Omelia di S.S. Papa Gregorio XVII (Giuseppe Siri)

Omelia di S.S. Papa Gregorio XVII (Giuseppe Siri) nella festa dei Santi Pietro e Paolo del 1974

[Liberamente adattata da: Omelie dell’anno liturgico – ed. Fede e Cultura, Verona, 2008]

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(…) precisato questo, vorrei intrattenervi brevemente non sul testo, ma su una sola parola del testo. Conferito il primato a Pietro, il primato nella “Sua” Chiesa -(S. Matt. XVI, 18) , Gesù annuncia che le porte, ossia le potenze dell’inferno non sarebbero mai prevalse contro di essa. E su questa impossibilità di prevalenza del male che attiro la vostra attenzione, anche perché tra poco saranno consacrati i nuovi sacerdoti, ed è giusto che essi comincino il cammino nella Chiesa con assoluta sicurezza, ben certi, ben saldi nella fede e ben sicuri della divina protezione in tutto il loro cammino e della fecondità della loro opera, anche quando non ne vedessero direttamente i frutti. Saranno ugualmente ordinati diaconi e anche questi, che con tale atto compiono qualche cosa d’importante e sono per la prima volta investiti del Sacramento dell’Ordine, devono cominciare il loro servizio, diaconia, nella Chiesa con coraggio, con ardimento, e con sicurezza. Tutti dovranno impavidi affrontare tempeste, ed è bene che sappiano con quale forza le affrontano. – Gesù dunque ha detto: “Non praevalebunt”. Non prevarranno (Mt. 16, 18). Che cosa implica questa non prevalenza affermata delle potenze dell’inferno? Vorrei far notare che nella dizione: “potenze dell’inferno” c’entrano anche le potenze di questo mondo, ma è grave per esse che vengano semplicemente chiamate “potenze dell’inferno”, grave perché vuol dire che con tutta la loro superbia non sono altro che dei poveri segugi del diavolo, il che può fare a loro molto onore a rovescio, come del resto la storia sufficientemente dimostra. – Ma questa assicurazione di Cristo, che si traduce con la parola “indefettibilità della Chiesa”, che cosa riguarda? Riguarda l’esistenza della Chiesa: non cesserà mai. La parola divina non può essere smentita. Riguarda l’istituzione della Chiesa, riguarda la costituzione della Chiesa; cioè il complesso sacramentale e giuridico nel quale Gesù Cristo ha definito la sua Chiesa. Insomma vuol dir questo: la Chiesa non solo resterà fino alla dei tempi, ma non cambierà, perché nella sua sostanza – beninteso non parliamo delle cose esterne, accidentali, a cominciare dalle vesti -, nella sua sostanza non potrà deformarsi e pertanto non potrà cambiare. Questo è l’oggetto dell’annuncio dato da Cristo. Vorrei far notare che quest’annuncio per quel che riguarda la Chiesa è il più imponente, il più grave di tutto il Nuovo Testamento, perché, se Gesù Cristo non avesse pronunciato queste parole, noi potremmo essere nel dubbio ogni momento di trovarci all’agonia, mentre all’agonia ci vanno i singoli uomini, ci vanno le nazioni, ci vanno le civiltà, ci vanno le culture, ci vanno i movimenti; tutto va all’agonia, meno che la Chiesa. Essa solo resta. Resta non per sopravvivere, ma per vivere con Cristo e, se volete, in via incidentale, resta anche per fare il funerale a tutti gli altri, che faranno bene ad aspettarselo. – Però io chiedo: come il Signore assicurerà questa non prevalenza del male? Non ve lo so dire. Ma non ve lo saprebbe dire nessuno, perché le vie di Dio sono infinite, e non solo per il numero, ma per la loro ingegnosità e profondità a noi assolutamente recondite. Tuttavia, qualche cosa possiamo osservare ed è questo: che le vie di Dio possono camminare per i sentieri più pericolosi, possono affrontare i pericoli che sarebbero per ogni altra cosa mortali – e ne abbiamo avuta una dimostrazione molto brillante in questi ultimi tempi -, le vie di Dio possono incontrarsi con chiunque, le vie di Dio possono mancare anche, direi, di pavimento sul quale stendersi, ma continuano. Ossia una cosa sappiamo: che le vie di Dio per salvar la Sua Chiesa non hanno bisogno di trovarsi in similarità con tutte le cose, che in questo mondo, annaspando, cercano di salvarsi. Le vie di Dio non hanno bisogno di annaspare, ma possono