CANONIZZAZIONE (1)

Cominciamo oggi ad approfondire un tema abbastanza dibattuto e per il quale ci sono molte idee confuse, a partire dalla nozione che nella canonizzazione il Papa non impegni la sua Infallibilità! Si sentono in giro voci assurde, come quella che la Chiesa possa proclamare santo un beota, un empio, un omosessuale, un massone 33°, e proporlo come esempio di santità, modello di virtù eroiche [come ad esempio quella di avere tre amanti contemporaneamente in Vaticano]. Quindi secondo tali eretiche idiozie la Chiesa, Sposa di Cristo, Madre e Maestra infallibile dei popoli, può tranquillamente ingannare e propinare latte velenoso ai suoi figli che Essa ama teneramente. E molti di questi oligofrenici fanta-teologi modernisti (senza offesa per gli oligofrenici) si pretendono addirittura cattolici tradizionalisti! Poveri ignari dannati già in terra! A tal punto ci siamo decisi a pubblicare la voce “Canonizzazione” dall’Enciclopedia Cattolica, l’ultima opera “cattolica” pubblicata in Vaticano prima dell’avvento degli sciacalli masso-ecumenisti, in modo che almeno i “veri” pochi Cattolici (quelli di Papa Gregorio XVIII), possano attingere alla “verità” conosciuta, senza incorrere nel peccato contro lo Spirito Santo. La “voce” non è sempre di agevole lettura, pertanto l’abbiamo divisa in 4 parti, in modo da poterla approfondire con calma e con cognizione di causa.

CANONIZZAZIONE (1)

[Encicl. Cattolica vol III, coll. 569- e segg. ]

La “Canonizzazione” è un atto o sentenza definitiva con la quale il Sommo Pontefice decreta che un servo di Dio, già annoverato tra i beati, venga inserito nel catalogo dei Santi e si veneri nella Chiesa universale con il culto dovuto a tutti i canonizzati.

.I

LA CANONIZZAZIONE NELLA PRASSI DEL DIRITTO CANONICO ODIERNO. 

Dalla definizione si scorge subito la differenza che corre tra la beatificazione (v.) e la c. I n quella il culto è limitato ad una città, diocesi, regione o famiglia religiosa, ed è unicamente permissivo, in questa invece è esteso a tutto l’orbe cattolico, ed è precettivo. Ma la vera differenza sta, come scrive Benedetto XIV, in « quell’ultima e definitiva sentenza della santità » che impone il culto dovuto ai santi nella Chiesa universale: sentenza che il Sommo Pontefice pronuncia per la c., e giammai per la beatificazione. Una delle note caratteristiche della Chiesa infatti è la santità: essa è santa, perché è santo il suo Fondatore, santa la sua dottrina, santa la finalità che persegue, e santa perché ha la virtù di generare in ogni secolo legioni di santi che, con la vita, le virtù, con l’apostolato e con i miracoli compiuti per la loro intercessione, vengono a confermare la santità stessa della Chiesa. Assertore, custode e giudice di questa santità non è che il Vicario di Cristo; ed a lui solo, che presiede a tutta la Chiesa ed ha il diritto di proporre ciò che si deve credere ed operare in cose concernenti la religione, spetta di giudicare chi debba essere ritenuto ed onorato come santo. Ed in questo giudizio il Papa non può errare. Benedetto XIV, incomparabile maestro in materia, insegna che egli riterrebbe « se non eretico, certamente temerario, scandaloso a tutta la Chiesa, ingiurioso verso i santi, sospetto di eresia, assertore di erronea proposizione, chi osasse affermare che il Pontefice in questa o quella c. abbia errato, e che questo o quel santo da lui canonizzato non dovesse onorarsi con culto di dulia », cioè per ragione della sua dignità nell’ordine soprannaturale. – Del resto la sentenza definitiva, con la quale il Papa proclama la santità dei servi di Dio, oltre che trovare la sua prima ed alta ragione nell’assistenza speciale dello Spirito Santo che lo illumina, è appoggiata solidamente a tutto un complesso di investigazioni, di studi, di fatti che dimostrano con quanto discernimento e con quanta prudenza proceda la Chiesa nelle cause di c., le quali vanno annoverate tra le maggiori e le più gravi che siano di sua competenza. Infatti la via normale ed ordinaria è quella di non iniziare una causa di c., se prima non consti che il servo di Dio sia stato già riconosciuto come beato. E se per un istante si richiami quanto fu detto sotto la voce beatificazione, si vedrà quale lunga e severa indagine venga adoperata, prima che un servo di Dio ottenga il titolo e gli onori di beato. Malgrado questo complesso di ricerche e di accertamenti, si richiedono altri due miracoli verificatisi dopo la beatificazione, i quali passano sotto il controllo di più medici e chirurgi nominati d’ufficio, e sono discussi e vagliati prima da una commissione medica e poi da due prelati, consultori e cardinali in tre o più Congregazioni, l’ultima delle quali è presieduta dal Papa. Approvati i miracoli, e promulgato il decreto nel quale è stabilito che si può con sicurezza procedere alla c., s’inizia un’altra serie di atti che si svolgono in tre Concistori; poiché la Santa Sede desidera che, in un affare di tanta gravità, al giudizio consultivo della Sacra Congregazione dei Riti si aggiunga il giudizio parimenti consultivo del Sacro Concistoro. Si comincia con il Concistoro segreto, dove, oltreché i cardinali della Sacra Congregazione dei Riti, convengono tutti i cardinali residenti in Roma, i quali, dopo avere ascoltato la relazione del cardinale Prefetto della stessa Congregazione intorno alla vita e miracoli e agli atti fino a quel momento compiuti, interrogati dal Sommo Pontefice se piaccia ad essi che si proceda alla solenne e, rispondono placet o non placet. In seguito si tiene un Concistoro pubblico, dove uno degli avvocati concistoriali espone in elegante latino la vita e i miracoli del beato, la cui c. viene supplicata. Terminata la orazione dell’Avvocato, il Segretario delle Lettere latine in nome del Papa risponde che Sua Santità esorta tutti, perché con i digiuni e con le preghiere invochino i lumi divini, prima che il sacro Collegio dei cardinali e l’Episcopato abbiano manifestato il loro proposito. Ed a questo scopo è indetto un Concistoro semipubblico, al quale, oltre tutti i cardinali, sono invitati i patriarchi, gli arcivescovi, vescovi e abati nullius residenti in Roma, perché, dopo aver preso cognizione di un compendio della vita del beato unitamente ai relativi atti, scritto per cura del Segretario dei Riti, diano il loro suffragio. Quest’ultimo Concistoro si apre e poi si chiude con una breve allocuzione del Papa che annunzia il giorno, in cui nella basilica di S. Pietro con solenne apparato e cerimonie compirà l’atto della c. Nel giorno fissato il Pontefice pronuncia al cospetto del mondo cattolico la sentenza definitiva, con la quale inscrive il nome del beato nel catalogo dei santi, ed ordina che la sua memoria venga onorata ogni anno dalla Chiesa universale. – Quanto finora esposto, riguarda la c. formale. Ma vi è anche una c. equipollente, riservata a quei servi di Dio che, essendo già in possesso di un culto prima dei decreti di Urbano VIII, vennero beatificati con la beatificazione equipollente in virtù di un decreto pontificio che attestava il fatto del culto immemorabile e la eroicità delle virtù o il martirio. Ma perché dalla beatificazione equipollente si passi alla c. equipollente, sono necessari tre miracoli avvenuti dopo che il servo di Dio è stato beatificato. Vi sono altresì casi oggi rarissimi, nei quali il Papa procede alla c. equipollente senza il sussidio dei miracoli; e ciò avviene qualora si tratti di personaggi insigni, la cui santità di vita o il cui glorioso martirio sono dimostrati dai processi con tanta ampiezza e sicurezza di prove, da escludere qualsiasi dubbio.

BIBL.: F. Contelori, Tractatus et praxis de Canonizatione sanctorum, Lione 1634; Benedetto X I V , De Servorum Dei Beatificatione et de Beatorum Canonizatione, Prato 1839; Codex Postulatorum, Roma 1934; Norme da seguirsi nella compilazione delle Posizioni riguardanti le Cause dei Servi di Dio e Regolamento annesso, ivi 1943 (raccoglie le varie norme emanate dalla S. Congregazione dei Riti negli ultimi tempi). Carlo Salotti

II . LA C. NELLA STORIA.

SOMMARIO: I. Le origini della c., il culto dei martiri. – II. L’inizio del culto dei «non»-martiri. – III. La c. vescovile. – IV . La c. papale o universale. – V. Elenco delle c. preparate dalla S. Congregazione dei Riti, da Clemente VIII (1594) fino a Pio XII. – VI. La c. equipollente. – VII. C. e Chiesa.

  1. LE ORIGINI DELLA C., IL CULTO DEI MARTIRI. La Chiesa antica considerò il martirio come l’espressione massima della fede e della carità, quindi della perfezione cristiana; perciò venerò i martiri come i più vicini amici di Dio e come i più potenti intercessori per noi. Questa venerazione si basa sul fatto pubblico del martirio, ed è legata ad un duplice elemento: locale e temporale. Il culto cioè era vincolato al luogo del martirio o della sepoltura del martire, e alla data del martirio stesso. La memoria di un martire, a differenza della memoria di un defunto qualsiasi, non fu celebrata soltanto dai parenti e congiunti, ma dalla stessa comunità cristiana, e l’anniversario fu indicato nei relativi calendari. Inoltre, mentre nella pietà verso i defunti prevalse l’idea della nostra intercessione presso Dio per la loro salute, la celebrazione del martire era festiva, e si implorava la sua intercessione in favore dei vivi. Il primo esempio storicamente documentato di una festa anniversaria per un martire è quello della Chiesa di Smirne per s. Policarpo, morto nel 156 (Martyrologium Policarpi, 18: ed. R. Knopf – G. Kruger, ausgewàhlte Màrtyrerakten, 2a ed., Tubinga 1929.) – Il fatto del martirio era di dominio pubblico; ne era stata testimonio oculare la stessa comunità cristiana! Non occorreva quindi, ordinariamente parlando, alcun atto specifico di riconoscimento dell’autorità ecclesiastica. Solo in certi casi particolari, quando cioè anche delle sette si vantarono di avere dei martiri, soprattutto in Africa, una certa vigilanza dell’autorità ecclesiastica parve opportuna (v. MARTIRI). – Come s’è detto, le comunità cristiane tennero una specie di elenco dei propri martiri, annotando il nome, la data del martirio e il luogo della sepoltura. Ce lo attesta, ad es., s. Cipriano, ricordando al suo clero: « Dies eorum quibus excedunt, adnotate, ut commemorationem eorum inter memorias martyrum celebrare possimus » (Epistolæ, 12, 2, ed. J.M.J. Hartel : CSEL, III, 303). Da qui l’origine dei martirologi e calendari. Si ha un esempio di tali elenchi nella Depositici martyrum della Chiesa romana, inserita nel Cronografo del 354. Ma i nomi dei martiri passarono anche più direttamente nel culto, vennero cioè inseriti nei dittici locali, letti durante il santo sacrificio. Il continuo contatto fra le varie chiese diede occasione per una prima diffusione del culto di un martire fuori del luogo di origine; i loro nomi incominciarono a migrare in calendari e martirologi di altre chiese, e certi martiri celebri furono accolti anche nei dittici di quelle. – L’epoca aurea del culto dei martiri furono i primi secoli dopo la pace costantiniana: basta accennare alla decorazione splendida dei loro sepolcri, all’erezione di memorie, chiese e basiliche, spesso grandiose, sopra la loro tomba, o in loro onore; ai pellegrinaggi, alle solennità liturgiche delle loro feste, ai panegirici recitati in loro onore. L’uso di origine orientale della traslazione e della divisione delle loro reliquie si diffuse poi anche nell’Occidente e si moltiplicarono i centri dei culti dei martiri. S. Stefano protomartire, dacché furono rinvenute le sue spoglie (415), s. Giovanni Battista, o S. Lorenzo, diacono romano, e molti altri, ebbero un culto che si estese rapidamente a tutta la Chiesa. Papi di origine orientale introdussero molti culti di martiri a Roma; con le migrazioni di intere popolazioni a causa delle invasioni barbariche seguirono talvolta quelle delle reliquie e del culto di un martire (ad es., s. Quirino da Sciscia a Roma, s. Severino dal Norico al napoletano); tutto ciò per uno sviluppo organico e naturale, senza preventivi interventi da parte dei vescovi. Solo di tanto in tanto occorreva moderare alquanto uno zelo troppo ardente e meno cauto del popolo. – In questo periodo non si può certo ancora parlare di c. nel senso canonico moderno. Il culto solenne e liturgico dei martiri era il frutto di una evoluzione spontanea e logica che si fondava da una parte sulla notorietà storica del fatto del martirio che rendeva il defunto direttamente simile a Cristo, e d’altra parte sopra i due elementi fondamentali per l’origine del culto: data e luogo del martirio.

II L’INIZIO DEL CULTO DEI « NON » MARTIRI

Il periodo delle persecuzioni non era ancora terminato quando un altro gruppo di defunti incominciò ad attirare la speciale venerazione da parte delle comunità cristiane, cioè i « confessori », vale a dire cristiani deferiti all’autorità civile per la loro fede, ma che, per varie circostanze, o non avevano subito il martirio, o vi erano sopravvissuti. Le testimonianze circa la venerazione particolare verso questi confessori (nel senso primitivo della parola) sono molto numerose; e alla sua morte un confessore della fede poteva divenire facilmente l’oggetto di una venerazione simile a quella prestata da un vero martire. Fra gli esempi più noti basta ricordare: Dionigi di Milano (359); Eusebio di Vercelli (370); Atanasio (373); Melezio di Antiochia (381) Giovanni Crisostomo (407). Però si osserva facilmente che alcuni di questi personaggi, si distinsero non solo per quanto soffersero per la fede, ma anche per la strenua difesa di essa sul campo politico e dottrinale e per loro vita ed attività, sicché, appena morti, si creò attorno ad essi subito una fama non dissimile a quella goduta dai martiri. Ci sono poi altri personaggi, i quali, senza essere stati confessori della fede nel senso primitivo, eccelsero talmente per la dottrina, la vita esemplare, l’attività molteplice, politico-ecclesiastica o sociale, che anch’essi, dopo la morte, furono presto circondati da onori analoghi a quelli resi ai martiri; basti nominare Gregorio Taumaturgo (270), Efrem siro (373), Basilio Magno (379), Ambrogio di Milano, Martino di Tours (397), Girolamo (420) e Agostino (430), per tacere di tanti altri.Ma c’è di più. Si era andato sviluppando, nella stessa epoca, e in una scala larghissima, la pratica dell’ascetismo e del monachismo. L’Oriente riecheggiò ben presto della fama degli eremiti e dei cenobiti, e presto anche l’Occidente ne conobbe alcune grandi figure (Atanasio, ad es., il grande esiliato). Antonio abate (356) era conosciuto in tutto il mondo cristiano, attraverso la celebre biografia scritta da s. Atanasio, dove tutti potevano leggere che Antonio era da equipararsi ai martiri antichi, non per effusione di sangue, ma per un martirio non meno autentico e reale, quello cioè dell’ardua e continua conquista della perfezione (Vita, cap. 47: PG 26, 912). Venerazione simile godettero altri grandi asceti e monaci, come, ad es., Ilarione (372); Paolo di Tebe (381); Simeone lo stilita (459). Anche l’anniversario della loro morte venne celebrato liturgicamente, presso le loro tombe sorsero spesso santuari di fama straordinaria, mete di pellegrinaggi rinomati; le loro reliquie furono venerate e ricercate, le chiese in loro onore si moltiplicarono. I primi « non » martiri, che entrarono nel culto liturgico della Chiesa di Roma, sono stati, come pare, Silvestro papa e Martino di Tours. Durante i secc. VI – IX non pochi altri santi « non » martiri furono accolti nei calendari romani, in Roma ebbero i loro oratòri, monasteri e chiese, e passarono di qui oltralpe, e viceversa. Questo movimento di culto fu in gran parte favorito dai Papi di origine non romana, dai molti monaci emigrati in Occidente, o dallo scambio di reliquie, e dalla diffusione delle leggende e delle passioni, ecc.Altro elemento che non si deve sottovalutare e che operò molto in profondità e vastità, è l’opera letteraria dei Padri e degli scrittori ecclesiastici, i quali svilupparono e diffusero sistematicamente la teoria del « martirio incruento », rappresentato appunto dalla vita penitente, ascetica e monastica, o comunque dalla vita di perfezione cristiana. Tale teoria divenne la dottrina comune in tutto il Medioevo e influisce anche oggi. Basteranno alcuni pochi riscontri, rimandando per il resto alla bibliografia notata sotto. Paolino di Nola sollecita per s. Felice, presbitero nolano, la gloria di martire: « Martyrium sine cæde placet , si prompta ferendimensque fidesque Deo caleant; passura voluta sufficit, et summa est meriti testatio voti » (S. Paulini carmina [ed. J . M . J . Hartel : CSEL: XXIX], carm. 14, v. 10-12, p. 46). S. Girolamo non si perita a crivere ad Eustochio: « Mater tua longo martyrio coronata est. Non solum effusio sanguinis in confessione reputatur sed devotæ quoque mentis servitus cotidianum martyrium est » (Epistolæ [ed. I . Hilberg], CSEL: LV, ep. 108, n.31, p. 349). Di Martino di Tours dice Sulpicio Severo: implevit tamen sine cruore martyrium »; nella sua festa si riscontrano ancora la salmodia ed altri elementi Iiturgici propri dei martiri. – [BIBL.: H . Dclehaye, Sanctus, essai sur le eulte des saints dans l’antiquité, Bruxelles 1927, pp. 109-21, 162-89: D. Gougaud, Dévotions et pratiques ascétiques du moyen age, Maredsous 1929, p. 200-19; H. Delehaye, Les origines du eulte des martyrs, 2a ed., Bruxelles 1933, p. 50 sgg. ; M. Vi!ler-K. Rahner, Aszese und Mystik in der Vàterzeit, Friburgo in Br. 1939, pp. 29-59; H. Leclereq, Saint, in DACL, XV (1949), coll. 373-462.]

III. LA c. VESCOVILE. – Fra i secc. VI e X, mentre l’Oriente si distaccava sempre più dall’Occidente, la dissoluzione dell’impero romano e l’immigrazione dei popoli barbarici, con la relativa necessità di convertirli alla fede cattolica, posero la Chiesa di fronte a compiti nuovi e ardui. È l’epoca dei grandi vescovi, dei monaci missionari, dei re convertiti che finiscono persino nel chiostro, delle regine e principesse fondatrici di monasteri e chiese e poi esse stesse badesse o monache, degli eremiti e dei pellegrini; un mondo in fermento e in movimento, con profondi contrasti fra violenza e santità, in mezzo a popoli giovani, di forte immaginativa, entusiasti della nuova fede, ammiratori degli eroi della carità e della illibatezza evangelica. In questo periodo, oltre una rifioritura del culto dei santi martiri, nascono un po’ da per tutto nuovi culti di santi: bastava al popolo spesso la fama di vita penitente, la fondazione di un monastero con le sue benefiche conseguenze, una grande beneficenza verso i poveri, talvolta una morte violenta, anche se non sempre per stretto motivo di fede, e soprattutto la fama di miracoli, per far nascere un nuovo culto: voce popolare di santa vita, e credito di miracoli sono i due punti di partenza per questi culti dell’alto medio evo. Le grandi chiese considerarono ordinariamente i loro fondatori e primi vescovi come altrettanti santi; lo stesso vale per le figure di grandi abati. In tutti i casi se ne raccolgono le memorie, se ne scrivono le leggende, senza troppe preoccupazioni di critica; i calendari e i martirologi di quei secoli si arricchiscono con sempre nuovi nomi, nelle chiese si moltiplicano gli altari e il numero delle feste aumenta rapidamente. Di tanto in tanto occorreva anche reprimere facili abusi. Carlomagno, ad es., dovette prendere delle misure contro i culti abusivi ( MGH , Capitularia, II, 56: « Ut falsa nomina martyrum et incertæ sanctorum memoriæ non venerentur »; il Concilio di Francoforte [794]: « Ut nulli novi sancti colantur aut invocentur nec memoriæ eorum per vias erigantur, sed ii soli in ecclesia venerandi sint, qui ex auctoritate passionum aut vitæ merito electi sunt »; MGH, Capitularia, II, 170; il Concilio di Magonza [813]: «Deinceps corpora sanctorum de loco ad locum nullus præsumat transferre sine Consilio principis vel episcoporum et sanctæ synodis licentìa»; Mansi, XIV, 75). Dalle varie e molteplici notizie su questa materia, risulta che si stava formando in questi secoli una certa prassi più o meno uniforme, attraverso la quale veniva autorizzato un nuovo culto. Il punto di partenza rimane sempre la fama pubblica, la vox populi, che subito dopo la morte del servo di Dio correva alla tomba, ne invocava l’intercessione e ne proclamava l’effetto taumaturgico. Allora era avvisato il vescovo competente; in sua presenza, anzi, spesso in occasione di un sinodo diocesano o provinciale, si leggeva una vita del defunto e soprattutto la storia dei miracoli (primissimo nucleo dei futuri processi) e in seguito all’avvenuta approvazione, si procedeva all’esumazione del corpo per dargli una sepoltura più onorevole: la elevatio. Ma spesso seguiva subito o più tardi un altro passo: la translatio, cioè la nuova deposizione del corpo santo davanti o accanto ad un altare o addirittura sotto o sopra l’altare, il quale prendeva il nome dal santo ivi venerato; anzi, alle volte la stessa chiesa era ampliata o ricostruita e dedicata precisamente al santo elevato o traslato. Dall’elevazione o traslazione in poi veniva celebrata regolarmente la festa liturgica, spesso con grande solennità, non solo nella località dove sorgeva l’altare o la chiesa, ma in tutta la diocesi, la regione, la provincia, o in tutta la famiglia religiosa. – Gli elementi principali dunque di questa procedura che si era andata formando in epoca merovingia e aveva preso una certa consistenza in èra carolingia, sono: pubblica fama di santità e di miracoli (o di martirio), presentazione al vescovo diocesano o al sinodo (diocesano, provinciale) di una vita appositamente composta, con particolare rilievo dei miracoli, attribuiti al « santo », approvazione ossia consenso ufficiale al culto che si apre con l’elevazione o la traslazione. Vale a dire si crea un punto fisso del culto: l’altare proprio del nuovo santo, ovvero la sua chiesa, dove viene celebrata regolarmente la festa liturgica. Il culto può restare limitato o può espandersi più o meno rapidamente e largamente; questo è un elemento secondario, l’essenziale è l’intervento ufficiale dell’autorità ecclesiastica competente, cioè, in quell’età, del vescovo ordinario, in forza della sua autorità propria, resa più evidente, spesso, anche dal concorso dei vescovi vicini, o di un sinodo. Siamo in tal modo dinanzi ad una disciplina ecclesiastica ordinaria e normale, riconosciuta universalmente, quindi legittima e valida a tutti gli effetti: cioè la c. vescovile, o locale, ovvero particolare, come alcuni preferiscono nominarla, unica ed esclusiva dal sec. VI al XII e continuata talvolta fino al sec. XIV. Un esempio molto tardo, per citarne uno, abbiamo ancora nel 1215, nella c. di s. Pietro di Trevi, celebrata prout poterat dal vescovo di Anagni, Pietro, in presenza dei prelati vicini. A s. Pier Damiani (m. nel 1072) questa prassi era ben nota ed egli ne parla come di cosa ordinaria (cf. Opusculum VI, cap. 19: PL 145, 142). – Per concludere: per più di 5 e 6 secoli (secc. VI-XII) la c. vescovile era la c. normale e unica in uso nella Chiesa latina. Accanto ad essa, come si vedrà subito, la c. papale crebbe molto lentamente e ci volle molto tempo e molto lavoro dottrinale e canonistico prima che essa riuscisse a soppiantare la c. medioevale ordinaria, compiuta dai vescovi. Da notare sopra tutto che la c. vescovile dava inizio ad un culto vero e proprio di santo, cioè alla celebrazione della festa liturgica, all’erezione o dedica di altari e di chiese, all’uso del nome nel Battesimo e via dicendo, senz’alcun limite. L’estensione geografica più o meno vasta di questi culti è un elemento secondario e puramente accessorio. Bisogna evitare di applicare a quei tempi i concetti giuridici moderni; del resto, anche la c. papale formale, sebbene obblighi tutta la Chiesa a venerare un santo, non implica per nulla l’imposizione della sua festa a tutta la Chiesa. – [BIBL.: Oltre i libri del p. H . Delehaye, citati sopra, cf. St. Beissel, Die Verehrung der Heiligen und ihrer Reliquien in Deutschland, 2 voll., Friburgo in Br. 1890, 1892; E. Marignon, Etudes sur la civilisation française, II: Le culte des saints sous les Mérovingiens, Parigi 1899.].

[Nota redaz. Il carattere rosso è redazionale. … “se non eretico, certamente temerario, scandaloso a tutta la Chiesa, ingiurioso verso i santi, sospetto di eresia, assertore di erronea proposizione, chi osasse affermare che il Pontefice in questa o quella c. abbia errato, e che questo o quel santo da lui canonizzato non dovesse onorarsi con culto di dulia… Questa asserzione di S. S. Benedetto XIV [P. Lambertini] merita un breve commento. Se noi assistiamo anche oggi a canonizzazioni “strane”, che lasciano dubbi, o meglio, danno certezze quasi matematiche, non è perché il Papa abbia errato, ma semplicemente perché la canonizzazione è finta ed invalida, fatta dai burattini del B’nai B’rith, dagli antipapi insediati dall’anticristo! punto.]

[Continua…]

 

 

UN’ENCICLICA al giorno, toglie l’APOSTATA-SCISMATICO di torno: “SATIS COGNITUM” di S. S. Leone XIII

S. S. LEONE XIII

“Satis cognitum”

Lettera Enciclica

(L’unità della Chiesa)

29 giugno 1896

 [Questa grande, straordinaria Enciclica di S. S. Leone XIII, è in grado da sola, di spazzar via tutti i “fecalomi ecumenici” vomitati da tanti scellerati apostati modernisti, sia “di sinistra” [gli aderenti agli obbrobri del “novus ordo”], che “di destra”, i finti tradizionalisti [gli abominevoli sedevacantisti, i tesisti sede(cerebro)privazionisti del fasullo vescovo francese, i “fratelli” ed i nipotini spirituali del cavaliere kadosh, gli eredi di Feeney l'”idrofilo”, ed altri eretici “cani sciolti”], mediante una catechesi assolutamente puntuale, chiara, con riferimenti amplissimi alla santa Scrittura, alla Tradizione apostolica, agli scritti dei Padri della Chiesa, mostrando una fermezza teologica senza pari, senza tentennamenti o ermeneutiche confuse, assoluta, infallibile ed irreformabile. Un documento Magisteriale di importanza primaria nella storia della Chiesa Cattolica, inconfutabile, a meno che non si voglia apertamente dichiarare di essere non fuori, ma “lontani” mille miglia dalla Chiesa Cattolica. L’argomento di fondo è l’ “UNITA’ della CHIESA, e vengono illustrati concetti dogmatici inerenti all’assetto del “Corpo mistico di Cristo”, al ruolo dei Vescovi, e soprattutto del Vicario di Cristo in terra, il PAPA. Qui non c’è spazio per i “vomiti dell’ECUMENISMO MASSONICO”; è un documento non proprio breve, da rileggere più volte, con calma, magari a tratti e a più riprese, da fissare nella mente per sfuggire alle mille trappole dei blateranti affabulatori modernisti di obbedienza massonica e delle conventicole adoranti lucifero ed i suoi luogotenenti infernali. Vale la pena soffermarvisi e impiegare un po’ di tempo, ne va della salvezza eterna della nostra anima! E poi … si può respirare a pieni polmoni “aria cattolica”, ci disintossicheremo un po’ dai miasmi pestilenziali del massonismo dai quali tutti siamo avvolti! …

