UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO IX – “RESPICIENTES EA OMNIA”

« … Noi con l’autorità di Dio Onnipotente, dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e Nostra, dichiariamo a voi, Venerabili Fratelli, e per mezzo vostro a tutta la Chiesa, che tutti coloro che si distinguono per qualche dignità, anche degna di particolare menzione, che abbiano perpetrato l’invasione, l’usurpazione o l’occupazione di qualunque provincia del Nostro dominio e di quest’alma Città, e così pure i loro mandanti, fautori, collaboratori, consiglieri, seguaci o chiunque altro procuri con qualunque pretesto, in qualsiasi modo, o operi per se stesso l’esecuzione delle suddette scelleratezze, incorrono nella scomunica maggiore e nelle altre censure e pene ecclesiastiche inflitte dai Sacri Canoni, dalle Costituzioni Apostoliche e dai decreti dei Concili generali … » Questo passaggio della Lettera Enciclica “Respicientes”, scritta da S. S. Pio IX all’indomani dell’usurpazione dei territori dello Stato Pontificio, suona come condanna irrevocabile, tremenda ed inappellabile presso il tribunale di Dio, per tutti coloro che all’epoca collaborarono, e ancora oggi sostengono la status usurpante dei territori della Chiesa sottratti con la violenza alla giurisdizione del Monarca e Santo Padre, legittimo regnante per grazia divina. La storia ci ha confortato in questa valutazione, mostrandoci la fine ingloriosa anche sulla terra: 1) della Monarchia sabauda, cacciata ingloriosamente via per sempre a calci nel fondoschiena; 2) dei militari e dei comandanti di truppe sacrileghe poi annientate in guerre successive: Crimea, guerre di Indipendenza – cioè di usurpazione –, guerre mondiali e coloniali catastrofiche, dittatura e successivo regime social comunista e massonico ancora oggi al governo (anche se mascherato da nomi diversi); 3) della Nazione intera che non ha finito di pagare ancora i suoi debiti con Dio per la sua vigliaccheria, apostasia, infamia, ingiustizia. Ma guai a noi, perché il Signore non dimentica e colpisce, quando meno ci si aspetta, i padri nelle generazioni successive; lo possiamo costatare proprio oggi con il male più grave che possa colpire una Nazione: l’apostasia dalla fede Cattolica, una morale totalmente sovvertita e furiosamente pagana, un cumulo di eresie sostenute da antipapi usurpanti e dai modernisti del novus ordo, capaci di falcidiare senza pietà una quantità incalcolabile di anime ignare e gaudenti e mandarle senza indugi all’inferno a bruciare per l’eternità…

ENCICLICA
«RESPICIENTES EA OMNIA»

«Protesta energicamente contro la presa di Roma e la dichiarazione
di considerare la Santa Sede Apostolica
come prigioniera di fatto.
Commina la scomunica maggiore ai fautori e cooperatori
delle invasioni dello Stato della Chiesa
»

(S. S. PIO IX)

VENERABILI FRATELLI
SALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE

Considerando tutto ciò che il governo subalpino da molti anni va senza interruzione perpetrando per rovesciare il Principato civile concesso a questa Sede Apostolica per particolare volontà di Dio, affinché i successori del beato Pietro potessero nell’esercizio della loro giurisdizione spirituale godere la necessaria e sicura pienezza di libertà; per forza, o Venerabili Fratelli, siamo turbati da grande intimo dolore per così audace cospirazione contro la Chiesa di Dio e questa Santa Sede: e in questi tempi così funesti nei quali quel governo, seguendo i consigli rovinosi delle sette, ha compiuto contro ogni diritto, con la forza delle armi, la sacrilega invasione già da gran tempo premeditata di questa Nostra alma Città e delle altre città che Ci erano rimaste dopo la precedente usurpazione; mentre Noi rispettiamo i misteriosi voleri di Dio umilmente prostrati dinanzi a Lui, siamo costretti a servirCi delle parole del profeta: “Io piango e il mio occhio versa lacrime, perché molto si è allontanato da me il Consolatore abbattendo l’anima mia; i miei figli sono perduti poiché il nemico ha vinto” (Jer. thr. I, 16). – Già da gran tempo, Venerabili Fratelli, fu da Noi assai chiaramente esposta e palesata al mondo cattolico la storia di questa nefasta guerra, il che abbiamo fatto con parecchie Allocuzioni, Encicliche, Brevi, mandati, intenti diversi; e cioè il 1° Gennaio 1850, il 22 Gennaio e il 26 Luglio 1855, il 18 e 26 Giugno e il 26 Settembre 1859, il 19 Gennaio 1860; con Lettera Apostolica del 26 Marzo 1860; nonché con Allocuzioni del 28 Settembre 1860, del 18 Marzo e del 30 Settembre 1861, del 20 Settembre, del 17 Ottobre e del 16 Novembre 1867. La serie di questi documenti fa conoscere e conferma le gravissime ingiurie arrecate dal governo subalpino alla suprema autorità Nostra di questa Santa Sede, anche prima dell’occupazione del dominio ecclesiastico incominciata negli scorsi anni; ingiurie arrecate sia emanando leggi contro il Diritto naturale divino ed ecclesiastico, sia assoggettando i sacerdoti, le Compagnie religiose e i Vescovi stessi ad indegni maltrattamenti; sia venendo meno alla fede che implicavano le solenni convenzioni strette con la Sede Apostolica e negando risolutamente la loro inviolabilità persino nel tempo in cui quel governo dichiarava di voler iniziare nuove trattative con Noi. Dai medesimi documenti appare chiaro, Venerabili Fratelli, e apparirà chiaro a tutta la posterità, con quali artifici e con quante astute e indegne macchinazioni quel governo sia giunto a opprimere i giusti e santi diritti di questa Apostolica Sede e nello stesso tempo si conoscerà quanta premura Ci siamo data per reprimere per quanto era in Noi la sua audacia che aumentava di giorno in giorno e per difendere la causa della Chiesa. Sapete bene che nell’anno 1859 molte città importanti dell’Emilia, a mezzo di scritti clandestini, cospiratori, armi e denaro furono spinte dal potere subalpino alla ribellione; e che non molto tempo dopo, indetti i comizi popolari e captati i voti, si finse un plebiscito e con questo inganno le Nostre province di quella regione furono strappate al Nostro paterno dominio, mentre i buoni si opponevano invano. È anche risaputo che nell’anno seguente il medesimo governo, per fare sua preda le altre province di questa Santa Sede poste nel Piceno, nell’Umbria e nel patrimonio di San Pietro, adducendo falsi pretesti circondò con improvviso impeto e con grande esercito i Nostri soldati e la schiera volontaria della Gioventù Cattolica, che spinta da sentimento religioso e da pietà verso il Padre comune era volata da tutto il mondo a Nostra difesa; e che con sanguinosa battaglia schiacciò queste milizie che non sospettavano così improvvisa eruzione e che tuttavia lottarono intrepidamente per la Religione. Tutti conoscono la sfacciata ipocrisia e l’impudenza di quel governo che per diminuire la brutta impressione di questa sacrilega usurpazione non esitò a proclamare di aver invaso quelle province per ristabilirvi i principi dell’ordine morale; mentre invece in realtà promosse ovunque la diffusione e il culto di tutte le false dottrine ovunque allentò le briglie ai desideri e all’empietà, castigando inoltre ingiustamente i sacri Vescovi e gli Ecclesiastici di ogni grado che imprigionò e lasciò pubblicamente insultare, mentre permetteva che andassero impuniti i persecutori e coloro che non rispettavano neppure la dignità del Pontificato nella Nostra persona. Inoltre è noto che Noi, come era Nostro dovere, non solo Ci siamo sempre opposti ai ripetuti consigli e suggerimenti che Ci venivano dati perché tradissimo vergognosamente il Nostro dovere, sia abbandonando e consegnando ad altri i diritti e i possessi della Chiesa, sia concludendo una infame conciliazione con gli usurpatori; ma che anche abbiamo contrapposto a queste inique, temerarie e delittuose azioni, perpetrate contro ogni diritto umano e divino, solenni proteste di fronte a Dio e agli uomini; che abbiamo dichiarato i loro autori e fautori soggetti alle censure ecclesiastiche e che ove ce n’è stato bisogno li abbiamo con tali censure ripetutamente puniti. Infine, è risaputo che quel governo, nonostante tutto, ha persistito nella sua ribelle attività e ha cercato continuamente di provocare l’insurrezione nelle altre Nostre province e soprattutto in Roma, con l’introdurvi dei sobillatori e con artifici di ogni genere. – Ma poiché questi tentativi non riuscivano secondo l’aspettativa, per l’incrollabile fede dei Nostri soldati e l’amore e la devozione dei Nostri popoli che Ci venivano manifestati in modo splendido e costante, finalmente si scatenò contro di Noi quella violenta tempesta dell’anno 1867 quando nell’autunno furono mandate contro i Nostri territori e contro questa città coorti di sciagurati ardenti di delittuoso furore e aiutate da quel governo (e parecchi di questi già da prima stavano nascosti in Roma) e dalla loro violenza, dalle loro armi feroci ci sarebbe stato da temere ogni atroce crudeltà per Noi e per i Nostri direttissimi sudditi, come appariva chiaramente, se Dio misericordioso, con il valore delle Nostre milizie e il valido aiuto delle legioni mandateCi dalla nobile Nazione Francese, non avesse reso vani i loro assalti. – In tante battaglie, in così grande susseguirsi di pericoli e di crudeli tribolazioni, la Divina Provvidenza Ci apportava grandissimo conforto con la vostra grande, affettuosa pietà, Venerabili Fratelli, e con quella dei Vostri fedeli, verso Noi e questa Apostolica Sede; pietà che avete dimostrata sempre con grandi opere e prove di cattolica carità. E benché la gravissima crisi nella quale Ci troviamo Ci abbia appena lasciato un po’ di tregua, tuttavia con l’aiuto di Dio non abbiamo mai differita nessuna delle cure dirette a proteggere la prosperità temporale dei Nostri sudditi; e quale tranquillità e sicurezza pubblica vi fossero presso di Noi, quale fosse la condizione di tutte le attività intellettuali e artistiche, quali fossero la fede in Noi e la volontà dei Nostri popoli, hanno potuto sapere molto bene tutte le Nazioni dalle quali affluirono a gara in ogni tempo innumerevoli forestieri in questa città, specialmente in occasione delle numerose celebrazioni e delle solenni manifestazioni sacre che abbiamo compiuto. – Stando così le cose e godendo il Nostro popolo una tranquilla pace, il re subalpino e il suo governo, colta l’occasione di una grande guerra scoppiata fra due potentissime Nazioni d’Europa, con una delle quali avevano pattuito che avrebbero mantenuto inviolato lo stato presente del dominio ecclesiastico e che non lo avrebbero lasciato turbare da uomini di partito, decretarono immediatamente di invadere le altre terre del Nostro dominio e persino la Nostra Sede e di assoggettarle al loro potere. E quali cause si accampavano per questa invasione nemica? Certamente tutti conoscono le cose che sono trattate in una lettera del re dell’8 Settembre scorso diretta a Noi e trasmessaCi dal suo ambasciatore presso di Noi, lettera nella quale con lungo e subdolo giro di parole e di pensieri, ostentandosi figlio rispettoso e buon cattolico e sostenendo la causa dell’ordine pubblico e della salvezza del Pontificato stesso e della Nostra persona, Ci domandava di non prendere il rovesciamento del Nostro potere temporale come un atto di ostilità e di ritirarsi spontaneamente da tale potere fidandoCi delle futili garanzie che egli Ci faceva con le quali, diceva, i desideri dei popoli italiani verrebbero conciliati con il supremo diritto e la libertà dell’autorità spirituale del Romano Pontefice. Noi, naturalmente, Ci siamo molto meravigliati vedendo come la violenza che stavamo per subire di momento in momento si volesse coprire e dissimulare, e Ci addolorammo intimamente della triste sorte del re che, spinto da cattivi consigli, ogni giorno infligge nuove ferite alla Chiesa e, avendo più rispetto per gli uomini che per Dio, non pensa che vi è in Cielo il Re dei Re e il Signore dei Signori, il quale “non escluderà nessuno, non temerà la grandezza di nessuno, poiché egli fece il piccolo e il grande e tormenti più forti sovrastano ai più forti” (Sap. VI, 8-9). Per quel che riguarda poi le richieste che Ci sono state rivolte, crediamo di non dover esitare, obbedendo alle leggi del dovere e della coscienza, a seguire gli esempi dei Nostri Predecessori, e soprattutto di Pio VII di felice memoria, del quale bisogna qui che esprimiamo e facciamo Nostri i sentimenti d’animo invitto da lui dimostrati in una circostanza assolutamente simile a questa: “Ricordammo, con Sant’Ambrogio, che il Santo uomo Naboth possessore della sua vigna, avendogli il Re domandato di cedergli la sua vigna dove sradicate le viti avrebbe seminato dei volgari ortaggi, rispose: non cederò mai ad altri l’eredità dei miei padri. Di conseguenza giudicammo che a Noi fosse assai meno lecito cedere tanto antica e sacra eredità (cioè il dominio temporale di questa Santa Sede posseduto per tanta serie di secoli dai Romani Pontefici Nostri Predecessori per palese volere della Divina Provvidenza), o tacitamente acconsentire che chiunque si impadronisse della capitale del Mondo Cattolico, dove sconvolta e distrutta la santissima forma di governo che fu da Gesù Cristo lasciata alla sua Santa Chiesa e regolata dai sacri canoni fondati sullo Spirito di Dio, sostituirebbe a questa un codice contrario assolutamente, non solo ai sacri canoni, ma anche ai precetti evangelici e introdurrebbe, secondo il solito, quel nuovo ordine di cose che tende apertamente ad associare ed a confondere con la Chiesa Cattolica tutte le superstizioni e le sette. Naboth difese le sue viti anche col suo sangue. Potevamo Noi, qualunque cosa stesse per accaderCi, esimersi dal difendere i diritti e possessi della Santa Romana Chiesa, dal momento che per mantenerli secondo tutte le Nostre possibilità fummo vincolati da un sacro solenne giuramento? O dal difendere la libertà della Sede Apostolica, che è così legata alla libertà e utilità di tutta la Chiesa? Ancorché mancassero altri argomenti, le cose che ora accadono dimostrano fin troppo efficacemente quanta realmente sia la convenienza e la necessità di questo Principato temporale che garantisce al Capo supremo della Chiesa il sicuro e libero esercizio di quel potere spirituale che per volontà divina gli fu dato su tutto il mondo” (Lett. Apost. 10 Giugno 1809). – Seguendo dunque questo modo di sentire, che abbiamo costantemente manifestato in parecchie Nostre allocuzioni, rispondendo al re, disapprovammo le sue ingiuste pretese in modo tuttavia da mostrare il Nostro acerbo dolore insieme al Nostro paterno affetto che non può fare a meno di preoccuparsi neppure per i figli che imitano il ribelle Assalonne. Questa lettera non era ancora stata portata al re, quando nel frattempo dal suo esercito furono occupate le città finora intatte e tranquille del Nostro Stato Pontificio, mentre venivano facilmente sconfitte le milizie ausiliarie dove tentavano di opporre resistenza; e poco dopo sorse quel funesto giorno che fu il 20 Settembre scorso; giorno nel quale vedemmo questa Città, sede principale degli Apostoli, centro della Religione Cattolica e rifugio di molte genti, assediata da molte migliaia di armati; e mentre si faceva breccia nelle sue mura e si spargeva il terrore con continuo getto di proiettili, fummo addolorati di vederla espugnata per comando di colui che poco prima tanto nobilmente aveva dichiarato di essere animato da affetto filiale per Noi e da fedele sentimento religioso. – Che cosa può essere più funesto di quel giorno per Noi e per tutte le anime buone? Di quel giorno nel quale, entrate le milizie in Roma che era piena di una moltitudine di stranieri sediziosi, vedemmo immediatamente sconvolto e rovesciato l’ordine pubblico, vedemmo insultata empiamente nella Nostra umile persona la dignità e santità del Sommo Pontificato, vedemmo le fedelissime coorti dei Nostri soldati insultate in tutti i modi, vedemmo dominare dappertutto sfrenata insolente libertà, là dove poco prima splendeva l’affetto dei figli desiderosi di confortare la tristezza del Padre comune? Da quel giorno poi si susseguirono sotto i Nostri occhi tali cose, che non si possono ricordare senza la giusta indignazione di tutti i buoni: perfidi libri zeppi di menzogne e di empie malvagità cominciarono a essere proposti come acquisto conveniente e a poco a poco ad essere divulgati; moltissimi giornali furono sparsi di giorno in giorno, miranti a corrompere le menti e i buoni costumi, a disprezzare e calunniare la Religione e infiammare l’opinione pubblica contro di Noi e questa Apostolica Sede; si pubblicarono illustrazioni vergognose e indegne e altre opere del genere con le quali le cose e le persone sacre erano derise e esposte al pubblico scherno; furono decretate onoranze e monumenti a coloro che avevano pagato per legittima condanna il fio dei più gravi delitti i ministri della Chiesa contro i quali è più ardente l’odio erano insultati e alcuni anche feriti a tradimento; alcune case religiose furono sottoposte a ingiuste perquisizioni; fu violato il Nostro Palazzo Quirinale e da questo, dove aveva sede, uno fra i Cardinali di Santa Romana Chiesa fu costretto a forza ad andarsene immediatamente e agli altri ecclesiastici Nostri familiari fu proibito di frequentare il Quirinale e furono molestati in tutti i modi; si fecero leggi e decreti che offendono manifestamente e calpestano la libertà, l’immunità, le proprietà e i diritti della Chiesa di Dio; e questi gravissimi mali dobbiamo dire con grande dolore che aumenteranno ancora se Dio benigno non lo impedirà, mentre Noi, impossibilitati dalla Nostra condizione a portare alcun rimedio, ogni giorno più dolorosamente dobbiamo renderCi conto della prigionia nella quale Ci troviamo e della mancanza di quella piena libertà che con la menzogna si fa credere al mondo che Ci è stata lasciata per esercitare il Nostro Apostolico Ministero e che il governo invasore va raccontando di aver voluto convalidare con le cosiddette necessarie guarentigie. – E non possiamo qui passare sotto silenzio quell’enorme delitto che certamente vi è noto, o Venerabili Fratelli. Infatti, come se i possessi e i diritti della Sede Apostolica, sacri e inviolabili per tanti titoli e sempre riconosciuti per tanti secoli, potessero essere contestati e rimessi in discussione; e come se le censure gravissime, nelle quali immediatamente e senza nessuna nuova dichiarazione incorrono i violatori di tali diritti e possessi, potessero perdere la loro efficacia per la ribellione e la tracotanza popolare; per abbellire la sacrilega spoliazione che abbiamo sofferta con ogni disprezzo del diritto naturale e umano, si escogitò quell’apparato e quella finzione di plebiscito usata nelle province strappate a Noi; e coloro che di solito si rallegrano delle perfidie non arrossiscono in questa occasione di ostentare per tutte le città d’Italia come per una manifestazione trionfale la ribellione e il disprezzo delle Censure ecclesiastiche, andando contro i fraterni sentimenti della maggior parte degli italiani, la devozione, la pietà e la fede dei quali verso Noi e la Santa Chiesa vengono oppresse in tutti i modi perché non possano liberamente espandersi. – Noi frattanto, che da Dio siamo stati posti a guidare e a governare tutta la Casa d’Israele e siamo stati creati supremi protettori della Religione, della giustizia e difensori dei diritti della Chiesa, per non essere rimproverati di fronte a Dio e alla Chiesa di essere stati zitti e di avere così tacitamente assentito a tanto sciagurato sconvolgimento, rinnoviamo e riconfermiamo quanto abbiamo altrove solennemente dichiarato nelle Allocuzioni, nelle Encicliche e nei Brevi qui sopra citati e nella recente protesta che per comando Nostro e in Nostro nome il Cardinale incaricato degli affari pubblici ha mandato proprio il 20 Settembre agli ambasciatori, ministri e incaricati di affari delle Nazioni estere costituite presso di Noi; e di nuovo con la massima solennità dichiariamo a voi, Venerabili Fratelli, che la Nostra idea, la Nostra intenzione e la Nostra volontà è di conservare integri e inviolabili tutti i domini e i diritti di questa Santa Sede e di trasmetterli ai Nostri successori; che qualunque usurpazione, compiuta sia ora che prima, è ingiusta, violenta, vana e nulla e che tutte le azioni dei ribelli e degli invasori, sia quelle compiete finora, sia quelle che eventualmente si compiranno in futuro per consolidare tale usurpazione, fin da ora sono da Noi condannate, annullate, cassate e abrogate. – Dichiariamo inoltre, protestando innanzi a Dio e a tutto il mondo cattolico, che siamo tenuti in una prigionia tale che non possiamo esercitare sicuramente, tranquillamente e liberamente la Nostra suprema Autorità pastorale. Finalmente, uniformandosi al motto di San Paolo: “Che cosa ha a che fare la giustizia con l’ingiustizia? Qual società vi può essere tra la luce e le tenebre? Quale accordo tra Cristo e Belial? ” (II Cor. VI, 14-15), apertamente dichiariamo che Noi, memori del Nostro dovere e del solenne giuramento che Ci vincola, non acconsentiamo e non acconsentiremo mai a nessuna conciliazione che distrugga o diminuisca in qualche modo i diritti Nostri, e quindi di Dio e della Santa Sede; come pure Ci dichiariamo pronti, con l’aiuto della Grazia Divina, vecchi come siamo, a bere fino al fondo, per la Chiesa di Cristo, il calice che Egli stesso si degnò di bere per lei, a non aderire mai alle inique richieste che Ci si propongono e a non assecondarle mai. Diceva infatti il Nostro Predecessore Pio VII: “Far violenza a questo Supremo Impero della Sede Apostolica, separarne il potere temporale da quello spirituale, dissociare le funzioni di pastore e di principe, staccarle, distruggerle, non è altro che voler calpestare e rovinare l’opera di Dio, che danneggiare il più possibile la Religione, che privarla della più efficace difesa, così che il suo Sommo rettore Pastore e Vicario di Dio non possa portare ai Cattolici sparsi per tutta la terra e invocanti da lui aiuto e forza quei soccorsi che si esigono dalla sua spirituale potestà, la quale non deve essere intralciata da nessuno“.

