NELLA FESTA DI SAN GIUSEPPE [2018]

– 458 –

Fac nos innocuam, Ioseph, decurrere vitam,

Sitque tuo semper tuta patrocinio.

(ex Missali Rom.).

Indulgentia trecentorum (300) dierum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, invocatione quotidie per integrum mensem pie recitata (S. C. Indulg., 18 mart. 1882; S. Pæn. Ap., 13 maii 1933).

HYMNI

– 463-

Te, Ioseph, celebrent agmina Cœlitum

Te cuncti rèsonent Christiadum chori,

Qui, clarus meritis, iunctus es inclytæ

Casto fœdere Virgini.

Almo cum tumidam germine coniugem

Admirans, dubio tangeris anxius,

Afflatu superi Flaminis, Angelus

Conceptum puerum docet.

Tu natum Dominum stringis, ad exteras

Aegypti profugum tu sequeris plagas;

Amissum Solymis quæris et invenis,

Miscens gaudia fletibus.

Post mortem reliquos sors pia consecrat,

Palmamque emeritos gloria suscipit:

Tu vivens, Superis par, frueris Deo,

Mira sorte beatior.

Nobis, summa Trias, parce precantibus,

Da Ioseph meritis sidera scandere:

Ut tandem liceat nos tibi perpetim

Gratum promere canticum. Amen.

(ex Brev. Rom.).

(Indulgentia trium (3) annorum. – Indulgentia plenaria suetis conditionibus, quotidiana hymni recitatione in integrum mensem producta (S. Pæn. Ap., 9 febr. 1922 et 13 iul. 1932). 

– 464 –

Salve, Ioseph, Custos pie

Sponse Virginis Mariae

Educator optime.

Tua prece salus data

Sit et culpa condonata

Peccatricis animae.

Per te cuncti liberemur

Omni poena quam meremur

Nostris prò criminibus.

Per te nobis impertita

Omnis gratia expetita

Sit, et salus animae.

Te precante vita functi

Simus Angelis coniuncti

In cadesti patria.

Sint et omnes tribulati

Te precante liberati

Cunctis ab angustiis.

Omnes populi laetentur,

Aegrotantes et sanentur,

Te rogante Dominum.

Ioseph, Fili David Regis,

Recordare Christi gregis

In die iudicii.

Salvatorem deprecare,

Ut nos velit liberare

Nostræ mortis tempore.

Tu nos vivos hic tuere

Inde mortuos gaudere

Fac cadesti gloria. Amen.

Indulgentia trium (3) annorum (S. Pæn. Ap., 28 apr.1934).

– 473 –  

Virginum custos et Pater, sancte Ioseph, cuius

fideli custodiæ ipsa Innocentia, Christus Iesus,

et Virgo virginum Maria commissa fuit, te per

hoc utrumque carissimum pignus Iesum et Mariam

obsecro et obtestor, ut me ab omni immunditia

præservatum, mente incontaminata, puro

corde et casto corpore Iesu et Mariæ semper

facias castissime famulari. Amen.

(Indulgentia trium (3) annorum. Indulgentia septem (7) annorum singulis mensis marti: diebus necnon qualibet anni feria quarta. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, oratione quotidie per integrum mensem pia mente iterata (S. C. Indulg., 4 febr. 1877; S. Pæn. Ap., 18 maii 1936 et 10 mart. 1941)

-475-

Memento nostri, beate Ioseph, et tuæ orationis

suffragio apud tuum putativum Filium intercede;

sed et beatissimam Virginem Sponsam

tuam nobis propitiam redde, quæ Mater est

Eius, qui cum Patre et Spiritu Sancto vivit et

regnat per infinita sæcula sæculorum. Amen.

(S. Bernardinus Senensis).

(Indulgentia trium annorum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo quotidie per integrum mensem oratio devote recitata fuerit (S. C. Indulg., 14 dec. 1889; S. Pæn. Ap., 13 iun.1936).

476

Ad te, beate Ioseph, in tribulatione nostra

confugimus, atque, implorato Sponsæ tuæ

sanctissimae auxilio, patrocinium quoque tuum fidenter

exposcimus. Per eam, quæsumus, quæ

te cum immaculata Virgine Dei Genitrice coniunxit,

caritatem, perque paternum, quo Puerum

Iesum amplexus es, amorem, supplices deprecamur,

ut ad hereditatem, quam Iesus Christus

acquisivit Sanguine suo, benignius respicias,

ac necessitatibus nostris tua virtute et ope

succurras. Tuere, o Custos providentissime divinæ

Familiæ, Iesu Christi sobolem electam;

prohibe a nobis, amantissime Pater, omnem errorum

ac corruptelarum luem; propitius nobis,

sospitator noster fortissime, in hoc cum potestate

tenebrarum certamine e cœlo adesto; et

sicut olim Puerum Iesum e summo eripuisti vitae

discrimine, ita nunc Ecclesiam sanctam Dei

ab hostilibus insidiis atque ab omni adversitate

defende: nosque singulos perpetuo tege patrocinio,

ut ad tui exemplar et ope tua suffulti, sancte

vivere, pie emori, sempìternamque in cœlis

beatitudinem assequi possimus. Amen.

 (Indulgentia trium (3) annorum. Indulgentia septem (7) annorum per mensem octobrem, post recitationem sacratissimi Rosarii, necnon qualibet anni feria quarta. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, si quotidiana orationis recitatio in integrum mensem producta fueri: (Leo XIII Epist. Encycl. 15 aug. 1889; S. C. Indulg., 21 sept. 1889; S. Paen. Ap., 17 maii 1927, 13 dee. 1935 et 10 mart. 1941).

477

O Ioseph, virgo Pater Iesu, purissime Sponse

Virginis Mariæ, quotidie deprecare prò nobis

ipsum Iesum Filium Dei, ut, armis suae gratiæ

muniti, legitime certantes in vita, ab eodem coronemur

in morte.

(Indulgentia quingentorum (500) dierum (Pius X, Rescr. Manu Propr., 11 oct. 1906, exhib. 26 nov. 1906; S. Paen. Ap. 23 maii 1931).

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Nella festa di S. Giuseppe.

[G. Lardone: “Fra gli Astri della Santità Cattolica”, S.E.I. ed. Torino, 1928 – impr.]

Nei tramonti luminosi del nostro bel cielo italico si contempla a volte un fenomeno interessante. Mentre il sole declina lentamente a l’occaso e presenta in tutto il fulgore che le è proprio la sua enorme massa incandescente, è circondato attorno attorno da nuvole gigantesche, come disposte in un trionfo di gloria, le quali, dando riflessi di porpora e d’oro, sembrano risplendere di luce propria, per quanto non riflettano che la luce ricevuta dall’astro maggior dell’universo. Tale fenomeno singolare si ripete sempre nel cielo fulgido della cristiana santità. Stelle splendenti nel divin firmamento della Chiesa trionfante e della Chiesa militante i Santi danno una luce che non è terrena: a primo aspetto sembra una luce loro personale: in realtà non è che la luce loro inviata dal Santo dei Santi che è nostro Signor Gesù Cristo. E più essi si avvicinano all’Autore ed al centro della santità o per l’altezza della loro missione o per l’eroismo delle loro virtù, tanto più essi sono irradiati ed irradiano della luce che viene da Lui. – Orbene quale dei Santi, dopo la Vergine, e per l’altezza del ministero e per l’eccellenza della perfezione si è avvicinato di più al Sole divino di giustizia del glorioso San Giuseppe? Ecco perché noi lo contempliamo come un astro di prima grandezza nel cielo dell’eternità. Perché nessuno più di lui si tuffò nell’oceano di luce di Cristo, nessuno più di lui fu scelto all’onore di rifletterne, come in un’aureola incomparabile, i raggi sempiterni. Eleviamo lo sguardo a lui che la Provvidenza ha eletto a destini ineffabili e, rapiti alla contemplazione delle sue virtù perfette, delle sue grandezze ammirabili, dei suoi poteri trascendenti, lo troveremo perfettamente degno di riflettere la luce che gli viene da Gesù.

— « IPSI VIRTUS ».

Al glorioso S. Giuseppe, che gli Evangeli hanno lasciato in una discreta penombra fra tutti i personaggi della Redenzione, non può ascriversi alcuna di quelle qualità esteriori che gli uomini ammirano e che strappano gli applausi del mondo. La sua vita ordinaria, semplice, comune, intessuta di doveri e di opere in apparenza volgari, non ebbe per teatro che una povera officina di villaggio e per testimoni che gli occhi di una donna e di un fanciullo. Tuttavia le sacre carte hanno sintetizzato, con un motto unico, ma tanto comprensivo, la virtù eccelsa dell’umile fabbro di Nazareth: Joseph autem cum esset iustus (MATT., I, 19). È qui il titolo di sua nobiltà. La giustizia non ha altro principio né altra regola che la volontà divina: questa volontà che fissa i nostri doveri e determina tanto gli omaggi che dobbiamo al nostro Creatore, quanto l’amore ed i servizi che dobbiamo al nostro prossimo. D’onde segue che il fondamento ed il carattere essenziale della giustizia sono rappresentati dalla sottomissione alla volontà divina. Ora la santità di S. Giuseppe non ha altra origine che questa. La sudditanza a Dio non solamente egli la prova con la fedele osservanza delle leggi promulgate ai suoi padri per il magistero di Mose, ma ancora corrispondendo alla ispirazione celeste, abbracciando con amore il proprio stato, sottomettendosi agli avvenimenti più misteriosi e disparati ed assoggettandosi ai travagli più gravosi che Dio suscita sui suoi passi. È veramente il giusto per eccellenza. Tale è sempre il primo effetto della sottomissione alla volontà di Dio: il mantenersi nello stato in cui la Provvidenza ci ha posto. Come il Signore, sovrano ed arbitro dei nostri destini, istituendo la società ne ha fissato l’ordine e la pace sulla diversità delle condizioni e proporziona le sue grazie ai diversi uffici ai quali ci ha eletto, così è giusto, è necessario che l’uomo accetti volonterosamente la posizione voluta da Dio e cerchi di adempierne con fedeltà i doveri. – Tale fu San Giuseppe, il quale, oltre ad amare la propria oscurità, adempì con trasporto i doveri che la sua modesta condizione gli imponeva. E se ogni stato ha le sue responsabilità specifiche e le sue speciali difficoltà, tutti gli stati convengono sostanzialmente in un dovere comune, il lavoro: il lavoro imposto a tutti i figli di Adamo come retaggio della prima colpa, come mezzo di sostentamento, come strumento di elevazione. Ebbene lo stesso Evangelo ci ricorda che il buon Giuseppe traeva dal lavoro delle sue mani il cibo quotidiano e la tradizione ce lo richiama intento a formare gioghi per bovi e carri per agricoltori. Il suo mestiere oscuro lo metteva a contatto con i ceti più umili dei suoi conterranei e lo esponeva sovente al loro gratuito disprezzo. Difatti, allorché Gesù parlava alla Sinagoga di Nazareth, il popolo ascoltandone le parole nuove diceva: « Non è costui il figliuolo del fabbro? Non è fabbro egli stesso? Nonne Me est fabri filius? (MATT. XIII, 55). Nonne Me est faber filius Mariæ? (MARC, VI, 3). Oh! Perché tante volte pesano i doveri umili e rudi a quanti sono condannati a professioni che il mondo non stima? Perché molti sentono in fondo all’anima l’onta ed il peso del loro mestiere? Guardino costoro a S. Giuseppe, il Padre custode di Gesù, lo sposo eletto della Regina del Cielo. Guardino costoro a Gesù medesimo, il Re del cielo e della terra. Dal momento che l’uno e l’altro hanno maneggiato gli strumenti dell’artigiano il lavoro non dev’essere per nessuno un’umiliazione, ma un onore ed una gloria ambita. È naturale poi che la figura del buon Giuseppe si mantenga storicamente circoscritta alla povera casa di Nazareth e non partecipi punto a nessun episodio glorioso della vita terrena del Salvatore: la storia si direbbe che ricordi soltanto gli avvenimenti tristi perché meglio sia provata e più evidentemente rifulga la sua virtù. Il Salvatore era già nato a Betlemme; gli Angeli ne avevano cantato l’avvento nei cieli; i pastori, dopo averlo adorato alla grotta, avevano divulgato fra i vicini centri la venuta del Liberatore d’Israele; i Magi, guidati dall’astro misterioso, erano venuti d’oriente per offrire i loro omaggi al Figlio di Dio e deporre attorno alla sua culla i loro doni simbolici. Gerusalemme stessa sapeva oramai che il Messia annunciato dai profeti era nato. Ma Erode sospettoso e crudele, paventava che la nascita di quel fanciullo, accompagnata da tante meraviglie, rappresentasse un pericolo per il proprio potere: quindi non ascoltando che la propria gelosia, meditò il delitto di perderlo con la progettata strage degli innocenti. Fu allora che Dio parlò a S. Giuseppe per mezzo del suo Angelo: e il Padre custode di Gesù, ubbidiente alla voce del cielo, partì immediatamente con quel fanciullo la cui presenza sulla terra non causava a lui che avversità e dolori. Ma per seguire la voce dell’alto dovette tutto abbandonare, la patria, la famiglia, la stessa sua officina per avviarsi in esilio e rimanervi fino a che un nuovo ordine di Dio lo riportasse a Nazareth. In chi troveremo una sottomissione più pronta, una carità più viva, una più umile docilità alla voce della Provvidenza? E tutte queste virtù che brillano in lui con tanto splendore a che si devono attribuire se non alla unione assoluta con la volontà divina, e quindi a quella giustizia fondamentale che forma l’ornamento più prezioso del suo carattere? A buona ragione dunque noi lo chiamiamo il giusto per eccellenza, perché ci dice S. Pier Grisologo, possiede la perfezione di tutte quante le virtù: Joseph vocari iustum attendite, propter omnium virtutum perfectam possessionem (SAN PIER. GRIS. , serm. 50).

— « IPSI GLORIA ».

Quale fu la gloria con cui fu premiata l’eccellenza della virtù di S. Giuseppe? Lo possiamo dedurre dalle prerogative che la liberalità divina concentrò in lui e dalla missione cui venne dalla Provvidenza eletto, Iddio anzitutto concesse a lui la rivelazione dei suoi misteri. Il mistero dell’Incarnazione, nascosto nella mente dell’Altissimo, non era ancora uscito dal silenzio eterno. Maria SS., senza cessare di essere vergine, concepiva per opera dello Spirito Santo, il Figlio di Dio fatto Uomo. Ma questo avvenimento che doveva riempire il cuore della Vergine di una dolce emozione, fu per il cuore di Giuseppe il soggetto di una crudele perplessità. – La sua giustizia, la sua sottomissione ai divini voleri, gli faceva senza dubbio intravedere un miracolo: ma non poteva mettere fine totalmente alle sue apprensioni. Allora Iddio, per bandire le sue inquietudini gli inviò un Angelo che gli disse: « Non paventare di ritenere presso di te, Maria tua sposa: il frutto che Ella porta nelle viscere verginali è opera dell’Onnipotente ». Così per lui si compie il giorno che Abramo ha sospirato di vedere: le profezie si avverano ed il più grande mistero è svelato all’umile operaio nazareno. Perché quel Dio che nasconde i suoi segreti alle anime orgogliose, li rivela alle anime sottomesse: e rivelandoli a S. Giuseppe ricompensa con una gloria incomparabile la sua giustizia eccelsa. – Ma vi è di più: Iddio lo elevò ad un’altra grandezza associandolo, quale cooperatore, ai suoi disegni. Avendo decretato di salvare il mondo per mezzo dell’Incarnazione ha voluto celare questo mistero altissimo sotto il velo di un coniugio per nascondere il Figlio suo agli occhi del demonio, per confonderlo tra i figli di Adamo e sottometterlo a tutte le miserie della vita terrena. Però il disegno di dissimulare l’avvento del Verbo Incarnato nell’oscurità di una vita comune esigeva che si trovasse un uomo eccezionale a cui si potesse affidare; l’amministrazione degli interessi visibili del Figlio di Dio fatto uomo. Se Iddio voleva che Gesù nascesse da Maria, occorreva pure a questa Vergine benedetta uno sposo elettissimo che potesse essere il testimone della di Lei verginità, il protettore della di Lei innocenza, il garante del di Lei onore. Se Iddio voleva assoggettare Gesù a tutte le vicissitudini della nostra vita era necessario un uomo che al Verbo incarnato potesse tener le veci di padre e sapesse vegliare alla di Lui conservazione. Giuseppe fu appunto colui che Iddio giudicò degno di questi eminenti ministeri. Egli fu prescelto ad essere lo Sposo della Vergine. – Come potremo noi divinare la gloria di questa sublime prerogativa? Occorrerebbe penetrare in tutta la misteriosa profondità della maternità divina: comprendere gli eccezionali avvenimenti che, per opera dello Spirito Santo si compirono in Lei: sapere le vie ineffabili per cui il Verbo si è fatto carne per la redenzione degli uomini. Essere lo sposo di Maria, esclama San Giovanni Damasceno, vuol dire avere una dignità così eminente che la lingua umana non può assolutamente esprimere. Quando si è detto: San Giuseppe è lo sposo di Maria; non si può far altro che tacere ed adorare. Virum Mariæ: hoc est prorsus ineffabile et nihil præterea dici potest. – Eppure non è qui ancora la gloria più fulgida del nostro Santo. Egli fu altresì il Padre custode di Gesù: l’Eterno gli comunicò una partecipazione della paternità divina. Questo titolo che è proprio dell’Onnipotente, questo titolo che nessun Santo, nessun Angelo ha mai potuto possedere neppure per un istante, San Giuseppe l’ha portato. Nomine Patris neque Angelus neque Sanctus in cœlo, brevi licei spatio meruit appellari; hoc unus Joseph meruit nuncupari (S. BASILIO, Orat. 20). Quale dignità! Egli fu il padre del Figlio di Dio, non solamente per riputazione ma per l’autorità, per il potere di rappresentanza che Iddio gli elargì sul Verbo Incarnato, confidandogli realmente tutti i diritti che un padre ha per natura sulla propria prole. Quindi egli, padre vergine del Figlio di una Madre vergine, padre adottivo prescelto volontariamente con abbondanza di grazio provenienti dallo stesso suo Figlio, padre infine per la feconda verginità della sua sposa, si presenta, tra i protagonisti stessi dell’Incarnazione, come un agente necessario per lo svolgimento dei disegni divini accanto a Gesù ed a Maria, e brilla nell’empireo della santità di una gloria talmente eccelsa .che non ha sopra di sè che la gloria di Gesù e di Maria.

— « IPSI IMPERIUM ».

Non possiamo quindi dubitare che, eletto, per la sua virtù, a tanta gloria, S. Giuseppe eserciti un potere od un’autorità senza esempio: potere ed autorità che hanno avuto in lui il loro inizio primo durante la stessa sua vita terrena, e che egli ha esercitato sulla più straordinaria delle Vergini, Maria SS. e sul più eccezionale dei Figli, Gesù Cristo. Dal momento che il matrimonio suo con la Vergine fu vero e perfetto ne venne di conseguenza che esso conferì al giusto Giuseppe tutti i diritti che per legge di natura e per legge positiva-divina allo sposo si attribuiscono, ed impose alla Vergine tutti i doveri che una donna ha verso il compagno dei suoi giorni. Di qui in Giuseppe il potere di comandare e nella Vergine il dovere di ubbidire. Comando certo fatto di bontà riguardosa e di premurosa dolcezza quello del santo sposo di Nazareth: ciò non toglie che si esercitasse in forza di un vero potere e di una indiscutibile autorità, a cui la Vergine « alta più che creatura » sottostava con docilità pronta e con divozione perenne. 0 sublimitas ineffabilis, esclama qui Gersone, ut Mater Dei, Regina Cœli, domina mundi, appellare te dominum, non indignum putaverit. – Tale sublimità di potere si accresce ancora se noi la consideriamo in esercizio verso il Verbo Incarnato. Nell’Evangelo di San Luca che più di tutti illustrò i quadri dell’infanzia del Salvatore, noi troviamo una frase che involge un mistero per una parte di autorità e per l’altra di umiliazione profonda. Ritornata la Sacra Famiglia, dopo le cerimonie della prima Pasqua e lo smarrimento del dodicenne Infante nel Tempio, alla povera dimora nazaretana, Gesù se ne andò con loro et erat subditus illis (LUCA, II, 51). Il Re del Cielo e della terra, Colui il quale ventis et mari imperai et obœdiunt ei (LUCA, VIII, 25) si inchina docilmente all’operaio a cui ha conferito in antecedenza affectum, sollicitudinem ei auctoritatem patris (S. GIOVANNI DAMASCENO). Mai alcun re ottenne simile potere; mai alcuna creatura ha esercitato una sì eccezionale autorità: lo stesso S. Giuseppe anzi non si sarebbe adattato a tale altissimo ministero, se Iddio Padre di cui egli era il vero e legittimo rappresentante, non gliene avesse fatto un preciso dovere. – Forse che in cielo è venuta meno la sua autorità maritale e sono cessati i suoi diritti paterni? Tutt’altro: è in mezzo allo splendore dei Santi che egli svolge ancora il suo impero: il suo trono si eleva presso quello della Sposa Immacolata che Iddio gli ha prescelta, e la sua potenza di intercessione presso il cuore dell’Altissimo conserva sempre dell’autorità paterna. È principio teologico indiscusso, illustrato sapientemente dall’angelico, che quanto più i Santi nel cielo sono vicini a Dio, tanto più le loro orazioni sono efficaci: Quanto Sancii qui sunt in patria sunt Deo coniunctiores, tanto eorum orations sunt magis efficaces (2a , 2æ, quæst. 83, art. 11). – Ora chi più unito a Dio da vincoli di intimità, di familiarità del nostro San Giuseppe che anche in Cielo può chiamare suo Figlio lo stesso nostro Signor Gesù Cristo? All’infuori di lui e della Vergine, dice San Cipriano, non est in cælestibus agminibus qui Dominum Jesum audeat filium nominare (De Bapt. Ghrist.). Se chiama Gesù suo Figlio, non è più a stupire che la sua intercessione acquisti l’efficacia di un vero comando. Tale il pensiero di un pio dottore: Quanta vis in eo impetranti quia dum pater filium orai, imperium reputatur. Ha qui il suo naturale fondamento la fiducia che la Chiesa santa e tutti i fedeli cristiani hanno sempre riposto nel suo potente patrocinio: ma è qui ancora il premio più ambito per la santità perfettissima di cui fu adorno, il fastigio supremo ed il coronamento più bello di quella gloria che a lui si proietta da Gesù e che egli riflette in tanta copia e con tanta fulgida paradisiaca luminosità. – L’antico patriarca Giuseppe, figliuolo di Giacobbe, che del nostro era figura e promessa, essendo in tutto lo splendore della sua potenza faraonica, fece un sogno impressionante che le sacre carte ci hanno tramandato: vide mentalmente che il sole, la luna e le stelle erano intenti ad adorarlo. Quello che nella visione antica non era che il simbolo di un potere politico e la prova di una gloria transeunte, nel nostro San Giuseppe è invece una perfetta ed indubitata realtà. Attorno a lui noi troviamo il Sole di giustizia che è Gesù, la Luna candida ed Immacolata che è Maria, le stelle fulgidissime che rappresentano i Santi del Cielo, da S. Bernardo a San Francesco di Sales, da Santa Teresa alla Chantal. A ragione quindi la Chiesa ci invita considerare la di lui esaltazione e ci sprona ad onorarlo quale patrono universale, con un culto speciale di suprema dulia. Vi è un sapiente, vi è un re, un conquistatore che ottenga oggi omaggi così universali e lodi così entusiastiche? Dappertutto si elevano templi ed altari in suo onore: le arti vanno a gara nel fissare il suo nome e la sua immagine nella memoria degli uomini, e l’eloquenza deputa i suoi geni più celebrati per esaltarne la giustizia e le alte prerogative. Uniamoci dunque a questo coro di esaltazioni ed invochiamo dalla intercessione quasi onnipotente di San Giuseppe la grazia di avvicinarci in qualche modo alle sue virtù, affinché, ottenendo poi un qualche grado della sua gloria eccelsa, possiamo nel cielo testimoniare gli effetti del suo illimitato potere.

