TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (48)

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (48)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

INDICE DEGLI ARGOMENTI -VII-

F. – DIO CHE DONA LA VITA DELLA GRAZIA

1. Grazia in genere.

F1a. a. – GRATUITÀ.

La grazia di Cristo è un dono di Dio 226 245 248 376 379 382 395 397-400 623 626 632s 1541 1566 3014: l’ordine soprannaturale è gratuito 3891.

Dalla grazia provengono tutte le disposizioni dell’anima degli uomini ed i meriti. (246) 248 373-379 388 396-400 1525s 1532 1553; l’uomo non può impetrare con l’orazione (naturale) la grazia 373 376.

La bontà di Dio vuole che i nostri meriti siano gli stessi suoi doni. 248 1548 1582.

F 1b. b. – SOPRANNATURALITÀ

La grazia è il principio della vita soprannaturale 3714; (lo stesso si dimostra indirettamente da ciò) la grazia come principio superiore efficace si oppone al principio meramente naturale (al vigore o bene di natura) impotente 373 377 (383//395) 396-400.

F2. Grazia attuale

F2a. a. – NATURA DELLA GRAZIA ATTUALE.

Dio opera in noi mediante la grazia 244 248; da ciò l’eccellenza della grazia rispetto alla cooperazione del libero arbitrio 243.

La grazia consiste non nella mera conoscenza dei comandamenti, ma anche nelle forze che mettiamo nell’amare e comprenderli 226 245; la grazia da per se stessa il “potere

semplicemente”, non solo “il poter più facilmente” 227 245 1552.

La grazia a. illumina, b. inspira, muove la volontà a243 b375-377 abc1525 b1553 ab3010.

La grazia a. precede le azioni salutari (previene), b. concorre, c. Sussegue .(perfezionando) a243 a245s ab248 a373//407 abc399 ab685 a1525s abc1546.

F2b. b. – NECESSITÀ DELLA GRAZIA ATTUALE

La grazia è necessaria – : alla salute (soprannaturale) in genere 376//395 1691; -: per risorgere dal peccato originale 239: -: per usar bene il libero arbitrio 242 246 248 (622): – : per ogni azione salutare, onde prevenirle, accompagnarle, susseguirle. vd. F 2a; —: per preparare la giustificazione 1525s 1551 1553; —: al desiderio della grazia illuminantie ed eccitante 1525 1553 2618 2620; —: per credere (a. all’inizio anche alla fede e l’affezione alla credulità) a375 378 396s 1526 1553 3010 3035; —: all’orazione 373 376; —: al purgante o al penitente 374 1553 ; —: allo sperante 1553 ; —: a colui che ama (1526) 1553; —: per praticare i comandamenti di Dio (a. e quindi non solo per praticarli più facilmente) 226 a227 a245 239//248 a1552; con um l’aiuto della grazia l’uomo può osservare i comandamenti ed a. astenersi dai gravi peccati b. eccetto i difetti più lievi (397) 1536 a1537 b1544 1568 (1572); —: per resistere quotidianamente alle insidie del diavolo e della concupiscenza

240s (248) 1515; per acquisire meriti 243 246 248 1546; —: per perseverare fino alla fine della vita 241 246 380 623 626 632s 1541 1566 1572 1911 3014.

F2c. c. — DISTRIBUZIONE DELLE GRAZIE.

2ca La volontà di Dio è salvifica universale. Dio vuole senza eccezioni che tutti gli uomini siano salvi 623; Dio (Cristo) vuole che nessun uomo perisca 340 780.

Chlristo è inviato perché tutti riacquistino l’adozione dei figli di Dio 1522; ha patito per gli uomini (a. per quanto attiene alla sua bontà) 332 a340 624 630 1522s 2005 2304s.

Da questo non ne consegue che tutti (a. cristiani) siano salvi 623s 630 a2362; Cristo fornisce la grazia anche a quelli che periscono 340; chi perisce, perisce a. non per volontà di Dio (Cristo), ma b. per propria colpa, potendosi salvare a333 a339 a340 b623 b6265.

La grazia è concessa anche al di fuori dalla Chiesa 2305 1429 3014.

La grazia ai giustificato non manca mai, poiché Dio non li abbandona 1537 1546.

2cb Predestinazione. Dio scelse sec. la prescienza gli uomini, che per grazia, predestinò alla vita 621.

Dio predestinò solo i buoni 685; non predestinò ai cattivi la loro malizia. 335 397 596 621 628 1567; predestinazione non riguarda il male agire, ma la pena 621 628s.

Dio solo conosce in anticipo (non predestina) i cattivi 628 685; la prescientia non fa che ne consegua necessariamente il male 333 627.

Riprov. afferm: (Alcuni sono predestinati alla morte, altri alla vita) 335;

[La grazia della giustificazione attiene solo ai predestinati] 1567.

F 2d. d. — EFFICIENZA DELLA GRAZIA.

La grazia richiede la libera cooperazione, a. contr. asserzione: [il libero arbitrio deve esercitarsi in modo meramente passivo ] 243-245 248 a330 a339 397 1525s 1529 1541 a1554 3846 22012217 (2224//2253).

La grazia non toglie il libero arbitrio: a. L’uomo può resistere alla grazia (così come la b.grazia riesce meramente sufficiente) 248 685 a1525 2002 2004 b2305s a2401-b2425 2430s a2621 a3010.

Riprov. spiegazione inopportuna sul concorso della grazia col libero arbitrio: [Dio ci dona la sua onnipotenza] 2170s.

3. Grazia della giustificazione.

F3a. a. — NATURA DELLA GIUSTIFICAZIONE.

Essenza: la giustificazione è tanto giustizia di Dio quanto giustizia nostra” 1529 1547.

La grazia della giustificazione ovvero carità non è solo un favore (esterno) di Dio, ma aderisce sé stesso al giustificato 1530 1547 1561.

Riprov. l’afferm.: [gli uomini senza la giustizia di Cristo o per la giustizia di Cristo sono formalmente giustificati 1560s; [la giustificazione consiste nell’obbedienza ai comandamenti] 1942 1969s.

Effetto : la grazia giustificante elimina qualsiasi ragione di peccato 225 245 1515 1528; si riprova: [il reato del peccato si estingue da solo o non è imputato] 1515 (1575) 3235: la giustificazione invero non consiste nella sola remissione dei peccati 1528 1561.

– fa a.del nemico un amico di Dio a1528 1535.

– produce una rinascita, una rigenerazione, un rinnovamento 632 1523 1528s (1565) 1942; rende l’uomo un figlio a. adottivo di Dio 1515 a1522 a1524 (1913) a1942 2623 3012 3771 3957; rende familiari di Dio 1535; fa eredi di Dio (e della gloria sua) 1515 1528 3957; innesta in Cristo (394) 1530.

– produce la santificazione dell’uomo interiore 1528 1942; all’uomo è infusa la virtù della fede, della speranza, della carità (780 904) 1530s 1561.

L’uomo giustificato non è trattenuto dall’ingresso del cielo 1453 1515.

Si espone il riconoscimento della dottrina Tridentina circa la giustificazione (a. ctr. la calunnia, derogarla dalla gloria di Dio e dai meriti di Cristo) 1550 a1583 1863.

F3b. b. – EFFICIENZA DEL DONO DELLA GIUSTIFICAZIONE

La grazia santificante è il permanente principio vitale soprannaturale 3714; la giustificazione non si ottiene se non mediante la grazia 1014.

L’inabitazione divina nell’anima del giusto come in un tempio 3330s; per questo stato o condizione differisce dalla celeste 3331 3815; si realizza la presenza di tutta la Trinità 3331 3814s; questa è predicata come peculiare dello Spirito Santo 44 46 48 1923 1963 3329-3331 3814s: lo Spirito S. è il dono a. dell’Altissimo per i giustificati 1522 1529s 1561 1690 a3330; lo Sp. S. è operante nei Santi 60; è purificante, vivificante 62s 150.

F3c. c. – CAUSE DELLA GIUSTIFICATIONE.

Causa meritoria: Gesù Cristo (a. Per la sua passione) a1529 1546s (1582).

Causa efficiente : la misericordia di Dio 1529.

Causa strumentale: il Battesimo (o il suo voto) 1524 1529; per la ricaduta nel peccato, il sacramento della Penitenza 1542; add. J 3c. et 6c

(Circa la necessità del Battesimo e della Penitenza); si riprova.: [la giustificazione si opera per la sola fede a. senza sacramento.] (1559) a1579 a1604s 1608.

Causa formale: la giustizia di Dio Dei nella quale l’uomo riceve in sé la sua giustizia sec. la misura che Dio vuole dare e secondo la propria disposizione ed operazione 1529.

Causa finale: la gloria di Dio e di Cristo e la vita eterna 1529 (1583).

F3d. d. – GRATUITÀ DELLA GIUSTIFICATIONE.

I peccati sono rimessi gratuitamente 1529 1533; nessuno di essi che precede la giustificazione la merita. 1525 1532.

F3e. e. – DISPOSIZIOME ALLA GIUSTIFICATIONE.

È Richiesta una certa preparazione o disposizione 1525 1529.

Tra gli atti di preparazione è recensita: -la fede 1526s (1531) 3012; la fede è fondamento e radice di ogni giustificazione 1532; questo appartiene alla disposizione dell’uomo battezzando 2836-2838; la fede non consiste nella fiducia, che siano rimessi i peccati 1533s 1562; si riprov. l’affermazione più lassa della fede per la giustificazione 2119-2123.

– : speranza nella misericordia di Dio 1526. – : un certo amore di Dio iniziale 1526.

— : la virtù della penitenza (contenente la contrizione o l’attrizione, l’odio del peccato , a.non solo il proposito di una nuova vita) a1457 1526s 1669 a1692 a1713 2836-2838.

— il timore della giustizia divina (che può essere un motivo buono soprannaturale) (1456) 1526s 1558 2314 2460-2467 2625.

– l’inizio di una nuova vita e l’osservanza dei comandamenti di Dio 1526s (1531 1964).

F3f. f. — STATO DELLA NATURA RIPARATA.

3fa. Quanto al pericolo di perdere la grazia. L’uomo anche dopo la giustificazione può peccare 241 339 1540 (1542) 1573; si riprova: [Peccando dopo la giuustificazione nessuno fu veramente giustificato] 1573; [la grazia giustif. si perde col solo peccato di infedeltà] 1544 1577.

Rispetto alla proprie infermità ed indisposizione l’uomo può temere circa la sua grazia 1534; l’uomo non deve confidare sulle sue buone opere né sulla buona coscienza 1548s; nessuno deve presumere con assoluta certezza, di essere perseverante nello stato di grazia 1541 1566 1572; nessuno può con certezza essere tranquillo ripromettendosi il pentimento 1540.

Il giustificato non è immune dai peccati lievi (a. se non per speciale privilegio della grazia) 1537 a1573. Il ricaduto può essere ancora giustificato (a. col Sacram. della penit.) a1542 1579 (1668 1670).

3f b. Quanto alla coscienza dello stato di grazia. Nessuno può conoscere con certezza di fede se abbia conseguito la grazia 1534; nessun viatore a. senza una speciale rivelazione se sia un eletto a1540 1565 a1566.

3fc. Quanto all’aumento della grazia. La grazia della giustizia può essere conservata ed aumentata con le buone opere 1535 1545-1547 1574; le buone opere non sono pertanto frutto o segni della giustificazione 1574; add. l’argomento dell’aumento della grazia mediante i sacramenti: J 2cb.

3fd. Quanto alle sequele (naturali) del peccato. Si ottiene la remissione quanto alla colpa ed alla pena eterna, ma resta da assolvere al reato della pena temporale (o in terra o in purgatorio) 1580; resta il fomite del peccato e della concupiscenza 1515.

3fe. Quanto all’obbligo della legge divina. Il giustificato non è esonerato dall’osservazione dei precetti, il che è contrario all’affermazione: [a. I precetti di Dio non riguardano i Cristiani; b. Il Vangelo è la nuda promessa della vita eterna senza obbligo di osservarne i comandamenti; c. Il Vangelo comanda solo la fede, le altre cose sono libere] 1535-1539 1568 ac1569 abc1570 c1571 1572 2471; tuttavia l’osservanza dei comandamenti non è impossibile al giustificato. (397) 1536 1568 (1572) 1954 2001 2406 2619 (3718).

F 4. 4. Virtù infuse.

Nella giustificazione all’uomo sono infuse la fede, la speranza, la carità (780 904) 1530.

Con le opere buone si può ottenere l’aumento delle virtù 1944.

Chi si riveste di grazie e carità può pure vestirsi di fede e speranza. 1544 1578 1963s 2312 3803.

La fede e la speranza quali virtù teologali sono prive dalla visione dell’essenza divina 1001.

La fede è una virtù soprannaturale (375) 3008 3032; nozione: vd. A 8a.

La fede è un dono della grazia (a.pur quando non operi per la carità) 443 824 a3010 3035.

La fede è l’inizio della salvezza, fondamento e radice della giustificazione 1532 3008;

sotto la fede in cui crede, l’uomo defunto prima dell’accoglienza del sacramento potrebbe essere giusto 121.

Vari errori circa la fede quale grazia 2351s 2416-2428 2442 2448 2468s.

Si rivendica contro gli errori la speranza della mercede eterna per le opere buone: [a.Pecca chi opera per la speranza della mercede eterna; b.la perfetta rassegnazione richiede che sia eliminata la speranza] a1539 a1576 a1581 b2207 b2212; riprov.: [ogni peccatore decade, se gli manca la speranza e questa non c’è dove non c’è l’amor di Dio] 2457.

La grazia è preparata dal timor di Dio 1526 2625; errori circa la fede come virtù della carità teologica 1454 2453-2456 2458.

Obblighi morali nell’esercizio delle virtù teologali: vd. K 2a-c.

F5. 5. Doni dello Spirito Santo.

Lo Spirito Santo è chiamato per i suoi doni: Spirito settiforme, Sp. di sapienza. etc. (a.enumerando i singoli doni) a178 183 1726.

F6. 6. Il Merito dell’uomo giusto.

Le opere buone dell’uomo giustificato così sono doni di Dio, affinché siano anche i meriti dello stesso giustificato 243 248 1546 1548 1582 (3846); riprov. ass. negante la ragione del vero merito soprannaturale 1908//1918.

Alle buone opere invero è meritato (ossia tq. e resa la mercede): a.un aumento di grazia, b.la vita eterna, c.conseguimento della vita eterna, d.l’aumento della gloria b72 b443 b485 b802 b1545 a1574 abcd1582.

Per la diversità dei meriti diversa è la visione di Dio (1305).

I Peccatori (mortalmente) non sono giammai capaci di meriti superiori 3803.

I meriti (mortificati) rivivono con la forza della penitenza 3670.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (49)

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA (10)

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA (10)

FRANCESCO OLGIATI,

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA.

Soc. ed. Vita e Pensiero, XIV ed., Milano – 1956.

Imprim. In curia Arch. Med. Dic. 1956- + J. Schiavini Vic. Gen.

Capitolo QUARTO (2)

L’AMORE NEL SACRIFICIO

II. – IL SACRIFICIO

La più alta parola dell’amore è il sacrificio. E questa è anche la condizione indispensabile per poter conseguire la vittoria, nel conflitto quotidiano fra l’ideale e la realtà, fra l’Amore di Dio e le diverse forme di egoismo umano. « Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua », ha ammonito Gesù. Egli per il primo ce n’ha dato un divino esempio ed ha potuto esclamare, additandoci il suo martirio: « Nessuno ha maggiore amore, di chi sacrifica la sua vita per gli amici ». Perciò la morale cristiana, appunto perché è unione a Cristo ed imitazione di Cristo, implica un continuo rinnegamento di noi stessi e delle nostre cattive tendenze. Chi vuol vivere, deve cominciare a morire. Solo attraverso la oscurità della morte, si giunge alla Vita.

1. – Le obbiezioni.

Le ribellioni, dinanzi all’enunciazione rude e franca di un simile programma, non potevano mancare. E si sono moltiplicate in ogni campo. La filosofia ci presenta non solo il pseudo-epicureismo moderno, intollerante di abnegazione e di sacrificio; ma ci getta in faccia, quasi uno schiaffo, le dichiarazioni di alcuni grandi pensatori. Hegel, ad esempio, nella sua Geschichte der Philosophie, che denuncia alla detestazione comune Ơ«» i monaci, i quacqueri ed altrettanta gente pia », tristi creature, che non costituiscono un popolo, ma « come i pidocchi o le piante parassite non possono esistere per sè, bensì solo sopra un corpo organico ». È  Friedrich Nietzsche, che in tutte le sue opere disprezza la morale cristiana come « cosa compassionevole, e come « commedia stranamente dolorosa e in pari tempo grossolana e raffinata », perché — soggiunge — essa « ha condotto a schiacciare i forti, ad ammorbare le grandi speranze, a rendere sospetta la felicità che risiede nella bellezza, a tramutare tutto ciò che v’ha di indipendente, di virile, di conquistatore, di dominatore nell’uomo; a cangiare l’amore per le cose terrene e per la dominazione delle medesime in odio contro la terra ». È « una morale di animale aggregato., che ottenne il risultato di « deteriorare la razza europea ». Bisogna abolirla, distruggerla, se si vuol raggiungere le grandezze del Superuomo. Non all’etica cristiana, ma conviene porgere l’orecchio alle voci festose che ci vengono dall’Ellade santa, dalla Grecia con le sue cento città rivali, « tutta risonante del ritmo dei peani, vibrante di gloria, inebbriata dei suoi miti e dei suoi canti dionisiaci, forte di illusioni. Alcuni decenni or sono, queste ultime espressioni erano in ogni occasione ripetute dalla letteratura. « Tra spirito e materia, tra anima e corpo, tra cielo e terra non v’è mezzo: — così proclamava Giosuè Carducci; lo spirito, l’anima, il cielo è Gesù: la materia, il corpo, la terra, satana. La natura il mondo la società è Satana; il vuoto il deserto la solitudine, Gesù. Felicità dignità libertà è satana; servitù mortificazione dolore, Gesù. E questo Gesù è soave tanto da scendere col perdono e con l’amore fin tra i dannati (sic); ma a patto che prima sia l’inferno nell’universo. – Questa l’idea della perfezione cristiana… ». In essa « tutto rappresenta la morte; e il Dio crocifisso e gli ossami e gli scheletri esposti alla venerazione su gli altari han preso il luogo di Apollo e Diana, che lanciavansi giovenili forme divine, dal marmo pario negli spazi della vita ». Per questo In una chiesa gotica il poeta imprecava: Addio, semitico nume! Continua ne’ tuoi misteri la morte domina. O inaccessibile re degli spiriti, i tuoi templi il sole escludono. Cruciato martire, tu cruci gli uomini, tu di tristizia l’aer contamini… E, nel suo furore, in Rime nuove, intimava:

Pigri terror de l’evo medio, prole

Negra de la barbarie e del mistero,

Torme pallide, via! Si leva il sole,

E canta Omero.

Non la morale cristiana, apportatrice di morte; ma « le primavere elleniche » allora si invocavano da molti e « di Grecia i numi » che « non hanno occaso ». E gridava il poeta:

O Paro, o Grecia, antichità serena,

Datemi i marmi e i canti.

Marmi di Paro in fulgidezza bianca,

Splendenti a la marina,

Come la falce de la luna stanca

Nel ciel de la mattina;

Carmi di Lesbo sussurranti al vento

Su molte isole intorno,

Come d’Apollo il grande arco d’argento.

Nel ciel di mezzogiorno,

Ricoprano il mio cuore irrigidito

Da i cristiani tufi.

Gabriele d’Annunzio, a quei tempi, univa la sua voce, annunciando la morte del Dio nemico della « Vitale idea », insultava la Vergine Madre « vestita di cupa doglianza », invocava la « Dea ritornante dal florido mare onde nacque », proponeva, infine, di gettare « nelle oscure favisse » del Campidoglio la croce di quel Galileo che « temeva i pensieri ardenti e dominatori ». Gaudeamus igitur, sogghignava da Parigi il vecchio e grasso Renan, felice nel suo dilettantismo superficiale. Gaudeamus, soggiungeva, aristocraticamente scettico, Anatole France; ed ovunque erano deplorazioni contro « il dolente Dio che non ama il sole »; erano invocazioni di una morale nuova…

Si è esagerato, — commentano oggi parecchi studiosi, ricercando attenuanti e scuse; — ma, se vogliamo essere schietti, anche oggi, praticamente, se non teoricamente, si ritiene dai più che la morale cristiana, con la sua dottrina della mortificazione, dell’abnegazione e del sacrificio, colpisce al cuore la nostra personalità, conduce alle esagerazioni dell’ascetismo, abolisce la gioia dal mondo. Ecco, perciò, la vita contemporanea che si ispira solo al « piacere » e detesta la parola « sacrificio.. Ecco i metodi educativi, così balordi, in uso in moltissime case, dove i fanciulli non vengono formati allo spirito di abnegazione, ma sono appagati in tutti i loro capricci, in tutte le loro passioncelle, con una indulgenza che prepara alla società dei deboli, privi di energia e di volontà. – Il Dio dell’Amore sarebbe entusiasticamente plaudito, se si limitasse a dire: « Amate! »; ma quando avverte: « Rinnegate voi stessi e prendete la vostra croce! », il suo appello fa tremare. E non pochi scrollano la testa, in atto di diniego, quasi che per amare non fosse indispensabile sacrificarsi.

2. – Il concetto del sacrificio.

È necessario porre in luce un principio fondamentale, che Ollé Laprune, nelle sue lezioni tenute a Parigi, all’École Normale e poi raccolte nel suo Prix de la vie, così delicatamente e accuratamente inculcava.

C’è un duplice genere di morte: una morte, che è fine a se stessa: ed una morte liberatrice, che è mezzo di vita. Nell’etica cristiana, « tutto conduce alla vita. Tutto, anche il sacrificio… La morte non è la ragione, né il termine di qualsiasi cosa. La morte è un mezzo. La morte sopprime l’ostacolo, e, quando occorre, rompe i legami e ce ne libera. Tu n’anéantis pas, tu délivres… (tu non annienti, tu liberi) dice Lamartine, rivolgendosi alla morte. E così si dica di ogni rinuncia, di ogni sacrificio, essendo ogni rinuncia ed ogni sacrificio una mortificazione ed una morte almeno parziale. Tutto viene dalla vita e tutto va alla vita. Solo la volontà che si allontana dalla vita col peccato, va alla morte. Peccatum generat mortem. Ecco la vera morte. Ma la rinuncia, ma il sacrificio, ma tutte queste morti che uccidono il desiderio, la passione, anche il corpo se è necessario, e quando occorre anche il proprio spirito con le sue meschinerie e con le sue gonfiezze, la propria volontà con le sue piccinerie e le sue stravaganze, tutte queste morti sono mezzi di vita ». Un altro metodo non è possibile. La legge della vita è questa: « Rinunciare alla vita parziale, alla vita egoista, abbandonarla e perderla, è un andare alla vera vita. Mourir c’est vivre, et pour vivre il faut mourir. (Morire è vivere, e per vivere bisogna morire). L’abnegazione, la rinuncia, la mortificazione ha una virtù vivificante… Non si è un uomo, se non si sa morire. Ogni grande azione esige una fatica, che è un inizio di morte, perchè è un logoramento, un dispendio di forze vitali. Ciò è vero in ogni campo. E se non si è pronti a morire qualora fosse necessario, quale vita si conduce? Quale impresa ardita si oserà affrontare? Per vivere grandemente, nobilmente, generosamente, bisogna abbracciare la morte. L’eroismo appare così ammirabile, solo per il poco conto che fa della vita ». Non è, del resto, questo un principio così evidente, nell’ordine stesso naturale, che gli stessi pagani talvolta hanno acclamato ed imposto? L’educazione severa della gioventù a Sparta, la disciplina che Pitagora imponeva ai discepoli, il metodo di autoformazione che gli Stoici suggerivano ai loro seguaci, l’onore che sempre nella storia venne tributato a coloro che si sacrificano per la patria o per un ideale, ne sono una conferma luminosa. È vero: fuori del mondo cristiano è fiorito in ogni tempo — come esagerazione di quella verità or ora illustrata — un misticismo assurdo, che dall’India alla Germania, da Buddha a Bohme, tende all’annientamento del finito, dell’individuo e delle sue facoltà, con l’assorbimento in Dio e nell’infinito. Ma la Chiesa l’ha sempre condannato, come si è egregiamente opposta (si ricordi ad es., la storia del quietismo e di Molinos) a ogni forma di misticismo che annientasse l’azione. Il misticismo ortodosso, veramente cristiano, ha sempre lavorato, come rileva il Gratry, alla glorificazione di ogni essere, « allo sviluppo indefinito del finito, mediante la sua unione con l’Infinito. Si tratta forse d’annullare e di distruggere la propria personalità, la propria dignità, la propria volontà? Per null’affatto. Si tratta solo di liberarci da ciò che sono i nostri egoismi, le nostre meschinità, le nostre cattive tendenze, per volere ciò che vuole Iddio, nella vera libertà di figli suoi, nella dilatazione d’un cuore che prima era prigioniero della passione. Rinunciare ad una volontà di morte, per abbracciare la volontà di Colui che è la Vita, significa annientare in sè il male e la morte e vivere in modo completo. Forse qualcuno sospetterà che qui si indora la pillola amara, o si cospargono di soave liquor gli orli del vaso, ma che la realtà è diversa. Prendete i monaci insultati da Hegel; prendete i Padri del deserto, denunciati da Carducci; non erano forse negatori della vita e dei valori umani? Non io; ma risponderanno… gli imputati stessi. Prendo l’opera già citata d’un Certosino, edita dal Tissot: La vita interiore semplificata, e riferisco: « Vere e false mortificazioni. — Quale penetrazione di discernimento deve avere la mortificazione, per distinguere in me tra l’uomo e il peccatore, fra materia e il male a fine di distruggere la morte e salvare la vita! Il punto più delicato della mortificazione è il saper spezzare il lacciuolo e liberare l’uccello, uccidere il microbo e guarire il malato, disimpegnare la vita dalla morte. È vera mortificazione che spezza ciò che è da spezzare e fortifica ciò che è da fortificare. Le mortificazioni false, e non sono rare, colpiscono senza discernimento; e sotto l’impulso del genio del male, arrivano fatalmente a spezzare quello che bisognerebbe conservare e a conservare ciò che bisognerebbe spezzare. Invece di crocifiggere nella carne i vizi e le concupiscenze, esse uccidono l’uomo, lasciandogli le sue passioni e moltiplicando i suoi vizi.

