LA SUMMA PER TUTTI (8)

LA SUMMA PER TUTTI (8)

R. P. TOMMASO PÈGUES O. P. :

LA SOMMA TEOLOGICA DI S. TOMMASO DI AQUINO IN FORMA DI CATECHISMO PER TUTTI I FEDELI

PARTE SECONDA

L’UOMO VENUTO DA DIO E DESTINATO A RITORNARE A DIO

SEZIONE PRIMA

Idea generale del ritorno dell’uomo a Dio

Capo XV.

Del principio esterno che dirige l’uomo nelle sue azioni, ossia della legge.

609. Che cosa intendete per legge?

Intendo un ordine della ragione, in vista del bene comune, emanante dall’autorità e manifestato da essa (XC, 1-4).

601. Un ordine che fosse contrario alla ragione non sarebbe dunque una legge?

No; un ordine o un comando contrario alla ragione non è mai una legge; è un atto arbitrario o di tirannia (XC, 1 ad 3).

602. E che cosa intendete col dire che la legge è un ordine della ragione in vista del bene comune?

Intendo dire che la legge provvede anzitutto al bene dell’insieme, ossia del tutto; e non si occupa della parte o dell’individuo se non in quanto deve concorrere esso stesso al bene comune (XC, 2).

603. Qual è questa autorità dalla quale emana la legge?

È quella a cui incombe di vegliare al bene comune come al bene suo proprio (XC,3).

604. È necessario che una legge sia manifestata e conosciuta perché possa obbligare?

Sì; è necessario che una legge sia manifestata in modo da essere conosciuta, perché possa obbligare (XC, 4).

605. E se la si ignorasse per propria colpa si sarebbe scusati di non osservarla?

No; se si ignora per propria colpa non si è scusati di non osservarla.

606. È dunque importantissimo istruirsi sulle leggi che possono riguardarci?

Sì; è sommamente importante istruirsi sulle leggi che possono riguardarci.

Capo XVI.

Delle diverse leggi. – La legge eterna.

607. Vi sono varie specie di leggi che possono riguardarci, e che di fatto ci riguardano?

Sì; vi sono varie specie di leggi che possono riguardarci e che di fatto ci riguardano.

608. Quali sono queste diverse specie di leggi che possono riguardarci e che di fatto ci riguardano?

Sono la legge eterna, la legge naturale, la-legge umana e la legge divina (XCI, 1-5).

609. Che cosa intendete per legge eterna?

Per legge eterna intendo la legge suprema, che regola tutte le cose e dalla quale dipendono tutte le altre leggi, che non sono altro se non derivazioni o manifestazioni particolari di essa (XCII I, 3).

610. Dove si trova la legge eterna?

La legge eterna si trova in Dio (XCIII, 1).

611. Come viene manifestata questa legge nelle cose?

Questa legge viene manifestata nelle cose per l’ordine stesso delle cose, quale si svolge nel mondo (XCIII, 4-6).

Capo XVII.

La legge naturale.

612. La legge eterna si trova anche partecipata nell’uomo?

Sì; la legge eterna è anche partecipata nell’ uomo (XCIII, 6).

613. Come si chiama la manifestazione e partecipazione della legge eterna nell’uomo?

Si chiama legge naturale (XCIV, 1).

614. Che cosa intendete per legge naturale?

Intendo quel lume della ragione pratica innato nell’uomo, per mezzo del quale l’uomo guida se stesso e compie scientemente delle azioni, che per via di azione cosciente saranno la esecuzione della legge eterna; come le azioni naturali prodotte dagli agenti naturali in virtù della loro naturale inclinazione, sono la esecuzione di quella stessa legge per modo di azione incosciente (XCIV, 1).

615. Vi è nell’uomo un primo principio di questa ragione pratica, ossia un primo precetto di questa legge naturale?

Sì; è quello che posa sulla ragione stessa di «bene» nel senso metafisico della parola; come il principio della ragione speculativa posa sulla ragione di «essere» (XCIV, 2).

616. In che cosa consiste questo primo principio della ragione pratica, ossia questo primo precetto della legge naturale nell’uomo?

Consiste nel proclamare che ciò che è buono deve essere eletto dall’uomo, e ciò che è cattivo deve essere da lui rigettato (XCIV, 2).

617. Questo primo principio o primo precetto regge tutti gli altri?

Sì; questo primo principio o precetto regge tutti gli altri; e gli altri non sono che applicazioni più o meno immediate di esso (XCIV, 2).

618. Potreste dirmi quali ne sono le prime applicazioni che avvengono nell’uomo?

Le prime applicazioni che ne avvengono nell’uomo sono la proclamazione, da parte della sua ragione, del triplice bene conveniente alla sua natura (XCIV, 2).

619. Quale è la proclamazione fatta dalla ragione dell’uomo, in virtù del primo principio della legge naturale, del triplice bene conveniente alla sua natura?

È che per lui è buono ciò che conserva la sua vita fisica o la perfeziona; come pure ciò che conserva questa vita nella specie umana; e tutto ciò ancora che conviene alla sua vita di essere ragionevole (XCIV, 2).

620. Che cosa si deduce da questa triplice proclamazione della ragione pratica nell’uomo?

Si deduce che tutto quello che è essenziale alla conservazione di questa triplice vita o che può concorrere al suo perfezionamento, dalla ragione pratica di ogni uomo sarà proclamata cosa buona; in maniera subordinata però, dimodoché per ordine di dignità verrà prima il bene della ragione, poi il bene della specie e quindi il bene dell’individuo (XCIV, 2).

621. Potreste dirmi ciò che proclama di essenziale il primo principio della legge naturale che riguarda il bene dell’individuo?

Tale principio proclama che l’uomo deve cibarsi e non può mai attentare: alla sua vita (XCIV, 2).

622. Che cosa proclama di essenziale il primo principio della legge naturale che riguarda il bene della specie?

Tale principio proclama che vi debbono essere degli uomini che attendano alla conservazione della specie, accettando le cure ed anche le gioie della paternità e della maternità; e che non è mai permesso di far niente che vada direttamente contro il fine della paternità e della maternità (XCIV, 2).

623. Che cosa proclama di essenziale il primo principio della legge naturale che riguarda il bene della ragione?

Tale principio proclama che l’uomo essendo opera di Dio da cui ha ricevuto tutto, e come essere dotato di ragione essendo fatto per vivere in società con gli altri uomini, deve onorare Dio come suo Sovrano Signore e Padrone, e trattare con gli altri uomini come lo richiede la natura dei rapporti che può avere con essi (XCIV, 2).

624. Tutte le altre prescrizioni della ragione pratica nell’uomo, derivano come conseguenza da questi primi tre principi e dalla loro subordinazione?

Sì; da questi primi tre principi e dalla loro subordinazione derivano, come conseguenza più o meno remota, tutte le altre prescrizioni o determinazioni della ragione pratica che afferma tale cosa essere o non essere affatto buona per tale nomo, e facendogli un dovere di eleggerla o di rigettarla (XCIV, 2).

625. Le altre prescrizioni o determinazioni della ragione pratica che derivano come conseguenza più o meno remota dai primi tre principi della legge naturale, sono identiche presso tutti gli uomini?

No; le altre prescrizioni o determinazioni non sono le stesse per tutti; perché a misura che ci si allontana dai primi principi o dalle cose che riguardano per tutti essenzialmente il bene dell’individuo, il bene della specie ed il bene della ragione, si passa nel campo delle determinazioni positive, che possono variare all’infinito secondo la diversità delle condizioni particolari dei diversi uomini (XCIV, 4).

626. Come avvengono le altre determinazioni che possono variare all’infinito secondo la diversità delle condizioni particolari dei diversi uomini?

Esse avvengono per mezzo della ragione particolare di ogni individuo umano, per mezzo della ragione delle autorità competenti in ciascuno dei diversi aggruppamenti umani, viventi una vita di società determinata.

Capo XVIII,

La legge umana.

627. Le altre determinazioni possono divenire materia o soggetto di legge?

Sì; le altre determinazioni possono divenire materia o soggetto di legge.

628. Di quale legge sono esse materia soggetto?

Esse sono materia o soggetto proprio delle leggi umane (XCV-XCVII).

629. Che cosa intendete per leggi umane?

Intendo gli ordini della ragione di questa o quella società tra gli uomini, che emanano in ogni società dalla suprema autorità e sono da essa manifestate in vista del bene comune (XCVI, 1).

630. Questi ordini debbono essere osservati da tutti quelli che fanno parte di tale società?

Sì; questi ordini debbono essere osservati da tutti quelli che fanno parte di tale società (XCVI, 5).

631. È un dovere di coscienza che obbliga davanti a Dio?

Sì: è un dovere di coscienza che obbliga davanti a Dio (XCVI, 4).

632. Possono darsi dei casi in cui non vi sia obbligo di obbedire?

Sì; possono darsi dei casi in cui non vi sia obbligo di obbedire (XCVI, 4).

633. Quali possono essere questi casi in cui non vi è obbligo di obbedire ad una legge?

Vi è il caso di impossibilità e quello di dispensa (XCVI, 4).

634. Chi può dispensare da obbedire ad una legge?

Da obbedire ad una legge può dispensare quegli solo che è autore di questa legge, oppure ha la stessa autorità dell’autore della legge, o da questa autorità ha ricevuto la potestà di dispensare (XCVII, 4).

635. Se una legge fosse ingiusta si sarebbe tenuti ad obbedire?

No; se una/legge fosse ingiusta non si sarebbe tenuti ad obbedire, purché il rifiuto di obbedienza non cagionasse scandalo o fosse causa di più gravi inconvenienti (XCVI, 4).

636. Che cosa intendete per legge ingiusta?

Intendo una legge fatta senza autorità o in opposizione al bene comune, o lesiva dei giusti diritti dei membri della società (XCVI, 4).

637. Se una legge fosse ingiusta perché lesiva dei diritti di Dio o della sua Chiesa, bisognerebbe osservarla?

No; se una legge fosse ingiusta perché lesiva dei diritti di Dio o dei diritti essenziali della Chiesa, non bisognerebbe mai osservarla (XCVI, 4).

638. Che cosa intendete per diritti di Dio e diritti essenziali della Chiesa?

Intendo tutto ciò che riguarda l’onore ed il culto di Dio, Creatore e Sovrano Signore di

tutte le cose; e ciò che tocca la missione della Chiesa Cattolica nella santificazione delle anime, per mezzo della predicazione della verità e l’amministrazione dei sacramenti.

639. Se dunque una legge umana attentasse alla religione, non bisognerebbe rispettarla?

Se una legge umana attentasse alla religione non bisognerebbe a nessun costo rispettarla (XCVI, 4).

640. Questa legge sarebbe una vera legge?

No; questa legge non sarebbe che una odiosa tirannide (XC, 1 ad 3).

Capo XIX.

La legge divina. – Il Decalogo.

641. Che cosa intendete per legge divina?

Per legge divina intendo quella che Dio ha dato agli uomini, manifestandosi loro in modo soprannaturale (XCI, 4, 5).

642. Quando ha dato Dio questa legge agli uomini?

Dio ha data questa legge agli uomini una prima volta in modo semplicissimo prima della loro caduta nel paradiso terrestre; ma l’ha data poi più tardi in modo molto più speciale per mezzo di Mosè e dei profeti; ed in modo ancora molto più perfetto per mezzo di Gesù Cristo e degli Apostoli (XCI, 5).

643. Come si chiama la legge divina data da Dio agli uomini per mezzo di Mosè?

Si chiama la legge antica (XCVIII, 6).

644. E come si chiama la legge divina data da Dio agli uomini per mezzo di Gesù Cristo e degli Apostoli?

Si chiama la legge nuova (CVI, 3-4),

645. La legge antica era per tutti gli uomini?

No; la legge antica era solamente per il popolo ebreo (XCVIII, 4, 5).

646. Perché Dio aveva dato una legge speciale al popolo ebreo?

Perché questo popolo era destinato a preparare nel mondo antico la venuta del Salvatore degli uomini, che doveva uscire di mezzo ad esso (XCVIII, 4).

647. Come si chiamano i precetti che erano propri del popolo ebreo e non riguardavano che quel popolo nella legge antica?

Si chiamano precetti « giudiciali» e precetti « cerimoniali » (XCIX, 3, 4).

648. Non vi erano anche altri precetti nella legge antica, che sono rimasti nella legge nuova?

Sì: nella legge antica vi erano anche altri precetti che sono rimasti nella legge nuova.

649. Come si chiamano i precetti della legge antica rimasti nella legge nuova?

Si chiamano precetti «morali» (XCIX, art. 1, 2).

650. Perché tali precetti morali della legge antica sono rimasti anche nella legge nuova?

Perché essi costituiscono ciò che vi è di essenziale e di assolutamente inalienabile nelle regole della moralità rispetto ad ogni uomo, per il semplice fatto che è uomo (C, 1).

651. Questi precetti morali sono dunque stati sempre e saranno sempre gli stessi per tutti gli uomini?

Sì; questi precetti morali sono stati sempre e saranno sempre gli stessi per tutti gli nomini (C, 8).

652. Sono essi la stessa cosa che la legge naturale?

Sì; questi precetti morali sono la stessa cosa che la legge naturale (C, 1).

653. Dunque perché dite che fanno parte della legge divina?

Perché onde dar loro ancora più forza e per impedire che la ragione umana deviata li dimenticasse o li corrompesse, Dio stesso volle promulgarli solennemente manifestandosi al popolo eletto al tempo di Mosè; ed anche perché Dio li ha promulgati in ordine al fine soprannaturale a cui ogni uomo è da Lui chiamato (C, 3).

654. Come si chiamano questi precetti morali promulgati solennemente da Dio al tempo di Mosè?

Si chiamano il « Decalogo » (C, 3, 4).

655. Che cosa Significa questa parola: « Decalogo »?

È una parola greca che vuol dire «dieci parole », perché Dio dette questi precetti in numero di dieci.

656. Quali sono i dieci precetti del Decalogo?

1 dieci precetti del Decalogo sono i seguenti:

1° Non avrai altro Dio fuori che me;

2° Non nominare il nome di Dio invano;

3° Ricordati di santificare le feste;

4° Onora il padre e la madre;

5° Non ammazzare;

6° Non commettere atti impuri;

7° Non rubare;

8° Non fare falsa testimonianza;

9° Non desiderare la donna d’altri;

10° Non desiderare la roba d’altri (C, 4, 5, 6).

657. Questi dieci precetti bastano a regolare tutta la vita morale dell’uomo nell’ordine della virtù?

Sì; bastano in quanto alle virtù principali che riguardano i doveri essenziali dell’uomo verso Dio e verso il prossimo; ma per la perfezione di tutte le virtù hanno dovuto essere spiegati e completati dall’insegnamento dei profeti nella legge antica, e più ancora dall’insegnamento di Gesù Cristo e dagli Apostoli nella legge nuova (C, 3, 11).

658. Qual è il miglior mezzo per bene intendere questi precetti, e che li Spiega e li completa per la perfezione della vita morale?

È quello di studiarli in confronto di ciascuna delle virtù considerata nei suoi particolari.

659. Questo studio potrà farsi allora in modo facile?

Sì; perché la natura stessa della virtù spiegherà la natura e l’obbligo del precetto.

660. Sarà questo al tempo stesso il mezzo di bene intendere tutta la perfezione della legge nuova?

Sì; perché la perfezione di questa legge consiste precisamente nel suo rapporto con la eccellenza di tutte le virtù (C, 2; CVII).

661. Questa eccellenza di tutte le virtù riveste un carattere particolare nella legge nuova?

Sì; essa vi riveste il carattere dei consigli che si aggiungono ai precetti (CVII, 4).

662. Che cosa intendete per consigli aggiunti ai precetti?

Intendo gli inviti fatti da Gesù Cristo a tutte le anime di buona volontà, di distaccarsi, per amore di Lui e per ottenere da Lui una gioia più perfetta nel cielo, dalle cose che potrebbero volere senza compromettere l’essenziale della virtù, ma che possono essere un ostacolo alla perfezione della virtù stessa (CVIII, art. 4).

663. A quanti si riducono questi consigli?

Si riducono a tre: povertà, castità ed obbedienza (CVIII, 4).

664. Vi è uno stato speciale in cui si possono praticare eccellentemente questi consigli?

Sì; vi è lo stato religioso (CVIII, 4).

Capo XX,

Del principio esteriore che aiuta l’uomo nella pratica degli atti buoni, ossia della grazia.

665. Basta la direzione della legge perché l’uomo viva della vita della virtù e schivi la vita contraria del peccato e del vizio?

No; ci vuole ancora il soccorso della grazia (CIX, CXIV).

666. Che cosa intendete per grazia?

Per grazia intendo un soccorso speciale di Dio, che aiuta l’uomo a fare il bene ed a fuggire il male.

667. Questo soccorso speciale di Dio è sempre necessario all’uomo?

Sì; questo soccorso speciale di Dio è sempre necessario all’uomo.

668. Dunque l’uomo da se stesso non può mai fare alcun bene o evitar alcun male?

Sì; l’uomo può da se stesso, cioè con i principi della natura che Dio gli ha dato e con gli altri soccorsi naturali che trova d’intorno a sé, compiere un certo bene ed evitare un certo male anche nell’ordine morale o della virtù, ma se Dio non interviene con la sua grazia a guarire la natura umana ferita per il peccato; l’uomo non potrà compiere neppure nell’ordine della virtù naturale tutto il bene ed evitare tutto il male; e nell’ordine della virtù soprannaturale o della vita morale in ordine all’acquisto del cielo, l’uomo con la sua sola natura senza la grazia non può assolutamente nulla (CIX, 1-10).

669. Che cosa comprende questa grazia di ordine soprannaturale?

La grazia di ordine soprannaturale comprende due cose: uno stato abituale dell’uomo, e certe mozioni soprannaturali dello Spirito Santo (CIX, 6).

670. Che cosa intendete per istato abituale dell’uomo?

Per istato abituale intendo un insieme di qualità prodotte e conservate nell’anima da Dio stesso, che divinizzano l’uomo nel suo essere e nelle sue facoltà (CX, 1-4).

671. Come si chiama la qualità fondamentale che divinizza l’essere dell’uomo?

Si chiama grazia abituale o santificante (CX, 1,2, 4).

672. E come si chiamano le altre qualità soprannaturali che divinizzano le facoltà dell’uomo?

Esse sono le virtù ed i doni (CX, 3).

673. Le virtù ed i doni sono congiunti con la grazia abituale e santificante?

Sì; le virtù ed i doni sono congiunti con la grazia abituale e santificante; cosicchè essi derivano dalla grazia, e questa non può mai esistere nell’anima senza che essi esistano nelle facoltà.

674. La grazia, le virtù ed i doni che divinizzano l’anima e le sue facoltà, sono qualche cosa di molto prezioso e di molto grande?

Sì; perché sono ciò che rende l’uomo figlio di Dio e lo mettono in grado di agire in quanto tale.

675. Un uomo rivestito ed ornato della grazia con le virtù ed i doni, supera in perfezione tutto il mondo creato, nell’ordine della natura?

Sì; senza eccettuarne neppure gli Angeli, considerati nella loro sola natura (CXIII, 9 ad 2).

676. Dunque non vi è niente da doversi desiderare di più dall’uomo su questa terra, che di possedere la grazia di Dio con le virtù ed i doni?

No; non vi è niente che l’uomo debba desiderare di più su questa terra, che di possedere e conservare, progredendo in essa tutti i giorni, la grazia di Dio con le virtù ed i doni.