L’AGONIA DI GESU’: QUINTO VENERDI’ DI QUARESIMA

QUINTO VENERDÌ DI QUARESIMA

[Don U. Banci: L’AGONIA DI GESU’, F. Pustet ed. Roma, 1935 – impr.]

In nomine Patris et Filli et Spiritus Sancti. Amen.

Actiones nostras, quæsumus  Domine, adspirando præveni et adiavando prosequere, ut cuncta nostra oratio et operatio a Te semper incipiat et per Te cœpta finiatur. Per Christum Dominum nostrum. Amen.

[Nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo. Così sia. Inspira, o Signore, le nostre azioni ed accompagnale col tuo aiuto, affinché ogni nostra preghiera e opera da Te sempre incominci e col tuo aiuto sempre si compia. Per Cristo nostro Signore. Così sia.]

INVITO

Già trafitto in duro legno/Dall’indegno popol rio

La grand’alma un Uomo Dio, / Va sul Golgota a spirar.

Voi, che a Lui fedeli siete, /Non perdete, o Dio, i momenti

Di Gesù gli ultimi accenti /Deh! venite ad ascoltar.

QUINTA PAROLA DI GESÙ IN CROCE

Sitio. Ho sete. (GIOVANNI, cap. XIX. v. 28) .

CONSIDERAZIONE

Avevano predetto i Profeti che Gesù sarebbe stato, per mano dei suoi nemici, abbeverato di aceto [Salmo LXVIII, v. 22] – La divina tragedia sta ormai per volgere al suo termine, e Gesù che fino allora non aveva mai domandato sollievo alcuno ai suoi lunghi ed acerbi dolori, ora, negli ultimi momenti della sua agonia, abbassa lo sguardo su quanti stanno presso la croce e dalle sue labbra riarse erompe un gemito: Ho sete! E quanto intensa non doveva essere la sua sete! Nel Getsemani aveva sudato sangue; di sangue aveva bagnato le aule di Caifas e del pretorio, di sangue erano segnate le vie di Gerusalemme e la strada del Calvario, e dopo tante effusioni, causate dai flagelli e dalle spine, ecco che i chiodi, squarciando le sue mani ed i suoi piedi, aprono l’uscita a quel poco sangue, che ancora era rimasto nelle vene. Aggiungi tutti gli strapazzi sofferti, il sudore versato lungo il penoso e faticoso viaggio al Calvario, la febbre ardente che lo tormenta, e poi dimmi, o anima cristiana, se la sete, che è stata sempre uno dei più grandi tormenti dei crocifissi, non abbia dovuto Gesù soffrirla nella sua massima intensità! Ma Colui che riempie di acqua i mari, che fa scaturire le sorgenti dai monti, che fa scorrere fiumi e torrenti e fa dal cielo scendere piogge benefiche, non avrà il refrigerio di una sola goccia d’acqua! Uno di quei soldati, che lo aveva accompagnato al Calvario e che era rimasto di scorta, a quel grido corre ad inzuppare una spugna nell’aceto, e postala in cima ad una canna, l’appressa alla sua bocca [GIOVANNI, cap. XIX, v. 29]. – O avventurato soldato, che nel compiere questo pietoso ufficio verso Gesù che muore, senza saperlo ti facesti istrumento di Dio per il compimento della profezia, non avrà certo lasciato di compensarti del tuo atto generoso Colui, che aveva detto che nemmeno un bicchiere di acqua fresca dato ad un sofferente sarebbe lasciato senza ricompensa. Sì, ti avrà Egli ricompensato della tua pietà dischiudendoti la fonte dell’acqua che infonde la vita; e i credenti di tutti i secoli ti saranno grati di quest’atto con cui soccorresti, anche solo per un istinto di pietà naturale, il tuo Signore, senza forse conoscerlo. Pensi tu, anima cristiana, che se Gesù solo ora, pochi istanti cioè prima di morire, si decise a palesare la sua sete ardente, che pure da lunghe ore lo bruciava, lo facesse per chiedere sollievo al suo tormento? No. Quando appena giunto al Calvario sudato e sfinito stava per essere crocifisso, gli fu offerta quella bevanda gustosa e profumata fatta di vino generoso, misto a mirra ed incenso, che per un senso di umanità si soleva dare ai condannati a morte, affinché come inebriati sentissero meno i dolori del supplizio, Gesù, appena l’ebbe gustata, non la volle bere [MATTEO, cap. XXVII, v. 34]. E ricusò questo ristoro, che gli era stato preparato dalle mani pietose di quel gruppo di donne, che addolorate e piangenti incontrò sulla via del Calvario, appunto perché nella pienezza delle sue facoltà mentali, e nella sua completa sensibilità volle sostenere i tormenti della crocifissione. No, anima cristiana, se ora Gesù esce in quelle parole ho sete non è per invocare un qualunque sollievo; il desiderio di soffrire, non venuto meno in Lui nemmeno sotto l’eccesso dei suoi dolori, glielo avrebbe vietato; ma è solo per farti sempre meglio conoscere i sentimenti ed i desideri del suo amabilissimo cuore. La febbre che lo tormenta è febbre di amore; la sete ardente che lo divora non è tanto sete di acqua, quanto sete di anime. È quella sete, che aveva esperimentato sempre durante tutta la sua vita e che già aveva manifestato alla Samaritana, quando presso il pozzo di Giacobbe le aveva chiesto: Dammi da bere [GIOVANNI, cap. IV, v. 8]. –  « Sitis mea salus vestra » dice S. Agostino. La mia sete è la vostra salvezza, è la sete della gloria del Padre suo che lo consuma, è la sete di te, anima cristiana, della tua felicità che lo tormenta. Come il fiore ha bisogno di umore, e languisce quando gli viene a mancare, così Gesù sembra non possa vivere senza il tuo amore, Egli che pur essendo Dio ha riposto la sua delizia nello stare tra i figli degli uomini; e quando l’umana ingratitudine lo ferisce, esce nei più commoventi lamenti. Ascolta quello che disse un giorno alla sua diletta discepola S. Margherita Alacocque, tenendo in mano il suo Cuore circondato di fiamme e trafitto dalla lancia: « Ecco, disse, quel Cuore che ha tanto amato gli uomini, che non potendo più contenere in sé le fiamme della sua ardente carità, per tuo mezzo è costretto a diffonderle ». Ed in un altro dei suoi intimi colloqui aggiunse: « Se gli uomini rendessero qualche compenso al mio Cuore, stimerei nulla quanto per essi ho sofferto nella mia passione, e sarei pronto a soffrire anche di più; ma ciò che mi strazia è vedere che pochi sono coloro che mi compatiscano e mi consolino». – Quella sete dunque, che lo tormentò sulla croce, è tuttora così ardente in Lui che lo spinge a ripetere continuamente il grido sitio (ho sete); ma questa sete non è soddisfatta; Egli è ancora abbeverato di fiele Ah! sì, anima cristiana, se la passione del suo corpo ebbe termine con la sua morte, non così la passione del suo Cuore; S. Caterina da Genova vide questo Cuore divino tuttora grondante di sangue per i peccatori. E tu, anima cristiana, rimarrai fredda, insensibile a questo grido appassionato del tuo Gesù? Ah! no; non voler essere da meno di quel soldato, che nel rude suo cuore provò un senso di compassione per il povero Crocifisso, e non avendo altro da dargli, inumidì le sue aride labbra con un po’ di aceto. – Rientra per un momento in te stessa e guarda come anche tu bruci di sete. Ma la tua è sete di ricchezze, di onori, di soddisfazioni del senso; ed è questa una sete che soddisfatta produce la morte. Gesù dalla sua croce vide la povera umanità tormentata sempre da questa sete per lei fatale, e perciò con quel grido volle ancora una volta ripetere quell’invito già rivolto al suo popolo per bocca del Profeta Isaia: O voi che siete assetati, venite tutti alle acque [ISAIA, cap. IV, v. 1]; da Lui stesso rinnovato a Gerusalemme, quando in una grande festa, levandosi in piedi e con voce alta, nella quale vibrava tutta la forza del suo ardente amore, esclamò: Chi ha sete venga a me e beva [GIOVANNI, cap. VII, v. 37]. E sai quale è la virtù prodigiosa di quest’acqua che Gesù ti offre ? Chi beve dell’acqua che gli darò io, ha detto Gesù, non avrà più sete in eterno; anzi l’acqua che gli darò diventerà in lui fontana d’acqua zampillante in vita eterna [GIOVANNI, cap. IV, v. 13, 14]-. E quest’acqua così preziosa, scaturita dal cuore di Gesù, è la grazia divina, quella grazia che non si compera con oro o con argento, ma si acquista solo seguendo Gesù per la via dei suoi precetti. Se dunque, anima cristiana, non vuoi rimanere bruciata dalle fiamme della tua concupiscenza, di’ a Gesù con la Samaritana: Signore, dammi di quest’acqua affinché non abbia più sete [GIOVANNI, cap. IV, v. 15]. E avvicinati a Lui, fonte di acqua viva e bevi di quest’acqua discesa dal cielo; essa darà refrigerio alle tue ardenti passioni, ed inebrierà il tuo cuore e la tua mente di santi ardori; così, calmando la tua sete, darai refrigerio a Gesù. E nel dì finale, accogliendoti tra i suoi eletti, ti dirà: «Vieni, poiché ebbi sete e sete di anime, e tu mi hai dato da bere».

* * *

Ma un’altra cosa ancora devi leggere in quel grido di Gesù. Se in questo momento, da quella croce, Gesù ti rivolgesse quella domanda che un giorno rivolse a S. Pietro Mi ami tu? tu certamente gli risponderesti con l’Apostolo: Sì, o Signore, io ti amo; ma Egli, che tuttora si sente consumare dalla gloria di Dio e dal desiderio della salvezza delle anime, soggiungerebbe: Se mi ami, pasci le mie pecorelle [GIOVANNI, cap. XXI, v. 15 e segg.]. Chiede a te insomma quello che chiese alla sua discepola di Paraj-le-Monial, quando le disse che la forza del suo amore lo costringeva a scegliere lei come mezzo per diffondere la sua carità fra gli uomini. Anche tu ti devi fare apostolo per versare sull’umanità assetata quest’acqua di vita; «chi non ha zelo non ha amore » dice S. Agostino. Non vedi quanto male vi è nel mondo; non vedi come Gesù è sconosciuto e bestemmiato; come il vizio è portato in trionfo, la virtù perseguitata, l’innocenza calpestata? Guarda intorno a te quante anime vittime dei pregiudizi e dell’ignoranza; quanti bambini, tanto prediletti da Gesù, che chiedono il pane della verità, ma non v’è chi loro lo spezzi; quanti peccatori, che sentono il bisogno di uscire dall’abisso nel quale sono caduti, ma non v’è chi loro indichi la via della salvezza! Nella tua stessa famiglia non v’è qualche cieco che brancola nell’errore? Felice te, anima cristiana, se spinta dal tuo amore per Gesù, vorrai accendere intorno a te quel sacro fuoco che Egli ha portato in terra. – Lo so, talvolta il lavoro sarà faticoso, perché il terreno è ingrato; troverai forse le difficoltà proprio là dove meno te lo saresti aspettato; ma non perderti di coraggio; al di sopra di tutto e di tutti sta il grido di Gesù: Ho sete. Prendilo questo grido, come un comando. Charitas Christi urget nos [Epistola II ai Corinti, cap. V , v. 14], ha detto S. Paolo, l’amore di Cristo ci sprona. Come dunque nulla arrestò Gesù nella sua missione di amore, né l’ostinatezza, né l’ingratitudine del suo popolo, ma sfidando le potenze dell’inferno, congiurate tutte contro di Lui, corse a passi di gigante per la via del sacrificio e con la sua divina costanza giunse alla vittoria, così tu, anima cristiana, sii forte nella fede, costante nell’operare il bene. Ricordati che il premio sarà proporzionato non al frutto, ma alla fatica, e solo i volenti potranno raggiungere la meta; lavora dunque, anima cristiana, e grande sarà la tua mercede.

Breve pausa, poi si reciti la seguente

PREGHIERA

O mio amabilissimo Redentore, comprendo come la sete, che vi tormentava sulla croce, non era tanto quella causata dalla febbre, dal sudore e dal sangue versato, quanto quella accesa nel vostro cuore dal vostro ardente ed inesauribile amore. Voi avevate sete di anime; avevate sete dell’anima mia. O mio Gesù, sento che se mi fossi trovato sul Calvario, ai piedi della croce, avrei fatto di tutto per darvi un refrigerio. E perché dunque dovrò rimanere indifferente ora a quel grido che Voi vivente nella SS. Eucarestia, con amorevole insistenza andate ripetendo? Che io l’ascolti, o Signore, la vostra voce! Purtroppo fino ad ora il mio cuore ha cercato di calmare la sua sete nelle acque limacciose del peccato, senza però trovar mai quel refrigerio a cui anelava, e che solo Voi potete dare. Per i meriti di quella sete che Voi, o mio Salvatore, avete sofferto sulla croce, spegnetela nel mio cuore questa sete terrena con le acque della vostra grazia, ed accendetevi la sete di Voi, del vostro amore; poiché questo mio cuore è fatto per Voi e solo in Voi troverà riposo. Voi stesso l’avete detto: Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia perché saranno saziati [MATTEO, cap. V, v. 6]. – Il profeta Zaccaria aveva predetto che nella nuova Gerusalemme, nella vostra Chiesa, sarebbe scaturita una fontana mistica aperta a tutti, ogni ora per ristoro e delizia del popolo eletto. Concedetemi che come cervo assetato mi appressi a questa sorgente di acqua viva e non aneli ad altro che a Voi, o mio Dio, fonte di vita. E poiché Voi lo volete, cercherò di farmi in mezzo ai miei fratelli, apostolo della vostra gloria; insegnerò ai peccatori le vie che conducono alla sorgente di ogni consolazione e della vera felicità, in modo che la vita mia si consumi tutta nell’ardore del vostro amore. Sì, o mio Redentore, voglio essere vostro, tutto vostro, soltanto vostro. O Madre addolorata Maria, quanto non dovette soffrire il vostro cuore, non potendo dare sul Calvario il refrigerio di un sorso di acqua a Gesù assetato. Potete però ben ora appagare il suo che è anche il desiderio vostro; con la vostra materna intercessione ottenetemi la grazia che io possa alleviare a Gesù la sua sete con le lacrime del mio pentimento e che in questa terra arida non brami altro che dissetarmi alle acque purissime, scaturite dal cuore del vostro e mio Dio. Così sia.

Pater, Ave e Gloria.

Qual giglio candido

Allor che il Cielo

Nemico negagli

Il fresco umor,

Il capo languido

Sul verde stelo

Nel raggio fervido

Posa talor;

Fra mille spasimi

Tal pure esangue

Di sete lagnasi

Il mio Signor.

Ov’è quel barbaro,

Che mentre Ei langue,

Il refrigerio

Di poche lacrime

Gli neghi ancor?

 

GRADI DELLA PASSIONE

1. V. Jesu dulcissime, in horto mœstus, Patrem orans,

et in agonia positus, sanguineum sudorem effundens;

miserere nobis.

R). Miserere nostri Domine, miserere nostri.

2. V. Jesu dulcissime, osculo traditoris in manus

impiorum traditus et tamquam latro captus et ligatus

et a discipulis derelictus; miserere nobis.

R). Miserere etc.

3. V. Jesu dulcissime ab iniquo Iudæorum concilio

reus mortis acclamatus, ad Pilatum tamquam malefactor

ductus, ab iniquo Herode spretus et delusus; miserere nobis.

R). Miserere etc.

4. V . Jesu dulcissime, vestibus denudatus, et in

columna crudelissime flagellatus; miserere nobis.

R). Miserere etc.

5. V. Jesu dulcissime, spinis coronatus, colaphìs

cæsus, arundine percussus, facie velatus, veste purpurea

circumdatus, multipliciter derisus et opprobriis

saturatus; miserere nobis.

R). Miserere etc.

6. V . Jesu dulcissime, latroni Barabbæ postpositus,

a Judæis reprobatus, et ad mortem crucis injuste condemnatus;

miserere nobis.

R). Miserere etc.

7. V . Jesu dulcissime, tigno crucis oneratus,

ad locum supplicii tamquam

ovis ad occisionem ductus; miserere nobis.

R). Miserere etc.

8. V. Jesu dulcissime, inter latrones deputatus,

blasphematus et derisus, felle et aceto potatus, et

horribilibus tormentis ab hora sexta usque ad horam

nonam in ligno cruciatus; miserere nobis.

R). Miserere etc.

9. V. Jesu dulcissime, in patibulo crucis, mortuiis et

coram tua sancta Matre lancea perforatus simul

sanguinem et aquam emittens; miserere nobis.

R). Miserere etc.

10. V . Jesu dulcissime, de cruce depositus et lacrimis

mœstissimæ Virgiuis Matris tuæ perfusus; miserere nobis.

R). Miserere etc.

11. Jesu dulcissime, plagis circumdatus, quinque

vulneribus signatus, aromatibus conditus et in

sepulcro repositus; miserere nobis.

R). Miserere etc.

V . Adoramus Te Christe, et benedicimus Tìbi.

R). Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.

OREMUS

Deus, qui prò redemptione

mundi nasci voluisti,

circumcìdì, a Judæis reprobavi

et Judæ traditore

osculo tradi, vinculis alligavi,

sic ut agnus innocens

ad victimam duci, atque

conspectibus Annæ, Caiphæ,

Pilati et Herodis

indecenter offevri, a falsis

testibus accusari, flagellis

et colaphis cædi, opprobriis

vexari, conspui, spinis

coronari, arundine percuti,

facie velari, vestibus

spoliari, cruci clavis afFigi,

in cruce levari, inter

latrones deputari, felle et

aceto potari et lancea vulnerari;

Tu Domine, per

has sanctissimas pœnas,

quas ego indignus recolo,

et per sanctissimam crucem

et mortem tuam libera

me a pœnis inferni et perducere

digneris quo perduxisti

latronem tecum

crucifixum. Qui cum Patre

et Spiritu Sancto vivis

et regnas in sæcula sæculorum.

Amen.

[1. V . O dolcissimo Gesù, triste nell’orto, al Padre con la preghiera rivolto, agonizzante e grondante sudore di sangue; abbi di noi pietà.

R). Pietà di noi, o Signore, abbi di noi pietà.

2. V . O dolcissimo Gesù, con un bacio tradito e nelle mani degli empi consegnato, e come un ladro preso e legato e dai discepoli abbandonato; abbi di noi pietà.

R). Pietà di noi ecc.

3. V . O Gesù dolcissimo, dall’iniquo Sinedrio giudaico reo di morte proclamato, e come malfattore a Pilato presentato, e dall’iniquo Erode disprezzato e schernito; abbi di noi pietà.

R). Pietà di noi ecc.

4. V . O dolcissimo Gestì, delle vesti spogliato, e c rudelmente alla colonna flagellato; abbi di noi pietà.

R). Pietà di noi ecc.

5. V. O dolcissimo Gesù, di spine coronato, schiaffeggiato, con la canna percosso, bendato, di rossa veste rivestito, in tanti modi deriso e di obbrobri saziato; abbi di noi pietà.

R). Pietà di noi ecc.

6. V. O dolcissimo Gesù, al ladro Barabba posposto, dai Giudei riprovato; ed alla morte di croce ingiustamente condannato; abbi di noi pietà.

R). Pietà di noi ecc.

7. V. O dolcissimo Gesù, del legno della croce gravato, e come agnello al luogo del supplizio condotto, per esservi immolato; abbi di noi pietà.

R). Pietà di noi ecc.

8. V. O dolcissimo Gesù, tra i ladroni annoverato, bestemmiato e deriso, di fiele e di aceto abbeverato, e con orribili tormenti dall’ora sesta fino all’ora nona nel legno straziato; abbi di noi pietà.

R). Pietà di noi ecc.

9. V. O dolcissimo Gesù, sul patibolo della croce morto, ed alla presenza della tua santa Madre con la lancia trafitto versando insieme sangue ed acqua; abbi di noi pietà.

R). Pietà di noi ecc.

10. V. O dolcissimo Gesù, dalla croce deposto, e dalle lacrime dell’afflittissima tua Vergine Madre bagnato;abbi di noi pietà

R). Pietà di noi ecc.

11. V. O dolcissimo Gesù, di piaghe coperto, da cinque ferite trafitto, di aromi cosparso, e nel sepolcro deposto; abbi di noi pietà.

R). Pietà di noi ecc.

V. Ti adoriamo, o Cristo, e Ti benediciamo.

R). Poiché con la tua santa croce hai redento il mondo.

PREGHIAMO

O Dio, che per la redenzione del mondo volesti nascere, essere circonciso, dai Giudei riprovato, da Giuda traditore con un bacio tradito, da funi avvinto, come agnello innocente al sacrifizio condotto, ed in modo indegno ad Anna, Caifa, Pilato ed Erode presentato, da falsi testimoni accusato, con flagelli e schiaffi percosso, con obbrobri oltraggiato, sputacchiato, di spine coronato, con la canna percosso, bendato, delle vesti spogliato, alla croce con chiodi confitto, sulla croce innalzato, tra i ladroni annoverato, di fiele e di aceto abbeverato, e con la lancia ferito; Tu, o Signore, per queste santissime pene, che io indegno vado considerando, e per la tua croce e morte santissima, liberami dalle pene dell’inferno e, desiati condurmi dove conducesti il ladrone penitente con Te crocifisso. Tu che col Padre e con lo Spirito Santo vivi e regni nei secoli dei secoli. Così sia.]

CANTO DEL TEMPO DI QUARESIMA

Attende, Domine, et miserere, quia peccavìmus Tìbi.

R). Attende, Domine, et miserere, quia peccavimus Tibi.

1. Ad Te, rex summe,

omnium redemptor,

oculos nostros sublevamus

flentes; exaudi Christe,

supplicantium preces.

R). Attende etc.

2. V. Dextera Patris, lapis

angularis, via salutis,

janua cœlestis, ablue nostri

maculas delicti.

R). Attende etc.

3. V . Rogamus, Deus,

tuam majestatem, auribus

sacris gemitus exaudi; crimina

nostra placidus indulge.

R). Attende etc.

4. V. Tibi fatemur crimina

admìssa; contrito corde

pandimus occulta; tua, Redemptor,

pietas ignoscat.

R). Attende etc.

5. V. Innocens captus,

nec repugnans ductus, testibus

falsis prò impiis damnatus,

quos re demisti Tu

conserva, Christe.

R). Attende etc.

OREMUS

Respice, quæsumus Domine, super hanc familiam tuam, prò qua Dominus noster Jesus Christus non dubitavit manibus tradì nocentium, et Crucis subire tormentum.  Qui tecum vivit et regnat in sæcula sæculorum. Amen.

[R). Ascolta, o Signore, ed abbi misericordia, perché abbiamo peccato contro di Te.

R). Ascolta, o Signore, ed abbi misericordia, perché abbiamo peccato contro di Te.

1. V. A Te, o Sommo Re, redentore universale, eleviamo i nostri occhi piangenti;  esaudisci, o Cristo, la preghiera di chi a Te si raccomanda. R). Ascolta ecc.

2. V. O destra del Padre, o pietra angolare, o via di salvezza, o porta del cielo, tergi le macchie del nostro peccato. R). Ascolta ecc.

3. V. Preghiamo, o Dio, la tua maestà, porgi le sacre orecchie ai gemiti, e perdona benigno i nostri delitti. R). Ascolta ecc.

4. V. A Te confessiamo i peccati commessi; con cuore contrito manifestiamo ciò che è nascosto; la tua pietà, o Redentore, ci perdoni. R). Ascolta ecc.