 La mano di satana e quella di Dio. — Nessun sacrificio è voluto per se stesso. L’idea del sacrificio per se stesso è satanica, perché omicida. Per l’individuo, essa mette capo logicamente al termine fatale del suicidio; per la società, alle abominazioni dei sacrifici umani. Quante aberrazioni e mostruosità ci fa vedere la storia, nel corso dei secoli, presso tutti i popoli! Dovunque, colui che S. Agostino chiama il « præpositus mortis » semina la morte. Uno dei suoi trionfi più graditi è impadronirsi di questa idea del sacrificio, una delle idee religiose più fondamentali, è farne strumento di morte. L’impronta diabolica si riconosce facilmente a questo fatto, che esso è un attentato alla dignità e all’integrità delle membra e facoltà dell’uomo; è distruttore della vita; è omicida. Nulla di ciò che è divino degrada. Senza dubbio, Dio esige talvolta il sacrificio di un membro, d’una facoltà, della salute, della vita stessa, ma lo esige in vista dello sviluppo generale. Se fa delle ferite, sono ferite che portano alla guarigione; se dà la morte, è a fine di farne scaturire la vita – Io debbo morire a me stesso, prosegue il Certosino; ma ciò « non è la distruzione né dell’anima, né del corpo, né delle facoltà, né delle attitudini, né delle aspirazioni, né dell’attività, né degli strumenti, né dei loro piaceri, né delle speranze, né della felicità. È piuttosto la loro purificazione, mediante la distruzione d’una certa viscosità che m’attacca alle cose create, e -d’una certa indipendenza che m’allontana da Dio. 《 la liberazione del mio essere, mediante la rottura dei vincoli che lo incatenano alle cose di quaggiù. Quello che bisogna spezzare, distruggere, annientare, non sono io, bensì i legami; io debbo essere liberato. E se, secondo la protesta del Precursore, vi è un io che deve diminuire e cancellarsi dinanzi a Dio, affinché cresca Lui, quest’io è quello dell’egoismo, che ricerca sé fuori di Dio, è quello della natura che si muove senza Dio Il Santo, di conseguenza « è il solo uomo veramente e totalmente ragionevole… Se gli è stato necessario passare per spogliamenti e distruzioni senza numero, egli sente che nulla del suo essere è perito in questi tormenti; che nulla di ciò che deve vivere è perduto. Al contrario, la sua vita si è svincolata nella sua purezza e nella sua libertà; è un bagno nel quale il corpo ha lasciato le sue immondezze; è un crogiuolo nel quale l’oro ha deposto le sue scorie. V’ha qui ancora uno dei suggelli della vera santità; le sue penitenze sanno immolare ciò che bisogna, senza nulla compromettere di ciò che è vitale. Le mortificazioni dei Santi quanto sono igieniche, per l’anima, anzitutto, ed anche pel corpo! ». – Ma, si obbietterà, e le esagerazioni degli anacoreti e gli esempi, che ci mettono addosso i brividi, delle gravi penitenze dei Santi? Rispondiamo, citando ancora il Certosino: « La mortificazione è un rimedio, e, in questa qualità e come in tutti i rimedi, dev’essere dosata, misurata secondo lo stato del male da guarire e secondo la capacità dell’anima e del corpo a cui dev’essere applicata. Non ogni mortificazione conviene ad ogni persona, in quella guisa che un rimedio non conviene a tutte le malattie; ci vuol discernimento nell’uso ». Parole d’oro, che dimostrano, ancora una volta, come il senso della concretezza e della storicità lo si apprende davvero nei nostri grandi maestri di morale cristiana. Com’è possibile valutare il significato dei Padri del deserto, se non si tien conto del compito storico da essi assolto? Persino il Carducci l’ha intuito, nonostante il suo odio a quella religione che predicava « la stoltezza della Croce, l’obbrobrio del mondo, la sete del dissolvimento, la rinnegazione della vita ». Dopo d’aver deplorato tutto questo, soggiungeva: « E pure, non lo negherò già io, quelle idee e quelle rappresentazioni furono storicamente necessarie ad abbattere per una volta la sozza materialità dell’Impero e ad atterrire i Trimalcioni dell’aristocrazia romana, tiranni godenti del mondo; furono necessarie a contenere la materialità selvaggia de’ barbari, a infrenare la forza cieca e orgogliosa dei discendenti di Attila di Genserico di Clodoveo: con tanta carne e tanto sangue un po’ di astinenza ci voleva ». E sta bene, M L aggiunga subito — chi ne desidera la documentazione brillante, legga i due suggestivi volumi su “Les Pères du desert” [i padri del deserto], pubblicati da Jean Brémond — che le regole dell’eremitaggio han sempre condannato ogni eccesso. Esse dicevano, ad esempio: « I digiuni eccessivi fanno lo stesso male della golosità. Le veglie immoderate sono altrettanto dannose del troppo dormire; e l’eccesso d’una astinenza indiscreta, indebolendo straordinariamente il corpo, lo riduce per necessità nello stesso stato in cui lo mette una negligenza volontaria. Il che è così vero, che noi abbiamo spesso visto delle persone, le quali, non essendo mai state soccombenti nelle battaglie contro la gola, si sono lasciate così indebolire dai digiuni eccessivi, che in seguito l’infermità e la debolezza sono state per esse l’occasione di ricadere sotto la tirannia della passione che già avevano superata. Abbiamo parimenti visto che le veglie straordinariamente indiscrete, fino a passare spesso tutte le notti senza dormire, hanno alla fine abbattuto coloro che il sonno non aveva potuto vincere ». E quando fu chiesto: « Se scorgiamo qualche fratello dormicchiare durante l’Ufficio, dobbiamo scuoterlo, perchè si mantenga desto? », un Abate rispose: « Quanto a me, se vedo un fratello che sonnecchia, io metto la sua testa sulle mie ginocchia, e l’aiuto a riposarsi ». Per ciò, poi, che riguarda i monaci, bisogna pregare Giorgio Hegel a non paragonarli ai pidocchi ed ai parassiti, perché ciò è semplicemente indizio di stoltezza. Limitiamoci ai Benedettini. La dottrina di morte, inculcata dalla morale cristiana, li ha resi i personaggi più benefici che vanti la storia umana. In secoli di sconvolgimenti e di rovine, essi seppero scrivere pagine immortali di fede e di civiltà ad un tempo. Convertirono l’Europa al Cristianesimo, mutarono le boscaglie ed i deserti in campi fecondi e conservarono l’antico sapere. Sì, furono questi pretesi « pidocchi e parassiti » che insegnarono l’agricoltura ai barbari, aprirono scuole gratuite al popolo, furono maestri di scienze e di arti, raccolsero pergamene, manoscritti, libri, salvandoli dallo sterminio, ricopiarono i classici, e ad uno storico non sospetto, il Gibbon, fecero confessare che essi contribuirono più alla letteratura ed alla civiltà che non le due illustri Università inglesi di Oxford e di Cambridge, e, si può soggiungere, che non l’idealismo hegeliano. – La mortificazione, o la morte, dal Calvario di Gerusalemme ai vari Calvari cristiani di ogni esistenza, ha sempre portato la vita; ed, aggiungiamo, ha portato la gioia. I pellegrini, che spinti dalla curiosità, andavano nei deserti a trovare gli Eremiti, erano sorpresi dall’impressione di letizia serena che constatavano in quelle colonie di monaci; e chi conosce gli uomini di Dio, sa che l’austerità loro è sempre alleata col sorriso. Ciò è naturale. Poiché, qual altro sentimento se non di spirituale allegrezza può provare e nutrire chi si libera dalle miserie dello spirito, dagli orizzonti limitati del suo piccolo io, per rinnovarsi in Dio e per spiccare ad ogni ora il suo libero volo? Anche se la ferita prodotta dal sacrificio è sanguinante, la coscienza è tranquilla e felice, nella nobile fierezza della vittoria conquistata.

3. – Il sacrificio cristiano.

Con tale idea che bisogna morire per vivere, siamo già arrivati al concetto completo del sacrificio cristiano? Non ancora.. Innanzi tutto, il Cristianesimo sviluppa l’idea che il vero sacrificio ha origine dall’amore. La Croce è amore, e se tutti possono fare sacrifici per raggiungere uno scopo (poiché non c’è ideale umano che possa realizzarsi per altra via, tanto che anche l’egoista batte la strada del sacrificio e persino l’avaro non riempie mai senza sacrificio la sua cassaforte), il Cristiano è colui che si sacrifica per amore. Non basta ancora. Una madre pagana può sacrificarsi per amore dei figli; un soldato greco o romano può morire fieramente per amore della patria. Per avere un sacrificio cristiano, occorre non qualcosa di meno, ma qualcosa di più, che si aggiunga a questo e lo trasformi divinamente. Noi siamo uniti a Gesù Cristo è costituiamo un unico organismo con Lui e coi nostri fratelli. Gesù non è un essere isolato e noi non viviamo atomisticamente divisi. Viviamo in Lui, per Lui, con Lui. Ogni nostro sacrificio, perciò, è non solo nostro, ma Suo ed ha un influsso su tutto quanto l’organismo della Chiesa. Egli è morto per darci la vita; e noi moriamo con Lui; Egli si è sacrificato; e noi ci sacrifichiamo con Lui. I suoi patimenti furono la redenzione del mondo; e noi cooperiamo con Lui all’opera redentrice. San Paolo, con parole che a prima vista possono sembrare audaci, non esitava a scrivere ai fedeli di Colossi: « Compio nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, per il corpo suo che è la Chiesa ». In sè certo, nulla mancava all’integrità del sacrificio di Cristo, di valore infinito; ma Cristo non è solo; è capo della Chiesa, dell’organismo del quale noi siamo le membra, che debbono per la somiglianza convenire col Capo; noi, quindi, compiamo in noi ciò che manca al corpo mistico di Cristo. In linea pratica: quando io mi mortifico, il mio atto, per l’unione di carità che ho con Cristo, è divinizzato dalla grazia, ed è mio, ma non del mio piccolo io isolato, bensì del mio vero io, che forma un unico tutto con Cristo e con la Chiesa. Io, quindi, soffro, combatto, lavoro, mi mortifico con Cristo. Egli, con la Sua forza divina, mi aiuta e mi sprona a vincere ed a superare me stesso; è in me, mentre lotto e procedo innanzi fra sforzi e abnegazioni; i miei sacrifici continuano quello del Golgota; le mie piccole croci costituiscono un’unica Croce con la Sua; e, per usare ancora un’espressione di san Paolo ai credenti di Filippi, a me ed a tutti noi « è stato dato il dono non solo di credere in Cristo, ma anche di patire per lui Ogni singhiozzo ha un accento divino; ogni mortificazione è simile ad una nota musicale che io scrivo nella storia della Chiesa. Chi guarda le cose alla superficie, ritiene eguali due sol, due la, ossia una stessa mortificazione fatta da uno stoico e da un cristiano; ma, quantunque l’uno e l’altro abbiano compiuto un gesto simile, il valore della nota dipende dal canto in cui essa entra. Il canto dello stoico mira solo alla dignità umana; il canto del cristiano mira all’armonia della musica divina, che si inizia con la Passione e prosegue nei secoli. Il sacrificio del Cristiano è, quindi, un atto di amore a Dio in unione con Cristo, perchè la carità, ordinando tutti gli atti delle virtù infuse con lei connesse, dà a questi atti la propria forma d’amore e di merito sostanziale; ed è altresì un atto di amore per i fratelli, in quanto, siccome amiamo Gesù nel fratello nostro, non differiscono specificamente l’atto col quale si ama Dio e quello col quale si ama il prossimo, ed in quanto altresì, per il dogma della Comunione dei santi, ogni azione buona individuale ha una ripercussione in tutto l’organismo della Chiesa. La nostra dignità, non che essere diminuita, è in tal modo soprannaturalmente elevata ed io sento quella che Bossuet definiva « la terribile serietà della vita umana ». Di qui il concetto di riparazione a Dio per le colpe non solo nostre, ma anche altrui; di qui la vera imitazione di Cristo, che consiste nel sacrificarsi per i fratelli; di qui gli eroi della carità cristiana, che in ogni tempo, non con chiacchiere vuote, ma coi fatti, hanno dimostrato che il « cruciato Martire » insegna efficacemente la grandezza di animo e le generosità feconde dell’abnegazione; di qui il saluto, opposto alla bestemmia volgare, e così eloquente nel suo significato storico: « Ave, Crux, spes unica » La Croce non è morte, ma è l’unica speranza di vita.

4. – Il problema del dolore.

È superfluo spendere parole per indicare come la stessa attuazione del programma « morire per vivere » venga in tale modo facilitato ed acquisti una divina fisionomia. Ed è anche superfluo insistere sulla soluzione cristiana, che sgorga da tali premesse, del problema del dolore. Nessuno mai capirà tale problema, se non lo imposta e non ricerca una soluzione in funzione dell’amore. Io non lo esamino in un paragrafo speciale, perchè tutto il mio volumetto lo risolve. Il Cristiano è colui che alla domanda:

« Perchè il dolore? », risponde: « Perché, nelle attuali condizioni esso è la prova dell’amore nostro per Dio ». Sarebbe facile amare Dio, se fossimo sempre in una barca elegante su un lago di delizie; ma il vero modo di amare Dio è di essergli figli fedeli anche nel dolore. Il Cristiano, perciò, non si lascia ammaliare dalle correnti pessimistiche, pronte con Buddha a rinunciare alla vita pur di sopprimere il dolore, o disposte con Schopenhauer a proclamare l’irrazionalità del reale; ma muta, piuttosto, il dolore in amore, traendo profitto dalle sue pene e cambiando in celesti ricchezze tutti i travagli della vita. Soffrire con Cristo e per i fratelli: ecco la vera visione cristiana della sofferenza. Soffro io; ma non sono io che soffro; è Cristo che soffre in me. La croce che ho sulle spalle è la Sua. Egli me la impone e mi sussurra: « Avanti, per amore mio, per le anime… Avanti, un giorno ancora, ancora un anno, finchè Io vorrò… Nessuna lagrima tua, santificata così, cade a terra invano; il mio Cuore la raccoglie e serve alla Vita del mondo.. E le anime, che hanno approfondito e che vivono il Cristianesimo con serietà, giungono, anche nei loro più crudeli martiri, a ripetere il grido caro a santa Liduina, fra i tormenti delle sue gravissime malattie: « Io non sono da compiangere: sono felice ». Ogni dolore, diceva Argene Fati, la santa giovane, che fu una delle prime apostole della Gioventù Femminile d’Italia, si trasforma in un gioiello, in cui brilla il raggio dell’Amore.

5. – Conclusione.

Negli Atti commoventi del martirio di santa Perpetua e Felicita, leggiamo che quest’ultima, al carceriere che la interrogava in qual modo avrebbe potuto aver il coraggio di divenire pasto delle belve, rispose: « Vi sarà dentro di me un altro, il quale patirà per me, perché anch’io mi dispongo a morire per Lui ». – È la parola di tanti martiri oscuri del dovere quotidiano, che nel silenzio operoso delle pareti domestiche, fra le esigenze del lavoro, sul letto dell’agonia, nella battaglia d’ogni ora contro le tentazioni, le insidie e gli istinti malvagi, soffrono con Cristo e sanno che solo la crocefissione prepara lo squillo lieto, annunziatore della gloria del Risorto. – Il Cristiano sa che deve combattere e sacrificarsi; ma non teme, seguace anche in ciò delle Martiri suaccennate: « Sorse il dì della vittoria, ed esse uscirono dalla prigione verso l’anfiteatro, liete e composte in volto, come quelle che s’avviavano al cielo: trepidavano, è vero; non però di paura, ma piuttosto di gioia ». Furono straziate dapprima con staffili, passando tra le file dei venatores; ma anche di ciò « furono liete, perché eran messe in qualche modo a parte dei patimenti del Signore ». Con tale animo affrontarono, sublimi, la morte. Non di smidollati, schiavi di ogni passione ed incapaci di combattere; ma di queste anime, cristianamente forti, abbiamo bisogno. In ogni campo ci porteranno una nuova primavera ridente, annunciatrice d’un avvenire degno di Cristo.

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (II)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (II)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

TAVOLA SINOTTICA

Noi siamo su questa terra per ottenere, mediante la glorificazione di Dio, la salvezza eterna; noi la otteniamo con i mezzi seguenti:

1. Bisogna cercare di conoscere Dio con la fede, o credenza delle verità che Egli ci ha rivelate.

Si parlerà in questa parte della conoscenza di Dio, della rivelazione, della fede, dei suoi motivi, dei suoi contrari, della sua pubblica confessione, infine del segno della croce.

   Si spiegheranno i dodici articoli del simbolo degli Apostoli: Art. 1 L’esistenza di Dio, la sua essenza, le sue perfezioni, la Trinità. La creazionre del mondo e la Provvidenza. Gli Angeli e gli uomini. Il peccato originale. La promessa del Redentore. La preparazione dell’umanità alla venuta del Redentore. – 2. Gesù è il Messia, il Figlio di Dio medesimo e Nostro Signore. – 3 a 7. L’incarnazione e la vita del Cristo. – 8. Lo Spirito Santo e la dottrina della grazia. – 9. La Chiesa Cattolica, la sua organizzazione, il suo sviluppo, la sua divina perpetuità, il suo capo, la sua gerarchia, le sue note. Fuori dalla Chiesa, non c’è salvezza; la Chiesa e lo Stato. – La comunione dei Santi, – 10 La remissione dei peccati. – 11 e 12. La morte; il giudizio particolare; il cielo, l’inferno; il purgatorio; la resurrezione della carne; il giudizio universale. Alla fine del simbolo degli Apostoli, c’è la questione del bene che dobbiamo sperare da Dio. Vi si tratterrà dunque della natura della speranza cristiana, della sua utilità e di ciò che ne è contrario.

II. Bisogna osservare i Comandamenti di Dio, cioè:

I DUE COMANDAMENTI DELLA CARITÁ:

– Il comandamento dell’amor di Dio

Che è spiegato nei primi 4 Comandamenti del Decalogo.

Dio come Signore sovrano domanda:

L’adorazione e la fedeltà nel 1°

Il rispetto nel 2°

Il servizio nel 3°

Il servizio verso i suoi rappresentanti nel 4°.

I Comandamenti della Chiesa

Sono un’applicazione pratica del 3° Comandamento di Dio.

– I Comandamenti dell’amore del prossimo:

a) che proibiscono di nuocere al prossimo:

Nel suo corpo al 5°

Nella sua innocenza al 6°

Nella sua fortuna nel 7°

Nel suo onore nell’8°

Nei suoi diritti di capo di famiglia, nel 9° e 10°

b) Che obbligano a soccorrerlo nei suoi bisogni, con la pratica delle opere di misericordie.

Dopo l’amore di Dio, si parlerà dell’amore del mondo; dopo l’amore del prossimo, dell’amore degli amici, dei nemici, di se stesso. Al 1°Comandamento si collegherà il culto dei Santi, il giuramento ed il voto; al 3° la dottrina del lavoro; al 1° Comandamento della Chiesa, l’anno ecclesiastico; al 4° comandamento di Dio, i doveri verso il Papa ed il Sivrano dello Stato, ed i doveri delle autorità; il 5°, i doveri verso gli animali. In occasione delle opere di misericordia, si parlerà dell’uso della fortuna, del dovere della riconoscenza e della povertà. L’obbedienza ai comandamenti si manifesta nella pratica delle buone azioni e delle virtù, nella fuga dal peccato e dal vizio; infine, nella fuga da tutto ciò che può portare al peccato, vale a dire la tentazione e l’occasione.

Le principali virtù fondamentali sono le 7 virtù fondamentali, opposte ai 7 vizi o peccati capitali. Per compiere esattamente i precetti, occorre impiegare i mezzi della perfezione. (I mezzi ordinari riguardano tutti gli uomini, i mezzi straordinari o i 3 consigli evangelici, non riguardano che determinate persone). Questa via ci porterà fin da quaggiù, alla vera felicità. – Le 8 Beatitudini.

III. Per credere e osservare i Comandamenti, noi abbiamo bisogno della grazia di Dio. Noi prendiamo la grazia alle sorgenti della grazia, che sono: il Santo Sacrificio della Messa, i Sacramenti e la preghiera. Prima del capitolo della Santa Messa, si parlerà del sacrificio in generale e del Sacrificio della croce. Si tratterà in seguito della Santa Messa; della sua istituzione, della sua natura, delle sue parti, delle cerimonie, del rapporto della Messa al Sacrificio della Messa, della sua utilità, della sua applicazione, della devozione nell’assistenza alla Messa, dell’obbligo di assistervi, del tempo e del luogo del Sacrificio, dei paramenti e degli oggetti sacri, i loro colori, la lingua del canto liturgico. – Si parlerà poi della dottrina dei Sacramenti in generale e di ogni Sacramento in particolare. Il capitolo del santissimo Sacramento parlerà della sua istituzione e della sua natura, della Comunione, della sua utilità e dei suoi effetti, della preparazione alla Comunione; quello della Penitenza, della sua istituzione, della sua natura, della sua necessità, del ministro (confessore), dei suoi effetti, della sua valida recezione (i 5 atti del penitente), della confessione generale, dell’istituzione e dell’utilità della confessione, della ricaduta nel peccato e delle indulgenze. – Al Sacramento del Matrimonio si farà il punto sulla sua istituzione, la sua natura, i doveri degli sposi, i matrimoni misti ed il celibato. – I Sacramentali costituiscono il seguito naturale di questa parte. Quanto alla preghiera, si farà questione della sua natura, dela sua utilità, della sua necessità, delle sue qualità; del luogo, dei tempi, dell’oggetto delle nostre preghiere; della meditazione. Si spiegheranno in seguito le principali preghiere (il Pater, le invocazioni alla Santa Vergine), gli esercizi di pietà più importanti (preghiere del mattino e della sera, le processioni, i pellegrinaggi, la via crucis, i santi, le missioni (ritiri e giubilei), i congressi cattolici, i drammi della Passione, le associazioni religiose (terzo-ordine), confraternite, e le principali corporazioni cristiane).  

PREGHIERE

2. PREGHIERE IN USO NELLA CHIESA

  1. IL SEGNO DELLA CROCE

Nel nome del Padre, e del Figlio e dello Spirito Santo, così aia.

  • L’ORAZIONE DOMENICALE O PATER

Padre nostro che siete nei cieli,

1. santificato sia il vostro Nome;

2. venga il vostro regno;

3. sia fatta la vostra volontà in terra come in cielo;

4. Date a noi il nostro pane quotidiano;

5. rimettete a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori;

6. non ci lasciate soccombere alla tentazione;

7. ma liberateci dal male. Così sia.

