SALMI BIBLICI: “EXAUDI, DEUS, ORATIONEM MEAM, ET NE DESPEXERIS” (LIV)

Salmo 54: “EXAUDI, DEUS, orationem meam, et ne despexeris”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME PREMIER.

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 54

In finem, in carminibus. Intellectus David.

[1] Exaudi, Deus, orationem meam, et ne despexeris

deprecationem meam;

[2] intende mihi, et exaudi me. Contristatus sum in exercitatione mea; et conturbatus sum

[3] a voce inimici, et a tribulatione peccatoris. Quoniam declinaverunt in me iniquitates, et in ira molesti erant mihi.

[4] Cor meum conturbatum est in me, et formido mortis cecidit super me.

[5] Timor et tremor venerunt super me, et contexerunt me tenebræ.

[6] Et dixi: Quis dabit mihi pennas sicut columbæ, et volabo, et requiescam?

[7] Ecce elongavi fugiens; et mansi in solitudine.

[8] Exspectabam eum qui salvum me fecit a pusillanimitate spiritus, et tempestate. [9] Præcipita, Domine, divide linguas eorum; quoniam vidi iniquitatem et contradictionem in civitate.

[10] Die ac nocte circumdabit eam super muros ejus iniquitas; et labor in medio ejus,

[11] et injustitia: et non defecit de plateis ejus usura et dolus.

[12] Quoniam si inimicus meus maledixisset mihi, sustinuissem utique. Et si is qui oderat me super me magna locutus fuisset, abscondissem me forsitan ab eo.

[13] Tu vero homo unanimis, dux meus, et notus meus;

[14] qui simul mecum dulces capiebas cibos, in domo Dei ambulavimus cum consensu.

[15] Veniat mors super illos, et descendant in infernum viventes: quoniam nequitiæ in habitaculis eorum, in medio eorum.

[16] Ego autem ad Deum clamavi, et Dominus salvabit me.

[17] Vespere, et mane, et meridie, narrabo, et annuntiabo; et exaudiet vocem meam.

[18] Redimet in pace animam meam ab his qui appropinquant mihi; quoniam inter multos erant mecum.

[19] Exaudiet Deus, et humiliabit illos, qui est ante saecula. Non enim est illis commutatio, et non timuerunt Deum.

[20] Extendit manum suam in retribuendo; contaminaverunt testamentum ejus;

[21] divisi sunt ab ira vultus ejus; et appropinquavit cor illius. Molliti sunt sermones ejus super oleum; et ipsi sunt jacula.

[22] Jacta super Dominum curam tuam, et ipse te enutriet; non dabit in æternum fluctuationem justo.

[23] Tu vero, Deus, deduces eos in puteum interitus. Viri sanguinum et dolosi non dimidiabunt dies suos; ego autem sperabo in te, Domine.

[ Vecchio Testamento Secondo la Volgata –Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO LIV

Salmo composto da Davide in occasione di una persecuzione o di Saulle o di Assalonne. Si può applicare ad ogni giusto che è perseguitato, ed anche a Dio sofferente nella passione; mentre Davide era figura di Cristo.

Per la fine: sopra i cantici, salmo d’intelligenza,

di David.

1. Esaudisci, o Dio, la mia orazione, e non disprezzare le mie suppliche; volgi a me il tuo sguardo, ed esaudiscimi.

2. Mi son rattristato nella mia meditazione, e son rimasto conturbato alle voci dell’inimico, e per la persecuzione del peccatore.

3. Imperocché mi hanno gettate addosso delle iniquità, e mi contrariano con isdegno.

4. Il mio cuore mi trema nel petto, e un terrore di morte è caduto sopra di me.

5. Il timore e il tremore mi han sorpreso, e nelle tenebre sono involto;

6. E ho detto: Chi mi darà ali come di colomba, e volerò, e avrò riposo?

7. Ecco, che io fuggirei lontano, e mi terrei nella solitudine.

8. Aspetto lui, che mi salvò dall’abbattimento di spirito e dalle procelle.

9. Disperdigli, o Signore, confondi le loro lingue, perché io ho veduto l’ingiustizia e la contraddizione nella città .

10. Dì e notte va attorno, sopra le mura di lei, l’iniquità, e nel mezzo di essa la vessazione e l’ingiustizia.

11 E non si parte dalle piazze di lei l’usura e la frode.

12. Che se un mio nemico avesse parlato male di me, certamente avrei pazientato.

E se uno’ di quei che mi odiavano avesse detto improperii contro di me, avrei forse potuto guardarmi da lui.

13. Ma tu, o uomo di un solo spirito con me, mio soprintendente e mio famigliare,

14. Tu che insieme meco prendevi il dolce cibo, camminammo d’accordo nella casa di Dio.

15. Venga sopra costoro la morte, e vivi scendano nell’inferno, Perocché ogni malvagità è nei loro ridotti  e nei cuori loro.

16. Ma io alzai a Dio le mie grida, e il Signore mi salverà.

17. Alla sera e al mattino e al mezzodì parlerò, e gemerò; ed egli esaudirà la mia voce.

18. Renderà la pace all’anima mia, liberandola da coloro che mi assaliscono: perocché sono in compagnia di molti contro di me.

19. Dio mi esaudirà, e umilierà costoro quegli che è prima dei secoli; perocché eglino non si cangiano, e non hanno timore di Dio: egli ha stesa la mano per dare ad essi la retribuzione.

20. Han profanato il testamento di lui: saran dispersi dall’ira della sua faccia, e il cuore di lui già prende la pugna.

21. Le parole di lui sono più molli dell’olio e pur sono saette.

22. Getta nel seno del Signore la tua ansietà, ed egli ti sostenterà; ei non farà che il giusto ondeggi per sempre.

23. Ma tu, o Dio, condurrai coloro nella fossa di perdizione. I sanguinari e i fraudolenti non avran la metà dei loro giorni, ma io in te spererò o Signore.

Sommario analitico

Davide, è obbligato a fuggire davanti a suo figlio Assalonne, ed è indegnamente tradito da Achitophel, suo amico, suo confidente; Gesù-Cristo è perseguitato dai prîncipi dei sacerdoti, tradito da uno dei suoi Apostoli, ed abbandonato da tutti; ogni fedele è esposto ad ogni sorta di cattivo trattamento e di perfidie. Tale è il triplo soggetto che tratta il Re-Profeta.

I. – Egli invoca il soccorso di Dio e deplora il triste stato in cui si è ridotto:

– 1° dispera di ogni soccorso umano e si rivolge interamente a Dio, al Quale chiede che presti ascolto alla sua preghiera, che gli mostri un volto favorevole e lo esaudisca (1, 2);

– 2° la ragione della sua condotta è la violenta afflizione in cui è piombato (3), e di cui descrive gli effetti: – a) il turbamento della volontà, – b) il timore della morte che lo assale (4); – c) le tenebre che coprono il suo spirito;

– 3° desidera sottrarsi con la fuga ai pericoli che lo circondano, e sembra aver dato inizio all’esecuzione di questo disegno (6. 7);

4° è nell’attesa del potente soccorso di Dio che lo salverà dall’abbattimento dello spirito e dalla tempesta (8).

II. – Egli espone tutta la malvagità, la perversità dei suoi nemici.

1° della città di Gerusalemme e dei suoi nemici: a) essa è piena di iniquità e contraddizione (9); b) di iniquità in coloro che osservano i suoi bastioni (10); c) nelle sue abitazioni, c’è tumulto ed ingiustizia; d) sulle sue piazze, l’usura e la frode (11).

2° Di Achitophel soprattutto, – a) che non è un nemico dichiarato, di cui si può sopportare più facilmente la calunnia ed evitare gli attacchi; – b) ma un amico ingannevole, considerato un amico sicuro e fedele e ammesso alla più grande intimità (13, 14).

III. – Egli predice:

– 1° il loro castigo: a) la morte in questa vita; b) la dannazione eterna nell’altra (15).

– 2° la sua liberazione: – a) egli non cesserà dal chiederla, la sera, il mattino, nel mezzo della giornata (16, 17); – b) Dio lo libererò dai suoi nemici, per quanto numerosi siano; li umilierà, perché non c’è cambiamento in essi; perché essi hanno profanato la sua alleanza; perché le loro parole, più dolci dell’olio sono come frecce appuntite (18-21); – c) Dio accorderà al giusto che mette la sua fiducia in Lui, la conservazione e la stabilità, mentre gli uomini sanguinari ed ingannatori saranno precipitati nel pozzo della morte e non giungeranno a metà della loro carriera (22).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-11.

ff. 1, 3. – Queste parole sono quelle di un uomo turbato, inquieto, immerso nelle tribolazioni …. Perché la sua tristezza, perché il suo turbamento? « Oppresso come sono – egli dice – dalla persecuzione dei miei nemici ». Egli parla dei malvagi che deve sopportare, e dichiara che le loro persecuzioni sono per lui una prova che lo esercita. Non crediate che i malvagi siano inutili in questo mondo, e che Dio non tragga da loro alcunché di buono: ogni malvagio vive per correggersi, per provare il buono ed esercitarlo. Piaccia a Dio che coloro che ora ci provano si convertano e si esercitino a loro volta con noi! Per questo, nel mentre che essi ci esercitano, noi non li odieremo, perché ignoriamo se ciascuno di essi persevererà fino alla fine nel vizio. Spesso, in effetti, vi sembrerà di odiare un nemico mentre odiate un fratello a vostra insaputa (S. Agost.). – La tristezza secondo la fede, non è una tristezza oziosa, languente, dormiente, ma una tristezza applicata a Dio, e che non impedisce l’esercizio della meditazione; una tristezza che sa interrogare Dio nella preghiera, per chiederGli la luce sul suo stato presente e la grazia di ben usarne (Dug.). – I discepoli di Gesù-Cristo non sono più che il loro Maestro; così essi non devono stupirsi dei turbamenti che potrebbero sentire quando a loro si imputano i crimini di cui sono innocenti, o che li si affligge con le persecuzioni (id.).

ff. 4, 5. – Turbe salutari, timore della morte utile e vantaggiosa. Non c’è che la fede che ce lo dà come utilità per la nostra salvezza. L’uomo non dimentica nulla così facilmente come l’inevitabile necessità di morire; anche i giusti spesso non vi pensano come dovrebbero; ed invece non c’è nulla di più potente di questo timore per farci rinunciare a tutte le occasioni di peccato (Dug.). – Non c’è alcun timore più ragionevole né meglio fondato che quello di essere circondato dalle tenebre senza saperlo. Nulla è più capace nell’umiliare un’anima giusta, che questa incertezza nella quale essa si trova sempre in questa vita. Se dopo esser passati dalle tenebre alla luce, essa non ricadrà più per sua colpa dalla luce nelle tenebre; ma questo è un gran soggetto per diffidare sempre di se stessa, ed è ciò che assicura maggiormente la nostra salvezza (Dug.).

ff. 6, 7. – Il salmista si augura la morte o desidera la solitudine … io vorrei, ma sono senza forze, vorrei fuggire, ho paura di accumulare, restando qui, peccati su peccati, o almeno vorrei essere un po’ separato dal genere umano per evitare che nuovi e frequenti colpi non allarghino le mie ferite, e per non presentarmi interamente guarito a nuove persecuzioni. Queste voci non sono rare, e spesso questo desiderio della solitudine si impossessa dello spirito di un servo di Dio, a motivo del gran numero di tribolazioni e di scandali di cui soffre, e dice: « Chi mi darà le ali? ». Se egli vuole delle ali, o piuttosto sente che le sue ali siano legate, se esse gli mancano, che gli siano date; se esse sono legate, che gli siano slegate. Ma colui che lega le ali di un uccello gli dà veramente o gli rende le sue ali. In effetti esse erano come se non gli appartassero più, perché non poteva volare. Delle ali incatenate non sono che un peso. « Chi mi darà – egli dice – delle ali come alla colomba »? (S. Agost.). – Chi mi darà delle ali? Come alla colomba e non come al corvo. La colomba volando cerca di fuggire a ciò che la turba, ma non cessa di amare. In effetti la colomba è vista come il simbolo dell’amore, ed essa ama fino a gemere. Nessuno, oltre alla colomba, ama gemere; notte e giorno essa geme, come se non abitasse che in una terra di gemiti. E che dice il Profeta fedele all’amore: io non posso sopportare le ingiurie degli uomini … Io non posso essere loro utile in niente; piaccia a Dio che io trovi allora riposo, che sia separato da essi con il corpo, ma non per l’amore, per paura che l’amore stesso non sia in me turbato; io non posso essere loro utile con la mia parola, né con la mia conversazione; forse pregando posso servire loro a qualcosa (Id.). – Nella pratica dell’amore sacro, c’è una sorta di ferita che Dio stesso fa all’anima che Egli vuole grandemente perfezionare; perché Egli gli dà dei sentimenti ammirevoli e delle attrattive senza pari per la sua sovrana bontà, come pressandola e sollecitandola ad amarlo; ed allora essa si slancia con forza, come per volare più in alto verso il suo oggetto divino; ma restando in basso, perché non può amare come desidera, o Dio!..  essa sente un dolore che non ha eguali. Nella stesso tempo che è attirata potentemente a volare verso il suo caro diletto, essa è pure trattenuta potentemente, e non può volare, come fosse attaccata alle basse miserie di questa vita mortale ed alla propria impotenza; essa desidera delle ali di colomba per volare al suo riposo e … non ne trova. Eccola dunque acerbamente tormentata tra la violenza dei suoi slanci e quella della sua impotenza. « O miserabile che sono! » Diceva uno di coloro che hanno sperimentato questo travaglio, … chi mi libererà dal corpo di questa mortalità (Rom. VII, 24) (S. Franc. De Sales, T. de l’am. de Dieu, L. VII, ch. XIII). – chi dunque, a meno che non sia completamente depravato dal vizio o appesantito dall’età e dalla cupidigia, non ha provato almeno una volta prima di morire, l’attrazione verso la solitudine? Chi non ha sentito il desiderio ardente di un riposo durevole e regolare, ove la saggezza e la virtù possano fornire un alimento continuo alla vita dello spirito e del cuore, alla scienza e all’amore? Dov’è l’anima cristiana, benché incatenata dai legami del peccato, benché lordata dal contatto con le bassezze terrestri, e che non abbia talvolta sospirato da lungi il profumo che esala uno di questi soavi e segreti asili abitati dalla virtù e dalla devozione e consacrati alla meditazione dell’eternità? Chi non ha sognato un avvenire in cui potrebbe, almeno per un giorno, dire come il profeta: « … io mi sono allontanato con la fuga ed ho dimorato nella solitudine? » (Montalembert, Les Moines d’Occid., introd. ). – Colui che vuole essere sollevato dalla mani di Gesù-Cristo, deve avere delle ali; colui che vuol fuggire il secolo, deve avere ugualmente delle ali, e se non ne ha di proprie, le riceva da colui che può dargliele. Colui che fugge da questo mondo, deve necessariamente prendere il suo volo … Se non può volare come l’aquila, voli almeno come il passero; se non può elevarsi fino al cielo, voli sulle montagne, fugga le vallate, ove l’aria è corrotta dai vapori malsani che vi esalano, e passi sulle montagne. (S. Ambr., De fug. sec.). – È nella solitudine che l’anima, svincolata dagli oggetti sensibili che la tiranneggiano, liberata dal tumulto degli affari che la schiacciano, può cominciare a gustare, in un dolce riposo, le gioie solide e i piaceri capaci di contentarla. Là, occupata a purificarsi dalle sozzure che ha potuto contrarre dal commercio del mondo, più essa diviene pura e distaccata, più è nello stato di attingere alla fonte di queste voluttà celesti che la elevano, la trasportano, la mobilizzano portandola all’Autore di ogni bene. Tutti gli altri divertimenti non sono altro che il fascino per il nostro dolore, il divertimento di un cuore ubriaco. Voi vi sentite in questo tumulto, in questo brusio, in questa dissipazione, in questa uscita da voi stessi? Con quale gioia, dice Davide, « … il vostro servo ha trovato il suo cuore per indirizzarvi la sua preghiera » (Bossuet, Panegyr. de S. Sulpice) – Cosa cercate nel mondo? La felicità? Non c’è! Ascoltate questo grido di afflizione, questo pianto di lamento che si leva da tutti i punti della terra, e si protrae da secolo in secolo. È la voce del mondo. Cosa cercate ancora? Delle luci, dei soccorsi, delle consolazioni per compiere in pace il vostro pellegrinaggio? Il mondo è dedito allo spirito delle tenebre, a tutti i piaceri che esso ispira, a tutti i crimini ed a tutti i mali di cui egli è principe; ecco perché il Profeta gridava: « Io mi sono allontanato, io sono fuggito, ho dimorato nella solitudine ». Là, nel silenzio delle creature, Dio parla al cuore, e la sua parola è così meravigliosa, così dolce e amabile che l’anima non vuole più intendere se non Lui fino al giorno in cui tutti i veli siano lacerati e Lo potrà contemplare faccia a faccia. Il Cristianesimo ha popolato il deserto di queste anime scelte che, sottraendosi al mondo e calpestando i suoi piaceri, i suoi onori, i suoi tesori, la carne e il sangue, ci offrono, nella purezza della loro vita, una immagine della vita dei Santi (Lam., Imit. L. I, ch. XX.). – Ma, per praticare questo ritiro, bisogna necessariamente allontanarsi dall’ambiente in cui si vive, delle relazioni stabilite, dai doveri che la provvidenza impone? No, tutte le guide delle anime sono d’accordo nel rispondere che il Cristiano deve saper costruirsi una solitudine ed un ritiro in se stesso. Sant’Ambrogio insegna che la mortificazione ed il digiuno trasformano i cuori stessi dei Cristiani in una sorta di deserto. [Serm. fer. II Apost. Dom. II. Quadr.]. È allora – egli aggiunge – il Signore ama venire in noi, indirizzandoci queste parole del salmista: « … in una terra deserta, arida e senz’acqua, sono apparso davanti a Voi in un luogo santo ». E meglio ancora, Sant’Agostino ci avverte che la solitudine del Cristiano è la sua coscienza, e che l’anima attenta si fa essa stessa solitudine: « [De divers, quæst. ad Simpl. lib. II, quaest. IV]. – Bisogna sapersi dare delle ore di effettiva solitudine se si vuole conservare la forza dell’anima. « Ovunque Gignit enim sibi ipsa mentis intentio solitudinem ». Bisogna sapersi concedere delle ore di effettiva solitudine, se si vuole conservare la forza dell’anima. « Ovunque voi andrete – continua Sant’Agostino – gli uomini vi raggiungeranno, invaderanno il vostro deserto; perfino i malvagi si mischieranno a voi. Finché sarete sulla terra voi tenterete invano di isolarvi dal genere umano. Il vostro deserto, è la vostra coscienza, ove nessun estraneo penetra, ove siete solo con voi stessi e con Dio ». – È in questo ritiro, in questa solitudine interiore che si trova questo riposo dove si impara a conoscere Dio, ove si studiano le vie di Dio e ci si riempie del timore dei giudizi di Dio, è là che in presenza della maestà di Dio, si esamina il passato, si regola il presente, si prevede l’avvenire, si approfondiscono i propri obblighi, si scoprono i propri errori, si deplora la propria miseria, ci si confonde circa la propria lassità, ci si rimprovera delle proprie infedeltà (Bourd.: Eloig. et fuite du monde.)

II — 8 – 14.

ff. 8. – Dio difende bene allo stesso modo, sia l’abbattimento che l’elevazione dello spirito, sia la pusillanimità che la presunzione. La pusillanimità è essa stessa una presunzione poiché con essa l’uomo non vuole obbedire a Dio, che si abbassa quando Egli lo vuole elevare, e sceglie il riposo quando vuole impegnarlo nel lavoro: disposizione tanto più pericolosa perché persuade l’uomo che è umile, quando invece egli è superbo (Dug.). – « Io attendo colui che deve salvarmi dalla mia pusillanimità e dalla tempesta ». Voi siete sul mare, voi siete in mezzo alla tempesta, e non vi resta che esclamare: « Signore, io muoio! » (Matt. XIV, 30). – Colui che vi tende la mano, che cammina senza paura sul mare; che vi solleva tutto tremante, che appoggia sulla propria forza la vostra sicurezza, che parla in voi, vi dice: Pensate a ciò che ho sofferto … il vostro cuore è turbato, perché Colui nel quale dovete riporre la vostra fiducia è uscito dai vostri pensieri; voi soffrite senza pazienza, perché le sofferenze del Cristo per voi non vi vengono allo spirito. Se il Cristo non si presenta al vostro spirito, è perché Egli dorme; svegliate il Cristo ricordate la vostra fede. (S. Agost.).

ff. 9. – Perché egli dice: « sommergeteli »? Perché essi si sono orgogliosamente levati. Perché dice: « dividete le loro lingue »? perché essi hanno cospirato per fare il male. Ricordatevi di quella volta che un popolo orgoglioso si era elevato dopo il diluvio: cosa si erano detti questi uomini nel loro orgoglio? Per non perire in un nuovo diluvio, costruiamoci una torre alta (Gen. XI, 4). Nel loro orgoglio, essi credevano di essersi fortificati contro i pericoli con la torre che essi elevavano, ma il Signore divise le loro lingue. Essi allora iniziarono a non comprendersi più e tale fu l’origine della molteplicità delle lingue. In precedenza, in effetti, gli uomini parlavano una stessa lingua, ma una sola lingua era buona per uomini dai sentimenti simili, una stessa lingua era buona per uomini senza orgoglio. Al contrario, dato che la loro unione non serviva che a precipitarli in un’orgogliosa cospirazione, Dio, con un pensiero di misericordia divise le loro lingue, così che non comprendendosi, essi non stabilissero tra tutti una perniciosa unità. Uomini orgogliosi causarono la divisione delle lingue; umili Apostoli riunirono tutte le lingue. Lo spirito d’orgoglio disperse le lingue, lo Spirito Santo le ricondusse all’unità (S. Agost.).

ff. 10, 11. – Condotta veramente formidabile della giustizia di Dio, è il punire i crimini con altri crimini. – Iniquità, ingiustizia, violenza, usure, inganni pubblici, è quanto riempie ordinariamente l’esterno e l’interno delle grandi città. – Oppressione, afflizione, lavoro, persecuzione, spoliazione dei loro beni, ciò che soffrono ordinariamente le persone deboli (Dug.).

ff. 12-14. – Gli uomini fanno una grande differenza tra la perfidia di un amico e le violenze di un nemico manifesto e dichiarato; essi sono molto più colpiti dall’ingratitudine del primo, che dai colpi del secondo. Allo stesso modo, Dio è più irritato dalle cadute di coloro che Egli aveva favorito con grazie particolari, che dagli altri peccatori che Egli aveva, in qualche modo, abbandonati al loro senso riprovato. Grande istruzione è questa per tutte le persone chiamate ad uno stato di santità, alla professione religiosa o alle funzioni del santuario (Berthier). – Come un prete infedele, colmato da Dio di tutti questi benefici che gli Angeli gli invidiano, osa parlare di riconoscenza, ed elevare il vizio dell’ingratitudine all’infamia ed all’obbrobrio degli uomini? Essere tradito da un amico che si è riempito di beni di cui si è servito per attentare alla fortuna ed alla vita del suo benefattore: è questo, per il cuore dell’uomo, una ferita profonda, insanabile; egli non cessa di parlarne nelle effusioni dell’amicizia, ed il Re-Profeta mette nella bocca di Gesù tradito dal perfido discepolo, questi rimpianti che non sono ignorati da nessuno. « … ah, se un empio, nemico del mio cuore, un infedele, un estraneo alla mia Chiesa mi avesse fatto una tale ingiuria, ma questo prete che io chiamavo col nome di amico, a cui amavo confidare tutti i miei segreti, che Io ammettevo alla mia tavola, che Io nutrivo, come tutti i miei eletti, col pane della verità, della giustizia; un prete … tradirmi, abbandonarmi, Io non posso soffrilo; Io devo con la mia giustizia infliggere una vendetta esemplare » (Boyer, Retr., eccl. sur le péché ).

III. — 15 – 22.

ff. 15. – È questa unapredizione funesta, la cui esperienza non fa che compiersi ogni giorno. Senza parlare delle morti subitanee, che sono così frequenti, e delle quali si tiene conto sì poco, e per cui quasi nessuno si prende cura nel fare, per la salvezza della propria anima, quanto bisogna nel morire. – È utile scendere spesso ancora viventi nell’inferno, per la viva considerazione degli orribili supplizi che vi si trovano. (Dug.) – Una degli auguri di San Bernardo, e che egli chiedeva con più ardore spiegando queste parole, è che i peccatoti discendessero in spirito e pensiero nell’inferno, non dubitando che la vista di questo spaventoso soggiorno e dei tormenti che vi si patiscono, dovesse fare la più viva impressione sui loro cuori, e convinto che essi non avessero mezzo più sicuro per non cadere, dopo la morte, in questo luogo di miseria, se non con il discendervi con la riflessione durante la vita. Ma per il completo compiersi del proposito di San Bernardo, occorrerebbe che noi potessimo discendere con le stesse conoscenze, e se possibile, con la stessa esperienza dei dannati, alfine di poter giudicare come loro e poterne così trarne, nello stesso tempo, le conseguenze che per loro oramai sono inutili, ma che ci possono essere ancora più salutari. (Bourdiol, Sur l’enfer).

ff. 16, 18. – Dopo la pena dei suoi nemici viene la salvezza del Profeta. La salvezza è l’effetto della preghiera e del grido verso Dio, sebbene queste stessa preghiera e questo grido siano già un effetto dell’assistenza di Dio. Nessuno prega o grida come si debba per essere esaudito, se non sia ispirato da Colui che è nel cuore dell’uomo, il principe di tutti i santi gemiti che Dio ascolta ed esaudisce (Dug.). – Dopo il grido della preghiera, che ne segna l’ardore, segue la perseveranza nella stessa preghiera, espressa da questi tre tempi che comprendono tutti gli spazi della giornata. – Eccellente soggetto della preghiera, è esporre le proprie miserie a Dio ed annunziare le sue misericordie. (Idem). – Noi dobbiamo pregare la sera, al mattino e a mezzogiorno, in onore della SS. Trinità; – per onorare la passione di Gesù-Cristo, che ha sofferto in questi tre tempi: la sera nell’orto degli ulivi; al mattino davanti a Pilato che Lo condanna; a mezzogiorno sulla croce, sulla quale fu inchiodato; – in memoria della Passione, della resurrezione e dell’ascensione di Gesù-Cristo; – all’inizio, nel mezzo ed al termine della vita. – La pace dell’anima è il frutto della redenzione di Gesù-Cristo; è la riconciliazione avvenuta tra Dio e gli uomini con la sua resurrezione.

ff. 19, 20. – Colui che sussiste prima di tutti i secoli, riscatterà la sua Chiesa e il Corpo di Gesù-Cristo, liberandolo dalla corruzione di tanti cattivi Cristiani, e li umilierà con eterna umiliazione, esaudendo la preghiera onnipotente di Colui che intercede per le sue membra. – Quando non c’è cambiamento nel peccatore, non c’è a suo riguardo il cambiamento di Dio. – La mano di Dio tesa per punire, è fonte di tutte le maledizioni da cui una creatura possa essere colpita (Duguet). – Profanare il testamento di Dio è non vivere secondo la sua santa legge. Questa profanazione è talvolta punita in questa vita con la perdita del dono della fede: è la disgrazia più grande che possa colpire un uomo, perché perdendo la fede, egli viene privato di tutte le risorse della salvezza. Coloro che ancora conservano la fede senza praticare le opere, sono pure quasi maledetti, perché la loro fede non impedisce che essi non si induriscano nel peccato, e perché i mezzi di salvezza divengono per loro inutili. Coloro che sono chiamati ad un santo stato, e che vivono senza fervore, profanano anche, in un certo senso, il testamento di Dio; essi abusano delle sue grazie e pervengono al termine della vita non soltanto senza merito, ma anche con peccati senza numero, e quasi mai si convertono interamente alla morte. Infine, le anime che Dio tocca molto nell’orazione e a cui chiede grandi sacrifici, devono vegliare estremamente su se stessi, per riempire tutto ciò che porta il testamento di Dio, senza che si espongano ad essere dissipati come i peccatori (Berthier).

ff. 21. – È questo il carattere degli calunniatori abili, ma pieni di malignità, che tessono dapprima le lodi di colui che « vogliono distruggere, nascondono più sottilmente il colpo che vogliono portare e fanno bere dolcemente il veleno in una bevanda ben preparata. Niente di più dolce c’è di un discorso lusinghiero di un falso amico, e nello stesso tempo niente di più mortale e di più penetrante ». È una dolcezza artificiosa che sotto una falsa sembianza di dolcezza, lusinga per sorprendere, e carezza per colpire con più sicurezza.

ff. 22. – Quanto amabili e facili sono le relazioni tra Dio ed i suoi fedeli servitori! Dolce e comodo è il commercio con questo gran Dio! Il Cristiano porta spesso con pena i fardelli che impone la vita; la sua anima ha sostenuto una lotta lunga e difficile, un peso enorme di dolore e di angosce sta quasi per sopraffarlo. Che ascolti il santo Re che, pure Egli, ha conosciuto delle prove rudi; che ascolti il divin Salvatore che, anche Lui, ha conosciuto che cosa sia il soffrire: con supremo sforzo, come si esprime Bossuet, e come parla il salmista, rigetti su Jehowah questo pesante fardello: egli sarà sostenuto, sarà fortificato. Questo pensiero, Dio lo voglia, rianimerà il suo coraggio, raddoppierà le sue forze. (Rendu). – Egli ritrova durante la vita dei giorni di piombo, in cui il cuore soffoca: aprite le finestre dal lato del cielo, là soltanto troverete un po’ di frescura. Prendete allora il vostro cuore con le sue pene e le sue angosce, sollevatelo con fiducia e gettate questo povero infermo, con tutti i suoi dolori, nel seno di Dio, e Dio sarà come obbligato a soccorrerlo ed a rendergli una vita che non si estingue (Mgr. Landriot, Prière II, p. 41) . – « Dio non lascerà il giusto in eterna agitazione ». Questo si verifica in tre modi: – 1° succede spesso che dopo varie traversie temporali, i giusti respirino infine e gioiscano di uno stato più tranquillo; – 2° succede sempre che l’uomo giusto, ben rassegnato alla volontà di Dio, gusti nella sua anima la pace che, secondo l’Apostolo, sorpassa ogni sentimento, quantunque sia esposto alle persecuzioni esterne, o alle prove interiori; – 3° non succede mai che il giusto sia eternamente esposto ai turbamenti: questa è la sorte dei riprovati (Berthier). – Vi sembrerà fluttuare a caso su questo mare, e già il porto vi riceve; ma prima di entrare nel porto, badate di non lasciar distruggere l’ancora, la nave con l’ancora fluttua certamente, ma non si allontana molto dalla terra: così il giusto è lasciato ai flutti per un tempo, ma non per l’eternità (S. Agost.).

ff. 23. – Il pozzo della corruzione non è altro che tenebre; dalla immersione, Dio li conduce nel pozzo della corruzione, non perché sia l’autore della loro colpa, ma perché li giudica della loro iniquità (S. Agost.). – « Gli uomini sanguinari ed ingannatori non giungeranno a metà della loro carriera ». Queste sentenze che si riproducevano frequentemente nell’antica Legge, non ricevono spesso la loro applicazione nella nuova: Gesù-Cristo leva più in alto i pensieri dei Cristiani. Succede spesso che Dio, nei suoi impenetrabili disegni, lasci prolungare delle esistenze che ci sembrano inutili o anche perniciose, e che abbrevi al contrario, delle vite che ci sembrano infinitamente preziose, come consacrate al suo servizio, ornamento del mondo, ed edificanti la Chiesa. In generale le benedizioni temporali e le minacce dello stesso ordine sono state fatte per i tempi che hanno preceduto la morte dell’Uomo-Dio sulla croce, piuttosto che per i secoli che hanno seguito quella morte. (Rendu). – « Gli uomini di sangue e di menzogna non arriveranno alla metà dei loro giorni; ma io, Signore, porrò in Voi la mia speranza ». Quanto ad essi, sarà giusto che non arrivino a metà dei loro giorni, perché hanno riposto le loro speranze negli uomini. Ma io, passerò dai miei giorni temporali al giorno dell’eternità … e perché? Perché io ho messo in Voi la mia speranza, o Dio mio (S. Agost.).