Ma poiché i Nostri ammonimenti, domande e proteste, sono riusciti vani, Noi con l’autorità di Dio Onnipotente, dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e Nostra, dichiariamo a voi, Venerabili Fratelli, e per mezzo vostro a tutta la Chiesa, che tutti coloro che si distinguono per qualche dignità, anche degna di particolare menzione, che abbiano perpetrato l’invasione, l’usurpazione o l’occupazione di qualunque provincia del Nostro dominio e di quest’alma Città, e così pure i loro mandanti, fautori, collaboratori, consiglieri, seguaci o chiunque altro procuri con qualunque pretesto, in qualsiasi modo, o operi per se stesso l’esecuzione delle suddette scelleratezze, incorrono nella scomunica maggiore e nelle altre censure e pene ecclesiastiche inflitte dai Sacri Canoni, dalle Costituzioni Apostoliche e dai decreti dei Concili generali, soprattutto di quello di Trento, nella forma e nel tenore espressi nella sotto ricordata Nostra Lettera Apostolica del 26 Marzo 1860.

Poiché non dimentichiamo che occupiamo in terra il posto di Colui che venne a ricuperare e a salvare ciò che era perduto, niente desideriamo più che accogliere con paterno affetto i figli che avevano deviato e che ritornano a Noi; perciò, levando le mani al Cielo con umile cuore, mentre rimettiamo a Dio e gli raccomandiamo la giusta causa che è sua piuttosto che Nostra, lo preghiamo e lo supplichiamo per la sua profonda misericordia di assistere e di aiutare efficacemente Noi e la Sua Chiesa e pietoso e benevolo di fare in modo che i nemici della Chiesa pensino all’eterno danno che si vanno preparando, cerchino di placare prima del giorno della vendetta la sua formidabile giustizia e cambiando idea confortino il pianto della Santa Madre Chiesa e la Nostra tristezza. – Per poter conseguire dalla Divina Clemenza tanto notevole beneficio, vi esortiamo molto insistentemente, o Venerabili Fratelli, a congiungere unitamente ai fedeli a voi affidati le vostre fervide preghiere ai Nostri voti; e rivolgendoci tutti insieme al trono di Grazia e di misericordia facciamo intercedere l’Immacolata Vergine Maria Madre di Dio e i Beati Apostoli Pietro e Paolo. “La Chiesa di Dio dall’origine fino a questi tempi più volte fu torturata e più volte salvata. Sua è questa voce: spesso mi assalirono fin dalla giovinezza; non poterono nulla su di me. I peccatori fabbricarono sul mio dorso e prolungarono le loro malvagità. E neppure ora il Signore trascurerà lo sforzo dei peccatori più che la sorte dei giusti. Non è indebolita la mano di Dio e non è divenuta impotente a salvare. Anche in questa circostanza senza dubbio libererà la Sua sposa, Egli che la riscattò col Suo sangue, la dotò col Suo Spirito, la ornò di doni celesti e nello stesso tempo la arricchì di doni terreni“. – Frattanto, invocando i più abbondanti benefizi delle Celesti Grazie per voi, Venerabili Fratelli, e per tutti i fedeli ecclesiastici e laici affidati alla vostra vigilanza, come pegno del Nostro particolare affetto per voi, caldamente impartiamo dal più profondo del cuore l’Apostolica Benedizione a voi e ai Nostri diletti figli.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 1° novembre 1870, anno XXV del Nostro Pontificato.

PIO PP. IX

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: SS. LEONE XIII “JAMPRIDEM CONSIDERANDO”

Questa lettera Enciclica pone un’attenzione marcata sulla filosofia di S. Tommaso d’Aquino quale rigeneratrice del pensiero cattolico inquinato già all’epoca dalle nuove teologie gnostiche [Nouvelle heologie] che esploderanno purtroppo nel modernismo anti-cristiano – denunciato con vigore da S. Pio X – e poi deflagreranno con l’empio conciliabolo clerico-massonico del 1963-65 condensandosi nelle eretiche dottrine della setta del “Novus Ordo” vaticano, trappolone demoniaco inteso a catturare anime per trascinarle all’inferno. Brandelli di tomismo vengono ancora conservati, o meglio occultati, da istituzioni finto-religiose, tra le quali, vero abominio, vari istituti (apparentemente) domenicani che si dichiarano studiosi del tomismo, ma praticano in realtà e senza vergognarsi, il modernismo più abietto, con danni gravissimi per le anime dei fedeli e degli studiosi così ingannati. Per noi pusillus grex di Cattolici della Chiesa di Cristo “una cum” il Santo Padre Gregorio, successore dell’omonimo Giuseppe Siri, resta il dovere di approfondire, secondo le possibilità di ognuno, il pensiero dell’aquinate secondo le indicazioni di Jampridem considerando, e di eliminare totalmente ogni traccia di pensiero gnostico-modernista che ha inquinato nel passato anche le nostre menti ingannate dagli antipapi e prelati usurpanti susseguitisi dal 1958 in poi. Solo la meditazione e lo studio “accanito” delle opere di S. Tommaso, di cui Leone XIII realizzò un’edizione pressoché completa, potrà fornirci ancora una volta la chiave di lettura filosofico-teologica di tutto il Cattolicesimo, base per la comprensione della “vera” dottrina della Chiesa di Cristo, unica via e verità per giungere alla vita eterna.

Leone XIII
Iampridem considerando

Lettera

Già da gran tempo, per riflessione ed esperienza, abbiamo compreso che nulla vale a prontamente e felicemente estinguere, con il divino aiuto, l’atrocissima guerra ora mossa contro la Chiesa e la stessa umana società quanto il reintegrare ovunque, mercé le discipline filosofiche, i retti principi del comprendere e dell’operare. Perciò conviene sommamente far rifiorire in ogni parte del mondo la sana e genuina filosofia. A questo scopo abbiamo mandato recentemente a tutti i Vescovi dell’orbe cattolico una Lettera enciclica nella quale con molti argomenti abbiamo dimostrato non doversi cercare tale vantaggiosa soluzione se non nella filosofia cristiana prodotta ed accresciuta dagli antichi Padri della Chiesa: quella filosofia che non solo si accorda quanto mai con la fede cattolica, ma le porge anche opportuno ed idoneo aiuto di difesa e di luce. Abbiamo ricordato che tale filosofia, seme fecondo di grandi frutti nel volgere dei secoli, venne ricevuta quasi in retaggio da San Tommaso d’Aquino, sommo maestro degli Scolastici, e che nel darle ordine, nell’illustrarla ed accrescerla, l’acume e la virtù di quel sublime Intelletto rifulsero in tal modo che l’Angelico Dottore sembra abbia raggiunto il massimo della gloria per il suo nome. Con le più fervide parole delle quali eravamo capaci abbiamo poi esortato i Vescovi ad unire le loro forze alle Nostre affinché si adoperassero a rialzare quell’antica filosofia, ormai scossa e pressoché caduta, e a ridonarla alle scuole cattoliche ed a ricollocarla nell’onorato seggio che un giorno occupava. – Non Ci procurò poca consolazione apprendere che quella Nostra Lettera, con l’aiuto di Dio, incontrò dappertutto il deferente ossequio e il singolare consenso degli animi. Del che Ci porgono chiara testimonianza molte lettere di Vescovi a Noi pervenute, specialmente dall’Italia, dalla Francia, dalla Spagna e dall’Irlanda; esse Ci recano le espressioni di egregi sentimenti sia di persone singole, sia di gruppi della stessa provincia o della stessa nazione. Né è mancato il suffragio dei dotti, in quanto insigni Accademie di uomini eruditi si compiacquero dichiararci per iscritto intendimenti del tutto eguali a quelli dei sacri Pastori. – In tali lettere, poi, Ci torna oltremodo gradito l’ossequio prestato alla Nostra autorità e a questa Sede Apostolica; graditi Ci tornano i propositi e i giudizi espressi dagli scrittori. Una sola, infatti, è la voce di tutti; una sola è l’opinione: si nota e si indica con sicurezza in quella Nostra Lettera il luogo nel quale è riposta la radice dei mali presenti e donde debba derivare il rimedio. Tutti sono d’accordo nel ritenere che l’umana ragione, se si allontana dalla divina autorità della fede, è necessariamente travolta nei flutti del dubbio ed esposta ad imminenti pericoli di errore, e che facilmente uscirà da questi pericoli se gli uomini troveranno rifugio nella filosofia cattolica. Pertanto, Venerabile Fratello, è nei Nostri più caldi desideri che la dottrina di San Tommaso, conforme in modo assoluto alla fede, riviva quanto prima in tutte le Scuole cattoliche, e specialmente torni a fiorire in questa Città, capitale del cattolicesimo, la quale – appunto perché è sede del Pontefice Massimo – deve eccellere sulle altre per le migliori discipline. A questo si aggiunga che a Roma, centro dell’unità cattolica, convengono solitamente in gran numero da ogni paese i giovani per attingere meglio e più abbondantemente che altrove la vera ed incorrotta sapienza presso l’augusta cattedra del Beato Pietro. Conseguentemente, se da qui sgorgherà larga e copiosa la vena di quella cristiana filosofia di cui abbiamo detto, essa non resterà circoscritta nei confini di una sola città, ma simile a fiume in piena giungerà a tutti i popoli. – Quindi procurammo dapprima che nel Seminario Romano, nel Liceo Gregoriano, nell’Urbaniano e in altri Collegi soggetti tuttora alla Nostra autorità le discipline filosofiche, informate al concetto e ai principi del Dottore Angelico, vengano insegnate e coltivate con chiarezza, ampiamente e in profondità. E soprattutto vogliamo che la vigile cura e gli sforzi dei maestri si prefiggano quale scopo principalissimo di impartire gradevolmente e vantaggiosamente per i discepoli, spiegandole ed ampliandole, quelle ricchezze di dottrina che essi stessi avranno già raccolte con diligenza dai volumi di San Tommaso. – Ma oltre a ciò, affinché questi studi vigoreggino e fioriscano sempre più, si deve provvedere a che gli amanti della filosofia Scolastica si adoperino di continuo per farla apprezzare: soprattutto si organizzino in società e tengano di frequente adunanze nelle quali ciascuno rechi e volga a comune utilità il frutto dei propri studi. – Questi giudizi e questi Nostri concetti abbiamo voluto comunicare a Te, Venerabile Fratello Nostro che presiedi la Sacra Congregazione degli studi, confortati da sicura speranza che in un affare di tanto rilievo non Ci verranno meno la Tua operosità e la Tua prudenza. Tu non ignori certamente che le adunanze dei dotti, cioè le Accademie, furono come nobilissime palestre, nelle quali personaggi insigni per acuto ingegno e per dottrina non solo si esercitavano utilmente scrivendo e disputando delle cose della massima importanza, ma anche insegnavano ai giovani con grande vantaggio delle scienze. Da quest’ottima usanza ed istituzione di congiungere le forze e di radunare le intelligenze più vive presero origine quegli illustri Collegi di Dottori, alcuni dei quali si dedicavano collegialmente a diverse discipline, ed altri a singole scienze. – Sono ancora vive la fama e la gloria di quei Collegi i quali, col favore accordato dai Romani Pontefici per diverse ragioni, fiorirono ovunque nella nostra Italia: a Bologna, a Padova, a Salerno e altrove. Poiché tali adunanze di uomini raccoltisi volontariamente per la cultura e il lustro delle discipline umane giunsero a tanta lode e riuscirono di tanta utilità, e poiché sopravvive ancora larga parte di quella lode e di quella utilità, Noi intendiamo valerci dello stesso presidio per recare pienamente ad effetto il Nostro disegno. – Conseguentemente decidiamo di istituire in Roma un’Accademia la quale, insignita del nome e del patronato di San Tommaso d’Aquino, indirizzi gli studi e le attività a spiegare e ad illustrare le opere di lui; ne esponga i principi e li metta a confronto con quelli degli altri filosofi, antichi o recenti; dimostri la forza e le ragioni delle sue teorie; s’impegni a propagarne la salutare dottrina e si adoperi a confutare gli errori serpeggianti e ad illustrare i nuovi ritrovati. Pertanto a Te, Venerabile Fratello Nostro, del quale conosciamo i pregi dottrinari, il pronto ingegno, lo studio e la sollecitudine per tutto ciò che appartiene alle umane discipline, affidiamo il compito di eseguire il Nostro proposito. Per ora rifletti attentamente la cosa, e non appena avrai escogitato la soluzione che corrisponda ai Nostri concetti, la sottoporrai per iscritto alla Nostra valutazione, affinché possiamo approvarla e corroborarla della Nostra autorità. – Infine, perché più ampiamente si conosca e si diffonda la sapienza del Dottore Angelico, stabiliamo che nuovamente si pubblichino tutte le sue opere, secondo l’esempio lasciatoci dal Nostro Predecessore San Pio V, illustre per gloria d’imprese e per santità di vita, al quale toccò in sorte di vedere così felicemente compiuti i suoi voti, che gli esemplari di Tommaso editi per suo ordine siano ancora assai stimati presso i dotti e vengano ricercati con somma cura. Sennonché, quanto più rara diventa quell’edizione, tanto più si è cominciato a sentire il desiderio di una nuova che, per nobiltà ed eccellenza possa essere confrontata con la Piana. D’altronde, le altre edizioni, sia le antiche, sia le più recenti, o perché non offrono tutti gli scritti di San Tommaso, o perché non contengono i commenti dei migliori interpreti ed esegeti, o infine perché mostrano minore accuratezza formale, non sembra che abbiano raggiunto la perfezione. – Si nutre una certa speranza che a tale bisogno verrà provveduto con la nuova edizione, la quale comprenderà assolutamente tutti gli scritti del Santo Dottore, stampati con i migliori caratteri possibili ed emendati accuratamente. Ci si avvantaggerà anche del sussidio di codici manoscritti che in questa nostra età sono venuti alla luce e in uso. – Oltre a ciò, avremo cura che congiuntamente si pubblichino i lavori dei suoi più illustri interpreti, come Tommaso de Vio Cardinale Gaetano e il Ferrarese: lavori dai quali, come per rivi copiosi, scorre limpida la dottrina di un così grande uomo. Per la verità, sono presenti all’animo Nostro non solo la grandezza ma anche le difficoltà dell’impresa; nondimeno esse non giungono al punto di distoglierci dal mettere mano all’opera quanto prima e con grande alacrità. Infatti, in cosa di tanto rilievo, la quale riguarda in sommo modo il comune bene della Chiesa, nutriamo fiducia che Ci conforteranno il divino aiuto, il concorde impegno dei Vescovi e la prudenza e l’operosità tua, già sperimentate e da lungo tempo conosciute.

Intanto, come pegno della Nostra speciale dilezione, dall’intimo affetto del cuore impartiamo a Te, Venerabile Fratello Nostro, l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 15 ottobre 1879, anno secondo del Nostro Pontificato.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO IX – “BENEFICIA DEI”

Breve ma succosa enciclica la Beneficia Dei, scritta all’indomani della usurpazione di Roma e dei territori dello Stato della Chiesa, della precipitosa chiusura del Concilio ecumenico Vaticano e di altri avvenimenti funesti non solo per la Chiesa di Cristo, ma soprattutto per l’Italia, l’Europa ed il mondo cristiano intero. Ed il Pontefice non si limita ai danni materiali che sono ben poca cosa rispetto agli spirituali « … abbiamo anche un’altra amarezza, perfino superiore alle altre, nel vedere tanti figli ribelli, sottoposti a tante e tanto gravi censure, che, non preoccupandosi affatto della Nostra voce paterna, né della loro salvezza, continuano tuttora a disprezzare il tempo della penitenza offerto da Dio, e preferiscono superbamente sperimentare l’ira della divina vendetta piuttosto che il frutto della misericordia, fin che sono in tempo. » Sperimentare l’ira della divina vendetta …: facile profeta fu il Santo Padre. Perché l’ira si abbattè inesorabilmente sull’infame famiglia sabauda, fino alla cacciata dal regno usurpato, all’esilio inglorioso, irrevocabile e obbrobrioso di tutti i membri fino alle generazioni attuali ma certo, non è ancora terminata la rovina di questa famiglia che nel passato aveva goduto di infinite grazie spirituali e materiali, ricambiando il bene col male con l’aderire alle sette di perdizione alle quali si era prostituita per gettarsi rapace sui territori ed i beni della Chiesa. I codardi e sanguinari politici e militari “eroici” non ebbero una fine meno gloriosa ed una morte infelice portando alla rovina l’intera la Nazione ed alla morte precoce generazioni intere di giovani, precipitandole in guerre disastrose perse pure davanti a popoli armati di lance e coltelli, scudi di pelle, di mani nude o di niente. Giustizia divina che colpisce ancora oggi che le sette di perdizione hanno invaso e dirigono tutto, governo, amministrazioni, finanche una falsa chiesa-sinagoga che uccide irrimediabilmente milioni di anime gettandole nel fuoco eterno. Cosa può esserci di più grave per un popolo che l’accecamento spirituale che lo porta, attraverso lo scisma, l’eresia, l’apostasia, l’adesione ad una setta apparentemente cattolica, ad un culto demoniaco spacciato come divino, nello stagno di fuoco eterno? Cosa resterà a questi poveri sciacalli una volta finiti nella fornace ardente? … l’orgoglio che li ha uccisi in vita ed in morte. Dopo le guerre, le bombe, gli attentati, la schiavitù a potenze straniere, oggi paghiamo il prezzo più alto per questi delitti infami e l’apostasia dalla fede, lo paghiamo e pagheremo ancor più, anche per aver cacciato prima, ed occultato poi il Vicario di Cristo in terra. Basta una sola eresia per finire all’inferno, Dio ci ha punito con il modernismo … la somma di tutte le eresie, e senza che nessuno se ne accorga.. Terribile è finire tra le mani del Dio vivente … e noi italiano lo stiamo sperimentando alla grande…

S. S. Pio IX
Beneficia Dei

I benefici di Dio Ci chiamano a celebrare la sua benignità, mentre manifestano una nuova grazia della sua protezione verso di Noi e la gloria della sua maestà. Infatti già volge al termine il venticinquesimo anno da quando, per disposizione divina, assumemmo l’incarico di questo Nostro Apostolato, le cui travagliate circostanze sono talmente conosciute da Voi da non aver bisogno di un più lungo ricordo da parte Nostra. È evidentissimo, Venerabili Fratelli, per una serie di tanti avvenimenti, che la Chiesa militante seguita il suo cammino fra frequenti lotte e vittorie; davvero Dio guida lo svolgimento delle cose e domina sul mondo, che è lo sgabello dei suoi piedi; davvero si serve spesso di strumenti deboli e spregevoli per compiere con essi i disegni della sua sapienza.