5. V. Imprigionato innocente, condotto non riluttante, da falsi testimoni per i peccatori condannato, Tu, o Cristo, salva coloro che hai redento. R). Ascolta ecc.

PREGHIAMO

Riguarda benigno, o Signore, a questa tua famiglia, per la quale nostro Signore Gesù Cristo non dubitò di darsi in mano ai nemici e di subire il supplizio di croce. Egli che vive e regna Teco nei secoli dei secoli. Così sia.]

 

L’AGONIA DI GESU’: TERZO VENERDI’ DI QUARESIMA

TERZO VENERDÌ DI QUARESIMA

 [d. Umberto BANCI: “L’AGONIA DI GESU”; Libr. F. PUSTET, ROMA – 1935]

In nomine Patris et Filli et Spiritus Sancti. Amen.

Actiones nostras, quæsumus  Domine, adspirando præveni et adiavando prosequere, ut cuncta nostra oratio et operatio a Te semper incipiat et per Te cœpta finiatur. Per Christum Dominum nostrum. Amen.

[Nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo. Così sia. Inspira, o Signore, le nostre azioni ed accompagnale col tuo aiuto, affinché ogni nostra preghiera e opera da Te sempre incominci e col tuo aiuto sempre si compia. Per Cristo nostro Signore. Così sia.]

INVITO

Già trafitto in duro legno/Dall’indegno popol rio

La grand’alma un Uomo Dio, / Va sul Golgota a spirar.

Voi, che a Lui fedeli siete, /Non perdete, o Dio, i momenti

Di Gesù gli ultimi accenti /Deh! venite ad ascoltar.

TERZA PAROLA DI GESÙ IN CROCE

Mulier, ecce filius tuus, ... deinde discipulo: Ecce mater tua ! (GIOVANNI, cap. X IX, 26, 27).

Donna, ecco tuo figlio, e al discepolo : Ecco la madre tua!

CONSIDERAZIONE

L’odio implacabile dei nemici di Gesù aveva messo in fuga i suoi discepoli ed i suoi ammiratori, aveva esaurito l’attaccamento dei suoi amici e dei suoi difensori, ma non aveva potuto impedire ad un piccolo gruppo di anime generose di raccogliersi ai piedi della croce ed accompagnare con le loro pietose lacrime l’agonia di Gesù. Accanto alla croce di Gesù, narra infatti l’Evangelista, stavano la sua madre e la sorella di sua Madre Maria di Cleofa e Maria di Magdala [Giov., XIX, v. 25] – Ed è su la Madre sua addolorata, che Gesù rivolge ora i suoi sguardi, e su di Lei, o anima cristiana, richiama la tua attenzione. Leggiamola insieme la narrazione della scena pietosa e sublime che si svolge su quel monte del dolore, e che doveva essere per l’umanità sorgente di nuove grazie. È S. Giovanni l’Apostolo prediletto, che la descrive, egli che ne fu il testimonio oculare ed uno dei protagonisti. Gesù allora, narra l’Apostolo, vedendo la madre e lì presente il discepolo amato da lui, dice a sua Madre: Donna, ecco tuo figlio. Poi dice al discepolo: Ecco la Madre tua. E da quel punto il discepolo se la prese con sé [Giov., cap. XIX, v. 26, 27]. « Vide bonitatem Dei » considera qui, o anima cristiana, la grande bontà del tuo Signore! – Poche ore prima Gesù nel raccomandare ai suoi discepoli che si amassero scambievolmente e si amassero così come Egli li aveva amati, aveva loro detto : Nessuno ha amore più grande di questo: dare la vita per ì suoi amici [Giov., cap. XV, v. 15]. Dare la propria vita per la persona amata è senza dubbio l’ultima e più grande prova, che l’amico può dare all’amico del suo amore; ebbene questa grande prova Gesù te l’ha data. Se Egli muore inchiodato in croce, non è perché ha dovuto cedere alla violenza; con una parola sola aveva nel Getsemani gettato a terra tutta la turba armata, che era venuta ad arrestarlo. Ed ora non sono i chiodi che lo tengono sospeso al patibolo. – Gli Scribi ed i Farisei credono che Gesù non sia altro che una vittima del loro odio, ma essi non sanno quello che fanno. Oblatus est quia ipse voluit [Is., cap. LIII, v. 7] ; si è offerto al sacrificio perché lo ha voluto; e lo ha voluto perché ti ama. Sì, è l’amore che ti porta, o anima cristiana, che lo tiene attaccato a quella croce da Lui voluta con tutti i suoi orrori e i suoi dolori. « L’amore uccide l’amante » ha detto S. Pier Crisologo, e Gesù è veramente la vittima illustre del suo grande amore per te. Senonché, o Signore, Voi non avete dato la vita per gli amici ma l’avete data per i vostri nemici, che tali eravamo noi, fatti per il peccato figli di ira e di maledizione. – Ma un’altra prova del suo amore ancora più grande te l’aveva già data Gesù la sera innanzi nel Cenacolo, con l’istituzione della SS. Eucarestia. Se sul Calvario Gesù si esaurì come uomo, nel Cenacolo si esaurì come Dio. Gesù, ha scritto l’Evangelista S. Giovanni, che amava i suoi che erano al mondo, li amò sino alla fine [Giov., cap. X III, v.1].  Sì, Gesù ci ha amato sino alla fine, fino cioè a dar fondo ai tesori della sua divinità. Che cosa infatti avrebbe potuto darci di più Gesù quando in questo augusto Sacramento ci ha dato tutto se stesso, non solo come uomo, ma anche come Dio? Quando ogni giorno, anzi in ogni ora del giorno, discende realmente dal cielo, per offrirsi al Padre in olocausto d’amore, per la salvezza nostra, perpetuando così la rinnovazione dei grandi misteri della nostra redenzione, la sua Incarnazione cioè e la sua Passione e Morte? Ben disse S. Agostino: «Dio, pur essendo onnipotente, non poteva dare di più; essendo sapientissimo, non sapeva dare di più; essendo ricchissimo non aveva da dare di più ». Eppure quel cuore amabilissimo non è ancora soddisfatto, ed ecco che anche tra i tormenti della croce, cerca se possa dare agli uomini una nuova testimonianza del suo amore. Una cosa cara e preziosa gli era rimasta sulla terra: la Madre sua. Ebbene, Gesù che amava Maria come il più caro figlio può amare la più santa delle madri, compie ora l’estremo sacrificio, e ci dà come madre la Madre sua; nella persona di S. Giovanni, presentandoti Maria dice a te, anima cristiana, ed insieme a tutti gli uomini: Ecco la Madre tua. E da quel momento Maria divenne la madre tua. Gesù aveva promesso ai suoi cari di non lasciarli orfani e soli, e prima di salire al cielo dirà loro: Sarò con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo [MATTEO, cap. XXVIII, v. 20] ; ma occorreva dare anche una madre alla famiglia cristiana, e questa madre sarà proprio Lei, la Madre stessa di Gesù. Ma è possibile che la Madre di Gesù sia anche la Madre mia? Sì, è verità di cui non puoi e non devi dubitare; poiché è dottrina dalla Chiesa insegnata ed universalmente accettata che quando Gesù, indicando Maria, rivolse a S. Giovanni quelle parole Ecco la Madre tua, Egli vedeva nell’Apostolo tutta l’umanità, ed a tutti gli uomini la volle dare per Madre. Anche tu dunque, anima cristiana, benché indegna, sei la figlia di quella grande Madre; anche tu, rivolta a Maria puoi dirle: Madre di Dio e Madre mia. Sono veramente inesauribili le ammirabili invenzioni dell’amore di Gesù per te! Ma comprendi tu, anima cristiana, la sublimità di questo dono? Ti sei mai resa conto dei tanti titoli per i quali Maria si impone alla tua venerazione? Rifletti, anima cristiana, come Maria è quella Donna, che Dio preconizzò nel Paradiso terrestre ai nostri infelici progenitori; è quella Donna sublime, che schiacciando col suo piede immacolato la testa del serpente infernale, avrebbe iniziato la nuova èra di grazia. Essa fu il sospiro dei Patriarchi, l’ammirazione dei Profeti, che a Lei nelle sublimi estasi del loro spirito inneggiarono chiamandola: Regina adorna di ogni bellezza [Ps. XLVI, 10]; Tabernacolo purissimo di Dio [Ps. LXXXVI]; bella come la luna; splendente come il sole [Cantico de’ Cantici, cap. V I , v. 9]. Su di Lei, al momento dell’incarnazione, si posarono compiacenti gli sguardi della Triade Santissima e l’Angelo di Dio la salutò la piena di grazia [Lc. I, 28]. Maria insomma è il capolavoro della grazia e dell’onnipotenza divina, che tutte le generazioni, con commossa riconoscenza, hanno chiamato e chiameranno beata [Lc. I, 48]. Ed a tanta bellezza ed a così eccelsa grandezza unisce una potenza senza limiti; Maria è la mediatrice di tutte le grazie. È dottrina universalmente dalla Chiesa riconosciuta, che nessuna grazia ci viene da Dio se non per mezzo di Maria; « Nessuno, dice S. Gennaro vescovo di Costantinopoli, è liberato da un male, se non per te, o Signora Immacolatissima; nessuno riceve un bene se non per te, o Signora misericordiosissima; nessuno consegue la vittoria finale, se non per te, Signora Santissima» [Orazione 91]. Secondo la felice similitudine di S. Bernardo, Maria è il canale benedetto per mezzo del quale le grazie dal cielo discendono in terra: « E il fiume celestiale per cui si versano in grembo ai poveri mortali i flutti di tutte le grazie e di tutti i doni; è il portale d’oro del Paradiso, per cui speriamo di potere un giorno entrare nella pace e nella felicità eterna » [BENEDETTO XIV, Bolla Gloriosæ Dominæ]. – E nella sua eccelsa grandezza ha per i suoi figli una sollecitudine veramente materna. Come nel giorno memorando delle nozze di Cana, così ora dal cielo è provvidenzialmente vigile, ed incredibilmente sollecita nel soccorrere alle nostre necessità, tanto che S. Bernardo, il sublime cantore di Maria, poté scrivere: « Non si è mai inteso dire al mondo che alcuno ricorrendo alla sua protezione, implorando il suo aiuto e chiedendo il suo patrocinio sia rimasto abbandonato». E come queste parole corrispondano a verità tu stessa, anima cristiana, non ne hai fatto tante volte una felice esperienza? Anche tu nelle circostanze tristi della tua vita hai esperimentato quanto giustamente la pietà riconoscente dei fedeli rivolge a Lei quei bei titoli di Madonna delle grazie, Salute degli infermi, Consolatrice degli afflitti, Aiuto dei Cristiani. Ecco il grande dono che ti ha fatto Gesù dalla croce, mentre bevendo le ultime gocce del calice di amarezza realizzava il sospiro di tutta la sua vita. E tu, anima cristiana, come hai corrisposto a tanto dono? Saresti anche tu per caso tra coloro, meritevoli forse più di compassione che non di condanna, i quali ardiscono oltraggiare Maria con la bestemmia? Sarebbe abominevole la tua condotta; vilipendere così la Creatura più eccelsa; straziare così la Madre tua, a cui costi tutte le sue lacrime, è cosa orrenda, è ingratitudine inqualificabile. Gli stessi Giudei che nel loro odio cieco non risparmiarono insulti a Gesù, pure non osarono insultare la Madre del Crocifisso; anzi con pietosa riverenza le permisero di accostarsi e rimanere ai piedi della croce. E tu vorrai essere peggiore di loro? Lungi dunque da te un tale linguaggio d’inferno e risuoni invece sulle tue labbra una lode perenne a Maria; e sappiti rendere degno di tanto cara Madre, così come se ne seppe rendere degno S. Giovanni. A lui, perché puro, Gesù affidò la sua Vergine Madre. Coltiva anche tu nel tuo cuore il giglio della purezza; questa virtù, che è creatrice di Angeli in terra, ti meriterà le predilezioni di Gesù e l’amore di Maria. Che se il tuo passato avesse a rimproverarti qualche disordine, gettati con confidenza ai piedi di Maria; Ella non è soltanto la mediatrice benefica dei buoni, è anche il rifugio dei peccatori, che Ella persegue con tutte le arti della sua materna passione. Ed in ogni circostanza della tua vita, sia lieta o triste, volgi fiducioso il tuo sguardo a questa stella del mare, a questo porto di salute, e troverai in Lei la tua pace e la tua salvezza, perché a Lei la Chiesa applica quelle parole della scrittura: In me e ogni speranza di virtù e di vita [Ecclesiastico, cap. XXIV, v. 25].

Breve pausa, poi si reciti la seguente:

PREGHIERA

O Gesù mio amabilissimo, chi mai potrà rimanere indifferente dinanzi ai prodigi, che per me ha operato la vostra eccessiva carità? Per me le vostre carni, per me tutto il vostro sangue, ed anche tra i tormenti del vostro martirio io fui l’oggetto delle vostre premure, poiché mi assegnaste come madre la vostra stessa Madre. Come sono meravigliose le opere vostre, o Dio di misericordia! Grazie, o Signore, di tanta vostra bontà; siate benedetto ora e sempre, in tutti i tempi e in tutti i luoghi. Purtroppo però tanta è la nostra cecità, che il vostro amore non è corrisposto; i vostri doni non sono apprezzati. Voi vi umiliate ed io non vi comprendo; Voi mi cercate ed io mi nascondo; Voi mi amate ed io vi disprezzo; dei vostri stessi doni mi servo per offendervi. No, o Signore, non sia più così. Fate che io veda, vi ripeterò con il cieco di Gerico; che io comprenda una buona volta che Voi solo siete veramente degno di essere amato, seguito e servito, Voi,  via, verità e vita, che siete venuto al mondo per ricolmarci di tutti i beni di grazia e di gloria. Per quello stesso amore dunque, che vi fece operare sì grandi cose per me, dissipate le tenebre che mi circondano, affinché conoscendo ed apprezzando i doni del vostro amore, possa cantare in eterno le vostre misericordie. – E Voi, Vergine addolorata, divenuta ai piedi della croce Madre di tutti coloro che soffrono e piangono in questa valle di lacrime, degnatevi rivolgere su di me i vostri sguardi misericordiosi. Voi che nell’esempio di Gesù imparaste ad amare i peccatori, Voi, che nel vostro cuore, prima ancora di esserlo solennemente proclamata, eravate Madre dei peccatori e che con le vostre preghiere, accompagnate dall’offerta dei vostri dolori, contribuiste alla conversione del buon ladro ed al ravvedimento di tutti quelli che, percuotendosi il petto, confessarono il loro delitto; Voi, che aveste il cuore sempre aperto alle nostre miserie, impetrate anche a me, figlia del vostro dolore, di piangere, nell’amarezza del mio cuore, tutte le mie colpe, ed accoglietemi, o Madre pietosa ed amorosa, sotto il vostro patrocinio e mostratevi ora e sempre, ma specialmente al momento della mia morte, Madre di misericordia. Così sia. [Pater, Ave e Gloria].

Volgi, deh! volgi

A me il Tuo ciglio,

Madre pietosa;

Poiché amorosa,

Me, qual tuo figlio,

Devi guardar.

Di tanto amore

Degno mi rendi;

Del santo amore

Tu il cor mi accendi.

Né un solo istante,

Freddo incostante

(Ah! mai non sia)

Gesù e Maria

Lasc’io d’amar.

GRADI DELLA PASSIONE

1. V. Jesu dulcissime, in horto mœstus, Patrem orans,

et in agonia positus, sanguineum sudorem effundens;

miserere nobis.

R). Miserere nostri Domine, miserere nostri.

2. V. Jesu dulcissime, osculo traditoris in manus

impiorum traditus et tamquam latro captus et ligatus

et a discipulis derelictus; miserere nobis.

R). Miserere etc.

3. V. Jesu dulcissime ab iniquo Iudæorum concilio

reus mortis acclamatus, ad Pilatum tamquam malefactor

ductus, ab iniquo Herode spretus et delusus; miserere nobis.

R). Miserere etc.

4. V . Jesu dulcissime, vestibus denudatus, et in

columna crudelissime flagellatus; miserere nobis.

R). Miserere etc.

5. V. Jesu dulcissime, spinis coronatus, colaphìs

cæsus, arundine percussus, facie velatus, veste purpurea

circumdatus, multipliciter derisus et opprobriis

saturatus; miserere nobis.

R). Miserere etc.

6. V . Jesu dulcissime, latroni Barabbæ postpositus,

a Judæis reprobatus, et ad mortem crucis injuste condemnatus;

miserere nobis.

R). Miserere etc.

7. V . Jesu dulcissime, tigno crucis oneratus,

ad locum supplicii tamquam

ovis ad occisionem ductus; miserere nobis.

R). Miserere etc.

8. V. Jesu dulcissime, inter latrones deputatus,

blasphematus et derisus, felle et aceto potatus, et

horribilibus tormentis ab hora sexta usque ad horam

nonam in ligno cruciatus; miserere nobis.

R). Miserere etc.

9. V. Jesu dulcissime, in patibulo crucis, mortuiis et

coram tua sancta Matre lancea perforatus simul

sanguinem et aquam emittens; miserere nobis.

R). Miserere etc.

10. V . Jesu dulcissime, de cruce depositus et lacrimis

mœstissimæ Virgiuis Matris tuæ perfusus; miserere nobis.

R). Miserere etc.

11. Jesu dulcissime, plagis circumdatus, quinque

vulneribus signatus, aromatibus conditus et in

sepulcro repositus; miserere nobis.

R). Miserere etc.

V . Adoramus Te Christe, et benedicimus Tìbi.

R). Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.

OREMUS

Deus, qui prò redemptione

mundi nasci voluisti,

circumcìdì, a Judæis reprobavi

et Judæ traditore

osculo tradi, vinculis alligavi,

sic ut agnus innocens

ad victimam duci, atque

conspectibus Annæ, Caiphæ,

Pilati et Herodis

indecenter offevri, a falsis

testibus accusari, flagellis

et colaphis cædi, opprobriis

vexari, conspui, spinis

coronari, arundine percuti,

facie velari, vestibus

spoliari, cruci clavis affigi,

in cruce levari, inter

latrones deputari, felle et

aceto potari et lancea vulnerari;

Tu Domine, per

has sanctissimas pœnas,

quas ego indignus recolo,

et per sanctissimam crucem

et mortem tuam libera

me a pœnis inferni et perducere

digneris quo perduxisti

latronem tecum

crucifixum. Qui cum Patre

et Spiritu Sancto vivis

et regnas in sæcula sæculorum.

Amen.

[1. V . O dolcissimo Gesù, triste nell’orto, al Padre con la preghiera rivolto, agonizzante e grondante sudore di sangue; abbi di noi pietà.

R). Pietà di noi, o Signore, abbi di noi pietà.

.2. V . O dolcissimo Gesù, con un bacio tradito e nelle mani degli empi consegnato, e come un ladro preso e legato e dai discepoli abbandonato; abbi di noi pietà.

R). Pietà di noi ecc.

3. V . O Gesù dolcissimo, dall’iniquo Sinedrio giudaico reo di morte proclamato, e come malfattore a Pilato presentato, e dall’iniquo Erode disprezzato e schernito; abbi di noi pietà.

R). Pietà di noi ecc.

4. V . O dolcissimo Gestì, delle vesti spogliato, e c rudelmente alla colonna flagellato; abbi di noi pietà.

R). Pietà di noi ecc.

5. V. O dolcissimo Gesù, di spine coronato, schiaffeggiato, con la canna percosso, bendato, di rossa veste rivestito, in tanti modi deriso e di obbrobri saziato; abbi di noi pietà.

R). Pietà di noi ecc.

6. V. O dolcissimo Gesù, al ladro Barabba posposto, dai Giudei riprovato; ed alla morte di croce ingiustamente condannato; abbi di noi pietà.

R). Pietà di noi ecc.

7. V. O dolcissimo Gesù, del legno della croce gravato, e come agnello al luogo del supplizio condotto, per esservi immolato; abbi di noi pietà.

R). Pietà di noi ecc.

8. V. O dolcissimo Gesù, tra i ladroni annoverato, bestemmiato e deriso, di fiele e di aceto abbeverato, e con orribili tormenti dall’ora sesta fino all’ora nona nel legno straziato; abbi di noi pietà.

R). Pietà di noi ecc.

9. V. O dolcissimo Gesù, sul patibolo della croce morto, ed alla presenza della tua santa Madre con la lancia trafitto versando insieme sangue ed acqua; abbi di noi pietà.

R). Pietà di noi ecc.

10. V. O dolcissimo Gesù, dalla croce deposto, e dalle lacrime dell’afflittissima tua Vergine Madre bagnato;abbi di noi pietà

R). Pietà di noi ecc.

11. V. O dolcissimo Gesù, di piaghe coperto, da cinque ferite trafitto, di aromi cosparso, e nel sepolcro deposto; abbi di noi pietà.

R). Pietà di noi ecc.

V. Ti adoriamo, o Cristo, e Ti benediciamo.

R). Poiché con la tua santa croce hai redento il mondo.

PREGHIAMO

O Dio, che per la redenzione del mondo volesti nascere, essere circonciso, dai Giudei riprovato, da Giuda traditore con un bacio tradito, da funi avvinto, come agnello innocente al sacrifizio condotto, ed in modo indegno ad Anna, Caifa, Pilato ed Erode presentato, da falsi testimoni accusato, con flagelli e schiaffi percosso, con obbrobri oltraggiato, sputacchiato, di spine coronato, con la canna percosso, bendato, delle vesti spogliato, alla croce con chiodi confitto, sulla croce innalzato, tra i ladroni annoverato, di fiele e di aceto abbeverato, e con la l’ancia ferito; Tu, o Signore, per queste santissime pene, che io indegno vado considerando, e per la tua croce e morte santissima, liberami dalle pene dell’inferno e, desiati condurmi dove conducesti il ladrone penitente con Te crocifisso. Tu che col Padre e con lo Spirito Santo vivi e regni nei secoli dei secoli. Così sia.]

CANTO DEL TEMPO DI QUARESIMA

Attende, Domine, et miserere, quia peccavìmus Tìbi.

R). Attende, Domine, et miserere, quia peccavimus Tibi.

1. Ad Te, rex summe,

omnium redemptor,

oculos nostros sublevamus

flentes; exaudi Christe,

supplicantium preces.

R). Attende etc.

2. V. Dextera Patris, lapis

angularis, via salutis,

janua cœlestis, ablue nostri

maculas delicti.

R). Attende etc.

3. V . Rogamus, Deus,

tuam majestatem, auribus

sacris gemitus exaudi; crimina

nostra placidus indulge.

R). Attende etc.

4. V. Tibi fatemur crimina

admìssa; contrito corde

pandimus occulta; tua, Redemptor,

pietas ignoscat.

R). Attende etc.

5. V. Innocens captus,

nec repugnans ductus, testibus

falsis prò impiis damnatus,

quos re demisti Tu

conserva, Christe.

R). Attende etc.

OREMUS

Respice, quæsumus Domine, super hanc familiam

tuam, prò qua Dominus noster Jesus Christus non dubitavit

manibus tradì nocentium, et Crucis subire tormentum.

Qui tecum vivit et regnat in sæcula sæculorum. Amen.

[R). Ascolta, o Signore, ed abbi misericordia, perché abbiamo peccato contro di Te.

R). Ascolta, o Signore, ed abbi misericordia, perché abbiamo peccato contro di Te.

1. V. A Te, o Sommo Re, redentore universale, eleviamo i nostri occhi piangenti;  esaudisci, o Cristo, la preghiera di chi a Te si raccomanda. R). Ascolta ecc.

2. V. O destra del Padre, o pietra angolare, o via di salvezza, o porta del cielo, tergi le macchie del nostro peccato. R). Ascolta ecc.

3. V. Preghiamo, o Dio, la tua maestà, porgi le sacre orecchie ai gemiti, e perdona benigno i nostri delitti. R). Ascolta ecc.

