LA VITA INTERIORE (17)

LA VITA INTERIORE E LE SUE SORGENTI (17)

Sac. Dott. GIOVANNI BATTISTA CALVI

con prefazione di Mons. Alfredo Cavagna, Assistente Ecclesiastico Centr. G. F. di A. C.

Ristampa della 4° edizione – Riveduta.

LUCE DIFFUSA

DELLA VERA DEVOZIONE

ERRORI COMUNI.

Non a caso abbiamo scritto della vera devozione, anziché soltanto: della devozione. Gi errori communi e diffusi su questo argomento sono tali e tanti ché proprio necessario dirne una parola precisa. Vi sono, per esempio, alcune anime che credono di non pregare bene perché non hanno fervore. E, per loro, il fervore, è il sentimento, é la soddisfazione, è il sensibile accordo con Dio, l’intesa e l’approvazione, a loro modo. – Ve ne sono altre che ritengono di peccare, anziché pregare, perché, durante la loro preghiera, soffrono di distrazioni, o, peggio, di tentazioni. E tanto le prime, che le seconde, dopo un po’ di tempo, si stancano, ritengono sia inutile il loro sforzo di pregare e quindi… lasciano tutto, quasi a cercar sollievo in più spirabil aere. Così facendo, inconsciamente, ma non senza loro grave danno, svolgono il programma minimo, e poi massimo del nemico delle anime, il quale, assai astutamente, prima di portarle con le sue macchinazioni a commettere colpe gravi, le indebolisce spiritualmente, con l’allontanamento da Dio, dall’osservanza delle sue leggi, dalle pratiche di pietà, dall’orazione.

LA DEVOZIONE ESSENZIALE.

« La (vera) divozione, dice S. Tommaso, è una volontà pronta a fare tutte quelle cose che spettano al servizio di Dio ». E cioè, a meglio intendere:

1) La divozione vera e principale (o sostanziale) è un atto, generoso e costante, non del sentimento o della sensibilità, con affetti o gioie tenere, con intime soddisfazioni, ma è un atto della volontà, che prescinde e perciò ne fa à meno, di per sé, dalle gioie, dagli affetti sensibili, dalle lagrime, dai sospiri, dalla facilità maggiore o minore nel raccogliersi e sentirsi separato dalle esteriorità, dal gusto che si può provare nelle pratiche di pietà (devozione secondaria o accidentale).

2) La divozione non è soltanto un atto della volontà, sia pure generoso e costante, ma un atto forte « che spinge l’anima a darsi totalmente non ad alcune, ma a tutte quelle cose che riguardano il servizio di Dio, sia che l’anima senta o non senta, gusti o non gusti sensibilmente quelle cose che spettano al servizio di Sua Divina Maestà ».

Data questa facile distinzione non ci dev’essere più nessuna ragione di turbamento per le anime pie che si agitano, si sconvolgono, si turbano inutilmente e disturbano mezzo mondo perché, secondo il loro giudizio, non hanno la divozione, non sentono. fervore, si accorgono di essere distratte, o sono tentate. Queste anime tutte potranno soltanto riconoscere che in loro stesse manca il fervore sensibile, ma non dovranno per questo affliggersi e, tanto meno, abbandonare la via dell’orazione. La vera santità è data dallo sforzo, dalla ricerca di riuscire a compiere bene i nostri doveri, tutti i nostri doveri, per amore di Dio, e solo per amore di Dio. Lo sforzo è la ricerca di riuscire, non sono già la riuscita. Il Signore è ben diverso dagli uomini: questi pagano, ricompensano solo il lavoro bene eseguito e collaudato. Dio ricompensa lo sforzo e la ricerca per riuscire, quanto la riuscita stessa. La divozione, ripetiamo, è un atto della volontà, ma non il raggiungimento obbiettivo dell’effetto.

LA MANCANZA DEL FERVORE.

Quanto al fervore sensibile, o alla sua mancanza (quando questa non sia palesemente causata da trascuratezza o dalla tiepidezza) conviene ricordare che la dolce bontà persuasiva di Gesù è catechetica, cioè istruttiva. Fa, press’a poco, Gesù, con noi, come le mamme con loro bambini — (sia detto con tutta la riverenza). — Gesù attrae à Sé l’anima con la dolcezza e col fervore sensibile. E l’anima così attratta si tuffa generosa nell’oceano dell’amore del Cristo che sempre più splende, e che sempre più attrae. Ma poco tempo dura questo stato di felicità. Gesù, a nostro modo di ragionare, non vuole che consumiamo l’interesse del capitale del nostro amore. Preferisce che lo conserviamo come merito pel Cielo. Ancora: Egli, sempre a nostro modo di ragionare, deve preoccuparsi per noi, perché proprio non abbiamo à cercare soltanto le sue consolazioni, ma Lui, Autore delle consolazioni, poiché queste sono mezzo, e non fine. Per l’economia spirituale meglio intesa, adunque, Gesù, dopo breve tempo, non splende più raggiante alle anime; non si lascia vedere; non dà ascolto (o meglio sembra non si  lasci più vedere, sembra non dia ascolto!) e lascia che l’anima, servendosi dell’aiuto che Egli continua a dare, faccia il bene solo per amore di Dio, per la convinzione, o per il ragionamento, ch’è il nostro dovere. Superata la prova nella perseveranza della fedeltà verso Dio, l’anima prova una relativa tranquillità e si dispone al compimento dei suoi obblighi verso Dio, in modo speciale per quelli che riguardano direttamente il servizio di Lui: e cioè, la meditazione, la preghiera, la lettura spirituale, gli esami di coscienza, l’assistenza alla S. Messa, la frequenza dei Ss. Sacramenti della Confessione e della Comunione, l’offerta quotidiana a Dio di tutte le azioni della giornata, comprese pure le cosiddette azioni indifferenti, come il cibarsi, il dormire, lo svagarsi e simili. – Possiamo adunque così concludere: il Signore dà secondo i suoi fini, per breve tempo e con parsimonia, a chi meglio giudica e come giudica, la devozione che abbiamo chiamata accidentale e secondaria. Mentre dà a tutti la divozione principale o sostanziale. La divozione secondaria è un premio temporaneo; è molto utile e va tenuta in grande considerazione, ma non va ricercata con affanno, o peggio, con angustia. Non in commotione Dominus! – L’autore della Imitazione di Cristo così, a proposito della divozione, dice molto bene: « Ti conviene cercare con istanza la grazia della divozione, chiederla con desiderio, attenderla con pazienza e con fiducia, riceverla con gratitudine, operare con essa studiosamente e rimettere a Dio il tempo e il modo della visita celeste ». La visita celeste è …. la devozione accessoria, secondaria o sensibile. Il tempo di essa va lasciato a Dio. E continua: « Sta’ fermo ai propositi: abbiti rettitudine d’intenzione e guardati bene dalla vana compiacenza e dalla superbia ». À questo punto, un Santo maestro di spirito spiega alle anime il perché dell’ammonimento: « Perché la compiacenza che l’anima ha, talora, di se stessa e quel credersi, forse, santa, vedendosi premiata da Dio con consolazioni celesti e con una devozione ben sensibile, è una delle cause principali che la gettano, e, talvolta, lasciano per molto tempo nelle aridità, nelle desolazioni, nelle oscurità e nell’abbattimento di spirito ». –  Ma, continua ancora l’autore dell’Imitazione: « Ciò che, sovra tutto, impedisce la consolazione (cioè la divozione sensibile) è che tu non ti servi dell’orazione, oppure vi  ricorri troppo tardi: egli è perché prima di supplicare me (Te, o Dio) vai in cerca di qualche svago nelle creature e nelle cose esteriori..…. Tuttavia per causa delle aridità o delle angustie (per causa, cioè, della mancanza di devozione sensibile ed accidentale) che l’anima tua prova, non ti lasciar andare alla negligenza nel servizio di Dio, né punto né poco: non toglierti dall’orazione, né tralasciare le altre tue consuete pratiche di Pietà ». Cioè, in altre parole, se noi non abbiamo la divozione accidentale, o di consolazione, abbiamo pazienza, poiché questa non è necessaria; ma non trascuriamo mai la divozione principale o sostanziale poiché questa è necessaria.

(Quando Dio ci manda le aridità, lo fa per distaccarci da tutto ciò ch’é creato, anche dalle gioie della pietà, affinché impariamo ad amar Dio solo per se stesso.)

A. TANQUEREY

LA VITA INTERIORE (18).

LA VITA INTERIORE (16)

LA VITA INTERIORE E LE SUE SORGENTI (16)

Sac. Dott. GIOVANNI BATTISTA CALVI

con prefazione di Mons. Alfredo Cavagna Assistente Ecclesiastico Centr. G. F. di A. C.

Ristampa della 4° edizione – Riveduta.

LUCE DIFFUSA

LA MORTE MISTICA

LA VITA NUOVA.

L’Apostolo Paolo dice che il Cristiano, per mezzo del Battesimo è morto e seppellito in Gesù Cristo, e dal Battesimo ne esce risuscitato a vita nuova, col dovere di vivere questa vita nuova… sul modello della gloriosa risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo. Come si può, e si deve, vivere questa vita nuova? La vita di unione con Gesù esige la vita di Gesù in noi ed esclude la vita del nostro io, fatto di amor proprio e di orgoglio. Questa esclusione della vita del nostro io, ci porta alla necessità del distacco da tutto ciò che non è Dio e che a Dio non conduce; alla dimenticanza di noi stessi, alla morte mistica del nostro io.

IL DISTACCO DA TUTTO E DA TUTTI.

Tra gli elogi che venivano fatti ai primi Cristiani, v’era anche questo: che essi vivevano nel mezzo del mondo, ma vi erano col corpo, non col cuore, ed erano, con ciò, perfettissimi. – Se questo giudizio era detto dei primi Cristiani, è logico che debba essere ripetuto di ogni anima cristiana. Ecco, adunque, il nostro preciso dovere: vivere in mezzo al mondo, compiere tutti i nostri doveri dell’Apostolato nel mondo, come se nel mondo noi non vi fossimo. Esso, è il vero distacco secondo l’invito di Gesù: Se qualcuno vuole venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce, e mi segua. L’abnegazione che Gesù richiede alle nostre anime è il distacco perfetto da tutto ciò che si oppone a Dio. Ecco, per questo, una regola che oserei dire infallibile e che tolgo dal libro tanto prezioso degli Esercizi di S. Ignazio di Loyola. Dopo d’avere affermato, e provato, che Dio è il nostro ultimo fine, il santo così dice: « Tutte le creature che esistono sulla terra vi sono poste in vista dell’uomo, per aiutarlo a perseguire e raggiungere il suo fine: dal che ne deriva che noi non dobbiamo usare di esse che finché ci sono di aiuto, disprezzarle, fuggirle nella misura che c’impediscono di pervenirvi » (Esercizi Spirituali, 2a Settimana, Fondamento.). – Questa verità formulata dal santo fondatore della Compagnia di Gesù, dice Monsignor Gay, non ammette contestazione ragionevole; la conclusione che il santo ne trae è assolutamente rigorosa, implica fin d’ora una legge che non si potrebbe ignorare. Questa legge domina tutta la nostra vita terrena e la deve governare al di fuori e al di dentro; si applica tanto bene alle affezioni che alle azioni. Là sta il gran segreto, conclude Mons. Gay, del santo svincolamento dell’anima; e cioè del distacco da tutto ciò che non è Dio, concludiamo noi. V’è ancora un qualche cosa di più. Lo diciamo con le parole di san Francesco di Sales: O Signore, no, non eccettuo niente, strappate me a me stesso. O mio me stesso, io ti lascio per sempre, fino a che Dio mi comanderà di riprenderti.

LA DIMENTICANZA DI SÈ.

Il distacco è generico e comprensivo: comprende lo spogliamento generale dell’io; la dimenticanza è più ristretta e specifica, e riguarda, precisamente, soltanto noi stessi. Giova insistere: quando un’anima si dona, si consacra a Dio, non appartiene più a sé. Non esiste più di fronte alla propria volontà, nella visione della sua intelligenza come in quella de’ suoi occhi: vive unicamente in Colui al quale si è offerta; non ha più interessi e considerazioni proprie, ma solo quelli e quelle dello Sposo celeste. Dimenticare sé stessa, ecco, adunque, la più grande legge della vita di ogni anima. « Dimenticare se stessa, dice lo Schryvers (Il dono di sè, pag. 193) significa escludere dalle proprie azioni, sofferenze e preghiere, ogni calcolo umano, ogni pensiero retrospettivo di amor proprio, ogni i intenzione egoistica ». Dimenticare sé stessi significa accettare semplicemente dalla mano di Dio tutte le croci, tutte le contrarietà senza lamentarsene, senza prevalersene, senza esaminarne la durata, la natura, come se colpissero un altro. – Dimenticare se stessi, significa moderare la ricerca delle soddisfazioni personali, fuggendo le illecite, e prendendo tra le altre, solo quelle che la Provvidenza stessa ha preparato. Dimenticare se stessi significa stimarsi al giusto suo valore, ossia come una nullità e come un peccatore; significa sbarazzare la memoria sua e quella degli altri, della propria persona, delle proprie qualità, delle proprie opere; significa evitare anche uno sguardo ansioso e troppo prolungato sulle proprie debolezze. Questo sguardo ansioso e troppo prolungato sulle proprie debolezze è sempre una vittoria dell’animæ hostis e dell’amor proprio. – Ancora: « Dimenticare se stessi, significa sparire ai proprii occhi, con un atto di volontà, per non ritrovare in sé e negli altri, nelle persone e nelle cose, altro che Gesù e la sua volontà ». Fermiamoci. Qualche anima potrebbe, qui, domandarci: Sono possibili tutte queste dimenticanze? E come? Sì, rispondiamo recisamente. Ed è sempre e solo possibile per l’anima che ricorda la Passione e morte di Gesù; per l’anima che, meditando lo spogliamento totale di Gesù, per amore nostro, si lancia nell’oceano dell’amore divino; cioè, di questo santo amore divino ch’è parte dell’unica realtà, di Gesù, re di amore. L’anima che sente questo amore si compiace d’essere spogliata di tutto; è felice di vedersi togliere tutto quello che forma la gioia o la felicità delle anime ordinarie. Queste possono, e vogliono, prevedere o prevenire il loro futuro, cercare, combinare piani di battaglia, scomporre giochi faticosi di equilibrio; fabbricano progetti e li distruggono, scelgono liberamente le loro occupazioni, le distrazioni, i diporti, i piaceri; vanno a caccia delle proprie soddisfazioni egoistiche e prepotenti; sono avide della stima e della considerazione degli altri uomini; dànno, o ricusano, saltuariamente, ma volontariamente, il loro affetto, anzi la loro intimità; scherzano sulla meschina quotidiana politica delle anime piccine, ingannano gli ingenui; cambiano, come si dice, le carte in tavola, negli affari, successivamente e in breve volgere d’istanti; sono, in una parola, immersi nella vita del giorno e non conoscono le gioie del vero amore. Per questo vero amore, invece, le anime generose scelgono ed abbracciano le rinunzie, le mortificazioni, l’annientamento assoluto del proprio io; per questo vero amore le anime imparano a dimenticare se stesse e ad abitare nelle profondità di Dio. In questo modo l’anima appartiene a Gesù e ama solo Lui,  ardentemente, e gli esprime questo amore in tante differenti maniere, e lo ama ininterrottamente: nelle tribolazioni, nelle tentazioni, nelle tenebre, nelle desolazioni, come nei momenti di luce e di consolazione.  Quest’anima che vuole amare Gesù non gli chiede mai conto della sua condotta verso di lei. È come l’argilla nelle mani del vasaio. Vede, essa, che Gesù le dà un aspetto strano, apparentemente incomprensibile, ma l’argilla non può chiedere all’artista: perché mi forgi in questa maniera? L’anima che così vuole amare Dio lo serve anche con tutta la prontezza della sua obbedienza. Talora questo servizio è gradito e conforme alle sue delicatezze, e l’anima allora, benedice il Signore, lo ringrazia e accetta questa soddisfazione senza indugiarvisi sopra. Talora, invece, il servizio divino è pesante, doloroso, sanguinoso: espone l’anima a lotte, a contrarietà, a incontri penosi, umiliazioni spiacevoli, a incomprensioni angosciose. Allora l’anima ricorda che non si possiede l’amore se non per mezzo del dolore, e che il dolore è sempre l’ambasciatore di Gesù. « Perciò, dice molto opportunamente lo Schryvers (O. c., 198), l’anima che ha dimenticato se stessa, non presta attenzione a ciò che la fa soffrire, la mortifica o l’umilia. Non vive per se stessa, ma per il Maestro. Non nota l’ingiuria fattale, il disonore del quale è ricoperta, il disprezzo di cui è oggetto. Come potrebbe accorgersene essa che non è più? Imperturbabile prosegue l’opera compiuta per la gloria di Dio, dovesse anche soccombere sotto il suo compito, dovesse essere schiacciata sotto i colpi dell’insulto e della persecuzione.