giocare con tutti i pericoli che gli uomini stimano a buon diritto per sé e per gli altri assolutamente mortali. Ma data, come potevo dare, una risposta a questa domanda, debbo venire a una precisazione che ci tocca molto da vicino. – Gesù ha garantito l’indefettibilità della Sua Chiesa: tale suona la non prevalenza delle potenze dell’inferno su di essa. Ma non ha affatto garantiti i nostri comodi; questi no, non li ha garantiti! E questo costituisce uno degli aspetti – lasciatemi dire – più vari e più pittoreschi di questa divina storia, che passa da signora tra le cose umane. Anzi per quel che ci riguarda Nostro Signore ci ha annunciato che saremmo perseguitati, e lo “siamo già”. Proprio in questi giorni si sta tramando per togliere respiro e vita agli asili parrocchiali, atto che denuncio assolutamente persecutorio, e veramente persecutorio. Nostro Signore ci ha annunciato che per far questo mentiranno a cagione del Suo nome (cfr. S. Matt. V, 11). – Nostro Signore non ci ha garantito che questa nazione o quell’altra rimarrà fedele fino alla fine dei tempi. Le può cambiare: al posto dell’Italia può mettere la Cina (….) al posto dei nostri vicini può benissimo mettere qualche altra nazione africana, e può venire il tempo in cui noi possiamo essere evangelizzati dai neri, tanto per imparare una buona volta l’umiltà intellettuale, almeno quella. Gesù Cristo non ci ha garantito nessun comodo, o di vedere noi il frutto dei nostri sacrifici. E tra le cose più abituali vi è il fatto che questa amorosa Provvidenza, che vuole noi soprattutto carichi di meriti, perché ci vuole soprattutto carichi di gloria e di felicità nella vita eterna -, questa eterna Provvidenza può anche toglierci di aver sollievo e godimento e riposo nello stesso nostro lavoro. Noi possiamo vedere cadere tutto, noi possiamo vedere rasa la terra, noi possiamo benissimo dover “scendere un’altra volta in catacomba”: tutto questo non ha importanza per chi ha fede, perché sta scritto: “Non prevarranno”. “La Chiesa è già uscita tante volte dalle catacombe”, non soltanto quando con l’Editto di Costantino nel 313 ha avuto per la prima volta un riconoscimento di libera esistenza, ma tante volte, perché in tutte le nazioni ha conosciuto dei momenti di persecuzione selvaggia, sanguinosa, e anche nel nostro tempo esistono punti della terra nei quali la Chiesa è soggetta a persecuzione selvaggia, sanguinosa, antigiuridica, contraria a tutti i principi, compresa ben intesa quella che vale meno degli altri: “la Carta dell’ONU”. Può subire tutto. “Non ha importanza che le nostre persone prevalgano! Non sono esse che devono prevalere, ma è l’istituzione, e questa prevarrà”. – Però c’è da consolarsi, perché, siccome la prevalenza completa della Chiesa sta nel poter consegnare a Dio delle anime salve – badate bene che la garanzia data alla vita della Chiesa diviene la garanzia che molte anime si salveranno -, il nostro ministero, che può anche passare attraverso l’aridità, la contraddizione, la contestazione – una piacevolezza anche quella -, il nostro ministero salverà delle anime. Noi non le vedremo in faccia in questo mondo, “Noi” non potremo enumerarle, “Noi” non sapremo, ma la loro salvezza passerà attraverso il nostro ministero, perché il Sacramento dell’Ordine, del quale, cari figlioli, sarete tra poco investiti, diventa produttivo di per se stesso. Il carattere impresso dall’Ordine resta per sempre ed è produttivo, perché è titolo di Grazia e di Grazia efficace. – Pertanto vi esorto a non guardare molto intorno e indietro a voi: avreste il pericolo di amare le chiesuole. E se voi doveste amare le chiesuole vostre, dovreste piangere molte cose e molti disguidi, che sogliono seguire – e quanto lo sentiamo! – alle chiesuole. Ma andate avanti con gli occhi chiusi, senza cercare intorno, aperti gli occhi dell’anima nella fede, sapendo che tutto lascerete di bene intorno a voi e dietro a voi e raggiungendo l’oggetto del vostro lavoro e delle vostre fatiche con la fede più che con la constatazione, lasciando a Dio di vedere. E Dio, quando Lo lasceremo solo a vedere, moltiplicherà i frutti del nostro lavoro. – Così sia.