677. In che modo l’uomo può possedere e conservare su questa. terra, progredendo in essa tutti i giorni, la grazia di Dio con le virtù ed i doni?

Corrispondendo fedelmente all’azione soprannaturale dello Spirito Santo, che lo stimola a prepararsi a ricevere la grazia se non la possiede ancora, od a progredirvi tutti i giorni se già la possiede (CXII, 3; CXHI, 3, 3).

678. Come si chiama questa azione dello Spirito Santo?

Questa azione dello Spirito Santo si chiama grazia attuale (CIX, 6; CXII, 3).

679. Dunque noi ci disponiamo a ricevere la grazia abituale o santificante se ancora non la possediamo, ed a progredirvi se già l’abbiamo, col soccorso e sotto l’azione della grazia attuale?

Sì; col soccorso e sotto l’azione della grazia attuale noi ci disponiamo a ricevere la grazia abituale o santificante se non l’abbiamo ancora, ed a progredirvi se già la possediamo.

680. Questa grazia attuale può produrre in noi il suo pieno effetto senza di noi e nostro malgrado?

No; la grazia attuale non può produrre in noi il suo pieno effetto senza di noi e nostro malgrado (CXIII, 3).

681. Bisogna dunque che il nostro libero arbitrio cooperi all’azione della grazia attuale?

Sì; bisogna che il nostro libero arbitrio cooperi all’azione della grazia attuale.

682. Come si chiama questa cooperazione del nostro libero arbitrio all’azione della grazia attuale?

Si chiama corrispondenza alla grazia.

683. Quale carattere riveste l’atto del nostro libero arbitrio quando corrisponde all’azione della grazia attuale, e la grazia abituale si trova nell’anima?

Riveste sempre il carattere di atto meritorio (CXIV, 1, 2).

684. Vi sono più specie di meriti riguardo al nostro atto meritorio?

Sì; vi è il merito condegno ed il merito di convenienza (CXIV, 2).

685. Che cosa intendete per merito condegno?

Intendo il merito che dà uno stretto diritto di giustizia a ricevere la ricompensa (CXIV, 2).

686. Che cosa occorre perché l’atto dell’uomo sia meritorio per merito condegno?

Bisogna che questo atto si compia sotto la mozione della grazia attuale; che proceda dalla grazia santificante per virtù di carità; che tenda all’acquisto della vita eterna per sé, od anche all’aumento in sé della grazia e delle virtù (CXIV, 2, 4).

687. Non si può meritare per gli altri la vita eterna, oppure la grazia santificante l’aumento di questa grazia per merito condegno?

No; queste specie di beni non si possono meritare per gli altri che per merito di convenienza, essendo proprio di Gesù Cristo come Capo della Chiesa il merito condegno per gli altri (CXIV, 5, 8).

688. Che cosa intendete per merito di convenienza (de congruo)?

Intendo quel merito per cui Dio, in grazia dell’amicizia che lo unisce ai giusti, stabilisce – a proposito ed in armonia con ciò che a Lui conviene – di corrispondere al piacere che i giusti Gli arrecano con le loro opere buone, facendo loro piacere Egli stesso con la concessione di ciò che gli domandano o desiderano (CXIV, 6).

689. Dunque ogni ragione di merito per l’uomo consiste sempre nella intimità di Dio con i giusti, ossia nella vita della grazia e delle virtù sotto l’azione dello Spirito Santo?

Sì; nella intimità di Dio con i giusti, ossia nella vita della grazia e delle virtù sotto l’azione dello Spirito Santo, consiste sempre ogni ragione di merito per l’uomo; e tutto ciò che esso fa fuori di questo ordine, anche se non è cattivo in sé, è cosa assolutamente vana che non gli servirà niente nel giorno delle supreme retribuzioni (CXIV, 6).

690. Potreste spiegarmi i particolari di questa vita della grazia e delle virtù sotto l’azione dello Spirito Santo, che deve costituire il tutto della vita dell’uomo su questa terra?

Sì; e ciò sarà oggetto di tutto quello che ci resta da dire nello studio del viaggio, ossia del ritorno dell’uomo verso Dio per mezzo dei suoi atti morali.

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (XIV)

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (XIV)

INTERPRETAZIONE DELL’APOCALISSE

Che comprende LA STORIA DELLE SETTE ETÁ DELLA CHIESA CATTOLICA.

DEL VENERABILE SERVO DI DIO BARTHÉLEMY HOLZHAUSER RESTAURATORE DELLA DISCIPLINA ECCLESIASTICA IN GERMANIA,

OPERA TRADOTTA DAL LATINO E CONTINUATA DAL CANONICO DE WUILLERET,

PARIS, LIBRAIRIE DE LOUIS VIVÈS, ÉDITEUR RUE CASSETTE, 23 – 1856

LIBRO QUARTO

SUI CAPITOLI OTTO E NOVE

§ II.

Del sesto angelo che suona la tromba.

CAPITOLO IX. – VERSETTI 13-19

Et sextus angelus tuba cecinit: et audivi vocem unam ex quatuor cornibus altaris aurei, quod est ante oculos Dei, dicentem sexto angelo, qui habebat tubam: Solve quatuor angelos, qui alligati sunt in flumine magno Euphrate. Et soluti sunt quatuor angeli, qui parati erant in horam, et diem, et mensem, et annum, ut occiderent tertiam partem hominum. Et numerus equestris exercitus vicies millies dena millia. Et audivi numerum eorum. Et ita vidi equos in visione: et qui sedebant super eos, habebant loricas igneas, et hyacinthinas, et sulphureas, et capita eorum erant tamquam capita leonum: et de ore eorum procedit ignis, et fumus, et sulphur. Et ab his tribus plagis occisa est tertia pars hominum de igne, et de fumo, et sulphure, quae procedebant de ore ipsorum. Potestas enim equorum in ore eorum est, et in caudis eorum, nam caudæ eorum similes serpentibus, habentes capita: et in his nocent.

[E il sesto Angelo diede fiato alla tromba: e udii una voce dai quattro angoli dell’altare d’oro, che è dinanzi agli occhi di Dio, la quale diceva al sesto Angelo, che aveva la tromba: Sciogli i quattro angeli che sono legati presso il gran fiume Eufrate. E furono sciolti i quattro angeli che erano preparati per l’ora, il giorno, il mese e l’anno a uccidere la terza parte degli uomini. E il numero dell’esercito a cavallo venti mila volte dieci mila. E udii il loro numero. E così vidi nella visione i cavalli: e quelli che vi stavano sopra avevano corazze di colore del fuoco, del giacinto e dello zolfo, e le teste dei cavalli erano come teste di leoni: e dalla loro bocca usciva fuoco, e fumo, e zolfo. E da queste tre piaghe; dal fuoco, dal fumo e dallo zolfo che uscivano dalle loro bocche fu uccisa la terza parte degli uomini. Poiché il potere dei cavalli sta nelle loro bocche e nelle loro code. Le loro code infatti sono simili a serpenti, hanno teste, e con esse recano nocumento.]

I. Vers. 13. – E il sesto angelo suonò la tromba. Quando dunque il regno dei Longobardi e dei Goti fu distrutto e l’eresia di Ario fu consegnata all’inferno, la Chiesa di Cristo godette di un perfetto riposo e non ebbe nessuna eresia da deplorare dall’anno 800 d.C. fino all’apparizione del diacono Berengario nelle Gallie nell’anno 1048, che osò negare la presenza reale di Gesù Cristo nella Santissima Eucaristia. Nell’anno 1117, Durando di Wandoch insegnò, con un altro settario in Aragona, che il matrimonio non è che un concubinato sotto mentite spoglie; ma entrambi furono bruciati, e così fu messa fine all’eresia nascente. Ugualmente tutte le eresie che apparvero furono soppresse dalla loro origine, così che la Chiesa latina e l’Impero d’Occidente non ebbero alcun evento avverso considerevole da deplorare fino al 1517, quando Martin Lutero, che può essere considerato il principe degli eresiarchi, apparve in Germania. Il santo profeta non descrive tutti i mali minori che colpiranno la Chiesa, ma si limita ai principali, lasciando da parte  quegli eresiarchi intermedi e poco importanti che furono solo, come abbiamo detto, il prodromo della grande sventura che stiamo per descrivere. E questo è il motivo per cui si applica a raffigurare in questa quinta epoca, e sotto la figura del sesto angelo che suona la tromba, il più grande e terribile degli eresiarchi, con tutti i suoi caratteri e con tutte le consequenze dei suoi errori. Basta esaminare il contesto, la natura e il carattere di questo eresiarca e dei suoi errori, per essere convinti che si tratti effettivamente di Martin Lutero che San Giovanni designa letteralmente con il sesto angelo che ha suonato la tromba.

1º Poiché lucifero, il re delle tenebre, trovò in Lutero uno strumento utile per l’esecuzione dei suoi piani, lo scelse come suo capo nella guerra di sterminio che stava per dichiarare contro la Chiesa latina. Lucifero diede a questo monaco, per guidarlo, un dottore di consumata malizia e astuzia, che San Giovanni chiama giustamente l’angelo dell’abisso e il dottore di tutti gli eresiarchi, come abbiamo visto sopra, e il cui nome in latino significa Sterminatore. Ora, si sa che Lutero stesso si è spesso gloriato di questo nome, che in effetti gli si addice.

2° Di conseguenza, Martin Lutero deve essere considerato il peggiore ed il più pericoloso di tutti gli eresiarchi, poiché vomita errori contro la Chiesa latina che sono così perversi e numerosi al punto che non c’è un solo punto di fede o di morale che questo eretico o i suoi seguaci abbiano lasciato intatto. Ne seguì una tale confusione di idee, e gli spiriti erano così divisi tra loro, che questo male può essere considerato come un andare all’infinito. Infatti non si troverà nemmeno una provincia, una città, una frazione, una famiglia, come dire, nemmeno due uomini della stessa casa, che siano d’accordo tra loro su tutti i punti della loro credenza. Il principio fondamentale di questo male ha la sua fonte nella libera interpretazione e nell’esame privato della Sacra Scrittura. Ed è da questo principio che sono sorte un’infinità di sette diverse, i cui principali e primi capi furono Thomas Münzer, Giovanni Ecolampadio, Andrea Carlostadio, Zwinglio, Giovanni Calvino, George David, Christopher Schapler, Philippo Melantone, Martin Bucer, Giovanni di Westfalia, Balthasar Parimontano, Giovanni di Leide, John Spangenberg, Michel Servet, John Brenz, Theodore Bezel, Luke Sterenberg, che erano deisti o trinitari; Louis Alemann che era ateo, ecc. Si veda il catalogo di Lindau, vescovo di Rüremonde, su Martin Lutero, e sull’origine e la patria di tutti gli eresiarchi di quel tempo.

3° Abbiamo imparato fin troppo bene a conoscere, per nostra disgrazia, il carattere peculiare di questa eresia, che è quello di eccitare alla guerra e alla sedizione, come Lutero stesso si compiaceva di pubblicare nei suoi discorsi e scritti, e secondo l’espressione preferita di Zwingle: Il Vangelo richiede sangue. Questa dottrina sediziosa e sanguinaria di Lutero, proclamata e predicata pubblicamente con libelli e predicazioni contro Dio ed i monarchi, causò davvero un terribile spargimento di sangue. Eccitati dalla voce di Lutero, e stimolati alla rivolta da Münzer, Carlostadio, Bucer e altri, una massa di uomini fuorviati, noti con il nome di “contadini”, invasero i monasteri e le chiese di Svevia, Alsazia, Turingia e Franconia, per saccheggiarli e distruggerli. Nella sola Franconia furono saccheggiati fino a 300 monasteri e 180 castelli. Questi ribelli non risparmiarono né persone né beni, e si abbandonarono a tali eccessi nei massacri che facevano dei nobili, che fu intrapresa una guerra aperta contro i contadini, in cui caddero più di 130.000 di questi insensati. Quante vittime dovettero pagare con il loro sangue il furore di Zwinglio nella guerra civile che afflisse così crudelmente la Svizzera! Seguirono le guerre di Francia e Belgio, iniziate nel 1595; poi la guerra di Smalkade, nel 1547; la guerra di Livonia; il massacro di San Bartolomeo, o la guerra civile scatenata da Calvino, che fu preso per un dittatore; e infine la guerra dei protestanti propriamente detta, o guerra dei trent’anni, che iniziò nell’anno 1618 e durò quasi ininterrottamente fino al deplorevole trattato di pace che fu così fatale alla Religione Cattolica, nell’anno 1650. Quante migliaia e persino milioni di vittime caddero in Europa per il ferro, per il fuoco e per la peste? Quante migliaia di Cattolici persero la vita in Inghilterra, specialmente al tempo di Elisabetta, con la pena capitale e per altri tormenti? Lo spirito di questa eresia era così sanguinario, che non risparmiava nemmeno i suoi stessi re e principi: ne troviamo un orribile esempio dato recentemente dagli scozzesi, che hanno tradito e consegnato il loro legittimo sovrano, Carlo Stuart, e dagli inglesi, che lo hanno fatto decapitare con pubblica sentenza, senza nemmeno averlo ascoltato.

4°. L’eresia di Lutero causò tre grandi e orribili mali alla Chiesa e all’Impero Romano, che potrebbero essere paragonati a tre piaghe. Il primo fu la confusione e l’oscuramento delle verità della fede, derivanti da errori opposti tra loro, la cui varietà è sorprendente come il loro numero. Il significato legittimo della Scrittura fu quasi interamente corrotto da Lutero e dai suoi empi seguaci; le versioni della Bibbia furono pubblicate in un numero così grande e così poco conforme l’una all’altra, che non si sapeva più cosa credere o rifiutare. – Il secondo male fu come un grande fuoco acceso nelle menti degli uomini, che raggiunse un tale livello di irritazione che li vide sollevarsi gli uni contro gli altri; stati contro stati, regni contro regni. Tanti orribili e crudeli massacri che si susseguivano quasi senza interruzione, e per così tanto tempo, costarono la vita di centinaia di migliaia di uomini. Tale fu la terribile conseguenza di questa libertà, o piuttosto di questa licenza, che fu predicata al popolo per persuaderlo che né gli uomini né gli Angeli avevano alcun diritto di imporre loro delle leggi, se non nella misura in cui erano disposti ad accettarle. Il celibato era stato definito una tirannia. Il potere e la giurisdizione del Sommo Pontefice, dei Vescovi e dei prelati della Chiesa, furono tenuti in disprezzo, e tutti i precetti ecclesiastici furono violati. Il diritto di impadronirsi dei beni, dei principati e delle dignità della Chiesa era attribuito ai principi temporali, mentre i sacerdoti avevano solo il diritto di essere mantenuti. Gli inferiori si ribellarono ai loro superiori e ci si scrollò dal giogo del Signore. Gli stessi ecclesiastici si spogliavano delle loro vesti per sposarsi. I principi e i nobili cominciarono a odiare il Sommo Pontefice, i Vescovi e i sacerdoti, spogliarono i vescovadi, le prebende, i benefici e i monasteri, etc. e quando l’imperatore volle impedirglielo, presero le armi e si rivoltarono contro di lui. Chi vuole saperne di più su questa tragedia infame, legga la storia degli eventi che si svolsero dal 1525 al 1650. Ma non abbiamo ancora visto la fine di questi mali in Inghilterra, Scozia e Irlanda, e la Germania non sarà in pace a lungo. Ora, chiunque esamini attentamente e spassionatamente la causa di queste disgrazie, sarà costretto ad attribuirla unicamente a questa terribile eresia. – 3) Il terzo male che produsse fu la corruzione di tutta la morale e la disciplina, sia ecclesiastica che civile; perché è noto che non c’è un solo punto della morale e di tutto ciò che riguarda i buoni costumi che Lutero non abbia avvelenato col suo respiro pestilenziale. Da ciò possiamo concludere che questo eresiarca non solo ha condotto una guerra spirituale o morale, ma che ha attaccato e addirittura sconvolto, politicamente parlando, quasi tutto l’Impero Romano.

5°. Il linguaggio di Lutero e dei suoi seguaci era presuntuoso, superbo ed audace, tanto da non risparmiare alcuna cosa, per quanto santa, né alcuna verità, anche la più antica e meglio stabilita. La sua bocca, come quella di un leone, strappava e divorava tutto; vomitava, per così dire, sarcasmo, disprezzo e calunnie contro l’autorità del Sommo Pontefice, e contro la scienza e la virtù dei santi Padri, non risparmiando nella sua furia né uomini né Angeli, nemmeno la santissima Trinità. Per convincercene, leggiamo i suoi scritti, e soprattutto i discorsi pubblici che fece nelle assemblee di Worms, e in particolare quello del De Destructione, che è il più importante lib. Contro il re d’Inghilterra.

6° Questa eresia invase in breve tempo non solo tutta la Germania, ad eccezione della Baviera e del Tirolo, ma anche quasi tutti i popoli del Nord. Si diffuse in Francia, Belgio, Ungheria e Polonia. Inghilterra, Scozia, Danimarca, Svezia e quasi tutte le città imperiali si separarono dalla Chiesa latina. Come un torrente devastante, trascinò dietro di sé i principi dell’impero, e prese un tale incremento di forza ed estensione, che si diffuse in breve tempo, e si estese e continua ad estendersi per terra e per mare, poiché la sua dottrina lusinga il potere e l’avarizia dei principi, e il gusto depravato di una generazione carnale. satana, non potendo fare nulla nel mondo da solo, si servì di Lutero per permesso divino, ed ebbe fin troppo successo nell’esecuzione dei  suoi piani infernali, perché ogni carne aveva corrotto le sue vie, e nessuno si accontentava di vivere secondo la sua condizione. Il popolo cercava la licenziosità, i principi e i nobili gli onori e le ricchezze, e il clero, disgustato dal celibato, si dava alle voluttà. C’è dunque da meravigliarsi che tutti questi stati abbiano accettato così facilmente la lusinghiera ma perversa dottrina di Lutero? È a questa generazione perversa che San Paolo rivolge queste parole così piene di verità (II Tim. IV, 3): « Verrà il giorno in cui gli uomini non sopporteranno più la sana dottrina e moltiplicheranno a loro piacimento i maestri che lusingheranno il loro orgoglio; e chiuderanno i loro orecchi alla verità e li apriranno alle favole. » Le affermazioni di Lutero erano così stravaganti che ogni uomo ragionevole deve essere colto da stupore nel vedere monarchi così grandi innamorarsi di esse; ma, ahimè, questi principi hanno moltiplicato i maestri a loro piacimento, che hanno lusingato il loro orgoglio e la loro lussuria, come fanno tuttora.