SALMI BIBLICI: “DEUS, IN NOMINE TUO SALVUM ME FAC” (LIII)

Salmo 53: “DEUS, in nomine tuo salvum me fac”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME PREMIER.

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 53

In finem, in carminibus. Intellectus David, cum venissent Ziphæi, et dixissent ad Saul: Nonne David absconditus est apud nos?

[1] Deus, in nomine tuo salvum me fac,

et in virtute tua judica me.

[2] Deus, exaudi orationem meam; auribus percipe verba oris mei.

[3] Quoniam alieni insurrexerunt adversum me, et fortes quæsierunt animam meam, et non proposuerunt Deum ante conspectum suum.(1)

[4] Ecce enim Deus adjuvat me, et Dominus susceptor est animæ meæ.

[5] Averte mala inimicis meis; et in veritate tua disperde illos.

[6] Voluntarie sacrificabo tibi, et confitebor nomini tuo, Domine, quoniam bonum est.

[7] Quoniam ex omni tribulatione eripuisti me, et super inimicos meos despexit oculus meus.

[Vecchio Testamento Secondo la VolgataTradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO LIII

Davide si era nascosto nel deserto di Zif, ed i Zifei traditori ne avvertirono Saulle che il perseguitava. Lo circondò egli con potente esercito, e pareva ormai disperata per Davide (lib. 1 Reg., c. 23). In quel pericolo Davide compose questo Salmo, orazione a Dio. La prudenza di Davide gli fe’ intendere che nel gran pericolo a Dio si dee ricorrere; e ancor gli fe’ intendere (Dio vivente) che Dio l’avrebbe dal pericolo liberato.

Per la fine: sopra i cantici salmo d’intelligenza di David, essendo andati gli Zifei a dire a Saul: David non è egli nascosto nel nostro paese?

1. Salvami, o Dio, pel tuo nome, e colla tua potenza difendimi.

2. Esaudisci, o Dio, la mia orazione; porgi orecchie alle parole della mia bocca.

3. Imperocché uomini stranieri hanno alzato bandiera contro di me; e uomini potenti cercano l’anima mia, e non hanno avuto Dio dinanzi agli occhi loro.

4. Ecco però che Dio mi aiuta, e il Signore ha preso a difendere la mia vita.

5. Ritorci il male sopra dei miei nemici; dispergili secondo la tua verità. (1)

6. Ti offerirò sacrifizio volontario, e darò laude al nome tuo, o Signore; perché buona cosa ell’è questa.

7. Perocché da ogni tribolazione mi hai liberato, e gli occhi miei con disprezzo han veduti i miei nemici.

(1) In veritate tua; nella verità delle vostre promesse.

Sommario analitico

Davide, circondato dall’armata di Saul nel deserto di Ziph, implora il soccorso di Dio.

I – Egli prega Dio:

– 1° Come suo Salvatore, perché lo liberi dal pericolo; – 2° come suo giudice, perché faccia brillare la sua innocenza (1); – 3° come suo Padre, perché esaudisca prontamente la sua preghiera (2).

II – Egli fa conoscere il furore dei suoi nemici:

– 1° essi si sono levati contro di lui con spirito ostile; – 2° hanno impiegato tutte le loro forze per circondarlo ed impadronirsi della sua persona; – 3° le loro intenzioni sono malvagie, crudeli ed empie (3).

III. – Egli predice la vittoria

Che dovrà alla potente protezione di Dio e che annienterà i suoi nemici (4,5).

IV. – In azioni di grazie a questo promette:

– 1° di immolare delle vittime, – 2° di cantare delle lodi a Dio (6), – 3° di considerare Dio come suo liberatore ed autore della vittoria che ha riportato sui suoi nemici.

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-2.

ff. 1, 2. –  Pregiudizio favorevole che otterrà che la grazia che si domanda, è quello di non ritenersi degni di ottenerla per se stessi. – È già avere ottenuto una grazia migliore di quella che si desidera, l’aver ricevuto la luce per conoscere se stessi e l’umiltà per non elevarsi al di sopra di ciò che si è (Dug.). – Chi dunque è così temerario da sostenere il giudizio di Dio col dirgli: « giudicatemi »? Non è una forma di maledizione il dire a qualcuno « … che Dio ti giudichi »? Sarebbe in effetti una maledizione se Dio vi giudicasse nella sua forza, senza avervi salvato per il suo Nome; ma Egli ha cominciato col salvarvi con il suo Nome, e sarà, per vostra fortuna, che solo in seguito vi giudicherà per la sua forza. (S. Agost.).

II — 3.

ff. 3. – Tutti i nemici della salvezza hanno i caratteri che sottolinea qui il profeta: essi sono degli stranieri in rapporti a noi ed alla salvezza che unicamente ci interessa; essi sono forti e violenti; non propongono nulla di meno se non di perdere la nostra anima; essi sono sempre contrari a Dio, ben lungi dal temere la sua presenza e temerne i castighi. Chi sono questi nemici? L’inferno, il mondo e le nostre passioni, tre potenze maledette da Dio, ma sempre in azione per sedurci, per allontanarci dalle vie della giustizia (Berthier).

III. — 4-5.

ff. 4, 5. – L’Apostolo ha detto: « … se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? ». Non è che non ci resteranno più nemici, ma sarà come se noi non ne avessimo. Questa vita è una guerra continua, ma non si tratta che di aver Dio per sé: con tale protettore non c’è nulla da temere (Berthier).

IV. — 6-7.

ff. 6, 7. – « Io vi offrirò volontariamente un sacrificio ». Perché « volontariamente »? Perché io lo offrirò gratuitamente. Che vuol dire gratuitamente? « Ed io glorificherò Signore il vostro Nome, perché è buono »; per nessun altra ragione se non perché è buono. E ciò che il Profeta dice: io glorificherò il vostro Nome, Signore, perché Voi mi date delle proprietà fertili, perché Voi mi date oro ed argento, perché Voi mi date ampie ricchezze, una grossa somma di denaro, una dignità più elevata? No! Ma perché allora? « Perché Egli è buono ». Io non trovo niente di meglio del vostro Nome; e perché: « Io glorificherò Signore, il vostro Nome perché è buono » (S. Agost.). – Il sacrificio, per essere gradito a Dio, deve essere il frutto del cuore e della volontà. Il sacrificio del Cristiano deve essere ancora puro, cioè nato da un cuore disinteressato, da un cuore che loda ed ama Dio, non a causa dei vantaggi che spera, ma perché niente è più grande né più amabile di Dio (Dug.). – « Poiché mi avete liberato da tutte le mie tribolazioni », è a causa di queste tribolazioni che ho compreso l’eccellenza del vostro Nome; perché se avessi potuto conoscere questa eccellenza prima di soffrire queste afflizioni, forse esse non mi sarebbero state necessarie. Ma l’afflizione mi è servita come avvertimento e questo avvertimento è dato a vostra lode; perché io non comprenderei ove sono, se non fossi avvisato della mia miseria. Voi dunque mi avete liberato da tutte le mie tribolazioni, ed io ho messo gli occhi su tutti i miei nemici con sicurezza. Io sono passato in effetti al di sopra del fiore della loro felicità terrestre per l’elevazione del mio cuore, io sono pervenuto fino a Voi e di là io ho gettato gli occhi su di essi, ed ho « visto che ogni carne è come fieno, e che tutta la gloria umana è come il fiore del fieno ». (Is. XL, 6) (S. Agost.).

SALMI BIBLICI: “DIXIT INSIPIENS IN CORDE SUO, DEUS …” (LII)

Salmo 52: “DIXIT INSIPIENS in corde suo, DEUS… ”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME PREMIER.

PARIS-LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 52

[1] In finem, pro Maeleth intelligentiæ. David.

   Dixit insipiens in corde suo: Non est Deus.

[2] Corrupti sunt, et abominabiles facti sunt in iniquitatibus; non est qui faciat bonum.

[3] Deus de cælo prospexit super filios hominum, ut videat si est intelligens, aut requirens Deum. (1)

[4] Omnes declinaverunt, simul inutiles facti sunt; non est qui faciat bonum, non est usque ad unum.

[5] Nonne scient omnes qui operantur iniquitatem, qui devorant plebem meam ut cibum panis?

[6] Deum non invocaverunt; illic trepidaverunt timore, ubi non erat timor. Quoniam Deus dissipavit ossa eorum qui hominibus placent: confusi sunt, quoniam Deus sprevit eos.

[7] Quis dabit ex Sion salutare Israel? Cum converterit Deus captivitatem plebis suæ, exsultabit Jacob, et lætabitur Israel. (2)

[Vecchio Testamento Secondo la VolgataTradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO LII

Salmo da cantare sull’istrumento musicale detto Maeleth;

di intelligenza di Davide, perché da Davide doveasi riprendere l’insipienza del genere umano che egli nel Salmo deplora.

Per la fine: sul Maeleth; salmo d’intelligenza di David.

1. Disse lo insensato in cuor suo: Iddio non è.

2. Si sono corrotti, e sono divenuti abominevoli nelle iniquità: non havvi chi faccia il bene.

3. Dio gettò lo sguardo dal cielo sopra i figliuoli degli uomini per vedere se siavi chi abbia l’intelletto, o chi cerchi Dio. (1)

4. Tutti sono usciti di strada, son divenuti egualmente inutili: non avvi chi faccia il bene, non ve n’ha nemmen uno.

5. Non se n’avvedrann’eglino tutti coloro che fan loro mestiere della iniquità, che divoranoil popol mio, come un pezzo di pane?

6. Non hanno invocato Dio; ivi tremaron di paura, ove non era timore.

Imperocché Dio ha spezzato le ossa di coloro che godon la grazia degli uomini; son rimasti svergognati, perché Dio gli ha dispregiati.

7. Chi darà di Sionne la salute d’Israele? Quando Dio libererà il popolo suo dalla schiavitù, esulterà Giacobbe e rallegrerassi Israele. (2)

(1) Si sono qui inseriti (Ps. XIII) tre versetti che San Paolo cita a proposito del versetto 3 di questo Salmo e che egli estrae da diversi passi della Scrittura, è un artefatto del copista (Le Hir.).

(2) Questo ultimo versetto è stato probabilmente aggiunto durante la cattività di Babilonia.

Sommario analitico

Il Profeta, in questo Salmo, che è quasi una ripetizione del Salmo XIII, ci dipinge la corruzione come cosa generale nel popolo di Dio.

I. Egli mostra e deplora:

1° l’empietà dell’ateo, a) nella sua intelligenza per cui nega Dio (1); b) nella sua volontà, che egli contamina con ogni sorta di peccati (2); c) nelle sue opere, omettendo di fare il bene e commettendo positivamente il male, accanendosi contro il popolo di Dio (3-5).

2° il castigo dell’ateo, a) egli è sempre tremante, perché non invoca Dio; b) Dio lo distrugge, lo copre di confusione e lo rigetta (6).

II. Egli mostra la felicità dei giusti:

1° la salvezza che essi ottengono da Dio; 2° la libertà; 3° la gioia (7).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-6.

ff. 1. – L’insensato non osa dirlo con le labbra, lo dice nel suo cuore, o piuttosto è il suo stesso cuore, cioè i desideri corrotti del suo cuore, che lo ha detto; non che egli lo creda, ma perché vorrebbe che non ci fosse un Dio vendicatore dei suoi crimini (Dug.). – L’insensato ha trovato un accordo tra la sua ragione ed il suo cuore: la sua ragione gli ha detto che non c’è Dio, ed il suo cuore ribelle gli ha detto che non ce n’è affatto; e poiché il suo cuore sfortunatamente ha prevalso sulla sua ragione, malgrado le istanze della sua ragione, egli ha seguito i movimenti del suo cuore fino a concludere, conformemente ai suoi desideri, che non c’è Dio nell’universo (Bourd. Aveugl. spir.). – Quanti ancora dicono che il Cristo non è Dio! È il linguaggio di colui che resta pagano; è il linguaggio dei Giudei che, disseminati dappertutto, portano dappertutto con sé la testimonianza della loro confusione, ed è anche il linguaggio di molti eretici (S. Agost.).

ff. 2. – L’iniquità, cioè il peccato deliberato della volontà, è la fonte corrotta del cuore degli empi, che li rende abominevoli davanti a Dio. – « Non c’è nessuno che faccia il bene », perché oltre all’infinità di coloro che fanno apertamente il male, quanti sono quelli che fanno convenientemente il bene che sembrano fare? (Dug.).

ff. 3. – E come? Dio ignorava che fossero divenuti tali? Se dunque Egli li conosceva, se sapeva cosa essi erano, da cosa viene ciò che qui è detto: Dio ha rivolto gli occhi nel cielo, etc. Queste parole indicano l’azione di qualcuno che cerca e non di qualcuno che sa … Questa questione è risolta dal linguaggio abituale della Scrittura, che attribuisce a Dio ciò che fa la creatura con l’aiuto dei doni di Dio (S. Agost.). – L’attività, l’intelligenza degli uomini è in ogni altra cosa che non riguardi Dio. Essi cercano tutto con ardore, eccetto Dio, verso il Quale essi non hanno che insensibilità, indifferenza.

ff. 4. – Grande sventura è il non essere nel retto cammino. – Sventura ancora più grande è il fuoriuscirne quando vi si è. Vita inutile, molle, voluttuosa, in cui si attende a gioire tranquillamente della vita, della salute, dei beni acquisiti, delle dolcezze, delle comodità, del caro bene, dei piaceri della vita, è la vita di un onesto pagano, non la vita di un Cristiano, che deve essere una vita di mortificazione, di penitenza, di croce. (Dug.). – Tutti si sono allontanati dal retto cammino e sono divenuti inutili. Non applichiamo queste parole ai pagani e agli idolatri; lasciamo gli eretici e gli scismatici, non parliamo dei libertini e degli atei; non comprendiamo in questo numero neppure certi peccatori insolenti che, pur conoscendo Dio per fede, fanno professione di rinunzia con il cuore. Quanti pochi Cristiani, impegnati nel commercio del mondo, sono nello stato di agire utilmente per Dio e per se stessi, se, per farlo, devono essere amici di Dio! … essi sono tutti nell’inganno, ed ingannandosi, si sono resi inutili; inutili per Dio ed inutili per se stessi, per Dio, per cui non si sentono onorati del gran bene, anche se lo fanno; per se stessi perché tutto ciò che essi fanno, qual sia, non è scritto nel libro della vita, di modo che, pur facendo il bene e facendolo con ardore e perseveranza, essi non fanno nulla. (Bourd. Etat du pechè et état de grace).

ff. 5. – Non sarà forse un giorno ciò che essi faranno? E non lo si mostrerà loro … il vostro popolo è divorato come un pezzo di pane. Quaggiù c’è dunque un popolo che viene divorato? Certo, Voi sapete « … non c’è un uomo che faccia il bene, neanche uno solo ». Ma questo popolo che è divorato, questo popolo che soffre a contatto con i malvagi, è già passato dal numero dei figli degli uomini al numero dei figli di Dio. Ecco perché questo popolo è divorato; « … perché voi avete confuso il disegno dell’indigente, perché la sua speranza è nel Signore ». Spesso, in effetti, ciò che fa sì che il popolo di Dio sia divorato, è che esso è disprezzato perché è il popolo di Dio. Che io lo derubi, dice il malvagio, che io lo spogli, se è cristiano, cosa mi farà? « Essi mangiano il mio popolo come il pane ». In effetti, quanto ai nostri alimenti, noi possiamo mangiarne ora l’uno, ora l’altro; noi non mangeremo sempre di questi legumi, di questa carne, né sempre di questi frutti, ma noi mangiamo sempre del pane. Questi dunque divoreranno il mio popolo come un pezzo di pane (S. Agost.).

ff. 6. – « Essi sono stati presi dalla paura, ove non c’era da temere ». E cosa c’è da temere, in effetti, quando si perdono le proprie ricchezze? Non c’è motivo di temere, eppure si teme. Ma se qualcuno perde la saggezza, qui c’è motivo di temere e non si teme … Coloro che hanno detto del Cristo: Egli non è Dio, hanno paura, la dove non c’era motivo di temere … o insensati, o imprudenti, voi avete paura di perdere la terra ed avete perduto il cielo; voi avete temuto che i Romani vincessero e avessero preso la vostra città ed il vostro reame, e che essi potessero prendere il vostro Dio? Cosa vi resta, se questo non è confessare che voi avete voluto conservare questi beni, e che per conservarli, li avete perduti? Perché avete perso la vostra città e la vostra nazione perdendo il Cristo (S. Agost.). – Voler piacere agli uomini, principio dei pastori e di diversi altri. È una vile compiacenza che nasce da un gran fondo di amor proprio, e che ha sempre timore di ferire coloro dai quali si spera qualche vantaggio … « Se volessi piacere agli uomini, non sarei servo di Gesù-Cristo » (Gal. I, 10). Comunque, si teme più il disprezzo degli uomini che quello di Dio, e più si vuol piacere agli uomini della terra, più si è coperti da confusione davanti a Dio. Quale partito vogliamo noi prendere? Se vogliamo piacere agli uomini e sperare in essi, Dio frantumerà le nostra ossa e ci confonderà con l’ultimo disdegno; ma se noi amiamo maggiormente piacere a Dio, la confusione che ne riceveremo da parte del mondo tornerà alfine a nostra gloria (Dug.). – Chi non preferirebbe essere odiato con Gesù-Cristo e per Gesù-Cristo, piuttosto che essere amato da quelle che sono chiamate, con verità, sia per lusinga, le delizie del genere umano? Io non voglio essere amato dagli uomini che hanno odiato Gesù-Cristo; io preferisco piuttosto queste grida: « togli, togli, sia crocifisso » (Joan. XIX, 15), o coloro che contro San Paolo, come popolo in furore gettavano in aria polvere e la veste a terra. « eliminate dalla terra quest’uomo, non permettetegli di vivere »; (Act. XXII, 53) queste acclamazioni che si fecero ad Erode: « … è il discorso di un dio e non di un uomo »; perché, vedetene il seguito: « … l’Angelo del Signore lo colpì, perché non aveva dato gloria a Dio, e morì divorato dai vermi ». È così che Dio spezza le ossa di quelli che vogliono piacere agli uomini; e San Paolo diceva ai Galati: «Se io piacessi agli uomini, io non sarei servo di Gesù-Cristo ». (Gal. I, 10), (Bossuet, Méd. s. l’Ev., II, p. XVI).

II

ff. 7. – È l’augurio di un’anima cristiana liberata dalla servitù del peccato, dalla cattività di Babilonia, della quale neanche i giusti si sono interamente affrancati.

SALMI BIBLICI: “QUIS GLORIARIS IN MALITIA” (LI)

SALMO 51: “QUIS GLORIARIS in malitia”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME PREMIER.

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 51

In finem. Intellectus David, cum venit Doeg Idumæus, et nuntiavit Sauli: Venit David in domum Achimelech.

[1] Quid gloriaris in malitia,

qui potens es in iniquitate?

[2] Tota die injustitiam cogitavit lingua tua; sicut novacula acuta fecisti dolum.

[3] Dilexisti malitiam super benignitatem; iniquitatem magis quam loqui æquitatem.

[4] Dilexisti omnia verba præcipitationis, lingua dolosa.

[5] Propterea Deus destruet te in finem; evellet te, et emigrabit te de tabernaculo tuo, et radicem tuam de terra viventium.

[6] Videbunt justi, et timebunt; et super eum ridebunt, et dicent:

[7] Ecce homo qui non posuit Deum adjutorem suum; sed speravit in multitudine divitiarum suarum, et prævaluit in vanitate sua.

[8] Ego autem, sicut oliva fructifera in domo Dei; speravi in misericordia Dei, in æternum et in sæculum sæculi.

[9] Confitebor tibi in sæculum, quia fecisti; et exspectabo nomen tuum, quoniam bonum est in conspectu sanctorum tuorum.

[Vecchio Testamento Secondo la VolgataTradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO LI (1)

Riprensione a Doeg Idumeo, che calunniò Davide e Achimelech Sacerdote presso il re Saulle, e divenne con ciò causa della strage dei sacerdoti di Nobe. (Vedi lib. 1 Reg., c. 21).

Per la fine: salmo d’intelligenza di David, quando Doeg Idumeo andò a dar avviso a Saul, dicendo: David è stato a casa di Achimelech.

1. Perché fai tu gloria della malvagità, tu che sei potente a far male?

2. Tutto il dì la tua lingua ha meditato l’ingiustizia; quale affilato rasoio hai fatto tradimento.

3. Hai amato la malizia più che la bontà; il parlare iniquo, piuttosto che il giusto.

4. Hai amato tutte le parole da recar perdizione, o lingua ingannatrice.

5. Per questo Iddio ti distruggerà per sempre; ti schianterà, e ti scaccerà fuori del tuo padiglione; e ti sradicherà dalla terra dei vivi.

6. Vedran ciò i giusti, e temeranno, e di lui rideranno, dicendo:

7. Ecco l’uomo, il quale non ha eletto Dio per suo protettore; ma sperò nelle sue molte ricchezze, e si fece forte nei suoi averi.

8. Ma io, come ulivo fecondo nella casa di Dio, ho sperato nella misericordia di Dio per l’eternità e per tutti i secoli.

9. Te loderò io pei secoli, perché hai fatta tal cosa e aspetterò l’aiuto del nome tuo, perché buona cosa è questa nel cospetto dei santi tuoi.

Sommario analitico

In questo Salmo, il cui titolo fa sufficientemente conoscere l’occasione ed il soggetto, ed in cui c’è Doeg, traditore di Davide e del gran sacerdote, per i suoi interessi temporali, c’è un’immagine viva di Giuda che tradisce e vende il suo divino Maestro.

I. – Davide mostra tutta l’iniquità e la malvagità delle calunnie di Doeg e ne descrive i caratteri principali:

– 1° la sua ostinazione nell’iniquità, della quale si glorifica (1), – 2° la sua malizia premeditata e continua (2); – 3° la sua affezione al male (3); – 4° i suoi discorsi che non hanno come scopo se non la rovina del prossimo (4);

II.Egli descrive il castigo che lo attende sotto la figura di un albero abbattuto e sradicato:

– 1° egli sarà divelto, abbattuto, sradicato (5); – 2° i giusti, testimoni della sua rovina, applaudiranno e rideranno di lui, a) perché egli non ha riposto la sua forza il Dio, b) si è affidato alle moltitudini delle sue ricchezze, c) e si è raffermato nella sua malvagità (6, 7).

III Egli descrive in opposizione la sua felicità e quella dei giusti, sotto l’emblema di un ulivo verdeggiante:

– 1° Che produce frutti abbondanti, – 2° che è piantato in un luogo ameno, la casa di Dio (8); – 3° i cui rami che si estendono in lontananza sono: a) la speranza in Dio (8); b) la lode di Dio; c) la longanimità; d) la contemplazione e la carità della comunione dei santi (9).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-4.

ff. 1. – Glorificarsi delle proprie buone opere, è commettere una grave ingiustizia verso Dio, perché è come prendergli ciò che Gli appartiene come proprio, la sua gloria, che Egli stesso dichiara di non cedere a nessuno. Ma glorificarsi nella propria malizia, è fare a Dio l’oltraggio più sensibile, poiché è dichiararsi suo nemico. – « Perché colui che è potente si glorifica della propria malvagità? » Vale a dire, perché colui che è potente nel male si glorifica? L’uomo ha bisogno di essere potente, ma nel bene, e non nel male. È dunque qualcosa di grande glorificarsi della propria malvagità? Il costruire una casa è affare di pochi; nel distruggerla, ogni ignorante può venirne a capo. È concesso ad un piccolo numero di persone il saper seminare il frumento, coltivare le messi, attendere la maturazione del grano, e raccogliere con gioia il frutto di questo lavoro; ma il primo venuto può con una semplice fiammella, incendiare tutta una messe. Far nascere un bambino, nutrirlo, allevarlo, condurlo fino all’età della giovinezza, è un grande compito, ma non c’è nessuno che non possa ucciderlo in poco tempo. Tutto ciò che non tende che a distruggere è dunque molto facile. Colui che si glorifica, si glorifichi nel Signore (1 Cor. I, 31); colui che si glorifica, si glorifichi nel bene; voi vi glorificate perché siete potenti nel male; cosa farete dunque o potenti con tutta la vostra iattanza? Voi ucciderete un uomo? Uno scorpione fa altrettanto; una febbre fa altrettanto, un fungo velenoso fa altrettanto. Tutta la vostra potenza è così ridotta ad eguagliare quella di un animale o di una pianta velenosa? (S. Agost.).

ff. 2. – Il cuore del giusto è interamente nella legge di Dio, che egli medita giorno e notte (Ps. I, 2). Il cuore del malvagio è interamente nell’ingiustizia, e la sua lingua è sempre occupata a produrre all’esterno i suoi tristi frutti (Dug.). – Come spiegare ciò che qui dice il profeta, che la lingua pensa e medita l’ingiustizia, allorché i pensieri escono dal senso ragionevole dell’anima vivente, mentre la lingua non è che lo strumento materiale del pensiero? Un altro scrittore ispirato ci fa comprendere la giustezza di questa espressione: « il cuore degli insensati – egli dice – è nella loro bocca » (Eccl. XXI, 29), perché essi non fanno niente con il consiglio della ragione e secondo le deliberazioni della loro intelligenza, ma al contrario si lasciano andare allo scorrere precipitoso della loro lingua, e tengono i discorsi più sconsiderati e più temerari. Ecco perché l’autore sacro dice che il loro cuore è nella loro bocca, perché essi non dicono affatto quel che hanno pensato, ma ciò che hanno pensato e che hanno detto. Il salmista parla tutt’altrimenti della lingua del saggio: la lingua del giusto, egli dice, mediterà la saggezza (Ps. XLIV, 2), perché la lingua si forma ed è diretta sulla meditazione del suo cuore (S. Hil.). – Quanta pena ci si prende per aguzzare un rasoio, quanta cura per affilarlo, quante volte lo si fa passare sulla pietra? E questo per radere quanto più profondamente i peli della barba, e dare al viso tutta la sua pulizia, tutta la sua nettezza. Ma se in luogo di tagliare la barba, il rasoio taglia la pelle della persona, esso porta un colpo ingannatore e perfido, perché invece di contribuire alla bellezza del viso, produce una ferita. (S. Hilar.).

ff. 3. –  « Voi avete preferito la malvagità alla bontà » Uomo ingiusto, uomo senza regole, voi volete, nella vostra perversità, mettere l’acqua sopra l’olio; l’acqua sarà sommersa, e l’olio emergerà. Voi volete nascondere la luce sotto le tenebre, ma le tenebre saranno dissipate, e la luce sussisterà. Voi volete mettere la terra al di sopra del cielo, ma la terra, con tutto il suo peso, cadrà sul suo luogo naturale. Voi sarete sommersi dunque per aver preferito la malvagità alla bontà; poiché mai la malvagità avrà la meglio sulla bontà. « Voi avete preferito la malvagità alla bontà, ed il linguaggio dell’iniquità a quello della giustizia ». Davanti a voi è la giustizia e davanti a voi vi è pure l’ingiustizia: voi avete una lingua, la muovete come vi pare; perché dunque la volgete piuttosto dal lato dell’ingiustizia e non dal lato della giustizia? Voi non sapete dare al vostro stomaco un nutrimento amaro, e date alla vostra lingua un nutrimento d’iniquità? Come scegliete il vostro nutrimento, così scegliete anche le vostre parole. Voi preferite l’ingiustizia alla giustizia; voi la preferite, è vero, ma chi la spunterà, se non la bontà e la giustizia? (S. Agost.).

