UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO XII – “SACRA VIRGINITAS”

Un’Enciclica scritta con il cuore e la vera fede cattolica del Santo Padre Pio XII, capolavoro di eloquenza dottrinale e di vera sdapienza cristiana… Ci mancano le parole per definire la bellezza e la gioia che scaturisce dalla lettura di un documento che inquadra la dottrina del diviun Maestro Gesù, così com’è stata illustrata e definita dai Santi Padri, dai teologi e dai Dottori della Chiesa nel corso dei secoli cristiani. Nulla a che vedere con le attuali elucubrazioni dei modernisti luciferini adoratori del baphomet signore dell’universo nei riti demoniaci delle messe nere del Novus Ordo del patriarca degli “Illuminati” Montini, degli adepti della massoneria attualmente insediata nei sacri palazzi e nelle diocesi usurpate dell’orbe un tempi cristiano, che osano definirsi ingannevolmente cattolici, professando dottrine blasfeme ed urticanti come quelle che incitano alle pratiche ed ai “peccati che gridano vendetta agli occhi di Dio”. Questo capolavoro magisteriale da solo smaschera il satanismo insito nelle ideologie moderniste che sdoganano ad esempio l’omosessualità, o le assurde teorie di genere come “amore” tra uomini, cancellando volutamente il termine corretto di “vergognosa passione” e “infimo desiderio della carne”, che fanno rivoltare dallo schifo anche i demoni che le fomentano. Ma non sciupiamo l’animo gioioso con cui ci accingiamo a leggere e godere spiritualmente della Lettera di S. S. Pio XII

«Sacra virginitas»

La consacrata verginità

25 marzo 1954!

AI Venerabili FRATELLI PATRIARCHI,

PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI

E ALTRI ORDINARI IN COMUNIONE

CON LA SEDE APOSTOLICA

INTRODUZIONE: Una candida legione. Elogio paterno.

I. Vera idea della condizione verginale: Per il regno dei cieli; « Spose di Cristo »; seguire l’Agnello; Verginità ed apostolato: spirituale libertà; Superiorità morale; Onore alla Chiesa.

II. Contro alcuni errori: Dominio dei sensi, Operai della Chiesa, Verginità feconda.

III. La verginità è un sacrificio: Virtù difficile. Aiuti divini; Vigilare e pregare; Fuggire le occasioni: Il pudore cristiano; Mezzi soprannaturali; L’esempio di Maria.

IV. Timori e speranze: Dare figli alla Chiesa: Nuovi martiri cristiani.

INTRODUZIONE

La sacra verginità e la castità perfetta consacrata al servizio di Dio sono certamente, per la chiesa, tra i tesori più preziosi che il suo Autore le abbia lasciato, come in eredità. Per questo motivo i santi padri sottolineavano che la verginità perpetua è un bene eccelso di carattere essenzialmente cristiano. Essi osservano a buon diritto che, se i Pagani dell’antichità richiedevano dalle vestali un tale tenore di vita, questo era temporaneo, e quando nell’Antico Testamento si comanda di conservare e praticare la verginità, si trattava soltanto di una condizione preliminare al matrimonio (cf. Es XXII, 16-17; Dt. XXII, 23-29; Eccli. XLII, 9); Sant’Ambrogio aggiunge: «Noi leggiamo che anche nel tempio di Gerusalemme vi erano delle vergini. Ma che cosa dice l’Apostolo? « Tutte queste cose avvenivano in figura (1Cor X, 11) per preannunciare il futuro ». – E, certamente, fin dai tempi apostolici questa virtù cresce e fiorisce nel giardino della chiesa. Quando negli Atti degli Apostoli- (At XXI, 9) si dice che le quattro figlie del diacono Filippo erano vergini, più che la loro giovinezza, si vuole indicare uno stato di vita. Non molto tempo dopo, Sant’Ignazio di Antiochia ricorda nel suo saluto le vergini, che costituivano già, insieme con le vedove, un elemento importante della comunità cristiana di Smirne. Nel II sec. — come attesta s. Giustino — « molti e molte volte, di sessanta e settant’anni, si conservano intatti sin dall’infanzia, per l’insegnamento di Cristo ». Poco alla volta si accrebbe il numero di uomini e donne che avevano consacrato a Dio la loro castità; e nello stesso tempo il loro compito nella Chiesa acquistò importanza maggiore, come più diffusamente abbiamo esposto nella Nostra Costituzione apostolica Sponsa Christi. – Inoltre i santi padri — come Cipriano, Atanasio, Ambrogio, Giovanni Crisostomo, Girolamo e Agostino e non pochi altri — nei loro scritti celebrarono la verginità con altissimi elogi. Questa dottrina dei Santi Padri, arricchita nel corso dei secoli dai Dottori della Chiesa e dai Maestri dell’ascetica cristiana, influisce certo molto tra i Cristiani d’ambo i sessi nel suscitare e confermare il proposito di consacrarsi a Dio con la perfetta castità e di perseverare in essa fino alla morte. – Il numero dei fedeli così consacrati a Dio, dall’origine della Chiesa fino ai nostri giorni, è incalcolabile: gli uni hanno servato intatta la loro verginità, gli altri hanno votato al Signore la loro vedovanza dopo la morte del consorte; altri, infine hanno scelto una vita casta dopo aver fatto penitenza dei loro peccati; ma tutti hanno questo di comune tra loro: che si sono impegnati ad astenersi per sempre, per amore di Dio, dai piaceri della carne. Ciò che i Santi Padri hanno proclamato circa la gloria e il merito della verginità, sia a tutte queste anime sacrate di invito, di sostegno e di forza a perseverare fermamente nel sacrificio e a non sottrarre e prendere per sé una parte anche minima dell’olocausto offerto sull’altare di Dio. – La castità perfetta è la materia di uno dei tre voti che costituiscono lo stato religioso ed è richiesta nei chierici della Chiesa ordinati negli ordini maggiori e nei membri degli istituti secolari (Cost. Apost. Provida Mater, art. III, § 2, 1947), ma è praticata pure da numerosi laici, uomini e donne che, pur vivendo al di fuori dello stato pubblico di perfezione, rinunziano completamente, di proposito o per voto privato, al matrimonio e ai piaceri della carne per poter servire più liberamente il loro prossimo e unirsi a Dio più facilmente e intimamente. – A tutti i dilettissimi figli e figlie, che in qualsiasi modo hanno consacrato a Dio il loro corpo e la loro anima. rivolgiamo il nostro cuore paterno e li esortiamo vivamente a confermarsi nel loro santo proposito e a restarvi diligentemente fedeli. Vi sono, però, oggi alcuni che, allontanandosi in questa materia dal retto sentiero, esaltano tanto il matrimonio da anteporlo alla verginità; essi disprezzano la castità consacrata a Dio e il celibato ecclesiastico. Per questo crediamo dovere del nostro Apostolico Ufficio proclamare e difendere. al presente in modo speciale, l’eccellenza del dono della verginità, per difendere questa verità cattolica contro tali errori.

I.
VERA IDEA DELLA CONDIZIONE VERGINALE

Anzitutto vogliamo osservare che la parte essenziale del suo insegnamento circa la verginità, la Chiesa l’ha ricevuta dalle labbra stesse dello Sposo divino.  Quando infatti i discepoli si mostrarono colpiti dai gravissimi obblighi e fastidi del matrimonio che il Maestro aveva loro esposto, gli dissero: « Se tale è la condizione dell’uomo verso la moglie, non conviene sposarsi» (Mt XIX,10). Gesù Cristo rispose che non tutti capiscono questa parola, ma solo coloro ai quali è concesso; alcuni infatti sono impossibilitati al matrimonio per difetto di natura, altri per la violenza e la malizia degli uomini, altri invece si astengono da esso spontaneamente e di propria volontà « per il regno dei cieli »; e concluse: « Chi può comprendere, comprenda » (Mt XIX, 11-12).- Il Maestro divino allude non agli impedimenti fisici per il matrimonio ma al proposito della libera volontà di astenersi per sempre dalle nozze e dai piaceri del corpo. Facendo il paragone tra coloro che spontaneamente rinunciano ai piaceri del corpo e quelli che sono costretti a rinunciarvi dalla natura o dalla violenza umana, non c’insegna forse il divin Redentore che la castità deve essere perpetua, affinché sia realmente perfetta? – I Santi Padri, inoltre, e i Dottori della Chiesa hanno insegnato apertamente che la verginità non è una virtù cristiana se non la si abbraccia «per il regno dei cieli» (Mt 19,12), cioè per poter attendere più facilmente alle cose celesti, per conseguire più sicuramente l’eterna salvezza, per poter condurre infine più speditamente, con diligente operosità, anche gli altri al regno dei cieli.  Non possono, quindi, arrogarsi il merito della verginità quei cristiani e quelle cristiane che si astengono dal matrimonio o per egoismo o per sfuggirne gli oneri, come avverte sant’Agostino, o anche per ostentare con superbia farisaica l’integrità dei loro corpi: il concilio di Gangra (Asia Minore) condanna chi si astiene dal matrimonio come da uno stato abominevole, e non per la bellezza e la santità della verginità.  L’Apostolo delle genti, ispirato dallo Spirito Santo, ammonisce: «Chi non è sposato, è sollecito delle cose di Dio, del modo di piacere a lui… E la donna non sposata e vergine pensa alle cose di Dio per essere santa di corpo e di spirito» (1Cor VII, 32.34). Ecco lo scopo principale, la prima ragione della verginità cristiana: aspirare unicamente alle cose divine e dirigervi la mente e lo spirito; voler piacere a Dio in tutto; pensare a lui intensamente, e consacrargli totalmente corpo e spirito. – I Santi Padri hanno sempre interpretato in questa maniera la parola di Cristo e la dottrina dell’apostolo delle genti: fin dai primi tempi della chiesa si stimava verginità la consacrazione fatta a Dio del corpo e dell’anima. San Cipriano richiede dalle vergini «che, per essersi consacrate a Dio, si astengano da ogni piacere carnale, consacrino a Dio il corpo e l’anima … e non siano sollecite di abbigliarsi o di piacere ad alcuno, tranne che al loro Signore». Il Vescovo di Ippona precisa: «La verginità non è onorata perché tale, ma perché consacrata a Dio … e noi non lodiamo le vergini perché tali, ma perché sono vergini consacrate a Dio con devota continenza». 13 I prìncipi dei teologi, san Tommaso d’Aquino e san Bonaventura si richiamano all’autorità di sant’Agostino per insegnare che la verginità non ha la fermezza della virtù, se non si fonda sul voto di conservarla sempre illibata. Difatti la dottrina di Cristo intorno all’astinenza perpetua del matrimonio viene praticata nel modo più ampio e perfetto da coloro che si obbligano con voto perpetuo alla sua osservanza: né si può giustamente affermare che sia migliore e più perfetto il proposito di coloro che intendono riservarsi la possibilità di liberarsi dall’impegno.  – I Santi Padri hanno considerato questo vincolo di castità perfetta come una specie di matrimonio spirituale fra l’anima e Cristo; alcuni di essi, anzi, sono giunti fino a paragonare con l’adulterio la violazione del voto fatto. 16 Perciò sant’Atanasio scrive che la chiesa cattolica è solita chiamare le vergini: spose di Cristo. 17 E sant’Ambrogio, scrivendo concisamente della vergine esclama: «La vergine è sposa di Dio». Gli scritti del dottore di Milano attestano, già al VI secolo, la grande somiglianza tra il rito della consacrazione delle vergini e quello della benedizione nuziale, ancora in uso oggi. – Perciò i santi padri esortano le vergini ad amare il loro Sposo divino più di quanto amerebbero il proprio marito e a conformare sempre i loro pensieri e le loro azioni alla sua volontà. « Amate di tutto cuore il più bello dei figli degli uomini – scrive loro sant’Agostino – voi ne avete tutta la facoltà: il vostro cuore è libero dai legami del matrimonio… Dal momento che avreste dovuto portare un grande amore ai vostri sposi, quanto più dovete amare Colui per amore del quale voi avete rinunziato agli sposi? Sia fisso nel vostro cuore Colui che per voi è stato infisso sulla croce ». Tali sono, d’altra parte, i sentimenti e le risoluzioni che la chiesa stessa richiede dalle vergini il giorno della loro consacrazione, quando le invita a pronunciare le parole rituali: «Ho disprezzato il regno del mondo e tutto il fasto del secolo per amore di nostro Signore Gesù Cristo, che ho conosciuto, che ho amato, e nel quale ho amorosamente creduto». È quindi solo l’amore di lui che spinge con dolcezza la vergine a consacrare interamente il suo corpo e la sua anima al divin Redentore, secondo le bellissime espressioni che san Metodio d’Olimpo fa dire a una di esse: « O Cristo, tu sei tutto per me. Io mi conservo pura per te e, portando una lampada splendente, vengo incontro a te, o Sposo mio». Sì, è l’amore di Cristo che spinge la vergine a ritirarsi, e per sempre, dentro le mura del monastero per contemplarvi e amare con maggiore speditezza e facilità il suo Sposo celeste, e la stimola potentemente a impegnarsi con tutte le forze fino alla morte nelle opere di misericordia in favore del prossimo.  – Riguardo poi agli uomini «che non si sono contaminati con donne, poiché sono vergini» (Ap XIV 4) l’apostolo san Giovanni afferma che essi seguono l’Agnello dovunque egli vada. Meditiamo l’esortazione che fa loro sant’Agostino: « Seguite l’Agnello, perché la carne dell’Agnello è anch’essa vergine… voi avete ben ragione di seguirlo, con la verginità del cuore e della carne, dovunque vada. Che cos’è infatti seguire se non imitare? perché Cristo ha sofferto per noi, lasciandoci un esempio, come dice san Pietro apostolo, “affinché seguiamo le sue orme” (1Pt II,21) ».Tutti questi discepoli infatti e tutte queste spose di Cristo hanno abbracciato lo stato di verginità, come dice san Bonaventura, per la conformità allo Sposo Cristo, al quale esso rende conformi i vergini». La loro ardente carità verso Cristo non poteva contentarsi di semplici vincoli di affetto con lui: essa aveva assoluto bisogno di manifestarsi con l’imitazione delle sue virtù e, in modo speciale, con la conformità alla sua vita tutta consacrata al bene e alla salvezza del genere umano. Se i sacerdoti, se i religiosi e le religiose, se tutti quelli che in un modo o nell’altro hanno consacrato la vita al servizio di Dio, osservano la castità perfetta, questo è in definitiva perché il loro divino Maestro è rimasto egli stesso vergine fino alla morte. «È proprio il Figlio unico di Dio – esclama san Fulgenzio – e Figlio unico della Vergine, l’unico Sposo di tutte le sacre vergini, frutto, ornamento e ricompensa della santa verginità, che lo ha dato alla luce e spiritualmente lo sposa e dal quale è resa feconda senza lesione dell’integrità, ornata per rimanere sempre bella, incoronata per regnare gloriosa nell’eternità». Qui crediamo opportuno, venerabili fratelli, spiegare più diffusamente e con maggiore accuratezza per quali ragioni l’amore di Cristo spinga le anime generosamente a rinunciare al matrimonio e quali legami segreti esistano fra la verginità e la perfezione della carità cristiana. L’insegnamento di Cristo, ricordato più sopra, faceva già capire che la perfetta rinunzia al matrimonio libera gli uomini da oneri pesanti e da gravi doveri. Ispirato dallo Spirito di Dio, l’apostolo dei gentili ne dà la ragione in questi termini: «Io vorrei che voi foste senza inquietudini… Chi invece è sposato, si preoccupa delle cose del mondo, del modo di piacere alla moglie ed è diviso» (1Cor 7,32-33). Si deve tuttavia notare che l’apostolo non biasima gli uomini perché si preoccupano delle loro consorti, né le spose perché cercano di piacere al marito; ma afferma piuttosto che il loro cuore è diviso tra l’amore del coniuge e l’amore di Dio e che sono troppo oppressi dalle preoccupazioni e dagli obblighi della vita coniugale, per potersi dare facilmente alla meditazione delle cose divine. Poiché s’impone loro la legge chiara e imperiosa del matrimonio: «saranno due in una carne sola» (Gn 2,24; cf. Mt 19,5). Gli sposi infatti sono legati l’uno all’altro negli avvenimenti tristi e in quelli lieti (cf. 1Cor VII,39). Si comprende quindi facilmente perché le persone, che desiderano consacrarsi al servizio di Dio, abbraccino lo stato di verginità come una liberazione, per potere cioè servire più perfettamente Dio e dedicarsi con tutte le forze al bene del prossimo. Per citare infatti alcuni esempi, come avrebbero potuto affrontare tanti disagi e fatiche quell’ammirabile predicatore dell’evangelo che fu san Francesco Saverio, quel misericordioso padre dei poveri che fu san Vincenzo de’ Paoli, un san Giovanni Bosco, insigne educatore dei giovani, una santa Francesca Saverio Cabrini, instancabile «madre degli emigranti», se avessero dovuto pensare alle necessità materiali e spirituali del proprio coniuge e dei propri figli? Vi è però un’altra ragione per la quale le anime che ardentemente desiderano consacrarsi al servizio di Dio e alla salvezza del prossimo, scelgono lo stato di verginità. Essa è addotta dai santi padri, quando trattano dei vantaggi di una completa rinunzia ai piaceri della carne allo scopo di gustar meglio le elevazioni della vita spirituale. Senza dubbio – come essi hanno chiaramente notato – tali piaceri, legittimi nel matrimonio, non sono per sé da condannarsi; anzi il casto uso del matrimonio è nobilitato e santificato da un sacramento speciale. Tuttavia, bisogna egualmente riconoscere che in seguito alla caduta di Adamo le facoltà inferiori della natura resistono alla retta ragione e talora spingono l’uomo ad agire contro i suoi dettami. Secondo l’espressione del dottore angelico, l’uso del matrimonio «trattiene l’animo dal darsi interamente al servizio di Dio». Proprio perché i sacri ministri possano godere di questa spirituale libertà di corpo e di anima e per evitare che si immischino in affari terreni, la chiesa latina esige da essi che si assumano volontariamente l’obbligo della castità perfetta. «Se poi una tale legge – come affermava il Nostro predecessore d’immortale memoria Pio XI – non vincola nella stessa misura i ministri della chiesa orientale, anche presso di essi il celibato ecclesiastico è in onore, e in certi casi – soprattutto quando si tratta dei gradi più alti della gerarchia – è necessariamente richiesto e imposto».  I ministri sacri, però, non rinunciano al matrimonio unicamente perché si dedicano all’apostolato, ma anche perché servono all’altare. Se i sacerdoti dell’Antico Testamento già dovevano astenersi dall’uso del matrimonio mentre servivano nel tempio per non contrarre un’impurità legale, come gli altri uomini (cf. Lv XV, 16-17; XXII, 4; 1Sam XXI, 5-7), quanto maggiore non è la necessità della perpetua castità per i ministri di Gesù Cristo, i quali offrono ogni giorno il sacrificio eucaristico? Riguardo a questa perfetta continenza dei sacerdoti ecco quanto dice in forma interrogativa san Pier Damiani: «Se il nostro Redentore ha amato tanto il fiore del pudore intatto che non solo volle nascere dal seno di una Vergine, ma volle essere affidato anche alle cure di un custode vergine, ciò quando, ancora fanciullo, vagiva nella culla, a chi, dunque, ditemi, vuole egli confidare il suo corpo, ora che egli regna, immenso, nei cieli?». Per questo motivo soprattutto, secondo l’insegnamento della chiesa, la santa verginità supera in eccellenza il matrimonio. Già il divin Redentore ne aveva fatto un consiglio di vita più perfetta ai discepoli (cf. Mt XIX,10-11). E l’apostolo san Paolo, dopo aver detto di un padre che dà a marito la sua figlia «egli fa bene», aggiunge subito: «Chi però non la dà a marito, fa meglio ancora» (1Cor VII,38). Nel corso del suo paragone tra il matrimonio e la verginità, l’apostolo più di una volta mostra il suo pensiero, soprattutto quando dice: «Io vorrei che tutti voi foste come me… dico poi ai celibi e alle vedove: è conveniente per essi restare come sono io» (1Cor VII,7-8; cf.1 et 26). Se dunque la verginità, come abbiamo detto, è superiore al matrimonio, questo avviene senza dubbio, perché essa mira a conseguire un fine più eccelso; essa poi è un mezzo efficacissimo per consacrarsi interamente al servizio di Dio, mentre il cuore di chi è legato alle cure del matrimonio resta più o meno «diviso» (cf. 1Cor VII, 33). L’eccellenza della verginità risalterà ancor maggiormente se ne consideriamo l’abbondanza dei frutti: «poiché dal frutto si riconosce l’albero» (Mt XII, 33).  – Il Nostro animo si riempie di immensa e soave letizia al pensiero della falange innumerevole di vergini e di apostoli che, dai primi tempi della chiesa fino ai giorni nostri, hanno rinunciato al matrimonio per consacrarsi più liberamente e più completamente alla salvezza del prossimo per amore di Cristo, e hanno sviluppato iniziative veramente mirabili nel campo della religione e della carità. Non vogliamo certo disconoscere i meriti di quelli che militano nell’Azione cattolica, né i frutti del loro apostolato: con le loro opere, essi possono spesso raggiungere delle anime che sacerdoti e religiosi o religiose non avrebbero potuto avvicinare. Ma, senza alcun dubbio, si deve far risalire a questi ultimi la maggior parte delle opere di carità. Costoro, infatti, con grande generosità seguono e dirigono la vita degli uomini in ogni età e condizione; e quando vengono meno per la stanchezza o per malattia, lasciano ad altri, come in eredità, la continuazione della loro missione. Così avviene che il bambino, appena nato, trova sovente delle mani verginali che l’accolgono e non gli fanno mancare quanto l’intenso amore materno potrebbe dargli; fatto grandicello e giunto all’età della ragione, è affidato a educatori o educatrici che vegliano alla sua istruzione cristiana, allo sviluppo delle sue facoltà e alla formazione del suo carattere. Se si ammala, troverà sempre qualcuno che, spinto dall’amore di Cristo, lo curerà premurosamente. L’orfanello, il misero, il prigioniero, non mancheranno di conforto e aiuto: i sacerdoti, i religiosi, le sacre vergini vedranno in lui un membro sofferente del corpo mistico di Gesù Cristo, memori delle parole del divin Redentore: «Avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere, ero pellegrino e mi avete ospitato, nudo e mi avete rivestito, malato e mi avete visitato, prigioniero e siete venuti a trovarmi… In verità vi dico, tutto ciò che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli, l’avete fatto a me» (Mt 25,35-36.40). Che diremo in lode di tanti missionari, che si consacrano, a costo delle maggiori fatiche e lontani dalla loro patria, alla conversione delle masse infedeli? Che delle spose di Cristo, le quali dànno loro una preziosa collaborazione? A tutti e a ciascuno di essi ripetiamo volentieri le parole della Nostra esortazione apostolica Menti Nostrae: «Per la legge del celibato, il sacerdote, ben lontano dal perdere interamente la paternità, l’accresce all’infinito, perché egli genera figliuoli, non per questa vita terrena e caduca, ma per la celeste ed eterna». – La verginità non è solamente feconda per le opere esteriori a cui permette di dedicarsi più facilmente e più pienamente; essa lo è anche per le forme più perfette di carità verso il prossimo, quali sono le ardenti preghiere e i gravi disagi volontariamente e generosamente sopportati a questo scopo. A ciò hanno consacrato tutta la loro vita i servi di Dio e le spose di Cristo, quelli specialmente che vivono nei monasteri. Infine, la verginità consacrata a Cristo è per se stessa una tale espressione di fede nel regno dei cieli e una tale prova d’amore verso il divin Redentore, che non c’è da meravigliarsi nel vederla arrecare frutti così abbondanti di santità. Numerosissimi sono le vergini e gli apostoli, votati alla castità perfetta, che sono l’onore della chiesa per l’alta santità della loro vita. La verginità, infatti, dà alle anime una forza spirituale capace di condurle fino al martirio e questo è l’insegnamento della storia che propone alla nostra ammirazione tante schiere di vergini, da Agnese di Roma a Maria Goretti. – A tutta ragione la verginità è detta virtù angelica; san Cipriano scrivendo alle vergini afferma giustamente: «Quello che noi saremo un giorno, voi già cominciate ad esserlo. Voi fin da questo secolo godete la gloria della risurrezione, passate attraverso il mondo senza contagiarvene. Finché perseverate caste e vergini, siete eguali agli angeli di Dio».All’anima assetata di purezza e arsa dal desiderio del regno dei cieli, la verginità viene presentata «come una gemma preziosa», per la quale un tale «vendette tutto ciò che aveva e la comprò» (Mt 13,46). Coloro che sono sposati e perfino quelli che stanno immersi nel fango dei vizi, quando vedono le vergini, ammirano spesso lo splendore della loro bianca purezza e si sentono spinti verso un ideale che superi i piaceri del senso. Lo afferma l’Aquinate scrivendo: «Alla verginità … si attribuisce la bellezza più sublime», e questo è senza dubbio il motivo per cui le vergini sono di esempio a tutti. Difatti tutti costoro, uomini e donne, con la loro perfetta castità non dimostrano forse chiaramente che il dominio dell’anima sul corpo è un effetto dell’aiuto divino e un segno di provata virtù? Ci piace ancora sottolineare un altro frutto soavissimo della verginità: le vergini manifestano e rendono pubblica la perfetta verginità della stessa loro madre la chiesa, e la santità dei loro vincoli strettissimi con Cristo. A ciò sapientemente si ispirano le espressioni del pontefice nel rito della consacrazione delle vergini e nelle preghiere rivolte al Signore: «Affinché vi siano anime più sublimi che, disdegnando nel matrimonio i piaceri della carne, ne cerchino il significato recondito, e invece di imitare ciò che si fa nel matrimonio, amino quanto in esso è simboleggiato». – Gloria altissima per le vergini è, certo, l’essere delle immagini viventi in quella perfetta integrità, che unisce la chiesa al suo Sposo divino. Esse inoltre offrono un segno mirabile della fiorente santità e di quella spirituale fecondità, in cui eccelle la società fondata da Gesù Cristo, alla quale è motivo di una gioia quanto mai intensa. A questo proposito sono magnifiche le espressioni di san Cipriano: «La verginità è un fiore che germoglia dalla chiesa, decoro e ornamento della grazia spirituale, gioia della natura, capolavoro di lode e di gloria, immagine di Dio che riverbera la santità del Signore, porzione più eletta del gregge di Cristo. Se ne rallegra la chiesa, la cui gloriosa fecondità in esse abbondantemente fiorisce: e quanto più cresce lo stuolo delle vergini tanto più grande è il gaudio della Madre».

