LO SCUDO DELLA FEDE (203)

LO SCUDO DELLA FEDE (203)

DIO GI LIBERI CHE SAPIENTI!. CI VORREBBERO FAR PERDERE LA TESTA! (6)

PER Monsig. BELASIO

TORINO, 1878 – TIPOGRAFIA E LIBRERIA SALESIANA San Pier d’Arena – Nizza Marittima.

§ III.

Il terzo inganno è il voler darsi d’intendere che gli uomini sono nati dalle bestie molti secoli e secoli prima che li creasse con amore Dio benedetto.

 (I PREISTORICI).

(2)

La parola preistorico vuol dire esistente prima della storia. In questo senso si posson dire quegli abitatori in mezzo ai laghi, preistorici per loro: perché essi non voglion credere alla storia dell’origine di tutti gli uomini. Già per tutte le nazioni che non credono alla Parola santa di Dio, i primi uomini che le formarono, debbono essere tutti preistorici. Poiché senza il lume della nostra santa fede, intendetelo, tutte e tutte le origini delle nazioni del mondo antico sono involte nelle tenebre tra le nebbie di incredibili racconti favolosi: e quindi quegli uomini che esistettero prima che si scrivesse la loro storia, sono per loro preistorici. Per noi credenti, grazie a Dio, non vi sono uomini preistorici in quel senso. Perché Dio stesso si fece scrivere da Mosè nella Scrittura Sacra la Storia del principio di tutto il genere umano. È inutile vantarsi di non credere. Ormai tutti i più dotti uomini del mondo colla loro giudiziosa e sana critica riconoscono che la Scrittura Sacra nostra contiene le più antiche memorie e tradizioni di tutto il genere umano. Fatta scrivere dal Signore molto tempo prima di tutte le vere storie del mondo. Essa sola dà il filo in mano che guida i dotti a cavarsela dal laberinto della confusione di tanti errori favolosi (Lenormand nel — Manuale di storia antica dell’Oriente — Opera coronata dall’Accademia di Francia). Sicché la Sacra Scrittura è il Libro che contiene più verità storiche antiche che non tutti libri, storie, frammenti, di tutta l’antichità. Essa sola ha il racconto dell’origine del mondo che più soddisfa la ragione. Le scoperte poi delle scienze lo vanno sempre più confermando.

Spez. Finalmente intendo anche io come in fatto non vi sieno stati mai uomini preistorici, prima cioè dalla Storia Sacra fatta scrivere da Dio. Il primo uomo che fu creato è Adamo, di cui ci è dato di conoscere la vera storia. – Ora a noi: che cosa si ha da dire adunque di queste abitazioni che già da tanto tempo erano in mezzo alle acque; e che si chiamano lacustri?

Par. Vi dirò che corsi anch’io a visitare quei laghi; e dovetti, come chiunque, essere bene persuaso, che quegli uomini che le costruirono in lontanissimi tempi, erano tutt’altro che selvatici. Mi pare anzi che vivessero proprio nei tempi stessi delle nazioni, di cui noi conosciamo la storia, come vi dirò. Avreste a vedere come furono ben costruite. In alcuna, come nel Lago di Zurigo, si contano fino a quattro mila travi conficcate in fondo al lago tra macigni ben gettati come si fa dai nostri ingegneri nelle costruzioni dentro il mare, per formarvi i moderni porti; sicché resistettero per migliaia d’anni a tutte le burrasche. Potete ben immaginarvi come sopra quelle palafitte dovettero sicuramente aver formato le travate e i parapetti, perché fino i figliuoli: almeno non sprofondassero nelle acque. E pensare che quegli antichissimi non avevano i nostri ferri, né gli altri stromenti! dovremo dire che coloro diedero prova di perizia, e son più da ammirare che i costruttori delle antiche città che avevano tanti mezzi. Intanto vi dirò che se son da dire preistorici e selvatici quegli uomini, perché costrussero le loro abitazioni in mezzo ai laghi, si dovranno da lor dire preistorici e selvatici quei signori che fabbricarono le delizie delle isole Borromeo; preistorici e selvatici fino i Vescovi che edificarono il Seminario sul lago d’Orta; preistorici e selvatici poi fino quei prodi Italiani che nelle lagune della Venezia fabbricarono sulle palafitte quei marmorei palagi per difendersi dai barbari come quegli antichi per difendersi dalle fiere e dai nemici di quel tempo.

Spez. Eppure quei miserabili ridon di Mosè e della Santa Scrittura.

Par. Ma il ridere di ciò che non si vuole studiare, perché non si vuole conoscere per non volere far bene, è segno di superba ignoranza e di corruzione del cuore. Tenete sempre in mente poi quel che vi dissi già, che coloro che non vogliono credere in Dio col vagare orgogliosi dietro alle lor fantasie, vanno a terminare in un abisso di confusione da non intender più niente. Invece, per la santa Parola di Dio è dato ai dotti veri di conoscere in fondo alle false religioni in cui furono confusi coi favolosi racconti, gli avanzi della verità che Dio aveva in sul principio fatto rivelare a tutta l’umana famiglia. Siccome poi quando una inondazione passò attraverso a un edifizio e lo rovinò, se si levano via le ghiaie e il fango di mezzo, si vedono ancora i ruderi che mostrano coi loro avanzi in qualche modo qual doveva essere in prima il bell’edifizio; così se si levano via dalle false religioni, dai lor racconti favolosi tutto ciò che gli ingannatori e la superstizione vi misero dentro di falso e di cattivo o di irragionevole affatto, si viene a conoscere e si deve ammettere che è vero ciò che racconta la storia di Mosè nella Scrittura Sacra dettata da Dio medesimo. Ma il Signore faceva raccontare la storia del genere umano, affine di far conoscere la storia delle sue misericordie, con cui voleva salvare gli uomini col mandare il suo Figliuolo, il nostro Divino Gesù; perciò, quando ebbe raccontato come Egli, il Signore castigò l’orgoglio di quegli antichi che pretendevano innalzare una torre, stolti! per toccar fino al cielo, colla confusione delle lingue, a quel punto cessa la Parola di Dio di raccontare la storia delle altre nazioni, e parla solamente in modo particolare del popolo ebreo, a cui affidava la promessa di venire a salvare il mondo, nascendo uomo nella famiglia d’Abramo. Delle altre nazioni dice solo: che si divisero e andarono in dispersione per le varie parti della terra. Come però narra ancora che tutta la gran famiglia del genere umano era divisa in tre rami dai discendenti dei tre figliuoli di Noè di Sem, di Cam e di Iafet; così la Parola di Dio dà ancor un filo per giungere in quella oscurità di tempo a capir qualche cosa della storia delle altre nazioni antiche. Ora tutte le scoperte che si van facendo da tanti secoli, provano proprio che i discendenti di Sem restarono nell’interno dell’Asia intorno alla torre di Babele, la Babilonia. I discendenti di Cam dall’Asia andarono diffondendosi nell’Egitto e nelle altre parti dell’Africa; mentre i figliuoli di Iafet emigrarono nei più lontani paesi, per estendersi nell’Europa nostra. Eccovi la ragione, che par giusta, per cui, massime presso agli abitatori dispersi in Europa, erano in uso stromenti ed armi, utensili di osso e di pietra; mentre tra i discendenti di Sem, di Cam che là fermatisi formarono subito grandi nazioni, erano in quel tempo stesso in uso le armi e gli stromenti di bronzo e ferro.

Spez. Dica, dica che io la spiegherò ai miei, che spero farà loro piacere ad udirla; perché quei miei buoni amici dicono sol quel che lor si mette senza pigliarsi la briga di studiare se sia la verità.

Par. Ebbene vi dirò quel che pare solamente ragionevole assai, perchéne abbian tante prove. Adunque i figliuoli di Iafet emigrando in lontani paesi forse prima di aver conosciuto come si lavorassero già i metalli, certo là sulle creste degli altissimi monti che dividono l’Eutopa dall’Asia, non trascinavano seco le fucine per fondere, e lavorare i metalli, né poi là avevan in pronto le cave conosciute da estrarli.

Spez. Questo mi par ragionevole e mi fa già intendere una qualche cosa.

Par. Quando poi si trovarono tra le montagne dove abitarono in prima, tra quelle orride foreste di cui vi sono ancora gli avanzi, là in quelle selve dei nostri in mezzo a quelle belve feroci, fu una bella grazia per loro aver trovato le caverne da rifugiarsi dentro e farne le loro abitazioni. Là trovarono in pronto le ossa da poter lavorare, con le pietre focaie da formar ancor ben affilati stromenti. Di metalli non vi dovette neppur venire un pensiero. E mentre abitavano in quelle grotte nella pace delle loro famigliole, facevano in osso ed in pietre quei loro lavoretti. Se ne trovano armi e utensili di cucina, anzi fin oggetti di lusso così belli che è grazia a vederli ancora nei nostri musei. Si direbbe che furono diligentati con amore e buon gusto d’arti. Quasi si direbbe che sin d’allora lasciarono in eredità l’arte di far quei gentili lavori ai Germani e Svizzeri de’ nostri dì, in legno ed osso. Per vivere poi insieme quasi in piccole borgate studiaron bene di costruirsi in mezzo all’acqua al sicuro le loro abitazioni lacustri. Per poco che, visitandole, vi giriamo in quelle col pensiero, come s’aggirano ancora gli Europei su quelle abitazioni e giardini pénsili che i Cinesi vanno estendendo sull’acque del mare. Che ne dite or voi? Eran barbari questi uomini, eran selvatici come gli orsi e preistorici da milioni di secoli?

Spez. La ringrazio; ella mi dice cose, che questa gente che non pensa mai bene, poiché dimenticato il catechismo che hanno gustato da fanciulletti, bevon giù alla grossa ciò che gli increduli dan loro ad intendere.

Par. Voi dunque potete a loro far capire chiaramente, che poterono quegli antichi abitatori della montagna usare le pietre per formarsi i loro stromenti; sicché si può chiamare in buon senso quel tempo, l’epoca della pietra; mentre nell’istesso tempo nelle nazioni dell’Asia e nell’Egitto in Africa si lavoravan già tanto bene i metalli. – Ne abbiam le prove più chiare che questi usi erano contemporanei nel gran Libro delle verità storiche più sicure. Diffatto, si legge egli è vero, che Abramo comprò una grotta da seppellirvi la sua Sara; ma vi sborsò fin d’allora sicli d’argento ben sonanti. Sefora moglie di Mosè, poi Giosuè, usavan nel circoncidere i coltelli di pietra; ma Mosè nello stesso tempo scelse gli artisti più stimati per lavorare il bronzo, l’argento e l’oro pel Tabernacolo di Dio. Anche Davidde non sapeva usar altr’arme che i sassi del torrente; ma Golia aveva la spada con cui Davidde gli tagliò la testa. Eppoi eppoi anche ai di nostri, salite sulle cime degli Appennini, là vedrete. che quei buoni montanari han tutti gli utensili di legno, di osso e fino le pentole di pietra; ma dalla vetta dei loro monti potete veder Genova, in cui si lavora l’oro e l’ argento a finissima filigrana. Immaginatevi adesso che un figliuol di quei mandriani, mandato a Genova alle scuole, diventasse fino un gran ministro dello Stato. Se costui ritornasse poi al nativo monte per respirare aria più pura, la sua cugina pastorella, a lui solito a centellare il caffè in dorate porcellane, presenterebbe il latte con bel garbo in una ciottola di legno. Ebbene, potranno dire coloro che la pastorella è preistorica o almen selvatica?.. Però se avessi da dir io qual è fra questi due la persona di più pulita civiltà… non esiterei un sol momento!… Non è dunque da credere che le epoche della pietra, del bronzo e del ferro fossero divise da secoli l’una dall altra; quando abbiam tante prove che eran contemporanee.

Spez. Oh! che le spiegassero un po’ bene, massime nelle nostre Scuole Tecniche, queste cose, se però prima le avessero studiate i maestri! Verrebbe su la nostra gioventù ben più sodamente istruita, e quindi meglio educata! Ma son tanto nuove per noi queste osservazioni, che vorrei mi faceste ancor meglio intendere come queste tre epoche, che si menan sempre per bocca da chi meno profondamente studia, potessero esser vicine, anzi, come avete detto, contemporanee in diversi luoghi.

Par. Potrei darvene le tante prove; ma vi dirò che si provano ravvicinate queste epoche da tante scoperte, di cui mi accontenterò di accennarvi almeno le principali, fatte nella nostra Italia. La crosta terrestre continuamente si muta. Le alluvioni e le eruzioni dei vulcani ebber coperto le tante volte di nuovi strati di terra i terreni primitivi. Ebbene, nella caverna detta di Tiberio tra Imola e Faenza, sì eran trovati cocci di vasi mal composti e mal fatti; mentre sì sarebbe detto da chi ha la smania di gridar subito: ecco una prova contro la Storia di Mosè; ecco le prime prove di quegli uomini che cominciavano appena ad incivilirsi; poiché vi si son trovati fin cultri di selce. Ebbene si trovarono subito appresso antiche monete romane, anzi anche una statuetta di bronzo! Si direbbe poi che la Provvidenza abbia voluto conservare sotto depositi alluvionali vicino al lago Sabbatino un vero piccol museo, per mostrar come tanto si avvicinano le tre epoche tra loro. Si trovarono degli oggetti in ordine di tempo deposti. Dalle acque. In basso stromenti di selce lavorati, poi oggetti di bronzo, poi anche monete ben coniate, fin monete e vasi dei tempi dei romani imperatori. Ora dirassi che gl’imperatori romani fossero preistorici?… Però dovranno credere anche gl’increduli che sieno nati un qualche anno almeno dopo Adamo! – Tenetelo ben fisso in mente che tutte le scoperte col tempo vengono sempre a dimostrare la verità della nostra santa Religione; e così le vere scienze e il tempo vanno sempre a terminare per render più splendido il trionfo della nostra santa fede. Voglio aggiungere una osservazione tutta mia, ed è: che siccome nelle abitazioni lacustri, nelle alluvioni, e sotto le eruzioni vulcaniche si è trovato che l’uso della pietra, poi del bronzo e poi del ferro erano così vicini nel tempo: così quegli oggetti sono prova che i così detti tempi preistorici erano vicini assai agli storici contemporanei. Ecco un anello fra loro. Bene appare questo da una scoperta di un’abitazione lacustre in questa Lombardia, in cui si sono trovati fino ami, aghi, una spilla di ornamento. Laonde vorrei dire: che per la vicinanza della Toscana, queste nostre provincie, gli antichi abitanti delle montagne e dei laghi nostri furono dei primi ad avvicinarsi ai Pelasgi, e agli Etruschi. Tra lor trovato l’uso di quel metallo, se ne sarebbero provveduti degli oggetti più utili pei laghisti, gli ami e i primi oggetti di lusso per le lor donne. — Pregheremo il Signore di concedere che si vada innanzi nelle scoperte; perché è vicino il tempo in cui i loro tempi preistorici diverranno storici anche per loro, come sono storici per grazia della Parola di Dio tutti i tempi del genere umano. La santa Religione nostra sola ha la storia dell’umanità; e per saper qualche cosa bisogna cominciare a credere in Dio.

Spez. Permettetemi ancora questa. Mi mostrano stampato che ancora adesso vi sono degli uomini che restarono sempre selvaggi; e che quindi tali bestie-uomini sono di una razza alle bestie superiore appena per un grado: e che i tentativi di noi uomini per farli più civili finiscono collo sterminarli.

Par. Amico! fa troppo male al cuore che quei nostri a noi sì cari sempre lontani dalla Chiesa senza mai una parola che loro inspiri un buon pensiero, leggano tutto che si manda per le stampe a loro dinanzi, colla più fina astuzia preparato per ingannarli; e poi lo dicono su alla spensierata. Così le povere pecorelle lontane dal pastore pascolano le erbe avvelenate ed appestano anche le altre! Lasciatemi sfogar del cuore: mi salgono le fiamme dello sdegno al volto nel leggere in certi libri che si fan girare in mano a tutti, sotto una scienza apparente con maligna moderazione come si danno orribili insegnamenti. Anche voi lo avete detto, che si vuol far credere che vi sieno razze d’uomini selvaggi poco diverse dalle bestie, e di un grado appena superiore, e come una razza degli altri mammiferi un po’ più fina. Oh i tristi! altro che abolire ai nostri dì, si potrebbe metter su la schiavitù più dura; e questa loro teoria giustificherebbe le più atroci crudeltà! E perché i Romani credevano poter fare sgozzare a lor dinanzi nei conviti l’un coll’altro i loro servi? ed ahi! al misero che cadeva trafitto barcollando, dicevano col bicchiere in mano: «Fatti in là, bestia, che non mi brutti la tunica di sangue!… » È perché leggevano scritto nei loro libri, come in questi libri ai nostri di, che gli schiavi eran d’una razza diversa inferiore alla nostra! Perché quei pagani crudelmente cavavano fino gli occhi agli schiavi, affinché facessero girare più quieti le loro macine da mulino? E perchè insegnavano nelle scuole che gli schiavi erano cose, e come bestie da lavoro! Se quei poveri selvaggi fosser bestie solo d’una razza un po’ più fina, potranno dunque i celada (chiamano celada quei pezzi di galera, udite, udite, che me lo raccontano tante volte i moretti e le morette riscattati) potranno quegli orribili celada andare a dare loro la caccia tra le povere capanne e sulle rive dei ruscelli, abbrancar per la gola quei poveri fanciulletti, e pigiarli dentro un sacco per portarli a vendere sui mercati di carne umana! Eh via! che la scienza moderna di quei tali scrittori insegnerebbe che sono scimmie di una razza un po’ più fina! E quegli uomini scampa-forche, che si dicono mercanti della tratta degli schiavi, possono ancora sguinzagliare alla vita dei selvaggi i grossi cani, per raccoglierli a torme in sulle spiagge e stiparli nelle stive dei bastimenti, e così far buoni affari! Ahi! che l’intendon la lezione certi padroni che fan lavorare i poveri sudditi nelle campagne senza lasciare un dì di festa da sentirsi dire che anch’essi hanno ancora un Padre in cielo! E si Stampa sopra un libro: che questo è il risultato della scienza! Ah! maledetta questa scienza, con cui forse si vuol preparare il popolo a lasciarsi trattare come le bestie… Se questi empi la vincessero, non credendo né a Dio, né all’anima, né alla povera umanità, potranno ammazzarci come bestie! E potran fare!… (vel voglio dire: quel che fecero coloro che nella grande rivoluzione passata proclamarono che non esiste Iddio!…) potranno far conciare certe pelli!.. come più morbide di tutte quelle delle bestie di una razza alla nostra inferiore! E ci dicono che scrivono da filantropi per istruire il popolo!

