LA MEDITAZIONE DELLA PASSIONE DI GESU’ (2)

La meditazione della Passione di N. S. Gesù Cristo. (2)

(GIULIO MONETTI: La Sapienza cristiana, vol. II, p. s. – Unione tipo. Tor. 1949)

Gesù è posposto a Barabba. —

Erode rinviava Gesù a Pilato: — la Divina Misericordia offriva nuovamente a Pilato l’occasione di fare — meglio tardi che mai! — il bel gesto di liberar l’Innocente — riparando anche il torto già fattogli: — ma Pilato — recidivo! — rifiuta ancora una volta!

L’ignominioso confronto. — Anche se la nuova sua trovata fosse riuscita a quel giudice iniquo, — che torto non era essa per il Divino Maestro! — Lo si sarebbe liberato, – ma soltanto a titolo di grazia immeritata: – mentre la libertà gli si doveva a titolo di pretta giustizia! — Inoltre, con chi si confrontava l’Agnello Divino Immacolato? — Con un violento ladrone — con un sanguinario omicida — con un ribelle pericoloso — che — ad onta di tutto — si sarebbe rimesso in… circolazione! — Miserabile giustizia umana, quando si dimentica del trollo di Dio! — E, poveri noi, se unicamente ci fidassi ad essa!

L’urlo selvaggio della piazza. — Con tuttociò, se si ascoltava la ragione — era Gesù che doveva andar libero: – l’innocente era Lui — Lui inoltre il benefico taumaturgo – lui il maestro insuperabile di bontà — lui l’inviato da Dio — acclamato cinque giorni prima dall’intera Gerusalemme! — Ma si ascoltò la passione cieca — impulsiva – sobillata dai furbi — rappresentata dalla feccia del popolo: — e questo gridò il suo crucifige! — sfacciato — idiota — feroce — contro Gesù! — Davvero che Gesù poteva dolorosamente ripetere le profetiche parole di Michea: — « Popolo mio, che cosa mai ti ho fatto di male? ». — E non potrebbe ridirle anche a noi — quando pecchiamo? Barabba in libertà. — Insperatamente Barabba ricuperava la libertà — da parte degli uomini: — ma, da parte di Dio? — Non per questo veniva pregiudicata la sua condanna al Divin Tribunale! — E il suo stesso nome passò ai posteri come simbolo ignobile del farabutto e del sovversivo! — Ma intanto? — Siamo avvertiti di rettificare la nostra intenzione nell’esercizio della virtù — sicché ce ne attendiamo i premi da Dio — non dagli uomini! — E insieme, niente paura del momentaneo trionfo del male! — Iddio ci farà giustizia a suo tempo: — né ci troveremo davvero scontenti d’averlo servito!

Gesù sottoposto alla flagellazione. —

Il secondo mezzuccio di Pilato per liberare Gesù era dunque tornato inutile anch’esso: — ne peggiorava anzi la posizione. — Pilato allora tenta uno sforzo: — ma purtroppo contro Gesù — e anch’esso vano — quanto a salvarlo!

Il disonore della flagellazione. — Quel terzo mezzo — dopo l’invio ad Erode — e dopo il confronto con Barabba — fu flagellarlo. —- Pensò così di placare i Giudei — in vederlo così sfigurato — e insieme di mostrare di non averlo voluto liberare senz’altro — e così mettersi a coperto da sospetti politici. — Anche qui l’innocente veniva trattato da reo con palese iniquità: — inoltre lo si trattava da schiavo — privo d’ogni diritto civile al rispetto ed all’incolumità: — lo si trattava anzi da bestia — incapace di ragione — epperò da assoggettarsi a colpi di frusta — di verghe — di bastoni! — Povero Gesù!

Lo strazio della flagellazione. — Ed oltre all’ignominia infame di tal supplizio — s’aggiungeva qui per Gesù un tormento indicibile; — giacché il suo corpo era assolutamente perfetto — e quindi della sensibilità e delicatezza più viva. — Di più, era fatto apposta per patire — attesa la sua missione di vittima per i peccati del mondo. — Immaginiamo lo scempio che i carnefici ne fecero — col loro cuore spietato — colle loro braccia nerborute — coi loro strumenti terribili! — chissà per quanto tempo: – anche se non abbiano avuta apposita consegna di vieppiù incrudelire — per più facilmente disarmare i Giudei! — Che lividure, in Gesù! — che sangue! — che orribili piaghe! —. Povero Gesù!

Il vero motivo della flagellazione. — Quella furia di colpi scaricatasi sul Divin Salvatore — se si dovette materialmente ai manigoldi — e ufficialmente all’iniquo comando di Pilato — ha però radicalmente una doppia causa recondita: — l’amore di Gesù per noi — poiché Gesù proprio per noi volle subir quegli spasimi: — ed i nostri peccati, — i quali Gesù volle così espiare: — e specialmente i peccati di sensualità. — Ah se gli uomini – ed anche le persone pie — pensassero a quanto costarono a Gesù Redentore gli eccessi disordinati — e gli scatti inconsulti delle nostre passioni, — e le renitenze ai divini voleri! — E se si ricordassero più spesso che Gesù ci amò sino al sangue!

Gesù coronato di spine. —

Agli orrori della flagellazione ordinata dal Preside Romano, i soldati aggiungono di proprio moto altri orrori — altri ludibri: – consideriamoli in ispirito di compassione — e di compunzione – tenendo compagnia a Gesù in ora così dolorosa!

Gesù camuffato da re da burla. — Niente impietositi del povero Gesù — fatto tutto una piaga sanguinolente per l’orribile flagellazione — i militi romani lo spogliano di nuovo — riaprendogli ed esasperandogli le ferite collo strappargli di dosso le vesti già ad e rapprese — e gli gittano sulle spalle una clamide purpurea — gli pongono in mano una canna — gli calcano in capo — come reale diadema — una celata di spine; — poi lo sbeffeggiano, a gara, genuflettendogli innanzi — salutandolo per Re dei Giudei — finendo la schifosa tregenda con sputacchiarlo — strappargli di mano quel misero scettro di canna — dandoglielo violentemente sulle spine del capo… — Che umiliante afflizione per Gesù — fatto zimbello di quei 500 scherani — che gli si accanivano attorno! Gesù coronato Re dei dolori! — Che fitte dolorosissime non dovette provare Gesù — a quei duri e ripetuti colpi di canna — nelle tempia — sulla fronte — nel cranio — al penetrargli quelle spine la pelle — nello scalfirsene le ossa in tanti punti! — E quante altre percosse ed urti doloranti non avrà Egli dovuto sopportare da quei malnati in quell’ora infernale! — vero Agnello dato in istrazio alla ferocia di lupi aizzata da satana, il maligno, l’omicida. — Compatiamo col più vivo affetto al patire indicibile di Gesù nostro — vero Re dei dolori — e risparmiamogli ogni nuova trafittura di nostri peccati! Salutiamo Gesù, nostro Re d’amore! — Ben se lo merita, – dopo tanto obbrobrio — da Lui incontrato — proprio per noi — volontariamente — e dopo tante torture da Lui subìte — anche per causa nostra: — e, non temiamo di aggiungerlo per la verità, anche dopo tante ingratitudini da noi moltiplicategli, purtroppo, nel corso della nostra vita! — E più lo vediamo svilito dai suoi nemici — e più saturo di pene e di vituperi — stringiamoglici attorno vieppiù amorosamente — gridandogli il nostro più fervido: — « Viva Cristo Re! ».

Ecce homo! ”. —

A stroncare la farsa crudele — inscenata dai soldati — venne forse un ordine di Pilato, di ricondurgli Gesù — quale era ridotto nelle condizioni più pietose. — E Pilato lo presenta al popolo — così com’era — tutto lividure e sangue — colla corona di spine in capo — con quello straccio di porpora sulle spalle… — E disse al popolo: — « Ecco l’uomo! ».

« Ecce homo! ». — Ecco il bel lavoro fatto dai nostri peccati! — Non dimentichiamolo mai! — Se Gesù patisce — e patisce tanto — la colpa ne è nostra! Noi col peccato, abbiamo talmente irritata la Divina Giustizia — da non averne perdono — se non era il gemito — la supplica — del Figlio stesso di Dio — dissanguato per noi! — Impariamo pertanto a capire che cos’è il peccato – ad aborrirlo — a fuggirlo — come il peggiore dei mali. – poiché va a colpire lo stesso Dio — nella persona abile di Gesù Cristo! — E non solo fuggiamo il peccato – ma anche i pericoli di peccare!

« Ecce homo! ». — Ecco sin dov’è giunto l’amore di Dio per noi! – Dio Padre ci ha amato tanto da sacrificare — pur di redimerci — il suo stesso Figlio Unigenito! – Dio Figlio ci ha amati tanto da volersi tutto sacrificare per noi — abbandonandosi ai vituperi ed alle carneficine – proprio perché noi n’andassimo salvi — pur avendoli meritati le mille e mille volte colle nostre colpe! — E Dio Spirito Santo ci ha tanto amati da mettere a nostra disposizione i meriti infiniti di Gesù Cristo — mercè le SS. Messe — i SS. Sacramenti — e le sue grazie divine! — Quanta bontà!

« Ecce homo! ». — Ecco il divino modello da imitare! — Se vogliamo affermare il nostro amore a Dio — non soltanto a parole, ma a fatti — ecco sino a qual punto dobbiamo giungere — se Dio lo richieda: — sino al martirio del cuore — dell’onore — dello stesso corpo! — Se vogliamo sapere come si obbedisca al Signore — ecco il tipo al quale ispirarci: — all’obbedienza di Gesù all’Eterno Padre — la quale non indietreggiò innanzi all’umiliazione più cocente — né ai patimenti più efferati! — Se vogliamo vedere come si debba intendere l’apostolato serio – fattivo — travolgente — eccone l’ideale: — sacrificarsi!

Il Sacrificio del Calvario. —

L’indegna fiacchezza di Pilato — che voleva coi suoi meschini espedienti eludere l’odio giudaico contro Gesù — vistesi chiudere ad una ad una tutte le vie — cedette finalmente agli assalti; — e, condannando Gesù, condannò pure l’indegno suo giudice — il vilissimo Pilato.

Gesù condannato alla crocifissione. — Pilato pronuncia l’iniqua condanna: — quindi non lo scuserà dal deicidio il suo lavarsene le mani in pubblico — e il suo dichiararsene innocente! — Neppure lo scuserà dal tradimento del suo dovere di giudice imparziale il timore incussogli per istornarnelo: — con gli onori devonsi accettare anche gli oneri annessi! — Infine, non si assicurerà neanche il favore di Roma; — presto deposto e bandito, espierà già qui in terra l’immane sua colpa! — « Farina del diavolo ritorna in crusca! ».

Gesù s’avvia alla crocifissione. — Carico del peso opprimente del suo patibolo — tuttoché così piagato e sfinito — Gesù porta volentieri la sua croce — che gli sarà altare per il suo sacrificio al Padre — e chiave per aprire a noi il Paradiso — e cattedra suprema onde insegnarci ogni più eletta virtù. — Per via lo si strapazza — lo s’insulta — lo si percuote: — e Gesù tace! — Lo salutano col pianto la SS. Vergine e le pie donne: — e Gesù ne accetta l’ossequio pietoso! — Il Cireneo l’aiuta: — e Gesù prepara a lui e ai suoi figli le sue grazie riconoscenti. — Quant’è buono Gesù — anche se saturo d’amarezze! Gesù subisce la crocifissione. — Giunto sul poggio del Golgotha, — con stento immenso — Gesù è spogliato — con nuovo strazio delle sue ferite — poi adattato dai manigoldi alla croce — indi pesanti martellate sui chiodi conficcano questi nelle mani e nei piedi… — E così, sul mezzogiorno — nell’affollamento delle solennità pasquali — quando pellegrini d’ogni paese ne avrebbero riportata l’infamia sino ai confini del mondo. – Gesù appariva crocifisso tra due ladri — quasi loro capobanda: – con sul capo la sarcastica scritta: — « Re dei Giudei. — Potevasi scendere più basso per la via dell’abbiezione? — per la via dello spasimo atroce? — E | vi si rassegnò per noi! — Per noi, sue povere creature! — Per noi, suoi servi inutili. — Per noi, offensori ingrati!

Le parole del Divino Agonizzante… —

Sacre parole quelle d’un morente — d’un morente divino — del nostro Supremo Benefattore e Padre — del Redentore e Maestro dell’umanità!

C’è la parola del perdono — invocato sui crocifissori – e che si spinge sino a scusarli al Padre… — Che bontà non ci rivela in Gesù! — Che fiducia non c’ispira! Che contrizione non deve eccitare in noi — vedendo la bontà di chi abbiamo offeso.

C’è la parola della magnificenza — che mostra in Gesù Crocifisso il Dominatore del Cielo e della terra — e c’è l’afferma altresì Consolatore efficace del povero convertito — e Rimuneratore generoso dell’ossequio fiducioso di Lui. — Neanche noi ci volgeremo invano a Gesù — né sarà per noi vano il secondarlo — il seguirlo – il compiacerlo!

C’è la parola della tenerezza — di Gesù morente, per la sua Vergine Madre — e per Giovanni, il prediletto, ch’è tornato a Lui… — Essa ci deve infervorare ad onorare anche noi Maria SS. – che allora appunto divenne Madre nostra. — Insieme deve animarci, sia alla passione per Gesù appassionato — sia alla riparazione delle nostre colpe…

C’è la parola della desolazione — strappata a Gesù dal suo immenso patire! — Ch’essa ci spinga a consolarlo col nostro amore operoso; — insieme ci avverta che il nostro gemito — anche più trangosciato — non deve avere altro suono che di preghiera!

C’è la parola del desiderio — di Gesù, riarso dalla sete — corrisposta dai soldati con aceto e fiele! — Da noi invece dovrà corrispondersi coll’amore — e collo zelo — dacché esprimeva — oltre la sete fisiologica — anche la sete morale di affetto — e di anime!

C’è la parola della costanza vittoriosa — che proclama assolto il proprio mandato — e già preannunzia il trionfo del Salvatore. — Preghiamo — e procuriamo di ripeterla anche noi — sia al termine della nostra vita mortale — sia allo spirare d’ogni nostra giornata. — L’ubbidire a Dio: — ecco per noi la perfezione — la grandezza — la vera felicità!

C’è la parola del filiale abbandono… — Oh fiorisca sulle nostre labbra — rassegnata — affettuosa — confidente — come sulle labbra di Gesù — anche nei momenti più foschi della nostra esistenza — anche nel crollare di tutte le nostre umane speranze! — Gettiamoci nelle braccia del nostro Padre Iddio: — non si ritrarrà indietro — a lasciarci precipitar nell’abisso!

Contemplando Gesù Crocifisso. —

Come la cristiana predicazione — e come la sacra liturgia sono impregnate del ricordo di Gesù Crocifisso — così dovrebb’esserne impregnata la nostra vita cristiana — per alimentarne in sé lo spirito di sacrificio.

Pensiamo a Gesù morto! — Non doveva morire — Perché era il Santo dei Santi — e la morte entrò nel mondo per la porta del peccato! — Ma bastò che Gesù si fermasse l’ombra del peccato — non suo — ma da lui preso ad espiare — perché, nascendo alla vita in Betlemme — nascesse insieme alle espiazioni del Golgotha! — Oh come dobbiamo aborrire la colpa! — E attraverso la morte del corpo — cui la morte sfigura — e gitta nell’inerzia — e nell’impotenza — sappiamo intravvedere i guasti del peccato nell’anima — spenta da esso alla vita soprannaturale – deformata mostruosamente innanzi a Dio — incapace, da sé di riaversi!

Pensiamo a Gesù, morto svenato in croce! — A tanto di crudeltà giunsero contro di Lui l’invidia e la malizia umana — ad onta dell’ineffabile sua amabilità personale – della sua divina grandezza — dei benefici innumerevoli da Lui irradiati attorno a sé — dell’essere Egli spontaneamente sceso di Cielo in terra — e farsi nostro fratello! — Oh come dobbiamo umiliarci — e domandargli perdono della nostra efferata ingratitudine! — del nostro egoismo crudele — pronto a martoriare Lui — pur di scapricciare sé!

Pensiamo a Gesù, morto — in croce — svenato — proprio per noi!

Mentre Gesù soffriva — e tanto orribilmente – ciascuno di noi, in persona, era presente a lui — ed Egli — proprio per ciascuno — singolarmente — offriva i propri tormenti — le proprie agonie — per amore — in espiazione. — Ecco il posto che ciascuno di noi occupa nel Cuore SS. di Gesù! — E che posto occupa Gesù — Gesù Crocifisso — morto proprio per noi — nel nostro cuore? — Faremo noi mai abbastanza — non già per adeguare — ma anche solo per emulare — il suo amore per noi?

La sepoltura di Gesù.

A rendere innegabile a tutti la sua morte — e quindi incontrastabile il gran miracolo della sua prossima risurrezione — la divina Salma di Gesù rimase in istato di morte sino al terzo giorno: — quindi nei suoi fedeli il pensiero di seppellirla. — Ma, secondo le profezie — la sua sepoltura non fu come le altre…

Fu una sepoltura gloriosa. — Anzitutto essa avvenne decorosamente — contro ogni aspettazione umana — trattandosi d’un giustiziato — anzi, d’un crocifisso — condannato al supplizio estremo a furor di popolo — e sentenziato a morte da tutti i tribunali del luogo. — Chi si sarebbe dovuto più curare di Lui? — dell’infame. secondo i pagani? — del « maledetto », secondo i Giudei? — Viceversa, ecco muoversi Giuseppe d’Arimatea — gentiluomo autorevole — per le pratiche legali, presso Pilato, per la consegna della Salma — e inoltre per regalargli il proprio sepolcro nuovo — e per procurargli la sindone funeraria; — ecco Nicodemo — altro autorevolissimo Sinedrita — portare aromi in abbondanza — e dar mano alla deposizione -. senza rispetti umani!

Fu una sepoltura riparatrice. — L’insinuò Zaccarìa Profeta (12, 10) — e difatti Giuseppe e Nicodemo ripararono così al rispetto umano, che li aveva tenuti più o meno lontani da Gesù vivo. — Parimenti l’affetto delle pie donne — unitesi con Maria SS. e con San Giovanni Apostolo nelle cure funebri — fu doverosa e delicata riparazione del vuoto morale fattosi attorno a Gesù dal momento della sua cattura. — E le lacrime di Maria SS. su ciascuna delle piaghe di Gesù morto, non furono preziosissima riparazione dei lazzi farisaici — delle torture inflitte a Gesù?

Fu una sepoltura provvisoria. — Lo si sentiva nell’aria — dopo le meraviglie avvenute in morte del Redentore — che le cose non dovevano finir lì — e che quella tomba doveva maturare grandi avvenimenti — anche se non si osasse pensare alla risurrezione. — Tutti avevano viste le fitte tenebre universali che avevano adombrate le agonie di Gesù — tutti avevano avvertito il gran terremoto avvenuto allo spirare di Lui: — il terrore aveva pervaso e il popolo e i soldati abbandonanti il Calvario — e persino nel Tempio, sacerdoti e leviti e sacrificanti erano rimasti atterriti per il misterioso squarciarsi da cima a fondo del velo del Santuario… — Erano i prodromi della risurrezione! — Al terzo giorno, quel Corpo divino — sacro tempio del Dio vivo — doveva venire ricostituito!

L’Anima di Gesù in festa… —

Mentre ancora la Salma adorabile del Divino Agnello svenato pendeva dalla croce – l’Anima di Gesù — già pienamente beata — subito entrò in pieno possesso della gloria immensa — che s’era guadagnata con la sua dura passione. — Che festa per lei!

Festa in Paradiso. — Che festa non le avran fatta l’Eterno Padre e lo Spirito Santo — per la piena vittoria riportata sul peccato — e sull’inferno — com’anche per il pieno — esuberante — infinito compenso dato alla Divina Giustizia! — Che festa le avranno fatta eziandio gli Angeli — umiliandole gli ossequi delle loro gerarchie! — E che festa ancora — nel suo intimo — sarà stata la sua — mirando dalle altezze sideree smisurate la tanto piccola nostra terra — e su questa terra il tanto più piccolo Calvario — e, sul Calvario, la Croce-Altare ancora cruento del grande Sacrificio! — Com’era giubilante del grande atto compiuto!

Festa al Limbo dei Ss. Padri. — Dopo umiliati all’Eterno Padre i trofei della sua vittoria — la beata anima di Gesù cominciò la bella parte di consolatrice — iniziandola col beatificare le anime dei SS. Padri trattenute nel Limbo — in solo comparire in mezzo a loro. — Figuriamoci il tripudio dei Patriarchi — dei Profeti – dei Sacerdoti — degli Antenati del Redentore! — E la gioia di S. Giuseppe? — e quella del Battista, quella del ladro convertito, sopravvenuto in breve? — Chi può descriverla? — Meritiamo anche noi — com’essi — che il nostro primo incontro con Gesù nell’eternità sia incontro rassicurante — beatifico!

Festa al… Calvario. — Immaginiamo tutte quelle anime glorificate — condotte dall’Anima di Gesù al Calvario — a contemplarvi il suo sacro Corpo esangue — la Croce — i chiodi — la terra — tutto ancor rosseggiante del prezzo del nostro riscatto. — Che inni di ammirazione — e di riconoscenza — non avranno là iterati quegli spiriti eletti al Divino loro Salvatore — che tutti gli aveva redenti — a tanto suo costo! — e per sempre! — strappandoli alle tremende maledizioni divine! — Uniamo ancor noi la nostra voce a quei canti — pregando d’iterarli un giorno nel Cielo!

LA PASSIONE DI GESU’ (1)

La meditazione della Passione di N. S. Gesù Cristo. (1)

(GIULIO MONETTI: La Sapienza cristiana, vol. II, p. s. – Unione tipo. Tor. 1949)

— L’ultima parte della S. Quaresima è dalla Chiesa chiamata Tempo della Passione — e consacrata — anche con liturgìa speciale — alla commemorazione della Passione di Gesù. — Come ci devono essere care queste due settimane! La meditazione della Passione è per noi debito di riconoscenza! — E non era forse più che giusto che, mentre il Signore spargeva per noi tutto il suo Sangue, noi l’avessimo accompagnato in ciò almeno collo spargere le nostre lacrime – se fossimo vissuti allora — atteso specialmente che, non a Lui — l’Innocente — il Santo dei Santi — ma a noi – colpevoli — conveniva il patire? — Ebbene, ciò che non potemmo fare allora, facciamolo adesso! — E Gesù gradirà — accetterà intenerito — la nostra affettuosa compassione — proprio come se n’avesse tuttora bisogno! La meditazione della Passione è per noi miniera inesauribile! — Anzitutto è naturale che più partecipi dei frutti della Passione chi meglio — e più frequentemente — se ne ricordi — quasi a raccogliere su di sé in maggior copia il Sangue Divino. — Inoltre, il ricordo della Passione è nato fatto per eccitare in noi la contrizione perfetta dei nostri peccati, — che trassero Gesù alla croce — e insieme lamore pertetto a quel Gesù — che per noi ha tanto sofferto. — Orbene carità e contrizione perfetta sono due radici fecondissime di merito soprannaturale — di santificazione. La meditazione della Passione è per noi scuola di virtù insuperabile. — Ci mostra infatti in Gesù appassionato il modello più perfetto — e più suggestivo — di pazienza — mansuetudine — umiltà — obbedienza — zelo — carità — sacrificio… — Inoltre, già ci dissipa preventivamente tutti i pretesti che la nostra mollezza potrebbe invocare — per esimerci da difficoltà — da rinunzie — che da noi richiedesse la vita virtuosa; — se Gesù non entrò nella sua gloria, se non compiendo la sua Via Crucis. chi siam noi da pretendere condizioni più agevoli — o più comode — per ottenere il Paradiso? — Chi oserà rifiutar la propria croce?

L’Ultima Cena del Divin Salvatore. —

Con che cuore non la celebrò Gesù — sapendo ch’era venuta l’ora sua — e che l’orribile sua Passione era imminente! — Tanto più che aveva determinato d’istituire in essa la Eucaristia — consacrazione del Nuovo Testamento — Sacramento insieme e Sacrificio! L’ultima Cena Pasquale secondo la Legge Mosaica. — Ancora una volta Gesù e gli Apostoli mangiarono insieme l’Agnello Pasquale — senza macchia — mansueto — svenato — salvezza del popolo eletto… — simbolo eloquente di Gesù — vero Agnello immacolato di Dio — mite ed umile di cuore — vittima volontaria cruenta — per la salute dell’intero genere umano… — Oh impariamo l’esattezza — e lo spirito — col quale dobbiamo ottemperare alla Legge santa di Dio — unendo l’esterna compitezza degli atti coll’interno fervore dell’animo!

La prima Cena Eucaristica. — Che solennità! — Gesù la celebra in un raccolto Cenacolo — grandioso — addobbato — dopo lavati i piedi agli Apostoli — per vieppiù purificarli — ed iniziarli alla vicendevole umiltà e carità…! — Che generosità poi — in darsi in cibo e bevanda agli Apostoli — quando proprio e la giudaica invidia maligna — e la venalità del traditore — ne tramavan la morte! — E proprio allora creava Pontefici del nuovo Culto quegli Apostoli appunto, che entro poche ore tutti l’avrebbero abbandonato! — E che amore per noi — in prevenire nel suo sacrificarsi per noi l’opera stessa dei suoi nemici! — Grazie! mille grazie, Gesù!

La cena dell’affettuoso commiato. — Pensiamo — oltreché al Testamento reale (quello cioè del suo Corpo e del suo Sangue) — anche al Testamento morale lasciato da Gesù agli Apostoli — e, in loro persona, a noi — alla Chiesa tutta. — È testamento d’amore divino: — « Conservatevi nel mio affetto! ». — È testamento di mutua concordia: — « Vogliatevi bene a vicenda! ». — È testamento di sovrana, incrollabile fiducia: — « Confidenza! Io ho vinto il mondo! ». — È testamento delle più larghe promesse: — « Quanto mi domanderete… ve lo farò! » — « Non vi lascerò orfani!» — « Vi preparo un regno! ». — È testamento di pace: — « Vi do la mia pace! ».

Nel folto del Gethsemani… —

Scocca l’ora della Passione — l’ora tanto desiderata da Gesù — e per la gloria dell’Eterno suo Padre — e per la redenzione nostra — e per la restaurazione dell’ordine supremo di giustizia e di pace… — E Gesù — divino volontario della morte — si avvia al Giardino degli Ulivi — per darvisi in mano ai suoi nemici

La prima agonìa: — l’agonìa del cuore… — Gesù vuole egli stesso anticiparsi spiritualmente i tormenti: — quindi abbandona l’anima sua alle più mortali angosce. — Angosce di timore: — prevedeva tutto ciò che gli si preparava:; — umiliazioni — spasimi — agonie… — lo prevedeva tutto insieme — lo prevedeva con piena vivezza dolorosa! — Angosce di avversione profonda e disgusto: — prevedeva l’ingratitudine — sentiva tutto lo schifo dei peccati del mondo, cui voleva espiare! — Angosce di estrema mestizia: — vedeva che, nonostante la sua Passione e Morte, innumerevoli anime erano precipitate — e precipitavano — e continuerebbero poi a precipitar nell’inferno! — Vedeva ancora i suoi eletti perseguitati dagli empi in ogni tempo — e con quanta acrimonia!