Satis cognitum vobis est, cogitationum et curarum Nostrarum partem

“Vi è ben noto come non piccola parte dei nostri pensieri e delle nostre cure è rivolta ad ottenere con ogni studio il ritorno dei traviati all’ovile del Sommo Pastore delle anime, Gesù Cristo. Tenendo presente questo, credemmo opportuno con salutare consiglio e proposito che gioverebbe non poco disegnare l’immagine e i lineamenti della Chiesa, tra i quali degnissima di speciale considerazione è l’unità, che il divino Autore in perpetuo le impresse come carattere di verità e di forza. La nativa bellezza della Chiesa deve impressionare molto gli animi di chi la contempla: ne è inverosimile che basti la sua contemplazione a togliere di mezzo l’ignoranza e a sanare le false e preconcette opinioni, specialmente di coloro che senza loro colpa sono in errore: che anzi può destarsi negli uomini un amore verso la Chiesa simile alla carità, con la quale Gesù Cristo, redimendola col suo sangue divino, la fece sua sposa: “Cristo ha amato la Chiesa, e per essa ha dato se stesso” (Ef V,25). A quanti faranno ritorno all’amantissima madre, finora non bene conosciuta, o malamente abbandonata, se questo ritorno non costerà loro il sangue, che pure fu il prezzo con il quale Cristo la conquistò, ma qualche fatica o molestia, molto più lieve a sopportarsi, questo almeno sia loro chiaro e palese, che non è un tale peso ad essi imposto dalla volontà dell’uomo, ma da un volere e comando divino; e di conseguenza, mediante la grazia celeste, facilmente conosceranno per esperienza quanto sia vera la sua affermazione: “Il mio giogo è soave e il mio peso è leggero” (Mt XI,30). Per questo, avendo riposta grandissima speranza nel “Padre dei lumi“, da cui discende “ogni bel dono e ogni regalo perfetto” (Gc 1,17), di tutto cuore lo supplichiamo, affinché Egli, “che solo fa crescere” (1Cor III,6), voglia benignamente concederci la forza di persuadere. – Benché Dio possa per sé operare con la sua virtù quanto operano le nature create, tuttavia Egli volle con benigno consiglio della sua Provvidenza servirsi degli uomini per aiutare gli uomini; e come nell’ordine naturale si serve dell’opera e del contributo dell’uomo per comunicare alle cose la perfezione conveniente così pure si comporta per dare all’uomo la santità e la salute. Ora è chiaro che tra gli uomini non vi può essere comunicazione di sorta se non attraverso le cose esterne e sensibili. Per la qual cosa il Figlio di Dio assunse l’umana natura e “sussistendo nella natura di Dio … spogliò se stesso, prendendo la natura di servo, divenendo simile agli uomini” (Fil II,6-7), e così, dimorando in terra, personalmente insegnò la sua dottrina e i precetti della sua legge. – E poiché conveniva che la sua divina missione fosse perenne, perciò Egli riunì intorno a sé dei discepoli della sua dottrina, e li fece partecipi del suo potere; e avendo su di essi chiamato dal cielo lo Spirito di verità, comandò loro di percorrere tutta la terra, predicando fedelmente quanto Egli aveva insegnato e comandato, affinché tutto il genere umano potesse conseguire la santità in terra e la felicità eterna nel cielo. – Per questa ragione e in virtù di questo principio fu generata la Chiesa, la quale, se si considera l’ultimo fine a cui mira, e le cause prossime della santità, è certamente spirituale; ma se si considerano i membri che la compongono e i mezzi che conducono al conseguimento dei doni spirituali, è esterna e necessariamente visibile. Gli Apostoli ricevettero la missione d’insegnare attraverso segni, che si percepiscono dalla vista e dall’udito, e non altrimenti essi l’eseguirono se non con detti e con fatti, che fanno impressione sui sensi. E così la loro voce, percuotendo esternamente gli orecchi, produsse la fede negli animi: “La fede viene dalla predicazione, e la predicazione si fa per mandato di Cristo” (Rm X,17). E sebbene la stessa fede, o l’assenso alla prima e suprema verità, per sé sia contenuta nella mente, tuttavia occorre che si manifesti con un’esplicita professione: “Col cuore si crede per avere la giustizia, e con la bocca si professa la fede per ottenere la salvezza” (Rm X,10). Così pure non vi è nulla per l’uomo di più interno della grazia celeste, che produce la santità, ma gli ordinari e principali strumenti per la partecipazione della medesima sono esterni: li chiamiamo Sacramenti, che vengono amministrati con certi riti da persone, scelte appositamente a tale scopo. Comandò Gesù Cristo agli Apostoli e ai loro successori in perpetuo che istruissero e dirigessero le genti, e comandò a queste che ne ricevessero la dottrina e fossero sottomesse e obbedienti al loro potere. Ma questi mutui diritti e doveri nel Cristianesimo non avrebbero potuto non solo mantenersi, ma neppure iniziarsi, se non attraverso i sensi, interpreti e indicatori delle cose. – Ed è per questo che spesso le sacre Scritture chiamano la Chiesa ora “corpo”, ora “corpo di Cristo”. “Ora voi siete il corpo di Cristo” (1Cor 12,27). Come corpo essa è visibile, e in quanto è di Cristo, è un corpo vivo, operoso e vitale, poiché Gesù Cristo la custodisce e la sostenta con l’immensa sua virtù, come la vite alimenta e rende fruttiferi i suoi tralci. Come negli animali il principio di vita è interno e del tutto nascosto, e tuttavia si rivela e si manifesta per il moto e l’atteggiamento delle membra, così pure nella Chiesa il principio di vita soprannaturale si manifesta con evidenza per le sue stesse operazioni. – E da ciò deriva che sono in un grande e fatale errore coloro, i quali si foggiano in mente a proprio capriccio una Chiesa quasi latente e per nulla visibile; come anche coloro che l’hanno in conto di umana istituzione con un certo ordinamento di disciplina e di riti esterni, ma senza la perenne comunicazione dei doni della Grazia divina, e senza quelle cose che con aperta e quotidiana manifestazione attestino che la sua vita è derivata da Dio. Ora tanto ripugna che l’una o l’altra cosa sia la Chiesa di Gesù Cristo, quanto che l’uomo sia solo corpo o solo spirito. L’insieme e l’unione di queste due parti è del tutto necessaria alla Chiesa, come alla natura umana l’intima unione dell’anima e del corpo. Non è la Chiesa come un corpo morto, ma è il corpo di Cristo informato di vita soprannaturale. E come Cristo, nostro Capo ed esemplare, non è tutto Lui, se in Lui si considera o la sola natura umana visibile, come fanno i fotiniani e i nestoriani, o solamente la divina natura invisibile, come sogliono fare i monofisiti, ma è uno solo per l’una e l’altra natura visibile e invisibile e nelle quali sussiste; così il suo corpo mistico non è vera Chiesa se non per questo, che le sue parti visibili derivano forza e vita dai doni soprannaturali e dagli altri elementi da cui sgorga la loro ragione di essere e la loro natura propria. E poiché la Chiesa è quello che è per volontà e istituzione divina, ha da rimanere tale in perpetuo; e se tale non rimanesse, non sarebbe certamente fondata in perpetuo, e il fine stesso, a cui essa tende, verrebbe circoscritto da determinati confini di tempo e di luogo: ma l’una e l’altra cosa ripugna alla verità. Questa unione dunque di cose visibili e invisibili, appunto perché naturale e congenita per divino volere nella Chiesa, deve necessariamente perdurare, finché durerà la Chiesa. Perciò il Crisostomo diceva: “Non allontanarti dalla Chiesa, poiché nulla vi è più forte della Chiesa. La tua speranza è la Chiesa, la tua salute è la Chiesa, il tuo rifugio è la Chiesa. Essa è più alta del cielo, più vasta della terra. Non invecchia mai, ma è sempre giovane. Infatti per dimostrare la sua fermezza e stabilità la Scrittura la chiama monte“. E Agostino: “Credono (i gentili) che la religione cristiana deve vivere in questo mondo fino a un certo tempo, e poi, non più. Fino a tanto che nasce e tramonta il sole, essa durerà come il sole, cioè, fino a tanto che durerà il volgere dei secoli, non verrà meno la Chiesa di Dio, o il corpo di Cristo, sulla terra“. La stessa cosa dice altrove: “Vacillerà la Chiesa, se vacillerà il fondamento: ma come mai vacillerà Cristo? … Non vacillando Cristo, neppure essa declinerà in eterno. Dove sono coloro che dicono che è perita nel mondo la Chiesa, mentre essa neppure può inclinarsi?“. – Di questi fondamenti deve servirsi chiunque cerca la verità. La Chiesa fu istituita e formata da Cristo Signore: e perciò quando si cerca quale sia la sua natura, occorre anzitutto conoscere quello che Cristo ha voluto e ha fatto. Secondo questa norma si deve specialmente esaminare l’unità della Chiesa, di cui ci parve bene dare in questa lettera un cenno a comune vantaggio. – Che la vera Chiesa di Gesù Cristo sia una, è cosa a tutti così nota, per le chiare e molteplici testimonianze della sacra Scrittura, che nessun cristiano osa contraddirla. Però nel giudicare e stabilire la natura dell’unità, vari errori sviano molti dal retto sentiero. Non solo l’origine, ma tutta la costituzione della Chiesa appartiene a quel genere di cose che liberamente si effettuano dagli uomini, e quindi tutto l’esame deve basarsi sui fatti, e si deve cercare non in che modo la Chiesa possa essere una sola, ma come una sola l’ha voluta Chi l’ha fondata. – Ora se si osserva ciò che fece, Gesù Cristo non formò la sua Chiesa in modo che abbracciasse più comunità dello stesso genere, ma distinte e non collegate insieme con quei vincoli che formano una sola e individua Chiesa, a quel modo che nel recitare il simbolo della fede noi diciamo “Credo la chiesa una…“. “La Chiesa ebbe in sorte una sola natura, ed essendo una, gli eretici vogliono scinderla in molte. Affermiamo dunque che è unica l’antica e cattolica Chiesa nel suo essere e nella comune credenza, nel suo principio e per la sua eccellenza…“. – Del resto anche l’eminenza della Chiesa, come principio di costruzione, risulta dalla sua unità, superando ogni altra cosa, e nulla avendo di simile a sé o di uguale”. E infatti Gesù Cristo, parlando di questo mistico edificio, non parla che di una Chiesa, che Egli chiama sua: “Edificherò la mia chiesa“. Se ne pensi qualunque altra fuori di questa, non essendo fondata da Gesù Cristo, non può essere la vera chiesa di Cristo. E questo diventa ancor più evidente, se si considera l’intento del divino Autore. Che cosa infatti Egli ebbe di mira, che cosa volle nel fondare la chiesa? Trasmetterle l’ufficio e la missione che Egli ebbe dal Padre, perché la continuasse. Questo Egli aveva stabilito di fare, e questo fece: “Come il Padre ha mandato me, cosi io mando voi” (Gv XX,21). “Come tu hai mandato me nel mondo, così pure li ho mandati nel mondo” (Gv XVII,18). Ora ufficio di Cristo è di salvare ciò che era perito, cioè non alcune genti e città, ma tutto il genere umano senza distinzione di tempi e di luoghi: “Venne il Figlio dell’uomo … affinché il mondo sia salvato per opera di lui” (Gv III,17). “Infatti non vi è sotto il cielo altro nome dato agli uomini, per il quale noi possiamo essere salvi” (At IV,12). È pertanto dovere della Chiesa diffondere largamente in tutti gli uomini e propagare in tutte le età la salute e insieme tutti i benefici che ne provengono. Per questo è necessario che sia unica, secondo il volere del suo Autore, in tutto il mondo e in tutti i tempi. Perché potesse essere più d’una, converrebbe che si estendesse fuori del mondo, e che s’immaginasse un nuovo e non mai udito genere umano. – Che la Chiesa dovesse essere una, che in ogni tempo dovesse abbracciare quanti sono nel mondo, vide e vaticinò Isaia, quando in una visione del futuro egli la vide sotto l’apparenza di un monte di smisurata altezza, che esprimeva l’immagine, della casa del Signore, cioè della Chiesa. “E avverrà negli ultimi giorni che il monte della casa del Signore si ergerà sulla sommità dei monti” (Is II,2). Ora uno è il monte sovrastante gli altri monti, una la casa del Signore, a cui concorreranno tutte le genti per avere la norma del vivere. “E tutte le genti affluiranno ad esso … e diranno: Venite, saliamo al monte del Signore, alla casa del Dio di Giacobbe; egli ci ammaestrerà intorno alle sue vie, e noi cammineremo per i suoi sentieri” (IsII2,2-3). Accennando a questo testo Ottato di Milevi dice: “Sta scritto nel profeta Isaia: Da Sion uscirà la legge, e la parola di Dio da Gerusalemme. Non nel monte Sion dunque Isaia vede la valle, ma nel monte santo, che è la Chiesa, il qual monte per tutto l’orbe romano sotto ogni ciclo innalza il capo. È pertanto la Chiesa quella Sion spirituale, nella quale Cristo è costituito Re dal Padre, che in tutto il mondo esiste, e in cui la Chiesa cattolica è una“. E Agostino dice: “Che vi è di più visibile di un monte? Eppure vi sono monti in qualche parte della terra a noi sconosciuti. … Ma non così quel monte che ha di sé riempita tutta la superficie della terra, e di cui si dice che è fondato sulle vette dei monti“. Inoltre il Figlio di Dio volle che la Chiesa fosse il suo mistico Corpo, a cui Egli come capo si unisce a somiglianza del corpo umano che assunse. E come Egli prese un unico corpo mortale, che offrì ai tormenti e alla morte per pagare il prezzo dell’umano riscatto, così pure Egli ha un solo corpo mistico, nel quale e per il quale rende gli uomini capaci della santità e della salute eterna. “Lui (Cristo) costituì (Dio) capo sopra tutta la Chiesa, che è il corpo di Lui” (Ef 1.22-23). – Membra separate e disperse non possono aderire al capo per formare insieme un corpo. Ora Paolo dice: “Come tutte le membra del corpo, benché molte, formano tuttavia un solo corpo; così anche Cristo” (1Cor XII,12). E perciò dice di questo corpo mistico che è “connesso e collegato”. “Il capo è Cristo, da cui tutto il corpo è ben connesso e solidamente collegato, per tutte le congiunture del rifornimento secondo l’attività proporzionata a ciascun membro” (Ef IV,15-16). Quindi, se qualche membro si divide e vaga disperso dagli altri, non può rimanere congiunto con lo stesso e unico capo. “Uno è Dio, dice san Cipriano, Cristo è uno, una la Chiesa, una la sua fede, uno il suo popolo, congiunto col glutine della concordia in una solida unità di corpo. Non si può scindere l’unità, né sciogliere la compagine di un corpo per sé uno“. – E per meglio rappresentare la Chiesa una, la paragona al corpo animato, le cui membra non possono vivere altrimenti che congiunte col capo, da cui derivano la loro virtù vitale; separate che siano, necessariamente muoiono. “Non si possono (alla Chiesa) lacerare e strappare le viscere, e non può essere fatta a pezzi. Tutto ciò che viene strappato dalla matrice non può avere per sé spirito e vita“. Ora che somiglianza ha mai un corpo morto con uno vivo? E san Paolo dice: “Nessuno odia il suo corpo, ma lo nutre e lo custodisce, come Cristo fa con la Chiesa, perché siamo membri del suo corpo, carne della sua carne, ossa delle sue ossa” (Ef V,29-30). Se dunque si vuol formare un’altra chiesa, un altro corpo, gli si dia un altro capo, un altro Cristo. “Guardate bene, dice sant’Agostino, quello che dovete evitare, guardate quello che dovete osservare, guardate quello che dovete temere. Accade che nel corpo umano, anzi dal corpo umano, si tagli via qualche membro, una mano, un dito, un piede; forse che l’anima segue il membro reciso? Quand’esso era unito al corpo, viveva; tagliato, perde la vita. Non altrimenti l’uomo cristiano è cattolico in quanto vive nel corpo (della Chiesa), tagliatene fuori, diviene eretico; ora lo spirito non segue un membro amputato“. È dunque la Chiesa di Cristo unica e perpetua. Chiunque se ne separa, devia dalla volontà e dal precetto di Cristo nostro Signore, e, abbandonata la via della salute, corre alla rovina. “Chiunque, dice san Cipriano, segregato dalla (vera) Chiesa, si unisce alla adulterina, si allontana dalle promesse (fatte) alla Chiesa, né giungerà al premio di Cristo chi abbandona la Chiesa di Cristo. Chi non mantiene questa unità, non osserva la legge di Dio, non ha la fede del Padre e del Figlio, non raggiunge la vita e la salvezza“. – Ora colui che la fece unica, la fece una, cioè, tale che quanti fossero in essa, si mantenessero associati con strettissimi vincoli insieme in modo da formare un popolo, un regno, un corpo: “Un solo corpo e un solo spirito, come siete stati chiamati ad una sola speranza, grazie alla vostra vocazione” (Ef IV,4). Gesù Cristo confermò e consacrò in modo solenne questa sua volontà poco prima di morire, così pregando il Padre suo: “Io non prego solamente per essi, ma anche per quelli che mediante la loro parola crederanno in me, affinché anch’essi siano una sola cosa in noi … affinché giungano a perfetta unità” (Gv XVII,20-21.23). Che anzi volle che l’unità fosse tra i suoi seguaci così intima e perfetta che in qualche modo imitasse la sua unione col Padre: “Prego … affinché tutti siano una cosa sola, come tu, o Padre, sei in me, e io in te” (Gv XVII,21). Necessario fondamento di tanta e così assoluta concordia tra gli uomini è il consenso e l’unione delle menti, da cui nasce naturalmente l’armonia delle volontà e la somiglianza delle azioni. E perciò volle, nel suo divino consiglio, che ci fosse nella Chiesa l’unità della fede: virtù che tiene il primo luogo tra i vincoli che ci legano a Dio, e da cui riceviamo il nome di fedeli. “Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo” (Ef IV,5), che è quanto dire, che, come uno solo è il Signore, uno il battesimo, così anche una sola deve essere la fede di tutti i Cristiani in tutto il mondo. Pertanto l’apostolo Paolo non solo prega, ma domanda e scongiura che tutti abbiano lo stesso sentimento, e fuggano la discordia delle opinioni: “O fratelli, in nome del Signore nostro Gesù Cristo, io vi scongiuro, che tutti teniate uno stesso linguaggio, e non siano tra voi divisioni, ma siate perfettamente uniti in uno stesso sentimento e in uno stesso pensiero” (1 Cor 1,10). E questi testi non hanno certamente bisogno d’interpretazione, poiché parlano chiaramente. Del resto che una debba essere la fede, quanti si professano Cristiani comunemente ne convengono. Quello piuttosto che è di massimo rilievo, anzi assolutamente necessario e in cui molti s’ingannano, è di conoscere quale sia questa specie e forma di unità. La qual cosa, come abbiamo fatto più innanzi in simile assunto, si deve discutere non già con argomenti di probabilità e con congetture, ma con la certa scienza dei fatti, ossia si deve giudicare e stabilire quale sia quell’unità di fede, che Gesù Cristo ci ha comandato. – La celeste dottrina di Gesù Cristo, benché in gran parte fissata nella sacra Scrittura, non poteva tuttavia, se fosse stata lasciata all’arbitrio dell’uomo, vincolare le menti. Infatti poteva accadere che desse luogo a varie e differenti interpretazioni: e ciò non solo per sé stessa e per i misteri della sua dottrina, ma anche per la varietà delle menti umane e il turbamento delle passioni, aberranti in contrarie parti. Dalla differenza dell’interpretare nascono necessariamente le divergenze nel sentire: e quindi le controversie, i dissidi, le contese, quali ne vide la stessa età prossima all’origine della Chiesa. Degli eretici scrive s. Ireneo: “Essi confessano, è vero, le Scritture, ma ne pervertono il senso“. E s. Agostino: “Non sono nate le eresie e certi dogmi perversi, che irretiscono le anime e le precipitano nel profondo, se non quando le sacre Scritture non furono bene intese“. Per armonizzare dunque le menti allo scopo di produrre e mantenere l’accordo delle sentenze, oltre le sacre Scritture, era sempre necessario un altro “principio”. – Lo esige la divina sapienza: poiché Dio non poteva volere che vi fosse una sola fede, se non avesse provveduto un qualche mezzo adatto per conservare questa unità: ciò che le sacre Scritture, come diremo fra poco, apertamente dichiarano. È certo che l’infinita potenza di Dio non è legata e vincolata ad alcuna cosa, e usa tutte le cose come strumenti docili e obbedienti. Si deve dunque esaminare quale sia questo principio esterno che Cristo ha prescelto per trarre quanti sono in suo potere. Quindi occorre richiamare gli inizi della religione cristiana. – Rammentiamo cose a noi attestate dalle divine Scritture e a tutti note. Gesù Cristo con la sua virtù taumaturgica prova la sua divinità e la sua missione divina; ammaestra con la parola le moltitudini, e comanda a tutti con promessa di premi e minaccia di pene eterne, perché a Lui che insegna prestino fede. “Se io non faccio le opere del Padre mio, non credetemi” (Gv X.37). “Se non avessi operato in loro cose che nessun altro fece, non avrebbero colpa” (Gv XV,24). “Se poi faccio tali cose, e non mi volete credere, credete almeno alle mie opere” (Gv X,38). Tutto ciò che Egli comanda, lo comanda con la stessa autorità, e nell’esigere l’assenso dell’intelletto niente eccettua, niente distingue. Quelli dunque che avevano udito Gesù, se si volevano salvare, erano obbligati a ricevere non solo la sua dottrina in genere, ma ad assentire pienamente a tutte le cose da Lui insegnate: poiché ripugna che anche in una cosa sola non si creda a Dio. – Giunto il tempo di ritornare al cielo, egli manda con quello stesso potere, con cui era stato inviato dal Padre, i suoi apostoli, ordinando loro di spandere e diffondere la sua dottrina: “A me fu dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque, e ammaestrate tutte le genti… insegnando loro ad osservare tutto quanto vi ho comandato” (Mt XXVIII,18-20). Saranno salvi quanti obbediranno agli apostoli, e riprovati quanti negheranno loro obbedienza. “Chi crede e si fa battezzare si salverà; chi non crede sarà condannato” (Mc XVI,16). Ora, essendo cosa sommamente conveniente alla provvidenza di Dio di non prescegliere alcuno a un grande ed eccellente ufficio senza dargli ad un tempo quanto gli occorre per ben adempierlo, per questo Gesù Cristo promise che avrebbe mandato ai suoi apostoli lo Spirito di verità, e che quello Spirito sarebbe rimasto in essi perpetuamente. “Se vado, vi manderò (il Confortatore) … quando però verrà lui, lo Spirito di verità, vi guiderà per tutta intera la verità” (Gv XVI,7-13). “E io pregherò il Padre, e vi darà un altro Confortatore, affinché rimanga sempre con voi, lo Spirito di verità” (Gv XIV,16-17). “Egli renderà a me testimonianza; e voi pure mi renderete testimonianza” (Gv XV,26-27). Quindi comanda che la dottrina degli apostoli sia ricevuta con religioso ossequio e santamente osservata come la sua propria. “Chi ascolta voi, ascolta me; e chi rigetta voi, rigetta me” (Lc X,16). Per questo gli apostoli sono ambasciatori di Gesù Cristo, come egli lo è del Padre: “Come il Padre ha mandato me, così io mando voi” (Gv 20,21). Di conseguenza, come dovevano gli apostoli e i discepoli essere ossequienti ai detti di Gesù Cristo, così lo debbono essere a quelli degli apostoli quanti vengono istruiti da loro per divino mandato. Quindi non è lecito ripudiare uno solo degli ammaestramenti degli apostoli, come non si può rigettare alcuna cosa della dottrina di Cristo. – E veramente la voce degli apostoli, investiti dello Spirito Santo, largamente risuonò dappertutto. Ovunque essi si fermassero, ivi sempre si presentavano come ambasciatori di Cristo: “Per Lui (Gesù Cristo) ricevemmo la grazia e l’apostolato per sottomettere alla fede nel nome di lui tutte le genti” (Rm 1,5). E la loro divina legazione veniva autenticata da Dio con miracoli. “Essi poi se ne andarono a predicare da per tutto, con la cooperazione del Signore che confermava il loro insegnamento con i miracoli, che l’accompagnavano” (Mc XVI,20). E quale insegnamento? Quello senza dubbio che in sé conteneva quanto essi avevano imparato dal Maestro: infatti apertamente davanti a tutti essi protestano che non potevano tacere le cose che avevano vedute o udite. – Ma, come abbiamo detto altrove, questa missione apostolica non era tale che potesse terminare con la persona degli apostoli o venisse meno con l’andar del tempo, essendo essa una missione universale e istituita per la salvezza del genere umano. Agli apostoli infatti Gesù Cristo comandò che predicassero “l’evangelo ad ogni creatura”, che portassero “il suo nome innanzi alle genti e ai re”, e che fossero “suoi testimoni sino all’estremità della terra”. E promise loro per l’adempimento di sì grande missione la sua assistenza, non già per alcuni anni o epoche determinate, ma per tutto il tempo sino “alla fine del mondo”. A questo proposito san Girolamo dice: “Colui che promette di essere coi suoi discepoli sino alla fine del mondo, fa chiaramente intendere che essi sempre vivranno, e che Egli non si allontanerà mai dai credenti“. Le quali cose come mai si sarebbero potute verificare nei soli apostoli, soggetti anch’essi per l’umana condizione alla morte? Era dunque nei disegni della provvidenza divina che il Magistero, istituito da Gesù Cristo, non finisse con la vita degli apostoli, ma fosse perpetuo. Infatti noi lo vediamo propagarsi e passare per tradizione, diremo così, di mano in mano. Gli apostoli perciò consacrarono dei vescovi, e nominatamente designarono coloro che dovevano succedere loro fra non molto nel “ministero della parola”. – Né si tennero paghi di tanto; ma imposero anche ai loro successori che scegliessero persone idonee, le quali, investite della medesima autorità, avessero lo stesso incarico e ufficio d’insegnare. “Tu, o figlio mio, prendi forza nella grazia, che è in Cristo Gesù, e gli insegnamenti da me avuti in presenza di molti testimoni, trasmettili a uomini fidati, capaci di ammaestrare anche gli altri” (2Tm II,1-2). E perciò come Cristo fu mandato da Dio, e gli apostoli da Cristo, così i vescovi e quanti successero agli apostoli, sono mandati dagli apostoli. “Gli apostoli furono costituiti per noi predicatori dell’evangelo dal Signore nostro Gesù Cristo, e Gesù Cristo fu mandato da Dio. Cristo perciò fu mandato da Dio, e gli apostoli da Cristo, e l’una e l’altra cosa con ordine fu compiuta per volontà di Dio… Predicando poi la parola nelle regioni e nelle città, costituirono vescovi e diaconi dei credenti coloro che erano stati le primizie dei convertiti, dopo averne provata la capacità… Costituirono i suddetti e quindi ordinarono, che, alla loro morte, altri uomini capaci prendessero il loro posto nel ministero“. È dunque indispensabile da un lato che sia costante e immutabile l’ufficio d’insegnare quanto Cristo insegnò, e dall’altro che sia pure costante e immutabile il dovere di ricevere e professare tutta la dottrina degli apostoli. Il che splendidamente s. Cipriano illustra con queste parole: “Quando nostro Signore Gesù Cristo nel suo evangelo affermò che erano suoi nemici quelli che non erano con lui, non additò alcuna specie di eresia, ma mostrò come suoi avversari tutti coloro che, non essendo ne raccogliendo con Lui, disperdevano il suo gregge, dicendo: Chi non è con me, è contro di me; chi non raccoglie con me, disperde“. – Ammaestrata da tali precetti, la Chiesa, memore del suo ufficio, con ogni zelo e sforzo non si è mai tanto preoccupata che di tutelare in ogni sua parte l’integrità della fede e di ritenere ribelli e espellere da sé quanti non la pensassero come lei in un articolo qualunque della sua dottrina. Gli ariani, i montanisti, i novaziani, i quartadecumani, gli eutichiani, non avevano certamente abbandonata in tutto la dottrina Cattolica, ma solo in qualche parte: e tuttavia chi ignora che essi sono stati dichiarati eretici ed espulsi dal seno della Chiesa? Allo stesso modo vennero in seguito condannati quanti furono in vari tempi promotori di perverse dottrine. “Niente vi può essere di più pericoloso di questi eretici, i quali, mentre percorrono il tutto (della dottrina) senza errori, con una sola parola, come con una stilla di veleno, infettano la pura e schietta fede della divina e poi apostolica tradizione“. Tale appunto fu sempre il modo di comportarsi della Chiesa, e ciò anche per l’unanime giudizio dei santi padri, i quali ebbero sempre in conto di scomunicati ed eretici tutti coloro, che anche per poco si allontanarono dalla dottrina proposta dal legittimo magistero. Epifanie, Agostino, Teodoreto ci diedero un lungo catalogo delle eresie dei loro tempi. Agostino poi osserva che errori d’ogni specie possono pullulare; e se qualcuno aderisce ad uno solo di essi, per questo si separa dall’unità cattolica: “Chi crede a queste cose (cioè le eresie indicate), per ciò stesso non deve credersi o dirsi di essere Cristiano Cattolico. Vi possono essere e formarsi anche altre eresie, che non sono ricordate in questa nostra opera; se uno aderisse a qualcuna di esse, non sarebbe cristiano cattolico“. – E il beato Paolo nella Lettera agli Efesini insiste sul modo di tutelare l’unità, di cui parliamo, come fu stabilito per divino volere. Egli dapprima ci esorta a conservare con grande cura la concordia degli animi: “Studiatevi di conservare l’unità dello spirito mediante il vincolo della pace” (Ef IV,3ss); e, poiché gli animi non possono essere per la carità in tutto concordi, quando gli intelletti non consentano nella fede, vuole che in tutti vi sia una sola fede: “Un solo Signore, una sola fede“; e così perfettamente una, che rimuova ogni pericolo di errare: “Allora non saremo più fanciulli sbalzati e portati qua e là da ogni vento di dottrina, tra i raggiri degli uomini e la scaltrezza a inoculare l’errore“. E questo, egli dice, si deve osservare non per qualche tempo, ma “finché tutti insieme non giungiamo all’unità della fede … alla misura della piena statura di Cristo“. – Ma di questa unità, dove Gesù Cristo pose il principio per stabilirla e il presidio per conservarla? In questo che “è lui che alcuni costituì apostoli … altri pastori e dottori, per rendere i santi capaci di compiere il loro ministero, affinchè sia edificato il corpo di Cristo” (Ef IV,11-12). Per la qual cosa fin dalla più remota antichità i dottori e padri della Chiesa solevano seguire questa regola e ad una voce difenderla. Così dice Origene: “Ogni volta che (gli eretici) mostrano le scritture canoniche, che ogni cristiano ammette e crede, sembrano dire: Ecco la parola di verità. Ma noi non dobbiamo credere loro, né allontanarci dalla prima tradizione ecclesiastica, né credere diversamente, se non come per successione le chiese di Dio ci hanno tramandato“. E Ireneo afferma: “La vera dottrina è quella degli apostoli … secondo le successioni dei vescovi … trattazione ripiena delle Scritture, custodita con diligenza e senza inganno, che giunse fino a noi“. Tertulliano dice: “E certo che ogni dottrina, che sia conforme a quelle tenute dalle primitive chiese apostoliche, è veritiera e senza dubbio afferma ciò che le chiese ricevettero dagli apostoli, gli apostoli da Cristo e Cristo ricevette da Dio… Abbiamo comunione con le chiese apostoliche; in nessuna di esse vi è una dottrina diversa: questa è la testimonianza verace“. Ilario poi afferma: “(Cristo, insegnando dalla barca) vuole indicare che quelli che sono fuori della Chiesa, non possono capire la parola divina. La barca infatti è la figura della Chiesa; quelli che sono fuori di essa, e quelli che stanno sterili e inutili sulla riva, non possono comprendere la parola di vita posta e predicata in essa“. Rufino loda Gregorio Nazianzeno e Basilio, perché “si dedicavano solamente allo studio dei libri della s. Scrittura, e li interpretavano non seguendo la propria intelligenza, ma secondo l’autorità e gli scritti degli autori precedenti, che a loro volta avevano ricevuto le regole dell’interpretazione dalla successione apostolica“. – Da quanto si è detto appare dunque che Gesù Cristo istituì nella Chiesa “un vivo, autentico e perenne magistero”, che Egli stesso rafforzò col suo potere, lo informò dello Spirito di verità e l’autenticò coi miracoli; e volle e comandò che i precetti della sua dottrina fossero ricevuti come suoi. Quante volte dunque questo magistero dichiara che questo o quel dogma è contenuto nel corpo della dottrina divinamente rivelata, ciascuno lo deve tenere per vero, poiché, se potesse essere falso, ne seguirebbe che Dio stesso sarebbe autore dell’errore dell’uomo, il che ripugna: “O Signore, se vi è errore, siamo stati da te ingannati”. Quindi, rimossa ogni ragione di dubitare, a chi mai sarà lecito ripudiare una sola di queste verità, senza che egli venga per questo stesso a cadere in eresia e senza che, essendo separato dalla chiesa, rigetti in blocco tutta la dottrina cristiana? – Tale è infatti la natura della fede, che nulla tanto le ripugna come ammetterne un dogma e ripudiarne un altro. Infatti la Chiesa professa che la fede è una “virtù soprannaturale, con la quale, ispirati e aiutati dalla grazia di Dio, crediamo che sono vere le cose da Lui rivelate, non già per l’intrinseca verità delle medesime conosciuta con il lume naturale della ragione, ma per l’autorità dello stesso Dio rivelante, che non può ingannare né essere ingannato“. Se dunque si conosce che una verità è stata rivelata da Dio, e tuttavia non si crede, ne segue che nulla affatto si crede per fede divina. Infatti quello stesso che l’apostolo Giacomo sentenzia del delitto in materia di costumi, deve affermarsi di un’opinione erronea in materia di fede: “Chiunque avrà mancato in un punto solo, si è reso colpevole di tutti” (Gc II,10). Anzi a più forte ragione deve dirsi di questa che di quello. Infatti meno propriamente si dice violata tutta la legge da colui che la trasgredì in una cosa sola, non potendosi vedere in lui, se non interpretandone la volontà, un disprezzo della maestà di Dio legislatore. Invece colui che, anche in un punto solo, non assente alle verità rivelate, ha perduto del tutto la fede, in quanto ricusa di venerare Dio come somma verità e “proprio motivo di fede”: perciò sant’Agostino dice: “In molte cose concordano con me, in alcune poche con me non concordano; ma per quelle poche cose in cui non convengono con me, a nulla approdano loro le molte in cui con me convengono“. – E con ragione; perché coloro che della dottrina cristiana prendono quello che a loro piace, si basano non sulla fede, ma sul proprio giudizio: e non “rendendo soggetto ogni intelletto all’obbedienza a Cristo” (2Cor X,5) obbediscono più propriamente a loro stessi che a Dio. “Voi – diceva Agostino – che nell’evangelo credete quello che volete, e non credete quello che non volete, credete a voi stessi piuttosto che all’evangelo“. – Per questo i padri del concilio Vaticano nulla hanno decretato di nuovo, ma solo ebbero in vista l’istituzione divina, l’antica e costante dottrina della Chiesa e la stessa natura della fede, quando decretarono: “Per fede divina e cattolica si deve credere tutto ciò che si contiene nella parola di Dio scritta o tramandata, e viene proposto dalla Chiesa o con solenne definizione o con ordinario e universale Magistero come verità da Dio rivelata“. Pertanto essendo chiaro che Dio vuole assolutamente nella sua Chiesa l’unità della fede, e sapendosi quale essa sia e con quale principio deve essere tutelata per divino comando, ci sia permesso d’indirizzare a quanti non persistono nel voler chiudere gli orecchi alla verità, le seguenti parole di Agostino: “Vedendo noi tanta abbondanza di aiuti da parte di Dio, tanto profitto e frutto, dubiteremo di chiuderci nel seno di quella Chiesa, la quale, anche per confessione del genere umano, dalla sede apostolica per la successione dei vescovi, nonostante che intorno a lei latrino vanamente gli eretici, già condannati sia dall’opinione popolare, sia dal grave giudizio dei concili, sia dalla grandezza dei miracoli, è giunta all’apice dell’autorità? Il negarle il primato, è proprio o di una somma empietà, o di una precipitosa arroganza. … E se ogni arte, per quanto vile e facile, perché si possa apprendere, richiede un insegnante o un maestro: che v’è di più superbamente temerario che non voler conoscere i libri contenenti i divini misteri dai loro interpreti, o, non conoscendoli, volerli condannare?“. – È dunque senza dubbio compito della chiesa custodire la dottrina di Cristo e propagarla inalterata e incorrotta. E neppure questo è tutto, anzi nemmeno in ciò si racchiude il fine, per cui la chiesa fu stabilita. Infatti, come Gesù Cristo si è sacrificato per la salvezza del genere umano, e a questo scopo ha diretto quanto ha insegnato e operato, così volle che la chiesa cercasse nella verità della dottrina quanto fosse necessario alla santificazione e alla salute eterna degli uomini. – Ora la sola fede non basta a raggiungere così grande ed eccelsa meta, ma si richiede sia la pietà e la religione, che specialmente consiste nel divin Sacrificio e nella partecipazione dei Sacramenti, sia la santità delle leggi e della disciplina. Tutte queste cose deve contenere in sé la Chiesa, come quella che perpetua l’ufficio del Salvatore. Essa sola dà ai mortali quella Religione perfetta, che Egli volle in lei incarnare, e soltanto essa amministra quelle cose, le quali, secondo l’ordine della Provvidenza, sono gli strumenti della salvezza. – E a quel modo che la celeste dottrina non fu lasciata in balia dell’ingegno e della volontà dell’uomo, ma, insegnata al principio da Cristo, venne poi affidata, come già si disse, al Magistero della Chiesa, così non ai singoli individui del popolo cristiano, ma a persone scelte fu comunicato da Dio il potere di operare e amministrare i divini misteri, insieme al potere di reggere e governare. Infatti non ad altri che agli Apostoli e ai loro legittimi successori si riferiscono quelle parole di Gesù Cristo: “Andate per tutto il mondo e predicate l’evangelo … battezzandoli. … Fate questo in memoria di me. … A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi“. Allo stesso modo solo agli Apostoli e ai loro successori comandò che pascessero il suo gregge, cioè, che governassero tutta la cristianità, e per conseguenza comandò ai semplici fedeli che dovessero essere a loro soggetti e obbedienti. I quali uffici apostolici vengono tutti da san Paolo compendiati in questa sentenza: “Ognuno ci consideri come ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio” (1Cor IV,1). – Per questo Gesù Cristo invitò tutti i mortali, presenti e futuri, a seguirlo come Salvatore e Capo, e non solo come singoli individui, ma anche come associati e uniti insieme realmente e di cuore, tanto da formare di una moltitudine un popolo giuridicamente costituito in società, e uno per l’unità di fede, di fine, di mezzi e di gerarchia. Così egli pose nella Chiesa tutti quei naturali principi che danno origine all’umana società, in cui gli individui raggiungono la perfezione propria della loro natura; egli pose infatti nella Chiesa quanto occorre, perché coloro che vogliono essere figli adottivi di Dio, possano conseguire una perfezione conforme alla loro dignità e ottenere la salute. La Chiesa dunque, come accennammo altrove, è guida alle cose celesti, e ad Essa Dio diede l’incarico di provvedere e stabilire quanto concerne la Religione, e di governare con potere proprio e con tutta libertà la società cristiana. Per questo, o non conoscono bene la Chiesa, o la calunniano, coloro che l’accusano di volersi intromettere nelle cose civili o invadere i diritti dello stato. Anzi Dio ha fatto sì che la Chiesa fosse di gran lunga superiore a tutte le altre società; infatti il fine a cui tende è tanto più eccelso di quello a cui mirano le altre società, quanto la grazia supera la natura e i beni immortali superano quelli caduchi. – La Chiesa è una società “divina” nella sua origine; “soprannaturale” nel suo fine e nei mezzi immediatamente a quello ordinati; ed è “umana”, perché si compone di uomini. Infatti la vediamo spesso indicata nella sacra Scrittura con nomi che designano una società perfetta; poiché viene detta “casa di Dio, città posta sul monte”, dove è necessario che si raccolgano tutte le genti, e anche “ovile”, in cui devono riunirsi tutte le pecorelle di Cristo sotto un solo pastore, anzi “regno che Dio fondò”, e che “durerà in eterno”, e infine “corpo” di Cristo, “mistico”, sì, ma però vivo, perfettamente composto e risultante di molti membri, i quali non hanno la stessa operazione e tuttavia si mantengono uniti insieme sotto lo stesso capo, che li regge e governa. Non si può pensare tra gli uomini una vera e perfetta società senza un sommo potere che la regga. Deve dunque Gesù Cristo aver preposto alla Chiesa un sommo Reggitore, a cui tutta la moltitudine dei cristiani sia sottomessa e obbedisca. Per la qual cosa come per l’unità della Chiesa, in quanto è “riunione dei fedeli”, si richiede necessariamente l’unità della fede, così per l’unità della medesima, in quanto è una società divinamente costituita, si esige per diritto divino “l’unità di governo”, la quale produce e in sé racchiude “l’unità della comunione”. “Ora l’unità della Chiesa è riposta in queste due cose: nella mutua unione dei membri della Chiesa, cioè nella comunione e nella corrispondenza di tutti i membri della Chiesa con un solo capo”. – Da questo si può capire che gli uomini si separano dall’unità della Chiesa non meno con lo scisma che con l’eresia. “Tra l’eresia e lo scisma corre, per comune avviso, questa differenza, che l’eresia ha un perverso dogma, lo scisma invece si separa dalla Chiesa per una scissura episcopale“. E in ciò concorda anche il Crisostomo, dicendo: “Io dico e professo che non è minor male lo scindere la Chiesa, che cadere nell’eresia“. Quindi, se non può esser giusta qualsiasi eresia, per la stessa ragione non c’è scisma che si possa giustificare. “Non vi è nulla di più grave del sacrilegio di uno scisma … non vi è mai giusta necessità di rompere l’unità“.