Nostro Signore Gesù Cristo, fondatore e supremo reggitore della Chiesa, che acquistò col suo sangue, con l’ausilio dei meriti del Beatissimo Pietro, Principe degli Apostoli, che sempre vive e presiede in questa Sede Romana, si è degnato di sorreggere e di sostenere, in questo lungo periodo del Nostro Apostolico servizio, la Nostra debolezza e pochezza, con la sua grazia e la sua forza, a maggior gloria del suo Nome e per l’utilità del suo popolo. Così Noi, sostenuti dal suo divino aiuto e servendoci costantemente dei consigli dei Nostri Venerabili Fratelli Cardinali di Santa Romana Chiesa, e più volte anche dei vostri, Venerabili Fratelli, che insieme foste presenti con Noi qui a Roma in gran numero, adornando questa Cattedra della verità con lo splendore della vostra virtù e dell’unanime pietà, abbiamo potuto nel corso di questo Pontificato, seguendo i desideri Nostri e di tutto il mondo cattolico, proclamare con definizione dogmatica l’Immacolata Concezione della Vergine Genitrice di Dio e decretare gli onori celesti a molti eroi della nostra Religione, l’aiuto dei quali, e soprattutto della divina Madre, non dubitiamo che sarà pronto per la Chiesa cattolica in tempi tanto avversi. Fu anche in virtù della forza e della gloria divina che potemmo portare la luce della vera fede in regioni lontane e inospitali, mandandovi gli operai evangelici; potemmo costituire l’ordine della Gerarchia ecclesiastica in molti luoghi e bollare con solenne condanna gli errori (forti specialmente in questo tempo), contrari all’umana ragione, ai buoni costumi e alla società tanto cristiana che civile. Sempre con l’aiuto di Dio, procurammo, per quanto potevamo, che la potestà ecclesiastica e la civile, sia in Europa, sia in America, fossero congiunte con un fermo e solido vincolo di concordia; cercammo di provvedere alle molteplici necessità della Chiesa Orientale, che sempre guardammo con paterno affetto fin dall’inizio del Nostro Apostolico ministero; recentemente Ci fu concesso di promuovere ed iniziare il Concilio Ecumenico Vaticano, di cui tuttavia, per le notissime vicende, dovemmo decretare la sospensione, quando i frutti maggiori in parte erano stati raccolti e in parte erano attesi dalla Chiesa. – E neppure, Venerabili Fratelli, mai tralasciammo di eseguire, con l’aiuto di Dio, ciò che richiedevano il diritto e il dovere della Nostra potestà civile. Le congratulazioni e gli applausi, come ricordate, che accolsero gli inizi del Nostro Pontificato, si trasformarono in breve tempo in ingiurie e assalti, così da costringerci a fuggire da questa Nostra dilettissima Città. Ma quando, ad opera degli sforzi comuni dei popoli cattolici e dei Principi, fummo restituiti a questa Sede Pontificia, mettemmo continuamente tutte le Nostre forze e il Nostro impegno per promuovere e assicurare ai Nostri fedeli sudditi quella prosperità solida e non fallace che sempre riconoscemmo come fondamentale compito del Nostro Principato civile. Ma poi, l’avidità di un Potente vicino desiderò ardentemente le regioni del Nostro potere temporale, antepose ostinatamente i consigli delle sette della perdizione alle Nostre paterne e ripetute ammonizioni e ai Nostri richiami; ultimamente, come vi è noto, superata di gran lunga l’impudenza di quel Figliol Prodigo di cui leggiamo nel Vangelo, espugnò con la forza delle armi anche questa Nostra città, che voleva per sé, e la tiene adesso in suo potere, contro ogni diritto, come cosa che gli appartenga. Non può accadere, Venerabili Fratelli, che non siamo molto scossi per questa usurpazione tanto empia che subiamo. Siamo completamente angosciati per l’enorme iniquità di un disegno che mira, distrutto il Nostro potere temporale, a che siano distrutti, con la medesima operazione, la Nostra potestà spirituale e il Regno di Cristo in terra, se ciò potesse avvenire. Siamo angosciati dalla visione di tanti gravi mali, specialmente di quelli che mettono in pericolo la salvezza eterna del Nostro popolo: in questa amarezza la cosa per Noi più dolorosa è il non potere, a causa della Nostra libertà conculcata, adoperare i rimedi necessari contro tanti mali. A queste cause della Nostra afflizione, Venerabili Fratelli, si aggiunge anche quella lunga e miserevole serie di calamità e di mali che per tanto tempo percossero e afflissero la nobilissima Nazione Francese; serie di mali aumentata smisuratamente in questi giorni per i tanti inauditi eccessi commessi da una efferata e sfrenata moltitudine, come l’atroce delitto dell’empio parricidio consumato con l’esecuzione del Venerabile Fratello Vescovo di Parigi; ben capite quali sentimenti devono suscitare in Noi tali delitti, che hanno riempito il mondo intero di paura e di orrore. Infine, Venerabili Fratelli, abbiamo anche un’altra amarezza, perfino superiore alle altre, nel vedere tanti figli ribelli, sottoposti a tante e tanto gravi censure, che, non preoccupandosi affatto della Nostra voce paterna, né della loro salvezza, continuano tuttora a disprezzare il tempo della penitenza offerto da Dio, e preferiscono superbamente sperimentare l’ira della divina vendetta piuttosto che il frutto della misericordia, fin che sono in tempo. – Ma ormai, attraverso tante vicissitudini, con la protezione di Dio clementissimo, vediamo giunto il giorno anniversario della Nostra esaltazione al Soglio pontificio nel quale – come succedemmo nella Sede di San Pietro, benché infinitamente inferiori ai suoi meriti – risultiamo essergli uguali nella durata del servizio Apostolico. Questo è davvero un nuovo, singolare e grande dono della divina bontà, concesso dalla volontà di Dio solo a Noi, in un così lungo elenco di santissimi Nostri Predecessori per il lungo periodo di diciannove secoli. Anche in questo riconosciamo una più ammirabile benevolenza divina verso di Noi, quando vediamo che in questo tempo Noi siamo stati considerati degni di patire persecuzione per la giustizia, e quando osserviamo quel meraviglioso affetto di devozione e di amore che anima potentemente il popolo cristiano su tutta la terra, e lo spinge con unanime sentimento a questa Santa Sede. Poiché questi doni furono conferiti a Noi così immeritevoli, impegniamo tutte le Nostre deboli forze per esprimere il Nostro ringraziamento nel debito modo. Perciò, mentre chiediamo all’Immacolata Vergine Madre di Dio che ci insegni, con il suo medesimo spirito, a rendere gloria all’Altissimo con quelle sublimi parole “Grandi cose fece in me l’Onnipotente“, preghiamo istantemente anche Voi, Venerabili Fratelli, ad elevare con Noi a Dio, insieme alle greggi a Voi affidate, cantici ed inni di lode e di ringraziamento. “Magnificate il Signore con me“, diciamo con le parole di Leone Magno, ed esaltiamo il suo nome a vicenda, affinché tutte le grazie e le misericordie che ricevemmo, tornino a lode del loro autore. Comunicate poi ai vostri popoli il Nostro ardente amore e i gratissimi sentimenti del Nostro animo per le loro bellissime testimonianze di pietà filiale verso di Noi e per i doveri compiuti così a lungo e con tanta perseveranza. Noi infatti, per quanto Ci riguarda, potendo usurpare a buon diritto le parole del Vate del Re “Il mio abitare è stato prolungato“, con l’aiuto delle vostre preghiere ormai desideriamo questo, cioè conseguire la forza e la fiducia di rendere la Nostra anima al Principe dei Pastori, nel cui seno sono il refrigerio ai mali di questa vita turbolenta e travagliata e il beato porto dell’eterna tranquillità e della pace. – Perché poi torni a maggior gloria di Dio quanto per sua benevolenza si aggiunse ai benefici del Nostro Pontificato, aprendo in questa occasione il tesoro delle grazie spirituali, diamo a Voi, Venerabili Fratelli, la potestà, ciascuno nella propria Diocesi, d’impartire la Benedizione Papale con annessa indulgenza plenaria, come usa fare la Chiesa, con la consueta Nostra autorità Apostolica, il sedici o il ventuno di questo mese o in altro giorno a vostra scelta. Desiderando poi provvedere al bene spirituale dei fedeli, con la presente lettera concediamo nel Signore che tutti i Cristiani, tanto secolari che regolari di entrambi i sessi, in qualunque luogo della vostra Diocesi si trovino, i quali, purificati dalla Confessione sacramentale e nutriti della santa Comunione, eleveranno a Dio devote preghiere per la concordia dei Principi cristiani, l’estirpazione delle eresie e l’esaltazione della Santa Madre Chiesa nel giorno che voi avrete designato o scelto per impartire la predetta Benedizione per Nostra autorità (oppure, nelle Diocesi in cui sia vacante la Sede Episcopale, i Vicari Capitolari del tempo avranno scelto o designato) possano ottenere l’indulgenza plenaria di tutti i loro peccati. Non dubitiamo affatto che in questa occasione il popolo cristiano sia stimolato con maggiore efficacia a pregare, e così per le preghiere moltiplicate meritiamo di ottenere quella misericordia che la visione di tanti mali presenti non Ci permette d’invocare celermente. – Per Voi nel frattempo, Venerabili Fratelli, chiediamo a Dio Onnipotente costanza, speranza celeste e ogni consolazione, e di queste cose vogliamo che sia auspicio e testimonianza della Nostra particolare benevolenza la Benedizione Apostolica, che impartiamo con tutto il Nostro cuore a Voi, al Clero e al popolo affidato a ciascuno di Voi.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 4 giugno, giorno sacro alla Santissima Trinità, dell’anno 1871, venticinquesimo del Nostro Pontificato.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. LEONE XIII – “LICET MULTA”

Questa breve lettera Enciclica di S. S. Leone XIII è rivolta all’Arcivescovo di Malines in particolare, e a tutti i prelati del Belgio in generale, onde siano esortati all’opera educativa dei giovani Cattolici di ogni età, opera peraltro, già intrapresa con lode. Il consiglio più importante che viene dato, tra gli altri, è quello di rifarsi ampiamente alla dottrina di S. Tommaso d’Aquino, per formare le menti dei fedeli, in particolare dei giovani ed ancor più dei chierici. Oggi pure, tempo in cui trionfa l’empietà delle scuole moderniste, di stampo eretico-protestante, è indispensabile a tutti, grandi e piccoli, istruiti o meno, conoscere ed approfondire il pensiero lucido ed illuminato dell’aquinate, per ritornare al retto pensiero filosofico-teologico cattolico a tutti i livelli, affinché si recuperi la vera fede e l’applicazione morale e sociale di essa per raggiungere l’eterna vita ea pace sociale. Una delle chiavi usate dalle sette di perdizione per entrare ed usurpare i palazzi apostolici e negli edifici cattolici, in particolare i seminari, è stata proprio quelle di ridimensionare drasticamente lo studio delle opere di s. Tommaso, sostituito da vacue filosofie agnostiche e pseudo-teologie moderniste, cioè lutero-calviniste e gnostiche, opportunamente camuffate, fatte passare per cattoliche agli ignari studenti e fedeli così ingannati da volponi corrotti e servi del “nemico”.


Leone XIII
Licet multa

Lettera Enciclica

Sebbene in questi ultimi tempi siano accaduti in Belgio molti fatti funesti per il Cattolicesimo, che hanno procurato un profondo dolore all’animo Nostro, tuttavia abbiamo trovato sollievo e consolazione nelle molte testimonianze di fede e di tenace amore a Noi offerte dai Cattolici belgi tutte le volte che se ne presentava l’occasione. Particolarmente Ci hanno rianimato e Ci rianimano la Vostra buona disposizione verso di Noi e il Vostro impegno assiduo per far sì che il popolo a Voi affidato perseveri nella purezza e nell’unità della fede cattolica, e cresca ogni giorno di più nell’amore verso la Chiesa e il Vicario di Cristo. È giusto soprattutto attribuire a Vostra lode l’attività che con ogni zelo dedicate all’ottima educazione della gioventù, provvedendo che fin dalle scuole elementari sia trasmessa agli adolescenti la dottrina religiosa. Né con minore impegno Vi adoperate in modo che tutto concorra alla educazione cristiana nei Ginnasi, nei Licei e nella stessa Università degli studi di Lovanio.

Nondimeno, in questa situazione, gli eventi che presso i Belgi sembrano costituire un pericolo per la concordia dei Cattolici e che tentano di orientarli in direzioni opposte non Ci consentono di essere tranquilli e sicuri. Pertanto è superfluo a questo punto ricordare quali siano state le antiche e recenti cause dei dissidi, le occasioni, gli incitamenti che provenivano anche da dove non sembrava di doverli attendere: Voi, diletto Figlio Nostro e Venerabili Fratelli, prima di altri comprendete questi fatti e con Noi deplorate (ben sapendo quanto sia necessario, come in nessun altro momento, conciliare e preservare la concordia tra tutti i Cattolici) l’impeto unanime con cui i nemici del nostro nome di Cristiani assalgono la Chiesa da ogni lato. – Pertanto, solleciti nel proteggerla, esortiamo a trascinarla il meno possibile in controversie di diritto pubblico che di solito, presso di voi, agitano profondamente gli animi; esse riguardano infatti la necessità o la opportunità di conformare alla norma della dottrina cattolica le recenti forme di governo, fondate (come dicono) sui principi di un nuovo diritto. Senza dubbio Noi stessi, primi fra tutti, vivamente desideriamo che la società umana sia ordinata secondo l’etica cristiana e che tutte le istituzioni civili siano penetrate e pervase dalla divina virtù di Cristo. Che tale fosse il Nostro proposito rendemmo subito manifesto, fin dagli esordi del Nostro Pontificato, con pubblici documenti a stampa, soprattutto poi con Lettere Encicliche che divulgammo contro gli errori del socialismo e, di recente, sul potere politico. Tuttavia, tutti i Cattolici, se vorranno adoperarsi utilmente per il bene comune, tengano presente e seguano fedelmente nell’agire un meditato criterio, quale la Chiesa suole adottare in tali circostanze. Essa infatti, sebbene con inalterabile fermezza tuteli l’integrità delle celesti dottrine e i principi di giustizia, e usi ogni energia affinché gli stessi principi regolino gli atti privati, le pubbliche istituzioni e i costumi, tuttavia ha una giusta cognizione degli eventi, dei luoghi e dei tempi; e spesso, come di solito accade nelle vicende umane, è costretta a tollerare certi mali che non possono essere rimossi a fatica, e neppure a fatica, senza che si dia luogo a mali e a sconvolgimenti più gravi. – Occorre inoltre evitare, quando si affrontano controversie, di oltrepassare i limiti prescritti dalle leggi di giustizia e di carità, o di accusare avventatamente o di rendere sospette persone peraltro dedite alle dottrine della Chiesa, e soprattutto quelle che nella Chiesa eccellono per dignità e potere. Ci rammarichiamo appunto che ciò sia toccato a te, diletto Figlio Nostro che governi la Chiesa di Malines con l’autorità di Arcivescovo, e che per i tuoi egregi meriti verso la Chiesa, e per lo zelo nel difendere la dottrina cattolica, sei stato ritenuto degno dal Predecessore Nostro Pio IX di felice memoria, di essere accolto nel Collegio dei Padri Cardinali. È evidente che questa leggerezza di ridurre il prestigio altrui attribuendo false accuse, allenta i vincoli del mutuo amore, reca ingiuria a coloro che “lo Spirito Santo pose, come Vescovi, a reggere la Chiesa di Dio”: pertanto desideriamo e severamente esortiamo tutti i Cattolici ad astenersi da un simile comportamento. Ad essi basti sapere che alla Sede Apostolica e al Romano Pontefice, al quale tutti possono sempre rivolgersi, è stato affidato l’incarico di difendere ovunque le verità cattoliche e di vigilare perché nella Chiesa non serpeggi o si diffonda ciò che si oppone alla dottrina sulla fede e sulla morale o appare in contrasto con essa. – Per quanto riguarda Voi, diletto Figlio Nostro e Venerabili Fratelli, con sommo zelo impegnatevi in modo che tutti i dotti, e tra essi soprattutto coloro che hanno ricevuto da Voi l’incarico di educare la gioventù, abbiano piena unità di pensiero e di convinzioni circa quei principi sui quali l’autorità della Sede Apostolica non lascia libertà di dissentire. Ma sulle questioni che consentono un libero dibattito tra persone colte, si esercitino pure gli intelletti, persuasi e consigliati da Voi in modo che la diversità delle opinioni non infranga l’unità degli animi e la concordia delle volontà. Su questo argomento, precetti ricolmi di sapienza e di severità trasmise ai dotti il Predecessore Nostro Papa Benedetto XIV, di immortale memoria, nella Costituzione Sollicita ac provvida; anzi, come esempio da imitare propose San Tommaso d’Aquino che usa sempre uno stile pacato e un linguaggio pieno di decoro, non solo quando insegna e correda la verità di validi argomenti, ma anche quando insegue e incalza gli avversari. Siamo lieti di raccomandare nuovamente ai dotti i precetti del Nostro Predecessore e di offrire lo stesso esempio, da cui non solo imparino come ci si deve comportare con gli avversari, ma anche sappiamo quale dottrina, tra le discipline filosofiche e teologiche, occorre tramandare e coltivare. Non una sola volta, diletto Figlio Nostro e Venerabili Fratelli, Vi abbiamo manifestato tutto il Nostro desiderio che la sapienza di San Tommaso sia reintrodotta nelle scuole cattoliche e sia tenuta ovunque nel massimo onore. Fummo anche promotori con Voi della istituzione di un magistero, conforme al pensiero di San Tommaso, nell’Accademia di filosofia superiore in Lovanio; e in questo progetto, come anche in tutte le altre iniziative, constatammo che eravate prontissimi ad esaudire i Nostri desideri e a fare la Nostra volontà. Pertanto, insistete nelle imprese iniziate e vigilate assiduamente affinché nella stessa Accademia le copiose fonti della filosofia cristiana, che sgorgano dalle opere di San Tommaso d’Aquino, si riversino con larga e ricca vena sugli uditori e siano condotte a fecondare tutte le altre discipline. In questa opera non permetteremo mai che Vi vengano a mancare né il consiglio né l’intervento Nostro, qualora occorressero. – Frattanto imploriamo da Dio, fonte di sapienza, promotore di pace e amante della carità, un aiuto adeguato alle necessità e invochiamo su tutti abbondanza di doni celesti. Come auspicio di essi e come testimonianza della Nostra particolare benevolenza, impartiamo a Voi, diletto Figlio Nostro e Venerabili Fratelli, unitamente a tutto il Clero e al popolo affidato alle Vostre cure, con molto affetto, l’Apostolica Benedizione nel nome del Signore.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 3 agosto 1881, anno quarto del Nostro Pontificato.

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO VI – “UBI LUTETIAM”

Questo documento apostolico ha una grande importanza oggi, così come all’epoca, poiché di infiltrati falsi prelati nella Chiesa, almeno in quella apparente, ce n’è a iosa, a cominciare da tutti i falsamente consacrati dai riti sacrileghi e blasfemi di G B. Montini (sedicente Paolo VI), per passare ai fallibilisti gallicani di Ecône senza giurisdizione alcuna e privi di missione canonica, e finire poi nell’arcipelago sedevacantista, luogo variegato popolato da personaggi autoreferenti privi di tutto, ordine, missione, giurisdizione, e nel mondo scismatico dei cani sciolti in talare, girovaganti in cerca di prede da divorare, non solo spiritualmente, ma pure materialmente nei loro beni. Allora c’era un’Autorità liberamente operante che poteva rimuovere censure ed infrazioni varie, ma oggi, che i poteri infernali delle conventicole di perdizione, hanno operato un’eclissi della vera Autorità Apostolica, l’unica che ha potere di rimuovere, come dicevamo, censure o rimettere debiti canonici, per questi poveri disgraziati non resta che fare una dura penitenza per chiedere a Dio, una volta pentiti dei propri misfatti, la grazia di incontrare un delegato pontificio (della vera Chiesa eclissata) capace di assolverli da censure e peccati, possibilmente non in articulo mortis, e far ritorno all’ovile della Chiesa Cattolica, l’unica in cui ci si possa salvare in eterno. Invece la maggior parte di questi poveracci non fa che combattere ancor più la verità evangelica, teologica, canonica, accumulando ogni giorno, in ogni loro atto – come ricorda opportunamente il Sommo Pontefice Pio VI – peccato su peccato, sacrilegio su sacrilegio e coinvolgendo oltretutto i malcapitati loro fedeli settari. Situazione veramente drammatica, nella quale si coglie in pieno la drammatica conseguenza della parola dell’Apostolo delle genti ai fedeli di Tessalonica (2 Tess.: II, 10-11): … mittet illis Deus operationem erroris ut credant mendacio, ut judicentur omnes qui non crediderunt veritati, sed consenserunt iniquitati.

Pio VI
Ubi lutetiam

1. Quando giunse a Parigi l’indulto apostolico relativo ad alcune facoltà straordinarie che Noi concedemmo il 19 marzo scorso a tutti gli Arcivescovi, ai Vescovi e agli amministratori di diocesi di Francia, subito i vostri confratelli abitanti in quella città, che avevano ottenuto quell’indulto a nome di tutto il corpo episcopale, capirono agevolmente che fra le facoltà a loro concesse era stata omessa quella di assolvere gli ecclesiastici estranei e, pensando che questo preciso particolare fosse dovuto ad una dimenticanza, si rivolsero di nuovo a Noi per chiederci che includessimo in una nuova formula anche questa facoltà.

