO DELLA CROCE (3)

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: SULLA PUREZZA

I SERMONI DEL CURATO D’ARS

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. IV, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)

Sulla Purezza

Beati mundo corde, quoniam ipsi Deum videbunt

(MATTH. V, 8).

Leggiamo nell’Evangelo che Gesù Cristo, volendo istruire il popolo, che accorreva in folla per imparare da Lui quanto occorreva fare per avere la vita eterna, sedé, ed aperta la bocca disse loro : “Beati quelli che hanno il cuor puro, poiché vedranno Dio. „ Se noi avessimo un gran desiderio di vedere Dio, Fratelli miei, queste sole parole dovrebbero farci comprendere quanto la purità ci renda accetti a Lui, e quanto sia per noi necessaria questa virtù; poiché, secondo la parola di Gesù Cristo, senza di essa non lo vedremo mai. “Beati, ci dice Gesù Cristo, quelli che hanno il cuor puro, poiché vedranno Dio. „ Si può forse sperare una più grande ricompensa di quella che Gesù Cristo dà a questa bella ed amabile virtù, cioè il godimento eterno delle tre Persone della Ss. Trinità?… S. Paolo che ne conosceva bene il valore, scrivendo ai Corinti, dice loro: ” Glorificate Dio, poiché voi lo portate nei vostri corpi, e siate fedeli nel conservarlo con grande purità. Ricordatevi, figli miei, che le vostre membra sono le membra di Gesù Cristo, e che i vostri cuori sono i templi dello Spirito Santo. Guardatevi dal non contaminarli con quel peccato che è l’adulterio, la fornicazione e tutto ciò che può disonorare il vostro corpo ed il vostro cuore davanti a Dio, che è la purezza in persona. „» (I Cor. VI, 15-20). – Oh ! F . M., quanto questa virtù è bella e preziosa non solo agli occhi degli uomini e degli Angeli, ma altresì agli occhi di Dio. Egli la tiene in tal conto che non cessa di lodarla in tutti coloro che sono abbastanza fortunati di conservarla. Inoltre questa virtù inestimabile forma il più bell’ornamento della Chiesa e, per conseguenza, dovrebbe essere la più amata dai Cristiani. Noi, F. M., che nel santo Battesimo siamo stati lavati nel Sangue adorabile di Gesù Cristo, che è purezza per essenza; in questo Sangue adorabile che ha generato tanti vergini dell’uno e dell’altro sesso; (Frumentum electorum, et vinum germinans virgines. Zach. IX, 17) noi che Gesù Cristo ha messo a parte della sua purità facendoci sue membra e suo tempio… Ma, ahimè! F. M., in questo disgraziato secolo in cui viviamo non si conosce più questa virtù, questa celeste virtù che ci rende simili agli Angeli!… Si, F. M., la purezza è una virtù necessaria per tutti, poiché, senza di essa, nessuno vedrà Dio. Io vorrei farvene concepire un’idea degna di Dio e dimostrarvi: 1° come essa ci renda accetti ai suoi occhi, dando un nuovo grado di santità a tutte le nostre azioni, e 2° ciò che dobbiamo fare per conservarla.

I. F. M., per farvi ben comprendere la stima che dobbiamo avere di questa incomparabile virtù, per farvi il panegirico della sua bellezza, e farvene apprezzare il valore davanti a Dio, occorrerebbe non un uomo mortale, ma un Angelo del cielo. Sentendolo voi direste con stupore: Come mai tutti gli uomini non sono pronti a sacrificare ogni cosa piuttosto che perdere una virtù che ci unisce così intimamente a Dio? Cerchiamo tuttavia di concepirne qualche idea considerando che questa virtù viene dal cielo, che essa fa discendere Gesù Cristo sulla terra, che essa eleva l’uomo fino al cielo, per la rassomiglianza che gli dà con gli Angeli, con Gesù Cristo medesimo. Ditemi, F. M., dopo tutto questo, non merita essa di essere chiamata virtù preziosa? Non è essa degna di tutta la nostra stima e di tutti i sacrifici necessari per conservarla? Dico che la purità viene dal cielo, perché non vi era che Gesù Cristo, capace di insegnarcela e di farcene sentire tutto il valore. Egli ci ha lasciati meravigliosi esempi della stima che ebbe per questa virtù. Avendo deciso, nella grandezza della sua misericordia, di redimere il mondo, prese un corpo mortale come abbiamo noi, ma volle scegliere una vergine per Madre. Chi fu, F. M., questa incomparabile creatura? Fu Maria santissima, la più pura di tutte, e che, per una grazia accordata a nessun’altra, fu altresì esente dal peccato originale. Ella, fin dall’età di sette anni consacrò la sua verginità a Dio e, offrendogli il suo corpo e la sua anima, gli fece il sacrificio più santo, più caro, più gradito che Dio abbia mai ricevuto da una creatura sulla terra. E lo mantenne con una fedeltà inviolabile nel custodire la sua purezza ed evitare tutto ciò che potesse anche menomamente offuscarne il candore. Quanto poi la S. Vergine stimasse questa virtù vediamo anche da questo, che ella non volle acconsentire di essere la Madre di Dio prima che l’Angelo non l’ebbe assicurata che la sua purezza non avrebbe sofferto detrimento. Ma avendole detto l’Angelo che diventando Madre di Dio, ben lungi dal perdere o dall’offuscare la sua purità, che tanto Ella stimava, diventerebbe anzi più pura e gradita a Dio, acconsentì volentieri per aggiungere nuovo splendore alla sua verginale purezza. Vediamo ancora che Gesù Cristo scelse a proprio padre putativo un uomo povero sì, ma la cui purità superò quella di ogni altra creatura, esclusa la S. Vergine. Fra i suoi discepoli ne preferì uno, al quale attestò un’amicizia e una confidenza singolare, e che mise a parte de’ suoi più grandi segreti; ma scelse il più puro di tutti, quello che si era consacrato a Dio fin dalla sua giovinezza. S. Ambrogio ci dice che la purità ci eleva fino al cielo e ci fa abbandonare la terra, quanto è possibile ad una creatura abbandonarla. Essa ci eleva al di sopra di ogni creatura corrotta, e per i suoi sentimenti ed i desideri ci fa vivere la vita stessa degli Angeli. Secondo S. Giovanni Crisostomo la castità di un’anima ha più valore dinanzi agli occhi di Dio che quella degli Angeli, poiché i Cristiani non possono acquistare questa virtù se non combattendo; mentre gli Angeli l’hanno per natura. Gli Angeli non hanno nulla da combattere per conservarla, mentre un Cristiano è obbligato di fare a se stesso una guerra continua. S. Cipriano aggiunge, che non solo la castità ci rende simili agli Angeli, ma ci dà anche un carattere di rassomiglianza con Gesù Cristo stesso. Sì, dice questo gran Santo, un’anima pura è un’immagine vivente di Dio sulla terra. – Più un’anima si distacca da se stessa, resiste alle sue passioni, più si attacca a Dio; e per un felice ricambio, più il buon Dio si attacca  a lei; Egli la custodisce e la considera come la sua sposa e la sua diletta; ne fa l’oggetto delle sue più care compiacenze e fissa in lei la sua dimora per sempre. “Beati, ci dice il Salvatore, quelli che hanno il cuor puro, poiché vedranno il buon Dio (Matth. V, 8). Secondo S. Basilio, se noi troviamo la castità in un’anima, noi vi troviamo tutte le altre virtù cristiane; essa le praticherà con una grande facilità, “perché – egli dice – per essere casti bisogna imporsi molti sacrifici e farci una grande violenza. Ma una volta riportate simili vittorie sul demonio, sulla carne, sul sangue, tutto il resto costa ben poco; perché un’anima che comanda con autorità a questo corpo sensuale, supera facilmente tutti gli ostacoli che incontra nel cammino della virtù. „ Perciò vediamo, F. M., che i Cristiani casti sono i più perfetti. Noi li vediamo riservati nelle loro parole, modesti nel loro tratto, sobrii nei pasti, rispettosi nel luogo santo, ed edificanti in tutta la loro condotta. S. Agostino paragona coloro che hanno la grande fortuna di conservare il loro cuore puro, ai gigli che s’innalzano diritti al cielo e spandono intorno un soavissimo profumo; il solo vederli ci fa pensare a questa preziosa virtù. – Così la S. Vergine ispirava purezza a tutti coloro che la guardavano… Virtù beata, F. M., è questa che ci mette nelle file degli Angeli e che sembra persino elevarci al di sopra di essi! Tutti i santi ne hanno avuto la più grande stima, ed hanno preferito perdere ogni loro bene, la loro reputazione e la stessa vita piuttosto che offuscare così bella virtù. Ne abbiamo un bell’esempio nella persona di S. Agnese. La sua beltà e le sue ricchezze l’avevano fatta chiedere in isposa, all’età di dodici anni, dal figlio del prefetto di Roma. Essa gli fece conoscere che si era già consacrata a Dio. Fu subito arrestata, sotto pretesto di essere Cristiana, ma in realtà affinché consentisse ai desideri del giovane… Era talmente unita a Dio che né le promesse, né le minacce, né la vista dei carnefici e degli strumenti disposti davanti a lei per ispaventarla, le fecero cambiare risoluzione. I suoi persecutori non potendo nulla guadagnare su di lei, la caricarono di catene e vollero metterle un giogo al collo e anelli di ferro pesantissimi alle mani: ma fu fatica sprecata; non si piegò quel collo, non cedettero quelle sottili manine innocenti. Ella restò ferma nel suo proposito in mezzo a quei lupi infuriati, ed offrì il suo corpicciuolo ai tormenti con un coraggio che stupì i carnefici. Fu trascinata ai piedi degli idoli: ed ella confessò ad alta voce che riconosceva per suo Dio soltanto Gesù Cristo e che i loro idoli non erano che demoni. Il giudice, barbaro e crudele, vedendo che nulla egli riusciva a guadagnare, pensò che Agnese sentirebbe più vivamente la perdita della purezza da lei tanto stimata, la minacciò di farla esporre in un luogo infame. Ma ella con fermezza gli rispose: “Voi potrete benissimo farmi morire, ma non potrete giammai farmi perdere questo tesoro: Gesù Cristo stesso ne è troppo geloso. „ Il giudice furente di rabbia la fece condurre in un luogo di bruttezze infernali. Ma Gesù Cristo che vegliava su di lei in modo particolare, ispirò per lei sì grande rispetto ai custodi, che questi la guardavano con una specie di terrore, e comandò ad uno dei suoi Angeli di proteggerla. I giovani che s’accostavano a quel luogo accesi di fuoco impuro, vedendo un Angelo accanto a lei, più splendente del sole, ne uscivano infiammati di amore divino. Solo il figlio del prefetto, più malvagio e corrotto degli altri, penetrò nel luogo ove era S. Agnese. Senza badare a tutte queste meraviglie, si avvicina a lei nella speranza di accontentare gli infami suoi desiderii; ma l’Angelo che custodiva la giovane martire, colpì il libertino che cadde morto ai suoi piedi. Subito si sparse per Roma la voce che il figlio del prefetto era stato ucciso da Agnese. Il padre furibondo accorse presso la Santa, e si lasciò andare a tutto ciò che il suo dolore e la sua disperazione potevano ispirargli. La chiamò furia dell’inferno, mostro nato per la desolazione della sua vita, giacché gli aveva fatto morire il figlio. S. Agnese gli rispose tranquillamente: “Perché egli volle farmi violenza, il mio Angelo gli diede la morte. „ Il prefetto un po’ raddolcito le disse: “Ebbene! prega il tuo Dio che lo faccia risuscitare, perché non si dica che l’hai fatto morire tu. „ — “Certamente, risponde la Santa, voi non meritate questa grazia; ma perché sappiate che i Cristiani non si vendicano mai, anzi, al contrario, rendono bene per male, uscite di qui, ed io pregherò il buon Dio per lui. „ Agnese si gettò in ginocchio colla faccia prostrata verso terra. Mentre pregava le apparve l’Angelo e le disse: “Fatti coraggio. „ E nel medesimo istante quel corpo esanime riprese vita. Il giovane risuscitato per le preghiere della Santa, si precipita fuori, corre per le vie di Roma gridando: “No, no, miei amici, non v’ha altro Dio che quello dei Cristiani: tutti gli dèi che adoriamo sono demoni i quali ci ingannano e ci trascinano all’inferno. „ Non ostante un sì grande miracolo, Agnese venne condannata alla morte. Allora il luogotenente del prefetto comandò che si accendesse un gran fuoco, e che vi si gettasse dentro la Santa. Ma le fiamme aprendosi non le fecero alcun male, e bruciarono invece gli idolatri accorsi per essere spettatori del suo combattimento. Vedendo che il fuoco la rispettava e non le faceva male alcuno, il luogotenente ordinò che le fosse tolta la vita con un colpo di spada che le recidesse il capo; fu visto il carnefice, uomo crudele, tremare come una foglia. I genitori di Agnese piansero la morte della loro diletta; ma ella apparve loro, dicendo: “Non piangete la mia morte, ma rallegratevi invece, perché io ho acquistata gloria ineffabile nei cieli. „ (RIBADENEIRA, 21 Gennaio). . – Vedete, F. M., quanto questa vergine ha sofferto piuttosto che perdere la sua verginità. Intendete ora la stima che dovete avere della purezza, e come Dio si compiaccia di far miracoli per mostrarsene il protettore ed il custode. Come quest’esempio confonderà un giorno quei giovani che fanno così poco conto di sì bella virtù. Essi non ne hanno mai conosciuto il pregio. Lo Spirito Santo ha dunque ben ragione di esclamare: “Quanto è bella codesta generazione pura; la sua memoria è eterna, e la sua gloria brilla davanti agli uomini ed agli Angeli. „ (Sap. IV, 1). E certo, F. M., che ciascuno ama i suoi simili; quindi gli Angeli, che sono puri spiriti, amano e proteggono in modo particolare le anime che imitano la loro purità. Leggiamo nella S. Scrittura (Tob. V-VIII) che l’Angelo san Raffaele, il quale accompagnò il giovane Tobia, gli rese mille servigi. Egli impedì che venisse divorato da un grosso pesce e strangolato dal demonio. Se questo giovane non fosse stato casto, certamente l’Angelo non l’avrebbe accompagnato e non gli avrebbe reso tanti servigi. Quanta gioia prova l’Angelo custode che è guida ad un’anima pura! Non vi ha virtù, per la conservazione della quale Dio faccia miracoli così numerosi come quelli che prodiga in favore di chi conosce il pregio della purità e si sforza di conservarla. Vedete ciò che fece per S. Cecilia. Nata a Roma da ricchissimi genitori, era assai istruita nella religione cristiana; docile all’ispirazione di Dio, consacrò a Lui la sua verginità. I genitori che nulla sapevano la promisero in isposa a Valeriano, figlio d’un senatore della città. Era, secondo il mondo, un buonissimo partito. Ella domandò ai genitori il tempo di pensarvi; e passò questo tempo nel digiuno, nella preghiera, nelle lagrime, per ottenere da Dio la grazia di non perdere il fiore di quella virtù che ella stimava più della vita. Dio le rispose di nulla temere, e di obbedire ai suoi genitori; poiché non solo non perderebbe questa virtù, ma convertirebbe colui che ella avrebbe sposato … Acconsentì adunque al matrimonio. Il giorno delle nozze, allorché Valeriano si presentò, gli disse: “Mio caro Valeriano, ho un segreto da comunicarvi. „ Quegli rispose: “Qual è questo segreto?„ — “Ho consacrata la mia verginità a Dio, e giammai uomo alcuno mi toccherà, perché io ho un Angelo che veglia alla custodia della mia purità, e se voi tentaste qualche cosa, egli vi colpirebbe di morte. „ Valeriano fu assai sorpreso di questo linguaggio perché, pagano, nulla comprendeva di tutto ciò. E soggiunse: “Fatemi vedere quest’Angelo, il quale vi custodisce. „ Replicò la santa: “Per ora voi non potete vederlo perché siete pagano. Andate, a mio nome, da Papa Urbano, e domandategli il battesimo; poi vedrete il mio Angelo. ,, Valeriano partì subito. Dopo essere stato battezzato dal Papa ritornò presso la sposa, ed entrando nella camera di lei, scorse l’Angelo che vegliava su S. Cecilia. Lo vide sì bello, sì raggiante di gloria che ne fu abbagliato e commosso. Non solo egli permise alla sua sposa di restare consacrata a Dio, ma egli pure fece voto di verginità… Essi ebbero ben presto, l’una e l’altro, la felicità di morire martiri (RIBADENEIRA, 22 Novembre). Vedete dunque, come Dio prende cura di chi ama questa incomparabile virtù e si adopera di conservarla? Leggiamo nella vita di S. Edmondo (RIBADENEIRA, 16 Nov. S. Edmondo era arcivescovo di Cantorbery), che essendo egli a studiare a Parigi, si trovò una volta con persone le quali tenevano discorsi osceni: egli le abbandonò subito. Questo atto fu così gradito a Dio, che gli apparve sotto la forma di un bel fanciullo e lo salutò con aria graziosissima, dicendogli che con soddisfazione l’aveva visto abbandonare i compagni che tenevano discorsi licenziosi; e per ricompensarnelo gli promise che starebbe sempre con lui. Di più, S. Edmondo ebbe la somma ventura di conservare la sua innocenza sino alla morte. Quando S. Lucia andò sulla tomba di S. Agata per domandare a Dio, per intercessione di lei, la guarigione della madre, santa Agata le apparve e le disse che ella da sola poteva ottenere ciò che domandava, perché colla sua purità aveva preparato nel cuore una dimora graditissima al suo Creatore (RIBADENEIRA, 5 Febbr.). Questo ci mostra che il buon Dio nulla può rifiutare a chi ha la somma ventura di conservare puri il corpo e l’anima… Ascoltate il racconto di ciò che accadde a S. Potamiena, che viveva nel tempo della persecuzione di Massimiano (RIBADENEIRA, 28 Giugno). Questa giovinetta era schiava di un padrone corrotto e libertino che non cessava di sollecitarla al male. Essa preferì soffrire ogni sorta di crudeltà e di supplizi piuttosto che acconsentire alle sollecitazioni dell’infame padrone. Questi vedendo che nulla poteva ottenere, infuriato la consegnò, quale Cristiana, nelle mani del governatore, al quale promise una grande ricompensa se riusciva a guadagnarla. Il giudice fece condurre la vergine davanti al suo tribunale, e vedendo che tutte le minacce non le facevano mutar decisione, le fece patire tutto ciò che la rabbia poté ispirargli. Ma Dio, che giammai abbandona chi a Lui si è consacrato, diede alla martire tanta forza che ella sembrava insensibile a tutti i tormenti. L’iniquo giudice non potendo vincere la sua resistenza, fece mettere su un ardentissimo fuoco una caldaia ripiena di pece e disse alla martire: “Guarda ciò che ti si prepara se non ubbidisci al tuo padrone. „ La santa giovinetta senza turbarsi rispose: “Io preferisco soffrire tutto quanto il vostro furore potrà ispirarvi, piuttosto che obbedire alla infame volontà del mio padrone; del resto io non avrei mai creduto che un giudice fosse così ingiusto da voler farmi obbedire ai capricci di un padrone corrotto. „ Il tiranno irritato da questa risposta, ordinò che fosse gettata nella caldaia. “Almeno comandate, gli disse essa, che io vi sia gettata vestita. Vedrete quale forza il Dio che noi adoriamo dà a chi soffre per Lui. „ Dopo tre ore di supplizio, Potamiena rese la bell’anima al suo Creatore, e così riportò la doppia palma del martirio e della verginità. Ahimè! F. M., quanto poco questa virtù è conosciuta nel mondo, quanto poco noi la stimiamo, quanto poco ci curiamo di conservarla, quanto poca premura abbiamo di domandarla a Dio, giacché non possiamo averla e conservarla da noi stessi. No, noi non conosciamo questa bella ed amabile virtù, che guadagna così facilmente il cuore di Dio, che dà così vivo splendore a tutte le nostre opere buone, che ci eleva al di sopra di noi stessi, che ci fa vivere sulla terra come gli Angeli in cielo!… No, F . M., essa non è conosciuta da quei vecchi infami impudici che si trascinano, si avvoltolano, si tuffano nel fango delle loro turpitudini, il cui cuore rassomiglia a quei… sull’alto delle montagne… arsi e divorati dai loro fuochi impuri. Ahimè! lungi dal cercare di estinguerlo, essi non cessano di alimentarlo e di accenderlo in se stessi coi loro sguardi, coi loro pensieri, coi desideri, colle azioni. In quale stato si troverà quell’anima quando comparirà davanti a un Dio, che è la stessa purità? No, F. M., questa bella virtù non è conosciuta da colui, le cui labbra sono come il canale, lo scolo, di cui l’inferno si serve per vomitare le sue impurità sulla terra; e che se ne nutrisce come di un pane quotidiano. Ahimè! Quella povera anima non è più che un orrore pel cielo e per la terra. No, F. M., non è conosciuta questa amabile virtù da quei giovani i cui occhi sono insozzati di sguardi innominabili, e le cui mani… O Dio, quante anime questo peccato trascina all’inferno… No, F. M., questa bella virtù non è conosciuta da quelle giovani mondane e corrotte che usano tante cure e precauzioni per attirare su di sé gli sguardi del mondo; che, coi loro abbigliamenti ricercati ed indecenti annunciano pubblicamente di essere infami strumenti, di cui l’inferno si serve per perdere le anime, quelle anime che a Gesù Cristo hanno costato tante fatiche, tante lacrime e tanti tormenti!… Guardatele, quelle disgraziate, e vedrete che mille demoni circondano la loro testa ed il loro petto. O mio Dio, come può la terra sopportare queste cooperatrici dell’inferno? E, cosa ancor più strabiliante, come possono le madri tollerarle in uno stato indegno di una Cristiana! So io non temessi di andar troppo lontano, direi a queste madri che esse non valgono di più delle loro figlie. Ahimè! quel cuore disgraziato e quegli occhi impuri non sono che una sorgente avvelenata, che dà la morte a chi le guarda o le ascolta. Come osano simili mostri presentarsi davanti ad un Dio santo e così nemico dell’impurità? Ahimè! la loro povera vita non è altro che un mucchio di untume, che esse accumulano per alimentare il fuoco dell’inferno per tutta l’eternità. Ma, F. M., abbandoniamo una materia così disgustosa e ributtante per un Cristiano, la cui purità deve imitare quella di Gesù Cristo stesso; e ritorniamo alla nostra bella virtù della purezza, che ci eleva fino al cielo, che ci apre il cuore adorabile di Gesù Cristo, ed attira su noi ogni sorta di benedizioni spirituali e temporali.

II. — Ho detto, F. M., che questa virtù ha un grande pregio agli occhi di Dio; aggiungo che essa non manca di nemici, i quali si sforzano di farcela perdere. Possiamo anzi dire che quasi tutto quanto ci circonda lavora a rubarcela. Il demonio è uno dei nostri più accaniti nemici. Siccome egli vive nella laidezza dei vizi impuri, sa che non vi è peccato che tanto oltraggi il buon Dio, e conosce quanto gli è gradita un’anima pura; così ci tende ogni sorta di insidie per toglierci questa virtù. D’altra parte, anche il mondo che cerca solo i suoi comodi ed i suoi piaceri, lavora anch’esso a farcela perdere pur fingendo sovente di mostrarci amicizia. Ma possiamo dire che il nostro più crudele e pericoloso nemico siamo noi stessi, cioè la nostra carne, che essendo già stata guastata e corrotta dal peccato di Adamo, ci porta con una specie di furore alla corruzione. Se noi non ci teniamo continuamente in guardia, essa ben presto ci abbrucerà e divorerà colle sue fiamme impure. — Ma, mi direte voi, giacché è così difficile conservare questa virtù, tanto preziosa agli occhi di Dio, che cosa bisogna dunque fare? — F. M., eccovi i mezzi. Il primo, è quello di vegliare attentamente sui nostri occhi, sui nostri pensieri, sulle parole, sulle azioni; il secondo, di ricorrere alla preghiera; il terzo, di frequentare spesso e degnamente i Sacramenti; il quarto, di fuggire tutto quanto può portarci al male; il quinto, di avere una grande devozione alla Ss. Vergine. Se noi facciamo ciò, malgrado tutti i nostri nemici, o malgrado la fragilità di questa virtù, possiamo essere sicuri di conservarla.

1° Dobbiamo anzitutto vegliare sui nostri sguardi; di ciò non vi ha dubbio, poiché noi vediamo che tanti sono caduti in peccato per un solo sguardo e non si sonoo più rialzati. Non permettetevi mai la menoma libertà senza una vera necessità. Soffrite qualche incomodo piuttosto che esporvi al peccato…

2° S. Giacomo ci dice che questa virtù viene dal cielo e che giammai l’avremo se non la domandiamo al buon Dio. Dobbiamo dunque spesso domandare a Dio di darci la purità degli occhi, delle parole, di tutte le nostre azioni.

3° In terzo luogo se vegliamo conservare questa bella virtù, dobbiamo spesso e degnamente frequentare i Sacramenti, senza di che, non avremo mai tale preziosa fortuna. Gesù Cristo non ha istituito il sacramento della Penitenza per rimettere solo i nostri peccati, ma anche per darci la forza di combattere il demonio; ciò che è facilissimo a comprendersi. Chi è colui che avendo fatto oggi una buona confessione potrà lasciarsi trascinare dalla tentazione? Il peccato, anche con tutte le sue seduzioni gli fa orrore. Chi è colui che essendosi comunicato da poco, potrà acconsentire, non dico ad un’azione impura, ma ad un solo cattivo pensiero? Ah! il divin Gesù, che ha stabilito la dimora nel suo cuore, gli fa troppo ben comprendere quanto questo peccato è infame, quanto gli dispiaccia e come l’allontani da Lui. Sì, F. M., un Cristiano che degnamente frequenta i Sacramenti può ben essere tentato; ma peccare è per lui un’altra cosa. Infatti, quando noi abbiamo la somma ventura di ricevere il Corpo adorabile di Gesù Cristo, non sentiamo dentro di noi estinguersi questo fuoco impuro? Quel Sangue adorabile che scorre nelle nostre vene, può forse fare a meno di purificare il nostro sangue? Quella Carne consacrata che si mescola colla nostra, in certo qual modo non la divinizza? Il nostro corpo non sembra ritornare nel primo stato, in cui era Adamo prima del peccato? Ah! Questo Sangue adorabile, che ha generato tanti vergini.. (Vinum germinans virgines. Zach. IX, 171). Stiamo ben certi, F. M., che, se non frequentiamo i Sacramenti cadremo ad ogni istante nel peccato. Dobbiamo altresì, per difenderci dal demonio, fuggire le persone che ci possono portare al male. Vedete ciò che fece il casto Giuseppe, tentato dalla moglie del suo padrone: le lasciò il mantello nelle mani, e fuggì per salvare la sua anima (Gen. XXXIX, 12) . I fratelli di S. Tommaso d’Aquino non potendo soffrire che egli si consacrasse a Dio, per impedirnelo, lo chiusero in un castello, e vi fecero venire una donna di cattiva vita per tentare di corromperlo. Vedendosi posto ad estremo cimento dalla spudoratezza di quella cattiva creatura, prese un tizzone in mano e la cacciò vergognosamente dalla sua camera. Avendo visto il pericolo al quale era stato esposto, pregò con tante lagrime che il buon Dio gli accordò il prezioso dono della continenza, cioè non fu mai più tentato contro questa bella virtù (RIBADENEIRA, 7 Marzo). – Vedete ciò che fece S. Girolamo per avere la fortuna di conservare la purezza; vedetelo nel suo deserto, abbandonarsi a tutti i rigori della penitenza, alle lagrime ed a macerazioni che fanno fremere (Vita dei Padri del deserto).

2. Questo gran santo ci racconta (S. Hieron, Vita S. Pauli, primi eremitæ.) la vittoria che riportò un giovane in un combattimento, forse unico nella storia, al tempo della persecuzione, che l’imperatore Decio scatenò contro i Cristiani. Il tiranno dopo aver sottoposto questo giovane a tutte le prove, che il demonio poté suggerirgli, pensò che se gli faceva perdere la purezza, allora più facilmente lo indurrebbe a rinunciare alla vera religione. Con questo intendimento comandò che il giovane fosse condotto in un giardino di delizie, in mezzo ai gigli ed alle rose, vicino ad un ruscello che scorreva con lieve mormorio e sotto alberi agitati da un leggero venticello. Là fu messo su di un letto di piume, vi fu legato con funicelle di seta e fu lasciato solo. Si fece poi venire una cortigiana vestita riccamente, ed anche il più indecentemente possibile. Essa cominciò a sollecitarlo con tutta la spudoratezza e tutte le lusinghe che la passione può ispirare. Il povero giovane, che avrebbe dato mille volte la vita piuttosto che macchiare la purezza della sua bell’anima, si vedeva senza difesa, poiché aveva mani e piedi legati. Non sapendo più come resistere agli attacchi del piacere, spinto dallo spirito di Dio, si taglia la lingua coi denti, e la sputa in faccia alla donna. Il che vedendo, questa si confuse talmente che fuggì. Questo fatto ci mostra che mai il buon Dio ci lascerà tentare al di sopra delle nostre forze. – Vedete ancora quanto fece S. Martiniano, che viveva nel IV secolo (Ribadeneira, 13 Febbr.). Dopo aver vissuto venticinque anni nel deserto, fu esposto ad un’occasione assai prossima di peccato. Di già aveva acconsentito col pensiero e colle parole. Ma il buon Dio venne in suo soccorso, e gli toccò il cuore. Concepì egli un così vivo pentimento che, rientrato nella cella, accese un gran fuoco e vi mise dentro i piedi. Il dolore che provava, ed il rimorso del suo peccato, gli facevano mandare grida dolorosissime. Zoe, quella cattiva donna che era venuta per tentarlo, accorse alle sue grida, e ne fu così commossa che, invece di pervertirlo, si convertì. Ella passò tutto il resto di sua vita nelle lacrime e nella penitenza. S. Martiniano restò sette mesi steso a terra e immobile, poiché i suoi piedi erano bruciati. Quando fu guarito si ritirò in un altro deserto, dove non fece che piangere per tutto il resto della sua vita, al ricordo del pericolo che aveva corso di perdere la sua anima. Ecco, F. M., ciò che facevano i Santi; ecco i tormenti che essi hanno patito piuttosto di perdere la purezza della loro anima. Ciò forse vi stupisce; ma dovreste piuttosto stupirvi del poco conto in cui avete questa bella ed incomparabile virtù. Ahimè! Questo deplorevole disprezzo di sì bella virtù dipende da ciò che non ne conosciamo il pregio! Finalmente dobbiamo avere una grande divozione alla Ss. Vergine, se vogliamo conservare sì bella virtù; di ciò non v’ha dubbio alcuno, poiché essa è la Regina, il modello, la protettrice dei vergini… S. Ambrogio chiama la S. Vergine la padrona della castità; S. Epifanio la chiama la principessa della castità, e S. Gregorio la regina della castità… Ecco un esempio che ci mostrerà la grande cura che prende la Ss. Vergine della castità di coloro che hanno confidenza in Lei, al punto che non sa mai nulla rifiutare di quanto essi le domandano. Un gentiluomo che aveva una grande devozione alla Ss. Vergine aveva fatto fare una piccola cappella in suo onore in una camera del castello che egli abitava. Nessuno sapeva dell’esistenza di questa cappella. Ogni notte, dopo alcuni momenti di sonno, e senza avvertire la moglie, si alzava, per andare dinanzi alla Ss. Vergine e restarvi sino al mattino… La sua moglie n’ebbe gran dispiacere perché credeva che uscisse per andar a trovare qualche donna di cattiva vita. Un giorno non potendo più resistere, gli disse che s’era accorta ch’egli le preferiva un’altra donna. Il marito, pensando alla Ss. Vergine, le rispose affermativamente. Ciò l’afflisse in modo tale, che non vedendo alcun cambiamento nella condotta del marito, si uccise. Il marito al ritorno dalla sua cappella, trovò la moglie immersa nel proprio sangue. Estremamente afflitto a quella vista, chiude a chiave la porta della camera, ritorna nella cappella della Ss. Vergine, e tutto piangente si prostra davanti alla sua immagine esclamando : “Voi vedete, Ss. Vergine, che mia moglie si è data la morte, perché io veniva di notte a tenervi compagnia ed a pregarvi. Nulla è per voi impossibile, giacché il vostro Figlio vi ha promesso che non vi negherà mai nulla. Vedete che la mia povera moglie è dannata; la lascerete voi tra le fiamme, giacché a causa della mia devozione per Voi nella sua disperazione ella si uccise? Vergine santa, rifugio degli afflitti, rendetele, per carità, la vita; mostrate che Voi volete far del bene a tutti. Io non uscirò di qui prima che mi abbiate ottenuto questa grazia dal vostro divin Figliuolo. Mentre era assorto nelle lagrime e nelle preghiere, una serva che andava in cerca di lui, lo chiamò, dicendo che la padrona lo desiderava. Le rispose: “Siete ben sicura che ella mi chiama? „ — “Udite la sua voce, „ replica la fantesca. Il giubilo del gentiluomo era sì grande che egli non poteva allontanarsi dalla S. Vergine. Finalmente si alzò piangendo di gioia e di riconoscenza. Ritrovò la moglie in piena salute; e delle ferite non le restavano che le cicatrici, affinché non perdesse mai il ricordo di un tal miracolo operato dalla protezione della Ss. Vergine. Vedendo essa entrare il marito l’abbracciò dicendo: “Ah! amico mio, vi ringrazio di aver avuto la carità di pregare per me. Io era nell’inferno e condannata a bruciare eternamente, perché mi ero data la morte. Ringraziamo dunque insieme la Vergine santa che mi ha strappato da un tale abisso. Ah! quanto si soffre in quel fuoco! chi potrà dirlo e soprattutto comprenderlo?„ Fu così riconoscente di questo prodigioso favore, che passò tutta la vita nelle lagrime, nella penitenza e non poteva raccontare la grazia che la Vergine le aveva ottenuto dal suo divin Figlio senza piangere a calde lagrime. Avrebbe voluto far sapere a tutti quanto la Ss. Vergine è potente per soccorrere coloro che in Lei confidano.  – M. F., se la Ss. Vergine ha il potere dì strappare le anime perfino dall’inferno, potremo dubitare che Ella non ci ottenga le grazie che le domanderemo; noi che siamo sulla terra, dove si esercitano la misericordia del Figlio e la compassione della Madre? Quando abbiamo qualche grazia da domandare al buon Dio, rivolgiamoci adunque con gran confidenza alla Ss. Vergine e saremo sicuri di essere esauditi. Vogliamo toglierci dal peccato, F. M.? andiamo a Maria: essa ci prenderà per mano e ei condurrà al suo Figliuolo per ricevere il perdono. Vogliamo perseverare nel bene? Indirizziamoci alla Madre di Dio; essa ci coprirà col manto della sua protezione, e tutto l’inferno nulla potrà contro di noi. Ne volete la prova? Eccola: leggiamo nella vita di S. Giustina, (RIBADENEIRA 26 SETT.) che avendo un giovane concepito un grande amore per essa, e vedendo che nulla poteva guadagnare colle sue premure, ricorse ad un certo Cipriano, che aveva relazioni con il demonio. Gli promise una somma di danaro se induceva Giustina ad acconsentire a quanto egli desiderava. Subito dopo la giovinetta si sentì fortemente tentata contro la santa virtù della purità; ma quando il demonio la sollecitava, subito ella ricorreva alla Ss. Vergine. Tosto il demonio fuggiva. Avendo il giovane domandato, perché  non poteva guadagnare la giovinetta, Cipriano si rivolse al demonio stesso e gli rimproverò il suo poco potere in quella circostanza, mentre in simili casi aveva sempre potuto coronare i suoi disegni. Il demonio gli rispose: “È vero, ma essa ricorre alla Madre di Dio; e da quando ella prega io perdo le mie forze e non posso più nulla. „ Cipriano stupito che una persona che ricorreva alla Ss. Vergine fosse così terribile a tutto l’inferno, si convertì e morì da santo dando la vita per Gesù Cristo. – Finisco, dicendo che se vogliamo conservare la purità d’animo e di corpo, ci occorre mortificare la nostra fantasia; e non lasciare mai che si aggiri nella nostra mente il pensiero di quegli oggetti che ci conducono al male, o procurare di non essere mai occasione di peccato agli altri, sia colle parole, sia col modo di vestirci, massime se trattasi di persone di altro sesso. Se noi ne vediamo alcuna indecentemente vestita, dobbiamo presto allontanarcene, e non fare come coloro che hanno occhi impudici, e vi si soffermano finché il demonio lo vuole. Bisogna mortificare le nostre orecchie; e non dilettarci mai di sentire parole o canzoni oscene. Ah! mio Dio, come mai avviene che padri e madri, padroni e padrone, che ascoltano nelle serate canzoni le più infami e vedono commettersi azioni che farebbero orrore agli stessi pagani, possano tollerarle senza dir nulla, sotto pretesto che sono fanciullaggini? Ah! disgraziati, il buon Dio vi aspetta al gran giorno delle vendette! Ahimè! Quanti peccati i vostri figli ed i vostri servi avranno commesso per causa vostra! Beati, ci dice Gesù Cristo, quelli che hanno il cuor puro, poiché vedranno Dio. „ Quanto sono felici coloro che hanno la somma ventura di possedere questa virtù! Non sono essi gli amici di Dio, i diletti degli Angeli, i figli prediletti della Ss. Vergine? Domandiamo spesso al buon Dio, F. M.. per l’intercessione di questa Ss. Madre di darci un’anima ed un cuore puro, un corpo casto; ed avremo la fortuna di piacere a Dio durante la nostra vita, e di andarlo a glorificare per tutta l’eternità: ciò che vi auguro…

IL SEGNO DELLA CROCE (1)

IL SEGNO DELLA CROCE AL SECOLO XIX

PER

Monsig. GAUME prot. apost.

TRADOTTO ED ANNOTATO DA. R. DE MARTINIS P. D. C. D. M.

In hoc signo vinces.

TORINO TIP. DELL’ORAT. DI S. FRANC. DI SALES – 1864.

INTRODUZIONE DEL TRADUTTORE

Mille fiori olezzanti profumo di puro cattolicismo, nascono nel seno della famiglia cristiana, e smaltano qua e là il terreno sociale: nobilissimi esempi d’individuale abnegazione, mostra l’individuo nel combattere le battaglie del Signore; ma fra questi smalti e sacrifizi, un fatto doloroso si attua, di che il solo pensiero dovrebbe far tremare i polsi. Questo fatto comincia ed agogna alla sua attuazione completa, e solo, chi ha interesse a nasconderlo, può dissimularlo: ma, se v’ha intelligenza che milita per la verità, ed un cuore tenero degl’interessi della umana famiglia, non può tenersi dal disvelarlo, e gridare ai contemporanei: La società torna al paganesimo! – I contemporanei a questo grido restano attoniti; ma ripensando poi si domandano: Possibile! A mezzo il secolo XIX tornare al paganesimo? Se lo si affermasse di altri tempi, lo si potrebbe ben credere: ma ai tempi nostri è incredibile. Gl’idoli ingombrano i nostri musei a ricordarci i tempi che furono, e ci eccitano a commiserazione per la umana intelligenza orba per manco di evangelico lume. Noi tornare agli idoli? l’è grossa esagerazione questa!  Ciascuno dissimula a sua posta il male che gli angoscia l’animo, e cerca con gl’impossibili immaginari, ritardare l’arrivo di quanto dispiacevolmente si avanza a furia. Così la società moderna, perché l’idolo di Moloc e di Baal, e le sfingi di Babilonia la muovono a riso per le sproporzionate ed orride forme, credesi sì ferma da non poter tornar con l’animo all’ossequio dell’idea e del principio, che rendeva tali mostri oggetto di profonda venerazione. La società è in inganno! Non è mestieri d’idoli manofatti per paganizzare la coscienza sociale. La società era pagana innanzi la mano dell’uomo formasse idoli per prestare ad essi divini onori. Il paganesimo è la negazione della incarnazione del Verbo e del soprannaturale; è circoscriversi nelle sole cerchia del naturale, è il predominio dell’errore sulla verità, del male sul bene, della carne sullo spirito, è il regno di satana. É paganesimo l’adorazione di tutto ciò che non è il vero Dio; l’adorare tutto sé stesso, o una parte di sé, un principio, una formola, che non è da Dio, e che a Lui non meni, è paganesimo: Omnis forma, vel formula idoium se dici potest. Jdolum tam fieri, quam coli Deus prohibet (Principale crimen generis humani, summus saeculi realus, tota causa iudicii Idololalria. Idolum aliquandiu retro non erat. Priusquam huiusmodi artifices ebullis-sent, sola tempia et vacuae aedes erant…. Taraen ido-lolatria agebalur, non isto nomine, sed in isto opere. Nam et hodie extra templum et sine idolo agi potest. Inde idololalria omnis circa omne idolum famulatus et ser-vilus dici potest. Igitur omnis forma vel formula idolum se dici potest. Idolum tam fieri quam colere Deus pro-liibet. Tertul. De Idol. c. I, II, III).

Se tale è il paganesimo nella sua essenza spogliato delle diverse forme esteriori di che l’uomo l’ha rivestito lungo il corso de’ secoli, come potrà negarsi che la società contemporanea corra al paganesimo, ed agogni pervenirvi? Di fatti, la società civile cristiana si distingue dalla cinese, dalla indiana, da qualunque altra pagana, da che nella coscienza pubblica sociale si è introdotto lo Dio de’ Cristiani come giudice del giusto e dell’ingiusto, introduzione fattavi dal Cristo, e continuata dal suo Vicario, tale essendo l’economia del vero Cristianesimo. Il perché se una società politica toglie a suo diritto pubblico principi che non mettono capo al Cristo redentore, e rivelatore della giustizia divina, tale società rigetta il principio cristiano sociale ed è già pagana. Che se vuole ritenerne soli alcuni pel suo torna a conto, rigettandone altri, fuorvia, s’incammina al rifiuto completo del principio cristiano, e per esso al paganesimo; poiché tutto il criterio della giustizia sociale cristiana dev’essere illuminato e santificato dalla dottrina del Cristo. Ora la società moderna è tutta nel negare il soprannaturale, come si rivela allo sguardo non clericale, ma protestante di chi pose pure la sua mano a farla qual è (Guizot l’Eglise e la Société Chrétienne ch. IV; Le surnaturel.). La negazione soprannaturale è la eresia contemporanea (Gaume Trait du S. Esprit chap. L L’Esprit du bien et l’Esprit du mal). La società ripudia il soprannaturale, adora sé stessa, e questa apostasia l’ha formolata dicendo: La società farà da sè, il soprannaturale è da esserne eliminato; la secolarizzazione assoluta, universale è la sua vita. Valedita la dottrina del Cristo, corre per un lume che la guidi, e lo ritrova nella propria scienza, della quale lasciamo ad altri accennare i caratteri.  – « Oltre la guerra diretta e dichiarata al » soprannaturale, un altro male attacca il cuore stesso della religione cristiana, il  paganesimo » (Guizot. l’Eglise e la société Chret. chap. IV.). Ecco frattanto dove siamo, e dove il vento del secolo vuol condurci. Non si tenta punto di ricondurci a questa o quella forma d’idolatria che hanno eretto in divinità gli eroi del genere umano, o le grandi facoltà dell’uomo, o le forze della natura; ma si vuole, che noi lasciamo il Dio della Bibbia e del Vangelo, il Dio primitivo, indipendente, personale, distinto ed autore dell’uomo e del mondo; ci si dimanda di accettare per completa religione un Dio astratto, ch’è altresì d’invenzione umana, poiché non è che l’uomo ed il mondo confuso e trasformato in Dio da una scienza che si crede profonda, e che vorrebbe non essere empia. In luogo del Cristianesimo vero, della sua storia e de’ suoi dogmi, le sue grandi soluzioni di nostra natura, ci si propone il panteismo, lo scetticismo, gl’imbarazzi della erudizione (Idem: cap. V; Le deux Dieux.) ». Ecco la scienza regolatrice della società: 1’ateismo scientifico! Epperò non è da meravigliare se studiando 1’organismo sociale si trovi il predominio della carne sullo spirito, del bene utile sull’onesto; che la finanza n’è la suprema legge di modo, che il sig. Havet, uno de’ panegiristi di Renan, non ha avuto difficoltà di annunziare alla intelligenza contemporanea, che la economia è già tale da divenire la religione della società contemporanea. La science économique est bien prète d’ètre tante la réligion d’auojurd’ hui. (la scienza economica è prossima ad esserela religione di oggi). – Che se delle singole parti della società volessimo discorrere, noi non le troveremmo meno pagane. Le divine ragioni nelle famiglie sono distrutte. La più sacra delle unioni è divenuta un contratto, che né il Dio del Sinai, né quello del Golgota hanno sancito, ma che un capriccio femmineo può sciogliere; quella vergine che qual candida colomba veniva tratta dalla casa paterna, potrà tornarvi cacciata dalla maritale dimora, per cedere ad altra, il rendere, per qualche tempo, felice un cuore! Si vuole rendere libera la donna alla pagana, sottraendola alle catene dell’amore cristiano di un solo uomo, per darle la libertà di essere di tutti. Bella libertà del matrimonio civile e del divorzio! E l’educazione? Non è questa pagana, non è l’emula della Stòa, dell’Accademia e del Peripato, anziché delle scuole di Clemente, Panteno, Cassiodoro? Queste aspirazioni sociali al paganesimo si rivelano in certe opere che tendono alla riabilitazione di satana, principe del mondo pagano. M. Renan, innanzi negasse la divinità di Cristo, impietositosi della sconfitta riportata da satana, lo chiama sventurato rivoluzionario! Uno de’ suoi maestri, Schelling in Alemagna, è andato più innanzi. Non solo ha fatto di satana una creatura ordinata, ma lo ha elevato alla natura divina, perché Cristo-Dio dovea avere un competitore degno di sè (N. Moëller. De l’état de la Philosophie en Allemagne, pag. 211, Satanalogie de Scelling.). Michelet, or sono trent’ anni, dall’alto della sua cattedra di filosofia della storia di Parigi, previde questa ascensione satanica, e nella Sorcière se n’è reso storiografo, narrandoci i trionfi di satana sul Cristo (Introduction i l’histoire unioerseile, pag. 10 et 40 edit. de Paris). Conformemente a questi principii, Quinet trova in satana il principio da riunire tutti i cuori (De Schamps Le Christ et les Antéchrist, vol. 2, pag. 43); e Prudhon vuole sostituirlo all’inconseguente riformatore, che fu crocifìsso (La Révolution au XIX siècle, pag. 290, 591). Tralasciamo le bestemmie di altri molti, le quali, se fossero fatto segno alla pubblica riprovazione, e, se le opere che le contengono venissero sepolte nella oscurità, accennerebbero solo alla esistenza di matti e blasfemi scrittori; ma il numero de’ lettori e degli encomiatori di esse è tale, da metterci in pensieri, e rivelarci le tendenze della società. Tanto più, che le simpatie per tali principi ricevono puntello e spiegazione da pratiche sì conformi a talune del paganesimo, che ad accennarle è mestieri usare delle voci, con che Tertulliano le nominava, di esse facendo rimprovero a’ pagani de’ tempi suoi. I nostri pretesi mediums, sarebbero designati da lui col nome di genii: Genii deputantur, quod dæmonum nomen est (Tertull. De anima, cap. XI); le nostre tavole parlanti e rotanti, multa miracula circulatoriis praestigiis ludunt et capræ et mensæ divinare consueverunt, il nostro sonnambulismo ed ipnotismo, somnia immittunt; il nostro spiritismo, phantasmata edunt, et iam defunctorum infamant animus (Idem: Apolog. cap. XXIII). Possiamo noi non affermare che la società contemporanea agogni tornare al paganesimo, e che verso di esso cammina? Qual forza umana potrà contrapporre una diga a questo torrente che cerca trasportare l’umanità? E come ostare a questo risuscitarsi del paganesimo? Quando il primitivo paganesimo fu da satana introdotto nel mondo, quanto di più santo era in esso, fu mezzo e simbolo della sua tirannica occupazione, e della sua vittoria. La vergine accolse la tentazione di esser rubelle: il legno venne fatto oggetto de’ suoi desideri, e la morte accorse a coprire di funereo velo l’uomo conquiso alla tirannide satanica. La vergine, il legno, e la morte furono il triplice trofeo del vincitore (S. Gioan. Gris. Homil. de coemeterio et cruce: Per quæ diabolus vicerat, per eadem Christus eumdetn devicit, et acceptis, quibus usus fuerat, armis eum dehellavit. Et quomudo? Audi, virgo, lignum, et mors cladis nostræ fuerunt symbola. Virgo erat Eva. Lignum erat arbor. Mors erat mulcta Adami. Attende vero, rursus virgo, et lignum et mors simbola extiterunt cladis, et victoriæ quidem symbola. Nam loco Evæ est Maria: loco ligni scientiæ boni et mali, lignum Crucis: loco mortis Adami mors Ghristi. Vides eum, per quem vicit, per eadem et victum esse). Ma la vergine, il legno e la morte doveano essere il trofeo della sua sconfitta! Percorriamo la storia della dominazione satanica prolungatosi dall’Eden al Golgota, e quivi di nuovo troveremo la vergine, il legno e la morte. Una nuova Vergine ascende il monte per schiacciare a pie dell’albero il capo all’insidiatore della vergine Eva, e cancellare in sé l’onta, che nella prima vergine avea bruttata la dilicata metà della specie umana. Il legno della scienza del male è abbattuto da quello della croce, per fulgore di luminoso insegnamento, non di fallibile umana ragione, ma di divina, rivelatrice e maestra di verità. La morte fu distrutta; il Cristo spirando sul legno, vivificò a novella vita il vecchio Adamo morto a pie dell’albero. Se la storia de’ trionfi di satana e delle sue sconfitte, e quella de’ mezzi e de’ simboli di esse, dev’essere nostra guida a conoscere la fine delle ovazioni, che satana cerca ottenere nella umanità lungo il corso de’ secoli; noi siamo condotti ad affermare provvidenziale l’opera del Gaume: Il segno della croce al secolo XIX! Questa non solo accenna allo stremarsi della ovazione, a che agogna satana col suscitare novello paganesimo, ma somministra altresì mezzo a portarne trionfo. La vergine difatti, il legno e la morte vedemmo al principio della dominazione satanica, ed allo spirare di essa. Ora in questa passeggiera forma del continuo sforzo di satana a riconquistare il perduto dominio, troviamo di nuovo il legno e la morte riunito alla vergine. La vittoria è nostra! La Vergine al presente si mostra sfolgorante di luce, ed in tutta l’espressione del suo potere a schiacciare l’antico serpente, perché il piede che lo preme è dommaticamente della Vergine Immacolata. Il secolo XIX s’è trasportato nell’Eden ed ha fatto della propria voce eco a quella di Dio, e per la bocca del Sommo Pontefice Pio IX, ha ripetuto L’inimicitias ponam inter te et mulierem; e satana sperimenterà Ypsa conteret caput tuum; e lo stesso agitarsi di lui accenna ad una forza, che lo contrista e combatte, contro cui cerca difendersi con nuovi inganni. Ma questi saranno vinti, che contro ad essi, di unita alla Vergine, si levano di nuovo il legno e la morte. Il chiarissimo scrittore del primo, narra le antiche e sempre nuove glorie, i continui trionfi, spiega il magistero di esso, lo rileva dall’oblio profondo in che l’hanno le menti cristiane, e questo griderà all’individuo, alla famiglia, alla società protestante, pagana che sia:

Figli della polvere, il segno della croce è un segno divino che ci nobilita; vi moriva il Figlio di Dio. Matth.. XXVII, 54.  

Ignoranti, la croce è un libro che c’istruisce; vi moriva la Sapienza di Dio. Ad Cor. I, c. I, 24.

Poveri, la croce è un tesoro che ci arricchisce; vi moriva il costituito Erede dell’universo. Ad Hebr. I, 2.

Soldati, la croce è un’arma che dissipa l’inimico; vi moriva il condottiero del popolo di Dio. Matth.II, 6.

Non ti sembra, lettore, sentire l’eco dell’in hoc signo vinces? E questo eco si rimuterà in grido di vittoria, poiché il legno abbatterà tutti i mezzi di che satana usa a risuscitare il paganesimo. Questo secolo che ha vergogna di avere la religione della croce nelle sue leggi e nelle sue instituzioni, dovrà apprendere che nella croce è la vera gloria. A questo secolo scienziato ed ammaestrato da’ mediums, i quali insegnano che, Mose ha coltivato, il Cristo ha seminato, e lo spiritismo raccoglierà, e che lo spiritismo viene a stabilire fra gli uomini il segno della carità e della solidarietà annunziata da Cristo (Alan Kardéc : Le Spiiiìitme à sa plus simple expression pag. 24); a questo secolo sarà ripetuto. « La croce è l’antico libro! » Questo secolo materialista, che tutto proporziona col lucro materiale, e che al peso dell’oro fa sottostare la forza de’ principii, dovrà sentire. « La povertà della croce è vera ricchezza! » Questo secolo, che con indifferenza ha intese le bestemmie del Renan, dovrà intendere la parola della croce che afferma: « Io sono un segno divino; dunque Cristo è Dio! » Questa parola scenderà nella coscienza sociale; la muoverà ad avere in onore la croce, produrrà in essa il culto d’invocazione, e la croce invocata è sconfitta di satana. E la vergine ed il legno continueranno per l’opera del chiarissimo autore, i loro trionfi! E la morte? La morte dell’Uomo-Dio distrusse i trionfi satanici e li rimutò in schiavitù; le ovazioni di esso devono essere rimutate in sconfitte dalla morte dell’uomo carnale. Queste sono riportate sui figli della diffidenza, che per ignavia e mal volere non seppero conservare la libertà del riscatto, e con le proprie mani raccolsero i lembi del lacerato chirografo e li deposero fra gli artigli di satana, come titoli di volontaria soggezione, amando meglio vivere di senso che di ragione, più di concupiscenza che di grazia. Questa grazia è da suscitare nell’uomo, e la concupiscenza da mortificare. Questa mortificata, satana non avrà più appiglio ed addentellato a continuare le sue passaggiere ovazioni, e, quella suscitata, l’uomo per essa fortificato, combatterà a vittoria l’avversario. L’uomo della carne è da mutare in quello dello spirito! Metamorfosi è questa, che solo l’abnegazione può operare, come quella, che sottomette il corruttibile senso alla immortale ragione, ed il giudizio del fallibile intelletto all’autorità della infallibile fede; ed eleva il cuore umano alla vita soprannaturale del giusto, per la speranza e la carità che ingenera. Lo spirito di abnegazione e di sacrifizio dell’umano individuo non potrà restar straniero alla famiglia, ma come germe nel seno della terra vi mette radici, ed attecchisce e produce l’abnegazione della famiglia. Questa, avendo l’animo usato alla morale fatica del sacrifizio, saprà sostenere tutta la lotta necessaria per immettere nella coscienza dell’individuo sociale l’abnega temetipsum della croce, e questo sorgerà ad opere salutari spogliate di naturalismo e sensismo, ed informate dallo spirito di abnegazione prodotte della convinzione, che la materia è da sottoporre allo spirito, la forza al diritto, l’individuo all’universale, la società a Dio. Satana è vinto da questa sua morte! Questa morte della società al senso, sarà prodotta dall’opera del Gaume. Dessa inspira all’umano individuo la venerazione per la croce, questa produce l’imitazione, e che v’ha da imitare nella croce se non l’abnegazione di se stesso, e la morte al senso? Abnega temetipsum è la parola della croce! L’opera di che discorriamo, ingenerando nella società il culto d’invocazione e d’imitazione della croce, dà dunque mezzo alla società da abbandonare il materialismo in che si avvilisce, e sorgere alla vita dello spirito per unirsi al legno ed alla Vergine, per distruggere le ovazioni che satana vuol riportare col moderno paganesimo! Noi deponiamo la penna. Diremo solo che questo sublime scopo dell’opera ci ha guidati nella traduzione, che raccomandiamo alla umanità del lettore. Delle parti dell’opera non parliamo, che già altrove ne abbiamo detto ( Scienza e Fede vol. XL1X, fasc. 203, pag. 367) . Per chi volesse sapere come Roma vegga l’opera che presentiamo al pubblico, trascriviamo una lettera che S. E. il Cardinale Altieri indirizzava all’autore.

Roma, il 7 agosto 1863.

Monsignor Illustrissimo,

Colla pubblicazione della vostra ammirabile opera sopra il segno della Croce, voi avete reso un nuovo e segnalato servizio a favore della Chiesa di Gesù Cristo. Infatti, voi avete fatto conoscere ai fedeli colla forma la più attraente, tutto ciò che manifestamente contiene, ciò che insegna, ciò che opera di sublime, di santo, di divino, e per conseguenza di grandemente utile alle anime, questa sacra formola tanto antica quanto la Chiesa stessa. L’augusto capo di questa stessa Chiesa il Sommo Pontefice, non poteva non raccogliere con gioia un’opera sì preziosa e si utile al popolo cristiano. Così non solamente egli ha esternato la sua viva soddisfazione allorché io ho deposto nelle sue sacrate mani l’esemplare che voi vi siete fatto premura di offrirgli per mezzo mio; egli ha voluto di più esaudire con bontà il desiderio che avete manifestato di vedere arricchita di un’indulgenza la pratica del segno della croce, affine di eccitare i fedeli a farne uso in difesa delle loro anime, senza rispetto umano, e sovente quanto sia possibile. Nel Breve qui unito vedrete quanto generoso si è mostrato il S. P. nel concedere una simile grazia e com’egli ne fa apprezzare il valore. Importa grandemente che questo favore del supremo dispensatore dei favori celesti accordato in prò della Chiesa militante, sia universalmente conosciuto nello stesso tempo che si estenderà e si apprezzerà di più in più il vostro eccellente libro. Nella traduzione italiana che ne fa molto a proposito, l’incomparabile Angelo d’Aquila, si troverà il Breve del quale si parla, e bisognerà anche inserirlo selle nuove edizioni che sicuramente non mancheranno di succedersi. Così sarà colmato il vuoto che voi avete notato nella Raccolta delle Indulgenze. – Cosi V. E. riceverà la degna ricompensa, e certamente la più stimata dal suo cuore, nel vedere aperto il tesoro «della Redenzione, per il bene delle anime che ancor vivono su questa terra, o che di già son discese nel purgatorio, per effetto dell’opera che voi avete composta collo scopo di attirare l’attenzione universale sul primo segno del culto che tutti devono rendere al principale strumento della Redenzione.

Gradite l’espressione della più sincera e della più alta stima colla quale io sono, Monsignor illustrissimo, vostro affettuosissimo servitore

L. Cardinale Altieri.

Noi facciamo voti che quest’opera sia sparsa nella società, e che questa cooperi solerte a compierne il voluto altissimo scopo di arginare lo spirito pagano, che cerca diffondersi fra i contemporanei. Facciamo altresì voto che le anime pie si studiino lucrare le indulgenze che il regnante S. P. ha annesse al segno della Croce, ed all’uopo ne trascriviamo il Breve.

P1US PP. IX.

AD PERPETUAM REI MEMORIAM.

Quum salutiferæ reparationis mysterium virtutemque divinam in Crucis Domini Nostri Jesu Chmti vacillo contineri perspectum haberent primi Ecclesiæ fideles, frequentissimo illo signo eosdemiisos fuisse vetustissimu et insignia monumenta declarant. Quin ab eodem signo quascumque acliones auspicabantur, et ad отпет progressum atque promolum, ad отпет adilum, et erilhin. ad lumina, ad cubilia, ad sedilia. quacumque nos conversalio exercet, frontem Crucis signáculo terimits, inquiebal Tertullianus. Haec nos perpendentes fidelium pietatem erga illud salutiferum redemptionis nostrae signnm codesta Indulgentiarum thesauros reserando iterum excitandam censuimus; quo pulchra veterum Christianorum exempla imitantes signo Crucis, quae tamquam tessera est Christiame militiæ frequentius et palam etiam ac publice se munire non erubescant. Quare de Omnipotentis Dei misericordia, ac BB. Petri et Pauli App. eins auctoritate confisi, omnibus el singulis uniusque sexus Christi fidelibus quoties saltem corde contrito, adjectaque Sanctissimæ Trinitatis invocatione Crucis forma se signaverint, toties quinquaginta dies de iniunctis eis seu alias quomodolibel delitis pœnìtentiis in forma Ecclesiæ consueta relaxamus; quas pœnitentiarum relaxationes etiam animabus Christi fìdelium, quæ Deo in charitate coniunctæ ab hac luce migraverint, per modum suffragii applicare possint, misericordiler in Domino concedimus.  In contrarium faciendis non obstantibus quibuscumque, praesentibus perpetua futuris temporibus valiturìs. Volumus autem, ut praesentium litterarum travsumptis seu exemplis etiam impressis, manti alicuius Notarii publid subscriptis, et sigillo personœ in ecclesiastica dignitate constitutæ mu-nitis eadem prorsus fide adhibeatur, quæ adhiberetur ipsis praesentibus, si forent exhibitæ vel ostensæ; utque earumdem exemplar ad Secretariam S. Congregationis Indulgentiarum, Sacrisene Reliquiis praepositæ deferatur, secus nidias esse cus volumus, iuxta Decretimi ab eadem S. Congregatione sub die XIX Januarii MDCCLVI latum, et a. s. m. Benedicto PP. XIV Prædecessore Nostro die XXVIII dicli mensis et anni adprobalum. Datum Romae apud S. Petrum sub annulo Piscatoria die XXVUÏ iulii MDCCCLXIII, Pontificatili nostri anno decimo octavo.

Præsentes lilteræ apostolicæ in forma Drevis sub die 28 Julii 1863 exhibilæ fuerunt in secretaria S. Congrégations indulgentiarum die 4 Augusti eiusdem anni ad formam decreti ipsius S. Congregationis die 14 Aprilis 1856.

In quorum fidem datum Romæ ex eadem secretaria die et anno ut supra.

A. Archiepiscoprts Priuzitalli substitutus. Pour copie conforme: J. Gaume – Protonotaire apostolique Vicaire general d’Aquila.

[PIO PAPA IX. A MEMORIA ETERNA.

Perfettamente certi che il salutare mistero della Redenzione e la virtù divina si contengono nel segno della Croce di nostro Signore Gesù Cristo, i fedeli della primitiva Chiesa facevano il più frequente uso di questo segno, come ce lo dimostrano i più antichi e più insigni monumenti. É anche con questo segno ch’eglino incominciavano ogni loro azione. Ad ogni movimento, (diceva Tertulliano) ed a ciascun passo, entrando e sortendo, accendendo i lumi, nel prendere il cibo, nel mettersi a sedere, qualunque cosa noi facciamo, ovunque noi andiamo, noi segniamo la nostra fronte col segno della croce. Considerando queste cose, Noi abbiamo creduto a proposito di risvegliare la pietà dei fedeli verso il segno salutare della nostra redenzione aprendo i tesori celesti delle indulgenze, affinché, imitando i belli esempi dei primi Cristiani, essi non arrossiscano di munirsi più frequentemente, ed apertamente, e pubblicamente del segno della croce, che è come lo stendardo della milizia cristiana. È questo il motivo per cui, confidando nella misericordia di Dio onnipotente e nell’autorità dei suoi santi Apostoli Pietro e Paolo, Noi accordiamo nella solita forma della Chiesa a tutti ed a ciascuno dei fedeli dell’uno e dell’altro sesso, ogni volta che almeno contriti di cuore, ed aggiungendovi l’invocazione della SS. Trinità, eglino faranno il segno della croce, cinquanta giorni d’indulgenza per le penitenze che loro saranno state imposte, o ch’eglino debbono fare per un’altra ragione qualunque; Noi accordiamo di più misericordiosamente nel Signore, che queste indulgenze possano essere applicate, per modo di suffragio, alle anime dei fedeli che hanno lasciata questa terra nella grazia di Dio. Nonostante qualunque cosa contraria le presenti debbono valere in perpetuo. Noi vogliamo inoltre che alle copie manoscritte od esemplari stampati delle presenti lettere, segnate da un pubblico notaio e munite del bollo d’una persona ecclesiastica costituita in dignità si presti assolutamente la stessa fede che si presterebbe a queste stesse presenti se fossero presentate o mostrate; ed anche che una copia di queste medesime lettere sia portata alla Secreteria della Sacra Congregazione delle Indulgenze e delle sante Reliquie, sotto pena di nullità, conforme al decreto della stessa Sacra Congregazione in data del 19 gennaio 1750, ed approvato dal nostro predecessore di santa memoria, il papa Benedetto XIV, il 28 dello stesso mese ed anno.

Dato a Roma, a S. Pietro, sotto l’anello del Pescatore, il 28 luglio 1863, l’anno decimottavo del Pontificato Nostro.

N. Cardinale Parracciani Clarelli.

Le presenti lettere apostoliche in forma di Breve, in data del 28 luglio 1863, sono state presentate alla Sacra Congregazione delle Indulgenze il 4 agosto dello stesso anno, conforme al decreto della stessa sacra Congregazione in data del 14 aprile 1856.

In fede del che, dato a Roma, alla stessa Segreteria, il giorno ed anno come sopra.

A. Arciv. Prinzivalli sostituito. ]

PREFAZIONE DELL’AUTORE

Nel mese di novembre di questo anno (1862) un giovane cattolico di alto legnaggio veniva dalla cattolica Alemagna a Parigi, per compiere i suoi studii nel collegio di Francia. Tenerissimo delle pie tradizioni della patria sua, usava segnarsi del segno della croce prima e dopo il pranzo. Siffatta usanza, sulle prime meravigliò i suoi compagni, ed in seguilo, per essa fu fatto segno alle beffe di loro. In una delle nostre visite ci domandava qual fosse il pender nostro sul conio del segno della croce in generale e della sua pratica di segnarsi prima e dopo il pranzo. Le seguenti lettere rispondono alle due questioni proposteci.