  • LA SALUTAZIONE ANGELICA O AVE MARIA
  • 1. Ave o Maria, piena di grazia; il Signore è con Voi;

2. Voi siete benedetta tra le donne, e benedetto è il frutto del vostro seno, Gesù.

3. Santa Maria, Madre di Dio, pregate per noi peccatori, ora e nell’ora della nostra morte. Così sia.

4. IL SIMBOLO DEGLI APOSTOLI

1. Io credo in Dio, Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra;

2. e in Gesù-Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore;

3. che è stato concepito dallo Spirito Santo, ed è nato dalla Vergine Maria,

4. ho sofferto sotto Ponzio Pilato, è stato crocifisso, è morto, è stato seppellito,

5. è disceso ali inferi, il terzo giorno è resuscitato dai morti,

6. è salito nei cieli, è seduto alla destra del Padre, onnipotente,

7. da dove verrà a giudicare i vivi ed i morti (cioè coloro che nel momento del giudizio finale vivranno e moriranno ancor davanti al giudizio, così come colo che sono morti prima. Ma questo può anche significare gli eletti ed i dannati).

8. Io credo allo Spirito Santo;

9. la Santa Chiesa Cattolica, la comunione dei Santi;

10. la remissione dei peccati;

11. la resurrezione della carne;

12. la vita eterna. Così sia.

  • I due COMANDAMENTI DELLA CARITÀ

(S. Marc. XII, 30)

1. Amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il tuo cuore, con tutto la tua anima, con tutto il tuo spirito, con tutte le tue forze.

2. Ed il tuo prossimo come te stesso.

6. I DIECI COMANDAMENTI  

(2 Mosè, XX, 1- 17)

1. Amerai ed adorerai perfettamente un solo Dio.

2. Non giurerai invano per Dio né parimenti per altra cosa.

3. ti riposerai nelle Domeniche, servendo devotamente Dio.

4. onorerai il padre e la madre, per vivere lungamente,

5. Non sarai omicida, di fatto né volontariamente.

6. Non sarai lussurioso, né di corpo né di consenso-

7. Non prenderai i beni altrui né li terrai a tuo piacimento.

8. Non darai falsa testimonianza, né mentirai giammai.

9. Non desiderare l’opera della carne se non in un solo matrimonio.

10. Non desidererai i beni altrui, per averli ingiustamente. 

7. I Comandamenti della Chiesa.

1. Santificherai le feste che sono di precetto.

2. Ascolterai la Messa la Domenica, così come nelle feste.

3. Confesserai tutti i peccati almeno una volta all’anno.

4. Riceverai il tuo Creatore, in umiltà, almeno a Pasqua.

5. Digiunerai nelle “Quatempora”, nelle Vigilie ed in tutta la Quaresima.

6. Non mangerai carne il venerdì né similmente il sabato (sabato non più obbligatorio -ndr.-).

II. Preghiere da recitare nei diversi momenti della giornata.

PREGHIERE DEL MATTINO

Nel nome del Padre, e del Figlio, e dello Spirito Santo, e così sia.

Mettiamoci alla presenza di Dio, ed adoriamo il sui santo Nome.

Santissima ed augustissima Trinità, Dio uno in tre Persone, io credo che Voi siate qui presente. Vi adoro con i sentimenti più profondi di umiltà, e vi rendo con tuttonil mio cuore gli omaggi che sono dovuti alla vostra sovrana Maestà.

Atto di fede

Mio Dio, io credo fermamente tutte le verità che avete rivelato che ci insegnate per mezzo della vostra Chiesa, perché Voi non potete ingannarvi, né ingannarci.

Atto di speranza

Dio mio, io spero con fiducia ferma che Voi mi darete, per i meriti di Gesù-Cristo, la vostra grazia in questo mondo e, se osservo i vostri Comandamenti, la vostra gloria nell’altra; perché Voi lo avete promesso e Voi siete sovranamente fedele nelle vostre promesse.

Atto di carità

Mio Dio, io vi amo di tutto cuore e al di sopra di ogni cosa, perché Voi siete infinitamente buono ed infinitamente amabile; ed amo il mio prossimo come me stesso per amor vostro.

Ringraziamo Dio per le grazie che ha fatte ed offriamoci a Lui.

O mio Dio, io vi ringrazio umilmente per tutte le grazie che mi avete fatto finora. È ancora per effetto della vostra bontà che io vedo questo giorno; io voglio impiegarlo unicamente per servirvi. Vi consacro tutti i pensieri, le parole, le azioni e le pene. Benediteli Signore, affinché non vene sia alcuno che non sia animato dal vostro amore e che non tenda alla vostra maggior gloria..

Formiamo la risoluzione di evitare il peccato e praticare la virtù.

Gesù adorabile, modello divino della perfezione a cui dobbiamo aspirare,

farò del mio meglio per diventare come te, mite, umile, casto, zelante, paziente, caritatevole e rassegnato come te. E farò tutti i miei sforzi per non cadere oggi nei difetti che commetto così spesso e che spero sinceramente di correggere.

Chiediamo a Dio le grazie di cui abbiamo bisogno.

Mio Dio, tu conosci la mia debolezza, non posso fare nulla senza l’aiuto della tua grazia.. Non me la negare, o Dio: proporzionala ai miei bisogni; dammi la forza sufficiente per evitare tutto il male che mi proibisci, per fare tutto il bene che ti aspetti da me, e per soffrire pazientemente tutte le pene che ti piacerà mandarmi.

Orazione domenicale, vedi sopra.

Saluto angelico, vedi sopra,

Simbolo degli Apostoli, vedi sopra.

Confessione dei peccati.

Confesso a Dio Onnipotente, alla Beata Vergine Maria, a San Michele Arcangelo, San Giovanni Battista, gli Apostoli San Pietro e San Paolo, a tutti i Santi (e a te, Padre), che ho molto peccato nei miei pensieri, parole e azioni. È colpa mia, è colpa mia, è una colpa molto grande. Per questo prego la Beata Vergine Maria, San Michele Arcangelo, San Giovanni Battista, gli Apostoli San Pietro e San Paolo, tutti i Santi (e voi), pregate il Signore nostro Dio per me.

Che Dio onnipotente abbia pietà di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna. Così sia.

Che il Signore onnipotente e misericordioso ci dia l’indulgenza, l’assoluzione e la remissione di tutti i nostri peccati. Così sia.

Invochiamo la Beata Vergine, il nostro buon Angelo ed il nostro santo Patrono.

Santa Vergine, Madre di Dio, mia Madre e mia patrona, mi pongo sotto la tua protezione e mi affido con fiducia al seno della tua misericordia. Sii, o Madre di bontà, il mio rifugio nelle mie necessità, la mia consolazione nelle mie pene, e la mia avvocata presso il tuo adorabile Figlio, oggi, tutti i giorni della mia vita e soprattutto nell’ora della mia morte.

Angelo del cielo, mia guida fedele e caritatevole, ottienimi la grazia di essere così docile alle tue ispirazioni e di regolare così bene i miei passi da non deviare in alcun modo dal cammino dei comandamenti del mio Dio.

Grande Santo di cui ho l’onore di portare il nome, proteggimi, prega per me, affinché io possa servire Dio come te sulla terra e glorificarlo eternamente con te in cielo. Così sia.

Angelus.

L’Angelo del Signore venne ad annunciare a Maria che sarebbe stata la Madre del Salvatore,

ed Ella concepì per opera dello Spirito Santo.

Ave Maria, ecc.

Ecco la serva del Signore; si compia in me la tua parola.

Ave Maria, ecc.

Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi.

Ave Maria, ecc.

Ÿ Prega per noi, santa Madre di Dio.

R Affinché possiamo diventare degni delle promesse di Gesù Cristo.

Preghiamo. Signore, ti preghiamo di riversare la tua grazia nelle nostre anime, affinché, avendo conosciuto, attraverso la voce dell’Angelo, l’incarnazione del tuo Figlio Gesù Cristo, attraverso la sua passione e la sua croce, possiamo giungere alla gloria della sua risurrezione. Per lo stesso Gesù Cristo Nostro Signore. Così sia.

Nel tempo pasquale, al posto dell’Angelus, diciamo:

Regina del cielo, datti alla gioia, alleluia: colui che hai avuto il privilegio di portare nel tuo seno è resuscitato come aveva detto, alléluia.

Prega Dio per noi, alleluia.

Gioisci e rallegrati, Vergine Maria.

Perché il Signore è veramente risorto.

Preghiamo, o Dio, che hai voluto dare agli uomini la santa gioia della risurrezione del tuo Figlio, Nostro Signore Gesù Cristo, concedi che con l’aiuto della sua santa Madre, la Vergine Maria, ci renda partecipi della gioia di una vita eterna e beata. Per lo stesso Gesù Cristo Nostro Signore. Così sia.

PREGHIERE DELLA SERA.

Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.

Mettiamoci alla presenza di Dio ed adoriamolo.

Ti adoro, o mio Dio, con la sottomissione che mi ispira la presenza della tua grandezza sovrana. Credo in te perché sei la verità stessa. Spero in te perché sei infinitamente buono. Ti amo con tutto il mio cuore, perché sei sommamente amabile, e amo il mio prossimo come me stesso per amore tuo.

Ringraziamo Dio per le grazie che ci ha concesso.

Quale ringraziamento ti renderò, o mio Dio, per tutte le cose buone che ho ricevuto da te? Tu hai pensato a me da tutta l’eternità, mi hai fatto nascere dal nulla, hai dato la tua vita per redimermi, e ogni giorno mi colmi di un’infinità di favori. Ahimè, Signore, cosa posso fare in segno di gratitudine per tante gentilezze? Unitevi a me, spiriti benedetti, nella lode al Dio delle misericordie, che non cessa di fare del bene alla più indegna e ingrata delle sue creature.

Chiediamo a Dio di conoscere i nostri peccati.

Eterna sorgente di luce, Spirito Santo, dissipa le tenebre che mi nascondono la bruttezza e la malizia del peccato. Fa’ che ne abbia così orrore, o mio Dio, da odiarlo.

Dio, che io possa odiarlo, se possibile, tanto quanto lo odi tu stesso, e che io non tema nulla tanto che commettere un peccato in futuro.

Esaminiamo i peccati commessi.

Verso Dio. Omissioni o negligenze nei nostri doveri di pietà, irriverenza nei confronti della Chiesa, distrazioni volontarie nelle nostre preghiere, disattenzione, resistenza alla grazia, imprecazioni, mormorazioni, mancanza di fiducia e di rassegnazione.

Verso il nostro prossimo. Giudizi temerari, disprezzo, odio, gelosia, desiderio di vendetta, litigi, ira, imprecazioni, insulti, maldicenze, derisioni, false notizie, danni alla proprietà o alla reputazione, cattivo esempio, scandalo, mancanza di rispetto, obbedienza, carità, zelo, fedeltà.

Verso noi stessi. Vanità, rispetto umano, menzogna; pensieri, desideri, discorsi e azioni contrarie alla purezza; intemperanza, ira, impazienza, vita inutile e sensuale, pigrizia nel compiere i doveri del nostro stato.

Facciamo un atto di contrizione

Eccomi, Signore, coperto di confusione e pieno di dolore alla vista delle mie colpe. Sono arrivato a detestarli davanti a te, con vero dispiacere per aver offeso un Dio così buono, così grande, e così degno di essere amato. Era dunque questo, o mio Dio, ciò che  dovevi aspettarti dalla mia riconoscenza, dopo avermi amato fino a  versare il tuo sangue per me? Sì, Signore, ho spinto troppo in là la mia malizia e la mia ingratitudine. Ti chiedo umilmente di perdonarmi e ti supplico, o mio Dio, per la stessa bontà di cui ho sentito tante volte gli effetti, di concedermi la grazia di fare una sincera penitenza da ora fino alla morte.

Facciamo un fermo proposito di non peccare più.

Come vorrei, o Dio, non averti mai offeso! Ma poiché ho avuto la sfortuna di dispiacerti, ti mostrerò il dolore che provo comportandomi in modo del tutto opposto a come mi sono comportato finora. Io rinuncio al peccato ed alle occasioni di peccato, soprattutto a quelle in cui ho la debolezza di cadere così spesso. E se ti degnerai di concedermi la tua grazia, come chiedo e spero, cercherò di adempiere fedelmente ai miei doveri, e nulla potrà fermarmi quando si tratterà di servirvi. Così sia.

Preghiera della domenica, Saluto angelico, Simbolo degli Apostoli, Confessione dei peccati.

Raccomandiamoci a Dio, alla Beata Vergine e ai Santi:

Benedici, o mio Dio, il riposo che sto per prendere per riparare le mie forze, affinché io possa servirti meglio. Santa Vergine, Madre del mio Dio, e dopo di Lui mio Dio, la mia unica speranza; il mio buon Angelo, il mio santo Patrono, interceda per me, mi protegga durante questa notte, per tutti i giorni della mia vita e nell’ora della mia morte. Così sia.

Preghiamo per i vivi e per i fedeli defunti.

Signore, benedici i miei genitori, i miei benefattori, i miei amici e i miei nemici.. Proteggi tutti coloro che mi hai dato come superiori, spirituali e temporali. Aiuta i poveri, i prigionieri, gli afflitti, i viaggiatori, i malati ed i moribondi. Converti gli eretici ed i peccatori ed illumina gli increduli. Dio di bontà e di misericordia, abbi pietà anche delle anime dei fedeli in purgatorio. Poni fine alle loro sofferenze e dona a coloro per i quali sono obbligato a pregare, il riposo e luce eterna. Così sia.

Chiediamo a Dio la sua protezione questa notte.

Ti preghiamo, Signore, di visitare la nostra dimora e di tenere lontane da essa da tutte le insidie del nemico; che i tuoi santi Angeli vi abitino, così da mantenerci in pace, e la tua benedizione sia sempre su di noi. Per il nostro Signore Nostro Signore Gesù Cristo. Amen.

Preghiera a tutti i Santi.

Anime benedette, che avete avuto la grazia di raggiungere la gloria, ottenete per noi due cose da Colui che è il nostro comune Dio e Padre: che non lo offendiamo mai mortalmente e che Egli allontani da noi tutto ciò che gli dispiace. Così sia.

 Preghiere di devozione.

Allo Spirito Santo.

Autore della santificazione delle nostre anime, Spirito di amore e di verità, ti adoro come principio della mia felicità eterna; ti ringrazio come sovrano dispensatore delle cose buone che ricevo dall’alto; ti invoco come fonte della luce e della forza di cui ho bisogno per conoscere il bene e praticarlo. Spirito di luce e di forza, illumina la mia comprensione, rafforza la mia volontà, purifica il mio cuore, regola tutti i suoi movimenti e rendimi docile a tutte le tue ispirazioni..

Alla Beata Vergine.

Salve Regina. – Ti salutiamo, Regina del cielo, Madre del Dio della misericordia.

Ti salutiamo, o tu che sei dopo di Lui la nostra vita, la nostra consolazione e la nostra speranza. Esiliati quaggiù come infelici figli di Eva, alziamo a te la nostra voce, ti offriamo i nostri sospiri e i nostri gemiti in questa valle di lacrime. Sii il nostro Avvocato; guardaci con compassione e, dopo l’esilio di questa vita, ottienici la felicità di contemplare Gesù, il sacro frutto del tuo seno. Vergine Maria, piena di clemenza, di dolcezza e di tenerezza per gli uomini!

Sub tuum. – Ci mettiamo sotto la tua protezione, santa Madre di Dio; non respingere le nostre preghiere nel momento del bisogno, ma liberaci da ogni pericolo, o Vergine di gloria e di benedizioni.

Memorare. – Ricorda, o misericordiosissima Vergine Maria, che non è mai udito che nessuno di coloro che hanno fatto ricorso alla tua protezione, implorato il tuo aiuto e chiesto i tuoi suffragi siano rimasti delusi. Animato dalla stessa fiducia, vengo a te, o Vergine Madre delle Vergini, e gemendo sotto il peso dei miei peccati, mi prostro davanti a te. O Madre del Verbo Incarnato, non disprezzare le mie preghiere, ma ascoltale favorevolmente e degnati di esaudirle. Così sia.

Il Santo Rosario.

Quando si recita quotidianamente non l’intero Rosario, ma solo la terza parte del Rosario, di solito si medita: il lunedì e il giovedì sui misteri gaudiosi; martedì e venerdì sui misteri dolorosi; mercoledì, sabato e domenica sui misteri gloriosi.

All’inizio di ogni decina, si enuncia il soggetto ed il frutto di ciascun mistero.

Misteri gaudiosi.

1° Mistero. – L’Annunciazione della Beata Vergine Maria. – Frutto del mistero: umiltà.

2° Mistero. – La Visitazione della Beata Vergine Maria. – Frutto del mistero: la carità verso il prossimo.

3° Mistero. – La Natività di Nostro Signore. – Frutto del mistero: il distacco dai beni di questo mondo.

4° Mistero. – La presentazione di Nostro Signore al Tempio. – Frutto del mistero: la purezza.

5° Mistero. – Il ritrovamento nel tempio di Nostro Signore. – Frutto del mistero: la vera sapienza.

Misteri dolorosi.

I° Mistero – L’agonia di Nostro Signore. – Frutto del mistero: l’odio per il peccato.

2° Mistero. – La Flagellazione di Nostro Signore. – Frutto del mistero: mortificazione dei sensi.

3° Mistero. – L’incoronazione di spine. – Frutto del mistero: il disprezzo del mondo.

4° Mistero. – Il trasporto della croce. – Frutto del mistero: la pazienza.

5° Mistero. – La crocifissione di Nostro Signore. Frutto del mistero: la salvezza delle anime.

Misteri gloriosi.

1° Mistero. – La Risurrezione di Nostro Signore. – Frutto del mistero: la carità verso Dio.

2° Mistero. – L’Ascensione di Nostro Signore. – Frutto del mistero: il desiderio del cielo.

3° Mistero. – La discesa dello Spirito Santo. – Frutto del mistero: la discesa dello Spirito Santo nelle nostre anime.

4° Mistero. – L’Assunzione della Beata. V. Maria. – Frutto del mistero: la devozione a Maria.

5° Mistero. – L’incoronazione del Beato. V. Maria. – Frutto del mistero: la perseveranza finale.

Preghiera a San Giuseppe.

Grande Santo, tu sei il servo saggio e fedele a cui Dio ha affidato la cura della sua famiglia; tu che hai fatto diventare il protettore e l’affidatario di Gesù Cristo, il consolatore e il sostegno della sua santa Madre, e fedele cooperatore nel grande disegno della redenzione del mondo; tu che hai avuto la fortuna di vivere con Gesù e Maria e di morire tra le loro braccia; casto sposo della Madre di Dio, modello e patrono delle anime pure, umili, pazienti e interiori, sii commosso per la fiducia che abbiamo in te ed accogli gentilmente le testimonianze della nostra devozione. Ringraziamo Dio per gli straordinari favori di cui si è compiaciuto di ricoprirvi e lo supplichiamo di renderci, per sua intercessione, imitatori delle sue virtù. Prega dunque per noi, grande Santo, e, per l’amore che hai avuto per Gesù e Maria, e che Gesù e Maria hanno avuto per te, ottienici l’incomparabile felicità di vivere e morire nell’amore di Gesù e Maria. Amen.

Preghiera all’Angelo custode.

Angelo di Dio, al quale la divina Bontà mi ha affidato, illuminami, governami oggi (stasera), per tutti i giorni della mia vita e nell’ora della mia morte.

Salvezza cattolica.

Sia lodato Gesù Cristo. – Nei secoli dei secoli. Così sia.

Due persone che si salutano in questo modo ottengono un’indulgenza di 50 giorni; chi è abituato a farlo per tutta la vita guadagna un’indulgenza plenaria

(Clemente XIII, 5 settembre 1759).

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (III)

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA (9)

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA (9)

FRANCESCO OLGIATI,

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA.

Soc. ed. Vita e Pensiero, XIV ed., Milano – 1956.

Imprim. In curia Arch. Med. Dic. 1956- + J. Schiavini Vic. Gen.

Capitolo QUARTO (1)

L’AMORE NEL SACRIFICIO

Fu un sogno, il nostro? La fiamma dell’amore di Dio, che incendi le anime e tutte le unisca in un’anima sola, nella generosità operosa dell’amore fraterno, non è forse un ideale roseo, fulgente nella credula fantasia come una stella lontana, ma in antitesi assoluta con la realtà delle cose? Oh, se tutti tenessero fisso lo sguardo ed il cuore in Dio e nel suo Cristo; se lo spirito dominante d’ogni individuo e d’ogni iniziativa fosse davvero lo Spirito Santo; se nessuno s’avvicinasse al prossimo senza pensare che si avvicina a Gesù velato da quelle apparenze; se la giustizia e l’amore non ottenessero solo il plauso della retorica e dell’ingenuità, ma fossero attuate nella vita quotidiana; se la pace fra i popoli non belasse nei Congressi o nelle Carte, e non fosse divorata immediatamente dai denti dell’odio e degli interessi; se uomini e Stati non facessero concorrenza alla concordia proverbiale che regna fra cani e gatti, oh, allora il mondo sarebbe pur bello e l’esistenza pur lieta. Ma, ahimè! è inutile che Gerolamo Savonarola predichi nella città di Lorenzo de’ Medici la morale cristiana e rizzi i suoi roghi. Ironicamente gli risponde in ogni tempo l’anima umana col verso di Ovidio:

aliudque cupio, Mens aliud suadet: video meliora proboque; Deteriora sequor.

(Met. VII, 19 e seg.)

Beffardo gli guarda il Rinascimento folgorante a da tutte le parti, da tutti i marmi scolpiti, da tutte le tele dipinte, da tutti i libri stampati in Firenze e in Italia », da mille e mille manifestazioni, in cui irrompeva la ribellione della carne contro lo spirito… Tra le ridde dei suoi piagnoni non vedeva, povero frate, in qualche canto della piazza sorridere pietosamente il pallido viso di Nicolò Machiavelli ». Il quale, in un famoso capitolo del suo Principe, ancor oggi mormora con malizia arguta: « Se gli uomini fossero tutti buoni… » …e dovunque poi, in ogni momento della sua vita ed in ogni passo delle sue opere, con viso severo ci rammenta il dovere di non perder d’occhio « la verità effettuale », ossia il ciò che è, per il ciò che dovrebbe essere e che non esiste. – Sarebbe forse l’etica dell’Amore un’utopia irrealizzabile? Lo scetticismo morale lo sostiene e lancia il grido disperato: “Virtù, tu non sei che un nome vano!”.. I vili vanno ripetendo una tale parola, rispondente alla debolezza del loro carattere e cedono le armi. Gli uomini ” pratici “, col loro caratteristico sussiego, rammentano che la vita è lotta, è contrasto, è cozzo di interessi; non è amore. La vita non è bacio di fratelli, bensì baci di Giuda, insidie, opposizioni, guerre. Come mai può il Cristianesimo dimenticare la realtà dura, sì, ma inesorabile? Si racconta che Carlo V, quando, verso il tramonto dei suoi anni, si ritirò in un monastero, talvolta si ricreava a regolare gli orologi; e constatando l’impossibilità di accordarne anche soltanto due di essi, esclamò: « Disgraziato! Non riesco ad accordare due orologi; ed ho preteso di accordare fra loro gli uomini! ». Non è forse, questa, l’utopia cristiana? La legge cristiana dell’Amore non teme simili obbiezioni. Noi esporremo brevemente come essa risolva l’antitesi fra reale e ideale, mediante il concetto di sacrificio e di formazione della propria volontà.

# # #

I. – REALE ED IDEALE

Il Cristianesimo non è un ideale astratto; anzi è la negazione assoluta dell’astrattismo, di questa merce, bella in apparenza, ma ingannatrice, proprietà dell’umanitarismo illuministico, del democraticismo moderno e delle ideologie contemporanee. Appunto perché il Vangelo è il libro più alto per la soluzione del problema della vita, è anche il libro che ci infonde e cura in noi al massimo grado il senso della concretezza. La Chiesa di Cristo non è mai stata una bottega di lattemiele. E Gesù, se da un lato dice: « Amate », dall’altro soggiunge. « Son venuto a portare non la pace, ma la spada ». Svolgiamo l’idea principe dell’amore e tutto sarà chiaro.