2. Subito dopo i vostri confratelli dichiararono di non sapere se alla facoltà compresa nel primo articolo dello stesso indulto, cioè quella di assolvere chiunque da tutte le censure, sia laici, sia ecclesiastici secolari e regolari dei due sessi, e anche quelli che avevano aderito allo scisma e che avevano prestato giuramento civile perseverando in esso più dei quaranta giorni fissati nella lettera apostolica del 13 aprile dello scorso anno per non incorrere nella sospensione a divinis, fosse aggiunto il potere di assolvere anche gli ecclesiastici intrusi, il crimine dei quali è superiore al delitto di quelli che si sono vincolati soltanto con il giuramento civico e dei quali si è fatta menzione specifica in quell’articolo.

3. In questa incerta situazione, i Vescovi, con devota e scrupolosa cura, dichiararono di non pretendere affatto di superare i limiti delle facoltà loro attribuite, però, ricorrendo di nuovo a Noi per eliminare ogni motivo d’incertezza, Ci fecero capire che desideravano ardentemente che ai Vescovi fosse concessa la facoltà di riottenere per gli intrusi la grazia della Chiesa e di assolverli da ogni condanna, giacché questa facoltà non solo non costituirebbe alcun pericolo, ma potrebbe invece essere di grande utilità per la religione.

4. Questo vostro comportamento, diletti figli Nostri e Venerabili Fratelli è sicuramente degno del più grande apprezzamento, che Noi manifestiamo come già facemmo in altra occasione. Pertanto, pronti e ben disposti ad assecondare le vostre petizioni in tutto ciò che riterremo possa giovare al Signore, siamo venuti nella determinazione di investirvi di un nuovo più ampio potere che corrisponda ai vostri lodevoli intendimenti e contemporaneamente soddisfi alle regole canoniche e alle consuetudini della Chiesa.

5. È tuttavia necessario, prima di ogni cosa, considerare che da ciò che avete puntualmente appreso da Noi nella prima e nella seconda occasione, è evidente che fra le facoltà contenute nell’indulto generale Noi non intendevamo affatto includere quella di assolvere gli ecclesiastici intrusi. L’omissione di questa facoltà non può essere riferita a una dimenticanza. Infatti, rivedendo personalmente la Nostra lettera del 13 aprile 1791, nella quale si faceva menzione non solo del delitto di prestato giuramento civile, ma si era anche parlato dell’altro crimine del quale si erano macchiati gli invasori delle sedi vescovili e parrocchiali, non Ci potevano sfuggire gli aspetti pertinenti sia al primo che al secondo delitto. Se nel primo articolo citato fu da Noi ricordato chiaramente l’uno, e passato sotto silenzio l’altro, si può benissimo arguire che la concessione riguardava il caso di cui avevamo parlato e che quello passato sotto silenzio era riservato unicamente a Noi.

6. D’altra parte non lo cederemo mai ad altri, ma riserveremo solo a Noi il potere di assolvere gl’intrusi; il principale motivo senza dubbio è quello che fra l’una e l’altra infamia si frappone quel divario che è stato avvertito dai vostri stessi confratelli e che è evidente agli occhi di tutti. In realtà, per quanto sia grave il delitto imputato a quelli che, mettendo in mezzo anche il vincolo della Religione, si obbligarono ad osservare una costituzione che, stando al parere di tutto il corpo episcopale francese, così come alla Nostra solenne dichiarazione, è in parte eretica e in parte scismatica, tuttavia un’infamia molto maggiore e ben più grave è perpetrata da chi, deliberatamente e consapevolmente, si accinge ad eseguire ciò che aveva promesso sotto giuramento (cioè sacrilegamente o consacrato secondo il rito, se vescovo; sacrilegamente od ordinato secondo il rito, se prete) ed esercita così una missione e un’autorità illegittime e invade le chiese vescovili o parrocchiali; a tal punto separato da questa Sede Apostolica e dai Vescovi legittimi, accumula giorno per giorno, con velocità inaudita, tanti peccati quanti sono gli atti che compie secondo una giurisdizione illegittima; profana inoltre i più alti Sacramenti; induce miseramente le popolazioni nell’errore; porta nel regno una nuova chiesa costituzionale diversa dalla Chiesa di Gesù Cristo, sia nella sostanza che nelle leggi e nel nome; infine traccia di propria mano un’amplissima strada allo scisma.

Per rimuovere questo stato di cose, era giusto e doveroso ricorrere alla Santa Sede come quella che più di ogni altro subisce ingiustizia, e che può inoltre usare le opportune misure d’indulgenza che non si potrebbero facilmente e regolarmente applicare se la facoltà di assolvere fosse affidata all’arbitrio di molti.

7. Certamente non vi è ignoto, Venerabili Fratelli, quanta severità usava la Chiesa contro i responsabili di tali delitti. Facendo in ogni caso attenzione alla diversità esistente fra quelli che per loro sfortuna discendevano da genitori eretici o scismatici e quelli che, nati da genitori cattolici, passavano volontariamente dalla parte degli eretici, di fronte a quelli nati nell’eresia e nello scisma e a quelli diventati eretici e scismatici, sempre trattò questi ultimi molto più duramente in quanto considerati maggiormente responsabili. Questa severità di comportamento è stata rivolta in modo ancor più rigido contro gli ecclesiastici, tanto che conosciamo le minacce che furono fatte contro di loro, cioè che se qualcuno si fosse rivolto intenzionalmente ad un eretico e ne avesse ricevuto l’ordinazione, sarebbe stato respinto dalla Chiesa.

8. Questa severissima regola della Chiesa ci è ricordata da Sant’Innocenzo I. Scrivendo a Rufo e agli altri Vescovi della Macedonia, egli insegna che il Vescovo o il chierico ordinato nell’eresia o nello scisma o anche che vi sia caduto in seguito, può usufruire solo della comunione laica, secondo le antiche regole che, tramandate dagli Apostoli e dai loro discendenti, la Chiesa Romana custodisce. Anche se i Padri del primo Concilio di Nicea, usato un certo riguardo verso i Novaziani, concessero benevolenza al canone ottavo stabilendo che se i chierici fossero tornati alla Chiesa avrebbero continuato a far parte del clero, e chi era considerato Vescovo nella sua comunità avrebbe mantenuto l’incarico di prete, sempre che al vero Vescovo non fosse piaciuto confermargli la dignità della carica, tuttavia stabilirono che, prima di tutto, avrebbero dovuto, con argomenti più che convincenti, sconfessare il loro errore; inoltre decretarono che da loro fossero rispettate alcune regole, e cioè, in primo luogo: riconoscere, accogliere e seguire tutte le disposizioni e i dogmi della Chiesa cattolica e apostolica; in secondo luogo: riguardo a quelli che nel corso della persecuzione continuarono a cadere in errore fossero osservati gli spazi fissati e i tempi stabiliti per fare la prova del loro ravvedimento, cioè quei quattro gradi di penitenza che, secondo le norme allora vigenti, dovevano precedere la riconciliazione e la riammissione ai Sacramenti; infine, che abbandonassero le chiese occupate e le lasciassero ai legittimi Vescovi. È infatti cosa certa, come dissero i già citati Padri, che solo al Vescovo titolare deve essere riconosciuta la dignità vescovile e che nella stessa città non possono coesistere due vescovi.

9. Quando Rufo, Vescovo di Tessalonica, volle ricevere, in forza di questo canone di Nicea, i chierici ordinati dai Vescovi Fotiniani e, al riguardo, chiese consiglio a Sant’Innocenzo I, il Pontefice rispose: “Posso dire che questa prescrizione si riferisce solo ai Novaziani e che non può riguardare gli altri chierici eretici. Infatti, se avessero voluto comprendere tutti, avrebbero aggiunto ai Novaziani gli altri eretici pentiti per farli riammettere nel loro ordine“.Senza dubbio il Santo Pontefice, in questa occasione, stabilì che non si può presentare con caratteristiche generali un condono applicato una volta tanto, ed è abbastanza evidente che fu quasi un atto amministrativo “come rimedio e necessità del momento“.

10. Non fu diversa l’opinione di San Girolamo. Infatti, parlando al Sinodo di Rimini dei Vescovi caduti in errore, dichiarò che essi, spogliati delle prerogative episcopali, dovessero essere riportati allo stato laicale per piangere in eterno sul loro delitto. Tuttavia il Santo Dottore osservava che si poteva moderare alquanto questo rigore. Perché tale clemenza fosse accompagnata da regole precise, nel Sinodo di Alessandria, al quale intervennero S. Atanasio, S. Ilario di Poitiers S. Eusebio di Vercelli, si ritenne di stabilire che verso i principali delitti e i relativi responsabili, dei quali non si poteva scusare l’errore, si conservasse intatta l’antica regola e che gli altri pentiti sinceri si potessero associare alla Chiesa. Tutta la Chiesa Romana Occidentale diede il suo consenso, come conferma lo stesso San Girolamo.

11. Non ci discosteremo minimamente dall’equità e dall’indulgenza, accettate in seguito dalla Chiesa, se, rispondendo alla vostra domanda generica sulla facoltà di assolvere gli intrusi, distingueremo i preti e gli altri ecclesiastici di ordine inferiore dagli Arcivescovi e dai Vescovi di ordine superiore. Ai preti e agli altri ecclesiastici, in quanto spetti, da Noi inclusi nella quarta e quinta classe della lettera apostolica del 19 marzo scorso, concediamo per un anno, a ciascuno, diletti figli Nostri e Venerabili Fratelli, la facoltà di assolvere direttamente o per mezzo di preti da voi incaricati, tutti coloro che, ordinati sia illegittimamente, sia legittimamente, occuparono un’intera parrocchia o anche una sola parte e, delegati da Vescovi intrusi, vi esercitarono atti ufficiali, e di riportarli in seno alla Chiesa di modo che, rispettando l’indulgenza del predetto canone ottavo del Concilio di Nicea, possano rimanere nel clero.

12. E perché tali assoluzioni non siano elargite inconsultamente o non siano discordanti tra loro. Ci uniformeremo al suddetto Concilio di Nicea e ai principi più favorevoli della disciplina ecclesiastica: ordiniamo che nessuno degli intrusi sia assolto se prima non abbia sconfessato per iscritto il giuramento civico e gli errori contenuti nella Costituzione civile del clero francese e non abbia dichiarato specificamente che le ordinazioni ricevute o concesse dagli intrusi sono sacrileghe, che l’autorità da loro conferita non è valida, che l’intrusione è iniqua e nulla, così come gli atti che ne sono derivati, e non abbia promesso con giuramento di obbedire a questa Sede Apostolica e ai legittimi Vescovi, e infine che abbia realmente rinunciato alla parrocchia o alla parte di essa occupata; rinuncia e abdicazione debbono essere pubbliche così come fu pubblica la colpa, imponendo a ciascuno di essi “secondo ciò che suggeriranno il sentimento e la saggezza – come dicono i Padri Tridentini – delle soddisfazioni salutari e adatte alla qualità del delitto e alla condizione dei penitenti“, in sostituzione dei gradi della penitenza pubblica che, vigente al tempo del Concilio di Nicea, è stata più tardi mitigata dalla benevolenza della Chiesa. Riserviamo a Noi la facoltà di permettere, a quelli che saranno assolti, di avere e di conservare i benefici e le parrocchie da loro occupati e posseduti illegalmente.

13. Mentre vi concediamo questa più ampia facoltà di assolvere anche gli ecclesiastici di ordine inferiore dall’infame sacrilegio dell’intrusione, per la verità non possiamo non rivolgerci ancora paternamente a voi e a quei tali ecclesiastici. A voi, ripetiamo, affinché usiate con cautela la facoltà concessa a scopo di edificazione e osserviate scrupolosamente quelle condizioni che vi sono state prescritte; agli ecclesiastici pentiti, perché si avvalgano con animo riconoscente della nostra indulgenza, senza simulazione alcuna, in quanto non sarebbe per loro di nessun vantaggio, ma li spingerebbe verso una rovina maggiore. Infatti, assolti davanti alla Chiesa, non lo sarebbero affatto davanti a Dio e trasformerebbero il rimedio in veleno. Se quelli che rinnegano se stessi non possiedono lo Spirito Santo, certamente non lo potrà ricevere chi sta falsamente nella Chiesa, poiché sta scritto: “Lo Spirito Santo rifugge dal falso“. Perciò, chi vuole possedere lo Spirito Santo, si guardi dall’entrare nella Chiesa sotto mentite spoglie; ma se già vi entrò così, eviti di persistere in tale simulazione, se vuole rimanere strettamente unito all’albero della vita.

14. Inoltre, al fine di rimuovere ogni ambiguità, aggiungiamo che i poteri compresi nel già citato indulto generale, nonché quelli contenuti in questa lettera, si intendano concessi sia agli Arcivescovi e ai Vescovi francesi, sia agli stranieri le cui popolazioni e diocesi si estendono nel regno di Francia

15. Altresì, per quanto riguarda gli Arcivescovi e i Vescovi dell’ordine ecclesiastico superiore, siano consacratori e assistenti, o essi stessi intrusi o anche solo vincolati dal giuramento civico, fanno tutti parte della prima, seconda e terza classe della Nostra lettera del 19 marzo scorso, e riteniamo sia opportuno riservare unicamente a Noi e ai Nostri successori la facoltà di assolverli. Sulla loro defezione, infatti, ricade un giudizio che è molto più grave degli altri e li supera di gran lunga, dal momento che alcuni di loro sono i capi di tutta l’infame situazione; tutti possono veramente essere considerati gli autori del fatale scisma che imperversa rovinosamente per tutto codesto regno, tanto più che, secondo i ricordati canoni, meritano che contro di loro si proceda con maggior rigore. Tuttavia non vogliamo certamente che per questa riserva il loro animo si abbatta e s’infranga, ma desideriamo ardentemente che la loro fiducia si risollevi tanto da rivolgersi verso la Madre comune e rifugiarsi prontamente nel suo seno. Se poi il loro pentimento sarà sincero e vorranno condannare con convincenti riparazioni i loro misfatti e rinunciare alle chiese occupate, Noi, e l’abbiamo già dichiarato col Papa San Leone e allo stesso modo lo dichiariamo di nuovo, li accoglieremo a braccia aperte e li chiameremo a godere, in concordia, della pace e della Nostra comunione. Le Nostre come le vostre intenzioni non mirano ad altro che a ricondurre all’ovile i dispersi, a porre finalmente termine allo scisma, come ininterrottamente supplichiamo in lacrime Dio Ottimo Massimo.

16. Dopo tutto ciò, se mai ce ne fosse bisogno, vi informeremo su un certo scritto che Ci è stato appena ora trasmesso. Si tratta di uno scritto che gli scismatici, non sperando più di poter difendere oltre la loro autorità, disprezzata da tutti e ormai annientata, hanno avuto l’ardire di divulgare con il Nostro nome sotto il titolo di Breve, redatto in lingua francese e tedesca e, in più, come se fosse dato “a Roma, presso Santa Maria Maggiore, sotto l’anello del pescatore, il giorno 2 aprile del 1792“, cioè quattordici giorni dopo l’ultima Nostra lettera scritta il giorno 19 del marzo scorso. Questo falso Breve, il cui inizio è “Il Nostro cuore paterno“,con inaudita temerarietà dichiara false tutte le lettere apostoliche da Noi redatte e pubblicate contro la Costituzione civile del clero francese; i suoi autori e sostenitori spogliano questa Santa Sede del suo primato giurisdizionale, continuano a celebrare con infinite lodi tutta la Costituzione, esortando le popolazioni ad obbedire ai Vescovi e ai parroci costituzionali.

17. Oh, malaugurata astuzia! come se non fosse evidente a tutti il tono falso e calunnioso di questo scritto, sia guardando il luogo da dove si finge che sia stato emesso – Noi il giorno 2 del mese di aprile abitavamo, come del resto tuttora, non a Santa Maria Maggiore, ma in San Pietro – sia considerando l’intero contesto e il nesso del discorso così come è stato concepito. Infatti, usando il solito linguaggio ingannatore a loro tanto familiare, non aggiungono alcun argomento che non sia stato cento volte controbattuto e respinto e, altrettanto a ragione, si può dire che in quel testo vi sono tanti errori quante sono le parole. Nondimeno, perché gli ingenui non siano ingannati, Noi, coerenti con quello che dicemmo nell’ultima Nostra Lettera contro siffatti documenti perversi, dichiariamo quello scritto falso, immaginario, calunnioso, eretico e scismatico, perciò lo respingiamo, lo riproviamo e lo condanniamo. Quanto più grandi sono le frodi dei Nostri avversari, maggiore deve essere la Nostra e la vostra vigilanza. Questa vi raccomandiamo più che mai e, per il momento, a voi, diletti figli e Venerabili Fratelli e ai greggi affidati alle vostre cure impartiamo con grande affetto l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 13 giugno 1792, anno diciottesimo del Nostro Pontificato

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: SS. PIO IX – “LEVATE”

Oggi siamo circondati da questa razza d’uomini scellerati … Quello che scriveva il Santo Padre SS. Pio IX ai tempi di questa lettera Enciclica, riferendosi ai ribelli romani sostenuti dal Governo piemontese, a sua volta braccio della massoneria inglese e mondiale, è esattamente ciò che ancora oggi si può affermare nella nostra Italia dilaniata da un branco di feroci lussuriose iene selvatiche, assetate di potere, di denaro e di sangue e che, come il loro padrone, portano sulla fronte scritto “menzogna”, falsi mendaci, sornioni bugiardi col ghigno stampato sul volto amimico, senza coscienza e senza pudore … le logge di perdizione li hanno scelti con molta accuratezza e distribuiti uniformemente in tutte le formazioni pseudo-politiche, in realtà tutte soggette al demone della Corona (il lucifero cabalistico), ricattabili in ogni momento per i crimini efferati ai quali si sono sottomessi per avere cariche di potere, ottenute o per manipolazioni elettorali o per usurpazioni imposte. Ma il vero scopo del loro mandante e conduttore, è semplicemente quello di distruggere o eliminare l’unica Chiesa divina, cioè la Chiesa Cattolica Romana, di cui hanno usurpato con la connivenza di turpi falsi ecclesiastici, a loro volta venduti alle logge kazare, che hanno fatto da agenti apripista alle tigri rosse, verdi, bianche, gialle, arcobaleno! … – Nella stessa lettera il Santo Padre denuncia pure i tentativi di dissolvimento della Chiesa in Polonia ed in Russia messi in atto da governanti dissoluti in combutta (allora come oggi) con gli scismatici eterodossi servi di satana. Quante analogie, quante strategie che … poi sono sempre le stesse, strategie che come onde furiose si sono infrante, e si infrangeranno sempre contro lo scoglio inamovibile della Chiesa di Cristo, sulla quale non prevarranno mai le porte degli inferi, distrutte all’improvviso dal soffio della bocca di Cristo. Ma non si illudano questi uomini scellerati, questi dieci re senza regno dell’Apocalisse, che stanno tentando di scardinare l’edificio spirituale romano istituito da Cristo stesso ed affidato al Principe degli Apostoli, il beato san Pietro ed ai suoi successori fino alla consumazione dei tempi, … i dieci re senza regno che possiamo facilmente identificare nel:

1° Cabalismo massonico-kazaro,

2° Talmudismo giudaico-askenazita,

3° Calvinismo anglicano e sette da esso derivate;

4° Protestantesimo luterano e le migliaia di sette ad esso congregate;

5° Scisma greco-orientali;

6° Modernismo conciliare del Novus ordo vaticano;

7° Tradizionalismo acefalo dei sedevacantisti o fallibilisti e sette derivate;

8° Islamismo;

9° Buddismo gnostico-manicheo;

10° Induismo gnostico.

Ma … Deus irridebit eos… et subsannabit eosEt IPSA CONTERET CAPUT EORUM, e tutti finiranno nello stagno di fuoco eterno … parola di Dio.

Dominus dissipat consilia gentium; reprobat autem cogitationes populorum, et reprobat consilia principum.

S,S, Pio IX
Levate

Venerabili Fratelli, levate in giro i vostri occhi e vedrete, e insieme con Noi sentirete grandissimo dolore per le pessime abominazioni dalle quali oggi questa misera Italia è specialmente funestata. Noi veramente adoriamo umilissimamente gli imperscrutabili giudizi di Dio, cui piacque farci vivere in questi infelicissimi tempi nei quali, per opera di alcuni uomini, e particolarmente di coloro che nell’infelicissima Italia reggono e governano la cosa pubblica, i comandamenti di Dio e le leggi della Santa Chiesa sono interamente calpestati, e l’empietà leva impunemente più alta la testa e trionfa. Da ciò originano tutte le iniquità, i mali e i danni che con sommo dolore dell’animo Nostro vediamo. Quindi quelle molteplici falangi che, camminando nelle empietà, militano sotto il vessillo di satana, su cui sta scritto menzogna, e che ispirandosi alla ribellione, e parlando contro il cielo, bestemmiano Dio, contaminano e disprezzano ogni cosa sacra e, conculcato ogni diritto divino ed umano, simili a lupi rapaci anelano alla preda, spargono il sangue e perdono le anime coi loro scandali gravissimi, e cercano nei modi più ingiusti di fare guadagni con la loro malizia, rapiscono violentemente l’altrui, contristano il povero ed il debole, aumentano il numero delle misere vedove e dei pupilli e, accettando doni, perdonano agli empii, mentre negano giustizia all’uomo giusto e lo spogliano; corrotti di cuore, si adoperano a soddisfare turpemente tutte le loro prave passioni, col massimo danno della stessa società civile.