II. — 5 – 7.

ff.5. – La giusta retribuzione dovuta al peccato, spesso è esercitata sui peccatori in questa vita, e sempre nell’altra. – Essi cercano di distruggere gli altri e non vi riescono che troppo spesso; ma saranno essi stessi distrutti, saranno scacciati dai luoghi ai quali si erano attaccati più tenacemente, le loro dimore, ove si erano stabiliti come se non ne dovessero mai uscire e mai sradicarsi con la loro morte dalla terra dei viventi. (Dug.). – Ogni anno, per un gran numero di uomini, il tempo fugge rapido come il fulmine, ed allora, dopo effimeri successi, c’è lo sterminio assoluto; ed allora dopo una vana affermazione di potenza e di grandezza, arriva lo schiacciamento senza pietà: … l’espulsione e l’esilio in luogo delle superbe dimore; l’annientamento della discendenza in luogo di una numerosa posterità; ecco ciò che Dio riserva ai malvagi, ecco come punisce l’insolenza e l’orgoglio con cui avevano preteso di lottare contro di Lui (Rendu). – Noi dobbiamo dunque avere la nostra radice nella terra dei viventi. La radice è in un luogo nascosto: se ne possono vedere i frutti, non la radice: occorre che le nostre opere procedano dalla carità, ed allora la nostra radice è nella terra dei viventi (S. Agost.). – Ah, io comprendo Signore, che la buona radice è il vostro amore, e che quella dell’empio è il suo criminale attaccamento alle cose della terra. Voi strappate questa radice perversa dalla terra dei viventi, e ricacciate l’empio lontano dal vostro tabernacolo. Cosa diventerò io, Signore, se agite così con me? Come potrò vivere lontano da Voi? Lontano dalla terra dei viventi, e lontano dal tabernacolo dove si impara ad amarvi? Radicatemi, Signore, nel vostro amore, ai piedi del Tabernacolo eucaristico (Mgr. De La Bouil. Symb., p. 279). – Quando i giusti avranno timore? Quando rideranno? Comprendiamo e discerniamo questi due tempi nei quali sia utile temere o ridere. Mentre siamo in questo mondo, non è ancor tempo di ridere, per paura di avere poi da piangere. Coloro dunque che sono i giusti ora e che vivono della fede, vedono questo Doeg e ciò che gli debba accadere, e temono per se stessi la stessa sorte; essi sanno in effetti cosa sono oggi, ma non sanno cosa saranno domani. Ora, dunque « i giusti verranno e temeranno », ma quando rideranno di lui? Quando l’iniquità sarà trascorsa; quando sarà tolta, come è già tolta, in gran parte, questo tempo incerto; quando saranno dissipate le tenebre di questo mondo, in mezzo alle quali noi non camminiamo ora che alla luce delle sante Scritture, ciò che fa che noi temiamo come se fossimo nella notte (S. Agost.).

ff. 7. – Il Profeta non ha detto: ecco quest’uomo che era ricco, ma: « ecco quest’uomo che non ha cercato il suo appoggio in Dio, e che ha messo la sua speranza nella moltitudine delle sue ricchezze ». Non è perché ha posseduto ricchezze, ma perché vi ha riposto le sue speranze, non mettendo le sue speranze in Dio, che egli è condannato, ed è per questo che egli è punito; è per questo che è cacciato dalla sua tenda, non essendo che terra e movimento, come la polvere che il vento alza sopra la superficie della terra; è per questo che la sua radice è divelta dalla terra dei viventi (S. Agost.). – I giusti, così sensibili quaggiù alle calamità dei propri fratelli, così ingegnosi nello scusare le loro colpe, a coprirle con un velo di carità, e ad addolcirle agli occhi degli uomini, quando non possono trovare scuse apparenti; i giusti, spogliati nel giorno del giudizio, sull’esempio del Figlio dell’uomo, di questa indulgenza e di questa misericordia che essi avevano esercitato verso i propri fratelli sulla terra, sibileranno sui peccatori, dice il profeta, l’insulteranno e divenendo essi stessi i suoi giudici, diranno loro beffandoli. « … ecco dunque quest’uomo che non aveva voluto mettere il suo soccorso e la sua fiducia nel Signore, e che aveva amato meglio confidare nella vanità e nella menzogna ». Ecco questo insensato che si credeva il solo saggio sulla terra, che riguardava la vita dei giusti come follia, e che si compiaceva nel favore dei grandi, nella vanità dei titoli e delle dignità, nell’estensione delle terre e dei possedimenti, nella stima e nelle lodi degli uomini, degli appoggi del fango che doveva perire con lui » (Massil., Jug. Univ.).

III. — 8, 9.

ff. 8. – L’olivo sterile, come il fico del Vangelo che non produce nulla, è l’immagine del peccatore. Essi non sono buoni, l’uno e l’altro, che ad essere tagliati e gettati nel fuoco. L’olivo fertile, al contrario, che porta frutto in abbondanza, è l’immagine del giusto che merita un posto nella casa del Signore. Fondamento solido della salvezza eterna, è la speranza nella misericordia di Dio. Quale differenza con la speranza che il peccatore pone nelle sue ricchezze, nella vanità e la menzogna! – « Io ho messo la mia speranza nella misericordia del Signore ». Ma non sarebbe solo per il presente? Perché talvolta gli uomini si ingannano su questo punto. In verità essi adorano Dio; ma benché abbiano confidenza in Dio, non è che in vista della loro prosperità temporale che essi dicono: io adoro il mio Dio che mi renderà ricco sulla terra, che mi darà dei figli, una sposa. Questi beni, in effetti non li dà se non Dio, ma Egli non vuole che Lo si ami a causa di questi medesimi beni. Egli li dà spesso anche ai malvagi, per far comprendere ai buoni di chiedergli ben altri beni. In che senso allora voi dite: « io ho messo la mia speranza nella misericordia di Dio? » … non è per caso onde acquisire dei beni temporali? No, « per l’eternità, e per i secoli dei secoli » (S. Agost.).

ff. 9. – « Io vi glorificherò per sempre, per quanto Voi avete fatto ». È una confessione completa del Nome di Dio con queste parole « per quanto avete fatto ». Cosa avete fatto se non ciò che si sta dicendo, che cioè, grazie a Voi, io sono come un ulivo fertile nella casa del Signore, e che ho messo la mia speranza nella misericordia divina per l’eternità e per i secoli dei secoli? Questo Voi lo avete fatto. Io non mi glorifico per ciò che ho, come se non avessi ricevuto nulla, ma io me ne glorifico in Dio. « Ed io confesserò per sempre che Voi lo avete fatto »; vale a dire, in ragione della vostra misericordia e non in ragione dei miei meriti; perché per me, io cosa ho fatto? Se voi cercate nel passato, io sono stato un bestemmiatore, un persecutore, un calunniatore. E Voi cosa avete fatto? Per Voi io ho attenuto misericordia, perché avevo fatto il male per ignoranza (1 Tim. I, 13). – Il Nome di Dio è Dio stesso, così aspettare il suo santo Nome, è come aspettare la manifestazione di Dio, il momento in cui Egli scoprirà la sua essenza eterna. Noi tutti siamo sulla terra in attesa di questo momento; noi non vediamo il santo Nome di Dio che in enigma e per fede. Quando si rivelerà a noi senza mezzi e senza veli, noi sapremo pienamente ciò che Egli è, e saremo perfettamente felici (Berthier). « Ed io aspetterò il vostro Nome perché è pieno di dolcezza ». Il mondo è pieno di amarezza, ma il vostro Nome è pieno di dolcezza, e se pure nel mondo vi è qualcosa di dolce al gusto, la digestione ne è amara. Il vostro Nome è l’oggetto delle mie preferenze, non solo a causa della sua grandezza, ma a causa ancor più della sua dolcezza. In effetti « gli ingiusti mi hanno raccontato le delizie delle quali godono, ma esse, Signore, non erano dolci come la vostra legge » (Ps. CXVIII, 86). Se in effetti non ci fosse stata qualche dolcezza nelle sofferenze dei martiri, essi non avrebbero sopportato con tanta costanza le amarezze di queste sofferenze, ma non era facile per tutti gli uomini gustare la dolcezza che esse racchiudevano. Il Nome di Dio è dunque – per coloro che amano Dio – di una dolcezza che sorpassa tutte le altre dolcezze, « io attenderò il vostro Nome, perché è pieno di dolcezza ». E a chi dimostrare la dolcezza di questo Nome? Datemi un palato al quale questo Nome sia stato dolce, lodate il miele finché volete, esagerate la sua dolcezza con tutte le espressioni che potete trovare, un uomo che non sa ciò che il miele sia, non comprenderà quel che direte, finché non l’avrà gustato. C’è un altro salmo in cui il Profeta invita particolarmente a sperimentare questa dolcezza e vi dice: « Gustate e vedete come è dolce il Signore » (Ps. XXXIII, 8). Voi rifiutate di gustarlo e dite: Egli è dolce! (S. Agost.).

SALMI BIBLICI: “MISERERE MEI, DEUS, SECUNDUM MAGNUM” (L)

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME PREMIER.

PARIS LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 50

In finem. Psalmus David, cum venit ad eum Nathan propheta, quando intravit ad Bethsabee.

[1] Miserere mei, Deus, secundum magnam misericordiam tuam;

[2] et secundum multitudinem miserationum tuarum, dele iniquitatem meam.

[3] Amplius lava me ab iniquitate mea, et a peccato meo munda me.

[4] Quoniam iniquitatem meam ego cognosco, et peccatum meum contra me est semper.

[5] Tibi soli peccavi, et malum coram te feci; ut justificeris in sermonibus tuis, et vincas cum judicaris.

[6] Ecce enim in iniquitatibus conceptus sum, et in peccatis concepit me mater mea.

[7] Ecce enim veritatem dilexisti; incerta et occulta sapientiæ tuæ manifestasti mihi.

[8] Asperges me hyssopo, et mundabor; lavabis me, et super nivem dealbabor,

[9] Auditui meo dabis gaudium et laetitiam, et exsultabunt ossa humiliata.

[10] Averte faciem tuam a peccatis meis, et omnes iniquitates meas dele.

[11] Cor mundum crea in me, Deus, et spiritum rectum innova in visceribus meis.

[12] Ne projicias me a facie tua, et spiritum sanctum tuum ne auferas a me.

[13] Redde mihi lætitiam salutaris tui, et spiritu principali confirma me.

[14] Docebo iniquos vias tuas, et impii ad te convertentur.

[15] Libera me de sanguinibus, Deus, Deus salutis meæ, et exsultabit lingua mea justitiam tuam.

[16] Domine, labia mea aperies, et os meum annuntiabit laudem tuam.

[17] Quoniam si voluisses sacrificium, dedissem utique; holocaustis non delecta-beris.

[18] Sacrificium Deo spiritus contribulatus; cor contritum et humiliatum, Deus, non despicies.

[19] Benigne fac, Domine, in bona voluntate tua Sion, ut ædificentur muri Jerusalem.

[20] Tunc acceptabis sacrificium justitiæ, oblationes et holocausta; tunc imponent super altare tuum vitulos.

[Vecchio Testamento Secondo la VolgataTradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO L (1)

Salmo di Davide da cantare fino alla fine del mondo, e composto da lui quando Nathan profeta entrò da lui a rimproverarlo del suo adulterio con Bethsabea, e anche dell’omicidio di Uria. Davide chiede a Dio perdono del suo peccato (vedi lib. 2 Reg., c. 12).

Per la fine, salmo di David; quando andò a trovarlo il profeta Nathan, allorché egli si accostò a Bethsabea.

1. Abbi misericordia di me, o Dio, secondo la grande tua misericordia.

2. E secondo le molte operazioni di tua misericordia scancella la mia iniquità.

3. Lavami ancor più dalla mia iniquità, e mondami dal mio peccato:

4. Perocché io conosco la mia iniquità, e il mio peccato mi sta sempre davanti;

5. Contro di te solo peccai, e il male feci dinanzi a te; affinché tu sii giustificato nelle tue parole, e riporti vittoria quando sei chiamato in giudizio.

6. Imperocché ecco che io nelle iniquità fui concepito, e nei peccati mi concepì la madre.

7. Ed ecco che tu hai amato la verità! svelasti a me gl’ignoti e occulti misteri di tua sapienza.

8. Tu mi aspergerai coll’issopo, e sarò mondato; mi laverai, e diverrò bianco più che la neve.

9. Mi farai sentir parola di letizia e di gaudio, e le ossa umiliate tripudieranno.

10. Rivolgi la tua faccia dai miei peccati, e cancella le mie iniquità.

11. In me crea, o Dio, un cuor mondo, lo spirito retto rinnovella nelle mie viscere.

12. Non rigettarmi della tua faccia, e non togliere da me il tuo santo spirito.

13. Rendimi la letizia del tuo Salvatore per mezzo del benefico Spirito tu mi conforta.

14. Insegnerò le tue vie agli iniqui, e gli empi a te si convertiranno.

15. Liberami dal reato del sangue, o Dio, Dio di mia salute, e la mia lingua canterà con gaudio la tua giustizia.

16. Signore, tu aprirai le mie labbra, e la mia bocca annunzierà le tue lodi.

17. Imperocché, se un sacrifizio tu avessi voluto, lo avrei offerto; tu non ti compiacerai degli olocausti.

18. Sacrifizio a Dio lo spirito addolorato; il cuore contrito e umiliato nol disprezzerai o Dio.

19. Colla buona volontà tua sii benefico, o Signore, verso Sionne, affinché stabilite sieno le mura di Gerusalemme.

20. Tu accetterai allora il sacrifizio di giustizia, le oblazioni o gli olocausti; allora porranno dei vitelli sul tuo altare. (1)

(1) Ci sono degli autori che pensano che i versetti 19 e 20 siano stati aggiunti durante la cattività.

Sommario analitico

In questo Salmo, di cui il titolo ne spiega sufficientemente l’occasione ed il soggetto, Davide, pentito del suo peccato (due anni dopo), fa tre cose:

I. – Adduce diverse ragioni per piegare Dio affinché gli ottenga il suo perdono:

– 1° la misericordia infinita di Dio e gli affetti multipli della sua misericordia (1, 3);

– 2° la conoscenza che egli ha del suo peccato ed il ricordo che ne conserva (4);

– 3° egli ha peccato sotto gli occhi di Dio solo, poiché Dio solo poteva dargli delle leggi, e Dio solo poteva punirlo con giustizia (5); – 4° il peccato originale e l’inclinazione al male che ha lasciato in noi (6); – 5° la semplicità e le verità del suo cuore, dove risiedono, volendo, la promessa che Dio gli ha fatto di perdonarlo, ed i doni profetici dei quali lo ha ricolmato (7).

II. – Egli descrive le giustificazione del peccatore ed i suoi numerosi effetti: domanda a Dio: – 1° di purificarlo con l’infusione della grazia santificante. Due sono gli effetti di questa infusione di grazia: egli sarà purificato, e diventerà più bianco della neve (8); – 2° di rendergli la gioia per cui la remissione dei peccati si espanda nell’anima (9); – 3° di dimenticare completamente le sue colpe e cancellarle completamente (10); – 4° di creare in lui un cuore puro ed uno spirito retto (11); – 6° di raffermarsi nella perseveranza (12, 13).

III. – Davide, per testimoniare la sua riconoscenza a Dio, promette: – 1° nei riguardi del prossimo, di insegnargli le vie di Dio (14); – 2° nei riguardi di Dio, di celebrarlo e di lodarne l’indulgere della sua giustizia (15, 16). – 3° nei riguardi di se stesso, di allontanare il suo cuore dal peccato, a) immolando a Dio un cuore contrito ed umiliato (17, 18); b)edificando in lui l’edificio delle virtù (10), c) offrendoGli, in questo tempio e su questo altare interiore, la vittime della pietà (20).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 6.

ff. 1 – Davide, uscendo alfine dal sonno letargico in cui il suo duplice crimine lo aveva sprofondato, vede sulla terra il sangue di Uria che grida vendetta contro di lui; in mezzo al suo palazzo, davanti al profeta Natan, che viene per fargli sentire le minacce della giustizia divina, egli ascolta i mormorii dei grandi della sua corte, il riso ed il sarcasmo dei pagani; nel cielo percepisce la mano vendicativa di Dio, pronta ad appesantirsi su di lui; oh! Allora, egli non si sogna di richiamare il ricordo delle sue passate virtù, non cerca di difendersi con lo splendore e la maestà della porpora, egli si getta nel seno paterno di Dio ed implora la sua misericordia. – Il colpevole, condotto davanti al suo Giudice sovrano, considera che questo Giudice non possa essere ingannato, perché Egli è la saggezza stessa, che non si possa vincere, perché Egli è onnipotente; che non si possa sfuggire al suo tribunale, perché Egli è dappertutto. Nessuna scusante, nessuna difesa possibile, non ci sono speranze che nella misericordia …io non oso dirvi: Mio Dio, perché peccando io Vi ho perduto; seguendo il vostro nemico, io mi sono allontanato da Voi, amando il male, io mi sono allontanato dal bene. Coloro che sono puri, che sono buoni, che sono veramente figli vostri e vostri eredi, vi chiamino “mio Dio”; ma io, coperto di sozzura, io che ho abbandonato mio Padre, che mi sono venduto al suo nemico, che mi sono smarrito nelle regioni lontane dove ho dissipato tutta la mia eredità, dandomi al mondo, alle mie passioni, tutto ciò che Dio voleva avere, io non oso chiamarvi “mio Dio”, io non oso chiamarvi “mio Padre”, io non posso che dirvi: o Dio, abbiate pietà di me, trattatemi come uno dei vostri mercenari, perché io non sono degno di essere chiamato vostro figlio (Hug. De Saint Victor). – Colui che invoca una grande misericordia, confessa una grande miseria. Questi vi chiedono soltanto un po’ della vostra misericordia, perché hanno peccato senza saperlo; ma di me, abbiate pietà secondo la vostra grande misericordia. Trattate con tutta la potenza dei vostri rimedi, la gravità delle mie ferite. Le mie ferite sono gravi, ma io mi rifugio presso l’Onnipotente. Io dispererei della guarigione di una simile malattia, se non ricorressi ad una simile medicina (S. Agost.). – Dio è un oceano infinito di misericordia. La vostra iniquità ha dei limiti, la clemenza, la bontà di Dio non ha limiti; la vostra malizia, qual essa sia, è una malizia umana, la clemenza di Dio è una clemenza divina che non può essere circoscritta da alcun limite. – La misericordia di Dio è grande. 1° perché essa viene da Dio ed è di causa efficiente, l’amore immenso che Egli ha per noi; 2° perché essa ci è data dal suo Figlio unico Gesù-Cristo; 3° perché essa viene in soccorso della più grande miseria.; 4° perché essa è per noi la più grande sorgente dell’abbondanza delle grazie; 5° perché essa si estende agli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi; 6° perché essa ha come fine il condurci al cielo e metterci in possesso della magnifica eredità dei cieli. Il peccato è scritto in tre libri: la coscienza del peccatore, nel ricordo dei demoni, nella memoria di Dio, che vede tutto e punisce ogni iniquità a suo tempo. Dio cancella il peccato da questi tre libri del ricordo. « Io stesso – dice – Io stesso cancellerò le iniquità; a causa mia, Io voglio dimenticare i tuoi crimini » (Is. XLIII, 25). – Dio cancella il peccato: dalla sua memoria nel senso che non lo punirà mai; dal ricordo del demonio che mai potrà farne oggetto delle sue accuse; dalla coscienza del peccatore, che il ricordo dei peccati rimessi non potrà più contristare.

ff. 2. – Dopo che il peccato sia stato rimesso, non bisogna credere che non ne resti alcun residuo, e che possiamo trascorrere la nostra vita in assoluta sicurezza. La grazia della penitenza ci ha sottratto alla morte eterna, ma siamo ancora abbattuti da mortali e perniciosi languori; ci resta infatti una grande disposizione al male, ed una debolezza ancora più grande verso il bene, come succede ad un malato che viene fuori da lunga e violenta malattia. Così chiediamo a Dio di guarire tutte le piaghe le une dopo l’altra, al fine di meglio avvertire la miseria dalla quale ci libera, e la grazia con la quale ci salva. (Bossuet; Duguet.). Ma si dirà, un peccato è perdonato o non; il perdono è un atto istantaneo, poco importa se gratuito o condizionale, e domandare perdono per ciò che è stato già perdonato, è avvicinarsi a Dio con parola senza significato. Ma Davide dà voce al dolore. « Amplius lava me », « purificatemi ancor più, o mio Dio! ». E la Chiesa universale ha adottato il suo « miserere »: incessantemente in ginocchio, da un capo all’altro del mondo, Essa ripete e grida: « Amplius lava me ». O come l’anima sospira dopo questo « amplius lava me ». I teologi ci dicono che le fiamme del Purgatorio, nell’esecuzione del loro ufficio, nello stesso tempo dolce e crudele, non cauterizzano nell’anima le cicatrici del peccato, perché veramente queste cicatrici non esistono più; il sangue prezioso le ha fatte sparire coprendole con il suo perdono; e nonostante queste fiamme brucino sempre. È lo stesso per le fiamme di questo « amplius » che consumano l’anima; è una cosa che si avverte più che spiegarsi, si ama, ma non saprebbe definirsi (Faber, progès de l’âme, cap. XIX).

ff. 3. – La conoscenza del peccato, è condizione necessaria per ottenerne il perdono. « Quali sono i miei crimini e le mie iniquità? Mostratemi i miei peccati e le mie colpe » (Giob. XIII, 23). – La misericordia di Dio è nel perdonare al peccatore; la sua giustizia, nel punire il peccato. Che dunque? Voi chiedete misericordia, il vostro peccato resterà impunito? Che risponda Davide, che rispondano coloro che sono caduti, che rispondano tutti con Davide, alfine di meritare la misericordia con Davide, ed essi dicano: no, Signore, il mio peccato non sarà impunito, ma io desidero che voi non mi puniate affatto, perché io stesso punisco il mio peccato. Io chiedo che voi mi rimettiate la colpa, perché io la riconosco. (S. Agost.). – Alla fine impariamo che questa conoscenza, questa confessione del proprio peccato, ben lungi dall’attirarci da parte di Dio un giudizio di condanna, previene al contrario tutti i giudizi che noi avremmo da temere per timore della sua giustizia, e ce ne preserva. Davide non si serviva di alcun altro motivo per chiedere a Dio di purificarlo da tutte le macchie di peccato e ricondurlo nel suo favore, se non il dirgli: « Voi vedete, Signore, che io riconosco la mia iniquità » … Quale conseguenza! Essa è giustissima, risponde S. Crisostomo; e Davide, parlando in tal modo, era perfettamente istruito delle intenzioni di Dio e delle sue vedute tutte misericordiose; perché è come se dicesse: … è vero, Signore, che questa confessione che io ho fatto dell’offesa commessa è una riparazione molto lieve; ma poiché Voi la gradite e ve ne contentate, io oso offrirvela, e spero di riconciliarmi con Voi (Bourd. sur la confess.). – « … e il mio peccato è sempre davanti a me ». Mi è sempre presente per rinfacciarmi sempre sia la mia indegnità, sia la vostra bontà: la mia indegnità per averlo commesso, e la vostra bontà che me lo ha rimesso. Esso mi è sempre presente, per ispirarmi sempre lo zelo ed un coraggio nuovo, sia nelle avversità della vita, sia nelle pratiche di penitenza. Che mi giunga per vostro ordine, o che lo imponga da me stesso, il mio peccato o il perdono del mio peccato sarà sempre un motivo pressante che mi risveglierà, mi ecciterà, mi incoraggerà ad intraprendere tutto per voi, a sacrificarmi, e al bisogno, ad immolarmi per Voi. (Bourd., Conv. De Magd.). – Il primo passo del penitente è quello di riconoscere i propri peccati; il secondo è farne la confessione, il terzo è di sollecitarne il perdono; il quarto è l’espiazione per la soddisfazione conveniente; il quinto è di non perderne il ricordo (Berthier).

ff. 4. « Davanti a voi solo ho peccato »! Che cos’è questo? Non era cosa evidente agli uomini una donna macchiata da adulterio e suo marito messo a morte? (II Re XI, 4, 15). E non sapevano tutti ciò che Davide aveva fatto? Cosa dunque significano queste parole? « Davanti a Voi solo ho peccato ». Solo Voi siete senza peccato. Giustamente punisce colui che non ha in sé nulla di reprensibile (S. Agost.). – L’uomo non pecca contro l’uomo, perché anche egli è gravato di una colpa uguale o più grande. Dio solo punisce i peccati con giustizia, perché Egli è il solo in cui non si possa trovare colpa soggetta al castigo. Per questo dunque, Dio solo può dunque risparmiare il peccatore, Egli solo può giudicare con giustizia, ed è Lui solo che colpisce colui che pecca (S. Greg.). – Contro Dio solo Davide ha peccato: sebbene abbia fatto un’ingiuria atroce ad Uria ed a Bethsabea, questo non è nulla nei confronti dell’oltraggio fatto a Dio. – Quante volte commettiamo contro Dio ed i suoi Santi colpe che gli uomini non vedono, che non sospettano neppure, e che non hanno altri testimoni che Dio e la coscienza? Peccati di orgoglio e di vano compiacimento, colpe di ambiziosi o cupidi desideri, colpe di voluttuosi pensieri, colpe di distrazioni volontarie, peccati di invidia contro il prossimo, colpe di giudizio temerario, di scoraggiamento, di impazienza e di mormorazioni. C’è di che umiliarci e spiegare tutte le severità di Dio nei nostri confronti! (Rendu). – Noi abbiamo peccato contro Dio, è là e non altrove che occorre andare a cercare la causa dei nostri mali. È là l’inizio triste di tutte le nostre colpe, e di conseguenza il punto di inizio di tutti i nostri malanni. Noi abbiamo da tempo ribaltato un primo trono, quello di Dio; abbiamo negato la prima sovranità, la sovranità divina. Tutti noi siamo stati colpevoli: i grandi hanno cospirato contro i piccoli, ed i piccoli contro i grandi; il potere ed il sapere hanno ugualmente dato una mano alla ribellione. Lo stendardo dell’indipendenza è stato issato innanzitutto contro Dio; ed in verità, tutti gli altri nostri torti impallidiscono in confronto a questo primo attentato: « … contro Dio solo noi abbiamo peccato » (Mgr. Pie, Disc. et inst. past. I, 128). – Cosa vuol dire « In modo che siate giustificato nelle vostre parole, etc. ». io ho peccato davanti a voi solo, ed ho fatto il male contro di Voi, di modo che siate riconosciuto giusto nei vostri discorsi, nei rimproveri che mi avete indirizzato con Nathan, e che, se sorgesse un dibattito tra noi due, ed io volessi negare questo crimine di cui mi avete accusato, voi trionfereste e la causa si rivolgerebbe contro di me (Bellarm.). – Or bene Davide vede che il giudice da venire deve subire egli stesso un giudizio; egli vede che il giusto deve essere giudicato dai peccatori, e lo vede vincitore in questo giudizio, perché egli non ha niente in Lui che possa essere oggetto di giudizio; perché l’Uomo-Dio è il solo tra gli uomini che abbia potuto dire con verità: « Se voi trovate un peccato in me, ditelo » (S. Agost.).

ff. 5. – Davide si dice concepito nell’iniquità, perché l’iniquità dell’uomo discende da Adamo. Questo legame, anche della morte che ci avvolge, è strettamente unito al peccato. Nessuno quaggiù viene al mondo senza portare con sé il castigo, portando cioè la colpa che meriti il castigo … Se dunque gli uomini sono concepiti nell’iniquità, e se nel seno della loro madre sono nutriti col peccato, non perché l’atto del matrimonio sia un peccato, ma perché questa opera non si fa che in una carne che porta il castigo del peccato. In effetti, la morte è il castigo della carne, è questa mortalità è sempre in essa. Come dunque ciò che deve la sua concezione ed il suo germe ad un corpo morto per il peccato, potrebbe nascere esente dai legami col peccato? (S. Agost.).

ff. 6. – Voi avete amato la verità, cioè non avete lasciato impunito il peccato di quegli stessi ai quali avete perdonato. Voi avete « amato la verità », avete accordato alla misericordia tutte le sue prerogative, riservando alla verità tutti i suoi diritti. Voi perdonate a coloro che confessano i propri peccati, Voi perdonate, ma a coloro che si puniscono da se stessi. È così che conservate misericordia e verità: la misericordia, perché l’uomo è liberato, la verità perché il peccato è punito (S. Agost.). – Davide si riconosce molto meno scusabile a causa della bontà con la quale Dio si era degnato di scoprirgli tutti i segreti della saggezza che nascondeva agli altri. – Nessuna scienza, nessun dono soprannaturale, nessuna santità è al riparo da pericoli mentre l’uomo vive sulla terra: ecco un profeta, un uomo illuminato dalle luci più pure della Religione, che erra in modo sì deplorevole. Dio solo è verità, e solo Egli è inaccessibile all’errore; coloro ai quali Egli confida i suoi segreti devono restare pertanto sempre in guardia, perché onorati da grazie più particolari (Berthier).