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Si tratta di un’omelia del Papa, per la cui bocca, guidata dallo Spirito Santo, parla il divino Maestro. Notevoli sono i passaggi, messi in grassetto, nei quali il Santo Padre invita alla fiducia cieca nella parola di Gesù Cristo, e questo anche se la vera Chiesa di Cristo dovrà scendere, come profeticamente annunciato, nelle “catacombe”, così come lo è attualmente, e così come la Santa Vergine l’aveva predetto nell’Apparizione di La Salette: “la Chiesa sarà eclissata”!

S.S. GREGORIO XVII – Omelia per S. Giovanni, 24-6-1986

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Tra la fine dell’XI e l’inizio del XII sec. si verificano a Genova due eventi di grande rilievo: nasce il Comune e i Genovesi partecipano trionfalmente alla prima Crociata. Genovesi, Baresi e Veneziani da tempo erano alla ricerca delle reliquie di San Nicola a Myra, in Asia minore; al ritorno dalla prima crociata, sotto la guida di Guglielmo Embriaco, i Genovesi sbarcarono in quei luoghi scoprendo di essere stati preceduti dai Baresi. Temendo un raggiro dei monaci scavarono comunque sotto l’Altare Maggiore e rinvennero così le ceneri di San Giovanni Battista; l’arrivo delle Ceneri a Genova su tre vascelli nel 1098 fu un avvenimento memorabile per la città e viene rievocato dalla suggestiva Sfilata del Corteo Storico in occasione della Regata delle Repubbliche Marinare che si svolge ogni anno, a rotazione nelle quattro città. La devozione al Santo cominciò a farsi sempre più fervente e a riflettersi in molti campi: iniziarono a sorgere numerose cappelle pubbliche e private oltre che edicole sacre dedicate al Battista. – Alla fine del Duecento si istituì la Confraternita intitolata a San Giovanni, con il compito di accompagnare le reliquie al Molo in caso di tempesta in mare; nel 1327 la Repubblica proclamò il Santo Patrono di Genova, affiancandolo a San Giorgio e San Lorenzo, decretando una processione da tenersi ogni anno. – Le ceneri di San Giovanni sono conservate nella cattedrale di Genova, luogo dove il Santo Padre in esilio, Giuseppe Siri, S. S. Gregorio XVII, di felice memoria, svolgeva il suo ufficio di Arcivescovo, mentre a Roma il “vicario dell’anticristo” dava inizio e proseguimento all’opera demolitiva della Santa Chiesa Cattolica. Ecco perché in ogni omelia di questo giorno il Santo Padre ricordava l’evento. Così avvenne anche il 24 giugno del 1986, tre anni circa prima della sua morte, avvenuta il 2 maggio del 1989. Riportiamo qui alcuni passaggi di quella omelia [da: omelie per l’anno liturgico]:

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“La divina liturgia nella solennità di S. Giovanni Battista in questa cattedrale freme, perché questa cattedrale custodisce da nove secoli quello che rimane di lui, le sue ceneri. – Ma dobbiamo guardare a lui. Ecco il quadro nel quale egli risalta. La storia dell’umanità intera si divide in due parti: avanti Cristo e dopo Cristo, e questo può essere dimostrato, anche se non è l’oggetto del mio parlare ora. Quest’uomo ha fatto il collegamento tra la prima e la seconda parte. Ha riassunto la prima, portandosi con la dignità e la fortezza di Elia, il più grande profeta dell’Antico Testamento, e ha aperto la seconda parte, facendo il precursore di Cristo. Questo è il quadro nel quale bisogna vedere S. Giovanni Battista. – Ma siccome la sua figura deve insegnare qualche cosa a noi, ecco mi domando: quale è stata la più grande virtù di S. Giovanni Battista? E stata la fedeltà. Quando gli hanno domandato se era lui il Messia, ha detto: “No, io non lo sono. Verrà uno dopo di me del quale io non sono degno neppure di sciogliere il legaccio dei calzari” (Gv. I, 27). Quando gli è stata rivolta in una seconda occasione la stessa domanda, ha risposto: “Io sono soltanto la voce che grida nel deserto” (Gv I, 23), insegnando questo: che un uomo vale quanto la sua missione, che se non la adempie vale nulla! Egli non era altro che la voce, cioè l’annunziatore di Cristo, il resto non lo riguardava. – Per essere fedele a questa missione visse nel deserto, vestì una tunica di peli di cammello, e tutti possono immaginare quanto fosse delizioso il portarla; visse di schiacciate di locuste (forse noi ne avremmo un profondo ribrezzo) e di miele selvatico. Abbiamo notato, quando circa quarant’anni fa, ho fatto esaminare le sacre ceneri nell’istituto di patologia della Università di Genova, che il responso scientifico dato tra l’altro portava questo: il soggetto di queste ceneri deve aver condotto una vita non di lavoro manuale, ma di lavoro spirituale ; non si trovano le tracce di fatica da lavoro. La fedeltà della missione, e cioè il dovere di prepararla degnamente, lo portò nel deserto e vi restò fin quasi a trent’anni. La fedeltà: quando i suoi discepoli gli parlarono di Gesù e, invidiosi, facevano notare che riempiva di miracoli lo spazio e il tempo, egli disse semplicemente: “E necessario che Lui cresca e io diminuisca” (Gv 3, 30). – La fedeltà lo rese rigido nella vita morale e nella asserzione della morale, e quando questo lo pose in opposizione ad Erode, accettò la prigione e accettò la morte. È morto martire per difendere la dignità dell’istituto familiare quale lo voleva Dio e resta ancora oggi “il martire di questa fedeltà alla legge di Dio nell’ordinamento della famiglia”, che parte della legislazione moderna ha sconquassato, con questo sconquassando tutto, perché quelli che vedranno, vedranno anche le conseguenze di questo, di questa sfida a Dio!Quest’uomo fedele si leva tra l’una e l’altra parte di storia del genere umano con questa caratteristica, e con questa caratteristica dice anche la sua voce di condanna, che sappiamo bene cade su coloro che non sono fedeli a Cristo. Così sia.

Due Papi, un destino comune: l’esilio!

Papa SILVERIO e Papa Gregorio XVII

SILVERIO PAPA E MARTIRE 20 GIUGNO.

[da: I Santi, per ogni giorno dell’anno. Soc. S. Paolo, Roma 1933]

San Silverio Papa

 Quando l’aprile 536, moriva Papa S. Agapito, succedeva in Roma l’anarchia e già si prevedeva, a sola vista umana, difficile l’elezione d’un successore. Ma l’elezione del Papa è opera dello Spirito Santo ed ecco, all’annuncio del novello Papa, nella persona di Silverio, rifarsi la bonaccia. – Nella politica intanto avvenivano rovesci per l’Italia meridionale: Belisario, generale degli eserciti di Giustiniano, occupava la Sicilia e l’anno dopo il napoletano; poscia si spinse su, su, fino all’occupazione di Roma. Teodora, moglie di Giustiniano Imperatore, seguace dell’eresia di Eutiche, approfittò dell’occupazione di Roma per cercare di ottenere dal Papa che fosse ristabilito Antimo, della sua setta, nella sede episcopale di Costantinopoli. – Belisario, cui fu affidata l’impresa, si presentò al Papa ed espose la sua domanda. Questi però si oppose energicamente: — “Non possumus!” – Non possiamo affidare le pecorelle redente dal sangue, di Cristo, ad un eretico. Ne potrà andar la vita: non importa. Sta scritto nei Vangeli che il buon pastore dà la sua vita per le pecorelle, e noi la daremo se sarà necessario: il Signore è il nostro aiuto ed il nostro sostegno! Dopo altre inutili preghiere, minacele e promesse, Belisario se ne ritornò alla Regina. – Per segreta intesa dei due iniqui, si sparsero calunnie d’ogni sorta contro il santo Pontefice e non mancarono i falsi testimoni. – Condotto dinanzi alla regina lo spogliarono degli abiti pontificali e lo vestirono da semplice monaco; poscia su d’una nave lo relegarono a Pàtara nell’Asia Minore. – AI popolo poi, nel quale già si sentivano i sintomi d’una sollevazione per il malcontento suscitato da questo fatto, si fece credere ch’egli spontaneamente aveva chieste comunicazione col popolo, non poteva palesare la verità. – A Patara, dove sbarcò, fu accolto con grande stima dal vescovo e n’ebbe da questi promessa d’un ricorso a Giustiniano, il quale godeva stima di cristiano e dal quale perciò si sperava giustizia. – Dapprima egli si mostrò dispiacente del fatto e mostrò volontà di adoprarsi onde il Papa fosse rimesso nella sua sede. Giunse anche persino ad ordinare che fosse ricondotto a Roma ma poi, lasciatosi influenzare dalla moglie e dagli eutichiani, accondiscese vilmente che fosse relegato nell’isola di Ponza del gruppo delle Pontine. – In relegazione il santo Pontefice ebbe a soffrire grandi dolori, sete, fame, umiliazioni; ma sempre stette forte nei suoi doveri di cristiano e di Pontefice. – Egli coronò dell’aureola dei martiri la sua vita che, quanto fu poco attiva per la lunga prigionia, altrettanto fu proficua. Perché è sempre vero, e più tangibilmente vero a questi tempi, l’aforisma di Tertulliano: “Sanguis Martyrum semen Christianorum”: il sangue dei Martiri è semenza di cristiani. – Morì abbandonato da tutti il 20 giugno del 538.