Spez. DIO CI LIBERI DA QUESTI FILANTROPI!  FAN L’AMORE AI POPOLI.. COI DENTI! … Ma in quei libri si dà per certo che molte orde di selvaggi sono tali per natura sempre state per tutti i secoli selvatici d’allora che apparvero sulla terra.

Par. Vedete come la danno da bere a coloro che pretendono d’essere istruiti senza avere studiato, e credon tutto ciò che leggono nei libri stampati apposta per ingannarli! Le tradizioni, le storie, i monumenti e tutto dimostra, che quel miserabile stato di selvatichezza in cui si trovano, è uno stato di decadimento. – Questi poveri. popoli selvaggi conservano ancora le memorie dei loro antenati, che erano tanto più di loro civili: cui tengono sino come figliuoli dei loro sognati Dei. – I nomi poi conservati dalle storie degli antichi regni tanto fiorenti in quei paesi, in cui van ora vagolando misere nazioni mezzo selvatiche, mostrano che in prima furono fondati proprio fin dai figliuoli di Noè, come la santa Scrittura ricorda. I Persiani, detti anche Elamiti, discesero da Elam, gli Assiri da Assur, i Lidii da Lut, tre figlivoli di Sem. Da Canan gli antichi Cananei, da Misraim gli abitanti d’Egitto, detto anticamente Misraim; gli Etiopi, detti anche anche Cussiti, da Cus, figliuoli di Cam. I quali discepoli di Noè eran tutt’altro che selvatici, ma erano colti di quella civiltà primitiva, che si mostrò così grande nelle grandi opere eseguite subito nei primordi dei loro regni. Diffatto, in Asia nel nostro tempo i Persiani e gli Arabi nell’Africa, gli Etiopi ed anche molti Egiziani, van errando sui ruderi di antichissime città e rizzano le lor catapecchie sui palazzi e templi, le cui grandiose rovine si van tuttora scoprendo; e quando gli Europei scoprirono il Nuovo Mondo, si credeva che le orde di quegli indigeni fosser sempre state selvagge; ma si scoprirono e si scoprono ancora presentemente gli avanzi di antichissime città e dimostrano come gli Americani selvaggi, ora è ormai certo, discesero dagli Asiatici dell’antichissima civiltà. Questi, e si può dire tutti i popoli selvaggi, adunque sono decaduti da una primitiva ed antichissima civiltà.

Spez. Ma com’è adunque, mi diranno, che son diventati selvaggi così?

Par. Son contento che me lo domandate, poiché mi porgete occasione di dirvi cose che mi pesano sul cuore. Sono tre le cause che fecero e che farebbero diventar selvaggio tutto il genere umano, se non lo conservasse civile la bontà di Dio. La prima è pur troppo il perdere l’idea di Dio Creatore e Padre, che creò gli uomini per farli seco beati. La seconda, la tirannia dei conquistatori. La terza, la corruzione dei costumi. Voi siete uomo di buon giudizio; e lascio pensare a voi a queste tre cause se non fan diventare peggio che selvatici anche certi increduli dei nostri dî, che par sentano tanto la brama d’imbestialirsi, affannandosi a far credere che siamo figliuoli di bestie.

Spez. Ma perdonatemi; essi si mostrano filantropi e compiangono i poveri selvatici perché non si possa render migliore la lor condizione; poiché tutti i tentativi per civilizzarli, non fanno che sterminarli.

Par. Ah che dite? tutti i tentativi! Vi dirò io quali si fecero e si fanno tentativi da certi filantropi, per civilizzare i poveri selvatici! Quando questi filantropi mercanti toccano qualche spiaggia abitata da’ selvaggi, la prima cosa vi fabbrican i loro forti per pigliar di là il possesso del paese; e se quei miserabili abitanti accorrono a difender le loro terre, predicano loro la civiltà da’ fortilizii colla bocca dei cannoni. Con quei terribili catechisti, come v’ho detto, che sono i lor grossi mastini, invece di raccoglierli intorno ad una cappelletta (come facevano quei monaci nostri per ammansare i barbari in Europa che convertirono nelle più civili e floride nazioni del mondo) li spinsero sui bastimenti per poi venderli in sui mercati. Quando appena poterono comandare, a far subito leggi per togliere ai selvaggi il possesso dei loro terreni che coltivavano alla meglio… misero fino la taglia: « Avrà tanto di mercede chi porterà la testa d’un Indiano; »  e si spesero delle grandi somme per toglier quelle teste, invece di farle battezzare. Ah! sì, che vel dico io, che con questi tentativi non si fece che sterminarli. Deh! si lascino almeno andar in pace i Missionari di Gesù Cristo, e non si corra appresso a perseguitarli sin in mezzo alle Missioni! Dite anche ai vostri signori che li aiutino almeno colle loro preghiere. – Quando adunque vediamo stampato che, p. es., gli Indiani dell’America hanno un carattere selvaggio e fiero, che resistono a tutti i tentativi di civilizzazione, noi gridiamo altamente: è indegna questa ingiuria fatta a quei poveri nostri fratelli che sono ancora selvaggi. Se con certi tentativi non si fa che sterminarli, vi sono altri tentativi che danno i più consolanti risultati. Più che tutte le spedizioni commerciali e le scientifiche; più che tutte le colonie stabilite da avventurieri trafficanti, ha potuto un povero frate, san Francesco Solano. Ma egli non andava tra i selvaggi a rubare il loro oro, ma offriva tutto se stesso, e col coraggio da eroe per proteggere i suoi convertiti in un’invasione di altri selvaggi correva incontro a quelle orde col petto ignudo e col Crocifisso in mano: e ammansatili colla carità, li convertiva a milioni. Il dir che gl’Indiani d’America non possano rendere civili è una calunnia contro cui protestano tutti gli Americani inciviliti più che forse molti Europei. Ora mentre tutte le nazioni civili distruggono tutte le barriere che dividono l’umana famiglia sparsa sulla faccia della terra, per formare la gran famiglia nell’unione della civiltà cristiana Universale, si debbon ricordare quegli scienziati che stamparono questi libri ai nostri dì, che già altri scienziati in Europa tenevano le orde di abitanti del Paraguay in conto di uomini-bestie. Ebbene, pochi Gesuiti obbedendo alla Parola di Gesù Salvatore che comanda d’istruire tutte le genti per salvare tutti, si cimentarono tra quelle orde di feroci e li ammansarono colle industrie di carità. Essi là a lavorare per mostrare a lavorare, essi là a piantare alberi fruttiferi e coltivare erbaggi per lasciar cogliere ai selvaggi; essi là a conciar pelli, a tessere le lane; essi là mutati in sarti, calzolai, falegnami, fabbri, muratori; poi far da medici e sempre a far da padri con tutti. Così mentre gli scienziati qui disputavano seriamente se fosser uomini da battezzare, essi avevano quei selvatici educati a tal modello di civiltà, da far dire ad un letterato con una sublime espressione: «Ecco là nel Paraguay il Cristianesimo felice. » – Ancora adesso, mentre tanti Missionari di varii Ordini religiosi consumano la vita in ignorati benefizi e..riescono così bene nei tentativi benedetti da Gesù Cristo, udite ciò che mi scrivono gli amici Salesiani fino dai Pampas: « Oh quanto sono disposti, quanto sono capaci, anzi proprio desiderosi di diventare migliori e buoni cristiani, questi poveri selvaggi !… ».

Spez. Dio la rimeriti, mio buon signor Parroco! Mi pare proprio di esser con lei come.col padre della nostra grande famiglia, a trattare degl’interessi di tutti i nostri fratelli, anche di quelli che noi abbiamo tanto lontani! Ma io non posso capire quali ragioni possano avere ancora da far contro la fede in Dio?

Par. Mio carissimo, ne hanno due ragioni, contro cui non valgono le verità delle ragioni della fede: e sono l’orgoglio della mente e la corruzione del cuore che rendono gli uomini amanti sol di se stessi, nemici di Dio, e crudeli coi loro fratelli. Io ho il cuor troppo pieno, ed ho bisogno di sfogarmi con voi che m’intendete così bene. Ben vi ricorderete, che quando il demonio soffiò nell’orgoglio di quei superbi dell’antico tempo, che vollero costruire la grande Torre per tentare di elevarsi in cielo fino a Dio, essi tirarono sopra di sè il castigo della confusione delle lingue; e dovettero andare dispersi? Ora ecco che vi sono degli uomini altrettanto superbi, ma di coloro più vili, i quali, anch’essi dal diavolo, e maggiormente tentati di propria concupiscenza, così perdutamente guasti che tutt’altro che cercare di alzarsi al cielo sino a Dio, si abbassano ad avvoltolarsi nel fango, © tutti ingolfati in putridume, niente più agognano che d’imbestiarsi colle bestie, vantandosi di esser nati da loro. Però almen quegli antichi si mostrarono grandi fin nell’audacia del loro delitto; e con quel resto di sentimento della loro grandezza raggranellarono ancora i fratelli dispersi e formarono grandi nazioni da regnarvi quasi come déi: ma questi increduli moderni senza cuore e vili da schifo si studiano di sbrancare la famiglia umana quasi noi fossimo torme di bestie per poco dalle altre diverse. E che? vorranno forse tosarci come pecore matte e farne carne? Eh lo darebbero da sospettar col preparare come fanno l’Internazionale e la Comune! Così se quei superbi col tentare di farsi eguali a Dio fabbricarono la Babele della confusione delle lingue; questi vili coll’imbestiarsi vorrebbero buttarci nella Babele della distruzione. Pigliamo animo, o caro. Poiché se tutti che fanno guerra a Dio van vagabondando nella Babele, noi che l’amiamo come figliuoli, siamo nella Pentecoste; perché il miracolo della Pentecoste conrinua ancora per noi. Vi voglio partecipare una mia consolazione che provai proprio questo anno nel di di S. Giovanni in Torino. Nell’Oratori dei Salesiani, come gli apostoli nel Cenacolo raccolti intorno a Maria Ausiliatrice, quei buoni giovani per festeggiare il dì onomastico del loro pio istitutore accorrevano da tutte le parti a leggergli i più cari indirizzi, in tante lingue diverse; italiani, francesi, inglesi, irlandesi, scozzesi, tedeschi, polacchi, spagnoli, americani e fin cogli accenti dei selvaggi, degli Indii, Pampas e Patagoni: allora io in uno scoppio di pianto esclamava « ecco il miracolo della Pentecoste! » Ebbene, ebbene udii allora D. Bosco, questo uomo provvidenziale colle mani al cielo esclamare come il Salvatore: oh quanto è abbondante la messe! preghiamo il padrone ci mandi tanti operai: affinché si possa dare pane di vita eterna agli uomini nostri fratelli di tutti i colori che il Padre nostro invita al convitto del figliuol suo Gesù … ed io ripetevo singhiozzando: Oh, gran Padre della misericordia, affrettatevi a far di tutti gli uomini come un solo ovile di pecorelle sotto un solo buon Pastore! Oh amico, voi tante volte con ragione esclamavate: DIO CI LIBERI DA QUESTI SAPIENTI, DA QUESTI FILANTROPI!.. Deh! deh! Esclamate pregando con me: Dio salvi tutti gli uomini per Gesu Cristo suo Figliuolo unico Salvatore del mondo.

LA VITA INTERIORE (25)

LA VITA INTERIORE E LE SUE SORGENTI (25)

Sac. Dott. GIOVANNI BATTISTA CALVI

con prefazione di Mons. Alfredo Cavagna Assistente Ecclesiastico Centr. G. F. di A. C.

Ristampa della 4° edizione – Riveduta.

TENEBRE DISSIPATE

IL DOLORE.

PERCHÈ IL DOLORE?

La parola « dolore » è, qui, generica: intendiamo, con essa, ogni sofferenza fisica, morale, spirituale; disdette, tribolazioni, contrasti, lotte, infermità, discordie, speranze infrante, abbandoni, mali di ogni genere, tutti i mali. Ogni dolore ci dovrebbe condurre a Dio, come ci suggerisce l’Apostolo Pietro: Christus passus est pro nobis, vobis relinquens exemplum, ut sequamini vestigia eius (S. Pierro, II, 21), e cioè: Gesù Cristo soffrì per noi, lasciandovi un esempio, affinché seguitiate le sue vestigia. — Ho detto: ci dovrebbe condurre a Dio; ma, in realtà, molte anime non si lasciano condurre a Dio; se ne allontanano, anzi, quanto più loro è possibile. Perché? Perché sotto la pressione del dolore, si ribellano a Dio, si rivoltano con tutte le loro energie, e non riuscendo a vincere l’origine e la causa del male che subiscono, si accasciano, si avviliscono e, Dio non voglia, si lasciano dominare dalla disperazione. Certo, questo contegno non è proprio delle anime che vogliono seguire Gesù. È volontà di Dio che ognuno cerchi di vincere, lottando e pregando, tutte le avversità. Ma quando abbiamo cercato di fare da parte nostra tutto ciò ch’era umanamente possibile, l’ostinazione contro il volere di Dio è superbia, è una resistenza inutile. « La nostra sorte non è nelle nostre mani, e ogni rivolta contro il corso degli avvenimenti si risolve sempre a nostro danno e scorno. Chi picchia del capo contro il muro, non spezza l’ostacolo, ma la testa ». Così, giustamente, un pio autore, il Gorrino, nella sua Vita interiore.

GLI INSEGNAMENTI DELLA FEDE.

Che mi accadrà quest’oggi, o mio Dio? Non lo so. Tutto quello che io so è che non mi accadrà nulla che voi non abbiate disposto da tutta l’eternità pel mio bene. Questo mi basta. Adoro i vostri disegni eterni ed impenetrabili… Sono riconoscente ad un’anima elettissima, già chiamata al premio celeste, se appresi e recitai, da molti anni, ogni mattina questa bellissima preghiera. Essa corrisponde pienamente alla più consolante realtà: la paterna bontà, la santa provvidenza di Dio a nostro riguardo. Tutto quello che ci può accadere, tutti gli avvenimenti, quanto ci riguarda, direttamente o indirettamente, è nelle mani di Dio: Deus meus es tu, in manibus tuis sortes meæ (Ps., XXX, 16); è disposto dalla divina Sapienza in numero, peso e misura: Omnia in mensura et numero et pondere disposuisti (Sap., XI, 21); ogni opera di Dio è piena di bontà: Opera Domini universa bona valde (Eccli., XXXIX, 21); Dio è buono e misericordioso con tutti: Suavis Dominus universis et miserationes eius super omnia opera eius (Ps.,CXLIV, 9).Perché, dunque, angustiarci? Dio pensa e dispone tutto solo pel nostro bene: Diligentibus Deum omnia cooperantur in bonum (Rom., VIII, 28). Dio è il Bene assoluto, l’Essere perfettissimo per eccellenza. Può da Dio, vero; sommo ed unico bene, venire il male? No. Ma… e allora? Allora quello che Dio permette, e che a noi sembra male,è solo un male esteriore, nell’aspetto, maè, al contrario, un vero bene…

ORIGINE DEL DOLORE.

Se Dio è il sommo Bene, s’Egli è veramente buono, se da Dio viene solo il bene, perché… tanto male, tanto dolore nel mondo? Perché tutta la vita umana è fasciata dal dolore, perché i brevi e pochi giorni della nostra vita sono avvolti da tante pene e amareggiati da tante lagrime? Perché? Questa domanda trova, purtroppo, una pronta, facilissima risposta: il male e i dolori di cui noi facciamo quotidianamente la più amara esperienza, hanno la loro origine nel vero ed urico male, il peccato. In rebus humanis nihil malum dicendum, nisi peccatum solum… « Ricordate: un poema d’amore apre la storia dell’umanità; l’uomo compare sulla terra, nel paradiso terrestre tra gli splendori, della natura tutta a lui soggetta, e della grazia che lo imparenta con Dio, rivestito del manto regale della giustizia originale che a lui procura l’integrità, la scienza, l’impassibilità, la immortalità; è collocato in un giardino di delizia, e Dio Padre scende a trattenersi visibilmente con lui come suo figlio adottivo. » Ma tutto ciò fu di breve durata: il poema è troncato, l’uomo fugge da Dio; è spogliato di ogni dono e grazia soprannaturale, è condannato al lavoro faticoso, al dolore e alla morte. » Chi ha fatto ciò? Non Dio certamente; fu il peccato che trasformò il paradiso terrestre in una valle di dolori e di lagrime, che portò nel mondo la fame, la pestilenza, la morte. » Quando noi gemiamo nel dolore, non rivolgiamoci a maledire Dio o a chiamarlo causa e origine delle sofferenze, malediciamo il peccato, questo odioso attentato contro la sovranità del Creatore e nostra sventura. » Il dolore, dunque, nasce con la colpa e la prevaricazione dei nostri progenitori; esso è la sorgente amara del fiume di lagrime che si è ingrossato per tutti i delitti dell’umanità attraversandone le interminabili generazioni » (G. Perardi, Vita cristiana, II, pag. 65-66.).