IL SEGNO DELLA CROCE (2)

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO IX – “QUÆ IN PATRIARCHATU” (2)

Continua la dura reprimenda del Santo Padre nei confronti del Patriarca ribelle …« Come avresti potuto ignorare – proprio tu che ricordi anche troppo spesso di essere stato disciplinatamente educato nella fede cattolica – che nessuno può essere legittimamente creato Vescovo contro il parere della Sede Apostolica? Che non è investito di nessun potere colui che la stessa Sede Apostolica ha dichiarato privo di qualunque giurisdizione? … » Questa ovvia sentenza è quella che viene disattesa allegramente da pseudo finti-vescovi delle sette scismatiche attuali facenti capo ai non-preti lefebvriani, agli ex-lefebvriani tesisti, e a tutti i pittoreschi sedevacantisti che ingannano, eludendo tutte le disposizioni canoniche della Chiesa Cattolica, senza Giurisdizione o missione alcuna, gli scellerati loro adepti che li seguono nei loro sacrileghi atti sacramentali o nel sacrificio della messa, rito invalido ed illecito, foriero di disgrazie spirituali senza numero che si paleseranno nell’altra vita, ove per loro ci sarà pianto e stridor di denti se si ostineranno fino alla fine. Quanti inganni ha escogitato il drago maledetto per trascinare con sé negli inferi illusi pseudo-cattolici che credono di partecipare a riti salvifici solo perché conservano una forma esteriore tradizionale, senza chiedersi se coloro che li officiano siano veri o falsi chierici e prelati regolarmente consacrati … ciechi e sordi guidati da ciechi e sordi, da ladri e da briganti, da lupi con apparenza di agnelli e da sciacalli avidi e crudeli. Piccolo sarà il gregge che il Signore troverà al suo ritorno, gregge che seguirà fino alla morte le disposizioni ed i canoni ecclesiastici fino al più infimo dettaglio, dimostrando una fede indomita e senza compromessi, così come il loro divin Maestro ci ha insegnato.

“Cercando, per quanto è 9possibile alla Nostra debolezza, di imitare la carità di Colui che agisce con pazienza, non volendo condannare a morte alcuno ma portare tutti sulla strada della penitenza, Ci asteniamo dall’attuare nei tuoi confronti le censure che ti sei attirato, finché non ti sia consegnata questa Nostra lettera, che consideriamo ultima, perentoria ammonizione. Noi confidiamo in Dio, Padre delle misericordie, affinché tu voglia ritornare in te, riconoscendo la malvagità dei tuoi atti, la futilità delle motivazioni con le quali hai voluto giustificarli, ed inoltre il gravissimo debito del quale sei tenuto a dar sollecita soddisfazione alla Chiesa di Dio; speriamo che tu non tardi a detestare e ad odiare tutto ciò che hai iniquamente compiuto.

“Conviene dimenticare tutto quello che hai fatto dopo la tua partenza da Roma, prima a Costantinopoli e poi nel tuo Patriarcato, fino alla dichiarazione della tua adesione e sottomissione ai decreti del Concilio Vaticano, resa il 29 luglio 1872. Infatti tu sai bene quel che hai portato a termine erroneamente in quell’arco di tempo e con quale Apostolica sollecitudine Noi siamo venuti in soccorso delle tue necessità spirituali. Noi speravamo che non Ci avresti procurato in futuro una causa di dolore ancora più grave. Dopo questo periodo, tu inviasti alla citata Nostra Congregazione una lettera datata 12 maggio 1873, nella quale chiedevi ti fosse concessa la facoltà di consacrare Vescovi in Malabaria. Poiché Noi non potevamo consentire a tale richiesta, per le ragioni che già molte volte ti avevamo illustrate, non molto dopo tu non hai esitato a superare i confini prestabiliti, avendo ricevuto e disatteso sia la Nostra lettera Apostolica che comincia “Cum ecclesiastica“, nella quale avevamo fissato le regole da seguire nella scelta dei Vescovi, sia le altre lettere con le quali più e più volte ti ordinavamo di non osare alcunché in Malabaria. Ma tu non hai avuto riguardo di dotare del carattere episcopale due sacerdoti e di affidare loro arbitrariamente le Diocesi, e di destinare a Malabar, contro le Nostre disposizioni, il Vescovo Elia Mello, che osa definirsi metropolita di quella regione.

“Non piangeremo mai abbastanza i mali che fecero immediatamente seguito a questi tuoi ardimenti, i danni che essi arrecarono alla stessa Chiesa cattolica sia in Malabaria sia in Mesopotamia, ed il grande disdoro che comportarono per la tua dignità e per la tua fede. Infatti la disciplina ecclesiastica è stata turbata dall’operato del predetto Vescovo Elia, che hai mandato a Malabar violando il Nostro comando, e al quale hai ordinato di restare colà nonostante fosse stato colpito da solenne scomunica da Noi disposta; agli ordini sacri sono stati promossi giovani inidonei e persino indegni; chiese cattoliche sono state strappate con l’inganno e talora con la violenza; con ingiurie e con calunnie sono stati aggrediti non soltanto i missionari Apostolici ma persino lo stesso Venerabile Fratello Leonardo, Arcivescovo di Nicomedia, che in quella regione esercita la Nostra potestà vicaria; ed un luttuoso scisma è stato introdotto ed alimentato. Da qui le discordie e le contese sviluppatesi fra i fedeli Malabarici, gli uni fermamente stretti al loro legittimo Presule, gli altri legati all’intruso Elia, il quale non cessò mai di mettere in campo qualunque subdola ed iniqua manovra per ingannare gli incauti e i semplici. Codesto figlio della perdizione s’azzardò non soltanto ad affermare pubblicamente che la Nostra lettera Apostolica Speculatores, inviata ai Malabarici il 1° agosto dell’anno scorso, era falsa; ma arrivò al punto d’inventarsi di sana pianta un Breve apostolico, al quale mise la data del 20 agosto 1872, e di promulgarlo pubblicamente e solennemente come Nostra lettera. In tale testo, codesto falsario di lettere Apostoliche dice calunniosamente che nel Concilio Ecumenico Vaticano si era trattato del tuo preteso diritto in Malabaria, e che esso era stato riconosciuto dai Padri ed approvato da Noi; non ha avuto paura di chiamare a suffragio di questa sua menzogna tanti testimoni quanti furono i Padri che presero parte al Concilio Ecumenico Vaticano. Così, tramite voi, con inganni di tal fatta vengono diffusi negli animi errore e confusione, e la verità viene corrotta in malizia; oscillano i fedeli, trascinati in diverse direzioni, ed alcuni di loro si trovano ad aderire all’usurpatore scismatico, ritenendo al contrario di essere in consonanza con la Cattedra Apostolica del Beatissimo Pietro.

“Se in verità analizziamo quanto è accaduto in Mesopotamia, riscontriamo con gran dolore che alle Diocesi sono preposti Vescovi che non hanno alcuna comunione con questa Cattedra del Beatissimo Pietro, da te scelti in maniera temeraria ed illegale, contro le disposizioni apostoliche, consacrati in modo sacrilego ed iniquamente insediati. Come avresti potuto ignorare – proprio tu che ricordi anche troppo spesso di essere stato disciplinatamente educato nella fede cattolica – che nessuno può essere legittimamente creato Vescovo contro il parere della Sede Apostolica? Che non è investito di nessun potere colui che la stessa Sede Apostolica ha dichiarato privo di qualunque giurisdizione? E forse ti sembrano poca cosa il sovvertimento dell’ordine ecclesiastico suscitato dalla tua opera, il turbamento dei fedeli, le lotte, lo spirito di emulazione, ed il gravissimo scandalo che è stato recato ai fedeli, e tuttora perdura, per la tua disobbedienza alle disposizioni Apostoliche? A causa di essa esultano gli infedeli e gli eretici; oscillano confusi coloro che sono deboli nella fede; si dolgono e piangono coloro che l’hanno più salda, e non vedono per quale ragione debbano restare sottomessi ad un Patriarca che spregia l’obbedienza dovuta al Pontefice Romano.

“Che tu stesso abbia capito queste cose e le tema è dimostrato con chiarezza dalle lettere con le quali hai voluto sollevare i Venerabili Fratelli Vescovi del tuo Patriarcato contro le Nostre stesse disposizioni e costituzioni, per trarli dalla tua parte. Questo confermano le dicerie calunniose sparse fra la gente contro i missionari apostolici e contro lo stesso Nostro Delegato, il Venerabile Fratello Ludovico, Arcivescovo di Damietta; lo conferma l’impegno che, come abbiamo saputo, tu hai profuso affinché i fedeli, ed il clero in particolare, non avessero rapporti con i Nostri missionari, né potessero far ricorso alle loro parole, al loro parere o al loro ministero, instillando anzi la paura che coloro che avessero avuto frequentazioni avrebbero ricevuto censure da te. Lo conferma infine l’inimicizia contro costoro suscitata nel potere civile, che si dice tu abbia invocato come presidio contro disposizioni e censure della Sede Apostolica, che senti di aver ampiamente meritate. A coronamento di tutto ciò, si aggiunse l’altra nefasta consacrazione dei Vescovi, uno dei quali tu destinasti alla diocesi di Zaku e l’altro a quella delle Indie; maggior scandalo per i fedeli derivò dal fatto che la cerimonia fu compiuta con il massimo apparato e la massima solennità, in spregio a questa Sede Apostolica.

“Questo, Venerabile Fratello, è ciò che è accaduto ed accade in Malabaria ed in Mesopotamia per tua iniziativa, per tacer del resto; di ciò siamo costretti dal Nostro ufficio a chiedere ragione a te, che ben più gravemente renderai conto all’eterno Principe dei pastori. Che tu non abbia avuto ripensamenti, e che anzi tu disprezzi tutto ciò, è espresso temerariamente dalla ricordata tua lettera alla Nostra Congregazione di Propaganda Fide, con la quale ti sforzi di dimostrare la tua innocenza, confermando la tua fiducia nel primato pontificio ma adducendo argomenti a sostegno dei tuoi pretesi diritti sulla scelta dei Vescovi e sulle regioni Malabariche.

“Invano, infatti, tu proclami nella tua lettera di riconoscere e di onorare il primato del Pontefice Romano, se poi non ti adegui in ogni comportamento a quanto sancì il Concilio Ecumenico Fiorentino e che il Concilio Ecumenico Vaticano ha esplicitato con maggior chiarezza e confermato. Non è certo atteggiamento cattolico ammettere un primato di giurisdizione costituito per diritto divino, per poi opporgli quelli che tu chiami diritti patriarcali, istituiti per disposizione ecclesiastica, dai quali il Pontefice Romano non potrebbe derogare per ragioni di causa, di tempo e di luogo; per un Vescovo cattolico è indegno riservarsi qualunque diritto o privilegio mediante il quale intenda sottrarsi al potere ed alla disposizione piena e legittima del Beato Pietro e dei suoi successori.

“In verità Noi abbiamo sempre ritenuto che la fede cattolica fosse in te pienamente integra, e che tu non avessi mai voluto dissentire dalla dottrina e dallo spirito di tutta la Chiesa. Perciò, quando – nella lettera della tua adesione ai decreti del Concilio Vaticano, che stilasti il 29 luglio 1872 – dichiarasti che volevi ti fossero riservati e conservati tutti i diritti ed i privilegi patriarcali, come tu li chiamavi, non potemmo ritenere che tu avessi voluto fissare un limite ovvero porre una condizione alla professione cattolica da te resa: né l’una né l’altra infatti avrebbero potuto conciliarsi con la verità e con l’unità cattolica. Poiché lo spirito del tuo discorso appariva troppo duro e ambiguo, Noi ritenemmo che fosse doverosamente da respingere, rispetto a quella dottrina integra che tu dichiaravi di voler proclamare; avrai potuto rendertene conto dalla lettera che, in occasione della tua citata adesione, ti inviammo il giorno 16 novembre 1872; in quel caso accogliesti la Nostra dichiarazione in essa espressa, e da ciò che Ci rispondesti per iscritto risultò che tu ti uniformavi ad essa integralmente e tranquillamente.

“Dopo questo, tuttavia, non ti trattenesti dal diffondere la tua rivendicazione tra i tuoi Vescovi, per sostenere i tuoi pretesi diritti. Se avessi mandato loro anche una copia della Nostra lettera citata, certamente essi avrebbero capito che Noi non avevamo approvato la tua riserva, e dalla stessa Nostra lettera avrebbero desunto l’autentica dottrina cattolica, da Noi riferita, in materia di privilegi dei Patriarchi; e avrebbero notato con ammirazione la Nostra benignità nei tuoi confronti; benignità che nella stessa lettera esprimemmo con motivazioni assolutamente eccezionali e con la massima dolcezza di linguaggio, proprio quando tu avevi bisogno dell’indulgenza e dell’assoluzione della Sede Apostolica, per tutto ciò che iniquamente avevi compiuto perturbando la Chiesa Orientale.

“Non possiamo inoltre nascondere che ha costituito grande tristezza per Noi e grave scandalo per i fedeli il fatto che – per giustificare la tua disubbidienza alla Nostra Costituzione Apostolica Cum ecclesiastica – tu abbia tentato di contrastarne il valore e l’efficacia asserendo che non era stata da te ricevuta; questo in verità avrebbe potuto accadere senza scapito per la fede, dato che la Costituzione in oggetto è da annoverarsi non fra quelle dogmatiche ma fra quelle meramente disciplinari. Ma in che modo mai può essere accettato, una volta ammesso il fondamento divino della Chiesa, che la forza e l’efficacia delle Costituzioni Apostoliche dipendano dall’accoglimento dei Vescovi o di chiunque altro? Non pensavi certo questo, tu, Venerabile Fratello, quando – chiedendo la conferma della tua elezione – nella tua lettera promettevi che saresti stato obbediente e soggetto a Noi per tutto il tempo futuro della tua vita e dimostravi questa soggezione con il tuo comportamento. Questo certo non pensarono i Patriarchi cattolici della Caldea che ti hanno preceduto. Questo infine non pensò certo il famoso Simone Sulaka, che ti vantavi di aver avuto come predecessore. Egli infatti professò con tanto vigore il primato della giurisdizione del Romano Pontefice da promettere che “egli avrebbe sempre ottemperato, come figlio dell’obbedienza, agli ordini, alle disposizioni, ai divieti e ai comandi del nuovo Papa Giulio III, dei suoi successori assurti canonicamente al ruolo di Pontefici Romani, e della Sede Apostolica“. Riteniamo che questa professione di fede sia conservata nei tuoi archivi, dato che fu inserita integralmente nella lettera Apostolica che lo stesso Giulio, Nostro Predecessore, inviò a Sulaka il 20 febbraio 1553 per confermargli l’elezione a Patriarca.

“Che dire poi del pretesto che accampi: il timore dei mali che dici potrebbero derivare a te ed ai tuoi dal potere civile, nel caso tu obbedissi alla Nostra citata Costituzione, portando l’esempio dei mali che toccarono al Venerabile Fratello Patriarca Armeno ed alle Chiese cattoliche dello stesso Rito? Ecco dove approdano anche i più solidi Presuli della Chiesa quando cominciano ad allontanarsi da questa Sede del Beatissimo Pietro Principe degli Apostoli dalla cui solidità trae linfa vitale ogni forza dei sacerdoti! I Santi Apostoli di Dio insegnarono che si deve obbedire ai Principi terreni e si devono pagar loro i tributi: nella Chiesa cattolica, che ha sempre rispettato e rispetta questa dottrina, è sempre stata disapprovata e condannata la ribellione contro i poteri legittimi. Non sarà però lecito venire meno al rispetto ed all’obbedienza che si debbono alle leggi divine ed ecclesiastiche, se per caso il potere civile abbia qualcosa contro di loro. Infatti Colui che disse di dare a Cesare quel ch’è di Cesare, ordinò anche di dare a Dio quel ch’è di Dio; e quando si trattò di difendere le disposizioni di Cristo nostro Signore, gli Apostoli si esposero intrepidamente davanti al potere civile: è necessario obbedire più a Dio che agli uomini. Se non è vano riportare alla mente e riflettere sui tanti esempi di santissimi uomini e di antichi martiri, che hanno subìto torture terribili dai poteri di questo mondo per non venir meno al rispetto della legge divina od ecclesiastica, guarda anche quel che accade alle Chiese Cattoliche, sia quelle orientali – soprattutto l’Armena – sia quelle occidentali, in particolare quella Tedesca e quella Elvetica. Colà i Vescovi, il clero ed anche i più eminenti fra i laici, pur conservando il pieno rispetto e la dovuto sudditanza ai legittimi poteri, non hanno paura delle loro minacce quando si deve rendere a Dio ciò che è di Dio; né, per paura di punizioni, tradiscono la verità o il loro dovere, o si allontanano dalla Sede Apostolica. Anzi, sopportano con animo sereno la sottrazione dei beni, il carcere, l’esilio, sapendo di avere assicurato la massima grazia e la mercede in cielo.

“Per difendere poi i tuoi pretesi diritti sulla Malabaria, tu sostieni che i fedeli di quella regione ti debbono essere sottoposti perché mantengono il rito caldeo e perché un tempo erano soggetti ai Patriarchi caldei. Non abbiamo intenzione di introdurci in dispute storiche, nelle quali ciascuno la pensa diversamente. Anche se le cose stessero come tu sostieni, non per questo raggiungeresti il tuo obiettivo. Anche se un Vescovo, di qualunque dignità ed ordine, ha ricevuto un tempo la giurisdizione su una regione, non per questo la regione dovrà essere soggetta in perpetuo al Vescovo di quella sede e non c’è alcun motivo per cui, con una decisione legittima e per legittima causa, non possa esser trasferita alla giurisdizione di un altro Vescovo. Molti esempi tratti dagli Annali della Chiesa e dagli Atti dei vecchi Concilii confermano questa tesi. Per la verità, i Nestoriani ed altri Patriarchi scismatici si sono arrogati abitualmente la giurisdizione ecumenica ed universale su tutti i fedeli del loro rito, in qualunque terra abitino; infranti i vincoli che li congiungevano a questa Sede Apostolica, essi non riconoscono alcun superiore. Ciò non è mai stato concesso ai Presuli cattolici, né autorizzato dai canoni legittimi, ne dalle Costituzioni pontificie.

“Inoltre hai sostenuto che la giurisdizione sul territorio di Malabar ti era stata promessa, affermando che a ciò si era formalmente obbligato nei tuoi confronti il Venerabile Fratello Zaccaria, Vescovo di Maronea, recentemente sottratto ai vivi. Egli, che pure Ci ha riferito molte cose di quelle che ha fatto costà, non ha mai scritto nulla alla Nostra Congregazione su una promessa di questo tipo; né Noi gli demmo mai alcuna facoltà di formularla. Comunque non apparirebbe valida alcuna ragione che avesse potuto indurlo a fare una tale promessa. Infatti non possiamo accettare che l’abbia fatta per ottenere la tua adesione alle Costituzioni del Concilio Vaticano, perché l’autorità del Concilio non aveva bisogno della tua adesione ed un simile modo di agire si sarebbe tradotto in onta non solo per la tua coscienza e la tua dignità, ma anche per la sua.

“Per dimostrare le concessioni della Sede Apostolica, tu presentasti una lettera, inviata il 28 aprile 1553 dal Nostro predecessore Giulio III di felice memoria, con la quale venivano concessi il sacro pallio ed alcune facoltà speciali al ricordato Sulaka, Patriarca del rito caldeo. Tu hai ordinato che nelle chiese venisse diffusa la traduzione araba – neppure molto fedele – di quella lettera, per contrapporre alle Nostre disposizioni e alle Nostre Costituzioni i decreti e le lettere dei Nostri Predecessori. I quali, tu dici, avrebbero confermato la giurisdizione dei Patriarchi caldei sulle regioni dell’India ed inoltre avrebbero concesso loro l’arbitrio di scegliere i Vescovi. Giulio III, come tu stesso sai, nella ricordata lettera concesse al Patriarca Sulaka la facoltà di confermare con la sua autorità patriarcale l’elezione di Vescovi ed Arcivescovi suoi sudditi, una volta che essa fosse avvenuta correttamente, secondo il rito e la prassi della Chiesa Romana, e di impartire ai Vescovi ed agli Arcivescovi così eletti, dopo che le loro elezioni fossero state ratificate, il potere della consacrazione, secondo il rito e la prassi predetti, dopo aver ricevuto da essi, nel nome del Pontefice Romano e della predetta Chiesa Romana, il solito giuramento della dovuta fedeltà. Perciò devi capire, come appare chiaro a chiunque legga quella lettera, che egli non vi ha sancito o fissato nulla che riguardi i luoghi in cui debba essere esteso il diritto patriarcale di Sulaka: l’impiego della potestà concessa era anzi espressamente vietato per quei luoghi nei quali i Presuli vengono designati dal Pontefice Romano. Perciò quella lettera non ti aiuta assolutamente ad estendere la tua giurisdizione oltre i confini nei quali è racchiusa attualmente; alle tue aspirazioni sulla Malabaria, dove i Presuli sono istituiti dal Pontefice Romano, contraddicono apertamente quei Cristiani che proprio per questo motivo, rigettata nel Sinodo Diamperitano del 1599 l’eresia Nestoriana, si sono aggregati alla Chiesa Cattolica. In quel Sinodo essi giurarono e promisero formalmente che non avrebbero mai riconosciuto alcun Vescovo, Arcivescovo, Prelato, Pastore o Governatore, se non quello che fosse direttamente nominato dalla Santa Sede Apostolica tramite il Papa Pontefice Romano. Ciò fu sancito e ribadito dall’autorità dei Nostri Predecessori Clemente VIII e Paolo V, ed è stato osservato fino ad oggi.

“In questa lettera monitoria, Venerabile Fratello, riconoscerai il segno della Nostra singolare longanimità e carità nei tuoi confronti; con essa Ci siamo impegnati con sollecitudine a mostrarti la debolezza dei sofismi nei quali ti sei invischiato ed a recuperarti a saggi consigli, nella speranza che, con l’aiuto della grazia di Dio, ascoltando una buona volta la Nostra voce, tu ti ravveda e ritragga dal pericolo di un imminente scisma te e le chiese di rito caldeo a te affidate. Perciò, con la Nostra autorità Apostolica, nel rispetto della santa obbedienza e sotto la minaccia del giudizio divino, ti ordiniamo esplicitamente, Venerabile Fratello, di richiamare al più presto dalla Malabaria il Vescovo Elia Mello e quanti altri vi siano, sacerdoti, monaci ed anche Vescovi del tuo rito; e di lasciare che quella regione, nella quale abbiamo già dichiarato e ripetiamo che non hai nessuna giurisdizione, sia governata dal suo legittimo Presule in pace e cattolica armonia.

“Ordiniamo inoltre che tu richiami dalle Diocesi alle quali li avevi arbitrariamente, sacrilegamente e inefficacemente preposti, i sacerdoti Elia e Matteo e gli altri che, contro la Nostra Costituzione, avevi recentemente elevato alla dignità episcopale. Quanto alle Diocesi del tuo Patriarcato che mancano di un legittimo pastore, affidane il governo e l’amministrazione ad altri sacerdoti del tuo rito che ne siano degni ed idonei, fintanto che alle stesse Diocesi non siano assegnati Vescovi legittimi, correttamente nominati. Se trascurerai di adempiere questa Nostra disposizione, Noi stessi Ci occuperemo di quelle Diocesi, come C’impone doverosamente il ruolo del Nostro Apostolato.

“Inoltre ti ammoniamo di evitare assolutamente l’abuso di punizioni ecclesiastiche, che abbiamo saputo esser state da te comminate e utilizzate spesso con arbitrio e senza giusta causa. Se infatti tu le irrogherai per ragioni non giuste ed adeguatamente gravi, non potremo esimerci dall’assolvere, con la Nostra autorità (come già altre volte Ci hai costretto a fare) quei fedeli che, colpiti da pene ingiuste, fanno ricorso a Noi. Vogliamo in definitiva che tu ti attenga assolutamente a tutto ciò che la Nostra Congregazione ti ha scritto nella lettera del 27 agosto dell’anno scorso.

“Confidiamo che tu eseguirai con scrupolo tutto ciò che ti abbiamo ordinato nel Signore; a questo scopo invochiamo per te la pienezza delle grazie divine. Se – ma speriamo di no! – trascurerai di obbedire a questa Nostra perentoria ammonizione e persisterai nella caparbietà, sappi che Noi seguiremo le orme dei Nostri Predecessori, che non tralasciarono, quando si rese necessario, di colpire con pene e censure ecclesiastiche gli antichi Patriarchi, nonostante in qualche caso fossero protetti dal patrocinio dei potenti; e li castigarono non soltanto con la pena della scomunica, ma anche della deposizione. Se sarà necessario, seppure con grande dolore Noi attueremo nei tuoi confronti questa stessa procedura, per non essere rimproverati dall’eterno Principe dei Pastori di aver tradito il Nostro ministero e di aver trascurato la fede e la salvezza di tante anime, trascinate ad un gravissimo punto nodale.

“Noi ti preghiamo, Venerabile Fratello, e ti scongiuriamo nel nome del Signore Nostro Gesù Cristo, affinché tu riconsideri seriamente di fronte a Dio la tua malvagia condotta, il grado della tua dignità, la tua età ed il gravissimo pericolo per la tua eterna salvezza; implorata con umili preghiere la luce divina, prendi dunque quelle decisioni che dimostrino nei fatti il tuo ossequio verso la Sede Apostolica, tante volte asserito a parole; quelle decisioni che allontanino da te la rovina nella quale, finché presti orecchio agli iniqui consiglieri, deploriamo che trascinerai te stesso ed il popolo che ti è stato affidato dalla Nostra autorità.

“Affinché la misericordia divina si sparga benignamente, a te Venerabile Fratello, insieme con i Vescovi, il clero, i monaci ed i fedeli che rimangono in comunione ed obbedienza con la Sede Apostolica, impartiamo con affetto la Benedizione Apostolica nel Signore.

“Dato a Roma, presso San Pietro, il 15 settembre 1875, anno trentesimo del Nostro Pontificato”.

19. La risposta a questa Nostra lettera tardò a lungo. Dapprima accettammo che il ritardo fosse dovuto ad una malattia, ma dopo che egli si era ripreso niente più poteva scusarlo. Nel frattempo i suoi comportamenti, che seguivamo con la massima attenzione, Ci fornivano una risposta più eloquente di una lettera. Infatti non furono richiamati dalla regione Malabarica coloro che vi erano stati inviati, e nemmeno dalle Diocesi i sacerdoti sconsideratamente investiti della dignità episcopale. Per di più, l’intruso nella diocesi di Amida ebbe l’ardire di promuovere agli ordini alcuni monaci, che poco dopo il Patriarca in persona non si peritò di avviare al sacerdozio. I sacerdoti che non volevano accettare questo malvagio comportamento furono vessati con minacce e punizioni; in alcuni casi furono fatti passare come perturbatori del popolo e ribelli al Patriarca; in altri puniti con l’aiuto del potere civile. Né possiamo fingere di ignorare la risposta che il Patriarca diede il 7 febbraio di quest’anno alla lettera inviatagli da alcuni Mauxiliesi. In essa dichiarava con estrema franchezza che non aveva mai rinunciato – né mai lo avrebbe fatto – ai suoi pretesi diritti; che questo era dimostrato dai suoi comportamenti, chiari, diceva, come il sole; che egli poteva valersi del ministero patriarcale, così come se n’erano valsi i suoi predecessori Patriarchi cattolici, mantenendosi come loro congiunto in fede e disciplina con il Sommo Pontefice; al qual proposito ordinava loro di non avere nessun dubbio e nessun sospetto. Questa esplicita dichiarazione fu resa ancor più inequivoca dalla lettera che gli stessi Mauxiliesi inviarono al Patriarca il 20 dello stesso mese di febbraio. Costoro, infatti, mentre lo ringraziavano e promettevano di trarre forza e coraggio dalla sua dichiarazione, affermavano di essere, allora ed in futuro, concordi fino alla morte con il Patriarca nel rifiutare la Costituzione Apostolica, nel proteggere i suoi diritti e nel proseguire l’invio di Vescovi in Malabaria.

20. Mentre tutto ciò poco alla volta veniva a galla, i fedeli si meravigliavano che quest’uomo, completamente immemore della propria dignità e così cambiato rispetto a colui che in altri tempi aveva dimostrato la propria fede e la propria obbedienza alla Sede Apostolica, avesse potuto procedere impunemente fino a quel punto; tanto che i Caldei, invasori della Malabaria, da ciò traevano argomento per difendere lo scisma che avevano introdotto colà e per negare impudentemente l’autenticità o la fondatezza della Lettera Apostolica con la quale avevamo comandato d’intervenire contro il Vescovo Mello e contro i suoi seguaci; si seppe che altri erano giunti ad un tal limite d’impudenza da negare che il Patriarca potesse essere da Noi scomunicato.

21. Si era dunque arrivati al punto in cui per Noi non sarebbe più stato lecito evitare di comminare le pene canoniche al Patriarca, che, più volte ammonito, aveva rifiutato di obbedire agli ordini e non si tratteneva dal rendere nota la sua disobbedienza con le azioni e con gli scritti. Frattanto, con data 19 marzo di questo anno, Ci giunse la sua risposta, così a lungo aspettata; da essa ricavammo la certezza, non senza grande dolore del Nostro animo, che la sua ostinazione era più che abbondantemente confermata. Che cosa infatti di più sciocco o di più ingiurioso avrebbe potuto escogitare che mettere in dubbio, come il Patriarca fa all’inizio della sua risposta, l’autenticità della Nostra lettera che gli era stata mandata secondo la prassi per il tramite del Nostro Delegato in Mesopotamia? Tutta la sua risposta consiste nel garantire più e più volte, con gran giro di parole e con adulazione, la propria fede cattolica e la propria obbedienza nei Nostri confronti. A quel punto egli cerca di tutelare e rivendicare i suoi interessi, sia in riferimento all’elezione dei Vescovi, sia per quanto riguarda la Malabaria, ripetendo una volta di più quei concetti che già tante volte Ci aveva scritto a questo proposito; fingendo tuttavia di non conoscere assolutamente le risposte che, per soddisfare compiutamente la giustizia, gli avevamo fatte avere nella Nostra lettera monitoria. Ripetendo sempre le stesse frasi, aggiunge anche molte lamentele contro i Missionari Apostolici, ai quali attribuisce – in modo tanto calunnioso quanto impudente – la causa dello scompiglio dei Caldei. Egli non si perita inoltre di scongiurarci affinché manifestiamo la Nostra approvazione al fatto che egli invii successivamente in Malabaria dei Vescovi di rito caldeo. Alla fine annuncia di avere in animo di convocare dopo l’inverno alcuni suoi Vescovi per renderli partecipi delle Nostre disposizioni, e decidere unanimemente con loro che cosa sia opportuno fare; ciò egli Ci farà sapere al più presto.

22. Voi vedete, Venerabili Fratelli e diletti Figli, quale risposta Noi possiamo dare a quest’ultima sua lettera, tenuto anche contro di quel che abbiamo detto nelle Nostre missive precedenti. La divina Sapienza (Sir 32,6) infatti ammonisce a non spendere parole dove esse non possono essere udite. Lo stesso Patriarca ricorda di aver dovuto molto subire per aver difeso e propagato la fede cattolica; per questo abbiamo usato con lui la massima pazienza. Ma va ricordato anche che colui che abbia osservato tutta la legge, ma si sia reso colpevole di una cosa, sarà considerato colpevole di tutto (Gc 2,10); e non chi avrà cominciato, ma chi sarà arrivato fino in fondo sarà salvato. Che cosa possiamo dire di quel che ha messo insieme contro i Missionari? Noi abbiamo accertato che essi si sono valsi dei loro diritti religiosamente; se risulta che essi abbiano compiuto qualcosa di malvagio, ne venga riferito a Noi, con un’esposizione diligente ed accurata di tutto lo svolgimento della vicenda; né certamente verremo meno all’obbligo di rendere giustizia a ciascuno. Non siamo disposti a prestare orecchio tollerante a vaghe accuse, soprattutto sapendo che i Missionari hanno affrontato le calunnie e l’invidia dei malevoli e per di più furono talora perseguitati con gravissime offese, non solo con la connivenza e la condiscendenza del Patriarca, ma persino per sua iniziativa.

23. Stando così le cose, è evidente che il Venerabile Fratello Patriarca Giuseppe, per quanto più volte ammonito, non soddisfece né volle soddisfare Noi e la Sede Apostolica. A che cosa serve, infatti, proclamare il dogma cattolico del primato del Beato Pietro e dei suoi successori, ed aver diffuso tante dichiarazioni di fede cattolica e di obbedienza verso la Sede Apostolica, quando le azioni in sé smentiscono apertamente le parole? Forse che non diventa persino meno scusabile la caparbietà, quanto più si riconosce il doveroso impegno dell’obbedienza? Forse che l’autorità della Sede Apostolica non si estende oltre ciò che è stato da Noi disposto, o basta avere comunione di fede con essa, senza obbligo d’obbedienza, perché si possa considerare salva la fede cattolica? Fino ad ora nei confronti del Patriarca Noi abbiamo agito con la massima mitezza e nei suoi confronti abbiamo usato una pazienza così grande, quale da Noi non si sarebbe dovuto aspettare. È tuttavia giusto che anche la pazienza e la longanimità abbiano una loro misura: per evitare, come spiega il Nostro Predecessore San Gregorio Magno , che la forza della punizione sia addolcita oltre misura da un eccessivo languore. Lo stesso Cristo Signore ci ha insegnato che colui che sarà stato ammonito inutilmente più e più volte e non avrà dato ascolto nemmeno alla Chiesa, dev’essere considerato come un pagano e un pubblicano. Perciò i Pontefici Romani, per l’autorità ricevuta da Dio sopra tutti, di qualunque ordine e dignità, per conservare l’integrità dell’unità e della Fede Cattolica, e per annullare l’arroganza dei ribelli, spesso hanno dovuto far ricorso alla scomunica degli stessi Patriarchi, deponendoli anche, quando si è reso necessario, come risulta più volte negli annali delle Chiese Orientali, e come voi non potete assolutamente ignorare.

24. È perciò necessario che Noi, sia pur mal volentieri e rattristati, teniamo lo stesso comportamento col predetto venerabile Fratello Giuseppe, affinché egli non si burli ulteriormente di questa Sede Apostolica e del popolo cristiano con le lusinghe delle parole; affinché non si trinceri dietro la comunione con Noi mentre invece è contro di Noi e trasgredisce le disposizioni dei Padri. Perciò abbiamo ritenuto di dover spedire questa lettera enciclica a Voi, Venerabili Fratelli, e a tutti e a ciascuno dei fedeli del vostro rito, affinché conosciate la realtà autentica delle cose e tutto ciò che fino ad ora il vostro Patriarca ha compiuto e sta compiendo e che è – come abbiamo detto sopra – contrario alle decisioni ed alle Costituzioni Nostre e di questa Sede Apostolica; e sappiate che tutto ciò viene da Noi rigettato e condannato. Perciò Voi non dovete – e nemmeno potete – obbedirgli in quei casi in cui sia accaduto o accada che egli disponga contro gli ordini Nostri e della Sede Apostolica. State attenti a non essere ingannati dalle false narrazioni e dalle dicerie calunniose che vengono messe in giro per invidia, specialmente su questioni rituali o – come dicono – nazionali. Si tratta infatti, Venerabili Fratelli e diletti Figli, dell’obbedienza che si deve prestare o negare alla Sede Apostolica; si tratta di riconoscerne la suprema potestà, anche nelle vostre Chiese, quanto meno per ciò che riguarda la fede, la verità e la disciplina; chi l’avrà negata è un eretico. Chi invece l’avrà riconosciuta, ma orgogliosamente rifiuti di obbedirle, è degno dell’anatema. Se qualcuno, ritenendo di giudicare diversamente lo stato delle cose, si allontanerà dalla retta via, si affretti a pentirsi. In verità, se tutti coloro che debbono averla useranno nei confronti del loro Patriarca sincera carità, essi tenteranno di riportarlo alla buona messe con ammonizioni, esortazioni, frequenti preghiere elevate a Dio, secondo ciò che il Signore avrà concesso a ciascuno. – Perché tutto ciò accada aspetteremo fino a quaranta giorni, pregando anche personalmente Dio fra i gemiti, affinché il cuore di colui non s’indurisca, ma oda alla fine la Nostra voce e ritorni a saggi consigli e con questa decisione procuri a sé ed alla sua gente la vera utilità ed il vero bene. Una volta trascorsi quaranta giorni dacché questa lettera sarà giunta nelle sue mani, se egli persevererà – Dio non voglia! – nella sua ribellione e nella sua disobbedienza, e non darà seguito nei fatti a tutto ciò che Noi gli abbiamo ordinato, saremo costretti a rendere operativa nei suoi confronti, senza ulteriore dilazione, la sentenza in forza della quale egli sarà completamente allontanato dalla comunione con Noi, cioè dalla comunione con la Chiesa cattolica, e, legato dal vincolo della scomunica maggiore, per ciò stesso sarà privato di ogni e qualunque giurisdizione spirituale nei confronti dei fedeli del suo Patriarcato.

25. Non potremmo impiegare verso di lui pazienza e commiserazione tanto grandi senza preoccuparci contemporaneamente con efficacia della salvezza delle anime, individuando fin d’ora che cosa sia necessario per garantire la loro incolumità e per strapparle dai gravissimi pericoli nei quali sono state trascinate, ed ogni giorno vengono spinte vieppiù, per la disobbedienza del Patriarca. Come possiamo infatti tollerare che i fedeli delle Diocesi di Iezira, Amida, Zaku siano stati affidati fino ad ora all’arbitrio di pseudopastori, dei quali è sacrilega la consacrazione, illegittima la missione, nulla la giurisdizione? Che tutti costoro tentino di raggirare i più ingenui, ingannare gl’incauti, spaventare i più dedoli ed allontanare tutti dal centro della comunione cattolica, anche se a parole ripetono espressamente il contrario? E mentre si gloriano di essere baluardo della potestà patriarcale e velame della propria malvagità, facciano di tutto per irretire le coscienze? Forse che non dovremmo privarli completamente di questo presidio e strappare dalla loro tirannia i fedeli delle Diocesi che furono loro affidate?

Perciò, su suggerimento dei Venerabili Fratelli Nostri Cardinali di Santa Romana Chiesa preposti agli affari del rito orientale con la Nostra autorità Apostolica sospendiamo il Venerabile Fratello Giuseppe Audu, Patriarca Babilonese dei Caldei, da ogni e qualsivoglia giurisdizione sulle ricordate Diocesi di Iezira, Amida e Zaku e su tutte le altre del suo rito che attualmente sono prive di un Pastore legittimo o che lo diverranno in futuro. Riserviamo a Noi ed a questa Sede Apostolica il loro governo e la loro amministrazione, fintanto che non siano assegnati loro regolarmente Vescovi legittimi.

26. Vogliamo e disponiamo che i Vescovi intrusi Matteo, Ciriaco ed Elia, che una consacrazione temeraria e sacrilega ha insignito del carattere episcopale, e che non hanno alcuna giurisdizione, si allontanino immediatamente dalle predette Diocesi e adempiano tutto ciò che abbiamo loro ordinato nella lettera della ricordata Nostra Congregazione. Se non avranno attuato tutto ciò nell’arco, come sopra, di quaranta giorni, e soprattutto se non si saranno allontanati dalle citate Diocesi e non ne avranno rimessa completamente e concretamente l’amministrazione malvagiamente usurpata, procederemo anche contro di loro con la sentenza di maggiore scomunica.

27. Quanto al Vescovo Tommaso Rokos, che nella seconda sacrilega consacrazione ha affiancato il Patriarca Giuseppe, svolgendo il ruolo dei Vescovi consacranti, per quanto reiteratamente ammonito, egli si presenta ancora ribelle; perciò puniremo anche lui con analoga pena di scomunica se entro il termine di quaranta giorni, da calcolare come sopra, non avrà riprovato per iscritto il suo delitto e tutto ciò che il Patriarca ha illegittimamente commesso contro le Nostre Costituzioni e disposizioni.

28. Noi stessi Ci occuperemo del governo delle Diocesi che mancano di un legittimo Pastore, affidandone l’amministrazione ad idonei Sacerdoti del medesimo rito Caldeo, con le opportune e necessarie facoltà per dirigerle, indipendentemente non solo dagli pseudovescovi intrusi, che non hanno né possono avere alcuna autorità, ma anche dallo stesso Patriarca, al quale, con questa Nostra lettera, viene sottratta qualunque giurisdizione su quelle diocesi.

29. In verità, poiché non ignoriamo che il Patriarca si era accanito con censure e pene ecclesiastiche contro quei sacerdoti, chierici e fors’anche altri fedeli, che avevano rifiutato di concordare con i suoi malvagi disegni, facciamo presente che Noi avevamo già concesso una speciale facoltà al Venerabile Fratello Ludovico, Arcivescovo di Damietta, Nostro Delegato in Mesopotamia, per esaminare la forza e la fondatezza di queste censure e pene che, in quanto comminate dal legittimo Pastore, nessuno può rigettare; e di sollevarne coloro che avrà giudicato essere stati ingiustamente condannati nel Signore. Noi confermiamo questo potere speciale e straordinario al medesimo Delegato Apostolico, finché lo stesso Patriarca non avrà dato piena e totale soddisfazione a Noi ed a questa Sede Apostolica, o la stessa facoltà non gli sia revocata in altro modo.

30. Mentre adempiamo, con queste scelte necessarie, il gravissimo incarico del Nostro Apostolato, non dubitiamo, Venerabili Fratelli, che Voi ottempererete al vostro dovere, sia verso i fedeli a Voi affidati, sia verso la Sede Apostolica, con diligenza tanto maggiore quanto più difficili sono le circostanze che Ci tormentano. Vi rattristerete probabilmente e sopporterete amaramente che il vostro Patriarca sia stato pesantemente punito e che ancor più pesantemente lo sarà in futuro. Ci rattristiamo anche Noi, che lo abbiamo sempre amato e che, per quanto riluttante e disobbediente, non lo abbiamo mai privato della Nostra carità, e vi chiamiamo a testimoni di quanta carità, pazienza e longanimità abbiamo usato con lui. Al punto però in cui il Patriarca rifiuta pervicacemente di obbedire alle Nostre disposizioni ed ai Nostri comandi, ed offre agli altri un esempio di disobbedienza, non Ci è più lecito continuare ad essere pazienti e trattenerci ancora dal comminargli le pene meritate. Infatti temiamo e tremiamo di fronte alla condanna che il sacerdote Heli meritò di ricevere per aver castigato negligentemente i suoi figli, mentre sarebbe stato necessario espellerli dalla porta del tempio dato che perseveravano nella nequizia, dopo esser stati ammoniti una prima e una seconda volta . Da ciò discese che gli stessi figli furono uccisi in un sol giorno, trentamila popolani vennero ammazzati, l’arca del testamento fu catturata e lo stesso sacerdote, cadendo all’indietro, morì miseramente con la testa spaccata. Intanto Voi agite presso il vostro Patriarca con la stessa Nostra carità, dandovi da fare affinché il periodo che gli abbiamo concesso per pentirsi non abbia a trascorrere invano e senza esito. Stategli vicino, affinché non sporchi con questa macchia la sua età avanzata e la sua elevatissima dignità, cosicché colui che un tempo si adoperò per la tutela e la crescita della Fede cattolica, colui che un tempo fu obbediente e devoto a Noi ed a questa Sede Apostolica, non debba essere riprovato dalla stessa Sede Apostolica e privato a buon diritto di quel potere che da Lei aveva ricevuto.

Conviene che teniate tutto questo come vostro modello, Sacerdoti, Monaci e quanti siete chiamati al servizio di Dio; che educhiate il vostro popolo alla rettitudine contemporaneamente con le parole e con l’esempio, affinché non accada che, ingannato con malvagie dottrine e falsi discorsi, esso sia allontanato, inconsapevole o controvoglia, dalla solidissima pietra sulla quale Cristo Dio ha edificato la Sua Chiesa.

31. Infine esortiamo Voi, genti tutte del Rito Caldeo, ad invocare con fervide preghiere presso Dio e l’eterno Principe dei Pastori Cristo Gesù, con l’intercessione della Beatissima Maria, Madre di Dio, la luce e la potenza della grazia per il vostro Patriarca e per gli altri che hanno miseramente sbagliato; ed in auspicio del sostegno celeste, ed in pegno del Nostro affetto impartiamo amorevolmente la Benedizione Apostolica a Voi, Venerabili Fratelli e Diletti Figli, che rimanete in comunione ed obbedienza con la Sede Apostolica.

Dato a Roma, presso San Pietro, il primo settembre 1876, anno trentunesimo del Nostro Pontificato.

DOMENICA XX DOPO PENTECOSTE (2021)

DOMENICA XX DOPO PENTECOSTE (2021)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. – Paramenti verdi.

Le lezioni dell’Ufficio divino in questo tempo sono spesso ricavate dai libri dei Maccabei. Dopo la cattività di Babilonia, il popolo era ritornato a Gerusalemme e vi aveva ricostruito il Tempio. Ma lo stesso popolo ben presto fu di nuovo punito da Dio perché  gli era stato nuovamente infedele: Antioco Epifane s’impadronì di Gerusalemme e saccheggiò il Tempio, quindi pubblicò un editto che proibiva in ogni luogo la professione della religione giudaica. Furono allora da per tutto eretti altari agli idoli e il numero degli apostati crebbe in guisa che sembrò che la fede di Abramo, Mosè e Israele dovesse scomparire. Dio suscitò allora degli eroi: un sacerdote, chiamato Mathathia raccolse tutti coloro che erano ancora animati da zelo per la legge e per il culto dell’Alleanza e designò suo figlio Giuda Maccabeo come capo della milizia, che suscitò per rivendicare i diritti del vero Dio. E Giuda col suo piccolo esercito combatté con gioia i combattimenti di Israele. Nella battaglia era simile ad un giovane leone, che ruggisce sulla sua preda. Sterminò tutti gli infedeli, mise in fuga il grande esercito di Antioco e ristabilì il culto a Gerusalemme. Animati dallo spirito divino i Maccabei riconquistarono il loro paese e salvarono l’anima del loro popolo. « Le sacrileghe superstizioni della Gentilità, disse S. Agostino, avevano insozzato il tempio stesso; ma questo fu purificato da tutte le profanazioni dell’idolatria dal valoroso capitano, Giuda Maccabeo, vincitore dei generali di Antioco » (2a Domenica di ottobre, 2° Notturno). – « Alcuni, commenta S. Ambrogio, sono accesi dal desiderio della gloria delle armi e mettono sopra ogni cosa il valore guerresco. Quale non fu mai la prodezza di Giosuè, che in una sola battaglia fece prigionieri cinque re! Gedeone con trecento uomini trionfò di un esercito numeroso; Gionata, ancora adolescente, si distinse per fatti d’arme gloriosi. Che dire dei Maccabei? Con tremila Ebrei vinsero quarantottomila Assiri. Apprezzate il valore di capitano quale Giuda Maccabeo da ciò che fece uno dei suoi soldati: Eleazaro aveva osservato un elefante più grande degli altri e coperto della gualdrappa regale, ne dedusse dover essere quello che portava il re. Corse dunque con tutte le forze precipitandosi in mezzo alla legione e sbarazzatosi anche dello scudo, si slanciò avanti combattendo e colpendo a destra e sinistra, finché ebbe raggiunto l’elefante; passando allora sotto a questo, lo trafisse con la sua spada. L’animale cadde dunque sopra Eleazaro che perì sotto il suo peso. Coperto più ancora che schiacciato dalla mole del corpo atterrato, fu seppellito nel suo trionfo » (la Domenica di ottobre, 2° Notturno). – Per stabilire un parallelo fra il Breviario e il Messale di questo giorno, possiamo osservare che, come i Maccabei, che erano guerrieri, si rivolsero a Dio per ottenere che la loro razza non perisse, ma che conservasse la sua religione e la sua fede nel Messia (e furono esauditi), così pure nel Vangelo è un ufficiale del re, che si rivolge a Cristo perché il suo figliuolo non muoia; egli con tutta la sua famiglia credette in Gesù, quando vide il miracolo compiuto in favore di suo figlio. Constatiamo inoltre che i Maccabei opponendosi agli uomini insensati che li circondavano, cercarono presso Dio luce e forza per conoscere la sua volontà in circostanze difficili (5° responsorio, Dom. 1° respons. del Lunedì) ed esauditi nel nome di Cristo che doveva nascere dalla loro stirpe, resero in seguito azioni di grazie nel Tempio, « benedicendo il Signore con inni e con lodi » (2° responsorio del Lunedì). – Cosi pure S. Paolo, nell’Epistola, parla di uomini saggi che, in tempi cattivi, cercano di conoscere la volontà di Dio e che, liberati dalla morte (v. 14 di questa Epistola) per la misericordia dell’Altissimo, gli rendono grazie in nome di Gesù Cristo, cantando inni e cantici. Tutti i canti della Messa esprimono anch’essi sentimenti simili in tutto a quelli dei Maccabei. « Signore, dice il 5° responsorio, i nostri occhi sono rivolti a te, affinché non abbiamo a perire » e il Graduale: « Tutti gli occhi si alzano con fede verso di te, o Signore ». il Salmo aggiunge: « Egli esaudirà le preghiere di coloro che lo temono, li salverà e perderà tutti i peccatori ». – « O Dio, canterò i tuoi gloriosi trionfi », dichiara l’Alleluia, e termina con queste parole: « Con Dio compiremo atti di coraggio ed Egli annienterà i nostri nemici ». L’Offertorio è un cantico di ringraziamento dopo la liberazione dalla cattività di Babilonia e la riedificazione di Gerusalemme e del suo Tempio. (Ciò che si rinnovò sotto i Maccabei). Il Salmo del Communio, che è il medesimo di quello del Versetto dell’Introito, ci mostra come Iddio benedica coloro che lo servono e venga loro in aiuto nelle afflizioni. L’Introito, finalmente, dopo aver riconosciuto che i castighi piombati sul popolo eletto sono dovuti alla sua infedeltà, domanda a Dio di glorificare il suo Nome, mostrando ai suoi la sua grande misericordia. – Facciamo nostri tutti questi pensieri. Riconoscendo che le nostre disgrazie hanno per origine la nostra infedeltà, uniformiamoci alla volontà divina (Intr.) domandiamo a Dio di lasciarsi commuovere, di perdonarci e di guarirci (Vangelo), affinché la sua Chiesa possa servirlo nella pace (Orazione). Poi, pieni di speranza nel soccorso divino e pieni di fede in Gesù Cristo riempiamoci dello Spirito Santo, che deve occupare tutta la nostra attenzione in questo tempo dopo la Pentecoste e nel Nome del Signore Gesù cantiamo tutti insieme nei nostri templi alla gloria di Dio, che ci ha liberati dalla morte e che nei giorni difficili della fine del mondo (Epistola) libererà tutti coloro che hanno fede in Lui (Vangelo).

« Sorgi d’infra i morti, dice S. Paolo, e Cristo ti illuminerà » (v.14). Salvati dalla morte per opera dì Cristo, non prendiamo più parte alcuna alle opere delle tenebre (v. 11), ma viviamo come figli della luce (v. 8). Approfittiamo del tempo che ci è stato dato per fare la volontà di Dio. Non conosciamo altra ebbrezza che quella dello Spirito Santo e, uniti gli uni agli altri nell’amore di Gesù, rendiamo grazie al Padre, che ci ha liberati per mezzo del Figlio suo e che ci libererà nell’ultimo giorno ».

Gesù salvò dalla morte il figlio dell’ufficiale, per dare la vita della fede a lui ed a tutta la sua famiglia. Questo miracolo deve cooperare ad aumentare la nostra fede in Gesù, per opera del quale Dio ci ha liberati dalla febbre del peccato e dalla morte eterna, che ne è la conseguenza. « Quegli che chiedeva la guarigione del figlio, dice S. Gregorio, senza dubbio credeva, poiché era venuto a cercare Gesù, ma la sua fede era difettosa ed egli chiedeva la presenza corporale del Signore, che con la sua presenza spirituale si trova dappertutto. Se la sua fede fosse stata perfetta, avrebbe senza dubbio saputo, che non esiste luogo ove Dio non risieda; egli crede bensì che colui al quale si rivolge abbia il potere di guarire, ma non pensa che sia invisibilmente vicino al figlio che sta per morire. Ma il Signore, che egli supplica di venire, gli prova che è già presente là dove egli gli chiedeva di andare; e Colui che ha creato tutte le cose, rende la salute a questo malato col semplice suo comando. (Mattutino).

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Dan III: 31; 31:29; 31:35
Omnia, quæ fecísti nobis, Dómine, in vero judício fecísti, quia peccávimus tibi et mandátis tuis non obœdívimus: sed da glóriam nómini tuo, et fac nobíscum secúndum multitúdinem misericórdiæ tuæ.

[In  tutto quello che ci hai fatto, o Signore, hai agito con vera giustizia, perché noi peccammo contro di Te e non obbedimmo ai tuoi comandamenti: ma Tu dà gloria al tuo nome e fai a noi secondo l’immensità della tua misericordia.]


Ps CXVIII: 1
Beáti immaculáti in via: qui ámbulant in lege Dómini.

[Beati gli uomini di condotta íntegra: che procedono secondo la legge del Signore.]

Omnia, quæ fecísti nobis, Dómine, in vero judício fecísti, quia peccávimus tibi et mandátis tuis non oboedívimus: sed da glóriam nómini tuo, et fac nobíscum secúndum multitúdinem misericórdiæ tuæ.

[In  tutto quello che ci hai fatto, o Signore, hai agito con vera giustizia, perché noi peccammo contro di Te e non obbedimmo ai tuoi comandamenti: ma Tu dà gloria al tuo nome e fai a noi secondo l’immensità della tua misericordia.]

Oratio

Orémus.
Largíre, quǽsumus, Dómine, fidélibus tuis indulgéntiam placátus et pacem: ut páriter ab ómnibus mundéntur offénsis, et secúra tibi mente desérviant.
[Largisci placato, Te ne preghiamo, o Signore, il perdono e la pace ai tuoi fedeli: affinché siano mondati da tutti i peccati e Ti servano con tranquilla coscienza.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Ephésios
Ephes 5: 15-21

 Fratres: Vidéte, quómodo caute ambulétis: non quasi insipiéntes, sed ut sapiéntes, rediméntes tempus, quóniam dies mali sunt. Proptérea nolíte fíeri imprudéntes, sed intellegéntes, quae sit volúntas Dei. Et nolíte inebriári vino, in quo est luxúria: sed implémini Spíritu Sancto, loquéntes vobismetípsis in psalmis et hymnis et cánticis spirituálibus, cantántes et psalléntes in córdibus vestris Dómino: grátias agéntes semper pro ómnibus, in nómine Dómini nostri Jesu Christi, Deo et Patri. Subjecti ínvicem in timóre Christi.

(“Fratelli: Badate di camminare con circospezione, non da stolti, ma da prudenti, utilizzando il tempo, perché i giorni sono tristi. Perciò non siate sconsiderati, ma riflettete bene qual è la volontà di Dio. E non vogliate inebriarvi di vino, sorgente di dissolutezza, ma siate ripieni di Spirito Santo. Trattenetevi insieme con salmi e inni e cantici spirituali, cantando e salmeggiando coi vostri cuori, al Signore, ringraziando sempre d’ogni cosa Dio e Padre nel nome del Signor nostro Gesù Cristo. Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo.).”

IL CONTAGOCCE DELLA VITA.

Se fossi un poeta seicentista o un predicatore, anche solo un predicatore di quel secolo stravagante, definirei il tempo: «il contagocce della vita», perché la vita ci è proprio data così goccia a goccia, minuto per minuto, scorre la vita e si compone di istanti. Potremmo anche dire che il tempo è la misura della vita. Perciò noi con la vita stessa lo identifichiamo. Fare buon uso del tempo è la misura della vita. La saggezza cristiana San Paolo la fa consistere nel buon uso del tempo, come nel rovescio, cioè nello sciupìo del tempo consiste la incoscienza, la leggerezza pagana. Del tempo, ossia della vita, di tutte le sacre energie che la costituiscono ora per ora, noi possiamo fare tre usi: possiamo usarne male, cioè per fare il male. Il mondo non adopera questa parola, la copre, la maschera. Dice: per divertirci, per distrarci. Chiamano anche questo: godere la vita. Il paganesimo pretende sia questo l’uso vero, saggio della vita. Quelli che sfrenatamente, bassamente, non ne godono come egli fa e insegna a fare, li chiama stolti. Per noi Cristiani il tempo speso così nei bagordi, nel trionfo della materia, è tempo perduto… anzi perduto è un aggettivo troppo blando, è tempo sciupato, è vita sciupata, sciupata energia. Sciupare un oggetto prezioso è più che perderlo: è un disfarlo, un farlo a rovescio. Così è il tempo speso nel peccato, nel male morale, comunque mascherato. Ma c’è anche il tempo perduto. Ed è quello che noi passiamo non facendo niente, né bene né male. Nell’ozio, o nella futilità della vita. La neutralità è veramente un sogno, un’utopia. Non si riesce alla neutralità, al far niente. In realtà l’ozio, la frivolezza, il conato di neutralità morale nell’azione, è un’utopia: far niente vuol dire far del male. Il tempo speso così è tempo perduto. E perder tempo è già un male, come il non guadagnare denaro in commercio, come il perdere un bell’oggetto. E quanto tempo si perde, specialmente, in chiacchiere inutili! che poi, viceversa, non sono inutili, sono dannose, dannosissime. Educano l’anima di chi vi si abbandona alla superficialità, alla frivolezza. Spianano la via alla cattiveria vera e propria, quando non sono già cattiveria matricolata, insulti costanti alla carità cristiana, alla purezza con le loro insinuazioni e le loro larvate oscenità. Sottraggono il tempo all’operosità buona. La quale costituisce l’impiego savio e sacro, cristiano del tempo. « Dum tempus habemus operemur bonum.» Questa è la vita per noi, Cristiani; fare il bene. Farlo in tutti i modi: parlando, tacendo (perché spesso il silenzio è d’oro, spesso ci vuole più virtù a tacere che a parlare, e si fa più bene al prossimo con un silenzio dignitoso, paziente, che con mille chiacchiere), operando, lavorando, soffrendo: farlo in tutte le forme, bene a noi stessi, bene agli altri, gloria e cioè bene a Dio. Il tempo che si passa così è tempo bene speso, veramente bene speso. È un tempo impiegato. Speso bene, perché, a parte anche le considerazioni soprannaturali, noi siamo fatti per il bene, e quando mettiamo a servizio della buona causa le nostre energie, a servizio della verità il nostro intelletto, a servizio delle carità la nostra influenza sociale, a servizio dei poveri il nostro denaro; quando facciamo così, stiamo bene. Ma è anche bene impiegato, perché il bene resta. Il piacere passa, finisce inesorabilmente. Goduto una volta non c’è più. Il bene fatto una volta resta sempre. San Paolo parla di riscatto, di redenzione del tempo. E cioè dobbiamo tanto più intensificare la nostra attività nel bene, quanto più scarsa è stata la nostra attività nel bene, quanto più abbondante è stata forse la nostra operosità cattiva. La morte si avanza e incalza: prima che essa giunga a troncare le possibilità del bene e del premio, avaramente, spendiamo per Dio il tempo ch’Egli ci dona.

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps CXLIV: 15-16
Oculi ómnium in te sperant, Dómine: et tu das illis escam in témpore opportúno.

V. Aperis tu manum tuam: et imples omne ánimal benedictióne.

[Tutti rivolgono gli sguardi a Te, o Signore: dà loro il cibo al momento opportuno.

V. Apri la tua mano e colmi di ogni benedizione ogni vivente.]

Allelúja.

Ps CVII:2
Allelúja, allelúja
Parátum cor meum, Deus, parátum cor meum: cantábo, et psallam tibi, glória mea. Allelúja.

[Il mio cuore è pronto, o Dio, il mio cuore è pronto: canterò e inneggerò a Te, che sei la mia gloria. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia   sancti Evangélii secúndum S. Joánnem.
Joannes IV: 46-53
In illo témpore: Erat quidam régulus, cujus fílius infirmabátur Caphárnaum. Hic cum audísset, quia Jesus adveníret a Judaea in Galilæam, ábiit ad eum, et rogábat eum, ut descénderet et sanáret fílium ejus: incipiébat enim mori. Dixit ergo Jesus ad eum: Nisi signa et prodígia vidéritis, non créditis. Dicit ad eum régulus: Dómine, descénde, priúsquam moriátur fílius meus. Dicit ei Jesus: Vade, fílius tuus vivit. Crédidit homo sermóni, quem dixit ei Jesus, et ibat. Jam autem eo descendénte, servi occurrérunt ei et nuntiavérunt, dicéntes, quia fílius ejus víveret. Interrogábat ergo horam ab eis, in qua mélius habúerit. Et dixérunt ei: Quia heri hora séptima relíquit eum febris. Cognóvit ergo pater, quia illa hora erat, in qua dixit ei Jesus: Fílius tuus vivit: et crédidit ipse et domus ejus tota.

(“In quel tempo eravi un certo regolo in Cafarnao, il quale aveva un figliuolo ammalato. E avendo questi sentito dire che Gesù era venuto dalla Giudea nella Galilea, andò da lui, e lo pregava che volesse andare a guarire il suo figliuolo, che era moribondo. Dissegli adunque Gesù: Voi se non vedete miracoli e prodigi non credete. Risposegli il regolo: Vieni, Signore, prima che il mio figliuolo si muoia. Gesù gli disse: Va, il tuo figliuolo vive. Quegli prestò fede alle parole dettegli da Gesù, e si partì. E quando era già verso casa, gli corsero incontro i servi, e gli diedero nuova come il suo figliuolo viveva. Domandò pertanto ad essi, in che ora avesse incominciato a star meglio. E quelli risposero: Ieri, all’ora settima, lasciollo la febbre. Riconobbe perciò il padre che quella era la stessa ora, in cui Gesù gli aveva detto: Il tuo figliolo vive: e credette egli, e tutta la sua casa”)

Omelia

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. IV, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)

Doveri dei genitori verso i figli.

Credidit ipse, et domus ejus tota.

(JOAN. IV, 53).

Possiamo noi trovare, Fratelli miei, un esempio più adatto per far intendere a tutti i capi di famiglia che essi non possono efficacemente lavorare alla loro salvezza se nel medesimo tempo non lavorano a quella dei loro figli? Invano i padri e le madri passerebbero la loro vita nel far penitenza, nel piangere i loro peccati, nel distribuire le ricchezze ai poveri; se essi hanno la disgrazia di trascurare la salute dei loro figli, tutto è perduto per essi. Ne dubitate, F. M.? Aprite le Scritture, e vi vedrete che se i genitori furono santi, lo furono del pari i loro figli, ed anche i dipendenti. Quando il Signore loda quei padri e quelle madri che si sono distinti per fede e pietà, non dimentica di dirci che i loro figli ed i loro servi hanno camminato sulle loro tracce. Lo Spirito Santo vuol farci l’elogio di Abramo e di Sara? Non tralascia nel medesimo tempo di ricordarci l’innocenza di Isacco e il fervoroso e fedele lor servo Eliezero (Gen XXIV). E se ci mette davanti le rare virtù della madre di Samuele, fa rilevare subito le belle qualità di questo degno figliuolo (I Reg. I e II). Se ci manifesta l’innocenza di Zaccaria e di Elisabetta ci parla subito di Giovanni Battista, il santo precursore del Salvatore (Luc. I). Quando il Signore vuol presentarci la madre dei Maccabei come una madre degna dei suoi figliuoli, ci mostra nel medesimo tempo il coraggio e la generosità di questi, che danno la vita con tanta gioia per il Signore (II Macc. VII). Se S. Pietro ci parla del centurione Cornelio come d’un modello di virtù, ci dice anche che tutta la sua famiglia serviva con lui il Signore (Act. X, 2) . Se il Vangelo ci parla di quell’ufficiale che venne a domandare a Gesù la guarigione di suo figlio, ci dice che dopo averla ottenuta non si diede più pace finché tutta la famiglia non credette con lui nel Signore (Joan. IV, 58). Quali esempi per i padri e le madri! Dio mio! se i padri e le madri dei nostri giorni avessero la fortuna di esser santi, quanti figli di più pel cielo! quanti figli di meno per l’inferno! Ma, forse mi direte, che cosa dobbiamo fare per adempiere i nostri doveri, poiché sono sì grandi e sì terribili? — Ahimè! io non oso dirvelo, tanto sono gravi per un Cristiano che desidera adempirli come vuole il buon Dio. Ma giacché sono obbligato a mostrarveli, eccoli: istruire i vostri figli, cioè insegnar loro a conoscere il buon Dio ed i propri doveri; correggerli cristianamente, dar loro buon esempio, guidarli per la giusta via che conduce al cielo, camminandovi per primi voi stessi. Ahimè ! F. M., io temo che questa istruzione vi sia, come tante altre, nuovo argomento di condanna. Il voler mostrarvi la grandezza dei vostri doveri, è volere discendere in un abisso senza fondo, e volere spiegare una verità che l’uomo non può mettere in tutta la sua luce. – Per questo, F. M. bisognerebbe potervi far comprendere ciò che valgono le anime dei vostri figli, quanto ha sofferto Gesù Cristo per ridonar loro il cielo, il conto spaventoso che un giorno dovrete renderne a Dio, la felicità che fate loro perdere per tutta l’eternità, i tormenti che preparate loro per l’altra vita; converrete con me, F. M., che nessun uomo è capace di tutto questo. Ah! disgraziati genitori, se li stimaste quanto li stima il demonio! Quando pure egli impiegasse tre mila anni per tentarli, se finalmente riuscisse ad averli, conterebbe per nulla tutte le sue fatiche. Piangiamo, F. M., la perdita di tante anime che i genitori stessi ogni giorno gettano nell’inferno. Diamo uno sguardo superficiale ai vostri doveri, e frattanto, se non avete perduta interamente la fede, vedrete che non avete fatto nulla di quanto il buon Dio vuol che facciate per i vostri figli, o piuttosto che avete fatto tutto quanto occorreva per perderli. Ah! quante persone maritate non andranno in cielo! — E perché? mi direte voi. — Ecco. Perché vi sono molti che entrano nello stato del matrimonio senza le necessarie disposizioni, e profanano così da principio questo sacramento. Sì, dove sono quelli che ricevono questo Sacramento con la dovuta preparazione? gli uni vi sono condotti dal pensiero di accontentare i loro impuri desiderii; gli altri sono attirati da viste d’interesse, o dalle seduzioni della beltà; ma quasi nessuno ha per oggetto Dio solo. Ahimè! quanti matrimoni profanati, e come sono poche le unioni dove regnano la pace e la virtù! Dio mio! Quante persone maritate si danneranno. Ma, no, F. M., non entriamo in questi particolari, vi ritorneremo un’altra volta; parliamo solo dei doveri dei genitori verso i figli; sono abbastanza estesi per servirci da soggetto di trattenimento. Per oggi, F. M., non dirò nulla di quei padri e di quelle madri, del cui delitto non potrei dipingere a colori abbastanza vivi e forti la enormità e l’orrore. Essi fissano, prima di Dio stesso, il numero dei loro figli, mettono dei limiti ai disegni della Provvidenza, s’oppongono alle sue adorabili volontà. Copriamo, F. M., tutte queste turpitudini con un velo, che nel grande giorno delle vendette, Colui, che ha tutto visto, contato e ponderato saprà strappare. I tuoi delitti, amico, sono ancora nascosti, ma fra qualche giorno  Dio saprà manifestarli davanti a tutto l’universo. Sì, F. M., nel giorno del giudizio vedremo tutti gli orrori commessi nel matrimonio e che avrebbero fatto fremere gli stessi pagani. Non dico neppur nulla di quelle madri delinquenti, che vedrebbero senza dolore, ahimè! forse anche con piacere, perire i loro poveri figli prima di averli dati alla luce, e di aver loro procurato la grazia del Battesimo; le une, per timore dei fastidi che proverebbero nell’allevarli; le altre per timore del disprezzo e del rifiuto che proverebbero da un marito brutale ed irragionevole; non dico, senza religione, perché i pagani non farebbero di più, Dio mio! e possono tali delitti trovarsi fra i Cristiani? Eppure F. M., quanto ne è grande il numero! Ancora una volta, quante Persone maritate sono dannate! Ecchè, amico mio, il buon Dio vi ha forse dato cognizioni superiori alle bestie, solo perché poteste offenderlo meglio? Gli uccelletti e gli stessi animali più feroci dovranno servirvi d’esempio? Vedetele,  queste povere bestie, quanto si rallegrano al vedersi moltiplicare i loro nati: di giorno si affaticano a cercar loro il nutrimento, e di notte li coprono colle loro ali per difenderli dalle ingiurie del tempo. Se una mano rapace porta via loro i piccoli, le sentirete lamentarsi; sembra che esse non possano più abbandonare i loro nidi, sempre nella speranza di ritrovarli. Quale vergogna, non dico per i pagani, ma per i Cristiani, che gli animali siano più fedeli nell’adempimento dei disegni della Provvidenza, che non gli stessi figli di Dio; cioè i padri e le madri che Dio ha scelto solo per popolare il cielo! No, no, F. M., non continuiamo, abbandoniamo un argomento così ributtante; entriamo nei particolari che riguardano un maggior numero di persone. Io vi parlerò più semplicemente che mi sarà dato, affinché possiate ben comprendere i vostri doveri ed adempirli.

