VIVA CRISTO-RE (4)

CRISTO-RE (4)

TOTH TIHAMER:

Gregor. Ed. in Padova, 1954

Imprim. Jannes Jeremich, Ep. Beris

CAPITOLO V

CRISTO, RE DELLA PATRIA ETERNA

Passiamo ora all’affare più importante: quello della vita eterna. Possiamo dividere i Cattolici in tre tipi. Ci sono Cattolici battezzati (Cattolici non propriamente Cristiani, ma Cattolici cristianizzati) che, pur essendo Cattolici secondo il loro certificato di Battesimo, conducono una vita che non è affatto cristiana. Sono i rami secchi dell’albero della Chiesa. Ci sono poi i Cattolici della domenica, che sono Cattolici solo la domenica, quando vanno a Messa, ma per il resto della settimana non lo sono più, e si nota appena. Sono i figli malati. Grazie a Dio, c’è un terzo gruppo: i Cattolici di tutti i giorni, che non vanno in Chiesa solo la domenica, ma sono Cattolici tutti i giorni della settimana, e cercano sempre di fare la volontà di Dio, pregano un po’ ogni mattina e si confessano spesso. Sono coloro che vanno a letto la sera con questo pensiero: « Mio Signore, oggi ho vissuto come avrei dovuto? Siete contento di me?  Pensiamo che se non ci sono molti apostoli, è perché ci sono pochi Cattolici di tutti i giorni. Ma perché ci sono così pochi Cattolici che vivono la loro fede ogni giorno? Perché non pensiamo alla vita eterna, come hanno fatto i Santi! Perché non abbiamo gli occhi fissi su Dio, sulla vita eterna, sull’aldilà. Quando le prove ci sommergono, non sappiamo alzare gli occhi al cielo come fece il primo martire della Chiesa, Santo Stefano: “Alzati gli occhi al cielo, vide la gloria di Dio e Gesù alla destra di Dio” (At. VII, 55). I Santi erano uomini come noi, hanno dovuto lottare e hanno incontrato sul loro cammino gli stessi ostacoli o di più grandi di quelli che abbiamo incontrato noi; gli avversari che li hanno combattuti erano, più o meno, come quelli che attaccano noi; le stesse tentazioni e difficoltà…. Ma essi meditavano continuamente su queste tre domande: Chi è Dio? Qual è il fine di questa vita terrena? E cos’è la vita eterna? Potremmo dire che quando sentivano il peso della vita, “… fissavano gli occhi al cielo e vedevano la gloria di Dio e di Gesù, che era alla destra del Padre”.

Chi è Dio per me? Molti, anche se non lo confessano apertamente, la pensano così: Dio è un essere altissimo, eccelso, maestoso, sovrano di tutto, che sta in cielo, lontano, che viene venerato ogni domenica… ma che non conta nulla nella vita quotidiana, nel lavoro, nella casa, nella società, nella politica… Ma i Santi non la pensavano così. Per loro Dio non è lontano. È in mezzo a noi, ovunque. Ovunque mi giri, in Lui « vivo, mi muovo ed esisto ». Non potrò mai fuggire dalla Sua presenza. Noi, se siamo sopraffatti dagli ostacoli, dalle difficoltà, ci disperiamo e diciamo: « Mio Dio, merito tutto questo, perché mi punisci? ». In questo modo, facilmente ci raffreddiamo nel nostro amore per Dio. E i Santi? I Santi vedevano la volontà del Signore in ogni cosa. Noi ci ribelliamo quando siamo feriti dalla malattia o dalla sfortuna. Cosa facevano i Santi in queste circostanze? Baciavano la mano di Colui che li castigava: « Padre, punitemi; eccomi, eccomi, castigatemi, mettetemi tra le fiamme, purché mi mostriate misericordia nell’eternità » (SANT’AGOSTINO). Noi ci lamentiamo: « Quanti problemi mi provoca questo malato, quanto è insopportabile quest’uomo! » E i Santi? Si sono detti: «”Quest’uomo è fratello di Cristo, e qualsiasi cosa io faccia per lui, la faccio per Cristo ». E alcuni arrivavano persino a baciare le ferite dei malati, per vincerere se stessi. Quanto siamo lontani dai Santi nel nostro modo di pensare a Dio!

Qual è il fine di questa vita terrena? Cosa significa per me questa vita? Per alcuni questa vita non è altro che una ricerca di piaceri peccaminosi. Per altri, si tratta di una mera somma di anni, metà dei quali trascorsi a sognare con nostalgia: « Come stavo bene », e l’altra metà con paura: « Cosa ne sarà di me in futuro? » Ci sono persone che considerano questa vita come un continuo dolore il cui unico scopo è quello di ottenere un po’ di conforto; questo e nient’altro. Come quel vecchio malato a cui il medico consigliò una cura molto costosa e che si lamentò con lui dicendo: « Vede, dottore, che strano è quest’uomo. In gioventù dà la salute in cambio del denaro; e quando invecchia, dà il denaro in cambio della salute ». La verità è che non siamo mai soddisfatti. Pensiamo sempre che gli altri stiano meglio di noi. Ci comportiamo come quel tagliapietre cinese. Un giorno, mentre stava noiosamente scalfendo la pietra, riflettendo sulla monotonia della sua vita, gli passò accanto l’imperatore, accompagnato da un brillante seguito. Era appollaiato su un enorme elefante, sotto un baldacchino d’oro; la sua corona scintillava di diamanti; un magnifico esercito di ministri, soldati e cortigiani lo accompagnava. Lo scalpellino ammirato si disse: “Oh, se solo potessi essere imperatore! E nello stesso istante si trasformò in un imperatore. Ora era lui a sedere sotto un baldacchino d’oro; era signore di milioni di uomini, e al suo gesto i ministri e i capi dell’esercito si inchinavano a terra. Ma quel giorno il sole era troppo caldo e l’imperatore continuava ad asciugarsi la fronte. Alla fine si arrabbiò, perché vide che il sole era più forte di lui. Ed esclamò con rabbia: -Voglio essere il sole! Nello stesso momento si trasformò in sole. Era a suo agio, splendente nella volta celeste, ed emanava così tanto calore che gli uomini e gli animali della terra camminavano ansimando…, l’erba si seccava e la terra si spaccava. E questo lo divertiva molto. Ma all’improvviso una densa nube nerastra gli si parò davanti. Il sole cercò di irradiare più calore, ma invano: i raggi non riuscivano a penetrare la densa nuvola. Saltò in piedi per la rabbia ed esclamò: -Voglio essere una nuvola! E si trasformò in una nuvola. Con furia sfrenata fece cadere la pioggia sulla terra; i torrenti e i fiumi, pieni d’acqua, ruppero gli argini, la corrente spazzò via le case, gli uomini furono annegati, ma la pioggia non fu sufficiente… infatti un gigantesco masso si ergeva inamovibile al suo posto. La nuvola esclamò con rabbia: – Ma cos’è questo? Questo masso osa sfidarmi? Voglio essere un masso! E divenne un masso. Era soddisfatto. Rimase orgogliosamente al suo posto e non fu danneggiato né dall’arsura del sole né dalla pioggia delle nuvole. Ma un giorno arrivò un uomo che gli conficcò un becco affilato. – Oh, cos’è questo?, gridò il masso. Questo scalpellino è più potente di me? Voglio essere uno scalpellino! E in quel momento tornò ad essere uno scalpellino. E da quel momento in poi fu felice della sua sorte. – È così anche per noi: trascorriamo la nostra vita in un costante sgomento. I Santi non la pensavano così. Per loro la vita era compiere la volontà di Dio giorno per giorno. Per loro l’anima era una veste bianca che dovevano mantenere immacolata fino al giorno della morte, così come il Padre celeste l’aveva data loro. Per loro la vita era un accumulo di ricchezze di valore eterno, non di inutili cianfrusaglie arrugginite o tarlate. Non vivevano nel ricordo del passato o nella paura del futuro. Per loro c’era solo una cosa importante: oggi, in questo momento, qual è la volontà di Dio, come posso accumulare tesori per la vita eterna? Sì, per la vita eterna! E con questo arriviamo alla terza domanda, la più importante e decisiva, da cui dipende tutto:

Che cos’è per me la vita eterna, come la valuto, penso costantemente al cielo? Sappiamo come gli Apostoli hanno vissuto e sono morti, con lo sguardo rivolto alla vita eterna. Quando Pietro fu inchiodato alla croce con la testa in basso, cosa gli diede forza? Quando Andrea abbracciò con amore la croce prima di morire, cosa lo incoraggiò? Quando Paolo chinò il capo sotto la scure del boia, cosa gli diede animo e coraggio? La Vita eterna! Essi Videro i cieli aperti e Cristo Re alla destra del Padre. È la stessa cosa che hanno fatto i martiri, mentre venivano sbranati dalle bestie feroci. Anche i Santi hanno spesso vissuto pensando alla vita eterna. Le sofferenze patite non sono nulla in confronto alla felicità di cui godono ora .. qui, lacrime, sudore, lotte…; là, perle preziose della corona celeste. Davanti ad una simile prospettiva, pensavano, vale la pena di soffrire.

Credo davvero nel Cielo?

Ogni volta che recitiamo il Credo lo confessiamo a parole: « Credo nella vita eterna ». Non siamo forse di quelli che dicono: « forse, forse…, chissà, forse c’è qualcosa dopo la morte »… Sono forse come quel soldato della fede che nel bel mezzo della battaglia pregava così? «”Mio Dio (se Tu esisti) salva la mia anima (se c’è un’anima), affinché io non sia condannato (se c’è una condanna), e così possa ottenere la vita eterna (se c’è vita oltre la morte) »? La mia fede è più solida di questa fede traballante? Credo fermamente che ci sia la vita eterna, che vivrò in eterno? Qualcuno obietterà, forse, che nella tomba tutto marcisce, tutto diventa polvere…, e quindi come può nascere la vita lì? Il chicco di grano seminato in autunno potrebbe dire la stessa cosa: intorno a me tutto è marciume, fango, ghiaccio…, come può nascere la vita qui? Eppure nascerà, e che germoglio vigoroso spunterà in primavera! Mi si dirà: « Tutto è così immobile nella tomba! Come può germogliare la vita lì? » Lo stesso si potrebbe dire del verme quando si chiude nel suo bozzolo e giace come morto nella sua bara per settimane. Eppure, che farfalla dai colori cangianti emerge dalla crisalide, apparentemente morta! Tutto cade, tutto perisce…. Posso dunque affermare che esiste la vita eterna? Mio padre viene seppellito, mia moglie muore…; so dire nonostante tutto: c’è la vita eterna? Sono vicino al peccato, sto per cadere nelle sue insidie…; so come incoraggiarmi a resistere confessando che c’è la vita eterna? Le disgrazie quasi mi schiacciano…; so come consolarmi con questa fede: c’è la vita eterna? Se non c’è un “aldilà”…, allora questo mondo è folle; non serve a nulla l’essere onesti; si apre un ampio campo all’inganno ed alla rapina; l’importante è godersi questa vita il più possibile. Ma cosa devo dire? Se non c’è vita eterna, allora Dio è crudele, allora non c’è Dio; perché non è possibile che ci abbia creato per questa vita miserabile, solo per questa vita terrena. San Paolo non la pensava diversamente quando disse: «”Che mi giova aver combattuto contro bestie feroci a Efeso, se i morti non risorgono? In tal caso, pensiamo solo a mangiare e a bere, perché domani moriremo » (cfr. I Cor XV, 32). Ricordiamo ancora una volta la lezione che ci hanno dato i Santi. Per loro la vita eterna era la vera vita e questa vita di sotto era solo un’ombra. Per essi la vita eterna era il grande libro e questa vita qui era solo il prologo, l’introduzione al libro. Per loro la vera patria era la vita eterna, mentre questa vita sulla terra non era che una «”valle di lacrime ». Eppure sapevano come rallegrarsi quando la giornata era soleggiata. Sapevano godersi il cinguettio degli uccelli. E anche loro hanno combattuto e fatto il loro dovere. Per farlo in modo eroico come hanno fatto, hanno attinto forza dal pensiero della vita eterna. Vivevano con il desiderio del paradiso. Noi Cattolici desideriamo la nostra vera patria, ma non per questo odiamo questo mondo. Questo desiderio ci spinge ad essere coraggiosi. Questo desiderio ci fa dimenticare i nostri dolori. Questa nostalgia ci spinge a pregare quando le disgrazie o le angosce ci opprimono. Così possiamo sorridere a noi stessi nei giorni più bui; sappiamo che tutte le nostre disgrazie sono ordinate da Dio per il nostro bene. Quando il cielo è nuvoloso e scuro, so che sopra le nuvole splende il sole. Al di sopra delle disgrazie di questa vita, c’è la vita eterna.

4º C’è un pensiero che può aiutarmi molto: che ne sarà di me tra novant’anni? Sarò a casa. A casa? Non certo qui, non in una tale o tal’altra città o villaggio, ma nella mia vera casa, in cielo, nella patria eterna. Dio mi conceda di essere nella prossima vita in cielo, a gioire con Dio; allora ricorderò tutta la mia vita come un sogno. Per quanto difficile possa essere stato, per quanto pieno di gioia…, non sarà altro che un sogno. Oh, come mi ricordo di questa o di quella cosa; pensavo che non avrei mai potuto separarmene, e ora… vedo che era una sciocchezza. Ho sofferto molto, ho sofferto, e ora… vedo che sarebbe stato molto vantaggioso soffrire ancora di più per amore di Dio. Come ci sembrerà tutto diverso da lassù, per tutta la vita! Cosa siete stato sulla terra? Un ministro? Ebbene, ciò che vi interessa ora non è la carica che avete ricoperto, ma se siete stati onorevoli e avete fatto il vostro dovere. Siete stato un insegnante? Ora, ciò che vi riempie di gioia non è il numero di libri che avete scritto, ma se avete nobilitato l’anima dello studente che vi è stato affidato. Cosa siete stato, un imprenditore? Non siete più orgogliosi delle imprese che avete gestito, ma di essere stati fedeli a Dio facendo la Sua volontà e non facendo affari illeciti. Che cosa siete stata? Una madre di famiglia? Ciò che vi consola non è il prestigio sociale che avete raggiunto nella società, ma il fatto che abbiate insegnato ai vostri figli a pregare, mattina e sera. E direte con sorpresa: Mio Dio, che capricci ho fatto per così poche cose! E ancora: perché ho taciuto quando avrei potuto interrompere quella conversazione immorale? Quante anime avrei potuto salvare! Perché sono stato vigliacco? Perché ho dato libero sfogo ai miei desideri malvagi? Perché non mi sono mai rifiutato nulla? Come ho potuto dare credito a tante parole vuote e frivole? E c’è un dato che non può essere discusso. Qualsiasi pentimento sarà allora troppo tardivo. – Non è troppo tardi ora. È il momento giusto per imparare la grande saggezza: dobbiamo dirigere tutta la nostra vita, tutte le nostre azioni, verso la vita eterna. Tutti noi passiamo attraverso abbondanti sofferenze e prove. Non sprechiamoli inutilmente. La vita è spesso, per tutti noi, un martirio. Che le nostre sofferenze ci servano per raggiungere la corona eterna. Solo così saremo vincitori e non vinti. Solo così arriveremo a casa, la nostra casa celeste, dove ci aspetta nostro Padre e Gesù Cristo Re. Dobbiamo essere pilastri, rocce e non sabbia, terreno melmoso. Solo così potremo resistere in questo mondo moralmente corrotto. Il pilastro non vacilla. La roccia non vacilla di fronte al torrente impetuoso del peccato. Soffro per questo? Faccio fatica a rimanere così? È possibile. Cado? No, non cadrò! Cristo è il Re della vita eterna e io voglio ereditarla. Dio mi ha creato per la vita eterna, e lì mi aspetta… a patto che io perseveri con Lui. Devo lavorare di giorno, finché c’è luce, prima che il sole tramonti, prima che la morte mi assalga.

II

Una storia russa racconta di un contadino che viveva felicemente nel suo lontano paese; non era ricco, ma aveva abbastanza per vivere felicemente…. Finché un giorno gli capitò tra le mani un giornale maledetto. In quel giornale lesse la notizia che nella terra della tribù dei Bashkir c’erano ancora grandi territori non occupati e che c’era un’usanza secondo la quale, se qualcuno nelle prime ore del mattino avesse deposto un berretto pieno di rubli d’oro ai piedi del capo dei Bashkir, sarebbe potuto diventare proprietario di tutti i territori che avrebbe potuto circondare in un giorno, a una condizione: sarebbe dovuto tornare nello stesso luogo da cui era partito prima del tramonto. Vendette tutti i suoi beni e riuscì a raccogliere solo l’oro sufficiente per riempire il suo cappello. Dopo un lungo pellegrinaggio, arrivò nella terra dei Bashkir. Il capo confermò la promessa e diede anche un buon avvertimento al contadino: « Prima del tramonto dovrai essere di nuovo qui, su questa collina da cui stai partendo per il tuo viaggio. Perché se venite un minuto dopo…. avrete perso l’oro e la terra ». All’alba, con il cinguettio degli uccelli, il contadino si mise in viaggio con grande gioia. Com’era bella la campagna! Tutta questa terra sarà mia! Il pensiero lo riempì di soddisfazione. Qui le mie colture ondeggeranno…; laggiù, un piccolo bosco…, magnifico!…, anch’io lo farò girare. Laggiù il pascolo…; lo recingerò anch’io, deve essere anche mio. Stava camminando…, l’uomo stava camminando…. Era già mezzogiorno. Non sarebbe male tornare indietro. Ma no. Là, più lontano, c’è un pezzo di terra anch’esso magnifico…; no, non posso lasciarlo…, andrò più veloce sulla via del ritorno. Ma quel pezzo di terra era più grande di quanto pensasse. Non importa, torno indietro di corsa. Alla fine si voltò e si mise sulla via del ritorno. Il sole stava calando rapidamente. Non sarà sbagliato andare un po’ più veloce. Il capo e gli uomini sembravano salutarlo. Ma quanto sono ancora lontani! Naturalmente, ora deve andare in salita. Prima andava in discesa, ed è così facile andare in discesa e così difficile andare in salita! Allunga le braccia e inizia a correre in salita. Ma anche il sole sta calando velocemente. Oh, se solo arrivasse in tempo. Dall’alto gli fanno cenno, sente già le voci. Comincia a sentire il cuore che batte all’impazzata e sembra che un coltello affilato gli stia tagliando i polmoni. Corre, corre senza tregua: « Ahimè, forse tutto è perduto! ». Il volto infuocato del sole lo sta già guardando dall’orizzonte lontano. Gli occhi del contadino si annebbiano e nella sua mente emerge improvvisamente un pensiero terribile: « Terra, denaro, lavoro, vita, tutto, tutto è perduto! È stato tutto inutile! ». Raccoglie le forze che gli sono rimaste: si aggrappa all’erba, barcolla, cade, si rialza. Si vede solo un pezzetto di sole: i suoi ultimi raggi cadono proprio sull’oro che brilla nel cappello…. L’oro brilla…, no, non deve essere perso…, mancano solo venti metri…, ancora dieci…, ancora cinque…. E poi, poi il sole … il sole tramonta, il contadino vacilla e crolla, il sangue gli inonda gli occhi, qualche altra convulsione… e muore! Il capo lancia una zappa a uno dei suoi servi: « Scavate una fossa lunga due metri e profonda un metro. Questa terra è sufficiente per un uomo solo ». Così poca terra è sufficiente per un solo uomo! E corriamo! E ci spingiamo a vicenda! E soffriamo! E ci consumiamo! E il sole tramonta…, giù, giù, giù, giù… Non dimentichiamo quindi che, prima che il sole tramonti, dobbiamo tornare al luogo da cui siamo usciti, all’inizio della nostra vita…, dobbiamo tornare… a casa…, alla casa del nostro Padre celeste.

VIVA CRISTO-RE (5)

VIVA CRISTO-RE (3)

CRISTO-RE (3)

TOTH TIHAMER:

Gregor. Ed. in Padova, 1954

Imprim. Jannes Jeremich, Ep. Beris

CAPITOLO IV

CRISTO, RE DELLA PATRIA TERRENA

« Il mio regno non è di questo mondo », ci dice Gesù. Il suo regno è il Regno dei Cieli. Pertanto, Cristo è il Re del cielo, della patria eterna. Inoltre, sappiamo che questo mondo che conosciamo finirà un giorno, le stelle si spegneranno… Se un giorno questa terra scomparirà, la cosa più importante per noi è il cielo, la patria eterna. Questo significa che non dobbiamo amare la nostra patria terrena? No, certo che no. Non esiste una religione che insegni l’amore per la propria patria come il Cattolicesimo. Perché i Cattolici cercano di imitare l’esempio del Signore e perché è un comando esplicito della Sacra Scrittura. L’esempio del Signore: mentre un giorno Gesù Cristo guardava la città di Gerusalemme dalla cima del Monte degli Ulivi, pochi giorni prima della sua Passione, improvvisamente non riuscì a contenere la sua emozione ed i suoi occhi si riempirono di lacrime. Pianse per la sua patria e per il suo amato popolo, per non aver risposto all’invito di Dio e per essersi ostinatamente allontanato da Lui. E piangeva anche per ciò che sapeva sarebbe accaduto alla città di lì a pochi anni: Gerusalemme sarebbe stata assediata e distrutta. E con il suo pianto ci mostra il grande amore che aveva per la sua patria. – Il comando esplicito della Sacra Scrittura. In primo luogo, la frase categorica di GESÙ CRISTO: « Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio » (Mt XXII, 21; Mc XII, 17; Lc XX, 25). Una cosa non è in contrasto con l’altra, perché come ci dice l’apostolo SAN PAOLO: « Non c’è autorità se non da Dio » (Rm XIII,1). « Date a Cesare quel che è di Cesare ». Cesare significa il potere terreno, il potere dello Stato. Il Signore ci obbliga a dare allo Stato, alla patria terrena, ciò che gli spetta. Che cosa dobbiamo dargli? Il rispetto che merita, il contributo materiale e l’obbedienza in tutte le questioni in cui ha il diritto di esigere da noi. « Non c’è potere che non venga da Dio ». Vale a dire: si deve obbedire finché il potere terreno non comanda nulla contro la legge di Dio. Si capisce quindi quanto giustamente il Santo Padre abbia scritto nella sua Enciclica, quando ha istituito la festa di Cristo Re: « Pertanto, se gli uomini riconoscono pubblicamente e privatamente l’autorità regale di Cristo, ciò porterà necessariamente incredibili benefici a tutta la società civile, come la giusta libertà, la tranquillità e la disciplina, la pace e la concordia. La dignità regale di Nostro Signore, come rende sacra in un certo modo l’autorità umana dei capi e dei governanti dello Stato, così nobilita i doveri e l’obbedienza dei sudditi ». E il Papa continua: « E se i principi e i governanti legittimamente eletti sono persuasi di governare, più che per diritto proprio, per comando e rappresentanza di Gesù Cristo, non si nasconderà a nessuno quanto dovranno usare santamente e saggiamente la loro autorità, e quale cura dovranno avere, nel dare e nell’eseguire le leggi, per il bene comune e per la dignità umana dei loro inferiori ». – Ma in cosa consiste il vero amore per la patria? È l’attaccamento alla casa in cui siamo nati? Sì, questo è amore per la patria, ma non è sufficiente. Consiste forse nell’amare il nostro popolo, la nazione a cui apparteniamo, il paese che consideriamo nostro? Anche questo è amore per la patria, ma per un Cattolico non è sufficiente. Il patriottismo consiste forse nel combattere per gli interessi della nostra nazione? Anche questo. Ma l’amor patrio di un Cattolico va anche oltre. In cosa consiste l’amore patriottico per un Cattolico? Consiste nell’impegnarsi e lavorare affinché il mio Paese progredisca e si sviluppi il più possibile, materialmente e spiritualmente. L’amore per la patria non degenera in una cieca idolatria della propria, né cerca di annientare le altre Nazioni o di dominare il resto del mondo. L’amor di patria, stimando il proprio popolo, non aborre i popoli stranieri, perché sa che siamo tutti figli dello stesso Padre. Se l’amor patrio è così, se solo ci fossero più persone che amano la propria patria! Allora non ci sarebbero tanti iniqui trattati di pace…. Non c’è dubbio che la Religione Cattolica insegni come si debba amare veramente la patria. L’amore per la patria non consiste tanto nel battere i tamburi, nello sventolare le bandiere e nel gridare “hurrah” fino alla raucedine, ma nel sapersi sacrificare nella monotona esecuzione di un lavoro ben fatto, affinché la patria possa progredire. – Cosa chiede sempre la Chiesa a ciascuno di noi? Uomo, fratello, sii onesto, non macchiare le tue mani e la tua anima. Dimmi, allora, amico lettore: non è questo l’amore patriottico? Oggi che vogliono sistematicamente demolire le fondamenta della società, la famiglia, attraverso il divorzio e la dissolutezza sessuale… né lo Stato né le istituzioni più serie si sentono abbastanza forti per fermare tanto male. Solo il Cattolicesimo osa gridare, consapevole della sua forza: Uomini, fratelli, non è lecito per voi, Cristo lo vieta, non distruggete le vostre case! Ditemi: non è amore patriottico questo? – Oggi, quando il mondo frivolo disprezza la sublime missione dei genitori nella trasmissione della vita, e le leggi civili sono incapaci di porre fine agli orrori dell’aborto e del controllo delle nascite, la sola Chiesa Cattolica preserva il santuario della famiglia dalla profanazione e dall’infanticidio: non è questo amore patriottico?  Oggi, quando i giovani si lasciano corrompere dall’edonismo della società […], e né la scuola, né lo Stato, né spesso la stessa autorità parentale sono in grado di preservarli da tanto male, la Religione Cattolica è l’unica che grida efficacemente: Figli, voi siete la speranza della patria, conservate la purezza delle vostre anime; che ne sarà della patria se la lussuria vi ha reso schiavi? Rispondiamo con la mano sul cuore: non è questo l’amore patriottico?  – E in tempo di guerra? Quando è necessario difendere il Paese sotto attacco, cos’è che dà fermezza agli spiriti?  Non sarò io a rispondere a questa domanda. Ecco un esempio del 1914. Le truppe ungheresi erano stanziate da diverse settimane nelle trincee umide e allagate del fronte serbo. La pioggia cadeva a dirotto, insistente, persistente… È una delle più grandi prove del campo di battaglia, rimanere per settimane in trincea, sotto una pioggia autunnale… Un uomo ha tirato fuori il suo rosario… e in pochi istanti tutti i presenti nella trincea cominciano a pregare con lui. È da qui che i nostri soldati traggono la loro forza di resistenza! Questi uomini amavano la loro patria; davano veramente a Cesare ciò che era di Cesare. – Non dimenticherò mai la grande fede di un soldato gravemente ferito, quando, dopo l’amputazione della gamba, stava morendo nell’ospedale militare. « Padre – disse il povero uomo, gemendo – ah, se fossi morto e stessi vedendo la Vergine Maria! » Nelle parole di questo soldato ferito si rivela la fonte da cui si alimenta il patriottismo.  – Su cosa si basa l’amore dei Cattolici per il loro Paese? Le parole memorabili del Signore non dicono solo « rendete a Cesare quello che è di Cesare », ma anche: « … e a Dio quello che è di Dio ». In altre parole, se diamo alla Patria ciò che le è proprio, lo facciamo perché Dio ce lo chiede. È l’amore per Dio che più ci spinge ad amare la nostra patria terrena. Spesso si sente dire la seguente falsità: il Cattolicesimo parla sempre dell’altro mondo; ammonisce incessantemente, dicendo: « salva la tua anima », e non si preoccupa del mondo terreno. Ma un Cattolico ha non uno, ma due doveri, uno verso la sua patria terrena e, allo stesso tempo, un altro verso la sua anima, per fornire i mezzi per salvarla. Deve dare a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio. In questo modo, il Cattolicesimo è un grande valore patriottico, non solo perché ci impone di pagare le tasse, ma perché ci chiede, allo stesso tempo, di essere onesti e buoni cittadini, obbedendo a Dio. Ci ricorda infatti che se sul “denaro” c’è l’immagine di Cesare: « Rendete a Cesare ciò che è di Cesare », nella nostra anima è incisa anche l’immagine di Dio, che dobbiamo rispettare: « Rendete a Dio ciò che è di Dio ». – Nell’Antico Testamento, il saggio re Salomone chiude il libro dell’Ecclesiaste con queste parole: « Basta con le parole. Tutto è stato detto. Temete Dio e osservate i suoi Comandamenti, perché questo è essere un uomo giusto. Dio infatti sottoporrà a giudizio ogni opera, anche quella nascosta, per vedere se è buona o cattiva » (XII: 13-14). Il Signore non insegna altro quando dice: « Rendete a Dio le cose che sono di Dio ». Niente può darci la felicità perfetta se non una coscienza retta, la convinzione che l’anima sia in ordine e che possa sopportare lo sguardo di Dio con tranquillità.  – L’intera dottrina di Nostro Signore Gesù Cristo è piena di questo pensiero: Salva la tua anima! Non una sola delle sue parole, non una sola delle sue azioni, ha avuto altro scopo che quello di instillare questo grande pensiero nei nostri cuori: Non avete che un’anima, un’anima eterna. Se la conservate per l’eternità, avete salvato tutto; ma se la perdete, a cosa vi servirà guadagnare il mondo intero?  Date a Dio ciò che è di Dio. Tutto ciò che abbiamo è Suo; tutto, quindi, dobbiamo darGli. È nota la similitudine del « Libro della vita », in cui tutte le nostre buone azioni sono scritte per il giorno del giudizio. È solo una similitudine, ma una similitudine profonda, che ci dice che tra il cielo e la terra c’è davvero una contabilità segreta: Dio ci presta un capitale (talenti corporei e spirituali), ed un giorno esige la restituzione del capitale, ma maggiorato degli interessi.  In quale giorno? Non dipende da me. Dove ho vissuto? Non ha importanza.  Quanto tempo ho vissuto? Non importa. Ho avuto un ruolo importante o ho vissuto come uno dei tanti che passano inosservati? Non verrà preso in considerazione! L’unica cosa che conta è se ho dato o meno a Dio ciò che gli appartiene. L’importante non è la quantità o l’entità delle opere realizzate nella mia vita, ma la buona volontà con cui lavoro. – Non è difficile dedurre l’immensa forza che scaturisce da questi pensieri per adempiere ai piccoli doveri della vita quotidiana. E va notato che l’adempimento di tali doveri è spesso più difficile del martirio improvviso; la vita eroica e perseverante in mezzo alla miseria, alle prove, è più difficile della morte in trincea. – Sì, la nostra Religione parla costantemente di vita eterna, di un’altra patria; ma bisogna ammettere che non ci sia pensiero migliore di questo per inculcare l’amore per la patria terrena: Verrà l’ora in cui Dio chiederà la restituzione di tutto ciò che ho, di tutto ciò che mi ha dato; della mia persona e dei miei parenti, amici e conoscenti. La mia persona. Prima che nascessi, Dio aveva elaborato nella sua mente un bellissimo piano per me. Lui mi ha creato. Il dovere che mi incombe è quello di lustrare e realizzare questo bel progetto di Dio nella mia persona giorno dopo giorno. Mi chiederà anche di rendere conto delle persone con cui ho trattato. Non posso passare accanto al mio vicino senza fargli del bene. Dio ha disposto che tutti gli uomini siano al suo servizio. Agli Apostoli ha affidato la fondazione della sua Chiesa; ai confessori l’esempio eroico dell’amore per Lui; ai dottori la lotta contro le false dottrine. A San Francesco d’Assisi, il dare un esempio di povertà… E io?  – Dio vuole che io sia una luce per coloro che vivono nelle tenebre intorno a me; che eserciti la carità verso il mio prossimo, verso coloro che mi sono più vicini. Così facendo, avrò dato a Dio ciò che gli appartiene. E verrà il giorno in cui Dio mi chiederà: sei stato la luce del mondo, il sale della terra, il balsamo delle ferite?  Facciamo un piccolo esame di coscienza: Dio mio, ti ho dato finora ciò che è tuo? Forse la mia vita sta per finire e non me ne rendo conto. Quando verrà il momento in cui Dio mi chiamerà a sé, come mi porrò davanti a Lui? Ho dato a Dio tutto ciò che è di Dio? Rivedo la mia vita: quanto lotto, quanto soffro, quanto lavoro…  per cosa? E perché? Quanto mi sforzo, soffro e lavoro per avere comodità…, per godere…, per accumulare denaro! Ma mi sono curato abbastanza della mia povera, unica anima? Ho dato allo stomaco ciò che gli spetta, non ho risparmiato il corpo, forse gli ho dato più della sua parte…; ma ho dato a Dio ciò che è di Dio? Ho tempo per tutto: divertimenti, amicizie, feste; e per la mia anima…, non ho nemmeno mezz’ora al giorno? Forse ho vissuto così fino ad oggi… Come sarà d’ora in poi?

* * *

Questo è il modo di pensare della Chiesa quando si tratta dell’amore per la patria terrena. Apparentemente non dice molto sull’amor patrio; ma, se riflettiamo profondamente, ci rendiamo conto che religiosità e patriottismo, amore per la Chiesa e amore per la patria, cuore cattolico e cuore patriottico…, non sono incompatibili. – Ancora di più: siamo costretti a confessare che le maggiori benedizioni per lo Stato derivano dalla Religione Cattolica…. Non c’è nessun potere, nessuna istituzione, nessuna società, nessun’altra religione che possa vantare un così lungo elenco di meriti per il bene della patria terrena come il Cattolicesimo. – DANIEL O’ CONNELL è stato il più grande patriota irlandese e, allo stesso tempo, uno dei più ferventi figli della Chiesa Cattolica. E così scrisse nel suo testamento   « Lascio il mio corpo all’Irlanda, il mio cuore a Roma, la mia anima a Dio ». Tutti i Cattolici dovrebbero essere pronti a fare lo stesso: « Lascio il mio corpo al mio Paese, il mio cuore alla santa Chiesa Cattolica romana, la mia anima a Dio ».

VIVA CRISTO-RE (4)

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LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (2)

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (2)

LA GRAN BESTIA SVELATA AI GIOVANI

dal Padre F. MARTINENGO (Prete delle Missioni

SESTA EDIZIONE – TORINO I88O

Tip. E Libr. SALESIANA

IV.

VILE LORENZO.

Giovani miei, l’avete le ali?… Che ridete? non dico mica le ali degli uccelli !… Dico l’ali del pensiero, della fantasia. Oh l’avete di certo: e che voli!.. Or bene, io non vi domando che un volo di pochi anni per veder giovinotto e studente di legge quel Renzino, che ha incominciato da ragazzo col vergognarsi di sua madre. – Entriamo in quella trattoria. Vedete quella sala, quella tavola, quei piatti che fumano? Son capponi, costolette, bei pezzi d’arrosto… Sentite che odore! e’ portano via il naso, e’ par vi dicano: Mangia! E vedete quella fila di giovinotti che lietamente vociando siedono a tavola, come trinciano e diluviano a due palmenti!… Ma sta: oggi è venerdì, e la santa Chiesa…. Questo pensiero s’affaccia penoso alla mente d’ uno che sta là su quell’angolo… lo vedete? Con quei baffetti biondi, con quegli occhi celesti?… gli è desso Renzino; ché ora tutti chiamano Lorenzo. Oh il bel giovine che s’è fatto. Alto, spigliato, grazioso… Or bene, è la prima volta, vedete, che Lorenzo si trova a una tavola come quella; invitato dai camerata non seppe dir di no, e ora, mentre siede e guarda gli sovvengono certi ricordi della mamma, che gli fan mirare quelle carni con ribrezzo: sbircia sottecchi i compagni, cerca collo sguardo l’insalata, il burro … tende la mano … Ma ecco il vicino frugarlo col gomito, presentargli un bel pollo or ora tranciato; infilzarne una coscia col forchettone,  mettergliela sul: piatto. E come Lorenzo fa atto di schernirsi: – Eh via! Ancor questi scrupoli, Lorenzo mio bello? Mangia, mamgia che non ti farà groppo alla gola … E Lorenzo vien rosso: – Oh, non ho scrupoli io! E abbassa il capo e chiude gli occhi, e addenta le male carni, e le manda giù con angoscia. Non ne gusta neanche il sapore, poveretto! ben sente una voce dentro, che si leva dal fondo del cuore e gli dice: vile! –  Mi contava mia nonna, buon’anima, d’un bell’umor di Cristiano, che trovandosi un giorno nel caso del nostro Lorenzo, seduto in venerdì a una tavola dove andavano in giro vivande d’ogni ragione, tirava giù imperterrito e franco d’ogni piatto che passava, una buona porzione, e s’era magro, mangiava allegramente, se grasso, zittiva al cane, pigliava il piatto, gliel metteva in terra, e: — Mangia, barbone; che buon pro ti faccia! — E come i commensali si mostravano di ciò meravigliati: — Signori, di che si meravigliano? Il mio cane non è mica obbligato al magro: proprio come loro! — Un saputello volle replicare non so che; ma ebbe in risposta un altro frizzo, e si finì con una generale risata. Un’altra volta, berteggiato per la stessa ragione, la prese per un altro verso.— Ditemi, amici: come si chiama chi manca di riguardo a una signora? — Malcreato, villano! — risposero a coro i commensali. — Bene (ripigliò colui) io ci ho una brava signora, vedete, che se mangio di questa roba s’offende, di disgusta, e … – Sarà tua moglie, la conosciamo… una beghina bell’e buona… ; No, mia moglie: è la Chiesa. Questa non la conoscete mica voi?… Tanto bastò per sconcertare i compagni, e si volse ad altro il discorso. Giovinetti miei, è un vile costui? Tutt’altro! E perché?  Perché non silascia comandare agli altri, non si lascia por piedi addosso dalla mala bestia dell’umano rispetto. Ma torniamo ancora una volta al nostro Lorenzo. Coraggio, figliuoli! Un altro volo di fantasia, e vel faccio vedere a quarant’anni.

V.

VILE LORENZONE.

Lorenzo dunque ha quarant’anni, è un avvocato di credito, è ricco, è ammogliato, ha figliuoli, e s’è messo cos’ bene in carne che tutti lo chiamano il signor Lorenzone. Volete vederlo? Venite con me, saliamo quello scalone, spingiamo quella porta…. silenzio: cavatevi i cappelli. Ecco i padri della patria seduti in giro ai loro scanni. Quel là in mezzo dalla fronte calva, dalle folte basette, con gli occhiali montati in oro, è il sindaco; a’ suoi fianchi di qua e di lì i signori della Giunta, il segretario, il cassiere e via gli altri di seguito. Attenti figliuoli miei: l’affare intorno a cui oggi si deve deliberare è di sommo rilievo: ne dipende la pubblica salute. Si tratta nulla meno che d’un convento di monache da mutare in caserma; la macchina è montata da più mesi, una parte dei voti assicurata; ma, ma… tra quei della padri della patria e’ ci ha ancora dei codini… Vedete il signor Lorenzone, quel là in giubba nera, con quel giornale alla mano, che mentre il sindaco parla fa vista di legger la politica, e da quando a quando sbircia di qua, di là i vicini… Egli è desso, proprio il Renzino che abbiamo veduto alle prese co’ monelli; proprio il Lorenzo che sedeva a favola coi compagni d’Università. Sua madre, di cui si vergognava, è morta; ma le sue massime, i suoi consigli gli stanno ancor fitti nel cuore. Egli è in voce di codino, perché va a messa, e tiene due suoi figli in educazione presso i P. Somaschi di Novi. Ora, poi che trattasi di snidare quelle povere monachelle, egli è venuto al Consiglio col fermo proposito di votare per loro. Pensate! ei ci ha una zia là dentro e una cara sorella, alle quali ha promesso colle lagrime agli occhi, che avrebbe fatto di tutto per salvarle; povere colombe spaventate! E anche senza questa promessa, cacciar quelle innocenti, metterle sulla strada… gli sa così villano e crudele!… Ma vediamo che sa fare per esse, ora che siede in Consiglio. – Ecco, il sindaco si leva, parla serio e grave come un Catone. Le parole spirito dei tempi prosperità pubblica, esigenze sociali, progresso, libertà, gli ricorrono ad ogni poco sulle labbra; finché conchiude la sua solenne pappolata col delenda Carthago; e Cartagine, s’intende, sono nel caso nostro le monache. – Dopo il sindaco si levano parecchi altri; parlano, a alcuni pro, alcuni contro la proposta. Ma i primi timidi e rimessi nel dire, si contentano di mostrare la poca utilità che può ricavarsi dalla caldeggiata caserma, l’incertezza che il governo voglia abbigliarsi a uno stabile presidio … Nessuno ardisce difendere a viso aperto le ra, non le nominano nemmeno, quasi il lor nome debba scottar loro la lingua … Gli avversari invece declamano a fronte alta, a voce concitata, con gesti da energumeno. Gridano … passato il Medioevo, caduti i pregiudizi, depurata la religione, brillano sui popoli il sole della libertà; deplorano le vittime rinchiuse del fanatismo, citano, coma storia sacrosanta, la favola della monaca di Cracovia, inveiscono contro i preti e l’inquisizione, deplorano che in tanta luce dei tempiseggano ancora in Consiglio dei Gesuiti !!! … Povero signor Lorenzone! Gli è proprio lui che va a ferire l’amaro sarcasmo… guardatelo; ei trema tutto,abbasso gli occhi, e soffia e si dimena, proprio come sedesse sulle spine, e: – non parlerò (pensa), perché sarebbe un espormi … Ma quanto al mio voto … no, no, bricconi, non l’avrete mai: jamais! Jamais! Dice col Rouher… Ma che? Si viene alla votazione … sperava fosse segreta, e invece è per alzata e seduta. – Chi approva il progetto si alzi! – Grida il Sindaco. E il signor Lorenzone dà uno sguardo in giro, vede i colleghi, quasi tutti levati, e anch’egli … anch’egli si leva. Vile Lorenzone! Ha incominciato da piccolo a vergognarsi di sua madre, ha continuato vergognandosi della Chiesa, ha finito coll’aver vergogna dell’onestà, della virtù, del mdovere. Vile Lorenzone.

VI.

SERVITÙ CHE ONORA

Giovinetti, voi d’anima ingenua e di sentimenti generosi nessuna taccia tanto temete quanto quella di vili, e avete ragione. Ma! badate a incominciare fin d’ora a fuggire ogni viltà. È un cuor bello e generoso che Dio vi ha chiuso nel petto; non l’avvoltolate nel fango. È un’anima libera e immortale la vostra, che riferisce le fattezze degli Angeli, anzi di Dio stesso che l’ha creata a sua immagine e somiglianza: non la degradate, non l’avvilite col farla miserabile schiava. Oh così possa sempre la vostra fronte levarsi incontaminata al cielo e rifletterne la serenità e la luce! – ma quando v’esorto a mantenervi liberi e fuggire coni viltà, non intendo spinGervi a rompere ogni giogo, a sottrarvi a qualunque servitù. V’ha una servitù che avvilisce e degrada, e v’ha una servitù che esalta ed onora. Servitù che degrada, rispettare l’uomo al di sopra di Dio; servitù che onora, rispettare Dio al di sopra dell’uomo. Egli è appunto quest’ultimo, dignitoso rispetto che a quei poveri pescatori usciti dalla scuola di Gesù, e per Gesù imprigionati e percossi, metteva sul labbro delle franche parole: — Se sia giusto che obbediamo agli uomini più che a Dio, giudicatelo voi stessi. — La si sente subito che è una nobile risposta, è  vero? Or fate caso, che all’intimazione di tacere che faceva loro il Sinedrio, quei poveri pescatori avessero cagliato, se ne fossero andati mpgi mpgi a capo basso, corsi a rinchiudersi, e lì zitti! … Che avreste pensato di loro? Tant’è l’uomo sottomettendosi a Dio non si avvilisce, ma si nobilita, non si abbassa ma s’innalza, perché, umiliandosi così, confessa la sua origine divina, si dichiara servo, anzi figlio dell’Altissimo. Or dite; vi può essere sulla terra dignità maggiore di quella di figliuolo di Dio? Di quel Dio, cui servire, regnare est? – Che fate? che fate? — chiedeva già un bell’imbusto a un buon giovinetto, che giunto in chiesa, la prima cosa, si metteva a ginocchi e faceva il segno della croce. E il giovinetto, senza scomporsi: — Adoro Iddio, mio Signore e mio padre; e voi? … siete venuto a bravarlo forse? … Pur troppo si vedono dei giovani, e non sol giovani, ma uomini talvolta dal pelo brizzolato e dalla calva fronte, quand’hanno a recarsi alla messa festiva, cercar l’angolo più riposto ed oscuro di chiesa. – Sarà per pregare con maggiore raccoglimento. – Proprio la scusa che cercano certuni a non parere vigliacchi. Il fatto è che han paura d’essere veduti. Oh i giovani liberi! Oh, gli uomini indipendenti! Oh fior di Cristiani!…. Non s’inginocchiano, non s’inchinano dunque mai costoro? Oh si inginocchiano anch’essi, non dubitate. – Guardate quel giovanotto azzimato alla moda: entra a messa, s’apposta dietro un pilastro, e lì duro, impalato, guardar qua e là, lisciarsi la zazzera, scalpitare come un cavallo, tossire, ammiccare degli occhi… Ma sta: suona un campanello; quel campanello avvisa che il Dio Salvatore discende in quell’istante chiamato dalla voce sacerdotale, in mezzo al suo popolo … Si piega egli il nostro giovanotto? Non c’è caso. Si direbbe che a forza d’amoreggiare i pilastri, per virtù di simpatica assimilazione, sia diventato pilastro anche lui. — Ma che l’ha il filo della schiena tutto d’un pezzo costui? — Oh anzi flessibile, flessibilissimo. Vedetelo nel gabinetto di quel segretario capo, da cui dipende la sua promozione all’impiego, che scappellate, che strisciamenti, che inchini! È par l’altalena, che alla prima scossa va su, va giù, di qua; di là, e stenta un buon tratto a rimettersi in bilico, e posare. – Lascio nel calamaio un visibilio di simili casi, e domando a voi, miei cari giovinetti: non vi fa ribrezzo tanta viltà? E son uomini costoro?.. e voi pensereste farvi uomini simili a loro?… Oh la bella immagine di Dio, come è da tanti vilmente prostituita!… Ma via! lasciamo di rimestar questo pattume e consoliamoci con qualche bell’esempio tratto dalle storie; ché a guardar mondo qual è ai dì nostri, e’ ci sarebbe da perder la fede nella umana dignità. – Arrigo VIII re d’Inghilterra s’annoia della sua legittima moglie Caterina d’Aragona e vuol disfarsene per impalmarsi ad una sgualdrina di Corte, Anna Bolena. Il Papa fermo gl’intima, come 2già il Battista ad Erode, il non licet. Ed egli: — Che Papa, io farò senza. — Scorona, discaccia ed imprigiona la regina, si stringe in nefande nozze alla Bolena, e: — ora il Papa son io, — E nol dice mica per celia! Fa proporre al Parlamento una legge: — Capo di religione il re; chi neghi riconoscerlo e serbi fede al Papa di Roma, la confisca dei beni; la prigione, la morte. — Incredibile a dirsi! Il parlamento piega, la mostruosa legge è sancita. L’anime strappate a Cristo e al suo l’appresentante sulla terra, saranno d’ora innanzi umilissime schiave al più sozzo fra i tiranni, a quel mostro di libidine e di ferocia, che non mai sazio di mutar donne, due ne ripudiò, altre due ne diede in mano al carnefice, e della quinta avrebbe fatto altrettanto, se la morte non s’affrettava a torlo dal mondo. – Ma vivaddio! Non tutte in Inghilterra erano anime di fango. Non parlo de’ vescovi, de’ monaci, dei Sacerdoti che per aver resistito alle inique voglie del re furono a migliaia o giustiziati, o cacciati in esilio: ma pur tra le persone del scolo, tra’ grandi della Corte trovossi un uomo. – Tommaso Moro, gran Cancelliere del regno, uomo d’ingegno e d’ onestà a tutta prova, benemerito da molti anni del re e della patria, aveva adoperato tutto il credito che godeva presso Arrigo per dissuaderlo da rompere il sacro vincolo delle legittime sue nozze, ed avvilirsi a sposar la Bolena. Quando udì la legge della supremazia spirituale del re: – io non mi sottometto (rispose), mel vietano la mia dignità d’uomo e la mia coscienza di Cristiano. — Disse e non dié crollo. Tutti strisciavano a terra; ed egli in piedi. Minacciato, degradato, spogliato de’ beni, chiuso in prigione sta saldo. Gli manda la cara moglie coi figlioletti; entra la misera nel tetro carcere, l’empie di lamenti e di guai, gittasi scapigliata per terra a’ piè del marito, gli tende colle sue braccia i teneri pargoletti, e: — Salvati, deh! Salvati, Tommaso!… Almeno per pietà di questi innocenti… Una parola! dimmi una sola parola … — Ma quella parola il Moro non la dirà, no, non la dirà. Una terribile burrasca, a dir vero, gli agita il cuore: quella vista, quelle parole della sua donna desolata gli danno uno schianto!… Ma l’uomo forte non cede. Leva gli occhi al cielo, indi abbassandoli sulla supplichevole: — Luisa mia (le dice), guarda questa fronte, questi grigi capelli; e di’: quanto può rimanermi di vita sulla terra? Dieci, vent’anni …? Ebbene, sappia che per vent’anni di vita non mi sento di perdere un’eternità – Ha detto e non muta. La donna disperata si ritira; egli fra pochi giorni salirà con pié fermo il patibolo: un popolo immenso, muto per terrore, vedrà la sua nobile testa rotolare nel fango. – Giovani miei, mandategli un plauso. Viva Tommaso Moro! Viva l’uomo ed il Cristiano! E quei signori del parlamento?… un branco di vigliacchi!… Non ragioniam di loro, ma guarda e passa.