» La semplicità e il disinteresse dell’anima sono spesso motivo di stupore in questo mondo, dove tutto è finzione ed egoismo. Le creature cercano, talvolta, di sfruttare, a loro profitto, tale ingenuità, le tendono tranelli e cercano di sorprendere la sua buona fede. Ma l’anima semplice, non è suscettibile di sorpresa. Non si tratta con essa, ma con Dio, non si cerca d’imbrogliare o raggirare essa, ma Dio medesimo ». L’amore ci persuade a dimenticare noi stessi. Ma non solo l’amore. Tutte le cose create invitano l’anima a dimenticare se stessa. – Non è Dio, infatti, il principio e il termine d’ogni cosa? Egli ha, perciò, diritto di sovranità su tutto, e tutto deve dipendere da Lui. Se dipendiamo da Lui, non è giusto ch’Egli solo regni e che noi ci dimentichiamo, per ricordare Lui solo? Tutto, fuori e dentro di Noi, ci avverte del nulla da cui fummo tratti, e tutto c’indica l’Artista che ci ha creato. Non importa se, non ostante questa constatata  realtà, al Dio Creatore e Giudice che esige il dovere della sottomissione dell’uomo, questi risponde anche con una sfida insolente. Quante volte si potrebbe ripetere col profeta: Stupitevi o cieli! Il bue conosce il suo padrone e l’asino colui che lo nutrisce: ma tu, o Israele, non conosci il tuo Dio (Isa.I, 3). Ho nutrito ed allevato molti figliuoli, ma essi mi hanno disprezzato (Io. I, 2).

LA MORTE MISTICA DEL NOSTRO IO.

Distacco da tutto, dimenticanza di sé, morte del nostro io. Tutta la vita di Gesù Cristo sulla terra, fu croce e martirio; una morte continua, morte mistica, completata con la morte naturale sulla croce. Perché la vita mistica, la vita d’unione di noi con Gesù sia stabile e completa, occorre che noi vogliamo e cerchiamo di morire a noi stessi. Ecco i vari e differenti gradi di questa morte mistica.

1) Morte al peccato. Il peccato è l’unico male, esso non può stare con Dio. La morte ma non peccati, fu il proposito preso e mantenuto dal ven. Domenico Savio, il pio alunno del santo don Bosco nell’Oratorio salesiano. Potius mori quam foedari, « piuttosto morire che macchiarmi » fu l’ardente desiderio di Agnese purissima, e di tutte le vergini Spose di Gesù! La morte, mille morti, ma non peccare! Il non offendere Dio è la prima condizione che deve osservare l’anima che vuole vivere intimamente con Dio.

2) Morte al mondo e alle cose esterne. Tutto il mondo ha le radici nella malvagità. Nessuno può servire a due padroni: il mondo segue il demonio; ogni anima deve seguire Dio, e tanto più deve cercare e seguire Dio l’anima che desidera e vuole vivere intimamente unita con Lui.

3) Morte ai sensi e alle cure del corpo. Ai sensi e al corpo dobbiamo dare solo ciò ch’è necessario; e perché il corpo non recalcitri, dobbiamo domarlo con le privazioni e con le mortificazioni.

4) Morte ai difetti naturali. Questo genere di morte è molto difficile: in esso consiste la completa riforma del carattere. Tra gli stessi santi, alcuni, come S. Agostino e S. Francesco di Sales, riuscirono a domare e dominare vittoriosamente il loro carattere, con l’aiuto della grazia santificante. Altri non riuscirono nella loro opera di completa riforma. È un lavorio codesto che ha termine soltanto con la morte. L’esame particolare ci fornisce, a questo fine, un mezzo eccellente, anzi indispensabile.

5) Morte alla propria volontà. Ripeteremo sovente il fiat, Domine, voluntas tua; così che non soltanto ci sentiamo rassegnati, ma lo siamo prima con gusto, poi con gioia, e poi con vivissima riconoscenza a Dio, da conformare prima, e uniformare poi, definitivamente, il nostro modo di vedere, pensare, giudicare, parlare, con la volontà di Dio e con quella di chi ci rappresenta Dio. Non capricci, adunque, non fantasie, non punti di vista personali, non ostinazioni, non presunzioni, ma lasciarci guidare sempre dallo Spirito Divino.

6) Infine morte alla stima e all’amor proprio; morte alle consolazioni spirituali stesse che sono mezzi non necessari per la perfezione, e completa oscurità riguardo lo stato dell’anima. Gesù dice allora all’anima quella parola che già disse, un giorno, a S. Caterina da Siena: Tu pensa a me, io penserò a te.

LA VITA INTERIORE (17)

LA VITA INTERIORE (15)

LA VITA INTERIORE E LE SUE SORGENTI (15)

Sac. Dott. GIOVANNI BATTISTA CALVI

con prefazione di Mons. Alfredo Cavagna Assistente Ecclesiastico Centr. G. F. di A. C.

Ristampa della 4° edizione – Riveduta.

LUCE DIFFUSA

L’UMILTÀ

UN DOLCE INVITO DEL CUORE DI GESÙ

Ce lo riferisce l’evangelista S. Matteo: «Imparate da me che sono mite ed umile di cuore» (XI, 29). Essere umile vuol dire avere e praticare la virtù dell’umiltà. Gesù è il maestro di questa virtù, in sommo grado, e noi non potremo dirci veri figli e seguaci suoi se non impareremo e praticheremo questa virtù sconosciuta e disprezzata dal mondo ch’è poggiato sullo spirito di superbia.

IN CHE COSA CONSISTE.

Da humus, terra, viene humilitas, cioè che sa di terra. L’umiltà è quindi la virtù che induce a riconoscerci fatti dI terra, e perciò, di nessun pregio, di nessun valore. Non è una virtù passiva, come vorrebbe l’americanismo; tanto meno è codardia, ingratitudine o selvatichezza, come la insulta il mondo. L’umiltà è la verità, dice S. Bernardo. È la virtù che ci fa conoscere ciò che siamo, vale a dire creature di Dio tratte dal fango della terra… È il meglio della superbia. La superbia detronizzò lucifero con gli angeli ribelli e li fece dannare per tutta l’eternità; l’umiltà, invece, è il mezzo più pratico e più efficace per entrare nel Paradiso. L’umiltà è – come insiste S. Bernardo – il fondamento e la custodia di tutte le virtù. Senza l’umiltà, tutte le altre virtù non sono più virtù, diventano vizi. Infatti, senza l’umiltà la mortificazione esteriore è ipocrisia; la preghiera senza umiltà è presunzione; la meditazione è illusione e inganno; senza l’umiltà la carità diventerebbe egoismo raffinato; senza l’umiltà, infine, è impossibile conservarci in grazia di Dio. « Qualunque cosa di buono noi facciamo – dice S. Giovanni Crisostomo – sia preghiera, sia digiuno, sia limosina, sia continenza, va in fumo e sparisce se non è accompagnata dall’umiltà » (Hom. 15 in Matth.). «L’umiltà – assicura S. Vincenzo – è la base di tutta la perfezione evangelica, ed il  nocciolo di tutta la vita spirituale; chi possederà quest’umiltà, acquisterà pure con essa tutt’i beni; chi poi ne sarà privo, perderà anche quel bene che ha, e sarà agitato da continue angustie ». – Ecco con quale precisione S. Agostino la esalta: « Se tu mi domandassi qual sia la strada per raggiungere la verità, qual sia la cosa principale nella religione e nella scuola di Cristo, ti risponderò: la prima cosa è l’umiltà; quale la seconda? l’umiltà; quale la terza? l’umiltà; e se cento volte m’interrogassi, cento volte ti darei la medesima risposta » (Ep. 149).

NECESSITÀ DI QUESTA VIRTÙ.

Da quanto abbiamo detto possiamo ben arguire e comprendere il significato completo, assoluto della nobilissima parabola: Il fariseo e il pubblicano al Tempio, narrataci con tanta graziosità ed esattezza di linee da San Luca (XVIII, 9, 14). La preghiera umile apre le porte del Cuore SS. di Gesù e Gesù apre quelle del Cielo. La preghiera superba dissecca la fontana della misericordia del Cuore SS. di Gesù e isterilisce ogni opera buona. Con umiltà, dunque, le nostre anime debbono avvicinarsi a Gesù; con grande umiltà supplicarlo; con immensa umiltà considerare i suoi immensi benefizi per poter dire a Lui, Padre dolcissimo, tutti i sentimenti più vivi della riconoscenza e dell’amore filiale. Ma Gesù fu, in altre circostanze, anche più esplicito nell’indicare che la virtù dell’umiltà è indispensabile. Quando gli Apostoli, avvicinatisi a Lui, confidenzialmente gli chiesero: « Chi è mai il più grande nel regno dei cieli?» Gesù, dopo aver fatto venire a sé un fanciullo, rispose agli Apostoli: In verità vi dico, se non vi cambierete e non diventerete come i pargoli, non entrerete nel regno dei cieli. Chi pertanto si farà piccolo come questo fanciullo, sarà Il più grande nel regno dei cieli (Matt., XVIII, 1-4). Con queste sue dichiarazioni Gesù ha proclamato una grandissima verità e ci ha esortato « a quella profonda mutazione che consiste nella infanzia spirituale, ossia nella pratica dell’umiltà, indispensabile per entrare in Paradiso ». Procuriamo anche di tenere presente allo spirito e di meditare la chiarissima affermazione dell’Apostolo Pietro: Dio resiste ai superbi e dà la sua grazia agli umili (I Petr., V. 5): « L’umiltà non è, dice il Carmagnola, soltanto una virtù di consiglio, e dalla quale possiamo in certe circostanze e per ispeciali ragioni esimerci, no; essa è doverosa per conseguire la vita eterna, ed è doverosa sempre. In cielo vi possono essere dei Santi che non abbiano potuto praticare digiuni e macerazioni; vi possono regnare di coloro che non si mantennero nello stato verginale, ma nessuno può entrarvi, senza che sia stato umile ».

ECCELLENZA DELL’UMILTÀ.

Il divino Maestro non solo ci ha insegnato l’altezza e la preziosità di questa nobilissima virtù, ma, prima di insegnarcela, come sempre ed in tutto, Egli ha voluto praticarla in modo tale che può dirsi la virtù caratteristica di Gesù! Basta riflettere un istante sulla condizione di vita che Gesù si diede nel lasciare il cielo e venire sulla terra. Con molta proprietà l’Apostolo affermò che Gesù exinanivit semetipsum formam servi accipiens (Philip., II, 7), cioè siumiliò tanto da prendere l’aspetto di servodegli uomini… Se vi pensiamo anche perpochi istanti, il nostro cuore non potrà nonsentire la più intensa commozione nel considerarele dolorose, umilissime condizionidi Gesù nella sua vita, dalla culla al calvario!Nessuna meraviglia se coloro cheseguirono realmente Gesù, sentirono di doverpraticare questa virtù, e specialmente i Santi, i quali l’ebbero come distintivo preferito.Ci è, dapprima, maestra insuperabilela Vergine santa. Perché il Signore ha visto l’umiltà della sua serva… Ecco l’esatta motivazionedelle grandezze di Maria… Conl’umiltà di Maria SS. ammiriamo quelladi S. Giuseppe, di S. Giovanni Battista, ditutti i Santi. A voler ricordarne i nomi e gliesempi, sarebbe soverchio. Desideriamo,tuttavia, accennare alla grande umiltà diS. Giovanni Bosco e agli esempi eroici diuna sua figliuola spirituale, la ven. MariaMazzarello; che fu la cofondatrice colsanto don Bosco, delle Figlie di MariaAusiliatrice, la seconda famiglia religiosasalesiana.

L’UMILTÀ EROICA DELLA VEN. MARIA MAZZARELLO.

Il Santo Padre Pio XI, il 3 maggio 1936, dopo la lettura del decreto approvante l’eroismo delle sue virtù, tessendone un alto elogio, fra l’altro, disse: «… È veramente questa, l’umiltà, la nota caratteristica della Venerabile. Una grande umiltà la sua: si direbbe proprio una piena coscienza, e il continuo pratico ricordo dell’umile sua origine, dell’umile sua condizione, dell’umile suo lavoro. Contadinella, piccola sarta di paese, di umile formazione ed educazione; educazione cristiana, è vero, quindi oltremodo preziosa, ma alla quale è mancato, si può dire, tutto quello che comunemente si intende per educazione; anche la più modesta istruzione, sia pure nella più modesta misura. Restava quella semplicità che Iddio, l’unico preparatore di anime, s’era appunto predisposta in così eletta anima; e ci sembra proprio di entrare nei gusti di Dio e della stessa Venerabile, seguendo e studiando il segreto di questa sua vita vissuta e della vita postuma che la Venerabile viene esplicando in tanta sopravvivenza di persone e di opere. » La sua umiltà fu così grande, da invitare a domandarci che cosa vede Iddio benedetto in un’anima umile, veramente, profondamente umile; che appunto per l’umiltà, tanto, si direbbe, lo seduce e gli fa fare fino le più alte meraviglie in favore di quella stessa anima, e altre meraviglie per mezzo di essa… ». Quando si pensa, infatti, al valore dell’anima — il Signore ha dato la sua vita «per me», esclama l’Apostolo — che cosa, adunque, nell’umiltà vede il Signore? La domanda s’impone, specialmente quando si riflette per contrasto, a quello che nell’umiltà vede il mondo: rare volte il mondo si dimostra così insipiente nella sua albagia e nella sua supposta sapienza. Per il mondo questa umiltà e semplicità è povertà nel senso più miserabile e compassionevole della parola. Che cosa invece nell’umiltà vede Iddio? Egli stesso, il Signore, si è presa la cura di scioglierci questo problema che umanamente si presenta in modo scoraggiante. Ce lo ha detto in una delle sue più belle parole di S. Paolo, allorché fa dire all’Apostolo e proprio all’indirizzo dei non umili, dei superbi, di coloro che credono di potersi vantare e gloriarsi in qualche cosa — qualità, gesta, opere — la parola così solenne; così ammonitrice: Quid habes quod non accepisti? Et si autem accepisti, cur gloriaris quasi non acceperis?» Ecco, dilettissimi figli, ecco tutto il segretodell’umiltà; per essa l’anima stima evede reali splendori di verità, maestà di giustizia, dolcezza di riconoscenza; i rapporti, cioè, che devono intercedere fra l’animae Dio; per l’umiltà, l’anima vede che cosa è Dio nella verità; sa che cosa a Dio deve, nella giustizia; compie ciò che è obbligo verso Dio, nella riconoscenza. È qui la sostanza della umiltà nella verità, per risalire all’origine prima, giacché tutto viene da Dio — che cosa tu hai che non abbia da Dio ricevuto? — della umiltà nella giustizia; nell’attribuzione cioè della gloria a Dio: non nobis Domine, sed nomini tuo da gloriam; della umiltà nella riconoscenza intera, completa per i doni, per la liberalità divina; per la perfetta gratuità, propria di Dio, e nella sua scelta e nella sua. larghezza.» Quello che Dio vede nell’umiltà, cioè le vedute di Dio circa l’umiltà sono perfettamente all’opposto di quanto vede il mondo. Che cosa dunque vede Iddio? Vede nell’umiltà, nell’anima umile una luce, una forma, una delineazione dinanzi alla quale Egli non può resistere, poiché gli raffigura nella sua bellezza squisita e nelle linee più fondamentali e costruttive, la fisionomia stessa del diletto suo Figlio unigenito. Ed è questo un pensiero espresso dallo stesso Divino Maestro. E Lui stesso che dice a questo proposito: « Imparate da me». Che cosa imparare? « Imparate da me che sono mite ed umile di cuore». Veramente noi non riterremo mai abbastanza ciò che dicono queste poche parole: « Imparate da me che sono mite ed umile di cuore ». È il Maestro divino, portatore del verbo di Dio, portatore di tutti i tesori di sapienza, di scienza, di santità, che ci dice: « Imparate da me, che sono mite ed umile di cuore », come se non avesse altro da insegnare a noi, a questi poveri uomini, a questa povera umanità, che aveva perduto anche le tracce della verità, anche il filo per rintracciarla e che aveva tutto, tutto da imparare. Vien detto ad essa, vien detto a tutti gli uomini: « Imparate da me, che sono mite ed umile di cuore », come se non avesse altro da imparare, come se, questo imparato, fosse da noi appreso tutto quello che ci abbisogna per la ricostruzione delle anime, per la ricostruzione morale del mondo…

»… Ecco qualche cosa di ben prezioso e di cui sì può ringraziare la ven. Mazzarello, per il ricordo che ce ne dà. Da lei, infatti, ci viene questa indicazione; e tutta la sua vita ed opera sono appunto in questo ordine di idee, in questa divina didascalia e divina scuola di umiltà.

» Ora qui non possiamo non aggiungere che la venerabile Mazzarello — la esemplare, l’antica Figlia di Maria — di Maria SS., altresì, ci ricorda e ci ripete la somma lezione di umiltà, allorché la Vergine Madre di Dio esclamava doversi la sua elezione e gloria all’umiItà. Respexit humilitatem ancillæ suæ.