Oggi siamo circondati da questa razza d’uomini scellerati, Venerabili Fratelli. Questi uomini, animati da spirito veramente diabolico, vogliono collocare la bandiera della menzogna in questa Nostra alma città, accanto alla Cattedra di Pietro, che è il centro della verità e dell’unità cattolica. I reggitori del Governo piemontese, che dovrebbero frenare tali uomini, non arrossiscono di favorirli in ogni modo, di procurare loro le armi e tutte le cose, e di rendere loro sicuro l’ingresso a questa città. Ma tutti questi uomini, benché costituiti nel grado e nel posto supremo del potere civile, tremino, perché con questo modo veramente iniquo di procedere si tirano addosso nuove pene ecclesiastiche e censure. Benché però nell’umiltà del Nostro cuore non cessiamo di pregare caldamente e di scongiurare Dio ricco di misericordia, perché si degni di richiamare a salutare penitenza sul retto sentiero della giustizia, della religione, della pietà tutti questi miserabilissimi uomini, tuttavia non possiamo tacere i gravissimi pericoli a cui in quest’ora delle tenebre siamo esposti. Noi con animo veramente tranquillo aspettiamo gli eventi, qualunque essi siano, benché eccitati con nefande frodi, calunnie, insidie, bugie, avendo posto ogni Nostra speranza in Dio, Nostra salute, che è Nostro aiuto e forza in tutte le Nostre tribolazioni. Egli non permette che rimangano confusi coloro che sperano in Lui, e disperde le insidie degli empi e spezza le cervici dei peccatori. Intanto non possiamo fare a meno di denunziare a voi principalmente, Venerabili Fratelli, ed a tutti i fedeli affidati alla vostra cura la tristissima condizione ed i gravissimi pericoli in cui Ci troviamo per opera specialmente del Governo piemontese. Infatti, quantunque siamo difesi dal valore e dalla devozione del fedelissimo Nostro esercito, il quale con gloriose imprese diede prove di un valore quasi eroico, tuttavia è chiaro che esso non può resistere a lungo contro il numero assai maggiore degli ingiustissimi aggressori. Benché non sia piccola la Nostra consolazione per la filiale pietà, verso di Noi, dei Nostri sudditi ridotti a pochi dagli scellerati usurpatori, tuttavia siamo costretti a dolerci grandemente, mentre essi non possono non sentire i gravissimi pericoli che loro sovrastano per parte delle feroci bande d’uomini iniqui, i quali continuamente con ogni sorta di minacce li spogliano ed in ogni modo li tormentano. – Ma abbiamo da lamentare altri mali non mai abbastanza deplorati, Venerabili Fratelli. Specialmente dalla Nostra Allocuzione nel Concistoro del 29 ottobre dell’anno scorso e poi dall’esposizione corredata da documenti e stampata, avete benissimo appreso da quante sciagure la Chiesa Cattolica ed i suoi figli nell’Impero di Russia e nel Regno di Polonia siano, in modo miserando, vessati e lacerati. Infatti i Vescovi cattolici, gli ecclesiastici, i laici fedeli sono cacciati in esilio, incarcerati, tormentati in ogni maniera, spogliati dei loro beni, travagliati ed oppressi da severissime pene; i canoni e le leggi della Chiesa sono interamente calpestati. Non contento di ciò, il Governo russo continuò, secondo l’antico suo proposito, a violare la disciplina della Chiesa, a rompere i vincoli dell’unione e della comunione di quei fedeli con Noi e con questa Santa Sede, e ad adoperare ogni mezzo ed ogni sforzo per potere in quegli Stati rovesciare dalle fondamenta la Religione Cattolica, strappare quei fedeli dal seno della Chiesa e trascinarli nel funestissimo scisma. Con Nostro incredibile dolore vi comunichiamo che, dopo l’ultima Nostra Allocuzione, da quel Governo furono pubblicati due decreti. Col decreto del 22 del mese di maggio ultimo scorso, con orrendo attentato, fu soppressa la diocesi di Podlachia nel Regno di Polonia, insieme con quel Capitolo di Canonici, col Concistoro generale e col Seminario diocesano; il Vescovo della diocesi medesima, strappato al suo gregge, fu costretto ad uscire immantinente dai confini della diocesi. Un simile decreto fu pubblicato il 3 giugno dell’anno scorso; di esso non potemmo fare menzione perché non era giunto a Nostra conoscenza. Con quel decreto lo stesso Governo non esitò di proprio arbitrio ed autorità a sopprimere la diocesi di Kameniek e a disperdere il Capitolo dei Canonici, il Concistoro, il Seminario, e a cacciare violentemente il Vescovo dalla sua diocesi. – Essendoci poi chiusa ogni via e soppresso ogni mezzo per comunicare con quei fedeli, ed anche per non esporre nessuno al carcere, all’esilio ed alle altre pene, fummo costretti a pubblicare nel Nostro giornale l’atto con cui credemmo in proposito di provvedere all’esercizio della legittima giurisdizione ed ai bisogni dei fedeli, affinché per mezzo della stampa giungesse colà la notizia del provvedimento da Noi adottato. Ognuno facilmente capisce con quale animo e con quale scopo tali decreti sono pubblicati dal Governo russo, facendo sì che all’assenza di molti Vescovi si congiunga la soppressione di molte diocesi. – Ma ciò che aumenta la Nostra amarezza, Venerabili Fratelli, è l’altro decreto pubblicato dallo stesso governo il 22 del passato mese di maggio, con cui a Pietroburgo venne costituito un Collegio chiamato ecclesiastico cattolico romano, a cui presiede l’Arcivescovo di Mohilow. Cioè: tutte le domande, anche relative alle cose di fede e di coscienza che dai Vescovi, dal Clero e dal Popolo della Russia e della Polonia sono dirette a Noi ed a questa Sede Apostolica, si debbano prima trasmettere a quel Collegio, il quale deve esaminarle e decidere se le domande oltrepassino le facoltà dei Vescovi, ed in tal caso possa procurare che siano a Noi trasmesse. Dopo che colà sarà giunta la Nostra decisione, il presidente del detto Collegio è obbligato a mandarla al ministro dell’Interno, il quale esaminerà se in essa si contenga qualche cosa di contrario alle leggi dello Stato ed ai diritti del Sovrano; qualora ciò non esista, a suo arbitrio, sia eseguita.

Vedete certamente, Venerabili Fratelli, quanto sia da riprovarsi e condannarsi un tale decreto emanato da un potere laico e scismatico, con cui viene distrutta la divina costituzione della Chiesa Cattolica, si rovescia la disciplina ecclesiastica, e si fa alla Nostra suprema potestà ed autorità pontificia, e di questa Santa Sede e dei Vescovi, la massima ingiuria; s’impedisce la libertà del sommo Pastore di tutti i fedeli, ed i fedeli sono spinti ad un funestissimo scisma; viene violato e conculcato lo stesso diritto naturale riguardo alle cose che concernono la fede e la coscienza. Inoltre, l’Accademia cattolica di Varsavia è stata chiusa; ed è imminente la trista rovina della diocesi rutena di Chelma e Belz. E, ciò che è maggiormente doloroso, si rinvenne un certo prete Voicichi, uomo di fede sospetta, il quale, disprezzate tutte le censure e le pene ecclesiastiche, senza tener conto del terribile giudizio di Dio, non ebbe in orrore di ricevere da quella civile potestà il governo e la cura della medesima diocesi, e di emanare già diverse ordinanze, le quali, mentre si oppongono alla disciplina ecclesiastica, favoriscono il funestissimo scisma.

In mezzo a tante calamità ed angustie Nostre e della Chiesa, non essendovi altri che pugni per Noi se non il Nostro Iddio, con quanta forza abbiamo vivamente vi scongiuriamo dunque, Venerabili Fratelli, che, per il singolare amore e zelo per la causa cattolica e per la egregia vostra pietà a Nostro riguardo, vogliate unire alle Nostre le fervide vostre preghiere, e insieme al vostro Clero e al Popolo fedele pregare Iddio senza tregua e scongiurarlo che, memore delle Sue eterne misericordie, allontani da Noi la Sua indignazione, salvi la Santa Chiesa e Noi da tanti mali, protegga e conforti con la Sua virtù tanti figli a Noi carissimi della stessa Chiesa, sparsi in quasi tutti i paesi, e specialmente in Italia, nell’Impero russo e nel Regno di Polonia, ed esposti a tante insidie; li corrobori, li confermi, li conservi sempre più nella professione della fede cattolica e della sua salutare dottrina; disperda tutti gli empi consigli dei nemici degli uomini, li richiami dal baratro dell’iniquità alla via della salvezza, e li guidi sul sentiero dei Suoi comandamenti. – Vogliamo pertanto che entro sei mesi per le diocesi di qua dal mare, ed entro un anno nelle diocesi di là dal mare, sia intimato un triduo di pubbliche preghiere, da stabilirsi da Voi. Affinché i fedeli con maggiore impegno intervengano a queste pubbliche preci e preghino il Signore, concediamo misericordiosamente nel Signore una plenaria indulgenza di tutti i loro peccati, a quanti fedeli d’ambo i sessi interverranno a questo triduo pregando per le presenti necessità della Chiesa, secondo la Nostra intenzione, purché, espiati i peccati nella confessione sacramentale, si accostino alla sacra Eucaristia. A coloro poi i quali, per lo meno contriti, avranno in ciascuno dei predetti giorni compiuto le opere prescritte, condoniamo sette anni ed altrettante quarantene delle pene loro ingiunte od in qualsiasi altro modo da essi dovute nella consueta forma della Chiesa. Concediamo ancora nel Signore che tutte e singole le indulgenze, le remissioni di peccati e i condoni delle penitenze siano applicabili alle anime dei fedeli defunti nella carità di Dio. Nulla ostando ogni altra disposizione in contrario. – Infine, nulla certo per Noi è più gradito che valerci con sommo piacere di questa occasione per manifestarvi e nuovamente confermarvi la speciale benevolenza con la quale vi abbracciamo nel Signore. Come pegno certissimo di essa accettate l’Apostolica Benedizione che, con effusione di cuore, amorevolmente impartiamo a Voi, Venerabili Fratelli, a tutti i Chierici e ai laici fedeli affidati in qualsiasi modo alle vostre cure.

Dato in Roma, presso San Pietro, il 27 ottobre 1867, anno ventiduesimo del Nostro Pontificato.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: SS. PIO IX – “MAXIMÆ QUIDEM”

Questa breve Lettera Enciclica, con la quale il Santo Padre Pio IX, elogia l’operato dei Vescovi bavaresi nel difendere la sana dottrina cattolica, nel rivendicare i sacrosanti diritti della Santa Sede, e nel difendere il pensiero cristiano nelle scuole superiori dalle ignobili e false ideologie che fin da allora infestavano le menti di giovani destinati a diventare guide del popolo intero, merita particolare attenzione per il contenuto encomiabile sotto il profilo sociale e dottrinale che costituisce ancor oggi in modello da cui apprendere la sapienza necessaria nella conduzione retta e apportatrice di benessere per il popolo, il clero, la Chiesa tutta. Certamente oggi i modelli sociali sono quelli imposti dalla élite formata nelle scuole ideologicamente gnostico-massoniche (in Italia ad esempio ce ne sono numerose di livello universitario, tutte oggetto di propaganda opportunamente manipolata e guidate da notissimi esponenti di sette di perdizione d’oltreoceano e nostrane), ove il Cristianesimo, addirittura ridicolizzato da menti bacate e prive di ogni retta sapienza, è sostituito da filosofie prive di ogni fondamento razionale e di pura fantasia, o meglio delirio, che con linguaggio brillante ma falso ed ingannevole hanno modellato (o meglio deformato), e tuttora modellano (leggi: deformano) giovani poi destinanti, con la compiacenza di pseudo-autorità statali, a guidare ministeri, governi, l’intera Nazione. Ideologie blasfeme, astratte, fantasiose, (“ciò che penso è” … diceva il panteista Cartesio, fondando il falso metodo scientifico moderno) ma che hanno tutte in comune un feroce attacco al Cristianesimo. Eccone qualche tratto emblematico … « perché i fedeli, affidati particolarmente alla Vostra vigilanza, seguano con somma e dovuta riverenza e obbedienza Noi e la stessa Cattedra di Pietro, che è il centro della unità cattolica e non solo il Capo di tutte le Chiese, ma altresì la Madre e la Maestra, colei che allontana da ogni dove le tenebre dell’errore ed è porto sicuro per chi è agitato dai flutti (….) difendano la libertà della Chiesa Cattolica, che fu generata dal sangue del Figlio Unigenito di Dio, sposo della stessa Chiesa, e che si battano virilmente per tutti i venerandi diritti della Chiesa stessa, ad essa divinamente elargiti … ben sapete che una volta rimosse da queste scuole la dottrina, l’autorità e la vigilanza che provengono dalla Chiesa, più gravi danni e mali deriveranno, dal momento che saranno contagiati da errori e da false dottrine gli uomini del ceto più qualificato, che sono destinati a ricoprire pubblici incarichi di governo e che di solito contribuiscono a formare lo spirito della società civile. » Chi parla più così, in questa nostra società paganizzata, o meglio luciferina, con i pastori apostati e usurpanti che danno in pasto ai lupi gli agnelli loro affidati, e di cui spolpano i rimasugli eduli? … i mercenari fuggono alla vista del lupo, questi invece li attraggono e gli preparano lauti banchetti. Ma … state sereni, pagherete tutto fino all’ultimo spicciolo … dice il divin Maestro nel Vangelo … un poco di tempo e ci sarete (apparentemente vivi ma già morti dentro), un altro poco e ci sarete viventi ma nello stagno di fuoco ed … in eterno.

ENCICLICA
MAXIMÆ QUIDEM
DEL SOMMO PONTEFICE
PIO IX

Ai Venerabili Fratelli Gregorio, Arcivescovo di Monaco e di Frisinga, Michele, Arcivescovo di Bamberga, e ai loro Vescovi suffraganei in Baviera.
Il Papa Pio IX. Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

Assai consolante fu per Noi, afflitti da gravissime preoccupazioni ed angustie, la Vostra graditissima Lettera che Ci inviaste il 20 luglio, Venerabili Fratelli, durante il congresso da Voi tenuto a Bamberga per confrontare le Vostre opinioni e per stabilire quei provvedimenti che, soprattutto in questi tempi calamitosi, possono concorrere a tutelare la causa, la dottrina, i diritti della Chiesa Cattolica e a preservare ogni giorno di più la salute dei Vostri fedeli. Infatti nella stessa Lettera rifulgono in ogni passo la Vostra eccelsa e riconosciuta fede verso di Noi e verso questa Cattedra di Pietro, l’amore, l’obbedienza e il mirabile zelo che Vi pervade nel far di tutto perché i fedeli, affidati particolarmente alla Vostra vigilanza, seguano con somma e dovuta riverenza e obbedienza Noi e la stessa Cattedra di Pietro, che è il centro della unità cattolica e non solo il capo di tutte le Chiese, ma altresì la madre e la maestra, colei che allontana da ogni dove le tenebre dell’errore ed è porto sicuro per chi è agitato dai flutti. Pertanto proviamo una grande gioia per questa Vostra eminente virtù episcopale e Ci congratuliamo di vero cuore con Voi, Venerabili Fratelli, poiché con la Vostra azione e con le lettere pastorali indirizzate ai fedeli affidati alla Vostra cura, avete fatto conoscere, con le dovute e meritate lodi, quella strettissima e ammirevole unità di tutte le Sacre Gerarchie dell’intiero mondo cattolico che sopravvive, in questi tempi luttuosi, col Vicario di Cristo in terra e con questa Apostolica Sede per singolare grazia di Dio e che rifulge ogni giorno di più per tante splendide azioni. E ancor più Ci rallegriamo del convegno che avete tenuto a Bamberga nel quale Voi tutti, Venerabili Fratelli, con intenti pienamente concordi, in ragione del severo impegno richiesto dal Vostro ministero episcopale, avete adottato quelle decisioni che, soprattutto in questi tempi, avete ritenute più idonee a tutelare la causa della Chiesa, a far valere le sue ragioni e a reprimere gli empi tentativi dei nemici che bisogna sconfiggere con l’unanime, costante e vigilante impegno dei Vescovi. E certamente, fra l’altro, spetta ai Vescovi (come già avete compreso) combattere fieramente contro i nemici della nostra santissima Religione, particolarmente in questa nostra funesta epoca. – Pertanto i Vescovi, forti del divino ausilio, devono con assidua sollecitudine alzare la loro voce episcopale e predicare il Vangelo a tutti, annunciare, trasmettere, spiegare e inculcare le eterne verità della nostra fede, la dottrina, i precetti e i dogmi dell’augusta religione ai sapienti e agl’ignoranti. Con altrettanto zelo gli stessi preposti ai sacri riti hanno l’obbligo di esporre e mostrare sia ai Sommi Principi, sia ai Governi, i mali e i danni (assai funesti e mai abbastanza deplorati) che ricadono sui popoli e sugli stessi Principi quando, come oggi, si disprezza la Religione: e prevale l’incredulità che, suggerita dalle tenebre sotto l’ingannevole apparenza di progresso sociale, si rafforza e domina ogni giorno di più a gravissimo detrimento della comunità cristiana e civile e perverte e corrompe in modo miserando le menti e gli animi degli uomini. Perciò fu motivo di sommo gaudio per Noi apprendere che Voi, Venerabili Fratelli, avete inviato una Lettera a codesto carissimo in Cristo Figlio Nostro, l’illustre Re di Baviera, perché siano difesi la nostra santissima Religione e i suoi diritti, e Ci sostiene la speranza che lo stesso Serenissimo Principe, per la pietà, la giustizia e l’equilibrio del suo animo, si adoperi di assecondare volentieri i vostri giustissimi desideri e le vostre richieste. – Certamente non ignorate, Venerabili Fratelli, che vi è un altro dovere che i Sacri Pastori devono compiere con ogni più tenace sforzo. È necessario che essi, con costante coraggio, difendano la libertà della Chiesa Cattolica, che fu generata dal sangue del Figlio Unigenito di Dio, sposo della stessa Chiesa, e che si battano virilmente per tutti i venerandi diritti della Chiesa stessa, ad essa divinamente elargiti. Inoltre è necessario che i Vescovi, con la parola e con gli scritti, non desistano mai dal richiamare alla memoria di tutti che la Chiesa è sempre esistita ed esiste perché è salvifica la forza della sua dottrina e sapientissime sono le sue leggi e le sue istituzioni; perché non solo è madre e maestra di tutte le virtù e persecutrice di tutti i vizi, ma è anche colei che fonda e modera, tra tutte le genti, la vera umanità, l’onestà, la civiltà, la libertà, il progresso, la prosperità, la tranquillità; essa sola può saldamente consolidare e salvare l’ordine pubblico dell’umano consorzio che dovunque in questi giorni è tanto violentemente sconvolto dall’empietà e dalla ribellione. Vi rivolgiamo dovute e meritate lodi, Venerabili Fratelli, perché con la Vostra Lettera inviata a codesto Governo – oltre che solleciti del bene e della guida delle scuole popolari – avete difeso in proposito la dottrina, l’autorità e i diritti della Chiesa Cattolica con ogni argomento, con forza e con intelligenza, fedeli allo spirito con cui Noi nella Nostra Epistola inviata al Venerabile Fratello Ermanno, Arcivescovo di Friburgo in Brisgovia, il giorno 14 luglio di quest’anno, fummo costretti a tutelare e rivendicare i diritti della Chiesa, al riparo dai tentativi e dalle macchinazioni dei nemici che nel Granducato di Baden giunsero al punto di proporre leggi atte a distruggere del tutto l’indirizzo cristiano delle scuole. Sebbene Noi teniamo in gran conto le ragioni per cui, Venerabili Fratelli, vi siete preoccupati tanto di difendere i diritti della Chiesa per quanto riguarda le scuole popolari, tuttavia non possiamo, in questa occasione, trattenerci dal sollecitare con insistenza l’insigne Vostro zelo episcopale affinché operiate in modo attivo e combattivo, così che siano riconosciuti e preservati gli stessi diritti della Chiesa circa le scuole superiori di lettere e delle più severe discipline. Infatti, in virtù della Vostra saggezza, ben sapete che una volta rimosse da queste scuole la dottrina, l’autorità e la vigilanza che provengono dalla Chiesa, più gravi danni e mali deriveranno, dal momento che saranno contagiati da errori e da false dottrine gli uomini del ceto più qualificato, che sono destinati a ricoprire pubblici incarichi di governo e che di solito contribuiscono a formare lo spirito della società civile. – A questo punto, Venerabili Fratelli, Vi supplichiamo di tenere presente quanto Noi esponemmo al Venerabile Fratello Gregorio, Arcivescovo di Monaco, con la Nostra Epistola del 21 dicembre dello scorso anno, circa la diffusione delle discipline filosofiche e teologiche, e Vi esortiamo vivamente a dedicare senza tregua tutte le Vostre cure e i Vostri pensieri a promuovere ogni giorno di più l’accurata formazione e l’educazione del Clero, e a non lasciare nulla di intentato, in modo che il Vostro Clero riceva quella piena e solida formazione che, attinta da pure e incontaminate fonti e sorretta dal comune insegnamento della Chiesa Cattolica, allontani tutti quei pericoli di cui sono evidentemente colpevoli gli odierni nuovi metodi d’insegnamento, fondati sulla libertà (o piuttosto sulla licenza) del sapere, e tanto ostentati. Perciò, Venerabili Fratelli, desideriamo ardentemente che vogliate richiamare alla memoria ed applicare tutte quelle disposizioni che già altre volte comunicammo e caldamente raccomandammo a tutti e ai singoli del Vostro Ordine episcopale circa la costruzione e la direzione dei Seminari per i Chierici in conformità delle sagge prescrizioni del Concilio Tridentino. – Siamo poi fermamente persuasi che Voi, Venerabili Fratelli, in virtù della Vostra esemplare religiosità e del Vostro zelo episcopale, difenderete energicamente gli altri diritti della Chiesa che non sono ancora pienamente riconosciuti in Baviera, e per i quali i Vescovi della Baviera non omisero di elevare le loro proteste soprattutto nel convegno di Frisinga. Perciò di tutto cuore approviamo la Vostra decisione di convocare ogni anno il Vostro congresso. Ciò, tuttavia non deve impedire in alcun modo che Voi, Venerabili Fratelli, facciate ogni tentativo perché possiate quanto prima concelebrare i Sinodi provinciali (come è nei Nostri voti) secondo la prescrizione dei Sacri Canoni, come hanno fatto in Germania altri Vescovi nelle loro province ecclesiastiche, con sommo gaudio dell’animo Nostro e a beneficio dei loro fedeli. Sicuramente nulla a Noi sarà più gradito che recare a Voi, in questa circostanza, ogni aiuto e soccorso. – Vogliamo infine che abbiate per certa la benevolenza particolare con cui Vi seguiamo. Di tale benevolenza ricevete, come sicuro pegno, l’Apostolica Benedizione che dal profondo del cuore impartiamo a Voi stessi, Venerabili Fratelli, a tutti i Sacerdoti e ai fedeli Laici affidati alla cura di ciascuno di Voi.