VIVA CRISTO-RE (2)

CRISTO-RE (2)

TOTH TIHAMER:

Gregor. Ed. in Padova, 1954

Imprim. Jannes Jeremich, Ep. Beris

 CAPITOLO II

CONCETTO DI REGALITÀ DI CRISTO (II)

Perché gli uomini rifiutano Cristo? Perché non vogliono accettare la regalità di Cristo.

Ricordiamo la scena di Betlemme: i tre Magi sono prostrati davanti alla mangiatoia…. Questo Bambino, che essi adorano ed a cui portano in dono, è il Figlio del Dio vivente, il Verbo incarnato, il Sovrano del genere umano. In altre parole, Gesù Cristo è Re, è Figlio, ma è anche Legislatore! Ci ama, ma è anche il nostro Giudice. È gentile, ma allo stesso tempo esigente. E se Lui è il mio Re, allora non posso vivere in modo frivolo come ho fatto finora. Gesù Cristo deve avere voce in capitolo nei miei pensieri, nei miei progetti, nei miei affari, nei miei divertimenti. Ah, ma questo è troppo impegnativo per noi! È troppo difficile per noi e non vogliamo ammetterlo! Perché la semplicità, la povertà, l’umiltà di questo Cristo di Betlemme è un’inesorabile accusa al nostro modo di vivere. Perché se Cristo ha ragione, è chiaro che noi abbiamo torto; il mio orgoglio, il mio incommensurabile desiderio di gloria, la mia smania di piaceri, la mia idolatria di tante cose terrene, la mia adorazione del vitello d’oro non sono giusti. Ecco perché siamo riluttanti a sottometterci al giogo di Cristo. Non voglio Cristo, perché la sua umiltà condanna la mia vanagloria. Non voglio Cristo, perché la sua povertà rimprovera il mio desiderio di ricchezza e di piacere. Non voglio Cristo, perché la sua fiducia nella Provvidenza condanna il mio materialismo e la mia autosufficienza. Ma se Cristo è il mio Re, allora la ragione, il piacere ed il denaro non possono essere i miei idoli. Se Cristo è il mio Re e il mio Dio, non posso fare della ragione o della scienza un idolo. Devo rispettare la scienza, sì, ma non elevarla al rango di divinità. La scienza non può spiegarmi tutto, tanto meno soddisfare il mio desiderio di felicità. Non ci sono mai state così tante scuole e università, così tante biblioteche, così tante risorse per la conoscenza e l’istruzione. Eppure, gli omicidi, la corruzione e la decadenza morale dilagano. La scienza, i libri, la cultura non possono supplire a tutto. E non è forse l’angelo che sapeva di più, lucifero, ad essere precipitato negli abissi più profondi? E non leggiamo forse ad ogni angolo che tra i grandi criminali ci sono uomini altamente istruiti, altamente qualificati, molto astuti e abili? Sappiamo molte cose, sì, ma cosa sappiamo? Costruiamo grattacieli, sfruttiamo le risorse naturali, ci divertiamo, ce la godiamo molto bene… ma non sappiamo essere onesti, non sappiamo perseverare nel fare il bene, non sappiamo essere felici, non sappiamo vivere una vita degna dell’uomo. Cristo è il nostro Re! Che cosa significa? Significa che l’anima è superiore al corpo; che l’integrità morale è più preziosa della conoscenza. Questa fede religiosa vale più della mia carriera o del mio lavoro professionale. Che la Santa Messa ha un valore infinito, che non può essere paragonata a un film. Che un momento di preghiera vale molto di più di un banchetto mondano! Tutto questo significa la regalità di Cristo. – Se Cristo è il mio Re, la moda non può essere il mio idolo. Dove regna Cristo non c’è spazio per la frivolezza. Chi ha Cristo come Re, non può vestirsi, ballare o divertirsi con tanta superficialità e leggerezza…. Molte donne ingenuamente non si rendono conto che il paganesimo sta cercando di rifarsi strada attraverso la moda: attraverso l’abbigliamento indecente, i balli osceni, il veleno diffuso da certi film, il lusso esorbitante…, tutto questo è paganesimo. Se Cristo è il mio Re, non posso bandirlo dalla vita pubblica, che è proprio ciò che il secolarismo sta cercando di fare: espellere il Cristianesimo dal maggior numero possibile di luoghi, strappare sempre più fedeli a Cristo. Se Cristo è il mio Re, non posso adorare il denaro o i piaceri. Perché lo spirito è al di sopra della materia, perché la mia anima è chiamata a vivere la vita di Dio. Ma ci dimentichiamo di Cristo e non abbiamo tempo per nutrire il nostro spirito. E poiché non mettiamo il nostro cuore in Cristo, finiamo per metterlo nelle religioni esoteriche orientali e abdichiamo alla fede cattolica. Ma queste religioni non hanno nulla di nuovo da dirci e sono piene di molti gravi errori. – Ecco, dunque, il motivo del rifiuto della regalità di Cristo…. Non accettiamo Cristo Re perché condanna il nostro stile di vita pagano. Secondo una leggenda, quando il Bambino Gesù era in viaggio verso l’Egitto, in fuga da Erode, tutte le statue di idoli che incrociavano il suo cammino crollarono al suo passaggio… È la stessa cosa che dovrebbe accadere a noi oggi: davanti a Cristo devono cadere tutti gli idoli! Davanti all’umile Gesù Cristo, il mio orgoglio altero deve cadere. Davanti al povero Gesù Cristo, la mia presuntuosa vanagloria e la mia smania di piacere devono scomparire. E quando adoreremo Cristo come Re, allora – solo allora – la società umana sarà guarita dai suoi innumerevoli mali. Tu sei il nostro Sole, che ci dà la vita, che ci dà luce e calore.

CAPITOLO III

I DIRITTI DI CRISTO ALLA REGALITÀ

Che cosa intendiamo per “regalità di Cristo“? Quali sono i diritti di Cristo alla regalità?

Pensiamo che la festa di Cristo Re metta in luce una grande verità: Cristo sarebbe ancora il nostro Re, anche se non l’avesse mai detto, perché ha davvero diritto alla regalità. Cristo è il nostro Re, perché è il nostro Redentore e il nostro Dio. Come Redentore, ha acquistato i suoi diritti su di noi a un prezzo molto alto. “Siete stati riscattati…, non con cose deperibili, non con oro o argento…, ma con il prezioso sangue di Cristo, come di un agnello senza difetti e senza macchia” (I Pietro I:18-19). Nostro Signore Gesù Cristo ci ha comprati “a caro prezzo” (I Cor VI, 20), così che i nostri corpi sono diventati membra di Cristo (I Cor. VI,15). Cristo è il nostro Dio. E Dio è “l’unico Sovrano, il Re dei re e il Signore dei signori” (I Tim VI,15). Dio ha dei diritti su di noi. E notate: la promulgazione dei diritti di Dio è la prima impresa che Nostro Signore Gesù Cristo ha compiuto quando è sceso in questo mondo, quando ha fatto sì che i cori angelici proclamassero la gloria di Dio nella notte della sua nascita. – La prima rivoluzione del mondo, attuata da Adamo ed Eva in Paradiso e ispirata da satana, non fu altro che la proclamazione dei diritti dell’uomo contro i diritti di Dio. Gli stessi fini sono stati perseguiti da molte altre rivoluzioni, come quella francese. Per questo la Redenzione è iniziata facendo il contrario, proclamando innanzitutto i diritti di Dio. Dio è il mio Signore, il mio Sovrano assoluto. Ma non è solo su di me che esercita il suo diritto sovrano. È anche il Signore della famiglia, della scuola, degli enti pubblici, dei media, dei luoghi di divertimento, insomma: il Signore di tutta la società! Accettare di nuovo questo fatto, farlo vivere alle anime, questo è il significato sublime della nuova festa di Cristo Re. Per questo è stata istituita, affinché i Cristiani dimostrino che Dio ha dei diritti sull’uomo e l’uomo ha dei doveri nei confronti di Dio: se Cristo è il nostro Dio, allora è il nostro Re. – Inoltre, la regalità di Cristo è in accordo con lo spirito del Vangelo, come chiariscono molte citazioni della Sacra Scrittura. Nel 2° Salmo è già annunciato che Cristo è consacrato “dal Signore re su Sion, il suo monte santo“, e riceve “in eredità le nazioni e il suo dominio si estende fino ai confini della terra“. GEREMIA dice che Cristo “regnerà come re, sarà saggio e governerà la terra con giustizia e rettitudine” (Ger XIII,5). – Nel prologo del Vangelo di San Giovanni si dice: “In principio era il Verbo…, senza di lui non è stato fatto nulla di ciò che è stato fatto” (Gv I,1.3). All’Annunciazione, l’Angelo Gabriele dice alla Vergine Maria: « Sarà grande e sarà chiamato Figlio dell’Altissimo, al quale il Signore Dio darà il trono di Davide suo padre e regnerà sulla casa di Giacobbe per i secoli dei secoli”. E il suo regno non avrà fine » (Gv 32-33). E ricordiamo soprattutto il dialogo tra Pilato e nostro Signore Gesù Cristo: “Sei dunque un re?”, chiede il procuratore romano. E il Signore gli risponde con dignità regale: “Rex sum ego!” “Io sono il Re!” (Gv XVIII,37). È vero che prima aveva detto: “Il mio regno non è di questo mondo. Se il mio regno fosse di questo mondo, il mio popolo avrebbe combattuto perché non fosse consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di qui” (Gv XVIII,36). Cosa intende Gesù Cristo con queste parole? Cristo è Re, ma non acquisisce i suoi diritti con la forza delle armi e della dinamite; “sfila la spada” (Mt XXVI, 52.), disse a Pietro. Vuole essere il Re della nostra anima, il Re che governa la nostra volontà – Lui è la “via” -, la nostra comprensione – Lui è la “verità” – e i nostri sentimenti – Lui è la “vita”. Sì: Cristo Re è “il sovrano dei re della terra” (Ap I,5), come “ha scritto sulla veste e sulla coscia: Re dei re e Signore dei signori” (Ap XIX,16). Il Padre lo ha costituito “erede universale di tutte le cose” (Eb 1,2), e perciò “deve regnare finché non avrà messo tutti i nemici sotto i suoi piedi” (I Cor XV, 25). – Così vediamo che la Sacra Scrittura proclama esplicitamente la regalità di Cristo. Potremmo fare altre citazioni, ma per me spiccano due frasi del Signore. Voglio insistere su di essi, perché so per certo che avranno una profonda influenza su tutte le anime. Qual è la prima frase? Una frase nota e spesso ripetuta del Signore: “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno” (Mt XXIV, 35; Mc XIII, 31). Che frase impressionante! Osserviamo il contesto. Era notte. Il Maestro era seduto con i suoi discepoli sulle pendici del Monte degli Ulivi…. Davanti a loro c’era il Monte Moriah, coronato dal tempio di Gerusalemme. Stavano riposando, dopo una dura giornata… Uno dei discepoli indica con orgoglio il tempio: “Maestro, guarda le pietre e il magnifico edificio“. E il Signore risponde: “Vedi tutto questo? In verità vi dico che non resterà qui una pietra su un’altra che non venga buttata giù“. Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea lo presero in disparte e gli chiesero: “Maestro, quando accadrà questo? E quale segno ci sarà che tutte queste cose stanno per compiersi?”…. Questa è la domanda che il Salvatore stava aspettando. Era una notte tranquilla…; il gregge stava intorno al pastore, attento. E il Signore cominciò a parlare loro. Quali persecuzioni dovevano subire per la loro fede! Ma prima li avverte che non devono essere turbati. Poi racconta della distruzione della distruzione del tempio di Gerusalemme. Infine, con molta delicatezza, passa alla catastrofe finale e tira fuori la morale, per la quale aveva detto tutte queste cose: Tutto, tutto ciò che vedete in cielo e in terra perirà: C’è solo una cosa che resiste trionfalmente alla distruzione dei secoli: Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Nessuna frase esprime meglio la regalità di Cristo. Sono passati più di venti secoli da quando Egli ha pronunciato questa profezia e, una dopo l’altra, le sue parole si sono realizzate. Alcuni Apostoli potevano ancora vedere la distruzione di Gerusalemme. L’impero greco è morto: il tempo lo ha spazzato via. Il colossale Impero romano, che, per così dire, conteneva tutto il mondo conosciuto, perì. La stessa cosa è accaduta al Sacro Romano Impero, che è andato in pezzi. Così come l’impero di Napoleone, che comprendeva praticamente tutta l’Europa. E alla fine? Napoleone finì esiliato in un isolotto…. Ed era così anche nei tempi precedenti a Gesù. Pazienti scavi hanno portato in superficie antiche rovine: quelle di Babilonia, Alessandria… Popoli, nazioni, individui, sono nati, cresciuti e passati attraverso la fase della storia… Cosa ci dicono gli antichi imperi in rovina? Il cielo e la terra passano, ma le parole di Cristo Re non passano. E se il Signore apparisse oggi in mezzo a noi e ci conducesse su un promontorio da cui ci mostrerebbe una delle città più popolose del mondo? È una bella notte, e io dico con orgoglio al Signore: “Guardate, Signore, quanti magnifici edifici…, il Parlamento, le chiese, i bei monumenti…. Guardate come sono illuminati… Guardate i grandi stadi e i centri di intrattenimento, come si agitano le folle…”. E il Signore dice: “Tutti questi alberghi, palazzi, monumenti, musei, così magnifici…, tutto, tutto perirà; di tutto questo non resterà che il ricordo…, anzi, non si conserverà nemmeno il ricordo”. E quando sentiamo queste parole, esclamiamo sorpresi: “Signore, non può essere. C’è voluto tanto lavoro…”. Ma così è successo nel corso della storia. Quindici o sedici secoli fa c’era una vita fiorente in Nord Africa, dove oggi non c’è altro che un deserto sabbioso e una o due rovine, dove un tempo c’era un popolo numeroso! Può accadere che tra qualche secolo i popoli dell’Asia invadano l’Europa…; ma anche loro porteranno in sé il germe della morte. Perché tutto ciò che l’uomo può vedere, udire e sentire perirà….. Il cielo e la terra passeranno….. – Ma, Signore, anch’io perirò senza lasciare traccia? Tutto il mio essere desidera vivere per sempre; devo forse perire senza soddisfare il mio desiderio di vita eterna? No. È il Signore che dice: « Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno…”. E chi osserva le parole del Signore vive per sempre. E « chi osserva la mia parola non vedrà mai la morte » (Gv VIII, 51), cioè vivrà per sempre. – O Cristo! Tu sei il Re del tempo e dell’eternità. Le sue parole mi riempiono di fiducia e di incoraggiamento. Cristo è il Re della vita eterna e io voglio cercare in tutti i modi di essergli fedele. Questo è uno dei pensieri che mi colpisce di più quando medito sulla regalità di Cristo. – C’è un’altra frase del Signore che mi affascina molto. Una che mi mostri in tutto il suo splendore le pretese di regalità di Cristo. La frase è questa: « A me è stato dato ogni potere in cielo e in terra… » (Mt XXVIII,18), tanto che poteva arrivare a dire: « Quando sarò elevato in alto sopra la terra, attirerò a me tutte le cose » (Gv XII, 32). O Signore, come avete potuto dire una cosa del genere? Sembra che non pensiate secondo la prudenza umana. Perché, umanamente parlando, cosa ci si può aspettare? Avevate davanti a Voi la croce, le folle piene di odio, e solo dodici comuni pescatori vi hanno seguito? E questi sono coloro che devono estendere il suo regno? – Vediamo cosa ne è stato della dottrina di Cristo, come si è realizzato parola per parola ciò che Gesù ha proclamato! Il grano seminato da Gesù Cristo crebbe costantemente: Samaria, Cilicia, Cappadocia, Frigia, Atene, Roma, tutti i popoli finirono per schierarsi con Cristo. Allora i popoli barbari piegarono il loro collo rigido sotto il giogo di Cristo… Seguono nuove scoperte: coraggiosi marinai portano la croce sulle rive del Mississippi, nella regione del Gange, presso i discendenti degli Incas, presso le tribù del Rio de la Plata, nei domini della Cina e del Giappone, nelle isole del Mare del Nord, nelle regioni del Polo Sud…. Ovunque si canta lo stesso inno: “Ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo…”. In verità, su tutta la terra sventolano i vessilli del Re. In verità, Egli è stato elevato in alto e ci ha attirato a sé. E se, dopo aver contemplato il passato, dessimo uno sguardo alla situazione attuale? Dove, nella storia del mondo, c’è stato un uomo, un sovrano, che ha avuto tanti vassalli come Cristo? Un dominio così vasto, che ha coperto paesi e continenti? Devo citare Cesare, Alessandro Magno, Carlo V, Napoleone? Ma i domini di questi non sono che cumuli di sabbia rispetto a quelli di Cristo. Devo ricordare la marcia trionfale del grande Costantino? Ma non è altro che una passeggiata di bambini se la confrontiamo con le processioni moltitudinarie dei Congressi Eucaristici Internazionali, in cui i bambini di tutte le nazioni del mondo, cinesi e americani, eschimesi, negri, ungheresi, italiani, spagnoli, tedeschi, francesi, inglesi, sfilano insieme, e tutti ci prostriamo con la stessa fede davanti a Cristo Re. – E non dimentichiamo i grandi ostacoli che si sono frapposti al trionfo di Cristo: l’esigente morale cristiana! Gli enormi ostacoli frapposti da ebrei, pagani, turchi, miscredenti, socialisti, massoni… Diplomazia e violenza, astuzia e inganno, falsa scienza e cattiva stampa… da duemila anni fanno di tutto per sconfiggere Cristo. Amico lettore, dimmi un solo fondatore di una religione la cui dottrina abbia combattuto battaglie così dure come quella di Cristo! – Ha solo dodici Apostoli, uomini semplici. Il Venerdì Santo, anche questi sono spaventati e turbati…. Ma arriva la Pentecoste e i suoi discepoli sono già migliaia. Erode giustizia Giacomo, gli Apostoli devono fuggire dalle persecuzioni, eppure il Cristianesimo comincia a diffondersi. Contro di essi si scaglia il più furioso dei persecutori…; ma presto Saulo diventa Paolo, che subito conquista tutta l’Asia Minore per Cristo. A Roma iniziano le persecuzioni: il sangue dei Cristiani viene versato ovunque… e, alla fine, il Cristianesimo conquista Roma e converte tutta l’Europa. – In Francia Voltaire dà l’ordine: “Écrasez l’infâme“: “Schiacciate l’infame”, riferendosi al Cristianesimo. Ma non ci riescono; al contrario, il Cristianesimo si diffonde nel Nuovo Mondo e negli altri continenti…. E come! Non c’è potere, non c’è astuzia, non c’è forza che possa fermarlo. È la marcia trionfale di Cristo Re. “Quando sarò elevato in alto, attirerò a me tutte le cose“. Tutte le cose saranno attratte da Me! E con quale potenza, con quale amore sottomette i cuori! Nessun re può essere paragonato a Lui nell’influenzare i suoi sudditi…. Cristo ha comandato: “Andate e insegnate a tutte le nazioni“; il suo comando è stato adempiuto. Anche oggi risuona la parola di Cristo. Risuona nei palazzi, nei tuguri, ovunque. Gli analfabeti e i saggi lo ascoltano. Il pescatore del villaggio norvegese, il mercante olandese, il contadino della grande pianura ungherese, il minatore inglese, l’operaio industriale tedesco, il “fazendeiro” brasiliano…, tutti ascoltano e leggono le parole di Cristo. Le leggono, le ascoltano… e diventano migliori, e riempiono la loro vita di significato. In verità, vediamo realizzate le parole del Salmista: “La giustizia e l’abbondanza di pace fioriranno nei suoi giorni… ed egli regnerà da un mare all’altro e dal fiume fino all’estremità della terra” (Salmo LXXI: 7-8).