II.
CONTRO ALCUNI ERRORI

La dottrina che stabilisce l’eccellenza e la superiorità della verginità e del celibato sul matrimonio, come già dicemmo, annunciata dal divin Redentore e dall’apostolo delle genti, fu solennemente definita dogma di fede nel concilio di Trento e sempre concordemente insegnata dai santi padri e dai dottori della chiesa. I Nostri predecessori, e Noi stessi, ogni qualvolta se ne presentava l’occasione, l’abbiamo più e più volte spiegata e vivamente inculcata. Tuttavia, poiché di recente vi sono stati alcuni che hanno impugnato con serio pericolo e danno dei fedeli questa dottrina tramandataci dalla chiesa, Noi, spinti dall’obbligo del Nostro ufficio, abbiamo creduto opportuno nuovamente esporla in questa enciclica, indicando gli errori, proposti spesso sotto apparenza di verità.  Anzitutto, si discostano dal senso comune, che la Chiesa ebbe sempre in onore, coloro che considerano l’istinto sessuale come la più importante e maggiore inclinazione dell’organismo umano e ne concludono che l’uomo non può contenere per tutta la vita un tale istinto, senza grave pericolo di perturbare il suo organismo, soprattutto i nervi, e di nuocere quindi all’equilibrio della personalità.  Come giustamente osserva san Tommaso, l’istinto più profondamente radicato nel nostro animo è quello della propria conservazione, mentre l’inclinazione sessuale viene in secondo luogo. Spetta inoltre all’impulso direttivo della ragione, privilegio singolare della nostra natura, regolare tali istinti fondamentali e nobilitarli dirigendoli santamente.  È vero, purtroppo, che le facoltà del nostro corpo e le passioni, sconvolte in seguito al primo peccato di Adamo, tendono al dominio non solo dei sensi ma anche dell’anima, offuscando l’intelligenza e debilitando la volontà. Ma la grazia di Gesù Cristo, principalmente attraverso i sacramenti, ci viene data proprio perché, vivendo la vita dello spirito, teniamo a freno il corpo (cf. Gal V,25; 1Cor IX,27). La virtù della castità non pretende da noi l’insensibilità agli stimoli della concupiscenza, ma esige che la sottomettiamo alla retta ragione e alla legge di grazia, tendendo con tutte le forze a ciò che nella vita umana e cristiana vi è di più nobile.  Per acquistare poi questo perfetto dominio sui sensi del corpo, non basta astenersi solamente dagli atti direttamente contrari alla castità, ma è assolutamente necessario rinunciare volentieri e con generosità a tutto ciò che, anche lontanamente, offende questa virtù: l’anima potrà allora regnare pienamente sul corpo e condurre una vita spirituale tranquilla e libera. Come non vedere, alla luce dei principi cattolici, che la castità perfetta e la verginità, lungi dal nuocere allo sviluppo e progresso naturale dell’uomo e della donna li accrescono e li nobilitano?  Abbiamo recentemente condannato con tristezza l’opinione che presenta il matrimonio come il solo mezzo di assicurare alla personalità umana il suo sviluppo e la sua perfezione naturale. Alcuni infatti sostengono che la grazia, concessa dal sacramento ex opere operato, santifica l’uso del matrimonio fino a farne uno strumento più efficace ancora che la verginità, per unire le anime a Dio, poiché il matrimonio cristiano è un sacramento, mentre la verginità non lo è. Noi denunziamo in questa dottrina un errore pericoloso. Certo, il sacramento accorda agli sposi la grazia d’adempiere santamente i loro doveri coniugali e consolida i vincoli dell’amore reciproco che li unisce, ma non fu istituito per rendere l’uso del matrimonio quasi il mezzo in sé più atto ad unire a Dio l’anima degli sposi col vincolo della carità. Quando l’apostolo san Paolo riconosce agli sposi il diritto di astenersi per qualche tempo dall’uso del matrimonio per attendere alla preghiera (cf. 1Cor VII, 5), non viene precisamente a dire che una tale rinunzia procura all’anima maggiore libertà per attendere alle cose divine e pregare? – Infine non si può affermare – come fanno alcuni – che il «mutuo aiuto» ricercato dagli sposi nel matrimonio, sia un aiuto più perfetto per giungere alla santità che la solitudine del cuore delle vergini e dei celibi. Difatti, nonostante la loro rinuncia a un tale amore umano, le anime consacrate alla castità perfetta non impoveriscono per questo la propria personalità umana, poiché ricevono da Dio stesso un soccorso spirituale immensamente più efficace che il «mutuo aiuto» degli sposi. Consacrandosi interamente a Colui che è il loro principio e comunica loro la sua vita divina, non si impoveriscono, ma si arricchiscono. Chi, con maggiore verità che i vergini, può applicare a sé la mirabile espressione dell’apostolo san Paolo: «Non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me»? (Gal II,20). Questa è la ragione per cui la Chiesa sapientemente ritiene che si deve mantenere il celibato dei sacerdoti, poiché sa bene quale sorgente di grazie spirituali esso costituisca per una sempre più intima unione con Dio. – Crediamo opportuno ricordare brevemente un altro errore ancora: alcuni allontanano i giovani dai seminari e le giovani dagli istituti religiosi sotto pretesto che la chiesa abbia oggi maggior bisogno dell’aiuto e dell’esercizio delle virtù cristiane da parte di fedeli uniti in matrimonio e viventi in mezzo agli altri uomini, che non da parte di sacerdoti e di vergini, che per il voto di castità vivono come appartati dalla società. Tale opinione, venerabili fratelli, è evidentemente quanto mai falsa e perniciosa. – Non è Nostra intenzione, certamente, negare che gli sposi Cattolici con una vita esemplarmente cristiana possano produrre frutti abbondanti e salutari in ogni luogo e in ogni circostanza con l’esercizio delle virtù. Chi però consigliasse, come preferibile alla consacrazione totale a Dio, la vita matrimoniale, invertirebbe e confonderebbe il retto ordine delle cose. Senza dubbio, venerabili fratelli, Noi auspichiamo ardentemente che si istruiscano convenientemente quanti aspirano al matrimonio e i giovani sposi, non solo sul grave dovere di educare rettamente e diligentemente i figli, ma anche sulla necessità di aiutare gli altri, secondo le possibilità, con la professione della fede e l’esempio della virtù. Dobbiamo, tuttavia, per dovere del Nostro Ufficio condannare energicamente coloro che si applicano a distogliere i giovani dall’entrare in seminario, negli ordini o congregazioni religiose o dall’emissione dei santi voti, insegnando loro che sposandosi faranno un bene spirituale maggiore con la pubblica professione della loro vita cristiana, come padri e madri di famiglia. Si farebbe molto meglio a esortare col maggiore impegno possibile i molti laici sposati, affinché cooperino con premura alle imprese d’apostolato laico, piuttosto che cercare di distogliere dal servizio di Dio nello stato di verginità quei giovani, troppo rari, purtroppo, oggi, che desiderano consacrarvisi. Molto opportunamente scrive a questo proposito sant’Ambrogio: «È stato sempre proprio della grazia sacerdotale spargere il seme della castità e suscitare l’amore per la verginità». – Inoltre giudichiamo opportuno avvertire che è completamente falsa l’asserzione, secondo cui le persone consacrate a una vita di castità perfetta diventano quasi estranee alla società. Le sacre vergini che spendono tutta la loro vita al servizio dei poveri e dei malati, senza distinzione di razza, di condizione sociale e di religione, non partecipano forse intimamente alle loro miserie e alle loro sofferenze, e non li compatiscono forse con la tenerezza di una mamma? E il sacerdote non è forse il buon pastore che, sull’esempio del divin Maestro, conosce le sue pecorelle e le chiama per nome? (cf. Gv X,14; X,3). Ebbene, è proprio in forza della castità perfetta, da loro abbracciata, che questi sacerdoti, religiosi e religiose possono dedicarsi interamente a tutti gli uomini e amarli del medesimo amore di Cristo. E anche quelli di vita contemplativa contribuiscono certamente molto al bene della chiesa, con le supplici preghiere e con l’offerta della loro immolazione per la salvezza altrui; sono anzi sommamente da lodare perché, nelle circostanze presenti, si consacrano all’apostolato e alle opere di carità secondo le norme da Noi date nella lettera apostolica Sponsa Christi, né possono quindi venir considerati come estranei alla società, dal momento che doppiamente ne promuovono il bene spirituale.

III.
LA VERGINITÀ È UN SACRIFICIO

Passiamo ora, venerabili fratelli, alle conseguenze pratiche della dottrina della chiesa circa l’eccellenza della verginità. Innanzi tutto, bisogna dire chiaramente che, dalla superiorità della verginità sul matrimonio, non segue che essa sia mezzo necessario alla perfezione cristiana. È possibile giungere alla santità anche senza consacrare a Dio la propria castità, come lo prova l’esempio di tanti santi e sante, fatti oggetto di culto pubblico dalla chiesa, i quali furono coniugi fedeli, eccellenti padri e madri di famiglia; e non è raro incontrare anche oggi persone coniugate, che tendono alla perfezione, con grande impegno. Si osservi, inoltre, che Dio non impone la verginità a tutti i Cristiani, come insegna l’apostolo san Paolo: «Intorno alle vergini non ho nessun comando di Dio, ma do un consiglio» (1Cor 7,25). La castità perfetta, quindi, non è che un consiglio, un mezzo capace di condurre più sicuramente e più facilmente alla perfezione evangelica e al regno dei cieli quelle anime «a cui è stato concesso» (Mt 19,11). «Essa non è imposta, ma proposta», nota sant’Ambrogio. – La castità perfetta come, da parte dei cristiani, esige una libera scelta prima della loro offerta totale al Signore, così, da parte di Dio, richiede un dono e una grazia. Già lo stesso divin Redentore l’aveva annunciato: «Non tutti comprendono questa parola, ma solo quelli a cui è concesso. … Chi può comprendere, comprenda» (Mt XIX,11.12). Commentando le parole di Cristo, san Girolamo invita «ciascuno a valutare le proprie forze, e vedere se gli sarà possibile adempiere gli obblighi della verginità e della castità. Di per sé, infatti, la castità è soave e attira a sé tutti. Ma bisogna ben misurare le forze, affinché chi può comprendere, comprenda. È come se la voce del Signore chiamasse i suoi soldati e li invitasse alla ricompensa della verginità. Chi può comprendere, comprenda: chi può combattere, combatta, vinca e trionfi». La verginità è una virtù difficile. Perché la si possa abbracciare, non basta solamente aver fatta la risoluzione ferma e decisa d’astenersi per sempre dai piaceri leciti del matrimonio: bisogna anche saper padroneggiare e domare con una vigilanza e una lotta costanti le rivolte della carne e le passioni del cuore; fuggire le allettative del mondo e vincere le tentazioni del demonio. Aveva ben ragione san Giovanni Crisostomo di affermare: «La radice e il frutto della verginità è una vita crocifissa». Al dire di sant’Ambrogio, la verginità è quasi un sacrificio e la vergine è «l’ostia del pudore, la vittima della castità». San Metodio d’Olimpo giunge a paragonare le vergini ai martiri e san Gregorio Magno insegna che la castità perfetta sostituisce il martirio: «Il tempo delle persecuzioni è passato, ma la nostra pace ha un suo martirio: anche se non mettiamo più il nostro collo sotto il ferro, tuttavia noi uccidiamo con la spada dello spirito i desideri carnali della nostra anima».51 La castità consacrata a Dio esige, quindi, anime forti e nobili, pronte al combattimento e alla vittoria, «per il regno dei cieli» (Mt XIX,12).

Prima di incamminarsi per questo arduo sentiero, chi per propria esperienza si sentisse impari alla lotta, ascolti umilmente l’avvertimento di san Paolo: «Coloro che non possono contenersi, si sposino: è meglio sposarsi che bruciare» (1Cor 7,9). Per molti, infatti, la continenza perpetua sarebbe un peso troppo grave, per poterla ad essi consigliare. Così i sacerdoti, direttori spirituali di giovani che credono di avere una vocazione sacerdotale o religiosa hanno lo stretto dovere di esortarli a studiare attentamente le loro disposizioni e di non lasciarli entrare per tale via, qualora presentino poche speranze di poter camminare fino alla fine con sicurezza e buon esito. Tali sacerdoti esaminino prudentemente le attitudini dei giovani e – se parrà opportuno – chiedano il consiglio dei medici. Se, infine, restasse ancora qualche serio dubbio, soprattutto nei riguardi della loro vita passata, intervengano con fermezza per farli desistere dall’abbracciare lo stato di castità perfetta o per impedire la loro ammissione agli ordini sacri o alla professione religiosa. – Benché la castità consacrata a Dio sia una virtù ardua, la sua pratica fedele, perfetta, è possibile alle anime che, dopo aver bene considerato ogni cosa, hanno risposto con cuore generoso all’invito di Gesù Cristo e fanno quanto è loro possibile per conservarla. Infatti, per l’impegno assunto nello stato di verginità o di celibato esse riceveranno da Dio una grazia sufficiente per poter mantenere la loro promessa. Perciò, se vi fosse qualcuno che non sentisse d’aver ricevuto il dono della castità (anche dopo averne fatto voto), non cerchi di mettere innanzi la sua incapacità di soddisfare all’obbligazione assunta. «Perché “Dio non comanda l’impossibile, ma, comandando, ammonisce di fare quanto puoi e di chiedere quello che non puoi” e ti aiuta affinché possa». Ricordiamo questa verità, tanto consolante, anche a quei malati che sentono infiacchita la loro volontà in seguito ad esaurimenti nervosi e ai quali certi medici, talora anche cattolici, consigliano troppo facilmente di farsi dispensare dai loro obblighi, sotto pretesto di non poter osservare la castità senza nuocere al proprio equilibrio psichico. Quanto invece più utile e più opportuno sarebbe aiutare tali infermi a rinforzare la volontà e convincerli che la castità non è impossibile neppure per essi! «Fedele è Dio, il quale non permetterà che siate tentati sopra le vostre forze, ma con la tentazione provvederà anche il buon esito dandovi il potere di vincere» (1Cor X,13). – I mezzi raccomandati dal divin Redentore stesso per difendere efficacemente la nostra virtù sono: una vigilanza continua, con la quale facciamo quanto ci è possibile da parte nostra e una costante preghiera con la quale chiediamo a Dio ciò che noi non possiamo fare a causa della nostra debolezza: «Vegliate e pregate, per non entrare in tentazione, lo spirito è pronto, ma la carne è debole» (Mt XXVI,41).  – Una tale vigilanza, che si estenda ad ogni tempo e circostanza della nostra vita, ci è assolutamente necessaria: «la carne, infatti ha desideri contrari allo spirito, e lo spirito desideri contrari alla carne» (Gal V,17). Se alcuno cedesse, anche leggermente, alle lusinghe del corpo, facilmente si sentirebbe trascinato a quelle «opere della carne» (cf. Gal V, 19-21), enumerate dall’apostolo, che costituiscono i vizi più abominevoli dell’umanità.  – Perciò dobbiamo anzitutto vigilare sui movimenti delle passioni e dei sensi, dobbiamo dominarli anche con una volontaria asprezza di vita e con le penitenze corporali, in modo da renderli sottomessi alla retta ragione e alla legge di Dio: «Quelli che sono di Cristo, hanno crocifisso la loro carne con i suoi vizi e le sue concupiscenze» (Gal V,24). Lo stesso apostolo delle genti confessa di sé: «Maltratto il mio corpo e lo rendo schiavo, perché non avvenga che, dopo aver predicato agli altri, io stesso diventi reprobo» (1Cor XV, 27). Tutti i santi e le sante hanno vegliato attentamente sui movimenti dei sensi e delle loro passioni e li hanno rintuzzati, talora con somma asprezza, secondo il consiglio del divin Maestro: «Ma io dico a voi, che chiunque avrà guardato una donna con cattivo desiderio, in cuor suo ha già peccato con lei. Se il tuo occhio destro ti scandalizza, strappalo e buttalo via da te: è meglio per te che perisca una delle tue membra piuttosto che mandare tutto il tuo corpo all’inferno» (Mt V, 28-29). Con tale raccomandazione è chiaro quello che richiede da noi il divin Redentore: non dobbiamo, cioè, neppur col pensiero cedere mai al peccato e dobbiamo allontanare energicamente da noi tutto ciò che possa macchiare, anche leggermente, questa bellissima virtù. E in questo nessuna diligenza è troppa; nessuna severità è esagerata. Se la salute malferma o altre cause non permettono a qualcuno maggiori austerità corporali, non lo dispensino mai tuttavia dalla vigilanza e dalla mortificazione interiore. – A questo proposito giova anche ricordare quello che i Santi Padri e i Dottori della Chiesa insegnano: è più facile vincere le lusinghe e le attrattive della passione, evitandole con una pronta fuga, che affrontandole direttamente. A custodia della castità, dice san Girolamo, serve più la fuga che la lotta aperta: «Per questo io fuggo, per non essere vinto». E tale fuga consiste non solo nell’allontanare premurosamente le occasioni del peccato, ma soprattutto nell’innalzare la mente, durante queste lotte, a Colui al quale abbiamo consacrato la nostra verginità. «Rimirate la bellezza di Colui che vi ama», ci raccomanda sant’Agostino. – Tutti i santi e le sante hanno sempre considerato la fuga e l’attenta vigilanza per allontanare con diligenza ogni occasione di peccato come mezzo migliore per vincere in questa materia: purtroppo, però, sembra che oggi non tutti pensino così. Alcuni sostengono che tutti i cristiani, e soprattutto i sacerdoti, non devono essere segregati dal mondo, come nei tempi passati, ma devono essere presenti al mondo e, perciò, è necessario metterli allo sbaraglio ed esporre al rischio la loro castità, affinché dimostrino se hanno o no la forza di resistere. Quindi i giovani chierici devono tutto vedere, per abituarsi a guardare tutto tranquillamente e rendersi così insensibili ad ogni turbamento. Per questo permettono loro facilmente di guardare tutto ciò che capita, senza alcuna regola di modestia; di frequentare i cinematografi, persino quando si tratta di pellicole proibite dai censori ecclesiastici; sfogliare qualsiasi rivista, anche oscena; leggere qualsiasi romanzo, anche se messo all’Indice o proibito dalla stessa legge naturale. E concedono questo perché dicono che ormai le masse di oggi vivono unicamente di tali spettacoli e di tali libri; e, chi vuole aiutarle, deve capire il loro modo di pensare e di vedere. Ma è facile comprendere quanto sia errato e pericoloso questo sistema di educare il giovane clero per guidarlo alla santità del suo stato. «Chi ama il pericolo, perirà in esso» (Eccli III, 27). Viene opportuno l’avviso di sant’Agostino: «Non dite di avere anime pure, se avete occhi immodesti, perché l’occhio immodesto è indizio di cuore impuro». – Un metodo di formazione così funesto, poggia su un ragionamento molto confuso. Certo, Cristo nostro Signore disse dei suoi apostoli: «Io li ho mandati nel mondo» (Gv XVII, 18); ma prima aveva anche detto di essi: «Essi non sono del mondo, come neppure io sono del mondo» (Gv XVII, 16), e aveva pregato con queste parole il suo Padre divino: «Non ti chiedo che li tolga dal mondo, ma che li liberi dal male» (Gv XVII, 15). La Chiesa quindi, che è guidata dai medesimi principi, ha stabilito norme opportune e sapienti per allontanare i sacerdoti dai pericoli in cui facilmente possono incorrere, vivendo nel mondo; con tali norme la santità della loro vita viene messa sufficientemente al riparo dalle agitazioni e dai piaceri della vita laicale. – A più forte ragione i giovani chierici, per essere formati alla vita spirituale e alla perfezione sacerdotale e religiosa, devono venire segregati dal tumulto secolaresco, prima di essere inseriti nella lotta della vita; restino pure a lungo nel seminario o nello scolasticato per ricevervi un’educazione diligente e accurata, imparando poco alla volta e con prudenza a prendere contatto con i problemi del nostro tempo, conforme a quanto scrivemmo nella Nostra esortazione apostolica Menti Nostrae. Quale giardiniere esporrebbe alle intemperie delle giovani piante esotiche, col pretesto di sperimentarle? Ora, i seminaristi e i giovani religiosi sono pianticelle tenere e delicate, da tenersi ben protette e da allenare progressivamente alla lotta. – Gli educatori del giovane clero faranno opera ben più lodevole e utile, inculcando a questi giovani le leggi del pudore cristiano. Non è forse il pudore la migliore difesa della verginità, tanto da potersi chiamare la prudenza della castità? Esso avverte il pericolo imminente, impedisce di esporsi al rischio e impone la fuga in occasioni, a cui si espongono i meno prudenti. Il pudore non ama le parole disoneste o volgari e detesta una condotta anche leggermente immodesta; fa evitare attentamente la familiarità sospetta con persone di altro sesso, poiché riempie l’anima di un profondo rispetto verso il corpo, che è membro di Cristo (cf. 1Cor 6,15) e tempio dello Spirito Santo (cf. 1Cor VI, 19). L’anima veramente pudica ha in orrore il minimo peccato di impurità e tosto si ritrae al primo risveglio della seduzione. – Il pudore inoltre suggerisce e mette in bocca ai genitori e agli educatori i termini appropriati per formare la coscienza dei giovani in materia di purezza. «Pertanto – come in una recente allocuzione abbiamo ricordato – tale pudore non deve essere spinto fino ad un silenzio assoluto, sino ad escludere dalla formazione morale qualsiasi prudente e riservato accenno a tale problema». Tuttavia, troppo spesso, ai giorni nostri, alcuni educatori si credono in dovere di iniziare fanciulli e fanciulle innocenti a segreti della procreazione, in una maniera che offende il loro pudore. Ora proprio il pudore cristiano esige in questa materia una giusta misura.  – Esso poi è alimentato dal timore di Dio, quel timore filiale che si basa su una profonda umiltà e che ispira orrore per il minimo peccato. San Clemente I, Nostro predecessore, già l’aveva affermato: «Chi è casto nel suo corpo, non se ne vanti, ben sapendo che da un altro gli viene il dono della continenza». Nessuno forse, meglio di sant’Agostino, ha dimostrato l’importanza dell’umiltà cristiana per salvaguardare la verginità: «La perpetua continenza, e molto più la verginità, sono uno splendido dono dei santi di Dio; ma con somma vigilanza bisogna vegliare che la superbia non lo corrompa… Quanto maggiore è il bene che io vedo, tanto più temo che la superbia non lo rapisca. Tale dono della verginità nessuno lo custodisce meglio di Dio che l’ha concesso; e “Dio è carità” (1Gv IV, M8). La custode, quindi, della verginità è la carità, ma l’abitazione di tale custode è l’umiltà».  – Un altro consiglio ancora è da ricordarsi: per conservare la castità non bastano né la vigilanza né il pudore. Bisogna anche ricorrere ai mezzi soprannaturali: alla preghiera, ai sacramenti della penitenza e dell’eucaristia e ad una devozione ardente verso la santissima Madre di Dio. – La castità perfetta, non dimentichiamolo, è un eccelso dono di Dio. «Esso è stato dato (cf. Mt XIX,11) – osserva acutamente san Girolamo – a quelli che l’hanno chiesto, a quelli che l’hanno voluto, a quelli che si sono preparati a riceverlo. Perché a chi chiede sarà dato, chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto (cf. Mt VII, 8)». Sant’Ambrogio aggiunge che la fedeltà delle vergini al loro Sposo divino dipende dalla preghiera. E, come insegna sant’Alfonso de’ Liguori, così ardente nella sua pietà, nessun mezzo è più necessario e più sicuro per vincere le tentazioni contro la bella virtù, che un ricorso immediato a Dio.  – Alla preghiera, tuttavia, bisogna aggiungere la pratica frequente del sacramento della penitenza: esso è una medicina spirituale che ci purifica e ci guarisce. Così pure bisogna nutrirsi del pane eucaristico: il Nostro predecessore d’immortale memoria Leone XIII lo additava come il migliore «rimedio contro la concupiscenza». Quanto più un’anima è pura e casta, tanto più ha fame di questo Pane, da cui attinge forza contro ogni seduzione impura e col quale si unisce più intimamente al suo Sposo divino: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, rimane in me e io in lui» (Gv VI, 57). – Ma per custodire illibata e perfezionare la castità, esiste un mezzo la cui meravigliosa efficacia è confermata dalla ripetuta esperienza dei secoli: e, cioè, una devozione solida e ardentissima verso la vergine Madre di Dio. In un certo modo, tutti gli altri mezzi si riassumono in tale devozione: chiunque vive la devozione mariana sinceramente e profondamente, si sente spinto certamente a vegliare, a pregare, ad accostarsi al tribunale della penitenza e all’eucaristia. Perciò esortiamo con cuore paterno i sacerdoti, i religiosi e le religiose a mettersi sotto la speciale protezione della santa Madre di Dio, Vergine delle vergini; ella, che – secondo la parola di sant’Ambrogio – è «la maestra della verginità» e la madre potentissima soprattutto delle anime consacrate al servizio di Dio. – Sant’Atanasio osserva che la verginità è entrata nel mondo per Maria, e sant’Agostino insegna: «La dignità verginale ebbe i suoi esordi con la Madre di Dio». Seguendo il pensiero di sant’Atanasio, sant’Ambrogio propone alle vergini la vita di Maria vergine come modello: «O figliuole, imitate Maria! 73 La vita di Maria rappresenti per voi, come in un quadro, la verginità; in tale vita contemplate la bellezza della castità e l’ideale della virtù. Prendetene l’esempio per la vostra vita: poiché in essa, come in un modello, sono espresse le lezioni della santità; vedrete ciò che avete da correggere, copiare, conservare… Essa è l’immagine della verginità. Maria, infatti, fu tale che basta la vita di lei sola a formare l’insegnamento per tutti… 74 Sia, dunque, Maria a regolare la vostra vita». «Tanto grande fu la grazia sua, che ella non riservava solo per sé il dono della verginità, ma anche a quelli che vedeva conferiva il pregio dell’integrità». Sant’Ambrogio aveva ben ragione di esclamare: «O ricchezze della verginità di Maria!». A motivo di tali ricchezze, ancora oggi alle sacre vergini, ai religiosi e ai sacerdoti è quanto mai utile contemplare la verginità di Maria, per osservare con più fedeltà e perfezione la castità del loro stato.  – La meditazione delle virtù della beata Vergine non vi basti, tuttavia, dilettissimi figli e figlie: ricorrete a lei con una confidenza assoluta, e seguite il consiglio di san Bernardo che esorta: «Chiediamo la grazia e chiediamola per mezzo di Maria». In modo particolare durante quest’anno mariano affidate a Maria la cura della vostra vita spirituale e della perfezione, seguendo l’esempio di san Girolamo che asseriva: «Per me la verginità è una consacrazione in Maria e in Cristo».

IV.
TIMORI E SPERANZE

Nelle gravi difficoltà, che la chiesa sta attraversando, è di grande consolazione al Nostro cuore di pastore supremo, venerabili fratelli, vedere la stima e l’onore tributati alla verginità, che fiorisce nel mondo intero, anche oggi, come sempre nel passato, nonostante gli errori ai quali abbiamo accennato e che vogliamo credere passeggeri. Non nascondiamo, tuttavia, che alla Nostra gioia fa ombra una certa tristezza, perché vediamo che, in non poche nazioni, va man mano diminuendo il numero di coloro che, rispondendo alla chiamata divina, abbracciano lo stato della verginità. Ne abbiamo già accennato sufficientemente le cause principali, e non c’è motivo di ripeterle. Confidiamo piuttosto che gli educatori della gioventù, caduti in questi errori, si ravvedano al più presto, li ripudino e si sforzino di ripararli. Essi aiuteranno con tutto l’impegno i giovani che si sentono chiamati da una forza soprannaturale al sacerdozio o alla vita religiosa e li assisteranno del loro meglio perché possano raggiungere questo alto ideale della loro vita. Piaccia al Signore che novelle e folte schiere di sacerdoti, di religiosi e di religiose sorgano al più presto proporzionate in numero e santità ai bisogni presenti della chiesa, per coltivare la vigna del Signore. – Inoltre, come esige la coscienza del Nostro ministero apostolico, esortiamo i genitori ad offrire volentieri al servizio di Dio quei loro figli che vi si sentissero chiamati. Se questo costa a loro, se ne provano tristezza o amarezza, meditino le riflessioni indirizzate da sant’Ambrogio alle madri di famiglia di Milano: «Parecchie fanciulle io ho conosciuto, che volevano essere consacrate vergini, ma le loro madri vietavano loro perfin di uscire… Se le vostre figlie volessero amare un uomo, potrebbero legittimamente scegliersi chi loro piace. E così, chi ha il diritto di scegliere un uomo, non ha il diritto di scegliere Dio?».  – Ripensino, quindi, i genitori al grande onore di avere un figlio sacerdote o una figlia che ha consacrato allo Sposo divino la sua verginità. «Voi avete capito, o genitori! – esclama ancora sant’Ambrogio a riguardo delle sacre vergini -. La vergine è un dono di Dio, un’oblazione del padre; è il sacerdozio della castità. La vergine è l’ostia della madre, il cui sacrificio quotidiano placa la collera divina». – Non vogliamo terminare questa Lettera Enciclica, venerabili fratelli, senza volgere in modo speciale il Nostro pensiero e il Nostro cuore verso le anime consacrate a Dio che, in non poche nazioni, soffrono dure e terribili persecuzioni. Prendano esse esempio da quelle vergini della primitiva chiesa, che con invitto coraggio subirono il martirio per la loro verginità.  – Perseverino tutti con fortezza d’animo nella loro santa risoluzione di servire a Cristo «fino alla morte» (Fil II, 8). Si ricordino del grande valore che le loro sofferenze fisiche e morali e le loro preghiere hanno al cospetto di Dio per l’avvento del suo regno nelle loro nazioni e nella chiesa intera. Si confortino, infine, nella certezza che «chi segue l’Agnello ovunque vada» (Ap XIV, 4), canterà eternamente un «cantico nuovo» (Ap XIV,3), che nessun altro potrà cantare.  Il Nostro cuore paterno si volge con paterna commozione verso quei sacerdoti, quei religiosi e quelle religiose, che coraggiosamente confessano la loro fede fino al martirio. Noi preghiamo per essi come anche per tutte le anime consacrate, in ogni parte del mondo, al servizio divino, perché Dio le confermi, le fortifichi, e le consoli, e vi invitiamo ardentemente, venerabili fratelli, insieme con i vostri fedeli, a pregare in unione con Noi, al fine di ottenere a tali anime le consolazioni celesti e i soccorsi divini.  – Frattanto, a voi, venerabili fratelli, a tutti i sacerdoti e religiosi, a tutte le sacre vergini, in modo speciale a tutti quelli «che soffrono persecuzioni per la giustizia» (Mt V, 10), e a tutti i vostri fedeli, impartiamo di gran cuore l’apostolica benedizione, come pegno delle grazie divine e attestato della Nostra paterna benevolenza.

Roma, presso San Pietro, nella festa dell’Annunciazione della santissima Vergine, il 25 marzo 1954, anno XVI del Nostro pontificato.

PIO PP. XII

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S.S. LEONE XIII “QUOD AUCTORITATE”

Il santo Padre Leone XIII, con questa lettera indice un anno giubilare straordinario per i popoli minacciati da tempi oscuri per lo scatenarsi delle forze del male, onde sollecitare la pace dal Signore Iddio e l’intercessione della Madre di Dio, la Beata Vergine Maria. In tempi di difficoltà la Chiesa soleva invocare, per intervento del Vicario di Cristo, la misericordia e la pace che solo Dio può concedere a chi a Lui intende tornare o perseverare nella sua grazia. Come sono lontani quei tempi, seppure già per tanti versi funesti, dai nostri, in cui si invocano forze politiche, sociali, sovranazionali, scientifiche, più spesso esoteriche o legate a culti demoniaci (le sette massoniche varie e di magia nera), per risolvere i problemi che esse stesse hanno determinato, e non si invoca il Signore Iddio, Padrone del creato e di ogni creatura vivente, o il Re dei popoli, il Signore Nostro Gesù Cristo che, lungi dall’essere proclamato tale, viene disprezzato, allontanato dalle pubbliche imprese, rifiutato in tutti i suoi comandi e nel portare il suo giogo dolce e lieve, con i risultati che tutti possiamo costatare in ogni luogo del pianeta, mali che si acuiranno sempre più fino alla completa rovina di Nazioni e di interi continenti, un  tempo sostenuti dall’amore e dalla pace che solo Dio può donare. Ed oggi in sovrappiù, non abbiamo nessuno che difenda i valori dell’integrità cristiana, anzi quella finta chiesa-zombi, infestata da demoni virtuali (Pachamama docet) o in carne ed ossa (gli antipapi usurpanti attuali, con i loro invalidi vescovi e prelati, larve senza contenuto dottrinale né di ordine e di giurisdizione) conducono ignari fedeli con inaudita ferocia di lupi travestiti, nello stagno eterno e alla dannazione eterna.  

