LO SCUDO DELLA FEDE (271)

P. Secondo FRANCO, D.C.D.G.,

Risposte popolari alle OBIEZIONI PIU’ COMUNI contro la RELIGIONE (14)

4° Ediz., ROMA coi tipi della CIVILTA’ CATTOLICA, 1864

CAPO XIV.

RELIGIONE AMMODERNATA

I. Perché la religione non si piega un poco. Il. Progresso in religione. III. Esigenze dei tempi.

I. Il nostro secolo è secolo di conciliazione, dicono i moderati, or perché non si potrebbe fare anche un poco di transazione in fatto di religione? Se questa si piegasse un tantino, si adattasse e smettesse alquanto del suo rigore, e si conformasse ai tempi, non dovrebbero poi gli uomini del mondo guardarla sì di mal occhio…: tutto sarebbe che ci fosse un poco di discrezione, ed la religione cattolica potrebbe ancora sperare un avvenire. Questo modo di favellare è usitatissimo nel mondo, ed un cotale in questi ultimi tempi spese non so quanti volumi a persuadere questo ammodernamento del cattolicismo al Papa, ai Vescovi, ai Preti, a tutti i fedeli, e trovò non pochi dabben uomini di spirito conciliante che gli tennero bordone. Or che cosa volete che io dica a questa proposta? Mi sembra impossibile che, non dico empietà, ma stravaganze cotali possano annidarsi in mente cattolica. E per rispondere prima generalmente, che cosa è la religione cattolica? E una religione rivelata da un Dio, venuto sopra la terra a farsi maestro degli uomini, una religione che professa un determinato numero di verità da credere ed un determinato numero di esercizi da praticare. Ora, come può cadere in mente ad un Cattolico che tutto ciò si possa cangiare? Ma chi sarà e chi avrà il coraggio di mutare quello che è di divina istituzione? Se dunque il dicono per ischerzo, si rammentino che in materia sì grave non è lecito di scherzare; se il dicono da senno, hanno perduto il senno. – Quello che dà noia a molti e che perciò vorrebbero vedere cambiato, sono l’autorità della Chiesa, l’obbligo dei digiuni e delle astinenze, l’intervento alla Messa, le confessioni, le comunioni, la preghiera, l’indissolubilità del matrimonio e simili: ma e chi può apportare cambiamento a tutte queste leggi? La Chiesa stessa, sebbene di alcuni di questi obblighi può determinare praticamente il modo con cui soddisfarvi, non può mettervi mano al tutto, quanto all’abrogarli. Non può levare nè la Messa, nè la confessione, nè l’obbligo di pregare o di far penitenza, nè diminuire di un solo articolo la somma delle credenze rivelate, o scemare di un apice i precetti imposti. Quello che Cristo ha rivelato un tempo, rimane rivelato per sempre; quello che fu vero una volta, rimane sempre vero; come quello, che una volta fu comandato da Gesù, non fu mai più da Lui abrogato. Chi pertanto avrà diritto di porvi mano e modificarlo a sua posta? I protestanti, che si formano da sé la religione col giudizio privato, possono formare e riformare quanto vogliono; e così noi vediamo che usano di questo loro diritto con qualche ampiezza. Niun protestante, cinquant’anni dopo Lutero, credette più quello che credette Lutero; come la seguente generazione non credette più quello che la generazione che l’aveva preceduta: e dai cambiamenti che si fanno ogni giorno si può raccogliere che quelli, che verranno tra poco, non crederanno più quanto credono quei d’oggigiorno. Sì, per loro ciò è possibile, ma per noi che non siamo ancora giunti a cambiar di religione, come si fa degli abiti o delle mode; che professiamo di tenere quel solo che Gesù Cristo ha insegnato; che sappiamo esser chiusa da diciotto secoli la rivelazione e non essersene fatta più veruna posteriormente, per noi è al tutto impossibile.

II. Ma le ragioni del progresso? domanderà alcuno. Vi risponderò: rispetto alla verità rivelate il progresso non fa prova, perde sua forza e passa per un semplice ciarlatanismo. La religione è stazionaria, ferma, immobile, come quella rocca sopra cui è fondata. Tutti i Padri della Chiesa, tutti i Dottori, tutti i fedeli gridano concordemente ad una voce, che si deve tenere solo ciò che fu tenuto sempre, quello che fu tenuto dovunque (quod semper, quod ubique), che ogni novità è uno scandalo, che basta, affinché sia ripudiata una dottrina qualunque, il sapersi che essa non sia antica. Il perché quello che fu tenuto e fatto in antico, quello bisogna tenere e fare in presente. Ne’ primi secoli i fedeli non volevano aver niuna comunione di preghiere con gli eretici, niuna vuol aversene in presente. Allora i fedeli intervenivano nelle catacombe a celebrare i divini misteri e partecipare ai sacramenti, ed ora, cambiate solo le catacombe ne’ nostri templi sontuosi, bisogna intervenire ai medesimi misteri e partecipare agli stessi sacramenti. Allora Gesù intimava la sommissione intiera e completa all’autorità della Chiesa, pena l’essere avuto in conto di gentile e di pubblicano: ed ora pretende al tutto che dipendiamo dalla Chiesa e dai pastori che in essa sono stabiliti. Allora proibiva le ribellioni, le congiure, i diletti, ed imponeva la sommissione alle legittime autorità dei principi, fossero anche discoli, ed ora intima lo stesso e non accorda il far guerra e macchinare né contro il barbaro, né contro il civile. Un solo progresso è lecito in religione se lo volete, ed è amar più Dio che non l’amarono i vostri maggiori, essere più che essi non furono pii, limosinieri, caritatevoli, disinteressati, casti, abbondanti di ogni opera buona. In tutto ciò vi è pienissima libertà: ed è il solo progresso che sia pienamente consentito. Per nostra disgrazia però è il solo progresso di cui nessuno si cura.

III. Voi fate il soro, dirà taluno, con queste risposte, e mostrate di non intendere quello che a meraviglia già avete compreso. – Non vogliamo che si muti la religione quanto all’essenziale, tenete pure, se volete, anche i dogmi; ma dimandiamo solo che sia raffazzonata, soprattutto quanto alla pratica, che sia recata alle esigenze dei tempi…. Questa e non altra è la nostra dimanda. Ebbene, io vi Risponderò che ho afferrato benissimo il vostro concetto, così Dio vi conceda, o lettore, di comprendere tutto quello che in esso v’ha di falso e di iniquo. Di tanti errori che da tre secoli in qua si sono sparsi contro la Chiesa, niuno forse è più pernicioso di questo. Le aperte eresie dei riformatori del secolo XVI non possono far gabbo a uomini che cercano sinceramente la verità, sono espresse in chiare formole, sono apertamente contro la dottrina della Chiesa, e da questa in termini riprovate. Similmente le bestemmie sfrenate del passato sono così audaci e così svergognate, che, passato il momento di delirio, ne ebbero orrore quegli stessi che ne erano sedotti; ma la dottrina che si sparge ora di raffazzonare, ammodernare il Cristianesimo, di adattarlo al tempo ed al popolo, siccome è più benigna e non mostra nell’apparenza tutta la malignità che contiene intrinsecamente, si fa largo anche presso certi Cristiani non malvagi, ma leggieri e superficiali, i quali credono benissimo che la religione si possa spogliare, quasi d’una scoria che la ricopre, di certe asperità, durezze e forme esterne che le sono essenziali. Ad intelligenza di questo errore, avvertite adunque che la religione abbraccia due sorte di verità, naturali le une, soprannaturali le altre. A cagione di esempio, che Dio esista, che questo Dio sia uno, buono, santo, perfettissimo, sono verità alle quali può pervenire anche la sola ragione usata debitamente: ma che Dio sia uno nell’essenza e trino nelle Persone, che una di queste tre divine Persone si sia incarnata, sono verità a cui niuna ragione umana può pervenire, e bisogna al tutto che vi sia una rivelazione divina, la quale ce ne ammaestri. Similmente nell’ordine pratico vi sono dei precetti morali, ai quali può arrivare anche la sola natural ragione, come è il non rubare, non ammazzare, non fornicare, e Dio per mezzo della natura stessa ce li intima: vi sono dei precetti morali, ai quali non giunge la sola natura, come l’amare i nemici, dare la vita pel prossimo e adoperare per nostra santificazione certi riti, cerimonie, esercizii piuttosto che altri; e questi Gesù Cristo ce li intima con atti di sua positiva volontà. – Inoltre avete da sapere che il Cristianesimo abbraccia bensì anche tutti quei precetti naturali, ma consiste esso principalmente nella perfezione che a quei primi precetti volle aggiunta il Figliuolo di Dio, e per questo esso è legge più perfetta, più pura, più santa che non fu la legge data ai Patriarchi, od a Mosè, che non è quella che possa scoprirsi col solo lume della natura. Vedetelo in parte nel riscontro colla legge antica, sebbene data dallo stesso Dio, là come apparecchio della novella. La legge antica ordinava certamente di amare il prossimo, ma permetteva ancora in certi casi la legge del taglione. Gesù Cristo aggiunse invece l’amar perfino i nostri nemici, il far loro del bene per imitare il Padre celeste, il quale fa bene anche ai malvagi. La legge antica prevedeva l’uso onesto dei beni terreni, ma li lasciava godere, anzi prometteva, come rimunerazione del bene vivere, l’abbondanza di essi: la legge nuova vuole che distacchiamo il cuore da tutto il sensibile, e inclina, per renderci somiglianti a Gesù, all’amore della povertà, e ci propone dei beni spirituali invece dei temporali per premio. La legge antica concedeva perfino in certi casi la pluralità delle donne: la nuova non solo non ne consente più d’una , ma conforta quelli, che il vogliono, ad una illibatissima purità. La legge antica aveva riti e cerimonie che figuravano misteri avvenire e che non davano altra giustizia che l’esteriore e legale: la muova invece ha sacramenti, i quali giustificano pienamente l’uomo comunicandogli la grazia interiore. La legge antica guidava i suoi professori per via di timore più che d’amore: la nuova vi conduce per via d’amore più che di timore. E così andate dicendo di molte altre varietà che vi sono tra le due leggi, per le quali si vede quanto l’evangelica superi la passata. Ciò presupposto, ecco quello che interviene a dì nostri. Popoli eresiarchi hanno impugnata ora l’una, ora l’altra delle dottrine speculative di Gesù Cristo, ed hanno fatta opera di distruggere il Cristianesimo quanto alla credenza: a giorni nostri, data un poco di tregua alle credenze, si tenta di distruggere, tutta la pratica di esso, cioè tutta quella ulteriore perfezione, che Cristo aggiunse alla legge naturale ed alla legge scritta, per tornarci se fosse possibile, allo stato in che erano gli uomini prima di Gesù Cristo. – Ed ecco in qual modo Gesù Cristo mirava, come abbiam detto di sopra, nella formazione dei suoi seguaci a stabilire l’amore dei beni del cielo sul distacco dei beni della terra; e l’eresia moderna che così può benissimo chiamarsi) sotto pretesto di far discendere al popolo, al secolo, all’odierna civiltà la religione, inculca che non bisogna poi in grazia del cielo postergare la terra. – Cristo, per formarsi un popolo spirituale e per comprimere l’amor del mondo e dei piaceri carnali, proponeva la penitenza, il digiuno, la fuga delle occasioni ecc., e l’eresia moderna, sotto colore di moderazione, condanna le austerità e le penitenze siccome eccessi, la fuga delle occasioni come sciocca rusticità, ed a rin contro promuove e proclama tutto quello che sollecita i sensi e la carne. – Gesù Cristo, per sottomettere lo spirito pienamente a Dio, inculcava l’umiltà, il disprezzo di sé medesimo, l’abnegazione del proprio volere; e l’eresia moderna fa tutto l’opposto, chiama imbecillità, bassezza tutto quello che serve all’umiliazione di se stesso, e fanatismo tutto quello che ripugna e contraddice alla propria volontà. – Gesù Cristo, per ottenere la nostra santificazione, ha ordinato mezzi affatto superiori agli umani, cioè virtù soprannaturali, quali sono la fede, la speranza, la carità, mezzi soprannaturali che c’impetrino, o ci apportino la grazia interiore, quali sono l’orazione ed i sacramenti; e l’eresia moderna, disconoscendo tutto quello che è sopra natura, vi sostituisce le sue virtù tutto umane, cioè la filantropia, l’amor proprio, il sentimento della propria dignità e simili. – Gesù Cristo voleva che, nell’attuare i mezzi della salute noi dipendessimo totalmente dalla Chiesa che Egli sostituì in sua vece pel magistero dei fedeli; e questa eresia, disconoscendo l’autorità stabilita, crede superbamente di poter fare da sè, e fa veramente da sè, non curandosi nè punto, nè poco del magistero della Chiesa. – In breve, Gesù Cristo ordinò modi e vie tutto speciali per la salvezza di quelli che sarebbero stati suoi fedeli; e l’ eresia presente, dispettandoli tutti, tutti li prevarica iniquamente. Di che quale sarà la conseguenza? Che con questa riforma si viene a negare l’un dopo l’altro ogni articolo della legge cristiana e ad annientare tutto il Cristianesimo. In prova di che fingete pure che costoro osservassero quella legge qualunque di probità naturale che si propongono, e di cui sola si contentano, sarebbero così ancora Cristiani? Nulla meno. Imperocché un poco di probità naturale, l’amore umanitario degli uomini, il sentire la propria dignità, il rispettarsi, e cento altre di queste virtù, possono stare ottimamente in un Gentile, che mai non ha inteso parlare di Gesù Cristo. – Cristianesimo è muoversi per fede, è aspirare ai beni eteni colla speranza, è operare per carità. Cristianesimo è star sottomessi al sommo Pontefice, ai Vescovi che Dio ha proposti a reggere la Chiesa. Cristianesimo è praticare quelle virtù speciali che Gesù Cristo portò al mondo ed insegnò ai mortali, la purezza, l’umiltà, il distacco dai beni terreni, l’amore soprannaturale di Dio e del prossimo. Cristianesimo è onorare Iddio non a capriccio, ma con quei modi determinati da Gesù, quali sono il sacrifizio della Messa, l’orazione, la partecipazione all’Eucaristia ed agli altri sacramenti nei tempi e modi da Lui assegnati. Tutte quelle altre maniere possono esser buone prese in sè stesse, ma per un Cristiano al tutto non bastano. – Ed è evidente anche da ciò, che se queste bastassero, gl’insegnamenti di Gesù, il suo magistero, la grand’opera della fondazione della Chiesa, con tutti i tesori di grazie, onde la fece depositaria per nostro vantaggio, sarebbero affatto inutili. La croce di Gesù Cristo resterebbe, per parlare coll’Apostolo, pienamente invanita, e non porterebbe più un frutto che nol potesse portare allo stesso modo la nostra corrotta natura. E come no? Se bastavano quelle virtù senza le pratiche positive del Cristianesimo, i Gentili fino ad un cotal punto vi potevano pervenire. Certamente poi non era mestieri d’abrogare la legge dei Giudei, i quali avevano già tutti quegli obblighi imposti nella loro legge. Al naturalismo in religione doveva bastare la natura. Se Gesù è venuto sulla terra, se ci ha innalzati ad uno stato soprannaturale per essere seguaci suoi, bisogna ammettere tutto quello che costituisce la detta elevazione e perfezione. Dio buono! che sorta di errore è mai questo! È la distruzione pratica di tutto il Cristianesimo. – Eppure in questo errore giacciono turpemente Cristiani senza fine. Io ve ne accennerò alcune schiere, perchè le possiate meglio conoscere. – Vi sono in primo luogo quei protestanti, i quali di negazione in negazione son pervenuti fino al razionalismo, dei quali è piena l’Allemagna, che, non accettando più dalle mani di santa Chiesa quel che devono credere ed operare, non si guidano se non se con la cortissima loro ragione, e praticamente trascinati poi dalle passioni non esercitano più nessun culto. Vi sono anche tra i Cattolici quei mondani, i quali tutti immersi nella grande opera di far danari o di sollazzarsi continuamente, non conoscono più neppur quello che sia Cattolicesimo, e non vivono diversamente dai protestanti. Vi sono di quelli che pur conoscono alcun poco le dottrine cattoliche, ma essendo carnali, femminieri, dediti al senso ed alla voluttà, per non contristare la loro carne, e non diminuire i loro diletti, si danno attorno a persuadere sè ed altrui, che non sono essi che hanno da piegarsi alle esigenze della religione, ma che la religione dee piegarsi alle loro. Vi sono dei progressisti fanatici, i quali, piena la mente delle mirabilità del progresso, hanno bisogno per farsi passare quali filosofi, di declamare tutto giorno che la religione ha da avanzare. – Vi sono dei riformatori, i quali pensano che, come si ha da ristorare la politica e metterla in armonia con la civiltà moderna, così si ha da fare altrettanto colla religione. – Vi sono poi certi fanciulloni di università, i quali, per fare i maestri addosso al padre, alla madre ed alle sorelle nella famiglia, non trovano altro mezzo che quello di scaraventare le più strane proposizioni contro le divine istituzioni del Cristianesimo. – Credereste? vi ha persino delle donne, che, piene di vanità fin nelle viscere e svogliate al tutto delle pratiche religiose, che mal possono combinare col lusso sformato, colle genialità, colle tresche e colle dissolutezze, onde son contaminate, hanno bisogno di far passare sotto colore filosofico la non curanza dei doveri religiosi ed il segreto dispetto che loro portano. Vi ha persino qualche ecclesiastico, il quale, avendo bisogno di farsi perdonare dal mondo il collare che porta, dichiara e propaga che si può combinare la religione col secolo, purché si distingua il Cattolicismo dal gesuitismo, le pratiche superstiziose dalle religiose, il culto sincero dalle forme estrinseche onde si riveste, e, che so io. – Tutti costoro, qual più, qual meno, sono in questo errore spaventosissimo ed in questa pratica negazione del Cristianesimo. Per spogliarlo delle sue asperità e durezze gli tolgono quello che è a lui essenziale e vitale, cioè tutto quello che Gesù Cristo ha apportato sulla terra di positivo, tutto quello che più espressamente ha voluto da noi. Ecco dove ricade poi finalmente l’ammodernare la religione, il raffazzonarla, il conciliarla col secolo e colla civiltà.

IL CATECHISMO DI SPIRAGO (XIII)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XIIi)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

PRIMA PARTE DEL CATECHISMO:

FEDE (9).

2-7 Art. del Simbolo: Gesù Cristo. (4)

7. LA PERSONA DEL SALVATORE.

Gesù Cristo nostro Salvatore è il Figlio di Dio fatto uomo, e quindi Dio stesso.

I. L’incarnazione del Figlio di Dio.

I pagani stessi avevano il presentimento che la divinità sarebbe discesa tra gli uomini per conversare con loro. La loro mitologia, ad esempio la storia di Tantalo, parla di visite agli uomini da parte degli dei. Ma Dio ora è veramente disceso sulla terra (S. Giovanni III, 10) all’Annunciazione della nascita di Gesù Cristo.

1. LA SECONDA PERSONA DIVINA HA ASSUNTO L’UMANITÀ NEL GREMBO DELLA VERGINE MARIA, PER OPERA DELLO SPIRITO SANTO AL MOMENTO DELL’ANNUNCIAZIONE.

Il Figlio di Dio ha poi accettato un’anima ed un corpo umani, come una sorta di veste per manifestarsi sulla terra. Nella sua incarnazione, Egli è arrivato da Dio come un sole: i nostri occhi possono guardarlo senza essere abbagliati solo quando è coperto dalle nuvole, così Dio si è circondato della nube della carne per mostrarsi ai nostri deboli occhi corporei. (L. de Grenade). Il pensiero umano si riveste di parola per comunicarsi al mondo esterno, così Dio si è rivestito della natura umana (corpo e anima) per rendersi visibile agli uomini; il Verbo (cioè il Figlio di Dio) si è fatto carne (uomo) ed abitò tra noi (visse 33 anni tra gli uomini). (S. Giovanni, I, 14). – L’incarnazione ha avuto luogo nel momento in cui Maria ha detto all’Arcangelo: “Mi sia fatto secondo la tua parola” (S. Luca, I, 38). Questa parola di Maria ha attirato il Verbo divino (San Bernardo), e la seconda Persona della Trinità discese nel grembo della Vergine Maria, come il sole si riflette sulla superficie di un mare calmo. È un’eresia credere che l’umanità di Cristo sia stata formata per prima e che il Figlio sia stato unito ad essa in seguito; o credere che Cristo abbia portato il suo corpo dal cielo (eresia dei Valentiniani). Cristo ha preso il suo corpo dalla B. Vergine Maria, è stato fatto da una donna, dice S. Paolo (Gal. IV, 4) ed è della razza di Davide secondo la carne (Rom. I, 3). Indubbiamente, il Figlio dell’uomo è disceso dal cielo (S. Giovanni III, 13), ma per quanto riguarda la sua Persona e non la sua umanità. – Non è necessario nemmeno credere che l’essenza divina, comune alle tre Persone, sia scesa dal cielo per unirsi alla natura umana, cioè il corpo e l’anima; in questo caso le tre Persone si sarebbero incarnate e sarebbe già stato impossibile, perché questa incarnazione avrebbe prodotto un cambiamento nella divinità, che è una supposizione assurda, data l’immutabilità di Dio. Solo una Persona della Trinità, il Figlio, ha assunto l’umanità. Dio (una Persona divina), ma non la divinità, si è fatto uomo. Per certo, la natura divina è intimamente unita alla natura umana, attraverso la Persona del Figlio. – Tuttavia, è fuori di dubbio che le tre Persone divine abbiano cooperato all’incarnazione; infatti, tutti gli atti esterni di Dio sono compiuti dalla natura divina, che è comune alle tre Persone. –

L’INCARNAZIONE È PROPRIAMENTE L’OPERA DELLE TRE PERSONE DIVINE.

Tutte e tre hanno creato un corpo e un’anima umani e li hanno uniti alla seconda Persona. Le tre Persone divine hanno rivestito una di esse di umanità, come tre fratelli che si aiutano a vicenda per coprire uno di loro con una veste. In una lira, la corda da sola produce il suono piacevole – dice S. Agostino – eppure sono in tre a collaborare alla produzione di questo suono: la mano, la corda e l’abilità dell’artista. Solo la seconda Persona si è fatta carne e si è resa visibile, eppure tutte e tre le Persone hanno cooperato. Il corpo e l’anima aiutano l’uomo a nutrirsi, eppure il nutrimento si unisce solo al corpo; allo stesso modo le tre Persone hanno agito di concerto nell’incarnazione, anche se la natura umana era unita solo alla seconda Persona. – Tuttavia, l’incarnazione è attribuita allo Spirito Santo, perché è la più grande opera dell’amore di Dio, le cui manifestazioni sono sempre attribuite allo Spirito Santo, cioè all’amore del Padre e del Figlio. (Cat. rom.) – I Dottori della Chiesa ritengono che anche il Padre e lo Spirito Santo avrebbero potuto incarnarsi; ma è stato il Figlio dell’uomo, che da tutta l’eternità è il Figlio di Dio, Colui che è l’immagine sovranamente perfetta di Dio, a ripristinare nell’uomo l’immagine soprannaturale di Dio, distrutta dal peccato.

2. IL PADRE di GESÙ È DUNQUE DIO NEI CIELI; GIUSEPPE, IL MARITO DI MARIA, È SOLO IL SUO PADRE ADOTTIVO.

Cristo è dunque il Figlio di Dio, non solo perché è la seconda Persona della Trinità, ma anche perché Dio ha creato la sua umanità, (Grég. M.). – Nella prima profezia sul Salvatore, nel Protovangelo, Cristo è chiamato discendente di Dio.

Vangelo, Cristo è chiamato figlio della Donna e non dell’uomo (Gen. III, 15J). Cristo stesso si è chiamato Figlio dell’uomo, cioè figlio di un’unica persona umana (S. Matth. XXVI, 64). Nella genealogia di Cristo, S. Matteo cita solo gli antenati di Maria, ma non quelli di Giuseppe (S. Matth. 1,16), eppure Gesù era considerato da molti come figlio di Giuseppe (S. Luca III, 23). Giuseppe era il marito di Maria, solo per salvaguardare l’onore di Gesù e di Maria davanti agli uomini e di provvedere alla loro sicurezza e al loro mantenimento. Di più, Dio voleva ancora nascondere il mistero dell’Incarnazione agli uomini, perché ne sarebbero stati scandalizzati. – Giuseppe era un artigiano (falegname) (S. Matth. XIII, 65); era giusto, cioè conduceva una vita santa (S. Matth. 1,19): era, dice S. Gerolamo, perfetto in ogni tipo di virtù. La sua santità era così grande perché era molto vicino alla fonte di ogni santità, così come l’acqua diventa più limpida quanto più si avvicina alla fonte (S. Thom. Aq.); si distingueva soprattutto per la sua castità che eguagliava la purezza degli Angeli e superava quella di tutti i Santi (S. Fr. de Sales); per questo è raffigurato con un giglio in mano. S. Giuseppe era pieno di di grazie; Dio gli concesse un onore che i re e i Profeti avevano bramato senza mai ottenerlo; gli fu concesso di portare Gesù in braccio, baciarlo, parlargli, vestirlo… di nutrirlo, di proteggerlo (S. Bern.; Pio IX). Giuseppe fu chiamato padre da Colui il cui Padre era Dio (S. Bas.). Molti santi pensano che egli abbia un rango in cielo, come marito della Regina dei cieli, che sarebbe molto invocato verso la fine del mondo. e che allora darebbe prova dell’efficacia della sua intercessione. (Anche Giuseppe in Egitto tardava a farsi riconoscere dai suoi fratelli). – S. Giuseppe è il patrono della Chiesa (Pio IX, 8 dicembre 1870), cioè la Chiesa si è posta sotto la sua speciale protezione presso Dio. È anche patrono della buona morte, perché chiede in modo particolare questa grazia per coloro che lo invocano: egli stesso infatti è morto di morte beata, perché Gesù e Maria lo hanno assistito. S. Giuseppe è anche invocato con successo nelle necessità temporali, perché ha provveduto al sostentamento del Salvatore. San Tommaso dice che questo santo ha ottenuto da Dio di aiutarci in ogni tipo di necessità, e Santa Teresa (+1582) dichiara che tutte le sue preghiere a questo santo, nei momenti di bisogno dell’anima e del corpo, venivano sempre esaudite. S. Alfonso lo invocava ogni giorno ed i missionari si rivolgono a lui con giustificata fiducia. La Chiesa lo colloca nel suo culto subito dopo la Beata Vergine, e quindi prima di tutti gli altri Santi (Congreg. des Riti, 8 dic. 1870).

3. L’incarnazione del Figlio di Dio è un mistero, perché non possiamo mai comprenderla, ma solo ammirarla e adorarla.

Già il profeta Isaia (LIII, 8) aveva dichiarato che la venuta del Salvatore era inenarrabile. La concezione e l’incarnazione di Gesù sono più misteriose della fioritura della verga secca di Aronne, che produsse foglie, fiori e frutti (mandorle) (S. Aug.). “Chiudi gli occhi, ragione, perché puoi sostenere lo splendore di questo mistero soltanto sotto il velo della fede, proprio come l’occhio del corpo non può sostenere la luce del sole senza il velo della nube”. (S. Bern.) “Io so – dice S. G. Cris. – che il Figlio di Dio si sia fatto uomo, ma non so come si sia fatto uomo”. Ecco alcuni paragoni che si riferiscono all’Incarnazione: “La divinità e l’umanità erano unite in Cristo come l’anima e il corpo nell’uomo”(Symb. Ath.); se la materia e lo spirito, che differiscono così radicalmente, possono essere uniti nell’uomo, a maggior ragione la divinità e l’umanità possono essere unite in Lui poiché hanno una certa somiglianza. Anche l’umano ha la sua incarnazione; la parola è prima di tutto pensiero, quindi qualcosa di spirituale, ma quando vuole comunicare se stessa, viene incorporata nella voce, diventa una parola sensibile e viene ascoltata da molti. Nonostante questo il mio pensiero non ha cessato di appartenere a me; così il Verbo di Dio è diventato visibile a molti uomini, senza cessare di essere con il Padre” (S. Aug). I seguenti paragoni sono delle figure del concepimento di Gesù Cristo. Dio ha formato il corpo di Cristo con il sangue di Maria, come trasse Eva da Adamo formato dalla terra (S. Isid.) L’incarnazione assomiglia alla produzione dei primi frutti al momento della creazione: le prime piante produssero i primi chicchi, per l’onnipotenza di Dio senza alcuna cooperazione da parte dell’uomo. –

Dobbiamo adorare il mistero dell’Incarnazione con il suono dell’Angelus.

Il sorgere e il tramontare del sole sono un vivido ricordo dell’Incarnazione e della morte di Cristo, luce del mondo. Le parole dell’Angelus ci ricordano il colloquio tra Maria e l’Angelo. – In ogni Messa in cui si recita il Credo, il Sacerdote piega il ginocchio alle parole: Et incarnatus est; così pure nell’ultimo Vangelo, alle parole: Et Verbum caro factum est. Questa genuflessione è un atto di adorazione del mistero dell’Incarnazione. – Nella Messa solenne di Natale e nella festa della Annunciazione (25 marzo), tutto il coro si inginocchia al suddetto passaggio. del Credo e china il capo. – Gli Angeli stessi adorano questo mistero. “Gli uomini – dice S. Efrem rivolgendosi a Cristo – confessano la tua divinità. gli Angeli adorano la tua umanità. Questi si meravigliano della tua bassezza, quelli della tua grandezza”.

4. L’INCARNAZIONE DEL FIGLIO DI DIO ERA NECESSARIA PER ESPIARE PERFETTAMENTE L’OFFESA FATTA ALLA MAESTÀ DI DIO..

Indubbiamente, Dio avrebbe potuto salvare gli uomini altrimenti che con l’Incarnazione; avrebbe potuto glorificare la sua bontà, accontentandosi di una soddisfazione insufficiente o addirittura perdonare il peccato senza alcuna soddisfazione. S. Agostino scriveva: “Ci sono degli stolti che considerano la sapienza divina incapace di salvare gli uomini se non attraverso l’Incarnazione, la nascita del Figlio da una donna, la sua passione dolorosa. Dio avrebbe potuto agire diversamente”, ma come vediamo dalla morte del Salvatore, Dio ha preteso una soddisfazione perfetta; gli è piaciuto glorificare la sua giustizia e non la sua bontà. E solo un Uomo-Dio poteva fornire una perfetta riparazione. La grandezza dell’offesa è sempre misurata dalla grandezza della persona., un’offesa nei confronti di Dio è infinita e, di conseguenza, nessuna creatura, nemmeno l’Angelo più perfetto, è in grado di riparare pienamente. Si richiede l’intervento di un essere infinito, cioè Dio stesso. La salvezza dell’uomo ha quindi richiesto l’Incarnazione (S. Anselmo); Dio da solo non poteva soffrire, l’uomo da solo non poteva redimere, ed è per questo che Dio si unisce all’umanità. (S. Proclo). Quando un ritratto irriconoscibile deve essere restaurato, l’originale è obbligato a posare di nuovo. È così che Dio è dovuto scendere dal cielo per restaurare l’uomo fatto a sua immagine e somiglianza. (S. Athan.).

Per soddisfare perfettamente la maestà divina offesa, il Dio-Uomo è apparso sulla terra in uno stato di abbassamento.

Se fosse apparso in tutto lo splendore della sua maestà, il Re della gloria non sarebbe stato crocifisso. (I Cor. XI:8). In un certo senso, Cristo ha imitato il re ateniese Codro. L’oracolo di Delfi aveva dichiarato che gli Ateniesi sarebbero stati vittoriosi se il loro re fosse stato ucciso dai nemici. Codro si travestì da schiavo ed entrò nell’accampamento nemico, dove fu ucciso. Quando vennero a sapere che avevano soddisfatto le condizioni dell’oracolo, si spaventarono e fuggirono. I profeti avevano anche predetto che l’umanità sarebbe stata salvata dalla morte del Re della Gloria. Egli prese la forma di uno schiavo, apparve nel mondo, non fu riconosciuto e fu ucciso. Quando gli spiriti maligni videro chi avevano ucciso attraverso i loro servi, fuggirono. (Deharbe). Se un re voleva mostrare le sue abilità di combattimento ed entrare nell’arena, doveva deporre tutti i segni della sua dignità, altrimenti nessuno avrebbe osato accettare la sua sfida; si sarebbe rivelato solo alla fine. È così che agisce il Figlio di Dio (Luigi de Gren.), ma tornerà con grande potenza e maestà. (S. Matth. XXVI, 64). È impossibile affermare in modo assoluto che il Figlio di Dio si sia fatto uomo, anche se gli uomini non avessero peccato; sappiamo solo che l’Incarnazione sia avvenuta dopo il peccato per salvare l’umanità. Tuttavia Dio, essendo onnipotente, avrebbe potuto incarnarsi anche senza peccato. Questa incarnazione avrebbe prodotto l’unione più intima degli uomini con Dio (S. Th. Aq.).

5. IL FIGLIO È SEMPRE RIMASTO DIO, NONOSTANTE L’INCARNAZIONE, NON HA PERSO NULLA DELLA SUA MAESTÀ.

Diciamo che il Figlio di Dio sia sceso sulla terra, ma questo non significa che abbia lasciato il cielo. Quando una stella diventa visibile, quando comincia a esistere per il nostro occhio, rimane nel firmamento, così il Verbo non ha lasciato la gloria del cielo quando si è fatto uomo. (Deharbe). La luminosità del sole non viene distrutta dalle nuvole, ma solo velata; allo stesso modo la divinità di Cristo non è annientata dalla sua umanità, ma solo nascosta, (S. Ambr.) Quando il verbo del nostro spirito, il pensiero, è tradotto esternamente dal linguaggio, non cessa di essere il pensiero della nostra intelligenza; allo stesso modo il Verbo di Dio, diventando visibile, non ha cessato di essere con il Padre. (S. Aug.). La parola, la parola che rivolgiamo a qualcuno, non è percepita solo da quella persona, ma da tutti coloro che la ascoltano, e così il Verbo divino, unendosi all’umanità, non è rimasto confinato in essa per non riempire il cielo e la terra con la sua presenza. (Deharbe). Cristo si è fatto uomo in modo tale da non cessare di essere Dio. Dio, attraverso l’incarnazione, non ha perso nulla della sua maestà. I raggi del sole possono asciugare una fogna senza macchiarsi. Dio ha potuto allearsi con il corpo casto di Maria senza riceverne alcuna macchia la divinità purifica tutto, senza essere macchiata da nulla (S. Odilone). Se un principe che ha indossato l’abito di uno schiavo raccogliesse un anello prezioso caduto nel fango e lo mettesse al dito, non perderebbe nulla del suo onore; così il Figlio di Dio non ha disonorato se stesso prendendo la forma di uno schiavo, per scendere tra gli uomini, salvare le loro anime e renderle sue proprietà. (Tert.) Una veste potrebbe essere troppo ordinaria per un monarca, se non fosse ricamata con oro, perle e pietre preziose; allo stesso modo la natura umana, sporcata dal peccato, sarebbe stata indegna del Figlio di Dio, ma non del corpo immacolato della Vergine. – Quando S. Paolo dice che Gesù Cristo annientò se stesso e prese la forma di uno schiavo (Fil. II, 7), non intende dire che Dio abbia perso una perfezione della la divinità, ma che si sia abbassato assumendo la natura umana e che così facendo ci abbia dato un esempio di umiltà.. (Ibid. 8).

6. CON L’INCARNAZIONE DEL FIGLIO DI DIO, L’INTERO GENERE UMANO È STATO INNALZATO AD UN’ALTA DIGNITÀ.

Il sole illumina con i suoi raggi tutti gli oggetti esposti. Così Cristo diffonde il suo fulgore divino su tutti gli uomini tra i quali ha conversato per 33 anni. La natura umana adottata dal Figlio di Dio è come il lievito che penetra in tutta la pasta (S. Matth. XIII, 33); Cristo è la vite, noi siamo i tralci (S. Giovanni X, 1). – In un certo senso siamo superiori agli Angeli; benché essi non siano soggetti alla morte ed alla malattia, non hanno Dio come fratello; se ne fossero capaci, sarebbero invidiosi di noi. “Il sommo padrone prese la forma di schiavo, perché lo schiavo diventasse libero” (S. Amb.). Il Figlio di Dio si è fatto Figlio dell’uomo, perché i figli dell’uomo diventino figli di Dio (S. Athan.). Quanto è preziosa la redenzione, visto che l’uomo sembra valere quanto Dio! – Perciò non sporchiamo mai la nostra dignità divina con il peccato; non svergogniamo Gesù Cristo; non facciamo mai ciò che è buono solo per il diavolo.

Quali sono le verità da concludere dal mistero dell’Incarnazione?

1. CRISTO È ALLO STESSO TEMPO VERO DIO E VERO UOMO; PER QUESTO LO CHIAMIAMO DIO-UOMO.

Ogni essere possiede la natura di quello da cui trae origine. Dall’origine umana il bambino riceve la natura umana. Cristo ha una doppia origine: con la sua origine da Dio Padre, possiede la natura divina; con la sua origine da Maria, ha acquisito la natura umana. Cristo ha sempre vissuto in modo tale da mostrarci che Egli è Dio e uomo (S. Aug.) A volte si è attribuito la divinità e a volte l’umanità. Il Padre, ha detto, è più grande di me (S. Giovanni XIV, 28), quindi “il Padre e Io siamo una cosa sola”. (ibid. X, 30). Come Dio, chiama Maria: Donna (a Cana e sulla croce); come uomo, la chiama: Madre. Egli stesso si è definito Figlio di Dio e Figlio dell’uomo.

Cristo come uomo è quindi simile a noi tranne il peccato (Concilio di Calcedonia).

“Cristo – dice S. Paolo – divenne in tutto simile ai suoi fratelli” (Eb. II, 17). Egli si è fatto simile agli uomini ed è stato riconosciuto come uomo da tutto ciò che appariva di Lui all’esterno. (Phil. II, 7). Cristo aveva un corpo umano come noi. Egli aveva le nostre necessità materiali, ha sentito la fame e la sete, ha mangiato, bevuto e dormito; ha sentito la gioia, ha pianto, ha sofferto ed è morto. Aveva quindi un corpo reale, e non solo l’apparenza di un corpo, come sosteneva l’eresia docetista. – Cristo aveva un’anima umana, e quindi un’intelligenza umana, perché dice di ignorare il tempo dell’ultimo giudizio (S. Marco XIII, 32) ed una volontà umana, perché prega: “Padre, non la mia volontà, ma la tua sia fatta”. (S. Luca, XXII, 42). Alla sua morte Cristo ha messo la sua anima nelle mani del Padre (ib. XXIII, 46). È quindi un’eresia credere che Gesù Cristo avesse soltanto un’anima sensibile, ma non un’anima ragionevole, come sosteneva Apollinare, che peraltro aveva ben meritato la fede con i suoi scritti contro gli ariani. – S. Paolo chiama Cristo uomo celeste, in contrasto con Adamo, l’uomo terreno che era stato formato dalla terra (1 Cor. XV, 47), perché il corpo di Cristo è stato miracolosamente formato dallo Spirito Santo dal corpo della Vergine, e che già sulla terra aveva rivelato le celestiali perfezioni di un corpo glorificato. (Trasfigurazione, cammino sulle acque).

2. IN CRISTO CI SONO DUNQUE DUE NATURE, LA NATYRA DIVINA E LA NATURA UMANA. Malgrado la loro intima unione, una sussiste accanto all’altra, senza mescolarsi con essa.

La natura è l’insieme delle facoltà insite in un essere; la persona è colui che mette in atto queste facoltà. Ciò che è comune a tutti gli uomini è la natura; ciò per cui l’uomo è un individuo, un essere che sussiste in sé, è la persona. La natura può essere comunicata a molti individui, ma non la persona. – Come un lingotto di ferro e un lingotto d’oro fuso si uniscono senza fondersi, così le due nature. di Cristo. -La natura umana non è stata quindi trasformata nella natura divina, come l’acqua si è trasformata in vino a Cana. Perché un essere finito e cangiante, non può essere trasformata in un essere immutabile e infinito. – Né la natura è stata assorbita dalla natura divina, come una goccia di miele viene assorbita dall’oceano, o un granello di cera dal fuoco (eresia di Eutiche, condannata dal Concilio di Calcedonia, 451). – L’unione delle due nature ha prodotto una terza natura, come, per esempio, l’idrogeno con l’ossigeno forma l’acqua, perché Dio è assolutamente immutabile.

Il Cristo ha dunque una doppiascienza, una scienza umana ed una scienza divina.

Come Dio, conosce tutto, anche i pensieri degli uomini, come uomo afferma di non conoscere né l’ora né il giorno dell’ultimo giudizio. (S. Marc. XIII, 32).

Anche Cristo ha una doppia volontà, una divina e una umana, anche se quest’ultima è completamente soggetta alla volontà divina. (III Concilio di Costantinopoli, 680).

L’esistenza di una volontà umana in Cristo è dimostrata dalla sua preghiera nell’Orto degli Ulivi: “Padre, non la mia volontà ma la tua sia fatta”. (S. Luc. XXII, 42). La sottomissione della volontà umana a quella divina emerge da queste parole: “Non cerco la mia volontà, ma quella di Colui che mi ha mandato”. (S. Giovanni, V 30). Questa volontà di Cristo morente può essere paragonata a quella di un malato che deve essere operato. La sua volontà è riluttante a sottoporsi all’operazione a causa delle sofferenze da sopportare, eppure si sottomette alla volontà del medico.

3. IN GESÙ CRISTO C’È UNA SOLA PERSONA LA PERSONA DIVINA.

Due occhi fanno una sola vista, due orecchie un solo udito. (Arnobio). L’anima ragionevole e il corpo sono un solo uomo, così Dio e l’uomo sono un solo Cristo (Simbolo di Sant’Atanasio). Nell’uomo il corpo sussiste solo grazie all’anima, e senza di essa cade nella polvere, così in Cristo la natura umana sussiste solo attraverso la Persona divina. – Sebbene la natura umana di Cristo non sussista in una persona umana ma divina, non per questo è imperfetta; al contrario, è diventata molto più perfetta. Il corpo, attraverso l’unione con l’anima, diventa più perfetto del corpo degli animali, così la natura umana diventa più perfetta attraverso la sua unione con il Verbo divino più perfetta rispetto a tutti gli altri uomini. Così il corpo di Cristo aveva qualità soprannaturali (ad esempio nella trasfigurazione). – Nell’uomo, il corpo è lo strumento attraverso il quale opera l’anima, così la natura umana è lo strumento attraverso il quale agisce la Persona divina. Tuttavia, l’umanità non è uno strumento inanimato, come la penna dello scrittore, ma è viva ed ha una sua attività distinta, come il fuoco che riscalda e illumina. (Esiste quindi una scienza ed una volontà umana distinta dalla scienza e dalla volontà divine). La natura umana di Cristo non è lo strumento della Persona divina come i Profeti, gli Apostoli, ecc. erano nelle mani di Dio; non erano intimamente uniti a Dio come l’umanità di Cristo. L’occhio e la mano sono strumenti intimamente uniti a noi, ma non la penna, la spada, ecc. È lo stesso che l’uso dei Profeti e degli Apostoli come strumenti di Dio. Essi non furono intimamente uniti a Dio come Cristo. – In Lui, quindi non abbiamo una Persona divina accanto ad una persona umana, un Cristo Dio accanto ad un Cristo uomo, in modo che la divinità, risieda in un uomo particolare come in un tempio, così come risiede nelle anime dei giusti. (Eresia di Nestorio, Patriarca di Costantinopoli, condannata al Concilio di Efeso: 431). Dal momento che la natura divina e la natura umana sono indissolubilmente unite nella Persona divina, ne consegue che:

1. Che Cristo stesso, in quanto uomo, è il Figlio di Dio.

Dio, dice S. Paolo, non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha offerto per tutti noi” (Rom. VIII, 32).