» La Madre di Dio si chiama la serva, l’ancella di Dio; e perciò, ex hoc beatam me dicent omnes generationes. È bello considerare la venerabile Mazzarello in questa luce, nella luce stessa di Maria. Anch’ella può ripetere: il Signore ha guardato con infinita benignità la mia umiltà, la mia semplicità e per questo: Beatam me dicent omnes generationes. Ecco infatti tutte le genti del mondo già conoscono il nome suo, le case, le opere, le sue Religiose; ecco che proprio in questo giorno che ci richiama e ci ricorda le grandi umiliazioni Della Croce, si mette in vista, con la proclamazione delle virtù eroiche, la possibilità chela Serva di Dio possa un altro giorno ripetere, e in modo più appropriato: Beatam me dicent omnes generationes ».

COME DOBBIAMO ESERCITARCI NELL’UMILTÀ.

Ricordiamo quanto dice S. Tommaso: L’umiltà consiste essenzialmente nel raffrenare la smania di tendere in modo disordinato a cose grandi e nel regolarci secondo la stima esatta, e non esagerata, di noi stessi. Ne consegue che per la pratica dell’umiltà sono necessarie tre cose:

1) Conoscere noi stessi, esattamente, e giungere alla reale convinzione che noi siamo niente e che possiamo fare niente. Di nostro v’è solo il peccato. Se il Signore ha largheggiato verso di noi, con doni di natura, questi accrescono la nostra responsabilità. Cerchiamo di seguire l’esempio del pubblicano e non quello del fariseo. Parleremo di noi stessi, solo quando sarà necessario, e taceremo quello che può tornare a nostra lode, lasciando a Dio la cura di tutto.

2) Acquistata l’esatta conoscenza di noi stessi, modereremo l’innato desiderio di tendere a cose grandi, di esibirci, di pretendere. E poiché – come disse S. Bernardo – l’umiliazione è la strada dell’umiltà, ci sforzeremo di accettare con gioia, o almeno con rassegnazione, i dispiaceri, le contrarietà, i biasimi, le correzioni esagerate e violente che al Signore piacesse di farci incontrare.

3) Il terzo mezzo per praticare l’umiltà è la preghiera, come quella del pubblicano: Signore, abbiate pietà di me, peccatore. – Dobbiamo, inoltre, essere umili sempre: – a) Verso Dio: riconoscendo di aver ricevuto tutto quello che abbiamo unicamente e direttamente da Lui solo, secondo la felice espressione dell’Apostolo: Che cos’hai che tu non l’abbia ricevuto? E se poi l’hai ricevuto, perché ti glori come se non l’avessi ricevuto? – b) Verso il prossimo: ammirando senza invidia e gelosia i doni di natura e di grazia nei nostri fratelli, e unendoci a loro per ringraziarne il Signore. – c) Verso noi stessi: con l’umiltà della mente che riconoscendo il mio nulla, me ne persuaderà facilmente e, perciò, mi renderà diffidente verso me stesso; con l’umiltà del cuore che m’indurrà ad amare la mia miseria, a fuggire gli onori e la gloria mondana, e a tenere un contegno esteriore sobrio, modesto e caro a Dio.

L’UMILTÀ, GIOIA, CONFORTO E UNIONE CON DIO.

L’umiltà è, come abbiamo detto, la verità. La verità è armonia e la tranquillità dell’ordine. L’armonia e la tranquillità portano la pace ch’è gioia e conforto dei nostri cuori. Tutto questo, sempre, quando noi cerchiamo di vivere umilmente, ma soprattutto in certi momenti della vita nei quali il Signore permette che ci sentiamo soli… L’isolamento che induce i superbi alla tristezza e, talora, alla disperazione, porta l’umile a cercare con maggior avidità, e con più grande intensità l’unico Amore, Gesù, per voler vivere sempre unito con lui!

Noi siamo pieni di miserie, ma abbiamo onore insigne d’essere le membra del Cristo: la qual cosa ci procura le attenzioni del Padre nostro celeste.

C. MARMION.

LA VITA INTERIORE (16)

LA VITA INTERIORE (14)

LA VITA INTERIORE E LE SUE SORGENTI (14)

Sac. Dott. GIOVANNI BATTISTA CALVI

con prefazione di Mons. Alfredo Cavagna Assistente Ecclesiastico Centr. G. F. di A. C.

Ristampa della 4° edizione, Riveduta.

SOLE CHE ARDE

IL RITORNO ALL’AMORE

NON SIAMO PIÙ SCHIAVI DEL PECCATO.

Spiegando l’Apostolo Paolo ai Romani e il simbolismo del S. Battesimo pel quale l’anima rimane purificata dalle colpe e unita con Gesù, suggerisce loro di non far più morire, per mezzo del peccato, la vita divina che hanno ricevuto, e conclude: Ultra non serviamus peccato, cioè: non siamo più, per nessun motivo, schiavi del peccato. Sarebbe davvero una grave iattura. Riflettiamo un istante. – Il Cristiano nel Battesimo è incorporato a Gesù Cristo, in modo da diventare parte del suo Corpo mistico, un altro Gesù Cristo. Siamo morti al peccato ed apparteniamo interamente a Gesù. « Infatti, dice ottimamente il P. Prat (V, 1, 266), noi siamo uniti a lui (Gesù) e diventiamo suoi membri proprio nel momento in cui egli diventa salvatore. Ora, questo momento coincide per Gesù Cristo con quello della morte, raffigurata ed effettuata misticamente per noi nel Battesimo. D’allora tutto ci è comune con Gesù Cristo; noi siamo crocifissi, sepolti con Lui, risuscitiamo con Lui, noi partecipiamo alla sua morte e alla sua nuova vita, alla sua gloria, al suo regno, alla sua eredità ». Sì. Partecipiamo. Ma, purtroppo, non vi partecipiamo per sempre. Perché? Ecco: il Concilio di Trento dice che « se la nostra riconoscenza verso Dio, che col Battesimo ci ha reso suoi figli, fosse all’altezza di questo dono ineffabile, noi serberemmo intatta ed immacolata la grazia ricevuta in questo primo sacramento » (Sess. XIV, cap. I). Per quanto vi siano, anche, anime privilegiate che sanno conservare questa vita divina ricevuta nel Battesimo, Gesù volle pure provvedere per quelle altre anime che, purtroppo, non sanno conservarla, questa grazia… E provvide realmente, istituendo il santo sacramento della Penitenza, il quale « è un monumento ammirabile della sapienza e della misericordia divina, nel quale Dio ha saputo armonizzare queste due cose: trovare la propria gloria, dandoci il suo perdono » (D. COLUMBA MARMION, Cristo, vita dell’anima. Milano, 1935).

COME DIO MANIFESTA LA SUA POTENZA.

Non co’ tuoni e le folgori, non per mezzo dei terremoti e delle inondazioni, non con la carestia, la peste, la fame, la guerra, ma con la… misericordia. La storia delle relazioni fra Dio e l’uomo è una continua manifestazione della bontà e misericordia di Dio. Sembra, per una parte, che gli uomini abbiano fatto tutti, e sempre, generalmente parlando, quanto potevano per offendere il Signore, e, d’altra parte, sembra che Dio abbia gareggiato, sempre, nel dar loro il suo perdono paterno. Conosciamo tutti la bellissima preghiera che i Sacerdoti leggono nella S. Messa della decima domenica dopo Pentecoste: « Deus qui omnipotentiam tuam parcendo maxime, et miserando manifestas… multiplica super nos misericordiam tuam ». E cioè: « O Dio, che fai soprattutto risplendere la tua potenza perdonandoci e avendo pietà di noi, moltiplica su di noi questa tua misericordia ». Questa meravigliosa rivelazione dataci dalla Chiesa che Dio, perdonandoci e avendo pietà, manifesta soprattutto la sua potenza, è ripetuta in tante altre preghiere. Ne ricorderemo ancora una, perché molto espressiva, ed è un’orazione delle Litanie delle Rogazioni: « Deus, cui proprium est misereri semper et parcere... 0 Dio, Tu che hai la caratteristica di usare sempre misericordia, e perdonare… ». Essere misericordioso, dice S. Tommaso, vuol dire prendere, in certo qual modo, nel proprio cuore la miseria altrui. Questa miseria è costituita dai nostri peccati, dalle nostre offese, dai nostri debiti verso Dio. Poiché Dio è bontà, è amore, davanti alla nostra miseria, la bontà e l’amore di Dio divengono misericordia. Non essendo a noi possibile vivere senza peccato veniale, le nostre miserie aumentano. Per questo: l’abisso delle nostre miserie, delle nostre colpe, dei nostri peccati, chiama l’abisso della misericordia divina.

ISTITUZIONE DEL SACRAMENTO DELLA PENITENZA.

Perduti, per causa del peccato, la grazia e i doni del Battesimo, non vi sarebbe più per noi nessun mezzo di salvezza, se Dio nella sua misericordiosa e previdentissima bontà non avesse pensato e provveduto a noi coll’istituzione del santo sacramento della Confessione. — Dopo il Battesimo,  dichiarò il Concilio di Trento (Sess. XVI, cap. 2 e 8), dopo che siamo innestati in Cristo, dopo che «liberati dalla servitù del peccato e del demonio, divenuti i templi dello Spirito Santo, noi ricadiamo volontariamente nel peccato, non possiamo ritrovare la grazia e la vita se non a condizione di far penitenza; così ha stabilito e non senza convenienza, la divina giustizia ». – La penitenza può essere considerata come sacramento e come virtù. Diciamo, ora, soltanto, della penitenza come sacramento. — Sappiamo che Gesù Cristo istituì questo sacramento quando disse agli Apostoli e nella persona di essi, ai loro successori: Ricevete lo Spirito Santo: a chi rimetterete i peccati, saranno rimessi; e saranno ritenuti a chi li riterrete (Giov., XX, 23) E ancora: Tutto quanto voi legherete sulla terra sarà legato anche in cielo; e tutto quanto voi scioglierete sulla terra, sarà sciolto anche in cielo (Matt., XVIII, 18). – Per mezzo della confessione ben fatta rifluisce o aumenta la grazia nella vita dell’anima… e il desiderio dell’unione con Dio rinvigorisce, la pietà rimane alimentata e fortificata.

PER FARE UNA BUONA CONFESSIONE.

Dopa aver pregato, com’è evidentemente necessario, occorre fare un buon esame di coscienza (comandamenti di Dio e della Chiesa; gli obblighi del nostro stato; oppure i doveri nostri verso Dio, il prossimo, noi stessi); avere il dolore (interno, sovrannaturale sommo, universale) dei peccati che si devono confessare, e, col dolore, il proposito fermo, stabile ed efficace di non peccare. Dopo di questo, la confessione o manifestazione delle colpe, o accusa, dev’essere umile, semplice, sincera, integra, prudente, obbediente, frequente, seguita dalla penitenza sacramentale o soddisfazione. L’obbligo della confessione riguarda soltanto le colpe mortali. – Ma ogni anima deve procurare, anzitutto e soprattutto, confessandosi, di avere il dolore o contrizione. Anche se l’accusa fosse resa materialmente impossibile, resta la necessità del dolore. Questo dicesi perfetto quando l’anima si rattrista per aver offeso l’amore, cioè Dio, unico e vero amore, sovrano bene, bontà infinita. L’atto di dolore o di contrizione perfetta, per il suo motivo, cancella il peccato mortale nell’istante stesso nel quale l’anima lo produce. Dicesi, invece, dolore imperfetto (contrizione imperfetta, attrizione) quello che deriva dalla vergogna provata in causa del peccato, per il castigo meritato, come la perdita del Paradiso e la condanna all’inferno, e non ha, di per se stesso, l’effetto di cancellare il peccato mortale, ma è sufficiente con l’assoluzione data dal Sacerdote.

COME GESÙ CI RIMETTE I PECCATI…

Da quanto già sappiamo, Gesù ci rimette i peccati per mezzo del Sacerdote al quale ci confessiamo. È appena necessario rilevare che il sacerdote è, per l’anima nostra il medico, l’amico, il padre, l’avvocato è tutto questo, ed è, anche, il giudice. Ma perché? Perché non ci perdona direttamente Gesù stesso? Non è Egli sempre il nostro Dio rimuneratore? Basterebbe ricordare che questo potere fu proprio dato da Gesù ai suoi sacerdoti; tuttavia, aggiungiamo che Dio vuole, nell’economia ordinaria della sua provvidenza, servirsi di cause seconde, guidarci, cioè, per mezzo degli uomini che tengono le veci sue. – Riassumiamo. La confessione, fatta come si deve, libera l’anima dal peccato in forza dell’assoluzione; diminuisce la pena temporale che, dopo l’assoluzione, rimanesse ancora da scontarsi in questo mondo o nel Purgatorio, e la diminuisce per il merito del rossore che proviamo nell’accusarci e per l’umiliazione che abbracciamo volontariamente; ci apre il Paradiso, ci rende più umili e più cauti contro le ricadute; ridona la speranza della vita eterna. Ma v’è di più: mentre non sempre il Signore, negli altri sacramenti, ci fa sentire la soavità delle consolazioni spirituali, nella Confessione dispone sempre che l’anima sia inondata di santa gioia. Perché? Perché la Confessione ci libera dal rimorso della coscienza che ci tormentava di continuo, notte e giorno. Tutto questo è bene sintetizzato da S. Bernardo (Med. 37): “Nella confessione tutto si lava, si monda la coscienza, si mette in fuga il peccato, ritorna la tranquillità, rinverdisce la speranza, l’animo si allieta ». Le parole del confessore: io ti assolvo dai tuoi peccati nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo, sono pronunciate in nome di Dio… ed è come se Gesù ripetesse a noi quelle parole dette al paralitico: « Coraggio, o figliuolo, ti sono rimessi i tuoi peccati » (MATT., IX, 2), o come alla Maddalena: « Ti sono perdonati i tuoi peccati…, la tua fede ti ha fatta salva: va in pace » (Luca, VII, 48). Tutto, nel sacramento del ritorno all’amore di Gesù, ci richiama il buon pastore e la pecorella smarrita, il figliuol prodigo che ritorna alla casa paterna e ritrova l’abbraccio dell’amore… Oh! Gioia inconfondibile dell’anima ritornata ai verdi pascoli della speranza, dell’amore e dell’unione col Dio della vita, con Gesù luce, verità e amore perfetto ed eterno!

CONFESSIONI MECCANICHE – IL DIRETTORE SPIRITUALE.

Qualche anima suole lamentarsi dopo la sua confessione, per due motivi. Primo: per l’assoluta mancanza dei divini conforti. Secondo: per la constatazione del mancato progresso nella via dello spirito. Le cause di questi due lamenti possono essere parecchie e diverse. L’esame particolare sul nostro difetto predominante dovrebbe sempre orientarci con precisione…! A parte, però, la mancanza della preghiera, del raccoglimento, dell’adempimento delle condizioni prescritte, molte confessioni diventano meccaniche, perché sono ripetute come i dischi di un grammofono. Per evitare i danni lamentati occorre, anzitutto, la scelta di un padre spirituale, col proposito di seguirlo fedelmente. Può essere direttore spirituale il nostro confessore stesso, e questa è la migliore soluzione. Necessità della direzione spirituale per tutte le anime, ma, vorremmo insistere, specialmente per quelle giovanili su la necessità della direzione spirituale. Come per il corpo è necessaria l’assistenza e la cura del medico, altrettanto è necessaria l’assistenza e la cura del medico spirituale per l’anima. Pieno di luce e opportunissimo a questo fine è il suggerimento dello Spirito Santo: Non operare senza prendere consiglio. Il perché è evidentissimo: nessuno può essere giudice imparziale di sé. Chi è il medico spirituale dal quale prenderemo consiglio? Il miglior consiglio è sempre quello di Dio. Egli, però,ha disposto che le anime fossero santificate, nella via interna, con la sottomissione e l’obbedienza ai confessori e ai direttori spirituali. Esempio tipico è l’ordine dato da Gesù a Saulo convertito da Lui direttamente, ma inviato ad Anania perché gl’insegnasse quello che avrebbe dovuto fare. Come Gesù dispose per Saulo, similmente dispose ed operò la Chiesa. Al direttore spirituale le anime debbono: a) rispetto; b) filiale confidenza; c) docilità umile.

DUE PENSIERI DI S. GIOVANNI BOSCO.

Il primo riguarda la convenienza e l’utilità d’avere un confessore stabile. Nella Vita del giovinetto Besucco Francesco così si è espresso il Santo: « Raccomando coi più vivi affetti del cuore a tutti, ma in special modo alla gioventù di voler fare per tempo la scelta d’un confessore stabile, né  mai cangiarlo senza necessità ». Il secondo è un suggerimento proprio paterno… T’rovandosi un giorno attorniato da un gruppo di giovinetti, il Santo de’ giovani, così loro disse con paterna bontà: « Volete farvi santi? Ecco! La confessione è la serratura; la chiave è la confidenza nel confessore. Questo è il mezzo per entrare per le porte del Paradiso ». – La confessione è, davvero, e le parole del santo don Bosco lo confermano, una fonte inesauribile di santità: ci ridona la grazia e l’amore di Gesù; fa vivere noi in Lui e Lui in noi!

