UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE IL MODERNISTA APOSTATA DI TORNO: LAMENTABILI SANE EXITU

Dopo aver letto attentamente l’Enciclica “Pascendi” nelle settimane scorse, è obbligo esaminare anche il decreto che la Sacra Inquisizione, con l’approvazione di S. Pio X pose a coronamento delle valutazioni riportate nella Enciclica stessa. Leggendo tutte le 65 proposizioni di questo decreto, pare di leggere tutti i concetti di base oggi in voga nella falsa chiesa conciliare, quella fondata dalla setta del “novus ordo” dei massoni Roncalli, Montini, ed a seguire gestita dal teosofo comunista Woitiła, dell’Illuminata “volpe di Baviera” e dall’attuale falso Gesuita il “gatto della Pampa”, ed appoggiata dai marrani infiltrati e da tutti i traditori di Cristo a vario titolo. Tutti questi concetti condannati, riprovati, respinti con veemenza dalla Chiesa Cattolica nella persona qui del Sommo Pontefice Pio X, sono divenuti così le colonne portanti della nuova vaticana sinagoga di satana  [… boaz e jakin], che oramai non si preoccupa più nemmeno di opporre finte ribattute, tronfia del potere satanico che ha ricevuto [… intronizzazione di satana in Vaticano, nel 1963!] e della copertura mediatica dei mass media massonici. Tutto quanto la Santa Chiesa di Cristo ha affermato e difeso nei millenni, oggi viene capovolto e ribaltato da questo baraccone holliwoodiano, mescolato in un calderone con il solito minestrone riscaldato, cioè in uno gnosticismo grottesco che costituisce da sempre il denominatore comune di tutte le false religioni o sette mondiali di Occidente o di Oriente [… omnes dii gentium dæmoniaPs. XCV], nessuna esclusa, e massimamente concentrato nelle conventicole massoniche, fili con i quali i burattinai “incogniti” muovono tutti gli apparenti poteri mondiali, compreso quello spirituale [quello attualmente diretto da lucifero]. A noi “pusillus grex” di Cattolici ostinati, non resta che pregare che il Signore abbrevi questi giorni funesti, come già diceva S. Paolo nella lettera II ai Tessalonicesi, e riporti alla luce, facendola risplendere nuovamente, come Maestra del mondo e Sposa incontaminata di Cristo, la Santa Madre Chiesa, guidata dal Vicario di Cristo in terra, attualmente umiliato e confinato in un doloroso esilio. Intanto conviene ben fissare nella mente le condanne comminate da S. Pio X e dalla Sacra Inquisizione in questo secondo “Syllabo” [dopo quello di Pio IX] contenuto nel decreto “Lamentabili”.

“LAMENTABILI SANE EXITU”

“SUL PERICOLO COSTITUITO DA CERTI ESEGETI CHE, CON L’APPARENZA DI INTELLIGENZA E COL NOME DI CONSIDERAZIONE STORICA, CORROMPONO LA DOTTRINA”

SUPREMA SACRA INQUISIZIONE ROMANA ED UNIVERSALE

Con deplorevoli frutti, l’età nostra, impaziente di freno nell’indagare le somme ragioni delle cose, non di rado segue talmente le novità, che, lasciata da parte, per così dire, l’eredità del genere umano, cade in errori gravissimi. Questi errori sono di gran lunga più pericolosi qualora si tratti della disciplina sacra, dell’interpretazione della Sacra Scrittura, dei principali misteri della Fede. – È da dolersi poi grandemente che, anche fra i cattolici, si trovino non pochi scrittori i quali, trasgredendo i limiti stabiliti dai Padri e dalla Santa Chiesa stessa, sotto le apparenze di più alta intelligenza e col nome di considerazione storica, cercano un progresso dei dogmi che, in realtà, è la corruzione dei medesimi. – Affinché dunque simili errori, che ogni giorno si spargono tra i fedeli, non mettano radici nelle loro anime e corrompano la sincerità della Fede, piacque al Santissimo Signore Nostro Pio per divina Provvidenza Papa X, che per questo officio della Sacra Romana ed Universale Inquisizione si notassero e si riprovassero quelli fra di essi che sono i precipui. Perciò, dopo istituito diligentissimo esame e avuto il voto dei Reverendi Signori Consultori, gli Eminentissimi e Reverendissimi Signori Cardinali Inquisitori generali nelle cose di fede e di costumi, giudicarono che le seguenti proposizioni sono da riprovarsi e da condannarsi, come si riprovano e si condannano con questo generale Decreto:

  1. La legge ecclesiastica che prescrive di sottoporre a previa censura i libri concernenti la Sacra Scrittura non si estende ai cultori della critica o dell’esegesi scientifica dei Libri dell’Antico e del Nuovo Testamento.
  2. L’interpretazione che la Chiesa dà dei Libri sacri non è da disprezzare, ma soggiace ad un più accurato giudizio e alla correzione degli esegeti.
  3. Dai giudizi e dalle censure ecclesiastiche, emanati contro l’esegesi libera e superiore, si può dedurre che la fede proposta dalla Chiesa contraddice la storia, e che i dogmi cattolici in realtà non si possono accordare con le vere origini della religione cristiana.
  4. Il magistero della Chiesa non può determinare il genuino senso delle sacre Scritture nemmeno con definizioni dogmatiche.
  5. Siccome nel deposito della fede non sono contenute solamente verità rivelate, in nessun modo spetta alla Chiesa giudicare sulle asserzioni delle discipline umane.
  6. Nella definizione delle verità, la Chiesa discente e la Chiesa docente collaborano in tale maniera, che alla Chiesa docente non resta altro che ratificare le comuni opinioni di quella discente.
  7. La Chiesa, quando condanna gli errori, non può esigere dai fedeli nessun assenso interno che accetti i giudizi da lei dati.
  8. Sono da ritenersi esenti da ogni colpa coloro che non tengono in alcun conto delle riprovazioni espresse dalla Sacra Congregazione dell’Indice e da altre Sacre Congregazioni Romane.
  9. Coloro che credono che Dio è l’Autore della Sacra Scrittura sono influenzati da eccessiva ingenuità o da ignoranza.
  10. L’ispirazione dei Libri dell’Antico Testamento consiste nel fatto che gli Scrittori israeliti tramandarono le dottrine religiose sotto un certo aspetto particolare in parte conosciuto e in parte sconosciuto ai gentili.
  11. L’ispirazione divina non si estende a tutta la Sacra Scrittura al punto che tutte e singole le sue parti siano immuni da ogni errore.
  12. L’esegeta, qualora voglia affrontare con utilità gli studi biblici, deve, anzitutto, lasciar cadere quel certo qual preconcetto inerente l’origine sovrannaturale della Sacra Scrittura.
  13. Gli stessi Evangelisti e i Cristiani della seconda e terza generazione composero le parabole evangeliche in modo artificioso così da spiegare gli esigui frutti della predicazione di Cristo presso i giudei.
  14. Gli Evangelisti riferirono in molte narrazioni non tanto ciò che effettivamente accadde, quanto ciò che essi ritennero maggiormente utile ai lettori, ancorché falso.
  15. Gli Evangeli furono soggetti a continue aggiunte e correzioni, fino alla definizione e alla costituzione del canone; in essi, pertanto, della dottrina di Cristo, non rimase che un tenue e incerto vestigio.
  16. I racconti d Giovanni non sono propriamente storia, ma mistica contemplazione del Vangelo; i discorsi contenuti nel suo Vangelo sono meditazioni teologiche sul Mistero della Salvezza, destituite di verità storica.
  17. Il quarto Evangelo esagerò i miracoli, non solo perché apparissero maggiormente straordinari, ma anche affinché fossero più adatti a significare l’opera e la gloria del Verbo Incarnato.
  18. Giovanni rivendica a sé il ruolo di testimone di Cristo; in verità egli non è che un eccellente testimone di vita cristiana, ovvero della vita di Cristo alla fine del primo secolo.
  19. Gli esegeti eterodossi espresso più fedelmente il vero senso della Scrittura di quanto non abbiano fatto gli esegeti cattolici.
  20. La Rivelazione non poté essere altro che la coscienza acquisita dall’uomo circa la sua relazione con Dio.
  21. La Rivelazione, che costituisce l’oggetto della Fede cattolica, non si è conclusa con gli Apostoli.
  22. I dogmi, che la Chiesa presenta come rivelati, non sono verità cadute dal cielo, ma l’interpretazione di fatti religiosi, che la mente umana si è data con travaglio.
  23. Può esistere, ed esiste in realtà, un’opposizione tra i fatti raccontati dalla Sacra Scrittura ed i dogmi della Chiesa fondati sopra di essi; sicché il critico può rigettare come falsi i fatti che la Chiesa crede certissimi.
  24. Non dev’essere condannato l’esegeta che pone le premesse, cui segue che i dogmi sono falsi o dubbi, purché non neghi direttamente i dogmi stessi.
  25. L’assenso della Fede si appoggia da ultimo su una congerie di probabilità.
  26. I dogmi della Fede debbono essere accettati soltanto secondo il loro senso pratico, cioè come norma precettiva riguardante il comportamento, ma non come norma di Fede.
  27. La Sacra Scrittura non prova la Divinità di Gesù Cristo; ma è un dogma che la coscienza cristiana deduce dal concetto di Messia.
  28. Gesù, durante il suo Ministero, non parlava per insegnare di essere il Messia, né i suoi miracoli miravano a dimostrarlo.
  29. Si può ammettere che il Cristo storico sia molto inferiore al Cristo della Fede.
  30. In tutti i testi evangelici, il nome “Figlio di Dio” equivale soltanto a nome “Messia” e non significa assolutamente che Cristo è vero e naturale Figlio di Dio.
  31. La dottrina su Cristo, tramandata da Paolo, Giovanni e dai Concili Niceno, Efesino e Calcedonense, non è quella insegnato da Gesù, ma che su Gesù concepì la coscienza cristiana.
  32. Non è possibile conciliare il senso naturale dei testi evangelici con quello che i nostri teologi insegnano circa la coscienza e la scienza infallibile di Gesù Cristo.
  33. È evidente a chiunque non sia influenzato da opinioni preconcette che Gesù ha professato un errore circa il prossimo avvento messianico, o che la maggior parte della sua dottrina, contenuta negli Evangeli sinottici, è priva di autenticità.
  34. Il critico non può affermare che la scienza di Cristo non sia circoscritta da alcun limite, se non ponendo ipotesi – non concepibile storicamente e che ripugna al senso morale – secondo la quale Cristo abbia avuto la conoscenza di Dio in quanto uomo e non abbia voluto in alcun modo darne notizia ai discepoli e alla posterità.
  35. Cristo non ebbe sempre la coscienza della sua dignità messianica.
  36. La Risurrezione del Salvatore non è propriamente un fatto di ordine storico, ma un fatto di ordine meramente sovrannaturale, non dimostrato né dimostrabile, che la coscienza cristiana lentamente trasse dagli altri.
  37. La Fede nella Risurrezione di Cristo inizialmente non fu tanto nel fatto stesso della Risurrezione, quanto nella vita immortale di Cristo presso Dio.
  38. La dottrina concernente la Morte espiatrice di Cristo non è evangelica, ma solo paolina.
  39. Le opinioni sull’origine dei Sacramenti, di cui erano imbevuti i Padri tridentini, e che senza dubbio ebbero un influsso nei loro Canoni dogmatici, sono molto distanti da quelle cui ora gli storici del Cristianesimo dànno credito.
  40. I Sacramenti ebbero origine perché gli Apostoli e i loro successori interpretarono una certa idea e intenzione di Cristo, sotto la persuasione e la spinta di circostanze ed eventi.
  41. I Sacramenti hanno come unico fine di ricordare alla mente dell’uomo la presenza sempre benefica del Creatore.
  42. La comunità cristiana inventò la necessità del Battesimo, adottandolo come rito necessario e annettendo ad esso gli obblighi della professione cristiana.
  43. L’uso di conferire il Battesimo ai bambini fu un’evoluzione disciplinare, ragion per cui il Sacramento è diventato due, cioè il Battesimo e la Penitenza.
  44. Nulla prova che il rito del Sacramento della Confermazione sia stato istituito dagli Apostoli; la formale distinzione di due Sacramenti, cioè del Battesimo e della Confermazione, non risale alla storia del cristianesimo primitivo.
  45. Non tutto ciò che narra Paolo a proposito dell’istituzione dell’Eucaristia [I Cor., 11, 23-25] è da considerarsi fatto storico.
  46. Il concetto della riconciliazione del cristiano peccatore, per autorità della Chiesa, non fu presente nella comunità primitiva: fu la Chiesa ad abituarsi lentamente a questo concetto. Per di più, dopo che la Penitenza fu riconosciuta quale istituzione della Chiesa, non veniva chiamata col nome di Sacramento, poiché era considerata come Sacramento vergognoso.
  47. Le parole del Signore “Ricevete lo Spirito Santo; a coloro ai quali rimetterete i peccati saranno rimessi e a coloro ai quali non li rimetterete non saranno rimessi” [Joh., 20, 22-23] non si riferiscono al Sacramento della Penitenza, anche se i Padri tridentini vollero affermarlo.
  48. Giacomo, nella sua epistola [Jac., 5, 14 sqq.], non volle promulgare un Sacramento di Cristo, ma raccomandare una pia pratica e se in ciò riconobbe un certo qual mezzo di Grazia, non lo intese con quel rigore con cui lo intesero i teologi che stabilirono la nozione e il numero dei Sacramenti.
  49. Coloro che erano soliti presiedere alla cena cristiana acquisirono il carattere sacerdotale per il fatto che essa progressivamente andava assumendo l’indole di un’azione liturgica.
  50. Gli anziani che, nelle adunanze dei Cristiani, esercitavano l’ufficio di vigilanza, furono dagli Apostoli creati preti o vescovi per provvedere all’ordinamento necessario delle crescenti comunità, e non propriamente per perpetuare la missione e la potestà Apostolica.
  51. Il Matrimonio fu riconosciuto dalla Chiesa come Sacramento della nuova Legge solo molto tardi; infatti, perché il Matrimonio fosse considerato Sacramento, era necessario che lo precedesse la piena dottrina della Grazia e la spiegazione teologica del Sacramento.
  52. Cristo non volle costituire la Chiesa come società duratura sulla terra, per lunga successione di secoli; anzi, nella mente di Cristo, il regno del Cielo, unitamente alla fine del mondo, doveva essere prossimo.
  53. La costituzione organica della Chiesa non è immutabile; ma la società cristiana, non meno della società umana, va soggetta a continua evoluzione.
  54. I dogmi, i sacramenti, la gerarchia, sia nel loro concetto come nella loro realtà, non sono che interpretazioni ed evoluzioni dell’intelligenza cristiana, le quali svilupparono e perfezionarono il piccolo germe latente nel Vangelo con esterne aggiunte.
  55. Simon Pietro non ha mai sospettato di aver ricevuto da Cristo il primato nella Chiesa.
  56. La Chiesa Romana diventò capo di tutte le Chiese non per disposizione della Divina Provvidenza, ma per circostanze puramente politiche.
  57. La Chiesa si mostra ostile ai progressi delle scienze naturali e teologiche.
  58. La verità non è immutabile più di quanto non lo sia l’uomo stesso, poiché si evolve con lui, in lui e per mezzo di lui.
  59. Cristo non insegnò un determinato insieme di dottrine applicabile a tutti i tempi e a tutti gli uomini, ma piuttosto iniziò un certo qual moto religioso adattato e da adattare a diversi tempi e circostanze.
  60. La dottrina cristiana fu, nel suo esordio, giudaica; poi divenne, per successive evoluzioni, prima paolina, poi giovannea, infine ellenica e universale.
  61. Si può dire senza paradosso che nessun passo della Scrittura, dal primo capitolo della Genesi fino all’ultimo dell’Apocalisse, contiene una dottrina perfettamente identica a quella che la Chiesa insegna sullo stesso argomento, e perciò nessun capitolo della Scrittura ha lo stesso senso per il critico e per il teologo.
  62. Gli articoli principali del Simbolo apostolico non avevano per i cristiani dei primi tempi lo stesso significato che hanno per i cristiani del nostro tempo.
  63. La Chiesa si dimostra incapace a tutelare efficacemente l’etica evangelica, perché ostinatamente si attacca a dottrine immutabili, inconciliabili con i progressi odierni.
  64. Il progresso delle scienze richiede una riforma del concetto che la dottrina cristiana ha di Dio, della Creazione, della Rivelazione, della Persona del Verbo Incarnato e della Redenzione.
  65. Il Cattolicesimo odierno non può essere conciliato con la vera scienza, a meno che non si trasformi in un cristianesimo non dogmatico, cioè in protestantesimo lato e liberale.

Nella seguente Feria V, il giorno 4 dello stesso mese ed anno, fatta di tutte queste cose accurata relazione al Santissimo Signor Nostro Pio Papa X, Sua Santità approvò e confermò il Decreto degli Eminentissimi Padri e diede ordine che tutte e singole le sopra enumerate proposizioni siano considerate da tutti come riprovate e condannate.

Dato a Roma, presso il Palazzo del Sant’Uffizio,

il giorno 3 del mese di Luglio dell’Anno 1907

Pietro Palombelli

Notaro della Sacra Inquisizione Romana ed Universale

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE IL MODERNISTA-APOSTATA DI TORNO: “PASCENDI” (4)

Il Santo Padre, in questa ultima parte dell’Enciclica, conclude l’analisi del modernismo, la cui dottrina è definita, in modo irrevocabile ed irreformabile, la “sintesi di tutte le eresie”. Ancora si accenna all’Agnosticismo, al Simbolismo, al Panteismo ed all’immanenza divina. Gli uomini che ad esso aderiscono, lo fanno, secondo il giudizio del Sommo Pontefice, per due motivi essenziali: la superbia e l’ignoranza! Tra  gli ostacoli a queste perniciose eresie, “tre sono i principali che più sentono i modernisti opposti ai loro conati: il metodo scolastico di ragionare, l’autorità dei Padri con la Tradizione, il Magistero Ecclesiastico. Ancora alcuni inganni e strategie, come quella basilare di rendere le cattedre loro affidate delle “cattedre di pestilenza” specie in seno ai seminari, onde formare un clero già “bacato” dal verme del modernismo. A questo punto il Pontefice rompe gli indugi e impartisce una serie di disposizioni atte ad arginare e ad eliminare ogni contaminazione gnostica veicolata dal modernismo; severe sono le disposizioni ed i richiami soprattutto per i Vescovi, invitati perentoriamente a vegliare sulle vocazioni sacerdotali, sulle persone alle quali affidare incarichi, sulle pubblicazioni da esaminare, da autorizzare o da vietare. – Se la diagnosi è stata giusta e la terapia appropriata, c’è da lamentare che però si sia agito troppo tardi. Il cancro gnostico-modernista è stato arginato, è indubbio, ma la gravità del male e le sue metastasi erano talmente radicate, diremmo terminali, da generare ben presto recidive di sintomi ad infausta evoluzione e prognosi. E purtroppo così è stato: il cancro, il tumore, il bubbone gnostico-modernista, dopo un’ulteriore infruttuosa “chemioterapia” attuata da S. S. Pio XII con documenti denuncianti e condannanti [pensiamo ad esempio alla Humani Generis], è  scoppiato con il conciliabolo Vaticano c.d. secondo, generando una gangrena devastante, una cachessia mortale nelle istituzioni ecclesiastiche e nella Chiesa Cattolica tutta, ridotta “apparentemente” ad una larva, una conchiglia, un carapace immondo! Sottolineiamo però: “apparente”, perché intanto il Capo della Chiesa, cioè Gesù-Cristo, aveva già provveduto ad “eclissare” la “vera” Chiesa, esiliandone il Capo visibile, il Santo Padre, in modo da perpetuare la sequela dei suoi Vicari, la sua Sposa illibata, il suo Corpo Mistico come da promessa evangelica: … non prævalebunt … , tanto da sbugiardare le conventicole congiunte a sradicare la “vigna del Signore”, “ … Astitérunt reges terræ, et príncipes convenérunt in unum advérsus Dóminum, et advérsus Christum ejus… [Ps. II], ed in barba a tutti i vili traditori che si sono uniti al “signore dell’universo”, al baphomet-lucifero che, abominio della desolazione, si fa adorare sugli altari dei templi un tempo cristiani. [… di ciò parla anche l’Apostolo dicendo che «l’uomo d’iniquità è l’oppositore che s’innalza contro tutto ciò che si dice Dio e si adora; tanto da osare di assidersi nel tempio di Dio, spacciandosi per Dio» (2Thess. 2,4)…- Homilía sancti Hierónymi Presbýteri in Liber 4 Comment. in cap. XXIV Matthæi]; il modernismo gnostico, erede della “gnosi primordiale”, l’eterno cancro che ha sempre parassitato il Cristianesimo fin dalle origini [… si pensi a Simon Mago, ai Manichei etc. etc.] è attualmente condensato, nell’ultimo suo assalto per distruggere la Chiesa Cattolica – si fieri potest – nella setta masson-vaticana postconciliare del “novus ordo”, edificio maldestramente restaurato della sinagoga di satana. – Un’ultima osservazione di Papa Sarto:  ” … dopo ciò, Venerabili Fratelli, qual meraviglia se i Cattolici, strenui difensori della Chiesa, son fatti segno dai modernisti di somma malevolenza e di livore? … “. Oggi ovviamente, inutile dirlo, questo aspetto è ancor più marcato! – L’Enciclica termina qui, ma viene completata dal decreto “Lamentabili”, in cui il Santo Officio, autorizzato da San Pio X enumera, riprovandole e condannandole, 65 proposizioni eretico-moderniste, e dall’Atto della Sede Apostolica “Sacrorum Antistitum“, nel quale si faceva, …  correggo: SI FA, obbligo a tutti i chierici e a tutti coloro che collaborano alle attività ecclesiastiche, di aderire al Giuramento Antimodernista [“giustamente” rimosso dal super-modernista Montini, l’antipapa sedicente Paolo VI, perché per lui ed adepti, era insopportabile!], del quale ci occuperemo, a Dio piacendo, nelle settimane prossime. Intanto meditiamo attentamente questa “coda” di Pascendi.

Pascendi Dominici gregis (4)

In tutta questa esposizione della dottrina dei modernisti vi saremo sembrati, o Venerabili Fratelli, prolissi forse oltre il dovere. Ma è stato ciò necessario, sì per non sentirCi accusare, come suole, di ignorare le loro cose, e sì perché si veda che, quando parlasi di modernismo, non parlasi di vaghe dottrine non unite da alcun nesso, ma di un unico corpo e ben compatto, ove chi una cosa ammetta uopo è che accetti tutto il rimanente. Perciò abbiam voluto altresì far uso di una forma quasi didattica, né abbiamo ricusato il barbaro linguaggio onde i modernisti fanno uso. Ora, se quasi di un solo sguardo abbracciamo l’intero sistema, niuno si stupirà ove Noi lo definiamo, affermando esser esso la sintesi di tutte le eresie. Certo, se taluno si fosse proposto di concentrare quasi il succo ed il sangue di quanti errori circa la fede furono sinora asseriti, non avrebbe mai potuto riuscire a far meglio di quel che han fatto i modernisti. Questi anzi tanto più oltre si spinsero che, come già osservammo, non pure il Cattolicesimo ma ogni qualsiasi religione hanno distrutta. Così si spiegano i plausi dei razionalisti: perciò coloro, che fra i razionalisti parlano più franco ed aperto, si rallegrano di non avere alleati più efficaci dei modernisti. E per fermo, rifacciamoci alquanto, o Venerabili Fratelli, a quella esizialissima dottrina dell’agnosticismo. Con essa, dalla parte dell’intelletto, è chiusa all’uomo ogni via per arrivare a Dio, mentre si pretende di aprirla più acconcia per parte di un certo sentimento e dell’azione. Ma chi non iscorge quanto vanamente ciò si affermi? Il sentimento risponde sempre all’azione di un oggetto, che sia proposto dall’intelletto o dal senso. Togliete di mezzo l’intelletto; l’uomo, già portato a seguire il senso, lo seguirà con più impeto. Di più, le fantasie, quali che esse siano, di un sentimento religioso non possono vincere il senso comune: ora questo insegna che ogni perturbazione od occupazione dell’animo non è di aiuto ma d’impedimento alla ricerca del vero; del vero, diciamo, quale è in se; giacché quell’altro vero soggettivo, frutto del sentimento interno e dell’azione, se è acconcio per giocare di parole, poco interessa l’uomo a cui soprattutto importa di conoscere se siavi o no fuori di lui un Dio, nelle cui mani una volta dovrà cadere. Ricorrono, a vero dire, i modernisti per aiuto all’esperienza. Ma che può aggiungere questa al sentimento? Nulla: solo potrà renderlo più intenso: dalla quale intensità sia proporzionatamente resa più ferma la persuasione della verità dell’oggetto. Ma queste due cose non faranno si che il sentimento lasci di essere sentimento, né ne cangiano la natura sempre soggetta ad inganno, se l’intelletto non lo scorga; anzi la confermano e la rinforzano, giacché il sentimento quanto è più intenso tanto a miglior diritto è sentimento. Trattandosi poi qui di sentimento religioso e di esperienza in esso contenuta, sapete bene, o Venerabili Fratelli, di quanta prudenza sia mestieri in siffatta materia e di quanta scienza che regoli la stessa prudenza. Lo sapete dalla pratica delle anime, di talune, in specialità, in cui domina il sentimento: lo sapete dalla consuetudine dei trattati di ascetica; i quali, quantunque disprezzati da costoro, contengono più solidità di dottrina e più sagacia di osservazione che non ne vantino i modernisti. A Noi per fermo sembra cosa da stolto o almeno da persona al sommo imprudente, ritener per vere, senza esame di sorta, queste intime esperienze quali dai modernisti si spacciano. Perché allora, lo diciamo qui di passata, perché, se queste esperienze hanno si grande forza e certezza, non l’avrà uguale quella esperienza che molte migliaia di cattolici affermano di avere, che i modernisti cioè battono un cammino sbagliato? Sola questa esperienza sarebbe falsa e ingannevole? La massima parte degli uomini ritiene fermamente e sempre riterrà che col solo sentimento e colla sola esperienza senza guida e lume dell’intelletto, mai non si potrà giungere alla conoscenza di Dio. Dunque resta di nuovo o l’ateismo o l’irreligione assoluta. Né i modernisti hanno nulla a sperar di meglio dalla loro dottrina del simbolismo. Imperciocché se tutti gli elementi che dicono intellettuali non sono che puri simboli di Dio, perché non sarà un simbolo il nome stesso di Dio o di personalità divina? E se è cosi, si potrà bene dubitare della stessa divina personalità, ed avremo aperta la via al panteismo. E qua similmente, cioè al puro panteismo, mena l’altra dottrina dell’immanenza divina. Giacché domandiamo: siffatta immanenza distingue o no Iddio dall’uomo? Se lo distingue, in che differisce adunque cotal dottrina dalla cattolica? o perché mai rigetta quella della esterna rivelazione? Se poi non lo distingue, eccoci di bel nuovo col panteismo. Ma difatto l’immanenza dei modernisti vuole ed ammette che ogni fenomeno di coscienza nasca dall’uomo in quanto uomo. Dunque di legittima conseguenza inferiamo che Dio e l’uomo sono la stessa cosa; e perciò il panteismo. Finalmente pari è la conseguenza che si trae dalla loro decantata distinzione fra la scienza e la fede. L’oggetto della scienza lo pongono essi nella realtà del conoscibile; quello della fede nella realtà dell’inconoscibile. Orbene l’inconoscibile è tale per la totale mancanza di proporzione fra l’oggetto e la mente. Ma questa mancanza di proporzione, secondo gli stessi modernisti, non potrà mai esser tolta. Dunque l’inconoscibile resterà sempre inconoscibile tanto pel credente quanto pel filosofo. Dunque se si avrà una religione, questa sarà della realtà dell’inconoscibile. La quale realtà perché poi non possa essere l’anima universale del mondo, come l’ammettono taluni razionalisti, noi nol vediamo. Ma basti sin qui per conoscere per quante vie la dottrina del modernismo conduca all’ateismo e alla distruzione di ogni religione. L’errore dei protestanti dié il primo passo in questo sentiero; il secondo è del modernismo: a breve distanza dovrà seguire l’ateismo. – A più intimamente conoscere il modernismo e a trovare più acconci rimedi a sì grave malore, gioverà ora, o Venerabili Fratelli, ricercare alquanto le cause, onde esso è nato ed è venuto crescendo. Non ha dubbio che la prima causa ed immediata sta nell’aberrazione dell’intelletto. Quali cause remote due Noi ne riconosciamo:la curiosità e la superbia. La curiosità, se non saggiamente frenata, basta di per sé sola a spiegare ogni fatta di errori. Per lo che il Nostro Predecessore Gregorio XVI a buon diritto scriveva (Lett. Enc. “Singulari Nos”, 25 giugno 1834): “È grandemente da piangere nel vedere fin dove si profondino i deliramenti dell’umana ragione, quando taluno corra dietro alle novità, e, contro l’avviso dell’Apostolo, si adoperi di saper più che saper non convenga, e confidando troppo in se stesso, pensi dover cercare la verità fuori della Chiesa cattolica, in cui, senza imbratto di pur lievissimo errore, essa si trova“. Ma ad accecare l’animo e trascinarlo nell’errore assai più di forza ha in sé la superbia: la quale, trovandosi nella dottrina del modernismo quasi in un suo domicilio, da essa trae alimento per ogni verso e riveste tutte le forme. Per la superbia infatti costoro presumono audacemente di se stessi e si ritengono e si spacciano come norma di tutti. Per la superbia si gloriano vanissimamente quasi essi soli possiedano la sapienza, e dicono gonfi e pettoruti: “Noi non siamo come il rimanente degli uomini“; e per non essere di fatto posti a paro degli altri, abbracciano e sognano ogni sorta di novità, le più assurde. Per la superbia ricusano ogni soggezione, e pretendono che l’autorità debba comporsi colla libertà. – Per la superbia, dimentichi di se stessi, pensano solo a riformare gli altri, né rispettano in ciò qualsivoglia grado fino alla potestà suprema. No, per giungere al modernismo, non vi è sentiero più breve e spedito della superbia. Se un laico cattolico, se un sacerdote dimentichi il precetto della vita cristiana che c’impone di rinnegare noi stessi se vogliamo seguire Gesù Cristo, né sradichi dal suo cuore la mala pianta della superbia; sì costui è dispostissimo quanto mai a professare gli errori del modernismo! Per lo che, o Venerabili Fratelli, sia questo il primo vostro dovere di resistenza a questi uomini superbi, occuparli negli uffici più umili ed oscuri, affinché siano tanto più depressi quanto più essi s’inalberano, e, posti in basso, abbiano minor campo di nuocere. Inoltre, sia da voi stessi, sia per mezzo dei rettori dei Seminari, cercate con somma diligenza di conoscere i giovani che aspirano ad entrare nel clero; e se alcuno ne troviate di carattere superbo, con ogni risolutezza respingetelo dal sacerdozio. Si fosse cosi operato sempre, colla vigilanza e fortezza che faceva di mestieri! Che se dalle cause morali veniamo a quelle che spettano all’intelletto, la prima da notarsi è l’ignoranza. I modernisti, quanti essi sono, che vogliono apparire e farla da dottori nella Chiesa, esaltando a grandi voci la filosofia moderna e schernendo la scolastica, se hanno abbracciata la prima ingannati dai suoi orpelli, ne devono saper grado alla totale ignoranza in che erano della seconda, e dal mancare perciò di mezzo per riconoscere la confusione delle idee e ribattere i sofismi. Dal connubio poi della falsa filosofia colla fede è sorto il loro sistema, riboccante di tanti e si enormi errori. Alla propagazione del quale portassero almeno un minor zelo ed ardore di quel che fanno! Tanta invece è la loro alacrità, cosi indefesso il lavoro, che da strazio il vedere consumate tante forze a danno della Chiesa, le quali, rettamente usate, le sarebbero di vantaggio grandissimo. A trarre poi in inganno gli animi una doppia tattica essi usano: prima si sbarazzano degli ostacoli, poi cercano con somma cura i mezzi che loro giovino, ed instancabili e pazientissimi li mettono in opera. Degli ostacoli, tre sono i principali che più sentono opposti ai loro conati: il metodo scolastico di ragionare, l’autorità dei Padri con la tradizione, il magistero ecclesiastico. Contro tutto questo la loro lotta è accanita. Deridono perciò continuamente e disprezzano la filosofia e la teologia scolastica. Sia che ciò facciano per ignoranza, sia che il facciano per timore o meglio per l’una cosa insieme e per l’altra; certo si è che la smania di novità va sempre in essi congiunta coll’odio della Scolastica; né vi ha indizio più manifesto che taluno cominci a volgere al modernismo, che quando incominci ad aborrire la Scolastica. Ricordino i modernisti e quanti li favoriscono la condanna che Pio IX inflisse alla proposizione che diceva (Sillabo, Prop. 12): “Il metodo ed i principî, con cui gli antichi Dottori scolastici trattarono la teologia, più non si confanno ai bisogni dei nostri tempi ed ai progressi della scienza“. Sono poi astutissimi nello stravolgere la natura e l’efficacia della Tradizione, alfin di privarla di ogni peso e di ogni autorità. Ma starà sempre per i cattolici l’autorità del secondo Sinodo Niceno, il quale condannò “coloro che osano… secondo gli scellerati eretici, disprezzare le ecclesiastiche tradizioni ed escogitare qualsiasi novità o architettare con malizia ed astuzia di abbattere checché sia delle legittime tradizioni della Chiesa cattolica“. Starà sempre la professione del quarto Sinodo Costantinopolitano: “Noi dunque professiamo di serbare e custodire le regole, che tanto dai santi famosissimi Apostoli, quanto dagli uni versali e locali Concili degli ortodossi o anche da qualunque deiloquo Padre e Maestro della Chiesa, furono date alla santa cattolica ed apostolica Chiesa“. Per lo che i Romani Pontefici Pio IV e Pio IX nella professione di fede vollero aggiunto anche questo: “Io ammetto fermissimamente ed abbraccio le apostoliche ed ecclesiastiche tradizioni, e tutte le altre osservanze e costituzioni della medesima Chiesa“. Né altrimenti che della Tradizione giudicano i modernisti dei santissimi Padri della Chiesa. Con estrema temerità li spacciano, come degnissimi bensì di ogni venerazione, ma ignorantissimi di critica e di storia, scusabili solo pei tempi in che vissero. Si studiano infine e si sforzano di attenuare e svilire l’autorità dello stesso Magistero ecclesiastico, sia pervertendo ne sacrilegamente l’origine, la natura, i diritti, sia ricantando liberamente contro di essa le calunnie dei nemici. Del gregge dei modernisti sembra detto ciò che con tanto dolore scriveva il Predecessore Nostro (Motu proprio “Ut mysticam“, 14 marzo 1891): “Per rendere spregiata ed odiosa la mistica Sposa di Cristo, che è la luce vera, i figli delle tenebre furon soliti di opprimerla pubblicamente di una pazza calunnia, e, stravolto il significato e la forza delle cose e delle parole, chiamarla amica di oscurità, mentitrice d’ignoranza, nemica della luce e del progresso delle scienze“. Dopo ciò, Venerabili Fratelli, qual meraviglia se i cattolici, strenui difensori della Chiesa, son fatti segno dai modernisti di somma malevolenza e di livore? Non vi è specie d’ingiurie con cui non li lacerino: l’accusa più usuale è quella di chiamarli ignoranti ed ostinati. Che se la dottrina e l’efficacia di chi li confuta dà loro timore, ne incidono i nervi colla congiura del silenzio. E questa maniera di fare a riguardo dei cattolici è tanto più odiosa perché nel medesimo tempo e senza modo né misura, con continue lodi esaltano chi sta dalla loro; i libri di costoro riboccanti di novità accolgono ed ammirano con grandi applausi; quanto più alcuno si mostra audace nel distruggere l’antico, nel rigettare la tradizione e il magistero ecclesiastico, tanto più gli dàn vanto di sapiente; e per ultimo, ciò che fa inorridire ogni anima retta, se qualcuno sia con dannato dalla Chiesa non solo pubblicamente e profusamente lo encomiano, ma quasi lo venerano come martire della verità. Da tutto questo strepito di lodi e d’improperi colpiti e turbati gli animi giovanili, da una parte per non passare per ignoranti, dall’altra per parere sapienti spinti internamente dalla curiosità e dalla superbia, si dànno per vinti e passano al modernismo. Ma qui già siamo agli artifici con che i modernisti spacciano la loro merce. Che non tentano essi mai per moltiplicare gli adepti? Nei Seminari e nelle Università cercano di ottenere cattedre da mutare insensibilmente in cattedre di pestilenza. Inculcano le loro dottrine, benché forse velatamente, predicando nelle chiese; le annunciano più aperte nei congressi: le introducono e le magnificano nei sociali istituti. Col nome proprio o di altri pubblicano libri, giornali, periodici. Uno stesso e solo scrittore fa uso talora di molti nomi, perché gli incauti siano tratti in inganno dalla simulata moltitudine degli autori. Insomma coll’azione, colla parola, colla stampa tutto tentano, da sembrar quasi colti da frenesia. E tutto ciò con qual esito? Piangiamo pur troppo gran numero di giovani di speranze egregie e che ottimi servigi renderebbero alla Chiesa, usciti fuori dal retto cammino. Piangiamo moltissimi, che, sebbene non giunti tant’oltre, pure, respirata un’aria corrotta, sogliono pensare, parlare, scrivere più liberamente che non si convenga a cattolici. Si contano costoro fra i laici, si contano fra i sacerdoti; e chi lo crederebbe? si contano altresì nelle stesse famiglie dei Religiosi. Trattano la Scrittura secondo le leggi dei modernisti. Scrivono storia e sotto specie di dir tutta la verità, tutto ciò che sembri gettare ombra sulla Chiesa lo pongono diligentissimamente in luce con voluttà mal repressa. Le pie tradizioni popolari, seguendo un certo apriorismo, cercano a tutta possa di cancellare. Ostentano disprezzo per sacre Reliquie raccomandate dalla loro vetustà. Insomma li punge la vana bramosia che il mondo parli di loro; il che si persuadono che non sarà, se dicono soltanto quello che sempre e da tutti fu detto. Intanto si dànno forse a credere di prestare ossequio a Dio ed alla Chiesa; ma in realtà gravissimamente li offendono, non tanto per quel che fanno, quanto per l’intenzione con cui operano e per l’aiuto che prestano utilissimo agli ardimenti dei modernisti. A questo torrente di gravissimi errori, che di celato e alla scoperta va guadagnando, si adoperò con detti e con fatti di opporsi fortemente Leone XIII Predecessore Nostro di felice ricordanza, specialmente a riguardo delle sante Scritture. Ma i modernisti, lo vedemmo, non si lasciano spaventare facilmente: affettando il maggior rispetto ed una somma umiltà, stravolsero a loro senso le parole del Pontefice, e gli atti di Lui li fecero passare come diretti ad altri. Cosi il male è venuto pigliando forza ogni giorno più. – Abbiamo dunque deciso, o Venerabili Fratelli, di non tergiversare più oltre e di por mano a misure più energiche. Preghiamo perciò e scongiuriamo voi che, in negozio di tanto rilievo, non Ci lasciate minimamente desiderare la vostra vigilanza e diligenza e fortezza. E quel che chiediamo ed aspettiamo da voi, lo chiediamo altresì e lo aspettiamo dagli altri pastori delle anime, dagli educatori e maestri del giovine clero, e specialmente dai Superiori generali degli Ordini religiosi.