Quale sia poi questo potere, a cui debbono tutti i Cristiani obbedire, non si può altrimenti determinare che dopo avere esaminata e conosciuta la volontà di Cristo. Certamente Cristo è Re in eterno, e perpetuamente, benché invisibile, tutela e governa dal cielo il suo regno; ma poiché volle che questo fosse visibile, dovette designare chi, dopo la sua ascensione al cielo, facesse le sue veci in terra. “Chiunque affermasse – dice san Tommaso – che il solo capo e il solo Pastore della chiesa è Cristo, che è l’unico sposo dell’unica Chiesa, non si esprimerebbe con precisione. Infatti è evidente che è Lui che opera i sacramenti della Chiesa, che battezza, che rimette i peccati, che, vero sacerdote, s’immolò sull’altare della Croce, e per la cui virtù ogni giorno si consacra il suo corpo sull’altare; e tuttavia, poiché non sarebbe stato corporalmente e personalmente presente a tutti i fedeli per l’avvenire, elesse dei ministri, per mezzo dei quali potesse dispensare quanto è stato indicato, come già si è detto sopra (cap. 74). Per la stessa ragione, prima di privare la Chiesa della sua corporale presenza, gli fu necessario destinare qualcuno che in suo luogo ne avesse cura. Quindi disse a Pietro prima dell’ascensione: “Pasci le mie pecore“. Gesù Cristo dunque diede alla Chiesa per sommo reggitore Pietro, e nello stesso tempo stabilì che questo principato, istituito in perpetuo per la comune salvezza, si trasmettesse per eredità ai successori, nei quali lo stesso Pietro con perenne autorità sopravvive. E infatti fece quell’insigne promessa a Pietro, e a nessun altro: “Tu sei Pietro, e su questa pietra io edificherò la mia Chiesa(Mt XVI,18)”. –  “A Pietro il Signore ha parlato, a lui solo, perché da uno solo fondasse l’unità“. “(Gesù) chiama Lui e suo padre per nome (beato te, Simone, figlio di Jona), ma poi non sopporta che si chiami ancora Simone, già fin d’ora reclamandolo come suo per i suoi fini, e con significativo paragone volle che si chiamasse Pietro da pietra, perché sopra di lui avrebbe fondato la sua Chiesa“. Dalla citata profezia di Cristo è evidente che per volere e ordinazione di Dio la Chiesa si fonda sul beato Pietro, come l’edificio sul suo fondamento. Ora la natura e la forza del fondamento consiste nel far sì che le diverse parti dell’edificio si mantengano collegate insieme, e che all’opera sia necessario quel vincolo di stabilità e fermezza, senza cui ogni edificio cade in rovina. È dunque proprio di Pietro sorreggere e conservare unita e ferma in indissolubile compagine la Chiesa. Ma chi potrebbe adempiere un compito così grave senza il potere di comandare, proibire e giudicare, che veramente e propriamente si dice “giurisdizione”? Infatti solo in virtù di questo potere si reggono le città e gli stati. Un primato di onore e quella tenue facoltà di consigliare e di ammonire, che si dice “direzione”, non possono giovare molto né all’unità né alla fermezza. Il potere, di cui parliamo, ci viene dichiarato e confermato da quelle parole: “E le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa”. – “A chi si riferisce – domanda Origene – la parola essa? Alla pietra su cui Cristo edifica la Chiesa, o alla stessa Chiesa? Ambigua è la frase: vorrà dire che siano una stessa cosa la pietra e la Chiesa? Questo appunto io credo vero; poiché né contro la pietra, su cui Cristo edifica la Chiesa, né contro di questa prevarranno le porte dell’inferno“. La forza perciò di quella sentenza è questa: qualunque violenza o artificio usino i nemici visibili e invisibili, non sarà mai che la Chiesa soccomba e perisca: “La Chiesa, essendo edificio di Cristo, che sapientemente edificò la sua casa sulla pietra, non può essere preda delle porte dell’inferno, che possono sì prevalere contro ogni uomo che sia fuori della pietra e della Chiesa, ma non contro di essa“. Dunque Dio affidò la sua chiesa a Pietro, affinché egli quale invitto tutore la conservasse perpetuamente incolume. – Quindi lo investì del necessario potere, poiché per tutelare una società qualunque di uomini è indispensabile a chi deve tutelarla il diritto di comandare. Gesù inoltre aggiunse: “E a te io darò le chiavi del regno dei cieli”. Egli continua a parlare della chiesa, che poc’anzi aveva chiamata sua, e che aveva affermato di voler stabilire su Pietro come sopra il fondamento. La Chiesa è raffigurata non solo come un “edificio”, ma anche come un “regno”, e nessuno ignora che le chiavi sono il simbolo del comando; perciò quando Gesù promise a Pietro le “chiavi del regno dei cieli”, gli promise che gli avrebbe dato la Somma Autorità e il supremo potere sulla Chiesa: “II Figlio (del Padre) diede l’incarico (a Pietro) di diffondere per tutto il mondo la conoscenza del Padre e di se stesso, e a un uomo mortale diede ogni potere in cielo, quando gli affidò le chiavi, ed estese la Chiesa per tutto il mondo e la indicò più stabile dei cieli“. – Concordano con queste le altre parole di Cristo: “E ciò che legherai sulla terra, resterà legato nei cieli; e ciò che scioglierai sulla terra, resterà sciolto nei cieli“. Le parole metaforiche di legare e di sciogliere indicano il diritto di far leggi e insieme il potere di giudicare e di punire; e detto potere si afferma così ampio e di tanta forza, che qualunque cosa venga da esso decretata, verrà da Dio confermata. Pertanto è sommo e del tutto libero, come quello che non ha superiore in terra, e che abbraccia tutta la chiesa e le cose tutte che a questa furono affidate. – Cristo Signore mantiene poi la sua promessa dopo la sua risurrezione, quando, avendo per ben tre volte domandato a Pietro se lo amasse, gli dice con tono di chi comanda: “Pasci i miei agnelli… Pasci le mie pecore” (Gv XXI,16-17); Cristo volle così a lui affidate, come a pastore, tutte le pecore che entrerebbero nel suo ovile. “Il Signore non dubita – dice sant’Ambrosio – perché lo interroga non per sapere, ma per insegnare a noi che, ormai sul punto di essere portato in cielo, ce lo lasciava come vicario del suo amore. … E perciò, poiché è solo fra tutti a dare la testimonianza, a tutti viene anteposto … affinché giunto a piena perfezione guidasse anche quanti hanno raggiunto la piena perfezione“. Ufficio e dovere del pastore è quello di guidare il gregge e di procurare il suo benessere con la salubrità dei pascoli, con l’allontanarlo dai pericoli, preservarlo dalle insidie e difenderlo dalla violenza: in breve, col reggerlo e governarlo. Essendo dunque Pietro il pastore preposto a tutto il gregge di Cristo, egli ricevette il potere di governare tutti gli uomini, alla cui salvezza Gesù Cristo aveva provveduto col suo sangue: “Perché – dice il Crisostomo – sparse Egli il suo sangue? Per redimere quelle pecore, che affidò a Pietro e ai suoi successori“. – E poiché è necessario che tutti i cristiani siano tra loro uniti per la comunione di una fede immutabile, perciò Cristo Signore, con la forza della sua preghiera, impetrò a Pietro che nell’esercizio del suo sommo potere non errasse mai nella fede: “Io ho pregato per te, perché non venga meno la tua fede” (Lc XXII,32); e gli comandò che nel bisogno comunicasse ai suoi fratelli luce e forza: “Conferma i tuoi fratelli” (Lc XXII,32). Volle insomma che colui che era destinato a fondamento della Chiesa, fosse anche il baluardo della fede. “Non poteva – dice sant’Ambrogio – rafforzare la fede di colui, al quale di propria autorità dava il regno, e che additò, chiamandolo pietra, quale fondamento della chiesa?“. Gesù volle che certi nomi, significanti grandi cose, che “a lui per propria potestà convengono, fossero rivolti anche a Pietro per partecipazione con se stesso“, affinché dalla comunanza dei titoli apparisse anche quella dei poteri. E cosi colui che è “pietra angolare, su cui l’intero edificio ben connesso va innalzandosi per formare il tempio santo del Signore” (Ef II,21), stabilisce Pietro quale pietra fondamentale della chiesa. “Avendo ascoltato [sei pietra] è stato encomiato. Benché sia pietra, però, non è pietra come Cristo, ma come Pietro. Cristo infatti è essenzialmente la pietra inconcussa; e Pietro lo è per (questa) pietra. Infatti Gesù dona le sue cariche onorifiche, ma non si esaurisce… È sacerdote, e fa i sacerdoti… è pietra, e fa la pietra“. Il Re stesso della Chiesa, che “tiene la chiave di Davide, e quando apre, nessuno chiude, e quando chiude, nessuno apre” (Ap III,7), consegnate a Pietro le “chiavi”, lo dichiara principe della società cristiana. E così pure il sommo pastore, che chiama se stesso buon pastore (Gv X,11), dà a Pietro il governo “dei suoi agnelli e delle sue pecore”: “Pasci gli agnelli, pasci le pecore”. – E il Crisostomo commenta: “Esimio era (Pietro) tra gli apostoli, bocca dei discepoli, capo del loro collegio… E (Gesù) per mostrargli che conveniva credere per l’avvenire a lui, dimenticata la negazione, affida a lui il governo dei fratelli, dicendo: Se mi ami, presiedi ai fratelli“. Finalmente colui che ci conferma “in ogni opera buona e in ogni buona parola” (2Ts II,16), comandò a Pietro che “confermasse i suoi fratelli”. Giustamente Leone Magno diceva: “Di tutto il mondo il solo Pietro viene eletto per essere preposto e alla chiamata di tutte le genti, e a tutti gli apostoli e a tutti i padri della Chiesa: affinché, per quanto siano molti nel popolo di Dio i sacerdoti e molti i pastori, tutti nondimeno siano retti da Pietro, benché Cristo per lui principalmente li governa tutti“. E Gregorio Magno così scriveva all’imperatore Maurizio Augusto: “È evidente a quanti conoscono l’evangelo, che per la parola del Signore è stata affidata la cura di tutta la Chiesa all’apostolo Pietro, primo di tutti gli apostoli… Egli ricevette le chiavi del regno dei cieli, a lui è dato il potere di legare e di sciogliere, a lui ancora la cura e il principato di tutta la Chiesa“. – Ora, essendo questo principato contenuto nella stessa costituzione e ordinamento della chiesa, come parte principale, o piuttosto come principio di unità e fondamento della sua perpetua esistenza, non poteva perire con Pietro, ma doveva trasmettersi dall’uno all’altro ai suoi successori. Perciò san Leone diceva: “Rimane quindi quanto Gesù ha disposto veramente, e il beato Pietro, perseverando nella ricevuta forza della pietra, non lascia il comando della Chiesa“. Per la qual cosa i vescovi, che succedono a Pietro nell’episcopato romano, ottengono “di diritto divino” la suprema autorità su tutta la Chiesa. “Noi definiamo – dicono i padri del Concilio di Firenze – che la santa sede apostolica e il vescovo di Roma hanno su tutto l’orbe il primato, e che lo stesso vescovo di Roma è successore del beato Pietro, primo degli apostoli, vero Vicario di Cristo, capo di tutta la Chiesa, padre e dottore di tutti i cristiani, a cui nella persona del beato Pietro fu dato da Cristo pieno potere di pascere, reggere e governare tutta la chiesa, come si afferma negli atti dei concili ecumenici e nei sacri canoni“. E il concilio Lateranense IV definisce: “La chiesa romana, per disposizione del Signore, primeggia su tutte le altre per l’ordinaria sua potestà, come quella che è madre e maestra di tutti i cristiani“. – E questi decreti erano stati preceduti dal consenso di tutta l’antichità, la quale venerò sempre i vescovi romani come legittimi successori del beato Pietro. E chi ignora le tante e sì splendide testimonianze dei santi padri a questo proposito? Luminosa è quella di Ireneo, il quale, parlando della Chiesa romana, dice: “A questa Chiesa per una più degna supremazia è necessario che concordi ogni chiesa“. E Cipriano, parlando della medesima, la chiama “radice e madre della chiesa cattolica“, “cattedra di Pietro e chiesa principale da cui è sorta l’unità del sacerdozio“. La chiama “cattedra” di Pietro, perché vi siede il successore di Pietro; “Chiesa principale”, per il primato conferito a Pietro e ai suoi successori; “da cui è sorta l’unità”, perché la causa efficiente dell’unità nel Cristianesimo è la Chiesa romana. E così Girolamo si rivolge a Damaso: “Io parlo col successore del pescatore e discepolo della croce… Alla tua beatitudine, cioè, alla cattedra di Pietro, io per la comunione mi associo. So bene che su quella pietra è edificata la Chiesa“. E riconosceva sempre un Cattolico dalla unione che aveva con la sede romana di Pietro; e diceva: “Se alcuno è unito alla cattedra di Pietro, è dalla mia parte“. Allo stesso modo Agostino attesta che “nella chiesa romana sempre fiorì il principato della Cattedra apostolica“, e nega che sia cattolico chiunque dissenta dalla fede romana: “Non credere di avere la vera fede cattolica, se non insegni la necessità di avere la fede romana“. La stessa cosa afferma Cipriano: “Avere comunione con Cornelio è lo stesso che avere comunione con la Chiesa Cattolica“. Pure Massimo Abate insegna che è segno caratteristico della vera fede e della vera comunione l’obbedienza al vescovo di Roma: “Perciò se non vuoi essere eretico non accontenti questo o quello…. S’affretti ad accontentare la sede romana. Fatto questo, comunemente e ovunque tutti lo riterranno pio e retto. Infatti parla inutilmente e invano chi fa diversamente, e non soddisfa il beatissimo Papa della santissima Chiesa romana, cioè la sede apostolica“. E ne dà la seguente ragione; “Essa ricevette e ha il comando, l’autorità e il potere di legare e di sciogliere dallo stesso Verbo di Dio incarnato, e anche da tutti i concili, secondo i sacri canoni, fra tutte le chiese sante di Dio che si trovano sulla terra. Quando lega o scioglie qualcosa, anche in cielo è ratificato dal Verbo, che comanda ai celesti principati“. – Quello dunque che già esisteva nella fede cristiana, quello che non un popolo solo o una sola età, ma tutte le età, e l’Oriente insieme e l’Occidente abitualmente riconoscevano e osservavano, venne dal presbitero Filippo, rappresentante del Papa, ricordato al Concilio di Efeso, senza che alcuno sorgesse a contraddirlo; “Nessuno può dubitare, anzi è noto a tutti, che il santo e beatissimo Pietro, principe e capo degli apostoli, colonna della fede e fondamento della Chiesa cattolica, ricevette da Gesù Cristo, Salvatore e Redentore del genere umano, le chiavi del regno, e gli fu dato il potere di sciogliere e di ritenere i peccati, a lui, che finora e per sempre vive ed esercita il potere nei suoi successori“. Allo stesso argomento si riferisce la sentenza del Concilio di Calcedonia: “Pietro attraverso Leone… ha parlato” a cui fa eco la voce del Concilio Costantinopolitano III: “Il sommo principe degli apostoli era d’accordo con noi; avemmo con noi infatti il suo imitatore e successore nella sede… sembrava carta e inchiostro, e invece Pietro parlava attraverso Agatone“. – Nella formula della professione cattolica proposta da Ormisda sul principio del secolo VI, e sottoscritta dall’imperatore Giustiniano e dai patriarchii Epifanie, Giovanni e Menna viene dichiarato con gravi e forti parole: “Poiché non si può tralasciare l’affermazione di nostro Signore Gesù Cristo: Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia chiesa, … quanto è stato detto è provato dai fatti, poiché nella sede apostolica la religione cattolica è stata sempre conservata senza macchia“. – Non vogliamo citare più a lungo le singole testimonianze; ma ci basterà qui ricordare la formula di fede che professò Michele Paleologo nel Secondo Concilio di Lione: “La santa chiesa romana ha un sommo e pieno primato e principato su tutta la Chiesa cattolica, e (il Paleologo) con tutta verità e umiltà riconosce che essa lo ha ricevuto con piena potestà dallo stesso Signore nella persona del beato Pietro, principe e capo degli apostoli, del quale è successore il vescovo di Roma. E poiché questi sopra tutti è tenuto a difendere la verità della fede, così, se nasceranno questioni intorno alla medesima, egli dovrà con sua sentenza definirle“. – Sebbene sia somma e piena la potestà di Pietro, non si creda tuttavia che essa sia la sola. Infatti colui che pose Pietro a fondamento della Chiesa, “elesse anche dodici… che nominò apostoli” (Lc 6,13). Come è necessario che l’autorità di Pietro si perpetui nel vescovo di Roma, così i vescovi, come successori degli apostoli, ne ereditano l’ordinaria potestà, e quindi l’ordine episcopale necessariamente tocca l’intima costituzione della Chiesa. Benché essi non abbiano una somma, piena e universale autorità, tuttavia non devono ritenersi come dei semplici “vicari” dei vescovi di Roma, poiché hanno una potestà propria, e con verità si dicono presuli “ordinari” dei popoli che reggono. – Però, siccome il successore di Pietro è uno solo, e i successori degli apostoli sono molti, è conveniente che si veda quali siano per divina costituzione le relazioni di questi con quello. – E in primo luogo, è certa ed evidente la necessità dell’unione dei vescovi col successore di Pietro; poiché, sciolto questo vincolo, necessariamente si discioglie e si disperde la stessa moltitudine dei cristiani, in modo da non poter formare in alcun modo un solo corpo e un solo gregge. “La salute della Chiesa dipende dalla dignità del sommo sacerdote, e se non gli si dà un potere speciale e superiore a tutti, vi saranno nella Chiesa tanti scismi, quanti sono i sacerdoti“. Pertanto è bene avvertire che niente fu conferito agli apostoli separatamente da Pietro, ma molte cose a Pietro separatamente dagli apostoli. – Giovanni Crisostomo, nel commentare l’affermazione di Cristo (Gv XXI,15), si domanda: “Perché Cristo, lasciati gli altri, parla di queste cose solamente a Pietro?“; e risponde: “Perché era il primo fra gli apostoli, la bocca dei discepoli, il capo del loro collegio“. Egli infatti era il solo designato da Cristo a fondamento della chiesa; a lui era data la facoltà di “legare” e di “sciogliere”; il solo, al quale era dato di “pascere”; invece, quanto di autorità e di ministero ricevettero gli apostoli, lo ricevettero unitamente a Pietro: “Se la condiscendenza divina volle che alcuna cosa fosse a lui comune con gli altri prìncipi (apostoli), non concedette se non per lui quello che non negò agli altri… Avendo da solo ricevuto molte cose, nulla passò in alcuno senza la sua partecipazione“, Perciò è evidente che i vescovi decadono dal diritto e dalla potestà di governare, quando volutamente si separino da Pietro e dai suoi successori; infatti allora si distaccano per scisma dal fondamento, su cui deve basarsi tutto l’edificio; sono esclusi quindi dallo stesso “edificio”, e per la Stessa causa separati dall’”ovile”, la cui guida è il pastore supremo, e banditi dal “regno”, le cui chiavi furono date per volere divino al solo Pietro. – E in questo Noi riconosciamo ancora il celeste disegno e la mente divina che presiedette alla costituzione della società cristiana; cioè, che il divino Autore, avendo stabilita nella chiesa l’unità della fede, del governo e della comunione, elesse Pietro e i suoi successori, perché fosse attuato in essi il principio e il centro dell’unità. Afferma san Cipriano: “Dice il Signore a Pietro: Io ti dico, che tu sei Pietro… Sopra uno solo edifica la Chiesa. E benché a tutti gli apostoli, dopo la sua risurrezione, dia uguale potestà, e dica: Come il Padre ha mandato me…, tuttavia per manifestare l’unità, dispose autorevolmente che l’origine della stessa unità cominciasse da uno solo“. E Ottato di Milevi dice: “Non puoi negare di sapere che nella città di Roma a Pietro per primo fu conferita la cattedra episcopale, sulla quale sedette il capo di tutti gli apostoli, Pietro; affinché in quella sola cattedra l’unità fosse mantenuta da tutti e così neppure gli altri apostoli difendessero le proprie cattedre contro di quella, tanto da essere scismatico e in peccato, chi ne ponesse un’altra contro l’unica cattedra“. E perciò Cipriano afferma che sia lo scisma sia l’eresia nascono dal fatto che non si presta la dovuta obbedienza alla suprema potestà: “Non da altro infatti sono sorte le eresie e sono nati gli scismi, se non perché non si obbedisce al sacerdote, e non si pensa che nella chiesa vi è un solo sacerdote e un solo giudice vicario di Cristo“. Nessuno dunque che non sia unito a Pietro può partecipare dell’autorità, essendo assurdo pensare che possa comandare nella chiesa chi è fuori di essa. Perciò Ottato di Milevi rimproverava i donatisti, dicendo: “Contro le porte (dell’inferno) leggiamo che ricevette le chiavi di salute Pietro, nostro principe, a cui fu detto da Cristo: A te darò le chiavi del regno dei cieli, e le porte dell’inferno non le vinceranno. Perché dunque pretendete di usurpare le chiavi del regno dei cieli, voi che militate contro la cattedra di Pietro?“. – Ma l’ordine episcopale allora solamente si deve credere unito a Pietro, come Cristo comanda, se a Pietro è sottomesso e gli obbedisce: altrimenti diventerà necessariamente una moltitudine confusa e disordinata. Per ben conservare l’unità della fede e della comunione non basta un primato di onore, né una sopraintendenza nella Chiesa, ma è assolutamente necessaria una vera e somma autorità, a cui tutta la comunità obbedisca. – E a che altro il Figlio di Dio mirò, quando al “solo” Pietro promise le chiavi del regno dei cieli? L’espressione biblica e il consenso unanime dei padri non lasciano punto dubitare che col nome di “chiavi” venga in quel luogo significato il supremo potere. Né in altro modo è lecito interpretare quanto viene attribuito separatamente a Pietro, e agli apostoli uniti a Pietro. Se la facoltà di legare, di sciogliere, di pascere fa sì che ognuno dei vescovi, successori degli apostoli, governi con vera potestà il suo popolo, certamente la stessa facoltà deve produrre il medesimo effetto in colui, al quale fu assegnato da Dio l’ufficio di pascere gli “agnelli” e le “pecore”. “(Cristo) costituì Pietro non solamente pastore, ma Pastore dei pastori; Pietro pasce dunque gli agnelli, e pasce anche le pecore; pasce i figli e pasce anche le madri; regge i sudditi e regge anche i prelati, poiché oltre gli agnelli e le pecore non vi è nulla nella chiesa“. Si spiegano quindi le espressioni usate dagli antichi riguardo al beato Pietro, e che significano tutte apertamente un sommo grado di dignità e di potere. Viene indicato spesso coi titoli di principe dell’adunanza dei discepoli, principe dei santi apostoli, corifeo del loro coro, bocca di tutti gli apostoli, capo di quella famiglia, preposto a tutto il mondo, primo fra gli apostoli, baluardo della Chiesa; i quali titoli sembra che san Bernardo voglia racchiudere in queste parole al papa Eugenio: “Chi sei tu? Il gran sacerdote, il sommo pontefice. Tu sei il primo dei vescovi, tu l’erede degli apostoli…. Tu sei colui, a cui furono consegnate le chiavi, a cui furono affidate le pecore. Vi sono pure altri portieri del cielo e pastori dei greggi; ma tu hai ereditato un nome tanto più glorioso quanto più diversamente da essi hai ereditato l’uno e l’altro nome. Ogni pastore ha il suo gregge particolare a lui assegnato; a tè tutti i greggi vennero affidati, a te solo l’unico, tutto il gregge, non solo delle pecorelle, ma anche dei pastori; tu solo di tutti sei il pastore. Mi domandi in che modo io lo provi? Dalla parola del Signore. Infatti a chi, non dico dei vescovi, ma ancora degli apostoli, furono in un modo così assoluto e indefinito affidate le pecore? Se mi ami, o Pietro, pasci le mie pecore, Quali? Popoli di questa o di quella città, o regione, o regno? Le mie pecore, disse. A chi non è manifesto non avergli egli assegnate alcune, ma tutte? Nulla si eccettua, ove nulla si distingue“. – È cosa contraria alla verità e apertamente ripugna alla costituzione divina il dire che i “singoli” vescovi sono soggetti alla giurisdizione dei Papi, e non già tutto il corpo episcopale; poiché tutta la ragion d’essere del fondamento sta nel dare a tutto l’edificio, piuttosto che a “singole sue parti”, unità e saldezza. Il che nel caso nostro è tanto più vero, in quanto Cristo Signore volle che per la virtù appunto del fondamento le porte dell’inferno non prevalessero contro la Chiesa; e questa promessa divina com’è a tutti manifesto, si deve intendere di tutta la chiesa e non delle singole sue parti, le quali possono essere vinte dal furore dell’inferno, e parecchie infatti lo furono. È inoltre necessario che chi è preposto a tutto il gregge non solo abbia il comando sulle singole pecore, ma anche su di esse riunite insieme. Che l’ovile avrà forse da reggere e da guidare il pastore? Forse i successori degli apostoli, uniti in corpo, saranno il fondamento, su cui il successore di Pietro si appoggi per avere fermezza? Chi possiede le chiavi del regno dei cieli, non ha soltanto potere e autorità sopra le singole regioni, ma su tutte insieme; e come ciascun vescovo nella sua diocesi presiede con vera potestà non solo ai singoli individui, ma a tutta la comunità, così pure i papi, il cui potere abbraccia tutta la cristianità, hanno soggette e obbedienti alla loro autorità tutte le parti di questa, anche insieme raccolte. Cristo Signore, come già si disse ripetutamente, concesse a Pietro e ai suoi successori che fossero suoi vicari, ed esercitassero perpetuamente nella chiesa quel potere che egli aveva esercitato nella sua vita mortale. Si dirà forse che il collegio apostolico sia stato superiore al suo maestro? – La Chiesa non cessò mai in alcun tempo di riconoscere e di attestare questo potere, di cui parliamo, sopra il corpo episcopale, potere sì chiaramente indicato dalla sacra Scrittura. Ecco come parlano in questa materia i concili: “Noi leggiamo che il vescovo di Roma ha giudicato i prelati di tutte le chiese, ma che egli sia stato da alcuno di essi giudicato noi non lo leggiamo“. E se ne dà la seguente ragione: “Non vi è un’autorità superiore alla sede apostolica“. Gelasio, parlando dei decreti dei concili, così scrive: “Come fu nullo tutto ciò che non venne approvato dalla prima sede, così ciò che essa ha creduto di dover sentenziare fu ammesso da tutta la Chiesa“. Infatti fu sempre privilegio dei vescovi di Roma confermare o invalidare le decisioni e i decreti dei concili. Leone Magno annullò gli atti del conciliabolo di Efeso; Damaso rigettò quelli del conciliabolo di Rimini, e Adriano II quelli del conciliabolo di Costantinopoli. Il canone XXVIII del Concilio di Calcedonia, perché privo dell’assenso e della volontà della sede apostolica, rimase, com’è noto, senz’alcun valore. Con ragione dunque Leone X nel Concilio Lateranense V sentenziò: “Solo il vescovo di Roma, temporaneamente in carica, ha il pieno diritto e il potere, come avente l’autorità su tutti i concili, di indire, trasferire, sciogliere i concili; e questo è evidente, non solo per testimonianza della sacra Scrittura, dei detti dei padri e degli altri vescovi di Roma e decreti dei sacri canoni ma anche per l’ammissione degli stessi concili“. E per verità al solo Pietro furono consegnate le chiavi del regno celeste, e a lui, unitamente agli apostoli, fu dato, per testimonianza della sacra Scrittura, il potere di legare e di sciogliere; ma non si legge in alcun luogo che gli apostoli ricevessero questo sommo potere “senza Pietro” e “contro Pietro”. Davvero non così l’hanno ricevuto da Gesù Cristo. – E per questo, col decreto del Concilio Vaticano intorno alla ragione e alla forza del primato del vescovo di Roma, non fu introdotto un nuovo dogma, ma asserita l’antica e costante fede di tutti i secoli (del cristianesimo). Né il sottostare a un doppio potere arreca confusione nel governo. Anzitutto la sapienza di Dio, per disposizione della quale questa forma di governo venne stabilita, ce ne vieta anche il semplice sospetto. E poi si deve osservare che l’ordine e le relazioni vengono turbate solamente, se nel popolo vi sono due magistrati dello stesso grado, e indipendenti l’uno dall’altro. Ma il potere del vescovo di Roma è supremo, universale e indipendente, mentre quello dei vescovi è ristretto entro certi confini e non è del tutto indipendente. “Non è conveniente che due siano costituiti sopra lo stesso gregge con poteri uguali; ma non ripugna che due, dei quali uno è superiore all’altro, siano costituiti sullo stesso popolo; così sullo stesso popolo vi sono immediatamente e il parroco e il vescovo e il Papa“. I Vescovi di Roma, memori del loro ufficio, vogliono meglio degli altri conservare nella Chiesa tutto ciò che fu divinamente istituito; e quindi come tutelano la loro autorità con quella cura e vigilanza che si conviene, così sempre si preoccuparono e si preoccupano perché l’autorità dei vescovi sia mantenuta; anzi reputano fatto a sé tutto l’onore e l’ossequio che si rende ai medesimi. Per questo san Gregorio Magno diceva: “E mio onore l’onore della Chiesa universale. Mio onore è il solido vigore dei miei fratelli. Io sono veramente onorato, allorquando a ognuno di loro non si nega il dovuto onore“. – Con quanto si è detto finora abbiamo fedelmente espressa, secondo la divina costituzione, l’immagine e la forma della chiesa. Abbiamo ragionato a lungo dell’unità, e spiegato in che cosa essa consista e con quale principio il divino Autore abbia voluto conservarla. Non dubitiamo punto che la Nostra voce apostolica sia ascoltata da coloro che per favore e grazia di Dio, essendo nati nel seno della Chiesa Cattolica, vivono in essa: “Le mie pecore ascoltano la mia voce” (Gv X,27); né dubitiamo che essi ne trarranno incitamento a istruirsi più profondamente e ad unirsi con maggiore affetto ai propri pastori e per essi al supremo Pastore, affinché possano con più sicurezza rimanere nell’unico ovile e cogliere maggiore ricchezza di frutti salutari. Senonché, fissando il Nostro sguardo “al promotore e coronatore della fede, a Gesù” (Eb XII, 2), di cui, benché impari a tanta dignità e ufficio, sosteniamo la vicaria potestà, il cuore s’infiamma della sua carità; e a Noi non senza ragione applichiamo quello che Cristo disse di se stesso: “Ho altre pecore, che non sono di questo ovile; anche quelle bisogna che le raduni e ascolteranno la mia voce” (Gv X,16). Non ricusino dunque di ascoltarci e di assecondare il Nostro paterno amore quanti hanno in abominio l’empietà, sì largamente diffusa, e riconoscono e confessano Gesù Cristo Figlio di Dio e Salvatore del genere umano, e tuttavia vanno errando lontano dalla sua sposa. Quelli che ricevono Cristo, è necessario che lo ricevano tutto intero: “Tutto il Cristo è capo e corpo (insieme); è capo l’unigenito Figlio di Dio; suo corpo è la Chiesa; lo sposo e la sposa, due in una carne. Chiunque intorno allo stesso capo discorda dalla sacra Scrittura, ancorché concordi in tutti quei punti in cui è designata la Chiesa, non è nella Chiesa. E così pure, chiunque ammette tutto ciò che nella Scrittura si dice dello stesso capo, ma non è unito in comunione con la Chiesa, non è nella chiesa“. Con lo stesso affetto l’animo Nostro vola a coloro che il pestilente soffio dell’empietà non ha del tutto corrotto; essi almeno desiderano grandemente questo, che il vero Dio, creatore del cielo e della terra, sia loro Padre. Costoro considerino attentamente e comprendano che non possono essere annoverati tra i figli di Dio, se non riconoscono come loro fratello Gesù Cristo, e insieme come loro madre la chiesa. A tutti dunque amorosamente ci rivolgiamo con le parole dello stesso Agostino: “Amiamo Dio nostro Signore, amiamo la sua Chiesa; quello come padre, questa come madre. Nessuno dica: Sì, vado dagli idoli, consulto gli invasati e gli indovini, e tuttavia non abbandono la Chiesa di Dio: sono cattolico. Tenendo la madre, hai offeso il padre! Un altro dice: Non consulto alcun indovino, non cerco gli invasati, non cerco sacrileghe divinazioni, non vado ad adorare i demoni, non servo agli dei di pietra; però sono dalla parte di Donato. Che ti giova non avere offeso il padre, se questi vendica la madre offesa? Che ti vale confessare il Signore, onorare Dio, predicarlo, riconoscere il suo Figlio e confessare che siede alla destra del Padre, se bestemmi la sua Chiesa?… Se tu avessi un patrono, a cui ogni giorno prestassi ossequio; e tuttavia manifestassi una sola colpa della sua consorte, avresti tu l’ardire di entrare in casa sua? Abbiate dunque, carissimi, abbiate tutti concordemente Dio per padre, e per madre la Chiesa“. – Avendo piena fiducia in Dio misericordioso, che può muovere efficacemente il cuore degli uomini e spingerli come e dove vuole, con tutto l’affetto raccomandiamo alla sua bontà tutti coloro a cui rivolgemmo la Nostra esposizione. E come pegno dei celesti doni e attestato della Nostra benevolenza, a voi, venerabili fratelli, al vostro clero e al vostro popolo amorevolmente impartiamo nel Signore l’apostolica benedizione.