4. V. A Te confessiamo i peccati commessi; con cuore contrito manifestiamo ciò che è nascosto; la tua pietà, o Redentore, ci perdoni. R). Ascolta ecc.

5. V. Imprigionato innocente, condotto non riluttante, da falsi testimoni per i peccatori condannato, Tu, o Cristo, salva coloro che hai redento. R). Ascolta ecc.

PREGHIAMO

Riguarda benigno, o Signore, a questa tua famiglia, per la quale nostro Signore Gesù Cristo non dubitò di darsi in mano ai nemici e di subire il supplizio di croce. Egli che vive e regna Teco nei secoli dei secoli. Così sia.]

 

 

 

L’AGONIA DI GESU’: PRIMO VENERDI’ di Quaresima

[p. Umberto Banci: L’AGONIA DI GESU’, Libr. Pontif. F. Pustet Roma – 1935, impr.]

PRIMO VENERDÌ DI QUARESIMA

In nomine Patris et Filli et Spiritus Sancti. Amen.

Actiones nostras, quæsumus  Domine, adspirando præveni et adiavando prosequere, ut cuncta nostra oratio et operatio a Te semper incipiat et per Te cœpta finiatur. Per ChrIstum Dominum nostrum. Amen.

[Nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo. Così sia. Inspira, o Signore, le nostre azioni ed accompagnale col tuo aiuto, affinché ogni nostra preghiera e opera da Te sempre incominci e col tuo aiuto sempre si compia. Per Cristo nostro Signore. Così sia.]

INVITO

Già trafitto in duro legno/Dall’indegno popol rio

La grand’alma un Uomo Dio, / Va sul Golgota a spirar.

Voi, che a Lui fedeli siete, /Non perdete, o Dio, i momenti

Di Gesù gli ultimi accenti /Deh! venite ad ascoltar.

 PRIMA PAROLA DI GESÙ IN CROCE

Pater, dimitte ìllis, non enim sciunt quid faciunt.

[Padre, perdona loro, perché non sanno quel che fanno.]

(LUCA, cap. XXIII, v. 34).

CONSIDERAZIONE

Era quasi l’ora sesta del venerdì precedente la solennità della Pasqua ebraica, quando sul Calvario, alla vista del popolo ivi accorso, fu alzata la croce, dalla quale pendeva inchiodato Gesù. Nel tempio di Gerusalemme, invitato dallo squillo delle sacre trombe, si andava raccogliendo il popolo per l’uccisione dell’agnello. Ma è ormai giunto il momento che alla figura debba succedere la realtà, ed ecco che sul Calvario si immola il vero Agnello immacolato, venuto a togliere i peccati del mondo. E poiché durante la sua suprema immolazione fa udire ancora la sua voce, tu, anima cristiana, in questo, come negli altri venerdì della santa Quaresima, sacri in modo particolare all’agonia di Gesù, fatti un dovere di raccoglierti alcuni istanti ai piedi di quella croce dalla quale salla quale l’umanità del Salvatore, salterio vivente, fece udire i suoi ultimi canti. È cosa buona per noi lo star qui, aveva esclamato Pietro sul monte Tabor, rapito in estasi meravigliosa dinanzi a Gesù raggiante di splendore divino. Ma il Calvario, o anima cristiana, è per te più utile che non sia il Tabor; perché quella croce è stata e sarà sempre per l’umanità un libro divino nel quale noi impariamo a conoscere la grandezza e la miseria dell’uomo; una cattedra nello stesso tempo lugubre e gloriosa, che ci rivela il grande e profondo mistero del dolore cristiano ». Sì, anima cristiana, è cosa buona per te lo star qui, sul Calvario, dinanzi a Gesù trasfigurato dal dolore; quelle ultime parole, che tu udrai uscire dal suo labbro, compendiano, in una sintesi meravigliosa, la sua celeste dottrina. Loquere Domine digli dunque col giovanetto Samuele: « Parla pure, o Signore, poiché ecco il tuo servo sta qui ad ascoltarti ». [I Re, III, 10]

Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno.

Gesù che fino allora, pur dinanzi a tante ingiustizie e straziato da tanti tormenti, aveva conservato un dignitoso silenzio, appena salito sulla croce apre le labbra ed incomincia a parlare. Era una cosa frequente che il crocifisso, in preda agli spasimi ed al delirio di una febbre cocentissima, con insulti e maledizioni sfogasse sui suoi carnefici la sua rabbia disperata ed impotente. Ma Gesù non impreca, non maledice; le sue prime parole sono una preghiera, che rivolge al Padre suo. E per chi prega Gesù? Lì ai suoi piedi, addolorate e piangenti, stanno raccolte le pie donne; vi è S. Giovanni, il discepolo prediletto, vi è Maria Santissima, la Madre addolorata, dal cui volto traspare il cordoglio che tormenta il suo cuore. Ma non è per loro che prega Gesù; anzi sembra nemmeno accorgersi della loro presenza. Sai a chi pensa Gesù in quel momento? A coloro che fino allora invano aveva cercato di raccogliere sotto le ali della sua misericordia; a coloro che col più orrendo dei delitti stanno ora provocando la divina giustizia. Non aveva Egli detto di essere disceso dal cielo non già per i giusti, bensì per i peccatori? Non è Egli il medico celeste che va in cerca dei malati, il pastore buono che lascia nel deserto le novantanove pecorelle, che sono al sicuro, per andare in cerca della pecorella smarrita? Dunque per i peccatori sono le sue preferenze, per i suoi nemici è la sua preghiera. E guarda in quale stato essi lo hanno ridotto! Il suo corpo porta i segni del loro odio; ha la testa coronata di spine, i capelli sparsi, annodati da grumi di sangue, il volto gonfio di lividure e solcato di lacrime e di sangue, le mani ed i piedi squarciati dai chiodi, le spalle ed il petto lacerati dai flagelli. Si è avverato alla lettera quanto aveva predetto il Profeta: Dalla pianta dei piedi fino alla sommità del capo noti è in Lui sanità, ma ferite, lividure, piaghe sanguinanti [Is. I, 6]. Guarda ora Intorno: a destra ed a sinistra di Gesù due famosi ladri si contorcono negli spasimi di uno stesso supplizio; sono stati messi lì perché il ricordo delle loro scelleratezze gettasse un’ombra d’infamia su Gesù, già tanto vilipeso ed infamato. Ed i suoi nemici sono lì, confusi tra la folla dei soliti sfaccendati, che la curiosità ha spinto sul Calvario; sono venuti a godersi i trionfi della loro perfidia. E mentre i crocifissori, indifferenti a quella scena di dolore, sono intenti a dividersi tra loro le spoglie dei crocifissi, essi, implacabili nel loro odio, hanno per la loro vittima parole di scherno e di bestemmia. Vah! Dicono crollando il capo, tu che distruggi il tempio di Dio e lo riedifichi in tre giorni, salva te stesso; se sei Figliuolo di Dio scendi dalla croce. Ha salvato altri, esclamano i Principi dei Sacerdoti insieme agli Scribi ed agli Anziani, non può salvare se stesso! Se è il Cristo, re d’Israele, scenda dalla croce e gli crederemo. Ha confidato in Dio, lo liberi adesso, se gli vuol bene; imperocché ha detto: sono Figliuolo di Dio [Mt. XXVII, 42-43]. Ed i soldati ancora, offrendogli dell’aceto, soggiungono: Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso [Lc. XXIII, 37]. Così si insulta, si deride, si bestemmia Gesù, che agonizza. E nulla ti vieta di pensare che coloro, i quali trattavano così Gesù, siano i suoi beneficati, i guariti nelle anime e nei corpi! E Gesù li ode tutti questi oltraggi, che feriscono il suo cuore più che le spine ed i chiodi non strazino il suo corpo. Eppure le acque di tanta crudeltà non riescono ad estinguere l’amoroso incendio della sua carità; che anzi, prodigio ineffabile dell’amore di Dio, tanto più esso si accende, quanto più l’umana perfidia si ostina nell’ingratitudine. E prima che la voce del suo sangue, ben più innocente del sangue di Abele, gridi dalla terra al cielo, ed il Padre adirato segni in fronte ai fratricidi il marchio della sua maledizione, non appena il tremito convulso, che al momento della crocifissione dovette invadere tutto il suo corpo, gli permette di parlare, Egli, che già in cuor suo aveva perdonati tutti i suoi nemici, si affretta a sollecitare per loro anche il perdono del Padre suo: Padre, perdona loro. Ed affinché la sua domanda non sia respinta dalla divina giustizia ormai troppo offesa, li scusa nel miglior modo che può, adducendo la loro ignoranza: perché non sanno quello che fanno!

* * *

Quale sublime lezione per te, anima cristiana, per te che non sai perdonare una piccola offesa; che serbi rancore per ogni piccolo torto ricevuto. Pensa, anima cristiana, che non sarai mai degna di Gesù se di cuore tu non perdoni. Ed hai tanto bisogno della misericordia del Signore! E Gesù, asceso al cielo, sta sempre dinanzi al Padre suo, come dice l’Apostolo S. Paolo, ad interpellare per Noi [Ebr. VII, 25], a ripetere per te la sublime preghiera: Padre, perdona. Ma rileggi qui le parole di Gesù; esse ti diranno a quale condizione potrai ottenere il perdono. Se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno altrettanto forse i pubblicani? E se salutate solo i vostri fratelli, che fate di speciale? Non fanno pure così anche i gentili? Ma io vi dico: amateli i vostri nemici; fate del bette a coloro che vi odiano e pregate per coloro che vi perseguitano e calunniano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli [Mt. V, 44 e segg.]. E con queste parole, comprendilo bene, anima cristiana, Gesù non ti ha voluto suggerire un consiglio, ma ti ha voluto imporre un precetto. E forse questo il più grande dei suoi precetti, ma è una conseguenza necessaria di quella carità che è a fondamento della nuova legge; ed è diretto a colpire in te lo spirito di vendetta, l’odio, il risentimento; a distruggere ciò che in te vi è di umano per elevarti fino a Dio, il quale non è che carità: Deus caritas est! E dall’osservanza di questo precetto dipende la tua salvezza, perché sta scritto: Perdonate, e vi sarà perdonato. Ed affinché questo comando non ti cadesse di mente, ha voluto rammentartelo ogni qualvolta reciti la preghiera, che Lui stesso ti ha insegnata: “Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Né le tue offerte saranno a Dio gradite, né le tue preghiere saranno da Lui ascoltate quando non sei in pace col tuo prossimo. Se stai per fare l’offerta all’altare e ti sovviene che il tuo fratello ha qualche cosa contro di te, deponi la tua offerta davanti all’altare, e va a riconciliarti col tuo fratello e poi ritorna a fare la tua offerta [Mt. V, 23] … perché se perdonate agli uomini le loro mancanze, il Padre vostro celeste vi perdonerà i vostri peccati; ma se non perdonate agli uomini, nemmeno il Padre vostro perdonerà a voi le vostre mancanze giacché: Sarà misurato a voi con la stessa misura, con la quale avrete misurato [ Lc. VI, 38]. E prima di morire volle, col suo esempio, dare dalla croce a questo insegnamento la più autorevole conferma. L’hai proprio ora ascoltata la sublime preghiera: Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno. Ti è difficile, anima cristiana, perdonare le offese, e più difficile ancora è per te amare i tuoi nemici? Ma Gesù non ha forse detto: Chi vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua? [Mt. XVI, 24]. Risolviti dunque a rinnegare questa natura guasta dal peccato; impegnati a soffocare i naturali risentimenti ed a maturare nel tuo cuore il sentimento del più generoso perdono, ed allora soltanto sarai degno di Gesù. Chi non porta la sua croce e così mi segue, non può essere mio discepolo [Lc. XIV, 27]. In alto dunque il cuore, sollevalo alle sublimi altezze della carità cristiana; prendila questa croce e guarda a Gesù; il suo esempio te ne renderà leggero il peso.

Breve pausa, poi si reciti la seguente:

PREGHIERA

O Gesù mio amabilissimo, ammiro e benedico la vostra carità infinita che lungi dal raffreddarsi rende sempre di nuovo ardore dinanzi all’ingratitudine nostra. No, non è col discendere dalla croce che potevate dimostrarmi la vostra divinità; la prova migliore me l’avete data con la vostra preghiera, perché solo un Uomo-Dio poteva pregare come avete pregato Voi. E quanto dovrei confondermi, o mio Salvatore, al pensiero che quando sulla croce invocaste il perdono sui vostri nemici, anch’io ero presente al vostro sguardo, perché purtroppo anche su di me si sono tante volte avverate le parole dell’Apostolo: Hanno crocifisso nuovamente in se stessi il Figliuolo di Dio, e lo hanno esposto all’ignominia [Ebr. VI, 6] . Vi ringrazio, o mio Salvatore, di avere anche per me implorato dal Padre vostro il vostro generoso perdono; veramente anch’io, quando vi ho offeso, oltraggiandovi e bestemmiandovi, non sapevo davvero che cosa mi facessi. E poiché so che Voi, o mio Gesù, non vi contentate di sole parole, vi offro tutte quelle pene che il mio prossimo mi cagiona, depongo qui ai piedi vostri tutti i miei risentimenti, ed in Voi e per Voi voglio amare i miei nemici; così potrò, con la certezza di essere esaudito, rivolgervi la preghiera: Dimitte nobis debita nostra; perdonatemi, o Signore, perché anch’io perdono. – O Maria Santissima, Voi che stando ai piedi della croce faceste vostri i desideri ed i sentimenti di Gesù, interponete la vostra materna intercessione presso il Divin Padre, affinché Egli, che ha sempre esaudito il suo e vostro Figlio diletto, ascolti quella voce che domanda perdono. Non guardate, o Vergine addolorata, alle mie colpe così gravi e così numerose, delle quali mi pento con tutto il cuore, ma guardate a quel sangue che anche per me è sparso; ascoltate la voce del vostro cuore materno ed allora son sicuro che non permetterete mai che sia abbandonato un figlio, sia pure indegno, ma sinceramente pentito. Così sia.

Pater, Ave e Gloria.

Di mille colpe reo,

Lo so, Signore, io sono:

Non merito perdono,

Né più il potrei sperar.

Ma senti quella voce,

Che per me prega, e poi

Lascia, Signor, se puoi,

Lascia di perdonar.

GRADI DELLA PASSIONE

1. V. Jesu dulcissime, in horto mœstus, Patrem orans,

et in agonia positus, sanguineum sudorem effundens;

miserere nobis.

R). Miserere nostri Domine, miserere nostri.

2. V. Jesu dulcissime, osculo traditoris in manus

impiorum traditus et tamquam latro captus et ligatus

et a discipulis derelictus; miserere nobis.

R). Miserere etc.

3. V. Jesu dulcissime ab iniquo Iudæorum concilio

reus mortis acclamatus, ad Pilatum tamquam malefactor

ductus, ab iniquo Herode spretus et delusus; miserere nobis.

R). Miserere etc.

4. V . Jesu dulcissime, vestibus denudatus, et in

columna crudelissime flagellatus; miserere nobis.

R). Miserere etc.

5. V. Jesu dulcissime, spinis coronatus, colaphìs

cæsus, arundine percussus, facie velatus, veste purpurea

circumdatus, multipliciter derisus et opprobriis

saturatus; miserere nobis.

R). Miserere etc.

6. V . Jesu dulcissime, latroni Barabbæ postpositus,

a Judæis reprobatus, et ad mortem crucis injuste condemnatus;

miserere nobis.

R). Miserere etc.

7. V . Jesu dulcissime, tigno crucis oneratus, ad locum supplicii tamquam ovis ad occisionem ductus; miserere nobis.

R). Miserere etc.

8. V. Jesu dulcissime, inter latrones deputatus,

blasphematus et derisus, felle et aceto potatus, et

horribilibus tormentis ab hora sexta usque ad horam

nonam in ligno cruciatus; miserere nobis.

R). Miserere etc.

9. V. Jesu dulcissime, in patibulo crucis, mortuiis et

coram tua sancta Matre lancea perforatus simul

sanguinem et aquam emittens; miserere nobis.

R). Miserere etc.

V . Jesu dulcissime, de cruce depositus et lacrimis

mœstissimæ Virgiuis Matris tuæ perfusus; miserere nobis.

R). Miserere etc.

V. Jesu dulcissime, plagis circumdatus, quinque

vulneribus signatus, aromatibus conditus et in

sepulcro repositus; miserere nobis.

R). Miserere etc.

V . Adoramus Te Christe, et benedicimus Tìbi.

R). Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.

OREMUS

Deus, qui prò redemptione

mundi nasci voluisti,

circumcìdì, a Judæis reprobavi

et Judæ traditore

osculo tradi, vinculis alligavi,

sic ut agnus innocens

ad victimam duci, atque

conspectibus Annæ, Caiphæ,

Pilati et Herodis

indecenter offevri, a falsis

testibus accusari, flagellis

et colaphis cædi, opprobriis

vexari, conspui, spinis

coronari, arundine percuti,

facie velari, vestibus

spoliari, cruci clavis af-

Jigi, in cruce levari, inler

latrones deputari, felle et

aceto potari et lancea vulnerari;

Tu Domine, per

has sanctissimas pœnas,

quas ego indignus recolo,

et per sanctissimam crucem

et mortem tuam libera

me a pœnis inferni et perducere

digneris quo perduxisti

latronem tecum

crucifixum. Qui cum Patre

et Spiritu Sancto vivis

et regnas in sæcula sæculorum.

Amen.

[1. V . O dolcissimo Gesù, triste nell’orto, al Padre con la preghiera rivolto, agonizzante e grondante sudore di sangue; abbi di noi pietà.

R). Pietà di noi, o Signore, abbi di noi pietà.

2. V . O dolcissimo Gesù, con un bacio tradito e nelle mani degli empi consegnato, e come un ladro preso e legato e dai discepoli abbandonato; abbi di noi pietà.

R). Pietà di noi ecc.

3. V . O Gesù dolcissimo, dall’iniquo Sinedrio giudaico reo di morte proclamato, e come malfattore a Pilato presentato, e dall’iniquo Erode disprezzato e schernito; abbi di noi pietà.

R). Pietà di noi ecc.

4. V . O dolcissimo Gestì, delle vesti spogliato, e c rudelmente alla colonna flagellato; abbi di noi pietà.

R). Pietà di noi ecc.

5. V. O dolcissimo Gesù, di spine coronato, schiaffeggiato, con la canna percosso, bendato, di rossa veste rivestito, in tanti modi deriso e di obbrobri saziato; abbi di noi pietà.

R). Pietà di noi ecc.

6. V. O dolcissimo Gesù, al ladro Barabba posposto, dai Giudei riprovato; ed alla morte di croce ingiustamente condannato; abbi di noi pietà.

R). Pietà di noi ecc.

7. V. O dolcissimo Gesù, del legno della croce gravato, e come agnello al luogo del supplizio condotto, per esservi immolato; abbi di noi pietà.

R). Pietà di noi ecc.

8. V. O dolcissimo Gesù, tra i ladroni annoverato, bestemmiato e deriso, di fiele e di aceto abbeverato, e con orribili tormenti dall’ora sesta fino all’ora nona nel legno straziato; abbi di noi pietà.

R). Pietà di noi ecc.

9. V. O dolcissimo Gesù, sul patibolo della croce morto, ed alla presenza della tua santa Madre con la lancia trafitto versando insieme sangue ed acqua; abbi di noi pietà.

R). Pietà di noi ecc.

10. V. O dolcissimo Gesù, dalla croce deposto, e dalle lacrime dell’afflittissima tua Vergine Madre bagnato;abbi di noi pietà

R). Pietà di noi ecc.

11. V. O dolcissimo Gesù, di piaghe coperto, da cinque ferite trafitto, di aromi cosparso, e nel sepolcro deposto; abbi di noi pietà.

R). Pietà di noi ecc.

V. Ti adoriamo, o Cristo, e Ti benediciamo.

R). Poiché con la tua santa croce hai redento il mondo.

PREGHIAMO

O Dio, che per la redenzione del mondo volesti nascere, essere circonciso, dai Giudei riprovato, da Giuda traditore con un bacio tradito, da funi avvinto, come agnello innocente al sacrifizio condotto, ed in modo indegno ad Anna, Caifa, Pilato ed Erode presentato, da falsi testimoni accusato, con flagelli e schiaffi percosso, con obbrobri oltraggiato, sputacchiato, di spine coronato, con la canna percosso, bendato, delle vesti spogliato, alla croce con chiodi confitto, sulla croce innalzato, tra i ladroni annoverato, di fiele e di aceto abbeverato, e con la l’ancia ferito; Tu, o Signore, per queste santissime pene, che io indegno vado considerando, e per la tua croce e morte santissima, liberami dalle pene dell’inferno e, desiati condurmi dove conducesti il ladrone penitente con Te crocifisso. Tu che col Padre e con lo Spirito Santo vivi e regni nei secoli dei secoli. Così sia.]

CANTO DEL TEMPO DI QUARESIMA

Attende, Domine, et miserere, quia peccavìmus Tìbi.

R). Attende, Domine, et miserere, quia peccavimus Tibi.

V. Ad Te, rex summe,

omnium redemptor,

oculos nostros sublevamus

flentes; exaudi Christe,

supplicantium preces.

R). Attende etc.

2. V. Dextera Patris, lapis

angularis, via salutis,

janua cœlestis, ablue nostri

maculas delicti.

R). Attende etc.

3. V . Rogamus, Deus,

tuam majestatem, auribus

sacris gemitus exaudi; crimina

nostra placidus indulge.

R). Attende etc.

V. Tibi fatemur crimina

admìssa; contrito corde

pandimus occulta; tua, Redemptor,

pietas ignoscat.

R). Attende etc.

V. Innocens captus,

nec repugnans ductus, teslibus

falsis prò impiis damnatus,

quos re demisti Tu

conserva, Christe.

R). Attende etc.

OREMUS

Respice, quæsumus Domine,

super liane familiam

tuam, prò qua Dominus noster

Jesus Chris tus non dubitava

manibus tradì nocentium,

et Crucis subire tormentum.

Qui tecum vivit et regnat in sæcula sæculorum. Amen.

[R). Ascolta, o Signore, ed abbi misericordia, perché abbiamo peccato contro di Te.

R). Ascolta, o Signore, ed abbi misericordia, perché abbiamo peccato contro di Te.

V. A Te, o Sommo Re, redentore universale, eleviamo i nostri occhi piangenti;  esaudisci, o Cristo, la preghiera di chi a Te si raccomanda. R). Ascolta ecc.

V. O destra del Padre, o pietra angolare, o via di salvezza, o porta del cielo, tergi le macchie del nostro peccato. R). Ascolta ecc.

V. Preghiamo, o Dio, la tua maestà, porgi le sacre orecchie ai gemiti, e perdona benigno i nostri delitti. R). Ascolta ecc.

V. A Te confessiamo i peccati commessi; con cuore contrito manifestiamo ciò che è nascosto; la tua pietà, o Redentore, ci perdoni. R). Ascolta ecc.

5. V. Imprigionato innocente, condotto non riluttante, da falsi testimoni per i peccatori condannato, Tu, o Cristo, salva coloro che hai redento. R). Ascolta ecc.

PREGHIAMO

Riguarda benigno, o Signore, a questa tua famiglia, per la quale nostro Signore Gesù Cristo non dubitò di darsi in mano ai nemici e di subire il supplizio di croce. Egli che vive e regna Teco nei secoli dei secoli. Così sia.]

 

NELLA NOVENA DI NATALE

NELLA NOVENA DI NATALE

[A. Carmagnola: MEDITAZIONI, vol. I – S.E.I. Torino, 1942 -impr.-]

MEDITAZIONE PRIMA.

Sopra l’editto di Cesare Augusto.