2. Maria, la Madre di Cristo, è veramente la Madre di Dio.

Maria ha partorito Colui che è Dio; è quindi la Madre di Dio. Elisabetta l’aveva già chiamata Madre del Signore. (S. Luc. ï f 43). L’eresia di Nestorio che sosteneva che si potesse chiamare solo la madre di Cristo, fu condannata dal Concilio di Efeso nel 431: “Se Nostro Signore Gesù Cristo è Dio – dice San Cirillo – come può la Beata Vergine che lo ha partorito non essere la Madre di Dio? Anche se il bambino non ha l’anima dalla madre, quest’ultima è tuttavia chiamata madre del bambino, così Maria è chiamata Madre di Dio, anche se non ha dato a Cristo la sua divinità.

3. Che Cristo come uomo non poteva né peccare né ingannarsi.

Cristo non ha peccato né in atti né in parole (S. Pietro II, 22). La luce non tollera alcuna tenebra intorno a sé, così il Figlio di Dio non tollera nella sua natura umana (S. Grég. M.). – Cristo possedeva la perfetta sapienza e santità fin dalla sua nascita (Col. II, 3) e non poteva fare nessun progresso. Le parole di S. Luc.: “Gesù cresceva in età e grazia”, (II, 52) significano che, con l’avanzare dell’età, la sua sapienza e la grazia di Dio si manifestavano sempre più nelle sue parole e nelle sue azioni. “Gesù Cristo, il sole di giustizia, agisce come il sole che dall’alba al mezzogiorno diffonde sempre più luce (Deharbe). – La statura corporea e il portamento di Cristo dovevano essere maestosi (Ps. XLIV, 3), La gloria e la maestà della divinità celata sotto il velo della carne si riflettevano sul suo volto e gli conferivano una bellezza che attraeva e soggiogava tutti coloro che avevano la fortuna di vederlo. (S. Ger.).

4. Le azioni umane di Cristo hanno un valore infinito.

Le azioni di un re sono azioni umane, perché è un uomo, ma sono anche azioni regali, perché è un re. Allo stesso modo, le azioni umane di Cristo erano veramente umane per la realtà della sua umanità, ma anche divine perché è veramente Dio. “Un ferro rovente brucia non perché ha questa proprietà per sua natura, ma perché. è stato a contatto con il fuoco, così la carne di Cristo agisce divinamente, non di per sé, ma perché è unita alla divinità” (S. Gioov. Dam.). La più piccola preghiera, la più piccola sofferenza di Gesù sarebbe stata quindi sufficiente a salvare il mondo.

5. L’umanità di Cristo deve essere adorata.

Questa adorazione non si riferisce alla natura umana, ma alla Persona; Il bambino che bacia la mano del padre non adora la mano, ma il padre stesso (Deh.) Chi onora il re, dice il B. Tommaso d’Aq., lo venera con la porpora che indossa.; così noi adoriamo in Cristo l’umanità con la divinità che è inseparabile da essa. Il legno può essere toccato, ma non quando brucia. Così non si può adorare la carne in sé, ma la carne a cui Dio era unita. La Chiesa adora dunque le Piaghe di Gesù Cristo, il Sacro Corpo di Cristo, il Sacro Cuore di Gesù (come sede del suo amore), il Prezioso Sangue di Cristo.

6. È quindi possibile attribuire qualità umane a Cristo-Dio e qualità divine a Cristo-Uomo. (La teologia chiama questo mistero comunicazione di idiomi.; idioma in greco significa proprietà). S. Pietro poté quindi dire, dopo la guarigione del paralitico: “Avete crocifisso il Creatore della vita”. (Act. Ap. III, 15). S. Paolo, da parte sua, scrive: “Se lo avessero conosciuto, non avrebbero crocifisso il Re della gloria”. (I Cor. II, 8), e S. Giovanni aggiunge: “Da questo conosciamo l’amore di Dio”, che ha dato la vita per noi” (I Ep. II, 15). (I Ep. II, 15). Poiché la seconda Persona divina è sia Dio che uomo, tutto ciò che si dice di questa Persona divina può essere detto anche di Cristo come uomo, ad esempio: quest’uomo sa tutto, è onnipotente. Ciò che possiamo attribuire a Cristo come uomo, possiamo attribuirlo anche alla seconda persona della Santissima Trinità, ad esempio che Dio ha sofferto, è morto per noi. Quando un uomo ha due qualità, la ricchezza e la misericordia, possiamo dire di lui: quest’uomo ricco è caritatevole, e quest’uomo misericordioso è ricco. Queste qualità si riferiscono alla sua Persona, che è ricca e caritatevole. Possiamo fare la stessa per Cristo in relazione alla sua Persona divina, che è Dio e uomo, che è qualità e proprietà divine e umane; possiamo quindi dire: questo morente è è Dio, questo morente è onnipotente, e così via. – Ma non si può dire: la divinità ha sofferto, è morta, perché questa parola designa la natura divina, che non ha sofferto. “Sebbene la divinità fosse in colui che soffriva, non era Essa a soffrire”. Il sole non viene colpito perché un albero illuminato da esso venga tagliato. Né la divinità è stata colpita dalle sofferenze dell’umanità. (S. G. Dam.).

II. GESÙ CRISTO È IL FIGLIO DI DIO..

Gesù Cristo è solitamente chiamato Figlio unigenito del Padre, ed è stato Lui stesso a darsi questo nome (S. Giovanni III, 10). Egli porta questo nome, in primo luogo perché è la seconda Persona della Santa Trinità che è unica, poi perché si distingue da tutti gli Angeli e da tutti i Santi, che sono anche chiamati figli di Dio. Dio infatti non si è sostanzialmente uniti a loro (Fil. II, 6), li ha solo resi suoi figli per adozione. (Gal. IV, 5). Cristo, in quanto Figlio unigenito di Dio, non voleva rimanere solo, ha voluto avere dei coeredi, sapendo che la sua eredità non sarebbe stata diminuita dall’aumento del numero dei partecipanti (S. Amb.).

1. Gesù Cristo affermò con giuramento davanti al sommo sacerdote di essere il Figlio di Dio (Matth. XXVI, 64).

Si attribuì questo titolo anche nel colloquio con il cieco-nato (S. Giovanni IX, 27).

2. Dio Padre chiamò Gesù suo Figlio, al momento del battesimo nel Giordano e della sua trasfigurazione sul monte (S. Matth. III, 17; xvu, 5).

3. Nell’annunciare a Maria la nascita di Gesù, (S. Luc. 1, 32) l’Arcangelo Gabriele lo chiamava già Figlio dell’Altissimo.

4. Anche Pietro lo chiamava Figlio del Dio vivente ed fu per questo elogiato da Gesù (S. Matth. XVI, 16).

5. Anche i demoni al momento di essere espulsi dai posseduti gridavano: “Gesù, Figlio di Dio, cosa vuoi da noi? Sei venuto a castigarci prima del tempo?” (S. Matth. Vlll, 29).

III. GESÙ-CRISTO È DIO STESSO.

I Profeti avevano già scritto: Dio stesso verrà a salvarci. (Is. XXXV, 4). Lo stesso Profeta aveva detto che il bambino destinato alla salvezza del mondo sarebbe stato Dio stesso (ib. IX, 6). – L’eretico Ario negava la divinità di Cristo. Egli fu condannato al Concilio di Nicea (325), che dichiarò che Cristo è consustanziale al Padre e quindi Dio. Ario morì improvvisamente durante una festa pubblica e il suo corpo scoppiò come quello di Giuda (336). La nostra fede nella divinità di Gesù Cristo deve essere molto salda e molto forte, perché tutta la religione poggia su questo dogma. Quando il giovane ricco disse a Gesù: “Maestro mio buono”, Gesù rispose: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo”. (S. Luc. XVIII, 19). Con questo Gesù voleva fargli capire che sopra ogni cosa doveva confessare la sua divinità, che senza quella tutto il resto non aveva valore.

1. LA DIVINITÀ DI GESÙ CRISTO È DIMOSTRATA DAL SUO INSEGNAMENTO E DALL’INSEGNAMENTO DEI SUOI APOSTOLI.

Al momento dell’Ascensione Egli disse: “Mi è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra” (S. Matth. XXVIII, 18); così come nella festa della Dedicazione disse: “Io e il Padre siamo una cosa sola ” (S. Giovanni X, 30), cosa che i Giudei consideravano una bestemmia per la quale volevano lapidarlo (ibid. 33). Inoltre, Cristo attribuisce a se stesso perfezioni e opere che sono appropriate solo a Dio; 1° l’eternità, dicendo di sé stesso: “Padre, glorificami con la gloria che avevo in te prima che il mondo fosse” (S. Giovanni XVII, 5), oppure: “Io sono prima che Abramo (ibid. VIII, 58); 2° il potere di perdonare i peccati: perdona i suoi peccati a Maddalena (S. Luc. VII, 48) ed al paralitico (S. Matteo, 2); 3° Egli è chiamato resurrezione (S. Giovanni V, 28), il Giudice dell’universo (S. Matth. XXV, 31); l’autore di ogni vita (S. Giovanni XI, 25), quando dice: “Se uno osserva la mia parola, non morirà mai”. (ibid. VIII, 51). – Gli Apostoli credettero fermamente e confessarono altamente la divinità di Gesù. Tommaso, vedendolo risorto, esclamò: “Mio Signore e mio Dio!” (ibid. XX 28). E S. Agostino dice di San Tommaso: “Vide l’umanità e confessò la divinità”. Tutta la pienezza della divinità, scriveva San Paolo ai Colossesi (II, 9), abita in lui corporalmente”; “per mezzo di lui tutte le cose sono state create, Egli è prima di tutto e tutte le cose sussistono in Lui”. (ibid. I, 16).

2. LA DIVINITÀ DI GESÙ CRISTO È DIMOSTRATA DAI SUOI MIRACOLI E DALLE PROFEZIE.

Il gran numero e la varietà dei miracoli compiuti da Gesù Cristo nel suo stesso nome dimostrano la sua onnipotenza. Questi miracoli possono essere suddivisi in 5 classi: l° miracoli nella natura inanimata (il cambiamento del vino in acqua, la moltiplicazione dei pani, il placarsi della tempesta, il camminare sull’acqua, ecc.); 2° guarigioni di malati (ciechi, muti, lebbrosi, paralitici); 3° le risurrezioni dei morti (la figlia di Giairo nella sua casa, il figlio della vedova di Naim alle porte della città, Lazzaro nel suo sepolcro); 4° l’espulsione dei demoni dagli indemoniati, che erano molto numerosi ai suoi tempi; 5° miracoli nel suo stesso corpo (la risurrezione, l’ascensione). – Il Cristo dimostrò così di avere il potere di comandare tutta la natura, in una misura che nessuno inviato da Dio aveva prima di lui. – I messaggeri di Dio compiono miracoli nel suo Nome (ad esempio, Pietro e Giovanni alla porta del tempio), ma Cristo operò in Nome proprio. Non disse: “Nel Nome di Dio, alzati” o simili, ma semplicemente: “Giovane, io ti dico, alzati”(S. Luc. VII, 14); “lo voglio, sii guarito” (S. Matth. VIII, 3); “Silenzio! Taci”. (S. Marco IV, 39). Quando Gesù prega dapprima il Padre suo, lo fa per allontanare il sospetto di essere uno strumento del principe dei demoni. (Benedetto XIV). – I miracoli attribuiti ai fondatori delle false religioni sono semplicemente ridicoli; Buddha deve aver cavalcato su un raggio del sole, la luna deve essere scesa davanti a Maometto e gli è passata per la manica; Apollonio di Tyana si dice che abbia trasportato tempeste in botti, creato alberi danzando, ecc. Che contrasto con la serena maestà di Cristo!

Le Profezie di Cristo sul suo stesso destino, sul tradimento di Giuda, il rinnegamento di Pietro, la morte di Giovanni e Pietro la distruzione di Gerusalemme, i destini del popolo ebraico e della Chiesa sono una prova della sua onniscienza.

Cristo aveva predetto che sarebbe morto a Gerusalemme (S. Luc. XIII, 32), che sarebbe stato flagellato e crocifisso, ma che sarebbe risorto dopo 3 giorni (S. Matth. XX, 17); durante l’ultima cena annunciò che Giuda lo avrebbe tradito (S. Giovanni XIII, 26), che Pietro lo avrebbe rinnegato prima che il gallo avesse cantato tre volte (S. Matth. XXVI, 34). Dopo la sua resurrezione predisse a Pietro che sarebbe stato crocifisso, a Giovanni che sarebbe morto di morte naturale (S. Giovanni XX, 18). Dopo il suo ingresso solenne a Gerusalemme (S. Luca XIX, 41) e nel suo discorso sul Monte degli Ulivi sul Giudizio Universale, annunciò che dopo una generazione Gerusalemme sarebbe stata assediata, circondata da trincee e completamente distrutta, che questo assedio sarebbe stato accompagnato da orrori come non ce ne sono mai stati, e come non ce ne saranno mai. Cristo sapeva anche che i Giudei sarebbero stati dispersi in tutto il mondo (S. Luca XXI, 24), che la sua Chiesa si sarebbe diffusa rapidamente tra tutti i popoli (S. Giovanni X, 16; S. Matteo XIII, 31), nonostante le violente persecuzioni contro i suoi Apostoli (S. Giovanni XVI, 2).

3. LA DIVINITÀ DI GESÙ CRISTO È PROVATA DALL’ELEVATEZZA DELLA SUA DOTTRINA E LA SUBLIMITÀ DEL SUO CARATTERE.

La dottrina di Gesù Cristo supera quella di tutti i saggi e differisce profondamente dalle dottrine delle altre religioni. La dottrina di Gesù risponde a tutte le esigenze del cuore umano ed è adatta ad ogni stato, ad ogni età, ad ogni sesso, ogni nazione. Milioni di persone hanno trovato in essa la perfezione della felicità, la consolazione in vita e in morte. I grandi filosofi, San Giustino e Sant’Agostino, hanno trovato in essa la pace del cuore che desideravano. – La dottrina cristiana ha gettato una luce abbagliante sull’origine e il fine ultimo dell’umanità; raccomanda le più sublimi virtù: amore per il prossimo, umiltà, mansuetudine, pazienza, amore per i nemici, sconosciute fino a Cristo, e che nessuno al di fuori di Lui avrebbe trovato. – La ragione, dice Kant, non conoscerebbe ancora le leggi generali della morale se il Cristianesimo non le avesse insegnate. La dottrina di Cristo, pur nella sua sublimità, è molto semplice e molto chiara, ed è stata insegnata con una tale autorità che il popolo quando ascoltava Cristo rimaneva stupito dalla forza del suo linguaggio (S. Matth. VII, 28). “È impossibile, dice Strauss, (teologo protestante razionalista) in qualsiasi epoca, prevalere su Gesù dal punto di vista religioso. La religione cristiana non contiene cosa che contraddica la ragione, che degradi l’uomo, cosa che non si può dire di altre religioni! Maometto ha insegnato il fatalismo e ha diffuso la sua religione con il ferro ed il fuoco. Il Talmud, la legge degli ebrei moderni, è altrettanto disdicevole.

Cristo era privo del minimo peccato e dotato di un numero infinito di virtù incomparabili, tanto da rimanere per sempre il modello dell’umanità.

Giuda, il traditore, confessò di aver versato sangue innocente {S. Matth. XXXVIT, 4); Pilato non trovò alcuna colpa in lui (S. Giovanni XVIII, 38); Cristo stesso chiese ai Giudei: “Chi di voi mi convincerà del peccato?” e i Giudei non potevano rispondergli (ibidem, VIII, 46). Cristo è persino esente da quei difetti, quelli che il tempo e la nazionalità imprimono al carattere di ogni uomo, come vediamo nel suo comportamento verso i Samaritani e i Romani, soprattutto nella sua bella parabola del Buon Samaritano. (S. Giovanni VII 1,46). – Le virtù eccezionali di Gesù sono: la sua grande carità verso il prossimo; tutta la sua vita è stata spesa nel servizio, “passava il tempo facendo del bene” (Act. Ap. X, 38), ha persino dato la vita per gli altri; la sua umiltà, che gli faceva cercare la compagnia dei più disprezzati; la sua mitezza, che gli ha fatto sopportare non solo le persecuzioni dei suoi nemici, ma anche l’infedeltà del suo apostolo; la sua pazienza, incomparabile nei tormenti più orribili; l’indulgenza verso i peccatori; l’amore per i nemici, di cui diede un esempio così bello sulla croce; la forza con cui si è mostrato ovunque; il suo ardore per la preghiera, che gli faceva trascorrere intere notti in questo esercizio. Dove altro si può trovare una figura come quella di Gesù? I filosofi pagani, ammirati dai loro contemporanei, sono come la luce di una pallida torcia rispetto al sole. Il personaggio di Gesù è e rimane un miracolo nella storia del mondo. – Ecco perché i più grandi nemici di Cristo lo adoravano loro malgrado: lo si vide quando scacciò i venditori dal tempio e nessuno osava opporsi a lui (S. Matth. XXI, 12). Quando i farisei volevano lapidarlo nel tempio, dopo che si era dichiarato Dio, egli passò oltre (S. Giovanni X). Nell’Orto degli Ulivi, Cristo non fece che parlare ai soldati, ed essi caddero all’indietro spaventati (ib. XVIII; Pilato stesso lo temeva (ibid. XIX).

4. LA DIVINITÀ DI GESÙ CRISTO È DIMOSTRATA DALLA RAPIDA DIFFUSIONE DELLA SUA DOTTRINA E DAGLI EFFETTI MERAVIGLIOSI CHE HA PRODOTTO NEL MONDO.

La dottrina cristiana si è diffusa rapidamente in tutto l’universo, superando i più grandi ostacoli e utilizzando i mezzi più semplici.

Gli ostacoli da parte dei pagani erano: le leggi romane che punivano con la morte o l’esilio il vilipendio agli dei; le calunnie diffuse contro i Cristiani accusati di ateismo, di antropofagia nei loro sacrifici, di terribili crimini di ogni tipo e di ogni genere, e incolpati di tutte le disgrazie pubbliche: la peste, la guerra, le inondazioni, provocate dall’ira degli dei; le crudeli persecuzioni a cui i Cristiani furono sottoposti a causa di queste calunnie per quasi 300 anni. In effetti, ci furono 10 grandi persecuzioni fino all’Editto della Tolleranza di Costantino il Grande. – Il Cristianesimo incontrò anche altri ostacoli: la dottrina di “un. suppliziato” era di per sé una follia per i pagani, e per di più era insegnata da giudei che i Romani disprezzavano profondamente. Inoltre, questa dottrina richiedeva la rinuncia, la generosità, virtù che aborrivano i pagani sensuali ed egoisti, virtù che erano penose anche per uomini relativamente ben disposti. – I Giudei erano forse ancora più difficili da conquistare, perché si aspettavano un impero messianico con gloria terrena. –

Mezzi usati per diffondere il Cristianesimo. Furono 12 semplici pescatori o pubblicani ignoranti, che senza eloquenza, senza adulazione, senza l’aiuto dei grandi, hanno convertito il mondo. Senza dubbio fecero dei miracoli, ma la diffusione del Vangelo senza miracoli sarebbe stato il miracolo più grande. (S. Aug.). – Questa diffusione fu meravigliosamente rapida. Il giorno di Pentecoste furono battezzati 3.000 convertiti, altri 2.000 dopo il miracolo nel portico del tempio. 100 anni dopo la religione di Cristo era così diffusa in tutto l’impero romano che Plinio il Giovane, governatore della Bitinia, riferì a Traiano “la diserzione dei templi nelle città e nei villaggi, perché vi erano Cristiani dappertutto”. Intorno al 150 d.C. Giustino scrisse: “Non c’è nazione in cui non si preghi il Padre celeste nel nome del Crocifisso”. Gamaliele aveva avuto ragione nel dire ne Sinedrio: “Se quest’opera è umana, cadrà da sola, se è divina, non potrete distruggerla”. (Atti degli Apostoli V, 38).

Il Cristianesimo ha eliminato l’idolatria e i suoi orribili costumi ed ha introdotto la vera civiltà nei popoli del mondo.

I sacrifici umani cessarono, così come i crudeli giochi circensi e i combattimenti tra i gladiatori. – Il Cristianesimo, rendendo obbligatorie le opere di misericordia, diede origine ad una serie di istituzioni caritatevoli per i malati, dei forestieri, ecc. – La dottrina dell’indissolubilità del matrimonio ha ricostituito la famiglia abolendo la poligamia e ripristinando la divinità della donna. Essendo ogni uomo membro di Cristo, la schiavitù scomparve gradualmente. – I governanti e le autorità hanno guadagnato rispetto, perché secondo il Cristianesimo i governi sono i rappresentanti di Dio. – Le leggi penali persero la loro disumanità e le guerre divennero più rare. I mestieri, le arti e le scienze erano meglio coltivati e il lavoro veniva messo al primo posto. – In una parola, tutti i veri Cristiani di tutti i secoli si distinsero per la pratica delle più alte virtù e delle opere di misericordia. Giuliano l’Apostata raccomandava ai pagani di imitare la generosità e la purezza di vita dei Cristiani. Una dottrina che produce tali effetti è ovviamente divina. – I nemici del Cristianesimo obiettano che il Cristianesimo abbia dato origine ad una miriade di guerre religiose e di scissioni (sette). Questa obiezione è inutile: questi mali non sono stati causati dalla dottrina di Cristo, ma dalle passioni degli uomini, che non hanno seguito questa dottrina in un modo o nell’altro. Non c’è nulla di così santo che non possa essere abusato. Io credo, dobbiamo gridare con San Pietro, che tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente.

IV. CRISTO È IL NOSTRO SIGNORE.

Nell’ultima cena, Gesù Cristo disse agli Apostoli: “Voi mi chiamate Maestro e Signore, e avete ragione, perché Io lo sono” (S. Giovanni XIII, 13).

Noi chiamiamo Cristo nostro Signore perché è il nostro Creatore, il nostro Salvatore, il nostro Legislatore, il nostro Maestro, il nostro Giudice.

Cristo è il nostro Creatore. Per mezzo di Cristo sono state create tutte le cose, il cielo e la terra, le cose visibili e quelle invisibili. (Col. I, 16). Dio ha fatto il mondo per mezzo del suo Figlio. (Eb. I, 2). S. Giovanni, nel suo Vangelo, chiama Gesù il Verbo ed aggiunge: “Nulla di ciò che è stato fatto, è stato fatto senza di Lui” (I, 3). Siamo quindi sue creature e gli apparteniamo come il vaso appartiene al vasaio. (Sal. II, 9), – Cristo è il nostro Salvatore. Siamo stati redenti e liberati da Lui dalla schiavitù di satana (I. S. Piet. I, 18); quindi gli apparteniamo come uno schiavo a colui che lo ha comprato. Così dice San Paolo: “Non sapete che non siete più vostri? Perché siete stati comprati a caro prezzo” (I Cor. VI, 19). È il nostro Legislatore. Ha reso più perfetto l’Antico Testamento e lo ha promulgato di nuovo, ha dato i due precetti dell’amore, è chiamato il Maestro del sabato (S. Luc. VI, 5); ora, colui che deve darci le leggi è il nostro Signore. – Cristo Cristo è il nostro Maestro. È così che chiamiamo chi insegna un mestiere, un’arte o una scienza. Ora, Gesù Cristo insegna agli uomini la scienza della salvezza, l’arte di diventare come Dio. Egli stesso si è chiamato Maestro. (S. Giovanni XIII, 13). – Cristo è il nostro giudice. Egli tornerà infatti con grande potenza e maestà, per radunare gli uomini davanti al suo tribunale e separarli, come il pastore separa i capri dalle pecore (S. Matth. XXV, 31). Sia i giusti che i peccatori lo chiameranno allora, Signore. “Signore: diranno, quando ti avremo visto affamato, assetato, straniero, nudo, malato, prigioniero?” (S. Matteo XXV, 37 e 44). – In tutto l’universo, i deboli sono soggetti ai forti e dipendono da loro. Il regno minerale serve il regno vegetale e quest’ultimo serve il regno animale, e tutti servono l’uomo. Come gli astri girano intorno alla stella polare, tutte le creature ruotano intorno a Cristo, il polo della grazia. Egli è l’unico Re dei re, l’unico Signore dei Signori, al quale siano onore e l’impero nell’eternità. Amen (I. Tim. VI, 16).

LA CHIESA ECLISSATA ED I SACRAMENTI (2)

LA CRESIMA O CONFERMAZIONE

IV. La Cresima è uno dei Sacramenti oggi maggiormente colpito, direi quasi “minato”, occultato dalla chiesa modernista finto-cattolica usurpante il Vaticano e tutte le diocesi mondiali. Iniziamo col ricordare qualche elemento base di questo Sacramento, richiamando canoni di Concili ecumenici, come ad esempio il Decreto agli Armeni del Concilio di Firenze, o i canoni del Concilio di Trento. Nel Concilio di Firenze venivano ricordate agli Armeni e a tutti i Cattolici alcuni pilastri dei Sacramenti: “… abbiamo riassunto la verità dei Sacramenti della Chiesa, per una più facile istruzione degli Armeni presenti e futuri, nella seguente brevissima formula: i Sacramenti della nuova Legge sono sette, cioè il Battesimo, la Cresima, l’Eucaristia, la Penitenza, l’Estrema unzione, l’Ordine e il Matrimonio, che differiscono molto dai sacramenti dell’antica Legge. Questi non erano la causa della grazia, ma solo la figura della grazia che doveva essere data dalla Passione di Cristo. I nostri, invece, contengono la grazia e la conferiscono a chi li riceve come si deve. …. I primi cinque sono stati ordinati per la perfezione spirituale di ogni uomo in se stesso, gli ultimi due per la guida e la moltiplicazione di tutta la Chiesa. Infatti, con il Battesimo rinasciamo spiritualmente; con la Confermazione cresciamo nella grazia e siamo rafforzati dalla fede. Rinati e rafforzati, siamo nutriti dal cibo della divina Eucaristia. E se, a causa del peccato, cadiamo in una malattia dell’anima, siamo guariti spiritualmente con la penitenza. Spiritualmente e corporalmente, come si addice all’anima, con l’Estrema Unzione. Ma con l’Ordine la Chiesa è governata e moltiplicata spiritualmente, con il Matrimonio è accresciuta corporalmente. … Tutti questi Sacramenti sono realizzati da tre componenti: le cose che sono come la materia, le parole che sono come la forma e la persona del ministro che conferisce il Sacramento con l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa. Se manca uno di questi elementi, il Sacramento non si compie. Tra questi sacramenti ce ne sono tre, il Battesimo, la Cresima e l’Ordine, che imprimono nell’anima un carattere, cioè un certo segno spirituale che lo distingue da tutti gli altri, in modo indelebile. Per questo non si ripetono nella stessa persona. Gli altri quattro non imprimono un carattere e possono essere ripetuti. … Il secondo Sacramento è la Cresima, la cui materia è il crisma fatto di olio, che significa la luce di coscienza, e balsamo, che significa odore di buona reputazione, benedetto dal Vescovo. La forma è “Ti segno con il segno della croce e ti confermo con il crisma della salvezza nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. Il suo ministro ordinario è il Vescovo. E mentre il semplice Sacerdote può impartire tutte le unzioni, solo il Vescovo deve conferire questa, perché solo degli Apostoli, di cui i Vescovi ricoprono il ruolo, leggiamo che abbiano conferito lo Spirito Santo con l’imposizione della mano, come dimostra la lettura degli Atti degli Apostoli. Infatti, poiché gli Apostoli, si dice, che erano a Gerusalemme, udirono che la Samaria aveva ricevuto la parola di Dio, mandarono da loro Pietro e Giovanni, i quali, arrivati, pregarono perché ricevessero lo Spirito Santo; poiché non era ancora entrato in nessuno di loro, ma erano stati battezzati solo nel Nome del Signore Gesù, imposero loro le mani e ricevettero lo Spirito Santo” (Atti VIII:14-17). Invece di questa imposizione delle mani, nella Chiesa si dà la Cresima. Tuttavia, a volte si legge che per dispensa della Sede Apostolica, per un motivo ragionevole e abbastanza urgente, un semplice Sacerdote con il crisma fatto dal Vescovo, amministrava il Sacramento della confermazione. A Trento invece si aggiunsero dei canoni con anatemi – per contrastare le falsità e gli errori dei protestanti – e che ribadivano i concetti già enunciati “… Se qualcuno dice che la cresima dei battezzati è una cerimonia vana e non un vero e proprio sacramento, o che in passato non era altro che una catechesi, con la quale coloro che si avvicinavano all’adolescenza rendevano conto della loro fede in presenza della Chiesa, sia anatema. … se qualcuno dice che chi attribuisce qualche virtù al santo crisma della confermazione fa ingiustizia allo Spirito Santo, sia anatema…. se qualcuno dice che il ministro ordinario della confermazione non è il solo Vescovo, ma qualsiasi semplice sacerdote, sia anatema ….” Qui abbiamo un quadro già abbastanza chiaro della Confermazione o Cresima secondo le intenzioni della Chiesa Cattolica. La falsa chiesa modernista usurpante si è molto data da fare per distruggere alla radice l’effetto di questo Sacramento nella gioventù e negli adolescenti, così da rendere sterili i semi loro piantati nell’anima con il Santo Battesimo. Oltre al cambio della forma sacramentale, oggi in lingua vernacolare e non nella lingua della Chiesa, il latino ecclesiastico, oltre alla mancanza di preparazione disposizioni (ricordiamo che essendo la Cresima un Sacramento dei vivi, richieda lo stato precedente di grazia), c’è stata una “bomba” ben più dirompente e catastrofica, come i nostri pochi lettori ricorderanno dai posts precedenti di qualche anno orsono, che parlavano della consacrazione episcopale inventata di sana pianta da G.B. Montini, il sedicente Paolo VI, cosa di cui è assolutamente vietato parlare per non incorrere nelle ire assurde ed immotivate degli pseudocattolici frequentanti la sinagoga del “baphomet signore dell’universo” ed i suoi riti sacrileghi e blasfemi. Il Ministro della Cresima è il Vescovo diocesano o un suo delegato che usi però il crisma preparato dal Vescovo, di solito il Giovedì Santo. A chi non ne avesse mai sentito parlare, ricordiamo che dal 18 giugno del 1968 fu totalmente cambiata la formula di consacrazione dei Vescovi, formula fissata appena una ventina di anni prima dal Sommo Pontefice Pio XII in “Sacramentum ordinis” (1947), in cui le formule venivano dichiarate immutabili, non modificabili da chicchessia. L’antipapa Montini, appunto perché non era Papa canonicamente eletto, essendo il Papa dell’epoca S.S. Gregorio XVII, modificò radicalmente la formula facendola diventare una formula per “Eletti manichei”, Vescovi invalidi sotto tutti gli aspetti canonici. Chi abba voglia di approfondire questa delicatissima questione, può leggerla sul nostro blog cattolico ExsurgatDeus.org. Per non essere prolissi, diciamo solo le conseguenze di questo vero e proprio “colpo di Stato”: dal 1968 non abbiamo più Vescovi ordinati validamente, quindi niente preti, anch’essi ordinati tutti invalidamente da quella data, né giovani cresimati, come vediamo tra i giovani attuali che non hanno alcune forza (tuttaltro!) di combattere per Cristo e la sua Chiesa, non avendone avuto mandato né forza. E allora, si domanderanno i pochi lettori ancora svegli ed incuriositi, come otterremo la grazia di questo Sacramento? Ma la Chiesa eclissata ha tutte le potenzialità per ottenere grazia e forza dallo Spirito Santo. In questo Sacramento, in unico momento, ed in un unico atto, otteniamo il sigillo e la forza per poter dispiegare i Doni dello Spirito Santo a difesa della fede e della Chiesa contro gli attacchi del maligno, del mondo, degli increduli. Però la Sapienza eterna ha disposto che in questi tempi finali, per avere gli stessi benefici dallo Spirito Santo, terza Persona della SS. Trinità, noi dobbiamo ricorrere ad Esso ogni giorno o momento, con la richiesta attuale dei Doni, mediante l’Inno canonico “Veni Creator Spiritus”, la sequenza di Pentecoste “Veni Creator Spiritus”, la Corona allo Spirito Santo ed altre preghiere sicuramente cattoliche con imprimatur ed indulgenze annesse. Non è certamente il Sacramento, che va comunque desiderato intensamente ed esplicitamente, ma un po’ di grazia arriverà, e con essa godremo dei frutti dello Spirito Santo, quelli che s. Paolo elencava ai Galati… gioia, amore, pace, pazienza, bontà, benevolenza, fedeltà, longanimità, modestia, mitezza, continenza, castità…

IL MATRIMONIO.

  V. Il Matrimonio, come voluto da N. S. Gesù Cristo, è un Sacramento che dona la grazia necessaria a chi sceglie questo stato di vita, il cui scopo primario è proprio quello di formare una famiglia cristiana, sul modello della Santa Famiglia di Nazaret, con l’accoglienza di tutte le creature che il buon Dio manderà secondo i suoi disegni e volontà. Per sostenere questo gravoso impegno che richiede la vita matrimoniale agli sposi, sussistenza materiale, educazione cristiana dei figli, adattamento caratteriale e sopportazione dei reciproci difetti, difficoltà ambientali, familiari etc., è necessaria una grazia che viene elargita ai Cattolici che si uniscono in matrimonio secondo il rito di santa Madre Chiesa, stabilito dai sacri Canoni nei modi richiesti da Dio. Iniziamo col fare una breve, ma importante premessa: che il matrimonio agli occhi Dio è sempre valido, anche quello “civile” dei selvaggi o degli acattolici, increduli, atei (tra i quali spiritualmente non ci sono differenze sostanziali, avendo un’anima morta senza vita di grazia), mentre il matrimonio celebrato secondo i riti cattolici, oltre alla validità, apporta la liceità e dà diritto alla grazia matrimoniale. Ecco che questa, quindi, è una prerogativa essenziale per un Cattolico e per tutta la società, cristiana e non, garante di serenità dell’anima e di una vita fruttuosa sotto ogni aspetto. Detto questo, il Cattolico vero, cioè il Cattolico ostinato nella vera, immutabile dottrina cristiana, apostolica ad ecclesiastica, farà di tutto per assicurarsi questa grazia indispensabile per tutta la famiglia che vuole costituire. – Come detto e gridato da queste pagine da molto tempo, la Chiesa eclissata è oggi sostituita da un baraccone satanico-anticristiano, retto da un servo dichiarato e vicario dell’anticristo, la sinagoga di satana, come la chiamava già a suo tempo S.S. Pio IX, per cui un matrimonio celebrato in questa setta dell’antichiesa, pur contraendo un vincolo valido e definitivo, non conferisce lo stato di grazia matrimoniale, come ognuno può vedere tra i propri vicini o addirittura familiari. Inoltre, sappiamo che, tranne pochi anziani Sacerdoti apostati dalla fede e praticanti un modernismo, somma di tutte le eresie, secondo la sentenza del santo Papa canonizzato Pio X, tutti gli altri sedicenti preti non hanno mai ricevuto una ordinazione valida per difetto di forma ed intenzione, ed oltretutto da un falso Vescovo a sua volta invalidamente ordinato secondo il pontificale fasullo dell’antipapa G. B. Montini del 18 giugno del 1968. Per cui tutti si chiedono, e pure noi un po’ di tempo fa: come fare per ottenere questo stato di grazia matrimoniale per costituire una vera famiglia cristiana? La Santa Madre Chiesa nella sua immensa sapienza e preveggenza ha definito dottrine che sono adatte ai tempi di prosperità e libertà di culto cattolico, e canoni e definizioni dottrinali per i tempi di persecuzione e per la Chiesa “eclissata” o delle catacombe. Al giorno attuale così, il Matrimonio Cattolico tra i pochi, ostinati fedeli Cattolici fedeli alla dottrina bimillenaria della Chiesa, è possibile pure nella difficoltà pratica, per i più, di reperire un Sacerdote o prelato cattolico in comunione con il Santo Padre Gregorio XVIII, capace quindi di fornire, come detto, dei Sacramenti validi e leciti, e nello specifico di rendere possibile l’acquisizione della grazia santificante e particolare relativa ai fini del Sacramento stesso. In effetti i fedeli Cattolici che vogliono ad ogni costo evitare – giustamente – le sette acattoliche, e soprattutto la setta dei falsi profeti della sinagoga di satana [la cosiddetta setta del “Novus ordo” di istituzione massonico-kazara!] oggi usurpante il Vaticano e tutti gli edifici di culto un tempo appartenenti alla Chiesa Cattolica, con le relative false funzioni che, lungi dall’apportare grazia, assicurano la “disgrazia” personale, familiare e sociale, hanno perplessità ed indecisioni nell’approcciarsi correttamente al matrimonio senza commettere una serie di gravi sacrilegi e peccati mortali che comprometterebbero il cammino di salvezza per sé, il coniuge, i parenti ed i partecipanti a funzioni invalide ed illecite e – soprattutto – alla futura prole che verrebbe generata in regime di peccato mortale e fuori dalla Chiesa Cattolica, complicando in tal modo tutta la loro vita di grazia, di redenzione e di salvezza. Ma … nessun problema, la Santa Madre Chiesa, la parte militante del Corpo mistico di Cristo, guidata infallibilmente dallo Spirito Santo e che opera da “Maestra delle genti” attraverso il Magistero apostolico Ordinario e Universale e Straordinario esercitato dal Sommo Pontefice Romano e dalla sua Gerarchia, ha pensato proprio a voi in difficoltà, in questi tempi di apostasia e di impostura dottrinale e canonica, spianandovi la strada al Matrimonio cattolico, se ci è lecito così definire … delle catacombe. Possiamo ricorrere in tutta certezza e sicurezza al Motu Proprio: « Sulla disciplina del Sacramento del Matrimonio per la Chiesa Orientale di San Pio XII » del 22 febbraio 1949 (festa della Cattedra di S. Pietro). – Ferme restando tutte le altre disposizioni (ivi dettagliatamente riportate) in materia di impedimenti, dispense e preparazione al Matrimonio cattolico (per noi la retta vera dottrina, una pratica di vita cristiana, la frequentazione di “veri” Sacramenti materiali e formali – se possibile – o almeno spirituali: severo e sincero esame di coscienza, contrizione perfetta con implicito desiderio di Confessione sacramentale appena possibile, Comunione spirituale, stato di grazia …), un canone in particolare concerne le situazioni estreme che riguardavano allora i fedeli orientali, ma che oggi sono ubiquitarie e riguardano praticamente l’intero pianeta, in riferimento alla disponibilità di un Sacerdote o prelato cattolico della “vera” Chiesa “una cum Papa nostro Gregorio”. Il Canone rinuncia esplicitamente alla presenza di un Sacerdote alla celebrazione del matrimonio in determinate circostanze straordinarie, ma non rinuncia, anche in questo caso, alla richiesta che il matrimonio sia celebrato davanti ad almeno due testimoni. Il matrimonio è validamente celebrato davanti ai soli testimoni comuni (naturalmente Cattolici), quando è impossibile per le parti avere o avvicinare un Sacerdote autorizzato, purché si verifichi una di queste condizioni:

1) una delle parti parte è in pericolo di morte,

2) si prevede che non sarà disponibile alcun Sacerdote autorizzato per almeno un mese. In sintesi: In situazioni estreme per il matrimonio non è richiesto il Sacerdote!!! (i ministri del Sacramento, sono gli sposi).

Ne riportiamo la sentenza dai trattati di teologia dogmatica e poi direttamente dal Motu proprio di S.S. Pio XII citato. Iniziamo dal Buscaren: «Sebbene i Canoni non concedano esplicitamente nessun’altra rinuncia alla celebrazione, c’è la dispensa all’obbligo della legge che richiede l’assistenza attiva di un Sacerdote autorizzato e l’assistenza di testimoni, almeno nel caso di estrema difficoltà che colpisce l’intera comunità. Il Sant’Uffizio ha dichiarato che i Cattolici della Cina non sono tenuti ad osservare la legge sulla forma del matrimonio finché continuano le circostanze create dal regime rosso ». (H. BOUSCAREN, CANON LAW DIGEST, III Ed. p. 408). – In questo Canone, sono riportate due importanti principii: – primo, che in pericolo di morte il matrimonio può essere contratto senza un Sacerdote ma davanti a due testimoni, e … – secondo, che nei luoghi dove non si possa avere un Sacerdote o le parti non possano recarvisi, non hanno bisogno di aspettare un mese intero, se c’è una buona ragione per giudicare che le stesse condizioni continueranno per un mese); ma senza ulteriori indugi riportiamo il canone succitato: (MOTU PROPRIO SULLA DISCIPLINA DEL SACRAMENTO DEL MATRIMONIO PER LA CHIESA D’ORIENTE PIO PP. XII – SUL SACRAMENTO DEL MATRIMONIO). CAPITOLO VI: Sulla forma della celebrazione del matrimonio. Canone 89: Se vi sia un grave incomodo per il parroco, o gerarca o Sacerdote con facoltà nell’assistere al matrimonio fatto a norma dei canoni 86, 87:

1° in pericolo di morte è valido e lecito il matrimonio contratto davanti ai soli testimoni; ed anche fuori dal pericolo di morte, quando stando le cose per cui si preveda prudentemente che si protraggano per un mese;

2 ° In entrambi i casi in cui non si possa al più presto chiamare un altro Sacerdote cattolico che possa venire ed assistere al matrimonio con i testimoni, salvo la validità dei coniugi, il matrimonio è valido e lecito… [validum et licitum est matrimonium contractum …] davanti ai soli testimoni.

Sursum corda, fedeli del “pusillus grex” cattolico, la Chiesa ha prevenuto i tempi e ci dà la possibilità in ogni tempo, anche nel nostro tempo di apostasia e paganesimo imperante, di ottenere la grazia necessaria alla vita dell’anima nostra in ogni condizione di vita. Deo gratias!

UNZIONE DEI MALATI O ESTREMA UNZIONE.

VI. Dal Sacrosanto Concilio di Trento: [Sess. XIV]“ … Questa santa Unzione degli infermi fu istituita da Cristo nostro Signore come vero e proprio Sacramento della Nuova Alleanza; questo Sacramento fu indicato in Marco (Mc VI, 13), raccomandato e promulgato da Giacomo, Apostolo e fratello del Signore. Egli disse: “Se qualcuno di voi è malato, chiami i presbiteri della Chiesa e questi preghino su di lui dopo averlo unto con olio nel Nome del Signore. La preghiera della fede salverà il malato e il Signore lo solleverà; e se è peccatore, gli saranno rimessi i peccati” (Giacomo V:14-15). Con queste parole, come la Chiesa ha appreso, tramandate di mano in mano dalla tradizione apostolica, egli insegna quali siano la materia, la forma, il ministro adatto e l’effetto di questo Sacramento salutare. La Chiesa ha infatti compreso che la materia è l’olio benedetto dal Vescovo, perché l’Unzione rappresenta in modo molto appropriato la grazia dello Spirito Santo, con la quale l’anima del malato viene invisibilmente unta. E la forma è costituita da queste parole: “Per questa Unzione, ecc. “

Capitolo 2. L’effetto di questo Sacramento.

La realtà e l’effetto di questo Sacramento sono spiegati da queste parole: “La preghiera della fede salverà il malato e il Signore lo solleverà; e se è in peccato, gli saranno rimessi i peccati” (Gc V,15) . La realtà è, infatti, la grazia dello Spirito Santo, la cui unzione purifica le colpe, se ancora da espiare, ed i postumi del peccato; lenisce e rafforza l’anima del malato (cf. 1717), ispirando grande fiducia nella misericordia divina. Alleggerito da questa grazia, l’ammalato, da un lato, sopporta più facilmente le difficoltà e le sofferenze della malattia e, dall’altro, resiste più facilmente alle tentazioni del diavolo che cerca di morderlo al tallone (Gn III, 15) talvolta, infine, ottiene la salute del corpo, quando questa è utile per la salvezza dell’anima.”

Tale è la dottrina stabilita al sacrosanto Concilio di Trento nella XIV Sess. del 25 novembre 1551 e corroborata dai canoni seguenti:

Canoni sul sacramento dell’estrema unzione. (da Enchiridion def. di H. Denzinger)

1716. (1) Se qualcuno dice che l’Estrema Unzione non sia veramente e propriamente un Sacramento istituito da Cristo nostro Signore, (Mc VI,13), e promulgato dall’Apostolo san Giacomo, (Gc 5,14-15), ma solo un rito ricevuto dai Padri o un’invenzione umana, sia anatema!.