Roma, presso S. Pietro, il giorno 29 giugno dell’anno 1896, decimonono del Nostro pontificato.

 

IMPUGNARE LA VERITA’ CONOSCIUTA

Questo è il più grave peccato della nostra epoca!

Il Signore stesso ci ha fatto sapere che il peccato contro lo Spirito Santo non sarà perdonato né in cielo né in terra, e la storia ce ne ha dato e ce ne da continuamente conferma: si pensi alla fine dell’impero di Oriente e di Costantinopoli massacrata e cancellata come entità cristiana dall’invasione dei barbari islamici; alla fine dei popoli dell’est che hanno negato e negano ancora il “filioque” Cattolico, ai maroniti e copti ortodossi [oggi assaliti in Egitto, Siria, Iraq etc. dalla solita barbarie islamica]. Ma certamente il nostro Occidente, una volta cristiano, non sta messo molto meglio, perché in quanto a verità impugnate, non è secondo a nessuno e non ha nulla da imparare da chicchessia dal 1958 in poi, basti pensare ai dogmi sempre creduti che dal conciliabolo roncalli-montiniano sono calpestati allegramente dallo sterco e dal letame modernista, apparentemente diviso tra sedevacantismo e progressismo conciliarista, le due corna ramificate del baphomet lucifero! Quindi anche all’Occidente, se i conti tornano considerando la parola di Cristo-Dio e gli avvenimenti storici passati e recenti, sarà riservata la sorte annunziata nei santi Vangeli. – In allerta ci aveva messo anche, con la sua spirituale statura, un santo profeta dei tempi appena passati: San Luigi Grignion de Montfort, che nella sua “Preghiera infuocata” ci descrive nei dettagli i giorni nostri così: “ … La divina legge è trasgredita, il vostro Vangelo abbandonato, i torrenti di iniquità inondano sulla terra e travolgono perfino i vostri servi. Tutta la terra si trova in uno stato deplorevole, l’empietà regna sovrana; il vostro santuario è profanato e l’abominio è fin nel luogo santo”; che sintesi perfetta, lascia senza parole! – È quanto ci conviene meditare in questi giorni dell’ottava di Pentecoste. Proponiamo a questo proposito la rilettura dell’ultima parte di una meravigliosa lettera Enciclica di S. S. Leone XIII, ove questo concetto viene ribadito dall’autorevolezza del Vicario di Cristo … anche questa oggi contestata come dogma di fede.

Da “Divinum illud munus” Enciclica di Leone XIII del 9 maggio, 1897: “… Noi dobbiamo amare lo Spirito Santo, ed è questa l’altra cosa che vi raccomandiamo, perché lo Spirito Santo è Dio, e noi dobbiamo “amare il Signore Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze nostre” (Dt VI,5), e poi Egli è il sostanziale, eterno e primo Amore, e non vi è cosa più amabile dell’amore; tanto più poi dobbiamo amarLo, per gli immensi benefici ricevuti, i quali se sono da una parte testimonianza dell’affetto di chi li fa, sono dall’altra richieste di gratitudine da chi li riceve. E questo amore reca due non piccoli vantaggi. Anzitutto ci spinge ad acquistare una conoscenza sempre più chiara dello Spirito Santo, perché “chi ama – come dice l’Angelico – non è contento di una qualunque notizia dell’amato, ma si sforza di penetrare nelle cose sue più intime, come è scritto dello Spirito Santo che, essendo l’Amore di Dio, scruta le cose divine anche più profonde”. L’altro vantaggio è di aprire sempre più largamente l’abbondanza dei suoi doni, perché come la freddezza chiude la mano del donatore, così al contrario la riconoscenza l’allarga. Perciò soprattutto è necessario che tale amore non consista solo in aride speculazioni e in ossequi esteriori, ma dev’essere operoso, fuggendo il peccato, con cui si fa allo Spirito Santo un torto speciale, giacché quanto noi siamo e abbiamo, tutto è dono della divina bontà, che viene attribuita soprattutto allo Spirito Santo; orbene il peccatore l’offende mentre è beneficato, abusa per offenderLo dei doni ricevuti, e perché Egli è buono, prende ardire a moltiplicare le colpe. – Di più, essendo lo Spirito Santo Spirito di verità, se qualcuno manca o per debolezza o per ignoranza, troverà forse scusa davanti al tribunale di Dio, ma chi per malizia impugna la verità, fa un affronto gravissimo allo Spirito Santo. E tal peccato è adesso sì frequente, che sembrano giunti quei tempi infelicissimi, descritti da Paolo, nei quali gli uomini per giustissimo giudizio di Dio accecati, avrebbero tenuta la falsità per verità e avrebbero creduto al “principe di questo mondo”, al demonio bugiardo e padre di menzogna, come a maestro di verità: “Insinuerà Dio fra essi lo spirito dell’errore perché credano alla menzogna” (2Ts II,10), e “molti negli ultimi tempi abbandoneranno la fede per credere agli spiriti dell’errore e alle dottrine dei demoni” (1Tm IV,1). [cioè il Sedevacantismo ed il “Novus ordo” –ndr.-] – Ma poiché lo Spirito Santo abita in noi, quasi in suo tempio, come sopra abbiamo detto, ripetiamo con l’Apostolo: “Non vogliate contristare lo Spirito Santo di Dio, che vi ha consacrati” (Ef. IV,30). E per questo non basta fuggire tutto ciò che è immondo, ma di più il cristiano deve risplendere per ogni virtù, soprattutto della purezza e della santità, per non disgustare un Ospite sì grande, giacché la mondezza e la santità si convengono al tempio. Quindi lo stesso Apostolo grida; “Non sapete che voi siete tempio di Dio e lo Spirito di Dio abita in voi? Se alcuno oserà profanare il tempio di Dio, sarà maledetto da Dio; infatti santo dev’essere il tempio e voi siete questo tempio” (1Cor III, 16-17): minaccia tremenda, ma giustissima. – Infine dobbiamo pregare lo Spirito Santo, del quale abbiamo tutti grandissimo bisogno. Siamo poveri, fiacchi, tribolati, inclinati al male, ricorriamo dunque a Lui, che è fonte inesausta di luce, di fortezza, di consolazione, di grazia. E soprattutto dobbiamo chiederGli la remissione dei peccati, che ci è tanto necessaria, giacché “lo Spirito Santo è dono del Padre e del Figlio e i peccati vengono rimessi per mezzo dello Spirito Santo come per dono di Dio”, e la liturgia più chiaramente chiama lo Spirito Santo “remissione di tutti i peccati”. – Sulla maniera poi d’invocarLo, impariamo dalla Chiesa, che supplice si volge allo Spirito Santo e lo chiama coi titoli più cari: “Vieni, padre dei poveri, datore dei doni, luce dei cuori, consolatore perfetto, ospite dolce dell’anima, dolcissimo sollievo“: e lo scongiura che lavi, che sani, che irrori le nostre menti e i nostri cuori e conceda a quanti in Lui confidano il “virtù e premio“, “morte santa“, “gioia eterna“. Né si può dubitare che tali orazioni non siano ascoltate, mentre ci assicura che “Egli stesso prega per noi con gemiti inenarrabili” (Rm VIII, 26). Inoltre dobbiamo supplicarlo con fiducia e con costanza perché ogni giorno più ci illumini con la sua luce e ci infiammi della sua carità, disponendoci così per via di fede e di amore all’acquisto del premio eterno, perché Egli è “il pegno dell’eredità che ci è preparata” (Ef 1,14). – Ecco, venerabili fratelli, gli ammonimenti e le esortazioni Nostre intorno alla devozione verso lo Spirito Santo, e non dubitiamo affatto che apporteranno al popolo cristiano buoni frutti in considerazione principalmente della vostra sollecitudine e diligenza. Certo non verrà mai meno l’opera Nostra in cosa di sì grave importanza, anzi intendiamo incoraggiare questo slancio di pietà nei modi che giudicheremo più adatti al bisogno. Intanto, avendo Noi, due anni or sono, col breve Provida matris raccomandato ai Cattolici per la solennità di pentecoste alcune particolari preghiere per implorare il compimento della cristiana unità, Ci piace sulla stessa cosa adesso aggiungere qualche cosa di più. Decretiamo dunque e comandiamo che in tutto il mondo cattolico quest’anno e sempre in avvenire si premetta alla Pentecoste la novena in tutte le chiese parrocchiali e anche in altri templi e oratori, a giudizio degli ordinari. Concediamo l’indulgenza di sette anni e sette quarantene per ogni giorno a quelli che assisteranno alla novena e pregheranno secondo la Nostra intenzione, l’indulgenza plenaria poi o in un giorno della novena, o nella festa di Pentecoste o anche fra l’ottava, purché confessati e comunicati preghino secondo la Nostra intenzione. Vogliamo parimenti che di tali benefici godano anche quelli che, legittimamente impediti, non possono assistere alle dette pubbliche preghiere, anche in quei luoghi nei quali queste a giudizio dell’ordinario non possano farsi comodamente nel tempio, purché in privato facciano la novena e adempiano alle altre opere e condizioni prescritte. E Ci piace aggiungere dal tesoro della Chiesa che possano lucrare di nuovo l’una e l’altra indulgenza tutti coloro che in pubblico o in privato rinnovano secondo la propria devozione alcune preghiere allo Spirito Santo ogni giorno durante l’ottava di pentecoste sino alla festa della santissima Trinità inclusa, purché soddisfino alle altre condizioni sopra ingiunte. Tutte queste indulgenze sono applicabili anche alle anime sante del purgatorio. – E ora il Nostro pensiero ritorna a ciò che dicemmo in principio per affrettarne dal divino Spirito con incessanti preghiere l’adempimento. Unite, dunque, venerabili fratelli, alle Nostre preghiere anche le vostre, anche quelle di tutti i fedeli, interponendo la mediazione potente e accettissima della beatissima Vergine. Voi ben sapete quali relazioni intime e ineffabili corrano tra Lei e lo Spirito Santo, essendone la Sposa Immacolata. – La Vergine con la sua preghiera molto cooperò sia al mistero dell’Incarnazione sia all’avvento dello Spirito Santo sopra gli Apostoli. Continui Ella dunque ad avvalorare col suo patrocinio le Nostre comuni preghiere, affinché si rinnovino in mezzo alle afflitte nazioni i divini prodigi dello Spirito Santo, celebrati già da Davide: “Manderai il tuo Spirito e saranno create e rinnovellerai la faccia della terra” (Sal CIII,30). –

[i grassetti sono redazionali].

ATTENTI AL LUPO TRAVESTITO!

Necessità del mandato canonico

Oggi sembra tutto normale, nel senso che chiunque prenda l’arbitrio di predicare, (compreso il parlare in pubbliche riunioni o lo scrivere in riviste o sulla rete internet), possa esercitare questo delicato compito impunemente e legittimamente. Abbiamo infatti, soprattutto nell’ambito dei (falsi) sedicenti tradizionalisti, delle “fratellanze” paramassoniche, di auto referenziati ed autroproclamati istituti o chiesette di campagna [senza offesa per la campagna!], senza contare i “cani sciolti” [senza offesa per i cani!], tanti prediconzoli che non hanno mai posseduto missione canonica, né alcun tipo di mandato o nihil obstat da chicchessia, secondo le regole della Chiesa Cattolica, e che presumono pure di essere cattolici, ingannando se stessi e gli sciagurati che li seguono. Questa non è l’idea di un cattolico “paranoico”, ma è quanto la Chiesa ha da sempre condannato, … udite, udite, … con la scomunica fin dai tempi remoti, e codificato nel Concilio Ecumenico Laterano IV nel 1215, Concilio “strategico” per la vita della Chiesa di tutti i tempi, presieduto dal grande Papa Innocenzo III. Sappiano allora questi lupi rapaci travestiti da innocui agnellini, e tutti i poveri derelitti che li seguono, che essi sono scomunicati come eretici e quindi fuori dalla Chiesa Cattolica, unica arca di salvezza fuori dalla quale non c’è che il fuoco eterno.

Vi sono alcuni che … con la parvenza della pietà, mentre ne hanno rinnegata la forza interiore… ” (secondo quello che dice l’Apostolo) (2Tm III,5), e si attribuiscono la facoltà di predicare, mentre lo stesso Apostolo dice:” E come lo annunzieranno, senza essere prima inviati?” (Rm X,15) Perciò tutti quelli cui sia stato proibito di predicare, o che senza essere stati mandati dalla Sede Apostolica o dal Vescovo cattolico del luogo, presumessero di usurpare in pubblico o in privato l’ufficio di predicare, siano scomunicati, e qualora non si ravvedessero al più presto, siano puniti con altra pena proporzionata [Conc. Lat. IV- Innocenzo III, cost. 3, Denzing.434].

Le leggi ecclesiastiche sono chiare per tutti, non hanno bisogno di false e cavillose ermeneutiche, così che tutti possano comprenderle e praticarle. Salvatevi dai lupi rapaci e voraci, dalle cui labbra sorridenti bava il sangue degli agnelli ingannati!

Gaude Maria Virgo: cunctas hæreses sola interemisti in universo mundo! 

 

UN’ENCICLA AL GIORNO TOGLIE L’APOSTATA SCISMATICO DI TORNO: “QUAM GRAVE”

Benedetto XIV

“Quam grave”

Riteniamo superfluo dimostrare con molte parole quanto grave ed orrendo delitto commette chiunque, non investito dell’Ordine sacerdotale, presume di celebrare il sacrificio della Messa, dal momento che a tutti sono evidenti le motivazioni per le quali un simile sacrilego crimine giustamente si ritiene che sia da detestare e da punire con una rigorosa applicazione di sanzioni. Sarà sufficiente qui richiamare le Costituzioni Apostoliche dei nostri Predecessori, che stabiliscono pene severissime contro i colpevoli del delitto sopraddetto; quelle cioè che furono emanate dai Romani Pontefici di felice memoria, Paolo IV, Sisto V, Clemente VIII e Urbano VIII; in base alle quali si stabilisce che chiunque è stato scoperto a celebrare la Messa senza avere il carattere sacerdotale debba essere consegnato al Foro secolare per una giusta punizione. – 2. Tutte queste Costituzioni Noi stessi le abbiamo richiamate e confermate nella nostra Costituzione che abbiamo pubblicato fino dall’anno 1744 dell’Incarnazione del Signore, IV del nostro Pontificato, in dato 20 aprile, che inizia con le parole: “Sacerdote in eterno” e che è stata stampata nel Nostro Bollario, Tom I, n. 97; dove inoltre vengono abolite molte eccezioni e scappatoie che la Difesa era solita citare per sottrarre i colpevoli alla pena che loro spettava, di essere consegnati al braccio secolare, ogni volta che con prove inoppugnabili si dimostrasse che i soggetti in questione, senza avere mai ricevuto l’ordinazione Sacerdotale, avevano celebratola Messa. – 3. Benché la Chiesa abbia stabilito che coloro che celebrano senza essere stati ammessi, per esigenza di giustizia debbano essere consegnati al Foro secolare, tuttavia, essendo Madre pietosa e, come tutti sanno, piena di bontà e di misericordia, non ha mai tralasciato e nemmeno ora tralascia di dare prova della sua clemenza, sia nel determinare la forma della degradazione verbale, che di solito precede la degradazione reale, sia nel mettere in atto la degradazione reale, e anche con il ricorso a richiami e interventi per distogliere anche i più depravati dal sacrilego tentativo di intromettersi nella celebrazione dei Sacri Misteri senza l’ordine e il carattere Sacerdotale; chiudendo loro in qualche modo la strada che li avrebbe portati alla pena suddetta, quella di essere consegnati al braccio secolare. – 4. Nel Pontificale Romano si trova la formula della degradazione verbale mediante la quale si proferisce la sentenza che comporta la degradazione reale, non solo nei riguardi di coloro che sono insigniti dei Sacri Ordini, escluso il Presbiterato, ma anche contro tutti gli altri che hanno ricevuto solo la Tonsura Clericale o gli Ordini Minori. – Fra le due c’è solo questa differenza: nei riguardi dei Chierici che hanno ricevuto gli Ordini Minori o solo la Tonsura, la degradazione verbale e parimenti quella reale sono stabilite dal solo Vescovo, senza l’intervento di altre persone; nei riguardi degli altri, insigniti degli Ordini Maggiori precedenti il Sacerdozio, il Vescovo non può procedere alla degradazione verbale se non con l’assistenza e il suffragio di alcune altre persone, la cui presenza e il cui parere sono richiesti dalle Leggi Canoniche. – 5. Nota è la Decretale del nostro Predecessore, il Papa Bonifacio VIII, nella quale si legge: “Circa questo argomento, ecco la nostra risposta: la degradazione verbale o deposizione dagli Ordini o dai Gradi Ecclesiastici deve essere fatta dal proprio Vescovo con l’assistenza di un certo numero di Vescovi stabilito dai Canoni, se si tratta di Chierici costituiti nei sacri Ordini; se invece si tratta della degradazione di coloro che hanno ricevuto solo Ordini Minori, è sufficiente il parere del proprio Vescovo, senza la presenza di altri Vescovi” (cap. Degradazione delle Pene, al sesto). .2. Note pure sono le sanzioni dei Canoni, indicate dalla Glossa Canonica (nel cit. cap. Degradazione, sezione canonica delle pene, al sesto), che definiscono il numero dei Vescovi la cui assistenza è richiesta quando si deve pronunciare la degradazione verbale nei confronti di un Chierico costituito negli Ordini Maggiori. – 7. E non si può ignorare ciò che è stato stabilito dal Concilio di Trento (sess. XIII, cap. 4, Della Riforma): constatato che non sarebbe stato facile reperire il numero di Vescovi richiesto dai Canoni ogni volta che si deve procedere alla degradazione, il Vescovo può procedere anche senza di essi, servendosi tuttavia, in tale situazione, di altrettanti Abati residenti nella Città o nella Diocesi e decorati, per indulto della Sede Apostolica, di Mitra e Pastorale, o, se questi non ci sono, di altre persone insigni per Dignità Ecclesiastica, di età matura, e profondi conoscitori delle leggi sacre. – 8. Poiché secondo l’antica disciplinale degradazioni verbali venivano fatte nei Sinodi Provinciali e in essi i singoli Vescovi esprimevano il proprio voto, tenuto presente che attualmente i Vescovi, o gli altri Ecclesiastici di cui abbiamo detto sopra, tengono il posto dei Padri che partecipavano ai Concili i Provinciali, se ne deduce chiaramente che ad essi è trasferito il diritto di voto nelle degradazioni verbali a cui sono invitati come Assessori; come abbiamo chiaramente dimostrato nel nostro Trattato “Del Sinodo Diocesano” (lib. 9, cap. 6, n. 4), recentemente pubblicato. – 9. Alla degradazione verbale segue la degradazione reale; nel Pontificale Romano sono indicate chiaramente le norme con cui metterla in atto. E anche in questo la Chiesa non tralascia di dare prove evidenti della sua bontà e della sua comprensione. Infatti, prima che il degradato venga consegnato al Ministro del Foro secolare, si chiede insistentemente per lui che non gli venga inflitta né la pena di morte né la mutilazione di membra: “Signor Giudice – sono parole del Pontificale sopraccitato –, con tutto l’affetto possibile Vi supplichiamo, per amore di Dio, in vista della pietà e della misericordia, e anche di queste preghiere che Vi rivolgiamo, di non esporre questo miserabile al pericolo di morte e di mutilazione“. E molto prima della compilazione del Pontificale Romano, la stessa cosa si legge espressamente nel cap. “Sappiamo“, dell’opera “Sul significato delle Parole”, dove è detto: “Per lui tuttavia – si parla del degradato che deve essere consegnato al Foro secolare – la Chiesa deve efficacemente intercedere – presso il Giudice laico – perché, esclusa la pena di morte, la sentenza nei suoi confronti sia benigna“. Si può vedere anche Alteserra al cit. cap. “Sappiamo” dell’opera “Sul significato delle parole“, in cui raccoglie molte testimonianze dei Padri perfettamente in linea con quanto stabilito nella sopraindicata Decretale. – 10. Per confermare il nostro asserto circa la grandissima premura che la Chiesa usa anche verso quelli che non la meriterebbero e cerca di fermarli perché non incorrano nella pena di morte in conseguenza di qualche loro delitto, affermiamo che, con una previdenza che risale ai tempi antichi, è stato stabilito: chi dalla propria si trasferisce in altra diocesi, se in questa non è ben conosciuto, rechi con sé una lettera del suo Ordinario con la quale dimostrare che egli è sacerdote e, per quello che si sa, non è soggetto ad alcun impedimento canonico che gli vieti la celebrazione dei Sacri Misteri. Questo era già stato decretato anche dal Santo Sinodo di Calcedonia; nel quale, là dove si legge che non è lecito ad un Chierico e Lettore trasferirsi dalla sua in altra Diocesi senza aver prima ottenuto dal proprio Vescovo la lettera ricordata sopra, che chiameremo di Congedo, Giacomo Cuiazio e, dopo di lui, altri attenti Scrittori, hanno notato che la parola “Lettore” non combina con il contesto e pertanto si deve leggere “non conosciuto“; cosa che noi stessi abbiamo fatto notare nella nostra Istruzione 34 (edizione latina, par. 1). Che se poi si vogliono ricercare anche i più antichi princìpi di questa disciplina, si possono consultare i Canoni detti Apostolici, presso il Cotelerio nella edizione dei Padri Apostolici (tomo I, lib. 8); tra i quali c’è il Canone XIII che stabilisce: “Se un Chierico, o un laico, sospeso dalla comunione, o anche in comunione, si reca in altra Città ed è accolto senza la lettera commendatizia, sia coloro che l’hanno accolto, sia colui che è stato accolto, siano scomunicati; e allo scomunicato si faccia giungere la stessa correzione che si farebbe a chi ha mentito e ha ingannato la Chiesa di Dio“. Concorda con questo il Canone XXIV, come risulta da queste parole in esso contenute: “Nessun Vescovo in viaggio, o Presbitero, o Diacono, sia accolto senza le lettere commendatizie; e quando presentano le lettere, se ne esamini attentamente il contenuto; e siano accolti, se risultano di provata pietà; altrimenti non si dia loro neanche il necessario e in nessun modo siano ammessi nella comunione: da un comportamento surrettizio possono derivare molte cose“. – 11. Anche se vi è discussione fra gli studiosi circa il vero Autore dei Canoni Apostolici, la loro autorità comunque è grande, essendo stati raccolti almeno nel secolo terzo della Chiesa dai vari Concili celebrati prima del Sinodo di Nicea; cosa sulla quale ora sembrano d’accordo i ricercatori di antiche memorie sacre. – 12. A queste santissime leggi sono conformi le sanzioni del Concilio di Trento, come sono conformi le Encicliche inviate con frequenza dalle Congregazioni romane ai Vescovi delle varie Chiese. E si deve tenere per certo anche questo: benché il Vescovo non debba preoccuparsi dei Religiosi che intendono celebrare Messa nelle proprie chiese, dato che la responsabilità è demandata ai loro Superiori Regolari, tuttavia se un Sacerdote secolare vuole celebrare Messa in una Chiesa di Religiosi, anche in questo caso è tenuto a presentare la lettera di congedo ottenuta dal proprio Ordinario al Vescovo della Diocesi in cui vuole compiere il Sacro rito; come si può vedere anche nella nostra Istruzione 34 (edizione latina, par. 1). – 13. Questa antica e giustissima sanzione, della cui esecuzione molti particolari ci hanno tramandato i nostri Scrittori esperti di diritto pratico (tra i quali è degno di particolare menzione il diligentissimo, Monacellio (Formule Legali, Parte I, Tit. 4, Formula 8, p. 81 e Formula 6, p. 79; così pure Tit. 6, Formula 18, p. 160), l’ha resa ancora più efficace, con previdenti norme di prudenza, quel grande riformatore della disciplina ecclesiastica che è San Carlo Borromeo; esortiamo a leggere e studiare attentamente i Decreti da lui emanati in questa materia, presenti in molti documenti: nel primo Concilio provinciale di Milano, tenuto nel 1565, parte 2; poi nel Concilio provinciale secondo del 1569, Decr. 1, e nel Concilio provinciale terzo del 1573; poi nella Istruzione ai Sacerdoti circa la celebrazione della Messa; e infine nel Concilio provinciale quarto tenuto nel 1576. In questi passi troviamo prescritto che il Parroco nella cui Parrocchia un Sacerdote straniero pone il suo domicilio, se questo avviene nel Forese, entro otto giorni al massimo deve segnalare il suo arrivo al Vicario Foraneo, che a sua volta informerà il Vescovo; se invece avviene in Città, il Parroco stesso informi direttamente il Vescovo che si farà consegnare dal Sacerdote in questione la lettera di congedo e la esaminerà e ne valuterà attentamente il tenore. Se infatti l’Ordinario al Sacerdote a lui soggetto ha dato il permesso di assentarsi per un periodo di tempo ben definito, si prescrive che la facoltà di celebrare Messa gli sia concessa solo per quel tempo. E si prescrive anche di prendere nota del giorno in cui fu consegnata la lettera di congedo: dal giorno in cui viene presentata per essere letta ed esaminata non debbono essere passati rispettivamente più di due o di quattro o di sei mesi; di due, se è stata scritta in Provincia; di quattro, se è stata scritta fuori Provincia, ma in Italia; di sei, se risulta datata fuori d’Italia. – 14. Da tutte queste norme generali e particolari si deduce chiaramente quanto la Chiesa sia riluttante nell’applicare quella pena che i Sacri Canoni hanno stabilito contro coloro che celebrano senza essere stati promossi al sacerdozio; essa eleva in qualche modo degli argini affinché nessuno cada in tale delitto che darebbe luogo alla pena determinata dalle Sacre Leggi. – 15. A dimostrazione di questo tuttavia è ancora più importante ciò che stiamo per dire. Uno si presenta al Giudice Ecclesiastico e si accusa di aver celebrato il sacrificio della Messa o anche di avere ascoltato la Confessione Sacramentale dei fedeli pur non avendo ricevuto l’Ordine Sacerdotale. Presentandosi spontaneamente usufruisce di un privilegio in forza del quale gli si assegnano salutari penitenze e poi viene dimesso, purché non sia, come si dice, “in ipso suo Constituto diminutus” o abbia precedenti penali; in questi casi infatti deve essere trattenuto e custodito in carcere. Ma se il medesimo soggetto in seguito alla domanda del Giudice se conosca il motivo per cui è stato associato al carcere, subito, senza attendere ulteriori domande o interrogatori, confessa il tutto apertamente, benché non ci sia dubbio sul fatto che è incorso nelle sanzioni penali previste dalle Costituzioni Apostoliche e che quindi, come reo di delitto capitale, meriti di essere consegnato liberamente al Foro secolare, tuttavia gli si può concedere il beneficio della diminuzione della pena, commutando la pena di morte nella condanna alle triremi in perpetuo; come attesta il Cardinale Albizio di fel. mem., espertissimo in questa materia: “Se colui che è citato in giudizio e convocato, alla domanda generica se sappia per quale motivo è stato chiamato o se conosca la causa della sua carcerazione o come mai si trovi lì, confessa tutta la verità, viene trattato come se fosse spontaneamente reo confesso e con lui si procede con mitezza, specialmente dopo la condanna, e cioè la pena più grave viene commutata in una pena più mite ecc. E così fu deciso nella Sacra Congregazione il 12 maggio 1604” (trattato Dell’Incostanza nella Fede, part. I, cap. 14, n. 70). – 16. Altro fatto degno di nota: benché il Pontificale Romano prescriva tassativamente la degradazione, anche per chi ha ricevuto solo la prima Tonsura clericale – quantunque poi si discuta se questa debba o no essere posta fra gli Ordini, e si discuta se il Giudice Ecclesiastico possa, come abbiamo notato, procedere da solo alla degradazione nel caso di Ordini Minori, cosa che invece non può fare senza l’intervento di altre persone quando si tratta di Ordini Maggiori –, tuttavia attualmente accade che Sacerdoti e altri Chierici, sia di Ordini Maggiori che Minori, vengano liberamente condannati alle triremi o anche al carcere in perpetuo, senza che sia stata fatta prima la Degradazione verbale e tanto meno quella reale; come a tutti è noto, e come anche è stato fatto notare dal Sacerdote Catalani nel Commentario al Pontificale Romano (Tit. 16, § 4, n. 6, tomo III). – 17. Nelle prigioni dei Tribunali Ecclesiastici anche ora è possibile trovare alcuni detenuti, incarcerati per il fatto che, privi dell’Ordine Sacerdotale, hanno celebrato la Messa, hanno ricevutola Confessione Sacramentale dei fedeli, e inoltre ai fedeli che chiedevano la Comunione Eucaristica hanno distribuito loro particole non consacrate, in quanto consacrate da loro. Fra questi ve ne erano due che alla domanda se conoscessero la causa della loro detenzione hanno ingenuamente confessato tutto; di qui è nata la questione se fosse il caso di concedere loro la diminuzione della pena, cioè invece di consegnarli al Foro Secolare, come meritevoli di sentenza capitale, condannarli alle triremi o al carcere perpetuo. – 18. Da parte di coloro che emisero la sentenza o come consulenti o come giudici non ci fu alcun dissenso sul fatto che ambedue i rei erano incorsi nella pena che li faceva consegnare al Foro secolare e perciò alla pena capitale. Alcuni però fecero osservare che, in vista della loro pronta confessione, nella quale ognuno dei due aveva ammesso pienamente il proprio delitto senza attendere ulteriori domande da parte del Giudice, ambedue avevano meritato di essere considerati rei confessi e perciò era il caso di condannarli alle triremi o al carcere perpetuo. Ma altri in numero maggiore espressero parere contrario, cioè che erano incorsi nella pena capitale e quindi dovevano essere consegnati al braccio secolare. – 19. Il persistere della nostra malattia ci ha impedito di partecipare, come in simili casi ci siamo proposti di fare sempre, alle Congregazioni in cui sono stati discussi questi casi; ma poiché dopo non abbiamo tralasciato di leggere ed esaminare tutta la documentazione, abbiamo giudicato più conforme alla clemenza e mansuetudine propria del Pontefice aderire alla sentenza più mite; tanto più che anche il Cardinale Albizio, versatissimo in questa materia, ha lasciato scritto che è consuetudine concedere come premio questa diminuzione di pena a coloro che alla prima interrogazione del Giudice avessero confessato integralmente e apertamente il proprio delitto; e vi sono parecchi esempi di cause che in questo modo in simili circostanze sono state commutate. Pertanto è nostra volontà che i rei soprannominati godano della diminuzione della pena meritata, cioè che siano condannati in perpetuo alle triremi, cosicché non ne possano mai essere liberati né ottenere una commutazione di questa pena, a meno che non venga disposta dal Romano Pontefice allora in carica e che sia al corrente dei loro delitti con tutte le circostanze che li hanno accompagnati; resta però la facoltà ai Giudici di sostituire quella pena con l’ergastolo o il carcere perpetuo qualora risulti che la condanna alle triremi in perpetuo non conviene in alcun modo a siffatti rei, sempre che non manchino le altre condizioni necessarie allo scopo. Inoltre stabiliamo e decretiamo che quando dovrà essere formalmente intimata ai rei suddetti la condanna alle triremi o alla reclusione perpetua, come si è detto sopra, questa intimazione venga fatta dal Giudice, alla presenza di coloro che sono incaricati di gestire le Sagristie delle Chiese e che perciò dovranno essere convocati a questo scopo dallo stesso Giudice, sotto pena di sanzioni da infliggersi loro a suo arbitrio; e in quella occasione venga loro fatta una grave ammonizione sulla rigorosa osservanza ed esecuzione di tutte le prescrizioni in materia: cioè che non permettano mai a sacerdoti non conosciuti di celebrare la Messa se non dopo che la lettera di congedo, che hanno portata dalla propria diocesi e presentata, sia stata esaminata e valutata da colui che ha questo incarico. Ricordiamo che altre volte questo si è verificato in questa medesima Città, sotto il nostro Predecessore di felice memoria il Papa Clemente XI, quando si dovette consegnare al Foro secolare un reo condannato alla pena capitale, perché aveva celebrato la Messa senza essere insignito dell’Ordine Sacerdotale. – 20. Decretiamo quindi che dai Giudici competenti e dati Tribunali si proceda secondo le norme fin qui descritte contro coloro dei quali risulta fino ad oggi che hanno celebrato la Messa o hanno ricevuto la Confessione Sacramentale senza essere stati ammessi al Sacro Ordine del Presbiterato. Ma poiché siamo convinti che questo delitto, gravissimo in sé e ogni giorno più frequente, con ogni mezzo deve essere impedito e, per quanto possibile, eliminato ed estirpato dalle Nazioni Cristiane, decretiamo che la nuova legge in materia determinata mediante una Costituzione Apostolica (di cui la Tua Fraternità riceverà un esemplare annesso a questa Lettera) in futuro, passati cioè tre mesi dalla data della medesima Costituzione, sia rigorosamente osservata e messa in atto. – Frattanto a te, Venerabile Fratello, con molto affetto impartiamo la Benedizione Apostolica.