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Quante affinità con Gregorio XVII, Cardinal Siri, indicato già come suo successore da Pio XII ed eletto Papa all’unanimità nel conclave del 1958 e subito destituito dai “poteri forti” che manovravano i marrani della “quinta colonna” infiltrati nel conclave e nella Chiesa, con minacce di ogni genere, non escluso l’impiego di armi atomiche. Il Santo Padre fu esiliato così nella sua Genova, costretto a fingere una carica arcivescovile, senza poter esercitare il suo “vero” mandato Apostolico atteso ed accettato, al quale lo aveva designato lo Spirito Santo, dovendo subire ed assistere alle imposizioni sacrileghe degli usurpanti occupanti il soglio di Pietro, come da profezie mariane, che mandavano al massacro [si fueri potest] la Chiesa di Cristo, minandola dal suo interno e propagando perniciose eresie, sempre protetti dai “poteri forti”, braccio operativo di satana. Sofferenza dell’anima vissuta per ben 31 anni, quella di Gregorio XVII, che amava la Chiesa di Cristo al di sopra di ogni altro bene, donando tutto se stesso, in uno stato di sorveglianza continua e totale isolamento pratico, offerto come sofferenza al Gesù del Getsemani, prima di essere stroncato dalle “goccine” di digitale e probabilmente da aqua tofana: martirio nel quale aveva profuso sangue spirituale accomunandosi a Gesù nella Passione dell’orto degli ulivi, passione durata oltre trent’anni in un lento stillicidio offerto per la salvezza della Chiesa e dei suoi veri fedeli. Ma il Signore scrive dritto sulle righe contorte, a dimostrazione della sua potenza che si irride dei vani disegni dell’uomo, anche di quelli che possono utilizzare le armi atomiche ed i mezzi di comunicazione di massa, pensando così di essere arbitri delle sorti del mondo … “irridebit eos Dominus”, ed ha utilizzato questo mezzo per perpetuare la successione Apostolica nella sua Chiesa, fedele all’impegno evangelico di essere alla guida della sua Chiesa fino all’ultimo giorno del mondo, con una serie ininterrotta di suoi Vicari. Che Papa S. Silverio, uno dei Papi esiliati della storia, esaudisca le nostre preghiere ed interceda affinché la Santa Chiesa Cattolica possa essere liberata finalmente dai lacci degli empi e mostri orgogliosa e visibile a tutti, dai sotterranei in cui è costretto, il Sommo Pontefice “vero”, il Santo Padre, il Vicario di Cristo. Amen!

In memoria di un Papa: Gregorio XVII

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Il 2 maggio del 1989 saliva alla gloria del cielo S.S. Gregorio XVII, Giuseppe Siri, il Papa in esilio, costretto a lasciare ufficialmente il suo Incarico da “coloro che hanno per padre il diavolo”, e dai loro fiancheggiatori della “quinta colonna” introdotta nella Chiesa. Non per questo però, pur nell’ombra e nel silenzio del suo “Getsemani”, cessava di guidare la Chiesa di Cristo attraverso i marosi e le insidie degli usurpanti “servi di Beliaal”, ottemperando dolorosamente alla Volontà di Dio, consentendo così la perpetuazione apostolica della gerarchia della Chiesa, la vera, Santa, Cattolica, Apostolica, Romana, l’unica che dà la salvezza eterna! Uniti nella preghiera al Santo Padre Gregorio, ché interceda presso Dio Onnipotente per l’abbreviazione di questo tempo oscuro di “eclissi” della Chiesa, e per un rinnovato suo splendore, e si ripristini il Sacrificio del Figlio con i veri Sacramenti, vogliamo ricordare questo “martire” della Fede, proponendo l’ultimo capitolo di una sua opera: “Getsemani”. Come non vedere il tratto autobiografico dell’uomo “forte”, solo, abbandonato da tutti, nemici,  amici veri e finti, sofferente e prostrato in obbedienza a Dio nel suo Getsemani?