La dolorosa preghiera. — Qual riparo cercò Gesù a quell’immane amarezza — che lo gittò in sì fiera agonia da spremergli — vivo ed abbondante — tutto un sudore di sangue? — La preghiera! — E fu preghiera riverente — la fece prostrato, prosteso in terra! — Fu preghiera semplice — iterò per ore la stessa richiesta! — Fu preghiera rassegnata — la domanda fu sempre subordinata al volere dell’Eterno Padre! — Fu preghiera costante — Gesù la proseguì sino ad alta notte — e sin quasi al sopravvenire di Giuda! — Fu preghiera feconda -—- fruttò a Gesù la discesa di un Angelo dal Cielo — mandatogli dal Padre per confortarlo — È così che preghiamo noi?

La cattura ignominiosa. — Al sopravvenire degli armati che dovevano arrestarlo, Gesù va loro incontro — spontaneamente: — che bontà per noi! — Fa anche ripetuti miracoli — per aprire ad essi gli occhi — e prevenirne il peccato: — che bontà anche per loro! — Ma tutto fu inutile; — indurati nel male — osarono inferocire contro il Salvatore del mondo — il Figliuolo di Dio! — Che satanica — fatale ostinazione! — E Gesù — mite Agnello tra i lupi furiosi — loro s’abbandona.

E gli Apostoli? —

Una delle fitte più penose al Cuore SS. di Gesù nel Gethsemani fu la condotta usata verso di lui dagli Apostoli — dai quali — dopo tante sue cure verso di loro — dopo tante loro dichiarazioni e promesse — era in diritto di attendere ben altro!…

Giuda. — L’ingrato! — Gesù l’aveva voluto tra gli Apostoli — con vocazione sublime: — ed egli la profanò! — Gli aveva affidato il poco denaro del Collegio Apostolico: — ed egli ne abusò! — Gli aveva dato il dono dei miracoli: — ed egli, salvatore così di altri, riuscì a perdere se stesso!… — Il cinico! — Gesù paternamente l’avvisa — prima con delicatezza — poi con severità — infine con tenerezza accorata… — ed egli, duro! — Tradisce — col bacio — fattosi guida ai manigoldi — e tutto di sua propria iniziativa! — Il disgraziato — Fatto il colpo — Satana lo terrorizza col fiero rimorso; — e Giuda — pur ricreduto — pentito — dimentica la Divina Misericordia Infinita — e si uccide! — Com’è tremendo l’abuso della grazia!

I tre privilegiati… — Sono Pietro — e i due fratelli, Giacomo — e Giovanni: — i tre testimoni della trasfigurazione di Gesù — nonché della risurrezione della figlia di Giairo. — Anche nel Gethsemani Gesù li privilegiava — scegliendoseli a speciali consolatori — e confidenti — nelle sue tanto terribili agonie… — Ma non ne capirono il esto pieno di tenerezza — né il susseguente affettuoso rimprovero — e si lasciarono vincer dal sonno — invece di vegliare — e pregare — come Gesù domandava! —

Povera fiacchezza umana! — Quanto non abbisogna di essere rinfrancata dalla preghiera — agguerrita dalla mortificazione — presidiata dalla vigilanza! Tutti gli undici Apostoli… — Visto Gesù arrestato — fuggono tutti! — Che schianto al Divin Cuore di Gesù — innanzi a tanta viltà — e poca fede! — E ciò dopo tre anni di vita intima con Lui — dopo vistine tanti miracoli — dopo tante proteste d’essergli fedeli sino alla morte — dopo le tante esortazioni fatte loro da Gesù di portare la croce dietro di lui! — Eppure, Gesù li compatisce — e ne procura — efficacemente — l’incolumità — mentre va alla morte per loro! — Che differenza tra la condotta di Gesù per gli uomini — e quella degli uomini con Gesù!

Un primo iniquo processo. — Gesù — dopo la sua cattura — dalla furia dei manigoldi viene trascinato giù dall’oliveto sino al torrente Cedron — e poi è fatto risalire al monte Sion — ove s’aduna il Sinedrio. — L’attendono Scribi e Farisei — agognanti la loro Vittima!

In casa del vecchio Anna. — Gioia ferina provò quel capo dei Sadducei — in vedersi innanzi legato Gesù! — Ma… riderà bene chi riderà l’ultimo! — Però Anna non aveva autorità d’interrogare Gesù: — quindi il Divino Maestro elude le sue domande fuori di posto: — il presunto reo mostra già che un giorno il Giudice sarà Lui! — Per questo un soldato dà uno schiaffo a Gesù, come ad un impertinente: — che dolore — e che affronto per Gesù! — Eppure, Gesù. compatendo alla sua grossolanità ed ignoranza, non lo fulmina: — soltanto lo corregge dolcemente.

In casa del Pontefice Caifa. — Là sedeva il Sinedrio — convocato per la circostanza — in notte piena. Quanto impegno nei cattivi per il male — mentre i buoni ne hanno sì poco per il bene! — S’istruisce il processo; — ma non si riesce ad avere deposizione giuridica contro Gesù! — Figurarsi! — Era la stessa innocenza — la santità in persona! — Allora Caifa scongiura Gesù a dichiarare, se Egli sia davvero il Figlio di Dio: — e Gesù l’afferma con tremenda solennità… — Ancora una grazia a quei ciechi, per convertirli! — E come vi rispondono? — Col condannare Gesù, quale reo di morte!

Tra i lazzi della soldataglia. — Dalla sala del Sinedrio fu allora Gesù tratto a uno stanzone — dove i soldati presero a schernirlo — e a percuoterlo e sputacchiandolo

– e trattandolo da profeta da strapazzo. — Tristo giuoco – e doloroso — contro ogni diritto — e che sembra durasse parecchie ore! — Quanto non n’ebbe a patire Gesù —

tanto mite e delicato — nella piena coscienza della sua grandezza divina – e dell’immenso debito di riconoscenza che gli avevano quei miserabili! — E soffriva tanto anche per la dannazione alla quale si avviavano!

Le negazioni di S. Pietro.

Gesù tollerava — in mansueto — e insieme maestoso — silenzio — tanto l’insulto di quella sedicente procedura legale — quanto i lazzi — e le percosse — di quella malnata sbirraglia; — c’era da attendervisi! — erano nemici! — Ma la defezione di un Pietro che lo rinnega — e giura e spergiura di neppure conoscerlo! — Che strazio per Gesù!

Lo sdrcciolo… — Ma come mai il Principe degli Apostoli — il privilegiato discepolo di Gesù — l’araldo ispirato della sua Divinità — si ridusse a tale estremo? — E vi si ridusse dopo i tanto chiari preavvisi di Gesù medesimo? — Ecco come fu preparata la fatale caduta: — fu predisposta dalla presunzione, mostrata da Pietro nel Cenacolo: — dalla mancanza di preghiera, trascurata da lui nel Gethsemani — dalla temerità dell’esporsi da sé all’occasione pericolosa — là nell’atrio — anche dopo la sua fuga codarda…

La caduta. — Fu rovinosa! — Che distruzioni nella povera anima di Pietro! — Passava di tratto dalla dignità di Apostolo all’abbiezione del rinnegato — dell’apostata; — da paladino di Gesù — quale s’era atteggiato nel Gethsemani — passava ad essere un disertore, nel campo nemico! — Fu obbrobriosa — quanto il cedere le armi alle chiacchiere di due fantesche — e quanto è di maggior ignominia la ricaduta molteplice — che non un primo errore incorso quasi per sorpresa. — E quanto non fu penosa a Gesù!

La conversione. — Meno male che — all’opposto di Giuda — Pietro, non solo si pentì — ma confidò d’ottenere il perdono. — Passò Gesù presso di lui — tra i soldati — e lo guardò pietosamente — ricordandogli così la profezia che gli aveva fatta: — era proprio avvenuto che, avanti il secondo canto del gallo, Pietro rinnegasse il suo Divino Maestro — per ben tre volte! — Tutto dunque umiliato — fuggì dal luogo della sua colpa — si raccolse a piangerla amaramente — pensando al modo di ripararvi — e di farla dimenticare a Gesù!

Gesù al Pretorio di Pilato. — Condannato dalla Sinagoga giudaica — e, per lei, dal Sinedrio — il gran Tribunale nazionale e religioso — Gesù vien tradotto a Pilato — a subirvi la condanna del Tribunale civile — e del potere straniero. — Che umiliazione per Gesù!

La malignità degli accusatori. — Che ipocrisia quella dei Giudei — in non volere entrare nel Pretorio pagano, per non contaminarsi — mentre non indietreggiavano innanzi allo stesso deicidio! — Che iniquità nel calunniare Gesù per sedizioso — antagonista di Cesare — bestemmiatore — quando di tali imputazioni non potevano addurre alcuna prova! — E che cecità in non avvertire che essi stessi comprovavano la venuta del Messia — col confessare d’avere perduta l’indipendenza — con quel loro ricorso a Pilato!

La vigliacca remissività di Pilato. — Egli ben capisce la montatura giudaica contro Gesù: ma — vigliacco — non ha il coraggio delle sue convinzioni: — prevaricatore — viene poi meno all’integrità doverosa del suo ufficio — tradendo la giustizia; — con ciò stesso si macchia di crudeltà — e di omicidio — mandando a morte Gesù innocente — ad onta di tutte le sue velleità di salvarlo! — Né giovano le mansuete attrattive di Gesù — né le sue divine — e tanto espressive — parole — né gli avvisi misericordiosi della consorte — né i rimorsi della coscienza. — Quant’è duro — e fatale — il giogo delle passioni!

La longanimità del Divino Paziente. — Che fa Gesù contro; la calunnia? — Tace! — E contro la malignità provocatrice? — Perdona! — E contro l’inqualificabile irresolutezza di Pilato? — Paziente, gli moltiplica chiarimenti e stimoli! — E contro i brutali maltrattamenti dei manigoldi — le imprecazioni della plebaglia — gli amari motteggi dei curiosi affollati sul suo passaggio? — Nessuna reazione! — Tutto accetta dalla mano del Padre! — Ed era l’Innocente! — il Salvatore! — il Figlio di Dio! — Quanto non abbiamo da imparare!

Dal Pretorio di Pilato alla Reggia di Erode. —

Pilato — impensierito dalla solenne affermazione di Gesù di essere Re — sempre più convinto dell’innocenza di Lui – coglie a volo l’accenno alla Galilea, fatto dalle turbe — per rimettere la causa di Gesù nelle mani di Erode — e liberarsene.

Le mezze volontà di Pilato. — Egli avrebbe dovuto, senz’altro, liberare Gesù — conoscendone l’innocenza: — e non già rimettere la causa di lui ad altre mani. — E che premio ne avrebbe avuto dal Divin Salvatore! — E invece? — Tergiversando — giocando di politica — volendo liberare Gesù — e insieme non volendo averne l’aria — se ne rimette ad Erode. — E non riesce a nulla! — Persuadiamocene pure: — la vittoria — e il conseguente trionfo celeste non sono dei pigri, — che vogliono e non vogliono: — ma dei risoluti, — che vogliono — e vogliono a qualsiasi costo — obbedire a Dio — e salvarsi l’anima!

I futili desideri di Erode. — Desiderava vedere Gesù: — e sarebbe stata l’ottima cosa — se l’avesse desiderato per fare onore a Lui — e giovarsi delle dottrine di Lui — ed avere dalla grazia di lui i sussidi opportuni — a salute dell’anima propria. — Viceversa agì per curiosità frivola — ingiuriosa a Gesù, quasi fosse un giullare; — laonde, non secondato, la mutò in torvo dispetto — che culminò nell’insulto a Gesù — trattato da pazzo da tutta la Corte e da tutto l’esercito — e così rinviato ignominiosamente a Pilato!

La diabolica ostinazione giudaica. — Vediamo le corse di quei ciechi nemici di Gesù — dal Sinedrio al Pretorio — poi dal Pretorio ad Erode — e poi da Erode nuovamente a Pilato — instancabili — pur di rovinare Gesù — accaniti nel calunniarlo — furibondi nel domandarne la morte: — proprio mentre per Gesù non si leva nessuno — non si ode una voce — non si muove un dito! — E Gesù, quanto non sente questa cattiveria degli uni — e quest’inerzia degli altri! — Anche oggi gli empi imperversano: — e i buoni che cosa fanno? — E tu? — Che fai?

BREVE NOVENA A SAN GIUSEPPE

BREVE NOVENA A SAN GIUSEPPE

(G. Riva: Manuale di Filotea, Milano, 1888)

(Inizia il 10 marzo, festa il 19 marzo)

I. Gloriosissimo S. Giuseppe, che per quell’alto pregio che aveste di essere sposo della gran Madre di Dio, e d’avere sopra del Figlio di Lei e Salvator nostro autorità, onore e provvidenza di padre, intercedeteci, vi preghiamo, di niente più apprezzare al mondo che la grazia di Gesù e la protezione  di Maria, onde ci rendiam degni della vostra e loro compagnia nel cielo. Gloria.

II. Gloriosissimo S. Giuseppe, per quel carattere esimio che fu in voi riconosciuto dallo stesso oracolo divino di Uomo Giusto, e per quella estensione  di potere che vi fece proclamare da Pio IX Patrono di tutta la Chiesa, ottenete ancora a noi di vivere sempre da veri giusti con Dio, col prossimo e con  noi stessi; con Dio, non cercando che la sua gloria, col prossimo amando tutti come fratelli, e con noi medesimi travagliando incessantemente per la nostra e la comune santificazione. Gloria.

III. Gloriosissimo S. Giuseppe, per quell’inesplicabil contento che provaste al termine dei vostri giorni nell’esalare l’estremo spirito fra i casti amplessi di Gesù e di Maria, impetrate ancora a noi simil grazia affinché, confortati alla morte dai SS. Sacramenti, le ultime nostre voci non facciano che ripetere, Gesù, Giuseppe e Maria, vi raccomando l’anima mia. Gloria.

VIVA CRISTO RE (21)

CRISTO-RE (21)

TOTH TIHAMER:

Gregor. Ed. in Padova, 1954

Imprim. Jannes Jeremich, Ep. Beris

CAPITOLO XXVI

AVE, REX!

In quest’ultimo capitolo vorrei presentare l’immagine di “Cristo Re” come in un quadro generale. Vorrei dipingere l’immagine divina e offrirla come promemoria ai miei lettori, che potrebbero dover combattere dure battaglie nella loro vita. Perché noi Cristiani non possiamo essere deboli. Se gran parte della società dimentica completamente Cristo, dobbiamo rimanere fedeli, dobbiamo mantenere la parola data al nostro Re. Guardiamo a Lui, dunque, ancora una volta, perché da questo dipende la nostra vita. Signore, cosa pensavano di Te gli uomini durante la tua vita terrena? Signore, cosa hanno pensato di Te gli uomini durante i due millenni di storia cristiana? Signore, cosa penso io di Te? Queste sono le tre domande su cui dobbiamo meditare.

I

Se studiamo i Vangeli, vedremo, non senza stupore, che le opinioni degli uomini su Cristo erano già divise durante la vita mortale del Salvatore. Egli ha sempre avuto amici e nemici; molti ammiravano le sue parole e le sue azioni; alcuni lo seguivano con entusiasmo; altri si spingevano a dire che: Egli opera “agli ordini di satana”, che “seduce il popolo”. Quale può essere la causa di queste opinioni antagoniste? Nella persona di Gesù Cristo c’erano contrasti, in lui si univano tratti straordinari; forse per questo le opinioni sulla sua figura erano così diverse. Conosciamo già il segreto del mistero; sappiamo già che Gesù Cristo era Dio e anche uomo; lo confermano i contrasti altrimenti incomprensibili che si intrecciano nella sua vita. Ma i suoi contemporanei non lo sapevano come noi, anche se dovevano scoprirlo, perché non mancavano i mezzi per farlo. Vedevano ad ogni passo che la vita di Gesù Cristo era piena di contrasti ammirevoli. Ne citerò solo alcuni…. – Quando nasce, è così povero che nemmeno la mangiatoia in cui giace è sua. Ma, d’altra parte, una stella luminosa brilla sopra di Lui e porta i Magi ad adorarlo. È nascosto in una stalla, nessuno sa di Lui. D’altra parte, un coro di Angeli scende dal cielo e canta il Gloria al Bambino sconosciuto. Egli riesce a malapena a muovere le sue manine, tanto meno a fare del male con esse, eppure lo cercano per metterlo a morte. Ma gli Angeli lo proteggono nella sua fuga. Chi sarà mai questo Cristo, forse un semplice uomo? C’è di più: Non è andato a scuola, eppure a dodici anni insegna agli anziani del villaggio, che si stupiscono della sua saggezza. È sempre stato un figlio obbediente, eppure rimane nel tempio senza permesso; e quando i suoi genitori lo trovano, dice loro che doveva stare nella casa di suo Padre. Chi può capirlo, chi può essere questo bambino? Vive nascosto per trent’anni, pochi lo conoscono e quando inizia ad insegnare, gli bastano tre anni per provocare un tale movimento spirituale che né prima né dopo di Lui la storia ha registrato un altro simile. San Giovanni Battista predica il perdono e battezza nel deserto. Cristo va da lui e si fa battezzare, come gli altri peccatori. Ma nello stesso momento si aprono i cieli e si ode la parola del Padre celeste: “Questo è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto” (Mt III,17). Chi capisce queste cose? È povero, non ha nulla, non ha dove posare il capo. Eppure dice a ciascuno dei suoi apostoli: Lasciate tutto per me; abbandonate la vostra casa, vostro padre, i vostri fratelli, tutto ciò che possedete… per me. E gli uomini eseguono il suo comando senza esitare, solo per amore suo. I malati sono guariti quando sentono il tocco della Sua mano. La persona su cui posa il suo sguardo si riveste di luce. Comanda al mare agitato e questo, come un cane sottomesso, obbedisce immediatamente e si calma. Fa sentire la sua voce davanti a una tomba, e il sangue coagulato comincia a circolare e il cuore morto a battere. Trema sul Monte degli Ulivi, ma poi, con una sola parola, fa crollare a terra un intero gruppo di soldati. Muore abbandonato, deriso, e nello stesso momento il centurione pagano esclama: “Veramente questo era il Figlio di Dio” (Mt XXVII, 54). Lo mettono in un sepolcro, lo chiudono; ma il sepolcro non può contenerlo…. Lo riporta in vita. Avete mai visto un uomo simile? Ma ditemi: era una vita umana? No. Come il cielo si eleva al di sopra della terra, così la vita di Cristo supera i limiti di una semplice vita umana.

II

E se le opinioni degli uomini su Cristo erano già divergenti a quel tempo, lo stesso vale nel corso dei due millenni cristiani. Da quando la croce di Cristo è stata innalzata sulle cime del Golgota, essa si è posta come un gigantesco punto interrogativo davanti agli occhi degli uomini. Quel Cristo dalle mani trafitte ha scosso l’asse della terra dai suoi cardini, e da allora non c’è nome che risuoni nel mondo intero quanto il santo Nome di Gesù Cristo. Soffermiamoci su questo Nome mirabile: Gesù Cristo. Un Nome composto da due parole di una lingua che non si parla più. Eppure non c’è parola più conosciuta e più amata. Un fenomeno prodigioso: di Cristo non si può fare a meno; pro o contro di Lui, tutti gli uomini devono prendere posizione per Lui. Ha sempre avuto amici. Cristo è una calamita prodigiosa che attrae prodigiosamente. Egli è il centro della storia, tutto ruota intorno a Lui. I re egizi costruirono grandi piramidi I re egizi costruirono grandi piramidi; gli antichi monarchi eressero enormi edifici, e i loro nomi oggi sono solo ricordi, e le loro opere giacciono in rovina; ma Gesù Cristo rimane un segno di contraddizione. Quanti grandi uomini ci sono stati! Uomini potenti che hanno governato grandi imperi; e chi li ricorda? Quanti saggi ci sono stati! Ma poi ne sono venuti altri che li hanno superati. Di Lui solo, il Figlio dell’umile falegname, tutto il mondo parla ancora oggi, ed è l’unico che non è stato superato. – È il centro dell’universo. Non solo fa parte della storia, ma senza di Lui la storia stessa non ha senso. Con Lui gli anni cominciano ad essere contati, perché ha cambiato il mondo. Tutto passa, tutto finisce in delusioni, disillusioni, tutto invecchia…; ma la parola di Cristo non passa di moda, la figura di Cristo continua ad affascinare le anime. Nessuno odia un personaggio che non esiste più. Ma Cristo continua a suscitare nemici. Duemila anni dopo la sua morte è ancora presente; è ancora odiato e ancora amato. Non è solo uomo. Per quanto grande, buono, nobile o cattivo possa essere un uomo, poche settimane, mesi o anni dopo la sua morte, chi lo ama o lo odia ancora? Chi odia oggi l’imperatore Nerone, che ha fatto scorrere tanto sangue? Chi odia il Khan Batu, che ha invaso l’Ungheria e l’ha devastata? Chi odia ancora il sultano Solimano? Eppure sono tutti vissuti più tardi di Cristo. Non importa. Sono morti, e questa è la fine dell’odio. Oppure: chi ama ancora gli uomini più eccelsi? Aristotele, Platone, gli eroi nazionali: chi li ama ancora? Sono morti. Rendiamo omaggio alla loro memoria, ma li amiamo? Cristo è amato e odiato anche oggi. Non sentiamo forse bestemmie terribili contro Cristo? Non vediamo a volte gli occhi di un demonio riempirsi di sangue quando sente parlare di Cristo o del Cristianesimo? Non è evidente come la nostra Religione, la Religione di Cristo, sia perseguitata? Non è forse un odio satanico contro Cristo, un odio che si fa beffe della sua dottrina e vuole sterminare il suo amore nelle anime, che ribolle in migliaia e migliaia di libri, di conferenze, di giornali? Non è forse un odio contro Cristo la manifesta frivolezza moderna e pagana? Non conosciamo i misteri dell’odio che riempiono le logge massoniche? Colui che viene odiato con tale intensità anche dopo duemila anni, non è solo l’uomo. Quanti cosiddetti messia sono apparsi per cercare di allontanare Cristo dalle anime! Ma senza successo, non ci sono riusciti. Quante volte si è detto: il Cristianesimo ha cessato di esistere, la dottrina di Cristo non è più seguita… E in poco tempo la Chiesa si rinnova e torna a splendere con nuovi frutti. Cristo ha sempre avuto nemici… che non potevano prevalere contro di Lui. Cristo è sempre stato l’ideale adorabile degli uomini di ogni epoca. Grazie a Lui abbiamo conosciuto il valore di un’anima, perché ha dato se stesso per salvarla. Grazie a Cristo sappiamo di essere chiamati alla vita eterna. Se potessimo raggruppare nella nostra immaginazione tutti i discepoli di Cristo che sono esistiti in questi duemila anni di Cristianesimo e metterli in processione, che immensa processione formerebbero! Quanti bambini, giovani, fanciulle, santi, peccatori pentiti…! Gesù Cristo continua a sfidare le persone. Nessuno può rimanere indifferente a Lui. Da quando Nostro Signore Gesù Cristo è apparso sulla terra, l’umanità si è divisa in due campi. Ci sono uomini che, all’udire il Santo Nome di Gesù, chinano il capo e si inginocchiano; ci sono altri che lo rifiutano. Questo lo vedo facilmente. Ci sono uomini che, passando accanto a me, ministro di Cristo, mi salutano con rispetto: “Lode a Gesù Cristo”. Salutano me? No, non mi conoscono, salutano Cristo. E ci sono altri che, passando accanto a me, sputano con disgusto per terra. È me che odiano? No, nemmeno loro mi conoscono, odiano Cristo. Ci sono quelli che dicono che Cristo è il più grande ideale che si possa concepire; ci sono quelli che dicono: “Che me ne importa di questo Gesù, che cosa ho a che fare con Lui? Ci sono milioni di uomini che si preoccupano di Lui con un amore mai eguagliato; ci sono anche milioni di uomini che lo odiano. È un fatto strano e sorprendente, degno di essere meditato. – Anche Cristo è amato. Quanti sono coloro che ogni giorno gli dicono dal profondo del cuore: “Gesù mio, ti amo”. E quanti sono i giovani che danno la vita per Lui, lasciando tutto? Colui che, duemila anni dopo la sua morte, è ancora amato con tale fervore, non può essere solo un uomo.

III

E così arriviamo alla terza domanda, la più decisiva, la più importante: che cos’è Cristo per me? Perché la cosa più importante per me non è sapere cosa gli altri uomini hanno pensato di Cristo, ma la risposta a questa domanda: cosa penso io di Cristo? Chi è Cristo per me? Rispondo con tre parole: 1° è il mio Signore; 2° è il mio Re; 3° è il mio Dio. – Il mio Signore! Dobbiamo acconsentire e cercare di lasciare che Cristo prenda possesso della nostra anima. Gesù cercò i suoi discepoli un giorno sul lago di Gennesaret, tra gli esattori delle tasse e sulle barche da pesca. Oggi li cerca in altri luoghi: nell’officina, nella scuola, nell’ufficio, nella fabbrica, nella cucina, nelle aule. Non c’è capanna, per quanto umile, non c’è palazzo in cui Gesù non cerchi discepoli, giovani e fanciulle, uomini e donne, vecchi e bambini. TUTTI SIAMO VOLUTI… per essere suoi discepoli. Quale dovrebbe essere la mia risposta? Mio Signore! Mio Maestro! Eccomi, sono tuo! Fai di me quello che vuoi. Quando sono appesantito dalla pesante croce della vita, so pronunciare con fervore queste parole: Dolce Gesù, è per il tuo amore! Quando la tentazione mi invita a peccare, so pronunciare con decisione incrollabile queste parole: “Mio Gesù, no, non voglio peccare; resisto per amor tuo! Quando faccio fatica a fare il mio dovere, sono in grado di dire: “Gesù mio, lo faccio per Te”? So come dirlo, lo dico? Allora Lui è il mio Signore. – Cristo è anche il mio Re. Egli ha già un regno quaggiù, il regno delle anime. Ovunque ci sia un uomo che aspiri alla santità, che lotta contro il peccato; ovunque ci sia un uomo che dimentica se stesso ed esercita la carità…, lì Cristo ha il suo regno, lì è il Re. – Cristo è anche il mio Dio. È il mio Dio, che adoro. Cerco di immaginare la sacratissima umanità di Cristo. Bacio con fervore le sue ferite, che sanguinano per me. Guardo con gratitudine la sua fronte cinta da una corona di spine… Voglio riparare in qualche modo a ciò che gli ho fatto. Questo deve essere Cristo per me. Il battito del mio cuore deve stare al passo con il suo; i suoi desideri devono essere i miei desideri; devo amarlo con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze. Arrendersi in modo assoluto. Adorazione. Egli è il mio Dio. Cristo è il mio Dio e il mio tutto, lo credo fermamente! Che Cristo non mi rimproveri per ciò che è scritto nella cattedrale di Lubecca:

“Voi mi chiamate Maestro – eppure non mi chiedete.

“Mi chiamate luce – eppure non mi vedete.

“Mi chiamate verità – e non mi credete.