Datum Romæ, apud S. Mariam Maiorem, die 2 Augusti 1757, Pontificatus Nostri Anno XVII.

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Se le norme citate in questa Lettera enciclica del Santo Padre Benedetto XIV, venissero applicate oggi, praticamente non ci sarebbe più posto nelle carceri italiane, d’oltralpe, ed anche d’oltre oceano. Qui di persone che pseudo-celebrano messe e somministrano sacramenti (per fortuna falsi) ce n’è una quantità incalcolabile. Infatti: 1) da un lato ci sono i finti sacerdoti e vescovi del novus ordo: sacerdoti che non hanno mai ricevuto la tonsura ecclesiastica, non hanno mai ricevuto gli ordini minori né maggiori, secondo le norme del Concilio di Trento che sono infallibili ed irreformabili in eterno; in più sono stati “ordinati” (si fa per dire!) dai falsi vescovi sacrileghi, gli eletti manichei consacrati (anche qui … si fa per dire!) dalla formula mostruosa del “mago-trasformista” Bugnini ed autorizzata dal marrano omosex. il 18 giugno 1968! I pochissimi sacerdoti canuti ancora viventi, ordinati da vescovi anziani negli anni 50 0 60, oramai si contano sulle dita di pochissime mani, e sono tutti “ipso facto” scomunicati latæ sententiæ dalla bolla “Exsecrabilis” di Papa Piccolomini, e dalle altre numerose bolle [Paolo IV, Pio V, Sisto V Clemente VIII, Pio VI, Pio IX, Leone XIII, Pio X etc. etc.,] e costituzioni conciliari, e infarciti dalle relative censure. 2) Dall’altra parte abbiamo gli eredi di Lienart, massone 30° Cavaliere kadosh, “nokem Adonay” ben prima di farsi coinvolgere in riti di consacrazione mai validi per difetto, assenza di intenzione, o meglio per “proposito di contro-intenzione! Questa non consacrazione è stata poi trasferita al suo “compariello” Lefevbre, che a sua volta non ha potuto [poverino!] mai passare a nessuno quel che egli stesso non aveva mai posseduto. Da questa “vite” selvatica sono pure spuntati molti germogli fradici e secchi [i cosiddetti sedevacantisti ed i sedeprivazionisti, Papi di se stessi [una cum nemine], che hanno dato vita a cappellucce, chiesette autogestite ed autoreferenziate, oltre a vari cani sciolti, lupi rapaci, che non hanno nessuna missione canonica, alcuna giurisdizione ed ancor meno alcuna “lettera di congedo” da chicchessia. Qui ci vorrebbe una flotta di triremi per “sistemare” quelli che in tempi passati sarebbero stati dei galeotti, triremi che potrebbero essere utilizzate per trasportare clandestini … o pardon! … migranti in giro per il mondo! Le norme per questo tipo di sciacallaggio spirituale, erano veramente terribili ed affidate al braccio secolare, che con grande rigore, non ne risparmiava alcuno. Perciò il Santo Padre credette opportuno intervenire per mitigarne le pene e scongiurarne la morte prevista dal codice penale. Oggi questo pericolo per la numerosa “banda” dei falsari, non esiste più purtroppo, per la società che è eramai scristianizzata e massonizzata, ma un vero Cattolico deve continuare ad usare per la preghiera, la formula del Pontificale Romano, riportata nell’Enciclica,  rivolgendosi non più al giudice del tribunale umano, bensì al Sommo Giudice del Tribunale celeste: “Domine Iudex, rogamos Vos cum omni affectu, quo possimus, ut amore Dei, pietatis et misericordiæ intuitu, et nostrorum interventu precaminum, miserrimo huic nullum mortis, vel mutilationis periculum inferatis” [Signor Giudice, con tutto l’affetto possibile Vi supplichiamo, per amore di Dio, in vista della pietà e della misericordia, e anche di queste preghiere che Vi rivolgiamo, di non esporre questo miserabile al pericolo di morte e di mutilazione … “spirituale”!]

 

S. PIETRO, PAPA OCCULTO?

S. PIETRO, PAPA OCCULTO?

… Come i primi 40 Papi … secondo i sedevacantisti,  ed i teologi “faidate”!

Dal momento che la presenza del Papa legittimo, Gregorio XVIII, canonizzato validamente dai “veri” cardinali di Gregorio XVII [per i pagani e massonizzati: il Cardinal Siri], costituisce una situazione che di colpo cancella la falsa chiesa del novus ordo, le deliranti e sconce elucubrazioni sacrileghe di eretici sedevacantisti, sedeprivazionisti, fallibilisti e cani sciolti vari in libera uscita, si è cominciata ad insinuare l’idea balzana che il Papa “occulto” non abbia nulla di lontanamente cattolico. Questo è assolutamente vero, e a ben vedere è un’etichetta che ben si addice ed è applicabile esattamente ai papaclown dell’attuale Vaticano, ove il Papa c’è [… secondo loro!] ma non si vede, o meglio: si vede, ma non c’è! Effettivamente trattasi di “papa” occulto, una definizione che solo a sentirla fa accapponare la pelle. Ma non è finita qui, perché a sostegno di questa idea strampalata, si fa riferimento addirittura al divin Maestro Gesù-Cristo che avrebbe proclamato S. Pietro Capo della Chiesa pubblicamente! Questa è un’asserzione evidentemente vera per la Chiesa, ma falsa per coloro che non appartengono ad essa, come i modernisti conciliari e i sedevacantisti di ogni tipologia. Evidentemente i nostri “teologi fai da te”, essendosi svenati a consultare tutte le opinioni teologiche, si sono dimenticati di aprire il Vangelo, in particolare quello di S. Matteo, di S. Giovanni, e gli Atti degli Apostoli, mostrando pure una ignoranza colossale della storia della Chiesa. Ed allora diamo una bella rinfrescata alla mente annebbiata di questi intellettualoidi che giocano al “piccolo teologo”. “Dixit Ei: Pasce oves meas” [s. Jon. XXI, 17]; in S. Matteo al cap. XVI abbiamo con più particolari: “[13] Venit autem Jesus in partes Cæsareæ Philippi: et interrogabat discipulos suos….(…) [18] Et ego dico tibi, quia tu es Petrus, et super hanc petram ædificabo Ecclesiam meam, et portæ inferi non prævalebunt adversus eam.  Et tibi dabo claves regni cælorum. Et quodcumque ligaveris super terram, erit ligatum et in cælis: et quodcumque solveris super terram, erit solutum et in cælis. Tunc præcepit discipulis suis ut nemini dicerent quia ipse esset Jesus Christus. [XVI; 13, 18-20]. Questa sarebbe la proclamazione ufficiale del primo Pontificato fatta personalmente dal Capo della Chiesa Gesù-Cristo. La domanda che si pone ora è questa: “Ma sembra questa essere una proclamazione pubblica?” Le risposte possibili sono: 1) “Si, certamente – direbbe un Apostolo presente al fatto – essa fu conosciuta da noi tutti Apostoli, compreso la “canaglia” di Kariot, presenti sulla via di Cesarea e sulle rive del mare di Tiberiade [dove la canaglia non c’era più], all’apparizione di Gesù risorto, notizia che abbiamo poi man mano, quando ne abbiamo avuto la possibilità, estesa a tutti i credenti, ai Cristiani, che hanno saputo in un secondo momento che il Vicario di Cristo fosse s. Pietro, pur non avendolo mai potuto vedere direttamente”. – 2) No, essa non è mai stata pubblica – direbbe il fariseo ed il sadduceo, lo scriba, il pagano romano o greco – noi non l’abbiamo mai veduta, … la proclamazione andava fatta pubblicamente e solennemente, magari nel tempio o nel sinedrio a Gerusalemme, o nel senato a Roma. Quindi s. Pietro bar-Iona, sarebbe stato un pontefice “occulto” perché non visibile e non proclamato ufficialmente in un luogo pubblico frequentato da pagani, ebrei, atei, agnostici e gnostici, cabalisti, filosofi greci, e [aggiungerei …] oggi, dai sedevacantisti! Sembrerebbe avviarsi così l’ennesima diatriba, ma l’inghippo si supera con estrema facilità, come si può ben vedere già dalla stessa narrazione evangelica. La proclamazione del Pontefice è un affare che riguarda e compete alla Chiesa Cattolica, e va fatta con tutti i crismi e i canoni comandati dalla Chiesa stessa, stabiliti cioè da un Santo Padre [si guardi ad es. la XIX tesi della XIV questione del Cardinal Billot in De Ecclesia Christi], sia per i tempi di pace, che per i tempi di persecuzione; pertanto una volta eletto il Cardinale designato, la proclamazione avviene davanti agli stessi cardinali elettori ed alla parte [il piccolo gregge] della Chiesa presente, e non c’è scritto da nessuna parte che ci debba essere una rete televisiva che diffonda, tra una pubblicità e l’altra di pannolini e profilattici, la notizia a pagani, atei, massoni, eretici, protestanti o sedevacantisti, liberi pensatori che interpretano malamente scritture e magistero “pro domo sua”, a servizi segreti o ad indifferenti curiosi. La proclamazione va fatta davanti agli “Apostoli” designanti, e se i tempi lo permettono, davanti al mondo “fuori dalla Chiesa”. A quel punto l’elezione è valida a tutti gli effetti e nessuno potrà obiettare alcunché, anche se l’esercizio del Mandato pontificale non potrà essere costatato immediatamente da tutti, perché impedito. Tra i fedeli la notizia viene diffusa poi, come già accennato, con prudenza dagli stessi “Apostoli” designanti o dal clero e dai laici di comprovata fedeltà! Il Papa “occulto” è quindi argomento ozioso per atei, eretici, massoni, fallibilisti e tesisti, sedevacantisti apocalittici o monasteriali, e dementi vari fuori ospizio, in buona o cattiva fede; il Cattolico della Chiesa di Cristo sa di essere perseguitato e sa pure che il Santo Padre ancor più è perseguitato ed impedito nel suo Ufficio Apostolico, “Carica” che è legittima e reale, spiritualmente efficace e garante di tutta la Gerarchia in esilio e di tutti i veri Sacramenti, della Santa Messa “una cum” [Gregorio, nel nostro caso], l’unica Messa su tutto il pianeta terra attualmente valida ed operante come Sacrificio di Cristo offerto al Padre, unico culto a Lui gradito, come è sempre stato nella storia della Chiesa. I poverini, i “sede-occultisti” si dicono … in difficoltà … nella situazione attuale della Chiesa. Falso! Essi sanno ben guazzare in questo fango da loro alimentato e voluto per confondere tanti fedeli onde perderne l’anima per sempre, ed in questo si mostrano servi di satana, venduti per un piatto di putride lenticchie, quattro banconote o per insana vanità! – Ma torniamo alla storia della Chiesa, volutamente obliata: qui di Papa “occulto” [secondo il loro modo di dire modernista], oltre a S. Pietro ce n’è a iosa, ricordiamo per brevità San Clemente I, finito -pensate- in Crimea, S. Evaristo, S. Cornelio, etc, tutti proclamati in catacombe senza che ci fosse nemmeno un cronista dell’epoca a riportare la notizia a tribuni, sinagoghe, circhi massimi o minimi, al senato o al sinedrio, o nelle terme dei patrizi! Tutti questi Papi, martiri e santi confessori, non avrebbero nemmeno una … parvenza di “cattolicità”! Al momento non erano conosciuti da nessuno fuori dalla Chiesa, e la maggioranza dei Cristiani hanno saputo finanche dopo secoli, chi era stato il loro Papa, o il Papa dei loro genitori o nonni! A questo punto non sappiamo se ridere scompisciati, o piangere afflitti per questi fratelli marci nell’anima, ma pure nella mente. Preghiamo per essi perché siano ricondotti nella Chiesa Cattolica, l’unica Arca di salvezza, nella quale si ostinano con ogni sofisma e cavillo a non volere entrare. Chiediamo a tutti gli iscritti all’Arciconfraternita del Cuore Immacolato di Maria di pregare per la loro conversione … a noi no, ma alla Vergine Immacolata tutto è possibile ottenere da Dio, anche la conversione degli eretici e degli stolti! Ad ogni buon conto per i Cattolici [il piccolo resto], riportiamo per completezza le disposizioni che Papa Gregorio XVII in vista delle elezioni papali in tempi di persecuzione, ha scritto in un documento ben noto e ben “conservato” dalla Gerarchia da lui legittimamente creata.

Papa Gregorio XVIII ha ricevuto il potere secondo le norme determinate da Papa Gregorio XVII: Proclamazione del Papa davanti alla Chiesa e, quando possibile, davanti al mondo profano e pagano!

I. In tempi di pace:

1) Conclave – a) Elezione e b) Ricezione della Giurisdizione da parte del Cardinale eletto che diventa immediatamente Papa in presenza di una piccola parte della Chiesa;

2) fumata bianca. – Annuncio “Habemus Papam”,

3) Il Papa appare prima davanti a tutta la Chiesa, poi davanti al mondo sulla “balconata” di piazza S. Pietro. 

I. In tempi di persecuzioni:

1) Conclave – a) Elezione e b) Ricezione della Giurisdizione da parte del Cardinale eletto che diventa immediatamente Papa in presenza di una piccola parte della Chiesa, 2) Il Papa appare davanti agli elettori, quindi passo dopo passo davanti alla Chiesa intera. Nessuna fumata bianca dalla Cappella Sistina, né l’apparizione sulla “balconata” di piazza San Pietro in tempi di persecuzioni, perché la Chiesa è eclissata.

La differenza che oggi esiste tra il N.O. e la Chiesa Cattolica è che il N.O. è in “tempi pacifici”, mentre la Chiesa Cattolica è in tempi di persecuzioni.

Papa Gregorio XVIII agisce “in eclissi” e non può apparire davanti al mondo intero e perfino davanti a tutta la Chiesa. Così è sempre stato in tempi di persecuzioni. Tanti Papi perseguitati e in esilio sono stati conosciuti dopo secoli … ma per gli eretici, erano Papi “occulti”, in cui non c’era neppure l’ombra della Cattolicità! – Che Dio ci scansi!

 

IL GIURAMENTO ANTIMODERNISTA

Il giuramento antimodernista fu introdotto da papa Pio X con il motu proprio Sacrorum Antistitum il 1 settembre 1910. – Il giuramento obbligava i modernisti, come spiega Civiltà Cattolica [quando ancora era un giornale cattolico], a riconoscere “l’errore e convertirsi, o almeno, di gettare la maschera e scoprirsi {…} riconducendoli ad una sincera adesione e ad una professione schietta delle dottrine della fede”. Il Santo Padre aveva compreso molto bene che l’attacco alla Chiesa veniva soprattutto dalla quinta colonna dei modernisti infiltrati che con astuzia ed inganno, andavano occupando le “poltrone” più ambite e le “leve di comando” della gerarchia e delle istituzioni della Chiesa Cattolica. Con questo giuramento egli voleva mettere quantomeno un argine al diluvio di empietà che montava nei sacri palazzi e che sarebbe sfociato incontenibile nel “conciliabolo roncallo-montiniano”. Come sappiamo, poi, la cosa fu gestita da autorità deboli ed ondeggianti nella fermezza del loro operato, così ché addirittura il giuramento fu una prima volta eliminato, poi ripristinato da Pio XII e naturalmente, in pieno marasma conciliare e post conciliare, venne definitivamente abolito da sua satanità, il marrano omosessuale antipapa ultramodernista, pontefice degli Illuminati, la “ruspa” demolitrice delle fondamenta della Chiesa, da colui che intronizzò il suo mandante: satana, in Vaticano nella Cappella Palatina il 29 giugno del 1963 con una doppia messa nera. Questo documento però non è semplicemente un reperto di antiquariato storico, bensì un’appendice al Credo di S. Atanasio, per cui il “vero” cattolico dovrebbe recitarlo insieme al “simbolo” per comprendere bene i confini della fede cattolica, l’unica che appartiene alla Chiesa di Cristo, l’unica fede che da salvezza eterna; quindi oltre che un documento da studiare e meditare con grande attenzione, esso deve essere recitato come una preghiera in appendice al “Simbolo atanasiano”, anzi come integrazione in chiave antimodernista dello stesso, sperando così di dare un piccolo ma significativo contributo alla eradicazione del modernismo oggi in doppia versione: 1) a marcia rapida [il Novus ordo mondialista], ed 2) a “marcia apparentemente ridotta” e doppiamente ingannevole dei movimenti “tradizionalisti”, puntello oramai irrinunciabile del primo, del quale critica tanti aspetti evidenti [giusto per dare un pò di fumo negli occhi di fedeli deboli ed ignoranti della dottrina cattolica], ma in realtà poi sempre pronto a sostenerli con arguzie ed artifici pseudo-teologici [si pensi solo di passaggio alla buffa ed antitomistica Tesi del domenicano, falso vescovo francese della linea dello psico instabile Thuc, o alle eresie di Fenney e sedevacantisti vari, di ridicoli monasteri, di fittizi istituti e di cani sciolti in libero scorrazzamento]. Con tali intenzioni, proponiamo ai fedeli “veri” cattolici in unione con Papa Gregorio XVIII [Papa ben noto e visibile alla Gerarchia Cattolica, e attraverso questa fatto conoscere per fede ai pochi residui “veri” cattolici, ma per ovvi motivi di sicurezza non noto al mondo profano, pagano, ateo, massonico, finto-tradizionalista, mondialista novus-ordista, ai servizi segreti ed ai curiosi sfaccendati attuali. Appena il mondo tornerà nella pace e la persecuzione della Chiesa di Cristo sarà finita, magari dopo i tre giorni di buio profetizzati da tante voci in tempi e luoghi diversi, tutti concordanti e rigorosamente approvati dalla Chiesa, allora anche i curiosi beffardi ed i dilettanti del gioco “i piccoli teologi” [se ce ne saranno ancora!!!], potranno essere accontentati. Per il momento leggiamo [in italiano] e preghiamo [in latino].

GIURAMENTO ANTIMODERNISTA

Io N. N. fermamente accetto e credo in tutte e in ciascuna delle verità definite, affermate e dichiarate dal magistero infallibile della Chiesa, soprattutto quei principi dottrinali che contraddicono direttamente gli errori del tempo presente. – Primo: credo che Dio, principio e fine di tutte le cose, possa essere conosciuto con certezza e possa anche essere dimostrato con i lumi della ragione naturale nelle opere da Lui compiute (cf Rm I,20), cioè nelle creature visibili, come causa dai suoi effetti. – Secondo: ammetto e riconosco le prove esteriori della rivelazione, cioè gli interventi divini, e soprattutto i miracoli e le profezie, come segni certissimi dell’origine soprannaturale della religione cristiana, e li ritengo perfettamente adatti a tutti gli uomini di tutti i tempi, compreso quello in cui viviamo. – Terzo: con la stessa fede incrollabile credo che la Chiesa, custode e maestra del verbo rivelato, è stata istituita immediatamente e direttamente da Cristo stesso vero e storico mentre viveva fra noi, e che è stata edificata su Pietro, capo della gerarchia ecclesiastica, e sui suoi successori attraverso i secoli. – Quarto: accolgo sinceramente la dottrina della fede trasmessa a noi dagli Apostoli tramite i Padri ortodossi, sempre con lo stesso senso e uguale contenuto, e respingo del tutto la fantasiosa eresia dell’evoluzione dei dogmi da un significato all’altro, diverso da quello che prima la Chiesa professava; condanno similmente ogni errore che pretende sostituire il deposito divino, affidato da Cristo alla Chiesa perché lo custodisse fedelmente, con una ipotesi filosofica o una creazione della coscienza che si è andata lentamente formando mediante sforzi umani e continua a perfezionarsi con un progresso indefinito. – Quinto: sono assolutamente convinto e sinceramente dichiaro che la fede non è un cieco sentimento religioso che emerge dall’oscurità del subcosciente per impulso del cuore e inclinazione della volontà moralmente educata, ma un vero assenso dell’intelletto a una verità ricevuta dal di fuori con la predicazione, per il quale, fiduciosi nella sua autorità supremamente verace, noi crediamo tutto quello che il Dio personale, Creatore e Signore nostro, ha detto, attestato e rivelato. – Mi sottometto anche con il dovuto rispetto e di tutto cuore aderisco a tutte le condanne, dichiarazioni e prescrizioni dell’enciclica Pascendi e del decreto Lamentabili, particolarmente circa la cosiddetta storia dei dogmi. Riprovo altresì l’errore di chi sostiene che la fede proposta dalla Chiesa può essere contraria alla storia, e che i dogmi cattolici, nel senso che oggi viene loro attribuito, sono inconciliabili con le reali origini della religione cristiana. – Disapprovo pure e respingo l’opinione di chi pensa che l’uomo cristiano più istruito si riveste della doppia personalità del credente e dello storico, come se allo storico fosse lecito difendere tesi che contraddicono alla fede del credente o fissare delle premesse dalle quali si conclude che i dogmi sono falsi o dubbi, purché non siano positivamente negati. – Condanno parimenti quel sistema di giudicare e di interpretare la Sacra Scrittura che, disdegnando la tradizione della Chiesa, l’analogia della fede e le norme della Sede apostolica, ricorre al metodo dei razionalisti e con non minore disinvoltura che audacia applica la critica testuale come regola unica e suprema. – Rifiuto inoltre la sentenza di chi ritiene che l’insegnamento di discipline storico-teologiche o chi ne tratta per iscritto deve inizialmente prescindere da ogni idea preconcetta sia sull’origine soprannaturale della tradizione cattolica sia dell’aiuto promesso da Dio per la perenne salvaguardia delle singole verità rivelate, e poi interpretare i testi patristici solo su basi scientifiche, estromettendo ogni autorità religiosa e con la stessa autonomia critica ammessa per l’esame di qualsiasi altro documento profano. – Mi dichiaro infine del tutto estraneo ad ogni errore dei modernisti, secondo cui nella sacra tradizione non c’è niente di divino o peggio ancora lo ammettono ma in senso panteistico, riducendolo ad un evento puro e semplice analogo a quelli ricorrenti nella storia, per cui gli uomini con il proprio impegno, l’abilità e l’ingegno prolungano nelle età posteriori la scuola inaugurata da Cristo e dagli Apostoli. – Mantengo pertanto e fino all’ultimo respiro manterrò la fede dei padri nel carisma certo della verità, che è stato, è e sempre sarà nella successione dell’episcopato agli Apostoli, non perché si assuma quel che sembra migliore e più consono alla cultura propria e particolare di ogni epoca, ma perché la verità assoluta e immutabile predicata in principio dagli Apostoli non sia mai creduta in modo diverso né in altro modo intesa. – Mi impegno ad osservare tutto questo fedelmente, integralmente e sinceramente e di custodirlo inviolabilmente senza mai discostarmene né nell’insegnamento né in nessun genere di discorsi o di scritti. Così prometto, così giuro, così mi aiutino Dio e questi santi Vangeli di Dio.