Il Getsemani della Chiesa è nel Getsemani di Cristo Signore. Conosciamolo meglio.     Getsemani, è la porta del santuario attraverso la quale la Storia ritrova il suo vero volto e il suo vero ordine, nell’intendimento e nella coscienza dell’uomo liberato. È il santuario dove si è compiuta spiritualmente, nella solitudine, la suprema offerta, affinché l’uomo ogni volta unico, e tutta la stirpe degli uomini possano trovare l’ordine eterno della loro creazione e avere così la possibilità di entrare per grazia nella gioia della diretta contemplazione del Creatore. – Soltanto nel raggio del Getsemani la teologia può essere spogliata di ogni vano diletto intellettuale, di ogni lettera morta e di ogni irrigidito schema di pensiero, di ogni aridità del cuore, di ogni illusione di autonomia e di ogni torpore di febbrile attività naturalista. Soltanto in quel luogo l’intendimento e la volontà sono liberati dalla verità conformemente alla parola di Cristo (Gv VIII,32), perché è là che il Redentore ha vissuto nella sua intimità umana, con tutto il suo amore divino, la Croce della storia degli uomini. – Ed è nel segreto dell’agonia di Gesù di Nazareth, che si può intravedere il significato dell’uomo nel mistero della storia degli uomini. – Nel mistero del Getsemani si svelano i due più grandi, più struggenti e più dolci misteri: l’Incarnazione di Dio in uomo perfetto in Maria e la generazione della Chiesa santa nella relatività dell’uomo temporale. – Nel popolo di Israele ci sono stati molti santi e molti profeti. Ci sono state molte anime che hanno sofferto per il loro popolo e che hanno saputo amare Dio fino al sacrificio totale. Ci sono state molte anime forti e grandi che hanno penetrato per grazia di Dio i segreti della Natura. Più di quanto non l’abbiano fatto gli uomini di scienza delle segrete generazioni. – Ma l’uomo dell’agonia sul monte del ulivi era l’Essere di un’altra economia; corrispondeva ad un’altra necessità, ad un’altra attesa della creazione. E per questo motivo questa agonia non solo concerne ogni uomo, ma è ontologicamente vincolata ad ogni uomo. L’uomo non è vincolato all’agonia di Cristo soltanto con l’immaginazione e la compassione per qualcuno che soffre ingiustamente. L’uomo vi è vincolato perché è stato il soggetto dell’offerta solitaria nel giardino del Getsemani, che non era un atto morale, ma un’azione di essere. – Il «Fiat» della Vergine Maria ha avuto come immediata conseguenza un evento nella natura dell’essere umano, un evento ontologicamente nuovo. Le parole con le quali il Cristo si abbandona totalmente alla volontà del Padre costituiscono il secondo «Fiat» dell’economia della salvezza dell’uomo. il «Fiat» del Getsemani fu il compimento, in una nuova tappa, del primo «Fiat» dell’essere umano di Maria. il secondo «Fiat» pronunciato e compiuto dall’essere generato da Dio nella natura umana, ha avuto come conseguenza l’unione di Dio con le esistenze di tutti gli uomini, cioè con l’esistenza di tutti gli esseri che costituiscono la Storia degli uomini. – Quale potrebbe essere la finalità di tutta la sofferenza della Croce accettata da prima? Una tale offerta non è concepibile senza concepire, fievolmente che sia, il perché di questa offerta. E appare allora, in tutta la sua luminosa semplicità, l’essenza della misteriosa agonia di Cristo. – «Padre, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio Io ma come vuoi Tu (Mt XXVI, 39)». Quando Gesù ha pronunciato questo «se è possibile», chiedeva di essere liberato dall’onere della salvezza delle anime? Quando il suo spirito ha lanciato questo appello, avrebbe improvvisamente preferito, non sarebbe che solo per qualche istante, distaccarsi dalla sua missione e poi vivere, invecchiare e spegnersi un giorno, secondo la sorte di ogni uomo? – Sono pensieri che svaniscono come vane finzioni dell’orgoglio dell’uomo; svaniscono quando il nostro intendimento e il nostro cuore penetrano umilmente e con abbandono nel raggio del Getsemani. Là le nostre categorie, secondo le quali percepiamo e giudichiamo, sfumano, o piuttosto sono trasformate, prendendo un altro tenore e un’altra ampiezza. E così, tanto l’intendimento come il cuore, in un’armonia di pace, ricevono il mistero dell’Essere che pregava prostrato a terra per la salvezza degli uomini. L’appello, infatti, del «se è possibile» non significava la stanchezza e che il Cristo preferisse che un altro si addossasse la salvezza degli uomini. Il Cristo non pregava soltanto per sé; pregava in nome di tutti gli uomini, ai quali si era vincolato con la sua offerta: «come vuoi tu». – Il Cristo, Persona unica di essenza divina, viveva interiormente come Redentore degli uomini nella sua pienezza umana, la sofferenza, per inconcepibile amore, di fronte alla cattiveria e al peccato che generavano la sua Passione e la sua Morte. – Allora l’anima, con tutto il suo potenziale d’intelligenza e di amore, penetra nel mistero dell’Incarnazione e dell’agonia del Getsemani e capisce che la Redenzione dell’uomo non è stata opera di un nuovo insegnamento, né l’esempio di una grande perfezione, sconosciuta fino allora. L’uomo capisce che la sua redenzione non è consistita in un rinnovamento morale, è stata innanzitutto un atto che ha riguardato il principio dell’essere dell’uomo, che ha riguardato la rigenerazione della legge della generazione dell’uomo. – Se non ci fosse stato un uomo generato dalla Parola del Creatore, la Redenzione dell’uomo sarebbe sempre un’attesa di rinnovamento morale. Questo insegnamento e questo esempio i Profeti e i Santi d’Israele li avrebbero compiuti e avrebbero potuto compierli sempre. Ma l’atto iniziale della nuova generazione, per il diretto intervento di Dio, non sarebbe stato compiuto; e l’intervento ontologico divino nella stirpe di Abramo non sarebbe compiuto. – Ebbene, l’essere che pregava prostrato a terra nel giardino del Getsemani era esattamente questa penetrazione ontologica di Dio nella stirpe di Abramo. Dio ha suscitato un Essere con il suo proprio Verbo divenuto così uomo, avendo preso «forma» di uomo nell’organismo naturale umano. – L’uomo, nonostante tutte le sue ricerche e le sue indagini, non può penetrare con i propri suoi mezzi il segreto della differenza di livello dei popoli, sia nel passato come nel presente. Raramente si giunge a distinguere da lontano nella profondità del presente la vera immagine iniziale dell’uomo e dell’umanità, perché abbiamo perso la freschezza e il gioioso e continuo stupore della contemplazione attiva e sempre nuova dell’infinita Realtà di Dio Creatore. – Questa perdita c’impedisce di poter sempre percepire la grazia e il continuo miracolo dell’esistenza di ogni cosa, e c’impedisce di percepire il «naturale semplice» delle opere che superano la nostra propria esperienza, delle grandi opere miracolose del nostro Dio Creatore. – L’uomo non può mai afferrare, con le sue ricerche e le sue