1717. 2 Se qualcuno dice che la santa Unzione degli infermi non conferisca la grazia, non rimetta i peccati, non allevia i malati, ma che non esiste più, come se un tempo fosse stata solo una grazia di guarigione, sia anatema.

1718. 3 Se qualcuno dice che il rito e l’uso dell’Estrema Unzione, osservati dalla santa Chiesa romana, siano contrari alle parole del santo Apostolo Giacomo, e che quindi debbano essere cambiati, affinché possano essere disprezzati senza peccato dai Cristiani, sia anatema.

1719. 4. Se qualcuno dice che i presbiteri della Chiesa, a cui san Giacomo raccomanda di portare l’unzione ad un malato, non siano Sacerdoti ordinati dal Vescovo, ma i più anziani di ogni comunità, e che per questo il ministro dell’Estrema Unzione non sia solo il Sacerdote, sia anatema.

Si tratta pertanto di un Sacramento molto importante ai fini della salvezza eterna, capace in molti casi di aprirci le porte del Paradiso e farci evitare il fuoco eterno degli inferi. Ma come fare oggi che la vera Chiesa è eclissata ed è estremamente difficile trovare un vero Sacerdote con missione canonica comunicata da un Vescovo validamente consacrato, con giurisdizione pontificia ed “una cum” il Pontefice romano impedito? – Ricorrendo alla Summa di S. Tommaso, abbiamo già ricordato che lo Spirito Santo, qualora non abbiamo possibilità di accedere in buona fede a veri, validi e leciti sacramenti, ci darà la grazia attraverso mezzi a Lui noti capaci appunto di conferire la Grazia che in situazioni “normali” si ottiene mediante i Sacramenti istituiti da Gesù Cristo ed amministrati nella sua vera Chiesa, cioè la Chiesa Cattolica. Ma questo non significa rimanere inoperosi, spiritualmente parlando, perché questa grazia va in qualche modo meritata dalla nostra attiva collaborazione. Ed allora possiamo attingere dagli scritti di grandi Santi del passato che hanno scritto pagine edificanti ed utilissime circa la “buona morte”. Nello specifico penso al nostro grande S. Alfonso M. De Liquori e a San Roberto Bellarmino nel suo “l’Arte del ben morire” scritto nel 1619 ma più che mai attuale oggi. Egli inizia subito affermando perentoriamente nel primo precetto da lui consigliato: chi desidera morire bene, viva bene! Poi passa ad annunciare gli altri precetti: in primis morire al mondo, praticare le tre virtù teologali e soprattutto la carità. Tenere accese le lampade nelle mani (Luc. XII, 35), vigilare continuamente sui nostri atti, pensieri e parole, evitare l’uso cattivo dei beni e delle ricchezze e l’avidità priva di elemosina, la pratica di tre altre virtù: la sobrietà, la giustizia la pietà. Ovviamente un posto importante è riservato alla preghiera (settimo precetto), al digiuno ed astinenza canonici (quaresimale, delle quattro tempora e vigilie); particolare rilievo è dato all’esame di coscienza con il pentimento sincero dei peccati commessi, e la penitenza. Ancora ci raccomanda la meditazione frequente della morte riguardata come ingresso alla eterna beatitudine, degli altri novissimi (giudizio, inferno e paradiso); fare testamento senza lasciare situazioni indefinite, nutrirsi dei Sacramenti se possibile, così da attuare la beatitudine ricordata da s. Giovanni nell’Apocalisse … beati quelli che muoiono nel Signore (XIV, 35). Insomma, c’è veramente da leggere e meditare attentamente questi santi consigli che in pratica si riducono a vivere una vita veramente cristiana secondo gli insegnamenti evangelici della Chiesa (pensiamo alle beatitudini!). Infine possiamo affidarci con fede ai Santi padroni della buona morte, innanzitutto s. Giuseppe, da invocare praticamente sempre per ottenere questa grazia (fondamentale è la preghiera del “sacro Manto di San Giuseppe”), poi s. Barbara, s. Disma (il buon ladrone che “rubò” il Paradiso diventando il primo Santo canonizzato direttamente dal Salvatore … oggi sarai con me in Paradiso. Concludendo abbiamo ampie possibilità, con un impegno serio e costante, di procurarci una buona morte, lontana dalle tentazioni estreme del “nemico”, cioè in grazia di Dio e pronti per l’entrata nel Cielo anche se non dovessimo avere la possibilità di ricevere un Sacramento valido e lecito. Ora non abbiamo pretesti o accampare scuse, siamo chiamati alla conversione del cuore, ad una vita santa, ad una morte gloriosa in Dio… è ciò che auguriamo a tutti i nostri lettori.

SACRAMENTO DELL’ORDINE

VII. In questo numero trattiamo l’argomento più spinoso e cruciale della fede cattolica, solennemente definito dal Magistero ecclesiastico, a partire dal Sacrosanto Concilio di Trento, passando attraverso diversi documenti della Sede Apostolica, fino alla definitiva ed irreformabile Costituzione Apostolica di S.S. Pio XII data a San Pietro il 30 novembre dell’anno 1947 (vedi in: A.A.S., Vol. XL, n. 1-2 del gennaio-febbraio 1948): ci riferiamo cioè al Sacramento dell’Ordine, Sacramento fondamentale: 1) nel perpetuare la continuità apostolica della Chiesa di Cristo – l’unica vera Chiesa che assicura la salvezza eterna; – 2) garantire l’insegnamento dottrinale evangelico e tradizionale, fonte certa di pratica di pietà e retta moralità cristiana, ; – 3) somministrare gli altri Sacramenti divinamente istituiti e garantire il culto liturgico ecclesiastico. Ma procediamo con ordine. Concilio di Trento, Sess, XXIII, can 1: “Che poi questo sia stato istituito dallo stesso Signore e salvatore nostro, e che agli Apostoli e ai loro successori nel sacerdozio sia stato trasmesso il potere di consacrare, di offrire e di dispensare il suo corpo e il suo sangue; ed inoltre di rimettere o di non rimettere i peccati, lo mostra la Sacra Scrittura e lo ha sempre insegnato la tradizione della Chiesa cattolica… Capitolo IV … Poiché, poi, nel Sacramento dell’ordine, come nel battesimo e nella cresima, viene impresso il carattere, che non può essere né cancellato, né tolto, giustamente il santo Sinodo condanna l’opinione di quelli che asseriscono che i Sacerdoti del nuovo Testamento abbiano solo un potere temporaneo, e che quelli che una volta siano stati regolarmente ordinati, possano tornare di nuovo laici, se non esercitano il ministero della Parola di Dio.”. – Una cosa assolutamente rimarcata è la Tonsura clericale che deve essere praticata del Vescovo della diocesi di appartenenza dell’aspirante Sacerdote. Essa sancisce il desiderio di appartenere agli Ordini sacri offrendo la propria vita a Dio, rinunciando alla vita mondana e laica. Questo è un primo passo indispensabile tanto da poter affermare che senza tonsura non c’è Sacerdozio cattolico. Una volta praticata la tonsura (che non è quella degli istituti monastici) l’aspirante poteva accedere agli Ordini sacri, che procedevano secondo una sequenza ben determinata, in ascesa continua, distinguendosi in Ordini minori – Ostiariato, Esorcistato, Lettorato, Accolitato – ed Ordini maggiori: Subdiaconato, Diaconato, Presbiterato, fino alla pienezza dell’Ordine che è la dignità episcopale. Il conferimento del Sacramento, che imprime un sigillo [carattere] indelebile nell’anima del Sacerdote, avviene secondo le consuete disposizioni, cioè la materia, la forma [o formula] e l’intenzione. A scanso di equivoci e contestazioni, queste disposizioni, per altro millenarie, furono messe nero su bianco da S.S. Pio XII nell’accennata Costituzione Apostolica del novembre del 1947, nella quale veniva riportata la materia e la forma di ogni Ordine. Il ministro del Sacramento è il Vescovo e delle formule riportiamo quelle atte ad ordinare un Sacerdote ed un Vescovo cattolico appartenente alla successione apostolica che procede dagli Apostoli designati da Gesù Cristo. Nell’Ordinazione sacerdotale, la materia è la prima imposizione delle mani del Vescovo, quella che si fa in silenzio, e non la continuazione di questa stessa imposizione che si fa estendendo la mano destra, né l’ultima imposizione accompagnata da queste parole: « Accipe Spiritum Sanctum: quorum remiseris peccata, etc. » La forma è costituita dalle parole del Prefazio, delle quali le seguenti sono essenziali e pertanto necessarie per la validità; « Da, quæsumus, omnipotens Pater, in hunc famulum tuum Presbyterii dignitatem; innova in visceribus eius spiritum sanctitatis, ut acceptum a Te, Deus, secundi meriti munus obtineat censuramque morum exemplo suæ conversationis insinuet ».

(« Date, ve ne supplichiamo, Padre onnipotente, al vostro servo qui presente la dignità del Sacerdozio; rinnovate nel suo cuore lo spirito di santità, affinché egli eserciti questa unzione del secondo ordine [della gerarchia] che Voi gli affidate e che l’esempio della sua vita corregga i costumi »). Per la consacrazione episcopale: … Per la validità è pertanto richiesta: « Comple in Sacerdote tuo ministerii tui summam, et ornamentis totius glorificationis instructum cœlestis unguenti rore sanctifica ». … Noi ordiniamo – continua la Costituzione Apostolica – che nei confronti di ogni Ordine, l’imposizione delle mani si faccia toccando fisicamente la testa dell’ordinando, benché sia sufficiente il contatto morale per conferire validamente il Sacramento. Infine, non è affatto permesso interpretare ciò che stiamo dichiarando e decretando sulla materia e la forma, in modo da credersi autorizzato sia a trascurare, sia ad omettere le altre cerimonie previste nel Pontificale Romano; inoltre, Noi ordiniamo che tutte le prescrizioni del Pontificale Romano siano religiosamente mantenute ed osservate. Ecco, pertanto, ciò che Noi ordiniamo, dichiariamo e decretiamo, nonostante qualsiasi disposizione contraria, anche degna di speciale menzione. Di conseguenza, Noi vogliamo ed ordiniamo che le disposizioni sopramenzionate siano incorporate, in un modo o nell’altro nel Pontificale Romano.

NESSUNO AVRÁ DUNQUE IL DIRITTO DI ALTERARE LA PRESENTE COSTITUZIONE DA NOI DATA NÉ DI OPPORVISI CON TEMERARIO ARDIMENTO.

La questione, almeno per quanto possiamo noi illustrare in questo contesto giornalistico, ci sembra definita in modo chiaro ed esaustivo dalla dottrina della Chiesa, che ci offre la possibilità di ben distinguere tra veri Sacerdoti e veri Vescovi, ed impostori senza Sacramento dell’ordine né sigillo sacerdotale, i briganti ed i ladri ricordati nel santo Vangelo (S. Giov. X, 8) dal nostro Redentore che entrano nella Chiesa non dalla porta. a devastare le anime riscattate da Cristo a prezzo del suo preziosissimo sangue. E allora ricapitoliamo con chiarezza e senza tema di essere teologicamente o canonicamente smentiti: Sacerdote della Chiesa di Cristo, una, santa ed apostolica è colui che: 1) abbia ricevuto la tonsura ecclesiastica per mano del suo Vescovo diocesano; 2) abbia ricevuto il Sacramento dell’Ordine con la formula di S.S. Pio XII da un Vescovo a sua volta consacrato con la formula del Pontificale Romano sopra riportata, [abolita truffaldinamente dall’antipapa eresiarca Montini – sedicente Paolo VI – dal 18 giugno 1968, come abbondantemente illustrato su questo blog in passato], con missione canonica e giurisdizione pontificia annessa e documentata per iscritto. Tutti coloro che non possono soddisfare a queste due condizioni essenziali, sono da considerarsi dei laici travestiti sacrilegamente e che occupano usurpandole le cariche, i privilegi, le prebende, gli onori che detengono, che gli uomini non conoscono, ma che Dio conosce benissimo attendendoli al varco della vita eterna perché siano degnamente ricompensati per il loro operato. Non vorremmo veramente trovarci nei loro panni in quel momento e preghiamo quindi che il Signore li illumini in tempo perché salvino la loro anima pericolante. – Nella nostra terra ci sono Sacerdoti ancora validamente ordinati e con giurisdizione richiesta per la valida Confessione, anche se apostati dalla fede cattolica e scismatici dalla vera Chiesa Cattolica e dalla vera Gerarchia, aderenti all’antipapa usurpante attuale e celebranti uno pseudo-rito demoniaco con sacramenti sacrileghi ed illeciti, ma volendo … possono tornare al vero culto ripudiando la setta della sinagoga di satana a cui oggi appartengono legati dal filo della … congrua e della pensione (… meglio la pensione oggi che il Paradiso domani!) e che si spaccia per Chiesa di Cristo. A questi poveri derelitti voglio solo ricordare la profezia del Profeta Zaccaria alla fine del Cap. XI: “… Io susciterò nel paese un pastore, che non avrà cura di quelle pecore che si perdono, non cercherà le disperse, non curerà le malate, non nutrirà le affamate; mangerà invece le carni delle più grasse e strapperà loro perfino le unghie. Guai al pastore stolto che abbandona il gregge! Una spada sta sopra il suo braccio e sul suo occhio destro. Tutto il suo braccio si inaridisca e tutto il suo occhio destro resti accecato”. È parola di Dio.

LA SANTA MESSA.

VIII. Sulla Messa Cattolica abbiamo già da anni scritto tante volte, per cui qui ci limiteremo a ricordare le cose essenziali che un vero tenace Cattolico, cioè il Cattolico radicato nella fede della Chiesa di sempre, debba conoscere e ricordare attentamente per evitare le pene eterne dell’infero ed aspirare alla beatitudine senza fine. Il tutto ovviamente secondo il pensiero ed i Canoni della Chiesa Cattolica, attualmente sostituita da un baraccone posticcio di cui rimane solo una facciata logora e sfigurata che solo può attrarre chi non abbia mai conosciuto, né voglia conoscere, la meravigliosa realtà della Chiesa fondata dall’Uomo-Dio ed affidata al suo Vicario, capo in terra, il successore del Principe degli Apostoli, il vero Papa, riconoscibile non dalla talare bianca, ma dalla infallibilità nella fede e nella morale gelosamente custodita nel deposito della fede che racchiude l’insegnamento di  Cristo e dei suoi Apostoli e successori. Cominciamo col dire cosa sia la Messa cattolica: essa è essenzialmente il rinnovo del Sacrificio di Cristo sulla croce, offerto in modo non cruento sull’altare a Dio Padre per riscattare gli uomini dai peccati e riconciliarli col Padre onde permetterne la vita dello spirito e quindi l’ingresso nel regno dei Cieli. La sua frequentazione, per chi ne abbia possibilità, è obbligo di precetto ecclesiastico nella Domenica ed in tutte le feste liturgiche comandate. Ora dobbiamo riflettere sul fatto che la Messa, che nella sua essenza, ripete le parole e gli atti dell’ultima cena di Gesù, sia stata regolamentata infallibilmente ed irreformabilmente dal Concilio di Trento (Sess. IV) e messa “nero su bianco” da un santo Pontefice canonizzato, cioè da Papa S. Pio V in una celeberrima bolla, “Quo primum” del 1570, ulteriormente approvata da altri suoi successori e celebrata da sempre in tutto l’orbe cattolico. È chiaro che, secondo dottrina, nessuno possa abrogare una legge o definizione di un Papa autentico, un po’ come se lo Spirito Santo che dirige le azioni del Sommo Pontefice, cambiasse idea a seconda dei tempi o dei capricci degli uomini, cosa aberrante solo a pensarlo. E allora si chiederanno molti, come è stato possibile introdurre un “papocchio” liturgico composto da un massone 33° ed approvato da un Illuminato di Baviera? La risposta è già contenuta nella domanda così come posta: solo un impostore, un falso pontefice poteva modificare ciò che fosse stato stabilito infallibilmente da un Concilio ecumenico e da un vero Papa. Sappiamo infatti, come don Luigi Villa, sollecitato da padre Pio da Pietralcina ed incaricato da S.S. Pio XII, abbia documentato questa impostura, anche se non è l’unico, e noi più volte l’abbiamo riportato. A parte l’uso della lingua volgare, riprovato dal Concilio tridentino e tutte le preghiere e gli atti liturgici modificati (chi ci segue ricorderà gli articoli su questo blog che commentavano le osservazioni dei Cardinali Ottaviani e Bacci alla nuova pseudo-messa, e che qui non è il caso di riprendere). Solo vogliamo segnalare due fatti “illuminanti”. In primo luogo, la “messa modernista” viene offerta al “signore dell’universo” che, sempre in precedenza, abbiamo spiegato essere il baphomet-lucifero adorato nelle logge massoniche di alto livello. Da questo punto di vista il rito si configura come un’agape rosa+croce (18° livello della Massoneria scozzese A. A.) durante la quale un agnello vivo (figura di Cristo crocifisso) inchiodato e coronato di spine, viene decapitato ed immolato al demonio. Quindi il povero pseudo-fedele, che pensa di onorare e rendere culto al vero Dio-trino, in realtà rende culto a satana e reca offesa gravissima a Dio Padre e al S. N. Gesù Cristo, riportando in luogo della grazia divina, la disgrazia infernale.. Ci fermiamo qui su questo punto già sufficientemente illustrato in altri articoli del blog. – Il secondo punto che vogliamo toccare qui, riguarda la formula di consacrazione del pane e del vino transustanziato – nella vera Messa – nel vero Corpo e Sangue di Cristo. Qui la formula vera riporta le parole di Cristo pronunciate nell’ultima cena; ad un certo punto Gesù dice … bevete il mio sangue offerto in sacrificio, versato per voi e per molti (pro multis, in S. Matteo XXVI, 28); questa è la versione biblica riportata fedelmente nel Canone della Messa cattolica. Nella messa farlocca invece c’è … versato per voi e per tutti… Sembra una inezia a prima vista, ma dire “per molti” e “per tutti”, cambia completamente la prospettiva dell’opera della divina Redenzione. Dire “per molti”, vuol dire essersi immolato per coloro che, partecipando al Corpo mistico di Cristo, cioè la Chiesa Cattolica, lo riconoscono come vero Dio e Redentore, e sono nella sua grazia. Dire invece “per tutti” significa che la redenzione di Cristo è operata indifferentemente per i credenti e per i miscredenti, gli infedeli, gli atei, gli increduli, i pagani, gli empi, etc. il che ovviamente è una proposizione eretica, offensiva per l’opera di Cristo e della sua Chiesa, offensiva per le orecchie pie, lesiva per i diritti di Dio e per l’azione dello Spirito Santo, in breve: un vero e proprio abominio anticattolico. Quindi, anche a voler prescindere da altre considerazioni liturgiche o dottrinali pur giustissime, questa modifica del Canone rende totalmente invalida la transustanziazione. C’è poi da considerare che una vera Messa debba essere celebrata da un Sacerdote con missione canonica concessa da un vero Vescovo con giurisdizione comunicata dal vero Santo Padre, cioè attualmente il successore di Gregorio XVII, Giuseppe Siri, Papa impedito come il suo successore eletto dal 1991. Ed allora la domanda … sorge spontanea: come fare per assolvere al precetto domenicale ed ottenere la grazia che il Sacramento e la partecipazione alla Messa possono dare? Ci affidiamo, come sempre al Catechismo cattolico (tipo S. Pio X, o del Cardinal Gasparri, o Spirago, S. Pietro Canisio, ecc.ecc.). Qui la risposta è chiara, nel senso che dobbiamo partecipare ad una Messa sicuramente cattolica, approvata da una vera Autorità ecclesiastica ed officiata da un vero Sacerdote con le caratteristiche su riportare. Se questo non sia possibile o richiederebbe l’esporsi a pericoli o danni per la vita o la salute (viaggi lunghi e pericolosi, etc.) se in buona fede, si è dispensati dall’obbligo della presenza fisica in Chiesa, fermo restando l’obbligo di santificare il giorno di festa (3° Comandamento) con la preghiera, lo studio della dottrina, le opere di misericordia e potendo, leggendo la Messa con omelie relative di autori approvati antecedenti al 1958. Oggi il vero Cattolico si “arrangia” così con il desiderio ardente di poter partecipare ad un vero Sacrificio offerto al Deus Sabaoth… l’opposto del suo e nostro nemico, il demoniaco “signore dell’universo”. Si salvi chi vuole!

Si ringrazia il prof. A. Morgillo, direttore del mensile “Valle di Suessola” che ci ha consentito di riprodurre articoli tratti dal giornale da lui diretto.

LA CHIESA ECLISSATA ED I SACRAMENTI (1)

LA CHIESA ECLISSATA ED I SACRAMENTI (1)

LA CHIESA ECLISSATA ED I SACRAMENTI (1)

La domanda più frequente che i presunti cattolici aderenti alle sette scismatiche ed eretiche del Novus ordo modernista o delle cappelline pseudotradizionaliste che usano falsi chierici con la mascherina della Messa antica, è proprio questa: come facciamo allora con i Sacramenti ed il Sacrificio della Messa che ci viene comandato come precetto delle domeniche e dei giorni festive? Questa domanda deriva ovviamente dalla ignoranza della dottrina cattolica e dall’indottrinamento dei falsi chierici che sotto la parvenza della scienza teologica, occultano i punti che potrebbero illuminare i loro fedeli e portarli a lasciare le sette che frequentano. La Chiesa ha previsto sia i tempi in cui potesse esprimersi liberamente a livello morale e liturgico, ed i tempi di “eclissi” in cui la Chiesa sarebbe stata relegata in spazi angusti, catacombe o sotterranei, come è successo tante volte nel passato quando è stata perseguitata dalla barbarie musulmana, degli eretici protestanti o degli sc0ismatici sedicenti ortodossi orientali. Gesù Cristo ha promesso la salvezza a tutti gli uomini, specie per i perseguitati a motivo della confessione del suo Nome e della sua dottrina. Cominciamo a mo’ d’esempio con l’Angelico dottore il quale ci faceva già partecipi di una verità consolante per i nostri tempi in cui la sinagoga di satana si è insediata dei sacri palazzi fingendo di essere la Chiesa di Cristo:

L’UNIONE CON IL SOMMO PONTEFICE (quello canonicamente eletto in un vero e valido Conclave con Cardinali nominati dalla “vera” ed unica Autorità Apostolica, cioè il vero Papa!), è “condicio sine qua non” per l’ETERNA SALVEZZA DELL’ANIMA.

“Chi aderisce ad un falso [o finto usurpante] Papa, diceva già S. Cipriano, è assolutamente fuori dalla Chiesa Cattolica – quindi sulla via della dannazione – come pure gli scismatici senza giurisdizione o missione con i loro settari, che sacrilegamente amministrano falsi sacramenti e false messe senza l’ “una cum Papa nostro …”, l’unico garante della fede, dei Sacramenti e delle azioni liturgiche, e senza il quale, tutto il resto risulta inutile, anzi sacrilegio degno di riprovazione e condanna eterna. Ma sentiamo come si esprime la Dottrina immutabile e perenne della Chiesa Cattolica, per bocca del suo massimo teologo, l’Angelo della scuola, San Tommaso d’Aquino:

(T. Pégues, O. P.: LA SOMMA TEOLOGICA di S. Tommaso D’Aquino In forma di Catechismo per tutti i fedeli; (trad. aut. A. Romani) – ROMA, Marietti, 1922 p. 452, Impr .,). Sull’importanza vitale dell’essere in unione con la Giurisdizione papale onde  ricevere la grazia soprannaturale:

D. Perché questo potere supremo nell’ordine della Giurisdizione appartiene al Sovrano Pontefice?
R. Perché la perfetta unità della Chiesa esige che questo potere supremo appartenga a lui solo. Per questo motivo Gesù Cristo ha incaricato Simon Pietro di nutrire il suo gregge; e il Romano Pontefice è l’unico e solo legittimo successore di San Pietro fino alla fine dei tempi (XL. 6).

D. È quindi dal Sovrano Pontefice che dipende l’unione di ogni uomo con Gesù Cristo attraverso i Sacramenti, e di conseguenza la sua vita soprannaturale e la sua salvezza eterna?
R. ; poiché sebbene sia vero che la grazia di Gesù Cristo non dipende in modo assoluto dalla ricezione dei Sacramenti stessi quando è impossibile riceverli, almeno nel caso degli adulti e che l’azione dello Spirito Santo possa integrare questo difetto purché la persona non sia in malafede; è, d’altra parte, assolutamente certo che nessuno che si separi consapevolmente dalla comunione con il Sovrano Pontefice, possa partecipare alla grazia di Gesù Cristo, e che di conseguenza …

se muore in quello stato si perde irrimediabilmente “.

Questa sentenza la Chiesa l’ha ribadita costantemente in forma magisteriale a cominciare dalla Bolla di SS. Bonifacio VIII “Unam sanctam” e più recentemente nell’ultimo Concilio Ecumenico vaticano (1870) nella Costituzione dogmatica Pastor Æternus. Quindi, la salvezza nei casi di impossibilità nella ricezione di Sacramenti validi e leciti, amministrati da Sacerdoti con Giurisdizione e missione canonica, una cum il Santo Padre Vicario di Cristo, passa per altre vie secondo l’azione dello Spirito Santo santificatore. Tutto ciò che viene fatto fuori da questa regola dottrinale elementare è sacrilego, blasfemo e non apporta minimamente neppure un briciolo di grazia.

Altra bella e consolante – per gli “eclissati” – sentenza della Chiesa è la seguente data dal S.Officio nel 1949, alla vigilia cioè dell’istituzione dell’antichiesa col colpo di Stato nel Conclave del 26 ottobre del 1958:

Alla CHIESA CATTOLICA appartiene colui che, lasciata qualsiasi setta eretica e scismatica, sia battezzato ed abbia esplicito desiderio di appartenervi, pur non potendolo materialmente. Riportiamo il testo originale in latino così da controllare possibili errori della traduzione fatta in italiano. (i numeri posti in capo alle sentenze sono quelli del Denzinger.- S., XXXVI Ed.)

Lettera del Santo-Officio all’Arcivescovo di Boston, 8 agosto 1949.

[Ed: AmER 127 (1952, Oct.) 308ss.]

De necessitate Ecclesiæ ad salutem

[La necessità della Chiesa per la salvezza.]

3866 …. Inter ea autem, quæ semper Ecclesia prædicavit et prædicare numquam desinet illud quoque infallibile effatum continetur, quo edocemur « extra Ecclesiam nullam esse salutem ». Est tamen hoc dogma intelligendum eo sensu, quo id intelligit Ecclesia ipsa. Non enim privatis iudiciis explicanda dedit Salvator noster ea, quæ in fidei deposito continentur, sed ecclesiastico magisterio.

3867 – Et primum quidem Ecclesia docet, hac in re agi de severissimo præcepto Iesu Christi. Ipse enim expressis verbis Apostolis suis imposuit, ut docerent omnes gentes, servare omnia quæ ipse mandaverat. Inter mandata autem Christi non minimum locum illud occupat, quo baptismo iubemur incorporari in Corpus mysticum Christi, quod est Ecclesia, et adhærere Christo eiusque vicario, per quem ipse in terra modo visibili gubernat Ecclesiam. Quare nemo salvabitur, qui sciens Ecclesiam a Christo divinitus fuisse institutam, tamen Ecclesiæ sese subiicere renuit vel Romano Pontifici, Christi in terris vicario denegat obœdientiam.

3868 Neque enim in præcepto tantummodo dedit Salvator, ut omnes  gentes intrarent Ecclesiam, sed statuit quoque Ecclesiam medium esse salutis, sine quo nemo intrare valeat regnum gloriæ caelestis.

3869Infinita sua misericordia Deus voluit, ut illorum auxiliorum salutis,  quæ divina sola institutione, non vero intrinseca necessitate, ad finem ultimum ordinantur, tunc quoque certis in adiunctis effectus ad salutem necessarii obtineri valeant, ubi voto solummodo vel desiderio adhibeantur. Quod in sacrosancto Tridentino Concilio claris verbis enuntiatum videmus tum de sacramento regenerationis tum de sacramento pænitentiæ [*1524 1543].

3870 Idem autem suo modo dici debet de Ecclesia, quatenus generale ipsa  auxilium salutis est. Quandoquidem ut quis æternam obtineat salutem, non semper exigitur, ut reapse Ecclesiæ tamquam membrum incorporetur, sed id saltem requiritur, ut eidem voto et desiderio adhæreat. Hoc tamen votum non semper explicitum sit oportet, prout accidit in catechumenis, sed ubi homo invincibili ignorantia laborat, Deus quoque implicitum votum acceptat, tali nomine nuncupatum, quia illud in eà bona animae dispositione continetur, qua homo voluntatem suam Dei voluntati conformem velit.

3871 Quæ dare docentur in [Pii XII Litt. encycl.] . . . De mystico Iesu Christi Corpore. In iisdem enim Summus Pontifex nitide distinguit inter eos, qui re Ecclesiæ tamquam membra incorporantur, atque eos, qui voto tantum modo Ecclesiæ adhærent …. « In Ecclesiæ autem membris reapse ii soli adnumerandi sunt, qui regenerationis lavacrum receperunt veramque fidem profitentur neque a Corporis compage semet ipsos misere separaverunt vel, ob gravissima admissa, a legitima auctoritate seiuncti sunt » [*3802]. Circa finem autem earundem Litterarum encyclicarum, amantissimo animo eos ad unitatem invitans, qui ad Ecclesiæ catholicæ compagem non pertinent, illos commemorat, « qui inscio quodam desiderio ac voto ad Mysticum Redemptoris Corpus ordinentur », quos minime a salute æterna excludit, ex altera tamen parte in tali statu versari asserit, « in quo de sempiterna cuiusque propria salute securi esse non possunt… quandoquidem tot tantisque cælestibus muneribus adiumentis carent, quibus in catholica solummodo Ecclesia fruì licet » [3821].

3872 – Quibus verbis providentibus tam eos reprobat, qui omnes solo voto  implicito Ecclesiæ adhærentes a salute æterna excludunt, quam eos, qui falso asserunt, homines in omni religione aequaliter salvari posse [cf. *2806 2865]. Neque etiam putandum est, quodcumque votum ecclesiæ ingrediendæ sufficere, ut homo salvetur. Requiritur enim, ut votum, quo quis ad Ecclesiam ordinetur, perfecta caritate informetur; nec votum implicitum effectum habere potest, nisi homo fidem habeat supernaturalem [Alìegatur Hebr XI, 6 et Conc. Trid., sess. VI c. 8: *I532].

——

3866 – …. Or tra le cose che la Chiesa ha sempre predicato e non cesserà mai di predicare, si trova ugualmente questa affermazione infallibile che ci insegna che « Fuor dalla Chiesa, non c’è salvezza ». Questo dogma deve tuttavia essere compreso nel senso in cui la Chiesa stesso lo comprende. In effetti non è al giudizio privato che il Signore ha affidato la spiegazione delle cose contenute nel deposito della fede, ma al Magistero della Chiesa.

3867 – In primo luogo, la Chiesa insegna che in tal questione si tratta di un comandamento in senso stretto di Gesù Cristo. Egli ha, in effetti, imposto espressamente ai suoi Apostoli di insegnare a tutte le Nazioni ad osservare tutto quel che aveva ordinato. Tra i comandamenti del Cristo, ed esso non è il minore, c’è quello che ci ordina di essere incorporati con il Battesimo nel Corpo mistico del Cristo, che è la Chiesa, e di restar uniti al Cristo ed al suo Vicario attraverso il quale governa Egli stesso in modo visibile la sua Chiesa sulla terra. Ecco perché, nessuno sarà salvato se, sapendo che la Chiesa sia stata divinamente istituita dal Cristo, non accetti tuttavia di sottomettersi alla Chiesa, o rifiuti l’obbedienza al Pontefice Romano, vicario di Cristo sulla terra.

3868 – Ora il Salvatore non ha solamente ordinato che tutti i popoli entrino nella Chiesa, ma ha deciso anche che la Chiesa fosse il mezzo di salvezza, senza il quale nessuno possa entrare nel Regno della gloria celeste.

3869 – Nella sua infinita Misericordia, Dio ha voluto che gli effetti necessari per essere salvati, di questi mezzi di salvezza che sono ordinati al fine ultimo dell’uomo, non per necessità intrinseca ma unicamente per istituzione divina, possano essere ottenuti in certe circostanze, quando questi mezzi non siano messi in opera che per desiderio o voto. Noi vediamo questo chiaramente enunciato nel Sacrosanto Concilio di Trento rispetto sia al Sacramento della Rigenerazione, sia al Sacramento della Penitenza. (D. 1524, 1543)

3870 – Lo stesso va detto, a suo modo, della Chiesa come mezzo generale di salvezza. Infatti perché qualcuno ottenga la salvezza eterna, non sempre è necessario che uno sia effettivamente incorporato nella Chiesa come membro, ma è almeno necessario che sia unito a lei con il voto e il desiderio. Tuttavia, non è sempre necessario che questo voto sia esplicito, come avviene tra i catecumeni, ma quando l’uomo è vittima di un’invincibile ignoranza, Dio accetta anche un voto implicito, così chiamato perché è incluso nella buona disposizione d’animo con cui l’uomo vuole conformare la sua volontà alla volontà di Dio.

3871 – Questo è il chiaro insegnamento dell’enciclica di Pio XII (Mystici corporis) sul Corpo Mistico di Gesù Cristo. In essa il Sommo Pontefice distingue chiaramente tra coloro che sono veramente incorporati nella Chiesa come suoi membri e coloro che sono uniti alla Chiesa solo dal voto… « … Ma solo coloro che hanno ricevuto il battesimo della rigenerazione e professino la vera fede, e che, d’altra parte, non si siano miseramente auto-separati dall’insieme del Corpo, o non ne siano stati tagliati fuori per gravissime colpe dalla legittima autorità, (per eresia, scisma, apostasia) sono veramente membri della Chiesa » (D. S. 3802). Verso la fine della stessa Enciclica, però, invitando molto affettuosamente all’unità coloro che non appartengono al Corpo della Chiesa cattolica, egli menziona « coloro che, per un certo inconscio desiderio e voto, si trovano ordinati al Corpo mistico del Redentore », che non esclude in alcun modo dalla salvezza eterna, ma di cui, d’altra parte, dice di essere in uno stato « in cui nessuno può essere sicuro della sua salvezza eterna…. poiché sono privati di così tanti e di così grandi e celesti aiuti e favori, di cui si può godere solo nella Chiesa cattolica » (D. S. 3821).

3872 – Con queste sagge parole egli condanna sia coloro che escludono dalla salvezza eterna tutti gli uomini che sono uniti alla Chiesa dal solo voto implicito, sia coloro che affermano falsamente che gli uomini possono essere salvati anche in una qualsiasi religione (2865).

Né si deve pensare che qualsiasi tipo di desiderio di entrare nella Chiesa sia sufficiente per essere salvati. Perché è necessario che il voto che ordina qualcuno alla Chiesa sia animato da una perfetta carità. Il voto implicito può avere effetto solo se l’uomo ha una fede soprannaturale. (Ebrei XI: 6; Concilio di Trento, VI\VIII ss. Cap. 8).

Questo documento Ecclesiastico irreformabile ed infallibile (come tutto il Magistero Ordinario ed Universale della Chiesa, al quale siamo obbligati a dare il nostro assenso, pena scomunica, secondo la lettera Enciclica « Satis Cognitum » di S. S. Leone XIII), giunge a conferma della dottrina tomistica di San Tommaso d’Aquino sulla grazia fornita dallo Spirito Santo a coloro che, pur non avendo la possibilità di accedere a veri Sacramenti, o al Santo Sacrificio validamente celebrato da Sacerdoti canonicamente consacrati, siano battezzati osservanti la Dottrina Cattolica, in unità con il “vero” Sommo Pontefice seppure di desiderio, unica condizione – una volta lasciata la setta di appartenenza – per ottenere l’eterna salvezza.
Fuori dalla Chiesa Cattolica, cioè fuori dalla salvezza eterna, vi sono quindi:

1- Tutte le sette protestanti: luterane, anglicane, calviniste, ortodosse sec. Fozio, monotelite, monofisite, etc. …

2- La setta degli eretici e scismatici modernisti (il modernismo è la somma di tutte le eresie, secondo la sentenza di S. Pio X nella sua magistrale e magisteriale Enciclica “Pascendi” del Novus Ordo dell’attuale colle Vaticano – la “sinagoga di satana” inneggiante al signore dell’universo, il baphomet-lucifero delle logge massoniche – conformi alle eresie del conciliabolo c. d. Vaticano II (Concilio scomunicato con largo anticipo dalla bolla Execrabilis di Papa Pio II, Piccolomini);  sono qui compresi i secolari e tutti i religiosi degli ordini un tempo Cattolici, oggi “novusordisti”.

3 – I sedicenti tradizionalisti, supporter eretici del papa eretico – a loro dire -, la setta paramassonica-kadosh dei falsi chierici invalidi e sacrileghi, i c. d. lienart-lefebvriani di Ecône-Sion;

4- Tutte le sette pseudo-tradizionaliste degli eretici e scismatici sedevacantisti di Occidente e d’Oriente, parto distocico dell’ultima ora di satana che cominciava a capire che qualcosa non aveva funzionato nei suoi piani vacillanti e scricchiolanti, ed ha cercato di metterci una “pezza a colore”. .. ma si sa che il diavolo fa le pentole ma dimentica – per fortuna dei “veri” Cattolici – i coperchi … Questo documento sia dunque per loro, monito onde abbandonare senza indugi la setta infernale di appartenenza e confluire in massa, almeno con desiderio o voto esplicito, nella Chiesa Cattolica guidata dal suo Sommo Pontefice Romano, ovunque si trovi, prigioniero o nascosto! (Il Cristo ce lo ha promesso – solennemente – con noi fino all’ultimo giorno! … e pure la Pastor Aeternus).

       Fatta questa debita premessa, passiamo e valutare i Singoli Sacramenti istituiti da Cristo e come, almeno per una parte di essi, si possano ricevere senza un Sacerdote con giurisdizione e missione canonica, o come si possa in qualche modo supplire alla grazia sacramentale specifica da essi apportata.

BATTESIMO.

I. Cominciamo ovviamente con Santo Battesimo, il Sacramento che ci apre la via della salvezza, dandoci la grazia santificante, le virtù ed i santi Doni, donandoci la nuova vita soprannaturale con l’inabitazione del Spirito Santo in noi e la filiazione a Dio come figli adottivi.

I. In casi straordinari, il Battesimo può essere conferito da chiunque.

    Negli scritti magisteriali pubblicati incessantemente su questo blog, sono state evidenziate numerose sentenze ufficiali della santa Chiesa Cattolica che rendono espressamente ed incontestabilmente chiaro il danno prodotto alla Chiesa di Cristo – la Chiesa  Cattolica romana – dal conciliabolo cosiddetto Vaticano II e dagli antipapi succeduti  al Santo Padre Pio XII, ultimo Pontefice romano che abbia legittimamente e  liberamente occupato il seggio di San Pietro, vale a dire del Vicario di N. S. Gesù  Cristo, fedele custode della dottrina apostolica e Capo di tutta la gerarchia ecclesiastica e dei fedeli di Cristo. Abbiamo pure dimostrato come dal 26 ottobre del 1958, tutti i documenti approvati da falsi pontefici usurpanti, non abbiano alcuna validità canonica, ma siano al contrario sacrileghi ed in molti casi blasfemi, tali da  configurare un vero “ribaltone” della dottrina, della liturgia e dell’intera economia  della grazia. In particolare, abbiamo dimostrato, con documenti ineccepibili ed irreformabili prodotti dai canoni ecclesiastici, come le ordinazioni dei “vescovi” siano totalmente invalide a partire dal 18 giugno del 1968, data dell’entrata in vigore del falso pontificale romano dell’antipapa G. B. Montini (alias il sedicente Paolo VI).  Recentemente poi abbiamo dimostrato come gli ordini sacerdotali siano totalmente invalidi per difetto di forma ed intenzione secondo i canoni del Concilio di Trento, del Codice canonico pio-benedettino del 1917, della Costituzione apostolica Sacramentum Ordinis di S.S. Pio XII [A.A.S., vol. XL (1948), n. 1-2, pp. 5-7], per cui in pratica tutti i sacramenti  amministrati dalla antichiesa m del c. d.  novus ordo (la setta vaticana insediata dal 1958),  sono invalidi o quanto meno illeciti  [se  amministrati da vegliardi Sacerdoti e Vescovi validamente ordinati prima del 1968,  ma aderenti alla setta acattolica ubiquitaria e dominante summenzionata]. Ai nostri scritti, ovviamente, nessuno ha potuto opporre la benché minima osservazione, al netto di offese, derisioni, disprezzo. In realtà non si tratta di offendere un misero scribacchino “farneticante” , ma la dottrina bimillenaria della Chiesa e l’intero Magistero pontificio, per cui, i giovani pseudo preti non hanno argomenti per ribattere, date la loro scadentissima preparazione dogmatica e per quanto riguarda il  diritto canonico, mentre i “volponi”, i grassi Sacerdoti stagionati, prudentemente si  sono rinchiusi in un mutismo secondo l’aforisma del profeta Isaia come … “cani muti”, anche per non perdere prebende e pensioni – A questo punto, finalmente, sembra che alcune persone si siano svegliate dal  sonno illusorio in cui si erano assopiti, scossi dal torpore della narcosi spirituale in cui erano stati sprofondati dagli “anestesisti” dell’anima, i modernisti diretti da antipapi provenienti dalle “logge” e da pseudoprelati “illuminati”, ed abbiano cominciato a chiedersi con dubbio legittimo, se i loro sacramenti, ricevuti da laici  mascherati, siano validi e leciti, e nel caso non lo siano come riceverli per sé e per i propri cari. Essendoci giunte alcune richieste in merito da nostri attenti lettori  allarmati dalle argomentazioni e dai documenti ufficiali riportati, vogliamo a questo punto  occuparci di questo importantissimo argomento che interessa la vita dell’anima e le  nostre possibilità di salvezza, secondo la retta dottrina cattolica insegnata da due millenni da Gesù Cristo, dagli Apostoli, dai Padri e dai dottori della Chiesa, dai teologici riconosciuti ed approvati e dal Magistero pontificio e conciliare.- Innanzitutto possiamo tranquillizzarci osservando come la Chiesa abbia previsto l’evenienza di una propria “eclissi” (chiaramente prevista a La Salette nel 1946 dalla Vergine Maria) o inattività in tempi o in determinate aree geografiche, dando la possibilità ai fedeli impediti di accedere ai mezzi della grazia santificante, mediante la preghiera indulgenziata o alcuni sacramenti, tra i quali  hanno assoluta preminenza i cosiddetti “ Sacramenti dei morti ”, di quei sacramenti  cioè che permettono ai  morti spirituali  di avere o recuperare la grazia abituale, in  modo da consentire un retto cammino sulla via della salvezza. Essendo l’argomento  di capitale interesse, vogliamo focalizzare l’attenzione su di un singolo Sacramento per volta, citando come al nostro solito i canoni ed i documenti  cclesiastici come  sono consultabili nei volumi od opere citate e che fanno parte della dottrina dogmatica, teologica o morale ufficiale, approvata dalle Autorità validamente riconosciute. Iniziamo ovviamente dal Battesimo, Sacramento istituito da Gesù Cristo in persona con un comando perentorio impartito ai suoi Apostoli nel momento in cui li mandava ad evangelizzare i popoli presso i quali stavano per recarsi ad annunciare la buona novella. Il Battesimo è Sacramento essenziale nella vita cristiana, il Sacramento che trasforma l’anima umana in un’anima capace di divinizzarsi e divinizzare alla Resurrezione i corpi a cui è legata, per l’azione della grazia e dello Spirito Santo che ne vengono a prendere possesso rendendo il battezzando “figlio adottivo di Dio” per partecipazione ed incorporandolo nel Corpo mistico di Cristo. Su questo Divino Sacramento ci sono volumi interi di teologia dogmatica, morale, ascetica che ne spiegano l’importanza esclusiva ed il privilegio infinito che investe chi ne beneficia, e rimandiamo ad essi per un approfondimento salutare e la esatta comprensione della natura e della trasformazione che opera nel rendere l’anima recettiva della grazia in terra e della gloria in cielo. Qui a noi interessa il dato essenziale pratico, che la Chiesa abbia reso questo Sacramente accessibile a tutti in tutti i tempi ed in tutti i luoghi. Se non c’è un Sacerdote o Prelato cattolico validamente consacrato, con missione canonica conferita da un Vescovo valido con Giurisdizione ed “ una cum ” il Pontefice regnante (ai nostri tempi Gregorio XVIII o successore della linea Siri), la Chiesa permette il rito straordinario , come  viene ad esempio descritto nel trattato di Teologia dogmatica di B. Bartmann, vol. III, IV ed., Ed. Paoline, con nihil obstat  ed imprimaturdel 19 luglio 1957. Nel III volume, come dicevamo, leggiamo a pag. 103 e segg.: § 170 Ministro e soggetto del Battesimo.  Ministro ordinario del Battesimo è il Sacerdote avente Missione dal Vescovo; ministro straordinario, in caso di necessità, può essere qualsiasi persona umana.