LA VIA DEL RITORNO ALL’AMORE

LE RADICI DEL PECCATO.

Abbiamo già detto che la penitenza può essere considerata come sacramento e come virtù. L’una e l’altra sono vivide, fresche e copiose sorgenti di vita interiore. Ora diremo della ricca fontana di acqua limpida e saliente ch’è la virtù della penitenza. – Nonostante il frutto salutare ed efficacissimo del santo Battesimo; nonostante il perdono reale e completo de’ peccati nel sacramento della penitenza, rimangono sempre in noi le radici amare della colpa, pronte a rinverdire e a rigermogliare; durano sempre in noi certe conseguenze del peccato tenute sotto la cenere, come le assopite, e non mai atrofizzate, ramificazioni della concupiscenza, delle perverse inclinazioni de’ sensi. Se, in queste condizioni noi vogliamo assolutamente raggiungere il possesso della vita interiore e un grado elevato di unione con Dio in modo che la vita divina si sviluppi nelle nostre anime fortemente e, perciò, efficacemente, dobbiamo lavorare continuamente per neutralizzare e distruggere coteste rimanenze e tracce di peccato, dobbiamo essere sempre impegnati per impedire che queste amare radici possano rinverdire, rigermogliare, fortificarsi e dare frutti avvelenati.

LA VIRTÙ DELLA PENITENZA.

Oltre e all’infuori del sacramento della penitenza, il mezzo più efficace per cancellare le cicatrici e le conseguenze del peccato, per soffocare i nuovi germogli, è la pratica della virtù della penitenza. Questa È un’abitudine che quando «è ben radicata e vivace ci spinge continuamente all’espiazione del peccato e alla distruzione dei suoi residui». Meglio ancora: la penitenza è quella virtù «per la quale noi con tutto l’animo ci convertiamo a Dio, detestiamo e odiamo tutti i peccati commessi, e insieme proponiamo e deliberiamo d’emendare al tutto la nostra mala vita e correggere i nostri cattivi costumi, con la speranza di conseguire il perdono dalla divina misericordia » (Catech. Trid.). Giova all’anima ricordare altre precisazioni. Ecco: « … penitenza è piangere i peccati commessi e non commettere più peccati da piangere » (S. GREGORIO, hom. 34 in Ev.). — « Penitenza è contrizione nel cuore, confessione sulle labbra, umiltà nelle opere » (S. Giov. CRIS., Serm. de poen., 1). « Penitenza è una specie di vendetta compiuta da chi si duole, castigando in se stesso ciò che gli duole d’aver commesso » (Sant’Agostino, De vera et falsa poenit., 8). Se l’anima riesce ad avere queste buone disposizioni, allora vede il peccato attraverso alla fede, per mezzo degli occhi di Dio. « Se ho peccato, dirà, ho commesso un atto di cui non posso misurare la malizia, ma che è terribile, che viola talmente i diritti di Dio, della sua giustizia, della sua santità, del suo amore, che soltanto la morte di un Uomo-Dio ha potuto espiarlo.». – Pensandovi sopra, l’anima commossa così rivolgerà a Dio la sua supplica: « O mio Dio, io detesto il mio peccato, voglio vendicare i vostri diritti per mezzo della penitenza, preferirei morire piuttosto che offendervi ancora ». Questo è il solo spirito di penitenza che spinge l’anima a compiere atti di espiazione che debbono dare la morte al peccato, a quello che, nella nostra natura, è sorgente di disordini e di peccati: gl’istinti sregolati dei sensi, le scorribande dell’immaginazione, le inclinazioni corrotte, e, per conseguenza, tenere desta, rendere vigorosa e florida la vita dell’anima!

NECESSITÀ DELLA PENITENZA.

Due sono le vie che conducono al premio: la via dell’innocenza e la via della penitenza. Nessuno di noi può dirsi innocente, perché anche un solo peccato veniale basta per farci peccatori, e obbligarci alla penitenza. La prima necessità della penitenza ci è data dall’obbligo che abbiamo di ristabilire in noi l’ordine, di rendere alla ragione, sottomessa al Signore, l’impero sulle potenze inferiori, per concedere alla volontà di darsi interamente a Dio. Quando l’anima adempie questo obbligo, sente rifluire in sé la grazia, e, con essa sente potentemente e vivamente il desiderio di imitare Gesù, di avvicinarsi di più a Lui, di vivere unita con Lui. – Un’altra necessità della penitenza è, a noi presentata dalla lotta, che tutti dobbiamo sostenere, contro i difetti speciali predominanti che raffreddano e indeboliscono la vita divina in noi. La terza necessità ci è data dalle rinunce che Gesù richiede per tutto il tempo della nostra vita, come le sofferenze morali, le malattie, la scomparsa di esseri che ci sono cari, i rovesci, le avversità, le contrarietà e le contraddizioni che inceppano il raggiungimento dei nostri progetti, l’insuccesso delle nostre imprese, le nostre disillusioni, i momenti di fastidio, le ore di tristezza, il «peso del giorno» che accasciava già così gravemente S. Paolo (Rom., IX, 2) al punto che la vita — dice egli stesso — gli era di peso: Ut etiam tæderet vivere (II Cor., I, 8). Sono tutte miserie, che ci distaccano da noi stessi e dalle creature, soltanto mortificando la nostra natura e «facendoci morire » a poco a poco: Quotidie morior (I Cor., XV, ZI).

È UN COMANDO DEL SIGNORE.

La prima predicazione di Gesù fu la seguente, sulla penitenza: Fate penitenza, perché il regno dei Cieli è vicino (MATT.; IV, 17). In seguito insistette più energicamente: Se non farete frutti di penitenza, perirete tutti allo stesso modo (Luca, XIII, 3). Gesù, però, non volle accontentarsi di predicare. Infatti, tutta la vita di Gesù fu croce e martirio; tutta la sua passione dolorosa sofferta per la nostra redenzione ci mostra in modo mirabile com’Egli abbia unito la predicazione alla pratica. Gesù, però, non avrebbe dovuto soffrire. Soffrì tanto, indicibilmente, solo pei nostri peccati. Possiamo noi, forse, rimanere indifferenti di fronte alla dolorosa passione di Gesù? Noi che portiamo una polveriera nel nostro corpo sempre pronta a scoppiare; come ben disse B. Eymard, noi dobbiamo fare nostro, ripetere e praticare il proposito di San Paolo: Castigo il mio corpo e lo riduco in servitù (I Cor., IX, 27). Questa penitenza ch’è fonte di purificazione e, perciò, di elevazione, dobbiamo volerla ed abbracciarla in unione con la volontà di Gesù per mezzo della fede. Tale unione diventerà una fonte di sollievo, poiché Gesù, avendo sofferto e meritato per noi, si piegherà verso di noi, mosso da misericordia (Luca, XIII, 13) e ci conforterà.  Allora, e giustamente, come Apostolo San Paolo, potremo dire, in mezzo alle tribolazioni: sovrabbondo di gioia in ogni mia tribolazione (II Cor., VII, 4).

[Le incertezze, le angosce, i disgusti, sono rimedi molto amari, ma necessari alla salute dell’anima… Non c’è che una strada che meni a Gesù, quella del Calvario; e l’anima che non vuol seguire Gesù su quella via deve rinunziare alla divina unione.]

C. MARMION.

LA VITA INTERIORE (15)

LA VITA INTERIORE (13)

LA VITA INTERIORE E LE SUE SORGENTI (13)

Sac. Dott. GIOVANNI BATTISTA CALVI

con prefazione di Mons. Alfredo Cavagna Assistente Ecclesiastico Centr. G. F. di A. C.

Ristampa della 4° edizione , Riveduta.

SOLE CHE ARDE!

LA VISITA A GESÙ SACRAMENTATO

GIOIA DELL’ANIMA.

È, forse, possibile conoscere Gesù e non sentirsene attratti, non volerlo amare? È, forse, possibile amare Gesù e non pensare a Lui? non avvicinarlo? non visitarlo? Visitare Gesù nel SS. Sacramento dell’altare ov’Egli volle rimanere per testimoniarci il suo Amore, è un dovere, è una necessità, è una gioia, è un conforto senza pari pel nostro povero cuore! Occorre una dimostrazione? Pensiamo a Gesù Re del cielo e della terra; nostro redentore, benefattore, padre, maestro, giudice, premio! A Gesù unico e vero amore; a Gesù che immolatosi per noi sul Calvario, prima dell’inizio della sua passione, quasi in contrasto col durissimo, ingiusto, crudele trattamento degli uomini, per amore degli uomini stabilisce di rimanere sulla terra nel santo sacramento dell’Eucaristia! Da quel giorno, da quel momento supremo in cui durante l’ultima cena, e si offerse al Padre e si diede a noi, Gesù è rimasto, re di Amore per nutrimento del nostro amore, ne’ santi tabernacoli! Povere creature umane, noi siamo soliti a subire gl’incerti dell’entusiasmo per cause vere o fittizie, ogni qualvolta, soprattutto se improvvisamente, o per maestosità di apparato abbiamo i sensi stuzzicati, eccitati, impressionati. Non riflettiamo che tutte le esteriorità, per quanto grandiose non dovrebbero mai pretendere la precedenza della nostra attrazione, del nostro assorbimento, quia Dominus adest, perché il Signore è presente, è vicino a noi, è nel santo tabernacolo, nelle chiese, e ci attende.

GESÙ DIMENTICATO.

Le anime pie, i sacerdoti, i religiosi che si nutrono di Gesù sentono vivissimo il desiderio di visitarlo e di ternergli compagnia. Ma… e gli altri? La SS. Eucaristia non fu istituita per tutti? Gesù afferma ch’Egli è nel tabernacolo, per tutti. Vi è tutti i giorni per accoglierci, per ricevere la nostra adorazione quotidiana; come v’è, pure, per essere subito pronto a uscire all’invito dei più umili, per essere portato al capezzale de’ morenti, per discendere nella cella del carcerato, per salire sul patibolo del condannato. – Le autorità e i grandi della terra visitano rare volte i loro sudditi, i propri dipendenti, sono, sì e no, appena veduti. O meglio, permettono, appena, di lasciarsi vedere da… lontano. Così, in generale. Rarissimi possono avvicinare le autorità, e quasi sempre, nel solo interesse delle autorità stesse. Gesù, invece, è sempre vicino a noi, e ci visita sempre. Anzi: Gesù nel santo Sacramento è una lunga visita che fa a tutte le creature umane della terra. Tutti possono andare da Lui, Egli non fa distinzione di persone e nulla pretende. Se un giorno abbiamo avvicinato un nostro inferiore, se lo abbiamo aiutato per quel poco che potevamo, se gli abbiamo, inoltre, dimostrato un po’ d’affetto, ne attendiamo un po’ di riconoscenza o, anche, di contraccambio. Gesù è rimasto fra noi, ci ha visitato e ci visita di continuo, ci ha fatto godere i benefizi della sua immolazione, ha lavato i nostri peccati col suo sangue, ci ha dato la grazia co’ suoi Sacramenti. Non ha, forse pieno diritto d’essere ringraziato, contraccambiato, visitato, amato, adorato?

DOLOROSE CONSTATAZIONI.

Sì. Gesù ha tutti i diritti d’essere ringraziato, contraccambiato, visitato… adorato! Ma la realtà è molto diversa. Quante chiese rimangono vuote tutto il giorno! Se non vi fosse l’umile lampada che manda i suoi deboli guizzi tra le arcate deserte del tempio, si potrebbe, talora, dire d’essere in una tomba tanto il freddo s’addice a quella miserabile solitudine. « Così viene trattato il Re dei viventi, il Re immortale, il Re di tutti i secoli… » Come un morto, portato al camposanto e abbandonato alla sua tomba! Povero Gesù!… Quando prometteva l’istituzione dell’Eucaristia, e i Farisei mormoravano e molti gli voltavano le spalle quasi scandalizzati, Egli si rivolgeva malinconicamente ai cari Apostoli e loro domandava: Volete andarvene anche voi? (GIOV., VI, 68). Ora che l’Eucaristia è istituita, ora ch’Egli rimane lì, nostro prigioniero volontario, non può più in certe chiese ripetere nemmeno queste parole… Se ne sono andati tutti… tutti, anche le anime buone… E ciò, mentre le piazze, i teatri, gli alberghi sono pieni di sfaccendati… mentre intorno alle regge dei sovrani terreni brulica uno sciame di sudditi ossequienti… mentre gl’insensati baciano vilmente le catene che li tengono avvinti a una creatura… » (E. Bertetti, il Sacerdote predicatore).

SCUSE INUTILI.

La maggior parte delle anime che non si recano a visitare Gesù si scusano adducendo la necessità del lavoro, la molteplicità delle occupazioni. È, questo, il solito, funesto errore della preferenza al corpo, alle esigenze della vita materiale invece che all’anima e ai suoi doveri verso Dio. Non si riflette abbastanza che Gesù è padrone di tutto; che tutto dipende ed è vivificato da Lui; che noi senza di Lui non possiamo nulla. Come gli Apostoli senza Gesù inutilmente pescarono tutta la notte, e viceversa. tanto abbondantemente pescarono quando Gesù fu con loro, così è sempre di noi: Prima Dio, adunque, poi tutto il resto! – Ma se, pure per caso, la lontananza dal tempio o le esigenze imperiose del nostro lavoro, le conseguenze disastrose delle intemperie non ci permettessero di visitare Gesù, adoriamolo, almeno, in ispirito, col desiderio più vivo, col cuore e col pensiero più ricco d’affettuosità filiale. Questo modo di visitare, d’onorare, di adorare Gesù è, oggi, fortunatamente tanto diffuso e felicemente praticato dagli inscritti nelle falange dell’Associazione detta La Guardia d’Onore, approvata, benedetta e favorita dall’autorità dei Sommi Pontefici.

LE ATTRATTIVE DI GESÙ,

Gesù ci attende per farci felici, per arricchirci del suo amore, della sua grazia, perché noli possiamo vivere più strettamente uniti con Lui. Egli è, per questi motivi, nella SS. Eucaristia colla sua divinità. L’infinito, l’eterno, il perfettissimo… Su la porta del tabernacolo sta scritto: Adorerai il Signore Dio tuo; oppure: Costui, cioè Gesù, riceve i peccatori… Disse un giorno Gesù: Dove sono io, vi sarà anche il mio servo. Gesù è là nel tabernacolo; per questo motivo, dobbiamo colà esservi anche noi. – Vi si trova Gesù anche nella sua amicizia. È sua questa meravigliosa dichiarazione: « Le mie delizie sono nell’essere coi figliuoli degli uomini ». E quando non vi rimase più tra gli uomini vivo e reale e palpabile dopo la sua ascensione al cielo, Egli aveva già provveduto per rimanervi come un amico tenerissimo, per mezzo dell’Eucaristia: Ecco che Io sono con voi sino alla fine dei secoli. È nel tabernacolo con le sue ricchezze. Domini est terra et plenitudo eius. I tesori dell’ordine naturale e quelli dell’ordine soprannaturale sono nelle sue mani. « Quand’era nella sua vita mortale, tutti andavano a trovarlo: i fanciulletti per ricevere la sua benedizione, i giovani per chiedere il segreto della vita eterna; i ciechi, i sordi, i muti per essere guariti; gli addolorati e i feriti della vita per trovare conforto; Pietro per ottenere il perdono; la Maddalena per salire nella virtù e nell’amore più di quello che era discesa nel fango. Dal suo tabernacolo ripete incessantemente la grande parola che volgerà eternamente verso di Lui i cuori angosciati: venite a me, tutti, ma voi specialmente che siete curvi sotto il lavoro e il dolore» (Rouzic L., La giornata santificata.). – Gesù è nei tabernacoli colla sua umiltà. A Betlemme apparve sotto l’aspetto di un bimbo tenerissimo; nel tabernacolo sotto le specie eucaristiche. Bontà infinita e misericordiosa del Cuore SS. di Gesù! Sì, sì. Procuriamo di ripetere con S. Bernardo nell’estasi della più intensa commozione più Gesù si fa piccolo e più merita il nostro omaggio, il nostro amore, la nostra riconoscenza nel visitarlo, nell’interrogarlo, nel soffrire con Lui, nel renderlo partecipe di tutto ciò che abbiamo nel cuore e nell’anima. Questi sono i motivi per cui i santi ritornavano incessantemente al tabernacolo di Gesù. La forza e l’attrattiva dell’amore li guidava, li estasiava, li assorbiva. Per questi motivi l’apostolo della gioventù, San Giovanni Bosco, insisteva tanto nel parlare di Gesù Sacramentato ai suoi giovinetti. Sapeva che l’innocenza si nutre solo presso il santo altare. E i frutti erano sorprendenti. Quante volte dovette allontanare, dolcemente; dall’altare, dopo la permanenza di parecchie ore nell’estasi dell’unione col Cuore SS. di Gesù, il pio venerabile giovanetto Domenico Savio? Rigermogliavano in lui gli esempi di S. Giovanni Berchmans il quale, parecchie volte al giorno, appena poteva, correva da Gesù, e non vi correva solo.