1° Dico anzitutto che quando una madre è incinta deve pregare o fare qualche elemosina; meglio ancora, se può, far celebrare una Messa, per domandare alla santa Vergine di riceverla sotto la sua protezione, affinché ottenga da Dio che il povero infante non muoia senza aver ricevuto il santo Battesimo. Se una madre avesse veramente il sentimento religioso, direbbe a se stessa: “Ah! se avessi la fortuna di veder questo bambino diventare un santo, e contemplarlo per tutta l’eternità al mio fianco, cantando le lodi del buon Dio, quale gioia per me!„ Ma no, no, F. M., non è questo il pensiero che occupa una madre incinta: essa proverà invece un affannoso dispiacere nel vedersi in questo stato, e forse penserà di distruggere il frutto del suo seno. Dio mio, il cuore di una madre cristiana, può concepire un tale delitto? Eppure, quante ne vedremo, in quel giorno, che avranno nutrito in sé tali pensieri d’omicidio!

2° Dico inoltre che una madre incinta che vuol conservare il figliuolo pel cielo, deve evitare due cose: il portare carichi troppo pesanti e l’alzare le braccia troppo con isforzo per prendere qualche cosa, il che potrebbe nuocere al povero figliuolo e farlo perire. La seconda cosa da evitare, è il prendere rimedi che possano far patire il figliuolo, o dare in iscatti di collera, ciò che potrebbe spesso soffocarlo. I mariti devono tollerare molte cose che in un altro tempo non tollererebbero; se non vogliono farlo per riguardo alla madre, lo facciano almeno per riguardo al bambino; poiché potrebbe perdere la grazia del santo Battesimo; il che sarebbe la più grande di tutte le disgrazie!

3° Quando una madre vede avvicinarsi il tempo del parto, deve andarsi a confessare, e per più ragioni. La prima, perché molte durante il parto muoiono e, se per isventura ella avesse la disgrazia d’essere in peccato, si dannerebbe. La seconda, perché essendo in istato di grazia, tutte le pene e dolori che soffrirà saranno ricompensati in cielo. La terza, perché il buon Dio non mancherà di accordarle tutte le grazie che essa augurerà al suo figliuolo. Una madre, durante il parto, deve conservare il pudore e la modestia, per quanto nel suo stato le sia possibile, e non mai dimenticarsi di essere alla presenza di Dio, ed in compagnia del suo buon Angelo custode. Non deve mangiare mai di grasso nei giorni proibiti, senza permesso, perché attirerebbe la maledizione su di sé e sul figlio.

4° Non lasciate mai passare più di ventiquattro ore senza far battezzare i vostri figli; se non lo fate, vi rendete colpevoli, eccetto però che non abbiate serie ragioni. Per padrini e madrine scegliete persone buone per quanto lo potete; eccone la ragione: tutte le preghiere, le buone opere che faranno i padrini e le madrine, in virtù della parentela spirituale coi vostri figli otterranno a questi una quantità di grazie dal cielo. Sì, F. M., stiamo certi che nel giorno del giudizio vedremo molti figli riconoscersi debitori della loro salute alle preghiere, ai buoni consigli ed ai buoni esempi dei padrini e delle madrine. Un’altra ragione vi obbliga: se voi venite a mancare, essi dovranno tenere il vostro posto. Dunque, se aveste la disgrazia di scegliere padrini e madrine senza religione, questi non potrebbero che condurre i vostri figli all’inferno. Padri e madri, non dovete mai lasciar perdere il frutto del Battesimo ai vostri figli: come sareste ciechi e crudeli! La Chiesa vuol salvarli col santo Battesimo, e voi, per negligenza, li rimettete in potere del demonio! Poveri bambini; in quali mani avete la disgrazia di cadere! Ma quanto ai padrini ed alle madrine non bisogna dimenticare che per farsi mallevadori di un fanciullo è necessario essere sufficientemente istruiti, di poter istruire essi il fanciullo, se il padre e la madre avessero a mancargli. Inoltre bisogna che siano buoni Cristiani ed anche perfetti Cristiani; poiché devono servir d’esempio ai loro figli spirituali. Perciò una persona che non fa Pasqua non deve tener a battesimo un bambino, e neppure una persona che ha una cattiva abitudine e non vuole rinunciarvi, o che va ai balli, o che frequenta abitualmente le bettole; perché ad ogni interrogazione del sacerdote, fa un giuramento falso: cosa grave, come ben vedete, in presenza di Gesù Cristo stesso, e ai piedi del sacro fonte battesimale. Quando non avete le necessarie condizioni per essere padrini cristiani, dovete rifiutare; e, se tutto questo vi è già capitato, dovete confessarvene, e non cadere più in simile peccato.

5° Non dovete far dormire i vostri figli con voi prima dell’età di due anni; se lo fate, commettete peccato. La Chiesa ha fatto questa legge non senza ragione: voi siete obbligati ad osservarla. — Ma, mi direte, alle volte fa molto freddo, o si è molto stanchi. — Questo non è una ragione che possa scusarvi davanti a Dio. Del resto, quando vi siete maritati, sapevate che sareste stati obbligati a portare il peso e ad adempiere i doveri inerenti a questo stato. Vi sono anche, F. M., dei padri e delle madri così poco istruiti in materia di religione, o così noncuranti dei loro doveri, che fanno dormire con sé figliuoli dai quindici ai diciotto anni, e spesso anche fratelli e sorelle assieme. Dio mio in quale stato d’ignoranza sono questi padri e queste madri! — Ma, mi direte, non abbiamo letti. — Voi non avete letti: ma è meglio farli dormire su di una seggiola, o in casa del vostro vicino. Dio mio! quanti genitori e figli dannati! Ma ritorno ancora al mio punto, dicendo che tutte le volte che fate dormire con voi i figliuoli prima che abbiano due anni, offendete il buon Dio. Ahimè! quanti poveri bambini alla mattina sono trovati soffocati dalla madre, ed a quante madri, qui presenti, è toccata questa disgrazia! E quand’anche Iddio ve ne avesse preservate, non siete meno colpevoli che se li aveste trovati soffocati ogni qualvolta hanno dormito con voi. Voi non volete convenirne, cioè non ve ne correggete: aspettiamo il giorno del giudizio, ed allora sarete obbligate di ammettere quanto ora non volete riconoscere. — Ma, mi direte, quando sono battezzati non vanno perduti, anzi vanno in cielo. — Senza dubbio, F. M., non andranno perduti, ma siete voi che vi perderete; del resto sapete voi a che cosa destinava Iddio quei figliuoli? Forse quel bambino sarebbe stato un buon sacerdote. Avrebbe condotto una quantità di anime a Dio; ogni giorno, celebrando la S. Messa, avrebbe reso più gloria a Dio che tutti gli angeli ed i santi riuniti insieme in cielo. Avrebbe tratto più anime dal purgatorio che non le lagrime e le penitenze dei solitari offerte al trono di Dio. Comprendete ora, il male di lasciar morire un fanciullo, anche battezzato? Se la madre di S. Francesco Saverio, che fu un gran santo che ha convertito tanti idolatri, l’avesse lasciato perire; ahimè! quante anime nell’inferno, al giorno del giudizio, la rimprovererebbero di essere stata la causa della loro dannazione, perché quel fanciullo era mandato da Dio per convertirli! Voi lasciate perire quella bambina che forse si sarebbe data a Dio; colle sue preghiere e co’ suoi buoni esempi avrebbe condotto un gran numero di anime al cielo. Forse madre di famiglia, avrebbe ben allevato i suoi figli che, a loro volta, ne avrebbero allevati altri, e così la religione si sarebbe mantenuta e conservata per numerose generazioni. Voi contate poco, F. M., la perdita di un fanciullo, col pretesto che è battezzato; ma aspettate il giorno del giudizio, e vedrete e riconoscerete ciò che non comprenderete mai in questo mondo. Ahimè! se i padri e le madri facessero di tanto in tanto questa riflessione, quante anime di più vi sarebbero in cielo.

6° Io dico che i genitori sono colpevoli assai quando accarezzano i loro figli in un modo troppo sconveniente. — Ma, mi direte, non facciamo alcun male, è soltanto per carezzarli; — ed io invece vi dirò che offendete il buon Dio, e che attirate la maledizione su questi poveri bambini. Sapete che cosa ne avviene? Ecco: Vi sono dei fanciulli che hanno presa questa abitudine dai genitori, e l’hanno conservata fino alla loro prima comunione. Ma, mio Dio! si può credere che questo avvenga da parte di genitori cristiani?

7° Vi sono delle madri, che hanno sì poca religione, o se volete, sono così ignoranti, che per mostrare alle vicine la robustezza dei loro figli li scoprono nudi; altre per lavarli, li lasciano per lungo tempo scoperti davanti a tutti. Ebbene non dovreste farlo, neppure se niuno vi fosse presente. Forse non dovete rispettare la presenza dei loro Angeli custodi? Lo stesso dicasi quando li allattate. Deve forse una madre cristiana lasciare il seno scoperto? e quantunque ben coperta, non deve forse voltarsi dove non vi sia alcuno? Altre, sotto pretesto che sono nutrici, non si coprono che per metà; quale abbominazione! Non c’è da far arrossire persino i pagani? Si è obbligati, per non esporsi a sguardi impuri, di fuggire la loro compagnia. Che orrore! — Ma, mi direte, quantunque vi sia presente alcuno, bisogna pur allattare i figli e fasciarli quando piangono. — Ed io vi dirò che quando piangono, dovete fare tutto il possibile per acquietarli; ma è meglio lasciarli piangere un poco che offendere Iddio. Ahimè! quante madri sono causa di sguardi impuri, di cattivi pensieri, di toccamenti disonesti! Ditemi, sono quelle le madri cristiane che dovrebbero essere così riservate? Dio mio! quale giudizio dovranno subire? Altre sono così maleducate che d’estate lasciano correre per tutta la mattina i loro figli mezzo nudi. Ditemi, o miserabili, non stareste forse meglio tra le bestie selvagge? Dove è la vostra religione e il pensiero dei vostri doveri? Ahimè! della religione non ne avete, e quanto ai vostri doveri, non li avete mai conosciuti. Voi stesse ne date la prova ogni giorno. Ah! poveri figli, quanto siete disgraziati d’aver tali genitori!

8° Dico, che dovete ancora sorvegliare i vostri figli quando li mandate nei campi; là, lontani da voi, si abbandonano a tutto ciò che il demonio ispira loro. Se l’osassi, vi direi che essi commettono ogni sorta di disonestà; che passano delle mezze giornate nel far cose abbominevoli. So che la maggior parte non conoscono il male che fanno; ma aspettate quando ne avranno la conoscenza. Il demonio non mancherà di ricordar loro quello che han fatto in questi momenti, per farli peccare. Sapete, F. M., ciò che produce la vostra negligenza o la vostra ignoranza? Eccolo: ricordatevelo bene. Una buona parte dei figliuoli che mandate nei campi, alla loro prima comunione commettono dei sacrilegi; essi hanno contratto delle abitudini vergognose: e non osano manifestarle, ovvero non se ne sono corretti. In seguito, se un sacerdote che non vuol dannarli, non li ammette, lo si rimprovererà, dicendo: Fa così perché è il mio … “Via, miserabili, vegliate un po’ meglio sui vostri figli, e saranno ammessi. Sì, dirò che la maggior parte dei vostri figli hanno cominciato la lor riprovazione da quando cominciarono ad andare nei campi. — Ma, mi direte, noi non possiamo seguirli sempre, avremmo ben da fare. — Per questo, F. M., non vi dico nulla; ma tutto quello che so è che voi risponderete delle anime loro come della vostra. — Ma noi facciamo quello che possiamo. — Io non so se voi fate quello che potete; ma quello che so è questo, che se i vostri figli presso di voi si dannano, vi dannerete voi pure; ecco quello che so, e niente altro. Avrete un bel dir di no, che io vado troppo avanti; se non avete del tutto perduta la fede, ne converrete; ciò solo basterebbe a gettarvi in una disperazione dalla quale non potreste più uscirne. Ma io so che voi non farete un passo di più per meglio osservare i vostri figli; voi non vi inquietate di questo; ed avete quasi ragione, perché avrete il tempo di tormentarvi durante tutta l’eternità. Andiamo avanti.

9. Non dovete far dormire le vostre domestiche o le vostre figlie, in appartamenti, dove alla mattina vanno i servi a cercare le rape o le patate. Bisogna dirlo, a confusione dei padri e delle madri, dei padroni e delle padrone; povere fanciulle e povere domestiche, avranno la confusione di alzarsi, di vestirsi davanti a gente che ha tanta religione quanta ne avrebbe se non avesse mai sentito parlare del vero Dio. Spesso poi i letti di queste povere fanciulle non avranno cortine. — Ma, mi direte, se bisognasse fare tutto ciò che voi dite, quanto lavoro ci sarebbe. — Amico mio, è questo appunto ciò che dovete fare, e se non lo fate ne sarete giudicati e puniti: certamente. Voi non dovete far dormire i vostri figli che hanno già sette od otto anni, nella vostra stessa camera. Ricordatevi, F. M., non conoscerete il male che fate se non al giudizio di Dio. So bene che non farete nulla o quasi nulla di ciò che vi insegno; non importa; io vi dirò sempre tutto ciò che vi devo dire; dopo, tutto il male sarà vostro e non mio, perché vi faccio conoscere ciò che dovete fare per adempire i vostri doveri verso i figli. Quando il buon Dio vi giudicherà, non potrete dire che non sapevate ciò che bisognava fare; io allora vi ricorderò ciò che oggi vi ho detto. – Avete adunque visto, F. M., che i vostri figli, benché piccoli, vi fanno commettere molte mancanze; ora vedrete che quando saranno alti ve ne faranno commettere di più grandi e di più funeste per voi e per essi. Converrete tutti con me, F. M., che più i vostri figli avanzano in età più dovete raddoppiare le preghiere e le cure, perché i pericoli sono maggiori, e le tentazioni più frequenti. Ditemi ora, fate voi tutto questo? No, senza dubbio; quando i vostri figli erano piccoli voi avevate la cura di parlar loro del buon Dio, di far loro recitare le preghiere; vegliavate un po’ sulla loro condotta, domandavate loro se si erano confessati, se avevano assistito alla santa Messa; avevate la precauzione di ricordar loro d’andare alla dottrina. Ma da quando hanno raggiunto i diciotto o i venti anni, non ispirate più loro in cuore l’amore ed il timor di Dio, non ricordate loro la felicità di chi lo serve in questa vita, il rimorso che si ha morendo, di andare perduti: ahimè! quei poveri figli sono pieni di vizi; ed hanno già mille volte trasgredito, senza conoscerli, i comandamenti della legge di Dio: il loro spirito è ripieno delle cose terrene, e vuoto di quelle di Dio. Voi parlate loro del mondo. Una madre comincerà a dire alla figliuola che la tale si è unita col tale, e che è stato un buon partito; bisognerebbe che anch’essa trovasse simile fortuna. Questa madre non avrà in mente che la figlia, cioè, farà tutto ciò che potrà per farla comparire agli occhi del mondo. Essa la coprirà di vanità, fors’anche a costo di far dei debiti; le insegnerà a camminare diritta, dicendole che cammina tutta curva, o non si sa che cosa somigli. Certo vi stupisce che vi siano madri così cieche. Ahimè! come è grande il numero di queste povere cieche che cercano la perdita delle loro figlie! Altra volta, vedendole uscire la mattina, si daranno maggior premura di guardare so hanno la cuffia ben accomodata, il viso e le mani ben pulite, che di chiedere se hanno offerto il loro cuore a Dio, se hanno fatto le loro preghiere e offerta a Dio la loro giornata; di questo non parlano mai. Altre volte diranno alle figliuole che non bisogna essere troppo rustiche, che bisogna far buon viso a tutti; che bisogna farsi delle conoscenze per potersi collocare. Quante madri o poveri padri accecati dicono al figlio: Se ti porterai gentilmente o se farai bene quella cosa, ti lascerò andare alla fiera di Montmerle o alla sagra, cioè, se farai sempre quello che io vorrò, ti trascinerò nell’inferno! Dio mio, è questo il linguaggio di genitori cristiani che dovrebbero pregare giorno e notte per i loro propri figli, affinché il buon Dio ispiri loro un grande orrore per i piaceri, un grande amore per Lui e per la salute della loro anima? Quello che addolora ancor di più, è vedere che vi sono figliuole le quali non sono affatto portate ad uscir di casa; ed i genitori le pregano, le sollecitano dicendo loro: Se stai sempre in casa non troverai da collocarti, fuori non sarai conosciuta. Volete voi, madre mia, che la vostra figlia faccia delle conoscenze? Non inquietatevi troppo, ne farà senza che voi abbiate a tormentarvi tanto; aspettate ancora un po’ e, vedrete, se le avrà fatte. La figlia, che non avrà forse il cuore guasto come quello della madre, soggiungerà: Farei volentieri come voi volete; ma il signor Parroco non vuole; ci dice che tutto ciò non fa che attirare la maledizione del buon Dio nei matrimoni. Io non mi sento voglia di andar a ballare, che ve ne pare, mamma? — Eh! Buon Dio, quanto sei ingenua, figlia mia, ad ascoltare il signor Parroco; bisogna bene che egli dica qualche cosa; è il suo mestiere; noi si prende quello che si vuole e si lascia il resto agli altri. — Ma, allora, non faremo Pasqua? — Ah! povera bambina; se lui non ci assolverà, andremo da un altro; ciò che rifiuta l’uno, un altro l’accetta sempre. Figlia mia, sii prudente, ritorna presto, ma va pure; quando non sarai più giovane avrai finito di divertirti. „ Un’altra volta sarà una vicina che le dirà: “Voi lasciate troppo libera vostra figlia, essa finirà col darvi dei dispiaceri. — Mia figlia! le risponderà; non temo proprio di nulla. E poi le ho raccomandato di essere prudente ed essa me l’ha promesso; sono sicura che frequenta solo persone dabbene.„ — Madre mia, aspettate ancora un po’ e vedrete il frutto della sua assennatezza. Quando la colpa sarà palese, vostra figlia diventerà argomento di scandalo per tutta la parrocchia, coprirà di obbrobrio e di disonore la famiglia; e se nulla se ne scorgerà, cioè se nessuno lo saprà, tuttavia essa porterà sotto il velo del sacramento del matrimonio un cuore ed un’anima guasti da impurità, alle quali s’era data prima del matrimonio, fonte di maledizioni per tutta la sua vita. — Ma, dirà una madre, quando vedrò mia figlia andar troppo oltre, allora saprò ben io fermarla; non la lascerò più uscire, oppure adoprerò il bastone. — Voi, o madre, non le darete più il permesso; non inquietatevi, essa saprà prenderselo senza che voi vi affatichiate a darglielo, e se mostrerete anche solo di volerglielo rifiutare, ella saprà ben minacciarvi, burlarsi di voi, e partire. Siete stata voi ad eccitarla la prima volta, ed ora non potrete più trattenerla. Forse piangerete, ma a che serviranno le vostre lagrime? a nulla, se non a farvi ricordare che vi siete ingannata, che dovevate essere più prudente e guidar meglio i vostri figli. Se ne dubitate, ascoltatemi un momento e, malgrado la durezza del vostro cuore, per l’anima dei vostri poveri figli, vedrete che è solo il primo passo quello che costa; una volta che li avete lasciati uscir di strada non ne siete più padrone, e spesso fanno una fine miserabile. – Si racconta nella storia, che un padre aveva un figlio il quale gli dava ogni sorta di consolazioni; era buono, obbediente, riservato nelle sue parole, ed era nel medesimo tempo l’edificazione di tutta la parrocchia. Un giorno che vi fu un divertimento nel vicinato, il padre gli disse: “Figlio mio, tu non esci mai; va a divertirti un po’ coi tuoi amici, sono giovani dabbene, e non sarai in cattiva compagnia.„ Il figlio gli rispose: “Padre, per me non v’ha piacere più grande, e miglior divertimento che il restare in vostra compagnia.„ Ecco una bella risposta da parte di un figlio, che preferisce la compagnia di suo padre a tutti gli altri piaceri ed a tutte le altre compagnie. “Ah! figlio mio, gli rispose il povero padre accecato, verrò anch’io con te.„ Il padre parte col figlio. La seconda volta, il giovane non ha più bisogno di farsi tanto pregare; la terza va da solo, non ha bisogno di suo padre; al contrario, il padre comincia a dargli fastidio; egli conosce già molto bene la strada. Il suo spirito non è più preoccupato che dal suono degli strumenti che ha sentito, delle persone che ha viste. E finisce coll’abbandonare quelle piccole pratiche di pietà che si era prescritte quand’era tutto di Dio; finalmente si lega con una giovane ben più cattiva di lui. I vicini cominciano già a parlare di lui, come di un nuovo libertino. Quando il padre se n’accorge, vuol opporsi, gli proibisce di andare in qualsiasi luogo senza il suo permesso; ma non trova più nel figlio l’antica sottomissione. Nulla può più fermarlo; si burla del padre, dicendogli che, non potendo ora divertirsi lui, vuol impedirlo anche agli altri. Il padre disperato, non vede più rimedio, si strappa i capelli, vuol castigarlo. La madre che capiva meglio del marito i pericoli di quelle compagnie, gli aveva spesso ripetuto che faceva molto male, che avrebbe avuto dei dispiaceri; ma era troppo tardi. Un giorno il padre, vistolo tornare da quei divertimenti, lo castigò. Il figlio, vedendosi contrariato dai genitori, si arruolò soldato; e qualche tempo dopo il padre ricevette una lettera che gli annunciava che il figliuol suo era rimasto schiacciato sotto i piedi dei cavalli. Ahimè! dove andò questo povero figlio? Dio non voglia che sia andato all’inferno. Intanto se egli si è dannato, come tutto fa credere, il padre fu la vera causa della sua perdizione. Quand’anche il padre facesse penitenza, la sua penitenza e le sue lagrime non riusciranno mai a strappare quel povero figlio dall’inferno. Ah! disgraziati genitori che gettate i vostri figli nelle fiamme eterne! Voi trovate questo alquanto esagerato; ma se esaminiamo davvicino la condotta dei genitori, vediamo che questo è quello appunto che essi fanno tutti i giorni. Se ne dubitate solo un po’ tocchiamo più da vicino questo punto. Non è vero che vi lamentate ogni giorno dei vostri figli? che non potete più comandar loro? purtroppo è vero. Voi forse avete dimenticato quel giorno in cui avete detto a vostro figlio o a vostra figlia: Se vuoi andare alla fiera di Montmerle, o alla Sagra, va pure, non ritornare però troppo tardi. Vostra figlia vi ha risposto che avrebbe fatto ciò che volevate. — Va pure, non esci mai, bisogna che ti pigli un momento di svago. — Non potete dir di no. Ma dopo qualche tempo, non avrete più bisogno di sollecitarla, né di darle il permesso. Allora, vi affliggerete, perché esce di casa senza dirvelo. Guardatevi indietro, o madre, e vi ricorderete che le avete dato il permesso una volta per tutte. Di più: vedete che cosa accadrà quando le avrete permesso di andare ovunque la conduca la sua testa senza cervello. Voi volete ch’essa faccia delle conoscenze per potersi collocare. State certa, che continuando a correre per le strade, ne farà tante, e moltiplicherà le sue colpe. Sarà questo cumulo di peccati che impedirà alla benedizione di Dio di spandersi su questi poveri figli al momento del loro matrimonio. Ahimè! questi poveretti sono già maledetti da Dio! Mentre il sacerdote alza la mano per benedirli, Dio dall’alto de’ cieli lancia le sue maledizioni. E di qui comincerà una spaventosa sorgente di disgrazie per essi. Questo nuovo sacrilegio, aggiunto a tanti altri, fa perder loro la fede per sempre. Allora, nel matrimonio, dove si crede tutto permesso, la vita non è più che un abisso di corruzione che farebbe fremere l’inferno stesso se ne fosse testimonio. Ma tutto questo dura poco. Ben presto cominceranno a non essere rari i dispiaceri, gli odi, gli alterchi ed i cattivi trattamenti dall’una e dall’altra parte. — Dopo cinque o sei mesi di matrimonio il padre vedrà suo figlio infuriato e quasi disperato, maledire i genitori, la moglie e fors’anche quelli che hanno combinato il matrimonio. Suo padre, stupito, gli domanderà che cosa è successo: “Ah! quanto sono disgraziato; ah! se quando son nato mi aveste ucciso, o se prima del mio matrimonio qualcheduno m’avesse avvelenato! — Ma, figlio mio, gli dirà il padre tutto affannato, bisogna aver pazienza. Che cosa vuoi! forse non sarà sempre così. — Non mi dite nulla, se mi sentissi il coraggio, mi tirerei una fucilata, o mi getterei nel fiume: con costei bisogna ad ogni momento altercare e battersi.„ — Non è questo, o buon padre, il frutto di quelle parole: Lasciamo che il Parroco dica, bisogna far delle conoscenze, altrimenti non si troverà da collocarsi. Va pure, figlio mio, sii prudente, torna di buon’ora e sta tranquillo? Sì, senza dubbio, amico mio, se foste stato assennato ed aveste consultato Iddio, non vi sareste collocato come avete fatto; Dio non l’avrebbe permesso; ma avrebbe fatto con voi come col giovane Tobia; vi avrebbe scelto Lui stesso una sposa che, venendo in casa, vi avrebbe apportato la pace, la virtù, ogni sorta di benedizioni. Ecco, amico mio, ciò che avete perduto non volendo ascoltare il vostro pastore ed avendo seguito il consiglio dei vostri ciechi genitori. – Un’altra volta sarà una povera figliuola che verrà, forse tutta ammaccata di battiture, a deporre nel seno della madre le sue lagrime ed i suoi dispiaceri. Esse mescoleranno assieme le loro lagrime: “Ah! madre mia, quanto sono stata disgraziata d’aver preso un marito come quello! così malvagio e brutale! Io credo che un giorno si dirà ch’egli mi ha uccisa.„ — “Ma, le dirà la madre: devi fare tutto ciò che ti comanda.„ — “Io lo faccio sempre; ma nulla lo accontenta, è sempre in collera.„ — “Povera figliuola, le dirà la madre, se avesti sposato un tale che t’ha domandata, saresti stata ben più felice… „ Voi v’ingannate, madre, non è questo che dovete dirle. “Ah! povera figlia, se t’avessi insegnato il timore e l’amor di Dio, non t’avrei mai lasciata correre ai divertimenti: Dio non avrebbe permesso che tu fossi così disgraziata…„ Non ricordate, buona madre, quelle vostre parole: lascia dire il signor Parroco, va pure; sii prudente, ritorna di buon’ora e sta tranquilla. Va benissimo, madre mia, ma ascoltate. Un giorno, passai vicino ad un gran fuoco; presi una manata di paglia e ve la gettai dentro, dicendole di non bruciare. Quelli che furono testimoni del mio atto, mi dissero, burlandosi di me: “Avete un bel dirle di non bruciare; non l’impedirete certo. — E come, risposi, se io le dico di non bruciare?„ Che ne pensate, madre mia? vi riconoscete? Non è questa la vostra condotta, o quella della vostra vicina? Non è vero che avete detto a vostra figlia prima di concederle che partisse, di essere assennata? — Sì, senza dubbio… — Andate, buona madre, voi foste cieca, voi siete stata il carnefice dei vostri figli. Se essi sono disgraziati nel loro matrimonio, voi sola ne siete la causa. Ditemi, buona madre, se aveste avuto un po’ di religione e di amore per i vostri figli, non dovevate fare tutto il possibile per evitar loro il male che avete commesso voi, quando eravate nella medesima condizione? Parlerò più chiaro. Non siete abbastanza contenta di esser disgraziata voi; volete che lo siano anche i vostri figli. E voi, figlia mia, siete sfortunata nella vostra famiglia? Me ne dispiace assai; ma ne sono meno stupito che se mi diceste che siete felice, dopo le disposizioni che avete portato al vostro matrimonio. – Sì, F. M., la corruzione oggi è salita tant’alto tra i giovani, che sarebbe quasi impossibile trovare chi riceva santamente questo Sacramento, come è impossibile vedere un dannato salire al cielo. — Ma, mi direte, ve ne sono ancora alcuni. — Ahimè! amico mio, dove sono?… Ah! sì, un padre od una madre non mettono alcuna difficoltà di lasciare per tre o quattro ore, alla sera od anche durante i vespri, la loro figlia con un giovane. — Ma, mi direte, sono buoni. — Sì, senza dubbio, sono buoni; la carità deve farcelo credere. Ma ditemi, madre mia, eravate voi buona quando eravate nel medesimo caso di vostra figlia? – Finisco, F. M., dicendo che se i figli sono disgraziati in questo mondo e nell’altro, è colpa dei genitori che non hanno usato tutti i mezzi possibili per condurli santamente per la via della salute, dove il buon Dio li avrebbe certo benedetti. Ahimè! al giorno d’oggi, quando un giovane od una giovane vogliono collocarsi, bisogna assolutamente che abbandonino il buon Dio. No, non entriamo in questi particolari; vi tornerò su un’altra volta. Poveri padri e povere madri, quanti tormenti vi aspettano nell’altra vita! Fin che la vostra discendenza durerà, voi parteciperete a tutti i suoi peccati, sarete puniti come se li aveste commessi voi, e per di più renderete conto di tutte le anime della vostra discendenza che si danneranno. Tutte queste povere anime vi accuseranno di averle fatte perdere. Questo è facilissimo da comprendersi. Se aveste ben allevato i vostri figli, essi avrebbero allevato bene i loro: si sarebbero salvati gli uni e gli altri. Ciò non basta ancora; voi sarete responsabili davanti a Dio di tutte le buone opere che la vostra discendenza avrebbe fatte sino alla fine del mondo, e che non avrà fatto per causa vostra. Che ne pensate, padri e madri? Se non avete ancor perduta la fede, non avete motivo di piangere sul male che avete fatto, e sull’impossibilità di rimediarvi? Non avevo io ragione di dirvi, in principio, che è quasi impossibile mostrarvi in tutta la sua luce la grandezza dei vostri doveri? Eppure quello che vi ho detto oggi non è che un piccolo sguardo. Ritornate domenica, padri e madri, lasciate la casa in custodia ai vostri figli, ed io continuerò, senza però potervi far comprenderò tutto. Ahimè! quanti genitori trascinano i loro poveri figli nell’inferno, e insieme vi cadono essi stessi. Dio mio! si può pensare a tanta sciagura senza fremere? Felici quelli che il buon Dio non chiama al matrimonio! Quale conto di meno avranno da rendere! — Ma, mi direte: “Noi facciamo quello che possiamo.„ Voi fate ciò che potete, sì, senza dubbio; ma per perderli, non per salvarli. Finendo vi voglio mostrare che non fate quello che potete. Dove sono le lagrime versate, le penitenze e le elemosine fatte per domandare a Dio la loro conversione? Poveri figli, quanto siete disgraziati d’appartenere a genitori, i quali non lavorano che a rendervi infelici in questo mondo, ed ancor più nell’altro! Come vostro padre spirituale, ecco il consiglio che vi do: Quando vedete i vostri genitori che mancano alle funzioni, lavorano alla domenica, mangiano di grasso nei giorni proibiti, non frequentano più i Sacramenti, non s’istruiscono, fate tutto il contrario; affinché i vostri buoni esempi li salvino, e se otterrete questa felicità, avrete tutto guadagnato. E ciò che vi auguro.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps CXXXVI: 1
Super flúmina Babylónis illic sédimus et flévimus: dum recordarémur tui, Sion.

[Sulle rive dei fiumi di Babilonia ci siamo seduti e abbiamo pianto: ricordandoci di te, o Sion.]

Secreta

Cœléstem nobis præbeant hæc mystéria, quǽsumus, Dómine, medicínam: et vítia nostri cordis expúrgent.

[O Signore, Te ne preghiamo, fa che questi misteri ci siano come rimedio celeste e purífichino il nostro cuore dai suoi vizii.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps CXVIII: 49-50
Meménto verbi tui servo tuo, Dómine, in quo mihi spem dedísti: hæc me consoláta est in humilitáte mea.

[Ricordati della tua parola detta al servo tuo, o Signore, nella quale mi hai dato speranza: essa è stata il mio conforto nella umiliazione.]

Postcommunio

Orémus.
Ut sacris, Dómine, reddámur digni munéribus: fac nos, quǽsumus, tuis semper oboedíre mandátis.

[O Signore, onde siamo degni dei sacri doni, fa’, Te ne preghiamo, che obbediamo sempre ai tuoi precetti].

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: “Doveri dei genitori verso i figli”

I SERMONI DEL CURATO D’ARS:

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. IV, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)

Doveri dei genitori verso i figli.

Credidit ipse, et domus ejus tota.

(JOAN. IV, 53).

Possiamo noi trovare, Fratelli miei, un esempio più adatto per far intendere a tutti i capi di famiglia che essi non possono efficacemente lavorare alla loro salvezza se nel medesimo tempo non lavorano a quella dei loro figli? Invano i padri e le madri passerebbero la loro vita nel far penitenza, nel piangere i loro peccati, nel distribuire le ricchezze ai poveri; se essi hanno la disgrazia di trascurare la salute dei loro figli, tutto è perduto per essi. Ne dubitate, F. M.? Aprite le Scritture, e vi vedrete che se i genitori furono santi, lo furono del pari i loro figli, ed anche i dipendenti. Quando il Signore loda quei padri e quelle madri che si sono distinti per fede e pietà, non dimentica di dirci che i loro figli ed i loro servi hanno camminato sulle loro tracce. Lo Spirito Santo vuol farci l’elogio di Abramo e di Sara? Non tralascia nel medesimo tempo di ricordarci l’innocenza di Isacco e il fervoroso e fedele lor servo Eliezero (Gen XXIV). E se ci mette davanti le rare virtù della madre di Samuele, fa rilevare subito le belle qualità di questo degno figliuolo (I Reg. I e II). Se ci manifesta l’innocenza di Zaccaria e di Elisabetta ci parla subito di Giovanni Battista, il santo precursore del Salvatore (Luc. I). Quando il Signore vuol presentarci la madre dei Maccabei come una madre degna dei suoi figliuoli, ci mostra nel medesimo tempo il coraggio e la generosità di questi, che danno la vita con tanta gioia per il Signore (II Macc. VII). Se S. Pietro ci parla del centurione Cornelio come d’un modello di virtù, ci dice anche che tutta la sua famiglia serviva con lui il Signore (Act. X, 2). Se il Vangelo ci parla di quell’ufficiale che venne a domandare a Gesù la guarigione di suo figlio, ci dice che dopo averla ottenuta non si diede più pace finché tutta la famiglia non credette con lui nel Signore (Joan. IV, 58). Quali esempi per i padri e le madri! Dio mio! se i padri e le madri dei nostri giorni avessero la fortuna di esser santi, quanti figli di più pel cielo! quanti figli di meno per l’inferno! Ma, forse mi direte, che cosa dobbiamo fare per adempiere i nostri doveri, poiché sono sì grandi e sì terribili? — Ahimè! io non oso dirvelo, tanto sono gravi per un Cristiano che desidera adempirli come vuole il buon Dio. Ma giacché sono obbligato a mostrarveli, eccoli: istruire i vostri figli, cioè insegnar loro a conoscere il buon Dio ed i propri doveri; correggerli cristianamente, dar loro buon esempio, guidarli per la giusta via che conduce al cielo, camminandovi per primi voi stessi. Ahimè ! F. M., io temo che questa istruzione vi sia, come tante altre, nuovo argomento di condanna. Il voler mostrarvi la grandezza dei vostri doveri, è volere discendere in un abisso senza fondo, e volere spiegare una verità che l’uomo non può mettere i n tutta la sua luce. – Per questo, F. M. bisognerebbe potervi far comprendere ciò che valgono le anime dei vostri figli, quanto ha sofferto Gesù Cristo per ridonar loro il cielo, il conto spaventoso che un giorno dovrete renderne a Dio, la felicità che fate loro perdere per tutta l’eternità, i tormenti che preparate loro per l’altra vita; converrete con me, F. M., che nessun uomo è capace di tutto questo. Ah! disgraziati genitori, se li stimaste quanto li stima il demonio! Quando pure egli impiegasse tre mila anni per tentarli, se finalmente riuscisse ad averli, conterebbe per nulla tutte le sue fatiche. Piangiamo, F. M., la perdita di tante anime che i genitori stessi ogni giorno gettano nell’inferno. Diamo uno sguardo superficiale ai vostri doveri, e frattanto, se non avete perduta interamente la fede, vedrete che non avete fatto nulla di quanto il buon Dio vuol che facciate per i vostri figli, o piuttosto che avete fatto tutto quanto occorreva per perderli. Ah! quante persone maritate non andranno in cielo! — E perché? mi direte voi. — Ecco. Perché vi sono molti che entrano nello stato del matrimonio senza le necessarie disposizioni, e profanano così da principio questo sacramento. Sì, dove sono quelli che ricevono questo Sacramento con la dovuta preparazione? gli uni vi sono condotti dal pensiero di accontentare i loro impuri desiderii; gli altri sono attirati da viste d’interesse, o dalle seduzioni della beltà; ma quasi nessuno ha per oggetto Dio solo. Ahimè! quanti matrimoni profanati, e come sono poche le unioni dove regnano la pace e la virtù! Dio mio! Quante persone maritate si danneranno. Ma, no, F. M., non entriamo in questi particolari, vi ritorneremo un’altra volta; parliamo solo dei doveri dei genitori verso i figli; sono abbastanza estesi per servirci da soggetto di trattenimento. Per oggi, F . M., non dirò nulla di quei padri e di quelle madri, del cui delitto non potrei dipingere a colori abbastanza vivi e forti la enormità e l’orrore. Essi fissano, prima di Dio stesso, il numero dei loro figli, mettono dei limiti ai disegni della Provvidenza s’oppongono alle sue adorabili volontà. Copriamo, F. M., tutte queste turpitudini con un velo, che nel grande giorno delle vendette, Colui, che ha tutto visto, contato e. ponderato saprà strappare. I tuoi delitti, amico, sono ancora nascosti, ma fra qualche giorno  Dio saprà manifestarli davanti a tutto l’universo. Sì, F. M., nel giorno del giudizio vedremo tutti gli orrori commessi nel matrimonio e che avrebbero fatto fremere gli stessi pagani. Non dico neppur nulla di quelle madri delinquenti, che vedrebbero senza dolore, ahimè! forse anche con piacere, perire i loro poveri figli prima di averli dati alla luce, e di aver loro procurato la grazia del Battesimo; le une, per timore dei fastidi che proverebbero nell’allevarli; le altre per timore del disprezzo e del rifiuto che proverebbero da un marito brutale ed irragionevole; non dico, senza religione, perché i pagani non farebbero di più, Dio mio! e possono tali delitti trovarsi fra i Cristiani? Eppure. F. M., quanto ne è grande il numero! Ancora una volta, quante Persone maritate sono dannate! Ecchè, amico mio, il buon Dio vi ha forse dato cognizioni superiori alle bestie, solo perché poteste offenderlo meglio? Gli uccelletti e gli stessi animali più feroci dovranno servirvi d’esempio? Vedetele,  queste povere bestie, quanto si rallegrano al vedersi moltiplicare i loro nati: di giorno si affaticano a cercar loro il nutrimento, e di notte li coprono colle loro ali per difenderli dalle ingiurie del tempo. Se una mano rapace porta via loro i piccoli, le sentirete lamentarsi; sembra che esse non possano più abbandonare i loro nidi, sempre nella speranza di ritrovarli. Quale vergogna, non dico per i pagani, ma per i Cristiani, che gli animali siano più fedeli nell’adempimento dei disegni della Provvidenza, che non gli stessi figli di Dio; cioè i padri e le madri che Dio ha scelto solo per popolare il cielo! No, no, F. M., non continuiamo, abbandoniamo un argomento così ributtante; entriamo nei particolari che riguardano un maggior numero di persone. Io vi parlerò più semplicemente che mi sarà dato, affinché possiate ben comprendere i vostri doveri ed adempirli.

1° Dico anzitutto che quando una madre è incinta deve pregare o fare qualche elemosina; meglio ancora, se può, far celebrare una Messa, per domandare alla santa Vergine di riceverla sotto la sua protezione, affinché ottenga da Dio che il povero infante non muoia senza aver ricevuto il santo Battesimo. Se una madre avesse veramente il sentimento religioso, direbbe a se stessa: “Ah! se avessi la fortuna di veder questo bambino diventare un santo, e contemplarlo per tutta l’eternità al mio fianco, cantando le lodi del buon Dio, quale gioia per me!„ Ma no, no, F. M., non è questo il pensiero che occupa una madre incinta: essa proverà invece un affannoso dispiacere nel vedersi in questo stato, e forse penserà di distruggere il frutto del suo seno. Dio mio, il cuore di una madre cristiana, può concepire un tale delitto? Eppure, quante ne vedremo, in quel giorno, che avranno nutrito in sé tali pensieri d’omicidio!

2° Dico inoltre che una madre incinta che vuol conservare il figliuolo pel cielo, deve evitare due cose: il portare carichi troppo pesanti e l’alzare le braccia troppo con isforzo per prendere qualche cosa, il che potrebbe nuocere al povero figliuolo e farlo perire. La seconda cosa da evitare, è il prendere rimedi che possano far patire il figliuolo, o dare in iscatti di collera, ciò che potrebbe spesso soffocarlo. I mariti devono tollerare molte cose che in un altro tempo non tollererebbero; se non vogliono farlo per riguardo alla madre, lo facciano almeno per riguardo al bambino; poiché potrebbe perdere la grazia del santo Battesimo; il che sarebbe la più grande di tutte le disgrazie!

3° Quando una madre vede avvicinarsi il tempo del parto, deve andarsi a confessare, e per più ragioni. La prima, perché molte durante il parto muoiono e, se per isventura ella avesse la disgrazia d’essere in peccato, si dannerebbe. La seconda, perché essendo in istato di grazia, tutte le pene e dolori che soffrirà saranno ricompensati in cielo. La terza, perché il buon Dio non mancherà di accordarle tutte le grazie che essa augurerà al suo figliuolo. Una madre, durante il parto, deve conservare il pudore e la modestia, per quanto nel suo stato le sia possibile, e non mai dimenticarsi di essere alla presenza di Dio, ed in compagnia del suo buon angelo custode. Non deve mangiare mai di grasso nei giorni proibiti, senza permesso, perché attirerebbe la maledizione su di sé e sul figlio.

4° Non lasciate mai passare più di ventiquattro ore senza far battezzare i vostri figli; se non lo fate, vi rendete colpevoli, eccetto però che non abbiate serie ragioni. Per padrini e madrine scegliete persone buone per quanto lo potete; eccone la ragione: tutte le preghiere, le buone opere che faranno i padrini e le madrine, in virtù della parentela spirituale coi vostri figli otterranno a questi una quantità di grazie dal cielo. Sì, F. M., stiamo certi che nel giorno del giudizio vedremo molti figli riconoscersi debitori della loro salute alle preghiere, ai buoni consigli ed ai buoni esempi dei padrini e delle madrine. Un’altra ragione vi obbliga: se voi venite a mancare, essi dovranno tenere il vostro posto. Dunque, se aveste la disgrazia di scegliere padrini e madrine senza religione, questi non potrebbero che condurre i vostri figli all’inferno. Padri e madri, non dovete mai lasciar perdere il frutto del Battesimo ai vostri figli: come sareste ciechi e crudeli! La Chiesa vuol salvarli col santo Battesimo, e voi, per negligenza, li rimettete in potere del demonio! Poveri bambini; in quali mani avete la disgrazia di cadere! Ma quanto ai padrini ed alle madrine non bisogna dimenticare che per farsi mallevadori di un fanciullo è necessario essere sufficientemente istruiti, di poter istruire essi il fanciullo, se il padre e la madre avessero a mancargli. Inoltre bisogna che siano buoni Cristiani ed anche perfetti Cristiani; poiché devono servir d’esempio ai loro figli spirituali. Perciò una persona che non fa Pasqua non deve tener a battesimo un bambino, e neppure una persona che ha una cattiva abitudine e non vuole rinunciarvi, o che va ai balli, o che frequenta abitualmente le bettole; perché ad ogni interrogazione del sacerdote, fa un giuramento falso: cosa grave, come ben vedete, in presenza di Gesù Cristo stesso, e ai piedi del sacro fonte battesimale. Quando non avete le necessarie condizioni per essere padrini cristiani, dovete rifiutare; e, se tutto questo vi è già capitato, dovete confessarvene, e non cadere più in simile peccato.

5° Non dovete far dormire i vostri figli con voi prima dell’età di due anni; se lo fate, commettete peccato. La Chiesa ha fatto questa legge non senza ragione: voi siete obbligati ad osservarla. — Ma, mi direte, alle volte fa molto freddo, o si è molto stanchi. — Questo non è una ragione che possa scusarvi davanti a Dio. Del resto, quando vi siete maritati, sapevate che sareste stati obbligati a portare il peso e ad adempiere i doveri inerenti a questo stato. Vi sono anche, F. M., dei padri e delle madri così poco istruiti in materia di religione, o così noncuranti dei loro doveri, che fanno dormire con sé figliuoli dai quindici ai diciotto anni, e spesso anche fratelli e sorelle assieme. Dio mio in quale stato d’ignoranza sono questi padri e queste madri! — Ma, mi direte, non abbiamo letti. — Voi non avete letti: ma è meglio farli dormire su di una seggiola, o in casa del vostro vicino. Dio mio! quanti genitori e figli dannati! Ma ritorno ancora al mio punto, dicendo che tutte le volte che fate dormire con voi i figliuoli prima che abbiano due anni, offendete il buon Dio. Ahimè! quanti poveri bambini alla mattina sono trovati soffocati dalla madre, ed a quante madri, qui presenti, è toccata questa disgrazia! E quand’anche Iddio ve ne avesse preservate, non siete meno colpevoli che se lì aveste trovati soffocati ogniqualvolta hanno dormito con voi. Voi non volete convenirne, cioè non ve ne correggete: aspettiamo il giorno del giudizio, ed allora sarete obbligate di ammettere quanto ora non volete riconoscere. — Ma, mi direte, quando sono battezzati non vanno perduti, anzi vanno in cielo. — Senza dubbio, F. M., non andranno perduti, ma siete voi che vi perderete; del resto sapete voi a che cosa destinava Iddio quei figliuoli? Forse quel bambino sarebbe stato un buon sacerdote. Avrebbe condotto una quantità di anime a Dio; ogni giorno, celebrando la S. Messa, avrebbe reso più gloria a Dio che tutti gli angeli ed i santi riuniti insieme in cielo. Avrebbe tratto più anime dal purgatorio che non le lagrime e lo penitenze dei solitari offerte al trono di Dio. Comprendete ora, il male di lasciar morire un fanciullo, anche battezzato? Se la madre di S. Francesco Saverio, che fu un gran santo che ha convertito tanti idolatri, l’avesse lasciato perire; ahimè! quante anime nell’inferno, al giorno del giudizio, la rimprovererebbero di essere stata la causa della loro dannazione, perché quel fanciullo era mandato da Dio por convertirli! Voi lasciate perire quella bambina che forse si sarebbe data a Dio; colle sue preghiere e co’ suoi buoni esempi avrebbe condotto un gran numero di anime al cielo. Forse madre di famiglia, avrebbe ben allevato i suoi figli che, a loro volta, ne avrebbero allevati altri, e così la religione si sarebbe mantenuta e conservata per numerose generazioni. Voi contate poco, F. M., la perdita di un fanciullo, col pretesto che è battezzato; ma aspettate il giorno del giudizio, e vedrete e riconoscerete ciò che non comprenderete mai in questo mondo. Ahimè! se i padri e le madri facessero di tanto in tanto questa riflessione, quante anime di più vi sarebbero in cielo.

6° Io dico che i genitori sono colpevoli assai quando accarezzano i loro figli in un modo troppo sconveniente. — Ma, mi direte, non facciamo alcun male, è soltanto per carezzarli; — ed io invece vi dirò che offendete il buon Dio, e che attirate la maledizione su questi poveri bambini. Sapete che cosa ne avviene? Ecco: Vi sono dei fanciulli che hanno presa questa abitudine dai genitori, e l’hanno conservata fino alla loro prima comunione. Ma, mio Dio! si può credere che questo avvenga da parte di genitori Cristiani?

7° Vi sono delle madri, che hanno sì poca religione, o se volete, sono così ignoranti, che per mostrare alle vicine la robustezza dei loro figli li scoprono nudi; altre per lavarli, li lasciano per lungo tempo scoperti davanti a tutti. Ebbene non dovreste farlo, neppure se niuno vi fosse presente. Forse non dovete rispettare la presenza dei loro Angeli custodi? Lo stesso dicasi quando li allattate. Deve forse una madre cristiana lasciare il seno scoperto? e quantunque ben coperta, non deve forse voltarsi dove non vi sia alcuno? Altre, sotto pretesto che sono nutrici, non si coprono che per metà; quale abbominazione! Non c’è da far arrossire persino i pagani? Si è obbligati, per non esporsi a sguardi impuri, di fuggire la loro compagnia. Che orrore! — Ma, mi direte, quantunque vi sia presente alcuno, bisogna pur allattare i figli e fasciarli quando piangono. — Ed io vi dirò che quando piangono, dovete fare tutto il possibile per acquietarli; ma è meglio lasciarli piangere un poco che offendere Iddio. Ahimè! quante madri sono causa di sguardi impuri, di cattivi pensieri, di toccamenti disonesti! Ditemi, sono quelle le madri cristiane che dovrebbero essere così riservate? Dio mio! quale giudizio dovranno subire? Altre sono così maleducate che d’estate lasciano correre per tutta la mattina i loro figli mezzo nudi. Ditemi, o miserabili, non stareste forse meglio tra le bestie selvagge? Dove è la vostra religione e il pensiero dei vostri doveri? Ahimè! della religione non ne avete, e quanto ai vostri doveri, non li avete mai conosciuti. Voi stesse ne date la prova ogni giorno. Ah! poveri figli, quanto siete disgraziati d’aver tali genitori!

8° Dico, che dovete ancora sorvegliare i vostri figli quando li mandate nei campi; là, lontani da voi, si abbandonano a tutto ciò che il demonio ispira loro. Se l’osassi, vi direi che essi commettono ogni sorta di disonestà; che passano delle mezze giornate nel far cose abbominevoli. So che la maggior parte non conoscono il male che fanno; ma aspettate quando ne avranno la conoscenza. Il demonio non mancherà di ricordar loro quello che han fatto in questi momenti, per farli peccare. Sapete, F. M., ciò che produce la vostra negligenza o la vostra ignoranza? Eccolo: ricordatevelo bene. Una buona parte dei figliuoli che mandate nei campi, alla loro prima comunione commettono dei sacrilegi; essi hanno contratto delle abitudini vergognose: e non osano manifestarle, ovvero non se ne sono corretti. In seguito, se un sacerdote che non vuol dannarli, non li ammette, lo si rimprovererà, dicendo: Fa così perché è il mio … “Via, miserabili, vegliate un po’ meglio sui vostri figli, e saranno ammessi. Sì, dirò che la maggior parte dei vostri figli hanno cominciato la lor riprovazione da quando cominciarono ad andare nei campi. — Ma, mi direte, noi non possiamo seguirli sempre, avremmo ben da fare. — Per questo, F. M., non vi dico nulla; ma tutto quello che so è che voi risponderete delle anime loro come della vostra. — Ma noi facciamo quello che possiamo. — Io non so se voi fate quello che potete; ma quello che so è questo, che se i vostri figli presso di voi si dannano, vi dannerete voi pure; ecco quello che so, e niente altro. Avrete un bel dir di no, che io vado troppo avanti; se non avete del tutto perduta la fede, ne converrete; ciò solo basterebbe a gettarvi in una disperazione dalla quale non potreste più uscirne. Ma io so che voi non farete un passo di più per meglio osservare i vostri figli; voi non vi inquietate di questo; ed avete quasi ragione, perché avrete il tempo di tormentarvi durante tutta l’eternità. Andiamo avanti.

9. Non dovete far dormire le vostre domestiche o le vostre figlie, in appartamenti, dove alla mattina vanno i servi a cercare le rape o le patate. Bisogna dirlo, a confusione dei padri e delle madri, dei padroni e delle padrone; povere fanciulle e povere domestiche, avranno la confusione di alzarsi, di vestirsi davanti a gente che ha tanta religione quanta ne avrebbe se non avesse mai sentito parlare del vero Dio. Spesso poi i letti di queste povere fanciulle non avranno cortine. — Ma, mi direte, se bisognasse fare tutto ciò che voi dite, quanto lavoro ci sarebbe. — Amico mio, è questo appunto ciò che dovete fare, e se non lo fate ne sarete giudicati e puniti: certamente. Voi non dovete far dormire i vostri figli che hanno già sette od otto anni, nella vostra stessa camera. Ricordatevi, F. M., non conoscerete il male che fate se non al giudizio di Dio. So bene che non farete nulla o quasi nulla di ciò che vi insegno; non importa; io vi dirò sempre tutto ciò che vi devo dire; dopo, tutto il male sarà vostro e non mio, perché vi faccio conoscere ciò che dovete fare per adempire i vostri doveri verso i figli. Quando il buon Dio vi giudicherà, non potrete dire che non sapevate ciò che bisognava fare; io allora vi ricorderò ciò che oggi vi ho detto. – Avete adunque visto, F. M., che i vostri figli, benché piccoli, vi fanno commettere molte mancanze; ora vedrete che quando saranno alti ve ne faranno commettere di più grandi e di più funeste per voi e per essi. Converrete tutti con me, F. M., che più i vostri figli avanzano in età più dovete raddoppiare le preghiere e le cure, perché i pericoli sono maggiori, e le tentazioni più frequenti. Ditemi ora, fate voi tutto questo? No, senza dubbio; quando i vostri figli erano piccoli voi avevate la cura di parlar loro del buon Dio, di far loro recitare le preghiere; vegliavate un po’ sulla loro condotta, domandavate loro se si erano confessati, se avevano assistito alla santa Messa; avevate la precauzione di ricordar loro d’andare alla dottrina. Ma da quando hanno raggiunto i diciotto o i venti anni, non ispirate più loro in cuore l’amore ed il timor di Dio, non ricordate loro la felicità di chi lo serve in questa vita, il rimorso che si ha morendo, di andare perduti: ahimè! quei poveri figli sono pieni di vizi; ed hanno già mille volte trasgredito, senza conoscerli, i comandamenti della legge di Dio: il loro spirito è ripieno delle cose terrene, e vuoto di quelle di Dio. Voi parlate loro del mondo. Una madre comincerà a dire alla figliuola che la tale si è unita col tale, e che è stato un buon partito; bisognerebbe che anch’essa trovasse simile fortuna. Questa madre non avrà in mente che la figlia, cioè, farà tutto ciò che potrà per farla comparire agli occhi del mondo. Essa la coprirà di vanità, fors’anche a costo di far dei debiti; le insegnerà a camminare diritta, dicendole che cammina tutta curva, o non si sa che a cosa somigli. Certo vi stupisce che vi siano madri così cieche. Ahimè! come è grande il numero di queste povere cieche che cercano la perdita delle loro figlie! Altra volta, vedendole uscire la mattina, si daranno maggior premura di guardare so hanno la cuffia ben accomodata, il viso e le mani ben pulite, che di chiedere se hanno offerto il loro cuore a Dio, se hanno fatto le loro preghiere e offerta a Dio la loro giornata; di questo non parlano mai. Altre volte diranno alle figliuole che non bisogna essere troppo rustiche, che bisogna far buon viso a tutti; che bisogna farsi delle conoscenze per potersi collocare. Quante madri o poveri padri accecati dicono al figlio: Se ti porterai gentilmente o se farai bene quella cosa, ti lascerò andare alla fiera di Montmerle o alla sagra; cioè, se farai sempre quello che io vorrò, ti trascinerò nell’inferno! Dio mio, è questo il linguaggio di genitori cristiani che dovrebbero pregare giorno e notte per i loro propri figli, affinché il buon Dio ispiri loro un grande orrore per i piaceri, un grande amore per Lui e per la salute della loro anima? Quello che addolora ancor di più, è vedere che vi sono figliuole le quali non sono affatto portate ad uscir di casa; ed i genitori le pregano, le sollecitano dicendo loro: Se stai sempre in casa non troverai da collocarti, fuori non sarai conosciuta. Volete voi, madre mia, che la vostra figlia faccia delle conoscenze? Non inquietatevi troppo, ne farà senza che voi abbiate a tormentarvi tanto; aspettate ancora un po’ e, vedrete, se le avrà fatte. La figlia, che non avrà forse il cuore guasto come quello della madre, soggiungerà: Farei volentieri come voi volete; ma il signor Parroco non vuole; ci dice che tutto ciò non fa che attirare la maledizione del buon Dio nei matrimoni. Io non mi sento voglia di andar a ballare, che ve ne pare, mamma? — Eh! Buon Dio, quanto sei ingenua, figlia mia, ad ascoltare il signor Parroco; bisogna bene che egli dica qualche cosa; è il suo mestiere; noi si prende quello che si vuole e si lascia il resto agli altri. — Ma, allora, non faremo Pasqua? — Ah! povera bambina; se lui non ci assolverà, andremo da un altro; ciò che rifiuta l’uno, un altro l’accetta sempre. Figlia mia, sii prudente, ritorna presto, ma va pure; quando non sarai più giovane avrai finito di divertirti. „ Un’altra volta sarà una vicina che le dirà: “Voi lasciate troppo libera vostra figlia, essa finirà col darvi dei dispiaceri. — Mia figlia! le risponderà; non temo proprio di nulla. E poi le ho raccomandato di essere prudente ed essa me l’ha promesso; sono sicura che frequenta solo persone dabbene.„ — Madre mia, aspettate ancora un po’ e vedrete il frutto della sua assennatezza. Quando la colpa sarà palese, vostra figlia diventerà argomento di scandalo per tutta la parrocchia, coprirà di obbrobrio e di disonore la famiglia; e se nulla se ne scorgerà, cioè se nessuno lo saprà, tuttavia essa porterà sotto il velo del sacramento del matrimonio un cuore ed un’anima guasti da impurità, alle quali s’era data prima del matrimonio, fonte di maledizioni per tutta la sua vita. — Ma, dirà una madre, quando vedrò mia figlia andar troppo oltre, allora saprò ben io fermarla; non la lascerò più uscire, oppure adoprerò il bastone. — Voi, o madre, non le darete più il permesso; non inquietatevi, essa saprà prenderselo senza che voi vi affatichiate a darglielo, e se mostrerete anche solo di volerglielo rifiutare, ella saprà ben minacciarvi, burlarsi di voi, e partire. Siete stata voi ad eccitarla la prima volta, ed ora non potrete più trattenerla. Forse piangerete, ma a che serviranno le vostre lagrime? a nulla, se non a farvi ricordare che vi siete ingannata, che dovevate essere più prudente e guidar meglio i vostri figli. Se ne dubitate, ascoltatemi un momento e, malgrado la durezza del vostro cuore, per l’anima dei vostri poveri figli, vedrete che è solo il primo passo quello che costa; una volta che li avete lasciati uscir di strada non ne siete più padrone, e spesso fanno una fine miserabile. – Si racconta nella storia, che un padre aveva un figlio il quale gli dava ogni sorta di consolazioni; era buono, obbediente, riservato nelle sue parole, ed era nel medesimo tempo l’edificazione di tutta la parrocchia. Un giorno che vi fu un divertimento nel vicinato, il padre gli disse: “Figlio mio, tu non esci mai; va a divertirti un po’ coi tuoi amici, sono giovani dabbene, e non sarai in cattiva compagnia.„ Il figlio gli rispose: “Padre, per me non v’ha piacere più grande, e miglior divertimento che il restare in vostra compagnia.„ Ecco una bella risposta da parte di un figlio, che preferisce la compagnia di suo padre a tutti gli altri piaceri ed a tutte le altre compagnie. “Ah! figlio mio, gli rispose il povero padre accecato, verrò anch’io con te.„ Il padre parte col figlio. La seconda volta, il giovane non ha più bisogno di farsi tanto pregare; la terza va da solo, non ha bisogno di suo padre; al contrario, il padre comincia a dargli fastidio; egli conosce già molto bene la strada. Il suo spirito non è più preoccupato che dal suono degli strumenti che ha sentito, delle persone che ha viste. E finisce coll’abbandonare quelle piccole pratiche di pietà che si era prescritte quand’era tutto di Dio; finalmente si lega con una giovane ben più cattiva di lui. I vicini cominciano già a parlare di lui, come di un nuovo libertino. Quando il padre se n’accorge, vuol opporsi, gli proibisce di andare in qualsiasi luogo senza il suo permesso; ma non trova più nel figlio l’antica sottomissione. Nulla può più fermarlo; si burla del padre, dicendogli che, non potendo ora divertirsi lui, vuol impedirlo anche agli altri. Il padre disperato, non vede più rimedio, si strappa i capelli, vuol castigarlo. La madre che capiva meglio del marito i pericoli di quelle compagnie, gli aveva spesso ripetuto che faceva molto male, che avrebbe avuto dei dispiaceri; ma era troppo tardi. Un giorno il padre, vistolo tornare da quei divertimenti, lo castigò. Il figlio, vedendosi contrariato dai genitori, si arruolò soldato; e qualche tempo dopo il padre ricevette una lettera che gli annunciava che il figliuol suo era rimasto schiacciato sotto i piedi dei cavalli. Ahimè! dove andò questo povero figlio? Dio non voglia che sia andato all’inferno. Intanto se egli si è dannato, come tutto fa credere, il padre fu la vera causa della sua perdizione. Quand’anche il padre facesse penitenza, la sua penitenza e le sue lagrime non riusciranno mai a strappare quel povero figlio dall’inferno. Ah! disgraziati genitori che gettate i vostri figli nelle fiamme eterne! Voi trovate questo alquanto esagerato; ma se esaminiamo davvicino la condotta dei genitori, vediamo che questo è quello appunto che essi fanno tutti i giorni. Se ne dubitate solo un po’ tocchiamo più da vicino questo punto. Non è vero che vi lamentate ogni giorno dei vostri figli? che non potete più comandar loro? purtroppo è vero. Voi forse avete dimenticato quel giorno in cui avete detto a vostro figlio o a vostra figlia: Se vuoi andare alla fiera di Montmerle, o alla Sagra, va pure, non ritornare però troppo tardi. Vostra figlia vi ha risposto che avrebbe fatto ciò che volevate. — Va pure, non esci mai, bisogna che ti pigli un momento di svago. — Non potete dir di no. Ma dopo qualche tempo, non avrete più bisogno di sollecitarla, né di darle il permesso. Allora, vi affliggerete, perché esce di casa senza dirvelo. Guardatevi indietro, o madre, e vi ricorderete che le avete dato il permesso una volta per tutte. Di più: vedete che cosa accadrà quando le avrete permesso di andare ovunque la conduca la sua testa senza cervello. Voi volete ch’essa faccia delle conoscenze per potersi collocare. State certa, che continuando a correre per le strade, ne farà tante, e moltiplicherà le sue colpe. Sarà questo cumulo di peccati che impedirà alla benedizione di Dio di spandersi su questi poveri figli al momento del loro matrimonio. Ahimè! questi poveretti sono già maledetti da Dio! Mentre il sacerdote alza la mano per benedirli, Dio dall’alto de’ cieli lancia le sue maledizioni. E di qui comincerà una spaventosa sorgente di disgrazie per essi. Questo nuovo sacrilegio, aggiunto a tanti altri, fa perder loro la fede per sempre. Allora, nel matrimonio, dove si crede tutto permesso, la vita non è più che un abisso di corruzione che farebbe fremere l’inferno stesso se ne fosse testimonio. Ma tutto questo dura poco. Ben presto cominceranno a non essere rari i dispiaceri, gli odi, gli alterchi ed i cattivi trattamenti dall’una e dall’altra parte. — Dopo cinque o sei mesi di matrimonio il padre vedrà suo figlio infuriato e quasi disperato, maledire i genitori, la moglie e fors’anche quelli che hanno combinato il matrimonio. Suo padre, stupito, gli domanderà che cosa è successo: “Ah! quanto sono disgraziato; ah! se quando son nato mi aveste ucciso, o se prima del mio matrimonio qualcheduno m’avesse avvelenato! — Ma, figlio mio, gli dirà il padre tutto affannato, bisogna aver pazienza. Che cosa vuoi! forse non sarà sempre così. — Non mi dite nulla, se mi sentissi il coraggio, mi tirerei una fucilata, o mi getterei nel fiume: con costei bisogna ad ogni momento altercare e battersi.„ — Non è questo, o buon padre, il frutto di quelle parole: Lasciamo che il Parroco dica, bisogna far delle conoscenze, altrimenti non si troverà da collocarsi. Va pure, figlio mio, sii prudente, torna di buon’ora e sta tranquillo? Sì, senza dubbio, amico mio, se foste stato assennato ed aveste consultato Iddio, non vi sareste collocato come avete fatto; Dio non l’avrebbe permesso; ma avrebbe fatto con voi come col giovane Tobia; vi avrebbe scelto Lui stesso una sposa che, venendo in casa, vi avrebbe apportato la pace, la virtù, ogni sorta di benedizioni. Ecco, amico mio, ciò che avete perduto non volendo ascoltare il vostro pastore ed avendo seguito il consiglio dei vostri ciechi genitori. – Un’altra volta sarà una povera figliuola che verrà, forse tutta ammaccata di battiture, a deporre nel seno della madre le sue lagrime ed i suoi dispiaceri. Esse mescoleranno assieme le loro lagrime: “Ah! madre mia, quanto sono stata disgraziata d’aver preso un marito come quello! così malvagio e brutale! Io credo che un giorno si dirà ch’egli mi ha uccisa.„ — “Ma, le dirà la madre: devi fare tutto ciò che ti comanda.„ — “Io lo faccio sempre; ma nulla lo accontenta, è sempre in collera.„ — “Povera figliuola, le dirà la madre, se avesti sposato un tale che t’ha domandata, saresti stata ben più felice… „ Voi v’ingannate, madre, non è questo che dovete dirle. “Ah! povera figlia, se t’avessi insegnato il timore e l’amor di Dio, non t’avrei mai lasciata correre ai divertimenti: Dio non avrebbe permesso che tu fossi così disgraziata…„ Non ricordate, buona madre, quelle vostre parole: lascia dire il signor Parroco, va pure; sii prudente, ritorna di buon’ora e sta tranquilla. Va benissimo, madre mia, ma ascoltate. Un giorno, passai vicino ad un gran fuoco; presi una manata di paglia e ve la gettai dentro, dicendole di non bruciare. Quelli che furono testimoni del mio atto, mi dissero, burlandosi di me: “Avete un bel dirle di non bruciare; non l’impedirete certo. — E come, risposi, se io le dico di non bruciare?„ Che no pensate, madre mia? vi riconoscete? Non è questa la vostra condotta, o quella della vostra vicina? Non è vero che avete detto a vostra figlia prima di concederle che partisse, di essere assennata? — Sì, senza dubbio… — Andate, buona madre, voi foste cieca, voi siete stata il carnefice dei vostri figli. Se essi sono disgraziati nel loro matrimonio, voi sola ne siete la causa. Ditemi, buona madre, se aveste avuto un po’ di religione e di amore per i vostri figli, non dovevate fare tutto il possibile per evitar loro il male che avete commesso voi, quando eravate nella medesima condizione? Parlerò più chiaro. Non siete abbastanza contenta di esser disgraziata voi; volete che lo siano anche i vostri figli. E voi, figlia mia, siete sfortunata nella vostra famiglia? Me ne dispiace assai; ma ne sono meno stupito che se mi diceste che siete felice, dopo le disposizioni che avete portato al vostro matrimonio. – Sì, F. M., la corruzione oggi è salita tant’alto tra i giovani, che sarebbe quasi impossibile trovare chi riceva santamente questo Sacramento, come è impossibile vedere un dannato salire al cielo. — Ma, mi direte, ve ne sono ancora alcuni. — Ahimè! amico mio, dove sono?… Ah! sì, un padre od una madre non mettono alcuna difficoltà di lasciare per tre o quattro ore, alla sera od anche durante i vespri, la loro figlia con un giovane. — Ma, mi direte, sono buoni. — Sì, senza dubbio, sono buoni; la carità deve farcelo credere. Ma ditemi, madre mia, eravate voi buona quando eravate nel medesimo caso di vostra figlia? – Finisco, F. M., dicendo che se i figli sono disgraziati in questo mondo e nell’altro, è colpa dei genitori che non hanno usato tutti i mezzi possibili per condurli santamente per la via della salute, dove il buon Dio li avrebbe certo benedetti. Ahimè! al giorno d’oggi, quando un giovane od una giovane vogliono collocarsi, bisogna assolutamente che abbandonino il buon Dio No, non entriamo in questi particolari; vi tornerò su un’altra volta. Poveri padri e povere madri, quanti tormenti vi aspettano nell’altra vita! Fin che la vostra discendenza durerà, voi parteciperete a tutti i suoi peccati, sarete puniti come se li aveste commessi voi, e per di più renderete conto di tutte le anime della vostra discendenza che si danneranno. Tutte queste povere anime vi accuseranno di averle fatte perdere. Questo è facilissimo da comprendersi. Se aveste ben allevato i vostri figli, essi avrebbero allevato bene i loro: si sarebbero salvati gli uni e gli altri. Ciò non basta ancora; voi sarete responsabili davanti a Dio di tutte le buone opere che la vostra discendenza avrebbe fatte sino alla fine del mondo, e che non avrà fatto per causa vostra. Che ne pensate, padri e madri? Se non avete ancor perduta la fede, non avete motivo di piangere sul male che avete fatto, e sull’impossibilità di rimediarvi? Non avevo io ragione di dirvi, in principio, che è quasi impossibile mostrarvi in tutta la sua luce la grandezza dei vostri doveri? Eppure quello che vi ho detto oggi non è che un piccolo sguardo Ritornate domenica, padri e madri, lasciate la casa in custodia ai vostri figli, ed io continuerò, senza però potervi far comprenderò tutto. Ahimè! quanti genitori trascinano i loro poveri figli nell’inferno, e insieme vi cadono essi stessi. Dio mio! si può pensare a tanta sciagura senza fremere? Felici quelli che il buon Dio non chiama al matrimonio! Quale conto di meno avranno da rendere! — Ma, mi direte: “Noi facciamo quello che possiamo.„ Voi fate ciò che potete, sì, senza dubbio; ma per perderli, non per salvarli. Finendo vi voglio mostrare che non fate quello che potete. Dove sono le lagrime versate, le penitenze e le elemosine fatte per domandare a Dio la loro conversione? Poveri figli, quanto siete disgraziati d’appartenere a genitori, i quali non lavorano che a rendervi infelici in questo mondo, ed ancor più nell’altro! Come vostro padre spirituale, ecco il consiglio che vi do: Quando vedete i vostri genitori che mancano alle funzioni, lavorano alla domenica, mangiano di grasso nei giorni proibiti, non frequentano più i Sacramenti, non s’istruiscono, fate tutto il contrario; affinché i vostri buoni esempi li salvino, e se otterrete questa felicità, avrete tutto guadagnato. E ciò che vi auguro.