“Mi chiamate via – e non andate per questa via.

“Mi chiamate vita e non mi desiderate.

“Dite che sono saggio e non mi seguite.

“Dite che sono bello e non mi amate.

“Dite che sono ricco – e non mi chiedete.

“Dite che sono eterno e non mi cercate.

“Dite che sono misericordioso – e non vi fidate di me.

“Dite che sono nobile – e non mi servite.

“Dite che sono onnipotente e non mi onorate.

“Dite che sono giusto – e non mi temete”.

Che cos’è dunque Cristo per me? Una persona viva; una vita che continua, in cui vivo, che è in me; una vita che mi accompagna; una vita da cui non posso liberarmi. Non posso, né voglio. Egli tende le sue braccia, è con me giorno e notte; quando lavoro, mi aiuta; quando piango, piange con me. Cristo, Tu sei il mio Signore, Cristo, Tu sei il mio Re, Cristo, Tu sei il mio Dio! – Tu, mio dolce Gesù, mi hai sostenuto nelle battaglie della mia giovinezza, hai perdonato i miei peccati, mi hai nutrito con il tuo sacrosanto Corpo? Grazie, mio Dio.

“Ave, Rex!” Ave, Re divino, Nostro Signore Gesù Cristo!

[Lettera Enciclica “Quas primas” di S. S. Pio XI]

Nella prima Enciclica che, asceso al Pontificato, dirigemmo a tutti i Vescovi dell’Orbe cattolico — mentre indagavamo le cause precipue di quelle calamità da cui vedevamo oppresso e angustiato il genere umano — ricordiamo d’aver chiaramente espresso non solo che tanta colluvie di mali imperversava nel mondo perché la maggior parte degli uomini avevano allontanato Gesù Cristo e la sua santa legge dalla pratica della loro vita, dalla famiglia e dalla società, ma altresì che mai poteva esservi speranza di pace duratura fra i popoli, finché gli individui e le nazioni avessero negato e da loro rigettato l’impero di Cristo Salvatore. – Pertanto, come ammonimmo che era necessario ricercare la pace di Cristo nel Regno di Cristo, così annunziammo che avremmo fatto a questo fine quanto Ci era possibile; nel Regno di Cristo — diciamo — poiché Ci sembrava che non si possa più efficacemente tendere al ripristino e al rafforzamento della pace, che mediante la restaurazione del Regno di Nostro Signore. – Frattanto il sorgere e il pronto ravvivarsi di un benevolo movimento dei popoli verso Cristo e la sua Chiesa, che sola può recar salute, Ci forniva non dubbia speranza di tempi migliori; movimento tal quale s’intravedeva che molti i quali avevano disprezzato il Regno di Cristo e si erano quasi resi esuli dalla Casa del Padre, si preparavano e quasi s’affrettavano a riprendere le vie dell’obbedienza.

L’Anno Santo e il Regno di Cristo

E tutto quello che accadde e si fece, nel corso di questo Anno Santo, degno certo di perpetua memoria, forse non accrebbe l’onore e la gloria al divino Fondatore della Chiesa, nostro supremo Re e Signore? – Infatti, la Mostra Missionaria Vaticana quanto non colpì la mente e il cuore degli uomini, sia facendo conoscere il diuturno lavoro della Chiesa per la maggiore dilatazione del Regno del suo Sposo nei continenti e nelle più lontane isole dell’Oceano; sia il grande numero di regioni conquistate al cattolicesimo col sudore e col sangue dai fortissimi e invitti Missionari; sia infine col far conoscere quante vaste regioni vi siano ancora da sottomettere al soave e salutare impero del nostro Re. E quelle moltitudini che, durante questo Anno giubilare, vennero da ogni parte della terra nella città santa, sotto la guida dei loro Vescovi e sacerdoti, che altro avevano in cuore, purificate le loro anime, se non proclamarsi presso il sepolcro degli Apostoli, davanti a Noi, sudditi fedeli di Cristo per il presente e per il futuro? – E questo Regno di Cristo sembrò quasi pervaso di nuova luce allorquando Noi, provata l’eroica virtù di sei Confessori e Vergini, li elevammo agli onori degli altari. E qual gioia e qual conforto provammo nell’animo quando, nello splendore della Basilica Vaticana, promulgato il decreto solenne, una moltitudine sterminata di popolo, innalzando il cantico di ringraziamento esclamò: Tu Rex gloriæ, Christe!  – Poiché, mentre gli uomini e le Nazioni, lontani da Dio, per l’odio vicendevole e per le discordie intestine si avviano alla rovina ed alla morte, la Chiesa di Dio, continuando a porgere al genere umano il cibo della vita spirituale, crea e forma generazioni di santi e di sante a Gesù Cristo, il quale non cessa di chiamare alla beatitudine del Regno celeste coloro che ebbe sudditi fedeli e obbedienti nel regno terreno. – Inoltre, ricorrendo, durante l’Anno Giubilare, il sedicesimo secolo dalla celebrazione del Concilio di Nicea, volemmo che l’avvenimento centenario fosse commemorato, e Noi stessi lo commemorammo nella Basilica Vaticana tanto più volentieri in quanto quel Sacro Sinodo definì e propose come dogma la consustanzialità dell’Unigenito col Padre, e nello stesso tempo, inserendo nel simbolo la formula «il regno del quale non avrà mai fine», proclamò la dignità regale di Cristo. – Avendo, dunque, quest’Anno Santo concorso non in uno ma in più modi ad illustrare il Regno di Cristo, Ci sembra che faremo cosa quanto mai consentanea al Nostro ufficio apostolico, se, assecondando le preghiere di moltissimi Cardinali, Vescovi e fedeli fatte a Noi sia individualmente, sia collettivamente, chiuderemo questo stesso Anno coll’introdurre nella sacra Liturgia una festa speciale di Gesù Cristo Re. – Questa cosa Ci reca tanta gioia che Ci spinge, Venerabili Fratelli, a farvene parola; voi poi, procurerete di adattare ciò che Noi diremo intorno al culto di Gesù Cristo Re, all’intelligenza del popolo e di spiegarne il senso in modo che da questa annua solennità ne derivino sempre copiosi frutti.

Gesù Cristo è Re

Gesù Cristo Re delle menti, delle volontà e dei cuori

Da gran tempo si è usato comunemente di chiamare Cristo con l’appellativo di Re per il sommo grado di eccellenza, che ha in modo sovreminente fra tutte le cose create. In tal modo, infatti, si dice che Egli regna nelle menti degli uomini non solo per l’altezza del suo pensiero e per la vastità della sua scienza, ma anche perché Egli è Verità ed è necessario che gli uomini attingano e ricevano con obbedienza da Lui la verità; similmente nelle volontà degli uomini, sia perché in Lui alla santità della volontà divina risponde la perfetta integrità e sottomissione della volontà umana, sia perché con le sue ispirazioni influisce sulla libera volontà nostra in modo da infiammarci verso le più nobili cose. Infine Cristo è riconosciuto Re dei cuori per quella sua carità che sorpassa ogni comprensione umana (Supereminentem scientiæ caritatem) e per le attrattive della sua mansuetudine e benignità: nessuno infatti degli uomini fu mai tanto amato e mai lo sarà in avvenire quanto Gesù Cristo. Ma per entrare in argomento, tutti debbono riconoscere che è necessario rivendicare a Cristo Uomo nel vero senso della parola il nome e i poteri di Re; infatti soltanto in quanto è Uomo si può dire che abbia ricevuto dal Padre la potestà, l’onore e il regno, perché come Verbo di Dio, essendo della stessa sostanza del Padre, non può non avere in comune con il Padre ciò che è proprio della divinità, e per conseguenza Egli su tutte le cose create ha il sommo e assolutissimo impero.

La Regalità di Cristo nei libri dell’Antico Testamento.

E non leggiamo infatti spesso nelle Sacre Scritture che Cristo è Re ? Egli invero è chiamato il Principe che deve sorgere da Giacobbe,, eche dal Padre è costituito Re sopra il Monte santo di Sion, che riceverà le genti in eredità e avrà in possesso i confini della terra. Il salmo nuziale, col quale sotto l’immagine di un re ricchissimo e potentissimo viene preconizzato il futuro Re d’Israele, ha queste parole: «II tuo trono, o Dio, sta per sempre, in eterno: scettro di rettitudine è il tuo scettro reale». – E per tralasciare molte altre testimonianze consimili, in un altro luogo per lumeggiare più chiaramente i caratteri del Cristo, si preannunzia che il suo Regno sarà senza confini ed arricchito coi doni della giustizia e della pace: «Fiorirà ai suoi giorni la Giustizia e somma pace… Dominerà da un mare all’altro, e dal fiume fino alla estremità della terra». A questa testimonianza si aggiungono in modo più ampio gli oracoli dei Profeti e anzitutto quello notissimo di Isaia: «Ci è nato un bimbo, ci fu dato un figlio: e il principato è stato posto sulle sue spalle e sarà chiamato col nome di Ammirabile, Consigliere, Dio forte, Padre del secolo venturo, Principe della pace. Il suo impero crescerà, e la pace non avrà più fine. Sederà sul trono di Davide e sopra il suo regno, per stabilirlo e consolidarlo nel giudizio e nella giustizia, da ora ed in perpetuo». E gli altri Profeti non discordano da Isaia: così Geremia, quando predice che nascerà dalla stirpe di Davide il “Rampollo giusto” che qual figlio di Davide «regnerà e sarà sapiente e farà valere il diritto e la giustizia sulla terra»; così Daniele che preannunzia la costituzione di un regno da parte del Re del cielo, regno che «non sarà mai in eterno distrutto… ed esso durerà in eterno» e continua: «Io stavo ancora assorto nella visione notturna, quand’ecco venire in mezzo alle nuvole del cielo uno con le sembianze del figlio dell’uomo che si avanzò fino al Vegliardo dai giorni antichi, e davanti a lui fu presentato. E questi gli conferì la potestà, l’onore e il regno; tutti i popoli, le tribù e le lingue serviranno a lui; la sua potestà sarà una potestà eterna che non gli sarà mai tolta, e il suo regno, un regno che non sarà mai distrutto». E gli scrittori dei santi Vangeli non accettano e riconoscono come avvenuto quanto è predetto da Zaccaria intorno al Re mansueto il quale «cavalcando sopra un’asina col suo piccolo asinello» era per entrare in Gerusalemme, qual giusto e salvatore fra le acclamazioni delle turbe?

Gesù Cristo si è proclamato Re

Del resto questa dottrina intorno a Cristo Re, che abbiamo sommariamente attinto dai libri del Vecchio Testamento, non solo non viene meno nelle pagine del Nuovo, ma anzi vi è confermata in modo splendido e magnifico. E qui, appena accennando all’annunzio dell’arcangelo da cui la Vergine viene avvisata che doveva partorire un figlio, al quale Iddio avrebbe dato la sede di David, suo padre, e che avrebbe regnato nella Casa di Giacobbe in eterno e che il suo Regno non avrebbe avuto fine  vediamo che Cristo stesso dà testimonianza del suo impero: infatti, sia nel suo ultimo discorso alle turbe, quando parla dei premi e delle pene, riservate in perpetuo ai giusti e ai dannati; sia quando risponde al Preside romano che pubblicamente gli chiedeva se fosse Re, sia quando risorto affida agli Apostoli l’ufficio di ammaestrare e battezzare tutte le genti, colta l’opportuna occasione, si attribuì il nome di Re, e pubblicamente confermò di essere Re  e annunziò solennemente a Lui era stato dato ogni potere in cielo e in terra. E con queste parole che altro si vuol significare se non la grandezza della potestà e l’estensione immensa del suo Regno? – Non può dunque sorprenderci se Colui che è detto da Giovanni «Principe dei Re della terra», porti, come apparve all’Apostolo nella visione apocalittica «scritto sulla sua veste e sopra il suo fianco: Re dei re e Signore dei dominanti». Da quando l’eterno Padre costituì Cristo erede universale, è necessario che Egli regni finché riduca, alla fine dei secoli, ai piedi del trono di Dio tutti i suoi nemici. – Da questa dottrina dei sacri libri venne per conseguenza che la Chiesa, regno di Cristo sulla terra, destinato naturalmente ad estendersi a tutti gli uomini e a tutte le nazioni, salutò e proclamò nel ciclo annuo della Liturgia il suo autore e fondatore quale Signore sovrano e Re dei re, moltiplicando le forme della sua affettuosa venerazione. Essa usa questi titoli di onore esprimenti nella bella varietà delle parole lo stesso concetto; come già li usò nell’antica salmodia e negli antichi Sacramentari, così oggi li usa nella pubblica ufficiatura e nell’immolazione dell’Ostia immacolata. In questa laude perenne a Cristo Re, facilmente si scorge la bella armonia fra il nostro e il rito orientale in guisa da render manifesto, anche in questo caso, che «le norme della preghiera fissano i principi della fede». Ben a proposito Cirillo Alessandrino, a mostrare il fondamento di questa dignità e di questo potere, avverte che «egli ottiene, per dirla brevemente, la potestà su tutte le creature, non carpita con la violenza né da altri ricevuta, ma la possiede per propria natura ed essenza»; cioè il principato di Cristo si fonda su quella unione mirabile che è chiamata unione ipostatica. Dal che segue che Cristo non solo deve essere adorato come Dio dagli Angeli e dagli uomini, ma anche che a Lui, come Uomo, debbono essi esser soggetti ed obbedire: cioè che per il solo fatto dell’unione ipostatica Cristo ebbe potestà su tutte le creature. – Eppure che cosa più soave e bella che il pensare che Cristo regna su di noi non solamente per diritto di natura, ma anche per diritto di conquista, in forza della Redenzione? Volesse Iddio che gli uomini immemori ricordassero quanto noi siamo costati al nostro Salvatore: «Non a prezzo di cose corruttibili, di oro o d’argento siete stati riscattati… ma dal Sangue prezioso di Cristo, come di agnello immacolato e incontaminato». Non siamo dunque più nostri perché Cristo ci ha ricomprati col più alto prezzo: i nostri stessi corpi sono membra di Cristo.

Natura e valore del Regno di Cristo

Volendo ora esprimere la natura e il valore di questo principato, accenniamo brevemente che esso consta di una triplice potestà, la quale se venisse a mancare, non si avrebbe più il concetto d’un vero e proprio principato. – Le testimonianze attinte dalle Sacre Lettere circa l’impero universale del nostro Redentore, provano più che a sufficienza quanto abbiamo detto; ed è dogma di fede che Gesù Cristo è stato dato agli uomini quale Redentore in cui debbono riporre la loro fiducia, ed allo stesso tempo come legislatore a cui debbono obbedire. – I santi Evangeli non soltanto narrano come Gesù abbia promulgato delle leggi, ma lo presentano altresì nell’atto stesso di legiferare; e il divino Maestro afferma, in circostanze e con diverse espressioni, che chiunque osserverà i suoi comandamenti darà prova di amarlo e rimarrà nella sua carità . Lo stesso Gesù davanti ai Giudei, che lo accusavano di aver violato il sabato con l’aver ridonato la sanità al paralitico, afferma che a Lui fu dal Padre attribuita la potestà giudiziaria: «Il Padre non giudica alcuno, ma ha rimesso al Figlio ogni giudizio». Nel che è compreso pure il diritto di premiare e punire gli uomini anche durante la loro vita, perché ciò non può disgiungersi da una propria forma di giudizio. Inoltre la potestà esecutiva si deve parimenti attribuire a Gesù Cristo, poiché è necessario che tutti obbediscano al suo comando, e nessuno può sfuggire ad esso e alle sanzioni da lui stabilite.

Regno principalmente spirituale

Che poi questo Regno sia principalmente spirituale e attinente alle cose spirituali, ce lo dimostrano i passi della sacra Bibbia sopra riferiti, e ce lo conferma Gesù Cristo stesso col suo modo di agire. – In varie occasioni, infatti, quando i Giudei e gli stessi Apostoli credevano per errore che il Messia avrebbe reso la libertà al popolo ed avrebbe ripristinato il regno di Israele, egli cercò di togliere e abbattere questa vana attesa e speranza; e così pure quando stava per essere proclamato Re dalla moltitudine che, presa di ammirazione, lo attorniava, Egli rifiutò questo titolo e questo onore, ritirandosi e nascondendosi nella solitudine; finalmente davanti al Preside romano annunciò che il suo Regno “non è di questo mondo”. – Questo Regno nei Vangeli viene presentato in tal modo che gli uomini debbano prepararsi ad entrarvi per mezzo della penitenza, e non possano entrarvi se non per la fede e per il Battesimo, il quale benché sia un rito esterno, significa però e produce la rigenerazione interiore. Questo Regno è opposto unicamente al regno di Satana e alla “potestà delle tenebre”, e richiede dai suoi sudditi non solo l’animo distaccato dalle ricchezze e dalle cose terrene, la mitezza dei costumi, la fame e sete di giustizia, ma anche che essi rinneghino se stessi e prendano la loro croce. Avendo Cristo come Redentore costituita con il suo sangue la Chiesa, e come Sacerdote offrendo se stesso in perpetuo quale ostia di propiziazione per i peccati degli uomini, chi non vede che la regale dignità di Lui riveste il carattere spirituale dell’uno e dell’altro ufficio?

Regno universale e sociale

D’altra parte sbaglierebbe gravemente chi togliesse a Cristo Uomo il potere su tutte le cose temporali, dato che Egli ha ricevuto dal Padre un diritto assoluto su tutte le cose create, in modo che tutto soggiaccia al suo arbitrio. Tuttavia, finché fu sulla terra si astenne completamente dall’esercitare tale potere, e come una volta disprezzò il possesso e la cura delle cose umane, così permise e permette che i possessori debitamente se ne servano. A questo proposito ben si adattano queste parole: «Non toglie il trono terreno Colui che dona il regno eterno dei cieli». Pertanto il dominio del nostro Redentore abbraccia tutti gli uomini, come affermano queste parole del Nostro Predecessore di immortale memoria  Leone XIII, che Noi qui facciamo Nostre: «L’impero di Cristo non si estende soltanto sui popoli cattolici, o a coloro che, rigenerati nel fonte battesimale, appartengono, a rigore di diritto, alla Chiesa, sebbene le errate opinioni Ce li allontanino o il dissenso li divida dalla carità; ma abbraccia anche quanti sono privi di fede cristiana, di modo che tutto il genere umano è sotto la potestà di Gesù Cristo». – Né v’è differenza fra gli individui e il consorzio domestico e civile, poiché gli uomini, uniti in società, non sono meno sotto la potestà di Cristo di quello che lo siano gli uomini singoli. È lui solo la fonte della salute privata e pubblica: «Né in alcun altro è salute, né sotto il cielo altro nome è stato dato agli uomini, mediante il quale abbiamo da essere salvati», è lui solo l’autore della prosperità e della vera felicità sia per i singoli sia per gli Stati: «poiché il benessere della società non ha origine diversa da quello dell’uomo, la società non essendo altro che una concorde moltitudine di uomini». – Non rifiutino, dunque, i capi delle nazioni di prestare pubblica testimonianza di riverenza e di obbedienza all’impero di Cristo insieme coi loro popoli, se vogliono, con l’incolumità del loro potere, l’incremento e il progresso della patria. Difatti sono quanto mai adatte e opportune al momento attuale quelle parole che all’inizio del Nostro pontificato Noi scrivemmo circa il venir meno del principio di autorità e del rispetto alla pubblica potestà: «Allontanato, infatti — così lamentavamo — Gesù Cristo dalle leggi e dalla società, l’autorità appare senz’altro come derivata non da Dio ma dagli uomini, in maniera che anche il fondamento della medesima vacilla: tolta la causa prima, non v’è ragione per cui uno debba comandare e l’altro obbedire. Dal che è derivato un generale turbamento della società, la quale non poggia più sui suoi cardini naturali».

Regno benefico

Se invece gli uomini privatamente e in pubblico avranno riconosciuto la sovrana potestà di Cristo, necessariamente segnalati benefici di giusta libertà, di tranquilla disciplina e di pacifica concordia pervaderanno l’intero consorzio umano. La regale dignità di nostro Signore come rende in qualche modo sacra l’autorità umana dei principi e dei capi di Stato, così nobilita i doveri dei cittadini e la loro obbedienza. – In questo senso l’Apostolo Paolo, inculcando alle spose e ai servi di rispettare Gesù Cristo nel loro rispettivo marito e padrone, ammoniva chiaramente che non dovessero obbedire ad essi come ad uomini ma in quanto tenevano le veci di Cristo, poiché sarebbe stato sconveniente che gli uomini, redenti da Cristo, servissero ad altri uomini: «Siete stati comperati a prezzo; non diventate servi degli uomini». Che se i principi e i magistrati legittimi saranno persuasi che si comanda non tanto per diritto proprio quanto per mandato del Re divino, si comprende facilmente che uso santo e sapiente essi faranno della loro autorità, e quale interesse del bene comune e della dignità dei sudditi prenderanno nel fare le leggi e nell’esigerne l’esecuzione. – In tal modo, tolta ogni causa di sedizione, fiorirà e si consoliderà l’ordine e la tranquillità: ancorché, infatti, il cittadino riscontri nei principi e nei capi di Stato uomini simili a lui o per qualche ragione indegni e vituperevoli, non si sottrarrà tuttavia al loro comando qualora egli riconosca in essi l’immagine e l’autorità di Cristo Dio e Uomo. – Per quello poi che si riferisce alla concordia e alla pace, è manifesto che quanto più vasto è il regno e più largamente abbraccia il genere umano, tanto più gli uomini diventano consapevoli di quel vincolo di fratellanza che li unisce. E questa consapevolezza come allontana e dissipa i frequenti conflitti, così ne addolcisce e ne diminuisce le amarezze. E se il regno di Cristo, come di diritto abbraccia tutti gli uomini, cosi di fatto veramente li abbracciasse, perché dovremmo disperare di quella pace che il Re pacifico portò in terra, quel Re diciamo che venne «per riconciliare tutte le cose, che non venne per farsi servire, ma per servire gli altri”» e che, pur essendo il Signore di tutti, si fece esempio di umiltà, e questa virtù principalmente inculcò insieme con la carità e disse inoltre: «II mio giogo è soave e il mio peso leggero?». – Oh, di quale felicità potremmo godere se gli individui, le famiglie e la società si lasciassero governare da Cristo! «Allora veramente, per usare le parole che il Nostro Predecessore Leone XIII venticinque anni fa rivolgeva a tutti i Vescovi dell’orbe cattolico, si potrebbero risanare tante ferite, allora ogni diritto riacquisterebbe l’antica forza, tornerebbero i beni della pace, cadrebbero dalle mani le spade, quando tutti volentieri accettassero l’impero di Cristo, gli obbedissero, ed ogni lingua proclamasse che nostro Signore Gesù Cristo è nella gloria di Dio Padre».

La Festa di Cristo Re

Scopo della festa di Cristo Re

E perché più abbondanti siano i desiderati frutti e durino più stabilmente nella società umana, è necessario che venga divulgata la cognizione della regale dignità di nostro Signore quanto più è possibile. Al quale scopo Ci sembra che nessun’altra cosa possa maggiormente giovare quanto l’istituzione di una festa particolare e propria di Cristo Re. – Infatti, più che i solenni documenti del Magistero ecclesiastico, hanno efficacia nell’informare il popolo nelle cose della fede e nel sollevarlo alle gioie interne della vita le annuali festività dei sacri misteri, poiché i documenti, il più delle volte, sono presi in considerazione da pochi ed eruditi uomini, le feste invece commuovono e ammaestrano tutti i fedeli; quelli una volta sola parlano, queste invece, per così dire, ogni anno e in perpetuo; quelli soprattutto toccano salutarmente la mente, queste invece non solo la mente ma anche il cuore, tutto l’uomo insomma. Invero, essendo l’uomo composto di anima e di corpo, ha bisogno di essere eccitato dalle esteriori solennità in modo che, attraverso la varietà e la bellezza dei sacri riti, accolga nell’animo i divini insegnamenti e, convertendoli in sostanza e sangue, faccia si che essi servano al progresso della sua vita spirituale. – D’altra parte si ricava da documenti storici che tali festività, col decorso dei secoli, vennero introdotte una dopo l’altra, secondo che la necessità o l’utilità del popolo cristiano sembrava richiederlo; come quando fu necessario che il popolo venisse rafforzato di fronte al comune pericolo, o venisse difeso dagli errori velenosi degli eretici, o incoraggiato più fortemente e infiammato a celebrare con maggiore pietà qualche mistero della fede o qualche beneficio della grazia divina. Così fino dai primi secoli dell’era cristiana, venendo i fedeli acerbamente perseguitati, si cominciò con sacri riti a commemorare i Martiri, affinché — come dice Sant’Agostino — le solennità dei Martiri fossero d’esortazione al martirio. E gli onori liturgici, che in seguito furono tributati ai Confessori, alle Vergini e alle Vedove, servirono meravigliosamente ad eccitare nei fedeli l’amore alle virtù, necessarie anche in tempi di pace. – E specialmente le festività istituite in onore della Beata Vergine fecero sì che il popolo cristiano non solo venerasse con maggior pietà la Madre di Dio, sua validissima protettrice, ma si accendesse altresì di più forte amore verso la Madre celeste, che il Redentore gli aveva lasciato quasi per testamento. Tra i benefici ottenuti dal culto pubblico e liturgico verso la Madre di Dio e i Santi del Cielo non ultimo si deve annoverare questo: che la Chiesa, in ogni tempo, poté vittoriosamente respingere la peste delle eresie e degli errori. – In tale ordine di cose dobbiamo ammirare i disegni della divina Provvidenza, la quale, come suole dal male ritrarre il bene, così permise che di quando in quando la fede e la pietà delle genti diminuissero, o che le false teorie insidiassero la verità cattolica, con questo esito però, che questa risplendesse poi di nuovo splendore, e quelle, destatesi dal letargo, tendessero a cose maggiori e più sante. – Ed invero le festività che furono accolte nel corso dell’anno liturgico in tempi a noi vicini, ebbero uguale origine e produssero identici frutti. Così, quando erano venuti meno la riverenza e il culto verso l’augusto Sacramento, fu istituita la festa del Corpus Domini, e si ordinò che venisse celebrata in modo tale che le solenni processioni e le preghiere da farsi per tutto l’ottavario richiamassero le folle a venerare pubblicamente il Signore; così la festività del Sacro Cuore di Gesù fu introdotta quando gli animi degli uomini, infiacchiti e avviliti per il freddo rigorismo dei giansenisti, erano del tutto agghiacciati e distolti dall’amore di Dio e dalla speranza della eterna salvezza. – Ora, se comandiamo che Cristo Re venga venerato da tutti i cattolici del mondo, con ciò Noi provvederemo alle necessità dei tempi presenti, apportando un rimedio efficacissimo a quella peste che pervade l’umana società.