7° Infine, questa eresia di Lutero distillò un veleno ancora più fatale nella pseudopolitica e nell’ateismo, i cui principali propagatori furono Machiavelli, Bodin ed altri. Infatti, le loro opere sono venerate da principi, nobili e molti uomini illustri che tuttavia si vantano di essere Cattolici. E questo nuovo, mascherato sotto apparenze lusinghiere per i sensi, infetta ed avvelena negli spiriti degli uomini tutto ciò che i primi errori, che ne sono gli elementi, avevano lasciato intatto. La sua essenza pestilenziale si è insinuata nei consigli dei principi, degli Stati e delle repubbliche, che ispira, governa e dirige. – È attraverso di essa che tutto viene detto, sentito, tollerato, permesso e attuato contro la verità e la giustizia. E questa è la coda e le conseguenze finali di questo drago e della sua fatale dottrina. Perché Machiavelli e Bodin, e soprattutto i seguaci di Calvino, raccolsero questa essenza di veleno dalle piante del campo dell’errore, e la mescolarono con lo spirito infernale, per produrre sulle anime l’effetto che Lutero stesso non era stato in grado di ottenere. Fu infatti con l’infusione di questa essenza nelle menti e nei cuori che lucifero riuscì ad impedire la vera riforma e la conversione del mondo alla fede cattolica. Con questo mezzo rese impossibile la restituzione dei beni della Chiesa, insegnò agli uomini a nascondere la fede e impregnò gran parte della nobiltà di principi falsi e abominevoli. Con questo rese inutili tutti gli sforzi che sono stati tentati con la discussione ed anche con la forza delle armi, per guarire l’Europa e specialmente la Germania. È proprio vero che la saggezza o piuttosto l’astuzia di questo mondo prevale facilmente sugli uomini! (Luca, XVI, 8): « I figli di questo mondo sono più abili dei figli della luce nel condurre i loro affari. » Abbiamo visto le parole di Gesù Cristo adempiersi in Germania, (Matth. XII, 43): « Quando lo spirito immondo esce da un uomo, vaga in luoghi aridi, cercando riposo, e non lo trova. E dice: “Tornerò a casa mia da dove sono venuto”. E quando ritorna, la trova vuota, pulita e adornata. Poi va e prende con sé altri sette spiriti più malvagi di lui, ed entrando vi dimorano, e l’ultimo stato di quell’uomo diventa peggiore del primo; e così sarà questa generazione criminale. » Vediamo, infatti, tutte le eresie moderne risolversi in una sola, e finire nello pseudopoliticismo e nell’ateismo. Ognuno si forma una coscienza ed una religione a sua scelta, che basa sui suoi principi politici. Cos’altro è la religione degli pseudo-politici e degli atei se non pura ipocrisia? Poiché essi dicono in cuor loro: che mi importa della religione? Dio non esiste, è una parola; non c’è altra vita che questa. E così si prendono gioco delle più grandi verità. È di questa razza empia che parla il santo re Davide quando dice: (Sal. XIII, 1): « Lo stolto ha detto in cuor suo: “Non c’è Dio”. Sono perversi e corrotti, e sono abominevoli in tutti i loro affetti. Non ce n’è uno che faccia del bene, neppure uno….. La loro gola è un sepolcro aperto; hanno usato la loro lingua per ingannare con abilità; il veleno degli aspidi è sotto le loro labbra. La loro bocca è piena di maledizioni e di amarezza; i loro piedi si affrettano a spargere sangue. Tutte le loro vie tendono solo ad affliggere ed opprimere gli altri; essi non hanno conosciuto la via della pace; il timore del Signore non è davanti ai loro occhi; non capiranno questi operatori di iniquità, che divorano il mio popolo come un pezzo di pane? Etc. » Da questo compendio storico passiamo ora al testo.

II. Vers. 13E il sesto angelo suonò la tromba. Questo sesto angelo era Martin Lutero, il principe degli eresiarchi, e uno di quelli descritti sotto le sette trombe. Egli suonò la sua declamando contro le indulgenze e diffondendo i suoi orribili errori, con i suoi discorsi, con i suoi scritti e con i suoi seguaci. (De occasione et causa hujus apostasiæ vide Doctorem Gabriel. Prateolum, Marcassium, Lib. 10. Elench. Alfabet. Hæreticorum). Fu contro questo eresiarca che si riunì il Concilio Ecumenico di Trento, sotto gli imperatori Carlo V e Ferdinando, e con i Pontefici Paolo III, Marcello II, Paolo IV, Pio IV e Pio V. Lutero fu condannato all’unanimità come eretico, i suoi libri erano già stati condannati a Roma il 7 luglio 1520, ed egli stesso era stato scomunicato in precedenza da Leone X, lo stesso Papa che aveva concesso e pubblicato le indulgenze della Chiesa in Germania. La cura di questa pubblicazione era stata affidata all’Elettore di Magonza, il quale, secondo l’usanza, la affidò ai Domenicani; e fu questo che eccitò la gelosia, l’avarizia e l’orgoglio di Lutero e dei suoi seguaci, fino all’apostasia. E udii una voce dai quattro angoli dell’altare d’oro, che è davanti a Dio.

Vers. 14. – Una voce disse al sesto angelo che aveva la tromba: Slegate i quattro angeli che sono incatenati sul grande fiume Eufrate. Con l’altare, San Giovanni designa qui la Chiesa universale, ovvero i prelati, i Vescovi, i dottori ed i sacerdoti uniti al loro capo, il Sommo Pontefice. Essi sono veramente chiamati l’altare, perché è in essi e attraverso di essi che le preghiere e le buone opere del Cristianesimo sono offerte quotidianamente a Dio Padre attraverso Gesù Cristo; ed è da questo altare che l’incenso del pentimento e del dolore sale al cielo. Perciò questo altare è chiamato d’oro, perché solo la Chiesa è continuamente illuminata dalla saggezza eterna che l’oro rappresenta. Si dice anche che questo altare sia davanti a Dio, perché la Chiesa Cattolica è sempre presente agli occhi del Signore, che la custodisce e la protegge in modo molto speciale, e le impedisce di cadere in qualsiasi errore o di essere vinta da qualsiasi nemico. Se i suoi membri sono colpevoli di qualche colpa, Egli li castiga e li corregge come un buon Padre, secondo la Sua promessa in Paralipomeni, II, c. VII, 15, a proposito del tempio di Salomone, che era la figura della Chiesa Cattolica: « I miei occhi saranno aperti e i miei orecchi attenti alla preghiera di chi mi invoca in questo luogo, perché ho scelto questo luogo e l’ho santificato, affinché i miei occhi e il mio cuore siano sempre fissi su di esso. » Così una cosa che è davanti a Dio significa, secondo la Scrittura, la cura, la sollecitudine, la preoccupazione e l’amore paterno del Signore per essa. Ora, tale è la Chiesa di Gesù Cristo, che Egli ha acquistato con il Suo prezioso sangue. Abbiamo un esempio di questa sollecitudine e vigilanza nella storia naturale degli animali: chi non ha avuto occasione di ammirare nelle femmine degli uccelli la loro vigile sollecitudine e le loro ali di protezione per i loro piccoli? – Questo altare di cui parla San Giovanni nel suo testo, aveva quattro angoli, per significare ancora meglio la Chiesa che si estende nelle quattro parti del mondo, in Oriente e in Occidente, nel Nord e nel Sud; e come la Chiesa universale sia l’assemblea di tutti i fedeli del mondo riuniti sotto un solo capo, che è il nostro santo Padre il Papa, e poiché ogni volta che si riunisce in un Concilio generale, tutti i prelati e tutti i dottori del mondo sono convocati, ecco perché troviamo queste parole piene di significato e di verità nell’Apocalisse: E udii una voce che veniva dai quattro angoli dell’altare d’oro. Questa voce era la voce del Santo Concilio di Trento che usciva dai quattro angoli dell’altare. Era uno, perché questo Concilio era generale e condannò con voce unanime, e consegnò a satana, l’empio Lutero con tutti i suoi errori. Questa voce disse al sesto angelo, Martin Lutero, che aveva la tromba, e al quale Dio aveva permesso di predicare, di propagare, di diffondere da sé e dai suoi seguaci, gli errori più numerosi, più vari e più biechi, che le sue passioni sfrenate, il suo orgoglio indomabile e la sua  impareggiabile audacia, erano stati in grado di produrre. Scatenare i quattro angeli; è un modo di parlare per provocare qualcuno alla battaglia e dichiarargli guerra, quando tutti gli altri mezzi di pacificazione sono stati esauriti per risolvere una questione urgente e necessaria. Così procedette Gesù Cristo quando vide che il diavolo era entrato nel cuore di Giuda, che doveva tradirlo e consegnarlo ai Giudei,  e gli disse, (Jo. XIII, 27): « Fai presto quello che stai per fare ».  Ed è così che noi stessi agiamo quando vediamo che non c’è altro modo di sfuggire ad un nemico che una giusta difesa; ci prepariamo risolutamente alla battaglia e attacchiamo senza paura il nemico che ci insulta. Questa espressione imperativa: “Slegate“, non è dunque altro che una provocazione alla guerra spirituale contro la furia di satana e di tutto l’inferno, che si serviva di questo eresiarca per cercare di sterminare la Chiesa latina. Abbiamo detto che questa espressione di “Slegate” è imperativa, ordinando al Sovrano Pontefice e al Concilio di Trento, in effetti, di emettere una sentenza di scomunica e di condanna contro l’empio Lutero ed i suoi seguaci; e questa fu l’occasione che più accese la sua furia e lo eccitò alle più vergognose diatribe contro i Sovrani Pontefici, contro i santi Concili, le indulgenze, il celibato, le dignità, il potere, l’autorità ed i beni ecclesiastici. Di questo ci si può convincere per mezzo dei suoi scritti e dei suoi discorsi. Inoltre, questo nemico infernale sobillava i principi dell’impero, il popolo e persino gli ecclesiastici contro il Papa, i Vescovi ed i prelati, cercando sempre e con ogni mezzo di sterminare la Chiesa. Questo, almeno, si vede chiaramente negli sforzi che sono stati fatti e vengono fatti ancora al giorno d’oggi. Slega i quattro angeli che sono incatenati sul grande fiume Eufrate. Con il grande fiume Eufrate intendiamo l’Impero Romano che è chiamato un grande fiume. – 1°. Per la moltitudine di popoli che la compongono. Perché l’Europa, che appartiene interamente a questo impero, è molto popolosa, secondo queste parole dell’Apocalisse … (c. XVII, 15): « Le acque che hai visto, dove siede la prostituta, sono i popoli, le nazioni e le lingue. » 2° Perché l’Eufrate era uno dei quattro grandi fiumi del paradiso terrestre, secondo la Genesi, (II, 14): « Il quarto fiume è l’Eufrate »; così l’Impero Romano era uno dei quattro principali imperi del mondo e anche il più grande, il più potente ed il più durevole, come vediamo nella storia romana e nelle profezie di Daniele, II. – Quale non fu la potenza di questo impero, che era come il ferro, e che, come il ferro, rompeva e sottometteva tutti i re della terra e li rendeva ad esso tributari, anche se attualmente questo impero è molto piccolo, ed anche così diviso, in cui si vede solo confusione, come il Profeta aveva predetto. 3º Come l’Eufrate è molto grande verso la sua sorgente, ma poi si divide in vari fiumi, così l’impero romano fu dapprima immenso, poi diminuì col tempo e si divise in vari regni e repubbliche che si separarono da esso o per ribellioni, o per defezioni dalla fede cattolica, o infine per qualche altra circostanza; così che ora ne rimane solo una piccola parte, piena di problemi, come abbiamo detto. Il numero quattro è spesso usato per esprimere la totalità di una cosa; così vediamo in San Matteo, XXIV, 31: « Egli manderà i suoi angeli con una tromba e un grande rumore, ed essi raccoglieranno i suoi eletti dai quattro venti », cioè tutti gli eletti. Ora, allo stesso modo, i quattro angeli menzionati qui da San Giovanni devono essere intesi come l’universalità dei malvagi che Lutero ha convocato per fare guerra alla Chiesa di Dio. E questi malvagi si dividono in due categorie: 1. Quella degli ecclesiastici che questo eresiarca reclutò tra il suo stesso popolo e tra un numero infinito di altri ordini religiosi e secolari, come Carlostadio, Munzer, Ecolampadio, Zuinglio, Calvino e un gran numero di altri. 2. La seconda categoria è costituita dai principi dell’impero e dai cosiddetti dottori della Riforma, che Lutero scatenò come bestie feroci contro gli imperatori e i re, per distruggere le chiese e i monasteri e per impadronirsi dei beni ecclesiastici e dei vescovadi. Fece tutto questo soprattutto in odio al Sommo Pontefice, ai Vescovi e ai sacerdoti, e per avversione alla Chiesa e alla fede cattolica, che i santi Padri, i Dottori e tutti i santi hanno sempre adornata, mantenuto pura e incontaminata attraverso tutte le epoche e le difficoltà del tempo. I più perversi di questi principi empi e aggressori furono l’Elettore di Sassonia, che abolì i vescovadi e tutti i monasteri nei suoi stati, gli Elettori di Brandeburgo, di Heidelberg, di Brunswich, il Langravio d’Assia, i re di Svezia, di Danimarca e d’Inghilterra, ed un numero infinito di altri principi, duchi, marchesi, conti palatini, baroni e nobili. Tutto il Nord e anche quasi tutto l’Impero Romano d’Oriente, d’Occidente e del Nord si sono uniti contro la Chiesa Latina, al suono della tromba di questo sesto angelo, perché nessuno di loro poteva sopportare la sana dottrina del Santo Concilio di Trento. Slega i quattro angeli che sono incatenati dal potere dell’Impero; perché questi empi erano trattenuti dalla forza e dal giogo del potere di Dio che l’Impero Romano rappresentava, e cercavano di rompere le loro catene ululando come cani incatenati. Perché in quei giorni i principi dell’impero, i re e molti degli ecclesiastici erano come il cane furioso e lo stallone che nitrisce, a causa delle loro passioni sfrenate e della loro sete di ricchezze e di onori. Ma Dio nella sua potenza li tenne legati fino a quando la misura delle iniquità dell’Impero Romano fu piena, e la vendetta divina permise che questi uomini empi fossero sciolti da Lutero, per castigare quell’Impero e la sua Chiesa Latina. È quindi giusto che il testo dica: “Slegate i quattro angeli“, per indicare il permesso divino, senza il quale i nostri nemici rimangono incatenati ed incapaci di fare del male. La Germania e perfino l’Impero Romano avevano da molto tempo questo principio malvagio nel loro seno, e questi terribili disastri sarebbero avvenuti prima, se Dio non li avesse ritardati per aspettare che i peccatori facessero penitenza. Poiché tutti gli stati e le condizioni avevano corrotto i loro modi, i sudditi non volevano più obbedire, gli ecclesiastici violavano la disciplina, e considerando il celibato insopportabile, reclamavano a gran voce il matrimonio. Principi e nobili divennero insaziabili e bramarono altri onori, ricchezze e dignità. La vista di ricchezze in prebende, vescovadi e prelature suscitò la loro avarizia, e nella loro gelosia concepirono l’odio più profondo contro coloro che le possedevano. Per controllarli, aggiunsero la calunnia agli scandali di cui il clero ha purtroppo fornito tanti esempi. Tutti gli uomini hanno dimenticato Dio sulla terra e si sono immersi fino al collo nel fango della voluttà, degli onori, delle ricchezze. Così tutto fu preparato per una rovina generale, che Dio, nella sua misericordia, trattenne per un po’ di tempo, finché finalmente lasciò esplodere la sua ira. Tale fu il destino dell’Impero Romano e della Chiesa Latina, che iniziò nell’anno 800 dell’era cristiana, quando passò ai Germanici, e continua fino ad oggi. Vediamo, dunque, nella loro storia che dalla loro origine fino all’anno 1517, cioè nello spazio di sette secoli, furono liberi da ogni eresia e rovina, eccetto solo quella di Berengario e di pochi altri eretici di poca importanza che abbiamo menzionato; infatti la mano di Dio teneva legato satana e tutti questi eresiarchi, che possono essere considerati come i prodromi del male, come abbiamo già detto, e non riuscirono mai a portare la furia dell’inferno contro la Chiesa fino al giorno della vendetta celeste.

III. Vers. 15E subito furono sciolti i quattro angeli, che erano pronti per l’ora, il giorno, il mese e l’anno in cui avrebbero dovuto uccidere la terza parte degli uomini. In queste parole seguono gli effetti del permesso divino con cui Lutero ottenne il grande potere delle tenebre per commettere con il massimo successo gli orribili mali con cui afflisse così crudelmente la Chiesa latina. Perché non è solo il male che ha fatto sugli uomini del suo tempo; ma dobbiamo considerarlo come il grande colpevole e la causa prima di tutti i disastri che i suoi errori hanno prodotto e produrranno ancora in futuro. Il primo di questi mali fu l’effervescenza che eccitava su un numero quasi infinito di ecclesiastici di ogni grado e condizione, insegnando loro, con la sua dottrina, a liberarsi del giogo della disciplina della Chiesa, e poi ad andare in giro per l’Europa come cavalli sfrenati, manifestando i loro desideri carnali con orribili nitriti, e pervertendo milioni di uomini con i loro scandali. Il secondo di questi mali fu quello di eccitare con discorsi e scritti i principi dell’impero alla più lunga e disastrosa guerra che sia mai stata o sarà.  E subito i quattro angeli furono sciolti, vale a dire, all’insieme degli empi e dei malvagi fu permesso di essere pronti e, per così dire, arruolati sotto le bandiere di lucifero, al quale furono venduti per fare il male, come fece Achab in passato, (III. Reg. XXI), che disse a Elia: « In cosa mi hai trovato tuo nemico? Ed Elia gli rispose: Perché tu ti sei venduto per fare il male agli occhi del Signore. » Noi  vediamo un tale principe nella persona di Federico V che, insieme ai suoi alleati, fece versare in sì grande abbondanza il sangue dei Cristiani. Tali furono anche Enrico VIII, re d’Inghilterra, Elisabetta sua figlia, e successivamente Gustavo Adolfo, re di Svezia, che, a capo dei protestanti, divorò quasi tutta la Germania fino al midollo delle ossa, dopo averla sottoposta ai più sanguinosi oltraggi che possano umiliare una nazione. È fin troppo noto, infatti, l’orribile spargimento di sangue che questo principe provocò, così come i suoi stupri, le sue vessazioni, i suoi omicidi, i sacrilegi, ed altre infamie. Ora la prima fonte di questi incalcolabili mali, passati e futuri, fu la dottrina di Lutero. – E subito i quattro angeli, che erano pronti per l’ora, il giorno, il mese e l’anno, etc. Con questo l’Apostolo designa i vari periodi delle guerre del protestantesimo, i cui tempi sono fissati all’ora, al giorno, al mese e all’anno, secondo quanto piace alla volontà divina di permettere ai capi delle guerre di fermare e di determinare l’esecuzione dei loro piani. Dove dovevano uccidere la terza parte degli uomini. Qui l’Apostolo indica un numero definito per esprimersi in modo indeterminato; e con questa terza parte degli uomini si intende la maggior parte dei Cristiani che sono stati e saranno effettivamente uccisi da queste guerre. Per uomini, intendiamo indistintamente i buoni e i cattivi, i Cattolici e gli empi, che queste guerre dovevano e devono ancora coinvolgere. Per  l’ora, il giorno, il mese e l’anno sono appositamente designati i periodi principali delle guerre protestanti; così l’ora indica chiaramente la guerra dei contadini, che durò poco tempo, e nella quale, tuttavia, 130.000 uomini furono uccisi dalla Lega svedese e da Antonio di Lorena. L’ora indica anche le guerre civili in Svizzera in Francia e in Belgio che furono brevi ma crudeli. Il giorno indica la guerra smalcadica che fu più lunga di quella dei contadini, ma che fu comunque abbreviata dall’imperatore Carlo V, famoso per, le sue brillanti vittorie sui nemici più formidabili. Il mese annuncia la violenta guerra conosciuta come la Guerra dei Trent’anni, che durò dal 1619 al 1649. Questi trent’anni sono infatti designati dai trenta giorni del mese; perché sappiamo che nei profeti un giorno conta come un anno. Infine, per l’anno, l’Apostolo indica tutte le guerre e le sedizioni che avranno luogo in Europa, fino all’estinzione di questa crudele eresia.