Spiegazione. Eugenio IV dichiara nel suo decreto per gli Armeni: « Ministro di  questo sacramento è il Sacerdote cui compete per ufficio di battezzare. In caso di necessità, però, non solo il Sacerdote o diacono, ma anche il laico, uomo o donna, anzi il pagano e l’eretico può battezzare, purché osservi la forma prescritta ed abbia intenzione di fare ciò che fa la Chiesa (Denz. 696). Il IV Concilio Lateranense dice in modo affatto generale che il Battesimo da chiunque amministrato, purché nei debiti modi, è sempre valido (Denz. 430). Finalmente il Concilio di Trento ha ancora una volta definito l’antica dottrina della validità del Battesimo degli eretici (s. 7 de Bapt., can. 4, Denz. 860). Gli spazi ristretti non ci consentono di procedere oltre, ma penso che la questione sia fin troppo chiara: in casi straordinari, quando cioè non abbiamo la possibilità di ricorrere ad un “vero” e sicuro prete cattolico scartando i  Probabili (oggi sicuramente improbabili, anzi certamente falsi) del novus ordo o delle sette sedevacantiste o lefebvriane dei sedicenti tradizionalisti (secondo la sentenza del 4 marzo 1679 di S.S. Innocenzo  XI, in Denz. 1151: “Non è lecito nel conferire sacramenti seguire un parere probabile per quanto riguarda il valore del sacramento, abbandonando il parere più sicuro … pertanto non si dovrebbe fare uso di pareri probabili nel conferimento di Battesimo degli ordini sacerdotali ed episcopali”. Quindi, tranquilli, lettori carissimi, possiamo avere grazia santificante, figliolanza adottiva di Dio, Doni dello Spirito Santo, virtù teologali e cardinali, oltre all’inabitazione dello Spirito Santo in noi, anche con il Battesimo conferito da un laico, addirittura anche un eretico, purché si usi la forma –  la formula prescritta –, la materia, cioè l’acqua, e l’intenzione secondo la Chiesa Cattolica. Penso che l’argomento sia chiaro restando in attesa di eventuali chiarimenti, delucidazioni e ulteriori documenti, di cui la santa dottrina della santa  Madre Chiesa è stracolma. La formula è: «  Ego te baptizo in nomine Patris, et Filii,  et Spiritus Sancti, amen . » Nel contempo si versa l’acqua sul capo del battezzando, tracciando tre segni di croce e facendola scorrere in avanti verso la fronte. –

PENITENZA O CONFESSIONE

        II. Dopo il Battesimo, il Sacramento più importante per riacquistare la grazia perduta per aver commesso un peccato mortale, è la Penitenza o Confessione, Sacramento che, ben ricevuto con le dovute predisposizioni, ci ridona la figliolanza divina con il diritto alla sua eredità con le virtù ed i Doni, e la presenza nell’anima dello Spirito Santo, e con esso la Santissima Trinità. Essa nella pratica, si compone di tre momenti, la contrizione, la confessione, la penitenza. Ministro ordinario è il Vescovo o un  Sacerdote con potestà d’ordine e Giurisdizione (ad esempio il parroco – sottolineiamo che senza giurisdizione conferita dell’Ordinario del luogo, a sua volta in comunione col Sommo Pontefice romano [il vero] il Sacerdote, pur validamente ordinato, non è abilitato alla Confessione che resta perciò invalida e come non fatta). Condizione essenziale per ottenere il perdono delle proprie colpe è il dolore dei propri peccati, che teologicamente si distingue in Contrizione ed Attrizione.  Attrizione, o contrizione imperfetta, è semplicemente il dolore per aver commesso un grave peccato, o per aver  perso la possibilità di entrare in Paradiso ed aver meritato l’inferno con le pene eterne.  Contrizione perfetta, invece, è il dolore per aver offeso Dio nella sua Maestà,  Giustizia e Divinità, offesa infinita che richiede un dolore: interiore, soprannaturale,  sovrano, universale, cioè il dolore della più grave sventura della nostra vita, estesa ad  ogni nostro peccato mortale, e la detestazione del peccato commesso, col proposito di non peccare più in avvenire e fuggirne le occasioni prossime. Poiché nessuno potrà mai essere certo della sua perfetta contrizione, la Chiesa Cattolica richiede almeno l’attrizione unita alla Confessione sacramentale che supplirebbe così alla temuta imperfezione. I peccati mortali vanno confessati singolarmente riferendo ogni circostanza aggravante o che ne muti la specie, mentre i peccati veniali non devono necessariamente confessarsi, anche se sia lecito confessarli per accrescere il dolore delle proprie offese a Dio, Padre Creatore, Figlio Redentore, Spirito Santo santificatore. Tutte queste peculiarità sono state da sempre ritenute dalla Chiesa Cattolica, e sono state definite e fissate dogmaticamente dalla XIV Sessione del Sacrosanto Concilio di Trento. Quindi i fedeli della Chiesa  eclissata, cioè la vera unica Chiesa di Cristo oggi nelle catacombe, o portata nel deserto, come ben mostrato nel capitolo XII dell’Apocalisse, annunziata per i nostri tempi nell’apparizione della Vergine Santissima a La Salette nel 1846, e da diverse  visioni di veggenti Cattolici approvati, in diversi secoli, si chiedono come sia possibile riacquistare la grazia e tutte le prerogative perse con il commettere un peccato mortale, che ci taglia dal cammino verso la salvezza e l’eterna beatitudine,  spalancandoci le porte dello stagno di fuoco eterno. Ma il Signore, ovviamente, aveva  già “sistemato” la faccenda con largo anticipo, quando già nel 22 febbraio 1482 suggeriva al Sommo Pontefice Martino Quinto, la celebre bolla, contro l’eretico Wicleff: “ Inter cunctas ” tra le cui preposizioni, al numero 20, si sottolineava che un  Cristiano è tenuto, per essere necessariamente salvato, oltre alla contrizione del suo cuore [condizione assoluta  sine qua non], quando può trovare un sacerdote  qualificato (Sacerdotis idonei), a confessarsi solamente da un Sacerdote, e non da un  laico o laici, sebbene buoni o pii quanto mai (Denz.- Schon. 1260). Per la giustificazione, dopo il Battesimo, la prassi consolidata della Chiesa, è quindi la Contrizione perfetta, da chiedere come grazia a Dio con un atto di contrizione perfetto pubblicato con debito imprimatur, chiedendo la grazia delle lacrime per i propri peccati. Naturalmente la ricerca dei peccati viene fatta dopo un attento studio  della Dottrina cristiana e della propria coscienza … come può uno confessarsi se per trascuranza non conosce i peccati numerati dalla Chiesa, ad esempio i peccati contro i Comandamenti, in particolare gli ultimi due, che sono peccati solo di pensiero, i peccati contro i precetti della Chiesa, contro le Virtù teologali e cardinali, i peccati contro lo Spirito Santo, i peccati che gridano vendetta agli occhi di Dio, i peccati di omissione circa le opere di misericordia corporale e spirituale, i peccati capitali etc.. Utile sarebbe formare uno schema scritto, col quale esaminare la propria coscienza  alla luce della dottrina di sempre della Chiesa, che riporti pure le scomuniche più  solenni comminate dai Sommi Pontefici e dai Concilii ecumenici contro eresie e  difformità dottrinali o eterodossie. Fatto questo lavoro, si resterà sorpresi dalla enormità e dal numero delle proprie colpe se ben esaminate, accusate senza ritegno o attenuazioni, inquadrate nelle perverse dinamiche delle intenzioni. Subito dopo si passa alla detestazione dei peccati commessi e al dolore per avere offeso un Dio così buono che ci ha creato dal nulla dandoci la possibilità di essere suoi figli adottivi per mezzo  della redenzione di Gesù Cristo operata versando tutto il suo preziosissimo sangue. Non basta ancora, bisogna aggiungere il proposito serio e fermo di non più peccare, e soprattutto di evitare le occasioni prossime del peccato e possibilmente anche le remote, senza di che non è valida nessuna  Confessione, che al contrario sarebbe sacrilega ed aggiungerebbe anzi peccati gravissimi e difficilmente emendabili. Ultima condizione è il proposito esplicito di ricorrere alla Confessione sacramentale una volta reperito un Sacerdote cattolico con missione canonica e giurisdizione nominato da un vero Vescovo una cum il vero Sommo Pontefice Gregorio XVIII o successore della linea Siri. Se in buona fede operiamo tutto quanto la Chiesa ci comanda di fare quando non sia raggiungibile, siamo giustificati e rientriamo sulla “pista” della corsa verso la salvezza eterna. In articulo mortis (cioè in pericolo di morte imminente) si può ricorrere anche a Sacerdoti validamente consacrati fino al 18 giugno del 1968, anche se apostati e passati alla sinagoga infernale, l’antichiesa del Vaticano II, ma attenti! Occorre prudenza e grande preparazione dottrinale per non cadere nella trappola della finta “divina misericordia” che rende Nostro Signore ingiusto nel secondare ed approvare i capricci dei peccatori, facendo apparire inutile Redenzione, Sacramenti, Fede e Carità divina, e dulcis in fundo, come ultima beffa, li spedisce dritti all’inferno senza giustificazione. – Come più volte scritto e documentato con inoppugnabili documenti della Chiesa Cattolica “pre-modernista” (cioè l’unica vera Chiesa fondata da Gesù Cristo) il vero  Cattolico, una cum  la Sede Apostolica impedita ma realmente esistente, si trova oggi  nella impossibilità di praticare liberamente il retto culto dovuto a Dio essendo le strutture un tempo appartenenti alla Chiesa, invase dalla apostasia modernista, vero obbrobrio, d’altra parte concretamente visibile nel culto rasa+crociano definito nuova messa, o novus ordo missæ, che tutto è fuorché una Messa cattolica. In queste nuove “sinagoghe infernali”  si celebra un culto apparentemente cristiano (il demonio si sa è la scimmia di Dio e vuole ricevere il culto dovuto solo a Dio), ma assolutamente invalido e sacrilego,  da parte di pseudo-sacerdoti mai consacrati validamente, quindi, privi del sigillo sacerdotale impresso dallo Spirito Santo per mezzo dell’imposizione delle mani di un vero Vescovo, (cioè consacrato prima del 18 giugno 1968 come spiegato a suo tempo in una serie di articoli documentati e mai contestati e di cui parleremo ancora trattando del Sacramento dell’Ordine), e da qualche ultraottuagenario apostata che non ha mai compreso né le leggi della Chiesa, né il suo ruolo di agente in persona Christi. Questo significa, secondo le leggi canoniche della Chiesa (C. J. C. o codice pio-benedettino del 1917, l’unico valido perché facente parte di un documento ufficiale del Magistero, e perciò irreformabile ed eterno!) che tutto  quello che viene celebrato in queste pseudo-funzioni (o meglio FINZIONI), non ha alcuna validità né liceità, ergo: confessione invalida e sacrilega, comunione invalida e sacrilega con pane mai transustanziato per difetto di forma, intenzione, e perché operato da un laico “travestito” da prete. Ma la Chiesa, prevedendo possibile questa situazione che si è “evoluta” dal 1958 in poi, aveva già pensato a come ovviare alla mancanza di grazia sacramentale dei finti illeciti sacramenti.

COMUNIONE

III. Nel paragrafo precedente abbiamo parlato della Confessione, secondo i dettami del Sacrosanto Concilio Tridentino e del relativo Catechismo del Sacerdote (libro introvabile anche presso gli anziani Sacerdoti, ma che noi custodiamo gelosamente in cassaforte come perla dottrinale preziosissima), oggi parleremo della Comunione. Non è qui il caso di spiegare l’importanza centrale dell’Eucarestia nella vita del Cristiano e della Chiesa tutta, poiché mi illudo che i miei pochi lettori sappiano almeno a grandi linee di cosa si tratti. La Comunione sacramentale, Sacramento dei vivi, di coloro cioè che sono già in grazia, perché non contaminati dal peccato mortale, consiste nella transustanziazione del pane e del vino offerto durante la vera Messa cattolica definita da S.  Pio V, di cui non si poteva mutare nemmeno una parola, nel Corpo e nel Sangue di Cristo, che viene poi dato ai fedeli sotto una specie unica per aumentare la grazia e preservare dal peccato e da azioni indegne di un fedele di Cristo. La sua specificità è  indubbia, ma ecco che, nella impossibilità di ricevere l’Eucarestia validamente  consacrata direttamente in bocca dalla mano del Sacerdote che la porge, la Chiesa permette con gran frutto, la Comunione spirituale. Lasciamo la parola, noi che ne siamo indegni, ad uomini la cui santità è indiscussa e la dottrina purissima. Riportiamo per brevità le considerazioni di S. Leonardo di Porto Maurizio: « LA COMUNIONE SPIRITUALE,  Considerazioni di S. Leonardo da Porto Maurizio. » – “Coloro che non possono ricevere sacramentalmente il corpo del Signore, Lo possono  ricevere spiritualmente con gli atti di viva fede e fervente carità e con un grandissimo​ desiderio di unirsi a quel sommo Bene; in questa maniera ricevono il frutto di questo divin Sacramento.”  – La Comunione spirituale si può fare durante la Messa (la Messa di sempre, quella definita da S. Pio V, come riportato sopra – n.d.r.-) o in qualsiasi momento della vostra giornata. Quando il Sacerdote sta per comunicarsi nella santa Messa, voi, stando ben raccolti eccitate nel vostro cuore un atto di vera contrizione, e battendovi il petto umilmente, in segno che vi riconoscete indegno di una grazia così grande, fate tutti quegli atti di amore, di offerta, di umiltà, con tutti gli altri che fate abitualmente quando vi comunicate sacramentalmente, e poi desiderate ardentemente di ricevere il buon Gesù sacramentato per vostro bene. E per ravvivare la vostra devozione, immaginatevi che Maria santissima, o qualche altro vostro Santo avvocato vi porga la santa particola. Figuratevi di riceverla, ed abbracciando Gesù nel vostro cuore, replicate più e più volte:  venite, caro Gesù mio, venite dentro questo mio povero cuore, venite ed esaudite i miei desideri, venite e santificate l’anima mia;  venite Gesù dolcissimo, venite … E ciò detto fate silenzio, rimirate il vostro buon Gesù dentro di voi e, come se realmente vi foste comunicato, adorateLo e ringraziateLo e fate tutti quegli atti che fate abitualmente dopo la Comunione sacramentale”. Ora sappiate che questa benedetta e santa Comunione spirituale, così poco praticata dai Cristiani dei nostri tempi, è un tesoro che vi riempie l’anima di mille beni. E come dicono vari autori, è così utile che  può produrre quelle stesse grazie che produce la  Comunione sacramentale, anzi maggiori. Perché, sebbene la Comunione sacramentale – cioè quando realmente ricevete la sacra particola – di sua natura è di maggiore frutto, perché, essendo Sacramento, ha la virtù “ex opere operato” (cioè opera per virtù propria), tuttavia può un’anima con tanta umiltà, amore e devozione fare la sua Comunione spirituale, da meritare maggior grazia di quella che merita un’altra, la quale si comunichi sacramentalmente, ma non con tanta squisita preparazione. Quindi il nostro Salvatore gradisce tanto questo modo di comunicarsi spiritualmente, che tante volte con evidenti miracoli si è compiaciuto di esaudire benignamente i pii desideri dei suoi servi: come accadde alla beata Chiara da  Montefalco, a Santa Caterina da Siena, a santa Liduina, a san Bonaventura ed al beato Silvestro. Sappiate dunque che questa santa Comunione spirituale vi dà questo vantaggio rispetto alla Comunione sacramentale: che la Comunione sacramentale non può farsi che una sola volta al giorno, ma la Comunione spirituale potete farla tante volte, quante sono le Messe che ascoltate; ed anche fuori dalla Santa Messa, mattino e sera, giorno e notte, in Chiesa ed in casa: insomma, quante volte voi praticherete quanto si è detto, altrettante volte farete la Comunione spirituale e vi arricchirete di grazie e di meriti e di ogni bene.

Preghiera per la Comunione spirituale.

(di S. Alfonso M. dei Liguori).

« Gesù mio, credo che voi state nel Santissimo Sacramento. V’amo sopra ogni cosa e Vi desidero nell’anima mia. Giacché ora non posso ricevervi sacramentalmente, venite almeno spiritualmente nel mio cuore. Come già venuto, io Vi abbraccio e tutto mi unisco a Voi: non permettete che io abbia mai a separarmi da Voi. »

Ai fedeli che compiono un atto di comunione spirituale, usando qualsiasi formula che vogliano scegliere, si concede:

Un’indulgenza di 3 anni; Indulgenza plenaria una volta al mese alle solite condizioni, se recitato per ogni giorno del mese (S. S. Pænit.  Ap., 7 marzo 1927 e 25 febbraio 1933).

Potremmo citare una serie lunghissima di autori e libri che discorrono dei benefici straordinari di questa pratica devozionale, ma ne ricordiamo, per brevità, solo il  dottissimo Gesuita G. B. Scaramelli, che nel suo rinomatissimo DIRETTORIO ASCETICO, Trattato Primo, al CAPO VII ne fa una meravigliosa descrizione. – Non poteva mancare la pratica devota nel “libro dei libri” teologici, la Summa Theologica di S. Tommaso d’Aquino … « questa, dice S. Tommaso, consiste in un vivo desiderio di prendere il Santissimo Sacramento.» (3 p., q. 21, art.1 ad 3). Allora accade, dice ancora l’Angelico nell’articolo successivo, che alcuno mangi spiritualmente Gesù Cristo ricoperto dalle specie sacramentali, quando crede in Cristo con desiderio di riceverlo in questo sacramento. E questo non solo è un ricevere spiritualmente Gesù Cristo, ma è un ricevere spiritualmente lo stesso Sacramento. Se queste brame siano molto fervide, e molto accese, la comunione fatta in spirito sarà talvolta più fruttuosa e più cara a Dio, che molte altre Comunioni reali fatte con tiepidezza, non per difetto del Sacramento, ma di chi freddamente lo riceve. – Testimonianze ne abbiamo, come già ricordato, da S. Caterina da Siena, S. Liduina, S. Lorenzo Giustiniani e tanti altri che non possiamo qui riportare. Non tema dunque il vero Cattolico di essere escluso dalla grazia sacramentale della santa Comunione, l’importante, sottolinea sempre puntualmente l’Angelico di Roccasecca, è fuggire dalle sette eretiche ed essere unito anche solo di desiderio se impedito al Santo Padre, il Vicario di Cristo S.S. Gregorio XVIII, successo di G, Siri. Questa è la via che giunge in Paradiso, ogni altra conduce allo stagno di fuoco eterno.

LA CHIESA ECLISSATA ED I SACRAMENTI (2)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XI)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XI)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

PRIMA PARTE DEL CATECHISMO:

FEDE (7).

2-7 Art. del Simbolo: Gesù Cristo.(2)

4. Quando e dove visse il Salvatore?

1. IL SALVATORE VISSE SU QUESTA TERRA CIRCA 2000 ANNI FA, PER 33 ANNI.

L’era cristiana è iniziata con la nascita di Gesù Cristo.

All’inizio del Cristianesimo, gli anni venivano contati in base al regno dei governanti o dei consoli romani. Dalla grande persecuzione di

di Diocleziano, i Cristiani presero come loro era il regno di questo imperatore (l’era dei martiri. L’abate Dionigi, di Roma, fu il primo che nel 525 cominciò a datare gli anni dall’Incarnazione di Cristo, cioè dall’Annunciazione. Carlo Magno introdusse questa epoca, ma iniziò a contare non dall’Incarnazione, ma dalla Natività di Cristo… -. Quest’epoca non è del tutto accurata, poiché Dionigi colloca la Natività quattro anni più avanti. Cristo sarebbe quindi nato 4 anni prima dell’anno 1 della nostra era.

Il tempo che precede Cristo è chiamato Antico Testamento o Antica Alleanza, il tempo successivo a Cristo, Nuovo Testamento o Nuova Alleanza. (Eb. IX , 15-17).

I tempi che precedono e seguono Gesù Cristo li chiamiamo Testamento, (cioè dichiarazione di volontà, concessione dell’eredità nel diritto, di volontà, concessione dell’eredità in caso di morte), perché nei tempi precedenti e successivi a Cristo, Dio ha espresso la sua santa volontà agli uomini ed ha assicurato loro un’eredità in caso di morte del Salvatore (un’eredità che diventa esecutiva con la morte del Salvatore). L’eredità assicurata agli ebrei era la Terra Promessa, l’eredità dei Cristiani è il cielo. – Il tempo prima di Cristo è chiamato l’Antica Alleanza, perché Dio fece un’alleanza con molti popoli, con Noè, Abramo, Giacobbe e con il popolo israelita al Sinai, attraverso la mediazione di Mosè. Lì il popolo israelita si impegnò a osservare le leggi appena promulgate. Dio, in cambio, promise di proteggerlo e di benedirlo. L’alleanza fu sigillata con il sangue di un sacrificio animale. – Il periodo dopo Cristo è chiamato Nuova Alleanza, perché Dio, attraverso la mediazione di suo Figlio, si è impegnato per la santificazione degli uomini qui sulla terra e per la loro glorificazione in cielo, se essi osservano i due comandamenti dell’amore. Questa alleanza è stata sigillata dal sangue di Cristo. – I libri sacri scritti in questo periodo sono noti anche come Antico Testamento, e il Nuovo Testamento, i libri sacri scritti dopo Cristo. Questi sono così chiamati perché contengono la volontà di Dio e la garanzia dell’eredità celeste.

2. IL SALVATORE FU MOLTO ATTIVO IN PALESTINA.

(Vedi la mappa di questo Paese).

Notiamo 1° per quanto riguarda il nome; che questo Paese fu chiamato prima Chanaan, poi Giudea, di solito Terra Promessa, cioè la terra promessa da Dio, infine Terra Santa, cioè la terra santificata dal soggiorno del Salvatore. – 2° per quanto riguarda la sua estensione e natura, la Palestina non è che un paese piccolo, appena 500 miglia quadrate, la metà della Svizzera, tanto che i pagani dicevano beffardamente che il Dio degli Ebrei doveva essere un Dio molto piccolo per aver dato al suo popolo un paese così piccolo. (È lunga solo 90 leghe e larga 30). Tuttavia, la sua posizione al centro del mondo antico fu molto favorevole alla diffusione della vera religione. Era un paese molto fertile, dove scorrevano latte e miele (Es. III, 8) e non c’era bisogno di importazioni dall’estero. La Palestina è tagliata fuori dai suoi vicini su tutti i lati, sia dal mare che dal deserto, così che le comunicazioni amichevoli tra i suoi abitanti e le nazioni vicine erano molto difficili. – 3° per quanto riguarda il numero di abitanti; che la Palestina al tempo di Gesù Cristo contava 5 milioni di abitanti, di cui 1 milione a Gerusalemme, la capitale. Oggi il Paese conta solo 500.000 abitanti e Gerusalemme 28.000.

LA PALESTINA È SITUATA LUNGO IL MEDITERRANEO SU ENTRAMBE LE SPONDE DEL FIUME GIORDANO.

La parte più grande, situata tra il mare e il Giordano, è chiamata il Paese del Giordano occidentale, la parte più piccola, al di là del fiume, è chiamata il Paese del Giordano Orientale. La Palestina è delimitata a nord dalla Fenicia e a est dal deserto siro-arabo, a sud dall’Arabia e a ovest dal Mediterraneo. – Il Giordano, che gli ebrei attraversarono sulla terraferma e dove Gesù fu battezzato, è largo da 80 a 150 passi; le sue acque torrenziali e giallastre attraversano il piccolo lago di Merom, poi il lago di Génèzareth (ove Gesù calmò la tempesta, predicò dalla barca, operò una pesca miracolosa, ha camminato sulla acque e diede il primato a Pietro) lungo 5 miglia, e sfociano nel Mar Morto, che è lungo 10 miglia.di lunghezza (nella depressione vi erano le città di Sodoma e Gomorra, le aque sono salare e non vi si trova alcuna creatura vivente). Prima di sfociare nel Mar Morto, il Giordano viene raggiunto dal torrente di Karith, vicino al quale viveva Elia. Il Mar Morto riceve anche le acque del Cêdron, che passa vicino a Gerusalemme e attraverso il quale fuggirono Davide e Cristo prima della sua agonia. – La Palestina era divisa in quattro parti: la Giudea a sud; la Samaria al centro; la Galilea a N., e a E. del fiume Giordano, la Perea (con Ituraea e Trachonitide).

Gli abitanti della Giudea erano i più fedeli alla vera religione; quelli della Samaria erano idolatri ed odiati dai Giudei, mentre quelli della Galilea erano in parte pagani, soprattutto al nord, e di conseguenza disprezzati dai Giudei. Essere chiamati Galilei era un insulto, soprattutto perché avevano un dialetto molto rozzo, ed erano facilmente riconoscibili, come accadde a Pietro nel tribunale del sommo sacerdote).

La città più importante della Giudea era Gerusalemme, dove era il Tempio. Gerusalemme (cioè il luogo della pace) è chiamata anche città dei colli, perché è situata su 4 alture: la più alta è il Monte Sion, sulla cui sommità si ergeva maestosa la cittadella di Davide e dove si trovava il cenacolo; a est di questo si trovava il monte Acra con la sorgente e la piscina di Siloe, dove avvenne la guarigione del cieco; a nord, il monte Moriah, dove era stato Isacco e dove si trovava il tempio; più a N. c’era il monte Bezetha con la città nuova; a ovest di Moriah, fuori dal recinto, c’era il Golgota, chiamato anche Calvario, sul quale Cristo fu crocifisso. L’insieme di queste alture è delimitata da due valli: quella a ovest, l’Hinnom (Gehenna, inferno, perché le donne israelite idolatre vi sacrificavano i loro figli a Moloch), a est la valle di di Giosafat (Giudizio di Dio; si riteneva che Dio avrebbe tenuto ivi l’ultimo giudizio). In questa valle scorre il torrente Cêdron. A est della valle di Josafat c’era il Monte degli Ulivi, con il giardino del Getsemani, dimora preferita del Salvatore. – Gerusalemme esisteva già al tempo di Melchisedec, che ne era il re.. Sotto Davide (1000 a.C.) divenne la capitale dei re ebrei, e fu distrutta completamente dal re di Babilonia (588 a.C.), Nabucodonosor, per poi essere ricostruita 50 anni dopo (536), e ridistrutta dal generale romano Tito, 70 anni dopo J.-C. – Il Tempio di Moria formava una lunga piazza e fu costruito in pietra biancastra. Da lontano appariva come una montagna coperta di neve e offriva uno spettacolo maestoso (S. Marco XIII, 1). Aveva un cortile per il popolo ed un altro interno per i sacerdoti, con l’altare degli olocausti; è in questo secondo cortile che si trovava il tempio vero e proprio, su un terrazzo lungo 30 metri, largo 10 e alto 15, con un tetto fatto di cedro. Questo tempio era composto dal vestibolo, dal Luogo Santo e dal Santo dei Santi. – Le pareti di questi due ultimi comparti erano ricoperte da spesse lastre di marmo e separate da un velo che fu strappato al momento della morte di Cristo. Nel Santo dei Santi era posta tra due grandi cherubini d’oro, l’Arca dell’Alleanza, che conteneva le tavole della legge, la manna, la verga di Aronne ed il libro della legge. (Pentateuco). Sopra l’arca, Dio dimorava in una nuvola. – Il tempio fu costruito da Salomone intorno all’anno 1000. Distrutto nel 588 da Nabucodonosor, fu ricostruito dopo 70 anni di cattività dal principe ebreo Zorobabele. Ma l’Arca dell’Alleanza era scomparsa. Re Erode lo restaurò al al tempo di Gesù Cristo. Questo restauro fu completato nel 64, e 6 anni dopo (70) il tempio fu distrutto dai Romani. Nel 361 l’imperatore Giuliano l’Apostata tentò di ricostruirlo, ma un terremoto fece crollare le fondamenta e le fiamme dal terreno dispersero gli operai. Questo tempio non sarà ricostruito fino alla fine dei tempi. (Dan. IX, 27).

Oltre a Gerusalemme, le città più notevoli sono Beihléhem e Nazareth.

Le città più importanti della Giudea sono: a sud di Gerusalemme, Betlemme, il luogo di nascita di Gesù; un po’ più a sud, Hebron, la casa di Abramo, Isacco e Giacobbe e i genitori di San Giovanni Battista; a est, Betania, la casa di Lazzaro e il deserto della Quarantena, dove Gesù digiunò per 40 giorni; a NW, Gerico, la città delle palme, dove visse Zaccheo, il pubblicano pentito; a N, Emmaus, famosa per un’apparizione del Salvatore risorto. Sulle rive del mare: Joppe, la città fenicia divenuta famosa durante le Crociate, dove vissero San Pietro e i suoi discepoli. Ivi Pietro risuscitò Tabitha dai morti e dove fu chiamato a visitare il centurione pagano Cornelio. Più a sud si trova l’antico paese dei Filistei, con le città di Gaza e Ascalon.

Ad ovest del Mar Morto si trova il deserto di Giuda o deserto di S. Giovanni, dove soggiornò il Precursore. – In Samaria, bisogna ricordare la capitale, Samaria, situata più o meno al centro del paese; a S. di questa città si trova la vicino a Sichem, il pozzo di Giacobbe, dove avvenne l’incontro tra Gesù e la Samaritana. Ad ovest si vede il Monte Gerizim, dove i Samaritani avevano un tempio idolatrico; a S., Silo, dove, dopo Giosuè, l’arca rimase per 350 anni. Lungo il Mediterraneo si estende la ricca pianura di Saron; sulle rive del mare si trova Cesarea, cioè la città imperiale, dove risiedevano i procuratori romani. A nord-est, non lontano dal mare e sul confine si erge, a 300 metri di altezza, il monte Carmelo con le sue 1000 grotte, casa degli anacoreti e di Elia, che vi offrì il suo sacrificio per confondere i sacerdoti di Baal. In Galilea sono da notare: Nazareth (la città del fiore), domicilio della Vergine Maria al momento dell’Annunciazione e dove Gesù Cristo visse fino all’età di 30 anni; a S, il monte Thabor, luogo della Trasfigurazione; nelle vicinanze, Naim, dove Ges risuscitò il figlio della vedova; a E., Cana, dove compì il suo primo miracolo. Sulle rive del lago di Genezareth si trovava Cafarnao, “la città di Gesù Cristo”, dove Egli amava fermarsi e dove compì molti miracoli, come la guarigione del servo del centurione. e la resurrezione della figlia di Giairo. Fu anche lì che fece la promessa dell’Eucaristia e chiamò a sé l’apostolo San Matteo; a S. Betsaida, da dove provenivano gli apostoli Andrea e Filippo; poi Magdala, la casa della Maddalena peccatrice. Sulle rive dello stesso lago, c’era anche Tibêriade. A nord della Galilea c’era Cesarea di Filippo, dove Pietro ricevette il potere delle chiavi. Le città marittime di Tiro e Sidone, dove Gesù si recava spesso (S. Matth, XV, 21; S. Marco VII, 27) si trovano in Fenicia piuttosto che in Galilea; ai confini di quest’ultima, ricoperta di neve perenne, si erge (fino a 3000 m.) la catena del Libano (Monte Libano (monte bianco) con i suoi magnifici cedri, ed a E. il grande Hermon (2900 m.); Più a est si trova Damasco, dove si convertì San Paolo. – In Perea molto vicino al Mar Morto, a est della foce del Giordano, si trova Bêthtibarah (anche Betania), il luogo dove Giovanni battezzò, dove rivelò il Salvatore e lo chiamò l’Agnello di Dio; e a E. il Monte Nebo, dove morì Mosè. A S. del lago di Génézareth si trovava Pella, dove i Cristiani di Gerusalemme si rifugiarono durante l’assedio di Tito (70).

5. GESÙ DI NAZARETH È IL SALVATORE O CRISTO.

Gli ebrei erano soliti chiamare l’atteso Salvatore Messia, Cristo o Unto.

Il termine unto del Signore era usato dagli ebrei per indicare Profeti, Pontefici e Re. Essi venivano unti con olio santo quando assumevano la carica, come segno della loro missione divina. (L’unzione simboleggiava l’illuminazione e la potenza dello Spirito Santo, oltre ad essere un’esortazione alla mitezza). Il futuro Salvatore sarà il Profeta, il Pontefice ed il Re per eccellenza, gli ebrei lo chiamano l’Unto del Signore. (Unto significa Messia in ebraico, Cristo in greco). Tuttavia Cristo non fu unto visibilmente con l’olio, ma interiormente dallo Spirito Santo. (Sal. XLIV, 8), la cui pienezza era in lui. (Act. Ap. X, 38).

1. GESÙ DI NAZARETH È IL SALVATORE, PERCHÉ IN LUI SI SONO ADEMPIUTE TYTTE LE PREDIZIONI DEI PROFETI.

Gesù si appellava spesso a questa testimonianza (S. Giovanni V, 39; S. Luca XVIII, 31), in particolare ai discepoli di Emmaus. (S. Luca, XXIV, 26). Matteo, da parte sua non cessa nel suo vangelo di mostrare l’adempimento delle profezie in Gesù Cristo.

2. IL CARATTERE DIVINO MESSIANICO DI GESÙ DI NAZARETH È DIMOSTRATO DALLA PERPETUITÀ DEL SUO REGNO SU QUESTA TERRA.

I falsi messia hanno avuto molti seguaci all’inizio, ma gradualmente li hanno persi del tutto. Gesù conserva i suoi seguaci attraverso tutti i secoli. Se il suo regno, la Chiesa, fosse un’opera umana, sarebbe già scomparso da tempo; ma dato che resiste nonostante tutte le persecuzioni, è necessariamente un’opera di Dio. Questo fu l’eccellente ragionamento di Gamaliele al Sinedrio (Act. Ap. V, 38).

3. GESÙ SI È DICHIARATO ESPRESSAMENTE COME IL SALVATORE IN PARTICOLARE NEL COLLOQUIO CON LA SAMARITANA E DAVANTI AL SOMMO SACERDOTE CAIFA.

“Io so”, disse la Samaritana, “che il Messia (cioè il Cristo) verrà”. Gesù le rispose: “Io che ti parlo sono lui”. (S. Giovanni IV). – Il sommo sacerdote Caifa disse a Gesù: “Ti ordino nel nome del Dio vivente di dirmi se sei il Cristo, il Figlio di Dio, e Gesù rispose: “Lo sono” (S. Matth. XXVI, 64). Inoltre, Gesù lodò S. Pietro quando gli disse: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente “. (S. Matth. XVI, 16).

4. ANCHE GLI ANGELI LO HANNO PROCLAMATO LORO SALVATORE, SIA QUELLO DELLA CAMPAGNA DI BETLEMME, SIA QUELLO CHE APPARVE A GIUSEPPE.

Un Angelo apparve ai pastori nei campi di Betlemme e disse loro: “Non temete. Perché ecco, vi porto una buona notizia di grande gioia per tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, vi è nato un Salvatore, il Cristo Signore. (S. Luca II,10). – Giuseppe, che voleva ripudiare Maria, vide in sogno un Angelo che gli annunciò la nascita di Gesù. e gli disse: “Lo chiamerai Gesù, perché egli salverà il suo popolo dai suoi peccati” (S. Matth. I, 21). Perché Gesù di Nazareth è il Cristo, cioè il Messia, è chiamato Gesù Cristo, nome che Egli stesso si è dato. (S. Giovanni XVII, 3).

6. LA VITA DI CRISTO.

L’infanzia e la giovinezza di Cristo.

La nascita di Gesù fu annunciata alla B. Vergine Maria a Nazareth dall’Arcangelo Gabriele. (S. Luc. I, 25).

Questo messaggio ci viene ricordato nella festa dell’Annunciazione (25 marzo), dall’Angelus del mattino, di mezzogiorno e della sera, e dalla prima parte dell’Ave Maria, che consiste nelle parole dell’Arcangelo. – Dopo l’Annunciazione della nascita Maria visitò sua cugina Elisabetta. Elisabetta la salutò con le parole contenute nella 2a parte dell’Ave Maria. Fu a casa di Elisabetta che Maria cantò il mirabile cantico del Magnificat. (S. Luc. 1). Questo mistero ci viene ricordato dalla festa della Visitazione (2 luglio – in certi Paesi questa festa è ancora di precetto, altrove è trasferita alla prima domenica di luglio; cadendo nella ottava della nascita di S. Giovanni Battista, alcuni interpreti pensano che la Vergine restasse nella casa di Zaccaria fino alla nascita del Precursore); anche S. Giuseppe, come abbiamo detto in precedenza, fu avvertito da un Angelo della nascita di Cristo.

CRISTO NACQUE DALLA VERGINE MARIA A BETLEMME, IN UNA STALLA.

L’imperatore Augusto aveva ordinato il censimento del popolo, così Maria e Giuseppe dovettero recarsi nella loro città natale, Betlemme (S. Luc. II, 1). Dando questo ordine, Augusto, come molti sovrani, servì come strumento inconsapevole del fatto che Ella non trovò posto a Betlemme (ibid.). Questa stalla sembra essere stata fuori Betlemme, nelle rovine di un palazzo di Davide, che in seguito servì come rifugio per i pastori e le loro greggi (Cath. Emmerich). La nascita di Cristo fu miracolosa quanto il suo concepimento, poiché Maria fu esentata dalla maledizione (Gen. III, 16) pronunciata contro Eva; fu esentata, dice S. Bernardo, dai dolori della maternità, perché era libera dalla concupiscenza. – A proposito di questa nascita, Sant’Agostino esclama: “Ecco, colui che sostiene i mondi giace in una mangiatoia! Colui che è il cibo degli angeli è è nutrito da una madre. La forza è diventata debolezza perché la debolezza diventi forte. “Un grande medico è disceso dal cielo, perché sulla terra c’è un infermo, gravemente malato; egli ci cura con un metodo nuovo, togliendoci le malattie. “Cristo – dice San Paolo – si è fatto povero, essendo ricco perché noi fossimo arricchiti dalla sua povertà” (2 Cor. VIII, 9). – Tutte le circostanze che circondano la nascita di Cristo sono piene di misteri (come lo sono tutti gli eventi della sua vita): 1. Gesù nacque a Betlemme (la casa del pane), perché Egli è il pane dal cielo (S. Ger.); a Betlemme e non a Nazareth, cioè in un luogo estraneo, perché aveva lasciato il cielo, la sua patria, per venire sulla terra, dove è uno straniero per la maggior parte degli uomini. 2 Nacque tra i pastori e le loro greggi, perché voleva essere il buon pastore (San Giovanni) di un grande gregge. 3 È nato in una stalla, perché la terra è più misera di questa grotta rispetto al cielo. Non è nato in un palazzo, per ispirare fiducia a tutti coloro che vogliono avvicinarsi a Lui. (S. P. Chr.) 4. Nasce oscuro, perché è il Dio nascosto. (Is. XLV, 15), invisibile a noi in questa vita, che ama le opere buone fatte in segreto (S. Matth. VI, 1-6). 5. Egli giace in una mangiatoia dove gli animali prendono il loro cibo. perché anche Lui vuole essere il cibo delle anime. Egli fin dalla nascita è adagiato sul legno, per indicare che è venuto sulla terra per morire sulla croce, (Similitudine tra la culla e il tabernacolo). 6. Egli è nato in una notte, perché quando arrivò il genere umano era immerso nelle tenebre dell’ignoranza di Dio. 7. Nasce in inverno, in una notte fredda (in Palestina le notti sono relativamente molto fredde), perché i cuori degli uomini erano freddi, totalmente privi dell’amore di Dio e 8. Scende dal cielo di notte, come la rugiada (Is. XLV, 8), perché esercita sugli uomini l’azione benefica della rugiada sulle piante. 9 Nasce quando a Roma il tempio di Giano è chiuso e la pace regna su tutta la terra, perché è il principe della pace (id. IX, 6), è un Dio di pace. 10.Egli viene sotto forma di bambino e non in età matura, per attirarci di più: noi ci spaventiamo di fronte a un grande signore, ma ci avviciniamo a un bambino piccolo non solo senza paura, ma con compassione, quando ascoltiamo i suoi gemiti. 11. Gesù viene nella povertà e nell’indigenza per mostrarci che il cielo non si raggiunge attraverso i piaceri e i godimenti sensuali ma attraverso la sofferenza e l’abnegazione. 11 vuole dimostrare che è un amico dei poveri, ai quali si rivolgerà per prima cosa per annunciare la buona novella. (S. Luc. IV, 18). 12. Gesù fa risplendere una luce intensa nella notte di Betlemme, per indicare che egli è la luce venuta nel mondo per dissipare le tenebre (S. Luc. IV, 18). (S. Giovanni 1). 13.Il canto degli Angeli annuncia immediatamente il motivo della sua venuta: Egli vuole glorificare Dio (S. Giovanni XIII. 32), portare agli uomini la pace: pace con Dio attraverso il suo sacrificio di riconciliazione sulla croce, pace con il loro prossimo attraverso la pratica della carità, dell’amore per i nemici, della mitezza; pace con se stessi attraverso la contentezza derivante dalla pratica delle virtù evangeliche. 14. Fece annunciare la sua venuta dagli Angeli, non ai superbi farisei e agli scribi, ma ai pastori, perché nasconde i suoi misteri ai saggi e ai prudenti di questo mondo e li rivela ai piccoli, (S. Matth. XL 25) e che dà la sua grazia agli umili, mentre resiste ai superbi (I Pietro V, 5). Inoltre ha indicato che, nel corso dei secoli, il Vangelo sarebbe rimasto per gli orgogliosi, anche per i più dotti, un libro chiuso, mentre sarebbe stato compreso dagli umili e dai piccoli. Egli chiama alla sua mangiatoia prima i Giudei, nella persona dei pastori, poi le nazioni, nella persona dei Magi, indicando che avrebbe mandato i suoi Apostoli prima ai Giudei (S. Matth. XV, 24) e poi ai Gentili per chiamarli alla Chiesa. 16. La stella meravigliosa che apparve ai Magi doveva indicare agli uomini che Cristo è l’Ammirabile annunciato da Isaia (IX, 6). 17. Il censimento fatto al momento della sua nascita, richiama quella del suo secondo Avvento; Gesù inizia così a insegnare nella sua nascita prima che iniziasse a balbettare. (Cat. rom.). Osservazioni liturgiche. Natale, il 25 dicembre è la festa della Natività di Cristo. – La notte di Natale si celebra una Messa solenne a mezzanotte e ogni sacerdote deve celebrare tre messe per ricordare il triplice avvento di Gesù (in forma umana a Betlemme, sotto le specie eucaristiche sull’altare e nella sua maestà nell’ultimo giorno), e la sua triplice nascita (la sua generazione eterna da parte del Padre, la nascita temporale da Maria e la sua nascita spirituale nei nostri cuori per grazia). L’usanza di erigere culle nelle chiese risale a San Francesco d’Assisi. L’albero di Natale ricorda l’albero fatale del paradiso e anche l’albero della croce. Per questo motivo vi si appendono frutta, luci e oggetti preziosi. I regali di Natale sono un simbolo dei doni ricevuti dall’umanità da Dio Padre. – All’indomani si celebra la festa di Santo Stefano e quella di San Giovanni Evangelista il giorno successivo, poi quella dei SS. Innocenti. La Chiesa sembra dirci: Se vuoi arrivare a Gesù Cristo, sii come Stefano, un martire, cioè un testimone, se non con il sangue, almeno con l’abnegazione e la pazienza; siate come Giovanni pieni di amore per Dio e per il prossimo, praticando le opere di misericordia; siate come un bambino davanti a Dio. Le quattro settimane che precedono il Natale si chiamano Avvento (arrivo) e rappresentano i 4.000 anni che hanno preceduto la venuta del Salvatore. L’Avvento, che ci ricorda il peccato originale e la miseria della razza umana, è sempre stato considerato un tempo di penitenza. La Chiesa primitiva (480) prescriveva 3 giorni di digiuno alla settimana e faceva leggere ogni Domenica il Vangelo gli appelli di Giovanni Battista alla penitenza.