1. – L’amore e la lotta

Il vero amore non ha nulla in comune con le sdolcinature sentimentali, che — ripetiamo ancora — hanno una origine fisiologica, più che psicologica. I genitori che amano i loro figli non li allevano a carezze solo ed a caramelle; ma quando è necessario, battono e castigano: e tale castigo non è l’antitesi dell’amore; anzi è esso stesso amore! Il chirurgo, che ama l’ammalato, non lo lusinga con paroline soavissime e con illusioni mendaci; ma prende il bisturi e taglia senza misericordia. Una nazione, che viene aggredita e minacciata nella sua esistenza, dal cancro d’un invasore ingordo, dev’essere difesa in nome del precetto stesso della carità; poiché, se noi amiamo Dio ed il prossimo, come possiamo permettere che un popolo venga ingiustamente schiacciato, iniquamente torturato e sfruttato? È l’amore ai fratelli, che nella guerra giusta può portare la guerra. È la spada, che dona la pace agli uomini di buona volontà, agli unici, ai quali il canto natalizio la augura. Un castigo necessario, una operazione chirurgica ben fatta, una guerra giusta possono essere la vera realizzazione concreta del precetto dell’amore, in quanto non sono un’ingiuria a Cristo nei nostri fratelli, ma uno sforzo legittimo e spesso doveroso per liberare gli altri dall’involucro esteriore, che nulla ha a che fare con Cristo ed attenta, anzi, all’amore cristiano nella vita o nella storia. Ciò che il Cristianesimo proibisce è, ad es., il castigo inflitto ad un figliolo, non perché lo meriti, ma perché il padre è di cattivo umore; la correzione, che tratta il prossimo come un nemico da distruggere e non un fratello da guarire; la guerra suscitata dall’ingordigia e dalla prepotenza. Ciò che vieta è lo stato d’animo passionale, per colpa del quale non ci poniamo più dal punto di vista di Cristo, ma dal punto di vista della nostra ira, delle nostre cattive tendenze e degli istinti brutali che in noi fremono ed urlano. Ed, in pari tempo, condanna una pace senza giustizia. È bello, è cristiano il voto del poeta che nei Canti da Castelvecchio diceva:

a’ piedi dell’odio che, alfine,

solo è con le proprie rovine,

piantiamo l’ulivo;

ma il solo ulivo vero della pace vien distribuito nella domenica delle palme ed accompagna il sereno trionfo di Gesù nella storia: in altre parole, il vero amore e la vera pace non sono se non l’amore e la pace di Cristo, che tutti — individui e nazioni — debbono affrettare, attuando la morale cristiana, ossia combattendo.

2. – La vita è una milizia

Nell’altro mondo non sarà così: ma quaggiù l’Amore è necessariamente connesso con la battaglia: ed è per questo che la Scrittura ci ammonisce: « La vita dell’uomo sulla terra è una milizia ».

Noi abbiamo bensì consapevolezza degli esseri; possiamo conoscere il loro ordine e le conseguenze pratiche che ne risultano; la coscienza e le tavole del Sinai ci gridano, l’una con la parola della ragione, l’altra con quella della rivelazione, la voce di Dio. Ma obbedire a questa voce significa sacrificarsi; seguirla importa spesso insorgere contro di noi, contro le consuetudini dell’ambiente, contro i suggerimenti di satana. L’ideale è bello; ma la lotta è aspra, e la passione è prepotente, e le insidie allettatrici sono numerose. Comincia a combattere il ragazzo, appena giunge all’età della ragione. Vedetelo là, dinanzi alla zuccheriera. La piccola coscienza gli intima: « Piccolo, quello zucchero non lo devi toccare »; ma l’acquolina in bocca gli sussurra: « Allunga la mano: è così dolce lo zucchero ». Tutta la vita è una ripetizione d’una simile scena. Invece della zuccheriera, sarà una cassaforte; e l’impiegato si soffermerà e si svolgerà nell’intimità del suo cuore il conflitto: « Allunga la mano… No; non rubare, sii onesto ». Invece dello zucchero dolce, sarà la dolcezza d’un’altra qualsiasi tentazione. Come a Cleopatra, il serpente sempre ci è presentato in un vaso di fiori. Il ruggito della belva, il fremito passionale, la tendenza malvagia ci sospingeranno verso l’abisso, mentre il comando del dovere echeggerà dentro di noi categorico e minaccioso. Siamo liberi; e possiamo scegliere. Non siamo solo intelligenza; da questa procede una volontà. Ed essa può indurci a fuggire dal pericolo. Può comandare all’intelligenza di rivolgere la sua attenzione ad uno o ad un altro motivo d’azione, che in tal modo diverrà prevalente, non già perchè i motivi siano come pesi posti sulla bilancia della nostra decisione per determinarci, ma, al contrario, perchè il nostro stesso libero volere li prende e li usa. La volontà decide, sovente immersa nella nube e nei miasmi della passione, talvolta nella serenità dell’animo tranquillo, talvolta sentendo che una mano l’afferra e la trascina; potrebbe resistere, ribellarsi, liberarsi; ma non sempre lo vuole. Non tanto sui campi sanguinosi delle guerre antiche e recenti occorre recarsi, quanto nel silenzio delle coscienze nostre: ecco qui il più spaventoso campo di battaglia che mai si possa immaginare. Spesso è la ferita, la morte, la desolazione della sconfitta; talora, il peana della vittoria.

LO SCUDO DELLA FEDE (263)

LO SCUDO DELLA FEDE (263)

P. Secondo FRANCO, D.C.D.G.,

Risposte popolari alle OBIEZIONI PIU’ COMUNI contro la RELIGIONE (6)

4° Ediz., ROMA coi tipi della CIVILTA’ CATTOLICA, 1864

CAPO VI.

INDIFFERENZA IN RELIGIONE

I. Indifferenza pratica, che colpa sia. Il. Dove abiti più frequentemente.

I due assiomi combattuti nel capo antecedente mirano a stabilire un principio pratico, l’indifferenza in religione: e però confutati quelli, resta chiusa la via anche a questa. Con tutto ciò, come l’indifferenza pratica è senza alcun dubbio la piaga che più affligge l’odierna società, così non sarà altro che utile il darle un’occhiata anche più direttamente. Che cosa è l’indifferenza pratica in religione? Miratela pure sotto l’aspetto che volete, essa vi comparirà sempre una mostruosità singolare. L’aspetto, sotto cui ella più si compiace di darsi a vedere, è il filosofico, in quanto che l’indifferente vorrebbe comparire un uomo superiore agli altri, e mosso da una ragione più illuminata, che non è la volgare. Ebbene, l’indifferenza in filosofia non è altro che un assurdo. Imperocché la religione, oltre all’essere una somma d’ossequi e di affetti verso il Signore, è ancora la rivelazione di una serie di verità rispetto a Dio ed a noi, alla vita presente ed all’avvenire, ai veri beni ed ai veri mali di questa vita e dell’altra. Ora che cosa significa essere indifferente in religione? Significa non curarsi delle verità in sé più nobili, all’uomo più necessarie. Il dubbio anche solo intorno a queste verità, è la morte di un intelletto che si sollevi alquanto sopra il comune; ma la non curanza di queste verità ha qualche cosa di stupido e brutale. Bisogna per giungere a questo stato essere talmente immerso nel senso, affogato nella materia, da non aver mai compreso, nè lo sconcio che è tale ignoranza, nè avere mai sospettato l’importanza di tutti que’ veri. Bisogna dire praticamente a sè stesso che non importa nulla l’accertare se abbiamo un’anima immortale o se siamo come le bestie; se un Dio ha parlato da sé medesimo, oppure se unica nostra guida ha da esser la debole nostra ragione. Se abbiamo nulla a temere per l’avvenire, o se abbiamo tutto a temere. Se è vero che un giorno saremo consorti degli Angeli del cielo, oppure se torneremo nel nulla d’onde fummo creati; e così andate dicendo di tutte le questioni più sublimi che riguardino l’umanità, non meno che la divinità. Se dunque un uomo, che può non curarsi di tutto ciò, merita il nome od il vanto di filosofo, di amatore della sapienza, addio per sempre filosofia. – Sebbene non solo verso la filosofia, ma pure verso il senso comune, l’indifferenza in religione è un assurdo. Non è mestieri esser filosofo per intendere che niuno può essere indifferente intorno a cosa, da cui dipende qualche grande suo interesse. Un capo di casa indifferente intorno ad una lite, da cui dipenda il sostentamento della sua famiglia, un generale indifferente intorno ad un fatto d’arme, da cui dipenda l’esito di una campagna, un principe indifferente intorno ad un avvenimento, che può mantenerlo sul trono o balzarnelo, sono esseri che escono dal consueto dell’umana natura e che appartengono ad un genere di stupidità non conosciuta. Ma un indifferente in religione è assai peggiore: perocché egli è indifferente a beni di ben altra importanza, che non sono gli accennati, se pure è vero, come è verissimo, che la religione si apprende con una mano all’uomo, coll’altra a Dio, e confina da una parte col tempo, dall’altra coll’eternità. Il perchè se fosse incerto tutto quello che si dice della religione, fosse anche leggerissimamente fondato, ogni buon senso vorrebbe che se ne facessero ricerche minute, diligenti, profonde, costanti fino ad avere al tutto raggiunta la verità. Ora che avrà a dirsi della stupidità di chi non se ne cura, mentre essa è, per testimonianza dei più chiari intelletti dell’universo, sì saldamente stabilita? L’assurdità, come ognun vede, è senza fine, e cede solo al delitto che in essa si ritrova. Conciossiaché la religione non è solo bene dell’uomo (notatelo bene, o lettore), è ancora e principalmente diritto di Dio. Se la Religione non fruttasse a noi bene di alcuna sorta, se non fosse il mirto della vita presente e la beatitudine dell’avvenire, se fosse per l’uomo null’altro che un penosissimo sacrifizio, tuttavia sarebbe altamente doverosa, perché Iddio ha diritto d’esigerla. Dio, autore dell’uomo e della società, ordinatore dell’uno e dell’altra, e padrone supremo e assoluto; fintantoché gli competeranno gli attributi di onnipotenza, giustizia, sapienza, verità, santità, bontà infinita, sarà nostro debito d’ossequiarlo, riconoscerlo, propiziarlo, invocarlo; ringraziarlo, adorarlo. Ognuno dei suoi titoli è un vincolo insolubile che a lui ne stringe e ci obbliga alla religione verso di lui. Epperciò l’essere indifferente intorno a Dio ed ai suoi diritti, gli è un dir col linguaggio dell’opera che non stimiamo gran fatto importante il rivolgerci a Lui per onorarlo o dargli le spalle in faccia: e che non ci cale gran cosa il presentargli atti ch’Ei gradisca, Ei comandi, Egli accetti, oppure che Egli disapprovi, che Egli abbomini, che Egli rigetti. Ne vedrete più sensibilmente l’eccesso, se trasporterete il caso a quello che interviene nel mondo. Immaginate un marito che dica alla sua sposa, che egli è indifferente al viver con lei oppure con una donna qualunque; immaginatevi un figliuolo che dica al suo padre, che egli rispetta lui, ma come farebbe un altro qualsiasi; immaginate un suddito che dica, che a lui fa lo stesso obbedire al suo principe, oppure ad un nemico di lui: tutta cotesta indifferenza parrebbevi una colpa sì leggiera? Come! un padre pareggiato nell’amore con uno straniero! Un principe col suo rivale! Una sposa con una donna pubblica! Ebbene voi colla vostra indifferenza religiosa non fate infinitamente peggio, mentre portate lo stesso amore alla sposa immacolata di Cristo, la Chiesa, ed alla sinagoga di satana; mentre tenete in uguale stima le dottrine sozze di Lutero, Calvino, Zuinglio e di non so quanti altri settarii, e le dottrine degli Apostoli, dei Patriarchi e dei Profeti, e mettete nello stessa fascio le pratiche sacrosante della cattolica Chiesa colle invenzioni umane, di un cervello farneticante, e professate colla vostra condotta che tutto vi è indifferente, che per voi tutto è lo stesso? Ma non è questo un delitto, di cui mai non si arriva a toccare il fondo? – Vi fu chi osservò che in questa sciagurata indifferenza si racchiude una total negazione del Cristianesimo, una piena apostasia da Gesù Cristo; ma poteva anche aggiungere, che vi si racchiude un pratico ateismo. La negazione totale del Cristianesimo è evidente. Imperocché chi crede ogni religione buona, non può credere che vi abbia una rivelazione; oppur, se vi ha una rivelazione, che non importi il conoscerla e molto meno il darle retta: altrimenti non potrebbe essere indifferente. Un soldato che dicesse, che è la stessa cosa per lui recarsi al campo di battaglia o starsene sotto le tende, mostrerebbe chiaro che o non ha ricevuto ordini dal capitano o che non si tiene per obbligato a quegli ordini: ma similmente per poter dire che non importa più una pratica di culto che un’alta, bisogna esser persuaso che o Gesù non ha dato nessun ordine in proposito, o che i suoi ordini non ci legano. Or questa persuasione appunto è un verissimo rinnegare la fede cristiana, è assolutissimo atto di apostasia, perché al tutto esclude la verità della rivelazione. – Inoltre, io diceva, è un pratico ateismo. E come no? Chi stima tutte ugualmente buone le religioni, non può aver di alcuna la stima che è necessaria, non può adottarne l’esercizio come si conviene, non superare le difficoltà che s’incontrano nel praticarla. Appena si riesce a porla in atto quando il nostro intelletto è convitto della verità di essa, e che senza di essa non vi è affatto salvezza: tanto è l’ostacolo che le frappongono le umane passioni, le occupazioni della vita e la nostra infermità! Pensate adesso se un intelletto senza persuasione, un cuore senza affetto riusciranno mai in un’opera cosi laboriosa. Il crederlo è un ingannarsi a volontà. – Se fosse necessario un ultimo disinganno, si potrebbe fare ricorso alla sapienza, la quale porrebbe in tutta la sua luce come un vero indifferente affatto non pratichi religione di sorta. Non il protestantesimo; poiché anche per praticare quell’abbozzo di religione, bisogna avere qualche fiducia di possedere in esso la verità. Di fatto fu giustamente osservato che anche tra di loro quelli i quali mantengono ancora qualche pratica positiva, sono quelli che, fond9andisu in qualche modo sull’autorità, più si allontanano dal credere ine buona ogni religione. Non pratica il Cattolicismo; poiché, come sopra abbiamo detto, il principio dell’indifferenza chiaramente il rinnega. Resta adunque che praticamente viva senza culto di sorta alcuna. – Di che ecco poi l’ultima conseguenza. L’indifferente è quel mostro singolare che vive sopra la terra come non vi avesse divinità. Un celebre teologo avendo udito un giorno, che un cotale che l’avvicinava, si gloriava di essere ateo, si fermò di rincontro a lui e prese a correrlo più e più volte coll’occhio da capo a piedi. Ammiratosi quell’empio di essere così diligentemente considerato, interrogò il teologo, che trovasse in lui di così nuovo, che tanto attirasse la sua attenzione. Non mi è mai venuto fatto, rispose, d’incontrare quella belva che chiamano ateo: voglio saziarmene questa volta per sempre. Ora se è un mostro così strano chi non crede, che esista Dio, che mostro sarà quello che, credendo che Dio esista, pure non lo riconosce, non l’adora, non gli presta ossequio di alcuna sorta? Eppur questa è la condizione dell’indifferente. Egli può definirsi un essere che non ha commercio col cielo, un essere per cui Dio è come non fosse, un essere che riceve grazie continuamente e non sente gratitudine di alcuna sorta. Ha un intelletto, e mai nol rivolge a chi glie lo ha dato, possiede un cuore, che mai non ha un palpito per chi gliel ha formato, è sostenuto in vita, e non conosce la mano che lo regge; offende con mille enormità il Signore, e non ha un sospiro mai di pentimento verso di Lui. – Ad un ateo, che in una nobile conversazione si vantava presso certe signore di essere il solo, che in quel palagio non credesse a Dio, la padrona di casa, stomacata di una impudenza così svergognata, rispose che nel suo palagio vi aveva anche altri, che non vi credevano altrimenti. E chi sono questi? I miei cani ed i miei cavalli, replicò essa prontamente: solo che quelle povere bestie, se hanno la sventura di non conoscere Dio, hanno però il buon senso di non vantarsene. Giusta risposta, ma risposta che ancora non basterebbe per un indifferente. Imperocché, che non onori Iddio chi non lo riconosce, in qualche modo s’intende: ma dove si troverà chi al tutto professi di non onorarlo, mentre lo riconosce? Non vi è altro luogo che l’inferno, nè altro essere che il demonio. E con tutto ciò, quasi non bastasse tanta empietà, aggiunge la beffa all’insulto. Imperocché, mentre non ha più religione di quello che ne abbia uno spirito reprobo, vuoi passare agli occhi dei semplici come un uomo che ha senno, che ha ingegno, che ha vedute più larghe, in fatto di religione, che non hanno gli uomini stessi di Chiesa, e che non fa diversamente dal comune degli uomini, se non perchè così richiede la filosofia e la verità. – Era portato alla sepoltura un cotale, che in vita aveva fatto di ogni erba un fascio, uomo ingiusto, rapace, dissoluto, lo scandalo di tutto il suo paese. In termine di morte, tuttavia, volle essere vestito di abito religioso e così sepolto. Un buon uomo, che non sapeva nulla della sua morte e che s’imbatté nel cadavere di lui, mentre era portato a seppellire: chi è morto? chiese agli astanti, appressandosi alla bara: ed avutone che il tale, e vedutolo in quei panni, oh ve’, disse, come si è mascherato bene! Mal per te che Dio ti riconosce anche sotto la maschera. Ora dite pur voi il simile degl’indifferenti. Fingano pur filosofia, altezza di pensieri, religione alla portata dei tempi e quel che vogliono, che non nasconderanno per ciò a Dio il loro ateismo. – Solo perché non sfugga anche a voi, o lettore, e perchè il possiate detestare e guardarvene, io vi abbozzerò qui in pochi tratti l’immagine dell’indifferente, accennandovi anche dove per lo più si annidi. E indifferente in religione è quello il quale, sotto pretesto di filosofia, non fa caso più di Cattolicismo che di protestantismo, più protestantismo che di giudaismo, più di giudaismo che di buddismo, e sa (come se ne vanta) portar rispetto al bramano, al maomettano, al sandvichese, come al Cristiano ed al Cattolico. L’indifferente in religione è quello il quale, dal trono della sua grandezza e dal tripode della sua sapienza mirando al basso, compatisce la follia dei Cattolici, che sono, come egli parla, troppo esclusivi, perché non sanno accogliere, come egli fa nel proprio cuore, tutte le religioni dal Cristianesimo fino all’ateismo. E indifferente in religione è quello, il quale mai non vedete impigliato in veruna pratica di culto. Va a messa, se la convenienza lo porta; non vi va, se può farne a meno. Parla di religione con rispetto se l’indole delle persone con cui tratta, lo domandi; bestemmia come un turco, se si trova con altri, presso i quali sia onorevole la bestemmia. Checchè però si faccia, non si trova mai impegnato col cuore in quello che fa. – L’indifferente in religione è un essere, che in contraddizione colla sua professione, ha un’avversione al Cattolicismo così sentita che, per quanto la voglia nascondere, mai non vi riesce. Se insorga qualche controversia tra il sacerdozio e l’impero, s’infiamma tutto di santo sdegno, e trova subito che il clero ha torto, che i Vescovi pretendono troppo, che il Papa è un usurpatore, che la Chiesa non conosce la sua missione. Se si parli di cose ecclesiastiche, tutto gli fa afa, e tutto risveglia la sua collera. Non può sentir nominare templi, funzioni, frati, monache senza ribrezzo e senza avventar loro contro i suoi frizzi ed i suoi sarcasmi. L’indifferente in religione è un uomo che, come ha le sue avversioni, così ha le sue simpatie: ma queste sono tutte per gli eterodossi, per gl’increduli. Fra noi Cattolici non trova nulla che sia buono, ma trova tutto oro di ventiquattro carati nei paesi protestanti. In Inghilterra, esclama.., ah in Inghilterra!.., oh in Inghilterra!… oh in Inghilterra! Quelle leggi, quelle costumanze, quella civiltà! Come tra noi tutto è ciarpa e pattume, così colà vi sono in atto le otto beatitudini. E come alle cose, così ha simpatia per le persone. Per lui non vi sono grandi uomini che quelli i quali sono spregiudicati in religione. Trova grandi tutti i nemici della Chiesa, i filosofi del secolo scorso grandissimi, superlativi i nostri moderni legulei, ed avessero pure appiccato il fuoco alle quattro parti del mondo, purché abbiano tormentata un poco la santa Chiesa, sono eroi aí suoi occhi.

II. Questa è sottosopra l’indole e la natura intrinseca dell’indifferente. Che se ora volete sapere dove si annidi, io prima vi risponderò, che ve ne ha per tutto in que paesi che sono all’altezza dei tempi: ma poi si scovano principalmente in certi siti di aria loro più favorevole. – Se ne trovano di molti nelle università moderne, e tanto sui banchi quanto sulle cattedre, e di là cominciano a scendere anche in certi collegi o liceij nazionali, dove i maestri o dettano lezioni exprofesso d’indifferenza religiosa, o, per accattare l’applauso di quattro fanciulloni, ne gittano a quando a quando qualche sprazzo per condimento della lezione; e dove quei fanciulloni medesimi, per dimostrare che: sono usciti di fanciulli, si fanno un vanto di non credere più a nulla. Si annidano talvolta tra le pandette ed i digesti,. i codici e le novelle: ve ne ha tra i trattati delle febbri e dell’ostetricia, ve ne ha sotto i bisturi e le lancette; e ne’ paesi di campagna dove l’aria finora è loro sfavorevole, si appiattano per lo più tra le carte dei notai, oppure fra i barattoli delle spezierie. Quando poi si parli di que’ Governi, che si vantano di non confessarsi, allora si assidono perfino sui banchi dei Ministri, perfino sui seggioloni delle Magistrature : giacché dicono che la politica non cammina mai tanto snella quanto allora che non ha al piede prima. le pastoie della religione. ~ Nei paesi retti a parlamento, ve ne ha sempre un buon deposito in quella parte che chiamano la sinistra, come se ne trova pure un buon dato tra quegli impiegati, che hanno bisogno di servire qualunque Governo a qualunque costo ed a qualunque condizione. – Ve ne ha per ultimo, lo debbo dire? perfino un certo numero di genere femmineo, impacciato tra i cerchi di ferro e gli alberelli dell’acque nanfe; sì, troverete delle donne leggiere , delle fanciulle vane, le quali, per ottenere un sorriso di un giovane dal capo scarico, o l’applauso di un cicisbeo dalle maniere leziose, vi professeranno francamente l’indifferenza religiosa, aspirando così ad essere credute tanto alle altre superiori, quanto più singolari e più audaci ad insultar Dio. Vi ha però un luogo dove non si trovano più gl’indifferenti, e sapete dov’è? Riflettetevi bene: è al letto di morte e nella vita che a questa succederà

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (47) “INDICE DEGLI ARGOMENTI – VI”

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (47)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

INDICE DEGLI ARGOMENTI -VI-

E. – DIO SALVATORE PER MEZZO DI GESÙ CRISTO.

E. – DIO SALVATORE PER MEZZO DI GESÙ CRISTO.

1. Costituzione del Dio-uomo Salvatore.

E 1a. a. – NATURA DIVINA

Fede dei simboli antichi in Gesù Cristo Figlio di Dio 2-5 10-30 36 41//51 60-64 71 76 125 150.

Gesù Cr. è detto vero Dio 29 41//51 72 74 105 125 142 150 189 209 252s 256 272 293s 301 317s 325 402 427 431 442 547 554 619 681 852 2529; Cristo non è solo coappellato Dio 259; reprob. l’ass. negante la divinità: [il Verbo è assimilato agli ordini celesti] 406: [Il Figlio di Dio non fu prima del parto di Maria] 157 453; Cristo è falsamente equiparato a Platone, a Mani, Epicuro, a Marcione 435. Gesù Cr. è Dio perfetto 72 76 272 301 402 442 491 496 500 534 545 554 561 564 681 852 2529; è chiamato Dio pienamente 564; Dio tutto 355 413 -442; si riprova: [Cristo ha una minore divinità] 149. Gesù Cristo è chiamato a. Verbo, b. Virtù, c. Sapienza abc113 a178 a250.

Gesù Cristo (in quanto Figlio di Dio) è ugùale al Padre, consustanziale etc.: cf. B2cb; si riprova l’affermazione opposta 1880.Gesù Cristo sec. divinità non fu passibile (violabile) (a. ribattendo contro i teopaschiti) 166 a196s 293s 297 a300 318 a358s a367 442 492 504

635s 681 801 852 a2529; la sua inanizione non fu un difetto di potestà 293.

La Divinità di Cristo può essere dimostrata dai miracoli 3428; Cristo compì i miracoli non per altrui virtù 260.

In quanto Dio, Gesù Cristo non fu un predestinato 536.