invenzioni di curiosità, l’inizio delle cose e degli esseri. Perciò incontriamo difficoltà nel concepire il misterioso atto di amore e di armonia che si è compiuto con il primo «Fiat» della Vergine Maria. – Tuttavia è quest’atto che ha permesso all’Essere che pregava con il volto coperto di sudore di sangue, di unirsi ontologicamente all’esperienza di ogni uomo, nel disordine anarchico e doloroso della Storia. Ed è questa unione che offre all’uomo di diventare un essere nuovo e di conoscere che in Lui s’innalza una seconda volontà che è in lotta con la prima volontà della sua natura in disordine: il disordine del peccato. – E questa unione particolare fu compiuta da «Fiat» del Getsemani: «non come voglio Io, ma come vuoi Tu». Questa unione, infatti, era il soggetto della preghiera dell’agonia e del «Fiat»; e fu la causa della Croce che sarebbe seguita. – L’agonia del Getsemani, nel suo mistero ontologico, non sarebbe stata possibile, se l’Essere dell’agonia non fosse stato l’Essere dell’Incarnazione. L’agonia del Cristo esprime la sofferenza nello spirito e nel cuore e di conseguenza in tutta la natura umana; sofferenza che appartiene a questo unico Fiat d’amore indicibile: unirsi all’esistenza di tutti gli esseri umani che costituiscono la Storia. – L’unica Persona, che da sempre possiede la conoscenza oggettiva di ogni cosa, è Colui che è stato concepito a Nazareth, e Colui che è stato concepito a Nazareth è Dio. Soltanto Colui che al Getsemani, si è unito all’esistenza di ogni uomo, avendo accettato per amore di soffrire, nel suo Essere unico, il dolore di tutti i secoli, conosce con assoluta oggettività quella che noi chiamiamo: Storia. È Colui che, dopo la sua sofferenza interiore e universale al Getsemani, ha sofferto i dolori fisici e morali del martirio e della morte sulla Croce; Colui che, uomo e Dio per l’eternità, ha risolto nel suo essere per tutti gli uomini il mistero d’iniquità, con la sua Resurrezione. – L’uomo desidera l’oggettività, come desidera la vita eterna. Solo il Maestro della vita eterna può dare all’uomo l’oggettività. L’uomo non può progredire in conoscenza oggettiva se non unendosi sempre più al Signore della Storia, che per lui ha detto il «Fiat» del Getsemani. – Quando l’uomo riceve questa verità, tutte le leggi, le norme e le categorie della ragione umana si rigenerano e vieppiù si liberano dagli impedimenti delle opere morte e delle parole morte. A misura che l’uomo sottomette Dio e le opere di Dio al suo desiderio spesso molto sottile ma impetuoso di autonomia, svaniscono le vere leggi della ragione umana e si pietrificano le categorie. – Soltanto il soggetto assolutamente libero può essere assolutamente oggettivo. Per questo l’uomo, soltanto nella misura in cui riceve intimamente con amore la Rivelazione del Soggetto assoluto, può ottenere oggettività nelle sua visione degli esseri e delle cose. L’oggettività del sapere dell’uomo, ossia il grado di vera conoscenza dipende dalla sua unione ontologicamente spirituale con Colui che possiede tutta la realtà oggettiva, perché è Egli stesso la Verità eterna incarnata per l’eternità. – Questa fondamentale verità esclude dal cammino dell’uomo verso la conoscenza ogni teoria pluralistica. L’uomo non si trova di notte nella foresta, senza sapere dove andare e non è neanche «una successione di momenti». È un essere dotato di memoria, e questo lo pone contemporaneamente e nel tempo e fuori del tempo. Infatti, per il dono della memoria valica il tempo, e la «successione di momenti»; l’uomo nel corso della sua esistenza, arricchendosi indefinitamente e sviluppandosi continuamente, permane immutabile come essere e come potenziale di arricchimento e di espansione all’infinito. Il Cristo segue tutto il cammino dell’umanità ed è lo stesso ieri e oggi e nell’eternità. – Scartando la Rivelazione per cogitare su Dio e il mondo, fondandoci, per sottile desiderio d’autonomia, esclusivamente sui nostri propri mezzi d’indagine, perdiamo ogni possibilità di oggettività ed entriamo nella «notte esistenziale». Infatti per lo spirito è notte fonda, quando l’uomo, tutte le sue facoltà d’intendimento e di azione sono fissate sui «momenti fuggevoli», sull’«essere-qui» o l’«essere-là». Questo sguardo esistenziale, ossia il fatto di considerare tutte le cose senza fare continuo riferimento alla nostra più profonda realtà, al di là di ogni gioco del linguaggio delle parole esterne, elimina, nel nostro andare, la nostra propria realtà di coscienza e di memoria. Ed è impossibile riconoscersi ed essere veridici, perché rifiutare il Signore dell’oggettività equivale a rifiutare ontologicamente la verità. – La relatività dei momenti che trascorrono non può colpire l’essere che conosce e che ama. Quando però l’essere si lascia prendere dalla relatività, entra nel turbinio del discorso esistenziale, cosa che impedisce all’uomo di avere una vera immagine della sua esistenza e della nozione dell’esistenza. Il discorso può essere indefinito; e senza fine la coniatura dei vocabolari e delle espressioni; è il triste gioco della falsa filosofia che rifiuta di sottomettersi per ogni cosa al Signore della Storia, che è la Verità incarnata, che è l’ordine eterno di tutto il molteplice dell’universo e della Storia. – Quando, nel nostro spirito e nel nostro cuore, si svela il mistero del Getsemani e il suo rapporto con il «Fiat» dell’Annunciazione, un intero linguaggio diviene caduco, infatti ci si accorge che la Storia non può svelare alcun segreto né in merito alle leggi che la governano, né in merito ai fini ultimi dell’uomo. Essa non lo può, perché non ne ha conoscenza né coscienza. Una sola cosa può insegnare: il Sovrano della Storia ha detto il «Fiat» della sofferenza e dell’unione con l’esistenza di tutti gli uomini, per liberare ogni uomo, ogni volta unico, dalla morte e farlo entrare in un’altra realtà di vita eterna. – Riferirsi ogni volta, alla Storia, per evitare di riferirsi al Sovrano della Storia, è voler parlare alla polifonia, senza rivolgersi né a colui che ha composto la musica né a coloro che la eseguono. Solo il Creatore delle leggi e dei fini può conoscere la realtà dei fini ultimi di ogni cosa, il Creatore e coloro ai quali Egli lo rivela e che accolgono con umiltà e amore la sua Rivelazione. – Ogni uomo non può essere redento come società. È la Redenzione di ogni persona a poter creare un insieme di persone redente. È per amore per ogni persona d’Israele, per ogni Israelita, che Simeone ha avuto la gioia di ricevere nelle sue braccia il Redentore. Aveva ricevuto il messaggio divino, secondo il quale avrebbe dovuto vedere il Redentore prima di morire. E quando l’ha visto, ha provato gioia per la redenzione non di un’entità astratta, ma per tutti coloro che sarebbero redenti, e non a causa di un desiderio di uno stato forte e fiorente nella storia, e per questo ha detto: «Nunc dimittis servum tuum, Domine».