Leone XIII
Quod auctoritate

Lettera Enciclica

Quello che con Apostolica autorità già una volta e poi nuovamente decretammo, cioè che un anno sacro straordinario – aperti al pubblico vantaggio i tesori dei doni celesti che abbiamo il potere di dispensare – si celebrasse in tutto l’orbe cristiano, vogliamo ora stabilire, col favore di Dio, per il prossimo anno. – L’utilità dell’iniziativa non può sfuggire a Voi, Venerabili Fratelli, consapevoli come siete dei tempi e dei costumi; ma una certa singolare ragione fa sì che in questa Nostra decisione appaia maggiore opportunità che non forse nelle altre occasioni. – Invero, avendo Noi, con la precedente Nostra lettera Enciclica sul governo degli Stati, indicato quanto sia importante per essi accostarsi sempre più alla verità e all’ordinamento cristiano, già si può comprendere quanto sia consentaneo a questo Nostro proposito operare con tutti i mezzi possibili per eccitare e per richiamare gli uomini alle cristiane virtù. – Infatti lo Stato è tale quale lo fanno i costumi dei popoli; e come l’eccellenza delle navi e degli edifici dipende dalla bontà e dalla giusta collocazione delle singole parti, allo stesso modo il corso della cosa pubblica non può essere né giusto né senza danno se i cittadini non camminano nel retto sentiero della vita. La stessa disciplina civile, e tutte le cose che costituiscono l’azione della vita pubblica, soltanto per opera degli uomini nascono e periscono; e perciò gli uomini sogliono dare alle cose l’esatta immagine delle proprie opinioni e dei propri costumi. Affinché dunque penetrino nei loro animi quei precetti Nostri e, quel che più conta, sia ispirata ad essi la vita quotidiana di ciascuno, si deve fare ogni sforzo perché i singoli inducano l’animo a cristianamente sentire e ad operare cristianamente, non meno in pubblico che in privato. – In tale impresa è tanto più necessario impegnarsi quanto maggiori sono i pericoli incombenti da ogni parte. Infatti le grandi virtù dei padri nostri si dileguarono in non piccola parte: e le cupidigie, che di per sé hanno grandissima forza, una maggiore ne chiesero ai fini di licenza; l’insania delle opinioni, contenuta da nessuno o da freni poco adatti, ogni giorno più si diffonde: fra quegli stessi che sentono rettamente, molti, trattenuti da un certo falso pudore, non osano professare liberamente ciò che sentono e molto meno ancora operare in tal senso; la forza dei perniciosi esempi a poco a poco va penetrando nei costumi popolari; disoneste società di uomini, le quali già altra volta da Noi stessi furono indicate, espertissime in colpevoli inganni, si studiano d’imporsi al popolo e, in quanto possono, distoglierlo e strapparlo da Dio, dalla santità dei doveri, dalla fede cristiana. – Quindi, nell’incalzare di tanti mali, resi sempre maggiori dalla loro durata, nulla che arrechi con sé qualche speranza di alleviamento deve essere da Noi tralasciato. Con questo intento e con questa speranza annunzieremo il sacro Giubileo ammonendo ed esortando tutti coloro cui sta a cuore la loro salvezza di raccogliersi un poco in se stessi, e d’innalzare i pensieri immersi nelle cose terrene a cose migliori. Il che non solo riuscirà salutare per i privati, ma per tutta la cosa pubblica, in quanto il vantaggio che ciascuno trarrà a perfezione del proprio animo, d’altrettanto gioverà per onestà e virtù alla vita e ai pubblici costumi. – Ma il desiderato esito dell’impresa, ben vedete, Venerabili Fratelli, è riposto per gran parte nella vostra opera e nella vostra diligenza, essendo necessario preparare il popolo a conseguire adeguatamente i frutti che sono proposti. Sarà dunque cura della carità e della sapienza vostra affidare questa impresa a scelti sacerdoti che, con ragionamenti adeguati all’intelligenza del popolo, istruiscano la moltitudine e principalmente la esortino alla penitenza, che secondo Agostino è “sofferenza quotidiana dei buoni ed umili fedeli; in essa ci battiamo il petto dicendo: rimetti a noi i nostri debiti”. Non senza motivo rammentiamo in primo luogo la penitenza, e quella parte di essa che consiste nella volontaria mortificazione del corpo. Infatti, conoscete il costume del secolo: ai più piace vivere con mollezza, e non fare alcunché virilmente e con grandezza d’animo. Taluni, mentre cadono in molte altre miserie, spesso presentano falsi pretesti per non obbedire alle leggi salutari della Chiesa, giudicando troppo grave e intollerabile peso o l’obbligo imposto loro di astenersi da certo genere di cibi, o l’osservare il digiuno in pochi giorni dell’anno. Snervati da questa abitudine, non fa meraviglia se a poco a poco si danno totalmente alle cupidigie che esigono sempre di più. Pertanto è conveniente richiamare a temperanza gli animi rilassati o proclivi a mollezza; per la qual cosa coloro che parleranno al popolo insegnino diligentemente e chiaramente ciò che è prescritto non solo dalla legge Evangelica, ma anche dalla ragione naturale: è necessario che ognuno comandi a se stesso e domini le proprie passioni; non si può espiare le colpe se non con la penitenza. Ed affinché questa virtù di cui parliamo si mantenga perenne, non sarebbe cosa errata se la si affidasse stabilmente alla custodia ed alla tutela di una istituzione. Voi facilmente comprendete, Venerabili Fratelli, quanto ciò sia importante: che ciascuno di Voi nella vostra Diocesi perseveri a tutelare e ad amplificare il Terzo Ordine dei fratelli Francescani, che si chiama secolare. Certamente, per conservare e per alimentare nella moltitudine cristiana lo spirito di penitenza, sono validissimi gli esempi e la grazia del padre Francesco d’Assisi, che alla somma innocenza della vita congiunse tanto zelo da mortificare se stesso, da sembrare di avere in sé l’immagine di Gesù Cristo crocifisso, non meno per la vita e per i costumi, quanto per le stigmate divinamente impressegli. Le leggi del suo Ordine, che opportunamente mitigammo, sono assai lievi da sopportare: ma non hanno poca importanza riguardo alla virtù cristiana. Poiché, in tante necessità private e pubbliche, ogni speranza di salute consiste nel patrocinio e nella tutela del Padre celeste, vorremmo ardentemente che rivivesse lo zelo costante della preghiera congiunto alla fiducia. In ogni importante tempo della repubblica cristiana, tutte le volte che la Chiesa venne minacciata da pericoli esterni o da difficoltà intestine, con preclaro esempio i nostri maggiori, alzati supplichevolmente gli occhi al cielo, insegnarono con quale mezzo e donde si dovessero chiedere la luce dell’animo, la forza della virtù e gli aiuti adatti ai tempi. Infatti, stavano impressi nelle menti quei precetti di Cristo: “Chiedete e vi sarà dato” (Mt VII, 7); “È necessario pregare sempre e non stancarsi” (Lc XVIII, 1). A tali precetti fa eco la parola degli Apostoli: “Pregate incessantemente” (1Ts V, 17); “Raccomando dunque, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini” (1Tm II,1). Su ciò, non meno acutamente che conforme a verità, a guisa di paragone, Giovanni Crisostomo lasciò scritto: Come all’uomo, che nasce nudo e bisognoso di tutto, la natura diede le mani affinché con l’aiuto di esse si procacciasse le cose occorrenti alla vita, così per le necessità soprannaturali egli – nulla potendo da solo – fu dotato da Dio della facoltà di pregare, affinché, servendosi saggiamente di essa, potesse facilmente ottenere le cose che si richiedono per la salvezza. Perciò, Venerabili Fratelli, ciascuno di Voi giudichi quanto da Noi sia gradito ed approvato il vostro zelo speso, soprattutto in questi ultimi anni, per Nostro incitamento nel promuovere la pia pratica del santissimo Rosario. Né è da passare sotto silenzio la pietà popolare che, a questo proposito, si vede particolarmente attuata in quasi tutti i luoghi; ma è da curare con grande attenzione che si accenda maggiormente e si mantenga con perseveranza. Nessuno di Voi si stupirà se insistiamo su ciò, come più volte facemmo, giacché comprendete quanta importanza abbia il fiorire presso i Cristiani della consuetudine del Rosario Mariano, e appieno conoscete che nel genere di preghiere di cui parliamo, essa è parte e forma bellissima, conveniente ai tempi, di uso facile e fecondissima per utilità. – E poiché il primo e massimo frutto del Giubileo deve essere quello che più sopra abbiamo indicato, cioè un’emendazione della vita, un avvicinarsi alla virtù, crediamo necessario specificatamente fuggire da quel male che con la Nostra precedente Enciclica non tralasciammo di segnalare. Intendiamo accennare ad alcuni nostri dissidi interni e quasi domestici: dissidi che appena si può dire con quanto danno delle anime sciolgono, o certamente rallentano, il vincolo della carità. La qual cosa perciò ora di nuovo vi rammentiamo, Venerabili Fratelli custodi della disciplina ecclesiastica e della mutua carità, perché vogliamo che la vostra vigilanza e la vostra autorità siano sempre rivolte a scongiurare così grave inconveniente. – Ammonendo, esortando e rampognando, fate in modo che tutti “siano solleciti nel conservare l’unità dello spirito nel vincolo della pace”, e gli autori dei dissidi ritornino al dovere, meditando per tutta la vita che l’Unigenito Figlio di Dio, nello stesso approssimarsi degli estremi dolori, nulla chiese al Padre più insistentemente se non che tra loro si amassero quelli che credevano o avrebbero creduto in Lui, “affinché tutti siano una sola cosa; come Tu, Padre, sei in me ed io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola” (Gv XVII, 21). Pertanto, fiduciosi nella misericordia dell’onnipotente Iddio e nell’autorità dei beati Apostoli Pietro e Paolo, per quella potestà di legare e di sciogliere che a Noi, quantunque indegni trasmise il Signore, concediamo a tutti e singoli i Cristiani fedeli dell’uno e dell’altro sesso pienissima indulgenza di tutti i peccati, a modo di generale Giubileo, però con la condizione e con l’obbligo che nel termine del prossimo anno 1886 compiano le cose che prescriviamo. – Quanti sono a Roma, cittadini od ospiti, visitino due volte la Basilica Lateranense, la Vaticana e la Liberiana ed ivi per parecchio tempo innalzino pie preghiere a Dio per la prosperità e l’esaltazione della Chiesa Cattolica e di questa Sede Apostolica, per l’estirpazione delle eresie, per la conversione di tutti gli erranti, per la concordia dei Principi cristiani, e per la pace e l’unione di tutto il popolo fedele, secondo la Nostra intenzione. Gli stessi digiunino per due giorni usando cibi magri, oltre i giorni non compresi nell’indulto quaresimale, o altri consacrati a simile digiuno per precetti della Chiesa; oltre a ciò, dopo avere bene confessate le proprie colpe, ricevano il Santissimo Sacramento dell’Eucaristia, e facciano qualche elemosina, secondo le proprie forze, udito il consiglio del Confessore, in favore di qualche pia opera che riguardi la propagazione e l’incremento della fede cattolica. È concesso a ciascuno scegliere quella di tali opere che più gli piaccia: però crediamo di doverne nominare due per le quali la beneficenza sarà ottimamente impiegata, l’una e l’altra operanti in molti luoghi, bisognose di soccorso e di tutela, l’una e l’altra utili non meno alla popolazione che alla Chiesa: cioè le scuole private dei fanciulli, e i Seminari dei Chierici. – Tutti gli altri, che dimorano fuori della città e in qualunque altro luogo, visiteranno nel detto spazio di tempo per due volte tre Chiese designate da Voi, Venerabili Fratelli, o dai vostri Vicari o Delegati, o per vostro o per loro mandato da coloro che hanno cura d’anime; oppure se due sole saranno le Chiese, per tre volte; ovvero se il tempio sarà uno solo, sei volte; e del pari faranno tutte le altre opere che sono accennate più sopra. – Vogliamo che questa indulgenza si possa applicare, a titolo di suffragio, anche alle anime che uscirono da questa vita congiunte nella carità con Dio. Inoltre, vi diamo facoltà di potere ridurre le stesse visite ad un numero minore, secondo il vostro prudente giudizio, per i capitoli e per le Congregazioni, tanto secolari quanto regolari, per i sodalizi, per le confraternite, per le associazioni, per i collegi che visiteranno processionalmente le menzionate Chiese. – Concediamo che i naviganti e i viaggiatori possano conseguire la stessa indulgenza quando, ritornati al loro domicilio o altrove in una stabile dimora, abbiano visitato sei volte il tempio principale, o la Chiesa parrocchiale, e compiute tutte le opere sopra prescritte. Ai regolari d’ambo i sessi, anche chiusi in perpetuo nei chiostri, e a tutti gli altri, tanto laici quanto ecclesiastici, i quali o perché in carcere, o per infermità, o per qualunque altra causa siano impediti dal fare le opere suddette o ne compiano alcune, concediamo che il Confessore possa commutarle in altre opere di pietà, con il potere altresì di dispensare dalla Comunione i fanciulli che ancora non sono stati ammessi alla prima Comunione. – Oltre a ciò concediamo a tutti e singoli i Cristiani, tanto laici quanto ecclesiastici, secolari e regolari d’ogni Ordine ed Istituto, anche se da nominarsi specificatamente, la facoltà di potere scegliersi a questo effetto qualsivoglia sacerdote Confessore approvato, tanto secolare quanto regolare: di tale facoltà possono anche fruire le Monache, le Novizie e le altre donne dimoranti nei chiostri, purché il Confessore sia approvato per le religiose. – Ai Confessori poi, in questa occasione e soltanto per il tempo di questo Giubileo, elargiamo tutte quelle stesse facoltà che largimmo con la Nostra lettera Apostolica Pontifices maximi del 15 febbraio 1879, ad eccezione tuttavia di tutte quelle che sono eccettuate nella stessa lettera. Per il resto, si adoperino tutti zelantemente in detto periodo per invocare la Gran Madre di Dio. Infatti, vogliamo consacrato questo Giubileo al patrocinio della Santissima Vergine del Rosario; confidiamo che con l’aiuto di Lei non pochi saranno coloro la cui anima, cancellata ogni macchia di peccato, si purifichi, e per la fede e per la pietà e per la giustizia non solo rinasca a speranza di sempiterna salute, ma anche come augurio di tempi migliori. – Auspice di tali celesti benefìci e a testimonianza della Nostra benevolenza, a Voi, al Clero e a tutto il popolo affidato alla vostra fede e alla vostra vigilanza, impartiamo amatissimamente nel Signore l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 22 dicembre 1885, anno ottavo del Nostro Pontificato.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO VII – “VINEAM QUAM PLANTAVIT”

Questa breve lettera Enciclica del Sommo Pontefice Pio VII, rivolta ai Vescovi francesi, propone l’aumento delle diocesi di quella Nazione, dopo le turbolente vicende storiche che ne avevano sconvolto l’ordine sociale ed ecclesiastico. L’aspetto edificante della lettera è la constatazione dell’accordo congiunto sulla questione, dei poteri civile ed ecclesiastico a beneficio della vita sociale e spirituale di quel popolo tradizionalmente fedele alla Chiesa di Cristo ed alla Santa Sede. Questa comunione di intenti fu quella poi, che sostenne una situazione sociale sostanzialmente tranquilla e fu foriera di un grande risveglio spirituale nel clero e nei fedeli cattolici, benché il “nemico”, e per esso le sette di perdizione massoniche, nonché le ideologie moderne anticristiane, non cessassero di operare anche là per la rovina della Cristianità e della Chiesa. È questo l’esempio che dovrebbe animare e restaurare una pace sociale e un benessere spirituale in tutti i popoli oggi schiavi di un potere ateo anticlericale asservito alle lobby kazaro-kabaliste, operanti in favore di una dittatura mondialista generata da un terrorismo di stampo luciferino, di cui è parte attiva la falsa chiesa modernista con gli usurpanti antipapi vicari dell’anticristo imminente. Ma tutto combacia con gli eventi descritti e profetizzati per i nostri tempi e per la Chiesa di Cristo – che attraversa la settima epoca “Chiesa di Laodicea” – nel libro biblico dell’Apocalisse.  

Pio VII
Vineam quam plantavit +

Roma, 12 giugno 1817
Enciclica (*)

(*) Per meglio corrispondere alle esigenze spirituali della popolazione, in accordo con il Re Ludovico il Pontefice propone l’aumento del numero delle Diocesi del Regno di Francia e chiede ai Vescovi e ai Capitoli la massima collaborazione nell’attuazione del progetto.

Ai Venerabili Fratelli Arcivescovi e Vescovi, e ai diletti Figli dei Capitoli, e ai Canonici delle Chiese vacanti del Regno di Francia.
Il Papa Pio VII.

Venerabili Fratelli, diletti Figli, salute e Apostolica Benedizione.

Guardando la vigna che il Signore piantò nel floridissimo regno di Francia dopo tanti e così lunghi periodi di tempi durissimi, Ci siamo resi conto che, sicuramente, nulla potrebbe condurre ad una più redditizia coltivazione quanto il moltiplicare il numero degli operai che in tale vigna lavorano. Lo ha riconosciuto anche il carissimo Nostro Figlio in Cristo Ludovico, il Re cristianissimo, il quale, desiderando sostenere la casa scossa da violente raffiche di vento, Ci manifestò il desiderio che, definiti i nuovi confini delle Diocesi, si aumentasse anzitutto il numero dei Vescovati, ben sapendo come tale provvedimento mirabilmente giovi ad appianare in seguito tutte le difficoltà della Chiesa nel vastissimo Regno.

Non occorre, Venerabili Fratelli, che con un lungo discorso vi si dica con quale gaudio e con quale ardente zelo Ci siamo indotti ad esaudire con la Nostra Apostolica Autorità questi pii voti del devotissimo Re. Non è infatti per la mutevolezza delle cose umane, come diceva Sant’Innocenzo I, che abbiamo pensato d’introdurre tali riforme nella Chiesa; ma Ci rallegriamo che con l’aiuto di Dio ora potremo felicemente compiere ciò che da tempo desideravamo e che non avevamo potuto realizzare per circostanze avverse.

Avendo dunque deciso che oltre le Sedi vescovili e arcivescovili che esistevano prima del 1801 se ne erigano altre in numero maggiore di quelle ora esistenti, si dovrà conseguentemente attuare una nuova divisione delle Diocesi che abbiamo deciso di definire secondo confini che rechino maggior vantaggio al gregge del Signore.

Senza dubbio conoscete, per vostra esperienza, di quanto grande utilità sarà tutto questo per una retta amministrazione delle Diocesi; perciò non dubitiamo che sarete d’accordo con la proposta divisione delle stesse. Lo chiediamo con animo fiducioso a ciascuno di voi con questa Nostra lettera: si tratta del profitto delle anime, Venerabili Fratelli e diletti Figli; per esse nessun onere deve sembrare eccessivo, dal momento che le riscattò con il suo sangue il Nostro Salvatore. Non Vi rincresca dunque assecondare con sollecita risposta questo Nostro impegno e gli ottimi consigli del Re cristianissimo, affinché le questioni che devono essere risolte in modo devoto e benefico non siano turbate da alcun contenzioso, né si presentino ostacoli nell’attuazione di quei propositi che a Noi richiede quello zelo che impieghiamo in conformità della divina istituzione della Chiesa universale.

Frattanto, invocando per voi ogni dono più ampio da Colui che elargisce tutti i beni, con molto affetto Vi impartiamo l’Apostolica Benedizione, come segno della Nostra paterna benevolenza.

Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, il 12 giugno 1817, anno diciottesimo del Nostro Pontificato

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: LEONE XIII “NOBILISSIMA GALLORUM”

Questa lettera Enciclica di S. S. Leone XIII, si rivolgeva ai Vescovi francesi da poco sortiti dalle tristi vicende nazionali che avevano visto le porte del male vicine al trionfo sulla santa Chiesa, attraverso la massonica-illuminata rivoluzione anticristiana, con le conseguenze disastrose seguitene che avevano destabilizzato tutta la società civile e l’organizzazione ecclesiastica di questa Nazione, un tempo fiore all’occhiello della Chiesa di Cristo. Si tratta di un piccolo compendio della Dottrina sociale della Chiesa che avrà tanto sviluppo in seguito nei documenti prodotti dai Sommi Pontefici fino a Pio XII. Le indicazioni contenute nella lettera sono di una chiarezza disarmante e le prospettive negative delineate nella loro inosservanza si sono dimostrate nel tempo, ed oggi ancor più, delle profezie puntualmente e tragicamente realizzate nelle nazioni un tempo cristiane, attualmente apostate dal vero Cattolicesimo ed in preda ad uno sfrenato paganesimo civile ed un ultra modernismo religioso liberticida di anime illuse da un falso pietismo ed da una irreligiosità estrema, giunte ai limiti di un baratro profondo e di uno stagno di fuoco senza speranza di ritorno qualora non intervenga un evento divino diretto.