Avvicinandosi la festa del S. Natale, mediteremo sulle particolarità di sì grande mistero per disporre i nostri cuori a ben celebrarlo e a trarne frutti salutari. Cominceremo dal riflettere sui motivi che ebbe la Divina Provvidenza nell’editto di Cesare Augusto. C’immagineremo di vedere Iddio che dall’alto dei cieli tiene rivolto il suo sguardo di compiacenza sopra il suo Divin Figlio e che, giunta la pienezza dei tempi da Lui stabilita per la sua nascita, dispone ogni cosa per essa. Adoreremo queste divine disposizioni e imploreremo da Gesù l’aiuto di saperci sottomettere anche noi a tutto ciò che il Signore dispone per il nostro bene.

PUNTO 1°.

Primo motivo dell’editto di Cesare Augusto.

L’imperatore romano Cesare Augusto, divenuto padrone di quasi tutto il mondo, volendo fare il censimento dell’impero, emana un decreto, per il quale tutti i suoi sudditi devono recarsi nella loro città natale a dare il proprio nome. Ma sebbene sia egli l’autore materiale del decreto ed abbia per movente la sua saggezza amministrativa, pure in realtà è Iddio che ordina così, affinché il suo Divin Figlio abbia a nascere nella città indicata dai profeti, e la sua regale discendenza sia confermata dagli atti pubblici. Così dunque gli uomini si agitano, ma Dio li conduce e ne fa convergere tutte le azioni all’adempimento perfetto dei disegni della sua Provvidenza. Oh! se noi fossimo ben persuasi di questa verità, che solo Iddio regola tutti gli avvenimenti del mondo con sapienza infinita, con forza irresistibile e con bontà paterna, noi vedremmo sempre la mano di Lui che tutto dirige e ordina per nostro bene e per la sua gloria! Tante volte, è vero, le ragioni che Iddio ha nel suo governo ci sono ignote, i suoi disegni sfuggono alla corta vista del nostro intelletto; ma sicuri che in cielo comprenderemo ogni cosa, adoriamo intanto la Provvidenza Divina. E ciò non solo per riguardo alla storia del mondo, ma ancora per ciò che spetta a ciascuno di noi. Gesù ci ha insegnato che un capello solo non cade dalla nostra testa senza permissione divina (Luc., XXI, 18). Nelle contrarietà dunque abbandoniamoci a Dio; questo abbandono sarà per noi fonte di pace e di consolazione.

PUNTO 2°.

Secondo motivo dell’editto di Cesare Augusto.

Giunto anche in Nazaret l’editto imperiale, a cui dovevano ottemperare anche i Giudei, divenuti quasi sudditi romani, Maria e Giuseppe si accingono senz’altro a recarsi a Betlemme, loro terra natale, ancorché si tratti di un viaggio lungo, a piedi, per strade montane, in stagione cruda. Ma ciò essi fanno, perché lo stesso Bambino Gesù con le sue ispirazioni li anima a compiere la volontà di Dio, espressa per la volontà di un re. Oh esempio di obbedienza, che ci dà Gesù non ancor nato, volendo sottomettere sé, la sua Madre e il suo futuro padre nutrizio al decreto di Cesare! Vicino a manifestarsi agli uomini vuol subito offrir loro l’esempio di questa virtù, con la quale viene a ripararne l’orgoglio. Per la disobbedienza di Adamo, dice S. Paolo (Rom., V, 19), gli uomini furono costituiti peccatori, e per l’obbedienza di Gesù gli uomini devono diventare giusti. Pur troppo dal giorno in cui Adamo superbamente disobbedì a Dio, penetrò negli uomini il disdegno degli altrui comandi, benché legittimi, affine di far prevalere la propria volontà. E Iddio volendo sradicare dal cuore degli uomini un sì grave disordine stabilisce che venga fuori un editto, cui il suo Divin Figlio incarnato si sottometta, offrendosi tosto a noi come modello della più perfetta obbedienza. Dinanzi a tanto esempio come non ti animerai tu a obbedire in tutto e sempre?

PUNTO :3°.

Terzo motivo dell’editto di Cesare Augusto.

Il Signore dispose che l’editto di Cesare Augusto desse occasione al suo Divin Figlio di compiere un viaggio prima ancora di nascere, perché con esso si appalesasse ben tosto la missione che Egli veniva a compiere e quanto gli sarebbe premuto di muovere in cerca di noi per salvarci. Giuseppe, figliuolo di Giacobbe, mandato dal padre in cerca dei suoi fratelli, interrogato da chi lo incontrava, rispondeva: Fratres meos quaero, cerco i miei fratelli (Gen., XXXVII, 16). Or ecco la parola che Gesù benedetto va ripetendo in quel viaggio penoso. Infatti il Vangelo ci attesta che Gesù è venuto a cercare e salvare ciò che era perduto: Venit quaerere et salvum facere quod perierat ( Luc., XIX, 10). Egli altro non vuole che cercare i suoi fratelli per salvarli: Fratres meos quaero, fratres meos quaero. Ed oh! come si reputerà felice, se dopo tanto soffrire potrà ritrovare coloro che Egli cerca, e stringerseli al cuore! E noi non l’abbiamo già troppo a lungo costretto a correrci dietro, chiamandoci con insistenza? È tempo che ci fermiamo nella nostra fuga, che ci stacchiamo dal nostro orgoglio, dalle nostre vanità, dalle nostre insensatezze, e muoviamo incontro a Lui con uno slancio di amore e di fede, massime in questo tempo.

MEDITAZIONE SECONDA.

Sopra l’indifferenza dei Betlemmiti

Mediteremo sopra l’indifferenza dei cittadini di Betlemme per Maria e Giuseppe, indifferenza per la quale Gesù nacque in una povera capanna fuori di quella città. C’immagineremo l’affanno dei due santi sposi e la calma del Verbo incarnato, il quale prima ancora di nascere c’insegna a sopportare per amor di Dio i maltrattamenti altrui. Adoreremo il Divin Verbo in queste sue interiori disposizioni e lo pregheremo con ardore di volercene rendere partecipi.

PUNTO 1°.

I Betlemmiti rifiutano Gesù.

Maria e Giuseppe, compiuto il penoso viaggio da Nazaret a Betlemme, si recarono tosto dal pubblico ufficiale per dare il proprio nome e quello di Gesù, indi mossero in cerca di una casa ove riparare la notte. Si aggirano di porta in porta, benché stanchi dal cammino: ma non trovano persona amica o cortese, che li accolga presso di sé. Oh se i Betlemmiti avessero conosciuto chi erano quei due pellegrini e chi doveva nascere in quella notte! Ah! tutti avrebbero voluto dar loro la propria abitazione o li avrebbero forzati a entrare nella casa più bella che vi fosse in quella città. Al contrario non conoscendoli e non sapendo il gran mistero di quella notte, mentre provvedono di buon alloggio tutti i forestieri di agiata condizione, con tutta indifferenza lasciano in abbandono Maria e Giuseppe e con essi il Salvatore del mondo- Tant’è, Gesù è venuto nella sua città natale e i suoi concittadini non gli han dato ricetto: In proprio venit et sui Eum non receperunt (Jo., I, 11). A Betlemme si può raffigurare quell’anima, in cui Gesù sarebbe pronto a nascere con la sua grazia, ma che per attacco alle misere vanità del mondo lo respinge da sé. E tale anima non sarebbe per avventura la nostra? Ma che cosa ci possiamo aspettare di bene dalle meschinità della terra? Deh! alla vista di Gesù, pronto a visitare la nostra anima per arricchirla dei suoi celesti favori, liberiamoci tosto dagli attacchi terreni e cediamo in essa il posto al nostro buon Redentore.

PUNTO 2°.

Nel pubblico albergo non c’è posto per Gesù.

Maria e Giuseppe, respinti da ogni casa, furono costretti a presentarsi al pubblico albergo. Non si trattava, è vero, che di un recinto quadrato contornato da un portico lunghesso le mura, sotto al quale conveniva distendere delle stuoie per adagiarvisi sopra. Ma almeno avrebbero avuto un riparo in città, frammezzo a gente, che poteva porgere un po’ di aiuto. Eppure nemmeno lì si trova un posto: non erat eis locus in diversorio (Luc., II, 7). Il Creatore e Signore del cielo e della terra non troverà dunque in Betlemme un luogo qualsiasi, ove fare la sua entrata nel mondo? Gesù, dice S. Agostino, permette che fra le mura di Betlemme gli manchi una stanza, per vedere se tu, o cristiano, pensi ad aprirgliela dentro il cuor tuo: non erat eis locus in diversorio, ut tu locum illi praeberes in corde tuo. Se in questo momento Maria si presentasse a me in cerca di un cuore, ove posare il suo Divin Piglio, le potrei offrire il cuor mio? Dio lo voglia: ma voi intanto, o Vergine Santa, aiutatemi a rendere il mio cuore meno indegno di dare ricetto al vostro Divin Figlio.

PUNTO 3°.

Gesù nasce in una grotta.

Maria e Giuseppe respinti non solo dalle case private di Betlemme, ma persino dal pubblico albergo, escono alla campagna e cercano tra l’oscurità e la solitudine un misero tugurio ove ricoverarsi. Trovano finalmente una grotta scavata nella collina, una di quelle grotte, che servivano di rifugio ai pastori sorpresi dalle intemperie nella custodia del gregge. E lì in quella grotta solitaria, mentre tutto all’intorno era profondissimo silenzio e le stelle sul firmamento segnavano la mezzanotte, da Maria Vergine nacque Gesù Cristo, eterno Dio e Piglio dell’Eterno Padre! Oh grotta benedetta! Per quanto umile e meschina, tu sei diventata il luogo santo, la casa di Dio, la porta del Cielo. Così Gesù ci ha fatto conoscere quanto ami l’oscurità e la solitudine, e come a nascere nell’anima nostra con l’abbondanza delle sue grazie voglia che essa per amore di oscurità e di solitudine si renda simile alla grotta di Betlemme. Oh se noi fossimo persuasi di queste grandi verità: che quanto più noi amiamo di essere oscuri, di tenerci nascosti, di vivere lontani dall’ammirazione del mondo e dalle sue frivole conversazioni, tanto più Iddio si avvicinerà a noi, ci parlerà al cuore, ci farà godere della sua amabile presenza e delle sue consolazioni! Come ameremmo di più la vita di ritiro! Come cercheremmo meno di metterei in evidenza! Quanta minor cura avremmo di attirare su di noi gli altrui sguardi! E quanta maggior pace godremmo!

MEDITAZIONE TERZA.

Sopra la capanna di Betlemme.

Mediteremo sopra la povertà e abiezione della capanna di Betlemme, in cui volle nascere il Divin Salvatore. C’immagineremo di vedere il Bambino Gesù che accetta con gioia di nascere nella povertà, nello spogliamento e nella miseria, avendo stabilito da tutta l’eternità di dare fin dalla sua nascita la preferenza a tutto ciò che lo separa dal mondo e lo abbassa e lo umilia, per insegnare anche a noi il distacco dalla terra, l’amore agli abbassamenti e alle umiliazioni. Prostrandoci dinanzi a lui col nostro spirito lo adoreremo umilmente e lo pregheremo di mettere nel nostro cuore quei sentimenti, che ha manifestato di avere nel suo all’atto della sua nascita.

PUNTO 1°.

Povertà della capanna di Betlemme.

Che povera stanza era quella in cui nacque il Re del Cielo! Una misera stalla destinata a rifugio degli animali, mal difesa dalle intemperie dell’aria, sprovvista di ogni mobile, con soltanto una meschina mangiatoia e un po’ di paglia. Perché si abbassò cotanto Colui che non poteva essere degnamente albergato nel più sontuoso palazzo, e a cui nemmeno gli Angeli avrebbero potuto preparare una degna abitazione. Egli ci volle in tal modo insegnare che conto si debba fare delle cose del mondo. Difatti, che cosa sono mai davanti a Dio l’oro, l’argento, le pietre preziose, i più ricchi abbigliamenti, i più sontuosi palazzi, e tutte le grandezze mondane? Tutto ciò davanti a Dio non conta più del fango e della spazzatura. Ma quanti purtroppo mettono la loro felicità nel possesso del danaro, nel godersi le comodità e gli agi della vita, nelle belle comparse, nelle ricche vesti, nelle pompe del secolo, nelle più sciocche vanità! – Noi che in effetto abbiamo rinunziato ai beni caduchi della terra possiamo dire d’avervi rinunziato altresì coll’affetto? Ah! se finora il nostro cuore ha ceduto al fascino delle misere cose di questo mondo, non sia più così dinanzi al grande insegnamento di Gesù Bambino.

PUNTO 2°.

Confronto della capanna di Betlemme con l’anima nostra.

Ben a ragione ci sorprende la degnazione che ebbe i l Re del Cielo col nascere in una capanna sì misera; ma ancora più dobbiamo meravigliarci della degnazione, che Egli ha, di venire a prendere dimora nell’anima nostra per mezzo della Santa Comunione. Difatti, paragonando l’anima nostra a quella capanna, non dobbiamo riconoscere che la miseria della nostra anima è di gran lunga superiore a quella della capanna betlemmitica? Tutta la povertà di questa era solo materiale, mentre l’anima nostra è misera spiritualmente, disadorna delle cristiane virtù, e sordida per tanti peccati. Eppure Egli si degna di visitarla e di abitarvi, oh quanto frequentemente! Ma dovrà sempre trovare questa sua casa così poco degna di Lui? Se fossimo stati là a Betlemme, e avessimo saputo che in quella capanna doveva nascere il Re del Cielo, che premura ci saremmo presa di mondarla e purificarla da ogni sozzura, di ripararla dal rigore della stagione, di provvederla del necessario! Avremmo fatto tutto il possibile perché quell’abitazione di animali diventasse una stanza meno indecente per il Divin Salvatore. – Ora questo dobbiamo fare nell’anima nostra, perché quando Gesù viene in essa con la Santa Comunione vi si trovi meno a disagio. Sebbene sia vero che anche col peccato veniale possiamo accostarci quotidianamente alla Comunione, tuttavia il nostro studio ha da essere quello di evitarlo, di staccarne affatto il cuore e di adornare l’anima nostra delle virtù cristiane e religiose.

PUNTO 3°.

I due animali della capanna ài Betlemme.

Secondo l’antichissima tradizione, ritenuta dalla Chiesa nella sua liturgia, c’erano nella capanna di Betlemme un bue e un giumento, che stando dappresso alla mangiatoia, in cui fu deposto il Bambino Gesù, col loro fiato mitigavano il rigore della fredda aria notturna. Grande argomento di umiltà! Canta la Chiesa: Colui che risplende nei cieli di gloria eterna, giaceva nel presepio tra due animali! Come poteva maggiormente abbassarsi il Re del cielo per insegnare anche a noi l’abbassamento? Eppure quanto facilmente rigettiamo tale insegnamento! Noi cerchiamo tutto ciò che serve a conciliarci la stima degli uomini, non vogliamo cedere nei nostri puntigli, ci irritiamo se siamo ripresi di qualche mancamento, andiamo dietro alle vanità mondane. Dinanzi all’infinita maestà del Signore così umiliata, ceda ogni pretesto che ci tragga a far atti di superbia e c’induca ben anche a commettere gravi errori con danno incalcolabile dell’anima nostra e con scandalo delle anime altrui. Ecco la più bella disposizione del nostro cuore per diventare abitacolo gradito a Gesù.

MEDITAZIONE QUARTA.

Sopra i sentimenti di Maria e di Giuseppe.

Mediteremo sopra i sentimenti di Maria e di Giuseppe nella nascita di Gesù Bambino. C’immagineremo di entrare nella capanna di Betlemme e di vedervi Maria e Giuseppe inginocchiati presso il santo presepio, in atto di profonda adorazione. Ci prostreremo in spirito anche noi, unendo le adorazioni nostre alle loro e pregando il Santo Bambino di volerci rendere partecipi dei sentimenti, che vi ebbero la sua santissima Madre e il suo padre nutrizio.

PUNTO 1°.

Sentimenti di pena di Maria e di Giuseppe.

Quali sentimenti di pena ebbero nel loro cuore Maria e Giuseppe allora che, respinti da Betlemme, furono costretti a entrare nella povera capanna! S. Giuseppe, dalla Divina Provvidenza destinato a essere l’angelo tutelare visibile di Maria, ebbe a soffrire il più grande affanno, non per sé certamente, ma per lei. Per Maria quel luogo gli si mostrava troppo orrido, troppo aspro e inospitale, e pensando poi chi Ella fosse, doveva sentirsi nel petto scoppiare il cuore dall’ambascia. Maria Vergine dal canto suo quanto pure doveva soffrire al pensiero che il suo Divin Figlio, Creatore e Signore del cielo e della terra, doveva nascere in quel meschino tugurio! Con tutto ciò i santi sposi chinarono la fronte ai disegni di Dio, e riconoscendo che così piaceva al Signore, conformarono pienamente la loro volontà alla sua. Ecco la virtù, che noi pure dovremmo esercitare continuamente. Pur troppo noi vorremmo sempre le cose a modo nostro; Dio invece le vuole a modo suo. Noi vorremmo sempre sanità, e invece Iddio talora ci vuole infermi; noi vorremmo sempre essere ben voluti, onorati e rispettati, e Iddio permette che siamo non curati, scherniti e perseguitati; noi vorremmo che non ci mancasse mai nulla, e invece Iddio dispone che ora ci troviamo senza una cosa, ora senza un’altra. Ma tutto ciò che Dio vuole è senza dubbio per la sua gloria e per il bene nostro. Come dunque non conformarci sempre alla sua santa volontà?

PUNTO 2°.

Sentimenti di gioia di Maria e di Giuseppe.

Ai sentimenti di pena sottentrarono ben preso in Maria e Giuseppe i sentimenti della più ineffabile gioia, appena nacque il sacrosanto Bambino. Maria per la prima vide a sè dinanzi il vezzosissimo suo figlio, che la guardava, le sorrideva e le tendeva le candide manine. Per impeto d’ineffabile amore lo adorò dicendo: O Gesù Bambino, nato da Dio prima del tempo, nato da me or ora, tu sei il mio figlio e il mio Dio, ed io sono la tua madre, la Madre di Dio. O Gesù, Salvatore del mondo, Re del cielo e della terra, tu sei il mio tesoro, il mio amore, la gioia del mio cuore! San Giuseppe da parte sua, sebbene come semplice custode di Gesù non potesse esprimergli i medesimi sentimenti, tuttavia anch’egli invaso dalla gioia più viva e più santa non lasciava di sfogare il suo cuore nei più teneri accenti. E noi quali sentimenti proviamo ricevendo Gesù nel nostro cuore per la S. Comunione, o venendo a visitarlo nel SS. Sacramento? Non dobbiamo confessare che purtroppo le nostre comunioni e le nostre visite sono fredde, senza gusto spirituale e senza gioia alcuna del cuore?

PUNTO 3°.

Sentimenti di fede di Maria e di Giuseppe,

I sentimenti di gioia, che riempirono Maria e. Giuseppe per la nascita di Gesù, erano la conseguenza dei sentimenti vivissimi della loro fede. Gesù Bambino, pur essendo vero Dio, sotto il velo della carne nascondeva al tutto la sua divinità, e nella carne stessa non appariva nulla più di quello che sono gli altri bambini appena nati. Di modo che era debole, sofferente, bisognoso di venir ricoperto, allattato, sostentato; come gli altri bambini piangeva, dormiva, non mostrava intelligenza di sorta; insomma sebbene a differenza di tutti gli altri bambini non avesse in sé il peccato e le impure sue conseguenze, era tuttavia, come dice S. Paolo, nella somiglianza della carne di peccato, umiliato e passibile: in similitudinem carnis peccati (Rom., VIII, 3). Ora a riconoscere che questo Bambino era vero Dio, si richiedeva una vivissima fede. E tale fu propriamente la fede di Maria e di Giuseppe. Entrambi riconobbero in Lui il vero Figlio di Dio, incarnatosi e fattosi uomo per la salute del mondo, e come tale Maria lo adorò: Ipsum quem genuit, adoravit. E alle adorazioni di Maria si unirono ben tosto quelle di S. Giuseppe. Oh se anche noi avessimo nel cuore una fede somigliante a quella di Maria e di Giuseppe! La fede sarà tanto più viva in noi, quanto più sull’esempio di Maria e di Giuseppe saremo puri ed umili di cuore.

MEDITAZIONE QUINTA.

Sopra gli atti interiori del Bambino.

Mediteremo sopra gli atti interiori del Bambino Gesù appena nato. C’immagineremo di vedere questo Santo Bambino, che nel presepio si considera come sull’altare, di dove, sacerdote e vittima ad un tempo, si offre al suo Eterno Padre in espiazione dei nostri peccati. E prostrati in spirito dinanzi alla sua culla lo adoreremo e ringrazieremo di quanto comincia a operare in nostro vantaggio e gli prometteremo di non mandare a vuoto ciò che Egli ha tosto fatto per noi appena nato.

PUNTO 1°.

Gesù Bambino si offre al suo Divin Padre.

Secondo la testimonianza di S. Paolo, Gesù Cristo, entrando nel mondo, disse a Dio suo Padre: Tu non hai gradito i sacrifizi di quelle vittime, che furono precedentemente offerte; e perciò a me hai formato un corpo, con cui io fossi atto a venir immolato in luogo di tutte le vittime precedenti per la tua gloria e per la salute del mondo, e questo corpo io te l’offro in espiazione dei peccati degli uomini fin da questo momento, compiendo perfettamente la tua santa volontà (Hebr., X, 5-7). Così dunque Gesù appena nato si offre vittima al suo Divin Padre per ripararlo delle nostre ingratitudini, colpe, tiepidezze, debolezze e miserie, e per espiarle comincia tosto a offrirgli quei patimenti che soffre nel suo tenero corpicciuolo. O vittima adorabile, come non esaltare e ringraziare la vostra bontà infinita! Con quanta prontezza, con quanto zelo voi v’immolate per la mia salute! Ma se Gesù si offre tosto, appena nato, in sacrifizio al suo Divin Padre, c’insegna altresì che noi, dovendo imitarlo come nostro modello, dobbiamo menare volentieri una vita di sacrifizio per espiare i tanti peccati da noi commessi e cooperare in tal guisa alla nostra salvezza. Miseri noi se non siamo fermamente risoluti di immolare a Dio la nostra volontà, il nostro carattere, il nostro io, l’amore dei nostri comodi e delle nostre soddisfazioni! Molto facilmente lasceremo la via del bene per metterci su quella del disordine e della rovina.

PUNTO 2°.

Gesù Bambino prega il suo Divin Padre.

Gesù Bambino appena nato, oltre all’offrirsi al suo Divin Padre come vittima di espiazione per i nostri peccati, gli rivolse pure le più efficaci preghiere a nostro vantaggio, per implorarci la sua misericordia e impetrarci tutte le grazie, di cui abbiamo bisogno. Sì, Gesù ha cominciato le sue preghiere fin dal presepio, preghiere non espresse con parole, ma con lacrime, come furono poi altresì quelle offerte al suo Padre celeste dall’alto della croce. Nei giorni della sua carne, dice S. Paolo, offerse preghiere e suppliche con forti grida e con lagrime: in diebus carnis suae preces supplicationesque… cum clamore valido et lacrimis offerens (Eebr., V, 7). E quanto furono ferventi tali preghiere! Costituito nostro pontefice, resosi simile in tutto a noi, fuorché nel peccato, conoscendo in se stesso le infermità e miserie nostre, ne sente la più tenera compassione, e volendo tosto alleviarle implora col massimo fervore su di noi la misericordia e la grazia di Dio. Oh bontà grande del mio Gesù! Voi appena nato rivolgete subito il pensiero a me, alla mia meschinità e impotenza, e per me indirizzate al vostro Divin Padre i sentimenti del vostro cuore e le lagrime de’ vostri occhi, supplicandolo che si muova a pietà di me, che mi perdoni i miei peccati e mi conceda i suoi celesti favori! Voi senza avere alcun bisogno di pregare, tuttavia appena nato, non curando i vostri patimenti, pregate per l’anima mia, e io con tanto bisogno che ne ho, anche in mezzo ai patimenti, penso così poco a pregare! Concedetemi, o caro Gesù, che comprenda l’importanza e la dolcezza della preghiera, e preghi anch’io e preghi con fervore.