Il “laicismo”

La peste della età nostra è il così detto laicismo coi suoi errori e i suoi empi incentivi; e voi sapete, o Venerabili Fratelli, che tale empietà non maturò in un solo giorno ma da gran tempo covava nelle viscere della società. Infatti si cominciò a negare l’impero di Cristo su tutte le genti; si negò alla Chiesa il diritto — che scaturisce dal diritto di Gesù Cristo — di ammaestrare, cioè, le genti, di far leggi, di governare i popoli per condurli alla eterna felicità. E a poco a poco la religione cristiana fu uguagliata con altre religioni false e indecorosamente abbassata al livello di queste; quindi la si sottomise al potere civile e fu lasciata quasi all’arbitrio dei principi e dei magistrati. Si andò più innanzi ancora: vi furono di quelli che pensarono di sostituire alla religione di Cristo un certo sentimento religioso naturale. Né mancarono Stati i quali opinarono di poter fare a meno di Dio, riposero la loro religione nell’irreligione e nel disprezzo di Dio stesso. – I pessimi frutti, che questo allontanamento da Cristo da parte degli individui e delle nazioni produsse tanto frequentemente e tanto a lungo, Noi lamentammo nella Enciclica Ubi arcano Dei e anche oggi lamentiamo: i semi cioè della discordia sparsi dappertutto; accesi quegli odii e quelle rivalità tra i popoli, che tanto indugio ancora frappongono al ristabilimento della pace; l’intemperanza delle passioni che così spesso si nascondono sotto le apparenze del pubblico bene e dell’amor patrio; le discordie civili che ne derivarono, insieme a quel cieco e smoderato egoismo sì largamente diffuso, il quale, tendendo solo al bene privato ed al proprio comodo, tutto misura alla stregua di questo; la pace domestica profondamente turbata dalla dimenticanza e dalla trascuratezza dei doveri familiari; l’unione e la stabilità delle famiglie infrante, infine la stessa società scossa e spinta verso la rovina. – Ci sorregge tuttavia la buona speranza che l’annuale festa di Cristo Re, che verrà in seguito celebrata, spinga la società, com’è nel desiderio di tutti, a far ritorno all’amatissimo nostro Salvatore. Accelerare e affrettare questo ritorno con l’azione e con l’opera loro sarebbe dovere dei Cattolici, dei quali, invero, molti sembra non abbiano nella civile convivenza quel posto né quell’autorità, che s’addice a coloro che portano innanzi a sé la fiaccola della verità. – Tale stato di cose va forse attribuito all’apatia o alla timidezza dei buoni, i quali si astengono dalla lotta o resistono fiaccamente; da ciò i nemici della Chiesa traggono maggiore temerità e audacia. Ma quando i fedeli tutti comprendano che debbono militare con coraggio e sempre sotto le insegne di Cristo Re, con ardore apostolico si studieranno di ricondurre a Dio i ribelli e gl’ignoranti, e si sforzeranno di mantenere inviolati i diritti di Dio stesso.

La preparazione storica della festa di Cristo Re

E chi non vede che fino dagli ultimi anni dello scorso secolo si preparava meravigliosamente la via alla desiderata istituzione di questo giorno festivo? Nessuno infatti ignora come, con libri divulgati nelle varie lingue di tutto il mondo, questo culto fu sostenuto e sapientemente difeso; come pure il principato e il regno di Cristo fu ben riconosciuto colla pia pratica di dedicare e consacrare tutte le famiglie al Sacratissimo Cuore di Gesù. E non soltanto famiglie furono consacrate, ma altresì nazioni e regni; anzi, per volere di Leone XIII, tutto il genere umano, durante l’Anno Santo 1900, fu felicemente consacrato al Divin Cuore. – Né si deve passar sotto silenzio che a confermare questa regale potestà di Cristo sul consorzio umano meravigliosamente giovarono i numerosissimi Congressi eucaristici, che si sogliono celebrare ai nostri tempi; essi, col convocare i fedeli delle singole diocesi, delle regioni, delle nazioni e anche tutto l’orbe cattolico, a venerare e adorare Gesù Cristo Re nascosto sotto i veli eucaristici, tendono, mediante discorsi nelle assemblee e nelle chiese, mediante le pubbliche esposizioni del Santissimo Sacramento, mediante le meravigliose processioni ad acclamare Cristo quale Re dato dal cielo. – A buon diritto si direbbe che il popolo cristiano, mosso da ispirazione divina, tratto dal silenzio e dal nascondimento dei sacri templi, e portato per le pubbliche vie a guisa di trionfatore quel medesimo Gesù che, venuto nel mondo, gli empi non vollero riconoscere, voglia ristabilirlo nei suoi diritti regali. – E per vero ad attuare il Nostro divisamento sopra accennato, l’Anno Santo che volge alla fine Ci porge la più propizia occasione, poiché Dio benedetto, avendo sollevato la mente e il cuore dei fedeli alla considerazione dei beni celesti che superano ogni gaudio, o li ristabilì in grazia e li confermò nella retta via e li avviò con nuovi incitamenti al conseguimento della perfezione. – Perciò, sia che consideriamo le numerose suppliche a Noi rivolte, sia che consideriamo gli avvenimento di questo Anno Santo, troviamo argomento a pensare che finalmente è spuntato il giorno desiderato da tutti, nel quale possiamo annunziare che si deve onorare con una festa speciale Cristo quale Re di tutto il genere umano. – In quest’anno infatti, come dicemmo sin da principio, quel Re divino veramente ammirabile nei suoi Santi, è stato magnificato in modo glorioso con la glorificazione di una nuova schiera di suoi fedeli elevati agli onori celesti; parimenti in questo anno per mezzo dell’Esposizione Missionaria tutti ammirarono i trionfi procurati a Cristo per lo zelo degli operai evangelici nell’estendere il suo Regno; finalmente in questo medesimo anno con la centenaria ricorrenza del Concilio Niceno, commemorammo la difesa e la definizione del dogma della consustanzialità del Verbo incarnato col Padre, sulla quale si fonda l’impero sovrano del medesimo Cristo su tutti i popoli.

L’istituzione della festa di Cristo Re

Pertanto, con la Nostra apostolica autorità istituiamo la festa di nostro Signore Gesù Cristo Re, stabilendo che sia celebrata in tutte le parti della terra l’ultima domenica di ottobre, cioè la domenica precedente la festa di tutti i Santi. Similmente ordiniamo che in questo medesimo giorno, ogni anno, si rinnovi la consacrazione di tutto il genere umano al Cuore santissimo di Gesù, che il Nostro Predecessore di santa memoria Pio X aveva comandato di ripetere annualmente. – In quest’anno però, vogliamo che sia rinnovata il giorno trentuno di questo mese, nel quale Noi stessi terremo solenne pontificale in onore di Cristo Re e ordineremo che la detta consacrazione si faccia alla Nostra presenza. Ci sembra che non possiamo meglio e più opportunamente chiudere e coronare 1’Anno Santo, né rendere più ampia testimonianza della Nostra gratitudine a Cristo, Re immortale dei secoli, e di quella di tutti i cattolici per i beneficî fatti a Noi, alla Chiesa e a tutto l’Orbe cattolico durante quest’Anno Santo. – E non fa bisogno, Venerabili Fratelli, che vi esponiamo a lungo i motivi per cui abbiamo istituito la solennità di Cristo Re distinta dalle altre feste, nelle quali sembrerebbe già adombrata e implicitamente solennizzata questa medesima dignità regale. – Basta infatti avvertire che mentre l’oggetto materiale delle attuali feste di nostro Signore è Cristo medesimo, l’oggetto formale, però, in esse si distingue del tutto dal nome della potestà regale di Cristo. La ragione, poi, per cui volemmo stabilire questa festa in giorno di domenica, è perché non solo il Clero con la celebrazione della Messa e la recita del divino Officio, ma anche il popolo, libero dalle consuete occupazioni, rendesse a Cristo esimia testimonianza della sua obbedienza e della sua devozione. – Ci sembrò poi più d’ogni altra opportuna a questa celebrazione l’ultima domenica del mese di ottobre, nella quale si chiude quasi l’anno liturgico, così infatti avverrà che i misteri della vita di Gesù Cristo, commemorati nel corso dell’anno, terminino e quasi ricevano coronamento da questa solennità di Cristo Re, e prima che si celebri e si esalti la gloria di Colui che trionfa in tutti i Santi e in tutti gli eletti. – Pertanto questo sia il vostro ufficio, o Venerabili Fratelli, questo il vostro compito di far sì che si premetta alla celebrazione di questa festa annuale, in giorni stabiliti, in ogni parrocchia, un corso di predicazione, in guisa che i fedeli ammaestrati intorno alla natura, al significato e all’importanza della festa stessa, intraprendano un tale tenore di vita, che sia veramente degno di coloro che vogliono essere sudditi affezionati e fedeli del Re divino.

I vantaggi della festa di Cristo Re

Giunti al termine di questa Nostra lettera Ci piace, o Venerabili Fratelli, spiegare brevemente quali vantaggi in bene sia della Chiesa e della società civile, sia dei singoli fedeli, Ci ripromettiamo da questo pubblico culto verso Cristo Re. – Col tributare questi onori alla dignità regia di nostro Signore, si richiamerà necessariamente al pensiero di tutti che la Chiesa, essendo stata stabilita da Cristo come società perfetta, richiede per proprio diritto, a cui non può rinunziare, piena libertà e indipendenza dal potere civile, e che essa, nell’esercizio del suo divino ministero di insegnare, reggere e condurre alla felicità eterna tutti coloro che appartengono al Regno di Cristo, non può dipendere dall’altrui arbitrio. – Di più, la società civile deve concedere simile libertà a quegli ordini e sodalizi religiosi d’ambo i sessi, i quali, essendo di validissimo aiuto alla Chiesa e ai suoi pastori, cooperano grandemente all’estensione e all’incremento del regno di Cristo, sia perché con la professione dei tre voti combattono la triplice concupiscenza del mondo, sia perché con la pratica di una vita di maggior perfezione, fanno sì che quella santità, che il divino Fondatore volle fosse una delle note della vera Chiesa, risplenda di giorno in giorno vieppiù innanzi agli occhi di tutti. – La celebrazione di questa festa, che si rinnova ogni anno, sarà anche d’ammonimento per le nazioni che il dovere di venerare pubblicamente Cristo e di prestargli obbedienza riguarda non solo i privati, ma anche i magistrati e i governanti: li richiamerà al pensiero del giudizio finale, nel quale Cristo, scacciato dalla società o anche solo ignorato e disprezzato, vendicherà acerbamente le tante ingiurie ricevute, richiedendo la sua regale dignità che la società intera si uniformi ai divini comandamenti e ai principî cristiani, sia nello stabilire le leggi, sia nell’amministrare la giustizia, sia finalmente nell’informare l’animo dei giovani alla santa dottrina e alla santità dei costumi. – Inoltre non è a dire quanta forza e virtù potranno i fedeli attingere dalla meditazione di codeste cose, allo scopo di modellare il loro animo alla vera regola della vita cristiana. – Poiché se a Cristo Signore è stata data ogni potestà in cielo e in terra; se tutti gli uomini redenti con il Sangue suo prezioso sono soggetti per un nuovo titolo alla sua autorità; se, infine, questa potestà abbraccia tutta l’umana natura, chiaramente si comprende, che nessuna delle nostre facoltà si sottrae a tanto impero.

Conclusione

Cristo regni!

È necessario, dunque, che Egli regni nella mente dell’uomo, la quale con perfetta sottomissione, deve prestare fermo e costante assenso alle verità rivelate e alla dottrina di Cristo; che regni nella volontà, la quale deve obbedire alle leggi e ai precetti divini; che regni nel cuore, il quale meno apprezzando gli affetti naturali, deve amare Dio più d’ogni cosa e a Lui solo stare unito; che regni nel corpo e nelle membra, che, come strumenti, o al dire dell’Apostolo Paolo, come “armi di giustizia”  offerte a Dio devono servire all’interna santità delle anime. Se coteste cose saranno proposte alla considerazione dei fedeli, essi più facilmente saranno spinti verso la perfezione. – Faccia il Signore, Venerabili Fratelli, che quanti sono fuori del suo regno, bramino ed accolgano il soave giogo di Cristo, e tutti, quanti siamo, per sua misericordia, suoi sudditi e figli, lo portiamo non a malincuore ma con piacere, ma con amore, ma santamente, e che dalla nostra vita conformata alle leggi del Regno divino raccogliamo lieti ed abbondanti frutti, e ritenuti da Cristo quali servi buoni e fedeli diveniamo con Lui partecipi nel Regno celeste della sua eterna felicità e gloria. – Questo nostro augurio nella ricorrenza del Natale di nostro Signore Gesù Cristo sia per voi, o Venerabili Fratelli, un attestato del Nostro affetto paterno; e ricevete l’Apostolica Benedizione, che in auspicio dei divini favori impartiamo ben di cuore a voi, o Venerabili Fratelli, e a tutto il popolo vostro.

[Dato a Roma, presso S. Pietro, il giorno 11 Dicembre dell’Anno Santo 1925, quarto del Nostro Pontificato.]

IL SACRO CUORE DI GESÙ (63)

IL SACRO CUORE (63)

J. V. BAINVEL – prof. teologia Ist. Catt. Di Parigi;

LA DEVOZIONE AL S. CUORE DI GESÙ-

[Milano Soc. Ed. “Vita e Pensiero, 1919]

PARTE TERZA.

Sviluppo storico della divozione.

CAPITOLO SETTIMO

DALLA MORTE DI MARGHERITA MARIA AI NOSTRI GIORNI

VI. – LE TENDENZE ATTUALI DELLA DEVOZIONE

Non mi pare che si possa segnalare, nei primi decenni del nostro secolo, né un nuovo sviluppo, né tendenze propriamente nuove della divozione. Ma, come succede ordinariamente, la scossa data alle anime dallo scatenarsi della guerra mondiale, dal pericolo imminente in cui si è trovata la patria, dai lutti innumerevoli, dalle inquietudini e calamità di ogni sorta, questa scossa ha rianimato il senso religioso e il senso patriottico; nello stesso tempo, ravvivando il sentimento dell’unità nazionale e della solidarietà fra il presente e il passato, essa ha fatto risalire alla superficie della coscienza francese (non mi occupo qui che della Francia) molte idee deposte nel corso degli anni sul fondo di questa coscienza, sempre pronte a ricomparire (se son mai scomparse) presso quelli che vivono la vita cristiana nella sua pienezza. Da ciò una intensità più grande, un orientamento particolare del movimento, visibile soprattutto per due o tre idee, due o tre pratiche, che, senza essere nuove, hanno preso nuovo rilievo in questi ultimi tempi. Voglio parlare della preghiera nazionale al sacro Cuore, dell’intronizzazione del sacro Cuore nella famiglia, delle consacrazioni militari.

I. La preghiera nazionale. — Abbiamo visto, nel corso di questo studio, il desiderio manifestato da nostro Signore a santa Margherita Maria di un omaggio regale al suo divin Cuore (edifizio, consacrazione riparatrice, stendardo) e gli sforzi fatti nel passato per rispondere alle intenzioni di Gesù. La prima parte del programma (edificio espiatorio, in cui doveva farsi la consacrazione) è stata magnificamente realizzata con la costruzione della Basilica di Montmartre. L’opera era quasi terminata e già il Cardinale Amette aveva espresso il suo desiderio e la sua speranza di consacrare solennemente la Basilica del Voto nazionale per la festa di santa Margherita Maria (17 ottobre 1914), quando la guerra scoppiò. La grandiosa cerimonia, che doveva riunire tutto l’episcopato francese e a cui tutta la Francia cattolica doveva esser rappresentata, fu rimessa a più tardi. Ma il movimento verso il sacro Cuore fu unanime fra i Cattolici ferventi. La preghiera pubblica andava a tutti i Santi protettori della patria: alla SS. Vergine, a S. Michele, a S. Dionigi e a Genoveffa, a S. Clotilde e a S. Luigi, a S. Giovanna D’Arco e ad altri ancora, secondo le devozioni locali o particolari; ma, d’ordinario il sacro Cuore aveva il primo posto. I giorni di preghiera nazionale sono stati quasi tutti contrassegnati dalla consacrazione al sacro Cuore. E questa consacrazione, si può dirlo, è stata veramente nazionale; nazionale per lo slancio unanime delle anime, nazionale per l’intenzione di tutti. – La Francia ufficiale non vi si è associata. Ma questa stessa astensione non ha fatto che rendere più sensibile la necessità dell’espiazione e dell’ammenda onorevole; non solo per le colpe individuali, ma anche per quelle della nazione. Questo carattere di espiazione è stato particolarmente segnato nella formula che fu letta in tutte le chiese di Francia, nelle cerimonie dell’11 giugno 1915 e del 26 marzo 1916. La formula ha per titolo « Ammenda onorevole e consacrazione della Francia al sacro Cuore di Gesù ». Essa esprime così bene il pensiero di tutti e rende così esattamente l’aspetto attuale della divozione nella nostra patria, che noi non sapremmo far vedere ciò che è ora la devozione dei francesi al Cuor di Gesù meglio che dandone dei larghi estratti che ne riproducano tutto il movimento. « O Gesù…, eccoci prostrati ai vostri piedi, per offrire al vostro sacro Cuore, a nome nostro e in nome della Francia nostra patria, i nostri omaggi e le nostre suppliche. Noi vi adoriamo… Noi vi riconosciamo come nostro sovrano Signore e Padrone. Noi confessiamo che il vostro dominio si estende, non solo sugli individui, ma sulle nazioni… Noi proclamiamo che Voi avete dei diritti particolari sulla Francia, a causa dei beneficî di cui Voi l’avete colmata e della missione che le avete affidato nel mondo, Vi chiediamo perdono delle colpe private e pubbliche con le quali abbiamo oltraggiato la vostra sovranità e il vostro amore. Perdono, o Signore Gesù, per l’empietà, che vorrebbe cancellare il nome di Dio e il vostro Nome benedetto dalla faccia della terra ». Il popolo rispose: « Perdono, o Signore Gesù! ».

Il celebrante continua: « Perdono per l’accecamento e l’ingratitudine di coloro che, sconoscendo la missione divina confidata alla vostra Chiesa per la felicità della società, non meno che per la salute delle anime, ha voluto separare da Essa la nostra patria e si sforzano di intralciare la sua libertà e la sua azione fra noi ». Il popolo: « Perdono, o Signore Gesù! ».

Il celebrante: « Perdono per la violazione dei vostri comandamenti, per le bestemmie di parole e di penna, per la profanazione della Domenica, per il disprezzo delle sante

leggi del matrimonio, per l’omissione del gran dovere dell’educazione cristiana, per la depravazione dei costumi, per l’amore sfrenato del lusso e del piacere ». Il popolo:

« Perdono, o Signore Gesù! ».

Il celebrante: « Per tutti questi disordini, noi vi facciamo ammenda onorevole, e vi domandiamo perdono ». Il popolo: « Perdono, o Signore Gesù! ».

Dopo l’ammenda onorevole, la consacrazione.

Il celebrante: « Al fine di riparare queste colpe, per quanto sta in noi, vi consacriamo oggi le nostre persone, le nostre famiglie, la nostra patria: che esse siano, d’ora in avanti, completamente vostre ». Il popolo: « Siano vostre, o Signore Gesù! ».

Il celebrante riprende ciascun punto di questa enumerazione, precisando come noi intendiamo in pratica questa consacrazione, questo dono delle nostre persone, delle nostre famiglie, della nostra patria a Gesù. Per le persone e le famiglie il popolo risponde: « Siano vostre, o Signore Gesù! ». Per la Francia quando il prete ha detto: « Noi vogliamo che la Francia sia vostra », il popolo risponde: « Che la Francia sia vostra, o Signore Gesù ». Segue la preghiera: « Noi ci rivolgiamo a Voi, o Cuore sacratissimo di Gesù, nelle nostre angosce; aprite per noi i tesori della vostra infinita carità. Il sangue sgorgato dalla vostra ferita, ha riscattato il mondo; che una goccia di questo Sangue divino, per la sua potenza espiatrice riscatti, ancora una volta, questa Francia che voi avete tanto amato e che non vuol rinnegare la sua vocazione cristiana. Dimenticate le nostre iniquità, per non ricordarvi altro che delle sante opere dei nostri Padri e lasciate scorrere su noi l’onda della vostra misericordia. Che la Chiesa costruita dalla Francia in vostro onore, sia per noi come una cittadella inespugnabile, che protegga Parigi e il nostro Paese tutto intiero. Benedite i nostri coraggiosi eserciti, accordateci la vittoria e la pace e fate che presto il tempio nazionale che vi abbiamo innalzato possa esservi solennemente consacrato come testimonianza del nostro pentimento e della nostra fiducia, come garanzia della nostra riconoscenza e della nostra fedeltà futura. Cuore adorabile del nostro Dio, la nazione francese v’implora: beneditela, salvatela! » Il popolo risponde: « Cuore adorabile, ecc. ». Il celebrante: « O Cuore immacolato di Maria, pregate per noi il sacro Cuore di Gesù! », il popolo riprende ancora: « O Cuore immacolato, ecc. ». È inutile dire che la parte data alla folla nell’ammenda onorevole, nella consacrazione, nella preghiera, finisce per dare all’atto la sua vera fisionomia, il suo carattere sociale. Malgrado l’astensione della Francia ufficiale e, in parte, a causa di questa stessa astensione, abbiamo avuto in questi anni terribili, una preghiera, un’ammenda onorevole e una consacrazione veramente nazionali della Francia al sacro Cuore. – Quanto all’immagine del sacro Cuore sulla bandiera di Francia, si è cercato, combattendo gli intrighi meschini, di supplirvi con la devozione privata, innalzando da per tutto e in tutti i modi, dei piccoli stendardi del sacro Cuore. Quanti soldati al fronte l’hanno portato fieramente sul petto; quante donne e uomini attraverso le vie delle nostre città e i sentieri delle nostre campagne presentano agli occhi di tutti la pia insegna! La Francia ufficiale, ahimè, continua ad ignorare Gesù o a disconoscerlo; ma mai la Francia fedele e credente ha fatto tanto per consolare il suo divin Cuore, rendendogli, per quanto sta in lei, tutti gli omaggi che Egli le ha domandato per mezzo della sua serva preferita, Margherita Maria.