* * *

La notte del 31 del quinto mese dell’anno 737 della fondazione di Roma, l’imperatore Augusto lasciò il suo palazzo in una brillante processione e, alla luce delle torce, attraversò le strade buie di Roma… e si diresse verso il campo di Marte. In mezzo a guerre e problemi continui, il popolo attendeva l’alba di una nuova epoca…, ed ecco che una nuova cometa apparve nel cielo: era il segno che un’epoca migliore stava arrivando, e quella stessa notte il suo avvento doveva essere solennizzato. L’imperatore uscì per offrire un sacrificio agli dei. La notte è illuminata da innumerevoli torce… Una folla addobbata a festa si accalca intorno ai tre altari eretti in onore delle dee della fortuna… Un’intera folla di sacerdoti… Le fiamme si agitano, le trombe risuonano… Improvvisamente ogni rumore cessa, arriva il momento solenne: l’imperatore si alza, va all’altare e offre il suo regno e il suo popolo alla divinità. Il popolo torna con gioia alle proprie case: “È iniziata una nuova epoca, un’epoca migliore!”. Avevano ragione. Ma non nel modo in cui lo immaginavano. – Non fu la cometa a portare un tempo migliore, ma un Bambino che nacque qualche anno dopo alla periferia di Betlemme. Un bambino povero, ma da allora gli dei pagani sono crollati e il mondo misura gli anni in base alla sua nascita. Da allora, ovunque ci siano Cristiani, si sente la preghiera fiduciosa e solenne della Chiesa: Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum, qui vivit et regnat per omnia sæcula sæculorum… Per il nostro Signore Gesù Cristo, che vive e regna nei secoli dei secoli… – Sì, Cristo ha un diritto su di noi, ha un diritto di regalità. Per questo motivo, il giorno di Cristo Re non deve essere solo una festa della Chiesa, ma anche di tutta la nazione, di tutta l’umanità: “Non c’è salvezza in nessun altro, perché non c’è altro nome sotto il cielo dato tra gli uomini per mezzo del quale dobbiamo essere salvati“, si legge negli Atti degli Apostoli (IV, 12). Per questo il Santo Padre Pio XI aggiunge giustamente: « È Lui che dà la vera prosperità e felicità agli individui e alle nazioni: perché la felicità della nazione non viene da nessun’altra fonte che dalla felicità dei cittadini, perché la nazione non è altro che l’insieme concorde dei cittadini ».

È dimostrato. Senza Cristo non possiamo fare nulla. Andiamo a Lui e con Lui vinceremo.

VIVA CRISTO-RE (3)

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (1)

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (I)

LA GRAN BESTIA SVELATA AI GIOVANI

dal Padre F. MARTINENGO (Prete delle Missioni)

SESTA EDIZIONE – TORINO I88O

Tip. e Libr. SALESIANA

AI GIOVANI ITALIANI E CRISTIANI!

 È un libro piccoletto di mole, ma pieno, a mio credere di così sani ed utili ammaestramenti, che tutti, più o meno, dall’alto in basso, ci si può imparare qualche cosa, io pel primo che l’ho scritto: imparare, dico, per la pratica del ben vivere. Cionondimeno a voi mi piace offrirlo in particolar modo, a’ quali ride il bel fior di gioventù, prima, perché vi voglio un gran bene, e poi perché molto spero di voi, tenerelle piante che si raddrizzano ancora. – Voi del resto, o carissimi giovani, letto che avrete il mio libretto, lo porterete alle vostre famiglie, lo farete girare fra le mani di parenti e d’amici, e così farà un po’ di bene anche a loro. È un facile apostolato ch’io vi propongo, più facile a voi che a me, e che più monta, efficace. – V’ha certa gente che un buon libro il rifiuterebbero, o almeno il guarderebbero con sospetto, porto loro dalla mano del prete; nol rifiuteranno, anzi l’avranno caro da quella d’un figlio, d’un fratello, d’un amico. Suvvia dunque, cari apostolini! Aiutatemi a fare un po’ di bene; ed io vi prometto, che questo libretto, come non è il primo, così, a Dio piacendo, non sarà l’ultimo ch’io scrivo per voi.

LA GRAN BESTIA

I.

DUE CHIACCHERE A MO’ DI PREAMBOLO.

Cari giovani, sapete a che numero ascende. la popolazione del nostro pianeta? Una volta dicevasi di ottocento milioni; ora, trovo in una delle Geografie più moderne, la si computa a quasi seicento milioni di più, cioè, a un miliardo e. trecencinquantanove milioni. Quanti uomini, quanti uomini, eh! … Eppure tra tanti, credete a me, tra tanti uomini che vivono al mondo, d’assai pochi potrebbe dirsi questa breve parola: egli è un uomo! E non aveva tutti i torti quel capo ameno di Diogene di correre in pieno giorno con le lanterna accasa per le vie. Gridando a chi l’interrogava, che cerchi? Hominem quæro, hominem quæro. Ma di tanta carestia d’uomini veri, sapreste dirmi il perché? … È a voi più che ad altri, cari giovani, interessa saperlo, a voi, dico, che impazienti di slanciarvi oltre i confini della fanciullezza e della gioventù, andate talvolta sospirando:  Oh quando sarò grande!… oh quando sarò uomo!… Ma via! non tanta premura d’affrettar anni; ché di fretta ne hanno già abbastanza da per loro. Piuttosto venite qui, intanto che gli anni penano a passare e voi vi avvicinate a diventare uomini, sentite un mio consiglio, pensate al modo di dicentare uomini davvero: ché l’esser uomini, per vostra regola, non istà mica soltanto nel Venir su lunghi lunghi come perticoni, e nemmeno nel metter tanto di barba… ma piuttosto nel formarsi un animo indipendente, nobile, virile. E come pochi un animo cosiffatto sanno formarselo, perciò son pur pochi coloro i quali mettendosi la mano al petto, possano dire in buona coscienza lenza a se stessi: — io sono un uomo. Ma e gli altri?… gli altri, mieicari giovani, non sono che uominifinti, uomini di nome…. come queisoldatini di cartone, coi quali vi trastullavateda bambini a tenerli su ritti,metterli in fila, formarne un esercito … Che formidabile esercito! Di lì a pocopassava quel malignuzzo di vostroFratello maggiore, accostavasi, o faceva le viste per vedere, e con un soffio traditore tutte quelle belle file di soldati … giù colle gambe all’aria! Voi adisperarvi e piagnucolare, luia ridere e darvi la baia… O gli ometti di carta!… Ce n’ha tanti, cen’ha tantil!…Or be’, ditemi: di quali uomini voleteessere voi? — Neanco dirlo (mirispondete); noi vogliamo essere nominiveri, noi. — Oh bravi, lo sapevo io che siete giovani di buon gusto e di buone intenzioni: Ma perchéle intenzioni vostre abbiano effetto,non vi basta, no, lo andarvene là là acasaccio e a beneficio di natura (a beneficio di natura vengono su ifunghi e le zucche); ma conviene cipensiate seriamente fin d’ora… – Oh così presto? – Non è mai troppo presto; sentite. – così presto? — è mai troppo presto; sentite. La vita umana può paragonarsi a una fabbrica, a un gran palazzo, supponete, che uno voglia innalzare.  S’ei non piglia a gettare un buon fondamento fin da principio, che cosa avverrà? Man mano ch’ei si travaglia a tirarla su, le fondamenta cederanno, le muraglie faran pelo: e… o la fabbrica n’andrà in rovina, o converrà, per manco male, ridurla ad una povera bicocca. Così è dell’uomo: l’uomo comincia a formarsi da fanciullo, proprio come una fabbrica si comincia dal fondamento. – Or su dunque! quali modi avremo a tenere per incominciare questo benedetto fondamento? – Eh, figliuoli miei! ce ne ha tanti dei modi, ce ne ha tanti, che se avessi a dirvi di tutti, e’ mi verrebbe un librone, che nol reggereste sulle spalle. Bisognerà che mi restringa; mi stringerò a dirvi d’un’ostacolo… Dite, quand’uno ha a fabbricare, qual è la prima operazione che fa? — sgomberare il terreno, levar via gli ostacoli; per esempio, colmar quella fossa, tagliar quelle piante, spianar quel macigno. Or bene, egli è appunto una specie di macigno, una pietra maledetta ch’ io v’insegneròa levar via; una pietra in cui moltihanno dato del naso, e in cui inciampatuttavia la maggior parte degli uomini; una pietra, che intoppa malamente il passo a tanti poveri giovani,li fa cadere, li storpia, li sforma,li guasta in miserabile guisa per tuttala vita. Or questa pietra volete saperequal è? Scommetto che ne avete giàinteso il nome; ma non ci avete posto mente abbastanza: è l’umano rispetto,del quale dico, affermo e sostengo,che se giunge a dominare isentimenti di un giovane, costui saràun ometto di carta, un ometto da ridere,ma uomo vero giammai. – L’umano rispetto! + l’ho detto una pietra d’inciampo, avrei potuto. Dirloanche una fossa maledetta; ma migarba ancor meglio chiamarlo unaGRAN BESTIA, una bestia feroce, tantesono le stragi che fa negli uomini enelle donne, nei giovani e nei vecchi, nei grandi e nei piccoli, in tutti i luoghi, in tutti i tempi, intutte le età della vita. Farò di provarvelo,con ragioni, con fatti, conesempi, in tutti i modi possibili edimpossibili, finché ne siate convinti.Intanto incomincerò dal mostrarvi un tratto gli unghioni e le zanne de bestia crudele; appresso diremo delle stragi che fa.

II.

IL GIOVANE SOGNA, E LA BESTIA MOSTRA GLI UNGHIONI

Portar rispetto agli uomini. è cosa buona, anzi stretto dovere, purché si faccia secondo ragione. Ma se voi pel rispetto degli uomini dimenticate il rispetto a Dio. se voi giungete al punto di mettere il piacere, il giudizio dell’uomo al di sopra del piacere, del giudizio di Dio e della vostra coscienza, allora il vostro diventa un rispetto umano eccessivo, colpevole, mostruoso. – Rispettare l’uomo più che Dio! E non è un delitto, una mostruosità, cari giovani? Anzi più che delitto e mostruosità, è una specie idolatria, è un metter Dio sotto i piedi della creatura. Dio il piedistallo, l’uomo è l’idolo, e voi?… voi gli bruciate l’incenso. – Rispettar gli umani giudizi più che il giudizio secreto della vostra coscienza!… E non vi pare un. avvilimento, una vergogna, un’infame schiavitù? Anzi un incatenare il vostro giudizio, la coscienza, l’anima immortale, e così incatenata gettarla sotto i piedi di quanti. passano per la strada… Pure ahi! quanto facilmente: l’umano rispetto, a guisa di serpe, si striscia e s’insinua nei giovanetti cuori! Ah i cuori dei giovanetti, tanto belli,  tanto cari, tanto ingenui ed affettuosi! –  Cari giovani, non ci è forse età che al paro della vostra senta gli stimoli della gloria e dell’onore. L’istesso desiderio che vi strugge di presto diventar uomini ha in parte suo principio in questa tendenza del cuore. — Cresceremo, entreremo a far da attori sulla scena del mondo, attireremo gli sguardi, ci saremo anche noi per qualche cosa. – E chi mi sa dire i tanti dorati castelli che vi va fabbricando la vostra fantasia! – Filiberto spasima per la carriera dell’armi. Già gli brillano agli occhi due lucenti spalline e un pennacchio svolazzante. Monta su un focoso destriero, galoppa, galoppa, portato dal vento tra armi ed armati… Ecco il nemico: si slancia fra un nembo di polvere e il rombo dei cannoni, rompe le file serrate, e col lungo spadone alla mano sgomina, atterra, disperde quanti tentano fargli resistenza … Dove sono i nemici della patria? … Ei fiero sorride, ripone nel fodero la spada, e coperto di polvere e sudore sen torna tra gli applausi del campo… – Ben altri allori vagheggia Torquato; e col gomito appoggiato al banco di scuola, la guancia distesa nella palma della mano, e il naso a l’aria. — Oh per me (pensa) la guerra la lascio a chi la vuole; a me piace la vita pacifica degli studi. Mio padre ha danaro, mi farò comperare i più bei libri del mondo, studierò notte e giorno, diventerò un dotto, scriverò, darò alle stampe… Ma in questo mentre passa il maestro, gli applica uno scappellotto sul cucuzzolo, e: — bada al compito, acchiappanuvole! – Bartolo ha una parlantina da disgradarne Madonna Civetta: — Mi dicono che ho una lingua da avvocato: ebbene, studierò legge, io. Mah!   non vo’ mica riuscire un avvocatuzzo da dozzina, come ce n’ha tanti! Studierò di buzzo buono, strapperò la mia brava laurea cum laude et cunctis suffragiis, e poi?… E poi m’avranno a sentire tuonar dalla tribuna! – Pippo più forte nell’aritmetica e nel conteggio: — io mi darò al negoziare, non perderò tempo, lavorerò da mattina a sera, vivrò assegnato, terrò conto del denaro, diventerò ricco… Oro, ville, palazzi… belle vesti, carrozze, cavalli… e scappellate di qua, e inchini di là …  – E c’è anche l’abatino in erba il erba che fa i suoi sogni: passeranno gli studi, passerà il seminario… Eh!… se giungo a metter piede sul pergamo!… Che chiesone! che folla di gente!… e tutti a guardar me, zitti, attenti, senza batter palpebra…

Eh via! l’avete finita co’ vostri castelli?… Adesso lasciate parlare un poco a me. Sapete che voglio dirvi?… Che con tutti i sogni d’oro che andate facendo sul vostro avvenire, se avete la disgrazia d’inciampare nel sasso che ho detto, o meglio di lasciarvi mettere i denti addosso da quella brutta bestia dell’umano rispetto, altro che gloria ed onori! Diventerete gli esseri più abietti e ridicoli di questa terra. Vo’ provarvelo co’ fatti alla mano.

II.

VILE LORENZINO

Venite con me… Lo vedete quel portone? È il portone delle pubbliche Scuole. Attenti: suona un campanello, quindi un rumore, un vociare alto e confuso di ragazzi, uno scalpiccio di centinaia di piedi… Son qui, discendono le scale, s’addossano gli uni agli altri, si incalzano, si pigiano, si versano ad ondate sulla pubblica via … paiono un torrente che trabocca e tutto abbatte quanto incontra. — Buon Dio! ma perché condurci a questo spettacolo? E che vi è di buono a guadagnarci, fuorché urti, fischi, calcagnate sulle dita dei piedi e stramazzoni per terra?… – Abbiate pazienza. Aspettate un pochino, tiriamoci da banda lasciamo sfollare la ragazzaglia.. . Lo vedete quel gruppo di cinque o sei che si raccozzano in faccia a poi, che si stringono in cerchio, e parlano sì animati?… guardatene gli atti, uditene le parole. — Renzino, Renzino (grida quel tarchiatello del pel bruno e dalle spalle quadre, con quegli occhi grifagni) Renzino, Renzino, perché non vieni a giocare con noi? — Si, vieni! Stavolta devi venire, — gli gridano gli altri a coro; e gli si stringono ai panni, e fann’atto di volernelo trarre quasi per forza. E Renzino?…. Vedetelo là quel giovinetto biondo dallo sguardo soave, dal sorriso gentile, dagli abiti puliti e ben assestati alla persona, Ne val più lui, che tutta quella marmaglia di ineducati che gli stanno dattorno. Ma ohimé! Tra male gatte è capitato il sorcio, direbbe Dante di lui: e di fatto e’ sta. lì tremante, smarrito, balbettando sue scuse. — Sta volta… abbiate pazienza…… non posso.. A casa. mamma m’ aspetta. — Non l’avesse mai detta questa parola! — Ah sì neh? Gli è per amor della mammina bizzocca! (esclama beffardamente quel dagli occhi grifagni che é il capobanda) E badi ancora alla mamma tu? E qui un po’ l’uno, un po’ l’altro a dargli, ridendo, la baia, e dirgli corna di sua madre: tanto ché il disgraziato s’arrende, e messi in non cale avvertimenti della mamma, Se ne va con loro. D’ora in poi egli proverà un sentimento che non aveva mai provato per l’innanzi: vergogna di sua madre; e veduto in lei, specie dai tristi compagni, s’arrossirà tutto e si farà piccin piccino per nascondersi. Oh Dio! arrossire della propria madre! d’una madre tanto buona! –  Or dite, giovinetti: se invece di cedere vilmente, Renzo avesse alzato quei suoi occhi in fronte ai tristi compagni; e riposto con santa indignazione ai loro scherni, e difeso l’onor di sua madre, non gli avreste battuto le mani? non avreste esclamato: — Bravo! Egli è un uomo? E ora?… ora invece vii sentite (e lo sente li stesso), che ha commesso un atto di viltà: un atto di viltà che influirà su tutta quanta la sua vita.

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (2)

VIVA CRISTO-RE (1)

CRISTO-RE (1)

TOTH TIHAMER:

Gregor. Ed. in Padova, 1954

Imprim. Jannes Jeremich, Ep. Beris

INTRODUZIONE

L’11 dicembre 1925, gli annali della Chiesa registrarono un evento di grande importanza: Sua Santità Papa Pio XI, nella sua enciclica Quas primas, istituì una nuova festa; ordinò che una domenica dell’anno fosse consacrata come festa della “Regalità di Cristo”. È un tema così importante che gli dedichiamo questo libro. E nello sceglierlo come tema di questo libro mi sono basato su due considerazioni. La prima è il rispetto filiale e l’omaggio che noi, fedeli Cattolici, dobbiamo mostrare a tutte le parole e le azioni del Papa. È il Capo visibile della Chiesa. E mi preoccupa anche l’importanza del tema. Il tema della nuova festa è così inesauribile che temo non ci sia abbastanza tempo e spazio per svilupparne i punti necessari, cioè per spiegare correttamente la “Regalità di Cristo”. In che cosa consiste la nuova festa e qual è stato l’obiettivo del Papa nell’istituirla? Che cosa significa la Regalità di Cristo e che cosa possiamo aspettarci da essa? Come è migliorata la società da quando si è lasciata guidare da Cristo e che cosa sarebbe senza il Redentore? Cristo è il Re di tutti noi: è il Re della Chiesa, il Re del sacerdozio, il Re dei confessori, il Re dei tribolati, il Re dell’individuo e della società. Politica, matrimonio, sport, educazione, vita morale, infanzia, gioventù, donna, famiglia, dove arrivano quando seguono Cristo e qual è il risultato se fanno a meno di Lui? Questi sono i punti che intendo sottolineare. Chiedo ai miei gentili lettori di seguire il ragionamento con l’interesse e l’attenzione che la parola del Papa e l’importanza dell’argomento meritano.

CAPITOLO UNO

IL CONCETTO DI REGALITÀ DI CRISTO

I

Quando Pio XI istituì questa nuova festa, lo fece pensando al bene che avrebbe portato al mondo intero. Nel farlo, il Papa ha dichiarato esplicitamente che ciò che si aspettava da essa era un “rinnovamento del mondo”. Ha vissuto un’esperienza molto triste. La guerra mondiale si è conclusa con un trattato di pace, per il quale il Papa non è stato chiamato a collaborare. Che “patti di pace” sono quelli in cui il nome di Dio non viene nemmeno menzionato! E le assemblee di pace continuano, ma nessuno pronuncia il nome di Dio? Da qui i risultati che vediamo! Non viviamo in pace e non siamo in pace. Il nostro male sta proprio nel fatto che non siamo abbastanza Cristiani. – Il Papa è la sentinella della torre di guardia vaticana; spetta a lui indicare la strada. È lui che conosce meglio di tutti la salute spirituale del mondo. Cosa ci dice il Papa quando pubblica la festa di Cristo Re? Non avete la pace? Non l’avete perché lo cercate nei modi sbagliati. Si fa a meno di Cristo, quando Egli è il punto focale di tutta la storia. La peste è scoppiata nel mondo, la peste che distrugge le coscienze e la vita morale. Uomini! Questa peste sta corrompendo il mondo! Vi infettate quando bandite Cristo dalla vostra vita! Se continuate così, perirete….. – E ciò che dimostra quanto il Santo Padre abbia ragione è il fatto che non ci spaventiamo nemmeno quando sentiamo il suo grido d’allarme. Quanto poco se ne parla nei media, nelle riunioni, nelle conversazioni…! Dove sta accadendo davvero? Dove se ne parla? Da nessuna parte. E questo dimostra quanto la società sia gravemente malata. Dalle più alte cariche, la nostra attenzione viene attirata dalla malattia mortale di cui siamo affetti e non ci facciamo prendere dal panico, non alziamo nemmeno un dito. – A questo proposito, mi viene in mente un caso curioso. Un medico esperto portò i suoi giovani studenti in un grande reparto ospedaliero, li mise al centro della stanza e fece loro questa domanda: “Ditemi, da lontano, qual è il paziente più gravemente malato?”. Non riuscirono a scoprirlo e nessuno osò rispondere. Quale? Guardate laggiù, in quell’angolo, quell’uomo che è pieno di mosche. È lui. Perché se un malato soffre in pace, con totale apatia, e le mosche gli atterrano sul viso, è segno che la sua fine è vicina…”. – La malattia della società non può più essere nascosta; le ulcere incancrenite stanno già apparendo; ma nessuno cambia posizione, nessuno ha paura…. – Ma dov’è il male, mi chiederanno alcuni, è che la Chiesa è perseguitata, è che non c’è libertà religiosa, è che il patibolo o la prigione attendono il credente? No, non ci sono più persecuzioni come quelle degli antichi Nerone e Diocleziano. La peste di oggi funziona in modo diverso. I suoi bacilli assottigliano l’aria intorno a Cristo e non ci permettono di essere Cattolici nella vita pubblica. Il mondo è un libro immenso; ogni creatura, una sua frase; l’autore, la Santa Trinità. Ogni libro ruota attorno a un tema fondamentale; se volessimo riassumere in una sola parola il pensiero fondamentale del mondo, dovremmo scrivere questo nome: Cristo! Ora non lo vediamo ancora chiaramente; lo capiremo solo quando il segno del Figlio dell’uomo apparirà nel cielo…. Allora vedremo senza nubi e nebbie che Egli era l’Alfa e l’Omega, il principio e la fine, il centro e la meta. Ma anche se ora non lo vediamo chiaramente, noi crediamo; crediamo che dove manca il segno del Figlio dell’uomo, lì regna l’oscurità, lì il mondo spirituale è eclissato. Il Sole è eclissato per le anime! “Ma noi confessiamo Cristo! Ci consideriamo Cattolici”, potrebbe dirmi il mio amico lettore. Sì, chi altro, chi altro. Ma sono così pochi quelli che vivono Cristo! Cristo è Re nel mio cuore, è vero; Cristo è Re nella mia casa, è vero, ma non basta! Cristo è Re… anche nella scuola, nella stampa, nel Congresso, nella fabbrica, nel comune? Guardiamoci intorno: dove regna la Santa Croce di Gesù Cristo? Lo vediamo sui campanili delle chiese, in alcune scuole, sui letti di alcuni Cattolici. Ma nella vita pubblica, dove regna la Croce di Cristo? Non lo vediamo. – Una notte fredda, una notte senza Cristo avvolge le anime. Cristo, anche per molti di coloro che sono stati rigenerati dal santo Battesimo, non è che un vago ricordo che influenza appena la loro vita. Capite, dunque, qual è lo scopo della nuova festività? Per chiarire questa terribile verità: che Gesù Cristo, il Sole del mondo, non brilla in questo mondo. Nessuno perseguita la Religione di Cristo. Come ci suona questa frase: “non c’è posto per Lui”… Dove l’abbiamo sentita? Ah, sì… La notte di Betlemme: anche lì non c’era nessuno che perseguitasse Gesù…; solo le circostanze politiche, sociali ed economiche erano tali che non c’era posto per Lui. Oggi Cristo non è perseguitato, forse, ma…. “Non c’è posto per Lui”. Dove si può trovare Cristo oggi? Solo in Chiesa. Ma questo non è sufficiente. Ci chiede tutto, perché gli appartiene. Nel momento in cui lasciamo la Chiesa non abbiamo più l’impressione di vivere tra Cristiani. Cristo è il Re, ma noi lo abbiamo spogliato della sua corona e quindi non può regnare.