II. — 7-12.

ff. 7. – Noi abbiamo bisogno di essere purificati, non con l’issopo, di cui si serviva Mosè per aspergere il popolo, ma con il sangue che esso figurava. Il sangue del divino Mediatore che ci purifica da ogni peccato, dice S. Giovanni (I Giov. I, 7), dà alla nostra anima un biancore più intenso di quello della neve. – « Se il sangue dei capri e dei tori e l’aspersione dell’acqua mescolata alla cenere di una giovenca, santificano coloro che sono stati lordati e purificano la loro carne, quanto più il Sangue di Gesù-Cristo, che per mezzo dello Spirito Santo si è offerto Egli stesso come vittima senza macchia, purificherà la nostra coscienza dalle opere morte, per farci rendere un vero culto al Dio vivente? » (Hebr. IX, 13). – In effetti, lo splendore ed il chiarore della neve ci richiamano la purezza dell’anima. « Quando anche le vostre iniquità, dice il Signore per bocca del Profeta, vi avessero reso scarlatti come la porpora, voi potete ancora diventare bianchi come la neve » (Is. I, 18). Ed è nello stesso senso che Davide rivolge a Dio questa preghiera. – Se, in una bella giornata invernale, i nostri occhi si posano su un’immensa pianura coperta di neve, questo bello spettacolo ci colpisce e ci commuove. La natura – è vero – è spoglia delle foglie e dei fiori, ma l’eclatante biancore che la ricopre, ci sembra un simbolo pieno di fascino, il simbolo della purezza: eleviamo le nostre anime a Dio, e domandiamoGli per questo, il bagliore senza macchia che Egli dà alla neve (Mgr. De la Bouillerie, Symbol. I, 141).

ff. 8. – L’effetto ed il segno di una perfetta giustificazione, si ha quando lo Spirito rende testimonianza al nostro spirito che noi siamo i figli di Dio. Quando mi avrete completamente purificato, dice il Profeta, aggiungerete a questi benefici l’avvertirmi di questa grazia resa, con la dolce impressione della grazia interiore, gioia che sarà come un messaggio di felicità di cui la mia anima sentirà la voce; allora il mio spirito, distrutto e annientato dallo spirito di timore, riprendendo il suo coraggio, si riempirà di gioia (Bellarm.).

ff. 9. – Allontanate la vostra faccia, non da me, ma dai miei peccati. Egli dice in effetti, in un altro Salmo: « Non allontanate il vostro volto da me » (Ps. XXVI, 9). Egli non vuole che Dio allontani il suo volto da lui, ma che Dio lo allontani dai suoi peccati; perché Dio distingue i peccati dai quali non allontana il suo volto, e quelli che Egli nota, li punisce (S. Agost.). – Allontanate i vostri occhi dai miei peccati, per rivolgerli sul Figlio vostro, sulla sua croce, sul suo sangue; « o Dio, nostro protettore, guardate e ponete i vostri occhi sulla faccia del vostro Cristo » (Ps. LXXXIII).

ff. 10. – La giustificazione dell’uomo è una vera creazione, perché essa è in effetti pura misericordia di Dio e non c’è nulla nell’uomo che possa servire come materia o come fondamento di questa formazione, e così, senza la grazia del Redentore, il peccatore non ha più potenza per darsi un cuore nuovo di cui l’uomo non possa darsene l’essere. – Passare dal peccato alla grazia, è come passare dallo stato dell’uomo vecchio allo stato dell’uomo nuovo: si opera nell’anima un cambiamento che è opera dell’onnipotenza di Dio. Quando il profeta Ezechiele annuncia la riconciliazione di Dio con il suo popolo, egli ha l’ardire di annunziare che gli sarà dato un cuore nuovo, che uno spirito nuovo sarà stabilito nel suo interno, e che allora egli sarà fedele alla legge del Signore. San Paolo dice che per il sangue di Gesù-Cristo noi siamo state costituite nuove creature; che noi dobbiamo essere rivestiti dall’uomo nuovo. Infine tutto il Nuovo Testamento, figurato dall’Antico, non ci parla che di rinnovamento, sia per questa vita mortale che per la vita futura; perché è scritto anche che noi dobbiamo attendere dei nuovi cieli, una nuova terra, una Gerusalemme nuova. Un Cristiano fedele alla sua vocazione è dunque un uomo nuovo nei suoi sentimenti, nella sua condotta, nel suo linguaggio (Berthier). L’amore abituale che domina in me e che è il mio cuore, non tale come Dio lo ha fatto, ma come l’ho fatto da me stesso, buono o cattivo, virtuoso o vizioso, è un peso che inclina e determina l’elezione ed il giudizio secondo il quale la mia persona si dirige da se stessa, e si sente vivente nei suoi rapporti interiori con se stessa ed esterni con il mondo. Io posso – è vero – prendere per una volta un’altra direzione ed imprimere alla mia vita un movimento diverso, opposto anche, e questo sia portandomi a produrre qualche atto isolato al di fuori di questo amore abituale e dominante del mio cuore, sia formando al posto di questo amore un altro amore che, anch’esso diventerà abituale o dominante quando avrà scacciato il primo, o almeno l’avrà ridotto in cattività, ma in questi atti ed in questi cambiamenti, è un altro amore che è il vincitore dell’amore, e questo non distrugge la verità morale di questo adagio: « che l’uomo agisce secondo il suo cuore », vale a dire secondo l’amore che domina in lui. Quando c’è un profitto del bene contro il male che questa vittoria, sia parziale che totale, debba essere riportata, non è se non con il soccorso della grazia che ciò sia possibile, perché è una sorta di creazione questa sostituzione di un amore ad un altro amore. Ma, fragile creatura, io non posso creare nulla; bisogna dunque che Dio mi dia questo amore, e perché Egli me lo dia, bisogna che io non cessi di gridare verso di Lui con il salmista: « Signore, create in me un cuore puro, un cuore nuovo, un cuore buono ». O mio Dio, felice è colui che porta un cuore nuovo, un cuore santo, forte e vittorioso sul male. Che bella è la vita che scaturisce da tale fonte! Essa esprime bene le beltà, le armonie della vita di Dio, che è il suo tipo eterno! (Mgr. Baudry, Le Coeur de Jésus, p. 115). – Davide comincia col domandare un cuore puro, perché è il cuore puro che rende lo spirito retto nei suoi pensieri, nei suoi affetti. Uno spirito retto, è un affetto retto che non è altro che carità. Le vie ella lussuria sono sempre tortuose; il cammino della virtù, al contrario, è un piccolo sentiero ed una via stretta e serrata, e nello stesso tempo estremamente retta. (Is. XXVI, 7).

ff. 11. – Davide chiede qui la perseveranza, che è un dono speciale della misericordia divina. Dio non rigetta, non abbandona mai l’uomo giusto; non gli toglie mai il suo Spirito Santo, a meno che quest’uomo non cominci ad allontanarsi dalla giustizia. Egli è il padrone dei nostri giorni e può toglierci da questo mondo, nel momento in cui cesseremo di obbedire alla sua voce; Egli può fissare il termine della nostra vita nell’istante in cui saremmo in sua disgrazia, e sarebbe per noi come togliere per sempre il suo Santo Spirito e rigettarci dalla sua presenza (Berthier).

ff. 12. – Questa gioia interiore è il frutto di una buona coscienza, essa fa sopportare con costanza tutti i mali di questa vita, ed è pegno di salvezza. – Questo Spirito principale non può che essere lo Spirito di Dio; tutti gli altri spiriti che gli uomini consultano, sono gli spiriti subalterni che non dovrebbero che obbedire allo Spirito principale. Che cos’è lo spirito di politica, se è abbandonato a se stesso? Spesso uno spirito di inganno, di finezze insidiose, di artifici segreti ed oscuri; esso è incapace di fare la felicità dell’uomo ed è capace invece di renderlo maledetto. Che cos’è lo spirito di scienza, separato dalle vedute di Dio e dagli interessi della sua gloria? Uno spirito di vanità, di presunzione, di errore e di ostinazione; esso fa il tormento di colui che lo possiede e trae in inganno coloro che vi ripongono la loro fiducia. Che cos’è lo spirito di società che si vanta d’essere sì forte, e che non si dà pena di legare così poco con i principi della religione? Uno spirito di adulazione, di false compiacenze, di frivolezze e di menzogne; abusa del tempo senza rimediare alla noia, e riunisce gli uomini senza ispirare loro la carità. Che cos’è lo spirito del corpo quando non ha come obiettivo il servizio di Dio e la salvezza del prossimo? Un entusiasmo impetuoso, un tessuto di pregiudizi, una fonte di ingiustizie: intraprende senza ragione, esegue senza moderazione. Percorrete tutti gli spiriti che regnano nel mondo, ma non troverete che abusi, piccolezze, tenebre, seduzione. Lo Spirito principale, che è lo Spirito di Dio, non inganna mai, ed ispira tutto ciò che è compreso nella parola di cui si serve il Salmista, la liberalità, l’ingenuità, la grandezza d’animo, la buona volontà, la forza per intraprendere ed eseguire (Berthier).

III. — 13-18.

ff. 13. – Il pilota più abile è colui che dirige il suo naviglio in mezzo ad un mare pieno di scogli. Il dottore perfetto è quello che sa convincere gli spiriti più ottusi e far loro comprendere le lezioni di verità. Il generale veramente ammirevole è quello che infiamma di ardore nel combattimento i soldati più timidi. Il Re-Profeta si dimostra egualmente qui un maestro dei più sperimentati e di maggior zelo. Egli non dice: io insegnerò ai giusti, perché i giusti conoscono la via del Signore; ma io insegnerò agli empi, ai peccatori, sull’esempio del divino Maestro della Saggezza, del celeste Medico delle anime nostre, che ha detto: « … Io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori » (Matt. IX, 13), (S. Ambr. Apol. David). – Coloro che Dio chiama tra gli altri, li ha tirati via dal peccato, per poter meglio annunziare la remissione dei peccati. Era questo il suo disegno, quello di chiamare alla fiducia le anime che il peccato aveva abbattuto. E chi erano coloro che potevano predicare con più frutto la misericordia divina, se non coloro che ne erano stati essi stessi esempio illustre? Chi altri poteva dire con più effetto: « È un discorso fedele che Gesù è venuto a salvare i peccatori », ed un San Paolo poteva poi aggiungere: « di chi io sono il primo »? non è di sé che egli parlava quando ebbe a dire al peccatore che desiderava attirare: non temere, io conosco la mano del medico al quale ti indirizzo; è Lui che mi invia a te per dirti come mi ha guarito, con quale facilità, con quali carezze e felicità (Bossuet, Nat. De la S.te V.). – Il dovere di un’anima veramente penitente, è veramente quello di essere sensibile alla rovina spirituale di tanti peccatori che ha precipitato nel crimine, è il ricondurre sulla via della salvezza coloro i quali ha condotto sulla via dell’iniquità. Signore – esclama David – io ho scandalizzato il vostro popolo, ma la mia consolazione è che questo scandalo non sia senza rimedio; il mio esempio lo distruggerà, e riprendendo le vostre strade, io le insegnerò a coloro che ho allontanato, e la mia penitenza sarà una lezione per essi: quando essi mi vedranno tornare a Voi, impareranno a ritornarvi da se stessi. (Bourd. Convers. De Magd.). – Davide è modello di tutti coloro che annunziano la parola di Dio, affinché lo facciano utilmente. Egli insegna loro come e a chi devono proporsi nel parlare: – 1° « Io insegnerò »; non lusingherò le orecchie delicate, ma le istruirò in modo da fare loro intendere. – 2° Annunciare la parola di Dio ai poveri: così come pure ai ricchi, ai piccoli e ai grandi, agli ignoranti ed ai sapienti, perché tutti sono peccatori. – 3° Non insegnerò loro delle curiosità profane, neanche le verità sublimi della teologia, ma le vie di Dio, le vie per le quali Dio viene a noi, le vie per le quali noi dobbiamo andare a Lui. – 4° Non si deve predicare né per interesse, né per attirare la stima degli uomini, ma affinché i peccatori si convertano a Dio.

ff. 14. – Dallo zelo per la salvezza delle anime, David si eleva fino a Dio. Gli sembrava di avere continuamente presente all’orecchio del suo cuore la voce del sangue di Uria che, come quello di Abele, gridava potentemente davanti a Dio contro di lui, e gli rimproverava continuamente la sua crudeltà. Egli chiede a Dio di togliere dai suoi occhi questo sangue importuno la cui voce muta, ma intellegibile, domanda vendetta contro colui che l’ha sparso, di liberarlo da questo terribile accusatore che non gli da tregua, e lo cita continuamente davanti al suo tribunale, per rispondere alla sua accusa (Dug.). – Nessun c’è alcun peccatore al quale non convenga questa preghiera, perché non c’è alcuno che non sia stato soggetto di scandalo per il prossimo, che non sia stato causa, per coloro con i quali abbia vissuto o frequentato, di un allontanarsi dalle vie della giustizia. Quante imprudenze, negligenze, cattivi consigli, discorsi perniciosi, connivenze, hanno causato la caduta dei nostri fratelli, dei nostri amici, dei nostri eguali, dei nostri inferiori! Ci sono tante azioni cruente che, nel giudizio di Dio, gridano vendetta contro i colpevoli. (Berthier).

ff. 15. –  Davide aveva detto nel versetto precedente: « … e la mia lingua annunzierà la vostra giustizia con cantici di gioia ». Egli riconosce qui la sua impotenza e la sua indegnità, a meno che Dio non venga Egli stesso ad aprirgli la bocca; perché come chiude la bocca al peccatore, l’apre ai giusti, ed è segno questo che Dio giustifica questo peccatore quando gli apre le labbra perché annunzi la gloria dell’Autore della sua giustificazione (Duguet). – « … Signore voi aprite le mie labbra, e la mia bocca annunzierà la vostra lode »; lode, perché io sono stato creato; la vostra lode perché, benché peccatore, non sono stato abbandonato da Voi; la vostra lode, perché sono stato purificato per ritrovare la mia sicurezza (S. Agost.).

ff. 16-19. – Dopo la salvezza del prossimo e le lodi di Dio, David viene all’immolazione di se stesso. Egli esce dal miserabile stato del peccato ed immola a Dio un cuore contrito ed umiliato, offre un sacrificio di giustizia nello stato di virtù e di perfezione. Dio è spirito, ed è in spirito e verità che bisogna adorarlo, ed Egli ha diritto ad esigere un culto interiore e spirituale. – « Gli olocausti non Vi sarebbero graditi ». Non offriremo dunque nulla? Verremo a Dio a mani vuote? E come Lo ricompenseremo? Fate dunque la vostra offerta: avete in voi qualcosa da offrire? Non fate provvigione di incenso, ma dite: « in me, mio Dio, sono i voti che Vi renderò come lode », (Ps. LV, 12). – Non andate a cercare fuori da voi una vittima da immolare; questa vittima, voi la troverete in voi stesso. «Uno spirito afflitto dal pentimento è un sacrificio gradito a Dio. Dio non disprezza un cuore contrito ed umiliato » (S. Agost.). – Dio non può disprezzare questo sacrificio di un cuore penitente, poiché è Lui che lo forma, ed è per il sacrificio di un cuore lacerato dal dolore, che sente la sua povertà che si annienta davanti a Dio, che si riparano le rovine che producono l’amore del piacere, delle ricchezze e gli onori. – Non è sufficiente aver ridotto i vizi in polvere in un cuore contrito ed umiliato: bisogna edificare la città delle virtù, le mura di Gerusalemme che Dio ha scelto per farne dimora e costruire il suo tempio santo, le mura della Chiesa di cui Gerusalemme era figura, le mura dell’anima santa. Occorre ristabilire le rovine della città santa, cioè rinnovare la propria anima nell’amore di Dio ed offrirvi il sacrificio di tutto ciò che si ha di più caro. – Per il rinnovo di questo tempio, ci sono tre cose da fare: innanzitutto non solo abbattere tutti gli idoli, ma abolire tutti i residui del culto profano; bisogna secondariamente santificarlo e farne la dedica con qualche cerimonia misteriosa, con la quale consacrarlo ad un uso migliore; infine bisogna sostenere con cura le sue fondamenta vacillanti, e visitarle spesso per farvi le necessarie riparazioni, affinché i misteri di Dio vi si celebrino con decenza e con religiosa riverenza (Bossuet, III Serm. s. le jour de Pàq.). – Elevate le mura, bisogna andare al tempio ad offrire il sacrificio di giustizia. Questo sacrificio di giustizia è un atto di virtù; è ancora il sacrificio cruento della Croce, che è stato un vero Sacrificio di giustizia: a causa della giustizia del Sacerdote (Hebr. VII, 26); a causa del valore infinito della vittima, Dio ed uomo insieme; a causa del fine di questo Sacrificio, che è stato quello di giustificarci dopo averci liberato da tutti i nostri peccati. Il Sacrificio della Croce comprendeva nel suo valore infinito tutte le oblazioni, tutti gli olocausti dei sacrifici antichi; è infine il Sacrificio dell’Eucaristia, che è anche un Sacrificio di giustizia, perché Gesù-Cristo, Sacerdote e vittima di questo Sacrificio, è la fonte di ogni giustizia e di ogni santità; perché noi possiamo rendere a Dio delle azioni di grazie eguali ai benefici che noi abbiamo ricevuto da Lui; perché non ammette che i giusti provati dalla penitenza prima di partecipare a questo Sacrificio; perché Egli dà, benché secondariamente, la giustizia e la grazia.

SALMI BIBLICI: “DEUS DEORUM, DOMINUS LOCUTUS EST” (XLIX)

Salmo 49: “DEUS DEORUM, DOMINUS LOCUTUS EST”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME PREMIER.

PARIS LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 49

[1] Psalmus Asaph.

       Deus deorum, Dominus, locutus est,

et vocavit terram a solis ortu usque ad occasum.

[2] Ex Sion species decoris ejus:

[3] Deus manifeste veniet; Deus noster, et non silebit. Ignis in conspectu ejus exardescet; et in circuitu ejus tempestas valida.

[4] Advocabit cœlum desursum, et terram, discernere populum suum.

[5] Congregate illi sanctos ejus, qui ordinant testamentum ejus super sacrificia.

[6] Et annuntiabunt cœli justitiam ejus, quoniam Deus judex est.

[7] Audi, populus meus, et loquar Israel, et testificabor tibi. Deus, Deus tuus ego sum.

[8] Non in sacrificiis tuis arguam te; holocausta autem tua in conspectu meo sunt semper.

[9] Non accipiam de domo tua vitulos, neque de gregibus tuis hircos;

[10] quoniam meae sunt omnes feræ silvarum, jumenta in montibus, et boves.

[11] Cognovi omnia volatilia cœli; et pulchritudo agri mecum est.

[12] Si esuriero, non dicam tibi: meus est enim orbis terræ, et plenitudo ejus.

[13] Numquid manducabo carnes taurorum? aut sanguinem hircorum potabo?

[14] Immola Deo sacrificium laudis, et redde Altissimo vota tua.

[15] Et invoca me in die tribulationis; eruam te, et honorificabis me.

[16] Peccatori autem dixit Deus: Quare tu enarras justitias meas? et assumis testamentum meum per os tuum?

[17] Tu vero odisti disciplinam, et projecisti sermones meos retrorsum.

[18] Si videbas furem, currebas cum eo; et cum adulteris portionem tuam ponebas.

[19] Os tuum abundavit malitia, et lingua tua concinnabat dolos.

[20] Sedens, adversus fratrem tuum loquebaris, et adversus filium matris tuæ ponebas scandalum.

[21] Hæc fecisti, et tacui. Existimasti inique quod ero tui similis: arguam te, et statuam contra faciem tuam.

[22] Intelligite hæc, qui obliviscimini Deum: nequando rapiat, et non sit qui eripiat.

[23] Sacrificium laudis honorificabit me; et illic iter quo ostendam illi salutare Dei.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO XLIX (1)

Asaph è il primario cantore costituito da Davide. Forse compose anche qualche Salmo degli intitolati a lui. La venuta di Cristo nell’umiltà a radunar gli uomini alla fede; la seconda venuta nella maestà a congregar gli uomini al giudizio. Di quali cose si avrà a render conto principalmente al giudizio.

Salmo per Asaph.

1. Il Dio degli dei, il Signore ha parlato, e ha chiamata la terra, dall’oriente fino all’occaso.

2. Da Sionne (apparirà) lo splendore di sua magnificenza.

3. Manifesto verrà Iddio, il nostro Dio,  non istarà in silenzio. Innanzi a lui un fuoco ardente, e con questo fuoco un turbine violento.

4. Chiamerà di lassù il cielo e la terra a giudicare il suo popolo.

5. Congregate a lui tutti i suoi santi, i quali formaron con lui alleanza per mezzo dei sacrifizi.

6. E i cieli annunzieranno la giustizia di lui, perché il giudice è Dio.

7. Ascolta, popol mio, e io parlerò; Israele (ascolta), e io spiegherommi con te; Dio io sono e tuo Dio:

8. Non ti riprenderò per ragione dei tuoi sacrifizi, e i tuoi olocausti sono sempre dinanzi a me.

9. Non riceverò dalla tua casa i vitelli, né dai tuoi greggi i capretti.

10. Imperocché sono mie tutte le fiere dei boschi, i giumenti nei monti ed i bovi.

11. Io conosco tutti gli uccelli dell’aria, ed è mia l’amenità delle campagne.

12. Se io avessi fame, a te noi direi; imperocché mia è la terra e quello che la riempie.

13. Mangerò io forse le carni dei tori? O beverò io il sangue dei montoni?

14 Offerisci a Dio sacrifizio di lode, e le promesse adempì fatte da te, all’Altissimo.

15. E invocami nel giorno della tribolazione; ti libererò e tu darai a me gloria.

16. Ma al peccatore disse Dio: Perché fai tu parola dei miei comandamenti, e hai nella bocca la mia alleanza?

17. Tu però hai in odio la disciplina, e ti sei gettate dietro le spalle le mie parole.

18. Se vedevi un ladro, correvi con lui, e facevi combriccola cogli adulteri.

19. La tua bocca è stata piena di malvagità, e la tua lingua ordiva inganni.

20. Stando a sedere, parlavi contro del tuo fratello, e al figliuolo di tua madre ponevi inciampo; queste cose hai fatte, ed io ho taciuto.

21. Hai creduto, o iniquo, ch’io sia per essere simile a te; ti riprenderò, e te porrò di contro alla tua faccia.

22. Ponete mente a queste cose, voi che vi scordate di Dio; affinché non vi rapisca una volta senza che sia chi vi liberi.

23. Il sacrifizio di lode mi onorerà; ed esso è la via per cui farò vedere all’uomo la salute di Dio.

Sommario analitico

Per ben comprendere l’oggetto primario e letterale di questo salmo, bisogna ricortarsi, come nota il rabbino Anyrald, che nella nazione giudea esistevano due classi di uomini: gli uni, religiosi, ma poco istruiti, facevano consistere tutta la giustizia nell’offrire olocausti e vittime secondo il rito consacrato; gli altri, dottori ipocriti, predicavano la legge di Dio, ma non ne tenevano conto nella loro condotta. Dio discende dal cielo per giudicarli tutti, illumina l’ignoranza degli uni e rimprovera severamente agli altri la loro falsa pietà. Questo salmo morale, nel quale Asaf si erge con tanta forza ed eloquenza contro l’oblio di Dio e l’allontanamento dai costumi, non può rapportarsi ai tempi di Obcozia e di Athalia, come gli altri dello stesso autore. Esso si applica perfettamente al doppio monito di Gesù-Cristo. Nel primo egli separa dai Giudei carnali i Giudei spirituali, di cui Egli fa le primizie della Chiesa. Nel secondo Egli farà il discernimento tra gli eletti ed i riprovati tra tutti gli uomini.

I. – Nel magnifico esordio il salmista descrive l’avvento di Dio che viene a giudicare la terra, e le circostanze che preparano questo giudizio:

1° Egli fa conoscere i personaggi:

a) il Giudice -1° è il Dio degli dei; -2° Egli è mirabile per la sua potenza; -3° è terribile per la sua giustizia (1);

b) coloro che devono essere giudicati: sono tutti gli uomini dall’oriente al ponente (2);

La modalità del giudizio:

a) le circostanze che lo precederanno: – 1) il giudice che viene in tutto il suo splendore e in tutta la sua maestà, uscendo dal suo silenzio contro i colpevoli (3); – 2) un fuoco divoratore lo precederà; – 3) una violenta tempesta lo circonderà (4);

b) le circostanze che lo accompagneranno: – 1) i testimoni chiamati dal cielo e dalla terra (4); – 2) i giusti separati per la gloria; – 3) i Santi condotti nella gloria (5); – 4) i giudizi di Dio che ricevono l’approvazione dei cieli, cioè dai Santi (6).

II. – La materia del giudizio sui due tipi di uomini in questione:

1° Quanto ai primi, non è per non aver offerto a Dio dei sacrifici materiali, come il sangue dei capri e dei tori, che Dio li condannerà (7): – a) questi sacrifici sono sgraditi a Dio, a causa della loro frequenza e molteplicità (8); – b) essi non sono necessari al sovrano Maestro dell’universo (9-11); – c) essi sono inutili per Colui che non ne ha bisogno (12, 13); – d) ciò che è gradito a Dio è: l’offrirgli un sacrificio di lode (14); – e) compiere i voti a Lui fatti; – f) invocarlo nella tribolazione; – g) rendergli ogni onore e gloria (15).

2° Quanto ai secondi, che vivono una vita criminosa, e che osano farsi predicatori ed interpreti di una legge che li condanna (16): Egli rimprovera loro: -a) i peccati di pensiero, vale a dire l’odio che hanno come loro disciplina ed il disprezzo per la parola di Dio (17); – b) i peccati di azione, cioè di inclinazione all’appropriarsi dei beni del prossimo, e la tendenza che hanno al libertinaggio (18); – c) i peccati di parole, malvagità, furberie, maldicenze (19, 20); – d) la loro falsa sicurezza, ingiuriosa a Dio, che essi credono simile a loro (21); vana, quando sentiranno gli effetti della sua vendetta; insensata, perché non sarà evitata da così grandi mali in considerazione del giudizio e per la preghiera (22, 23).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-6.

ff. 1-3. – « Il Dio degli dei », gli dei delle nazioni, non che da essi esistano realmente, ma perché l’errore dei popoli ha dato loro una supposta esistenza. Il Re-Profeta cerca di purificare lo spirito dei Giudei da questo errore, mostrando loro che Dio è il sovrano maestro di tutti questi pretesi dei (S. Chrys.). – Il Dio degli dei ha parlato in diverse maniere: Egli ha parlato per mezzo degli Angeli, ha parlato per mezzo dei Profeti (Heb. I, 1), ha parlato con la propria bocca, ha parlato per mezzo degli Apostoli con i suoi fedeli, Egli parla ancora per mezzo degli umili ministri, quando dicono qualcosa di vero. Così vediamo che, pur parlando un gran numero di volte in molte maniere, con mille strumenti, con mille organi diversi, è sempre Lui che si fa intendere dappertutto, che tocca, che trasforma e che ispira le anime (S. Agost.). – Nel corso delle sue prime apparizioni, Egli è venuto in modo non eclatante, sconosciuto al maggior numero degli uomini, e prolungando per lunghi anni il mistero della sua vita nascosta. Così non sarà per un secondo avvento: Egli verrà con grande splendore e non avrà bisogno di annunciare di annunciare la prossima sua venuta (S. Chrys.). – « Finora Io ho taciuto, dice il Signore », e « l’uomo solo ha parlato per giudicarmi, per condannarmi; Io sono pieno di pazienza, parlerò come una donna prima di partorire, Io distruggerò, Io annienterò ». (Isaia XLII, 14). – « Egli verrà visibilmente e non manterrà il silenzio ». Ma ora tace? E da dove viene ciò che noi diciamo? Da dove vengono questi comandamenti? Da dove vengono questi avvertimenti? Da dove viene questo banditore di terrore? Egli non tace, eppur tace; Egli non tace per avvertire, Egli tace nel giudicare. In effetti Egli sopporta i peccatori che fanno il male tutti i giorni senza curarsi né di Dio, né nella loro coscienza, né in cielo né sulla terra. Certamente nulla di tutto questo Gli è nascosto; Egli avverte tutti gli uomini senza eccezione, e quando punisce qualcuno sulla terra, questo è ancora un avvertimento, non una condanna. Egli tace dunque quanto al giudizio; nascosto in cielo, Egli intercede ancora per noi; Egli è paziente nel punire i peccatori e non esercita con essi la sua collera, attendendone la penitenza (S. Agost.). – È cosa sorprendente che ci sia questo grande silenzio di Dio tra i disordini del genere umano. Tutti i giorni i suoi comandamenti sono disprezzati, le sue verità bestemmiate, i diritti del suo impero violati; e ciò nonostante il suo sole non si eclissa sugli empi; la pioggia bagna i loro campi; la terra non viene aperta sotto i loro piedi; Egli vede tutto, e dissimula; Egli tutto considera e tace. Io mi inganno: Egli non tace, e la sua bontà, i suoi benefici, il suo stesso silenzio sono una voce pubblica che invita tutti i peccatori a riconoscersi tali. Ma siccome i nostri cuori induriti sono sordi a tali propositi, Egli fa risuonare una voce più chiara, una voce netta ed intellegibile che ci invita alla penitenza. Egli non parla per giudicarci, ma parla per avvertirci, e questa parola di avvertimento deve servire da preparazione al suo terribile giudizio (Bossuet, Serm. I Diman. de l’Avv.). – Queste comparazioni con il fuoco, la tempesta, hanno come oggetto il farci comprendere la sovrana immutabilità di Dio, la luce splendida che Lo circonda, la sua natura inaccessibile, ed il castigo terribile che riserva ai peccatori (S. Chrys.). – E tutto intorno a Lui sarà una tempesta violenta che spazzerà l’aria, quantunque sia vasta. E sarà il soffio di questa tempesta che spazzerà dai santi tutto ciò che è immondo; dai fedeli, tutto ciò che è ipocrita, dai Cristiani pii che temono la parola di Dio, tutti gli orgogliosi che disprezzano questa parola. Ora, in effetti, dal sorgere al tramonto del sole si trova su questa terra una mescolanza di elementi diversi. Vediamo dunque come farà Colui che deve venire, ciò che farà per mezzo di questa tempesta violenta che solleverà intorno a sé e che, senza alcun dubbio, opererà una separazione. Questa separazione non l’hanno attesa coloro che, prima di arrivare in riva, hanno rotto le reti (Luc. V, 6). Questa prima separazione stabilisce già una certa distinzione tra i cattivi ed i buoni (S. Agost.).

ff. 4-6. – Gli Angeli e gli uomini sono chiamati a questo terribile giudizio: – discernimento pieno di luce e di giustizia; – separazione eterna dei malvagi tra di mezzo ai giusti, del padre dai suoi figli, del marito dalla moglie, del fratello da sua sorella, dell’amico dal suo amico (Dug.). – « Egli chiamerà dall’alto del cielo e chiamerà la terra, per fare il discernimento del suo popolo ». Da chi, … se non dai malvagi? Egli chiama dunque la terra non per accoglierla per intero, senza esame, ma per farne il discernimento. Già Egli discerne la terra dal concerto con il cielo, cioè il cielo si unisce a Lui per fare il discernimento della terra. Come fa questo discernimento? Egli pone gli uni alla sua destra e gli altri alla sua sinistra (S. Agost.). – Questo richiamo del cielo e della terra per essere testimoni del giudizio di Dio e per giudicare anche con Dio, è sufficiente a dimostrare che tutte le creature raziocinanti avranno mezzi di salvezza, benché noi ignoriamo sovente sulla terra quali siano questi mezzi ed in cosa essi consistano. Dio non temerà, in qualche modo, di rimettere la sua causa tra le mani degli Angeli e degli uomini (Berthier). – Un altro tratto del salmista rileva la divina misericordia verso questo mondo che è chiamato in giudizio, ed aggrava la perversità dei colpevoli che hanno esasperato un così buon Padre benefattore: « Tutti coloro che hanno contratto con me un’alleanza sigillata con i sacrifici ». Dio comincia per così dire il suo giudizio dalla sua casa propria, da quelli dei solenni giuramenti, delle cerimonie particolari, dei sacrifici multipli; in due parole, prima di Gesù-Cristo, della circoncisione e la legge di Mosè; e da quelli che dopo Gesù-Cristo, con il Battesimo e la legge evangelica, si sono legati in modo tutto speciale al suo servizio, cosicché tutti gli uomini possono attingere una importante e salutare istruzione in questa prima manifestazione della giustizia divina. Essi vedranno chiaramente che il culto esteriore, per quanto ragionevole e necessario esso sia, non è sufficiente per rendere a Dio l’omaggio che Gli è dovuto. Bisogna, come la legge antica prescriveva, e come lo prescrive pure la nuova ancor più imperiosamente, aggiungere alle dimostrazioni esterne il culto interiore di un amore sincero, di una profonda riconoscenza, di una umile fervente preghiera. Allora soltanto Dio è adorato come vuole esserlo: in spirito e verità (Rendu). – I Cristiani che posseggono la qualità dei Santi in ragione della loro vocazione e che hanno dovuto mantenere questa qualità con la loro vita, particolarmente sono chiamati a questo giudizio. Più essi hanno ricevuto delle grazie dal Giudice sovrano, più il loro giudizio sarà severo. I Preti, che hanno fatto alleanza con Lui per offrirgli dei sacrifici, saranno giudicati in rapporto alla loro dignità, ai loro obblighi, ed ai talenti che sono stati loro affidati (Duguet). – Perché vien dato questo nome di Santi a coloro che Egli vuole accusare e condannare? È per imprimere più forza alle accuse, e far servire questo titolo di onore per rendere la punizione più eclatante. Così, noi stessi, quando cogliamo in fallo dei colpevoli, quando vogliamo rendere i nostri rimproveri più severi, li designiamo e li chiamiamo con le dignità di cui sono rivestiti, per dare più peso all’accusa, e diciamo: chiamate il diacono, chiamate il prete (S. Chrys.). – Carattere eclatante della giustizia di Dio, è la sua irresistibile evidenza, alla quale tutti saremo forzati a render conto … in Dio, il titolo di Giudice, è inseparabile dalla giustizia (S. Chrys.). – Non perdiamo mai di vista questa parola del Profeta: Dio è Giudice, per farne la regola di tutte le proprie azioni, di tutti i pensieri, dei propri desideri, di tutte le parole, dei propri sforzi. « Colui che giudica – diceva l’Apostolo – è il Signore », i giudizi degli uomini non devono né indurirci, né intimidirci, né turbarci (Berthier).