IL DOLORE NON È UN MALE.

Il dolore non è un male. Se in tutti gli avvenimenti umani il Signore cerca soltanto il nostro bene; se nel mondo niente dev’essere detto male all’infuori del solo peccato, quelli che noi diciamo mali, sofferenze, pene, e che non sono e non si identificano col peccato, si dicono mali impropriamente. Essi hanno una funzione di bene, e beni dovrebbero essere detti. – Ascoltiamo gl’insegnamenti della fede: Beato l’uomo che è castigato da Dio, disse Giobbe, il grande sofferente (V, 17); Beato l’uomo che è tentato perché, quando ha superato la prova, riceverà la corona della vita, confermò san Giacomo (Giac., I, 12); e Gesù con maggior precisione: Ego quos amo, arguo et castigo (Apoc., III, 19) e cioè: Io riprendo e castigo coloro che amo.Se questi sono gl’insegnamenti divini, perché noi dobbiamo temere tanto le pene, le sofferenze, i dolori di questa vita? Sono, essi, la fonte d’immensi vantaggi spirituali e spingono efficacemente la nostra anima alla ricerca di Dio, al possesso di Dio. Di più: i dolori, le prove di questa vita accettati e affrontati con serenità, rassegnazione, fiducia e confidenza in Dio ci liberano datanti altri mali.Dio ci ha voluti collaboratori efficaci dell’opera della nostra salvezza eterna. La volontà efficace nell’accettare le prove da Lui permesse ha valorizzato la nostra libertà. In questa libertà, con la volontà decisa per il Signore e per la sua gloria, noi saremo veramente provati ed approvati da Dio.

LA MISSIONE DEL DOLORE.

È il bene nostro, è la gloria di Dio. Non sarà coronato se non chi avrà combattuto secondo le leggi… Ecco l’obbligo, ecco la necessità dichiarata della lotta contro noi stessi, contro il mondo, contro il demonio. Questa triplice lotta è… un grande dolore. In questa lotta dobbiamo, invocata la divina assistenza, resistere e vincere. Dio ci ha assegnato la parte nostra nel portare il peso della Croce. Chi vuole venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce, mi segua. Ma: hilarem datorem diligit Deus, e cioè: il Signore ama chi dà con gioia, con allegria, con serenità. Si deve, dunque, trarre un’altra conclusione, questa: noi dobbiamo accettare le prove, i dolori, le sofferenze non solo con rassegnazione, ma anche con gioia. – Ascoltiamo la parola dell’apostolo Paolo: Superabundo gaudio in omni tribulatione (II Cor., VII, 4). Perché? Perché dalla tribolazione terrena vedeva scaturire la dolce acqua del premio celeste. Che cosa c’insegna la quotidiana esperienza? Che l’uomo accetta, anzi giunge a desiderare e a volere un male, quando sa che da esso potrà venirgliene un bene! Non è, forse, per questo che noi ci lasciamo tanto manipolare dal medico, e, specialmente, dai chirurghi? Un’operazione chirurgica non è, certo, cosa che possa farci molto piacere. Tuttavia, poiché ne speriamo un bene, la desideriamo, e, pure sapendo che ci farà soffrire, che ci costerà anche una somma di denaro non indifferente, noi ci rechiamo da uno o da parecchi chirurghi, e… ci abbandoniamo nelle loro mani. Non altrimenti opera Dio. V’è, però, una differenza sostanziale: il divino chirurgo è un operatore infallibile. Non così gli umani manipolatori delle nostre povere carni. Gesù ha disposto che sia il dolore a ricondurre il peccatore a Dio. Ha voluto, e vuole, che il dolore ci distacchi dalle cose create, dal mondo, dalla terra… e ci faccia desiderare il Cielo. Ha voluto, e vuole, Gesù, che il dolore espii su la terra il peccato, che purifichi e perfezioni la virtù, come il fuoco purifica l’oro. Infine, il dolore crea la nostra rassomiglianza morale con Gesù Cristo, nostro modello, ricordandoci la nostra incorporazione con lui nel Battesimo. Se Gesù, nostro capo, è crocefisso, possiamo noi, sue membra, pretendere di essere esonerati dalla nostra parte di dolore?

LA VITA INTERIORE (24)

LA VITA INTERIORE E LE SUE SORGENTI (24

Sac. Dott. GIOVANNI BATTISTA CALVI

con prefazione di Mons. Alfredo Cavagna Assistente Ecclesiastico Centr. G. F. di A. C.

Ristampa della 4° edizione – Riveduta.

TENEBRE DISSIPATE

L’INSTABILITÀ

LE PRIVAZIONI SPIRITUALI.

Abbiamo già ripetutamente notato che le anime desiderose di operare il bene, di darsi a Dio, in sul principio della loro dedizione sogliono essere amabilmente ricreate dalla bontà divina. Gioie spirituali, conforti divini, attrazione intensa… E, perciò, promesse su promesse di fedeltà, di attaccamento, di corrispondenza, di amore… Tutto questo, però, non può durare. In un attimo, mentre meno l’anima se la pensa, la scena cambia. Al fervore sensibile succede l’aridità, alla gioia la prova dolorosa, all’attrazione intensa… la noia, le tentazioni violente, le nausee quasi vorrei dire, di ogni forma di preghiera, di ogni manifestazione di pietà. Tutto questo, lo sappiamo, è la solita via delle anime. Ma questo stato di desolazione non dovrebbe essere temuto, essendo, per divina disposizione, ordinato al miglioramento e alla tempera della nostra volontà. Tuttavia, per molte anime, col sopraggiungere del tempo della prova, ha inizio lo scoraggiamento, l’intiepidimento, la freddezza, di più, la nausea. Perché? Per l’instabilità, per l’incostanza della volontà.

LA MONOTONIA…

È noto il detto: molti incominciano, pochi perseverano… Perché?… Perché si dimentica facilmente che è necessario rinnegare il nostro io, che occorre farsi violenza, che il regno di Dio può essere carpito solo da chi mostra vera energia. Energia: ecco la parola. Occorre energia di volontà per allontanare le tentazioni che ci vogliono far sembrare troppo noiosa, snervante, uniforme e perciò monotona la pratica della vita cristiana e, tanto più, la pratica della vita interiore. Intendiamoci: abbiamo già detto che, per raggiungere la vita interiore, l’anima deve allenarsi, ripetere esercizi sopra esercizi, e che solo a questa condizione l’ascesa potrà, poco a poco, essere vera, certa. Se poi in questo ripetersi di atti, di esercizi, si può provare noia, nausea… nessuna meraviglia. L’amore di Dio, il Paradiso costano sacrifizi… Ecco tutto. E se questa risposta sembrasse troppo semplicista, si consideri, per esempio, in quale modo lo studente cerca di riuscire promosso negli esami: e generalizzando, come trascorra la vita degli uomini su la terra. Non sono ore e ore e giornate e mesi di… studio continuo? Non sono, sempre, le stesse occupazioni, gli stessi argomenti, gli stessi doveri, le medesime contrarietà, per tutti…? Forse che noi tralasciamo i nostri doveri, le nostre conversazioni, i viaggi… perché sono sempre gli stessi? Che dovrebbe dire un viaggiatore di commercio che, tutti i giorni, col tempo, sì o no, favorevole, è costretto a ripetere lo stesso viaggio, dalla casa alla Stazione, dalla stazione alla stessa città? E che dovrebbe dire una mamma di famiglia, la quale, dalle stoviglie rigovernate, ai letti rifatti, alle orazioni ripetute, agli ammonimenti dati, vede tutto tingersi dello stesso colore da anni e anni…? Nessuna novità mai! E che per questo? Siccome sempre avviene nella vita ordinaria, così avviene pure nella vita dello spirito. Ma come nella vita quotidiana, la uniformità, la monotonia, la noia, la nausea non ostacolano l’adempimento del dovere, così, e tanto più, la freddezza, o la creduta freddezza, la noia, la stanchezza non debbono farci troncare le pratiche di pietà e lo sforzo per riuscire a raggiungere, possedere e conservare la vita interiore.

ASSENZA DEL CUORE.

Altro è dire uniforme, altro è dire monotono, noioso. Vogliamo dunque, dire che se la vita interiore può sembrare uniforme, non è affatto monotona e, tanto meno, noiosa. O meglio; potrà essere anche monotona e noiosa; ma allora si dovrà fare un’altra considerazione, questa: che dalla pseudo vita interiore è già assente il cuore coi suoi sentimenti e coi suoi affetti. Una delle due: o il cuore è presente, ed ecco più ragionate, ma care e dolci e soavi emozioni, nella ricerca dell’amore di Gesù, unica fonte del vero amore; o il cuore viaggia per conto suo, e allora gli affetti e i sentimenti sono dispersi e non trovano più il punto di accentramento, il quale non può essere altri che Gesù. Proviamoci a pensare e a tenere a posto il cuore nella contemplazione di Gesù! Oh! allora, sentiremo inondarci dell’amore di predilezione, e in quell’oceano infinito saremo costretti a ripetere a Gesù la proposta di Pietro sul Tabor: Domine, bonum est nos hic esse. Oh Gesù! quanto è bello per noi rimanere qui, così! Ma i momenti della Trasfigurazione furono pochi: dopo quelli, Gesù ritornò alla sua vita di sacrificio e di rinnegamento. Sacrifizio e rinnegamento necessari sempre contro le nostre inclinazioni naturali, le quali sono in contrasto con le aspirazioni spirituali. È tutto un continuo lavorio di purificazione e di rinunzia che l’anima deve affrontare con generosa disciplina in espiazione dei suoi peccati, abbracciando volentieri la sua croce, in unione, e per l’unione, con Gesù Cristo. Ma, per imparare questa rinuncia, che nel linguaggio cristiano è una specie di crocifissione e di morte, l’anima dovrà lottare energicamente contro l’orgoglio, contro la pigrizia e la noia, abituandosi allo spirito di preghiera e alla meditazione assidua delle sante verità. Sarà, allora, facile, al corpo e allo spirito allenarsi a quella mortificazione delle proprie inclinazioni naturali tanto necessaria per quelli che vogliono appartenere veramente a Cristo e viverne intimamente la vita. Camminate secondo lo spirito, e non andate dietro ai desideri della carne (Gal. V, 16); e ancora: I seguaci di Cristo hanno crocefisso la propria carne con le sue passioni e le sue concupiscenze (Gal., V, 24).

È UN AFFARE TROPPO LUNGO.

Ricordo il consiglio frequente di un indimenticato e indimenticabile Maestro: Procura di fare una cosa per volta, non due…; non preoccuparti del giorno passato che non ritorna, né del domani che non è certo; pensa soltanto a quest’oggi… Questo è il succo di tutta l’esperienza della vita interiore, e … della più sana filosofia. Age quod agis…: fa quello che fai, dicevano i maestri di spirito. Vivi alla giornata… L’avvenire è nelle mani di Dio. Per ogni giorno la sua croce. La fantasia che pretende prevedere per provvedere è, ordinariamente, catastrofica. Consideriamo ogni giorno come l’ultimo della nostra vita… Questa considerazione ci darà forza a resistere, a mantenere le nostre posizioni… a vivere nella vita interiore. Terminiamo con un saggio consiglio che S. Giovanni Bosco, il grande apostolo della gioventù, ha scritto per i suoi cari giovinetti, perché ci sembra che possa coronare bene quanto sopra abbiamo detto: « Il primo laccio che il demonio suol tendervi per rovinare l’anima vostra, è il presentarvi alla mente come sarà mai possibile che per quaranta, cinquanta, o sessant’anni che vi promette di vita, possiate camminare per la difficile strada della virtù, sempre lontani dai piaceri. » Quando il demonio vi suggerisce questo, voi rispondetegli: Chi mi assicura che io giunga fino a quell’età? La mia vita è nelle mani del Signore; può essere che questo giorno sia l’ultimo di mia vita. Quanti della mia età erano ieri allegri, pieni di brio e di salute, ed oggi sono condotti al sepolcro! Quanti miei compagni sono scomparsi da questo mondo nel fior degli anni! E non potrebbe accadere a me altrettanto? E quand’anche dovessimo faticare alcuni anni per il Signore, non ne saremo abbondantissimamente compensati da un’eternità di gloria e di piaceri nel paradiso? Del resto noi vediamo che quelli i quali vivono in grazia di Dio, sono sempre allegri, ed anche nelle afflizioni hanno il cuor contento. Al contrario coloro che si dànno ai piaceri, vivono arrabbiati, inquieti, e più si sforzano per trovare la pace nei loro passatempi, più si sentono infelici: Non est pax impiis, dice il Signore» (Da quel modello di libro di pietà scritto da S. Giovanni Bosco pei giovani, cioè: Il giovane provveduto.

LA VITA INTERIORE (23)

LA VITA INTERIORE E LE SUE SORGENTI (23)

  1. Sac. Dott. GIOVANNI BATTISTA CALVI

Sac. Dott. GIOVANNI BATTISTA CALVI

con prefazione di Mons. Alfredo Cavagna Assistente Ecclesiastico Centr. G. F. di A. C.

Ristampa della 4° edizione – Riveduta.

LUCE DIFFUSA

IL RACCOGLIMENTO

UN OSTACOLO: LA DISSIPAZIONE.

Uno degli ostacoli più gravi alla nostra vita d’unione con Dio è la dissipazione. La dissipazione mentre allontana e tiene separata da Dio l’anima, l’avvicina e lega alle cose create. Queste cose esterne, se troppo considerate, assorbono, guastano, avvelenano gli spiriti. Occorre perciò che l’anima desiderosa di vivere la vera vita interiore sappia dominare le cose esterne, o se ne separi arditamente e decisamente. Com’è possibile riuscirvi? Il primo mezzo, come sempre e in tutto, è la preghiera umile e fiduciosa. Vogliamo ricordare qui, almeno sinteticamente, una preghiera saggia di tante care anime: Signore non ti chiedo di dispiacere alle creature perché sono Tue; ma deh!, o Gesù, concedimi almeno di non piacere loro troppo e di non essere troppo amato… Dopo la preghiera, per riuscire a svincolarsi dalle cose esterne, è proprio necessario non amarle troppo, poiché quando si ama, si è legati all’oggetto dell’amore. Nulla macchia e impaccia il cuore umano come l’amore. impuro delle creature. Occorre, persino, non amare troppo le nostre occupazioni, il nostro apostolato, le fonti stesse della nostra vita spirituale. Dobbiamo amarle queste cose, ma non troppo. Basta, cioè, amarle con la disposizione di lasciarle senza rimpianti alla prima occasione. Dobbiamo, pure, cercare di avere e di conservare, inalterata, una grande calma e serenità di spirito in tutte le diverse circostanze della vita. Non affannarsi, adunque, non affaccendarsi, non tuffarsi, più del necessario, nelle opere esteriori. Il Signore non si lascia trovare nell’agitazione e, così pure, la nostra anima non riuscirà a dominarsi, a reggersi, e verrà, quanto prima, assorbita completamente. – Concludendo: la vittoria nella dissipazione e il conseguimento della vita raccolta non si ottengono senza una volontà ferma, senza una lotta continua contro le attrattive della esteriorità, e contro le nostre cattive inclinazioni tendenti alla ricerca della esteriorità.

I SENSI.

I sensi sono la porta del cuore e dell’anima. Se la porta non è custodita; tutti vi possono entrare. Per la porta dei nostri sensi entrano tutte le tentazioni. In modo particolare è necessario frenare e custodire la vista, l’udito, la lingua. Dobbiamo: vedere e non guardare; udire e non ascoltare; parlare moderatamente, con criterio, e non muovere continuamente la lingua a guisa di elica che volteggia meccanicamente, senza riflessione. «… Chi vuole tutto vedere e sapere, anche se si tratta di cose non cattive; né per se stesse pericolose, non sarà mai persona interiore. »« Dopo tutto, di quanto avviene attorno a noi nel mondo, poco o nulla merita di essere conosciuto. Anche ciò che il mondo chiama cose importanti, sono frivolezze di poco momento: sembrano grandi solamente a coloro che sono piccoli » (Gorrino, La vita interiore, pag. 114. Torino, S. E. I. 1936). – Per orientarsi, però, definitivamente nella vita di raccoglimento, è necessario dominare la lingua, vigilare, frenare, regolare la nostra parola. Precisamente per questo viene tanto insistentemente raccomandato il silenzio. « Chi crede di essere religioso e non raffrena la sua lingua, ha una religione vana » (SAN Giacomo, I, 26). Nella vita delle anime consacrate a Dio, tutto è a base di Regola. V’è, quindi, il tempus loquendi e il tempus tacendi. L’osservanza della Regola del silenzio porta, nella vita di comunità, una vera fioritura di anime care a Dio. Nella vita che la maggior parte delle anime deve condurre in mezzo al mondo, il silenzio può dirsi osservato e custodito quando si parla per necessità, per convenienza e col giusto criterio della riservatezza. Non taciturni e musoni: ma lieti, sereni e pronti a rispondere e ad alimentare una conversazione santa, o, anche, soltanto per quel sentimento di carità di cui parla san Francesco di Sales: « Dove non c’è peccato è sempre buona cosa, quando sia possibile, accontentare il nostro prossimo ».

FANTASIA, IMMAGINAZIONE, MEMORIA.