LO SCUDO DELLA FEDE (176)

A. D. SERTILLANGES, O. P.

CATECHISMO DEGLI INCREDULI (XII)

[Versione autoriz. Dal francese del P. S. G. Nivoli, O. P. – III ristampa. S. E. I. – Torino 1944]

LIBRO SECONDO

I MISTERI

VI. — Il mistero della Redenzione.

D. Tu dici che l’incarnazione ha per ragione di essere la redenzione:  è dunque perché vi è un vincolo di necessità tra l’una e l’altra?

R. Non c’è nessun vincolo di necessità. Dio è libero dei suoi benefizi, e l’incarnazione, al pari di ogni altra soluzione, non s’impone alla sua provvidenza. Una sola cosa è certa, ed è che, dopo la caduta, l’iniziativa della riparazione non poteva venire da noi; ci voleva un intervento del cielo. Come si sarebbe prodotto questo intervento: per mezzo di un’offerta accettata senz’altra condizione che il pentimento, o per la grande avventura redentrice? ecco le due soluzioni estreme; ma ce n’era un’infinità d’altre.

D. Perché dunque questa?

E. Perché Dio fece tutto da Dio. Non abbiamo forse detto che la sua religione porta tutto agli estremi, a fine di conciliare tutto? Si trattava qui di conciliare l’estrema giustizia con l’estrema misericordia, con l’estrema sapienza, con l’estrema potenza, con l’estremo amore, affinché tutti gli attributi divini fossero all’opera, e fossero in gioco tutti i valori umani.

D. Come ciò si effettua?

R. La disgrazia del mondo dipendeva dalla rottura del vincolo tra l’anima e Dio, e, per conseguenza, tra l’anima e l’anima, tra l’anima e il corpo, tra la persona e la cosa, tra lo spirito e l’universo: il rimedio era di ristabilire questo vincolo e di riparare la rottura. Essendo il vincolo rotto anzitutto un vincolo morale, bisognava che il riscatto fosse un atto morale, che fosse un merito, un merito riparatore. Questo merito, normalmente. doveva essere un merito umano, perché donde è venuta la colpa deve venire la riparazione, e ancora doveva essere un merito divino, affinché ogni giustizia fosse soddisfatta fino alla sovrabbondanza, come richiediamo; infatti, non occorre forse che la riparazione salga al livello dell’offesa, e per conseguenza dell’offeso, dal quale l’offesa si misura? La riparazione per mezzo dell’Uomo Dio risponde a questa necessità di magnificenza, se così posso dire, ed ecco quello che provoca nei nostri grandi uomini delle estasi di ammirazione. Dall’intimo stesso della massa del peccato Dio fa germogliare la salute introducendovi il lievito che è il suo Verbo. Il Pensiero creatore riprende l’uomo in sottopera, l’incorpora, per il fatto che Egli l’assume, all’idea della sua prima costituzione, e così la salva, perché l’idea della prima costituzione implica il destino primitivo» Prendendo la forma della nostra miseria, Egli la rialza. Lui, infinito, viene a prenderci in quella lontananza infinita in cui siamo, la lontananza del peccato e, se posso dire così, del soprannaturale peccato. – La conversazione iniziale si riprende per il fatto che il Padre parla col Figliuolo divenuto uno di noi, per il fatto che egli riceve da questo Uguale umano una piena soddisfazione, e si celebra sulla croce il rito del pentimento, dell’adorazione filiale e dell’amore. La scrittura della croce è una cambiale su Dio, un testamento; noi siamo degli aventi diritto e Cristo prende il nostro posto, quello che permette a Bossuet di chiamarlo con un po’ di audacia: « il nostro santo, il nostro caritatevole, il nostro misericordioso colpevole ».

D. Se una riparazione «magnifica» era intraveduta, che cosa significa il simbolo dell’Angelo dalla spada fiammeggiante che proibiva l’ingresso del paradiso terrestre?

R. L’angelo era là meno per difendere l’antica porta che per spingere gli sbanditi verso la nuova. D’ora innanzi è Gesù la « Porta », e il paradiso perduto è ritrovato.

D. In che modo Gesù è la porta?

E. A titolo di Mediatore. Egli stabilisce un passaggio; riallaccia e intercede per la sola sua esistenza, a fortiori per la divina accettazione. È chiaro! Dio non può mancar di risparmiare e di considerare sua una stirpe alla quale appartiene, nel tempo, il Suo Figliuolo eterno, e per la quale questo FIgliuolo perora come per se stesso. Ma ciò prende un carattere effettivo per la comunicazione che ci fa il Figliuolo della vita soprannaturale che Egli possiede e che noi abbiamo perduto per la colpa. Con ciò Egli è il nostro Salvatore e ci rialza dalla caduta collettiva come da tutti i suoi effetti individuali. Con ciò è il nostro padre soprannaturale come Adamo il nostro padre secondo la natura. Con ciò è sacerdote, cioè donatore delle cose sante, ed è anche il solo sacerdote, in ciò che gli altri sacerdoti non sono i suoi successori, ma i suoi rappresentanti e i canali delle sue grazie. Per giunta, questo sacerdote è anche vittima, perché appunto per la sua propria immolazione volle egli compiere la mediazione efficace e salutare di cui parlo. Tal è la Redenzione. Essa ha naturalmente una portata infinita, vale per tutti gli uomini, per tutte le colpe che essa ripara dopo o prima, purché ciascuno ripari per suo conto nella misura delle sue forze. Vale altresì per tutte le ascensioni, compresa la vita eterna, della quale Gesù paga il prezzo.

D. Un prezzo pagato per un vantaggio non giustifica l’idea di redenzione.

R. Vi è redenzione o riscatto perché vi è cessazione di uno stato di servitù o sborso di un prezzo questo effetto.

D. Di quale servitù parli tu?

R. Della servitù del male, e specialmente del peccato; perché « chi commette il peccato è schiavo del peccato », dice S. Pietro, servitù che ne trascina un’altra riguardo a quell’agente invisibile del male, di quel fautore del peccato che si chiama satana.

D. Bisognerà dunque pagare satana?

R. No, come non si paga al lupo la pecora che gli viene strappata; si paga un proprietario. Qui si paga Dio.

D. Quest’apparenza di commercio non ti urta?

R. Non si tratta punto di commercio, ma di giustizia e di soddisfazione.

D. Un umile pentimento non è una sufficiente soddisfazione?

R. Il pentimento è certamente la cosa essenziale; ma non è affatto una soddisfazione. Un suddito che ha insultato il suo sovrano forseché soddisfa rendendogli semplicemente omaggio? L’ordine pubblico si può contentare di questa resipiscenza?

D. Qui non c’è ordine pubblico.

R. C’è l’ordine pubblico degli esseri, l’ordine universale, che è un ordine morale. Quest’ordine è offeso dal peccatore, e l’offesa grave ha un carattere in certo modo infinito, secondo che quest’ordine contiene Dio.

D. Tuttavia Iddio non può rimettere, come capo dell’ordine universale?

R. Dio può tutto, e se Egli facesse ciò che dici, noi loderemmo la sua misericordia; ma la stretta giustizia non sarebbe punto soddisfatta, né certamente la divina paternità, perché non sarà forse l’eterno onore dei figli di Dio l’avere, in grazia del loro Cristo e della loro propria cooperazione, soddisfatto tutti i loro debiti morali, riparato ampiamente tutto il male, glorificato tutto il bene, e l’essere così, spiritualmente come in tutti i modi, i figli delle loro opere? Del resto, quanti benefizi speciali ci sono procurati dalla soluzione ammessa! Li abbiamo intraveduti trattando dell’Incarnazione.

D. Tuttavia, in questa ipotesi, Iddio non fa la figura di gran signore toccato sul vivo?

R. Egli fa figura di Essere universale, sollecito a un tempo di tutti gli attributi del suo regno, di tutti quelli della sua paternità e dei molteplici bisogni delle sue creature. La Redenzione è un’opera d’armonia in cui la giustizia, la misericordia e la sapienza si abbracciano, come l’Incarnazione è un’opera d’armonia in cui il divino e il creato uniscono tutte le loro frontiere. – Gesù Cristo fa da parte sua ciò che non possiamo fare noi, e ci porta a ciò che noi possiamo fare, aiutandoci per giunta a compirlo. Ci fornisce l’insegnamento e l’esempio. L’egoismo orgoglioso e gaudente erano la sorgente di ogni male: Egli non solo li denunzia, ma ancora reagisce sposando i loro contrari. «Egli bevette la medicina amara che l’uomo non poteva bere, dice S. Caterina da Siena, come la madre che allatta prende un rimedio con l’intenzione che faccia bene al bambino ». Noi rigettiamo tutto sopra gli altri: Egli prende tutto sopra di sé. Noi non amiamo che noi stessi contro tutti gli altri: Egli non amerà che gli altri contro di sé. Noi odiamo i patimenti e gli abbassamenti più necessari: Egli vi ci incoraggia con l’amore umiliato e dolorante. La morte ci fa orrore, fosse pure giusta e buona, e indispensabile: Egli la chiama suo calice, che ha fretta di bere, perché Egli venne per quest’ora.

D. Perché questo dramma, quando dici che il minimo atto di Cristo, d’un valore infinito, poteva bastare a ogni cosa?

R. Dio non crede bene di salvarci con un colpo di bacchetta. Dio fa tutto all’eccesso, ancora una volta: eccesso di giustizia, eccesso di misericordia, eccesso di mistero, eccesso di chiarezza, eccesso di abbassamento, eccesso di grandezza, eccesso di tenerezza, eccesso di dolore e di gloria. Organizzata diversamente, l’opera non sarebbe sufficientemente divina; gli attributi sovrani non sarebbero abbastanza manifestati; la lezione sarebbe debole; l’avvenire morale non avrebbe sufficienti garanzie; il bene e il male non avrebbero mostrato tutto il loro peso, e l’amore, principalmente, non avrebbe sufficienti testimonianze.

D. Tu perori per l’amore e per la morte?

R. Vi è certamente un vincolo misterioso e intimo, tra l’amore, il patire e la morte. Dio vuole sottomettersi a questa legge della testimonianza irrecusabile, e consente che vi siano sottomessi con Lui tutti quelli che l’amore travaglia. La salute collettiva per mezzo del sacrifizio non è forse la più grande bellezza della storia? Ricorda Leonida, Regolo, il cavaliere d’Assas, Giovanna d’Arco. Il mistero della Redenzione ricollega la salute della collettività umana a un sacrifizio supremo che ne suscita una infinità d’altri, e ogni cuore generoso lo comprende.

D. Intanto parli della « follia » della croce.

R. Ma aggiungendo: « Quello che sarebbe follia di Dio è più sapiente della sapienza degli uomini » (Epistola I ai Corinzi, I, 25). Questo caso di un Dio che per amore si mette nelle mani della sua creatura per morire è l’originalità più profonda del Cristianesimo, quella che adatta questa religione all’anima umana in ciò che essa ha di più intimo e di più forte. Lì sta il segreto della sua impresa, e, di gran lunga, la sua più potente leva.

D. Avevi detto sopra che l’universo fisico aveva partecipato alla caduta, ebbene partecipa anche alla redenzione?

R. Sì; perché Cristo, rinforzando il vincolo che lega l’anima a Dio, rafforzò nello stesso tempo il vincolo che lega il corpo all’anima e l’ambiente naturale al corpo. L’anarchia esteriore del mondo è vinta di diritto, come l’anarchia interiore del nostro essere, come l’anarchia iniziale del peccato, e lo spirito riprende, ufficialmente, il governo delle cose.

D. Non sì capisce bene come dopo tali fatti, la situazione sia così poco cambiata. Se Cristo ha riparato tutto, come mai le conseguenze del peccato originale non sono abolite?

R. Esse sono abolite di diritto; noi non vi siamo più soggetti come a una legge opprimente, ma legati oramai come a mezzi. In quanto ad eliminarle tutt’a un tratto, come lo immagina una corta sapienza, è ciò che non sarebbe stato degno di Dio. L’azione di Dio è armonia e ignora le catastrofi. Dio è abbastanza potente da trarre partito da una situazione senza sconvolgerla e trarre anche da una rovina una fabbrica migliore. Il nostro mondo è quello che è: Dio lo conserva; dobbiamo dire: tutte le sue apparenze restano; ma il segno de’ suoi valori è cambiato. Moralmente questo mondo è tutt’altro: ieri una specie d’inferno, oggi, per chi consente a ben vivere, il vestibolo del cielo, o per dir meglio un cielo.

D. Tu vuoi che sì faccia di necessità virtù.

E. Sì, nel gran senso del termine, e di una fatalità un caso di libertà, di una condanna una scelta, d’un costringimento un amore. È un bel rovesciamento, e si compiangerebbe colui che volesse dare la preferenza a un volgare colpo di spugna. Dio ha dei gesti più alti e che ci onorano meglio. Relativamente al piano nuovo, improntato della croce, il piano originale non era che un piano volgare, come di fronte a Socrate con la coppa di cicuta in mano, un qualsiasi bevitore.

D. Ti congratuleresti del peccato originale?

E. Sarei con la liturgia, che dice: « Felice colpa! ». Non ci si rallegra del male, ma della sua riparazione gloriosa e del fatto che «là dove era abbondato il peccato sovrabbondi la grazia », come dice S. Paolo. Ma per noi e per altri, come per Cristo nella sua propria condizione temporale, i più alti valori sono legati al sacrifizio volontario, e per conseguenza a uno stato di prova, di dolore e di morte temperato da qualche gioia, anzi, meglio da un’intima pace.

D. Insomma, dolore dopo dolore.

R. Noi avevamo il dolore peccaminoso o il dolore gratuito; ora è il dolore generoso e il dolore che paga.

D. È questa la porta verso la quale ci spingeva l’Angelo?

R. Lo stato di peccatore trova la sua porta di uscita dal lato della sofferenza, perché la trova dal lato del sacrifizio volontario. Gesù ci mostrò questa porta passando Egli per primo.

D. Il passarvi era cosa grande; ma ciò avrebbe dovuto bastare.

R. Non si vede un capo lottare da solo; spesso anzi egli non si espone; egli assume le parti principali; ma lascia posto alle imprese gloriose della sua milizia.

D. Potendo tutto, si sarebbe dovuto riserbare tutto.

R. Anche l’onore delle grandi cose? Riconquistare un mondo e ristabilirlo nella gloria di Dio, è forse un’opera da serbare per sé?

D. L’opera è penosa e piena di rischi.

R. Ma è anche gloriosa. Patetica al più alto segno, l’avventura è al più alto segno desiderabile all’eroe, e l’eroe l’affronta.

D. Non tutto il mondo è un eroe.

R. Tutti possono essere degli eroi nel grado che bisogna, muniti dei soccorsi che sovrabbondano. « L’eroismo è il vero senso della vita » (WILLIAM JAMES): Cristo vi ci invita. Che riduzione di benefizio sarebbe stata da parte di Cristo la sua volontà di soffrire da solo, di nascondere nelle sue sole piaghe i gioielli del dolore redentore! La croce è un dono regale. Essere ammessi a partecipare con Cristo, a rassomigliargli in tutto, gioia e pene, a non salire le cime che Egli ha conquistato se non coi passi ne’ suoi passi e carichi dello stesso peso: che felice sorte, per chi sa comprendere! L’anima cristiana non desidera altro; interiormente libera, essa si attacca al sublime Amico mediante una squisita e utile servitù « come uno schiavo affrancato che segue per amore il suo padrone » (LACORDAIRE).

D. È quest’amore che poc’anzi chiamavi un cielo?

R. È quest’amore unito alla speranza d’un amore più sviluppato, più ricco di effetti, sciolto da timori e da rimpianti, ebbro di gioie senza fine a prezzo di rapide sofferenze. Il cielo si apre all’anima nostra prima che la terra si apra alla nostra spoglia, e questo stesso seppellimento della nostra spoglia non è per sempre.

D. È una bozza; ma, secondo te, molti uomini sfuggono a quest’azione redentrice, di modo che il primitivo stato dell’uomo non è interamente restaurato; vi è della perdita.

R. Noi crediamo che vi è del guadagno; perché per Cristo l’uomo è sollevato più in alto, se vuole, partendo da più basso. E nulla assicura che nel primitivo stato non ci sarebbe parimenti stata della perdita. La giustizia originale non era inammissibile; si era tenuti servirsene; si poteva sempre perdere. Certo solamente il primo uomo poteva privarne la stirpe; ma ciascuno de’ suoi discendenti poteva personalmente decaderne, e noi non sappiamo se Egli avesse potuto ricuperarla così sovente e così facilmente come noi stessi.

D. Noi non possiamo ricuperarla se non a condizione di riconoscere Cristo: che cosa diventano allora quei che non lo conoscono, o ancora, non colpevolmente, lo disconoscono?

R. Non tutti i rapporti con Cristo sono visibili; neppure sono coscienti. Gesù ha dei discepoli segreti, dei discepoli che si ignorano o anche si credono suoi avversari.

D. Che cosa è che caratterizza questi discepoli segreti?

R. Gesù disse: « Mio discepolo è colui che fa la volontà di mio Padre ». Colui che aderisce alla volontà del Padre, vale a dire a tutto il vero, a tutto il bene tal quale apparisce alla sua coscienza vigilante, senza che egli vi opponga alcun ostacolo essenziale, costui è con Cristo, e Cristo lo salva.

D. Bisogna ancora che Cristo sia venuto, e quanti uomini prima di Cristo!

R. «Cristo viene sempre » (THOMASSIN). « Cristo è sempre stato presso quelli che ebbero un cuore e che, verso l’origine o la fine del mondo, si sono sottomessi alla giustizia che viene da lui » (Idem). S. Paolo non dice forse lo stesso: « Cristo è ieri, oggi e in tutti i secoli »? Noi abbiamo già veduta questa dottrina del Cristo centro dei tempi e raggiante sopra tutti i loro spazi. La «linea d’universo » che lo congiunge a ciascun’anima può sempre essere tracciata e aprire una via di scambi.

D. La Redenzione è dunque cominciata prima della nascita di Cristo?

R. Cominciò da Adamo, e si può dire prima della colpa stessa. Il Creatore non pensava forse al suo Figliuolo, modellando la forma adamitica e soffiando in lui la vita?

D. È bello; ma

R. È pura teologia cattolica, e ne hai il simbolo in ciò che noi chiamiamo la Discesa di Gesù Cristo all’inferno, cioè l’apparizione, la manifestazione di Cristo alle anime de’ suoi figli del passato, de’ suoi riscattati per anticipazione, de’ suoi prossimi fratelli di gloria. Abbiamo qui veramente una consacrazione dogmatica di quest’affermazione che Cristo è di tutti i tempi e che il punto della storia in cui Egli apparisce irradia sopra tutte le età.

D. Ora comprendo perché tu chiami la Redenzione un mistero.

R. Noi chiamiamo la Redenzione un mistero, non solo perché  essa suppone l’Incarnazione e la Trinità; ma anche perché  contiene il segreto della volontà divina riflettente la salute degli uomini, riflettente la giustizia, la misericordia e la loro conciliazione; perché essa ci presenta un Dio sofferente, un Dio di sangue e di lacrime, un Dio che, non avendo fatta la morte, volle soffrirla per liberarne quelli che l’avevano fatta; perché il prezzo di questa Redenzione rischiara di una tragica luce il mistero del male, e, correlativamente, innalza il bene, potenza a cui si accorda il trionfo. Ma il mistero proposto è qui soprattutto l’abisso dell’amore divino. La croce che congiunge il cielo alla terra e tende le sue braccia verso tutti gli spazi, è il simbolo misterioso dell’unità universale, che, per una sofferenza infinitamente generosa e una stretta giustizia, stabilisce l’amor divino.

LO SCUDO DELLA FEDE (177)

IL BEATO HOLZHAUSER INTERPRETA L’APOCALISSE: LIBRO NONO

LIBRO NONO


SUI CAPITOLI XXI E XXII

La nuova terra ed il cielo nuovo, la Gerusalemme celeste, e il fiume d’acqua viva, etc.
SEZIONE I.

§


Del cielo nuovo e della terra nuova.


CAPITOLO XXI. VERSETTI 1-8.

Et vidi cœlum novum et terram novam. Primum enim cœlum, et prima terra abiit, et mare jam non est. Et ego Joannes vidi sanctam civitatem Jerusalem novam descendentem de cœlo a Deo, paratam sicut sponsam ornatam viro suo. Et audivi vocem magnam de throno dicentem: Ecce u Dei cum hominibus, et habitabit cum eis. Et ipsi populus ejus erunt, et ipse Deus cum eis erit eorum Deus: et absterget Deus omnem lacrimam ab oculis eorum: et mors ultra non erit, neque luctus, neque clamor, neque dolor erit ultra, quia prima abierunt. Et dixit qui sedebat in throno: Ecce nova facio omnia. Et dixit mihi: Scribe, quia haec verba fidelissima sunt, et vera. Et dixit mihi: Factum est: ego sum alpha et omega, initium et finis. Ego sitienti dabo de fonte aquae vitæ, gratis. Qui vicerit, possidebit hæc: et ero illi Deus, et ille erit mihi filius. Timidis autem, et incredulis, et execratis, et homicidis, et fornicatoribus, et veneficis, et idolatris, et omnibus mendacibus, pars illorum erit in stagno ardenti igne et sulphure: quod est mors secunda.

[E vidi un nuovo cielo e una nuova terra. Poiché il primo cielo e la prima terra passarono, e il mare non è più. Ed io Giovanni vidi la città santa, la nuova Gerusalemme che scendeva dal cielo d’appresso Dio, messa in ordine, come una sposa abbigliata per il suo sposo.E udii una gran voce dal trono che diceva: Ecco il tabernacolo di Dio con gli uomini, e abiterà con loro. Ed essi saranno suo popolo, e lo stesso Dio sarà con essi Dio loro :e Dio asciugherà dagli occhi loro ogni lagrima: e non vi sarà più morte, né lutto, né strida, né vi sarà più dolore, per- ché le prime cose sono passata. E colui che sedeva sul trono disse: Ecco che io rinnovello tutte le cose. E disse a me: Scrivi, poiché queste parole sono degnissime di fede e veraci. E disse a me: fatto. Io sono l’alfa e l’omega: il principio e il fine. A chi ha sete io darò gratuitamente della fontana dell’acqua della vita. Chi sarà vincitore, sarà padrone di queste cose, e io gli sarò Dio, ed egli mi sarà figliuolo. Pei paurosi poi, e per gl’increduli, e gli esecrandi; e gli omicidi, e i fornicatori, e i venefici, e gli idolatri, e per tutti i mentitori, la loro parte sarà nello stagno ardente di fuoco e dì zolfo: che è la seconda morte.]

I. Vers. 1.E vidi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il primo cielo e la prima terra erano scomparsi e il mare non c’era più. In questo capitolo e nel prossimo, che sono gli ultimi due dell’Apocalisse, San Giovanni descrive la Chiesa Trionfante, cioè lo stato dei beati nella prossima vita. Infatti, come osserva Sant’Agostino (Civ., XXII, 27), sarebbe troppo stravagante intendere le cose che sono dette qui come dette del tempo presente; poiché le parole del verso di questo capitolo: “Dio asciugherà tutte le lacrime, ecc.“, sono così chiaramente adatte alla vita futura, all’immortalità e all’eternità dei Santi, che non saremmo in grado di trovare nulla di più ovvio nelle Scritture divine se dovessimo considerare questo passaggio come oscuro. Così, dopo la descrizione della caduta dell’anticristo e lo sterminio di tutti i nemici della Chiesa, e dopo aver parlato della risurrezione generale e del Giudizio universale, San Giovanni passa alla descrizione della gloria dei beati e del loro trionfo eterno. E vidi un nuovo cielo e una nuova terra. Questo nuovo cielo e questa nuova terra di cui parla San Giovanni saranno dunque la dimora dei beati nella gloria eterna di Dio; perché il primo cielo e la prima terra, che ora abitiamo, erano passati e il mare non c’era più. Questo cielo e questa terra rappresentano i beni del mondo, e il mare rappresenta i suoi mali; ora questi beni e mali terreni, che saranno stati il fuoco con cui Dio prova l’oro, spariranno per sempre e saranno consumati a loro volta dal fuoco del cielo, secondo (II. Pietro, III, 12): « La violenza del fuoco dissolverà i cieli e fonderà tutti gli elementi. » Non dobbiamo omettere qui questo passo di Isaia, LXV, 14: « I miei servi si rallegreranno, e voi (peccatori) sarete coperti di confusione; i miei servi esploderanno con canti di lode nell’estasi dei loro cuori, e voi scoppierete con grandi grida nell’amarezza delle vostre anime, e con tristi ululati nello strazio dei vostri spiriti; e voi renderete il vostro nome ai miei eletti come un nome di imprecazione: Il Signore Dio vi distruggerà e darà ai suoi servi un altro nome. Chi è benedetto in questo nome sulla terra sarà benedetto dal Dio della verità; e chi giura sulla terra giurerà nel Nome del Dio della verità, perché le precedenti tribolazioni saranno dimenticate e scompariranno da davanti ai miei occhi. Perché Io creerò nuovi cieli e una nuova terra, e il passato non sarà ricordato né risorgerà nel mio cuore. Ma voi vi rallegrerete e sarete pieni di gioia per sempre nelle cose che Io creerò, perché farò di Gerusalemme una città di gioia e del suo popolo un popolo di gioia. Mi rallegrerò di Gerusalemme, mi rallegrerò del mio popolo, e non ci sarà più né lutto né pianto. Non si vedrà un bambino che non viva che pochi giorni, né un vecchio che non completi i giorni della sua vita, etc. ».

II. Vers. 2Ed io, Giovanni, vidi la città santa, la nuova Gerusalemme, che scendeva da Dio dal cielo, adorna come una sposa per il suo sposo. San Giovanni si riferisce a se stesso come testimone di ciò che accadrà, volendo dare più forza alle sue parole e renderci più attenti ad esse. E io, Giovanni, vidi la città santa che scendeva dal cielo. Questa città santa è la Chiesa trionfante, o l’assemblea dei beati che regneranno con Dio. Questa Chiesa è la nuova Gerusalemme che è venuta da Dio, e di cui la Gerusalemme terrena era la figura. Perché, come è stato detto, i Profeti usano spesso la stessa figura per significare diverse cose; e così la Gerusalemme terrena, che rappresenta come città e in senso materiale, la grande Babilonia, rappresenta anche in senso mistico la Gerusalemme celeste. San Giovanni la vide scendere dal cielo e dice che veniva da Dio, perché, secondo Sant’Agostino, (Civit. XX, 17), la grazia con cui Dio l’ha formata è celeste, e che, in principio, essa è scesa dal cielo, da dove fu mandato lo Spirito Santo. Essa veniva da Dio, adornata come una sposa per il suo sposo. Cioè, splendente di gloria e di bellezza, con la gloria dei suoi trionfi e la bellezza delle sue virtù e dei suoi meriti. Infatti, la sposa, per essere gradita al suo sposo, deve essere come Lui, poiché devono essere una sola carne. (Gen. II, 23). Adamo, che è tipo dello sposo Gesù Cristo, dice, parlando di Eva, il tipo pure della Chiesa: « Ecco, costei è ora osso delle mie ossa e carne della mia carne. »   Poi la Genesi continua: « Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie (come Gesù Cristo lasciò suo Padre e la sua gloria celeste, per rivestirsi della nostra umanità e unirsi alla nostra carne); e saranno due in una sola carne. » Ora, i Santi, nutrendosi della carne di Gesù Cristo nella santissima Eucaristia, e Gesù Cristo, rivestendosi della nostra carne, sono uniti nella stessa carne; e così lo Sposo celeste e la sua Sposa sono due in una sola carne. E quanto bella, quanto pura, quanto santa e quanto gloriosa deve essere la Chiesa per potersi unire allo Sposo divino? Ecco perché San Giovanni ci dice che la Chiesa sarà adornata come una sposa per il suo sposo.

III. Vers. 3. E udii una grande voce dal trono, che diceva: Questo è il tabernacolo di Dio con gli uomini, ed Egli abiterà con loro. Ed essi saranno il suo popolo, e Dio sarà il loro Dio in mezzo a loro. San Giovanni ha sentito nella sua immaginazione una grande voce dal trono; questa voce sarà quella di Dio Padre, che dirà, annunciando Gesù Cristo alla sua amata sposa: Ecco il tabernacolo di Dio con gli uomini, cioè, ecco Gesù Cristo mio Figlio, che è il tabernacolo, o alleanza della Divinità con gli uomini. Abbiamo visto come spesso San Giovanni si riferisca all’antico tabernacolo e al tempio. Attraverso questo tabernacolo e questo tempio, Dio aveva dato dei segni dell’alleanza che voleva fare con il popolo giudaico. Ma i Giudei furono infedeli, e le nazioni della terra che divennero cristiane ebbero il grande privilegio di vedere la promessa fatta ai Giudei, compiuta in loro, sotto la figura del tabernacolo e del tempio. Questa promessa si compì nella santissima Eucaristia, dove noi possediamo realmente Gesù Cristo sotto le specie del pane e del vino, in attesa di possederlo in cielo, dove diventerà il vero oggetto della nostra beatitudine, come ora è il vero oggetto della nostra fede. E abiterà con loro, con i suoi eletti, per tutta l’eternità, perché Egli è il sacerdote eterno, secondo l’ordine di Melchisedec; ed essi saranno il suo popolo, e Dio in mezzo a loro sarà il loro Dio. Cioè, gli eletti saranno il popolo di Dio, ed Egli sarà loro Dio, il loro Padre, il loro Re, il loro Sposo; li riempirà di ogni bene; i loro desideri eterni saranno sempre soddisfatti e la loro sete sarà sempre placata. Il loro amore salirà eternamente come una fiamma ardente verso l’oggetto immutabile del loro amore, e questo fuoco non sarà mai consumato. I giusti saranno sempre soddisfatti, secondo tutte le capacità delle loro anime, come vasi di diverse dimensioni che potrebbero sempre essere riempiti con le acque dell’Oceano, e infinitamente ancor più. Più godono, più vorranno godere, e non proveranno mai disgusto, perché ogni dolore cesserà. Questo è ciò che ci assicura San Giovanni nelle seguenti parole:

Vers. 4E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi; e non ci sarà più la morte, né il lutto, né il pianto, né il dolore, perché il primo stato è finito. Così dunque, il ricordo dei mali passati, il ricordo dei dolori, delle afflizioni, dei dispiaceri, delle disgrazie, delle malattie, dei disgusti, degli affanni, dei dolori, delle perdite, delle privazioni, della sete, della fame, dei rigori invernali, dei calori dell’estate, il ricordo delle tribolazioni, delle tentazioni, dei sacrifici più costosi alla natura; il ricordo delle ingiustizie, delle persecuzioni, degli insulti, del disprezzo, dell’abbandono, dell’isolamento; il ricordo dei travagli, della fatica, delle lotte, delle veglie, dei digiuni, delle mortificazioni; il ricordo delle umiliazioni, della perdita dei beni, della privazione dei piaceri; il ricordo stesso del peccato non affliggerà più i giusti, perché Dio asciugherà tutte le lacrime dai loro occhi. Tutti i mali della vita saranno cambiati per essi in beni immensi nella loro estensione ed eterni nella loro durata; perché non ci sarà più la morte, né il lutto, né il pianto, né il dolore, perché il primo stato è finito.

IV. Vers. 5: Allora colui che sedeva sul trono disse: Ecco, che Io faccio nuove tutte le cose”. Ed egli mi disse: “Scrivi, perché queste parole sono certissime e veraci. Ricordiamo che è Gesù Cristo stesso l’Autore di questa rivelazione, secondo queste parole del capitolo I, 1: La rivelazione di Gesù Cristo, etc. Non c’è quindi alcun dubbio che sia Gesù Cristo che San Giovanni ci rappresenta seduto sul trono; perché gli dice: scrivi, etc. Così, dopo aver regnato per il tempo, questo Sposo celeste continuerà a regnare per l’eternità. Egli regna già sulla terra con la sua legge e la sua dottrina; ma San Giovanni ci rappresenta il suo regno nel momento in cui farà nuove tutte le cose. Allora colui che sedeva sul trono disse: Ecco, io faccio nuove tutte le cose. Ed Egli mi disse: Scrivi, perché queste parole sono degnissime di fede e veraci. Questo è un modo per attirare la nostra attenzione su ciò che ci verrà rivelato e per garantirci la certezza di esso.

V. Vers. 6Ed ancora mi dice: Tutto è compiuto. Io sono l’Alfa e l’Omega, il principio e la fine. Darò da bere gratuitamente dalla fonte di acqua viva a chi ha sete. Gesù Cristo disse a San Giovanni: Tutto si è compiuto, il tempo della profezia è passato e l’eternità è iniziata. Io sono l’Alfa e l’Omega, il principio e la fine. Queste parole sono notevolissime, se si ricorda che nel capitolo I, 8, Gesù Cristo ha usato le stesse parole prima di annunciare tutto ciò che sarebbe accaduto nel corso delle epoche della Chiesa. E siccome tutto si sarà adempiuto come aveva predetto, ora ci avverte che tutto è compiuto. Io darò gratuitamente della fonte di acqua viva a colui che ha sete. Queste parole ci ricordano la giustizia di cui si parla nelle otto beatitudini, e di cui i Santi saranno stati assetati; e la giustizia dei Santi sarà la veste nuziale che li renderà degni di partecipare alla cena delle nozze dello Sposo. (Apoc. XIX, 8): E gli diede del puro lino bianco da indossare, e questo lino è la giustizia dei santi. Dobbiamo desiderare questa giustizia per ottenerla, e se la desideriamo veramente e sinceramente, saremo tra coloro di cui sta scritto, (Matth. V, 6): « Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati. » In effetti (Romani VIII, 27): « Chi scruta il cuore sa quali sono i desideri dello spirito, perché cerca per i Santi ciò che è secondo Dio. Ora sappiamo che tutto contribuisce al bene di coloro che amano Dio, di coloro che Egli ha chiamato, secondo il suo decreto, ad essere santi. Perché coloro che ha conosciuto nella sua prescienza, li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del suo Figlio, affinché Egli stesso sia primogenito tra molti fratelli. E quelli che ha predestinato li ha chiamati, e quelli che ha chiamato li ha giustificati e quelli che ha giustificato li ha glorificati. » Ora, questa glorificazione sarà la fonte di acqua viva di cui parla il nostro testo: Darò da bere gratuitamente dalla fonte di acqua viva a colui che ha sete.  E si dice: Io darò gratuitamente, perché la giustizia che dovrebbe renderci eredi del regno eterno ci è concessa gratuitamente per la misericordia di Dio, secondo San Paolo, (Tito III, 5): « Ci ha salvati non per le opere di giustizia che abbiamo fatto, ma per la sua misericordia, in quanto ci ha fatto rinascere per mezzo del Battesimo e ci ha rinnovati per mezzo dello Spirito Santo, che ha riversato abbondantemente su Gesù Cristo nostro Salvatore, affinché, giustificati dalla sua grazia, diventassimo eredi della vita eterna, secondo la speranza. »

VI. Vers. 7. Colui che vincerà, possederà queste cose, e Io sarò il suo Dio, ed egli sarà mio figlio.

Vers. 8Ma i timidi, gli increduli, gli abominevoli, gli omicidi, i fornicatori, gli avvelenatori, gli idolatri e tutti i bugiardi avranno la loro parte nel lago ardente di fuoco e di zolfo, che è la seconda morte. Questi due versetti possono ancora essere messi in relazione, per il significato che contengono, con la continuazione del passo di San Paolo che abbiamo appena citato, in cui l’Apostolo ci fa intravedere come avvenga la giustificazione degli eletti che hanno fame e sete di giustizia. E questi due passi di San Paolo e dell’Apocalisse coincidono mirabilmente insieme e si spiegano a vicenda. Infatti Gesù Cristo nella sua Rivelazione ci dice: Chi vincerà avrà queste cose, e Io sarò il suo Dio, ed egli sarà mio figlio. Ma i timidi, gli increduli, ecc. avranno la loro parte nel lago ardente di fuoco e zolfo, che è la seconda morte. Ora, San Paolo ci spiega come gli eletti e i predestinati potranno vincere, e  continua la sua spiegazione del mistero della giustificazione degli uomini mostrandoci come il Cristiano, attraverso il desiderio di giustizia, arrivi al possesso dell’ottava beatitudine, che è come la perfezione e il complemento delle altre, e ci garantisce il possesso del regno eterno, secondo San Matteo (V, 10): « Beati coloro che soffrono persecuzioni a causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. » Ora, soffrire la persecuzione per amore della giustizia è vincere, e chi vincerà possiederà queste cose. San Paolo, volendo farci capire come chi ha fame e sete di giustizia possa e debba vincere, aggiunge nella sua epistola ai Romani, (VIII, 31): « Dopo questo, cosa diremo? Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Se non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato alla morte per tutti noi, cosa non ci darà, dopo averlo dato a noi? Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio stesso li giustifica. Chi li condannerà, quando Gesù Cristo non solo è morto, ma è risorto ed è alla destra di Dio, intercedendo per noi? Chi, dunque, ci separerà dall’amore di Gesù Cristo? Sarà l’afflizione, l’angoscia, la fame, la nudità, il pericolo, la persecuzione o la spada? Come sta scritto: Per causa tua siamo quotidianamente consegnati alla morte, o Signore, e siamo considerati come pecore da macellare; ma in mezzo a tutti questi guai noi vinciamo per la virtù di Colui che ci ha amati. Perché io sono sicuro che né la morte, né la vita, né gli Angeli, né i Principati, né le Potenze, né le cose presenti, né le cose future, né la violenza, né alcunché di superiore o inferiore, né alcuna altra creatura, potranno mai separarci dall’amore di Dio che è in Cristo Gesù nostro Signore. » È dunque con l’aiuto di Dio e con i meriti e l’amore di Gesù Cristo che possiamo vincere l’amore dei piaceri e la paura dei mali di cui ci parla San Paolo. Ma i timidi, i codardi e i pusillanimi, gli increduli, che non hanno la fede di Gesù Cristo, senza la quale è impossibile piacere a Dio, gli abominevoli, che non mettono la loro speranza in Dio, gli omicidi, che non hanno carità, i fornicatori, che si crogiolano nei piaceri della carne, i venefici, che cercano i beni altrui ingiustamente, gli idolatri, che si prostituiscono bruciando incenso alle creature e cercando il fumo degli onori, e tutti i bugiardi, che sono figli del diavolo, avranno la loro parte nel lago ardente con fuoco e zolfo, che è la seconda morte, la morte eterna. – Dopo aver annunciato un nuovo cielo e una nuova terra, San Giovanni ce ne dà una descrizione sotto la figura della Gerusalemme celeste.

§ II.

Della Gerusalemme celeste.

CAPITOLO XXI. – VERSETTI 9-27.

Et venit unus de septem angelis habentibus phialas plenas septem plagis novissimis, et locutus est mecum, dicens: Veni, et ostendam tibi sponsam, uxorem Agni. Et sustulit me in spiritu in montem magnum et altum, et ostendit mihi civitatem sanctam Jerusalem descendentem de cœlo a Deo, habentem claritatem Dei: et lumen ejus simile lapidi pretioso tamquam lapidi jaspidis, sicut crystallum. Et habebat murum magnum, et altum, habentem portas duodecim: et in portis angelos duodecim, et nomina inscripta, quæ sunt nomina duodecim tribuum filiorum Israel: ab oriente portæ tres, et ab aquilone portae tres, et ab austro portae tres, et ab occasu portae tres. Et murus civitatis habens fundamenta duodecim, et in ipsis duodecim nomina duodecim apostolorum Agni. Et qui loquebatur mecum, habebat mensuram arundineam auream, ut metiretur civitatem, et portas ejus, et murum. Et civitas in quadro posita est, et longitudo ejus tanta est quanta et latitudo: et mensus est civitatem de arundine aurea per stadia duodecim millia: et longitudo, et altitudo, et latitudo ejus æqualia sunt. Et mensus est murum ejus centem quadraginta quatuor cubitorum, mensura hominis, quæ est angeli. Et erat structura muri ejus ex lapide jaspide: ipsa vero civitas aurum mundum simile vitro mundo. Et fundamenta muri civitatis omni lapide pretioso ornata. Fundamentum primum, jaspis: secundum, sapphirus: tertium, calcedonius: quartum, smaragdus: quintum, sardonyx : sextum, sardius: septimum, chrysolithus: octavum, beryllus: nonum, topazius: decimum, chrysoprasus: undecimum, hyacinthus: duodecimum, amethystus. Et duodecim portæ, duodecim margaritæ sunt, per singulas: et singulae portœ erant ex singulis margaritis: et platea civitatis aurum mundum, tamquam vitrum perlucidum. Et templum non vidi in ea: Dominus enim Deus omnipotens templum illius est, et Agnus. Et civitas non eget sole neque luna ut luceant in ea, nam claritas Dei illuminavit eam, et lucerna ejus est Agnus. Et ambulabunt gentes in lumine ejus: et reges terrae afferent gloriam suam et honorem in illam. Et portæ ejus non claudentur per diem: nox enim non erit illic.  Et afferent gloriam et honorem gentium in illam. Non intrabit in eam aliquod coinquinatum, aut abominationem faciens et mendacium, nisi qui scripti sunt in libro vitæ Agni.

[E venne uno dei sette Angeli che avevano sette coppe piene delle sette ultime piaghe, e parlò con me, e mi disse: Vieni, e ti farò vedere la sposa, consorte dell’Agnello. E mi portò in ispirito sopra un monte grande e sublime, e mi fece vedere la città santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo dappresso Dio, la quale aveva la chiarezza di Dìo : e la luce di lei era simile a una pietra preziosa, come a una pietra di diaspro, come il cristallo.  Ed aveva un muro grande ed alto che aveva dodici porte: e alle porte dodici An- geli, e scritti sopra i nomi, che sono i nomi delle dodici tribù di Israele. A oriente tre porte : a settentrione tre porte : a mezzogiorno tre porte: e a occidente tre porte. “E il muro della città aveva dodici fondamenti, ed in essi i dodici nomi dei dodici Apostoli dell’Agnello. E colui che parlava con me aveva una canna d’oro da misurare, per prendere le misure della città e delle porte e del muro. E la città è quadrangolare, e la sua lunghezza è uguale alla larghezza: e misurò la città colla canna d’oro in dodici mila stadi : e la lunghezza e l’altezza e la larghezza di essa sono uguali. E misurò il muro di essa in cento quarantaquattro cubiti, a misura d’uomo, qual è quella dell’Angelo. E il suo muro era costrutto di pietra di diaspro: la città stessa poi (era) oro puro simile a vetro puro. E i fondamenti delle mura della città (erano) ornati di ogni sorta di pietre preziose. Il primo fondamento, il diaspro: il secondo, lo zaffiro: il terzo, il calcedonio: il quarto, lo smeraldo: il quinto, il sardonico: il sesto, il sardio: il settimo, il crisolito: l’ottavo, il berillo: il nono, il topazio: il decimo, il crisopraso: l’undecimo, il giacinto: il duodecimo, l’ametisto. E le dodici porte erano dodici perle: e ciascuna porta era d’una perla: e la piazza della città oro puro, come vetro trasparente. E non vidi in essa alcun tempio. Poiché il Signore Dio onnipotente e l’Agnello è il suo tempio. E la città non ha bisogno di sole, né dì luna che risplendano in essa: poiché lo splendore di Dio la illumina, e sua lampada è l’Agnello. E le genti cammineranno alla luce di essa: e i re della terra porteranno a lei la loro gloria e l’onore. E le sue porte non si chiuderanno di giorno: perché ivi non sarà notte. E a lei sarà portata la gloria e l’onore delle genti. Non entrerà in essa nulla d’immondo, o chi commette abbominazione o menzogna, ma bensì coloro che sono descritti nel libro della vita dell’Agnello.]

I. Vers. 9. – E uno dei sette Angeli che avevano le sette coppe piene delle ultime piaghe venne e mi parlò, dicendo: Vieni, e io ti mostrerò quella che è la sposa dell’Agnello. Questo Angelo rappresenta tutti gli altri Angeli che tenevano le sette coppe piene delle ultime piaghe. Come è consolante questo Angelo, che prima era così terribile! O Dio onnipotente, quanto siete severo nei vostri giudizi, ma quanto siete magnifico nelle vostre ricompense! Questo Angelo è il vostro braccio destro che colpisce i peccatori e premia i giusti. Per quanto la vostra voce fosse tuonante prima, tanto il vostro linguaggio è dolce e consolante ora che gli ultimi peccatori sono stati convertiti, e tutti i giusti, da Abele all’ultimo dei Martiri, sono riuniti per ricevere le carezze dello Sposo. Quest’Angelo venne dunque da San Giovanni e, dopo aver deposto il calice del vino dell’ira di Dio, gli parlò e gli disse: Vieni e ti mostrerò colei che è la sposa dell’Agnello.

II. Vers. 10E mi trasportò in spirito su un monte grande e alto, e mi mostrò Gerusalemme, la città santa, che scendeva dal cielo da Dio. – Questa montagna è una figura della grandezza e dell’elevazione di un’anima, alla quale Dio comunica le sue grazie per elevarla nelle regioni celesti. Questa montagna è sola, perché è solo la potenza di Dio che è capace di innalzarci così in alto. E San Giovanni ci dice espressamente che fu portato lassù in spirito, per farci capire che è con lo spirito, e non con la carne, che possiamo ascendere fino al cielo. Anche il nostro corpo è destinato a salire un giorno in queste alte regioni; ma sarà solo dopo che ci saremo spiritualizzati, per così dire, tagliando con la scure della mortificazione tutti i rami e le radici che ci tengono quaggiù e ci legano alla terra. Dopo essere arrivati in spirito su una grande e alta montagna, sulla montagna o sulla potenza di Gesù Cristo e della sua Chiesa, e dopo essere saliti per virtù di Dio al di sopra di tutte le altre montagne, al di sopra delle potenze terrene che erano appena scomparse nelle ultime piaghe, San Giovanni vide non più Gerusalemme, la grande Babilonia, ma la Gerusalemme celeste, la città santa, che scese da Dio dal cielo. Proprio come la grande Babilonia era sorta dalla terra, così la Gerusalemme celeste veniva da Dio. Lucifero era il re di quella, ed è Gesù Cristo, il Re dei re, che regna in questa. Se la potenza di Babilonia proveniva dall’inferno, la bellezza, la grandezza e la magnificenza della Gerusalemme celeste venivano dal cielo.

III. Vers. 11. – Questa città santa era illuminata dallo splendore di Dio, e la sua luce era come una pietra preziosa, come una pietra di diaspro trasparente come un cristallo. O ineffabile luce di Dio, dolce come la sua grazia, pura come la sua santità e giustizia, brillante come la sua gloria, e benefica come la sua misericordia e bontà! E la sua luce era come una pietra preziosa, come una pietra di diaspro, trasparente come il cristallo. Il diaspro è una pietra preziosa molto dura, il cui colore verdastro varia estremamente. Ora, questa solidità del diaspro rappresenta l’eternità della luce divina, e questa estrema varietà di colori rappresenta gli infiniti attributi di Dio. Inoltre, questa pietra era trasparente come il cristallo, per rappresentare la purezza di quella luce eterna in cui i Santi potranno vedere Dio come è. Essi ne godranno secondo l’ampiezza delle facoltà di cui ognuno di loro è dotato. E questa luce brillerà eternamente nei loro occhi, che non si stancheranno mai di contemplarla. Più la vedranno, più vorranno goderne; e tutti i loro desideri saranno soddisfatti in essa, perché la luce eterna li illuminerà e li aiuterà a contemplare le bellezze della luce eterna. Saranno come assorbiti per sempre nelle profondità infinite della felicità e della gloria di Dio stesso.

Vers. 12. – Questa città santa aveva una muraglia di grande altezza, dodici porte, dodici Angeli alle porte e nomi scritti, che erano i nomi delle dodici tribù dei figli d’Israele. Questa muraglia della città santa è la fede di Gesù Cristo, le cui fondamenta sono i dodici Apostoli, secondo lo stesso testo (vers. 14): « Il muro della città aveva dodici fondamenta, e su di esse i dodici nomi degli Apostoli dell’Agnello. » E come la fede di Gesù Cristo, unita alla pratica delle buone opere, fa salire gli eletti al cielo, poiché secondo San Paolo, è la fede che ci giustifica, (Rom . V, 1): « Giustificati dunque per fede, etc. », San Giovanni ha ragione nel dirci che questa muraglia fosse di grande altezza. Questa muraglia deve essere costruita con pietre preziose, poiché esse rappresentano la fede, che produce le buone opere e le virtù dei Santi; e queste virtù e buone opere, così poco conosciute nel mondo attuale e nascoste nelle profondità della terra e nel seno delle montagne, che sono le potenze del mondo, devono essere scoperte e scelte all’aperto, ciascuna secondo le sue qualità ed il suo valore intrinseco, per servire nella costruzione di questa muraglia. Perché se la fede produce buone opere, le buone opere mantengono ed elevano la fede. Questa muraglia sarà innalzata ad una grande altezza e formerà il recinto della città celeste. Il cemento di questo muro sarà solido e durevole quanto la ragione che lega la fede alle buone opere e le buone opere alla fede. Infatti, come abbiamo appena detto, è la fede che produce e vivifica le buone opere, e sono le buone opere che mantengono e rafforzano la fede, secondo le parole dell’Apostolo: « Il giusto vive per la fede. » Le dodici porte attraverso le quali si può entrare in questa città rappresentano i dodici Apostoli secondo San Girolamo e Sant’Agostino. Perché gli Apostoli, nel diffondere la fede di Gesù Cristo sulla terra, furono veramente le porte attraverso le quali le dodici tribù dei figli d’Israele entrarono nella città santa. E queste dodici tribù i cui nomi sono scritti su queste porte, rappresentano tutti gli eletti. E dodici Angeli alle porte. Questi Angeli sono i dodici capi delle tribù d’Israele.

IV. Vers. 13. – E questa città aveva tre porte ad Oriente, tre a Settentrione, tre a Mezzogiorno, e tre ad Occidente. 1º Queste porte distribuite così verso le quattro parti principali del mondo sono una figura sensibile dell’estensione del regno di Gesù Cristo su tutta la faccia della terra e della facilità con cui Egli offre a tutti gli uomini di entrare nel suo regno. 2° Si allude qui alla disposizione delle dimore delle dodici tribù di cui si è parlato nel libro dei Numeri, II. Vedere anche Ezechiele, XLVIII. Bisogna notare l’ordine in cui sono indicate queste parti del mondo; perché questo ordine sembra coincidere con la diffusione della fede e la conversione delle nazioni nelle varie epoche della Chiesa. Queste porte, divise in quattro categorie, alludono di nuovo al Vangelo di San Matteo XX, in cui il giorno di dodici ore è anche diviso in quattro parti di tre ore ciascuna, come anche la città è divisa in quattro parti, ciascuna delle quali ha tre porte; e tutte queste parole sono figure relative al tempo e all’eternità. Vediamo in questo Vangelo di San Matteo che i primi chiamati saranno gli ultimi, saranno i meno rappresentati nel regno di Dio; perché ci sono molti chiamati e pochi eletti tra coloro che dovevano entrare attraverso le prime tre porte in Oriente. Infatti, i Giudei sono stati i primi ad essere chiamati ad entrare nella Chiesa di Gesù Cristo, ma saranno gli ultimi a farlo; e siccome durante tutto il corso delle età della Chiesa, i Giudei saranno stati dispersi in tutte le regioni del mondo, potendo sempre entrare nella città santa attraverso tutte le porte, e poiché tuttavia non vi saranno entrati fino alla fine dei secoli, Gesù Cristo ha ragione di dirci che i primi saranno gli ultimi, e che questi ultimi saranno numericamente pochi rispetto alla massa di coloro che saranno periti nel corso delle epoche. «Perché molti sono chiamati, ma pochi sono gli eletti ».

V. Vers. 14. – Il muro della città aveva dodici fondamenta, e su di esse i dodici nomi degli Apostoli dell’Agnello. Infatti, sono stati gli Apostoli a porre le fondamenta della Chiesa in modo così solido che essa esisterà per tutta l’eternità. E poiché la pietra principale, la pietra d’angolo di questo edificio era l’Agnello sacrificato per i peccati del mondo, San Giovanni ha ragione di aggiungere: E su di esse sono i dodici nomi degli Apostoli dell’Agnello. Bisogna notare che San Giovanni parla espressamente dei nomi degli Apostoli, per farci capire meglio che si tratta dei dodici Apostoli dell’Agnello che hanno stabilito e propagato la fede di Gesù Cristo.

VI. Vers. 15. – E colui che mi parlava aveva una verga d’oro per misurare la città, le porte e le mura.

Vers. 16. E la città fu costruita in forma di quadrato, tanto lunga quanto larga. E misurò la città con la sua verga d’oro fino a dodicimila stadi, e la sua lunghezza e altezza erano uguali. L’Angelo delle piaghe che parlava a San Giovanni aveva in mano una canna, cioè una misura d’oro, per misurare la città, le porte e le mura. Si dice che questa misura fosse d’oro; e sappiamo che l’oro rappresenta la carità, che significa, in questa circostanza, l’amore e la misericordia di Dio nella distribuzione delle sue ricchezze eterne. Ora, come Dio è rigoroso nella sua giustizia e severo nei suoi giudizi, così magnifico e generoso è nel suo amore e nelle sue ricompense. Ecco perché la città santa che Egli destina ai suoi eletti sarà di estensione prodigiosa, e poiché questa città sarà la dimora della gloria e della felicità eterna, si deve supporre che la sua popolazione sarà proporzionata ed anche maggiore di quella della città più fiorente. Da questo possiamo concludere che il numero dei beati in cielo sarà molto grande. Infatti, Dio disse ad Abramo, il padre degli eletti, Gen. XXII, 17: « Io ti benedirò e moltiplicherò la tua discendenza come le stelle del cielo e come la sabbia sulla riva del mare; la tua discendenza possederà le porte dei loro nemici e tutte le nazioni della terra saranno benedette in Colui che uscirà da te (in Gesù Cristo), perché tu hai obbedito alla mia parola. (Ibidem, XVII, 6): « Ti farò crescere con molta abbondanza e ti renderò il capo delle nazioni; e da te usciranno dei re. E stabilirò la mia alleanza con te e, dopo di te, con la tua progenie per tutte le loro generazioni, con un’alleanza eterna; affinché Io sia il tuo Dio e il Dio della tua progenie dopo di te. »  Faremmo un’ingiustizia al Dio di ogni bontà se credessimo che la sua misericordia cedesse alla sua giustizia; e poiché la misericordia è un attributo di Dio, che lo porta a perdonare all’infinito, dobbiamo sperare, se facciamo penitenza, e se combattiamo legittimamente le battaglie del Signore, dobbiamo sperare, diciamo, per l’infinita misericordia di Dio e per la fede e i meriti di Gesù Cristo, di essere ammessi un giorno nella città celeste, che sarà di estensione prodigiosa. Perché quando Gesù Cristo, nella sua rivelazione, ci dà la misura di esso, vediamo che avrà 160.000 leghe quadrate, e che la sua altezza sarà uguale ai lati. Ora è ripugnante supporre che una città così grande non sarà popolata in proporzione alla sua estensione. Tuttavia, poiché non sappiamo se siamo degni di amore o di odio, secondo l’Ecclesiaste, (IX), e che tutte le cose sono incerte e saranno conservate per il futuro, continuiamo a servire il Signore con timore e tremore, sperando nella sua infinita misericordia. Seguiamo l’esempio e l’ammonizione di San Paolo: perché questo Apostolo sapeva bene cosa debba costare il regno di Dio nelle pene, lui che fu assunto in spirito al terzo cielo. Ecco perché « egli sacrificò tutto, finanche la sua vita per ottenere questo regno. » – « Io faccio tutte queste cose per amore del Vangelo, per averne parte », ci dice nella sua lettera ai Corinzi, (I Cor. IX, 24); e poi aggiunge: « Non sapete che quando uno corre nella corsa, tutti corrono, ma solo uno vince il premio? Corri, dunque, affinché tu possa vincere. Ora tutti gli atleti vivono nell’esatta temperanza, eppure è solo per vincere una corona corruttibile, invece di quella incorruttibile che noi aspettiamo. Ma io corro, e non corro a caso; combatto, non come se colpissi l’aria, ma castigo severamente il mio corpo e lo porto in schiavitù, per evitare che, avendo predicato ad altri, io stesso sia riprovato. Per questo io non voglio che ignoriate, fratelli miei, che i nostri padri erano tutti sotto la nube, che mangiavano tutti la stessa carne misteriosa, e tuttavia, c’erano pochi tra un gran numero che erano graditi a Dio, ed infatti, perirono nel deserto. Ora tutte queste cose (dette ai Giudei) erano figure di ciò che ci riguarda, affinché non ci abbandoniamo a desideri malvagi, come si abbandonarono loro. Non diventate idolatri come alcuni di loro, dei quali sta scritto: Il popolo si sedette per mangiare e bere e si alzò per divertirsi. Non commettiamo la fornicazione, come fecero alcuni di loro, cosicché ne morirono ventitremila in un giorno. Non tentiamo Gesù Cristo, come lo tentarono alcuni di loro, che furono uccisi dai serpenti. Non mormorate, come mormorarono alcuni di loro, che furono colpiti dall’Angelo distruttore. Ora tutte queste cose che accaddero loro erano figure, e furono scritte per istruire noi che siamo alla fine dei tempi. Chi pensa di essere saldo, faccia attenzione a non cadere. » Questi sono i preziosi avvertimenti che San Paolo ci dà, avvertimenti che sono del massimo interesse per il nostro futuro nell’eternità. E come sarà questa eternità per noi? Saremo portati, come Lazzaro, nel seno di Abramo dalle mani degli Angeli per entrare a far parte delle dodici tribù dei figli d’Israele, o saremo precipitati, come il ricco cattivo, nell’abisso dell’inferno? Nessuno di noi può saperlo. Degni di odio o di amore; vittime forzate che il Signore rifiuta, o figli amati che chiama a sé; vasi di ignominia e di ira, o vasi di onore e di misericordia? Portiamo, come Uria, le nostre lettere sigillate; nessuno di noi può rispondere della sua sorte. Ma confortiamoci nel fatto che se siamo stati servi vigili e fedeli durante la nostra vita, Gesù Cristo ci assicura il suo regno alla nostra morte; e se, come le vergini sagge, teniamo le nostre lampade accese all’arrivo dello sposo, la sala delle nozze ci sarà aperta. Ascoltiamo San Paolo, che ci promette che se combattiamo con coraggio, ci sarà data una corona di giustizia dal più giusto dei giudici. Ascoltiamo anche San Giovanni, che ci dice che lo spirito di Dio testimonierà al nostro, che siamo figli del Signore, e che, anche se siamo incerti sulla nostra sorte, Egli ci concederà tutto ciò che gli chiederemo secondo la sua volontà, poiché già noi siamo stati esauditi in tanti casi.