II. — 7-13.

ff. 7. – Esordio che spira dolcezza e bontà: Dio agisce come un uomo che direbbe ad uno dei suoi simili che vuol fare strepitio o esercitare scompiglio: se volete ascoltarmi io parlerò; se volete essere attenti, io vi farò intendere la mia voce (S. Chrys.). – Ascolta popolo mio, ed io ti parlerò, perché se tu non ascolti io non potrò più parlarti; se tu non mi ascolti, quand’anche io parlassi, non sarebbe per te … io sono Dio e Io sono il tuo Dio, ed anche quando non sarò il tuo Dio, io sono Dio. È per mia felicità che sono Dio, e per tua disgrazia che Io non sia il tuo Dio. Voi chiedete a Dio una ricompensa; voi gli domandate qualcosa che, una volta data, sia per voi un bene: ecco che Dio stesso che deve darvela, è a voi. Cosa c’è più ricco di Lui? Voi chiedete un dono, quando voi possedete Colui medesimo che è l’Autore di ogni dono (S. Agost.). – Se noi vogliamo conoscere bene quale sarà la materia del giudizio che Dio eserciterà su di noi, cominciamo a ben meditare questo versetto. Dio ci invita ad ascoltarlo e ci dichiara subito ciò che Egli è. – Dio parla: che cosa rimprovera a coloro che sta per condannare? L’oblio di Dio, l’oblio della vera Religione, l’oblio della virtù. – Confessare Dio e la verità del suo Essere, adorarne la perfezione, ammirarne la pienezza, sottomettersi alla sua sovrana potenza, abbandonarsi alla sua alta ed incomprensibile saggezza, confidare nella sua bontà, temere la sua giustizia, sperare nella sua eternità, ecco tutto il dovere dell’uomo, tutto il suo oggetto, tutta la sua natura (Bossuet, Or. fun. de la Duch. d’Or.).

III. — 8 – 23.

ff. 8-13. – Tutto il culto esteriore della Religione non ci sarà di alcuna utilità, se noi ci separiamo dal culto spirituale, interiore. «Dio è spirito, ed è in spirito e verità che bisogna adorarlo » (S. Giov. IV, 24). Tutto il Vangelo ci porta all’esercizio delle virtù che hanno il loro principio nel cuore. Cantare dei salmi al Signore, assistere al divino Sacrificio, partecipare ai Sacramenti, fare l’elemosina ai poveri, sono delle azioni religiose, ma delle azioni morte … senza il sacrificio dello spirito e della volontà (Berthier).

ff. 14-15. – Vediamo ciò che Dio domanda all’uomo. Quale imposte esige da noi, Egli, nostro Dio, nostro Imperatore e nostro Re, dal momento che ha voluto essere il nostro Re, ed ha voluto che noi fossimo il suo reame? Il povero non tema la tassa che Dio gli ha imposto: la tassa di cui Dio reclama il pagamento, comincia, Egli che la impone, con il darne l’ammontare ai suoi tributari. Dio non esige ciò che non abbia dato, ed Egli ha dato a tutti ciò che esige da loro (S. Agost.). O Dio mio, qual tributo mi imponete? « Immolate a Dio un sacrificio di lode ». Io temevo che mi domandaste qualcosa che fosse fuori di me, ed io non ho che da rientrare in me stesso, per trovarvi l’immolare una vittima di lode, e la mia coscienza sarà il vostro altare. O sacrificio gratuito la cui grazia ha dato la vittima! Io non ho comprato ciò che devo offrirvi, ma Voi stesso me l’avete data, perché senza di Voi, io non l’avrei posseduta. E questa immolazione di un sacrificio di lode consiste nel rendere delle azioni di grazie a Colui da cui ottenete tutto ciò che vi è di buono, e la cui misericordia vi rimetterà tutto ciò che, da voi stessi, avete di cattivo. (S. Agost.). – « Invocatemi nel giorno della vostra afflizione, Io vi libererò e voi mi glorificherete ». Ed è in effetti per questo scopo che Io ho permesso per voi il giorno dell’afflizione; perché forse, se voi non foste stati afflitti, voi non mi avreste invocato; ma quando voi siete afflitti, voi mi invocate; quando voi mi invocherete, io vi libererò; quando Io vi avrò liberato, voi mi glorificherete per non allontanarvi più da me (S. Agost.). « … e voi mi glorificherete », ecco il senso di queste parole: fate in modo che Dio sia glorificato dalla vostra vita, secondo le raccomandazioni di nostro Signore (Matth. V, 16). In effetti, lodare qualcuno è farne l’elogio, glorificarlo, celebrarne il nome. Che la vostra vita dunque, sia una lode perpetua di Dio, e voi avrete offerto un sacrificio perfetto. È questo sacrificio che San Paolo esige dai fedeli: « offrite i vostri corpi, dice loro, come un’ostia vivente, santa e gradita a Dio ». (Rom. XII, 1). « E rendete i vostri voti ». Rendete: una promessa, in effetti, ci rende veri debitori. Qualunque sia l’oggetto della vostra promessa, dare un’elemosina, far professione di una vita pura o qualcosa di simile, non tardate nell’adempierla. Io dirò ancor più: dopo un esame serio, voi riconoscerete che la virtù è per noi un obbligo rigoroso ed indipendente da ogni promessa. Gesù-Cristo stesso ce lo dichiara, quando dice (Luc. XVII, 10): « … noi abbiamo fatto ciò che noi dovevamo fare. (S. Chrys.).

ff. 16, 17. – Diverse sono le colpe che Dio rimprovera in coloro che annunziano la sua parola: 1° annunziarla senza averne avuto la missione, senza esservi stati chiamati; 2° essere peccatori; 3° aprire la bocca per parlare dell’alleanza di Dio con gli uomini, ed essere essi stessi fuori da questa alleanza; 4° non predicare le regole della pura morale del Vangelo e la disciplina della Chiesa, ma delle false regole accomodate al rilassamento ed alla cupidigia degli uomini; 5° rigettare le parole di Dio che si troverebbero nella preghiera, nelle meditazioni della Scrittura santa, nella lettura dei santi Padri, e sostituirle con discorsi, pensieri tratti dalla lettura di autori profani; 6° correre con prontezza nelle assemblee mondane, e non compiacersi che nella compagnia di uomini di mondo e nella conversazione con le donne; 7° Fare delle alleanze che sotto il pretesto di spiritualità, legano il cuore e finiscono con attaccamenti che, dopo aver iniziato con lo spirito, finiscono con la carne (Galat. III, 3); 8° esser se stesso un ladro, cercando di sottrarre la gloria che è unicamente di Dio, per attribuirla a se stesso; 9° avere una bocca tutta piena di malignità, dalla quale non esca se non ciò che proviene da un cuore guasto e corrotto, ed una lingua scaltra nell’ingannare con una ipocrisia fine e delicata, 10° disprezzare gli altri predicatori, rimproverare la loro condotta, tentare di renderli sospetti, non semplicemente di passaggio o come per occasione, ma espressamente e con proposito deliberato; 11° prendere i figli della Chiesa come cattivi esempi, 12° attirarsi con lo sconvolgimento dei propri costumi, il più terribile dei castighi di Dio, che è il tenersi in silenzio; 13° immaginarsi follemente che Dio possa essere simile al peccatore. Non serve a nulla istruire gli altri, se non si pratichi la virtù, e si perdano così i propri diritti alla dignità di dottore. Se nei giudizi umani, l’uomo ritenuto colpevole è condannato ad osservare il silenzio, come permettere a colui che è schiavo del peccato di prendere la parola per insegnare nell’assemblea dei fedeli, in questo spazio ben più angusto dei tribunali della terra? … Nessuno nelle corti regali potrebbe essere l’interprete e l’organo della parola del sovrano, se la sua vita è lordata da qualche crimine. Perché dunque narrate le mie giustizie e le insegnate agli altri, facendo voi invece il contrario? Perché con una contraddizione deplorevole tra la vostra vita ed i vostri discorsi, allontanate coloro che vorrebbero rendersi docili ai vostri insegnamenti? Non è più questo un insegnare con le vostre parole, ma è un pervertire con i vostri esempio (S. Chrys.). – « Voi avete disprezzato l’istruzione, ed avete rigettato le mie parole lontano da voi ». L’istruzione qui è la dottrina della Legge, che regola i sentimenti dell’anima, ne scaccia il vizio e vi depone il germe della virtù. Come dunque oserete insegnare questa dottrina, e seminarla nel cuore degli altri, quando essa non dirige affatto le vostre azioni? « Perché avete rigettato le mie parole lontano da voi ». Non soltanto la dottrina della Legge non vi ha insegnato nulla, ma avete anche distrutto in voi gli insegnamenti della natura. Dio in effetti ha posto nella nostra anima la distinzione tra ciò che dobbiamo fare e ciò che dobbiamo evitare; ma, voi, voi avete rigettato questi insegnamenti e li avete banditi dai vostri ricordi (S. Chrys.).

ff. 18. – « Se vedete un ladro, correte a lui ». Ecco la causa di tutti i mali, ecco il grande principio distruttore della virtù, ciò che affievolisce e finisce per spegnere in un gran numero, l’amore del bene. Questo significa esentarsi dal condannare coloro che fanno il male, indirizzar loro delle felicitazioni, delle compiacenze colpevoli quanto il peccato che si approva. Ascoltate l’Apostolo Paolo che vi dice: « … non soltanto coloro che fanno di tali azioni, ma ancora coloro che le approvano » (Rom. I, 32). Non è certo un crimine leggero riunirsi con coloro che fanno il male, anche se si fosse esenti da ogni peccato. Colui che pecca può addurre la necessità o la povertà, benché queste siano cattive scusanti; ma voi, perché lodate il male che egli ha commesso e da cui non potete trarre il benché minimo piacere? E cosa c’è di più triste per voi, se egli forse si pentirà, mentre voi vi chiudete questa porta di salvezza, escludete questo rimedio, annientate questo gran principio di consolazione, ostruite con le vostre mani tutte le vie che potrebbero condurvi al porto della penitenza. Quando dunque Egli verrà, per voi che siete estranei al male e che avete come compito di riprendere i colpevoli, non solo di osservare il silenzio, e cercate di dissimulare il crimine, giungendo a farvi complice, quale giudizio si emetterà di loro e delle proprie azioni? Un gran numero di uomini, nella maggior parte dei tempi, non giudicano secondo le proprie idee ciò che devono fare, ma si lasciano influenzare e corrompere in ciò dalle altrui opinioni. Se dunque colui che fa il male vede tutti allontanarsi da lui con orrore, egli comprenderà da se stesso che ha commesso un grave peccato; ma se, invece di questa indignazione, di questo orrore, egli incontra una facile tolleranza, forse degli applausi, il giudizio della propria coscienza finisce con l’alterarsi per l’appoggio che l’opinione pubblica dà all’idea che il suo spirito, già corrotto, si fa del crimine, ed allora a quali eccessi non giungerà? Quando si condannerà e metterà termine ai crimini che commette senza scrupoli? (S. Chrys).

ff. 19. – « La vostra bocca è stata piena di malizia e la vostra lingua ha sostenuto la menzogna ». Il Profeta parla qui della malizia e della perfidia di certi uomini che per lusinga, benché essi sappiano che quel che intendono sia malefico, e per paura di offendere coloro dalla cui bocca l’ascoltano, si fanno loro complici, non solo non riprendendoli, ma ancor più tacendone. Neanche semplicemente dicono: … voi avete fatto male; ma al contrario dicono: … voi avete fatto bene, mentre sanno che si è fatto male: la loro bocca dunque è piena di malizia e la loro lingua professa la menzogna. La menzogna è una frode nel linguaggio: pensare in un modo e parlare in un altro. Il Profeta non dice: la vostra lingua ha ammesso la menzogna, ma per mostraci che c’è complicità nel male stesso, dice: « essa ha ordito la menzogna ». È poco il fare il male, … voi ve ne compiacete, lodate il peccatore alla sua presenza, e vi burlate di lui in silenzio (S. Agost.).

ff. 20. –  « Voi avete fatto queste cose ed io ho taciuto » vale a dire, Io ho rimandato la punizione, ho differito l’azione della mia severità, sono rimasto paziente ai vostri sguardi, ho atteso per lungo tempo la vostra penitenza. Ora, mentre attendevo la vostra penitenza, voi al contrario, avete meritato l’applicazione di queste parole dell’Apostolo: « … per la durezza del vostro cuore impenitente, voi ammassate contro di voi un tesoro di castighi per il giorno della collera e della manifestazione del giusto giudizio di Dio » (Rom. II, 5), (S. Agost.). – Per voi è poco che le vostre cattive azioni piacciano a voi, voi credete che esse piacciano anche a me. Perché voi non sentite ancora i colpi di un Dio vendicatore, voi volete averlo come complice ed associarlo, come un giudice corrotto, alle vostre iniquità (S. Agost.).

ff. 21. – « Io vi accuserò ». E cosa farò nell’accusarvi? Voi ora non vi vedete, ed Io farò in modo che voi vi vediate; perché se vi vedete e vi dispiacerete, piacerete a me; mentre non vedendovi, vi compiacerete di voi stessi, e dispiacerete così nello stesso tempo a me e a voi: a me quando sarete giudicati, a voi quando sarete nel fuoco eterno. Cosa farò dunque, dice il Signore? « … Io mi compiacerò in faccia a voi stessi ». Perché in effetti volete restar nascosti a voi stessi? Voi vi girate il dorso e non vedete. Io vi obbligherò a vedervi. Ciò che avete messo dietro di voi, Io lo metterò davanti ai vostri occhi; voi vedrete il vostro immondo putridume, non per correggerlo, ma per arrossirne. Fate dunque ora da voi stessi, in qualunque stato siate, ciò che Dio minaccia di fare contro di voi: cessate di voltare il dorso per non vedervi e dissimulare le vostre azioni, mettetevi davanti a voi, entrate nel tribunale della vostra coscienza, siate giudici di voi stessi; che il timore vi torturi, e questa confessione sfugga dal vostro cuore ed arrivi fino a Dio: « Signore, io ho riconosciuto la mia iniquità ed i miei peccati sono incessantemente davanti a me ». (Ps. L, 5) – (S. Agost.).

ff. 22. – Voi vi ripromettete – dice Dio – e siete veramente insensati per credere che Io abbia gli stessi vostri intendimenti; e come voi vi compiacete nell’accecarvi spegnendo tutte le luci che vi illuminano, Io avrò tanta indulgenza nel favorire il vostro accecamento, senza forzarvi mai ad aprire gli occhi; ma in questo non mi avete conosciuto; perché essendo Io ciò che sono, e come Giudice sovrano, potendo dispensarmi dal farvi vedere ciò che voi siete, e convincervene, Io vi riprenderò, e con le censure del mio giudizio, supplirò ai consigli fedeli che avete rigettato, alle sagge rimostranze che avete negletto, alle reprensioni salutari di coloro che volevano e dovevano indirizzarvi, ma che la vostra indocilità ha raffreddato e come annientato lo zelo; Io vi riprenderò, e poiché non avete voluto profittare della sincerità degli uomini, né per correggervi, né per istruirvi, Io vi esporrò, vi metterò davanti a voi stessi (Bourd. Sur le jug. de Dieu).

ff. 23. – Secolo indocile, tu hai preso in odio la disciplina, ed hai rigettato dietro di te le mie parole. Tu non hai rispettato né la giustizia, né la morale: denaro e piacere, cupidità e voluttà, questo era tutto il tuo programma, tutta la tua legge. Tutti i guadagni erano buoni, tutte le sregolatezze erano approvate, purché potevi parteciparne. La tua bocca abbondava di risa maliziose, la tua lingua e la tua penna con arte preparavano perfidi sofismi. A sangue freddo, ed a mente riposata, organizzavi la guerra, non – direi – solo contro tuo fratello, ma contro tuo Padre, il Capo della grande società cristiana; tu ponevi delle pietre di inciampo non solo davanti ai figli, ma davanti allo Sposo di tua Madre la Santa Chiesa, e nella sua persona tu attentavi, percuotevi la famiglia umana tutta intera. Tu hai fatto questo ed Io ho taciuto; cioè Io mi sono astenuto dal punirti subito: poiché Io ti ho avvertito, Io non ho mai cessato di avvertirti con la bocca dei miei Profeti, dei miei Pontefici. Ora poiché Io tacevo, tu hai concepito il pensiero criminale che diventassi simile a te, e che la mia pazienza fosse complicità. « Io ti punirò per questo, non avrò che da metterti in faccia a te stesso », e vedrai che tutta la tua forza non è che debolezza, che la tua gloria non è che vergogna, che la tua ricchezza non è che miseria. Ed ora che se ne è avuta la prova, ora che ne è stata acquisita la dimostrazione, comprendete queste cose, voi che mettete Dio nell’oblio, per timore che non appesantisca la sua mano su di voi e che questa volta la vostra liberazione non sia impossibile (Mgr. Pie). – L’uomo accecato dalle sue passioni non comprende queste cose. – L’oblio di Dio lo mette nell’impossibilità di comprendere le verità più chiare. – Il sacrificio di lodi offerto sull’altare di un cuore infuocato di carità, è l’onore più vero ed il culto più degno che esige dai suoi servitori. – Il sacrificio dell’immolazione spirituale dell’uomo profondamente annientato davanti alla grandezza di Dio, è la via per la quale arriveremo a conoscere la salvezza di Dio (Duguet).

SALMI BIBLICI: “QUID GLORIARIS IN MALITIA” (LI)

SALMO 51: “QUID GLORIARIS IN MALITIA”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME PREMIER.

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 51

In finem. Intellectus David, cum venit Doeg Idumæus, et nuntiavit Sauli: Venit David in domum Achimelech.

[1] Quid gloriaris in malitia, qui potens es in iniquitate?

[2] Tota die injustitiam cogitavit lingua tua; sicut novacula acuta fecisti dolum.

[3] Dilexisti malitiam super benignitatem; iniquitatem magis quam loqui æquitatem.

[4] Dilexisti omnia verba præcipitationis, lingua dolosa.

[5] Propterea Deus destruet te in finem; evellet te, et emigrabit te de tabernaculo tuo, et radicem tuam de terra viventium.

[6] Videbunt justi, et timebunt; et super eum ridebunt, et dicent:

[7] Ecce homo qui non posuit Deum adjutorem suum; sed speravit in multitudine divitiarum suarum, et prævaluit in vanitate sua.

[8] Ego autem, sicut oliva fructifera in domo Dei; speravi in misericordia Dei, in æternum et in sæculum sæculi.

[9] Confitebor tibi in sæculum, quia fecisti; et exspectabo nomen tuum, quoniam bonum est in conspectu sanctorum tuorum.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO LI (1)

Riprensione a Doeg Idumeo, che calunniò Davide e Achimelech Sacerdote presso il re Saulle, e divenne con ciò causa della strage dei sacerdoti di Nobe. (Vedi lib. 1 Reg., c. 21).

Per la fine: salmo d’intelligenza di David, quando Doeg Idumeo andò a dar avviso a Saul, dicendo: David è stato a casa di Achimelech.

1. Perché fai tu gloria della malvagità, tu che sei potente a far male?

2. Tutto il dì la tua lingua ha meditato l’ingiustizia; quale affilato rasoio hai fatto tradimento.

3. Hai amato la malizia più che la bontà; il parlare iniquo, piuttosto che il giusto.

4. Hai amato tutte le parole da recar perdizione, o lingua ingannatrice.

5. Per questo Iddio ti distruggerà per sempre; ti schianterà, e ti scaccerà fuori del tuo padiglione; e ti sradicherà dalla terra dei vivi.

6. Vedran ciò i giusti, e temeranno, e di lui rideranno, dicendo:

7. Ecco l’uomo, il quale non ha eletto Dio per suo protettore; ma sperò nelle sue molte ricchezze, e si fece forte nei suoi averi.

8. Ma io, come ulivo fecondo nella casa di Dio, ho sperato nella misericordia di Dio per l’eternità e per tutti i secoli.

9. Te loderò io pei secoli, perché hai fatta tal cosa e aspetterò l’aiuto del nome tuo, perché buona cosa è questa nel cospetto dei santi tuoi.

Sommario analitico

In questo Salmo, il cui titolo fa sufficientemente conoscere l’occasione ed il soggetto, ed in cui c’è Doeg, traditore di Davide e del gran sacerdote, per i suoi interessi temporali, c’è un’immagine viva di Giuda che tradisce e vende il suo divino Maestro.

I. – Davide mostra tutta l’iniquità e la malvagità delle calunnie di Doeg e ne descrive i caratteri principali:

– 1° la sua ostinazione nell’iniquità, della quale si glorifica (1), – 2° la sua malizia premeditata e continua (2); – 3° la sua affezione al male (3); – 4° i suoi discorsi che non hanno come scopo se non la rovina del prossimo (4);

II.Egli descrive il castigo che lo attende sotto la figura di un albero abbattuto e sradicato:

– 1° egli sarà divelto, abbattuto, sradicato (5); – 2° i giusti, testimoni della sua rovina, applaudiranno e rideranno di lui, a) perché egli non ha riposto la sua forza il Dio, b) si è affidato alle moltitudini delle sue ricchezze, c) e si è raffermato nella sua malvagità (6, 7).

III Egli descrive in opposizione la sua felicità e quella dei giusti, sotto l’emblema di un ulivo verdeggiante:

– 1° Che produce frutti abbondanti, – 2° che è piantato in un luogo ameno, la casa di Dio (8); – 3° i cui rami che si estendono in lontananza sono: a) la speranza in Dio (8); b) la lode di Dio; c) la longanimità; d) la contemplazione e la carità della comunione dei santi (9).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-4.

ff. 1. – Glorificarsi delle proprie buone opere, è commettere una grave ingiustizia verso Dio, perché è come prendergli ciò che Gli appartiene come proprio, la sua gloria, che Egli stesso dichiara di non cedere a nessuno. Ma glorificarsi nella propria malizia, è fare a Dio l’oltraggio più sensibile, poiché è dichiararsi suo nemico. – « Perché colui che è potente si glorifica della propria malvagità? » Vale a dire, perché colui che è potente nel male si glorifica? L’uomo ha bisogno di essere potente, ma nel bene, e non nel male. È dunque qualcosa di grande glorificarsi della propria malvagità? Il costruire una casa è affare di pochi; nel distruggerla, ogni ignorante può venirne a capo. È concesso ad un piccolo numero di persone il saper seminare il frumento, coltivare le messi, attendere la maturazione del grano, e raccogliere con gioia il frutto di questo lavoro; ma il primo venuto può con una semplice fiammella, incendiare tutta una messe. Far nascere un bambino, nutrirlo, allevarlo, condurlo fino all’età della giovinezza, è un grande compito, ma non c’è nessuno che non possa ucciderlo in poco tempo. Tutto ciò che non tende che a distruggere è dunque molto facile. Colui che si glorifica, si glorifichi nel Signore (1 Cor. I, 31); colui che si glorifica, si glorifichi nel bene; voi vi glorificate perché siete potenti nel male; cosa farete dunque o potenti con tutta la vostra iattanza? Voi ucciderete un uomo? Uno scorpione fa altrettanto; una febbre fa altrettanto, un fungo velenoso fa altrettanto. Tutta la vostra potenza è così ridotta ad eguagliare quella di un animale o di una pianta velenosa? (S. Agost.).

ff. 2. – Il cuore del giusto è interamente nella legge di Dio, che egli medita giorno e notte (Ps. I, 2). Il cuore del malvagio è interamente nell’ingiustizia, e la sua lingua è sempre occupata a produrre all’esterno i suoi tristi frutti (Dug.). – Come spiegare ciò che qui dice il profeta, che la lingua pensa e medita l’ingiustizia, allorché i pensieri escono dal senso ragionevole dell’anima vivente, mentre la lingua non è che lo strumento materiale del pensiero? Un altro scrittore ispirato ci fa comprendere la giustezza di questa espressione: « il cuore degli insensati – egli dice – è nella loro bocca » (Eccl. XXI, 29), perché essi non fanno niente con il consiglio della ragione e secondo le deliberazioni della loro intelligenza, ma al contrario si lasciano andare allo scorrere precipitoso della loro lingua, e tengono i discorsi più sconsiderati e più temerari. Ecco perché l’autore sacro dice che il loro cuore è nella loro bocca, perché essi non dicono affatto quel che hanno pensato, ma ciò che hanno pensato e che hanno detto. Il salmista parla tutt’altrimenti della lingua del saggio: la lingua del giusto, egli dice, mediterà la saggezza (Ps. XLIV, 2), perché la lingua si forma ed è diretta sulla meditazione del suo cuore (S. Hil.). – Quanta pena ci si prende per aguzzare un rasoio, quanta cura per affilarlo, quante volte lo si fa passare sulla pietra? E questo per radere quanto più profondamente i peli della barba, e dare al viso tutta la sua pulizia, tutta la sua nettezza. Ma se in luogo di tagliare la barba, il rasoio taglia la pelle della persona, esso porta un colpo ingannatore e perfido, perché invece di contribuire alla bellezza del viso, produce una ferita. (S. Hilar.).

ff. 3. –  « Voi avete preferito la malvagità alla bontà » Uomo ingiusto, uomo senza regole, voi volete, nella vostra perversità, mettere l’acqua sopra l’olio; l’acqua sarà sommersa, e l’olio emergerà. Voi volete nascondere la luce sotto le tenebre, ma le tenebre saranno dissipate, e la luce sussisterà. Voi volete mettere la terra al di sopra del cielo, ma la terra, con tutto il suo peso, cadrà sul suo luogo naturale. Voi sarete sommersi dunque per aver preferito la malvagità alla bontà; poiché mai la malvagità avrà la meglio sulla bontà. « Voi avete preferito la malvagità alla bontà, ed il linguaggio dell’iniquità a quello della giustizia ». Davanti a voi è la giustizia e davanti a voi vi è pure l’ingiustizia: voi avete una lingua, la muovete come vi pare; perché dunque la volgete piuttosto dal lato dell’ingiustizia e non dal lato della giustizia? Voi non sapete dare al vostro stomaco un nutrimento amaro, e date alla vostra lingua un nutrimento d’iniquità? Come scegliete il vostro nutrimento, così scegliete anche le vostre parole. Voi preferite l’ingiustizia alla giustizia; voi la preferite, è vero, ma chi la spunterà, se non la bontà e la giustizia? (S. Agost.).