La dissipazione è alimentata non solo dai sensi esterni, ma anche dalle potenze interne. Ora il silenzio interno è ancora più necessario di quello esterno per ottenere la vita interiore. La fantasia è la pazza di casa, e l’immaginazione la segue come ancella fedele. Ma a che giova lasciare la fantasia sbrigliata? Devesi frenarla, non solo nelle cose peccaminose, o quasi, ma anche in quelle indifferenti. È tutto un lavorio interno di purificazione, di elevazione, di santificazione, specialmente col ricorso diretto a Dio, a Gesù Re dei vergini che si pasce tra i gigli. La memoria pure ha necessità d’essere regolata, frenata, quietata. Parrebbe impossibile, ma è proprio una constatata realtà. Di continuo ci proietta dal passato nel presente tutto quello che non vorremmo più ricordare, che abbiamo confessato, detestato, calpestato e promesso di non voler più ricordare. Ci sembra di poter suggerire questa constatazione: il passato non ritorna più e l’avvenire è nelle mani di Dio. Perciò procuriamo di vivere alla giornata, positivamente, e fidandoci solo del Signore.

VANTAGGI DELLA VITA RACCOLTA.

Sono preziosissimi. Anzitutto, l’anima che, poco per volta, si accorge d’essere presente a se stessa, viene a conoscere i propri sentimenti ed affetti nel loro sorgere. Se questi sono buoni li asseconderà, se sono malvagi li sopprimerà. In secondo luogo; fatta l’abitudine alla vita raccolta, l’anima trova più facile la preghiera, più viva la devozione, più intenso il fervore. Certamente non si può essere raccolti nella preghiera se si è assorbiti dalle cose esteriori o dissipati in esse. « Dove la mente è solita trovarsi lungo il giorno, ivi tornerà anche nel tempo dell’orazione. » Bisogna adunque fare in modo che il pensiero vada a Dio, anche quando ci si trova in mezzo alle brighe esterne: tanto meglio vi si manterrà poi unito durante l’orazione. » Quindi alle persone pie che desiderano sentire il fervore nella preghiera, non si può indicare altro spediente che questo: tenersi raccolte lungo la giornata. Ogni altro consiglio è inutile e inefficace. Chi non ha l’animo raccolto durante gli impegni della giornata, non lo avrà neppure durante l’orazione. Si vive di abitudine. Bisogna farsi l’abitudine del raccoglimento per essere raccolti nei tempi in cui vogliamo esserlo » (Gorrino, o. c., pag. 119). Ma il raccoglimento si nutre del vero fervore che non è quello sensibile. Il vero fervore è dato da una volontà seria, ferma, stabile, refrattaria, disposta a tutto.

LA VITA INTERIORE (22)

LA VITA INTERIOR E LE SUE SORGENTI (22)

Sac. Dott. GIOVANNI BATTISTA CALVI con prefazione di Mons. Alfredo Cavagna Assistente Ecclesiastico Centr. G. F. di A. C.

Ristampa della 4° edizione – Riveduta.

LUCE DIFFUSA

LA PUREZZA

BASE DI QUESTA VIRTÜ: LA MORTIFICAZIONE.

Come lo spirito di rinnegamento e di mortificazione è la base necessaria dell’unione con Dio, cosi lo è pure della virtù della purezza. Come Gesù venne espressamente in questo povero mondo per cercarvi non le soddisfazioni ma la rinuncia e le sofferenze, così noi dobbiamo seguirlo imitando le sue azioni e mettendo in pratica il suo comando: chi vuole venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua (Matth. XVI, 24). – Nel sapersi molto rinnegare ivi è molto godere. Così, ricordo, mi scrisse venticinque anni or sono, una pia anima già chiamata al premio celeste. Non v’è adunque da rimanere storditi pel timore delle pene, pel numero delle contrarietà, per la morte che danno al nostro io. Ë necessario rinnegarsi, abbracciare la croce; e questa necessità porta al combattimento. La vittoria nella lotta, ottenuta coll’aiuto di Dio, rende lieta la nostra anima. Ecco l’origine del molto godere…. – « L’anima provata dalla tribolazione, formata alla sofferenza e alla contraddizione, abituata al sacrificio, rimane calma tra le pene della vita, bacia la mano di Dio che la percuote, leva lo sguardo verso il cielo e gode delle sue pene medesime, nelle quali vede l’espiazione delle sue colpe ed il pegno della felicità eterna. Che la facciano soffrire le bizzarrie dei giudizi umani, gli sbagli dell’amor proprio, i disgusti e le pene della fatica ella è ferma, incrollabile, e quanto più è percossa dalla sventura, tanto più è lieta di offrirsi a Dio come un’ostia segnata dal carattere della Croce del suo Figlio diletto, Gesü ». Ë questo il commento pratico che la stessa pia anima in quell’occasione scrisse e unì alla sua affermazione: nel sapersi molto rinnegare ivi è molto godere. Come conclusione aggiunse, ed io riferisco: sono queste le nostre disposizioni? Occorre assolutamente: 1. Soffrire per amor di Dio, senza mai lamentarcene, tutte le contrarietà e le croci; 2. non usare cure eccessive per sottrarci a tutto ciò che molesta ed incomoda; 3. tenere lo sguardo fisso a Gesù che preferì alle gioie della vita l’umiliazione e la croce. Per aumentare in noi la resistenza riflettiamo sulle seguenti parole che il Padre Baldassarre Alvarez, il consigliere di santa Teresa, indirizzava a se stesso: « È un errore il credere che devi entrare in Cielo interamente integro, e che la tua persona subirà soltanto pochi danni. Il regno di Dio è il regno dei decapitati, dei tentati, degli afflitti, dei disprezzati, di coloro che passarono da quelle o da più grandi prove. Come oseresti comparire tra sì illustri capitani, essendo tanto vile che se Dio ti mettesse il processo tra le tue mani condanneresti te stesso?» (Cfr. Lettere di direzione. Vol. I, pag. 135. S.E.I. Torino.)

LA PUREZZA DI MARIA.

Lo spirito di rinuncia e di mortificazione conducono felicemente alla conservazione della virtù della purezza, la quale a sua volta, è necessaria per conseguire e conservare l’unione con Dio. Gli esempi dei Santi, e, sovra di essi, tutti quelli della Vergine Madre di Dio, Maria, sono prove eloquentissime. Qui ci accontenteremo di riferire alcune parole che san Giovanni Bosco indirizzò ai giovinetti del suo primo Oratorio in una delle brevi conversazioni denominate: la buona notte: « Già era giunto il tempo tanto desiderato nel quale nascere doveva il Salvatore del mondo. Ma chi sarà mai colei, che avrà la gloria di essergli madre? Dio gira gli occhi su tutte le figlie di Sion e una sola ne vede degna di tanta dignità. Maria Vergine! Da lei nacque Gesù Cristo, per opera dello Spirito Santo. Ma perché tanto prodigio e privilegio? In premio della purità di Maria, che fra tutte le creature fu la più pura, la più casta. » O anime fortunate che non avete ancora perduta la bella virtù della purità, deh! raddoppiate i vostri sforzi per conservarla. Custodite i sensi, invocate spesse volte Gesù e Maria, visitate Gesù nel SS. Sacramento, andate sovente alla Comunione, obbedite, pregate. Voi possedete un tesoro così bello, cosi grande, che fino gli Angeli ve lo invidiano. Voi siete, come dice il nostro stesso Redentore Gesù Cristo, voi siete simili agli angioli. Erunt sicut Angeli Dei in cœlo.» E voi che per vostra disgrazia l’avete giàperduta non iscoraggiatevi. Le giaculatorie,le frequenti e buone confessioni, lafuga delle occasioni, le visite a Gesù viaiuteranno a ricuperarla. Fate ogni vostrosforzo; non temete; la vittoria sarà vostra,perché la grazia di Dio non mancherà mai.Un posto vi è ancora per voi nel cielo,così bello, cosi maestoso, al cui confrontosono come fango e spariscono i troni deipiù ricchi principi e più potenti imperatoriche siano stati e che potranno mai essere sovra questa terra. Sarete circondati eziandiodi tanta gloria, che lingua né umanané angelica potrà mai spiegare. Potrete ancoragodere della cara, bella compagnia diGesù e di Maria, di quella nostra buonaMadre che colà ansiosa ci aspetta ».Concludiamo con un altro pensiero beneappropriato di don Bosco: « Maria è la scala di Giacobbe che aveva per sua base la terra e stendeva la sua estremità fino a toccare il cielo, giacché è per mezzo di Maria che le terrene creature si congiungono con le celesti, come la scala veduta da Giacobbe congiungeva in certo modo il cielo con la terra ».

DIVERSI ASPETTI DELLA PUREZZA.

Precisiamo, ora, le diverse forme della purezza. Esse sono: la purezza di cuore, e cioè la purezza del corpo, o meglio dei sensi; la purezza di coscienza, la purezza di intenzione. Per non estenderci soverchiamente, ci limiteremo a richiamare l’assoluta necessità della purezza di cuore. Infatti, solo i puri di cuore vedranno Dio, secondo la promessa del Salvatore: Beati coloro che hanno il cuore puro, perché vedranno Dio (Beati mundo corde quoniam ipsi Deum videbunt Matth., V, 8). La purezza del cuore è sempre accompagnata dalla prudenza e dall’umiltà. Queste virtù ci fanno conoscere qual è il vero bene e facilmente ci ritraggono dai beni falsi e malvagi per indirizzarci, più sicuramente, al vero Bene ch’è il Signore. Tra i beni falsi e malvagi viene, anzitutto, la sensualità. L’anima desiderosa di vivere unita con Dio, deve amare, e preferire sempre, a qualunque costo, la purezza. Questa virtù angelica, accompagnata e sorretta dall’umiltà e dalla prudenza, dovrà sempre fuggire tutto ciò che può essere, anche lontanamente, pericolo od occasione di peccato, e, soprattutto, dovrà fuggire quei beni che portano il nome di beni e piaceri corporali, o sensuali. Essi rendono schiavo il corpo e atrofizzano ogni slancio dello spirito. « Ne consegue, per tanto, che per conservare il dominio di sé e mantenere l’animo mondo, bisogna saper rinunciare ai piaceri dei sensi, anche per quella parte in cui sono permessi. » Senza questo allenamento dello spirito, prodotto dalla castità, l’uomo diventa preda e zimbello delle soddisfazioni corporali e due giudizi, che don Bosco dichiarò poi rispondenti a verità. « Don Bosco ha due grandi segreti, che sono la chiave di tutto il bene operato dai suoi. In primo luogo egli imbeve talmente i giovani delle pratiche di pietà che, quasi direi, li inebria. I giovani così impressionati, non osano quasi più, anche volendo, fare il male; non hanno i mezzi di farlo; devono assolutamente muovere contro la corrente per divenir cattivi; trascurando le pratiche di pietà si troverebbero come pesci fuor d’acqua.… Ma come fare a tenere tanti chierici e preti giovani, nel ministero più pericoloso, nell’età più critica, senza ch’eglino stessi cadano? Qui è il secondo segreto. Don Bosco accumula su ciascuno tante cose da fare, li carica di tante faccende, di tanti pensieri e sollecitudini, che non hanno neppure il tempo di volgere la mente ad altro. Chi può appena respirare, pensate se può essere tratto al male! ». Giunte all’orecchio di don Bosco queste osservazioni, egli cosi le commenta: « Mi pare che siano veramente due belle e buone verità. Quanto alle pratiche di pietà, si cerca di non opprimere i giovani, anzi di non istancarli mai; si fa che siano come l’aria, la quale non opprime, non istanca mai, sebbene noi ne portiamo sulle spalle una colonna pesantissima: la ragione è che interamente ci circonda, interamente c’investe dentro e fuori. Che poi si lavori molto. eh si!… specialmente quest’anno ». Si erano aperte in quell’anno 1878 venti nuove case (P. BARALE in Credere (V, 4). Roma, 1936).

PRATICHE DI PIETÀ E LAVORO.

Pratiche di pietà e lavoro.. L’elevazione della mente a Dio, per mezzo della preghiera, e il dominio delle forze fisiche per mezzo del lavoro che mortifica e castiga e che, pure, a sua volta, offerto a Dio, diviene preghiera, sono due mezzi efficacissimi, due propulsori, e due preservativi della purezza del cuore per la vita interiore.

LA VITA INTERIORE (21)

LA VITA INTERIORE E LE SUE SORGENTI (21)

Sac. Dott. GIOVANNI BATTISTA CALVI

con prefazione di Mons. Alfredo Cavagna Assistente Ecclesiastico Centr. G. F. di A. C.

Ristampa della 4° edizione – Riveduta.

LUCE DIFFUSA

LA RICONOSCENZA E IL RINGRAZIAMENTO

NEGLIGENZA INESPLICABILE.

Noi siamo soliti, almeno, a parole, dire, ripetere a sazietà, il «grazie» a chi ci fa, o sembra farci, un qualunque beneficio, o ci concede un favore, anche se insignificante. Non indaghiamo se, e fino a che punto, questi «grazie, grazie » abbiano radici nel cuore e disposizioni pratiche corrispondenti nella volontà. Tuttavia, se questo nostro sentimento di riconoscenza, questa manifestazione di ringraziamento è abbastanza comune verso i nostri simili, non lo è, purtroppo, egualmente verso Dio nostro Padre e massimo benefattore. – Il fatto fu, e lo è continuamente ancora, constatato da molti santi, da tante anime pie che se ne mostrarono, e se ne mostrano sconsolati: «se vi è cosa di cui non si sappia spiegare la completa assenza nella religione pratica della maggior parte degli uomini — dice il P. Faber (Tutto per Gesù. Torino – S.E.I., pag. 215.) — è il ringraziamento. È ben difficile esagerare la negligenza che molti dimostrano riguardo a questo dovere; si fanno certamente poche preghiere, ma si fanno meno ancora ringraziamenti. Se un milione di Pater e di Ave s’innalzano dalla terra per domandare a Dio di allontanare da noi tutti i mali e per far discendere le sue grazie, quante di queste preghiere si diranno poi per ringraziare Dio dei mali da cui ci ha liberati e delle grazie che ci ha date? Ohimé! è troppo facile trovare la causa di questa ingratitudine: alla preghiera ci spinge naturalmente il nostro interesse, ma la riconoscenza è inspirata solo dall’amore ». Il corsivo di queste ultime righe è mio; ed è per rimarcare questa dolorosa affermazione che, purtroppo, corrisponde alla realtà dei fatti!

IL DOLORE DEL CUORE DI GESÙ.

Proprio per questa mancanza di riconoscenza, dopo la guarigione miracolosa dei dieci lebbrosi, Gesù, come fedelmente san Luca (XVII, 12-17) riferisce, uscì in una espressione piena di dolore, vedendo che uno solo fra i dieci, ed era un samaritano, aveva sentito il dovere di ritornare da Lui per ringraziarlo. « E come (Gesù) stava per entrare in un villaggio, gli si fecero incontro dieci lebbrosi, che si tennero a distanza ed, elevando la voce, esclamarono: “ Gesù, Maestro, abbi pietà di noi! ’’. A quella vista Egli disse loro: Andate a mostrarvi ai sacerdoti. » E mentre vi andavano, furono guariti.

» Or, uno di essi, vedendosi guarito, tornò indietro glorificando Dio ad alta voce, e si gettò con la faccia a terra davanti ai piedi (di Gesù) a ringraziarlo; ed egli era un Samaritano.

» Prese allora a dire Gesù: Non sono stati guariti tutti e dieci? E dove sono gli altri nove? Non s’è trovato nessun’altro, che sia tornato a rendere gloria a Dio, se non questo straniero?

» E a lui soggiunse: Alzati, va’; la tua fede ti ha salvato ». Una semplice considerazione. Risalta evidente, nei lebbrosi, il contrasto tra la condotta anteriore e quella posteriore alla guarigione. Prima della guarigione, il desiderio d’essere esauditi « li rendeva ossequiosi e prudenti; stavano in distanza per timore di irritarlo (Gesù) con l’avvicinarglisi troppo…; alzavano la voce dicendo: “ Gesù, Maestro, abbi pietà di noi”. Compiuto poi il miracolo, nove di loro, pieni di una gioia egoistica, andarono a presentarsi ai sacerdoti: ma uno, “uno solo… vedendosi guarito… si prostrò al piedi di Gesù e lo ringraziò » (Faber, op. c., p. 216). Di qui la sorpresa, la meraviglia, l’afflizione del Cuore di Gesù. La riconoscenza, ch’è un dovere d’amore, era stata soffocata dall’egoismo… negli altri nove lebbrosi guariti. – A parecchi secoli di distanza, Gesù ci fa sentire ancora lo stesso lamento. Santa Matilde, in preghiera davanti al santo Tabernacolo, aveva domandato a Gesù che cosa gli piacesse di più nell’uomo, e Gesù così, benevolmente, le rispose: « Il mio più vivo piacere è ch’egli mediti con profonda riconoscenza, e ricordi sempre sempre le ingiurie che ho sofferte nei miei trentatré anni, la miseria in cui vissi, gli affronti sopportati dalle mie creature ed infine quanto soffersi in Croce morendo nella più amara ed atroce delle morti per amore dell’uomo, per redimere l’anima sua col mio prezioso Sangue e farne una sposa fedele. Vorrei che ognuno mi fosse grato per un tanto beneficio, di gratitudine tenerissima, come se tutto avessi sofferto solo per lui ». Ogni anima deve ritenere rivolto a se stessa questo invito di Gesù, ricordare queste parole, meditarle, conformare e coordinare, secondo il giusto e santo desiderio del Maestro divino, i pensieri, le parole, le opere.

IL RINGRAZIAMENTO È DOVEROSO.