VII. E misurò la città con la sua verga d’oro fino a dodicimila stadi, e la sua lunghezza e larghezza ed altezza sono uguali. Come è stato detto, questi dodicimila stadi corrispondono alle dodici tribù d’Israele, che rappresentano la massa degli eletti, così che ogni tribù occuperà mille stadi in lunghezza, in larghezza e altezza. Ci vogliono dieci stadi per fare un miglio romano, secondo il calcolo di Lucio Florus. (Vedi Martini, Nuovo Testamento, pagina 836) e sappiamo che tre miglia romane sono circa una lega di Francia. Da ciò possiamo concludere che questa città misurerà 160.000 leghe quadrate. Ma non dobbiamo dimenticare che Dio, volendo dare agli uomini un’idea delle cose celesti, fa uso di comparazioni tratte dal linguaggio degli uomini e delle cose terrene, così che questa figura della città celeste deve essere ammessa solo come figura, o per la sua forma, o per la sua estensione, o per i materiali di cui è costruita, o, infine, per coloro che dovrebbero essere i suoi abitanti, etc.

VIII. Vers. 17. – E misurò il muro, che era di centoquarantaquattro cubiti, la misura di un uomo, che era quella dell’Angelo. Questi centoquarantaquattro cubiti di misura dell’uomo corrispondono di nuovo alle dodici tribù d’Israele che rappresentano tutti gli eletti, perché 12 x 12 = 144. E siccome questa misura è una misura d’uomo, e siccome la misura del muro non è indicata in modo tale da poterla misurare, poiché l’Apostolo non dice se deve essere misurata in altezza, o in lunghezza, o in larghezza, si deve concludere che questa misura è indicata solo per misurare i posti che gli eletti occuperanno nel recinto delle muraglie della città. Abbiamo visto, inoltre, che questa muraglia rappresenta la fede; ora, gli effetti della fede sono incommensurabili e persino infiniti. Così questa misura dell’uomo, il cui numero corrisponde così esattamente al numero delle dodici tribù d’Israele, non è indicata se non per mostrarci che tutti i posti in paradiso sono contati, misurati e conosciuti dall’eterna prescienza di Dio, che nessuno di questi posti rimarrà vuoto, e che ognuno degli eletti occuperà il suo, secondo la misura determinata di santità e di giustizia che avrà acquisito. Infine, questa misura indica un quadrato perfetto, come simbolo di perfezione.

Vers . 18. – Il muro era costruito in pietra di diaspro, ma la città era d’oro finissimo, come vetro di grande purezza. Il paragone contenuto in questo versetto è veramente ammirevole; perché, come abbiamo visto, questa muraglia della città santa rappresenta la fede. Ora, come una muraglia difende l’ingresso di una città e protegge i suoi abitanti, così la fede serve da bastione per la Chiesa e protegge i fedeli. E chi entrasse nella Chiesa altrimenti che attraverso le sue dodici porte, che sono gli Apostoli e la loro dottrina, troverebbe un muro di altezza infinita come la fede, e solido come il diaspro, che è una pietra molto dura e che rappresenta l’eternità. Abbiamo detto che questa muraglia protegge i fedeli; da qui queste parole di San Paolo (Rom. VIII, 31): « Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? » Perché Dio è per noi se abbiamo fede, secondo la promessa fatta ad Abramo, il padre dei credenti (Gen. XVII, 7): « Io stabilirò la mia alleanza con te e, dopo di te, con i tuoi discendenti, per tutte la loro generazioni, con un’alleanza eterna; affinché Io sia il tuo Dio e il Dio dei tuoi discendenti dopo di te. » Allora la fede ci dà la speranza di cose celesti e infinite. Ecco perché si dice che questo muro è fatto di diaspro, che è una pietra preziosa, di un colore verdastro, le cui sfumature variano estremamente, perché il verde è il colore della speranza, e questo colore verdastro del diaspro, che varia estremamente, è di nuovo una figura di speranza di cose celesti ed infinite. Ma non è tutto: la fede ci conduce all’amore di Gesù Cristo, ed è in questo che diventa una muraglia impenetrabile per i nemici ed infinitamente potente per proteggere i fedeli, secondo San Paolo (Rom. VIII, 35): « Chi dunque ci separerà dall’amore di Gesù Cristo? L’afflizione, l’angoscia, la fame, la nudità, il pericolo, la persecuzione o la spada. Come sta scritto: siamo ogni giorno consegnati alla morte per causa tua; siamo considerati come pecore da macello. Ma in mezzo a tutti questi mali noi vinciamo per la virtù di colui che ci ha amato. Perché io sono sicuro che né la morte né la vita, né gli angeli, né i principati, né le potenze, né le cose presenti né quelle future, né la violenza, né tutto ciò che è di più alto o di più profondo, né qualsiasi altra creatura, potrà mai separarci dall’amore di Dio in Cristo Gesù nostro Signore. » Così la fede, che ci dà speranza e ci conduce all’amore di Gesù Cristo, diventa uno scudo e persino una muraglia impenetrabile ai nemici, e infinitamente potente per proteggere i fedeli. E il muro fu costruito di diaspro, cioè di una sola pietra, per rappresentare l’unità della fede. Di diaspro, cioè di pietra molto dura, per rappresentare la fermezza, l’invariabilità, la solidità e la perpetuità della fede. E la fede cristiana è paragonata ad una muraglia, perché, come il muro di una città ne forma il recinto, così la fede in Gesù Cristo è come il recinto che racchiude l’amore di Dio e del prossimo. Poi, come la carità è una virtù più grande della fede e della speranza, rappresentata dal diaspro, secondo San Paolo, (I. Cor. XIII, 13): « Fede, speranza e carità ora rimangono; esse sono tre; ma la più grande delle tre è la carità. » Così San Giovanni, dopo aver paragonato la fede e la speranza al muro di diaspro che circonda la città, rappresenta la carità con la città stessa, volendo farci intendere la superiorità di questa virtù sulle altre due; e aggiunge: Ma la città era d’oro finissimo, come vetro di grande purezza. Così la fede e la speranza sono inferiori alla carità, come il muro di una città è inferiore alla città stessa. Dobbiamo fare attenzione a non applicare questa osservazione agli Apostoli, che hanno fondato il muro ma non sono il muro stesso. La fede e la speranza sono inferiori alla carità, soprattutto in quanto le prime due scompariranno, mentre la seconda rimarrà in eterno. E anche se la fede e la speranza devono scomparire, San Giovanni ha fatto bene a lasciare in piedi il muro che le rappresenta, perché questo muro separerà i buoni dai cattivi per tutta l’eternità, proprio come li ha separati nel tempo. Poiché è scritto: « E le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa ». Inoltre, le pietre di questo muro sono le buone opere, e queste buone opere sono una sola pietra, perché le buone opere ne sono una sola nella fede di Gesù Cristo, e questa pietra resterà in piedi per sempre, perché è scritto, Apoc. XIV, 13: « Beati coloro che muoiono nel Signore. D’ora in poi, dice lo Spirito, si riposeranno dalle loro fatiche, perché le loro opere li seguono. » Infine, il muro di una città può essere visto da lontano, soprattutto se è grande; per questo la Chiesa è paragonata a una città. Infatti la Chiesa è visibile a tutti attraverso i quattro segni che la distinguono. 1° Poiché la Chiesa è una, cattolica, apostolica e santa, come la città di cui si tratta. Infatti, questa città celeste sarà una sola, poiché tutti i beati vi saranno riuniti in Dio. 2° Essa sarà cattolica, perché tutti, nel corso delle età, vi avranno avuto accesso. 3°. Sarà apostolica, perché è detto: Il muro della città aveva dodici fondamenta e su di esse i dodici nomi degli Apostoli dell’Agnello. 4. Infine, sarà santa, perché è detto: E io, Giovanni, vidi la città santa scendere dal cielo. Ma la città era d’oro finissimo, come vetro di grande purezza.  Si sa che l’oro rappresenta la carità, e questa carità dei beati sarà come l’oro più fine e più puro, poiché è detto al versetto 27 dello stesso capitolo, parlando di questa città: Niente di impuro entrerà in essa. – La città era simile a del vetro di grande purezza. Abbiamo visto, nel corso di quest’opera, che il Battesimo è paragonato ad un mare di vetro; così questo passaggio è una conferma di ciò che Gesù Cristo ci dice nel Vangelo sulla necessità assoluta del battesimo per purificarci (Jo. III, 5): « In verità, in verità vi dico che se uno non nasce da acqua e da Spirito Santo, non può entrare nel regno di Dio. »

IX. Vers. 19. – E le fondamenta della muraglia della città erano ornate con ogni sorta di pietre preziose. La prima fondazione era di diaspro, la seconda di zaffiro, il terzo di calcedonio, il quarto di smeraldo.

Vers. 20. – E il quinto di sardonico, il sesto di sardio, il settimo di crisolito, l’ottavo di berillo, il nono di topazio, il decimo di crisoprasio, l’undicesimo di giacinto, il dodicesimo di ametista. Queste dodici fondamenta della muraglia, che rappresenta la fede, sono gli Apostoli. E queste fondamenta, che San Giovanni descrive, erano adornate con ogni sorta di pietre preziose, che rappresentano tutti i doni dello Spirito Santo con i quali gli Apostoli erano particolarmente arricchiti e provveduti con più abbondanza. Questi doni sono paragonati a tutti i tipi di pietre preziose secondo le qualità particolari di ciascuna di queste pietre. E come tutti gli Apostoli si distinguono tra di loro per delle qualità più o meno speciali, San Giovanni designa queste qualità di ciascuno degli Apostoli con le pietre preziose che le rappresentano. Ecco perché queste pietre sono indicate nello stesso ordine degli Apostoli stessi. Così San Pietro, che è il primo di tutti, è paragonato al diaspro, cioè alla stessa pietra di cui è costruita la muraglia della città, che è la fede.  Da qui le parole che Gesù Cristo gli rivolse quando fondò la sua Chiesa, (Matth. XVI, 18): « Io ti dico che tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. » La seconda pietra di colore blu [zaffiro] rappresenta San Paolo che è salito al terzo cielo, ecc. Queste dodici pietre preziose erano rappresentate nell’Antico Testamento dalle dodici pietre del Razionale. Un interprete parlando di queste pietre preziose dice elegantemente: La pietra preziosa è un simbolo affascinante. Le pietre di questa natura sono più durevoli del sasso e dei metalli. sfidano il tempo, sovrano distruttore di tutto ciò che è deperibile; occupano poco posto nello spazio. Esse si abbeverano della più sottile di tutte le cose inanimate, la luce, e poi la irradiano in torrenti di colori brillanti. Questa è l’immagine delle anime perfette che si abbeverano alla luce della verità eterna e che sono infiammate dal fuoco dell’amore divino.

X. Vers. 21.E le dodici porte erano dodici perle; e ogni porta era fatta di ogni perla, e il luogo della città era d’oro puro come vetro trasparente. O grandezza e potenza di Dio, quale linguaggio potrebbe mai esprimere la magnificenza e lo splendore delle vostre opere! O bellezza ineffabile della città santa, di quell’immensa Gerusalemme celeste, le cui porte saranno fatte di una sola perla, e il luogo sarà d’oro puro come vetro trasparente! Le parole di questo versetto sono particolarmente notevoli in quanto ci fanno capire che la città di cui si parla in questo capitolo è solo una figura, per cui Dio si serve di cose visibili e materiali, per darci un’idea di come sarà il paradiso, la cui gloria e felicità non saremo in grado di comprendere finché rimarremo sulla terra, poiché sta scritto (I. Cor., II, 9): « Occhio non ha visto, né orecchio ha udito, né il cuore dell’uomo ha compreso ciò che Dio ha preparato per coloro che lo amano.» Diciamo quindi che queste parole ci fanno capire che qui si tratta solo di una figura. Infatti, queste dodici perle rappresentano i dodici Apostoli che sono le porte della città e le fondamenta del muro, come è detto altrove. E le dodici porte erano dodici perle, cioè i dodici Apostoli secondo San Girolamo e Sant’Agostino. E il luogo della città era d’oro puro come il vetro trasparente. Come possiamo vedere, San Giovanni applica alla città le qualità che sono proprie del popolo che la comporrà, dal che dobbiamo concludere che tutte queste bellezze e questa magnificenza che egli attribuisce alla città devono essere intese in senso mistico. Le parole che seguono rendono la nostra idea ancora più sensibile, poiché San Giovanni aggiunge:

XI. Vers. 22. E non vidi alcun tempio nella città, perché il Signore Dio Onnipotente e l’Agnello sono il tempio, come gli Apostoli e tutti i Santi ne sono la città. San Giovanni ci lascia intravedere cosa queste parole sottendano. E non vidi una città, ma l’aspetto di una città, perché gli eletti sono la città stessa. San Giovanni non ha visto un tempio nella città, e perché? Perché il Signore Dio Onnipotente e l’Agnello sono il tempio. Ora, poiché Dio è immenso ed è il tempio di questa città, ne segue che questa città è in Dio come Dio è nella città, ed è così che i beati vedranno Dio così com’è. Da qui le parole di San Paolo, (1 Corinzi XIII, 12): « Noi vediamo Dio ora solo come in uno specchio e sotto immagini oscure, ma allora lo vedremo faccia a faccia. Ora lo conosco solo imperfettamente, ma allora lo conoscerò come sono conosciuto da Lui. » Ora, conoscere Dio, secondo il linguaggio della Scrittura, è godere di Lui; e godere di Dio è godere di una felicità immensa nelle sue perfezioni ed eterna nella sua durata. Questo è ciò che vediamo in queste parole: Perché il Signore Dio Onnipotente e l’Agnello sono il tempio. – Perché San Giovanni parla ora dell’Agnello, e perché dice che è anche il tempio? Ne troviamo la ragione nell’Umanità di Gesù Cristo che è l’Agnello immolato per i peccati del mondo e per la salvezza dei suoi. Ora, l’unione dell’Umanità di Gesù Cristo con i corpi dei fedeli sarà simile all’unione che esisterà tra il Signore Dio Onnipotente e le anime dei beati. E come questa unione di spiriti inizia quaggiù con la fede, è rafforzata dalla speranza e si perfeziona con la carità; così l’unione dei corpi è realmente stabilita quaggiù sotto le specie eucaristiche, e continuerà ad esistere in cielo, senza il velo della fede, e nella pienezza della felicità. E così l’Agnello sarà il tempio, secondo le parole dell’Apostolo, (II Cor. VI, 16): « Voi siete il tempio del Dio vivente, secondo quanto dice Dio stesso: Io abiterò in loro e camminerò in mezzo a loro; Io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo. »

XII. Vers. 23. – E la città non ha bisogno del sole o della luna per dare luce, perché la gloria di Dio la illumina e l’Agnello è la sua torcia. Questo verso è una continuazione della stessa idea, e vediamo che tutto ciò che ci ricorda gli oggetti materiali e corruttibili scompare nel contesto, per essere sostituito dall’Essere infinito stesso, che prenderà il posto di tutto, e sarà l’unico oggetto della gloria e della felicità eterna dei beati. Ed è così che la città non ha bisogno del sole o della luna per essere illuminata, perché la gloria di Dio la illumina, e l’Agnello è la sua torcia. Queste parole sono al presente, perché i Santi della Chiesa trionfante stanno già godendo di questa luce eterna. Gli stessi eletti saranno così cambiati e trasformati che i loro corpi diventeranno corpi spirituali; poiché la carne e il sangue non possono possedere il regno di Dio, e la corruzione non possiederà questa eredità incorruttibile. Potresti pensare, caro lettore, che stiamo esagerando, ma ascolta le parole dell’Apostolo che è stato elevato al terzo cielo, e capirai ancora meglio la felicità che ti aspetta se sei fedele al Signore (I. Cor. XV, 35): « Ma come risorgeranno i morti e con quale corpo ritorneranno? Insensati che siete, ciò che seminate non prende vita se non muore prima. E ciò che si semina non è il corpo stesso come deve essere un giorno, ma solo il grano, ad esempio di frumento o di qualsiasi altro seme. E Dio dà a questo grano un corpo come gli piace, e dà ad ogni seme il corpo che gli è proprio. Tutta la carne non è la stessa carne; ma altra è la carne degli uomini, altra è la carne delle bestie, altra è la carne degli uccelli, altra è la carne dei pesci. »  L’Apostolo vuole farci capire che Dio nella sua onnipotenza può anche cambiare il nostro corpo terreno in uno celeste; ecco perché continua in questi termini: « Perché ci sono anche corpi celesti e corpi terreni, ma i corpi celesti hanno una lucentezza diversa da quelli terreni. Il sole ha la sua luminosità, la luna ha la sua luminosità, e le stelle hanno la loro luminosità; e tra le stelle, una è più luminosa dell’altra. Sarà lo stesso nella resurrezione dei morti. Il corpo è ora seminato nella corruzione, ma risorgerà incorruttibile. È seminato nella vergogna e risorgerà nella gloria. È seminato nell’infermità e risorgerà nella forza. Egli è seminato nel corpo animale e risorgerà nel corpo spirituale. Come c’è un corpo animale, così c’è un corpo spirituale, come è scritto: « Adamo, il primo uomo fu creato con un’anima vivente, e il secondo Adamo fu riempito di uno spirito vivificante. » Quindi vediamo che lo stato della natura di Adamo era ben diverso da quello della nostra natura e della sua dopo il peccato; perciò l’Apostolo aggiunge: « E il secondo fu riempito di uno spirito vivente », (essendo stato rigenerato nel battesimo.) « Ma non è il corpo spirituale che è stato formato per prima; ma il corpo animale, ed in seguito quello spirituale » Così da queste ultime parole dobbiamo concludere che questo corpo animale di Adamo, sebbene dotato di un’anima vivente prima del suo peccato, non era però in uno stato così perfetto come sarà in seguito alla sua rigenerazione. Infatti l’Apostolo aggiunge: « Il primo uomo (cioè Adamo, prima del suo peccato) è quello terreno, formato dalla terra; il secondo (cioè l’uomo rigenerato) è quello celeste, che è del cielo. Ecco perché la Chiesa canta del peccato di Adamo: « 0 felix culpa quæ tantum meruit habere Redemptorem! 0 felice colpa che ci ha dato un così grande Redentore! ». Perché Dio, che sa trarre il bene dal male, vendicò l’uomo della gelosia del serpente distruggendo la sua creatura caduta e portandola in uno stato ancora più perfetto di come l’aveva creata. Poi l’Apostolo continua: « Come il primo uomo (Adamo) era terreno, così i suoi figli sono pure terreni; e come il secondo (Gesù Cristo) è celeste, così i suoi figli sono pure celesti. Come abbiamo portato l’immagine dell’uomo terreno, così portiamo l’immagine dell’uomo celeste. Ora quello che voglio dire, fratelli miei, è che la carne e il sangue non possono possedere il regno di Dio, e che la corruzione non possederà l’eredità incorruttibile. Ecco un mistero che vi insegnerò: tutti risorgeremo, ma non tutti saremo cambiati (nell’immagine di Gesù Cristo). In un momento, in un batter d’occhio, al suono dell’ultima tromba; poiché la tromba suonerà, e i morti risorgeranno incorruttibili d’ora in poi, e noi saremo cambiati (cioè, i buoni saranno cambiati nell’immagine dell’uomo celeste, che è Gesù Cristo). Perché questo corpo corruttibile deve essere rivestito di incorruttibilità, e questo corpo mortale di immortalità. E quando questo corpo mortale sarà rivestito di immortalità, allora si compirà questa parola della Scrittura: la morte è stata assorbita dalla vittoria. O morte, dov’è la tua vittoria? O morte, dov’è il tuo pungiglione? Ora, il pungiglione della morte è il peccato, e la forza del peccato è la legge (la legge di Dio violata). Ma grazie siano rese a Dio, che ci ha dato la vittoria per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore. Perciò, miei amati fratelli, rimanete fermi e incrollabili, lavorando sempre più per l’opera del Signore, sapendo che il vostro lavoro non sarà più inutile davanti al Signore. » Riprendiamo ora il nostro testo:

XIII. Vers. 24. Le nazioni cammineranno nella sua luce, e i re della terra vi porteranno la loro gloria e il loro onore.

Vers. 25. – E le sue porte non saranno chiuse di giorno, perché non ci sarà notte in quel luogo. Oltre al fatto che questo passo segue la descrizione della Gerusalemme celeste, dove saranno rappresentate tutte le nazioni della terra, e cammineranno nella luce eterna di Dio e dell’Agnello, alla quale i re della terra porteranno la loro gloria e il loro onore; queste  parole si riferiscono al primo passo del Vangelo secondo San Giovanni, dove si parla della luce che Gesù Cristo è venuto a diffondere tra gli uomini sulla terra, per dar loro il diritto di divenire figli di Dio a tutti coloro che avrebbero ricevuto questa luce e creduto in Gesù Cristo. Ora, questa luce divina, che è venuta nel mondo, condurrà coloro che la ricevono alla Gerusalemme celeste, le cui porte non saranno chiuse di giorno, perché non ci sarà notte in quel luogo. Infatti, questa luce è eterna, e l’oscurità della notte degli errori e dei vizi non la farà mai sparire. Il resto della notte sarà inutile, perché non ci sarà nessun lavoro, nessun dolore, nessuna fatica durante il giorno dell’eternità.

XIV. Vers. 26. E la gloria e l’onore delle nazioni saranno portati ad essa, perché tutte le nazioni avranno ricevuto quella luce, la luce vera che, secondo San Giovanni, (I, 9): « Illumina ogni uomo che viene in questo mondo. » E l’onore e la gloria delle nazioni saranno coloro che, avendo ricevuto questa luce, si sono distinti dagli empi per la pratica delle virtù cristiane, e coloro che, essendo stati illuminati da questa luce, si sono allontanati dalle tenebre che non l’hanno compresa. Perché i malvagi sono la vergogna delle nazioni, come i buoni ne sono la gloria e l’onore. Così la gloria e l’onore delle nazioni saranno coloro che, secondo San Giovanni, non sono nati dal sangue, né dalla volontà della carne, né dalla volontà dell’uomo, ma da Dio stesso.  In una parola, la gloria e l’onore delle nazioni saranno le pecore che hanno seguito il buon pastore nell’ovile della Chiesa, seguendo la sua luce, ascoltando la sua voce e vivendo della sua vita, secondo le parole di Gesù, (Jo, XIV. 6). « Io sono la via, la verità e la vita: nessuno viene al Padre se non per mezzo di me ». Così tutti coloro che non hanno conosciuto e praticato la dottrina di Gesù Cristo sulla terra non saranno ammessi nella città celeste. Poiché:

XV. Vers. 27.Non vi entrerà nulla di impuro, né alcuno di coloro che commettono abominazioni e falsità, ma solo coloro che sono scritti nel libro della vita dell’Agnello. – Perciò non ci sarà notte in quel luogo, né la notte del vizio, né la notte dell’errore, perché nulla di impuro vi entrerà, né alcuno di coloro che commettono abominio e falsità. Ma solo quelli che sono scritti nel libro della vita dell’Agnello, cioè quelli che hanno vissuto della sua vita; « perché in lui era la vita », dice San Giovanni, (I, 4): « E la vita era la luce degli uomini. » E tutti coloro che hanno conosciuto questa luce dell’Agnello e hanno vissuto della sua vita nel tempo, godranno della sua luce e vivranno della sua vita nell’eternità. E allora i loro stessi corpi saranno cambiati in corpi spirituali, secondo San Paolo, e questi corpi avranno impassibilità, la chiarezza, l’agilità e la sottigliezza. 1º Questi corpi saranno impassibili, perché non saranno mai più soggetti ad alcuna sofferenza; perché « Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi, e non ci sarà più la morte, né lutto, né pianto, né dolore, perché il primo stato è finito. » 2º Questi corpi possiederanno la chiarezza, poiché saranno la città che Dio abiterà, e Dio sarà il tempio e il sole di questa città. (Apoc. XXI, 22): « E non vidi alcun tempio nella città, perché il Signore Dio Onnipotente e l’Agnello sono il tempio. E la città non ha bisogno del sole, né della luna che le dia luce, perché la gloria di Dio risplende su di essa, e l’Agnello è la sua torcia. E le sue porte non saranno chiuse di giorno, perché non ci sarà notte in quel luogo. » – 3º Questi corpi avranno l’agilità; perché la loro vita sarà secondo la luce che li illuminerà; e poiché questa luce è immensa, la loro vita sarà nell’immensità di questa luce. E questa luce li condurrà e li illuminerà nell’immensità della vita di Dio, che potranno vedere e contemplare faccia a faccia, senza alcun ostacolo. Da qui queste parole: « Le nazioni cammineranno nella sua luce ». Così gli spazi non li fermeranno, dato che non ci saranno più limiti, e il tempo non li riterrà, perché non ci sarà più il tempo. 4 ° Perciò possederanno la sottigliezza, poiché non sperimenteranno più gli ostacoli che possono impedire loro di godere della gloria e della felicità infinita della luce eterna. – Da quanto abbiamo appena visto nel corso di questo capitolo, l’uomo può dare libero sfogo alla sua immaginazione finché gli piace, ma non riuscirà mai, finché è sulla terra, a immaginare la realtà della felicità che gli è riservata se ama Dio suo Creatore, perché è scritto, (I Corinzi II, 9): « Occhio non ha visto, né orecchio ha mai udito, né il cuore dell’uomo ha mai compreso ciò che Dio ha preparato per coloro che lo amano. ». Possiamo trovare paragoni più toccanti e magnifici di quelli usati da San Giovanni per descrivere le delizie della gloria eterna? Certamente no. Se l’Apostolo ha fatto ricorso a immagini sensibili per istruirci, è perché ha dovuto parlare l’unico linguaggio possibile per essere compreso dagli uomini. E quando la felicità e la gloria del paradiso non consistono che nel possesso di ciò che le nostre facoltà intellettuali ci permettono di concepire più perfettamente della realizzazione di questa figura, quale uomo, comprendendo bene i suoi interessi più cari, non sacrificherebbe tutti i beni del mondo e sopporterebbe tutti i tormenti del tempo, per essere ammesso un giorno nel numero dei cittadini di questa Gerusalemme celeste? Cosa sono le ricchezze, gli onori e i piaceri della terra in confronto alle delizie di questa città? Eppure, per quanto la magnificenza e lo splendore di questa città possano apparire ai nostri occhi mortali, dopo tutto è solo un’immagine. Ora, se c’è già una differenza estrema tra un uomo e il suo ritratto, tra una luce e l’ombra che ne deriva, tra il giorno e la notte, che differenza ci sarà tra i beni del cielo e quelli della terra, tra la realtà di questi beni e la loro figura, tra la verità e l’espressione, tra il tempo e l’eternità? Questa differenza è espressa in una sola parola; ma né i secoli né gli spazi possono contenere la sua realtà. perché questa realtà è l’infinito.

§ III.
Il fiume d’acqua viva.


CAPITOLO XXII

Et ostendit mihi fluvium aquæ vitæ, splendidum tamquam crystallum, procedentem de sede Dei et Agni. In medio plateæ ejus, et ex utraque parte fluminis, lignum vitæ, afferens fructus duodecim per menses singulos, reddens fructum suum et folia ligni ad sanitatem gentium. Et omne maledictum non erit amplius: sed sedes Dei et Agni in illa erunt, et servi ejus servient illi. Et videbunt faciem ejus: et nomen ejus in frontibus eorum. Et nox ultra non erit: et non egebunt lumine lucernæ, neque lumine solis, quoniam Dominus Deus illuminabit illos, et regnabunt in sæcula sæculorum. Et dixit mihi: Hæc verba fidelissima sunt, et vera. Et Dominus Deus spirituum prophetarum misit angelum suum ostendere servis suis quæ oportet fieri cito. Et ecce venio velociter. Beatus, qui custodit verba prophetiæ libri hujus. Et ego Joannes, qui audivi, et vidi hæc. Et postquam audissem, et vidissem, cecidi ut adorarem ante pedes angeli, qui mihi hæc ostendebat: et dixit mihi: Vide ne feceris: conservus enim tuus sum, et fratrum tuorum prophetarum, et eorum qui servant verba prophetiæ libri hujus: Deum adora. Et dicit mihi: Ne signaveris verba prophetiae libri hujus: tempus enim prope est. Qui nocet, noceat adhuc: et qui in sordibus est, sordescat adhuc: et qui justus est, justificetur adhuc: et sanctus, sanctificetur adhuc. Ecce venio cito, et merces mea mecum est, reddere unicuique secundum opera sua. Ego sum alpha et omega, primus et novissimus, principium et finis. Beati, qui lavant stolas suas in sanguine Agni: ut sit potestas eorum in ligno vitae, et per portas intrent in civitatem. Foris canes, et venefici, et impudici, et homicidae, et idolis servientes, et omnis qui amat et facit mendacium. Ego Jesus misi angelum meum testificari vobis haec in ecclesiis. Ego sum radix, et genus David, stella splendida et matutina. Et spiritus, et sponsa dicunt: Veni. Et qui audit, dicat: Veni. Et qui sitit, veniat: et qui vult, accipiat aquam vitæ, gratis. Contestor enim omni audienti verba prophetiæ libri hujus: si quis apposuerit ad hæc, apponet Deus super illum plagas scriptas in libro isto. Et si quis diminuerit de verbis libri prophetiae hujus, auferet Deus partem ejus de libro vitæ, et de civitate sancta, et de his quae scripta sunt in libro isto: dicit qui testimonium perhibet istorum. Etiam venio cito: amen. Veni, Domine Jesu. Gratia Domini nostri Jesu Christi cum omnibus vobis. Amen.

[E mi mostrò un fiume di acqua viva, limpido come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell’Agnello. Nel mezzo della sua piazza, e da ambe le parti del fiume l’albero della vita che porta dodici frutti, dando mese per mese il suo frutto, e le foglie dell’albero (sono) per medicina delle nazioni. Né vi sarà più maledizione: ma la sede di Dio e dell’Agnello sarà in essa, e i suoi servi lo serviranno. E vedranno la sua faccia: e il suo nome sulle loro fronti. Non vi sarà più notte: né avranno più bisogno di lume di lucerna, né di lume di sole, perché il Signore Dio li illuminerà, e regneranno pei secoli dei secoli. E mi disse: Queste parole sono fedelissime e vere. E il Signore Dio degli spiriti dei profeti ha spedito il suo Angelo a mostrare ai suoi servi le cose che devono tosto seguire. Ed ecco io vengo presto. Beato chi osserva le parole della profezia di questo libro. Ed io Giovanni (sono) quegli che udii e vidi queste cose. È quando ebbi visto e udito, mi prostrai ai piedi dell’Angelo, che mi mostrava tali cose, per adorarlo: E mi disse: Guardati di far ciò: perocché sono servo come te, e come i tuoi fratelli i profeti, e quelli che osservano le parole della profezia di questo libro: adora Dio. E mi disse: Non sigillare le parole della profezia di questo libro: poiché il tempo è vicino. Chi altrui nuoce, noccia tuttora: e chi è nella sozzura, diventi tuttavia più sozzo: e chi è giusto, sì faccia tuttora più giusto: e chi è santo, tuttora si santifichi. Ecco io vengo tosto, e porto con me, onde dar la mercede e rendere a ciascuno secondo il suo operare. Io sono l’alfa e l’omega, il primo e l’ultimo, il principio e la fine. Beati coloro che lavano le loro stole nel sangue dell’Agnello: affine d’aver diritto all’albero della vita e entrar per le porte nella città. Fuori ì cani, e i venefici, e gli impudichi, e gli omicidi, e gl’idolatri, e chiunque ama e pratica la menzogna. Io Gesù ho spedito il mio Angelo a testificarvi queste cose nelle Chiese. Io sono la radice e la progenie di David, la stella splendente del mattino. E lo Spirito e la sposa dicono: Vieni. E chi ascolta, dica: Vieni. E chi ha sete, venga: e chi vuole, prenda dell’acqua della vita gratuitamente. Poiché protesto a chiunque ascolta le parole della profezia di questo libro, che se alcuno vi aggiungerà (qualche cosa), Dio porrà sopra di lui le piaghe scritte in questo libro. E se alcuno torrà qualche cosa delle parole della profezia di questo libro, Dio gli torrà la sua parte dal libro della vita, e dalla città santa, e dalle cose che sono scritte in questo libro. Dice colui che attesta tali cose: Certamente io vengo ben presto: così sia. Vieni, Signore Gesù. La grazia del Signor nostro Gesù Cristo con tutti voi. Così sia.]

I. Vers. 1. – E mi mostrò un fiume d’acqua viva, limpida come il cristallo, che usciva dal trono di Dio e dell’Agnello. L’Angelo delle piaghe che ha mostrato a San Giovanni la Gerusalemme celeste, ora gli mostra un fiume di acqua viva. Questo fiume, secondo Sant’Ambrogio (Lib. III, De Spiritu Sancto, cap. XXI), significa lo Spirito Santo, fonte di ogni grazia, di ogni gloria e di ogni felicità. Secondo altri interpreti, questo fiume rappresenta l’abbondanza di doni e di consolazioni celesti di cui i Santi saranno inondati. Queste interpretazioni sono uguali nella sostanza, anche se sembrano differire nella forma. Infatti, nel mistero della Santissima Trinità, il Padre è la volontà e l’Onnipotenza, il Figlio è il Verbo, espressione della volontà e mano destra dell’onnipotenza del Padre, Onnipotente Egli stesso, e lo Spirito Santo è l’amore in unione con il Padre e il Figlio. Queste tre Persone, che non devono essere confuse l’una con l’altra, sono ugualmente perfette, perché hanno la stessa sostanza e sono un solo ed unico Dio, così che ciascuna delle tre Persone divine possiede in sé tutte le perfezioni delle altre. Ma noi sappiamo, e il nostro testo ce lo dice, sappiamo, diciamo, che è per mezzo dello Spirito Santo che la gloria e la felicità eterna sono comunicate ai Santi in cielo, così come è lo Spirito Santo che ci rende partecipi dei doni di Dio sulla terra. Perciò gli eletti, che sono stati chiamati dal Padre, giustificati dal Figlio e rigenerati dallo Spirito Santo nelle acque del Battesimo, saranno inondati dal fiume di acqua viva che procede dal trono di Dio Padre Onnipotente e dell’Agnello Gesù Cristo, generato dal Padre e seduto alla sua destra. Così questo passo dell’Apocalisse è un’ammirevole conferma del dogma della Chiesa Cattolica, e allo stesso tempo una condanna dell’errore della Chiesa greca, riguardante la processione dello Spirito Santo. Perché è espressamente detto che questo fiume d’acqua viva, figura dello Spirito Santo, è uscito non solo dal trono di Dio Padre, ma anche dall’Agnello Gesù Cristo sacrificato per i peccati del mondo. –  ….. E mi mostrò un fiume di acqua viva, limpido come il cristallo. Quando San Giovanni parla dei fedeli, (capitolo IV, 6), li paragona ad un mare trasparente come il vetro e simile al cristallo; e quando parla del fiume di acqua viva che alimenterà questo mare, non solo paragona questo fiume al vetro, ma dice anche che quest’acqua viva del fiume è essa stessa chiara come il cristallo. Perché questa differenza? È per farci capire che quest’acqua viene o procede dalla sua fonte divina, pura come il cristallo, per alimentare questo mare degli eletti, cioè la nostra umanità, che diventa trasparente come il vetro dalle acque del Battesimo, e sarà come il cristallo, cioè simile alla divinità, con le acque di gloria e felicità del fiume d’acqua viva che procede eternamente dal trono di Dio Padre e dell’Agnello Gesù Cristo per abbeverare gli eletti nel tempo e nell’eternità. Questo fiume di acqua viva renderà dunque gli eletti puri come il cristallo, cioè come Dio, come sta scritto (I. Jo., III, 2): « Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando Egli si manifesterà, noi saremo come Lui, perché lo vediamo come è. E chi ha questa speranza in Lui, diventa santo, come santo è Dio stesso. » – Come possiamo vedere, la purezza di Dio è paragonata a quella del cristallo, e la purezza dei Santi è pure paragonata a quella di un vetro trasparente. Ora questo vetro sarà puro e trasparente, perché gli eletti saranno senza macchia; e questo vetro sarà di una purezza simile a quella del cristallo, perché la purezza dei Santi sarà simile a quella di Dio stesso. Pertanto, i Santi che hanno imitato Gesù Cristo sulla terra diventeranno come Dio stesso attraverso la gloria e la felicità di cui saranno inondati in cielo, dal fiume di acqua viva che viene dal trono di Dio e dell’Agnello, cioè, come abbiamo detto sopra, dallo Spirito Santo che procede dal Padre e dal Figlio. Così, Dio userà il fiume di acqua viva per colmare i Santi della sua gloria e felicità, così come usa le acque del Battesimo per rigenerarli con lo Spirito Santo. E siccome tutti questi doni di grazia, di gloria e di felicità celeste ci vengono comunicati dallo Spirito Santo, che procede dal Padre e dal Figlio, comprendiamo perché Gesù Cristo, istituendo il Sacramento della rigenerazione, disse ai suoi Apostoli (Matth. XXVIII, 18): « Mi è stata data ogni autorità in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. »

II. Questo fiume d’acqua viva rappresenta anche la visione beatifica, secondo queste parole del salmista, Ps. XLV, 4: « Un fiume con il suo corso impetuoso inonda la città di Dio con gioia. L’Altissimo ha santificato il suo tabernacolo: Dio è in mezzo alla città santa. » E altrove: Sal. XXXV, 8: « Signore, i figli degli uomini saranno pieni di speranza sotto l’ombra delle tue ali. Si inebrieranno dell’abbondanza della tua casa, li nutrirai con il flusso delle tue delizie; perché in te è la fonte della vita, e nella tua luce vedremo la luce. »Sal. XXXVI: « Guardatevi dall’imitare i malvagi, e non invidiate quelli che commettono iniquità, perché appassiranno rapidamente come il fieno, e seccheranno rapidamente come le erbe dei prati. Riponi la tua speranza nel Signore e fai il bene, e allora dimorerai sulla terra e sarai nutrito con le sue ricchezze. Deliziatevi nel Signore, ed Egli realizzerà i desideri del vostro cuore. Scopri le tue vie al Signore, spera in Lui ed Egli agirà. Egli farà risplendere la vostra giustizia come luce, e farà risplendere la vostra innocenza come il mezzogiorno. » Ascoltiamo Isaia, LXVI, 12: « Questo è ciò che dice il Signore. Farò scorrere su Gerusalemme un fiume di pace; riverserò su di essa la gloria delle nazioni come un torrente straripante. Gerusalemme vi nutrirà con il suo latte, vi stringerà al suo seno e vi accarezzerà sulle sue ginocchia. Come una madre consola il suo bambino, così io vi consolerò e sarete consolati a Gerusalemme. Vedrete queste cose, e il vostro cuore si rallegrerà; le vostre stesse ossa ricresceranno forti come l’erba. ». Termineremo la spiegazione di questo passaggio con le ben rimarchevoli parole che troviamo nel Vangelo della Samaritana. Queste parole alludono anche al fiume di acqua viva, e di conseguenza contengono un’ulteriore conferma della processione dello Spirito Santo secondo il dogma cattolico, e un ulteriore chiarimento della questione che stiamo trattando. Ecco questo Vangelo (Jo. IV, 7): « Allora venne una donna di Samaria ad attingere acqua. Gesù le disse: Dammi da bere. Infatti, i suoi discepoli erano andati in città per comprare del cibo. La donna gli disse: Come puoi tu, giudeo, chiedere da bere a me, donna samaritana? Perché i Giudei non hanno rapporti con i Samaritani. Gesù le rispose: Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è che ti dice: Dammi da bere, avresti potuto chiedergli la stessa cosa ed Egli ti avrebbe dato acqua viva. La donna gli disse: Signore, voi non avete un recipiente da cui attingere e il pozzo è profondo; da dove prendereste quest’acqua viva? Siete forse più grande di Giacobbe nostro padre, che ci ha dato questo pozzo e ne ha bevuto lui stesso, così come i suoi figli e le sue greggi? Gesù le disse: Chiunque beve quest’acqua avrà ancora sete, ma chi beve l’acqua che io gli darò non avrà mai più sete. Ma l’acqua che Io gli darò diventerà in lui una fonte d’acqua che zampillerà per la vita eterna. » Chi non riconosce in queste ultime parole il fiume d’acqua viva di cui parliamo; e qual è la fonte da cui l’acqua può sgorgare alla vita eterna, se non lo Spirito Santo, che è Dio, infinitamente perfetto, e che procede dal Padre e dal Figlio?

III. Vers. 2. – In mezzo alla piazza della città, ai due lati del fiume, c’era l’albero della vita, che porta dodici frutti e dà i suoi frutti ogni mese, e le foglie dell’albero guariranno le nazioni. Queste parole hanno un significato difficile, diremmo addirittura impenetrabile, poiché contengono i grandi misteri della Santa Trinità, dell’Incarnazione e della Redenzione. Senza voler dunque cercare inutilmente di scrutare verità così profonde che nessun mortale può comprendere, ci limiteremo a dimostrare come questo enigma contenga in sé verità così grandi:  Al centro della piazza della città, su entrambi i lati del fiume, c’era l’albero della vita. Come il fiume di acqua viva menzionato nel versetto precedente allude al fiume del paradiso terrestre menzionato nella Genesi, così l’albero della vita menzionato qui ricorda anche l’albero della vita e l’albero della conoscenza del bene e del male. E aggiungeremo anche che tutto il passo che citeremo da questo primo libro della Scrittura, è un tipo e una figura sensibile della città santa che abbiamo appena descritto. È riportato in Genesi, (II, 7): « Così il Signore formò l’uomo dall’argilla della terra ed effuse sul suo volto il soffio della vita, e l’uomo divenne vivo e vitale. Ora il Signore Dio aveva piantato fin dal principio un delizioso giardino, nel quale mise l’uomo che aveva creato. Il Signore aveva anche prodotto dalla terra ogni sorta di alberi, belli alla vista e il cui frutto era piacevole al gusto; e pose l’albero della vita in mezzo al paradiso, con l’albero della conoscenza del bene e del male. In questo luogo di delizie, uscì un fiume per irrigare il paradiso, etc. » Come possiamo vedere, questo delizioso giardino ci offre più o meno le stesse circostanze che troviamo nella Gerusalemme celeste. La prima è per il corpo animale ciò che la città santa è per il corpo spirituale di cui parla San Paolo. Questo giardino era un luogo di delizie per il corpo animale, e la Gerusalemme celeste sarà una dimora di felicità e gloria per il corpo spirituale. L’uomo è stato creato nel paradiso terrestre con un’anima viva; in cielo sarà riempito di uno spirito vivificante. Il primo uomo è quello terreno, formato dalla terra, dice San Paolo; il secondo è quello celeste, che viene dal cielo. Nel paradiso terrestre, c’era l’albero della vita, che doveva rendere incorruttibile il corpo corruttibile del primo uomo; ma c’era anche l’albero della conoscenza del bene e del male, che diede la morte all’anima e poi al corpo dei nostri primi genitori, quando disubbidirono a Dio, mangiando il frutto proibito. In cielo, ci sarà anche un albero della vita, ma quanto diverso da quello del giardino dell’Eden! Questo era materiale e terreno, questo è spirituale e divino. L’uno era destinato a preservare la vita del corpo, l’altro preserverà la vita del corpo e dell’anima. Il terrestre, tuttavia, non ha impedito al corpo umano di perire, il celeste distruggerà il male alla sua fonte e lo renderà impossibile; perché come il primo poteva conservare solo il corpo, il secondo conserverà l’anima, e le ridarà la vita nel tempo, in modo da rendere immortali nell’eternità sia il corpo che l’anima. Così la virtù di questo albero divino è infinitamente superiore a quella dell’albero terrestre, poiché non solo conserva i corpi viventi, ma salverà anche ciò che era perito, restituirà la vita ai corpi e li renderà incorruttibili, restituirà la grazia alle anime e le renderà impeccabili. Perché, secondo San Paolo, « questo corpo corruttibile deve essere rivestito di incorruttibilità, e questo corpo mortale di immortalità. E dopo che questo corpo di morte sarà stato rivestito di immortalità, questa parola della Scrittura si compirà: «la morte è stata assorbita nella vittoria: » la vittoria dell’anima sul corpo, la vittoria della vita sulla morte, la vittoria dell’albero della vita sull’albero della morte; e allora questo albero della morte, l’albero della conoscenza del bene e del male, non esisterà più in cielo, dove i Santi godranno di tutti beni, senza paura o possibilità o mescolanza di alcun male. Da qui le parole di San Paolo, (1 Cor. XV, 55), che alludono all’albero della vita, l’albero della vita eterna, e anche all’albero della morte, l’albero della conoscenza del bene e del male: « O morte, dov’è la tua vittoria? O morte, dov’è il tuo pungiglione? Ora il pungiglione della morte è il peccato, e la forza del peccato è la legge. » La legge di Dio violata, la legge che proibiva all’uomo di mangiare il frutto proibito. Poi San Paolo aggiunge subito queste parole rimarchevoli, in quanto coincidono perfettamente con il nostro testo: « Ma grazie a Dio, che ci ha dato la vittoria per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore. » Così è dunque Gesù Cristo questo albero della vita, l’albero della vita eterna, di cui il primo, quello del paradiso terrestre era il tipo. E questo albero è anche la vite di cui si parla in San Giovanni XV: « Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo.  Egli taglierà tutti i rami che non portano frutto in me, e emenderà con la mortificazione cristiana tutti quelli che portano frutto, affinché portino ancor più frutto. Voi già siete puri a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e Io in voi. Come il tralcio della vite non può portare frutto da solo, se non rimane unito alla vite, così è per voi se non rimanete in me. Io sono la vite e voi i tralci. Chi rimane in me, e Io in lui, porta molto frutto; perché senza di me non potete fare nulla. Se qualcuno non rimane in me, sarà gettato via come un tralcio e appassirà, sarà raccolto e lo si getterà nel fuoco e ivi sarà bruciato. » – Come possiamo vedere, Gesù Cristo si paragona a una vite, e tutti i fedeli, dice, sono i tralci di questa vite senza i quali non possono fare nulla. I rami che rimangono attaccati alla vite portano molto frutto. Vedremo presto quali saranno questi frutti.

IV. In mezzo alla piazza della città, su entrambi i lati del fiume, c’era l’albero della vita, che porta dodici frutti e dà i suoi frutti ogni mese, e le foglie dell’albero guariranno le nazioni. Abbiamo visto nel capitolo precedente, che i fedeli credenti formeranno la piazza della città santa, e che questa piazza della città sarà d’oro puro come vetro trasparente. Ora, è al centro della piazza, cioè al centro dei fedeli, che sarà l’albero della vita di cui ci parla San Giovanni. E questo albero era su entrambi i lati del fiume. Come può essere che solo un albero sia posto su ciascuna delle due parti di un fiume? Questo può essere spiegato da ciò che sappiamo della processione dello Spirito Santo nel mistero della Santa Trinità, e soprattutto dalle parole del versetto precedente, in cui vediamo che questo fiume è uscito dal trono di Dio, e anche dall’Agnello, cioè dall’albero stesso di Gesù Cristo, che è la sua fonte. Inoltre, questo passaggio si spiega con il mistero dell’Incarnazione, che ci insegna che il Figlio di Dio si è rivestito della nostra umanità, in modo da essere Dio e uomo allo stesso tempo. Ora, come questo fiume di acqua viva sgorga dalla divinità del Padre e del Figlio, per fecondare l’umanità che Gesù Cristo rappresenta, essendo diventato Egli stesso uomo; ne consegue che questo fiume scorre tra due rive, alle estremità di ciascuna delle quali è posto l’albero della vita, Gesù Cristo, poiché Egli appartiene a queste due parti principali del fiume, la fonte e la foce, essendo Dio e uomo insieme. Come Dio, è la sorgente stessa del fiume, e come uomo e capo della Chiesa, ne è la foce. Possiamo trovare un paragone più ammirevole per rappresentarci, in due parole, l’unione delle tre Persone della Santa Trinità, e allo stesso tempo l’unione della Divinità con l’umanità? È nello stesso senso che la Chiesa termina le sue orazioni; poiché si rivolge a Dio Padre Onnipotente, per ottenere tutti i beni attraverso Nostro Signore Gesù Cristo, che vive e regna con il Padre in unione con lo Spirito Santo. Tanto per i misteri della Santa Trinità, dell’Incarnazione e anche della Redenzione. Ma quest’ultimo mistero è espresso ancora più chiaramente dalle parole che seguono:

V. In mezzo alla piazza… c’era l’albero della vita, che porta dodici frutti e dà i suoi frutti ogni mese, e le foglie dell’albero guariranno le nazioni. Chi non riconoscerà in queste ultime parole la santissima Eucaristia, che riassume tutto il piano della Redenzione divina e ci offre un quadro completo di tutta la storia dell’umanità, dall’uomo caduto nel paradiso terrestre all’uomo rigenerato nella Gerusalemme celeste. Infatti, abbiamo visto che Gesù Cristo si paragona a una vite di cui i fedeli sono i tralci, e che questi tralci, per portare molto frutto, devono rimanere attaccati alla vite. « Io sono la vite e voi siete i tralci. Chi rimane in me e io in lui porta molto frutto; perché senza di me non potete fare nulla. » Come fa ora Gesù Cristo a rimanere in noi e noi in Lui? Questo è ciò che ci spiega nel Vangelo, quando ci dice (Jo. VI, 51): « Io sono il pane vivo disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno; e il pane che Io darò per la vita del mondo è la mia carne. I Giudei, dunque, disputavano tra di loro, dicendo: Come può quest’uomo darci la sua carne da mangiare? E Gesù disse loro: In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete la vita in voi. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna, e Io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è davvero carne e il mio sangue è davvero bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e Io in lui. Come vive il Padre mio che mi ha mandato, e Io vivo a causa del Padre mio, così chi mangia me vivrà a causa mia. Questo è il pane che è sceso dal cielo. Non è come la manna che mangiarono i vostri padri e che non impedì loro di morire. Chi mangia questo pane vivrà eternamente. » Ora confrontiamo queste ultime parole del Vangelo che abbiamo appena citato con quelle del nostro testo, e vedremo se questo pane di vita non è lo stesso delle foglie dell’albero che devono guarire le nazioni.

VI. In mezzo alla piazza della città … c’era l’albero della vita…; e le foglie dell’albero sono per guarire le nazioni. Questo paragone delle foglie è mirabilmente scelto per rappresentare la santissima Eucaristia, che è il pane di vita sceso dal cielo per dare la vita eterna agli eletti. Infatti: 1° La foglia di un albero si forma dalla sua sostanza. 2° L’albero che produce la foglia è vivo, ed è la linfa dell’albero che dà vita alla foglia. 3° La foglia di un albero è composta da due sostanze principali che sono le membrane e la linfa. 4° La foglia si stacca dall’albero. 5° Serve da ombra per riparare l’uomo. 6° Il vento la porta via e si sparge sul terreno. 7° Nel rigore dell’inverno l’albero non produce più foglie. 8° Le foglie di certi alberi sono eccellenti rimedi in medicina. 9° Le foglie sono sollevate dall’albero e scendono sulla terra. 10° Se il ramo è secco, non produce più foglie. 11° La foglia che cade ai piedi dell’albero serve, secondo le leggi della natura, a nutrirlo. Ora, queste sono precisamente le caratteristiche della Santissima Eucaristia. Ed infatti: 1°. La santissima Eucaristia è composta dalla sostanza stessa dell’albero della vita che è Gesù Cristo. 2°. Gesù-Cristo è vivente; quando Egli istituì la santa Eucarestia e quando pronunziò quelle parole per sempre memorabili: « Questo è il mio corpo, etc. », il pane che viene distribuito ai fedeli sotto forma di ostie, simile nella forma alle foglie di un albero, questo pane, diciamo, è stato cambiato in Gesù Cristo stesso e vivificato dalla linfa del suo prezioso sangue, un mistero adorabile che viene riprodotto ogni giorno sui nostri altari per la virtù della stessa parola di Dio « Fate questo in memoria di me » e anche perché Egli è il sacerdote eterno secondo l’ordine di Melchisedec. 3° Questo pane contiene due sostanze che sono la Divinità e l’Umanità, e contiene anche, sotto quest’ultimo aspetto, due sostanze essenziali che sono l’anima e il corpo; infine, sotto la sostanza del corpo ci sono due sostanze distinte, che sono il corpo e il sangue di Nostro Signore Gesù Cristo. 4° La Chiesa dà a questo pane una forma più o meno simile a quella di una foglia d’albero perché possa essere più opportunamente distribuito ai fedeli. 5°. Gesù Cristo ci fa come ombra nella santissima Eucaristia, e ci protegge dal fuoco delle passioni. 6° È soprattutto con il vento delle persecuzioni che le foglie di questo albero si diffondono sulla terra, come ci mostra la storia della Chiesa. 7°. Nei rigori dell’inverno, cioè nelle regioni fredde che l’assenza del sole della fede rende aride, e anche nei periodi di grande siccità, questo albero produce poco o nulla in foglie. 8°. La santissima Eucaristia è il rimedio per eccellenza, perché guarisce e conserva il corpo e l’anima per l’eternità. 9°. Queste foglie cadono sulla terra da una grande altezza, perché sono il pane della vita che è sceso dal cielo. 10° I rami che sono stati separati dall’albero a causa delle eresie sono secchi e non producono più foglie. 11°. Infine, la foglia che cade ai piedi dell’albero per essere messa in bocca ai fedeli diventa feconda, perché i fedeli che si nutrono della santissima Eucaristia a loro volta nutrono l’albero della vita con la carità, che è il sacrificio di se stessi per la gloria di Gesù Cristo e la salvezza del prossimo, secondo il significato di questa parola: «Avevo fame e mi avete dato da mangiare, etc. » Infine, se il fedele muore con questa foglia divina, sarà unito all’albero, che è Gesù Cristo, per l’eternità, secondo quest’altro detto: « Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e Io in lui. »

VII. Nel mezzo della piazza della città … era l’albero della vita che porta dodici frutti e dà i suoi frutti ogni mese; e le foglie dell’albero guariranno le nazioni.  1 ° Va notato che queste parole sono messe al presente, perché si applicano al tempo presente e anche all’eternità. E le foglie dell’albero della vita guariranno le nazioni. Questo passaggio significa che queste foglie, dopo aver guarito le nazioni nel tempo, daranno loro la vita per il tempo e per l’eternità. 2° L’albero della vita che porta dodici frutti e dà i suoi frutti ogni mese. Questi dodici frutti ci mostrano le qualità infinitamente preziose di questo albero della vita, la cui virtù celeste e divina guarirà tutti i fedeli credenti attraverso le epoche della Chiesa per il tempo e l’eternità. Infatti, questi dodici frutti corrispondono per il numero alle dodici tribù d’Israele che rappresentano l’universalità dei fedeli; poi questi dodici frutti si riferiscono anche ai dodici mesi dell’anno, e ancora alle dodici ore del giorno dell’esistenza del mondo. Così che troviamo in questa mirabile figura due pensieri infinitamente profondi, che sono l’immensità e l’eternità di Dio. Diciamo l’immensità, poiché un solo frutto di questo albero può guarire e nutrire tutti i credenti sia per il tempo che per l’eternità. Vediamo anche in esso l’eternità di Dio, poiché è espressamente detto che questo albero della vita dà i suoi frutti ogni mese, anche per il tempo e per l’eternità. 3º Alla lettera, questi dodici frutti sono i dodici Apostoli, e i dodici mesi corrispondono alle dodici tribù d’Israele che rappresentano l’universalità degli eletti nelle varie età della Chiesa; e siccome la fede predicata dai dodici Apostoli era radicata nell’albero della vita che è Gesù Cristo, per essere predicata e produrre i suoi frutti durante i dodici mesi che rappresentano tutte le età della Chiesa, San Giovanni aveva ragione di dire che questo albero dà i suoi frutti ogni mese; perché alla fine di questi dodici mesi, che rappresentano il tempo dell’esistenza della Chiesa, questi dodici frutti avranno prodotto i centoquarantaquattromila fedeli delle dodici tribù d’Israele che formeranno l’assemblea degli eletti nella Gerusalemme celeste. 4° Quest’albero, che fruttifica ogni mese, ce ne mostra la grande fertilità; poiché, come abbiamo visto nel capitolo della Gerusalemme celeste, il numero degli eletti, che Dio solo conosce e che è rappresentato, secondo l’uso dei profeti, dal numero determinato di centoquarantaquattromila fedeli, supererà di gran lunga questo numero; e il numero degli eletti di tutti i tempi e di tutte le nazioni che avranno mangiato le foglie dell’albero della vita sulla terra sarà molto grande. Mangiamo dunque le foglie di quest’albero nel tempo, se vogliamo godere della gloria e della felicità dei suoi frutti nell’eternità. È Gesù Cristo stesso, l’autore della vita, che ci invita a farlo; ascoltiamo dunque la voce di questo Padre buono, che ci chiama a sé e ci dice: « Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò riposo… Io sono il pane vivo disceso dal cielo; se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno; e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo, ecc. ecc. » Ma non dimentichiamo le parole dell’apostolo San Paolo, I. Cor. XI, 27: « Chiunque mangia questo pane o beve il calice del Signore indegnamente, sarà colpevole del crimine contro il corpo e il sangue del Signore. Si metta dunque l’uomo alla prova, e dopo mangi di quel pane e beva da questo calice. Perché chi mangia e beve di esso indegnamente, mangia e beve la propria condanna, non facendo il discernimento del corpo del Signore. Per questo ci sono molti tra voi che sono malati e languenti, e molti sono morti. Che se noi ci giudicassimo da noi stessi, non saremmo giudicati da Dio, etc. ».

VIII. Vers. 3. – Non ci sarà là più alcuna maledizione, ma lì vi sarà il trono di Dio e dell’Agnello, e i suoi servi lo serviranno. Questo versetto contiene anche la differenza tra il paradiso terrestre e quello celeste. Nel paradiso terrestre c’era, accanto all’albero della vita, l’albero della conoscenza del bene e del male, che portò all’umanità una così grande maledizione. Ma in cielo, non ci sarà più nessuna maledizione possibile, perché l’albero della scienza del bene e del male sarà sostituito dall’albero della vita. Il libero arbitrio, che è stato così fatale all’uomo, non esisterà più per perderlo, ma per goderne di tutta la gloria e la felicità fino alla fine dei tempi, cioè per quanto l’uomo vuole e può godere della luce eterna con l’aiuto della luce eterna. Lì non ci sarà più maledizione, perché non ci sarà più alcun male possibile, ma ci sarà il trono di Dio e dell’Agnello, fonte di ogni bene e di ogni gloria, senza alcuna mescolanza di bene e di male. E i suoi servi lo serviranno con gloria e felicità.

IX . Vers. 4 – Vedranno il suo volto e avranno il suo nome scritto sulla fronte. O Dio, qual gloria e felicità avete riservato a coloro che vi amano, perché potranno contemplarvi faccia a faccia, così da diventare simili a Voi, ed avranno il vostro stesso Nome scritto sulla fronte, perché saranno vostri figli ed eredi della vostra gloria, e porteranno il vostro Nome, come un figlio porta il nome del padre suo! Il loro nome sarà illustrato con la gloria di Dio stesso, e la loro eredità sarà immensa ed eterna come Dio. Questo è confermato dalle seguenti parole, che si spiegano da sole:

Vers. 5E non ci sarà più notte, non avranno bisogno di lampade, né della luce del sole, perché il Signore Dio darà loro la luce, ed essi regneranno nei secoli dei secoli.

X. Le parole che seguono sono una ricapitolazione degli avvertimenti generali che il Signore indirizza alla Sua Chiesa su questa rivelazione. E siccome questi passaggi sono già stati interpretati, ci limiteremo a citarli, lasciando al lettore il compito di farne il proprio confronto e l’applicazione per il proprio uso e per il beneficio che trarrà dalla ricezione di questo libro.

Vers. 6. Ed egli mi disse: Queste parole sono certissime e veraci: il Signore, il Dio degli spiriti dei profeti, ha mandato un Angelo per rivelare ai suoi servi ciò che deve avvenire presto.

Vers. 7. Io vengo presto: beato chi osserva le parole della profezia di questo libro.

Vers. 8  Io, Giovanni, ho udito e visto queste cose. E quando le ho sentite e viste, sono caduto in adorazione ai piedi dell’Angelo che me le ha mostrate.

Vers. 9: Ma egli mi disse: Guardati dal fare così, perché io sono un servo come te e come i tuoi fratelli profeti, e come coloro che osservano le parole di questo libro, adorate Dio.

XI. Vers 10. Ed egli mi disse: Non sigillare le parole della profezia di questo libro, perché il tempo è vicino. Nel linguaggio dei Profeti, sigillare una profezia non significa che il suo significato debba essere impenetrabile alle menti degli uomini, come lo fu l’Apocalisse per molti secoli; ma sigillare una profezia significa che il suo adempimento non inizierà che molto tempo dopo la sua pubblicazione. Ma questo non fu il caso di questa rivelazione a San Giovanni. Poiché la sua Apocalisse contiene la storia di tutta la Chiesa dalla sua origine fino alla consumazione dei secoli; questa profezia cominciava già a realizzarsi al tempo di San Giovanni; e anche essa nascondeva sotto i suoi enigmi eventi che erano già passati quando questa rivelazione gli fu fatta. Ma non poté essere compresa per molto tempo, perché gli eventi che annunciava non si erano sufficientemente sviluppati per coglierne il significato e la sequenza. Comprendiamo, quindi, da quanto appena detto, che sebbene questa profezia non sia stata sempre compresa, non è stata, tuttavia, sigillata, poiché ha cominciato ad essere adempiuta dal momento della sua rivelazione ed anche prima; ma Dio ne nascose la comprensione agli uomini per molti secoli, sotto i suoi difficili e numerosi enigmi, perché lo scopo evidente di questa profezia era di colpire gli uomini come una nuova luce, specialmente verso la fine dei tempi, quando la fede comincerà a perdersi a poco a poco, mostrando, come all’improvviso, per rafforzare i suoi eletti, la verità di questa profezia, già verificata nei tempi passati, e come garanzia della certezza degli eventi futuri. Da qui questo passaggio del testo: Non sigillate le parole della profezia di questo libro, perché il tempo è vicino.

XII. Vers. 11. – Colui che commette l’iniquità la commetta ancora; colui che è contaminato sia contaminato ancora; colui che è giusto diventi più giusto ancora; colui che è santo sia santificato ancora. Queste parole sono terribili e consolanti allo stesso tempo. Perché contengono maledizioni eterne per i peccatori e benedizioni infinite per i giusti. Infatti, secondo il Salmista, Ps. XLI, 8: « Un abisso chiama un abisso. » Un abisso di ingiustizia richiede un abisso di ingiustizia e punizione; perciò il Salmista aggiunge: « Al fragore delle tue cascate; tempeste e delle acque che tu mandi, o mio Dio, tutti i tuoi flutti e le tue onde sopra di me sono passati. » Al contrario, un abisso di giustizia richiede un abisso di misericordia. Infatti, il salmista continua: « Di giorno il Signore mi dona la sua misericordia, di notte per lui innalzo il mio canto: la mia preghiera al Dio vivente. Dirò a Dio, Voi siete mia difesa: perché mi avete dimenticato? Perché triste me ne vado, oppresso dal nemico? Per l’insulto dei miei avversari sono infrante le mie ossa; essi dicono a me tutto il giorno: Dov’è il tuo Dio?. Perché ti rattristi, anima mia, perché su di me gemi? Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, lui, salvezza del mio volto e mio Dio. Giudicatemi, o Dio, e distinguete la mia causa da quella di una nazione non santa. Toglietemi dalle mani dell’uomo malvagio e ingannatore.Poiché tu sei la mia forza, o Dio! Perché mi hai respinto? Perché mi vedo ridotto a camminare nella tristezza, afflitto dal nemico? Mandate la vostra luce e la vostra verità, ed esse mi condurranno al vostro santo monte e ai vostri tabernacoli. Ed entrerò fino all’altare di Dio, fino a Dio stesso, che riempie di gioia la mia gioventù. Canterò le tue lodi sull’arpa, o Dio, o mio Dio. Perché sei triste, anima mia, e perché mi conturbi? Spera in Dio, perché devo ancora lodarlo; Egli è la salvezza del mio volto ed è il mio Dio. » È soprattutto attraverso la preghiera che il giusto deve diventare ancora più giusto, e colui che è santo può diventare ancora più santo, perché la salvezza viene da Dio. Più ci si avvicina a Lui, più si desidera andare da Lui; e più ci si allontana da Dio, più si desidera allontanarsi da Lui. Il malvagio è come un albero che cade dalla parte in cui pende, e più l’albero tende ad inclinarsi per la forza di attrazione, finché alla fine cade da sé o per l’ascia del giardiniere. Il giusto, invece, si eleva in proporzione alla sua giustizia. Perché più l’albero è ritto, più di eleva. E la sua pianta, ora alta e bella, viene utilizzata per la costruzione di edifici e di mobilia, mentre il legno contorto e piegato, è destinato ad essere gettato nel fuoco.