 CREDO ANTIMODERNISTA APPENDICE DEL SYMBOLUS  “Quicumque”.

« Ego… N. N. firmiter amplector ac recipio omnia et singula, quæ ab inerranti Ecclesiæ magisterio definita, adserta ac declarata sunt, præsertim ea doc­trinae capita, quae huius temporis er­roribus directo adversantur. – Ac primum quidem Deum, rerum omnium principium et finem, natu­rali rationis lumine per ea quæ facta sunt, hoc est per visibilia creationis opera, tamquam causam per effectus, certo cognosci, adeoque demonstrari etiam posse, profiteor. – Secundo, externa revelationis argu­menta, hoc est facta divina, in primi­sque miracula et prophetias admitto et agnosco tamquam signa certissima divinitus ortæ christianæ Religionis, eademque teneo ætatum omnium atque hominum, etiam huius tempo­ris, intelligentiae esse maxime ac­commodata. – Tertio: Firma pariter fide credo, Ec­clesiam, verbi revelati custodem et magistram, per ipsum verum atque historicum Christum, quum apud nos degeret, proxime ac directo in­stitutam, eandemque super Petrum, apostolicæ hierarchiæ principem eiusque in ævum successores ædifi­catam. – Quarto: Fidei doctrinam ab Apostolis per orthodoxos Patres eodem sensu eademque semper sententia ad nos usque transmissam, sincere recipio; ideoque prorsus reiicio hæreticum commentum evolutionis dogmatum, ab uno in alium sensum transeuntium, diversum ab eo, quem prius habuit Ecclesia; pariterque damno errorem omnem, quo, divino deposito, Christi Sponsæ tradito ab Eâque fideliter cu­stodiendo, sufficitur philosophicum inventum, vel creatio humanæ con­scientiæ, hominum conatu sensim efformatæ et in posterum indefinito progressu perficiendæ. – Quinto: certissime teneo ac sincere profiteor, Fidem non esse coecum sensum religionis e latebris sub con­scientiæ erumpentem, sub pressione cordis et inflexionis voluntatis mora­liter informatæ, sed verum assensum intellectus veritati extrinsecus accep­tæ ex auditu, quo nempe, quæ a Deo personali, creatore ac domino nostro dicta, testata et revelata sunt, vera esse credimus, propter Dei auctorita­tem summe veracis. Me etiam, qua par est, reverentia, subiicio totoque animo adhæreo damnationibus, declarationibus, præscriptis omnibus, quae in Encyclicis litteris «Pascendi» et in Decreto «La­mentabili» continentur, praesertim circa eam quam historiam dogmatum vocant. – Idem reprobo errorem affirman­dum, propositam ab Ecclesia fidem posse historiæ repugnare, et catho­lica dogmata, quo sensu nunc intel­liguntur, cum verioribus christianæ religionis originibus componi non posse. – Damno quoque acreiicio eorum sententiam, qui dicunt, christianum hominem eruditiorem induere perso­nam duplicem, aliam credentis, aliam historici, quasi Iiceret historico ea retinere quæ credentis fidei contra­dicant, aut præmissas adstruere, ex quibus consequatur dogmata esse aut falsa aut dubia, modo hæc directo non denegentur. – Reprobo pariter eam Scripturæ Sanctæ diiudicandæ atque inter­pretandæ rationem, quæ, Ecclesiæ traditione, analogia Fidei, et Apo­stolicæ Sedis normis posthabitis, rationalistarum commentis inhæret, et criticen textus velut unicam supremamque regulam, haud minus licen­ter quam temere amplectitur. – Sententiam preterea illorum reiicio qui tenent, dottori disciplinæ histo­ricæ theologicæ tradendæ, aut iis de rebus scribenti seponendam prius. – Hæc omnia spondeo me fideliter, integre sincereque servaturum et in­violabiliter custoditurum, nusquam ab iis sive in docendo sive quomodo­libet verbis scriptisque deflectendo. Sic spondeo, sic iuro, sic me Deus etc.».

 

 

UN’ENCICLA AL GIORNO TOGLIE L’APOSTATA SCISMATICO DI TORNO: “CHARITAS QUAE”

Oggi ci occupiamo di una Lettera enciclica di Pio VI, che pur nata in un contesto burrascoso, come la situazione politico-religiosa della Francia rivoluzionaria, ricorda da vicino le vicende nate nella Chiesa Cattolica [o almeno ritenuta ancora tale, e non scismatica come oggi ben sappiamo] o in ambienti autoproclamatisi tradizionalisti, in realtà ambienti generati dalle manovre massoniche di accerchiamento della Chiesa condotte dall’interno di essa attraverso la quinta colonna dei marrani infiltrati fino ai massimi livelli occupati con usurpazioni e violenze. In questo scritto, Pio VI denunciava gli abusi compiuti in Francia nella nomina di vescovi graditi ed imposti dall’Assemblea nazionale, “vescovi” ovviamente totalmente privi di ogni potestà ecclesiastica, essendo privi della indispensabile Giurisdizione concessa dalla Sede Apostolica, e quindi da considerarsi totalmente invalidi nei loro atti, compresi quelli sacramentali, illeciti e sacrileghi. Certamente c’è da sorbirsi un po’ di situazioni storiche e personaggi coinvolti nelle vicende, ma a ben pensarci, sostituendo questi nomi con quelli più recenti di pseudo-consacrati senza giurisdizione, o di falsi vescovi e “monsignori” da operetta, fondatori di pittoreschi seminari e fraternità varie, scomunicati e censurati dalle leggi ecclesiastiche, nonché “figliocci” spirituali [come essi stessi si proclamano] di elementi giunti ai vertici della massoneria, e quindi almeno fiancheggiatori di tali personaggi ben noti adoratori di lucifero, si tratta della medesima situazione. Anzi volendo, le false consacrazioni odierne sono ben più gravi di quelle denunciate da S.S. Pio VI in quella funesta e violenta epoca, ma ognuno giudichi da sé! Quello che si vuole sottolineare è che in ogni caso, una consacrazione senza mandato Papale è atto da brigante e da lupo rapace, atto decisamente scismatico, atto che pone tutti, falsi consacratori, falsi consacrati e falsi fedeli, che attingono sacramentalmente e spiritualmente da questi impostori, fuori della Chiesa cattolica e sulla via della eterna perdizione. Per dirla con Pio VI, “le consacrazioni fatte da costoro sono indegne e completamente illegittime, sacrileghe e contrarie alle norme dei Sacri Canoni; pertanto coloro che sono stati eletti così temerariamente e senza alcun diritto sono privi di ogni giurisdizione ecclesiastica e spirituale sul governo delle anime, ed essendo consacrati illecitamente sono sospesi da ogni esercizio dell’ordine episcopale”, … si persuadano che incorreranno nel Nostro anatema e che li denunceremo a tutta la Chiesa come scomunicati, come scismatici dalla Comunione ecclesiale e da Noi allontanati…” – “… debbono ritenersi totalmente privi dell’esercizio dell’Ordine episcopale né godranno del Ministero sacerdotale ora o in futuro”, – “… tutti gli atti conseguenti, considerati scismatici, sono tenuti in nessuna considerazione e fatti oggetto delle più gravi censure …” – Ma la sentenza più importante, per gli scismatici di ogni tempo, per i modernisti, ecumenisti vat-secondisti, settari di ogni risma, come per pseudo-tradizionalisti, sedevacantisti o sedeprivazionisti, per i cani sciolti e per i leoni ruggenti che divorano anime, è quella che ribadisce, senza esitazioni e senza mezzi termini “ipocrito-ermeneutici”: “nessuno infatti può far parte della Chiesa di Cristo, se non si mantiene unito al suo Capo visibile, e stretto alla Cattedra di Pietro, … a quella cattedra infangata, imbrattata, usurpata nel 1958, ma non abbattuta, abolita o sparita, tuttora viva, pur eclissata. Ora nessuno è ignaro, nessuno potrà dire, quando sarà chiamato dal divin Giudice al Sommo Tribunale: “ … io non sapevo!…”

”CHARITAS QUAE”

DEL SOMMO PONTEFICE PIO VI

“SULLA CONDANNA DEL GIURAMENTO CIVILE

DEI CHIERICI DOPO LA RIVOLUZIONE FRANCESE”

I VENERABILI FRATELLI, PATRIARCHI, PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI

E AGLI ALTRI ORDINARI AVENTI CON L’APOSTOLICA SEDE PACE E COMUNIONE

PIO PP. VI

SERVO DEI SERVI DI DIO

VENERABILI FRATELLI, SALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE

La carità, che – come insegna l’apostolo Paolo – è paziente e benigna, tollera e sopporta tutto, fintanto che rimane la speranza che per mezzo della mansuetudine ci si possa opporre agli errori che ormai hanno cominciato a farsi strada. Tuttavia, se gli errori crescono di giorno in giorno, a tal punto da far precipitare nello scisma, allora le stesse leggi della carità, strettamente congiunte agl’impegni apostolici, che indegnamente svolgiamo, richiedono ed impongono che sia approntata una medicina – paterna, ma pronta ed altrettanto efficace – contro la malattia incipiente, dopo aver mostrato a coloro che sbagliano l’orrore della colpa e la gravità delle pene canoniche nelle quali sono incorsi. In tal modo, coloro che si sono allontanati dalla via della verità possono riaversi e, abiurati gli errori, potranno rientrare nella Chiesa che, come madre affettuosa, accoglierà a braccia aperte il loro ritorno; e gli altri fedeli eviteranno opportunamente gl’inganni degli pseudo-pastori, i quali (entrati nell’ovile in tutti i modi, ma non per la porta) non chiedono altro se non di rubare, uccidere, distruggere. Avendo davanti agli occhi questi precetti divini, a malapena abbiamo udito il rumore della guerra alla quale aizzavano contro la Religione Cattolica i filosofi innovatori riuniti nell’Assemblea Nazionale di Francia, della quale costituivano la maggior parte; piangemmo amaramente davanti a Dio e dopo aver partecipato ai Venerabili Nostri Fratelli Cardinali di Santa Romana Chiesa l’ansietà del Nostro animo, abbiamo indetto preghiere pubbliche e private. In seguito, con lettera del 9 luglio 1790 al Nostro carissimo figlio in Cristo Ludovico, re cristianissimo, lo abbiamo reiteratamente esortato a non sanzionare la “Costituzione Civile del Clero” che avrebbe portato la Nazione verso l’errore e il Regno verso lo scisma. Non poteva in nessun modo avvenire che un’assemblea politica di persone cambiasse l’universale disciplina della Chiesa, conculcasse le sentenze dei Santi Padri e i decreti dei Concilii, sovvertisse l’ordine gerarchico, regolasse a suo capriccio l’elezione dei Vescovi, distruggesse le sedi episcopali e, eliminata la migliore organizzazione, ne introducesse nella Chiesa una peggiore. Affinché le Nostre esortazioni penetrassero più a fondo nell’animo del Re cristianissimo, scrivemmo altre due lettere in forma di Breve, il giorno 10 dello stesso mese, ai Venerabili fratelli arcivescovi di Bordeaux e di Vienne, che erano al fianco del re, e paternamente li ammonimmo perché unissero il loro intervento ai Nostri; si doveva scongiurare che, se l’autorità regia avesse accettato la predetta “Costituzione”, il Regno stesso diventasse scismatico, e scismatici i vescovi che fossero creati secondo la forma fissata dai Decreti; nel qual caso Noi saremmo obbligati a bollarli come intrusi, totalmente privi di giurisdizione ecclesiastica. Perché non si potesse minimamente dubitare che le Nostre ansiose sollecitudini fossero motivate soltanto da preoccupazioni religiose e per chiudere la bocca ai nemici di questa Sede Apostolica, decretammo che fosse sospesa in Francia l’esazione delle tasse, dovute ai Nostri uffici dalle precedenti Convenzioni e dalla ininterrotta consuetudine. Il Re cristianissimo si sarebbe certamente astenuto dal confermare la Costituzione, ma l’incalzante, impellente comportamento dell’Assemblea nazionale lo indusse a subire e a sottoscrivere la Costituzione, come dimostrano le lettere che Ci ha inviato il 28 luglio, il 6 settembre ed il 16 dicembre; in esse chiedeva che Noi approvassimo, almeno per precauzione, prima cinque e poi sette articoli, i quali, poco dissimili l’uno dall’altro, costituivano quasi un sunto della nuova Costituzione. Ben presto ci rendemmo conto che nessuno di quegli articoli poteva essere da Noi approvato o tollerato, in quanto contrario alle regole canoniche. Non volendo tuttavia che da ciò i nemici cogliessero l’occasione di ingannare il popolo, come se Noi fossimo contrari a qualunque forma di conciliazione, e volendo continuare sulla stessa strada di mansuetudine, annunciammo al Re, con lettera del 17 agosto a lui stesso indirizzata, che gli articoli sarebbero stati da Noi attentamente soppesati e che i Cardinali di Santa Romana Chiesa sarebbero stati chiamati a consiglio e, riuniti, avrebbero esattamente ponderato. – Essi dunque si riunirono due volte, il 24 settembre ed il 16 dicembre, per esaminare i primi ed i secondi articoli; svolto un diligentissimo esame, ritennero all’unanimità che sugli articoli in questione si dovesse sentire il parere dei Vescovi francesi, perché indicassero essi stessi, se era possibile, qualche fondamento canonico che da lontano non si riusciva ad individuare, come già Noi avevamo scritto in precedenza con altra Nostra lettera al Re cristianissimo. – Una non lieve consolazione al dolore che fortemente Ci affliggeva derivò dal fatto che la maggior parte dei Vescovi francesi, spontaneamente spinta dai doveri dell’impegno pastorale e mossa dall’amore per la verità, si mostrava costantemente contraria a questa Costituzione e la combatteva in tutti i modi che sono propri del regime della Chiesa. Questa Nostra consolazione fu ulteriormente aumentata allorché il Nostro diletto figlio il Cardinale Rochefoucauld e i Venerabili Fratelli l’Arcivescovo di Aix ed altri Arcivescovi e Vescovi in numero di trenta, per prevenire tanti e tanto grandi mali, si rivolsero a Noi; con lettera del 10 ottobre mandarono una “Esposizione sopra i principi della Costituzione del Clero”, firmata da ognuno col proprio nome, chiedendo il Nostro consiglio ed il Nostro aiuto; implorarono da Noi, come da un comune Maestro e Genitore, la corretta norma di comportamento, alla quale affidarsi con tranquillità. Ciò che soprattutto accrebbe la Nostra consolazione fu che molti altri Vescovi si unirono ai primi, sottoscrivendo la predetta “Esposizione”, di modo che dei 131 Vescovi di codesto Regno soltanto quattro si mantennero di diverso avviso; ed insieme a questo così grande numero di Vescovi anche la moltitudine dei Capitoli e la maggior parte dei Parroci e dei Pastori di second’ordine conveniva che questa “Esposizione”, fatta propria col consenso degli animi, dovesse far parte della Dottrina di tutta la Chiesa Francese. Noi stessi, senza frapporre indugio, mettemmo mano all’opera e sottoponemmo ad esame tutti gli articoli di detta Costituzione. Ma l’Assemblea Nazionale Francese, nonostante udisse la voce concorde di codesta Chiesa, non pensò minimamente di desistere dalla propria impresa, anzi fu maggiormente irritata dalla coerenza dei Vescovi. Rendendosi perfettamente conto che fra i Metropolitani e fra i Vescovi più anziani non se ne sarebbe trovato nessuno disponibile a legittimare i nuovi Vescovi, eletti nei Distretti municipali col voto dei laici, degli eretici, degli infedeli e degli ebrei, secondo quanto disponevano i nuovi Decreti; consapevole inoltre che questa assurda forma di regime non avrebbe potuto sussistere da nessuna parte, dal momento che senza Vescovi scompare qualunque forma di Chiesa, l’Assemblea pensò di pubblicare altri Decreti ancora più assurdi; cosa che fece il 15 e il 27 novembre e poi ancora il 3, 4 e 26 gennaio 1791. Con questi ulteriori Decreti, ai quali aggiunse forza l’autorità regia, venne stabilito che – qualora il Metropolitano oppure il Vescovo più vecchio si fosse rifiutato di consacrare i nuovi eletti – qualunque Vescovo di un altro Distretto avrebbe potuto farlo. Inoltre, per far sì che con un’unica azione ed in un solo momento venissero tolti di mezzo tutti i Vescovi onesti e tutti i Parroci animati dalla religione cattolica, fu disposto anche che tutti i Pastori, sia del primo sia del secondo ordine, giurassero tutti, senza alcuna aggiunta, di osservare la Costituzione: sia quella già promulgata, sia le norme che fossero approvate in seguito. Coloro che si fossero rifiutati di prestare giuramento, sarebbero addirittura stati rimossi dal loro grado e le loro sedi e le loro parrocchie considerate vacanti del pastore. Espulsi dunque, anche con la violenza, i legittimi Pastori e Ministri, sarebbe stato lecito procedere all’elezione di nuovi Vescovi e Parroci nei Distretti municipali; messi in disparte i Metropolitani ed i Vescovi più vecchi, che non si fossero piegati al giuramento, questi eletti avrebbero dovuto presentarsi al Direttorio (cui competerebbe la designazione di qualunque Vescovo) per essere confermati ed istituiti. Decreti di questo tenore, successivamente pubblicati, gravarono il Nostro animo di un dolore smisurato ed aumentarono la Nostra pena, perché Ci toccò occuparci anche di questi temi nella risposta ai Vescovi che stavamo preparando. I decreti Ci sollecitarono di nuovo ad indire pubbliche preghiere e ad implorare il Padre di ogni misericordia. Essi furono anche la causa per cui i Vescovi francesi, che già con egregie, meditate pubblicazioni si erano opposti alla Costituzione del Clero, diedero alle stampe nuove Lettere Pastorali al popolo, e si diedero da fare con il massimo impegno a contrastare le disposizioni relative alla deposizione dei Vescovi, alle vacanze delle sedi episcopali, alle elezioni e ratifiche dei nuovi Pastori. Da ciò è derivato che – per espresso accordo di tutta la Chiesa francese – i giuramenti civici vennero considerati come spergiuri e sacrileghi, totalmente indegni non solo degli ecclesiastici ma di qualunque persona cattolica; tutti gli atti conseguenti, considerati scismatici, furono tenuti in nessuna considerazione e fatti oggetto delle più gravi censure. – A queste lodevolissime dichiarazioni del clero francese corrisposero anche i fatti; quasi tutti i Vescovi, infatti, e la maggior parte dei Parroci si rifiutarono, con invitta coerenza, di prestare il giuramento. Allora i nemici della religione si resero conto che tutti i loro malvagi disegni sarebbero andati a vuoto se non fossero riusciti a guadagnarsi l’animo di qualche Vescovo, debole o mosso dall’ambizione; qualcuno che prestasse il giuramento di proteggere la Costituzione e muovesse le sacrileghe mani alle Consacrazioni, affinché niente più mancasse per introdurre lo scisma. Fra quelli abbattuti dall’altrui malizia il primo fu Carlo, Vescovo di Autun, difensore acerrimo della Costituzione; il secondo fu Giovanni Giuseppe, Vescovo di Lidda; il terzo Ludovico, Vescovo d’Orléans; il quarto Carlo, Vescovo di Viviers; il quinto il Cardinale di Loménie ed Arcivescovo di Sens e pochissimi, infelicissimi Pastori di second’ordine. – Per quanto attiene al Cardinale di Loménie, con lettera indirizzata a Noi il 25 novembre scorso, tentando di giustificare il giuramento che aveva prestato, affermava che non doveva essere considerato come un “consenso dell’animo” e che comunque egli si trovava profondamente dubbioso se rifiutarsi di imporre le mani agli eletti (come fino a quel momento aveva evitato di fare) oppure no. Poiché il problema più importante era che nessuno dei vescovi consacrasse gli eletti (cosa che avrebbe rafforzato la via dello scisma), Ci parve opportuno sospendere la Nostra risposta ai Vescovi, che era quasi conclusa, e senza indugio riscrivere, il 23 febbraio, al Cardinale, dimostrandogli sia il suo errore di valutazione nel prestare giuramento, sia anche quali pene sono previste dai Canoni; pene alle quali, non senza dolore nell’animo Nostro, avremmo dovuto sottoporlo, privandolo anche della dignità cardinalizia, se non avesse riparato la pubblica offesa con una tempestiva ed adeguata ritrattazione. Per quanto poi atteneva al dubbio se consacrare o no gli pseudo-eletti, gli ordinammo formalmente di non procedere oltre nell’istituire nuovi Vescovi, neppure per stato di necessità, per non aggiungere nuovi interlocutori ostili alla Chiesa. Si tratta infatti di un diritto che spetta unicamente alla Sede Apostolica, sulla base di quanto fissato dalle norme del Concilio di Trento, e che nessuno dei Vescovi o dei Metropoliti può arrogarsi; in caso contrario, Noi siamo obbligati dal nostro dovere apostolico a considerare scismatici tanto coloro che consacrano quanto coloro che sono consacrati, e di nessun valore tutti gli atti che sia gli uni sia gli altri andranno producendo. Esaurite queste incombenze, che C’imponeva la natura del Nostro supremo compito pastorale, fu opportuno per Noi rimettere mano alla risposta, che già era costata grande impegno e lunga fatica, per le molteplici novità che si erano accumulate. Con l’aiuto di Dio la completammo, affinché una volta esaminati tutti gli articoli, chiunque avesse ben chiaro che la nuova Costituzione – sulla base del Nostro giudizio e di quello della Sede apostolica, che i Vescovi francesi Ci avevano richiesto e che i Cattolici francesi desideravano grandemente – nasceva da principi contaminati dall’eresia, e perciò in parecchi decreti era eretica a propria volta e contraria al dogma cattolico; in altri invece sacrilega, scismatica, distruttiva dei diritti del Primato e della Chiesa, contraria sia alla vecchia sia alla nuova disciplina; in definitiva, strutturata e diffusa senz’altro scopo che abolire la religione cattolica. Ogni libertà di professarla viene infatti negata, i legittimi Pastori vengono rimossi, i beni occupati; invece, gli uomini di altre sette vengono pacificamente lasciati nella loro libertà e nel possesso dei loro beni. Nonostante avessimo dimostrato con chiarezza tutto ciò, e tuttavia non volendo abbandonare la strada della mansuetudine, dichiarammo che fino a quel momento ci eravamo astenuti dal considerare separati dalla Chiesa cattolica gli autori della malefica Costituzione civile del clero; ma contemporaneamente dovemmo ripetere che (come la Santa Sede ha sempre usato fare in casi di questo genere) saremmo purtroppo costretti a dichiarare scismatici tutti coloro che non si allontanassero dagli errori che Noi abbiamo illustrati, sia che si tratti degli autori di questa Costituzione, sia di persone che vi abbiano aderito con giuramento; che siano stati nominati nuovi pastori o che abbiano consacrato gli eletti, o che dagli eletti siano stati consacrati. Tutti costoro infatti, chiunque fossero, sarebbero privi della legittima missione e della comunione con la Chiesa. Poiché – fatti salvi il dogma e la disciplina universale della Chiesa – il Nostro animo è disposto a favorire, fin dove è lecito, l’illustre nazione francese, seguendo il consiglio dei Cardinali convocati per questo motivo e ripetendo ciò che già avevamo scritto personalmente al Re cristianissimo, esortammo i Vescovi, sotto i cui occhi le cose si svolgevano, a prospettarci qualche altro tipo d’intervento – se fosse possibile trovarlo – non in contrasto con il dogma cattolico e con la disciplina universale, da sottoporre al Nostro esame ed alla Nostra decisione. Questi sentimenti del Nostro animo vennero da Noi esposti anche al Nostro carissimo figlio in Cristo, il Re cristianissimo, al quale mandammo copia della Nostra risposta ai Vescovi; inoltre lo esortammo nel Signore a preparare, con l’aiuto dei Vescovi più saggi, una medicina più adatta al male che era derivato anche dall’autorità regia e lo assicurammo che contro coloro che si fossero mantenuti pervicacemente nell’errore Noi avremmo eseguito (come deriva dall’obbligo pastorale) ciò che, posti nella stessa condizione, anche i Nostri Predecessori disposero. Entrambe le Nostre lettere, quella al Re e quella ai Vescovi, furono spedite il 10 marzo con un corriere speciale, che partì il giorno successivo. Di nuovo, il giorno 15 dello stesso mese, con l’arrivo del corriere ordinario proveniente dalla Francia, da ogni parte Ci venne riferito che il 24 febbraio a Parigi si era raggiunto il culmine dello scisma. In quel giorno infatti il Vescovo d’Autun (già colpevole di spergiuro e reo di defezione per aver abbandonato la Chiesa di propria volontà e davanti ai Laici) con un comportamento ben dissimile da quello del suo Capitolo, meritevole invece d’ogni elogio, si unì ai Vescovi di Babilonia e di Lidda. Il primo di questi, che era stato da Noi insignito del pallio e gratificato anche di sussidi, si dimostrò degno successore di un altro Vescovo di Babilonia, quel Domenico Varlet ben noto per lo scisma della Chiesa di Utrecht; il secondo, già colpevole di spergiuro, era già incorso nell’odio e nella disistima dei buoni allorché s’era mostrato dissidente dalla retta dottrina del Vescovo e del Capitolo della Chiesa di Basilea, della quale egli è suffraganeo. In quel giorno, dunque, il Vescovo d’Autun, con l’aiuto di questi due vescovi, senza farne parola all’Ordinario, nella chiesa dei Preti dell’Oratorio osò imporre le sacrileghe mani a Luigi Alessandro Expilly e a Claudio Eustachio Francesco Marolles, senza averne ricevuto alcun mandato dalla Sede apostolica, senza richiedere il giuramento dell’obbedienza dovuta al Pontefice; tralasciando inoltre l’esame e la confessione di fede prescritta dal Pontificale Romano (formalità che devono essere osservate in tutte le chiese del mondo) e trascurando, violando, disprezzando anche tutte le altre norme. Tutto ciò, sebbene non potesse ignorare che il primo dei due era stato eletto illegittimamente Vescovo di Cornovaglia, nonostante le gravi e ripetute contestazioni di quel Capitolo, e che l’altro ancor meno legittimamente era stato nominato Vescovo di Soissons, della diocesi che ha invece come proprio pastore vivo e vegeto il reverendo fratello Enrico Giuseppe Claudio de Bourdeilles. Questi ritenne suo preciso dovere opporsi con veemenza a tanto grande profanazione e difendere con impegno la sua diocesi, come testimonia la sua sollecita lettera al popolo datata 25 febbraio. Contemporaneamente Ci venne riferito che il vescovo di Lidda aveva aggiunto al vecchio anche un nuovo crimine. Il giorno 27 dello stesso mese di febbraio, in compagnia dei nuovi pseudo-Vescovi Expilly e Marolles, nella stessa chiesa aveva osato consacrare in maniera sacrilega il parroco Saurine come Vescovo di Aix, quantunque anche questa Chiesa gioisca lieta dell’ottimo suo Pastore, il reverendo fratello Carlo Augusto Lequien. Forse da ciò è derivato che lo stesso vescovo di Lidda, Giovanni Giuseppe Gobel, pur essendone tuttora vivo l’Arcivescovo, fu nominato capo della chiesa di Parigi, sull’esempio di Ischira, che, a compenso del crimine commesso e dell’ossequio tributato nell’accusare e nel cacciare dalla sua sede Sant’Atanasio, nel Conciliabolo di Tiro fu proclamato Vescovo di quella città. Notizie così dolorose e tristi riempirono il Nostro animo di dolore e tristezza incredibili. Confortati tuttavia dalla speranza in Dio, il giorno 17 di marzo ordinammo che fosse di nuovo convocata la Congregazione dei Cardinali, affinché Ci esprimesse il proprio parere su una situazione di tale gravità, come già aveva fatto altre volte. Mentre Ci preoccupavamo di dar corso alla delibera assunta con il consiglio dei Cardinali, il giorno 21 dello stesso mese un altro corriere giunto da codesto Regno riferisce che il Vescovo di Lidda, divenuto ancora più perfido, insieme agli pseudo-Vescovi Expilly e Saurine, il giorno 6 dello stesso mese, nella stessa chiesa, con le stesse sacrileghe mani aveva consacrato Vescovo di Beauvais il parroco Massieu, deputato dell’Assemblea francese; un altro deputato, il parroco Lindet, Vescovo di Eureux; il parroco Laurent, anch’egli deputato, Vescovo di Moutiers; il parroco Heraudin Vescovo di Châteauroux. Egli osò far questo nonostante le due prime diocesi abbiano tuttora i loro pastori legittimi e le altre due chiese non siano state ancora erette dall’autorità Apostolica in sedi vescovili. Quale giudizio si debba dare di coloro che accettano di essere eletti e consacrati in Chiese regolarmente rette ed amministrate dai loro Vescovi, lo spiegò egregiamente, molti anni prima di Noi, San Leone. Scrivendo infatti a Giuliano, Vescovo di Coo, contro un certo Teodosio che aveva occupato la sede del Vescovo Giovenale, ancora vivente, al cap. IV sostenne: “Che uomo sia colui che s’introduce nella sede di un vescovo vivente si desume con chiarezza dallo stesso gesto; né c’è da dubitare che sia un malvagio colui che è amato dai nemici della fede. Con quanta ragione la Chiesa si sia sempre tenuta lontana da coloro che vengono eletti dalla turba e dalla confusione dei laici (mentre eletti ed elettori si dimostrano affetti da una stessa malattia: quella delle false opinioni) Ce lo dimostrò, anche troppo, una lettera pastorale a Noi indirizzata – giunta per il tramite dello stesso corriere – che lo pseudo-Vescovo Expilly aveva fatto pubblicare il 25 febbraio per ingannare gl’inesperti e senz’altro disegno, certamente, che stracciare l’inconsutile veste di Cristo. Costui, dunque, dopo aver ricordato il giuramento – ovverossia lo spergiuro – al quale s’è vincolato, espone tutti i fondamenti della Costituzione francese, che riporta quasi parola per parola, e – condividendo le posizioni dell’Assemblea – ne consiglia l’approvazione; sostiene che una Costituzione come quella non offende assolutamente il dogma, ma soltanto introduce una forma migliore di disciplina, riportandola alla purezza dei primi secoli, soprattutto in quella parte nella quale, allontanato il clero, le elezioni vengono restituite al popolo e le istituzioni e le consacrazioni ai Metropolitani, grazie ai primi Decreti dell’Assemblea francese, i soli che egli cita. Per ingannare meglio gl’inesperti, egli ricorda una lettera che Ci scrisse il 18 novembre 1790, come se fosse stato in accordo con la Sede Apostolica. In seguito, rivolgendosi direttamente ai singoli Ordini della Diocesi, li esorta tutti ad accoglierlo come legittimo Pastore e ad accettare spontaneamente la Costituzione. Ah, l’infelice! Tralasciando Noi volutamente quei temi che attengono al governo civile, tuttavia, con quale mai coraggio egli intende difendere, sul piano religioso, una Costituzione che quasi tutti i Vescovi della Chiesa francese e molti altri uomini di Chiesa hanno riprovata e rigettata, considerandola contraria al dogma e difforme dalla disciplina consueta, in particolare per le elezioni e le consacrazioni dei Vescovi? Questa verità, che salta agli occhi, neppure lui avrebbe potuto dissimulare o celare se non avesse passato consapevolmente sotto silenzio i decreti più assurdi che ultimamente erano stati approvati dall’Assemblea francese. Decreti che, oltre le altre iniquità, sono arrivati al punto di attribuire il diritto di nomina e di conferma di ogni Vescovo all’arbitrio e alla volontà del Direttorio. Codesto infelice, che già tanto è avanzato sulla via della perdizione, si legga dunque la Nostra risposta ai Vescovi della Gallia, nella quale abbiamo confutato ed abbattuto in anticipo tutti i mostruosi errori della sua lettera, e capirà quanto chiaramente risplenda nei singoli articoli la verità che egli odia. Sappia intanto di essersi già condannato da solo. Se infatti è vero (come prevede l’antica disciplina sulla base del Canone del Concilio di Nicea, cui egli fa riferimento) che ogni eletto, per ottenere il riconoscimento legittimo del titolo, dev’essere confermato dal suo Metropolita e che il diritto dei Metropoliti deriva dal diritto della Sede Apostolica, come potrà accadere che Expilly si ritenga insediato legittimamente sulla base dei Canoni, dal momento che alla sua consacrazione hanno avuto parte altri Vescovi ma non l’Arcivescovo di Tours, di cui la Chiesa di Kimpercotin è suffraganea? Poiché questi Vescovi appartengono ad altre province, se poterono, con ardire sacrilego, conferirgli l’Ordine, non poterono tuttavia attribuirgli la giurisdizione, della quale essi sono completamente privi, come prevede la disciplina di tutte le epoche. Questa potestà di conferire la giurisdizione, sulla base della nuova disciplina, introdotta già da molti secoli e confermata dai Concilii generali e dagli stessi Concordati, non riguarda assolutamente i Metropoliti e – come se fosse ritornata da dove proveniva – risiede unicamente presso la Sede Apostolica; perciò oggi “il Pontefice Romano per obbligo del suo ufficio dà a ciascuna Chiesa i suoi Pastori, per dirla con lo stesso Concilio di Trento (Sessione 24, cap. 1 De ref.), e di conseguenza in tutta la Chiesa Cattolica nessuna consacrazione può considerarsi legittima se non conferita dalla Sede Apostolica. Non è assolutamente vero che la lettera che egli Ci ha inviato lo favorisca; anzi! Lo rende maggiormente colpevole e non può sfuggire alla taccia di scismatico. Infatti, pur simulando un’apparenza di comunione con Noi, la lettera non fa parola della conferma che da Noi deve ricevere, e semplicemente Ci riferisce della sua elezione, per quanto illegittima, come dispongono i Decreti francesi. Per questo, Noi, seguendo l’esempio dei Nostri Predecessori, giudicammo di non dovergli rispondere, ma ordinammo che fosse seriamente ammonito a non procedere oltre; speravamo che avrebbe obbedito. Egli era già stato ammonito, di propria iniziativa, dal Vescovo di Rennes, che gli negò l’istituzione e la conferma che egli insistentemente richiedeva. Perciò, anziché accoglierlo come Pastore, il popolo deve respingerlo con orrore come un invasore. Invasore, diciamo, perché rifiutò di professare quella verità che pure doveva conoscere; perché cominciò ad abusare dell’ufficio di Pastore, da lui carpito; perché divenne addirittura talmente arrogante che alla fine della lettera pastorale osò persino dispensare dal vincolo del precetto ecclesiastico quaresimale. Perciò ” della sospensione, di arrogarsi la giurisdizione episcopale o qualunque altra autorità relativa al governo delle anime, dato che non l’ottennero mai;”, come disse di un invasore analogo San Leone Magno scrivendo ad alcuni Vescovi dell’Egitto. Vedendo Noi pertanto che con questa molteplice serie di eccessi lo scisma si diffonde e si moltiplica nel Regno francese, così benemerito della religione e a Noi così caro; vedendo inoltre che per queste stesse ragioni di giorno in giorno in ogni luogo vengono eletti nuovi Pastori, sia del primo sia del secondo ordine, e che i legittimi Ministri sono rimossi e cacciati ed al loro posto vengono insediati lupi rapaci, non possiamo non esser mossi a pietà da una vicenda così lacrimevole. Per porre il più pronto riparo allo scisma che progredisce; per riportare al loro dovere coloro che hanno sbagliato e per rinsaldare nelle loro convinzioni i buoni; per conservare fiorente la religione in codesto regno; aderendo Noi ai consigli dei Nostri Venerabili Fratelli i Cardinali di Santa Romana Chiesa ed assecondando i desideri di tutto l’Ordine episcopale della Chiesa francese, seguendo l’esempio dei Nostri predecessori, con la potestà Apostolica che esercitiamo, con la presente in primo luogo intimiamo: Chiunque – Cardinali di Santa Romana Chiesa, Arcivescovi, Vescovi, Abati, Vicari, Canonici, Parroci, Presbiteri, tutti coloro che partecipano alla milizia ecclesiastica, secolari o regolari – abbia prestato puramente e semplicemente, come prescritto dall’Assemblea nazionale, il “giuramento civico, fonte avvelenata di tutti gli errori e causa principale di tristezza per la Chiesa cattolica francese, se entro quaranta giorni a contare da oggi non avrà ritrattato tale giuramento sarà sospeso dall’esercizio di qualunque ordine, e sarà colpevole di irregolarità se lo eserciterà. Inoltre dichiariamo specificamente che le elezioni dei predetti Expilly, Marolles, Saurine, Massieu, Lindet, Laurent, Heraudin e Gobel a Vescovi di Kimpercotin, Soissons, Aix, Beauvais, Eureux, Moutiers, Châteauroux e Paris sono state illegittime e sacrileghe e perciò sono state e sono da ritenersi nulle e come tali le annulliamo, cancelliamo ed abroghiamo, insieme con la nuova istituzione dei cosiddetti Vescovadi di Moutiers e Châteauroux e di altri. Dichiariamo e precisiamo inoltre che le consacrazioni fatte da costoro sono state indegne e completamente illegittime, sacrileghe e contrarie alle norme dei Sacri Canoni; pertanto coloro che sono stati eletti così temerariamente e senza alcun diritto sono privi di ogni giurisdizione ecclesiastica e spirituale sul governo delle anime, ed essendo consacrati illecitamente sono sospesi da ogni esercizio dell’ordine episcopale. Parimenti dichiariamo sospesi da ogni esercizio dell’ordine episcopale Carlo, Vescovo di Autun, Giovanni Battista, Vescovo di Babilonia, e Giovanni Giuseppe, Vescovo di Lidda, consacratori sacrileghi o assistenti; ugualmente sospesi dall’esercizio dell’ordine sacerdotale e da qualunque altro ordine siano tutti coloro che prestarono aiuto, opera, consenso e consiglio a tali esecrande consacrazioni. Perciò disponiamo e strettamente vietiamo al citato Expilly ed agli altri illecitamente eletti ed illecitamente consacrati, sotto la stessa pena della sospensione, di arrogarsi la giurisdizione episcopale o qualunque altra autorità relativa al governo delle anime, dato che non l’ottennero mai; né di dare lettere dimissorie per prendere gli ordini, né di istituire, incaricare o confermare, con qualunque pretesto, pastori, vicari, missionari, servitori, funzionari, ministri o comunque li si voglia chiamare, incaricati della cura delle anime e dell’amministrazione dei sacramenti; né decretare, sia autonomamente sia congiuntamente, attraverso conciliabolo, in materia attinente la giurisdizione ecclesiastica; inoltre dichiariamo e rendiamo noto a tutti che lettere dimissoriali, deputazioni e conferme, sia che siano già state presentate sia che possano esserlo in futuro, insieme a tutti gli altri atti che siano derivati per temerario ardire, saranno considerati illegittimi e di nessuna rilevanza. Allo stesso modo disponiamo e vietiamo, con analoga pena della sospensione, tanto ai consacrati quanto ai consacratori, che osino impartire illecitamente tanto il sacramento della Cresima quanto l’Ordine o comunque esercitare ingiustamente l’Ordine episcopale, dal quale sono stati sospesi. Di conseguenza, coloro che sono stati iniziati agli Ordini ecclesiastici da costoro sappiano di essere soggetti al vincolo della sospensione, e che se eserciteranno gli ordini ricevuti saranno anche colpevoli di irregolarità. Per prevenire mali maggiori, con la stessa autorità e lo stesso tenore disponiamo e rendiamo noto che tutte le altre elezioni alle Chiese, alle Cattedrali ed alle Parrocchie francesi, vacanti o, peggio, occupate; vecchie o, peggio, nuove e di illegittima costituzione, compiute sin qui secondo i criteri della ricordata Costituzione del clero da parte degli elettori dei distretti municipali; quelle che vogliamo si considerino esplicitate, e quante altre seguiranno, devono essere considerate illegali, illegittime, sacrileghe e di nessun valore per il passato, per il presente e per il futuro; e Noi, per il presente, adesso per allora, le annulliamo, cancelliamo e abroghiamo. Dichiarando inoltre che quegli stessi che sono stati eletti senza fondamento giuridico e gli altri che lo saranno in analogo modo, sia nelle Chiese sia nelle Cattedrali, sono privi di ogni giurisdizione ecclesiastica o spirituale relativa al governo delle anime; che i Vescovi sin qui illecitamente consacrati, che parimenti vogliamo si ritengano citati, e gli altri che in seguito lo siano, debbono ritenersi totalmente privi dell’esercizio dell’Ordine episcopale né godranno del Ministero sacerdotale ora o in futuro. Perciò proibiamo strettamente sia a coloro che sono stati eletti Vescovi, sia a coloro che eventualmente lo saranno, di osare ricevere l’Ordine, cioè la consacrazione episcopale, da chiunque, sia egli Metropolita o Vescovo. Quanto agli stessi pseudo-Vescovi ed ai loro sacrileghi consacratori, e a tutti gli altri Arcivescovi e Vescovi, non presumano di consacrare gli illecitamente eletti o quelli che lo dovessero essere in futuro, trincerandosi dietro qualsiasi pretesto o colore. Comandando inoltre agli eletti di questo tipo e agli eventuali futuri Vescovi o Parroci, che non si comportino assolutamente come Arcivescovi, Vescovi, Parroci o Vicari, né s’incoronino del titolo di alcuna Chiesa cattedrale o parrocchiale, né si arroghino alcuna giurisdizione o facoltà relativa al governo delle anime, sotto pena di sospensione e di nullità; pena dalla quale nessuno di quelli fin qui nominati potrà mai essere liberato, se non da Noi personalmente o da coloro che la Sede Apostolica avrà delegato. Con la maggior benignità possibile abbiamo illustrato fin qui le pene canoniche inflitte per emendare i mali fino ad ora compiuti e per evitare che si dilatino ulteriormente in futuro. Noi confidiamo nel Signore che i consacratori e gli invasori delle cattedrali e delle parrocchie, gli autori e tutti i fautori della Costituzione riconoscano il loro errore e, spinti dalla penitenza, ritornino a quell’ovile dal quale furono strappati non senza macchinazione ed insidia. Sollecitandoli con parole paterne, Noi li esortiamo e li scongiuriamo nel Signore affinché si allontanino da siffatto ministero; affinché distolgano il piede dalla via della perdizione nella quale si sono gettati a capofitto; affinché non permettano che uomini imbevuti della filosofia di questo secolo diffondano tra il popolo queste mostruosità dottrinarie, contrarie all’istituzione di Cristo, alla tradizione dei Padri ed alle regole della Chiesa. Se dovesse mai accadere che il Nostro benevolo modo d’agire, le Nostre paterne ammonizioni, Dio non voglia, restassero inascoltati, sappiano costoro che non abbiamo intenzione di liberarli dalle più gravi pene alle quali sono sottoposti dai Canoni. Si persuadano che incorreranno nel Nostro anatema e che li denunceremo a tutta la Chiesa come scomunicati, come scismatici dalla Comunione ecclesiale e da Noi allontanati. Infatti è quanto mai opportuno che “chiunque abbia scelto di giacere nel fango della propria insipienza, sappia che le leggi mantengono la loro forza e che condividerà la sorte di coloro dei quali ha seguito l’errore, come C’insegna Leone Magno, Nostro predecessore, nella lettera a Giuliano, Vescovo di Coo. A Voi ora Ci rivolgiamo, Venerabili Fratelli, che – salve poche eccezioni – avete correttamente riconosciuto i vostri doveri nei confronti del gregge e senza preoccuparvi dei rispetti umani li avete professati di fronte a tutti; che avete ritenuto che occorressero maggior impegno e maggior fatica proprio dove incombeva più grande il pericolo; a Voi adattiamo l’elogio nel quale il lodato Leone Magno accomunò i Vescovi dell’Egitto cattolico riuniti a Costantinopoli: “Sebbene io soffra assieme con voi, di tutto cuore, per i travagli che avete sopportato per osservare la Fede cattolica, ed io senta tutto ciò che avete subìto da parte degli eretici non diversamente che se fosse stato fatto personalmente a me, tuttavia riconosco che c’è ragione maggiore di gaudio che non di tristezza, dal momento che, con l’aiuto del Signore Gesù Cristo, siete rimasti saldi nella dottrina evangelica ed apostolica. E quando i nemici della Fede cristiana vi cacciarono dalla sede delle chiese, preferiste subire l’offesa dell’esilio piuttosto che essere infettati dal contagio della loro empietà. Pensando a voi, non possiamo non sentire grande consolazione e non possiamo non esortarvi con forza a perseverare nel comportamento. Richiamiamo alla vostra memoria il nesso di quel matrimonio spirituale con il quale siete legati alle vostre Chiese e che può essere annullato in forma canonica soltanto dalla morte o dalla Nostra autorità apostolica. Ad esse dunque mantenetevi stretti e non abbandonatele mai all’arbitrio dei lupi rapaci, contro le cui insidie, traboccanti di santo ardore, voi avete già levato la voce e non avete tentennato nel compiere i doveri derivanti dalla legittima autorità. Ora parliamo a voi, diletti Figli, Canonici degli spettabili Capitoli, che, come è giusto, siete fedeli ai vostri Arcivescovi e Vescovi e – come tante membra collegate con la testa – date vita ad un unico corpo ecclesiastico, che non può essere sciolto o sconvolto dal potere civile. Voi dunque, che così lodevolmente avete seguito i nobili esempi dei vostri Presuli, non allontanatevi mai dalla retta via sulla quale state procedendo, e non permettete che qualcuno, indossate le mentite spoglie di Vescovo o di Vicario, s’impadronisca del governo delle vostre Chiese. Esse infatti, se sono rimaste vedove del loro Pastore, apparterranno soltanto a voi, ad onta di qualunque nuova macchinazione venga compiuta contro di voi. Con la concordia degli animi e delle opinioni, tenete dunque lontano da voi, più che potete, ogni invasione e scisma. Ci rivolgiamo anche a voi, diletti Figli, Parroci e Pastori del second’ordine che, moltissimi per numero e costanti per virtù, avete svolto il vostro dovere, completamente diversi da quei vostri colleghi che – vinti dalla debolezza o catturati dall’ambizione – divennero schiavi dell’errore e che ora, da Noi ammoniti, speriamo ritorneranno sollecitamente al loro dovere. Continuate coraggiosamente nell’opera iniziata e ricordate che il mandato che riceveste dai vostri Vescovi legittimi non può esservi tolto che da loro; ricordate che, per quanto espulsi dal vostro incarico dal potere civile, tuttavia siete sempre Pastori legittimi, obbligati dal vostro dovere a tener lontani, per quanto possibile, i ladri che tentano d’introdursi nella vostra casa con l’unico disegno di perdere le anime affidate alle vostre cure e della cui salvezza sarete chiamati a rendere conto. Parliamo anche a voi, diletti Figli, Sacerdoti ed altri Ministri del clero francese, che – chiamati a partecipare del Signore – dovete attenervi ai vostri legittimi pastori e rimanere costanti nella fede e nella dottrina, nulla avendo di più caro che evitare i sacrileghi invasori, e rigettarli. Infine preghiamo voi tutti nel Signore, diletti Figli cattolici del Regno di Francia: ricordandovi della religione e della fede dei vostri padri, col più grande affetto del cuore vi sollecitiamo a non discostarvene, perché questa è la sola e la vera religione che dona la vita eterna e che sorregge e rende prospere anche le società civili. State ben attenti a non prestare orecchio alle insidiose voci della filosofia di questo secolo, che sono foriere di morte. Tenetevi lontani da tutti gli usurpatori, che si facciano chiamare Arcivescovi, Vescovi o Parroci, e non abbiate con loro nulla in comune, men che meno nelle cose divine. Ascoltate assiduamente le voci dei legittimi Pastori, quelli che vivono ancora e quelli che in futuro vi verranno assegnati nelle forme canoniche. In una parola, insomma, tenetevi solidali con Noi; nessuno infatti può far parte della Chiesa di Cristo, se non si mantiene unito al suo Capo visibile, e stretto alla Cattedra di Pietro. Affinché tutti siano spinti a compiere più coraggiosamente i loro doveri, Noi invochiamo per voi dal Padre Celeste lo spirito di saggezza, verità e costanza; in pegno del Nostro amore paterno dal più profondo del cuore impartiamo a voi, diletti Figli Nostri, Venerabili Fratelli e diletti Figli, l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, sotto l’anello del Pescatore, il 13 aprile 1791, anno diciassettesimo del Nostro