Non solo per un bisogno del cuore nostro; non solo pel desiderio giustissimo e per il diritto che ne ha Gesù, ma, anche perché la riconoscenza è vivamente consigliata, suggerita, comandata dai Santi e dai Padri della Chiesa. La miglior guida, in questo, come dice il P. Faber, è l’autorità della S. Scrittura. L’apostolo Paolo scrivendo agli Efesini, dice che Noi dobbiamo rendere grazie di tutte le cose a Dio Padre in nome di Gesù Cristo (Ef., V, 20). Ai fedeli di Corinto dice: «Fratelli, sempre rendo grazia per voi al mio Dio, per la grazia di Dio che vi è stata data…» (I Cor., 1-4). E ancora: « Dobbiamo abbondare con tutta la semplicità che opera in noi, ringraziando Dio» (II Cor., IX, 11). Ecco l’ammonimento che dà ai Filippesi: « Non desiderate nulla, ma in ogni occasione esprimete il vostro desiderio a Dio con la preghiera, con le suppliche e col ringraziamento » (Filip., IV, 6). – E ai Colossesi: «Poiché avete ricevuto il Signor nostro Gesù Cristo, camminate in lui, appoggiati su di lui e edificati in lui e confermati nella fede come l’avete appreso, rendendo, per mezzo di lui grazie abbondanti » (Col., II, n). Più avanti, ancora: « Non trascurate la preghiera, ma vigilate attentamente nei vostri ringraziamenti » (Col., IV, 2). Rivolto a Timoteo, afferma che: « ogni creatura di Dio è buona, e non bisogna rifiutare nulla di ciò che si riceve con ringraziamento» (I Tim., IV, 3). Indirizzandosi ai Romani dice: « E il carattere dei Gentili era tale che, sebbene conoscessero Dio, non lo glorificavano come Dio e non lo ringraziavano » (Rom., I, 21). La lode e il ringraziamento sono la delizia più grande degli Angeli e dei Santi in Paradiso; saranno anche la nostra occupazione, per così dire, più gradita in cielo. – Nell’Apocalisse di S. Giovanni, il linguaggio degli Angeli, dei seniori e di tutte le creature viventi si riduce alle seguenti parole: Amen! Benedizione e gloria, sapienza, grazia, onore, potenza e forza al nostro Dio, in tutti i secoli! Amen. – Gesù disse a santa Brigida che il ringraziamento è uno dei fini dell’istituzione del S. Sacrificio della Messa: Il mio corpo, le disse, è ogni giorno immolato su l’altare, affinché gli uomini che mi amano si ricordino più spesso dei miei benefici. Ringraziate Dio, dice san Bernardo, e voti ne riceverete dei favori sempre più grandi. – S. Lorenzo Giustiniani, nel suo Trattato dell’obbedienza, così si esprime: «Chi volesse, egli dice, contare tutti i benefici di Dio, somiglierebbe a chi si sforzasse di racchiudere le potenti acque dell’immenso oceano in un piccolo vaso… E più avanti: Mostrate soltanto a Dio che voi siete riconoscenti di quello che vi ha dato, ed Egli verserà sopra di voi dei favori sempre più abbondanti ». – San Paolo della Croce, durante una sua grave malattia, passava le ore e i giorni nel ringraziare e lodare Dio, ripetendo sovente con particolare attenzione e devozione quelle parole del Gloria in excelsis: « Noi ti ringraziamo per la tua grande gloria ». Alla maggior gloria di Dio era la frase, la giaculatoria, il motto araldico preferito di S. Ignatio di Lojola, lasciato in eredità alla Compagnia di Gesù. – Una grande caratteristica del santo don Bosco fu la sua immensa riconoscenza: verso Dio soprattutto; per Maria SS. Ausiliatrice, che chiamava la sua Regina potente, la sua ispiratrice, e alla quale tutto solo e sempre attribuiva; pei suoi collaboratori, pei suoi benefattori, pei suoi alunni stessi, per chiunque gli avesse fatto anche il minimo benefizio… La gratitudine è l’anima della religione, dell’amore filiale, dell’amore a quelli che ci amano, dell’amore alla società umana, dalla quale ci vengono tanta protezione e tante dolcezze. Tutte le astuzie per giustificare l’ingratitudine, sono vane; l’ingrato è vile. Così il mite e grande Silvio Pellico che, per avere molto sofferto, era specialmente indicato e qualificato nel ringraziare anche per le minime attenzioni che gli si usavano.

MOTIVI DI RICONOSCENZA.

Noi dobbiamo ringraziare continuamente il Signore per tutti i suoi benefizi. Anzitutto pei suoi benefizi generali, cioè quelli che concede a tutti gli uomini indistintamente, come: la creazione, la conservazione, la redenzione, il perdono dei nostri peccati, tutte le grazie della santa umanità di Gesù, i gloriosi privilegi della Madre di Dio e tutto lo splendore degli Angeli e dei Santi. Indi, dobbiamo ringraziare il Signore per tutti i favori, pubblici e privati, che, nella sua misericordia, diede a ciascuno di noi personalmente, individualmente. Tutti i grandissimi beni dell’anima e del corpo; la grazia dei sacramenti, le sante ispirazioni, gli aiuti speciali per la nostra perfezione e santificazione. – Di più: san Giovanni Crisostomo voleva pure che si ricordassero con particolare riconoscenza i benefizi nascosti che Dio ci diede a nostra insaputa. « Il Signore, egli dice, è una sorgente abbondante di clemenza, le cui acque scorrono su di noi e intorno a noi, anche quando non lo sappiamo ». – Per questi, e per tanti altri motivi di ringraziamento, la Chiesa ci insegna il modo di manifestare a Dio la nostra gratitudine. Nel prefazio della S. Messa si trovano queste belle parole: Vere dignum et justum est… nos tibi semper et ubique gratias agere: è cosa veramente degna e giusta che noi ti ringraziamo sempre, o Signore… Sempre e ovunque, perché — in qualunque luogo — non v’è momento, che non sia un benefizio del Signore. Presso il popolo giudaico vediamo con grande ammirazione che non appena il Signore aveva concesso qualche benefizio al suo popolo, questi cantava subito un inno di lode e di ringraziamento a Dio suo massimo, insuperabile benefattore. Ci risuonano nell’anima le parole del Salmista: Quid retribuam Domino pro omnibus quæ retribuit mihi? — Che potrò io mai rendere al Signore per tutti i benefizi che ho da Lui ricevuti? — Come non ricordare, qui, il meraviglioso cantico della Vergine Santissima quando, nell’entrare in casa della cugina Elisabetta, uscì in quel meraviglioso: Magnificat anima mea Dominum? Questi esempi, questi motivi debbono indurre anche le anime nostre a cantare le glorie del Signore, a dirgli di continuo tutta la nostra più filiale riconoscenza! Questo, però, non basta. Il modo e il mezzo più bello per ringraziare Dio pei suoi benefizi, è quello di farne buon uso, servendoci dei benefizi e dei doni stessi per aumentare la sua gloria e procurare la salvezza della nostra anima.

NELLE TRIBOLAZIONI DELLA VITA.

Se, generalmente parlando, poche sono le anime che sentono e comprendono appieno la necessità del ringraziamento, della laus perennis al Creatore per tutti i favori e i benefizi da Lui ricevuti, pochissime sono, certamente, quelle che comprendono il dovere della riconoscenza, del ringraziamento a Dio per le tribolazioni, per i dolori, per le contrarietà d’ogni genere che Dio manda, o permette, alle anime. Difficilmente gli uomini ricordano che Dio è Padre, e soprattutto Padre buono, Padre tenerissimo che vuole solo il nostro bene, e che pel nostro bene tutto dispone con ordine, peso e misura. Se questo concetto fosse sempre tenuto presente dalle anime, non vi dovrebb’essere difficoltà di sorta a persuaderci della verità delle parole di Giobbe: Se abbiamo ricevuto con gioia i benefici dalla mano del Signore, perché non dovremmo accettare, egualmente, i mali che egli ci manda? «Non crediamo, dice il P. Faber (Op. cit, p. 236-7), che si esiga da noi un sacrificio troppo grande, quando ci viene raccomandato di ringraziare Dio di tutte le afflizioni, di tutte le tribolazioni a cui fummo sottoposti nel passato e che soffriamo ancora presentemente… – San Giovanni d’Avila soleva dire che un solo Deo gratias di un cuore afflitto vale più di parecchie migliaia di esclamazioni simili in mezzo alla prosperità ». « No, dice sant’Antioco, noi non possiamo dire di una persona ch’è veramente riconoscente, finché non l’abbiamo veduta ringraziare di cuore Dio in mezzo alle avversità… San Giovanni Crisostomo, nelle sue omelie su l’Epistola agli Efesini, dice che noi dobbiamo ringraziare Dio anche per l’inferno e per i tormenti che vi si soffrono, perché nulla ci aiuta tanto a dominare le nostre passioni, quanto il pensiero di quei supplizi. – Come possiamo accettare le tribolazioni?- Facciamo nostro il pensiero del Tissot (La vita interiore semplificata, pag. 288. Torino, 1913). Dobbiamo accettare le sofferenze con gratitudine, non con gioia, perché questa non dipende da noi. Da noi dipende la riconoscenza; da Dio la gioia. Come regola generale, teniamo la massima favorita di S. Francesco di Sales: nulla chiedere, nulla rifiutare. Questa massima può servire molto bene di formula alla condotta cristiana attraverso le desolazioni e le consolazioni. L’anima, poi, che vuole realmente amare Gesù e seguirlo, gli sarà altresì riconoscente per le sofferenze ch’egli ha, per noi, sopportate. – Come non ricordare, senza commuoversi intensamente, tutte le prove di amore nel dolore, nel sacrificio totale di sé, nel rinnegamento assoluto e perfetto, nella desolazione completa che Gesù volle soffrire per la redenzione delle anime nostre? Giustamente possiamo ricordare e ripetere: Tota Jesu Christi vita, crux fuit et martyrium. Non basta. Gesù dispone, nella sua infinita sapienza, che i dolori da noi sofferti con rassegnazione e per amor suo, in questa vita, siano ordinati a farci evitare le sofferenze del Purgatorio…

IL MALE DELL’INGRATITUDINE.

Per mostrare quanto grave male sia l’ingratitudine, ricordiamo ancora il dolore provato da Gesù nel vedersi comparire davanti, per ringraziarlo, soltanto uno dei dieci lebbrosi da lui beneficati e guariti. Uno solo dei dieci sentì e compì il grave dovere della riconoscenza! Presso gli uomini, l’ingrato è giudicato vile, è disprezzato, odiato, fuggito, costretto a vivere nell’isolamento e nell’abbandono. « Ma se il vizio dell’ingratitudine è odioso in faccia agli uomini, ed è da tutti giustamente condannato; tanto più lo è in faccia a Dio, e da lui perciò è severamente condannato. L’ingratitudine arresta il corso dei benefizi di Dio, dissecca la sorgente della pietà, e mette ostacoli a tutti i disegni di Dio su di noi » (Morino, Il Tesoro evangelico, III, pag. 363). Perché tanto dispiacciono a Dio gli ingrati? Perché, più col fatto che colle parole, essi dicono a Dio che non hanno più bisogno di Lui. E in seguito a tale condotta che il Signore ha fatto sentire i penosissimi lamenti verso i Giudei! … Popule meus, quid feci tibi? Aut in quo contristavi te? Responde mihi! Quia eduxi te de terra Aegypti parasti crucem Salvatori tuo! – Gli Israeliti dimostrarono ingratitudine a Mosè che in nome di Dio li aveva liberati dalla schiavitù d’Egitto; dimostrarono ingratitudine a Dio che nel deserto li aveva nutriti con la manna, cibo disceso dal cielo; dimostrarono ingratitudine per essere stati avviati alla terra promessa… Per tutti questi e per altri molti segni di ingratitudine, gli Israeliti de’ quali Dio si lamentò, furono da lui maledetti e nessuno di essi penetrò in quella terra promessa. Quante anime cristiane, già tanto beneficate da Dio, non entreranno nel regno dei cieli per la loro ingratitudine! È straziante il lamento che Dio fece sentire al suo popolo per mezzo del profeta Isaia: Udite, o cieli, e tu, o terra, ascolta: ho nutrito ed esaltati dei figli, ma essi mi hanno disprezzato. Il bue distingue il suo padrone, e il giumento la greppia del suo signore, ma il mio popolo non mi riconosce e non vuole intendermi: oh! guai a questo popolo ingrato e prevaricatore! Perché il Signore non si disgusti, non si stanchi di noi, non abbia a punirci severamente, cerchiamo di dirgli e dargli, in teoria e in pratica, tutta la nostra più viva, più sentita, più filiale riconoscenza.

LA GRATITUDINE E IL RINGRAZIAMENTO CI PORTANO ALLA SANTITÀ.

Narrano i biografi di santa Geltrude ch’ella si offerse, una mattina, durante la celebrazione della S. Messa, proprio nel momento dell’elevazione, in ringraziamento al Padre celeste per tanti benefizi da Lui ricevuti, e comprendendo poi che in quell’offerta doveva unirsi ai sentimenti del Cuore di Gesù, si prostrò con la faccia per terra e così disse al Padre Celeste: Mi offro con Gesù per tutto quello che può contribuire meglio alla vostra gloria. Appena detto questo Ebbe immediatamente la gioia sovrumana di vedere Gesù prostrato alla sua destra, e di sentire da Lui le seguenti parole: Io e quest’anima siamo una cosa sola. E subito la Santa di rimando a Gesù: « Oh Signore! anch’io sono tutta vostra ». Dice il Faber (Tutto per Ges, p.270): «Il crescere in santità non è altro che ricevere continuamente nuove grazie con le quali Dio ricompensa ciascuno degli atti con cui noi corrispondiamo alle grazie che già ci ha fatto, e noi sappiamo che nessuna cosa può attirare su di noi grazie così abbondanti o invitare Dio a versare su di noi i suoi tesori, quanto la divozione del ringraziamento ». Se la lode e il ringraziamento sono la vita degli Angeli e dei Santi e saranno la nostra occupazione nel Paradiso, il lodare e il ringraziare Dio ora, mentre siamo su la terra, nel pellegrinaggio in questa valle di lagrime, non è forse, un paradiso anticipato, e perciò l’unione nostra con Dio? – « Nulla, dice il Tissot (La vita interiore semplificata, Torino,1913), è forse così potente quanto questo ringraziamento per il progresso spirituale dell’anima; nulla porta la vita con tanta abbondanza ed impetuosità fino nelle intime fibre, poiché nulla apre così pienamente la via .a Dio. Questa sola pratica basterebbe a santificare l’anima in poco tempo; sarebbe in me la garanzia di tutte le virtù e la condizione del loro progresso ». – In breve: la riconoscenza e il ringraziamento a Dio ci fanno vivere contenti e soddisfatti di tutto nella vita cristiana; ci sorreggono nel lavorare e sopportare tutto per la gloria di Dio; ci aiutano a considerare proprio come nostri gli interessi di Gesù. Queste considerazioni vengono avvalorate dal seguente pensiero di S. Bernardo: «Il mare è origine di tutte le sorgenti e di tutti i fiumi; ma di tutte le virtù e di ogni scienza è principio Gesù Cristo: la continenza, la purezza del cuore, la rettitudine della volontà, traggono la vita da questa fonte. Pel ringraziamento questo fiume celeste ritorni al suo principio, affinché continui ad irrigare la terra». Giustamente quindi il pio autore dell’Imitazione di Cristo poté dire: « Sii dunque grato per ogni piccola cosa, e sarai fatto degno di riceverne delle maggiori » (V, 21).

Signore, che posso rendervi io, povera creatura, per tanti benefici? Che posso rendervi che non sia indegno di voi? Benché voi non abbiate bisogno dei miei beni (Salmo XV, 2) è tuttavia giusto ch’io riconosca la vostra bontà infinita verso di me.

C. MARMION.

LA VITA INTERIORE (20)

LA VITA INTERIORE E LE SUE SORGENTI (20)

  • Sac. Dott. GIOVANNI BATTISTA CALVI

Sac. Dott. GIOVANNI BATTISTA CALVI

con prefazione di Mons. Alfredo Cavagna Assistente Ecclesiastico Centr. G. F. di A. C.

Ristampa della 4° edizione – Riveduta.

LUCE DIFFUSA

L’AMORE PER DIO

L’AMORE PURO.

Dio è per noi il Padre più affettuoso. Tanto ci ha amato, e ci ama, che non esitò a permettere, e volere, il sacrificio del suo unico Figliuolo. Ci ha colmato di benefizi che non è possibile numerare. Ci ha perseguitato, e ci perseguita, col suo amore. Per noi ha creato il premio eterno e ci vuole salvi nell’eternità felice, in unione con lui. Dovremmo volere e sapere amarlo tanto non da riuscire a ricompensarlo, ché sarebbe impossibile, ma in modo da potergli dire: eccomi, o Signore, sono tutto tuo, e ti voglio amare ad ogni costo, per sempre, interamente e unicamente. Tu sei l’unico Amore, la sola Realtà. Poiché l’amor puro è l’amore di Dio interamente staccato è liberato dall’amor proprio, dovremmo sentirci tanto generosi da ripetere l’atto di amore puro espresso da santa Teresa: « Se io vi amo, o Signore, non è punto per il Cielo che mi avete promesso; se io temo di offendervi, non è neppure per l’inferno che avete minacciato: ciò che mi attrae verso di Voi, o mio Dio, siete Voi, Voi solo: è di vedervi inchiodato sulla croce col corpo straziato, nelle angosce della morte. E il vostro amore si è fatto così padrone del mio cuore che se anche non vi fosse il Cielo, io vi amerei ugualmente; quando anche non vi fosse l’inferno, io avrei timore di Voi. Nessun vostro dono può provocare il mio amore: perché anche non sperando ciò che spero, io vi amerei ugualmente come vi amo » (Storia di santa Teresa dei Bollandisti. Tomo II, cap. 31). Con questa espressione di amore non v’è in atto, nessun sentimento di speranza, né un desiderio di ricambio o di ricompensa; perciò così si ama Dio soltanto per il bene di lui stesso e non per il nostro. Se non che, questo è solo possibile, momentaneamente, cioè come atto transitorio. L’amore, cioè la carità, non può esistere nella nostra volontà se non come conseguenza della speranza. Non solo, dunque, noi dobbiamo cercare di amare Dio per sé, per le sue perfezioni, ma anche perché è il mostro vero bene; perché a Lui dobbiamo tendere continuamente, e in Lui dobbiamo vivere. Cioè: per la nostra unione con Lui!