PUNTO 3°.

Gesù Bambino glorifica il suo Divin Padre.

Gesù Bambino appena nato rinnovò l’atto di glorificazione, che al suo Divin Padre aveva fatto sin dal primo istante della sua Incarnazione. Giacché, siccome nessun’altra opera, neanche quanto l’Incarnazione del Verbo eterno, Così ora che l’Incarnazione di lui si era manifestata al mondo con la sua nascita, Gesù dice con slancio: la mia gloria è un niente: gloria mea nihil est (Jo., VIII, 54), non mi preoccupo che della gloria di mio Padre: honorifico Patrem meum (Jo., VIII, 49). Così Egli rese tosto a lui onore e gloria infinita per tutto ciò che aveva stabilito si avesse a fare per la salvezza degli uomini. Che zelo ammirabile! Che purità di amore! Avviciniamoci a questo fuoco sacro, che arde in petto al Bambino Gesù per purificare le nostre intenzioni, guaste così spesso da mire ambiziose, che ci tolgono il merito delle nostre opere, e per accenderci anche noi di zelo per i grandi interessi della gloria di Dio. Non siamo noi tanto caldi per gli interessi della gloria nostra? Per acquistare, o per non perdere questa gloria, che cosa non diciamo, che cosa non facciamo, che cosa non soffriamo? E per la gloria di Dio invece siamo tanto freddi, tanto trascurati? Impariamo, sì, impariamo da Gesù Bambino a non dire, a non fare, a non desiderare nulla per l’amor proprio, per la lode e riputazione nostra, ma tutto per l’onore e la gloria di Dio.

MEDITAZIONE SESTA.

Sopra gli omaggi degli angeli.

Mediteremo sopra gli omaggi resi dagli angeli al Bambino Gesù. C’immagineremo di vederli raccolti intorno al presepio per adorare il Divin Salvatore, lodarlo e benedirlo. Ci uniremo a loro, pregando questi beati spiriti che vogliano congiungere le loro e le nostre adorazioni e benedizioni in una sola oblazione, che riesca così meno indegna del Divino Infante.

PUNTO 1°.

Gli angeli adorano il Bambino Gesù.

Essendo il Divin Salvatore nato pressoché incognito agli uomini, ancorché fosse stato predetto da tanti profeti e aspettato da tutto il mondo, tuttavia ben lo conobbero gli Angeli. Ubbidienti all’ordine del Padre celeste di adorarlo, secondo che ci apprende S. Paolo: cum introduca Primogenitum in orbem terme dicit: Et adorent eum omnes angeli Dei (Hebr., I, 6), discesero tosto dal Paradiso per prosternarsi in adorazione intorno al loro sovrano sotto la forma di tenero bambino. E chi può dire la loro ammirazione, il loro slancio d’amore e di ossequio davanti alle umiliazioni dell’eterno Figlio di Dio! Quanto più lo vedono impicciolito, tanto più riconoscono la sua infinita grandezza e tanto più si fanno con riverenza ad adorarlo. Confrontando le loro perfezioni con quelle di Lui, si riconoscono un nulla al suo cospetto e sentono ad ogni modo che quanto vi ha di bello e grande in loro, da lui l’hanno ricevuto. E col sentimento della più viva gratitudine lo ringraziano e lo esaltano, e confessano che a Lui solo si devono onore e gloria, lode e benedizione per tutti i secoli dei secoli. Oh il bell’esempio, che ci danno in tal modo, del come dobbiamo diportarci con Gesù, che si trova pure realmente presente tra di noi nei Santi Tabernacoli! Quando entriamo nelle dimore del Dio Sacramentato, portiamovi gli stessi sentimenti e affetti, che ebbero gli angeli nella grotta di Betlemme.

PUNTO 2°.

Gli Angeli annunziano la nascita di Gesù.

Gli angeli, non paghi di adorare essi il Santo Bambino, ardono della brama di guadagnargli altri adoratori. Uno, che piamente si crede essere stato l’arcangelo Gabriele, a nome di tutti gli altri, prendendo vaghissima forma umana, apparve, in una fulgidissima luce, ad alcuni pastori che stavano vigilando alla custodia del gregge nei dintorni di Betlemme. E poiché per quella luce i pastori furono presi da gran timore, l’Angelo li rassicurò tosto dicendo: Non temete, perché io vengo ad annunziarvi una grande allegrezza, non solo per voi, ma anche per tutto il popolo: oggi è nato in Betlemme, città dì David, il Salvatore, che è Cristo, il Messia aspettato da tutti i secoli; ed ecco il segnale a cui lo riconoscerete: troverete un bambino involto in pannicelli, messo dentro un presepio. Quando si ama Iddio, si ha zelo di farlo conoscere e amare anche dagli altri, e quanto più vivo è l’amore a Dio, tanto più ardente è lo zelo per acquistargli altri cuori amanti. Le persone religiose, che si sono consacrate a Dio per tendere meglio alla loro perfezione, si sono pure consacrate a Lui per zelare la sua gloria e la salute delle anime in quelle opere apostoliche, le quali

mirano a farlo meglio conoscere, amare e servire. Questo ufficio lo compiamo noi davvero nel debito modo e con rettitudine d’intenzione?

PUNTO 3°.

Gli angeli cantano gloria a Dio e pace agli uomini.

All’Angelo che era apparso ai pastori, si unì la moltitudine degli altri spiriti celesti lodando Dio e dicendo: Gloria a Dio negli altissimi cieli, e pace in terra agli uomini di buona volontà. Gloria a Dio negli altissimi cieli, perchè la nascita del Bambino Gesù ha operato questo primo effetto di procurare a Dio, che abita nel più alto dei cieli, una gloria infinita, essendoché l’abbassamento a cui si è assoggettato Gesù nella sua Incarnazione e nascita, è per Iddio un omaggio di valore infinito. Pace in terra agli uomini di buona volontà, perché la nascita di Gesù ha operato questo secondo effetto di apportare la vera pace a tutti quegli uomini, che, essendo animati da buona volontà, amano praticamente la legge divina, operando il bene e fuggendo il peccato. Anche noi siamo venuti al mondo e vi dobbiamo vivere per dar gloria a Dio. Se persino il sole, la luna, le stelle, le piante, gli animali e tutte le altre creature irragionevoli esistono per dar gloria a Dio, quanto più noi dotati di ragione e d’intelligenza! Il che dobbiamo fare in due modi: praticando opere buone ogni volta che ce ne viene l’opportunità: facendo tutte le nostre azioni, anche indifferenti, per l’onore di Dio. Solo così acquisteremo tesori di meriti per l’eternità; solo così gusteremo intanto su questa terra un preludio di quella felicità, che si gode in cielo nel possesso della pace del Signore, pace che Dio dà realmente a godere a quelli che lo amano e lo servono, anche in mezzo alle tribolazioni del mondo.

MEDITAZIONE SETTIMA.

Sopra la condotta dei pastori.

Mediteremo sopra la santa condotta tenuta dai pastori chiamati dall’Angelo alla grotta di Betlemme. C’immagineremo di vederli davanti alla culla del Bambino Gesù, in atto di vagheggiarlo con gioia ineffabile e di adorarlo col più profondo rispetto. Prostrandoci in spirito accanto a loro, adoreremo anche noi il Divin Salvatore e lo ringrazieremo d’averci concessa una fortuna anche maggiore di quella concessa ai pastori, potendolo noi ricevere dentro i nostri cuori per mezzo della Santa Comunione.

PUNTO 1°.

I pastori si recano prontamente alla capanna.

Con quale prontezza i buoni pastori si recarono alla grotta di Betlemme! Il Vangelo ci dice che appena gli Angeli si furono ritirati da loro verso il cielo, i pastori presero a dirsi l’uno all’altro: Andiamo sino a Betlemme a vedere quello che è ivi accaduto, come il Signore ci ha manifestato. E andarono con prestezza: et venerunt festinantes (Luc., II, 15). Lasciarono dunque i loro armenti e partirono senza indugio, ancorché fosse nel cuor della notte. Le buone ispirazioni sono messaggi celesti che c’invitano a lasciare il male e a operare il bene. Quante volte non ne facciamo caso o lasciamo che si spengano nel nostro cuore, perché differiamo a metterle in pratica! Se in questi santi giorni si faranno sentire più forti le ispirazioni della grazia, che ci chiamino a far sacrifizio di noi stessi, del nostro amor proprio, delle nostre comodità, per dedicarci interamente all’amore del Bambino Gesù, arrendiamoci ad esse con tutta prestezza. I pastori assecondano senza più l’invito dell’angelo, perché sono uomini umili e semplici e credono tosto a quanto è stato loro detto. Così anche noi ci arrenderemo facilmente alle divine inspirazioni, se avremo umiltà e semplicità, scacciando dall’animo nostro quei sentimenti di orgoglio, che soli sono la causa, per cui non seguiamo l’invito dei celesti messaggi.

PUNTO 2°.

I pastori adorano Gesù nella capanna.

I pastori arrivati alla grotta v i trovarono Maria e Giuseppe e il Bambino giacente nella mangiatoia. Con che devozione e fede l’adorarono! Oh come, piegati i ginocchi e giunte le mani, saranno stati estatici a rimirarlo! Ed ecco a quali persone il Signore manifestò se medesimo prima che ad altre. Oh come il Signore intende le cose a rovescio del mondo, il quale si mostra sempre incantato dallo splendore delle ricchezze, della gloria e dell’umana sapienza, dando le sue preferenze a coloro che di tutto ciò sono ammantati! E la condotta che Gesù tiene dalla nascita è quella che seguirà mai sempre; perciocché, dice San Paolo, il Signore elegge le cose stolte del mondo per confondere i sapienti, le cose deboli per confondere le forti, le cose ignobili, le spregevoli e quelle che sono reputate un nulla per distruggere quelle che sono stimate assai, affinché non vi sia alcun uomo che abbia ardire di darsi vanto dinanzi a lui (I Cor., I, 27-29). – Di qui dobbiamo imparare che non la nostra abilità, sapienza, valentia induce il Signore a farci favori speciali e a chiamarci all’onore di compiere le sue grandi imprese, ma l’umiltà, la semplicità, la rettitudine. Non lasciamo, no, di mettere il nostro impegno ad acquistare scienza, idoneità e pratica per compiere bene certi uffici, essendo pur questo il nostro dovere; ma più di tutto adoperiamoci ad avere in noi quelle virtù, per le quali soltanto possiamo piacere a Dio, ed essere da lui prescelti e aiutati a far del bene.

PUNTO 3°.

I pastori ritornano giubilanti dalla capanna.

I pastori, poiché ebbero resi i loro omaggi al Bambino Gesù, se ne ritornarono alle loro abitazioni pieni di santo giubilo, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e veduto, conforme era stato ad essi predetto, di guisa che tutti quelli, che li sentivano a parlare, restarono meravigliati delle cose da essi riferite ( Luc., II, 18, 20). Ecco quello che dovremmo fare anche noi quando il Signore per grazia sua ci fa sentire le dolcezze della vita cristiana e delle pratiche devote. Col nostro contegno, più ancora che colle parole, dovremmo glorificare e lodare Iddio al cospetto degli uomini, dimostrando loro coi fatti che la vita veramente cristiana, anziché riuscire di peso, arreca consolazioni e gioie ineffabili; che sono veramente beati coloro che abitano per la grazia, per l’orazione, e per la frequenza dei Sacramenti, nella casa del Signore; che vale infinitamente più un’ora passata davanti al tabernacolo, che non mille giorni trascorsi nelle case dei peccatori: così il nostro prossimo sarebbe indotto dal nostro esempio a fare anch’esso la prova.

CORONCINA DELLA MISERICORDIA o DELLE SANTE PIAGHE di N. S. GESU’ CRISTO

CORONCINA DELLA MISERICORDIA O DELLE SANTE PIAGHE DI N. S. GESU’ CRISTO

Immagine di Sr. Marie Chambon (1841-1907 A.D.), suora del Convento della Visitazione di Maria, Chambery, Francia – dove Nostro Signore manifestò la Devozione del Rosario delle Sante Piaghe, nel 1867

Coroncina della Misericordia

ossia delle Sante Piaghe

Questa coroncina si comincia con queste invocazioni:

– O Gesù, Divin Redentore, siate misericordioso per noi, per il mondo intero. Così sia.

– Dio forte, Dio santo, Dio immortale,  abbiate pietà di noi e del mondo intero. Così sia.

– Grazia e misericordia, o mio Gesù, nei pericoli presenti; copriteci col vostro Sangue preziosissimo. Così sia.

– O Padre Eterno, fateci misericordia, per il  Sangue di Gesù Cristo, vostro unico Figlio: fateci misericordia, noi ve ne scongiuriamo. Così sia

Indi sui grani piccoli della corona si ripete per dieci volte

Gesù mio, perdono e misericordia per i meriti delle Vostre Sante Piaghe.

(Ind. 300 gg. o. v.)

E sui grani grossi:

Eterno Padre, vi offro le Piaghe di Nostro Signore Gesù Cristo per guarire quelle delle anime nostre.

(Ind. 300 gg. o. v)

Si termina la corona ripetendo tre volte quest’ultima preghiera.

preghiera: Eterno Padre, etc.

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“Le invocazioni delle Sante Piaghe

otterranno una vittoria imperitura alla Santa Chiesa “.

LE 17 PROMESSE di GESU’ CONCESSE A COLORO CHE

PRATICANO LA DEVOZIONE DEL ROSARIO DELLE SANTE PIAGHE :

1. Ad ogni parola pronunciata della Coroncina delle Sante Ferite, permetto che una goccia del Mio Sangue cadrà sull’anima di un peccatore.

2. Ogni volta che offri a Mio Padre i meriti delle Mie Divine Ferite, otterrai un’immensa fortuna.

3. Le anime che avranno contemplato ed onorato la mia corona di spine sulla terra, saranno la mia corona di gloria in cielo.

4. Concederò tutto ciò che mi viene chiesto attraverso l’invocazione delle mie Sante Piaghe. Si otterrà tutto, perché ciò avverrà attraverso i meriti del Mio Sangue, che ha un prezzo infinito. Con le mie Piaghe ed il mio Divino Cuore, tutto può essere ottenuto.

5. Dalle mie piaghe procedono frutti di santità. Come l’oro purificato nel crogiolo diventa più brillante, così devi mettere la tua anima e quella dei tuoi fratelli nelle Mie sacre Piaghe; lì saranno perfezionate come l’oro nella fornace. Puoi sempre purificarti nella mie Piaghe. 

6. Le mie Piaghe ripareranno le tue. Le mie Piaghe copriranno tutte i tuoi difetti. Coloro che le onorano avranno una vera conoscenza di Gesù Cristo. Nella loro meditazione, troverai sempre nuovo amore. Le mie Piaghe copriranno tutti i tuoi peccati.

7. Immergete le vostre azioni nelle mie ferite ed esse prenderanno valore. Tutte le tue azioni, anche le più piccole, intrise del Mio Sangue, acquisiranno solo da questo meriti infiniti e soddisferanno il Mio Cuore.

8. Nell’offrire le Mie Piaghe per la conversione dei peccatori, anche se i peccatori non sono convertiti, avrai lo stesso merito davanti a Dio come se lo fossero.

9. Quando hai qualche problema, qualcosa da soffrire, mettilo rapidamente nelle mie ferite ed il dolore sarà alleviato.

10. Vicino agli ammalati deve  ripetersi spesso questa invocazione : “Mio Gesù, perdono e misericordia per i meriti delle tue piaghe!” Questa preghiera consolerà l’anima ed il corpo.

11. Un peccatore che dirà la seguente preghiera otterrà la conversione: ” Eterno Padre, ti offro le ferite di nostro Signore Gesù Cristo per guarire quelle delle nostre anime”.

12. Non ci sarà morte per l’anima che si rifugia nelle Mie Sacre Ferite; esse danno vita vera.

13. Questa coroncina è una contrapposizione alla Mia giustizia; essa reprime la mia vendetta.

14. Coloro che pregano con umiltà e meditano sulla Mia Passione, un giorno parteciperanno alla gloria delle Mie Divine Piaghe.

15. Quanto più avrai contemplato le mie dolorose ferite su questa terra, tanto più alta sarà la tua contemplazione di esse, gloriose in cielo.

16. L’anima che durante la vita ha onorato le ferite di nostro Signore Gesù Cristo e le ha offerte al Padre Eterno per le anime del Purgatorio, sarà accompagnata al momento della morte dalla Santa Vergine e dagli Angeli; e Nostro Signore sulla Croce, tutto brillante nella gloria, la riceverà e la incoronerà.

17. Le invocazioni delle Sacre Ferite otterranno una vittoria imperitura alla Santa Chiesa.

PREGHIERA ALLE CINQUE PIAGHE

SIGNORE mio Gesù Cristo, adoro la Piaga della vostra mano destra, e per quel sangue che dalla medesima versaste, vi prego a darmi una invincibile fortezza contro i miei capitali nemici: demonio, mondo e carne, onde io possa dire col Profeta; La vostra destra mi ha difesa dalle insidie infernali; la vostra destra operò in me ogni virtù e benedizione. Amen. Pater, Ave, Gloria

Signor mio Gesù Cristo, adoro la Piaga della vostra mano sinistra e per quel sangue che dalla medesima versaste, vi prego a munirmi con lo scudo di una viva Fede, di una ferma Speranza e di una Carità perfetta, per non avermi a trovare nella valle di Giosafat con i reprobi alla sinistra. Amen. Pater, Ave , Gloria .

Signor mio Gesù Cristo, adoro la Piaga del vostro Piede destro e, per quel sangue che dalla medesima versaste, vi prego a guidarmi per il diritto sentiero delle sante Virtù, perchè giunga a quel beato fine per cui mi avete creato e redento. Amen . Pater, Ave. Gloria.

Signor mio Gesù Cristo, adoro la Piaga del vostro Piede sinistro e, per quel sangue che dalla medesima versaste, vi prego ad innamorarmi dei patimenti e delle umiliazioni, perché, morto a me stesso, viva unicamente in Voi, che siete la Via, la Verità, e la Vita … Amen. Pater, Ave, Gloria.

Signor mio Gesù Cristo, adoro la Piaga del vostro SS. Costato, e del vostro Cuore amoroso, e per quel sangue e quell’acqua che dalla medesima versaste, vi prego a non permettere, che io passi all’ altra vita senza esser munito dei SS. Sacramenti da quella misticamente emanati, affinché esali lo spirito mio in quel Porto sicuro dì eterno riposo. Amen. Pater, Ave, Gloria.

Adoramus te, Christe et benedicimus tibi;

Quia per Sanctam Crucem tuam redemisti mundum.

Oremus.

Deus, qui Unigeniti Filii tui Domini nostri Jesu Christi Passione, et copiosa per sancta vulnera sui Sanguinis effusione humanam naturam peccato perditam reparasti, concede propitius, ut qui ejus Stigmata venerando colimus, haec in nostris cordibus impressa moribus et vita teneamus, Per eumdem Christum etc.

Signor mio Gesù Cristo, per la vostra SS. Vita , Passione, e Morte, per la crudelissima Coronazione di Spine, e per i sublimi meriti di Maria Vergine Addolorata vostra beatissima Madre, e di tutti i Santi, caldamente vi supplico ad esaltare sempre più la S. Romana Chiesa, ad unire in pace i Principi Cristiani, a distruggere l’Eresie, a conservare nella Grazia i Giusti , a convertire i peccatori e gli increduli, a liberare le anime purganti, e a concedermi il frutto delle Sante Indulgenze, affinché tutti cantiamo in eterno le vostre misericordie. Amen”. Pater, Ave, Gloria.

Domine, exaudi Orationem meam.

Et clamor meus ad te veniat.

Oremus.

Ecclesiae tuae, quæsumus, Domine, preces placatus admitte, ut destructis adversitatibus, et erroribus universis, secura tibi serviat libertate.

Deus omnium Fidelium Pastor et Rector, Famulum tuum Gregorium, quem Pastorem Ecclesiæ tuæ præesse voluisti, propitius respice; da Ei, quæsumus, verbo, et exemplo, quibus præest proficere, ut ad vitam una cum grege sibi credito perveniat sempiternam. Per Christum etc. (per l’adorazione alle Sante Piaghe, 10.000 mila anni di indulgenza)

[“Via del Paradiso” – terza ed. Siena; 1823 -impr.]

CULTO DEI DEFUNTI

La devozione verso le Anime del Purgatorio, col raccomandarle a Dio affinché le sollevi nelle grandi pene che patiscono e presto le chiami alla sua gloria, è molto vantaggiosa per noi e ad esse. Infatti quando saranno liberate dai loro tormenti a causa delle nostre preghiere non si scorderanno certamente di noi in Cielo. Si crede poi che Dio manifesti loro le nostre orazioni, affinché stando in purgatorio preghino per noi: esse non possono pregare se stesse perché devono espiare, tuttavia, essendo molto care a Dio, possono pregare per noi ed ottenerci delle grazie. S. Caterina da Bologna ogni volta che ricorreva alle anime del Purgatorio, si vedeva subito esaudita.  – È un dovere pregare per le anime del Purgatorio perché la carità cristiana richiede che noi aiutiamo il nostro prossimo che è in stato di necessità: e chi ha maggior necessità di esse che sono tormentate nel fuoco? Inoltre sono prive della visione di Dio, pena che le affligge più di titte le altre. Pensiamo poi che facilmente si trovano in Purgatorio le anime dei nostri genitori, fratelli, parenti ed amici, e che aspettano il nostro soccorso, – Pregando per loro acquisteremo molti meriti e soprattutto le grazie per la salvezza eterna. Scriveva S. Alfonso:  « Io giudico per certo che un’anima, la quale è liberata dal Purgatorio per i suffragi avuti da qualche devoto, giunta in Paradiso, non smetterà di dire a Dio: “Signore non permettere che si perda quegli che mi ha liberata dal Purgatorio, » e mi ha fatto venire più presto a godervi” ». I mezzi per aiutarli sono: la preghiera, la Via Crucis, l’elemosina, la mortificazione e soprattutto la Santa Messa, la “vera” Messa Cattolica di sempre, officiata da un “vero”sacerdote con Missione canonica e Giurisdizione in unione con Papa Gregorio XVIII – le messe sacrileghe dei non-preti delle fraternità para-massoniche e dei non-preti delle sette sedevacantiste e sedeprivazioniste, oppure i riti rosa+croce della setta modernista-vaticana del “novus ordo” [che si spaccia attualmente per cattolica senza esserlo nemmeno lontanamente ed usurpando uffici ed ambienti Cattolici], non hanno alcuna efficacia per le anime dei defunti, e costituiscono puro sacrilegio: a) per chi le officia invalidamente ed illecitamente, e b) per chi vi partecipa o le ordina. – Pio è il pensiero di deporre corone di fiori e ceri sulle tombe dei defunti; ma è ben più efficace assistere alla S. Messa Cattolica di sempre e farne celebrare in loro suffragio da preti cattolici in unione con il Santo Padre “canonico”. Suffragate i vostri cari ed assicuratevi dei suffragi prima di morire. Le Messe gregoriane (celebrazione di 30 Messe consecutive per un solo defunto) prendono il loro nome da S. Gregorio Magno, non perché egli le abbia istituite, ma perché racconta di averne costatata l’efficacia; non si deve credere che liberino infallibilmente l’anima, però la Santa Sede (1884) dichiarò pia e ragionevole la fiducia nella speciale efficacia di esse per la liberazione di un’anima purgante.

Devozione dei cento Requiem

Per questo pio esercizio, ognuno può servirsi di una comune corona di cinque decine, percorrendola tutta due volte, onde formare dieci decine, ossia cento Requiem. Si inizia recitando un Pater Noster e poi una decina di Requiem sui grani piccoli della corona, alla fine della quale si dirà sul grano grosso la seguente giaculatoria:

Anime sante del Purgatorio, pregate Iddio per me, che io pregherò per voi, affinché Egli vi doni la gloria del Paradiso.