XIII. Vers. 12Ecco, io vengo presto e avrò con me la mia ricompensa, per rendere ad ogni uomo secondo le sue opere. Perché secondo San Matteo, (III, 10): « Già la scure è posta alla radice dell’albero (dal germe di morte che portiamo in noi), e ogni albero che non porta buoni frutti sarà tagliato e gettato nel fuoco. »

Vers. 13. – Io sono l’Alfa e l’Omega, il primo e l’ultimo, il principio e la fine. Perché la verità è eterna, e la giustizia è eterna, e il passato e il futuro appartengono solo a Dio, che renderà a ciascuno secondo le sue opere. Io sono il principio e la fine; cioè, vi ho detto la mia parola all’inizio e vedrete il suo compimento alla fine.

Vers. 14. – Beati coloro che lavano le loro vesti nel sangue dell’Agnello, per avere diritto all’albero della vita e per entrare nella città dalle porte. Facciamo dunque degni frutti di penitenza e sottomettiamoci alla Chiesa, affinché possiamo un giorno entrare per questa porta nella vita eterna.

Vers. 15. – Lungi da qui i cani, gli avvelenatori, gli impudichi, gli omicidi, gli idolatri e chiunque ami e proferisca menzogna. Lungi da qui i persecutori della Chiesa, che sono come cani rabbiosi, gli avvelenatori, gli eresiarchi, gli impudichi, chi indulge alle voluttà, gli omicidi, che trascurano le vie della giustizia e della carità, gli idolatri, che dimenticano Dio per prostituirsi alla creatura, e chiunque ami e preferisca la menzogna, perché il diavolo è loro padre.

XIV. Vers. 16. – Io, Gesù, ho mandato il mio Angelo a testimoniarvi queste cose nelle Chiese. Io sono la progenie e il figlio di Davide, la stella che brilla al mattino. Qui Gesù cita se stesso come testimone delle verità contenute in questo libro dell’Apocalisse, dicendoci che Egli è la progenie e il figlio di Davide, cioè, Gesù Cristo di Nazareth crocifisso, la stella che brilla al mattino dall’inizio della Chiesa, e la cui luce non sarà mai più eclissata, che ha mandato il suo Angelo a rendere testimonianza delle cose contenute nell’Apocalisse, e a pubblicarle nelle sette Chiese d’Asia, rappresentanti l’universalità e la perpetuità della Chiesa Cattolica, Apostolica e Romana.

XV. Vers. 17. – Lo Spirito Santo e la sposa dicono: Venite. Colui che ascolta dica: “Venite”. Chi ha sete, venga; e chi lo desidera, riceva gratuitamente l’acqua della vita. Quante consolazioni sono contenute in questo versetto! Lo Spirito Santo e la sposa, che è la Chiesa, dicono: Vieni. Così non è solo la voce dei predicatori che ci invita; non sono solo i marchi visibili della Chiesa che attirano gli sguardi degli occhi di tutti gli uomini: dei buoni che ascoltano e seguono la sposa, e dei malvagi che la perseguitano; perché se questi potenti mezzi sembrano tuttavia troppo deboli per convincere gli uomini della verità eterna; se anche dei Cattolici non possono comprendere i giudizi segreti di Dio, chi rigetterà un gran numero di uomini nelle fosse dell’inferno, perché non sono appartenuti alla Chiesa Cattolica; e se questi giudizi sembrano loro troppo severi perché credono che i segni della vera Chiesa non siano sufficientemente visibili e sensibili per convincerci; questi Cattolici sappiano e imparino dalla bocca di Gesù Cristo stesso, che scruta i cuori e le menti, che non solo la Chiesa ma anche lo Spirito Santo dice a tutti nel segreto delle loro coscienze: Venite! E se tutti non sono venuti, a chi va data la colpa? Chi ascolta dica: “Venite“. Cioè, colui che vuole ascoltare questa voce interiore ed esteriore dica: Venite! Questo gli è sufficiente. Egli ha acconsentito ad accettare liberamente l’acqua della vita che è sempre offerta a tutti, sia per voce della Chiesa che per voce dello Spirito Santo. Questo gli è sufficiente, diciamo, poiché possiede con ciò una delle otto beatitudini che gli promette l’acqua della fonte eterna e il frutto dell’albero della vita; poiché è scritto, (Matteo V, 6): « Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. » Ho già visto sulle vostre labbra un sorriso di pietà, e lo spirito di incredulità vi suggerisce questo pensiero: come possono gli individui ritirati nel centro di nazioni barbare, tra le quali la luce della fede non è mai penetrata, avere anche solo l’idea dell’esistenza della Chiesa Cattolica? Gesù Cristo stesso vi risponde, che lo Spirito Santo dice loro nel segreto delle loro coscienze: Venite; la Chiesa ci dice che il battesimo di desiderio può bastare al bisogno, e il Vangelo aggiunge un mezzo che è possibile e anche facile per tutti gli uomini; un mezzo che chiuderà la bocca di tutti gli empi, che non avranno voluto ascoltare lo Spirito Santo; perché questo mezzo infallibile è a disposizione di tutti. Questo mezzo è tanto sicuro e facile quanto è vero il Vangelo, poiché è scritto: « Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. » E chi è l’uomo che, nonostante la sua ignoranza dei misteri della fede di Gesù Cristo, chi è l’uomo, diciamo, per il quale questa ignoranza sarà stata invincibile, che non abbia tuttavia sentito nel suo cuore come due voci opposte, una delle quali lo spingeva al bene e l’altra, diciamo, lo portava al male? Ebbene, questa prima voce era quella dello Spirito Santo, che continuava a dirgli: Venite; in altre parole, questa voce gli stava dicendo: Fa’ il bene ed evita il male, sii giusto e caritatevole verso i tuoi fratelli, resisti al torrente impetuoso delle tue passioni che la concupiscenza ha acceso nella tua anima, etc., etc. Ora, questi non sono forse sentimenti che ogni uomo ragionevole, per quanto ignorante delle verità della fede lo si possa supporre, … non sono sentimenti che la legge naturale, incisa nei nostri cuori, ci ispira costantemente, e che il soffio dello Spirito Santo cerca di far fruttare, secondo queste parole: Lo Spirito Santo e la sposa dicono: Venite? Se poi tutti gli uomini ragionevoli ascolteranno questa voce, Dio non li punirà per la loro invincibile ignoranza, ma li ricompenserà eternamente per i loro sforzi e la loro buona volontà, secondo le parole: « Pace agli uomini di buona volontà. » Perciò l’Apostolo aggiunge: Chi ascolta dica: Venite. Chi ha volontà, venga, e chi lo desidera, riceva liberamente, per la misericordia di Dio, l’acqua della vita, della vita eterna. Poiché sta scritto, (Matth. V, 6): « Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati. » Aggiungeremo che non è così difficile come si immagina, per le nazioni barbare, desiderare l’acqua della vita. Per convincersene, basta leggere gli annali della propagazione della fede, e si vedranno le frequenti richieste fatte da questi popoli per ottenere dei missionari. Felici queste nazioni, se sfuggono ai lupi che si presentano loro in veste di pecore, che in realtà non sono altro che lupi famelici che escludono le anime dal vero ovile! Perché allora non rimangono altre risorse per queste nazioni sedotte che quelle che abbiamo appena indicato, per assicurare la loro salvezza. Speriamo che Dio tenga conto delle difficoltà in cui il nemico li avrà gettati a loro insaputa e contrariamente ai loro pii e salutari desideri.Ma voi direte ancora: Queste nazioni barbare non hanno mai conosciuto Gesù Cristo, quindi come possono essere appartenuti allo spirito della sua Chiesa? Senza nascondervi la difficoltà dell’obiezione, vi risponderemo che essa non è insolubile nello Spirito Santo; secondo le parole di San Giovanni, III, 8: « Lo Spirito soffia dove vuole, e voi sentite la sua voce, ma non sapete da dove viene, né dove va; così è di ogni uomo che è nato dallo Spirito.  Cioè, ogni uomo che è nato dallo Spirito e non dalla carne, e ogni uomo buono che ha fame e sete di giustizia, sente la voce dello Spirito che gli dice: Venite. E l’uomo risponde: Venite. Perché lo Spirito soffia dove vuole. Allora vi diremo che la conoscenza della venuta passata o futura di un Redentore, non è così limitata come immaginate. Poiché Dio ha permesso nella sua bontà paterna e secondo il piano dei suoi segreti disegni, che le numerose e variate favole, che sono una corruzione della storia del giardino dell’Eden, fossero conservate e diffuse tra queste nazioni, come un mezzo segreto di cui Dio si è servito per dare loro l’idea di un Redentore. Quanto alle difficoltà che potrebbero essere sollevate circa l’assoluta necessità del Battesimo, attingendo alle parole di San Giovanni, (III, 5): « In verità, in verità vi dico: se uno non nasce di nuovo dall’acqua e dallo Spirito Santo, non può entrare nel regno di Dio », ci basta far notare che non ci si salva solo col Battesimo d’acqua, ma anche col battesimo di desiderio e col battesimo di sangue, e che di conseguenza un numero molto grande di anime che non avrebbero potuto ricevere il Battesimo dell’acqua, saranno non di meno salvate dal Battesimo di desiderio o dal Battesimo di sangue. Quanto ai bambini morti senza Battesimo, la Chiesa non ha mai fissato il loro destino, e sappiamo che non sarà quello dei dannati. Come possiamo vedere, coloro che non rispondono a questa chiamata della Chiesa e dello Spirito Santo non avranno scuse davanti al tribunale di Dio Onnipotente. Essi non avranno nemmeno saputo dell’esistenza della Chiesa, direte voi; e Dio vi risponderà: È vero, ma avevano la legge naturale, che Io avevo inciso nei loro cuori; il mio Spirito Santo ha ispirato loro un desiderio di giustizia e il mio Vangelo ha promesso di soddisfarli. Venite, dunque, o voi tutti che non avete potuto entrare nel corpo della mia Chiesa, ma che vi siete appartenuti in spirito attraverso i vostri santi desideri; venite, perché mio Figlio vi ha riscattato dalla schiavitù del peccato; il Verbo si è fatto carne per salvare la carne e lo spirito. Venite, dunque, o voi tutti che avete risposto alla chiamata dello Spirito Santo e della Chiesa che vi ha detto sulla terra: Venite. Perché Voi li avete ascoltati ed avete detto loro a vostra volta: Venite. Voi avete fatto conoscere loro la vostra sete ascoltandoli e rispondendo loro con i vostri santi desideri: Venite. Ecco perché Io vi darò gratuitamente e di buon grado e misericordia l’acqua della vita, e sarete saziati per sempre, come sta scritto nella mia Apocalisse: lo Spirito Santo e la sposa dicono: Venite. Colui che ascolta dica: “Venite“. Chi ha sete, venga; e chi lo desidera, riceva gratuitamente l’acqua della vita. Lungi da qui i cani, i persecutori della Chiesa, gli avvelenatori, i predicatori del vizio e dell’errore, i falsi apostoli e gli scandalosi, gli impuri che seguono la legge della carne e rifiutano quella di Dio, gli omicidi, i tiranni, coloro che commettono ingiustizie, gli oppressori dei deboli, della vedova e dell’orfano, gli sprezzatori dei poveri, gli idolatri che si prostituiscono alla creatura, e tutti coloro che amano e preferiscono la falsità, perché sono figli del demonio.

XVI. Con ciò vediamo quanti Cristiani ci saranno ai quali si possono applicare quelle parole del Vangelo dette al popolo giudaico che sono la figura della Chiesa: « I primi saranno gli ultimi e gli ultimi saranno i primi ». Quanti Cristiani, infatti, saranno stati i primi a conoscere la legge di Gesù Cristo, e tuttavia avranno vissuto solo secondo la carne? Quanti sono stati chiamati dalla voce dello Spirito Santo e dalla voce della Chiesa, eppure non hanno risposto a quella chiamata? E poiché molti cattivi Cristiani saranno morti nei loro peccati, e pochi di loro avranno risposto a questa chiamata facendo penitenza, non è giusto applicare loro queste parole rivolte al popolo giudaico, al quale possono essere paragonati per il crimine della morte di Gesù Cristo, che essi crocifiggono con i loro vizi. « Ci saranno molti chiamati e pochi eletti! » Ma poiché il numero dei veri Cristiani sarà stato molto grande, e poiché questo numero sarà immensamente accresciuto da coloro che hanno appartenuto in spirito alla Chiesa di Gesù Cristo tra le nazioni che non hanno potuto far parte del corpo dei fedeli, e poiché il numero di questi ultimi supererà forse di gran lunga il numero di coloro che hanno disertato, il risultato sarà una scena di inaspettata vergogna e confusione per i malvagi, ed una brillante manifestazione di gloria e consolazione, attesa per i giusti. Perché Dio non permetterà che si dica per tutta l’eternità che il sangue del suo Figlio è stato inutile. Quanto più, dunque, Gesù Cristo avrà manifestato la sua potenza, la potenza del Cristianesimo sulla terra, tanto più trionferà in cielo. Perché se, nonostante la sua grande superiorità sulle nazioni barbare, il Cristianesimo ci offre tuttavia sulla terra un’immagine continua delle umiliazioni del suo Autore, per servirci da esempio, come sarà nell’altra vita, quando vedremo l’inizio del vero regno dell’Agnello, e il Padre Onnipotente incoronerà lo Sposo e la sua Sposa per tutta l’eternità? Perché (Ps. CIX): « Il Signore dice al mio Signore: Siedi alla mia destra, finché non avrò fatto dei tuoi nemici lo sgabello dei tuoi piedi. Il Signore farà uscire da Sion lo scettro della tua potenza; tu stabilirai il tuo impero in mezzo ai tuoi nemici. La regalità è con te nel giorno della tua forza, in mezzo allo splendore dei tuoi santi. Ti ho generato dal mio seno prima dell’aurora. Il Signore ha giurato e non si pentirà: tu sei il sacerdote eterno, secondo l’ordine di Melchisedec. Il Signore è alla tua destra; Egli ha frantumato i re nel giorno della sua ira. Egli eserciterà il giudizio in mezzo alle nazioni; riempirà tutto di rovine; schiaccerà le teste di un gran numero. Egli berrà l’acqua del torrente nella via, “per mezzo del martirio”. » Tale sarà allora il regno di Gesù Cristo sulla terra. Ora ecco la sua gloria in cielo.  Infatti il Salmista aggiunge: « Ecco perché alzerà il capo ». Sarà innalzato sulla croce, e trionferà sulla croce. E quale sarà questo trionfo? Sarà solo il trionfo di una gloria eterna e di un onore infinito per pochi eletti? No, perché altrimenti la gloria del Figlio dell’uomo non sarebbe completa, poiché il Signore ha detto (Mt. XXVI, 28): « Perché questo è il mio sangue, il sangue della nuova alleanza, che sarà versato per molti per la remissione dei peccati. » Vediamo ora se questo sangue sarà stato sterile, e se non sarà stato veramente versato per molti. Ascoltiamo il Profeta che annuncia alla Sposa, sotto la figura di Gerusalemme, ciò che sarà soprattutto nel giorno dell’eternità: Isaia, LX: « Alzati, Gerusalemme, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore si è levata su di te. Poiché, ecco, le tenebre ricopriranno la terra, nebbia fitta avvolgerà le nazioni; ma su di te si leverà il Signore, la sua gloria si vedrà risplendere su di te. Cammineranno i popoli alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere. Alza gli occhi intorno e guarda: tutti costoro si sono radunati, vengono a te. I tuoi figli verranno da lontano, le tue figlie verranno da ogni parte. A quella vista sarai raggiante, palpiterà e si dilaterà il tuo cuore, perché le ricchezze del mare si riverseranno su di te. Sarete sommersi da una schiera di cammelli, dai dromedari di Madian e di Efa. Tutti loro verranno da Saba per portarti oro e incenso e per proclamare le lodi del Signore. Tutti i greggi del Cedar saranno riuniti a te; i montoni di Nabajoth saranno usati per il tuo servizio; saranno offerti al mio altare come ostie gradite, e io riempirò di gloria la casa della mia maestà. Chi sono coloro che si lasciano trasportare come nuvole nell’aria e volano come colombe quando ritornano alle loro colombaie? Perché le isole mi aspettano, e le navi sono pronte sul mare già da molto tempo, per far venire i tuoi figli da lontano, per portare con loro il loro argento e il loro oro, e per consacrarlo nel nome del Signore tuo Dio e del Santo d’Israele che ti ha glorificato. I figli degli stranieri costruiranno le tue mura e i loro re ti serviranno, perché ti ho colpito nella mia indignazione e ti ho mostrato misericordia riconciliandomi con te. Le tue porte saranno sempre aperte, non saranno chiuse né di giorno né di notte affinché le ricchezze delle nazioni siano portate a te e i loro re condotti a te. Perché il popolo e il regno che non si sottomette a te perirà, e io farò di quelle nazioni un terribile deserto. La gloria del Libano verrà in te; l’abete, il bosso e il pino serviranno insieme come ornamento del mio santuario, e glorificherò il luogo dove hanno riposato i miei piedi. I figli di coloro che ti hanno umiliato verranno a prostrarsi davanti a te e tutti quelli che ti hanno disprezzato adoreranno le orme dei tuoi piedi e ti chiameranno la città del Signore, la Sion del Santo d’Israele.  Perché siete stati abbandonati ed esposti all’odio, e non c’era nessuno che ti passasse accanto, io ti stabilirò in una gloria che non finirà mai, e in una gioia che durerà per tutti i secoli. Succhierete il latte delle nazioni, sarete nutriti dalla mammella dei re, e saprai che Io sono il Signore che ti salva e il forte di Giacobbe che ti riscatta. » Prestiamo ora attenzione alle parole che seguono, e che si applicano specialmente alla Gerusalemme celeste; perché il Profeta,  dopo aver annunciato la prosperità della fede sotto la figura di Gerusalemme, alla quale i popoli e le nazioni si sottometteranno, ci mostrerà ora la felicità e la gloria che risulteranno nell’eternità, per un immenso numero di uomini destinati a popolare la più grande e fiorente città che sia mai esistita, la città celeste. Il Profeta aggiunge: « Vi darò oro invece di ottone e argento invece di ferro; ottone invece di legno e ferro invece di pietre. Farò in modo che la pace regni su di voi e che la giustizia regni su di voi. La violenza non sarà più udita nel vostro territorio, né di distruzione e di oppressione in tutte le vostre terre. La salvezza circonderà le tue mura e le lodi si faranno sentire alle tue porte. Non avrai più il sole per illuminarvi durante il giorno, ed il chiarore della luna non brillerà su di voi; ma il Signore stesso sarà la vostra luce eterna, e il vostro Dio sarà la vostra gloria. Il vostro sole non tramonterà più e la vostra luna non diminuirà, perché il Signore sarà la vostra luce eterna e i giorni delle tue lacrime saranno finiti. Tutto il tuo popolo sarà un popolo di giusti; possiederà la terra per sempre, perché saranno i germogli che io ho piantato, le opere che la mia mano ha fatto per la gloria. Mille usciranno dal minimo di loro, e dal più piccolo un grande popolo. Io sono il Signore e farò improvvisamente queste meraviglie quando sarà giunto il tempo. »  – Chi oserà dire che questa profezia non si applichi molto di più alla Gerusalemme celeste che a quella terrena? E chi oserà dire, senza essere temerario, che il numero degli eletti sarà piccolo, dopo queste ultime parole che abbiamo citato in corsivo, affinché il lettore possa fissare la sua attenzione su di esse?

Vers. 18. Ma io dichiaro a tutti coloro che ascoltano le parole della profezia di questo libro, che se qualcuno vi aggiungerà qualcosa, Dio lo colpirà con le piaghe descritte in questo libro.

Vers. 19. – E se qualcuno toglierà una sola parola dal libro di questa profezia, Dio lo cancellerà dal libro della vita e lo escluderà dalla città santa, e gli toglierà la parte delle promesse descritte in questo libro. – Queste parole sono rivolte a tutti coloro che cercheranno di corrompere il significato o il testo dell’Apocalisse, come gli eretici non arrossiscono di fare. Tra quelli dei primi secoli si distingue soprattutto Marcione, poi Lutero e i suoi seguaci fecero lo stesso in molti passi della Scrittura.

Vers. 20: Colui che testimonia queste cose dice: “Sì, verrò presto”. Amen. Vieni, Signore Gesù. Gesù Cristo, l’autore di questa profezia, dando se stesso come testimone della sua veridicità, dice alla Chiesa che verrà presto; perché il tempo non è che un punto in relazione all’eternità. E i fedeli che hanno il vero Spirito di Gesù Cristo devono rispondere nel loro cuore: Vieni, Signore Gesù, secondo il significato di quelle parole che recitiamo ogni giorno nel Padre nostro. « Venga il tuo regno, sia fatta la tua santa volontà come in cielo così in terra ».

Vers. 21. Che la grazia del Signore Gesù Cristo sia con tutti voi. Questo libro inizia e finisce come una lettera alle sette Chiese d’Asia e a tutte le altre del mondo cristiano. Amen.

FINE DEL LIBRO NONO

7 OTTOBRE: MADONNA DEL S. ROSARIO DELLA B. V. MARIA (2021)

Madonna del S Rosario della B. V. M.

Doppio di 2° classe – Paramenti bianchi

La festa odierna fu istituita da S. Pio V per ricordare la strepitosa vittoria riportata dai Cristiani sui musulmani a Lepanto il 7 ottobre del 1571, giorno in cui le numerose e diffuse confraternite del Rosario onoravano in modo particolare Maria SS. Sotto l’invocazione di Madonna del Rosario. Forma popolare di devozione e risultato d’una lunga evoluzione attraverso gli ultimi secoli del basso Medio evo, il Rosario – ad imitazione dei 150 Salmi del Salterio – consta di 150 Ave Maria, ogni decina delle quali è intercalata con un Pater e accompagnata dalla meditazione di uno dei principali episodi della vita di Gesù e di Maria. Questa forma altrettanto semplice che facile di preghiera, adatta anche ai meno colti, è divenuta una delle più care alla pietà privata, favorita ed arricchita da indulgenze da parte dei Papi. La festa odierna, celebrando una grande vittoria, celebra pure l’umile ma potente arma cui è dovuta: la preghiera e particolarmente quella del Rosario.

Introitus

Gaudeámus omnes in Dómino, diem festum celebrántes sub honóre beátæ Maríæ Vírginis: de cujus sollemnitáte gaudent Angeli et colláudant Fílium Dei.

[Rallegriamoci tutti nel Signore celebrando questo giorno di festa in onore della beata Vergine Maria! Della sua festa gioiscono gli angeli, e insieme lodano il Figlio di Dio]

Oratio

Orémus.

Deus, cujus Unigénitus per vitam, mortem et resurrectiónem suam nobis salútis ætérnæ præmia comparávit: concéde, quǽsumus; ut, hæc mystéria sacratíssimo beátæ Maríæ Vírginis Rosário recoléntes, et imitémur, quod cóntinent, et quod promíttunt, assequámur.

[O Dio, il tuo Unico Figlio ci ha acquistato con la sua vita, morte e risurrezione i beni della salvezza eterna: concedi a noi che, venerando questi misteri nel santo Rosario della Vergine Maria, imitiamo ciò che contengono e otteniamo ciò che promettono.]

Lectio

Léctio libri Sapiéntiæ.
Prov VIII:22-24; VIII:32-35


Dóminus possédit me in inítio viárum suárum, ántequam quidquam fáceret a princípio. Ab ætérno ordináta sum et ex antíquis, ántequam terra fíeret. Nondum erant abýssi, et ego jam concépta eram. Nunc ergo, fílii, audíte me: Beáti, qui custódiunt vias meas. Audíte disciplínam, et estóte sapiéntes, et nolíte abjícere eam. Beátus homo, qui audit me et qui vígilat ad fores meas quotídie. et obsérvat ad postes óstii mei. Qui me invénerit, invéniet vitam et háuriet salútem a Dómino.
[Dall’inizio delle sue vie Iddio mi ha posseduta, dal principio dei tempi, prima di ogni opera sua. Fin dall’eternità io sono stata formata; dai tempi remoti, prima che la terra fosse. Ancora non c’era l’abisso, ma io ero già stata concepita. Or dunque, figlioli, ascoltatemi: beati coloro che custodiscono le mie vie. Ascoltate l’ammonizione e diventate saggi, e non vogliate disprezzarla. Beato l’uomo che mi ascolta, che veglia ogni giorno alle mie porte e custodisce la soglia della mia casa. Chi trova me, trova la vita: e dal Signore attingerà la salvezza.]

Graduale

Ps XLIV: 5; 11; 12
Propter veritátem et mansuetúdinem et justítiam, et dedúcet te mirabíliter déxtera tua.
V. Audi, fília, et vide, et inclína aurem tuam: quia concupívit Rex spéciem tuam. Allelúja, allelúja.
V. Sollémnitas gloriósæ Vírginis Maríæ ex sémine Abrahæ, ortæ de tribu Juda, clara ex stirpe David. Allelúja.

[Per la tua fedeltà e mitezza e giustizia la tua destra compirà prodigi.
V. Ascolta e guarda, tendi l’orecchio, o figlia: il Re si è invaghito della tua bellezza.
Alleluia, alleluia.
V. Celebriamo la gloriosa vergine Maria, della discendenza di Abramo, nata dalla tribù di Giuda, nella nobile famiglia di Davide.
Alleluia.]

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Lucam.
Luc 1:26-38

In illo témpore: Missus est Angelus Gábriel a Deo in civitátem Galilææ, cui nomen Názareth, ad Vírginem desponsátam viro, cui nomen erat Joseph, de domo David, et nomen Vírginis María. Et ingréssus Angelus ad eam, dixit: Ave, grátia plena; Dóminus tecum: benedícta tu in muliéribus. Quæ cum audísset, turbáta est in sermóne ejus: et cogitábat, qualis esset ista salutátio. Et ait Angelus ei: Ne tímeas, María, invenísti enim grátiam apud Deum: ecce, concípies in útero et páries fílium, et vocábis nomen ejus Jesum. Hic erit magnus, et Fílius Altíssimi vocábitur, et dabit illi Dóminus Deus sedem David, patris ejus: et regnábit in domo Jacob in ætérnum, et regni ejus non erit finis. Dixit autem María ad Angelum: Quómodo fiet istud, quóniam virum non cognósco? Et respóndens Angelus, dixit ei: Spíritus Sanctus supervéniet in te, et virtus Altíssimi obumbrábit tibi. Ideóque et quod nascétur ex te Sanctum, vocábitur Fílius Dei. Et ecce, Elisabeth, cognáta tua, et ipsa concépit fílium in senectúte sua: et hic mensis sextus est illi, quæ vocátur stérilis: quia non erit impossíbile apud Deum omne verbum. Dixit autem María: Ecce ancílla Dómini, fiat mihi secúndum verbum tuum.

[In quel tempo, l’angelo Gabriele fu inviato da Dio in una città della Galilea, di nome Nazareth, ad una vergine sposa di un uomo di nome Giuseppe, della stirpe di Davide; e il nome della vergine era Maria. L’angelo, entrando da lei, disse: «Ave, piena di grazia; il Signore è con te; tu sei benedetta fra le donne». Mentre l’udiva, fu turbata alle sue parole, e si domandava cosa significasse quel saluto. E l’angelo le disse: «Non temere, Maria, poiché hai trovato grazia presso Dio. Ecco, concepirai nel tuo seno e partorirai un figlio, e gli porrai nome Gesù. Egli sarà grande e sarà chiamato Figlio dell’Altissimo, e il Signore Iddio gli darà il trono di Davide, suo padre: e regnerà sulla casa di Giacobbe in eterno, e il suo regno non avrà fine». Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». L’angelo le rispose, dicendo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’ Altissimo ti coprirà della sua ombra. Per questo il Santo, che nascerà da te, sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, ha concepito anch’essa un figlio nella sua vecchiaia ed è già al sesto mese, lei che era detta sterile: poiché niente è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: sia fatto a me secondo la tua parola».]

OMELIA

[J. B. BOSSUET: LA MADONNA NELLE SUE FESTEVittorio Gatti ed. Brescia, 1934]

FESTA DEL ROSARIO

Jesus… deinde dicit discipulo: ecce mater tua.

Luciano, nei suoi dialoghi, narra di un certo filosofo, Eudomide di Corinto, che, Vicino a morire nella più squallida miseria, lasciò in eredità al suo più intimo amico, sua moglie ed i suoi figlioli; persuaso che meglio non poteva dar prova della sua stima per l’amico, che con questo gesto di piena fiducia. Certo, fratelli miei, in quest’atto avremmo qualche cosa di veramente bello se fosse stata compiuto con buona fede e davvero vi fosse stato mutuo amore d’amicizia: ma Purtroppo noi sappiamo che i saggi del mondo ci tengono di più ad apparire che ad essere: e nei loro gesti c’è tutto lo sforzo per ostentare la virtù: e le loro sentenze non sono l’espressione della convinzione e della vita pratica, ma vesti di parata, mostre di una saggezza che non esiste. Lasciamo dunque ai profani le storie profane: abbiamo le Sacre Scritture noi, ricorriamo alle divine pagine del Vangelo di Gesù. – Mi Permetterete, signori, di dirvi che quello che la necessità fece compiere al filosofo di Corinto, l’amore e solo l’amore lo fece fare, ed in un modo tutto divino, al Salvatore nostro Cristo Gesù. – Dall’alto della croce, Egli vede Maria sua Madre ed il discepolo prediletto: gli oggetti più cari del suo amore! Morente vuol loro dare un pegno della sua tenerezza: e dona a sua Madre Giovanni, e al discepolo prediletto sua Madre… con questo gesto, o signori, con questo testamento Gesù tracciava le linee della vera devozione alla Vergine Santa. – Per questo, la Chiesa ci fa leggere nella solennità del Rosario questo brano di Vangelo! Ed io per edificare, accrescere la vostra pietà, spero mostrarvi oggi che con queste parole Maria divenne la Madre di tutti i fedeli: ma prima voglio ripeterle il saluto con cui l’Angelo le annunciava la maternità del Cristo. Ave Maria. Per un tratto d’infinita bontà del Signore, noi troviamo pronunciata nello stesso luogo una sentenza di morte per noi, nella persona dei nostri progenitori caduti; ed una promessa di redenzione e salute che doveva essere base alla nostra speranza, proprio in quel giorno ch’era stato testimonio della ribellione umana. – Il Genesi ci narra che Dio condannando l’uomo alla schiavitù, gli promette insieme un liberatore: e mentre pronuncia la condanna contro di lui, grida minaccioso al serpente che l’aveva sedotto, che avrà schiacciata la testa: cioè il suo dominio sarà spezzato, ed un giorno i vinti saranno strappati alla sua tirannia. Minaccia e promessa si toccano: nello stesso fuoco della collera brilla la luce di un faro di salvezza. Vuole, il Signore, che intendiamo che s’Egli si adira contro di noi, lo fa come un padre buono che sotto l’impeto del più giusto sdegno, non sa dimenticare d’esser padre né contenere gli effetti della sua tenerezza. – Quando considero questo fatto, quello che mi msi presenta più strabiliante in questo operare della divina Provvidenza si è che Adamo stesso che ci precipita nella rovina ed Eva causa della nostra sciagura, dagli Scrittori Sacri ci vengono rappresentati come immagini viventi incarnanti il mistero della nostra santificazione. Gesù non rifiuta d’esser detto: il nuovo Adamo! Maria, la sua Vergine Madre, è detta — la novella Eva — cosicché la nostra redenzione ci è rappresentata dagli autori stessi della nostra rovina. Certamente S. Epifanio considerava sotto questo aspetto la parola Scritturale del Genesi, in cui Eva è detta — Madre dei viventi —. Egli nota, molto profondamente, che venne così chiamata dopo che già aveva compiuta la nostra rovina ed era stata condannata al terribile: morte morieris… ed al: in dolore parieris! e meraviglia il santo dottore, nel vedere che questo nome non le era stato dato nei giorni d’innocenza del paradiso terrestre! E veramente è giusta la sua meraviglia: quando consideriamo che Eva non viene chiamata — Madre dei viventi — che quando era stata condannata a non generare che dei cadaveri. Certamente voi comprendete che in questa contraddizione si nasconde un mistero: mistero che fa dire al Santo Vescovo, che Eva fu così chiamata in enigma, cioè in quanto era figura della Vergine Maria che, associata al Cristo nella casta generazione della nuova economia di grazia, sarebbe diventata, in questa unione col Salvatore, la vera Madre di tutti i viventi, cioè di tutti i fedeli. Ecco una bella figura della indescrivibile maternità di Maria: maternità della quale vi voglio parlar oggi, e che trova il suo coronamento in questa pagina di Vangelo scritta ai piedi della croce del nostro Salvatore. – Cosa vediamo, infatti, sul Calvario: cosa vi ci presenta l’Evangelo? Gesù morente, la Vergine impietrita dal dolore, il discepolo prediletto dal Salvatore delle anime, Giovanni, che, rimessosi dal primo spavento che lo aveva fatto fuggire, ritorna sui suoi passi, segue Gesù e viene al Calvario per raccogliervi l’estremo sospiro del Maestro che vi muore per amore degli uomini! Oh divina e stupenda scena!… ma non è su di essa, che oggi voglio fermare il vostro pensiero. Voglio che consideriate che è proprio in questa sua agonia che Gesù genera il popolo nuovo: miriamo e meravigliamo che proprio nello spasimo di questa generazione, proprio quando noi nasciamo dalle sue piaghe, e nella sua morte troviamo la vita, Egli ha voluto a compagna la sua Madre: anch’Ella generò nello spasimo un figlio: glielo diede il suo Gesù, Giovanni il discepolo che Gesù amava: « Donna ecco tuo figlio ». Ma guardando al discepolo, Gesù non vede solo lui: è vero gli altri sono fuggiti l’hanno abbandonato: ma il Padre guida ai piedi della croce il prediletto del Maestro! Questo povero avanzo della sua Chiesa quasi dispersa, Giovanni, che solo gli resta, gli rappresenta tutti i fedeli, la grande famiglia dei figli di Dio. È tutto un popolo nuovo: popolo di conquista, è tutta la Chiesa che Gesù consegna quale figlio, alla Vergine nella persona dell’amato discepolo! Ed Ella, alla parola del suo Gesù morente diventa non solo la madre di Giovanni, ma la Madre di tutti i credenti in Lui. Ecco che ritorna il pensiero di S. Epifanio: Maria è l’Eva della nuova alleanza, è la vera Madre dei viventi: intimamente unita al Nuovo Adamo diventa la Madre di tutti gli eletti. È questa dottrina cavata dal Vangelo, ch’io oggi porrò come base perché sia vera la devozione alla Vergine, per onorare la quale noi ci siamo qui riuniti. –  Per procedere però con metodo ed ordine e spiegare chiaramente questa verità, tanto importante, vorrei fissaste bene nella vostra mente i due punti in cui riassumo e svolgo tutto il mio dire. Due cose e grandi erano necessarie per dar vita ad un popolo nuovo e render noi figli di Dio per mezzo della grazia. Occorreva l’atto di adozione, ed insieme che noi fossimo riscattati! – Stranieri, anzi nemici di Dio, come saremmo diventati suoi figli se la sua infinita bontà non ci avesse adottati? se il delitto del primo uomo, ci aveva venduti a satana, come avremmo potuto esser restituiti al vero nostro Padre se il Sangue del suo Figliolo prima non ci riscattava dal tiranno? A farci figlioli di Dio era dunque necessaria e l’adozione d’un Dio, e il riscatto nostro operato da Lui stesso. Come saremo adottati? Ecco, la nostra adozione la compie l’amore del Padre celeste. Il riscatto la passione e la morte del Figlio del Padre. Che l’amore di Dio Padre sia il principio della nostra adozione è molto evidente: la natura nostra non può dare figli a Dio, ed allora glieli procurerà il suo stesso amore che ci viene a cercare. Bisognosi dell’amore del Padre per essere adottati, non avevamo meno bisogno della passione e morte del Figlio per essere riscattati, diventando i figli della redenzione: quindi noi nasciamo insieme e dall’amore dell’uno e dalla passione dell’altro. – Adesso domanderò a Voi, o Vergine, a voi Eva della nuova alleanza: Quale parte aveste in questa grand’opera: come partecipaste alla casta generazione dei figli di Dio? Ecco il grande mistero, o Cristiani, e perché l’intendiate bisogna che io vi provi colla Scrittura alla mano che Dio Padre e Dio Figlio associarono la Vergine, il Padre alla fecondità del suo amore, il Figlio alla fecondità della sofferenza: cosicché Maria è nostra Madre prima per l’amor materno, poi per le pene crudeli che le lacerarono l’anima là sul Calvario. È la divisione del mio discorso: ed io senza lasciar l’Evangelo spero mostrarvi che queste due grandi verità ebbero il loro compimento ai piedi della croce: basando su questo fondamento la devozione alla Vergine santa, perché sia vera e feconda.

I° punto.

Nessun desiderio assillava di più il cuore del Verbo, che la brama pietosa di unirsi alla nostra misera natura, e far alleanza con noi: e nacque da stirpe umana perché noi potessimo diventare di stirpe spirituale e divina per opera della grazia. Noi per l’opera sua veniamo congiunti a Lui da un duplice nodo: facendosi Egli figlio di Adamo rende nello stesso tempo noi figli di Dio, ed in questa alleanza vuole che il suo Padre divino diventi anche nostro mentre fa che il nostro diventi suo: allontanandosi, infatti dai suoi Apostoli nell’Ascensione diceva loro: « Ascendo ad Patrem meum et Patrem vestrum » per dirci che voleva che noi con Lui avessimo tutto in comune… e non si rammarica affatto che noi diventiamo figli di Dio. Questa sua identica liberalità, o signori, che fa che ci dia per Padre il suo Padre fa che ci doni insieme per madre la sua stessa Madre: imponendo a Lei che ci generi nello spirito come Lui ci aveva generato secondo la carne. Maria diventa quindi sua e nostra Madre insieme, mentr’Egli diventa sotto ogni aspetto nostro fratello. È questa pia convinzione che oggi ci fa ricorrere alla protezione ed all’aiuto della Vergine: figli di Dio noi sentiamo di essere insieme figli di Maria: è mio dovere, fratelli, per eccitare sempre più i vostri cuori alla devozione della Vergine, cercare nelle Sacre Scritture come Ella sia stata unita a Dio per esser la Madre di tutti i fedeli. Da solo però non mi sento di affrontare la dimostrazione, c’è però S. Agostino il quale viene in mio aiuto mettendoci su di una via luminosa per comprendere questa verità. Sentite cosa scrive questo grande Vescovo nel suo libro sulla Verginità (capo VI). Parlando della Vergine Maria in un modo ammirabile dice che Ella, secondo la carne, Madre del Cristo, e secondo lo spirito, Madre di tutte le membra del suo Corpo: Carne Mater Capitis nostri, spiritu Mater membrorum eius: perché: cooperata est charitate ut filiù Dei nascerentur in Ecclesia — cooperò col suo amore perché alla Chiesa nascessero figli di Dio. — Non è già risolta la questione? non ci dice chiaramente Agostino che la maternità di Maria per tutti i fedeli viene dalla sua carità? Alla luce della parola di questo grande Dottore, leggiamo ora le pagine della Scrittura per vedervi quella beata fecondità per la quale nascemmo dalla carità di Maria. Ricordiamo che v’è una duplice fecondità: l’una viene dalla natura, l’altra dall’amore. Non vi spiego la fecondità naturale, poiché l’abbiamo ogni giorno sotto gli occhi in quella eterna moltiplicazione che perpetua tutte le specie sotto l’azione della benedizione di Dio Creatore. Vediamo invece l’altra fecondità, vediamola nelle sacre carte questa fecondità che nasce dalla carità. – Leggete la lettera di S. Paolo ai Galati e poi dite se non è eloquentemente provata la fecondità della carità: « Figlioli miei, egli scrive, che nuovamente genero, per i quali risento i dolori del parto, fino a che sia in voi Gesù Cristo — Filioli mei quos iterum parturio donec formetur Christus in vobis ». Non brilla qui la fecondità prodigiosa dell’amore di Paolo per i credenti? chi sono mai questi figlioletti che l’Apostolo dice suoi, se non quelli datigli dal suo amore? Quali sono questi dolori di partoriente di cui parla l’Apostolo se non le spinte del suo amore, l’inquietudine che non gli dava mai tregua nel suo lavoro per generare anime a Gesù? Allora (vi pare?) la carità è veramente feconda! È la Sacra Scrittura stessa che ci dice che la carità ha figliuoli, e le attribuisce tutte le caratteristiche di una madre (De catechiz. Rudibus, Cap. XV). – Oh, l’amore materno in un impeto di tenerezza si procura figlioli, ha viscere in cui li porta, un seno che loro offre, un latte che a loro dà!… S. Agostino dice che la carità è madre e nutrice. « Charitas mater, charitas nutrix est ». La carità è una madre che porta nel suo cuore tutti i suoi figlioli, che ha per essi viscere di tenerezza, viscere di compassione quali noi troviamo tanto spesso descritte nelle Sante Scritture. « Charitas mater est ». Ma la stessa carità, o fratelli, è nutrice e loro presenta il casto seno da cui stilla senza inganno il latte della santa mansuetudine e della sincerità cristiana: Sine dolo lac — dice l’Apostolo S. Pietro. Vedete come davvero si ha una duplice fecondità: l’una di natura l’altra della carità. Supposta questa evidente verità, mi sarà facilissimo provarvi come Maria fu unita al Divin Padre nella casta generazione dei figli della nuova alleanza. – Osservate prima di tutto: le due fecondità che nelle creature noi vediamo distinte, in Dio le troviamo come in unica sorgente. Dio fecondo per natura lo è altrettanto per amore. La natura di Dio è feconda: essa gli dà un Figlio come Lui eterno, immenso, perfettissimo, Dio come Lui. Ma se la fecondità di natura gli diede un unico Figlio in seno alla eternità «ab aeterno » il suo amore gliene fa cercare altri ch’Egli fa suoi adottandoli ogni giorno attraverso i tempi. Noi nascemmo da questo ed è questo amore, che ci fa chiamar Dio: Padre nostro. Ecco dunque il divin Padre doppiamente fecondo: per natura genera il suo Verbo; per amore genera figlioli d’adozione. Ma queste fecondità che in Lui sono come in un’unica sorgente, Dio le comunicò alla Vergine: ne volete la prova? Favorite raccogliere ancora di più la vostra attenzione. Ci appare subito ch’ella partecipa alla fecondità naturale per cui Dio genera a sé un Figlio: difatti perché la chiamiamo, ed è verità di fede, Madre di Dio? Madre cioè dello stesso figlio di Dio? Certamente non fu la fecondità che poteva, come donna, aver comune con tutte le altre donne: la sua natura non poteva farla madre che di un uomo. Ma è un Dio che colla sua potenza la fa madre: — fecit mihi magna qui potens est — Ella canta! Dal canto suo, lo leggiamo nel Vangelo, si condannava alla sterilità, avendo promesso di custodire la sua verginità: Quomodo fiet istud… virum non cognosco — dice all’Angelo, confessando la sua incapacità voluta a diventar madre. Come poteva diventare, con tale volontà, madre, non del Figlio di Dio, ma anche solo d’un figlio d’uomo? L’Angelo spiega il mistero: Lo Spirito Santo ti circonderà, sarà la virtù dell’Altissimo che opererà in te. Penetriamo bene il significato di queste parole: esse dicono chiaramente che la fecondità dell’Altissimo è comunicata a Maria… ed è la sua virtù— virtus altissimi — che la fa feconda, per essa diventerà Madre del Figlio dell’Altissimo…: — quod nascetur ex te vocabitur Filius Dei! — Quasi volesse dirle, l’Angelo: Divina Maria, non sarà la fecondità del vostro seno che vi farà Madre, ma la potenza di Dio Padre che vi comunica la sua fecondità — virtus altissimi obumbrabit —. Non vi par di sognare, o fratelli, davanti alla dignità di Maria?… Ma andiamo avanti c’è ancor di più! Associata al Padre nella generazione del suo Figlio unigenito, credete voi che la vorrà lasciar da parte quando genera figlioli, non per natura, ma nell’infinita sua carità, adottandoli? Della sua fecondità naturale la fece partecipe perché fosse Madre di Gesù Cristo: non lascerà certo incompleta la sua opera… le comunicherà anche la fecondità del suo amore, facendola Madre delle membra di questo Corpo mistico di cui Cristo è capo. Andiamo, il Vangelo d’oggi ci chiama al Calvario: là vedremo Maria unirsi sull’esempio del Figlio all’amore fecondo del Padre. Oh, chi non si commuove a questa scena dolcissima d’amore! È vero: noi non potremo mai abbastanza ammirare questa immensa carità per cui Dio ci sceglie a figlioli; perché, osserva S. Agostino, tra gli uomini l’adozione avviene quando sono cessate o si stimano cessate, le speranze di aver veri figlioli. Quando non possono aver figlioli dalla natura, gli uomini ne cercano al loro amore: amore che viene a riparare le deficienze della natura. Ma ciò non avviene in Dio: dall’eternità generò un Figlio uguale a sé, e che forma la delizia del suo cuore, sazie le brame del suo amore, completamente, come completamente esaurisce la sua fecondità! Ma allora avendo un Figliolo così perfetto perché se ne vuol cercar altri coll’adozione? Oh non è certo il bisogno che lo costringe, ma l’infinita ricchezza della sua carità! la fecondità immensa di un amore sovrabbondante inesauribile che lo induce a dar fratelli al suo Primogenito ed Unigenito: dei coeredi a questo Diletto del suo cuore. Amore, misericordia senza confini!… Ma badate Cristiani… si va ancora più avanti, più lontano più in alto, excelsior… più su! Non solo unisce al suo Unigenito fratelli adottati in un gesto di infinita misericordia… ma perché questi figli dell’adozione possano nascere, condanna a morte il suo Figliolo Diletto: è così che il suo amore diventa fecondo: è una forma nuova di fecondità. Per produrre deve distruggere: per generare figli adottivi bisogna che condanni e sacrifichi il suo vero Figlio. Badate che la frase, per quanto sembri un paradosso, è verissima e non è mia: è parola dello stesso Gesù, e ce la riporta il suo discepolo prediletto (III, 16): « Dio amò tanto il mondo che diede per lui il suo Unigenito, perché non avessero ad andar perduti quelli che credono, ma avessero la vita eterna ». Non è evidente. o fratelli, che nell’infinito suo amore Dio Padre condanna a morte il Figlio suo perché abbiano la vita i figli d’adozione? Quali parole potrebbero dimostrare con più chiarezza, che il sacrificio del Figlio è sorgente della nostra generazione e della nostra vita? – Dal cuore di Dio portiamo il nostro sguardo sulla Vergine Maria: vediamo come s’unisca all’amore fecondo del Divin Padre. Perché Gesù, suo figlio, la volle spettatrice della scena inumana della sua crocifissione e morte? Perché volle le fosse spaccato il cuore… contorte dallo spasimo le viscere? Era proprio necessario che i suoi occhi materni fossero straziati da questo orrendo spettacolo: vedessero colare il sangue dal corpo del Figlio fatto tutto una piaga? Oh non è crudeltà il non voler risparmiare tanto strazio ad un cuore di madre? Crudeltà no, fratelli, siamo davanti al mistero! Dovendo unirsi al Padre celeste nell’amore…: per salvare i peccatori e Lui e Lei dovevano in unico atto d’amore condannare al patibolo Gesù Figlio di Dio Padre e di Maria Vergine! Mi par sentire la Vergine parlare così al Divin Padre, con un cuore stretto dal dolore ed insieme generosamente dilatato dall’amore pietoso che le fa cercare la salute degli uomini: « Come volete Voi, o Dio, si faccia: acconsento anch’Io all’ignominiosa morte a cui condannaste il nostro Gesù! Voi sentenziate la sua morte io sottoscrivo la condanna! Volete che dalla morte del nostro innocentissimo Figlio nascan a vita i peccatori?… muoia, lo grido anch’io, muoia: Gesù e vivan gli uomini nella sua morte! – Vedete come amando Dio Padre se ne fa propria la volontà, unendosi al suo amore fecondo: ma ammiriamo insieme come venga fatta partecipe di questa fecondità. È Gesù Dio-Uomo che parla morente dalla croce: « Donna ecco tuo figlio ». L’amore le strappa il Figlio amato, l’amore gliene dà un altro: nella persona di questo solo discepolo, Maria diventa l’Eva della nuova economia: la Madre feconda dei veri viventi: i vivi della grazia. Scusate non è amore materno questo? Sacrificherebbe il suo Figliolo per noi se non ci amasse come figlioli suoi? Ed allora che ci resta a fare, Cristiani miei? Amore domanda amore: ognuno di noi faccia che Maria trovi un figlio che la compensi del Figlio perduto. Mi pare sorridiate mestamente, ma qual cosa ci consigliate? qual cambio… ma cosa daremo noi alla Vergine? Uomini condannati a morte al posto di un Dio che non muore: uomini colpevoli al posto d’un Agnello senza macchia! Scusate, credete proprio che un tal dono possa compensare la perdita? – No, signori, voi non avete capito il mio pensiero. È Maria che dà a noi un Gesù, diamole anche noi un Gesù! un Gesù in noi stessi, facendo rivivere nelle nostre anime questo Figliuolo che Ella perde per nostro amore. È vero Iddio glielo restituì risuscitato, glorioso, impassibile, immortale: il suo Gesù: ma la Vergine pur avendo il suo Gesù nello splendore della gloria, non cessa di ricercarlo nei fedeli. Siamo dunque casti e puri: Maria riconoscerà in noi Gesù! Sia tenero il nostro cuore… e la nostra mano segua gli impulsi del cuore allargandosi nel soccorso degli infelici, dei poveri: sussurri il nostro labbro, le grandi parole del conforto cristiano ai cuori esasperati e stanchi. – Gesù dimenticò tanto le ingiurie fino a lavarle col suo sangue: perfino le ingiurie dei suoi crocifissori, anche noi se siamo stati offesi, dimentichiamo… lavi il perdono nostro la colpa di chi ci offese. Oh qual gioia inonderà il cuore di Maria, nostra Madre quando vedrà riprodursi nella nostra vita quotidiana il suo Gesù: nell’anima nostra per l’esercizio della carità: nei nostri corpi per la pratica della castità: quando vedrà scintillare la sua immagine nei nostri occhi, sul nostro viso nella riservatezza, nella modestia nella semplicità dell’anima cristiana! Riconoscendo in noi Gesù, nella traduzione pratica e quotidiana del suo Vangelo nella nostra giornata, le sue viscere si rinnoveranno ed una tenerezza materna davanti all’immagine vivente del suo Diletto! ed il cuor suo, tocco da tanta somiglianza, crederà amar Gesù in noi, ed il suo amore le farà spargere su di noi tutte le tenerezze di cui solo è capace un cuore di madre. – Vi pare che abbia detto abbastanza per convincervi che Maria ci ama da mamma e noi le dobbiamo un amore di teneri figlioli! Se ancor non siamo persuasi, se il cuore ancor non si intenerisce al pensiero d’una Madre che ci ama dal cielo, e le tenerezze del suo cuore non giungono a commuovere il nostro cuore troppo duro, se proprio occorre la visione truce dello strazio d’un’anima, del sangue d’una vittima… su seguitemi in questa seconda parte del mio dire ed io vi ripeterò la scena dello strazio e del pianto in cui Maria generò noi alla vita.

II° punto.

Nella Apocalisse, S. Giovanni, al capo XII, descrive una magnifica figura: « Apparve un grande segno nel cielo: una donna vestita di sole aveva la luna sotto i piedi e la testa circondata da stelle e stava per dare alla luce un figlio ». S. Agostino, nel suo Simbolo per i Catecumeni, ci garantisce che questa donna dell’Apocalisse è la Vergine, e non sarebbe difficile provarlo. Pare però, che una parola della stessa Scrittura s’opponga a questa interpretazione. Come mai questa donna circondata da tanto splendore e gloria ci è rappresentata qui nel momento triste dei dolori del parto? S. Giovanni stesso ce lo dice: « Clamabat parturiens et cruciabatur ut pareret ». Che rispondiamo? può esser la Vergine questa donna dolorante tanto da farla gridare? Dovremmo allora concedere agli eretici, che Maria fu, come ogni altra madre, sottoposta alla condanna: in dolore parieris — partorirai nel pianto, mentre noi sappiamo che come senz’ombra di corruzione concepì, senz’ombra di dolore partoriva il suo Unigenito? Cosa intende allora S. Giovanni per questo parto doloroso attribuito alla Vergine: come rispondiamo, come sciogliamo la difficoltà? Non è che una contraddizione apparente: io sto predicandovi un mistero, ma insieme vi annunzio una verità. Fratelli. Maria due volte divenne madre: una volta diede alla luce Gesù, pell’altra tutti i fedeli: nell’una l’innocente, nell’altra i peccatori! Ma come senza dolore dava alla luce l’innocente, doveva nel pianto generare i peccatori! Ecco perché la vediamo nel Vangelo d’oggi ai piedi della croce: è là ch’ella genera gli uomini in un mare di dolori e di strazi col viso inondato di lacrime! Ecco spiegato il mistero: Ma io vi pregherei di cercar di penetrarlo molto profondamente: quanto bene ne ritrarranno le vostre anime! – Come abbiamo detto, i fedeli dovevano nascere dall’amore del Padre e dalla passione e morte del Figlio: ma perché Maria diventasse la madre di questo popolo nuovo, non solo doveva essere unita all’amore fecondo con cui il divin Padre ci adottava: ma anche alla passione del Figlio che ci rigenerava alla vita coi suoi strazi e colla sua morte. E non doveva l’Eva della nuova alleanza essere unita all’Adamo del nuovo patto? È proprio per questo che noi la vediamo guidata dalla mano di Dio ai piedi della croce, dove la contempliamo coll’anima passata dalla spada dello spasimo. Ai piedi d’un albero, la prima Eva ed il primo Adamo disobbedienti avevan mangiato il frutto vietato: l’Eva del Vangelo s’avvicinava quindi alla croce di Gesù per gustarvi con Lui tutta la amara amarezza di quest’albero misterioso. – Il ragionamento è forse un po’ serrato: mettiamolo in maggior luce, mettendo per principio base che era volontà del Salvatore delle anime, che la sua fecondità fosse frutto delle sue pene. Nel Vangelo Egli ci dà una meravigliosa immagine di sé paragonandosi al chicco di frumento del quale dice che il moltiplicarsi è legato alla sua sepoltura nel terreno dove marcisce e muore: « Nisi granum frumenti cadens in terram mortuum fuerit, ipsum solum manet; si autem mortuum fuerit, multum fructum affert ». Osservate: i misteri del Cristo li potremmo dire altrettante cadute. Dal cielo cade sulla terra: dal trono della gloria in una mangiatoia! Già umiliato nella carne di schiavo nella sua nascita continua a scendere giù giù per tutti i gradini della debolezza e della miseria della natura umana: e da questa scende ancora più basso nella morte sua legata all’ignominia d’un patibolo infamante… dalla croce nella tomba… una tomba datagli per compassione! è l’ultima tappa, più giù non poteva andare. Giunto però a questo completo annientamento, ecco che gli ritorna la forza: il germe d’immortalità, che la miseria della natura umana non aveva potuto distruggere, comincia il suo lavoro proprio là nella tomba dove pareva morto: questo grano di frumento si moltiplica: la sua morte genera figli senza numero a Dio! Proprio da questo fatto io traggo come conseguenza infallibile che la fecondità della generazione dei figlioli di Dio operata dal Cristo è frutto della sua passione e morte. Ed ora è la vostra volta, o Maria: venite, venite Madre del Condannato, venite ai piedi della croce del vostro Figlio, perché l’amor vostro materno vi unisca alle sue pene feconde di rigenerazione per noi. Chi potrebbe descrivere la cruda ripercussione che tutti gli strazi della passione e morte di Gesù, morte di croce del suo Gesù, che proprio allora le comunica la fecondità delle sue pene. « Donna ecco tuo figlio ». Donna, che con me e come me soffri, sii, come lo sono io, feconda: sii tu la Madre di coloro che Io genero nel sangue che cola dalle mie ferite! – Vi sentite, fratelli, di descrivere l’effetto di queste parole? – Gemeva ai piedi della croce la Vergine: la violenza del dolore l’aveva impietrita pareva insensibile. Ma quando al suo orecchio risuona la voce dell’adorato morente… il suo ultimo addio… le ferite del cuore si riaprono più crude: quella voce scava più profonda una ferita nuova… non v’è più una goccia di sangue nel suo cuore che non sia sconvolta dallo strazio nuovo… le sue viscere materne sono terribilmente contorte. « Ecce filius tuus ». Che? un altro al tuo posto, o Gesù mio Figlio e mio Dio? un altro per te!! Quale straziante addio supremo è il tuo, o Figlio! Così dunque conforti la Madre tua straziata dalla tua agonia, inconsolabile della tua perdita?… Cristiani, la parola dell’estremo addio l’ammazza quasi la Vergine, ma insieme la rende feconda… il mistero è compiuto. Mi passa alla mente, Cristiani, la pena di quelle madri a cui si squarcia il seno per strappar loro le creature… e che muoiono nel dar alla luce i loro figlioli. È proprio in questo modo, o fratelli, che la Vergine genera alla vita i credenti. – Col cuore, o Maria, voi li concepiste in un impeto di ardente amore: la parola di Gesù, penetrando fino in fondo alla vostra anima come una lama tagliente, potremmo dire che vi squarciò il seno per trarne noi peccatori… Ah, voi ci deste alla luce in uno strazio violento che non ha misura! Quando suona al vostro orecchio la voce nostra che vi dice — Madre — certo; sentite ancora ripetersi la voce del morente Gesù che vi comandava: «Donna ecco tuo figlio » — quella voce commuove le vostre viscere, il vostro cuore si riempie di tenerezza per noi, figli del vostro spasimo! Ma ricordiamolo anche noi, o fratelli, che siamo figli di Maria e che lo divenimmo al piedi della croce: « Gemitus matris tuæ ne obliviscaris » ci avvisa l’Ecclesiaste! Quando il mondo folleggia e ci invita coi suoi piaceri e l’occhio nostro è attratto dall’incantevole miraggio e non ci basta la forza per distoglierlo dalle visioni seducenti, ricordiamo il pianto di Maria, la nostra Madre pietosa. Quando sotto l’infuriar della tentazione ci parrà che le forze vengan meno e ci sentiremo vicini alla sconfitta, ed i piedi scivoleranno sulla via diritta, per la violenza di una tentazione o d’una occasione o per gli esempi cattivi che da ogni parte attaccano la gioventù… non dimentichiamo: tua Madre piange! — ricordiamo le sue lacrime ed i suoi dolori, gli strazi che al Calvario le lacerarono l’anima! Vorresti… oh miserabile… vorresti rizzar una nuova croce per inchiodarvi ancora una volta Gesù Cristo? Vuoi dunque che Maria riveda la scena terribile del Calvario? il suo Gesù di nuovo crocifisso?… sotto gli occhi della Vergine vorresti calpestare il sangue del nuovo Testamento riaprendo la terribile ferita della spada acuta che le trapassava l’anima? – Oh no, no fratelli, non sia mai! ci risuonino nell’anima i gemiti della Vergine che ci generava… non rinnoviamole dolori, basta quanto già soffrì! ripariamo, espiamo le nostre colpe nella penitenza! Ricordiamolo sempre: noi siamo: i nati dal dolore il piacere non dovrebbe esistere per noi, che Gesù generò morendo e la Vergine nei suoi dolori. consacrandoci al dovere della penitenza! – Chi ama la penitenza è vero figlio di Maria! difatti dove ci trovò figlioli suoi? forse nell’allegria, nel piacere, in mezzo al mondo folleggiante dietro agli onori e la gloria?… Oh no, no, ella ci incontrò, ci ebbe là vicino al suo Gesù che moriva: là ai piedi della croce, dove crocifiggeva se stessa bevendo la pena da quelle piaghe sanguinanti che facevan cadere su di Lei il sangue del Cristo. Là Maria divenne Madre degli uomini… là gli uomini furono dati figlioli alla Vergine! – Siamo noi, fratelli cari, lo siamo tutti di questo numero fortunato? Oh purtroppo noi non respiriamo che l’aria del mondo: l’amor suo, la sua libertà, lo splendore delle sue grandezze ci attraggono!… le sue gioie? Gioie, grandezza, libertà false… gioia grandezza, libertà sognate che ci avviano alla condanna eterna! Ah quale sventura la nostra! Ma Vergine cara, Madre nostra Maria, la nostra speranza è in Voi!… Voi pregate per noi! per la preghiera vostra soltanto noi speriamo essere liberati dai mali che minacciano la nostra impenitenza! otteneteci Voi, costringeteci Voi, insegnandocelo, all’amore del Padre celeste che in un eccesso d’amore ci adotta figlioli; del Redentore suo Unigenito e vostro Figlio che ci dà la vita colla sua passione. Fateci amare la croce di Gesù Cristo perché possiate Voi riconoscerci come vostri figlioli, ed un giorno nel cielo possiate mostrarci il frutto benedetto del vostro seno, Gesù, perché con Lui possiamo godere della gloria ch’Egli ci preparò nella sua bontà senza confini. Amen.

IL CREDO

Offertorium

Orémus.
Eccli XXIV:25; Eccli XXXIX:17
In me grátia omnis viæ et veritátis, in me omnis spes vitæ et virtútis: ego quasi rosa plantáta super rivos aquárum fructificávi

[In me ogni grazia di verità e dottrina in me ogni speranza di vita e di forza. Sono fiorita come una rosa, piantata lungo i corsi delle acque]

Secreta

Fac nos, quǽsumus, Dómine, his munéribus offeréndis conveniénter aptári: et per sacratíssimi Rosárii mystéria sic vitam, passiónem et glóriam Unigéniti tui recólere; ut ejus digni promissiónibus efficiámur:

[Rendici degni, Signore, di offrirti questo sacrificio: e concedi che, venerando nel santo rosario i misteri della vita, passione e gloria del tuo unico Figlio, diventiamo partecipi dei beni da lui promessi]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Eccli XXXIX:19
Floréte, flores, quasi lílium, et date odórem, et frondéte in grátiam, collaudáte cánticum, et benedícite Dóminum in opéribus suis.

[Fiorite, come gigli, o fiori, date profumo, spandetevi in bellezza: cantate in coro la lode divina e benedite Dio nelle sue opere.]

Postcommunio


Sacratíssimæ Genetrícis tuæ, cujus Rosárium celebrámus, quǽsumus, Dómine, précibus adjuvémur: ut et mysteriórum, quæ cólimus, virtus percipiátur; et sacramentórum, quæ súmpsimus, obtineátur efféctus:

[Ci aiutino, Signore, le preghiere della tua santissima Madre, nella festa del suo rosario: concedi a noi di sentire l’efficacia dei misteri che veneriamo, e di ottenere il frutto dei sacramenti che abbiamo ricevuto:]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

IL BEATO HOLZHAUSER INTERPRETA L’APOCALISSE: LIBRO OTTAVO

LIBRO OTTAVO


SUI CAPITOLI XVIII, XIX E XX.


Il trionfo solenne ed assoluto della Chiesa Cattolica sul mondo; l’avvento di Gesù Cristo, e la grande cena di Dio.


SEZIONE I
SUI CAPITOLI XVIII ET XIX.


DEL TRIONFO SOLENNE E ASSOLUTO DELLA CHIESA DI GESÙ-CRISTO SUL MONDO.


§ 1

La rovina della grande Babilonia.


CAPITOLO XVIII. – VERSETTI 1-4.

Et post hæc vidi alium angelum descendentem de cœlo, habentem potestatem magnam: et terra illuminata est a gloria ejus. Et exclamavit in fortitudine, dicens: Cecidit, cecidit Babylon magna: et facta est habitatio dæmoniorum, et custodia omnis spiritus immundi, et custodia omnis volucris immundæ, et odibilis: quia de vino iræ fornicationis ejus biberunt omnes gentes: et reges terræ cum illa fornicati sunt : et mercatores terræ de virtute deliciarum ejus divites facti sunt. Et audivi aliam vocem de cælo, dicentem: Exite de illa populus meus: ut ne participes sitis delictorum ejus, et de plagis ejus non accipiatis.

[E dopo di ciò vidi un altro Angelo, che scendeva dal cielo, e aveva grande potestà: e la terra fu illuminata dal suo splendore. E gridò forte, dicendo: È caduta, è caduta Babilonia la grande: ed è diventata abitazione di demoni, e carcere di ogni spirito immondo, e carcere di ogni uccello immondo e odioso: Perché tutte le genti bevettero del vino dell’ira della sua fornicazione: e i re della terra fornicarono con essa: e i mercanti della terra si sono arricchiti dell’abbondanza delle sue delizie. E udii un’altra voce dal cielo, che diceva: Uscite da essa, popolo mio, per non essere partecipi dei suoi peccati, né percossi dalle sue piaghe.]