I

La prima cosa adunque, per ciò che spetta agli studi, vogliamo e decisamente ordiniamo che a fondamento degli studi sacri si ponga la filosofia scolastica. Bene inteso che, “se dai Dottori scolastici furono agitate questioni troppo sottili o fu alcun che trattato con poca considerazione; se fu detta cosa che mal si affaccia con dottrine accertate dei secoli seguenti, ovvero in qualsivoglia modo non ammissibile; non è nostra intenzione che tutto ciò debba servir d’esempio da imitare anche ai di nostri” (Leone XIII, Enc. “Æterni Patris“). Ciò che conta anzi tutto è che la filosofia scolastica, che Noi ordiniamo di seguire, si debba precipuamente intendere quella di San Tommaso di Aquino: intorno alla quale tutto ciò che il Nostro Predecessore stabilì, intendiamo che rimanga in pieno vigore, e se è bisogno, lo rinnoviamo e confermiamo e severamente ordiniamo che sia da tutti osservato. Se nei Seminari si sia ciò trascurato, toccherà ai Vescovi insistere ed esigere che in avvenire si osservi. Lo stesso comandiamo ai Superiori degli Ordini religiosi. Ammoniamo poi quelli che insegnano, di ben persuadersi, che il discostarsi dall’Aquinate, specialmente in cose metafisiche, non avviene senza grave danno. Posto così il fondamento della filosofia, si innalzi con somma diligenza l’edificio teologico. Venerabili Fratelli, promovete con ogni industria possibile lo studio della teologia, talché i chierici, uscendo dai Seminari, ne portino seco un’alta stima ed un grande amore e l’abbiano sempre carissimo. Imperocché “nella grande e molteplice copia di discipline che si porgono alla mente cupida di verità, a tutti è noto che alla sacra Teologia appartiene talmente il primo luogo, che fu antico detto dei sapienti essere dovere delle altre scienze ed arti di servirla e prestarle mano siccome ancelle” (Leone XIII, Lett. Ap. “In magna“, 10 dicembre 1889). Aggiungiamo qui, sembrarCi altresì degni di lode coloro, che, salvo il rispetto alla Tradizione, ai Padri, al Magistero ecclesiastico, con saggio criterio e con norme cattoliche (ciò che non sempre da tutti si osserva) cercano di illustrare la teologia positiva, attingendo lume dalla storia di vero nome. Certamente che alla teologia positiva deve ora darsi più larga parte che pel passato: ciò nondimeno deve farsi in guisa, che nulla ne venga a perdere la teologia scolastica, e si disapprovino quali fautori del modernismo coloro che tanto innalzino la teologia positiva da sembrar quasi spregiare la Scolastica. – In quanto alle discipline profane basti richiamare quel che il Nostro Predecessore disse con molta sapienza (Allocuz. 7 marzo 1580): “Adoperatevi strenuamente nello studio delle cose naturali: nel qual genere gl’ingegnosi ritrovati e gli utili ardimenti dei nostri tempi, come di ragione sono ammirati dai presenti, cosi dai posteri avranno perpetua lode ed encomio“. Questo però senza danno degli studi sacri: il che ammoniva lo stesso Nostro Predecessore con queste altre gravissime parole (Loc. cit.): “La causa di siffatti errori, chi la ricerchi diligentemente, sta principalmente in ciò che di questi nostri tempi, quanto più fervono gli studi delle scienze naturali, tanto più son venute meno le discipline più severe e più alte: alcune di queste infatti sono quasi poste in dimenticanza; alcune sono trattate stancamente e con leggerezza, e, ciò che è indegno, perduto lo splendore della primitiva dignità, sono deturpate da prave sentenze e da enormi errori“. Con questa legge ordiniamo che si regolino nei Seminari gli studi delle scienze naturali.

II

A questi ordinamenti tanto Nostri che del Nostro Antecessore fa mestieri volgere l’attenzione ognora che si tratti di scegliere i moderatori e maestri così dei Seminari come delle Università cattoliche. Chiunque in alcun modo sia infetto di modernismo, senza riguardi di sorta si tenga lontano dall’ufficio cosi di reggere e cosi d’insegnare: se già si trovi con tale incarico, ne sia rimosso. Parimente si faccia con chiunque o in segreto o apertamente favorisce il modernismo, sia lodando modernisti, sia attenuando la loro colpa, sia criticando la Scolastica, i Padri, il Magistero ecclesiastico, sia ricusando obbedienza alla potestà ecclesiastica, da qualunque persona essa si eserciti; e similmente con chi in materia storica, archeologica e biblica si mostri amante di novità; e finalmente, con quelli altresì che non si curano degli studi sacri o paiono a questi anteporre i profani. In questa parte, o Venerabili Fratelli, e specialmente nella scelta dei maestri, non sarà mai eccessiva la vostra attenzione e fermezza; essendoché sull’esempio dei maestri si formano per lo più i discepoli. Poggiati adunque sul dovere di coscienza, procedete in questa materia con prudenza sì ma con fortezza. Con non minore vigilanza e severità dovrete esaminare e scegliere chi debba essere ammesso al sacerdozio. Lungi, lungi dal clero l’amore di novità: Dio non vede di buon occhio gli animi superbi e contumaci! A niuno in avvenire si conceda la laurea dì teologia o di diritto canonico, che non abbia prima compito per intero il corso stabilito di filosofia scolastica. Se tale laurea ciò non ostante venisse concessa, sia nulla. Le ordinazioni che la Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari emanò nell’anno 1896 pei chierici d’Italia dell’uno e dell’altro clero circa il frequentare le Università, stabiliamo che d’ora innanzi rimangano estese a tutte le nazioni. I chierici e sacerdoti iscritti ad un Istituto o ad una Università cattolica non potranno seguire nelle Università civili quei corsi, di cui vi siano cattedre negli Istituti cattolici ai quali essi appartengono. Se in alcun luogo si è ciò permesso per il passato, ordiniamo che più non si conceda nell’avvenire. I Vescovi che formano il Consiglio direttivo di siffatti cattolici Istituti o cattoliche Università veglino con ogni cura perché questi Nostri comandi vi si osservino costantemente.

III

È parimente officio dei Vescovi impedire che gli scritti infetti di modernismo o ad esso favorevoli si leggano se sono già pubblicati, o, se non sono, proibire che si pubblichino. Qualsivoglia libro o giornale o periodico di tal genere non si dovrà mai permettere o agli alunni dei Seminari o agli uditori delle Università cattoliche: il danno che ne proverrebbe non sarebbe minore di quello delle letture immorali; sarebbe anzi peggiore, perché ne andrebbe viziata la radice stessa del vivere cristiano. Né altrimenti si dovrà giudicare degli scritti di taluni cattolici, uomini del resto di non malvagie intenzioni, ma che digiuni di studi teologici e imbevuti di filosofia moderna, cercano di accordare questa con la fede e di farla servire, come essi dicono, ai vantaggi della fede stessa. Il nome e la buona fama degli autori fa si che tali libri sieno letti senza verun timore e sono quindi più pericolosi per trarre a poco a poco al modernismo. – Per dar poi, o Venerabili Fratelli, disposizioni più generali in sì grave materia, se nelle vostre diocesi corrono libri perniciosi, adoperatevi con fortezza a sbandirli, facendo anche uso di solenni condanne. Benché questa Sede Apostolica ponga ogni opera nel togliere di mezzo siffatti scritti, tanto oggimai ne è cresciuto il numero, che a condannarli tutti non bastano le forze. Quindi accade che la medicina giunga talora troppo tardi, quando cioè pel troppo attendere il male ha già preso piede. Vogliamo adunque che i Vescovi, deposto ogni timore, messa da parte la prudenza della carne, disprezzando il gridio dei malvagi, soavemente, sì, ma con costanza, adempiano ciascuno le sue parti; memori di quanto prescriveva Leone XIII nella Costituzione Apostolica “Officiorum“: “Gli Ordinari, anche come Delegati della Sede Apostolica, si adoperino di proscrivere e di togliere dalle mani dei fedeli i libri o altri scritti nocivi stampati o diffusi nelle proprie diocesi“. Con queste parole si concede, è vero, un diritto: ma s’impone in pari tempo un dovere. Né stimi veruno di avere adempiuto cotal dovere, se deferisca a Noi l’uno o l’altro libro mentre altri moltissimi si lasciano divulgare e diffondere. Né in ciò vi deve rattenere il sapere che l’autore di qualche libro abbia altrove ottenuto l’Irnprimatur; sì perché tal concessione può essere simulata, sì perché può essere stata fatta per trascuratezza o per troppa benignità e per troppa fiducia nel l’autore, il quale ultimo caso può talora avverarsi negli Ordini religiosi. Aggiungasi che, come non ogni cibo si confà a tutti egual mente, cosi un libro che in un luogo sarà indifferente, in un altro, per le circostanze, può tornare nocivo. Se pertanto il Vescovo, udito il parere di persone prudenti, stimerà di dover condannare nella sua diocesi anche qualcuno di siffatti libri, gliene diamo ampia facoltà, anzi glielo rechiamo a dovere. Intendiamo bensì che si serbino in tal fatto i riguardi convenienti, bastando forse che la proibizione si restringa talora soltanto al clero; ma eziandio in tal caso sarà obbligo dei librai cattolici di non porre in vendita i libri condannati dal Vescovo. E poiché Ci cade il discorso, vigilino i Vescovi che i librai per bramosia di lucro non spaccino merce malsana: il certo è che nei cataloghi di taluni di costoro si annunziano di frequente e con lode non piccola i libri dei modernisti. Se essi ricusano di obbedire, non dubitino i Vescovi di privarli del titolo di librai cattolici; similmente e con più ragione, se avranno quello di vescovili; che se avessero titolo di pontifici, si deferiscano alla Sede Apostolica. A tutti finalmente ricordiamo l’articolo XXVI della mentovata Costituzione Apostolica “Officiorum“: “Tutti coloro che abbiano ottenuta facoltà apostolica di leggere e ritenere libri proibiti, non sono perciò autorizzati a leggere libri o giornali proscritti dagli Ordinari locali, se pure nell’indulto apostolico non sia data espressa facoltà di leggere e ritenere libri condannati da chicchessia“.

IV

Ma non basta impedire la lettura o la vendita dei libri cattivi; fa d’uopo impedirne altresì la stampa. Quindi i Vescovi non concedano la facoltà di stampa se non con la massima severità. E poiché è grande il numero delle pubblicazioni, che, a seconda della Costituzione “Officiorum“, esigono l’autorizzazione dell’Ordinario, in talune diocesi si sogliono determinare in numero conveniente censori di officio per l’esame degli scritti. Somma lode noi diamo a siffatta istituzione di censura; e non solo esortiamo, ma ordiniamo che si estenda a tutte le diocesi. In tutte adunque le Curie episcopali si stabiliscano Censori per la revisione degli scritti da pubblicarsi; si scelgano questi dall’uno e dall’altro clero, uomini di età, di scienza e di prudenza e che nel giudicare sappiano tenere il giusto mezzo. Spetterà ad essi l’esame di tutto quello che, secondo gli articoli XLI e XLII della detta Costituzione, ha bisogno di permesso per essere pubblicato. Il Censore darà per iscritto la sua sentenza. Se sarà favorevole, il Vescovo concederà la facoltà di stampa con la parola Imprimatur, la quale però sarà preceduta dal Nihil obstat e dal nome del Censore. Anche nella Curia romana non altrimenti che nelle altre, si stabiliranno censori di ufficio. L’elezione dei medesimi, dopo interpellato il Cardinale Vicario e coll’annuenza ed approvazione dello stesso Sommo Pontefice, spetterà al Maestro del sacro Palazzo Apostolico. A questo pure toccherà determinare per ogni singolo scritto il Censore che lo esamini. La facoltà di stampa sarà concessa dallo stesso Maestro ed insieme dal Cardinale Vicario o dal suo Vicegerente, premesso però, come sopra si disse, il Nulla osta col nome del Censore. Solo in circo stanze straordinarie e rarissimamente si potrà, a prudente arbitrio del Vescovo, omettere la menzione del Censore. Agli autori non si farà mai conoscere il nome del Censore, prima che questi abbia dato giudizio favorevole: affinché il Censore stesso non abbia a patir molestia o mentre esamina lo scritto o in caso che ne disapprovi la stampa. Mai non si sceglieranno Censori dagli Ordini religiosi, senza prima averne secretamente il parere del Superiore provinciale, o, se si tratta di Roma, del Generale: questi poi dovranno secondo coscienza attestare dei costumi, della scienza e della integrità della dottrina dell’eligendo. Ammoniamo i Superiori religiosi del gravissimo dovere che essi hanno di mai non permettere che alcun che si pubblici dai loro sudditi senza la previa facoltà loro e dell’Ordinario diocesano. Per ultimo affermiamo e dichiariamo che il titolo di Censore, di cui taluno sia insignito, non ha verun valore né mai si potrà arrecare come argomento per dar credito alle private opinioni del medesimo. Detto ciò generalmente, nominatamente ordiniamo una osservanza più diligente di quanto si prescrive nell’articolo XLII della citata Costituzione “Officiorum“, cioè: “È vietato ai sacerdoti secolari, senza previo permesso dell’Ordinario, prendere la direzione di giornali o di periodici“. Del quale permesso, dopo ammonitone, sarà privato chiunque ne facesse mal uso. Circa quei sacerdoti, che hanno titoli di corrispondenti o collaboratori, poiché avviene non raramente che pubblichino, nei giornali o periodici, scritti infetti di modernismo, vedano i Vescovi che ciò non avvenga; e se avvenisse, ammoniscano e diano proibizione di scrivere. Lo stesso con ogni autorità ammoniamo che facciano i Superiori degli Ordini religiosi: i quali se si mostrassero in ciò trascurati, provvedano i Vescovi, con autorità delegata dal Sommo Pontefice. I giornali e periodici pubblicati dai cattolici abbiano, per quanto sia possibile, un Censore determinato. Sara obbligo di questo leggere opportunamente i singoli fogli o fascicoli, dopo già pubblicati: se cosa alcuna troverà di pericoloso, ordinerà che sia corretto quanto prima. Lo stesso diritto avrà il Vescovo, anche in caso che il Censore non abbia reclamato.

V

Ricordammo già sopra i congressi e i pubblici convegni come quelli nei quali i modernisti si adoprano di propalare e propagare le loro opinioni. I Vescovi non permetteranno più in avvenire, se non in casi rarissimi, i congressi di sacerdoti. Se avverrà che li permettano, lo faranno solo a questa condizione: che non vi si trattino cose di pertinenza dei Vescovi o della Sede Apostolica, non vi si facciano proposte o postulati che implichino usurpazione della sacra potestà, non vi si faccia affatto menzione di quanto sa di modernismo, di presbiterianismo, di laicismo. A tali convegni, che dovranno solo permettersi volta per volta e per iscritto o in tempo opportuno, non potrà intervenire sacerdote alcuno di altra diocesi, se non porti commendatizie del proprio Vescovo. A tutti i sacerdoti poi non passi mai di mente ciò che Leone XIII raccomandava con parole gravissime (Lett. Enc. “Nobilissima Gallorum“, 10 febbraio 1884): “Sia intangibile presso i sacerdoti l’autorità dei propri Vescovi; si persuadano che il ministero sacerdotale, se non si eserciti sotto la direzione del Vescovo, non sarà né santo, né molto utile, né rispettabile“.

VI

Ma che gioveranno, o Venerabili Fratelli, i Nostri comandi e le Nostre prescrizioni, se non si osservino a dovere e con fermezza? Perché questo si ottenga, Ci è parso espediente estendere a tutte le diocesi ciò che i Vescovi dell’Umbria (Atti del Congr. dei Vescovi dell’Umbria, nov. 1849, tit. II, art. 6), molti anni or sono, con savissimo consiglio stabilirono per le loro: “Ad estirpare – così essi – gli errori già diffusi e ad impedire che più oltre si diffondano o che esistano tuttavia maestri di empietà, pei quali si perpetuino i perniciosi effetti originati da tale diffusione, il sacro Congresso, seguendo gli esempi di San Carlo Borromeo, stabilisce che in ogni diocesi si istituisca un Consiglio di uomini commendevoli dei due cleri, a cui spetti il vigilare se e con quali arti i nuovi errori si dilatino o si propaghino, e farne avvertito il Vescovo perché di concorde avviso prenda rimedi con cui il male si estingua fin dal principio e non si spanda di vantaggio a rovina delle anime, e, ciò che è peggio, si afforzi e cresca“. Stabiliamo adunque che un siffatto Consiglio, che si chiamerà di vigilanza, si istituisca quanto prima in tutte le diocesi. I membri di esso si sceglieranno colle stesse norme già prescritte pei Censori dei libri. Ogni due mesi, in un giorno determinato, si raccoglierà in presenza del Vescovo: le cose trattate o stabilite saranno sottoposte a legge di secreto. I doveri degli appartenenti al Consiglio saranno i seguenti: Scrutino con attenzione gl’indizi di modernismo tanto nei libri che nell’insegnamento; con prudenza, prontezza ed efficacia stabiliscano quanto è d’uopo per la incolumità del clero e della gioventù. Combattano le novità di parole, e rammentino gli ammonimenti di Leone XIII (S. C. AA. EE. SS., 27 gennaio 1901): “Non si potrebbe approvare nelle pubblicazioni cattoliche un linguaggio che ispirandosi a malsana novità sembrasse deridere la pietà dei fedeli ed accennasse a nuovi orientamenti della vita cristiana, a nuove direzioni della Chiesa, a nuove ispirazioni dell’anima moderna, a nuova vocazione del clero, a nuova civiltà cristiana“. Tutto questo non si sopporti così nei libri come dalle cattedre. Non trascurino i libri nei quali si tratti o delle pie tradizioni di ciascun luogo o delle sacre Reliquie. Non per mettano che tali questioni si agitino nei giornali o in periodici destinati a fomentare la pietà, né con espressioni che sappiano di ludibrio o di disprezzo né con affermazioni risolute specialmente, come il più delle volte accade, quando ciò che si afferma o non passa i termini della probabilità o si basa su pregiudicate opinioni. Circa le sacre Reliquie si abbiano queste norme. Se i Ve scovi i quali sono soli giudici in questa materia, conoscano con certezza che una reliquia sia falsa, la toglieranno senz’altro dal culto dei fedeli… Se le autentiche di una Reliquia qualsiasi, o pei civili rivolgimenti o in altra guisa siensi smarrite, non si esponga alla pubblica venerazione, se prima il Vescovo non ne abbia fatta ricognizione. L’argomento di prescrizione o di fondata presunzione allora solo avrà valore quando il culto sia commendevole per antichità: il che risponde al decreto emanato nel 1896 dalla Congregazione delle Indulgenze e sacre Reliquie, in questi termini: “Le Reliquie antiche sono da conservarsi nella venerazione che finora ebbero, se pure in casi particolari non si abbiano argomenti certi che sono false o supposte“. Nel portar poi giudizio delle pie tradizioni si tenga sempre presente, che la Chiesa in questa materia

fa uso di tanta prudenza, da non permettere che tali tradizioni si raccontino nei libri, se non con grandi cautele e premessa la dichiarazione prescritta da Urbano VIII: il che pure adempiuto, non perciò ammette la verità del fatto, ma solo non proibisce che si creda, ove a farlo non manchino argomenti umani. Così appunto la sacra Congregazione dei Riti dichiarava fin da trent’anni addietro (Decreto 2 maggio 1877): “Siffatte apparizioni o rivelazioni non furono né approvate né condannate dalla Sede Apostolica, ma solo passate come da piamente credersi con sola fede umana, conforme alla tradizione di cui godono, confermata pure da idonei testimoni e documenti“. Niun timore può ammettere chi a questa regola si tenga. Imperocché il culto di qualsivoglia apparizione, in quanto riguarda il fatto stesso e dicesi relativo, ha sempre implicita la condizione della verità del fatto: in quanto poi è assoluto, si fonda sempre nella verità, giacché si dirige alle persone stesse dei santi che si onorano. Lo stesso vale delle Reliquie. Commettiamo infine al Consiglio di vigilanza, di tener d’occhio assiduamente e diligentemente gl’istituti sociali come pure gli scritti di questioni sociali affinché nulla vi si celi di modernismo, ma ottemperino alle prescrizioni dei Romani Pontefici.

VII

Le cose fin qui stabilite affinché non vadano in dimenticanza, vogliamo ed ordiniamo che i Vescovi di ciascuna diocesi, trascorso un anno dalla pubblicazione delle presenti Lettere, e poscia ogni triennio, con diligente e giurata esposizione riferiscano alla Sede Apostolica intorno a quanto si prescrive in esse, e sulle dottrine che corrono in mezzo al clero e soprattutto nei Seminari ed altri istituti cattolici, non eccettuati quelli che pur sono esenti dall’autorità dell’Ordinario. Lo stesso imponiamo ai Superiori generali degli Ordini religiosi a riguardo dei loro dipendenti. Queste cose, o Venerabili Fratelli, abbiam creduto di scrivervi per salute di ogni credente. I nemici della Chiesa certamente ne abuseranno per ribadire la vecchia accusa, per cui siamo fatti passare come avversi alla scienza ed al progresso della civiltà. A tali accuse, che trovano smentita in ogni pagina della storia della Chiesa, alfine di opporre alcun che di nuovo, è Nostro consiglio di accordare ogni favore e protezione ad un nuovo Istituto, da cui, coll’aiuto di quanti fra i cattolici sono più insigni per fama di sapienza, ogni fatta di scienza e di erudizione, sotto la guida ed il magistero della cattolica verità, sia promossa. Assecondi Iddio i Nostri disegni e Ci prestino aiuto quanti di vero amore amano la Chiesa di Gesù Cristo. Ma di ciò in altra opportunità. A Voi intanto, o Venerabili Fratelli, nella cui opera e zelo sommamente confidiamo, imploriamo di tutto cuore la pienezza dei lumi Celesti, affinché in tanto periglio delle anime per gli errori che da ogni banda s’infiltrano, scorgiate quel che far vi convenga; e con ogni ardore e fortezza lo eseguiate. Vi assista colla Sua virtù Gesù Cristo autore e consumatore della nostra fede; vi assista coll’intercessione e coll’aiuto la Vergine Immacolata profligatrice di tutte le eresie. – E Noi, come pegno della Nostra carità e delle divine consolazioni fra tante contrarietà, impartiamo con ogni affetto a voi, al vostro clero ed ai vostri fedeli l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il giorno 8 settembre 1907, nell’anno V del Nostro Pontificato.

 

[Continua con il decreto “Lamentabili” …]

GREGORIO XVII – IL MAGISTERO IMPEDITO : L’ELEZIONE DEL ROMANO PONTEFICE

L’ELEZIONE DEL ROMANO PONTEFICE

[«Renovatio», VII (1972), fasc. 2, pp. 155-156.]