Nobilissima Gallorum
Leone XIII

Lettera Enciclica

Nei confronti della Chiesa cattolica la nobilissima nazione dei Francesi, in molte e splendide imprese di pace e di guerra, si segnalò con tanto singolare eccellenza di meriti, che ne durerà eterna la riconoscenza e immortale la gloria. Avendo essa tempestivamente, dietro l’esempio del Re Clodoveo, abbracciato la legge di Cristo, ne ottenne, quale testimonianza e insieme premio onorevolissimo della sua fede e della sua devozione, di essere chiamata la Figlia primogenita della Chiesa. Sino da quella età, Venerabili Fratelli, gli antenati vostri furono spesso considerati in grandi e salutari imprese come gli strumenti della stessa provvidenza divina: ma in peculiar modo rifulse la virtù loro nel proteggere in tutta la terra il Cattolicesimo, nel propagare fra le genti barbare la fede cristiana, nel liberare e custodire i luoghi santi della Palestina, tanto che divenne proverbiale quell’antica espressione: “Le opere di Dio attraverso i Francesi”. Per queste ragioni avvenne che, essendosi essi dedicati con tutto il cuore alla difesa del cattolicesimo, poterono in un certo qual modo avere parte nelle glorie della Chiesa, e fondare così in pubblico come in privato un bel numero di istituzioni, nelle quali si ammirano le più luminose prove di religione, di beneficenza, di magnanimità. – I Romani Pontefici Nostri Predecessori furono soliti elogiare nei modi più solenni tali virtù dei padri vostri, e per rendere testimonianza ai loro meriti con paterno affetto vollero spesso esaltare con somme lodi il nome dei Francesi. Amplissime senz’altro sono quelle che Innocenzo III e Gregorio IX, grandi luminari della Chiesa, tributarono ai vostri maggiori. Il primo di essi, in una lettera all’Arcivescovo di Reims, dice: “Noi amiamo il regno di Francia con tale singolarità di affetto, come quello che, più degli altri regni del mondo, si mostrò sempre ossequioso e devoto verso la Sede Apostolica e Noi”. L’altro poi, in una lettera a San Lodovico IX, così parla del regno di Francia: “In esso, dove in nessun caso fu mai possibile sradicare la devozione a Dio e alla Chiesa, non venne mai meno in nessun tempo la libertà ecclesiastica, e non fu mai rimosso l’attaccamento alla fede cristiana: anzi, per la conservazione di tali valori, i re e i sudditi di detto regno non dubitarono di spargere il loro sangue, e di esporre a molti pericoli la vita”. – Iddio poi, autore della natura, dal quale le nazioni ricevono in questo mondo il premio delle virtù e delle buone opere, concesse ai Francesi molte cose ad ampliamento della loro grandezza: le glorie militari, le arti della pace, la celebrità del nome, la potenza dell’impero. Se la Francia, talvolta, dimentica in qualche modo di se medesima e della missione da Dio affidatale, preferì assumere sentimenti ostili verso la Chiesa, nondimeno, per sommo beneficio di Dio non fuorviò in tutta la sua realtà né per lungo tempo. – Avesse potuto uscire incolume da quelle calamità, così funeste alla Religione e allo Stato, che i tempi più vicini a Noi hanno generato! Ma dopo che la mente umana, imbevuta del veleno di nuove opinioni, prese a respingere dovunque l’autorità della Chiesa imperversando con sterminata licenza, si giunse precipitosamente là dove l’impulso trascinava. Infatti, essendo il mortifero veleno delle dottrine penetrato anche nei costumi degli uomini, l’umana società, in gran parte, giunse passo passo a tal punto che sembra volere in tutto separarsi dagli insegnamenti cristiani. A diffondere una siffatta peste nelle Gallie non poco concorsero nel secolo scorso certi filosofi di una sapienza delirante, i quali si diedero a sradicare i fondamenti della verità cristiana, e adottarono tal metodo di filosofare che infiammava vieppiù un amore già acceso per una smodata libertà. Si aggiunse l’opera di coloro che un impotente odio delle cose divine tiene fra loro congiunti in società nefande, rendendoli ogni giorno più desiderosi di togliere di mezzo il Cattolicesimo: se poi a ciò si provino con maggiori sforzi in Francia che altrove, nessuno meglio di Voi, Venerabili Fratelli, può giudicarlo. Pertanto, l’affetto paterno che portiamo a tutte le genti, come Ci spinse altre volte, con lettere indirizzate si Vescovi, ad esortare al loro dovere, secondo le circostanze, specialmente i popoli dell’Irlanda, della Spagna e dell’Italia, così ora Ci consiglia di volgere la mente ed i pensieri alla Francia. – Infatti quei tentativi che abbiamo detto, non sono soltanto di nocumento alla Chiesa, ma tornano altresì a sommo danno della Repubblica, in quanto non può avvenire che uno Stato fiorisca di prosperità quando è stata eliminata la religione. Certamente, ove cessi negli uomini il timore di Dio, viene a mancare il massimo fondamento della giustizia, senza la quale anche i saggi del paganesimo negavano che possa ben governarsi una repubblica, dato che non avrà adeguato peso l’autorità dei Principi, né avranno sufficiente vigore le leggi. Presso ognuno avrà maggior valore l’utilità che l’onestà; vacillerà la saldezza del diritto qualora essa sia garantita soltanto dal timore delle pene; i governanti cadranno facilmente nel dispotismo e i sudditi per un nonnulla si getteranno a sedizioni e a tumulti. – Inoltre, poiché nella natura delle cose non esiste alcunché di buono che non derivi dalla bontà divina, ogni società umana che voglia allontanare Dio dai suoi statuti e dal suo governo, per ciò stesso rigetta gli aiuti della divina beneficenza, ed evidentemente merita che le venga negato il patrocinio celeste. Ne deriva che per quanto appaia mirabile di potenza e fiorente di ricchezze, tuttavia porta chiuso nelle stesse viscere della repubblica il germe della sua morte, né può avere speranza di lunga durata. Ciò va detto alle nazioni cristiane, non altrimenti che ai singoli uomini: è altrettanto vantaggioso il sottostare ai consigli di Dio, quanto è pericoloso il ribellarsene; a dette nazioni accade spesso che nei periodi in cui restano con più fedele cura devote a Dio ed alla Chiesa, quasi per naturale conseguenza s’innalzano ad ottimo stato; quando si fanno ribelli, precipitano. È in facoltà di ognuno osservare tali vicende negli annali di tutte le età, ed avremmo in abbondanza esempi domestici, né troppo da Noi lontani, se il tempo permettesse di annoverare quelli che vide il secolo passato, allorché la procace licenza di molti mise radicalmente a soqquadro l’inorridita Francia, travolgendo in una medesima rovina le cose religiose e le civili. – Per contro, è facile allontanare tali errori che portano con sé la sicura rovina di uno Stato, se nel costituire ed amministrare tanto la domestica quanto la civile società si osservano gl’insegnamenti della Religione cattolica. Essi sono infatti efficacissimi per il mantenimento dell’ordine e per la salvezza della repubblica. – Innanzi tutto, per quanto concerne la società domestica, importa assaissimo che la prole nata da matrimonio cristiano venga tempestivamente istruita nei precetti della Religione, e che quelle arti, con le quali la fanciullezza viene formata alla civiltà vadano associate con la preparazione religiosa. Il separare le une dall’altra è lo stesso che volere veramente che gli animi dei fanciulli rimangano neutrali nei doveri verso Dio; tale disciplina è fallace e dannosissima soprattutto nell’età infantile, perché ciò significa aprire direttamente la strada all’ateismo e chiuderla alla Religione. I buoni genitori debbono assolutamente provvedere a che i propri figli, non appena sono in età di apprendere, si istruiscano nei precetti della Religione, e che nelle scuole non vi sia alcuna cosa che offenda l’integrità della fede e dei costumi. Questa diligenza da usare nella formazione della prole è imposta dalla legge divina e dalla naturale, né i genitori possono per alcun pretesto credersi sciolti da tale legge. In verità, la Chiesa, custode e vindice dell’integrità della fede conferitale dal suo divin Fondatore, deve chiamare tutti i popoli alla sapienza cristiana, ed insieme guardare attentamente di quali precetti e istituzioni venga informata la gioventù che cresce sotto la sua giurisdizione; in ogni tempo condannò apertamente le scuole che chiamano miste o neutre, raccomandando con ripetute istanze ai padri di famiglia che si prendessero a cuore diligentemente una questione di tanta importanza. Obbedendo alla Chiesa in tale materia si procurano grandi vantaggi e contemporaneamente si provvede nel miglior modo alla salute pubblica. Infatti, coloro che nella tenera età non vengono istruiti nella Religione crescono senza alcuna cognizione delle cose più importanti: le sole che possono alimentare negli uomini l’amore delle virtù e metter freno agli appetiti contrari alla ragione. Di tal genere sono le nozioni intorno a Dio creatore, a Dio giudice e vindice, ai premi ed ai castighi da aspettare nell’altra vita, agli aiuti celesti apportati da Gesù Cristo al fine di potere diligentemente e santamente adempiere a quei compiti. Ove siano ignorate queste cose, ogni preparazione degli animi riuscirà malsana: i giovani non assuefatti al timore di Dio sapranno sopportare malamente qualsiasi disciplina dell’onesto vivere, e come coloro che non furono mai avvezzi a negar nulla alle proprie passioni, facilmente saranno sospinti a mettere sossopra gli Stati. In secondo luogo sono sommamente salutari ed altrettanto veri gl’insegnamenti che riguardano la società civile e la reciprocità dei diritti e dei doveri tra la potestà religiosa e quella politica. – Infatti, siccome sono nel mondo due società principali, l’una civile, il cui fine prossimo è di procurare alla famiglia umana il bene temporale e terreno, l’altra religiosa, il cui compito è di condurre gli uomini a quella vera felicità celeste ed immortale per la quale siamo nati, così i poteri sono due. Entrambi dipendono dalla legge eterna e naturale, e ciascuno provvede e dispone da sé nelle cose che sono dell’ordine e del dominio proprio. Peraltro, ogni volta che accada di dover determinare alcune cose nelle quali, quantunque per diverse ragioni ed in modo diverso, conviene che intervengano insieme l’uno e l’altro potere, allora è necessaria e voluta dallo stesso pubblico bene la concordia di ambedue, mancando la quale ne deriva una condizione di cose sempre incerta e mutabile, per cui non è possibile una durevole tranquillità né della Chiesa né dello Stato. Pertanto, dunque, quando su qualche punto fra la potestà religiosa e la civile si è stabilito un accordo, allora senza dubbio se importa alla giustizia che l’accordo resti intatto, altrettanto importa allo Stato; conseguentemente, se l’una e l’altra parte si prestano scambievoli servizi, così ricevono a vicenda determinati vantaggi. – In Francia, sul principio di questo secolo, dopo che furono cessati quei grandi rivolgimenti politici e quei terrori che in precedenza l’avevano funestata, gli stessi moderatori della cosa pubblica compresero che non si poteva restaurare la nazione, oppressa da tante rovine, in maniera migliore che ristabilire la Religione cattolica. Pio VII Nostro Predecessore, precorrendo con l’animo i futuri vantaggi, assecondò i voleri del Primo Console con la maggiore condiscendenza e arrendevolezza che gli furono consentite dal suo dovere. – Allora, essendosi convenuto sui principali punti, furono poste le basi e fu spianata la via sicura e più opportuna per rimettere in piedi e stabilire a poco a poco le cose della religione. Effettivamente, in quel tempo e negli anni che seguirono furono con saggio consiglio stabilite molte cose che apparivano richieste dal benessere e dal decoro della Chiesa. Se ne raccolsero quindi frutti preziosissimi e tali da essere tanto più stimati quanto più le cose sacre in Francia erano state in precedenza abbattute ed oppresse. Restituita alla Religione la sua pubblica dignità, si videro chiaramente rivivere le cristiane istituzioni: ma oh!, quanti beni da questo fatto risultarono alla felicità dello Stato! – Infatti, la nazione, appena uscita da quei turbolentissimi flutti, mentre ricercava ansiosa i saldi fondamenti della quiete e dell’ordine pubblico, si accorse che quei fondamenti che andava cercando le venivano offerti dalla Religione cattolica: dal che apparve manifesto che stringere quell’accordo fu opera di un uomo che sa ottimamente provvedere agli interessi del popolo. Pertanto, quand’anche mancassero altre ragioni, pure quel motivo stesso che spinse allora a trattare della pace, dovrebbe ora spingere a mantenerla. Infatti, essendo dappertutto gli animi accesi dal desiderio di cose nuove, in così incerta attesa dell’avvenire, il gettare fra l’una e l’altra potestà nuovi germi di discordia e, frapponendo ostacoli, impedire o ritardare la benefica influenza della Chiesa, sarebbe cosa imprudente e piena di pericoli. – Per la verità, in questo tempo non senza affanno ed angoscia Noi vediamo profilarsi pericoli di tal natura: alcune cose si sono già fatte o si fanno assolutamente non conformi al bene della Chiesa, dato che alcuni, con animo avverso, hanno preso a calunniare e a rendere odiose le istituzioni cattoliche, e a proclamarle nemiche della società. Né minor angustia e afflizione Ci danno i disegni di coloro i quali, puntando sulla separazione della Chiesa e dello Stato, vorrebbero, presto o tardi, rotto l’accordo solennemente e con tanto vantaggio concluso con la Sede Apostolica. In siffatta condizione di cose Noi certamente non abbiamo tralasciato nulla che sembrasse essere richiesto dalle congiunture dei tempi. Dal Nostro Nunzio Apostolico, ogni volta in cui Ci parve necessario, facemmo fare esposti; e quelli che tengono il governo delle cose pubbliche, dichiararono di riceverli con animo disposto ad equità. – Noi stessi, quando fu promulgata la legge sullo scioglimento delle Congregazioni religiose, significammo i sentimenti dell’animo Nostro in una lettera indirizzata al diletto Nostro Figlio, l’Arcivescovo di Parigi Cardinale della Santa Chiesa Romana. Analogamente, con una lettera inviata nel mese di giugno dello scorso anno al Presidente della Repubblica, deplorammo tutte le altre cose che tornano a danno della salute delle anime, e che non lasciano salvi i diritti della Chiesa. Questo facemmo sia perché eravamo mossi dalla santità e dalla grandezza del Nostro apostolico ministero, sia perché vivamente desideriamo che in Francia venga conservata con gelosa cura ed inviolabilmente la Religione ricevuta dai padri. Per questa via, con questa medesima costanza siamo deliberati a difendere sempre per l’avvenire gl’interessi cattolici della Francia. In tale giusto e doveroso ufficio, abbiamo sempre avuto Voi tutti, Venerabili Fratelli, quali intrepidi cooperatori. Costretti a lamentare la sciagura deliberata contro gli ordini religiosi, avete nonpertanto adoperato quanto era in vostra facoltà, affinché non soccombessero senza difesa coloro i quali avevano ben meritato non meno della società che della Chiesa. In questo tempo, poi, per quanto le leggi lo consentono, le vostre maggiori cure ed i pensieri vostri sono stati rivolti ad apprestare alla gioventù la più larga e solida formazione. Circa i propositi che alcuni vanno macchinando contro la Chiesa, non avete omesso di mostrare quanto danno essi apporterebbero allo Stato medesimo. Né per questo motivo qualcuno potrà fondatamente accusarvi o di essere mossi da qualche rispetto umano, ovvero di essere contrari al governo costituito, perché quando si tratta dell’onore di Dio, quando è posta in pericolo la salute delle anime, è vostro dovere prendere il patrocinio e la difesa di tutte queste cose. – Continuate dunque con prudenza ed energia a compiere il ministero episcopale; ad insegnare i precetti della sapienza celeste, e a dimostrare al popolo quale via esso debba tenere in questa così grande perversità di tempi. Conviene che tutti abbiate una stessa mente ed uno stesso proposito, e quando l’interesse è comune, è necessario che tutti teniate un modo affine nell’operare. Procurate che nessun luogo resti privo di scuole, nelle quali gli alunni siano con ogni maggior diligenza istruiti nella conoscenza dei beni celesti e dei doveri verso Dio: imparino a conoscere intimamente la Chiesa e ad obbedirle fino a rendersi capaci e persuasi che per lei è da reputarsi tollerabile qualsivoglia fatica. – La Francia abbonda di esempi d’uomini preclarissimi, i quali per la fede cristiana si mostrarono pronti a sostenere qualsiasi duro travaglio, e perfino a perdere la vita. In quegli stessi sconvolgimenti che abbiamo ricordato, vi furono molti uomini d’invitta fede, per la virtù e per il sangue dei quali fu salvo l’onore della patria. E anche ai nostri giorni vediamo in Francia, pur in mezzo alle insidie ed ai pericoli, mantenersi abbastanza salda la virtù con l’aiuto di Dio. Il Clero attende al suo ufficio con costanza e con quella carità che è propria dei sacerdoti, sempre pronta e sollecita a giovare al prossimo. Nel laicato numerosi uomini fanno pubblicamente professione della fede cattolica con forte ed impavido petto; in molti modi e assai di frequente attestano con bella gara il loro ossequio alla Sede Apostolica; provvedono con ingenti spese e fatiche all’istruzione della gioventù; soccorrono alle necessità pubbliche con ammirabile liberalità e beneficenza. Ora codesti beni, i quali sono presagio di liete speranze per la Francia, non solo si debbono conservare, ma addirittura aumentare con comune zelo e con la maggior diligenza e perseveranza. Conviene anzitutto avere cura che il Clero si arricchisca di un numero sempre maggiore di idonee persone. I Sacerdoti abbiano come cosa sacra l’autorità dei loro Pastori; tengano per certo che l’ufficio sacerdotale, se non si esercita sotto il magistero dei Vescovi, non sarà mai né santo, né abbastanza utile, né decoroso. È inoltre necessario che ragguardevoli uomini del laicato, ai quali sta a cuore questa comune madre di tutti, la Chiesa, e i discorsi e gli scritti dei quali possono essere di grande utilità per difendere i diritti della Religione cattolica, si adoperino a difesa della religione. Per conseguire poi i frutti desiderati sono necessarie la concordia dei voleri e la conformità delle opere. Di certo i nemici non desiderano niente di più che i Cattolici siano fra loro divisi: questi, dunque, pensino che soprattutto debbono rifuggire dalla discordia, memori di quella divina sentenza: “Ogni regno diviso in parti contrarie va in perdizione”. Ché se, per mantenere la concordia, sia anche necessario che qualcuno rinunci al proprio giudizio e alla propria opinione, lo faccia di buon grado, per amore della comune utilità. Coloro che sono impegnati nello scrivere, si adoperino in ogni modo per conservare questa unione degli animi in tutte le cose; essi inoltre preferiscano il vantaggio comune al proprio; favoriscano le comuni iniziative; si rendano con volonteroso animo docili alla disciplina di coloro che “lo Spirito Santo ha costituiti Vescovi per pascere la Chiesa di Dio”, ed abbiano riverenza per la loro autorità, né inizino mai alcunché senza il beneplacito degli stessi, i quali, allorché si combatte per la religione, vanno seguiti come condottieri. Infine, ciò che la Chiesa ebbe sempre in costume di fare nei tempi calamitosi, così tutto il popolo, seguendo Voi, continui a pregare e a scongiurare Iddio affinché guardi propizio la Francia, e vinca lo sdegno con la misericordia. Nella presente sfrenatezza del parlare e dello scrivere, troppo spesso si recò oltraggio alla divina Maestà, né mancano coloro che non solo rigettano ingratamente i benefici di Gesù Cristo Salvatore degli uomini, ma con empia ostentazione dichiarano in pubblico di non volere conoscere la potenza di Dio. Soprattutto conviene che i Cattolici compensino questa perversità di pensare e di operare con un grande ardore di fede e di pietà, e attestino solennemente che nulla hanno di più sacro che la gloria di Dio, nulla di più caro che la Religione degli avi. Particolarmente coloro che, uniti a Dio con più stretti legami, trascorrono la loro vita nella pace dei chiostri, s’accendano ora in più generosi spiriti di carità, e con umili suppliche, con volontarie penitenze, con l’offerta di se medesimi cerchino di placare la Maestà divina. In questo modo avverrà, speriamo con la grazia del Signore, che gli erranti ritornino sul retto sentiero, e che il nome Francese riviva nella sua genuina grandezza. In tutte queste cose che finora abbiamo dette, dovete riconoscere il bene grandissimo che Noi vogliamo a tutta la Francia. Né dubitiamo che questo medesimo attestato del Nostro particolarissimo affetto valga a confermare e ad accrescere quella salutare ed intima unione che fu sempre tra la Francia e l’Apostolica Sede, e dalla quale in ogni tempo né pochi né lievi beni derivarono a comune vantaggio. – Confortati in questo pensiero, a Voi, Venerabili Fratelli, ed ai vostri concittadini auguriamo la maggior copia delle grazie celesti, in auspicio delle quali ed in pegno della Nostra particolare benevolenza, a Voi ed a tutta la Francia impartiamo affettuosamente nel Signore l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, l’8 febbraio 1884, anno sesto del Nostro Pontificato.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI-APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO IX – “OPTIME NOSCITIS”

In questa breve lettera Enciclica il Santo Padre Pio IX, esprime i suoi apprezzamenti per la decisione dei prelati irlandesi di istituire una Università cattolica – affidata al futuro Cardinale J. H. Newmann – per la formazione dei giovani e dei religiosi in particolare. Quella della formazione dei giovani sacerdoti era una delle idee fisse di Papa Mastai-Ferretti e a giusta ragione, perché la retta dottrina e la santità della vita, sono di stimolo per la pietà dei fedeli che possono così dirigersi con certezza sulla via della salvezza dell’anima. Ben lo sapevano anche i nemici della Chiesa, che per tentare l’abbattimento della Chiesa del Signore (si fieri potest), si sono infiltrati lentamente nei seminari diocesani e nelle università ed istituti cattolici per corrompere i costumi e la dottrina dei giovani chierici, che poi son diventati Sacerdoti, Vescovi, Cardinali facilmente influenzabili da teologie eterodosse che hanno portato agli abomini del conciliabolo Vaticano e al trionfo della nouvelle theologie, abominio sempre più evidente dell’ultra modernismo pseudo-ecclesiale attualmente in auge nel c. d. Novus Ordo, e della profanazione del codice canonico da parte di sedevacantisti e scismatici finto-tradizionalisti vari, privi di qualsiasi giurisdizione, missione canonica e validità di ordini, rami secchi buoni solo per ardere con i loro disgraziati fedeli e seguaci “pecore matte” di dantesca memoria.

Optime noscitis
Pio IX

Sapete perfettamente, Venerabili Fratelli, da quanta gioia e consolazione fummo còlti non appena venimmo a sapere che voi (seguendo con la massima spontaneità, grazie al vostro eccellente spirito religioso, i desideri e le ammonizioni Nostre e di questa Santa Sede) nel Sinodo di Thurles, che concelebraste nel 1850, fra l’altro avevate deliberato – considerate le disponibilità e messe insieme le forze – di voler fondare costà al più presto un Liceo cattolico, nel quale gli adolescenti di codesta illustre vostra Nazione, a Noi tanto cara, senza patire alcuna discriminazione a causa della nostra santissima Fede, potessero essere foggiati con zelo ad una pietà quotidianamente crescente e a tutte le virtù; potessero essere sapientemente eruditi ed istruiti nella letteratura e nelle scienze più severe. E ricorderete certamente come, nella Nostra Lettera Apostolica sigillata con l’Anello del Pescatore in data 23 marzo 1852, Noi abbiamo approvato sia gli Atti dello stesso Sinodo, sia la costituzione di tale Liceo; come, successivamente, con la Nostra Lettera Enciclica inviatavi il giorno 25 dello stesso mese ed anno Noi ci siamo congratulati sinceramente con Voi per aver adottato questa decisione più che opportuna per l’incremento della Religione e delle scienze, ed abbiamo contemporaneamente tributato le meritate lodi a quei fedeli che già allora avevano contribuito in misura sostanziosa a far sorgere il Liceo cattolico in Irlanda. Poiché avevamo il massimo desiderio che questo Liceo cattolico, ovvero Università, fosse rapidamente realizzato in Irlanda, con la Nostra Lettera Apostolica già ricordata stabilimmo – ad arbitrio Nostro e di questa Santa Sede – di prorogare l’incarico di Delegato Apostolico al Venerabile Fratello Paolo, a quel tempo Arcivescovo di Armagh, affinché dedicasse ogni impegno per eseguire le decisioni del citato Sinodo di Thurles, e soprattutto per portare rapidamente al compimento desiderato la costituzione del Ginnasio cattolico, decisa dal Sinodo e da Noi ratificata. Quando poi il Venerabile Fratello fu da Noi trasferito a reggere e governare la Chiesa Arcivescovile di Dublino, Noi ritenemmo opportuno che egli continuasse a svolgere il medesimo ruolo di Delegato Apostolico, come disponemmo tramite un’altra Nostra Lettera Apostolica, sigillata con l’Anello del Pescatore il 3 maggio dello stesso 1852. Eravamo certi, Venerabili Fratelli, che, iniziando senza alcun indugio un’opera tanto salutare, Voi avreste dedicato tutto il vostro ingegno, la vostra saggezza ed il vostro impegno per realizzare con la massima celerità questo Ginnasio cattolico in Irlanda, grazie al quale siamo convinti che si riverseranno su codesti popoli fedeli, con il favore della grazia divina, i più grandi vantaggi. – Per questo abbiamo saputo con non poco dispiacere che questa Università cattolica, tanto desiderata da Noi e da tutti i buoni, non è ancora stata realizzata, nonostante siano a disposizione tutti i mezzi necessari per fondarla. Perciò vi scriviamo questa lettera, con la quale vi preghiamo insistentemente, Venerabili Fratelli, tralasciato assolutamente ogni indugio, di dedicare, con animo concorde e raddoppiato zelo, tutte le vostre cure ed i vostri pensieri all’istituzione dell’Università cattolica. Affinché sia rapidamente compiuta un’opera tanto pia e salutifera, disponiamo ed ordiniamo che tutti voi, entro tre mesi dacché avrete ricevuto questa lettera, vi riuniate presso il Venerabile Fratello Paolo, Arcivescovo di Dublino, che nominiamo Presidente di tale consesso e Delegato Apostolico; colà riuniti nel Signore e radunati secondo la norma dei sacri canoni, ma senza alcuna solennità, ribaditi fra di voi i pareri e concordate le opinioni, in primo luogo deciderete tutto ciò che può avere attinenza con la sollecita istituzione e l’apertura di questa Università cattolica. In questa riunione sarà altresì vostra preoccupazione episcopale adottare le opportune deliberazioni in modo che questa Università, che viene fregiata del titolo di cattolica, risponda pienamente alla santità ed alla dignità del nome. Perciò vi preoccuperete col massimo zelo che la nostra divina Religione vi sia considerata come anima di ogni formazione letteraria; che siano incrementati e promossi il santo timore di Dio e il culto; che sia custodito integro ed inviolato il deposito della nostra fede; che tutte le discipline progrediscano congiunte in strettissimo vincolo con la Religione; che tutti i tipi di studio siano illuminati dai raggi splendenti della dottrina cattolica; che la forma delle parole di salvezza sia solidamente conservata; che sia considerato ed accolto come cattolico ciò che proviene da questa suprema Cattedra del Beatissimo Pietro. Principe degli Apostoli, sicurissimo porto di tutta la comunione cattolica, nonché madre e maestra di tutte le Chiese: che venga rigettato strenuamente e costantemente tutto ciò che le è contrario, affinché siano respinti ed eliminati tutti gli errori e le novità profane, cosicché i Professori della stessa Università si mostrino costantemente e personalmente quali esempi di buone opere, per dottrina, integrità e fermezza; ritengano loro compito fondamentale formare con ogni cura e diligenza gli animi dei giovani alla pietà, all’onestà e ad ogni virtù, educarli con ottimi principi ed istruirli attentamente nelle lettere e nelle altre discipline, secondo gl’insegnamenti della Chiesa cattolica, che è colonna e sostegno della verità. – Avendo saputo che avete già scelto il diletto Figlio Sacerdote Giovanni Enrico Newmann perché regga e governi codesta Università, approvando l’elezione vogliamo che questo stesso Sacerdote, ricco di eminenti doti d’ingegno e d’animo, ed eccellente per pregevole pietà e dottrina e per la conoscenza della Religione cattolica, assuma la cura e la guida della stessa Università e ad essa presieda in qualità di Rettore. – In verità non dubitiamo, Venerabili Fratelli, che nella stessa riunione, grazie al vostro scrupolo pastorale ed allo zelo sacerdotale, vi preoccuperete anche di adottare all’unanimità tutte le altre decisioni necessarie ad aumentare quotidianamente nelle vostre Diocesi la gloria di Dio e la disciplina e la santità del Clero; a promuovere e favorire la pietà e la devozione dei fedeli. Comprendete infatti perfettamente che è assolutamente necessario, soprattutto in questi tempi così aspri e luttuosi, che i sacri Pastori della Chiesa pongano la massima, instancabile cura, operosità, diligenza e fatica per affrontare con dedizione i compiti del servizio episcopale, così oneroso e tale da intimidire. Perciò non trascurate, in questa riunione, di effettuare quelle scelte che vi permetteranno, adempiendo al vostro ministero, di mantenere assolutamente salva e integra la nostra santissima Fede in codeste regioni; di promuovere la devozione religiosa; di stimolare la giusta educazione e santità del clero; d’istruire i fedeli a voi affidati con i santissimi precetti dell’augusta Religione e di fortificarli con i doni della grazia: di tenerli lontani dai pascoli avvelenati e di spingerli a quelli salutari; di ricondurre con ogni gesto affettuoso e con la dottrina i miseri erranti all’unico ovile di Cristo; di sconfiggere le insidie, gli errori e le frodi degli uomini nemici rendendo vani i loro assalti. – Poiché non ignorate quali frutti di gioia e di abbondanza, con l’aiuto della grazia celeste, producono per i popoli cristiani le sacre Missioni, specie se affidate ad operai idonei, non trascurate dunque di promuovere, secondo i riti, l’unione di ecclesiastici sia del clero secolare sia regolare, mediante i quali possiate avere più facilmente operai premurosi ed attivi, che, brillando per l’ornamento di tutte le virtù ed amministrando rettamente la parola di verità, siano in grado di esercitare diligentemente nelle vostre Diocesi, con lo spirito necessario, il salutare ministero delle sacre Missioni. – Ora non possiamo evitare, Venerabili Fratelli, di inculcarvi nuovamente e con la massima insistenza il suggerimento di dedicare ogni vostro impegno e la vostra autorevolezza per far sì che i decreti del predetto Sinodo di Thurles, da Noi approvati e confermati, siano da tutti osservati con la massima dedizione e venga portato a compimento con il massimo zelo tutto ciò che in quei medesimi decreti è stato sancito. Perché possiate realizzare tutto ciò più agevolmente, Venerabili Fratelli, non tralasciate di promulgare nel modo più solenne i decreti del medesimo Concilio di Thurles; di raccomandare con forza e prescrivere il loro rispetto nei Sinodi sia provinciali sia diocesani, che, come sapete, dovete concelebrare in particolare secondo le saggissime disposizioni del Concilio di Trento. In quella occasione soprattutto, considerando in maniera approfondita le caratteristiche di ciascuna Provincia, quello che le circostanze ed i tempi hanno recato alle Diocesi ed i bisogni, non smettete, Venerabili Fratelli, di dispiegare sapientemente e benevolmente il vostro zelo episcopale, per rafforzare ciò che è indebolito, risanare ciò che è ammalato, ricomporre ciò che è spezzato, ricondurre ciò che s’era allontanato, cercare ciò che è perduto, affinché, secondo la virtù che Dio amministra, in ogni momento Egli stesso sia onorato per Gesù Cristo Nostro Signore (1Pt 4,11). A Voi poi stia sommamente a cuore, in ottemperanza alle Costituzioni Apostoliche, di visitare personalmente, a tempo debito, queste venerande Sedi degli Apostoli Pietro e Paolo e di riferire ed illustrare diligentemente a Noi ed a questa Santa Sede la situazione, lo stato e le attività delle vostre Diocesi, affinché possiate ricevere gli aiuti opportuni per svolgere le mansioni del vostro ufficio con alacrità e zelo sempre maggiori. – Sono assolutamente persuaso, Venerabili Fratelli, che per la vostra egregia devozione e per la vostra singolare, amorevole pietà verso di Noi e verso questa Sede Apostolica, voi darete una completa soddisfazione a questi Nostri desideri, moniti, richieste e disposizioni, che mostrano con la massima chiarezza quanto Noi siamo preoccupati per la salvezza e la prosperità spirituale di codesta vostra Nazione. Nel frattempo, con umiltà e premura preghiamo e supplichiamo Dio, ricco di misericordia, affinché voglia esservi sempre propizio nell’abbondanza della sua grazia divina e benedica le vostre sollecitudini e le vostre fatiche pastorali, grazie alle quali i fedeli a voi affidati camminino ogni giorno più degnamente, piacendo in tutto a Dio e fruttificando in ogni buona opera. Come auspicio di tutto ciò e soprattutto come testimonianza del Nostro affetto nei vostri confronti, tratta dal più profondo del cuore impartiamo amorevolmente la Benedizione Apostolica a voi personalmente, Venerabili Fratelli, a tutti i religiosi di codesta Chiesa ed ai laici devoti.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 20 marzo 1854, anno ottavo del Nostro Pontificato.

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. LEONE XIII – “IN PLURIMIS”

Questa lettera Enciclica diretta ai Vescovi brasiliani, è una catechesi precisa e puntuale sulla necessità di abolire per sempre il triste traffico degli schiavi, come Santa Madre Chiesa Cattolica ha da sempre insegnato e voluto in tutti i modi umanamente possibili. Quella schiavitù, per lo più praticata storicamente da infedeli e seguaci di ideologie e religioni diaboliche anticristiane, è una vera piaga che l’umanità ha da sempre inferto a se stessa e che il Cristo Gesù, mediante la sua Chiesa, ha sradicato tra i popoli barbari divenuti Cristiani. Ma dopo un grande successo ottenuto dall’azione di numerosi Papi ed ecclesiastici – puntualmente ricordati nel documento – oggi sotto altre forme la schiavitù è tornata prepotentemente ad essere praticata; che cos’è infatti la tratta degli africani portati in barconi malridotti attraverso lunghi viaggi marittimi, costretti a lavori miseri e sottopagati nelle aziende agricole dei popoli occidentali, anche un tempo cristiani? Che cos’è la tratta delle ragazze dell’est o della Nigeria costrette a prostituirsi per soddisfare le voglie dei suini-umani nei popoli sedicenti evoluti e civili? Che cos’è  la vendita di bambini strappati alle famiglie e a donne appositamente costrette, usati per essere dati in adozione o peggio, “impiegati” per fini falsamente scientifico-sanitari quando ancora feti abortiti per le industrie dei vaccini o dei cosmetici o di altri prodotti commerciali? Senza dimenticare i giovani o le donne sacrificate in turpi riti satanici o iniziatici in sette diaboliche o dell’alta massoneria! « … Volesse il cielo che tutti coloro che sono più in alto per autorità e potere, e che vogliono santificati i diritti delle genti e della umanità, o che si preoccupano di dare incremento alla Religione Cattolica, tutti con tenacia cospirassero a reprimere, a proibire, a sopprimere (aderendo alle Nostre esortazioni e preghiere) quel mercato, del quale nulla è più disonesto e scellerato! » Questo grido del Pontefice Leone XIII risuona ancor più doloroso oggi, epoca in cui la morale cristiana presso i popoli della terra, è bandita dalle politiche dei governanti mondiali, specie degli occidentali, e dagli intenti e dalle azioni dei finti prelati della falsa religione modernista postconciliabolare, e dai deviati apostati protestanti e scismatici di ogni risma. Certo è che il Signore sta già procedendo, attraverso bastoni poi destinati al fuoco, ad un reset mondiale che genererà dal nucleo del pusillus grex cattolico devoto al Cuore Di Gesù e al Cuore Immacolato di Maria, una nuova umanità cristiana sfrondata da falsi fedeli, da ipocriti pseudocristiani di facciata, da iene e lupi paganeggianti e corrotti travestiti da agnelli devoti, al soldo di sette infernali o di avidi speculatori internazionali, dalle false religioni settarie, dai servi obbedienti del signore dell’universo … lucifero: e là sarà pianto e stridor di denti.