E 1b. b. – NATURA UMANA

1 ba. Similitudine in tutte le cose essenziali alla natura umana. Gesù Cristo è vero uomo 72 74 189 293s 293s 301 325 (401) 402 414 442 454 533 547 554 619 681 852 1337 2529; la verità è assunta dal corpo della Madre Maria 292; 1. Cristo è formato dall sostanza della madre 76; Gesù Cristo è chiamato “figlio dell’uomo” 189 250 317 368 420 442 491 535 619 791.

La natura assunta non fu altra sostanza celeste 300; si riprova err. docetisti: [il Figlio di Dio non prese nulla da Maria, ma passò per Ella con il suo corpo celeste] 1341; [il Figlio assunse un corpo fantastico, imaginario] 46 48 189 357 359 401 1340]; di cotr. alcuni errori si efferma: Cristo è veramente nato, ha patito etc. 1338.

Gesù Cristo è uomo perfetto 44 46 48 72 76 144 146 272 293 301 357 402 442 485 491 500 534 554 561 564 852 2529 3923; è chiamato uomo pienamente 564: uomo totale 148 355 413; uomo senza limite 505 3923; costituì l’Adamo integro 147s; si riprova l’affermazione opposta [il Figlio di Dio assunse una umanità imperfetta] 74 146 149; [il Corpo di

Cristo era privo di anima (nei sensi), che la divinità sostituì] 148 159 195 359 534 1342s; [Cristo come uomo non è nulla] 749s.

Gesù Cristo è consustanziale agli uomini (a. alla madre) 272 301 357 430 442 504 547 a619 2529.

Gesù Cristo assunse a. anima umana (razionale) b. intelletto, c. senso, d. corpo, e carne abd44 bd46 abde48 abce72 e60 abc 148 159 ac166 ac250 ad272 ad299 ad301 ae325 ad357 ac485 ac547 ad554 ae791 ac801 ad900 ad2529; assunse natura umana in alcun modo mutata in spirituale e da quanto attiene alle cose corporee d corporea, l’appetito dei sensi, piena di ogni impulso naturale 3923.

Il corpo di Cristo dominava perfettamente la forza del sentire e del percepire più che gli altri corpi di tutti gli uomini 3924.

In quanto uomo Cristo è limitato 605.

Come uomo Cristo fu soggetto alle umane indigenze: ebbe fame, sete, pianse, sopportò tutte le ingiurie del corpo 189 791; cf. E 5b; soprattutto fu passibile

(a. Ciò riportando contro gli errori opposti) 105 166 189 a197 a293 297 442 492 504; dell’umana sostanza ebbe il potere e il non volere morire 564.

Come uomo Cristo fu predestinato 536.

Il giorno natale di Cristo ed il giorno della domenica sono onorati per la fede della vera umanità di Cris.

lbb Dissimilitudine con gli uomini quanto al peccato. Il Figlio di Dio assunse l’uomo tranne il (solo) peccato 44 46 48 74 148 159 293 301 442 487 490 496 505 533 539 547 554 561 564 619 1347 2529; non conobbe peccato 261; il peccato non lo poté contaminare 291; assunta è dalla madre del Signore la natura, non la colpa 294.

Non erano in Cristo i vizi delle umane passioni 130 148; non discordia dei desideri, contrasti di volontà, tentazioni allettanti 299:

Gli affetti erano sotto la moderazione della divinità e della mente 299.

Si spiega il detto “Cristo è fatto per noi peccato” 539.

E 1c. c. — UNIONE DELLE DUE NATURE.

1ca. Fatto dell’unione. Cristo è nello stesso tempo Dio ed uomo 76 253 272 292-295 402 534.

Cristo è a. da due ed b. in due nature b302 ab414 ab420 ab442 ab506

(ab543) ab545 ab548 ab555 b681 ab852 b2529.

Concezione insolita di Giuliani Tolet. (a. rigettata): Cristo esiste da tre sostanze: Verbo, corpo, anima 535 567 a613.

Gesù Cristo è una, non due (persone), è lecito Dio ed uomo 76 272 302 555;

coesiste una vera unione di natura 250; questa unione è compara all’unione dell’anima e della carne nell’uomo 76.

Questione del sangue di Cristo nel triduo della morte, ossia sarà stato fuerit separato dalla divinità 1385 (cf. 2663).

1cb Modo dell’unione delle nature tra loro. Questa unione è fatta salvando la proprietà di entrambe le nature 293 302 (317) 402 413 442 509 543 548 555 561 (564) 1337 2529; la differenza delle nature non è abolita per l’unione 250

302 507 548 555 2529.

Il Figlio di Dio è tutto nella sua e tutto nella nostra [natura] 293 413 442.

In Cristo vi sono azioni comuni: la carne non agisce senza il Verbo. Il Verbo non senza carne 317s: l’operazione comune è chiamata deivirile (teandrica) 515.

Le azioni di Cristo conservano le specifiche proprietà naturali: agisce in entrambe le forme con la comunione che è propria ad ognuna 294 (317 488) 548 557 (558): pertanto l’operazione teandrica è da concepire come doppia: divina ed umana 515.

Si rivendicano le due naturali volontà ed operazioni in Cristo contro i monoteliti 498 500 510s 512-516 543-545 548 553 556s 558 561 564 572 681 1346 2531; volontà in Christo non sono tra esse contrarie (a. solo come Onorio I pp. le intendeva e respinse) a487 496-498 544 556 (564) 572 2531.

Le nature in Cristo sono unite non confuse (ctr. err. monofisiti) 76 272 (300) 302 359 368 402 413s 425 428 430 442 488 500 506-508 543 548 555-557 561 564 619 2529; Cristo è uno senza mescolanza 297 317 358s 681.

Il Verbo fatto uomo è a. immutabile, b. inconvertibile, è senza mutazione o conversione della materia del Verbo e della carne a302. ab357s c402 b413 c442 b488 a543 b555-557 b564 1345 a2529; la carne non è trasformata nella natura del Verbo (294) 428 548; il Verbo non è convertito né in carne né in anima. (a. in nessuna sua parte) 76 250 a297 357-359 428 534 548; non dalle due nature non è fatta una natura o sostanza di divinità e carne 203 300 (359) 429.

Il Figlio di Dio incarnandosi non smise ciò che era 72; non ricevette né un danno né un a. aumento in sé 72 a291 a297 318; rimanendo tuttavia nella carne si rese inferiore al Padre 165 294 369 442 485 540 619; dalla sua sede mai mancò 1097

Le Nature in Cristo sono unite inseparabilmente (non possono disgiungersi) 302 317 420 534 543 555-557 561 564 619 (1337) 2529; parimenti le volontà e le operazioni 544; Verbo e carne restano in uno e uno in entrambe 297.

Le nature in Cristo sono unite e indivise 297 302 317 413s 420 (430) 442 488 506-508 548 555-557 561-564 681 1337 2529; sec. La scuola cirilliana le nature si uniscono sec. una unione naturale, o sec. composizione o sec. sostanza 254 424-426 430 436 508; in questo sec. la stessa scuola in Cristo vi è “una natura incarnata del Verbo Dio” 505; di discernere la differenza delle nature soltanto dell’intelletto 428 543 548.

si riprova l’affermazione nestoriana delle unioni delle nature [in specie: a. sono congiunte solo per continuità sec. dignità, autorità, potenza; b Cristo è un puro uomo denominato divino in ragione di una maggiore grazia; c. chiamato “uomo deifer”, “deifico” 252-263 a254 a256 a262 a401 ab424 a425s c613 b1339 S251a-e.

1cc. Modo dell’unione della nature in una Persona.

L’incarnazione è fatta a. nel solo Figlio. Non b. nel Padre o Spirito Santo o c. in tutta la Trinità ab325 a491 a533 ab535 a571 ab791.

Il Figlio di Dio assunse l’uomo in ciò che è proprio del Figlio, non in ciò che è in comune alla Trinità 491 535; Vb. Dio rivendica a sé come propria la generazione della sua carne 251 (355).

Il Verbo di è fatto, assumendo a Sé nell’unità della sua ipostasi il corpo e l’anima intellettiva (s. carne animata dell’anima razionale) (44) 250s 253 413 (442) 900; l’unione in Cristo è unione di nature sec. sussistenza (76) 416s; nella Persona del Figlio si unì la divinità e l’umanità in un Cristo unico 2528; Cristo assume la stessa persona nella divinità del Verbo 299.

La Proprietà di entrambe le nature di Cristo concorre in una stessa Persona e sussistenza. 189 302 3I7s 325 359 413 485 2529 3905.

La natura umana così non è assunta come creata prima di essere assunta, ma creata nella stessa assunzione 251 298s 402 405 416s 419 442 479;

l’anima di Cristo non esisteva prima dell’Incarnazione 404; il Verbo non portò dal cielo il cotpo 359; la carne di Cristo non fu creata dal nulla 299.

In Cristo non vi sono due figli, uno prima l’altro dopo l’incarnazione, ma è il medesimo unico Figlio 148 158 272 301s 325 359 420 485.

Cristo non è diviso in due persone 302 402 423//428 500 548 555 1344 2529; tale divisione condurrebbe alla Trinità una quaternità di persone 402 (426) 491 534.

Cristo non è puro uomo (a. nuda divinità), in cui si è riversato il Verbo inabitando in esso 251 262 a420 1344 (S251 c-e); non è persona umana unita a Dio solo per grazia 401 (424 1339) 1344; si riprova L’appellativo “homo deifer”, “deificus” 256 613.

Il Verbo di Dio esiste come figlio dell’uomo non per assunzione della persona né per sola volontà 250; si riprova la voce “uomo assunto” nel senso dell’integra autonomia della natura umana 3905; idem per “Dio umanizzato” 613.

Riprobate le spiegazioni dell’unione ipostatica 3227 3427-3431.

1cd. Permanenza dell’unione. Unione delle nature in Cristo resta a. indissolubile a355 358 414; anche nel Cristo glorificato, che ascese in cielo nella medesima carne, siede alla destra del Padre, verrà a giudicare 46 48 167 297 502 791.

1ce. Indole misteriosa dell’unione ipostatica. L’Incarnazione come a.”mirabile singolare generazione” è incomprensibile, inesplicabile 250 a292

2. Conseguenze dall’unione ipostatica.

E 2a. a. — DOTI DI GESÙ CRISTO

2aa. Filiazione naturale. Fede in Gesù Cristo Figlio di Dio: vd. E 1a.

Gesù Cristo è Figlio di Dio non per adozione o grazia, ma propriamente per natura. 526 595 610-615 619 681 852; si riprov.: [Cristo meritò la filiazione] 434.

2ab. Visione beatifica.

A Cristo si conveniva dal primo momento dell’incarnazione 3812.

2ac. Scienza infusa ed acquisita. L’anima di Cristo ebbe la scienza già fin dall’ incarnazione 3812.

Cristo è onnisciente 476; conosce anche il giorno ultimo del giudizio (a. ma solo per potenza di Dio) 419 a474-476. Si riprovano gli errori circa la scienza e la coscienza dell’anima di Cristo 419 3428 3432-3435 3645-3647.

Impeccabilità e santità. Il Vb. incarnato differisce dagli uomini solo quanto al peccato: vd. E lbb; il volere di Cristo non è a Dio contrario, ma totalmente deificato 556; reprob.: [Cristo compì un progresso morale e divenne impeccabile solo dopo la resurrezione] 434; [In Cristo non vi fu lo spirito di timore di Dio] 731.

2ad. Culto di adorazione. A Cristo si deve culto di latria CdIC 1255, § 1; è da adorare dagli Angeli e dagli uomini a. nelle due nature indivise a420 1823 3676; è da adorare mediante un’adorazione con la propria stessa carne (in quanto unita alla divinità), non invero nelle due (escl. una al Verbo, l’altra all’uomo) né b. coadoratione dell’uomo assunto b259 431 a2661; si riprova: [Cristo è da adorare nella persona del Verbo a somiglianza dell’immagine imperiale] 434.

Da riprovare è l’adorazione in cui si adora in se stessa l’umanità di Cristi e la carne, prescindendo dalla divinità, 431 2661 2663; si giudica la questione dell’adorazione del corpo di Cristo nel triduo della morte. 2663; l’adorazione del sangue effuso nella passione dipende da una questione non ancora decisa, se il sangue fu o non separato dalla divinità 1385.

È lecito rivolgere orazioni alla Persona di Cristo (in quanto mediatore) 3820.

Il Culto al Cuore di Gesù è legittimo, come inteso dalla Chiesa 2661; specie referito allo stesso Cristo 3353; si adora il Cuore di Gesù unito alla Persona del Verbo inseparabilmente 2663 3922s; nel Cuore di Gesù si venera il simbolo e l’espressa immagine della carità di Cristo 3353 3922-3925.

E 2b. b. — MODI NEL PARLARE DEL CRISTO.

2ba Comunicazione idiomatica. Si può dire —: “Verbo nato secondo la carne” 251; “Cristo è uno della (o: dalla) Trinità” oppure “una delle tre Persone”) 401s 432 485 561; — “uno della Trinità ha patito” 401; a. Dio (b. Verbo di Dio) ha patito nella carne” b263 a401; il “Figlio di Dio

fu passibile, è morto” 105; si riprova: [Dio Verbo è mortale] 359.

Sulla stessa comunicazione idiomatica si fonda il titolo “Madre di Dio”, “genitrice di Dio Dei”, “Deipara” 251 401; cf. E 6ba.

2bb. Distribuzione dei detti di Cristo. Talvolta i detti di Cristo sono da concepirsi come di una Persona,talvolta sono distribuiti ad una sola natura 273 295; invero le voci non sono da distribuire come di nature divise o come due persone 255 418.

3. Cause dell’incarnazione.

E3a. a. — CAUSA EFFICIENTE DELL’INCARNAZIONE.

La Trinità divina ha cooperato tutta all’incarnazione. 491 535 571 801.

Allo Spirito Santo si attribuisce (per appropriazione) l’incarnazione 10//30 42 61-64 72 150 291 442 485 571 801 3923; lo Spirito Santo fecondò la Vergine 292 533; formò il Corpo di Cristo nel seno della Vergine 3924.

La volontà del Figlio di Dio: volle assumere la natura umana 3274 patì volontariamente (a. non spinto da necessità) 6 62s 423 442 502 a1364.

E3b. b. — CAUSA FINALE DELL’INCARNAZIONE.

Il Figlio Dio assunse la natura umana perché conveniente all’uomo, e contrasse un mistico connubio con l’universale genere umano 3274.

Il Figlio di Dio venne per la a. salvezza di tutti gli uomini (b. Per la salvezza del genere umano) 40//63 a64 172 76 125 150 272 301 b442 500 681 b881 a901 b1337 2529; per la redenzione (liberazione) degli uomini dal peccato 146 485 491s 533 1400; si riprova l’affermazione che nega la redenzione come fine 723 1880.

4. Compiti o uffici di Gesù Cristo.

E4a. a. — SALVATORE E MEDIATORE.

Cristo è per Se stesso principio di salvezza 3915; portò salute pienissima 149; ogni nostra glorificazione è in Cristo 1691; necessità della grazia di Cristo e la sua volontà salvifica: in F 2b-c.

All’uno e solo Cristo conviene il nome di perfetto conciliatore 2821 3320 è l’unica fonte (di giustizia) e mediatore di ogni grazia 1526 3370 (3820);

Cristo è causa meritoria della giustificazione degli uomini 1529 (1534); meritò de condigno ogni grazia 3370; nessuno divenne giusto se non comunicando con i meriti di Cristo 1523 1530 1560; la dottrina cattolica della giustificazione non deroga dai meriti di Cristo 1583; si riprova l’affermazione negante la ragione del merito speciale proveniente dalla dignità di Cristo 1819. I meriti di Cristo sono anche applicati agli uomini anti Cristo 3329.

L’opera della redenzione di Cristo è a. sovrabbondante, tesoro immenso a1025 1027 (1406) 3805; i meriti di Cristo sono infiniti 1027; della loro efficacia non c’è da dubitare 1534.

Il compito della redenzione di Cristo comprende tutto il genere umano anche la B. Maria Vg. 3909; questa opera ha in sé che è a vantaggio degli uomini 624; se non tutti si salvano, ciò non è da attribuirsi all’insufficienza del prezzo pagato da Cristo, ma alla difettosità degli uomini 624; si riprova l’errorepereccesso circa l’efficacia della redenzione: [tutti gli uomini dannati nati prima di Cristo sono liberati dall’inferno.] 587 630 (1011 1077).

La redenzione intesa come ricapitolazione 3915; antiparallelismo: primo (il vecchio) Adamo — secondo (nuovo) Adamo 9011 1524 3328 3915; uomo terreno— uomo celeste 413.

La redenzione propriamente è l’indole soddisfattoria o espiatoria. 1529 S3339 3438 3891.

La forza della redenzione si riferisce precipuamente alla passione e morte di Cristo 485 904 1523 1529s 1741 3370 34388 3805 3957.

A Cristo per il suo compito di redentore conviene una dignità infinita 3909

Meriti di Cristo per sé stesso: solo l’umanità di Cristo fu capace di un aumento di gloria. 318.

E4b. b. – SACERDOTE.

Cristo nella Chiesa è sacerdote e sacrificio 802.

Cristo si offrì in sacrificio non per sé, ma per gli uomini 261; da sé stesso si offri vittima (1083) 1740 3678 3847; la morte in Croce fu un sacrificio 1083 1740s 1743 1753s (3316) 3847s S3339.

Il sacrificio di Cristo, benché a. compiuto una sola volta sulla croce, è continuato dopo la morte 1740 aS3339.

E4c. c. – RE E SIGNORE.

Christus è non solo redentore, ma anche legislatore 1571. Fede dei simboli antiqu. in Cristo re e mel suo regno 3s; add.: L 7e.

Cristo uno è di significato propriamente e assolutamente Re 3916; è re anche in quanto uomo 3250-3252 3675; fondamento della sua dignità regale è l’unione ipostatica ed i meriti come redentore 3250-3252 3676 3913-3915.

Forza e natura della potestà regale 3677; la sua podestà regale si estende sull’intero genere umano 791 3350s 3678s.

Cristo nei simboli è indicato come a. unus dominus 2s a4 5 11//30 36 a40//51 60 62s a71 76 a125 a150; è Signore di tutte le cose 3913.

Si riprova l’equiparazione di Cristo e la sua podestà a Mosè e Maometto 1365.

E 4d. d. – DIVINO INCARICATO E MAESTRO

Cristo prima della Legge e nel tempo della Legge spesso è dichiarato anche promesso 1522.

Per la missione del Figlio di Dio nel mondo: vd. B 2ec.

Cristo ebbe sempre la coscienza messianica (3432) 3435; operò miracoli profezie, per dimostrare che Egli fosse il Messia (178) 2753 (3006) 3009 (3034) 3428 3485.

Cristo mostrò la via della vita 801.

5. Storia della salvezza.

E 5a. a. – SALVEZZA DEGLI UOMINI PRIMA DELL’AVVENTO DI CRISTO.

Prima di Cristo alcuni uomini dalla legge di natura, altri dalla legge di Mosè sono stati salvati per la speranza dell’avvento di Cristo 341; non erano impotenti ad osservare la Legge 2619; attingevano anche la grazia di Cristo dal a. desiderare la salvezza sovrannaturale e dalla giustificazione (1521) 1551 a2618 a2620; della loro giustizia si deve merito a Cristo 3329; si riprova.: [Nessuna delle persone da Adamo fino a Cristo è salvo per la legge di natura, i. e. per la prima grazia di Dio] 336.

Lo Spirito Santo si insedia (agisce) in tutti i Santi già da tempo, non soltanto dal giorno della Pentecoste 60 3329.

Dio emanò la salutare dottrina per il genere umano attraverso Mosè, i profeti, altri servi, 302 800.

La colpa originale nella antica Legge era rimessa con la circoncisione 780; tuttavia il regno dei cieli fu chiuso fino alla morte di Cristo 780.

I precetti dell’antico Testamento, le ceremonie, i sacrifici, i sacramenti, praefiguravano l’avvento di Cristo 1347; i sacrifici (anche della Legge di natura) praefiguravano il Sacrificio della croce S3339; – il sacrificio eucaristico 1742.

Sopo l’avvento di Cristo cessarono i precetti, così che non era piu lecito osservarli come mezzi necessari alla salvezza 1348.

Reprob.: [la legge cristiana sarà sostituita infine da un’altra legge successiva, così come la legge di Mosè dalla cristiana] 1369.

E 5b. b. – VITA DI GESÙ CRISTO SALVATORE.

E5ba. Ingresso nel mondo (fede dei simboli antichi). Il Figlio di Dio discende dal cielo 41//51 60 72 125 150.

Il Verbo si è a. fatto uomo (inumanato), b. incarnato, c. concepito, d. nato d6, d 10-23 c 25-30 d36 b4o ab42 abd44//48 d50 ab51 b55 b60 d61 a62s (d64) cd72 ab 125 ab150.

Dallo Spirito Santo (incarnato) 10//30 42 61-64 72 150; lo Sp. S. non è il Padre del Figlio incarnato 533.

(nato) dalla Vergine (natus) (a senza seme virile) 10-3042 a44 46//5I 55 60s a62s 64 72 a144 150 a189.

Da Maria (nato): vd. E 6b.

5bb. Consorzio con gli uomini. Cristo ha conversato tra gli uomini 44 55 60; mangiato, bevuto, dormito0 791; ha avuto fame. sete, ha sopportato tutte le ingiurie del corpo 189; la povertà di Cristo (ctr. le esagerazioni degli spirituali) 930 1087-1094.

5bc Passione (fede dei simboli antichi). Cristo ha patito 6 13s 19 23-30 36 40 42 44 46 48 60 76 125 150; crucifisso 6 10-12 14-30 41s 46 48 50 55 60-64 150; morto 10 13 19 21 27s 30 35 60-61 72; sepolto 6 10-17 21-30 41s 46 48 50 55 150.

Cristo ha patito volontariamente 6 62s 423 442 502 1364; ctr. I docetisti si afferma “vera” la passione 325; il Figlio di Dio sentiva i dolori nella carne e nell’anima 166; la ferita nel fianco fu inferta solo dopo la morte 901; si riprova l’affermazione circa la rinunzia di Cristo in morte 1095-1097.

5bd. Discesa agli inferi con la sua a. anima (b. da se, non tanto per potenza) 16 27-30 76 369 587 b738 a801 852

Descese per liberare i Santi (a. legati) a62s 485; non per liberare anche gli empo o per distruggere l’inferno inferiore 587 1011 1097.

5be. Resurrezione (fede dei simb. antichi) Cristo risuscitò dai morti 6 10-30 40//64 72 76 125 150 189; risuscitò per virtù propria (a. senza bisogno della resurrezione dal Padre) a359 539; nella resurrezione riacquistò l’anima sua 325 369 791.

Risorgendo il Verbo ha operato la risurrezione della nostra natura 358 (414 485).

5bf. Ascensione in cielo (fede dei simb. antichi) 6 10-30 40//64 72 76 225 150 189; è assunto in cielo 22.

5bg. Seduta alla destra del Padre (fede dei Simb. antichi) 6 10-30 41// 64 72 76 125 150 189.

Avvento alla fine del mondo: vd. L 7a.

6. Parte della B. Maria Vg. nell’opera della salvezza

E6a. a. – PRAEPARAZIONE AL RUOLO DELLA MADRE DEL SALVATORE.

6aa. Predestinazione e pre-redenzione. La Divina Provvidenza elesse e predestinò Maria 1400 2800 3902.

Anche Maria è da annoverare tra i posteri di Adamo compresi nella redenzione universale di Cristo 3909s; Maria è redenta in modo perfettissimo 3909.

6ab. Preservazione dal peccato. Dal peccato originale: come eccezione dalla legge generale del peccato originale non ci si esprime ancora che dopo Leone I: natura assunta dalla Madre di Dio, non con colpa (insinuata per lo più col peccato originale) 294; evoluzione circa la sentenza libera (la sentenza contraria fu per lo più repressa) fino alla a. definizione del dogma: l’Anima di Maria fin dal primo istante della creazione, in previsione dei meriti di Cristo fu preservata immune dal peccato originale 1400 1425s 1516 1973 2324 a2800s a2803s a3554 a3908s a3915; riprov. la spiegazione errata del dogma 3234.

Libertà dal peccato personale (o attuale): Maria non fu mai soggetta al peccato 2800 3908 3915; Maria ha usufruito del privilegio speciale di evitare anche i piccoli peccati veniali. 1573.

Santità: Maria eccelle sopra tutti i Santi per santità, innocenza, grazia ed abbondanza di carismi 2800s 3370 3917.

E6b. b. – COMPITO ESPLEYATO DALLA MADRE DEL SALVATORE

6ba. Fatto ed essenza della maternità. Fede dei simboli 10-30 42//64 72 150.