ATTRAZIONE E SACRIFICIO GENEROSO DEL CUORE.

Trovo, in un libro (G. MAINETTI, Una educatrice nella luce di S. Giovanni Bosco. Torino – L.I.C.E.) molto interessante, riflessi di un’anima ardente di amore pel suo Dio, fino all’immolazione. Narra l’autrice: « È un mattino ardente di sole nel cielo puro e su la terra lussureggiante di vegetazione: 5 agosto: primo anniversario della vestizione religiosa di Madre Maria Mazzarello (ora Venerabile) e delle sue prime compagne. – 5 Agosto 1873. – Nelle mani del Fondatore S. Giovanni Bosco, la giovine discendente dei Conti Bellegarde de Saint Lary, depone il suo passato di speranze, di umiliazioni, di lotte, di patimenti, e anche di aspirazioni che non hanno più ragione di essere, nel suo cuore, per incominciare una nuova vita; fu una tappa, una sosta: ora bisogna riprendere il cammino scabro ancora, ma illuminato da un’altra luce, da un’altra speranza… Depone gli ornamenti del mondo, per rivestire quelli della vergine sposa di Dio. Suor Emilia Mosca è novizia. – Un anno dopo: 14 giugno 1874. – Fuori biondeggiano le spighe; luccicano i pampini sotto il bel sole che ricerca i grappoletti ancor verdi sui tralci; dentro la cappellina ornata a festa della bianca solitaria casa, otto giovani novizie pronunciano i sacri voti di povertà, castità, obbedienza: voti temporanei avanti alla Chiesa; perpetui nel sentimento, nel desiderio, nella volontà delle otto giovani suore. Li riceve don Bosco, il Fondatore santo. Poi la voce di lui si leva dolce e solenne nel trepido silenzio, a commentare il detto del divino Maestro: Nessuno che, dopo aver messo mano all’aratro, volga lo sguardo indietro, è atto per il Regno di Dio (Luca, IX, 62). – Una protesta si dipinge sui visi ombrati dal sacro velo; una protesta di fedeltà, per sempre). Per ogni anima, la vera letizia che non ha confine è questa: sentirsi figlia e sposa dell’Amore Divino!

LE STIGMATE DELL’AMORE.

La prova dell’amore è nel dolore serenamente accettato dalle mani di Dio: è nel compimento della sua santa volontà, qualunque essa sia, con tutte le nostre forze. Il dolore suol essere, sempre, la vera tempera dell’amore. L’amore per Gesù ha sostenuto i martiri e le vergini nel duro cimento. Parlo di Agnese, di Cecilia, di Sebastiano… L’amore per Gesù attrasse i giovani cuori a seguirlo generosamente nell’abbracciare la croce, e nel rinnegarsi; l’amore di Gesù fu luce e conforto inenarrabile, insuperabile alle anime desiderose di rivivere le sofferenze e la passione del maestro Divino. – Nella Messa di san Francesco d’Assisi v’è una sequenza molto bella che desidero qui ricordare (Cfr. il Messale Francescano; e OLGIATI, La pietà cristiana. Milano, 1935.): «La sequenza canta Francesco che, ritiratosi nella caverna di un monte, prega, proteso a terra, sino a che la serenità non sia concessa alla sua anima. Con la mortificazione egli riduce in tal modo il suo corpo, da non essere più se non l’ombra di sé; il suo cibo è la Scrittura; le cose della terra egli respinge con disdegno. Mentre in una profonda e silenziosa tristezza medita i misteri della Passione, un personaggio celeste, che porta i segni di Gesù Crocifisso, glieli imprime nella carne. Il suo corpo è piagato dalle sante stigmate; egli è ferito alle mani ed ai piedi e, trafitto nel lato destro, è tutto coperto di sangue». Ed ecco la mirabile dichiarazione: Non impressit hos natura, Non tortura mallei. Queste stigmate non gli furono fatte dalla natura; i chiodi non vi furono conficcati dal martello. Tutto è opera dell’amore… Dell’amore di Francesco per l’unico, vero, intero, perfetto Amore, per Gesù! – Ricordiamo ancora. Nel maggio 1920, Benedetto XV canonizzò undici suore Orsoline martiri della Rivoluzione Francese. Le vergini spose di Gesù, andarono al patibolo colla più grande gioia dello spirito per l’incontro, tanto bramato, dello sposo celeste. « Il Commissario della Rivoluzione le aveva condannate alla morte. Intorno al loro piccolo Crocifisso, avevano per tutta la notte implorato da Gesù la forza e la grazia per sostenere il martirio. Nelle loro anime la preghiera aveva portato la fortezza. E la più schietta e serena letizia splendeva sui loro volti. AI mattino furono condotte le sante vergini dinanzi ai loro carnefici, per venir trasportate al patibolo. Era costume che i condannati a morte dovessero essere spogliati di tutto: solo una tunica era ad essi lasciata. Ed i carnefici strapparono alle suore le sacre vesti, indossate nella primavera della vita, quando l’anima giovanile brilla d’amore verginale. Come vittime innocenti, esse non si opposero; ma tra le mani tenevano quasi un tesoro prezioso: la loro corona del santo Rosario. « Lasciateci la nostra corona », risposero ai carnefici che volevano strappare loro anche questo caro segno della loro pietà. « A che vi servirà un Rosario sopra il patibolo? », osservarono i carnefici. Anche il giudice rise; e diede ordine che venissero loro legate le mani e che i Rosari fossero posti sopra il loro capo, a formarne una corona. Le sante vergini ne furono contente… Andarono al martirio, collo stesso entusiasmo col quale, un giorno, dopo il noviziato, avevano offerto al Signore i loro voti solenni. Quando raggiunsero la ghigliottina, vollero baciare le mani dei carnefici, salutarono come trionfatrici la folla che assisteva commossa. Poste in fila onde ascendessero con ordine i gradini insanguinati del patibolo, era tanto il desiderio del martirio, che il boia dovette usare la sua forza, perché tutte volevano essere le prime a morire per Gesù, E mentre le anime delle sante eroine volavano in cielo a ricevere il premio della loro virtù, cadevano le loro teste, incoronate dal bell’emblema della Vergine del Rosario » (Cfr. OLGIATI, o. c., pag. 382-3). « NON VIVITUR IN AMORE NISI PER DOLOREM… » Sia benvenuto sempre il dolore: è la vera strada dell’amore. Solo così potremo ripetere con salda convinzione e totale aderenza l’espressione paolina: sovrabbondo di gioia nelle mie tribolazioni. Queste conducono all’Amore di Dio; l’amore di Dio ci porta all’unione con Dio!

L’abbandono, cioè l’amorosa sottomissione ai voleri di Dio, è condizione essenziale del vero progresso nell’Unione con Dio.

C. MARMION

LO SCUDO DELLA FEDE (200)

DIO GI LIBERI CHE SAPIENTI! CI VORREBBERO FAR PERDERE LA TESTA! (3)

PER Monsig. BELASIO

TORINO, 1878 – TIPOGRAFIA E LIBRERIA SALESIANA San Pier d’Arena – Nizza Marittima.

§1

Il principio di tutta l’ignoranza è la superbia di non voler credere in Dio. (PANTEISMO).

Spez. Eh, come le. ho detto, ridono di noi, che abbiamo un po’ di fede; e ci van dicendo: « Oh… ma noi non siamo i bimbi più da farci credere, come vogliono; noi abbiamo gli occhi aperti; e prima di credere vogliam conoscere, Veder bene e ragionare. »

Par. E voi togliete loro di bocca la parola, e dite pure ad essi:« Signorini belli, voi dite di non voler credere più niente; e intanto per sapere una qualche cosa, cominciate a credere sempre; e poi da buoni buoni pensate di conoscere da voi ciò che in prima avete creduto ad altri. Aspettate che ve lo farò capire. Senza credere, voi non potreste pur conoscervi chi siete; Ed in fatto, sapete voi di essere i tali, figliuoli dei tali signori genitori vostri?… E com’è che lo sapete? Lo. sapete solo, perché lo credete a chi ve l’ebbe detto. Se voi vorreste credere a quello solamente che toccate e conoscete, le vostre cognizioni si estenderebbero ben pochi metri intorno a voi. E com’è che voi sapete che vi è Parigi, Londra e financo le Americhe; che forse non vedrete mai? E sapete poi quello che si è fatto in secoli passati, e quello che si va ora facendo da voi lontano? Voi lo sapete, perché ve l’hanno detto; o lo leggete voi; dunque lo credete. Sicché voi che dite avere gli occhi aperti, cominciaste a credere alle vostre buone mamme, pazienza a quelle buone! Ad occhi chiusi credete poi ai maestri, ai professori, e quali!… e vi lasciate imporre da loro che vi si vendono per uomini grandi, e non son talvolta che ribaldi onorati! Poi finalmente, quando vi credete liberi di pensare a vostro nodo e vi date vanto di non lasciarvi infinocchiare, finite a credere ai compagni che vi si serrano ai panni, e vi lasciate menar da loro. Così credete nei libri ai morti, credete ai vivi, credete fino ai più tristi cialtroni e più indegni… oh che disgrazia! Solamente non vorreste credere a chi vi vuole un bene della vita per amore di Dio! Per me vi dico chiaro: è perché vi non pensate. Se vi fermate a pensare un poco; così intelligenti come siete, dovete credere per forza. Udite un fatterello che vi farà piacere. Fu, non è gran tempo, a Parigi un buon dotto avvocato, il sig. Guillelmin, il quale disse di ad un avvocatino che faceva pratica nel suo studio: « Signor Lacordaire, credete voi in Dio ed alla sua santa Religione? » Il giovane, pigliato così all’improvviso, alzò la testa, e lisciandosi i baffi con quell’aria che si danno gl’increduli, risponde: « Signor avvocato principale, io? … ma credo niente io. » E di ripicco il signor Guillelmin: « Ah! Non dite così, signor avvocatino, che avete tanto ingegno. Ché se fosse vero che voi non credeste proprio niente, sareste simile al can di casa e al ciuco dell’ortolano, i quali credono proprio nulla. Ma voi crederete almeno che. Siete qui … » –  L’avvocatino: «Oh! Si che io credo, perché io mi sento. » — « Bravo, credete voi poi anche che siete nato dai vostri buoni genitori, e che il vostro signor padre non si sarà fatto: da se stesso col temperino, né la vostra signora madre colla forbice, quando ancor non erano. Dovettero dunque i primi’ genitori essere stati formati dal Creatore. » — L’avvocatino piegò la fronte sulla mano per un istante; e disse, almeno allora sincero col proprio cuore: « Si!… se v’è il mondo creato, vi è certo il Creatore! » Vi pensò sopra… vi pensò bene; Lacordaire, che con un gran talento aveva un gran buon senso, converti; si fece celebre predicatore per far pensare agli altri a convertirsi.. E noi, buoni amici miei, e noi se non crediamo a Dio?…

Spez. Oh buon signor parroco mio, il ciel mi guardi ch’io ricordi Dio a questi tali! Non vogliono neppur sentirlo a nominare!… E mi van dicendo con un fare altero: « E che bisogno v’è di credere Dio, mentre noi sappiamo come il mondo fu formato senza Lui!

Par. Ricordatevi, mio buon amico, che con chi è matto non si ragiona. Piuttosto rispondete sorridendo: Ma che grandi teste, voi che la sapete così lunga! Però io vi voglio raccontarne una fresca fresca. Questa mattina io mi trovava davanti alla Stazione. Ed ecco là venirmi innanzi la macchina a vapore che sbuffava come un gran superbo, e tronfia della sua potenza si tirava appresso sopra le rotaie un gran numero di carri, e veran sopra uomini e bestie e tante cose d’altro. Mentre io la contemplava come in un vero incanto, e diceva meco: quanto fu potente d’ingegno e di mano l’uomo che ha congegnato un così bell’ordigno che va tanto bene! Allora mi si balza innanzi un grullone di stordito, e senza complimenti dice: « Oh! se siete voi ancora bene di quei tempi!… che non sapete che quella macchina non è stata fatta da nessuno! Io sì che ho la testa fina, ed ho scoperto come si è fatto tutto. Tutte quelle cose che vi son là dentro, erano sparse per la terra e dentro le viscere de’ monti, ed aspettavano le circostanze, come dice un gran libro d’un sapiente che, oh! è cima di dotti, il dottor Buchner. Allora il rame colla propria forza. cominciò a saltar fuori, e corse a lui incontro anche lo stagno, e fecer lega, però senza pensarvi, per diventar più forti, e diventaron così bronzo bell’e fatto. Allora anche il ferro volle colar giù fuor dai duri macigni; e bronzo e ferro, l’uno diventar bei pezzi; e l’altro lunghe spranghe. Si assottigliarono quindi in varie guise e diventarono ruote e, mostrando fuori i denti corsero ad ingranarsi nelle scanalature. Avreste allor veduto in mezzo a loro congegnati insieme saltare una caldaia piena d’acqua, e il vivo fuoco dire « sono qui io » e sotto, a riscaldarla. E l’acqua via in furia tutta in vapore, e nello scappar fuori spinger lo stantuffo che incontra, in tal maniera tutte queste cose per caso si trovaron d’accordo e fanno andar là tutto così bene. — Ma che? To’ che voi, signori, non credete a me che vi possa esser stato tale un matto? Eppure non siete voi che mi avete detto che vi fu un signor tale, il quale con un suo libro in mano vi venne a dire in robon da professore, e proprio in una città che voi qui conoscete, con una serietà da far ridere le telline che la sua scienza non ammette più il Creatore, che formò quest’immenso universo; ch’egli è venuto a scoprir bene che il mondo si formò da sé. Poi egli dice con tutta l’autorità che si ha da sé pigliato « se voi volete esser scienziati, dovete credere a quel che diciam noi: cioè che tutto è solo materia, e che in prima erano atomi, granellini come l’aria, ma più fini ancora, e per parlar più chiaro, un gran polverio senza fine, che gira gira, e in lui suoi granelli in confusione, precipitando gli uni sopra gli altri seppero formar da loro le stelle, il sole e questa terra, e soprappiù le piante in esse e gli animali, e poi e poi… fino noi così grandi uomini che. siamo, creati bell’e fatti da quel polverio!;;. « Oh! oh! esclama qui Voltaire, che pur fu uno dei loro, lasciate quel meschino di pazzerello che disse che una macchina non è fatta da un macchinista, come un orologio si facesse da sé senza orologiaio; lasciatelo pur fuori del manicomio, e chiudete, sarebbe meglio, dentro questi pazzeroni da catena che si dicono sapienti!

Spez. DIO CI LIBERI ! CHE SAPIENTI!… CI VORREBBERO FAR PERDERE LA TESTA!

Ma io vorrei sapere loro chiaramente dimostrare che non è vero che vi sian sempre stati gli atomi di quel nebbione, cioè che la materia di cui son composte queste cose della terra tutta, (giacché dicono che tutto é materia,) non è vero che sia eterna.

Par. Voi potrete ‘dimostrarlo facilmente assai. Cominciate a dir loro che se tutto è materia, e la materia è sempre stata eternamente, sarà dunque eternamente quale eternamente fu; perché non vi fu prima un Creatore che nel crearla l’abbia fatta in quella forma, e né vi fu altri mai che la cambiasse in altra forma. Ma voi vedete che la materia è li come cosa morta, e si può dire indifferente a pigliare quella forma che alcuno voglia e possa darle. La creta, per esempio, è li ferma sotto i piedi, ed il vasaio se l’impasta a modo suo, poi la fa muovere sul torno, e diventa un vaso; la montagna di sasso è morta e ferma lì da quanti secoli, chi lo sa? ed uno la rompe dentro e piglia un pezzo, ne fa una ruota, e la fa girare sui perni; e la ruota gira, finché una forza non la fermi ancora. Voi poi saprete come chi forma una macchina per far muovere qualche cosa materiale, calcola ben per far la macchina la forza necessaria per far produrre il movimento. Vi è dunque il Creatore che creò la materia in quella forma, poi la compose in mille modi da formare tutte queste cose materiali, e colla forza sua fa tutto andare nel bell’ordine mondiale.

Spez. Eh!eh! Ma essi dicon subito che ogni granellino di materia ha la sua forza, e che non vi è materia che non abbia la sua forza unita; e che non v’è forza che non sia unita alla materia; la qual forza la fa muover sempre.