I. Vers. 1. – E dopo queste cose vidi un altro Angelo che scendeva dal cielo, con grande potenza; e la terra fu illuminata dalla sua gloria. Con queste parole, “E dopo queste cose vidi un altro Angelo”, San Giovanni ci avverte che sta passando ad un’altra visione rispetto a quella che l’Angelo precedente gli ha appena mostrato sotto forma di donna o prostituta seduta nel deserto. L’Apostolo ci dice quindi che non è più lo stesso Angelo, ma un altro che è sceso dal cielo; cioè un vero Angelo, appartenente a una delle categorie di spiriti celesti più elevate in potenza e dignità. Questo è indicato dalle parole: Avente un grande potere; e la terra fu illuminata dalla sua gloria. Anche questo passaggio deve essere preso in senso figurato; perché vediamo dal contesto che questo Angelo è uno degli Spiriti celesti incaricati di comunicare le profezie. Quindi capiamo già in che senso è detto: E la terra fu illuminata dalla sua gloria. Questo Angelo rappresenta dunque tutti i Profeti e soprattutto quelli che hanno predetto la fine del mondo. San Giovanni non ci dice chi sia questo Angelo, perché non lo sapeva egli stesso, almeno non per dircelo. Questo può essere visto da questo versetto (Apoc. XIX, 10): « E caddi ai suoi piedi per adorarlo; ma egli mi disse: guardati dal farlo: io sono un servo come te e come i tuoi fratelli che hanno testimoniato di Gesù. Adorate Dio, perché lo spirito di profezia è la testimonianza di Gesù. » Così questo Angelo, che San Giovanni voleva adorare per lo splendore della gloria e della potenza che vedeva brillare in lui, dice di sé che è solo un servo di Dio come San Giovanni e come i suoi fratelli che hanno testimoniato di Gesù. Ed affinché si capisca che non ha dato questa testimonianza con il martirio, poiché è uno spirito, questo Angelo aggiunge: Adorate Dio, perché lo spirito di profezia è la testimonianza di Gesù. Questo Angelo rappresenta dunque nella sua persona l’universalità dei Profeti, che sono tutti uno, perché la verità che annunciano in forme diverse e in tempi diversi è una sola. Questa verità annunciata dai Profeti ha un grande potere, perché rischiara e illumina tutta la terra. Inoltre, questa verità scende dal cielo, e fa la gloria dei Profeti sulla terra. Da qui queste parole del testo: E dopo questo vidi un altro Angelo che scendeva dal cielo con grande potenza; e la terra fu illuminata dalla sua gloria; San Giovanni, nel dirci che si prostrò ai piedi di questo Angelo per adorarlo, aggiunge che la sua potenza era così grande e la sua gloria così luminosa che tutta la terra ne fu illuminata; questo per insegnarci quanto bella e potente sia la verità, poiché l’Angelo che rappresentava questa verità era così raggiante di gloria che San Giovanni lo prese per la verità stessa che è Dio, e volle adorarlo. Ma l’Angelo gli disse: Stai attento a non farlo; io sono un servo di Dio come te, e come i tuoi fratelli che hanno dato testimonianza di Gesù. Adorate Dio, perché lo spirito di profezia è la testimonianza di Gesù. È come se questo Angelo gli avesse detto: Io non sono la Verità stessa che è Dio, ma sono un servo di Dio nel rendere testimonianza alla Verità; cioè, io non sono che uno dei rappresentanti della Verità, come te, che sei un Profeta, e come tutti i tuoi fratelli che hanno testimoniato la Verità con la loro parola o con il loro martirio. Ora, se uno dei rappresentanti di questa Verità eterna, che è Dio, è già così radioso e splendente di gloria che tutta la terra è come illuminata, e San Giovanni stesso, testimone della verità, stava per adorarlo, cosa sarà quando gli uomini vedranno Gesù Cristo, la Verità stessa, venire sulle nuvole in tutto lo splendore della sua gloria e maestà per giudicare i vivi e i morti?

II. Qual è la missione di questo Profeta ora? È quella di annunciare la rovina della grande Babilonia, come vedremo in questo capitolo. Ma prima di entrare nel merito, dobbiamo far osservare al lettore il modo in cui San Giovanni ricevette questa rivelazione; perché sembra che l’ordine della narrazione sia invertito. Infatti, egli comincia descrivendo la grande catastrofe di questo evento; poi ci legge la sentenza pronunciata contro questa prostituta che egli raffigura nelle considerazioni; e solo nell’ultimo luogo profetizza questo evento. Non è questo un modo ingegnoso e ammirevole di far meglio emergerne la verità e la certezza? E questo capovolgimento non mostra forse la bontà di Gesù Cristo, Autore di questa rivelazione, di annunciare con entusiasmo alla sua Chiesa e ai suoi amici un fatto della massima importanza e che deve interessarli e consolarli al più alto grado? Noi evocheremo qui la testimonianza di tutti gli uomini; non c’è nessuno che non ammetta che quando un messaggero porta ai suoi amici la felice notizia di una grande vittoria ottenuta su un nemico formidabile, il suo primo grido di gioia è: Vittoria, vittoria, il nemico è sconfitto! È solo dopo aver dato origine a questo primo impulso della natura, e dopo aver soddisfatto la prima e più ardente curiosità di chi lo ascolta con interesse, che il messaggero dà di seguito i dettagli più importanti e termina la sua narrazione con le circostanze le più remote. Ora, questo è precisamente il modo in cui il Profeta racconta alla Chiesa militante la felice notizia della sconfitta dei suoi nemici. È così che Dio, volendo parlare agli uomini, si conforma al loro linguaggio.

III. Vers. 2. – E gridò con forza, dicendo: “La grande Babilonia è caduta, è caduta, ed è ora dimora di demoni, e rifugio d’ogni spirito immondo, e d’ogni uccello immondo e sinistro. Come abbiamo appena detto, anche questo Angelo o messaggero del cielo inizia la sua narrazione gridando con forza, cioè facendosi sentire da tutta la terra con la voce della sua profezia. È caduta, è caduta, la grande Babilonia!  Lo ripete due volte per meglio farsi intendere, e per esprimere con più forza la felice notizia della rovina della capitale del regno dell’anticristo, e quella della rovina dei malvagi di tutta la terra. È da notare che San Giovanni usa, per descrivere questa rovina universale, più o meno le stesse espressioni che Isaia usò per descrivere lo sterminio della Babilonia caldea; (Isa. XIII, 19): « Babilonia, perla dei regni, splendore orgoglioso dei Caldei, sarà come Sodoma e Gomorra sconvolte da Dio. Non sarà abitata mai più né popolata fino alla fine dei secoli; l’Arabo non vi pianterà la sua tenda né i pastori vi faranno sostare i greggi. Ma vi si stabiliranno gli animali del deserto, i suoi palazzi saranno riempiti da serpenti, i gufi riempiranno le loro case, vi faranno dimora gli struzzi, vi danzeranno i satiri. Ululeranno le iene nei loro palazzi, gli sciacalli nei loro edifici adibiti alla voluttà, etc. ». Si veda l’adempimento letterale di questa profezia nella Storia antica di Rollin, volume I. E gridò ad alta voce, dicendo: E la grande Babilonia è caduta, è caduta, ed è diventata dimora dei demoni, e il rifugio di ogni spirito impuro e di ogni uccello impuro e sinistro. – Cioè, i luoghi e i paesi dove hanno regnato le potenze della prostituta saranno ridotti in un tale stato di abbandono che diventeranno desolati e saranno immersi nelle tenebre della notte eterna, secondo San Matteo (VIII, 12): « I figli del regno saranno gettati nelle tenebre esterne; e là ci sarà pianto e stridore di denti. » Questi luoghi diventeranno la dimora dei demoni e il rifugio di ogni spirito immondo e sinistro. Questi uccelli impuri e sinistri sono una figura di cui si serve il Profeta per descrivere meglio l’orrore di queste tenebre e di questi demoni. Perché gli uccelli impuri sono i gufi, che fuggono dalla luce, e sono anche gli uccelli sinistri e minacciosi di cui parla Isaia. Questi uccelli sono una vera figura dei demoni, come lo erano anche le capre selvatiche, i satiri e i rettili che occupavano la Babilonia caldea dopo la sua rovina e il suo sterminio. Inoltre, i luoghi deserti sono comunemente considerati come il rifugio e la tana degli spiriti maligni e degli spettri. Vedere Areta. E Dio si serve di nuovo di un linguaggio appropriato alle concezioni umane. Come si ripete spesso nella Scrittura che Dio e il suo Spirito dimorano nei corpi e nelle dimore dei Santi, così si dice qui per contrasto che i demoni e gli spiriti immondi hanno il loro rifugio nei corpi dei reprobi, nel loro regno, nelle loro città e nei loro edifici dedicati alle voluttà. Tale sarà lo stato di nudità e l’orribile punto di degradazione a cui sarà condannata la prostituta, essa che ora è così imponente per la sua grandezza, il suo potere, le sue ricchezze, il suo lusso, il suo fasto, la sua ostentazione e per la sua gloria mondana!

IV. Vers. 3. – Perché tutte le nazioni hanno bevuto il vino dell’ira della sua prostituzione; i re della terra si sono corrotti con lei, e i mercanti della terra si sono arricchiti con l’eccesso del suo lusso. San Giovanni ci dà in questo testo la ragione di questa condanna, e ci dice che questa città sarà così ridotta, perché tutte le nazioni hanno bevuto il vino dell’ira della sua prostituzione; e perché i re della terra si sono corrotti con essa, etc. Abbiamo già visto sopra cos’è questo vino dell’ira della prostituzione, e cosa sono questi re della terra che si sono corrotti con la prostituta. Il Profeta, avendo voluto raffigurare il regno universale dell’iniquità sotto la figura di una donna e di una città, persiste nel suo paragone, e ci rappresenta i disordini di cui questa donna e questa città saranno state la causa tra gli uomini, dicendo che hanno sedotto re e popoli. Infatti, come il lusso sfrenato e la mollezza sono allo stesso tempo l’effetto e la causa della corruzione del mondo, così questa donna e questa città, con lo scintillio delle loro ricchezze, l’attrazione dei loro piaceri e il fasto del loro orgoglio, avranno arricchito i mercanti che venivano da tutte le parti della terra, per portare loro beni onde soddisfare tutte le passioni degli uomini, come vedremo più avanti. Lo vediamo anche da queste parole: è perché tutte le nazioni della terra hanno bevuto il vino dell’ira della sua prostituzione, che tutta la terra sarà ridotta in questo stato terribile, poiché tornerà ad essere un caos come lo era prima della creazione e molto peggio, poiché diventerà la dimora dei demoni, cioè un vero inferno. Perché la figura di questo mondo scomparirà e non se ne troverà più nemmeno il posto. (Apoc. XVIII, 21 e XX, 11).

§ II.

Avviso di un Angelo alla Chiesa militante.

CAPITOLO XVIII. – VERSETTI 4-8.

Et audivi aliam vocem de cælo, dicentem: Exite de illa populus meus: ut ne participes sitis delictorum ejus, et de plagis ejus non accipiatis. Quoniam pervenerunt peccata ejus usque ad caelum, et recordatus est Dominus iniquitatum ejus. Reddite illi sicut et ipsa reddidit vobis: et duplicate duplicia secundum opera ejus: in poculo, quo miscuit, miscete illi duplum. Quantum glorificavit se, et in deliciis fuit, tantum date illi tormentum et luctum: quia in corde suo dicit: Sedeo regina: et vidua non sum, et luctum non videbo. Ideo in una die venient plagae ejus, mors, et luctus, et fames, et igne comburetur: quia fortis est Deus, qui judicabit illam.

[E udii un’altra voce dal cielo, che diceva: Uscite da essa, popolo mio, per non essere partecipi dei suoi peccati, né percossi dalle sue piaghe. Poiché i suoi peccati sono arrivati sino al cielo, e il Signore si è ricordato delle sue iniquità. Rendete a lei secondo quello che essa ha reso a voi: e datele il doppio secondo le opere sue: mescetele il doppio nel bicchiere, in cui ha dato da bere. Quanto si glorificò e visse nelle delizie, altrettanto datele di tormento e di lutto, perché dice in cuor suo: Siedo regina, e non sono vedova: e non vedrò lutto. Per questo in uno stesso giorno verranno le sue piaghe, la morte, e il lutto, e la fame: e sarà arsa col fuoco: perché forte è Dio, che la giudicherà.]

I. Vers. 4. – E udii un’altra voce dal cielo, che diceva: Uscite da Babilonia, popolo mio, affinché non siate partecipi dei suoi peccati e non siate coperti dalle sue piaghe. Quest’altra voce è quella di un Angelo; ciò è indicato dalle parole: Ho sentito un’altra voce dal cielo. Questo Angelo rappresenta 1° la persona dell’Angelo che annuncia il futuro a San Giovanni. 2° Rappresenta anche l’Angelo che effettivamente annuncerà ai fedeli degli ultimi tempi, di uscire da Babilonia, come abbiamo visto nel capitolo delle piaghe; e questo Angelo potrebbe essere un uomo; perché sappiamo che la parola Angelo significa generalmente messaggero, inviato di Dio. 3° Questo Angelo rappresenta anche la persona morale della Chiesa in generale, e dell’ultimo Papa in particolare, negli avvertimenti che daranno ai fedeli degli ultimi tempi, di uscire da Babilonia, cioè di non prendere parte alla sua prostituzione, e di non adorare la bestia, per non essere avvolti dalle sue piaghe, ed avere parte nei terribili castighi di cui si parla nel capitolo XIV, verss. 9 e seguenti. Uscite da Babilonia, popolo mio, etc. – Queste parole hanno diversi significati, secondo l’uso dei profeti, che spesso annunciano più cose contemporaneamente sotto una sola figura, perché la verità eterna è infinita, ed è allo stesso tempo una ed indivisibile. 1° Questo avvertimento sarà dato da un Angelo ai Cristiani che vivranno nel tempo della persecuzione dell’anticristo; ed egli dirà loro di uscire da Gerusalemme e dalla Giudea, affinché non partecipino ai peccati dell’abominio della desolazione, adorando la bestia, e non siano avvolti dalle terribili piaghe che affliggeranno il suo regno. (Matth. XXIV, 16): « Allora quelli che sono in Giudea fuggano sui monti, etc. » – 2° Questo avvertimento è rivolto dalla Scrittura ai Cristiani di ogni luogo e di ogni tempo, affinché non bevano il vino dell’ira della prostituzione, e partecipino ai castighi e alle piaghe che ne sono le conseguenze: queste piaghe sono in particolare quelle della fine dei tempi, ed in generale i castighi fisici e morali con cui Dio è solito castigare gli empi già in questo mondo, secondo quel proverbio così noto e così vero: Si viene puniti per dove si è peccato. Queste piaghe rappresentano anche i mali dell’inferno. Tutto questo è così vero che ne troviamo la ragione nel versetto seguente:

Vers. 5: Perché i suoi peccati salirono al cielo e Dio si ricordò delle sue iniquità. Così la causa delle sue piaghe temporali ed eterne, sono e saranno i peccati di tutti gli uomini di tutti i tempi e luoghi; perché se si trattasse qui solo dei mali particolari della fine dei tempi, il Profeta non farebbe menzione del ricordo eterno di Dio: E Dio si ricordò delle sue iniquità.

Vers. 6. Trattala come lei ti ha trattato, e ripagala due volte per tutte le sue opere; falle bere due volte dallo stesso calice in cui ti ha dato da bere. Questo Angelo si rivolge ora non ai fedeli credenti della Chiesa militante sulla terra, ma ai Santi che saranno in cielo dopo la rovina della grande Babilonia; e dice loro: Trattatela come lei ha trattato voi, perché il tempo del perdono dei torti è passato, ed è venuto il tempo delle vendette eterne. Sulla terra, i giusti devono obbedire a Gesù Cristo, seguire il suo esempio e non restituire male per male, ma bene per male, devono perdonare i loro nemici, fare loro del bene quando possono, e pregare per i loro persecutori; ma dopo la rovina della grande Babilonia, non ci sarà più perdono da dare o da chiedere, perché non ci sarà più perdono da sperare. Perché allora le profezie si realizzeranno, e la legge del perdono dei torti non sarà più applicabile ai reprobi, e il Dio onnipotente che tiene in mano le vendette eterne, inviterà i suoi santi amici, per voce di questo Angelo, a unirsi a lui nel far cadere sui malvagi e sugli empi tutto il peso della sua ira per i secoli dei secoli. Allora questi giusti saranno animati e come inebriati, a loro volta, dall’ira del giusto Giudice, secondo le parole del santo re Davide, Ps. LVII, 4: « I peccatori si sono allontanati dalla giustizia fin da quando sono nati; si sono smarriti fin dal grembo della madre loro; hanno detto falsità. Il loro furore è come quello del serpente; è come quello dell’aspide, che si rende sordo turandosi le orecchie. ….. Dio spezzerà i loro denti nella bocca; il Signore ridurrà in polvere le mascelle dei leoni. Saranno ridotti a niente, come un’acqua che passa; Egli ha teso il suo arco perché cadano nell’ultima debolezza. Saranno distrutti come cera che il calore fa colare; il fuoco è caduto su di loro dall’alto e non hanno più visto il sole. Prima che essi abbiano visto le loro spine giunte fino alla forza di un arboscello, Egli li inghiottirà come ogni vivente nella sua ira. Il giusto si rallegrerà quando vedrà la vendetta, e si laverà le mani nel sangue del peccatore. E gli uomini diranno: Poiché l’uomo giusto raccoglie il frutto della sua giustizia, c’è sicuramente un Dio che giudica gli uomini sulla terra. » Così questo Angelo, che allora parlerà nel Nome di Dio Onnipotente, dirà ai Santi che possono e devono rallegrarsi, con una festa solenne, sulla rovina della grande Babilonia; ed Egli dirà loro: ridatele raddoppiate le sue opere, perché hanno oltraggiato Dio come voi e più di voi. Il loro crimine è il crimine di lesa maestà; il loro reato è salito fino al cielo del Signore; ed è dal cielo del Signore che il castigo deve scendere nei secoli dei secoli. Sulla terra non hanno ricevuto che l’equivalente delle loro opere, nell’eternità, devono ricevere il doppio. Fateli bere due volte dallo stesso calice in cui vi ha dato da bere. Perché sulla terra non hanno potuto farvi bere che il vino dell’amarezza del corpo, nel calice della passione di Gesù Cristo; ma nell’eternità li farete bere dal calice dell’amarezza del corpo e dell’anima. Essi vi hanno vinto nel tempo, voi li avete vinti nell’eternità. Abbeverateli dunque in questo stesso calice in proporzione ai loro crimini nei secoli dei secoli.

Vers. 7. – Quanto si glorificò e visse nelle delizie, altrettanto datele di tormento e di lutto, perché dice in cuor suo: Siedo regina, e non sono vedova: e non vedrò lutto; cioè, moltiplicate i tormenti e i dolori eterni degli empi in proporzione alle delizie e ai godimenti temporali e terreni di cui si sono inorgogliti. E come i vostri digiuni, le mortificazioni, le preghiere e le pratiche di pietà furono derisi da quegli empi che si vantavano di sfidare la legge di Dio abbandonandosi alle delizie della terra, e che consideravano la Croce come una stoltezza; così dovete ora confonderli, mostrando loro che la legge di Dio non si viola impunemente, e che la sua parola è eterna. Poiché ella dice in cuor suo: Io sono una regina e non sono vedova, e non sono in lutto. 1° Queste parole si applicano agli empi di tutti i tempi e luoghi, che agiscono sempre come se il loro regno fosse eterno e come se non dovessero mai morire. 2° Queste parole si riferiscono anche e principalmente al tempo dell’anticristo, quando gli uomini crederanno che egli è il Messia promesso e il Re dei Giudei; e che il suo regno non avrà fine; e questo regno sarà considerato come il paradiso in cui i malvagi potranno indulgere impunemente in tutti i vizi e le voluttà. Allora soprattutto quando Dio avrà cessato di manifestare la sua presenza per un momento, con le piaghe con cui affliggerà la terra e il regno della bestia; quando i due profeti Enoch ed Elia saranno sconfitti ed uccisi, ed il gregge di Gesù Cristo sarà disperso, e la Chiesa sarà distrutta, allora la prostituta dirà in cuor suo: Sono una regina e non sono una vedova, né sono in lutto.

Vers. 8Perciò in un giorno solo verranno le sue piaghe, la morte, il lutto e la carestia, ed essa sarà bruciata col fuoco, perché il Dio che la giudicherà è il Dio forte. Queste parole si riferiscono a diverse circostanze: alle piaghe degli ultimi tempi e ai tormenti dell’eternità; poi queste parole annunciano la punizione degli empi in ogni tempo e di ogni luogo. Perché ognuna delle sue piaghe trova la sua applicazione in ognuna di queste circostanze del tempo e dell’eternità.

§ III.

Lamentazioni sulla rovina della Grande Babilonia, e la conversione delle nazioni e dei Giudei.

CAPITOLO XVIII. VERSETTI 9-24.

Et flebunt, et plangent se super illam reges terræ, qui cum illa fornicati sunt, et in deliciis vixerunt, cum viderint fumum incendii ejus: longe stantes propter timorem tormentorum ejus, dicentes: Væ, væ civitas illa magna Babylon, civitas illa fortis: quoniam una hora venit judicium tuum. Et negotiatores terræ flebunt, et lugebunt super illam: quoniam merces eorum nemo emet amplius: merces auri, et argenti, et lapidis pretiosi, et margaritæ, et byssi, et purpurae, et serici, et cocci (et omne lignum thyinum, et omnia vasa eboris, et omnia vasa de lapide pretioso, et aeramento, et ferro, et marmore, et cinnamomum) et odoramentorum, et unguenti, et thuris, et vini, et olei, et similæ, et tritici, et jumentorum, et ovium, et equorum, et rhedarum, et mancipiorum, et animarum hominum. Et poma desiderii animæ tuæ discesserunt a te, et omnia pinguia et præclara perierunt a te, et amplius illa jam non invenient. Mercatores horum, qui divites facti sunt, ab ea longe stabunt propter timorem tormentorum ejus, flentes, ac lugentes, et dicentes: Væ, væ civitas illa magna, quæ amicta erat bysso, et purpura, et cocco, et deaurata erat auro, et lapide pretioso, et margaritis: quoniam una hora destitutæ sunt tantæ divitiæ, et omnis gubernator, et omnis qui in lacum navigat, et nautae, et qui in mari operantur, longe steterunt, et clamaverunt videntes locum incendii ejus, dicentes: Quæ similis civitati huic magnæ? et miserunt pulverem super capita sua, et clamaverunt flentes, et lugentes, dicentes: Væ, væ civitas illa magna, in qua divites facti sunt omnes, qui habebant naves in mari de pretiis ejus: quoniam una hora desolata est. Exsulta super eam cælum, et sancti apostoli, et prophetæ: quoniam judicavit Deus judicium vestrum de illa. Et sustulit unus angelus fortis lapidem quasi molarem magnum, et misit in mare, dicens: Hoc impetu mittetur Babylon civitas illa magna, et ultra jam non invenietur. Et vox citharœdorum, et musicorum, et tibia canentium, et tuba non audietur in te amplius: et omnis artifex omnis artis non invenietur in te amplius: et vox molæ non audietur in te amplius: et lux lucernæ non lucebit in te amplius: et vox sponsi et sponsæ non audietur adhuc in te: quia mercatores tui erant principes terræ, quia in veneficiis tuis erraverunt omnes gentes. Et in ea sanguis prophetarum et sanctorum inventus est: et omnium qui interfecti sunt in terra.

[E piangeranno e meneranno duolo pei lei i re della terra, i quali fornicarono con essa e vissero nelle delizie, allorché vedranno il fumo del suo incendio: Stando da lungi per tema dei suoi tormenti, dicendo: Ahi, ahi, Babilonia, la città grande, la città forte: in un attimo é venuto il tuo giudizio. E i mercanti della terra piangeranno e gemeranno sopra di lei: perché nessuno comprerà più le loro merci: le merci d’oro, e di argento, e le pietre preziose, e le perle, e il bisso, e la porpora, e la seta, e il cocco, e tutti i legni di tino, e tutti i vasi d’avorio, e tutti i vasi di pietra preziosa, e di bronzo, e di ferro, e dì marmo, e il cinnamomo, e gli odori, e l’unguento, e l’incenso, e il vino, e l’olio, e il fior dì farina, e il grano, e ì giumenti, e le pecore, e i cavalli, e i cocchi, e gli schiavi, e le anime degli uomini. E i frutti desiderati dalla tua anima se ne sono partiti da te, e tutte le cose grasse e splendide sano perite per te, e non si troveranno mai più. I mercanti di tali cose che da essa sono stati arricchiti, se ne staranno alla lontana per tema dei suoi tormenti, piangendo, e gemendo, e diranno: Ahi, ahi, la città grande, che era vestita di bisso, e di porpora, e di cocco, ed era coperta d’oro, e di pietre preziose, e di perle: Come in un attimo sono state ridotte al nulla tante ricchezze. E tutti i piloti, e tutti quei che navigano pel lago, e i nocchieri, e quanti trafficano sul mare, se ne stettero alla lontana, e gridarono guardando il luogo del suo incendio, dicendo: Qual città vi fu mai simile a questa grande città? E si gettarono polvere sul capo, e gridarono piangendo e gemendo: Ahi, ahi la città grande, delle cui ricchezze si fecero ricchi quanti ave- vano navi sul mare, in un attimo è stata ridotta al nulla. Esulta sopra di essa, o cielo, e voi, santi Apostoli e profeti: perché Dio ha pronunziato sentenza per voi contro di essa. Allora un Angelo potente alzò una pietra come una grossa macina, e la scagliò nel mare, dicendo: Con quest’impeto sarà scagliata Babilonia, la gran città, e non sarà più ritrovata, e non si udirà più in te la voce dei suonatori dì cetra, e dei musici, e dei suonatori di flauto e di tromba: e non si troverà più in te alcun artefice dì qualunque arte: e non sì udirà più in te rumore di macina: e non rilucerà più in te lume di lucerna: e non sì udirà più in te voce di sposo e di sposa: perché i tuoi mercanti erano i principi della terra, perché a causa dei tuoi venefici furono sedotte tutte le nazioni. E in essa si è trovato il sangue dei profeti, e dei santi, e di tutti quelli che sono stati uccisi sulla terra.]

I. Vers. 9. E i re della terra, che si sono corrotti con lei e che hanno vissuto nelle delizie, piangeranno su di lei e si batteranno il petto quando vedranno il fumo del suo incendio. Abbiamo visto in precedenza che dopo la rovina di Gerusalemme e lo sterminio degli empi, il resto sarà preso dal timore e darà gloria a Dio. Ora, tra questi resti ci saranno anche i re della terra, cioè i re infedeli. Questi re rappresentano le nazioni che non appartengono alla Chiesa, o che l’hanno abbandonata. Perché Dio, nella sua infinita bontà, non vuole che il peccatore muoia, ma che si converta e viva. (Ezek. XXXIII, 11 e seguenti). Questo è ciò che la Scrittura ci insegna e ciò che l’esperienza quotidiana ci conferma. Ma se Dio è infinitamente misericordioso, è anche infinitamente giusto e vero nelle sue parole. Ed è per manifestare meglio la sua giustizia e la sua bontà agli uomini che Egli colpisce alcuni e risparmia altri, affinché gli uomini imparino a temerlo e a servirlo, sperando in Lui. Ora, è soprattutto alla fine dei tempi che Dio manifesterà questi due grandi attributi, la sua giustizia e la sua bontà. Guai dunque ai peccatori ostinati che cadranno sotto i suoi colpi; ma beati coloro che partecipano alla misericordia di Dio, che moltiplica i suoi eletti tanto quanto lo permette la sua giustizia. Ecco perché, un gran numero di questi re della terra, che rappresentano i principi e le nazioni infedeli, e anche i resti dei Giudei, come vedremo più avanti, saranno risparmiati in questo terribile disastro. Sopravviveranno a questa grande catastrofe della rovina di Gerusalemme e delle città delle nazioni che il fuoco del cielo e i terremoti distruggeranno. E i re della terra, che sono stati corrotti e hanno vissuto con essa nelle delizie, piangeranno su di lei e si batteranno il petto quando vedranno il fumo del suo incendio. Avranno paura e si convertiranno. Queste lamentazioni si applicano a Gerusalemme considerata come Babilonia, cioè la grande città figura della prostituta; ed è in questo senso che queste parole e quelle che seguono devono essere intese come espressione sia della desolazione dei reprobi, sia dell’amaro rimpianto che gli ultimi convertiti proveranno per i loro peccati ed i loro abomini, quando vedranno le conseguenze delle loro opere e l’immenso pericolo che avranno corso. Nella sua rivelazione, Gesù Cristo usa questi stessi re che saranno stati corrotti con la prostituta, e che si convertiranno alla fine dei tempi, per dare più forza alla sua parola facendo lor confessare con la loro stessa bocca i mezzi che questa donna avrà usato per attirarli nella sua prostituzione, e anche per fare esprimere da loro stessi le orribili conseguenze temporali ed eterne del peccato. Perché queste parole indicano anche i mali e gli amari rimpianti che gli empi proveranno nell’inferno per la perdita dei loro beni e dei loro piaceri sensuali. Ascoltiamo dunque questi re e questi Giudei nei loro gemiti e lamenti sulla rovina temporale ed eterna della grande Babilonia.

II. Vers. 10E stando in piedi lontano da essa nel timore dei suoi tormenti, diranno: “Guai, guai! Babilonia, grande città, potente città, è giunta la tua condanna in un’ora….. E stando in piedi, cioè sopravvivendo a questa distruzione generale degli empi, lontano da essa, risparmiati da questa orribile catastrofe, e separandosi dai malvagi con la penitenza. Essi diranno: nel timore dei suoi tormenti, cioè nel timore del Signore che è l’inizio della sapienza, (Ps. CX , 10). Guai, guai! Babilonia, grande città, potente città, la tua condanna è giunta in un’ora. Così parleranno questi re convertiti. È da notare che essi dicono due volte Guai, guai, e due volte, grande città, città potente, per esprimere i due guai temporali ed eterni di questa grande città che è Gerusalemme, capitale del regno dell’anticristo, e Gerusalemme considerata come la grande Babilonia, o la grande prostituta che rappresenta i malvagi di tutti i tempi e luoghi. La tua condanna è arrivata in un’ora, cioè all’improvviso e inaspettatamente, secondo le parole di Gesù Cristo: « Verrò come un ladro ».

Vers. 11. – E i mercanti della terra piangeranno e gemeranno per essa, perché nessuno comprerà più le loro mercanzie. 1 ° Questi mercanti della terra rappresentano la classe comune del popolo, e il Profeta sceglie i mercanti tra questa classe, per far loro svolgere questo doppio ruolo di rappresentanti del popolo e di rappresentanti di tutti coloro che hanno preso parte alla prostituzione, come i mercanti che hanno profittato del lusso sfrenato della prostituta per arricchirsi a sue spese.  Questi mercanti saranno dunque tutti gli uomini che, come i re di cui sopra, si convertiranno dopo essere stati presi dalla paura. Poteva il Profeta scegliere meglio di questi re e mercanti per rappresentare tutte le classi della società? 2º Questi mercanti rappresentano letteralmente i Giudei che si convertiranno anch’essi e diranno: Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Si dice più avanti che questi mercanti erano i principi della terra, cioè che essi avranno regnato sulla terra con il loro denaro e con il loro commercio, e che avranno dominato gli uomini con la loro opulenza, con le loro ricchezze e con la loro influenza, etc. Per questo si dice abusivamente, ma con una certa verità, “Il denaro governa il mondo“. Infine, questi mercanti saranno quelli che hanno fornito tutti gli oggetti di lusso menzionati nei versetti seguenti; perché sono soprattutto i Giudei che commerciano in questi oggetti, e che procurano di che soddisfare le passioni e il gusto depravato della prostituta. È soprattutto ai Giudei che questa donna chiede incessantemente nei suoi desideri sfrenati e insaziabili e nel suo orgoglio infernale.

Vers. 12. – Queste mercanzie d’oro e d’argento, di gioielli, di perle, di lino fino, di porpora, di seta, di scarlatto, tutti i loro legni profumati, e tutti i loro mobili d’avorio, di pietre preziose, di bronzo, di ferro e di marmo.

Vers. 13. – Di cannella, di spezie, gli odori, incenso, vino, olio, fiore di farina di grano, di bestie da soma, pecore, cavalli, carri, schiavi e uomini liberi. Tutti questi beni e cibi menzionati nel testo sono mirabilmente ben scelti per rappresentare gli articoli di commercio dei Giudei, e anche gli oggetti degli idoli della grande prostituta. Vi si trova infatti tutto ciò che è necessario per soddisfare le tre grandi concupiscenze di cui parla San Giovanni, l’orgoglio, i piaceri e le ricchezze. Inoltre, la scelta di queste mercanzie ed alimenti di lusso è ammirevole in quanto possono convenire ed applicarsi a tutti i tempi del mondo e che non ce n’è alcuno che non sia conosciuto in tutti i tempi e luoghi, dalle pecore di Caino, alle perle preziose che il demone Moasim farà conoscere all’Anticristo.

III. Perché nessuno comprerà più la loro merce. Infatti:

Vers. 14. I frutti che erano le tue delizie non sono più; ogni delicatezza e ogni magnificenza è perduta per te, e non si troverà mai più, non solo a Gerusalemme, ma anche nel mondo intero. Non si troveranno mai più, perché il secolo sarà consumato.

Vers. 15. – Quelli che si sono arricchiti con la vendita delle sue mercanzie staranno in piedi lontano nel timore dei suoi tormenti; essi piangeranno e gemeranno, cioè  i commercianti, gli operai, i commessi, gli uomini d’affari, i banchieri, ecc. ecc. quelli dei Giudei che saranno stati risparmiati dalla bontà di Dio nella catastrofe dell’ultima piaga, saranno in piedi: essi sopravviveranno e saranno nel numero di coloro di cui parla Daniele, XII, 12: « Beato chi aspetta e arriva a milletrecento trentacinque giorni ». Perché il regno dell’anticristo durerà solo milleduecentosettantasette giorni e mezzo, compresa l’abbreviazione predetta in San Matteo, XXIV, 22: « E se quei giorni non fossero stati abbreviati, ogni carne sarebbe stata distrutta; ma saranno abbreviati per amore degli eletti ». La meravigliosa bontà di Dio che sa sempre trarre il bene dal male e dirigere le disgrazie che gli uomini si sono procurati con i loro peccati, affinché servano come mezzo per moltiplicare il maggior numero possibile di eletti! E questi mercanti staranno in piedi lontani, cioè separati dalle vittime del peccato, dopo la rovina di Babilonia, nel timore dei suoi tormenti, essi saranno dal numero di coloro di cui è detto in Apoc. XI, 13: Il resto fu colto da timore e rese gloria a Dio. Il resto degli uomini, dunque, sarà testimone di questa terribile sciagura, e ne concepirà un grande timore, e sarà allora l’inizio della loro conversione, secondo quel detto dell’Ecclesiastico, (I, 16): « L’inizio della saggezza è il timore del Signore ».

Vers. 16.Piangeranno e si lamenteranno, dicendo:

Vers. 17. – Guai, guai, questa grande città, vestita di lino fine, porpora e scarlatto, ornata d’oro, di gioielli e di perle, ha perso in un momento queste grandi ricchezze. Tutte queste parole continuano a riferirsi a Gerusalemme, la grande città, e alla grande città che rappresenta la gloria, le ricchezze e gli onori del mondo con l’universalità degli empi di tutti i tempi e luoghi, come è indicato ancora queste parole ripetute due volte: Guai, guai! Questa grande città, vestita di lino fine, porpora e scarlatto, ornata d’oro, di gioielli e di perle, ha perso in un attimo queste immense ricchezze. Questo abito pomposo e ricco aggiunge la brillantezza della verità, e queste parole ha perso in un momento, indicano chiaramente la grande catastrofe della consumazione del secolo, e mostrano che si parla qui della rovina di Gerusalemme e delle città dei Gentili, rovesciate dal grande terremoto di cui abbiamo parlato. E tutti questi mali saranno l’inizio dei mali dell’eternità, secondo le parole citate sopra: Tutta la delicatezza e la magnificenza sono perdute per te, e non saranno mai più ritrovate.

IV. Vers. 18. E tutti i piloti, coloro che navigano i mari, i nocchieri, e tutti quelli che sono impiegati sui vascelli, si tenevano lontani, e gridavano vedendo il luogo dell’incendio e dicevano: quale città è simile a questa grande città? Questi piloti, questi marinai, coloro che navigano e sono impiegati sulle navi, sono i pochi Cristiani e direttori di anime che saranno sopravvissuti alla persecuzione dell’anticristo; perché avranno navigato a lungo sul mare tempestoso della persecuzione, e si saranno tenuti in disparte e nascosti, secondo le parole di Gesù Cristo stesso, Matteo, XXIV, 16: « Allora quelli che sono in Giudea fuggono sui monti, etc. » È anche a questo passaggio che dobbiamo mettere in relazione queste parole del testo, Apoc. XIV, 20: « E tutte le isole fuggirono »; così come quelli del cap. XVIII, 4: « Uscite da Babilonia, popolo mio, per non essere coinvolti dalle sue piaghe. »  Tutti i piloti, coloro che navigano sul mare, i marinai e tutti coloro che sono impiegati sulle navi, sulla nave della Chiesa o sulla barca di San Pietro, o nell’arca di Noè, sono rimasti lontani. Queste parole si applicano anche ai buoni di tutti i tempi e luoghi, che si sono tenuti lontani dal mondo, dimorando nel vascello della Chiesa. Inoltre, queste parole si applicano letteralmente ai Giudei e ai ricchi mercanti, etc.

V. Ora ecco la prova evidente che questi re, mercanti e marinai, che rappresentano i resti degli uomini che sono sopravvissuti a questa catastrofe e a queste disgrazie, faranno penitenza:

Vers. 19E si coprirono il capo di polvere e gridarono, piangendo, gemendo e dicendo: Guai, guai, questa grande città, che ha arricchito della sua opulenza tutti coloro che avevano vascelli in mare, è stata desolata in un momento.

Vers. 20. – Cielo, rallegratevi su di essa, e voi, santi apostoli e profeti, perché Dio vi ha vendicato di essa. Notiamo bene queste parole: E si coprirono il capo di polvere … cioè essi hanno fatto penitenza, perché nella Scrittura il segno della penitenza è coprirsi il capo con cenere e polvere. Così, dunque, essi hanno iniziato ad essere rappresentati in piedi, cioè, come se fossero sopravvissuti a queste disgrazie, grazie alla bontà di Dio. Poi rimasero lontani, soggetti ai tormenti di quella grande città. Dopo di che rifletterono e considerarono il luogo di questo grande incendio e gridarono: Quale città era come quella grande città? Infine, nei sentimenti di penitenza, gridarono, piangendo, lamentandosi e dicendo: Guai, guai! Questa grande città, che ha arricchito con la sua opulenza tutti coloro che avevano vascelli in mare, fu desolata in un momento. Queste ultime parole, oltre ad essere prese alla lettera quando sono applicate ai Giudei ed ai grandi del mondo, hanno un significato figurato. Perché, nell’opulenza, si è potenti, e nel potere, gli uomini abusano della loro forza e diventano persecutori; è così che percuotendo i buoni che avevano il loro rifugio nell’arca di Noè, figura della nave della Chiesa costantemente battuta dalla tempesta, e nella barca di San Pietro, simbolo della fede della Chiesa, questi ricchi e potenti persecutori arricchirono i giusti con i beni spirituali della carità e della pazienza. Questa grande città fu desolata in un attimo. Cioè, questa Gerusalemme, o grande Babilonia, cadrà e sarà rovinata in un momento, come il mondo di cui è la figura. Tra un momento, cioè tra qualche giorno, come si vede dai milletrecentotrentacinque giorni di Daniele, che devono essere presi qui come naturali; perché sarebbe assurdo supporre un incendio così lungo di una città. Abbiamo visto, inoltre, nell’opera del venerabile Holzhauser, la spiegazione di questo passaggio e sappiamo che il regno dell’anticristo sarà breve e persino abbreviato. La sua rovina non inizierà che negli ultimi giorni, e continuerà fino alla consumazione dei secoli, secondo San Matteo e San Marco, che dicono: « Questo sarà l’inizio dei dolori. » Infine, questi re, mercanti e marinai, ecc., avendo fatto penitenza, parteciperanno alla gioia dei buoni e dei santi, e diranno: Cielo, rallegratevi di essa, e voi, santi apostoli e profeti, perché Dio vi ha vendicato di essa… Che mirabile descrizione di tutti i movimenti di un cuore penitente, che comincia con l’essere preso dalla paura, poi si separa dai giorni malvagi, deplora le proprie  disgrazie, si copre di cenere e di polvere in segno di contrizione, piange e geme; poi entra nel tempio del Signore, la cui maestà e potenza non può dapprima comprendere a causa del fumo delle sue piaghe, e infine riconosce la sua bontà verso i santi, e la giustizia delle sue vendette sui malvagi, unendosi ai sentimenti comuni degli apostoli, dei profeti e di tutta la Chiesa, e gridando a gran voce: Cielo, rallegratevi di essa, e voi, santi apostoli e profeti, che avete sofferto tanto con tutti i giusti della Chiesa, gioite, perché Dio vi ha vendicato su di essa. Va notato che questi sono i re che rappresentano i grandi e le nazioni infedeli, e poi i resti dei cattivi Cristiani che avranno prevaricato adorando la bestia, e anche i mercanti, cioè i Giudei, che diranno: Perché Dio vi ha vendicato di essa. Non dicono noi, ma voi, poiché i Gentili e i Giudei non saranno appartenuti alla Chiesa di Gesù Cristo, e di conseguenza, non saranno stati oggetto, non più dei cattivi Cristiani, degli insulti e delle persecuzioni con cui i malvagi avranno afflitto la Chiesa, rappresentata dai santi Apostoli e dai Profeti.

VI. Vers. 21. – E un Angelo forte sollevò una pietra come una grande macina e la gettò nel mare, dicendo: “Così sarà gettata giù la grande città Babilonia e d’ora in poi non sarà più trovata”. E San Giovanni vide nella sua immaginazione un Angelo forte, rappresentante della potenza di Dio, che gettava in mare una pietra come una grande macina. E l’Angelo gli disse: “Babilonia, quella grande città, sarà precipitata così, con la stessa forza e fragore di una grande macina da mulino, la cui caduta un braccio forte rende ancora più celere. E quella grande città scomparirà nelle profondità dell’inferno, come una grande macina scompare nelle profondità del mare. E non si troverà più, mai più e infinitamente meno di quanto una pietra possa essere trovata nelle profondità dell’oceano.

VII. Vers. 22. – E la voce degli arpisti e dei musicisti, il flauto dei cantori e le trombe non suoneranno più in te; nessun artigiano si troverà più nella tua cinta, né si intenderà più il rumore della macina.

Vers. 23. – E la luce delle lampade non risplenderà in te per sempre, né vi si udrà più la voce dello sposo e della sposa. Tutte queste parole seguono questo patetico e toccante lamento sul triste stato di questa grande Babilonia, che rappresenta il mondo intero. Che lutto e miseria, che tristezza mortale ispirano queste parole! Il Profeta ci dà poi la ragione e il motivo di questa terribile condanna di Gerusalemme, e dice: Perché i tuoi uomini malvagi erano principi della terra, e tutte le nazioni sono state traviate dai tuoi incantesimi. Vediamo in questo le cause principali dei giudizi di Dio su Gerusalemme e sulla nazione giudaica. 1º Questi mercanti, cioè i Giudei, erano i dominatori della terra. Ora, come abbiamo detto sopra, i Giudei sono il popolo che più ha contribuito alla perversione del mondo e alla prostituzione degli uomini, essendo i principi della terra con il loro oro, il loro commercio e l’influenza che hanno acquisito per le loro ricchezze.  2° Tutte le nazioni sono state sviate dai tuoi incantesimi, cioè dal lusso e dalle merci che i tuoi mercanti hanno fornito alle passioni degli uomini, e anche dalla tua doppiezza, dalle tue frodi, dalle tue menzogne, ecc. e, infine, dai prodigi e dagli incantesimi dell’anticristo e dei suoi falsi profeti. Poi San Giovanni termina questo capitolo con il rimprovero del più grande crimine che egli rivolge a questa città, colpevole della morte del Dio di ogni bontà, Nostro Signore Gesù Cristo di Nazareth crocifisso.

Vers. 24. – E in questa città fu trovato il sangue dei profeti e dei santi e di tutti quelli che erano sulla terra. Cioè il sangue di Gesù Cristo, che rappresenta tutti i Martiri, i Profeti e i Santi. Perché i Giudei, uccidendo Gesù Cristo, parteciparono ai crimini di tutti i persecutori della Chiesa e di tutti gli empi del mondo, come tutti gli empi del mondo avranno partecipato al più grande dei crimini, il crimine della morte di Gesù Cristo, uccidendo i Martiri e i Profeti e perseguitando i Santi.

VIII. Noteremo, concludendo questo capitolo, che San Giovanni parla in tre passaggi diversi dei “guai” che rovineranno Gerusalemme alla fine dei tempi. Infatti dice nel capitolo XI, 13: « E in quella stessa ora ci fu un grande terremoto, e la decima parte della città cadde, e settemila uomini morirono nel terremoto; e gli altri furono presi da spavento e diedero gloria a Dio. » Poi dice nel capitolo XVI, 18: « E ci furono lampi e tuoni e un grande terremoto, così grande che nessun uomo ne ha sentito uno simile da quando sono sulla terra. E la grande città fu divisa in tre parti, e le città delle nazioni caddero; e Dio si ricordò della grande Babilonia per darle da bere il vino dello sdegno della sua ira. E tutte le isole fuggirono, e le montagne scomparvero. » Infine il Profeta, senza aver annunciato nessun altro terremoto oltre a quello che abbiamo descritto nel capitolo delle piaghe della consumazione, dice improvvisamente, (capitolo XVIII, 18): « Ed essi gridarono, vedendo il luogo del suo incendio, e dissero: Quale città fu come questa grande città? » Bisogna concludere da tutto questo, che Dio, nella sua infinita bontà, colpirà questa città di Gerusalemme e tutte le città delle nazioni, in modo da spaventare i più ostinati tra gli uomini e dare loro il tempo di convertirsi. Ma gli empi ostinati periranno con le città delle nazioni, perché i terremoti ed il fuoco continueranno a rovinare queste città fino alla consumazione dei tempi. Questo è confermato dagli evangelisti, (Matteo, XXIV, 7): « Nazione si leverà contro nazione, regno contro regno, pestilenze, carestie e terremoti saranno in diversi luoghi. Ora tutte queste cose sono l’inizio dei dolori. » E San Marco, (XIII, 8): « Perché i popoli si solleveranno contro i popoli e i regni contro i regni; e ci saranno terremoti in diversi luoghi e carestie; questo sarà il principio dei dolori ». Infine, (San Luca, XXI, 11): « E ci saranno grandi terremoti, pestilenze e carestie in diversi luoghi; e ci saranno cose spaventose e grandi segni nel cielo.  Ma prima vi prenderanno e vi perseguiteranno, etc. » Possiamo vedere che i quattro Evangelisti sono d’accordo, i tre precedenti nel loro Vangelo, e San Giovanni nella sua Apocalisse, nell’annunciare terribili terremoti che precederanno la fine. – La precipitazione con cui San Giovanni passa, nella sua Apocalisse, dalla descrizione di questo grande terremoto, di cui gli uomini non hanno mai avvertito uno simile, sentito l’effetto, a queste espressioni: e grideranno, vedranno il luogo del suo incendio, ed essi diranno: qual città è stata pari a questa grande città? Questa precipitazione, diciamo, è un modo ammirevole ed energico di mostrarci il pronto adempimento di quelle profezie di San Marco e San Matteo, che ci dicono che tutte queste cose saranno l’inizio dei dolori; cioè della fine dei malvagi sulla terra e dell’apertura dei supplizi dell’eternità. Infatti, vediamo da tutto il contesto che i terremoti che colpiranno Gerusalemme e le città delle nazioni, continueranno a devastarle fino alla loro totale rovina, poiché, secondo San Marco e San Matteo, queste disgrazie devono essere l’inizio dei dolori. Ciò è dimostrato anche dalle parole del testo: E gridarono quando videro il luogo del suo incendio, e dissero: quale città è simile a questa grande città? Così, dunque, il fuoco sarà mescolato ai terremoti, e non si vedrà più il luogo dell’incendio di questa città, rappresentante di tutte le altre città delle nazioni. E allora i piloti e i marinai potranno dire con verità: quale città era simile a questa grande città? Cioè a Gerusalemme, la capitale del regno dell’anticristo, e a Gerusalemme considerata come la grande Babilonia che rappresenta i malvagi di tutti i luoghi e di tutti i tempi.

§ IV.

Applausi, acclamazioni e rallegramenti della Chiesa militante e della Chiesa trionfante, sulla rovina della grande Babilonia, e l’avvicinarsi delle nozze dell’Agnello.

CAPITOLO XIX. VERSETTI 1-10.

Post hæc audivi quasi vocem turbarum multarum in caelo dicentium: Alleluja: salus, et gloria, et virtus Deo nostro est: quia vera et justa judicia sunt ejus, qui judicavit de meretrice magna, quæ corrupit terram in prostitutione sua, et vindicavit sanguinem servorum suorum de manibus ejus. Et iterum dixerunt: Alleluja. Et fumus ejus ascendit in saecula sæculorum. Et ceciderunt seniores viginti quatuor, et quatuor animalia, et adoraverunt Deum sedentem super thronum, dicentes: Amen: alleluja. Ex vox de throno exivit, dicens: Laudem dicite Deo nostro omnes servi ejus: et qui timetis eum pusilli et magni. Et audivi quasi vocem turbæ magnæ, et sicut vocem aquarum multarum, et sicut vocem tonitruorum magnorum, dicentium: Alleluja: quoniam regnavit Dominus Deus noster omnipotens. Gaudeamus, et exsultemus: et demus gloriam ei: quia venerunt nuptiæ Agni, et uxor ejus præparavit se. Et datum est illi ut cooperiat se byssino splendenti et candido. Byssinum enim justificationes sunt sanctorum. Et dixit mihi: Scribe: Beati qui ad cœnam nuptiarum Agni vocati sunt; et dixit mihi: Hœc verba Dei vera sunt. Et cecidi ante pedes ejus, ut adorarem eum. Et dicit mihi: Vide ne feceris: conservus tuus sum, et fratrum tuorum habentium testimonium Jesu. Deum adora. Testimonium enim Jesu est spiritus prophetiœ.

[Dopo di ciò udii come una voce di molte turbe in cielo, che dicevano: Alleluja: salute, e gloria, e virtù al nostro Dìo: perché veri e giusti sono i suoi giudizi, ed ha giudicato la gran meretrice, che ha corrotto la terra colla sua prostituzione, ed ha fatto vendetta del sangue dei suoi servi (sparso) dalle mani di lei. E dissero per la seconda volta: Alleluia. E il fumo di essa sale pei secoli dei secoli. E i ventiquattro seniori e i quattro animali si prostrarono, e adorarono Dio sedente sul trono, dicendo: Amen: alleluja. E uscì dal trono una voce, che diceva: Date lode al nostro Dio voi tutti suoi servi: e voi, che lo temete, piccoli e grandi. E udii come la voce di gran moltitudine, e come la voce di molte acque, e come la voce di grandi tuoni, che dicevano: Alleluia: poiché il Signore nostro Dio onnipotente è entrato nel regno. Rallegriamoci, ed esultiamo, e diamo a lui gloria: perché sono venute le nozze dell’Agnello, e la sua consorte sì è messa all’ordine. E le è stato dato di vestirsi di bisso candido e lucente. Perocché il bisso sono le giustificazioni dei Santi. Sono stati chiamati alla cena delle nozze dell’Agnello: e mi disse: Queste parole di Dio sono vere. E mi prostrai ai suoi piedi per adorarlo. Ma egli mi disse: Guardati dal farlo: io sono servo come te e come i tuoi fratelli, i quali hanno testimonianza di Gesù. Adora Dio. Poiché la testimonianza di Gesù è lo spirito di profezia.]

I. Vers. 1. Dopo questo, io intesi nel cielo come la voce di una grande moltitudine che diceva: Alleluja, salvezza, gloria e potenza al nostro Dio …

Dopo questo …, vale a dire, dopo la rovina della grande Babilonia, San Giovanni intese per immaginazione, nel cielo, nella Chiesa trionfante e nella Chiesa militante, come la voce di una grande moltitudine. Questa grande moltitudine è la riunione di tutti i Santi che faranno parte della Chiesa militante, dopo la conversione del resto degli uomini, così come la riunione di tutti i Santi della Chiesa trionfante. Questa grande moltitudine farà sentire come una sola voce per mostrarci l’accordo, l’insieme, l’unità delle vedute e dei sentimenti che uniranno strettamente tutti i re, i mercanti, i piloti, i marinai, di cui si è parlato nel capitolo precedente, in tal modo che essi non formeranno, per così dire, che una sola persona con la Chiesa trionfante. E tutti questi Santi diranno: Alleluja. Questa parola è un grido di gioia che significa: lodate il Signore. Ed essi aggiungeranno: Salvezza, gloria e potenza al nostro Dio. Tutte queste parole esprimono la gioia, le lodi e la riconoscenza che questi Santi della Chiesa militante e della Chiesa trionfante manifesteranno altamente e solennemente, in occasione della vittoria finale e del trionfo assoluto che la Chiesa militante avrà ottenuto sul mondo con la caduta della grande Babilonia. Vediamo nel versetto seguente le ragioni di questa gioia e di questa lode; e queste ragioni sono espresse così chiaramente che non hanno bisogno di alcun commento.

Vers. 2. Perché i suoi giudizi sono veri e giusti, ha condannato la grande prostituta che ha corrotto la terra con la sua prostituzione, ed ha vendicato il sangue dei suoi servi, sparso dalle mani di lei. Così, dunque, questi motivi di gioia e di lode sono tratti dai giudizi di Dio, fondati sulla sua verità e la sua giustizia, che questi nuovi convertiti riconosceranno e confesseranno allora altamente, dicendo che Dio ha condannato veracemente e giustamente la grande prostituta, perché essa ha corrotto la terra con la sua prostituzione agli idoli, che sono sue creature; in più, essi diranno che Egli ha vendicato il sangue dei suoi servi, cioè il sangue di Gesù-Cristo, che come uomo è anche un servo di Dio; ed il sangue dei suoi Profeti, dei suoi Apostoli, di tutti i Martiri della Chiesa, da Abele fino all’ultimo martire che morrà nella persecuzione dell’anticristo. E questo sangue sarà sparso dalla mano dei malvagi di tutti i tempi e di tutti i luoghi.

II. Vers. 3. Ed essi dissero una seconda volta: Alleluja, ed il fumo del suo incendio si eleva nei secoli dei secoli. Si devono osservare queste parole con attenzione. San Giovanni, dopo aver descritto la gioia della Chiesa militante, passa tutto ad un tratto alla Chiesa trionfante designata nel primo versetto e che aveva accomunato alla Chiesa militante con queste parole, in cielo, parole che si applicano ugualmente ad entrambe queste due Chiese. Perché ora ci dice: E dissero una seconda volta: Alleluia? È per meglio farci capire la stretta unione di queste due Chiese, che sono una nello spirito di fede, speranza e carità, e che si uniranno anche nel corpo, dopo la caduta della grande Babilonia. E hanno detto una seconda volta: Alleluia. Queste parole implicano che i Santi della Chiesa militante e della Chiesa trionfante diranno Alleluia due volte. La prima volta sarà quando la grande Babilonia sarà caduta e prima dell’ultimo giudizio. La seconda volta sarà quando queste due Chiese saranno così strettamente unite che formeranno una sola Chiesa trionfante nei secoli dei secoli. Questo è chiaramente indicato dalle seguenti parole: ed il fumo della sua combustione si alza nei secoli dei secoli. – San Giovanni dice al presente: il fumo della loro combustione si alza, per farci intendere che questo secondo grido, Alleluia, è il grido di gioia che sarà manifestato dalle due Chiese al momento della loro riunione. Perché appena avranno detto una seconda volta Alleluia, l’Apostolo aggiunge immediatamente: E il fumo della sua combustione si alza nei secoli dei secoli. San Giovanni vuole quindi farci capire con questo che a questo secondo grido Alleluia, inizia la beata eternità per i Santi di queste due Chiese, così come un’eternità di dannazione per i figli della prostituta e per tutti gli abitanti della grande Babilonia. Avrebbe potuto l’Apostolo esprimere con più forza e verità l’eternità ed il rigore dei tormenti a cui saranno condannati gli abitanti di questa grande città, che dicendo: E il fumo del suo incendio si eleva per i secoli dei secoli?

 III. Vers. 4. E i ventiquattro vegliardi ed i quattro animali si prostrarono ed adorarono Dio, che era assiso sul trono, dicendo: Amen, Alleluja. Questi ventiquattro vegliardi sono i dodici Patriarchi dell’Antico Testamento ed i dodici Apostoli del Nuovo. C’è così, l’universalità dei Pontefici e dei Dottori della Chiesa, etc. I quattro animali sono gli Evangelisti. Ora tutti questi Santi uniranno le loro voci a quella di tutta la Chiesa, si prostreranno ed adoreranno Dio, che è seduto sul trono della sua gloria nel cielo. E con questo atto unanime di adorazione, essi manifesteranno i loro sentimenti di gioia, di amore, di riconoscenza sì solennemente… ed essi diranno: Amen, così sia; cioè che si faccia la giustizia di Dio, e così si compia la sua parola, ed aggiungeranno questa parola, Alleluja; Dio sia lodato per tutte le sue opere.

IV. Vers. 5. E dal trono uscì una voce dicendo: Lodate il nostro Dio, voi tutti suoi servi che lo temete, grandi e piccoli. Questa voce è quella dell’Agnello, Gesù-Cristo, considerato come uomo e come capo di tutta la Chiesa; infatti, questa voce esce dal trono stesso. Ora, non c’è che Gesù-Cristo che sieda sul trono alla destra del Padre, secondo questa parola del Salmista, Ps. CIX: « Il Signore ha detto al mio Signore: siedi alla mia destra, finché non ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi ». Così l’umanità di Gesù Cristo vincerà i suoi nemici e regnerà sul mondo fino alla consumazione dei secoli; ed Egli regna e regnerà anche per tutta l’eternità. Ora, questi nemici della sua umanità gli saranno serviti per essere sgabello per arrivare a questo Regno di gloria; e così l’Uomo-Dio continuerà ad essere il Sacerdote eterno secondo l’ordine di Melchisedech. Perciò Gesù Cristo, considerato come uomo e come Capo di tutta la Chiesa, dirà: Lodate il nostro Dio. Gesù Cristo come uomo, anche se Dio stesso, può dire, come rappresentante della nostra umanità: Lodate il nostro Dio, voi tutti suoi servi, che lo temete, grandi e piccoli. Perché è qui che vediamo chiaramente l’ufficio di “mediatore” che Gesù Cristo esercita tra Dio e gli uomini. Troviamo nella Scrittura un esempio di questo modo di parlare di Gesù Cristo, quando al momento della sua morte chiamò Dio suo Padre: Mio Dio! Marco, XV, 34: « All’ora nona Gesù gridò a gran voce, dicendo: Eloi, Eloi, lama sabacthani, cioè: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? » Queste parole devono essere attentamente esaminate: tutti voi che lo temete; cioè tutti voi che il timore del Signore ha contenuto nella bontà di Dio e che siete stati abbandonati alla penitenza. Cosa di più vero, pertanto, che Gesù Cristo, come Capo della Chiesa, invita in questo momento solenne, tutti i suoi che saranno stati i servi di Dio e che l’avranno temuto durante la vita del mondo, inviti a lodare Dio nella sua gloria, nella sua potenza, nella sua giustizia e nella sua santità!

V. Vers. 6. Ed io intesi come la voce di una grande moltitudine, come il fragore di grandi acque e come la voce dei tuoni, che dicevano: Alleluia, perché il Signore nostro Dio, l’Onnipotente, regna. Su questo invito che Gesù-Cristo indirizza alla sua Chiesa, San Giovanni sentì come una voce, cioè come una sola voce, che rappresentava l’unione e l’accordo di tutti gli Angeli ed i Santi della corte celeste, indicata dalle parole: di una grande moltitudine… L’ho sentita come la voce di grandi acque, cioè la voce di tutti i Santi della Chiesa militante, che hanno sofferto nelle acque delle tribolazioni, e come la voce dei tuoni; i Dottori ed i predicatori, che tutti insieme si faranno sentire come una sola voce, dicendo: Alleluia, lodiamo il Signore, perché il Signore nostro Dio, l’Onnipotente, regna.

Vers. 7. Rallegriamoci, stiamo nella gioia e rendiamogli gloria, perché è giunto il momento delle nozze dell’Agnello, e la sua sposa vi si è preparata. Tutti questi Santi, dunque, diranno: rallegriamoci. Gioiamo e rendiamo gloria a Dio Padre, perché è giunto il momento delle nozze dell’Agnello Gesù-Cristo; cioè è giunto il momento in cui lo sposo Gesù-Cristo debba essere glorificato ed unirsi alla sua Sposa che è la Chiesa, nei secoli dei secoli. Questa Sposa gioirà delle presenza dello Sposo, non con la fede e la speranza, ma essa lo vedrà così com’è, ed il suo amore non avrà più limiti e non sarà più velato. E la sua Sposa vi si è preparata; in effetti i Santi della Chiesa militante si sono preparati a queste nozze; infatti, le virtù ed i meriti dei Santi sono i loro abiti, e la loro veste nuziale. È ciò che San Giovanni spiega con le seguenti parole.

VI. Vers. 8. E le è stato dato di vestirsi di lino bianco e puro; e questo lino è la giustizia dei Santi … – E le è stato dato … cioè è Dio Padre che ha dato ai Santi della Chiesa, Sposa di Gesù Cristo, di rivestirsi di giustizia, secondo San Giacomo, (I, 17): « Ogni grazia buona e ogni dono perfetto viene dall’alto e discende dal Padre dei lumi, nel quale non c’è cambiamento, né ombra, né mutamento di stato. ». È Dio Padre che ha dato alla Chiesa il dono di essere vestita di puro lino bianco per le nozze dell’Agnello. E le ha fatto questo dono per mezzo del suo Figlio Gesù Cristo, senza la fede nel Quale è impossibile piacere a Dio, secondo San Paolo, (Rom. V): « Giustificati dunque per fede, abbiamo pace con Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore, il quale mediante la fede ci ha dato accesso a quella grazia nella quale stiamo e ci gloriamo nella speranza della gloria dei figli di Dio, etc. » E questo lino è la giustizia dei Santi, di cui saranno rivestiti dalla grazia di Dio Padre, nella fede di Gesù Cristo suo Figlio, per apparire ed essere ammessi alla cena delle nozze dell’Agnello. –

VII. vers. 9. L’Angelo allora mi disse: scrivi: beati coloro che sono stati chiamati alla cena delle nozze dell’Agnello; e aggiunse: queste parole di Dio sono veraci. L’Angelo raccomanda specialmente a San Giovanni di scrivere queste parole di incoraggiamento per tutta la Chiesa militante, e ci esorta con ciò a rivestirci di giustizia, mediante le buone opere fatte nella fede di Gesù-Cristo; infatti, è questo il vestito di lino puro e bianco, che deve essere la nostra veste nuziale, senza la quale non saremo trovati degni di essere nel numero di coloro di cui qui è detto: beati quelli che sono stati chiamati alla cena della nozze dell’Agnello. – La cena è il pasto alla fine del giorno; e questa cena delle nozze dell’Agnello sarà alla fine del giorno della vita di questo mondo; e solo coloro che hanno lavorato nella vigna del Signore, almeno all’undicesima ora, potranno partecipare alla cena di queste nozze. Gli altri che sono stati chiamati e non hanno risposto alla chiamata saranno gettati, mani e piedi, nelle tenebre esterne; … e là ci sarà pianto e stridore di denti. Vedi San Matteo, XXII, 2, ecc. E l’Angelo aggiunse: Queste parole di Dio sono veraci; cioè, queste parole sono una promessa solenne, fondata sulla verità eterna di Dio, a favore di coloro che, essendo stati invitati alla cena delle nozze dell’Agnello, vi compariranno vestiti con l’abito di nozze; e l’Angelo aggiunge queste parole per la consolazione e l’incoraggiamento dei buoni.

Vers. 10 – E mi prostrai ai suoi piedi per adorarlo. Ma egli mi disse: Guardati dal farlo: io sono servo come te e come i tuoi fratelli, i quali hanno testimonianza di Gesù. Adora Dio. Poiché la testimonianza di Gesù è lo spirito di profezia. Questo versetto è stato già spiegato.

SEZIONE II.

SUI CAPITOLI XIX E XX

Del secondo Avvento di Gesù Cristo e della grande cena di Dio.

OSSERVAZIONI PRELIMINARI.

I. Per ben comprendere il seguito di questo capitolo XIX ed il capitolo seguente, è importante notare che San Giovanni ha racchiuso e confuso, in un certo senso, le due apparizioni di Gesù Cristo sulla terra, cioè la sua prima venuta, quando ha stabilito il suo regno spirituale che è la Chiesa, e la sua seconda venuta, quando scenderà dal cielo per giudicare tutti gli uomini. La ragione di questo modo di raccontare di San Giovanni è ammirevole, in quanto egli ci mostra a colpo d’occhio l’intero piano della sapienza eterna nella grande opera della nostra redenzione. Sappiamo dalla teologia che l’ultimo giudizio avrà luogo per tre motivi principali: 1° per glorificare Gesù Cristo; 2° per la consolazione dei buoni; 3° per la confusione dei malvagi. Ora, cosa potrebbe essere più naturale, più vero e anche più ammirevole che rappresentare le due venute di Gesù Cristo, e in generale la sua presenza sulla terra, sempre nella stessa forma e con gli stessi caratteri? Perché come potrebbe Dio Padre glorificare meglio il suo unico Figlio fatto uomo, confortare i buoni e confondere i malvagi, che farlo nelle stesse circostanze e nelle stesse forme in cui Gesù Cristo e i suoi Santi hanno sofferto e i malvagi hanno peccato? Troviamo, inoltre, nella Scrittura, esempi sensibili di questo modo di descrivere gli eventi così simili tra loro, tanto da poter essere considerati come un’unica cosa, da poter essere rappresentati sotto le stesse figure; tra questi esempi, citeremo solo quello in cui il profeta Isaia predice, sotto la figura della Gerusalemme terrena, la gloria e la prosperità promessa alla Gerusalemme celeste. (Vedere Isaia, LX). Le seguenti parole si applicano ugualmente alle due venute di Gesù Cristo sulla terra.

§ 1.

Sulla seconda venuta di Gesù Cristo.

CAPITOLO XIX. – VERSETTI 11-16.