IMPARIAMO A PARLARE CON GESÙ.

Molte, troppe anime andrebbero volentieri da Gesù, e magari vanno anche per qualche volta. Poi troncano. Non vi si recano più e interrogati del perché, rispondono: non so che dire a Gesù. Questa risposta meriterebbe, certamente, una lunga spiegazione. Le cause di questo «non so che dire» sono molto, molto dolorose. Molte anime, però, ripetono questa dichiarazione inconsciamente, e non è che la spiegazione della loro timidità mista a pigrizia mentale. Temono, coteste anime, il più piccolo sforzo. Se volessero realmente, basterebbe un po’ di riflessione. Chi è Gesù? Chi sono io? Che vuole Gesù da me? E io che voglio da lui? Perché Gesù rimane qui? Da quando? — Ma: e le anime sante che facevano presso Gesù? La risposta viene subito chiarissima: adoravano, amavano, riparavano, domandavano, ringraziavano. Qui, c’è tutto. Noi dobbiamo fare altrettanto. Non sappiamo neppure fare questo? – Narra il S. Curato d’Ars che ogni mattina, nella sua chiesa parrocchiale, un contadino andava ad inginocchiarsi davanti all’altare di Gesù Sacramentato. Le sue labbra rimanevano immobili, ma i suoi occhi erano sempre fissi nel tabernacolo. Punto da curiosità, il santo un giorno gli si avvicina e gli chiede: Che cosa fai, qui, o caro amico? — E il buon contadino subito con gioiosa prontezza: io lo guardo ed Egli mi guarda. Facciamo, almeno, anche noi altrettanto, e accontenteremo Gesù: Gesù dolce, Gesù amore, Gesù re del nostro cuore.

LA VITA INTERIORE (14)

LA VITA INTERIORE (12)

LA VITA INTERIORE

LA VITA INTERIORE E LE SUE SORGENTI (12)

Sac. Dott. GIOVANNI BATTISTA CALVI

con prefazione di Mons. Alfredo Cavagna, Assistente Ecclesiastico Centr. G. F. di A. C.

Ristampa della 4° edizione Riveduta.

LUCI DI STELLE

SOLE CHE ARDE!

LA SANTA MESSA

IL SOLE DEGLI ESERCIZI DI PIETÀ.

«Io non vi ho ancora parlato del sole degli esercizi spirituali (e che maggiormente e più efficacemente può dare all’anima nostra l’unione con Dio) che è il santissimo e sacratissimo e sovrano sacrificio e sacramento della Messa, centro della religione cristiana, cuore della devozione, anima della pietà, mistero ineffabile, il quale abbraccia l’abisso della infinita carità e pel quale Dio, donandosi realmente a noi, ci comunica magnificamente le sue grazie e i suoi favori » (S. Francesco di Sales). – Davanti a Dio e per gli uomini che hanno fede viva, la santa Messa, è l’azione più degna, e l’azione più meritoria, è quanto di più eccellente noi abbiamo ricevuto da Gesù Redentore. « Tutte le opere buone riunite insieme, diceva. il Santo Curato d’Ars, non equivalgono al santo Sacrificio della Messa, perché esse sono le opere dell’uomo, e la Messa è l’opera di Dio. Il martirio è nulla in suo confronto. È il sacrificio che Dio fa all’uomo del proprio corpo e del proprio sangue ». Nulla può rendere maggiore vantaggio agli uomini della santa Messa. Di questo erano talmente persuasi i primi Cristiani che, quotidianamente, sfidando i pericoli delle persecuzioni, si recavano nelle Catacombe per presenziare ai divini Misteri Tutte le anime pie, in ogni tempo, (i Santi in modo particolare; sentirono intensamente il bisogno di vivere la santa Messa. Quando il sacerdote celebra la santa Messa fa quattro cose principali:

1) cambia il pane e il vino nella sostanza del Corpo e del Sangue di nostro Signore;

2) offre e sacrifica, Gesù al Padre celeste;

3) si nutre di Gesù nella santa Comunione;

4) distribuisce… Gesù nella santa Comunione ai fedeli che lo desiderano.

È UN RICORDO VIVENTE DEL SIGNORE.

I.- Anzitutto fa assolutamente la stessa cosa che Gesù fece nell’ultima Cena, muta, cioè, il pane e il vino nel Corpo e nel Sangue di Lui. La celebrazione della Messa, è, quindi, ricordo di quanto noi possiamo avere di più caro: di Gesù Cristo. Gesù stesso, lo disse agli Apostoli: «Fate questo in memoria di. me) (Luca, XXI, 19). E in che modo, se ne dovranno ricordare? Ascoltiamo San Paolo (I Cor.,., XI, 20); « Ogni volta che mangiate questo pane e bevete questo calice, voi, annunziate la morte del Signore ». Nell’assistere alla santa Messa dobbiamo dunque, in ispirito, recarci sul Calvario e raffigurarci Gesù Cristo crocefisso, agonizzante e, morente in croce per noi. – La Messa, però, non è un ricordo morto: è un ricordo vivente del Signore, è una commemorazione vivente di Gesù. Poiché nel momento della consacrazione, il Signore discende realmente in mezzo a noi, sebbene velato sotto le specie del pane e del vino.

È LA RINNOVAZIONE DEL SANTO SACRIFICIO DELLA CROCE.

II. – La santa Messa non è solo un ricordo vivente di Gesù Crocefisso: essa è anche un sacrificio; e, precisamente, è la rinnovazione del santo Sacrificio della croce. « Il grande Sacrificio che Gesù Cristo nella sua qualità di Sommo Sacerdote ha offerto per l’umanità sul Golgota, Egli lo ha anticipato, lo stesso identico Sacrificio, all’ultima Cena. Sono parole sue: “ Questo è il mio Corpo immolato per voi, questo è il mio Sangue versato per voi” (P. Parsch. Op. c. 20)). Questo stesso Sacrificio offerto sulla croce e che fu anticipato nell’ultima Cena, viene rinnovato realmente, nella santa Messa. Non è, adunque, la Messa solo un ricordo vivente di Gesù, ma anche un sacrificio, è la rinnovazione vera, reale del Sacrificio di Gesù in Croce. Quando andiamo alla Messa, andiamo al Calvario e in compagnia di Maria SS. e di Giovanni assistiamo al divino Sacrificio di Gesù. – Fermiamoci a considerare: La santa Messa è l’offerta del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo che, sotto le specie del pane e del vino, si offre a Dio dal sacerdote sull’altare in memoria e rinnovazione del Sacrificio della Croce.

L’OFFERTA È GESÙ.

Riflettiamo: Che cosa si offre nel sacrificio della Messa? — Si offre il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo. — Gesù Cristo è Dio. Quale altra vittima può paragonarsi a questa Vittima divina? – Dio è eterno, immenso, onnipotente, infinito: per questo appunto, in ragione della Vittima offerta il sacrificio della Messa ha un valore infinito. Gesù si offre al Padre per suo amore, per la sua gloria. Nel discorso dopo l’ultima Cena Gesù disse: Padre, è giunta l’ora (della mia morte), glorifica il tuo Figliuolo, affinché il tuo Figliuolo. glorifichi te (Giov, XVII, 1). Glorificare il Padre; ecco l’intenzione di Gesù. nell’offrirsi, sul Calvario e sugli altari. –  Ma Gesù si offre a Dio anche per salvare gli uomini. La salvezza eterna degli uomini dà gloria a Dio. L’offerta di Gesù è, dunque,ispirata da due amori. che. si riuniscono in uno solo: l’amore infinito pel Padre e per gli uomini. – Quale sacrificio costò a Gesù l’offertach’Egli fece di sé al Padre? — Il massimo sacrificio, cioè la vita.Alla vita tutti si sentono intensamente attaccati. Nessuno. vorrebbe mai privarsene.Tutti desiderano di continuare a vivere. Donare la propria vita, è, quindi, il sacrificio che più costa all’uomo… Gesù diede la sua vita, permettendo che gli venisse tolta violentemente ed ignominiosamente,per la gloria di Dio e per la salvezza degli uomini: Per questi due fini versò in croce, sul Calvario, tutto il suo sangue. Nessuno ha un amore più grande di chi offre la sua vita per i suoi amici (Giov., XV, 13).« Ecco il motivo per cui la Chiesa onora e santifica tutte le sue annue solennità descritte nel ciclo liturgico col sacrificio Della Messa. Come la manna nel deserto si adattava a tutti i gusti, così questo Sacramento,il quale rinnova sui nostri altari il mistero di nostra redenzione — opus nostræ Redemptionis exercetur — ne commemora altresì i vari episodi e le circostanze. Ecco il motivo per cui nella Messa natalizia, di mezzanotte, noi adoriamo il Cristo Verbo Incarnato; il giorno della Epifania, invece di presentare a Dio oro, incenso e mirra,gli offriamo nell’Ostia quel medesimo Divin Pargoletto Re, Pontefice e Mortale, che veniva simboleggiato dai doni dei Magi;nel giorno di Pasqua, sotto i veli Eucaristico, noi adoriamo Gesù sfavillante di gloria, e con Lui inauguriamo il regno di Dio,sorbendo quel vino Eucaristico nuovo e generoso, del quale il giovedì santo Egli D discorreva appunto nel Cenacolo: non bibam amodo de hoc genimine vitis, usque in diem illum, cum illud bibam vobiscum novum in regno Patris mei (MATTEO, XXVI, 29). » Il giorno di Pentecoste poi, a conseguirei settemplici doni del Divino Paracleto, noi gliene presentiamo il prezzo: il Sacrificio del Signore, implorando dallo Spirito Santo— teste della Passione di Gesù Cristo, come lo chiama bellamente Serapione di Thmuis— la grazia di associarci a Lui nel Glorificare Gesù.

» Del pari, sia che la Chiesa celebri le varie solennità Mariane, gli anniversari dei Martiri, le consacrazioni dei suoi sacerdoti, le benedizioni nuziali sugli sposi novelli, la Liturgia costituisce l’offerta dell’Eucaristico Sacrificio siccome vero rito centrale della solennità, giacché per i meriti della croce e della pienezza di grazia che è nel Cristo Capo, affluisce ogni carisma nell’intero organismo della Chiesa, che è precisamente il suo mistico Corpo, il suo pleroma, come lo chiama l’Apostolo ». (Schuster, De Mysteriis, 12-13).

LA SANTA COMUNIONE. – IL CONVITO.

La santa Messa è anche il Convito, il banchetto delle anime dei sacerdoti e delle nostre anime. Il giorno successivo al miracolo della moltiplicazione del pane e dei pesci (MATT., XVI, 19), Gesù tenne, nella sinagoga di Cafarnao, dinanzi ai testimoni del miracolo, agli Apostoli e a vari discepoli, un discorso importantissimo. – Ricordando la moltiplicazione dei pani, e da questa prendendo occasione, promise un pane celeste, un pane di vita ch’Egli avrebbe lasciato in eredità alle anime e tra la generale meraviglia, così recisamente affermò: Il pane che io darò a voi è la mia Carne per la vita del mondo (Giov., VI, 52). – Poiché i giudei sono riluttanti a prestare fede alle sue parole, Egli ripete la promessa in sei espressioni d’immenso significato: In verità vi dico, se non mangerete la Carne del Figlio dell’Uomo e non berrete il suo Sangue, non avrete vita in voi. Chi mangia la mia Carne e beve il mio Sangue, ha la vita eterna e Io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Poiché la mia Carne è realmente cibo e il mio Sangue è realmente bevanda. Chi mangia la mia Carne e beve il mio Sangue rimane in me ed Io in lui… Chi mangia questo pane, vivrà in eterno… (Giov., VI, 54-59)A queste parole dette con forza e con precisione, gli ascoltatori si dividono. Alcuni di essi, i giudei, dopo avere con molta irriverenza giudicato Gesù, si allontanano. Presso il Maestro Divino restano gli Apostoli.Questi, per le parole di Pietro, testimoniano la vivezza della loro fede negli accenti di Gesù.Ma che cosa aveva realmente voluto dire Gesù, con quelle sue parole tanto rimarcato? Come le parole stesse chiaramente suonano, Gesù ha promesso la vita della grazia (vita eterna), la partecipazione alla vita di Gesù stesso. Gesù ha promesso il nutrimento dell’anima, la vitalità dell’anima,e l’unione di queste anime, da lui vivificate con la sua Carne e il suo Sangue, con se stesso e col Padre. Dunque, secondo le promesse di Gesù:

LA VERA UNIONE con GESÙ!

1) La santa Comunione ci incorpora con Gesù. È questa la ragione per cui Gesù nell’ultima cena la istituì sotto le specie del pane e del vino: « Prendete e mangiate; questo è il mio corpo, prendete e bevete, questo è il mio sangue ». – Uniti con Gesù per mezzo della santa Comunione, facciamo con Gesù una vita unica, un cuor solo ed un’anima sola. I suoi sentimenti e i suoi interessi sono nostri, e i nostri sono suoi.  Quanto quest’unione sia stretta, intima, con Gesù, viene molto ben detto dal Padre Grou (Per la vita intima dell anima, 278):« Questa dimora reciproca, di noi in Gesù e di Gesù in noi, è qualche cosa di così grande e di così divino che non ci è possibile comprenderla perfettamente.

» Questo effetto meraviglioso della Comunione avviene nelle anime in proporzione delle loro disposizioni, e siccome le disposizioni possono migliorare sempre, l’effetto corrispondente a queste diviene ognor più eccellente, in proporzione…

» È una dimora intima, una unione di Gesù con noi, in doppio modo, e tale che non se ne trova esempio nella natura. Corpo ed anima Egli s’unisce a noi; le sue facoltà si uniscono alle nostre, in modo soprannaturale e trascendentale, di modo che Gesù Cristo vive in noi, e noi viviamo il Lui »… Ma non basta. Questa stretta unione con Gesù, è, pure, nei desideri di Gesù, una unione permanente delle nostre anime con Lui. Perché avvenga una rottura, una separazione, è necessario che l’anima pecchi gravemente… Quanto cara sia la presenza di Gesù vivente in noi con la sua grazia, solo le nostre anime possono dire: « Gesù rimane in noi col divino suo Spirito che opera, nelle anime nostre, disposizioni simili alle sue ». Di più. L’unione nostra con Gesù è una unione santificante. Gesù santissimo, ci santifica trasformandoci in Lui. Questa trasformazione avviene tanto più celermente, quanto più avidamente cerchiamo Gesù e quanto più decisamente e realmente ci stanchiamo del mondo e delle creature. « I nostri pensieri e i nostri giudizi si vengono a mano a mano modificando: in cambio di giudicare le cose secondo le massime del mondo, ne giudichiamo secondo le massime del Vangelo. La nostra volontà si conforma a quella del divino Maestro: persuasi ch’Egli solo è nel vero perché Sapienza eterna, non vogliamo se non ciò che vuole Lui e con Lui ripetiamo: Padre, sia fatta la tua volontà così in cielo come in terra! Il nostro Cuore sgombera, a poco a poco, da sé gli affetti egoistici e troppo sensibili, per amare generosamente, ardentemente, supremamente colui che solo merita d’essere amato » (TANQUEREY, Le grandi verità cristiane, 239). –

2) La santa Comunione ci unisce non solo con Gesù, ma ci unisce pure con Dio, con le tre persone della Santissima Trinità. In Gesù, infatti, figlio di Dio, vi sono le altre due persone divine, perché esse vivono l’una nelle altre. Il Verbo incarnato non in noi da solo, ma col Padre celeste che lo genera di continuo; e collo Spirito Santo che, per via di amore, procede dal Padre e dal Figliuolo. –  Uniti con Gesù siamo, per questo stesso, figli adottivi di Dio e apparteniamo alla sua famiglia. Onore e gioia inestimabile, ch’è irraggiungibile per qualunque altra via. Solo in questo modo si effettua il fine voluto da Dio da tutta l’eternità, la nostra unione intima con Lui.

I DONI EUCARISTICI DI GESÙ.