Dato a Castel Gandolfo, il 18 agosto 1864, nell’anno decimonono del Nostro Pontificato.

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. GREGORIO XVI – “QUAS VESTRO”

Oggi, una lettera Enciclica, come il breve Quas vestro, sarebbe considerata antiquata ed inaccettabile per tutti coloro che sono assuefatti all’oppio dell’ecumenismo di stampo massonico, per mezzo del quale si occulta la bestiale eresia dell’indifferentismo religioso, da sempre condannata e stroncata dalla Chiesa Cattolica e dalla sua dottrina apostolica, della Tradizione e da tutti i teologi unanimi della Scuola, che non ammettono tentennamenti o il tergiversare: o si è Cattolici totali sotto lo stendardo di Cristo, o si appartiene a Beliaal, alle sue armate sotto il labaro del demonio seppur mascherato da angelo di luce. Una terza via non è possibile … chi crede si salverà, chi non crede – magari fingendo il dialogo che nasconde l’incredulità – non si salverà. È sentenza evangelica indiscussa, de fide e di diritto divino inalienabile, perenne, immodificabile. Il Santo Padre Gregorio XVI, ce lo ricorda a proposito dei matrimoni di mista religione – problema oggi totalmente ignoto alle nuove generazioni, che anzi credono di essere cattolici, senza sapere che anche una mezza eresia, accettata, condivisa o favorita, mette fuori dalla Chiesa Cattolica, quindi dalla grazia santificante e dai meriti delle buone opere, rendendo organi staccati dal corpo mistico di Cristo, dalla cui linfa si irradia unicamente la salvezza eterna e proviene la gloria dei cieli. Questa è semplice e pura dottrina cattolica che misconosciuta o rifiutata, condanna alla eterna dannazione. D’altra parte, è arcinota la sentenza di S. Giacomo nella lettera ai suoi fedeli … quicumque autem totam legem servaverit, offendat autem in uno, factus est omnium reusPoiché chiunque osservi tutta la legge, ma la trasgredisca anche in un punto solo, diventa colpevole di tutto (II, 10). Oggi il problema, per il piccolo gregge cattolico, è veramente pressoché insormontabile, perché trovare un coniuge che non sia ateo, deista, vatican-modernista, tradizionalista falso cattolico o protestante, è impresa oltremodo titanica. E certamente, visti i rischi per l’anima propria e per quelle di un’eventuale prole infetta di eresia, ai quali si va temerariamente incontro, è meglio seguire i consigli di S. Paolo che al proposito consigliava già ai suoi tempi – per certi aspetti molto meno pericolosi degli attuali – ai fedeli di Corinto: … bonum est illis si sic permaneant, sicut et ego… (I Cor. VII, 8), e qualche rigo sotto: qui non junget, melius facit… (vv. 38). Mettiamoci comodi, quindi, restando sobri ed attenti, e meditiamo profondamente le parole del Sommo Pontefice.

BREVE
DEL SOMMO PONTEFICE
GREGORIO XVI

QUAS VESTRO

  Ai Venerabili Fratelli Presuli dell’Ungheria. Il Papa Gregorio XVI. 
Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.
Le devotissime lettere che, a nome vostro e dei Vescovi di codesto Regno, Ci avete fatto pervenire tramite il Venerabile Fratello Vescovo canadese Giuseppe, pervase di sentimenti di sincera devozione, sono state per Noi motivo di gioia e di tristezza ad un tempo. A buon diritto perché, dovendo salvaguardare con ogni cura, in forza del Nostro dovere apostolico, l’integrità della sacra dottrina e del diritto, non possiamo tollerare il sopraggiungere di qualsiasi cosa che possa metterla in pericolo. È perfettamente noto il pensiero della Chiesa circa i matrimoni fra a cattolici ed acattolici. Essa considerò sempre illecite e deleterie tali nozze, sia per la degradante comunione nelle cose divine, sia per l’incombente pericolo di perversione del coniuge cattolico e la scorretta educazione della prole. Trattano proprio di questo problema le più antiche disposizioni canoniche che le riprovano con tutta severità, nonché le più recenti norme adottate dai Sommi Pontefici, di cui non sembra necessaria una lunga e particolareggiata elencazione, essendo più che sufficiente ciò che precisò al riguardo il Nostro predecessore Benedetto XIV, di felice memoria, nella lettera enciclica indirizzata ai Vescovi di Polonia e ciò che si trova nel famosissimo scritto noto con il titolo De Synodo Dioecesana. Se in qualche luogo, per le gravi difficoltà del momento e per la pesante situazione sociale, siffatti matrimoni vengono tollerati, ciò deve essere ricondotto ad una prassi di profonda ed accorta valutazione che non può in alcun modo essere presa come indizio di approvazione e di consenso, ma di semplice tolleranza, che scaturisce non da un atto di volontà ma dalla necessità di evitare mali maggiori, come sapientemente annotò Pio VII, di venerata memoria, nella lettera inviata il 9 ottobre 1803 all’Arcivescovo di Magonza, riproponendo le risposte del proprio predecessore indirizzate ai Vescovi di Bratislava, di Roznava e di Spisskà Belà. Se, allentando in qualche modo la severità delle disposizioni canoniche, questa Sede Apostolica permise qualche volta siffatti matrimoni misti, lo fece assai a malincuore, in forza delle summenzionate considerazioni e per gravi e seri motivi, ma sempre con l’espressa ingiunzione di definire le debite precauzioni, non solo per evitare che il coniuge cattolico potesse essere fuorviato da quello i, ma anche perché tenesse sempre presente l’obbligo, nei limiti del possibile, di far recedere la comparte dall’errore e si provvedesse inoltre ad educare nella santa Religione cattolica i figli di entrambi i sessi eventualmente procreati. Si tratta di precauzioni che fondano la loro ragion d’essere nella stessa legge divina e naturale: certamente pecca contro di essa chiunque espone temerariamente se stesso e i futuri figli al pericolo della perversione. Dalle vostre predette lettere abbiamo avuto la certezza di un abuso assai diffuso nelle diocesi di codesto Regno: matrimoni fra cattolici e acattolici senza la dovuta dispensa della Chiesa e senza le necessarie precauzioni vengono legittimati con la benedizione e con i riti sacri dai parroci cattolici. Potete ben comprendere, Venerabili Fratelli, come non potessimo non essere gravemente colpiti da tutto questo, soprattutto perché ci siamo resi conto di quanto ampiamente abbia preso piede la pratica di tali matrimoni misti, e come si sia inoltre profondamente radicata l’indifferenza verso i contenuti della Religione in vastissime regioni di un Regno che era per l’addietro un vero vanto della Fede cattolica. Non è Nostra intenzione sorvolare sul fatto che, in forza del Nostro santissimo compito, non avremmo tralasciato di prendere le opportune misure se fossimo stati da tempo a conoscenza della situazione. Potete facilmente intuire il motivo del Nostro silenzio: negli ultimi tempi non è stata concessa alcuna dispensa apostolica per matrimoni misti da celebrare presso di voi se non con l’ingiunzione delle prescritte precauzioni e l’aggiunta delle norme che, per disposizione di questa Santa Sede, si debbono osservare. Tuttavia, tra le notizie riportate, Ci è stato di non poca consolazione il fatto che, mentre venivamo edotti del male incombente, apprendevamo anche che da parte vostra e dei vostri colleghi venivano messe in atto le strategie per porvi rimedio. Ancor più sovrabbondò di gioia il Nostro cuore constatando con quanto zelo operate in comune per salvaguardare l’integrità della fede, con quale unanime, deferente ossequio vi rivolgete a questa Sede Apostolica, maestra autorevole di verità, sempre attenti al suo cenno per orientare il vostro impegno pastorale. Dopo aver conosciuto le Nostre disposizioni emanate in materia per altri paesi, non appena avete appurato che la prassi invalsa nei vostri territori era in aperto contrasto con i principi e le indicazioni della Chiesa, e pertanto non poteva più a lungo essere tollerata senza gravi conseguenze, non avete minimamente dubitato, in unità di intenti e di azione, che si dovesse eliminarla e, come era logico, a non demordere, pronti anche ad affrontare con fermezza eventuali gravi pericoli per garantire la salvezza eterna vostra e del gregge a voi affidato. A rendere piena la Nostra gioia sopravvennero i copiosi frutti che scaturirono dalle vostre solerti iniziative. Sappiamo bene infatti come i parroci, e l’altro clero, abbiano obbedito alle vostre ammonizioni e alle vostre istruzioni in proposito, tanto che – rimossa in lungo e in largo l’illegittima consuetudine – è stata ripristinata l’antica disciplina dei sacri canoni. Esprimiamo dunque a voi, Venerabili Fratelli, la Nostra viva soddisfazione, e mentre ringraziamo Dio che vi ha rafforzato dall’alto per la tutela della fede e della dottrina, non smettiamo di esortarvi e di stimolarvi vigorosamente perché con pari decisione e costanza vi sforziate di difendere la causa della Chiesa cattolica affinché non abbia più a risorgere la malvagia consuetudine: se ancora ne persistesse qualche vestigia, ne possa essere totalmente sradicato il germe. Nel frattempo non abbiamo potuto non soppesare con oculata attenzione tutte le cose che vi premuravate di riferirci nelle vostre lettere documentando le gravissime difficoltà contingenti che vi hanno indotti, e quasi costretti, a optare per la tolleranza qualora un cattolico o una cattolica, nonostante gli ammonimenti e le debite esortazioni dei sacri pastori, persistesse nel proposito di contrarre nozze miste in assenza delle necessarie precauzioni. In questa situazione, non potendo altrimenti ovviare a un male maggiore per la Religione cattolica, avete deciso che i parroci potessero assistere alle nozze passivamente, senza intervenire in alcun modo nel rito religioso e senza assumere atteggiamenti che potessero essere intesi come approvazione. Mentre rendevate operativi questi provvedimenti, con l’intento di far fronte con assennatezza al problema del momento, avevate già deciso di sottoporre al più presto a Noi un simile arduo dilemma, per ottenere in proposito il Nostro assenso, che presumevate di potere in qualche modo avere in presenza delle pressanti necessità. Per la verità Noi, pur operando con estrema decisione al fine di mantenere integri i sacrosanti principii della Chiesa cattolica, non abbiamo mai smesso, in forza del potere a Noi conferito, di portare rimedio alle funeste situazioni di codeste regioni e alle angustie a voi sopravvenute. Pertanto, non disapproviamo le ragioni della vostra decisione, e riteniamo che si debba accondiscendere alla vostra richiesta. Decidiamo ciò in piena sintonia con quanto Noi stessi, sull’esempio dei Nostri predecessori, abbiamo per l’addietro permesso a fatica a favore di altre regioni. Allo stesso modo si era espresso a più riprese Pio VI, di venerata memoria, nei confronti di qualche diocesi dello stesso Regno di Ungheria. Infatti nella risposta che già nel 1782, mentre dimorava a Vienna, e poi nell’anno successivo, dopo il suo ritorno a Roma, inoltrò al vescovo di Spisskà Belà (e la stessa risposta ordinò fosse inviata al successore di questi nel 1795), così palesò il proprio pensiero a proposito dei matrimoni misti in quelle particolari circostanze: «Pur in presenza di precise disposizioni al riguardo, è necessario che il vescovo e i parroci si adoperino con prudente sollecitudine perché simili matrimoni non abbiano luogo e, nel caso vengano celebrati, pretendano che tutti i figli siano educati nella Religione cattolica. Tuttavia ogni qualvolta si verifichi, contro la loro volontà, ciò che non può essere approvato, si astengano sempre dalla benedizione nuziale e la loro presenza, se lo richiedono le circostanze, sia puramente fisica e non si permettano atti o dichiarazioni che autorizzino o approvino che la prole possa essere educata in un’altra religione che non sia quella cattolica». Se dunque, Venerabili Fratelli, per particolari circostanze locali e situazioni personali si verifichi nelle diocesi di codesto Regno l’eventualità di un matrimonio fra un acattolico e una donna cattolica, o viceversa, anche in assenza delle prescritte precauzioni della Chiesa e non sia possibile in alcun modo evitare altrimenti il danno per la Religione senza il pericolo di un danno maggiore e di uno scandalo e nello stesso tempo (per usare le parole del Nostro predecessore Pio VII di venerata memoria nella succitata lettera al vescovo di Magonza) si arguisca di poter contribuire al bene della Chiesa, simili nozze, pur vietate ed illecite, siano celebrate in presenza di un parroco cattolico piuttosto che di un ministro eretico a cui facilmente potrebbero rivolgersi. In questo caso il parroco cattolico, o un altro sacerdote da lui delegato, potrà assistere al matrimonio con una presenza assolutamente passiva, con l’esclusione di qualsivoglia rito religioso, come se assolvesse al compito di semplice testimone, per così dire, qualificato o autorizzato che, dopo aver raccolto il consenso di ambedue i coniugi, avrà la possibilità, in forza del suo ufficio, di riportare nel libro dei matrimoni la validità dell’atto compiuto. In queste circostanze, come specificamente raccomandava lo stesso Nostro predecessore, i vescovi e i parroci devono, con ancora maggiori cura e preoccupazione, provvedere che sia rimosso il pericolo di perversione per il coniuge cattolico; che si provveda nel migliore dei modi all’educazione dei figli di entrambi i sessi nella Religione cattolica e che il coniuge di fede cattolica, secondo l’obbligo che gli incombe, s’impegni con le proprie forze alla conversione del coniuge acattolico: ciò gli sarà assai utile per ottenere più facilmente da Dio il perdono dei peccati commessi. Intimamente addolorati che si debbano introdurre simili criteri di tolleranza in un Regno che si segnalava per la professione della Religione cattolica, confessiamo con tutta sincerità di fronte a Dio di esservi stati indotti, o meglio trascinati, unicamente per evitare il sopraggiungere di più gravi danni per la Chiesa cattolica. Con tutto il cuore esortiamo dunque voi, Venerabili Fratelli, e tutti i vostri colleghi, per l’immenso amore di Gesù Cristo che immeritatamente rappresentiamo sulla terra, a mettere in atto, dopo aver implorato la luce dello Spirito Santo, ciò che in un affare di così grande rilievo può validamente rispondere allo scopo. Cercate anche di perseguire unanimemente l’obiettivo prefisso, perché a tale tolleranza nei confronti delle persone che si accingono a contrarre illecitamente matrimoni misti non tenga dietro, nel popolo cattolico, l’affievolimento del rispetto dei canoni che condannano tali nozze e della incessante cura con la quale la Santa Madre Chiesa si preoccupa di dissuadere i suoi figli dal contrarre tali matrimoni che recano danno alle loro anime. Sarà dunque compito vostro, degli altri Vescovi solidali con voi e dei parroci, di ammaestrare i fedeli sia privatamente, sia in pubblico, e ricordare l’insegnamento e le disposizioni che riguardano questi matrimoni e pretenderne la scrupolosa osservanza. Non mancherete certo di provvedere a tutto ciò in forza della vostra provata devozione, della fede e del rispettoso ossequio verso questa Cattedra del Beato Pietro, e Noi, con grande affetto impartiamo a voi e a tutti i vostri colleghi l’Apostolica Benedizione, propiziatrice dell’aiuto celeste e testimonianza del Nostro amore: Benedizione che ciascuno estenderà al proprio gregge. Dato a Roma, presso San Pietro, sotto l’anello del Pescatore, il 30 aprile 1841, undicesimo anno del Nostro Pontificato.