II

Come siamo arrivati a questo punto? Come il ragno sciocco della parabola di Jörgensen. In una bella mattina un piccolo ragno, attaccato con un filo sottile alla cima di un albero molto alto, scese a terra. Lì trovò un cespuglio di dimensioni più che regolari ed iniziò il suo lavoro: iniziò a tessere una tela. Legò l’estremità superiore al lungo filo con cui era sceso; le altre estremità le fissò ai rami del cespuglio. Il risultato del suo lavoro fu una magnifica ragnatela con la quale riusciva a catturare le mosche con grande facilità. Ma dopo qualche giorno la tela non sembrava abbastanza grande e il ragno cominciò ad allargarla in tutte le direzioni. Grazie al forte filo che scendeva dall’alto, il lavoro poteva essere eseguito alla perfezione. Quando nelle prime mattine d’autunno le perle scintillanti della rugiada mattutina coprivano l’ampia ragnatela, sembrava un velo di pietre preziose che scintillavano ai raggi del sole. – Il ragno era molto orgoglioso del suo lavoro. Stava bene, tanto che ingrassava di giorno in giorno e sfoggiava un addome di tutto rispetto. Non si ricordava più di quanto fosse affamato e stravaccato in cima all’albero qualche mese prima… Una mattina si svegliò di pessimo umore. Il cielo era nuvoloso, non si vedeva una mosca in giro; cosa avrebbe fatto in una giornata autunnale così uggiosa? “Farò almeno il giro della rete”, pensò infine; “vedrò se c’è qualcosa da riparare”. Esaminò tutti i fili, per vedere se fossero sicuri. Non riuscì a trovare il minimo difetto, ma il suo malumore non se ne andò. Mentre brontolava da una parte all’altra, notò all’estremità superiore della rete un lungo filo di cui non ricordava la destinazione. Degli altri fili sapeva molto bene: questo viene qui, alla fine di questo ramo spezzato; quello va laggiù verso la spina laggiù. Il ragno conosceva tutti i rami, l’intera trama della sua tela; ma cosa ci fa qui questo filo? E come se non bastasse, è del tutto incomprensibile che salga verso l’alto, semplicemente in aria. Che cos’è? Il ragno si alzò sulle zampe posteriori e, spalancando gli occhi il più possibile, guardò verso l’alto. Non c’è altro da vedere! Questo filo non finisce mai; da qualsiasi punto di vista lo si guardi, sta salendo dritto verso le nuvole! Più il ragno cercava di trovare la soluzione all’enigma, più si irritava. Ma a cosa serviva quel filo che saliva verso l’alto? Naturalmente, nel mezzo del continuo banchettare con la carne delle mosche, aveva completamente dimenticato che una mattina di mesi fa egli stessa fosse sceso su questo filo. Né ricordava quanto lo stesso filo l’avesse aiutato a tessere la rete e ad allargarla. Aveva dimenticato tutto. Non vide altro che un inutile, interminabile filo che portava verso l’alto; un filo inutile, un filo che pendeva nell’aria…. – Giù! – gridò infine, completamente fuori di sé, e con un solo morso spezzò il filo. La ragnatela crollò all’istante… e quando il ragno riprese i sensi giaceva a terra, paralizzato, ai piedi del cespuglio; la rovina di ciò che era diventata – una splendida ragnatela intessuta di perle e d’argento – l’avvolgeva come un umido brandello di straccio. In quel mattino nebbioso divenne un povero mendicante; in un secondo aveva gettato via tutto il suo lavoro, perché non capiva l’utilità del filo che lo guidava verso l’alto. – Questo per quanto riguarda la parabola di Jörgensen, una parabola dal significato profondo, una parabola che denuncia chiaramente quella colpa, quella malattia radicale di cui la società moderna soffre una crisi così acuta. Non c’è rispetto per l’autorità, non c’è rispetto per la legge. Non c’è rispetto per la conoscenza, per la virtù, per l’esperienza, per l’età. C’è una contraddizione incredibile: mentre c’è un enorme progresso tecnico, l’uomo è sempre più infelice! Perché? Perché solo una parte del nostro essere si è sviluppata. – Se a qualcuno dovessero crescere solo le mani, sarebbe un uomo distrutto. Questo è ciò che sta accadendo alla società: la scienza, la tecnologia, l’industria… si sono sviluppate molto, ma non c’è stato alcun progresso nell’integrità morale! Non c’è da stupirsi che sia un disastro. Che cos’è la storia dell’ultimo secolo se non una triste e sempre più nota apostasia? Nel Medioevo, tutte le manifestazioni della vita erano dominate da Cristo. Oggi non è più così, perché l’alto grado di sviluppo della scienza e della tecnologia ci ha reso orgogliosi e storditi…; da allora il nostro sguardo si è posato esclusivamente sulla terra. – E così continuiamo a vivere, e ci vantiamo! Ma arriva un momento in cui una miniera crolla, un’esplosione distrugge diverse fabbriche, un tornado devasta una regione e uccide centinaia di uomini… Allora l’uomo rabbrividisce per un attimo nella sua piccolezza, vedendo la mano potente di Dio; ma questo dura solo un attimo. Sentiamo quello che sentiva l’Invincibile Armada, il soffio di Dio, capace di disperdere gli eserciti più potenti; ma un attimo dopo, sopra le miniere in rovina, tra le pulsioni di morte dei moribondi, l’uomo senza Dio continua a vantarsi delle sue prodezze. Immaginate la scena: se Cristo scendesse di nuovo sulla terra, sarebbe di nuovo rifiutato come nella notte di Betlemme, quando i suoi genitori cercarono un alloggio per lui.

Dove potrebbe nascere Cristo?

San Giuseppe attraversa molte città e bussa alla porta di molte case. “Non possiamo accoglierne altri, non abbiamo spazio”. Bussa agli studi degli artisti. “Assolutamente no; l’arte non dovrebbe essere influenzata dalla morale”. Bussa agli uffici dei giornali; bussa nei cinema e nei teatri. Non lo lasciano entrare… “Non c’è posto per Lui. Bussa ai cancelli delle fabbriche. “È iscritto al sindacato?” è la domanda con cui viene accolto. “No? Allora perché sei qui?”. Cristo non conta nulla in questo mondo. “Cristo Re!” Oh povero Re senza terra! – Secoli fa i bacilli della pestilenza dell’immoralità si sono infiltrati subdolamente nel sangue dell’umanità; a costo di diluire sempre più la dottrina di Cristo, ora la troviamo tutta corrotta! Il bando di Cristo è iniziato nel mondo delle idee. Giorno dopo giorno pensavamo a tutto tranne che a Dio. La nostra fede diventava sempre più debole. Non è ancora morta, è vero – siamo ancora Cristiani – ma è addormentata. – Se avessimo una lampada di Aladino per scoprire cosa pensano gli uomini! Osservate, dunque, i pensieri di molti Cristiani durante la giornata; sono tanto diversi da quelli che i pagani onesti, i pagani retti, potevano avere prima della venuta di Cristo? Un po’ di gentilezza naturale, di onestà esteriore, di educazione; ma, in fondo all’anima, un mondo gelido, un mondo senza Cristo. E la grande apostasia continuò a parlare. – Parliamo delle cose che pensiamo, delle cose che ci riempiono il cuore. Dall’abbondanza del cuore la bocca parla. Non pensiamo a Cristo, alle sue leggi, alla sua Chiesa; per questo non entrano nemmeno nei nostri argomenti di conversazione. Di quante cose si parla anche tra Cattolici! Lo sport, le vacanze, il divertimento, le acconciature, le mode, il clima, la politica, la viticoltura, il dollaro, il cinema, la salute, le diete, gli studi… ma che dire di Cristo? Non parliamo di Lui, semplicemente perché non ci pensiamo. Siamo pronti a parlare a lungo di qualsiasi sciocchezza, ma arrossiamo a parlare di Dio, che ci ha creati. Facciamo un elenco dei nostri meriti e quando arriva il momento di parlare di Colui davanti al quale tutte le ginocchia devono inchinarsi, quando è il nostro turno di parlare di cose della Religione, ci tiriamo indietro. Nella cosiddetta Europa cristiana, quante volte all’anno si pronuncia il nome di Cristo, per non parlare del nome di Cristo Re! O povero Re bandito!

* * *

Questa è la triste condizione della società moderna. Abbiamo bandito il Re. “Non vogliamo che regni su di noi”. La politica ha detto: “Perché Cristo viene qui? La vita economica ha esclamato: gli affari non hanno nulla a che fare con la moralità. L’industria proclamava: Con Cristo non avremmo fatto tanto profitto. Agli sportelli bancari hanno detto: “Andate via, non avete nulla da cercare tra noi”. Nei laboratori e nelle università: Fede e scienza si escludono…. E, infine, siamo arrivati alla situazione attuale, che sembra scrivere un grande INRI: Cristo non esiste! Il Re è morto! – Poi Papa Pio XI proclama: Alleluia! Gesù Cristo non è morto, ecco il Re, Cristo vive e regna nei secoli dei secoli! Lungi da noi l’idea di annacquare il Cristianesimo! Proclamiamo che Cristo ha un diritto assoluto su tutte le cose: ha un diritto sull’individuo, sulla società, sul mondo e sul mondo, sull’individuo, sulla società, sullo Stato, sul Governo. Tutto è soggetto a Cristo: la stessa politica, la stessa vita economica, lo stesso commercio, la stessa arte, la stessa famiglia, lo stesso bambino, lo stesso giovane, la stessa donna…, tutto, tutto! – Sì, Cristo è il Re di tutti gli uomini, il Re dei Re, il Presidente dei Presidenti, il Governo dei Governi, il Giudice dei Giudici, il Legislatore dei Legislatori! La bandiera di Cristo deve sventolare ovunque: nella scuola, nell’officina, nella redazione, nel Congresso. Viva Cristo Re!

Il miracolo di Cana deve essere ripetuto: Signore, non abbiamo vino, stiamo bevendo acqua putrida a causa di tanto materialismo. Concedici di avere occhi diversi, di guardare tutto in modo diverso, di avere un cuore diverso ed altri desideri…; di vivere un Cristianesimo autentico. – Signore, sii con noi quando preghiamo, affinché sappiamo pregare come hai pregato Tu! Signore, sii con noi quando lavoriamo, affinché sappiamo lavorare come hai lavorato tu! Signore, vogliamo ricordarci di Te quando mangiamo e gioiamo, come Tu hai gioito con gli uomini alle nozze di Cana! Signore, sii con noi quando camminiamo per strada, come hai camminato con i tuoi discepoli sulle strade della Galilea! Signore, vogliamo essere presenti a te quando siamo stanchi e sofferenti, affinché tu possa confortarci e lenirci come hai fatto con i malati! Signore, sii di nuovo il nostro Re! Voi siete la nostra Vita!

VIVA CRISTO-RE (2)

LA VITA INTERIORE DEL CATTOLICO (5)

LA VITA INTERIORE DEL CATTOLICO (5)

Mons. ALBAN GOODIER S.J. (Arcivescovo di Hierapolis)

Morcelliana Ed. Brescia 1935

Traduzione di Bice Masperi

CAPITOLO II

LA VITA IN GESÙ CRISTO

1. Il Corpo Mistico

Si è già accennato a Gesù Cristo nostro Signore come a capo del genere umano, e al suo Corpo mistico al quale tutti i Cristiani sono incorporati. Ma questa espressione, del Corpo mistico, va studiata particolarmente per poter arrivare a meglio comprendere la vita spirituale e la Chiesa Madre secondo i Cattolici. Poiché per essi il Corpo mistico è assai più che una metafora, assai più che una felice espressione dei nostri rapporti con Gesù Cristo nostro Signore. Alcune parole di Lui, spesso ripetute, e altre di chi, come S. Paolo o S. Pietro, fu tra i suoi migliori interpreti non possono lasciarci alcun dubbio che questa incorporazione non sia in un certo senso una realtà. Il Corpo mistico del quale Cristo è il capo e i suoi seguaci sono le membra ha un’esistenza vera viva e vitale i cui frutti sono visibili sia nell’anima di ogni Cattolico che nel mondo circostante. – Possiamo innanzi tutto considerare l’insegnamento di Cristo stesso. E qui notiamo che nello studiare le parole di Lui, in questo caso come in altri, non cerchiamo tanto l’interpretazione letterale, quanto il pensiero che le dettò. A considerarle isolatamente è facile esagerarne o attenuarne la portata, ma raggruppandole e confrontandole possiamo sperare ch’esse ci diano il substrato del suo pensiero, vale a dire quanto maggiormente ci interessa. Incominciamo dall’ultimo episodio sul pendio del monte Oliveto, quando la predicazione di Gesù era ormai terminata ed Egli la concluse preannunciando ai dodici la fine del mondo e il giudizio universale. I giusti saranno separati dagli empi e riceveranno il premio: “Venite, benedetti dal Padre mio”, perché lo hanno servito. “Perchè ebbi fame e mi rifocillaste;. Ebbi sete e mi deste da bere; fui pellegrino e mi ricoveraste; ignudo, e mi copriste; infermo, e mi visitaste; carcerato, e veniste da me”. (Matt. XXV, 35, 36). – I giusti chiederanno quando mai fecero a Lui tali cose, quando mai lo videro in quelle condizioni, ed Egli risponderà: « In verità vi dico: quante volte avete fatto qualche cosa a uno di questi minimi tra i miei fratelli l’avete fatto a me ». (Matt. XXV, 40). Sono forti parole che aprono un nuovo orizzonte sulle relazioni fra uomo e uomo, fra il beneficato e il benefattore, e li pongono sopra un piano affatto nuovo. Anche se considerate isolatamente, esse significano, né più né meno, che Cristo ritiene fatto a se stesso ogni atto di bontà compiuto verso il povero e il sofferente, ed è già cosa meravigliosa che basta a dare un significato nuovo alla carità. Ma se riavviciniamo quelle parole ad altre pronunciate da Cristo in occasioni diverse, vi scorgiamo facilmente un’importanza ancor maggiore, un’intenzione che va più lontano. Disse un giorno Gesù ai dodici a parte: « Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me ». E non fu mai più esplicito che nel discorso dell’ultima cena, in cui diede ai suoi discepoli quello che chiamò “un comandamento nuovo”. “Vi dò un nuovo comandamento, d’amarvi scambievolmente; amatevi l’un l’altro così come Io v’ho amato ». (Giov. XIII, 34). È molto più di quanto finora fosse stato detto, molto più del precetto generale che ci impone di amare il nostro prossimo come noi stessi. ,Questo precetto ci offre a modello lo stesso amore disinteressato che ridusse Cristo ad annientarsi per amore di noi. Amare il mio prossimo come me stesso è una cosa, amarlo come mi ha amato Cristo è ben altro, poiché Egli mi ama assai più di quanto io non ami me stesso, ha fatto per me assai più di quanto io abbia mai fatto o mai possa fare. Mi domanda un amore per gli altri superiore a quello che da me posso dare: vuole ch’io li ami col suo stesso amore. Ma subito, per mostrarmi dove troverò il mezzo di fare l’impossibile e per metterlo alla mia portata, Cristo fa la nota similitudine. « Rimanete in me, e io in voi. Come il tralcio non può da sé dar frutto, se non rimane nella vite, così nemmeno voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Se uno rimane in me e Io in lui, questo porta molto frutto; perché senza me non potete far niente…. Come il Padre ha amato me, così ho amato voi. Perseverate nell’amor mio”. (Giov. XV: 1,9). Così ci rende possibile l’osservanza del suo “comandamento nuovo”. Dobbiamo amare il nostro prossimo non solo come noi stessi ma come ci ama Cristo, e, cosa ancor più sublime, come Cristo è amato dal Padre. “Come il Padre ha amato me, così Io vi ho amato. Come io vi ho amato, amatevi l’un l’altro”. Cosa impossibile alle nostre povere forze; possibile solo se “rimaniamo in Lui*, se “rimaniamo nell’amor suo”, se amiamo col suo amore, se viviamo della sua vita. – In una maniera mistica, ma non per questo meno reale, altrimenti le parole ora citate non significherebbero più nulla, noi siamo uniti a Gesù Cristo, al Verbo Incarnato, all’Uomo-Dio, così che la sua vita e il suo amore diventan nostri. Come il tralcio è unito alla vite e fatto con essa una cosa sola, come la vita di questa diventa la vita di quello, così noi siamo uniti a Lui, con questo risultato, che mentre da noi soli nulla potremmo, ora, uniti a Lui, possiamo fare ciò che fa Cristo stesso. “Il Verbo si fece carne e abitò noi…. pieno di grazia e di verità… e della pienezza di Lui tutti abbiamo ricevuto”, (Giov. I, 14, 16) non solo nella elargizione di un dono, come da amico ad amico, ma per una vera e propria comunicazione di vita. E non solo di vita, ma anche di ciò che la contiene, che è il corpo: se facciamo una sola vita con Cristo, faremo anche un corpo solo con Lui. Siamo incorporati a Cristo, siamo membri di quell’organismo di cui Egli è il capo; in un senso affatto nuovo, ma altrettanto reale, in Lui “viviamo e ci muoviamo e abbiamo il nostro essere”; viviamo, non più noi, ma Egli vive in noi; portiamo sul nostro corpo le stimmate di Cristo. – E sullo stesso concetto il Signore insiste nella solenne preghiera con cui termina l’ultima cena. Prima domanda che ai suoi venga concessa la vita eterna, e dicendo “i suoi” fa capire che non intende solo gli Apostoli ma anche i loro discepoli, tutti i Cristiani, tutti i credenti in Lui, sino alla fine del mondo; poi prega il Padre così: “Né soltanto prego per questi, ma anche per quelli i quali per la loro parola crederanno in me, che siano tutti uno, come tu sei in me, Padre, e Io in te: siano anch’essi uno in noi, sicché creda il mondo che tu m’hai mandato. E la gloria che tu mi desti io ho data ad essi, affinché siano uno come uno siamo noi. Io in essi, tu in me; affinché siano perfetti nell’unità, me affinché conosca il mondo che tu mi mandasti e amasti essi come amasti me”. (Giov. XVII, 20, 23). “Come Tu, Padre, in me ed Io in Te”. “Affinché siano uno in noi”. “ Affinché siano uno come uno siamo noi”. “Affinché siano perfetti nell’unità”. Affinché questa perfezione nell’unità convinca il mondo “che Tu mi mandasti, e che amasti essi come amasti me”. Non si tratta qui di una semplice metafora; non è il solito linguaggio iperbolico dell’amore, ma qualche cosa di più, assai di più; ha troppo l’accento della verità ed è concetto ripetuto con troppo calore e con troppa insistenza per poter essere l’invenzione di uno scrittore umano. – È un insegnamento positivo, ripetuto perché non venga frainteso, è come l’idea fissa nella mente e nel cuore di Cristo al momento cruciale della sua vita; e l’unione di cui parla è arditamente paragonata all’unità che esiste tra Dio Padre e Dio Figlio, “come Tu ed io siamo uno”. Due persone, eppure un Dio solo; due persone: Cristo e me, eppure una sola vita, un corpo solo che è il corpo stesso di Cristo. Tutti possiamo affermarlo, ogni vero credente e fedele seguace di Cristo può vantare questo privilegio; perciò in Lui, fatti membri del suo unico corpo, tralci eguali di una stessa vite, ricevendo ciascuno da Lui la medesima vita, noi siamo membri l’uno dell’altro. Siamo amati dal Padre precisamente come ne è amato Cristo, perché siamo il suo corpo, apparteniamo alla famiglia del Padre quali coeredi di Cristo, veniamo innalzati a una dignità che dà un significato nuovo alla vita e alla creazione tutta. Siamo nobilitati, e perciò invitati e impegnati a sforzarci di vivere all’altezza di tale onore, rendendoci migliori. Comprendiamo meglio ormai perché Cristo ci pose dinanzi fin dal principio della sua predicazione, con espressione ardita, un modello che sembrava irraggiungibile: “Siate dunque perfetti com’è perfetto il Padre vostro nei cieli”. (Matt. V, 48). Così la dottrina dell’unione mistica, ma non perciò meno reale, del fedele con Cristo è parte essenziale dell’insegnamento di Lui. San Paolo se la appropria e ne fa la base di tutto il suo sistema, la considera fulcro del Cristianesimo e della vera Chiesa. – Per lui, più che un’organizzazione, la Chiesa è un organismo; più che una istituzione, è una cosa viva; e quanto più esperto diviene delle vie di Dio e della vita umana, tanto più l’Apostolo insiste su questo concetto. È degno di nota ch’egli lo intuì fin dall’istante della conversione, come risulta — e sempre con maggior evidenza — da ciascuna delle tre narrazioni che ce ne rimangono. Saul fu gettato a terra tramortito e la voce che udì non diceva: “Perché perseguiti i miei fedeli?” ma: “Perché mi perseguiti?” E quando Saul chiese chi parlasse, la risposta fu: “Io sono Gesù che tu perseguiti”. (Atti, IX, 9). Saul non dimenticò più la lezione implicita in quelle parole; si direbbe anzi che ne facesse soggetto speciale di meditazione per tutta la vita, di modo che sempre meglio ne penetrò la portata e le conseguenze. Esser cristiano voleva dire essere una cosa sola con Cristo; esser membro della Chiesa significava esser membro di quel corpo vivo di cui Cristo era il capo. Con ciò è detto quasi tutto quel ch’è necessario per comprendere l’anima del grande Apostolo dei Gentili. Così scrive a quei di Corinto, tuttora incerti, che pare non abbiano ancora afferrato la necessità dell’unione fra loro: “Come il corpo è uno e ha molte membra e tutte le membra del corpo pur essendo molte il corpo è uno, così anche Cristo. Poiché noi tutti, sia Giudei sia Gentili, sia schiavi sia liberi, in unico Spirito siamo stati battezzati sì da formare un corpo solo e tutti siamo stati imbevuti di unico spirito. Anche il nostro corpo non è un membro solo, ma molte membra….. Orbene, voi siete corpo di Cristo e partitamente siete membra di esso ». (I Cor. XII, 12, 27). – E il suo pensiero si fa ancora più esplicito in seguito, nell’Epistola agli Efesini. Qui è bene rilevare la diversità fra le circostanze di queste due lettere. In quella ai Corinti trattava con dei Cristiani non completamente formati, ed egli stesso non aveva ancora trovato le parole atte ad esprimere perfettamente la verità che pur possedeva. Nell’Epistola agli Efesini, invece, si rivolge a dei fedeli conosciuti fin dall’inizio del suo apostolato. Non può dubitare della loro costanza ed è egli stesso ben certo ormai di poter dar loro il meglio della sua dottrina senza pericolo di venir frainteso: tutta l’Epistola vibra della commozione di un cuore profondamente affezionato, ansioso di far parte a chi tanto ama del più e del meglio di quanto possiede. E bisogna notare inoltre che, nel frattempo, Paolo ha vissuto parecchi anni di prigionia. Molte e lunghe ore di silenzio gli hanno permesso di meditare a suo agio sulla visione avuta, osservando lo sviluppo di quell’organismo vivo che si è diffuso tutt’intorno all’Impero romano non per effetto di organizzazione e di sistema, ma precisamente come un albero che cresce in virtù di una sua forza interna. E l’Apostolo ha finalmente trovato parole tali da poter esprimere con sufficiente efficacia i suoi pensieri. Perciò in questa Epistola non descrive più il Corpo mistico solo come un vincolo magnifico di unità, ma come una consumazione, una meta accessibile anche in questo mondo, un modello, un ideale che, raggiunto, costituisce la sua stessa ricompensa ed è l’uomo perfetto. Scrive così: “Io dunque vi esorto, io, il carcerato nel Signore, di condurvi in modo degno della chiamata che avete ricevuto, con tutta umiltà e mansuetudine e con longanimità, tollerandovi a vicenda con amore, sforzandovi di conservare l’unità dello spirito nel vincolo della pace: un corpo solo, un solo spirito, come in unica speranza siete stati chiamati. Uno è il Signore, una la fede, uno il battesimo, uno Iddio e Padre di tutti, Colui che è sopra tutti e per tutti e in tutti”, (Efes. IV, 1, 6). – Questo è l’ideale; come raggiungerlo? Lo dice chiaramente il seguito dell’Epistola. Con “l’edificazione del corpo di Cristo, fino a tanto che ci riuniamo tutti nell’unità della fede e nel riconoscimento del Figlio di Dio, giungendo alla maturità d’uomo fatto, alla misura di età della pienezza di Cristo; affinché non siamo più dei bambini sballottati e portati via da ogni vento di dottrina…. Ma seguendo il vero con amore, progrediamo in tutto verso di Lui ch’è il capo, Cristo, dal quale tutto il corpo ben composto e connesso per l’utile concatenazione delle articolazioni, efficacemente, nella misura di ciascuna delle sue parti, compie il suo sviluppo per l’edificazione di se stesso nell’amore” (Efes. IV, 12, 16). – A questo modo San Paolo sviluppa il pensiero enunciato in un capitolo precedente, quando ha detto di Nostro Signore: “E tutta pose sotto i suoi piedi e Lui costituì capo supremo alla Chiesa che è il corpo di Lui, il complemento di Colui che tutto completa in tutti”. (Efes. I, 22, 23). Tutto ciò è abbastanza esplicito. Per San Paolo, e per la Chiesa tutta che gli era umita, oltre al Cristo storico che ha vissuto i suoi trentatrè anni su questa terra ed è morto, c’è anche un Cristo mistico, identico al primo eppure distinto, (come son deboli le parole e le idee umane quando si tratta di esprimere il soprannaturale!) che continua nel mondo, vivo fra gli uomini e negli uomini, un Cristo con un capo, un’anima, delle membra che formano tutte insieme un unico corpo vivente spirituale. “Benedetto Iddio e Padre del Signor nostro Gesù Cristo, il quale ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale, celeste, in Cristo, in quanto ci ha eletti in Lui, “prima della fondazione del mondo, a esser santi e irreprensibili nel suo cospetto, per amore avendoci predestinati a esser figli suoi adottivi per mezzo di Gesù Cristo, secondo la benignità del suo volere, sì che ciò torni a lode della gloriosa manifestazione della grazia sua, di cui ci fece dono nel suo diletto Figliolo”. (Efes. I, 3-6).