Il Verbo di Dio trasse il corpo da Maria con un’anima perfetta intelligente a cui è unito secondo l’ipostasi. 251 442; Maria generò carnalmente il Verbo divinuto carne 252; tuttavia il Verbo non trasse il suo principio derivato della natura divina da Maria 251; il Vb. di Dio da se stesso concepito unì a sé il tempio assunto da Maria 272; si riprov. l’assunto che nega la vera maternità [a. il Figlio di Dio con il corpo celeste transitò per Maria senza nulla prendere da ella; b. Maria generò un uomo puro] b427 b437 a1341 1880.

Maria pertanto (forza della comunicazione idiomatica) è chiamata a.vere e b.propria Deipara, Dei genitrice di Dio, theotókos 251 271s 300 416 427 442 485 ab547 ab555 a2528s; si riprova l’affermazione ciò negante [“la genitrice di Dio” è termine solo abusivo e sec. relazione si concede il titolo di “christotókos”] 427 437 (S251d).

6bb. Proprietà della maternità. Verginità: in genere 10-30 42//64 72 144 150 251s 271s 291s 299 442 533 571 748 1880; senza seme virile (in questo senso a.”immacolata“) 44 62s 189 368 a503 a533 a547 a619 a1337 a1400 (qui nel duplice sens9); fui sempre vergine (anche a. nel parto e b. dopo il parto, ossia Cristo è nato solo da Ella) 44 46 b291 ab299 a368 ab442 b485 491 502 b503 547 ab571 572 619 681 801 852 b1400 1425 ab1880; si riprova l’affermazione della concezione dal seme di Giuseppe 1880.

Assenza di sequele del peccato originale: concupiscenza 294 299; dolore nel parto 748.

Consenso libero nell’incarnazione 357 3274.

6bc. Dignità della maternità. Nella madre di Cristo Dio-uomo Maria eccelle sopra le altre creature 3260 3917; in questa dignità è fondata la sua gloria 3900.

E6c. c. – DONI NECESSARI ALLA SALVEZZA DEGLI UOMINI.

6ca. Partecipazione nell’opera della redenzione. a.Maria come socia del divino Redentore partecipa all’opera sua b.In maniera temperata ed in ragione dell’analogia a3902 3914s ab3916 3926; of

fre sostegno ai tesori dei meriti di Cristo (come anche gli altri Santi) 1027.

Questa partecipazione è fondata sul a.consenso di Maria all’elezione; b.sulla comunione dei dolori e della volontà col Redentore a3274s b3370 b3926; (in forza dell’antiparallelismo) Maria è la nuova Eva 3901 3915.

6cb. Mediazione delle grazie. Intercessione in genere 1400 2187 3274s 3370 3926; intermediatrice secondo quanto conviene a Maria maggiormente accresciuta da tale titolo 3320s; si può chiamare “mediatrice al Mediatore” 3321; è mediatrice “de congruo” 3370; dispensatrice (a. come mediatrice di tutte le grazie) dei tesori della grazia di Cristo a3274s 3370 3916.

Ma per nulla è da attribuirle la forza della grazia efficiente 3370.

6cc. Maternità spirituale. (a.generante Cristiani in mezzo alle sofferenze del Redemptore) a3262 3275.

E6d. d. – GLORIFICAZIONE.

6da. Assunzione in cielo sec. corpo ed anima 3903 3900-3904; passò dalla vita senza e corruzione 748.

6db. Dignità regale. Maria è la Signora dei fedeli 547; regina 1400 3902 3913-3917.

6dc. Culto. A Maria è dovuto il culto di iperdulia CdIC 1255, § l; riprov.: [La lode riferita a Maria in quanto Maria è vana] 2326.

Culto delle immagini a Lei conviene (a. riprovate negligenze e restrizioni indebite) 1823 a2187 a2236 2532 a2671; si riprovano le immagini di Maria che veste abiti sacerdotali 3632.

E7. 7. Parti di S. Giuseppe nella storia della salvezza.

Gesù Cristo non viene dal seme di Giuseppe 1880; add. E 6bb (nat. dalla Vergine).

S. Giuseppe è fonte eccellente in quanto fu sposo di Maria e padre putativo di Gesù Cristo 3260; il suo vincolo nunziale con la genitrice di Dio lp eleva alla dignità di suo sposo e non di più 3260.

Il Patrocinio di S. Giuseppe sulla Chiesa ha per fondamento la patria potestà di S. Giuseppe sulla casa divina 3262s.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (48)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (I)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (1)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano. 1909.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

ALLA GLORIOSA REGINA DEL CIELO.

L’autore ha ricevuto la seguente lettera dal Cardinale Rampolla:

N° 63522

Onoratissimo Signore,

le sono molto grato per avermi gentilmente inviato una copia del suo Catechismo cattolico per i giovani. La velocità con cui sono apparse le nuove edizioni, gli elogi ricevuti dai Vescovi, l’introduzione del suo libro in un grande numero di scuole mi fanno riconoscere il suo merito. Desidero congratularmi cordialmente con lei. Posso assicurarle che Dio benedirà grandemente il suo lavoro, e sono lieto di esprimerle i miei sinceri sentimenti di alta stima.

Roma, 29 maggio 1901.

M. Card. Rampolla.

Al signor François Spirago, Trautenau.

PREFAZIONE.

Questo catechismo, nella sua forma attuale, è un libro di istruzioni popolari, adattato alle esigenze del nostro tempo ed un manuale per catechisti e predicatori.

Sono soprattutto le parti stampate in piccolo a dargli questo carattere. L’autore ritiene utile fornire le seguenti spiegazioni:

1. Questo catechismo è composto da tre parti: la prima tratta dei dogmi, la seconda della morale e la terza della grazia. Nella prima parte, Cristo appare come maestro; nella seconda, come re; nella terza, come pontefice. – Poiché questo catechismo risponde soprattutto alla domanda: “perché siamo su questa terra?” e che mette in particolare evidenza il sublime destino dell’uomo, è particolarmente adatto alla nostra epoca materialista, sensuale ed alla ricerca del piacere. Quasi tutti i discorsi del Salvatore riguardano anche il necessario. Il catechismo non è altro che un breve riassunto della dottrina di Cristo. Per questo il catechismo è come una guida, come una tabella di marcia del Cristiano verso il cielo. Prima tratta la meta del viaggio e poi del viaggio e poi i sentieri che portano ad essa. La prima parte comprende gli atti richiesti alla nostra intelligenza (dobbiamo cercare di conoscere Dio per fede nelle verità da Lui rivelate); la seconda, ciò che la nostra volontà debba fare (dobbiamo sottomettere la nostra volontà alla volontà di Dio, cioè osservare i suoi comandamenti); la terza parte si occuperà di ciò che dobbiamo fare per ottenere l’illuminazione della nostra intelligenza oscurata dal peccato originale e la forza della volontà indebolita da questo stesso peccato (dobbiamo acquisire la grazia dello Spirito Santo attraverso l’uso dei mezzi di santificazione; è infatti con la grazia  dello Spirito Santo che la mente viene illuminata e la volontà rafforzata). – Le parti principali di questo catechismo sono quindi ben coordinate, e le loro suddivisioni sono a loro volta così ben concepite e sistemate tra loro, che il collegamento logico delle verità della Eeligione è chiaramente evidente al lettore. Questo è molto importante, perché quanto più conosciamo l’intima connessione di tutte le verità religiose nel loro insieme, più saremo in grado di penetrare ciascuna di esse isolatamente. Infatti Ketteler dice giustamente: “L’intero catechismo è un sistema di verità fondamentali della Religione.. Se i bambini sono in grado di riconoscere questa grande, mirabile e celestiale struttura di insegnamenti divini in tutta la sua armonia, i colpi dell’inferno cadranno impotenti ai loro piedi.

2. Questo catechismo è stampato in caratteri di tre dimensioni. I caratteri GRANDI, formano come l’ossatura, quelli medi, come la muscolatura, quelli piccoli, come il sangue del catechismo. Quest’ultima parte avrebbe potuto essere omessa, senza che il catechismo cessasse di contenere le verità della Religione Cattolica; ma somiglierebbe come ad un uomo completamente anemico. Ora, di questi catechismi e manuali di istruzione religiosa, ce ne sono fin troppi, anemici e rivolti solo all’intelletto. E come un uomo privo di sangue non è in grado di lavorare, così la maggior parte di questi libri è rimasta incapace di smuovere il cuore dei Cristiani, e di accendere in loro il fuoco dell’amore per Dio e per il prossimo, un effetto che dovrebbe produrre ogni libro religioso, sermone o catechismo degno di questo nome.. Soprattutto, a questi libri mancava il calore dell’espressione che convince e va al cuore, quella forza giovanile e vivificante che è propria della parola dello Spirito Santo..

3. Lo scopo di questo catechismo è quello di formare in modo uguale e simultaneo le tre facoltà dell’anima, l’intelligenza, il cuore e la volontà; non ruota quindi intorno a semplici definizioni. Lo scopo principale di questo libro non è quello di trasformare l’uomo in una sorta di filosofo religioso, ma di farne un buon Cristiano, che pratichi la sua Religione con gioia. Per questo motivo ho semplicemente lasciato da parte, o perlomeno non ho trattato in modo approfondito le questioni di pura speculazione, né soprattutto le questioni controverse, che non servono alla vita pratica. In generale, mi sono sforzato di togliere alle verità religiose ogni parvenza di alta scienza e di presentarle in forma popolare e facilmente comprensibile. I termini di sapienza e tecnici che sono così spesso usati nei catechismi, anche da bambini (ricordate, ad esempio, la miriade di termini di cui sono pieni i nostri manuali nel capitolo sulla grazia) si troveranno invano in questo libro. Questi termini tecnici sono adatti alle scuole di teologia o, come dice padre Cl. Fleury, ai teologi di professione, ma devono essere evitati a tutti i costi in un catechismo o in un libro per il popolo. Tutto ciò che è scritto per i bambini o per la gente comune deve essere scritto in un linguaggio semplice e senza artefatti, come quello che hanno usato il Salvatore e gli Apostoli: questi scritti sono pensati per essere compresi, per muovere i cuori e le volontà, non per formare studiosi e tanto meno per torturare la mente con termini sfuggenti e rendere noiosa la Religione – . Il presente catechismo costituirà quindi un netto contrasto con la maggior parte dei libri simili apparsi finora: non si tratta di una rielaborazione di uno o più catechismi e manuali, è un’opera originale, basata sui principi della pastorale e della pedagogia. – Allo stesso tempo, vorrei sottolineare che la dottrina della Chiesa non è presentata in maniera arida, ma è stata resa interessante – per così dire, trasformata in lezioni di cose – attraverso figure, esempi, massime, citazioni di uomini illustri, il che dà a tutti questi insegnamenti piacere e fascino. Non c’è quindi da temere che un Cristiano si stanchi rapidamente di questo libro. Tuttavia, le citazioni dei Padri e di altri autori non sono sempre letterali; spesso ho preso in prestito solo i loro pensieri. I Padri in particolare (per poter agire più efficacemente sulle volontà) hanno prestato attenzione alla bellezza dell’espressione, ai periodi simmetrici ecc. che sono più dannosi che utili per i bambini o per il popolo. Per essi bisogna avere espressioni chiare e facili da afferrare. Gli stessi Apostoli non citano sempre l’Antico Testamento alla lettera, ma quanto al senso. Non c’è alcun inconveniente a riassumere i passi di un Padre: basta rendere esattamente il suo pensiero. Del resto io cito i Padri, non per dimostrare una verità, ma per rendere l’espressione più concreta e chiara.

4. Questo catechismo popolare è stato scritto secondo i principi della pedagogia. Ho quindi cercato di suddividere gli argomenti in modo pratico e con tabelle, di ordinare i pensieri in modo logico, di scegliere espressioni semplici, di usare proposizioni brevi, ecc.; in questo ho seguito il consiglio di Hirscher e i consigli dei più illustri Vescovi e catechisti contemporanei. – Allo stesso modo ho unito in un unico sistema – senza farne parti separate – tutti i rami dell’insegnamento religioso: catechismo, storia sacra, liturgia, apologetica, storia ecclesiastica; questa disposizione evita ovviamente la noia ed interessa anche la mente., il cuore e la volontà. Se in questo catechismo ho lasciato da parte la forma interrogativa che ci è stata tramandata dal Medioevo, credo di aver avuto ragioni molto serie per farlo. In primo luogo queste continue interrogazioni non corrispondono al principio della fede cattolica, perché la fede nasce dall’affermazione e non dalla domanda. Le verità della nostra santa Religione non sono così conosciute da poterle far approfondire al pubblico, devono essere comunicate prima con il metodo esplicativo. Non dobbiamo interrogarci su ciò che sia già noto. Inoltre, il metodo interrogativo, ostacola la brevità dell’insegnamento e, in parte, la sua chiarezza; infatti queste numerose domande impediscono una visione d’insieme, così come nell’esaminare gli alberi, non è più visibile la foresta. Non è bene ridurre in farina il seme della parola di Dio, essa non crescerebbe più nel cuore degli uomini. Una proposizione diversa da quella interrogativa è intelligibile almeno quanto una domanda e una risposta. Se un libro fosse destinato principalmente a sostenere un esame, il metodo interrogativo sarebbe ammissibile, ma quando le verità devono essere comprese a fondo il metodo espositivo è più conveniente.

5. Ho tenuto conto anche delle esigenze del mondo contemporaneo. Ho cercato di combattere il più possibile il materialismo egoista e sensuale. Questo è dimostrato dall’inizio del libro e dalla cura con cui ho trattato la morale. Non mi sono accontentato di aride definizioni e nomenclature di peccati e virtù, ma ho mostrato le virtù in tutta la loro bellezza, con tutte le loro felici conseguenze, i vizi in tutta la loro bruttezza e malizia, con tutte le loro disastrose conseguenze, ed ho sempre indicato i loro rimedi. I punti che sono di particolare importanza per il nostro tempo, lungi dall’essere tralasciati, sono stati trattati in dettaglio. Troveremo quindi qui parti che spesso mancano in altri catechismi.; al 3° comandamento di Dio, in accordo con le indicazioni del Concilio di Trento, si troverà il dovere di lavorare e la nozione di “lavoro”; nel 4° comandamento, i doveri verso il Papa ed il Capo dello Stato e i doveri elettorali dei Cattolici; 5° il prezzo enorme della salute e della vita, degli avvisi circa i danni alla salute causati da mode dannose, dall’abuso di alimenti contrari alle norme igieniche (alcol, caffè), l’abuso dei piaceri, l’adulterazione degli alimenti. Nel 10°, i principi socialisti sono trattati in modo molto popolare e immediatamente dopo c’è l’impiego della fortuna, del rigoroso dovere della elemosina. (Le opere di misericordia, da cui il Salvatore fa dipendere in particolare la mostra salvezza eterna, non sono relegate a caso in un angolo, ma occupano un posto di rilievo, in quanto scaturiscono direttamente dal decalogo). Quando si parla di occasioni di peccato, io parlo della frequentazione di cabaret, del ballare, andare a teatro, e così via, all’abbonamento a giornali cattivi; quando parlo di orgoglio, metto nella sua vera luce l’abuso delle toilettes e la follia delle mode del nostro tempo. Sul tema del matrimonio si affronta la questione del matrimonio civile, e subito dopo le confraternite religiose, le associazioni cristiane (laiche). Ho trattato ampiamente l’amore per Dio e per il prossimo che manca a tanti uomini di oggi, e approfitto della dottrina della Provvidenza per mostrare come dobbiamo sopportare i mali di questo mondo. Il modo di sopportare la povertà ed il dovere della gratitudine sono spiegati con non minori dettagli. In diversi passaggi, faccio presenti le apparenze ingannevoli dei beni terreni, e raccomando la pratica della rinunzia a se stessi. Parlo anche della cremazione dei cadaveri, dei congressi cattolici, delle rappresentazioni drammatiche della Passione e di altre pratiche contemporanee. Quindi nessuno può affermare che, in termini di contenuto e forma, questo catechismo sia un ritorno al Medioevo.

6. Questo catechismo, nella sua forma attuale, è indubbiamente soprattutto un libro di volgarizzazione ed un manuale per i catechisti e per i pastori d’anime; questi ultimi risparmieranno molto tempo, perché fornisce loro una miriade di paragoni e di esempi e suggerisce molte spiegazioni. Tuttavia, è scritto in modo tale che, abbreviando le parti in caratteri piccoli e, naturalmente, cambiando il formato, potrebbe essere facilmente trasformato in un catechismo scolastico, in linea con la pedagogia, che potrebbe essere utilizzato in tutte le classi. Le parti in caratteri grandi sarebbero sufficienti per i principianti (non mi riferisco ai bambini del primo e del secondo anno che conoscono solo la Storia Sacra); basterebbero anche per bambini di livello più avanzato, ma non molto dotati. Le parti in carattere medio sono destinate ai bambini più avanzati. Come nell’istruzione religiosa cattolica, è la parola viva del catechista che rimarrà sempre l’elemento capitale, poiché la fede viene dall’ascolto e non dalla lettura o dalla recitazione, sarà certamente sufficiente anche perché gli adulti conoscano bene queste due parti. Esse sono il fondamento su cui si costruirà l’edificio dell’istruzione religiosa attraverso la parola viva del catechista. In seguito si tratterà di estendere questa conoscenza attraverso una sorta di educazione teologica, ma di spiegarle in modo più tangibile, utilizzando nuove figure e nuovi paragoni e di motivarli più profondamente, in altre parole, di radicare maggiormente la convinzione religiosa. – La sezione in caratteri piccoli dovrebbe senza dubbio essere notevolmente accorciata, se questo libro dovesse essere utilizzato nella scuola; tuttavia, non dovrebbe essere eliminata del tutto. Infatti, questa parte offre ai bambini la possibilità di rinfrescare la memoria su ciò che hanno ascoltato nel catechismo. Il catechista, inoltre, è costretto ad introdurre nel suo insegnamento cose importanti, senza contare che questa parte facilita considerevolmente la preparazione ed il lavoro a scuola. Inoltre, rende possibile mantenere il libro per le scuole secondarie e sarà utile anche ai genitori degli alunni. Infatti, i genitori che si occupano dell’educazione religiosa dei propri figli a casa, dovranno necessariamente gettare lo sguardo sui passaggi in caratteri piccoli e saranno introdotti, quasi giocando, alla comprensione della dottrina cristiana. Mediteranno sulle verità religiose, senza rendersene conto, e possiamo vedere dalle vite dei Santi e dei personaggi illustri quanto sia potente la leva di questa meditazione per perfezionare la vita e rafforzare le convinzioni cristiane. – I nostri tempi burrascosi in particolare hanno bisogno di portare lo spirito cristiano nelle famiglie attraverso la scuola. – Hirscher, quel famoso catechista, diceva: “Il catechismo non ha forse lo scopo di suggerire al catechista i punti principali mezzi di edificazione? O dovremmo lasciare a ciascuno il compito di scoprire cosa possa contribuire all’edificazione? Ed ancora, ciò che è stato detto per l’edificazione, non dovrebbe essere messo stampato nei punti essenziali davanti agli occhi dei catecumeni, affinché si ricordino delle impressioni ricevute e che la lettura rinnovi in loro i sentimenti che erano stati risvegliati in precedenza? Ahimè! tutto ciò che non viene messo davanti agli occhi dei catecumeni viene di solito dimenticato in fretta! Quindi, se vogliamo che le emozioni, i primi propositi, ecc. persistano, dobbiamo conservare l’espressione nel testo del catechismo ed i punti di dottrina. Il catechismo sarà allora un libro di istruzione, ma altrettanto essenzialmente un libro di edificazione. E se il catechismo non è attraente a causa della parte riservata all’edificazione, sarà un libro che verrà rifiutato al più presto e non sarà certo toccato in seguito. (Le mie preoccupazioni sull’utilità del nostro insegnamento religioso sono sopra esposte). – Si consideri, inoltre, il notevole sviluppo degli attuali libri scolastici. E sarebbe il libro destinato all’insegnamento più importante a ridursi ad un formato più ristretto!!? Il catechismo, al contrario, dovrebbe essere il libro di divulgazione per eccellenza, da cui il popolo attinga la propria fede! Le verità religiose non dovrebbero essere presentate sotto forma di uno scheletro con i contorni più elementari, esse non devono essere insegnate con un tono arido e uniforme. Vorrei aggiungere che ho cercato di dare al mio catechismo popolare lo sviluppo di un essere organizzato: un tale catechismo estende la conoscenza religiosa nei bambini, come per cerchi concentrici, ed è così che vedo un buon catechismo. Così come un albero nella sua crescita non cambia continuamente il suo tronco e i suoi rami, così il Cristiano, crescendo nella conoscenza della verità religiosa (II. S. Pietro III, 12) non deve modificare continuamente la base su cui poggia questa conoscenza. Un architetto non strapperà mai le fondamenta per alzare un po’ l’edificio! Ecco perché è bene utilizzare un solo manuale di istruzione religiosa. Chiunque lo abbia studiato a fondo, nella sua vita non sarà un Cristiano solo di nome; di lui si dirà: “Temo l’uomo di un solo libro”. E se sono assolutamente necessari diversi manuali, che almeno siano scritti secondo un unico e medesimo sistema. Il grande catechismo deve contenere completamente il piccolo. In altre parole, il catechismo grande deve nascere dal piccolo. Ora, se il catechismo grande si è distinto per la differenza dei caratteri, la materia per i piccoli e per i grandi, i catechismi piccolo e medio non sono più indispensabili accanto a quello grande. Se i bambini hanno sempre lo stesso libro, la memoria locale sarà molto più facile per loro. – Che questo piccolo libro cristiano inizi il suo viaggio nel mondo! Che possa contribuire molto alla gloria di Dio e alla salvezza delle anime: possa soprattutto alleggerire il carico di lavoro dei catechisti! Per assicurargli la benedizione di Dio, l’ho dedicato alla Madre di Dio, all’Immacolata Concezione.

Francesco Spirago.

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (II)

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA (8)

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA (8)

FRANCESCO OLGIATI,

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA.

Soc. ed. Vita e Pensiero, XIV ed., Milano – 1956.

Imprim. In curia Arch. Med. Dic. 1956- + J. Schiavini Vic. Gen.