II. — 5 – 7.

ff.5. – La giusta retribuzione dovuta al peccato, spesso è esercitata sui peccatori in questa vita, e sempre nell’altra. – Essi cercano di distruggere gli altri e non vi riescono che troppo spesso; ma saranno essi stessi distrutti, saranno scacciati dai luoghi ai quali si erano attaccati più tenacemente, le loro dimore, ove si erano stabiliti come se non ne dovessero mai uscire e mai sradicarsi con la loro morte dalla terra dei viventi. (Dug.). – Ogni anno, per un gran numero di uomini, il tempo fugge rapido come il fulmine, ed allora, dopo effimeri successi, c’è lo sterminio assoluto; ed allora dopo una vana affermazione di potenza e di grandezza, arriva lo schiacciamento senza pietà: … l’espulsione e l’esilio in luogo delle superbe dimore; l’annientamento della discendenza in luogo di una numerosa posterità; ecco ciò che Dio riserva ai malvagi, ecco come punisce l’insolenza e l’orgoglio con cui avevano preteso di lottare contro di Lui (Rendu). – Noi dobbiamo dunque avere la nostra radice nella terra dei viventi. La radice è in un luogo nascosto: se ne possono vedere i frutti, non la radice: occorre che le nostre opere procedano dalla carità, ed allora la nostra radice è nella terra dei viventi (S. Agost.). – Ah, io comprendo Signore, che la buona radice è il vostro amore, e che quella dell’empio è il suo criminale attaccamento alle cose della terra. Voi strappate questa radice perversa dalla terra dei viventi, e ricacciate l’empio lontano dal vostro tabernacolo. Cosa diventerò io, Signore, se agite così con me? Come potrò vivere lontano da Voi? Lontano dalla terra dei viventi, e lontano dal tabernacolo dove si impara ad amarvi? Radicatemi, Signore, nel vostro amore, ai piedi del Tabernacolo eucaristico (Mgr. De La Bouil. Symb., p. 279). – Quando i giusti avranno timore? Quando rideranno? Comprendiamo e discerniamo questi due tempi nei quali sia utile temere o ridere. Mentre siamo in questo mondo, non è ancor tempo di ridere, per paura di avere poi da piangere. Coloro dunque che sono i giusti ora e che vivono della fede, vedono questo Doeg e ciò che gli debba accadere, e temono per se stessi la stessa sorte; essi sanno in effetti cosa sono oggi, ma non sanno cosa saranno domani. Ora, dunque « i giusti verranno e temeranno », ma quando rideranno di lui? Quando l’iniquità sarà trascorsa; quando sarà tolta, come è già tolta, in gran parte, questo tempo incerto; quando saranno dissipate le tenebre di questo mondo, in mezzo alle quali noi non camminiamo ora che alla luce delle sante Scritture, ciò che fa che noi temiamo come se fossimo nella notte (S. Agost.).

ff. 7. – Il Profeta non ha detto: ecco quest’uomo che era ricco, ma: « ecco quest’uomo che non ha cercato il suo appoggio in Dio, e che ha messo la sua speranza nella moltitudine delle sue ricchezze ». Non è perché ha posseduto ricchezze, ma perché vi ha riposto le sue speranze, non mettendo le sue speranze in Dio, che egli è condannato, ed è per questo che egli è punito; è per questo che è cacciato dalla sua tenda, non essendo che terra e movimento, come la polvere che il vento alza sopra la superficie della terra; è per questo che la sua radice è divelta dalla terra dei viventi (S. Agost.). – I giusti, così sensibili quaggiù alle calamità dei propri fratelli, così ingegnosi nello scusare le loro colpe, a coprirle con un velo di carità, e ad addolcirle agli occhi degli uomini, quando non possono trovare scuse apparenti; i giusti, spogliati nel giorno del giudizio, sull’esempio del Figlio dell’uomo, di questa indulgenza e di questa misericordia che essi avevano esercitato verso i propri fratelli sulla terra, sibileranno sui peccatori, dice il profeta, l’insulteranno e divenendo essi stessi i suoi giudici, diranno loro beffandoli. « … ecco dunque quest’uomo che non aveva voluto mettere il suo soccorso e la sua fiducia nel Signore, e che aveva amato meglio confidare nella vanità e nella menzogna ». Ecco questo insensato che si credeva il solo saggio sulla terra, che riguardava la vita dei giusti come follia, e che si compiaceva nel favore dei grandi, nella vanità dei titoli e delle dignità, nell’estensione delle terre e dei possedimenti, nella stima e nelle lodi degli uomini, degli appoggi del fango che doveva perire con lui » (Massil., Jug. Univ.).

III. — 8, 9.

ff. 8. – L’olivo sterile, come il fico del Vangelo che non produce nulla, è l’immagine del peccatore. Essi non sono buoni, l’uno e l’altro, che ad essere tagliati e gettati nel fuoco. L’olivo fertile, al contrario, che porta frutto in abbondanza, è l’immagine del giusto che merita un posto nella casa del Signore. Fondamento solido della salvezza eterna, è la speranza nella misericordia di Dio. Quale differenza con la speranza che il peccatore pone nelle sue ricchezze, nella vanità e la menzogna! – « Io ho messo la mia speranza nella misericordia del Signore ». Ma non sarebbe solo per il presente? Perché talvolta gli uomini si ingannano su questo punto. In verità essi adorano Dio; ma benché abbiano confidenza in Dio, non è che in vista della loro prosperità temporale che essi dicono: io adoro il mio Dio che mi renderà ricco sulla terra, che mi darà dei figli, una sposa. Questi beni, in effetti non li dà se non Dio, ma Egli non vuole che Lo si ami a causa di questi medesimi beni. Egli li dà spesso anche ai malvagi, per far comprendere ai buoni di chiedergli ben altri beni. In che senso allora voi dite: « io ho messo la mia speranza nella misericordia di Dio? » … non è per caso onde acquisire dei beni temporali? No, « per l’eternità, e per i secoli dei secoli » (S. Agost.).

ff. 9. – « Io vi glorificherò per sempre, per quanto Voi avete fatto ». È una confessione completa del Nome di Dio con queste parole « per quanto avete fatto ». Cosa avete fatto se non ciò che si sta dicendo, che cioè, grazie a Voi, io sono come un ulivo fertile nella casa del Signore, e che ho messo la mia speranza nella misericordia divina per l’eternità e per i secoli dei secoli? Questo Voi lo avete fatto. Io non mi glorifico per ciò che ho, come se non avessi ricevuto nulla, ma io me ne glorifico in Dio. « Ed io confesserò per sempre che Voi lo avete fatto »; vale a dire, in ragione della vostra misericordia e non in ragione dei miei meriti; perché per me, io cosa ho fatto? Se voi cercate nel passato, io sono stato un bestemmiatore, un persecutore, un calunniatore. E Voi cosa avete fatto? Per Voi io ho attenuto misericordia, perché avevo fatto il male per ignoranza (1 Tim. I, 13). – Il Nome di Dio è Dio stesso, così aspettare il suo santo Nome, è come aspettare la manifestazione di Dio, il momento in cui Egli scoprirà la sua essenza eterna. Noi tutti siamo sulla terra in attesa di questo momento; noi non vediamo il santo Nome di Dio che in enigma e per fede. Quando si rivelerà a noi senza mezzi e senza veli, noi sapremo pienamente ciò che Egli è, e saremo perfettamente felici (Berthier). « Ed io aspetterò il vostro Nome perché è pieno di dolcezza ». Il mondo è pieno di amarezza, ma il vostro Nome è pieno di dolcezza, e se pure nel mondo vi è qualcosa di dolce al gusto, la digestione ne è amara. Il vostro Nome è l’oggetto delle mie preferenze, non solo a causa della sua grandezza, ma a causa ancor più della sua dolcezza. In effetti « gli ingiusti mi hanno raccontato le delizie delle quali godono, ma esse, Signore, non erano dolci come la vostra legge » (Ps. CXVIII, 86). Se in effetti non ci fosse stata qualche dolcezza nelle sofferenze dei martiri, essi non avrebbero sopportato con tanta costanza le amarezze di queste sofferenze, ma non era facile per tutti gli uomini gustare la dolcezza che esse racchiudevano. Il Nome di Dio è dunque – per coloro che amano Dio – di una dolcezza che sorpassa tutte le altre dolcezze, « io attenderò il vostro Nome, perché è pieno di dolcezza ». E a chi dimostrare la dolcezza di questo Nome? Datemi un palato al quale questo Nome sia stato dolce, lodate il miele finché volete, esagerate la sua dolcezza con tutte le espressioni che potete trovare, un uomo che non sa ciò che il miele sia, non comprenderà quel che direte, finché non l’avrà gustato. C’è un altro salmo in cui il Profeta invita particolarmente a sperimentare questa dolcezza e vi dice: « Gustate e vedete come è dolce il Signore » (Ps. XXXIII, 8). Voi rifiutate di gustarlo e dite: Egli è dolce! (S. Agost.).

SALMI BIBLICI. “AUDITE HÆC, OMNES GENTES” (XLVIII)

SALMO 48: Audite hæc, omnes gentes

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME PREMIER.

PARIS LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 48 (1)

In finem, filiis Core. Psalmus.

[1] Audite hæc, omnes gentes;

auribus percipite, omnes qui habitatis orbem:

[2] quique terrigenæ et filii hominum, simul in unum dives et pauper.

[3] Os meum loquetur sapientiam, et meditatio cordis mei prudentiam.

[4] Inclinabo in parabolam aurem meam; aperiam in psalterio propositionem meam.

[5] Cur timebo in die mala? Iniquitas calcanei mei circumdabit me.

[6] Qui confidunt in virtute sua, et in multitudine divitiarum suarum gloriantur.

[7] Frater non redimit, redimet homo: non dabit Deo placationem suam,

[8] et pretium redemptionis animae suæ. Et laborabit in æternum;

[9] et vivet adhuc in finem.

[10] Non videbit interitum, cum viderit sapientes morientes. Simul insipiens et stultus peribunt; et relinquent alienis divitias suas;

[11] et sepulchra eorum domus illorum in æternum, tabernacula eorum in progenie et progenie; vocaverunt nomina sua in terris suis.

[12] Et homo, cum in honore esset, non intellexit. Comparatus est jumentis insipientibus, et similis factus est illis.

[13] Haec via illorum scandalum ipsis; et postea in ore suo complacebunt.

[14] Sicut oves in inferno positi sunt: mors depascet eos. Et dominabuntur eorum justi in matutino; et auxilium eorum veterascet in inferno a gloria eorum.

[15] Verumtamen Deus redimet animam meam de manu inferi, cum acceperit me.

[16] Ne timueris cum dives factus fuerit homo, et cum multiplicata fuerit gloria domus ejus;

[17] quoniam, cum interierit, non sumet omnia, neque descendet cum eo gloria ejus.

[18] Quia anima ejus in vita ipsius benedicetur; confitebitur tibi cum benefeceris ei.

[19] Introibit usque in progenies patrum suorum; et usque in æternum non videbit lumen.

[20] Homo, cum in honore esset, non intellexit. Comparatus est jumentis insipientibus, et similis factus est illis.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO XLVIII (1)

Esortazione a seguir la virtù e scampar dal vizio.

Per la fine; ai figliuoli di Core.

1. Udite queste cose, o nazioni quante voi siete; porgete le vostre orecchie, tutti voi abitatori della terra;

2. E voi di stirpe oscura, e voi di nobil lignaggio: il povero insieme ed il ricco.

3. La mia bocca parlerà sapienza, e la meditazione del mio spirito parole di prudenza.

4. Terrò intente le orecchie alla parabola; esporrò sul salterio il mio tema.

5. Per qual ragione sarò io timoroso nel cattivo giorno? l’iniquità dell’opere mie mi premerà d’ogni parte.

6. Cosi quelli che si confidano nella loro potenza, e si gloriano dell’abbondanza dì ricchezze.

7. Il fratello non riscatta, e un altr’uomo riscatterà? nessuno darà a Dio cosa atta a placarlo,

8. Né il prezzo di riscatto per l’anima sua: ed ei sarà eternamente nell’afflizione,

9. E tuttavia vivrà perpetuamente.

10. Non vedrà egli la morte, mentre ha veduto che muoiono i saggi? L’insensato e lo stolto perirà egualmente.

11. E lasceranno le loro ricchezze ad estranei; e i loro sepolcri saranno le loro case in eterno. E i loro tabernacoli per tutte le generazioni; diedero essi i loro nomi alle loro terre.

12. E l’uomo, posto in nobile condizione, ha avuto discernimento; è stato paragonatp ai giumenti senza ragione, ed è divenuto simile ad essi.

13. Questo far di costoro è per essi uno scandalo, e quelli che vengono dopo, si compiaceranno de’ lor dettati.

14. Sono stati messi nell’inferno a gregge, come le pecore; saran pascolo della morte. E i giusti, al mattino, avran dominio sopra di essi; e dopo la loro gloria ogni soccorso verrà meno per essi nell’inferno.

15. Iddio pero riscatterà l’anima mia dal potere dell’inferno, quando egli mi prenderà.

16. Non ti faccia specie, quando un uomo sia diventato ricco e sia cresciuta in gloria la casa di lui.

17. Imperocché, morto che sia, non porterà nulla seco, e non andrà dietro lui la sua gloria.

18. Imperocché sarà benedetta l’anima di lui, mentre ei viverà; ti loderà quando tu gli avrai fatto del bene.

19. Andrà fin laggiù a trovare la progenie dei padri suoi, e non vedrà lume in eterno.

20. L’uomo, posto in nobile condizione, non ha avuto discernimento; è stato paragonato ai giumenti senza ragione ed è divenuto simile ad essi.

(1) – Questo salmo molto difficile secondo il giudizio di tutti gli interpreti, sarebbe secondo M. Le Hir (Les Psaumes, etc.), uno di quelli della vulgata che si allontana in più punti dal testo ebraico. Noi non di meno siamo rimasti fedeli alla traduzione della Vulgata, ed il senso che essa presenta è stata la sorgente delle idee più belle e delle più serie considerazioni, come si potrà giudicare dagli estratti dei Santi Padri che noi qui riportiamo.

Sommario analitico

Il Profeta considerando la breve durata della potenza degli empi, il loro giudizio e la loro rovina eterna,

I. – Propone il soggetto che vuol trattare:

1° invita tutti gli uomini, di ogni nazione, di ogni classe, ad intenderlo (1);

2° eccita l’attenzione del corpo e dello spirito – a) per la natura del soggetto che sta per trattare: egli è pieno di saggezza e di prudenza e avviluppato da una oscurità misteriosa (3); – b) per la maniera con cui lo tratterà; egli lo propone dopo averlo meditato ed aver prestato orecchio a Dio che lo istruisce (4).

II. – Mostra che i ricchi empi debbano temere:

– 1° a causa della morte, a) quando i loro peccati li circonderanno e li accuseranno (5); b) quando le speranze che avevano riposte nelle loro ricchezze saranno annientate (6); c) quando nessuno prenderà le loro difese, né i loro parenti o i loro amici, né Dio irritato, né le loro ricchezze, ed occorrerà necessariamente subire l’impero della morte (7-11). 

– 2° A causa delle sequele della morte: – a) le loro ricchezze perdute (10); – b) i loro corpi vittime della corruzione della tomba (11); – c) le loro case passate ad altri proprietari; – d) il loro nome caduto nell’oblio con le loro terre (11).

3° A causa dei castighi che li attendono nell’inferno: – a) essi riceveranno la giusta punizione per i crimini enormi che hanno commesso: 1) privando il loro spirito della luce della ragione; 2) turbando la loro volontà e corrompendo le loro azioni (12); 3) glorificando la loro condotta criminale (13). – b) Essi saranno rigorosamente castigati: 1) dai demoni che li precipiteranno negli inferi come un vile capro; 2) dalla morte di cui saranno preda e che li divorerà (14).

III. – Egli dimostra come gli empi non siano da temere:

1° Né nell’altra vita, ove a) il dominio degli empi farà posto a quelli dei giusti (14); ove b) i giusti saranno liberati e riuniti a Dio (15);

2° Né in questa vita, ove: – a) essi hanno beni ed onori in abbondanza, ma dei quali non gioiranno a lungo e non oltre la tomba (16, 17); – b) essi riceveranno quaggiù gli elogi e le lodi degli adulatori, ma questi elogi e queste adulazioni non li salveranno né dalla morte né dalla dannazione, e non li eleveranno al di sopra degli animali ai quali sono divenuti simili (18-20).

Spiegazioni e Considerazioni

I. – 1-4.

ff. 1, 2. – Il Re-Profeta sta per darci in questo salmo delle grandi e misteriose lezioni; egli infatti non inviterebbe il mondo intero per venire ad ascoltarlo, non sceglierebbe l’universo come teatro, se non avesse da farci conoscere delle grandi ed importanti verità, degne di essere insegnate ad una sì vasta assemblea. Non solo ai Giudei egli parla come Profeta, ma si indirizza come Apostolo, come Evangelista, all’intero genere umano. La legge non indirizzava i suoi insegnamenti che ad una sola nazione, in un solo angolo della terra; ma la predicazione evangelica si è diffusa su tutta le superficie del pianeta, si è estesa fino alle estremità del mondo abitato ed ha percorso tante contrade quante il sole ne ha illuminato con i suoi raggi. La lezione è solenne, l’insegnamento è grave: Dio raduna la terra intera, tutte le fortune, tutte le condizioni devono egualmente ascoltare (S. Bas.; S. Chrys.). – Dopo questo richiamo, egli reprime l’orgoglio che la vista della loro grande moltitudine poteva ispirare. E come reprime la loro vana sufficienza? Con il ricordo della loro comune natura. « Voi tutti che abitate la terra », e che nei vostri sogni orgogliosi, misconoscete la vostra origine, la vostra vita effimera, la vostra morte sempre pronta, le forme mortali della polvere alla quale devono rapidamente ritornare, senza distinzioni di onore e di fortuna: considerate cosa sia la vostra madre, e questa considerazione smorzi in voi ogni sentimento di orgoglio. Abbassate ed umiliate questi pensieri superbi, considerate che « … voi siete polvere e tornerete nella polvere » (Gen. III, 49), e così stornerete da voi ogni arroganza, ed ecco l’uditore che mi abbisogna. Io vorrei ispirarvi sentimenti di moderazione, per rendervi più idonei a comprendere le mie parole, « ricchi e poveri ». Voi vedete qual sia la nobiltà e la generosità della Chiesa. E come negare questa nobiltà, quando la differenza di condizione non è punto per essa un motivo di eccezione di persona tra i suoi discepoli, ma che noi vediamo spandere indistintamente la sua dottrina sul povero e sul ricco, per farli sedere entrambi ad una tavola comune? Dopo aver mostrato il legame che li unisce, cioè l’aver mostrato la terra come origine comune, l’essere tutti figli degli uomini ed avere una medesima natura, occorre vedere che la distinzione che fuoriesce dalla differenza delle condizioni sociali sia nulla, chiamati come sono tutti indistintamente ad ascoltare le sue parole. Io vi invito tutti in generale, poiché noi abbiamo tutti una comune natura, perché la terra intera è la nostra comune città. Voi avete introdotto ancora un’altra distinzione, e con questa, un’altra ineguaglianza, fondata sulla povertà e la ricchezza; io le respingo ugualmente: io non ammetto che i ricchi respingano i poveri, e non ammetto affatto che i poveri respingano i ricchi, io li convoco tutti senza distinzione, e nel richiamo che faccio loro, non c’è né primo né ultimo: tutti sono chiamati nello stesso tempo. L’assemblea, il discorso, gli uditori, tutto è comune. Voi siete ricco, ma non siete uscito che dallo stesso fango, ed avevo avuto lo stesso ingresso nel mondo, la stessa origine del povero: voi siete figlio degli uomini, egli lo è ugualmente. Dappertutto allora io cerco inutilmente questa uguaglianza tra il ricco ed il povero: essa non esiste né nei tribunali, né nei palazzi, né nelle riunioni politiche, né nei banchetti; qui il ricco è onorato, il povero non raccoglie che disprezzo; l’uno ha ogni libertà, l’altro è coperto di onta. In questa assemblea non è affatto così: io non voglio queste distinzioni insensate, e propongo a tutti una dottrina comune (S. Chrys.). – Tutti sono semplicemente chiamati, perché la sorgente della saggezza è aperta abbondantemente a tutti; non la si compra affatto col denaro, perché essa è senza prezzo, superiore a tutti i tesori della terra. Così il ricco non è allontanato, il povero non è escluso; poiché la saggezza non distingue lo stato di fortuna, ma le volontà; essa non dà preferenza che a colui che è primo per l’afflizione del cuore e più vicino per la regolarità della vita (S. Ambr.).

ff. 3, 4. – Dopo aver detto: « la mia bocca pronuncerà delle parole di saggezza », per farvi comprendere che ciò che esce dalle sue labbra prende origine nel suo cuore, egli aggiunge: « … e dalla meditazione del cuore uscirà l’intelligenza » (S. Agost.). – Secondo la dottrina dell’Apostolo, « bisogna credere col cuore per ottenere la giustizia, e confessare con la bocca per ottenere la salvezza » (Rom. X, 10), e questi due atti uniti formano la perfezione. È per questo che il salmista aggiunge qui l’azione della bocca alla meditazione del cuore; perché se il bene non esiste dapprima in fondo all’anima, come colui che non possiede il buon tesoro nel segreto del suo cuore, potrà produrlo all’esterno con la sua bocca? (S. Bas.). – Il dottore che insegna agli altri non deve essere che l’organo della sapienza di Dio. Egli non deve dire niente che non abbia a lungo meditato nel fondo del suo cuore, e prima che scopra loro quel che vuole proporre, deve aver cura di rendere egli stesso le sue orecchie attente alle lezioni dello Spirito Santo, cioè a tutti i misteri della sua verità, coperti dai veli dell’allegoria (S. Bas.). – « … Io presterò orecchio alle parabole ». Ma dov’è il legame con ciò che precede? In luogo di un dottore, io vedo ora un discepolo. Voi ci chiamate per venire a ricevere degli insegnamenti utili e, quando abbiamo tutti risposto al vostro appello e siamo tutti riuniti intorno a voi, dopo averci promesso di farci ascoltare le parole di saggezza, in luogo di tenerci questo linguaggio, voi lasciate l’ufficio di dottore per prendere quello di discepolo: « Io presterò – egli dice – l’orecchio per ascoltare le parabole. » Cosa significano queste parole? Esse sono perfettamente in rapporto con ciò che le precede. Io voglio – egli ha detto – farvi intendere il linguaggio della sapienza, ma non immagini nessuno che sia un linguaggio umano, e che questa meditazione del mio cuore sia un’invenzione personale. Le parole che state per ascoltare sono divine; io non dirò nulla da me stesso e non vi trametterò se non gli insegnamenti che io stesso ho ricevuto. Io ho inclinato il mio orecchio per intendere le parole di Dio, e sono queste parole discese dal cielo nella mia anima che devo fare intendere tutte a mia volta. È ciò che Isaia esprimeva in questi termini: « Il Signore mi ha dato un linguaggio sapiente per distinguere il tempo in cui io devo parlare, ed ha preparato il mio orecchio per ascoltarlo » (Isai. L, 4; S. Chrys.). – Non siate dunque sorpresi da questa espressione. « La meditazione del mio cuore ». Il Re-Profeta meditava continuamente gli insegnamenti che aveva ricevuto dallo Spirito-Santo, e li ripassava nella sua anima, e solo dopo lunga meditazione li trasmetteva agli altri. (S. Chrys.). – Il predicatore può raccogliere qui delle lezioni molto importanti: – 1° Egli deve predicare la saggezza di Dio contenuta nelle sante Scritture, e non negli insegnamenti di una saggezza tutta umana. – 2° Se egli vuole che Dio lo riempia di questa saggezza, occorre che la distribuisca al popolo. Una sorgente che non si spande si corrompe e si esaurisce, ma al contrario più essa si espande, più diviene abbondante e pura. – 3° La meditazione è la madre della prudenza: essa è indispensabilmente necessaria al predicatore per riempire il suo spirito di luce divina, e fare che non gli sfugga alcuna parola imprudente o temeraria nel corso dei suoi insegnamenti.

II. — 5-14.

ff. 5. – Il giorno del giudizio: « giorno di collera, giorno di tristezza e di spasimi del cuore, giorno di afflizione e di miseria, giorno di tenebre ed oscurità, giorno di nubi e di tempeste »; in una parola: « Giorno cattivo », particolarmente per « coloro che si trovano avvolti nell’iniquità delle loro vie » (Dug.). Nei giudizi degli uomini, si può temere la seduzione, la frode, l’insidia, ma nel giudizio di Dio la sola cosa che sia spaventevole, è il trovarsi invischiati nel peccato. E perché il peccato è così terribile in questo momento? È perché esso condanna il peccatore alle pene eterne dell’inferno. (S. Chrys.). – Questo cattivo giorno, è il giorno della morte, il giorno del giudizio, nel quale ciascuno sarà come circondato dai suoi pensieri e dalle sue azioni. Se il dire spesso: « verrà per me un giorno cattivo nel quale alla mia apparente tranquillità della vita presente succederanno il dolore e l’angoscia, in cui il mondo sparirà tutto ad un tratto dai miei occhi, con tutte le sue illusioni che hanno così spesso abusato del mio spirito, e mi lascerà da solo di fronte alla morte. Che avrò allora da temere? Le tracce dell’iniquità che si sono attaccate alle mie vie. Durante questa vita essa mi seguiva, si nascondeva sotto le mie vie. In questo giorno funesto essa si svelerà e diventerà per la mia anima una veste che la circonderà da ogni parte. Non si presenterà alcun accusatore se non le opere della vostra vita, ciascuna con il proprio carattere e con le circostanze distintive » (S. Bas.).

ff. 6. – Il profeta non biasima qui il possesso della potenza e delle ricchezze, ma soltanto la falsa fiducia dei potenti e dei ricchi del secolo, che non conoscono come veri beni se non quelli della vita presente, come vere gioie, se non quelle dei piaceri della terra, che immaginano che le loro ricchezze siano sufficienti, che non serva loro nessun’altra redenzione, che la loro gioia sarà interminabile ed il loro avvenire assicurato. Il salmista ci insegna di conseguenza ad intravedere, nell’acquisizione ed nel possesso dei beni temporali, la fine dei nostri giorni, alfine di non dare a questi beni l’importanza che essi non meritano. Colui che pensa alla morte arricchisce senza ambizioni e possiede senza orgoglio; egli sa che un giorno lo splendore inseparabile dall’opulenza svanirà, e ricorda l’esempio di tanti ricchi che sono entrati nella notte della tomba, e hanno portato con sé se non ciò che non è stato rifiutato al più miserabile dei mortali, un sudario, una bara e sei piedi di terra. Il ricco pieno di questi pensieri cerca di osservare i precetti dell’Apostolo (Tim. VI, 17-19): di non essere orgoglioso, di non porre la sua fiducia nelle ricchezze incerte, ma nel Dio vivente, che ci dà con abbondanza ciò che è necessario alla vita; di essere caritatevole e benefattore, ricco in buone opere, di dare di buon cuore, di far parte dei propri beni i poveri, a farsi così un tesoro ed un fondamento solido per l’avvenire al fine di abbracciare la vera vita (Berthier).

ff. 7, 9. – Ci sono di coloro che presumono dei loro amici, di coloro che presumono dei loro fratelli, ed altri delle loro ricchezze. È la presunzione di ogni uomo che non mette in Dio solo la sua fiducia. Ciò che è detto della forza personale, quello che è detto delle ricchezze, è detto egualmente degli amici: « … se il fratello non redime suo fratello, un uomo forse lo redimerà? » Aspettate forse che un uomo vi riscatti dalla collera che giungerà? Se non vi riscatta un vostro fratello, vi potrà riscattare mai un uomo? (S. Agost.). – Dov’è qui la sequenza delle idee? Essa non potrebbe essere più stretta e lampante. Il Re-Profeta parlava del giudizio, del terribile conto che dobbiamo rendere, e di questa sentenza che niente può corrompere. Ora, come nei giudizi della terra ci sono molti che hanno corrotto la giustizia e che sono sfuggiti al supplizio comprando i giudici in cambio di denaro, egli proclama che la giustizia divina è inaccessibile ad ogni corruzione, ed accresce il timore che ha cercato di inspirare dimostrando di aver avuto ragione nel dire che non c’era che una sola paura legittima: quella che viene dal peccato! Perché davanti a questo tribunale, la giustizia non può essere corrotta al prezzo di denaro, le regalie non possono liberare dai supplizi dell’inferno, e non c’è protezione, né eloquenza, né alcun altro mezzo capace di salvarci. Sia che siate ricco, potente, o conosciuto da personaggi influenti, tutto questo sarà inutile: solo le vostre opere saranno qui la causa del vostro castigo o della vostra ricompensa (S. Chrys.). – Nessuna creatura è capace di riparare l’ingiuria infinita che è stata fatta a Dio con il proprio crimine. I teologi lo provano molto bene con ragioni invincibili; ma è sufficiente dirvi che è una legge pronunziata in cielo e resa nota a tutti i mortali dalla bocca del santo salmista: « nessuno può riscattare se stesso, né rendere a Dio il prezzo della propria anima! ». Egli può sottomettersi alla sua giustizia, ma non può ritirarsi dalla sua servitù (Bossuet, II Serm. Pour le Vendredi-Saint). – Il pensiero del Profeta è lo stesso di Gesù-Cristo nel suo Vangelo: « … Che darà l’uomo in cambio della sua anima? » Il mondo intero stesso non sarà sufficiente a suo riscatto (S. Chrys.). – In questo momento decisivo per la nostra eternità, nessuna protezione, nessun favore, nessuna opulenza, nessuna sapienza puramente umana potranno costituire un prezzo di riscatto. Solo l’uomo arricchito dalle buone opere potrà comparire con sicurezza presso il tribunale del Giudice sovrano (Berthier). – Dopo che l’anima sarà separata dal corpo, essa continuerà a vivere, perché essa non perirà con il corpo, ma le sarà conservata la vita per soffrire, fino a che, riunita di nuovo al suo corpo, essa sarà sprofondata con esso nei tormenti eterni. (S. Agost. – S. Girol.).