Leone XIII
In plurimis

Lettera Enciclica

Fra le numerose e principali dimostrazioni d’affetto che quasi tutte le nazioni Ci hanno rivolto e ogni giorno Ci rivolgono per congratularsi con Noi del cinquantesimo anno di sacerdozio felicemente raggiunto, una in particolare, proveniente dal Brasile, Ci commuove: in omaggio a questo faustissimo evento sono stati restituiti a libertà molti di coloro che nei vastissimi territori di codesto impero gemono sotto il giogo della schiavitù. Infatti tale opera, ispirata alla misericordia cristiana, dovuta a uomini e a donne caritatevoli che collaborano con il clero, è stata offerta a Dio, autore e donatore di tutti i beni, come testimonianza di gratitudine per il dono dell’età e della salute a Noi benignamente elargito. Essa riuscì per Noi soprattutto accetta e gradita, tanto più che Ci confermava in questa lieta opinione: cioè che i Brasiliani intendono eliminare ed estirpare completamente la vergogna della schiavitù. Tale volontà popolare fu assecondata con lodevole impegno sia dall’Imperatore, sia dall’augusta sua figlia, nonché da coloro che governano lo Stato, con salde leggi promulgate e sancite a tal fine. Quanta consolazione Ci arrecasse tale evento, fu da Noi esternato nello scorso gennaio all’ambasciatore imperiale presso di Noi: aggiungemmo inoltre che avremmo Noi stessi indirizzato una lettera ai Vescovi del Brasile in favore degli infelici schiavi.  – Noi invero presso tutti gli uomini facciamo le veci di Cristo, Figlio di Dio, il quale con tanto amore abbracciò il genere umano, che non solo non rifiutò d’intrattenersi con noi, dopo aver assunto la nostra natura, ma anche ebbe caro il nome di Figlio dell’uomo, dichiarando pubblicamente di aver stretto un legame con noi “per predicare la libertà agli schiavi” (Is LXI, 1; Lc IV, 19) e, dopo aver liberato il genere umano dall’ignobile servitù del peccato, “per riunire in sé tutto ciò che è in cielo e tutto ciò che è in terra” (Ef 1,10), nonché per restituire all’antico grado di dignità tutta la progenie di Adamo, caduta nel precipizio del comune peccato. Afferma, assai a proposito, San Gregorio Magno: “Poiché il nostro Redentore, padre di ogni creatura, volle per amore assumere umana carne per infrangere con la grazia della sua divinità quel vincolo di schiavitù che ci stringeva e per restituirci all’antica libertà, si agisce in modo benefico e con beneficio del liberatore se vengono restituiti alla libertà in cui nacquero gli uomini che la natura originariamente creò liberi e che il diritto delle genti sottopose al giogo della schiavitù” . Conviene dunque, ed è assolutamente dovere Apostolico, che da parte Nostra si favoriscano e si promuovano alacremente tutte quelle iniziative per cui gli uomini, sia singoli, sia associati, possano attuare le difese, in modo che siano alleviate le molte miserie che, come frutto di albero malato, derivarono dalla colpa del primo genitore; quelle difese, dunque, di qualunque genere, che non solo giovano molto alla cultura e all’umanità, ma conducono anche a quel totale rinnovamento che il Redentore del genere umano Gesù Cristo ebbe di mira e volle. Ora, fra tante miserie, è da deplorare duramente la schiavitù a cui da molti secoli è sottoposta una parte non esigua della famiglia umana, riversa nello squallore e nella lordura, contrariamente a quanto in principio era stato stabilito da Dio e dalla Natura. Così infatti aveva decretato il supremo Creatore d’ogni cosa: che l’uomo esercitasse una sorta di signoria regale sugli animali di terra, di mare e sugli uccelli e non già che dominasse sugli uomini suoi simili. Secondo Sant’Agostino: “Creato ragionevole, a Sua immagine, non volle che l’uomo dominasse se non gli esseri irragionevoli; che l’uomo non dominasse l’uomo ma il gregge” (Gen 1,26). Pertanto “la condizione servile s’intenda giustamente imposta al peccatore. Infatti in nessun luogo delle Scritture leggiamo la parola servo, prima che con essa il giusto Noè punisse il peccato del figlio. Pertanto la colpa e non la natura meritò tal nome” (Gen 1,25). Dal contagio del primo peccato derivarono tutti gli altri mali e codesta mostruosa perversità: che vi fossero uomini i quali, respinto il ricordo della originaria fratellanza, non già coltivavano, secondo natura, la reciproca benevolenza e il mutuo rispetto, ma, succubi della loro cupidigia, cominciarono a considerare gli altri uomini al di sotto di sé e quindi a trattarli come giumenti nati per il giogo. In tal modo, senza alcun rispetto né della comune natura, né della dignità umana, né della espressa divina somiglianza, avvenne che, attraverso battaglie e guerre che poscia si accesero, coloro che con la forza riuscirono vincitori sottomisero i vinti, e così una indivisibile moltitudine della stessa specie a poco a poco si scisse in due parti: i vinti, schiavi dei vincitori padroni. – Come un luttuoso spettacolo, la memoria di quei tempi si svolge fino all’epoca di Gesù Salvatore, quando la vergogna della schiavitù era estesa a tutti i popoli, ed era così esiguo il numero dei liberi che il poeta mise in bocca a Cesare queste atroci parole: “Il genere umano vive in pochi” . E ciò si riferisce a quelle nazioni che primeggiavano per eminente cultura, come i Greci e i Romani, quando il dominio di pochi si esercitava sui molti; e quel dominio era così superbo e malvagio che le turbe degli schiavi erano considerate soltanto dei beni, non persone ma cose, prive di ogni diritto, e senza alcuna facoltà di conservare e godere la vita. “Gli schiavi soggiacciono al potere dei padroni e questo potere è materia di diritto delle genti; infatti possiamo constatare che, presso tutte le genti, appartiene parimenti ai padroni il diritto di vita e di morte sugli schiavi, e che tutto ciò che è realizzato dallo schiavo appartiene al padrone” . – In seguito a questi aberranti principi fu lecito ai padroni scambiare, vendere, lasciare in eredità, percuotere, uccidere gli schiavi ed abusare di essi in modo licenzioso e crudelmente superstizioso; fu lecito impunemente e pubblicamente. Anzi, coloro stessi che erano ritenuti i più assennati tra i pagani, filosofi insigni, grandi esperti di diritto, con sommo oltraggio del comune buon senso si sforzarono di convincere se stessi e gli altri che la schiavitù non era altro che una necessaria condizione di natura: e infatti non si vergognarono di affermare che la categoria degli schiavi era di gran lunga inferiore ai liberi per capacità intellettuali e per prestanza fisica, e che perciò era necessario che i servi, come strumenti privi di ragione e di iniziativa, ubbidissero alla volontà dei padroni ciecamente e anche nel modo più indegno. È veramente detestabile una malvagità così inumana; una volta che la si sia ammessa, non vi è oppressione di uomini così barbara e nefanda che non trovi sostegno vergognoso in qualche sorta di legge e di diritto. Quale semenzaio di delitti, quali peste e rovina si siano diffuse nelle città, lo dicono i libri, colmi di esempi; si acuiscono gli odi negli animi degli schiavi; i padroni sono colti dal sospetto e dal perpetuo timore; altri preparano le torce incendiarie per sfogare l’ira; altri premono più crudelmente sulle spalle altrui; le città sono sconvolte dal numero degli uni, dalla violenza degli altri, e in poco tempo si dissolvono; si mescolano tumulti e sedizioni, saccheggi ed incendi, battaglie e stragi. – In questo abisso di degradazione moltissimi uomini soffrivano, tanto più miseramente in quanto erano immersi nelle tenebre della superstizione; quando poi per divino consiglio giunsero a maturazione i tempi, una luce mirabile scese dal cielo e la grazia di Cristo Redentore copiosamente si profuse tra il genere umano; per sua virtù gli schiavi furono sollevati dal fango e dall’angoscia della servitù, e tutti dall’orrida schiavitù del peccato furono richiamati e condotti alla sublime dignità di figli di Dio. Invero gli Apostoli, fin dall’origine della Chiesa, oltre agli altri santissimi precetti di vita, tramandarono e insegnarono anche ciò che non una volta sola Paolo scrisse ai rigenerati del lavacro battesimale: “Siete tutti figli di Dio per la fede in Cristo Gesù; infatti voi tutti che siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non esiste più né il Giudeo né Greco; non esiste più né lo schiavo né il libero; non esiste né il maschio né la femmina; voi tutti infatti siete un solo in Cristo Gesù” (Gal III, 26-28). “Non esiste più né il Pagano né il Giudeo, il circonciso e l’incirconciso, il barbaro e lo Sciita, lo schiavo e il libero, ma Cristo è tutto e in tutti” (Col III,11). “Infatti, tutti noi siamo stati battezzati in un solo Spirito e in un solo corpo, sia Giudei che Pagani, sia schiavi che liberi, e tutti siamo stati abbeverati di un solo Spirito” (1Cor XII, 13). – Veramente aurei, bellissimi e salutari documenti, per l’efficacia dei quali al genere umano non solo è restituito e accresciuto il suo decoro, ma agli uomini è dato consociarsi tra loro e stringersi con saldi vincoli di fraterna amicizia, di qualunque luogo, lingua o condizione essi siano. Invero il beatissimo Paolo, per quella carità di Cristo da cui era pervaso, aveva attinto tali principi dal cuore stesso di Colui che si dedicò come fratello a tutti e ai singoli uomini, e che tutti nobilitò di sé, nessuno escluso o respinto, a tal segno che li fece partecipi della natura divina. In virtù del divino innesto, non furono diverse le propaggini che, crescendo in modo mirabile, fiorirono di speranza e di pubblico bene quando, col progredire degli avvenimenti e del tempo, e con la perseverante opera della Chiesa, la società civile, rinnovata a somiglianza della famiglia, si sviluppò cristiana e libera. – Dapprima, infatti, la Chiesa con grande zelo si impegnò in modo che il popolo cristiano, anche a proposito di questa questione di grande rilievo, ricevesse e custodisse gelosamente la pura dottrina di Cristo e degli Apostoli. Ora, per grazia del nuovo Adamo che è Cristo, intercorre una fraterna unione dell’uomo con l’uomo e di un popolo con altro popolo: essi, come hanno una medesima origine nell’ordine naturale, così nell’ordine soprannaturale hanno una medesima origine per quanto concerne la salvezza e la fede: tutti ugualmente sono accolti in adozione dall’unico Dio e Padre, in quanto Egli li ha insieme redenti con lo stesso grande riscatto; tutti membra dello stesso corpo e tutti partecipi della stessa mensa divina; a tutti accessibili i doni della grazia e a tutti inoltre il dono di una vita immortale. Posti tali premesse e fondamenti, la Chiesa come buona madre si è adoperata per mitigare in parte le tribolazioni e l’ignominia della vita servile; per tale motivo definì ed energicamente raccomandò i diritti e i doveri necessari tra servi e padroni, così come sono definiti nelle lettere degli Apostoli. Infatti, i Principi degli Apostoli così ammonivano i servi che avevano convertiti a Cristo: “Siate sottomessi e timorosi non solo ai padroni buoni e modesti, ma anche agli arroganti (1Pt II,18). Obbedite ai padroni terreni con timore e tremore, nella semplicità del vostro cuore, come a Cristo; non servite per dar nell’occhio e quasi per piacere agli uomini, ma come servi di Cristo, facendo di cuore la volontà di Dio, servendo con buona volontà il Signore e non gli uomini; sapendo che ognuno, sia servo, sia libero, riceverà dal Signore tutto ciò che avrà fatto di bene” (Ef VI, 5-8). Lo stesso Paolo scriveva al suo Timoteo: “Tutti coloro che sono sotto il giogo di servitù, stimino meritevoli di ogni onore i loro padroni; coloro che hanno padroni fedeli, non li disprezzino perché sono fratelli, ma li servano con maggior zelo perché sono fedeli e diletti e partecipi della grazia. Così insegna ed esorta” (1Tm VI, 1-2). Prescrisse parimenti a Tito di insegnare ai servi “di essere sottomessi ai loro padroni, compiacenti in ogni occasione, senza mai contraddire né commettere frode ma in ogni caso mostrando buona fede, in modo da rendere onore in ogni occasione alla dottrina di Dio nostro Salvatore” (Tt II, 9-10). – Invero quei primi discepoli della fede cristiana compresero pienamente che da tale fraterna uguaglianza degli uomini in Cristo per nulla venivano diminuiti o rimossi l’obbedienza, l’onore, la fedeltà, gli altri doveri che legavano i servi ai padroni; ne consegue pertanto non il solo bene per cui gli stessi doveri diventano più definiti, più lievi e più soavi nell’adempimento, ma anche più fruttuosi al fine di meritare la gloria celeste. Avevano infatti riverenza e stima verso i padroni come verso gli uomini che sono potenti per volere di Dio, dal quale deriva ogni potere; per essi non avevano efficacia il timore dei castighi, l’astuzia dei consigli e gl’incitamenti all’utile, ma la coscienza del dovere, la forza dell’amore. A sua volta riguardava i padroni la giusta esortazione dell’Apostolo affinché compensassero con bontà le buone opere dei servi: “E voi, padroni, fate altrettanto ad essi, rinunciando alle minacce, sapendo che il loro e il vostro Padrone è nei cieli e che Egli non favorisce alcuno” (Ef VI,9); e affinché considerassero un’ingiustizia che il servo si dolga della sua sorte, essendo egli “liberto del Signore”, così non è lecito all’uomo libero inorgoglirsi nell’animo e comandare con superbia, “essendo servo di Cristo” (1Cor VII, 22). In tal modo si prescriveva ai padroni di riconoscere e di rispettare convenientemente l’uomo nei loro servi, e non diversi per natura ma uguali a loro nella religione, e del pari servi nei confronti della maestà del comune Signore. – A queste leggi così giuste, fatte soprattutto per consolidare le componenti della società familiare, ubbidirono di fatto gli Apostoli. Insigne è l’esempio di Paolo, per quanto fece e scrisse generosamente in favore di Onesimo, servo fuggitivo di Filemone, a cui lo rimandò con questa affettuosa raccomandazione: “Tu accoglilo come parte di me… non già come un servo ma, anziché come servo, come carissimo fratello secondo la carne e secondo il Signore; se in qualche modo ti recò danno o ti è debitore, fanne carico a me” (Fm 12-18). – Chi voglia paragonare entrambi i modi di trattare gli schiavi, il pagano e il cristiano, facilmente dovrà riconoscere che il primo era crudele e vergognoso, l’altro assai mite e pieno di rispetto, né mai si renderà colpevole di sottrarre merito alla Chiesa, ministra di tanta indulgenza. Tanto più se qualcuno osserva attentamente con quanta dolcezza e prudenza la Chiesa estirpò e sconfisse la turpe peste della schiavitù. Infatti, essa non volle affrettarsi nel provvedere alla manomissione e alla liberazione degli schiavi poiché ciò non poteva sicuramente avvenire se non in modo tumultuoso, con danno proprio di essi e a detrimento della società; ma con sommo giudizio fece in modo che gli animi degli schiavi, sotto la sua guida, fossero educati alla verità cristiana e con il battesimo adottassero costumi conformi. Perciò, se nella moltitudine degli schiavi che la Chiesa annoverava tra i suoi figli, taluno, allettato da qualche speranza di libertà, avesse ordito una violenta sedizione, sempre la Chiesa riprovò e represse quei peccaminosi desideri e per mezzo dei suoi ministri adottò i rimedi della pazienza. Si persuadessero dunque gli schiavi di superare di molto in dignità i padroni pagani, mercé il lume della santa fede e l’insigne retaggio di Cristo, e di sentirsi obbligati più devotamente dallo stesso Autore e Padre della fede a non consentire a se stessi azione alcuna contro i padroni né di allontanarsi minimamente dalla riverenza e dalla obbedienza dovuta ad essi, ma, sapendo di essere eletti al regno di Dio, avendo acquisito la libertà dei suoi figli, e sentendosi chiamati a beni non perituri, non si dessero pensiero dell’abiezione e dei disagi di una vita caduca ma, sollevando gli occhi e gli animi al cielo, si consolassero e si confermassero nel santo proposito. L’Apostolo Pietro fu tra i primi a rivolgersi agli schiavi quando scrisse: “È un segno della grazia se nel nome di Dio qualcuno sopporta le sventure, soffrendo ingiustamente. Infatti, a questo siete stati chiamati, poiché anche Cristo patì per noi, a voi lasciando un esempio perché seguiate le sue vestigia” (1Pt 2,19-21). – La lodevole sollecitudine, congiunta alla prudenza, che orna tanto splendidamente la divina virtù della Chiesa, è accresciuta anche dalla forza d’animo per la quale – oltre ogni credibilità – essa è invitta ed eccelsa, e con la quale poté ispirare e sostenere molti infimi schiavi. Suscitavano meraviglia quegli schiavi che erano esempio di severi costumi ai loro padroni e sopportavano ogni fatica in loro favore; a nessuna condizione costoro potevano essere indotti a preporre gli iniqui ordini dei padroni ai santi precetti del Signore, fino al punto di rinunciare alla vita tra feroci torture, con animo incrollabile e con volto impassibile. Il nome di una vergine di Patames è celebrato da Eusebio in ricordo della sua invitta costanza; ella, piuttosto che cedere alla libidine dell’impudico padrone, senza timore andò incontro alla morte e con l’effusione del suo sangue salvò la fede in Gesù Cristo. Si possono ammirare simili esempi di schiavi i quali con grande fermezza si opposero fino alla morte ai padroni che violavano la libertà degli animi e la fede legata a Dio; ma la storia non può citare schiavi cristiani che per diverse ragioni abbiano resistito ai padroni, o suscitato congiure o sedizioni pericolose per la cittadinanza. – Placati i dissidi e sopraggiunti tempi tranquilli per la Chiesa, i santi Padri con mirabile sapienza esposero gl’insegnamenti apostolici circa la fraterna solidarietà tra cristiani, e con altrettanta carità li applicarono a vantaggio degli schiavi, cercando di convincerli che i padroni avevano dei diritti legittimi sul lavoro degli schiavi e tuttavia non erano loro concessi un imperioso potere sulla vita e l’uso di crudeli sevizie. Tra i Greci spicca Crisostomo, che spesso ha trattato questa questione e che con animo e con favella vivaci affermò che la schiavitù, secondo l’antico significato della parola, era già scomparsa al tempo suo, con grande vantaggio della fede cristiana, sicché il nome sembrava ed era senza senso tra i discepoli del Signore. Infatti, Cristo (così in sintesi egli argomenta) quando per somma compassione verso di noi lavò il peccato originale, risanò anche a corruzione conseguente, diffusa nelle classi sociali; perciò, come la morte, scevra di ogni paura grazie a Lui, è una placida migrazione verso una vita beata, così è sparitala schiavitù. Non chiamare mai servo un Cristiano se non quando si renda schiavo del peccato. Sono assolutamente fratelli tutti coloro che sono rinati e accolti in Cristo; il nostro decoro deriva da questa nuova procreazione e dalla cooptazione nella famiglia di Dio e non già dalla nobiltà della stirpe; la dignità discende dal pregio della verità e non del sangue; e perché questa specie di evangelica fraternità produca più abbondante frutto, è soprattutto necessario che anche nei rapporti col prossimo, si manifesti un piacevole scambio di attenzioni e di gentilezze, in modo che i servi siano elevati allo stesso grado degli amici e dei familiari, e che ad essi i padri di famiglia forniscano non solo quanto occorre alla vita e al nutrimento, ma anche tutti i soccorsi della religione. Infine, dallo speciale saluto di Paolo a Filemone, invocante la grazia e la pace “alla Chiesa che è nella tua casa” (Fm 1,2), si evince un documento che vale ugualmente e ottimamente per padroni e servi cristiani, fra i quali vi sia comunione di fede e vi debba essere quindi uno stesso spirito di carità. Fra i Latini ricordiamo meritatamente e a buon diritto Ambrogio, che con tanta intelligenza ha indagato, sullo stesso argomento, tutte le ragioni dei rapporti sociali e che in modo preciso – come nessuno seppe fare meglio – secondo le leggi cristiane ha attribuito specifici doveri all’una e all’altra classe di uomini; non occorre dire quanto le sue sentenze concordino pienamente e perfettamente con quelle di Crisostomo. Come è evidente, questi precetti erano ispirati a giustizia e utilità; ma, quello che più importa, essi sono stati custoditi integralmente e devotamente fin dai primi tempi, ovunque è fiorito il cristianesimo. Se non fosse messi così, Lattanzio, l’esimio difensore della religione, non si sarebbe espresso in modo così risoluto, quasi come un testimone: “C’è chi dice: non vi sono tra voi poveri e ricchi, servi e padroni? Non esiste qualche differenza tra i singoli individui? Nessuna; e non vi è altro motivo per cui noi, a vicenda, ci chiamiamo col nome di fratelli, se non il considerarci uguali; infatti noi misuriamo tutto ciò che è umano non col corpo ma con lo spirito, e sebbene sia diversa la condizione dei corpi, tuttavia non esistono schiavi per noi, ma noi li consideriamo e chiamiamo fratelli nello spirito, e come noi servi in religione”. – Aumentava la sollecitudine della Chiesa nella tutela degli schiavi e, senza tralasciare alcuna occasione, tendeva cautamente a restituirli finalmente a libertà: ciò avrebbe assai giovato anche alla loro eterna salute. Gli antichi sacri annali recano testimonianze dell’esito favorevole di quell’impegno. Le stesse nobili matrone, degnissime delle lodi di Girolamo, collaborarono in modo esemplare al successo di questa opera. Salviano poi riferisce che nelle famiglie cristiane, anche in quelle non molto ricche, accadeva spesso che gli schiavi fossero messi in libertà per generosa manomissione. Anzi, San Clemente, molto tempo prima, aveva lodato questo eccelso esempio di carità: infatti, non pochi cristiani si erano sottoposti a schiavitù, con scambio di persone, in quanto non potevano in altro modo liberare alcuni schiavi. Perciò, oltre che dare inizio alla liberazione degli schiavi nei templi, come atto di pietà, la Chiesa decise di raccomandare quell’atto ai cristiani che facevano testamento, come opera assai grata a Dio e al suo cospetto degna di grande merito e di premio. Da qui le espressioni rivolte all’erede per incaricarlo della liberazione “Per l’amore di Dio, per rimedio” o ,”per la salute della mia anima”. Nulla fu risparmiato per il riscatto dei prigionieri: furono venduti i beni dati a Dio; furono fusi gli ori e gli argenti sacri; alienati gli ornamenti e i tesori delle basiliche, come fu fatto più di una volta da Ambrogio, Agostino, Ilario, Eligio, Patrizio e da molti altri santissimi uomini. – Moltissimo fecero per gli schiavi i Pontefici romani, davvero memorabili come difensori dei deboli e vindici degli oppressi. San Gregorio Magno ne mise in libertà quanti più poté, e nel concilio romano dell’anno 597 volle che fosse concessa la libertà a coloro che avevano deciso di dedicarsi alla vita monastica. Adriano I ordinò che gli schiavi potessero liberamente contrarre matrimonio, contro il volere dei padroni. Alessandro III nell’anno 1167 prescrisse apertamente al re Mauro di Valenza di non ridurre in schiavitù alcun Cristiano, poiché nessuno è schiavo per natura, e tutti sono stati creati liberi da Dio. Inoltre, Innocenzo III, su richiesta dei fondatori Giovanni da Matha e Felice di Valois, nell’anno 1198 approvò e promulgò l’Ordine della Santissima Trinità per la redenzione dei Cristiani che fossero caduti in potere dei Turchi. Onorio III e poi Gregorio IX approvarono un Ordine, simile al precedente, di Santa Maria della mercede; Ordine che Pietro Nolasco aveva fondato con una legge severa, secondo la quale tutti i religiosi che ne facevano parte dovevano darsi schiavi in sostituzione dei cristiani prigionieri della tirannide, se ciò fosse stato necessario per redimerli. Lo stesso Gregorio decretò un più ampio soccorso liberatorio per cui era sacrilegio vendere schiavi alla Chiesa; egli stesso fece seguire una esortazione ai fedeli perché donassero i loro schiavi a Dio e ai Santi come espiazione delle colpe e a titolo di sacrificio. – A questo proposito si aggiungono molti altri meriti della Chiesa. Essa infatti, applicando pene severe, difese sempre gli schiavi dalle ire crudeli e dai lesivi oltraggi dei padroni; aprì i luoghi sacri come rifugio per coloro che erano vessati dalla violenza; accettò come testimoni gli schiavi liberati, e tenne a freno con la minaccia di castighi coloro che osassero con criminosi inganni ridurre in schiavitù un uomo libero. Con sempre maggior favore la Chiesa assecondò la liberazione degli schiavi che in ogni caso, secondo i tempi e i luoghi, considerava suoi fedeli; sia quando stabilì che i Vescovi sciogliessero da ogni vincolo di schiavitù coloro che si erano segnalati per ininterrotta, lodevole onestà di vita; sia quando permise agevolmente ai Vescovi di dichiarare liberi, con atto di volontà sovrana, i loro servi. Inoltre, è da attribuire alla misericordia e al potere della Chiesa se la severità della legge civile è stata alquanto mitigata nei confronti degli schiavi, e se gli emendamenti proposti da Gregorio Magno furono accolti nella legge scritta delle nazioni. Ciò fu fatto soprattutto per opera di Carlo Magno che li introdusse nei suoi Capitularia come poi fece Graziano nel Decretum. Infine, lungo il corso dei secoli, i monumenti, le leggi, le istituzioni insegnano e illustrano splendidamente la sublime carità della Chiesa verso gli schiavi, la cui afflitta sorte mai lasciò priva di tutela e sempre alleviò con ogni soccorso. Pertanto, non si attribuiranno mai abbastanza elogi né si sarà mai abbastanza grati alla Chiesa Cattolica che per somma grazia di Cristo Redentore abolì la schiavitù, introdusse tra gli uomini la vera libertà, la fratellanza, l’uguaglianza, e perciò si rese benemerita della prosperità dei popoli. – Alla fine del secolo decimo quinto, quando la funesta piaga della schiavitù era quasi scomparsa presso le genti cristiane e gli Stati tentavano di rafforzarsi nella libertà evangelica e di estendere il loro dominio, questa Sede Apostolica, con assidua vigilanza cercò di impedire che rigermogliassero quei malefici semi. Perciò rivolse la sua vigile attenzione ai territori da poco tempo scoperti in Africa, in Asia, in America. Infatti, era giunta voce che i capi di quelle spedizioni, sebbene Cristiani, avessero abusato delle armi e dell’ingegno per imporre la schiavitù a popoli inoffensivi. In pratica, a causa della natura del territorio che si voleva sottomettere e delle miniere di metalli da esplorare e scavare con grande impiego di mano d’opera, furono adottati provvedimenti sicuramente ingiusti e inumani. Infatti, si cominciò con qualche traffico deportando dall’Etiopia schiavi da impiegare in quei lavori: tale operazione, poi definita “la tratta dei negri”, infierì oltre misura in quelle colonie. Seguì poi, con crudeltà non dissimile, l’oppressione degli indigeni (generalmente chiamati “Indiani”) al modo degli schiavi. Non appena questi fatti furono noti a Pio II, senza alcun indugio, il giorno 7 ottobre dell’anno 1462, scrisse una lettera al Vescovo di Rubio per biasimare e condannare tanta malvagità. Non molto tempo dopo Leone X usò tutti i buoni uffici e l’autorità in suo potere, presso i re del Portogallo e delle Spagne, perché provvedessero a estirpare dalle radici quell’abuso contrario non solo alla religione ma anche all’umanità e alla giustizia. Tuttavia, quella vergogna persisteva perché sopravviveva l’ignobile causa dell’insaziabile avidità di lucro. Allora Paolo III, ansioso nella sua paterna carità per la sorte degli indiani e degli schiavi africani, prese la decisione estrema di affermare con solenne decreto, al cospetto di tutte le genti, che a tutti gli schiavi era dovuto un giusto e particolare potere in triplice forma: potevano disporre della propria persona; potevano vivere in società secondo le loro leggi; potevano acquistare e possedere beni. Queste disposizioni ebbero più ampia conferma nella lettera inviata al Cardinale Arcivescovo di Toledo: chi avesse operato contro lo stesso decreto incorreva nella interdizione dei sacramenti, integra restando la facoltà del Romano Pontefice di assolvere. Con la stessa sollecitudine e con la stessa costanza, altri Pontefici quali Urbano VIII, Benedetto XIV, Pio VII si dimostrarono strenui difensori della libertà per gli Indiani e per i Negri e per altri non ancora educati alla fede cristiana. Pio VII, inoltre, nel congresso di Vienna dei principi alleati europei, richiamò l’attenzione di tutti anche su quella tratta dei Negri (di cui si è detto) perché fosse radicalmente abolita, come era già stata soppressa in molti luoghi. Anche Gregorio XVI ammonì severamente coloro che disprezzavano la clemenza e le leggi; richiamò in vigore i decreti e le pene stabilite dalla Sede Apostolica e non omise alcun argomento perché anche le nazioni lontane, imitando la moderazione di quelle europee, si astenessero dalla ignominia e dalla crudeltà della schiavitù. A proposito, è accaduto a Noi di ricevere congratulazioni da principi e da governanti per aver ottenuto, a forza di perseveranti preghiere, che fosse dato ascolto ai lunghi e giustissimi reclami della natura e della religione. – In situazione analoga, affligge non poco il Nostro animo un’altra preoccupazione che sprona la Nostra sollecitudine. Se cioè un così turpe mercato di uomini è di fatto cessato nei mari, tuttavia esso viene praticato in terra in modo troppo esteso e barbaro, soprattutto in molte zone dell’Africa. Poiché infatti i Maomettani praticano la perversa teoria per cui un Etiope o un uomo di stirpe affine sono appena al di sopra di un animale, è facile comprendere con sgomento quale sia la perfidia e la crudeltà di quegli uomini. All’improvviso, senza alcun timore, si avventano contro le tribù degli Etiopi, secondo l’usanza e con l’impeto dei predoni; fanno scorrerie nelle città, nei villaggi, nelle campagne; tutto devastano, spogliano, rapiscono; portano via uomini, donne e fanciulli, facilmente catturati e vinti, per trascinarli a viva forza sui più infami mercati. Dall’Egitto, da Zanzibar e in parte anche dal Sudan, come da centrali di raccolta, partono di solito quelle abominevoli spedizioni; per lungo cammino gli uomini procedono stretti in catene, scarsamente nutriti, sotto frequenti colpi di frusta; i meno adatti a sopportare queste violenze vengono uccisi; quelli che sopravvivono, sono venduti come gregge insieme ad altri schiavi e sono costretti a schierarsi davanti a un compratore difficile e impudente. Coloro che sono venduti a costui sono costretti alla miseranda separazione dalla moglie, dai figli, dai genitori; e in suo potere sono sottoposti a una schiavitù crudele e nefanda, e non possono ricusare la stessa religione di Maometto. Questi fatti abbiamo appreso or non è molto, con l’animo profondamente turbato, da alcuni che furono testimoni, non senza lacrime, di siffatta infamia e aberrazione; con essi, poi, convengono pienamente le narrazioni dei recenti esploratori dell’Africa Equatoriale. Anzi, dalla loro attendibile testimonianza risulta che il numero degli Africani venduti annualmente, a guisa di gregge, ammonta a quattrocentomila, di cui circa la metà, estenuata dal tribolato cammino, cade e muore, in modo che i viaggiatori (quanto è triste a dirsi!) possono scorgere il cammino quasi segnato da ossa residue. Chi non si sentirà commosso al pensiero di tanti mali? Noi, che rappresentiamo la persona di Cristo, amantissimo di tutte le genti, liberatore e Redentore, Noi che Ci allietiamo dei molti e gloriosi meriti della Chiesa verso gli infelici di ogni sorta, a stento possiamo dire quanta pietà proviamo verso quelle infelicissime genti, con quanta immensa carità tendiamo loro le braccia, quanto ardentemente desideriamo di procurare loro tutti i conforti e i soccorsi possibili, affinché, non appena distrutta la schiavitù degli uomini insieme con la schiavitù della superstizione, possano finalmente servire un solo Dio, sotto il soavissimo giogo di Cristo, partecipi con Noi della divina eredità. Volesse il cielo che tutti coloro che sono più in alto per autorità e potere, e che vogliono santificati i diritti delle genti e della umanità, o che si preoccupano di dare incremento alla religione cattolica, tutti con tenacia cospirassero a reprimere, a proibire, a sopprimere (aderendo alle Nostre esortazioni e preghiere) quel mercato, del quale nulla è più disonesto e scellerato. – Frattanto, mentre si aprono nuove strade e nuovi commerci nelle terre africane grazie al più rapido progresso degl’ingegni e delle attività, i missionari, come meglio possono, cerchino di provvedere alla salute e alla libertà degli schiavi. Essi non raggiungeranno tale risultato se, corroborati dalla divina grazia, non si dedicheranno totalmente a diffondere e ad alimentare ogni giorno di più, con fervore crescente, la nostra santissima fede. Il frutto insigne di questa consiste nel favorire e generare mirabilmente la libertà “con la quale Cristo ci liberò” (Gal IV, 31). Pertanto, Noi li invitiamo a considerare – come in uno specchio di virtù apostolica – la vita e le opere di Pietro Claver, a cui Noi assegnammo una recente laurea di gloria. Guardino a lui che con somma costanza nella fatica, per quarant’anni senza interruzione si dedicò tutto alle miserande torme di schiavi negri e veramente meritò il titolo di Apostolo di coloro ai quali si consacrò, professandosi loro servo perpetuo. Se i missionari avranno cura di far propria e di rinnovare la carità e la pazienza di lui, essi saranno sicuramente degni ministri di salvezza, apportatori di consolazione, messaggeri di pace, e potranno, con l’aiuto di Dio, convertire la solitudine, l’ignoranza, la barbarie in felice ricchezza della religione e della civiltà. – Ora, Venerabili Fratelli, il Nostro pensiero e la Nostra lettera bramano rivolgersi di nuovo a Voi per esprimervi e condividere la grande gioia che deriva dalle decisioni prese pubblicamente in codesto Impero in merito alla schiavitù. Poiché per legge è stato provveduto e disposto che quanti si trovano ancora in condizione servile devono essere ammessi nell’ordine e nei diritti di liberi cittadini, questo fatto a Noi sembra di per sé buono, fausto e salutare, e altresì conferma e incoraggia la speranza di futuri lieti progressi civili e religiosi. Pertanto, il nome dell’Impero Brasiliano sarà meritatamente ricordato e lodato dai popoli più evoluti, e contemporaneamente aumenterà la fama dell’augusto Imperatore, al quale si riferiscono queste nobili parole: nulla è più desiderabile che cancellare rapidamente ogni traccia di schiavitù entro il proprio Stato. – Ma mentre si vanno applicando le prescrizioni di queste leggi, impegnatevi alacremente (ve lo chiediamo di tutto cuore), e intervenite con grande zelo in questa opera che incontra certamente non lievi difficoltà. Fate in modo che padroni e schiavi si accordino tra loro con animi ben disposti e con piena lealtà e che non si allontanino, neppure d’un breve tratto, dalla clemenza o dalla giustizia, ma che tutti gli accordi siano conclusi in modo legittimo, pacato, cristiano: bisogna augurarsi soprattutto che sia soppressa e cancellata la schiavitù come tutti desideravano, senza alcuna violazione del diritto umano e divino, senza alcun sommovimento sociale, e anzi con sicuro vantaggio degli stessi schiavi in questione. A ciascuno di essi, o già resi liberi o in procinto di esserlo, Noi raccomandiamo con zelo pastorale e con amore paterno alcuni salutari ammonimenti, tratti dagli scritti del grande Apostolo delle genti. Essi dunque facciano in modo di conservare e dichiarare pubblicamente il loro grato e affettuoso ricordo di coloro che con saggezza operarono per la loro liberazione. Non si rendano mai indegni di un beneficio così grande, né confondano mai la libertà con la sfrenata licenza, ma facciano uso della libertà come si addice a cittadini costumati, a profitto di una vita attiva, a vantaggio e a sostegno della famiglia e della società. Temere e rispettare la maestà dei regnanti, ubbidire ai funzionari, sottomettersi alle leggi: questi ed altri simili doveri da adempiere assiduamente, non tanto per timore quanto per senso religioso. Inoltre raffrenino e allontanino l’invidia per le ricchezze e il prestigio altrui; dispiace che quel vizio affligga di solito molti tra gli umili e fornisca motivi perversi contro la pace e la sicurezza della società. Contenti del loro benessere e della loro condizione, nulla abbiano di più caro, nulla desiderino più ardentemente che i beni del regno celeste, grazie ai quali essi sono venuti alla luce e sono stati redenti da Cristo. Siano inoltre animati da devozione verso Dio, loro Signore e Liberatore, lo amino con tutto il cuore, rispettino con ogni cura i suoi comandamenti. Gioiscano di essere figli della Sua Sposa, la Santa Chiesa; cerchino di essere i migliori e, per quanto possono, contraccambino l’amore di lei. – Insistete Voi pure, Venerabili Fratelli, nel suggerire e inculcare questi stessi insegnamenti negli schiavi liberati; come è Nostro sommo desiderio e come deve essere per Voi e per tutti i buoni, la religione anzitutto tragga e goda per sempre gli abbondanti frutti della avvenuta liberazione ovunque si estende codesto Impero. – E perché ciò avvenga nel modo più lieto, invochiamo e imploriamo la sovrabbondante grazia di Dio e il soccorso materno della Vergine Immacolata. Come auspicio dei doni celesti e come testimonianza della Nostra paterna benevolenza, a Voi, Venerabili Fratelli, al Clero e a tutto il popolo impartiamo amorevolmente l’Apostolica benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 5 maggio 1888, anno undecimo del Nostro Pontificato.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. LEONE XIII – “OFFICIO SANCTISSIMO”