Capitolo terzo (3)

LA LEGGE DELL’AMORE

III. – L’AMORE DI NOI STESSI

E’ famosa nella storia della Chiesa la polemica svoltasi un giorno fra Bossuet e Fénelon. Il Vescovo di Cambrai, nel suo Livre des maximes des Saints, sosteneva che il timore dell’inferno o la speranza del paradiso corrompevano la purezza dell’amore e che non v’era amore vero, se non quando l’anima amava Dio esclusivamente per Lui stesso, senza pensare a sé. « V’è uno stato abituale d’amore di Dio — diceva Fénelon — che è una carità pura, senza miscuglio alcuno dei motivi di interesse nostro. Nè paura di castighi, né desiderio di premio hanno parte a questo amore ». Un’anima, anzi, può essere persuasa, d’una convinzione invincibile e riflessa, che è riprovata da Dio ed in pari tempo amare Dio e fargli il sacrificio assoluto della propria eterna felicità. La ricompensa è il motivo specifico e l’oggetto formale di un’altra virtù: la speranza. – Il Vescovo di Meaux, invece — ed il suo Traité sur les états d’oraison sviluppa la sua idea, appoggiandosi su tutti i Padri, e specialmente sui due suoi preferiti, san Bernardo e sant’Agostino, ragionava press’a poco così: se noi amiamo Dio, dobbiamo volere tutto ciò che Egli vuole ed amare tutto ciò che Egli ama; orbene, Dio ama noi e vuole la nostra beatitudine; perciò, il vero e puro amore di Dio comprende l’amore di noi stessi, l’aspirazione alla nostra beatitudine, il timore di perderla. « E’ dunque chiaro che tale desiderio e la domanda della felicità futura, malgrado le raffinatezze dei nuovi mistici, secondo i sentimenti di tutti i santi cominciando dagli Apostoli, appartengono alla carità ed alla carità perfetta ». Gesù, del resto, nel Vangelo continuamente ci incita a pensare alla salvezza della nostra anima, ad agire bene per conquistare la vita eterna, a fuggire il male per non cadere nell’inferno. Noi sappiamo come la Chiesa sia intervenuta nella polemica ed abbia dato ragione a Bossuet, mentre Fénelon umilmente s’inchinava e si sottometteva al giudizio della Santa Sede. Ma sappiamo anche come l’episodio sia il simbolo d’un conflitto, che nel campo della morale dura da secoli, tra la felicità e la virtù, tra l’utile ed il bene. Questi due concetti hanno dato del gran filo da torcere ai moralisti ed intorno a questo problema, da Socrate a Platone, da Aristotele sino a Hobbes ed all’utilitarismo inglese, da Cartesio e da Leibniz sino a Rousseau, a Kant ed a Hegel, si è travagliata la filosofia e si è suscitata viva la discussione fra coloro stessi che sono profani ai dibattiti filosofici. Da un lato, è innegabile che esiste in noi una tendenza irresistibile alla felicità. Per quanto i filosofi discordino nel resto, nota il Cathrein, su questo punto si trovano tutti all’unisono. Scegliamo alcune testimonianze dalle più svariate tendenze filosofiche. Aristotele, che in tutte le sue indagini muove da fatti sperimentali sicuri, nel primo capitolo della sua Etica a Nicomaco prese come punto di partenza di tutta la sua teoria la tendenza naturale alla felicità. Egli affermò esser manifesto che tutti aspirano alla felicità perfetta. Allo stesso fatto accennò spessissimo Platone nei suoi Dialoghi, specialmente nel Convito, nel Gorgia e nel Politico. Cicerone, nell’Ortensio, partiva dalla massima assolutamente costante, di cui nessuno può dubitare: cioè, dal desiderio ardente di essere felice, comune a tutti gli uomini. Gli stessi Stoici, del resto avversi a ogni genere di soddisfazione, qualificavano la felicità come fine etico dell’uomo. Ad essi tenne dietro lo stoico dell’età moderna. « Esser felice, pensava Kant, è necessariamente il desiderio di ogni creatura ragionevole, finita; conseguentemente un motivo inevitabile del suo appetito.. Che abbia seguito la medesima opinione tutta la turba degli eudemonisti moderni, i quali rappresentavano la felicità possibile ed immaginabile con la suprema norma morale, è inutile ricordarlo. Anche il padre del pessimismo moderno, Schopenhauer, fu della stessa opinione: « L’uomo vuole incondizionatamente conservare la sua esistenza; vuole esser assolutamente libero di dolori; vuole la maggior quantità possibile di benessere ed ogni godimento di cui è capace ». Lo stesso Fénelon riconosceva che « l’inclinazione naturale e indeliberata alla beatitudine è invincibile come l’amore alla vita »; e solo aggiungeva che si può non seguirla negli atti deliberati, alla stessa guisa che, nonostante l’inclinazione spontanea alla vita, si può risolvere deliberatamente di morire. Tutti, dunque, vogliono essere felici; e l’utile è voluto da tutti, anche dai filosofi che cercano di deprezzarne il valore a vantaggio del bene. Dall’altro lato, però, non si può neppure negare che la coscienza morale, se non fa le necessarie distinzioni, quando uno aspira alla propria utilità e tende al suo vantaggio personale, si rifiuta di parlare di atto virtuoso. Molti, anzi, restano perplessi e scombussolati dinanzi a certi disinteressatissimi pensatori e scrittori dei giorni nostri, i quali accusano Cristo di avere insegnato una morale interessata, basata sul paradiso e sull’inferno, e dicono: « Si deplorano gli strozzini, quando fanno dei prestiti al cinquanta per cento; ma che si deve dire del Cristiano, che, agendo per una felicità eterna, fa dei prestiti a Dio all’infinito per uno? Il motivo utilitario del cielo o del fuoco infernale altera il carattere morale di un’azione e ci spinge fra le braccia dell’egoismo. È immorale agire per l’inferno o il paradiso. V’è un’etica più alta, più nobile, più disinteressata, che ripudia cupidità di calcoli, volgarità di compensi, tenebre di paure, e vive nelle serene regioni del disinteresse.

Come si vede, l’argomento non potrebbe essere più interessante.

1. – L’utile ed il bene

Per non giocare con le parole e per non cadere negli equivoci, gioverà premettere un’osservazione. L’utile può essere considerato in due modi: in astratto ed in concreto.

1. In astratto, il concetto di utilità nulla dice pro e contro la morale. È ridicolo confondere l’utilità con l’egoismo, tant’è vero che si può ricercare la propria utilità, senza essere egoisti. Ad es., gli operai di una grande società anonima odierna vanno all’officina, lavorano e sudano non già perché si sdilinquiscano d’amore per gli azionisti che non conoscono neppure, ma per avere il loro salario giornaliero o settimanale, ossia per il loro utile; c’è forse qualche puritano che vuol scagliare pietre contro questi lavoratori, accusandoli di egoismo? – L’aspirazione alla nostra felicità è stata posta da Dio nei nostri cuori ed è fonte di mille benefiche conseguenze: sveglia, eccita, suscita energie: sprona, suggerisce ed incoraggia iniziative; e quando è regolata, ossia subordinata alla morale, è una delle forze umane più provvidenziali. Oh, che dovremmo forse agire per essere infelici? Ciò non sarebbe la negazione dell’egoismo; sarebbe uno schietto cretinismo.

2. In concreto, possiamo tendere alla nostra utilità in due maniere: o facendo di noi il centro della realtà (concezione antropocentrica); o ponendo a centro dell’universo Iddio (visione teocentrica). Nel primo caso, sì, abbiamo un utile egoistico, e che perciò contrasta con la morale. L’egoismo consiste nell’erigere il proprio io ad Assoluto, a Dio, e nel sacrificare gli altri a noi. Mi è utile avere un’automobile: e la rubo. Mi è utile stracciare un trattato: e lo definisco un pezzo di carta. Si scorge allora la miseria, intellettuale e morale, dell’etica utilitarista. Sia che si tratti d’un utile individuale, oppure d’un utile nazionale o collettivo, non è mai riducibile il concetto morale a quello di utile e, quando si tenta una simile operazione, si nega la moralità. Mi è utile avere un milione; ma posso forse appropriarmelo indebitamente, pur sfuggendo alle reti del codice penale? Mi è utile opprimere un’altra nazione libera ed indipendente; ma è forse morale questo? Fra l’altro, la morale deve dirmi se un’azione è buona o cattiva, prima che io la compia. Se avessero ragione gli utilitaristi, io non potrei sapere se un atto è buono o cattivo, se non dopo averlo compiuto, perché solo allora è possibile giudicare della sua utilità. Ad es., la Germania nel 1914 ha invaso il Belgio per passare in Francia: era lecito un simile procedimento? Secondo gli utilitaristi, il governo tedesco sarebbe stato moralissimo facendo invadere il Belgio, se la ciambella fosse riuscita col buco; dato che l’invasione del Belgio ha cominciato a rovinare tutto il piano prestabilito dagli invasori, bisognerebbe oggi concludere che quel governo ha agito in modo immorale. È forse lecito un simile sragionamento?.-Nel secondo caso, quando poniamo non solo teoricamente, ma anche praticamente Dio al centro della realtà, il cercare la propria utilità, ossia la propria felicità, non solo non fa a pugni con la morale, ma non ci può essere atto morale che non sia utile e non ci orienti alla felicità. Si può concepire un Dio, Ragione perfetta e perfetto Amore, il quale costituisca un universo, in cui chi agisce moralmente debba affrontare quaggiù mille sacrifici e battaglie e che poi in compenso, debba andare incontro alla propria infelicità? Può un Dio-Amore crearci per renderci infelici, non per colpa nostra, ma per suo volere? Essenzialmente diverse sono l’utilità egoistica e questa felicità che consegue all’amore nostro per Dio. La prima fa del proprio io l’Assoluto; l’altra considera come fine ultimo Dio e la propria felicità come fine subordinato. La prima è l’aspirazione all’utilità immediata (anche scevra d’onestà), che passa e sfuma; l’altra è l’utilità immedesimata con l’onestà e giudicata dal punto di vista di Dio, ed è la sicurezza che l’atto morale conduce alla gioia nonostante le angustie, i sacrifici, i dolori del presente. L’uno ripone la felicità nelle piccole cose transeunti; l’altra la ripone (come vedremo, parlando della sanzione della morale) in Dio, ossia nella visione intuitiva e nell’amore di Dio, che saranno il massimo perfezionamento soprannaturale del nostro spirito e della nostra personalità.

2. – Amore perfetto ed imperfetta di Dio

Quali sono, adunque, i principi della morale cristiana a proposito delle azioni fatte con l’aspirazione alla felicità? Si possono ridurre a due. Li esporremo con semplicità.

1. Se uno dovesse fare il bene od evitare il male escludendo l’amore di Dio, ma unicamente per amore di sè, non compirebbe un atto naturalmente onesto, nè un atto cristianamente buono. E quando Ippolito Taine ha definito la virtù: « Un egoismo, munito di cannocchiale lungimirante », ha semplicemente preso un grazioso granchiolino.

2. Perchè ci sia un atto cristianamente buono, occorre l’amore o imperfetto o perfetto di Dio. Supponiamo che una persona ci aiuti, ci soccorra disinteressatamente, ci dimostri un vero amore. Nel cuore nostro noi distinguiamo due sentimenti, che si intrecciano insieme, che anzi si fondono in una sola cosa, tanto che solo all’analisi minuta si mostrano distinti. Noi, cioè, siamo contenti per i benefici ricevuti da quella persona (e ciò si riferisce a noi) e sentiamo gratitudine per il benefattore (e ciò riguarda non noi, ma l’altra persona). Questa gratitudine è amore, che non è confondibile col vantaggio ricercato, che resta anche quando io non abbia più bisogno di aiuto, che ci fa amare quella persona in quanto è buona in sè e buona per noi. La sua bontà noi l’abbiamo conosciuta attraverso l’utile nostro; e fu l’utile nostro ciò che ha suscitato in noi l’amore; ma l’amore che portiamo poi alla persona non è proporzionato alla quantità di bene che ci ha fatto, ma alla sua intima bontà. Noi l’amiamo, quindi, e perché è degna in sé di essere amata e perché ci ha beneficato. Tale amore noi lo chiamiamo imperfetto, perché, pur non essendo riducibile all’egoismo né ispirato al gretto utilitarismo, ha però come motivo anche il proprio utile. Qualora invece noi, da questo primo gradino dell’amore, dovessimo ascendere più in alto ed amare quella persona prescindendo dai benefici avuti, solo per se stessa, perché è degna di essere amata, avremmo un amore perfetto e d’amicizia. – Amare Dio per i beni ricevuti, per la rugiada di grazie naturali e soprannaturali che ha fatto piovere sopra di noi, per il paradiso che ci prepara; amarlo perché gli siamo grati di essere morto per noi sulla Croce e d’averci redenti; non offenderlo, e perché gli siamo riconoscenti ed anche perché non vogliamo perdere la nostra vera felicità ed anzi la speriamo da Lui, non è un male; anzi è buona ed ottima cosa; e l’azione immorale calpesta tutti questi nobilissimi motivi, che il Vecchio ed il Nuovo Testamento ci inculcano, ci raccomandano, ci ingiungono; ma in questo caso noi amiamo imperfettamente Iddio. Il nostro diventa amore perfetto, quando — da questo trampolino della riconoscenza, del santo timore suo (da non confondersi col timore servile), dalla speranza, in una parola dall’amore per Dio che implica anche, subordinatamente, l’amore giusto e ragionevole per noi — spicchiamo il salto a Dio amato unicamente per sé, per le sue perfezioni infinite. – Si tratta di due categorie di amore, nelle quali l’amore perfetto racchiude l’imperfetto e lo supera. Io le paragonerei al raggio ed al sole. Con l’amore imperfetto noi guardiamo Dio nei suoi benefici, ossia nei raggi del suo Amore; con l’amore perfetto noi ci tuffiamo nel Sole, dal quale partono bensì i raggi, ma è infinitamente più bello in se stesso ed è la pienezza dell’Amore. Felicità nostra (utile) e amore non son cose che contrastino tra loro, né se ci poniamo a guardarle in rapporto a Dio, né in rapporto a noi, né in rapporto all’atto morale. Dio, perché Amore, deve volere la nostra felicità e la vuole; e noi volendo Dio e amandolo, vogliamo la nostra felicità, che consiste in Lui e in Lui si assomma. Noi, se amiamo Dio, ossia se viviamo moralmente e cristianamente bene, siamo felici: abbiamo, nello stesso periodo della prova, la tranquilla dignità della nostra coscienza e la convinzione del vantaggio che al prossimo nostro deriva dal dovere compiuto e dall’amore fraterno praticato; avremo, nell’altra vita, il coronamento supremo degli sforzi fatti, ossia il paradiso, in cui la felicità consiste nella visione e nel possesso di Dio e nell’amore. Là, nel paradiso, utile e bene coincidono. In se stesso, l’atto morale è sempre utile, come la vera utilità (non effimera e passeggera) è sempre morale, procedendo l’utile ed il bene dall’unico Dio, che essendo Amore, ci vuole felici e buoni e che, quanto più noi dimentichiamo il nostro piccolo io e trascuriamo noi stessi per amor suo, tanto più ci rende e ci renderà felici e contenti. Chi è più felice del vero e perfetto Cristiano? Colui che ama Dio solo per Dio, ogni volta che ha un dolore lo santifica e lo cambia in un atto di amore; ogni volta che ha una gioia, invece di fermarsi al raggio, sale al Sole e benedice ed ama Dio in se stesso, ed in questo raggiunge la massima gioia.

3. – Conclusione

Nei laboratori di biologia si fanno tante volte esperimenti sopra animali che si uccidono e si tagliano a pezzi. Uccidere un cane, un gatto o un coniglio, non è difficile per lo scienziato; ma ciò che nessun laboratorio riesce a fare, è l’operazione inversa: raccogliere, cioè, le varie parti divise in un tutto unico e vivificarle ancora. press’a poco, se non erro, ciò che capita in morale. I filosofi prendono l’atto morale, vivo, uno ed unico, e lo uccidono, lo tagliuzzano, lo esaminano pezzo a pezzo, e sovente conservano un pezzo solo, gettando via le altre parti. Ed ecco allora pullulare i sistemi, ognuno dei quali ha nelle sue mani un lato dell’atto morale e si illude di possedere il tutto unico, già precedentemente rovinato. E chi si sofferma sulla materia dell’atto morale, chi sulla forma; chi parla dell’utilità dell’atto buono e chi discorre di ciò che costituisce la moralità dell’azione; chi guarda il vantaggio sociale dell’atto morale e chi mira al perfezionamento intimo della personalità umana da esso causato. E, di divisione in divisione, si vanno moltiplicando i punti di vista, i metodi d’indagine, le costruzioni sistematiche. Queste ultime, non possono abbracciare l’azione etica nel suo complesso e nelnfremito della sua vita: la sintesi è impossibile, quando nel processo analitico si è perduta l’anima unificatrice.

Il Cristianesimo, mi pare, è più profondo, più comprensivo. Nessun punto di vista è da esso trascurato. Materia e forma dell’atto morale, utile e bene, natura e soprannatura formano un unico tutto, dove Dio, l’amore del prossimo ed il nostro bene sono tre punti organicamente congiunti. Non si può amare Dio, senza amare noi e gli altri; non è possibile raggiungere la felicità, se non nell’amore di Dio e del prossimo; non è possibile considerare gli altri, prescindendo da Dio e da noi. Le verità parziali degli altri sistemi sono qui raccolte, e non in una somma; ma in una sintesi vivente. Anche per questo motivo i sistemi di morale, persino i più alti, hanno avuto un’efficacia scarsissima nella formazione delle coscienze; mentre da venti secoli Cristo è il grande educatore dell’umanità.

Riepilogo.

Gesù stesso ha sintetizzato la sua morale nel precetto dell’amore: dobbiamo amar Dio sopra ogni cosa ed il prossimo come noi stessi. E’ necessario, perciò, analizzare questa legge suprema dell’etica cristiana, studiando l’amore di Dio, l’amore del prossimo e l’amore che dobbiamo a noi.

I. – L’AMORE DI DIO. – Il vero amore di Dio, nel quale consiste la morale di Cristo, non è il semplice amore della creatura per il Creatore, bensì l’amore soprannaturale, il cui principio ci è infuso dallo Spirito Santo, col quale amiamo Dio come Padre. Tale amore presuppone quaggiù la fede ed implica la speranza. Di conseguenza, l’amore di Dio, voluto da Cristo:

a) non è l’amore sensibile, ossia non può essere confuso col sentimentalismo

b) non è un amore di pure parole. Esso, al contrario esige:

a) che si ami Dio con tutto il cuore;

b) con tutta la mente;

c) con tutte le forze, ossia con la volontà e le azioni nostre.

E si distingue:

a) in un amore comandato, che ci dà il campo del dovere o dei precetti;

b) e in un amore consigliato, che è il campo dei consigli.

L’amore di Dio implica che si faccia la sua volontà. Di qui deriva sia il vero concetto della rassegnazione cristiana e della santa indifferenza ignaziana, come altresì la valutazione esatta intorno alla vita attiva o contemplativa.

II. – L’AMORE DEL PROSSIMO. — E’ un comandamento « nuovo», portato da Cristo, perché non consiste solo in un amore umano, a base di pura umanità, ma in un amore umano divinizzato. Essendo tutti i Cristiani uniti a Gesù Cristo e formando con Gesù un unico organismo, noi:

a) siamo tutti fratelli in Cristo;

b) amiamo con Cristo — ed il nostro amore umano per il prossimo è sublimato dalla sua grazia soprannaturale;

e) amiamo Cristo nei nostri fratelli, né potremmo dire di amare Gesù, se non amassimo anche il nostro prossimo.

III. – L’AMORE A NOI STESSI. — I filosofi discutono da secoli intorno ai rapporti esistenti fra l’utile e il bene, fra la felicità e la virtù, cioè fra l’amore a noi e l’amore a Dio o agli altri. La morale cristiana risolve tali questioni osservando che noi possiamo tendere alla nostra felicità in due modi: o amando noi sopra ogni cosa, facendo del nostro io il centro dell’universo e subordinando tutto a noi (ed in questo caso siamo egoisti, non Cristiani); ovvero amando Dio sopra ogni cosa. È evidente che amare Dio significa volere ciò che Egli vuole; e siccome Egli vuole e non può non volere la nostra felicità, anche noi dobbiamo tendere a quest’ultima, come a fine subordinato. Quindi:

a) chi dovesse fare il bene od evitare il male unicamente per amore di sé escludendo l’amore di Dio, non compirebbe un atto morale, cristianamente buono;

b) chi fa il bene od evita il male solo per amore di Dio, agisce moralmente, con amore perfetto.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (46): “INDICE DEGLI ARGOMENTI – V”

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (46)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

INDICE DEGLI ARGOMENTI -V-

 DIO PERMETTE IL PECCATO

  1. Il peccato angelico.

D 1a. a. – IL FATTO

Il diavolo decadde dal sommo bene 286; il diavolo e gli altri demoni da se stessi (ossia per il proprio arbitrio) sono diventati malvagi 325 794 800.

D 1b. b. – CATTIVE CONSEGUENZE.

1ba. Male personale. La pena del diavolo fu la dannazione a. eterna (286) a411 a801; Si riprova: [In futuro ci sarà la conversione ossia la reintegrazione del demonio mediante la crocifissione di Cristo] a409 411.

1bb. Male sociale. Il diavolo cerca l’occasione per nuocere, soprattutto nell’ora della morte 1694; per la suggestione del diavolo l’uomo ha peccato 800.

Il peccato è il cadere in potere del diavolo, ossia è il dominio del diavolo (sull’uomo) 1347 1349 1521 1668; il diavolo è (nel senso stretto suddetto) l’autore del peccato e della morte del genere umano 291; ottiene l’impero della morte 291 1511; Spiegazioni riprovate dell’influsso (o violenza) dei demoni nel peccato dell’uomo 736 2192 2241-2253 3233s.

2. Il peccato umano in genere.

D 22a. a. — NATURA DEL PECCATO.

Il peccato è —: l’avversione a Dio 1525; — : offesa a Dio 3891; —: trasgressione libera della legge d Dio 2291; il peccatore è nemico di Dio 1528.

Il concetto erroneo circa il peccato si presuppone nelle affermazioni riprovate —: circa la concupiscienza che non è propriamente e veramente un peccato nei rinati, ma si chiama così, perché è dal peccato e ad esso inclina 1012 1452 1515 1950s 1974-1976; —: [Dio può comandare l’odio di Dio] 1049: [né l’azione,, né la volontà né la concupiscenza né il piacere sono peccato, né dobbiamo cercare di estinguerlo] 739; — circa il peccato filosofico 2291.

Condizioni del peccato: vd. In K la (Condizioni dell’atto morale).

D 2b. b. — DISTINZIONI DEL PECCATO.

2ba. Distinzione teologica. Esiste una ragione discriminatoria tra i peccati: peccati capitali (ossia criminali, gravi, a. mortali) e peccati piccoli (ossia minuti, b. lievi, c. veniali) a795 a835 a838s a858 a897 a926 a965 a1002 a1306 bc1537 a1577 a1638 ac1680 b1920 ac2257 b3375 ac3381.

Si riprova: [l’unico peccato mortale è l’infedeltà] 1544 1577.

Effetto del peccato mortale: l’inimicizia con Dio 1680; perdita della grazia giustificante 1544; perdita dell’eterna beatitudine (1456) 1705; esclusione dal regno di Dio 835; sottomissione al potere del diavolo 1347 1349 1521 1668: la dannazione eterna, l’inferno 780 839 858 1002 1075 1306; add.: L 6c

(Cause della dannazione); oltre alla pena eterna è inflitta anche una pena temporale (1543) 1715.

Tuttavia col peccato mortale di per sé non è persa la fede 1544 1578.

Il peccato veniale è di tal fatta che pur gli uomini santi cadono in esso durante questa vita. 1537 1680; l’uomo può evitare i peccati veniali per tutta la vita, solo per uno speciale privilegio 1573; sempre l’uomo potrà dire di avere con sé il pecccato 228-230; si riprova.: [Per via interna il quietismo perviene ad un tale stato d’animo per cui non si commette alcun peccato veniale] 2256-2258.

Col peccato veniale l’uomo non è escluso dalla grazia (giustific.) 1537 1680; ma anche dopo la morte può essere fatta la necessaria purgazione 838; si riprova [Nessun peccato per sua natura è veniale, ogni peccato merita la pena eterna] 1920; remissione dei veniali: vd. in D 2e.

2bb. Distinzione specifica. Riprov. asserz. più lassa di a. godere del male altrui, b. tristezza per il bene dell’altro, c. desiderio del male altrui abc2113 c2114 a2115.

D 2c. C. — CAUSA DEL PECCATO

Solo la medesima volontà dell’uomo è la causa del peccato: non pecca se non consenziente alla tentazione della concupiscenza 1515 1950 1966s.

Non è Dio la causa: si condanna: [Dio opera il male non solo permettendolo, ma anche in senso proprio] 1556; Dio non comanda cose impossibili (397) 1536 1568 (1572) 1954 2001 2406 2619 (3718).

Il diavolo è causa solo per modo di persuasione: cf. D lbb.

D 2d. d. — OCCASIONI DEL PECCATO.

Le occasioni del peccato sono da fuggire: è riprovata l’affermazione più blanda 2161-2163.

Bisogna resistere alle tentazioni: non è sufficiente una resistenza meramente negativa quietistica 2192 2217 2224 2137 2241-2253.

D 2c. C. — REMISSIONE DEL PECCATO.

2ea. Fede nella remissione a. di ogni peccato 1 11-22 a23 26-30 36 50s (62s 71) 72 a540 a684 a854; il peccato contro lo Spirito Santo è irremissibile: modo di intenderlo 349.

2cb. Potere di rimettere. L’autore della remissione è Cristo per la sua passione] 485 1523 1530 1741 3370 3438 3805; si riprova: [la passione di Cristo senza altro dono non è sufficiente] 1014.

La Chiesa media la remissione di a. tutti i peccati 348 a349 a684 794 802 a854; add.: J 6b (amministr. della penitenza).

2ec. Modo di rimettere i peccati. Battesimo: vd. J 3c; per i peccati dopo il Battesimo si ricorre al Sacramento della Penitenza: vd. J 6; la contrizione perfetta già prima della ricezione del Sacramento della penitenza ottiene la remissione includendo tuttavia il voto del Sacramento: vd. J 6ac.

Il solo dispiacere non è sufficiente a rimettere i cattivi pensieri 1413.

L’effusione del sangue degli animali non opera la remissione 1079.

Il solo ricordo del Battesimo non ottiene la remissione o la commutazione dei peccati gravi in veniali 1623.

I peccati veniali si possono espiare con mezzi diversi (oltre la confessione sacram.) 1680; come loro antidoto si raccomanda l’Eucaristia 1638 3375 (3380).