2. L’intronizzazione e la consacrazione delle famiglie. Abbiamo visto, più addietro come fu arrestato ilmovimento (che d’altra parte non aveva nulla di specificamente francese) della incoronazione del sacro Cuore.Sempre viva ed attiva la devozione, si è portata in un’altradirezione. Questa volta non è più questione, almenodirettamente, di cerimonie solenni, in cui la folla affluisceda tutta una città o da tutta una regione per acclamareGesù e la sua sovranità di amore. Si tratta di unafesta intima, di una riunione di famiglia. Ma la festaha un senso profondo, la riunione si fa in vista di uno degli atti più importanti nella vita della famiglia. Questo atto consiste nell’intronizzare il sacro Cuore nella dimora familiare, nell’installarlo nel focolare, perché Egli presieda d’ora in poi, non solo come invitato, ma come padrone e re a tutta la vita domestica. Gesù aveva promesso ch’Egli avrebbe benedetto le case in cui l’immagine del suo sacro Cuore fosse esposta ed onorata. L’intronizzazione implica che ormai questa immagine (quadro o statua) avrà il suo posto, un posto d’onore nella dimora familiare e che vi riceverà gli omaggi; ma la cerimonia ha un senso più profondo e deve avere un’influenza su tutta la vita della famiglia; poiché l’intronizzazione, come l’indica la parola, consiste nell’introdurre il sacro Cuore nella casa per esserne d’ora innanzi il signore e il re. La cerimonia è semplicissima e molto bella. Si procura, se non si ha di già, una bella immagine del sacro Cuore (bella relativamente). Si fissa il giorno; naturalmente sarà un giorno di festa (festa liturgica, festa del padre o della madre, data importante per la famiglia). Ci si prepara convenientemente e, per quanto è possibile, ci si comunica la mattina del giorno scelto, Se il prete può venire facilmente, lo si invita per maggiore solennità. All’ora fissata, si mette solennemente l’immagine sul trono, in mezzo ai fiori (La camera indicata è naturalmente la sala da ricevere, quando l’intronizzazione è intesa come una professione pubblica di appartenenza al sacro Cuore; se vi si vede invece un atto intimo della vita familiare, può essere una camera interna o una specie di oratorio di famiglia.) ed ai ceri. Allora, davanti alla famiglia riunita (e conviene che in questa occasione i servitori si sentano più che mai della famiglia) qualcuno, il prete, o il capo o la padrona di casa legge la consacrazione di tutta la famiglia (padre, madre, figli, servitori) al Cuore sacratissimo di Gesù. Esistono alcune formule già fatte; ma il capo della famiglia può comporne una a suo piacere, o modificare, per adattarla meglio, quella che ha sotto mano. Anzi, se la vorrà leggere tal quale, è bene ch’egli l’abbia copiata di sua mano o fatta copiare, sia dalla madre, sia da uno dei figli. Conviene che la consacrazione sia ben scritta, su bella carta e che sia firmata da tutti quelli che, nella casa, sono in grado di firmare. Sarebbe anzi desiderabile che l’atto fosse messo in cornice, come si usa per l’immagine della prima Comunione, e restasse esposto presso l’immagine intronizzata, come testimonianza e ricordo della consacrazione solenne. D’altra parte è evidente che i particolari della cerimonia possono variare all’infinito. L’essenziale è che vi sia intronizzazione solenne e solenne consacrazione. Nella mente dei promotori, la festa deve avere un domani. Questo domani sarà tutta la vita di famiglia dominata dal grande atto ora descritto. Questo stesso atto si rinnoverà tutti gli anni (O anche, come l’’indica il « documento familiare », tutti i giorni alla preghiera della sera. Invece di rinnovare tutti i giorni la consacrazione spesso ci si accontenta d’intercalare nella preghiera qualche parola  che la ricordi) nel giorno anniversario, o meglio ancora, tutti i mesi, per esempio i primi venerdì. Quando un nuovo bambino viene ad accrescere la famiglia, appena battezzato sarà presentato e consacrato al sacro Cuore; il suo nome sarà aggiunto a quello degli altri consacrati in attesa ch’egli possa ratificare lui stesso la consacrazione e firmare a sua volta l’atto. Tutti i giorni, se le circostanze e la disposizione dei luoghi vi si prestano, ci si riunirà per la preghiera presso l’immagine venerata; vi si potrebbe intercalare un ricordo della intronizzazione che fu fatta del sacro Cuore dal capo della casa e della consacrazione che fu fatta della famiglia al sacro Cuore. La vita familiare dovrà rispondere alle parole, sarà una vita solidamente, profondamente cristiana, tale da fare onore al divino Maestro; la vita intima di ciascuno dovrà realizzare l’ideale comune. Questo ideale è troppo bello, senza dubbio, se non per esser realizzabile, almeno per esser realizzato da per tutto. Dove non si può ottenere tanto, ci si accontenta di meno. Così in molte diocesi si è propagata la cerimonia della consacrazione generale delle famiglie. Essa si fa nella Chiesa parrocchiale per quelle famiglie della parrocchia, i di cui membri vogliono prendervi parte. Per supplire alla intronizzazione solenne, si distribuisce un’immagine ricordo che deve essere posta bene in vista e in un posto d’onore in ciascuna famiglia consacrata, con raccomandazione di renderle qualche omaggio e particolarmente di riunirsi davanti ad essa per la preghiera della sera in comune. Questo movimento di divozione familiare al sacro Cuore, per mezzo dell’intronizzazione e della consacrazione, ha preso in questi ultimi anni una grande estensione. Non è, credo, di origine francese, anzi forse è più in vigore nell’America latina che in Francia. Vi si possono rilevare diverse correnti distinte, partire da diversi punti, e che, finora, non si sono completamente fuse. Sembrano potersi raggruppare in due, quella che propaga il Messaggero del Cuor di Gesù, organo dell’Apostolato della preghiera, e quella determinata dal P. Matheo. Nella prima l’idea di consacrazione domina. Già da molto tempo il Messaggero spingeva alla consacrazione delle famiglie al sacro Cuore. Nel 1889 specialmente vi fu in questo senso un movimento quasi mondiale. Lo slancio pareva essersi indebolito. Da alcuni anni, forse in parte per influenza indiretta del P. Matheo, si è riacceso e il Messaggero gli presta l’aiuto possente della sua pubblicità (più di 40 organi mensili in una trentina di lingue). L’idea primitiva di consacrazione si mantiene al posto principale, ma l’intronizzazione vi ha la sua parte, sia come condizione preliminare della consacrazione, sia come conseguenza naturale di questa, sia come parte integrale di una unica cerimonia totale. Per assicurare l’effetto durevole di questo atto solenne, il P. Calot, direttore generale dell’Apostolato della preghiera, ha elaborato per « le famiglie del sacro Cuore » un piccolo regolamento di vita cristiana, semplice e pratico. Esso comprende: professione di docilità assoluta agli insegnamenti della Chiesa, e alla direzione del Papa; consacrazione al sacro Cuore, rinnovata tutti gli anni, immagine del sacro Cuore al posto d’onore nella casa, osservanza fedele dei comandamenti d’Iddio e della Chiesa, specialmente della legge cristiana del matrimonio, preghiera della sera in comune, comunione frequente, unione e pace fra gli sposi, educazione cristiana dei figli e cura cristiana del loro avvenire (vocazione, matrimonio cristiano); decenza cristiana nelle mode e negli ammobigliamenti, scelta dei libri e delle riviste, sorveglianza nella conversazione, doveri di religione e di carità verso i servitori. – L’opera dell’« intronizzazione del Cuor di Gesù, per mezzo della consacrazione delle famiglie » ha avuto, ed ha ancora, per promotore principale il R. P. Matheo Crawley- Boevey dei sacri Cuori (Picpus). Il cardinal Billot, nella lettera che scriveva al P. Matheo per raccomandarla « con entusiasmo », dopo aver preso conoscenza dell’opera, ce la spiega come avente per unico scopo « di installare nel focolare domestico la pura, semplice e franca divozione al sacro Cuore, quale ci è stata trasmessa nelle rivelazioni di santa Margherita Maria, quale la Chiesa l’ha sanzionata con la sua suprema autorità ». Egli vi vede « un modo semplice e pratico di realizzare i desideri espressi da nostro Signore » alla santa, di un culto speciale reso al suo Cuore nelle famiglie. Non è l’intronizzazione « l’allargamento del gesto, così graziosamente abbozzato » dalle novizie di Paray quando esse festeggiavano la loro santa maestra, indirizzando tutti i loro omaggi ad una modesta immagine del sacro Cuore? Il Cardinale dunque raccomanda l’introduzione della divozione al sacro Cuore nei focolari domestici. come « il mezzo più appropriato alla santificazione della famiglia, e, per essa, della società tutta intiera ». Ravvicinando a questo proposito la dottrina dei Padri intorno alla Chiesa, Sposa di Cristo. uscente dal fianco trafitto di Gesù e dal suo Cuore ferito d’amore, e la dottrina di S. Paolo sul matrimonio cristiano simboleggiato dal mistico matrimonio di Cristo con la sua Chiesa, egli conclude: « Per il sacramento che è alla sua base, la famiglia cristiana ci appare come avente le sue radici nelle profondità stesse del Cuore da cui la Chiesa ha preso la vita. E, se è così, dove dunque la divozione al sacro Cuore sarà meglio al suo posto? Dove troverà un ambiente e, se osassi dirlo, un terreno di cultura più appropriato? Soprattutto dove si troverà un mezzo più connaturale (mi si perdoni il barbarismo) di soprannaturalizzare la famiglia e d’innalzarla all’altezza dell’ideale voluto da Gesù Cristo? » Egli vi vede infine un omaggio di riparazione per i diritti di sovranità di nostro Signore misconosciuti da tutti. – Per quanto questa raccomandazione del Card. Billot possa essere preziosa ed autorevole, il P. Matheo ha ricevuto di meglio. Fin dal 1913 Pio X, in seguito alla domanda dei Vescovi del Cile, accordava un’indulgenza alle famiglie cilene che si consacrassero al Cuor di Gesù, intronizzando nelle loro case l’immagine del sacro Cuore. Benedetto XV, con una lettera del 27 aprile 1915, ha esteso questo favore alle famiglie del mondo intero. In questa occasione il Santo Padre ha caldamente raccomandato questa pratica e ne ha mostrato i vantaggi e l’opportunità. La lettera è tale che conviene darne qui la sostanza, non solo per l’autorità da cui essa emana, ma anche per le spiegazioni che contiene ed i lumi che porta. Essa indica prima di tutto con perfetta chiarezza l’idea dell’opera ed i suoi costitutivi essenziali: consacrazione della famiglia con questo particolare, che « l’immagine, installata come su di un trono, in un luogo molto in vista nella casa, presenti a tutti gli sguardi nostro Signore come il re di questa famiglia ». Leone XIII, continua il Papa, aveva consacrato al divin Cuore il genere umano intero. Ma questa consacrazione generale non rende superflua la consacrazione di ciascuna famiglia in particolare; al contrario essa vi si armonizza a meraviglia e contribuisce a realizzare la santa intenzione del Pontefice; poiché ciò che è di ciascuno in particolare, ci tocca più da vicino di ciò che è comune a tutti. E poi vi è qualcosa che convenga meglio ai tempi in cui siamo? Quanti sforzi per disfare l’opera moralizzatrice della Chiesa e riportarci al paganesimo! Quanti attacchi specialmente contro la famiglia! I nostri nemici vedono bene che, corrompendo la famiglia, corrompono la società intera. Di là la legge del divorzio; di là il disprezzo dell’autorità paterna, l’obbligo di affidare i figli alla scuola pubblica, che è quasi sempre ostile alla Religione; di là quelle campagne vergognose per arrivare ad inaridire la vita fin dalle sue sorgenti, violando con pratiche impure la santità del matrimonio. Non si potrebbe dunque far cosa migliore che lavorare per rianimare il senso cristiano nella vita domestica, installando la carità di Cristo come una regina nel focolare domestico ed attirando sulla famiglia le benedizioni promesse da nostro Signore alle case in cui l’immagine del suo cuore fosse esposta ed onorata. « Ma, aggiunge Benedetto XV, questo onore non basta, Bisogna prima di tutto conoscere Gesù, la sua dottrina e la sua vita, la sua passione, la sua gloria. Non basta accontentarsi di seguirlo con un sentimento superficiale di religiosità, che parli al cuore sensibile e faccia versare qualche lagrimuccia, lasciando i vizî intatti; bisogna attaccarsi a Lui con una fede viva e forte, che diriga e governi lo spirito, il cuore, la condotta. Gesù è così dimenticato, così poco amato, perché è sconosciuto o troppo poco conosciuto. Bisogna dunque, prima di tutto, lavorare a far meglio conoscere Gesù Cristo, la sua verità, la sua legge; l’amore verrà in seguito ». Tale è la bella lettera del Papa. Si noterà questa singolare insistenza su la conoscenza di nostro Signore e del suo Vangelo. Vi è in ciò una lezione delle quali deve penetrarsi chiunque si industri a sviluppare, in sé e negli altri, la divozione al sacro Cuore. Ecco dunque spiegate magnificamente dal cardinale Billot e da Sua Santità Benedetto XV le grandi idee che dominano questa bella opera dell’intronizzazione con la consacrazione delle famiglie al sacro Cuore. È bene aggiungere ancora qui che vi sono, fra gli zelatori dell’intronizzazione, alcune leggere differenze di vedute, che portano delle differenze in questo o quel dettaglio pratico. Gli uni la considerano avanti tutto come l’entrata del sacro Cuore nel santuario della famiglia. In conseguenza essi installano la statua in una stanza più intima o in una specie di oratorio, dove la famiglia va a renderle omaggio, nella preghiera della sera, e dove ognuno può venirla a pregare in segreto. Gli altri vi vedono più una professione pubblica di divozione al sacro Cuore, ed espongono l’immagine bene in vista, nel salotto, dove colpisce subito gli sguardi ai visitatori. Tutte e due le idee son buone e facilmente conciliabili.

3. La consacrazione dei soldati. — Durante la guerra mondiale alcuni cappellani zelanti hanno avuto l’idea della consacrazione militare al sacro Cuore. L’idea ha trovato accoglienza tanto fra i soldati quanto fra i superiori, specialmente al fronte, dove la presenza del nemico, la vita di sacrificio e il pericolo continuo di morte, la visione più netta dell’ideale patriottico, tutto infine contribuisce ad innalzare gli animi al disopra delle preoccupazioni malsane o volgari, nel mondo superiore della grazia e della religione. Hanno avuto luogo cerimonie mirabili alle quali « unità » più o meno considerevoli, cedendo alla possente attrazione del cuor di Gesù han preso parte con uno slancio ed un accordo che, senza violentare per niente la libertà degli individui, la libera, per così dire, dagli impacci del rispetto umano o delle passioni per trasportarla in alto. L’atto solenne è preparato da una specie di ritiro, con numerose Confessioni e Comunioni, ed implica, nel pensiero di tutti, l’impegno a condurre, d’ora in poi, una vita cristiana ed a collocare di nuovo il Cristo al focolare della famiglia. La moglie ed i figli sono messi al corrente del grande atto e della promessa con un documento firmato che resterà anche a far fede per l’avvenire. Il fine ed il senso della cerimonia debbono essere spiegati con cura. Prima di tutto essa ha per scopo il bene spirituale di ogni individuo, riavvicinandolo a Dio e procurandogli i vantaggi incomparabili della divozione al sacro Cuore. Di più ha uno scopo sociale: prepara, per il ritorno al focolare domestico, l’entrata del sacro Cuore nella famiglia; reintegra, per quanto è possibile, la preghiera e la Religione nell’esercito; ci permette di intravvedere, in un avvenire ancora indeciso, il tempo in cui la nazione ritornata ufficialmente cristiana, si consacrerà al cuor di Gesù e farà sventolare, sulla bandiera nazionale, l’immagine del sacro Cuore.

VIVA CRISTO RE (20)

CRISTO-RE (20)

TOTH TIHAMER:

Gregor. Ed. in Padova, 1954

Imprim. Jannes Jeremich, Ep. Beris

CAPITOLO XXV

CHI È IL CRISTO PER NOI?

Nell’anno 1880 si tenne a Roma una grande assemblea. Uno degli oratori tenne un discorso solenne in onore di lucifero, capo degli spiriti ribelli. E nel mezzo del discorso si udì questo grido: “Evviva satana!” “Viva satana!” E cinquemila gole ripeterono il grido: “Dio è morto, viva satana!”. Siamo inorriditi da questa incredibile rozzezza spirituale, da questa adorazione del diavolo; eppure le migliaia di peccati che si commettono oggi, cos’altro sono se non idolatria infernale? – Quante cose ha fatto l’umanità contro Dio! La Rivoluzione francese ha voluto distruggere Dio; ha fatto un manifesto in cui diceva che Dio non serviva più. Ci meravigliamo di questa follia? Eppure cosa sono gli innumerevoli orrori della nostra epoca se non la realizzazione del decreto rivoluzionario e la sua promulgazione a tutta l’umanità? E la rivoluzione contro Dio continua. Ricordiamo quei giorni tristi in cui gli studenti di Vienna cantavano: “Non sono cristiano, sono socialista!”. Quante cose ha provato l’umanità contro Dio…, e tutte invano. Per questo, il Papa, Sua Santità Pio XI, ci ha ammonito: Uomini, rivolgetevi a Cristo, al quale Dio ha dato un Nome che è al di sopra di ogni nome: “nessun altro Nome sotto il cielo è stato dato tra gli uomini per mezzo del quale dobbiamo essere salvati” (At. IV,12). Individui, rivolgetevi a Cristo! Società, rivolgetevi a Cristo! Nazioni, rivolgetevi a Cristo! Famiglia, politici, economisti, pensatori, rivolgetevi a Cristo! Stampa, spettacolo, letteratura, affari, banche, industria, finanza, rivolgetevi a Cristo! Uomini, perirete se non avete Gesù Cristo come vostro Re! – Questi sono i pensieri che spieghiamo in tutte le pagine di questo libro. Negli ultimi due capitoli voglio riassumere quanto detto e allo stesso tempo delineare i tratti caratteristici e definitivi di Cristo Re. Solo chi lo conosce può amarlo in tutta verità e rimanergli fedele in ogni momento della vita, e quanto più lo conosce, tanto più lo amerà!…. – In questo capitolo cercheremo di conoscerlo meglio! Sfoglieremo il Vangelo, affinché il Signore stesso ci risponda a queste domande: Chi sei? Cosa ci dici di Te?

* * *

Apro il Vangelo secondo Giovanni e leggo ciò che il Signore dice in un passo: “Io sono la porta. Chi entra attraverso di me sarà salvato” (Gv X, 9). Gesù Cristo è la porta e io non posso essere salvato se non entro attraverso di Lui. “Attraverso di Lui”, cioè se guardo il mondo con i suoi occhi, se penso al mondo con il suo spirito, se ciò che Lui considera importante è importante per me, se non lego il mio cuore a ciò che per Lui era una cosa secondaria. Guardare il mondo con gli occhi di Cristo! Quale utile lezione di vita è contenuta in questa frase apparentemente semplice! Perché Nostro Signore Gesù Cristo è sceso sulla terra? Per formare un nuovo tipo di uomo: l’uomo che lotta per la vita eterna. Tutto in Gesù Cristo serve a questo piano: la sua vita, le sue parole, la sua passione, la sua morte, la fondazione della Chiesa. Cristo era onnisciente; eppure non ha promulgato una sola verità di tipo scientifico, perché non la riteneva di importanza decisiva. Cristo è onnipotente, eppure non ha voluto lasciare alla tecnica, all’industria, alcuna linea guida che ne moltiplicasse l’efficienza. Cristo era bellezza eterna, e non ha fatto un solo quadro, una sola statua, una sola poesia, una sola composizione musicale. Cristo era l’amore eterno, e non ha insegnato come curare la tubercolosi o il cancro, o come eseguire operazioni chirurgiche. Cristo amava il bambino al massimo, eppure non ha lasciato in eredità ai posteri un metodo pedagogico a beneficio dei più piccoli. Perché? Perché non considerava tutte queste cose di importanza decisiva! Cosa era importante per Lui, allora? Credere in Dio, pregare, obbedire ai genitori, dire la verità, mantenere puro il proprio cuore; in altre parole, guardare il mondo alla luce dei suoi insegnamenti. Lui è la porta e solo chi entra attraverso di Lui sarà salvato. Continuiamo a chiedere: Dimmi, Signore, chi sei? E il Signore ci risponde in un altro passo: “Io sono il buon pastore” (Gv X,11). Cristo è il mio pastore, che non mi abbandona mai, che non fugge all’arrivo del nemico, che dà la vita per le pecore. È lecito per me avvilirmi, abbattermi, disperarmi, se so che Cristo è il Pastore che si prende teneramente cura di me? Ah, se il vento soffia, lo specchio liscio del lago trema, la mia fronte si corruga, è naturale, ma non è lecito per me disperarmi! Non è lecito piangere? Oh, sì, ma non ribellarsi! Anche il fiore piega il suo calice pieno di lacrime quando l’uragano scatenato passa su di lui. Come la sua rugiada cade sulla madre terra, così è lecito per me piangere; ma non in modo disperato, non rotto e spezzato, ma con la piena certezza che le mie lacrime cadono nelle mani amorevoli del Buon Pastore! E il pensiero del Buon Pastore non solo mi consola nelle disgrazie, ma mi dà anche forza nelle tentazioni. Quale forza acquisterei in tutte le tentazioni, se ricordassi questa grande verità in questi momenti! Questo Cristo che mi ha tanto amato, che ha dato la sua vita per me, questo Buon Pastore, ora mi chiede questo o quello, o mi proibisce questo o quello! È lecito per me disperare, dubitare come un uomo di poca fede, quando Cristo mi parla attraverso le circostanze? Perché Cristo ha dato se stesso per me fino alla morte; Cristo, il Buon Pastore. – E ancora chiediamo: Dimmi, Signore, chi sei? E Lui ci risponde così: “Io sono la vite, voi i tralci. Chi è unito a me e Io a lui porta molto frutto, perché senza di me non potete fare nulla. Senza di me non potete fare nulla. Chi non rimane in Me sarà scacciato come un tralcio che non porta frutto, appassirà e si seccherà, sarà preso e gettato nel fuoco e bruciato” (Gv XV, 5-6). Queste sono le parole di GESÙ CRISTO. Cristo è la vite e io sono il tralcio: che grave avvertimento, ma allo stesso tempo che grande onore! Il tralcio vive solo finché la linfa vitale della vite circola in esso. Anche la mia anima vivrà solo finché la forza di Cristo circolerà in me, finché il Cuore di Cristo batterà in me, cioè finché sarò fratello di Gesù Cristo. L’edera ha bisogno della roccia; se può arrampicarsi sulla roccia, fiorisce, ma se striscia per terra, ha una vita stentata. Il sempreverde ha bisogno della quercia; se può abbracciarla, riceve i raggi del sole vivificante; senza la quercia, non ha vita. Anch’io sono edera; Cristo è la mia roccia. Anch’io sono un sempreverde; Cristo è la mia quercia. Se mi aggrappo a Lui, volerò con gioia piena al di sopra di questa vita terrena, così piena di pantano, di dolore e di amarezza. Il buon Cristiano gode così della vita. I divertimenti legittimi e puri sono destinati a lui. Il buon Cristiano non deve mai essere triste, imbronciato, amareggiato – per niente! Al contrario. Chi ha l’anima in grazia, chi è unito al Signore, deve avere una pace e una gioia traboccanti. Il tralcio che ha una comunicazione vitale con la vite, trabocca di vigore e rigoglio. La più bella fioritura della vita cristiana mostra proprio agli uomini che, per godere della vera gioia, non è necessario peccare, né vivere in modo frivolo, né sprofondare nella dissolutezza dell’immoralità. Un Cristiano può essere duro con se stesso, mortificato come San Francesco d’Assisi, eppure sentire la sua anima inondata di grande felicità, come lo era l’anima di questo Santo, che parlava agli uccelli dell’aria, che predicava ai pesci e accarezzava il lupo della foresta. Per vivere così non devo mai dimenticare che Cristo è la vite e io sono il tralcio, cioè sono fratello di Cristo. Sono fratello di Cristo, quindi… vado a testa alta! Sono fratello di Cristo; perciò i miei occhi devono essere puri. Sono un fratello di Cristo, perciò tutte le mie parole devono essere espressione di verità. Sono un fratello di Cristo, quindi tutte le mie azioni devono essere giuste e corrette. Sono un fratello di Cristo, quindi la mia vita deve essere degna del Signore. Devo irradiare la luce che brilla in me; non ho altra scelta. La mia vita, le mie opere, le mie parole devono essere luminose. Sono fratello di Cristo; perciò non devo pensare, parlare, fare, amare nulla che Cristo stesso non possa pensare, dire, fare e amare. Perché Lui è la vite e io sono il tralcio. – Dimmi, Signore, chi sei? E CRISTO ci risponde: “Io sono la luce del mondo; chi segue me non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv VIII,12). Mi sembra di sentire l’obiezione: “Cosa? Cristo è la luce del mondo? Ci sono milioni di persone che non si interessano a Lui, che gli passano accanto senza nemmeno guardarlo! Milioni di persone che non sono cristiane! È vero che ancora oggi molti vivono lontani da Cristo. Ma questi o non hanno ancora sentito la Buona Novella di Cristo, o non vogliono più saperne di Lui. Questi ultimi proclamano, senza saperlo, la grandezza di Cristo; infatti, da duemila anni combattono contro di Lui e non sono riusciti a strappargli le sue pecore. Gli altri, quelli che non lo hanno ancora conosciuto, con quale gioia ascoltano quando qualcuno parla loro della vita e delle parole di Cristo! Infatti, che cos’è, in confronto alla luce di Cristo, la dottrina del Buddha, che viene dal nulla e ritorna al nulla? Che cos’è Maometto, accanto alla Luce del mondo? Maometto ha cercato di attingere l’acqua dai torrenti che sgorgano da Cristo; ne ha attinta ben poca, sta nella bacinella della sua mano. La sua luce è presa in prestito, esigua e impura. Cosa sarebbe il mondo senza la luce di Cristo? Non possiamo immaginare in quale abisso di tenebre scenderemmo. Che ne sarebbe del mondo se la terra inghiottisse intere città e paesi, se i grandi oceani scomparissero? Il mondo ci sarebbe ancora. Cosa ne sarebbe se tutte le gradi invenzioni tecnologiche che abbiamo, cessassero di esistere? Il mondo non cesserebbe ancora di esistere. Cosa sarebbe la storia del mondo senza i grandi scienziati, senza i più importanti filosofi? Potremmo fare a meno di loro. Ma cosa sarebbe l’umanità senza Cristo? Mancherebbe la sua anima e ciò che resterebbe non sarebbe altro che un cumulo di macerie in un’oscurità spaventosa. Cristo è la luce del mondo. – Dimmi, Signore, chi sei? E il Signore risponde: “Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà mai fame e chi crede in me non avrà mai sete” (Gv XIV: 6). In effetti, Cristo è il pane della vita, perché senza di Lui non potremmo vivere. Se non avessimo Cristo, quale speranza resterebbe all’uomo peccatore? Se non avessimo Cristo, chi si prenderebbe cura dei poveri? Se non avessimo Cristo, chi frenerebbe gli eccessi dei forti, chi solleverebbe gli spiriti dei deboli? Se non avessimo Cristo, chi difenderebbe i non nati? Se non avessimo Cristo, a chi si rivolgerebbe l’uomo nella tentazione? Se non avessimo Cristo, a chi si rivolgerebbe il povero malato? Sì, Signore; sappiamo, sentiamo, sperimentiamo ad ogni passo che Tu sei il pane della vita e che chi viene a Te non avrà più fame e chi crede in Te non avrà più sete. – Dimmi, Signore, chi sei? E il Signore risponde: “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv XIV, 6). Molti hanno voluto essere le guide dell’umanità, ma nessuno più di Cristo ha osato affermare che “Io sono la via”, che dobbiamo essere come Lui, che dobbiamo imitarlo in tutto. L’umanità ha avuto molti maestri, ma nessuno ha osato affermare come Cristo: “Io sono la verità”. Molte promesse sono state fatte e vengono fatte nel nostro tempo, ma non ci viene detto: “Io sono la vita”. Se Cristo è la via, chi si allontana da Lui si smarrisce. Se Cristo è la verità, chi lo nega o si vanta di non conoscerlo cade nell’errore. E se Cristo è la vita, chi rifiuta di ricevere la sua linfa sarà come un albero secco. E questo principio non vale solo per la vita dei singoli, ma anche per la vita della società, degli Stati stessi, dell’Umanità. Se le vie e le leggi sono contrarie alle vie e alle leggi di Cristo, la rovina è certa, sia degli individui che delle collettività. È vero che Cristo non ci esenta dalle difficoltà della vita; ma ci dà la forza, il coraggio, la libertà interiore, la maturità spirituale per sopportarle. L’individuo che segue Cristo sarà onorato nella sua condotta, meriterà la fiducia degli altri, avrà un grande spirito di sacrificio, amerà il prossimo. Oggi più che mai l’umanità ha bisogno di vivere questo spirito cristiano. Perché viviamo in un mondo competitivo, dove la cosa principale è il profitto e l’efficienza. Perché l’egoismo è all’ordine del giorno, perché i conflitti di interesse si moltiplicano, perché i Paesi ricchi cercano di conquistare il mondo, perché siamo padroni di molte materie, ma non di noi stessi. Cristo è la via, la verità e la vita. Vita non solo dell’individuo, ma anche della famiglia e della società. – Dimmi, Signore, chi sei? E il Signore risponde: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà” (Gv IX, 25). Queste parole del Signore ci incoraggiano e ci danno speranza. La mia vita ha un senso, non finisce con la morte. Il Signore è in grado di riportare in vita una persona morta? Sì. Lo ha fatto diverse volte durante la sua vita terrena. Ma non ci crediamo del tutto? Ha calmato la tempesta sul lago di Gennesaret… Ma a cosa mi serve sapere”, obietterà il marinaio che lotta contro l’uragano, “se poi vengo inghiottito dagli abissi?”. L’orlo della sua veste curò una volta il malato…. “Ma a cosa mi serve”, si lamenta un giovane gravemente malato, “se sono malato da anni e non sono guarito?”. Gesù ha risuscitato i morti… Ma a che mi serve”, dice la vedova, “se mio marito è morto e i miei figli sono morti? Quanti sono quelli che si lamentano così, ma senza motivo! Gesù Cristo, nella sua vita terrena, non ha voluto calmare tutte le tempeste, guarire tutti i malati, risuscitare tutti i morti!0 Perché non è venuto per questo. Se ha mandato al mare, alla malattia, alla morte, lo ha fatto per dimostrare che davvero “a Lui è data ogni autorità in cielo e in terra”, anche su tutte le disgrazie, anche sui morti! Sulla morte stessa, è il suo potere, e che Egli “è la risurrezione e la vita, e chi crede in Lui, anche se muore, vivrà”. Se lo volesse, potrebbe salvare, anche oggi, tutti i naufraghi. Se Lui volesse, potrebbe guarire tutti i nostri malati. Ma non è questo che Egli vuole. Allora cosa vuole? Ci dice: “Rimanete nel mio amore”. “Chi mi ama osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e Noi verremo a lui e prenderemo dimora in lui”. Vale a dire, instaurate nella vostra anima e nel mondo intero il regno di Dio: il regno della fiducia ancorata a Dio, il regno dell’amore di Dio, in Dio e per Dio. Lavorate perché il mio amore abbracci tutta la terra…. Morirete…, ma un giorno verrò di nuovo e spazzerò via ogni miseria e cancellerò ogni lacrima…. “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà”.

* * *

Ecco, mentre sfoglio il Vangelo, il volto santo e divino di Nostro Signore Gesù Cristo diventa ad ogni pagina più bello, più radioso, più caldo, più soggiogante, più chiaro. Chi conosce Gesù Cristo sa tutto, chi lo ignora non sa nulla.

Signore, Tu sei la porta; attraverso di Te fammi entrare una volta per tutte.

Signore, Tu sei il Buon Pastore; fammi diventare una pecora docile del Tuo gregge.

Signore, Tu sei la vite; fa’ di me un tralcio vivo nutrito dalla Tua linfa.

Signore, Tu sei la luce del mondo; fa’ che la tua luce illumini tutta la mia vita.

Signore, Tu sei il pane della vita; nutriti per me.

Signore, Tu sei la via, la verità e la vita; guidami sulla via della verità verso la vita divina.

Signore, Tu sei la risurrezione e la vita; credo che un giorno risorgerò per vivere con Te in cielo.