Et vidi cœlum apertum, et ecce equus albus, et qui sedebat super eum, vocabatur Fidelis, et Verax, et cum justitia judicat et pugnat. Oculi autem ejus sicut flamma ignis, et in capite ejus diademata multa, habens nomen scriptum, quod nemo novit nisi ipse. Et vestitus erat veste aspersa sanguine: et vocatur nomen ejus: Verbum Dei. Et exercitus qui sunt in cœlo, sequebantur eum in equis albis, vestiti byssino albo et mundo. Et de ore ejus procedit gladius ex utraque parte acutus, ut in ipso percutiat gentes. Et ipse reget eas in virga ferrea: et ipse calcat torcular vini furoris iræ Dei omnipotentis. Et habet in vestimento et in femore suo scriptum: Rex regum et Dominus dominantium.

[E vidi il cielo aperto, ed ecco un cavai bianco, e colui che vi stava sopra si chiamava il Fedele e il Verace, e giudica con giustizia, e combatte. I suoi occhi erano come fiamma di fuoco, e aveva sulla testa molti diademi, e portava scritto un nome, che nessuno conosce se non egli. Ed era vestito d’una veste tinta di sangue: e il suo nome si chiama Verbo di Dio. E gli eserciti, che sono nel cielo, lo seguivano sopra cavalli bianchi, essendo vestiti di bisso bianco e puro. E dalla bocca di lui usciva una spada a due tagli, colla quale egli percuota le genti. Ed egli le governerà con verga di ferro: ed egli pigia lo strettoio del vino del furore dell’ira di Dio onnipotente. Ed ha scritto sulla sua veste e sopra il suo fianco : Re dei re e Signore dei dominanti.]

.I. Vers. 11. – E vidi il cielo aperto, ed ecco un cavallo bianco; e Colui che lo cavalcava si chiamava il Fedele e il Verace, che giudica e combatte con giustizia.

Queste prime parole, E vidi il cielo aperto… , si riferiscono alle due venute di Gesù Cristo sulla terra, con la differenza che nella prima, il cielo fu aperto invisibilmente agli uomini, mentre nella seconda, tutti gli uomini vedranno Gesù Cristo apparire nelle nuvole, scendere dal cielo, per giudicare i vivi e i morti. La prima volta la sua venuta fu manifestata da una stella, che era il tipo della luce, della verità e della giustizia eterna che annunciava, in Gesù Cristo, il Sole di Giustizia, apparso realmente nella forma della nostra carne, in uno stato di povertà, umiltà e sofferenza. (Matth. II, 7ss). La seconda volta, apparirà pure realmente, ma in un modo molto diverso. Perché allora non sarà più preceduto da una stella, ma dalla sua Croce; e così lo strumento della sua umiliazione, povertà e sofferenza precederà Gesù Cristo in segno di trionfo, quando verrà nello splendore della sua gloria, maestà e potenza, come la stella che ne era il tipo, precedette Lui e la sua croce quando venne la prima volta, per rigenerare e illuminare il mondo con le sue virtù ed i suoi esempi. Nella sua seconda apparizione, non si mostrerà più sotto forma di un povero bambino neonato, ma scenderà dal cielo, splendente di gloria come Dio e come uomo. (Matth. XXIV, 30): « Allora il segno del Figlio dell’uomo apparirà nel cielo,  e tutte le tribù della terra gemeranno, e vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nuvole del cielo con grande potenza e grande maestà. » – Ed ecco un cavallo bianco. Queste parole sono una figura simile a quell’altro passo dell’Apocalisse, dove si dice: “E uscì un altro cavallo rosso, etc. ... La differenza nel significato di questi cavalli si spiega con il loro colore. Così, il cavallo bianco in questione rappresenta qui la giustizia, la santità e la verità di Gesù Cristo e la Sua dottrina, mentre gli altri cavalli, rosso, nero, pallido, etc. rappresentavano con i loro colori le false dottrine delle eresie. Questo cavallo bianco rappresenta dunque la dottrina di Gesù Cristo, nella sua prima venuta; ed anche la giustizia, la santità e la verità, che risplenderanno in Lui con tutto il loro splendore nel suo secondo avvento. Colui che era in alto si chiamava il Fedele e il Verace. Ora, questi due attributi insieme non possono convenire che a Dio solo, secondo San Paolo, (Rom. III, 4): « Dio è verace e ogni uomo è mendace, come sta scritto: Voi siete riconosciuto fedele nelle vostre parole, e vittorioso quando giudicate. » La parola verace di Dio è il Verbo, cioè Gesù Cristo, che si è fatto carne, secondo San Giovanni, (I, 14): « E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi, e noi vedemmo la sua gloria, come quella dell’unigenito Figlio del Padre, pieno di grazia e di verità. » – Che giudica e combatte con giustizia. Queste parole, che giudica e combatte, messe insieme, mostrano che Gesù Cristo è qui rappresentato nelle sue due apparizioni: 1° come Colui che combatte i malvagi sulla terra; e 2° come Colui che deve giudicare i vivi ed i morti.  Che giudica e combatte con giustizia, perché è il Fedele ed il Verace, cioè vero e fedele in tutte le sue promesse. Si può caratterizzare l’Uomo-Dio in una maniera più ammirabile di come lo fa San Giovanni in due parole che racchiudono tutta la storia dei tempi e dell’eternità?

II. Vers. 12I suoi occhi erano come una fiamma di fuoco, e aveva molti diademi sulla testa, e un nome scritto che nessuno conosce. Questi occhi di Gesù Cristo, come una fiamma di fuoco, rappresentano la giustizia, la verità, la penetrazione, la santità, la carità, la forza, il calore, etc; attributi infiniti di Dio con i quali, secondo l’Apocalisse stessa, (II, 23), Gesù Cristo è venuto e verrà di nuovo sulla terra. « Tutte le chiese sapranno che Io sono colui che scruta i reni ed i cuori ». Sarebbe troppo lungo citare i molti passi della Scrittura in cui si parla di questi occhi di Dio, quindi ci limiteremo ad uno il cui significato si applica al nostro testo. Prov. XVI, 1: « Spetta all’uomo preparare la sua anima e al Signore governare la lingua. Tutte le vie dell’uomo sono davanti ai suoi occhi, ma il Signore pesa gli spiriti. Esponete le vostre opere al Signore, ed Egli farà prosperare i vostri pensieri. » Questi occhi di Gesù Cristo brilleranno soprattutto come una fiamma d’amore per i buoni e d’ira per i malvagi, quando verrà nell’ultimo giorno a giudicare tutti gli uomini. Vedi Salmo VII, 8. Aveva molte corone sul capo, perché Gesù Cristo è Re dei re, Signore dei signori, Creatore del cielo e della terra; perché è Dio e uomo insieme; e infine perché regna su tutte le Virtù, i Principati, le Potenze, i Troni, le Dominazioni, gli Angeli, gli Arcangeli, i Cherubini, i Serafini; sugli Apostoli, i Profeti, i Martiri, i Confessori, i vergini; sui Pontefici, i Prelati, i Dottori, etc. E un nome scritto che nessuno conosce tranne Lui. Abbiamo già visto nel corso di quest’opera che i Santi stessi godranno in cielo di una gloria speciale che nessuna creatura conoscerà, cioè non possiederà, tranne essi, ed è nello stesso senso, e con infinitamente più ragione, che è detto qui di Gesù Cristo, che Egli ha un Nome scritto che nessuno conosce tranne Lui; perché questo nome di Gesù Cristo contiene tutti i suoi attributi divini e i meriti infiniti che nessuna creatura potrebbe possedere, e dei quali nessuna creatura potrebbe conoscere la profondità e l’immensità. Questo Nome di Gesù Cristo, che è menzionato qui, ha soprattutto a che fare con i grandi misteri della Santissima Trinità, l’Incarnazione e la Redenzione, secondo San Paolo, (Filipp., II, 6): « Gesù Cristo, che avendo la forma e la natura di Dio, non ritenne un’usurpazione l’essere uguale a Dio, tuttavia annientò se stesso, prendendo la forma e la natura di servo, rendendosi simile agli uomini, e facendosi riconoscere come uomo da tutto ciò che appariva di Lui fuori. Si è umiliato, facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Perciò Dio lo ha esaltato e gli ha dato un Nome che è al di sopra di ogni nome, affinché nel Nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e negli inferi, e ogni lingua confessi che il Signore Gesù Cristo è nella gloria di Dio suo Padre. »  Da questo si vede che San Paolo confonde in qualche modo il santo Nome di Gesù con la sua gloria, che è anche la gloria di suo Padre. Oh sì, pieghiamo il ginocchio al santo Nome di Gesù sulla terra, aspettando la felicità di piegarlo quando verrà in tutto lo splendore della sua gloria, per invitarci a partecipare alle nozze dell’Agnello!

III. Vers. 13. – Ed era vestito con una veste intinta nel sangue, e il suo nome è il Verbo  di Dio. 1° Chi non riconosce in questa veste macchiata di sangue, la veste di cui fu rivestito Gesù Cristo nella sua benedetta Passione. O adorabile veste che fu tinta del suo prezioso sangue! Aggrappiamoci ad essa come un bambino si aggrappa alla veste di sua madre. Cosa abbiamo da temere sotto una tale protezione? – 2° Queste parole e le seguenti alludono al passaggio di Isaia che citeremo per far ammirare al lettore la somiglianza delle espressioni di questi due Profeti, che apparvero, tuttavia, in epoche così distanti tra di loro? (Isaia, LXIII): « Chi è colui che viene da Edom e Bosra in vesti rosse? Com’è bello nel suo abito, come con quale forza e maestà cammina! Io che parlo con giustizia, sono grande nel soccorrere. Perché dunque la vostra veste è rossa e perché i vostri abiti sono come quelli di coloro che calpestano il vino nel torchio? Sono stato solo a calpestare il vino e nessun uomo del popolo era con me. Li ho calpestati nel mio furore, li ho calpestati nella mia ira, il loro sangue si è versato sulla mia veste e tutte le mie vesti ne sono macchiate. »  – 3º Questa veste rossa rappresenta anche i Martiri; perché il sangue dei Martiri è versato sulla veste di Gesù Cristo, come la veste di cui si copre la povertà di Gesù Cristo stesso, secondo questo detto in  Matth. (XXV, 36): « Ero nudo e mi avete rivestito ». E il suo Nome è il Verbo di Dio. Così questo Nome che nessuno conosce se non Gesù Cristo, questo Nome adorabile è il Verbo di Dio. Potremmo a malapena balbettare se volessimo scandagliare i misteri impenetrabili che sono nascosti sotto questo Nome benedetto. Ci basti adorarLo con timore, umiltà, obbedienza e amore.

IV. Vers. 14. – E gli eserciti che sono nei cieli lo seguivano su cavalli bianchi, vestiti di puro lino bianco.  Questo passaggio si applica anche alle due venute di Gesù Cristo; e il cielo qui significa la Chiesa militante e la Chiesa trionfante. Infatti, Gesù Cristo, nella sua prima apparizione sulla terra, è stato seguito da eserciti di Angeli custodi che combattono per la sua Chiesa, e da armate di Apostoli, Pontefici, Sacerdoti, Dottori, predicatori, vergini, ecc. E tutti questi eserciti lo seguivano su cavalli bianchi di giustizia, verità e santità, vestiti di puro lino bianco, dell’alba sacerdotale, di semplicità, carità, modestia, purezza, rettitudine e castità. 2° Questo passaggio si applica anche alla seconda venuta di Gesù Cristo, perché allora tutti i Santi della Chiesa trionfante e della Chiesa militante verranno con Gesù Cristo per giudicare i vivi e i morti, secondo le parole di Daniele, (VII, 21): « Guardai, ed ecco, questo corno (l’anticristo) faceva guerra ai santi e aveva la meglio  su di loro, finché finché non fosse venuto l’Antico di Giorni (Gesù Cristo). Poi ai santi dell’Altissimo diede il potere di giudicare; e quando il tempo fu compiuto, i Santi entrarono in possesso del regno. » Vediamo questa stessa verità espressa con altre parole nella stessa Apocalisse, (cap. XX , 4): « Vidi anche dei troni e coloro che vi sedevano sopra, e fu dato loro il potere di giudicare. » Ora, chi sono coloro che si siederanno su questi troni, è ciò che San Giovanni spiega nelle parole che seguono nello stesso capitolo: « E le anime di coloro che sono morti per aver reso testimonianza a Gesù, la parola di Dio, e che non hanno adorato la bestia, né la sua immagine, né hanno ricevuto il suo carattere sulla fronte o sulle mani, etc. » Così allora tutti i Santi sono paragonati per numero agli eserciti, così come i figli di Abramo secondo la fede saranno numerosi come le stelle del cielo e la sabbia dei mari; tutti i santi, diciamo, seguiranno il Verbo di Dio su dei cavalli bianchi e saranno vestiti di puro lino bianco per giudicare i vivi e i morti. Tutte queste parole ci danno un’idea della gloria e dell’imponente maestà con cui Gesù Cristo apparirà nelle nuvole per il giudizio universale.

V. Vers. 15. – E dalla sua bocca uscì una spada a doppio taglio per colpire le nazioni; poiché Egli le governerà con uno scettro di ferro; ed Egli stesso calcherà il torchio del vino del furore e dell’ira di Dio Onnipotente. Queste parole si applicano anche alle due venute di Gesù Cristo: E dalla sua bocca uscì una spada a doppio taglio. 1° Questa spada è la parola di Dio, secondo San Paolo; per questo si dice che è uscita dalla sua bocca. (Ef. VI, 17): « Prendete l’elmo della salvezza e la spada spirituale, che è la parola di Dio. » 2 ° Questa spada rappresenta anche la giustizia, la potenza e l’impero di Gesù Cristo sulla terra, Isaia, XI, 4: « Egli renderà giustizia ai poveri e si dichiarerà giusto vendicatore degli umili sulla terra. Egli colpirà la terra con la verga della sua bocca e ucciderà gli empi con il soffio delle sue labbra. » La spada è la figura del potere, della forza e della giustizia dei re; e Gesù Cristo, venendo sulla terra, era e sarà rivestito delle stesse prerogative di un re, secondo queste parole del Salmista (Ps. CIX): « Il Signore disse al mio Signore: Siedi alla mia destra, finché non avrò reso i tuoi nemici uno sgabello per i tuoi piedi. Il Signore farà uscire da Sion lo scettro della tua autorità; tu stabilirai il tuo impero in mezzo ai tuoi nemici. Il principato è con te nel giorno della tua forza, in mezzo allo splendore dei tuoi santi: ti ho generato dal mio seno prima dell’aurora. L’Eterno ha giurato, non si pentirà: tu sei Sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedec. Il Signore è alla tua destra, annienterà i re nel giorno della sua ira. Giudicherà i popoli: riempirà tutto di rovine, stritolerà la testa di un gran numero. Egli berrà sulla via dell’acqua del torrente (cioè le acque delle tribolazione), perciò alzerà il capo. » Sarà esaltato sulla croce, e trionferà eternamente attraverso la croce e con la croce. Tutto ciò che è stato appena detto e citato da Daniele e dal Salmista, spiega chiaramente le parole del testo: E dalla sua bocca uscì una spada a doppio taglio, per colpire le nazioni con la sua parola, con la sua giustizia e con la sua potenza; poiché egli le governerà con uno scettro di ferro. Questo scettro di ferro è la sua spada a due tagli; (Matth. X, 34): « Non sono venuto a portare la pace, ma una spada. » È anche lo scettro che il Signore farà uscire da Sion di cui abbiamo appena parlato. Perché egli governerà le nazioni con uno scettro di ferro. Chi non riconosce in queste parole il Dio degli eserciti, che comanda le potenze del mondo e le fa combattere tra loro secondo i disegni imperscrutabili della sua eterna saggezza, per la sua maggior gloria e per la salvezza dei suoi? E così Egli stesso calpesta il torchio del furore e dell’ira di Dio Onnipotente, per punire i malvagi e salvare i giusti. Poiché tutta la carne ha corrotto le sue vie, il divino Redentore è venuto nel mondo e apparirà di nuovo nell’ultimo giorno, armato della sua spada a due tagli e dello scettro della sua autorità, per governare su tutta la carne … per mezzo di piaghe: guerra, malattia, combattimento spirituale, afflizioni, persecuzioni, la tirannia dei malvagi; è, in una parola, con tutti i mali terreni, che il Signore seduto alla destra del Signore, calca il torchio del furore e dell’ira di Dio Onnipotente. E il risultato è il vino della sua vigna, attraverso la giustificazione dei buoni; e la feccia che resterà nel torchio sarà calpestata e gettata come inutile nel fuoco dell’inferno. Si ricorderà che nel passo di Isaia citato sopra, viene chiesto a Gesù Cristo: « Perché dunque è rossa la tua veste e rossa la tua carne? Perché dunque la tua veste è rossa e perché i tuoi abiti sono come la veste di coloro che calpestano il vino nel torchio? » A questa domanda, GesùCristo risponde: « Io solo ho calpestato il vino e nessun uomo del popolo era con me. » Ed è per questo che aggiunge: « Li ho calpestati nella mia ira, li ho calpestati nella mia collera, il loro sangue è schizzato sulla mia tunica e le mie vesti ne sono macchiate. » Perché quando Gesù Cristo venne a redimerci, Egli era solo a calpestare il vino spirituale della giustificazione degli uomini; perché i Giudei e persino i dottori della legge erano affondati nelle tenebre dell’errore e nel fango delle passioni, e i Gentili non conoscevano il vero Dio; e così Gesù Cristo era solo a calpestare il vino, e … qual vino? Il vino del furore e dell’ira di Dio Onnipotente. Perché Dio, vedendosi abbandonato da tutti gli uomini e persino dal popolo giudaico, che era il suo popolo eletto per osservare la sua legge, dovette entrare in furore contro il genere umano, come ne abbiamo un esempio al tempo di Noè, che fu un tipo di Gesù Cristo, come la sua arca era un tipo della Chiesa. E come allora Dio si pentì di aver creato il mondo, perché tutta la carne aveva corrotto le sue vie, e distrusse tutti gli uomini nelle acque del diluvio, così Dio si pentì di aver creato il mondo, tranne Noè e la sua famiglia, che erano gli unici giusti a rappresentare Gesù Cristo e la sua Chiesa; così alla venuta di Gesù Cristo, tutti gli uomini avevano corrotto le loro vie, e questo adorabile Redentore era il solo a calpestare il vino spirituale della giustificazione degli uomini. Non c’era da meravigliarsi, quindi, che le sue vesti fossero cosparse di sangue, poiché Egli era l’unico uomo giusto il cui sangue poteva essere trovato degno di soddisfare alla giustizia del Dio offeso. La differenza tra la prima ira che Dio fece scoppiare al tempo del diluvio, e la seconda al tempo di Gesù Cristo, è che al diluvio Dio ha sacrificato tutti gli uomini tranne una famiglia, mentre al tempo di Gesù Cristo ne ha sacrificato solo uno per tutti, tanto grande è la potenza, la giustizia e la bontà di Dio!

VI. Vers. 16. – Ed egli porta scritto sulla sua veste e sulla sua coscia: Re dei re e Signore dei signori. 1° La veste di Gesù Cristo è dunque la giustizia, la santità e la verità. 2°. È anche la veste della sua Passione; e poiché con la sua gloriosa Passione ha vinto il mondo e tutte le potenze della terra, sulle quali ha il dominio per la sua eterna giustizia, santità e verità, è con infinita ragione che si dice che egli porta scritto Re dei re e Signore dei signori. 3° San Gregorio, (Hom. XV, in Ezechiele), ci dice anche che per coscia, o per fianco, si intende l’incarnazione di Gesù Cristo: ne consegue, quindi, nella stessa idea, che con la sua incarnazione Gesù Cristo iniziò il regno della sua umanità; perciò, è detto ancora: Egli porta scritto sulla sua coscia: Re dei re e Signore dei signori.

§ II.

Della grande cena di Dio.

CAPITOLO XIX. – VERSETTO 17-21.

Et vidi unum angelum stantem in sole, et clamavit voce magna, dicens omnibus avibus, quæ volabant per medium cœli: Venite, et congregamini ad coenam magnam Dei: ut manducetis carnes regum, et carnes tribunorum, et carnes fortium, et carnes equorum, et sedentium in ipsis, et carnes omnium liberorum, et servorum, et pusillorum et magnorum. Et vidi bestiam, et reges terrae, et exercitus eorum congregatos ad faciendum prælium cum illo, qui sedebat in equo, et cum exercitu ejus. Et apprehensa est bestia, et cum ea pseudopropheta: qui fecit signa coram ipso, quibus seduxit eos, qui acceperunt caracterem bestiæ, et qui adoraverunt imaginem ejus. Vivi missi sunt hi duo in stagnum ignis ardentis sulphure: et ceteri occisi sunt in gladio sedentis super equum, qui procedit de ore ipsius: et omnes aves saturatæ sunt carnibus eorum.

[E vidi un Angelo che stava nel sole, e gridò ad alta voce, dicendo a tutti gli uccelli che volavano per mezzo il cielo: Venite, e radunatevi per la gran cena di Dio: per mangiare le carni dei re, e le carni dei tribuni, e le carni dei potenti, e le carni dei cavalli e dei cavalieri, e le carni di tutti, liberi e servi, e piccoli e grandi. E vidi la bestia, e i re della terra, e i loro eserciti radunati per far battaglia con colui che stava sul cavallo, e col suo esercito. E la bestia fu presa, e con essa il falso profeta, che fece davanti ad essa, prodigi coi quali sedusse coloro che ricevettero il carattere della bestia e adorarono la sua immagine. Tutti e due furono gettati vivi nello stagno di fuoco ardente per lo zolfo: e il restante furono uccisi dalla spada di colui che stava sul cavallo, la quale esce dalla sua bocca: e tutti gli uccelli si sfamarono delle loro carni.]

I. Vers. 17. – E vidi un Angelo che stava in piedi nel sole, e gridò a gran voce, dicendo a tutti gli uccelli che volavano in mezzo all’aria: Venite e radunatevi alla grande cena di Dio. Queste parole sono una figura di ciò che accadrà alla fine del mondo, al tempo della rovina universale. Questo Angelo in piedi nel sole rappresenta il Re del cielo e della terra e di tutto ciò che esiste. Perché verso la fine dei tempi, Dio manifesterà la sua potenza nel sole, con i prodigi che il suo Angelo vi opererà. Con questo segno nel sole, tutti gli uccelli che volano in mezzo all’aria, cioè i giusti e i Santi, saranno convocati e riuniti per la grande cena di Dio e per il trionfo dello spirito sulla carne. Si dice che Egli gridò a gran voce, perché il suo segno nel sole produrrà un tale effetto che tutto l’universo ne sarà scosso. Questo Angelo sarà come quello di cui si è parlato altrove, che riunirà tutti gli uomini al suono della tromba. Infatti, Dio, parlando agli uomini, ha dovuto servirsi di queste immagini sensibili per rappresentare la realtà di questa scena, la più imponente che sia mai avvenuta e che l’uomo non poteva immaginare. La migliore spiegazione di questo passaggio del nostro testo si trova in San Luca, dove vediamo che subito dopo la persecuzione dell’anticristo, e quando il tempo dei Gentili che calpesteranno Gerusalemme sarà compiuto, cioè, quando la grande catastrofe della caduta di Babilonia, menzionata sopra, avrà avuto luogo, gli uccelli che volano nell’aria saranno convocati e riuniti per la grande cena di Dio. Ascoltiamo allora San Luca, (XXI, 25): « (I giusti) cadranno a fil di spada e saranno portati in cattività in tutte le nazioni; e Gerusalemme sarà calpestata dai Gentili, finché sia compiuto il tempo dei Gentili. E ci saranno prodigi nel sole, nella luna e nelle stelle; e le nazioni saranno nella costernazione, a causa del rumore del mare e dei flutti. E gli uomini avvizziranno per la paura, aspettando quello che deve arrivare su tutto il mondo, perché le potenze celesti saranno scosse. Allora vedranno il Figlio dell’Uomo venire in una nuvola con grande potenza e maestà. Ora, quando queste cose cominceranno ad accadere, alzate il capo e guardate in alto, perché la vostra redenzione è vicina. » Queste ultime parole, perché la vostra redenzione è vicina, si spiegano con il passo del nostro testo, dove si dice che tutti gli uomini che sopravvivranno alla caduta di Gerusalemme e alla rovina delle città delle nazioni saranno presi dal timore e daranno gloria a Dio. Così Gesù Cristo, nella sua misericordia, vuole rassicurare, con la sua predizione, tutti gli uomini che moriranno di paura, o saranno distrutti in questa rovina generale della natura, promettendo ad essi la loro redenzione spirituale, secondo San Paolo, Ebr. IX, 27: « Come è stabilito che gli uomini muoiano una volta, e che poi siano giudicati; così Gesù Cristo è stato offerto una volta per cancellare i peccati di molti; e la seconda volta apparirà, non più come caricato dei nostri peccati, ma per la salvezza di coloro che lo aspettano. » Bisogna notare che San Giovanni parla solo del segno nel sole, e questo laconismo è ammirevole, se si considera che essendo il sole l’astro più splendido del cielo, bastava che San Giovanni indicasse un cambiamento in questo solo punto per annunciare lo sconvolgimento generale di tutta la natura, come vediamo, infatti, dal passo di San Luca che abbiamo appena citato. Venite e unitevi alla grande cena di Dio, dirà quest’Angelo.

Vers. 18. – Per mangiare la carne dei re, la carne dei tribuni, la carne dei forti, la carne dei cavalli e dei cavalieri, la carne di tutti gli uomini, liberi e schiavi, piccoli e grandi. 1° Vediamo, dal contesto, che la grande cena di Dio inizierà alla caduta della grande Babilonia e durerà finché si alzerà il fumo del suo incendio, cioè nei secoli dei secoli. (Vedi Apoc., XIX, 3). Infatti, da allora tutta la carne corruttibile e corrotta sarà distrutta per risorgere dopo, con questa differenza che i buoni risorgeranno con tutte le qualità dei corpi gloriosi, mentre i malvagi avranno corpi terribili e spaventosi. Questa distruzione universale di tutti gli uomini è espressa in queste parole: La carne di tutti gli uomini, liberi e schiavi, buoni e cattivi, piccoli e grandi, senza distinzione di persone; perché il peccato originale è comune a tutti noi. Solo la Beata Vergine Maria, Regina del Cielo e Madre degli uomini, ne è esente. È in questa grande cena, in questa eterna cena di Dio, che le anime dei giusti e di tutti i Santi saranno convocate. Sono rappresentati figurativamente come uccelli che volano nell’aria, perché si sono elevati dalla terra e sono stati comprati di tra gli uomini, come primizie consacrate a Dio e all’Agnello. (Vedi cap. XIV, 4.). È a questa grande cena, diciamo, che le anime dei giusti saranno invitate e riunite per mangiare la carne dei re, la carne dei tribuni, la carne dei forti, la carne dei cavalli e dei cavalieri, la carne di tutti gli uomini, liberi e schiavi, piccoli e grandi. Queste parole sono una figura che significa che lo spirito regnerà su tutta la carne e su tutto il potere terreno; come tutta la carne regnava sullo spirito nel mondo corrotto, o nella grande Babilonia e nella grande prostituta. 2º Si sa che i Profeti rappresentano spesso, sotto un’unica figura, persone o cose diverse e anche opposte, purché abbiano qualche somiglianza tra loro; ora è così, diciamo, che San Giovanni rappresenta anche i demoni e le dieci corna della bestia o i re del regno dell’anticristo che odieranno la prostituta, la ridurranno all’ultima desolazione, la spoglieranno, divoreranno la sua carne e la bruceranno tra le fiamme. (Vedi cap. XVII, 16.). Questi demoni e queste dieci corna della bestia saranno usati come strumenti per punire i malvagi, rappresentati dalla carne, e per vendicare i buoni, rappresentati anche dagli uccelli che volano nell’aria. Poiché Dio ha messo nei loro cuori di fare ciò che gli piace. (Apoc. XVII, 17). 3º Questi uccelli di cui si è parlato, rappresentano anche, alla lettera, gli uccelli rapaci che si abbatteranno sui cadaveri degli empi per divorarli, dopo l’orribile carneficina della fine dei tempi. Così leggiamo nel primo libro dei Re, (capitolo XVII, 46), che Davide, andando a combattere contro Golia, gli disse: « Il Signore ti consegnerà nelle mie mani; io ti ucciderò e ti taglierò la testa, e darò oggi i corpi morti dei Filistei agli uccelli del cielo e alle bestie della terra, perché tutta la terra sappia che c’è un Dio in Israele. » 4° Questa grande cena di Dio allude, per contrasto, alla santa Cena in cui Gesù Cristo istituì la santissima Eucaristia, poiché vi scopriamo circostanze perfettamente simili. Infatti: 1° mangiando la carne e bevendo il sangue adorabile di Gesù Cristo, i giusti hanno cominciato a vivere spiritualmente e a diventare quegli uccelli che volano nell’aria, cioè nella sfera della grazia, della fede e della giustizia. (Jo., VI, 47): « In verità vi dico che chi crede in me ha la vita eterna. Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti. Questo è il pane disceso dal cielo, perché chiunque ne mangi non muoia. Io sono il pane vivo disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno; e il pane che Io darò per la vita del mondo è la mia carne. » Ora, per questa vita eterna che i giusti acquistano mangiando la carne di Gesù Cristo, essi acquistano anche l’incomparabile diritto e la prerogativa di dominare su tutta la carne corruttibile e corrotta, e di mangiare o immolare, nell’eterna cena di Dio, la carne dei re e la carne dei tribuni, etc. – 2°. La cena di Gesù Cristo ebbe luogo alla vigilia della sua morte, e attraverso la sua morte i Cristiani entrarono nella vita. E così, al contrario, la caduta della grande Babilonia, che sarà l’inizio della grande cena di Dio, avverrà alla vigilia della nuova vita, la vita eterna dei Santi, e anche alla vigilia della morte del mondo, che cesserà di esistere per sempre. – 3° Pochi giorni dopo l’ultima cena, Gesù Cristo è risorto dai morti. Allo stesso modo, pochi giorni dopo la caduta della grande Babilonia, gli uomini risorgeranno per l’eternità. – 4° Il pane della Cena del Signore doveva dare la vita ai buoni e la morte ai malvagi; e così nella grande Cena di Dio i buoni avranno la vita e i malvagi la morte eterna. – 5°. Il pane della Cena del Signore dà vita all’anima per il tempo, al corpo e all’anima dei buoni per l’eternità. Anche così, per contrasto, alla grande cena di Dio, alla caduta della grande Babilonia, la carne dei re, la carne dei tribuni, la carne dei forti, etc. sarà distrutta per il tempo, e l’anima e il corpo dei malvagi soffriranno per l’eternità. 5° Questa grande cena è letteralmente quell’immensa e terribile carneficina che avrà luogo sulle montagne della Giudea, quando tutti i popoli della terra vi accorreranno in massa, e gli stessi Giudei saranno tornati da terre straniere. La descrizione di questo orribile dramma si trova nella profezia di Ezechiele, XXXVIII, che contiene in altri termini quello che ci ha dato il venerabile Holzhauser. 6° Infine, queste parole sono una figura del giudizio universale.

II. Vers. 19. E vidi la bestia e i re della terra e i loro eserciti riuniti per far guerra a colui che sedeva sul cavallo e al suo esercito. San Giovanni ritorna di nuovo su questa grande catastrofe della caduta di Babilonia per presentarcela in tutti i suoi aspetti. La prima volta lo ha fatto in occasione della morte di Enoch ed Elia, e del trionfo dei Santi sui malvagi; ora vi ritorna in occasione del trionfo di Gesù Cristo e della grande cena di Dio. Questo è ciò che vediamo in questo passaggio: E vidi la bestia, l’anticristo, e i re della terra e i loro eserciti riuniti, cioè vidi i malvagi, che l’anticristo riunirà sotto i suoi vessilli, per fare guerra contro Colui che montava sul cavallo ed il suo esercito: Gesù Cristo e i suoi Santi. E quale sarà il risultato di questa guerra? Questo è ciò che ci dice Gesù Cristo nelle seguenti parole, parole di incoraggiamento e di consolazione per la Sua Chiesa.

Vers. 20. Ma la bestia fu presa, e con essa il falso profeta che aveva fatto prodigi in sua presenza, prodigi con i quali aveva sedotto coloro che avevano ricevuto il carattere della bestia, e che avevano adorato la sua immagine; ed entrambi furono gettati vivi nello stagno pieno di fuoco e di zolfo.

Vers. 21. – E gli altri furono uccisi con la spada che usciva dalla bocca di Colui che sedeva sul cavallo, cioè con la potenza e il soffio di Gesù Cristo; e tutti gli uccelli si saziarono della loro carne. Queste parole significano che tutti i Santi saranno presenti al grande trionfo di cui si parla, e che avranno il potere di giudicare e condannare i malvagi. Queste parole sono anche una conferma di ciò che è stato detto, che la caduta di Gerusalemme e delle città delle nazioni sarà il preludio immediato alla fine del mondo, l’ultimo giudizio ed il trionfo eterno di Gesù Cristo con i suoi Santi.

III.

Ricapitolazione.

OSSERVAZIONE PRELIMINARE.

I. Prima di passare al capitolo XX dell’Apocalisse, è bene ricordare al lettore che questo capitolo contiene un riassunto di tutto il regno di Gesù Cristo sulla terra. Questo capitolo è diviso in tre parti che sono: – 1. Il primo Avvento di Gesù Cristo e il suo regno spirituale dalla Chiesa fino all’anticristo. Questo regno è rappresentato da un periodo di mille anni, durante il quale l’antico serpente che è il diavolo e satana sarà stato legato. – 2° Questo capitolo descrive poi il regno dell’anticristo, quando satana sarà nuovamente liberato. – 3° Infine, l’ultima parte contiene la seconda venuta di Gesù Cristo o l’ultimo giudizio.  – Inoltre, questo stesso capitolo presenta un’altra divisione in due punti principali, che sono: la prima e la seconda risurrezione. Si noterà che San Giovanni ritorna di nuovo sulle stesse cose, ed è, come abbiamo detto, per presentare questi eventi, così importanti e così interessanti per la Chiesa, sotto tutti i loro aspetti. Questo capitolo può quindi essere considerato come una ricapitolazione o una perorazione di queste rivelazioni di Gesù Cristo. Questo capitolo è di grande utilità per dare più forza e vigore a tutto ciò che San Giovanni ha predetto. Esso serve anche come una preziosa conferma ed una chiarificazione per la comprensione e lo sviluppo di tutto ciò che precede.

§ IV.

Sul Primo Avvento di Gesù Cristo e il suo regno di mille anni.

CAPITOLO XX. VERSETTI 1-3.

Et vidi angelum descendentem de cælo, habentem clavem abyssi, et catenam magnam in manu sua. Et apprehendit draconem, serpentem antiquum, qui est diabolus, et Satanas, et ligavit eum per annos mille: et misit eum in abyssum, et clausit, et signavit super illum ut non seducat amplius gentes, donec consummentur mille anni: et post hæc oportet illum solvi modico tempore.

[E vidi un Angelo che scendeva dal cielo, e aveva la chiave dell’abisso, e una grande catena in mano. Ed egli afferrò il dragone, il serpente antico, che è il diavolo e satana, e lo legò per mille anni, e lo cacciò nell’abisso, e lo chiuse e sigillò sopra di lui, perché non seduca più le nazioni, fino a tanto che siano compiti i mille anni: dopo i quali deve essere sciolto per poco tempo.]

I. E vidi un Angelo che scendeva dal cielo, avendo la chiave del pozzo senza fondo e una grande catena in mano. Questo Angelo che scende dal cielo è Gesù Cristo, quando si è fatto carne. Scese dal cielo, essendo uno spirito puro come gli Angeli, ma infinitamente perfetto come Dio; ed essendosi fatto carne è apparso sulla terra come Dio e come Uomo in qualità di Angelo, cioè come uno inviato da Dio suo Padre per compiere la grande opera della nostra redenzione. Avendo in mano la chiave dell’abisso. Questa chiave rappresenta il potere che possedeva come Dio e che usava come Dio e uomo insieme, per la salvezza del mondo. Questa chiave è dunque la figura di tutti i poteri di cui il nostro divino Redentore abbia fatto uso contro il nemico della razza umana, il vecchio serpente, a cui ha dovuto schiacciare la testa. Questo potere è anche quello che ha conferito alla sua Chiesa, ed in generale a tutto il suo esercito in cielo e in terra. Potere di legare e sciogliere, di scacciare i demoni, di fare miracoli, etc. etc., insomma, questa chiave era la chiave dell’abisso, cioè la chiave dell’inferno; ed Egli teneva questa chiave in mano come la chiave della Chiesa, contro la quale le porte dell’inferno non prevarranno mai. Teneva anche in mano una grande catena, la catena dei Papi che sono i suoi anelli, il primo anello dei quali fu San Pietro, che ricevette il suo potere dalla mano di Gesù stesso, un potere che deve continuare ad estendersi fino all’ultimo Papa, che si chiamerà anch’esso Pietro, e che l’anticristo farà uccidere; ed è allora che il diavolo sarà nuovamente slegato per un po’. Questa chiave e questa grande catena sono dunque anche l’autorità della Chiesa e dei Papi.

Vers. 2. E prese il drago, il vecchio serpente, che è il diavolo e satana, e lo legò per mille anni. Si sa dalla storia che con la diffusione del Cristianesimo, gli idoli e il potere del diavolo scomparvero. E così Gesù Cristo legò satana per mille anni. San Giovanni cita di nuovo un numero certo per un numero indeterminato. Questi mille anni rappresentano l’intera durata della Chiesa, da Gesù Cristo fino all’avvento dell’anticristo. E prese il drago … che è il diavolo e satana, cioè il principe dei demoni e il tentatore della razza umana.

Vers. 3. E lo gettò nel pozzo senza fondo, e lo rinchiuse lì, e lo sigillò, affinché non seducesse più le nazioni, finché non fossero compiuti i mille anni, dopo i quali doveva essere sciolto per un po’ di tempo.  Con il suo primo avvento e l’istituzione della sua Chiesa, Gesù Cristo ha gettato satana nell’abisso, cioè ha relegato il suo potere all’inferno e vi ha posto un sigillo, il sigillo della sua parola, della sua volontà e della sua  promessa: (Matth. XVI, 18): « E io ti dico che tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia chiesa, e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. » E vi pose un sigillo, affinché non ingannasse più le nazioni, come ai tempi dei pagani, degli idoli e degli indovini, etc.; finché i mille anni, cioè gli anni della durata della Chiesa e del Sacrificio perpetuo, siano compiuti, dopo di che, perché si adempiano le profezie, deve essere sciolto per un po’ di tempo; per la durata cioè, del regno dell’anticristo, che sarà breve, poiché quando entrerà nella pienezza del suo regno, vivrà solo quarantadue mesi naturali. Ed è durante questo intervallo che satana sarà sciolto per sedurre le nazioni, con i suoi prodigi, con le sue imposture e con le sue persecuzioni.

§ V.

Della prima risurrezione.

CAPITOLO XX . VERSETTI 4-6.

Et vidi sedes, et sederunt super eas, et judicium datum est illis: et animas decollatorum propter testimonium Jesu, et propter verbum Dei, et qui non adoraverunt bestiam, neque imaginem ejus, nec acceperunt caracterem ejus in frontibus, aut in manibus suis, et vixerunt, et regnaverunt cum Christo mille annis. Ceteri mortuorum non vixerunt, donec consummentur mille anni. Hæc est resurrectio prima. Beatus, et sanctus, qui habet partem in resurrectione prima: in his secunda mors non habet potestatem: sed erunt sacerdotes Dei et Christi, et regnabunt cum illo mille annis.

[E vidi dei troni e sederono su questi, e fu dato ad essi di giudicare: e le anime di quelli che furono decollati a causa della testimonianza di Gesù, e a causa della parola di Dio, e quelli i quali non adorarono la bestia, né la sua immagine, né ricevettero il suo carattere sulla fronte o sulle loro mani, e vissero e regnarono con Cristo per mille anni. Gli altri morti poi non vissero, fintantoché siano compiti i mille anni. Questa è la prima risurrezione. Beato e santo chi ha parte nella prima risurrezione: sopra di questi non ha potere la seconda morte: ma saranno sacerdoti di Dio e di Cristo, e regneranno con lui per mille anni.]

I. Vers. 4. – E vidi dei troni e coloro che vi sedevano, e fu dato loro il potere di giudicare; e le anime di coloro che morirono per la testimonianza di Gesù e per la parola di Dio, e che non adorarono la bestia, né la sua immagine, né ricevettero il suo carattere sulla loro fronte o nelle loro mani; e vissero e regnarono mille anni con Gesù Cristo. Questo passaggio offre, a prima vista, una difficoltà molto grande, a causa del tipo di confusione che San Giovanni sembra fare dei Martiri del tempo dell’anticristo, con gli altri che regneranno durante i mille anni del regno di Gesù Cristo e della Chiesa; e anche a causa dei due tipi di morte di cui parla in questo versetto e in quello seguente, il cui significato è difficile da afferrare a prima vista. Ma questa apparente confusione contiene una figura ammirevole, con la quale San Giovanni ci rappresenta l’unità e la stretta unione che esiste nel destino dei Santi e dei giusti in tutte le epoche della Chiesa; basta scomporre il suo quadro per cogliere il significato di ciascuna delle figure che contiene. E vidi anche dei troni, cioè San Giovanni vide i dodici troni di cui si parla in San Matteo, (XIX, 27): « Pietro disse (a Gesù): Ora che abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito, che ne sarà di noi? E Gesù disse loro: In verità vi dico: voi che mi avete seguito, quando il Figlio dell’uomo si siederà sul trono della sua gloria nel tempo della rigenerazione, anche voi siederete su dodici troni e giudicherete le dodici tribù d’Israele. » – E vidi anche coloro che sedevano su di essi, cioè i dodici Apostoli e anche tutti i Santi; perché questi dodici troni rappresentano l’universalità dei troni dei Santi che avranno seguito Gesù Cristo come gli Apostoli, e che avranno una parte, di conseguenza, in questa ricompensa nell’essere seduti su troni, per giudicare i vivi e i morti. San Girolamo, nella sua omelia su questo passo del Vangelo, dice anche: Lib. III, in Matth. XIX che: seguire Gesù Cristo è proprio dei credenti. – E fu dato loro il potere di giudicare; abbiamo appena visto che gli Apostoli e i Santi che hanno seguito Gesù Cristo saranno seduti sui troni all’ultimo giudizio, per giudicare, con Gesù Cristo, i vivi e i morti. E le anime di coloro che sono morti per la testimonianza di Gesù e per la parola di Dio, vale a dire cioè, che ho visto anche le anime di tutti i martiri della Chiesa in generale, e quelle degli Apostoli, dei missionari, dei Dottori, dei predicatori, ecc. che sono morti dando testimonianza di Gesù e della parola di Dio. E vidi anche nella stessa visione coloro che moriranno come martiri dopo i mille anni, al tempo dell’anticristo. Perché aggiunge: E le anime di coloro che non hanno adorato la bestia, né la sua immagine, né hanno ricevuto il suo carattere sulla loro fronte o nelle loro mani. San Giovanni vide dunque le anime di tutti i Martiri della Chiesa in generale, e anche quelle della fine dei tempi. Bisogna notare che non menziona i corpi, ma solo le anime di questi Santi, e questo per mostrarci che queste anime godranno della gloria eterna prima della risurrezione universale dei corpi. E vissero e regnarono mille anni con Gesù Cristo. È come se dicesse: i primi Martiri vissero e regnarono mille anni con Gesù Cristo. Ma San Giovanni sembra aver omesso questa distinzione dei primi e degli ultimi Martiri della Chiesa, per farci capire che i Martiri del tempo dell’anticristo vivranno la stessa vita degli altri, cioè la vita di Gesù Cristo. Ora, vivere con Gesù Cristo è regnare, e in questo senso, i Santi appartengono tutti indistintamente al regno di Gesù Cristo e della sua Chiesa; e tutti saranno seduti su troni per giudicare i vivi e i morti. Queste parole: che non hanno adorato la bestia, né la sua immagine, etc., si intendono anche per i primi Martiri della Chiesa, che non si sono prostituiti agli idoli del mondo. Per quanto riguarda la vera e unica distinzione che esiste tra questi Martiri, intendiamo la distinzione del tempo in cui furono messi a morte, San Giovanni la esprime chiaramente con le seguenti parole:

II. Vers. 5 Gli altri morti non entrarono nella vita se non dopo il compimento dei mille anni. Questa è la prima resurrezione. Gli altri morti, i Nartiri del tempo dell’anticristo, entrarono nella vita eterna attraverso il martirio solo dopo che i mille anni furono compiuti, cioè, sono solo quelli che subiranno il martirio dopo i mille anni del regno di Gesù Cristo, quando il diavolo sarà di nuovo slegato al tempo dell’anticristo. Questa è la prima resurrezione, la resurrezione particolare di ciascuno, la resurrezione spirituale che precede la resurrezione universale dei corpi; per questo si chiama la prima resurrezione. Questo passaggio si applica anche ai Giudei e ai Gentili che si convertiranno alla fine del mondo; perché sappiamo che i Profeti designano varie cose nella stessa figura. Gli altri morti non entrarono nella vita se non dopo che i mille anni erano passati. Anche qui il Profeta cita un numero definito per un numero indefinito. Troviamo la spiegazione di questi mille anni del regno di Gesù Cristo nella seconda epistola di San Pietro, (III, 8): « Ma una cosa non dovete ignorare, miei cari, è che agli occhi del Signore, un giorno è come mille anni, e mille anni come un giorno. Quindi il Signore non ha ritardato il compimento della sua promessa, come alcuni immaginano (anche se non è venuto dopo mille anni), ma Egli vi aspetta con santa pazienza, per gli appelli di Pietro, volendo che nessuno perisca, ma che tutti ritornino alla penitenza. » Così, le parole di San Pietro, spiegate nella parentesi che aggiungiamo, per sottolinearne meglio il senso di queste parole – noi diciamo – sono una profezia che preveniva già alla Chiesa primitiva, almeno indirettamente, che il secondo avvento di Gesù-Cristo potrebbe non avere luogo immediatamente dopo che i mille anni del suo regno che si sarebbero adempiuti alla lettera. Perché tutto il contesto mostra che San Pietro ha voluto dare una spiegazione di ciò che si debba intendere moralmente per i mille anni di cui si questiona qui.

III. Vers. 6Beato e santo è colui che partecipa alla prima risurrezione; la seconda morte non avrà dominio su di loro, ma essi saranno sacerdoti di Dio e di Gesù Cristo e regneranno con lui per mille anni. Queste parole e quelle sopra sono un continuo incoraggiamento ai Cristiani, che sono costantemente esposti alla persecuzione da parte dei malvagi. Beato e santo è colui che ha una parte nella resurrezione di cui abbiamo appena parlato. Perché la seconda morte, la morte eterna, che segue la morte temporale, non avrà alcun potere su di loro; ma saranno sacerdoti di Dio e di Gesù Cristo, cioè saranno sacrificatori della propria vita per Dio e per Gesù-Cristo; ed essi offriranno a Dio un continuo sacrificio di lode e di ringraziamento, ed intercederanno presso Dio per i fedeli della Chiesa, e le loro preghiere saranno potenti e facilmente esaudite in virtù dei loro meriti. E regneranno con lui per mille anni, come è stato spiegato sopra.

§ VI.

Del regno dell’anticristo, quando satana sarà nuovamente sciolto.

CAPITOLO XX. VERSETTI 7-10.

Et cum consummati fuerint mille anni, solvetur Satanas de carcere suo, et exibit, et seducet gentes, quæ sunt super quatuor angulos terrae, Gog, et Magog, et congregabit eos in prælium, quorum numerus est sicut arena maris. Et ascenderunt super latitudinem terræ, et circuierunt castra sanctorum, et civitatem dilectam. Et descendit ignis a Deo de cælo, et devoravit eos: et diabolus, qui seducebat eos, missus est in stagnum ignis, et sulphuris, ubi et bestia et pseudopropheta cruciabuntur die ac nocte in sæcula sæculorum.

[E compiti i mille anni, satana sarà sciolto dalla sua prigione, e uscirà, e sedurrà le nazioni che sono nei quattro angoli della terra, Gog e Magog, e le radunerà a battaglia, il numero delle quali è come la rena del mare. E si stesero per l’ampiezza della terra, e circondarono gli accampamenti dei santi e la città diletta. E dal cielo cadde un fuoco (spedito) da Dio, il quale le divorò: e il diavolo, che le seduceva, fu gettato in uno stagno di fuoco e di zolfo, dove anche la bestia, e il falso profeta saranno tormentati dì e notte pei secoli dei secoli.]

I. Vers. 7E dopo che i mille anni saranno compiuti, Satana sarà sciolto, uscirà dalla sua prigione e radunerà le nazioni che sono ai quattro angoli del mondo, Gog e Magog, e le riunirà per la battaglia, e il loro numero sarà come la sabbia del mare. – E dopo che mille anni saranno compiuti, cioè dopo il regno di Gesù Cristo e della Sua Chiesa sulla terra, durante le prime sei età, satana sarà slegato e lasciato libero di regnare di nuovo come ai tempi del paganesimo e peggio. Uscirà dalla sua prigione, dall’inferno, dove il suo potere era stato relegato, e sedurrà le nazioni che sono ai quattro angoli del mondo, cioè le nazioni della terra. Sedurrà anche Gog che, secondo Sant’Agostino, sarà l’anticristo; e secondo San Girolamo, il rappresentante di tutti gli eresiarchi. E Magog che, secondo lo stesso San Girolamo, rappresenta tutti i settari della dottrina dell’anticristo. Ora, questi settari saranno numerosi, poiché l’anticristo estenderà il suo potere su tutte le nazioni della terra. Ed egli li radunerà per la battaglia di cui si è parlato, per fare guerra a Dio stesso nel giorno della grande battaglia di Dio Onnipotente. E il loro numero sarà come la sabbia del mare, cioè un gran numero di tutti i popoli della Libia, dell’Etiopia, della Persia, dei popoli del Nord, di Gomer e di tutti i suoi battaglioni, della casa di Thogorma, vicina al Nord, con tutta la sua forza e la moltitudine dei suoi popoli, ecc. ecc. (Vedere Ezechiele, XXXVIII).

II. Vers. 8 . E salirono sulla faccia della terra e circondarono l’accampamento dei santi e la città amata, vale a dire che questi grandi eserciti si accamperanno sui monti della Giudea e circonderanno l’accampamento dei Santi e la città amata, che è Gerusalemme, figura della Chiesa, dove è stato trovato il sangue dei Profeti e dei Santi e di tutti coloro che sono stati sulla terra. (Vedi cap. XVII, 24). Ricordiamo che Gerusalemme, presa letteralmente, rappresenta la grande Babilonia e, in senso mistico, è una figura della Chiesa di Gesù Cristo.

Vers. 9. – Ma il fuoco di Dio scese dal cielo e li divorò, e il diavolo che li aveva ingannati fu gettato nel lago di fuoco e di zolfo, dove la bestia

Vers. 10. – … E i falsi profeti saranno tormentati giorno e notte nei secoli dei secoli. Questo passaggio è già stato citato e spiegato, in occasione della caduta di Babilonia. Si ripete qui, come abbiamo detto, in forma di perorazione, come tutto il capitolo.

§ VII.

Sulla seconda risurrezione e l’ultimo giudizio.

CAPITOLO XX. VERSETTI 11-15.

Et vidi thronum magnum candidum, et sedentem super eum, a cujus conspectu fugit terra, et caelum, et locus non est inventus eis. Et vidi mortuos, magnos et pusillos, stantes in conspectu throni, et libri aperti sunt: et alius liber apertus est, qui est vitae: et judicati sunt mortui ex his, quae scripta erant in libris, secundum opera ipsorum: et dedit mare mortuos, qui in eo erant: et mors et infernus dederunt mortuos suos, qui in ipsis erant: et judicatum est de singulis secundum opera ipsorum. Et infernus et mors missi sunt in stagnum ignis. Hæc est mors secunda. Et qui non inventus est in libro vitæ scriptus, missus est in stagnum ignis.

[E vidi un gran trono candido, e uno che sopra di esso sedeva, dalla vista del quale fuggirono la terra e il cielo e non fu più trovato luogo per loro. E vidi i morti grandi e piccali stare davanti al trono; e si aprirono i libri: e fu aperto un altro libro che è quello della vita: e i morti furono giudicati sopra quello che era scritto nei libri secondo le opere loro. E il mare rendette i morti che riteneva dentro di sé: e la morte e l’inferno rendettero i morti che avevano: e si fece giudizio di ciascuno secondo quello che avevano operato. E l’inferno e la morte furono gettati nello stagno di fuoco. Questa è la seconda morte. E chi non si trovò scritto nel libro della vita, fu gettato nello stagno di fuoco.]

I. Vers. 11. – E vidi un grande trono bianco, e uno seduto davanti alla cui faccia la terra e il cielo fuggirono e il loro posto non fu più. San Giovanni passa ora al giudizio universale, e ci dice: Ho visto nella mia immaginazione un grande trono bianco. Questo trono sono le nuvole sulle quali apparirà il Figlio dell’Uomo. … e uno solo seduto, cioè Nostro Signore Gesù Cristo stesso. (Matth. XXIV, 30): « E allora apparirà in cielo il segno del Figlio dell’uomo (il segno della Croce) e tutte le tribù della terra gemeranno, e vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nuvole del cielo con grande potenza e maestà. » – Davanti al cui volto la terra e il cielo fuggiranno… Ah! allora il cielo e la terra saranno bruciati con il fuoco e poi saranno rinnovati. (II, Pietr., III, 7): « I cieli e la terra che ora esistono sono conservati dalla parola di Dio, e sono riservati per essere bruciati con il fuoco nel giorno del giudizio e della rovina degli empi. Ora come il ladro viene di notte così il giorno del Signore verrà all’improvviso; e allora con il rumore di una tempesta spaventosa i cieli passeranno, e gli elementi saranno dissolti, e la terra con tutto quello che c’è sarà bruciata con il fuoco. Poiché dunque tutte queste cose devono perire, come dovreste essere nelle vostre opere di pioetà e nel vostro comportamento, aspettando e desiderando la venuta del giorno del Signore, quando la violenza del fuoco dissolverà i cieli e fonderà tutti gli elementi! Perché noi attendiamo, secondo la sua promessa, nuovi cieli e una nuova terra, in cui dimorerà la giustizia. Perciò, miei cari, in questa attesa, che il Signore vi trovi puri, irreprensibili e in pace; e credete che la longa pazienza del nostro Signore è la vostra salvezza. » – Noi crediamo con Sant’Agostino, (De Civ. 20, XIV), che questo cambiamento della terra e dei cieli avrà luogo dopo il giudizio e non prima. E il loro stesso posto non si troverà più, cioè essi spariranno completamente nello spazio, e saranno annientati per sempre.

II. Vers. 12.E vidi i morti, grandi e piccoli, in piedi davanti al trono; i libri furono aperti, e un altro libro, il libro della vita, fu aperto di nuovo, e i morti furono giudicati secondo quanto era scritto in quei libri, secondo le loro opere. – E vidi i morti, cioè tutti gli uomini che sono vissuti sulla terra e che tutti, grandi e piccoli, senza distinzione di persone, hanno subito la pena del peccato originale, di cui tutti sono macchiati, tranne la Donna benedetta fra tutte le donne, la Regina del cielo e nostra Madre, la beata Vergine Maria. Ho visto tutti questi morti in piedi davanti al trono per essere giudicati. Il profeta Daniele ci parla anche di questo trono davanti al quale i morti, grandi e piccoli, appariranno per essere giudicati, e ci dice, (cap. VII, 9): « Io ero attento a ciò che vedevo, finché furono posti dei troni e l’Antico dei Giorni (Gesù Cristo) si sedette; la sua veste era bianca come la neve e i capelli del suo capo erano come la lana più bianca e più pura. Il suo trono era delle fiamme ardenti e le ruote di questo trono un fuoco ardente. Un fiume di fuoco uscì rapidamente dalla sua faccia, mille migliaia di Angeli lo servivano e centinaia di migliaia di uomini stavano davanti a Lui. Il giudizio iniziò e i libri furono aperti. » Questi libri sono i libri sacri e anche i libri in cui sono registrate le opere degli uomini; perché Dio le ricorderà tutte nei minimi dettagli e le confronterà con la sua Legge, e la sua Legge con le nostre opere.  Sant’Agostino ci dice che per l’onnipotenza di Dio, queste opere saranno viste e conosciute da tutti gli uomini con una celerità meravigliosa. I libri furono aperti e un altro libro, il libro della vita, fu aperto ancora; questo libro della vita è il libro in cui sono scritti i nomi degli eletti. E i morti furono giudicati da ciò che era scritto in quei libri, cioè sulle loro opere, e dalla legge di Dio applicata alle azioni degli uomini, … e sulle loro opere, cioè secondo il numero e il merito delle loro opere e sulla Legge di Dio applicata alle azioni degli uomini. E i morti furono giudicati da ciò che era scritto in questi libri. Come abbiamo detto, questi morti sono tutti i morti, grandi e piccoli, che stavano davanti al trono, cioè tutti gli uomini; perché secondo San Paolo, (Eb. IX, 27): « È decretato che gli uomini muoiano una volta sola. » Nessuna eccezione è fatta per coloro che hanno partecipato al peccato originale, quindi, queste parole devono essere intese in modo assoluto: E i morti furono giudicati. Inoltre, vediamo dalle differenze nei giudizi indicati nelle parole seguenti che si tratta qui di tutti i morti, i buoni e i cattivi, che saranno tutti giudicati, ed è solo dopo questo giudizio che seguiranno le diverse sentenze, secondo le due categorie a cui tutti gli uomini apparterranno per l’eternità. Queste due categorie sono indicate nel versetto seguente: quella dei buoni con i morti nel mare, e quella dei malvagi con la morte e l’inferno.

III. Vers. 13. – Il mare restituì quelli che erano morti nelle sue acque; anche la morte e l’inferno restituirono i loro morti, e ogni uomo fu giudicato secondo le sue opere. San Giovanni distingue qui due tipi di morti: quelli che sono morti nel mare, e quelli che sono morti nella morte e nell’inferno: anche la morte e l’inferno hanno consegnato i loro morti. Cioè, tutti gli uomini risorgeranno nell’ultimo giorno, i buoni e i cattivi. La resurrezione dei buoni è espressa in queste parole: Il mare ha restituito coloro che sono morti nelle sue acque, nelle acque del Battesimo e nelle acque della penitenza e della tribolazione, secondo le parole dell’Apocalisse, (XXII, 14): « Beati coloro che lavano le loro vesti nel sangue dell’Agnello, perché abbiano diritto all’albero di vita, etc. » La resurrezione dei malvagi, invece, è espressa con queste altre parole: Anche la morte e l’inferno hanno consegnato i loro morti, e ciascuno fu giudicato secondo le sue opere. Ora vediamo chiaramente dalle parole del testo seguente che quelli della morte e dell’inferno sono un tutt’uno, e che saranno tutti condannati al fuoco dell’inferno. La parola morte qui, significa la morte temporale, ed è congiunta alla parola inferno, per significare la morte dell’anima o la morte eterna. E ognuno fu giudicato secondo le sue opere; cioè, i buoni giudicheranno e condanneranno i malvagi; poiché il giudizio di ciascuno sarà ratificato davanti al cielo e alla terra, davanti a tutti i Santi della corte celeste e davanti a tutti gli uomini, per glorificare Dio, per onorare i giusti e per confondere i malvagi. La sentenza di questo giudizio sarà pronunciata dal Giudice sovrano Gesù Cristo, quando dirà ai suoi eletti: Venite, benedetti del Padre mio, prendete possesso del regno preparato per voi, etc.;partite da me, maledetti, nel fuoco dell’inferno, etc. Allora i buoni uniranno la loro voce a quella di Gesù Cristo, dicendo, (Apoc. XIX): « Alleluia, salvezza, gloria e potenza al nostro Dio, perché i suoi giudizi sono veri e giusti, perché ha condannato la grande meretrice che ha corrotto la terra con la sua prostituzione, e ha vendicato il sangue dei suoi servi che le sue mani hanno versato. E diranno una seconda volta (dopo che la sentenza di Gesù Cristo sarà stata pronunciata), Alleluia. E allora il fumo dell’incendio di Babilonia si alzerà nei secoli dei secoli. » Troviamo conferma di questa interpretazione nel libro della Sapienza, V: « Allora i giusti si solleveranno con grande potenza contro coloro che li hanno afflitti e hanno portato via il frutto delle loro fatiche. I malvagi, alla vista di questo, saranno colti da confusione e da un orribile timore, saranno stupiti quando vedranno improvvisamente i giusti salvati contro le loro aspettative. Diranno a se stessi, con rammarico e sospiro nei loro cuori: Questi sono quelli che erano oggetti dei nostri disprezzi e ne facevamo un esempio di persone degne di ogni tipo di rimprovero. Eravamo degli sciocchi, e la loro vita ci sembrava una follia, e la loro morte una vergogna. Eppure qui sono elevati al rango di figli di Dio, e la loro porzione è con i santi. Ci siamo dunque, smarriti dalla via della verità, e la luce della giustizia non ha brillato su di noi, né è sorto su di noi il sole della intelligenza. Ci siamo abbandonati nella via dell’iniquità e della perdizione; abbiamo camminato per vie difficili e abbiamo ignorato la via del Signore. Che cosa ha fatto per noi il nostro orgoglio? Cosa abbiamo guadagnato con la vana ostentazione delle nostre ricchezze? Tutte queste cose sono passate come un’ombra e come un corriere che corre; o come una nave che fende le onde turbolente, di cui non si trova traccia dopo che è passata, o come un uccello che vola nell’aria, senza che si noti dove è passato; si sente solo il rumore delle sue ali che battono l’aria, e la dividono con sforzo. E dopo che abbia completato il suo volo, non si trova più alcuna traccia del suo passaggio; o come una freccia che viene lanciata verso la sua meta; l’aria che divide si ricongiunge immediatamente, senza che nessuno riconosca da dove sia passata. Così non siamo nati che per cessare di essere. Non abbiamo avuto il coraggio di mostrare alcuna traccia di virtù in noi, e siamo stati consumati dalla nostra malizia. Questo è ciò che i peccatori diranno nell’inferno. »

IV. Vers. 14L’inferno e la morte furono gettati nello stagno di fuoco: questa è la seconda morte. 1° Risulta quindi da queste parole che i morti che moriranno nelle acque del mare, saranno salvati; e Sant’Agostino dice che questi morti del mare saranno gli uomini degli ultimi giorni del mondo; ora tutti questi saranno salvati; perché saranno tra coloro che temeranno e daranno gloria a Dio, secondo il nostro testo. 2° Il mare rappresenta anche le tribolazioni e le persecuzioni; perciò questi morti del mare saranno salvati, perché avranno fatto penitenza o avranno subito persecuzioni per aver vissuto piamente nel Signore, secondo San Paolo, (II Tim. III, 12): « Tutti coloro che vogliono vivere in modo pio in Cristo Gesù saranno perseguitati. » 3º Questi morti del mare sono anche i Giudei che saranno stati convertiti, e questi Giudei rappresentano la Chiesa di Gesù Cristo, cioè tutti i veri Cristiani, e specialmente quelli della fine del mondo, di cui si parla nell’Apocalisse, (capitolo XVIII, 17), come dovessero essere convertiti prima dell’ultimo giudizio. – 4 ° Il mare rappresenta il Battesimo e la fede, sia per le tribolazioni, sia per la barca di San Pietro. Per questo si fa riferimento qui alla seconda lettera di San Paolo ai Tessalonicesi, in cui vediamo che questo autore sacro concorda con il nostro testo sulla sorte riservata a coloro che avranno vissuto nella fede e nelle tribolazioni. Infatti  San Paolo ci dice, (II Tessal. II, 12): « Dobbiamo, fratelli miei, rendere continuamente grazie a Dio per voi, come è giusto e opportuno, poiché la vostra fede aumenta di giorno in giorno e l’amore che avete per Dio cresce giorno dopo giorno, e l’amore che avete gli uni per gli altri diventa più abbondante. In modo che noi stessi ci gloriamo di voi nelle chiese di Dio a causa della vostra pazienza e fede in mezzo a tutte le persecuzioni e tribolazioni che dovete sopportare, e che sono segni del giusto giudizio di Dio. Così vi rendete degni del suo regno, per il quale anche voi soffrite. Perché è giusto agli occhi di Dio che Egli dia afflizioni a coloro che vi affliggono, e che voi che siete nella tribolazione, godiate del riposo con noi quando il Signore Gesù scenderà dal cielo e apparirà con gli Angeli che sono i ministri del suo potere, in mezzo alle fiamme, per vendicarsi di coloro che non conoscono Dio e di coloro che non obbediscono al Vangelo di Nostro Signore Gesù Cristo, e che soffriranno la pena della dannazione eterna alla presenza del Signore e davanti allo splendore della sua potenza, quando verrà per essere glorificato nei suoi Santi e per essere ammirato in tutti coloro che avranno creduto in Lui, poiché la testimonianza che abbiamo reso alla sua parola è stata accolta da voi in attesa di quel giorno. »

V. Vers. 15. – E chiunque non fu trovato scritto nel libro della vita fu gettato nel lago di fuoco. Come è stato detto, questo libro della vita è il libro in cui sono scritti i nomi degli eletti, cioè di tutti i giusti che sono esistiti sulla terra e che Dio, nella sua infinita prescienza, ha conosciuto da tutta l’eternità, per essere salvati dalla misericordia di Dio e dalla loro fede e dalle buone opere unite ai meriti del divino Redentore. – Come possiamo vedere, questo capitolo dell’ultimo Giudizio stesso è una ricapitolazione e un riassunto di tutto ciò che precede, proprio come l’ultimo Giudizio, sarà un’analisi di tutto il bene e di tutto il male che gli uomini hanno fatto nel mondo presente.

FINE DEL LIBRO OTTAVO

IL BEATO HOLZHAUSER INTERPRETA L’APOCALISSE: LIBRO NONO