2ed. Condizioni e modalità di remissione Si riprov. L’afferm.: [La remissione si ottiene per la fiducia nella remissione dei peccati ] 1460-1462 1533 1563s 1709; [solo un peccato è occulto] 3235; [Rimessa la colpa e il reato della pena eterna non rimane alcuna pena temporale da cancellare] 1580; [La carità perfetta non è necessariamente congiunta con la remissione dei peccati] 1918 1932s 1943; [la remissione è solo la liberazione dal reato del peccato ossia dall’obbligo della pena] 1956-1958.

3. Peccato di Adamo.

D3a. a. — PECCATO COME PERSONALE

Adamo peccò usando male il suo libero arbitrio 621.

Sequele del peccato per Adamo: perse la nobile origine della prima immagine 496; perse la santità e la giustizia 1511s; fu mutato in peggio nella sua anima e corpo 371s 385 1511; incorse nella schiavitù del diavolo 151; è indebolito nel suo libero arbitrio 383: dovette subire la morte e la pena del peccato 222 231 413 1511.

D 3b. b. — PECCATO IN QUANTO ORIGINALE.

Si afferma l’esistenza del peccato trasmesso da Adamo (in genere) 223 239 341 361 371s 391 470 491 621s 1073 1512 1865 2538.

3bb. Essenza. s . il peccato originale è un in origine 1513; gli uomini per effetto della propagazione da Adamo, appena concepiti contraggono dalla sua prevaricazione, l’ingiustizia (239) 1523.

Si contrae senza consenso 780; è proprio ad ognuno 1513; si riprova: gli errori della volontarietà 1948s 2319; riprov.: [da Adamo i posteri contraggono la pena, non la colpa] 728 (1006) 1011.

Si riprova la spiegazione del modo in cui la B. Maria potette essere preservata dal pecc. or. 3234. Nozione del peccato or. In tempi recentissimi è perversa 3891.

3bc. Propagazione. avviene non per a. imitazione, ma per generazione da Adamo 223 231 a1513 1523 3705; il peccato originale pertanto si estende a tutti gli uomini anche infanti a223 a231 239 a1514; non tuttavia solo Cristo è libero dal peccato or., ma anche la B. Maria 1973; cf. E 6ab.

3bd. Sequele. Stato della stessa natura: Adamo perse per i suoi posteri la santità, l’innocenza, la giustizia 239 1512 1521; il buono della natura è depravato 400; l’uomo sec. anima e corpo è mutato in peggio 371; l’uomo dominato è soggetto al diavolo 1347 1349 1521.

Piu difficilmente comprende la cognizione religiosa 2756 2853 3875.

L’osservazione lella legge divina èfatta con maggiore difficoltà: il libero arbitrio è attenuato nell’uomo (146) 339 378 383 396 622 633 1521; il fomite del peccato ossia la concupiscenza inclina al peccato 1515.

Non tuttavia l’uomo è destituito dall’uomo morale, cosicché gli sia impossibile condurre una vita morale: gli resta la libertà dell’arbitrio, l’intelletto per cui la libertà non è mossa solo dalla a. violenza o b. coartazione o da ciò che il peccato originale fu volontariamente sua causa (Adam) 1939 1941 1952 a1966s b2003 c2301; la libertà dell’arbitro non vale sono per peccare 1927- 1930 1965 2438-2440; si difende il valore del libero arbitrio ctr. l’affermazione: [a. in tutto è estinto, b è di solo titolo c. è rappresentazione di satana] a331 a336 a339 b1486 abc1555 3245s.

Si difende la facoltà dell’uomo nell’opera naturalmente buona ed alla vita onesta.

ctr. L’asserzione: [l’uomo pecca in ogni opera] 1481s 1486 1539 1557 1575 1916 1922 1925 1935-1937 (1940) 1961//1968 2308 2311 2401-2407 (2408-2425) 2439 2459 2866.

Si deve ammettere anche l’amore naturale onesto: [Esiste solo un duplice amore, sci. Amore buono dalla grazia et l’amore dalla concupiscenza peccaminoso] 1934 1938 2307 2444-2448 (2449112458) 2619 2623s.

La concupiscenza dell’uomo non consenziente non può nuocere 1515: reprob. affermazione circa la peccaminosità della concupiscenza o fomite del peccato 1012 1453 1515 1950s 1974-1976.

Sorte futura dell’uomo infetto dal peccato originale: Morte del a. corpo e b. dell’anima 222 231 ab3715 (b1400) ab1512 1521; privazione della visione di Dio (219) 780:

Esclusione dal regno celeste (184) 224 1347; pena del danno (ma a. diversa dalla pena per propria colpa del dannato, i. e. Oltre la pena del fuoco) a858 a1306 b2626; l’omo diventa “massa di perdizione” 621; add. J 3c (circa l’effetto del Battesimo nella restituzione della perdita dei beni).

3be Rimedi. Non le forze umane eliminano il pecc. or., ma i meriti (intercessione) di Cristo 341 1514.

Nella Legge Antica il peccato or. era cancellato dalla circoncisione 780; nella Legge Nuova dal Battesimo: vd. J 3.

Si riprov. l’ass. della rivalidazione del peccato originale dopo aver amministrato il Battesimo 334.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (47) “INDICE DEGLI ARGOMENTI – VI”

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA (7)

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA (7)

FRANCESCO OLGIATI,

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA.

Soc. ed. Vita e Pensiero, XIV ed., Milano – 1956.

Imprim. In curia Arch. Med. Dic. 1956- + J. Schiavini Vic. Gen.

Capitolo terzo (2)

II. – L’AMORE DEL PROSSIMO

Al comandamento dell’amore di Dio Gesù soggiunge l’altro dell’amore del prossimo. È un « comandamento nuovo che vi dò, disse il Maestro divino, « d’amarvi scambievolmente. Amatevi l’un l’altro così come io vi ho amato. Da questo riconosceranno tutti che siete miei discepoli, se avrete amore l’uno per l’altro. Forse non vi sono in tutto il Vangelo parole più conosciute; ma fors’anche, non vi sono parole meno comprese e meno praticate. Molti obbiettano: un comandamento nuovo? Ma noi Prima di Gesù, il cuore umano, nelle antiche civiltà, già possedeva questo tesoro. Prendiamo, ad es., gli Egiziani: sugli epitaffi dei grandi signori d’Egitto leggiamo attestazioni di beneficenza di questo genere: « Ho dato del pane a chi aveva fame, delle vesti a chi era nudo, da bere a chi aveva sete.. « Entef… ha reso giustizia al pianto dei poveri; era il padre dei deboli, l’asilo dell’orfano ». E nel Libro dei morti troviamo massime come la seguente: « Se tu diventi ricco, non divieni se non l’amministratore dei beni di Dio; non porre dopo di te il prossimo, che è tuo simile; sii per lui come un compagno ». Sembra che non occorra aprire il Vangelo, per raccogliere il precetto dell’amore fraterno; anche gli Stoici, per tacere di altri, ci forniscono lo stesso insegnamento. Marco Aurelio s’allieta, perché — dice — « ogni volta che io volli soccorrere alcuno, o povero o bisognoso, non mi fu mai risposto che io non avessi denaro per farlo.. Egli nei suoi Ricordi concepisce « tutte le cose… reciprocamente collegate fra loro; sacro è il legame che le unisce, e niuna cosa può dirsi estranea ad un’altra. Esse sono tutte coordinate insieme. E, come Seneca, soggiunge che « la società umana somiglia ad una volta, ove le differenti pietre, tenendosi le une le altre, fanno la sicurezza dell’insieme… Quella relazione che hanno fra loro le membra del corpo nell’animale individuo hanno fra loro gli esseri intelligenti nel corpo collettivo della società; tutti sono fatti per cooperare insieme ad uno scopo comune. Noi, quindi, non dobbiamo odiare, perché chi odia cessa di essere un ramo unito alla grande pianta dell’umanità e diviene un ramo divelto. Dobbiamo perdonare le ingiurie, non solo perché « il miglior modo di vendicarsi d’un’ingiuria è il non rassomigliare a chi l’ha fatta », ma anche perché, come suona l’ammonimento di Antistene, « operare bene ed essere lacerato è opera da re ». – Orientati in questa direzione, molti hanno cercato il precetto dell’amore del prossimo presso gli antichi Ebrei, in India, ad Atene; ne sono sorti confronti fra la morale di Cristo e quella di Mosè, di Buddha, di Platone; e si è giunti, certe volte, a sostenere la superiorità delle altre religioni sull’etica cristiana. Altri hanno fatto ricorso a Schopenhauer, il quale, in nome stesso del suo pessimismo, ideò la morale della pietà e della simpatia e persino agli utilitaristi inglesi, che la morale volevano fondata sul bene sociale. Si è chiamata in questione anche la vita politica; ed il magico grido della « fratellanza », lanciato dalla Rivoluzione francese, parve dovesse avere efficacia maggiore del precetto cristiano dell’amore. Fu anzi dopo quella proclamazione di « fraternité », che si sono intensificati i tentativi di mettere a riposo la vecchia charitas, per sostituirla con la fresca e giovane filantropia, vestita all’ultima moda e trionfante fra balli di beneficenza ed i calici di uno champagne che spumeggia come i cuori teneri delle dame e dei loro cavalieri. – Un Sillabario non può muovere a battaglia contro teorie desunte dalla storia delle religioni, dalla storia della filosofia, dalla storia politica e sociale, antica, moderna e contemporanea. Noi vogliamo solo esporre la dottrina morale cristiana. La nuda enunciazione, che, ancora una volta, potrà persuadere certi illustri della loro ignoranza in fatto di Cristianesimo, sarà una implicita confutazione di tutte le obbiezioni e mostrerà come l’amore naturale di uomo ad uomo (omne animal diligit simile sibi) non è la carità inculcata da Cristo, ma solo l’amore filantropico degli etnici e dei pubblicani. L’amore cristiano del prossimo ha la stessa radice dell’amore di Dio e si stende anche là dove la filantropia non giunge, fino cioè alla dilezione dei nemici.

1. – Il vero concetto cristiano della carità del prossimo.

Precisiamo, innanzi tutto, il concetto vero dell’amore fraterno, secondo il Cristianesimo. Un individuo, ad esempio, un antico egiziano, vedeva un’altra persona sofferente; e, mosso a compassione, la soccorreva. Era questo un atto di carità cristiana? Non ancora: non abbiamo ancora in ciò nulla che si riferisce all’ordine soprannaturale. E’ un atto caritatevole umano, che nell’atto di carità cristiana è un elemento indispensabile, ma non sufficiente. Per capire l’amore cristiano del prossimo, occorre partire dalla nostra unione con Gesù Cristo. Noi, come vedemmo, non siamo separati da Lui; ma costituiamo con Gesù un unico organismo, di cui Egli è il capo, noi le membra, lo Spirito Santo è l’anima. Ora, come ogni tralcio, unito alla vite, vive della vita di questa, così in ogni Cristiano, unito a Cristo, è presente Cristo, il quale lo vivifica. Ogni Cristiano, perciò, è un altro Gesù —

Christianus alter Christus. E noi, col P. Plus — nel suo facile e bel volumetto: Gesù Cristo nei nostri fratelli — possiamo esclamare: « Ad ogni passo, o Signore, io ti incontro. In virtù di questa meraviglia della nostra divina incorporazione alla tua sacra persona, non posso fare un movimento senza essere alla tua presenza. Rivolgo gli occhi verso di me: Tu vi sei. Guardo il prossimo: Tu vi sei. Dovunque, se voglio vedere, sono circondato da tabernacoli viventi! ». È questa l’idea che tutto chiarisce. Nel discorso dopo l’ultima Cena, nel quale appunto spiegò il « comandamento nuovo », Gesù ebbe cura di indicarne la vera nota essenziale: « Che tutti quelli che crederanno in me, o Padre, siano tutti uno, come tu sei in me, Padre, ed io in te; siano anch’essi uno in noi… Io in loro e tu in me, affinché siano perfetti nell’unità ». In altre parole: noi siamo figli adottivi di Dio, perché uniti a Cristo, Figlio naturale del Padre: appunto per questo siamo fratelli tra noi, perché partecipi di questa divina figliolanza, per la quale Cristo è il « primo tra i fratelli ». La nostra fratellanza, di conseguenza è a base soprattutto di divinità, non come quella della Rivoluzione francese, a base puramente di umanità. Noi amiamo Dio in Cristo, e amiamo il prossimo per amore di Dio, in quanto, amando il fratello, amiamo Cristo in lui. – « Come posso io amare il mio schiavo? », si chiedeva inorridito Petronio. Ed è vero: se nel mio prossimo io dovessi vedere solo l’individuo umano, ben poche persone io amerei e molte le detesterei; ma per me il prossimo è Gesù Cristo presente in lui; è un astuccio, più o meno bello, ricco anzi di difetti al pari di me, che racchiude un diamante, nasconde, cioè, nostro Signore. Che importa se l’astuccio mi mostra una persona antipatica, un avversario, un delinquente? Come nel tralcio io non amo un po’ di legno, così nel prossimo io non mi soffermo all’uomo, ma guardo a Cristo. E l’atto cristiano di carità consiste appunto nell’amare il prossimo riconoscendo in lui nostro Signore, presente o di fatto (con la grazia, se si tratta d’un giusto) ovvero di diritto (se si tratta d’un peccatore o d’un infedele). Io non soccorro Tizio, Caio o Sempronio; ma Gesù in Tizio, in Caio, in Sempronio. Ciò che faccio, lo faccio per amore di Gesù; ossia l’amore di Dio e l’amore del prossimo non sono due cose diverse o divisibili: ma « il secondo precetto è simile al primo . Fin quando non ho conquistato un simile punto di vista, non ho capito il precetto cristiano dell’amore. Chi lo raggiunge, ha una forza nuova immensa in sé: perché è d’intuitiva evidenza che, se noi sapessimo che Gesù è venuto ancora sulla terra visibilmente ed ha bisogno di essere aiutato da noi, ci sentiremmo felici nel toglierci anche il pane di bocca, per darlo a Lui; faremmo sforzi e prodigi, per soccorrerlo. Il Cristiano non ha bisogno di contemplare con gli occhi del corpo Gesù; ha lo sguardo, ben più profondo, della fede, e Gesù lo vede, come sotto le apparenze di un’Ostia, così sotto le sembianze dei suoi fratelli. Allora tutto il Vangelo ed il Nuovo Testamento divengono intelligibili. E’ proprio un comandamento nuovo, questo. E’ ridicolo cercarlo in Egitto e nell’India, nella Grecia, o a Roma, nelle tombe dei Faraoni, nella dottrina di Buddha, accanto alle ghigliottine della Rivoluzione francese, nei libri di Marco Aurelio o di Schopenhauer, ovvero nelle cosiddette feste di beneficenza: è Cristo solo che l’ha insegnato. In san Matteo, là dove si descrive il giudizio universale, Gesù annuncia che, nell’ultimo dei giorni, il Figlio dell’uomo, il Re dell’universo apparirà e dirà a quelli della sua destra: « Venite, benedetti del Padre mio, possedete il regno preparatovi fin dalla fondazione del mondo. Perché ebbi fame, e mi rifocillaste; ebbi sete, e mi deste da bere; fui pellegrino, e mi ricettaste; ignudo, e mi copriste; infermo, e mi visitaste; carcerato, e veniste da me ». « Allora gli risponderanno i giusti: — Signore, quando mai t’abbiamo visto affamato e t’abbiamo rifocillato; assetato e ti demmo da bere? Quando t’abbiamo visto pellegrino, e ti abbiamo ricettato; ignudo, e t’abbiamo coperto? Quando mai t’abbiamo visto infermo e carcerato, e venimmo a visitarti? « E il Re risponderà loro così: In verità vi dico: quante volte avete fatto qualche cosa a uno di quelli de’ minimi miei fratelli, l’avete fatta a me ». Ed ai reprobi, dopo il rimprovero per non averlo soccorso, e dopo il loro stupore, « risponderà: In verità vi dico: quante volte non avete ciò fatto a uno di questi più piccoli, non l’avete fatto a me ». Il povero, il bisognoso, il sofferente, il prossimo nostro è Gesù Cristo. Ciò che si fa per il fratello, lo si fa per Gesù. Se si perseguita il fratello, Gesù si lamenta come con Paolo, sulla via di Damasco: « Perchè perseguiti Me? . Se noi possediamo dei beni, soggiunge san Giovanni, e, vedendo il fratello nella necessità, chiudiamo il nostro cuore, « come può rimanere in noi l’amore di Dio? »; chi non ama il prossimo, non ama Cristo, e perciò non ama il Padre. Da ciò è derivata tutta la predicazione di carità del Discepolo dell’amore e tutta la storia della carità cristiana nei secoli, dalle catene spezzate degli schiavi agli asili del dolore opposti ai circhi ed ai Colossei. E se noi ci interessassimo un pochino dell’anima grande dei Santi, faremmo forse una scoperta: Non ve n’è uno, il quale abbia concepito la carità verso il prossimo in modo diverso di quanto abbiamo esposto: tutti hanno amato nel loro prossimo Gesù Cristo. – Spesso, scrive san Girolamo nelle sue Lettere, Fabiola trasportava gli infelici e lavava loro le immonde piaghe vincendo ogni disgusto, poiché nelle piaghe dei poveri sapeva bene che medicava quelle del Salvatore ». San Benedetto, nella sua Regola comanda che a tutti gli ospiti che arrivano siano ricevuti tamquam Christus, come Gesù » e che sian salutati anche alla partenza con grande umiltà: « Cristo in loro sia adorato ». Soggiunge che è da avere, innanzi a ogni cosa e sopra tutte le cose, la cura degli infermi e che a loro, come a Cristo, sia reso servizio ». San Bernardo, rudemente, si esprime così: « Nelle vostre relazioni col prossimo, lasciate da parte l’uomo esteriore colnsuo involucro di fango; e non vi fermate se non all’uomo interiore, creato ad immagine di Dio, redento dal sangue di Gesù Cristo, tempio dello Spirito Santo, dimora di Gesù e destinato alla beatitudine eterna ». Cercate di veder Dio e Gesù Cristo nel prossimo », insiste sant’Ignazio. Il Vescovo san Martino, Angela da Foligno, Elisabetta d’Ungheria, Giuseppe Cottolengo, Federico Ozanam e Ludovico da Casoria non hanno mai parlato diversamente. Vincenzo de’ Paoli giunge persino, affinché non sia sottratto un tempo prezioso all’azione, a limitare le preghiere delle sue Figlie della Carità: « Che i poveri, prescrive loro, siano il vostro Uffizio, le vostre litanie. Bastano. Per loro lasciate tutto. Facendo così, è come abbandonare Dio per Dio ». – « Fratelli, ripeteva spesso Camillo de Lellis, il santo fondatore dei Camilliani, ai suoi compagni infermieri, pensate che gl’infermi sono pupilla e cuore di Dio e quello che fate a questi poveretti è fatto a Dio stesso ». « Non solo, affermava un testimonio del processo di canonizzazione, Camillo amava gli infermi, ma in certo modo li adorava, perché in ciascun povero adorava la persona di Cristo « Io l’ho visto molte volte piangere intorno a detti infermi, depone un altro, per la veemente considerazione che faceva che in quelli fosse Cristo ». Un giorno che il Priore di Santo Spirito lo mandò a cercare, Camillo stava tutto occupato a ripulire un infermo: « Dite che io sto occupato con Gesù Cristo; ma come avrò finita la carità, sarò da Sua Signoria Illustrissima ». Del resto, siamo sinceri, guai se la morale cristiana fosse diversa! Guai se nel prossimo dovessimo vedere solo l’uomo! Come potremmo sopportarci a vicenda, con tutti i difettacci del nostro più o meno amabile carattere? Come potremmo amarci? Come si potrebbe ottenere da una Suora di carità di passar tutta la sua esistenza, non per denaro, ma col voto di povertà, nelle corsie degli ospedali? E’ inutile: per capire le signore nei balli di beneficenza, basta la considerazione dell’uomo; ma una giovane Suora non sacrificherebbe mai nell’austera penitenza una vita severa e pura, se nell’ammalato — spesso brontolone ed incontentabile — non scorgesse Gesù Cristo. – Con questa semplice chiave nelle mani, voi potete entrare in quelle sale, che si chiamano i capi del Vangelo, o le meraviglie dei secoli cristiani. L’odio sarà riprovato, perché, come ben osserva san Giovanni nella sua prima Lettera, « chi dice di essere nella luce e odia suo fratello, è ancora nelle tenebre »; ancora non vede il Salvatore nel prossimo. Ed aveva insistito Gesù: « Io vi dico: amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, e pregate per coloro che vi perseguitano e calunniano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli »; « perdonate e vi sarà perdonato ». Non fermatevi all’involucro esterno, non al fragile recipiente: rammentate il « tesoro » che ivi si nasconde.

2. – Amore umano e amore cristiano del prossimo.

Se ora volessimo confrontare la carità umana con la carità cristiana, potremmo venire alle seguenti conseguenze. Innanzi tutto, non intendiamo fare un processo alla carità, che di fatto si è avuta nel campo estraneo al Cristianesimo.

Ln sappiamo bene con quanta ragione san Paolo definisce i pagani: « Gentes sine affectione; — gente senza amore » e con quanta esattezza la definizione si può applicare al paganesimo odierno, col cacio della filantropia sui maccheroni delle feste di beneficenza. Sappiamo benissimo quali siano state le delizie della schiavitù e gli orrori verificatisi ogni volta che si è calpestato il Vangelo. Ed alla fraternité astrattista od agli eterni principi dell’89 noi crediamo press’a poco come al cuore dell’anticlericalissimo farmacista Homais — così artisticamente ritratto da Gustave Flaubert — il quale, imbattutosi in un povero cieco, gli consigliò di bere buon vino, buona birra, di mangiare carne arrostita e finalmente aprì la borsa: « Toh! ecco un soldo! rendimi due centesimi; e non dimenticare le mie raccomandazioni; te ne troverai bene ».- Prescindiamo da simili bazzecole e da fatti storici non troppo lontani, come quello avvenuto all’inizio di questo secolo in Francia, quando si soppressero le Congregazioni religiose e si rubarono i loro beni, per un motivo di… fratellanza umana, ossia per accumulare il miliardo occorrente alle pensioni operaie. Ahimè! il miliardo sfumò e dopo la “liquidazione” non restò nulla: l’amore del prossimo, fra le mani del massonismo francese e dei suoi alleati, — il socialismo ed il radicalismo, — si era mutato nell’amore del proprio portafoglio. Diciamo solo che nel confronto fra l’amore del prossimo, quale si può incontrare in un sistema di morale umana, ed il precetto cristiano, non bisogna mai fermarsi all’enunciazione della norma etica. Anche il buddhista può comandare il perdono ai nemici; in apparenza può sembrare talvolta che parli in modo eguale a Gesù; ma in realtà il suo ragionamento né questo: “Noi dobbiamo abolire il dolore. Abbandoniamo, quindi, l’attività e tutto ciò che può turbare la tranquillità nostra. Tuffiamoci nel Nirvana. Se tu ti vendichi del nemico, egli si vendicherà poi di te; avrai noie ed inquietudini ». In breve: l’enunciazione verbale della massima morale è identica: lo spirito è semplicemente opposto da un lato, dobbiamo perdonare per amore di noi stessi; dall’altro, per amore del prossimo! E scusate se è poco! Ma anche nelle forme più alte della morale filosofica, anche nello sviluppo più severo della ragione, noi non possiamo avere mai se non un amore dell’uomo per l’uomo. Questo — ripetiamolo fino alla noia — è un elemento prezioso, indispensabile. La morale cristiana lo prende, lo perfeziona, lo divinizza con la grazia e con l’unione a Cristo, in modo che ci fa amare Gesù Cristo in tutti i nostri fratelli. I giovani d’Italia hanno guardato con entusiasmo santo alla figura di Pier Giorgio Frassati, fulgido esempio di carità cristiana per il prossimo. La documentazione, che di recentenha pubblicato la sua buona sorella, può servire, più di qualsiasi elucubrazione, ad illustrare il comandamento di Cristo.

Quindici giorni prima di morire, Pier Giorgio andò a Valsalice a parlare con don Cojazzi d’una famiglia disgraziatane bisognosa. Venendo a discorrere del fondatore delle Conferenze di San Vincenzo, mirabile frutto di questa pianta dell’amor cristiano, il Sacerdote ricordò al giovane il modo col quale Ozanam soleva celebrare la Pasqua. Dopo la Comunione pasquale, prima di recarsi a casa, andava a trovare il più povero dei suoi protetti « per restituire la visita ricevuta a Gesù nella persona del povero ». Sul ciglio di Pier Giorgio Frassati brillò una lagrima, una di quelle lagrime buone, che vorremmo vedere negli occhi puri della gioventù nostra, chiamata ad asciugare il pianto, a sollevare il debole, a diffondere l’amore di Cristo.

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA (8)