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S.S. LEONE XIII – “SANTA DEI CIVITAS”

Un recente servo “vicario” dell’anticristo, diceva che il proselitismo cristiano è una “solenne sciocchezza”, contraddicendo – come giustamente fanno i servi suddetti – alle parole dei Signore Nostro Gesù Cristo che comandò invece ai suoi Apostoli e ai loro successori, di andare a predicare il Vangelo a tutte le genti e a battezzarle nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. E per meglio imprimere nella mente dei suoi Apostoli e discepoli, ed in quella dei veri fedeli Cattolici di ogni tempo quest’obbligo, aggiungeva che … et praedicabitur hoc Evangelium regni in universo orbe, in testimonium omnibus gentibus: et tunc veniet consummatio … (Matt. XXIV, 14),… quando il Vangelo del regno, sarà annunziato a tutte le genti, allora giungerà la fine!!! … Quindi, lasciamo da parte gli ignoranti, ma coerenti con i loro intenti, i (finti) imbecilli servi del demonio e vediamo, ad esempio, come in questa lettera Enciclica, S. S. Leone XIII, ribadisca questa necessità, se vogliamo escatologica, della predicazione e quindi delle missioni, in tutto il pianeta a tutte le genti, dopo la quale ci sarà la fine, cioè la parusia di Gesù Cristo Giudice che verrà a ricompensare ognuno secondo le sue opere. Eccone un passaggio significativo: ” … La fede dipende dunque dalla predicazione, e la predicazione a sua volta si attua per la parola di Cristo” (Rm. X, 14.17). Codesto ufficio poi spetta a coloro che legittimamente siano stati iniziati ai sacri misteri …”. Seguono poi esortazioni e lodi per le missioni ed i loro sostenitori. Quello che a noi oggi maggiormente importa, è il capire che questa predicazione è oggi – favorita anche dai mezzi divulgativi di massa, che raggiungono ogni angolo del pianeta – pressoché completata: non c’è popolo, credente o eretico, ostinatamente pagano o infedele, che non conosca, pur se in chiave negativa, o anche col rifiuto di aderirvi, la verità evangelica annunziata da Cristo e dai suoi Apostoli, per cui dobbiamo tenerci pronti, oggi più che mai, e solerti al ritorno del “nostro Padrone” di ritorno dal suo viaggio in “un paese lontano” e farci trovare come servi operanti e svegli nell’esercizio operoso della vera ed unica fede salvifica della Chiesa Cattolica, Cattedra di verità e di gloria eterna, fondata e guidata visibilmente dal suo Vicario, S. S. Gregorio XVIII, e invisibilmente, ma con potenza, da Gesù Cristo, Dio incarnato e Giudice severo – ma giusto e misericordioso con i pentiti ed i penitenti – del comportamento di ogni uomo venuto in questo mondo. Chi avrà creduto si salverà … chi, invece, avrà “dialogato” come l’idiota sciocco citato sopra, e l’avrà seguito nelle sue eresie, o meglio nell’apostasia, finirà nelle tenebre esterne … nello stagno di fuoco preparato per la bestia, il falso profeta ed il dragone maledetto. Parola di Dio … Sancta Dei civitas …

SANCTA DEI CIVITAS

LETTERA ENCICLICA 
DI SUA SANTITÀ

LEONE PP. XIII

La città santa di Dio che è la Chiesa, non essendo circoscritta da alcun confine di regioni, ha la forza trasfusale dal suo Fondatore di dilatare ogni giorno più il luogo della sua tenda e di estendere le pelli dei suoi tabernacoli (Is LIV, 2). Questi accrescimenti dei popoli cristiani, sebbene siano principalmente opera dell’intima assistenza e dell’aiuto dello Spirito Santo, tuttavia si compiono estrinsecamente per opera di uomini e secondo l’umano costume. Infatti è consentaneo alla sapienza di Dio che tutte le cose siano ordinate e realizzate nel modo che conviene alla natura di ciascuna di esse. Tuttavia la specie degli uomini e degli uffici, per mezzo dei quali si ottiene l’aumento di nuovi cittadini a questa terrestre Sionne, non è una sola. Infatti le prime parti spettano a coloro che predicano la parola di Dio: ciò Cristo insegnò con i suoi esempi e con le sue profezie. Su ciò l’Apostolo Paolo insisteva con queste parole: “Come potranno credere a colui che non hanno udito? E come potranno udire se non vi è chi predichi?… La fede dipende dunque dalla predicazione, e la predicazione a sua volta si attua per la parola di Cristo” (Rm X,14.17). Codesto ufficio poi spetta a coloro che legittimamente siano stati iniziati ai sacri misteri. – A questi, per certo, recano non poco aiuto né lieve conforto coloro i quali sogliono o apprestare loro soccorsi esterni o con preghiere innalzate a Dio attirare su di essi i doni celesti. Perciò nel Vangelo vengono lodate quelle donne le quali “soccorrevano con le proprie sostanze” (Lc VIII, 3). Cristo che predicava il regno di Dio; e Paolo attesta che a coloro i quali annunziano il Vangelo è per divino volere concesso che vivano del Vangelo (1Cor IX, 14). Parimenti sappiamo che Cristo diede ai suoi seguaci ed ai suoi uditori questo comando: “Pregate il padrone della messe che mandi ad essa gli operai” (Mt IX, 38; Lc 10,2), e che i primi suoi discepoli, dietro l’esempio degli Apostoli, solevano supplicare Dio con queste parole: “Concedi ai tuoi servi di annunziare con tutta fiducia la tua parola” (At. IV,29). Questi due uffici, che consistono nel dare e nel pregare, oltre che essere utilissimi per allargare i confini del regno dei cieli, hanno altresì questo di proprio, che possono essere facilmente compiuti da uomini di qualunque condizione. Infatti, chi è tanto povero che non possa dare una piccola moneta, o tanto occupato che non possa qualche volta alzare a Dio una preghiera per i nunzi del Santo Vangelo? Di questi aiuti sempre si servirono gli uomini apostolici e specialmente i Pontefici Romani, ai quali maggiormente incombe il compito di propagare la fede cristiana, sebbene non si sia sempre tenuto il medesimo modo di procurare tali soccorsi, ma vario e diverso, secondo la varietà dei luoghi e la diversità dei tempi. – Essendo tendenza della nostra età di intraprendere le cose ardue mercé l’unione dei pareri e delle forze di molti, vedemmo dappertutto formarsi società di cui talune furono costituite perché contribuissero anche a promuovere la Religione in alcune regioni. Fra tutte, la più eminente è la pia associazione formata circa sessant’anni fa a Lione, in Francia, e che prese il nome della Propagazione della fede. Questa in principio si propose di soccorrere alcune missioni nell’America; poi, come il grano della senape, crebbe diventando un albero gigantesco i cui rami largamente fioriscono, e così a tutte le missioni, sparse per tutta la terra, porge operosa beneficenza. Questa eccellente istituzione fu tosto approvata dai Pastori della Chiesa e ricolma di splendidi elogi. I Romani Pontefici Pio VII, Leone XII, Pio VIII, Nostri Predecessori, la raccomandarono calorosamente e la arricchirono dei doni delle Indulgenze. Con molto maggiore impegno la promosse, e con affetto veramente paterno la considerò Gregorio XVI, che nella Lettera enciclica del 15 agosto 1840 [più esattamente, con il Breve Probe nostis del 18 settembre 1840] di essa parlò in questi termini: “Opera, questa, veramente grande e santissima, che si sostiene, si allarga, si accresce con le modeste offerte e con le quotidiane preci innalzate a Dio dagli amici di essa; opera che, rivolta a sostenere gli operai apostolici, a esercitare la carità cristiana verso i neofiti, a liberare i fedeli dall’impeto delle persecuzioni, è da Noi considerata degnissima di ammirazione e di amore da parte di tutti i buoni. Né si può credere che senza un particolare disegno della Provvidenza divina sia toccato alla Chiesa, in questi ultimi tempi, un vantaggio, una utilità così grande. Mentre infatti con artifici di ogni genere il nemico infernale tormenta la diletta Sposa di Cristo, nulla di più opportuno poteva accaderle che la difesa e gli sforzi congiunti di tutti i fedeli che sono infiammati dal desiderio di diffondere la verità cattolica e di guadagnare tutti a Cristo”. – Dopo ciò esortava i Vescovi, affinché ognuno nella propria diocesi alacremente operasse in modo che una istituzione tanto salutare si accrescesse di giorno in giorno. Né dall’indirizzo del suo Predecessore si allontanò Pio IX di gloriosa memoria, il quale non tralasciò alcuna occasione per aiutare la benemeritissima società e per promuovere sempre più la sua prosperità. Infatti per sua decisione vennero concessi ai soci più ampi privilegi della indulgenza pontificia; fu spronata la pietà cristiana a sussidiare l’opera, e i soci più illustri, dei quali fossero provati i singolari meriti, furono decorati di varie onorificenze; infine, alcuni aiuti esterni, destinati a questa istituzione, furono dallo stesso Pontefice elogiati ed amplificati. Nello stesso tempo l’emulazione della pietà fece sì che nascessero due altre società, delle quali l’una prese il nome della Santa Infanzia di Gesù Cristo, l’altra delle Scuole d’Oriente. La prima ha per scopo di educare nei costumi cristiani gl’infelicissimi bambini che i genitori, costretti dalla miseria o dalla fame, abbandonano barbaramente, specialmente nelle regioni dei Cinesi, nelle quali è maggiormente in uso questa sorta di crudeltà. Pertanto, la carità dei soci li raccoglie affettuosamente e, dopo averli recuperati talvolta con il denaro, cura che siano lavati nel fonte della rigenerazione cristiana, in modo che, con l’aiuto di Dio, crescano nella speranza della Chiesa o almeno, presi dalla morte, possano garantirsi il modo di acquistare l’eterna felicità. – L’altra società, che sopra abbiamo nominata, prende cura degli adolescenti e con ogni impegno si adopera affinché essi siano imbevuti di sana dottrina, e si adopera di allontanare da loro i pericoli della scienza fallace, verso la quale essi sono spesso inclinati per improvvida cupidigia d’imparare. – Del resto, l’uno e l’altro sodalizio prestano la loro opera coadiutrice a quello più antico che si chiama Propaganda Fide e che, sostenuto dal denaro e dalle preghiere dei popoli cristiani, con amica alleanza opera allo stesso fine. Tutti infatti tendono a far si che mediante la diffusione della luce evangelica moltissimi estranei alla Chiesa vengano alla conoscenza di Dio, e adorino Lui e il Mandato da Lui, Gesù Cristo. Quindi, come accennammo, queste due istituzioni furono elogiate con lettere apostoliche dal Nostro Predecessore Pio IX e largamente arricchite di Sacre Indulgenze. – Pertanto, dato che questi tre sodalizi hanno goduto di tanta sicura grazia agli occhi dei Sommi Pontefici, e dato che ognuno di essi non ha mai desistito dal compiere con concorde impegno il proprio ufficio, così diedero abbondanti frutti salutari alla Nostra Congregazione di Propaganda Fide, arrecarono non mediocre aiuto e conforto nel sostenere i pesi delle missioni e sembrarono tanto vigorosi da dare lieta speranza di messe più ampia per l’avvenire. Però le molte e violente tempeste che si sono scatenate contro la Chiesa nelle regioni già illuminate dalla luce evangelica, recarono detrimento anche a quelle opere che erano state istituite per incivilire i popoli barbari. Infatti furono molte le cause che diminuirono il numero e la generosità dei soci. Certamente, venendo sparse nel mondo prave opinioni con le quali si aguzza l’appetito della terrena felicità e si spregia la speranza dei beni celesti, che cosa ci si deve aspettare da coloro che usano la mente per escogitare e per gustare le voluttà del corpo? Uomini siffatti possono innalzare preghiere in forza delle quali Dio, implorato, possa condurre con la grazia trionfante i popoli immersi nelle tenebre alla luce divina del Vangelo? Costoro possono forse recare aiuto ai sacerdoti che per la fede si sacrificano e combattono? Invece, per la malvagità dei tempi avvenne che anche gli animi degli uomini pii si facessero più restii alla munificenza, in parte perché nell’abbondanza delle iniquità si raffreddò la carità di molti, in parte perché le angustie delle cose private, i moti di quelle pubbliche (e si aggiunga anche il timore di tempi peggiori) fecero sì che molti fossero tenaci nel conservare, parchi nel dare. – Al contrario le missioni apostoliche sono strette da molteplici e gravi necessità poiché si fa ogni giorno minore il numero dei sacri operai, né a coloro che sono rapiti dalla morte, cadenti per la vecchiaia, logorati dalla fatica, sono pronti a succedere missionari pari di numero e di valore. Infatti vediamo famiglie religiose, dalle quali molti partivano per le sacre missioni, sciolte da leggi nefaste, i chierici strappati dagli altari e costretti agli obblighi della milizia, i beni dell’uno e dell’altro Clero quasi dappertutto messi al bando e proscritti. – Frattanto, aperto l’adito ad altre regioni che parevano inaccessibili, cresciuta la conoscenza di luoghi e di genti, furono richieste molte altre spedizioni di soldati di Cristo, e si stabilirono nuove stazioni; perciò si desiderano molte persone che si dedichino a codeste missioni ed arrechino opportuni aiuti. – Tralasciamo le difficoltà e gli ostacoli generati dalle contraddizioni. Infatti, spesse volte uomini fallaci, seminatori di errori, si camuffano da apostoli di Cristo, e abbondantemente forniti di aiuti umani prevengono l’ufficio dei sacerdoti cattolici, o si insinuano al posto di quelli che vengono a meno, o siedono su una cattedra eretta contro di essi, ritenendo di avere sufficientemente conseguito il loro fine, se a quelli che ascoltano la parola di Dio spiegata in diverso modo, rendono ambigua la via della salvezza. E volesse Iddio che non riuscissero con le loro arti! Certamente è da deplorare che quegli stessi i quali o hanno in uggia tali maestri o non li conoscono affatto, e anelano alla pura luce della verità, non trovino spesso l’uomo da cui siano istruiti nella sacra dottrina ed invitati nel seno della Chiesa. Veramente i pargoli chiedono il pane, e non vi è chi lo spezzi loro; le contrade biancheggiano di messe: questa è molta, ma gli operai sono pochi e meno ancora forse diverranno in futuro. – Stando così le cose, Venerabili Fratelli, stimiamo Nostro dovere stimolare lo zelo e la carità dei Cristiani, affinché, sia con le preghiere, sia con le offerte, si adoperino ad aiutare l’opera delle sacre missioni e a promuovere la propagazione della fede. Quanta sia l’eccellenza di tale attività lo dimostrano tanto i beni che ad essa sono proposti, quanto i frutti che se ne ritraggono. Infatti, questa santa opera tende direttamente ad estendere sulla terra la gloria del nome divino e il regno di Cristo. Essa è oltremodo benefica per coloro che sono richiamati dal fango dei vizi e dall’ombra della morte, e che, oltre ad essere resi idonei alla salvezza eterna, sono tratti da uno stato di barbarie e da costumi selvaggi alla dignità del vivere civile. Inoltre, tale opera riesce molto utile e fruttuosa anche a coloro i quali in qualsiasi modo vi partecipano, poiché procura ad essi ricchezze spirituali, offre materia di merito e rende Dio quasi debitore nei loro confronti del beneficio compiuto. – Voi dunque, Venerabili Fratelli, chiamati a partecipare della Nostra sollecitudine, caldamente esortiamo affinché, sorretti dalla fiducia in Dio e non turbati da qualsiasi difficoltà, con animi concordi vi adoperiate con Noi ad aiutare attivamente ed energicamente le missioni apostoliche. Si tratta della salute delle anime per le quali il Nostro Redentore offerse l’anima sua e costituì Noi Vescovi e Sacerdoti per la formazione dei santi e per la edificazione del suo corpo. – Pertanto, ciascuno nel luogo dove da Dio fu posto a custodia del gregge, sforziamoci con ogni mezzo affinché alle sacre missioni siano forniti quegli aiuti che, come abbiamo ricordato, la Chiesa usò sin dai primordi, vale a dire la predicazione del Vangelo, le preghiere e le elemosine degli uomini pii. Se dunque troverete alcuni zelanti della gloria divina e pronti ed idonei ad intraprendere le sacre missioni, rincuorateli affinché, esplorata e conosciuta la volontà di Dio, non si facciano impigrire dalla carne e dal sangue, ma si affrettino ad assecondare le voci dello Spirito Santo. – Agli altri Sacerdoti, poi, agli ordini religiosi dell’uno e dell’altro sesso, e infine a tutti i fedeli affidati alle Vostre cure, inculcate con insistenza affinché con preghiere incessanti implorino l’aiuto celeste a favore dei seminatori della divina parola. Adoperino poi quali intercessori la Vergine Madre di Dio, che può uccidere tutti i mostri degli errori, il suo purissimo Sposo, che molte missioni hanno già eletto a proprio protettore e custode, e che la Sede Apostolica ha recentemente dichiarato Patrono della Chiesa universale; i Principi degli Apostoli e tutta la schiera da cui partì per la prima volta la predicazione del Vangelo che risuonò per tutta la terra; infine, tutti gli altri uomini illustri per santità, che nello stesso ministero consumarono le forze o profusero il sangue e la vita. – Alla supplice preghiera si unisca l’elemosina, la cui forza consiste nel far sì che coloro i quali aiutano gli uomini dell’apostolato, ancorché separati da grandi distanze o trattenuti in altre occupazioni, si rendano loro soci, tanto nei travagli quanto nei meriti. Per la verità, il tempo è tale che molti sono presi dalla povertà familiare, tuttavia nessuno per questo si perda d’animo, in quanto a nessuno certamente può essere grave l’oblazione della piccola moneta che si richiede per questo scopo, dato che molte offerte convogliate unitariamente possono approntare aiuti abbastanza grandi. Ognuno poi consideri, secondo il Vostro insegnamento, Venerabili Fratelli, che la sua liberalità non gli sarà di iattura ma di vantaggio, poiché chi dà al povero presta a Dio, e perciò l’elemosina fu detta la più lucrosa di tutte le attività. Infatti se, come da promessa dello stesso Gesù Cristo, non perderà la sua mercede colui che abbia dato un bicchiere d’acqua fresca ad uno dei suoi poveri più miseri, amplissima mercede certamente spetterà a colui che, spesa per le sacre missioni una somma anche esigua ed aggiuntavi la preghiera, sollecita contemporaneamente molte e diverse opere di carità, e si fa collaboratore di Dio per la salute del prossimo in quell’opera che i Santi Padri chiamarono la più divina fra le opere divine. – Nutriamo certa fiducia, Venerabili Fratelli, che tutti coloro i quali si gloriano del nome di cattolici, meditando nella loro mente queste considerazioni ed infiammati dalle Vostre esortazioni, non verranno meno a questa opera di pietà, che a Noi sta tanto a cuore, né permetteranno che le loro premure di dilatare il regno di Gesù Cristo siano vinte dall’attività e dall’impegno di coloro che si sforzano di propagare il dominio del principe delle tenebre. – Frattanto, implorando Iddio propizio alle pie imprese dei popoli cristiani, impartiamo affettuosamente nel Signore l’Apostolica Benedizione, testimone della Nostra singolare benevolenza, a Voi, Venerabili Fratelli, al Clero ed al popolo affidato alla Vostra cura.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 3 dicembre 1880, anno terzo del Nostro Pontificato.

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. LEONE XIII – “QUOD APOSTOLICI MUNERIS”

Il Santo Padre S.S, Leone XIII, scrive questa importante lettera enciclica per ribadire i concetti evangelici che animano una società cristiana, la dottrina sociale della Chiesa, opposta alle aberranti ideologie partorite nelle sette di perdizione, le conventicole adoratrici del baphomet. Questa dottrina è stata ed è totalmente disattesa dalle generazioni del secolo scorso e successive in ogni parte del mondo che hanno preferito seguire i miraggi economici e di benessere che il demonio presentava loro fraudolentemente. Le ideologie variamente mascherate … socialista, comunista, progressista, ed oggi – la peggiore di tutte – mondialista, traggono tutte la loro velenosa radice dal Non serviam luciferino, ideologia che conduce alla morte del corpo (si pensi alle guerre scatenate dai comunisti in ogni luogo del pianeta, alle persecuzioni cruente, fino alle false pandemie dei kazari-mondialisti, sostenute da macabri soppressioni nelle sale di rianimazione, o nei letti di ospedali “macello-dedicati” ove si entra sani, e si esce inceneriti … il trionfo della medicina senza DIO!), ma soprattutto alla morte dell’anima, giusta punizione per l’apostasia ed il rifiuto a seguire la legge divina sbandierata dalla Santa Madre Chiesa di Cristo … Santa Madre oggi cacciata dal “cielo” e rifugiata nel deserto lontano dai falsi prelati eretici e scismatici, ipocriti propagatori di false dottrine, falsi culti, falsi sacramenti, sacrilegi inauditi … finiranno tutti con il falso profeta, la bestia e il dragone nello stagno di fuoco … parola di Dio  già vergata nel libro di San Giovanni Apostolo … qui autem diligit iniquitatem, odit animam suam. Pluet super peccatores laqueos; ignis et sulphur, et spiritus procellarum, pars calicis eorum.