Vers. 16. – E il numero di questo esercito di cavalleria era di duecento milioni. Con questo esercito, San Giovanni designa in generale tutte le milizie e le truppe che l’Europa, in una determinata circostanza, ha messo sul piede di guerra, e continuerà a mettere per i quattro angeli, a causa di questa eresia empia e sanguinaria; ed il numero di queste milizie supererà tutto ciò che si poteva credere e supporre riguardo alle risorse dell’Europa. Eppure sembrerebbe che questa terra dovesse essere già esaurita, se consideriamo tutte le battaglie sanguinose di cui è già stata teatro per 125 anni. Infatti, quasi tutti i regni, principati e repubbliche furono insanguinati a causa di questi errori, come si vede da quanto precede. Ora, se sommiamo i numeri di tutte queste truppe, otterremo un numero incredibile, che San Giovanni stesso indica con una cifra prodigiosa in questi termini: E il numero di questo esercito di cavalleria era di duecento milioni. Diciamo un numero prodigioso, e il lettore sarà d’accordo con noi, se considera il numero ancora più sorprendente di fanteria che questa cavalleria così numerosa presuppone secondo l’arte della guerra. Anche il profeta non si esprime in altro modo per non dire nulla di superfluo, ed infatti non annuncia un solo esercito, poiché ce ne sono stati e ce ne sarà un numero molto grande. Il suo scopo è quello di farci capire che tutti questi eserciti, per quanto numerosi e diversi possano essere, non formano che un unico esercito, moralmente parlando, poiché tutti devono tendere allo stesso fine e servire la stessa causa, che è quella di combattere per o contro i principi di Lutero. Tutte queste truppe sono uno strumento nelle mani di Dio per castigare questa epoca carnale con il massacro della terza parte degli uomini. Perché ho sentito il loro numero. Con queste parole il profeta vuol dire che non è a caso, né senza motivo, che cita questo numero definito indicando un altro numero indeterminato; ma egli stesso afferma che questo numero di duecento milioni gli è stato indicato e che l’ha sentito in spirito.

IV. Vers. 17. – E così i cavalli mi sono apparsi nella visione. Il profeta passa ora dalla descrizione dei mali fisici alla descrizione dei mali spirituali o morali di questa eresia. E, dapprima, descrive come ha visto la natura e le proprietà di questo esercito spirituale. Egli dice che i cavalli gli sono apparsi in questo modo nella visione. Ora questo modo di vedere è puramente intellettuale, ed è perfettamente adatto al suo oggetto, che è la guerra spirituale, così come l’altro modo di sentire, che presuppone una partecipazione fisica dell’orecchio, era adatto al primo dettaglio dei mali materiali. E così i cavalli mi sono apparsi nella visione. Per cavalli intendiamo i sacerdoti malvagi e gli empi che, avendo gettato via il giogo di ogni disciplina, e avendo abbandonato la briglia delle loro passioni, rinunciarono alla fede cattolica e corsero come cavalli selvaggi dietro a Lutero. Il numero di coloro che manifestavano le loro passioni sfrenate, con una sorta di nitrito dietro le voluttà della carne, era grande come quella di un grande esercito di cavalleria. 1°. Come lo stallone, quando viene messo in libertà, alza la criniera, scodinzola, spumeggia, corre, nitrisce dietro alla sua femmina, e diventa così indomabile da non essere preso da nessuno; così quegli uomini empi e sacrileghi che non hanno saputo mantenersi come eunuchi (Matth., XIX, 12: « Ci sono eunuchi che sono usciti dal grembo di loro madre come tali; ci sono alcuni che gli uomini hanno reso eunuchi da se stessi, per il regno dei cieli: Chi può intendere, intenda »), per il timore di Dio, credendosi liberati dalla dottrina di Lutero, dal vincolo della disciplina ecclesiastica, del celibato e della moralità, cominciarono ad alzare la criniera del loro orgoglio, a lanciare la loro schiuma contro la Chiesa di Dio, a pervertire gli uomini e a correre dietro a tutte le voluttà della carne. Non si lasciavano guidare da nessuno, per poter soddisfare più liberamente le loro passioni, non pensando che si esponevano così ad essere legati, dopo la loro morte, nella prigione eterna dell’inferno. Dobbiamo anche intendere letteralmente, con questi cavalli, i predicatori, cioè i ministri della riforma che hanno vissuto, che vivono ancora, … e che vivranno per preservare e propagare l’opera sovversiva di Lutero. Ora questi sono i maestri di cui parla San Paolo (II Tim., IV, 3), e il loro numero forma una grande armata. – 2 ° Gli stalloni in libertà calpestano tutto sotto i loro piedi, anche le cose più preziose che incontrano, perché sono privi di ragione; ed è così che Calvino, Zuinglio, Ecolampadio, Carlostadio, ed un’infinità di altri, guidati da Lutero, cioè dall’angelo che li ha liberati, hanno calpestato tutto. Come cavalli fuggitivi, correvano attraverso il giardino della Chiesa che era in Europa, senza risparmiare nemmeno i fiori di quel giardino, cioè le vergini che avevano dedicato la loro vita e il loro sangue a Gesù Cristo per preservare la loro verginità. Essi osarono attaccarle con le loro impure sollecitazioni, dicendo che dovevano abbandonare il loro stato e sposarsi. Essi non risparmiarono neppure i maestosi ed antichi alberi dei Santi Padri, alberi così fecondi per la loro dottrina sui sacramenti; né le piantagioni, né le opere, né gli abbellimenti dei Concili generali e provinciali, nemmeno gli orticoltori nella continua successione dei Sovrani Pontefici, da San Pietro all’attuale Papa, che rimasero, nonostante queste offese, fermi ed incrollabili come eterni monumenti di verità. Essi attaccarono e cercarono di devastare tutte le piante della Chiesa, che sono tanto numerose quanto sono i miracoli e le virtù cristiane prodotte dalla fede cattolica. I loro piedi sono l’orgoglio, il disprezzo, la presunzione, la pazzia e l’empietà, e con questi piedi essi infangarono o attaccarono il Santo Battesimo, il Cristo, la Beata Vergine, la Santissima Trinità, i Santi Padri, la successione continua degli Apostoli, l’invocazione dei Santi, il libero arbitrio, quel grande dono che Dio ha dato alla natura, e infine, tutti gli articoli della fede e della morale; poiché nulla era al riparo dai loro insulti. Dico la verità e non mento: vorrei che Gesù Cristo mi rendesse anatema per i miei fratelli, che sono gli allemanni, e per tutti gli europei che sono accecati da questi cavalli di emissari, se si potesse, con questo mezzo, aprire i loro occhi alla verità, che si trova solo nella Chiesa Romana Una, Santa, Cattolica e Apostolica. – 3°. Come i cavalli sono leggeri nella corsa, soprattutto se ben cavalcati, così i cavalli emissari di Lutero portarono il veleno del suo errore con una corsa veloce, e in un attimo lo diffusero in tutta Europa, essendo cavalcati dai demoni, che sono i loro cavalieri, come vedremo più avanti. 4° capestro. I cavalli sono animali molto forti e robusti che, una volta lasciati liberi dale briglie, possono causare grandi danni a un campo o a una piantagione, e non si lasciano più facilmente domare. Ora, i cavalli emissari di Lutero erano anche molto forti, e nella loro erronea predicazione facevano affidamento sul potere di principi, re, Repubbliche, di ricchi commercianti, di città opulente come lo erano soprattutto agli inizi. Fu con l’aiuto di un tale potente protezione che essi causarono impunemente tanta rovina spirituale alle anime e facendo versare lacrime di sangue in abbondanza. E non sarà facile domarli, a causa del potere dei principi sui quali contano, e ai quali servono da maestri che lusingano il loro orgoglio e la loro avidità, secondo il linguaggio della Scrittura. Questi principi proteggono tali dottori, perché insegnano loro una dottrina conforme ai loro desideri, come, per esempio, mantenere ingiustamente i beni della Chiesa, le prelature, le dignità, i principati ed i vescovadi. – La storia della riforma ci fornisce una chiara prova della difficoltà, soprattutto nei primi tempi, di domare questi cavalli: come quando il pio e potente imperatore Ferdinando II impiegò tutte le sue forze per ristabilire l’ordine pubblico nei suoi stati, rimuovendo questi facinorosi che esponevano anime ad ogni vento di dottrina. Ma è noto che tutti i suoi sforzi furono paralizzati, e che dovette fare la pace con il nemico e accettare un trattato di pace che fece cadere la fede cattolica in uno stato peggiore del primo. Perchè tutti I nemici della Chiesa, per quanto divisi possano essere, sono uniti e in perfetto accordo quando si tratta di attaccare gli interessi della fede, o di causarle qualche danno. Troviamo una figura vera, anche se poco lusinghiera di questo accordo degli empi, nella vita agricola: è quando un padrone di fattoria vuole mettere del ferro nel grugno di un maiale per impedirgli di fare di nuocere; tutti gli altri animali accorrono alle sue grida, e minacciano colui che sta eseguendo l’operazione. E i cavalli mi apparvero nella visione come segue: coloro che li cavalcavano avevano corazze di fuoco, giacinto e zolfo. Con queste parole, il Profeta indica e descrive i cavalieri di questi cavalli che non sono altro che demoni. Si sa, infatti, che Lutero stesso confessò, nei suoi scritti, di avere frequenti rapporti con un demone che lo spingeva e lo spronava, per così dire, al male. Lo stesso vale per tutti i suoi discepoli e seguaci, e specialmente per quelli che negano il Capo visibile della Chiesa nell’epoca presente; tutti hanno dei demoni che servono come loro capi e li dirigono. Infatti, 1°. Colui che cavalca un cavallo, lo governa. – 2°. Lo tiene ben stretto per la briglia e lo dirige dove vuole. – 3°. Lo punge con il suo sperone per farlo correre, e per imprimergli tutti i movimenti che desidera: a volte lo fa andare avanti, a volte indietro, a volte lo fa caracollare. Ora, questo è il modo in cui i demoni hanno agito su tutti i discepoli e seguaci di Lutero, in qualsiasi forma siano apparsi, e questo è il modo in cui agiranno su coloro che appariranno di nuovo in futuro. Poiché essi li dominano sempre e li dirigono verso il male, ed essi, come cavalli addomesticati e flessibili, obbediscono senza vergogna agli impulsi dei loro cavalieri, calpestando la morale, la disciplina e gli articoli di fede. Se questi cavalli sono molli e senza fuoco, i loro cavalieri si servono dello sperone, cioè  ispirano loro un falso zelo ed una specie di furore mescolato ad orgoglio, arroganza ed invidia, per meglio incitarli alla corsa e diffondere più rapidamente l’empietà, con il falso pretesto e sotto l’apparenza di bontà e verità. Fu in questa veste, almeno, che si presentarono alle città imperiali e si fecero strada presso i principi, presentando loro le ricchezze della Chiesa e dicendo loro, come fece il diavolo nella tentazione di Gesù Cristo: « Vi daremo tutte queste cose se vi inchinerete e ci adorerete. » È anche allo stesso modo che questi cavalli correvano a far risuonare i loro nitriti nelle orecchie degli ecclesiastici, di qualunque stato essi fossero, questa falsa e licenziosa interpretazione del passo di San Paolo, (I. Cor. VII, 9): « È meglio sposarsi che bruciare. » Con il loro rapido corso propagarono in tutta Europa, in un attimo, le loro falsità così lusinghiere per le passioni degli uomini. Ma questi cavalli non solo si sottomettevano ai loro cavalieri con la loro obbedienza e flessibilità per l’attacco, ma anche per la fuga. Gli eretici, infatti, rifuggivano con avversione tutto ciò che era contrario al diavolo; perciò respingevano con orrore il segno della croce, l’acqua santa, i sacramenti le cerimonie sacramentali, le reliquie dei santi, e soprattutto la presenza reale del corpo e del sangue di Gesù Cristo nella santissima Eucaristia. Essi rifiutarono specialmente il santo nome della Beata Vergine Maria, così terribile per i demoni, in conseguenza di quell’antica inimicizia con cui la profezia divina si compie quotidianamente. (Gen. III, 15): « Io porrò inimicizia tra te e la donna, e fra la tua progenie e la sua progenie; essa ti schiaccerà la testa, e tu la insidierai nel calcagno. » Ora, gli eretici moderni manifestano, con tutte le loro azioni, questo vecchio e antico odio verso la Donna per eccellenza, che gli angeli e gli arcangeli  venerano, e i re e i principi e tutte le generazioni l’hanno sempre lodata e sempre la loderanno, secondo San Luca 1,48: « D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. » Poi, come i demoni fin dall’inizio si mostrarono ribelli contro Dio loro creatore, e per gelosia spinsero i nostri primi genitori alla disobbedienza, così questi cavalli emissari scossero il giogo dell’obbedienza alla santa Chiesa romana, e incitarono gli Stati dell’impero a ribellarsi contro i loro legittimi padroni e contro il sovrano Pontefice, il vero successore di San Pietro, e capo della Chiesa universale. Allora, cosa potrebbe essere più odioso e terribile per i diavoli del santo Sacrificio della Messa? Ora, gli eretici moderni, veri precursori dell’Anticristo, hanno fatto ogni sforzo per distruggerlo, e infatti rifiutarono il Sacrificio continuo, come farà l’Anticristo, secondo la profezia di Daniele, XII, 11: « E dal momento in cui il sacrificio continuo sarà abolito, ecc. » I demoni non desiderano altro che il sangue dei Cristiani, e cercano che omicidi, le discordie, guerre, sedizioni, etc., e fomentano i malvagi, che tengono sotto il loro dominio. Ora, non è questo il vero ritratto di questi cavalli emissari che la tromba del sesto angelo anima incessantemente al massacro ed alla devastazione, come abbiamo visto sopra? È quindi chiaro da tutto ciò che precede, che i cavalieri di questi cavalli sono i demoni che li dominano e li spingono al male, e vediamo dai dettagli che seguono nel testo, circa le armi e l’uniforme di questi cavalieri, che il Profeta ha designato questi demoni alla lettera. Infatti aggiunge: Quelli che li cavalcavano avevano corazze di fuoco, giacinto e zolfo, cioè erano notevoli per le loro corazze di fuoco, fumo e zolfo. Ora, queste tre cose si trovano nell’inferno, ed i demoni che lo abitano e che ne escono per fare guerra a Gesù Cristo sulla terra, sembrano brillare, secondo il testo, per queste corazze, per farci capire meglio cosa sono questi cavalieri. Infatti, come un re indossa una corazza d’oro, un ufficiale una corazza d’argento e un soldato una corazza di ferro, ognuno secondo il suo grado e la sua posizione, così i demoni indossavano una corazza di fuoco, fumo e zolfo. Queste parole indicano anche, letteralmente, I vari tipi di corazze che questi demoni indossavano a cavallo, per essere più terribili nel loro attacco contro la Chiesa di Gesù Cristo; e diciamo tre tipi, che sono: – 1°. lo zelo dell’odio implacabile e l’invidia nera che satana ispirò, attraverso i suoi falsi maestri, ai principi e ai grandi contro la Chiesa Romana, contro il sovrano Pontefice, contro i Cardinali, gli Arcivescovi, i Vescovi, i prelati, contro gli ordini religiosi, e in generale contro tutto il clero. L’esperienza quotidiana ci mostra l’incredibile odio e gelosia con cui gli eretici sono infiammati contro la Chiesa di Cristo. E questa è l’armatura con cui satana sapeva perfettamente come proteggere i suoi soldati per la battaglia. Perché un cuore pieno di odio e di avversione non si lascia facilmente convincere e persuadere dalla sana dottrina, da un buon consiglio o da un’ammonizione. Perciò è detto nel testo: Quelli che vi sedevano sopra avevano corazze di fuoco. Perché come il fuoco brucia e consuma, così il falso zelo dell’odio e dell’invidia consuma i cuori degli eretici, e li brucerà per sempre. – 2. Il secondo tipo di armatura è la confusione e la novità attraente della dottrina di questa eresia sulla fede e la morale. Per questo motivo non è stato facile combatterla. Perché non appena un errore veniva confutato, ne sorgevano infiniti altri ancora più sorprendenti. Questo era uno stratagemma nuovo e molto intelligente che satana impiegava nella sua guerra contro la Chiesa latina, ed era con l’aiuto di questa forte armatura che egli respingeva ogni colpo e marciava senza paura contro il suo nemico. Questa seconda armatura era del colore del giacinto, o del fumo; perché il giacinto assomiglia all’aria oscurata, e questo colore rappresenta perfettamente la confusione degli errori di Lutero. In effetti, 1°. il fumo è prodotto dal fuoco. 2°. Esso oscura l’aria. 3. Offusca la vista. 4°. È confuso e simile al caos; non può essere compresso, e se lo si comprime da una parte, si diffonde da un’altra. 5°. Infine, fa sgorgare le lacrime dagli occhi. Ora, tale è l’eresia moderna: 1°. Essa offre un quadro di errori i più numerosi e variati, e la confusione che ne deriva è dovuta al fuoco della gelosia e dell’invidia degli eretici contro i Cristiani; infatti essi si dilettano ad insegnare e praticare in odio al Sommo Pontefice e alla Chiesa Romana tutto ciò che è contrario ad essi. 2° Questa eresia oscurò con i suoi errori l’Europa, la cui fede era pura e chiara come l’aria in un bel giorno d’estate. 3°. Talmente turbò e offuscò la vista, cioè l’intelligenza e la sana ragione degli uomini, che non è più possibile distinguere quale sia la vera dottrina e la via che conduce alla vita eterna. 4°. È come un caos di tutti gli errori precedenti, che non sono stati dissipati, e più si vuole rimuovere le nuvole ed i vapori, più essi salgono da tutte le parti. 5°. Essa fece versare abbondanti lacrime, ed anche lacrime di sangue, specialmente in Germania, e ne farà versare ancor più. Ora, perché il profeta ha paragonato questo male al giacinto e non al fumo? La ragione è che, sebbene gli errori di questa dottrina non fossero in realtà altro che fumo, tuttavia apparivano plausibili all’esterno e avevano un’apparenza di solidità; e questi emissari li presentavano con questi falsi colori per renderli piacevoli agli uomini carnali di cui lusingavano i desideri, almeno per la vita presente. È così che i demoni sono abituati a presentare il male sotto colori e con ragioni in apparenza buone, per meglio riuscire ad ingannare gli uomini. Così vediamo da questo che è con buona ragione che il Profeta si è servito di queste corazze di giacinto per raffigurare questi nemici di Cristo e della sua Chiesa. – 3°. Il terzo tipo di corazza fu l’allentamento della disciplina ecclesiastica e della morale cristiana, che furono sostituite da una vita carnale e da una libertà licenziosa. Così che satana, attraverso questa eresia, ha aperto la porta a tutti i vizi e voluttà, persuadendo gli uomini, attraverso i suoi ministri, che la via del cielo è molto facile e coperta di rose … Dio non punisce il peccato così rigorosamente come insegnano i Cattolici. Egli ebbe cura particolare nel predicare la massima libertà della carne contrariamente al celibato, agli ordini religiosi, alle vergini ed ai sacerdoti. satana fu come un pescatore che, per mezzo di questa eresia, stese una grande rete sulle grandi acque d’Europa, e fece un’immensa pesca che fece arrostire nelle fiamme eterne; e il fetore del fumo che veniva da questo fuoco di lussuria, infettò tutta l’Europa.  È con questa terza armatura che satana protesse i suoi cavalieri ai quali diede corazze di zolfo. Infatti  lo zolfo designa metaforicamente il fetore e l’infezione dei peccati disonesti. Questi erano dunque i tre tipi di armatura spirituale con cui i demoni erano coperti ed equipaggiati per intraprendere questa terribile guerra che satana aveva dichiarato alla Chiesa latina.