Magnifica Lettera Enciclica, l’Officio Sanctissimo di S. S. Leone XIII, indirizzata ai Vescovi della Baviera, un tempo roccaforte cattolica e regno di grande pietà cristiana. Forti e chiare sono le esortazioni alla formazione di un clero devoto e preparato dottrinalmente onde affrontare pure le sfide delle strampalate filosofie del tempo, atee, naturaliste, deiste, partorite negli ambienti protestanti, ed in ogni caso ferocemente anticristiane; lo stesso impegno viene sollecitato per l’educazione dei giovani, esposti a venti di dottrine errate sotto ogni profilo, seppur mascherate da concetti suadenti e strutturalmente ben confezionate nelle loro elucubrazioni. Altrettanto lucido e determinato è l’invito a guardarsi dalle logge della sinagoga di satana, le sette massoniche, cancro maligno che conduce dritto alla morte eterna dell’anima, che già all’epoca imperversavano destabilizzando coscienze e società soprattutto in questo territorio che aveva partorito ed allevato gli esecrandi Illuminati di Baviera, tuttora in gran lavorio ed attività per portare caos e disordine in ogni nazione e regno: « …. né si avvertiranno mai abbastanza i Cristiani di guardarsi da tale scellerata società [la setta massonica]; essa infatti, sebbene fin da principio abbia concepito un profondo odio verso la Chiesa cattolica e l’abbia poi riaffermato più aspramente e continui ogni giorno ad attizzarlo, tuttavia non manifesta sempre un’aperta inimicizia, ma più spesso agisce in modo ipocrita e ingannevole, e sventuratamente irretisce soprattutto gli adolescenti, che sono ingenui e poco smaliziati, attraverso una simulazione di pietà e di carità. Circa il modo di cautelarsi contro coloro che sono lontani dalla fede cattolica, attenetevi scrupolosamente ai precetti della Chiesa, perché la consuetudine con le loro perverse opinioni non si risolva in un danno per il popolo cristiano ». La lettera è di grande attualità considerando gli avvenimenti odierni che coinvolgono l’intero pianeta, e per comprendere l’infiltrazione che i nemici dell’uomo, di Dio e della Chiesa, hanno operato nella Chiesa Cattolica – oggi eclissata ma viva -, minando proprio la formazione dei sacerdoti, la fede nei giovani, ed introducendo in ogni ambito principii di caos e distruzione di corpi e di anime che vediamo attuati nella nostra epoca apocalittica, epoca in cui si è instaurato sempre meno velatamente un luciferiano mondialismo terroristico-dittatoriale. Leggiamo attentamente l’Enciclica e vi troveremo tanti spunti e suggerimenti che i pochi, veri Cattolici del pusillus grex una cum Papa Gregorio, possono attuare – specie a livello familiare – in attesa che il Signore Gesù Cristo ponga fine a questo scempio operato dalle apocalittiche bestie, dal falso profeta (gli antipapi insediati dal 1958 in poi) e dal dragone, gettandoli alfine nello stagno di fuoco ove in eterno raccoglieranno i frutti del loro impegno, tra pianto e stridor di denti…