Mentre Gesù a noi si dà senza riserve, se noi a Lui egualmente ci accostiamo, non tarda l’effluvio del suo profumo e del suo sapore a ristorare le nostre forze. Infatti,  come il cibo materiale non solo conserva e sviluppa il nostro organismo, ma col suo gusto lo allieta insieme e lo diletta, così la Divina Eucaristia nutre l’anima, la sostiene, la consola e le infonde un celeste gusto per le cose spirituali (Schuster, De Mysteris, 18). – Di più: per la santa Comunione, noi veniamo perdonati dei peccati veniali, e preservati da eventuali future cadute. Benissimo Sant’Ambrogio: Questo pane quotidiano si riceve in rimedio della quotidiana debolezza (De Sacr., lib. IV, c. 6). Quanta grazia insinuante, commenta il Card. Schuster, in quel doppio aggettivo: quotidiano, a raccomandare ai suoi figli spirituali la quotidiana frequenza alla santa Comunione! Ancora. Gesù aumenta in noi l’ardore della carità, diminuisce il fuoco delle tentazioni, ci conserva nell’integrità e nella purezza. Per questo motivo, nei primi tempi della Chiesa, veniva portata la santissima Eucaristia ai Martiri nelle prigioni, perché confortati dal Pane celeste, non cadessero per lo spavento e per il dolore delle prove cui erano sottoposti. – Concludendo: la santa Messa, l’atto più elevato e più santo del Cristianesimo, il centro vitale per eccellenza della nostra santa Religione, la fonte più vivida e più intensa della grazia santificante:

1) Come memoriale della Passione di Gesù.

2) Come rappresentazione vera e vivente del sacrificio di Gesù nel Calvario.

3) Come vera incorporazione con Gesù e con Dio, ci unisce intimamente, ci trasforma, realmente, in Gesù stesso, tanto da poter propriamente e realmente ripetere le parole dell’Apostolo: Signore non sono più io che vivo, sei Tu che vivi in me.

Dio ha messo ogni cosa sotto i piedi di Cristo e l’ha dato per capo a tutta la Chiesa, ch’è il suo corpo e il suo compimento.

S. Paolo, Efes., I, 22-23.

LA VITA INTERIORE (11)

LA VITA INTERIORE E LE SUE SORGENTI (11)

Sac. Dott. GIOVANNI BATTISTA CALVI,

con prefazione di Mons. Alfredo Cavagna, Assistente Ecclesiastico Centr. G. F. di A. C.

Ristampa della 4° edizione Riveduta.

LUCI DI STELLE

LO SPIRITO DI FEDE

NECESSITÀ.

Quante volte. abbiamo letto, oppure, udito, ch’è necessario, oggi più che mai, vivere di fede; di una fede luminosa, di fede intelligente, di fede attiva: non di fede ordinaria. Il primo passo per la via della fede è, precisamente, lo spirito di fede. Lo spirito di fede ci conduce direttamente a Dio, e ci persuade della necessità di dover vivere la vita di unione con Lui. Gesù, disse propriamente che ci è dato conoscere Dio per mezzo di questo spirito di fede: Nessuno conosce il Padre fuori del Figlio e fuori di colui, cui il Figlio lo avrà voluto rivelare (MATT., XI, 27). « C’è bisogno di questa grande fede per penetrare nel Cuore di Gesù, nell’intimità  di questo Cuore, per trovare non un Gesù rimpicciolito, ridotto, permettetemi la parola — un Gesù caricatura, — ma per trovarlo nella pienezza dell’amor suo, nella magnificenza del suo amore. Bisogna penetrare più addentro della lancia di Longino, per comprendere questa luce misconosciuta. Che il mondo accetti o no: Dio è il maestro e il padrone! Il nostro dovere è di seguirlo. Servire Deo regnare est… Ma io dico che servire il Signore è più che regnare. Che vuol dire regnare? Governare delle creature, vuol dire fare opera che ci lasci con tutte le nostre miserie. Ma servire il Signore è diventare padroni del suo Cuore, è possederlo con la fede. Si riceve questa grazia nella misura in cui si progredisce nello spirito di fede, nel desiderio di veder Dio, di non vedere che Lui solo! Chi è penetrato da questa luce non ha bisogno di niente. Viene un momento in cui riposa in Dio, vedendolo, per così dire; e allora il resto, sofferenze, immolazioni, persecuzioni, non sono che minuzie. – Ma dove e come Gesù Cristo c’insegna a conoscere Dio? Nella vita intima con Lui, nella preghiera: ecco perché anime ignoranti secondo il mondo, sanno di questo soggetto più dei sapienti» (P. MATTEO CRAWLEY, Incontro al Re d’Amore). La citazione è un po’ lunga. Ma l’abbiamo fatta di proposito, e per la competenza del pio autore e per la cristallina trasparenza delle affermazioni. Vivere di spirito di fede, adunque, è vivere vedendo Dio in tutto, e in ciò ch’è gradito come in ciò che ripugna. Vedere Dio in tutto è vivere guidati da Dio, illuminati dalla sua luce, confortati dal suo amore, attratti dalla sua potenza, sostenuti e ritemprati dalle sue sofferenze sopportate per noi, desiderosi soltanto di vedere, di conoscere, e perciò di amare, e perciò d’essere sempre uniti con Gesù dolce, con Gesù amore.

CHE COSA VUOL DIRE.

Possiamo, perciò, così dedurre: Avere spirito di fede vuol dire:

1) Meditare sovente le verità della fede, e ritornare spesso, e con piacere, alla meditazione di tali verità.

2) Giudicare tutti gli avvenimenti in conformità delle viste della fede; e, invece di fermarsi sulle cause seconde, vedere in esse la causa prima ch’è Dio, il quale le dirige tutte per la sua gloria, per la nostra salute facendole servire a castigare gli uni o a purificare e santificare gli altri.

3) Non desiderare se non le cose che la fede c’insegna essere buone, cioè essere tali che possano condurci al nostro fine. Quid hoc ad æternitatem? che giova questo per l’eternità?

4) Non temere se non quello che la fede ci fa riguardare come pericoloso, vale a dire tale da poterci facilmente allontanare dal nostro ultimo fine; p. es. tutto quello che ci espone a qualche tentazione.

5) Parlare sempre conforme al linguaggio di Gesù Cristo nel santo Vangelo: biasimando ciò ch’Egli biasima e approvando ciò ch’Egli approva.

6) Risolversi abitualmente per quel partito che la fede ci fa riguardare: come il migliore, cioè come quello che ci espone meno alla tentazione e occasione di peccare.

7) Operare e agire in tutto, in conformità agli insegnamenti della fede, per motivi che essa ci fornisce, e santificare così le azioni che sarebbero in se stesse indifferenti e materiali come il cibo, il riposo, la ricreazione; offrendole a Dio procurando di nobilitarle e di animarle con qualche pia considerazione e soprannaturalizzando ciò che sarebbe puramente naturale… – Diamo il bando alla superficialità, alla leggerezza della vita. Non per noi, non per noi le vane apparenze! Solo Gesù sempre, ch’è l’unica realtà. Sentirla, dobbiamo, questa unica realtà. Lo sappiamo: vi sono difficoltà molte. E con questo? Marcescit sine adversario virtus… Latino di facile intelligenza che induce alla saggia e matura conclusione dell’amore alle sofferenze, della rassegnazione gioiosa nei dolori inevitabili di questa vita … alla serietà e fortezza nel Nome di Cristo Gesù.

L’INSEGNAMENTO DI S. FRANCESCO DI SALES.

San Francesco di Sales esortando le anime a vivere di spirito di fede, enumera tre specie di verità di fede. Vi sono, dice il Santo, alcune verità molto gradite al nostro spirito, non solo perché Dio ce le ha rivelate e la santa Chiesa ce le propone a credere, ma anche perché incontrano i nostri gusti, perché le possiamo ben penetrare, intendere facilmente e perché sono conformi alle nostre inclinazioni. Tali, sono in genere, tutte le vertà consolanti e, in modo tutto particolare, la certezza della misericordia infinita di Dio, e l’ambitissimo i premio eterno del Paradiso. – Non tutte le verità di fede, però, sono consolanti. Anzi: alcune sono terrificanti. Come vi sia, per esempio, un inferno eterno, per il castigo dei peccatori ostinati, è una verità amara, dolorosa, terribile, alla quale non vorremmo credere, e vi crediamo niente volentieri, ma solo in forza della parola di Dio. – Lo Spirito di fede ci deve persuadere a credere sempre le verità rivelate indipendentemente dai nostri sentimenti di gusto o disgusto … Dobbiamo credere le verità amabili e quelle terribili per l’autorità della parola di Dio: quest’è la vera fede, lo spirito di fede. – In secondo luogo, S. Francesco di Sales osserva che vi sono verità di fede facilmente apprezzabili e comprensibili; sia dalla nostra immaginazione che dalla nostra intelligenza; e ve ne sono delle altre interamente opposte e in nessun modo afferrabili. Tra le prime, per esempio, noi intendiamo bene come Gesù sia nato nel presepio di Betlemme, come abbia dovuto fuggire in Egitto, come sia stato crocefisso; tra le seconde noi non intendiamo la verità della SS. Trinità, l’eternità, la presenza reale di Gesù nel SS. Sacramento dell’Eucaristia. Queste ultime verità sono certamente reali, « ma così fatte che la nostra immaginazione non le può concepire, perché noi non possiamo in nessun modo immaginare come tali verità esistano; non di meno il nostro intelletto le crede fermamente e semplicemente, sulla sola sicurità che gli dà la parola di Dio ». Questo è lo spirito di fede che i santi hanno avuto, praticato, insegnato, anche tra le sterilità spirituali, le aridità e le tenebre dell’anima. – Osserva infine S. Francesco di Sales che si può avere e conservare lo spirito di fede, vivendo la verità e nella verità non già la menzogna e nella menzogna. Si vive la verità e nella verità vivendo la grazia, e nella grazia divina; e seguendone gli impulsi. Viceversa, vive nella menzogna chi vive nella natura secondo le operazioni della natura. La nostra immaginazione; dice precisamente il santo, i nostri sensi,  il nostro sentimento, il nostro gusto; le nostre consolazioni, i nostri discorsi possono essere ingannati ed ingannatori; vivere secondo queste cose, gli è vivere di menzogne; o per lo meno in pericolo continuò di menzogna, ma vivere nella verità è vivere nello spirito di fede. – I modelli più perfetti e più ricchi di spirito di fede che le nostre anime possono ricopiare sono, senza dubbio, Maria Santissima e San Giuseppe. Tutto quello che essi operarono nella loro vita è luminosissimo trionfo della loro fede, del loro vedere Dio e la sua santa volontà in tutto. – Qui ‘facciamo punto. Prima, però ancora due semplici osservazioni. Perché la fede è poca, debole, deficiente, anche in anime che pretendono di vivere proprio cristranamente? Perché non pregano o non pregano bene! Nutrimento della fede è la preghiera umile, fiduciosa, perseverante. – Ancora. In molti la fede è poca, debole, fiacca; o nulla per la grande ignoranza. « Che cosa credere » domanda Lacordaire, quando non si sa? Che cosa amare, quando non si è visto? Le letture di ogni giorno alimentano lo spirito, lo disgustano dalle cose vane, gli formano una linfa interiore che scorrerà per lo spirito e lo animerà tutto ».

(Chi fa le sue azioni materialmente senza riflessione, egli opera a guisa di una macchina; chi fa le sue azioni per piacere a se stesso e contentare i suoi sensi, egli opera a guisa dei bruti; chi fa le sue azioni solo per motivi umani, egli opera a guisa dei filosofi pagani; ma chi fa le sue azioni con spirito di fede, per piacere a Dio, egli opera da Cristiano, da religioso. Solo chi opera in tal modo piace a Dio, e si fa meriti pel Cielo. Chi fa un’opera di carità, un’elemosina solo per compassione naturale; chi fa un piacere al prossimo solo per convenienza o per esserne contraccambiato; chi tiene un contegno modesto solo per attirarsi la stima altrui, o si raffrena in qualche circostanza. solo per non dar ad altri cattiva opinione di sé, tutto perde, perché tutto ciò non è che vanità, non è che un perdere il tempo e la fatica, per trovarsi in punto di morte con le mani vuote di meriti. Chi invece, vive con spirito di fede e tutto opera con fede, tutto guadagna: la sua Vita è soprannaturale, e tutte le sue azioni sono meritorie per il Paradiso. Beato il Cristiano, il religioso che vive ed opera con spirito di fede; infelice invece chi vive ed opera senza di esso. (Morino, Tesoro evangelico, IV, 130).

LA VITA INTERIORE (10)

LA VITA INTERIORE E LE SUE SORGENTI (10)

Sac. Dott. GIOVANNI NATTISTA CALVI

con prefazione di Mons. Alfredo Cavagna Assistente Ecclesiastico Centr. G. F. di A. C.

Ristampa della 4° edizione. – Riveduta.

LUCI DI STELLE

L’AZIONE CATTOLICA (1)

(Da: La parola del Papa su l’Azione Cattolica – III ediz. Milano – G. F. di A. C., 1937).

Con riverenza, con rispetto, con umile devozione, con affettuosa riconoscenza, riteniamo dover giustamente riferire, in questo capitolo, solo la parola del Santo Padre Pio XI, il Papa dell’Azione Cattolica.

LA NATURA. – APOSTOLATO MOLTEPLICE SUSCITATO DAI PONTEFICI.

..«Il sempre più diffuso ed operoso spirito di apostolato che con la preghiera, con la parola, con la buona stampa, con l’esempio di tutta la vita, con tutte le industrie della carità, cerca con ogni via di condurre anime al Cuore Divino e di ridare al Cuore stesso il trono e lo scettro nella famiglia e nella società; la santa battaglia, su tanti fronti ingaggiata, per rivendicare alla famiglia ed alla Chiesa i diritti, che da natura e da Dio loro competono nell’insegnamento e nella scuola, intendiamo dire quel complesso di organizzazione, di istituti, di opere che vengono sotto la denominazione di Azione Cattolica dai Nostri prossimi Antecessori con tante cure e così provvidamente suscitata, con tanti e così luminosi documenti nutrita, diretta e disciplinata, secondo il rapido svolgersi e succedersi delle diverse situazioni sociali, allo scopo di preparare sempre più perfetti Cristiani, e, con ciò, sempre più perfetti cittadini, e di formare coscienze così squisitamente cristiane, da sapere, in ogni momento, in ogni situazione della vita, privata o pubblica, trovare, od almeno bene intendere ed applicare, la soluzione cristiana dei molteplici problemi che nell’una o nell’altra condizione di vita si presentano (Dalla prima Enciclica del S. Padre Pio XI, Ubi Arcano, del 23 dicembre 1922).

LA DEFINIZIONE. – LA VERA DEFINIZIONE.

La vera Azione Cattolica, quale Noi la vogliamo e quale l’abbiamo definita a più riprese è la partecipazione dei laici cattolici all’apostolato gerarchico per la difesa dei principi religiosi e morali, per lo sviluppo di una sana e benefica azione sociale sotto la guida della Gerarchia ecclesiastica, al di fuori e al di sopra dei partiti politici, nell’intento di restaurare la vita cattolica nella famiglia e nella società (Dalla lettera del S. Padre del 30 luglio 1928 alla Presidente gen. dell’Un. Int. delle Leghe Femm. Cattoliche.).

NON SENZA DIVINA ISPIRAZIONE. È un’alta e sublime missione quella di cooperare alla Azione Cattolica, poiché deve sempre ricordarsi che il Santo Padre, pensatamente, deliberatamente — anzi può dirsi non senza divina ispirazione — nella Sua prima Enciclica, definì l’Azione Cattolica La partecipazione del laicato cattolico all’apostolato vero e proprio della Chiesa, e l’ha chiamata a cooperare all’apostolato dei veri e propri apostoli, dei sacerdoti, dei Vescovi. Questa è tutta la sostanza grande e divina dell’ Azione Cattolica, punto da cui tutto deriva: cura delle anime proprie e altrui, apostolato, propagazione del bene in tutte le direzioni e misure possibili. Questa la sostanza e la veneranda bellezza storica dell’Azione Cattolica (Dal discorso del S. Padre del 19 marzo 1927 alle lavoratrici della G. F. di A. C. Italiana.).

FONDAMENTI DOGMATICI – DERIVA DAL BATTESIMO E DALLA CRESIMA.

Sarà utile far bene comprendere — poiché molti fedeli ancora l’ignorano — che l’apostolato è uno dei doveri inerenti alla vita cristiana; mentre l’Azione Cattolica è, tra le varie forme di apostolato, tutte benemerite della Chiesa, quella che più si confà ai nuovi bisogni dell’età presente, tuttora sotto le conseguenze deleterie di una lunga e vasta opera laicizzatrice. E realmente, se ben si considera, sono gli stessi Sacramenti del Battesimo e della Cresima che impongono, tra le altre obbligazioni, anche questa dell’apostolato, cioè dell’aiuto spirituale al prossimo nostro. Per la Cresima, infatti, si diviene soldati di Cristo. Or chi non vede che il soldato deve faticare e combattere non tanto per sé quanto per gli altri? Ma anche il Battesimo — sebbene in modo meno evidente ad occhio profano — impone il dovere dell’apostolato; poiché per esso noi diveniamo membri della Chiesa, ossia del Corpo mistico di Cristo; e tra i membri di questo corpo — come di qualsiasi organismo — ci deve essere solidarietà di interessi e comunicazione reciproca di vita: Multi unum corpus sumus in Christo, singuli autem alter alterius membra (Rom., XII, 5). Un membro deve, dunque, giovare all’altro; nessuno può rimanereinattivo, ma ciascuno, mentre riceve,deve anche dare.Ora, siccome ogni Cristiano riceve la vitasoprannaturale, che circola nelle vene delCorpo mistico di Cristo — quella vita abbondanteche Cristo medesimo disse diesser venuto a portare in terra: veni ut vitam habeant, et abundantium habeant (Io., X, 10) — così egli la deve trasfondere inaltri che non la possiedono, o troppo scarsamentee solo in apparenza (Dalla lettera del S. Padre del 10 novembre 1933 al Cardinale di Lisbona.).