L’Avvento si conclude il 24 dicembre con la commemorazione di Adamo ed Eva, per mostrarci il contrasto tra il primo Adamo e il secondo, per mostrarci l’immensa misericordia di Dio rivelata nell’Incarnazione. L’Avvento coincide con una stagione fredda e buia, proprio come prima di Gesù l’umanità era sprofondata nel buio della comprensione e della freddezza del cuore (il mondo pagano era idolatra, praticava la schiavitù e i sacrifici umani).

Il neonato Gesù fu adorato prima dai pastori, poi dai tre Magi.

I pastori stavano accudendo le loro greggi nella campagna di Betlemme ed appresero da un Angelo che Cristo era nato (S. Luc. II, 9); i tre Magi provenienti dall’Oriente (da un paese situato ad est della Palestina), grazie ad una stella miracolosa, che li condusse alla mangiatoia. (S. Matth. II, 9). Questa stella non era dunque una stella ordinaria, perché si muoveva in varie direzioni: S. Giovanni Cris. crede anche che si trattasse di un Angelo in forma di stella. I Magi indicavano con i loro doni le qualità di Colui che adoravano (S. Irén.): la sua regalità, attraverso l’oro, simbolo di fedeltà; la sua divinità, per mezzo dell’incenso, simbolo di preghiera; il suo sacerdozio redentore dalla mirra, simbolo della mortificazione e della sua passione. I Magi tornarono al loro paese per una via diversa, per indicare che possiamo tornare in paradiso, la nostra patria, solo abbandonando la via del peccato, e percorrendo quella della penitenza, dell’obbedienza e del dominio di sé. (S. Grég. M.) – I pastori erano i rappresentanti dei Giudei (e dei poveri); i tre Re, quelli dei Gentili (e dei ricchi). Le reliquie dei Re Magi vennero portate da Federico Barbarossa a Colonia (1162), dove riposano nella Cattedrale. – La festa dei Re Magi si celebra il 6 gennaio. Il giorno prima, nella primitiva chiesa orientale, venivano battezzati i Pagani. – È chiamata anche festa dell’Epifania (apparizione) perché in questo giorno in alcune chiese si celebrava la Natività, cioè l’apparizione di Cristo sulla terra.

(Nella Chiesa greca, l’Avvento dura fino a questa festa). Questo giorno commemora anche il battesimo di Gesù Cristo e il suo primo miracolo a Cana.

Quando il Salvatore aveva otto giorni, fu circonciso e gli fu dato il nome di Gesù. (S. Luc. II, 21).

La circoncisione era una cerimonia simbolica di purificazione dai vizi. (S. Ambr.) Gesù (in ebraico, Joshua) significa Salvatore, liberatore. Questo nome, dice S. Paolo, è al di sopra di tutti i nomi (Fil. II, 9); esso è stato scelto da Dio stesso e annunciato alla Beata Vergine (S. Matth. Vergine (S. Matth. I, 21). Questo nome ha un potere divino; la sua invocazione ci procura soccorso nella tentazione e in ogni disgrazia; i demoni sono scacciati da esso. (S. Marc. XVI, 17). I Profeti chiamavano spesso il Messia, Emmanuele, cioè Dio con noi (Is. VII, 14). – La festa della Circoncisione, il 1° gennai è anche il nuovo anno. La Chiesa ci esorta ad iniziare tutto l’anno nel Nome di Gesù e a purificare i nostri cuori da ogni peccato e vizio (Col. II, 11), se vogliamo avere un anno nuovo buono e felice. Fu Papa Innocenzo XII che, nel 1691, fissò l’inizio dell’anno al primo di gennaio. In precedenza, si iniziava generalmente a Natale. La vigilia di Capodanno, S. Silvestro, era in altri tempi un giorno festivo; da qui, in alcune regioni, le funzioni solenni per chiudere l’anno. Inoltre, è opportuno che ogni Cristiano non passi questo giorno in piaceri insensati, ma di rendere grazie per le benedizioni di Dio nell’anno trascorso, perché in questo modo xe ne attiviamo di nuove per il futuro.

Quando Gesù aveva 40 giorni, fu presentato nel tempio di Gerusalemme. (S. Luc. n, 39).

Maria osservò la legge di Mosè (Lev. XII), anche se la sua purezza la esentava da essa, offrì Gesù, perché Dio, al tempo della morte del primogenito d’Egitto, riservò a sé il primogenito degli israeliti (Num. VIII, 17). – Questa festa della Purificazione è chiamata anche Candelora. Infatti la Chiesa ha istituito in questo giorno una

processione prima della Messa con le candele accese, perché nel tempio il vecchio Simeone aveva proclamato Gesù, la luce che illumina le nazioni (S. Luc. Il, 32), da cui l’espressione, Candelora. Prima della processione ha luogo la benedizione delle candele; il Sacerdote chiede luce e protezione per tutti coloro che le portano. Non è superstizione accendere queste candele durante i temporali, metterle tra le mani dei moribondi e chiedere l’aiuto di Dio per questa preghiera del Sacerdote. Sarebbe solo superstizione se a queste candele si attribuisse una virtù infallibile contro il fulmine: quest’ultimo può cadere nonostante la candela, ma Dio può proteggere il Cristiano devoto. – Il giorno dopo la Candelora si celebra la festa di S. Biagio: in questo giorno i Sacerdoti benedicono il collo dei fedeli con delle candele della vigilia, perché in questo modo S. Biagio salvò un bambino dalla morte. Le candele accese in questi due giorni simboleggiano Gesù come luce del mondo, secondo le parole di Simeone citate sopra. Seguendo l’esempio di Maria, le madri cristiane portano i loro bambini appena nati in chiesa per offrirli a Dio (la cerimonia dell’elevazione).

Gesù trascorse i primi anni della sua vita in Egitto. Poi visse a Nazareth fino al suo trentesimo anno (Matth. II).

Un Angelo ordinò a Giuseppe di fuggire con il bambino, perché Erode stava attentando alla sua vita. Egli allora fece uccidere tutti i bambini maschi di età inferiore ai due anni (ibid. 16). Questa piaga colpì le madri di Betlemme a causa della loro durezza nei confronti del Salvatore, rifiutando un asilo a sua madre e a Giuseppe. Gli Innocenti non persero nulla con questo martirio, anzi il battesimo di sangue procura la beatitudine eterna. In un sobborgo del Cairo (ex Heliopolis) si venera la casa dove visse la Sacra Famiglia. L’Egitto è stato benedetto dalla presenza di Gesù bambino, e divenne la dimora di migliaia di monaci che condussero una vita “angelica”(Sant’Antonio l’Eremita, San Paolo di Tebe). Fu su un’isola nel Nilo che S. Pacomio fondò il primo monastero (340). Dopo il suo ritorno dall’Egitto, Gesù visse a Nazareth; scelse questo luogo perché era disprezzato dai Giudei: voleva darci una lezione di umiltà. Fino all’età di 30 anni ha condotto una vita assolutamente nascosta, per raccomandarci la lontananzadalmondo.

All’età di 12 anni, Gesù si recò al tempio di Gerusalemme.

Lì stupì i maestri con la sua saggezza.

Quando Cristo raggiunse l’età dell’uomo, Giovanni il Battista nel deserto annunciò il ministero pubblico di Gesù.

Questa è la storia di Giovanni Battista: l’Arcangelo Gabriele annunciò la sua nascita a suo padre Zaccaria nel tempio nell’ora del sacrificio. Zaccaria non volle credere e divenne muto; (S. Luc. 1) alla nascita del bambino recuperò la parola e cantò il magnifico cantico del Benedictus (ibid. 57-80). Fin dall’adolescenza, Giovanni visse nel deserto e si preparò con austere penitenze ai suoi doveri di precursore del Salvatore. Quando Gesù aveva circa 28 anni (S. Luc. III, 1), Giovanni, ispirato da Dio, uscì dalla sua solitudine, predicò sulle rive del Giordano una severa penitenza alle masse che accorrevano a lui, annunciò la venuta del Messia e battezzò (S. Matth. III). Un giorno vide arrivare Cristo e gridò: Questo è l’Agnello di Dio, che toglierà i peccati del mondo. “(S. Giovanni I, 29). Quando Giovanni rimproverò Erode per la sua vita dissoluta, Erode lo fece gettare in prigione e poi decapitare durante un banchetto. (S. Matth. XIV). S. Giovanni è il modello degli anacoreti.

II. La vita pubblica di Cristo.

All’età di 30 anni, Gesù fu battezzato da Giovanni nel Giordano e poi digiunò per 40 giorni nel deserto, dove fu tentato dal diavolo (S. Matth. III, IV). Tutti i messaggeri di Dio si ritirarono in solitudine prima della loro vita pubblica; Mosè, Giovanni Battista e gli Apostoli prima della Pentecoste. Attraverso il suo digiuno e la sua lotta vittoriosa con il demonio, Gesù, il nuovo Adamo, ha voluto rimediare per il peccato di aver mangiato il frutto proibito nel paradiso e per la caduta nella tentazione. – Il numero 40 ricorre spesso nella Scrittura e i Padri ne hanno fatto il simbolo della penitenza.

La piaga del diluvio, il digiuno di Mosè ed Elia durò 40 giorni, i Niniviti ebbero 40 giorni per convertirsi, Gesù rimase 40 giorni sulla terra dopo la sua risurrezione; gli israeliti trascorsero 40 anni nel deserto. – Liturgia: In memoria del digiuno di Gesù, la Chiesa ha prescritto i 40 giorni di digiuno quaresimale, che iniziano il mercoledì delle ceneri. Per esortarci seriamente a fare penitenza, la Chiesa ci ricorda con forza il pensiero della morte. Il Sacerdote sparge la fronte con la cenere, simbolo della nostra mortalità, e ci dice: “Ricordati, o uomo, che sei polvere e in polvere ritornerai“. “Questa cenere è fatta con rami benedetti dell’anno precedente, per ricordarci la fugace vanità dei piaceri e della gloria terrena. La Quaresima dura dal Mercoledì delle Ceneri alla Domenica di Pasqua; durante questo periodo gli adulti, secondo la legge della Chiesa, consumano un solo pasto al giorno, e tutti i Cristiani devono evitare i piaceri rumorosi e meditare sulla passione del Salvatore. (Da qui i sermoni quaresimali e i veli sulle immagini dell’altare). La domenica, il sacerdote indossa paramenti di colore viola (il colore della penitenza), e invece di dire Ite missa est, che indica la fine dell’ufficio, dice Benedicamus Domino, come per invitare il popolo a rimanere in chiesa per pregare e benedire Dio. In molte chiese ci sono saluti serali in cui si canta il Miserere. – I 3 giorni che precedono la Quaresima sono chiamati carnevale (caro = carne, vale=addio). Per allontanarci dai piaceri rumorosi di questo periodo la Chiesa fece celebrare in alcune chiese l’esposizione delle 40 ore. La follia, in particolare le mascherate e i balli in maschera che precedono il Mercoledì delle Ceneri, sono di origine pagana; i pagani celebrano a febbraio, quando le giornate si allungano notevolmente, il presunto ritorno di Apollo sul suo carro splendente. La quinta domenica di Quaresima, le croci vengono velate per simboleggiare la fuga del Salvatore, che fu costretto a nascondersi per non essere ucciso prima del tempo (S. Giovanni XI, 54); questa domenica è detta della Passione, perché da quel momento in poi la Chiesa è assorta nel meditare la passione del Salvatore.

A partire dal suo 30° anno di vita, Cristo viaggiò per la Giudea e insegnò per quasi 3 anni, raccogliendo intorno a sé 72 discepoli tra i quali scelse 12 Apostoli.

Gesù iniziò il suo ministero dottrinale alla festa di nozze di Cana, dove compì il suo primo miracolo per mostrare che il regno a cui invita le persone è come un matrimonio. (S. Matth. XXII, 1). Cristo parlava spesso a grandi folle,

da 4000 a 5000 persone, senza contare donne e bambini. (Moltiplicazione dei pani); Zaccheo, il pubblicano, fu costretto a salire su un albero per vedere Cristo in mezzo alla folla. Gesù Cristo era solitamente accompagnato dai suoi Apostoli e discepoli; essi erano testimoni di tutte le sue parole ed azioni, al fine di proclamarle a tutti i popoli del mondo. Gli Apostoli erano figura dei Vescovi; i discepoli, quella dei Sacerdoti, i collaboratori degli Apostoli. Apostolo significa inviato. – La dottrina di Cristo è giustamente chiamata Vangelo, cioè buona notizia, perché il Vangelo annuncia la remissione delle pene del peccato e l’eredità del cielo. (S. Giovanni Cris.) – Cristo è il Maestro dei maestri; ha insegnato come se avesse autorità, in modo tale da stupire il popolo con la sua dottrina (S. Marco I, 22 – S. Matth. VII, 29).

Cristo parlava chiaramente, con semplicità ed illustrava il suo linguaggio con azioni simboliche, parabole, allusioni allo spettacolo della natura.

La dottrina di Cristo è come un tesoro nascosto nel campo del linguaggio semplice. (Matteo III, 44). Tutti gli uomini apostolici parlano in modo semplice; non cercano di piacere, ma di farsi capire e di fare del bene. Parlano con il cuore e il loro linguaggio è sempre semplice. – Gesù Cristo ha anche usato azioni simboliche. Ha alitato sugli Apostoli, comunicando loro lo Spirito Santo, che è come un soffio che emana dalla divinità; elevò le mani (S. Luc. XXIV, 50) dando loro il potere di insegnare e battezzare prima della sua ascensione. Quando guarì il cieco nato (S. Giovanni IX), “sputò a terra, fece un po’ di fango, lo strofinò negli occhi del cieco e lo portò alla piscina, come se volesse dire: “l’acqua viva della mia dottrina, che esce dalla mia bocca e si mescola alla polvere, ha guarito l’uomo dalla sua cecità spirituale se inoltre si fa battezzare. – Cristo parlava spesso in parabole: il figliol prodigo, la samaritana, il ricco epulone ed il povero Lazzaro, il fariseo nel tempio, la vergine saggia e quella stolta, il servo buono e quello cattivo, i 10 talenti, la pecora perduta, la dracma perduta, il fico, gli operai nella vigna, le nozze reali, il grande banchetto, le 7 parabole sul regno del cielo: il seminatore, il grano e la zizzania, il seme di senape, il lievito, la rete, il tesoro nel campo, la perla. – Cristo ha fatto continue allusioni allo spettacolo della natura davanti ai suoi occhi: il giglio e l’erba del campo, i passeri sul tetto, il seme, la zizzania, il fico, la vite, le pecore, i pastori. La natura e la religione cristiana hanno molte analogie, entrambe vengono da Dio.

Cristo ha predicato per primo il Vangelo ai poveri.

Lo disse lui stesso nella sua risposta ai discepoli di Giovanni: “Il Vangelo è stato predicato ai poveri”. (S. Matth. XI, 6); nella sinagoga di Nazareth applicò a se stesso come al Messia, queste parole del profeta: “Il Signore mi ha mandato a evangelizzare i poveri”. (S. Luc. IV, 18). I poveri sono già in parte distaccati dai beni di questo mondo, e quindi più pronti a ricevere il Vangelo.

Il pensiero fondamentale di tutti gli insegnamenti di Gesù Cristo è questo: “Cercate il regno di Dio”.

“Cercate prima il regno di Dio!” dice nel Discorso della Montagna (S. Matth. VI, 33), cioè cercate la felicità eterna. Gli evangelisti riassumono anche la dottrina di Gesù Cristo in queste parole: “Fate penitenza e credete al Vangelo, perché il regno dei cieli è vicino”. (S. Matth. IV, 17 – S. Marco 1, 15).

Cristo ha insegnato nuovi dogmi, ha dato una nuova legge una nuova legge, istituì nuovi mezzi di santificazione.

Insegna, ad esempio, il mistero della Santissima Trinità, la sua stessa divinità, il Giudizio Universale. Promulgò la duplice legge della carità e perfezionò il Decalogo, ha persino proibito l’ira, le parole ingiuriose, eccetera; – ha istituito il s. Sacrificio della Messa, i 7 sacramenti e ci insegnò il Padre Nostro.

Cristo ha giustificato la sua missione divina e la verità della sua dottrina con numerosi miracoli, con prove della sua onniscienza e dalla santità della sua vita.

Cristo stesso si è appellato ai suoi miracoli quando ha detto: “Se non credete a me (cioè alle mie parole), credete alle mie opere”. (S. Giovanni X, 38). Nicodemo conclude anche dai miracoli di Cristo la sua missione divina: “Nessuno può fare i miracoli che fai tu, se Dio non è con lui”. (S. Giovanni III, 2). Cristo ha compiuto tutti i suoi miracoli con il proprio potere, mentre altri li hanno compiuti solo in Nome di Dio o di Cristo. Ne parleremo più avanti in relazione alla divinità di Gesù Cristo. – Egli era onnisciente; conosceva i peccati più segreti: quelli della Samaritana, quelli dei Farisei che gli avevano portato l’adultera nel tempio; prevedeva i piani di Giuda per tradirlo, le debolezze di Pietro e molte altre circostanze della sua passione, e le sue predizioni si sono avverate.

– Cristo è ancora notevole per la sua straordinaria santità; la sua pazienza, dolcezza, umiltà, carità, ecc. non sono mai state eguagliate. Come potrebbe un uomo così santo mentire?

I farisei e gli scribi lo odiavano e lo perseguitavano, perché non era all’altezza delle loro aspettative di un Messia e attaccava i loro vizi; dopo la resurrezione di Lazzaro, progettarono addirittura di ucciderlo.

Volevano lapidarlo nel tempio (S. Giovanni VIII, 59; X, 31), gettarlo giù da una roccia a Nazareth (S. Luc. IV, 29); lo hanno vituperato; lo hanno chiamato servo del diavolo (S. Matth. XII, 24), un sobillatore, un profanatore del sabato. Gli tendevano trappole, ad esempio chiedendogli se fosse lecito pagare un tributo a Cesare”. Tutto l’insegnamento di Cristo era quindi già una sorta di sacrificio. – Gli ebrei pensavano che il Messia sarebbe stato un re temporale molto potente che li avrebbe liberati dal giogo romano e speravano che li avrebbe riempiti dei beni di questo mondo. Ma Gesù è nato nell’oscurità e nella povertà; ha prescritto la mortificazione, le opere di misericordia, ecc.. Inoltre, rimproverava ai farisei la loro ipocrisia e il loro atteggiamento puramente esteriore, e li chiamava sepolcri imbiancati (S. Matth. XXIII, 27), figli di Satana (S. Giovanni VIII, 44). Per questo lo perseguitarono e attaccarono la sua dottrina; poi quando i capi dei sacerdoti e i farisei vennero a sapere della risurrezione di Lazzaro, dissero: “Quest’uomo fa molti miracoli; se lo lasciamo fare, tutti crederanno in Lui” e decisero di ucciderlo. (S. Giovanni XI, 47-53).

LO SCUDO DELLA FEDE (270)

P. Secondo FRANCO, D.C.D.G.,

Risposte popolari alle OBIEZIONI PIU’ COMUNI contro la RELIGIONE (13)

4° Ediz., ROMA coi tipi della CIVILTA’ CATTOLICA, 1864

CAPO XIII.

MISTERI

I. La mia ragione non può ammettere misteri. II. Involgono contraddizione. III. Che ragione può esservi per ammetterli?

La fede presenta varie sorta di verità da credere: alcune alle quali l’uomo non giungerebbe o giungerebbe a stento, ma che, dopo che sono rivelate, non hanno nulla che ripugni alla ragione, come sono, a cagione di esempio, le perfezioni di Dio, la creazione, i principii eterni della giustizia e della moralità: altre alle quali non solo mai giungerebbe l’uomo lasciato a sé stesso, ma che a che dopo rivelate non si possono intendere e si debbono solo credere piegando l’intelletto in ossequio della fede. Tali sono, a cagion di esempio, l’Unità e Trinità di Dio, l’Incarnazione del divin Verbo, la presenza reale di Cristo nel Sacramento, ed universalmente tutti quelli che chiamiamo misteri. Ora intorno alle verità di primo ordine, dicono alcuni, potremmo anche adattarci, ma quanto alle seconde, cioè ai misteri, chi potrebbe sottomettervisi? Queste non hanno scopo, non potendo tornar di verun giovamento il credere quello che non s’intende, senza dir poi che la ragione non può mancare a sé stessa come farebbe ammettendo contraddizioni. Di che s’impuntano fieramente e non vogliono saperne e rigettano tutto quello che ha del misterioso. E tuttavia credete voi che abbiano veramente ragione di così fare? Come hanno torto quei che ricusano la fede, così hanno torto marcio quei che ficcano di stenderla fino ai misteri. Il primo l’abbiamo veduto nel capo antecedente, l’altro il vedremo qui.

I. La mia ragione non può ammettere misteri. Cominciamo dai dritti sempiterni della povera umana ragione tanto debole da un lato, e tanto superba dall’ altro. E perché non può la vostra ragione ammettere i misteri? Abbiamo detto di sopra che noi per fede crediamo sull’ autorità di Dio che parla, dopo che abbiamo posto in sodo, con ogni genere di dimostrazione, che è veramente Iddio quello che ha parlato. Ma se è così, che importa che Dio parli cose intelligibili o non intelligibili? Iddio non è sempre infallibile nella sua parola? Non ha sempre gli stessi diritti sopra di noi? Non può esigere il sacrificio anche del nostro intelletto? Che vale adunque iI dire io non comprendo quello che Egli propone? Avete almeno compreso che è un Dio quello che lo propone? Se avete compreso questo, che non può non comprendersi, avete compreso quanto basta perché siate legato di mani e di piedi, e perché non possiate più fiatare in contrario, se pure non ignorate al tutto quello che sia Dio, la sua padronanza, la sua sapienza, la sua veracità. I vostri diritti son belli e buoni, ma credo che anche Dio possa avere qualche diritto sulle sue creature, e quando voglia farlo valere, come ha fatto nel nostro caso, credo che non avrete diritti contro di Dio. Questa ragione non ammette replica e basta da sé sola a sciogliere ogni difficoltà. – Ciononostante, per trattare con maggior condiscendenza la vostra difficoltà, perché dite che la vostra ragione rimane offesa dai misteri? Non v’avvedete che i miccini hanno già aperto gli occhi e già sanno quello che significano certe frasi, tolte ad imprestito da chi le ha inventate per darsi un po’ d’aria filosofica, quando appunto gli mancava la filosofia? Se il credere quello che non intendete offende la vostra ragione, potete andarvi a riporre, perché questo mondo sublunare non fa per voi. Qui ad ogni momento avrete da credere cose che non comprendete, e vi converrà toglierlo con pazienza, se già non vi mettete all’impresa di fabbricarvi un mondo a bella posta per voi, dove tutto sia chiaro ed intelligibile. E che? Comprendete voi tutti i misteri della natura che avete sempre sotto gli occhi? Di grazia, non credete voi che i venti soffino, benché sapete come essi soffiano; che la luce illumini, benché non ne conosciate l’intima natura; che esista l’etere, benché non apprendete di che sia costituito? Entrate in una famiglia, dove saranno forse sei figliuoli, l’uno savio, l’altro discolo, il terzo sempre gaio, il quarto sempre piangoloso; quegli intende tutto appena avete aperto bocca per parlare, l’altro, per quanto facciate, non in nulla, e sono tutti figliuoli di uno stesso padre, d’una stessa madre. Donde tanta diversità? Ne comprendete voi il mistero? Se siete mai entrato un poco innanzi nella fisica, nella metafisica, nella medicina, od in qualche altra scienza anche naturale, voi non potete ignorare che sono misteriosi nelle loro cagioni i fatti che abbiamo più comunemente sott’occhio, e tuttavia la ragione di nessuno rimane offesa ad ammetterli. Il celebre P. Lacordaire a un cotale che non poteva credere, fece questa interrogazione: sapete voi come avvenga che il fuoco, il quale strugge il burro, induri le uova? Eppur tuttoché non lo intendiate, credete benissimo alla frittata: pensate adunque se debbano offendere la ragione i misteri divini proposti da un Dio! Io vi dirò di più: siccome questi misteri riguardano Iddio, la nostra ragione tanto non resta offesa da essi, che anzi prima ancora che si metta ad investigare le cose divine, già debba aspettarseli. Chi si getta attraverso un oceano per passarlo, deve spettarsi correnti e scogli e venti e burrasche, perché così lo richiede la natura del mare. Così chi si fa a considerare le cose di Dio, deve aspettarsi profondità, sublimità, immensità inarrivabili a mente umana, cioè misteri. – Se Dio, la sua natura, le sue perfezioni, le sue opere potessero esser comprese dall’uomo, sì che egli le adeguasse col suo intelletto, una delle due: o l’uomo sarebbe pari a Dio, o Dio scenderebbe fino alla meschinità dell’uomo. Dire il primo sarebbe un orgoglio pari a quello dello spirito reprobo che disse: Sarò simile all’Altissimo; l’altro sarebbe una bestemmia non ancora venuta in mente, che si sappia, a veruno dei demoni. Il perché la religione vera sarà sempre una religione di misteri, e tanto è falso che il mistero sia indizio di falsità, che anzi vi sarebbe subito da sospettare falsità dove non fosse mistero. – Né solo per ragione dell’oggetto che è Dio, diventa facile la credenza dei misteri, ma ancora (cosa veramente ammirabile!) per l’inclinazione soavissima che ad ammetterli Iddio ha collocata nella natura dell’uomo, dalla quale siamo portati naturalmente a tutto quello che è misterioso sino ad esserne passionati. E vaglia il vero, donde quell’avidità che hanno i giovanetti di essere messi a parte di cose occulte e segrete e di misteriosi avvenimenti? Donde l’ascoltarli con tanta avidità e farne tesoro quando anche sanno che sono finzioni, se non dall’allettamento che ha per noi il mistero? Donde sono sbucate le notturne congreghe, le divinazioni, i sortilegi e tante altre superstizioni perseguitate sì vivamente non solo dalla Chiesa, ma pur dalle leggi civili? Donde l’avventarsi a dì nostri con tanta furia a tutte le mirabilità del magnetismo, delle tavole parlanti, dello spiritualismo, se non per quel carattere misterioso che esse presentano? Noi abbiamo un affetto inestinguibile, al vero, ma come scambiamo spesso il reale coll’apparente, ne nasce l’errore; noi abbiamo un amor invincibile al bene, ma come ci atteniamo spesso all’ombra invece del corpo, ne nasce la colpa: similmente l’inclinazione che abbiamo al mistero fa sì che quando non abbiamo i veri ed i santi, ci appigliamo ai fallaci ed agli irreligiosi. – E ciò è sì vero, che nel secolo scorso in Francia, quando giunta al colmo l’incredulità, ed abolito il Cristianesimo, ed adorata la ragione, furono tolti di mezzo i santi misteri della fede, il popolo si precipitò con tanta furia nei misteri nefandi dei vizio e della superstizione, che non vi fu più modo di dar corso ai processi. Il Portalis testifica che, nella Biblioteca nazionale di Parigi, non si chiedevano più altri libri che di cabala e di magia; il Roubies, bibliotecario pubblico a Lione, mostrò al medesimo le prove autentiche di misteri abominandi che si celebravano periodicamente in notturne assemblee e di tanto orrore, che a petto di essi erano un nulla le più svergognate superstizioni del paganesimo. Ed ai nostri giorni negli Stati Uniti ed in Ginevra quelli che, per non ammettere la divinità di Cristo, negano il mistero dell’Incarnazione, si assidono intorno ad una tavola che loro parla; e credono colla miglior fede del mondo che gli Angeli, gli Arcangeli e Gesù Cristo stesso si trattengono in petto ed in persona con loro sin quando parlano da libertini. Tant’è; bisogna che il mistero santo e religioso occupi convenientemente il nostro spirito, o esso si gitterà ai misteri tenebrosi e svergognati del vizio e della superstizione. – E del dover essere così vi è una ragione chiarissima. Nel mistero vi ha alcun che di maraviglioso, e noi siamo tratti naturalmente quel che desta la meraviglia; nel mistero v’ha del grande e del sublime, e noi siam tratti naturalmente all’immenso ed all’infinito; nel mistero v’ha qualche cosa di augusto e di venerando, e noi, se non facciamo violenza alla nostra natura, siamo portati alla religione ed alla pietà. Non sappiamo spesse volte render ragione delle nostre tendenze, ma non possiamo sottrarci alla forza di quelle inclinazioni che Dio ci pose nel cuore. Il perché tanto è falso che la nostra ragione rimanga offesa dai misteri, che anzi se ne trova mirabilmente giovata e confortata.

II. I misteri, continuano, involgono contraddizioni, ed allor… Non andate oltre. Se voi faceste questa difficoltà ad un putto di dieci anni ben ammaestrato nel catechismo, vi accoglierebbe con una risata, e poi vi risponderebbe che non sono contrari alla ragione, ma superiori: e che però la contraddizione non è reale ma solo apparente. Vedetelo in un esempio: Se, parlando del mistero della SS.Trinità, si dicesse che vi è un Dio solo e che vi sono tre Dei, questa sarebbe una vera contraddizione, e quindi un vero impossibile, perché non si può verificare tutto insieme che Dio sia un solo e che siano tre gli Dei: ma se si dica solamente quel che dice la fede, che Dio è uno solo, sebbene questo Dio solo sussista in tre Persone, non vi è contraddizione veruna. La divinità è una sola sebbene in tre Persone. Resta solo in ciò il mistero che non comprendiamo come Dio possa avere una triplice sussistenza. Ma perché non lo comprendiamo, può forse la nostra ragione Dire che non sia possibile? Per affermarlo bisognerebbe prima che avessimo tale cognizione della natura divina e di tutte le sue proprietà, che potessimo dire tutto quello che le conviene, e tutto quello che le disdice. Il che, come ognun vede, sarà sempre impossibile alla nostra limitatissima capacità, e quindi sempre falsissimo che essa trovi delle contraddizioni nel mistero. E quello che io vi ho detto di questo mistero, e voi applicatelo a tutti gli altri. Non comprendo come Gesù Cristo possa essere tutto insieme e Uomo e Dio: si, ma avete voi mai letto nel profondo dell’essenza di Dio tutte le maniere onde una Persona divina può congiungersi ad una creatura? Non comprendo come Gesù Cristo possa trovarsi sotto le specie sacramentali nella Eucaristia: sì, ma avete scrutati tutti i segreti della sapienza e potenza divina per definire tutti i modi di esistere che essa può dare ad un corpo? Non comprendo come la Madonna possa essere tutto insieme e Vergine e Madre: sì, ma avete voi dunque penetrati tutti i segreti della infinita virtù di Dio, perché possiate accertare che non si stende a quell’effetto? Definite prima tutto ciò e poi potrete parlare. Non vedete che per poter dire che il mistero è impossibile, e contraddittorio, vi bisognerebbe conoscere prima l’essenza, l’infinità, l’onnipotenza, l’immensità di Dio, e che essendo ciò impossibile, perché l’uomo finito non è capace dell’infinito, sarà anche eternamente impossibile il trovare ed il dimostrare nel mistero una contraddizione?

III. Se non che replicano tuttavia: Qual motivo può aver avuto Iddio a porporci dei misteri da credere? Quello che non s’intende non può produrre in noi nessun bene. Poteva dunque guidarci per altra via. Questa domanda sarebbe ridicola, se non fosse sacrilega.Imperocché e chi siamo noi, che domandiamo a Dio perché abbia fatto così? Non basta che ciò sia ordinato da un’infinita sapienza,perché debba curvarlesi prontamente dinanzi ogn’intelletto?E tuttavia non è così difficile il rintracciarne delle ragioni molto soddisfacenti. L’uomo si è perduto per la colpa onde nonvolle credere a Dio là nel paradiso terrestre: è dunque convenientissimomodo di espiazione, che ora creda a Dio senza comprenderequello che crede. In questo modo è mirabilmente ragguagliatala pena alla colpa. Inoltre, qual è il sacrifizio più grandeche l’uomo possa fare alla divinità? Non sono le vittime chepuò scannare, né le oblazioni che può offrire. Per l’intellettol’uomo si differenzia dai bruti ed emula l’angelica natura: or dunquenell’esercizio della fede sacrifichi quello che ha di più splendido,di più angusto, cioè il suo intelletto, e questo sarà sacrifiziodegno dell’uomo, e meno indegno di Dio. Finalmente qual è ilbene che noi aspettiamo come ultimo e preziosissimo frutto dellanostra religione? Il veder Dio faccia a faccia e goderlo svelato:ma dunque quale disposizione è più proporzionata a tal premio, chequella della fede, per cui ora si comincia a credere con merito quello che un giorno si vedrà svelatamente per ricompensa? Anchequeste sole ragioni bastano ad appagare chi con sincerità cerchiil vero. – Né seguita poi quello che affermano gli irreligiosi, che dal mistero non se ne ritragga veruna cognizione.. Imperocché i misteri sono come quella nuvola maravigliosa che guidava il popolo d’Israele nel deserto, la quale se era tutta tenebre da un lato, dall’altra poi spandeva una vivissima a luce. Così i misteri, mentre sono da una parte il nostro intelletto, e servono per esercizio allanostra fede, dall’altra lo illustrano con sovrane verità. In primo luogo, tuttoché non si comprenda quello che forma il mistero,non è da credere che, sotto quelle parole che lo annunziano, non siracchiuda una cognizione. Da quella sacra caligine sempre si traeuna verità sublimissima. Io non intendo come nel mistero. Della SS. Trinità, un Dio sussista in tre Persone distinte, né come nell’Incarnazione due nature sussistano in una sola Persona: mafrattanto ho queste due notizie intorno a Dio ed a Gesù Cristo:notizie di tanto pregio che mi fanno conoscere di Dio, della sua grandezza ed immensità più che non ne seppero naturalmente ipiù profondi pensatori che abbia avuto il mondo.Inoltre, ammessi che siano sulla divina parola i misteri spargonosulle altre verità una vivissima luce. Stando sempre all’esempioallegato, appena posto in sicuro che Dio è Uno e Trino, sispiega come il divin Figliuolo, assumendo la nostra umanità, abbiapotuto dare al Padre una piena soddisfazione. Le grandezzedivine di Cristo, il suo sacerdozio, il suo sacrifizio, i suoi meriti, itesori di confidenza che dobbiamo avere in Lui, la fonte donde ciperverranno tutte le grazie ed altre innumerabili verità che daquel mistero discendono, restano illustrate mirabilmente, sì che ilnostro intelletto se ne appaga. Dite lo stesso della presenza realedi Gesù Cristo nella Eucaristia. Noi non intendiamo come Gesùstia nell’Ostia, ma una volta creduto questo mistero sulla paroladi Gesù, ci si discoprono tutte le ricchezze dell’amor divino versodi noi, tutte le degnazioni, tutte le finezze di Gesù e l’esaltamentonostro e la incomparabile dignità in lui. E quello che si dicedi questi misteri, intendetelo pure di tutti. Sono essi una caliginesacra, è vero; ma una caligine da cui partono raggi di tantaluce, che a petto loro sono tenebre tutte le umane scienze. -E per verità i Padri di santa Chiesa ed i sacri Dottori, contemplandoa lungo quei santi misteri, ne traggono torrenti di vivaluce. Mettete S. Agostino e S. Ilario a speculare sovra il misterodella Trinità sacrosanta, e vi addenseranno volumi sopra volumidi verità al tutto maravigliose; S. Tommaso vi farà lo stesso sulladivina Eucaristia; S. Cirillo e S. Attanasio sulla divina Incarnazione;S. Ambrogio e S. Bernardo sulla Verginità di Maria, e cosìdi tutti i divini arcani, tutti i santi Dottori, mostrando col fatto diquanta luce siano fecondi i misteri, tuttoché oscuri, della santafede. -Sapete quello che solo si richiederebbe in chi muove tante difficoltà contro i misteri, per vedersele tutte sciolte in un punto?Un poco di buona fede, e che si cercasse sinceramente la verità.Ma il fatto è ben altrimenti: si grida contro i misteri, perché ciò sipuò fare senza parerne un animale; ma non sono i misteri quelli nella nostra religione principalmente dispiacciono, sono invece i comandamenti. Si dice che la ragione, la grande, la nobileragione, non consente che si credano tali veri, ed è invece la carne, l’ignobil carne, che non consente che si ammettano tali precetti.Ed io do in pegno l’esperienza di tutti i savii, che, dove Iddio si contentasse di abrogare un paio di comandamenti, per esempio,il sesto ed il settimo, questi nostri filosofi ammetterebbero dibuon grado duecento misteri: ed appena conceduto quel poco dilibertà al senso., la lor ragione non avrebbe più di che turbarsi, esarebbe ristabilita pienamente la pace fra tutti i miscredenti ed i fedeli.Il solo male è che Dio non accetta la condizione.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (53)

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (53)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

INDICE DEGLI ARGOMENTI -X-

L. — DIO PREMIANTE E CASTIGANTE.

L 1. 1. Morte dell’uomo.

A morte dell’uomo occorse a causa del peccato, non per necessità di natura 146 222 372 1512 2617.

La fine della sua vita umana è anche la fine della condizione per meritare: non é da mettere in dubbio che le anime nel purgatorio siano fuori dallo stato di meritare 1488; add. il testo circa la sorte dell’uomo dopo la morte L 3 6; l’uomo che differisce la conversione alla fine della vita non trova spazio per la riconciliazione 310.

Cristo a.risorgendo sottomissione l’impero della morte 72 a485 3901.

L 2 2. Il giudizio particolare dell’uomo.

Il giudizio particolare da subirsi, si suppone precedere la destinazione al cielo, al purgatorio, all’inferno (857s 1002 1304-1306): ugualmente indirettamente si distrugge l’asserzione riprovata (ritrattata) di Giovanni XXII [i dannati non andranno alla pena eterna prima dell’ultimo giudizio] 990°.

3. Sorte dell’uomo avviato alla beatitudine: Beatitudine celeste.

L 3a. a. — ESSENZA DELLA BEATITUDINE CELESTE

3aa. Beatitudine essenziale (finale) consiste nella a.fruizione dell’essenza divina, b.nella visione e dilezione di Dio a1000 bc1067 c1316; è chiamato “cielo”, paradiso caeleste, patria sempiterna 839 991 1000.

3ab. Visione dell’essenza divina. I Beati vedono — l’essenza divina 990s 1000 1316; —: Dio uno e trino, e le a.processioni divine 1305 a3815;

— : visione a.intuitiva e b.di faccia b9905 ab1000 b1067; — : l’essenza nuda, chiaramente ed apertamente 1000 1305; —: immediatamente, cioè, senza alcuna mediazione di creatura che sarebbe oggetto di visione; anche le anime separate dai corpi vedono l’essenza nella visione facciale per quanto la loro condizione lo permetta 991.

Riprov. gli errori: [la beatitudine consiste nella visione della sola chiarezza di Dio da Esso emanante] 1009; [Dio può comunicare la sua essenza anche ad entità finite col lume della gloria nel solo modo accomodato di comunicare, cioè in quanto autore di opere ad extra] (3227) 3238-3240.

La visione di Dio evacua l’atto di fede e di speranza in quanto virtù teol. 1001;, non esclude i casto timore 735; riprov. l’asserzione: [nella vita eterna non dobbiamo essere soggetti a Dio come un servo sotto al padrone]; riprov. l’asserzione [nella vita eterna saremo trasformati totalmente in Dio] 960.

3ac. Beatitudine del corpo. Gli uomini davanti al Giudice compaiono con i corpi per ricevere col proprio corpo quanto fanno fatto in vita di bene 574 1002.

3ad. Consorti degli Angeli. Ad essi si aggregano gli uomini beati 443 991 1000. 3ad

L 3b. b. — PROPRIETÀ DELLA BEATITUDINE.

3ba. Soprannaturalità. La beatitudine è dovuta alla grazia di Dio 377 443; il beando manca del lume di gloria elevante 895; reprob.: [l’uomo in questa vita può conseguire la beatitudine finale secondo ogni grado di perfezione] 894.

L’immediata cognizione di Dio all’anima umana non è congenita o essenziale o identica al lume intellettuale 2841 2844s 3237; riprov.: [Dio non può produrre esseri intelligenti senza ordinarli alla visione beatifica] 3891.

3bb. Ineguaglianza della beatitudine. Per la diversità dei meriti c’è un più alto il grado di perfezione 1305 (582);

Si riprov. tuttavia: [le anime liberate dal purgatorio grazie ai suffragi degli altri, sono meno felici che se avessero soddisfatto da soli] 1490.

3bc. Sicurezza della beatitudine. L’uomo è beato senza timore di errare 443; cf. anche il falso presupposto nell’asserzione riprovata [le anime preesistono e stanche della contemplazione divina fecero poi defezione] 403.

3bd. Eternità della beatitudine. I beati vedono Dio in eterno a.senza interruzione 1000 a1001; Cristo fa participi gli uomini della sua immortalità 413; il premio delle opere buone è la perpetua felicità perpetua, la vita eterna 76 377 443 485 802 1545s 1638; add. testo circa la fede nella vita eterna: L 7e; gli uomini buoni risorgono alla gloria sempiterna 801; raggiungono il regno della beatitudine senza fine, la patria sempiterna 574 839.

L 3c. c. — AMMISSIONE ALLA BEATITUDINE.

L 3c. Condizioni da parte dell’anima. La morte nelle stato di grazia o in carità 839 1546

1582; l’accesso è aperto alle anime — di coloro che dopo il battesimo non hanno commesso assolutamente alcun peccato 857 925 1305; —: di coloro che sono state purificate da una a.piena purgazione o soddisfazione (in terra o in purgatorio) 857 925 a990s 1000 1067 a1074 1305; —: i fanciulli morti dopo il battesimo prima dell’uso della ragione (794) 839 a1000 1316.

3cb. Condizioni da parte del tempo. Il Regno della beatitudine era chiuso per tutti fino alla morte di Cristo 780 1000; l’ingresso fu dischiuso all’ascensione di Cristo 1000;

si riprov.: [i santi soggiornavano in paradiso prima del tempo della Redenzione] 337.

La beatitudine finale non può essere acquisita già in questa vita 894.

Le anime purgate a.subito (b.immediatamente) dopo la morte, pervengono alla beatitudine anche c.prima della resurrezione dei corpi e il giudizio universale b857 a925 ac991 ac1000 ac1067 a1305 b1316; riprov. l’asserzione opposta: [Anima separata ha la visione della divinità non prima della resurrezione dei corpi 990° 1009.

L 3d. d. — COMUNICAZIONE TRA CHIESA TRIONFANTE E MILITANTE.

3da. La Comunione dei santi è la mutua comunicazione tra fedeli di ausili, espiazioni, preghiere, benefici, o dei giunti nella patria celeste o ancora immersi nel fuoco espiatorio o ancora peregrinanti in terra, in una unica città 3363; fede dei symbol. della fede nella comunione dei Santi 19 26-30; i Santi offrono orazioni per gli uomini 1821 1867 2187; patrocinio dei Santi 3363.

3db. Culto dei Santi. Vd. K 2dd; ogni culto liturgico prestato agli Angeli e agli uomini ridonda e finisce come culto alla Ss. Trinità (675 1824s) 3325.