LA VITA INTERIORE DEL CATTOLICO (6)

LA VITA INTERIORE DEL CATTOLICO (4)

LA VITA INTERIORE DEL CATTOLICO (4)

Mons. ALBAN GOODIER S.J. (Arcivescovo di Hierapolis)

Morcelliana Ed. Brescia 1935

Traduzione di Bice Masperi

CAPITOLO I

LA VITA IN DIO

3. – Gesù Cristo Uomo.

Può meravigliare che il Cristo e la sua Passione occupino tanta parte dei pensieri, delle parole, della vita stessa di chi, come il Cattolico crede con tutta l’anima e con tutta la convinzione quanto è stato esposto fin qui sul conto di Cristo nostro Signore? “La mia vita è Cristo e la morte mi è guadagno” asserisce San Paolo; e il Cattolico comprende perfettamente il suo pensiero, “Io non conosco che Gesù Cristo, e questo crocifisso” così si esprime in altro luogo; e i Santi gli fanno eco di continuo con un calore che dà alle loro parole l’accento stesso della verità. Dice ancora l’Apostolo: “Vivo, non già io, ma Cristo vive in me” e il Cattolico vorrebbe appropriarsi questa affermazione per farne l’ideale della propria vita. Potranno taluni rimaner stupiti o increduli; per molti Cristo è pietra d’inciampo, per altri scandalo e follia, ma non mancano quelli che sanno, e per costoro Egli è “il Cristo, la forza e la gloria di Dio”. Cristo, figlio di Dio fin da tutta l’eternità, ma insieme vero Figlio dell’uomo nel tempo, nato su questa terra da una donna della nostra stirpe, rimasto vero Dio, ché non avrebbe potuto mutar natura, ma diventato anche vero uomo, questo Cristo è venuto fra gli uomini perché li amava in quanto Dio, mi amava, di un amore eterno. Per me ha vissuto la sua vita umana ed è risuscitato da morte. E perché continua ad amarmi in quanto Dio e in quanto uomo, per me vive tuttora nel cielo dinanzi al Padre comune, “sempre vive a fare intercessione per me”, e quaggiù sulla terra, rinnovando di continuo l’oblazione che per me fece una volta per tutte. Vive in me realmente come io sono in me stesso, e nutre la mia vita della Sua, se io voglio, ogni giorno. Mi chiama fratello, figlio del suo stesso Padre, suo intimo amico, abolendo la distanza che ci separa. Mi fa partecipare alla sua eredità, supplica il Padre per me, uno dei “suoi”, affinchè “ov’Egli è io pure sia” qualunque sia la sentenza che merito. Ogni mio dolore trasforma in gaudio, e ogni mio gaudio in uno ancor più grande. E mi dimostra con metodi, evidenze, argomenti assai più convincenti e decisivi di quelli della ragione umana, eppure da essa ovunque confermati, che tutto ciò è vero e reale, è opera che Dio solo poteva compiere, è amore che Dio solo poteva mostrare, opera e amore ineffabili, ma in tutto degni di Lui. “Dio è fedele”. Tutto questo e più è Cristo per me; come potrebbe non esser l’oggetto primo dei miei pensieri e del mio amore? Che cosa non dovrò essere, che cosa non dovrò fare, che cosa non dovrò sopportare per questo Cristo che si è dato tutto per me, che tanto ha operato e patito per me? Vero è che fintanto che vivrò sulla terra avrò necessariamente da occuparmi di altre cose. Dovrò tenere il mio posto fra gli uomini e assolvere il compito che mi spetta. Il mio amore dovrà necessariamente riversarsi su altri; ma vada pure a tanti quanti si vuole e con tutta la ricchezza  ch’essi mi lasceranno prodigar loro: ciò non potrà che rendermi più simile a Lui, il grande amico dell’umanità. E comunque, i miei pensieri, le mie intenzioni, i miei affetti non potranno arrestarsi in loro: se voglion trovar riposo e soddisfazione debbono andare oltre, perché scoprono Lui che trascende ogni altro essere. Egli si è rivelato e ormai tutto in me deve aver fame e sete di Lui, come il cervo assetato brama le acque. La mente e l’anima l’hanno trovato e non possono più abbandonarlo, ché in Lui solo ormai troveranno la loro pace definitiva. – In verità, una volta incontrato e conosciuto Cristo, Egli diventa il nostro tutto. Vi sono altre belle, buone, desiderabili, degne di essere amate e perseguite, e noi possiamo apprezzarle e coltivarle tutte. Vi sono creature umane ammirevoli, nobili, amabili, degne di quanto di meglio possiamo dar loro e della nostra stessa vita. Anche l’amor di patria ci è lecito e doveroso non meno dell’amore ai fratelli, come lo dimostra in vari cimenti l’evidenza dell’eroismo e del sangue. Ma dietro a tutte queste cose, sopra di esse, sta la figura del nostro Signore ed amico che tutte le trascende e a tutte dà il massimo splendore a cagione della luce su di esse riversa. – Il Cattolico sa leggere il Vangelo. Altri potranno superarlo nella conoscenza tecnica di esso; potranno avere maggiori nozioni intorno alla terra di Palestina, agli usi e costumi degli Scribi e dei Farisei, alla forma delle pietre su cui Cristo passò e intorno all’esatto significato di qualche vocabolo del sacro testo.  Ma Colui che palpita nel Vangelo e ne balza fuori vivo e operante attraverso i secoli, e Chi con noi “ieri, oggi, lo stesso in eterno”, soltanto il vero Cattolico lo conosce e lo può conoscere come uno dei suoi, meglio di quanto non conosca la propria madre; e questa, che pure l’ha istruito, è ben lieta di cedere il poste al Maestro. – E poiché lo conosce, il Cattolico lo segue, ne ascolta ogni parola e la interpreta non a modo proprio ma al modo di Cristo stesso. Medita i suoi detti, cerca il significato ch’Egli vi racchiuse, non quello che desidererebbe lui e che una generazione ipercritica ed egoista suggerisce. Studia la sua vita e in essa riconosce l’ideale dell’umanità, sia o meno in poter suo il raggiungerlo. E quando deve agire, quando si trova di fronte a una decisione da prendere o a un giudizio da dare sulle cose della vita, istintivamente, quasi inconsapevolmente, guarda l’Ideale e si chiede: « Che cosa vorrebbe il Maestro  ch’io facessi? Come vorrebbe che mi comportassi? Qual è il consiglio con cui mi guida? Come avrebbe Egli parlato e agito in questa circostanza”? Poiché Egli è la verità infallibile, e al giudizio umano più è giusto allorché più armonizza con quello di Cristo. – E ancora, se il Cattolico vuol pregare, esulare per un momento da questa valle di lagrime e sospinger lo sguardo alle altezze donde viene l’ aiuto, sollevare la mente e il cuore a Dio e mettersi in contatto Con Lui, istintivamente si avvicina a Gesù. “Nessuno va al Padre se non per me”.  I suoi pensieri si uniscono a quelli di Lui; insieme, “per lo stesso Gesù Cristo Signor nostro”, come la liturgia non si stanca mai di ripetere, essi salgono al trono del Padre che è nel cielo, pregando affinché il suo nome sia santificato, affinché la sua volontà si compia sempre e dovunque. Insieme a Gesù Cristo, sollevando le nostre mani insieme alle Sue, noi meschine creature, cantare la gloria del nostro Dio come merita di esser glorificato, possiamo adorarlo, ringraziarlo e domandargli il nostro pane quotidiano, il perdono delle nostre colpe, la protezione da ogni male e da ogni minaccia, con una fiducia di bambini e di figli. – E quando non si tratta più di pregare, ma di applicarsi al lavoro quotidiano, sia questo per il Signore o per il prossimo, il Cattolico ha dinanzi agli occhi il lavoratore modello, il fabbro di Nazaret che si guadagna la vita fino all’età di trent’anni come un mortale qualunque ed è sottomesso a sua madre e l’ama e la riverisce, e rende servigi agli abitanti del suo villaggio. Oppure vede il maestro affaticato dalle peregrinazioni attraverso le colline della Galilea e della Giudea, il viandante che conobbe la fame, la sete, il sonno e non ebbe ove posare il capo, e che, una volta al meno, fu “triste fino alla morte”. – Quando s’incontra con altri e ha occasione di parlare e di trattar con loro, il Cattolico non può dimenticare tutto ciò ch’è inerente alla loro umana natura, ma può anche ricordare che, come Cristo dimora e vive in lui, così dimora o desidera dimorare nel cuore di queste altre sue creature. E quindi, parlare e trattar con esse e servirle, è trattare con Cristo e servir Lui. “Ogni volta che farete ciò al minimo di questi, lo farete a me” è l’incentivo che ha dato origine alla lunga teoria dei martiri della. carità, all’esercito permanente della Chiesa di Dio. – Così, in Gesù Cristo suo Signore e suo ideale si accentrano i pensieri del Cattolico, come tutti i suoi affetti. Poiché se fra noi, uomini di buon volere, conoscere un buono significa amarlo, quanto più ciò sarà vero per Gesù Cristo, Colui che nessuno poté convincer di peccato e del quale la folla, contemplandolo, disse che faceva bene tutte le cose, Colui che i nemici stessi non poterono a meno di chiamare “Maestro buono”. Egli è la Bellezza, la Bontà, la Verità per essenza. Mite ed umile, perché tutti possano avvicinarlo come uno dei loro, in Lui tutte le perfezioni della divinità si uniscono alle attrattive dell’uomo perfetto. L’ha dimostrato in ogni azione della sua vita sulla terra, ce lo dimostra ancora ogni giorno, sol che vogliamo leggere “i segni” con esattezza. “Chi di voi mi convincerà di peccato?” – “Io sono la luce del mondo; chi segue me non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita”. – “Io sono la via, la verità, la vita”. – “Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi, e Io vi ristorerò”. “Prendete su di voi il mio giogo e imparate da me che sono mansueto e umile di cuore e troverete riposo alle anime vostre”. “ Chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete”. Queste parole che risuonarono nel cortile del Tempio o per le vie della Giudea hanno echeggiato nei secoli. Ora, come allora, cade ogni accusa lanciata contro di Lui, convinta di falsità al solo venir pronunciata. I testimoni non sono andati d’accordo; l’unica imputazione trovata sufficiente per condannarlo a morte è ch’Egli “si è detto Figlio di Dio”. Ora, come allora, le moltitudini lo seguono, mentre alcuni privilegiati attirati e ammessi alla sua intimità esperimentano in modo ineffabile la verità di ogni sillaba della sua promessa. – E davvero ha mantenuto la promessa, e non ci ha lasciato orfani: è ritornato a noi, e con noi rimane fino alla consumazione dei secoli. Solo chi sa il segreto del suo fascino può parlarne; gli altri, quelli che non sanno, che non hanno mai minimamente capito che cosa sia il Cristo, come potranno osar di negare o ripudiare ciò di cui nulla conoscono? Che i seguaci di altre dottrine a quelle si attengano, e noi non potremo che rispettarli per ciò, disposti anche ad ascoltarli con deferenza. Ma che non si azzardino, in forza della loro dottrina, a dettar dogmi su ciò di cui, secondo la loro stessa confessione, sono affatto profani. — Ne sutor ultra crepidam. — Ché non mancano i veri intimi di Cristo, quelli che conoscono Lui direttamente e non solo ciò che di Lui si dice; e li troviamo in ogni ceto, dal più umile al più alto, fra gli intelletti più ottusi e i più dotti. Se la diversità degli aderenti e l’universalità del consenso son prove di verità, la verità di Gesù Cristo e della Chiesa da Lui fondata balza evidente al disopra di ogni altra. E gli intimi son quelli che esperimentano il suo amore e lo ricambiano, che lo hanno sempre presente allo sguardo e si sentono guidati dalla sua mano e sanno di non essere nell’illusione. Una sola parola loro sul conto del Maestro val più di tutte le negazioni e dei vani tentativi di giustificarle da parte di chi non sa quello che si dice e perciò dev’essere perdonato, di chi non si è mai avvicinato a Lui e perciò va compatito, di chi si trova separato da Lui da duemila anni di storia, non essendo ancor riuscito a trovarlo qual è, se pure non lo consideri come un semplice mito. – Il Cattolico degno del suo nome sa “in chi ha creduto” e vive alla sua presenza e in sua compagnia. Ascoltiamo San Bernardo, scelto a caso fra i tanti che gli rendon testimonianza, poiché fu uno di “color che sanno”: “Signore, fa che col tuo aiuto possiamo seguirti, che per mezzo tuo possiamo venire a Te, poiché Tu sei la Via, la Verità, la Vita. Tu ci sei Via col tuo esempio, Verità con la tua promessa, Vita coi doni che ci elargisci. Tu hai detto che sei la Via che dobbiamo percorrere, la Verità che dobbiamo cercare, la Vita in cui dobbiamo rimanere; la Via che non conosce deviazione, la Verità che non conosce errore, la Vita che non conosce morte; la Via diritta, la Verità infallibile, la Vita eterna, la Via larga e spaziosa, la Verità forte e universale, la Vita dilettevole e per sempre gloriosa. – Ascoltiamo Santa Teresa. Sebbene il suo linguaggio trascenda l’esperienza della maggioranza, pure il Cattolico ne comprende ogni parola e vi consente. La sua opera per la gloria di Dio è ostacolata, sembra che tutto l’avversi e l’accusi, ma la certezza di Gesù Cristo, oggettivamente reale per lei quanto essa lo è a se stessa, è una perenne consolazione nelle sue pene e un incoraggiamento nelle difficoltà e una inesauribile sorgente di forza. Ecco come esprime ciò che Cristo è per lei e per ogni Cattolico, a ciascuno nella propria misura: “Sola com’ero, senza un amico che mi consigliasse, non potevo né pregare né leggere; ma rimanendo per ore ed ore turbata di mente e afflitta di spirito a cagione della gravità delle mie pene, incominciavo a temere di essere in balia del demonio e mi domandavo che cosa mai potessi fare per liberarmi. Pareva che nessun raggio di speranza mi arridesse né dalla terra né dal cielo, nulla all’infuori di una sola certezza che non mi abbandonò mai fra tutti i miei timori e pericoli, che Gesù Cristo mio Signore sicuramente sapeva il peso della mia afflizione. “O mio Signore Gesù Cristo, che amico fedele Tu sei, e come potente! Poiché quando vuoi esser con noi Tu lo puoi, e lo vuoi sempre purché noi siamo disposti ad accoglierti. Che tutto il creato ti lodi e ti benedica, o Signore dell’universo! O se io potessi percorrere il mondo intero proclamando ovunque con tutte le mie forze che amico fedele Tu sei per chiunque ti voglia essere amico! Mio diletto Signore, tutto passa e tutto vien meno; ma Tu, il Signore di tutto, non vieni mai meno, Tu non passi. Ciò che fai soffrire a quelli che ti amano è sempre troppo poco. Come benevolmente e nobilmente, (alla lettera: da vero signore) con quale tenerezza e soavità riesci a trattare e a provare le anime che son tue! Se si potesse esser ben certi di non amare nulla e nessuno all’infuori di Te! Si direbbe, mio dolce Signore, che Tu voglia mettere alla prova con flagelli e torture l’anima che ti ama, sol perch’essa comprenda, quando l’hai ridotta all’estremo, le sconfinate proporzioni dell’amor tuo”.

LA VITA INTERIORE DEL CATTOLICO (3)

LA VITA INTERIORE DEL CATTOLICO (3)

Mons. ALBAN GOODIER S.J. (Arcivescovo di Hierapolis)

Morcelliana Ed. Brescia 1935

Traduzione di Bice Masperi

CAPITOLO I

LA VITA IN DIO

2. – Gesù Cristo, il Verbo Incarnato.