 Molti, troppi, hanno parlato a proposito e, soprattutto, a sproposito della futura elezione del Romano Pontefice, ossia della legge che ordina il Conclave. E evidente che si è cercato di fare una pressione, assolutamente impropria, per far accettare criteri nuovi e discutibilissimi nell’elezione papale. La questione è di estrema gravità e pertanto la nostra rivista ritiene di doverne parlare. Chiunque voglia porre il problema di una riforma del Conclave deve aver presente che questa compete solo alla autorità suprema nella Chiesa e che pertanto gli eventuali interlocutori, quando propongono riforme, debbono tener conto di questo principio. – Vediamo l’aspetto teologico di fondo. Il Concilio Vaticano nel canone, che segue il capitolo secondo della bolla Pastor Æternus, così recita: «Si quis ergo dixerit non esse ex ipsius Christi Domini institutione seu jure divino ut beatus Petrus in primatu super universam Ecclesiam habeat perpetuos successores, aut Romanum Pontificem non esse beati Petri in eodem primatu successorem, anathema sit» (D. S. 3058). Il che significa che al vescovo di Roma spetta la successione di Pietro. Se la successione tocca al Vescovo di Roma, e non ad un altro, ciò significa il legame assoluto tra l’episcopato romano e la successione petrina. Se ne deve inferire logicamente e necessariamente che il Papa è tale perché è Vescovo di Roma. Questo vincolo causale tra l’episcopato romano e la successione petrina diventa più chiaro se si legge tutto il capitolo secondo della citata costituzione (D. S. 3057); diventa chiarissimo se si attende a tutta la Tradizione e specialmente alla tradizione primitiva, quella che risente con immediatezza e certezza delle disposizioni prese dal Principe degli Apostoli. Infatti Clemente (secolo primo) interviene fortemente nella Chiesa di Corinto con una lunghissima e solenne lettera, mentre è ancor vivo e geograficamente più vicino l’apostolo Giovanni, in nome della Chiesa romana. E evidente che egli ritiene desumere dalla sua sede episcopale il potere di occuparsi della lontana Chiesa di Corinto, sulla quale poteva intervenire unicamente come Pastore Universale, trovandosi Corinto ben fuori della dizione romana. Lo stesso modo di esprimersi di Clemente hanno i due grandi testimoni della primissima età, Ignazio d’Antiochia ed Ireneo, nei testi notissimi. – Ciò premesso, non si capisce come teologicamente si possa sostenere una separabilità del Primato nella Chiesa dalla Sede Vescovile romana o negare con fondamento che la Sede Romana sia essa il titolo giuridico della successione a Pietro. – Messo in chiaro l’aspetto teologico fondamentale, non è affatto ozioso considerare la logica che Cristo ha messo nella sua Chiesa. Vi è un Primate, vi sono Vescovi successori degli Apostoli che sono tali per Diritto Divino nel quadro della cattolicità del collegio e del diritto del Primate. Cellule costitutive della Chiesa sono le singole chiese locali, guidate da un successore degli Apostoli. Tutti i fedeli fanno parte della Chiesa, ma la ragione immediata della sua unità e cattolicità sta nelle chiese particolari sotto Pietro. L’errore che si fa da molti, e lo si è visto bene nelle recenti e non sempre ortodosse diatribe sulla «Lex fundamentalis», è proprio quello di assimilare la divina costituzione della Chiesa ad una qualunque costituzione degli Stati. L a prima è assolutamente unica ed è inimitabile, come altre cose nel seno della Chiesa. Appare chiaro quindi perché Cristo abbia affidato il primato a Pietro e perché questi lo abbia esercitato e lasciato ai suoi successori, come Vescovo di una designata cellula della Chiesa, la diocesi di Roma. – Ciò posto, nessuna idea di costituzione democratica o federalistica può affiorare quando si pone teologicamente e giuridicamente la questione della elezione del Romano Pontefice. E la Chiesa romana che deve eleggere il suo Vescovo. – Non si può trascurare l’aspetto pratico della questione, aspetto che per sua natura appartiene alla storia. – La “legge del Conclave”, alla quale si arrivò con Nicolò II nel 1059, chiuse, con la riserva del diritto di elezione ai soli Cardinali, un travaglio, talvolta umiliante, di mille anni. Si noti che i Cardinali, come tali, appartengono alla Chiesa romana e solo ad essa, in qualità di suoi Vescovi suburbicari, di suoi preti, di suoi diaconi. La ragione teologica, nella necessaria ed inevitabile riforma di Nicolò II, era perfettamente rispettata. La “legge del Conclave” poggia su due cardini: l’esclusivo diritto del Sacro Collegio e la “clausura”. Questa seconda non fu posta subito: venne in seguito per obbedire a situazioni evidenti ed a necessità gravi. I due cardini si sostengono a vicenda. E ovvio che l’elezione affidata a un corpo elettorale troppo ampio sarebbe, umanamente parlando, più difficile e più influenzabile e perciò con minor garanzia di ragionevolezza e di rispondenza ai supremi interessi della Chiesa. Soltanto con un corpo di uomini, accuratamente scelti, è possibile che nell’elezione prevalga, quanto può nelle cose umane, il criterio del vero bene. La Clausura del Conclave è ancor più necessaria; coi mezzi moderni, con le tecniche moderne, senza clausura assoluta non sarebbe possibile sottrarre un’elezione alla pressione di poteri esterni. Oggi le superpotenze (e le potenze minori) hanno troppo interesse ad avere dalla loro parte, per condiscendenza o per debolezza, la più alta Autorità morale del mondo. E farebbero tutto quello che sanno benissimo fare. Le pressioni per rovesciare la sostanza della legge del Conclave potrebbero essere guidate dalla volontà di ottenere proprio questo risultato.

(Quest’ultima precisazione del Santo Padre in esilio, quanto mai opportuna, è stata vissuta sulla propria pelle proprio durante il Conclave della sua elezione, il 26 ottobre del 1958, Conclave in cui non è stata da tutti [leggi Tisserant] osservata la clausura, e nel quale i poteri mondiali, utilizzando i massoni della quinta colonna [leggi Roncalli, Lienart, Bea & C.] hanno determinato l’elezione di un falso pontefice, molle burattino nelle loro mani, per demolire la Chiesa Cattolica e trasformarla in una “conventicola” gnostica simil-massonica che perdura tuttora nella setta vaticana del “novus ordo”, e durerà probabilmente fino a quando non interverrà l’Autorità Massima della Chiesa Cattolica, il suo Capo divino, cioè Gesù Cristo il Messia, Figlio di Dio! – Nell’augurarci che questo avvenga quanto prima, prepariamoci con preghiera perseverante chiedendo misericordia per noi, “pusillus grex”, e per i traditori usurpanti! – ndr. -).

[n.b.: Grassetti e colore sono redazionali]

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE IL MODERNISTA-APOSTATA DI TORNO: “PASCENDI” (3)

Pascendi Dominici gregis (3)

 In questa parte dell’Enciclica, il Santo Padre continua a sviscerare gli errori dei modernisti, questa volta sottolineando il metodo operativo degli storici, dei critici della storia, degli apologeti, metodo nel quale è onnipresente la filosofia immanentista, con le teorie evoluzioniste, vitaliste ed agnostiche, “... metodo e dottrine infarciti di errori, atti non ad edificare, ma a distruggere; non a far dei cattolici, ma a trascinare i cattolici nella eresia, anzi alla distruzione totale d’ogni religione!”, come si legge nella lettera. L’analisi è lucida e stringente e non lascia spazio a farfugliamenti difensivi vani, ad ermeneutiche da “azzeccagarbugli” e ventriloqui vari in talare rossa o nera o bianca, perché sarebbero pura menzogna. Quel che più interessa oggi, è che chiunque abbia ancora un granello di sale “nella zucca” può constatare come queste immondezze teologiche, storiche, filosofiche, etc. siano di gran moda e siano tutte “cavalli di battaglia” della nuova falsa chiesa dell’uomo, quella edificata scaltramente dagli infiltrati della quinta colonna massonica, che detengono oggi nelle loro mani ciò che resta della Chiesa Cattolica apparente! Da queste osservazioni magisteriali contenute nella Pascendi, tutti possono capire con facilità, senza bisogno di altro aggiungere, da che parte è oggi la vera Chiesa, quella fondata da Gesù Cristo il Messia, contro il Quale combattono gli avversari di sempre, atei, pagani, ebrei, infedeli, scismatici, ai quali si aggiungono gli avversari più subdoli attuali, gli gnostici di sempre, i massoni delle più disparate obbedienze [ma l’unica obbedienza è al baphomet-lucifero!], gli eretico-scismatici sedevacantisti, gli altrettanto eretici fallibilisti gallicani, i marrani infiltrati come “cavallo di Troia” nel Tempio santo di Dio, l’abominio della desolazione del “novus ordo”, istallato sugli altari delle chiese un tempo cattoliche, oggi appannaggio e pietre verminose della “sinagoga di satana”. Questo “abominio della desolazione” odierno ha un nome: è il modernismo postconciliare, mostro eruttante tutte le eresie possibili ed immaginabili …, non ultima la cancellazione dal Catechismo Cattolico di sempre, del più immondo peccato che grida vendetta al cospetto Dio: “il peccato impuro contro natura!” Orrore! orrore! … Ma la vendetta, per chi non si pente e non fa penitenza, arriverà … certa, terribile e … sarà eterna. Che Dio, con l’ausilio della Santa Vergine e dell’Arcangelo Michele alla guida degli Angeli giustizieri, ci liberi! Ma leggiamo con calma ed intelletto:

“Ma ormai, dopo aver osservato nei seguaci del modernismo il filosofo, il credente, il teologo, resta che osserviamo parimente lo storico, il critico, l’apologista. Taluni dei modernisti, che si dànno a scrivere storia, paiono oltremodo solleciti di non passar per filosofi; che anzi professano di essere affatto ignari di filosofia. È ciò un tratto di finissima astuzia: affinché nessuno creda che essi siano infetti di pregiudizi filosofici e non sieno perciò, come dicono, affatto obbiettivi. Ma il vero è, che la loro storia o critica non parla che con la lingua della filosofia; e le conseguenze che traggono, vengono di giusto raziocinio dai loro principî filosofici. Il che, a chi bene riflette, si fa subito manifesto. I primi tre canoni di questi tali storici o critici sono quegli stessi principî, che sopra riportammo dai filosofi: cioè l’agnosticismo, il teorema della trasfigurazione delle cose per la fede, e l’altro che Ci parve poter chiamare dello sfiguramento. Osserviamo le conseguenze che da ciascuno di questi si traggono. Dall’agnosticismo si ha che la storia, non meno che la scienza, si occupa solo dei fenomeni. Dunque, tanto Dio quanto un intervento qualsiasi divino nelle cose umane deve rimandarsi alla fede come di esclusiva sua pertinenza. Per lo che se trattasi di cosa in cui s’incontri un duplice elemento, divino ed umano come Cristo, la Chiesa, i Sacramenti e simili, dovrà dividersi e sceverarsi in modo che ciò che è umano si dia alla storia, ciò che è divino alla fede. Quindi quella distinzione comune fra i modernisti, fra un Cristo storico ed un Cristo della fede, una Chiesa della storia ed una Chiesa della fede, fra Sacramenti della storia e Sacramenti della fede e via dicendo. Dipoi questo stesso elemento umano, che vediamolo storico prendersi per sé quale essa si porge nei monumenti, deve ritenersi sollevato dalla fede per trasfigurazione al di là delle condizioni storiche. Conviene perciò separarne di nuovo tutte le aggiunte fattevi: cosi, trattandosi di Gesù Cristo, tutto quello che passa la condizione dell’uomo sia naturale, quale si dà dalla psicologia, sia risultante dal luogo e dal tempo in che visse. Di più, per terzo principio filosofico, pur quelle cose che non escono dalla cerchia della storia, le vagliano quasi e ne escludono, rimandandolo parimenti alla fede, tutto ciò che, secondo quanto dicono, non entra nella logica dei fatti o non era adatto alle persone. Di tal modo, vogliono che Cristo non abbia dette le cose che non sembrano essere alla portata del volgo. Quindi dalla storia reale di Lui cancellano e rimettono alla fede tutte le allegorie che incontransi nei suoi discorsi. Si vuol forse sapere con quali regole si compia questa cernita? Con quella del carattere dell’uomo, della condizione che ebbe nella società, della educazione, delle circostanze di ciascun fatto: a dir breve con una norma, se bene intendiamo, che si risolve per ultimo in mero soggettivismo. Si studiano cioé di prendere essi e quasi rivestire la persona di Gesù Cristo; ed a Lui ascrivono senza più quanto in simili circostanze avrebbero fatto essi stessi. Così dunque, per conchiudere, a priori, come suol dirsi, e coi principî di una filosofia, che essi ammettono ma ci asseriscono d’ignorare, nella storia che chiamano reale affermano Cristo non essere Dio né aver fatto nulla di divino; come uomo poi aver Lui fatto e detto quel tanto, che essi, riferendosi al tempo in cui Egli visse, Gli consentono di aver operato e parlato. Come poi la storia riceve dalla filosofia le sue conclusioni, così la critica le ha a sua volta dalla storia. Essendoché il critico seguendo gli indizi dati dallo storico, di tutti i documenti ne fa due parti. Tutto ciò che rimane, dopo il triplice taglio or ora descritto, lo assegna alla storia reale; il restante lo confina alla storia della fede, ossia alla storia interna. Giacché queste due storie distinguono diligentemente i modernisti; e, ciò che e ben da notarsi, alla storia della fede contrappongono la storia reale in quanto è reale. Perciò, come già si è detto, un doppio Cristo; l’uno reale, l’altro che veramente non mai esisté ma appartiene alla fede; l’uno che visse in determinato luogo e tempo, l’altro che solo s’incontra nelle pie meditazioni della fede; tale, per mo’ d’esempio, è il Cristo descrittoci nell’Evangelio giovanneo, il qual Vangelo, affermano, non è che una meditazione. Ma qui non si arresta il dominio della filosofia nella storia. Fatta, come dicemmo, la divisione dei documenti in due parti, si presenta di nuovo il filosofo col suo principio dell’immanenza vitale, e prescrive che tutto quanto è nella storia della Chiesa debba spiegarsi per vitale emanazione. E poiché la causa o condizione di qualsiasi emanazione vitale deve ripetersi da un bisogno, si avrà che ogni avvenimento si dovrà concepire dopo il bisogno, e dovrà storicamente ritenersi posteriore a questo. Che fa allora lo storico? Datosi a studiar di nuovo i documenti, tanto nei Libri sacri quanto ricevuti altronde, va tessendo un catalogo dei singoli bisogni che man mano si presentarono nella Chiesa sia per riguardo al dogma, sia per riguardo al culto od altre materie: e quel catalogo trasmette poscia al critico. E questi mette indi mano ai documenti destinati alla storia della fede e li distribuisce in guisa di età in età, che rispondano al datogli elenco; rammentando sempre il precetto che il fatto è preceduto dal bisogno e la narrazione dal fatto. Potrà ben darsi talora che talune parti della Sacra Scrittura, come le Epistole, siano esse stesse il fatto creato dal bisogno. Checché sia però, deve aversi per regola che l’età di un documento qualsiasi non può determinarsi se non dall’età in cui ciascun bisogno si è manifestato nella Chiesa. – Di più è da distinguere fra l’inizio di un fatto e la sua esplicazione; poiché ciò che può nascere in un giorno, non cresce se non col tempo. E questa è la ragione perché il critico debba nuovamente spartire in due i documenti già disposti per età, sceverando quelli che riguardano le origini di un fatto da quelli che appartengono al suo svolgimento, e questi eziandio ordini secondo il succedersi dei tempi. – Ciò fatto, entra di nuovo in scena il filosofo, ed impone allo storico di compiere i suoi studi a seconda dei precetti e delle leggi dell’evoluzione. E lo storico torna a scrutare i documenti, ricerca sottilmente le circostanze e condizioni nelle quali, col succedersi dei tempi, la Chiesa si è trovata, i bisogni così interni che esterni che l’hanno spinta a progresso, gli ostacoli che incontrò: a dir breve, tutto ciò che giovi a determinare il modo onde furono mantenute le leggi della evoluzione. Compiuto un tal lavoro, egli finalmente tesse nelle sue linee principali la storia dello sviluppo dei fatti. – Segue il critico, che a questo tema storico adatta il restante dei documenti. Si dà mano a stendere la narrazione: la storia è compiuta. Or qui chiediamo, a chi dovrà attribuirsi una simile storia? allo storico forse od al critico? Per fermo né all’uno all’altro, sì bene al filosofo. Tutto il lavoro di essa è un lavoro di apriorismo, e di apriorismo riboccante di eresie. Fanno certamente pietà questi uomini, dei quali l’Apostolo ripeterebbe: “Svanirono nei pensamenti… imperocché vantandosi di essere sapienti, son divenuti stolti” (Rom., I, 21, 22); ma muovono in pari tempo a sdegno, quando poi accusano la Chiesa di manipolare i documenti in guisa da farli servire ai propri vantaggi. Addebitano cioè alla Chiesa ciò che dalla propria coscienza sentono apertamente rimproverarsi. Dall’avere così disgregati i documenti e seminatili lungo le età, segue naturalmente che i Libri sacri non possano di fatto attribuirsi agli autori, dei quali portano il nome. E questo è il motivo perché i modernisti non esitano punto nell’affermare che quei libri, e specialmente il Pentateuco ed i tre primi Vangeli, da una breve narrazione primitiva, son venuti man mano crescendo per aggiunte o interpolazioni, sia a maniera di interpretazioni o teologiche o allegoriche, sia a modo di transizioni che unissero fra sé le parti. A dir più breve e più chiaro vogliono che debba ammettersi la evoluzione vitale dei Libri sacri, nata dalla evoluzione della fede e ad essa corrispondente. Aggiungono di più, che le tracce di cotale evoluzione sono tanto manifeste, da potersene quasi scrivere una storia. La scrivono anzi questa storia, e con tanta sicurezza che si sarebbe tentati a creder aver essi visto coi propri occhi i singoli scrittori che di secolo in secolo stesero la mano all’ampliazione delle sante Scritture. A conferma di che, chiamano in aiuto la critica che dicono testuale; e si adoprano di persuadere che questo o quel fatto, questo o quel discorso non si trovi al suo posto e recano altre ragioni del medesimo stampo. Direbbesi per verità che si sieno prestabiliti certi quasi-tipi di narrazioni o parlate, che servano di criterio certissimo per giudicare ciò che stia al suo posto e ciò che sia fuor di luogo. Con siffatto metodo stimi chi può come costoro debbano essere capaci di giudicare. Eppure, chi li ascolti ad oracolare dei loro studi sulle Scritture, pei quali han potuto scoprirvi si gran numero di incongruenze, è spinto a credere che nessun uomo prima di loro abbia sfogliato quei libri, né che li abbia ricercati per ogni verso una quasi infinita schiera di Dottori, per ingegno, per scienza, per santità di vita più di loro. I quali Dottori sapientissimi, tanto fu lungi che trovassero nulla da riprendere nei Libri santi, che anzi quanto più ringraziavano Iddio, che si fosse così degnato di parlare con gli uomini. Ma purtroppo i Dottori nostri non attesero allo studio delle Scritture con quei mezzi, onde son forniti i modernisti! Cioè non ebbero a maestra e condottiera una filosofia che trae principio dalla negazione di Dio, né fecero a se stessi norma di giudicare. Crediamo adunque che sia ormai posto in luce il metodo storico dei modernisti. Precede il filosofo; segue lo storico; tengon dietro per ordine la critica interna e la testuale. E poiché la prima causa questo ha di proprio che comunica la sua virtù alle seconde, è evidente che siffatta critica non è una critica qualsiasi, ma una critica agnostica, immanentista, evoluzionista; e perciò chi la professa o ne fa uso, professa gli errori in essa racchiusi e si pone in contraddizione colla Dottrina Cattolica. Per la quale cosa non può finirsi di stupire come una critica di tal genere possa oggidì aver tanta voga presso cattolici. Di ciò può assegnarsi una doppia causa: la prima è l’alleanza onde gli storici ed i critici di questa specie sono legati fra loro senza riguardi a diversità di nazioni o di credenze; la seconda è l’audacia indicibile, con cui ogni stranezza che uno di loro proferisca, dagli altri è levata al cielo e decantata qual progresso della scienza; con cui, se taluno voglia da se stesso verificare il nuovo ritrovato, serratisi insieme lo assalgono, se talun lo neghi lo trattano da ignorante, se lo accolga e lo difenda lo ricoprono di encomî. Così non pochi restano ingannati che forse, se meglio vedessero le cose, ne sarebbero inorriditi. Da questo prepotente imporsi dei fuorviati, da questo incauto assentimento di animi leggeri nasce poi un quasi corrompimento di atmosfera che tutto penetra e diffonde per tutto il contagio. – Ma passiamo all’apologista. Costui, nei modernisti, dipende ancor esso doppiamente dal filosofo. Prima indirettamente, pigliando per sua materia la storia scritta, come vedemmo, dietro le norme del filosofo: poi direttamente accettando dal filosofo i principî e i giudizî. Quindi quel comune precetto della scuola del modernismo che la nuova apologia debba dirimere le controversie religiose per via di ricerche storiche e psicologiche. Ond’è che gli apologisti dan capo al loro lavoro coll’ammonire i razionalisti che essi difendono la Religione non coi Libri sacri né con le storie volgarmente usate nella Chiesa e scritte alla vecchia moda; ma con la storia reale composta a seconda dei moderni precetti e con metodo moderno. E ciò dicono, non quasi argomentando ad hominem, ma perché difatti credono che solo in tale storia si trovi la verità. Non si curano poi, nello scrivere, di insistere sulla propria sincerità: sono essi già noti presso i razionalisti, sono già lodati siccome militanti sotto una stessa bandiera; della quale lode, che ad un Cattolico dovrebbe fare ribrezzo, essi si compiacciono o se ne fanno scudo contro le riprensioni della Chiesa. Ma vediamo in pratica come uno di costoro compia la sua apologia. Il fine che si propone è di condurre l’uomo che ancora non crede a provare in sé quella esperienza della Cattolica Religione che, secondo i modernisti, è base della fede. Due vie perciò gli si aprono, l’una oggettiva, l’altra soggettiva. La prima muove dall’agnosticismo; e tende a dimostrare come nella religione e specialmente nella cattolica vi sia tale virtù vitale, da costringere ogni savio psicologo e storico ad ammettere che nella storia di essa si nasconda alcun che di incognito. A tale scopo fa d’uopo provare che la Religione Cattolica qual è al presente, è la stessissima che Gesù Cristo fondò, ossia il progressivo sviluppo del germe recato da Gesù Cristo. Pertanto dovrà dapprima determinarsi quale esso sia questo germe. Pretendono di esprimerlo con la seguente formula: Cristo annunciò la venuta del regno di Dio, il quale regno dovrebbe aver fra breve il suo compimento, ed Egli ne sarebbe il Messia, cioè l’esecutore stabilito da Dio e l’ordinatore. Dopo ciò converrà dimostrare come questo germe, sempre immanente nella Religione Cattolica, di mano in mano e di pari passo con la storia, siasi sviluppato e sia venuto adattandosi alle successive circostanze, da queste vitalmente assimilandosi quanto gli si affacesse di forme dottrinali, culturali, ecclesiastiche; superando nel tempo stesso gli ostacoli, sbaragliando i nemici, e sopravvivendo ad ogni sorta di contraddizioni o di lotte. Dopo che tutto questo, cioè gl’impedimenti, i nemici, le persecuzioni, i combattimenti, come pure la vitalità e fecondità della Chiesa, siansi mostrati tali che, quantunque nella storia della stessa Chiesa si scorgano serbate le leggi della evoluzione, pure queste non bastano a pienamente spiegarla: l’incognito sarà dl fronte e si presenterà da sé stesso. Fin qui i modernisti. I quali, però, in tutto questo discorrere, non pongon mente a una cosa; e cioè, che quella determinazione del germe primitivo è tutto frutto dell’apriorismo del filosofo agnostico ed evoluzionista, e che il germe stesso è così gratuitamente da loro definito pel buon giuoco della loro causa. Mentre però i nuovi apologisti, cogli argomenti arrecati, si studiano di affermare e persuadere la Religione Cattolica, non han riguardo a concedere che in essa molte cose sono che spiacciono. Che anzi, con una mal velata voluttà, van ripetendo pubblicamente che anche in materia dogmatica ritrovano errori e contraddizioni; benché soggiungano, che tali errori e contraddizioni non solo meritano scusa, ma, ciò che è più strano, sono da legittimarsi e giustificarsi. Così pure, secondo essi, nelle sacre Scritture corrono moltissimi sbagli in materia scientifica e storica. Ma, dicono, non sono quelli, libri di scienza o di storia, sì bene di religione e di morale, ove la scienza e la storia sono involucri con cui si coprono le esperienze religiose e morali per meglio propagarsi nel pubblico; il quale pubblico non intendendo altrimenti, una scienza od una storia più perfetta sarebbe gli stata non di vantaggio ma di nocumento. Del resto, aggiungono, i Libri sacri, perché di lor natura religiosi, sono essenzialmente viventi: or la vita ha pur essa la sua verità e la sua logica; diversa certamente dalla verità e logica razionale, anzi di tutt’altro ordine, verità cioè di comparazione e proporzione sia coll’ambiente in cui si vive, sia col fine per cui si vive. Finalmente a tanto estremo essi giungono ad affermare, senza attenuazione di sorta, che tutto ciò che si spiega con la vita è vero e legittimo. – Noi, Venerabili Fratelli, pei quali la verità è una ed unica, e che riteniamo i sacri Libri come quelli che “scritti sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, hanno per autore Iddio” (Conc. Vat., De Rev. c. 2), affermiamo ciò essere il medesimo che attribuire a Dio la menzogna di utilità o officiosa; e con le parole di Sant’Agostino protestiamo che: “Ammessa una volta in così altissima autorità qualche bugia officiosa, nessuna particella di quei libri resterà che, sembrando ad alcuno ardua per costume o incredibile per la fede, con la stessa perniciosissima regola, non si riferisca a consiglio o vantaggio dell’autore menzognero” (Epist. 28). Dal che seguirà quel che lo stesso santo Dottore aggiunge: “In esse – cioè nelle Scritture – ciascuno crederà quel che vuole, quel che non vuole non crederà“. Ma i modernisti apologeti non si dàn pensiero di tanto. Concedono di più trovarsi talora nei Libri santi dei ragionamenti, per sostenere una qualche dottrina, che non si appoggiano a verun ragionevole fondamento, come son quelli che si basano sulle profezie. Vero è che anche questi menan per buoni come artifizî di predicazione legittimati dalla vita. Che più? Concedono, anzi sostengono, che Gesù Cristo stesso errò manifestamente nell’assegnare il tempo della venuta del regno di Dio: ma ciò, secondo essi, non può fare meraviglia, perché Egli ancora era sottoposto alle leggi della vita! Che sarà dopo ciò dei dogmi della Chiesa? Riboccano pur questi di aperte contraddizioni; ma, oltreché sono ammesse dalla logica della vita, non si oppongono alla verità simbolica; giacché si tratta in essi dell’infinito, che ha infiniti rispetti. A far breve, talmente approvano e difendono siffatte teorie, che non si peritano di dichiarare non potersi rendere all’infinito omaggio più nobile, come affermando di esso cose contraddittorie! Ed ammessa così la contraddizione, quale assurdo non si ammetterà? Oltre agli argomenti oggettivi, il non credente può essere disposto alla fede anche con soggettivi. In questo caso gli apologeti modernisti si rifanno sulla dottrina della immanenza. Si adoprano cioè a convincer l’uomo, che in lui stesso e negli intimi recessi della sua natura e della sua vita si cela il desiderio e il bisogno di una religione, né di una religione qualsiasi, ma tale quale è appunto la cattolica; giacché questa, dicono, è postulata onninamente dal perfetto sviluppo della vita. E qui di bel nuovo siam costretti a lamentarCi gravemente che non mancano Cattolici i quali, benché rigettino la dottrina dell’immanenza come dottrina, pure se ne giovano per l’apologetica; e ciò fanno con sì poca cautela, da sembrare ammettere nella natura umana non pure una capacità od una convenienza per l’ordine soprannaturale, ciò che gli apologisti cattolici, con le debite restrizioni, dimostrarono sempre, ma una stretta e vera esigenza. A dir più giusto però, questa esigenza della Religione Cattolica è sostenuta dai modernisti più moderati. Quelli fra costoro che potremmo chiamare integralisti, pretendono che si debba indicare all’uomo, che ancor non crede, latente in lui lo stesso germe che fu nella coscienza di Cristo e da Cristo trasmesso agli uomini. Ed eccovi, o Venerabili Fratelli, descritto per sommi capi il metodo apologetico dei modernisti, in tutto conforme alle loro dottrine: metodo e dottrine infarciti di errori, atti non ad edificare, ma a distruggere; non a far dei cattolici, ma a trascinare i cattolici nella eresia, anzi alla distruzione totale d’ogni religione! – Restano per ultimo a dir poche cose del modernista in quanto la pretende a riformatore. Già le cose esposte finora ci provano abbondantemente da quale smania di innovazione siano rôsi codesti uomini. E tale smania ha per oggetto quanto vi è nel cattolicismo. Vogliono riformata la filosofia specialmente nei Seminarî: sì che relegata la filosofia scolastica alla storia della filosofia in combutta cogli altri sistemi passati di uso, si insegni ai giovani la filosofia moderna, unica, vera e rispondente ai nostri tempi. A riformare la teologia, vogliono che quella, che diciamo teologia razionale, abbia per fondamento la moderna filosofia. Chiedono inoltre che la teologia positiva si basi principalmente sulla storia dei dogmi. Anche la storia chiedono che si scriva e si insegni con metodi loro e precetti nuovi. Dicono che i dogmi e la loro evoluzione debbano accordarsi con la scienza e la storia. Per il Catechismo esigono che nei libri catechistici si inseriscano solo quei dogmi, che sieno stati riformati e che sieno a portata dell’intelligenza del volgo. Circa il culto, gridano che si debbano diminuire le devozioni esterne e proibire che si aumentino. Benché a dir vero, altri più favorevoli al simbolismo, si mostrino in questa parte più indulgenti. Strepitano a gran voce perché il regime ecclesiastico debba essere rinnovato per ogni verso, ma specialmente pel disciplinare e il dogmatico. Perciò pretendono che dentro e fuori si debba accordare con la coscienza moderna, che tutta è volta a democrazia; perché dicono doversi nel governo dar la sua parte al clero inferiore e perfino al laicato, e decentrare, Ci si passi la parola, l’autorità troppo riunita e ristretta nel centro. Le Congregazioni romane si devono svecchiare: e, in capo a tutte, quella del Santo Officio e dell’Indice. [il marrano G.B. Montini, l’antipapa sedicente Paolo, non solo svecchiò, ma eliminò totalmente il Santo Officio e l’Indice! -ndr. –], deve cambiarsi l’atteggiamento dell’autorità ecclesiastica nelle questioni politiche e sociali, talché si tenga essa estranea dai civili ordinamenti, ma pur vi si acconci per penetrarli del suo spirito. In fatto di morale, danno voga al principio degli americanisti, che le virtù attive debbano anteporsi alle passive, e di quelle promuovere l’esercizio, con prevalenza su queste. Chiedono che il clero ritorni all’antica umiltà e povertà; ma lo vogliono di mente e di opere consenziente coi precetti del modernismo. Finalmente non mancano coloro che, obbedendo volentierissimo ai cenni dei loro maestri protestanti, desiderano soppresso nel sacerdozio lo stesso sacro celibato. Che si lascia dunque d’intatto nella Chiesa, che non si debba da costoro e secondo i lor principî riformare?” [Il modernista “novus ordo” vuole eliminare completamente pure il ricordo della Chiesa Cattolica per farla “evaporare” nell’ecumenico “noachismo talmudico”, falsa religione del nuovo ordine mondiale imposto dagli illuminati! – ndr. -]