Par. Non lasciateli correr tanto colla lingua sguinzagliata; ma fermateli a farvi spiegare ciò che voglion dire colle parole loro. Se voi lor domandate: Ma che cosa è questa materia che voi vi date l’aria di conoscer così bene? Oh!… restan li a bocca aperta, e non vi sapranno dire mai che cosa sia la materia. Poi domandate loro similmente che cosa sia questa forza che fa mover la materia. Io ho letto tanti autori che ne parlano da sapienti e non san dirmi niente. Questo è certo che la materia e le forze sono cose ben diverse fra di loro; perocché la materia sta ferma, e la forza la fa muovere; la materia è pesante, e come sasso slanciata in aria cade e sta; ma la forza è senza peso, come quella che fe’ volare in aria il sasso; l’una è la cosa spinta, l’altra è quella che la spinge. Non è vero adunque che tutto sia solo materia! Ora dite ancora a loro: è poi vero, che le forze che fan muover le materiali cose, siano insieme colla materia sempre unite? No, per certo, perché io, per esempio, agito il braccio e faccio girare una ruota se si muove la ruota e il braccio mio che prima erano li quieti. Non era adunque in loro in prima la forza che li fa muovere adesso. No, per certo, non è vero che le cose materiali abbian sempre unita seco una forza: voi, per esempio, al giuoco. battete a colpo netto una palla di bigliardo contro un’altra, e la palla investita. E mossa dalla vostra forza colpisce l’altra; la prima sta, si muove l’altra: dunque la forza che faceva muovere la prima, passò via da lei, e fa muover la seconda, Conchiudete adunque che la forza è quella che fa cominciare un movimento: e fare un movimento vuol dire cominciar a muoversi da un luogo per andare ad un altro luogo: e se le stelle, il sole, la terra e tutto si muove, v’è dunque il Creatore che cominciò a dar la forza di far muovere tutto.

Spez. Ma li avreste da udire come dicono essi di sapere che gli atomi di quel lor nebbione erano là già preparati e stavano tutti ad aspettare le circostanze, per discendere a far ciascuno la sua parte.

Par. To’ che costoro la sanno proprio lunga! Ma giacché corsero indietro colla fantasia. a vedere in sul principio gli atomi in quel nebbione, pregateli di far un passo ancora più in su, per sapere poi dire a noi chi li avesse là preparati e lavorati così bene da farli andare d’accordo insieme, per poi formare tante belle cose, Abbiamo poco fa detto che era matto chi diceva che la bella macchina a vapore non fu fatta da un bravo macchinista; or dite loro che vi accompagnino col pensiero in un gran laboratorio, in cui si fabbricano le macchine. Oh se vedeste tutto là ben preparato; tante ruote e spranghe e molle e piuoli, e quei denti in quelle ruote e quelle incavature e tanti altri oggetti con bel lavorio così ben finiti, che pare aspettino li di esser congegnati insieme! Certo che fu il bravo macchinista che formò ogni minuta cosa pel fine a cui la destinava. Or domandate loro se gli atomi in quel loro gran polverio erano già così bene preparati, chi li ebbe così ben preparati da poter unirsi insieme e formare le stelle, il sole, la terra e far andar in ordine quest’ammiranda immensa macchina dell’universo?

Spez. Ma la materia e la forza vanno così. ben regolate da leggi con lor eterne, dicon essi.

Par. Guardate mo’ come sono bricconi gl’increduli! di soppiatto ti metton dentro tutti gli intingoli per fare dalla buona gente ingollare il mal boccone senza che si accorga del veleno!… Dopo di aver sognato a fantasia la materia e le forze che la fanno muovere; ti metton dentro una cosettina che vien bene a far passare il tutto. Essa è solo una parolina, aggiuntavi, le leggi; ed il mondo deve andar bello e creato, Ma voi da bravo, fermate sulle lor lingue la parola leggi: e prima di lasciarla metter dentro, domandate loro che cosa intendono per leggi. La legge è ordine dato da chi comanda per far fare da altri quel che egli vuole. Ora se vi son leggi che fanno andare la materia e la forza non unite insieme a fare tutto così bene, vi deve essere il Legislatore Iddio che fa loro eseguire quello che vuole Egli. Che se non è Dio, qual sarà il legislatore?

Spez. Oh vel dicon subito: è la natura; e che gli atomi sono tali per natura, che le forze sono unite loro. per natura, e che le leggi che le regolano sono leggi di natura.

Par. Quanto debbon esser costoro fortunati di conoscere essi questa gran natura. Eh eh, che deve avere una forza immensa per poter raccogliere e chi sa dove? Tutto quello sterminato polverio di atomi, e preparare tanto materiale da comporre. le stelle, il sole, così grandi che in paragone di loro questa nostra terra, la quale con tutti i monti e mari e tutte cose in essa è pur grossetta alquanto, pure nuota come perduta nel vano sconfinato del firmamento! Bisogna proprio dire che la natura è onnipotente… Eh che testa dovette avere questa lor natura! Figuratevi! Mentre tutti i chimici, macchinisti con tutti i loro filosofi, professori sapientissimi vanno disperati di non avere ancora potuto nonché formare un pelo di animaluzzo o  una fogliolina d’erba, neppur un granellino di sabbia; ed ecco da questa natura che seppe inventare le piante cui mente d’uomo non avrebbe mai potuto immaginare se non fossero; e seppe congegnare quei fili e costoline e quelle vene, e nelle foglie e nelle radici quelle piccolissime boccucce! da ‘assorbirsi gli alimenti, e colorir le foglie e fare brillanti i fiori così belli. Ma questa natura le sapeva tutte! Fino sa far gli organi dei sensi agli animali, e metter dentro loro cuore e cervello e nervi e tante’altre meraviglie che il sapiente studia, studia e non finisce mai di ammirare!… Ed essa, la natura, pensa a tutto nel far tutto. Figuriamoci quanto dovette pensare nella sua sapienza solo a formar l’occhio nostro. Ella dovette dire: « voglio dar questo strumento od organo della vista per vedere le cose in mezzo a cui uno si trova. Ebbene lo metterò in alto all’uomo. Egli ha da camminare; ed io gli metterò 1’occhio innanzi sulla fronte; egli ha da guardare tutto intorno; ed io glielo farò rotondo. Per vedere ha da ricevere la luce dentro; ed io glielo farò trasparente come il vetro; ma per far che l’uomo veda, ha da ricevere dentro le immaginette delle cose; ed io gli metterò le palpebre per tenere la pupilla lucida come uno specchio, e metterlo poi anco sotto un velo per farlo riposare; ma la luce potrebbe esser troppo viva di abbruciare la vista; ed io metterò i peli delle ciglia a respingerla se punge troppo: ma poi sempre in moto a guardare qua e là si dovrà pel calorico diventar infuocato; ma io gli metterò d’intorno un po’ di acqua con cui si possa tenere sempre fresco…» Oh uomo, oh uomo, e tu non dici mai neppur un grazie! or pensa che quel che si dice dell’occhio, si è da dire di tutte le più minute parti del corpo umano!… Ed avrà fatto tutto la natura?…. Oh se bisogna dire che questa che dicono natura è sapientissima davvero! Al veder poi come colle sue leggi fa andar tutto in ordine il dì, la notte, le stagioni, e fa dalle piante e dagli animali produrre sempre novelle piante è sempre altri animali, e così provvede a tutto, bisogna dire per poco di ragione che si abbia, che questa che dicono natura è provvidentissima natura… Ma che!… ma che!… Una natura che fu sempre onnipotente, sapientissima, provvidentissima !.. Ah bravi, bravi… Gli cambiano il nome, ma vogliono dire Iddio. Ve l’ho detto che per necessità bisogna creder in Dio. Anche quando strillano di non voler credere in Dio, e perfidiano in negare il suo Nome; pur confessano di crederlo in realtà.

Spez. Ma no, signore, essi non dicono mica che la natura sia una gran persona; ma dicono che tutta insieme questa gran faraggine di materia, di forze e di leggi che forman l’universo, è la natura stessa.

Par. Oh! come ragionano da sapienti questi vostri signori! Udite adunque ciò che vengono essi a dire. In prima: che la natura è quella che formò e fa andare in ordine tutte le cose insieme; poi dicono, che tutte le cose insieme formano la natura: dunque, secondo essi, la natura creò la natura stessa. Però noi non abbiam poi da perdere più tanto tempo per rispondere a loro che parlano; e sanno anch’essi di non credere a quel che dicono. Diremo tutto in breve chiaramente. Ascoltate: La questione tra noi e i signori della bottega in fine si riduce a questo: che noi crediamo che Dio Eterno, Onnipotente e Sapientissimo creò il mondo e lo sostiene in ordine colla sua Provvidenza; e quei signori di bottega voglion dire che il mondo fu formato in un gran nebbione dalla materia, dalle forze e dalle leggi che giravano alla cieca sempre intorno furibonde, come tre orbi che fanno a bastonate. Ma, almeno almeno, questi tre orbi avessero avuto un lumicino di ragione; ché allora essi avrebbero potuto aggiustarsi tra loro certi colpi per benino. Signori, no; tra quei tre orbi, dicono i grandi sapienti, di ragione non v’era un briciolo; ma andavano là, come van sempre ancora, senza saper dove vanno; in tentativi infiniti, senza tentare di fare mai niente. Così quei muti, ciechi e senza cognizione, senza volere mai far niente; han fatto e cielo e terra e tutte piante ed animali, fino noi medesimi. Ma si può dire una più matta cosa?…

Spez.. Ha, ragione, signor parroco; ma che vuole? Son tutti nella … foia di negare che vi sia Dio!… Ah! vorrei io un po’ sapere perché hanno quel fuoco addosso!

Par. Ah! veramente mi fa male il cuore a dire perché hanno, la smania di negare Dio! Se lo sapessero i vostri amici signori della conversazione, che poi in fondo sono ancor buoni, ne resterebbero spaventati! È un orrore a dirlo: vi son di uomini così perdutamente guasti, che vorrebbero che Dio non fosse. Il pensiero di Dio benedetto Creatore è come un grande spettro che mette loro paura; e smaniano per toglierselo dinanzi dalla mente. Per loro la sola propria persona è come il dio, a cui piace loro tutto sacrificare. Non sapete che si dicono risoluti, anzi già pronti ad ammazzar tutti che non han la voglia di farsi pecore per loro? E perché non si dica che noi li calunniamo, dirovvi che vi son di loro tali così orrendamente audaci che lo stamparono in faccia al sole de’ nostri di. Udite le parole di un di loro (Marr): « Distruggiamo la fede in Dio, facciam la guerra ad ogni idea di religione… l’individuo co’ suoi appetiti e colle sue passioni, ecco il vero Dio. E poi muoia il popolo, muoia l’Allemagna, muoian tutte le nazioni; sbarazzato da tutti i fantasmi (di religione) l’uomo ricuperi la sua indipendenza » (Revue des deux mondes, an. 1850, pag. 208).

Spez. Basta, basta ; mi fan venir il freddo addosso al solo udirli. Ma se costoro arrivassero proprio a far creder al mondo che non vi è Dio, che potrebbero fare allora gli uomini?

Par. Eh! Ammazzarsi gli uni cogli altri, quando credessero convenisse all’interesse loro. E non vel dico io, ma è un grand’empio della lor compagnia, Rousseau, il quale disse: « Io non vorrei aver un servo, il quale non credesse  in Dio: perché se gli facessero gola i miei danari, studiato modo di farla franca, una qualche notte — mi pianterebbe un coltello nel cuore tranquillamente; perché dagli uomini avrebbe ben pensato come mettersi al sicuro, a Dio poi non crede. » Così gli uomini che son creati per formare una famiglia di fratelli da aiutarsi l’un coll’altro, diverrebbero una società di tigri, di leoni e di iene! Ditelo per carità ai vostri amici: che si guardino da questi che si vantano sapienti e si dicono filantropi innamorati dei popoli.

DIO CI LIBERI!… CHE SAPIENTI! CI VORREBBERO FAR PERDERE LA TESTA! CHE FILANTROPI! FAN L’AMORE AI POPOLI CO’ DENTI!…

LA VITA INTERIORE (19)

LA VITA INTERIORE E LE SUE SORGENTI (19)

Sac. Dott. GIOVANNI BATTISTA CALVI

con prefazione di Mons. Alfredo Cavagna Assistente Ecclesiastico Centr. G. F. di A. C.

Ristampa della 4° edizione – Riveduta.

LUCE DIFFUSA

LA DEVOZIONE AL CUORE SS. DI GESÙ

MOTIVO DI CONFORTO.

Non sono molti anni che, al solo sentir parlare di devozione al Cuore SS. di Gesù, si vedeva qualche sorrisetto tra gli ascoltatori o, magari, rannuvolarsi qualche volto, a seconda dei casi. Per gli uni, la devozione al S. Cuore era… una leggerezza; per gli altri, almeno una divozione inutile, un duplicato, un surrogato, una pietistica dimostrazione di coscienze sviate. Ora, per grazia di Dio, non è più così. Gli è un grande conforto il vedere, specialmente nel pomeriggio precedente il primo venerdì d’ogni mese, i confessionali nelle chiese assiepati di anime generose e desiderose di potersi presentare al banchetto eucaristico, in omaggio ai desideri che il Cuore SS. di Gesù volle, ripetutamente, manifestare. Come per la pratica del primo venerdì, così per le altre pratiche desiderate e suggerite da Gesù, la devozione al Suo Cuore Sacratissimo prese un vasto, profondo, intenso svolgimento.

IL SIGNIFICATO DI QUESTA DEVOZIONE

«Il Cuore di Gesù — riferisce santa Margherita (Mons. Lfeon Gautey, Vie et oeuvres de la B. Marguerite Marie, Parigi, 1935) — mi fece comprendere che questa devozione era come un ultimo sforzo del suo amore, che voleva favorire gli uomini in questi ultimi secoli di questa redenzione amorosa, per sottrarli all’impero di Satana che Egli voleva rovinare e collocarci sotto la dolce libertà del suo amore, che desiderava stabilire nel cuore di tutti quelli che volessero abbracciare questa devozione ». « Mi sembra che il gran desiderio di Nostro Signore, che nel suo Sacro Cuore sia onorato con qualche omaggio particolare, abbia lo scopo di rinnovare nelle anime gli effetti della sua redenzione, facendo di questo Sacro Cuore come un secondo mediatore tra Dio e gli uomini, i peccati dei quali si sono talmente moltiplicati, che è necessaria tutta l’estensione del suo potere per ottenere loro misericordia ». – « La devozione del suo Sacro Cuore contiene tesori incomprensibili, che Egli vuole siano riversati su tutti i cuori di buona volontà, perché questo è un ultimo sforzo dell’amore del Signore verso i peccatori, per condurli a penitenza e dar loro abbondantemente le sue grazie efficaci e santificanti per ottenere la loro salvezza ». « Questo Cuore divino è il tesoro del cielo, che ci è stato dato… come l’ultima scoperta del suo amore». Mediante la devozione al suo Cuore, Egli vuole acquistarsi « un numero infinito di servi fedeli, perfetti amici e di figli interamente devoti ». « I tesori di benedizioni e di grazie che questo Sacro Cuore racchiude, sono infiniti; io non so se vi sia nella vita spirituale alcun altro esercizio di devozione, che sia più atto ad elevare in poco tempo un’anima alla più alta perfezione, e a farle gustare le vere dolcezze che si trovano nel servizio di Gesù Cristo. Sì, lo dico con tutta sicurezza; se si sapesse quanto sia gradita a Gesù Cristo questa devozione, non vi sarebbe alcun Cristiano, per quanto poco amasse questo amabile Salvatore, che non là porrebbe subito in pratica ». – « Le anime religiose ritrarranno da essa tanti aiuti, che non sarà necessario altro mezzo per ristabilire il fervore primitivo e la più esatta regolarità nelle Comunità meno osservanti, per condurre all’apice della perfezione quelle che vivono nella più grande osservanza). « Quanto alle persone secolari, esse troveranno, per mezzo di questa amabile devozione, tutti gli aiuti necessari al loro stato, cioè, la pace nelle loro famiglie, il sollievo nei loro travagli, le benedizioni del cielo su tutte le loro imprese, la consolazione nelle loro miserie; ed è proprio in questo Sacro Cuore che esse troveranno un luogo di rifugio durante tutta la loro vita e principalmente neil’ora de!la morte. Ah! Come è dolce morire dopo avere avuto una tenera e costante devozione al Sacro Cuore di Gesù Cristo! ».  – « Il mio divino Maestro mi ha fatto conoscere che quelli che lavorano per la salvezza delle anime, lavoreranno con successo, e conosceranno l’arte di commuovere i cuori più induriti, se avranno una tenera devozione al suo Sacro Cuore, e si sforzeranno d’ispirarla e stabilirla ovunque ». « Infine. è evidente sotto ogni aspetto che non v’ha persona al mondo, la quale non riceverebbe ogni sorta di aiuti celesti, se avesse per Gesù Cristo un amore veramente fedele, quale è quello che gli si manifesta con la devozione al Suo Sacro Cuore ».

ECCO QUEL CUORE! UNA NUOVA VIA.

Vero è che, fin dal 1281, Gesù affidò alla religiosa benedettina Geltrude la missione di far conoscere le meraviglie della bontà e della misericordia del suo Cuore per la gloria del Padre celeste e la salvezza delle anime. Ma fu solo nel 1675 che, dal campo mistico riserbato dov’era rimasto, eredità di pochissime anime d’eccezione, il tesoro rivelato a santa Geltrude venne, nuovamente e incondizionatamente, manifestato a tutti gli uomini, per mezzo di santa Margherita, come reazione al movimento pseudoriformistico protestante e al giansenismo glaciale e mortifero, che dilagavano, atrofizzando ogni più santa espressione di spirituale elevazione. È in quel tempo che Gesù fece sentire la sua dolorosa constatazione: Ecco quel Cuore che tanto ha amato gli uomini e dai quali è stato così poco riamato. Fu allora che il Sacro Cuore suggerì una nuova via « la quale se ben si osserva, presenta queste tre note caratteristiche (Mons. F. OLGIATI, La pietà cristiana. Milano, 1935, pag. 135):

I. La conquista e l’universalità del suo Regno. « Contro l’impero di satana, Gesù vuol stabilire il suo regno d’amore». Non, adunque, una devozione tra le altre, ma una battaglia che deve estendersi a tutto il mondo per il trionfo del regno individuale e sociale di Cristo. La Madre Maria del Divin Cuore, nella sua lettera a Leone XIII, perché all’inizio del secolo vigesimo consacrasse al Cuore di Cristo tutto il mondo, dice: « Egli farà risplendere una nuova luce sul mondo intero…». Con lo splendore di questa luce i popoli e le nazioni saranno illuminati e col suo ardore riscaldati ». Ed ogni volta che si scorrono i documenti pontifici a proposito del Sacro Cuore, come ad es., la Miserentissimus Redemptor di Pio XI, rifioriscono sulle labbra, senza volerlo, — come giustamente scrive il P. Alcaniz — i passi numerosissimi in cui i Libri Sacri descrivono l’impero del Messia: « E dominerà da un mare all’altro, e dal fiume (Giordano o Eufrate) sino all’estremità della terra » (Salmo LXXI). « E si ricorderanno e si convertiranno al Signore tutti i confini della terra e si umilieranno avanti a Lui tutte le famiglie delle genti » (Salmo XXI).