L’eterno Figlio di Dio si è incarnato sulla terra nella persona dell’uomo Cristo Gesù per darci tutto se stesso, per farsi una cosa sola con noi e per potere, una volta associata a sé l’umanità, risollevarla all’altezza da cui era caduta e restituirle la dignità di vera figlia di Dio. È questa la dottrina che troviamo alla radice del credo cristiano, senza la quale esso non differisce in nulla da qualunque altro credo fondato unicamente sulla natura e sulla ragione. Gesù Cristo, l’Uomo-Dio, vero Dio e vero uomo, e non semplicemente uomo dotato di una particolare unione con Dio, ha vissuto su questa terra la nostra vita, ha reso a Dio suo Padre che è nel cielo il perfetto ossequio di un uomo perfetto. Si è fatto capostipite della razza umana e se ne è addossato i dolori, perfino i peccati e le iniquità. Quei peccati ha portato al Padre e, umiliato dinanzi a Lui, se ne è confessato colpevole. Siccome da sé l’uomo non poteva espiarli, Egli si è offerto per espiarli in sua vece in quanto uomo. Dio ha accettato l’offerta, e Cristo l’ha consumata fino all’ultima stilla del calice amaro. Così Cristo Gesù è il nostro benefattore, il nostro amico, e il debito che abbiamo verso di Lui è incommensurabile: per tutta l’eternità dovremo cantare le lodi di Colui che ha tanto fatto per noi. – Il Cattolico si compiace nel pensare a quanto deve a Gesù Cristo, a quanto Egli ha fatto e continua a fare a suo vantaggio, “sempre vivo a intercedere per noi”. Vede in Lui non solo il Cristo storico limitato nel tempo e nello spazio, ma il mediatore eterno fra il peccatore, e il Padre offeso, « ieri e oggi e per sempre lo stesso ». E mediatore Egli è, non solo per concessione ma anche di diritto, ché, unendo in Sé la natura di Dio e quella dell’uomo, Egli nacque proprio per questo ufficio. Lo dice il suo stesso nome, impostogli prima che nascesse: « Lo chiamerai Gesù perché Egli libererà il suo popolo dai suoi peccati ». Come capo del genere umano, “il primogenito di ogni creatura”, Egli ha il diritto e la prerogativa di agire quale intermediario presso il Padre. Ma di ciò non fu pago; non volle essere solo un superuomo che fa atto di degnazione verso i suoi sudditi; volle esser “fatto in tutto simile all’uomo eccetto che nel peccato”, volle “addossarsi tutti i nostri dolori”, volle prender sulle sue spalle la nostra croce per poter trattare col Padre come uno di noi. Una simpatia e una compassione infinita per l’umanità, un amore che doveva essere eterno, intensificato, se così ci è lecito esprimerci, dall’esperienza della sua vita umana, tutto doveva influire e premere su Lui perché intercedesse in favor nostro. Tale è il significato di quello “spogliamento di se stesso” su cui San Paolo tanto insiste. D’altra parte, come Dio Egli è uguale al Padre e allo Spirito Santo e ha libero accesso ad entrambi. Può andare al Padre come Figlio diletto in cui il Padre stesso si è compiaciuto, può parlargli per diritto suo proprio e pretendere di essere ascoltato. Perciò, sia dalla parte dell’uomo che da quella di Dio, Egli sta, unico mediatore degno e sufficiente fra i due. È questo per il Cattolico il significato primo della vita di Cristo sulla terra. Egli ha voluto prender su di sé anche il terribile peso delle tentazioni dell’uomo: “Noi non abbiamo un sommo sacerdote che non possa compatire le nostre debolezze; ma invece è stato provato in tutto a somiglianza di noi, salvo il peccato” (Ebr. IV, 15). Precisamente perché l’uomo aveva ceduto a tutte quelle tentazioni Cristo si è offerto come vittima. Ha consumato un olocausto perfetto, assoluto, col sacrificio di Sé sul Calvario, nell’obbedienza e nell’amore fino alla morte, e amore di cui maggiore non esiste, pagando di persona la disobbedienza dell’uomo, il suo difetto di amore. E il valore espiatorio di questo sacrificio risulta infinito, in primo luogo per l’infinito valore della vittima che spontaneamente si immolò, in secondo luogo per la misura stessa della espiazione. Poiché non era affatto necessario arrivare a tali estremi. Un semplice atto d’ossequio di Cristo Signore sarebbe stato sufficiente a soddisfare ogni giustizia. Se fosse perito fanciullo, vittima di Frode a Betlemme, se anche fosse morto appena nato, fra le braccia della Vergine, agli occhi del Padre questo Figlio del suo amore avrebbe fatto abbastanza per redimere il mondo. Ma non sarebbe stato abbastanza per soddisfare la sete di amor divino che ardeva nel cuore di Cristo.  “Cristo mi ha amato e ha dato se stesso per me”. Non volle offrire una soddisfazione qualsiasi; volle soddisfare finché non gli rimanesse più nulla; volle “spogliarsi di se stesso”, darsi tutto fino ad annientarsi. Per esser pago dové darsi fino all’estremo, affinché “dove abbondò la colpa più abbondasse la grazia… per Gesù Cristo nostro Signore”. (Rom. V, 20) e siccome “non esiste amore più grande di questo, dare la vita per l’amico” Egli doveva eguagliare il suo amore a tale prova suprema anche se non lo esigeva la stretta giustizia. – Così, a questo prezzo, il nostro mediatore ha ottenuto all’uomo non solo perdono e re.denzione: gli ha conquistato anche tutte quelle altre grazie e possibilità che lo innalzeranno ad una più intima unione con Dio. In questa luce San Paolo riassume più volte l’opera del suo Signore e Salvatore: “Benedetto Iddio, Padre del Signor nostro Gesù Cristo, il quale ci ha benedetto con ogni benedizione spirituale, celeste, in Cristo, in quanto ci ha eletti in Lui, prima della fondazione del mondo a esser santi e irreprensibili nel suo cospetto, per amore avendoci predestinati a esser figli suoi adottivi per mezzo di Gesù Cristo, secondo la benignità del suo volere, sì che ciò torni a lode della gloriosa manifestazione della grazia sua di cui ci fece dono nel suo diletto Figliolo. In Lui noi abbiamo la redenzione per mezzo del suo sangue, la remissione dei peccati secondo la ricchezza della sua grazia” (Efes. I, 3, 7.). Tutto questo ha fatto Nostro Signor Gesù Cristo con la sua vita e la sua morte, tutto questo ha ottenuto all’umanità, quale mediatore di essa. Ma ha fatto di più. Per incoraggiare e sostener l’uomo nello sforzo verso le cose più alte, per dargli maggior forza e fiducia di quelle che gli siano naturalmente possibili, Cristo ha istituito e ci ha lasciato quello che conosciamo col nome di sistema sacramentale. Ha dato al Padre, come provenienti dall’uomo, la propria vita e il proprio sangue; ha dato all’uomo, come provenienti dal Padre, quei doni gratuiti di forza soprannaturale, quei sette segni esteriori atti a conferire realmente le grazie che significano. – Perché l’uomo possa meglio affrontare ogni momento importante della vita, perché più sicuramente adempia in Gesù Cristo ai doveri inerenti ad ogni condizione, perché viva sulla terra per quanto è possibile la vita stessa di Cristo, questi gli ha offerto quei canali di grazia che gli saranno prontamente aperti se vorrà e ogni volta che vorrà. Il sangue di Cristo è stato dato al Padre, e dal Padre vien restituito all’uomo per mezzo dei sacramenti. Essi sono come le vene del Corpo mistico di Cristo, che portano e dispensano ad ogni membro il sangue di Lui e con esso la vita. Di più, purché gli uomini lo vogliano, Cristo ha dato a ciascuno il potere che da sé non avrebbe di dare al Padre una soddisfazione degna e di acquistar meriti per se stesso. Sappiamo che nell’ordine soprannaturale l’uomo naturale non può, da solo, far nulla di meritorio; ma egli “tutto può in Colui che lo conforta”. Incorporato a Cristo nel vero senso che considereremo più innanzi, l’uomo partecipa alla vita di Lui, le sue azioni sono identificate a quelle del suo Signore e Maestro allo stesso modo che nostre sono le opere delle nostre mani. Così, come il tralcio è alimentato dalla linfa stessa della vite e dà per ciò frutti che da sé solo mai potrebbe dare, le azioni dell’uomo innestato in Cristo sono tutte impregnate è principio di quella carità divina di cui Egli e sorgente. Con Lui, in Lui e per Lui, esse diventano azioni soddisfattorie in se stesse, ossia accette a Dio non nell’ ordine della natura ma nell’ordine della grazia, degne di merito, feconde di bene. – In terzo luogo, Cristo è mostro mediatore nel campo dei nostri doveri di religione, ossia dei doveri che abbiamo verso Dio. È fine funzione propria della creatura dar gloria al suo Creatore, come l’opera d’arte dà gloria all’artista che con la propria mano la foggiò. – “I cieli narrano la gloria di Dio e l’opera delle sue mani annunzia il firmamento”. (Sal. XVIII, 1). Ma per la creatura dotata di facoltà superiori, come l’intelligenza e il libero arbitrio, sarà doveroso dare a Dio una gloria ancor più grande e corrispondere alla fiducia che in lei ha posto il suo Creatore, allo stesso modo che un ministro del re, depositario delle insegne e dei pieni poteri di lui, tanto più lo onora quanto più di lui sa rendersi degno, ovunque si trovi. E come il quadro consegue la sua gloria massima mel procurar gloria all’artista che lo dipinse, come il libro vale a cagione dell’autore ch’esso rivela, altro non essendo la sua sapienza se non il riflesso della mente che lo concepì, come un ministro del re è maggiormente onorato quando più è degno di lui, così la creatura trova la sua gloria più alta nel rifletter la gloria di Dio suo Creatore, l’uso più degno della sua ragione nel manifestare il pensiero di Lui, e il miglior impiego della sua esistenza nel viverla a servizio di Lui. Eppure, anche quand’è più splendida, che cosa meschina è mai la gloria che da sé la creatura può dare al Creatore! E quanto più meschina, se si considera la condizione decaduta dell’uomo! Ma ecco che Cristo viene in suo aiuto. Ora finalmente, unita a Lui, la creatura può lodare e onorare il suo Dio, può rendergli omaggio e servizio con labbra e con mani degne, con un’anima e una volontà, un amore e una testimonianza d’amore degni di Dio. La creatura può esprimere il proprio cuore in unione al cuore di Cristo, e Dio Padre trova tale espressione degna di essere ascoltata. Anzi, dato che Cristo vive nella sua creatura, Egli le comunica il suo stesso potere di render lode e reverenza e gloria. E allora, quando la creatura parla, non son più parole sue quelle che pronuncia, ma in lei parla lo stesso Cristo Gesù. Egli non è soltanto il nostro Mediatore sommo e sufficiente che in sé rinnova tutte le cose: è anche il nostro Sacerdote, il Sommo Sacerdote della nuova legge. Alla lettura del Vecchio Testamento ci colpisce il fatto che la religione ivi descritta si accentrava tutta nel sacerdote e nel suo sacrificio. E non meno ci sorprende il vedere come la profezia di Colui che doveva venire lo annuncia “sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedec”. – Dopo la sua venuta e la sua dipartita, non conosciamo commento migliore all’opera sua dell’Epistola agli Ebrei, ed è precisamente quella che verte tutta sul sacerdozio di Cristo nostro Signore. Anzi lo considera non solo come Sacerdote, ma come l’unico vero Sacerdote della nuova Alleanza e mostra il suo Sacrificio come unico. Prima di Lui tutti i sacrifici non erano stati che simboli, ma il Sacrificio di Cristo fu molto di più, fu Sacrificio reale, fu addirittura il Sacrificio di se stesso. E non potendo morire che una sol volta, il Sacrificio offerto non poté essere che uno, ma tale da compensare ampiamente ogni debito. Sotto questa luce, l’Epistola agli Ebrei e varie altre riassumono l’opera e il significato di Cristo sulla terra. “Cristo ci ha amati e ha dato se stesso per noi, oblazione e sacrificio a Dio, profumo di soave odore”. (Efes. V, 2). “Poiché uno è Iddio, uno anche il mediatore fra Dio e gli uomini, Cristo Gesù uomo, colui che diede se stesso prezzo di riscatto per tutti; testimonianza fatta nel suo proprio tempo”. (I Tim. II, 5, 6). “Cristo, essendo venuto come sommo sacerdote dei beni avvenire, attraverso un più grande e più perfetto tabernacolo, non fatto da mano d’uomo, cioè non di questa creazione, né per il sangue di capri e di vitelli, ma mediante il proprio sangue, entrò una volta per sempre nel Santuario, ottenendoci una redenzione eterna. Se il sangue di capri e di tori e la cenere d’una giovenca sparsa su quelli che sono immondi li santifica rispetto al procurare la purità della carne, quanto più il Sangue di Cristo il quale per via dell’Eterno Spirito offrì se stesso immacolato a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere di morte, perché rendiamo culto al Dio vivente? Per questo Egli è mediatore d’un nuovo patto, affinché, avvenuta la sua morte allo scopo di redimere i trascorsi commessi sotto il patto di prima, i chiamati ricevano l’eredità eterna loro promessa”. (Ebr. IX, 11, 15). – In altre parole, Nostro Signore Gesù Cristo, il nostro Sommo Sacerdote espiò i peccati del mondo col sacrificio di se stesso, l’olocausto del proprio sangue. Egli ha stretto un patto nuovo fra Dio e l’uomo; per Lui che si è immolato Dio e l’uomo sono riavvicinati. Ecco il significato e la portata della Passione e Morte di Gesù Cristo secondo il pensiero cattolico, ecco perché i Cattolici tengono in sì gran conto il segno della croce e il crocifisso. Per loro la Passione è assai più che un atto sovrumano di coraggio morale e di amore, assai più che la massima fra le tragedie umane. È il solenne sacrificio, nel senso più stretto del termine, di una vittima spontaneamente immolata. “Fu offerto perché lo volle”, “da un sommo sacerdote misericordioso e fedele perché fossero espiate le colpe del popolo”. (Ebr. II, 17). L’effusione di quel sangue ha purificato il mondo, ha cancellato la sentenza che pesava sull’uomo decaduto. Sul Calvario si compì l’opera della riparazione, la Redenzione: “Ecco l’Agnello di Dio che cancella i peccati del mondo”. Sul Calvario, con un atto spontaneo di perfetta obbedienza e di amore perfetto, si compì un sacrificio perfetto e completo da un sacerdote perfetto in una vittima pure perfetta. La giustizia fu completamente soddisfatta e l’amore perfettamente appagato: per la prima volta si diede a Dio sulla terra gloria perfetta e l’uomo fu salvo e redento. Il senso intimo e pratico di tutto ciò per i Cattolici fu espresso magnificamente da S. Bernardo in uno dei suoi sermoni: – “Gesù piange, ma non come gli altri o almeno non per lo stesso motivo. Negli altri prevale il sentimento, in Lui l’amore. Gli altri piangono per ciò che soffrono; Egli piange per compassione di ciò che gli altri soffrono o soffriranno. Essi deplorano il giogo pesante che grava sui figli di Adamo; Egli geme per quello che gli stessi figli d’Adamo si sono imposti volontariamente, per il male che hanno commesso. Per quel male, anzi, Egli versa ora le sue lagrime e più tardi verserà il suo sangue. “Oh, durezza del mio cuore! Volesse Iddio che, come il Verbo si fece carne, il mio cuore divenisse un cuore di carne invece che di pietra qual è adesso! È questa la tua promessa secondo il profeta che disse: “Strapperò dai loro precordi il cuore di sasso e vi sostituirò un cuore di carne » (Ezech, XI, 19). Fratelli, le lagrime di Cristo mi riempiono di confusione e di dolore. Io banchettavo fuori nel cortile, mentre nel segreto della dimora del Re si firmava la mia sentenza di morte. Il Figlio unigenito del Re ne ebbe sentore: depose la corona, si vestì di sacco, si cosparse il capo di cenere, si tolse i calzari e uscì piangendo e gemendo per la condanna di questo povero piccolo schiavo. Lo vedo comparire improvvisamente e la stranezza di questo spettacolo mi sbalordisce. Domando di che si tratta e apprendo la verità. Che cosa debbo fare? Potrò continuare nelle mie vanità, rendendo vane così le sue lagrime? Sicuramente non posso che esser sciocco e insensato se non voglio seguirlo, se non voglio piangere con Lui. – “Ecco il motivo della mia vergogna; che dire del dolore e del timore?….. “Io ignoro tutto di questa tremenda verità. Mi ritenevo tranquillo e sicuro, ed ecco è mandato il Figlio di una Vergine, il Figlio dell’Altissimo, e vien messo a morte perché le mie piaghe sian risanate col balsamo del suo Sangue prezioso. “Il Figlio di Dio è tutto tenerezza e compassione e piange: potrà l’uomo esser testimonio della Passione e ridere?”. – Rimaneva e rimane per ogni uomo che viene in questo mondo da accettare e da applicare a se stesso i frutti di quel Sacrificio, la carità, la soddisfazione, i meriti del Redentore divino. E perché  l’uomo possa far ciò nel modo più completo e possa, in ogni tempo e in ogni luogo, sempre dar gloria a Dio in modo degno di Lui e applicare a se stesso la sovrabbondanza dei meriti della Redenzione, Cristo istituì alla vigilia della sua Passione, un memoriale di essa. In questo “memoriale” o sacrificio, sotto le specie o apparenze del pane e del vino, il “sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedec” continua ad offrirsi come vittima per noi tutti e continuerà ad offrirsi sino alla fine dei secoli. – Così Cristo ha riconciliato l’uomo con Dio. Ma per l’uomo ha fatto ancor di più. Non avrebbe potuto venire nel mondo e per il mondo, per poi lasciarlo a dibattersi come prima nella sua desolata oscurità. Egli è la luce che deve venire in questo mondo a illuminare ogni uomo che in Lui crede. Egli stesso più di una volta si definì in questo modo: era la luce; e la luce è la vita dell’uomo. Se osserviamo bene possiamo constatare com’Egli abbia sempre assolto il suo compito: fin dalla venuta di Cristo sulla terra, dovunque è giunta la sua influenza, la vita del mondo si è rinnovata. E anche ora, vediamo come questa diffusione di luce continua. Quando Cristo venne sulla terra, la cultura pagana, tanto sostenuta dalla ragione, aveva ormai fatto il suo tempo; i suoi stessi filosofi non vi credevano più, i suoi addetti l’avevano sorpassata, le superstizioni si succedevano, gli uomini non sapevano più che cosa credere, né se ne preoccupavano gran che. Le forme erano mantenute, ossia l’apparato esteriore della religione, perché sembrava che senza di quello la civiltà stessa dovesse soccombere. Ma le forme non avevano più alcun significato, o, se ne avevano, era spesso il contrario di quello primitivo. Anche fra i Giudei si verificava un regresso, un pervertimento di ideali, una sostituzione di convenzioni alla verità. Credevano ancora nell’unico vero Dio, ma era soltanto il Dio di Abramo. La legge aveva divorziato dalla religione, si era fatta fine a se stessa e non più mezzo, e ne era seguita una schiavitù intollerabile. – In questo ambiente venne Cristo. Ergendosi al disopra del legalismo, parlò “come uno avente autorità e non come gli Scribi” e l’autorità ch’Egli si arrogava era quella di messaggero diretto di Dio stesso. Egli restituì all’uomo quella religione dello spirito che ne formava l’aspirazione spontanea. La razza umana era miope per natura, errante “come gregge senza pastore dà come è sempre stata e sempre sarà, se lasciata a se stessa. Cristo le diede una guida sicura, la sua stessa infallibilità che stabilì per sempre nel suo Corpo mistico, la Chiesa vivente. Essendo Cristo Dio, e quindi “ieri e oggi il medesimo per sempre, la sua infallibilità è conseguenza logica della sua divinità. – Non si tratta semplicemente di storia e di evoluzione che sono, esse stesse, fallibili, ma poiché l’infallibilità è cosa più che umana deve necessariamente appoggiare sopra una base sovrumana. Si basa non sulla storia, ma su Cristo in persona che non può ingannarsi né ingannare, che ha promesso di essere coi suoi “sempre, fino alla consumazione dei secoli”, che visse e morì e risorse “per dare testimonianza alla verità”. Se ci avesse dato di meno, nulla avrebbe fatto più di quanto l’uomo già fece nella sua affannosa esitante ricerca della verità. La sua intera dedizione, invece, ci fa riconoscere l’unico sigillo degno della Parola di Dio nella perenne infallibilità di Lui. Veritas Domini manet in æternum: “La verità del Signore per mane in eterno”. – E il suop insegnamento è venuto a rispondere in ogni punto alle ansiose interrogazioni dell’anima umana. Che cos’era essa? Quale la sua origine e la sua ragione d’essere? Quale la sua meta, il suo fine? Cristo le rispose, come uno avente autorità e in nome di Dio stesso, che veniva da Dio e a Lui doveva ritornare, quel Dio che voleva esserle padre, che l’ aveva creata per Sè, che l’aveva santificata e benedetta oltre ogni possibile aspirazione, che con la sua Provvidenza si prendeva cura di lei ad ogni istante. Era venuta da Dio che l’amava di un amore eterno, l’aveva adottata e beneficata come figlia, le aveva infuso la sua stessa vita per farla capace d’innalzarsi al disopra di sé, oltre il limitato orizzonte di questo mondo sensibile, e di diventar membro della sua casa, del suo regno. Che cos’era dunque in se stessa? Arricchita di questa vita nuova l’anima acquistava una dignità e un’importanza tali che al loro confronto il mondo intero perdeva ogni valore. “Che cosa darà l’uomo in cambio della sua anima?” Non era più un essere qualsiasi, ma figlio adottivo della famiglia stessa di Dio, fratello del Verbo incarnato, membro del suo Corpo mistico, tralcio di Lui che è la vite, figlio della sua Chiesa fondata su una rocca che nulla potrà abbattere, creatura preziosa agli occhi stessi di Dio, perché acquistata col sangue del Figlio suo, l’eterno diletto Unigenito. Ecco l’anima umana come Cristo la vedeva e come la rivelò all’anima stessa. Era una concezione che superava quella di tutti i filosofi e i profeti venuti prima di Lui. L’uomo guardò in alto, dalle proprie tenebre, verso le altezze donde veniva la nuova luce, e fu un’esistenza nuova. Poiché, illuminata e rivelata da quella luce, la vita stessa assumeva altro significato e altro valore. Che cosa doveva essere, e per quale scopo? Non era più la tomba la sua meta, ma la casa di Dio Padre, non la conquista di beni effimeri, ma quella di una corona incorruttibile. La sua perfezione stava precisamente nella conoscenza di Dio, nell’amor di Lui accettato e ricambiato, nella rassomiglianza con Lui, come di figlio al padre, ogni giorno più accentuata e più perfetta; e tutto ciò faceva di questa vita meschina una cosa affatto diversa, ricca di significato e d’ideali nuovi, con una nuova meta e con la splendida certezza di un’altra vita in cui la morte sarà assorbita nella vittoria. Nessuna meraviglia che chi ascoltava Cristo rimanesse “stupito della sua dottrina”. (Matt. VII, 28.) Era dottrina umana e divina insieme, perfettamente consona alle aspirazioni dell’uomo, vera risposta alle sue domande, appagamento dei suoi sogni più alti, verità soprannaturale eppur sempre a portata della sua vita quotidiana. “Beati voi, o poveri, perché vostro è il regno di Dio”. “Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati”. “Beati voi che ora piangete, perché riderete”. « Sarete beati quando gli uomini vi odieranno e vi bandiranno dalla loro compagnia e vi caricheranno di obbrobrio, e ripudieranno come abominevole il vostro nome per causa del Figliuol dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno e tripudiate perché il vostro premio sarà grande nei cieli (Luca VI, 20, 25). – Nessuna meraviglia che i suoi nemici, avendolo udito, si allontanassero dicendo: “Nessuno mai ha parlato come quest’uomo”. (Giov. VII, 45). Perché parlava come uno che vedeva e sapeva cose che nessun altro poteva vedere e sapere, e ne discorreva con un linguaggio che nessuno ha mai uguagliato, con una chiarezza, un calore, una convinzione, una sicurezza, perfino con una padronanza di parola e di frase che di per sé era garanzia di verità. Egli era la Via, la Verità, la Vita. Si attribuì questi titoli e nessuno osò contestarglieli. Unico fra tutti gli uomini, Egli poté chiedere: “Chi di voi mi convincerà di peccato?” Egli solo poté promettere ed invitare: “Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò”. E non si trovò nessuno che osasse accusarlo di presunzione. Da ultimo, poiché non possiamo continuare all’infinito, notiamo che Cristo non si limitò alle parole. Fu modello perfetto di tutto ciò che insegnò, perfetto soprattutto forse perché  appropriato ed accessibile ad ogni uomo che viene in questo mondo. Di nessuno si potrebbe asserire altrettanto, neppure dei migliori fra gli uomini. Incarneranno questo quell’ideale, saranno fulgidi esempi di questa o di quella virtù, ma se vogliamo esser giusti dobbiamo conceder loro, anche ai più grandi, il margine che è comune a tutta l’umanità. Cristo resta unico e solo. Non ha bisogno di nessuna concessione. La sua perfezione non è ristretta ad una qualità o ad una virtù; per quanto vi si cerchino limiti, non se ne troveranno. Si fece uomo, visse fra gli uomini la sua vita umano-divina, uguale in tutto agli altri, nascosto come si nasconde per lo più ogni vera grandezza obbediente come tutti dobbiamo esserlo quaggiù, mostrando in ogni suo atto come preghiera ed azione ogni siano intimamente unite, come l’uomo possa santificare e quindi render perfetta ogni prova e ogni avversità, ogni sconfitta come ogni successo. Insegnò con l’esempio e con l’esperienza, oltre che con la parola, la pazienza, la perseveranza e la speranza nell’afflizione, sopportò tutti i torti ch’Egli sapeva esser riserbati ai suoi futuri seguaci. Agonizzò nel corpo e nell’anima, sopportò il disprezzo degli uomini, l’ingratitudine, l’abbandono, il tradimento, il bisogno, l’insolenza, la crudeltà, l’ingiustizia, la vergogna, l’ignominia, ogni forma di male che può colpire l’umanità. Nessuno doveva mai poter dire che il suo destino fosse più crudele di quello di Cristo. – Eppure, sebbene la figura completa di Cristo sia quella di “verme, non uomo” in cui “non era apparenza che attirasse il nostro sguardo”, il suo esempio attrae irresistibilmente. “Quando sarò innalzato attirerò a me tutte le cose”. Così aveva detto una volta di Sé e, nel tempo, la profezia si è avverata. – Quella vittima innocente che tutto sopportò per puro amore di coloro che avrebbero dovuto soffrire in sua vece ha fondato una nuova civiltà; i suoi patimenti hanno portato frutto in questo mondo come nell’altro. La croce è apparsa nel cielo, e sul Cristo, sul Cristo crocifisso, è sorto il Cristianesimo. Attraverso i secoli Egli ha attirato a sé uomini e donne innumerevoli pei quali, a motivo di Lui, la sofferenza è diventata una gioia perché li ha resi tanto più simili a Lui, una cosa sola con Lui. E li ha fatti capaci di compiere in loro stessi “ciò che manca” alla passione di Lui, ha insegnato loro il modo di dargli prova d’amore, il mezzo medesimo con cui Egli dimostrò l’amor suo per essi. Ha reso loro possibile di partecipare alla sua vita e compiere, in Lui e con Lui, l’opera per la quale Egli visse e morì. Né il miracolo è esaurito: Cristo e la sua croce rimarranno l’ideale di milioni di esseri fino alla consumazione dei secoli; ché in quell’ideale, più che in ogni altro, è riposta la salvezza dell’uomo anche su questa terra.