[Continua …]

[N.B.: i grassetti sono redazionali]

 

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE IL MODERNISTA-APOSTATA DI TORNO: “PASCENDI” (2)

Pascendi (2)

Dopo aver esaminato il modernismo dal canto filosofico, il Santo Padre  Pio X, passa ad esaminare il modernismo che coinvolge il credente, e propinato a livello teologico, teologia che esclude Scolastica e Tomismo. Sua Santità è particolarmente meticoloso nel sottolineare tutti gli inganni e le astuzie del modernismo nel confondere termini e concetti spesso totalmente ribaltati nei loro significati. Tali inganni in realtà erano già stati condannati dalla Chiesa, ed infatti Papa Sarto cita con sapienza Encicliche e Costituzioni apostoliche, ad iniziare da Gregorio IX, passando per il Concilio di Trento, da Pio VI a Pio IX [ il “Syllabus”], fino alla “Dei Filius” del Concilio Vaticano. Ma osservando bene, in realtà il modernismo non era altro che un nuovo vestito indossato dalla teologia di satana, la “gnosi”, il solito cancro maligno che ha afflitto la Chiesa Cattolica fin dalla sua costituzione. Si ritrovano infatti i soliti intrugli del panteismo, dell’immanentismo, dell’evoluzionismo, etc. etc. … La gnosi, come i nostri pochi lettori ben sanno, è come uno “satiro” che, nel periodo di carnevale cambia continuamente costume e maschera, lasciando però intravedere i suoi elementi caratterizzanti come la coda, gli arti zoccoluti, le corna, la lingua biforcuta, i canini sporgenti, la barba caprina. Ad un esame superficiale il satiro sembra avere un aspetto affascinante ed argomenti interessanti, ma man mano che si mostra, che parla, si agita, il cerone comincia a sciogliersi, la maschera a scomporsi, e compare la barba caprina, i canini affilati, e dal cappello mosso da una leggera brezza spuntano le immancabili corna! È la sempre medesima “solfa”, lo sterco ripugnante, che ci viene proposto da Simon mago, dalla scuola neoplatonica alessandrina, dalla cabala spuria, dalle apparentemente strambe filosofie del rinascimento del paganesimo, a Cartesio, all’illuminismo, da Kant ad Hegel, da Marx all’esistenzialismo, da Freud a Darwin ed oggi, in ambito teologico, da personaggi vari, a cominciare dai giansenisti per finire ai supermodernisti postconciliari come l’azzeccagarbugli “ermeneutico” Ratzinger col suo ventriloquo, il sig. Bergoglio. Leggiamo con calma questa parte di Enciclica e cerchiamo di farla nostra onde comprendere ed evitare le insidie ed i lacci del modernismo, la strada ampia che, a detta del divino Maestro, ci condurrà inevitabilmente ed indubbiamente al fuoco eterno! E se lo dice Lui …

II

 E fin qua, o Venerabili Fratelli, del modernista considerato come filosofo. Or, se facendoci oltre a considerarlo nella sua qualità di credente, vogliam conoscere in che modo, nel modernismo, il credente si differenzi dal filosofo, convien osservare che quantunque il filosofo riconosca per oggetto della fede la realtà divina, pure questa realtà non altrove l’incontra che nell’animo del credente, come oggetto di sentimento e di affermazione: che esista poi essa o no in sé medesima fuori di quel sentimento e di quell’affermazione, a lui punto non cale. Per contrario il credente ha come certo ed indubitato che la realtà divina esiste di fatto in se stessa, né punto dipende da chi crede. Che se poi cerchiamo, qual fondamento abbia cotale asserzione del credente, i modernisti rispondono: l’esperienza individuale. Ma nel dir ciò, se costoro si dilungano dai razionalisti, cadono nell’opinione dei protestante dei pseudomistici. Così infatti essi discorrono. Nel sentimento religioso, si deve riconoscere quasi una certa intuizione del cuore; la quale mette l’uomo in contatto immediato colla realtà stessa di Dio, e tale gl’infonde una persuasione dell’esistenza di Lui e della Sua azione sì dentro, sì fuori dell’uomo, da sorpassar di gran lunga ogni convincimento scientifico. Asseriscono pertanto una vera esperienza, e tale da vincere qualsivoglia esperienza razionale; la quale se da taluno, come dai razionalisti, e negata, ciò dicono intervenire perché non vogliono porsi costoro nelle morali condizioni, che son richieste per ottenerla. Or questa esperienza, poi che l’abbia alcuno conseguita, è quella che lo costituisce propriamente e veramente credente. Quanto siamo qui lontani dagli insegnamenti cattolici! Simili vaneggiamenti li abbiamo già uditi condannare dal Concilio Vaticano. Vedremo più oltre come, con siffatte teorie, congiunte agli altri errori già mentovati, si spalanchi la via all’ateismo. Qui giova subito notare che, posta questa dottrina dell’esperienza unitamente all’altra del simbolismo, ogni religione, sia pure quella degl’idolatri, deve ritenersi siccome vera. Perché infatti non sarà possibile che tali esperienze s’incontrino in ogni religione? E che si siano di fatto incontrate non pochi lo pretendono. E con qual diritto modernisti negheranno la verità ad una esperienza affermata da un islamita? con qual diritto rivendicheranno esperienze vere pei soli cattolici? Ed infatti i modernisti non negano, concedono anzi, altri velatamente altri apertissimamente, che tutte le religioni son vere. E che non possano sentire altrimenti, è cosa manifesta. Imperocché per qual capo, secondo i loro placiti, potrebbe mai ad una religione, qual che si voglia, attribuirsi la falsità? Senza dubbio per uno di questi due: o per la falsità del sentimento religioso, o per la falsità della formola pronunziata dalla mente. Ora il sentimento religioso, benché possa essere più o meno perfetto, è sempre uno: la formola poi intellettuale, perché sia vera, basta che risponda al sentimento religioso ed al credente, checché ne sia della forza d’ingegno in costui. Tutt’al più, nel conflitto fra diverse religioni, i modernisti potranno sostenere che la cattolica ha più di verità perché più vivente, e merita con più ragione il titolo di cristiana, perché risponde più pienamente alle origini del Cristianesimo. Che dalle premesse date scaturiscano siffatte conseguenze, non può per fermo sembrare assurdo. Assurdissimo è invece che cattolici e sacerdoti, i quali, come preferiamo credere, aborrono da tali enormità, si portino in fatto quasi le ammettessero. Giacché tali sono le lodi che tributano ai maestri di siffatti errori, tali gli onori che rendono loro pubblicamente, da dar agevolmente a supporre che essi non onorano già le persone, forse non prive di un qualche merito, ma piuttosto gli errori che quelle professano apertamente e cercano a tutt’uomo propagare. – Ma, oltre al detto, questa dottrina dell’esperienza è per un altro verso contrarissima alla cattolica verità. Imperocché viene essa estesa ed applicata alla tradizione quale finora fu intesa dalla Chiesa, e la distrugge. Ed infatti dai modernisti è la tradizione così concepita che sia una comunicazione dell’esperienza originale fatta agli altri, mercé la predicazione, per mezzo della formula intellettuale. A questa formola perciò, oltre al valore rappresentativo, attribuiscono una tal quale efficacia di suggestione, che si esplica tanto in colui che crede, per risvegliare il sentimento religioso a caso intorpidito e rinnovar l’esperienza già avuta una volta, quanto in coloro che ancor non credono, per suscitare in essi la prima volta il sentimento religioso e produrvi l’esperienza. Di questa guisa l’esperienza religiosa si viene a propagare fra i popoli; né solo nei presenti per via della predicazione, ma anche fra i venturi sì per mezzo dei libri e sì per la trasmissione orale dagli uni agli altri. Avviene poi che una simile comunicazione dell’esperienza si abbarbichi talora e viva, talora isterilisca subito e muoia. Il vivere è pei modernisti prova di verità; giacché verità e vita sono per essi una medesima cosa. Dal che è dato inferir di nuovo, che tutte le religioni, quante mai ne esistono, sono egualmente vere, poiché se nol fossero non vivrebbero. E tutto questo si spaccia per dare un concetto più elevato e più ampio della religione! Condotte fin qui le cose, o Venerabili Fratelli, abbiamo abbastanza in mano per conoscere qual ordine stabiliscano i modernisti fra la fede e la scienza; con qual nome di scienza intendono essi ancor la storia. E in primo luogo si deve tenere che l’oggetto dell’una è affatto estraneo all’oggetto dell’altra e da questo separato. Imperocché la fede si occupa unicamente di cosa, che la scienza professa essere a sé inconoscibile. Quindi diverso il campo ad entrambe assegnato: la scienza è tutta nella realtà dei fenomeni, ove non entra affatto la fede: questa al contrario si occupa della realtà divina che alla scienza è del tutto sconosciuta. Dal che si viene a conchiudere che tra la fede e la scienza non vi può essere mai dissidio: giacché, se ciascuna tiene il suo campo, non potranno mai incontrarsi, né perciò contraddirsi. Che se a ciò si opponga, nel mondo visibile esservi cose che pure appartengono alla fede, come la vita umana di Cristo; i modernisti rispondono negando. – Perché quantunque tali cose sieno nel novero dei fenomeni, pure, in quanto sono vissute dalla fede e, nel modo già indicato, sono state da essa trasfigurate e sfigurate, furono tolte dal mondo sensibile e trasferite ad essere materia del divino. Quindi, qualora più oltre si ricercasse se Cristo abbia fatto veri miracoli e vere profezie, severamente sia risorto ed asceso al Cielo; la scienza agnostica lo negherà, la fede lo affermerà; né perciò vi sarà lotta fra le due. Imperocché lo negherà il filosofo qual filosofo parlando a filosofie considerando unicamente Cristo nella sua realtà storica; l’affermerà il credente come credente parlando a credenti e considerando la vita di Cristo quale è vissuta dalla fede e nella fede. – S’ingannerebbe però a partito chi, date queste teorie, si credesse autorizzato a credere, essere la fede e la scienza indipendenti l’una dall’altra. Si, della scienza ciò è fuori di dubbio; ma è ben altro della fede; la quale, non per uno ma per tre capi, deve andar soggetta alla scienza. Imperocché da riflettersi in primo luogo che in ogni fatto religioso, toltane la realtà divina e l’esperienza che di essa ha chi crede, tutto il rimanente ed in specialità le formole religiose, non escono dal campo dei fenomeni: e cadono quindi sotto il dominio della scienza. Esca pure il credente dal mondo, se gli vien fatto; finché però resterà nel mondo, non potrà mai sottrarsi, lo voglia o no, alle leggi, all’osservazione, ai giudizi della scienza e della storia. Di più, benché sia detto che Dio è oggetto della sola fede, ciò nondimeno deve solo intendersi della realtà divina, non già della idea di Dio. L’idea di Dio è pur essa sottoposta alla scienza; la quale, mentre spazia nell’ordine logico, si solleva fino all’assoluto ed all’ideale. È dunque diritto della filosofia o della scienza sindacare l’idea di Dio, dirigerla nella sua evoluzione, correggerla qualora vi si immischi qualche elemento estraneo: quindi il ripetere che fanno i modernisti che l’evoluzione religiosa deve essere coordinata colla evoluzione morale ed intellettuale; ossia, come insegna uno dei loro maestri, deve essere subordinata. Per ultimo è pur da osservare che l’uomo non soffre in sé dualismo: per la qual cosa il credente prova in se stesso un intimo bisogno di armonizzare siffattamente la fede colla scienza che non si opponga al concetto generale che scientificamente si ha dell’universo. Così dunque si evince essere la scienza affatto libera dalla libera fede; la fede invece, tuttoché si decanti estranea alla scienza, essere a questa sottoposta. Le quali cose tutte, Venerabili Fratelli, sono diametralmente contrarie a ciò che insegnava il Nostro Antecessore Pio IX: “Essere dovere della filosofia, in materia di religione, non dominare ma servire, non prescrivere ciò che si debba credere, ma abbracciarlo con ragionevole ossequio, né scrutar l’altezza dei misteri di Dio, ma piamente ed umilmente venerarla” (Breve al Vescovo di Breslavia, 15 giugno 1857). I modernisti invertono del tutto le parti. Ond’è che ad essi può applicarsi ciò che l’altro Nostro Predecessore Gregorio IX scriveva di taluni teologi del suo tempo: “Alcuni fra voi, gonfi come otri dello spirito di vanità, si sforzano con novità profana di valicare i termini segnati dai Padri; piegando alla dottrina filosofica dei razionali l’intelligenza delle pagine Celesti, non per profitto degli uditori ma per far pompa di scienza… Questi sedotti da dottrine diverse e peregrine, tramutano in coda il capo e costringono la regina a servire all’ancella” (Lettera ai maestri di Teologia di Parigi, 7 luglio 1223). Il che parrà più manifesto dalla condotta stessa dei modernisti, interamente conforme a quel che insegnano. Negli scritti e nei discorsi sembrano essi non rare volte sostenere ora una dottrina ora un’altra, talché si è facilmente indotti a giudicarli vaghi ed incerti. Ma tutto ciò è fatto avvisatamente; per l’opinione cioè che sostengono della mutua separazione della fede e della scienza. Quindi avviene che nei loro libri si incontrano cose che ben direbbe un cattolico; ma, al voltar della pagina, si trovano altre che si stimerebbero dettate da un razionalista. Di qui, scrivendo storia, non fanno pur menzione della divinità di Cristo; predicando invece nelle chiese, l’affermano con risolutezza. Di qui parimente, nella storia non fanno nessun conto né di Padri né di Concilî; ma se catechizzano il popolo, li citano con rispetto. Di qui, distinguono l’esegesi teologica e pastorale dall’esegesi scientifica e storica. Similmente dal principio che la scienza non ha dipendenza alcuna dalla fede, quando trattano di filosofia, di storia, di critica, non avendo orrore di premere le orme di Lutero (Prop. 29, condannata da Leone X, Bolla. “Exsurge Domine“, 15 maggio 1520: “Ci si è aperta la strada per isnervare l’autorità dei Concilî e contraddire liberamente alle loro deliberazioni, e giudicare i lor decreti e confessare arditamente

tutto ciò che ci sembra vero, sia approvato o condannato da qualunque Concilio“), fanno pompa di un certo disprezzo delle dottrine cattoliche, dei santi Padri, dei sinodi ecumenici, del magistero ecclesiastico: e se vengono di ciò ripresi, gridano alla manomissione della libertà. Da ultimo, posto l’aforisma che la fede deve soggettarsi alla scienza, criticano di continuo e all’aperto la Chiesa, perché con somma ostinatezza rifiuta di sottoporre ed accomodare i suoi dogmi alle opinioni della filosofia: ed essi, da parte loro, messa fra i ciarpami la vecchia teologia, si adoperano di porne in voga una nuova, tutta ligia ai deliramenti dei filosofi. Con che, Venerabili Fratelli, Ci si dà finalmente il passo per osservare i modernisti sull’arena teologica. Difficile compito: ma con poco potremo trarCi d’impaccio. IL fine da ottenere è la conciliazione della fede colla scienza, restando però sempre incolume il primato della scienza sulla fede. In questo affare il teologo modernista si giova degli stessissimi principî che vedemmo usati dalla filosofia, adattandoli al credente; ciò sono i principî dell’immanenza e del simbolismo. Ed ecco con quanta speditezza compie egli il suo lavoro. Ha detto il filosofo: “Il principio della fede è immanente“; il credente ha soggiunto: “Questo principio è Dio“; il teologo dunque conclude: “Dio è immanente nell’uomo“. Di qui l’essere dell’immanenza teologica. Parimente: il filosofo ha ritenuto come certo che le “rappresentazioni dell’oggetto della fede sono semplicemente simboliche“; il credente ha affermato che “l’oggetto della fede è Dio in se stesso“; il teologo adunque pronunzia: “Le rappresentazioni della realtà divina sono simboliche“. Di qui il simbolismo teologico. Errori per verità enormi; i quali quanto sieno perniciosi, si vedrà luminosamente nell’osservarne le conseguenze. Infatti, per dir subito del simbolismo, i simboli essendo tali in relazione all’oggetto, ed in relazione al credente non essendo che istrumenti, fa mestieri innanzi tutto, così insegnano i modernisti, che il credente non si attacchi troppo alla formola, ma se ne giovi solo allo scopo di unirsi all’assoluta verità, di cui la formola rivela insieme e nasconde, si sforza cioè di esprimere ma senza mai riuscirvi. Vogliono in secondo luogo che il credente usi di tali formole tanto quanto gli sono utili, poiché sono date per giovamento e non per averne intralcio; salvo, s’intende, il rispetto che, per riguardi sociali, si deve alle formole giudicate acconce dal pubblico magistero ad esprimere la coscienza comune, finché però lo stesso magistero non stabilisca altrimenti. Quanto poi all’immanenza, non è agevole determinare ciò che per essa intendano i modernisti; giacché diverse sono fra essi le opinioni. Altri la pongono in ciò, che Dio operante sia intimamente presente nell’uomo, più che non sia l’uomo a sé stesso; il che, sanamente inteso, non può riprendersi. Altri pretendono che l’azione divina sia una coll’azione della natura, come di causa prima con quella di causa seconda; e ciò distruggerebbe l’ordine soprannaturale. Altri per ultimo la spiegano in modo da dar sospetto di un senso panteistico; il che, a dir vero, è più coerente col rimanente delle loro dottrine. A questo postulato dell’immanenza un altro poi se ne aggiunge, che si può intitolare dalla permanenza divina: e l’una dall’altra si fa differire quasi a quel modo stesso, che l’esperienza privata differisce dall’esperienza trasmessa per tradizione. Un esempio illustrerà il concetto: e sia l’esempio della Chiesa e dei Sacramenti. La Chiesa, dicono, e i Sacramenti non si devon credere come istituiti da Cristo stesso. Vieta ciò l’agnosticismo, che in Cristo non riconosce nulla più che un uomo, la cui coscienza religiosa, come quella di ogni altro uomo, si è formata a poco a poco; lo vieta la legge dell’immanenza, che non ammette, per dirlo con una loro parola, esterne applicazioni; lo vieta pure la legge dell’evoluzione, che per lo svolgersi dei germi richiede tempo ed una certa serie di circostanze; lo vieta finalmente la storia, che mostra tale di fatto essere stato il corso delle cose. Però è da tenersi che Chiesa e Sacramenti furono istituiti mediatamente da Cristo. Ma in qual modo? eccolo. Le coscienze tutte cristiane, essi dicono, furono virtualmente inchiuse nella coscienza di Gesù Cristo, come la pianta nel seme. Or poiché i germi vivono la vita del seme, così deve affermarsi che tutti i cristiani vivono la vita di Cristo. Ma la vita di Cristo, secondo la fede, è divina; dunque anche quella dei cristiani. Se pertanto questa vita, nel corso dei secoli, diede origine alla Chiesa e ai Sacramenti, con ogni diritto si potrà dire che tale origine è da Cristo ed è divina. Nello stesso modo provano esser divine le Scritture e divini i dogmi. E con ciò la teologia moderna può dirsi compiuta. Esigua cosa a dir vero, ma più che abbondante per chi professa doversi sempre ed in tutto rispettare le conclusioni della scienza. L’applicazione poi di queste teorie agli altri punti che verremo esponendo potrà ognuno farla di per sé stesso. Abbiam parlato finora della origine e della natura della fede. Ma molti essendo i germi di questa, e principali fra essi la Chiesa, il dogma, il culto, i Libri sacri, di questi eziandio è da conoscere ciò che insegnano i modernisti. E per farci dal dogma, l’origine e la natura di esso quale sia, si è già indicato più sopra. Nasce il dogma dal bisogno che prova il credente di lavorare sul suo pensiero religioso, sì da rendere la sua e l’altrui coscienza sempre più chiara. Tale lavorio consiste tutto nell’indagare ed esporre la formola primitiva, non già in se stessa e razionalmente, ma rispetto alle circostanze o, come più astrusamente dicono, vitalmente. Di qui si ha che intorno alla medesima si vadano formando delle formole secondarie, che poi sintetizzate e riunite in un’unica costruzione dottrinale, quando questa sia suggellata dal pubblico magistero come rispondente alla coscienza comune, si chiamerà dogma. Dal dogma son da distinguersi accuratamente le speculazioni teologiche; le quali però, benché non vivano della vita del dogma, pur tuttavia non sono inutili sì per armonizzare la religione colla scienza e togliere fra loro ogni contrasto, sì per lumeggiare esternamente e difendere la religione stessa; e chi sa che forse non giovino altresì per preparar la materia di un dogma futuro. Del culto poi non vi sarebbe gran che da dire, se sotto questo nome non venissero eziandio i Sacramenti, intorno ai quali sono gravissimi gli errori dei modernisti. IL culto vogliono che risulti da un doppio bisogno; giacché, torniamo ad osservarlo, nel loro sistema tutto va attribuito ad intimi bisogni. L’uno è quello di dare alla religione alcunché di sensibile; l’altro è il bisogno di propagarla, il che non potrebbe avvenire senza una qualche forma sensibile e senza atti santificanti, che diconsi Sacramenti. Quanto poi ai Sacramenti, essi pei modernisti si riducono a meri simboli o segni, non però privi di efficacia; efficacia che essi cercano di spiegare coll’esempio di certe cotali parole che volgarmente diconsi aver fatto fortuna, per avere acquistata la forza di diffondere talune idee potenti e che colpiscono grandemente gli animi. Come quelle parole sono ordinate alle dette idee, così i Sacramenti al sentimento religioso: nulla di vantaggio. Parlerebbero certamente più chiaro ove affermassero che i Sacramenti sono istituiti unicamente per nutrir la fede. Ma ciò è condannato dal Concilio di Trento (Sess. VII, de Sacramentis in genere, can. 5): “Se alcuno dirà che questi Sacramenti sono istituiti solo per nutrir la fede, sia anatema“. Della natura ancora e dell’origine dei Libri sacri già si è toccato. Secondo il pensare dei modernisti, si può ben definirli una raccolta di esperienze: non di quelle, che comunemente si hanno da ognuno, ma delle straordinarie e più insigni che siensi avute in una qualche religione. E così essi appunto insegnano a riguardo dei nostri libri del Vecchio e del Nuovo Testamento. A lor comodo però, notano assai scaltramente che, sebbene l’esperienza sia del presente, può tuttavolta prender materia dal passato ed eziandio dal futuro, in quanto che il credente o per la memoria rivive il passato a maniera del presente, o vive già per anticipazione l’avvenire. Ciò giova a dar modo di computare fra i Libri santi anche gli storici e gli apocalittici. Così adunque in questi libri parla bensì Iddio per mezzo del credente; ma, come vuole la teologia modernistica, solo per immanenza e permanenza vitale. Vorrà sapersi, in che consista dopo ciò l’ispirazione? Rispondono che non si distingue, se non forse per una certa maggiore veemenza, dal bisogno che sente il credente di manifestare a voce e per scritto la propria fede. È alcun che di simile a quello che si avvera nella ispirazione poetica; per cui un cotale diceva: È Dio in noi, da Lui agitati noi c’infiammiamo. È questo appunto il modo onde Dio deve dirsi origine della ispirazione dei Libri sacri. Affermano inoltre i modernisti che nulla vi è in questi libri che non sia ispirato. – Nel che potrebbe taluno crederli più ortodossi di certi altri moderni che restringono alquanto la ispirazione, come, a mo’ di esempio, nelle così dette citazioni tacite. Ma queste non sono che lustre e parole. Imperciocché se, secondo l’agnosticismo, riteniamo la Bibbia come un lavoro umano fatto da uomini per servigio di uomini, salvo pure al teologo di chiamarla divina per immanenza, come mai l’ispirazione potrebbe in essa restringersi? Sì, i modernisti affermano un’ispirazione totale: ma, nel senso cattolico, non ne ammettono in fatto veruna. – Più larga materia ci offre ciò che la scuola dei modernisti fantastica a riguardo della Chiesa. È qui da presupporre che la Chiesa secondo essi è frutto di due bisogni: uno nel credente, specie se abbia avuta qualche esperienza originale e singolare, di comunicare ad altri la propria fede; l’altro nella collettività, dopo che la fede si è fatta comune a molti, di aggrupparsi in società e di conservare, accrescere e propagare il bene comune. Che cosa è dunque la Chiesa? un parto della coscienza collettiva, ossia collettività di coscienze individuali; le quali, in forza della permanenza vitale, pendono tutte da un primo credente, cioè pei cattolici da Cristo. Ora ogni società ha bisogno di un’autorità che la regga: il cui compito sia dirigere gli associati al fine comune, e conservare saggiamente gli elementi di coesione, i quali in una società religiosa sono la dottrina ed il culto. – Perciò nella Chiesa cattolica una triplice autorità: disciplinare, dogmatica, culturale. La natura poi di questa autorità dovrà desumersi dalla sua origine; e dalla natura si dovranno a loro volta dedurre i diritti e i doveri. Fu errore volgare dell’età passata che l’autorità sia venuta alla Chiesa dal di fuori, cioè immediatamente da Dio: e perciò era giustamente ritenuta autocratica. Ma queste sono teorie oggimai passate di moda. Come la Chiesa è emanata dalla collettività delle coscienze, cosi l’autorità emana vitalmente dalla stessa Chiesa. Pertanto l’autorità del pari che la Chiesa nasce dalla coscienza religiosa, e perciò alla medesima resta soggetta: e se venga meno a siffatta soggezione, si volge in tirannide. Nei tempi che corrono il sentimento di libertà è giunto al suo pieno sviluppo. Nello stato civile la pubblica coscienza ha voluto un regime popolare. Ma la coscienza dell’uomo, come la vita, è una sola. Se dunque l’autorità della Chiesa non vuol suscitare e mantenere una guerra intestina nelle coscienze umane, uopo è che si pieghi anch’essa a forme democratiche; tanto più che, a negarvisi, lo sfacelo sarebbe imminente. È da pazzo il credere che possa aversi un regresso nel sentimento di libertà quale domina al presente. Stretto e rinchiuso con violenza strariperà più potente, distruggendo insieme la religione e la Chiesa. Fin qui il ragionare dei modernisti: e la conseguenza è, che sono tutti intesi a trovar modi per conciliare l’autorità della Chiesa colla libertà dei credenti. Se non che non solamente fra le sue stesse pareti trova la Chiesa con chi doversi comporre amichevolmente, ma eziandio fuori. Non è sola essa ad occupare il mondo: l’occupano insieme altre società, colle quali non può aver uso e commercio. Convien dunque determinare quali sieno i diritti e i doveri della Chiesa verso le società civili; e ben s’intende che tale determinazione deve esser desunta dalla natura della Chiesa stessa, quale i modernisti l’hanno descritta. Le regole perciò da usarsi son quelle stesse che sopra si adoperarono per la scienza e la fede. Ivi parlavasi di oggetti, qui di fini. Come adunque, per ragione dell’oggetto, si dissero la fede e la scienza vicendevolmente estranee, così lo Stato e la Chiesa sono l’uno all’altra estranei pel fine a cui tendono, temporale per lo Stato, spirituale per la Chiesa. Fu d’altre età il sottomettere il temporale allo spirituale; il parlarsi di questioni miste, nelle quali la Chiesa interveniva quasi signora e regina, perché la Chiesa si stimava istituita immediatamente da Dio, come autore dell’ordine soprannaturale. Ma la filosofia e la storia non più ammettono cotali credenze. Adunque lo Stato deve separarsi dalla Chiesa e per egual ragione il cattolico dal cittadino. Di qui è, che il cattolico, perché insieme cittadino, ha diritto e dovere, non curandosi dell’autorità della Chiesa, dei suoi desiderî, consigli e comandi, sprezzate altresì le sue riprensioni, di far quello che giudicherà espediente al bene della patria. Voler imporre al cittadino una linea di condotta sotto qualsiasi pretesto è un vero abuso di potere ecclesiastico da respingersi con ogni sforzo. Le teorie, o Venerabili Fratelli, onde promanano tutti questi errori, son quelle appunto che il Nostro Predecessore Pio VI già condannò solennemente nella Costituzione Apostolica “Auctorem Fidei” (Prop. 2). “La proposizione che stabilisce che la potestà è stata da Dio data alla Chiesa, perché fosse comunicata ai Pastori, che sono ministri di lei per la salute delle anime; così intesa, che la potestà del ministero e regime ecclesiastico si derivi nei Pastori dalla Comunità dei fedeli: eretica“. Prop. 3. “Inoltre quella che stabilisce il Romano Pontefice esser capo ministeriale; così spiegata che il Romano Pontefice, non da Cristo nella persona del Beato Pietro, ma dalla Chiesa abbia avuta la potestà del ministero, di cui come successore di Pietro, vero Vicario di Cristo e capo di tutta la Chiesa, gode nella Chiesa universa: eretica“). – Ma non basta alla scuola dei modernisti che lo Stato sia separato dalla Chiesa. Come la fede, quanto agli elementi fenomenici, deve sottostare alla scienza, così nelle cose temporali la Chiesa ha da soggettarsi allo Stato. Questo forse non l’asseriscono essi peranco apertamente; ma per forza di raziocinio sono costretti ad ammetterlo. Imperocché, concesso che lo Stato abbia assoluta padronanza in tutto ciò che è temporale, se avvenga che il credente, non pago della religione dello spirito, esca in atti esteriori, quali per mo’ di esempio, l’amministrarsi o il ricevere dei Sacramenti, bisognerà che questi cadano sotto il dominio dello Stato. E che sarà dopo ciò dell’autorità ecclesiastica? Siccome questa non si spiegasse non per atti esterni, sarà in tutto e per tutto assoggettata al potere civile. È questa ineluttabile conseguenza che trascina molti fra i protestanti liberali a sbarazzarsi di ogni culto esterno, anzi d’ogni esterna società religiosa, i quali invece si adoprano di porre in voga una religione che chiamano individuale. Che se i modernisti, a luce di sole, non si spingono ancora tant’oltre, insistono intanto perché la Chiesa si pieghi spontaneamente ove essi la voglion trarre e si acconci alle forme civili. Tutto ciò per l’autorità disciplinare. Più gravi assai e perniciose sono le loro affermazioni a riguardo dell’autorità dottrinale e dogmatica. Circa il magistero ecclesiastico così essi la pensano: la società religiosa non può veramente essere una senza unità di coscienza nei suoi membri e senza unita di formola. Ma questa duplice unità richiede, per così dire, una mente comune, a cui spetti trovare e determinare la formola, che meglio risponda alla coscienza comune: alla qual mente fa d’uopo inoltre attribuire un’autorità bastevole, perché possa imporre alla comunanza la formola stabilita. Or nell’unione è quasi fusione della mente designatrice della formola e dell’autorità che la impone, ritrovano i modernisti il concetto del magistero ecclesiastico. Poiché dunque in fin dei conti il magistero non nasce che dalle coscienze individuali ed a bene delle stesse coscienze ha imposto un pubblico ufficio; ne consegue di necessità che debba dipendere dalle medesime coscienze e debba quindi avviarsi a forme democratiche. IL proibire pertanto alle coscienze degli individui che facciano pubblicamente sentire i loro bisogni; non soffrire chela critica spinga il dogma verso necessarie evoluzioni, non è già uso di potestà, data per pubblico bene, ma abuso. Similmentene l’uso stesso della potestà fa di mestieri serbare modo e misura. Sa di tirannide condannare un libro all’insaputa dell’autore, senza ammettere spiegazioni di sorta né discussione. Adunque qui pure è da ricercarsi una via di mezzo che salvi insieme i diritti dell’autorità e della libertà. Nel frattempo il cattolico si regolerà in guisa che non lasci pubblicamente di protestarsi rispettosissimo dell’autorità, continuando però sempre ad operare a suo talento. In generale vogliono ammonita la Chiesa che, poiché il fine della potestà ecclesiastica è tutto spirituale, disdice ogni esterno apparato di magnificenza con che essa si circonda agli occhi delle moltitudini. Nel che non riflettono che se la religione è essenzialmente spirituale non c tuttavia ristretta al solo spirito; e che l’onore tributato all’autorità ridonda su Gesù Cristo che ne fu istitutore. – Per compiere tutta questa materia della fede e dei diversi suoi germi, rimane da ultimo, Venerabili Fratelli, che ascoltiamo le teorie dei modernisti circa lo sviluppo dei medesimi. e lor principio generale che in una religione vivente tutto debba essere mutevole e mutarsi di fatto. Di qui fanno passo a quella che è delle principali fra le loro dottrine, vogliam dire all’evoluzione. Dogma dunque, Chiesa, culto, Libri sacri, anzi la fede stessa, se non devon esser cose morte, fa mestieri che sottostiano alle leggi dell’evoluzione. Siffatto principio non si udrà con istupore da chi rammenti quanto i modernisti son venuti affermando intorno a ciascuno di questi oggetti. Posta pertanto la legge dell’evoluzione, i modernisti stessi ci descrivono in qual maniera l’evoluzione si effettui. E cominciamo dalla fede. La forma primitiva, essi dicono, della fede fu rudimentaria e comune indistintamente a tutti gli uomini; giacché nasceva dalla natura e dalla vita umana. Il progresso si ebbe per sviluppo vitale; che è quanto dire non per aggiunta di nuove forme apportate dal di fuori, ma per una crescente penetrazione nella coscienza del sentimento religioso. Doppio indi fu il modo di progredire nella fede: prima negativamente, col depurarsi da ogni elemento estraneo, come ad esempio dal sentimento di famiglia o di nazionalità; quindi positivamente, mercè il perfezionarsi intellettuale e morale dell’uomo, per cui l’idea divina si ampliò ed illustrò e il sentimento religioso divenne più squisito. Del progresso della fede non altre cause assegnar si possono che quelle stesse onde già si spiegò la sua origine. Alle quali però fa d’uopo aggiungere quei genii religiosi, che noi chiamiamo profeti e dei quali Cristo fu il sommo; sì perché nella vita o nelle parole ebbero un certo che di misterioso, che la fede attribuiva alla divinità, e sì perché toccaron loro esperienze nuove ed originali in piena armonia coi bisogni del loro tempo. Il progresso del dogma nasce principalmente dal bisogno di superare gli ostacoli della fede, di vincere gli avversari, di ribattere le difficoltà, senza dire dello sforzo continuo di viemeglio penetrare gli arcani della fede. Così, per tacer di altri esempi, è avvenuto di Cristo; in cui, quel più o meno divino, che la fede in esso ammetteva, si venne gradatamente amplificando in modo, che finalmente fu ritenuto per Dio. Lo stimolo precipuo di evoluzione del culto sarà il bisogno di adattarsi agli usi ed alle tradizioni dei popoli; come altresì di usufruire della virtù che certi atti hanno ricevuto dall’usanza. La Chiesa finalmente trova la sua ragione di evolversi nel bisogno di accomodarsi alle condizioni storiche e di accordarsi colle forme di civil governo pubblicamente adottate. Così i modernisti di ciascun capo in particolare. E qui, innanzi di farCi oltre, bramiamo che ben si avverta di nuovo a questa loro dottrina dei bisogni; giacché essa, oltreché di quanto finora abbiam visto, è quasi base e fondamento di quel vantato metodo che chiamano storico. Or, restando tuttavia nella teoria della evoluzione, vuole di più osservarsi che quantunque i bisogni servano di stimolo per la evoluzione, essa nondimeno, regolata unicamente da siffatti stimoli, valicherebbe facilmente i termini della tradizione, e strappata così dal primitivo principio vitale, meglio che a progresso menerebbe a rovina. Quindi studiando più a fondo il pensiero dei modernisti, deve dirsi che l’evoluzione è come il risultato di due forze che si combattono, delle quali una è progressiva, l’altra conservatrice. La forza conservatrice sta nella Chiesa e consiste nella tradizione. L’esercizio di lei è proprio dell’autorità religiosa; e ciò, sia per diritto, giacché sta nella natura di qualsiasi autorità il tenersi fermo il più possibile alla tradizione; sia per fatto, perché sollevata al disopra delle contingenze della vita, poco o nulla sente gli stimoli che spingono a progresso. Per contrario la forza che, rispondendo ai bisogni, trascina a progredire, cova e lavora nelle coscienze individuali, in quelle soprattutto che sono, come dicono, più a contatto della vita. Osservate qui di passaggio, o Venerabili Fratelli, lo spuntar fuori di quella dottrina rovinosissima che introduce il laicato nella Chiesa come fattore di progresso. Da una specie di compromesso fra le due forze di conservazione e di progressione, fra l’autorità cioè e le coscienze individuali, nascono le trasformazioni e i progressi. Le coscienze individuali, o talune di esse, fan pressione sulla coscienza collettiva; e questa a sua volta sull’autorità, e la costringe a capitolare ed a restare ai patti. Ciò ammesso, ben si comprendono le meraviglie che fanno i modernisti, se avvenga che siano biasimati o puniti. Ciò che loro sia scrive a colpa, essi l’hanno per sacrosanto dovere. Niuno meglio di essi conosce i bisogni delle coscienze perché si trovano con queste a più stretto contatto che non si trovi la potestà ecclesiastica. Incarnano quasi in sé quei bisogni tutti: e quindi il dovere per loro di parlare apertamente e di scrivere. Li biasimi pure l’autorità, la coscienza del dovere li sostiene, e sanno per intima esperienza di non meritare riprensioni ma encomii. Pur troppo essi sanno che i progressi non si hanno senza combattimenti, né combattimenti senza vittime: e bene, saranno essi le vittime, come già i profeti e Cristo. Né perché siano trattati male, odiano l’autorità: concedono che ella adempia il suo dovere. Solo rimpiangono di non essere ascoltati, perché in tal guisa il progredire degli animi si ritarda: ma verrà senza meno il tempo di rompere gl’indugi, giacché le leggi dell’evoluzione si possono raffrenare, ma non possono affatto spezzarsi. E così continuano il lor cammino, continuano benché ripresi e condannati, celando un’incredibile audacia col velo di un’apparente umiltà. Piegano fintamente il capo: ma la mano e la mente proseguono con più ardimento il loro lavoro. E così essi operano scientemente e volentemente; sì perché è loro regola che l’autorità debba essere spinta, non rovesciata; si perché hanno bisogno di non uscire dalla cerchia della Chiesa per poter cangiare a poco a poco la coscienza collettiva; il che quando dicono, non si accorgono di confessare che la coscienza collettiva dissente da loro, e che quindi con nessun diritto essi si danno interpreti della medesima. Per detto adunque e per fatto dei modernisti nulla, o Venerabili Fratelli, vi deve essere di stabile, nulla di immutabile nella Chiesa. Nella qual sentenza non mancarono ad essi dei precursori, quelli cioè dei quali il Nostro Predecessore Pio IX già scriveva: “Questi nemici della divina rivelazione, che estollono con altissime lodi l’umano progresso, vorrebbero, con temerario e sacrilego ardimento, introdurlo nella cattolica religione, quasi che la stessa religione fosse opera non di Dio ma degli uomini o un qualche ritrovato filosofico che con mezzi umani possa essere perfezionato” (Enc. “Qui pluribus“, 9 nov. 1846). Circa la rivelazione specialmente e circa il dogma, la dottrina dei modernisti non ha filo di novità; ma è quella stessa che nel Sillabo di Pio IX ritroviamo condannata, così espressa: “La divina rivelazione è imperfetta e perciò soggetta a continuo ed indefinito progresso, che risponda a quello dell’umana ragione” (Sillabo, Prop. V); più solennemente poi la troviamo riprovata dal Concilio Vaticano in questi termini: “Né la dottrina della fede, che Dio rivelò, è proposta agli umani ingegni da perfezionare come un ritrovato filosofico, ma come un deposito consegnato alla Sposa di Cristo, da custodirsi fedelmente e da dichiararsi infallibilmente. Quindi dei sacri dogmi altresì deve sempre ritenersi quel senso che una volta dichiarò la Santa Madre Chiesa, né mai deve allontanarsi da quel senso sotto pretesto e nome di più alta intelligenza” (Const. Dei Filius, cap. IV). Col che senza dubbio l’esplicazione nelle nostre cognizioni, anche circa la fede, tanto è lungi che venga impedita, che anzi ne è aiutata e promossa. Laonde lo stesso Concilio prosegue dicendo: “Cresca dunque e molto e con slancio progredisca l’intelligenza, la scienza, la sapienza così dei singoli come di tutti, così di un sol uomo come di tutta la Chiesa coll’avanzare delle età e dei secoli; ma solo nel suo genere, cioè nello stesso dogma, nello stesso senso e nella stessa sentenza” (Loc. cit.). [Continua]