Pontificato.

PIO PP. VI

 

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE IL MODERNISTA APOSTATA DI TORNO: “Traditi humilitati” (Pio VIII)

 Traditi humilitati

Pio VIII

Traditi humilitati è una Enciclica di Pio VIII, al  secolo Francesco Saverio Castiglioni, scritta dopo la sua elezione, unica del suo breve Pontificato. È una lettera piena di contenuti, ad iniziare dai particolari richiami ai Vescovi sulla formazione del clero, la santità dei sacerdoti e sui seminari diocesani. Richiami amorevoli, ma fermi e decisi nel delineare il ruolo e l’azione degli uni e degli altri, soprattutto per contrastare le perverse dottrine che minavano, come sempre, la linearità e la verità dell’insegnamento dottrinale cattolico. Il Pontefice denuncia quelli che erano all’epoca dei mali allo stato iniziale, anche se “in nuce” molto virulenti, mali che hanno preso il sopravvento non sola nella società scristianizzata attuale, ma soprattutto tra gli “addetti” alle cose sacre, oramai ridotti ad un esercito sempre più sparuto di zombi apostati, traditori del Cristo crocifisso, o a falsi prelati senza giurisdizione o mandato, falsamente consacrati, in pratica laici in maschera di carnevale che officiano riti invalidi e sacrileghi, oltre che finti sacramenti veicolo satanico privilegiato. Si sottolineano i mali dell’indifferenza religiosa e dell’ecumenismo, vero cancro che sconvolge la mente e lo spirito di tante anime che credendo ad esso come ad un principio cattolico, si candidano automaticamente per un posto garantito all’inferno. Un colpo di pugnale al cuore dei modernisti apostati è l’espressione seguente del Papa Pio VIII, … insegnare che la Cattolica è la sola vera religione, secondo le parole dell’Apostolo: “Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo” (Ef IV,5)…. perciò sarà un profano, come diceva Girolamo, colui che mangerà l’agnello fuori da questa casa, e perirà colui che durante il diluvio non si rifugerà nell’arca di Noè… Ora invece tutto congiura a buttare fuori dall’arca di Noè [cioè la “vera” Chiesa Cattolica] anche quei pochi che già si trovavano in essa, ed a chiudere le porte a coloro che vorrebbero entrarvi. Altro “diretto” in pieno volto è il richiamo all’uso scorretto e deviante delle traduzioni bibliche, “ermeneuticamente” argomentate dalla delirante “nouvelle theologie”, dogma modernista, e delle false interpretazioni mille miglia lontane dalle verità da sempre evidenziate dai Padri della Chiesa e dai santi Teologi. La stoccata alle conventicole massonichefetida empietà di uomini scellerati mette al tappeto i grembiulini infiltrati nei sacri palazzi, quelli delle 4 “logge” in 8 edifici, e tutti gli sconsiderati che vorrebbero indurre a credere che la “vera” Chiesa possa dialogare alla pari con i servi di baal, del baphomet-lucifero da essi adorato. Ecco come li tratteggia, con brevi ed efficaci parole, il Santo Padre che ancora una volta li scomunica confermando le analoghe decisione dei suoi predecessori: “Tale setta si adopera, con scaltrezza, di assumere maestri corrotti che conducano i discepoli sui sentieri di Baal, con dottrine contrarie a Dio, ben sapendo che le menti e i costumi degli alunni sono plasmati dai precetti degli insegnanti… e citando S. Leone Magno continua: “La loro legge è la menzogna, il demonio la loro religione, la turpitudine il loro culto“. Continua poi con i seminari, affinché preparino santi Sacerdoti, cosa che oramai, da almeno circa un trentennio e più non vediamo perché, come recitano le cronache e gli interventi della Legge e di giudici nei tribunali, sono diventati ricettacolo di omosessuali, pedofili e depravati vari che vengono mandati come lupi rapaci tra le pecore e gli agnelli. C’è ancora spazio nella lettera per il ruolo sacro del Matrimonio e per l’Autorità Papale, garanzia assoluta del governo della Chiesa per tutti i veri Cristiani, oggi ridicolizzata dagli antipapi marrani!

Ma lasciamo perdere l’acattolicità degli spergiuri, nel fuoco già fino alla gola, e godiamoci questa santa e cattolica lettura: che possa darci, tra tanto sterco e tanta melma mediatica, una boccata di vera spiritualità cristiana, ormai retaggio di altri tempi fortunati:

TRADITI HUMILITATI nostræ pontificatus possessionem hac ipsa die …” – “Prima di recarci quest’oggi alla Basilica Lateranense, secondo la consuetudine introdotta dai Nostri Predecessori, per prendere possesso del Pontificato concesso alla Nostra umiltà, allarghiamo con gioia il Nostro cuore su di voi, Venerabili Fratelli, che a Noi foste assegnati, come coadiutori nell’adempimento di tanto grande incarico, da Colui che possiede ogni grado di dignità e domina ogni vicenda temporale. Non solo Ci riesce dolce e gradito esprimervi i Nostri intimi sentimenti di benevolenza, ma soprattutto, per il sommo bene della vita cristiana, Ci giova entrare in comunione spirituale con voi, e insieme conoscere quali maggiori vantaggi, giorno per giorno, si possano procurare alla Chiesa. È questo un impegno del Nostro ministero, a Noi affidato nella persona di San Pietro per divino incarico dello stesso Fondatore della Chiesa; per esso, a Noi compete pascere, guidare, governare non solamente gli agnelli, ossia il popolo cristiano, ma anche le pecore, ossia i Vescovi.Esultiamo con tutto il cuore e ringraziamo il Principe dei pastori per aver preposto a guardia del suo gregge siffatti pastori, animati unicamente dalla sollecitudine e dal pensiero di condurlo sulle vie della giustizia, di allontanare da esso ogni pericolo, di non perdere alcuno di coloro che il Padre ha loro affidato. Infatti, Venerabili Fratelli, Noi ben conosciamo la vostra salda fede, l’assiduo zelo per la Religione, l’ammirevole santità della vita, la singolare prudenza. Ci aspettiamo pertanto molti motivi di letizia per Noi, per la Chiesa, per questa Santa Sede da tale corona di irreprensibili operai; questa lieta speranza Ci ispira coraggio, timorosi come siamo sotto il peso di un tale incarico, e Ci ristora e Ci ricrea, anche se sopraffatti da tante inquietudini.Ma per non sollecitare senza motivo chi già s’affretta, ometteremo volentieri di intrattenervi a lungo circa i doveri che devono essere tenuti presenti nell’esercizio del vostro ministero, secondo quanto prescrivono i sacri canoni; non occorre ricordarvi che nessuno deve abbandonare il luogo e la custodia del gregge a lui affidato e con che cura e diligenza si deve affrontare la scelta dei ministri sacri. Rivolgiamo piuttosto le Nostre preghiere a Dio Salvatore perché vi protegga con la potenza della sua grazia e conduca a felice esito le vostre azioni e i vostri sforzi.Malgrado ciò, anche se il Signore Ci conforta per il vostro coraggio, Venerabili Fratelli, Noi siamo costretti ad essere ancora tristi, avvertendo le crudeli amarezze che, pur in una situazione di pace, i figli di questo secolo Ci infliggono. Parliamo, o Fratelli, di quei mali noti, manifesti che deploriamo con comuni lacrime, e che con solidale impegno dobbiamo correggere, estirpare, sconfiggere. Parliamo degli innumerevoli errori, delle dottrine perverse che combattono la fede cattolica, non più in segreto e di nascosto ma con palese accanimento.Voi sapete in che modo uomini scellerati abbiano alzato insegne di guerra contro la Religione, ricorrendo alla filosofia, di cui si proclamano dottori, e a fatui sofismi tratti da idee mondane. Questa Romana Santa Sede del beatissimo Pietro, su cui Cristo pose le fondamenta della sua Chiesa, è soprattutto perseguitata; a poco a poco si spezzano i vincoli della sua unità. Si incrina l’autorità della Chiesa, i sacri ministri vengono isolati e disprezzati. Sono rifiutati i più virtuosi precetti, derisi i riti divini, il culto di Dio è esecrato dal peccatore (Sir 1,32); tutto ciò che riguarda la Religione è considerato come una vecchia favola e come vana superstizione. Diciamo tra le lacrime: “Davvero ruggirono i leoni sopra Israele (Ger II,25); davvero si riunirono contro Dio e contro Cristo; davvero gli empi hanno gridato: distruggete Gerusalemme, distruggetela sino alle fondamenta– A questo fine mira la turpe congiura dei sofisti di questo secolo, che non ammettono alcun discrimine tra le diverse professioni di fede; che ritengono sia aperto a tutti il porto dell’eterna salute, qualunque sia la loro confessione religiosa, e che tacciano di fatuità e di stoltezza coloro che abbandonano la religione in cui erano stati educati per abbracciarne un’altra, fosse pure la Religione Cattolica. Certamente è un orrendo prodigio d’empietà attribuire la stessa lode alla verità e all’errore, alla virtù e al vizio, alla onestà e alla turpitudine. – È davvero letale questa forma d’indifferenza religiosa ed è respinta dal lume stesso della ragione naturale, la quale ci avverte chiaramente che tra religioni discordanti se l’una è vera, l’altra è necessariamente falsa, e che non può esistere alcun rapporto tra luce e tenebre. Occorre, Venerabili Fratelli, premunire i popoli contro questi ingannatori, insegnare che la Cattolica è la sola vera religione, secondo le parole dell’Apostolo: “Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo” (Ef IV,5). Perciò sarà un profano, come diceva Girolamo, colui che mangerà l’agnello fuori da questa casa, e perirà colui che durante il diluvio non si rifugerà nell’arca di Noè. E infatti, oltre il nome di Gesù, nessun altro nome è concesso agli uomini che possa salvarli (At IV,12); chi avrà creduto sarà salvo, chi non avrà creduto sarà condannato (Mc XVI,16). – Bisogna inoltre vigilare sulle società di coloro che pubblicano nuove traduzioni della Bibbia in ogni lingua volgare, contro le salutari regole della Chiesa, per cui i testi vengono astutamente travisati in significati aberranti, a seconda degli umori di ciascun traduttore. Tali versioni vengono distribuite gratuitamente dappertutto, con spese esorbitanti, anche ai più ignoranti, e spesso vi sono inseriti perversi scritti in modo che i lettori bevano un letale veleno, là dove credevano di attingere le acque della salutare sapienza. Già da tempo la Sede Apostolica ha messo in guardia il popolo cristiano contro questo attentato alla fede, e ha condannato gli autori di così grande iattura. A tale scopo furono nuovamente richiamate alla memoria di tutti le regole statuite per decisione del Concilio di Trento e quanto fu disposto dalla stessa Congregazione dell’Indice per cui non devono essere consentite le versioni in lingua volgare dei sacri testi, salvo non siano approvate dalla Santa Sede e accompagnate da commenti tratti dalle opere dei Santi Padri della Chiesa . Allo stesso scopo il sacro Concilio Tridentino, per infrenare gl’ingegni più irrequieti, emise il seguente decreto: “In materia di fede e di costumi che riguardino la dottrina cristiana, nessuno osi confidare nel proprio senno e tradurre la sacra scrittura deformandola a proprio talento, ossia interpretarla in un senso diverso da quello che la Santa Madre Chiesa ha sempre seguito o contro l’unanime concordanza dei Padri” . Sebbene appaia evidente da questi decreti canonici che tali insidie contro la Religione Cattolica sono state da molto tempo respinte, tuttavia gli ultimi Nostri Predecessori di felice memoria, pieni di sollecitudine per l’incolumità del popolo cristiano, ebbero cura di reprimere quei nefasti ardimenti che essi vedevano rinnovarsi ovunque, e sull’argomento pubblicarono severe lettere apostoliche (Si leggano, fra le altre, la lettera apostolica di Pio VII all’Arcivescovo di Gniezno dell’1 giugno 1816, e all’Arcivescovo di Mohilew, del 3 settembre 1816). Usate le stesse armi, Venerabili Fratelli, per combattere le battaglie del Signore, mentre corre così grande pericolo la Sacra Dottrina, in modo che il letale veleno non si diffonda nel vostro gregge, portando a rovina gli stessi Sovrani. – Così, dopo aver evitato lo stravolgimento delle Sacre Scritture, è vostro dovere, Venerabili Fratelli, indirizzare gli sforzi contro quelle società segrete di uomini faziosi che, nemici di Dio e dei Principi, sono tutti dediti a procurare la rovina della Chiesa, a minare gli Stati, a sovvertire l’ordine universale e, infranto il freno della vera fede, si sono aperti la via ad ogni sorta di scelleratezze. Costoro si sforzano di nascondere nelle tenebre di riti arcani la iniquità dei loro conciliaboli e le decisioni che vi assumono, e per questo motivo hanno suscitato gravi sospetti circa quelle imprese infami che per la tristezza dei tempi, come da spiraglio di un abisso, eruppero a suprema offesa del consorzio religioso e civile. Perciò i sommi Pontefici Clemente XII, Benedetto XIV, Pio VII e Leone XII (Clemente XII, con la costituzione In eminenti; Benedetto XIV con la costituzione Providas; Pio VII, con la costituzione Ecclesiam a Jesu Christo; Leone XII con la costituzione Quo graviora), dei quali siamo successori anche se di gran lunga inferiori per meriti, scomunicarono quelle società segrete (qualunque fosse il loro nome) con pubbliche lettere apostoliche, le cui disposizioni Noi confermiamo nella pienezza del Nostro potere apostolico ordinando la scrupolosa osservanza di esse. Noi, con tutto il Nostro zelo, vigileremo perché la Chiesa e la società civile non ricevano alcun danno dalla cospirazione di tali sette e invochiamo la vostra quotidiana assiduità in tale impresa, in modo che, indossando l’armatura della costanza e rinsaldando validamente l’unità degli spiriti, Noi possiamo sostenere la nostra causa comune, o, meglio dire, la causa di Dio, al fine di distruggerei baluardi eretti dalla fetida empietà di uomini scellerati. – Tra tutte queste società segrete, abbiamo deciso di descriverne una in particolare, costituita di recente con lo scopo di corrompere l’animo degli adolescenti che frequentano i ginnasi e i licei. Tale setta si adopera, con scaltrezza, di assumere maestri corrotti che conducano i discepoli sui sentieri di Baal, con dottrine contrarie a Dio, ben sapendo che le menti e i costumi degli alunni sono plasmati dai precetti degli insegnanti.