4. Sorte dell’uomo purgante: il purgatorio.

L 4a. a. — ESISTENZA ED ESSENZA DEL PURGATORIO.

Purgatorio o catartario è il nome del luogo di purgazione degli uomini 838 856.

Si tivendica l’esistenza del purgatorio 1010 1487 1820 1867 3554.

Al Purgatorio è destinato l’anima degli uomini deceduti in grazia, che non hanno pienamente soddisfatto ai loro peccati 838 856 1066 1304 1398 1580.

Il Purgatorio è concepito come fuoco a.transitorio temporaneo) 8838 a1067 1398 3363.

Si riprovano le asserzioni circa le anime in Purgatorio peccanti e non sicuri della propria salvezza 1488s.

L4b. b. — COMUNICAZIONE TRA LA CHIESA MILITANTE E LA PENITENTE

Le anime purganti partecipano alla comunione dei Santi 3363; da se stessi non possono meritare e quindi hanno bisogno dei suffragi degli altri 1398 1405; ad essi possono essere utili i suffragi dei fedeli viventi: a.il Sacrificio della Messa, b.le orazioni, le c elemosine, d.altri benefici ed esercizi di pietà (a583) a741 acd797 abcd856 abcd1304 bc1405 a1743 a1753 a1820 a1866s a2535 a3363.

Le indulgenze possono applicarsi alle anime purganti per modo di suffragio 1398 1405 1448 CdIC 911; nella misura in cui si giudicano applicate ai bisogni dei defunti 1448 2750; riprov. le ass. neganti applicabilità o l’utilità delle indulgenze per i defunti 1010 1416 1472 1490 2642s;

riprov.: [l’Anima liberata in virtù dei suffragi è meno beata di quanto avesse soddisfatto da sé stessa] 1490.

L 5. 5. Sorte del defunto col solo peccato originale: il limbo.

La pena del peccato originale è la mancata visione di Dio (184 219) 780; add. circa le sequele D 3bd; non esiste un luogo di mezzo della beatitudine tra il regno di Dio e la dannazione, nel senso dell’intelletto pelagiano 0 (184) 224 2626; si riprova.: [L’anima dei bambini nati da genitori cristiani morti senza bpt. vanno nel paradiso terrestre, l’anima dei bambini nati sa genitori non Cristiani, vanno nei luoghi in cui si trovano i loro genitori] 1008.

Le anime decedute col solo peccato originale discendono nell’inferno, dove tuttavia, sono puniti in modo diverso 858 a926 1306; sono puniti con la pena del danno senza la pena del fuoco 2626; il luogo in cui stazionano è chiamato di solito limbo 2626; si riprova: [il picccolo deceduto senza battesimo avrà in odio Dio] 1949.

6. Sorte dell’uomo dannato: inferno.

L 6a. a. — ESISTENZA DELL’INFERNO DI PENE.

L’anima deceduta in peccato attuale mortale discende nell’inferno. (338 342) 839 858 926 1002 1075 1306; Christo (con la sua passione) non distrusse l’inferno inferiore, riprovato: [distrusse totalmente l’inferno] 1011 1077.

L 6b. b. — NATURA DELL’INFERNO.

Pena dell’inferno è designata con le parole a.supplizio, b.cruciato, et massimamente c.fuoco (ardore)

c76 c.338 c342 a443 a485 c575 b780 (c2626); questa pena è eterna (a.fuoco inestinguibile) 72 76 212 342 a443 486 574 596 630 780 801 839; riprov. l’asserzione circa la futura crocifissione redentrice di Cristo per i demoni e circa la reintegrazione dei demoni e degli uomini dannati p0409 411.

L 6c. c. — CAUSE DELLA DANNAZIONE.

Gli uomini si dannano per l’arbitrio della propria volontà 443; per peccati capitali 342; per la morte a.senza penitenza nello stato di peccato b.mortale c.attuale c627 c780 ab839 c1002 b1075 bc.1306.

7. La sorte finale del mondo.

L 7a. a. — AVVENTO DI CRISTO GIUDICE.

Fede (nei symbol.) nell’avvento di Cristo a.gloriosa b.nella sua carne a6 10-30 a40-42 a44 ab46 ab48 50s 55 a60 61-64 76 125 a150 b167 325 414 443 485 492 681 b791 801 852; questioni eseget. 3433 3628-3630.

Si riprova l’asserzione del Millenarismo o Chiliasmo: [Cristo prima del giudizio finale verrà visibilmente su questa terra per regnarvi] 3839; si riprova:

[L’avvento0 alla fine dei secoli si può attribuire al Padre] 737.

L 7b. b. — RESURREZIONE DEI MORTI.

Fede (dei symbol.) nella resurrezione della carne (ossia dei morti) 2 5 10-30 36

41//51 55 60 63 76 150 190 200 540 574 684 797 854; tutti risorgono 443 493 540 801 859 1002.

L’uomo riceve col proprio corpo quanto meritato 443 574 1002; l’uomo risorge —: nella medesina carne con cui visse 23 72 76 325 485 684 797 801 854;

—: non in una qualsiasi carne 540 574 797; —: non in a.aerea o b.nell’ombra di una visione fantastica a540 ab574; si riprovano gli errori circa la costituzione dei corpi dopo la resurrezione 407 1046.

La glorificazione del corpo del capo mistico di Cristo è da aspettarsi nell’avvento della futura gloria dei membri (358) 414 (485); Cristo (a.vivificante i morenti) resuscita i morti 72 a369 485; si riprova tuttavia: [la Risurrezione dei morti è da attribuire solo ai meriti di Cristo] 1910.

L 7c. c GIUDIZIO OUNIVERSALE.

Fede (dei Simboli) nel futuro giudizio di Cristo 10-30 40//51 55 60-64 76 125 150 325 414 443 485 492 540 574 681 791 801 852 859 1549; gli uomini rendono ragione dei loro atti 76 859 1002.

il giorno del giudizio è sconosciuto agli Angeli ed agli uomini, anche a.a Paolo Apostolo (non ostante certe espressioni) 474s a3629; solo Cristo conosce questo giorno per potenza divina 474-476.

L 7d. d. FINE DEL MONDO.

Si riprova la spiegazione della fine del mondo materiale. 1361.

L 7e. e. – IL REGNO ETERNO DI DIO E DI CRISTO.

I beati vivono senza fine 443; fede dei symb. nella vita eterna 3s 11° 15 18-30 36 41 //51 60 72 76 150 854; la vita eterna è il frutto della giustificazione, gratuito e mercede delle buone opere 72 443 485 540 1351 1545-1547 (1522) 1576 1582.

la Chiesa transiterà nel regno celeste 493; fede dei Symb. Nel regno dei cieli 3s 44 46 48 60 63; Cristo fa partecipi i fedeli del suo regno 540; la Chiesa, i Santi, i fedeli regneranno con Cristo a.in perpetuo a.550 s575 1821 2187 3363; il regno di Cristo non avrà fine 41s 44 56 48 60 150.

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (X)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (X)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

PRIMA PARTE DEL CATECHISMO:

FEDE (6).

2-7 Art. del Simbolo: Gesù Cristo.(1)

I. La redenzione.

GESÙ CRISTO, NOSTRO SALVATORE, CI HA LIBERATO DELLE CONSEGUENZE DEL PECCATO ORIGINALE.

L’uomo decaduto era incapace da solo di riacquistare la santità e la giustizia primitive, così come i beni che ne dipendevano. Un uomo morto non può risorgere il suo corpo, ed un’anima morta spiritualmente non può tornare di sua spontanea volontà alla vita. “Se già l’uomo con la grazia di Dio, non ha potuto mantenere se stesso nello stato di rettitudine in cui è stato creato, quanto più non può tornare ad esserlo senza la grazia di Dio (S. Aug.). L’uomo, dopo il peccato originale, assomiglia ad un malato che può muovere le braccia e le gambe, ma non può alzarsi dal letto senza un aiuto esterno, né trasportarsi verso il luogo della sua destinazione. (S. Th. Aq.). Ciò che il Buon Samaritano fu per l’ebreo caduto nelle mani dei ladri, Cristo è è per l’umanità ferita dalle astuzie del diavolo e spogliata dei suoi doni soprannaturali. Cristo è perciò chiamato il Salvatore (guaritore) dell’umanità, perché ha portato il rimedio a questa umanità rovinata dal peccato (Sailer – gesuita bavarese, poi secolarizzato, professore di teologia ad Ingolstadt e Landshut, poi Vescovo a Ratisbona, 1751-1832).

Prima di tutto, Cristo ha liberato la nostra anima dalle conseguenze del peccato originale: ha illuminato la nostra ragione con la sua dottrina, ha inclinato la nostra volontà al bene con i suoi comandamenti e le sue promesse, ha preparato per noi con il suo sacrificio sulla croce le grazie (i soccorsi) di cui abbiamo bisogno per ottenere la grazia santificante, per tornare ad essere figli di Dio ed eredi del cielo.

Cristo ha quindi svolto una triplice funzione: quella di Profeta o di magistero dottrinale; quella di Re o di governo pastorale; quella di Pontefice o di ministero sacerdotale. Cristo è dunque il nostro Maestro, il nostro Re ed il nostro Pontefice. A queste funzioni corrispondono le tre parti del catechismo: nella prima, Cristo ci insegna, nella seconda ci governa, nella terza si sacrifica per noi. – Il Cristo usa diverse figure per designare questa triplice funzione. Egli si definisce la luce del mondo, perché illumina la nostra comprensione con il suo insegnamento. (S. Giovanni XII, 46). Una torcia nell’oscurità illumina e fa vedere gli oggetti lontani, così Gesù Cristo ci fa vedere ciò che è più lontano: l’aldilà e l’eternità. – Davanti a Pilato Egli si dichiara re di un regno che non è di questo mondo (S. Giovanni XVIII, 36); si definisce anche il buon pastore che dà la vita per le sue pecore (id. X, 11); si paragona spesso ad una guida e ci esorta a seguirlo (id. XIV, 6; S. Matth. X, 38). “Noi siamo viaggiatori su questa terra che non hanno una dimora fissa, ma che cercano la dimora del futuro. Il cammino è accidentato, ripido, fiancheggiato da precipizi, e ci sono molti che per ignoranza si smarriscono e periscono. Ma abbiamo una guida che dice di sé: “Io sono la via, la verità e la vita”. (San Giovanni XIII). Se seguiamo questa guida e non abbandoniamo i suoi passi, non possiamo smarrirci. (L. de Gren.) – S. Paolo chiama Cristo il grande Pontefice (Eb. II, 17), che non ha dovuto sacrificarsi prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo (id. VII, 27), che non offrì il sangue di animali, ma il proprio corpo una volta per tutte (id. Xi), e che è entrato nei cieli (id. IV, lô). Con la sua obbedienza ha espiato la disobbedienza di Adamo (Rom. V, 19), poiché è stato obbediente fino alla morte di croce (Fil. II, 8). – Poiché Cristo ha dischiuso con il suo sacrificio le fonti della grazia, la Messa e i sacramenti, attraverso i quali possiamo recuperare la santità e la filiazione divina (Gai. IV, 5) e i nostri diritti al cielo (ibid.), diciamo che il Salvatore ci ha riaperto il paradiso. È proprio per questo che alla sua morte si è squarciato il velo del tempio che chiudeva il Santo dei Santi. (S. Matth. XXVII, 51). Abbiamo la speranza certa di entrare nel Santo dei Santi, cioè in cielo, attraverso il sangue di Gesù Cristo (Eb. X, 19). La croce è la chiave del cielo. (S. G. Cris.).

Cristo ha liberato il nostro corpo dalle conseguenze dannose del peccato.: morendo per noi, ci ha fatto guadagnare la risurrezione, ci ha insegnato con i suoi insegnamenti e il suo esempio come vivere felicemente in questo mondo come in cielo, e come dominare il mondo; infine, ci ha mostrato i mezzi per tenere il diavolo lontano da noi e per vincerlo.

Cristo era libero da ogni peccato, anche dal peccato originale. Per questo Egli non era soggetto alla morte che è la punizione per quel peccato. È morto liberamente per noi. Perciò è giusto che ci venga restituita la vita e che risorgiamo. Un paragone ci aiuterà a comprendere questa verità. Se dobbiamo una somma di denaro e un amico paga questo debito nello stesso momento in cui noi lo paghiamo, è giusto che ci vengaa restituito il danaro. Il Cristo è la risurrezione e la vita; (S. Giovanni XI, 2) e con la sua stessa risurrezione ha voluto darci un pegno della nostra. (I Cor. XV). La morte è venuta attraverso un uomo, la risurrezione dei morti deve venire se osserviamo la dottrina di Cristo, otterremo la vera felicità (si vedano le parole di Cristo alla Samaritana – S. Giov. IV) e godremo del paradiso terreno già in questa vita. – Praticando le virtù che Gesù Cristo ha insegnato e praticato, in particolare l’umiltà, la mitezza, la liberalità, la castità, praticando i consigli evangelici, possiamo respingere gli assalti del diavolo, nella misura in cui sono dannosi per la nostra salvezza. Cristo ha solo spezzato il potere di satana (Apoc. XII, 8), non lo distruggerà completamente se non all’ultimo giorno. (I Cor. XV, 24). – È per aver gettato satana dall’alto del suo potere che Gesù Cristo disse: “Ho visto Satana cadere come un fulmine dal cielo” (S. Luc. X, 18). – Con Gesù Cristo, nostro Salvatore, abbiamo più o meno riacquistato tutti i doni persi a causa del peccato. Senza dubbio, rimanevano molte conseguenze: concupiscenza, malattie, morte. Ma grazie ai meriti di Gesù Cristo, siamo stati compensati con doni più grandi e più numerosi di quelli che ci sono stati tolti dalla gelosia del diavolo. (S. Leone M.) Dove c’era abbondanza di peccato” c’era allora una sovrabbondanza di grazia. (Rom. V, 20). O colpa felice – esclama S. Agostino – che ci ha portato un Salvatore così grande e glorioso!

2. LA PROMESSA DEL REDENTORE.

Dio, che non aveva perdonato gli angeli caduti, perdonò i nostri primi avi perché erano meno colpevoli. Essi non lo conoscevano molto bene e sono stati sedotti dal diavolo. Inoltre, gli uomini avevano, almeno in parte confessato e si erano pentiti del loro peccato (non avrebbero dovuto però dare la colpa agli altri). Infine, Dio non voleva per la colpa di uno solo far sprofondare l’intera umanità in una disgrazia irreparabile.

1. SUBITO DOPO LA CADUTA, DIO HA PROMESSO ALL’UMANITÀ UN SALVATORE. DIO DISSE AL SERPENTE INFERNALE:

Porrò inimicizia tra te e la donna, e tra il tuo seme e il suo; ella ti schiaccerà la testa“. (Gen. ni, 15).

Questo è il significato di queste parole: porrò inimicizia tra satana e la Vergine Maria, tra i settari di satana e Cristo, il figlio della Vergine (Gal, III, 16); la Vergine Maria darà alla luce Colui che annienterà il potere del demonio, cioè Colui che libererà la razza umana che si è sottomessa alla sua influenza a causa del peccato originale. È un errore credere che con queste parole Dio abbia voluto solo ispirare all’uomo l’avversione, l’orrore del serpente; Dio le pronunciò contro il seduttore e non contro il suo semplice strumento. – Queste parole sono comunemente considerate il Provangelo, (primo) Vangelo, cioè la prima buona notizia del Redentore.. – Tuttavia, il Redentore non venne subito, perché gli uomini diventarono troppo sensuali e quindi incapaci di ricevere una grazia così grande. Egli fu invece costretto a punirli molto severamente con il diluvio, la distruzione di Sodoma e Gomorra e la dispersione presso la Torre di Babele.

2. 2000 ANNI DOPO, DIO PROMISE AD ABRAMO CHE IL REDENTORE SAREBBE STATO UNO DEI SUOI DISCENDENTI.

All’inizio Abramo viveva a Ur (città del fuoco) in Caldea, poi ad Haran in Mesopotamia; circondato da idolatri, aveva mantenuto la sua fede nel vero Dio. Il Signore allora gli ordinò di lasciare la sua famiglia e di andare in Chanaan o Palestina. Come ricompensa per questa obbedienza, Dio gli promise che in lui sarebbero state benedette tutte le generazioni della terra. (Gen. XlI, 23). Gli promise anche una numerosa discendenza. (Abramo è il padre spirituale di tutti i credenti. Rom. IV, 11). e diede a lui e ai suoi discendenti la fertile terra di Palestina (Gen. XII, 7). – Dio rinnovò questa promessa quando venne con due angeli a fargli visita nella sua tenda. (Gen. XVIII) e quando, per obbedienza, Abramo si preparò a sacrificare suo figlio Isacco. (Gen. XXII).

Questa promessa fatta ad Abramo, Dio la rinnovò ad Isacco, Giacobbe e circa 1000 anni dopo al re Davide.

Dio apparve a Isacco quando, spinto dalla carestia, volle attraversare la Palestina (Gen. XXVI, 2); a Giacobbe, quando fuggì dalla casa paterna e vide la visione della scala misteriosa (id. XXVIII, 12). Davide (re dal 1055 al 1015) ricevette da Dio, attraverso il profeta Natan, che uno dei suoi discendenti sarebbe stato il Figlio di Dio e avrebbe fondato un regno eterno. (II Re VII, 12). – Gli uomini dalla cui stirpe è nato il Salvatore sono chiamati Patriarchi. Ci furono 10 patriarchi prima del diluvio, da Adamo a Noè, e 12 da Shem ad Abramo, Isacco e Giacobbe.

Tutti i patriarchi vissero fino all’età matura: prima del diluvio raggiunsero un’età di quasi 1000 anni, dopo il diluvio, da 400 a 450 anni. Questa longevità può essere spiegata in parte dalla semplicità dei loro costumi, dalla loro vita all’aria aperta, dalle condizioni atmosferiche più favorevoli prima del diluvio, ma soprattutto dai disegni della Provvidenza, che attraverso questa ininterrotta tradizione ha voluto educare il genere umano; ciò che la Sacra Scrittura e l’insegnamento della Chiesa sono per noi, i Patriarchi lo furono per le generazioni primitive.

3. IN SEGUITO DIO INVIÒ I PROFETI E FECE LORO PREDIRE MOLTE E DETTAGLIATE COSE SULLA VENUTA, LA PERSONA, LE SOFFERENZE E LA GLORICIZIONE DEL MESSIA.

I Profeti erano uomini illuminati da Dio (uomini di Dio) che erano stati incaricati da Lui di parlare agli israeliti in suo nome. Il ruolo principale dei Profeti era quello di impedire a Israele di peccare (di rimproverarli quando avevano peccato) e di prepararli alla venuta del Messia (cioè di profetizzare su di Lui). – Dio scelse profeti di diversa estrazione (Isaia era di stirpe reale; Amos era un pastore; Eliseo era stato chiamato dall’aratro) e concesse loro il dono dei miracoli e della profezia (predire le punizioni e gli eventi futuri della vita del Messia), cosicché furono immediatamente considerati come inviati di Dio. La maggior parte di loro conduceva una vita molto penitente; alcuni rimasero celibi (Elia, Eliseo, Geremia). – I Profeti parlavano con grande audacia ed erano molto stimati dal popolo. Tuttavia, tutti furono perseguitati e alcuni messi a morte (S. Matth. XXIII, 20). In tutto, i profeti furono circa 70. Mosè stesso era un grande profeta (Dent. XXXIV3 10); il più grande fu Isaia, che parlò così chiaramente del Salvatore, che noi potremmo – dice San Girolamo – chiamarlo evangelista. L’ultimo Profeta fu Malachia (intorno al 450 a.C.). Diversi profeti hanno lasciato degli scritti (4 grandi e 12 piccoli Profeti).

I. SULLA VENUTA DEL MESSIA I PROFETI HANNO PREDETTO:

1. Che sarebbe nato a Betlemme.

“E tu, Betlemme chiamata Efrata, dice Michea, sei piccola tra le città di Giuda; ma da te uscirà Colui che dovrà regnare in Israele, la cui generazione è fin dal principio, da tutta l’eternità. “(Michea V, 2). – Così i re Magi furono informati che il Salvatore dovesse nascere a Betlemme. (S. Matth. II, 5).

2. Che il Messia sarebbe venuto finché fosse rimasto il 2° tempio.

Quando i Giudei, al ritorno dalla cattività, cominciarono a ricostruire il tempio, gli anziani che avevano visto l’antico tempio piansero amaramente, perché videro fin dall’inizio che il nuovo tempio non avrebbe eguagliato la grandezza e la bellezza di quello antico. Il Profeta Aggeo venne allora a consolarli, dichiarando che il Salvatore sarebbe entrato nel tempio che stava per essere costruito. Il Salvatore sarebbe entrato in questo tempio che avrebbe prevalso in gloria sul primo (Agg. II, 8-10). – Ora, questo tempio fu distrutto da Tito nel 76 (d.C.) e non fu mai più ricostruito.

3. Che il Messia sarebbe venuto quando i Giudei sarebbero stati privati della sovranità (potere regale).

Prima di morire Giacobbe benedisse i suoi figli e disse a Giuda: “Lo scettro (la sovranità, l’autonomia) non uscirà da Giuda fino all’arrivo di Colui che le nazioni attendono. (Gen. XLIX, 10). Da quel momento in poi, la tribù di Giuda conservò la sovranità. All’uscita dall’Egitto e sotto i Giudici, essa fu la tribù dominante (Num. II, 3-9; Giud. I, 3; XX, XVIli). Il re Davide apparteneva alla tribù di Giuda (l Par. II, 16), così come i suoi successori fino alla cattività, e Zorobabele, che riportò il popolo (Esdr. I, 8). E mentre i Giudei erano sottomessi a re stranieri, i governatori che in Oriente hanno il potere assoluto, erano Giudei. In seguito, il popolo giudaico riacquistò la libertà ed ebbe re nazionali della famiglia dei Maccabei. Ma nel 39 a.C. i re giudei persero il loro trono, perché in quell’anno uno straniero pagano, Erode il grande (nato l’anno 3 dopo Gesù Cristo), fu nominato re dai Romani. – In quel periodo il Salvatore era davvero atteso in tutta la Giudea; infatti, Erode tremò quando i Magi gli chiesero dove fosse nato il Salvatore (S. Matth. 11, 3); i Giudei credettero addirittura che Giovanni Battista nel deserto fosse il Cristo (S. Luc. IIl, 15). – Anche la Samaritana al pozzo di Giacobbe parla della venuta del Messia (S. Giovanni IV, 25). Il sommo sacerdote esorta Gesù a dirgli se è Lui il Messia (S. Matth. XXVI, 63); infine più di 60 impostori ingannarono il popolo facendosi passare per il Cristo. – Anche i pagani all’epoca di Gesù Cristo si aspettavano un dominatore del mondo, originario della Giudea (Tacito, Svetonio); il poeta Orazio lo chiamava figlio della vergine celeste, che sarebbe tornato in cielo. (Odi I, 2).

4. Che Daniele (605-530) dalla ricostruzione delle mura di Gerusalemme (453) alla vita pubblica del Messia, ci sarebbero state 69 settimane di anni, e fino alla sua morte, 69 e mezzo.

Questa profezia gli fu comunicata dall’Arcangelo Gabriele, mentre alle 3 del pomeriggio “offriva il sacrificio della sera e pregava per la liberazione dalla cattività babilonese”. (Dan. IX, 21). – Ora, Ciro nel 636 concesse ai Giudei prigionieri solo il permesso di ricostruire la città ed il tempio, ma in nessun modo di costruire fortificazioni; altrimenti non si capirebbe perché siano stati accusati presso il re di Persua di costruire le mura di Gerusalemme (I Esdr. IV, 12). – Fu solo Artaserse, che nel 20° anno di regno (453) diede a Neemia, il suo coppiere, l’autorizzazione di fortificare Gerusalemme e di dotarla di porte (II Esdr. II, 2,1-8). Ora, se al numero 452 aggiungiamo 69 volte 7, ossia 483 anni o 69 e mezzo volte 7, ossia 486 e mezzo, arriviamo all’anno 30 e 33 dopo Gesù Cristo. Che mirabile profezia!

5. Che il Messia sarebbe nato da una Vergine della razza di Davide.

Dio fece dire ad Isaia al re Achaz (VII, 15) di chiedergli un segno della sua onnipotenza. Ma il re rifiutò: “Perciò – disse il Profeta – il Signore ne darà uno di sua iniziativa”. Ecco, una vergine concepirà e partorirà un figlio, e il suo nome sarà Emmanuele (Dio con noi). – Da parte sua, Geremia ha detto: “Susciterò per Davide un discendente giusto; egli regnerà come re e il suo nome sarà: Il Signore nostro Giusto (Ger. XXIII,5-6).

6. Che il Messia avrebbe avuto un precursore, che avrebbe predicato nel deserto e avrebbe condotto una vita angelica.

“Abbiamo udito – dice Isaia, (XL, 3) – la voce di uno che grida nel deserto: Preparate le vie del Signore, raddrizzate i sentieri del nostro Dio. Tutte le valli saranno riempite e ogni monte e colle sarà abbassato. Io vi manderò – dice Malachia (III, 1), “il mio angelo che preparerà la mia via davanti alla mia faccia, e subito il sovrano che cercate… verrà al suo tempio”. Questo precursore era San Giovanni Battista.

7. Che una nuova stella sarebbe sorta con il Messia.

L’indovino Balaam profetizzò davanti al re dei Moabiti quando arrivarono gli Israeliti figli di Mosè: “Lo vedo, ma non ancora; lo vedo, ma non da vicino. Una stella uscirà da Giacobbe, uno scettro sorgerà in Israele” (Numeri XXIV, 17).

8. Che i re sarebbero venuti da terre lontane per adorarlo e portargli doni. (Sal. LXXI , 10).

9. Che al momento della nascita del Messia, molti bambini sarebbero stati uccisi.

“Un brusio – dice Geremia (XXXI, 16) di lamentele, gemiti e pianti si è alzato sulla collina. Rachele piange i suoi figli e rifiuta di essere consolata, perché non ci sono più”. Rachele, la madre della tribù più numerosa, rappresenta qui il popolo giudaico. Rachele morì e fu sepolta a Betlemme (Gen. XXXV, 19).

10. Che il Messia sarebbe fuggito in Egitto (Is. XIX, 1) e che sarebbe tornato. (Os. XI, 11).

11. Della Persona del Messia i Profeti hanno annunciato:

1. Che il Messia sarebbe stato il Figlio di Dio.

Dio annunciò il Salvatore a Davide attraverso il profeta Natan e disse: “Io sarò suo Padre ed egli sarà mio Figlio.” (Rm VII, 10). Nel Salmo II Dio dice al Messia: “Tu sei mio Figlio, oggi ti ho generato”.

2. Che sarebbe stato allo stesso tempo Dio e uomo.

“Un bambino è nato per noi, dice Isaia (IX, 6), un figlio ci è stato dato, e il suo nome sarà

(cioè sarà Lui stesso): Consigliere mirabile, Dio”. “Dio verrà di persona e vi salverà”. (Ibid. XXXV, 6).

3. Che sarà un grande operatore di meraviglie.

“Dio stesso verrà e vi salverà. Allora si apriranno gli occhi dei ciechi,

gli orecchi dei sordi; gli zoppi salteranno come cervi e la lingua dei muti sarà sciolta. (Is. XXXV, 6).

4. Che sarebbe stato un sacerdote come Melchisedec.

Secondo Davide, Dio parlò al Messia in questi termini: “Tu sei sacerdote per sempre secondo l’ordine di Melchisedec”. (Ps. CIX, 4.) – Gesù Cristo ha offerto il pane ed il vino nell’Ultima Cena e lo fa ancora ogni giorno attraverso le mani dei Sacerdoti.

5. Che sarebbe stato un grande profeta o dottore.

Dio aveva già promesso a Mosè che “avrebbe suscitato per gli Israeliti un profeta come lui tra i loro fratelli”. (Deut. XVIII, 18). Così i Giudei lo chiamarono semplicemente il Messia, “il profeta che deve venire”. (S. Giovanni VI, 14). – Come profeta, il Salvatore doveva insegnare e profetizzare. Doveva anche essere il maestro dei Gentili. (Is. XLIX, 1-6).

6. Che sarebbe stato il sovrano di un nuovo regno (Ger. XXIII, 6) indistruttibile e comprendente tutti i regni della terra. (Dan. II, 44).

Questo regno è la Chiesa Cattolica o universale. – Ecco perché Cristo davanti a Pilato si è definito Re (S. Matth. XXVII). 11). Egli aggiunge però questo: “Il mio regno non è di questo mondo”, cioè il mio regno è tutto spirituale (S. Giovanni XVIII, 36).

III. Per quanto riguarda la Passione del Messia, i Profeti avevano predetto:

1. Che il Messia farebbe la sua entrata in Gerusalemme su di un asino. (Zac. IX, 9).

2. Che sarebbe stato venduto per trenta pezzi d’argento.

Mi fecero pagare, dice Zaccaria (XI, 12), trenta pezzi d’argento; e il Signore disse: “Gettalo al vasaio, l’alto prezzo che mi hanno fatto pagare”. E io presi i 30 denari e li gettai nel tesoro della casa del Signore. – I fatti rispondono a questa profezia: Giuda gettò il denaro del tradimento nel tempio ed i sacerdoti comprarono il campo del vasaio per la sepoltura degli stranieri. (S. Matth. XXVII, 5-7).

3. Che sarebbe stato tradito dal suo commensale (Sal. XL, 10).

Giuda lasciò la tavola e tradì subito il suo Maestro (S. Giovanni XVIII, 15).

4. Che nella sua passione i suoi discepoli lo avrebbero abbandonato“.(Zac. XIII, 7).

Quando Gesù fu preso, tutti i suoi discepoli lo abbandonarono e fuggirono (S. Marco XIV, 50). Pietro e Giovanni, da soli, lo seguirono da lontano nel cortile del sommo sacerdote. (S. Giovanni XYIII, 15).

5. Che sarebbe stato schernito (Sal. XXI, 7), colpito, disprezzato (Sal.L,.6), flagellato, (Sal. LXXII, 14) coronato di spine, (Cant. III, 11) fatto bere fiele ed aceto (Sal. LXVIII,22).

Coloro che passavano sotto la croce lo maledicevano e scuotevano la testa. (S. Marco XV, 29). I principi dei sacerdoti e gli scribi lo irridevano e dicevano tra di loro: “ha aiutato gli altri; aiuti se stesso”. (S. Marco XV, 31).

– Già davanti al sommo sacerdote Anna, un servo aveva dato uno schiaffo al Salvatore, perché la sua risposta gli era dispiaciuta. (S. Giovanni XVIII, 22). Quando Cristo davanti a Caifa confessò di essere il Figlio di Dio, alcuni gli sputarono in faccia, lo presero a pugni ed altri gli diedero schiaffi (S. Matth. XXVI, 67). Pilato fece flagellare Cristo (S. Giovanni XIX, 1); poi i soldati gli misero una corona di spine, un mantello di porpora, gli colpirono la testa con una canna, gli diedero colpi e lo schernirono (S. Marco XV; S. Giovanni XVIII). Sul Golgotha gli diedero un vino detestabile, mescolato con fiele (propriamente con mirra – S. Marco XV, 21) e dopo averlo assaggiato, rifiutò di berlo. (S. Matth. XXVII, 34).

6 . Che tirassero a sorte la sua veste. (Sal. XXI, 19).

I soldati fecero della veste di Cristo 4 parti e ognuno ne prese una; ma poiché la veste era priva di cuciture e tessuta in un unico pezzo, non vollero tagliarla (S. Giovanni XiX, 23) e lo tirarono a sorte.

7. Che gli venissero trafitte le mani e i piedi. (Sal. XXI, 17).

Gesù Cristo era davvero inchiodato alla croce; così poté mostrare a Tommaso le ferite delle sue mani, dicendogli: “Metti qui le tue dita” (S. Giovanni XX, 27). – Altri che furono crocifissi, come i due ladroni, poi S. Pietro e S. Andrea, non furono crocifissi. Si dice che fossero solo legati alla croce con delle corde.

8. Che sarebbe morto in mezzo ai criminali.

“Gli danno, dice Isaia, il suo sepolcro tra gli empi ed Egli sarà tra i ricchi dopo la sua morte. (Is. LIII, 9). Cristo morì tra due briganti della strada che furono crocifissi con lui (S. Luc. XXIII, 33).

9. Che in mezzo alle sue sofferenze, sarebbe stato paziente come un agnello (Is. LIII, 7) e che avrebbe persino pregato per i suoi nemici. (Ibid. 16).

10. Che avrebbe sofferto liberamente e per i nostri peccati. (Ibid. 4-7).

IV. Per quanto riguarda la glorificazione del Messia, i Profeti annunciano:

1. Che la sua tomba sarebbe stata tra i ricchi (Is. LIII, 9).

Che sarebbe stato addirittura glorioso (Is. XI, 10).

2. Che il suo corpo non sarebbe stato consegnato alla corruzione della tomba. (Sal.. XV, 10).

3. Che sarebbe tornato in cielo (Sal. LXVII, 34) e si sarebbe seduto alla destra di Dio. (Sal. CIX, 1).

4. Che la sua dottrina si sarebbe diffusa da Gerusalemme, dal monte stesso di Sion, a tutta la terra (Is. II, 3).

Il Cenacolo, dove gli apostoli ricevettero lo Spirito Santo, si trovava sul Monte Sion.

5. Che le nazioni di tutto il mondo entrassero nel suo regno e lo adorassero. (Sal. XXI, 28-29).

6. Che il popolo giudaico che lo aveva crocifisso sarebbe stato punito e disperso tra tutti i popoli della terra. (Dent XXVIII, 64).

Gerusalemme sarà distrutta insieme al tempio, i sacrifici e il sacerdozio ebraico, ed il tempio non sarà più ricostruito. (Dan. IX, 26-27; Os. III, 4).

7. Che in tutti i luoghi della terra si offrirà a Lui un sacrificio puro di grano. (Mal. I, 11).

8 . Che un giorno avrebbe giudicato tutti gli uomini (Sal. CIX, 6) e che prima del giudizio avrebbe inviato Elia sulla terra (Mal. IV, 5).

4. La vita del Messia è stata anche preannunciata da molte figure.

Una pianta mostra in anticipo come sarà l’edificio. L’ombra del viaggiatore indica che lo seguirà. L’alba annuncia il giorno. Allo stesso modo, alcune delle azioni dei Patriarchi prefiguravano alcune azioni di Cristo, e molte cerimonie giudaiche prefiguravano alcuni dei misteri del Cristianesimo. (I Col. II, 17). L’Antico Testamento è per il Nuovo, ciò che l’ombra è per la realtà (Eb. X, 1), ciò che l’immagine è per l’originale. Tutto l’Antico Testamento era il velo del Nuovo (S. Aug.). – Il Nuovo Testamento è nascosto nell’Antico e quest’ultimo è illuminato dal Nuovo. (S. Aug.). Le persone o le cose che rappresentano un evento futuro sono chiamate figure o tipi.

Le principali figure del Messia furano Abele, Noè, Melchisedec, Isacco, Giacobbe, Giuseppe, Mosè, Davide, Giona, l’Arcangelo Raffaele, l’agnello pasquale, il sacrificio espiatorio, il serpente di bronzo, la Manna, ecc.

Abele fu il primo giusto tra gli uomini (Cristo il primo degli eletti); era un pastore e offrì a Dio un sacrificio gradito, fu odiato e ucciso dal fratello e rimase dolce come un agnello (Gen. IV). (Cristo fu ucciso dai Giudei, suoi fratelli). Noè fu l’unico uomo giusto tra tutti i suoi contemporanei (Gesù Cristo è l’unico senza peccato); costruì un’arca mentre ancora predicava (Cristo fondò la Chiesa); salvò l’umanità dalla rovina (Gesù Cristo salva l’umanità dalla morte eterna); offre a Dio un sacrificio gradito a Dio quando uscì dall’arca (Gesù Cristo lo offrì quando uscì dalla vita). Con Noè, Dio ha stretto un’alleanza con l’umanità e ha promesso l’arcobaleno. (Gesù Cristo ha rinnovato l’alleanza e ha dato in pegno il SS. Sacramento). (Gen. VI-IX).

Melchisedec (Gen. XIV), che significa re della giustizia, era re di Salem, cioè della pace. (Gesù Cristo è il re eterno della giustizia e della pace). Re e sacerdote egli offre pane e vino. – Isacco è l’unico figlio amato da suo padre (Gen. XXlI); porta la legna per il suo sacrificio sul monte, si pone obbediente sulla legna, fu restituito al padre (Gesù Cristo è risorto dai morti). – Giacobbe (Gen. XXV-33) fu perseguitato dal fratello ed alla fine si riconciliò con lui. Cristo fu perseguitato dai suoi fratelli, i Giudei, e si riconcilierà con loro alla fine dei tempi. Benché figlio fi un uomo ricco, andò povero in un paese straniero, a trovarsi una sposa pia, (Gesù Cristo è venuto sulla terra per fidanzarsi alla Chiesa); per avere questa sposa, Giacobbe si mmisssw asl lavoro per lunghi anni (Gesù Cristo per la Chiesa ha preso la forma di uno schiavo ed ha servito l’umanità per 33 anni); Giacobbe aveva 12 figli e tra questi un figlio di predilezione, Giuseppe. (Gen. XXV, 33). Gesù Cristo aveva 12 Apostoli e tra essi un amico particolare, Giovanni).  – Giuseppe (Gen. XXXVII-XLV), il figlio prediletto, viene odiato dai fratelli e venduto per meno di 30 denari viene imprigionato tra mezzi criminali, uno dei quali viene graziato e l’altro giustiziato (così Gesù Cristo sulla croce); dopo le sue umiliazioni viene elevato ai più alti onori; con il suo consiglio salvò l’Egitto dalla carestia (Gesù Cristo con il Vangelo, ci salva dalla carestia spirituale), gli araldi ordinano al popolo di inginocchiarsi davanti a Giuseppe (gli Apostoli hanno chiesto lo stesso onore per Gesù). Egli si riconcilia finalmente con i suoi fratelli, come Gesù si riconcilierà con ii Giudei alla fine del mondo. – Mosè (Esodo) sfugge da bambino ai crudeli ordini del faraone. trascorse la sua giovinezza in Egitto, digiunò 40 giorni prima della promulgazione della legge (Gesù Cristo digiuna 40 giorni prima della predicazione del Vangelo); libera gli Israeliti dalla prigionia e li condusse nella Terra Promessa (Gesù Cristo ci ha salvato dalla schiavitù di satana e ci ha portato nella Chiesa); compie miracoli per dimostrare la sua missione divina, prega continuamente per il popolo, appare sul Monte Sinai con un volto raggiante di luce (Tabor), è il mediatore dell’Antica Alleanza, come Gesù Cristo della Nuova. – Davide nacque a Bethlehem e trascorse la sua giovinezza in uno stato molto umile; attaccò il gigante Golia con un bastone e cinque pietre, l’avversario del popolo di Dio e lo sconfisse (Gesù Cristo ha sconfitto satana con il legno della croce e le sue cinque ferite), diventa re, come Gesù, soffre molto, ma trionfa sempre. (I-II Re). – Giona trascorre tre giorni nel ventre del pesce (Gesù Cristo, 3 giorni nel seno della terra. S. Matth. XII, 40); predica la penitenza ai Niniviti come Gesù agli Ebrei. – L’Arcangelo Raffaele scende dal cielo per diventare la guida di un uomo (Gesù-Cristo per diventare la guida dell’umanità), lo accompagna, cura la cecità (Gesù Cristo cura la cecità spirituale) e lo libera dal diavolo (Tob.). – L’agnello pasquale (Es. XIII) viene sacrificato prima dell’uscita dall’Egitto, quindi alla vigilia del grande sabato pasquale; è una vittima ed un cibo, senza difetti, senza macchia, nel fiore della vita; le sue ossa non sono state spezzate; il suo sangue viene messo sulle porte, preserva dalla morte corporea (quella di Gesù, dalla morte eterna), viene mangiato al momento della partenza per la Terra Promessa (Gesù Cristo dona se stesso al momento della partenza per la vostra vita futura); l’agnello è mite, come lo era il Salvatore. – Il grande. sacrificio di propiziazione: Il sommo sacerdote imponeva le mani su un ariete e dopo aver confessato i peccati del popolo, lo spingeva nel deserto per farlo morire (Num. XXIX), anche Gesù Cristo prese su di sé i peccati degli uomini e per questo andò incontro alla morte attraverso il deserto della sua vita mortale. – Il serpente di bronzo (Num. XXI, 6) è collocato nel deserto su una croce; un solo sguardo guarisce dal morso mortale dei serpenti di fuoco. Come Mosè ha innalzato il serpente di bronzo nel deserto, così il Figlio dell’uomo deve essere innalzato, affinché tutti coloro che credono in Lui non periscano, ma abbiano la vita eterna” (S. Giovanni III, 14). – La Manna è una figura di Gesù nel Santissimo Sacramento; è bianca come l’ostia; cadeva ogni mattina, come Gesù scende ogni mattina sull’altare; non cadeva più dopo il soggiorno nel deserto, come Gesù smetterà di essere presente nel Santissimo Sacramento dopo la fine del mondo.

Sacramento dopo la fine del mondo. La manna, secondo Gesù Cristo (S. Giovanni VI, 33) si differenzia dall’Eucaristia in quanto non è il vero pane del cielo, mentre questo (l’Eucaristia) è il vero pane del cielo e dà vita al mondo”.

3. LA PREPARAZIONE DELL’UMANITÀ ALLA VENUTA DEL SALVATORE.

1. DDIO SCELSE UN POPOLO E LO PREPARÒ ALLA VENUTA DEL SALVATORE.

Questo popolo scelto era costituito dai discendenti di Abramo.; è comunemente chiamato popolo israelita o ebreo

La vocazione di Abramo è ben nota (Gen. XII). Il popolo ebraico doveva essere il sacerdozio di tutta l’umanità. (Es. XIX, 6). Questa scelta non era quindi una riprovazione per altri popoli, ma una prova che Dio si prendeva cura di loro. Dio dichiarò che il Redentore avrebbe reso felici tutti i popoli. .

La preparazione del popolo eletto per la venuta del Salvatore consisteva in prove severe, in una legge severa, in numerosi miracoli e nell’insegnamento dei profeti.

Il popolo eletto era molto sensuale; preferiva le pentole dell’Egitto alla libertà. (Es. XVI, 3). Per questo motivo Dio inviò loro delle prove per sradicare questa sensualità: Ad esempio, l’ordine del faraone di uccidere tutti i bambini maschi; la fame e la sete nel deserto; i serpenti di fuoco, gli attacchi dei nemici quando il popolo aveva abbandonato la cattività babilonese e l’oppressione di re crudeli. A causa della rozzezza del popolo Dio diede loro le sue leggi tra lampi e tuoni, accompagnati da minacce e da promesse (S. Giovanni Cris.). Il popolo era anche molto incline alla idolatria, come dimostra l’episodio del vitello d’oro. (Es. XXXII, 1). I miracoli avevano lo scopo di rafforzare la fede e la fiducia nell’unico vero Dii (le piaghe d’Egitto, l’attraversamento del Mar Rosso e del Giordano, la manna, la sorgente della roccia, la caduta delle mura di Gerico, ecc.) – I profeti dovevano anche rafforzare la fede nel vero Dio e mantenere vivo il desiderio della venuta del Redentore.

Ecco un breve riassunto della storia del popolo ebraico.

1. I discendenti di Abramo vissero dapprima in Palestina, poi vennero in Egitto, dove rimasero per 400 anni sotto dura oppressione.

Dio chiamò Abramo intorno al 2000 a.C. e lo condusse in Palestina. Abramo si stabilì a Hèbron (a ovest del Mar Morto); ebbe un figlio, Isacco, che volle sacrificare sul Monte Moriah. Isacco ebbe due figli, Giosuè e Giacobbe (chiamato anche Israele), il quale aveva sottratto al fratello, con l’inganno, la benedizione paterna e la primogenitura; fu costretto a lasciare la casa. Ebbe 12 figli uno dei quali, Giuseppe, divenne re in Egitto, dove chiamò i suoi parenti, 66 in numero, ad est del Delta del Nilo, la fertile terra di Gessen (1900 a.C.). Gli Israeliti – o figli di Israele – si moltiplicarono lì molto rapidamente e furono oppressi dai re d’Egitto.