ff. 10. – Egli non comprenderà ciò che è la morte quando vedrà il saggio morire. Egli dice in effetti a se stesso: colui che era saggio, nel quale abitava la saggezza e che praticava la pietà verso Dio, non è forse morto? Allora io mi tratterò bene finché vivrò, perché se coloro che avevano altri gusti possedevano qualche potere, essi non sarebbero morti. Egli vede morire il saggio, e non vede ciò che cosa sia la sua morte (S. Agost.). – È l’accecamento deplorevole, ma ordinario dei ricchi attaccati ai beni di questo mondo. Essi vedono tutti i giorni i giusti, che sono i veri saggi, morire davanti a loro, e non credono che questa morte li riguardi. Essi la guardano in qualche modo, senza vederla, e così non lasceranno di perire per l’eternità (Duguet). – « L’imprudente e l’insensato periscono insieme ». Chi è l’imprudente? Colui che non sa provvedersi per l’avvenire. Chi è l’insensato? Colui che non comprende il cattivo stato in cui si trova. Quanto a voi, cercate di comprendere in quale posizione cattiva vi trovate, e sappiate per l’avvenire portarvi verso una posizione più felice. Comprendendo il vostro stato spiacevole, non sarete più insensato; prevedendo il vostro avvenire, non sarete più imprudente (S. Agost.). – Sembra che il Profeta consideri maledetti coloro i cui beni passano in mane estranee: quindi è felice colui che li lascia ai propri figli. Io vedo in effetti morire molti malvagi che hanno come successori i loro figli, e la scrittura non ha potuto eliminare, nelle sue parole, ogni idea di sofferenza da coloro dei quali riprova la vita; così, non pensate che ritenga che ogni malvagio lasci le proprie ricchezze a degli estranei? Come i figli di un uomo possono essere degli estranei per lui? I figli dei malvagi sono degli estranei per essi; perché noi troviamo che un estraneo sia divenuto il prossimo di un uomo solo per essergli stato utile. Se una dei vostri non vi serve a nulla, egli è un estraneo per voi. Perché il Profeta dice « … a degli estranei », benché siano dei figli ed eredi naturali? Perché questi eredi non possono essere utili in nulla, anche nelle cose che sembrano essergli utili (S. Agost.).

ff. 11. – Il Profeta dà alle loro tombe il nome di « case », perché esse sono dei veri edifici; infatti voi sentite il ricco dire: … io ho una casa di marmo che dovrò lasciare, e non penso a costruirmi la casa eterna che non lascerò mai. Quando egli pensa di costruirsi una tomba marmorea, riccamente scolpita, la concepisce come una dimora eterna, come se in essa dovesse abitarvi. Se egli vi restasse, non sarebbe bruciato negli inferi. Bisogna pensare al luogo ove dimora lo spirito di colui che fa il male, e non al luogo ove si depone il corpo materiale (S. Agost.). – In effetti il nome degli empi non è scritto nel libro dei viventi, non è contato nell’assemblea dei primogeniti che sono scritti nei cieli; ma siccome essi hanno preferito in questa vita breve e passeggera i tabernacoli eterni, i loro nomi dimorano nelle loro terre. Non vedete dunque che coloro che costruiscono città, piazze pubbliche, edifici, acquedotti, che tracciano strade, dànno i loro nomi a queste costruzioni? (S. Bas.). – « Essi hanno dato i loro nomi alle loro terre perché le loro opere erano corruttibili e terrestri »; i loro nomi sono dunque iscritti là dove essi hanno preferito vivere (S. Ambr.). – « Essi hanno dato i loro nomi alle loro terre », essi dànno i loro nomi e i loro titoli alle loro dimore, alle loro proprietà, ai loro luoghi. Questa vana soddisfazione è per essi di gran consolazione, e perseguono così l’ombra, invece della verità. Se volete immortalare il vostro ricordo, o uomo, non iscrivete il vostro nome o i vostri titoli sulle vostre case, ma elevate trofei composti dalle vostre buone opere, che preserveranno quaggiù il vostro nome dall’oblio, e vi meriteranno nella vita futura un riposo eterno. Questi monumenti al contrario, non solo non vi daranno alcuna celebrità, ma faranno di voi l’oggetto di risate generali e perpetueranno, nel corso dei tempi, il ricordo della vostra avarizia (S. Chrys.). – Gli adoratori delle grandezze umane saranno forse soddisfatti della loro fortuna quando vedranno che in un momento la loro gloria passerà al loro nome, i loro titoli alle loro tombe, i loro beni a degli ingrati e le loro dignità forse a coloro che li invidiano? (Bossuet, Or. fun. de la Duch. D’Or.).

ff. 12. – Che parole sanguigne contro gli uomini che non hanno compreso l’uso che dovevano fare delle loro ricchezze durante la loro vita, e si credevano felici per sempre, possedendo come dimora eterna una ricca tomba di marmo, e se i loro figli, eredi dei loro beni, avessero dato il loro nome alle loro terre. Il loro nome è iscritto sulle loro terre, ma è un nome senza calore e senza vita. Essi dovevano al contrario prepararsi, con le loro buone opere, una casa eterna, acquistare una vita immortale, farsi precedere dalle loro ricchezze, non entrare nella loro eternità se non con le buone opere. Ciò che non ha compreso l’uomo elevato da onori, cioè fatto ad immagine e somiglianza di Dio, l’uomo elevato ad un rango molto superiore a quello degli animali (S. Agost.). – Ecco dunque che è così che Dio punisce l’infedeltà di coloro che, essendo stati rigenerati dal Battesimo cristiano, essendo investiti dalla luce rivelata, avendo conosciuto infine Dio mediante il Vangelo del Figlio suo Gesù-Cristo, non vogliono di conseguenza glorificarlo…  Troppo spesso, dei gaudenti orgogliosi, dalla ragione fiera ed indipendente, cadono fino a grossolane voluttà. Non volendo slanciarsi fino alle regioni pure e serene alle quali li conduce la fede, essi scivolano nella direzione in pendenza, il preteso saggio cede alle passioni dell’ignominia; e colui che in pubblico proclama le massime più severe nell’ordine morale, ricadendo su se stesso, sporca il proprio corpo con il peccato, la sua anima con i cattivi desideri, ed a volte la mani con l’iniquità. E così si compie la parola del Salmista: « … l’uomo costituito in gloria, non ha compreso la propria dignità »; egli è caduto e nella propria caduta non ha potuto arrestarsi in una regione intermedia impossibile da abitare: « … egli è caduto fino al livello delle bestie che non hanno intelletto, ed è divenuto simile a loro », ed avendo vissuto della vita dei sensi, è stato trovato degno di morte, che consiste anche nella pena eterna del senso colpevole (Mgr. Pie, Inst. sur. les princip. erreurs, etc., t. II, p. 441). – L’uomo, l’immagine di Dio, quest’uomo marchiato dal sigillo di Dio, quest’uomo al di sopra della bestia per il dono dell’intelligenza e per il raggio della luce che Dio gli ha comunicato, dimenticando il carattere della sua grandezza, si è vergognosamente degradato da sé medesimo; si è ridotto al rango dei bruti insensati, e come? Per un vergognoso asservimento alla carne! (Bourd., Sur le Temp. chrét.). – Quando l’uomo si fa prendere dall’ambizione, è un uomo che pecca, ma pecca come un Angelo, e perché? Perché l’ambizione è un peccato tutto spirituale e di conseguenza, è proprio degli Angeli. Quando egli soccombe all’avarizia ed alla tentazione dell’interesse, è un uomo che pecca, che pecca da uomo, perché l’avarizia è uno sconvolgimento della lussuria che non riguarda che l’uomo. Ma quando si abbandona ai desideri della carne, egli pecca da bestia, perché segue il movimento di una passione predominante nelle bestie. Ora, se pecca da bestia, non ha più la luce dello spirito che lo distingue dalle bestie, è degradato dalla sua condizione, ed è anche al di sotto della condizione delle bestie, perché tra le bestie e lui non c’è alcun’altra differenza, se non che egli è criminale nel suo comportamento, cosa che le bestie non possono essere. È il ragionamento di San Bernardo, e l’esperienza lo giustifica tutti i giorni, perché noi vediamo questi uomini schiavi della loro sensualità, nel momento in cui la passione li sollecita, chiudere gli occhi a tutte le considerazioni divine ed umane. Non convengono più di cose di cui essi erano precedentemente persuasi, non credono più in ciò in cui essi credevano, non credono più in niente di ciò che temevano, non sono più capaci di rimostranze. Agire senza regole e senza condotta, è divenire brutali ed insensati (Bourd., Sur l’impur). – Il Re-Profeta dice che il peccatore si porta al livello delle bestie senza intelligenza. Ma, diciamolo con forza, per certi eccessi di crimini ai quali l’uomo si abbandona, l’espressione è troppo debole. Sì, egli è ancora più in basso, in un abisso più oscuro, in un fango più ignominioso, e discende più in basso del bruto, tenuto dal suo istinto nei limiti che la sua destinazione e le sue funzioni gli hanno fissato.

ff. 13. – Questa strada per la quale essi marciano, queste cure frettolose, questi vani lavori, questa passione insensata per le ricchezze, questo amore insaziabile di gloria e di piaceri, ecco che, prima dei castighi dell’altra vita, divengono per essi quaggiù, occasione di scandalo e di rovina; « … questa via è per essi occasione di scandalo », cioè si incatenano da se stessi e creano degli ostacoli che impediscono loro di avanzare (S. Chrys.). – Questi attaccamenti eccessivi ai beni ed ai godimenti della terra è pietra d’inciampo per essi, perché questo attaccamento fa loro compiere delle cadute continue. Un ricco stordito dalla sua opulenza, non si rifiuta nessuna soddisfazione, e piomba in tutti gli eccessi che la passione gli suggerisce (Berthier). « … E non tralasciano di compiacersene ». Ecco per essi il colmo del dolore e la causa di ogni altro male. Coloro che si rendono colpevoli di questi vizi, si proclamano felici e degni di invidia, si compiacciono delle loro azioni malvagie, si gloriano dei loro smarrimenti e si vantano di ciò di cui dovrebbero umiliarsi (S. Chrys.). La loro indifferenza è ai loro occhi quasi una grandezza d’animo, la loro incredulità una prova di forza di spirito. La follia del loro linguaggio eguaglia la follia della loro condotta, « … Essi si compiacciono nelle loro parole » (S. Chrys.).

ff. 14. – « Essi sono come le pecore poste nell’inferno; la morte sarà il loro pastore ». Di chi la morte è il pastore? Di coloro che non hanno voluto Gesù-Cristo come pastore (S. Ambr.); di coloro per i quali la vita è occasione di caduta. Di chi ancora? Di coloro che non si preoccupano che del presente ed affatto dell’avvenire; di coloro che non curano che questa vita, la quale a buon diritto è chiamata col nome di morte. Non è dunque senza ragione che, simili a pecore rinchiuse nell’inferno, essi hanno la morte come pastore (S. Agost.). – Essi sono divenuti simili alle bestie, e saranno trattati come bestie. Essi saranno precipitati nell’inferno con la stessa facilità con la quale un pastore fa entrare le sue pecore nell’ovile; la morte li divorerà con la stessa facilità con cui un lupo affamato divora una pecora; essi saranno la preda eterna della morte, senza essere mai consumati, essendo, secondo la parola del Figlio di Dio (Marco, IX, 47), salati con questo fuoco come vittime eterne della divina giustizia (Duguet). – « … Essi saranno avviati come pecore ». Quale caduta per questi uomini così arroganti, sì fieri, sì dominatori. Essi regnano, essi sono opulenti, occupano i posti elevati, le loro volontà sono leggi, tutto si inchina davanti alla loro parola, tutto cede al loro potere assoluto; poi tutto ad un tratto, la morte li sconvolge, la morte diventa loro pastore; essa li caccia, li conduce senza resistenza, li dirige con tutti gli altri nella tomba. « Ed i giusti domineranno su di essi, quando sarà venuto il mattino »; questo vuol dire che la morte non sarà sola a dominarli: i giusti li domineranno prontamente e per sempre, e non avranno perciò bisogno né di tempo, né di sforzi, né di attesa; perché è nella natura delle cose che il vizio subisca l’impero della virtù che teme e da cui è terrorizzato, malgrado il trucco da cui è ricoperto ed i suoi numerosi camuffamenti, e quand’anche la virtù sarà spogliata dalle sue brillantezze esterne e ridotta alle sue proprie forze (S. Chrys.). – « I giusti saranno i loro dominatori, quando sarà giunto il mattino ». Lasciate passare la notte con pazienza, desiderate il mattino. Non crediate che la notte possegga la vita, e che il mattino non la possegga. I giusti ozieranno ancora nella loro sofferenza, ma perché? Perché è ancora notte. Che vuol dire: è notte? Il meriti dei giusti non appaiono, e non si parla per così dire che della felicità degli empi. L’erba sembra più bella dell’albero finché dura l’inverno. In effetti l’erba cresce durante l’inverno, mentre l’albero è come disseccato; ma quando al ritorno dell’estate, il sole produce il suo calore, l’albero che in inverno sembrava arido, si copre di foglie e produce i suoi frutti, mentre l’erba risecca; allora vedrete l’albero in tutta la sua bellezza, mentre l’erba è arida. Così i giusti soffrono finché non arriva l’estate. La vita è rinchiusa nella radice, e non sembra apparire nei rami. Ora la nostra radice è la carità. È notte, non si vede ancora cosa possediamo. Le nostre mani non siano dunque inattive nelle buone opere … il nostro lavoro apparirà al mattino, e con lui, al mattino, appariranno i frutti di questo lavoro, di modo che coloro che soffrono ora avranno allora il riposo, e coloro che ora si vantano e si inorgogliscono, saranno allora nella dipendenza (S. Agost.). –

« Ed il loro supporto invecchierà nell’inferno », cioè sarà ridotto all’estrema debolezza. Non solo saranno facilmente vincibili, in assenza di ogni soccorso ed appoggio, e saranno esposti ai colpi di tutti i loro nemici, ma non troveranno nessuno che li difenda, che porti loro soccorso, che tenda loro una mano e li consoli in mezzo alle sofferenze (S. Chrys.). – « … E la forza che era il loro soccorso invecchierà nell’inferno, dopo la gloria di cui avranno goduto ». Ora essi possiedono la gloria, ma invecchieranno nell’inferno. E qual era questa forza che faceva loro da soccorso? Il soccorso del loro denaro, dei loro amici, della loro potenza (S. Agost.).

III. 15-20.

ff. 15. – Ascoltate la voce di colui che spera nell’avvenire: « … ma Dio riscatterà la mia anima ». Forse è la voce di un uomo che desidera essere liberato dall’oppressione? Un uomo chiuso in prigione grida: « Dio riscatterà la mia anima ». E che dice ancora un uomo esposto ai pericoli del mare, sballottato dai flutti e da una tempesta furiosa? Dio riscatterà la mia anima. La liberazione che essi chiedono non concerne che questa vita. Tale non è il pensiero del Profeta: « Dio, egli dice, riscatterà la mia anima dalle potenze dell’inferno, quando mi avrà ricevuto ». Egli parla della redenzione di Cristo (S. Agost.). – « Il fratello non riscatta suo fratello, ha detto in precedenza, l’uomo estraneo forse lo riscatterà? » Ma Gesù-Cristo ci ha riscattato veramente dalla maledizione della legge (Gal. III, 13). Noi abbiamo la redenzione dal suo sangue, e con essa la piena remissione dei peccati (Efes. I, 7). Ecco dunque il fatto positivo, effettivo, della redenzione del genere umano in Gesù-Cristo: liberazione, guarigione, riscatto e remissione del peccato con il suo Sangue. – Io so, dice il Profeta, che il mio corpo dovrà entrare nella tomba, e che non ci sarà in questo nessuna differenza tra i peccatori e me; ma io so che il Signore salverà la mia anima, questa parte così essenziale di me e che la prenderà sotto la sua protezione. Io so che essa ha meritato la morte eterna allontanandosi dalle vie della giustizia; ma io ho un Redentore che ha pagato la mia cambiale, ed è in questo prezzo inestimabile che metto la mia speranza (Berthier).

ff. 16. – Perché dirvi: « non temete? » – « Perché quando egli morirà non porterà con sé tutti i suoi beni ». Voi lo vedete mentre egli vive; pensate a ciò che sarà quando morirà. Voi notate ciò che ora possiede, ma rimarcate anche ciò che porterà con sé. Cosa porterà con sé? Egli ha molto oro, molti soldi, molte terre e molte aziende; egli muore e lascia tutti i beni senza sapere a chi; perché se li lascia a chi vuole, non li conserva a chi vuole. Tutte queste cose restano dunque e cosa porta con sé? Egli porta con sé, direte voi, elevare una ricca tomba di marmo, destinata a perpetuare la sua memoria; ecco cosa porta con sé. Ed io gli rispondo: neanche questo porta con sé, perché queste cose sono date ad un essere insensibile … l’uomo alla morte non porta con sé tutti i suoi beni, e non porta nemmeno ciò che è dato alla sua sepoltura; perché dove c’è sensibilità, là c’è l’uomo; ove non c’è sensibilità, non c’è l’uomo. A terra è steso il vaso che conteneva l’uomo, la casa che racchiudeva l’uomo. Noi possiamo chiamare il corpo la casa dell’uomo e lo spirito l’abitante della casa. Lo spirito è tortutato negli inferi; a cosa gli serve il corpo avvolto in preziose lenzuoli, che riposa su profumi ed aromi? (S. Agost.). – La fortuna dei ricchi ispira spesso terrore, quasi sempre la gelosia, ma è un’illusione. Aspettate, dice S. Crisostomo, la morte viene, taglia fino alla radice e l’albero cade con tutti i suoi rami. Allora colui che aveva ammassato tanti tesori, che aveva tanti domestici a suo servizio, che possedeva tanti terreni, tante case, se ne va solo, nessuno lo accompagna; egli non porta neanche gli abiti di cui era coperto, e lascia ai vermi un cadavere ripugnante come cibo (S. Chrys.). – Meditate la forza di questa espressione: « la sua gloria non scenderà con lui ». La gloria del secolo non discende con il peccatore, ma la gloria della virtù sale con l’innocente. E per riassumere, la gloria dell’uomo sale con colui che sale e non discende con colui che scende. Quanto è il frutto della grazia e della virtù sale. Si sale in paradiso, si discende nell’inferno (S. Ambr.).

ff. 17. – È a coloro che lo spettacolo dell’ineguale distribuzione dei beni di questa vita scandalizza e fa talvolta dubitar questa potenza e del governo provvidenziale di Dio, particolarmente a coloro che quaggiù hanno come porzione le privazioni e la povertà, che il Salmista si indirizza qui: « non temete se vedete un uomo divenuto ricco ». I poveri in effetti, hanno soprattutto bisogno di consolazione e di incoraggiamento per non temere coloro che sono ricchi e potenti. Queste ricchezze, questa potenza non saranno loro di nessuna utilità, poiché non potranno portarle con essi; il solo beneficio che ne ricaveranno, sarà quello di essere considerati felici quaggiù dai loro adulatori. Ma alla morte lungi dal portare con sé tutta questa opulenza, avranno con sé appena un sudario per coprire il loro cadavere, ed ancora saranno alla mercè dei servitori che li seppelliranno. Sarà già molto per essi se si accorda loro un piccolo pezzo di terreno, per una commiserazione e per un certo ripetto per la nostra comune natura. Non abbiate dunque timore alcuno alla vista di queste cose presenti, ma attendete la vita eterna e felice. Allora vedrete la povertà, l’ignominia e la privazione delle gioie di questa vita, divenute per il giusto una fonte di felicità; voi sentirete il Signore dire al ricco: « voi avete ricevuto i beni durante la vostra vita » (Luc. XVI, 25), mentre voi poveri non avete che ricevuto male ed ora voi sarete consolati ed il ricco tormentato (S. Bas.).

ff. 18. – I ricchi cercheranno con alacrità gli applausi del popolo, gli sguardi e le attenzioni della moltitudine, le lodi del pubblico, gli elogi mentitori della folla. Essi stimano essere al colmo del benessere quando sono applauditi al loro ingresso in teatro, ai banchetti, ai tribunali; quando sentono il loro nome ripetuto da bocca a bocca, quando sono considerati oggetto di invidia. Ma vedete ancora come il Re-Profeta tolga ogni valore a queste gioie, a causa della loro breve durata. Durano la sua vita, egli dice, vale a dire che questo sguardi, queste lodi non vanno al di là di questa vita; esse spariscono con tutti gli altri beni, anch’essi di natura passeggera e deperibili. Ma ancora, a questi elogi puramente gratuiti succedono spesso dei sentimenti completamente opposti, quando la morte ha fatto cadere la maschera del terrore: “egli vi loderà quando gli farete del bene”. Vedete come ol Re-Profeta condanna finanche i loro benefici. Voi li lusingate, prodigate loro ogni sorta di onori, affettando per tempo sguardi esteriori e menzogneri. Essi ve ne saranno riconoscenti, compreranno da voi ben caro, il diritto di dettarvi ciò che a loro aggrada. Tale è il senso di queste parole: « egli vi loderà quando voi gli avrete fatto del bene ». Egli non dice: quando avrete per lui qualcosa di utile, quando gli avrete reso un servizio, ma: quando avrete fatto quel che a lui aggrada; azione che rende doppiamente colpevole e le testimonianze menzognere di riconoscenza ed i servizi pericolosi che ne sono la causa (S. Chrys.). « Perché la sua anima riceverà la benedizione durante la sua vita ». Finché è vissuto è stato bene. Tutti gli uomini parlano così, ma non è vero. Questo bene era nel pensiero di colui che credeva di trattarsi bene, ma non era così! Cosa dite in effetti di questo ricco? Che egli ha mangiato ed ha bevuto, che ha fatto tutto ciò che ha voluto, che si è compiaciuto nei suoi splendidi festini; che di conseguenza è vissuto bene? Io invece dico: egli si è fatto del male, e non sono io che lo dico ma il Cristo. Egli si è fatto del male. In effetti, questo ricco, ogni giorno si compiaceva dei suoi ricchi festini, credendo di farsi del bene; ma quando ha cominciato a bruciare negli inferi allora ha trovato che quel che credeva essere un bene, era al contrario del male … perché ciò che aveva mangiato sulla terra, lo doveva digerire negli inferi. Io parlo dell’iniquità che egli mangiava, dalla bocca del suo corpo, egli mangiava dei cibi di grande valore; dalla bocca del suo cuore, mangiava l’iniquità. Ciò che aveva mangiato sulla terra con la bocca del suo cuore, egli lo digerisce ora nei supplizi dell’inferno; e ciò che aveva mangiato in modo tutto passeggero, lo doveva digerire con dolori atroci in eterno (S. Agost.).

ff. 19, 20. –  « Egli entrerà nei luoghi della dimora dei suoi padri » ; vuol dire che egli imiterà i suoi vizi e riceverà l’eredità della loro perversità, come ha ricevuto da essi l’eredità della vita (S. Chrys.). – « Egli prenderà posto nella discendenza dei suoi padri », cioè imiterà i suoi padri. I malvagi di oggi hanno dei fratelli e dei padri; i malvagi dei secoli passati sono i padri del malvagi di oggi, e coloro che oggi sono i malvagi, saranno i padri dei malvagi avvenire (S. Agost.). – Razza di empi e riprovati che si saldano l’un l’altro e spesso cieca. Queste guide cieche cadono alfine dopo essi negli abissi delle tenebre (Dug.). – « E per tutta l’eternità non vedrà la luce ». Anche quando viveva quaggiù egli era nelle tenebre, ponendo la sua gioia nei falsi beni, non avendo amore per i veri beni, ed è per questo che, all’uscita da questo mondo, andrà nell’inferno, e dalle tenebre di questo sonno, passerà nelle tenebre dei supplizi. Perché questa sorte spaventosa? Il profeta ridice qui, alla fine del salmo, ciò che aveva già detto prima. « L’uomo nella prosperità non comprende, etc. » (S. Agost.).

SALMI BIBLICI: “MAGNUS DOMINUS, ET LAUDABILIS NIMIS” (XLVII)

SALMO 47: Magnus Dominus, et laudabilis nimis

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME PREMIER.

PARIS LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 47

Psalmus cantici. Filiis Core, secunda sabbati.

[1] Magnus Dominus et laudabilis nimis,

in civitate Dei nostri, in monte sancto ejus.

[2] Fundatur exsultatione universæ terræ mons Sion; latera aquilonis, civitas regis magni.

[3] Deus in domibus ejus cognoscetur cum suscipiet eam. (1)

[4] Quoniam ecce reges terræ congregati sunt, convenerunt in unum.

[5] Ipsi videntes, sic admirati sunt, conturbati sunt, commoti sunt.

[6] Tremor apprehendit eos; ibi dolores ut parturientis:

[7] in spiritu vehementi conteres naves Tharsis. (2)

[8] Sicut audivimus, sic vidimus, in civitate Domini virtutum, in civitate Dei nostri: Deus fundavit eam in æternum.

[9] Suscepimus, Deus, misericordiam tuam in medio templi tui.

[10] Secundum nomen tuum, Deus, sic et laus tua in fines terræ; justitia plena est dextera tua.

[11] Lætetur mons Sion, et exsultent filiæ Judæ, propter judicia tua, Domine.

[12] Circumdate Sion, et complectimini eam; narrate in turribus ejus. (3)

[13] Ponite corda vestra in virtute ejus, et distribuite domos ejus, ut enarretis in progenie altera. (4)

[14] Quoniam hic est Deus, Deus noster in æternum, et in sæculum sæculi; ipse reget nos in sæcula.

[Vecchio Testamento Secondo la VolgataTradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO XLVII

Il sabbato era presso gli Ebrei l’ultimo giorno della settimana, ed era la loro festa. Il giorno prima il sabbato, si dicea il primo del sabbato; il secondo si dice il secondo del sabbato. Argomento è: lode a Dio per la riedificazione di Gerusalemme la città santa, e più ancora per l’edificio della Chiesa di Cristo, di cui Gerusalemme era figura.

Salmo del cantico; ai figliuoli di Core; per il secondo giorno della settimana.

1. Grande il Signore e laudabile sommamente nella città del nostro Dio, nel suo monte santo.

2. Con giubilo di tutta la terra è fondato il monte di Sion, la città del gran Re dal lato del settentrione.

3. II Signore nelle case. di lei sarà conosciuto allorché egli ne prenderà la difesa. (1)

4.Imperocché, ecco che i re della terra si son raunati, hanno fatto congiura.

5. Questi stessi, al vederla, restarono stupefatti, si conturbarono, si commossero, li prese il terrore.

6. Quindi dolori come di una donna che partorisce;

7. Col soffio veemente tu fracasserai le navi di Tharsis. (2)

8. Secondo quello che avevamo udito, cosi abbiam veduto nella città del Signore degli eserciti, nella città del nostro Dio; il Signore l’ha fondata per l’eternità.

9. Abbiam ricevuto, o Dio, la tua misericordia, in mezzo al tuo tempio.

10. Come il tuo nome, o Dio, cosi la tua gloria sino ai confini della terra; la tua destra è piena di giustizia.

11. Rallegrisi il monte di Sion, ed esultino le figlie di Giuda a causa dei tuoi giudizi, o Signore.

12. Girate intorno a Sionne, e disaminatela per ogni parte, contate le torri di lei. (3)

13. Considerate coll’animo vostro quanto ella è forte; e distinguete le case di lei per raccontare alla stirpe che verrà. (4)

14. Come questi è Dio, il nostro Dio in eterno, e nei secoli dei secoli; ei ci governerà in perpetuo.

(1) La montagna di Sion si presta agli applausi di tutta la terra. Essa è il vero polo nord. I pagani, gli antichi, ritenevano il polo nord essere il punto più elevato della terra, il soggiorno dei loro dei. Questo voleva dire: è la vera dimora di Dio, la città del grande Re (Le Hir).

(2) I vascelli di Tharsis erano delle navi di lungo percorso che potevano compiere un viaggio da Tharsis. Qualcuno ha pensato che questo versetto abbia un senso metaforico. “Voi avete sconfitto i vostri nemici con la stessa facilità con la quale avete infranto i vascelli scatenando il vento d’oriente”. Ma nulla ci indica che sia una comparazione, ed è più probabile prendere questo versetto alla lettera ed intendere che Dio abbia distrutto una flotta nemica sulle coste della Giudea. Non è affatto una congettura azzardata. Nel passaggio spesso citato nei Paralipomeni, XX, versetto 2, noi vediamo, tra i congiurati, dei popoli al di là del mare.

(3) I figli di Giuda, cioè le città che circondano Sion, le altre città di Giuda.

(4) Vale a dire, fatte attenzione … esaminate nei dettagli.