VIVA CRISTO RE! (19)

CRISTO-RE (19)

TOTH TIHAMER:

Gregor. Ed. in Padova, 1954

Imprim. Jannes Jeremich, Ep. Beris

CAPITOLO XXIII

CRISTO, RE DELLE MADRI.

Nel presente capitolo esamineremo la più alta missione che Dio abbia dato alla donna: la missione della maternità. Dio ha fissato una missione peculiare per ogni essere di questo mondo. Qual è la missione primaria, la più peculiare, la più importante della donna? La missione di essere madre. E non solo in senso fisico, ma anche in senso spirituale. È questo il punto che vorrei sottolineare in modo particolare a quelle ragazze addolorate che, per ragioni indipendenti dalla loro volontà, non sono riuscite a sposarsi. Devono rendersi conto che, nonostante tutto, questo non impedisce loro di aspirare alla maternità, anche se solo in senso spirituale. Infatti, è lo stesso spirito che spinge una donna a esercitare il suo ruolo di madre curando ed educando i figli, così come quello che opera in un’infermiera, in un’insegnante, in una religiosa, in una catechista per svolgere il suo compito. – Se nelle pagine precedenti ho mostrato quanto la donna, in generale, debba a Cristo, permettetemi ora di sottolineare quanto debba a Lui come moglie e madre. – La nascita di Nostro Signore Gesù Cristo segna l’ora della redenzione per la sposa e l’ora della gloria per la madre. Ora di redenzione, perché il Signore ha restaurato l’unità, la santità e l’indissolubilità del matrimonio. Le sue parole sono per sempre memorabili: “Non avete letto che Colui che all’inizio creò il genere umano creò un solo uomo e una sola donna e disse loro: “Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne”? Ciò che dunque Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi” (Mt XIX, 4-5.6). E in un’altra occasione il Signore dice: “Chiunque divorzia dalla propria moglie e ne sposa un’altra commette adulterio, e chiunque sposa colei che è divorziata dal marito commette adulterio” (Lc XVI:18). Donne, madri, non sentite quanto amore per voi emana da queste parole del Signore? Ma c’è di più: sapete chi ha promulgato il primo decreto in difesa delle donne? GESÙ CRISTO stesso, quando pronunciò le seguenti parole: “Avete udito che fu detto ai vostri anziani: “Non commetterete adulterio”. Ma io vi dico che chiunque guardi una donna con desiderio cattivo di lei ha già commesso adulterio nel suo cuore” (Mt V,27-28). Donne, non sentite l’immensa gratitudine che dovete a Gesù Cristo? – Cosa deve una donna a Cristo? Innanzitutto, gli deve l’indissolubilità del matrimonio. Quanto sarebbe triste la situazione delle donne ancora oggi se un marito potesse divorziare dalla moglie quando vuole! Una donna sacrifica tutto al servizio del marito e dei figli: la sua bellezza, la sua forza, la sua giovinezza; ebbene, è lecito divorziare quando la sua bellezza è svanita? E quanti lo farebbero se fosse possibile! Spesso la Chiesa deve subire rimproveri rabbiosi da parte di donne divorziate civilmente che vorrebbero risposarsi: “La Religione cattolica è crudele, antiquata, non ha cuore, non mi permette di sposarmi! – Ma donna, non ti rendi conto che la Chiesa ti sta difendendo, non vedi che sta difendendo la tua dignità specifica, la tua condizione di compagna, non di serva, dell’uomo? Madre, devi mostrare una gratitudine speciale al Signore. Devi essergli grata perché non è più lecito che il marito prenda il bambino dal tuo seno e lo abbandoni, condannandolo a morire di fame. È merito di Gesù Cristo! Gesù Cristo, che ha steso la mano per benedire i piccoli di entrambi i sessi e ha detto: “Chi accoglie un bambino nel mio nome, accoglie me” (Mt XVIII, 5). – Quali sono i benefici che le madri devono a Cristo? Ecco il primo: la Vergine Maria, la cui figura esaltata dice a tutti gli uomini con quale alta considerazione dobbiamo trattare le madri. Tutto ciò che di sublime la Chiesa ha saputo creare nell’arte e nella liturgia, nelle immagini, nelle statue, nelle pietre preziose, nella musica, nel canto, nella poesia, lo ha posto ai piedi della Vergine Madre; e questo culto della Donna Benedetta, radicato in tutto il mondo, sta proclamando a gran voce il grande rispetto dovuto alle madri, soprattutto alle madri cristiane. “Madre cristiana!” Mentre scrivo questa parola un mare di sentimenti si agita in me. “Madre cristiana!” Mentre la scrivo, penso a tutti i dolori e alle fatiche di una vita piena di sacrifici. “Madre cristiana!” L’amore più grande che possa entrare in un cuore umano. Quanto l’umanità deve ai sacrifici delle madri! Non ci sono parole per descriverlo. Guardate il famoso scienziato, che è diventato tale grazie alle cure prodigategli dalla madre! Guardate il Sacerdote, come lo ha preparato l’amore di sua madre! Guardate la madre che veglia di notte al capezzale del figlio malato; guardate la preghiera delle madri, che sale incessantemente al cielo! Quanti altri esempi potremmo fare…! Considerate tutte queste cose e forse arriverete a capire cosa significhi l’amore di una madre cristiana. – In verità, tra i doni che Dio ci ha concesso, non ce n’è uno più eccelso di questo: aver avuto una madre fervente e cristiana. Donna che hai il titolo di madre, sii veramente una madre cristiana! Una madre è stata sepolta. La figlia sedicenne si precipitò verso la bara gridando: “Madre mia, portami con te!” Che lode per una madre! Che conforto ricordare una madre così!

II

Abbiamo visto a quale altezza Cristo abbia innalzato la dignità di una madre; studiamo ora come essa si sgretoli, come tale dignità perisca se si rinuncia a Cristo. Contempliamo una bella immagine della Vergine con il Bambino Gesù in braccio. Se dovessimo fare una statistica per sapere quale soggetto è stato più trattato dai pittori, credo che non potrebbe essere altro che quello della Vergine con Cristo, diverso da quello della Vergine con il Bambino in braccio. È la maternità, il compito più importante del mondo! Ma oggi viviamo in un mondo in cui si cerca in tutti i modi di privare la donna della sua più alta dignità. Oggi è di moda evitare la maternità, persino vergognarsi della maternità. Un simile peccato non è nuovo tra gli uomini; ma non è mai stato così diffuso come oggi, diventando addirittura uno stile di vita, un modo di pensare, un’intera mentalità anti-vita o contraccettiva. Come canta l’allodola nelle mattine di primavera; come gorgheggia l’usignolo; come cinguettano gioiosi gli uccelli canori di Dio! Perché, perché tutto questo? Per amore dei “piccoli”. Ogni canto, ogni nido, tutta la poesia della vita è per loro, per i pulcini. Anche il lupo più feroce, o la leonessa più feroce, rabbrividiscono di tenerezza quando si prendono cura dei loro piccoli nella giungla. Ma nella specie umana non è lo stesso, ci sono madri che guardano con orrore e persino con odio l’arrivo di una nuova prole, per chiudere la strada prima che i poveri piccoli abbiano avuto la possibilità di nascere. La bestia selvaggia si lascia uccidere per difendere i suoi cuccioli; la donna moderna fa il contrario, fa di tutto perché il suo bambino non venga concepito e, se viene concepito, che non nasca… con una freddezza spaventosa, per puro egoismo, perché non disturbi minimamente il suo benessere? Ecco quanto si abbassa la madre quando l’umanità si separa da Cristo. Essere madre ha sempre significato molta abnegazione, molta mortificazione, molti sacrifici; ma oggi significa non di rado avere un eroismo da martire! Se, in questi tempi, la moglie vuole essere madre, deve essere pronta a subire gli attacchi più duri. Il marito, l’amica, la vicina di casa, la portinaia, la sarta, la manicure…; tutti cercheranno, prima in modo cauto e subdolo, poi in modo palese, di farle capire che ciò che desidera è una temerarietà, una vera e propria barbarie, che i tempi non lo permettono. Madri, volete un pensiero che vi consoli in questi tempi? Pensate al severo rimprovero che Nostro Signore Gesù Cristo rivolse al fico sterile. Pensate alla Beata Vergine che, apprendendo per rivelazione dal cielo i misteri della sua divina maternità, scoppiò in un canto di gioia santa e traboccante: “L’anima mia glorifica il Signore… perché Colui che è potente ha fatto in me grandi cose…” (Lc 1, 46.49). Alzate gli occhi verso questa Madre Santissima, che ci mostra tra le sue braccia il Figlio amato, invitandoci a essere vere madri! Pensate all’umanità, perché siete il suo sostegno. E pensate anche alla patria eterna, che non potrete certo conquistare con i divertimenti, gli studi o il prestigio umano…, ma con l’alta missione a cui Dio vi ha chiamate, la buona educazione dei figli, come vi avverte l’Apostolo (I Tim II, 15), e compiendo fedelmente i vostri doveri di moglie e di madre.

* * *

Vorrei concludere queste righe con il caso tragico e sublime narrato nel libro II (capitolo XXI) dei Re dell’Antico Testamento. Saul, re degli Israeliti, aveva punito molto severamente i Gabaoniti; questi si vendicarono crudelmente crocifiggendo i suoi due figli e cinque nipoti sulla cima di un monte e, per rendere più dura la punizione, non permisero che fossero sepolti. Ed ora arriva una scena agghiacciante: Resfa, la moglie di Saul, appare e fa la guardia ai sette cadaveri per tutta la notte… per evitare che vengano fatti a pezzi dagli sciacalli. A tal fine, accende un fuoco e inizia a gridare per spaventare le bestie selvagge e farle fuggire… Sorge il giorno: i rapaci affamati si posano sui morti… e la donna lancia pietre contro di loro per tutto il giorno, affinché non si avvicinino… E così trascorre giorni e settimane, sempre di guardia accanto ai cadaveri dei suoi figli e nipoti. Per sei mesi! Alla fine i gibeoniti hanno pietà della madre e le permettono di seppellirli…. Che testimonianza del cuore di una madre! Eppure, in questo caso, la madre stava solo difendendo i cadaveri dei suoi figli morti. Voi, madri cristiane, difendete le anime vive e immortali dei vostri figli! Donne, siate orgogliose della vostra maternità, proprio ora che è così screditata. Prendete Nostro Signore Gesù Cristo come vostro Re, quando tanti Lo rifiutano. Madri: la vita familiare è malata, voi potete curarla! Madri, la vita sociale è malata e voi potete curarla! Madri, l’umanità intera è malata e voi potete curarla! Che il Signore del cielo faccia conoscere alle donne la grande missione a cui le chiama. Solo così il futuro della società e della Chiesa sarà sicuro.

CAPITOLO XXIV

CRISTO, RE DELLA MORTE

Cristo è Re non solo della vita, ma anche della morte.

La Chiesa dedica un mese intero, il mese di novembre, soprattutto ai defunti, e con questo ci dice di tenere sempre ben presente la morte. Dobbiamo dare sollievo ai nostri cari defunti, ma dobbiamo anche ricordare sempre la morte, in modo da acquisire la forza d’animo e la serenità che deriva dalla consapevolezza che siamo solo di passaggio. La Chiesa sembra indifferente quando ci grida: “Uomini! Ricordatevi dei vostri cari morti; ancor più: ricordatevi anche della vostra morte”. Ma ci parla della morte non per spaventarci, ma per incoraggiarci. I cimiteri ci annunciano la verità, anche se ci addolora; e per non farci disperare, la croce sta sopra le tombe. Cristo, re della morte, ci porta la resurrezione. Ma cosa ci predica la Chiesa nel ricordarci la morte? Ci predica una grande verità, una verità spaventosa: la vita dell’uomo su questa terra dura pochi decenni, e poi è finita. Tutti dobbiamo morire: io come voi. “Perché pensarci, perché rovinare il nostro buon umore”, si dice. E ci sono davvero molti che non vogliono pensare alla morte, in questo grave momento. Vivono come se dovessero vivere sempre in questo mondo, ma come si ingannano! Che si pensi o meno alla morte, ci si avvicina ad essa di momento in momento; la differenza tra l’uno e l’altro è che l’uomo che pensa spesso alla morte cessa di temerla. La morte è senza dubbio un potere spaventoso. Andate nei cimiteri…, cosa leggete sulle tombe? Che il bambino, l’uomo adulto, il vecchio, il potente come il debole, il povero come il ricco, tutti devono morire.

Ave, Cesare, morituri te salutant! Ti salutiamo, Cesare, noi che stiamo per morire. Questo è il grande grido che l’umanità grida incessantemente al passaggio della morte…; ma questo Cesare non lo perdona mai. Alza la mano per farci morire, non per esercitare la misericordia. Siamo condannati a morire dalla nascita. Il sonno, il cibo, i vestiti, il riposo, non sono che tentativi di sopprimere la morte. Alla fine essa vince! Quante cose ci dicono quei morti silenziosi: “Io ero come te, tu sarai come me”! Che ci si pensi o che lo si dimentichi, poco importa. “Vegliate, perché nell’ora che meno ve lo aspettate, il Figlio dell’uomo verrà”, dice il Signore. TALLEYRAND, il famoso politico francese, aveva molta paura della morte. La parola “morte” non poteva essere pronunciata in sua presenza. Non osavano dirgli della morte dei suoi migliori amici, tanto che non sapeva nemmeno che alcuni di loro fossero morti. Ma invano vegliava, invano si difendeva: un giorno si ammalò anche lui. Supplica il suo medico: “Le darò un milione di franchi per ogni mese che riuscirò a prolungare la mia vita”. Invano… Quando arrivò la sua ora, morì anche lui… “Quando venne la sua ora…” Come faccio a sapere che tra un anno non sarà arrivata anche la mia ora! “Chissà quando arriverà”, dice qualcuno per consolarsi? Sì, anch’io dico la stessa cosa, ma con un tono diverso: “Chi sa quando arriverà? Stiamo tutti in guardia, per evitare di fare la fine del maggiordomo di Re Salomone. È una vecchia leggenda. Si racconta che la morte bussò una mattina alla porta dell’intendente di Salomone e lo guardò in modo così strano, con tale sorpresa, che il potente cortigiano si sentì gelare il sangue nelle vene. Corse dal re: “Mio signore, grande re”, disse, “sono sempre stato un tuo fedele vassallo, non negarmi ora una richiesta: dammi il tuo destriero più veloce”. Il re non poteva rifiutare una simile richiesta e l’accolse. L’intendente saltò in sella al cavallo e…. Avanti, per fuggire in ogni caso!…. Per tutto il giorno spronò il suo cavallo ansimante…; voleva andare lontano… il più lontano possibile, per sfuggire alla morte… Quando scese la notte, cavaliere e cavallo si fermarono esausti per riposare un po’, lontano, sul ciglio della strada. Quando l’intendente salta, quasi senza forze, fuori dalla sella, mio Dio, cosa vede lì? Chi è seduto sul ciglio della strada, a guardare il cavaliere stanco? La morte. Il maggiordomo, esausto, si arrende al suo destino e dice: “Vedo che non posso scappare da te; eccomi, prendimi. Ma prima rispondi a una sola domanda: “Stamattina, quando sei entrato nella mia stanza, perché mi hai guardato con tanta sorpresa? – Perché avevo ricevuto l’ordine di prenderti al tramonto, qui, su questa strada. Sono rimasto sorpreso e mi sono detto: sarà una cosa difficile, quel posto è così lontano. Ma vedo che comunque sei venuto…”. La morte stava portando via l’amministratore. Cosa avverte il Signore… “Vegliate, perché il Figlio dell’uomo viene nell’ora che non vi aspettate” (Mt 24,42). La morte parla anche dell’orrore del peccato. La morte fa paura, perché? Perché la morte dell’uomo non faceva parte del piano originale di Dio, quindi cos’è il peccato agli occhi di Dio quando lo punisce con la morte? I nostri primi genitori, mangiando il frutto proibito, hanno mangiato anche la morte. Il piano originale di Dio prevedeva che anche il nostro corpo fosse immortale. Ma dopo il peccato, questo corpo è diventato fragile come un vaso di terracotta (è la stessa Sacra Scrittura a dirlo). E ancora più fragile: un vaso, se non viene danneggiato, può durare secoli. Ma la vita di un uomo è di circa “settant’anni, o forse ottanta”; in ogni caso, per quanto possa essere conservata, si risolve in un pugno di cenere. Che cosa sarà dunque il peccato, quando una tale punizione è stata meritata da Dio? Alla luce di questi principi, possiamo ancora avere un concetto frivolo della vita? I trappisti si salutano spesso in questo modo: Memento mori, “Pensa alla morte”. Anche noi dobbiamo meditare spesso su di essa. Soprattutto nelle ore di tentazione. – Lo specchio di NUMA POMPILIO, l’antico re romano, aveva un teschio come cornice con questa iscrizione: Hoc speculum non fallit: “Questo specchio non inganna”. Anche il pensiero della morte non inganna: sotto il suo suo influsso si dissipano molte tentazioni di peccato. Perché vivere da cristiano è talvolta difficile, e morire da Cristiano è facile: la morte, invece, è difficile per coloro per i quali la vita è stata facile. E la morte sottolinea la vanità del mondo. Essa proclama a gran voce la grande verità: non temere quando soffri, non fidarti troppo quando tutto va bene. – HORMIDA, un illustre persiano, si recò una volta a Roma, a quel tempo capitale del mondo. Al momento di congedarsi, l’imperatore romano gli chiese: “Cosa ne pensi di Roma? Non vorresti rimanere qui?” “Mio signore”, rispose il persiano, “in nessuna parte del mondo ho visto bellezze così ammirevoli. Ma se posso parlare sinceramente, vi dirò che queste bellezze non mi hanno abbagliato. Infatti, tra colonne, archi di trionfo, palazzi e templi magnifici, ho visto anche delle tombe; quindi gli uomini muoiono a Roma come in Persia? Quando ho scoperto questa verità, la bellezza più luminosa si è oscurata davanti ai miei occhi”. Questo persiano aveva proprio ragione. Anche io sono colpito da un pensiero ogni volta che mi trovo in un cimitero: “Se tutti questi morti, che riposano qui a migliaia, venissero ora resuscitati con il permesso di vivere, per esempio, per un anno, cosa accadrebbe? Vivrebbero con la stessa frivolezza, commetterebbero lo stesso numero di peccati della loro prima vita? Avrebbero una così bassa considerazione dei precetti divini? Sanno già che la bellezza, la ricchezza, la vanità, tutto, tutto passa”. Ma questo non è che un sogno di fantasia: i morti non possono tornare, non è più dato loro di riparare a ciò che hanno fatto. Ma si può ancora riparare. Pensate! Non avete forse offeso il vostro vicino, con il quale avreste dovuto fare pace? Non possedete denaro, oggetti di valore, che avete acquisito illegittimamente e che dovreste restituire? Non c’è nessuno a cui dovreste dire: “Oh, non fare, non fare quello che hai imparato da me? Potete ancora riparare a tutto. Non rimandate, non dite: lo farò. Non c’è potere al mondo capace di trattenere nel corpo l’anima che sta prendendo il volo: né le medicine, né le migliori cure prodigate ai malati, né i singhiozzi dei presenti; per quanto atroci siano le sofferenze che torturano il malato, egli non può morire prima, e per quanto possa ancora desiderare di vivere, non può vivere più a lungo di quanto la misteriosa legge di Dio gli permetta. Confessate, dunque, che è una follia pensare costantemente al corpo e trascurare l’anima! Non vedete come gli uomini dimenticano rapidamente i morti e come vanno facilmente a divertirsi quando lasciano il cimitero? Non capite come crolla rapidamente l’opera principale della vostra vita? Non pensate come coloro che non si sono mai stancati di lodarvi in vita vi dimenticheranno dopo la morte? Considerate, dunque, quanto sia pericoloso cercare il favore degli uomini e non cercare l’approvazione del Dio eterno. Per le stesse ragioni, la morte rende più importante la vita terrena. La morte non è la fine di tutto. Quando l’uomo muore, arriva il giudizio. “È tutto finito”, singhiozza la vedova mentre il marito morente esala l’ultimo respiro. Ah, non è così. Perché se fosse tutto finito… Ma non è finita. Al contrario: proprio morendo, siamo all’inizio: all’inizio della vita eterna. E tutto dipende da questo: come ho vissuto, in che stato sono morto. Spesso nei necrologi leggiamo queste parole: “Morto inaspettatamente”. Inaspettatamente? Ma quasi tutti noi non moriamo “inaspettatamente”? Non solo chi muore di infarto, ma anche la persona più gravemente malata, perché…. non si aspettava ancora la morte”. Tutti sappiamo che moriremo; ma tutti crediamo che non moriremo adesso. Pertanto, dobbiamo aspettarla, dobbiamo essere preparati. Non sapete dove vi aspetta la morte: aspettatela ovunque.

II

Le tombe ci ricordano la nostra morte! È qualcosa che ci rattrista, che ci toglie lo spirito. E cosa annuncia la croce sulle nostre tombe? Ci dice che c’è vita nell’aldilà, che Cristo è il Re sulla morte, perché Cristo è risorto dai morti e ha vinto la morte. Il cimitero è un terreno sacro, è il grande campo coltivato da Dio. I semi, le persone, sono stati seminati in esso affinché un giorno germoglino e si diffondano nella vita eterna. C’è una vita oltre la morte! Sì, chi vive per Cristo non teme la morte. – Il grande missionario SAN FRANCESCO SAVERIO morì consumato dalla febbre lontano dalla sua patria, su una piccola isola al largo della Cina, pronunciando queste parole: “Signore, in Te ho sperato; non sarò mai confuso”. – SAN CARLO in tutta la sua vita non fece altro che vivere per Cristo, ma guardò a Lui; così poté dire sul letto di morte: “Eccomi, vengo”. – SAN VINCENZO DI PAOLO morì con queste parole: “Che Egli stesso compia in me la sua santa volontà”. – SAN ANDREA AVELLINO sentì il colpo della morte sull’altare quando pronunciò queste parole, Introibo ad altare Dei: “Mi accosterò all’altare del Signore”. Durante le persecuzioni, un diacono in Africa stava giustamente cantando l’Alleluia pasquale dal pulpito, quando una freccia gli trapassò la gola e dovette finire l’Alleluia davanti al trono di Dio. Non importa… Cristo è il Re della morte! – Nella cattedrale di Santo Stefano a Vienna, c’è un monumento tombale che affascina. In groppa a un destriero agitato, un giovane principe in cotta di maglia sale su una collina fiorita. Ai piedi della collina si trova una fontana. Dietro di essa si nasconde la perfida Morte; la sua falce è nascosta dai bellissimi fiori. Il cavaliere si china verso la fontana; i riccioli dei suoi capelli gli cadono sul viso; nello specchio limpido dell’acqua, la volta azzurra del cielo. Si alza in piedi. La morte è su di lui. Nessuno è ancora riuscito a sfuggire a un simile colpo… E trecento anni fa, un cavallo tornò indietro senza il suo cavaliere, e il suo proprietario fu sepolto in quella chiesa. Oggi mi fermo davanti al monumento. L’iscrizione è stata cancellata dal tempo e non posso nemmeno chiedergli: “Bel cavaliere, come ti chiamavi? Nel fiore degli anni sei stato colpito dalla morte!”. Ma la sua anima vive! Facciamo un passo avanti. Un ampio sarcofago di pietra nella Chiesa. Molto tempo fa le spoglie del potente re, dominatore del mondo, davanti al quale si prostrarono migliaia di vassalli, si ridussero in polvere; ora anche lui è polvere. Non ci fermiamo nemmeno davanti al suo monumento, perché altri ricordi ci chiamano. Le pareti sono piene di lapidi di marmo con iscrizioni dorate. Corona, trionfo, sfarzo, benessere, bellezza, giovinezza, potenza…; queste sono le parole che ci è ancora permesso leggere sulle lastre consumate dal tempo, e da esse scaturisce la lezione: tutto questo splendore, tutta questa gloria, appartengono ormai al passato. Ma le loro anime continuano a vivere! Premo la mia fronte ardente contro il marmo freddo e grido alle profondità delle tombe: “Tu, eroico capitano; tu, nobile giovane; tu, principessa dal bel viso; tu, re sovrano; tutti voi che siete qui ridotti in cenere, avete pensato alla morte durante la vostra vita? Se lo avete fatto, ora sarete contenti di averlo fatto…”. Nessuno risponde, non sento altro che il battito del mio cuore. E nel momento in cui il pensiero schiacciante della morte mi opprime, sull’altare maggiore si sente il Vangelo della Messa per i morti: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv XI, 25-26). Parole consolanti! …. La Santa Messa continua e risuona il mirabile prefazio: “È veramente giusto e necessario, è nostro dovere e nostra salvezza renderti grazie sempre e dovunque, o Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno, per Cristo nostro Signore. Nel quale rifulse per noi la speranza della felice risurrezione, affinché noi, che siamo rattristati dalla certezza della morte, fossimo confortati dalla promessa della futura immortalità. Perché per i tuoi fedeli, Signore, la vita non si spegne, ma solo si trasforma, e mentre la nostra casa terrena si sgretola, acquistiamo una dimora eterna in cielo…”. Cristo è la risurrezione e la vita. La nostra vita non si spegne, ma viene solo trasformata e ci viene preparata una dimora eterna in cielo. Cristo, nostro Signore Gesù Cristo! Tu sei anche il Re della morte!

* * *

Il momento della morte è difficile. Nessuno, per quanto vicino, può aiutarci a superarlo. Dobbiamo intraprendere da soli il cammino più difficile della nostra vita. Tuttavia… c’è una mano a cui possiamo aggrapparci. Una mano che è stata trafitta sulla croce. Una mano che ha teso la mano della misericordia al ladrone crocifisso. Una mano che si è posata nel perdono sul capo della Maddalena pentita…. La morte è una cosa terribile. Ma coloro che sono guidati da Cristo lungo il difficile cammino della vita non saranno oppressi; la prova non sarà difficile per loro. Come faccio a saperlo? Me l’ha detto una bambina. Una bambina malata. Uno dei miei colleghi Sacerdoti fu chiamato a confessare una bambina che stava morendo. La bambina era malata da tempo; sapeva che la morte si stava avvicinando; ma era così tranquilla che il Sacerdote le chiese: “Non hai paura della morte, bambina mia?” “Prima la temevo, ma da quando è successa quella cosa della vespa, non la temo più”. “Della vespa?” “Beh, sì. Ero seduto in giardino e all’improvviso è arrivata una grossa vespa che ronzava, ronzava e io avevo paura che mi pungesse…; ho gridato: Mamma! E mia madre mi ha sorriso e mi ha abbracciato, coprendomi completamente, e mi ha detto: Non avere paura, piccolo mio. E la vespa svolazzò… e ronzò…, salì sul braccio di mia madre e la punse…, e mia madre continuò a sorridermi: “Non ti fa male, vero? Guarda, sarà così anche con la morte, non ti farà male, perché il suo pungiglione è stato spezzato prima nel Cuore di Nostro Signore Gesù Cristo. Da allora non ho più paura della morte!”. – Che Nostro Signore Gesù Cristo ci conforti quando arriva la nostra ora e ci faccia vivere il pensiero che il pungiglione della morte è stato spezzato nel Suo Cuore…, nel Suo Sacro Cuore.