Siamo perciò indotti a deplorare, gemendo, che la licenza dei giovani sia giunta al punto di rimuovere il timore della Religione, di rifiutar la disciplina dei costumi, di opporsi alla santità della più pura dottrina, di calpestare i diritti del potere religioso e civile, di non vergognarsi più di alcun delitto, di alcun errore, di alcuna audacia, per cui possiamo dire di essi, con Leone Magno: “La loro legge è la menzogna, il demonio la loro religione, la turpitudine il loro culto” . Allontanate tutti questi mali dalle vostre Diocesi, o Fratelli, e, per quanto vale la vostra autorità e il vostro ascendente, fate in modo che siano incaricati della educazione dei giovani uomini eminenti non solo per la loro cultura letteraria, ma soprattutto per purezza di vita e di pietà. – In tal senso vigilate con la più assidua sollecitudine nei seminari sui quali a voi in modo particolare è stata affidata la sorveglianza dai Padri del Concilio Tridentino . Dai seminari infatti devono provenire coloro che, compiutamente educati alla disciplina cristiana ed ecclesiastica, e ai princìpi della più sana dottrina, dimostreranno tale devozione nell’adempimento del loro divino ministero, tale dottrina nella educazione del popolo, tale severità di costumi che il ministero a loro affidato sarà apprezzato anche dai profani, ed essi potranno, con virtuose parole, rimproverare coloro che si allontanano dal sentiero della giustizia. Noi chiediamo alla vostra sollecitudine, per il bene della Chiesa, di dedicare tutto il vostro zelo nella scelta di coloro ai quali dovrà essere affidata la cura delle anime, in quanto dalla oculata scelta dei parroci deriva soprattutto la salute del popolo, e nulla contribuisce di più alla rovina delle anime quanto essere guidati da coloro che cercano il proprio bene e non quello di Gesù Cristo, o da coloro che, scarsamente imbevuti di vero sapere, si fanno volgere in giro da ogni vento e non sanno condurre il loro gregge ai salutari pascoli che non conoscono o che disprezzano. – Dal momento che proliferano ovunque smisuratamente libri funesti, mediante i quali l’insegnamento degli empi si diffonde come un tumore in tutto il corpo della Chiesa (2Tm 2,17), vigilate sul gregge e non sottraetevi a nessuna fatica pur di scongiurare la peste di quei libri, dei quali nulla è più pernicioso; ammonite le pecore di Cristo a voi affidate con le parole di Pio VII, Nostro santissimo Predecessore e benefattore (In litt. encyclicis ad universos episcopos datis Venetiis), secondo le quali il gregge deve considerare come pascoli salutari (e di essi nutrirsi) solo quelli a cui li abbiano invitati la voce e l’autorità di Pietro; qualora quella voce lo diffidi e lo richiami indietro da altre pasture, le si consideri nocive e pestifere, ci si allontani da esse con orrore, non ci si lasci ingannare da nessuna apparenza o perversa lusinga. – Ma, dati i tempi in cui viviamo, abbiamo deciso di raccomandare vivamente al vostro amore per la salute delle anime, di inculcare nel vostro gregge la venerazione per la santità del matrimonio, in modo che non accada mai nulla che diminuisca la dignità di questo grande sacramento, che offenda la purezza del letto nuziale, che possa insinuare alcun dubbio sulla indissolubilità del vincolo matrimoniale; si potrà raggiungere questo intento se il popolo cristiano sarà pienamente convinto che il matrimonio non è soltanto soggetto alle leggi umane ma anche alla legge divina; che bisogna considerarlo un bene sacro e non solo una realtà terrena, e che perciò è totalmente soggetto alla Chiesa. Infatti il vincolo coniugale che un tempo non aveva altro scopo che di procreare e di continuare la specie, ora è stato innalzato da Cristo Signore alla dignità di sacramento e arricchito di doni celesti, in quanto la Grazia ne perfeziona la natura; pertanto quel vincolo non è allietato tanto dalla prole, quanto piuttosto dall’educarla a Dio e alla sua divina Religione: così tende ad accrescere il numero degli adoratori del vero Dio. Risulta infatti che questa unione matrimoniale, di cui Dio è autore, raffigura la perpetua e sublime unione di Cristo Signore con la Chiesa, e che questa strettissima unione tra marito e moglie è un sacramento, ossia un sacro simbolo dell’amore immortale di Cristo per la Sua Sposa. In tal modo è necessario istruire i popoli (Legatur catechism. Rom. ad parochos de matrimon.) e spiegare ad essi ciò che è stato sancito e ciò che è stato condannato dalle regole della Chiesa e dai decreti dei Concilii, affinché i popoli operino in modo di conseguire la virtù del sacramento e non osino compiere ciò che la Chiesa ha condannato; e, per quanto possiamo, chiediamo al vostro zelo di prestarvi in questo con tutta la pietà, la dottrina e la diligenza di cui siete dotati. – Avete appreso, Fratelli, ciò che ora più di ogni altra cosa suscita dolore in Noi che, posti sul soglio del Principe degli Apostoli, dobbiamo essere presi dall’amore per tutta la casa di Dio. Si aggiungono anche altri argomenti, non meno gravi, che qui sarebbe lungo enumerare e che voi sicuramente conoscete. Ma potremmo Noi trattenere la Nostra voce in una congiuntura così difficile per la cristianità? Forse che, impediti da motivi umani, o torpidi nell’indolenza, sopporteremo in silenzio che sia lacerata la tunica di Cristo Salvatore, che neppure i soldati che lo crocifissero osarono dividere? Non accada, carissimi, che al gregge disperso venga a mancare la protezione del pastore amoroso e sollecito! Noi non dubitiamo che voi farete anche più di quanto vi chiede questo scritto e che vi adoprerete con i precetti, i consigli, le opere, lo zelo, a favorire la Religione avita, a diffonderla e a proteggerla. – Per la verità, ora, nella crudezza della situazione, dobbiamo in particolar modo pregare in ispirito e con maggior fervore; dobbiamo supplicare Dio affinché, come risanate piaghe d’Israele, faccia sì che la sua santa Religione fiorisca ovunque, e permanga incrollabile la vera felicità dei popoli; affinché il Padre della misericordia, volgendo lo sguardo propizio sui giorni del Nostro ministero, si degni di custodire e illuminare il pastore del suo gregge. Vogliano i potentissimi Principi, con il loro animo nobile ed elevato, favorire lo zelo e gli sforzi Nostri; quel Dio che loro ha donato un cuore docile all’adempimento delle sue prescrizioni, li rassicuri con un supplemento di sacri carismi, in modo che con tenacia compiano quelle azioni che riescano utili e salutari alla Chiesa afflitta da tante calamità. – Questo chiediamo supplichevoli a Maria Santissima Madre di Dio, che sappiamo, Lei sola, aver annientato tutte le eresie e che in questo giorno Noi salutiamo con riconoscenza col titolo di “Ausilio dei cristiani“, ricordando il ritorno del Nostro beatissimo Predecessore Pio VII in questa città di Roma, dopo tribolazioni di ogni genere. – Chiediamo al Principe degli Apostoli Pietro e al suo co-Apostolo Paolo di non permettere che alcun sconvolgimento Ci minacci, saldi come siamo sulla pietra della Chiesa per merito del Principe dei Pastori Gesù Cristo Nostro Signore, dal quale invochiamo di riservare sulle Fraternità Vostre e sui greggi a voi affidati i più abbondanti doni di grazia, di pace e di gaudio, mentre, quale segno del Nostro affetto, con tutto il cuore vi impartiamo l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 24 maggio 1829, anno primo del Nostro Pontificato.

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE IL MODERNISTA APOSTATA DI TORNO: Inscrutabile divinæ

Pio VI

Inscrutabile divinæ sapientiæ consilium, cuius semper mirabilia sunt opera, …

In questa lettera enciclica, il Santo Padre richiama i vescovi all’osservanza delle apostoliche disposizioni, in particolare riguardo alla scelta dei sacerdoti ed all’istituzione dei seminari. Richiama alla difesa della Fede cattolica ed alla vigilanza circa le idee e le filosofie prorompenti e dissacranti dei “liberali” che si erano infiltrare anche negli ambienti clericali dell’epoca, già percepite dal Pontefice essere la sorgente che avrebbe alimentato il fiumiciattolo dei novatori, diventato poi un mare magnum sfociato nelle attuali demenze modernistiche a-cattoliche madri di eresie pantagrueliche vergognosamente manipolate da infiltrati marrani che avranno buon gioco addirittura ad estromettere il Santo Padre (Gregorio XVII) insediando al suo posto una serie di antipapi, “fantocci”, giullari, buffoni e nani delle conventicole, che stanno dando l’idea di una Chiesa oramai allo sbando e da eliminare a vantaggio di un satanico ecumenismo interreligioso, partorito dalle retro logge, che come obiettivo ha l’eliminazione del Sacrificio redentivo di Cristo, Salvatore dell’umanità, per innalzare sugli altari simulacri, abomini pagani, culti rosacrociani ed oscenità obbrobriose, come già accaduto ad Assisi in tempi recenti con le lodi e gli applausi di beati ignari e di imbecilli asserviti e condizionati da falsi indottrinamenti di tanti Iscarioti, i “maestri menzogneri”, i “sapienti truffatori”, i sepolcri imbiancati in saio bianco, nero o marrone, in talare nera, rossa e bianca, molti dei quali stanno già godendo del loro posto “al calduccio” vicino al loro padre, il baphomet-lucifero da essi vergognosamente adorato. Ma ascoltiamo il Santo Padre, Pio VI, che richiama giustamente i prelati dell’epoca, richiami fatti propri oggi dai pochissimi Vescovi della Chiesa Cattolica, l’unica vera Chiesa di Cristo, fuori dalla quale non c’è salvezza, attualmente “eclissata” e nascosta in sotterranei o rifugi improvvisati. Ma quinto carattere della vera Chiesa di Cristo è la “persecuzione”, carattere più che mai attuale e che la distingue da ogni altra setta finto-cristiana o dai culti pagani di ogni risma.

“Inscrutabile divinæ sapientiæ consilium, cuius semper mirabilia sunt opera, …

.1. Il disegno imperscrutabile della divina sapienza, le opere della quale sono sempre meravigliose, come fra mille persone scelse Davide di modestissima origine, e dal gregge di pecore l’innalzò al trono della gloria a governare il suo popolo e a renderlo accetto a Dio con la verga del comando; allo stesso modo non disprezzò la Nostra bassezza, tanto che, sebbene ultimi fra tutti fossimo stati ammessi fra i padri porporati e tenessimo l’ultimo posto, tuttavia volle che Noi fra tutti gli altri, che pure apparivano più degni del diadema papale, avessimo ad assumere le funzioni di Pontefice, e, innalzati a così grande onore, avessimo a governare tutta la sua Chiesa. Quando, taciti e grati, consideriamo attentamente questa meravigliosa degnazione, e l’immensa bontà nei Nostri riguardi, non possiamo trattenerci dal pianto, riflettendo a questa misericordia così benefica e nello stesso tempo a questa onnipotenza, per la quale riversò così generosamente i suoi doni su colui nel quale non trovava nessun merito: mettendo Noi, deboli e immeritevoli, a capo delle genti perché, sostituendo in terra l’Eterno Pastore, pascolassimo la sua discendenza di fedeli e la guidassimo al sacro monte di Sion nella Gerusalemme Celeste. E poiché è assolutamente convenuto che il Nostro ossequio e l’offerta del Pontefice consacrato comincino innalzando lodi al Signore, non possiamo non erompere in voci di esultanza; confidando nel Signore, la Nostra bocca canti con il profeta (Sal 144,21) le lodi del Signore; e l’anima Nostra, lo spirito, la carne e la lingua benedicano il suo santo nome: “Se è segno di devozione gioire di un dono, è anche necessario essere dubbiosi del proprio merito. Che cosa infatti è più temibile della fatica imposta a chi è troppo debole, dell’elevazione a chi è troppo in basso, della dignità conferita a chi non la merita?” (San Leone M., Serm. I, cap. 2).

2. Chi non sarebbe terrorizzato per l’attuale condizione del popolo cristiano, in cui la divina carità, per la quale noi siamo in Dio, e Dio in noi, si raffredda sensibilmente, i delitti e le iniquità crescono di giorno in giorno? Chi non sarebbe angosciato alla tristissima considerazione che abbiamo assunto la custodia e la protezione della Chiesa, sposa di Cristo, in un’epoca in cui tante insidie minano la vera Religione, la sana regola dei sacri canoni è tanto sfacciatamente disprezzata, uomini agitati e furiosi, come per un’irrefrenabile smania di novità, non esitano ad attaccare le stesse basi della razionale natura e tentano persino – se lo potessero – di sovvertirle? Certamente, in mezzo a tanti motivi di trepidazione, non rimarrebbe in Noi nessuna speranza di servire utilmente, se non vegliasse e non vigilasse colui che protegge Israele e dice ai suoi discepoli: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla consumazione dei secoli; se non si degnasse non solo di essere custode delle pecore, ma anche pastore degli stessi pastori” (San Leone M., Serm. V, cap. 2).

3. Poiché i doni divini scendono abbondantissimi in Noi, soprattutto quando la Nostra preghiera sale a Dio, Ci rivolgiamo a voi, Venerabili Fratelli, Nostri collaboratori e consiglieri, chiedendovi quale prima cosa – in nome di quella carità per la quale siamo una sola cosa nel Signore, e di quella fede per la quale siamo uniti in un sol corpo – di non smettere di pregare quotidianamente Iddio, affinché Ci conforti con la potenza della sua virtù, effonda su di Noi lo spirito della saggezza e della forza, affinché – in mezzo a tante difficoltà delle cose e dei tempi – possiamo vedere ciò che dobbiamo fare e riusciamo a compierlo dopo che lo avremo visto. Pregate dunque in ispirito; e sia la vostra preghiera invocazione d’amore per Noi e prova irrefutabile di fraterna unione. E perché otteniamo più prontamente ciò che Ci è necessario, fate intercedere Maria, la Santissima Madre di Dio, nella protezione della quale abbiamo grandissima fiducia, e tutta la Celeste Curia; e specialmente implorate per Noi la protezione e l’aiuto del Beatissimo Apostolo Pietro “la sede del quale godiamo non tanto di occupare, quanto di servire, sperando che Per le sue preghiere il Dio di misericordia contemplerà benevolmente i tempi in cui dobbiamo esercitare il Nostro Ministero, e sempre si degnerà di proteggere e ristorare il pastore delle sue pecore” (San Leone M., Sermo V, cap. 5).

4. In verità, nello stesso inizio del Nostro apostolico servizio, da Noi assunto con tutto l’impegno di paterna carità di cui siamo capaci, Vi sollecitiamo, Venerabili Fratelli, e Vi esortiamo ad essere fedeli amministratori dei misteri di Dio. Voi, che partecipate del Signore, non ignorate che cosa dovete fare, quali fatiche dovete sostenere per la Chiesa di Dio per adempiere costantemente il vostro dovere. Pertanto Vi esortiamo e preghiamo di tener desta la grazia che Vi è stata data con l’imposizione delle mani, e di non trascurare niente di quel che riguarda l’incremento dell’amministrazione di quel corpo “che fu formato da Cristo e connesso in ogni giuntura” (Ef 4,16) in fede e in carità. Pertanto, poiché siamo abbastanza persuasi che il principale vantaggio della Chiesa deriva dal fatto che solo coloro che sono provati in tutto e per tutto sono ammessi a far parte della milizia clericale, non è necessario che Vi raccomandiamo la più diligente osservanza di ciò che a questo proposito è stabilito dalle leggi canoniche. Accesi di sollecito zelo, farete in modo che coloro che non dimostrano santità di costumi, non sono istruiti nella legge del Signore e nulla promettono di sé e della propria attività, non abbiano alcun accesso alla milizia ecclesiastica, affinché coloro che debbono porgervi le loro mani valide ad aiutarvi nel pascolare e guidare il gregge non aggiungano fatica alla Vostra fatica, molestia alle molestie, e non Vi siano d’impedimento a far sì che il Signore raccolga dai suoi coltivatori quei frutti che alla resa dei conti del futuro giudizio Gesù Cristo, severissimo e giustissimo giudice, pretenderà da Voi. È necessario che il futuro sacerdote si segnali per santità e dottrina. Infatti, Dio respinge da sé, né vuole che siano suoi sacerdoti, coloro che hanno rifiutato la scienza, né può essere operaio idoneo al raccolto chi alla pietà dei costumi non ha unito l’amore per la scienza. Poiché il sacerdote ha bisogno di un’accurata istruzione, fu opportunamente decretato che in ogni Diocesi, secondo le possibilità, si istituisse, ove mancasse, un collegio di chierici, e, una volta istituito, lo si mantenesse con ogni cura. Se infatti, fin dai più teneri anni non si forma alla pietà e alla religione, e non si fa esercitare nella letteratura la gioventù, per sua natura incline a prendere una cattiva strada, in che modo potrà avvenire che perseveri santamente nella disciplina ecclesiastica, o che compia negli studi umanistici e sacri quei progressi che il ministero della Chiesa esige quale esempio per il popolo dei fedeli? Siamo certi che tali collegi sono stati regolarmente istituiti, santamente e diligentemente conservati con le vostre cure, muniti di leggi idonee e ampliati nelle singole Diocesi, specialmente dopo che il Nostro Predecessore Benedetto XIV, d’imperitura memoria, raccomandò caldamente a ciascuno di voi tale opera (Enciclica Ubi primum, 3 dicembre 1740), assolutamente necessaria per la dignità che ricoprite. Pertanto, come non possiamo privare della pubblica lode Apostolica le rilevanti fatiche e la diligenza profusa nel curarli e nell’accrescerli, così, se per caso in qualche Diocesi o non fossero stati ancora istituiti, o fossero trascurati, non possiamo non sollecitare vibratamente coloro cui spetta, ed anche comandare loro affinché si sforzino con tutti i mezzi per una cosa tanto utile.

5. Per la stessa ragione non si può temere che Voi non attendiate sempre, con la più grande sollecitudine a ciò che, ordinariamente, commuove maggiormente i fedeli ed eccita il loro rispetto per le cose sacre, ossia per il decoro della casa di Dio e lo splendore di ciò che si riferisce al culto divino. Quale contrasto sarebbe incontrare più pulizia ed eleganza nel palazzo episcopale che non nella casa del Sacrifizio, nell’asilo della santità, nel palazzo del Dio vivente! Quale controsenso sarebbe vedere i paramenti sacri, gli ornamenti degli altari e tutta la suppellettile, polverosi per vecchiaia, cadere a pezzi, o far mostra di un vergognoso sudiciume, mentre la tavola episcopale fosse sontuosamente adorna, ed i vestiti del sacerdote eleganti! – “Che vergogna e che infamia – come ha detto così bene San Pier Damiani – è pensare che certuni presentano il Corpo del Signore avvolto in un panno sporco, e non temono di adoperare per deporre il Corpo del Salvatore un recipiente che un potente della terra, che non è che un vermiciattolo, non si degnerebbe di avvicinare alle proprie labbra!” (Libro IV, epist. 14, tomo I, Roma 1606). – Quanto a Voi, Venerabili Fratelli, Noi Vi giudichiamo ben lontani da questa negligenza, di cui si rendono soprattutto colpevoli, secondo quanto dice lo stesso santo Cardinale, quelli che, con le rendite della Chiesa, “non comprano dei libri, né procurano ornamenti o suppellettili per la loro Chiesa“, ma non si vergognano di spendere tutto per il loro uso, come se si trattasse di “spese necessarie“.

6. Abbiamo quindi reputato non inutile, Venerabili Fratelli, parlarvi affettuosamente di queste cose, a conferma della vostra ottima volontà. Ma qualcosa di molto più grave esige un Nostro discorso, e addirittura chiede in abbondanza le Nostre lacrime: trattasi di quel morbo pestilenziale che la malvagità dei nostri tempi ha generato. Unanimi, riunendo tutte le nostre forze, apprestiamo la medicina necessaria affinché, per Nostra negligenza, tale peste non cresca nella Chiesa, fino a diventare incurabile. Sembra infatti che in questi giorni sovrastino quei “tempi pericolosi” che profetizzò l’Apostolo Paolo, nei quali “gli uomini ameranno se stessi, saranno tronfi di superbia, bestemmiatori, traditori, amanti dei piaceri più che di Dio, sempre in atto di imparare e non mai in grado di possedere la conoscenza della verità, non privi di una specie di religione, ma rifiutando di riconoscerne il valore, corrotti d’animo e assolutamente riprovevoli per quel che riguarda la fede” (2Tm 3,3-5). – Questi si erigono a maestri “assolutamente menzogneri“, come li chiama il principe degli Apostoli, Pietro, e introducono principi di perdizione; negano quel Dio che li riscattò, procurando a se stessi una celere rovina. Dicono di essere sapienti, e sono invece diventati stolti; oscurato e insipiente è il loro cuore. – Voi stessi, che siete stati posti quali scrutatori nella casa d’Israele, vedete chiaramente quanti trionfi consegua ovunque quella filosofia piena d’inganni, che sotto un nome onesto nasconde la propria empietà, e con quanta facilità tragga a sé ed alletti tanti popoli. Chi potrà dire dell’iniquità dei dogmi e degl’infami vagheggiamenti che tenta d’insinuare? Questi uomini, mentre vogliono far credere che cercano la sapienza, “poiché non la cercano nel modo giusto, cadranno“; inoltre “incorrono in errori così grandi, che non riescono nemmeno a disporre della sapienza comune” (Lattanzio, Divine istituzioni, lib. III, cap. 28, Parigi 1748). Arrivano addirittura al punto di dichiarare empiamente o che Dio non esiste, o che è ozioso e scioperato, che non si cura per niente di noi, e che non rivela nulla agli uomini. Perché non ci si debba meravigliare se qualcosa è santo o divino, blaterano che ciò è stato inventato ed escogitato dalla mente di uomini inesperti, preoccupati dell’inutile timore del futuro, allettati dalla vana speranza dell’immortalità. – Ma codesti sapienti truffatori addolciscono ed occultano l’immensa perversità dei loro dogmi con parole ed espressioni così allettanti, che i più deboli – che sono la maggioranza – come presi dall’esca, irretiti in modo penoso, o abiurano completamente la fede, o la lasciano vacillare in gran parte, mentre seguono qualche conclamata dottrina ed aprono gli occhi verso una falsa luce che è più dannosa delle stesse tenebre. Senza dubbio il nostro nemico, desideroso e capace di nuocere, come assunse le sembianze del serpente per ingannare i primi uomini, così armò le lingue di costoro, lingue certamente bugiarde, dalle quali il Profeta (Sal 119) chiede che sia liberata l’anima sua: dal veleno di quella falsità che costituì l’arma per sedurre i fedeli. Così, costoro con le loro parole “s’insinuano umilmente, catturano dolcemente, discutono delicatamente e uccidono segretamente” (San Leone M., Serm. XVI, cap. 3). Conseguentemente, quanta corruzione di costumi, quanta licenziosità nel pensare e nel parlare, quanta arroganza e temerità in ogni azione!

7. In verità, questi perversi filosofi, sparse queste tenebre e strappata dai cuori la religione, cercano oltretutto di far sì che gli uomini sciolgano tutti quei legami dai quali sono uniti fra di loro e ai loro sovrani con il vincolo del loro dovere; essi proclamano fino alla nausea che l’uomo nasce libero e non è soggetto a nessuno. Quindi la società è una folla di uomini inetti, la stupidità dei quali si prosterna davanti ai sacerdoti (dai quali sono ingannati) e davanti ai re (dai quali sono oppressi), tanto è vero che l’accordo fra il sacerdozio e l’impero non è altro che una immane congiura contro la naturale libertà dell’uomo. Chi non vede che tali follie, e altre consimili coperte da molti strati di menzogne, recano tanto maggior danno alla tranquillità e alla quiete pubblica quanto più tardi viene repressa l’empietà di siffatti autori? E che tanto più danneggiano le anime, redente dal sangue di Cristo, quanto più si diffonde, simile al cancro, la loro predicazione, e s’introduce nelle pubbliche accademie, nelle case dei potenti, nei palazzi dei re e s’insinua – orribile a dirsi – persino negli ambienti sacri?

8. Perciò voi, Venerabili Fratelli, che siete il sale della terra, i custodi e i pastori del gregge del Signore e che dovete combattere le battaglie del Signore, sorgete, armatevi della vostra spada, che è la parola di Dio. Cacciate dalle vostre terre l’iniquo contagio. Fino a quando terremo nascosta l’ingiuria recata alla fede comune e alla Chiesa? Consideriamoci stimolati, come dal gemito della dolorante sposa di Cristo, dalle parole di Bernardo: “Una volta fu predetto, e ora è venuto il tempo dell’adempimento. Ecco, nella pace, la mia amarissima amarezza; amara prima per la strage dei martiri, più amara poi per le lotte degli eretici, e amarissima ora per i costumi privati… Interna è la piaga della Chiesa; perciò nella pace la mia amarezza è amarissima. Ma quale pace? Vi è la pace e la non pace. Pace per quel che riguarda i pagani e gli eretici, ma non certamente per quel che riguarda i figli. In questo tempo c’è la voce di qualcuno che piange: Nutrii i figlioli, e li innalzai; ma essi mi disprezzarono. Mi disprezzarono e m’insozzarono con la loro turpe vita, coi loro turpi guadagni e commerci, infine con il loro peregrinante operare nelle tenebre” (Serm. XXXIII, n. 16, tomo IV, Parigi 1691). Chi non si commuoverebbe di fronte a questi lacrimosi lamenti della piissima madre e non si sentirebbe spinto irresistibilmente a prestare tutta la propria attività e la propria opera, come con decisione promise alla Chiesa? Purgate dunque i vecchi fermenti, eliminate il male che è in mezzo a voi; cioè con grande energia ed impegno allontanate i libri avvelenati dagli occhi del gregge; isolate prontamente e con decisione gli animi infetti, affinché non siano di nocumento agli altri. “Infatti – diceva il santissimo Pontefice Leone – non possiamo guidare le persone che ci sono state affidate se non perseguiteremo con lo zelo della fede nel Signore coloro che rovinano e sono perduti, e se non isoliamo con tutta la severità possibile coloro che sono sani di mente, affinché la peste non si diffonda maggiormente(Epistole VII, VIII ai Vescovi italiani, cap. 2). – Vi esortiamo, vi supplichiamo e vi ammoniamo a compiere ciò, perché come nella Chiesa vi è una sola fede, un solo Battesimo e un solo spirito, così l’animo di tutti voi sia uno solo, e la concordia fra voi sia una sola, e unico lo sforzo. Se sarete uniti nelle istituzioni, lo sarete anche nella virtù e nella volontà. Si tratta di cosa della massima importanza, poiché si tratta della fede cattolica, della purezza della Chiesa, della dottrina dei Santi, della tranquillità del governo, della salute dei popoli. Si tratta di ciò che spetta a tutto il corpo della Chiesa, di ciò che soprattutto tocca a voi, che siete i pastori chiamati a partecipare alle Nostre preoccupazioni e in particolar modo alla vigilanza sulla purezza della fede. “Pertanto ora, fratelli, poiché voi siete i Vescovi nel popolo di Dio e da voi dipende l’anima dei fedeli, innalzate i loro cuori alle vostre parole” (Gdt 8,21), affinché rimangano fermi nella fede e possano raggiungere quella pace che notoriamente è stata preparata solo per i credenti. – Pregate, persuadete, sgridate, strepitate, non temete; un silenzio indifferente lascia nell’errore coloro che potevano essere istruiti: in un errore dannosissimo per loro e per voi, cui competeva il dovere di eliminarlo. La Santa Chiesa tanto più si rafforza nella verità quanto più ardentemente si lavora per la verità; non temete, in questa divina fatica, la potenza o l’autorità degli avversari. Sia lontano il timore dal Vescovo, che l’unzione dello Spirito Santo rinvigorì; sia lontano il timore dal pastore, al quale il Principe dei pastori insegnò con il suo esempio a disprezzare la vita per la salute del gregge; sia lontana dal petto del Vescovo l’abbietta demenza del mercenario. – Secondo il suo costume, il Nostro Predecessore Gregorio Magno insegnando ai capi delle Chiese diceva egregiamente: “Spesso i capi frivoli, temendo di perdere il consenso delle persone, hanno paura di dire liberamente le cose giuste e di parlare secondo la voce della verità, e si dedicano alla custodia del gregge non già con l’impegno dei pastori ma secondo il comportamento dei mercenari; se viene il lupo fuggono e si nascondono silenziosamente… Infatti, per il pastore, dire che ha temuto il bene o che è fuggito tacendo, che differenza fa?” (Liber regulae pastoralis, 11, cap. 4, tomo II). Se l’infame nemico del genere umano, per contrastare il più possibile i vostri tentativi, qualche volta si adopererà a che la peste del male avanzante sia nascosta fra le gerarchie religiose del secolo, vi prego di non perdervi d’animo, ma di camminare nella casa di Dio con l’accordo, la preghiera e la verità che sono le armi della Nostra milizia. – Ricordatevi che al contaminato popolo di Giuda nulla sembrò più adatto alla propria purificazione che la promulgazione – davanti a tutti, dal più piccolo al più grande – del Libro della Legge che il sommo sacerdote Elia aveva trovato poco prima nel tempio del Signore; e subito, con il consenso di tutto il popolo, eliminato quanto era abominevole, “alla presenza del Signore fu concluso un patto in forza del quale il popolo avrebbe seguito il Signore, avrebbe custodito i suoi precetti, le sue leggi e i riti relativi con tutto il cuore e con tutta l’anima“. Nello stesso spirito Giosafatte mandò i sacerdoti e i leviti con il Libro della Legge in giro per le città di Giuda, perché istruissero il popolo (2Cr 17,7ss). – Alla vostra fede, Venerabili Fratelli, per autorità non umana ma divina, è affidata la diffusione della parola divina; riunite dunque il popolo e annunciategli il Vangelo di Gesù Cristo; da quel divino cibo, da quella celeste dottrina fate derivare il succo della vera filosofia per il vostro gregge. Persuadete i sudditi che occorre conservare la fede e tributare ossequio a coloro che in forza dell’ordinazione divina presiedono e comandano. – A coloro che sono addetti al ministero della Chiesa date esempi di fede, affinché possano piacere a colui che li esamina e preferiscano soltanto ciò che è serio, moderato e pieno di religione. Soprattutto, poi, accendete negli animi di tutti il fuoco della vicendevole carità, che tanto spesso e tanto particolarmente Cristo Signore raccomandò e che è la sola tessera di riconoscimento dei cristiani, e vincolo di perfezione.

9. Sono queste, Venerabili Fratelli, le cose delle quali desideravamo in particolare parlarvi in nome del Signore, e che vi chiediamo di compiere con grande impegno e somma cura, affinché possiamo sperimentare quanto sia gioioso essere uniti, tutti Noi, nel conservare fedelmente il deposito affidato alla Nostra custodia. Ma a causa dei nostri peccati non potremo conseguire tali cose se non Ci verrà anticipata la misericordia del Signore, che Ci prevenga con la sua benedizione. Pertanto, affinché la Nostra comune preghiera giunga più rapidamente a Lui ed Egli sia riconciliato con Noi ed aiuti la Nostra debolezza, mentre mandiamo questa Lettera a voi, ne pubblichiamo un’altra con la quale concediamo il Giubileo a tutti i Cristiani, sperando in Colui che è compassionevole e misericordioso, tanto che diede a Noi la potestà in terra di legare e sciogliere, per l’edificazione del suo corpo. – Così Egli elargisca salute a voi e alle vostre greggi, affinché, sempre immuni da qualsiasi errore, possiate progredire di virtù in virtù. Ciò è quanto chiediamo con tutta l’anima, mentre impartiamo con molto affetto l’Apostolica Benedizione a Voi e ai popoli affidati alle vostre cure.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 25 dicembre 1775, anno primo del Nostro Pontificato.