V. E le teste dei cavalli erano come teste di leoni. In queste e nelle seguenti parole il profeta procede a descrivere la natura e le proprietà di di questi cavalli. Si concepirà senza dubbio un’idea mostruosa e orribile, se ce li immaginiamo con il ventre, i piedi ed il corpo di un cavallo, la testa di un leone, una gola infernale e una coda di serpenti. Questo, tuttavia, è ciò che verificheremo nel dettaglio.

1°. Si dice nel testo che le teste dei cavalli erano come le teste dei leoni, e questo è giusto. Perché come la testa di un leone è molto forte, e divora e lacera con i suoi denti tutto ciò che gli si avvicina, così questi cavalli, animati dalla potenza del leone, sono come le teste di un leone. – Così questi cavalli, mossi dal suono della tromba del sesto angelo, osarono attaccare e divorare con i loro denti maledetti quasi tutti gli articoli di fede, per quanto santi, autentici e antichi fossero. Essi non risparmiarono nulla che appartenesse ai buoni costumi, né le cose sacre, le cerimonie sacramentali nè il culto della Beata Vergine e dei Santi. Come il leone in preda al furore lancia sguardi infuocati, fa cadere dalla sua bocca la schiuma della sua rabbia, fa risuonare le valli con il suo terribile ruggito, e diffonde il terrore della carneficina e il timore della morte ovunque vada, così questi cavalli dell’empietà, animati dal fuoco dell’odio, infiammati dal furore dell’invidia, e bruciando della sete di vendetta contro il Sovrano Pontefice e tutti i prelati della Chiesa, strapparono e divorarono con i loro denti di leone tutte le cose sante ed anche i Sacramenti.

2°. Il profeta aggiunge: E dalla loro bocca uscì fuoco, fumo e zolfo. Abbiamo detto che il fuoco denota l’ardore della gelosia, lo zelo dell’odio e l’invidia nera di cui questi cavalli erano infiammati dai demoni che li cavalcavano e che li lanciavano per tutta l’Europa per fare guerra al Sovrano Pontefice e alla Chiesa latina. Con questo fuoco bruciavano tutti i precetti morali e i dogmi della fede cattolica. Abbiamo anche detto che riempirono questa stessa Europa di fumo e di zolfo con la confusione della loro dottrina, della falsità della loro morale e dal fetore della loro vita licenziosa. Ora, secondo il testo, questi tre orrori sono usciti dalla loro bocca, cioè essi li predicarono e diffusero con i loro discorsi e scritti. Perché cosa potevano predicare se non ciò di cui i loro cuori erano pieni? E di cosa potevano essere pieni, se non del male che i demoni ispiravano loro? Così questi cavalli emissari diffondevano attraverso le loro bocche ciò che i demoni, che li cavalcano, indossavano come armatura. Perché è proprietà dei demoni volere il male che satana fa commettere nel mondo dai suoi ministri, che sono gli empi e i malvagi. E la bocca dell’empio è simile l’inferno, dal quale escono e usciranno per tutta l’eternità fuoco, fumo e zolfo, e divoreranno questi malfattori nei secoli dei secoli. È di questi stessi empi che Davide ha scritto così bene, (Sal. V, 10): « La verità non è nelle loro labbra; il loro cuore è pieno di vanità, la loro bocca è un sepolcro aperto e la loro lingua è piena di inganno. Giudicateli, o Signore, ecc. » – E (Sal. XII, 5): « La loro gola è un sepolcro aperto, hanno usato la loro lingua per ingannare con abilità, il veleno degli aspidi è sotto le loro labbra. La loro bocca è piena di maledizioni e di amarezza; i loro piedi si affrettano a spargere sangue. Angoscia e desolazione sono le loro vie; non hanno conosciuto il sentiero della pace. »

3° Il fuoco, il fumo e lo zolfo delle corazze che i cavalieri portavano sono chiamati piaghe: 1° per significare l’influenza fatale che essi esercitarono in Europa sulla Chiesa latina per permesso di Dio. Perché la misura dei peccati degli uomini era piena, tutta la carne aveva corrotto le sue vie, e tutta l’Europa si era prostituita, lontano da Dio suo Signore, all’orgoglio, all’avarizia, alla lussuria e a tutti i piaceri della carne, e alla felicità della vita presente. Fu come risultato di questa tracimazione che questa eresia partorì e produsse una generazione di uomini che le erano perfettamente affini, e che divennero figli del dolore per la disgrazia del mondo intero.  – 2°. Queste corazze sono chiamate piaghe, perché Dio non può infliggere un castigo maggiore ad un popolo od una nazione che permettendone l’abbandono della vera fede e la caduta nell’eresia. Così Dio, nella sua bontà e misericordia, ha cura di annunciare questi terribili castighi spesso con cento e anche duecento anni di anticipo, per eccitare il popolo alla penitenza, ma se essi perseverano nei loro vizi ed errori, Egli fa finalmente esplodere la sua ira con una completa rovina. Infatti. Secondo l’espressione dell’Apostolo, (Eb. X, 31): « È terribile cadere nelle mani del Dio vivente. » Ed è per questo che il santo Re-profeta ci avverte, (Sal. II, 10): « Ora, o re, aprite i vostri cuori alla comprensione; imparate, voi che giudicate la terra. Servite il Signore con timore e gioite in Lui con tremore. Abbracciate rettamente la disciplina, in modo che il Signore non si irriti, e voi non periate fuori dalla via della giustizia, quando improvvisa si accenderà la sua ira. » Vedere quanto detto, in Lib. I, cap. II.

4º Segue la grande devastazione causata da queste tre piaghe.

Vers. 18. – E con queste tre piaghe, il fuoco, il fumo e lo zolfo che usciva dalle loro bocche, la terza parte degli uomini venne uccisa. Per la terza parte degli uomini si intende qui una parte considerevole del Cristianesimo che abbandonò la vera fede e perì di una morte spirituale, o per il fuoco della gelosia o per il veleno dell’odio contro il sovrano Pontefice e la Chiesa e i suoi ministri, che questi emissari rendevano odiosi, sia per la confusione della loro dottrina e la diversità dei loro errori, sia infine per le attrazioni di una vita voluttuosa e di una libertà di coscienza senza limiti o restrizioni. Così il Profeta indica qui letteralmente che la terza parte degli uomini perse la vita spirituale a causa di questa eresia, nello stesso modo in cui aveva detto sopra, anche alla lettera, che la terza parte degli uomini fu uccisa fisicamente. Ora, questa morte spirituale di una terza parte della Cristianità può essere facilmente dimostrata dal numero di regni, province o città che erano e sono ancora infettati, totalmente o in parte, da abominevole eresia. – Infatti, se confrontiamo la moltitudine di eretici nel mondo con il numero di Cattolici che sono rimasti fedeli, possiamo facilmente comprendere la grandezza del male e la notevole rovina causata da questa eresia, che dobbiamo deplorare con lacrime di sangue.

Vers. 19. – 5º Perché il potere di questi cavalli è nella loro bocca e nella loro coda. Queste parole indicano la causa dei mali che questa eresia continuerà a produrre come conseguenza dei suoi principi, come è già indicato dalla congiunzione “perchè”, che è messa all’inizio. 1° Il potere di questi cavalli è nella loro bocca, che usavano per vomitare calunnie e menzogne contro il Sommo Pontefice, contro i prelati e in generale contro tutta la Chiesa, cercando di renderli odiosi, specialmente ai principi e alla nobiltà, e di persuadere tutti che non era opportuno che gli ecclesiastici possedessero ancora dignità, principati e ricchezze, a causa dell’abuso che essi ne facevano. Con i loro discorsi artificiosi e con l’apparenza di serietà e di ragione che pretendevano di darsi, ingannarono una moltitudine innumerevole di persone di ogni stato e condizione; e fu con tali mezzi che attirarono così tante persone alla loro setta, osando vantarsi di essere ispirati ed inviati da Dio per scuotere il giogo della schiavitù del diavolo. Tale era il loro linguaggio contro la Chiesa Cattolica. Essi aprirono anche la loro bocca per bestemmiare e per predicare che l’uso delle carni ai pasti è permesso ogni giorno, e che non si è più legati a nessun precetto della Chiesa. Inoltre, insegnarono e pubblicarono in tutta Europa che il Papa non doveva essere obbedito, e che il celibato doveva essere abolito, etc. E poiché la loro dottrina, così disastrosa per la Chiesa, era generalmente accettata da re, principi, nobili, città imperiali e da gran parte del popolo, il Profeta ha ragione nel dire che il potere di questi cavalli è nella loro bocca. 2º Dice anche che il loro potere è nelle loro code. Si deve notare che egli indica queste code al plurale, poerchè ce ne sarannno diverse di generi diversi. La prima di queste code è l’ipocrisia e l’adulazione, di cui si servirono, come gli animali usano le loro code per adulare gli uomini; e questi eretici le usarono per coprire la turpitudine e dissipare il fetore della loro dottrina e dei loro vizi. – La seconda coda furono i principi, le città imperiali, le repubbliche e i governi, che essi condussero nell’errore e nella perdizione, persuadendoli che potevano con una coscienza pulita prendere o conservare i beni della Chiesa, le dignità, i principati, le prebende e i vescovadi, ed essi correvano dietro a tali maestri che sapevano così bene come lusingare le loro passioni, come i bambini corrono dietro alle noci. C’è da meravigliarsi, allora, che, sostenuti da tali poteri, questi cavalli, nitrendo e agitando le loro criniere, abbiano osato e osino ancora lanciare la loro schiuma in modo così impudente contro la Chiesa latina? Questa seconda coda serviva loro anche per nascondere la loro turpitudine e dissipare il fetore della loro eresia, in quanto la gente semplice, vedendo i grandi e i dotti, i ricchi e i signori, i principi ed i governanti gradire e proteggere una tal dottrina, non potevano fare altro che perdere la testa. – La terza coda è lo pseudopoliticiamo e l’indifferentismo introdotti recentemente nel mondo da Machiavelli, Bodin ed altri filosofi; così come l’ateismo, che si possono considerare tutti come le ultime conseguenze di tanti principi falsi e contraddittori di questa dottrina, e di conseguenza anche come la coda di questi cavalli, poiché la coda è aderente al corpo come le conseguenze di un principio risultano dal corpo della dottrina: ne sono l’ultima ragione, come la coda è l’ultimo membro dell’animale. Siccome l’ultima soluzione del grande problema della fede cattolica è Dio, così, al contrario, l’ultima conseguenza della dottrina di Lutero è la negazione di Dio. Ed è per questo che tanti principi e governanti, persuasi dalle contraddizioni e dalle infinite variazioni delle sette moderne, e conservando il primo lievito di odio che il protestantesimo ha ispirato in troppi di loro, anche tra i  Cattolici, finirono per non credere in altra verità che la religione e la ragione di Stato; e si accontentarono di conservare le cerimonie esteriori e apparenti per riuscire a meglio contenere il loro popolo nella sottomissione; e dissero nell’empietà nei loro cuori: « Non c’è nessun Dio. »

6° Il Profeta descrive poi la natura e le proprietà di queste code, e usa volutamente la congiunzione perché, per rendere chiara alla Chiesa latina la causa di tanta rovina e desolazione. Perché le loro code assomigliano a serpenti e hanno teste che feriscono. 1°. Le code di questi cavalli sono paragonate a serpenti, a causa delle lusinghe che usano. Infatti, come il serpente sedusse i nostri progenitori con le lusinghe nel Paradiso terrestre, e fece mangiare loro il frutto proibito, così i seguaci di Lutero sedussero e continuano a sedurre il popolo, lusingandoli nei loro desideri, e convincendoli a mangiare le vivande proibite e ad indulgere senza paura nella voluttà e nella licenziosità. Essi a questo scopo si servono di menzogne, tanto lusinghiere quanto speciose, e anche quando è necessario, fanno uso dei testi della Scrittura, di cui distorcono il significato, dicendo, per esempio, (Matth. XV. 11): « Non è Non è ciò che entra nella bocca che contamina l’uomo »; e (I. Cor, VII, 9): « È meglio sposarsi che bruciare. » Inoltre, i serpenti non sono facili da prendere, perché se uno vuole afferrarne uno, corre un grande rischio di essere morso e di ricevere una ferita spesso mortale. Ecco come sono le code, ossia le conseguenze dell’attuale eresia. Perchè, chi è colui che possa vantarsi di aver aver compreso l’astuzia degli eretici? Chi sarà capace di sradicare la falsa filosofia, la falsa politica e l’ateismo che si sono insinuati come un veleno anche nelle membra dei Cattolici stessi? Gloria a lui che potrà far discendere dai loro pulpiti quei dottori delle tenebre che predicano l’errore e la menzogna come vipere che minacciano la morte con il loro orribile sibilo! Felice l’uomo che, con l’aiuto di Dio, potrà impadronirsi e dominare principi, re, repubbliche, città imperiali e tutti i poteri su cui si basa questo errore! La storia ci dice che Ferdinando II, un imperatore tanto pio quanto potente, tentò di farlo, così come Ferdinando III; ma ahimé, il risultato dei loro sforzi fu un’orribile ferita che ricevettero nel tentativo di catturare questi terribili serpenti. 3º La natura del serpente lo obbliga a strisciare sulla terra, e questo è precisamente ciò che fanno quegli eretici, la cui faccia, come quella del serpente, è costantemente inclinata verso le cose terrene, cercando solo onori, ricchezze e piaceri. – 4°. Secondo Genesi III, 1, « Il serpente era il più astuto di tutti gli animali che il Signore Dio aveva posto sulla terra. » Lo stesso vale per la generazione attuale, che è la più astuta di tutte quelle che sono esistite finora. È certo che i protestanti hanno usato la più raffinata astuzia contro la Chiesa. Basta leggere per convincersene, gli atti della cancelleria di Anhalt, così come i decreti dei loro concili, e vi si vedrà tutta l’astuzia che li ha ispirati contro i Cattolici e contro l’Impero Romano; e si capirà che non è sbagliato paragonarli ai serpenti più astuti. 5°. Se Dio, nella sua maledizione, ha stabilito l’inimicizia tra il serpente e la donna, tra la razza dell’uno e dell’altra, (Gen. III), possiamo allora capire quale inimicizia Dio ha permesso che esistesse tra questa nuova razza di serpenti e la Donna per eccellenza, la beata Vergine Maria, Madre del Dio fatto uomo, che sarà benedetta tra tutte le donne. 6°. Si dice che queste code hanno delle teste, per farci capire che i fautori e i seguaci di questa eresia sarebbero re, principi e un gran numero di persone distinte e potenti, che sono davvero come la testa, o i capi dei popoli. Inoltre, non è senza motivo che il profeta designa diverse teste, per significare che i dogmi del protestantesimo, avendo come base solo il principio del libero esame, avrebbero necessariamente seguito una moltitudine di sette diverse, poiché ogni autorità che avrebbe potuto interferire con la falsa libertà di coscienza doveva essere respinta. Non è proprio questo che l’esperienza ha purtroppo fin troppo bene dimostrato, a partire dalle scandalose controversie sulla presenza di Cristo in tutti i luoghi, sulla comunicazione degli idiomi divini, sul numero dei sacramenti, sulla fede dei bambini nell’amministrazione del battesimo, sull’uso e le cerimonie della messa in tedesco, etc. etc. Era sufficiente che un concistoro o un concilio provinciale ammettesse e proclamasse qualche regola su questo argomento, perché altri concili e concistori la rifiutassero e addirittura la deridessero. Non è una prova evidente chiara che nessuno di loro fosse sostenuto dell’assistenza infallibile e della promessa dello Spirito Santo che avrebbe impedito loro di errare e dividersi? Queste teste significano anche la saggezza, l’intelligenza e la prudenza umana con cui questa generazione sorpassa di molti i Cattolici; infatti, secondo San Luca, (XVI, 8): « I figli di questo secolo sono più scaltri dei figli della luce nel condurre i loro affair », non è questo che abbiamo sperimentato soprattutto all’inizio di questa quinta epoca, nel vedere i protestanti superare di gran lunga i Cattolici nell’arte di fingere, di combinare piani occulti e di tendere trappole? Nel talento di acquisire ricchezze ed estendere il commercio, nei negoziati di successo, nel perfezionamento dei sistemi di attacco e di difesa delle fortezze e dei luoghi di guerra, nelle leggi e nei regolamenti civili della polizia esterna, nel lusso di una brillante educazione per la gioventù, etc.? Quando il Profeta ci dice che avranno delle teste, vuole avvertirci dei notevoli danni che questa generazione perversa causerà alla Chiesa e all’Impero Romano; e completa la descrizione di questa eresia dicendo: Le loro code sono come serpenti.… Hanno delle teste con le quali feriscono. Cioè, essi danneggeranno la Chiesa e l’Impero Romano in particolare con questi tre tipi di code di cui abbiamo parlato sopra, e che tutta la potenza ed il vigore di questa eresia, quando starà per finire, consisterà in queste tre code. Così che chiunque riescirà a tagliare queste code metterà fine all’esistenza di questa eresia.  – Che Dio conceda che venga presto questo potente monarca, che rovesci le repubbliche, batta le città imperiali e marittime che non sono altro che nidi di vipere, e soffochi le grida e i sibili di questi predicatori e serpenti, e dopo aver umiliato gli eretici e gli scismatici, metta fine a tutti gli errori! Il Profeta non ha descritto nessuna eresia con tanta forza e chiarezza, e con paragoni così sensati come quella moderna, per far conoscere meglio alla Chiesa latina i mali che ne risulteranno. Portando questo mostro davanti ai nostri occhi, l’Apostolo avverte, anche a noi stessi, di mantenere fedelmente la fede cattolica romana, e di camminare sobriamente, castamente, divinamente e santamente in presenza di questa orribile bestia, affinché il nostro ministero non sia deriso e svilito. Inoltre, il Profeta ci avverte di evitare la lussuria, i piaceri della tavola, l’orgoglio, la fornicazione, l’avidità e l’ostentazione, per non offendere i deboli tra noi. Invece, dobbiamo sforzarci di brillare con la nostra vita e la nostra dottrina come una luce nelle tenebre. Osserviamo la disciplina del Signore, per evitare che la sua ira scoppi e permetta che tutto ciò che ancora possediamo in Europa sia divorato da questa bestia orribile. Leggete ciò che è scritto nel piccolo libro che tratta dei sette animali e di alcuni altri segreti particolari riguardanti la Germania.

§ III.

Riassunto dei mali causati dai Cattolici malvagi a se stessi.

CAPITOLO IX. VERSETTI 20-21.

Et ceteri homines, qui non sunt occisi in his plagis, neque pœnitentiam egerunt de operibus manuum suarum, ut non adorarent dæmonia, et simulacra aurea, et argentea, et ærea, et lapidea, et lignea, quæ neque videre possunt, neque audire, neque ambulare, et non egerunt pœnitentiam ab homicidiis suis, neque a veneficiis suis, neque a fornicatione sua, neque a furtis suis.