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE IL MODERNISTA-APOSTATA DI TORNO: “PASCENDI”

Dopo aver letto e meditato l’enciclica “Quanta cura” con annesso Syllabo degli errori, passiamo a considerare un nuovo Syllabo degli errori, quello del decreto “Lamentabile” Annesso alla celeberrima “Pascendi Dominici grecis” di S, Pio X. Qui il Santo Padre prende il “toro per le corna” e facendo una lucida analisi degli argomenti trattati, smaschera l’inganno del “modernismo” teologico modellato sui soliti principi dello gnosticismo teologico anticristiano. Il documento ampiamente commentato da teologi e chierici di ogni ordine e grado, pietra miliare nella dottrina della Chiesa, è abbastanza lungo, ma suddivisibili in diverse sezioni che gradualmente ed ordinatamente compongono un mosaico di incomparabile sapienza teologico-dottrinale. Iniziamo oggi dagli aspetti squisitamente teologici che compongono la base della torre “di difesa” che il Sommo Pontefice” erge a difesa della Chiesa Cattolica, attaccata dall’interno dal Modernismo, nuova maschera dell’antica e mai defunta gnosi, la teologia di satana che, alimentata dalle moderne filosofie e approfittando dell’oblio e della disconoscenza della teologia del “Dottore angelico”, aveva ripreso nuova linfa, fino ad esplodere, nonostante i tentativi di resistenza e contrattacco, nell’attuale apostasia ipermodernista, nella gnosi totalmente manifesta e senza ritegno praticata, oltrepassando in certi casi finanche i deliri massonici, dalle sette che attualmente si propongono come continuazione o evoluzione della Chiesa Cattolica, e ne usurpano, come oramai tutti sanno (anche se vigliaccamente tacciono) i sacri palazzi, le giurisdizioni, gli uffici e i beni materiali. Oggi approfondiamo gli aspetti teologici contenuti nella lettera enciclica.

PASCENDI DOMINICI GREGIS

(I)

DI S. S. SAN PIO X

“SUGLI ERRORI DEL MODERNISMO”

AI VENERABILI FRATELLI, PATRIARCHI,

PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI

E AGLI ALTRI ORDINARI

AVENTI CON L’APOSTOLICA SEDE

PACE E COMUNIONE

PIO PP. X

SERVO DEI SERVI DI DIO

VENERABILI FRATELLI SALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE

L’officio divinamente commessoCi di pascere il gregge del Signore ha, fra i primi doveri imposti da Cristo, quello di custodire con ogni vigilanza il deposito della fede trasmessa ai santi, ripudiando le profane novità di parole e le opposizioni di una scienza di falso nome. La quale provvidenza del Supremo Pastore non vi fu tempo che non fosse necessaria alla Chiesa cattolica: stanteché per opera del nemico dell’uman genere, mai non mancarono “uomini di perverso parlare (Act. X, 30), cianciatori di vanità e seduttori (Tit. I, 10), erranti e consiglieri agli altri di errore (II Tim. III, 13)”. Pur nondimeno gli è da confessare che in questi ultimi tempi, è cresciuto oltre misura il numero dei nemici della croce di Cristo; che, con arti affatto nuove e piene di astuzia, si affaticano di render vana la virtù avvivatrice della Chiesa e scrollare dai fondamenti, se venga lor fatto, lo stesso regno di Gesù Cristo. Per la qual cosa non Ci è oggimai più lecito di tacere, seppur non vogliamo aver vista di mancare al dovere Nostro gravissimo, e che Ci sia apposta a trascuratezza di esso la benignità finora usata nella speranza di più sani consigli. Ed a rompere senza più gl’indugi Ci spinge anzitutto il fatto, che i fautori dell’errore già non sono ormai da ricercarsi fra i nemici dichiarati; ma, ciò che dà somma pena e timore, si celano nel seno stesso della Chiesa, tanto più perniciosi quanto meno sono in vista. Alludiamo, o Venerabili Fratelli, a molti del laicato cattolico e, ciò ch’è più deplorevole, a non pochi dello stesso ceto sacerdotale, i quali, sotto finta di amore per la Chiesa, scevri d’ogni solido presidio di filosofico e teologico sapere, tutti anzi penetrati delle velenose dottrine dei nemici della Chiesa, si dànno, senza ritegno di sorta, per riformatori della Chiesa medesima; e, fatta audacemente schiera, si gettano su quanto vi ha di più santo nell’opera di Cristo, non risparmiando la persona stessa del Redentore divino, che, con ardimento sacrilego, rimpiccioliscono fino alla condizione di un puro e semplice uomo. Fanno le meraviglie costoro perché Noi li annoveriamo fra i nemici della Chiesa; ma non potrà stupirsene chiunque, poste da parte le intenzioni di cui Dio solo è giudice, si faccia ad esaminare le loro dottrine e la loro maniera di parlare e di operare. Per verità non si allontana dal vero chi li ritenga fra i nemici della Chiesa i più dannosi. Imperocché, come già abbiam detto, i lor consigli di distruzione non li agitano costoro al di fuori della Chiesa, ma dentro di essa; ond’è che il pericolo si appiatta quasi nelle vene stesse e nelle viscere di lei, con rovina tanto più certa, quanto essi la conoscono più addentro. Di più, non pongono già la scure ai rami od ai germogli; ma alla radice medesima, cioè alla fede ed alle fibre di lei più profonde. Intaccata poi questa radice della immortalità, continuano a far correre il veleno per tutto l’albero in guisa, che niuna parte risparmiano della cattolica verità, niuna che non cerchino di contaminare. Inoltre, nell’adoperare le loro mille arti per nuocere, niuno li supera di accortezza e di astuzia: giacché la fanno promiscuamente da razionalisti e da cattolici, e ciò con sì fina simulazione da trarre agevolmente in inganno ogni incauto; e poiché sono temerari quanto altri mai, non vi è conseguenza da cui rifuggano e che non ispaccino con animo franco ed imperterrito. Si aggiunga di più, e ciò è acconcissimo a confonderle menti, il menar che essi fanno una vita operosissima, un’assidua e forte applicazione ad ogni fatta di studi, e, il più sovente, la fama di una condotta austera. Finalmente, e questo spegne quasi ogni speranza di guarigione, dalle stesse loro dottrine sono formati al disprezzo di ogni autorità e di ogni freno; e, adagiatisi in una falsa coscienza, si persuadono che sia amore di verità ciò che è infatti superbia ed ostinazione. Sì, sperammo a dir vero di riuscire quando che fosse a richiamar costoro a più savi divisamenti; al qual fine li trattammo dapprima come figli con soavità, passammo poi ad un far severo, e finalmente, benché a malincuore, usammo pure i pubblici castighi. Ma voi sapete, o Venerabili Fratelli, come tutto riuscì indarno: sembrarono abbassai la fronte per un istante, mala rialzarono subito con maggiore alterigia. E potremmo forse tuttora dissimulare se non si trattasse che sol di loro: ma trattasi invece della sicurezza del nome cattolico. Fa dunque mestieri di uscir da un silenzio, che ormai sarebbe colpa, per far conoscere alla Chiesa tutta chi sieno infatti costoro che così mal si camuffano. – E poiché è artificio astutissimo dei modernisti (ché con siffatto nome son chiamati costoro a ragione comunemente) presentare le loro dottrine non già coordinate e raccolte quasi in un tutto, ma sparse invece e disgiunte l’una dall’altra, allo scopo di passare essi per dubbiosi e come incerti, mentre di fatto sono fermi e determinati; gioverà innanzi tutto raccogliere qui le dottrine stesse in un sol quadro, per passar poi a ricercar le fonti di tanto traviamento ed a prescrivere le misure per impedirne i danni. E alfin di procedere con ordine in una materia di troppo astrusa, è da notare anzi tutto che ogni modernista sostiene e quasi compendia in sé molteplici personaggi: quelli cioè di filosofo, di credente, di teologo, di storico, di critico, di apologista, di riformatore: e queste parti sono tutte bene da distinguersi una ad una, da chi voglia conoscere a dovere il lor sistema e penetrare i principî e le conseguenze delle loro dottrine. Prendendo adunque le mosse dal filosofo, tutto il fondamento della filosofia religiosa è riposto dai modernisti nella dottrina, che chiamano dell’agnosticismo. Secondo questa, la ragione umana è ristretta interamente entro il campo dei fenomeni, che è quanto dire di quel che apparisce e nel modo in che apparisce: non diritto, non facoltà naturale le concedono di passare più oltre. Per lo che non è dato a lei d’innalzarsi a Dio, né di conoscerne l’esistenza, sia pure per intromessa delle cose visibili. E da ciò si deduce che Dio, riguardo alla scienza, non può affatto esserne oggetto diretto; riguardo alla storia non deve mai riputarsi come soggetto istorico. Poste cotali premesse, ognuno scorge di leggieri quali sieno le sorti della teologia naturale, dei motivi di credibilità, dell’esterna rivelazione. Tutto questo i modernisti tolgon via di mezzo, e ne fanno assegno all’intellettualismo, ridicolo sistema, come essi affermano, e tramontato già da gran tempo. Né in ciò ispira loro alcun ritegno il sapere che si enormi errori furono già formalmente condannati dalla Chiesa. Giacché infatti il Concilio Vaticano così ebbe definito: “Se qualcuno dirà, che Dio uno e vero, Creatore e Signor nostro, per mezzo delle cose create, non possa conoscersi con certezza col lume naturale dell’umana ragione, sia anatema“(De Revel., can. I); e similmente: “Se alcuno dirà non essere possibile, o non convenire che, mediante divina rivelazione, sin l’uomo ammaestrato di Dio e del culto che Gli si deve, sia anatema” (Ibid., can. II); e finalmente: “Se alcuno dirà che la rivelazione divina non possa essere fatta credibile da esterni segni e che perciò gli uomini non debbano esser mossi alla fede se non da interna esperienza o privata ispirazione, sia anatema” (De Fide, can. III).Di qual guisa poi i modernisti dall’agnosticismo, che è puro stato d’ignoranza, passino all’ateismo scientifico e storico, che invece è stato di positiva negazione; e con qual diritto perciò di logica, dal non sapere se Iddio sia intervenuto o no nella storia dell’uman genere si trascorra a spiegar tutto nella storia medesima ponendo Dio interamente da parte come se in realtà non fosse intervenuto, lo assegni chi può. Ma tanto è; per costoro è fisso e determinato che la scienza e la storia debbano esser atee; entro l’àmbito di esse non vi è luogo se non per fenomeni, sbanditone in tutto Iddio e quanto sa di divino. Dalla quale dottrina assurdissima vedrem bentosto che cosa siasi costretti di ammettere intorno alla persona augusta di Gesù Cristo, intorno ai misteri della Sua vita e della Sua morte, intorno alla Sua risurrezione ed ascensione al Cielo. Vero è che l’agnosticismo non costituisce nella dottrina dei modernisti se non la parte negativa; la positiva sta tutta nell’immanenza vitale. Dall’una all’altra ecco con qual discorso procedono. La Religione, sia essa naturale o sopra natura, alla guisa di ogni altro fatto qualsiasi, uopo è che ammetta una spiegazione. Or, tolta di mezzo la naturale teologia, chiuso il cammino alla rivelazione per il rifiuto dei motivi di credibilità, negata anzi qualsivoglia esterna rivelazione, chiaro è che siffatta spiegazione indarno si cerca fuori dell’uomo. Resta dunque che si cerchi nell’uomo stesso; e poiché la religione non è altro infatti che una forma della vita, la spiegazione di essa dovrà ritrovarsi appunto nella vita dell’uomo. Di qui il principio dell’immanenza religiosa. Di più, la prima mossa, per così dire, di ogni fenomeno vitale, quale si è detta essere altresì la religione, è sempre da ascrivere ad un qualche bisogno; i primordi poi, parlando più specialmente della vita, sono da assegnare ad un movimento del cuore, o vogliam dire ad un sentimento. Per queste ragioni, essendo Dio l’oggetto della religione, dobbiamo conchiudere che la fede, inizio e fondamento di ogni religione, deve riporsi in un sentimento che nasca dal bisogno della divinità. IL quale bisogno, non sentendosi dall’uomo se non indeterminate ed acconce circostanze, non può di per sé appartenere al campo della coscienza: ma giace da principio al di sotto della coscienza medesima o, come dicono con vocabolo tolto ad imprestito dalla moderna filosofia, nella subcoscienza, ove la sua radice rimane occulta ed incomprensibile. Che se si chieda in qual modo da questo bisogno della divinità, che l’uomo provi in se stesso, si faccia poi trapasso alla religione, i modernisti rispondono così. La scienza e la storia, essi dicono, sono chiuse come fra due termini: l’uno esterno, ed è il mondo visibile; l’altro interno, ed è la coscienza. Toccato che abbiano o l’uno o l’altro di questi termini, non hanno come passare più oltre; al di là si trovano essi a faccia dell’inconoscibile. Dinanzi a questo inconoscibile, o sia esso fuori dell’uomo oltre ogni cosa visibile, o si celi entro l’uomo nelle latebre della subcoscienza, il bisogno del divino, senza verun atto della mente, secondo che vuole il fideismo, fa scattare nell’animo già inclinato a religione un certo particolar sentimento; il quale, sia come oggetto sia come causa interna, ha implicata in sé la realtà del divino e congiunge in certa guisa l’uomo con Dio. A questo sentimento appunto si dà dai modernisti il nome di fede, e lo ritengono quale inizio di religione. Ma non è qui tutto il filosofare, o, a meglio dire, il delirare di costoro. Imperocché in siffatto sentimento essi non riscontrano solamente la fede: ma colla fede e nella fede stessa quale da loro è intesa, sostengono che vi si trovi altresì la Rivelazione. E che infatti può pretendersi di vantaggio per una rivelazione? O non è forse rivelazione, o almeno principio di rivelazione, quel sentimento religioso che si manifesta d’un tratto nella coscienza? Non è rivelazione l’apparire, benché in confuso, che Dio fa agli animi in quello stesso sentimento religioso? Aggiungono anzi di più che, essendo Iddio in pari tempo e l’oggetto e la causa della fede, la detta rivelazione è al tempo stesso di Dio e da Dio: ha cioè insieme Iddio e come rivelante e come rivelato. Di qui, Venerabili Fratelli, quell’assurdissimo effato dei modernisti che ogni religione, secondo il vario aspetto sotto cui si riguardi, debba dirsi egualmente naturale e soprannaturale. Di qui lo scambiar che fanno, come di pari significato, coscienza e rivelazione. Di qui la legge, per cui la coscienza religiosa si dà come regola universale, da porsi in tutto a pari della rivelazione, ed alla quale tutti hanno obbligo di sottostare, non esclusa la stessa autorità suprema della Chiesa, sia che ella insegni, sia che legiferi in materia di culto o di disciplina. Se non che in tutto questo procedimento dal quale, a detta dei modernisti, saltan fuori la fede e la rivelazione, egli è mestieri tener d’occhio un punto, che è di capitale importanza per le conseguenze storico critiche, che essi ne derivano. Quell’inconoscibile, di cui parlano, non si presenta già alla fede come nudo in sé ed isolato; ma si bene congiunto strettamente a un qualche fenomeno, che, quantunque appartenga al campo della scienza e della storia, pure in certa guisa ne trapassa i confini. Tal fenomeno potrà essere un fatto qualsiasi della natura, che in sé racchiude alcun che di misterioso: potrà essere altresì un uomo, il cui carattere, i cui gesti, le cui parole mal si compongano colle leggi ordinarie della storia. Or bene la fede, attirata dall’inconoscibile racchiuso nel fenomeno, s’impadronisce di tutto intero il fenomeno stesso e lo penetra in certo qual modo della sua vita. Da ciò due cose conseguitano. La prima, una tal trasfigurazione del fenomeno, per una, diremmo, quasi elevazione sulle condizioni sue proprie, che lo renda acconcio, come materia, alla forma del divino che la fede v’introdurrà. La seconda, un certo sfiguramento, nato da ciò che avendo la fede tolto il fenomeno ai suoi aggiunti di tempo e di luogo, facilmente gli attribuisce quello che nella realtà delle cose non ha di fatto: il che soprattutto avviene quando si tratti di fenomeni di antica data, e tanto più se sono remoti. Da questi due capi i modernisti traggono per loro due canoni; i quali, uniti a un terzo già dedotto dall’agnosticismo, formano quasi la base della critica storica. Illustriamo il fatto con un esempio, preso dalla persona di Gesù Cristo. Nella persona di Cristo, dicono, la scienza e la storia non trovan nulla al di là dell’uomo. Dunque, in vigore del primo canone dato dall’agnosticismo, dalla storia di essa deve cancellarsi tutto quanto sa di divino. Più oltre, in conformità del. secondo canone, la persona di Cristo è stata trasfigurata dalla fede: dunque fa d’uopo spogliarla di tutto ciò che la innalza sopra le condizioni storiche. Per ultimo, la stessa è stata sfigurata dalla fede, secondo insegna il terzo canone: dunque non da rimuoversi da lei i discorsi, i fatti, tutto quello insomma che non risponde al suo carattere, alla sua condizione ed educazione, al luogo ed al tempo in cui visse. Strano per fermo parrà a noi questo modo di ragionare; ma qui sta la critica dei modernisti. Adunque il sentimento religioso, che per vitale immanenza si sprigiona dai nascondigli della subcoscienza, è il germe di tutta la religione, ed è insieme la ragione di quanto fu o sarà per essere in qualsivoglia religione. Rude dapprima e quasi informe, a poco a poco, sotto l’influsso del misterioso principio che gli diede origine, esso e venuto perfezionandosi, a seconda dei progressi della vita umana. di cui, come si disse, e una forma. Ecco pertanto la nascita di qualsiasi religione, sia pure soprannaturale: esse altro non sono che semplici esplicazioni dell’anzidetto sentimento. Né credasi già che diversa sia la sorte della religione cattolica; anzi in tutto pari alle altre: imperocché non altrimenti essa è nata, che per processo di vitale immanenza nella coscienza di Cristo, uomo di elettissima natura, quale mai altro simile si vide né mai si troverà. Nell’udir tali cose Noi trasecoliamo di fronte ad affermazioni cotanto audaci e sacrileghe! Eppure, Venerabili Fratelli, non sono esse un parlar temerario solamente d’increduli. Sono uomini cattolici, sono anzi sacerdoti non pochi che così la discorrono pubblicamente; e con siffatti delirii si dànno vanto di riformare la Chiesa! Qui, non trattasi più del vecchio errore, che alla natura umana concedeva quasi un diritto all’ordine soprannaturale. Si va assai più lungi; sino cioè ad afferrare che la religione nostra santissima, nell’uomo Cristo del pari che in noi, è frutto interamente spontaneo della natura. Del quale asserto non sappiamo qual sia mezzo più acconcio per sopprimere pgni ordine soprannaturale. Perciò con somma ragione il Concilio Vaticano pronunziò: “Se alcuno dirà, non poter l’uomo essere elevato da Dio a una conoscenza e perfezione che superi la natura, ma potere e dovere di per sé stesso, con un perpetuo progresso, giungere finalmente al possesso di ogni vero e di ogni bene, sia anatema” (De Revel., can. III). Fin qui però, o Venerabili Fratelli, non abbiam visto farsi punto luogo all’azione dell’intelletto. Eppure, secondo le dottrine dei modernisti, ha essa ancora la sua parte nell’atto di fede. E giova osservare in che modo. In quel sentimento, dicono, di cui sovente si è parlato, appunto perché egli è sentimento e non cognizione, Dio si presenta bensì all’uomo, ma in maniera così confusa che nulla o a malapena si distingue dal soggetto credente. Fa dunque d’uopo che sopra quel sentimento si getti un qualche raggio di luce, sì che Dio ne venga fuori per intero e pongasi in contrapposto col soggetto. Ora, è questo il compito dell’intelletto; di cui è proprio il pensare ed analizzare, e per mezzo del quale l’uomo prima traduce in rappresentazioni mentali i fenomeni di vita che sorgono in lui, e poi li significa con verbali espressioni. Di qui il detto volgare dei modernisti, che l’uomo religioso deve pensare la sua fede. L’intelletto adunque, sopravvenendo al sentimento, su di esso si ripiega e vi fa intorno un lavorio somigliante a quello di un pittore che illumina e ravviva il disegno di un quadro svanito per la vecchiaia. Il paragone è di uno dei maestri del modernismo. Doppio poi è l’operar della mente in siffatto negozio; dapprima, con un atto nativo e spontaneo, esprimendo la sua nozione con una proposizione semplice e volgare; indi, con riflessione e più intima penetrazione, o, come dicano, lavorando il suo pensiero, rende ciò che ha pensato con proposizioni secondarie, derivate bensì dalla prima, ma più affinate e distinte. Le quali proposizioni, ove poi ottengano la sanzione del magistero supremo della Chiesa, costituiranno appunto il dogma. – Con ciò, nella dottrina dei modernisti, ci troviamo giunti ad uno dei capi di maggior rilievo, all’origine cioè e alla natura stessa del dogma. Imperocché l’origine del dogma la ripongon essi in quelle primitive formole semplici; le quali, sotto un certo aspetto, devono ritenersi come essenziali alla fede, giacché la rivelazione, perché sia veramente tale, richiede la chiara apparizione di Dio nella coscienza. Il dogma stesso poi, secondo che paiono dire, è costituito propriamente dalle formole secondarie. A conoscere però bene la natura del dogma, è uopo ricercare anzi qual relazione passi fra le formole religiose ed il sentimento religioso. Nel che non troverà punto difficoltà, chi tenga fermo, che il fine di cotali formole altro non è, se non di dar modo al credente di rendersi ragione della propria fede. Per la qual cosa stanno esse formole come di mezzo fra il credente e la fede di lui; per rapporto alla fede, sono espressioni inadeguate del suo oggetto e sono dai modernisti chiamate simboli; per rapporto al credente, si riducono a meri istrumenti. Non è lecito pertanto in niun modo sostenere che esse esprimano una verità assoluta: essendoché, come simboli, sono semplici immagini di verità, e perciò da doversi adattare al sentimento religioso in ordine all’uomo; come istrumenti, sono veicoli di verità, e perciò da acconciarsi a lor volta all’uomo in ordine al sentimento religioso. E poiché questo sentimento, siccome quello che ha per obbietto l’assoluto, porge infiniti aspetti, dei quali oggi l’uno domani l’altro può apparire; e similmente colui che crede può passare per altre ed altre condizioni, ne segue che le formole altresì che noi chiamiamo dogmi devono sottostare ad uguali vicende ed essere perciò variabili. Così si ha aperto il varco alla intima evoluzione dei dogmi. Infinito cumulo di sofismi che abbatte e distrugge ogni religione! E questa, non pur possibile, ma necessaria evoluzione e mutazione dei dogmi non solo i modernisti l’affermano arditamente ma è conseguenza legittima delle loro sentenze. Infatti fra i capisaldi della loro dottrina vi è ancor questo, tratto dal principio dell’immanenza vitale: che le formole cioè religiose, perché tali siano in verità e non mere speculazioni dell’intelletto, è mestieri che sieno vitali e che vivano della stessa vita del sentimento religioso. Il che non è da intendersi quasiché tali formole, specie se puramente immaginative, sieno costruite a bella posta pel sentimento religioso; giacché poco monta della loro origine, come altresì del loro numero e della loro qualità; ma cosi, che le stesse, fatte se occorre all’uopo delle modificazioni, vengano vitalmente assimilate dal sentimento religioso. E per dirla in altri termini, fa di mestieri che la formola primitiva sia accettata e sancita dal cuore, e che il susseguente lavorio per la formazione delle formole secondarie sia fatto sotto la direzione del cuore. Di qui procede che siffatte formole, perché sieno vitali, devono essere e mantenersi adatte tanto alla fede quanto al credente. Laonde, se per una ragione qualsiasi cotale adattamento venga meno, perdono elle il primitiva significato e vogliono essere cambiate. Or tale essendo il valore e la sorte mutevole delle formole dogmatiche, non reca stupore che i modernisti le abbiano tanto in dileggio; mentre al contrario non fanno che ricordare ed esaltare il sentimento religioso e la vita religiosa. Perciò pure criticano con somma audacia la Chiesa, accusandola di camminare fuor di strada, né saper distinguere fra il senso materiale delle formole e il loro significato religioso e morale, e attaccandosi con ostinazione, ma vanamente, a formole vuote di senso, lasciar che la religione precipiti a rovina. Oh! Veramente ciechi e conduttori di ciechi, che, gonfi del superbo nome di scienza, vaneggiano fino al segno di pervertire l’eterno concetto di verità e il genuino sentimento religioso: “spacciando un nuovo sistema, col quale, tratti da una sfrontata e sfrenata smania di novità, non cercano la verità ove certamente si trova; e disprezzate le sante ed apostoliche tradizioni, si attaccano a dottrine vuote, futili, incerte, riprovate dalla Chiesa, e con esse, uomini stoltissimi, si credono di puntellare e sostenere la stessa verità” (Gregorio XVI, Lett. Enc.”Singulari Nos“, 25 giugno 1834). (Continua … )