Leone XIII
Officio sanctissimo

Lettera Enciclica

Indotti dal dovere santissimo dell’ufficio Apostolico, Noi Ci siamo sforzati grandemente e a lungo, come voi ben sapete, perché migliorasse la situazione della Chiesa cattolica in Prussia e perché, riportata al rango e alla dignità che le competono, riacquistasse e ampliasse il suo antico prestigio. Questi Nostri propositi e sforzi, sorretti dall’aiuto e dall’ispirazione divina, hanno consentito di attenuare il precedente conflitto e di coltivare la speranza che in quel paese si potrà realizzare la piena e tranquilla libertà per i cattolici. – Ora però è Nostra intenzione rivolgere la Nostra attenta sollecitudine, con intensità del tutto particolare, ai Bavaresi. Non certo perché riteniamo che la situazione religiosa sia in Baviera la stessa che in Prussia, ma perché speriamo e desideriamo che anche in codesto regno, che si gloria di professare il Cattolicesimo fin dal tempo dei più remoti antenati, sia opportunamente contrastato qualsiasi impedimento che possa insidiare o sminuire la libertà della Chiesa Cattolica. Per realizzare un così salutare proposito, Noi vogliamo esplorare ogni possibile occasione che Ci si offra, ed utilizzare senza indugio tutta l’autorità e tutto il potere di cui disponiamo. Ci appelliamo a voi, Venerabili Fratelli, e per vostro tramite Ci appelliamo a tutti i Nostri carissimi figli di Baviera, perché Ci sia dato di partecipare, secondo il Nostro potere, a tutto quanto sembri concernere l’interesse e la promozione della fede religiosa fra la vostra gente, e perché su questa materia possiamo darvi consigli, e rivolgere fiduciose sollecitazioni agli stessi poteri civili. – Negli annali sacri della Baviera – ricordiamo fatti che non vi sono sconosciuti – vi sono molti momenti nei quali Chiesa e Stato hanno trovato motivo di concorde letizia. Infatti la fede cristiana, da quando la sua divina semenza fu sparsa nel grembo della vostra regione mediante l’opera ed il sommo zelo del santo abate Severino (che fu l’apostolo del Norico) e degli altri predicatori del Vangelo, pose e fissò così profonde radici che in seguito nessuna smisurata superstizione, né alcun disordine e rivolgimento pubblico hanno potuto svellerla interamente. Per questo, alla fine del settimo secolo, quando Ruperto, santo vescovo di Worms, si accinse a risvegliare e a propagare la fede cristiana in tali regioni su invito di Theodone duca di Baviera, trovò indubbiamente, pur in mezzo alla superstizione, sia molti che già coltivavano la fede, sia molti che desideravano abbracciarla. E lo stesso insigne principe Theodone, mosso dall’ardore della fede, intraprese il viaggio verso Roma, e prosternato davanti al sepolcro dei Santi Apostoli e ai piedi dell’augusto Vicario di Gesù Cristo, per primo diede nobilissima testimonianza della pietà e della comunione della Baviera con questa Sede Apostolica: esempio che altri egregi principi hanno in seguito religiosamente imitato. Circa nello stesso periodo il cardinale Martiniano, vescovo di Sabina, fu dal santo Pontefice Gregorio II inviato in Baviera per aiutare e rafforzare il campo cattolico; come compagni gli furono assegnati Giorgio e Doroteo, entrambi cardinali della Chiesa romana. Non molto tempo si recò a Roma, presso il sommo Pontefice, Corbiniano, vescovo di Frisinga, uomo insigne per santità di vita e per abnegazione, che confermò ed accrebbe i risultati apostolici di Ruperto con uno zelo di pari intensità. Ma colui al quale si deve prima che ad ogni altro la gloria di aver alimentato e coltivato la fede in Baviera è senz’altro san Bonifacio, Arcivescovo di Magonza: lo stesso che viene celebrato come padre, apostolo, martire della Germania cristiana, con lodi assolutamente veritiere e immortali. Questi ricoperse l’ufficio di legato per i Pontefici romani Gregorio II e III, e Zaccaria, presso i quali egli godette sempre di grande favore; in nome loro e con l’autorità conseguente egli divise in diocesi le regioni della Baviera; avendo in tal modo stabilito l’ordinamento gerarchico, assicurò in perpetuo la fede che altri vi avevano introdotta. “Il campo del Signore – scrive San Gregorio II allo stesso Bonifacio – che giaceva incolto e che si era coperto di spine a causa dell’infedeltà, arato dal vomere della tua dottrina, accolse il seme del Verbo e produsse una fertile messe di fedeltà” . – Da quel tempo la religione dei Bavaresi, per quanto duramente insidiata nel corso dei secoli, resistette salda e costante attraverso tutte le vicende civili. Invero seguirono i ben noti turbamenti e le lotte dell’impero contro il sacerdozio: lotte aspre, lunghe, calamitose. Tuttavia in tali frangenti la Chiesa ebbe più da rallegrarsi che da dolersi, in Baviera. Questa infatti, col favore dell’autorità sovrana, si schierò a fianco del legittimo Pontefice Gregorio XI, senza lasciarsi in alcun modo smuovere dall’audacia sfrenata dei dissidenti che inutilmente minacciavano, e – cosa che era particolarmente difficile – per lungo tempo gli abitanti serbarono intatta la fede dei padri e la comunione con la Chiesa romana, per nulla intimiditi dalla violenta aggressività dei Novatori. Questo valore, questa fermezza dei vostri padri sono tanto più da celebrare ora che la nuova setta ha sventuratamente assoggettato quasi tutti i popoli a voi vicini. Certamente ai bavaresi che vissero in quei tempi calamitosi ben si addicevano le parole di meritata lode che molto tempo prima lo stesso Gregorio II aveva rivolto alla popolazione cattolica della Turingia, istruita nella dottrina cristiana da San Bonifacio, in una lettera ai governanti: “Riconoscendo la costanza della vostra magnifica fede in Cristo, di cui siamo ben informati, e come abbiate risposto, con fede piena, ai pagani che volevano spingervi a venerare gli idoli, di voler felicemente morire piuttosto che violare anche solo in parte la fede in Cristo abbracciata una volta per tutte; ripieni di straordinaria esultanza, rendiamo le dovute grazie al nostro Dio e redentore, dispensatore di ogni bene, con l’aiuto della cui grazia auspichiamo che voi possiate raggiungere le migliori e le più desiderabili mete; possiate rafforzare il proposito della vostra fede di mantenervi uniti e con animo pio alla santa Sede Apostolica e, quando lo esigano le necessità della santa religione, possiate chiedere conforto alla santa Sede Apostolica, madre spirituale di tutti i fedeli, così come si conviene a figli coeredi di un regno nei confronti del regale genitore” . – In verità, anche se la grazia di Dio misericordioso, che nel passato ha protetto e benignamente abbracciato la vostra gente, Ci fa trarre i migliori auspici e concepire le migliori speranze per l’avvenire, nondimeno dobbiamo, ciascuno per la propria parte, apprestare tutte quelle difese che appaiano più efficaci sia a rimediare i danni già recati alla religione, sia ad impedire i pericoli che la possano sovrastare, in modo che la dottrina cristiana e le più sacre istituzioni morali possano rinvigorirsi ogni giorno di più e produrre frutti sempre più abbondanti. Non diciamo questo come se la causa cattolica potesse desiderare presso di voi più idonei o meno timidi difensori, ché anzi ben sappiamo, Venerabili Fratelli, che voi – e insieme con voi la parte maggiore e più integra del clero e dei fedeli laici – non vi siete mostrati né freddi né oziosi di fronte alle battaglie e ai pericoli dai quali è assediata e premuta la vostra Chiesa. Perciò, come per un motivo non dissimile il Nostro predecessore Pio IX, in un’amorevolissima lettera indirizzata ai Vescovi della Baviera , esaltò con grandi lodi il rilevante impegno da loro profuso in difesa dei sacri diritti della Chiesa, allo stesso modo Noi rivolgiamo volentieri spontanee, giuste e pubbliche lodi a quanti tra i Bavaresi hanno coraggiosamente intrapreso e sostengono la difesa della religione avita. In verità, nei periodi nei quali il previdentissimo Iddio permette che la sua Chiesa sia scossa da violente tempeste, Egli stesso richiede ben a ragione da parte nostra animi più vigili e forze più pronte alla bisogna. Tutti voi concordemente, Venerabili Fratelli, vedete con dolore come Noi, in che tempi ostili e iniqui la Chiesa sia caduta; vedete soprattutto in quali condizioni si trovino i vostri affari, e in quali difficoltà voi stessi vi dibattiate. Quindi comprendete per esperienza come i vostri doveri siano oggi maggiori che nel passato, e come dobbiate, per esercitarli, sforzarvi di applicare la vigilanza e l’operosità, la forza e la prudenza cristiane. – In primo luogo vi esortiamo e vi sollecitiamo a preparare e a qualificare il clero. Non c’è dubbio che il clero sia come un esercito, il quale, dal momento che i suoi regolamenti e i suoi compiti impongono che, sotto la guida dei Vescovi, si trovi in contatto quasi costante col popolo cristiano, sarà in grado di dare onore e sostegno tanto maggiori alla cosa pubblica quanto più si segnalerà per numero e per disciplina. Per questo fin dai tempi più antichi fu sempre speciale cura della Chiesa scegliere ed educare al sacerdozio quegli adolescenti “la cui indole e forza di volontà fanno sperare che si dedicheranno per sempre ai compiti ecclesiastici”; ed altresì “che gli adolescenti siano avviati fin dagli anni più teneri alla pietà e alla religione, prima che l’abitudine dei vizi possieda tutti gli uomini”; per loro fondò appositi istituti e collegi, e fissò regolamenti pieni di sapienza, specialmente col santo Concilio Tridentino , “perché questo collegio dei ministri di Dio sia un seminario perpetuo”. Ora, vi sono luoghi in cui sono state stabilite e sono in vigore leggi che, se non impediscono del tutto, pongono ostacoli a che il clero si formi spontaneamente o venga educato secondo una specifica disciplina. Riguardo a questo problema, che riveste la massima importanza, riteniamo che ora, come in altre occasioni, occorra che Noi esprimiamo apertamente il Nostro pensiero e che ricorriamo a qualunque mezzo in Nostro possesso per conservare santo e inviolato il diritto della Chiesa. Non v’è dubbio che sia diritto originario della Chiesa, come società perfetta nel suo genere, di ordinare e di istruire le sue truppe, che non sono di danno ad alcuno e sono di aiuto a molti, nel pacifico regno che Gesù Cristo ha fondato sulla terra per la salvezza del genere umano. – Il clero però dovrà assolvere ai propri doveri nel modo assolutamente più rigoroso e completo, quando, sorretto dall’aiuto dei Vescovi, avrà acquisito nei sacri seminari una tale disciplina dell’animo e della mente quale richiedono la dignità del sacerdozio cristiano e le circostanze dei tempi e dei costumi; occorre cioè che esso eccella con lode nella dottrina e, ciò che è più importante, con somma lode nell’esercizio della virtù, affinché sappia trarre a sé l’animo degli uomini e suscitare in loro un sentimento di deferenza. – È necessario che la sapienza cristiana, splendente di mirabile luce, brilli negli occhi di tutti, affinché, disperse le tenebre dell’ignoranza, che è la maggior nemica della religione, la verità si diffonda largamente in ogni dove e felicemente regni. Occorre altresì che siano confutati e sbaragliati i molteplici errori che, sorti o dall’ignoranza o dalla disonestà o dai pregiudizi, distolgono perversamente la ragione degli uomini dalla verità cattolica e la mostrano in una luce fastidiosa per l’animo. Quel compito grandissimo che consiste nell’”esortare alla sana dottrina e confutare coloro che la contraddicono” (Tt 1,9) spetta all’ordine dei sacerdoti, che lo ricevettero legittimamente da Cristo Signore, quando Egli li inviò, con la sua divina potestà, ad istruire tutte le genti: “Andate in tutto il mondo, predicate il Vangelo a tutte le creature” (Mc 16,15); intendendo chiaramente che i Vescovi, scelti quali successori degli Apostoli, presiedano come maestri nella Chiesa di Dio, e che i sacerdoti li affianchino come aiutanti. Riguardo a queste sante incombenze, si provvide nel modo quanto più compiuto e perfetto nei primi tempi della nostra religione e nei secoli successivi, durante quell’acerbissima lotta che divampò così a lungo contro la tirannide della superstizione pagana: da quel conflitto trasse sì grande gloria la classe sacerdotale, e gloria ancor più grande il santissimo ordine dei Padri e dei Dottori, la cui sapienza ed eloquenza risplenderanno nella memoria e nell’ammirazione di tutti. In verità, attraverso loro, la dottrina cristiana, più sottilmente trattata, con più facondia spiegata, col massimo coraggio difesa, si rivelò in tutta la sua verità e la sua eccellenza, assolutamente divina; per contro cadde la dottrina degli idolatri, confutata e disprezzata anche dagli indotti come totalmente assurda, insufficiente, incoerente. – Inutilmente poi gli avversari si coalizzarono per ritardare e ostacolare il corso della sapienza cattolica; inutilmente le contrapposero le scuole della filosofia greca, sopra tutte la platonica e l’aristotelica, esaltandole con magnifiche espressioni di lode. I nostri infatti, non sottraendosi neppure a siffatto genere di contesa, applicarono l’ingegno anche allo studio dei filosofi pagani; ciascuno di loro se ne occupò, li approfondì con diligenza quasi incredibile, li esaminò ad ad uno, li soppesò, li confrontò; molte proposizioni furono da loro respinte o corrette; non poche, com’era giusto, approvate ed accolte; fu infatti da loro chiarito e proclamato il concetto secondo cui soltanto ciò che appare falso alla ragione e all’intelligenza dell’uomo è contrario alla dottrina cristiana, sicché colui che vuole opporsi e resistere a questa dottrina in realtà necessariamente si oppone e resiste alla sua stessa ragione. – Di tal fatta furono le battaglie combattute da quei nostri padri; significative vittorie furono ottenute non solo col valore e le armi della fede, ma anche con l’aiuto della ragione umana: la quale, avanzando nella luce della sapienza celeste, dall’ignoranza di moltissime cose, e quasi da una foresta d’errori, era entrata a passo sicuro nel cammino della verità. – Questa veramente ammirevole concordia ed alleanza di fede e ragione, per quanto onorate nei meditati studi di molti, risplendono tuttavia al massimo grado, come raccolte in un solo edificio ed esposte unitariamente, nell’opera di Sant’Agostino De Civitate Dei, e similmente nell’una e nell’altra Summa di San Tommaso d’Aquino: libri nei quali sono racchiusi certamente tutti i più acuti pensieri e le dissertazioni di tutti i sapienti, e nei quali si possono ricercare i fondamenti e le sorgenti di quella eminente dottrina che chiamano teologia cristiana. – Il ricordo di esempi tanto insigni deve essere assolutamente ripreso e favorito in quei tempi dal clero, ora che vecchie armi sono qua e là rimesse in uso da opposti partiti e si riaccendono quasi le stesse vecchie battaglie. Però, mentre in passato i pagani respingevano la religione cristiana per il fatto che non volevano essere allontanati dai loro riti e dalle loro istituzioni religiose ancestrali, ora invece l’opera nefasta di uomini scellerati tende proprio ad estirpare dalle radici, tra i popoli cristiani, tutti quegli insegnamenti divini e indispensabili che furono inculcati in loro attraverso la santità della fede, e a ridurli in uno stato peggiore di quello dei pagani e a trascinarli alla più degradante miseria, vale a dire al disprezzo e alla distruzione di ogni fede e religione. – L’origine di questa impura peste, della quale nessun’altra è più detestabile, è da ricercarsi in coloro che attribuirono all’uomo, esclusivamente in virtù della propria natura, la facoltà di conoscere e giudicare, ciascuno in base al proprio giudizio razionale, in materia di dottrina rivelata: con ciò sottraendosi del tutto all’autorità della Chiesa e del Pontefice romano, ai quali soltanto spetta invece, per divino mandato e prerogativa, di custodire tale dottrina, tramandarla, e sentenziare intorno ad essa in assoluta verità. Si apriva così rapidamente – e infatti si aperse rovinosamente per loro – la via che porta a porre in dubbio e a rifiutare tutte le verità che sono poste oltre la natura delle cose e la capacità intellettiva dell’uomo; giunsero a tal punto d’impudenza da negare che vi sia qualche autorità che promani da Dio, e che Dio stesso esista, scadendo infine, nella teoria insulsa dell’Idealismo e in quella particolarmente abietta del Materialismo. Coloro che si chiamano Razionalisti, così come i Naturalisti, non si peritano di chiamare questo pervertimento dei massimi principi col falso nome di progresso della scienza e progresso della società umana; al contrario, tutto ciò prepara la rovina e la distruzione dell’una e dell’altra. – Pertanto, Venerabili Fratelli, voi ben sapete e comprendete con quali strumenti e metodi occorre che vengano educati alle più alte dottrine gli alunni della Chiesa, affinché essi si applichino ai propri doveri secondo quanto richiedono la convenienza e l’utilità dei tempi. È bene però che essi, una volta plasmati e affinati attraverso le discipline umanistiche, non si accostino ai più complessi studi della sacra teologia prima di aver acquisito una scrupolosa preparazione nello studio della filosofia. Ci riferiamo a quella filosofia profonda e solida, indagatrice delle cause ultime, valida patrona della verità; in forza di essa, eviteranno di fluttuare e di venir trascinati “da qualsiasi vento dottrinario suggerito dalla malvagità degli uomini, con l’astuzia ingannatrice dell’errore” (Ef 4,14), e sapranno fornire alla verità l’ausilio anche di altre dottrine, dopo aver discusso e confutato le teorie ingannevoli e capziose. A questo scopo abbiamo già raccomandato che le opere del grande Aquinate siano nelle loro mani e costantemente ed abilmente commentate, ed abbiamo più volte reiterato tale consiglio con le parole più solenni. Il Nostro animo confida che da quei testi il clero abbia già tratto ottimi frutti, e nutriamo la ferma speranza che ne trarrà degli ancor più ricchi e copiosi. Non v’è dubbio che l’insegnamento del Dottor Angelico è mirabilmente idoneo a formare le menti: fornisce mirabile perizia nel commentare, nel filosofare e nel disertare in modo stringente e invincibile. Infatti mostra lucidamente le cose singole l’una derivante dall’altra in una serie continua, tutte tra loro connesse e coerenti, tutte in relazione con i principi supremi; così essa innalza alla contemplazione di Dio, che di tutte le cose è causa efficiente e forza e sommo modello, al quale infine ogni filosofia e quanto v’è di grande nell’uomo debbono riferirsi. Così, invero, attraverso Tommaso la scienza delle cose divine e umane, e delle cause che le contengono, viene ammirevolmente illustrata e stabilmente fondata; nel tentativo di contrastarne la disciplina, le antiche sette degli errori si ritrovarono completamente distrutte; e così pure le nuove, diverse da quelle più nel nome e nell’apparenza che nella sostanza, non appena ebbero sollevata la testa ricaddero, soccombendo sotto i suoi colpi: come già è stato dimostrato da più d’uno dei nostri scrittori. – Indubbiamente la ragione umana vuole addentrarsi con sguardo acuto e libero nella conoscenza della natura intima e recondita delle cose, e non può non volerlo: ma sotto la guida e il magistero dell’Aquinate tale percorso le è reso più facile e più libero perché del tutto sicuro, al riparo dal pericolo di oltrepassare i confini della verità. Né del resto si potrebbe onestamente definire libertà quella che consiste nel seguire e nello spargere opinioni secondo l’arbitrio e il capriccio, ma al contrario soltanto licenza dissoluta, scienza menzognera e fallace, disonore e schiavitù dell’animo. Peraltro egli è il sapientissimo Dottore che sa mantenersi entro i limiti della verità; colui che non solo non combatte mai con Dio, principio e somma di ogni verità, ma che a Lui si mantiene sempre unito, sempre devoto a Lui che in ogni modo gli rivela i Suoi arcani misteri; colui che non meno santamente è docile alla parola del Pontefice romano, venera in lui l’autorità divina, ed è assolutamente convinto che “la sottomissione al Pontefice romano è necessaria alla salvezza” . Alla sua scuola dunque sia formato il clero, e si eserciti nella filosofia e nella teologia: ne uscirà sicuramente dotto e al massimo grado armato per le sante battaglie. – Infine a malapena si può esprimere l’immensa utilità di diffondere presso ogni ordine sociale, tramite il clero, la luce della dottrina, se essa rifulge come da un candelabro di virtù. Infatti, nei precetti che si propongono di correggere i costumi umani, sono quasi più efficaci gli esempi che le parole dei maestri: nessuno avrà mai una gran fiducia in colui le cui azioni discordino con le sue parole e i suoi insegnamenti. Fissiamo gli occhi e la mente in Gesù Cristo Signore, il quale, poiché è la verità ci insegnò le cose in cui dobbiamo credere, e poiché è la vita e la via, propose se stesso a noi come l’esempio assoluto, sul quale modellarci per condurre onestamente la vita e per tendere con zelo al bene ultimo. Egli stesso volle i suoi discepoli formati e perfetti secondo il suo esempio con queste parole: “La vostra luce, cioè la dottrina, risplenda agli occhi degli uomini quando essi vedono le vostre opere buone”, non diversamente dagli argomenti della dottrina, “e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5,16), abbracciando insieme la dottrina e la morale del Vangelo, che affidava loro perché lo diffondessero. – Sono appunto questi i principi divini sui quali occorre che si modelli e si orienti la vita dei sacerdoti. È assolutamente opportuno e necessario che essi abbiano quasi scolpita nell’animo la convinzione che ormai non appartengono più al secolo, ma sono stati scelti veramente per disposizione di Dio perché, pur conducendo la loro esistenza in comunione col secolo, vivano tuttavia la vita di Cristo Signore. Se davvero vivranno di Lui e in Lui, non ricercheranno mai le cose proprie, ma si dedicheranno totalmente alle cose che appartengono a Gesù Cristo (Fil 2,21), e non si sforzeranno di procurarsi il vano favore degli uomini, ma ricercheranno il duraturo favore di Dio; si asterranno, provandone disgusto, da ogni genere di bassezza e corruttela; procurandosi larga messe di beni celesti, li diffonderanno copiosamente e lietamente intorno a sé, come si addice alla santa carità; né accadrà mai più che al giudizio e al volere dei Vescovi oppongano o antepongano il proprio, ma obbedendo e assecondando coloro che rappresentano la persona di Cristo, lavoreranno con grande felicità nella vigna del Signore, con abbondanza di sceltissimi frutti produttivi della vita eterna. Invero, chiunque si separi con la parola e con la volontà dal suo pastore e dal pastore supremo, il romano Pontefice, non può in alcun modo essere congiunto a Cristo: “Chi ascolta voi ascolta me; e chi disprezza voi disprezza me” (Lc 10,16), e chiunque è lontano da Cristo dissipa, anziché raccogliere. – Da ciò scaturisce inoltre quali forme e modi di obbedienza siano dovuti agli uomini, che sono preposti alla cosa pubblica. Ebbene, non si vuole assolutamente negare o limitare i loro diritti; piuttosto sono da seguire, da parte di tutti gli altri cittadini, e con maggior diligenza da parte dei sacerdoti, le parole “Date a Cesare quello che è di Cesare” (Mt 22,21). Infatti sono nobilissimi e degni di onore i doveri che Dio, signore e rettore supremo, impose ai Principi acciocché con la saggezza, con la ragione, con ogni osservanza della giustizia essi regolino, conservino, accrescano lo Stato. Per questo il clero deve adempiere e svolgere ogni singolo dovere dei cittadini, in modo non servile ma rispettoso; per religione e non per paura; col giusto ossequio pur conservando la propria dignità: cittadini e insieme sacerdoti di Dio. Ché se poi talora accada che il potere civile usurpi i diritti di Dio e della Chiesa, allora venga dai sacerdoti un insigne esempio di come il cristiano si debba mantenere fermo al proprio posto, anche in tempi terribili per la religione: sopporti in silenzio, con fermo coraggio; sia cauto nel sopportare azioni inique, e non dia in alcun modo il proprio assenso né la propria comprensione ai malvagi; e se si ponesse la stringente alternativa, o di disobbedire ai comandi di Dio o di compiacere agli uomini, egli faccia propria con libera voce quella memorabile e degnissima sentenza degli Apostoli: “Occorre obbedire a Dio piuttosto che agli uomini” (At 5,29).A questo modello appena abbozzato di un metodo educativo per giovani ecclesiastici, Ci piace e Ci pare opportuno aggiungere considerazioni che riguardano la gioventù in generale: Ci sta grandemente a cuore, infatti, che l’educazione di essa si compia nel modo migliore e più completo, sia riguardo allo sviluppo della mente, sia alla perfezione dell’animo. La Chiesa ha sempre avvolto in un materno abbraccio l’età giovanile; in sua difesa ha sempre impiegato molte amorevoli energie e apprestato molteplici sussidii; tra questi, molte Congregazioni di religiosi che istruissero gli adolescenti nelle arti e nelle dottrine, e soprattutto li nutrissero della sapienza e della virtù cristiana. Così, sotto tali auspici accadeva facilmente che sgorgasse nei teneri animi la pietà verso Dio, e che per questo tramite il senso del dovere dell’uomo verso se stesso, verso gli altri e verso la patria, ricevuto in giovane età, altrettanto precocemente facesse sperare nei migliori frutti. – Pertanto, ora è giusta causa di dolore per la Chiesa il vedere che i propri figli le sono strappati nella più tenera infanzia e costretti in quelle scuole dove o viene messa del tutto a tacere ogni nozione di Dio, oppure ne viene esposta qualche idea imprecisa e mista a perversità, e dove non v’è alcun riparo contro il diluvio di errori, alcuna fede nella rivelazione divina, alcuno spazio perché la verità possa difendersi da se stessa. – È dunque somma ingiustizia escludere l’autorità della Chiesa cattolica dalle sedi delle lettere e delle scienze, poiché è da Dio che è stato attribuito alla Chiesa il compito dell’insegnamento della religione, cioè di quello strumento senza il quale nessuno può acquistare la salvezza eterna. A nessun’altra comunità umana è stato assegnato tale incarico, e nessuna comunità può attribuirselo: per questo e con ragione essa lo reclama come suo proprio diritto, e si duole nel vederlo colpito. Oltre a ciò occorre prestare grande attenzione e ad ogni costo evitare che, nelle scuole che si sono sottratte in tutto o in parte dalla giurisdizione della Chiesa, la gioventù corra pericoli e subisca influenze dannose per la sua fede cattolica e per la sua dirittura morale. A questo fine avrà particolare valore la sollecitudine del clero e delle persone oneste, sia se opereranno perché l’insegnamento religioso non solo non venga escluso da quelle scuole, ma perché vi occupi il ruolo che gli spetta, e perché venga affidato a maestri idonei e di specchiata virtù; sia se sapranno ideare e organizzare altri accorgimenti didattici che consentano di insegnare ai giovani tale dottrina con limpidezza e chiarezza. Avranno anche grande valore i consigli e la cooperazione dei padri di famiglia. Conseguentemente è opportuno rivolgere a questi un ammonimento e un’esortazione, con la maggiore solennità: non dimentichino quanto grande e santo dovere essi contraggano con Dio riguardo ai loro figli; come li debbano educare alla conoscenza della religione, ai buoni costumi, al pio timor di Dio; come potrebbero danneggiarli, affidando giovani ingenui e incauti alle mani di precettori sospetti. Collegati con tali doveri, che si sono assunti con la procreazione dei figli, i padri di famiglia sappiano che esistono altrettanti diritti, secondo natura e secondo giustizia, e sono di tal fatta che non è lecito né sottrarsene né farsene espropriare da alcuna autorità umana, dal momento che è proibito all’uomo sciogliersi dagli obblighi ai quali è tenuto verso Dio. – I genitori ricordino dunque che, se sopportano un grande peso, quello della protezione dei figli, ne sopportano uno molto maggiore, quello di educarli alla più alta e più degna vita, che è la vita spirituale. Quando non sono in grado di svolgere da sé questo compito, sono tenuti ad assicurarsi l’opera vicaria di altri, in modo che i figli ricevano il necessario insegnamento religioso da maestri preparati. Ormai non è infrequente quel davvero meraviglioso esempio di pietà e di munificenza fornito – nei luoghi dove non esistono altre scuole pubbliche, se non quelle che vengono chiamate neutrali – da quei cattolici che hanno aperto proprie scuole a costo di grandi sacrifici e rilevanti spese e che con pari costanza le mantengono in attività. È da augurarsi vivamente che siano fondati molti altri di questi mirabili e sicuri rifugi per la gioventù, ovunque se ne veda l’opportunità secondo i luoghi e le possibilità. – Né si deve passare sotto silenzio il fatto che l’educazione cristiana della gioventù risulta anche della massima utilità per la società stessa. È del tutto evidente come siano da temersi innumerevoli e ingenti pericoli in quello Stato in cui i metodi didattici e l’ordinamento degli studi escludano la religione, oppure, ciò che è anche più dannoso, le si oppongano. Infatti, non appena sia trascurato o spregiato quel supremo e divino magistero, che ci ammonisce a venerare l’autorità di Dio, e, fidando in Lui, ad attenerci con incrollabile fede ai suoi comandamenti, ecco che subito si apre per la scienza umana la rovinosa via dei più perniciosi errori, e particolarmente quelli del naturalismo e del razionalismo. Ne consegue che ciascuno si ritiene libero nel giudicare e nel valutare, sia che si tratti di idee, sia, e con maggior facilità, che si tratti di azioni; per questo l’autorità pubblica dei governanti ne risulta indebolita e mortificata. Ci sarebbe infatti da stupirsi considerevolmente se persone che abbiano fatta propria la perversa convinzione di non essere in alcun modo obbligate al dominio e al governo di Dio, accettassero e tollerassero il governo di un uomo. Una volta che siano stati distrutti i fondamenti sui quali poggia qualsiasi autorità, la società dell’umano consorzio si dissolve e si disperde: non vi sarà più Stato; si estenderà ovunque il feroce dominio della violenza e del delitto. Può forse lo Stato sventare una sì funesta calamità contando solo sulle proprie forze? Può farlo rifiutando l’aiuto della Chiesa? Può farlo combattendo la Chiesa? La risposta è chiara e manifesta a chiunque sia dotato di saggezza. La stessa prudenza politica quindi suggerisce che si debba lasciare ai Vescovi e al clero un ruolo nell’istruzione e nella formazione della gioventù; e che si debba prestare particolare attenzione a che non vengano chiamati al nobilissimo ufficio di educatori uomini di tiepido o scarso sentimento religioso, o apertamente avversi alla Chiesa. E sarebbe poi oltremodo intollerabile che uomini di siffatte inclinazioni fossero scelti per l’insegnamento più alto di tutti, quello delle scienze religiose. – È inoltre della massima importanza, Venerabili Fratelli, che avvertiate e cerchiate di respingere i pericoli che minacciano i vostri fedeli per il contagio dei massoni. Già altra volta, in un’apposita lettera Enciclica, mettemmo in rilievo quanto i propositi e le arti di questa tenebrosa setta siano pieni di nequizia ed esiziali per la società, ed indicammo i mezzi per indebolirne e soffocarne il vigore. – Né si avvertiranno mai abbastanza i cristiani di guardarsi da tale scellerata società; essa infatti, sebbene fin da principio abbia concepito un profondo odio verso la Chiesa cattolica e l’abbia poi riaffermato più aspramente e continui ogni giorno ad attizzarlo, tuttavia non manifesta sempre un’aperta inimicizia, ma più spesso agisce in modo ipocrita e ingannevole, e sventuratamente irretisce soprattutto gli adolescenti, che sono ingenui e poco smaliziati, attraverso una simulazione di pietà e di carità. Circa il modo di cautelarsi contro coloro che sono lontani dalla fede cattolica, attenetevi scrupolosamente ai precetti della Chiesa, perché la consuetudine con le loro perverse opinioni non si risolva in un danno per il popolo cristiano. Vediamo bene, e ne siamo assai addolorati, che né Noi né voi abbiamo capacità pari alla volontà e allo zelo, per stornare completamente questi pericoli; nondimeno non riteniamo inopportuno fare appello alla vostra sollecitudine pastorale e insieme spronare all’impegno i cattolici, perché associando i nostri sforzi possiamo allontanare o rendere meno pesanti gli ostacoli che si oppongono ai nostri voti comuni. Per esortarvi con le parole del Nostro santo predecessore Leone Magno, “Armatevi di pio zelo e religiosa sollecitudine, e che l’opera di tutti i fedeli si coalizzi contro i più minacciosi nemici delle anime” . Pertanto, dopo aver rimosso qualsiasi residuo di pigrizia e torpore che possano albergare nell’animo, tutti i buoni assumano come propria la causa della religione e della Chiesa; e per essa combattano con fede e con perseveranza. Accade infatti che i malvagi vedano rafforzata la propria malizia e libertà di nuocere dall’inerzia e dalla pavidità dei buoni, ed anzi se ne vantino. Accadrà anche che gli sforzi e lo zelo dei cattolici raggiungano talora risultati inferiori ai propositi e alle attese: saranno serviti tuttavia all’uno o all’altro scopo, a trattenere cioè gli avversari e a rinvigorire i deboli e i vili, oltre che procurare grande giovamento a chi ha la sicura coscienza del dovere compiuto. Del resto non sapremmo neppure concedere facilmente che possa mancare un esito felice alla solerzia e all’operosità dei cattolici, quando siano guidate da un proposito giusto, perseguito con tenacia. Infatti è sempre successo, e accadrà sempre, che imprese che si presentano irte di gravi difficoltà e ostacoli abbiano infine il più felice esito, quando siano affrontate, come dicemmo, con audacia e intrepidezza, accompagnate e guidate da cristiana prudenza. È certamente inevitabile che prima o poi la verità, cui l’uomo per natura tende con grande passione, finisca per conquistare la mente; può essere attaccata e sommersa da turbolenze e malattie dello spirito, ma non può essere annientata. – Queste considerazioni appaiono convenire particolarmente alla Baviera, e per più di una ragione. In questa regione, infatti, dato che per grazia divina è annoverata tra i regni cattolici, non si tratta tanto di ricevere la santa fede quanto di custodire ed accrescere quella tramandata dai padri; inoltre, sono in gran parte cattolici coloro che investiti di una pubblica carica sono autori delle leggi dello Stato; ed essendo parimenti cattolici in maggioranza i cittadini e gli abitanti, non abbiamo il minimo dubbio sul fatto che essi vorranno aiutare e soccorrere con ogni mezzo la loro madre Chiesa nell’ora del pericolo. Dunque, se tutti collaboreranno con l’energia e la partecipazione dovute, potremo senza dubbio rallegrarci, con l’aiuto di Dio, dell’esito favorevole dei loro sforzi. E raccomandiamo ancora la collaborazione di tutti, perché, come nulla è più nefasto della discordia, così nulla è più potente ed efficace del consenso e della concordia degli animi quando, unendo le loro forze, tendano tutti ad uno scopo comune. In questo senso ai cattolici si offre, attraverso le leggi, un mezzo opportuno per chiedere un miglioramento nelle condizioni e nelle forme della cosa pubblica, e per desiderare e volere una costituzione che, anche se non prevede favori e privilegi per la Chiesa e per loro, come pure sarebbe assai giusto, almeno non sia loro duramente ostile. Né sarà giusto che alcuno accusi e biasimi quelli tra noi che chiedono tali riconoscimenti, dato che di simili benefici avevano la consuetudine di servirsi licenziosamente i nemici del nome cattolico per ottenere e quasi estorcere dai governanti leggi avverse alla libertà civile e a quella religiosa. Perché non dovrebbe essere concesso ai cattolici di servirsi degli stessi mezzi, e di servirsene nel modo più onesto, per la difesa della religione, e per salvaguardare quei beni, privilegi e diritti che sono stati per volontà divina conferiti alla Chiesa e che da tutti, governanti e sudditi, devono essere guardati con molto rispetto? Tra i beni della Chiesa, che Noi dobbiamo sempre e ovunque conservare e difendere da ogni offesa, il più importante è certamente quello di poter fruire di tutta quella libertà d’azione di cui abbisognano la cura e la salvezza delle anime. Questa libertà è sicuramente divina, promossa dalla volontà dell’unigenito Figlio di Dio, che fece sorgere la Chiesa dall’effusione del proprio sangue, la volle perpetua tra gli uomini e volle porsene Egli stesso a capo: essa è a tal punto essenziale alla Chiesa, all’opera perfetta e divina, che chi agisce contro questa libertà agisce contro Dio e contro il dovere. – Come già dicemmo altrove più di una volta, Dio stabilì la sua Chiesa affinché si assumesse il compito di difendere, perseguire e donare largamente alle anime i beni supremi, immensamente superiori per natura ad ogni altra cosa; e affinché, con gli strumenti della fede e della grazia, infondesse da Cristo nuova vita negli uomini: una vita apportatrice di salvezza eterna. – Ma poiché le caratteristiche e i diritti di ogni società sono determinati essenzialmente dalle ragioni dalle quali trae origine e dalle mete alle quali tende, ne consegue naturalmente che la Chiesa è una società tanto distinta dalla società civile in quanto sono diverse le loro ragioni d’essere e le loro mete; essa è una società necessaria, che si offre all’intero genere umano, dato che tutti sono chiamati alla vita cristiana, in modo tale che chi la rifiuta o l’abbandona sarà separato in perpetuo, ed escluso dalla vita celeste; essa è soprattutto una società autonoma, e la più alta di tutte, per la stessa eccellenza dei beni celesti e immortali ai quali tutta intera tende. – È evidente a chiunque, d’altra parte, che le libere istituzioni devono avere libertà nell’impiego di tutti gli strumenti necessari. E gli strumenti idonei e necessari per la Chiesa sono la facoltà di trasmettere a sua discrezione la dottrina cristiana, di assicurare i santissimi sacramenti, di esercitare il culto divino, di disporre e governare tutta la disciplina del clero, cioè tutti quei compiti e privilegi di cui Dio, nella sua infinita provvidenza, volle la Chiesa, ed essa sola, investita e dotata. A lei sola dispose che fossero affidate, come in deposito, tutte le cose rivelate agli uomini; lei sola infine stabilì come interprete, garante, maestra di verità, la più sapiente e sicura, i cui insegnamenti devono ascoltare e seguire tanto gli individui quanto gli Stati; similmente è certo che Egli stesso diede libero mandato alla Chiesa di giudicare e di prendere quelle deliberazioni che più ritenesse convenienti ai propri fini. Per questo, non v’è ragione che i poteri civili guardino con sospetto e ostilità alla libertà della Chiesa, dal momento che identico è il principio sia del potere civile, sia di quello religioso, e proviene unicamente da Dio. Perciò i due poteri non possono né divergere, né ostacolarsi, né annullarsi a vicenda, dato che non può essere che Dio non sia in armonia con se stesso, né possono essere in contrasto tra loro le Sue opere: ché anzi esse rivelano mirabile accordo di cause ed effetti. È chiaro inoltre che la Chiesa cattolica, mentre porta i suoi vessilli sempre più lontani e sicuri tra le genti, obbedendo ai comandi del suo Fondatore, non invade in alcun modo il territorio del potere civile, né interferisce per nulla nel suo campo d’azione; ma anzi si pone a difesa e a salvaguardia delle genti; a somiglianza di quanto accade con la fede cristiana, che, lungi dall’oscurare la luce della ragione umana, le aggiunge piuttosto splendore, sia con l’allontanarla dall’errore, in cui è facile che l’uomo possa cadere, sia perché la introduce in un mondo di idee più vasto e più elevato. – Per quanto riguarda la Baviera, sono intervenuti particolari accordi tra questa Sede Apostolica e detto Paese: accordi ratificati e consacrati da reciproche convenzioni. La Sede Apostolica, sebbene abbia fatto larghe concessioni relativamente ai propri diritti, ha sempre rispettato tali accordi, come suole fare, integralmente e religiosamente; né ha mai fatto nulla che desse occasione di rimostranze. Per questo è assolutamente auspicabile che le convenzioni siano mantenute e scrupolosamente rispettate da entrambe le parti, sia nella lettera, sia ancor più nello spirito secondo il quale sono state stipulate. – È accaduto in realtà che la concordia venisse turbata e che nascesse un’occasione di conflitto: tuttavia Massimiliano I con un decreto l’attenuò, e successivamente Massimiliano II agì secondo giustizia, sancendo alcune opportune modifiche. Ora apprendiamo che queste disposizioni in tempi recenti sono state abrogate; tuttavia confidando sulla religione e sulla prudenza del Principe che governa il regno di Baviera, speriamo che colui che ha ricevuto come gloriosa eredità il ruolo e la religione dei Massimiliano vorrà personalmente e prontamente provvedere alla difesa dei beni cattolici e, allontanando ogni ostacolo, promuoverne lo sviluppo. Sicuramente gli stessi cattolici (che costituiscono la maggior parte della popolazione: quella parte che senza alcun dubbio si segnala per l’amor di patria e per l’atteggiamento rispettoso verso i governanti) se si vedranno tenuti in giusta considerazione ed esauditi in una questione di tanta importanza, testimonieranno ulteriormente ossequio e lealtà verso il loro Principe, quasi come figli verso il padre, e con accresciuto fervore seguiranno i suoi propositi volti al bene e al prestigio del regno, e si conformeranno pienamente ad essi con tutte le loro forze. – Questo è quanto siamo stati indotti a comunicarvi, Venerabili Fratelli, spinti dal Nostro ufficio Apostolico. Ci rimane da implorare tutti insieme e a gara l’aiuto di Dio, e da invocare come intercessori presso di Lui la gloriosissima Vergine Maria e i Celesti patroni del regno di Baviera, perché Egli annuendo benigno ai nostri comuni voti doni alla Chiesa una tranquilla libertà e conceda alla Baviera di godere di crescente gloria e prosperità. – A voi, Venerabili Fratelli, al clero e a tutto il popolo affidato alla vostra sollecitudine impartiamo con grande affetto l’Apostolica Benedizione, come auspicio dei doni celesti e come testimonianza della Nostra particolare benevolenza.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 22 dicembre 1887, nel decimo anno del Nostro Pontificato.

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO X -“LAMENTABILI SANE EXITU”

Questo decreto della Sacra Congregazione dell’Indice, sottoscritto da S.S. Pio X, quindi parte integrante del suo Magistero Ordinario Universale, stroncava allora i modernisti “novatori” che tentavano la demolizione progressiva dei principii dottrinali della Chiesa Cattolica, per assimilarla al protestantesimo, in vista della sua inevitabile distruzione (se fosse mai possibile!), e stronca i neo modernisti attuali del novus ordo postconciliare, specie se riletto insieme all’Enciclica del Santo Padre Pio XII, l’Humani generis che segnalava il ritorno di un modernismo mutato nella pelle, ma non nella sostanza, anzi ancor più sottile ed accanito di quello denunciato ad esempio dalla Pascendi Dominici Gregis, o dal Syllabo di S. S. Pio IX. Tutte le proposizioni eretiche ed anticattoliche denunciate, condannate e riprovate da questi documenti, sono oggi, più o meno velatamente enunciate, anzi attualmente senza vergogna affermate ipocritamente nella falsa chiesa dell’uomo, preparata da secoli dall’infiltrazione – lenta ma continua – di una quinta colonna della sinagoga di satana, esplosa poi con il conciliabolo c. d. Vaticano secondo – condannato mezzo millennio primo dalla bolla Execrabilis da S. S. Pio II, come sovversivo del Magistero apostolico – e poi sfociato nell’attuale melma liturgica, sacramentale e dottrinale postconciliare, vera fogna di tutte le eresie contenute nella c. d. Nouvelle theologie, parte integrante della nuova falsa chiesa dell’anticristo, capeggiata dai due apostati-marrani araldi di lunga data dell’anticattolicesimo, vere ruspe spazzacristianesimo (si fieri potest!). I frutti di questi lupi travestiti (… e pure in modo maldestro), sono sotto gli occhi di tutti coloro che hanno appena le palpebre socchiuse: Una società totalmente paganizzata e priva di ogni valore e virtù cristiani, ribellione in ogni settore a Dio e alla sua legge, anche naturale, asservimento completo ad ideologie un tempo demoniache, oggi definite democratiche e progressiste. Ma lasciamo perdere, inutile sprecare tempo e tastiera, leggiamo queste proposizioni condannate in eterno ed infallibilmente da S. S. Pio X, cercando di evitarle scrupolosamente tutte, per non finire nello stagno di fuoco serbato agli adepti delle eresie, degli scismi e delle apostasia, in attesa che la Vergine Maria porti al trionfo la vera unica Chiesa di Cristo guidata dal suo legittimo Vicario in terra. Et IPSA conteret caput tuum…

S.S. SAN PIO X

“LAMENTABILI SANE EXITU”

“SUL PERICOLO COSTITUITO DA CERTI ESEGETI CHE, CON L’APPARENZA DI INTELLIGENZA E COL NOME DI CONSIDERAZIONE STORICA, CORROMPONO LA DOTTRINA”

SUPREMA SACRA INQUISIZIONE ROMANA ED UNIVERSALE

Con deplorevoli frutti, l’età nostra, impaziente di freno nell’indagare le somme ragioni delle cose, non di rado segue talmente le novità, che, lasciata da parte, per così dire, l’eredità del genere umano, cade in errori gravissimi. – Questi errori sono di gran lunga più pericolosi qualora si tratti della disciplina sacra, dell’interpretazione della Sacra Scrittura, dei principali misteri della Fede. È da dolersi poi grandemente che, anche fra i Cattolici, si trovino non pochi scrittori i quali, trasgredendo i limiti stabiliti dai Padri e dalla Santa Chiesa stessa, sotto le apparenze di più alta intelligenza e col nome di considerazione storica, cercano un progresso dei dogmi che, in realtà, è la corruzione dei medesimi. Affinché dunque simili errori, che ogni giorno si spargono tra i fedeli, non mettano radici nelle loro anime e corrompano la sincerità della Fede, piacque al Santissimo Signore Nostro Pio per divina Provvidenza Papa X, che per questo officio della Sacra Romana ed Universale Inquisizione si notassero e si riprovassero quelli fra di essi che sono i precipui. Perciò, dopo istituito diligentissimo esame e avuto il voto dei Reverendi Signori Consultori, gli Eminentissimi e Reverendissimi Signori Cardinali Inquisitori generali nelle cose di fede e di costumi, giudicarono che le seguenti proposizioni sono da riprovarsi e da condannarsi, come si riprovano e si condannano con questo generale

Decreto:

1. La legge ecclesiastica che prescrive di sottoporre a previa censura i libri concernenti la Sacra Scrittura non si estende ai cultori della critica o dell’esegesi scientifica dei Libri dell’Antico e del Nuovo Testamento.

2. L’interpretazione che la Chiesa dà dei Libri sacri non è da disprezzare, ma soggiace ad un più accurato giudizio e alla correzione degli esegeti.

3. Dai giudizi e dalle censure ecclesiastiche, emanati contro l’esegesi libera e superiore, si può dedurre che la fede proposta dalla Chiesa contraddice la storia, e che i dogmi cattolici in realtà non si possono accordare con le vere origini della religione cristiana.

4. Il magistero della Chiesa non può determinare il genuino senso delle sacre Scritture nemmeno con definizioni dogmatiche.

5. Siccome nel deposito della fede non sono contenute solamente verità rivelate, in nessun modo spetta alla Chiesa giudicare sulle asserzioni delle discipline umane.