[E gli altri uomini che non furono uccisi da queste piaghe, neppure fecero penitenza delle opere delle loro mani, in modo da non adorare i demoni e i simulacri d’oro, e d’argento, e di bronzo, e di pietra, e di legno, i quali non possono né vedere, né udire, né camminare, e non fecero penitenza dei loro omicidii, né dei loro veneficii, né della loro fornicazione, né dei loro furti.]

I. E gli altri uomini che non furono uccisi da queste piaghe non si pentirono delle opere delle loro mani, affinché non adorassero più i demoni, etc. Questo testo contiene un ammirevole riassunto dei notevoli mali che noi Cattolici abbiamo causato alla Chiesa con le nostre opere perverse. Perché pur essendo rimasti nella vera fede, ci siamo quasi alleati con la bestia, per combattere contro la nostra santa Madre Chiesa. E gli altri uomini, cioè i resti dei Cattolici, che non furono uccisi da queste piaghe, che non abbandonarono la vera fede: E gli altri uomini. Questa costruzione non sembra completa a prima vista, perché non c’è nessun verbo e nessun attributo. Ma bisogna sapere che questo verbo e questo attributo esistono comunque, e si trovano in queste parole del testo che precede: E che hanno teste che feriscono. In latino la connessione è fatta meglio, a causa del pronome illis, che è dei tre generi, invece del pronome francese elle, che è femminile. Gli altri uomini sono dunque anche il soggetto del verbo ferire che si trova nel verso che precede, e l’attributo si trova nella parola: di cui o con queste teste; cioè con queste teste di cui gli altri uomini si feriscono. Con questo collegamento di frasi, il profeta ci mostra in modo  ammirevole il legame o almeno l’avvicinamento che univa quasi i resti dei Cattolici ai protestanti.  Di conseguenza, il profeta vuole farci capire che anche noi, cattivi Cattolici, avremmo portato la nostra parte di legna a questo orribile fuoco che doveva incendiare l’Europa. E questi mali di cui saremo colpevoli contro la Chiesa si dividono in due specie: la prima è la cosiddetta saggezza e l’astuzia del serpente che presiedono nei consigli delle potenze del secolo, e le ispirano di opprimere la Chiesa privandola delle sue immunità, e facendo uso di ogni tipo di titolo falso e specioso per invadere il potere spirituale, per gravare di imposizioni le rendite e persino le persone ecclesiastiche, le corporazioni, i seminari, etc.; e per togliere loro diritti, entrate, decime, etc. E se la Chiesa, dal canto suo, li minaccia di scomunica o simili, essi ridono e se ne fanno beffe e continuano nel loro peccato. Non è questo il peggior segno che tutta l’Europa è sull’orlo della rovina e della prevaricazione? Perché quale peggior segno può esserci in un bambino se non quello di deridere la verga con cui sua madre lo minaccia? Ora, è in questo che i cattivi Cattolici sono particolarmente vicini agli eretici, poiché fanno in modo occulto e celato ciò che gli eretici facevano alla luce del sole e con tanto splendore. Oggi stanno portando via ciò che i loro padri hanno fondato con una pia intenzione, ma non si arricchiscono perché continuano ad essere nel bisogno e nelle difficoltà finanziarie, perché la benedizione di Dio non è su di loro. Le parole del Saggio sono rivolte a tutti questi rapitori: (Prov, XI, 24): « Alcuni danno ciò che è loro e sono sempre ricchi; altri rubano i beni degli altri e sono sempre poveri. » Che questi ultimi si persuadano a cessare al più presto questa usurpazione del potere ecclesiastico, queste esazioni, queste imposizioni, questa oppressione del clero. Che comincino a temere la terribile spada della Chiesa, poiché essa attira la maledizione di Dio sulle loro famiglie e sui figli dei loro figli. Ne abbiamo un terribile esempio in Carlo Stuart, re d’Inghilterra, i cui predecessori pretesero essere i capi della Chiesa: egli venne decapitato e perse la sua corona a causa delle maledizioni che Enrico VIII ed Elisabetta avevano attirato su questa sfortunata dinastia. È così che Dio punisce i crimini degli uomini fino alla terza e alla quarta generazione. – Il secondo tipo di male che i Cattolici causarono alla loro Madre Chiesa furono i grandi peccati dei principi, del clero e del popolo, per i quali non fu fatta alcuna penitenza, secondo l’espressione del profeta stesso; infatti egli aggiunge, (verso 21): E non fecero penitenza per i loro omicidi, i loro venefici, le loro impudicizie ed i loro furti. È già per i nostri enormi peccati che Dio ha permesso questa fatale eresia in Germania e in gran parte dell’Europa; ed è perché continuiamo a peccare che Egli permette che duri ancor così a lungo. Perché a quale altra causa possiamo attribuire un così triste risultato degli sforzi dell’imperatore Ferdinando II, per la riforma della fede e la restituzione dei beni della Chiesa, se non ai nostri peccati? Questo principe aveva in mano tutti i mezzi per riuscire; il suo lavoro era iniziato bene, e l’aveva anche persino rafforzato con brillanti vittorie, e tuttavia, a causa dei peccati dei Cattolici, quale fu il risultato di tutto ciò se non un trattato di pace che comprometteva ulteriormente la loro situazione? È a causa dei vizi che continuiamo ad assecondare, e per i quali non siamo disposti a fare penitenza dopo averli riconosciuti e confessati, che Dio, nella sua ira, ha impedito questa riforma della fede e questa restituzione dei beni della Chiesa, che avevamo iniziato in modo insufficiente, poiché non vi abbiamo aggiunto la riforma dei nostri costumi. In questo, il Signore agisce come un padre gravemente offeso dalla condotta indegna di suo figlio, che disereda strappando il testamento che aveva fatto in suo favore, etc. Perché non adorino più i demoni, gli idoli d’oro, d’argento, di bronzo, di pietra e di legno che non vedono, non sentono e non camminano. Queste parole specificano sette enormi peccati che sono la causa per cui Dio non ha pietà dell’Europa e che non risuscita la Chiesa oppressa sotto il giogo degli eretici. Il primo peccato è l’idolatria occulta dei superstiziosi, di cui l’Europa, e specialmente la Germania, abbondava prima dell’ultima guerra, e che già cominciano a riapparire. Coloro che indulgono in queste superstizioni mantengono un commercio segreto con i demoni che adorano in questi abomini, come un tempo i gentili li adoravano  negli idoli; ed è così che dimenticano Dio, il loro Creatore. Ora questo è un grande peccato, che il testo esprime con queste parole: Perché non adorino più i demoni. Il secondo peccato è l’avarizia, che è abominevole davanti al Signore. Il Profeta lo descrive metaforicamente come idolatria, dicendo: Idoli d’oro, d’argento, di bronzo, di pietra e di legno. Come i pagani facevano la maggior parte dei loro idoli d’oro, d’argento, di bronzo, etc., così gli uomini di questo tempo non danno valore e amore ad altro se non a questi oggetti vani, e ne fanno gli idoli dei loro cuori avidi. Le ragioni per cui il profeta chiama l’avidità idolatria sono le seguenti: 1. Perché è caratteristico dei profeti designare questo tipo di cose con enigmi e metafore. 2. L’Apostolo San Paolo pure chiama l’avarizia idolatria, perché l’una è un crimine grande quanto l’altro. (Ephes. V, 5): « Sappiate che nessun fornicatore, nessun avaro, il cui vizio è l’idolatria, sarà erede del regno di Gesù Cristo. » 3. Proprio come l’idolatria fa apostatare, così coloro che vogliono diventare ricchi, secondo San Paolo, cadono nelle insidie del diavolo. (1 Tim. II, 9): « Coloro che vogliono diventare ricchi cadono nella tentazione e nella trappola di satana e in molti desideri inutili e perniciosi, che gettano gli uomini nell’abisso della perdizione e della dannazione. Perché il desiderio di ricchezza è la radice di ogni male. E alcuni di quelli che ne sono posseduti si sono allontanati dalla fede. »  – Ora, non è questo che abbiamo visto in Europa, e specialmente in Germania, a causa della loro cupidigia per i beni della Chiesa? Gli avari sono idolatri che adorano il denaro come degli idoli, mettendo tutta la loro fiducia nella ricchezza e commettendo fornicazione con essa dimenticando Dio ed ignorando le leggi divine ed umane.

5° Siccome niente è di più vano, più vile e più imperfetto degli idoli; il più piccolo moscerino dovrebbe essere molto più stimato, sembra, dell’oro, dell’argento, del legno, del bronzo, e della pietra, per i quali, tuttavia, gli uomini abbandonano Dio loro Creatore e l’Essere per eccellenza. Il profeta esprime così il suo stupore di fronte a questa follia con queste parole: Gli idoli d’oro, d’argento, ecc. che non possono vedere, sentire o camminare. – Il terzo peccato è l’invidia, l’odio, l’ira; sono la collera, le risse, i processi ingiusti, il desiderio di dominare e la cupidigia; così come anche le guerre ingiuste, da cui risultano innumerevoli omicidi. L’Europa in generale non abbonda forse di omicidi di questo tipo? Quante guerre ingiuste, tra le quali citeremo solo quella di Mantova, quella della Francia contro l’Impero Romano a sostegno dei protestanti, quando Ferdinando II voleva introdurre la riforma della fede e restaurare i beni della Chiesa; e infine, la guerra contro il re di Spagna non fu intrapresa per una profonda gelosia? Si vuole essere Cattolici, ma non si vuole vivere da Cattolici. – Si appoggeranno persino, se necessario, i nemici della fede con armi, i cattivi consigli e il denaro, senza alcun motivo se non l’interesse a legittimare tali alleanze. Quante altre guerre ingiuste sono state intraprese! Di quanti omicidi ci siamo resi colpevoli in tante rivoluzioni!!! O peccatori che siamo, quando finalmente riconosceremo i nostri crimini? Ecco perché il profeta aggiunge: E non fecero penitenza per i loro omicidi. – Il quarto peccato è l’omicidio particolare. Quanti omicidi non dobbiamo deplorare? Quante donne incinte distruggono i loro frutti? Quante madri, o orrore della natura! Che sono così crudeli da versare il proprio sangue, il sangue dell’innocente? Quanti venefici nascosti o conosciuti nella società e nelle famiglie! Questo è ciò che il testo indica espressamente: non hanno fatto penitenza …. per i loro venefici. – Il quinto peccato è quello della carne, espresso in queste parole: E non si pentirono….. delle loro impudicizie. Qui il profeta indica la specie per il genere; ma la sua parola contiene tutti i peccati di lussuria in generale di cui il mondo è così lordato, che possiamo ben applicare ad esso queste parole che la Scrittura rivolge agli uomini che vissero prima del diluvio: « Tutta la carne aveva corrotto le sue vie. » Ah, qui non servono parole ma lacrime! – Il sesto peccato è l’ingiustizia che regna ovunque, e che il profeta indica con queste parole: E non si pentirono… dei loro peccati. Anche qui si cita la specie per il tipo, come ne abbiamo molti esempi nei Profeti. Per piccoli latrocini intende quindi l’ingiustizia in generale, in cui sono inclusi tutti i tipi di furto, di qualsiasi natura. Ora, chi non si lamenta di un’ingiustizia fattagli in questo modo, o almeno chi non ne è stato mai minacciato? Ma sono molti coloro che rubano la proprietà di altri e che finalmente riconoscono i loro torti e che riparano alle loro ingiustizie? Non cercano, al contrario, di aumentare la loro fortuna con ogni mezzo, giusto o ingiusto – per essi non fa differenza – ispirati come sono dalla loro insaziabile avarizia? – Il settimo peccato di quest’epoca, che deve essere considerato come il complemento della nostra perdizione, è l’impenitenza finale espressa così chiaramente dal profeta: E il resto degli uomini ….. non si pentì delle opere delle proprie mani. E più in basso: Non fecero penitenza per i loro omicidi, etc. Tale è l’ultima sentenza riportata da San Giovanni, l’arcicancelliere dei temuti consigli di Dio!!! O sacerdoti e laici di tutta l’Europa e soprattutto della Germania, apriamo finalmente gli occhi per vedere il terribile pericolo che ci minaccia! Dio ha gettato uno sguardo di collera sulla Chiesa sua figlia; e dopo più di cento anni ci hanno afflitto e travolto la guerra, la carestia, i dissensi, le eresie, gli scismi, rivoluzioni e malattie di ogni tipo! E non facciamo penitenza per tutto questo, perseveriamo nella ricerca criminale dei piaceri della carne; noi siamo ancora ansimanti per la sete di beni deperibili e gonfi per l’orgoglio della vita. Gli occhi delle nostre anime sono oscurati dalle nostre passioni, e non possiamo vedere l’abisso in cui stiamo precipitando. Ah, svegliamoci finalmente dal nostro sonno di morte! Per amore di Gesù Cristo che ci ha amati fino al sacrificio sul Calvario; per amore delle nostre anime e per l’amore di coloro che verranno dopo di noi, facciamo tutti insieme uno sforzo di salvezza, affinché il Signore non ci lasci cadere alla fine nelle profondità dell’abisso sul quale siamo sospesi, affinché l’orribile bestia non divori questa bella Europa, e che non ci sia più nessuno che possa salvarci. Così sia.

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (XV)

LA SUMMA PER TUTTI (7)

LA SUMMA PER TUTTI (7)

R. P. TOMMASO PÈGUES

LA SOMMA TEOLOGICA DI S. TOMMASO DI AQUINO IN FORMA DI CATECHISMO PER TUTTI I FEDELI

PARTE SECONDA

L’UOMO VENUTO DA DIO E DESTINATO A RITORNARE A DIO

SEZIONE PRIMA

Idea generale del ritorno dell’uomo a Dio

Capo VIII.

Delle virtù che possono e debbono essere nell’uomo il principio dei suoi atti buoni.

493. Che cosa intendete per acquisto della virtù?

Intendo il conseguimento, ossia il perfezionamento di tutte le buone abitudini che portano l’uomo a bene agire (XLIX-LXVIII).

494. Che cosa sono queste buone abitudini che portano l’uomo a bene agire?

Sono disposizioni o inclinazioni che si trovano nelle sue diverse facoltà, e che delle sue facoltà rendono buoni gli atti (LV, 1-4).

495. Donde provengono nelle diverse facoltà dell’uomo queste disposizioni e inclinazioni che lo portano a bene agire?

Talvolta provengono parzialmente dalla natura stessa; qualche volta dal soggetto che agisce secondo il modo della virtù; qualche volta ancora direttamente da Dio, che le produce nell’anima con la sua azione soprannaturale (LXII, 1-4).

496. Nell’intelletto dell’uomo vi sono di queste disposizioni o buone abitudini, e di queste virtù?

Sì: nell’intelletto dell’uomo vi sono di queste disposizioni o buone abitudini, è di queste virtù (LVI, 3).

497. Quale effetto producono queste virtù nell’intelletto dell’uomo?

Esse lo inducono a non decidersi che per la verità (LVI, 3).

498. Quali sono queste virtù nell’intelletto dell’uomo?

Sono la « intelligenza », la « scienza », la sapienza », « l’arte » e la « prudenza » LVII, 1-6).

499. Qual è l’oggetto di ciascuna di questo virtù nell’intelletto, ossia nella ragione dell’uomo?

La prima dà la cognizione dei principi; la seconda la cognizione delle conclusioni; la terza la cognizione delle più alte cause; la quarta la direzione per la esecuzione delle opere esterne; la quinta la direzione di tutta la vita morale (LVII, 1-6).

500. Dunque la prudenza è la più importante nella pratica della vita morale?

Sì; la prudenza è la più importante nella pratica della vita morale (LVII, 5).

501. Non vi sono che queste specie di virtù nell’intelletto dell’uomo?

Vi è ancora un’altra virtù nell’intelletto dell’uomo, ed è di un ordine del tutto superiore (LXII, 1-4).

502. Qual è quest’altra virtù nell’intelletto dell’uomo, di un ordine del tutto superiore?

È la virtù della «fede» (Ibid.).

503. Vi sono anche virtù dello stesso ordine nella volontà?

Sì; vi sono anche virtù dello stesso ordine nella volontà (Ibid.).

504. Quali sono queste virtù dello stesso ordine nella volontà?

Sono la «speranza» e la « carità » (Ibid.).

505. Le virtù della fede, della speranza della carità hanno un nome speciale?

Sì: si chiamano « virtù teologali » (Ibid.).

506. Che cosa si intende con queste parole: « virtù teologali? ».

Con queste parole si intende significare che le virtù della fede, della speranza e della

carità si occupano di Dio stesso, e che in Dio hanno anche la loro unica origine (LX, 1).

507. Vi è ancora qualche altra virtù nella volontà?

Sì; nella volontà vi è ancora la virtù della «giustizia» e le altre virtù che ne dipendono (LVI, 6; LIX, 4; LX, 2, 3).

508. Vi sono altre facoltà nell’uomo in cui si trovino delle virtù?

Sì; vi sono le facoltà affettive sensibili (LVI, 4; LX, 4).

509. Quali sono le virtù che si trovano nelle facoltà affettive sensibili?

Sono le virtù della « fortezza » e della « temperanza», con le altre che ne dipendono.

510. Come si chiamano le virtù della giustizia, della fortezza e della temperanza, ed anche della prudenza?

Si chiamano « virtù morali » (LVIII, 1).

5I1. Non si chiamano anche virtù « cardinali »?

Sì; si chiamano anche « virtù cardinali » (LXI, 1-4),

512. Che cosa si intende significare con queste parole: « virtù cardinali »?

Con ciò si vuol dire che sono virtù particolarmente importanti, quasi i cardini — in latino «cardo-cardinis» — su cui si aggirano tutte le altre virtù, fuorché le virtù teologali (Ibid).

513. Le virtù di ordine naturale, ossia acquisite, intellettuali e morali, devono avere nell’uomo delle virtù corrispondenti di ordine soprannaturale, infuse da Dio allo scopo di perfezionare l’uomo in ogni atto della sua vita morale?

Sì; perché queste sole virtù infuse sono proporzionate agli atti che impone all’uomo, nella sua vita morale soprannaturale, il fine soprannaturale che gli danno a conseguire le virtù teologali (LXII, 3, 4).

514. Tutte queste virtù, teologali e cardinali, sono necessarie perché l’uomo viva bene?

Sì; tutte queste virtù sono necessarie perché l’uomo viva bene (LXV, 1-5).

515. E se l’uomo mancasse di una qualunque di tali virtù non potrebbe dirsi virtuoso?

No; perché se l’uomo manca di una qualunque di tali virtù, ciò che gli può restare delle altre virtù non ha mai in lui il carattere e la ragione di virtù perfetta (LXV, 4).

Capo IX.

Dei doni che coronano e completano le virtù.

516. Basta all’uomo, perché la sua vita sia ciò che deve essere in ordine all’acquisto del cielo, che possegga tutte le virtù di cui si è parlato?

No; bisogna che abbia ancora i doni dello Spirito Santo (LXVIII, 2).

517. Che cosa intendete per i doni dello Spirito Santo?

Intendo certe disposizioni abituali che sono nell’uomo per opera dello Spirito Santo, e che rendono l’uomo obbediente e docile a tutte le ispirazioni ed a tutti i moti interni dello Spirito Santo stesso, che lo stimola in vista del possedimento di Dio in cielo (LXVIII, 1,2,3).

518. Perché si richiedono i doni dello Spirito Santo, oltre le virtù precedentemente accennate?

Perché l’uomo, essendo chiamato a vivere da figlio di Dio, non può arrivare alla perfezione di questa vita, se Dio stesso con la sua propria azione, alla quale i doni dispongono, non viene a terminare ciò che l’azione dell’uomo, col mettere in opera le virtù, non può che abbozzare (LXVIII, 2).