VIVA CRISTO RE (20)

VIVA CRISTO RE (18)

CRISTO-RE (18)

TOTH TIHAMER:

Gregor. Ed. in Padova, 1954

Imprim. Jannes Jeremich, Ep. Beris

CAPITOLO XXII

CRISTO, RE DELLA DONNA

All’inizio del quinto secolo dopo la nascita di Nostro Signore Gesù Cristo, Roma stava attraversando giorni luttuosi: dopo essere stata devastata dalle migrazioni di vari popoli, le truppe di Alarico avevano infine depredato la città, un tempo potente, lasciandola nella miseria dei mendicanti. I nobili pagani rimproverarono aspramente i Cristiani. “Voi siete la causa di tutto questo”, dicevano. “Noi? -, disse Sant’Agostino nel suo libro De civitate Dei, “noi, per aver abbattuto gli idoli? Al contrario: è perché ci sono ancora troppi idoli, perché voi credete ancora in essi. Per questo ci è capitata la disgrazia”. – Anche il mondo moderno scricchiola: è perché siamo Cristiani? Al contrario: perché non lo siamo, perché non seguiamo abbastanza Cristo. L’umanità, la società, la famiglia moderna hanno ancora troppi idoli. L’idolatria continua intorno a noi, abbiamo criteri pagani, abbiamo un concetto di vita completamente pagano, idolatriamo i piaceri, alla maniera dei gentili; per questo il mondo sta crollando. Abbiamo già visto nei capitoli precedenti dove andrà a finire l’umanità se si separerà da Cristo. Ora arriviamo ad un argomento nuovo e molto importante. Tratteremo la grande questione della donna, con questo titolo: Cristo, re della donna. – La “questione della donna” è senza dubbio uno dei problemi più banali del nostro tempo: il medico, il politico, il sociologo, il teatro, la letteratura parlano della donna; anche il Sacerdote deve parlare della donna. Esaminiamo il concetto di Gesù Cristo e della sua Chiesa nei confronti della donna. Vorrei chiarire due punti: I. A che punto è arrivata la donna con Cristo e II. Cosa ne sarebbe della donna senza Cristo.

I

Che cosa deve la donna a Cristo? Basta guardare la sua sorte prima che il Verbo si facesse carne: che vita umiliante aveva persino nella colta società greca! È noto che la maggior parte degli abitanti della Grecia era costituita da schiavi. Poiché agli schiavi era generalmente vietato sposarsi, ciò significava che la maggior parte delle giovani greche non poteva sposarsi. Pertanto, ciò che le aspettava era uno spaventoso degrado morale. E se una schiava si sposava, il suo matrimonio poteva essere sciolto a piacimento del padrone. La condizione delle donne delle classi superiori non era migliore. Il giovane greco era arricchito da tutta la cultura spirituale del suo tempo, mentre le ragazze sapevano solo ballare e cantare. Data questa grande differenza spirituale, non era possibile per l’uomo e la donna avere un rapporto ed un’unione perfetta, quella completa armonia senza la quale non è possibile una vita coniugale felice. Non è possibile una convivenza coniugale felice. Soprattutto se consideriamo che non è stato il giovane a scegliere la moglie, ma il padre. – E la situazione della donna nel matrimonio? Aveva un alloggio separato in casa e non poteva lasciare la dipendenza dalle donne, se non per le pratiche religiose; c’erano guardie speciali perché la donna non potesse mai uscire di casa. Quando il marito voleva divorziare, era libero dalla moglie. La moglie non poteva stipulare contratti d’affari, non poteva comprare, non poteva servire come testimone. Quando rimaneva vedova, il figlio maggiore era il suo tutore. Trovava almeno la sua gioia nei figli? Nemmeno in loro. Il padre aveva il diritto di decidere, il quinto giorno dopo la nascita del bambino, se voleva accettarlo o se preferiva mandarlo via a morire di fame. E quando il bambino era malato o il neonato era una femmina, non era difficile per il padre prendere una decisione in merito. Oggi è più difficile per la casalinga scegliere quale gattino tenere tra quelli appena nati. È spaventoso, ma è così che era. La donna greca non aveva dignità, non aveva libertà, non era amata e veniva privata di ogni tipo di diritto. Che il popolo greco, all’apice della sua cultura, sia rimasto indietro in termini di umanità e di elevazione morale, non lo attribuiamo al popolo stesso, ma alla meschinità umana, che vacilla nelle tenebre se non è illuminata dalla luce di Cristo. – E se questa era la sorte delle donne presso i popoli più civilizzati dell’antichità, cosa possiamo aspettarci dai popoli barbari? Possiamo meravigliarci che gli uomini si comprassero le mogli a vicenda e che il padre vendesse la figlia al pretendente? Che fosse in voga la poligamia? Che tutto il peso del lavoro fosse scaricato sulle donne? Buia, molto buia era la notte della donna prima di Cristo! E questa notte buia viene improvvisamente illuminata dalla debole luce della stella di Betlemme. Cristo sta arrivando; gioite, tutti voi oppressi, tutti voi peccatori, i poveri, i bambini, le donne…; gioite! Che cosa deve la donna a Cristo? In primo luogo, che l’uomo si sia degnato di parlarle come ad una persona di pari livello. Questa proposta non deve sorprendere nessuno. Agli scribi e ai dottori giudei era vietato parlare con una donna, anche se era loro sorella. Nostro Signore Gesù Cristo ha infranto questa regola umiliante. Cosa ci dice la Sacra Scrittura nel descrivere la scena in cui Gesù Cristo parla con la Samaritana? Quando i discepoli tornano dalla città e trovano il Signore che parla con la Samaritana al pozzo di Giacobbe, la Sacra Scrittura dice: “I suoi discepoli si stupirono che egli parlasse con quella donna” (Gv IV, 27). Ma il Signore non ne fu turbato e questo fu un passo decisivo a favore della valorizzazione e dell’emancipazione della donna. Ci sono, inoltre, le bellissime parabole del Signore, in cui ricorda così spesso in tono affettuoso i dolori, le sofferenze e le fatiche della donna. Socrate, il grande saggio, quando iniziava a parlare di filosofia, faceva uscire le donne dalla stanza, perché non disturbassero la saggezza degli uomini; invece Cristo, la luce del mondo, salutava con gentilezza le donne del suo pubblico. Cristo, la luce del mondo, ha salutato con benevolenza le donne del suo pubblico, le madri, dando così l’impressione che anche loro hanno un’anima immortale di valore pari a quella degli uomini. Cristo è davvero il Re delle donne. E devo ricordare altre azioni del Signore, e devo sottolineare ancora di più il cuore amorevole di Cristo? Guardiamolo, allora, quando risuscita il figlio della povera vedova di Naim; quale compassione deve aver provato per quella madre piangente! Guardiamolo quando, sotto il fuoco degli sguardi scandalizzati dei farisei, parla amorevolmente alla Maddalena pentita, così vergognosa delle sue colpe; quale compassione deve aver provato per lei! Ascoltiamo come confonde l’orgoglio dei farisei mentre trascinano la donna peccatrice in piedi per essere lapidata; con quale amore perdonante le parla! E guardiamolo quando, portando la croce e coperto di sangue, nel momento in cui avrebbe avuto più bisogno di conforto, dimentica se stesso e consola le donne che piangono. Oh, dobbiamo ancora insistere su ciò che le donne devono a Cristo, che le scelse, quelle che erano andate a visitarlo al sepolcro, per essere le prime a sapere che era risorto e per portare tale lieta novella agli Apostoli? – E come Cristo ha rispettato le donne, così ha fatto la Chiesa, il Cristo mistico che continua a vivere in mezzo a noi. È impossibile enumerare la ricchezza delle benedizioni che scaturiscono dall’atteggiamento della Chiesa nei confronti delle donne. Già nei primi secoli del Cristianesimo la Chiesa si servì delle donne, che Dio aveva dotato di qualità meravigliose, per esercitare ovunque la carità cristiana in tutte le sue manifestazioni; inoltre, nel Medioevo permise loro di entrare nelle accademie. Pertanto, l’educazione spirituale, l’istruzione e l’elevazione delle donne non è un’opera dei tempi nuovi, ma del Medioevo cattolico, al quale viene dato l’ironico appellativo di “oscuro”. Abbiamo dati che lo dimostrano. Ne abbiamo la prova da quanto Rousseau scriveva a D’Alembert e gli diceva che le donne non possono avere né talento né senso dell’arte; quando Kant proclamava ai quattro venti che a una donna basta sapere che al mondo ci sono altri universi e altre bellezze oltre a lei; già allora, e anche molto prima, nel XII secolo, la Chiesa aveva promosso le donne a cattedre nelle Università di Salerno, Bologna e Padova. – È stato Gesù Cristo a mostrare per primo la bellezza dell’anima femminile, ed è grazie a Cristo che la donna è diventata ciò che è oggi: una compagna dell’uomo, una consorte di pari grado con lui. Solo il Cristianesimo ha riconosciuto come nessun altro la bellezza dell’anima femminile – la Vergine Maria ne è il massimo esempio – e le straordinarie qualità di cui Dio le ha dotate: grande cuore, tenerezza, bellezza, capacità di dedizione e di sacrificio, delicatezza d’animo, fine sensibilità per la cura delle persone, soprattutto dei più piccoli e dei più deboli, ecc.

II

Ma a questo punto del nostro ragionamento ci viene in mente un’altra importante domanda: questo altissimo concetto di donna vive nella coscienza dell’uomo moderno, e soprattutto nella coscienza della donna stessa? Ed è con dolore che notiamo che l’alto concetto cristiano, spesso per colpa delle donne stesse, sta perdendo sempre più il suo contenuto e suona sempre più come una frase vuota di giorno in giorno. Un filosofo disse una volta che una frase altisonante è come una nocciola svuotata; cioè è un guscio senza nocciolo, un nido senza uccello, un guscio di lumaca, una casa senza abitante. Con dolore dobbiamo constatare che anche l’ideale di “donna” rischia di non essere altro che una di queste frasi vuote. Nel mondo cristiano la donna significava qualcosa di sublime; oggi ha perso molto del suo antico significato e del suo pieno contenuto. Sono in voga tre concezioni della donna: una è fondamentalmente umiliante; l’altra, superficiale; la terza è la concezione seria, cristiana. La prima – la più umiliante – è la concezione che ancora rimane dell’antico mondo pagano. Voglio solo citare un esempio molto tipico. Lo Scià di Persia si recava spesso a Karlsbad, per godere delle magnifiche terme, ed era ovvio che, all’arrivo, le sue numerosissime mogli venissero portate in auto chiuse dalla stazione all’albergo, vi rimanessero chiuse per tutto il tempo e, al momento della partenza, venissero nuovamente portate in auto chiuse alla stazione. Una vita per le donne peggiore di quella dei segugi. A cosa arriverà la donna senza Cristo! Perché una concezione così vergognosa della donna non è purtroppo un’esclusiva dello Scià di Persia o degli sceicchi musulmani. Molti uomini, che si definiscono moderni, vedono nella donna nient’altro che un oggetto di piacere, una deliziosa bambola da intrattenimento; qualcosa da usare e da buttare, come è evidente dal gran numero di madri nubili nella società, vilmente ingannate da uomini che dicevano di amarle; o è evidente dal gran numero di divorzi che hanno luogo, in cui l’uomo spesso ripudia la moglie perché ha perso l’attrattiva che aveva da giovane. – Qual è il criterio del Cristianesimo in questa materia? Esaminiamolo con attenzione; vediamo cosa contiene l’Antico Testamento riguardo all’uomo e alla donna. Dopo la caduta dei nostri primi genitori, abbiamo sentito le parole del Signore: “Poiché hai obbedito alla voce di tua moglie e hai mangiato dell’albero di cui ti avevo proibito di mangiare, sia maledetto il suolo per causa tua: con grande fatica ne trarrai cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te…. Mangerai il pane con il sudore della tua fronte, finché non ritornerai al suolo… perché polvere sei e in polvere ritornerai” (Genesi III, 17-19). Questa è la missione dell’uomo, secondo il comando di Dio. Noi uomini dobbiamo scavare la terra, lavorare duramente. Scaviamo il ferro e il carbone dal fondo delle miniere; gestiamo la vita industriale e di fabbrica; seminiamo e raccogliamo il raccolto; estraiamo la pietra e costruiamo le case; costruiamo ponti sui fiumi potenti, perforiamo le rocce per formare gallerie, scaviamo la terra per fare il canale…. Vedete qui: secondo la volontà di Dio, l’uomo è l’operaio del mondo. E la donna? Ascoltiamo le parole del Signore: “Non è bene che l’uomo sia solo: gli farò un aiuto adatto” (Gen, III-18). E Dio creò la prima donna, ricavandola dalla costola dell’uomo. E l’Eterno continua, dopo la caduta: “Farò in modo che le tue fatiche siano tante quante sono le tue gravidanze: partorirai figli con dolore. Sarai attratta da tuo marito ed egli dominerà su di te” (Gen. III, 16). Questa, ovviamente, non era la volontà di Dio; questi sono i frutti del peccato, cioè dell’egoismo. Che cosa dobbiamo pensare della donna? Dobbiamo chiederlo a Colui che l’ha creata. “Le darò un aiuto adeguato”. La donna, dunque, è l’aiuto e la compagna dell’uomo. Come può aiutare l’uomo? Soprattutto utilizzando le qualità che Dio le ha dato per svolgere determinati compiti, attraverso la sua funzione di madre e di educatrice dei figli. È responsabile soprattutto della cura della casa, della cura dei bambini, della cura dei malati. Il lavoro duro è compito dell’uomo; per la donna è soprattutto la cura dei figli e i lavori domestici. Può dunque esserci uguaglianza tra uomini e donne? Sì; davanti a Dio, la donna e l’uomo sono completamente uguali in dignità: entrambi hanno un’unica anima e un unico fine eterno, ricevono gli stessi Sacramenti, anche se in parte hanno qualità diverse. – L’uguaglianza non consiste nel fatto che la donna cerchi di imitare in tutto ciò che fa l’uomo. No, no, questa non è l’uguaglianza voluta da Dio! Come faccio a saperlo? Lo so perché Dio è il Dio dell’ordine; e non ci sarà ordine finché non ne comanderà uno solo. Non ci possono essere due teste in casa. Pertanto, la donna – non per merito suo, ma per volontà di Dio – è l’aiutante dell’uomo e, in quanto tale, è al secondo posto nell’ordine sociale. L’Antico Testamento ci insegna questo. –  E cosa ci dice il Nuovo Testamento? Innanzitutto, insegna che la donna ha la stessa dignità umana dell’uomo. “Perché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. E non c’è più distinzione tra Giudeo e Greco, tra libero e schiavo, tra maschio e femmina. Perché “… tutti voi siete uno in Gesù Cristo” (Gal. III, 27-28). Ma lo stesso SAN PAOLO sottolinea in un altro passo il primato dell’uomo: “Cristo è il capo di ogni uomo, come l’uomo è il capo della donna” (Cor XI, 3). “Non permetto alla donna di essere maestra nella Chiesa, né di prendere autorità sul marito, ma di tacere, poiché prima fu formato Adamo e poi Eva” (I Timoteo, II, 12-13). E per essere più convinti di questo, basta contemplare la vita della Santa Famiglia di Nazareth. Umanamente parlando, chi doveva essere il primo? Cristo, poi la Vergine Maria e infine San Giuseppe. Eppure, vediamo che il primo era San Giuseppe; la Vergine Maria, il secondo; Gesù Cristo, il terzo. Un esempio sublime di vita familiare ben ordinata! Si può parlare più chiaramente? L’uomo è il capo; e non è forse il capo a guidare? La donna… è l’aiutante. Così è scritto. E se un movimento di protesta vuole trasformarsi in un’autorità per governare quello che dovrebbe essere un aiuto, anche se questo si chiama emancipazione della donna, non è conforme al piano di Dio Creatore. Una donna può lavorare fuori casa, se vuole o se ne ha bisogno a causa del basso reddito della famiglia, ma non è il suo compito principale, che è in casa.

* * *

Non molto tempo fa, un giornale francese si è interrogato sul seguente fenomeno: perché nelle carceri ci sono più uomini che donne? E come soluzione il pubblico ha dato la seguente risposta: “Ci sono più uomini che donne nelle carceri, perché ci sono più donne che uomini nelle Chiese”. E se continuiamo a chiedere: perché ci sono più donne che uomini nelle Chiese? Perché Dio le ha dotate di una maggiore sensibilità per lo spirituale. Ecco perché le donne si danneggiano se rinunciano alla loro religiosità: senza Cristo, le donne diventano schiave degli uomini, completamente soggette ai loro capricci! È una terribile disgrazia perdere la fede; ma per nessuno tanto quanto per una donna. Se l’irreligiosità si vendica su qualcuno, è innanzitutto sulla donna. Perché a Cristo deve la sua dignità, la sua vera emancipazione, la sua libertà. – Povere donne, voi che ingoiate le ideologie alla moda, pensate un po’: che ne sarà di voi se queste teorie trionfano! Che ne sarà di voi se trionfa la completa uguaglianza dei diritti, se trionfa il matrimonio contratto per un certo periodo di tempo, se trionfa lo scioglimento del matrimonio! Esaminate un po’ cosa succederà. La donna che non ha fede, che non ha Religione, che non ha Cristo come suo Re, sarà soggetta alla tirannia della moda, dei suoi capricci, della sua frivolezza, della sua vanità, della sua malizia? D’altra parte, quanto è grande la donna quando è immersa nella grazia di Gesù Cristo! Pensiamo a Santa Giovanna d’Arco, a Santa Teresa di Lisieux, a Santa Teresa di Gesù?

VIVA CRISTO RE (17)

CRISTO-RE (17)

TOTH TIHAMER:

Gregor. Ed. in Padova, 1954

Imprim. Jannes Jeremich, Ep. Beris

CAPITOLO XXI

CRISTO, RE DELLA VITA UMANA

Cristo è il Re della vita umana!

Qual è il valore della vita per un Cattolico? Non è nessuno dei due estremi: né il godimento eccessivo della vita attraverso il lusso sfrenato, i piaceri o il culto del corpo; né l’altro estremo, il frivolo disprezzo dell’esistenza, che può arrivare fino al suicidio. La Chiesa cattolica ha sempre avuto una visione seria e rispettosa della vita e della salute. Non affermiamo ciò che tanti sostengono a torto: che “la salute è il bene più grande del mondo” – valutiamo molto di più l’anima – ma confessiamo apertamente che “la salute è il più grande dei beni terreni”; che è lecito, anzi necessario, fare sacrifici per essa; e che nessuno ha il diritto di accorciare di un giorno o di un’ora il tempo che la Provvidenza gli ha assegnato. – Pertanto, il Cattolico dà tutto il diritto che gli spetta alla salute, alla cura del corpo, perché sa bene che con un corpo malato non si può fare molto. Non è forse in questa vita che ci santifichiamo e ci rendiamo degni della vita eterna? Dobbiamo meritarla con il lavoro onesto, con l’adempimento fedele del dovere, con l’apostolato… E per questo abbiamo bisogno di un corpo forte e sano. La Religione cattolica parla continuamente della vita eterna e ci incoraggia costantemente a meritarla, ma non dimentica questa vita terrena. Non solo l’anima dell’uomo è santa, ma anche il corpo lo è, poiché è il dono di Dio Creatore. Per lo stesso motivo, la Chiesa ha sempre trattato il corpo umano con santa sollecitudine e lo ha sempre rispettato. Nel Battesimo, con cui la Chiesa ci accoglie, l’acqua santa tocca il nostro corpo, benedicendoci; nella Cresima, il crisma usato dal Vescovo unge il corpo; e nella sepoltura, l’acqua santa tocca di nuovo il nostro corpo. Per noi la vita terrena non è una punizione, come nella nebulosa dottrina della reincarnazione asiatica. No. Per noi la vita terrena è il mezzo che Dio ci dà per raggiungere la vita eterna. – Ciononostante, la Chiesa ci chiede di essere duri con noi stessi, di avere disciplina, abnegazione…. Non lo chiede per il gusto dell’abnegazione in sé, ma per garantire l’armonia tra corpo e anima. Questa armonia è stata disturbata dal peccato originale. Da allora il corpo è incline al peccato e non possiamo riconquistare la supremazia dell’anima sul corpo se non attraverso una severa disciplina. La Chiesa ha sempre apprezzato questa vita terrena e le ha dato l’importanza che merita. Essa dà valore alla vita corporea e a tutto ciò che è necessario per essere sani. Esistevano sette exoteriche (gli gnostici, i manichei) che vedevano nel corpo umano l’opera del principe del male e consideravano la vita terrena una tortura. La Chiesa li bollò come eretici. Ma allo stesso modo ha dichiarato eretici altri fanatici che, interpretando male la parola del Signore, chiedevano a tutti l’estrema povertà e la distribuzione dei propri beni. La Chiesa ha sempre insegnato che non solo l’eccessiva ricchezza è nemica della vita religiosa, ma anche la povertà, la miseria estrema. L’eccessiva agiatezza ci rende delicati e tiepidi; la grande miseria ci rende spietati; l’agiatezza ci rende orgogliosi; la miseria ci fa disperare; l’agiatezza rende l’anima incapace di vivere le esigenze della fede; la miseria ci rende insensibili. Per poter rispondere alla fede religiosa, è necessario che all’uomo non manchino le condizioni più elementari della vita, quelle minime. La Chiesa lo ha sempre saputo e lo ha sempre insegnato. Per questo la Chiesa ha sempre difeso la vita e l’invulnerabilità del corpo umano. Chi non si prende cura della propria salute commette un peccato. Amputarsi un dito, come facevano alcuni per sottrarsi al servizio militare obbligatorio, è un peccato. E se qualcuno si suicida, commette uno dei peccati più gravi.

Perché il suicidio è un peccato così grave?

Perché il suicida tocca un tesoro che non è suo: la vita; e commette un peccato che non potrà mai essere riparato; con la morte viene tagliata ogni possibilità di riparazione. Certo, la Chiesa è ben consapevole di quegli argomenti sentimentali con cui lo spirito deviato della nostra epoca riveste i suicidi di un certo fascino e li riveste di eroismo; è anche consapevole della terribile situazione economica in cui alcuni possono trovarsi; eppure rimane ferma nel suo atteggiamento: considera sempre e in ogni circostanza il suicidio come uno dei peccati più gravi. Voglio essere chiaro: noi non condanniamo nessuno, lasciamo il giudizio al Signore. Solo Dio può giudicare il grado di normalità o anormalità di quel povero disgraziato, di quel nostro fratello, con l’anima spezzata e in frantumi, nel momento in cui ha alzato la mano suicida contro se stesso. Eppure la Chiesa non può cambiare la sua posizione dottrinale; non può cambiare la sua opinione che solo Colui che ha dato la vita, il Creatore, può togliercela, e che né la malattia, né la morte di persone care, né la perdita di fortuna, né la delusione, né le illusioni frustrate, né la disgrazia, né la bancarotta, né qualsiasi altra prova ci danno il diritto di toglierci la vita. “Ma la mia vita è mia, è una mia proprietà personale! Che ti importa se voglio togliermela?” No, fratello! Tu possiedi un quadro d’arte. È l’opera di un pittore famoso. L’hai comprato. L’hai pagato. Il quadro è tuo. Eppure, non potete distruggerlo a vostro piacimento? No. Sarebbe sbagliato da parte vostra farlo. E quando si tratta della vita, essa è incomparabilmente più preziosa del miglior quadro, e anche perché la vostra vita è vostra rispetto alla mia, è vostra e non mia; ma non è vostra rispetto a Dio; non potete dire: è mia e non di Dio; è vostra nella misura in cui Dio ve la dà in usufrutto, ma è vostra nella misura in cui Dio ve la dà in usufrutto, nella misura in cui Dio ve la dà in usufrutto. È vostro nella misura in cui Dio ve lo concede in usufrutto, e ve lo concede perché porti frutto in opere buone finché non ve lo chieda. Siete usufruttuari e non proprietari assoluti. “Ma la vita è così dura, quando non c’è la minima gioia, quando si deve lottare tutto il tempo…..” Nemmeno allora. Questa vita terrena è davvero molto imperfetta; è solo uno stato di transizione. E se la sofferenza vi commuove, se la tristezza vi fa venire le lacrime agli occhi, è comprensibile. Ma romperla, annientarla?…; no, mai! “Ma nella mia vita è crollato tutto! Una cattiva amministrazione, un imbroglio, alcune decisioni sbagliate che ho preso… mi pesano e mi opprimono. Sono affondato… Che io possa almeno riparare ai miei torti!”. Espiare? Sì; ogni peccato richiede una riparazione. Ma ditemi: fare ammenda significa chiudersi la porta alle spalle, rendere impossibile qualsiasi tipo di riparazione? Riparare ciò che si è fatto di male significa avere il coraggio di correggere i propri errori, di iniziare una nuova vita. D’ora in poi potrete riparare con il vostro lavoro al peccato che avete commesso. Ma non è riparazione, bensì vigliaccheria, porre fine ad una vita sbagliata con un colpo di rivoltella; non è espiazione, ma fuga vigliacca, perché si rifiuta di pagare ciò che si deve, per risparmiarsi la fatica. Si tratta di un modo di pensare del tutto insensato e ingiusto. – Se ci guardiamo intorno, vediamo con stupore che questo modo di pensare del tutto insensato e, di conseguenza, il suicidio, si sta diffondendo al giorno d’oggi. Da quando ci sono state tante delusioni in amore, da quando ci sono stati tanti “fallimenti” negli esami, da quando la borsa va male? No, questo tipo di male non è nuovo per l’umanità, ma si sta diffondendo da quando il pensiero cristiano e la vita religiosa si sono indeboliti tra gli uomini. Per molti la vita terrena ha perso il suo valore. Come siamo arrivati a una conseguenza così fatale? Sembra strano, eppure è vero: il pilastro, la forza, il sostegno di questa vita terrena è proprio la vita eterna. Gli sfortunati adducono varie ragioni per spiegare le loro azioni: sfortuna, crisi economica, malattia, delusione…. Ma chi può dubitare che la maggior parte dei casi potrebbe essere evitata se si facesse capire loro che dovranno rendere conto a Dio, che non tutto è perduto, che la speranza non può mai venire meno quando si ripone la propria fiducia nel Signore, che è sempre pronto ad ascoltarci? Questa è una grande verità, una grande lezione tratta dall’esperienza: la vita umana, la vita sociale, ha bisogno del sostegno della Religione. Le fondamenta della società sono minate quando l’influenza della Religione viene meno. Non può esistere una società senza Religione, uno Stato senza Religione, sarebbe una follia, un omicidio. Non trovo un’altra parola: chi separa il corpo dall’anima è un assassino. E la Religione è l’anima della società. La vita dignitosa dell’uomo e la Religione formano un tutt’uno, come il corpo e l’anima. Il corpo è lo Stato; il suo fine, la prosperità naturale del popolo. L’anima è la Religione; il suo fine, la felicità eterna dell’uomo. Oggi vediamo in molti luoghi quanto scioccamente molti partiti e ideologie cerchino di far sì che lo Stato non si occupi di Religione, che la Religione non sia l’anima dello Stato…. Esaminiamo per un momento dove andrà a finire l’uomo senza Cristo. – Su questo punto si potrebbero scrivere pagine e pagine, raccontando i casi più improbabili. Ne trascrivo alcuni presi a caso; basteranno questi pochi per sentire come l’uomo si svilisce, come si abbassa il suo livello spirituale, come scompaiono i tratti umani dal suo volto, se durante il suo pellegrinaggio terreno si allontana da Gesù Cristo. A volte basta una piccola notizia di giornale per avviare le mie riflessioni. Ad esempio, l’Amministrazione postale degli Stati Uniti ha comunicato di aver adottato una nuova misura in via sperimentale, che si è rivelata molto efficace. Aggiunge che, una volta terminata la sperimentazione, sarà adottata definitivamente e la raccomanda vivamente agli interessati. Qual è l’innovazione? Che le poste si impegnano a trasportare a un prezzo molto vantaggioso, come “pegno senza valore”, le ceneri rimaste dai cadaveri bruciati. Con una piccola spesa, chiunque può inviare per posta le ceneri di un proprio caro… “gettone senza valore”… È un motivo di indignazione? A qualcuno potrebbe non sembrare, ma se ci pensiamo un po’… Non sentiamo tutti che qui manca qualcosa, che manca qualcosa nel giudizio degli uomini? – Non molto tempo fa è morto a Varsavia un famoso ladro, al cui funerale ha partecipato una folla immensa. In passato, la presenza a un funerale era un omaggio al defunto; da qui il nome “onoranze funebri”. Oggi muore un capo bandito o si suicida un uomo disperato, e gli uomini, isterici e non, eccitati dalle notizie sensazionalistiche dei giornali, sono capaci di aspettare per lunghe ore per assistere al momento della sepoltura. Scienziati di grande valore, artisti, genitori che fanno il loro dovere fino in fondo con silenzioso eroismo, sono accompagnati da pochi sull’ultima strada; ma quando si tratta di un assassino o di un suicida, i giornali lo pubblicano con numerose fotografie, e al funerale partecipa una folla immensa. Non sentiamo tutti che manca qualcosa nel giudizio degli uomini? – E che dire dei fautori del “suicidio assistito” e dell’eutanasia che, attraverso conferenze e articoli sui media, inducono le persone a porre fine alla propria vita? Che fatto terribile – e di cui nessuno sembra aver paura – che si debbano mettere recinzioni e sbarre intorno ai ponti per impedire alla gente di buttarsi giù! Non sentiamo tutti di aver perso Cristo? Non sentiamo tutti la bancarotta definitiva dell’incredulità? Dov’è il male? Nel fatto che abbiamo dimenticato che Cristo è anche il Re di questa vita terrena; non pensiamo di vivere secondo la dottrina di Cristo. Non c’è rimedio a questo se non in Cristo. Questo è l’unico modo efficace per prevenire il suicidio. Dobbiamo fare tutto il possibile per difendere la vita umana. Dobbiamo avere compassione per i suicidi. D’accordo. Ma… gli articoli che descrivono dettagliatamente come tale persona si è suicidata dovrebbero essere vietati dai media. Tutte le misure preventive sono giuste e lodevoli…. – Ma quando saranno efficaci tutte queste misure? Quando andremo a bere di nuovo alla fonte delle acque vive; quando torneremo a vivere per fede e ci renderemo conto che questa vita è il tempo della prova che Dio ci ha dato per diventare come Lui nell’amore, facendo la Sua volontà. Non ci è lecito abbandonare il posto di sentinella che Egli ci ha destinato, non ci è lecito fuggire vigliaccamente, ma dobbiamo perseverare in mezzo al fango e alla tempesta, al sole e al gelo, nella buona e nella cattiva sorte, facendo sempre il nostro dovere. “Chi ha orecchio ascolti….: A chi vince darò da mangiare dell’albero della vita, che è in mezzo al paradiso del mio Dio” (Apocalisse II:7).