2. Mosè condusse gli Israeliti fuori dall’Egitto; essi rimasero nel deserto per 40 anni.

Attraversarono il Mar Rosso (1500 a.C.) con 2 milioni di persone, di cui 600.000 guerrieri, e arrivarono nel deserto arabico, dove Dio li nutrì con la manna e diede loro la legge sul Sinai. Dio compì molti miracoli davanti ai loro occhi e Mosè morì sul Monte Nebo.

3. Sotto Giosuè conquistarono la Terra promessa, ma per altri 300 anni furono costretti, sotto la guida dei Giudici a combattere i loro nemici (1450-1100 a.C.).

Giosuè, successore di Mosè, divise la Terra Promessa tra le 12 tribù.

I Giudici erano capi suscitati da Dio in tempi di prova; essi comandavano il popolo in guerra, combattevano i nemici e amministravano la giustizia. I giudici furono Gedeone, Jefte, Sansone e Samuele, che fu l’ultimo giudice.

4. Gli israeliti furono poi governati da re: Saul, Davide e Salomone (1100-975 a.C.). – Saul era un uomo crudele che si uccise in battaglia. – Il suo successore

Davide si distinse per la sua pietà (1055-1015). Compose molti salmi e gli fu promesso da Dio che da lui sarebbe disceso il Salvatore. Egli cadde due grandi crimini, si sottopose a una severa penitenza. Suo figlio Assalonne gli si ribellò, ma senza successo. – Suo figlio Salomone costruì il meraviglioso tempio di Gerusalemme (1012) e fu famoso per la magnificenza della sua corte. Aveva una grande saggezza e scrisse il Libro dei Proverbi.

5. Dopo la morte di Salomone, il regno fu diviso in due parti: il regno di Israele a nord (975-722) e quello di Giuda a sud (975-588).

A Salomone successe il figlio Roboamo, che gravò il popolo di tasse ancora più pesanti del padre, così che le 10 tribù del nord formarono uno scisma e fondarono il regno di Israele. Le due tribù meridionali, Giuda e Beniamino rimasero fedeli a Roboamo e formarono il regno di Giuda.

6. Poiché gli abitanti di questi due regni abbandonarono il vero Dio, i regni furono distrutti e il popolo finì in cattività.

Il regno di Israele ebbe 19 re; essi portarono il popolo all’idolatria per impedire di andare a sacrificare a Gerusalemme. Dio inviò i profeti per minacciarli dei suoi castighi. Infine, nel 722, il re di Assiria, Salmanasar, distrusse il regno e deportò i suoi abitanti (tra cui Tobia) nella cattività assira. Nel 606, dopo la distruzione dell’impero assiro, essi caddero sotto il dominio dei Babilonesi e, nel 538, sotto il re persiano Ciro. – Il regno di Giuda ebbe 20 re e durò più a lungo. Fu solo il re di Babilonia, Nabucodonosor, che lo distrusse; poiché si ribellarono, un gran numero di ebrei (tra i quali Daniele

tra gli altri) furono fatti prigionieri (606 e 599). La città di Gerusalemme e il tempio furono distrutti. Tuttavia, i Giudei continuarono a offrire sacrifici sulle rovine del tempio. (Bar. 1, 10).

7. Dopo il ritorno dalla cattività (536), i Giudei godettero della pace fino al regno del crudele Antioco, re di Siria (203).

Dal 606 i Giudei del regno d’Israele e di Giuda furano soggetti allo stesso governo; vivevano nello stesso paese e presto ebbero relazioni amichevoli. Da questo momento in poi prevalse l’appellativo di Giudei anziché di Israeliti. Il re di Persia, Ciro, che aveva sottomesso l’impero babilonese, permise agli Ebrei di tornare in patria (Balthazar, ultimo re babilonese fu giustiziato la stessa notte in cui aveva profanato i vasi sacri). Nel 536 gli Ebrei tornarono in Palestina e ricostruirono il tempio. Immediatamente 42.000 guidati da Zorobahel tornarono a Gerusalemme e iniziarono a costruire il tempio, che fu completato nel 516. (Adempimento della profezia consolante di Aggeo). Nel 453 i Giudei ricevettero dal re persiano Artaserse il permesso di ricostruire le mura di Gerusalemme (profezia di Daniele sulle 69 settimane di anni). I Giudei rimasero sotto il dominio persiano per quasi 200 anni senza essere perseguitati. Nel 330 passarono sotto il dominio del re di Macedonia, Alessandro Magno, che aveva distrutto l’Impero persiano. Dopo la sua morte, i Giudei passarono sotto diversi sovrani, ma infine divennero (203) sudditi di Antioco Epifane IV. Egli li perseguitò a causa della loro religione: ad esempio, voleva costringere i 7 fratelli Maccabei ed Eleazar a mangiare carni proibite e li fece martirizzare; innalzò idoli nel tempio.

8. Dopo un’aspra guerra, gli Ebrei ottennero la libertà e furono governati per 100 anni da principi Giudei. (140-39 A.C.).

Sotto la guida dei valorosi Maccabei (Mattatia ed i suoi 5 figli), i Giudei iniziarono la guerra d’indipendenza e si liberarono completamente del giogo siriano. (In una di queste battaglie vennero uccisi alcuni giudei, sui quali furono trovati degli idoli. Giuda Maccabeo fece offrire sacrifici per loro). Uno di questi 5 fratelli, Simone, divenne re e sommo sacerdote in Giudea (140). Gli successe sul trono la sua posterità. Nel 64, Pompeo, in spedizione in Asia Minore, si fermò in Giudea e rese i suoi principi vassalli dell’Impero romano.

9. Nel 38 a.C., un pagano di nome Erode, divenne re della Giudea.

Quando i Giudei si ribellarono, i Romani deposero il loro principe e nominarono un pagano, Erode il Grande (39 a. C.). Erode fu il primo re dei Giudei, estraneo alla loro nazionalità. – Fu quindi sotto di lui che il Messia doveva nascere; fu anche lui a far massacrare i bambini di Betlemme. Morì nel 3 d.C. – A Erode successe il figlio Erode Antipa (3-40); fu lui a far uccidere S. Giovanni Battista ed a chiamare “folle” il Salvatore. Gli successe Erode Agrippa, un nipote di Erode il Grande. E. Agrippa fece decapitare Giacomo il maggiore ed imprigionare San Pietro. Egli si inimicò Dio e morì divorato dai vermi (44). – Nel 70 Gerusalemme fu distrutta da Tito ed i Giudei si dispersero in tutto il mondo.

2. Gli altri popoli furono preparati alla venuta del Messia, o dal popolo ebraico, o da uomini pii e saggi o con mezzi straordinari.

I Giudei erano in contatto regolare con i Gentili attraverso un commercio molto esteso. I loro libri sacri divennero presto noti ai Gentili e furono tradotti in diverse lingue. La Provvidenza ha permesso la loro prigionia per metterli a lungo in contatto con i Gentili; attraverso di loro i Gentili conobbero il vero Dio e le profezie sul Redentore. Tobia, illuminato dallo Spirito Santo, gridò: “Lodate il Signore, figli d’Israele! Egli vi ha dispersi tra i pagani che non lo conoscono, perché possiate raccontare le sue meraviglie e proclamare davanti a loro che non c’è altro Onnipotente all’infuori di Lui”. (Tob. X III, 3). – Dio ha anche suscitato uomini saggi e pii, o ne ha inviati alcuni. Socrate in Grecia insegnava un solo Dio, Creatore dell’universo; dimostrò la follia dell’idolatria, si distinse per la sua temperanza, l’altruismo

la dolcezza e l’impavidità, e fu condannato a morte per le sue dottrine. Giobbe in Arabia, Giuseppe in Egitto, Giona a Ninive, Daniele a Babilonia hanno svolto questo ruolo. Le loro straordinarie virtù, l’intrepida confessione della loro fede, i miracoli operati da Dio in loro favore (i tre giovani nella fornace, Daniele nella fossa dei leoni), erano destinati a mostrare ai pagani chi fosse il vero Dio. Di conseguenza, alcuni pagani adottarono la religione ebraica: furono chiamati proseliti. – Dio illuminò anche i Gentili con mezzi straordinari. Avvisò i tre Magi con una stella miracolosa (S. Matth. II,3); il centurione Cornelio da un Angelo (Atti Ap. X, 3), il re Baldassarre dalla misteriosa mano sulla parete sul muro (Dan. V.), il re Nabucodonosor da un sogno miracoloso che riguardava il vero Dio e il Messia (Dan. II), Balaam da un’asina (Num. XXII, 28). Inoltre, come vedremo in seguito, si trova davvero tra i pagani la speranza del Redentore.

3. Prima di inviare il Salvatore, Dio ha lasciato cadere tutti i popoli dell’universo in una profonda miseria, per far sì che desiderassero più ardentemente questo Salvatore e gli preparassero un’accoglienza più gioiosa.

I Giudei erano molto divisi in materia religiosa; tre partiti religiosi o sette si combattevano: i Sadducei, i ricchi del paese, che negavano la vita futura; i Farisei, meticolosi osservatori delle prescrizioni mosaiche; gli Esseni che si lasciavano alle spalle il mondo e conducevano una vita di dura penitenza. – Nonostante la loro filosofia, i pagani erano immersi in un’ignoranza totale delle cose divine e nell’immoralità più sfrenata. Il numero delle loro divinità era così grande che, secondo Esiodo, non è possibile enumerarle tutte. Adoravano statue di uomini viziosi, perfino animali; consideravano i loro dei come protettori del vizio e pensavano fosse meglio onorarli con azioni viziose o immorali, persino sacrifici umani. I pagani riconobbero la loro profonda miseria e chiedevano aiuto. In una delle sue odi, il poeta romano Orazio lamenta le guerre civili e dice: “Vieni finalmente, figlio della nobile vergine, rimani a lungo con il tuo popolo, torna tardi in cielo e trova il piacere di essere chiamato padre e principe”. (Socrate aveva già espresso la speranza che un mediatore sarebbe disceso dal cielo per insegnarci, senza errori, i nostri doveri verso Dio e verso gli uomini.. È quindi ragionevole che Giacobbe morente (Gen. XLIX, 10) e i profeti (Agg. 11, 7) avessero chiamato un tempo il Salvatore, il Desiderato delle nazioni. – Prima della venuta di Gesù Cristo, l’universo era come un malato che gridava al medico, perché sente il suo dolore in modo così acuto, come piante appassite che desiderano una rugiada rinfrescante, come un uomo che è caduto in un pozzo ed ha bisogno di un soccorritore perché, nonostante tutti i suoi sforzi, non riesce a risalire, come il figlio di un re, costretto a vivere nella più grande povertà e sapendo di essere chiamato a destini più alti. (Alb. Stolz). – Dio, nella sua saggezza, continua ad agire nello stesso modo; prima delle ispirazioni dello Spirito Santo, lascia che alcuni uomini cadano molto profondamente: testimonianza, un certo S. Paolo, un S. Agostino. Gli uomini in tale stato di miseria sono molto più disposti a ricevere la grazia di Dio ed a servirlo con zelo dopo la loro conversione.

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XI)

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (52)

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (51)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

INDICE DEGLI ARGOMENTI -IX-

K. — DIO PRECETTORE DELLA VITA MORALE.

1. Principi fondamentali della vita morale.

K 1a. a. — CONDIZIONI DELL’ATTO MORALE.

1 aa. Cognizione dell’oggetto della moralità. L’ignoranza può essere invincibile (escludente la volontarietà) e pertanto scusante dal peccato (1485) 1968 2865° 2866;

Tuttavia, non qualsiasi ignoranza scusa 729s.

1 ab. Intenzione dell’oggetto della moralità. La libertà dall’uomo comporta questa dignità, per la quale essa sia in mano del suo consiglio ed ottenga il potere delle proprie azioni 3245; sull’uomo è imposto di adempiere i comandamenti di Dio per libro arbitrio. 227 245;

se esistono fatali necessità si è sollevati dall’imputabilità degli atti umani, dal premio o dalla pena. 283; si rivendica la libertà dall’uomo anche se caduto nello stato di natura: vd. D 3bd; la libertà pure da se sola non è sufficiente a fare il bene. 725.

La bontà morale si raggiunge solo mediante la compartecipazione al Dio buono. 240; non è sufficiente tendere al fine ultimo tanto per congettura 2290;

si riprova l’ipotesi del peccato filosofico 2291; si riprovano le affermazioni più lasse circa l’intenzione (esclusiva) del diletto sensuale 2102s; si riprovano d’altra parte le asserzioni che peccano per eccesso, richiedendo (come necessario per un atto moralmente buono) il motivo soprannaturale di fede, speranza, carità 1925 1934-1938 2307-2313 2444-2459.

Per il peccato attuale si richiede il consenso 870; pertanto (e per assenso dell’avvertenza alla malizia) non si può commettere nemmeno il più piccolo dei peccati attuali 223 780 1514; si riprovano le asserzioni: [Alla ragione del peccato non appartiene la volontarietà; a.l’uomo pecca anche in ciò che fa di necessario] 1946-1949 (1950-1953) 1967.

La violenza scusa dal peccato: applicazioni 1(762) 2715 2758 3634 3718.

Il timore non esclude la volontarietà e l’imputabilità al merito o pena,

applicazioni 1678 1705 2070 2129 2151 2573 3273.

K 1b. b. — FONTI DELLA MORALITÀ.

K1ba. Oggetto. Si fa un opera buona (naturalmente e soprannaturalmente) per l’oggetto e la circostanza 1962.

K 1bb. Sono da indagare dal confessore le circostanze dei peccati 813; in confessione sono da dichiarare quelle che ne mutano la specie (della moralità), 1681 1707 (1962).

K 1bc. Il Fine non giustifica i mezzi (a.in favore della fede; b.per la salute del corpo) b815 ab1254 a1998 b3684.

K 1c. c. — ESTENSIONE DELLA MORALITÀ.

Si Riprovano le asserzioni contro il valore morale e l’imputabilità degli atti esterni 733 739 966-969 (2234) 2240.

K 1d. — NORMA OGGETTIVA DELLA MORALITÀ: LEGGE.

1 da. La legge eterna è la ragione eterna del Creatore 3247; è il fondamento delle l1 dd.eggi della ragione umana quanto è la natura dei beni e dei mali 3248 3781 3973; è il principio del diritto dell’universo 3249.

1dd. La Legge naturale è la stessa legge eterna scolpita negli animi degli uomini che comanda di fare le cose rette vietando di peccare 3247s (3272) 3780s 3956; si rivendica la sua esistenza e conoscibilità (quanto al a.diritto al dominio e alla proprietà, b.diritto di imperare, c.diritto al salario necessario) 2302 b3131 3132 a3133 b3150s 3152 b3165 3170 3248 a3265 c3270 CdIC 6 a1499 a1509, 10°.

Si rigetta la nozione di diritto nel naturalismo, nello stesso luogo sostituito dalla forza materiale 2890; si riprovano le asserzioni circa l’etica atea [le Leggi morali non hanno bisogno della legge divina come fondamento] 2956-2961 (2962-2964); [la Repubblica è fonte e origine di ogni diritto] 2939; [la Volontà del popolo è la legge suprema] 2890.

1dc. La Legge umana stessa consiste nel consociarsi degli uomini secondo la legge naturale come per i singoli uomini 3248; per la legge umana per nome proprio sono prescritte dai poteri civili cose definibili non immediatamente dalla sequela del diritto naturale 3248.

1dd. Autore della legge. Cristo non è solo redentore, ma anche legislatore 1571.

L’autorità eccl. e civile procede immediatamente da Dio 3151 3170; circa il diritto di imperare e degli obblighi nei confronti delle leggi: vd. C 7cc; K 5a c

1dc. Interpretazione della legge. I principi del diritto eccl. in CdIC 17-19. lde

Nella consuetudine nella Chiesa Ecclesia la forza della legge si ottiene unicamente dal potere superiore gerarchico CdIC 25.

K 1e. e. — NORMA SOGGETTIVA DELLA MORALITÀ: LA COSCIENZA.

1ea. Dono della coscienza: all’uomo è comandato di fare e conservare l’ordine morale; come decisione morale si deve applicare la legge obiettiva al caso particolare 3918; si riprova l’etica della situazione giudicante non sec. le leggi obiettive, ma sec. un’intuizione personale 3918-3921.

1eb. Regole della prudenza per agire praticamente, o: sistemi morali. Si riprova il tutiorismo assoluto o rigorismo 2303.

Liberamente si può scegliere un sistema di probabilismo e probabiliorismo 2175-2177; si consente di seguire l’autorità di S. Alfonso nella questione morale, restando tuttavia liberi di conservare le sentenze delle altre autorità 2725-2727.

Si Riprovano a.il principio del probabilismo più lasso e le sue applicazioni (b.maggiormente espresse) 2021-2065 b2046s b2106s a2103 b2104 2105-2165.

K 1f. LE VIRTÙ IN GENERE.

Si riafferma l’esistenza delle virtù naturali (ctr. i Giansenisti) 1916 1925 1936-1938 1962 2307-2309 2444//2467; si riprova d’altra parte il disprezzo delle virtù soprannaturali in favore delle virtù naturali 3343-3345; si riprovano le asserzioni disprezzanti l’esercizio delle virtù come imperfezioni 896 2231 2368.

Dio precipuamente richiede gli atti di fede, speranza, carità (1923) 2188.

Si riprova l’asserzione circa la connessione delle virtù (morali). 1216.

2. Exercizio delle virtù nei confronti di Dio.

(Beni richiesti a Dio)

K 2a. a. — VIRTÙ TEOLOGICA DELLA FEDE.

Circa la natura della fede vd. A 8a; la fede in quanto disposizione alla giustificazione e virtù infusa vd. F 3e 4.

2aa. Necessità di credere. La fede cattolica è necessaria per la salvezza 75s 485; una volta dato l’assenso con giudizio di verità, l’uomo non già è libero fintanto che la voglia abbracciare (2780) 2915; l’uomo pieno della rivelazione è tenuto a prestare assenso di intelletto e di volontà 3008; nell’adulto battezzando c’è la necessità di credere 2836; si riprova: [l’opinione anche la meno probabile che scusa l’infedele contro l’obbligo di credere] 2104; si riprova l’indifferentismo o tollerantismo (negante l’obblig. di credere) 2720 2730s 2785 2865-2867 2915-2918.

I fedeli della Chiesa catt. per giusta causa mai possono mutare o mettere in dubbio la fede 3014 3036; si riprova il dubbio positivo come metodo teol. 2738.

Si riprov. le asserzioni più lasse circa l’obbligo di produrre l’atto di fede 2021 2116. 2165; circa la fermezza dell’assenso alla fide 2119-2121.

La visione dell’essenza di Dio evacua l’atto di fede in quanto la fede è una virtù teologica 1001.

2ab. Verità da credersi. Per fede divina e cattolica è da credersi tutto ciò come che sia divinamente rivelato, contenuto nello scritto del Verbo di Dio, nella tradizione, o che la Chiesa proponga con giudizio solenne o mediante il Magistero ordinario ed universale (1870) 3011 CdIC 1323, § 1; tuttavia una volta dogmaticamente definita nessuna cosa può essere compresa se non espressa manifestamente CdIC 1323, § 3.

Per necessità di mezzo sono da credere:— l’esistenza di Dio, alcuni suoi attributi (Dio remuneratore e vindice), la Persona di Cristo 2381; —la Trinità divina 75 177 2164 2380; —: l’incarnazione del Verbo 76 2164 2380; si riprovano le asserzioni più blande in tali cose 2122s 2164.

Non è lecito distinguere tra capi fondamentali e non-fondamentali, così da permettere il libro assenso diverso dei fedeli 3683; si riprova (nel senso simile) la selezione dei temi nelle conclusioni eccl. 2676-2678.

2ac. Professione della fede. È diritto fondamentale il praticare privatamente e pubblicamente la religione; l’occultazione della fede può essere pecca8monisa se cede allimplicita negazione della fede o in scaldalo al prossimo 2118 CdIC 1325, § 1.

2ad. Conservazione della fede Ctr. la fede pecca particolarmente l’eretico e l’apostata CdIC 1325, § 2 (qui le definizioni di “eretico”, “apostata”); infedeltà puramente negativa non è peccato 1968.

Da fuggire sono pure quegli errori che portano all’eresia CdIC 1324.

Si proibisce di aderire: — alle società clandestine (sette dei Massoni) 2511s 2783 2894 3156-3160 (3278s) CdIC 2335; —: alle società bibliche 2771 2784; — : ai circuli teosofici 3648; —: al partito comunista 2786 3865.

I Libri sono sottoposti alla censura e i nocivi proibiti; vd. H ld.

K 2b. b. — VIRTÙ TEOLOGICA DELLA SPERANZA.

La speranza è la virtù teologica che decade alla visione di Dio 1001.

Si rivendica la legittimità del motivo della speranza ctr. gli errori: vd. F 4; si riprov. l’ass. più blando circa l’obbligo di praticare l’atto di speranza 2021.

C. – VIRTÙ TEOLOGICA DELLA CARITÀ.

Si deve aderire a Dio come al sommo Bene 285.

Si riprov. gli errori del perfetto amore di Dio e circa la rassegnazione di se stesso (a.applicati anche ai peccati commessi) a964s 975 2351-2373.

Si riprov.: [Dio può comandare l’odio di Dio] 1049.

Si riprov. l’ass. più blanda circa l’obbligo di produrre l’atto di carità verso Dio 2021 2105-2107.

Circa l’obbligo di osservare i comandamenti di Dio in genere: vd. F 3fe.

K 2d. d. – CULTO DI DIO IN GENERE.

2de. Preghiera. Si riprov. Le asserzioni detraenti dell’orazione a.vocale ed b.impetratoria come non convenienti all’uomo contemplativo o perfetto b957959 a2181 a2214; la preghiera vale come soddisfazione per i peccati 1713.

Riprov. le asserzioni circa l’applicazione dell’orazione: [le Orazioni applicate per una persona non possono giovare che in generale] 1169; [l’Orazione dei presciti a nulla vale] 1176.

2db. Il Sacrificio è necessario in ogni religione S3339.

2dc. L’uso dei Sacramenti e dei sacramentali anche nei contemplativi deve essere del cuore 2191; non si disprezzano o si dimenticano senza peccato 1259 1699 1718 1775 2523.

2dd. Il Culto dei Santi (degli Angeli e degli uomini) si difende come lecito e si raccomanda come utile 675 1821-1825 1867 CdIC 1276; cf. L 3db ; la Messa in onore dei Santi è nel senso lecito 1744 (1755) 3363.

Ugualmente lecito è il culto delle reliquie 675 (818) 1269 1821-1825 1822 1867 CdIC 1276; si riprova il modo disonesto di agire con le reliquie 818 1825.

Ugualmente lecito è il culto delle immagini 477 581 600//608 653-656 1269 1821 1823 1824s 1867 CdIC 1276.

Alle Reliquie ed alle immagini si deve il culto relativo alla persona alla quale si riferiscono CdIC 1255, § 2; il culto di adorazione (latria) è da attribuire solo a Dio, non alle immagini 477 601; alle immagini non è inerente la virtù per la quale si venerano ma l’onore ad esse tributato si riferisce al prototipo 601 1823; si riprov. “adorare” immagini (il cui termine nondimeno viene infelicemente citato 600//608 653-656: versioni; cf. 612°; ma anche 675) 447 581.

Conviene anche il culto contemplativo delle immagini 2187;

Si riprov. L’asserzione indebitamente limitante il culto delle immagini 2325 2669-2672; si riprovano tuttavia le immagini della B. Maria Vg. abbigliata con vesti sacerdotali 3622.

Si censura l’abuso nel culto dei Santi 818 1825.

2de. Osservanze superstiziose. Si proibisce la divinazione, praticata nei sortilegi, gli auspici, l’astrologia giudiziaria, la chiromanzia etc. 1859 2824; all’astrologia (come scienza) non è da riporre fede 205 283 459s.

Si disapprova lo spiritismo con linterrogare anime o spiriti con l’operato di un “medium” personale 3642; ugualmente il magnetismo con fini soprannaturali 2823-2825.

Magia, veneficio: si riprovano atti e libri loro inerenti. 283 1859.

K 2e. e. – CULTO DI DIO PUBBLICO.

2ea. La Liturgia constituisce il culto pubblico, che il Redentore tributa al Padre e che la società dei fedeli tributa per suo mezzo al Padre (3840) 3841; il culto è pubblico, se esercitato in nome della Chiesa da persona legittimamente a questo deputata e presentata per atto di istituzione della Chiesa a Dio e ai Santi CdIC 1256; il culto deve essere esterno ed interno 3842;

Si riprov. le asserzioni estreme circa l’essenza della liturgia 3843.

Il Sacrificio dell’altare e le preghiere dell’ufficio divino sono un culto pubblico 3757; si riprov. le asserzioni circa l’ordine da osservare nella liturgia 2631-2633 2664s.

Si comanda il Precetto di ascoltare la Messa nei giorni festivi CdIC 1248; si riprova l’asserzione più blanda 2153; la celebrazione simulata della Messa è inganno del popolo 789; si riprova l’asserzione circa la celebrazione delle feste 2152 2673s; è sconveniente celebrare la festa delle singole Persone della Ss. Trinità 3325.

Le Preghiere liturgiche fatte dall’Ufficio a Dio in nome della Chiesa posseggono maggiore forza delle private 3758 3845; tuttavia, non per questo non sono da farsi le private 3819; si rivendica il valore “soggettivo” della pietà ctr. le detrazioni 3845.

Il concetto di anno liturgico è insufficiente ma vero concetto 3855.

Asserzione riprovata circa la lingua liturgica 2486 2666.

L’Ufficio divino dei Chierici: riprov. l’asserzione più blanda circa l’obbligo 2041 2053-2055 2154.

Orationi pubbliche, missioni popolari, esercizi spirituali: asserzioni riprovate 2664s.

2eb. Astinenza dalle opere servili nei giorni festivi. CdIC 1248.

2ec. Penitenza comune digiuno e astinenza da praticare in determinati periodi dell’anno: l’uso Romano non è condannabile 1080; il precetto obbliga anche i contemplativi 2191; le asserzioni più blande sono riprovate 2043 2049-2052.

K 2f. f. — REVERENZA NEI CONFRONTI DI DIO.

2fa. Tentazione di Dio. Si Riprovano le ordalie (ad opera dei ferri roventi, dell’acqua bollente, etc.) 670 695 799 1114; per il duello vd. K 4da.

2fb. Simonia è definita la efficace volontà di comprare o vendere per prezzo temporale una cosa intrinsecamente spirituale, o temporale a quella necessariamente annessa o che costituisce oggetto del contrario CdIC 727, § 1; si può comminare i per denaro, a.lingua, b.ossequio 304 473 586 692 ab707 751 820; si riprova la simonia nel a.conferire gli ordini sacri, nel b.promuovere gli ufficiali, nell’amministrazione del c.battesimo, d.crisma, e.sepoltura. f.sacramentali, g.nel ricevere un monaco nel monastero ab304 a473 a586 a691-694 a701s a705 ab707 cde708 ab710 bdf715 g752 ab820 CdIC a729; delle ordinazioni simoniache vd. J 8bb.

Si considera Simonia —: come riduzione della grazia soggetta a un prezzo 304; — : come vendita di un dono dello Spirito S. 473 586; si riprov. l’asserzione peccante — : per eccesso 1175 (1178); —: per difetto 2145s.

K 2g. g. — FEDELTÀ E VERACITÀ VERSO DIO.

2ga. Voto religioso (professione monacale, voto di verginità perpetua non può essere abbandonata senza peccato 321s; riprov. [Il Voto impedisce la perfezione] 2203.

2gb. È lecito il giuramento (an nel testimoniare davanti ad un giudice) a648 795 1252 a1253;

Lo spergiuro sempre, anche se in favore della fede, è peccato mortale 1254;

Riprovata l’asserzione negante o restringente della più equa liceità del giuramento 913 1193 (1252) 2675; asserzioni peccante per eccesso: [Ctr. Il giuramento non vale altro testimonio] 1110; [Violare il giuramento è lecito in favore della patria] 2964; asserzioni più blande 2030 2124-2126 2128.

3. Esercizio delle virtù verso se stessi.

(Beni chiesti a se stesso.)

K 3a. a. — I BENI RELIGIOSI DELLA PROPRIA ANIMA.

Obbligo di procurare i beni con l’uso dei Sacramenti: vd. sotto i singoli Sacramenti circa l’effetto e la necessità: J 3c 4c 5e 6c 7c; ugualmente il precetto della Confessione e della Comunione almeno annuale; J 5ed 6d.

Si riprov. le asserzioni circa la dismissione dei beni spirituali dell’anima (ad es. dell’amore interessato, delle virtù, della propria perfezione, della propria beatitudine) come requisiti per la perfezione (896) 957-959 2207 2212 2351//2373.

Obbligo delle buone opere 1538s 1545s 1548.

Opere di penitenza e mortificazione: riprov. le asserzioni detrattrici del loro valore 2238-2240 (3344); il digiuno vale come soddisfazione per i peccati 1713; l’uso della Chiesa latina del digiunare non è condannabile. 1080; il digiuno non è da disprezzare dagli uomini perfetti 892.

Obbligo di evitare l’occasione prossima di peccare: asserzione riprovata. 2061 2162s.

K 3b. b. — BENI IMMATERIALI TERRESTRI DELL’ANIMA.

3ba. Libertà personali. Singoli diritti o libertà vd. sotto il luogo proprio tra K.

3bb. Onore e fama propria. Si riprova: difendere o rivendicare il proprio onore —: col duello: vd. K 4da; — con l’uccisione del calunniatore 2037s; —: con una falsa incriminazione 2143s; — con amfibologia 2127; —: con procurato aborto 2134.

K 3c. c. — BENI CORPORALI PROPRI.

Dio concesse all’uomo il diritto dell’integrità della vita e del corpo

(inclusi i a.mezzi necessari ad un onesto genere di vita, b.funzioni sociali in tempo di inopia) a3771 b3774.

La stessa natura delle cose comanda di conservare la vita propria 3268 3270; è proibito esporre la propria vita per legge divina 3272; i suicidi o duellanti sono privati della sepoltura eccl. CdIC 1240, § 1, 3°-4°; circa il duello vd. K 4da.

L’uomo nelle membra del suo corpo non ha altro dominio che quello che è pertinente ai fini naturali 3723; non gli è lecito, danneggiare le sue membra, mutilare, o per altra via rendersi inetto se non quando non si possa provvedere diversamente al bene dell’intero corpo (a.applicando il principio della totalità) 3723 3760 3763 S128a aS128a°; proibita è la castrazione volontario di se stesso 762 S128a.

Integrità sessuale: si riprova la masturbazione direttamente procurata (a.anche per fini medici) 687s a3684; asserzione riprovata della peccaminosità che investe qualunque atto carnale 897 1367 2044s 2109 2148 2149 -2241 2247; si proibiscono i libri lascivi 1857.

K 3d. d. — BENI MATERIALI ESTERNI.

Obbligo di lavorare per procurarsi il vitto 3268-3271; tuttavia, non per questo è riprovevole la mendicità religiosa 1174 (1491);

Il lavoro della madre di famiglia e degli infanti per il salario insufficiente del padre, è un abuso 3735.

K 4. Esercizio delle virtù nei confronti del prossimo.

(Beni del singolo richiesti al prossimo)

K 4a. a. — PRINCIPI GENERALI.

Si rivendica l’obbligatorietà di amare il prossimo con atto interno e formale. 2110s.

Peccati generici ctr. la carità: si riprov. l’ass. più blando a.circa il gaudio dela male altrui, b.il desiderio del male dell’altro, c.la tristezza per il bene altrui abc2113 b2114 a2115.

Lo scandalo al prossimo per l’occultazione della fede CdIC 1325, §4 ; scandalo può sorgere dal modo insano di declamare in pubblico 1405 1820.

Cooperazione al male—: nell’onanismo matrim. 2715 2758 3634 3917a; – : dell’ufficiale cattol. nel divorzio civile 3190-3193; —: nel duello 3162; —: coinvolgere il servo nel peccato 2151; —: nel cremare i cadaveri 3278s: —: nel suffragare i comunisti 3865.

K 4b. b. — I BENI RELIGIOSI DELL’ANIMA.

Si espongono i principi circa l’educazione religiosa. 3685-3690; in qual senso è riprovata l’educazione sessuale 3697s.

K 4c. c. — I BENI IMMATERIALI TERRENI.

4ca. Verità e veracità.

Si riprovano le asserzioni (più blande) —: scusanti la menzogna e l’amfibologia (2124) 2125-2128; – : la testimonianza giuridica dannosa 1112 2046 2102; — circa la detrazione e la falsa incriminazione.

Si Riprova la simulazione della.Messa, b.dei Sacramenti, c.del battesimo a789 b2129 b2560s.

4cb. Fedeltà. Si riprova l’asserzione più blanda circa la fedeltà nella promessa 2030.

4cc. Libertà personale. Dal potere civile di deve assicurare la libertà che richiede la dignità della persona umana 3250.

Tra i diritti fondamentali dell’uomo, spetta la personale libertà in particolare: — la libertà di sequire la coscienza propria, 3250.

— : libertà dalla coercizione nella pratica della fede: nessun recalcitrante è da obbligare al battesimo 647 698 773 781 (1998) 2552-2554 2557 3177; non è lecito battezzare i figli di genitori nolenti 1998 2552-2554 2557;

Cristo non obbliga nessuno ad agire con violenza, ma è riservata l’esortazione alla libertà del proprio arbitrio 698. — : tolleranza della persuasione religiosa degli altri (a.e tutela del culto ctr. i perturbatori), che viene comandata o raccomandata 480 698 772 a773 3176 (3250) 3251s; si riprova: [gli eretici sono da bruciare ctr. la volontà dello Spirito S.] 1483.

Ripugna la libertà Illimitata di pensare, scrivere, insegnare 2731 2850-2859 2875 2979 3252.

Si protegge la Libertà della donna nel matrimonio 3709;

Libertà dalla schiavitù: Empia è la vendita degli uomini per questo si proibisce ctr. I diritti dell’umanità e della giustizia 668 1495 2745s.

Si riprovano I mezzi violenti dell’inquisizione giudiziaria (per estorcere una confessione di crimini); 648; cf. anche le ordalie: K 2fa.

4 cd. L’onore e la fama.

La Confessione è segreta e vi è obbligo del sigillo: vd. J 6ad; asserzioni riprovate circa il danno all’onore degli altri 2143s.

K 4d. d. — BENI CORPORALI

4da. Vita. È vietato dalla legge divina e naturale ferire o uccidere qualcuno all’infuori di una causa pubblica senza essere costretto da alcuna necessità. 3272; il giudizio del sangue è lecito da parte del potere secolare purché non proceda da odio, ma per giudizio e riflessione 795; la milizia può essere innocente 321; si rivendica il diritto di combattere contro gli infedeli (Turchi) 1484; si riprova l’uccisione innocente per ordine della pubblica autorità. 3790.

Si riprova l’ass. scusante l’uccisione — del calunniatore e del falso giudice 2037s 2130; — : del tiranno 1235; — : il ladro per una sola moneta 2131; — : persona che turba la legittima speranza di possesso 2132s; — per adulterio colto i flagranza 2039.

Si riprova l’uccisione del feto o aborto (a.come omicidio) a670 2134s 3258 3298 3337 3719-3721 CdIC 2350, § 1; si giudicano i diversi modi di estrazione del feto: a.accelerazione del parto, b.aborto, c.operazione cesarea, d.laparotonmia, e.craniotomia e3258 be3298 a3336 bc3337 b3338.

Si. riprova il duello (monomachia) ed il a.quasi-duello 799 1111 1113s 1830 2022 2571-2575 3272s 63672 CdIC 1240, § 1 2351; il duello è tentazione a Dio, b.temerarietà nell’esporre la propria vita, b.temerarietà, perversione del diritto come punizione privata a799 bc3272s; non è lecito ad un medico o confessore assistere al duello 3162.

4db. Integrità del corpo. La pubblica autorità non ha diretta potestà sui membri dei sudditi (3272) 3722 3760-3765; questione della liceità quanto —: castrazione e mutilazione 762 S128a; — sterilizzazione 3722 3760-3765 3788; in quanto alla sostanza l’atto non è intrinsecamente illecito, ma lo è per difetto di diritto di agire, se si configura come impedimento alla prole 3760.

4dc. Cura dei corpi dei defunti. Si proibisce la cremazione dei cadaveri (a.ragione addotta) 3188 3195s 3276-3279 a3680 CdIC 1240 §, 1,5°; non è in sé un male e si permette in casi particolari 3680; questione della liceità quanto alla cooperazione 3278s.

Violazione dei cimiteri. Si riprova la dissepoltura dei cadaveri fatta con prava intenzione 773.

K 4e. e. — BENI DELLA VITA SESSUALE.

4ea. Diritto a contrarre il matrimonio (ed istituire una famiglia) 3702 3771.

4cb. Beni che preludono alla prole 3704s; la continenza, consenzienti entrambi i coniugi, può evitare onestamente la prole 3716; il modo di agire dei coniugi che convivono in modo naturale è legittimato dai fini secondari del matrimonio, dal momento che,o per causa naturale, o per il tempo, o a causa di difetti non possa generare la vita. 3718; lecita è l’osservanza dei tempi agenesiaci 3148 3748; si riprova l’onanismo matrimoniale (specialmente indotto con a.strumento, b.coito sodomitico) 2715 2758-2760 2791-2793 a2795 3185-3187 b3634 a3638-3640 3716-3718 ab3917a; si scusa la moglie obbligata al peccato 2715 2758 3634 3718.

Questione della liceità quanto alla —: copula dimezzata 3660-3662; —: ampiesso riservato 3907.

La Fecondazione artificiale è illecita 3323.

4ec. Si disapprova la vita sessuale più libera — : matrimonio a tempo, ad esperimento 3715; —: dissoluzione dell’unione coniugale 283; — divorzio delle presunte vedove da altro marito, al ritorno del primo (creduto morto) 314.

Si riprovano i giudizi più lassi quanto alla peccaminosità degli atti carnali 2060 2109 2148-2150; la fornicazione del soluto con una soluta è peccato a.mortale a835 2148; si riprov. l’asserzione più lassa circa il modo di considerare i peccati sessuali 2044s 2150.

Il Chierico costituito negli ordini sacri e i regolari solennemente professi, contraggono il matrimonio invalidamente 1809 CdIC 1072s (2388, § 1); in cosa di sollecitazione venerea non è ammessa parvità di materia 2013;

asserzione riprovata circa la denunzia della sollecitazione 2026s.

4ed. Istruzione sessuale. L’educazione sessuale in qual senso è riprovata 3697; riprovata l’educazione dei sessi 3698; sono proibiti i libri lascivi 1857.

K 4f. f. — BENI MATERIALI ESTERNI.

4fa Si raccomanda l’Elemosina come opera buona (a.soddisfattoria per i peccati, b.in suffragio per i defunti) b797 9713 b856 9304 b1405; si rivendica il modo di vivere degli ordini mendicanti 844 1170 1174 1184 1491.

L’obbligo all’elemosina non viene dalla giustizia, ma dalla carità, eccetto nelle cose estreme 3267;. I ricchi sono gravemente obbligati a dare da libere donazioni (a.negato il supposto dell’asserzione lassa) a2112 3729.

4fb. Giustizia nell’acquistare e nel possedere. Il diritto al dominio e alla proprietà è fondato sulla legge divina e naturale 3133 3265s 3271 3726 (3728) 3771; si difende come diritto ondamentale specialmente nelle genti oppresse dell’uomo 773 1495 2746; si riprovano le asserzioni che negano al peccatore il diritto alla proprietà civile o all’eredità 1121-1125 11541 1165 1230; la proprietà non impedisce la salvezza dell’uomo 797; il comunismo contrasta il diritto alla proprietà 2786.

Il diritto alla proprietà ha indole individuale e sociale (3267) 3726 3728 3773; da evitare è sia a.l’individualismo quanto il b.collettivismo ab3726 a3741.

Nel possesso occorre distinguere l’uso dei beni 3267 3727; l’uso dei beni materiali riguarda tutti (a.in equa parte) 3267; l’abuso o il non uso non è ammesso nel diritto di proprietà 1126s 1137s 1166 1168 3727;

l’autorità pubblica non può negare il diritto al possesso, ma temperarne l’uso e concorrere al bene comune 3271 3728. Circa il bene comune e la giustizia sociale vd. K 5ca 5cb.

Titoli per acquistare il dominio -: l’occupazione di una cosa di nessuno 3730;

l’industria o la specificazione (così come gli dà una nuova specie o aumento della proprietà) 3730;

– il lavoro personale equo tuttavia non è l’unico titolo legittimo 3265 3268s 3731 .3732 3773; principi del giusto salario: vd. K 4fc;

– diritto all’eredità (a.che nessuno della civile autorità può portar via) 1122s a3728;

– prescrizione, supposta buona fede 816 CdIC 1512.

lesione della proprietà. Il furto e la rapina sono divinamente proibiti 3133;

I rapitori della cose dei naufraghi sono scomunicati come fratricidi 706;

riprov. le ass. più lasse -: favoreggiamento nei furti 1368 2136-2138; -: peccati ctr. la giustizia nel risolvere le obbligazioni ecclesiastiche per lo stipendio ricevuto 2028-2030 2040-2042 2053-2055 2063 2147 (2154);

sentenza del giudice con accettazione di denaro con parti ugualmente probabili 2046; -: ctr. l’obbligo della restituzione 1115 2040 2053 2138s.

4 fc. Giustizia nel contrarre. In forza del prestito, nessuno può percepire un guadagno. 3105: 4fc.

un lucro è legittimato da titoli estrinseci 3106s; principi determinanti la quantità del lucro 3108s.

L’Usura è definita come studio del lucro non germinante dall’uso della cosa, da alcun lavoro, nessun rischio, nessun pericolo 1442 (2546) CdIC 1543; si riprova l’usura (a.e le specie di contratti affini) 280s 716 a753 a764 906 2062 a2140 2141s S747; si condannano i cambi 1981s; cause scusanti ed i contratti scusati (in specie i Monti di Pietà) 828 1355-1357 a1442-1444 2548-2550; usura a solo legis titolo di legge è considerata di dubbia fede 2743.

Locazione dell’opera. Il Salariato di per sé non é ingiusto 3733;

Si raccomanda la temperanza nel contratto dell’opera contro il contratto di società e la partecipazione attiva del lavoratore alle strutture da amministrare 3733

Principi per la mercede diminuita giustamente (tra le quali a.la necessità della famiglia, b.stato economico dell’officina, c.il bene comune) (a3266) 3269s 3271 (a3726) 3733 a3735 3736 c3737 3773.

K 5. Esercizio delle virtù contro la suprema società.

K 5a. a. – BENI RICHIESTI ALLA SOCIETÀ IN GENERE.

5aa. Il diritto di formare una società è dato da Dio 3771.

5ab. Circa la giustizia sociale quale principio economico vd. K 5cb.

I beni sia esterni sia all’anima sono dati all’uomo tanto per la perfezione propria che per l’utilità degli altri 3267.

5ac. L’autorità imperante (in genere).

L’autorità legittima è difesa ctr. i denigratori: [l’uomo perfetto si emancipa dall’obbedienza] 893 2265; [il Popolo arbitrariamente recusante la legge non pecca 2048;] [il Popolo può a suo arbitrio correggere i signori che delinquono] 1167: si riprova il concetto materialistico dall’autorità 2960; il diritto di dominare non si estingue nell’uomo peccatore o prescito 1121 1165 1230.

Ogni autorità umana ha i limiti nella legge eterna 3248s;

K 5b. b. — BENI RICHIESTI ALLA FAMIGLIA.