519. Quanti sono i doni dello Spirito Santo?

I doni dello Spirito Santo sono sette (LXVII, 4).

520. Quali sono questi sette doni?

Sono la « sapienza », l’« intelletto », la « scienza ». il « consiglio », la « pietà », la « fortezza » ed il « timor di Dio » (LXVIII, 4).

Capo X.

Delle beatitudini e dei frutti dello Spirito Santo, come risultato delle virtù e dei doni.

521. Quando l’uomo è così rivestito delle virtù e dei doni, ha tutto quello che occorre,

in quanto è da lui, per vivere una vita perfetta, in ordine all’acquisto del cielo?

Sì; quando l’uomo è così rivestito dei doni e delle virtù ha tutto ciò che occorre, in quanto è da lui, per vivere una vita perfetta in ordine all’acquisto del cielo.

522. Si può dire anche che egli possegga già in qualche maniera questa vita del cielo cominciata sulla terra?

Sì; si può dire anche che egli in qualche maniera possegga già questa vita di cielo cominciata sulla terra; ed in questo senso appunto si parla su questa terra di beatitudini e di frutti dello Spirito Santo (LXIX, LXX).

523. Che cosa si intende per beatitudini?

Per beatitudini si intendono gli atti delle virtù e dei doni enumerati da Nostro Signore Gesù – Cristo nel Vangelo, i quali per la loro presenza nell’anima o per i meriti che vi hanno lasciato, formano per noi come il pegno della futura beatitudine promessa a ciascuno di essi (LXIX, 1).

524. E che cosa si intende per frutti dello Spirito Santo?

Per frutti dello Spirito Santo si intendono certi atti buoni, di natura tale da procurare piacere all’uomo virtuoso, quando agisce nell’ordine soprannaturale sotto la influenza dello Spirito Santo (LXX, 1).

525. Si distinguono i frutti dalle beatitudini?

Se essi sono tutto quello che per l’uomo esiste di più perfetto in senso assoluto, si confondono col frutto per eccellenza che è la beatitudine del cielo. Possono anche identificarsi con le beatitudini della terra; ma sene distinguono nel senso che la sola ragione dibontà basta loro, senza richiedere la ragionedi perfezione e di eccellenza, essenziale allebeatitudini (LXX, 2).

526. Quali sono le beatitudini e le loro ricompense?

Sono queste: Beati è poveri di spirito, perché di loro è il Regno dei Cieli. Beati i miti, perché essi possederanno la terra. Beati coloro che piangono, perché saranno consolati. Beati coloro che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati, Beati i misericordiosi, perché otterranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché essi vedranno Dio. Beati i pacifici, perché saranno chiamati figliuoli di Dio (LXIX, 2-4).

527. Quali sono i frutti dello Spirito Santo?

I frutti dello Spirito Santo sono: la «carità », la « gioia», la « pace », la « pazienza», la « benignità », la « bontà », la « generosità », la « mansuetudine », la « fedeltà », la « modestia », la «continenza » e la «castità» (LXX, 3).

528. Dove si trovano enumerati questi frutti dello Spirito Santo?

Si trovano enumerati nella Epistola di S. Paolo ai Galati, al cap. V, vers. 22 e 23.

529. E le beatitudini dove si trovano enumerate?

Le beatitudini si trovano enumerate in S. Matteo al cap. V, vers. 3-10; ed in modo meno completo in S. Luca al cap. VI, vers. 20-22.

530. Non vi è una ottava beatitudine in S. Matteo, riportata anche in S. Luca?

Sì; è la beatitudine di coloro che soffrono persecuzione per la giustizia; ma essa si riporta alle prime sette e ne è come il riassunto e la conseguenza (LXIX, 3 ad 5).

531. Non vi può essere dunque niente di meglio per l’uomo su questa terra, che di vivere la vita delle virtù e dei doni che si manifesta nelle beatitudini e nei frutti dello Spirito Santo?

No; non vi può essere niente di meglio per l’uomo su questa terra, che di vivere la vita della virtù e dei doni, che si manifesta nelle beatitudini e nei frutti dello Spirito Santo.

Capo XI

Dei vizi che possono essere nell’uomo principio dei suoi atti cattivi.

532. Vi è un’altra vita che l’uomo possa vivere sulla terra, opposta alla vita delle virtù e dei doni che si manifesta nelle beatitudini e nei frutti dello Spirito Santo?

Sì; è la vita del peccato o del vizio (LXXI-LXXXIX).

533. Che cosa intendete per vizio?

Per vizio intendo lo stato dell’uomo che vive nel peccato (LXXI, 1-6).

534. Che cosa è il peccato?

Il peccato è un atto o una omissione volontaria che è cosa cattiva (LXXI, 5-6).

535. Un atto o un’omissione volontaria, quando è cosa cattiva?

Quando tale atto o tale omissione è contraria al bene di Dio, al bene del prossimo o al bene dell’uomo stesso (LXXII, 4).

536. Come avviene che l’uomo possa volere qualche cosa di contrario al bene di Dio, al bene del prossimo o al suo proprio bene?

Perché può volere qualche altro bene che si oppone al bene di Dio, al bene del prossimo o al suo proprio bene (LXXI, 2; LXXVII, 4).

537. Qual è quest’altro bene che l’uomo può volere, e che si oppone al bene di Dio, al bene del prossimo o al suo proprio bene?

È il bene che lusinga i suoi sensi, la sua ambizione ed il suo orgoglio (LXXII, 2,8; LXXVII, 5).

538. E donde deriva che l’uomo possa volere il bene che lusinga i suoi sensi, o la sua ambizione o il suo orgoglio, in opposizione al bene di Dio, del prossimo ed al suo proprio bene?

Ciò deriva da questo, che i suoi sensi possono rivolgersi verso quello che loro piace, prevenendo o trascinando la ragione e la volontà, che non vi si oppongono quando potrebbero e dovrebbero opporvisi (LXXI,2 ad 3).

539. Dunque il principio, ed in qualche maniera la ragione, di tutti i peccati si trova per l’uomo nella ricerca illecita dei beni sensibili e temporali?

Sì; nella ricerca illecita dei beni sensibili e temporali si trova per l’uomo il principio, ed in qualche maniera la ragione, di tutti i suoi peccati.

540. Come si chiama questa tendenza a cercare in modo illecito i beni sensibili e temporali, che si trova nell’uomo?

Si chiama concupiscenza o cupidigia (LXXVII, 1-5).

Capo XII.

Del peccato originale e delle sue conseguenze, ossia delle ferite della natura umana.

541. Esisteva nell’uomo questa concupiscenza nel primo stato in cui fu creato da Dio?

No; nel primo stato in cui fu creato da Dio non esisteva nell’uomo questa concupiscenza.

542. Perché, dunque, ora si trova nell’uomo?

Si trova ora, nell’uomo perché l’uomo si trova in istato di peccato (LXXXI-LXXXIII).

543. Che cosa intendete per istato di peccato nell’uomo?

Intendo lo stato susseguente al primo peccato del primo uomo, effetto di questo primo peccato (LXXXI, 1; LXXXII, 1).

544. Perché questo stato susseguente al primo peccato del primo uomo, effetto di questo primo peccato, si trova ora in ciascuno di noi?

Tale stato si trova ora in ciascuno di noi perché abbiamo ricevuto la nostra natura dal primo uomo (LXXXI, 1).

545. Se il primo uomo non avesse peccato, avremmo da lui ricevuto la natura in un altro stato?

Sì; se il primo uomo non avesse peccato noi avremmo ricevuto da lui la natura in istato di integrità e di giustizia originale (LXXXI, 2).

546. Lo stato in cui riceviamo attualmente dal primo uomo la nostra natura è uno stato di colpa?

Sì; lo stato in cui attualmente riceviamo dal primo uomo la nostra natura è uno stato di colpa (LXXXI, 1; LXXXII, 1).

547. Perché la natura che attualmente riceviamo dal primo uomo è in istato di colpa?

Perché noi la riceviamo da lui tale quale è in ragione e come conseguenza del suo peccato (LXXXI, 1).

548. E come si chiama questo stato di colpa della natura che riceviamo dal primo uomo, come conseguenza del suo peccato?

Si chiama peccato originale (Ibid.).

549. Dunque il peccato originale si trasmette a ciascuno di noi per il fatto stesso che riceviamo da Adamo peccatore la nostra natura in tale stato?

Sì; per il fatto stesso che noi riceviamo da Adamo peccatore la nostra natura in tale stato, si trasmette a ciascuno di noi il peccato originale (Ibid.).

550. Che cosa porta seco questo stato di peccato che infetta la natura umana in ciascuno di noi, e che si chiama peccato originale?

Porta seco la privazione di tutti i doni soprannaturali o gratuiti che Dio aveva posto nella nostra natura, nella persona del primo uomo nostro padre comune (LXXXII, 1).

551. Quali erano questi doni soprannaturali o gratuiti, la privazione dei quali costituisce in noi lo stato di peccato che è il peccato originale?

Questi doni soprannaturali o gratuiti erano anzitutto la grazia santificante con le virtù soprannaturali infuse, ed i doni dello Spirito Santo; e quindi il privilegio della integrità annesso a tali doni soprannaturali.

552. Che cosa portava seco il privilegio della integrità accordato alla nostra natura?

Portava la perfetta subordinazione dei sensi alla ragione, e del corpo all’anima.

553. Che cosa risultava da questa perfetta subordinazione dei sensi alla ragione e del corpo all’anima?

Ne risultava che l’uomo non poteva avere nella parte affettiva sensibile alcun movimento disordinato; ed oltre a questo, il suo corpo era impassibile ed immortale.

554. La morte e le altre miserie corporali sono dunque l’effetto proprio del peccato?

Sì; la morte e le altre miserie corporali sono l’effetto proprio del peccato (LXXXV, 5

550. Come si chiamano le conseguenze del peccato, da parte dell’anima?

Si chiamano ferite dell’anima.

556. Potreste dirmi quali sono queste ferite dell’anima?

Sono la ignoranza, la malizia, la infermità e la concupiscenza (LXXXV, 3).

557. Che cosa intendete per ignoranza?

Intendo quello stato della intelligenza o della ragione, per il quale questa si trova privata della disposizione connaturale che aveva verso il vero nello stato di integrità (LXXXV, art. 3).

558. Che cosa intendete per malizia?

Intendo quello stato della volontà, per il quale questa si trova privata della disposizione connaturale che aveva verso il bene nello stato di integrità (LXXXV, 3).

559. Che cosa intendete per infermità?

Intendo quello stato della parte affettiva sensibile, per il quale questa si trova privata della disposizione connaturale verso tutto ciò che è arduo e difficile che aveva nello stato di integrità (LXXXV, 3).

360. Che cosa intendete per concupiscenza?

Intendo quello stato della parte affettiva sensibile, per il quale questa si trova privata della disposizione connaturale verso il piacere sensibile moderato dalla ragione, che aveva nello stato di integrità (LXXXV, 8).

561. Queste quattro ferite della natura sono propriamente l’effetto del primo peccato del primo uomo?

Sì; queste quattro ferite della natura sono propriamente l’effetto del primo peccato del primo uomo (LXXXV, 8).

562. Vengono esse aggravate dai peccati personali dei genitori e degli individui?

Sì; esse vengono aggravate dai peccati personali dei genitori e degli individui (LXXXV, art. 1,2).

563. Vi sono dei peccati personali aventi una influenza particolarmente malvagia, per indurre l’uomo a commettere altri peccati?

Sì; vi sono i peccati « capitali ».

564. Quali sono i peccati capitali?

Sono la «superbia», l’« avarizia » la « gola », la « lussuria », l’« accidia », l’« invidia », l’« ira ».

565. Malgrado tutte queste cause di peccato che sono nell’uomo, provenienti sia dal primo peccato del primo nomo sia dagli altri peccati commessi dai diversi uomini, dobbiamo dire che l’uomo resta libero nei suoi atti morali e non è mai necessitato a peccare?

Sì; malgrado tutte le cause di peccato che sono nell’uomo, provenienti sia dal primo peccato del primo uomo sia dagli altri peccati commessi dai diversi uomini, dobbiamo dire che l’uomo resta libero nei suoi atti morali e non è mai necessitato a peccare.

566. Che cosa ci vorrebbe perché l’uomo cessasse di essere libero nei suoi atti, per causa di tutte queste conseguenze del peccato?

Bisognerebbe che esse avessero per effetto di fargli perdere la ragione (LXXVII, 7).

567. A meno, dunque, che l’uomo non perda la ragione, resta esso sempre libero nei suoi atti, in modo che dipenda da lui di non peccare?

Sì; a meno che l’uomo non perda la ragione esso resta sempre libero nei suoi atti, dimodoché dipende da lui di non peccare.

568. Questa libertà può essere però meno piena e meno perfetta, a causa delle conseguenze del peccato, dimodoché l’uomo, anche quando pecca, sia meno colpevole?

Sì; la libertà dell’uomo è meno piena e meno perfetta per causa delle conseguenze del peccato; dimodoché l’uomo, anche quando pecca, è meno colpevole; purché le sue colpe personali non abbiano parte esse stesse in questa diminuzione della sua perfetta libertà (LXXVII, 6).

Capo XIII.

Della diversa gravità dei peccati e della pena loro dovuta.

569. Non sono dunque tutti ugualmente gravi i peccati quando l’uomo li commette?

No; non sono tutti ugualmente gravi i peccati quando l’uomo li commette.

570. Donde si rileva la maggiore o minore gravità dei peccati dell’uomo, quando questi li commette?

La maggiore o minore gravità dei peccati dell’uomo si rileva dal grado che occupa, nella scala dei beni voluti dalla ragione, quello cui il peccato attenta; e dalla più o meno larga partecipazione di atto volontario libero che si trova in tale peccato (LXXIII, 1-8).

571. Ogni peccato di per sé merita di essere punito?

Sì; ogni peccato di per sé merita di essere punito (LXXXVII, 1).

572. Perché ogni peccato di per sé merita di essere punito?

Perché ogni peccato di per sé è come una usurpazione della libera volontà sopra un dominio che non è di suo diritto; e la pena è come la restituzione fatta dalla volontà, di ciò che contro il proprio diritto aveva usurpato (LXXXVII, 1).

573. La pena del peccato è dunque questione di rigorosa giustizia?

Sì; la pena del peccato è questione di rigorosa giustizia.

574. E chi è che infligge la pena dovuta al peccato?

Una delle tre ragioni che possono intervenire nell’ordine leso dal peccato (LXXXVII, 1).

575. Quali sono queste tre ragioni che possono intervenire nell’ordine leso dal peccato?

La ragione divina sempre; la ragione della autorità umana per le cose che da essa dipendono, e la ragione del peccatore stesso, secondo il grado di responsabilità avuto nel peccato (LXXXVII, 1).

576. Come può intervenire questa ragione del peccatore stesso nella pena inflitta per il peccato?

La ragione del peccatore nella pena inflitta per il peccato può intervenire in due maniere: con i rimorsi e con la penitenza volontaria (LXXXVII, 1).

577. Come interviene la ragione della autorità umana nella pena che può o deve essere inflitta per il peccato?

La ragione della autorità umana nella pena che può o deve essere inflitta per il peccato, interviene a modo di castigo (LXXXVII, 1).

578. E come interviene la ragione divina nella pena che può o deve essere inflitta per il peccato?

La ragione divina interviene in due maniere nella pena che può o deve essere inflitta per il peccato; mediatamente ed immediatamente (LXXXVII, 1).

579. Che cosa intendete col dire che la ragione divina interviene mediatamente ‘nella pena che può o deve essere inflitta per il peccato?

Intendo che essa interviene per la mediazione stessa della ragione del peccatore, e della ragione della autorità umana (LXXXVII, 1).

580. Perché dite che la ragione divina interviene nella pena che può o deve: essere inflitta per il peccato, per la mediazione della ragione del peccatore stesso e della ragione della autorità umana?

Perché la ragione del peccatore e la ragione della autorità umana agiscono in dipendenza dalla ragione divina, e sono in qualche maniera i suoi strumenti (LXXXVII, 1).

581. Non vi è ancora un altro modo con cui la ragione divina può intervenire quasi mediatamente nella pena che può o deve essere inflitta per il peccato?

Sì; ed è per la mediazione delle stesse creature, ossia dell’ordine delle cose che il peccatore guasta col suo peccato (LXXXVII, 1).

582. Si può parlare in questo senso di una certa giustizia immanente?

Sì; in questo senso si può parlare di una certa giustizia immanente, per la quale le cose stesse che sono strumenti della giustizia divina, vendicano con le contrarietà che il peccatore vi incontra e che sono la conseguenza del suo peccato, il peccato da lui commesso (LXXXVII, 1),

583. Che cosa intendete col dire che la ragione divina interviene immediatamente nella pena che può o deve essere inflitta per il peccato?

Intendo l’intervento speciale e di ordine soprannaturale, con cui Dio stesso vendica le infrazioni fatte dal peccatore all’ordine soprannaturale da Lui stabilito (LXXXVII, 3-5).

584. Che cosa porta seco di particolarmente speciale l’intervento di ordine soprannaturale con cui Dio vendica da Se stesso le infrazioni fatte dal peccatore all’ordine soprannaturale da Lui stabilito?

Esso porta seco, riguardo a certi peccati, delle pene che saranno eterne (LXXXVII, art. 3, 5).

Capo XIV.

Dei peccati mortali e dei peccati veniali.

585. Quali sono i peccati ai quali Dio infligge pene eterne?

Sono i peccati mortali (LXXXVII, 3).

586. Che cosa intendete per peccati mortali?

Intendo i peccati che cagionano la morte dell’anima, facendole perdere la carità, principio della sua vita soprannaturale (LXXXVIII, 1).

587. Perché a questi peccati Dio infligge pene eterne?

Perché questi peccati, facendo perdere la vita dell’anima che Dio solo può dare, non permettono più al peccatore di riparare il suo peccato; e rimanendo sempre il peccato bisogna che anche la pena ne rimanga (ibid.).

588. Tutti i peccati che l’uomo commette sono peccati mortali?

No; non tutti i peccati che l’uomo commette sono peecati mortali (LXXXVIII, 1, 2).

589. Come si chiamano i peccati che non sono mortali?

Si chiamano peccati veniali (Ibid.).

590. Che cosa significa questa espressione: peccati «veniali »?

Significa certi peccati meno gravi che non tolgono il principio della vita soprannaturale

che è la carità ossia la grazia, e che per conseguenza possono essere riparati da un atto contrario del peccatore stesso, sotto l’azione ordinaria della grazia; ed a questo titolo la loro pena è sempre temporale: per questo si chiamano «veniali », ossia facilmente «perdonabili », dalla parola latina «venia» che significa «perdono» (LXXXVII, 1).

591. Se però i peccati veniali fossero commessi da un uomo in peccato mortale e questi morisse in tale stato, i suoi peccati veniali sarebbero puniti con una pena eterna?

Sì; per causa del suo stato, e perché non avendo la carità non avrebbe potuto riparare i suoi peccati, che dopo la morte rimangono eternamente irreparabili.

592. Donde viene che vi sono peccati mortali e veniali?

Ciò deriva dalla natura del disordine costituito da questi diversi peccati; oppure anche dalla maggiore o minore libertà da parte del soggetto che pecca (LXXXVIII, 2).