* * *

Cristo è il Re di tutta la nostra vita e solo una fede viva ancorata a Cristo è in grado di aiutarci quando la nostra vita è difficile. Abbiamo bisogno di corrimano quando saliamo su sentieri ripidi e delimitati da abissi vertiginosi. Questa strada ripida è la vita; il corrimano è la fede. Abbiamo bisogno della forza per continuare a vivere, la forza della fede. Oggi assistiamo ad una grande battaglia: quella disperata del divino e del diabolico, del bello e del brutto, del concetto cristiano e di quello pagano della vita. Con Cristo la vita ha un senso, anche se è piena di lotte; senza Cristo la vita non vale la pena di essere vissuta. Scegliamo dunque: Cristo o Anticristo? Dio o satana? Il regno di Dio sulla terra o l’inferno oscuro di una vita senza senso? Signore, il mio corpo, la mia anima, tutto è tuo! Dammi forza, salute, un corpo robusto, un’anima pulita, affinché tutte le mie fatiche siano una continua lode in tuo onore. Che io sia l’arpa e Tu il canto che ne scaturisce! Che io sia il fuoco e che il Tuo amore arda in me! Che io sia la quercia e che Tu mi tenga in piedi!

VIVA CRISTO RE (16)

CRISTO-RE (16)

TOTH TIHAMER:

Gregor. Ed. in Padova, 1954

Imprim. Jannes Jeremich, Ep. Beris

CAPITOLO XX

CRISTO, RE DEI CONFESSORI

I Cattolici del Messico hanno dovuto sopportare terribili persecuzioni e hanno visto scorrere fiumi di sangue cristiano. Lì, nel 1927, era vietato confessare apertamente Nostro Signore Gesù Cristo. In Messico, Paese completamente cattolico, era vietato celebrare la Messa, confessarsi, dare la Comunione, portare una piccola croce al collo. Alcuni Vescovi furono imprigionati; molti Sacerdoti furono fucilati per ordine del governo; meritano di essere citati i padri Correa, Solá, Reyes e Pro. Per la millesima volta si sono realizzate le parole del Signore: “In verità, in verità vi dico: voi piangerete e farete cordoglio, mentre il mondo si rallegra” (Gv XVI, 20). È sempre stato così; i discepoli di Cristo combattevano, piangevano, soffrivano, e il mondo, il nemico della croce, gioiva, esultava, trionfava. Ma anche la seconda parte delle parole del Signore si è realizzata, come sempre: “Sarete afflitti, ma il vostro dolore si trasformerà in gioia” (Gv XVI, 20). – Cristo Re non ha mai abbandonato i fedeli sofferenti; dal sangue dei martiri sgorga lo slancio di una nuova vita cristiana, e coloro che per amore di Cristo hanno perso la loro vita terrena hanno ottenuto, in cambio, la vita eterna. Il tema di questo capitolo sarà: Cristo è il Re dei confessori. Le parole di Gesù Cristo si sono realizzate molto prima di quanto i primi Cristiani potessero aspettarsi. Il Salvatore aveva appena lasciato la terra e si era accomiatato dalla Chiesa nascente, quando si scatenò un uragano così violento che sembrava dovesse strappare le tenere piantine della Chiesa. Le persecuzioni dei Cristiani nei primi tre secoli sono note a tutti; tutti conosciamo quei trecento anni durante i quali gli imperatori romani hanno raccolto tutte le loro forze per affogare il Cristianesimo nel sangue, per cancellarlo, per sterminarlo dalla terra. – Tutte le torture, tutti gli orrori, tutti i supplizi che l’uomo è capace di immaginare furono messi in pratica contro i Cristiani. Tutto fu provato dai nemici della nostra fede; e tutto senza alcun risultato. Cristo vegliava sul suo gregge martoriato. – Entriamo per un momento nei magnifici giardini del primo persecutore, Nerone; in quei giardini dove la gente si accalcava notte dopo notte per vedere l’illuminazione, un’illuminazione raramente visibile su questa misera terra! Quando il sole tramontava dietro le colline romane e arrivava l’oscurità, nei giardini di Nerone venivano accesi enormi bastoni ricoperti di pesce; legato alla cima di ogni bastone, il corpo di un Cristiano bruciava e fiammeggiava…. Tra le grida della folla impazzita, il crepitio della legna che bruciava, i gemiti dei Cristiani morenti, sembrò levarsi la voce del Signore: “In verità, in verità vi dico che voi piangerete e farete cordoglio, e il mondo si rallegrerà…” E il giorno dopo, e il giorno dopo ancora, e ogni giorno per diverse settimane, nuove illuminazioni, nuovi martiri cristiani! – Andiamo a vedere una rappresentazione nel Colosseo romano. Conosciamo i terribili tormenti subiti dai nostri grandi eroi, i martiri. Pensavo di aver capito tutto il sanguinoso orrore delle persecuzioni cristiane quando ho visto per la prima volta il Colosseo a Roma. Mura gigantesche, un piano sopra l’altro. Scatole stipate l’una sull’altra. Una parte dell’arena esiste ancora oggi; celle, gabbie, labirinti sotterranei che fanno venire i brividi…. e in una profondità di due piani! Vecchi con i capelli bianchi, ragazze, giovani in tutto il loro vigore: tutti Cristiani, Cristiani rinchiusi lì, che vivono l’ultima notte della loro esistenza; accanto a loro, nelle gabbie, ruggiscono le belve affamate… Guardiamo la scena. Una notte di martiri. Tutto l’oro e il marmo rubato ai Paesi conquistati, tutte le donne, tutti gli schiavi, le arti e le scienze che Roma ha raccolto in Europa, in Asia e in Africa…; tutto è ai piedi di quel popolo che ha in mano il dominio del mondo. E tutti vanno al circo: l’imperatore e il suo seguito, le vestali e i soldati, il popolo…, una folla immensa…. Improvvisamente il rumore cessa, le grida tacciono…: tutti gli occhi si rivolgono a una porta, dalla quale entra un piccolo gruppo che si dirige verso il centro dell’arena. Che scena commovente! Accanto agli uomini e ai giovani incalliti, ci sono vecchi, fanciulle e bambini! Quando sono al centro dell’anfiteatro, si apre una porta e saltano fuori le bestie selvatiche portate dall’Africa, che sono state private del cibo per diversi giorni. Il gruppo dei Cristiani, tutti in ginocchio! Ancora un attimo, l’ultima preghiera: “Kyrie, eleison“, “Christe, eleison“…, ancora il segno della croce, tracciato per l’ultima volta…, e le loro carni sono già lacerate dagli artigli dei leoni e i denti delle tigri penetrano fino alle ossa. Sangue, sangue dappertutto! Il sangue dei martiri scorre copioso nella sabbia! E quel torrente di sangue sembra proprio che, tra grida di gioia degli spettatori, tra ruggiti di leoni, strappi di muscoli, scricchiolii di ossa, scriva nell’arena le parole di Gesù Cristo: “In verità, in verità vi dico, voi piangerete e farete cordoglio, mentre il mondo si rallegrerà…”. E questo per tre secoli! Non c’è tormento, non c’è tortura a cui i Cristiani non siano stati sottoposti. Contiamo, non a migliaia, ma a centinaia di migliaia, la moltitudine dei nostri martiri, l’enorme numero di coloro che hanno dato per Cristo il più grande tesoro che possedevano su questa terra, la loro stessa vita, e che non avevano altro peccato in questo mondo se non quello di essere discepoli di Cristo e di non abbandonarlo mai. – A volte sembrava che le persecuzioni stessero per dichiarare la vittoria. Uno degli imperatori, Diocleziano, fece persino coniare una moneta con questa iscrizione: Nomine christianorum deleto: “In memoria della distruzione del nome cristiano”. Ma Cristo vegliava sul suo gregge inquieto: quando giustiziavano un martire, altri si alzavano dal mezzo della folla con questo grido: “Anch’io sono Cristiano!”. Il sangue dei martiri fu la pioggia d’aprile che portò la vita nel terreno fertilizzato della Chiesa. I Cristiani erano costanti e laboriosi, perché nelle loro orecchie risuonavano le parole di San Pietro: “Carissimi, quando Dio vi metterà alla prova con il fuoco delle tribolazioni, non mancate come se vi accadesse qualcosa di molto straordinario. Ma rallegratevi di essere partecipi della passione di Gesù Cristo, affinché quando si manifesterà la sua gloria possiate esultare con Lui con gioia” (1 Pietro IV,12,12).

II

Ma quando pensiamo alla sorte dei primi martiri del Cristianesimo, sorge spontanea la domanda: lo spirito dei primi martiri, quell’eroico spirito di sacrificio, vive ancora nei loro discendenti, nei Cristiani di oggi, in noi? Conserviamo anche solo il tizzone di quell’amore di Cristo che ha confortato tutti quei lontani martiri anche nella morte, anche sul patibolo? Perché, dobbiamo saperlo: la persecuzione della dottrina di Cristo non è cessata dai primi secoli cristiani, ed è ancora all’opera nel mondo. – È vero che ai nostri giorni i Cristiani non sono perseguitati da leoni e tigri, non sono gettati in pasto alle bestie selvatiche; i martiri di oggi non sono imbrattati di pesce, non sono inchiodati a bastoni roventi, non sono gettati in acqua, non sono fissati su coltri di supplizio; gli orrori del Messico sono ancora eccezioni nel mondo civile moderno.  Ma anche se le persecuzioni non sono fatte con leoni e tigri, sono fatte con qualcosa che forse è peggiore del dente della tigre e dell’artiglio del leone…; sono le armi dello scherno, del disprezzo, del riso, del silenzio e dell’emarginazione. Sì, chi, in mezzo alla gentilità moderna, vuole rimanere fedele al Vangelo e alla Chiesa, può contare sull’eroismo degli antichi martiri. Il suo corpo non sarà dilaniato da leoni e tigri, ma sarà deriso, gli sarà puntato il dito contro e sarà chiamato antiquato, troglodita, fanatico, che non sa godersi la vita. [Abbiamo vissuto la tragedia spagnola causata dal marxismo internazionale: chi non si commuove di fronte al numero e alla qualità delle vittime immolate dalla furia rossa? Dodici Vescovi, un amministratore apostolico, quattromilaquattro Sacerdoti secolari, duemilaquattrocentosessantasei religiosi, una moltitudine di suore, centinaia di migliaia di laici sono stati vilmente assassinati nella zona rossa. Il loro crimine? Essere cattolici e spagnoli. Leggiamo le seguenti parole, scritte da Papa Pio XI nella sua Enciclica Divini Redemptoris del 19 marzo 1937: “Anche dove, come nella nostra amata Spagna, il flagello comunista non ha ancora avuto il tempo di far sentire tutti gli effetti delle sue teorie, si è preso la sua rivincita, scatenandosi con più furiosa violenza. Non si è accontentato di demolire una chiesa o un convento o un altro, ma, quando è stato possibile, ha distrutto ogni chiesa, ogni convento e persino ogni traccia della Religione cristiana, per quanto strettamente legata ai più illustri monumenti dell’arte e della scienza. – La furia comunista non si è limitata a uccidere Vescovi e migliaia di Sacerdoti, religiosi e religiose, soprattutto quelli che lavoravano con maggiore zelo con i poveri e gli operai, ma ha fatto un numero molto maggiore di vittime tra i laici di ogni classe e condizione, che vengono quotidianamente, si può dire, assassinati in massa per il solo fatto di essere buoni Cristiani o semplici oppositori dell’ateismo comunista. E questa terribile distruzione è portata avanti con un odio, una barbarie e una ferocia che non sarebbero stati ritenuti possibili nel nostro secolo. Nessun privato di buon senso, nessun uomo di Stato consapevole della propria responsabilità, non può che tremare di orrore al pensiero che ciò che sta accadendo oggi in Spagna possa ripetersi domani in altre nazioni civilizzate. Che il Signore conceda che tanto sangue versato possa essere il seme fecondo delle nuove generazioni. Che siano attente a non distogliere lo sguardo da Dio o dalla loro patria, affinché si realizzino gli ideali di grandezza a cui la nuova Spagna è chiamata. La persecuzione non è cessata nell’Unione Sovietica.]. E che queste armi siano più pericolose degli artigli dei leoni è chiaramente dimostrato dal fatto che sono state realizzate più apostasie con esse che con le bestie selvatiche. Le persecuzioni non sono cessate ai nostri giorni. Ma dov’è ora il coraggio dei primi martiri? Hanno dato la vita per Cristo, e noi arrossiamo a inginocchiarci in chiesa, a farci il segno della croce quando passiamo davanti ad una chiesa; qualcosa ci spinge a farlo, ma… cosa diranno gli altri? ma cosa diranno gli altri? I martiri hanno dato la vita per Cristo, e io vorrei confessarmi e fare la Comunione più spesso, perché sento che ne ho bisogno, sento che la mia anima ne ha bisogno; vorrei, ma… non oso; cosa diranno quelli che mi vedono? Riconosco che questa conversazione che deride la morale, che questo e quel film, questo e quel libro, queste e quelle immagini, macchiano il candore della mia anima; so che sto commettendo un peccato se non lo evito, se vado a vederlo, se lo leggo; vorrei allontanarmi da ogni pericolo; ma… Ma cosa diranno gli altri, che sono un fanatico religioso all’antica? E partecipo alla conversazione, leggo il libro e vado a vedere il film, e subisco le prese in giro della Chiesa, purché non ridano di me. Purché non ridano di me! …. Per un sorriso, per uno sguardo ironico, per un’amicizia fraintesa, tradisco la mia anima, tradisco Cristo, Colui che i primi Cristiani non hanno voluto abbandonare nemmeno in mezzo ad atroci torture. E non furono solo gli uomini vigorosi, nel fiore degli anni, a rifiutarsi di abbandonarlo, ma anche gli anziani, i bambini, le donne; quella materna Felicita, quell’ottantaseienne Policarpo, quella tredicenne Agnese! In mezzo alle torture più crudeli, Sant’Agnese continuava a ripetere: “Signore, conservo la mia fede per Te; Signore, mi consacro a Te. Tu, Onnipotente, Tu, degno di essere adorato, Tu, degno di ogni rispetto, io benedirò in eterno il Tuo santo nome”. – E quanto facilmente avrebbero potuto essere consegnati! Una sola parola era sufficiente. Bastava che dicessero: “Non conosco Cristo, non adoro Cristo”, e allora sarebbero stati liberati dalle bestie selvatiche, avrebbero spento il rogo, o sarebbero stati tirati fuori dall’acqua gelida in cui erano stati gettati, legati mani e piedi. Ma non pronunciarono quella parola, ma nel rogo ardente e davanti alla spada, nell’olio bollente e nel piombo fuso, tra le punture di punte incandescenti, tra terribili tormenti…. sono rimasti fedeli a Cristo! – Chiediamo a Cristo, il Re dei confessori, che, anche se siamo assaliti da mille tentazioni, susciti in noi lo spirito di sacrificio dei primi Cristiani, il loro coraggio di sfidare la morte, l’amore che ardeva nei loro cuori per dare la vita per Lui! Sì: l’amore ardente per Nostro Signore, perché da questo dipende tutto. Cos’è che ha dato perseveranza, coraggio ai primi Cristiani? Il santo amore che ardeva nei loro cuori. Tu, Santa Caterina, cos’è che ti ha dato la forza, quando eri sulla ruota della tortura, di chinare la testa sotto la lama del boia? Era l’amore di Cristo. E tu, Santa Cecilia, quando volevano asfissiarti con il vapore caldo, e quando la scure del boia ti colpì il collo, dovendo soffrire alcuni giorni con quella ferita mortale, cosa ti diede forza? E tu, Santa Lucia, che sei stata tradita dal tuo sposo e poi trafitta da una spada? E tu, San Pancrazio, perché non hai voluto sacrificare agli dei pagani? Cosa ti ha dato la forza di essere fedele a Cristo, quando sapevi che la tua vita, la tua giovane vita, ti sarebbe stata tolta, perché non avevi più di quattordici anni? E tu, San Simeone, che all’età di centoventi anni, dopo una tortura di diversi giorni, hai trionfato nella crocifissione stessa con forza d’animo? E tu, Sant’Agnese, discendente di una famiglia nobile e potente, una bella ragazza di tredici anni! Perché hai detto al tuo spasimante, il figlio del governatore della città: “Il mio Signore Gesù Cristo mi ha promessa in sposa con il suo anello”, quando sapevi che per questa frase avrebbero acceso un falò sotto i tuoi piedi? Perché hai detto: “Sono la sposa di Colui che gli Angeli servono”? Da dove hai attinto la tua energia quando in mezzo alle fiamme continuavi a ripetere: “Ecco, vengo a Te, che amo, che cerco con tutta l’anima, che ho sempre desiderato”? Cos’è che dava loro forza? L’amore ardente di Nostro Signore Gesù Cristo. – Ah, se l’amore eroico dei martiri, di cui abbiamo tanto bisogno per testimoniare Cristo, fosse contagioso! Quando e dove ne abbiamo bisogno? Quando la Religione è ridicolizzata e derisa e io voglio rimanere fedele a Gesù Cristo. Quando voglio preservare la purezza della mia anima in mezzo a tanto marciume, a tanta sessolatria. –  GRACE MINFORD, una giovane americana che si convertì dal protestantesimo al Cattolicesimo e poi entrò in convento, ebbe questo eroismo da martire. Poco tempo dopo il padre morì, lasciandole una fortuna di dodici milioni e mezzo di dollari – una somma favolosa – a condizione che lasciasse il convento. Cosa rispose la giovane donna? “Il mio Padre celeste è più ricco del mio padre terreno e mi darà un’eredità molto più grande”, e perseverò nel convento, perdendo i soldi dell’eredità. Eroismo da martire! Eroismo deve avere l’impiegato che coraggiosamente non nasconde agli altri la sua fede cattolica, sapendo che oggi non è la migliore lettera di raccomandazione per farsi strada, per ottenere vantaggi materiali. Eroismo perché le preoccupazioni materiali della vita quotidiana – lavoro, studio, occupazioni – non soffochino la vita spirituale. – Le parole del Signore: “Voi piangerete e vi rallegrerete mentre il mondo si rallegra”, hanno il loro compimento, non solo nel passato, ma anche oggi. I discepoli di Cristo devono spesso soffrire quando i figli del mondo, cioè i malvagi, si divertono. L’unica cosa che è cambiata è il modo. In passato, i Cristiani soffrivano gli artigli dei leoni; oggi, soffrono i dardi dell’ironia e della calunnia. Un tempo si doveva morire per Cristo; oggi, forse, il sacrificio consiste nel rimanere fedeli a Cristo nella vita quotidiana.

III

Ma, grazie a Dio, la profezia del Salvatore non finisce qui. Ha una seconda parte, molto consolante. “Sarete addolorati, ma il vostro dolore si trasformerà in gioia”, in una gioia che non passerà mai. – E se vediamo che la prima parte della profezia si è realizzata nel corso della storia, dobbiamo constatare che anche la seconda parte si è realizzata. Gesù Cristo aveva predetto che la sua Chiesa sarebbe stata perseguitata, che coloro che lo avrebbero seguito avrebbero dovuto portare la loro croce sulle spalle. Ma ha anche detto che “il suo giogo è facile e il suo fardello leggero” e che le porte dell’inferno non prevarranno contro la sua Chiesa. La storia della Chiesa, che ha due volte mille anni, testimonia in modo luminoso le parole di Cristo. Quante persecuzioni ha dovuto subire la Chiesa, eppure è costantemente ringiovanita. Dei trentadue primi Papi, trenta morirono martiri. L’imperatore Adriano fece porre sul Calvario la statua di una dea pagana, Venere, e sulla tomba del Redentore la statua di Giove ….. E chi parla oggi di Venere e chi venera Giove? D’altra parte, un quinto dell’umanità, senza contare i protestanti e gli scismatici, adora Gesù Cristo, morto sul Calvario e risorto il terzo giorno. – Nel furioso tumulto della Rivoluzione francese, fu messa ai voti questa domanda: “Esiste un Dio?” E, tra gli sguardi assassini, ci fu solo una povera vecchia signora che osò alzare la mano tremante nell’interesse di Dio: “Per amor di Dio, per amor di Dio!” E ancora gli uomini adorano Dio. – Ci lamentiamo continuamente di quanto sia brutto il mondo di oggi, dell’aridità spirituale in cui è immersa gran parte dell’umanità moderna. Chi può negare che intorno a noi ci siano molte anime che hanno perso la fede e si sono allontanate da Dio? Purtroppo, questo è un lato della medaglia. Ma dall’altra parte c’è un quadro molto più edificante e consolante: quanti Cristiani perseverano nella fede e vivono una vita coerente con essa. Vediamo che si realizzano le parole del profeta: “Ci sono settemila uomini che non hanno piegato il ginocchio a Baal” (3 Re XIX, 18).

* * *

La Chiesa, nostra Madre, è sempre stata perseguitata, è sempre stata condannata a morte, eppure continua a vivere e a diffondersi. Illustri dinastie sono sorte e tramontate, vari imperi sono sorti e tramontati nel corso dei secoli; ma la Chiesa cattolica, così spesso attaccata e perseguitata, continua a sfidare con fermezza la tempesta dei tempi; ed è degno di nota il fatto che non possa contare su una forza armata, non ha cannoni, non ha un esercito, manca di fortuna e di altre risorse umane; ma possiede… una parola, la grande promessa del suo Fondatore: “Le porte degli inferi non prevarranno contro di lei” (Mt XVI, 18). – E nei corridoi sotterranei delle catacombe, dove il Cristianesimo perseguitato ha trascorso trecento anni, risuonano ancora oggi vibranti preghiere piene di gratitudine, cantate da migliaia di pellegrini. Sul luogo del palazzo dove l’imperatore Massimiliano preparò una delle più sanguinose persecuzioni contro i Cristiani, oggi sorge un magnifico tempio, la Basilica di San Giovanni in Laterano. Innumerevoli templi, dipinti, statue, feste… proclamano il culto delle migliaia e migliaia di martiri. E dove c’era la tomba di Nerone, oggi sorge un tempio in onore della beata, della misericordiosa, della dolcissima Vergine Maria, Santa Maria del Popolo. E sulla tomba di quel modesto pescatore, che il mondo secoli fa inchiodò a una croce con la testa all’ingiù, per aver predicato la dottrina di Cristo, oggi risplende il tempio più prezioso del mondo, la Basilica di San Pietro; e la luce delle lampade che arde sulla tomba del principe degli Apostoli sembra scrivere sulle pareti di marmo la seconda parte della profezia di Cristo: “Sarete addolorati, ma il vostro dolore si trasformerà in gioia”. – Eppure tutto questo splendore esteriore non è che il premio terreno dei confessori cristiani. Non sappiamo, possiamo al massimo indovinare, quale sarà la loro ricompensa in cielo, la ricompensa che avrà dato loro Cristo, che una volta disse: “Chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’Io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli”. – Ma c’è una cosa che sappiamo con certezza. So che i due campi, quello dei discepoli di Cristo e quello del peccato, anche oggi sono opposti. So che camminare sulle orme di Cristo oggi significa anche abnegazione, sacrificio, mentre la vita frivola del mondo è facile. So che i fedeli imitatori di Cristo devono spesso soffrire, mentre i figli dell’iniquità gioiscono. E so anche che è meglio soffrire in questo mondo con Cristo che gioire con i peccatori. Ti faccio una domanda, amico lettore: da che parte vuoi stare? Vuoi arruolarti nel campo di Cristo o in quello del peccato?

VIVA CRISTO RE (17)