2. La dedizione nostra. – Nelle grandi rivelazioni, l’attuazione del primo punto programmatico — la guerra a satana ed il trionfo di Cristo — è congiunta con la consacrazione dell’anima, che vuol seguire il vessillo del S. Cuore. Non per nulla, commenta ancora il P. Alcaniz, nella storia di tale devozione troviamo ad essa unita sempre l’idea di consacrazione: « Consacrazione del genere umano fatta da Leone XIII, e comandata si rinnovasse tutti gli anni da Pio XI; consacrazione di nazioni, provincie, municipii e consigli comunali; di diocesi e di parrocchie: di ordini religiosi, comunità, famiglie, officine; consacrazione frequentissima di individui ». Ed anche qui non materializziamo le iniziative dello spirito. La consacrazione non è solo una formula, una funzione, una festa: ma consiste nel mettere tutto a disposizione del Cuore di Gesù, le nostre energie, le nostre cose, le famiglie e i popoli; consiste, per dirla con santa Margherita Maria, nel « fare al suo Cuore un intero sacrificio di se stessi e di tutto ciò che da noi dipende », nell’affidare a Lui la nostra anima, la nostra libertà, il nostro corpo, le nostre attività, i nostri interessi, sicuri e fidenti nella sua parola: « Abbi tu cura del mio Cuore e delle mie cose; ed il mio Cuore avrà cura di te e delle tue ». Dire consacrazione è dire riparazione di chi non può restare freddo ed indifferente dinanzi al Dio del suo cuore, che viene oltraggiato, sputacchiato e crocifisso; è dire apostolato nelle sue varie forme: dall’apostolato della preghiera all’apostolato dell’azione; dall’apostolato che consiste nell’adempimento dei propri doveri, individuali, famigliari e sociali, e perciò del buon esempio, all’apostolato della sofferenza; dal lavoro per procurare al Sacro Cuore «tutta la gloria, l’amore, la lode che sarà in nostro potere », all’offerta di sè come vittime, desiderose «di sacrificarsi come un’ostia di immolazione al S. Cuore per il compimento dei suoi disegni ». Un unico ideale deve tormentare il nostro animo: non respirare — come del P. De La Colombière riferisce santa Margherita — se non per far amare, onorare, e glorificare il Cuore di Cristo e poter dire col santo gesuita: « Il mio cuore è insensibile a tutto, fuorché agli interessi di questo divin Cuore… ».

3. «Finalmente, all’idea dell’universalità del regno e della dedizione nostra alla battaglia conquistatrice, si unisce l’idea dell’amore. Cristo vuol vincere il mondo col suo Cuore. Egli sceglierà ad apostoli della devozione, due anime che sanno amare: l’una, Margherita Maria nel convento della Visitazione, la quale rappresenta l’amore che prega silenziosamente e si immola; l’altro, il P. De La Colombière, un figlio di una Compagnia che sa cos’è l’amore, che combatte e che con Ignazio di Loyola, ne’ suoi Esercizi, addita il Regno di Cristo ed invita alla contemplatio ad amorem. Non era amore il pecca fortifer et crede firmiter di Lutero; non cantava l’amore l’Augustinus di Giansenio; non conosceval’amore il gelido ed astratto intellettualismo razionalistico ed illuministico. La più grande forza del mondo — è stato detto — è il cuore. Sì, è vero: è il Cuore di un Dio umanato che ci spiega Betlemme, il Cenacolo ed il Golgota, e che ad una società dimentica degli abissi del suo Amore infinito si presenta col suo Cuore in mano,sussurrando con voce irresistibile: Ecco il Cuore che ha tanto amato gli uomini…”?.Ogni pratica, in onore del S. Cuore, ha questo speciale colorito dell’Amore. Se Gesù in un venerdì fisserà la festa del Suo Cuore, è perché il venerdì è il giorno dell’Amore,nel quale dal costato trafitto il Suo Cuore ha lanciato ai secoli il suo grido ineffabile;se chiederà Comunioni, specie nel primo venerdì del mese, è perché non si può scindere il Sacramento dell’Amore dal Cuore che l’ha istituito e che freme nascosto sotto i candidi veli; se la devozione al S. Cuore domanderà riparazioni, immolazioni,sacrifici, è perché l’Amore non è amato, e perché sia riconosciuto quel Cuore da cui viene la nostra salute. Agli individui,alle famiglie che a lui si consacrano, alle nazioni che a Lui si volgono, il S. Cuore non parla se non di Amore. Il mondo sarà vinto dall’Amore e solo mediante l’Amore. E le braccia stese in croce dal Re dell’amore stringeranno l’avvenire, che si avanza verso il suo Cuore» (Cfr. OLGIATI, 0. c., pag. 138-9).

IL FINE DELLA DEVOZIONE AL SACRO CUORE: VIVERE CON GESÙ.

Il fine della devozione al Sacro Cuore, dopo quanto abbiamo detto, non può essere se non questo: attingere, da questo Cuore SS. la sacra influenza della grazia e dell’amore per vivere della stessa sua vita; sentire la gioia di riprodurre in noi i suoi sentimenti e le sue opere per raggiungere il frutto della salvezza eterna, in noi e nelle anime che avvicineremo; l’intima adesione del cuore nostro al Cuore di Gesù Amore, e per avere l’immedesimazione assoluta della nostra vita con la sua. Un dotto gesuita, il P. Giuseppe Petazzi, in un aureo opuscolo su l’apostolato della preghiera e la devozione al S. Cuore (Cavarzere, 1926. Cfr. OLGIATI, 0. c.), scrive: « Meditando attentamente gli scritti della discepola eletta del Cuore SS. Di Gesù, santa Margherita Maria, noi vediamo che il culto al Cuore SS. di Gesù tende tutto a far sì che noi ricopiamo in noi stessi l’interiore di Gesù. Ed è naturale: la devozione ad un Cuore non può propriamente risiedere se non nel cuore; la devozione ad un Cuore divino deve tendere a divinizzare per virtù d’amore i nostri cuori trasformandoli in quel Cuore divino. Dobbiamo far nostri i suoi sentimenti, far nostra la sua vita. In mille modi Nostro Signore manifestò alla Santa questo suo disegno: in mille modi la fedele discepola ce lo comunicò. Riassumendo e compendiando quei preziosi divini insegnamenti, ci sembra di poter dire che la devozione al Sacro Cuore, come fu da Gesù stesso insegnata, si riduce alla pratica della vita interiore, vita eminentemente e intensamente soprannaturale, vita di immolazione, vita di riparazione, vita di apostolato; col che non intendiamo propriamente di indicare cose diverse, ma piuttosto di segnare e sottolineare i caratteri propri di una vita trasformata, per virtù d’amore, nell’interiore vita di Gesù». La devozione al Cuore di Gesù così intesa, ci guida a comprendere la dottrina del Corpo mistico di Gesù ch’è luminosa, profonda, centrale nella vita cristiana. Intendere questa dottrina vuol dire capire tutto il Cristianesimo, tutta la sua multiforme attività che, pure, si esprime in una mirabile unità. La varietà dell’unità è, del resto, la legge fondamentale dell’universo, tanto che vi fu chi nello studio del nucleo cellulare ha ritrovato Dio e nell’immensamente piccolo ha adorato l’Infinito. – Così Gesù, nella conoscenza e bontà del suo Cuore, ci guida alla unione con Dio, alla pratica della vita interiore.

LA VITA INTERIORE (20)

LA VITA INTERIORE (18)

LA VITA INTERIORE E LE SUE SORGENTI (18)

Sac. Dott. GIOVANNI BATTISTA CALVI con prefazione di Mons. Alfredo Cavagna Assistente Ecclesiastico Centr. G. F. di A. C.

Ristampa della 4° edizione Riveduta.

LUCE DIFFUSA

LA DEVOZIONE A MARIA

LE ALTEZZE DI MARIA.

Ad Jesum per Mariam.

Tota ratio spei meæ, Maria!

« Non vi è certamente che un Dio solo e un solo Mediatore necessario, Gesù Cristo. » Ma piacque alla sapienza e alla Bontà divina di darci dei protettori, degli intercessori e dei modelli che siano o almeno sembrino più vicini a noi; e sono i Santi, i quali, avendo ricopiato in se stessi le perfezioni divine e le virtù di Nostro Signore, fanno parte del suo corpo mistico e si dànno pensiero di noi che siamo loro fratelli. Onorandoli, onoriamo Dio stesso e un riflesso delle sue perfezioni. » Tra di essi, soprattutto, c’è Maria, la Madre di Dio e Madre degli uomini » (TANQUEREY, Compendio di vita Ascetica, 103). Ed è più che giusto. Maria non è solo la piena di grazia; ma il tempio, il tabernacolo vivente dell’autore della grazia! È la Regina celeste che ha tutte le virtù! Nessun’anima, nessuna, anche se attinse alle più alte vette della santità, può esserle paragonata. Per la sua altezza, per la ricchezza immensurabile delle sue perfezioni, per la sua intimità con Dio, noi dobbiamo invocarla, pregarla, imitarla, certi che, per mezzo di Lei raggiungeremo l’unione con Dio, l’unificazione con Gesù, il termine delle nostre elevate aspirazioni. « Signore Gesù, ascolta quanto il cuore, sotto l’azione soave della tua di amore ci suggerisce! Il cuore della Madonna, quale verginale campo di fecondità divina! Tu scendesti, verso di Dio, in questo campo: celeste ed una fecondazione infinita riempi la terra di Paradiso! Ma dimmi, Signore: anche dopo che la Vergine ti generò al mondo, non rimanesti Tu, con la invisibile presenza della Tua Parola, a fecondare quella valle celeste e silenziosa? Il Cuore di Maria non resta ancora campo seminato di infiniti germi di vita divina, vero Paradiso di tripudio ove si appuntano le compiacenze celesti del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo? Al quale mirano con dolce emozione i serafini del cielo e della terra? Quale splendore di immacolatezza in questo Tabernacolo ove sono diffuse a profusione — prodigalità amorosa! — le perle che ornano la celeste Gerusalemme!» (Giov. Italica, ott. 1934 – S. La Pira).

MOTIVI DI CONFIDENZA.

Il santo don Giovanni Bosco, nel suo aureo libretto in onore di Maria (Il mese di maggio pel popolo.), dopo avere affermato che i motivi di confidenza in Lei sono innumerevoli, passa a indicarne i principali, che riduce a tre, e sono i seguenti:

1. Maria è più santa di tutte le creature;

2. Maria è Madre di Dio;

3. Maria è Madre nostra.

Questi motivi sono veramente chiarissimi, anzi, evidenti per se stessi. Se Maria SS. può tutto, certamente può e vuole il nostro più completo miglioramento, la nostra vicinanza, la nostra unione con Gesù. Così Ella ci viene ammaestrando coi suoi esempi, con la luce della sua vita mortale, con la forza del suo sacrificio; con la nobilissima rassegnazione nelle sofferenze fisiche e morali, con la sua più profonda umiltà. Ma « noi siamo in questo mondo come in un mare burrascoso, come in un esilio, in una valle di lacrime. Maria è la stella del mare, il conforto del nostro esilio, la luce che ci addita la via del cielo asciugandoci le lagrime…» (S. Giov. Bosco, o. c., pag. 177.). Ci terge le lagrime, ci viene in aiuto, ci favorisce la sua luce, ascoltando i nostri gemiti, esaudendo la nostra preghiera, difendendoci dal nemico dell’anima nostra.

UN SOGNO… DI DON BOSCO.

Il santo don Bosco, sempre tanto illuminato nel condurre le anime ai piedi della Vergine Santissima, narrò ai suoi alunni il seguente sogno: «Sognai di trovarmi con tutti i giovani a Castelnuovo d’Asti a casa di mio fratello. Mentre tutti facevano ricreazione, viene a me uno ch’io non sapeva chi fosse, e m’invita in un prato attiguo al cortile e là mi indicò fra l’erba un serpentaccio lungo sette od otto metri e di una grossezza straordinaria. Inorridii a tal vista e voleva fuggirmene: — No, no, mi disse quel tale, non fugga; venga qui e veda. — E come, risposi, vuoi che io osi avvicinarmi a quella bestiaccia?  — Non abbia paura; non le recherà alcun male; venga con me. — Prenda questa corda, la sospenderemo sopra il serpente. — E poi? — E poi gliela lasceremo cadere attraverso la schiena. — Ah! no per carità! Perché, guai se noi faremo questo. Il serpe salterà su indispettito e ci farà a pezzi. — No no; lasci fare da me. — Là, là! io non voglio prendermi questa soddisfazione che può costarmi la vita. — E già me ne voleva fuggire. Ma quel tale insistette di nuovo, mi assicuro che non avevo di che temere, che il serpe non mi avrebbe fatto alcun male, e tanto disse che io rimasi e acconsentii a far il suo volere. Egli intanto passò dall’altra parte del mostro, alzò la corda e poi con questa die una sferzata sulla schiena del serpe. Il serpente fece un salto volgendo la testa indietro per mordere ciò che l’aveva percosso, ma invece di mordere la corda, restò ad essa allacciato come in cappio scorsoio. Allora mi gridò quell’uomo: — Tenga stretto, tenga stretto e non lasci sfuggire la corda. Frattanto il serpente si dimenava, si dibatteva furiosamente e dava giù colpi in terra con la testa e colle immani sue spire, che laceravansi le sue carni e ne faceva saltare i pezzi a grande distanza. Così continuò finché ebbe vita; e, morto che fu, più non rimase di lui che il solo scheletro spolpato. Morto il serpente, quel medesimo uomo slegò la corda che aveva legato dall’albero alla finestra, la trasse a sé, la raccolse, ne formò come un gomitolo e poi mi disse: — Stia attento neh! — Così mise la corda in una cassetta che chiuse e poi dopo qualche istante aprì. I giovani erano accorsi attorno a me. Gettammo l’occhio dentro alla cassetta e fummo tutti stupiti. Quella corda si era disposta in modo che formava le parole « Ave Maria!» — Ma come va! Ho detto. Tu hai messa quella corda nella cassetta così alla rinfusa e ora è così ordinata. — Ecco, disse colui; il serpente figura il demonio, e la corda l’« Ave Maria » o piuttosto il Rosario che è una continuazione di «Ave Maria», colla quale e colle quali si possono battere, vincere, distruggere tutti i demoni dell’inferno» (Vedi LEMOYNE, Memorie biografiche di don Bosco, vol. VII).

MARIA ESEMPIO E MAESTRA D’UNIONE CON GESÙ.

Ma tra tutti gli aiuti che Maria può e vuole dare alle nostre anime, il primo e principale per noi, il più caro per Lei, è quello di insegnarci ad acquistare la vita d’unione con Gesù. Il suo ammaestramento, anche in questo, ci è dato dalla sua vita. Infatti « Nessuna creatura umana fu più di Lei unita a Dio mediante la grazia di Gesù Cristo. Non miracoli o manifestazioni rumorose noi troviamo nella Madonna, ma tutta la sua grandezza ed i suoi privilegi, fonte della sua gloria, si riducono a quell’unione. Ella è l’Immacolata, e come tutti sanno, l’immacolato concepimento non è altro se non la esclusione della colpa originale, ossia il fatto che mai l’anima di Maria fu priva della grazia e dell’unione con Dio. » Ella è la Vergine e della verginità ci offre il vero e profondo significato, la dedizione completa della creatura al Creatore e sua unione con Lui; Ella è la Madre, che mediante l’unione con Dio nell’incarnazione, unisce gli uomini tutti, — tutti i suoi figli — al Padre. E se anche dovessimo dare uno sguardo alla Corredentrice, altro non coglieremmo se non l’unione con Gesù nei suoi misteri; l’Assunzione non è altro che l’unione perfetta con Dio in cielo; il culto per la Vergine nei secoli, ha per oggetto e per finalità l’unione con Dio e la grazia. Insomma, in questa musica una sola nota, divinamente bella, squilla ed echeggia; e senza le nozioni del soprannaturale, sarebbe vano voler, sia pure pallidamente comprendere colei che santa Geltrude invocava così: O giglio bianco della Trinità splendente » (Olgiati, Il sillabario del Cristianesimo, pagina 245-6.). Ma ancora e sempre: Ad Jesum per Mariam! O Gesù dolce, Gesù Amore, ascoltaci: nel cuore di Maria, tutte le tue bellezze, tutti i raggi della tua gloria, tutti i sorrisi della tua inebriante bontà, tutta la dolce e ricca e piena e amorosa cura del tuo Amore per il nostro dolore, della tua luce per le nostre tenebre, della tua ricchezza per la nostra miseria, del tuo tutto pel nostro nulla.

(Ora l’amore che aveva per il Figlio, Maria lo riversa su noi che siamo i membri viventi di questo Figlio divino, la sua estensione e il suo complemento.)

A. TANQUEREY.