6. Nella definizione delle verità, la Chiesa discente e la Chiesa docente collaborano in tale maniera, che alla Chiesa docente non resta altro che ratificare le comuni opinioni di quella discente.

7. La Chiesa, quando condanna gli errori, non può esigere dai fedeli nessun assenso interno che accetti i giudizi da lei dati.

8. Sono da ritenersi esenti da ogni colpa coloro che non tengono in alcun conto delle riprovazioni espresse dalla Sacra Congregazione dell’Indice e da altre Sacre Congregazioni Romane.

9. Coloro che credono che Dio è l’Autore della Sacra Scrittura sono influenzati da eccessiva ingenuità o da ignoranza.

10. L’ispirazione dei Libri dell’Antico Testamento consiste nel fatto che gli Scrittori israeliti tramandarono le dottrine religiose sotto un certo aspetto particolare in parte conosciuto e in parte sconosciuto ai gentili.

11. L’ispirazione divina non si estende a tutta la Sacra Scrittura al punto che tutte e singole le sue parti siano immuni da ogni errore.

12. L’esegeta, qualora voglia affrontare con utilità gli studi biblici, deve, anzitutto, lasciar cadere quel certo qual preconcetto inerente l’origine sovrannaturale della Sacra Scrittura.

13. Gli stessi Evangelisti e i Cristiani della seconda e terza generazione composero le parabole evangeliche in modo artificioso così da spiegare gli esigui frutti della predicazione di Cristo presso i giudei.

14. Gli Evangelisti riferirono in molte narrazioni non tanto ciò che effettivamente accadde, quanto ciò che essi ritennero maggiormente utile ai lettori, ancorché falso.

15. Gli Evangeli furono soggetti a continue aggiunte e correzioni, fino alla definizione e alla costituzione del canone; in essi, pertanto, della dottrina di Cristo, non rimase che un tenue e incerto vestigio.

16. I racconti d Giovanni non sono propriamente storia, ma mistica contemplazione del Vangelo; i discorsi contenuti nel suo Vangelo sono meditazioni teologiche sul Mistero della Salvezza, destituite di verità storica.

17. Il quarto Evangelo esagerò i miracoli, non solo perché apparissero maggiormente straordinari, ma anche affinché fossero più adatti a significare l’opera e la gloria del Verbo Incarnato.

18. Giovanni rivendica a sé il ruolo di testimone di Cristo; in verità egli non è che un eccellente testimone di vita cristiana, ovvero della vita di Cristo alla fine del primo secolo.

19. Gli esegeti eterodossi espresso più fedelmente il vero senso della Scrittura di quanto non abbiano fatto gli esegeti cattolici.

20. La Rivelazione non poté essere altro che la coscienza acquisita dall’uomo circa la sua relazione con Dio.

21. La Rivelazione, che costituisce l’oggetto della Fede cattolica, non si è conclusa con gli Apostoli.

22. I dogmi, che la Chiesa presenta come rivelati, non sono verità cadute dal cielo, ma l’interpretazione di fatti religiosi, che la mente umana si è data con travaglio.

23. Può esistere, ed esiste in realtà, un’opposizione tra i fatti raccontati dalla Sacra Scrittura ed i dogmi della Chiesa fondati sopra di essi; sicché il critico può rigettare come falsi i fatti che la Chiesa crede certissimi.

24. Non dev’essere condannato l’esegeta che pone le premesse, cui segue che i dogmi sono falsi o dubbi, purché non neghi direttamente i dogmi stessi.

25. L’assenso della Fede si appoggia da ultimo su una congerie di probabilità.

26. I dogmi della Fede debbono essere accettati soltanto secondo il loro senso pratico, cioè come norma precettiva riguardante il comportamento, ma non come norma di Fede.

27. La Sacra Scrittura non prova la Divinità di Gesù Cristo; ma è un dogma che la coscienza cristiana deduce dal concetto di Messia.

28. Gesù, durante il suo Ministero, non parlava per insegnare di essere il Messia, né i suoi miracoli miravano a dimostrarlo.

29. Si può ammettere che il Cristo storico sia molto inferiore al Cristo della Fede.

30. In tutti i testi evangelici, il nome “Figlio di Dio” equivale soltanto a nome “Messia” e non significa assolutamente che Cristo è vero e naturale Figlio di Dio.

31. La dottrina su Cristo, tramandata da Paolo, Giovanni e dai Concili Niceno, Efesino e Calcedonense, non è quella insegnata da Gesù, ma che su Gesù concepì la coscienza cristiana.

32. Non è possibile conciliare il senso naturale dei testi evangelici con quello che i nostri teologi insegnano circa la coscienza e la scienza infallibile di Gesù Cristo.

33. È evidente a chiunque non sia influenzato da opinioni preconcette che Gesù ha professato un errore circa il prossimo avvento messianico, o che la maggior parte della sua dottrina, contenuta negli Evangeli sinottici, è priva di autenticità.

34. Il critico non può affermare che la scienza di Cristo non sia circoscritta da alcun limite, se non ponendo ipotesi – non concepibile storicamente e che ripugna al senso morale – secondo la quale Cristo abbia avuto la conoscenza di Dio in quanto uomo e non abbia voluto in alcun modo darne notizia ai discepoli e alla posterità.

35. Cristo non ebbe sempre la coscienza della sua dignità messianica.

36. La Risurrezione del Salvatore non è propriamente un fatto di ordine storico, ma un fatto di ordine meramente sovrannaturale, non dimostrato né dimostrabile, che la coscienza cristiana lentamente trasse dagli altri.

37. La Fede nella Risurrezione di Cristo inizialmente non fu tanto nel fatto stesso della Risurrezione, quanto nella vita immortale di Cristo presso Dio.

38. La dottrina concernente la Morte espiatrice di Cristo non è evangelica, ma solo paolina.

39. Le opinioni sull’origine dei Sacramenti, di cui erano imbevuti i Padri tridentini, e che senza dubbio ebbero un influsso nei loro Canoni dogmatici, sono molto distanti da quelle cui ora gli storici del Cristianesimo dànno credito.

40. I Sacramenti ebbero origine perché gli Apostoli e i loro successori interpretarono una certa idea e intenzione di Cristo, sotto la persuasione e la spinta di circostanze ed eventi.

41. I Sacramenti hanno come unico fine di ricordare alla mente dell’uomo la presenza sempre benefica del Creatore.

42. La comunità cristiana inventò la necessità del Battesimo, adottandolo come rito necessario e annettendo ad esso gli obblighi della professione cristiana.

43. L’uso di conferire il Battesimo ai bambini fu un’evoluzione disciplinare, ragion per cui il Sacramento è diventato due, cioè il Battesimo e la Penitenza.

44. Nulla prova che il rito del Sacramento della Confermazione sia stato istituito dagli Apostoli; la formale distinzione di due Sacramenti, cioè del Battesimo e della Confermazione, non risale alla storia del cristianesimo primitivo.

45. Non tutto ciò che narra Paolo a proposito dell’istituzione dell’Eucaristia [I Cor., 11, 23-25] è da considerarsi fatto storico.

46. Il concetto della riconciliazione del Cristiano peccatore, per autorità della Chiesa, non fu presente nella comunità primitiva: fu la Chiesa ad abituarsi lentamente a questo concetto. Per di più, dopo che la Penitenza fu riconosciuta quale istituzione della Chiesa, non veniva chiamata col nome di Sacramento, poiché era considerata come Sacramento vergognoso.

47. Le parole del Signore “Ricevete lo Spirito Santo; a coloro ai quali rimetterete i peccati saranno rimessi e a coloro ai quali non li rimetterete non saranno rimessi” [Joh., 20, 22-23] non si riferiscono al Sacramento dellaPenitenza, anche se i Padri tridentini vollero affermarlo.

48. Giacomo, nella sua epistola [Jac., 5, 14 sqq.], non volle promulgare un Sacramento di Cristo, ma raccomandare una pia pratica e se in ciò riconobbe un certo qual mezzo di Grazia, non lo intese con quel rigore con cui lo intesero i teologi che stabilirono la nozione e il numero dei Sacramenti.

49. Coloro che erano soliti presiedere alla cena cristiana acquisirono il carattere sacerdotale per il fatto che essa progressivamente andava assumendo l’indole di un’azione liturgica.

50. Gli anziani che, nelle adunanze dei Cristiani, esercitavano l’ufficio di vigilanza, furono dagli Apostoli creati preti o vescovi per provvedere all’ordinamento necessario delle crescenti comunità, e non propriamente per perpetuare la missione e la potestà Apostolica.

51. Il Matrimonio fu riconosciuto dalla Chiesa come Sacramento della nuova Legge solo molto tardi; infatti, perché il Matrimonio fosse considerato Sacramento, era necessario che lo precedesse la piena dottrina della Grazia e la spiegazione teologica del Sacramento.

52. Cristo non volle costituire la Chiesa come società duratura sulla terra, per lunga successione di secoli; anzi, nella mente di Cristo, il regno del Cielo, unitamente alla fine del mondo, doveva essere prossimo.

53. La costituzione organica della Chiesa non è immutabile; ma la società cristiana, non meno della società umana, va soggetta a continua evoluzione.

54. I dogmi, i sacramenti, la gerarchia, sia nel loro concetto come nella loro realtà, non sono che interpretazione ed evoluzioni dell’intelligenza cristiana, le quali svilupparono e perfezionarono il piccolo germe latente nel Vangelo con esterne aggiunte.

55. Simon Pietro non ha mai sospettato di aver ricevuto da Cristo il primato nella Chiesa.

56. La Chiesa Romana diventò capo di tutte le Chiese non per disposizione della Divina Provvidenza, ma per circostanze puramente politiche.

57. La Chiesa si mostra ostile ai progressi delle scienze naturali e teologiche.

58. La verità non è immutabile più di quanto non lo sia l’uomo stesso, poiché si evolve con lui, in lui e per mezzo di lui.

59. Cristo non insegnò un determinato insieme di dottrine applicabile a tutti i tempi e a tutti gli uomini, ma piuttosto iniziò un certo qual moto religioso adattato e da adattare a diversi tempi e circostanze.

60. La dottrina cristiana fu, nel suo esordio, giudaica; poi divenne, per successive evoluzioni, prima paolina, poi giovannea, infine ellenica e universale.

61. Si può dire senza paradosso che nessun passo della Scrittura, dal primo capitolo della Genesi fino all’ultimo dell’Apocalisse, contiene una dottrina perfettamente identica a quella che la Chiesa insegna sullo stesso argomento, e perciò nessun capitolo della Scrittura ha lo stesso senso per il critico e per il teologo.

62. Gli articoli principali del Simbolo apostolico non avevano per i Cristiani dei primi tempi lo stesso significato che hanno per i Cristiani del nostro tempo.

63. La Chiesa si dimostra incapace a tutelare efficacemente l’etica evangelica, perché ostinatamente si attacca a dottrine immutabili, inconciliabili con i progressi odierni.

64. Il progresso delle scienze richiede una riforma del concetto che la dottrina cristiana ha di Dio, della Creazione, della Rivelazione, della Persona del Verbo Incarnato e della Redenzione.

65. Il Cattolicesimo odierno non può essere conciliato con la vera scienza, a meno che non si trasformi in un cristianesimo non dogmatico, cioè in protestantesimo lato e liberale.

Nella seguente Feria V, il giorno 4 dello stesso mese ed anno, fatta di tutte queste cose accurata relazione al Santissimo Signor Nostro Pio Papa X, Sua Santità approvò e confermò il Decreto degli Eminentissimi Padri e diede ordine che tutte e singole le sopra enumerate proposizioni siano considerate da tutti come riprovate e condannate.

Dato a Roma, presso il Palazzo del Sant’Uffizio, il giorno 3 del mese di Luglio dell’Anno 1907

Pietro Palombelli,

Notaro della Sacra Inquisizione Romana ed Universale

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. LEONE XIII – “SPECTATA FIDES”

Questa breve lettera Enciclica sottolinea l’importanza dell’educazione religiosa dei giovani nelle scuole, sia nell’apprendimento dei principi di fede, che di quelli morali cristiani: « … Invero, in tempi come questi, in cui tanti e diversi pericoli incombono ovunque sulla ingenua e tenera età dei fanciulli, a malapena si potrebbe escogitare alcunché di più opportuno che congiungere l’educazione letteraria con l’insegnamento della dottrina della fede e della morale… Il pernicioso errore di coloro i quali preferiscono che i fanciulli crescano senza alcuna educazione religiosa distrugge infatti tutta l’antica saggezza e reca danno allo stesso fondamento del vivere felice. » Cosa dire oggi, quando i giovani studenti delle scuole statali, volutamente non solo atee, ma anticristiane in ogni loro insegnamento, che spacciano ideologie che farebbero arrossire i più accaniti pagani di un tempo, il tutto accettato e sottoscritto – anche se ipocritamente non in modo diretto – dalle false autorità religiose, che millantano un Cristianesimo di facciata che copre vergognose realtà presenti addirittura nei seminari e nelle istituzioni accademiche oggi dominanti in modo sacrilego tutto l’orbe un tempo cristiano. Questa è una delle radici più perniciose della nostra ultrapagana società, che si pretende oltretutto libera e democratica, in verità corrotta ed aperta ad ogni vento di dottrine blasfeme ed ingiuriose verso Dio e la sua Chiesa, e sulla quale si abbattono, e continueranno ad abbattersi, mali tenebrosi e mortali, fisici e spirituali, schiava com’è di loschi e usurpanti figuri guidati dalle logge di perdizione e da entità manifestamente demoniache.

Leone XIII
Spectata fides

Lettera Enciclica

La vostra provata fede e la vostra singolare devozione verso questa Sede Apostolica mirabilmente risplendono nella lettera comune che di recente abbiamo ricevuto da voi. Essa giunge a Noi molto più gradita in quanto conferma chiaramente ciò che già sapevamo: che cioè gran parte della vostra solerzia e dei vostri pensieri è rivolta ad un’attività per la quale nessun impegno può essere tanto grande, da ritenere che nessun altro possa essere considerato di maggiore importanza. Ci riferiamo alla educazione cristiana dei vostri adolescenti, su cui di recente, ascoltati i consigli, avete preso utili provvedimenti che decideste di riferire a Noi. – Davvero è per Noi motivo di letizia che in un’impresa tanto importante voi, Venerabili Fratelli, non operiate da soli. Infatti non ignoriamo quanto sia dovuto, in proposito, all’intero ordine dei vostri Presbiteri, i quali ebbero cura di aprire scuole per i fanciulli, con somma carità e con animo indomito di fronte alle difficoltà; essi poi, assunto il compito di educare, con impegno e assiduità mirabile dedicano la loro attività ad indirizzare i giovani alla morale cristiana e ai primi studi letterari. Perciò, per quanto può la Nostra voce incoraggiare ancor più o contribuire a una meritata lode, continuino i vostri sacerdoti a rendersi benemeriti nei riguardi dei fanciulli e godano dell’approvazione e del particolare Nostro affetto, in attesa di ben altra consolazione da Dio Signore, per la cui causa essi si prodigano. Né riteniamo degna di minore considerazione la generosità dei cattolici a tal riguardo. Sappiamo per certo che essi con alacre impegno sono soliti provvedere a tutto il necessario per la tutela delle scuole; che ciò non è opera soltanto dei più dotati di censo ma anche dei meno abbienti e dei poveri; è atto nobile e magnanimo trovare spesso nella stessa povertà i mezzi da offrire lietamente per l’educazione dei fanciulli. Invero, in tempi come questi, in cui tanti e diversi pericoli incombono ovunque sulla ingenua e tenera età dei fanciulli, a malapena si potrebbe escogitare alcunché di più opportuno che congiungere l’educazione letteraria con l’insegnamento della dottrina della fede e della morale. Più di una volta abbiamo detto che approviamo cordialmente siffatte scuole, che chiamano libere, in Francia, in Belgio, in America, nelle colonie dell’Impero Britannico, istituite per generoso intervento di privati, e desideriamo che, per quanto è possibile, esse si diffondano e crescano per frequenza di alunni. Noi stessi, considerata la condizione della città, non desistemmo dal curare col massimo impegno e con grandi spese che un buon numero di queste scuole fosse a disposizione dei fanciulli romani. In esse e per mezzo di esse, infatti, si tramanda quella suprema e ottima eredità che ricevemmo dai nostri maggiori, cioè l’integrità della fede cattolica; inoltre, in esse si provvede alla libertà dei genitori e si educa per lo Stato una buona generazione di cittadini, ciò che in tanta licenza di opinioni e di comportamenti è quanto mai necessario: nessuno, infatti, può far meglio di chi fin dalla fanciullezza ha accolto la fede cristiana nel pensiero e nei costumi. I principi e, per così dire, i semi di tutta la civiltà che Gesù Cristo divinamente trasmise al genere umano consistono nella educazione cristiana dei fanciulli: perciò le città non saranno in futuro diverse da quanto la prima educazione ha infuso nei fanciulli. Il pernicioso errore di coloro i quali preferiscono che i fanciulli crescano senza alcuna educazione religiosa distrugge infatti tutta l’antica saggezza e reca danno allo stesso fondamento del vivere felice. Perciò comprendete, Venerabili Fratelli, con quanta preveggenza i padri di famiglia debbano evitare che i loro figli siano affidati a quelle dispute letterarie in cui non possono trovar posto i precetti religiosi. Per quanto riguarda la vostra Inghilterra, ci risulta che non solo voi ma in generale molti dei vostri seguaci sono non poco solleciti nell’educare i fanciulli alla religione. – Sebbene essi non concordino con Noi in ogni parte, comprendono tuttavia quanto importi, sia al privato, sia alla collettività, la sopravvivenza del patrimonio della sapienza cristiana che i vostri proavi ricevettero dal Predecessore Nostro Gregorio Magno tramite Sant’Agostino e che le fiere tempeste scatenate in seguito non distrussero completamente. Sappiamo che oggi vi sono molte persone che con eccellente disposizione d’animo si preoccupano di conservare, con tutto lo zelo possibile, la fede avita e spargono non pochi né esigui frutti di carità. Ogni volta che riflettiamo su questo fatto, Ci sentiamo commossi: seguiamo infatti con amore paterno codesta Isola che meritatamente è stata definita nutrice di santi: e in tale disposizione d’animo, cui accennammo, scorgiamo la più viva speranza e quasi un pegno sicuro della salute e della prosperità degli Inglesi. Quindi perseverate, Venerabili Fratelli, a curare soprattutto gli adolescenti; estendete ovunque la vostra missione episcopale, e con alacrità e fiducia coltivate la buona semente ovunque pensiate che sia: Dio poi darà un ricco accrescimento di misericordia. – Come auspicio di celesti doni e come testimonianza della Nostra benevolenza, a voi, al clero e al popolo a ciascuno di voi affidato, con grande affetto, nel nome del Signore impartiamo l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 27 novembre 1885, nell’anno ottavo del Nostro Pontificato.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO IX – “PROBE NOSCITIS”

Si nota con felice stupore, come pure in questa breve lettera Enciclica, inviata ai Vescovi spagnoli in occasione degli accordi della Santa Sede con i reali di quella gloriosa Nazione, a salvaguardia della libertà della santa Religione Cattolica, il Santo Padre S. S. Pio IX, riesca ad esprimere profondi concetti spirituali spronando con sapienza ispirata l’azione dei prelati in oggetto in particolare nel ripristino dei Concili provinciali e dei Sinodi diocesani « … e di consacrare costantemente tutte le Vostre cure, i Vostri pensieri, i Vostri impegni, le Vostre riflessioni a che coloro i quali si sono dedicati al ministero divino, memori della propria vocazione, indirizzino il proprio modo di vivere secondo la regola dei Sacri Canoni e della disciplina ecclesiastica, e si distinguano per la severità dei costumi, la santità della vita e il pregio della dottrina salvifica, e offrano al popolo cristiano esempi di ogni virtù, adempiano con diligenza, sapienza e pietà i doveri del proprio ministero, e si dedichino con il più grande zelo alla salvezza delle anime …». Ecco il ritornello costante in molte Lettere non solo di questo Vicario di Cristo, ma di tanti suoi predecessori e successori: lo zelo ardente per la salvezza delle anime, impegno essenziale e gravoso di ogni prelato e servo del Signore, senza il quale non c’è salvezza per nessuno, Gerarchia e fedeli laici ad essa affidati. È l’opposto degli antipapi che dal 1958 si sono succeduti truffaldinamente sulla Cattedra di Pietro, usurpandola indegnamente e propagando – con i loro pseudovescovi mai consacrati da formule invalide – errori dottrinali, liturgici, ambiguità pseudocristiane, il più spesso sottilmente gnostiche, falsi teologici, eresie e tesi già da tempo anatemizzate in Documenti ecclesiastici vari, il tutto volto alla perdizione delle anime proprie e dei sedicenti fedeli, colpevoli di ignoranza teologica la più elementare, rei di vincibilissima ignoranza con gravi ed irrisolti dubbi di coscienza trattati con noncuranza e superficialità, e perciò degni di mortale ed eterna condanna, secondo la dottrina morale approvata, di S. Alfonso M. dei Liguori. Questo zelo deve essere oggi appannaggio dei pochi prelati fedeli e dei residui laici Cattolici [il pusillus grex] in unione col Santo Padre felicemente regnante, benché impedito dalle forze del male, soprattutto – il falso profeta di apocalittica profetica memoria – da quelle insediate nel colle Vaticano e nelle sedi diocesane dell’orbe un tempo cattolico.

Pio IX
Probe noscitis

Conoscete bene, Venerabili Fratelli, quali e quante cure fin dall’inizio del Nostro Pontificato Noi ci siamo presi per ristabilire e ricomporre la situazione della Chiesa Cattolica in codesto nobilissimo Regno, e quale Accordo sia stato raggiunto, dopo lunga e faticosa trattativa, con la carissima Figlia Nostra in Cristo Maria Elisabetta, Regina Cattolica di Spagna. E non ignorate con quale interesse e intensità abbiamo voluto che, tra l’altro, fosse previsto e sancito nel suddetto Accordo soprattutto che la Chiesa potesse apertamente fruire di tutti i suoi diritti, dei quali gode per la sua divina istituzione e per la sanzione dei Sacri Canoni, e che Voi tutti, rimosso ogni impedimento, aveste intera e piena libertà nell’esercizio dei doveri del Vostro ministero episcopale. – Ma, sebbene non dubitiamo che Voi, per la singolare fedeltà alla Chiesa e per la Vostra pastorale sollecitudine, porrete ogni sforzo, ogni energia e diligenza nel difendere la libertà della Chiesa e nel tutelare i Vostri diritti episcopali, abbiamo tuttavia ritenuto opportuno incoraggiarvi a perseguire tale fine. Perciò con questa Nostra Lettera, con profondo affetto del Nostro cuore, Vi confortiamo, Venerabili Fratelli, e con insistenza stimoliamo la Vostra scrupolosità e virtù e vigilanza episcopale affinché, in considerazione dell’ufficio che occupate e della dignità della quale siete insigniti, Vi sforziate di esercitare e difendere con fermezza, costanza e prudenza tutti i punti che sono stati definiti nell’Accordo soprattutto per affermare la incolumità della Chiesa e la libertà del Vostro ministero episcopale. – E poiché, data la Vostra sapienza, sapete benissimo quanto giovi al bene della Chiesa la concordia sacerdotale e fedele degli animi, delle volontà e dei pensieri, con energia Vi esortiamo nel Signore e Vi scongiuriamo perché tutti unanimi e con identici sentimenti reciproci cerchiate di comune accordo di adottare un medesimo ed unico metodo di azione per propugnare la causa e i diritti della Chiesa stessa e per esercitare liberamente tutti gli aspetti del Vostro ufficio e del Vostro sacro ministero episcopale in conformità di ciò che nell’Accordo è stato stabilito e sancito. – Ma affinché con maggiore facilità e vantaggio si rafforzino ogni giorno di più questa tanto necessaria concordia spirituale e l’identico modo di azione, non tralasciate, Venerabili Fratelli, soprattutto in queste circostanze, di scambiarvi per lettera i Vostri giudizi specialmente sugli affari di maggiore importanza, in modo che coloro tra Voi che sono insigniti della dignità arcivescovile, dopo essersi anzitutto informati reciprocamente e consultati con cura sulle questioni, informino diligentemente i propri suffraganei sulle decisioni prese, in modo che Voi tutti, animati da quello zelo religioso per il quale eccellete, abbiate un unico e medesimo metodo, grazie al quale con energie unite e concertato impegno possiate promuovere la maggior gloria di Dio, conservare integri e inviolati i venerandi diritti della Chiesa, provvedere alla salvezza delle anime, salvaguardare intatto il libero esercizio del Vostro ministero episcopale. – E poiché, Venerabili Fratelli, sapete perfettamente e avete verificato quanto copiosi e salutari frutti il popolo cristiano riceva dalle sacre Assemblee dei Vescovi, suggerite con tanto vigore specialmente dal Sinodo Tridentino, non trascurate, dopo che Vi siate reciprocamente consultati per lettera sulle questioni più importanti, di ristabilire con ogni impegno la celebrazione dei Concilii Provinciali da tempo interrotta costì a causa delle avverse circostanze, affinché, esaminate con cura le necessità di ciascuna Provincia e assunto e fissato un medesimo metodo di azione, siate in grado, con l’aiuto di Dio, per la Vostra singolare virtù, di ricercare con prudenza, cura e sollecitudine pastorale ciò che nei popoli affidati alla Vostra vigilanza è andato perduto, di ripristinare ciò che è stato trascurato, di ricostruire ciò che è stato infranto, di consolidare ciò che si è indebolito e di adoperarvi in ogni modo perché la nostra divina religione e la sua dottrina di salvezza ogni giorno di più si rinvigoriscano, fioriscano e prevalgano in codeste regioni. – E non tralasciate di convocare anche i Sinodi Diocesani, secondo la prescrizione del medesimo Concilio Tridentino, e di consacrare costantemente tutte le Vostre cure, i Vostri pensieri, i Vostri impegni, le Vostre riflessioni a che coloro i quali si sono dedicati al ministero divino, memori della propria vocazione, indirizzino il proprio modo di vivere secondo la regola dei Sacri Canoni e della disciplina ecclesiastica, e si distinguano per la severità dei costumi, la santità della vita e il pregio della dottrina salvifica, e offrano al popolo cristiano esempi di ogni virtù, adempiano con diligenza, sapienza e pietà i doveri del proprio ministero, e si dedichino con il più grande zelo alla salvezza delle anime. I sacerdoti si adoperino a che i giovani chierici, fin dai più teneri anni, siano tempestivamente plasmati alla pietà, alla virtù e allo spirito ecclesiastico e siano con somma diligenza istruiti nelle lettere e specialmente nelle sacre discipline, lontano da ogni pericolo di errore; a che i fedeli a Voi affidati siano sempre più nutriti di parole di fede e confermati per mezzo dei carismi della grazia, crescano nella conoscenza di Dio e camminino nelle vie del Signore e non si lascino mai ingannare e indurre in errore da parte dei fabbricanti di menzogna e dei cultori di dottrine perverse. – E poiché, come ognuno di Voi intende benissimo, non vi è nulla che tanto influisca sulla integrità della società civile e di quella sacra, quanto la retta educazione della gioventù, non desistete mai dal vegliare con estrema sollecitudine perché in tutte codeste scuole, sia pubbliche, sia private, sia trasmessa la vera dottrina cattolica e perché la gioventù sia accuratamente educata ai precetti della nostra santissima religione. Certo non Ci sfugge affatto, Venerabili Fratelli, a quali e quanto gravi angustie e difficoltà sia soggetto il ministero episcopale, soprattutto in questa così grande iniquità dei tempi, e non ignoriamo che Voi dovete intensamente affaticarvi e vegliare nell’adempiere tutti gli obblighi di codesto onerosissimo ministero. Ma nessuna fatica, nessuna molestia Vi distolga mai dal dovere del Vostro ufficio; anzi, fiduciosi nell’aiuto divino, operate con coraggio per la gloria di Dio e la causa della sua santa Chiesa e per la salvezza eterna degli uomini, avendo davanti agli occhi quella immarcescibile corona di gloria che dall’eterno Principe dei Pastori e stata promessa a chi è perseverante. – Mentre Noi siamo assolutamente certi che Voi con grande generosità soddisferete a queste Nostre attese, senza alcun dubbio nutriamo fiducia che la Nostra carissima Figlia in Cristo Maria Elisabetta, per la sua avita pietà, e che i suoi Ministri, considerando quanto la nostra santissima Religione e la sua dottrina giovino alla prosperità e tranquillità dei popoli, Vi saranno di valido aiuto affinché possiate esercitare con successo e profitto tutti i doveri del Vostro ministero episcopale. – Frattanto non tralasciamo di rivolgere, nell’umiltà del Nostro cuore, fervide preghiere al Padre clementissimo delle misericordie e al Dio della piena consolazione, perché nell’abbondanza della sua divina grazia voglia sempre assistervi propizio e benedica le Vostre cure e fatiche pastorali, in modo che i fedeli affidati alla Vostra cura procedano degnamente graditi in tutto a Dio e producano frutti in ogni opera buona. – Come auspicio della protezione soprannaturale e pegno del Nostro ardente affetto verso di Voi, a Voi, Venerabili Fratelli, e a tutti i Chierici e Laici fedeli affidati alla Vostra pietà con grande amore impartiamo di cuore la Benedizione Apostolica.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 17 maggio 1852, nell’anno sesto del Nostro Pontificato.