Il diritto a formarsi una famiglia è dato da Dio 3771; il convito domestico per ragione e cosa è prioritario rispetto alla comunità civile 3728; si riprov.: [la famiglia trae la ragione della sua esistenza dal diritto civile] 2891; l’ordine dell’amore e la sottomissione nella famiglia 3707-3709; il diritto ed il compito della famiglia di educare e procurare l’istruzione 3685 3690 CdIC 1372 1374; questo diritto precede il diritto dello stato 2891s 3690 3693.

Si riprova il lavoro della madre di famiglia e degli infanti obbligati alle officine dalla esiguità del salario paterno 3735 3737; la giusta mercede del lavoro è determinata dal rispetto e dalla necessità della famiglia (3266) 3271 (3726) 3735.

K 5c. c. — BENI RICHIESTI ALLA SOCIETÀ CIVILE.

5ca. Genere di beni provenienti dalla società civile. Beni comuni economici: obbligo di intendere la richiesta del bene comune dall’indole del dominio sociale 3728; questa cura deve estendersi a tutto il mondo (oltre la propria gente); casi speciali ove urge il rispetto al bene comune 3737 3772

Adeguamento degli uomini rispetto ai diritti e ai beni della cultura terrestre (La ragione considera la dignità della persona umana), in specie per ciò che spetta all’indipendenza politica della gente 3255.

Pace – : si spera conservarla —: tra gli ordini dei cittadini: (3170)

5cb. Principi dell’intercessione della potestà civile nella vita sociale. La giustizia sociale è il principio direttivo economico esigente dal singolo quanto sia necessario al bene comune 3732 3737-3741 3774.

Il principio si sussidiarietà deve reggere qualsiasi ordine sociale 3738.

Si riprov. l’ass. circa il diritto assoluto di tassare del potere civile 2939 3782s 3785; principi di resistenza ctr. l’abuso del potere civile (a.dissuadere la sedizione, b.si riprova il tirannicidio) a1235 a3132 a3170 3252s 3775s.

La societas civile ha il diritto di educare, non assoluto ed antecedente il diritto della famiglia 2891s 3685 3690-3596; non ha il diritto di sciogliere in vincolo del matrimonio (a.neppure nei legittimi matrimoni naturali) 2992 (3190-3193) a3724; non può togliere il diritto di proprietà ed eredità 3728.

Ai cittadini compete la facoltà di eleggere o temperare la forma della cosa pubblica 3173 3253s; —di partecipare attivamente ai negozi della repubblica 3174; — di riunirsi in società di lavoratori 3740.

5cc. Sistemi dell’ordine sociale. Si riprende il liberalismo (ed il suo individualismo) 3772.

Il Socialismo (anche a.mitigato) contrasta con i principi cristiani 2892 2918 3742-3744.

Il Comunismo rovescia le necessità dei cittadini e della società 2786 3773; è proibito il suo favireggiamento 3865.

K 5d. d. — BENI RICHIESTI ALLA CHIESA.

Sottomissione all’autorità della Chiesa —: rivendicata in genere 102 161 704 1215 2895; nessun uomo a.giustificato né b.perfetto (o contemplativo) è esente dai precetti della Chiesa b393 a1570 b21895; — dall’insegnamento: vd. H la c 2a-c; — dal riconoscere il primato del S. Pontefice: vd. G 4db; rifiutare la sottomissione al S. Pontefice e ricusare di comunicare con i membri della Chiesa è scismatico 446 468s CdIC 1325, § 2.

Diritto della Chiesa è obbligare e punire i disobbedienti: vd. G 4b; diritto ai beni temporali vd. G 4a.

6. Vita della perfezione cristiana.

K 6a. a. — NATURA DELLA PERFEZIONE CRISTIANA.

6aa. Cooperazione con la grazia divina. Si riprova l’ass. che nega il valore e la necessità dell’umana attività [come: Dio solo vuole operare in noi senza di noi; l’uomo deve annichilare le sue potenze; ogni progresso della virtù deve attribuirsi unicamente all’azione divina] 2201//2255 3817 3846; reprob.: [l’uomo può perfezionarsi a tal punto da non poter più progredire nella grazia] 891.

6aa. Effetto o frutto della vita di perfezione. Riprov. l’ass. esagerante: [si può pervenire alla perfetta libertà dalle passioni, dalla cupidigia, alla morte della sensualità, alla pace imperturbabile] 892 2254-2256 2262s:

[Si può giungere anche alla libertà dal peccato veniale fino ad essere a.impeccabile] a891 2256-2261.

Alle Tentazioni devono resistere anche i contemplativi a192 2217-2224 2237 2241-2253; l’atto e peccato anche per l’uomo perfetto 897 2248 (2241-2253).

L’unione con Dio è da raggiungere in terra, si riprov. l’ass. esagerante: [a.l’uomo si trasforma totalmente in Dio, b.si fa uguale a Dio c.gode la beatitudine e la comunione illimitata con Dio, d.opera una cooperazione comune con Dio] b959s ac9615 c963 b970-972.

6ac. Sottomissione a Dio e alla Chiesa. Anche i contemplativi vi sono tenuti 893 2189s; ad essi non conviene omettere l’atto di riverenza prescritto nei confronti della S. Eucaristia 898.

K6b. b. — VIA DELLA PERFEZIONE CRISTIANA.

6ba L’Esercizio delle virtù conviene pure agli studenti 896 2188 2231 2368; anche l’atto esterni ha valore per la vita di perfezione 966-969.

6bb. Orazione. L’ Orazione contemplativa è riconosciuta legittima ed eccellente 2182 2185 2188; il suo oggetto non è solo la presenza di Dio 2185-2187; l’orazione meditativa e riconosciuta legittima e di valore per la vita di perfezione 2181-2185; negando ad essa la necessità per la salvezza 2192: si rivendica la legittimità dell’orazione discorsiva ctr. le detrazioni 2218-2223 2225 2229 1232 2264 2365-2368; all’uomo perfetto conviene pure l’Orazione impetratoria 957-959 2214; reprob. l’asserzione ctr. la devozione sensibile (2218) 2227//2235 2263.

6bc. Le opere di penitenza e di mortificazione hanno il loro valore anche per i perfetti 2238-2240.

6bd. Rinunzia all’amor proprio. Si riprova l’asserzione esagerata soprattutto circa la necessità della rinuncia all’amore proprio, ai beni spirituali e alla salvezza eterna 957-959 2201-2217 2224s 2232//2253 2351//2373 2433.

6be. Consigli evangelici o voti religiosi. Si rivendica la loro legittimità 321 (381) 797 3345; non impediscono la perfezione 2203; si riprovano le asserzioni esagerate circa la povertà — di Cristo e degli Apostoli 930s 1087//1097; —: forza del voto 908 10871097.

6bf. 6bf lo Stato religioso è il modo stabile di vivere in comune in cui oltre ai precetti comuni si praticano anche i consigli evangelici CdIC 487; si rivendica li stato religioso (ctr. gli avversari) 844 11691174 1181 1184s 1194s 1270 CdIC 487; riprov. le asserzioni circa la riforma dei regolari e dei monacali 2680-2692; si difende come legittimo lo stato dei religiosi mendicanti 841-844 1170 1174 1184 1491.

6bg. Stato di verginità e celibato. Obbligatorio per i chierici (a.negli ordini maggiori)

117° 118s 185 711 a1809 2972 CdIC a132 1072s.

La verginità ed il celibato superando stato matrimoniale 1810 3911s; il mutuo aiuto dei coniugi non è un mezzo di maggior perfezione per la santità come la verginità. 3912.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (53)

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA (20)

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA (20)

FRANCESCO OLGIATI,

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA.

Soc. ed. Vita e Pensiero, XIV ed., Milano – 1956.

Imprim. In curia Arch. Med. Dic. 1956- + J. Schiavini Vic. Gen.

CONCLUSIONE.

A chi, dopo d’aver contemplato nel suo spirito animatore l’etica nostra e d’averne sentito l’intimo palpito, ripensa ai vari sistemi filosofici che hanno voluto tracciare all’umanità una norma di vita, ricorre alla memoria l’osservazione di Alessandro Manzoni nella sua Morale Cattolica: «Che, anche dopo il Cristianesimo, alcuni filosofi si siano affaticati per sostituirgliene un’altra, è un fatto pur troppo vero. Simili a chi, trovandosi con una moltitudine assetata e sapendo d’esser vicino a un gran fiume, si fermasse a fare con de’ processi chimici qualche gocciola di quell’acqua che non disseta, hanno consumato le loro cure nel cercare una ragione suprema e una teoria completa della morale, assolutamente distinta dalla teologia: quando si siano abbattuti in qualche importante verità morale, non si sono ricordati ch’era stata loro insegnata, ch’era un frammento o una conseguenza del catechismo; non si sono avvisti che avevano soltanto allungato la strada per arrivare ad essa, e che, invece di avere scoperto una legge nuova, spogliavano della sanzione una legge già promulgata ». – V’è bensì in ogni sistema morale un punto luminoso, un raggio di verità: ed è ciò che attrae, affascina, seduce le menti frettolose. Così ad esempio, quando gli scettici negheranno la serietà della vita, risponderà loro il vanitas vanitatum di Salomone, l’affermazione, cioè, che le cose di quaggiù, separate dall’Assoluto, sono un nulla e ci tuffano nelle onde del relativismo, del dilettantismo, del pessimismo. Persino quando il concetto di utile cercherà di ingoiare e di distruggere il concetto di bene, avremo un lato di verità, che l’utilitarismo illustrerà con tutti gli sforzi: la virtù, infatti, porta la felicità agli individui ed ai popoli. Kant, che si soffermerà con rigoroso esclusivismo sul dovere ed escluderà ogni idea di utilità, non farà altro se non proclamare che il valore morale dell’atto non dev’essere giudicato dall’esterno, ma nell’intimità del suo spirito. Nietzsche, che canterà il Superuomo, esprimerà a modo suo il bisogno profondo che sentiamo di elevarci sopra la nostra miseria e le nostre deficenze, e di aspirare alla divinizzazione. Hegel e gli idealisti, per i quali l’individuo non è se non un momento del Tutto, sottolineeranno il grande errore di una visione atomistica dell’universo e, di conseguenza, dell’orientamento egoistico dell’individuo. Sono tutti « frammenti di vero per dirla col poeta lombardo, misti ad esagerazioni ed a spropositi. Nè bisogna dimenticare il vantaggio che lo studioso può ottenere dalla loro meditazione: giova, infatti, far attraversare un prisma di cristallo da un raggio di sole, per infrangerlo in tanti colori distinti, che dapprima l’occhio nostro non poteva cogliere. Anzi, la futura storia della morale dovrà appunto esser condotta, non già dal semplice punto di vista critico-negativo della confutazione, ma con le preoccupazioni serene di una critica costruttiva, che tutti i raggi di luce raccoglie pazientemente, che tutte le anime di vero organizza sistematicamente, che alla fine mostra come tutti i risultati delle umane ideologie si sintetizzano e vengono infinitamente superati dalla morale divina dell’Amore. Ma la storia della morale, che l’avvenire ci darà, non potrà essere soltanto una disamina filosofica di sistemi: essa sarà necessariamente la storia dell’Amore nei secoli cristiani. Siccome, a differenza dei vari pensatori, Gesù Cristo non si è limitato ad enunciare una dottrina, ammirata da molti, ma praticata da pochi, bensì ha istituito una società, che ormai da due millenni si ispira alla sua morale, è evidente che, per capire la morale dell’Amore bisogna guardarla non tanto nelle formule astratte, quanto nella concretezza della vita vissuta. – Questo piccolo libro non potrebbe avere altra conclusione, se non una traccia, un sommario, un indice di un futuro Sillabario della storia della Chiesa, che indichi come la vita del Cristianesimo è la storia dell’amore e che chiunque non comprende questo, è destinato a non penetrare mai nell’essenza della religione nostra. Il dogma ci ha cantato l’Amore: tutti i precetti della morale li abbiamo visti vivificati dall’Amore; anche il corpo mistico di Cristo, la Chiesa, non è altro, e non può essere altro, se non il trionfo dell’Amore nel tempo, che prepara le vittorie di esso negli anni eterni.

1. – I due metodi storici.

Diciamo subito che due metodi si possono seguire nello studio della storia del Cristianesimo. In genere si considera quest’ultimo nelle sue manifestazioni esteriori ed allora i secoli cristiani li dividiamo in epoche ed ogni epoca in fatti ed in vicende. Abbiamo così il Cristianesimo sotto l’Impero Romano, il Cristianesimo all’epoca dei barbari, il Cristianesimo nell’età di ferro, il Cristianesimo nel Medio Evo, durante l’Umanesimo ed il Rinascimento, nel periodo della Riforma, dell’Illuminismo, dell’Enciclopedia, della Rivoluzione francese, del Romanticismo, nel secolo ventesimo. Questa però non è ancora la vera storia, come io non conoscerei ancora la storia d’una persona, se mi accontentassi di raccogliere un mondo di fotografie, fatte al bimbo in culla, al bambino in fasce, al fanciullo, al giovane e via dicendo, od anche se radunassi in una cronaca scrupolosa tutta la narrazione delle gesta e delle vicende di quell’individuo. Avrei, in questo modo, un materiale ottimo, prezioso, necessario; ma fin quando da esso non riuscissi ad entrare nell’animo e nel cuore di quella persona e mi restasse ignota la fonte unica interiore, da cui sono zampillati tutti gli atteggiamenti esterni nelle varie situazioni di fatto, non avrei dinanzi a me una persona conosciuta, ma un enigma misterioso da decifrare. – La vera storia del Cristianesimo non la si può cogliere se non ponendoci nella sua vita profonda. Gesù è unito ai suoi seguaci e questo mistico organismo, animato dallo Spirito Santo, si sviluppa nei tempi. Più che baloccarsi coi fenomeni esterni, giova scendere nella sorgente soprannaturale vivificatrice, che unisce tutte le anime in Cristo, le fa vivere d’una vita divina, fa giungere ad ognuna di esse la linfa vitale. Noi, insomma, vogliamo la storia del Cristianesimo nella sua intima unità, non solo nella molteplicità delle manifestazioni esteriori. Partendo da quella, si chiariscono anche queste; non si confonde la vita di Cristo nelle Chiesa con le colpe e gli errori di chi, pur essendo battezzato o magari sacerdote o Vescovo o Papa, non vive la vita cristiana; non si spezzetta in mille parti staccate l’unità organica della vite coi suoi numerosi tralci, che, attraverso i secoli, prosegue in una ininterrotta continuità a produrre con incessante ricchezza pampini e frutti.

2. – L’amore di Dio e la storia del Cristianesimo.

Se, non al di fuori, ma nel Cristianesimo stesso noi ci poniamo, consapevoli dell’unione di Cristo con tutti i fedeli, dell’umanità con Dio; se, cioè, vogliamo tratteggiare lo svolgimento di questa pianta maestosa, le cui radici si sprofondano nell’antichità, la storia si può descrivere nel modo seguente.

1. In principio era l’Amore. E solo per amore Dio ha creato l’universo ed ha innalzato l’uomo alla dignità della divinizzazione. Ma l’uomo non ha risposto all’Amore con l’amore; ma col peccato originale ha iniziato la serie delle sue ribellioni all’Amore di Dio. Le civiltà pagane rappresentano lo sforzo dell’uomo a vivere, non secondo la legge dell’amore divino, ma secondo la legge dei diversi egoismi. L’idolatria stessa altro non è se non un mettere al centro del mondo creature, che venivano proclamate divinità, al posto di Dio. Solo il popolo prediletto conservava la visione chiara del male commesso, della riparazione necessaria, del Messia invocato, in una parola dell’Amore di Dio, che ancora avrebbe unito a sè i cuori degli uomini.

2. Nella pienezza dei tempi, apparve in mezzo a noi il Dio salvatore nostro, nella sua benignità e nell’umanità, e, siccome Dio è carità, visse una vita d’amore. La scena della Incarnazione, la mangiatoia di Betlemme, le preghiere della vita privata, i prodigi della vita pubblica, il Cenacolo eucaristico, l’orto degli Olivi, la colonna della flagellazione, la corona di spine, la croce del Calvario, le parole dell’agonia furono un canto divino d’amore. La sua dottrina fu da Lui compendiata in una parola: « Amatevi! ». Amare Dio sopra ogni cosa; amare il prossimo per amore di Dio; pregare Dio chiamandolo col dolce nome dell’amore, ossia « Padre nostro »; essere e vivere tutti nell’amore, l’Amore del figlio incarnato che a sé ci unisce, l’Amore dello Spirito Santo che ci santifica, l’Amore del Padre che col Figlio e con lo Spirito è unito a noi; vivere d’Amore quaggiù per prepararci un’eternità di Amore ineffabile; ecco la dottrina di Cristo.

3. Risorse da morte, perché l’Amore non teme pietre sepolcrali; inviò lo Spirito Paraclito sopra il gruppo dei suoi eletti, ossia sugli Apostoli dell’amore. Fiamme di fuoco, simbolo di questo Amore soprannaturale, trasformarono la piccola Chiesa nascente; e dal Cenacolo uscirono tutti per far echeggiare sino agli estremi confini della terra l’annuncio dell’amore di Dio per noi e l’appello agli uomini perchè tutti amassero Dio. « L’amore di Dio — esclamava nella lettera ai Romani Paolo di Tarso, difensore del principio universalistico dell’Amore, contro i rimasugli egoistici dell’ebraismo — è diffuso nei cuori nostri, per lo Spirito Santo, che è stato dato a noi… ». E parlando prima ai Cristiani di Corinto, aveva detto: « Quand’io parlassi la lingua degli uomini e degli Angeli, se non ho l’Amore, non sono che bronzo che risuona o un cembalo squillante. E se avessi profezia e conoscessi i misteri tutti e tutto lo scibile, ed avessi tutta la fede così da trasportare le montagne, se non ho l’Amore, sono un niente. E quand’anche distribuissi tutto il mio per nutrire i poveri, ed abbandonassi il mio corpo ad essere arso, se non ho l’Amore, non mi vai nulla… Tutto fra voi si faccia nell’Amore… E se alcuno non ama il Signore, sia anatema!… L’amor mio con tutti voi, in Cristo Gesù! ». Ed ai Romani ancora insegnava: « Dio fa risplendere per noi il suo Amore, dacché, mentre ancora eravamo peccatori, Cristo morì per noi… Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, o la angoscia, o la fame, o la nudità, o il pericolo, o la spada?… No: in tutto questo noi più che mai sopravvinciamo, con l’aiuto di Colui che ci ha amato. Io sono certo che nè morte, né vita, né Angeli, né Principati, né presente, né futuro, nè possanza, nè altezza, né profondità, né altra creatura alcuna potrà separarci dall’Amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore ». Ogni parola dell’Apostolo delle genti fu parola d’amore, sia che egli spiegasse il mistero della nostra incorporazione a Cristo, sia che inviasse a Filemone lo schiavo Onesimo, fuggito da quella casa. E San Giovanni incalzò nelle sue Lettere: « Diletti, l’Amore viene da Dio, e chiunque ama è nato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha imparato a conoscere Iddio, perchè Dio è Amore. L’amor di Dio per noi è stato manifestato a questo modo: Iddio ha mandato nel mondo il suo Figliolo unigenito, perchè per mezzo di Lui noi avessimo la vita. E l’Amor suo si vede da questo: non siamo noi che abbiamo amato Iddio, ma è Dio che ha amato noi, ed ha mandato il Figlio suo, quale vittima di propiziazione per i nostri peccati… ». – « Diletti, se Iddio ha così amato noi, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri… Se ci amiamo gli uni gli altri, Iddio dimora in noi ». « Questo è il messaggio che avete udito fin da principio: che ci amiamo gli uni gli altri, e non facciamo come Caino… Noi, perchè amiamo i fratelli, sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita. Chi non ama, ri-mane nella morte… Noi abbiamo imparato a conoscere che cosa sia l’amore da questo: che Gesù ha dato la sua vita per noi; e noi pure dobbiamo quindi dar la vita per i fratelli… Questo è il comandamento che abbiamo ricevuto da Lui; chi ama Dio, deve amare anche il fratello ».

4. Era la prima volta, che simili accenti si diffondevano dovunque. Quando le labbra degli Apostoli pronunciavano il nome soave di « fratello », i cuori intuivano che qualcosa di nuovo v’era nel mondo, dinanzi alla quale non reggevano al paragone né l’arte od il pensiero di Atene, nè le aquile di Roma. E cominciò la battaglia: da un lato, il piccolo drappello dell’Amore; dall’altro, tutte le forze umane, ribellate a Dio e sacre all’egoismo. Lo scontro era inevitabile: e vi furono tre secoli di persecuzioni; vi furono i martiri. – « Ecco — esclamava il padre Monsabré — i rosai tagliati, prima che mettano il fiore. — Salvete, cari innocenti, primizia dell’umanità perseguitata! Salvete, piccoli cari, che in questo mondo non conoscete che Cristo e le vostre madri, e fra le braccia loro moriste per Cristo! «Ecco i gigli immacolati. — Salvete, o vergini, amanti fedeli del migliore e del più santo fra gli sposi! Salvete, figli ammirabili, che alla veste della castità aggiungeste il manto regale imporporato del vostro sangue! « Ecco gli olivi fecondi. — Salvete, donne incomparabili, il cui amore materno fu vinto dal sommo degli amori! « Ecco gli uomini della plebe. — Salvete uomini che usciste dal nulla, dall’oscurità e dall’abbiezione e ascendeste fino alla confessione sublime della fede! « Ecco le palme superbe. — Salvete, nobili! Salvete, patrizi! Salvete, o principi di questo mondo, liberamente discesi dalla gloria nell’obbrobio e dalle delizie nei dolori! « Ecco i cedri del Libano. — I cedri, anch’essi son caduti. Salvete, o Sacerdoti! Salvete, o Pontefici! Salvete, o apostoli della buona novella, i più alti nella luce ed i primi nella morte! ». Questa schiera di martiri ha vinto. La parola d’ordine d’ognuno di questi eroi è quella partita dalle labbra della vergine Agnese: « Amo Christum! ». I figli dell’Amore, morendo, vincevano. Invano le Catacombe moltiplicavano i sepolcri. Come a Gerusalemme, dopo tre giorni, risonava lo squillo della resurrezione, così a Roma, dopo tre secoli, l’Amore usciva vittorioso dai corridoi sotterranei; in cielo, l’emblema dell’Amore, la croce, appariva a Costantino e sopra di essa era scritto: In hoc signo vinces. Nell’Amore la vittoria è sicura.

5. Divenne allora più furente una seconda battaglia e gli Eretici presero il posto dei persecutori. La storia delle eresie mostra a luce meridiana la seguente verità: siccome il dogma è la sintesi dell’Amore di Dio per noi, ogni eresia è una negazione di amore. Dai gnostici che volevano sostituire una filosofia inutile ed ingannatrice alla rivelazione dell’Amore eterno, ai Montanisti che opposero il loro dissennato rigore alla bontà di Cristo; dagli Ariani che, colpendo al cuore la divinità del Verbo, venivano a negare il mistero d’amore dell’Incarnazione di Dio, ai Pelagiani che rifiutavano o falsificavano l’amore infinito di Dio manifestantesi nell’elevazione nostra all’ordine soprannaturale; dai Monofisiti e dai Monoteliti ai Giansenisti di questi ultimi secoli, abbiamo sempre questo fenomeno: l’eretico non crede all’Amore.

6. I Padri della Chiesa ci presentano lo spettacolo opposto. Il vero modo di esaminarli e di comprenderli è la chiave dell’Amore. Per capire sant’Agostino, bisognerà definirlo il Padre della Grazia, ossia dell’amore di Dio che ci eleva alla dignità di figli suoi. Per capire l’eloquenza di san Giovanni Crisostomo, occorrerà prendere una sua frase: « Il cuore di Paolo è il Cuore di Cristo » ed applicarla anche a lui. E quando sant’Ambrogio, dopo che i Goti, sbaragliato Valente, fecero un numero enorme di prigionieri, volle provvedere agli infelici divenuti schiavi, e non solo dispose a loro favore dei suoi beni, ma mutò in verghe d’oro i tesori dei templi, inviò una deputazione di cittadini ai barbari ed ottenne il riscatto di molti; quando, al rimprovero del mícrocefalismo, rispose: « E’ meglio che gli altari siano adorni di anime viventi, che non di vasi preziosi », il grande Vescovo di Milano non faceva altro se non ripetere con un gesto il suo insegnamento d’amore.

7. Calarono i barbari, flagello sulle terre cristiane, seminando dovunque rovina e morte. Le spaventose invasioni di quelle orde selvagge, le città distrutte, gli abitanti massacrati o ridotti in schiavitù, gli incendi e le stragi fecero sviluppare sempre più l’antica fiamma della Chiesa. L’Amore di Cristo affrontò i feroci conquistatori, li convertì, li trasformò. San Leone Magno di fronte ad Attila e tutta la serie di Vescovi, da sant’Eusperio a san Lupo, da san Germano a sant’Aurelio, da sant’Egnano a san Geminiano, che sfidarono i barbari, non sono altro se non i simboli dell’Amore cristiano che vince la violenza brutale. In san Remigio, che nella cattedrale di Reims conferisce il battesimo a Clodoveo; in donne nobili ed egregie, come Clotilde e Teodolinda, che tanto fecero per la conversione di re e di popoli; in tutti i generosi che contribuirono alla rigenerazione del mondo barbarico invasore, noi salutiamo l’Amore! E furono ispirazioni dell’Amore cristiano la tregua di Dio, il diritto di asilo, la Cavalleria e cento altre istituzioni sorte nei secoli di odio e di prepotenza, quando bisognava educare le belve umane alla carità di Cristo.

8. Tutta la storia delle Missioni, dai primi tempi della Chiesa ai giorni nostri, si riassume con una parola: l’Amore. San Gregorio Magno, che spediva quaranta monaci in Inghilterra a convertire quelle popolazioni, non mandava solo quaranta uomini, ma con essi inviava l’Amore. Ed anche oggi, ogni volta che un Missionario giunge nel centro dell’Africa od in un villaggio dell’Asia, portando una croce, noi non riusciamo a trovare la spiegazione del suo eroismo oscuro se non in questo segreto, sempre antico e sempre nuovo. Nelle nostre chiese, di notte, brilla sempre una lampada dinanzi al Tabernacolo; nel mondo fra le tenebre della barbarie, abbiamo questi cuori d’apostoli, simili a lampade vive, accese dallo Spirito Santo, che diffondono raggi di luce e di salvezza.

9. Nulla si può scoprire nei secoli dopo Cristo che sia veramente cristiano e non si riduca all’amore di Dio e dei fratelli. La verginità fu ed è un grido d’amore. Gli anacoreti ed i monaci, nei deserti e nei chiostri, fra macerazioni e preghiere, alimentano la fiamma dell’Amore. E se, ad esempio, i figli di san Benedetto seppero compiere prodigi; se i monasteri di Montecassino in Italia, di Fulda in Germania, di san Gallo nella Svizzera, di Cluny in Francia furono oasi di fede e di civiltà, lo si deve all’Amore, che divampava nelle loro anime e faceva loro apprezzare, conservare e svolgere gli stessi valori umani.

10. Si spiega, allora, tutta l’opera di carità individuale e sociale, che sempre ha caratterizzato il Cristianesimo. Si comprende, anche, il vero ed unico metodo cristiano – Per la redenzione degli schiavi, ad esempio, la Chiesa non ha ricorso all’arma della ribellione e dell’odio di classe, ma al principio della carità. Col dogma dell’eguaglianza di tutti gli uomini nei doveri morali e religiosi dinanzi a Dio, trasformò virtualmente la schiavitù: il padrone non ebbe più davanti a sè una cosa, ma una persona, un’anima redenta dal sangue di Cristo; la sua autorità sullo schiavo era quindi limitata; l’uccisione proibita; la santità, la monogamia, l’indissolubilità del matrimonio degli schiavi riconosciuta; il trattamento di essi mitigato. Un rivolgimento interiore fu il lievito della rigenerazione civile, che ne doveva essere la naturale conseguenza; fu la causa delle numerose iniziative private e pubbliche per la cristiana redenzione degli schiavi, dagli atti di spontanea affrancazione in massa da parte dei padroni, al riscatto della beneficenza ed all’obbligo ai chierici di liberarli; dalla vendita dei beni e degli arredi delle Chiese, alla fondazione di Ordini religiosi per redimerli; dalle dignità ecclesiastiche e civili conferite agli schiavi, sino all’opera emancipatrice universale di Papa Gregorio Magno, preparata e seguita da oltre 200 decisioni autorevoli di Concili, di Pontefici e del Diritto Canonico. E quando le oblazioni dei fedeli e le donazioni di terre e case formarono un grande patrimonio ecclesiastico, la Chiesa, ponendo in pratica la sua dottrina della funzione sociale della proprietà, iniziò un nuovo periodo di redenzione delle classi umili. Fu l’enfiteusi, ossia il dominio utile di case, campi, poderi, boscaglie, concesso dalla Chiesa ai privati o per un tempo determinato o generalmente in perpetuo, dietro compenso di esiguo canone annuo. E così tanti lavoratori divennero possidenti ed iniziarono la loro fortuna. Furono i censi, per cui la Chiesa cedeva ai privati case, campi, poderi, dietro un esiguo sborso del prezzo di stima, lasciando loro in mano il rimanente prezzo, con l’obbligo di pagarvi il frutto. Con questo mezzo un individuo poteva diventare possidente, acquistare vari appezzamenti, lavorarli, renderli fertili, ricavarne ottimi prodotti. Furono inoltre gli usi civici, che davano al povero il diritto di raccogliere frutti, far legna e carbone, falciare erba per fieno, cavar pietre, ed inoltre il diritto di pascolo, di seminar terreni non coltivati, di coltivare piccoli appezzamenti e così via. Siccome poi la Chiesa non poteva imporre a tutti i proprietari queste nuove riforme sociali, che essa andava attuando, ricorse ad un altro mezzo di redenzione economica con l’associazione del capitale al lavoro, facendo sorgere le colonie e le mezzadrie, in cui il proprietario poneva fondi, case, bestiame, capitale, macchine, anticipi di spese, mentre il lavoratore poneva la fatica, dividendo poi il frutto a metà. – E non dimenticò neppure gli artigiani, facendo trionfare con essi il principio dell’organizzazione e suscitando quelle Corporazioni d’arti e mestieri, che erano animate dal soffio del Cristianesimo. Non è possibile qui accennare, neppure in succinto, ciò che hanno prodotto i principi cristiani dell’Amore nell’ordine sociale in venti secoli di storia. Tutte le istituzioni di carità, che sorsero in ogni tempo, ispirate e create dalla religione e che sostituirono gli antichi circhi, i Colossei, gli anfiteatri; gli ospedali, i brefotrofi, gli orfanotrofi, gli istituti per la vecchiaia, per i ciechi, per i sordomuti, per i deficienti, per i derelitti, per ogni genere di dolore e di sventura; coloro che, come Vincenzo de’ Paoli, Camillo De Lellis, il Cottolengo, don Orione, don Calabria, hanno promosso mille opere a sollievo degli infelici; le istituzioni stesse economiche e sociali, dai Monti Frumentari e dai Monti di Pietà alle odierne opere di assistenza ed alle diverse organizzazioni per la tutela degli umili, sorte nei vari paesi, tutto questo canta la fecondità dell’Amore cristiano e ci fa comprendere quale importanza essenziale esso conservi per l’avvenire.

11. Come appare chiaramente, il Cristianesimo è l’epopea dell’Amore. E santi sono proclamati coloro che più hanno amato Dio, che più si sono sacrificati per il prossimo, che tutto hanno fatto per amore, che hanno trasformato la loro esistenza in un inno d’amore. Ogni santo ha la sua speciale fisionomia, né vi sono due figure identiche nel cielo della santità; ma l’anima è unica ed è data da questo divino elemento a tutti comune. Uno, anzi, dei modi efficaci per tracciare la storia della Chiesa, potrebbe essere questo: seguire durante i secoli la storia dei Santi, i quali pure hanno vissuto nella loro epoca e del loro tempo, ma che sino in grado eroico hanno esplicato la morale dell’Amore.

12. Se, del resto, altri preferisse un diverso metodo, potrebbe gettare il suo sguardo ai singoli secoli. Ecco, il secolo XIII, aperto da san Francesco, il Santo che, forse, più di tutti, ha amato Gesù Cristo, e da un altro serafico d’amore, Domenico di Guzman. Tommaso d’Aquino giungerà all’amore sulle ali del pensiero, robuste come ali di aquila: e non solo la sua vita, la sua morte, il suo commento sul letto dell’agonia del Cantico dei Cantici resteranno un mistero per chi se lo raffigurerà come un freddo intellettualista, ma anche il suo sistema immortale non sarà intuito nella sua anima da chi prescinderà dall’Amore che gli illuminava la mente sovrana. Bonaventura da Bagnorea, il Dottore serafico, indicherà nell’Amore stesso l’itinerario della mente a Dio. Dai monasteri della Germania risponderà il saluto al Cuore di Cristo di santa Gertrude e delle due Matilde; e saranno canti meravigliosi, vibranti di amore, come sempre lo furono gli accenti dei mistici, belli come le basiliche che con le loro guglie venivano allora lanciate verso l’azzurro a proclamare a Dio l’amore degli uomini. Dante chiude quel secolo col poema dell’Amore. Là « dove l’amor sempre soggiorna » sale con progressiva ascensione il poeta di nostra gente. Lo guida San Bernardo, il grande cantore del divino Amore, che lo aveva estasiato col carme delicato e soave, col commento della Cantica, e che gli suggerì il coronamento della Divina Commedia. « Drizzeremo gli occhi al primo Amore », all’« Amor che muove il sole e l’altre stelle ».

13. Quando nei secoli cristiani l’Amore si afferma e divampa, vi sono periodi di sviluppo, glorie di spirituali conquiste, orizzonti sereni di paradiso. Quando l’Amore impallidisce e s’offusca, abbiamo tramonti foschi e inverni desolati. – I Papi e i Vescovi che s’avviavano al martirio perdonando, benedicendo, amando, facevano fiorire sui loro passi rose primaverilmente fresche e candidi gigli. Ma il giorno in cui, mentre la sinistra impugnava un Pastorale, la destra brandiva una spada, abbiamo avuto la nefandità della simonia e del concubinato, e la lotta per le investiture. – Se l’Umanesimo ed il Rinascimento prepararono la culla della Riforma, fu perchè l’amore delle cose umane e dell’umana grandezza fece troppo dimenticare Dio e l’Amore soprannaturale. Non si creda però che quello sia unicamente il tempo di Alessandro VI: no; fu l’epoca delle Compagnie del divino Amore e dei Santi più accesi d’amore per Cristo e per i fratelli.

Contro Lutero, Dio suscitò Ignazio di Loyola, che alla stolta teoria della giustificazione mediante la sola fede, oppose la solenne affermazione del dovere di tendere a Dio con tutta la nostra attività; e fu questa nota attivistica che non solo ispirò i suoi Esercizi Spirituali, ma animò la Compagnia dei suoi figli valorosi. – Contro Calvino, il negatore dell’amore di Dio, che si foggiava con le solite fantasticherie della predestinazione un Dio feroce, s’alzò Francesco di Sales, col suo Traité de l’amour de Dieu, ad illustrare dolcemente la misericordia, la bontà e la facilità dell’amore divino. Ed intorno a loro vi fu una pleiade di anime grandi. Era il Borromeo, il quale mostrava l’amore del buon Pastore alle sue pecorelle, che egli risanava dall’ignoranza religiosa e dalla morale rilassata, sollevava nei bisogni della carestia, assisteva fra le miserie della peste. Era Filippo Neri, con l’amore alla gioventù; Camillo de Lellis, con l’amore agli infermi; erano i Somaschi, i Teatini, gli Scolopi, i Barnabiti, che si consacravano al popolo, agli orfani, al culto divino, alla gioventù studiosa, alle scuole popolari e via dicendo; questi erano i veri riformatori, che basavano la loro costruzione sull’Amore. Frattanto Giovanni della Croce e Teresa d’Avila intonavano un inno d’Amore, che certo non morrà. – E sorse un altro eretico, ossia un altro nemico dell’Amore: sorsero Giansenio ed i tristi seguaci, che vollero dipingere Iddio come perennemente irritato contro gli uomini, severo nello scrutarne le minime colpe, rigidissimo nella punizione, implacabile nel rifiuto delle grazie; e si raffigurarono un Gesù dalle mani serrate in pugni e minacciose. Non importa. La nazione dove il giansenismo fece le sue avanzate più rapide divenne anche la terra di Maria Margherita e del beato de La Colombière; fu la terra dove Gesù mostrò il suo Cuore, dicendo: « Ecco il cuore che tanto ha amato » e dove implorò amore: dove Alessandro Manzoni doveva ritrovare la fede perduta, per divenire in seguito il cantore della Morale Cattolica. – L’Illuminismo e l’Enciclopedia prepararono la Rivoluzione francese e, mentre funzionava la ghigliottina, le scimmie dell’amore cristiano urlarono: liberté, égalité, fraternité. L’umanitarismo voleva prendere il posto del Cristianesimo; l’Aufkldrung, il Progresso, la Civiltà, la Cultura moderna, la Ragione pretendevano offuscare coi loro splendori l’incendio d’Amore di Cristo. Il secolo XIX, con tutte le armi — dalla storia alla scienza, dalle lettere e dalle arti alla filosofia, dalla democrazia anticlericale alle prepotenze dei governanti, — tentò di continuare l’opera spegnitrice dell’Amore cristiano. Ahimè! Il risultato è stato ben descritto da Giovanni Papini, nel capitolo mirabile che chiude la sua Storia di Cristo. « In nessun tempo, di quanti ne ricordiamo — egli constata — l’abbiettezza è stata così abbietta e l’arsura così ardente. La terra è un inferno illuminato dalla condiscendenza del sole ». Son scoppiati i conflitti mondiali: e dalla melma in cui s’erano tuffati, gli uomini si levarono « frenetici e sfigurati, per buttarsi nel bollor vermiglio del sangue, con la speranza di lavarsi ». Invano. « L’amor bestiale di ciascun uomo per se stesso, di ogni casta per se medesima, di ogni popolo per sé solo, è ancora più cieco e gigante dopo gli anni che l’odio ricoprì di fuoco, di fumo, di fosse e d’ossami la terra. L’amore di sé, dopo la disfatta universale e comune, ha centuplicato l’odio: odio dei piccoli contro i grandi, degli scontenti contro gli inquieti, dei servi padroni contro i padroni asserviti, dei ceti ambiziosi contro i ceti declinanti, delle razze egemoni contro razze vassalle, dei popoli aggiogati contro i popoli aggiogatori… – Negli ultimi anni la specie umana, che già si torceva nel delirio di cento febbri, è impazzita. Tutto il mondo rintrona dal fragore di macerie che rovinano; le colonne sono interrate nel pattume; e le stesse montagne precipitano dalle cime valanghe di pietrisco perché tutta la terra diventi un maligno piano eguale. Anche gli uomini ch’eran rimasti intatti nella pace dell’ignoranza li hanno strappati a forza dalle sodaglie pastorali per rammontarli nel mescolamento rabbioso delle città a inzafardarsi e patire. Dappertutto un caos in sommovimento, un subbuglio senza speranza, un brulicame che appuzza l’aria afosa, una irrequietudine scontenta di tutto e più della propria scontentezza. Gli uomini, nell’ebrietà sinistra di tutti i veleni, consuman se stessi per bramosia di fiaccare i loro fratelli di pena, e, pur di uscire da questa passione senza gloria, cercano, in tutte le maniere, la morte. Le droghe estatiche e afrodisiache, le voluttà che struggono e non saziano, l’alcool, i giuochi, le armi prelevano ogni giorno a migliaia i sopravvissuti alle decimazioni obbligatorie… ». « In nessuna età come in questa abbiamo sentito la sete struggente d’una salvazione spirituale ». Abbiamo bisogno d’Amore! E tutto ciò che ne preannunzia la risurrezione è oggi salutato da coscienze angosciate, trepide ed ansiose. Nessuno più vorrebbe prostrarsi dinanzi alla Dea Ragione; al contrario le folle si recano all’Immacolata di Lourdes ed a Fatima. Basta una piccola anima, come Teresa di Lisieux, che vive d’amore e muore d’amore, perché il mondo intero venga scosso da un fremito soprannaturale. Nelle varie Confessioni protestanti si vanno moltiplicando le voci augurali d’un ritorno all’unità della Chiesa, nell’amplesso dell’Amore. Il movimento missionario si intensifica sempre più. A Roma dall’alto del Vaticano Pio XI fra il plauso del mondo ha inneggiato alla Regalità di Cristo. Ed alla Regina dell’amore Pio XII ha consacrato i cuori dell’umanità. Al Vicario del Dio della Carità si recano in pio pellegrinaggio i popoli della terra, come all’unico che abbia parole di vita eterna. A lui, dopo le disillusioni subite ed i disinganni provati, molti, ancora una volta, rivolgono gli sguardi anelanti. Quando, ogni anno, nella festa dell’Amore Eucaristico, si spalancano le porte di S. Pietro ed esce il Pontefice bianco con l’Ostia della pace, individui e nazioni dimenticano un passato di orgoglio, di miserie e di ribellioni, e si protendono verso un avvenire, che segnerà le glorie di Cristo Re. – Tale è la morale cristiana vissuta; tale è il Cristianesimo, che nei suoi dogmi, nella sua etica, nella sua storia, ci appare sempre come Amore. E non senza un profondo significato, nell’Italia nostra, un’Università cattolica, inaugurando la sua vita e la sua attività, proponendosi di sintetizzare tutto il sapere e di ispirarlo con un’anima cristiana, ha creduto doveroso scrivere a caratteri d’oro sul suo frontone il nome del Sacro Cuore, ossia dell’Amore. Quel nome è un ideale, una speranza, un programma.

3. – Conclusione.

Forse qualcuno, dopo una simile visione, potrà chiederci come mai venti secoli di morale cristiana hanno lasciato nelle coscienze e nei popoli tanti odi e tante bassezze. Ma l’abbiezione è superficiale. Non solo nelle istituzioni sociali e nella vita civile il Cristianesimo ha suggerito in ogni campo, incoraggiato e promosso numerose conquiste; ma è da osservarsi altresì che la morale dell’Amore non è una battaglia che si possa vincere una volta per sempre. Ogni uomo che viene a questo mondo, ogni popolo che si sviluppa, ha il suo problema da porre, da affrontare, da risolvere. Ogni persona ed ogni nazione ha le sue lotte quotidiane, che si rinnovano sempre sotto forme nuove e che in questo Sillabario abbiamo cercato di ritrarre nella loro realtà. In morale, non si è Cristiani una volta per sempre; ma, finché viviamo quaggiù, bisogna conservarsi e divenire ogni giorno più Cristiani. L’educazione degli individui e dei popoli tende appunto a fortificare le anime per questo quotidiano combattimento, svolto con la grazia divina, che, se costituisce il nostro assillo da un lato, forma per noi anche, dall’altro, il merito e la gloria.

Non basta, quindi, essere nati in terra santificata dal sangue dei martiri ed irrorata dalle virtù dei Santi. Non basta aver ricevuto il Battesimo ed essere stati incorporati a Cristo ed alla Chiesa. Ciò sarebbe per noi un titolo di ignominia e di condanna, se non vivessimo cristianamente. È necessario seguire nella vita la morale di Cristo e della sua Chiesa: « Quella morale — chiuderò anch’io col Manzoni — che sola potè farci conoscere quali noi siamo; che sola, dalla cognizione di mali umanamente irrimediabili, potè far pascere la speranza; quella morale che tutti vorrebbero praticata dagli altri, che praticata da tutti condurrebbe l’umana società al più alto grado di perfezione e di felicità che si possa conseguire su questa terra; quella morale a cui il mondo stesso non potè negare una perpetua testimonianza di ammirazione e di applauso.

Riepilogo.

La morale cristiana:

a) sintetizza tutte le anime di verità che si trovano sparse nei vari sistemi filosofici e le completa;

b) non è, come le altre teorie morali, una dottrina puramente speculativa, ma ha avuto un influsso immenso su due millenni di storia, che possono essere definiti la storia dell’amore. Nulla come la storia della Chiesa conferma la divina verità e la soprannaturale efficacia dell’etica insegnata.