ORIGINI. – ORIGINI NEL VANGELO.

La Chiesa ha sempre amato, apprezzato, voluto l’aiuto dell’Azione. Cattolica. Questa può sembrare ad alcuni una novità: appartiene invece alla più veneranda antichità. La azione cattolica è proprio una di quelle antichità che ci portano ai tempi degli Apostoli e di Nostro Signore. Perché anche Egli si valeva dell’aiuto e del contributo di buone pie donne che lo seguivano: e si legge attraverso le righe del Vangelo che esse provvedevano ai bisogni del Collegio apostolico. È Gesù che chiama in aiuto della sua predicazione e della predicazione degli apostoli l’Azione Cattolica (Dal discorso del S. Padre del 5 marzo 1933 alla G. F. di A. C. di Roma.).

L’APOSTOLATO. – DILATARE IL REGNO DI CRISTO.

L’azione della Chiesa e la cooperazione dell’Azione Cattolica non si limitano soltanto a portare un minimo necessario di elementi religiosi che impediscano la paganizzazione della società nelle sue diverse congiunture: l’azione dell’apostolato, 1’Apostolato Gerarchico e la cooperazione dell’Azione Cattolica mirano all’intero programma del cuore di Dio, alla fondazione, alla dilatazione e stabilizzazione del Regno di Cristo nelle anime, nelle famiglie, nella società, in tutte le sue possibili espansioni, in tutte le sue estrinsecazioni, in tutte le profondità raggiungibili da attività umane, aiutate dalla grazia di Dio. È chiaro e genuino che da questa posizione dell’Azione Cattolica, nelle linee supreme di questo quadro, scaturiscano i vincoli che essa ha con la Gerarchia Apostolica e i doveri che ha verso se stessa: doveri di preparazione, di formazione, di attività benefica. Ed essa, nei termini del suo mandato, ha un campo che non ha limiti, sebbene in quel campo abbia sempre un modo proprio di esplicarsi, dove la sua azione santificatrice è altrettanto necessaria e legittima che insurrogabile (Dal discorso del S. Padre del 19 aprile 1931 alle Associazioni Cattoliche di Roma.).

IL DOVERE. – DEV’ESSERE PROMOSSA DA TUTTI I CATTOLICI.

E tale azione deve essere promossa da tutti i Cattolici di una stessa Nazione, per il bene

comune e per il progresso della Patria, senza però entrare negli angusti limiti di un partito, immischiandosi alla politica (Dalla lettera del S. Padre del 4 giugno 1928 all’Episcopato lituano). Ad essa sono chiamati tutti i fedeli, a qualsiasi età o classe sociale appartengano, poiché tutti possono lavorare nella mistica vigna del Signore; perciò, essa deve raccogliere nelle sue file e vantaggiosamente organizzare la gioventù e gli adulti d’ambo i sessi e svolgere programmi anche specializzati nei diversi reparti sociali di operai, di studenti, di laureati, di professionisti e di insegnanti (Dalla lettera del S. Padre del 14 febbraio 1934 all’Episcopato della Colombia.).

LA NECESSITÀ. – NECESSITÀ, LEGITTIMITÀ, INSURROGABILITÀ.

La Chiesa ha sempre detto — e con le parole e coi fatti — che l’Azione Cattolica appartiene alla vita soprannaturale, in collaborazione e quindi in dipendenza lella Gerarchia, alla vita soprannaturale, prima in opera di sempre più perfetta formazione individuale, e poi in opera di sempre più efficace ed ampio apostolato. Questo la Chiesa ha detto e praticato già dai primi giorni del Cristianesimo, anzi di Gesù Cristo stesso: questo ha sempre praticato in venti secoli di vita, variandone le forme secondo le esigenze e le possibilità dei diversi tempi e dei diversi luoghi; questo abbiamo detto e praticato Noi stessi fino dall’inizio del nostro Pontificato e fino a ieri, sempre insegnando ed inculcando la necessità, la legittimità, l’insurrogabilità della Azione Cattolica, mentre partecipa della necessità legittimità e insurrogabilità della Chiesa e della sua Gerarchia per la formazione e la espansione della vita soprannaturale (Dalla lettera del S. Padre del 26 aprile 1931 al Card. Schuster, Arciv. di Milano.).

LE CARATTERISTICHE. – LA FORMAZIONE: DAL CATECHISMO ALLA VITA INTERIORE…

Bisogna intendere bene questa Azione Cattolica. Essa mira innanzi tutto alla formazione dell’individuo. Si tratta prima di formare dei buoni Cristiani, illuminati, che conoscano bene il loro catechismo. Ecco l’essenziale! Fatto questo però, non bisogna rimanere lì. Quando noi prepariamo un Missionario, noi pensiamo principalmente alla sua formazione interiore. Ma se il Missionario tenesse per sé questa vita interiore, il mondo non si convertirebbe. Bisogna che egli predichi, che compia delle opere, che agisca esteriormente. Così deve essere dell’Azione Cattolica. Sua prima cura deve essere quella di formare dei veri Cristiani. Ma il cristiano, una volta formato, deve spandere al di fuori la vitalità che egli ha ricevuto. Deve portare ovunque questo tesoro del Cristianesimo e valorizzarlo in tutti i campi, nella famiglia e nella vita pubblica, senza escludere la politica. Perché quello che noi vogliamo è che Cristo regni in terra come in Cielo e che la sua regalità sul mondo ridiventi effettiva (Dall’udienza del S. Padre il 23 agosto 1924 al Can. Brohée, Assistente gen. della Giov. Catt. Belga).

Noi possiamo considerare la Chiesa in due modi: come società visibile, gerarchica, fondata da Cristo per continuare quaggiù la sua missione santificatrice; essa ci apparisce così come un organismo vivente. Per avere un’idea completa della Chiesa, dobbiamo riguardarla come la società santa ed invisibile delle anime, che partecipano, per mezzo della grazia, alla filiazione divina di Cristo e formano il regno che si è acquistato per mezzo del suo sangue. S. Paolo chiama ciò il Corpo di Cristo, non certo il corpo fisico, ma il suo Corpo mistico.

C. MARMION.

LA VITA INTERIORE (11)

LA VITA INTERIORE (9)

LA VITA INTERIORE E LE SUE SORGENTI (9)

Sac. Dott. GIOVANNI BATTISTA CALVI

con prefazione di Mons. Alfredo Cavagna Assistente Ecclesiastico Centr. G. F. di A. C. Ristampa della 4° edizione Riveduta.

GLI ESERCIZI DI PIETÀ

L’ESERCIZIO DELLA BUONA MORTE PREPARARSI A BEN MORIRE.

«Tutta la nostra vita, scrisse S. Giovanni Bosco, in Il giovane provveduto, o miei cari giovinetti, dev’essere una preparazione a fare una buona morte. Per conseguire questo fine importantissimo giova assai praticare il così detto Esercizio della buona morte, il quale consiste nel disporre, in un giorno di ogni mese, tutti i nostri affari spirituali e temporali, come se in quel di dovessimo realmente morire.

IL MODO PRATICO…

Ci è ancora suggerito da don Bosco ed è il seguente: « Fissare per tale Esercizio il primo giorno oppure la prima domenica del mese; fare, sin dal giorno o dalla sera precedente, un qualche riflesso sulla morte, la quale, forse, è vicina e potrebbe anche sopraggiungere all’improvviso; pensare come si è passato il mese antecedente, e soprattutto se vi è qualche cosa che turbi la coscienza e lasci inquieta l’anima, qualora dovesse presentarsi al tribunale di Dio; e intanto al domani fare una Confessione e Comunione, come si fosse veramente al punto di morte. » Siccome poi potrebbe anche succedere che doveste passare da questa all’altra vita con una morte subitanea, o per una disgrazia o malattia, che non vi lasciasse tempo a chiamare un prete e ricevere i santi Sacramenti, così vi esorto ancora a far sovente, durante la vita, anche fuori della Confessione, atto di dolore perfetto dei peccati commessi ed atti di perfetto amor di Dio, perché anche un solo di tali atti, congiunto col desiderio di confessarsi, può bastare in ogni tempo e specialmente negli estremi momenti a cancellare qualsiasi peccato e introdurvi in Paradiso ».

BENEFICO VANTAGGIO.

La pratica dell’Esercizio della buona morte, è oggi molto diffusa, per grazia di Dio, anche sotto il nome di Ritiro mensile, nel quale le anime pie si fissano, sino dalla sera precedente, un argomento unico da approfondire nella meditazione. – Il S. Padre Pio XI, nell’Enciclica sugli Esercizi spirituali, a proposito del Ritiro mensile dice: « Raccomandiamo una pia pratica che diremmo quasi un compendioso rinnovamento degli esercizi, che godiamo di vedere introdotta in molti luoghi e di cui desideriamo vivamente che sì estenda il benefico vantaggio anche ai laici ». – Quali e quanti vantaggi, non solo spirituali, ma anche pedagogici, il Santo dei giovani abbia tratto, non è qui il caso di dire.

IL PENSIERO DELLA MORTE.

Se non è l’argomento unico e l’unica finalità, nel giorno di ritiro, la preparazione alla morte, sia, almeno, la principale, accompagnata dalla preghiera per impetrare da Dio la grazia di non morire di morte improvvisa. Il Gratry (A. Gratry, Le sorgenti. Trad. it. Milano, 1921 – pag. 28, da OLGIATI, La pietà cristiana. Milano, 1935) osserva che «mentre pochi giorni ancora separavano Socrate dalla morte, l’oracolo gli faceva un’imposizione, quando gli disse quella frase che noi non sappiamo ben tradurre: Non fate altro se non della musica, e la frase deve significare che bisogna finire la vita in una sacra armonia. Ma queste bellezze della sera della vita non sono se non delle illusioni per la maggior parte degli uomini; quasi per tutti la realtà è ben diversa. L’intera vita non può finire in una sacra armonia, in un santo e fecondo riposo, pieno di germi che la morte deve sviluppare per l’altro mondo, se non quando ognuno dei nostri anni hanno saputo finire con un sacro riposo: perché l’autunno della vita non raccoglie se non quello che ogni giorno ha seminato ». Ricordiamo il quotidie morior dell’Apostolo (I Cor., XV, 31). Santo, dunque, il quotidiano, o almeno mensile riflesso della morte per le saggie e forti deliberazioni cui induce l’anima di vivere più aderente a Dio e alla sua legge santa.

LUCI DI STELLE

LA LITURGIA

DIVERSITÀ DI PREGHIERE.

Non solo v’è la preghiera vocale e la preghiera mentale, più nota col nome di meditazione, ma v’è, pure, la preghiera privata e quella pubblica, secondo che noi preghiamo individualmente o collettivamente, con la Chiesa. Ciascuno di noi può pregare in casa propria, per istrada, in chiesa davanti a Gesù, ovunque. Questa è preghiera privata. Certamente è gradita al Signore, poiché Egli stesso, come ce ne riferisce S. Matteo (VI, 6), ha detto: « Quando vuoi pregare va’ nella tua camera, chiudi la porta e prega il tuo Padre in segreto ». – Se invece di pregare così individualmente, privatamente, noi, in compagnia di altri, pochi o molti non importa, ci raduniamo in chiesa o in qualunque luogo, e preghiamo ringraziando il Signore pe’ suoi benefizi, e lo supplichiamo perché ne conceda altri di cui riconosciamo la necessità, noi facciamo una preghiera collettiva, che si chiama culto di popolo. Questa preghiera, questo culto è certamente caro a Dio ed è da Lui accettato e gradito, poiché ha detto: « Qualunque cosa due di voi si accorderanno a domandare in terra, sarà a loro concesso dal Padre mio che è nei cieli. Perché  dove vi sono due o tre radunati in nome mio, io mi trovo in mezzo di loro » (Matteo, XVIII, 19-20). Ancora: siamo in chiesa. All’altare un sacerdote celebra la S. Messa, nei banchi poche pie donne, le quali, come il raccoglimento dimostra, seguono il celebrante e si uniscono a lui nel divino sacrifizio. Questa terza maniera di pregare si chiama preghiera liturgica o liturgia. La parola è d’origine greca e vuol dire: opera del popolo, opera pubblica. Indicava, nella Grecia, una prestazione pubblica dei cittadini ricchi. Ben presto tale parola passò nell’uso religioso col senso di culto pubblico. – Nella Chiesa cattolica orientale dire liturgia, è lo stesso che dire S. Messa. Perciò si dice anche, invece di celebrazione della S. Messa, celebrazione della divina Liturgia. Si può, dunque, dire senz’altro, che la liturgia è un culto pubblico, o sociale che si svolge: 1) solo in chiesa; 2) alla presenza del sacerdote; 3) con la partecipazione dei fedeli.

LA LITURGIA.

Quale differenza v’è fra le tre predette forme di preghiera? Nel primo caso; chi prega è soltanto l’individuo; nel secondo è un numero di persone, di anime cristiane, riunite nella preghiera fatta in comune; nel terzo caso non prega il sacerdote come individuo, né le persone riunite che assistono al Sacrificio, ma, e il sacerdote e le persone assistenti pregano con la Chiesa; è la Ciesa, anzi, che prega, è il mistico Corpo di Cristo. Il culto pubblico, la preghiera pubblica offerta a Dio con la Chiesa dicesi liturgia. « Il Sacerdote e i fedeli celebrano questo atto di culto in nome soltanto della Chiesa, anzi, in nome di Cristo. Da ciò l’eccellenza e la dignità della preghiera liturgica. — La preghiera privata tanto vale quanto vale il singolo orante; l’atto di devozione di un popolo tanto vale, quanto valgono innanzi a Dio coloro che si trovano radunati insieme. Certo, in quest’ultimo caso, la preghiera di alcuni giusti può compensare l’indegnità dei peccatori, ma la preghiera liturgica è valevole sempre, perché è la Chiesa, la Sposa immacolata di Cristo, che la offre. Sacerdote e popolo soltanto prestano alla Chiesa la loro voce. Comprendiamo adesso ciò che è essenziale del Culto liturgico: “ il singolo fa e celebra liturgia in quanto è membro della Chiesa e tale ha coscienza di essere ”’ » (Persch, Conferenze sulla santa Messa). Di qui, possiamo, con giusta ragione, trarre la conseguenza che la preghiera liturgica è superiore a quella di un individuo distinto, o anche di tutto un popolo, poiché in unione col Corpo Mistico di Gesù. La liturgia è quindi il culto ufficiale della Chiesa che fluisce in due correnti vitali: umana l’una, divina l’altra. La corrente umana è l’ossequio che l’umanità riunita nella società della Chiesa, presta a Dio; la corrente divina è il tesoro di grazia che da Dio in essa ognuno non prega distintamente ma fluisce nei membri e nei rami della Chiesa.

NATURA DELLA LITURGIA.

Scaturisce limpidamente dai tre termini seguenti: 1) Il Cristo; 2) La Chiesa; 3) Il singolo cristiano. Sappiamo che Gesù Cristo è la fonte della vita. Disse infatti: Io sono la via, la verità, la VITA. È la vita, ed è fonte di vita perché Egli la distribuisce copiosamente. Sono venuto perché tutti abbiano – la vita… e l’abbiano in abbondanza. La Chiesa è un organismo vivente… Tutte le forze dell’inferno coalizzate per soffocarla, disse Gesù, non riusciranno a nulla. È la sposa di Gesù; vive e respira con Gesù. « La S. Scrittura, dice il P. Parsch, ci offre due immagini che ci rendono meglio comprensibile la natura della Chiesa. La prima ce la dà Cristo stesso nel suo discorso di addio (Giov., XV, 5 e seg.): “Io sono la vite; voi i tralci; se uno rimane in me ed Io in lui, questi porta molto frutto, perché senza di me non potete fare nulla; chi non rimane in me, sarà gettato via come un tralcio e si seccherà ”). La seconda è l’immagine prediletta di S. Paolo: la Chiesa è il corpo mistico di Cristo; Cristo è il capo (o cuore) di questo corpo, noi Cristiani siamo di tale corpo le membra, « Ciò ch’è comune a queste due immagini è il concetto di organismo vivente; membra e rami sono conservati in vita soltanto per l’unione con la loro fonte vitale. È dalla vite che scorre la linfa nei tralci e li fa verdeggiare, fiorire, fruttificare; è dal cuore che scorre il sangue in ogni membro e lo conserva vivo. E perciò, tralcio di vite e membro del corpo muoiono quando sono staccati dall’organismo ». – Ora concludiamo logicamente. Gesù, salito al Cielo, opera per mezzo della Chiesa. Questa, sotto la guida dello Spirito Santo, dispone e ordina il culto che, con un insieme bellissimo di riti e cerimonie, noi dobbiamo dare al celeste nostro Padre, e dispone e ordina quei mezzi precisi, autentici, coi quali la linfa della vita divina, che scaturisce dalla SS. Trinità. e dalla quale dispensatore unico e perfetto è solo Gesù. L’abbondanza della vita divina, che da Gesù viene in noi, è in proporzione del nostro sforzo « di unirci alla preghiera dei Sacerdoti, ai riti che essi compiono, ai Sacramenti che amministrano, e – particolarmente alla celebrazione della S. Messa. Perciò, più la nostra partecipazione a questi atti sarà intima, attiva e frequente, più Gesù, eterno Sacerdote, agirà nelle nostre anime. » (Signore insegnaci a pregare – G- F- di A. C., 1937).