È stato lieto per la Luce di tutti gli uomini, che era il Cristo e per la Gloria d’Israele. Questa Gloria era il Cristo, che chiamava ogni israelita alla salvezza. Giacché Israele non era un’idea; era un insieme in cui ciascun membro era chiamato alla redenzione.

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[Da Getsemani del Card. Giuseppe Siri [S.S. Gregorio XVII], Fraternità della Santissima Vergine Maria, Roma 1987 (pag.360-368)]

Un uomo forte … anzi due!

Un “uomo forte”, anzi … due!

s.giuseppe.

   In questo giorno in cui festeggiamo San Giuseppe lavoratore, vogliamo rendere omaggio al grande Santo con dei passaggi di un’omelia tenuta nel 1974 da S. S. Gregorio XVII, conosciuto dal mondo ordinario come il cardinal Giuseppe Siri. Come non notare le sottili allusioni che mettono in parallelo alcuni aspetti “nascosti” della vita di questi due “Giuseppe”!

Leggiamoli insieme:

“.. il brano di San Matteo (Cap. I, 16 e segg.) appena ascoltato, riguarda S. Giuseppe, del quale oggi celebriamo la solennità, brano che va letto anche in controluce. Ed ecco come. – Il brano presenta un momento drammatico per questo giovanissimo uomo. Egli si era sposato con gli intendimenti che tutti hanno quando si sposano. Si trova d’improvviso davanti ad un fatto che in quel momento superava la sua cognizione: Maria attendeva già Gesù. Non sa come districarsi. “Giusto”, come lo dice la stessa Sacra Scrittura – e nella terminologia biblica, la parola “giusto” indica l’onestà e la santità complessiva -, non vuole guastare nulla di lei e di altri, pensa di risolvere tutto nel silenzio. È un dramma. Ma il dramma si aggrava, perché interviene l’Angelo che gli svela la verità. E la verità per lui, l’uomo Giuseppe, è questa: per tutta la vita dovrà rinunciare ai suoi diritti maritali. Questa è la parte più grave del dramma. Egli china la testa, accetta e basta. In controluce questo appare un “uomo forte”. – Gesù più tardi avrebbe detto agli Apostoli impauriti: “Non si turbi il vostro cuore e non abbia paura” (Gv XIV, 27). Non era arrivato a tempo a dirlo a Suo padre putativo, ma quel comando, il padre putativo lo aveva già messo in pratica. – Badate bene che questo carattere di fortezza continua a dominare. Si tratta di andare, come narra S. Luca (II, 2 e segg.), a Bethlemme a fare il censimento: questo avrebbe portato a far sì che la maternità di Maria si sarebbe compiuta fuori di casa. Affronta il viaggio, affronta tutto quest’uomo, con quale stile sentiremo ora. È un “uomo forte”. Quando porta in Gerusalemme la Madre e il bambino – è ancora S. Luca (II, 22 e segg.) che lo racconta – per presentare il Bambino al Tempio e per compiere la purificazione della Madre, come era prescritto dalla Legge, si sente fare dall’ultimo dei profeti dell’Antico Testamento, S. Simeone, una profezia terribile: “tutto si sarebbe accanito contro di lui”. Egli non ha nulla da obiettare, china la testa, accetta. “Uomo forte”. – Viene la persecuzione di Erode, e qui è S. Matteo (II, 13 segg.) nuovamente che racconta. La persecuzione di Erode sarebbe stata terribile, lo sapevano tutti. Anche noi conosciamo molto bene questo Erode il Grande, attraverso le “Antiquitates Judaicae” di Giuseppe Flavio: ammazzava chiunque trovasse sulla sua strada e gli si opponesse; eliminò tutti i suoi parenti, tutti coloro che gli davano ombra; uccise con un calcio sua moglie; in previsione della sua morte, sei mesi dopo la nascita del Bambino e poco dopo l’ultimo suo delitto, la strage degli Innocenti, avrebbe fatto riunire nell’anfiteatro di Gerico tutti i notabili di Israele, facendoli circondare, dal sommo dell’anfiteatro stesso, dagli arcieri che avevano l’ordine di saettarli immediatamente, non appena avessero saputo che era morto, affinché quel giorno ci fosse pianto, ci fossero tanti morti che Gerico e tutto il regno fosse tutto cosparso di lacrime. Ora, Giuseppe sapeva con chi aveva da fare, lo sapevano tutti! – L’Angelo gli dice: “Parti”. Partire? Una donna e un bambino, indifesi, attraversare da soli tutto il tratto desertico che si estende a sud della pianura di Sharon, attraversare un tratto desertico che circonda il Mar Rosso, arrivare così alla terra opima e fertile perché bagnata dal Nilo; il viaggio era lungo, impervio, certo durò molto. -Quest’uomo non ha paura, affronta questo. Una donna apparentemente fragile, un bambino fragilissimo, la solitudine, il deserto, nessuna voce che rispondesse, solo le pietre: ha affrontato il viaggio ed è arrivato in Egitto. L’Egitto era allora economicamente prospero, non era difficile trovarvi lavoro, evidentemente ha lavorato. Ha affrontato questo con uno stile al quale vi rimando e del quale parlerò subito: l'”uomo forte”. – In tutta la sua vita mantenne il silenzio sulle cose che sapeva. Ebbe la capacità di tacere, e questo lo sappiamo, perché tanto S. Matteo (Mt 14, 54ss) che S. Luca (4, 14ss) ci narrano di un certo ritorno di Gesù, dopo cominciato il suo ministero evangelico, a Nazaret, e tutti si meravigliavano, non vedevano in Lui altro che il figlio del falegname, niente più. Il che voleva dire, ed era la prova provata, che in questa famiglia si era taciuto sempre la coerenza e la costanza con le quali il desiderio divino era stato assecondato: “Uomo forte”. -Per essere silenzioso fino a questo punto bisognava essere forti. -Non dimentichiamo che Nostro Signore ha voluto i più vicini a Sé “forti”, e i più vicini a Sé furono tre: Maria, che Lo accompagnò sul Calvario e non ebbe timore di dividere col Figlio nel cuore quanto Egli pativa nel corpo e nell’anima; Giuseppe, del quale stiamo parlando; il terzo, Suo cugino Giovanni il Battista, che per dire una verità contro un adultero ci lasciò la testa (quella tomba non sia una maledizione per quelli che vogliono il divorzio! Quella tomba guardatela bene!).

Gesù Cristo volle intorno a Sé degli uomini forti. – Gli Apostoli inizialmente lo furono un po’ meno, perché, in circostanze dinnanzi alle quali Giuseppe non scappò, essi scapparono tutti, dal primo all’ultimo. Due trovarono un po’ di forza per ritornare sui loro passi, ma con diverso esito, e tutti lo sappiamo. Ma tutto questo ci insegna che Iddio ama gli uomini forti, gli uomini che sanno essere dritti, che camminano secondo la direttiva della verità e non della moda o del comodo, che sanno prendere tutti gli strali che possono partire da qualunque parte pur di non rinnegare la dirittura della loro via, che è la via della verità. Dio ama costoro e ne ha bisogno perché è Lui che lo vuole. Chi può intenda! Di uomini molli ce ne sono anche troppi a questo mondo e rappresentano la ragione per cui il mondo rischia di andare a fondo. Non va a fondo per gli uomini forti, ma per gli uomini molli, deboli!”

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L’uomo forte! L’uomo che vive nascosto al mondo, che non appare nel suo ruolo da Dio assegnatogli. Solo Dio sa e conosce la forza, il coraggio di quel silenzio, della sofferenza amata, accettata senza “ma” e senza “se”. L’uomo “forte” si fida di Dio, l’uomo “forte” obbedisce senza intralciare la volontà dell’Onnipotente, l’uomo molle vuole spiegazioni, vuol capire ed avere sempre ragione! L’uomo “forte” si rifugia nella solitudine e nella sofferenza, l’uomo molle vuole la gloria del mondo, gli onori, la visibilità! Due “Giuseppe”, due uomini forti, nascosti, disprezzati, combattuti, esiliati: gli uomini “forti” che Dio ama!