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE IL MODERNISTA APOSTATA DI TORNO: IL SYLLABUS di PIO IX

Tutto quanto il “Syllanus” degli errori condanna, è oggi attualità tenacemente proposta dalla setta vaticana del “novus ordo”, la setta che usurpa il gregge dei fedeli e tutto ciò che appartiene alla Chiesa di Cristo, la Chiesa UNA, Santa, Cattolica, Apostolica, Romana. Non ce n’è uno tra gli 80 articoli che non sia stato ribaltato, non c’è errore che non venga oggi approvato con entusiasmo. Basta questo unico documento magisteriale per rendersi conto dell’inganno funesto nel quale sono caduti, e si ostinano a rimanere con colpevole ignoranza, coloro che si reputano cattolici perchè freuentano sacrilegamente riti blasfemi. E allora: o la Chiesa è quella del Syllabus, o è quella della “setta vaticana” … una terza possibilità non esiste: l’una è Chiesa di Cristo-RE, l’altra è obbligatoriamente sinagoga di satana. O Vicario di Cristo è Pio IX, o l’altro [anzi gli “altri”, i due “sepolcri imbiancati”] è/sono vicario di satana: non c’è altra soluzione, escludendo le ridicole ed eretiche tesi [assolutamente mai contemplate dalla retta teologia cattolica, dalla tradizione apostolica o dal Magistero pontificio] gallicano-fallibiliste, sedevacantiste, feeneyste, o cassiciache, e chi più ne ha …. [ma si sa che per il demonio ci sono tante “verità” contrastanti tra loro, scimmiottamento e parodie dell’unica VERITA’!]. Pertanto chi ha ancora qualche dubbio, si faccia animo e coraggio, respiri forte, con calma, conti fino a tre, dica un salmo di lode al vero Dio Sabaoth e legga attentamente!

«SYLLABUS»

SILLABO DEGLI ERRORI PRINCIPALI DEL NOSTRO TEMPO
CONTENUTI NELLE ALLOCUZIONI CONCISTORIALI,
NELLE LETTERE ENCICLICHE
E NELLE ALTRE LETTERE APOSTOLICHE
DEL SANTISSIMO SIGNOR NOSTRO PIO PP. IX

I.

PANTEISMO, NATURALISMO E RAZIONALISMO ASSOLUTO.

1. Nessun supremo, sapientissimo e provvidentissimo Nume divino esiste distinto da questa universalità di cose, e Dio altro non è che la natura stessa delle cose e perciò soggetto a mutazioni, e diventa Dio realmente nell’uomo e nel mondo, e tutte le cose sono Dio, ed hanno la stessissima sostanza di Dio; ed un’identica cosa è Dio con il mondo, e per conseguenza lo spirito con la materia, la necessità con la libertà, il vero col falso, il bene col male, e il giusto con l’ingiusto.
Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

2. Devesi negare ogni azione di Dio sugli uomini e sul mondo.
Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

3. L’umana ragione, senza tener verun conto di Dio, è l’unica arbitra del vero e del falso, del bene e del male, e legge a se stessa, e con le naturali sue forze basta a procacciare il bene degli uomini e dei popoli.
Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

4. Tutte le verità della religione derivano dalla forza ingenita dell’umana ragione, quindi la ragione è norma precipua, per cui l’uomo possa e debba conseguire la cognizione di tutte le verità di qualsiasi genere.
Epist. Encicl. Qui pluribus, 9 novembre 1846.
Epist. Encicl. Singulari quidem, 17 marzo 1856.
Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862

5. La divina rivelazione è imperfetta e perciò soggetta a un continuo e indefinito progresso, che corrisponde al progresso dell’umana ragione.
Epist. Encicl. Qui pluribus, 9 novembre 1846.
Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

6. La fede di Cristo urta la ragione; e la rivelazione divina non solo non giova a nulla, ma nuoce altresì al perfezionamento dell’uomo.
Epist. Encicl. Qui pluribus, 9 novembre 1846.
Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862,

7. Le profezie ed i miracoli esposti e narrati nelle Sacre Scritture sono invenzioni poetiche, e i misteri della fede cristiana sono la somma delle investigazioni filosofiche; nei libri dei due Testamenti si contengono invenzioni mitiche, e lo stesso Gesù Cristo non e che una mitica finzione.
Epist. Encicl. Qui pluribus, 9 novembre 1846.
Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

II.
RAZIONALISMO MODERATO.

8. Equiparandosi la ragione umana alla stessa religione, perciò le discipline teologiche si hanno da trattare come le filosofiche.
Alloc. Singulari quadam perfusi, 9 dicembre 1854.

9. Tutti i dogmi indistintamente della religione cristiana sono oggetto della scienza naturale, ossia della filosofia; e l’umana ragione, storicamente soltanto coltivata, può in virtù delle proprie forze e principi naturali giungere alla vera scienza di tutti i dogmi anche i più reconditi, purché questi dogmi siano stati proposti come oggetto alla stessa ragione.
Epist. ad Archiep. Frising. Gravissimas, 11 dicembre 1862.

Epist. ad eundem Tuas libenter, 21 dicembre 1863.

10. Altro essendo il filosofo ed altra la filosofia quegli ha diritto e dovere di sottomettersi a quell’autorità che egli medesimo abbia provata vera; ma la filosofia non può né deve sottomettersi a veruna autorità.
Epist. ad Archiep. Frising. Gravissimas, 11 dicembre 1862.
Epist. ad eundem Tuas libenter, 21 dicembre 1863.

11. La Chiesa non solamente non deve metter bocca giammai in filosofia, ma deve anzi tollerare gli errori della filosofia medesima e lasciare che da se stessa si corregga.
Epist. ad Archiep. Frising. Gravissimas, 11 dicembre 1882.

12. I decreti della Sede Apostolica e delle Romane Congregazioni impediscono il libero progresso della scienza.
Epist. ad Archiep. Frising. Tuas libenter, 21 dicembre 1863.

13. Il metodo e i principi coi quali gli antichi Dottori scolastici coltivarono la Teologia non corrispondono alle esigenze dei tempi nostri e al progresso delle scienze.
Epist. ad Archiep. Frising. Tuas libenter, 21 dicembre 1863.

14. La filosofia vuolsi trattare senza avere nessun riguardo alla rivelazione soprannaturale.
Epist. ad Archiep. Frising. Tuas libenter, 21 dicembre 1863.
N.B. Col sistema del razionalismo combinano in gran parte gli errori di Antonio Gunther condannati nella lettera al Card. Arcivescovo di Colonia: Eximiam tuam, del 15 giugno 1847, e nella lettera al Vescovo di Breslavia: Dolore haud mediocri 30 aprile 1860.

III.
INDIFFERENTISMO E LATITUDINARISMO.

15. Ogni uomo è libero di abbracciare e professare quella religione, che, col lume della ragione, reputi vera.
Lett. Apost. Multiplices inter, 10 giugno 1831.
Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

16. Gli uomini nel culto di qualsiasi religione possono trovare la via dell’eterna salute e l’eterna salute conseguire.
Epist. Encicl. Qui pluribus, 9 novembre 1846
Alloc. Ubi primum, 17 dicembre 1847.
Epist. Encicl. Singulari quidem, 17 marzo 1856.

17. Almeno si deve sperare bene dell’eterna salute di tutti quelli, che affatto non si trovano nella vera Chiesa di Cristo.
Alloc. Singulari quadam perfusi, 9 dicembre 1854.
Lett. Apost. Quanto conficiamur, 17 agosto 1863.

18. Il protestantesimo non è altro che una forma diversa della medesima vera religione cristiana, nella qual forma, del pari che nella Chiesa cattolica, è dato di piacere a Dio.
Epist. Encicl. Noscitis et Nobiscum, 8 dicembre 1849

IV.
SOCIALISMO, COMUNISMO, SOCIETÀ CLANDESTINE,
SOCIETÀ BIBLICHE, SOCIETÀ CLERICO-LIBERALI.

Tali pestilenze sono condannate più volte e con gravissime espressioni nella Lettera Enciclica Qui pluribus, 9 novembre 1846; nell’allocuzione Quibus quantisque, 20 aprile 1849; nella Lettera Enciclica Noscitis et Nobiscum, 8 dicembre 1849; nell’Allocuzione Singulari quadam, 9 dicembre 1854; nella Lettera Apostolica Quanto conficiamur, 17 agosto 1863.

V.
ERRORI SULLA CHIESA E I SUOI DIRITTI.

19. La Chiesa non è una vera e perfetta società completamente libera, né ha diritti suoi propri e permanenti a lei conferiti dal suo divino Fondatore; ma spetta alla civile potestà definire quali siano i diritti della Chiesa e i limiti dentro i quali possa esercitare i medesimi diritti.
Alloc. Singulari quadam perfusi, 9 dicembre 1834.
Alloc. Multis gravibusque, 17 dicembre 1860.
Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

20. L’ecclesiastica potestà non deve esercitare la propria autorità senza il permesso ed il consenso del civile governo.
Alloc. Meminit unusquisque, 30 settembre 1861.

21. La Chiesa non ha potestà di definire dogmaticamente che la religione della Chiesa cattolica è la sola ed unica vera religione.
Lett. Apost. Multiplices inter, 10 giugno 1851.

22. L’obbligazione da cui sono assolutamente legati i maestri e gli scrittori cattolici, si restringe a quelle cose soltanto, che dall’infallibile giudizio della Chiesa vengono proposte a credersi da tutti come dogmi di fede.
Epist. ad Archiep. Frising. Tuas libenter, 21 dicembre 1863.

23. I Romani Pontefici e i Concili ecumenici oltrepassarono i limiti della loro potestà, usurparono i diritti dei principi, e sul definire eziandio le cose di fede ed i costumi errarono.
Lett. Apost. Multiplices inter, 10 giugno 1851.

24. La Chiesa non ha potestà di usare la forza, ne alcuna potestà temporale diretta o indiretta.
Lett. Apost. Ad Apostolicæ, 22 agosto 1851.

25. Oltre la potestà inerente all’episcopato, vi è altra temporale potestà, data dal civile governo o espressamente o tacitamente concessa, e quindi revocabile a talento del medesimo.
Lett. Apost. Ad Apostolicæ, 22 agosto 1851.

26. La Chiesa non ha un ingenito e legittimo diritto di acquistare e di possedere.
Alloc. Numquam fore, 15 dicembre 1856.
Epist. Encicl. Incredibili, 17 settembre 1863.

27. I sacri ministri della Chiesa e lo stesso Romano Pontefice si debbono al tutto rimuovere da ogni cura e dominio delle cose temporali.
Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

28. Non è lecito ai Vescovi senza il permesso del governo promulgare neppure le stesse Lettere Apostoliche.
Alloc. Numquam fore, 15 dicembre 1856.

29. Le grazie concesse dal Romano Pontefice si debbono ritenere per nulle, se non furono implorate per organo del governo.
Alloc. Numquam fore, 15 dicembre 1856.

30. La immunità della Chiesa e delle persone ecclesiastiche trasse origine dal diritto civile.
Lett. Apost. Multiplices inter, 10 giugno 1851.

31. Il foro ecclesiastico per le cause temporali dei chierici, siano civili, siano criminali, si deve assolutamente sopprimere, anche non consultata e reclamante la Sede Apostolica.
Alloc. Acerbissimum, 27 settembre 1852
Alloc. Numquam fore, 15 dicembre 1856.

32. Senza veruna violazione del diritto naturale e dell’equità si può abrogare l’immunità personale, con cui i chierici sono esonerati dal peso di subire e di esercitare la milizia. Simile abrogazione poi è domandata dal civile progresso massimamente in una società costituita a forma di più libero regime.
Epist. ad Episc. Montisregal. Singularis Nobisque, 29 settembre 1864.

33. All’ecclesiastica potestà di giurisdizione non appartiene esclusivamente per proprio ingenito diritto, dirigere l’insegnamento delle materie teologiche.
Epist. ad Archiep. Frising. Tuas libenter, 21 dicembre 1863.

34. La dottrina d coloro, che pareggiano il Romano Pontefice ad un Principe libero e operante nella Chiesa universale, è dottrina che prevalse nel medio evo.
Lett. Apost. Ad Apostolicæ, 22 agosto 1851.

35. Nulla vieta, sia per sentenza di qualche Concilio generale, sia per fatto di tutti i popoli, che il Supremo Pontificato, dal Vescovo di Roma e da Roma stessa, si trasferisca ad altro Vescovo e ad altra città.
Lett. Apost. Ad Apostolicæ, 22 agosto 1851.

36. La definizione del Concilio nazionale non ammette verun’altra disputa, e la civile amministrazione può esigere la cosa a questi termini.37.Lett. Apost. Ad Apostolicæ, 22 agosto 1851.

37. Possono istituirsi Chiese nazionali sottratte e al tutto divise dall’autorità del Romano Pontefice.
Alloc. Multis gravibusque, 17 dicembre 1860.
Alloc. Jamdudum cernimus, 1S marzo 1861.

38. I soverchi arbitrî dei Romani Pontefici produssero la divisione della Chiesa in orientale ed occidentale.
Lett. Apost. Ad Apostolicæ, 22 agosto 1851.

VI.
ERRORI INTORNO ALLA SOCIETÀ CIVILE
CONSIDERATA IN SE STESSA
E NEI SUOI RAPPORTI CON LA CHIESA.

39. Lo Stato, come origine e fonte di tutti i diritti, gode di un diritto tale che non ammette confini.
Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

40. La dottrina della Chiesa cattolica è avversa al bene e ai vantaggi dell’umana società.
Epist. Encicl. Qui pluribus, 9 novembre 1846.
Alloc. Quibus quantisque, 20 aprile 1849.

41. Alla civile potestà, sebbene esercitata da un sovrano infedele, compete un potere indiretto negativo riguardo alle cose sacre; quindi le spetta non solo il diritto noto col nome di exequatur, ma altresì il diritto d’appellazione, che chiamano ab abusu.
Lett. Apost. Ad Apostolicæ, 22 agosto 1851.

42. Nel conflitto fra le leggi delle due potestà prevale il diritto civile.
Lett. Apost. Ad Apostolicæ, 22 agosto 1851.

43. Il potere laicale ha autorità di rescindere, interpretare e annullare le solenni convenzioni, ossia concordati, intorno all’uso dei diritti spettanti all’ecclesiastica immunità stipulata con la Sede Apostolica, e non solo senza il consenso di questa, ma non ostante eziandio le sue proteste.
Alloc. In Concistoriali, 1 novembre 1850.
Alloc. Multis gravibusque, 17 dicembre 1860.

44. L’autorità civile può immischiarsi delle cose concernenti la religione, i costumi e il regime spirituale. Quindi può giudicare delle istruzioni che i Pastori della Chiesa pubblicano per loro uffizio a regola delle coscienze; ed anzi può decretare sopra l’amministrazione dei Santi Sacramenti, e sopra le disposizioni necessarie a riceverli.
Alloc. In Concistoriali, 1 novembre 1850.
Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

45. Tutto il regime delle pubbliche scuole, in cui si istruisce la gioventù di qualsiasi Stato cristiano (eccettuati solamente per certi motivi i Seminari vescovili) può e deve essere affidato alla civile autorità; e per siffatta guisa affidato, che non si riconosca verun diritto di altra qualunque autorità diimmischiarsi nella disciplina delle scuole, nel regolamento degli studi, nel conferimento dei gradi, nella scelta ed approvazione dei maestri.
Alloc. In Concistoriali, 1 novembre 1850.
Alloc. Quibus virtuosissimis, 5 settembre 1851.

46. Anzi negli stessi Seminari dei chierici il metodo da seguirsi negli studi si assoggetta alla civile autorità.
Alloc. Numquam fore, 15 dicembre 1856.

47. L’ottimo andamento della società civile richiede che le scuole popolari, aperte ai fanciulli di qualunque classe del popolo, e in generale tutti i pubblici Istituti destinati all’insegnamento delle lettere e delle discipline più gravi, non che a procurare l’educazione della gioventù, siano sottratte da ogni autorità dall’influenza moderatrice o dall’ingerenza della Chiesa, e vengano assoggettate al pieno arbitrio dell’autorità civile e politica, a piacimento dei sovrani e a seconda delle comuni opinioni del tempo.
Epist. ad Archiep. Friburg. Quum non sine, 14 luglio 1864.

48. Ai cattolici può essere accetto quel sistema di educare la gioventù, il quale sia separato dalla fede cattolica e dalla podestà della Chiesa, e che riguardi soltanto la scienza delle cose naturali e i soli confini della terrena vita sociale, o almeno se li proponga per iscopo principale.
Epist. ad Archiep. Friburg. Quum non sine, 14 luglio 1864.

49. La civile autorità può impedire che i Vescovi e i popoli fedeli abbiano libera e reciproca comunicazione col Romano Pontefice.
Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

50. L’autorità laica ha per se stessa il diritto di presentare i Vescovi, e può da essi esigere che assumano l’amministrazione delle Diocesi prima di ricevere dalla Santa Sede l’istituzione canonica e le Lettere Apostoliche.
Alloc. Numquam fore, 15 dicembre 1856.

51. Anzi il governo laico ha diritto di deporre i Vescovi dall’esercizio del pastorale ministero, e non è tenuto ad obbedire il Romano Pontefice nelle cose concernenti l’Episcopato e l’istituzione dei Vescovi.
Lett. Apost. Multiplices inter, 10 giugno 1851.
Alloc. Acerbissimum, 27 settembre 1852,

52. Il governo può di suo diritto commutare l’età stabilita dalla Chiesa per la professione religiosa degli uomini e delle donne, e può intimare a tutte le religiose famiglie di non ammettere veruno senza il di lui permesso alla solenne professione dei voti.
Alloc. Numquam fore, 15 dicembre 1856.

53. Debbonsi abrogare le leggi spettanti alla sicurezza dello stato delle famiglie religiose, non che ai loro diritti e doveri; anzi il governo civile può prestar mano a tutti quelli che volessero abbandonare l’intrapresa vita religiosa, e infrangere i voti solenni; può eziandio sopprimere le stesse religiose famiglie del pari che le Chiese collegiate e i benefizi semplici, anche di giuspatronato, e i loro beni o redditi sottoporre ed assegnare all’amministrazione e all’arbitrio della civile potestà.
Alloc. Acerbissimum, 27 settembre 1852.
Alloc. Probe memineritis, 22 gennaio 1855.
Alloc. Cum sæpe, 26 luglio 1855.

54. I Re e i Principi non solo sono esenti dalla giurisdizione della Chiesa, ma di più, nello sciogliere le questioni di giurisdizione sono superiori alla Chiesa.
Lett. Apost. Multiplices inter, 10 giugno 1551.

55. Si deve separare la Chiesa dallo Stato, e lo Stato dalla Chiesa.
Alloc. Acerbissimum, 27 settembre 1852.

VII.
ERRORI INTORNO ALL’ETICA
NATURALE E CRISTIANA.

56. Le leggi dei costumi non abbisognano di sanzione divina, né punto è mestieri che le leggi umane si conformino al diritto di natura, e ricevano da Dio la forza obbligatoria.
Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

57. La scienza delle materie filosofiche, e dei costumi, del pari che le leggi civili, possono e debbono declinare dalla divina ed ecclesiastica autorità.
Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

58. Altre forze non debbonsi ammettere fuori di quelle, che sono riposte nella materia, ed ogni regola ed onestà dei costumi collocar si deve nell’accumulare e nell’accrescere per qualsiasi materia le ricchezze, nonché nel contentare la voluttà.
Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.
Lett. Apost. Q&uanto conficiamur, 17 agosto 1863.

59. Il diritto consiste nel fatto materiale; tutti i doveri degli uomini sono un vuoto nome e tutti i fatti umani hanno forza di diritto.
Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1882.

60. L’autorità non è altro se non la somma del numero e delle forze materiali.
Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

61. La fortuita ingiustizia di un fatto non reca verun detrimento alla santità del diritto.
Alloc. Jamdudum cernimus, 18 marzo 1861.

62. Devesi proclamare ed osservare il principio denominato del “Non intervento“.
Alloc. Novos et ante, 28 settembre 1860.

63. È lecito negare obbedienza ai legittimi Principi, anzi ribellarsi a loro.
Epist. Encicl. Qui pluribus, 9 novembre 1846.
Alloc. Q&uisque Vestrum, 4 ottobre 1847.Epist. Encicl. Noscitis et Nobiscum, 8 dicembre 1849.
Lett. Apost. Cum catholica, 26 marzo 1847.

64. Tanto la violazione di qualsiasi santissimo giuramento, quanto qualunque scellerata e criminosa azione ripugnante alla legge eterna, non solamente non è da condannare, ma sibbene torna lecita del tutto, e degna di essere celebrata con comune lode, quando ciò si faccia per l’amore della patria.
Alloc. Quibus quantisque, 20 aprile 1849.

VIII.
ERRORI CIRCA IL MATRIMONIO CRISTIANO.

65. In verun modo si può sostenere che Cristo abbia sollevato il Matrimonio alla dignità di Sacramento.
Lett. Apost. Ad Apostolicæ, 22 agosto 1851.

66. Il Sacramento del Matrimonio non è se non un che d’accessorio al contratto e da esso separabile, e il Sacramento medesimo è riposto nella sola benedizione nuziale.
Lett. Apost. Ad Apostolicæ, 22 agosto 1851.

67. Per diritto di natura il vincolo del Matrimonio non è indissolubile, e in vari casi il divorzio, propriamente detto, può essere sancito dalla civile autorità.
Lett. Apost. Ad Apostolicæ, 22 agosto 1851.
Alloc. Acerbissimum, 27 settembre 1852.

68. La Chiesa non ha potestà di stabilire impedimenti dirimenti del Matrimonio, ma tale potestà spetta all’autorità civile, per mezzo della quale si hanno da rimuovere gli impedimenti esistenti.
Lett. Apost. Multiplices inter, 10 giugno 1851.

69. La Chiesa cominciò a creare gli impedimenti dirimenti nei secoli di mezzo, non per diritto proprio, ma usando di quel diritto che aveva ricevuto dal potere civile.
Lett. Apost. Ad Apostolicæ, 22 agosto 1851.

70. I Canoni Tridentini, fulminanti la scomunica a coloro che osano negare alla Chiesa la facoltà di stabilire gli impedimenti dirimenti, o non sono canoni dogmatici, o si debbono intendere nel senso di questa sola ricevuta potestà.
Lett. Apost. Ad Apostolicæ, 22 agosto 1851.

71. La forma del Tridentino non obbliga sotto pena di annullamento, quando la legge civile prescriva un’altra forma e voglia, con l’intervento di questa nuova forma, render valido il Matrimonio.
Lett. Apost. Ad Apostolicæ, 22 agosto 1851.

72. Bonifazio VIII fu il primo ad asserire che il voto di castità emesso nell’Ordinazione rende nulle le nozze.
Lett. Apost. Ad Apostolicæ, 22 agosto 1851.

73. In virtù del semplice contratto civile può sussistere fra cristiani un vero Matrimonio; ed è falso che o il contratto di Matrimonio fra cristiani sia sempre Sacramento, o che nullo sia il contratto, se il Sacramento si escluda.
Lett. Apost. Ad Apostolicæ, 22 agosto 1851.
Lettera di S. S. Pio Pp. IX al Re di Sardegna, 9 settembre 1852.
Alloc. Acerbissimum, 27 settembre 1852.
Alloc. Multis gravibusque, 17 dicembre 1860.

74. Le cause matrimoniali o degli sponsali spettano di loro natura al foro civile.
Lett. Apost. Ad Apostolicæ, 22 agosto 1851.
Alloc. Acerbissimum, 27 settembre 1852.
N.B. Qui possono richiamarsi due altri errori intorno all’abolizione del celibato clericale, e alla preferenza dello stato di Matrimonio sopra lo stato di verginità. Il primo fu condannato nella Lettera Enciclica Qui pluribus, 9 novembre 1846, e il secondo nella Lettera Apostolica Multiplices inter, 10 giugno 1851.

IX.
ERRORI INTORNO AL PRINCIPATO CIVILE
DEL ROMANO PONTEFICE.

75. Sulla compatibilità del regno temporale con lo spirituale disputano fra di loro i figli della cristiana e cattolica Chiesa.
Lett. Apost. Ad Apostolicæ, 22 agosto 1851.

76. L’annullamento del principato civile che possiede la Sede Apostolica gioverebbe assaissimo alla libertà e felicità della Chiesa.
Alloc. Quibus quantisque, 20 aprile 1849.
N.B. Oltre questi errori espressamente notati, altri moltissimi implicitamente se ne condannano nella proposta e difesa dottrina, che tutti i Cattolici debbono fermissimamente ritenere intorno al civile principato del Romano Pontefice. Tale dottrina è splendidamente sviluppata nell’Allocuzione Quibus quantisque, 20 aprile 1849; nell’Allocuzione Si semper antea, 20 maggio 1850; nella Lettera Apostolica Cum Catholica Ecclesia, 26 marzo 1S60; nell’Allocuzione Jamdudum, 18 marzo 1861; nell’Allocuzione Maxima Quidem, 9 giugno 1862.

X.
ERRORI RIGUARDANTI
IL LIBERALISMO ODIERNO.

77. Ai tempi nostri non giova più tenere la religione cattolica per unica religione dello Stato, escluso qualunque sia altro culto.
Alloc. Nemo vestrum, 26 luglio 1855.

78. Quindi lodevolmente in parecchie regioni cattoliche fu stabilito per legge, esser lecito a tutti gli uomini ivi convenuti il pubblico esercizio del proprio qualsiasi culto.
Alloc. Acerbissimum, 27 settembre 1552.

79. Infatti è falso che la civile libertà di qualsiasi culto o la piena potestà a tutti indistintamente concessa di manifestare in pubblico e all’aperto qualunque pensiero ed opinione influisca più facilmente a corrompere i costumi e gli animi dei popoli e a propagare la peste dell’indifferentismo.
Alloc. Numquam fore, 15 dicembre 1856.

80. Il Romano Pontefice può e deve col progresso, col liberalismo e con la moderna civiltà venire a patti e conciliazione.
Alloc. Jamdudum cernimus, 18 marzo 1861.