Indi si recitano le altre decine con la giaculatoria sul grano grosso. Terminate le dieci decine, si recita il De Profundis [Salmo 129].

 

Atto eroico di carità in suffragio delle Anime del Purgatorio

Il padre teatino Gaspare Oliden d’Alcalà, infiammato di zelo straordinario per il suffragio dele anime del Purgatorio, insinuò con la voce e con la stampa una pratica vecchia nella sostanza ma nuova nella forma, cioè di offrire con una specie di voto tutte quante le buone opere e presenti e future in espiazione dei debiti delle anime purganti , per cooperare nel miglior modo alla loro più sollecita liberazione da quelle pene. Benedetto XIII, Papa Orsini, con il suo Breve 13 agosto 1728, approvò solennemente tale pratica e la arricchì di tre privilegi riportati qui di seguito, confermati poi da Pio VI. Pio IX, con decreto Urbis et Orbis del 30 settembre 1852, dichiarò solennemente l’utilità e l’eccellenza di questa devozione confermando tutti i privilegi concessi dai suoi predecessori. – Questo atto di carità, già predicato ne passato da due celebri gesuiti, p. Moncado e p. Ribadeneira, nonché da S. Liduina, S. Caterina da Siena, S. Teresa, dal ven. Ximenes, e particolarmente da S. Brigida, la quale in punto di morte fu dal celeste suo Sposo assicurata che per la carità da lei usata alle anime del Purgatorio, le erano perdonate tutte le pene che avrebbe dovuto soffrire in Purgatorio e le sarebbe di molto aumentata la corona di gloria in Paradiso.

I tre privilegi concessi sono:

.1° I Sacerdoti che fanno questo atto di carità, godono l’indulto dell’Altare Privilegiato personale (de anima) per tutti i giorni dell’anno.

.Tutti i fedeli che avranno fatto questo atto di carità. Potranno lucrare indulgenza plenaria, applicabile però solamente ai defunti, liberando un’anima del Purgatorio in qualunque di quei giorni in cui si accosteranno alla SS. Comunione, e in tutti i lunedì dell’anno in cui ascolteranno la Santa Messa in suffragio dei medesimi defunti.

.3° Gli stessi possono applicare a pro dei defunti tutte le indulgenze che acquisteranno in qualunque modo fossero concesse, o da concedersi in avvenire.

Formula del Pio e Caritatevole Atto

“Mio Dio, in unione ai meriti di Gesù e di Maria, Vi offro per le anime del Purgatorio tutte le mie opere satisfattorie, e quelle da altri a me applicate in vita, in morte e dopo la mia morte.”

Osservazioni sul detto Atto Eroico

.1° Per fare questo non è necessario pronunziare le parole, basta volerlo ed emetterlo con il cuore. Neppure è prescritto di ripeterle più volte, benché ciò sia utile assai per fomentare il fervore della carità, che ci renderà industriosi ad accumulare beni spirituali in aiuto delle anime benedette del Purgatorio.

2° Siccome questo atto è semplice donazione universale, non impedisce ai Sacerdoti di applicarla Santa Messa per chi essi vogliono e secondo l’intenzione degli offerenti, essendo ciò dichiarato nella concessione del Sommo Pontefice Benedetto XIII.

3° Questo atto non si oppone punto all’ordine della carità che ci obbliga prima a pregare per i nostri defunti, poiché altro è il pregare , cui risponde il frutto impetratorio, del quale in questo voto non si tratta, ed altro è il suffragare, cui risponde il frutto soddisfatorio. Sebbene anche in questo uffizio di offrire suffragi, la carità ci obblighi prima di tutto verso i nostri congiunti, pure Iddio conosce meglio di noi quali siano i nostri doveri, e però farà sì che le nostre buone opere siano utili dapprima ai nostri parenti ed confratelli, e poi agli altri, secondo che davanti a Dio lo meriteranno. Così possiamo, anzi dobbiamo , praticare tutte le altre nostre devozioni dirette ad ottenere da Dio, dalla SS. Vergine qualche grazia per noi e per il prossimo, poiché ciò non si oppone all’atto per il quale si applica alle anime sante il solo frutto soddisfatorio delle nostre opere, restando sempre a noi il meritorio, il propiziatorio e l’impetratorio.

 

MATERNITÀ DELLA B. V. MARIA

Il titolo di Madre di Dio.

Il titolo di Madre di Dio, fra tutti quelli che vengono attribuiti alla Madonna, è il più glorioso. Essere la Madre di Dio è per Maria la sua ragion d’essere, il motivo di tutti i suoi privilegi e delle sue grazie. Per noi il titolo racchiude tutto il mistero della Incarnazione e non ne vediamo altro che più di questo sia sorgente per Maria di lodi e per noi di gioia. Sant’Efrem pensava giustamente che credere e affermare che la Santissima Vergine Maria è Madre di Dio è dare una prova sicura della nostra fede. La Chiesa quindi non celebra alcuna festa della Vergine Maria senza lodarla per questo privilegio. E così saluta la beata Madre di Dio nell’Immacolato Concepimento, nella Natività, nell’Assunzione e noi nella recita frequentissima dell’Ave Maria facciamo altrettanto.

L’eresia nestoriana.

« Theotókos », Madre di Dio, è il nome con cui nei secoli è stata designata Maria Santissima. Fare la storia del dogma della maternità divina sarebbe fare la storia di tutto il cristianesimo, perché il nome era entrato così profondamente nel cuore dei fedeli che quando, davanti al Vescovo di Costantinopoli, Nestorio, un prete che era il suo portavoce, osò affermare che Maria era soltanto madre di un uomo, perché era impossibile che Dio nascesse da una donna, il popolo protestò scandalizzato. Era allora vescovo di Alessandria san Cirillo, l’uomo suscitato da Dio per difendere l’onore della Madre del suo Figlio. Egli tosto manifestava il suo stupore: « Mi meraviglia che vi siano persone, che pensano che la Santa Vergine non debba essere chiamata Madre di Dio. Se nostro Signore è Dio, Maria, che lo mise al mondo, non è la Madre di Dio? Ma questa è la fede che ci hanno trasmessa gli Apostoli, anche se non si sono serviti di questo termine, ed è la dottrina che abbiamo appresa dai Santi Padri ».

Il Concilio di Efeso.

Nestorio non cambiò pensiero e l’imperatore convocò un concilio, che si aprì ad Efeso il 22 giugno del 431 sotto la presidenza di san Cirillo, legato del Papa Celestino. Erano presenti 200 vescovi i quali proclamarono che « la persona di Cristo è una e divina e che la Santissima Vergine deve essere riconosciuta e venerata da tutti quale vera Madre di Dio ». I cristiani di Efeso intonarono canti di trionfo, illuminarono la città e ricondussero alle loro dimore con fiaccole accese i vescovi « venuti – gridavano essi – per restituirci la Madre di Dio e ratificare con la loro santa autorità ciò che era scritto in tutti i cuori ». – Gli sforzi di Satana avevano raggiunto, come sempre, un risultato solo, cioè quello di preparare un magnifico trionfo alla Madonna e, se vogliamo credere alla tradizione, i Padri del Concilio, per perpetuare il ricordo dell’avvenimento, aggiunsero all’Ave Maria le parole: « Santa Maria, Madre di Dio, pregate per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte ». Milioni di persone recitano ogni giorno quella preghiera e riconoscono a Maria la gloria di Madre di Dio, che un eretico aveva preteso negare.

La festa dell’undici ottobre.

Il 1931 ricorreva il XV centenario del Concilio di Efeso e Pio XI pensò che sarebbe stata « cosa utile e gradita per i fedeli meditare e riflettere sopra un dogma così importante » come quello della maternità divina e, per lasciare una testimonianza perpetua della sua devozione alla Madonna, scrisse l’Enciclica Lux veritatis, restaurò la basilica di Santa Maria Maggiore in Roma e istituì una festa liturgica, che « avrebbe contribuito a sviluppare nel clero e nei fedeli la devozione verso la grande Madre di Dio, presentando alle famiglie come modelli. Maria e la sacra Famiglia di Nazareth », affinché siano sempre più rispettati la santità del matrimonio e l’educazione della gioventù. – Che cosa implichi per Maria la dignità di Madre di Dio lo abbiamo già notato nelle feste del primo gennaio e del 25 marzo, ma l’argomento è inesauribile e possiamo fermarci su di esso ancora un poco.

Maria stermìnio delle eresie.

« Godi, o Vergine, perché da sola hai sterminato nel mondo intero le eresie ». L’antifona della Liturgia insegna che il dogma della maternità divina è sostegno e difesa di tutto il Cristianesimo. Confessare la maternità divina è confessare la natura divina e l’umana nel Verbo Incarnato in unità di persona ed è altresì affermare la distinzione delle Persone in Dio nell’unità di natura ed è ancora riconoscere tutto l’ordine soprannaturale della grazia e della gloria.

Maria vera Madre di Dio.

Riconoscere che Maria è vera Madre di Dio è cosa facile. « Se il Figlio della Santa Vergine è Dio, scrive Pio XI nell’Enciclica Lux veritatis, colei che l’ha generato merita di essere chiamata Madre di Dio; se la persona di Gesù Cristo è una e divina, tutti, senza dubbio, devono chiamare Maria Madre di Dio e non solamente di Cristo uomo. Come le altre donne sono chiamate e sono realmente madri, perché hanno formato nel loro seno la nostra sostanza mortale, e non perché abbiano creata l’anima umana, così Maria ha acquistato la maternità divina per aver generato l’unica persona del Figlio suo ».

Conseguenze della maternità divina.

« Derivano di qui, come da sorgente misteriosa e viva, la speciale grazia di Maria e la sua suprema dignità davanti a Dio. La beata Vergine ha una dignità quasi infinita, che proviene dal bene infinito, che è Dio, dice san Tommaso. E Cornelio a Lapide spiega le parole di san Tommaso così: Maria è la Madre di Dio, supera in eccellenza tutti gli Angeli, i Serafini, i Cherubini. È la Madre di Dio ed è dunque la più pura e più santa di tutte le creature e, dopo quella di Dio, non è possibile pensare purezza più grande. È Madre di Dio, sicché, se i santi ottennero qualche privilegio (nell’ordine della grazia santificante) Maria ebbe il suo prima di tutti ».

Dignità di Maria.

Il privilegio della maternità divina pone Maria in una relazione troppo speciale ed intima con Dio, perché possano esserle paragonate dignità create di qualsiasi genere, la pone in un rapporto immediato con l’unione ipostatica e la introduce in relazioni intime e personali con le tre persone della Santissima Trinità.

Maria e Gesù.

La maternità divina unisce Maria con il Figlio con un legame più forte di quello delle altre madri con i loro figli. Queste non operano da sole la generazione e la Santa Vergine invece ha generato il Figlio, l’Uomo-Dio, con la sua stessa sostanza e Gesù è premio della sua verginità e appartiene a Maria per la generazione e per la nascita nel tempo, per l’allattamento col quale lo nutrì, per l’educazione che gli diede, per l’autorità materna esercitata su di lui.

Maria e il Padre.

La maternità divina unisce in modo ineffabile Maria al Padre. Maria infatti ha per Figlio il Figlio stesso di Dio, imita e riproduce nel tempo la generazione misteriosa con la quale il Padre generò il Figlio nell’eternità, restando così associata al Padre nella sua paternità. – « Se il Padre ci manifestò un’affezione così sincera, dandoci suo Figlio come Maestro e Redentore, diceva Bossuet, l’amore che aveva per te, o Maria, gli fece concepire ben altri disegni a tuo riguardo e ha stabilito che Gesù fosse tuo come è suo e, per realizzare con te una società eterna, volle che tu fossi la Madre del suo unico Figlio e volle essere il Padre del tuo Figlio » (Discorso sopra la devozione alla Santa Vergine).

Maria e lo Spirito Santo.

La maternità divina unisce Maria allo Spirito Santo, perché per opera dello Spirito Santo ha concepito il Verbo nel suo seno. In questo senso Leone XIII chiama Maria Sposa dello Spirito Santo (Encicl. Divinum munus, 9 maggio 1897) e Maria è dello Spirito Santo il santuario privilegiato, per le inaudite meraviglie che ha operate in lei, « Se Dio è con tutti i Santi, afferma san Bernardo, è con Maria in modo tutto speciale, perché tra Dio e Maria l’accordo è così totale che Dio non solo si è unita la sua volontà, ma la sua carne e con la sua sostanza e quella della Vergine ha fatto un solo Cristo, e Cristo se non deriva come Egli è, né tutto intero da Dio, né tutto intero da Maria, è tuttavia tutto intero di Dio e tutto intero di Maria, perché non ci sono due figli, ma c’è un solo Figlio, che è Figlio di Dio e della Vergine. L’Angelo dice: Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te. È con te non solo il Signore Figlio, che rivestisti della tua carne, ma il Signore Spirito Santo dal quale concepisti e il Signore Padre, che ha generato colui che tu concepisti. È con te il Padre che fa si che suo Figlio sia tuo Figlio; è con te il Figlio, che, per realizzare l’adorabile mistero, apre il tuo seno miracolosamente e rispetta il sigillo della tua verginità; è con te lo Spirito Santo, che, con il Padre e con il Figlio santifica il tuo seno. Sì, il Signore è con te » (3.a Omelia super Missus est).

MESSA

Epistola (Eccli. 24, 23-31). – “Come vite diedi frutti di soave odore, e i mici fiori dànno frutti di gloria e di ricchezza. Io sono la madre del bell’amore e del timore, della scienza e della santa speranza. In me ogni grazia della via e della verità, in me ogni speranza di vita e di virtù. Venite a me, o voi tutti che mi bramate, e saziatevi dei miei frutti; perché il mio spirito è più dolce del miele, e il mio retaggio più del favo di miele. Il ricordo di me durerà nelle generazioni dei secoli. Chi mi mangia avrà ancora fame, e chi mi beve avrà ancora sete. Chi mi ascolta non sarà confuso, e chi lavora per me non peccherà; chi mi illustra avrà la vita eterna.” – A buon diritto la Chiesa anche qui applica alla Madonna un testo che è stato scritto con riferimento al Messia. Non è Maria la vera vigna, che ci ha data l’uva generosa, che riceviamo tutti i giorni nell’Eucarestia? Vi è gloria paragonabile a quella di Maria, che, essendo vergine, è divenuta Madre di Dio, senza perdere la verginità? La Chiesa la canta con gioia Madre del bell’amore e ci invita ad accostarci a Lei con confidenza, perché in Maria si incontra ogni speranza della vita e della virtù e chi l’ascolta non sarà mai confuso. Vangelo (Lc. II, 43-51). – “In quel tempo: Al ritorno il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, ma i suoi genitori non se ne accorsero. Supponendo che Egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di cammino, poi si misero a cercarlo fra i parenti e i conoscenti. Ma non avendolo trovato, tornarono a Gerusalemme in cerca di lui. E avvenne che dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto fra i dottori ad ascoltarli ed interrogarli, mentre gli uditori stupivano della sua sapienza e delle sue risposte. E, vedendolo, ne furono meravigliati. E sua madre gli disse: Figlio, perché ci hai fatto questo? Vedi, tuo padre ed io, addolorati, andavamo in cerca di te. Egli rispose loro: E perché cercarmi? non sapevate che mi devo occupare di quanto riguarda mio Padre? Ma essi non compresero quanto aveva loro detto. Poi se ne andò con loro e tornò a Nazaret, e stava loro sottomesso.”

L’amore di Gesù per la Madre.

« Se fosse permesso spingere tanto innanzi l’analisi del suo sviluppo umano, si direbbe che in Gesù, come in altri, vi fu qualcosa dell’influenza della Madre sua. La grazia, la finezza squisita, la dolcezza indulgente appartengono solo a Lui, ma proprio per tali cose si distinguono coloro, che spesso hanno sentito il cuore come addolcito dalla tenerezza materna e lo spirito ingentilito, per la conversazione con la donna venerata e amata teneramente, che si compiaceva iniziarli alle sfumature più delicate della vita. Gesù fu davvero, come lo chiamavano i concittadini, il “figlio di Maria”. » Egli tanto ha ricevuto da Maria, perché l’amò infinitamente. Come Dio, la scelse e le donò prerogative uniche di verginità, di purezza immacolata, e nello stesso tempo la grazia della maternità divina; come uomo, l’amò tanto fedelmente che sulla croce, in mezzo alle spaventevoli sofferenze, l’ultimo pensiero fu per lei: Donna, ecco tuo figlio. Ecco tua Madre. » Ma il doppio amore gli fece scegliere per la madre una parte degnissima di Lei. Il profeta aveva preannunziato lui come il Servo di Jahvè e la Madre fu la Serva del Signore nell’oblio di sé, nella devozione e nel perfetto distacco: « vi è più gioia nel dare che nel ricevere ». Cristo, che aveva presa per sé questa gioia, la diede alla Madre e Maria comprese così bene questo dono che nei ricordi d’infanzia segnò con attenzione particolare i rapporti che a un lettore superficiale sembrano duri: « Perché mi cercavate? Non sapevate che debbo occuparmi delle cose che riguardano il Padre mio? » E più tardi: « Chi è mia madre, chi sono i miei fratelli?… » Gesù vuole insegnarci il distacco che da noi esige e darcene l’esempio » (Lebreton. La Vie et Venseignement de J. C. N. S., p. 62).

Maria nostra Madre.

Salutandoti oggi col bel titolo di Madre di Dio, non dimentichiamo che « avendo dato la vita al Redentore del genere umano, sei per questo fatto stesso divenuta Madre nostra tenerissima e che Cristo ci ha voluti per fratelli. Scegliendoti per Madre del Figlio suo, Dio ti ha inculcato sentimenti del tutto materni, che respirano solo amore e perdono » (Pio XI Enc. Lux veritatis). « O Vergine tutta santa, è per i tuoi figli cosa dolce dire di te tutto ciò che è glorioso, tutto ciò che è grande, ma ciò facendo dicono solo il vero e non riescono a dire tutto quello che tu meriti (Basilio di Seleucia, Omelia 39, n. 6. P. G. 85, c. 452). Tu sei infatti la meraviglia delle meraviglie e di quanto esiste o potrà esistere, Dio eccettuato, niente è più bello di te » (Isidoro da Tessalonica. Discorso per la Presentazione di Maria P. G. 189, c. 69). Dalla gloria del cielo ove sei, ricordati di noi, che ti preghiamo con tanta gioia e confidenza. « L’Onnipotente è con te e tu sei onnipotente con Lui, onnipotente per Lui, onnipotente dopo di Lui », come dice san Bonaventura. Tu puoi presentarti a Dio non tanto per pregare quanto per comandare, tu sai che Dio esaudisce infallibilmente i tuoi desideri. Noi siamo, senza dubbio, peccatori, ma tu sei divenuta Madre di Dio per causa nostra e « non si è mai inteso dire che alcuno di quelli che sono ricorsi a te sia stato abbandonato. Animati da questa confidenza, o Vergine delle vergini, o nostra Madre, veniamo a te gemendo sotto il peso dei nostri falli e ci prostriamo ai tuoi piedi. Madre del Verbo incarnato, non disprezzare le nostre preghiere, degnati esaudirle » (San Bernardo) – (Dom Gueranger: “l’anno liturgico”, vol.  II, impr. 1957)

FESTA DEL SANTO ROSARIO [7 ottobre 2017]

FESTA DEL SANTO ROSARIO

[Dom Guéranger, l’Anno liturgico, vol. II, ed. Paoline, Alba, impr. 1956]

Devozione della Chiesa per Maria.

La Liturgia nel corso dell’anno ci ha mostrato più volte che Gesù e Maria sono così uniti nel piano divino della Redenzione che si incontrano sempre insieme ed è impossibile separarli sia nel culto pubblico che nella devozione privata. La Chiesa, che proclama Maria Mediatrice di tutte le grazie, la invoca continuamente per ottenere i frutti della Redenzione che con il Figlio ha acquistati. Comincia sempre l’anno liturgico col tempo di Avvento, che è un vero mese di Maria, invita i fedeli a consacrarle il mese di maggio, ha disposto che il mese di ottobre sia il mese del Rosario e le feste di Maria nel Calendario Liturgico sono così numerose che non passa un giorno solo dell’anno, senza che Maria in qualche luogo della terra sia festeggiata sotto un titolo o sotto un altro, dalla Chiesa universale, da una diocesi o da un Ordine religioso.

La festa del Rosario.

La Chiesa riassume nella festa di oggi tutte le solennità dell’anno e, con i misteri di Gesù e della Madre sua, compone come un’immensa ghirlanda per unirci a questi misteri e farceli vivere e una triplice corona, che posa sulla testa di Colei, che il Cristo Re ha incoronata Regina e Signora dell’universo, nel giorno del suo ingresso in cielo. Misteri di gioia che ci riparlano dell’Annunciazione, della Visitazione, della Natività, della Purificazione di Maria, di Gesù ritrovato nel tempio; Misteri di dolore, dell’agonia, della flagellazione, della coronazione di spine, della croce sulle spalle piagate e della crocifissione; Misteri di gloria, cioè della Risurrezione, dell’Ascensione del Salvatore, della Pentecoste, dell’Assunzione e dell’incoronazione della Madre di Dio. Ecco il Rosario di Maria.

Storia della festa.

La festa del Rosario fu istituita da san Pio V, in ricordo della vittoria riportata a Lepanto sui Turchi. È cosa nota come nel secolo XVI, dopo avere occupato Costantinopoli, Belgrado e Rodi, i Maomettani minacciassero l’intera cristianità. Il Papa San Pio V, alleato con il re di Spagna Filippo II e la Repubblica di Venezia, dichiarò la guerra e Don Giovanni d’Austria, comandante della flotta, ebbe l’ordine di dar battaglia il più presto possibile. Saputo che la flotta turca era nel golfo di Lepanto, l’attaccò il 7 ottobre del 1751 presso le isole Echinadi. Nel mondo intero le confraternite del Rosario pregavano intanto con fiducia. I soldati di Don Giovanni d’Austria implorarono il soccorso del cielo in ginocchio e poi, sebbene inferiori per numero, cominciarono la lotta. Dopo 4 ore di battaglia spaventosa, di 300 vascelli nemici solo 40 poterono fuggire e gli altri erano colati a picco mentre 40000 turchi erano morti. L’Europa era salva. – Nell’istante stesso in cui seguivano gli avvenimenti, san Pio V aveva la visione della vittoria, si inginocchiava per ringraziare il cielo e ordinava per il 7 ottobre di ogni anno una festa in onore della Vergine delle Vittorie, titolo cambiato poi da Gregorio XIII in quello di Madonna del Rosario.

Il Rosario.