VANTAGGI DEL VIVERE LA LITURGIA.

Un eminente scrittore così si esprime: «Vivere la liturgia non è altro che vivere la vita medesima di santa Madre Chiesa, identificarsi con essa, per prestarle il concorso della nostra voce, delle nostre mani, del nostro essere intero nella Laus perennis, che cominciata da Gesù Cristo in seno al suo divin Padre, continuata su questa terra, non avrà il suo pieno svolgimento che quando l’ultimo degli eletti sarà entrato nel Cielo » (Crogaert). – Come ben possiamo comprendere, un minimo di vita liturgica è assolutamente necessario per tutti. Riflettiamo un istante. La liturgia nella sua parte principale e fondamentale è d’origine divina, perché Gesù Cristo stesso istituì il S. Sacrificio e i Sacramenti; nelle sue parti secondarie, funzioni e benedizioni, è d’origine ecclesiastica, perché fu la Chiesa a istituire e precisare gli atti di culto e le funzioni in onore di Dio e per impetrare da Dio grazia e grazie. Ma la S. Messa, i Santi Sacramenti, mezzi produttivi della grazia, le funzioni religiose, che si compiono in nome e secondo le disposizioni della Chiesa, i Sacramenti, mezzi impetrativi della grazia, sono atti liturgici. Ricordiamo ancora che alla vita liturgica è legata la nostra vita spirituale. Dalla vita liturgica, infatti, cioè dal S. Battesimo, ebbe inizio in noi la vita dello spirito, e, perciò, da essa dipende la nostra santificazione. In seguito, sino al tramonto, i sacramenti colla grazia santificante debbono alimentare e confortare questa nostra vita. Ma non solo la liturgia opera la nostra santificazione. Essa è un mezzo sincero ed efficace per impetrarci le grazie divine. Questo perché la liturgia è preghiera, e Dio ha promesso le grazie alla preghiera. – L’efficacia della preghiera liturgica è superiore, come abbiamo già detto, alla privata per tre ragioni principali, e cioè:

1) Perché meglio, e più di ogni altra, è fatta in nome di Gesù Cristo; ed eseguisce con precisione la condizione posta da Gesù: chiedete in nome mio.

2) Perché è la preghiera della sposa di Gesù. Come non ricordare la bontà di Gesù per la sua mistica Sposa?

3) Perché è preghiera sociale. Anche in questo — benché non solo per questo — ha valore il proverbio: « L’unione fa la forza ».

Concludiamo: la preghiera liturgica è la preghiera che ci unisce realmente con Gesù, e col Padre celeste per mezzo di Gesù!

LA VITA INTERIORE (8)

LA VITA SPIRITUALE E LE SUE SORGENTI (8)

Sac. Dott. GIOVANNI NATTISTA CALVI con prefazione di

Mons. Alfredo Cavagna Assistente Ecclesiastico Centr. G. F. di A. C.

Ristampa della 4° edizione – Riveduta.

GLI ESERCIZI DI PIETÀ

GLI ESERCIZI SPIRITUALI

DEFINIZIONE DI $. IGNAZIO.

Poiché vivere la vita d’unione con Dio, o vivere, come si dice, di vita interiore è corrispondere all’amore di Dio, è provvedere alla propria santificazione e alla nostra felice eternità, pensiamo che nessun momento ci possa tanto e così efficacemente aiutare a raggiungere questa vita, quanto il tempo degli Esercizi spirituali. S. Ignazio di Loyola, ideatore di essi e dalla Chiesa dichiarato il loro Patrono, così ne parla: « Io non so trovare né intendere in questa vita più giovevole mezzo per mettere in cuore zelo della propria salute e dell’altrui ». Sono una grazia specialissima che la bontà del Cuore SS. di Gesù concede alle anime… Sono giorni di gioia spirituale intensa, perché in essi noi possiamo ascoltare con maggiore diligenza, con più viva e fertile attenzione la dolce e affascinatrice parola di Gesù, padre, maestro, guida, cibo, vita della nostra vita. – Ascoltiamo ancora la parola dell’ispirato loro autore, S. Ignazio, il quale così li definisce: «Per esercizi s’intende qualunque modo di esaminare la coscienza, di meditare, di contemplare, di orare vocalmente e mentalmente e di altre spirituali operazioni, allo scopo di preparare e disporre l’anima a togliere da sé tutte le affezioni disordinate, e, dopo di averle tolte, a cercare e trovare la divina volontà, circa la disposizione della propria vita e la salute dell’anima » (Exerc., 18 annot.).

LO SCOPO DEGLI ESERCIZI.

Come limpidamente scaturisce da questa definizione, duplice è lo scopo degli esercizi. Il primo fine è negativo, e consiste nell’allontanare e togliere le affezioni disordinate, nel purificare l’anima dai peccati. Per questo sono di necessità evidente la meditazione e l’esame di coscienza. – Il secondo fine è positivo, e consiste nel cercare di conoscere e nell’eseguire la senta volontà di Dio, circa la disposizione della propria vita e la salute dell’anima. Press’a poco si espresse S. Vincenzo de Paoli: « Di tutti i mezzi che Dio presenta agli uomini per riformare i disordini della vita loro, non ve n’è alcuno che abbia prodotto effetti più magnifici, più copiosi, più meravigliosi degli Esercizi spirituali ». S. Francesco di Sales, nel Trattato dell’amore di Dio (XII, 8) ha un pensiero quasi identico e, ad ogni modo, proprio chiarissimo, Ecco: « Dovrebbe fare ciascuno, ogni tanto, un buon ritiro, per stimolarsi con esercizi spirituali alla completa riforma della propria vita, per prendere poi una sentita e ferma risoluzione di vivere interamente per Dio ». – Molto a ragione, perciò, tutti i Fondatori e Superiori di Ordini e Congregazioni religiose, hanno prescritto, fino al mio caro santo Padre don Bosco, gli Esercizi spirituali ogni anno, dai sei ai dieci giorni, per il più sollecito rinnovamento spirituale e per il più facile raggiungimento della perfezione religiosa.

GLI ESERCIZI E LA VITA INTERIORE.

L’anima che cerca di fare bene i giorni de’ santi spirituali esercizi, col raggiungimento del primo fine negativo, cioè l’allontanamento e la cancellazione delle affezioni disordinate, riesce ad avere il regno di Dio in sé… poiché, tolto il peccato e le sue affezioni, regna l’amore. Ricordiamo le parole di Gesù: « Il regno di Dio è dentro di voi. Se alcuno mi ama, sarà amato dal Padre mio, Noi verremo a lui e metteremo in lui la nostra fiducia » (Luca, XVII, 21 – Giov., XIV, 23). Possiamo pensare ad un’unione più intima, più ferma e forte di questa? — Ma, perché Gesù si dona a noi in queste circostanze, con sì grande generosità? Perché Gesù Creatore si degna di vivere con la sua povera e misera creatura? — Per l’amore che ci porta, solo per l’immenso amore che ha per le anime nostre. Rimarrà, adunque, ed abiterà in noi, per santificarci, illuminando, adornando, trasformando la nostra anima in un lembo di Paradiso. Ecco il motivo dell’affermazione di S. Agostino: « Noi siamo un cielo!». – Di più. Rimarrà ed abiterà in noi, Gesù, per renderci felici, saziando l’inestinguibile sete di felicità e di amore delle nostre anime. Sazia la nostra avidità di sapere, di conoscere e perciò di amare Lui solo; come amore unico e vero, colma i desideri e le brame del nostro cuore. Per indurre le anime alla frequenza e alla pratica dei SS. Esercizi spirituali, il S. Padre Pio XI ha emanato la preziosa Enciclica: Mens nostra, nella quale, fra i molti suggerimenti, dichiara che: Negli Esercizi spirituali i doveri, i pericoli, le gioie, i dolori i rapporti dell’anima con Dio, si guardano con sguardo penetrante e ne derivano impulsi al bene di cui è facile apprezzare tutta la preziosità… Giovano molto gli Esercizi spirituali, l’abbandono almeno momentaneo, del mondo, del comune, del solito della vita, per raccogliersi nella solitudine e nel silenzio, per fare attenzione a se stessi, al proprio passato, presente ed avvenire… È durante questo tempo felice che abbonda la parola di Dio, abbonda la preghiera, questo duplice specifico che conduce le anime a Dio. Ed ha voluto arricchire con speciale indulgenza plenaria i soci dell’A. C. che vi partecipano.

DISPOSIZIONI NECESSARIE.

Leggiamo nel Vangelo di S. Marco che, alcune volte, il Signore si compiaceva di chiamare vicino a Sé gli Apostoli per sapere dalla loro bocca le notizie del loro ministero. Altre volte, invece, gli Apostoli andavano da Gesù spontaneamente, per una specie di rendiconto personale, e dicevano con gioia filiale e compiacenza intima quanto avevano fatto, detto, visto… Gesù rimaneva preso di pietà per loro, perché li vedeva troppo occupati, e anche troppo assiepati da tante persone indiscrete che andavano e venivano e non ne avevano mai a sufficienza. Per questo, Gesù, un giorno, disse loro: Venite seorsum în desertum locum et requiescite pusillum (Marco,VI, 30-31), e cioè: venite in disparte, in unluogo solitario, e riposatevi un poco…Tale bontà gentile e dolce e premurosaGesù ripete con ciascuno di noi, quandoci dà occasione di fare i SS. Spirituali Esercizi.Allora, appunto, vedendo ciascuno dinoi stanco, affaticato, e, sempre circondatoe pressato da mille occupazioni e preoccupazioni,ci fa sentire il suo dolce invito. Ilquale invito dev’essere da noi precisatocosì: Gesù vuole darci un riposo spirituale.Perciò ci trae in disparte; in modo che lepersone e le occupazioni non ci raggiungano;in un luogo solitario, ove cioè nonabbiamo ad incontrare un altro mondo; eci comanda di riposare per un poco. Il riposofisico è sempre necessario. Guai se mancasse!Egualmente si deve dire del riposospirituale. Durante questo riposo…, per ilvuoto fatto attorno a noi e dentro di noi,potremo ascoltare bene la voce del Signore…Ci sentiremo ripetere: Fili, audite me: timorem Domini docebo vos…: Ascoltatemi,o figlioli, v’insegnerò a temere il Signore…Sentiremo la voce del Padre Celeste checi dirà, come agli Apostoli sul Tabor, indicandoGesù: Ipsum audite – Ascoltate Lui,Gesù, il Maestro… e obbeditegli…

LAVORO PERSONALE.

Non basta che Gesù parli. Non basta che noi l’ascoltiamo. È necessario che, noi pure, parliamo a Gesù, e operiamo. Come, e che cosa? Poche parole di schiarimento. Non basta cercare i peccati, mortali e veniali; non basta fare una buona confessione generale, annuale, mensile o settimanale. Tutte cose buone e utilissime di certo, anzi necessarie. Ma con questo accade sovente che molte anime pie non si occupino d’altro, durante tutto il tempo degli Esercizi, che della ricerca… dei loro peccati. Non neghiamo che sia possibile e, qualche rara volta, doveroso, anche questo! Ma questo non può e non deve ripetersi, ogni anno, durante i sei, sette, otto o dieci giorni d’esercizi. In questi casi v’è un inganno palese del nemico delle anime. Non lasciamoci mettere in trappola. Continuando così andiamo, a grandi giornate, lontano dal Signore, e facciamo contento il nemico di Dio e delle anime nostre. Gesù vuole che gli parliamo e che pensiamo Lui, con fiducia, confidenza, amore, abbandono… Vuole, sì, che facciamo l’esame o gli esami, ma senz’agitazione, dolcemente, pacificamente… Via, dunque, il rimestio scrupoloso e inconcludente delle nostre infedeltà! Abbandoniamoci, realmente, nelle mani di Gesù e lasciamo ch’Egli operi… Noi prepariamo, come San Giovanni Battista, le vie del Signore… poi ascoltiamo Gesù che ci dirà: lasciami fare… – Alcune anime errano per un’altra causa. Pensano, cioè, che l’esito degli Esercizi dipenda tutto e interamente dai predicatori. È noto che gli esercizi ginnastici militari sono comandati sì dall’istruttore, ma vengono eseguiti dai soldati. Così precisamente è degli esercizi spirituali. Ciascuno deve pensare e provvedere a lavorare la sua anima da sé e per sé. Tanto è così che, secondo il pensiero di S. Ignazio, non si dovevano fare prediche, ma soltanto fissare gli argomenti e i punti di riflessione agli esercitandi. La guida, o la direzione spirituale, è certamente sempre non solo utile, ma presupposta e necessaria.

CONSIGLI PRATICI.

Per il buon esito degli esercizi spirituali, i maestri di spirito suggeriscono i seguenti mezzi:

1) Il proposito fermo, deciso, ripetuto ai piedi di Gesù in Sacramento di voler far bene gli esercizi.

2) L’osservanza esatta del regolamento degli Esercizi. Questo regolamento è il frutto del sapere e dell’esperienza di anime generose e sante.

3) La custodia scrupolosa del silenzio. Senza il silenzio non v’è raccoglimento, non v’è ritiro spirituale.

4) Ascoltare i discorsi, o le prediche, degli esercizi, con attenzione e con umile docilità di cuore, procurando di applicare direttamente a noi stessi quanto viene detto o predicato.

5) Impiegare il tempo libero a riflettere su le istruzioni e le buone ispirazioni, ad esaminare lo stato della nostra coscienza; ad eccitare in noi il dolore e a prendere propositi fermi ed efficaci. Il frutto degli esercizi dipende, soprattutto, dal buon. Impiego del tempo libero. Non bisogna, infatti, mai dimenticare che esso consiste principalmente nel trattenersi che l’anima fa con se stessa e con Dio.

6) Scegliere il Confessore: che meglio ci aiuterà a rinnovellare l’anima nostra… e a lui confidarci per ben mettere in sesto, e al più presto, la vita del nostro spirito.

7) Infine, in qualunque condizione possiamo trovarci, abbiamo fiducia senza limiti nella bontà e misericordia di Dio (1).

Solo così gli Esercizi ci faranno veramente vivere la vita di Gesù in unione con Lui!

(1) Affinché gli Esercizi Spirituali possano produrre veramente ottimi frutti ci permettiamo suggerire alcune norme pratiche.

I.

NORME PER LA RIFORMA

VOGLIO SALVARE L’ANIMA MIA.

1° Tutti i giorni: le preghiere; quali: la Santa Messa, Comunione, lettura spirituale, il rosario, l’esame di coscienza.

2° Confessione con spirito di fede; con quale frequenza; direzione spirituale.

3° Doveri del proprio stato con esattezza, con costanza, con spirito di fede.

4° Fuggire le occasioni ed i pericoli: persone, ritrovi, letture.

5° Non operare mai a caso, ma sempre con fine santo e con franchezza.

6° Quale virtù voglio praticare in modo speciale.

7° Quale massima mi servirà meglio di stimolo alla virtù.

II

COME OCCUPARE IL TEMPO LIBERO.

1° Nello scrivere le ispirazioni ricevute ed i propositi fatti nella meditazione.

2° Nell’orazione, secondo la particolare divozione di ciascuno, specialmente in ferventi colloquii davanti al SS. Sacramento.

3° Nel conferire col Confessore e col Direttore degli Esercizi.

III

DI CHE SI PUÒ TRATTARE COL DIRETTORE DEGLI ESERCIZI O, ANCHE, COL DIRETTORE SPIRITUALE.

1° Dello stato in cui si trova il cuore: se è tutto disposto a fare la Santa Volontà di Dio o se è attaccato a qualche cosa.

2° Della facilità, o difficoltà che si trova nelle meditazioni e quale meglio e quale meno bene vi sia riuscita.

3° Delle distrazioni, agitazioni e tentazioni nel meditare ed in altri tempi della giornata.

4° Della prontezza o negligenza nel raccogliersi, animarsi e ribattere il nemico.

5° Delle consolazioni, illustrazioni e buoni desideri che Iddio ci ha dato nel meditare o in altri tempi.

6° Della prontezza o ripugnanza che sentiamo nel risolverci a vincere noi stessi e rispondere alle ispirazioni di Dio.

LA VITA INTERIORE (9)