 

 

 

 

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE IL MODERNISTA APOSTATA DI TORNO: “QUANTA CURA”

“QUANTA CURA”

ENCICLICA

DI PIO IX PONTEFICE MASSIMO

DATA ADDÌ VIII DICEMBRE MDCCCLXIV
del suo pontificato l’anno XIX

Leggendo la “Quanta Cura”, e di seguito il “Syllabo” degli errori, che pubblicheremo, a Dio piacendo, la prossima domenica, si ha un effetto strano, è come guardare in uno specchio d’acqua, un placido laghetto, nel quale si riflette un paesaggio alpino. Si vedono le nuvole che attraversano il cielo, le cime alte dei monti, gli alberi e la rigogliosa natura con tante specie vegetali, ma … tutto al contrario, tutto capovolto, ciò che è in alto, lo si vede in basso, ciò che è più alto, lo si vede ancor più in profondità. È la sovversione totale della dottrina modernista, ribaltata in toto rispetto alla Dottrina Cattolica. È come ascoltare un disco che gira al contrario, i suoni e le parole capovolte, la prima nota diventa l’ultima, l’ultima sillaba diventa la prima … una contro-sinfonia, una partitura tonale che diventa un dodecafonismo delirante … l’inversione totale!  Nella setta vaticana attuale tutto è capovolto: si proclama tutto ciò che si legge nell’Enciclica e nel Syllabo degli errori, salvo la premessa: si condanna! Qui invece si proclama, si promulga! La setta modernista vaticana ha così confezionato e ci propina fin dalle sue sorgenti, scaturite dal conciliabolo di fine secolo XX, il c.d. Vaticano II [si, … quello scomunicato latæ sententiæ già mezzo millennio prima dalla bolla “Exsecrabilis” di Papa Piccolomini], un contro-syllabo, come giustamente diceva uno degli antipapi attuali, un “illuminato” teologo [illuminato dal fuoco sinistro di lucifero evidentemente”]. Tutto è simile, ma invertito, come nel bel paesaggio alpino riflesso nelle acque del placido lago! E a parlarne in giro, .. solo un bimbo ormai ha il coraggio di dire: “… ma il re è nudo”, … però nessuno lo vuole dire per non vedersi additato come retrogrado, fondamentalista, antiprogressista, antiquato avversario della modernità! È come la Chiesa ribaltata, invertita, … come molti dei suoi falsi funzionari, ma la Chiesa non può essere invertita, ribaltata, ma “eclissata” sì, e se quella che appare non è la Chiesa, “ipso facto” è la sinagoga di satana! Così come, se la salvezza è sulle vette dei monti, sulle nubi, nel cielo, l’inversione è la perdizione nelle acque del lago, lo strapiombo nello stagno della dannazione, … lo comprende bene anche il bimbo di cui sopra. Solo i sapienti e gli “illuminati” teologi non lo comprendono, a meno che … non siano essi pure parte di un piano che mira a sovvertire tutta l’umanità chiamata al banchetto celeste, sprofondandola così non nel fresco lago alpino, ma nello stagno, … di fuoco, la dove sarà pianto e stridore di denti. È così lampante: sovvertire la divina dottrina, ribaltare i dogmi della fede Cattolica di sempre, impugnare la verità conosciuta, quella della Tradizione apostolica, resa nota dalle Sacre Scritture, applicata mediante il Magistero infallibile di Pietro e dei suoi successori ininterrotti fino alla fine dei tempi, sovvertire la Divina Rivelazione, rompere l’unità temporo-spaziale della “Chiesa di Cristo”, cos’è se non l’opera del “nemico” di Dio e degli uomini, del “signore dell’universo”, insediatosi al posto di Dio Uno e Trino, come  “abominio della desolazione” sui sacri altari a farsi adorare, il falsario ed omicida baphomet-lucifero servito dai suoi adepti, che oggi vediamo pure tra i vestiti di porpora, con talare nera, rossa, e finanche di bianco imbiancati … come i sepolcri di evangelica memoria?!? Le cose saranno ancor più chiare nel leggere il “Syllabo” di quelli che nella Chiesa Cattolica di sempre sono considerati errori dottrinali, eresie manifeste, mentre oggi sono la “costituzione modernista”, in auge presso gli apostati della setta vaticana usurpante. – In questa lettera Papa Mastai colpisce diversi bersagli … le false e perverse opinioni, tra cui la peggiore: “il naturalismo” di stampo gnostico-massonico, madre di tutte le eresie; e poi l’indifferenza religiosa, per cui anche le  religioni false e le sette scismatiche pseudo-cristiane portano alla salvezza, odierno cavallo di battaglia della setta massonico-modernista del Vaticano; l’idea totalmente falsa del “sociale governo” [quello che oggi governa tutte le nazioni un tempo cristiane], la libertà di coscienza e di culto, “idolo” di tutti i mezzi di informazione attuali, compresi i falsi sedicenti cristiani], …”libertà della perdizione” la chiama il Santo Padre, con la conseguente corruzione dei giovani, la profanazione del giorno del Signore, [oggi non se ne parla neanche più, tanto è radicata la barbara abitudine nei bruti, anche nei bruti in talare variopinta che anticipano le loro false e sacrileghe funzioni alla sera prima per poter permettere l’affluenza ai teatri, agli spettacoli indecenti, e ai centri commerciali … servi sciocchi di un padrone che li schiaccerà, appena logori o minimamente dissidenti, come luridi vermi!]; il clero [quello “vero” cattolico], privato di diritti civili, la disconoscenza dei diritti di Dio e della Regalità di Cristo nella società civile, l’usurpazione dei diritti e delle possessioni della Chiesa, il dominio delle sette e delle conventicole, mattoni della “sinagoga di satana”, etc. L’Enciclica si completa poi con il “Syllabo” degli errori, con i principali 80 errori dell’epoca segnalati da Sua Santità, di cui discuteremo ancora, così come vedremo in futuro altri “Syllabi”, ad es. di S. Pio X e di Pio XII. Ma non precorriamo i tempi, godiamoci ora questa lettera, “pietra miliare” del Magistero infallibile di tutti i tempi, certi di navigare in un’arca sicura, come quella di Noè, in mezzo al diluvio modernista che copre già i monti e sta raggiungendo le nubi oramai … “Quanta cura ac pastorali vigilantia Romani Pontifices …”

A tutti i venerabili fratelli
patriarhi, primati, arcivescovi e vescovi
che hanno la grazia e la comunione
della Sede Apostolica

PIO PAPA IX.

VENERABILI FRATELLI,
salute ed apostolica benedizione.

Con quanta cura e pastorale vigilanza i Romani Pontefici Predecessori Nostri, eseguendo l’ufficio loro commesso dal medesimo Cristo Signore nella persona del Beatissimo Pietro Principe degli Apostoli e il carico di pascere gli agnelli e le pecore, non mai abbiano tralasciato di nutrire diligentemente l’universale gregge del Signore con le parole della fede, e di imbeverlo della salutare dottrina, e di rimuoverlo dai pascoli attossicati, a tutti ed a Voi in ispecialità, o Venerabili Fratelli, è chiaro e manifesto. Ed in vero i predetti Nostri predecessori, dell’augusta Religione cattolica, della verità e della giustizia difensori e vindici, della salute delle anime sommamente solleciti, niente mai ebbero più a cuore quanto con le loro sapientissime Lettere e Costituzioni scoprire e condannare tutte le eresie e gli errori, i quali contrariando la divina nostra fede, la dottrina della Cattolica Chiesa, la onestà dei costumi e la eterna salute degli uomini, spesso eccitarono gravi tempeste, e funestarono in miserabile modo la cristiana e la civile repubblica. Per lo che i suddetti Predecessori Nostri con apostolica fortezza continuamente resistettero alle nefande macchinazioni di uomini iniqui, che schizzando come i flutti di procelloso mare la spuma delle loro fallacie, e promettendo libertà mentre che sono schiavi della corruzione, con le loro opinioni ingannevoli e con i loro scritti perniciosissimi, si sono sforzati di sconquassare le fondamenta della Cattolica Religione e della civile società, di levare di mezzo ogni virtù e giustizia, di depravare gli animi e le menti di tutti, di sviare dalla retta disciplina dei costumi gl’incauti, e massimamente la imperita gioventù, e di guastarla miseramente, di arreticarla nei lacci degli errori e per ultimo di strapparla dal seno della Chiesa Cattolica. – Intanto, siccome a Voi, Venerabili Fratelli, è ben noto, subito che per un arcano consiglio della divina Provvidenza, non certo per verun Nostro merito, fummo innalzati a questa Cattedra di Pietro, vedendo Noi con estremo dolore del Nostro animo la orribile procella sollevata da tante prave opinioni, e i gravissimi e non mai abbastanza lacrimabili danni che da tanti errori ridondano nel popolo cristiano, per ufficio dell’apostolico Nostro Ministero, seguendo le vestigia illustri dei Nostri Predecessori, alzammo la voce Nostra, e con parecchie Lettere Encicliche divulgate per la stampa e con le Allocuzioni tenute nel Concistoro e con altre apostoliche Lettere condannammo i principali errori della tristissima età nostra, e stimolammo la esimia vostra episcopale vigilanza, ed ammonimmo con ogni nostro potere ed esortammo tutti i figliuoli della Cattolica Chiesa a Noi carissimi, che avessero in sommo abominio la infezione di una peste così crudele, e la fuggissero. Specialmente poi con la Nostra prima Lettera enciclica dei 9 novembre dell’anno 1846 a Voi scritta, e con le due Allocuzioni, delle quali l’una fu tenuta da Noi nel Concistoro del dì 9 dicembre l’anno 1854, e l’altra in quello del dì 9 giugno l’anno 1862, condannammo le mostruose enormità dell’opinioni che segnatamente in questa nostra età dominano, con grandissimo danno delle anime e con detrimento della stessa civile società, le quali non pure avversano soprammodo la Chiesa cattolica e la salutare sua dottrina e i venerandi suoi diritti, ma altresì la sempiterna natural legge da Dio scolpita nei cuori di tutti e la retta ragione, e dalle quali presso che tutti gli altri errori traggono origine. – Ma quantunque non abbiamo lasciato di proscrivere spesso e di riprovare i più capitali errori di questa fatta, nulla di meno la causa della cattolica Chiesa, e la salute delle anime a Noi divinamente commessa, e il bene della stessa umana società riecheggiano al tutto che di nuovo eccitiamo la vostra pastorale sollecitudine a sconfiggere altre prave opinioni, che dai predetti errori scaturiscono come da fonte. Le quali false e perverse opinioni tanto più sono a detestarsi, quanto che mirano in ispecial guisa a fare che sia impedita e rimossa quella salutare forza che la Cattolica Chiesa, per istituzione e mandato del suo divino Autore, deve liberamente esercitare fino alla consumazione dei tempi, non meno verso i singoli uomini, che verso le nazioni, i popoli e i supremi lor Principi; e che sia tolta di mezzo quella mutua società e concordia di consigli tra il Sacerdozio e l’Impero, che sempre riuscì fausta e salutare alle cose tanto sacre come civili. Imperocché molto bene sapete, Venerabili Fratelli, che in questo tempo non pochi si trovano, i quali, applicando al civile consorzio l’empio ed assurdo principio del naturalismo, secondochè lo chiamano, osano insegnare «l’ottima ragione della pubblica società e il civile progresso richiedere che la società umana si costituisca e si governi senza aver nessun riguardo alla Religione, come se ella non esistesse, o almeno senza fare alcun divario tra la vera e le false religioni». E contro la dottrina delle sacre Lettere, della Chiesa e dei santi Padri, non dubitano di asserire «ottima essere la condizione della società, nella quale non si riconosce nell’Impero il debito di reprimere con pene stabilite i violatori della Cattolica Religione, se non in quanto lo domanda la pubblica pace.» Con la quale idea di sociale Governo, assolutamente falsa, non temono di caldeggiare l’opinione sommamente ruinosa per la Cattolica Chiesa e per la salute delle anime, dal Nostro Predecessore Gregorio XVI di venerata memoria chiamata delirio, cioè «la libertà di coscienza e dei culti essere un diritto proprio di ciascun uomo, che si ha da proclamare e stabilire per legge in ogni ben costituita società, ed i cittadini avere diritto ad una totale libertà che non deve essere ristretta da nessuna autorità o ecclesiastica o civile, in virtù della quale possano palesemente e pubblicamente manifestare e dichiarare i loro concetti quali che si sieno, ossia con la voce, ossia coi tipi, ossia in altra maniera.» E mentre ciò temerariamente affermano, non pensano e non considerano che essi predicano la libertà della perdizione, e che «se alla umana persuasione sempre sia libero il disputare, non mai potranno mancar quelli che ardiscono resistere alla verità, e confidare nella loquacità dell’umana sapienza, mentre quanto la cristiana fede e sapienza debba evitare questa nocevolissima vanità, lo conosce dalla stessa istituzione del Signor Nostro Gesù Cristo.» – E poiché dove dalla civile società sia stata rimossa la Religione, e ripudiata la dottrina e l’autorità della divina Rivelazione, anche lo stesso germano concetto della giustizia e dell’umano diritto si copre di tenebre e si perde, ed in luogo della giustizia vera e del diritto legittimo si sostituisce la forza materiale, quindi si fa chiaro il perché alcuni, spregiando affatto e nulla valutando i principii certissimi della sana ragione, ardiscano proclamare «la volontà del popolo, manifestata per l’opinione, pubblica come essi dicono, o per altra guisa, costituire una sovrana legge, sciolta da qualunque divino ed umano diritto, e nell’ordine politico i fatti consumati, per ciò stesso che sono consumati, avere vigor di diritto.» Ma e chi non vede e non sente pienamente, che una società d’uomini sciolta dai vincoli della religione e della vera giustizia, niun altro proposito può certamente avere, fuorché lo scopo di acquistare e di accumulare ricchezze, e niun’altra legge nelle sue operazioni seguire, fuorché una indomita cupidigia di servire alle proprie voluttà e comodità? Per questo codesti uomini, con odio veramente acerbo, perseguitano le Religiose Famiglie, comeché benemerite al sommo della cosa cristiana, civile e letteraria, e vanno dicendo che elleno non hanno alcuna ragione di esistere, e con ciò fanno plauso ai trovati degli eretici. Perocchè, come sapientissimamente insegnava Pio VI, nostro Predecessore di venerata memoria, «l’abolizione dei regolari lede lo stato di pubblica professione dei consigli evangelici, lede una maniera di vita commendata nella Chiesa siccome consentanea all’apostolica dottrina, lede gli stessi insigni fondatori che veneriamo sopra gli altari, i quali, non ispirati che da Dio, stabilirono queste società». Ed affermano altresì empiamente doversi togliere ai cittadini ed alla Chiesa la facoltà «di potere pubblicamente erogare limosine per motivo di cristiana carità», e doversi abolire la legge «che per ragione del culto divino proibisce le opere servili in certi determinati giorni», pretessendo con somma fallacia che quella facoltà e legge contrastano coi principii dell’ottima economia pubblica. Né contenti di allontanare la Religione dalla pubblica società, vogliono rimuoverla eziandio dalle private famiglie. Imperoché, insegnando e professando il funestissimo errore del Comunismo e Socialismo, dicono che «la società domestica o la famiglia riceve dal solo diritto civile ogni ragione di sua esistenza; e che però dalla sola legge civile procedono e dipendono tutti i diritti dei parenti sui figli, massimamente quello di procurare la loro istituzione ed educazione». Colle quali empie opinioni e macchinazioni cotesti fallacissimi uomini intendono principalmente di eliminare dalla istituzione ed educazione la dottrina salutifera e la forza della Cattolica Chiesa, acciocché i teneri e flessibili animi dei giovani vengano miseramente infetti e depravati da ogni fatta di errori perniciosi e di vizii. Conciossiachè tutti quelli, i quali si sono sforzati di perturbare le cose sacre e le civili, e sovvertire il retto ordine della società e cancellare tutti i diritti divini ed umani, rivolsero sempre i loro disegni, studii e conati ad ingannare specialmente e corrompere l’improvvida gioventù, come sopra accennammo, e nella corruttela della medesima riposero ogni loro speranza. Per la qual cosa non cessano mai con modi d’ogni guisa nefandi di vessare l’uno e l’altro Clero, da cui, come splendidamente viene attestato dai certissimi monumenti della storia, tanti gran vantaggi derivarono nella cristiana, civile e letteraria repubblica; e spargono che «esso Clero, come nemico del vero e utile progresso della scienza e della civiltà, deve esser rimosso da ogni ingerenza ed esercizio nella istituzione ed educazione dei giovani.» – Altri poi, rinnovando le prave e tante volte condannate invenzioni dei novatori, ardiscono con insigne impudenza di sottomettere all’arbitrio dell’autorità civile la suprema autorità della Chiesa e di questa Sede apostolica, a lei comunicata da Cristo Signore; e negare ad essa Chiesa e ad essa Sede tutti i diritti che ella ha intorno alle cose che appartengono all’ordine esteriore. Perciocchè costoro non si vergognano di affermare che «le leggi della Chiesa non obbligano in coscienza, se non quando vengono promulgate dalla potestà civile; che gli atti e decreti dei Romani Pontefici, spettanti alla Religione e alla Chiesa, hanno bisogno della sanzione e dell’approvazione, o almeno dell’assenso del potere civile; che le Costituzioni apostoliche, colle quali son condannate le clandestine associazioni, sia che in esse si esiga, sia che non si esiga il giuramento di mantenere il segreto, e con le quali son fulminati di anatema i loro seguaci e fautori, non hanno vigore in quelle contrade dove siffatte associazioni si tollerano dal civile governo; che la scomunica inflitta dal Concilio di Trento e dai Romani Pontefici a coloro i quali invadono ed usurpano i diritti e le possessioni della Chiesa, si appoggia alla confusione dell’ordine spirituale col civile e politico, per promuovere il solo bene mondano; che la Chiesa non deve niente decretare, che possa astringere le coscienze dei fedeli, in ordine all’uso delle cose temporali; che alla Chiesa non compete [p. 12]il diritto di raffrenare con pene temporali i violatori delle sue leggi; che sia conforme alla sacra teologia ed ai principii del diritto pubblico ascrivere e vendicare al governo civile la proprietà dei beni che si posseggono dalle Chiese, dalle Famiglie Religiose e dagli altri luoghi pii». Né arrossiscono di apertamente e pubblicamente professare il pronunciato ed il principio degli eretici, da cui nascono tante perverse sentenze ed errori, che cioè «la potestà ecclesiastica non sia per diritto divino distinta ed indipendente dallo potestà civile, e che questa distinzione ed indipendenza non possa mantenersi senza essere invasi ed usurpati dalla Chiesa i diritti essenziali di essa civil potestà». Né possiamo passare sotto silenzio l’audacia di quelli, i quali, intolleranti della sana dottrina, contendono che si possa, senza peccato e iattura della professione cattolica, negare l’assenso e l’obbedienza a quei decreti e giudizii della Sede apostolica, l’obbietto dei quali si dichiara che riguarda il bene generale della Chiesa e i suoi diritti e la sua disciplina; purché essi non tocchino i dommi della fede e dei costumi». Il che quanto grandemente si opponga al domma cattolico della piena potestà del Romano Pontefice, divinamente conferitagli dallo stesso Cristo Signore, in ordine a pascere e reggere e governare la Chiesa universale, non è chi apertamente e chiaramente non veda ed intenda. Noi dunque, in tanta perversità di depravate opinioni, ben ricordevoli del Nostro apostolico ufficio e massimamente solleciti della santissima nostra religione, della sana dottrina e della salute delle anime, a noi commesse da Dio, e del bene della stessa umana società, stimammo dover nuovamente elevare la Nostra apostolica voce. Pertanto, tutte e singole le prave opinioni e dottrine, nominatamente espresse in queste Lettere, colla Nostra [p. 13]autorità apostolica riproviamo, proscriviamo e condanniamo; e vogliamo e comandiamo che esse siano da tutti i figliuoli della cattolica Chiesa tenute per riprovate, proscritte e condannate. – Ma, oltre di queste, Voi ottimamente sapete, o Venerabili Fratelli, che nel presente tempo altre ancora di ogni genere empie dottrine vengono disseminate dagli odiatori di ogni verità e dottrina in pestiferi libri, libelli e giornali, sparsi per tutto il mondo, coi quali essi illudono i popoli e maliziosamente mentiscono. Né ignorate come anche in questa nostra età si trovino di quelli che, mossi ed incitati dallo spirito di Satana, pervennero a tanta empietà da non paventar di negare con scellerata procacia lo stesso Dominatore e Signor nostro Gesù Cristo ed impugnare la sua divinità. E qui non possiamo astenerci dal commendare con massime e meritate lodi Voi, o Venerabili Fratelli, i quali in nessun modo tralasciaste di elevare con tutto zelo la vostra voce episcopale contro tanta nequizia. – Pertanto, con queste Nostre Lettere ritorniamo a volgere con tutto amore il nostro discorso a Voi, che, chiamati a parte della nostra sollecitudine, ci siete di sommo conforto, allegrezza e consolazione, in mezzo alle massime Nostre angosce, per l’egregia religione e pietà onde siete segnalati, e per quel meraviglioso amore, fedeltà ed osservanza, onde, stretti a Noi ed a quest’apostolica Sede con cuori concordissimi, vi sforzate di adempiere strenuamente e diligentemente al vostro gravissimo ministero episcopale. Ed in verità dall’esimio vostro zelo pastorale Ci aspettiamo che, assumendo la spada dello spirito che è la parola di Dio, e confortati nella grazia del Signor Nostro Gesù Cristo, vogliate con rinforzate cure ogni giorno più provvedere che i fedeli commessi alla vostra sollecitudine «si astengano dalle erbe nocive che Gesù Cristo non coltiva perché non sono piantagione del Padre». Né mancate d’inculcar sempre agli stessi fedeli che ogni vera felicità ridonda negli uomini dall’augusta nostra Religione e dalla sua dottrina e pratica, e beato essere quel popolo il cui Signore è il suo Dio. Insegnate «che sul fondamento della fede cattolica sussistono i regni, e nulla è sì mortifero, sì vicino al precipizio, sì esposto a tutti i pericoli, come il credere che questo solo ci possa bastare, di avere cioè ricevuto, quando nascemmo, il libero arbitrio, e non domandare più altro al Signore; questo è dimenticare il nostro fattore, ed abiurare, per mostrarci liberi, la sua potenza». Né lasciate parimente d’insegnare «che la reale podestà non fu data solamente pel reggimento del mondo, bensì massimamente per il presidio della Chiesa; e nulla vi è che ai Principi e ai Re possa recare maggior profitto e gloria, quanto, siccome un altro sapientissimo e fortissimo Nostro Predecessore S. Felice inculcava a Zenone imperatore, il lasciare che la Chiesa Cattolica… si serva delle sue leggi, e il non permettere che alcuno si opponga alla sua libertà… Giacché è certo che sarà loro utile che, quando si tratta della causa di Dio, si studino, secondo la legge sua, non di anteporre ma di sottoporre la regia volontà ai sacerdoti di Cristo». – Ma se fu sempre necessario, o Venerabili Fratelli, ora specialmente, in mezzo di sì grandi calamità della Chiesa e della società civile, in tanta cospirazione di avversarii contro il Cattolicismo e questa Sede Apostolica, e fra sì gran cumulo di errori, è assolutamente indispensabile che ricorriamo con fiducia al Trono della grazia per ottenere misericordia e trovar grazia con aiuto opportuno. Perciò giudicammo di eccitare la devozione di tutti i fedeli, affinché insieme con Noi e con Voi, con ferventissime ed umilissime preci preghino e supplichino senza intermissione il clementissimo Padre dei lumi e delle misericordie; e nella pienezza della fede sempre ricorrano al Signor Nostro Gesù Cristo, che ci redense a Dio nel Sangue suo; e il suo dolcissimo Cuore, vittima della sua ardentissima carità verso di Noi, caldamente e continuamente implorino perché coi vincoli del suo amore tutto tiri a se stesso, e tutti gli uomini infiammati del suo santissimo amore camminino rettamente secondo il Cuor suo, in tutto piacendo a Dio, e fruttificando in ogni buona opera. Ed essendo, senza dubbio, più grate a Dio le preghiere degli uomini, se questi a lui ricorrano coll’animo mondo da ogni macchia, perciò credemmo di aprire con apostolica liberalità i celesti tesori della Chiesa commessi alla dispensazione Nostra, perché gli stessi fedeli più caldamente accesi alla vera pietà e lavati dalle macchie dei peccati nel Sacramento della Penitenza, con più fiducia volgano a Dio le loro preghiere e conseguano la sua grazia e misericordia. – Dunque con queste Lettere, coll’autorità Nostra apostolica, a tutti e singoli i fedeli del mondo cattolico di ambo i sessi concediamo l’Indulgenza plenaria in forma di Giubileo per lo spazio solamente di un mese, fino a tutto il futuro anno 1865, e non più oltre, da stabilirsi da Voi, Venerabili Fratelli, e dagli altri legittimi Ordinarii, nello stesso modo e forma in cui al principio del Sommo Nostro Pontificato lo concedemmo colle apostoliche Nostre Lettere in forma di Breve del giorno 20 di novembre dell’anno 1846, e mandate a tutto il vostro Ordine episcopale, le quali cominciano Arcano divinæ Providentiæ consilio, e con tutte le stesse facoltà, che colle dette Lettere da Noi furono concesse. Vogliamo però che si osservino tutte quelle cose che sono prescritte nelle dette Lettere, e quelle si eccettuino che dichiarammo essere eccettuate. E ciò concediamo, non ostanti le cose contrarie qualunque siano, ancorché degne di speciale ed individua menzione e derogazione. E perchè sia tolto ogni dubbio e difficoltà, abbiamo disposto che vi si mandi copia delle stesse Lettere. – «Preghiamo, Venerabili Fratelli, dall’intimo del cuore e con tutta l’anima, la misericordia di Dio, perché Egli stesso disse: La mia misericordia non disperderò da loro. Domandiamo e riceveremo; e se vi sarà dimora e tardanza nel ricevere, poiché gravemente peccammo, battiamo, perché a chi batte verrà aperto, purché alla porta si batta con le preghiere, coi gemiti e con le lacrime nostre, colle quali bisogna insistere e durare; e se sia unanime la nostra orazione… ciascuno preghi Dio non per sé solamente, ma per tutti i fratelli, siccome il Signore ci insegnò a pregare». E perché il Signore più facilmente si pieghi alle Nostre e Vostre preghiere e di tutti i fedeli, con ogni fiducia adoperiamo presso di Lui come interceditrice l’Immacolata e Santissima Vergine Maria, Madre di Dio, la quale uccise tutte le eresie nell’universo mondo, e Madre amantissima di tutti noi «è tutta soave… e piena di misericordia… a tutti si offre esorabile, a tutti clementissima; e con un certo ampissimo affetto ha compassione delle necessità di tutti», e come Regina stante alla destra dell’Unigenito Figliuolo suo il Signor Nostro Gesù Cristo in manto d’oro, e circonvestita di varietà, nulla è che da Lui non possa impetrare. Domandiamo ancora l’aiuto del Beatissimo Pietro Principe degli Apostoli e del suo Coapostolo Paolo e di tutti i Santi che fatti già amici di Dio pervennero al celeste regno, e coronati posseggono la palma, e sicuri della loro immortalità sono solleciti della nostra salute. [p. 17]. – Infine, pregando con tutto l’animo da Dio sopra di Voi l’abbondanza di tutti i doni celesti, come pegno della singolare Nostra benevolenza verso di Voi, con ogni amore impartiamo l’apostolica Benedizione, che viene dall’intimo del Nostro cuore, a Voi stessi, Venerabili Fratelli, ed a tutti i Chierici e Laici Fedeli commessi alle vostre cure.

Dato da Roma, presso S. Pietro, il giorno 8 di dicembre dell’anno MDCCCLXIV, decimo dopo la dommatica Definizione dell’Immacolata Concezione della Vergine Maria Madre di Dio.

Del Pontificato Nostro l’anno decimonono.

PIO PAPA NONO.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE IL MODERNISTA APOSTATA DI TORNO … e pure il falso tradizionalista: CUM SUMMI APOSTOLATUS.

Clemente XIV
Cum summi apostolatus

In questa Enciclica, scritta all’inizio del suo Pontificato, Clemente XIV, Papa Ganganelli, ricorda a se stesso ed ai Vescovi tutti, i doveri dei Pastori della Chiesa di Cristo, richiamandoli in particolare ad essere imitatori del divino Maestro nella loro opera apostolica con ogni zelo, soprattutto per contrastare le perniciose dottrine che andavano diffondendosi fin da allora e che oggi trionfano nelle sette moderniste di apostasia introdotte indecorosamente nei sacri palazzi dal “novus ordo”, spalleggiate dalle altrettanto sette eretiche e scismatiche pseudo-tradizionaliste. Lo scritto è semplice ed efficace nei richiami pieni di amore paterno verso i ministri del culto ma di altrettanto vigore nell’esortazione alla cura delle anime loro affidate con ogni dottrina e senso di responsabilità. Il culmine il Pontefice lo raggiunge quando afferma, con l’autorità del Vicario di Cristo: … Quando i popoli sapranno che il pastore, dimentico di ogni personale vantaggio, serve agl’interessi degli altri, soccorre i bisognosi, istruisce gl’ignoranti, rincuora tutti con l’impegno, il consiglio e la pietà, e preferisce alla sua propria vita la salute della comunità, allora, dolcemente attirati dal suo amore, dal suo zelo e dalla sua assiduità ascolteranno volentieri la voce del pastore che insegna, esorta e ammonisce, anche se richiama …. “Dai frutti li giudicherete”, dice la massima evangelica, è un “dovere” oltre che un diritto, giudicare nell’ambito delle cose spirituali; mentre in generale non è mai opportuno giudicare i fratelli, qui il divin Maestro è categorico: “Aprite gli occhi, giudicate dai frutti la qualità dell’albero …” e qui Clemente XIV ci offre un criterio per la valutazione dei frutti dei Pastori della Chiesa. Quando noi vediamo intorno a noi, in “presunti” prelati soprusi, immoralità, cupidigia, superbia e via dicendo, siamo certi che questi non sono i Pastori che continuano l’opera degli Apostoli né tanto meno “vicari” che custodiscono il Deposito della fede ed operano per il bene delle anime affinché possano raggiungere l’eterna felicità … sono usurpatori di cariche, servi del “nemico”. Sappiamo dunque rettamente valutare e giudicare i frutti di certe iniziative e di certi atteggiamenti .. ce lo impone il Figlio di Dio, il Signore Nostro Gesù Cristo, per facilitarci l’ascesa al suo Regno ed evitare gli inciampi che infallibilmente ci sprofonderanno la dov’è pianto e stridore di denti.


Cum summi apostolatus

Lettera Enciclica

Roma, 12 dicembre 1769

Ai Vescovi, Arcivescovi, Patriarchi e Primati.

Il Papa Clemente XIV

Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

1.– Allorché Noi riflettiamo sul carico del supremo Apostolato che Ci è stato imposto, e ne consideriamo la gravità ed il peso immenso, non Ci possiamo trattenere, Venerabili Fratelli, dal risentire un’emozione profonda in vista di una missione così sublime e della Nostra personale debolezza. Ci sembra di essere venuti in pieno mare e di essere stati ritirati dalla sicurezza di una vita pacifica, come da un porto sicuro, nel vederci chiamati così d’un tratto a dirigere la nave di Pietro, sbattuta dalle onde e pressoché sommersa dalla tempesta. – Ma questa è opera del Signore, ed è ammirabile ai Nostri occhi. I giudizi imperscrutabili di Dio e non le volontà umane Ci hanno incaricati delle più gravi funzioni dell’Apostolato quando Noi eravamo ben lontani dal pensarvi. Questa persuasione Ci dà piena fiducia che Colui che Ci ha chiamati alle gravose cure del supremo ministero dissiperà i Nostri timori, aiuterà la Nostra debolezza e Ci soccorrerà nella tempesta. Pietro, che deve essere il Nostro modello, fu rassicurato dal Signore che gli rimproverò la sua poca fede quando egli credeva di restare sommerso nel mare. – Colui che nella persona del Principe degli Apostoli Ci ha affidato la cura della Chiesa Universale e le chiavi del Regno dei cieli, Colui che Ci ha comandato di pascere le sue pecore e di confermare i nostri fratelli, vuole sicuramente che il Nostro spirito non concepisca nessun timore di non ottenere i suoi soccorsi. Egli volle che Noi fossimo mossi più dalla speranza della sua grazia che dall’apprensione della Nostra debolezza. – Noi ci sottoponiamo dunque alla volontà di Colui che è Nostra forza e Nostro sostegno, e confidiamo nella sua fedeltà e nella sua potenza: Egli compirà l’opera che ha cominciato in Noi. Dal Nostro nulla, la grandezza della sua forza e della sua bontà riceverà uno splendore più grande. Se Egli ha pensato, in questi tempi, di servirsi del Nostro ministero e di utilizzare Noi, che siamo un servo inutile, per operare qualche cosa per il bene della sua Chiesa, ciascuno riconoscerà che Egli solo ne è l’autore, e che a Lui solo debbono unicamente essere resi l’onore e la gloria. Noi ci prepariamo dunque senz’altri indugi a sostenere questo gran carico, disposti a porvi tanto maggior zelo in quanto siamo appoggiati sopra un forte sostegno, convinti che l’alta importanza delle funzioni alle quali siamo stati chiamati esige cure e prudenza tali che non possono mai essere troppo grandi. – Allorché continuamente preoccupati della vastità della Nostra amministrazione, gettiamo uno sguardo dall’alto della Sede Apostolica sopra tutto l’universo cristiano, vediamo voi, Venerabili Fratelli, innalzati a posti eminenti e illustri e la vostra vista Ci riempie di gioia. Riconosciamo in voi con la maggiore soddisfazione i Nostri collaboratori, i guardiani del gregge del Signore, gli operai della vigna evangelica. A voi dunque, che dividete le Nostre cure, desideriamo innanzi tutto rivolgere la parola all’inizio del Nostro Apostolato. Nel vostro petto vogliamo diffondere i sentimenti più intimi dell’anima Nostra; e se in nome del Signore vi indirizziamo alcune esortazioni, attribuitele alla diffidenza che abbiamo di Noi stessi e pensate pure che esse procedono dalla fiducia che Ci ispirano la vostra virtù e il vostro amore filiale verso di Noi.