Sommario analitico

In questo salmo il profeta, sotto figura della città di Gerusalemme, nel rendere a Dio delle azioni di grazie dopo una vittoria eclatante, manifesta la grandezza e l’eccellenza della Chiesa per questi tre motivi:

I.Per la sua magnifica costruzione:

– 1° Essa ha come architetto il Dio grande e degno di ogni lode (1), – 2° essa è situata mirabilmente (2); – 3° è governata dal grande Re, che sarà conosciuto nei suoi palazzi e prederà le sue difese (3); – 4° ha come cittadini dei re potenti venuti da ogni parte del mondo e uniti dai legami di una carità perfetta (4); 5° è saldamente stabilita contro i nemici che la minacciano da terra e da mare, e che saranno atterriti e dispersi (5-7); – 6° è fondata per l’eternità, secondo le predizioni antiche confermate dagli avvenimenti (8).

II.Per lo splendore di cui Dio l’ha circondata:

1° la misericordia di Dio abita in mezzo ad essa (9); 2° la rinomanza delle meraviglie che si compiono nel suo seno e l’equità dei suoi giudizi si espandono fino alle estremità della terra. (10, 11).

III.per la potenza di cui Dio l’ha rivestita, potenza che si manifesta:

– 1° nella forza delle sue torri e dei suoi bastioni (12); – 2° nelle opere dei suoi cittadini ed il bell’ordine dei suoi edifici (13); – 3° nella perpetuità della Provvidenza divina che la governa (14).

Spiegazioni e Considerazioni

I — 1, 8.

ff. 1, 3. – Cosa dite, o Profeta? A questo Dio così grande, così degno di elogi, voi restringete le sue lodi ad una città sola, ad una sola montagna? No, egli risponde, io parlo in tal sorta perché noi abbiamo conosciuto la grandezza di Dio prima di tutti gli altri popoli, ed i miracoli che si sono compiuti in questa città fanno risplendere la sua gloria (S. Chrys.). – Il Signore è grande e degno di ogni lode! « In quale ambito? » Nella città del nostro Dio e sulla montagna santa; è questa città, posta sulla montagna, che non può essere celata: essa è la lampada a cui il roveto non toglie la vista, ma che è come di tutti, che si manifesta agli occhi di tutti. Questa montagna è questa pietra distaccata da una certa montagna e che, secondo il profeta Daniele (Dan. II, 34), è cresciuta fino a divenire una grande montagna per coprire tutta la faccia della terra. In una parola è Gesù-Cristo e la sua Chiesa (S. Agost.). – E non è forse Dio degno di ogni lode in tutti i luoghi? Si, la sua grandezza e la sua potenza si espande dappertutto, ma il nostro spirito, troppo rinserrato, non può comprendere da quaggiù la grandezza e la potenza della grazia divina. Più la nostra conoscenza si avvicina a Dio, più ci appare la sua maestà sotto un giorno di luce più brillante. Pertanto è in Sion che conviene cantare un inno a Dio, è in Gerusalemme che renderemo i nostri voti. Cosa c’è dunque di stupefacente che la città celeste e questo splendido soggiorno della felicità sia il luogo in cui la sua potenza è proclamata con maggior forza? (S. Ambr.). – Non si conosce veramente il Signore, non Gli si rendono gli omaggi degni dei suoi attributi e dei suoi benefici, se non nel seno della Chiesa; se non lo si riconoscerà, lo si loderà perfettamente solo in cielo, che è la sua città santa per eccellenza. Gerusalemme fu la figura della Chiesa, e la Chiesa è la figura dell’eternità beata (Berthier). – Dio è grande, mirabile e degno di ogni tipo di lode in tutte le sue opere, ma particolarmente nella fondazione della sua Chiesa. La casa di Dio, le chiese cristiane costruite in suo onore, sono i luoghi privilegiati in cui Egli è particolarmente conosciuto e prende le difese di coloro che Lo invocano (Dug.).

ff. 4, 7. – Questi tentativi dei nemici di Gerusalemme, rappresentano i vani complotti dei nemici della Chiesa contro Gesù-Cristo, il suo Capo, contro i suoi Apostoli, contro i suoi martiri, contro i suoi dogmi, e gli sforzi del mondo, dell’inferno e delle passioni contro le anime determinate a servire Dio in spirito e verità. Tutto dovrà naufragare da parte di questi avversari, perché il Signore dissipa tutti i loro complotti (Berthier). – Dopo lo sbigottimento causato dai miracoli e dalla gloria del Cristo, cosa è sopraggiunto? « … Essi sono stati turbati, sono agitati e presi da tremore ». Perché li ha presi il tremore, se non a causa della coscienza dei loro crimini? Che i re corrano dunque dietro al Re; che i re riconoscano il Re. I re devono dunque temere di perdere il loro reame, come temeva il miserabile Erode, che per colpire un solo bambino, fece uccidere tanti bambini, e che, temendo di perdere il suo reame, non ha meritato di conoscere il Re? Non temete dunque che il reame di questo mondo vi sia tolto, al contrario vi sarà dato un reame, quello dei cieli, dove c’è il Re. E cosa hanno fatto essi? « Là hanno sofferto dolori come della donna che partorisce ». Cosa sono questi dolori? I dolori della penitenza! Vedete come si concepiscono questo dolore e questo parto! Noi abbiamo concepito, dice Isaia, per il timore che avete inspirato ed abbiamo partorito lo Spirito di salvezza (Is. XXVI, 18). È dunque così che, per il timore che hanno sentito del Cristo, i re hanno concepito e prodotto la salvezza, credendo a Colui che essi temevano. Dove sentite le grida di un parto, aspettatevene il frutto. L’uomo vecchio partorisce e l’uomo nuovo viene al mondo. – « Con un colpo di vento violento, abbattete le navi di Tharsis ». Voi frantumate l’orgoglio delle nazioni. E tutti coloro che inorgogliscono per i beni effimeri di questa vita, siano dunque abbattuti, e tutto l’orgoglio delle nazioni sia sottomesso al Cristo, che frantuma i navigli di Tharsis. E come li distrugge? Con un colpo di vento violento, per il vivo terrore che Egli ispira… è così in effetti, che ogni orgoglio ha temuto il suo giudizio ed ha creduto in Lui nella sua bassezza, per non temerlo nella sua elevazione (S. Agost.). Noi abbiamo ascoltato fuori dalla città, ed abbiamo visto nell’interno della città di Dio che è la luce eterna, dove il giorno brilla senza aver bisogno della luce dei re, dove la notte non è illuminata dalla luna, … città eterna le cui fondamenta sono eterne (S. Ambr.). Beata meraviglia nel vedere ciò che prima non si vedeva! Sconcerto salutare che fa concepire il disgusto della vita passata! Emozione straordinaria nella prospettiva di abbracciare una nuova vita! Tremore utile, terrore salutare alla vista dei terribili giudizi di Dio! Beati dolori che soffre l’uomo vecchio per generare il nuovo; dolori salutari di un vero pentimento e di una solida penitenza! Soffio di vento impetuoso, figura di questa operazione divina, interiore, sollecita e onnipotente dello Spirito Santo, che rimescola ed agita il cuore, lo penetra, lo purifica, lo eleva al cielo e vi spande la pace ed il vero riposo. Il peccatore rinunci a queste navigazioni lontane e pericolose sull’oceano tumultuoso delle sue cupidigie e dei suoi vizi, per fissarsi sulla terra ferma della verità e della virtù (S. Thom. – Duguet).

ff. 8. – O Chiesa beata! In un tempo, voi avete ascoltato, ed in un altro tempo avete visto. Essa ha inteso le promesse, e ne vede il compimento. Essa ha ascoltato belle profezie, essa ha visto nel Vangelo. In effetti, tutte le cose che si compiono ora sono state profetizzate in precedenza. Elevate dunque i vostri occhi e dirigeteli sul mondo intero; vedete l’eredità del Cristo, che si intende già fino alle estremità della terra; vedete compiersi ciò che è stato detto: « Tutti i re della terra Lo adoreranno, tutte le nazioni Lo serviranno » (Ps. LXXI, 11). Vedete compiute già queste altre parole: « O Dio, elevatevi al di sopra dei cieli e la vostra gloria si espanda su tutta la terra » (Ps. CVII, 6). Vedete Colui i cui piedi e le cui mani sono state inchiodate, le cui ossa, sospese sul legno della croce, sono state contate, la cui veste è stata tirata a sorte (Matth. XXVII, 35); vedete regnante nella gloria, Colui che hanno visto sospeso al patibolo; vedete anche nei cieli, Colui che hanno disprezzato quando Egli camminava sulla terra; vedete pertanto attuarsi questa predizione: « Tutti i popoli, fino all’estremo limite della terra, si ricorderanno del Signore e si convertiranno, e tutte le nazioni Lo adoreranno, prosternate davanti a Lui » (Ps. XXI, 28). Alla vista di tali meraviglie, gridate con gioia: « … ciò che abbiamo ascoltato, noi l’abbiamo visto » (S. Agost.). – Degno è della grandezza di Dio regnare sugli spiriti, o catturarli con la fede, o contentarli con la chiara visione. L’una e l’altra sono degne di Lui, Egli farà l’una e l’altra, ma ogni cosa deve avere il suo tempo. Tutte e due nondimeno sono incompatibili: io voglio dire l’oscurità della fede e la chiarezza della vista. Come ha fatto? Ecco il mistero del Cristianesimo; esso ha diviso queste due cose, tra la vita presente e la vita futura; l’evidenza nella patria, la fede e la sottomissione durante il viaggio. Un giorno la verità sarà scoperta, nell’attesa, per prepararsi, occorre che l’autorità sia riverita; l’ultima farà il merito, e l’altra è riservata per la ricompensa. « Là abbiamo le stesse cose che abbiamo sentito ». (Bossuet, Div. De la Rel.).

II.— 9, 11.

ff. 9. – È sempre alla misericordia di Dio che noi siamo grati per i lumi che Egli ci dona, e delle consolazioni che infonde nel nostro cuore. È in mezzo al suo tempio che questa misericordia diffonde i suoi favori. L’universo è il tempio di Dio, e noi possiamo adorarlo dappertutto, ma ci sono due luoghi di preghiera dove si manifesta più abbondantemente (Berthier). La meditazione delle bontà di Dio è cosa dolce e soave dappertutto; ma essa ha una attrazione particolare nel tempio, ove si pone ad intendere, ad ascoltare, ad esaudire i suoi servi. Le chiese cristiane, testimoni continue delle meraviglie più grandi della potenza divina, testimoni giornaliere dei rinnovi dell’adorabile Sacrificio, hanno per il peccatore che domanda la grazia, per il giusto che mostra la sua riconoscenza, qualche cosa di penetrante e di sublime. È la casa paterna, il santuario della divinità, il vestibolo del cielo, e in certi momenti il cielo stesso (Rendu). – È là che le nostre tenebre si dissipano, le nostre debolezze si fortificano, la nostra pace si riconquista, i nostri dolori sono leniti; è là che le nostre gioie più pure e più solide fioriscono, e le nostre preghiere sono più potenti.

ff. 10. – Non c’è che Dio la cui gloria eguagli il Nome, cioè che meriti tanta gloria, onore, adorazione tanto il suo Nome è grande, augusto ed ineffabile. Sulla terra, i grandi sono rivestiti da titoli e non meritano spesso alcuna considerazione. I loro nomi sono brillanti e le loro persone spregevoli; essa posseggono l’eredità di ancestri illustri con marchi di onore e dignità eminenti, ma disonorano tutto con la bassezza dei loro sentimenti. In Dio al contrario, il Nome e la gloria sono all’unisono, se possiamo così esprimerci. Dio riempie tutta l’estensione dei nomi che la Scrittura Gli dà. Tutta la gloria dovuta a questi Nomi, a questi titoli è egualmente dovuta a Dio; la misura della sua gloria è la stessa di quella del suo Nome, o piuttosto occorre dire che il suo Nome e Se stesso, il suo Nome e la sua gloria, sono una cosa sola! (Berthier).

ff. 11. – O montagna di Sion! O figlia di Giuda! Voi soffiate ora in mezzo alla zizzania, in mezzo alla paglia, soffiate in mezzo alle spine, ma datevi all’allegria nell’attesa dei giudizi di Dio. Dio non si sbaglia nei suoi giudizi. Vivete distaccati, benché nati nella massa comune, e non sarà inutilmente che direte con la bocca ed il cuore: « Non perdete la mia anima con quella degli empi, né la mia vita con quella degli uomini sanguinari » (Ps. XXV, 9). Libratevi alla gioia, o figlia di Giuda, a causa dei giudizi infallibili di Dio, ed ora guardatevi dall’esprimere giudizi temerari. A voi il raccogliere, a Dio il separare (S. Agost.).

III. — 12 – 14.

ff. 12-13. – Vedete questa città che aveva perso ogni speranza, che era stata distrutta e non formava più che un mucchio di rovine; come è stata ristabilita in uno stato più brillante? Considerate dunque con attenzione la sua ricostruzione, il suo splendore, il suo fulgore, e riconoscerete che è la potenza di Dio che ha elevato così in alto questa città che non aveva più speranze, raccontate ai vostri discendenti le opere della potenza divina e della provvidenza continua di Dio da cui provengono, e che non cessa di vegliare su di noi, di dirigerci, di difenderci. E noi anche non cessiamo di considerare e contemplare in noi stessi Gerusalemme, la nostra vera città. Abbiamo sempre davanti agli occhi lo splendore di questa città, che è la metropoli del Re dei secoli, e che riunisce nel suo seno lo spirito dei giusti, i cuori dei patriarchi, degli apostoli, e tutti i santi, in cui la mobilità delle cose della terra fa spazio all’immutabilità ove ogni bellezza è invisibile ed immortale (S, Chrys.). – Coloro che comprendono la città di Sion la circondano, l’abbracciano nei pensieri del loro spirito, per non lasciarsi scappare la conoscenza speculativa della virtù che essi hanno acquisito. Ora questi spiriti elevati che abbracciano così la cinta di Sion e che, per gli sforzi della loro intelligenza, sono pervenuti alla sommità delle sue torri, istruiscono da lì coloro che non hanno potuto seguirli su queste altezze, su ciò che devono fare o evitare (S. Ambr.). – Lavoriamo, ognuno secondo la propria vocazione, a fare la torre di Sion della Chiesa, questa città santa, per annunciare le meraviglie di Dio, raccontarle dall’alto delle sue torri, renderle pubbliche dappertutto in modo da farle intendere da tutti; bisogna lavorare a costruire le sue mura, a fortificarle sempre più. Distribuiamo e dividiamo gli uni con gli altri queste opere, affinché, occupandosi ognuno della costruzione spirituale di questo divino edificio, coloro che vedranno in seguito apprendano gli uni dagli altri questa meraviglie (Duguet). – « Applicatevi a considerare la sua forza », distribuite le sue case, cioè le dimore celesti assegnate a ciascuno degli eletti nell’ordine dei loro meriti. Ci sono dei precetti più sublimi e più elevati nei quali si trovano nascosti i misteri della perfezione, e tutta la divina teoria della dottrina celeste. Sull’esempio di San Paolo distribuite queste verità secondo l’intelligenza di ciascuno ed in modo proporzionato alla capacità di ogni spirito (S. Ambr.). – Se Egli è nostro Dio, è anche nostro Re: Egli ci protegge, perché è Dio, affinché non moriamo più; ma nel reggerci non ci distrugga, in modo tale che Egli distrugga coloro che non regge. « Voi li governerete, dice allora il salmista, con verga di ferro, e li frantumerete come vaso di argilla » (Ps. II, 9). Questo è degli uomini che Egli non regge; Egli non li risparmia, e li frantuma come vasi di argilla. Speriamo dunque che Egli ci regga e ci liberi, perché Egli è il nostro Dio per l’eternità, e che il suo regno su di noi non finisca mai, come quello degli altri principi che si chiude nello spazio di qualche anno o di qualche secolo, ma che si estenda, senza limiti, per tutti i secoli avvenire. (S. Agost.).

SALMI BIBLICI: “OMNES GENTES, PLAUDITE MANIBUS” (XLVI)

SALMO 46: Omnes gentes, plaudite manibus

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

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[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME PREMIER.

PARIS LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 46

In finem, pro filiis Core. Psalmus.

[1] Omnes gentes, plaudite manibus;

jubilate Deo in voce exsultationis:

[2] quoniam Dominus excelsus, terribilis, rex magnus super omnem terram.

[3] Subjecit populos nobis, et gentes sub pedibus nostris.

[4] Elegit nobis hæreditatem suam; speciem Jacob quam dilexit.

[5] Ascendit Deus in jubilo, et Dominus in voce tubæ.

[6] Psallite Deo nostro, psallite; psallite regi nostro, psallite;

[7] quoniam rex omnis terræ Deus, psallite sapienter.

[8] Regnabit Deus super gentes; Deus sedet super sedem sanctam suam.

[9] Principes populorum congregati sunt cum Deo Abraham, quoniam dii fortes terræ vehementer elevati sunt.

 [Vecchio Testamento Secondo la VolgataTradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

 SALMO XLVI

Vittoria e ascensione di Cristo al cielo.

Per la fine; a’ figliuoli di Core.

1. Genti, quante voi siete, battete palma a palma; onorate Dio con voci di giubilo e di allegrezza.

2. Imperocché il Signore è eccelso, terribile; Re grande di tutta quanta la terra.

3. Ha soggettato a noi i popoli, e le nazioni sotto dei nostri piedi.

4. Noi egli elesse per sua eredità, la bella porzion di Giacobbe, la quale egli amò.

5. È asceso Dio tra le voci di giubilo Signore al suono della tromba.

6. Cantate laudi al nostro Dio, cantate; cantate laudi al Re nostro, cantate.

7. Imperocché Dio è il Re di tutta la terra; con saviezza cantate.

8. Il Signore regnerà sopra le nazioni; il Signore siede sopra il suo trono santo.

9. I principi de’ popoli si son riuniti col Dio di Abramo, perché gli dei forti della terra sono stati grandemente esaltati.

Sommario analitico

Il salmista celebra in questo salmo il trionfo del Signore nel trasporto dell’arca, o una vittoria segnalata sui re nemici del popolo di Dio, e in senso spirituale, il trionfo del Salvatore che sale al cielo dopo aver stabilito il suo regno universale.

I. Egli invita, nella persona degli Apostoli, tutti i fedeli a manifestare la loro gioia:

– 1° con il battere le mani; – 2° con le loro grida di gioia ed il trasporto della loro riconoscenza (1).

II – Egli indica due cause dell’ascensione del Salvatore ed anche della gioia alla quale invita tutte le nazioni:

1° la divinità del Salvatore: a) Egli è elevato a causa della sua incomprensibile natura; b) … è terribile a causa della sua potenza; c) Egli è il grande re che governa l’universo (2).

2° la sua umanità, per la quale: – a) bisogna fare entrare i giudei nella Chiesa; – b) Egli ha vinto e sottomesso le nazioni (3); – c) ci ha acquisito come eredità al prezzo del suo sangue sparso (4).

III. – Descrive la maniera con la quale si è compiuta l’ascensione del Salvatore, cioè: nel mezzo dei trasporti di gioia di tutti i santi e della corte celeste (5).

IV. – Invita tutti gli uomini a celebrare la gloria del Salvatore:

1° come Dio (6, 7).

2° come uomo, – a) a causa della potenza che Gli è stata data su tutte le cose (8); – b) a causa dell’unione di tutti gli uomini e dei principi dei popoli con il Dio di Abramo (9).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1.

ff. 1. – Che vuol dire: applaudite? Rallegratevi! Ma perché con le mani? Cioè con le vostre buone opere. Non rallegratevi con la bocca, cessando di agire con le mani. Se vi rallegrate, applaudite con la voce e con le mani. Solo con la voce, non basta, perché allora le mani non agiscono; se solo con le mani, nemmeno è sufficiente, perché la lingua resta muta. Occorre che le mani e la lingua si accordino, che l’una glorifichi Dio e le altre agiscano (S. Agost.). – Un’anima piena di contentezza, alla vista delle vittorie riportate da Gesù-Cristo sul demonio e sul peccato, non può contenere la sua gioia in se stessa, e la espande al di fuori: essa desidera vedere tutti gli uomini condividere i propri sentimenti di gioia e di riconoscenza (Dug.).

II — 2-4.

ff. 2. – Gli uomini non vedono sulla terra nulla di più grande dei re; Dio, per condiscendenza, vuole abbassarsi fino a prendere il nome di re, per darci qualche idea della sua grandezza (Duguet). – Quando sentite dire che il Signore è stato sospeso al suo patibolo, che è stato crocifisso, sepolto, non abbiate alcun timore, alcuna inquietudine, perché Egli è l’Altissimo, e lo è per natura. Ora, ciò che per natura è elevato, non può mai decadere dalla sua elevazione; ma, anche nel suo abbassamento, sussiste la sua elevazione e si fa sentire, perché è giustamente in mezzo a queste umiliazioni volontarie, è in mezzo alla sua morte, che Egli ha potuto far risplendere la tutta la sua potenza contro la morte (S. Chrys.).

ff. 3. – Le parole del Profeta sono di una esattezza perfetta. Egli predice con molto anticipo ciò che gli Apostoli diranno in seguito: « … perché ci guardate come se per nostra virtù o per nostra potenza, noi avessimo fatto camminare quest’uomo? » (Act. III, 12). Queste parole « … sotto i loro piedi », indicano ciò che era stato loro assoggettato, o piuttosto una sottomissione assoluta. Voi volete dunque misurare l’estensione di questa sottomissione? Ascoltate ciò che dice l’autore degli Atti: « Tutti coloro che possedevano delle case o dei campi, li vendevano e portavano il ricavato di quello che avevano venduto, e lo depositavano ai piedi degli Apostoli » (Act. IV, 31). – Quale autorità, quale potenza dunque negli Apostoli (S. Chrys.). – Questi popoli rivoltati che ci ha assoggettati, queste nazioni indomite che ha messo sotto i nostri piedi, sono i nostri vizi e le nostre passioni, che Egli ha vinto in noi e per noi. Finchè ci sarà una sola volontà opposta a quella di Dio, la vittoria di Gesù-Cristo non sarà completa (Dug.).

ff. 4. – Come queste parole: « … egli ci scelto per la sua eredità », possono produrre in qualche spirito il dubbio e l’esitazione, e fargli dire: perché i Giudei non Gli hanno creduto? Il Re-Profeta fa sparire questo dubbio con un correttivo. Dio ha fatto tutto ciò che dipende da Lui, scegliendoci per eredità, e sotto questo aspetto, non ha dimenticato nessuno. Se vi chiedete qual è il risultato di questa scelta, ascoltate il seguito: « … la bellezza di Giacobbe, che è stato l’oggetto del suo amore ». Il Re-Profeta ha qui in vista i fedeli, di cui San Paolo diceva: « non che la parola di Dio sia stata vana, perché tutti coloro che discendono da Israele non sono tutti israeliti, ma è Isacco che sarà chiamato vostro figlio; vale a dire, coloro che sono figli di Abramo secondo la carne, non sono per questo figli di Dio, ma sono i figli della promessa che sono ritenuti della razza di Abramo. » (Rom. IX, 6-8). È a giusto titolo che i fedeli sono chiamati la beltà del popolo. Cosa di più bello, in effetti, cosa di più splendente c’è di coloro che hanno abbracciato la fede? Il Re-Profeta chiama il suo popolo: eredità di Dio, non per escludere dalle cure della sua Provvidenza le altre nazioni, ma per esprimere l’ardente amore che Egli ha per questo popolo, l’unione stretta che Egli ha contratto con esso e la sollecitudine tutta paterna con la quale veglia sui suoi interessi. (S. Chrys.). – Noi non siamo solamente creature di Dio, ma siamo pure i suoi eletti. Egli ha fatto come una seconda scelta di noi in Gesù-Cristo; Egli ha previsto la nostra caduta, ha visto che siamo gli eredi del peccato di Adamo, al quale avremmo aggiunto i nostri peccati attuali; Egli non ha esagerato la nostra onta, ma l’ha conosciuta meglio di come tutti gli uomini e gli Angeli insieme avrebbero potuto conoscerla; Egli ha penetrato la nostra insopportabile corruzione, ne ha contemplato tutto il lordume: essa era incredibile! E questo non fu abbastanza per impedire al suo amore di sceglierci per essere bagnati nel sangue prezioso del Figlio suo incarnato, ci ha chiamato ad una magnifica eredità di grazie e alle prerogative reali della sua santa Chiesa. In virtù di questa elezione, Egli ci ha accordato il dono della fede, e ci ha aperto la porta d’oro attraverso la quale defluiscono le sorgenti vivificanti dei Sacramenti. Quando noi consideriamo chi è Colui che ci ha scelti, chi siamo noi stessi e cosa ci dà come sua elezione, il modo in cui lo dà, e il fine per il quale ci ha scelto, noi siamo forzati nel confessare che se non possiamo riconoscere degnamente la sua elezione, Gli dobbiamo almeno il fervore e la fedeltà di un amore per tutta la vita. Egli ci ha eletto in Gesù-Cristo prima della creazione del mondo, affinché fossimo santi e senza macchia ai suoi occhi, nell’amore (Faber, Il Creat. e la creat. L. II, cap. III). Non è che la bontà di Dio che ha trovato in noi ciò che ci ha meritato questa scelta e l’onore di essere i suoi eletti; ma è la scelta che ha voluto fare di noi che ci ha dato questa beltà.

III. — 5.

ff. 5. – « Dio è salito tra le voci di acclamazione ». Egli non dice: « Egli è stato elevato », ma: « … Egli è salito », per provare che non ha avuto bisogno di nessuno per elevarsi nei cieli, e che si è fatto strada da Se stesso. Elia, che non poteva seguire la stessa via di Gesù-Cristo, era condotto da una potenza estranea alla sua natura; perché la natura umana non poteva da se stessa prendere questa strada. Il Figlio unigenito, al contrario, è asceso per la potenza propria. È quanto San Luca esprime quando dice: « … e siccome essi Lo contemplavano montante verso il cielo » (Act. I, 10). Egli non dice: … era elevato o era portato, perché era Egli stesso che avanzava su questa strada. E quale stupore che abbia potuto fendere l’aria, quando riprese il suo corpo incorruttibile, Egli che prima della sua morte in croce, camminava sulle acque con un corpo passibile e sottomesso alle leggi della gravità? (S. Chrys.). Elevarci dobbiamo, per mezzo della fede e mediante il disprezzo delle creature, al di sopra di tutte le cose, … portare il nostro cuore, i nostri desideri e le nostre inclinazioni verso il cielo, per dimorarvi con Gesù-Cristo, e vivere già nel cielo come essendone cittadini. – Colui che è salito in cielo « in mezzo ad acclamazioni di gioia, è disceso dapprima fino alle parti inferiori della terra » (Ephes. IV, 9). L’ascensione del capo nei suoi membri non può compiersi che nello stesso ordine e nella stessa via, l’esempio del Capo, è una regola per le sue membra (Duguet).

IV. – 6-9.

ff. 6-7. – Cantare alla Gloria del Signore, perché è il nostro Dio, perché è il nostro Re; non solo perché è il nostro Re, ma anche perché è il Re di tutta la terra. – Bisogna cantare le lodi di Dio non solo con assiduità, ma anche con saggezza, con intelligenza, con attenzione, con rispetto. Non soltanto la lingua e la voce, ma la vita e le opere devono far parte di questo concerto (Duguet).

ff. 8. – Quando il Profeta diceva queste parole, Dio non regnava che su una sola nazione; si tratta dunque di una profezia, e non di un fatto visibile. Grazie a Dio, noi vediamo ora compiersi ciò che allora fu profetizzato. Dio, prima del tempo della paga, aveva sottoscritto a nostro favore una cambiale; giunto il tempo, Egli l’ha pagata. « … Dio regna su tutte le nazioni »; qui non c’è ancora che una promessa. « Dio è seduto sul suo trono santo ». Questa promessa è ora compiuta, noi lo riconosciamo e ne gioiamo … I cieli sono senza dubbio il santo trono del Signore. Ma volete essere anche voi il suo trono? Badate a credere che non lo possiate: preparategli un posto nel vostro cuore, Egli verrà e dimorerà volentieri.; perché è certamente la virtù di Dio e la saggezza di Dio (I Cor. I, 24). Ora, cosa dice la santa scrittura? L’anima del giusto è il trono della Sapienza. In realtà Dio non risiede e non comanda in tutti gli uomini che vivono bene, che si comportano secondo le regole di una carità pia? L’anima obbedisce a Dio che abita in essa, e a sua volta, essa regna sulle membra dei corpi. Essa dà loro degli ordini come a dei servitori; ma essa stessa obbedisce interiormente al suo Signore che risiede in essa. Essa non potrebbe ben governare colui che le è inferiore se disdegnasse di obbedire a Colui che le è superiore (S. Agost.). – Il Profeta dice a ragione. « … sul suo santo trono » ; perché non solo Dio regna, ma regna santamente, cioè in modo interamente irreprensibile. Gli uomini che pervengono al potere assoluto, se ne servono troppo spesso per commettere l’ingiustizia; ma il regno di Dio è esente da ogni ingiustizia; esso è di una purezza, di una santità inviolabile (S. Crys.).

ff. 9. – Non è soltanto sui singoli, ma anche su coloro che portano il diadema e che sono seduti sul trono, che il Vangelo ha esteso il suo impero. Qual è stata la causa di questa unione dei principi dei popoli con il Dio di Abramo? Perché gli dei potenti della terra sono stati straordinariamente elevati. Questi dei potenti sono gli Apostoli e tutti i fedeli. La loro potenza ha brillato di un così vivo splendore, che ha sottomesso loro tutti gli uomini. Come non riconoscere la forza invincibile di coloro che, anche dopo la loro morte, hanno fatto risplendere una così grande potenza, di coloro le cui parole, più dure del diamante, resistono alle ingiurie del tempo? (S. Chrys.). – Quale felicità quando i principi dei popoli, gli uomini potenti, le persone di qualità, che hanno credito, si uniscono con Dio per farlo regnare, quando essi procurano e sostengono il bene con il loro esempio e con la loro autorità! (Dug.).