Leone XIII
Quod Apostolici muneris

Lettera Enciclica

Già dall’inizio del Nostro Pontificato, secondo quanto richiedeva la natura dell’Apostolico ministero, con Lettera enciclica a Voi indirizzata, Venerabili Fratelli, segnalammo la micidiale pestilenza che serpeggia per le intime viscere della società e la riduce all’estremo pericolo di rovina; indicammo contemporaneamente i rimedi più efficaci per richiamarla a salute e per salvarla dai gravissimi pericoli che la sovrastano. Ma nel giro di poco tempo crebbero talmente i mali che allora deplorammo, da sentirci ora costretti a rivolgervi di nuovo la parola, come se alle Nostre orecchie risuonasse la voce del Profeta: “Grida, non darti posa; alza la tua voce come una tromba” (Is 58,1). Comprendete facilmente, Venerabili Fratelli, che Noi parliamo della setta di coloro che con nomi diversi e quasi barbari si chiamano Socialisti, Comunisti e Nichilisti, e che sparsi per tutto il mondo, e tra sé legati con vincoli d’iniqua cospirazione, ormai non ricercano più l’impunità dalle tenebre di occulte conventicole, ma apertamente e con sicurezza usciti alla luce del giorno si sforzano di realizzare il disegno, già da lungo tempo concepito, di scuotere le fondamenta dello stesso consorzio civile. Costoro sono quelli che, secondo le Scritture divine, “contaminano la carne, disprezzano l’autorità, bestemmiano la maestà” (Gd 8), e nulla rispettano e lasciano integro di quanto venne dalle leggi umane e divine sapientemente stabilito per l’incolumità e il decoro della vita. Ai poteri superiori (ai quali, secondo l’ammonimento dell’Apostolo, conviene che ogni anima si tenga soggetta, e che da Dio ricevono il diritto di comandare) ricusano l’obbedienza e predicano la perfetta uguaglianza di tutti nei diritti e negli uffici. Disonorano l’unione naturale dell’uomo e della donna, rispettata come sacra perfino dai barbari, e indeboliscono e anche lasciano in balìa della libidine il vincolo coniugale per il quale principalmente si mantiene unita la società domestica. Presi infine dalla cupidigia dei beni terreni, che “è radice di tutti i mali, e per amore della quale molti hanno traviato dalla fede” (1Tm VI, 19), impugnano il diritto di proprietà stabilito per legge di natura, e con enorme scelleratezza, dandosi l’aria di provvedere e di soddisfare ai bisogni e ai desideri di tutti, si adoperano per rubare e mettere in comune quanto fu acquisito o a titolo di legittima eredità, o con l’opera del senno e della mano, o con la frugalità della vita. Rendono pubbliche queste mostruose opinioni nei loro circoli; le consigliano nei libercoli; le diffondono nel popolo con un mucchio di gazzette. Pertanto si è accumulato tanto odio della plebe sediziosa contro la veneranda maestà e l’impero dei Re, al punto che scellerati traditori, sdegnosi di ogni freno, più volte a breve intervallo di tempo, con empio ardimento rivolsero le armi contro gli stessi Sovrani. –  Queste audaci macchinazioni degli empi, che ogni giorno minacciano all’umano consorzio più gravi rovine e tengono in ansiosa trepidazione l’animo di tutti, traggono principio e origine da quelle velenose dottrine che, sparse nei tempi passati quali semi malsani in mezzo ai popoli, diedero a suo tempo frutti così amari. Infatti, Voi ben conoscete, Venerabili Fratelli, che la guerra implacabile mossa fin dal secolo decimosesto dai Novatori contro la fede cattolica, e che venne sempre crescendo fino ai giorni nostri, ha per scopo d’aprire la porta a quelle idee e, per dir più propriamente, ai deliri della ragione abbandonata a se stessa, eliminata ogni rivelazione e rovesciato ogni ordine soprannaturale. Tale errore, che a torto prende nome dalla ragione, siccome solletica e rende più viva l’innata bramosia d’innalzarsi, ed allenta il freno ad ogni sorta di cupidigie, senza difficoltà s’introdusse non solo nella mente di moltissimi, ma giunse anche a penetrare ampiamente nella società civile. Quindi con empietà nuova, sconosciuta perfino agli stessi pagani, si costituirono Stati senza alcun riguardo a Dio ed all’ordine da Lui prestabilito; si andò dicendo che l’autorità pubblica non riceve da Dio né il principio, né la maestà, né la forza di comandare, ma piuttosto dalla massa popolare la quale, ritenendosi sciolta da ogni legge divina, tollera appena di restare soggetta alle leggi che essa stessa a piacere ha sancite. – Combattute e rigettate come nemiche della ragione le verità soprannaturali della fede, si costringe lo stesso Autore e Redentore del genere umano ad uscire insensibilmente e a poco a poco dalle Università, dai Licei e dai Ginnasi e da ogni pubblica consuetudine della vita. Infine, messi in dimenticanza i premi e le pene della eterna vita avvenire, l’ardente desiderio della felicità è stato rinserrato entro gli angusti confini del presente. Con queste dottrine disseminate in lungo e in largo, e con tale e tanta licenza d’opinare e di fare accordata dovunque, non deve recare meraviglia che gli uomini della plebe, stanchi della casa misera e dell’officina, anelino a lanciarsi sui palazzi e sulle fortune dei più ricchi; non deve recare meraviglia che, scossa, vacilli ormai ogni pubblica e privata tranquillità, e che l’umanità sia giunta quasi alla sua estrema rovina. – Ma i supremi Pastori della Chiesa, ai quali incombe il dovere di difendere dalle insidie nemiche il gregge del Signore, si adoperarono per scongiurare tempestivamente il pericolo e per provvedere all’eterna salute dei fedeli. Infatti, non appena si cominciarono a formare le società segrete, in mezzo alle quali fin d’allora covavano i germi degli errori che abbiamo rammentato, i Romani Pontefici Clemente XII e Benedetto XIV non omisero di scoprire gli empi disegni delle sette e d’avvertire i fedeli di tutto l’universo della rovina che nell’oscurità si preparava. E quando poi coloro che si vantavano del nome di filosofi vollero concedere all’uomo una libertà sfrenata, e si prese ad inventare un nuovo diritto e a stabilirlo contro ogni legge naturale e divina, il Papa Pio VI di felice memoria mostrò immediatamente con pubblici documenti la malvagia indole e la fallacia di quei principi, e contemporaneamente con Apostolica antiveggenza vaticinò le rovine alle quali sarebbe stato tratto il popolo miseramente ingannato. Però, non essendosi in alcun modo provveduto a che quelle prave teorie non venissero instillate ogni giorno più nelle menti dei popoli e non entrassero nei pubblici decreti di governo, Pio VII e Leone XII colpirono d’anatema le sette segrete, e di nuovo ammonirono la società dei pericoli che per opera loro incombevano. Infine è noto a tutti con quali gravissime parole e con quanta fermezza d’animo e costanza il Nostro glorioso Predecessore, il Papa Pio IX di felice memoria, sia con le Allocuzioni, sia con Lettere encicliche mandate ai Vescovi di tutto il mondo, abbia combattuto contro gl’iniqui sforzi delle sette e specificatamente contro la peste del Socialismo, che da quelle sin da allora germogliava. – Ma per somma sventura, coloro ai quali venne affidata la cura di promuovere i comuni vantaggi, circonvenuti con gli artifici di perfidi uomini e spaventati dalle loro minacce, tennero sempre in sospetto la Chiesa e l’avversarono, non comprendendo che gli sforzi delle sette sarebbero andati a vuoto se la dottrina della Chiesa cattolica e l’autorità dei Romani Pontefici, sia presso i Principi, sia presso i popoli, fosse sempre rimasta nell’onore dovuto. Infatti, “la Chiesa del Dio vivente, che è colonna e fondamento di verità” (1Tm III, 15), insegna dottrine e dà precetti che largamente provvedono al benessere ed al quieto vivere della società, e per i quali l’infausto germe del Socialismo è divelto dalle radici. – Sebbene i Socialisti, abusando dello stesso Vangelo per ingannare gl’incauti, abbiano il costume di travisarlo secondo i loro intendimenti, tuttavia è tanta la discordanza delle loro perverse opinioni dalla purissima dottrina di Cristo, che non se ne può immaginare una maggiore: “Infatti, quale consorzio della giustizia con l’iniquità? o quale società della luce con le tenebre?” (2 Cor VI, 14). Costoro invero non smettono di blaterare – come abbiamo già accennato – che tutti gli uomini sono per natura uguali fra loro, e quindi sostengono non doversi prestare alle autorità né onore, né riverenza, né obbedire alle leggi se non forse a quelle redatte a loro piacimento. All’opposto, secondo gl’insegnamenti del Vangelo, tutti gli uomini sono uguali in quanto avendo tutti avuto in sorte la medesima natura, tutti sono chiamati alla medesima altissima dignità di figliuoli di Dio; avendo tutti lo stesso fine da conseguire, dovranno essere giudicati a norma della stessa legge, per riceverne premi o pene secondo che avranno meritato. Tuttavia, l’ineguaglianza di diritti e di potestà proviene dall’Autore medesimo della natura, “dal quale tutta la famiglia e in cielo e in terra prende il nome” (Ef III, 15). Gli animi poi dei Principi e dei sudditi, secondo la dottrina e i precetti della Chiesa cattolica, sono così legati attraverso scambievoli doveri e diritti, che ne resta temperata la passione sfrenata del comandare, e diviene facile, costante e nobilissima la ragione dell’ubbidienza. – E valga il vero: la Chiesa inculca sempre nei sudditi il precetto dell’Apostolo: “Non esiste potestà se non da Dio, e quelle che ci sono, sono ordinate da Dio. Pertanto, chi si oppone alla potestà, resiste alla disposizione di Dio, e coloro che resistono si comprano la condanna”. E di nuovo comanda “di essere soggetti, come è necessario, non solo per timore dell’ira, ma anche per riguardo alla coscienza, e comanda di rendere a tutti quello che è dovuto: a chi il tributo, il tributo; a chi la gabella, la gabella; a chi il timore, il timore; a chi l’onore, l’onore” (Rm XIII, 1-2.5-7). Pertanto, Colui che creò e governa ogni cosa, nella sua provvida sapienza dispose che le infime cose attraverso quelle di mezzo, e le cose di mezzo attraverso le altissime arrivino ciascuna al proprio fine. Perciò, come nello stesso regno celeste volle che vi fossero cori di Angeli distinti fra loro e gli uni agli altri soggetti; nello stesso modo stabilì anche nella Chiesa vari gradi di ordini, ed una moltitudine di ministeri, onde non tutti fossero Apostoli, non tutti Pastori, non tutti Dottori (cf. 1Cor XII, 28-30); così dispose del pari che nella società civile fossero varii ordini distinti per dignità, per diritti e per potere, onde la comunità, a somiglianza della Chiesa, rendesse l’immagine di un corpo che ha molte membra, le une più nobili delle altre, ma insieme scambievolmente necessarie e sollecite del bene comune. – In pari tempo, però, affinché i capi dei popoli si servano della potestà ad essi data ad edificazione e non a distruzione, la Chiesa di Cristo opportunamente ricorda che anche sui Principi sovrasta la severità del Giudice Supremo. Avvalendosi delle parole della divina Sapienza, essa grida a tutti nel nome di Dio: “Porgete le orecchie, voi che avete il governo dei popoli e vi gloriate di dominare molte nazioni: la potestà è stata data a voi dal Signore, e la virtù dall’Altissimo, il quale esaminerà le vostre opere e scruterà i vostri pensieri… Poiché un giudizio severissimo si farà di coloro che sovrastano… Dio infatti non esonererà nessuno dal giudizio, né temerà la grandezza di chicchessia, perché Egli ha fatto il grande e il piccolo, e di tutti tiene eguale cura. Ma ai maggiori sovrasta un maggiore tormento” (Sap VI, 2-8). Tuttavia, se accada talvolta che la pubblica potestà venga dai Principi esercitata a capriccio ed oltre misura, la dottrina della Chiesa Cattolica non consente ai privati d’insorgere a proprio talento contro di essi, affinché non sia vieppiù sconvolta la tranquillità dell’ordine, e non derivi perciò maggior detrimento alla società. E quando le cose siano giunte a tal punto che non sorrida alcun’altra speranza di salvezza, vuole che si raggiunga il rimedio coi meriti della pazienza cristiana e con insistenti preghiere al Signore. – Se la volontà dei legislatori e i decreti dei Principi comanderanno qualche cosa che sia contraria alla legge divina o naturale, allora la dignità e il dovere del nome cristiano, e il pensiero Apostolico esigono “doversi obbedire più a Dio che agli uomini” (At V, 29). – La stessa società domestica, che è alla base di ogni comunità e di ogni regno, sente e sperimenta necessariamente questa benefica virtù della Chiesa che influisce sull’ordinatissimo regime e sulla conservazione della società civile. Infatti, ben sapete, Venerabili Fratelli, che questa società, retta secondo l’esigenza del diritto naturale, si fonda principalmente sopra l’unione indissolubile dell’uomo e della donna, si completa negli scambievoli doveri e diritti tra i genitori e i figli, tra i padroni e i servi. Sapete ancora che essa va quasi a disciogliersi secondo le dottrine del Socialismo; in quanto, perduta la stabilità che le deriva dal matrimonio cristiano, ne consegue che venga pure ad indebolirsi in straordinaria maniera l’autorità dei padri sopra i figli, e la riverenza dei figli verso i genitori. Al contrario, la Chiesa insegna che il matrimonio, “degno di essere in tutto onorato” (Eb XIII, 4), istituito da Dio fin dal principio del mondo per propagare e conservare l’umana specie e da Lui voluto indissolubile, crebbe a condizione ancora più stabile e più santa per opera di Cristo che gli conferì la dignità di Sacramento e volle che ritraesse in sé l’immagine della sua unione con la Chiesa. Pertanto, secondo quanto insegna l’Apostolo (Ef V, 22-24), come Cristo è il capo della Chiesa, così il marito è il capo della sposa; e come la Chiesa si tiene soggetta a Cristo che nutre per lei un amore castissimo ed eterno, così conviene che le spose siano soggette ai loro mariti, i quali a loro volta le debbono amare di affetto fedele e costante. – Analogamente la Chiesa tempera in tal modo la potestà dei padri e dei padroni i quali, senza trascendere la giusta misura, riescono a contenere dentro i confini del rispetto i figli ed i servi. Stando infatti agli insegnamenti cattolici, nei genitori e nei padroni si trasfonde l’autorità del Padre e del Padrone celeste; perciò essa non solo trae da Lui origine e forza, ma ne mutua anche necessariamente la natura e l’indole. Conseguentemente l’Apostolo esorta i figli “ad obbedire ai loro genitori nel nome del Signore, ad onorare il padre e la madre: è questo il primo comandamento associato a una promessa” (Ef VI, 1-2). Ai genitori poi ingiunge: “E voi, padri, non provocate ad ira i vostri figli, ma allevateli nella disciplina e nell’istruzione del Signore” (Ef VI, 4). Di nuovo poi ai servi ed ai padroni dallo stesso Apostolo viene inculcato il comandamento divino: obbediscano “ai padroni carnali come alla persona di Cristo… servendo con amore come al Signore”; questi alla loro volta “mettano da parte l’asprezza, ben sapendo che il Signore di tutti è nei cieli, e che presso di Lui non v’è preferenza di persone” (Ef VI, 5-7). Se tutte queste cose fossero diligentemente compiute secondo il volere divino da tutti coloro che ne hanno il dovere, sicuramente ogni famiglia presenterebbe una certa somiglianza con la dimora celeste, e i preclari benefìci che ne seguirebbero non sarebbero solo ristretti entro i confini delle pareti domestiche, ma si riverserebbero altresì in abbondanza a vantaggio degli Stati medesimi. – Inoltre la sapienza cattolica, costruita sui precetti della legge naturale e divina, mirabilmente provvide alla pubblica e domestica tranquillità anche con le dottrine che professa ed insegna intorno al diritto di proprietà e alla divisione dei beni, che sono fatti per le necessità ed i comodi della vita. Pertanto, mentre i Socialisti rappresentano il diritto di proprietà come un ritrovato umano contrario alla naturale eguaglianza degli uomini, ed anelando alla comunanza dei beni ritengono non doversi sopportare di buon animo la povertà, e potersi impunemente violare i beni e i diritti dei più ricchi, la Chiesa molto più saggiamente ed utilmente anche nel possesso dei beni riconosce disuguaglianza tra gli uomini, naturalmente diversi per forze fisiche ed attitudine d’ingegno, e vuole intatto ed inviolabile per tutti il diritto di proprietà e di possesso che dalla stessa natura deriva. Infatti, sa che Iddio, Autore e vindice di ogni diritto, vietò il furto e la rapina in modo che neppure è lecito desiderare l’altrui: gli uomini ladri e rapaci, non altrimenti che gli adulteri e gli adoratori degli idoli, sono esclusi dal regno dei cieli. Tuttavia non dimentica per questo la causa dei poveri, né avviene che la pietosa Madre trascuri di provvedere alle loro indigenze: ché anzi, con materno affetto, se li stringe al seno, e ben sapendo che essi impersonano Cristo, il quale considera come fatto a se stesso il beneficio elargito anche all’ultimo dei poveri, li tiene in grande onore, con ogni mezzo possibile li solleva; si adopera con ogni sollecitudine affinché in tutte le parti del mondo s’innalzino case ed ospedali destinati a raccoglierli, a mantenerli, a curarli, e prende quegli asili sotto la propria tutela. Incalza poi i ricchi col gravissimo precetto di dare ai poveri il superfluo, e li spaventa intimando loro il giudizio divino, secondo il quale se non verranno in aiuto dell’indigenza saranno puniti con eterni supplizi. Da ultimo ricrea e conforta considerevolmente gli animi dei poveri sia proponendo l’esempio di Cristo “il quale, essendo ricco, si fece povero per noi” (2Cor VIII, 9), sia ripetendo quelle parole di Lui, con le quali chiama i poveri beati, e comanda loro di sperare i premi dell’eterna beatitudine. Ora, chi non vede come questa sia la più bella maniera di comporre l’antichissimo dissidio tra i poveri ed i ricchi? Come infatti dimostrano la natura delle cose e l’evidenza dei fatti, esclusa o accantonata quella maniera di componimento, è necessario che accada una delle due: o che la massima parte dell’umanità ricada nella turpissima condizione di schiavi che fu lungamente in uso presso i Gentili; ovvero che la società umana rimanga in balìa di continui rivolgimenti e sia contristata da rapine e da latrocini, come deploriamo essere avvenuto anche in tempi recenti. – Stando così le cose, Venerabili Fratelli, Noi a cui presentemente è affidato il governo di tutta la Chiesa, come fin dall’inizio del Nostro Pontificato mostrammo ai popoli ed ai Principi sbattuti da violenta procella il porto ove riparare, così adesso, preoccupati dall’estremo pericolo che sovrasta, di nuovo indirizziamo loro l’Apostolica voce; ed in nome della loro salvezza e di quella dello Stato di nuovo li preghiamo insistentemente e li scongiuriamo di accogliere ed ascoltare come maestra la Chiesa, tanto benemerita della pubblica prosperità dei regni, e si persuadano che le ragioni della religione e dell’impero sono così strettamente congiunte che di quanto viene quella a scadere, di altrettanto diminuiscono l’ossequio dei sudditi e la maestà del comando. Anzi, conoscendo che la Chiesa di Cristo possiede tanta virtù per combattere la peste del Socialismo, quanta non ne possono avere le leggi umane, né le repressioni dei magistrati, né le armi dei soldati, ridonino alla Chiesa quella condizione di libertà, nella quale possa efficacemente compiere la sua benefica azione a favore dell’umano consorzio. – E Voi, Venerabili Fratelli, che ben conoscete l’origine e la natura delle imminenti sciagure, rivolgete tutte le forze dell’animo Vostro a che la dottrina cattolica sia accolta negli animi di tutti e vi penetri fino in fondo. Procurate che fin dalla prima età tutti si avvezzino ad amare Dio con tenerezza filiale e a riverirne la maestà; che prestino ossequio all’autorità dei Principi e delle leggi, e che, frenate le cupidigie, custodiscano gelosamente l’ordine stabilito da Dio nella civile e nella domestica società. Inoltre ponete ogni studio affinché i figli della Chiesa Cattolica non aderiscano né diano alcun favore alla detestabile setta; anzi, con azioni egregie e con un contegno assolutamente lodevole, dimostrino quanto prospera e felice sarebbe la società, se tutte le sue membra si abbellissero dello splendore di opere compiute correttamente, e di virtù. – Infine, siccome i seguaci del Socialismo principalmente vengono cercati fra gli artigiani e gli operai, i quali, avendo per avventura preso in uggia il lavoro, si lasciano assai facilmente pigliare all’esca delle promesse di ricchezze e di beni, così torna opportuno di favorire le società artigiane ed operaie che, poste sotto la tutela della Religione, avvezzino tutti i loro soci a considerarsi contenti della loro sorte, a sopportare la fatica e a condurre sempre una vita quieta e tranquilla. – Iddio, a cui siamo tenuti a riferire il principio ed il fine di ogni santa impresa, assecondi i Nostri e i Vostri intendimenti, Venerabili Fratelli. Del resto, la stessa ricorrenza di questi giorni, nei quali si celebra solennemente il giorno natalizio del Signore, Ci solleva alla speranza di opportunissimo aiuto. Infatti, Cristo fa sperare anche a noi quella salutare salvezza che Egli nascendo portò al mondo invecchiato e corrotto da tanti mali, e ci promette quella pace che allora per mezzo degli Angeli fece annunziare agli uomini. Infatti “né la mano del Signore si è accorciata così che non possa salvare, né le sue orecchie sono chiuse sicché non possa sentire” (Is LIX, 1). Pertanto, in questi faustissimi giorni, augurando a Voi, Venerabili Fratelli, ed ai fedeli delle Vostre Chiese ogni più lieto e prospero evento, insistentemente preghiamo il Datore di ogni bene affinché nuovamente “appaiano agli uomini la benignità e l’amore del Salvatore nostro Dio” (Tt III, 4), il quale, sottrattici dalla potestà dell’implacabile nostro nemico, ci sollevò alla dignità nobilissima di figli. – Affinché più presto e più pienamente conseguiamo il nostro desiderio, innalzate Voi stessi, Venerabili Fratelli, insieme con Noi fervide preci a Dio ed interponete presso di Lui il patrocinio della Beata Vergine Maria, Immacolata fin dall’origine, del di Lei Sposo Giuseppe e dei Beati Apostoli Pietro e Paolo, nell’intercessione dei quali poniamo la massima fiducia. – Intanto, auspice delle divine grazie, con tutto l’affetto del cuore a Voi, Venerabili Fratelli, al Vostro Clero ed a tutti i popoli fedeli impartiamo nel Signore l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 28 dicembre 1878, anno primo del Nostro Pontificato.