2. In primo luogo, Venerabili Fratelli, Noi vi domandiamo e vi scongiuriamo di non stancarvi mai di pregare Dio che sostenga la Nostra debolezza col suo divino soccorso. Ricambiate così l’amore che abbiamo per voi. Unite alle Nostre preghiere il conforto delle vostre, affinché sostenendoci scambievolmente possiamo essere più costanti e vigili. Dimostreremo per mezzo dell’unione dei cuori quell’unità per la quale noi tutti formiamo un unico corpo, poiché tutta la Chiesa non è che un solo edificio, di cui il Principe degli Apostoli ha posto le fondamenta in questa Sede. Molte pietre unite concorrono a questa costruzione; ma tutte sono appoggiate e sostenute da una sola. Il corpo della Chiesa è uno; Gesù Cristo è il suo capo, ed è in Lui che noi tutti formiamo una sola cosa. Egli ha voluto che Noi, Vicario della sua potenza, fossimo elevati al di sopra degli altri, e che Voi, uniti a Noi come al capo visibile della Chiesa, foste le parti principali del suo corpo. – Che cosa può dunque accadere all’uno che non tocchi anche gli altri, e che non colpisca ciascuno di essi? Nello stesso modo, per conseguenza, non vi può essere nulla che reclami la vostra vigilanza e che non sia nel medesimo tempo materia delle Nostre cure e non debba esserci riferita. Nello stesso modo, ancora, Voi dovete pensare che tutto ciò che Ci concerne e tutto ciò che richiede la Nostra attenzione e il Nostro concorso deve interessare in sommo grado Voi medesimi. Noi dobbiamo dunque tutti, tenendo le nostre volontà strettamente unite, essere animati da questo solo e medesimo spirito che, procedendo da Gesù Cristo, nostro Capo mistico, si spande in tutti i suoi membri per dispensare loro la vita. Noi dobbiamo fare tutti i nostri sforzi ed applicare principalmente le nostre cure affinché il corpo della Chiesa rimanga senza lesione e senza ferita, e si sviluppi e si fortifichi, lucente di tutte le virtù cristiane, senza rughe e senza macchie. – Quest’opera diverrà possibile con l’aiuto di Dio, se ciascuno di voi si sentirà infiammato di grande zelo per il gregge che gli è stato affidato, e cercherà di allontanare dal suo popolo il contagio del male e le insinuazioni dell’errore, fortificandolo con tutti i soccorsi della santità e della dottrina.

3. Se è mai stato necessario che coloro che sono preposti alla guardia della vigna del Signore siano animati da questi desideri per la salute delle anime, è soprattutto in questi tempi assolutamente indispensabile che essi ne siano convinti e infervorati. Quando mai, infatti, si videro diffondersi ogni giorno, da tutte le parti, opinioni tanto perniciose, tendenti ad affievolire ed a distruggere la Religione? Quando mai si videro gli uomini, sedotti dal fascino della novità e trasportati da una specie di avidità verso una scienza straniera, lasciarsi più follemente attirare verso di essa e cercarla con tanto eccesso? Così Noi siamo ripieni di dolore alla vista di questa pestilenziale malattia delle anime, la quale si allarga e si propaga sventuratamente sempre più di giorno in giorno. – Più il male è grande, Venerabili Fratelli, più Voi dovete attivamente operare ed impiegare tutti i mezzi della vostra vigilanza e della vostra autorità per respingere questa temeraria follia che trabocca ancora nelle cose divine e nelle più sante. Ora, Voi raggiungerete questo risultato, credetelo, non con l’aiuto corruttibile e vano della sapienza umana, ma unicamente con la semplicità della dottrina e con la parola di Dio, più penetrante di una spada a due tagli; allorché in tutte le vostre parole mostrerete e predicherete Gesù Cristo crocifisso, vi sarà facile reprimere l’audacia dei vostri nemici e respingerne i dardi. – Egli ha fabbricato la sua Chiesa come una città santa e l’ha fortificata con le sue leggi e i suoi precetti. Le ha affidato la fede come un deposito che essa deve conservare religiosamente e con purezza. Egli ha voluto che essa fosse il bastione inespugnabile della sua dottrina e della sua verità, e che le porte dell’inferno non prevalessero mai contro di lei. Messi a capo del governo e della custodia di questa santa città, difendiamo dunque gelosamente, Venerabili Fratelli, il prezioso retaggio della fede del nostro fondatore, Signore e Maestro, che i nostri Padri ci hanno affidato in tutta la sua integrità perché lo trasmettiamo puro ed integro ai nostri posteri. – Se indirizziamo i Nostri atti e i Nostri sforzi secondo questa regola che ci tracciano le sante Scritture, e se Noi seguiamo le orme infallibili dei Nostri Predecessori, possiamo essere sicuri di essere muniti di tutti i soccorsi necessari per evitare ciò che potrebbe indebolire e ferire la fede del Popolo cristiano e infrangere o dissolvere in qualche parte l’unità della Chiesa. – Soltanto dalle fonti della divina sapienza, sia da quella scritta, sia da quella della tradizione, Noi vogliamo attingere quanto occorre alla fede e al Nostro operare.

4. Questa doppia e ricca fonte di ogni verità e di ogni virtù contiene pienamente ciò che ha rapporto al culto religioso, alla purità dei costumi ed alle condizioni di una santa vita. Da essa Noi abbiamo appreso i doveri della pietà, dell’onestà, della giustizia e dell’umanità; è per essa che noi comprendiamo ciò che dobbiamo a Dio, alla Chiesa, alla patria, ai nostri concittadini e agli altri uomini. – È per tal mezzo che noi riconosciamo che nulla ha più potentemente contribuito a determinare i diritti delle città e della società quanto queste leggi della vera religione. Ecco perché giammai nessuno ha dichiarato guerra alle divine prescrizioni di Cristo, senza turbare, in pari tempo, la tranquillità dei popoli, diminuire l’obbedienza dovuta ai Sovrani e spargere ovunque incertezze. Infatti vi è una grande connessione tra i diritti della potenza divina e quelli della potenza umana; coloro che sanno che il potere dei re è sanzionato dall’autorità della legge cristiana obbediscono loro con prontezza, rispettano la loro potenza e onorano la loro dignità.

5. Tenuto conto che questa parte delle divine prescrizioni è strettamente collegata alla tranquillità dei popoli non meno che alla salute delle anime, Vi esortiamo, Venerabili Fratelli, a porre tutta la Vostra cura nell’ispirare ai popoli – dopo tutto quello dovuto a Dio ed alle sante costituzioni della Chiesa – il legittimo rispetto e l’obbedienza che devono ai re. Questi infatti sono stati posti da Dio in un posto eminente per difendere l’ordine pubblico e contenere i sudditi nei limiti dei loro diritti. Essi sono i ministri di Dio a fin di bene, ed è per questo che portano la spada, vendicatori severi contro chi opera il male. Essi, inoltre, sono i figli amatissimi e i difensori della Chiesa, che debbono amare come loro madre, difendendone la causa e i diritti. – Abbiate dunque cura di far comprendere questo divino precetto a coloro che Voi dovete istruire nella legge di Cristo. Che essi apprendano sin dalla loro infanzia che il rispetto dovuto ai re deve essere fedelmente mantenuto; che essi debbono ubbidire all’autorità e sottomettersi alla legge non solo per timore, ma anche per senso del dovere. Ispirando nei cuori dei popoli non soltanto l’obbedienza ai loro re, ma anche il rispetto e l’amore verso di loro, Voi opererete a favore di due cose che non possono essere disgiunte: la pace dei cittadini ed il bene della Chiesa. – Voi svolgerete ancora più compiutamente la vostra missione se alle preghiere quotidiane per i popoli aggiungerete preghiere particolari per i re, affinché siano sani, dirigano i loro sudditi nell’equità, nella giustizia e nella pace; affinché riconoscano che Dio comanda al di sopra dei loro troni, e piamente e santamente difendano e propaghino la sua causa. Operando in siffatto modo, Voi soddisferete non soltanto alle Vostre funzioni episcopali, ma anche a vantaggio di tutti. Che cosa, infatti, c’è di più giusto e di più conveniente che da parte di coloro che sono preposti alla custodia delle cose sante, nella loro qualità d’interpreti e di ministri, siano offerti a Dio i voti di tutti, pregandolo di sostenere chi tutela la tranquillità di tutti i cittadini?

6. Noi crediamo sia superfluo descrivere qui le altre funzioni del ministero pastorale. A che giova, infatti, enumerare in dettaglio e raccomandarvi cose di cui sappiamo che Voi avete una conoscenza profonda, e nella pratica delle quali siete fortificati per l’uso di ogni giorno e per una certa inclinazione del vostro cuore conforme alle vostre funzioni? – Tuttavia non possiamo tralasciare di ripetervi e di porre davanti ai vostri occhi un consiglio che li riassume tutti: ed è che nell’esercizio della virtù prendiate a modello Gesù Cristo, nostro Capo, Principe dei pastori, e riproduciate in Voi medesimi l’immagine della sua santità, della sua carità e della sua umiltà. – Poiché se Egli, che era lo splendore della gloria del Padre e la figura della sua sostanza, ha consentito a prendere le debolezze della nostra carne, e dallo stato di servitù farci passare, con le sue umiliazioni e col suo amore, a quello di figli adottivi di Dio; se Egli ha voluto che noi fossimo suoi coeredi, potremo noi scegliere un oggetto più nobile e più glorioso nelle nostre meditazioni e nelle nostre fatiche di quello di renderci atti, Noi che siamo gli strumenti pei quali questa unione di uomini a Cristo si mantiene e si opera, ad illuminare col Nostro esempio la via per la quale essi camminano seguendo la bontà, la clemenza e la mansuetudine di questo divino modello? E per qual altra ragione avrebbe Egli salito le altezze della montagna, Egli che evangelizza Sionne? Voi non potete ardere dal desiderio di raggiungere questa somiglianza senza trasmettere ai cuori di tutto il vostro popolo la fiamma che brucia in voi. Certamente sono meravigliose la forza e la potenza del pastore che scuote le anime del suo gregge. Quando i popoli sapranno che tutti i pensieri del loro Pastore, tutte le sue azioni sono regolate sul modello della vera virtù, quando lo vedranno evitare tutto ciò che potrebbe sapere di durezza, di alterigia, di superbia e non occuparsi che dei doveri che ispirano la carità, la dolcezza, l’umiltà; allora si sentiranno vivamente animati ad emularlo per conseguire le stesse lodi. – Quando i popoli sapranno che il pastore, dimentico di ogni personale vantaggio, serve agl’interessi degli altri, soccorre i bisognosi, istruisce gl’ignoranti, rincuora tutti con l’impegno, il consiglio e la pietà, e preferisce alla sua propria vita la salute della comunità, allora, dolcemente attirati dal suo amore, dal suo zelo e dalla sua assiduità ascolteranno volentieri la voce del pastore che insegna, esorta e ammonisce, anche se richiama. – Ma come potrà insegnare ad altri l’amore di Dio e la benevolenza verso i suoi fratelli colui che, schiavo tra i lacci e la cupidigia dei suoi interessi privati, preferisce le cose della terra a quelle del cielo? Come mai quegli che aspira alle gioie ed agli onori del mondo potrebbe condurre gli altri al disprezzo delle cose umane? Come potrebbe dare lezioni d’umiltà e di dolcezza colui che si leva nel fasto dell’orgoglio? Voi dunque, che avete ricevuto la missione d’insegnare ai popoli la morale di Gesù Cristo, ricordatevi che dovete soprattutto mettervi ad imitare la sua santità, la sua innocenza, la sua dolcezza. Sappiate che la vostra potenza non apparirà giammai più brillante che quando porterete le insegne dell’umiltà e dell’amore, più ancora di quelle della vostra dignità. – Ricordatevi che è proprio del vostro incarico, e che non appartiene che a Voi di dirigere in questo modo il popolo che vi è stato affidato; è nel compimento di questo dovere che Voi dovete cercare ogni vantaggio ed ogni lode; trascurandolo, non troverete che malore ed ignominia. Non abbiate ambizione per altra ricchezza che per la salute delle anime riscattate col sangue di Gesù Cristo, e non cercate alcuna gloria vera e solida se non propagando il culto divino ed accrescendo la bellezza della casa del Signore, estirpando i vizi, ed applicando tutte le Vostre cure a praticare la virtù con una fedeltà perseverante. Ecco ciò che Voi dovete assiduamente pensare e fare; ecco quello che deve essere l’oggetto della Vostra ambizione e dei Vostri desideri.

7. E non pensate che, nella molteplicità di questo lungo e laborioso esercizio, vi manchi il tempo per esercitarvi alla virtù. Tale è la condizione della Vostra carica, tale è la ragione della vita episcopale, ch’esse non debbano mai veder giungere il riposo né la fine delle loro fatiche. Non possono venire circoscritte da alcun limite le azioni di coloro la cui immensa carità dev’essere senza limiti; ma l’attesa della ricompensa infinita ed immortale che Vi è destinata addolcirà ed allevierà facilmente tutte le Vostre pene. Qual cosa, infatti, può sembrare pesante e dura a colui il quale pensa a quella beata ricompensa che il Signore riserva, e che la ragione delle funzioni pastorali reclama per quelli che avranno conservato e moltiplicato il loro gregge? – Ma oltre questa magnifica speranza d’immortalità, Voi proverete ancora una grande gioia pur nel peso delle fatiche della vita pastorale, quando, venendovi Dio in aiuto, vedrete il Vostro popolo unito nei legami di una mutua carità, fiorente nella pietà e nella giustizia, e quando contemplerete tutti gli altri frutti ammirabili che le Vostre fatiche e le Vostre veglie avranno prodotto nella Chiesa. – Piaccia a Dio che Noi possiamo, durante il tempo del Nostro Apostolato, e per il concorso unanime di tutte le Nostre volontà e di tutte le Nostre cure, veder ritornare quella meravigliosa felicità religiosa che fu dell’antica età. – Piaccia a Dio che Noi possiamo, Venerabili Fratelli, rallegrarcene insieme, e goderne in Gesù Cristo nostro Signore! Che questo medesimo Gesù Cristo ci sostenga sempre con la sua grazia e accenda i nostri cuori dell’amore di tutto ciò che gli può piacere!

8. Nello stesso tempo in cui scriviamo questa Lettera a Voi, Venerabili Fratelli, con altra Lettera concediamo a tutti i Cristiani il Giubileo per implorare – secondo la tradizione, all’inizio del Nostro Pontificato – l’aiuto divino per il salutare governo della Santa Chiesa Cattolica. – Chiediamo pertanto a Voi, e Vi supplichiamo, di incitare i popoli affidati alle Vostre cure ad innalzare devote preghiere con fede, pietà e umiltà. Infiammateli con le Vostre esortazioni, con i Vostri consigli e con l’esempio affinché curino sia la propria salvezza, sia i motivi di pubblico vantaggio della Cristianità.

In pegno del Nostro amore, impartiamo a Voi, Venerabili Fratelli, e ai fedeli delle Vostre Chiese, la più affettuosa Benedizione Apostolica.

Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, il 12 dicembre 1769, nell’anno primo del Nostro Pontificato.

 

 

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE IL MODERNISTA APOSTATA DI TORNO: “IAMPRIDEM CONSIDERANDO”

In questa lettera dell’ottobre del 1879, il S. P. Leone XIII, ribadisce molti concetti già espressi nella sua predente enciclica, l’immortale Æterni Patris, a proposito degli studi filosofici, dalla cui qualità dipende lo sviluppo del pensiero umano e la conduzione della società intera. Il riferimento dottrinale è naturalmente rivolto all’opera del più grande ed eccelso filosofo e teologo di ogni tempo, fondamento pure della sana e retta teologia Cattolica, che è San Tommaso d’Aquino, il Dottore Angelico. Il concetto chiave enunciato, in sostanza è questo: “Tutti sono d’accordo nel ritenere che l’umana ragione, se si allontana dalla divina autorità della fede, è necessariamente travolta nei flutti del dubbio ed esposta ad imminenti pericoli di errore, e che facilmente uscirà da questi pericoli se gli uomini troveranno rifugio nella filosofia cattolica”. È pertanto assolutamente indispensabile, in tutte le opere di scienza e cultura, attenersi ai fondamenti dell’unica “Verità”, non intercambiabile, immutabile, non soggetta a mode o a passeggeri entusiasmi dottrinali privi di sicurezza fondata e condivisa, o peggio ancora, ad infiltrazioni contrarie al retto ragionare ammantate da verbosità o farfugliamenti astratti e fantasiosi. In particolare sappiamo che da sempre le “Verità” portata dalla predicazione evangelica dal “Verbo incarnato”, è stata sempre insidiata dal pensiero e dall’opera di scaltri figuri che, modificando il significato dei termini e dei concetti, hanno alterato e contraffatto la sana e genuina filosofia scaturita da ragionamenti umani, chiari, lucidi, univoci, coerenti, aderenti alla verità. È la gnosi, questo cancro maligno, devastante e mortifero, che da sempre ha insidiato e, oggi più che mai, insidia tutto il pensiero e l’opera dell’uomo, servendosi di abili e superbi ingannatori che persuadono tanti incauti a seguire sentieri di falsità in ogni campo dell’umana espressione. Il glorioso Pontefice cercava di metterci in guardia contro i “lupi” e gli “sciacalli” del pensiero che negli ultimi secoli si sono moltiplicati a dismisura con ideologie delirati ed irrazionali, coalizzate tutte a contrapporsi all’unica “Verità”. Ricorrere al tomismo dell’Angelo della Scuola, era ed è l’unico mezzo valido per sfuggire ai lacci ed agli inganni degli gnostici “anticristo” che cercano con strategie varie in apparenza, ma sempre uguali nella sostanza, di condurre le menti all’errore con il pretesto di salvaguardare razionalità e pensiero “evoluto”. Il Santo Padre forse già presagiva, ed i segni erano già evidenti all’epoca, che le stoltezze gnostiche si sarebbero infiltrate e diffuse anche nella Chiesa Cattolica, l’unico baluardo e il bersaglio di sempre dell’invasione gnostico-satanica. Oggi tutti sappiamo come sia andata a finire e come il modernismo teologico e filosofico abbia sommerso fin nelle viscere e nei più reconditi recessi della mente di tanti uomini di cultura e soprattutto dei chierici, prima i veri, poi gli attuali “fasulli” prelati di ogni ordine e grado, dall’apice [finto e canonicamente invalido] al curato di campagna. La filosofia scolastica, la cui cima è rappresentata appunto dall’Aquinate, è oggi totalmente soppiantata dalla nuovelle théologie, da questa “bomba di profondità” che ha generato uno sconquasso senza precedenti prima nei “fondali” dello spirito dei fedeli e dei prelati un tempo cattolici, ed è poi esplosa con il falso Concilio, anzi il “conciliabolo” c. d. Vaticano II, dove si è manifestata compiutamente la setta modernista dei marrani della quinta colonna, la stessa che oggi, ingigantita senza misura, apparentemente predica bene, cioè non nega la “dismessa” del pensiero di San Tommaso, anzi la sua totale avversione, ma poi “razzola” male, anzi malissimo, applicando nei fatti teologici, liturgici, pastorali, esclusivamente la nouvelle théologie di stretta marca gnostico-massonica, oramai sconfinata in una chiara ed evidente apostasia dalla fede cristiana che non ha uguali in tutta la storia bimillenaria della Chiesa Cattolica, … basti pensare all’ecumenismo, all’indifferentismo religioso, al libero pensiero rigorosamente ateo, alla pastorale della famiglia divorziante ed allargata, all’omosessualità ed al libero amore sganciato dalle procreazione ed alle altre mille porcate indecorose che giorno dopo giorno la setta ci propina, spacciandosi per Chiesa cattolica che “si rinnova” [quindi non è più Chiesa Cattolica UNA nello spazio e nel tempo, … l’ultimo peto maleodorante e venefico del baphomet-lucifero. Basterebbe solo questo ad allertare le povere pecore ipovedenti e gli agnelli narcotizzati, che vanno al pascolo di tali “lupi” feroci assetati del sangue dei loro fratelli, per sprofondare poi tutti insieme a godere in eterno i “favori” bollenti della vera guida del modernismo e della setta vaticana del “novus ordo”: l’anticristo, il baphomet-lucifero, il serpente primordiale, il nemico di Dio e dell’uomo … e là ci sarà pianto e stridore di denti!  … Iampridem considerando experiendoque inteleximus,  …

 

Leone XIII
Iampridem considerando

Lettera

Già da gran tempo, per riflessione ed esperienza, abbiamo compreso che nulla vale a prontamente e felicemente estinguere, con il divino aiuto, l’atrocissima guerra ora mossa contro la Chiesa e la stessa umana società quanto il reintegrare ovunque, mercé le discipline filosofiche, i retti principi del comprendere e dell’operare. Perciò conviene sommamente far rifiorire in ogni parte del mondo la sana e genuina filosofia. A questo scopo abbiamo mandato recentemente a tutti i Vescovi dell’orbe cattolico una Lettera enciclica nella quale con molti argomenti abbiamo dimostrato non doversi cercare tale vantaggiosa soluzione se non nella filosofia cristiana prodotta ed accresciuta dagli antichi Padri della Chiesa: quella filosofia che non solo si accorda quanto mai con la fede cattolica, ma le porge anche opportuno ed idoneo aiuto di difesa e di luce. Abbiamo ricordato che tale filosofia, seme fecondo di grandi frutti nel volgere dei secoli, venne ricevuta quasi in retaggio da San Tommaso d’Aquino, sommo maestro degli Scolastici, e che nel darle ordine, nell’illustrarla ed accrescerla, l’acume e la virtù di quel sublime Intelletto rifulsero in tal modo che l’Angelico Dottore sembra abbia raggiunto il massimo della gloria per il suo nome. Con le più fervide parole delle quali eravamo capaci abbiamo poi esortato i Vescovi ad unire le loro forze alle Nostre affinché si adoperassero a rialzare quell’antica filosofia, ormai scossa e pressoché caduta, e a ridonarla alle scuole cattoliche ed a ricollocarla nell’onorato seggio che un giorno occupava. – Non Ci procurò poca consolazione apprendere che quella Nostra Lettera, con l’aiuto di Dio, incontrò dappertutto il deferente ossequio e il singolare consenso degli animi. Del che Ci porgono chiara testimonianza molte lettere di Vescovi a Noi pervenute, specialmente dall’Italia, dalla Francia, dalla Spagna e dall’Irlanda; esse Ci recano le espressioni di egregi sentimenti sia di persone singole, sia di gruppi della stessa provincia o della stessa nazione. Né è mancato il suffragio dei dotti, in quanto insigni Accademie di uomini eruditi si compiacquero dichiararci per iscritto intendimenti del tutto eguali a quelli dei sacri Pastori. – In tali lettere, poi, Ci torna oltremodo gradito l’ossequio prestato alla Nostra autorità e a questa Sede Apostolica; graditi Ci tornano i propositi e i giudizi espressi dagli scrittori. Una sola, infatti, è la voce di tutti; una sola è l’opinione: si nota e si indica con sicurezza in quella Nostra Lettera il luogo nel quale è riposta la radice dei mali presenti e donde debba derivare il rimedio. Tutti sono d’accordo nel ritenere che l’umana ragione, se si allontana dalla divina autorità della fede, è necessariamente travolta nei flutti del dubbio ed esposta ad imminenti pericoli di errore, e che facilmente uscirà da questi pericoli se gli uomini troveranno rifugio nella filosofia cattolica. – Pertanto, Venerabile Fratello, è nei Nostri più caldi desideri che la dottrina di San Tommaso, conforme in modo assoluto alla fede, riviva quanto prima in tutte le Scuole cattoliche, e specialmente torni a fiorire in questa Città, capitale del Cattolicesimo, la quale – appunto perché è sede del Pontefice Massimo – deve eccellere sulle altre per le migliori discipline. A questo si aggiunga che a Roma, centro dell’unità cattolica, convengono solitamente in gran numero da ogni paese i giovani per attingere meglio e più abbondantemente che altrove la vera ed incorrotta sapienza presso l’augusta cattedra del Beato Pietro. Conseguentemente, se da qui sgorgherà larga e copiosa la vena di quella cristiana filosofia di cui abbiamo detto, essa non resterà circoscritta nei confini di una sola città, ma simile a fiume in piena giungerà a tutti i popoli. – Quindi procurammo dapprima che nel Seminario Romano, nel Liceo Gregoriano, nell’Urbaniano e in altri Collegi soggetti tuttora alla Nostra autorità le discipline filosofiche, informate al concetto e ai principi del Dottore Angelico, vengano insegnate e coltivate con chiarezza, ampiamente e in profondità. E soprattutto vogliamo che la vigile cura e gli sforzi dei maestri si prefiggano quale scopo principalissimo di impartire gradevolmente e vantaggiosamente per i discepoli, spiegandole ed ampliandole, quelle ricchezze di dottrina che essi stessi avranno già raccolte con diligenza dai volumi di San Tommaso. – Ma oltre a ciò, affinché questi studi vigoreggino e fioriscano sempre più, si deve provvedere a che gli amanti della filosofia Scolastica si adoperino di continuo per farla apprezzare: soprattutto si organizzino in società e tengano di frequente adunanze nelle quali ciascuno rechi e volga a comune utilità il frutto dei propri studi. – Questi giudizi e questi Nostri concetti abbiamo voluto comunicare a Te, Venerabile Fratello Nostro che presiedi la Sacra Congregazione degli studi, confortati da sicura speranza che in un affare di tanto rilievo non Ci verranno meno la Tua operosità e la Tua prudenza. Tu non ignori certamente che le adunanze dei dotti, cioè le Accademie, furono come nobilissime palestre, nelle quali personaggi insigni per acuto ingegno e per dottrina non solo si esercitavano utilmente scrivendo e disputando delle cose della massima importanza, ma anche insegnavano ai giovani con grande vantaggio delle scienze. Da quest’ottima usanza ed istituzione di congiungere le forze e di radunare le intelligenze più vive presero origine quegli illustri Collegi di Dottori, alcuni dei quali si dedicavano collegialmente a diverse discipline, ed altri a singole scienze. – Sono ancora vive la fama e la gloria di quei Collegi i quali, col favore accordato dai Romani Pontefici per diverse ragioni, fiorirono ovunque nella nostra Italia: a Bologna, a Padova, a Salerno e altrove. Poiché tali adunanze di uomini raccoltisi volontariamente per la cultura e il lustro delle discipline umane giunsero a tanta lode e riuscirono di tanta utilità, e poiché sopravvive ancora larga parte di quella lode e di quella utilità, Noi intendiamo valerci dello stesso presidio per recare pienamente ad effetto il Nostro disegno. –

Conseguentemente decidiamo di istituire in Roma un’Accademia la quale, insignita del nome e del patronato di San Tommaso d’Aquino, indirizzi gli studi e le attività a spiegare e ad illustrare le opere di lui; ne esponga i principi e li metta a confronto con quelli degli altri filosofi, antichi o recenti; dimostri la forza e le ragioni delle sue teorie; s’impegni a propagarne la salutare dottrina e si adoperi a confutare gli errori serpeggianti e ad illustrare i nuovi ritrovati. Pertanto a Te, Venerabile Fratello Nostro, del quale conosciamo i pregi dottrinari, il pronto ingegno, lo studio e la sollecitudine per tutto ciò che appartiene alle umane discipline, affidiamo il compito di eseguire il Nostro proposito. Per ora rifletti attentamente la cosa, e non appena avrai escogitato la soluzione che corrisponda ai Nostri concetti, la sottoporrai per iscritto alla Nostra valutazione, affinché possiamo approvarla e corroborarla della Nostra autorità. – Infine, perché più ampiamente si conosca e si diffonda la sapienza del Dottore Angelico, stabiliamo che nuovamente si pubblichino tutte le sue opere, secondo l’esempio lasciatoci dal Nostro Predecessore San Pio V, illustre per gloria d’imprese e per santità di vita, al quale toccò in sorte di vedere così felicemente compiuti i suoi voti, che gli esemplari di Tommaso editi per suo ordine siano ancora assai stimati presso i dotti e vengano ricercati con somma cura. Sennonché, quanto più rara diventa quell’edizione, tanto più si è cominciato a sentire il desiderio di una nuova che, per nobiltà ed eccellenza possa essere confrontata con la Piana. D’altronde, le altre edizioni, sia le antiche, sia le più recenti, o perché non offrono tutti gli scritti di San Tommaso, o perché non contengono i commenti dei migliori interpreti ed esegeti, o infine perché mostrano minore accuratezza formale, non sembra che abbiano raggiunto la perfezione. – Si nutre una certa speranza che a tale bisogno verrà provveduto con la nuova edizione, la quale comprenderà assolutamente tutti gli scritti del Santo Dottore, stampati con i migliori caratteri possibili ed emendati accuratamente. Ci si avvantaggerà anche del sussidio di codici manoscritti che in questa nostra età sono venuti alla luce e in uso. – Oltre a ciò, avremo cura che congiuntamente si pubblichino i lavori dei suoi più illustri interpreti, come Tommaso de Vio Cardinale Gaetano e il Ferrarese: lavori dai quali, come per rivi copiosi, scorre limpida la dottrina di un così grande uomo. Per la verità, sono presenti all’animo Nostro non solo la grandezza ma anche le difficoltà dell’impresa; nondimeno esse non giungono al punto di distoglierci dal mettere mano all’opera quanto prima e con grande alacrità. Infatti, in cosa di tanto rilievo, la quale riguarda in sommo modo il comune bene della Chiesa, nutriamo fiducia che Ci conforteranno il divino aiuto, il concorde impegno dei Vescovi e la prudenza e l’operosità tua, già sperimentate e da lungo tempo conosciute. – Intanto, come pegno della Nostra speciale dilezione, dall’intimo affetto del cuore impartiamo a Te, Venerabile Fratello Nostro, l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 15 ottobre 1879, anno secondo del Nostro Pontificato.