LA VITA INTERIORE DEL CATTOLICO (2)

LA VITA INTERIORE DEL CATTOLICO (2)

Mons. ALBAN GOODIER S.J. (Arcivescovo di Hierapolis)

Morcelliana Ed. Brescia 1935

Traduzione di Bice Masperi

CAPITOLO I

LA VITA IN DIO

1. Dio e la sua creatura

Debbo definire il pensiero cattolico; da dove incominciare? o quale dei suoi numerosi aspetti dovrò tentar di analizzare? In ogni caso, dovunque conducano in definitiva le mie riflessioni, posso incominciare dal fatto di Dio. So che Dio esiste, Dio uno e vero, oggettivamente reale, che contiene in se stesso tutto quanto intendiamo con la parola “personalità” e più ancora. So ch’Egli è al difuori della creazione e da essa indipendente, mentre la creazione, con tutto quanto contiene, da Lui dipende e deve dipendere: so ch’Egli è vicino ad essa e a ciascuna delle sue creature, vicino a me quanto lo sono io stesso. So che nulla gli è impossibile perché è l’Onnipotente, è quello che i teologi dicono immenso, intimamente essenziale a tutte le cose, di modo che nulla gli è ignoto, neppure i più segreti pensieri dell’uomo, non il passato né il futuro, non le cause né gli effetti. So che il mio Dio è infinito in sapienza e non può che far sempre il meglio secondo i suoi disegni, che è perfetto nella giustizia pur essendo la sua misericordia superiore ad ogni sua perfezione; so che la sua provvidenza regge e cura ciascuna cosa da Lui fatta, e soprattutto gli uomini affinché in Lui siano salvi. So che il mio Dio è non solo reale, più reale di quanto lo siamo noi, non solo giusto e misericordioso e infinitamente veritiero, fedele e immutabile. Egli è anche un Dio d’amore. Infinitamente amoroso e infinitamente degno di amore: è l’amore stesso dal quale deriva ogni amore e al quale ogni amore ritorna. Se sono coerente, non posso pensare a Dio senza che il mio pensiero si risolva in amore; non posso giudicare i suoi atti se non li considero con gli occhi dell’amore; se qualche cosa di Lui voglio scoprire, l’amore; soltanto potrà rivelarmelo. So che in questo Dio sono tre Persone che noi mortali chiamiamo Padre, Figlio e Spirito Santo precisamente perché son questi i nomi che per amore ci furon rivelati insieme alle reciproche relazioni delle tre Persone divine; e quando arriviamo a una qualche comprensione della essenza della SS. Trinità, vediamo ch’Essa altro non è che la perfetta espressione di un amore infinitamente perfetto. Il Padre e il Figlio, il Padre che dà al Figlio tutto ciò che ha e che è: se stesso; il Figlio e il Padre, il Figlio che restituisce al Padre tutto ciò che è e che ha; lo Spirito Santo, — come debolmente lo esprimiamo! — l’amore reciproco del Padre e del Figlio, infinito, e perciò unico. È questo il nostro Dio, veduto da questa oscurità ed in maniera oscura, ma che speriamo di contemplare un giorno a faccia a faccia. – E se l’amore è l’unica chiave alla conoscenza di Dio in se stesso, non ne esiste altra neppure per la comprensione dei suoi rapporti con le creature. Questo mio Dio mi conosce assai meglio di quanto mi conosca io stesso, assai meglio di quanto possan conoscermi gli altri, e ciò nonostante mi ama. Conosce il mio nulla, la mia miseria, le mie colpe, eppure, e forse per ciò stesso, Egli non ha per me che compassione ed amore. Fin da tutta l’eternità — mi esprimo come umanamente posso — io ero nella sua mente ed Egli mi amava; e nel tempo, proprio perché mi amava, mi volle e mi diede la vita. Quell’amore medesimo lo spinse non solo a far di me un essere umano, ma anche a farsi uomo Egli stesso come me e per me: dopo avermi dato me stesso, l’amore lo portò a darmi anche se stesso. Divenne uomo per me, ma ciò non gli parve abbastanza. Doveva continuare a dare, doveva darmi tutto ciò che aveva, la sua stessa vita: e come visse per amore di me, per amore di me morì. E per amor di me risuscitò; ma, risorto, essendo “passato da questa vita al Padre” ancora mi amò. Per amor mio ascese al cielo, per prepararmi un posto, come aveva detto, affinché dov’Egli era fossi io pure, quando il tempo non sarà più, per tutta l’eternità. Ma neppur questo bastava al suo amore infinito. Quando passò da questa terra non volle lasciarci orfani, volle ancora venire a noi. Era necessario che andasse, ma volle ritornare in questa valle di lagrime e dimorarvi finché vi resteremo noi. In quanto al mezzo di questa permanenza quaggiù, il suo amore l’avrebbe escogitato, e lo trovò in un po’ di pane e in un po’ di vino. L’amore lo indusse a darsi nuovamente tutto; a me si diede tutto intero nel Sacramento dell’Altare e non solo come compagno, ma come cibo. Se avesse voluto semplicemente dimorare con me sulla terra, avrebbe potuto farlo in altro modo, rimanendo accanto a me come uomo, trasfigurato magari, e in tutta la sua gloria attuale. E io l’avrei riconosciuto e adorato, amorosamente, come il povero cieco nato ch’Egli guarì a Gerusalemme. Invece Egli volle far di più: l’amore richiedeva qualche altra cosa e questa non gli fu negata. Per amor mio volle unirsi a me, venire a me, in me, nascosto in quel sacramento divino, e nutrir la mia vita della Sua. “Colui che mangia di me vivrà per me. Colui che mangia di questo pane vivrà in eterno ”. Né questo è tutto, ché l’amore non è mai pago quaggiù, e sempre vuol darsi e sempre brama un contraccambio. Perciò Egli volle unirsi ancor maggiormente a me: come aveva trovato il mezzo di venire in me, volle che ancor io fossi attratto a Lui. E per questo volle vivere sulla terra in un altro modo ancora: il suo spirito, la sua vita dovevano dimorare fra gli uomini come la linfa della vite circola nei suoi tralci, come il calore del fuoco rimane nel ferro arroventato, come l’anima vive nel corpo dell’uomo. Volle dimorare in un nuovo corpo, Corpo mistico è vero, ma non per questo meno reale, che avrebbe chiamato la sua Chiesa. E mi volle membro di quel corpo, parte di se stesso, inserito in Lui come il tralcio è inserito all’ albero, e volle che da Lui attingessi vita. Volle che io vivessi, no non più io, volle Egli stesso vivere in me per mezzo di questo organismo vivente suo che è la Chiesa. Così, dal principio alla fine, la storia dei rapporti fra questo Dio d’amore e me è perfettamente coerente, tutta degna di un Dio. Ammesso l’amore, amore ineffabile e sconfinato di un Dio che tutto dà e tutto chiede e tutto può, io vedo susseguirsi i suoi doni che lo abbassano fino a me e mi attirano a Lui, finché tutto il resto svanisce e io sono accolto, sol che lo voglia, nel suo tenero amplesso. –

Dio mi ha amato prima ch’io fossi, perciò Egli mi fece.

Dio mi ha amato dopo che m’ebbe creato, perciò si fece uomo per me.

Dio mi ha amato dopo essersi fatto uomo per me, perciò Egli morì per me.

Dio mi ha amato dopo esser morto per me, perciò risuscitò per me.

Dio mi ha amato dopo che risuscitò per me, perciò ascese al Cielo per me.

Dio mi ha amato dopo la sua, ascensione, perciò Egli ritornò a me.

Dio mi ha amato dopo che ritornò a me, perciò Egli venne in me.

Dio mi ha amato dopo che venne in me, perciò mi fece una cosa sola con Sé, membro del suo stesso corpo “che è la Chiesa”.

Quel che Dio sarà per me quando lo incontrerò a faccia a faccia “occhio non vide, orecchio non udì, né fu dato al cuor dell’uomo di Intendere”, ma intanto tutto questo e più ancora è per me il mio Dio anche quaggiù e in questa vita. O per lo meno, questo e più Egli sarebbe per me se io lo lasciassi fare. Poiché, ecco un’altra manifestazione del suo amore: Egli mi lascia libero di accettare o di rifiutare il suo dono. L’amore perfetto, come sappiamo, ha tre prerogative: desidera di possedere, anela di darsi e brama un contraccambio d’amore da parte del suo diletto. Ma perché questo avvenga, perché l’amore sia perfetto, deve essere spontaneo, e l’amato deve esser libero. Dio ama tutte le creature che fece, e in cambio esse dicono incessantemente la sua gloria. “Cœli enarrant gloriam Dei, et opera manuum suarum annuntiant firmamentum”. Ma non potrebbe essere altrimenti: l’amore di queste creature non è proprietà loro, allo stesso modo che l’immagine non appartiene allo specchio che la riflette. Questi esseri del creato sono specchio di Dio, sono belli perché lo riflettono, degni di amore appunto perché e in quanto rivelano l’amor suo, ma per se stessi non sono che creature, opera delle sue mani, senz’alcuna libertà o volontà propria con cui offrirgli quel dono spontaneo che fa dell’amore un olocausto perfetto. – All’uomo solo, su questa terra, fu concessa la facoltà di volere liberamente e di liberamente donare. Per ottenere questo olocausto e la gloria di un amore liberamente ricambiato e offerto a Lui dalla sua creatura, direi — se l’espressione non suonasse irriverente — che il mio Dio ha voluto tentare la prova. Ha dato la vita a una creatura che fosse libera, ha dato a me ch’Egli ama il potere di dire se voglio o no riamarlo. Mi ha manifestato tanta della sua bellezza, ha voluto che i cieli mi narrino la sua gloria, mi ha svelato il suo segreto, mi ha attratto e allettato in mille modi. Ha domandato esplicitamente il mio amore, me ne ha fatto un vero precetto, il suo unico grande comandamento, lasciandomi libero di mangiare del frutto di tutti gli altri alberi del suo paradiso. E libero davvero mi ha lasciato: malgrado tutti gli inviti, tutti gli allettamenti coi quali mi ha attirato e vincolato a Sè, io ho ancora in me il tremendo potere di respingerlo, di rinnegarlo, di dire che non voglio amarlo, che amerò invece di Lui qualche altra cosa, magari me stesso. – E l’uomo libero lo ha tradito. Io l’ho tradito. Egli ha messo alla prova affinché gli dimostrassi il mio amore, poiché l’amore non si accontenta di parole; e io non ho dato buona prova. Gli ho detto “Signore, Signore”, ma non sono entrato nel suo regno. A Lui ho preferito me stesso, ho posposto il suo infinito preziosissimo amore a un misero orpello, a qualche effimera soddisfazione. Quella stessa capacità d’amore, che era il suo dono sovrano a me e per la quale più gli rassomigliavo e di cui Egli solo era perfettamente degno, io l’ho distolta da Lui e l’ho rivolta ad altre cose, e in esse l’ho sperperata. Ecco il peccato. Per quanto è dipeso da me, mi sono distolto dall’amore di Dio, ho dichiarato al suo cospetto che non volevo saperne di Lui e che gli preferivo altri. Gli ho fatto l’ingiuria e l’insulto non solo di relegarlo a un secondo posto, ma anche di rifiutargli un posto qualsiasi, di lasciarlo al di fuori e al di dietro di me. Gli ho voltato le spalle, l’ho disprezzato, dichiarandomi pronto a subirne le conseguenze. Ho fatto ciò, e deliberatamente. Per quanto cerchi di scusarmi adducendo la mia profonda ignoranza, la mia cecità, la mia debolezza, l’attrattiva del momento, la pressione delle circostanze contrarie, non posso negare che, alcune volte almeno, sapevo benissimo quel che facevo. Avevo coscienza del suo sguardo amoroso posato su me, della sua mano tesa ad aiutarmi, eppure ho preferito continuare per la mia strada e abbandonarlo per seguire il mio capriccio. E una volta abbandonato Lui e fatta deliberatamente la mia scelta, era naturale che io non potessi da me tornare indietro. Non potevo riprender da me il bene cui avevo così liberamente rinunciato. Fin da principio non potevo vantare alcun diritto su di esso, ché tutto era suo dono gratuito; e tanto minor diritto poteva rimanermi ora che l’avevo respinto. Non mi era dato neppure di implorarne la restituzione: avevo peccato contro il cielo e contro il Padre mio. Tutt’al più, conoscendo l’amore costante di quel Padre, avrei potuto supplicarlo di accettarmi qual servo. Ma il mio Dio era pur sempre il Dio dell’amore e ancora mi amava d’immenso amore. Sebbene io lo avessi abbandonato e mi fossi recato in terra straniera per sfuggirgli, la sua misericordia non si stancava d’inseguirmi: Egli non poteva cambiare. Gli avevo rifiutato quanto gli dovevo non solo in qualità di beneficato, oggetto di un così tenero amore, ma anche in qualità di creatura sua; eppure Egli non volle castigarmi. Se un altro mi avesse fatto quel che io avevo fatto a Lui, mi sarei sentito in diritto di ripudiarlo; ma Egli non volle trattarmi così. Se pure il pentimento mi fosse stato possibile, io non avevo nulla con cui ripagare il mio Dio. Avevo offeso l’Infinito e commesso quindi una offesa infinita che nessuna creatura finita avrebbe potuto riparare. Avevo sperperato i miei tesori d’amore e non potevo aspirare ad altra sorte che a quella da me scelta. Ma Egli trovò la soluzione, per Sé come per me. Infinito e costante nella misericordia e nell’amore, Egli trovò il mezzo con cui pagare il mio debito. Giustizia si farebbe nei suoi riguardi, e al tempo stesso mi verrebbe reso l’amore sol ch’io lo volessi. E sarei perdonato, restituito alla perduta dignità, rigenerato sulle mie stesse rovine, e mi verrebbe dato un cuor puro e nuovo, anzi più di prima capace d’amore. E come poteva farsi tutto ciò? Debbo ancora servirmi di espressioni umane, ché altre non ne conosco. Debbo rendere la verità nell’unico modo in cui essa mi appare, “in maniera oscura e come in uno specchio”, ma io so che l’ombra che vedo è reale, sebbene non altro che ombra di una realtà assai più grande. Un giorno conoscerò anche la realtà, così come sono conosciuto io stesso. Dio Padre guardò dunque la sua creatura, diletta per quanto ostinata, la guardò e ancora l’amò. Dio Figlio, la Sapienza, il Verbo del Padre, guardò pure la creatura sua poiché “per Lui tutto fu fatto e nulla fu fatto senza di Lui”. E vide l’offesa recata dall’uomo al Padre, offesa che l’uomo non avrebbe mai potuto da sé riparare. Lo Spirito Santo Dio, l’amore del Padre e del Figlio, vide l’ingiustizia del peccato; e l’ingiustizia doveva esser riparata. Non poteva quel disaccordo durare per tutta l’eternità: fosse pur necessaria per ciò una riparazione divina, l’amore e l’onnipotenza di Dio ne troverebbero il mezzo. L’uomo sarebbe salvo, sol ch’Egli volesse accettare la salvezza offertagli. Dio stesso lo salverebbe, anche a costo di farsi uomo per pagarne il riscatto, fino all’ ultima stilla del suo sangue. – Ecco, in sostanza, ciò che costituisce pel Cristiano la dottrina della riparazione e della Redenzione. Considerata da un punto di vista umano e coi soli mezzi umani, essa ci appare incredibile, fantastica addirittura, null’altro che un sogno poetico; lo stesso San Paolo sembra talvolta sbalordito che si sia compiuta così grande meraviglia. Ma considerandola dalla visuale di Dio, guidati dalla visione e dall’amore di Lui, riconosciamo in questa sua immolazione l’espressione più completa della sua natura, e dobbiamo dire che era proprio degno di Dio fare tal cosa e in modo talmente magnifico. Egli è l’amore essenziale, e se mai fu compiuto atto di vero amore esso è precisamente la Redenzione. Quell’atto superò qualunque sogno umano anche il più ardito, ma fu atto ben degno di un Dio amorosissimo e in perfetta armonia col suo amore infinito. L’uomo non sarebbe mai giunto a concepirlo, e, misurandolo alla sola stregua delle sue facoltà umane, dubita che un tale eccesso d’amore sia possibile. Ma nell’accettarlo perché Dio stesso ha detto che così è, per l’autorità e sulla parola di Colui che l’ha compiuto, l’uomo deve dichiarare che solo un Dio d’amore poteva concepirlo e compierlo. « Dio ha talmente amato il mondo da dare il Figlio suo Unigenito ». (Giov. III, 16). “Cristo mi ha amato e ha dato se stesso per me”. (Gal. II, 20). “Da questo abbiamo conosciuto la carità di Dio, perché Egli ha dato la sua vita per noi”. (I Giov. III, 16). – “In questo si manifesta la carità di Dio verso di noi, che Dio mandò il suo Figlio Unigenito nel mondo affinché per mezzo di Lui abbiamo vita. In questo è la carità; che senza aver noi amato Dio, Egli per primo ci ha amati e ha mandato il suo Figliolo come propiziazione per i nostri peccati ”. (I Giov. IV, 9, 10). Eppure l’amore non ha ceduto per nulla affatto sul debito d’ onore contratto verso Dio stesso. Poiché dobbiamo ricordare che, oltre che infinitamente amoroso e misericordioso, Dio è infinitamente giusto, giusto verso tutte le sue creature come verso se stesso, e l’opera del Figlio di Dio è opera di amore infinito ma anche di infinita giustizia. L’offesa della colpa commessa contro un Dio infinito è offesa infinita nelle sue conseguenze in ragione della dignità dell’offeso, ma per la soddisfazione dell’Uomo-Dio la riparazione è completa: infinito per infinito. Anzi, considerando la Persona che ha compiuto la riparazione, troviamo che questa è sovrabbondante: il sacrificio dell’Uomo-Dio infinito dà al Padre una gloria ancor più grande di quella che il peccato dell’uomo finito gli ha tolta. – “Dove abbondò il peccato, ivi sovrabbondò la grazia, affinchè, come aveva regnato il fallo nella morte, così regni la grazia propria della giustizia, in eterno, per opera di Gesù Cristo nostro Signore”. (Rom. V, 20, 21). Così la misericordia infinita di Dio ha potuto applicarsi in pieno, pur rimanendo completamente soddisfatta la sua infinita giustizia. “La misericordia e la verità si sono incontrate, la giustizia e la pace si sono baciate. La verità è spuntata su dalla terra e la giustizia ci ha mirati dal cielo”. (Sal. LXXXIV, 11,12). Il Verbo di Dio fatto carne, vero Dio e vero Uomo, l’unica Persona del Verbo, il Figlio eterno di Dio, Nostro Signore Gesù Cristo Uomo e Dio, ecco la verità essenziale su cui si fonda il Cristianesimo. Per difenderla esso combatté attraverso secoli, per essa i suoi figli morirono a migliaia. Per essa e su di essa, il Cristianesimo ha edificato la nostra civiltà; senza di essa non esiste Cristianesimo. Modificatela, e d’un colpo modificherete l’essenza stessa del Cristianesimo. Sopprimete la divinità di Cristo e subito il Cristianesimo perde tutta quella visione, quella speranza e quell’amore, quell’energia che trascina, tutta quella gloria nella sofferenza e quella forza nella morte, tutto quello slancio verso un ideale che, fin dal tempo di Cristo, ha dato alla vita un significato nuovo ed è stato il contrassegno sicuro del suo progresso. Senza questo fondamento la civiltà che ancora si dice cristiana non differisce in nulla da qualsiasi altra civiltà o professione di fede: Senza di esso, non può vantare nessuna priorità, non può in alcun modo giustificare la propria influenza sulla storia dell’umanità, non ha nulla da replicare all’infedele. che le rinfaccia sdegnosamente l’unica superiorità dei suoi cannoni e delle sue navi da guerra. Invece, una volta accettata la fede nella divinità di Cristo, sino a farne la base della nostra vita, tutto diventa subito chiaro. E non è necessario perciò oltrepassare la nostra esperienza naturale, ché anche su questa terra gli effetti di questa verità sono abbastanza visibili. Il primo, naturalmente, è che la stessa natura umana ne risulta nobilitata. Perché il Figlio di Dio, anch’Egli Dio come il Padre, si fece uomo, la condizione dell’uomo fu riabilitata. Il fatto che il Verbo di Dio, vero Figlio di Dio, per amore dell’uman genere ne abbia assunto la natura e rivestito la carne, e per esso abbia dato la vita, innalza subito la natura umana a una dignità affine a quella di Lui. Per amore il Verbo incarnato ha dato la propria personalità alla natura umana e con ciò l’ha sollevata fino a Sé; e se tale è la misura dell’amore di Dio per l’uomo quanto deve risultarne accresciuto l’amore dell’uomo stesso per il suo simile! “Carissimi, se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci l’un l’altro… Se ci amiamo l’un l’altro, Dio abita in noi e la carità di Lui è perfetta….. – “Noi dunque amiamo Dio, poiché Egli per il primo ci ha amati. Ma se uno dirà: “Io amo Dio” e odierà il suo fratello, è mentitore. Infatti, chi non ama il suo fratello che vede, come può amare Dio che non vede?” (1 Giov. IV, 11, 20). – In queste parole San Giovanni riassume il risultato pratico dell’Incarnazione e della Redenzione nella vita dell’uomo in questo mondo. Così, egli ci dà la chiave della storia del Cristianesimo. Ma in secondo luogo, non solo la natura umana nel suo insieme è tanto nobilitata ed esaltata; noi pure, ogni singolo essere umano che partecipa della nostra natura è nobilitato in se stesso. Poiché questo Cristo che è Dio è anche nostro fratello nella carne e in un certo senso possiamo dire che ogni uomo è imparentato con Lui. Ma non basta: come speriamo di considerare con maggior agio in un prossimo capitolo, sappiamo che Cristo ha lasciato sulla terra il suo Corpo mistico. Ad esso Egli ha incorporato tutti coloro che in Lui credono e che lo amano. Li ha resi tutti partecipi della sua stessa nobiltà divina. Proprio come il Verbo di Dio si è dato al Cristo uomo e in Esso vive, così, vedremo, sebbene in un ordine inferiore, Nostro Signore si è dato a noi e ci ha fatti una cosa sola con Lui. San Paolo non si stanca mai di ripeterlo. Noi siamo membri di quel Corpo mistico vivente; come tali ci è stato dato il diritto di appropriarci la sua soddisfazione, i suoi meriti, la sua stessa preghiera, affinché come cosa nostra possiamo offrirla a Dio in espiazione delle nostre colpe per ottener da Lui misericordia e favori. Così le nostre deboli petizioni umane, i piccoli atti di riparazione che possiam compiere, i poveri sacrifici che possiamo offrire, acquistan valore in e “per Cristo Signor Nostro”, poiché il Padre non disdegnerà preghiere e sacrifici per quanto meschini commisti al sangue del suo diletto Unigenito e animati dalla vita stessa di Lui.