L’uso di recitare Pater e Ave Maria risale a tempi remotissimi, ma la preghiera meditata del Rosario come noi l’abbiamo oggi è attribuita a san Domenico. È per lo meno certo che egli molto lavorò con i suoi religiosi per la propagazione del Rosario e che ne fece l’arma principale nella lotta contro gli eretici Albigesi, che nel secolo XIII infestavano il sud della Francia. – La pia pratica tende a far rivivere nell’anima nostra i misteri della nostra salvezza, mentre con la loro meditazione si accompagna la recita di decine di Ave Maria, precedute dal Pater e seguite dal Gloria Patri. A prima vista la recita di molte Ave Maria può parere cosa monotona, ma con un poco di attenzione e di abitudine, la meditazione, sempre nuova e più approfondita, dei misteri della nostra salvezza, porta grandiosità e varietà. D’altra parte si può dire che nel Rosario si trova tutta la Religione e come la somma di tutto il Cristianesimo. – Il Rosario è una somma di fede: Riassunto cioè delle verità che noi dobbiamo credere, che ci presenta sotto forma sensibile e vivente. Le espone unendovi la preghiera, che ottiene la grazia per meglio comprenderle e gustarle. – Il Rosario è una somma di morale: Tutta la morale si riassume nel seguire e imitare Colui, che è « la Via, la Verità, la Vita » e con la preghiera del Rosario noi otteniamo da Maria la grazia e la forza di imitare il suo divino Figliolo. – Il Rosario è una somma di culto: Unendoci a Cristo nei misteri meditati, diamo al Padre l’adorazione in spirito e verità, che Egli da noi attende e ci uniamo a Gesù e Maria per chiedere, con loro e per mezzo loro, le grazie delle quali abbiamo bisogno. – Il Rosario sviluppa le virtù teologali e ci offre il mezzo di irrobustire la nostra carità, fortificando le virtù della speranza e della fede, perché « con la meditazione frequente di questi misteri l’anima si infiamma di amore e di riconoscenza di fronte alle prove di amore che Dio ci ha date e desidera con ardore le ricompense celesti, che Cristo ha conquistate per quelli che saranno uniti a Lui, imitando i suoi esempi e partecipando ai suoi dolori. In questa forma di orazione la preghiera si esprime con parole; che vengono da Dio stesso, dall’Arcangelo Gabriele e dalla Chiesa ed è piena di lodi e di domande salutari, mentre si rinnova e si prolunga in ordine, determinato e vario nello stesso tempo, e produce frutti di pietà sempre dolci e sempre nuovi » (Enciclica Octobri mense del 22 settembre 1891). – Il Rosario unisce le nostre preghiere a quelle di Maria nostra Madre. « Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi poveri peccatori ». Ripetiamo con rispetto il saluto dell’Angelo e umilmente aggiungiamo la supplica della confidenza filiale. Se la divinità, anche se incarnata e fatta uomo, resta capace di incutere timore, quale timore potremmo avere di questa donna della stessa nostra natura, che ha in eterno il compito di comunicare alle creature le ricchezze e le misericordie dell’Altissimo? Confidenza filiale. Sì, perché l’onnipotenza di Maria viene dal fatto di essere Madre di Gesù, l’Onnipotente, e ha diritto alla nostra confidenza, perché è nello stesso tempo nostra Madre, non solo in virtù del testamento dettato da Gesù sulla Croce, quando disse a Giovanni: « Ecco tua Madre » e a Maria: « Ecco tuo figlio », ma ancora perché nell’istante dell’Incarnazione, la Vergine concepì, insieme con Gesù, tutta l’umanità, che egli incorporava a sé. – Membri del Corpo mistico di cui Cristo è il capo, siamo stati formati con Gesù nel seno materno della Vergine Maria e vi restiamo fino al giorno della nostra nascita alla vita eterna. Maternità spirituale, ma vera, che ci mette con la Madre in rapporti di dipendenza e di intimità profondi, rapporti di bambino nel seno della Madre. – Qui è il segreto della nostra devozione per Maria: è nostra Madre e come tale sappiamo di poter tutto chiedere al suo amore, perché siamo suoi figli! – Ma, se la madre, appunto perché madre, pensa necessariamente ai suoi figli, i figli, per l’età, son facili a distrarsi e il Rosario è lo strumento benedetto che conserva la nostra intimità con Maria e ci fa penetrare sempre più profondamente nel suo cuore. – Strumento divino il Rosario che la Vergine porta in tutte le sue apparizioni da un secolo in qua e che non cessa di raccomandare. Strumento della devozione cattolica per eccellenza, in cui l’umile donna senza istruzione e il sapiente teologo sono a loro agio, perché vi trovano il cammino luminoso e splendido, la via mariana, che conduce a Cristo e, per Cristo al Padre. – Così considerato il Rosario realizza tutte le condizioni di una preghiera efficace, ci fa vivere nell’intimità di Maria e, essendo essa Mediatrice, suo compito è di condurci a Dio, di portare le nostre preghiere fino al cuore di Dio. Per Maria diciamo i Pater, che inquadrano le decine di Ave Maria, e, siccome quella è la preghiera di Cristo e contiene tutto ciò che Dio volle che noi gli chiedessimo,

noi siamo sicuri di essere esauditi.

MESSA

Epistola (Prov. VIII, 22-25; 32-35). – Il Signore mi possedette all’inizio delle sue opere, fin dal principio, avanti la creazione. Ab eterno fui stabilita, al principio, avanti che fosse fatta la terra. Non erano ancora gli abissi, ed io ero già concepita. Or dunque, o figli, ascoltatemi: Beati quelli che battono le mie vie. Ascoltate i miei avvisi per diventare saggi: non li ricusate. Beato l’uomo che mi ascolta e veglia ogni giorno alla mia porta, e aspetta all’ingresso della mia casa. Chi troverà me, avrà trovato la vita, e riceverà dal Signore la salute.

Maria nel compito di educatrice.

Non si può eludere il carattere mariano di questa pagina dei Proverbi, obiettando che si applica al Verbo Incarnato e solo per accomodamento la Chiesa la riferisce alla Santa Vergine. La Chiesa non fa giochi di parole e la Liturgia non si diverte a far bisticci. Trattandosi di vite, che nel pensiero di Dio e nella realtà sono unite insieme, come le vite del Signore e della Madre sua unite nello stesso decreto di predestinazione, il senso accomodatizio è in sé e deve esserlo per noi uno degli aspetti multipli del senso letterale. « Giova a noi, per onorare Maria, considerarla agente della nostra educazione soprannaturale. Noi non siamo mai grandi per Dio, né per la nostra madre, né per la Madre di Dio. Come non vi è Cristianesimo senza la Santa Vergine così se l’amore di Dio non è accompagnato da un tenero amore per la Santa Vergine qualsiasi vita soprannaturale è in qualche modo mancante. « Maria è tutto quello che Essa insegnerà a chi l’ascolta e l’ama: l’esempio, la carità, l’influenza persuasiva… – « Maria ha educato il Figlio ed educherà noi. Non si resiste ad una Madre» (Dom Delatte, Omelie sulla Santa Vergine, Plon, 1951).

Parole benedette.

Il Vangelo è quello del Santo nome di Maria del 12 settembre. È il Vangelo dell’Incarnazione del quale rileggiamo volentieri le parole. Parole benedette perché vengono da Dio: L’Angelo infatti ne è soltanto il messaggero; parole e messaggio gli sono stati affidati da Dio. Parole benedette perché vengono da Maria, che, sola, poté riferire con ferma precisione di dettagli, che rivelano un testimonio e una esperienza immediata.

Messaggio di gioia.

« Questo messaggio è un messaggio di gioia. La gioia mancava nel mondo da molto tempo: era sparita dopo il primo peccato. Tutta l’economia dell’Antico Testamento e tutta la storia dell’umanità portavano un velo di tristezza, perché era continuamente presente all’uomo la coscienza di una inimicizia nei suoi rapporti con Dio, che doveva ancora essere espiata. Il messaggio è preceduto da un saluto pieno di gioia e da una parola pacifica, carezzevole: Ave. Questo Ave, primo elemento del messaggio, detto una volta, verrà poi ripetuto per l’eternità.

La fede di Maria.

« La fede di Maria fu perfetta e non dubitò della verità divina neppure nel momento in cui chiedeva all’Angelo come si poteva compiere il messaggio. Gabriele rivelò il modo verginale della concezione promessa, sollecitando il consenso della Vergine per l’unione ipostatica, perché, per l’onore della Vergine e per l’onore della natura umana. Dio voleva avere da Maria il posto che avrebbe occupato nella sua creazione. E allora fu pronunziata con libertà e con consapevolezza la parola, che farà eco fino all’eternità: « Io sono l’umile ancella del Signore: sia fatto secondo la sua volontà » (Dom. Delatte. Opere citate).

Preghiera alla Vergine del Rosario.

Ti saluto, o Maria, nella dolcezza del tuo gioioso mistero e all’inizio della beata Incarnazione, che fece di te la Madre del Salvatore e la madre dell’anima mia. Ti benedico per la luce dolcissima che hai portato sulla terra. – O Signora di ogni gioia, insegnaci le virtù che danno la pace ai cuori e, su questa terra, dove il dolore abbonda, fa’ che i figli camminino nella luce di Dio affinché, la loro mano nella tua mano materna, possano raggiungere e possedere pienamente la meta cui il tuo cuore li chiama, il Figlio del tuo amore, il Signore Gesù. – Ti saluto, o Maria, Madre del dolore, nel mistero dell’amore più grande, nella Passione e nella morte del mio Signore Gesù Cristo. – Unendo le mie lacrime alle tue, vorrei amarti in modo che il mio cuore, ferito come il tuo dai chiodi che hanno straziato il mio Salvatore, sanguinasse come sanguinano quelli del Figlio e della Madre. Ti benedico, o Madre del Redentore e Corredentrice, nel purpureo splendore dell’Amore crocifisso, ti benedico per il sacrificio, accettato al tempio ed ora consumato con l’offerta alla giustizia di Dio, del Figlio della tua tenerezza e della tua verginità, in olocausto perfetto. – Ti benedico, perché il sangue prezioso che ora cola per lavare i peccati degli uomini, ebbe la sua sorgente nel tuo Cuore purissimo. Ti supplico, o Madre mia, di condurmi alle vette dall’amore che solo l’unione più intima alla Passione e alla morte dell’amato Signore può far raggiungere. – Ti saluto, Maria, nella gloria della tua Regalità. II dolore della terra ha ceduto il posto a delizie infinite e la porpora sanguinante ti ha tessuto il manto meraviglioso, che si addice alla Madre del Re dei re e alla Regina degli Angeli. Permetti che levi i miei occhi verso di te durante lo splendore dei tuoi trionfi, o mia amabile Sovrana, e diranno i miei occhi, meglio di qualsiasi parola, l’amore di figlio, il desiderio di contemplarti con Gesù nell’eternità, perché tu sei Bella, perché sei Buona, o Clemente, o Pia, o Dolce Vergine Maria.

FESTA DEGLI ANGELI

FESTA DEGLI ANGELI

[J. J. Gaume: “Catechismo di perseveranza”, vol, 4, Torino 1881]

Devozione all’Angelo custode.

Ci resta a parlare dell’Angelo custode. E primieramente ditemi, o uomini, chiunque voi siate, conoscete voi cosa alcuna più acconcia per dare al figlio di Adamo, a questo fanciullo che striscia nella polvere, che bagna colle sue lacrime il sentiero della vita, che la percorre, si direbbe quasi il rifiuto degli esseri, che si sente trascinato dal peso di una natura corrotta versa quanto vi ha di vile e di abbietto; conoscete voi cosa alcuna più idonea a nobilitarlo ai suoi occhi e a renderlo rispettabile e sacro agli occhi altrui, come questa festa dell’Angelo custode? Figlio della polvere, gli dice la Chiesa in quel giorno, ricordati che tu sei figlio dell’Eterno. Il monarca dei mondi ha deputato verso di te un principe della sua corte, e gli ha detto: Va, prendi per mano il figlio mio, veglia su tutti i suoi passi, fammi conoscere i suoi bisogni, i suoi desideri, i suoi sospiri; ogni giorno veglia al suo fianco accompagnandolo, e sta la notte in piedi al capezzale del suo letto. Prendilo su le tue braccia, ond’ei non percuota il piede contro le pietre. Egli è affidato alle tue cure, tu lo ricondurrai sulle tue braccia ai piedi del mio trono, nel giorno ch’io avrò destinato, per introdurlo nel mio regno, suo immortale retaggio. – Ed ecco tutto ciò che ne dice, insieme a mille altre cose, il culto all’Angelo custode. – Riparatrice universale, madre affettuosa, la Chiesa cattolica poteva forse trascurare di raccomandarlo? Oh! no; essa nulla ha negletto per rendere palese e, se è passibile, sempre presente la credenza dell’Angelo custode. Dalla cuna sino alla tomba; ella ci parla del principe della corte celeste, che veglia a difesa del nostro corpo e dell’anima nostra, che vede tutte le nostre azioni, e che ne rende conto al Dio del cielo, padre e giudice di tutti gli uomini.

Festa degli Angeli custodi. —

Né tutto ciò ha bastato alla sua sollecitudine, poich’ella ha di più instituito una festa particolare per onorare gli Angeli custodi dei figli suoi. Fu Ferdinando d’Austria, poi imperatore, quegli che ottenne al principio del secolo decimo settimo dal pontefice Paolo V, che s’istituisse l’uffizio dell’Angelo custode, e che ne fosse celebrata la festa Propagata ben presto per tutta la Chiesa, questa commovente solennità non è più da quell’epoca stata interrotta. E infatti i motivi che abbiamo di celebrarla non sono sempre forse gli stessi, vale a dire sempre potenti, sempre numerosi, sempre cari alle anime virtuose? Sembra perfino, che quanto più c’inoltriamo nella vita e quanto più il mondo cammina verso il suo fine, più ancora divenga imperiosa la ragione di onorare gli Angeli. Ogni giorno della nostra esistenza e dell’esistenza del mondo, non è forse testimone di qualche nuovo beneficio degli Angeli custodi? E forse ché questi nuovi benefizi non sono eziandio nuovi titoli alla nostra gratitudine e alla nostra devozione? Per adempiere a’ doveri che ci sono imposti verso il nostro Angelo custode, bisogna, dice san Bernardo, rendergli un triplice omaggio; quello del rispetto, quello della fiducia e quello della devozione. Gli dobbiamo il rispetto per la sua presenza, la devozione per la sua carità, la fiducia per la sua vigilanza. Penetrato adunque di rispetto, cammina sempre con circospezione, rammentandoti continuamente che sei in presenza degli Angeli incaricati di guidarti in tutti i tuoi passi. In qualunque luogo tu sia e per quanto ti sembri nascosto, abbi rispetto al tuo Angelo custode. Oseresti tu fare davanti a lui ciò che non osereste fare in presenza di un uomo? Né solamente noi dobbiamo rispettare il nostro angelo tutelare, ma dobbiamo anche amarlo, perché egli è un custode fedele, un vero amico, un protettore potente. Malgrado l’eccellenza della sua natura, la carità l’induce ad incaricarsi della cura di difenderci e di proteggerci; ed egli veglia alla conservazione dei nostri corpi, ai quali i demoni hanno talvolta il potere di nuocere. Ma come descrivere ciò che opera per le anime nostre? Ei c’istruisce, c’incoraggia, ci esorta interiormente, ci avverte dei nostri doveri per mezzo di rimorsi segreti. Egli esercita verso di noi l’officio che esercitava verso i Giudei quell’angelo che li conduceva nella Terra promessa; ei fa per noi ciò che fece Raffaello pel giovine Tobia: egli ci è guida sicura in mezzo ai pericoli di questa vita. Da quali sentimenti di gratitudine, di rispetto, di docilità, di fiducia non dobbiamo esser noi compresi verso il nostro angelo custode! Potremmo noi ringraziare abbastanza la divina Misericordia dell’inestimabile dono che ella ci ha fatto? – Tobia, riflettendo ai favori segnalati che aveva ricevuti dall’angelo Raffaello, dice a suo padre: « Quale ricompensa potremo noi dargli che sia proporzionata ai beni di cui ci ha ricolmi? Ei mi ha condotto in perfetta salute, egli stesso è andato a riscuotere il nostro denaro da Gabelo, ei mi ha ottenuto la donna che ho sposata, ha da lei scacciato il demonio, ha confortato suo padre e sua madre, mi ha liberato dal pesce che voleva ingoiarmi, ha reso a te stesso la vista, e per sua cagione ci troviamo nell’abbondanza di ogni bene; che potremo noi dunque dargli che stia in bilancia con quello che egli ha fatto per noi? » [Tob. XII], Tobia e i suoi genitori, animati dalla più viva riconoscenza, si prostrarono con la faccia per terra per ben tre ore, e benedissero Dio. Procuriamo di entrare nei medesimi sentimenti. « Amiamo, dice san Bernardo, amiamo teneramente in Dio gli Angeli, quegli spiriti beati, che saranno un giorno nostri compagni e nostri coeredi nella gloria e che sono presèntemente nostri tutori e nostri custodi. Siamo devoti e riconoscenti verso simili protettori; amiamoli, onoriamoli quanto ne siamo capaci ». Noi dobbiamo inoltre avere una dolce fiducia nella protezione del nostro Angelo custode. « Per quanto deboli noi siamo, prosegue san Bernardo, per quanto sia meschina la nostra condizione, per quanto grandi siano i pericoli che ci attorniano, nulla dobbiamo temere sotto la protezione di tali custodi… Ogni volta che qualche tribolazione o qualche violenta tentazione verrà ad assalirvi, implorate il soccorso di colui che vi custodisce, che vi guida, che vi assiste in tutte le vostre pene». Ma per meritarne la protezione, dobbiamo prima di tutto odiare il peccato; anche i peccati veniali contristano l’angelo custode. « Come il fumo, dice san Basilio, pone in fuga le api, e il fetore i colombi, così l’infezione del peccato fa fuggire l’angelo che ha la cura di custodirci». La lascivia specialmente è vizio che gli spiriti celesti hanno immensamente in orrore: gli Angeli chiedono vendetta contro di noi a cagione dello scandalo che diamo ai giovinetti. « Io, dice il Signore, spedisco il mio Angelo affinché cammini dinanzi a voi, vi custodisca per via, e vi faccia entrare nella terra ch’io vi ho preparata. Rispettatelo, ascoltatene la voce, e guardatevi bene da disprezzarlo, perché egli non vi perdonerà in conto alcuno quando peccherete, e perché il mio nome è in lui; ma se voi udite la sua voce e fate tutto quanto io vi dico per sua bocca, io sarò il nemico dei vostri nemici, e affliggerò coloro che affliggono voi. Il mio angelo camminerà innanzi a voi, e v’introdurrà nella terra che vi ho preparata.

Preghiera.

O mio Dio, che siete tutto amore, io vi ringrazio di avere inviato i vostri angeli per custodirmi; fatemi grazia ch’io medesimo sia Angelo davanti a voi, per la purità del mio cuore e per la prontezza ad adempire la vostra santa volontà. Mi propongo d’amar Dio sopra tutte le cose e il prossimo come me stesso, per amor di Dio, e in prova di questo amore, io reciterò ogni giorno fervorosamente una preghiera al mio angelo custode.

Breve novena

I. – O mio buon Angelo Custode, aiutatemi a ringraziare l’Altissimo per essersi degnato di destinarvi alla mia custodia. Angele Dei.

II. – O Principe celeste, degnatevi d’impetrarmi il perdono di tutti i disgusti che ho dato a voi ed a Dio, non curando le vostre minacce e i vostri consigli. Angele Dei.

III. – O amoroso mio Tutore, imprimete nell’anima mia un profondo rispetto per voi, onde non abbia mai più l’ardimento di far cosa che vi dispiaccia. Ang.Dei.

IV. – O pietoso mio Medico, insegnatemi i rimedii, ed aiutatemi a guarire dai mali abiti e da tante altre miserie che opprimono l’anima mia. Angele Dei.

V. – O fedele mia Guida, impetratemi forza per superare tutti gli ostacoli che s’incontrano nel cammino della virtù, e per soffrire con vera pazienza le tribolazioni di questa vita. Angele Dei.

VI. – O Intercessore possente presso Dio, ottenetemi la grazia d’ubbidire prontamente alle vostre sante inspirazioni, e di uniformare la mia volontà in tutto e sempre a quella di Dio. Angele Dei.

VII. O purissimo Spirito tutto acceso d’amor di Dio, impetratemi questo fuoco divino, ed insieme una vera devozione alla vostra augusta Regina e mia buona Madre Maria. Angele Dei.

VIII. O invitto mio Protettore, assistetemi per corrispondere degnamente al vostro amore ed ai rostri benefici, e per adoperarmi con tutte le forse a promuovere il vostro culto. Angele Dei.

IX. – O beato Ministro dell’Altissimo, ottenetemi nella sua infinita misericordia ch’io giunga un giorno a riempire una delle tante sedi lasciate vuote pel cielo dai ribelli vostri compagni. Angele Dei

Inno all’Angelo Custode

Tu che fra i santi Spiriti

Fra gli Angioli del ciel

Sei di guida fedel

Lucido specchio;

Accogli i miei desir,

E benigno al mio dir

Porgi l’orecchio.

Ta dall’esordir dei secoli

Prima dell’uom creato,

Prima dell’uom beato

In ciel regnasti,

E del motor sovrano

L’onnipotente mano

Accompagnasti.

Allorachè dall’orrido

Caos traeva il suol,

Il mar, la luna, il sol,

La notte e il giorno.

Allor che empiea di belle

Rifolgoranti stelle

Il suo soggiorno.

.- Tu difensor magnanimo

Dello stellato imper,

Col Cherubino alter,

Entrasti in guerra;

Ed, infiammato il cor

D’insolito valor,

L’hai steso a terra,

.- Fu allor che dall’Altissimo

L’eccelsa tua virtù

Rimeritata fu!

Su nell’Empireo

Ove ti stai qual Re,

Cui gli astri sotto i piè

Ruotano in giro.

.- Di là clemente e provvido

A me spiegasti il vol,

Onde da questo suol

Scortarmi al cielo;

Appena il sommo Dio

Vestì lo spirito mio

Del mortal velo.

.- Tu del mio ben sollecito,

Meco sedesti in fascio

A mitigar le ambascie

Ed i tormenti;

E il labbro fra i sospir

Reggesti a profferir

I primi accenti.

.- I primi dì svanirono,

La gioventù sen venne

E il braccio tuo mi tenne

Allor più forte;

Onde il nemico invan

Stese ver me la man,

Le sue ritorte.

.- Poiché per vie difficili,

Sparse di spine e sassi,

Sempre sicuri i passi,

A me reggesti;

E il mondo ingannator,

Col divin tuo favor,

Spregiar mi festi.

.- Che se talvolta incauto

Lungi n’andai da te.

Se sdrucciolai col pie,

Caddi nel laccio,

Non mi lasciasti no,

Ma il tuo mi sollevò

Pietoso braccio.

.- Tu rattenesti i fulmini

Dell’eternal vendetta,

E l’ignea sua saetta

Invan si accese;

.- Talché, fra tanti error,

Dell’Eterno il furor

Non mai mi offese.

.- Quando assalito è il debole

Mio sen di forze ignudo,

Tu sei l’invitto scudo,

Il mio soccorso:

Onde, se teco io son,

Dell’infernal Dragon

Non temo il morso.

.- Ah, chi potrà le laudi

Degne di te cantar?

Chi ben potrà esaltar

La tua virtute,

Se in sì difficil mar

Propizio sai guidar

L’alme a salute?

.- Nell’ansie dello spirito

Consolator mi sei;

Tu ne’ perigli miei

Sei difensore.

.- Nulla poss’io quaggiù,

Se non mi porgi tu

Lena e vigore.

.- Deh, se così benefica

E’ ognor la tua pietà’,

Se tanto in amista

Meco ti strigni,

A me rivolgi ancor

Sul letto del dolor

Gli occhi benigni.

.- E fa che, sciolta l’anima

Dal suo corporeo vel,

Teco a regnare in ciel

Voli all’istante;

Anzi non stiasi in questa

Atra prigion funesta

A lungo errante.

.- E quando il formidabile,

Suon dell’ argentea tromba

Mi trarrà dalla tomba

Al gran Giudizio,

Tu siami per pietà,

Ver l’alta Maestà

Sempre propizio.

.- Ma, che potrò poi renderti

Per tanti tuoi favor,

Se non mostrarti un cor

Grato e sincero?

Poiché non v’ha mercé

Che degna sia di te

Nel mondo intero.

.- Tu accogli le mie fervide

Preci e i miei sospir,

E benigno al mio dir

Porgi l’orecchio.

Tu che fra i cori del ciel

Sei guida fedel

Lucido specchio.

.- Dunque a te ognor sia laude

Che in la magion suprema

Hai d’immortal diadema

Il crin fregiato;

Sempre sia laude a te.

Che siedi in ciel qual Re

Sempre beato.

[G. Riva; Manuale di Filotea, XXX ed. Milano, 1988]