593. Che cosa intendete quando dite che ciò deriva dalla natura del disordine costituito da questi diversi peccati?

Intendo dire che vi sono dei peccati che di per se stessi si oppongono all’amore soprannaturale di Dio, principio della vita dell’anima, o sono incompatibili con questo amore; mentre altri non costituiscono che un leggero disordine accidentale, compatibile con l’amore soprannaturale di Dio esistente abitualmente nell’anima (Ibid.).

594. Quali sono i peccati che di per se stessi si oppongono direttamente all’amore soprannaturale di Dio, principio della vita dell’anima, o incompatibili con questo amore?

Sono i peccati che portano al rifiuto dell’amore soprannaturale di Dio, oppure implicano un male ed un disordine che turba essenzialmente l’ordine dell’uomo rispetto a Dio, o l’ordine degli uomini tra loro, o l’ordine dell’uomo in se stesso,

595. Potreste accennarmi qualcuno di questi peccati?

Sì; tali sono il disprezzo dell’amore soprannaturale divino; il peccato contro l’onore di Dio; i peccati di furto, di omicidio, di adulterio ed i peccati contro natura.

596. Per conoscere questi diversi peccati e la loro gravità, qual è il mezzo più sicuro e completo?

È quello di considerarli nel loro rapporto con ciascuna virtù, presa nei particolari della sua specie.

597. Avrete occasione di mostrare questo rapporto dei vizi e dei peccati con ciascuna virtù, considerata nei particolari della sua specie?

Sì; lo faremo quando avremo terminato di vedere in generale ciò che si richiede perché l’uomo possa vivere la vita delle virtù, e schivare la vita opposta dei peccati e dei vizi,

598. Che cosa resta ancora da considerare, prima di aver terminato di vedere in generale ciò che si richiede perché l’uomo possa vivere la vita delle virtù e schivare quella opposta dei vizi e dei peccati?

Restano da considerarsi gli aiuti esteriori necessari all’uomo per questo fine,

599. Quali sono gli aiuti esteriori necessari all’uomo per questo fine?

Sono la legge che lo diriga, e la grazia che lo assista nel suo cammino (XC-CXIV).

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO – S. S. PIO IX “OMNEM SOLLICITUDINEM”

«… a nessuno è lecito, senza aver consultato questa Sede Apostolica, introdurre nella liturgia innovazioni sia pure di poco peso… » È questo il punto centrale della questione qui affrontata riguardante i riti che uomini di animo empio volevano introdurre tra i ruteni di Polonia. Le variazioni liturgiche pur minime devono essere approvate dalla Sede Apostolica e non lasciate all’arbitrio di chi potrebbe introdurre pratiche eretiche o scismatiche. Certo c’è da impallidire davanti alle “barzellette” pseudoliturgiche oggi introdotte nei falsi riti della antichiesa cattolica, la “sinagoga di satana” che ha invaso il Vaticano e gran parte dell’orbe cattolico, trascinando nell’eterna perdizione un’infinità di anime colpevolmente ignare, ed addirittura contente delle novità “moderniste” che costituiscono ipso facto sacrilegio ed anatema gravissimo. Ma gli ignoranti nella fede cattolica non si salvano in alcun modo, perché non hanno possibilità di immergersi nella corrente della grazia divina, nella linfa salvifica che da Cristo fluisce ai fedeli che aderiscono al suo Corpo mistico. Poverini, preghiamo per essi e godiamoci questa breve ma significativa Lettera Enciclica di S. S. Pio IX.

Pio IX
Omnem sollicitudinem

Fin dai primi anni del Nostro lungo Pontificato abbiamo impegnato tutta la Nostra attenzione e abbiamo operato per procurare e favorire il bene spirituale delle Chiese Orientali, dichiarando solennemente, fra le altre cose, che le peculiari liturgie di rito cattolico dovevano essere mantenute e conservate con ogni cura e diligenza, in sintonia con i Nostri Predecessori che le circondarono della massima attenzione e considerazione. – Esiste al riguardo una ricca documentazione a noi trasmessa da Clemente VIII nella sua Costituzione Magnus Dominus del 1595, da Paolo V nel suo Breve del 10 dicembre 1615, e soprattutto, per tralasciare altri documenti, da Benedetto XIV nelle sue Encicliche Demandata del 1743 e Allatæ sunt del 1755. – Esistendo uno stretto rapporto che lega le norme liturgiche alle dottrine dogmatiche, questa Sede Apostolica, maestra infallibile della Fede e accorta custode della Verità, non appena rilevava che “si era insinuato nella Chiesa Orientale qualche rito pericoloso e disdicevole, lo condannava, lo riprovava e ne interdiceva l’uso“. – La summenzionata sollecitudine a mantenere integri gli antichi riti liturgici non impedì di accogliere tra i riti orientali alcuni altri praticati presso altre Chiese e che, come scriveva Gregorio XVI di felice memoria ai Cattolici Armeni, “i vostri antenati preferirono, o perché sembravano più semplici, o perché li avevano accolti già da qualche tempo come segno di distinzione dagli eretici e dagli scismatici” . “Resta dunque ferma“, come tramanda lo stesso Sommo Pontefice, “la norma che ribadisce l’obbligo di non procedere a modifiche dei sacri riti liturgici senza aver preventivamente consultato la Sede Apostolica, sia pure con il pretesto di introdurre cerimonie ritenute più conformi alle liturgie approvate dalla stessa Sede, se non in presenza di serie motivazioni e dopo l’assenso della stessa Sede Apostolica“. – A queste norme, saggiamente disposte per tutte le Chiese di rito orientale, deve pure soggiacere, come fu più volte dichiarato, ma soprattutto nel menzionato Breve di Paolo V, la disciplina liturgica dei Ruteni, che i Romani Pontefici non cessarono mai di circondare con particolare benevolo affetto e con peculiari favori. Non appena si prospettò qualche pericolo a minacciare la loro fede, la Sede Apostolica non tralasciò di far udire immediatamente la propria voce per ovviare a un così grave male. È tuttora viva l’eco delle solenni parole pronunciate dal Nostro Predecessore Gregorio XVI di felice memoria, quando la Nazione dei Ruteni, come è noto a tutti, fu coinvolta in una situazione di così estrema gravità che tre milioni di loro furono strappati dal seno della Chiesa Cattolica, e ancora oggi ne piangiamo. – Neppure mancò l’aiuto della Sede Apostolica alla Nazione dei Ruteni, quando sorsero gravi e interminabili controversie nella Provincia di Leopoli per la difformità dei riti e per i rapporti che intercorrevano fra gli ecclesiastici di rito latino e quelli di rito greco, con negativi riflessi sulla carità cristiana. Intervenne allora un accordo, o convenzione, proposto dai Vescovi di entrambi i riti che, sancito da un decreto della S. Congregazione di Propaganda Fide per gli affari delle Chiese di rito orientale in data 6 ottobre 1863, risolse e pose felicemente fine alla controversia. – Per la verità, la deplorevole situazione in cui si viene a trovare la stessa Provincia ecclesiastica [di Leopoli], e in modo particolare la confinante Diocesi di Chelm, chiama nuovamente in causa, e a buon diritto, il Nostro dovere di sollecita vigilanza. È assai recente la notizia a Noi riportata di un’accesa controversia fra codesti Cattolici di rito Greco-Ruteno temerariamente imbastita su questioni di liturgia. Alcuni individui, e tra questi anche membri del clero, attratti dalle novità e sulla scorta di un loro capriccio, vanno proponendo innovazioni dei riti liturgici, alcuni già in uso da tempo immemorabile e altri solennemente recepiti dal Sinodo di Zamos’c”, approvato dalla Sede Apostolica – Ma ciò che maggiormente Ci affligge e riempie di profonda amarezza il Nostro cuore è la gravissima situazione, a Noi recentemente riferita, in cui versa la Diocesi di Chelm. Non appena si allontanò il Vescovo, scelto da Noi stessi pochi anni orsono e ancora spiritualmente legato a quella Diocesi, uno pseudo-amministratore già da Noi ritenuto indegno della dignità episcopale, non esitò ad usurpare la giurisdizione ecclesiastica, a sovvertire ogni cosa nella suddetta Chiesa, a sconvolgere e ad alterare a proprio arbitrio le disposizioni liturgiche sancite dai canoni. – Con animo affranto scorriamo le righe della lettera circolare emanata il 20 ottobre 1873, con cui quel funesto pseudo-amministratore osa innovare l’esercizio del culto divino e la sacra liturgia, con l’evidente proposito di introdurre nella cattolica Diocesi di Chelm la liturgia degli scismatici: al fine di ingannare gli incolti e gl’ingenui per indurli più facilmente allo scisma, non si vergogna di produrre varie Costituzioni della Sede Apostolica storcendone fraudolentemente le disposizioni al proprio scopo. D’altra parte, non può esserci alcuno che non ritenga nullo e irrito quanto disposto sulla liturgia nella succitata lettera, e Noi, forti del Nostro Potere Apostolico, dichiariamo ciò nullo e irrito. Questo pseudo-amministratore risulta assolutamente privo di qualsiasi giurisdizione ecclesiastica: né il Vescovo legittimo al momento della partenza, né in seguito la Sede Apostolica giammai gliela conferirono. È dunque chiaro ed evidente che “non è entrato nell’ovile delle pecore per la porta, ma che vi è penetrato per altra via” (Gv X,1), e deve essere considerato un intruso. – I Sacri Canoni della Chiesa dispongono che gli antichi riti orientali legittimamente introdotti debbano essere scrupolosamente osservati: “I Romani Pontefici Nostri Predecessori, dopo averli esaminati con ogni cura e non avendoli trovati in contrasto con la Fede cattolica, né occasione di pericolo per le anime, né capaci di sminuire il decoro ecclesiastico, ritennero opportuno approvarli e permetterli“; sono sempre gli stessi Romani Pontefici a proclamare solennemente che a nessuno è lecito, senza aver consultato questa Sede Apostolica, introdurre nella liturgia innovazioni sia pure di poco peso. È quanto dispongono chiaramente le Costituzioni Apostoliche ricordate all’inizio della presente. – Non ha alcuna importanza il fatto che, per gettare fumo negli occhi, si presentino le innovazioni come strumento per purificare i riti orientali e restituirli all’antica forma. Non può infatti esistere alcuna altra liturgia dei Ruteni diversa da quella istituita dai Santi Padri della Chiesa, definita dai canoni dei Sinodi, invalsa per legittima consuetudine, ma sempre espressamente o tacitamente approvata dalla Sede Apostolica. Se con il trascorrere del tempo subentrarono variazioni nella Liturgia, queste non avvennero senza il consenso dei Romani Pontefici e furono introdotte con il preciso intento di preservare i riti da ogni contaminazione eretica e scismatica, perché potessero ergersi a difesa dei dogmi cattolici e della fede, e diventassero più idonei alla promozione del bene delle anime. – Con lo specioso pretesto dunque di purificare i riti e di ricondurli all’antica purezza, queste persone senza scrupoli si propongono di tendere insidie alla fede dei Ruteni di Chelm e di allontanarli dal grembo della Chiesa Cattolica con il chiaro proposito di indirizzarli all’eresia e allo scisma. – Ma in mezzo a queste amarissime avversità, che Ci assediano da ogni parte, Ci ristora e Ci solleva la visione straordinaria di un comportamento eroico e indefettibile offerto recentemente a Dio, agli Angeli e agli uomini dai Ruteni della Diocesi di Chelm. Essi, respingendo le inique disposizioni dello pseudo-amministratore, preferirono affrontare ogni male e mettere addirittura a repentaglio la propria vita piuttosto che sacrificare la fede degli avi e abbandonare i riti cattolici ricevuti dagli antenati, affermando di volerli conservare integri e senza macchia per sempre. – Per parte nostra non tralasciamo di innalzare a Dio, ricco di misericordia, suppliche incessanti perché effonda benigno la luce della sua grazia nel cuore di coloro che, contro ogni norma divina, violentano la Diocesi di Chelm e, nello stesso tempo, sovvenga con la sua onnipotenza quei miseri fedeli privi di ogni aiuto e di assistenza spirituale, e acceleri la consolazione dell’auspicata tranquillità. – A questo punto rivolgiamo a Voi, Venerabili Fratelli, che vi siete fatti carico con tanta dedizione e con zelo ammirevole della cura spirituale dei Ruteni, una pressante esortazione nel Signore perché difendiate le disposizioni liturgiche approvate dalla Sede Apostolica o introdotte con la sua consapevolezza e senza il suo divieto. E poiché non è assolutamente permesso introdurre innovazioni, vogliate affidare una meticolosa salvaguardia dei Sacri Canoni, in particolare delle decisioni del Sinodo di Zamos’c”, ai Parroci e ai Sacerdoti, persino ricorrendo a pene severissime se fosse necessario. – Si tratta infatti di un problema di primaria importanza, cioè della salvezza delle anime, dal momento che le illegittime innovazioni mettono in estremo pericolo la Fede cattolica e la santa unità dei Ruteni. Proprio per questo occorre applicarsi con tutto l’impegno, affrontare ogni fatica e non lasciare nulla di intentato per reprimere sul nascere tutto lo stravolgimento messo in opera da uomini malvagi in codesta regione in campo liturgico. Siamo certi, Venerabili Fratelli, che non verrete meno in alcun modo al preciso dovere di accollarvi, con l’aiuto della grazia di Dio, gli impegni menzionati con decisione e accortezza.

Perché ciò possa felicemente avverarsi, impartiamo con affetto a Voi, Venerabili Fratelli, e al popolo affidato a ciascuno di Voi, l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 13 maggio 1874, anno ventottesimo del Nostro Pontificato.

DOMENICA X DOPO PENTECOSTE (2021)

X DOMENICA DOPO PENTECOSTE (2021).

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. – Paramenti verdi.

La liturgia di questa Domenica ci insegna il vero concetto dell’umiltà cristiana che consiste nell’attribuire alla grazia dello Spirito Santo la nostra santità; poiché le nostre azioni non possono essere soprannaturali, cioè sante, se non procedono dallo Spirito Santo, che Gesù mandò agli Apostoli nel giorno della Pentecoste e che dona a tutti quelli che glielo chiedono. Dunque la nostra santificazione è impossibile se vogliamo raggiungerla da soli, perché, abbandonati a noi stessi noi non siamo che impotenti e peccatori. Dobbiamo a Dio se evitiamo il peccato, se ne otteniamo il perdono, se riusciamo a fare il bene, poiché nessuno può pronunciare neppure il santo nome di Gesù con un atto di fede soprannaturale, che affermi la sua regalità e divinità, se non mediante lo Spinto Santo. L’orgoglio è, dunque, il nemico di Dio, perché si appropria dei beni che solo lo Spirito Santo distribuisce a ciascuno nella misura che crede conveniente e impedisce alla potenza divina di manifestarsi nelle nostre anime in modo da farci credere che noi bastiamo a noi stessi. Come Dio potrebbe perdonarci (Oraz.), se noi non vogliamo riconoscerci colpevoli? Come potrebbe aver compassione di noi ed esercitare su noi la sua misericordia (Oraz.), se nel nostro cuore non vi è nessuna miseria riconosciuta cui il suo Cuore divino possa compatire? L’umile, invece, riconosce il proprio nulla perché sa che solo a questa condizione discenderà su lui la virtù di Cristo. Mentre la Chiesa sviluppa in questa Domenica tali pensieri, le letture, che fa durante questa settimana nel Breviario, danno due esempi di orgoglio e di grande umiltà. Dopo la figura del profeta Elia che si oppone così fortemente a quella di Achab e di Iezabele, dei quali nell’ufficio è ricordato il terribile castigo, vi è quella del giovane Gioas che contrasta fortemente con quella di Atalia. Figlia di Achab e di lezabele, empia come sua madre, Atalia sposa il re di Giuda loram, che morì poco dopo. Allora la regina si trovò padrona del regno di Giuda e per esserlo per sempre fece massacrare tutta la famiglia di David. Ma losabeth, sposa del gran sacerdote Joiada tolse dalla culla l’ultimo nato della famiglia reale e lo nascose nel Tempio. Questi si chiamava Gioas. Per sei anni Atalia regnò ed innalzò templi in onore del dio Baal perfino nell’atrio del Tempio. Nel settimo anno il gran sacerdote attorniato da uomini risoluti e armati, mostrò Gioàs che allora aveva sette anni e disse: « Voi circonderete il fanciullo regale e se qualcuno cercherà di passare fra le vostre file, lo ucciderete! ». E quando il popolo si riversò nell’atrio, all’ora della preghiera, Joiada fece venire avanti Gioas, l’unse e lo coronò al cospetto di tutta l’assemblea che applaudi e gridò: «Viva il Re!». Quando Atalia intese queste grida, uscì dal palazzo ed entrò nell’atrio e quando vide il giovane re assiso sul palco, circondato dai capi e acclamato dal popolo col suono delle trombe, stracciò le sue vesti e gridò: «Congiura! Tradimento!». Il gran sacerdote ordinò di farla uscire dal sacro recinto e quando essa giunse nel suo palazzo venne uccisa. La folla allora saccheggiò il tempio di Baal e non lasciò pietra su pietra. E il re Gioas si assise sul trono di David, suo avo; regnò quarant’anni a Gerusalemme e si dedicò a riparare e abbellire il Tempio (All., Com.). La Scrittura fa di lui questo bell’elogio: «Gioas fece quello che è giusto agli occhi di Dio» È questa l’Antifona del Magnificat dei Vespri alla quale fa eco quella dei II Vespri che è tratta dal Vangelo di questo giorno: « Questi (il pubblicano) ritornò a casa sua giustificato e non quello (il fariseo), poiché chi si esalta sarà umiliato e chi s’umilia sarà esaltato ». – « Quelli che si innalzano sono visti da Dio da lontano, dice S. Agostino. Egli vede da lontano i superbi, ma non perdona loro. « L’umile invece, come il pubblicano, si riconosce colpevole! ». Egli si batteva il petto, si castigava da sé, e Dio perdonava a quest’uomo perché confessava la sua miseria. Perché meravigliarsi che Dio non veda più in lui un peccatore dal momento che si riconosce da sé peccatore? Il pubblicano si teneva lontano ma Dio l’osservava da vicino » (Mattutino). Così l’umile fanciullo Gioas fu gradito a Dio perché la sua condotta avanti a Lui era quale doveva essere. Egli fece ciò che era giusto agli occhi del Signore. Atalia, invece, orgogliosa ed empia, non fece ciò che era giusto avanti al Signore, e sdegnò e insultò quelli che facevano il loro dovere, poiché l’orgoglio verso Dio si manifesta ogni giorno nel disprezzo verso il prossimo. Dice Pascal che vi sono due categorie di uomini: quelli che si stimano colpevoli di tutte le mancanze: i Santi; e quelli che si credono colpevoli di nulla: i peccatori. I primi sono umili e Dio li innalzerà glorificandoli, i secondi sono orgogliosi e Dio li abbasserà castigandoli. « Il diluvio, dice S. Giovanni Crisostomo, ha sommerso la terra, il fuoco ha bruciato Sodoma, il mare ha inghiottito l’esercito degli Egiziani, poiché non è altri che Dio, il quale abbia inflitto ai colpevoli questi castighi. Ma, dirai tu, Dio è indulgente. Tutto ciò allora non è che parola vana? E il ricco che disprezzava Lazzaro non fu punito? … e le vergini stolte non furono discacciate dallo Sposo? E quegli che si trova nel banchetto con le vesti sordide non verrà legato mani e piedi e non morrà? E colui che richiederà al compagno i cento denari non sarà dato al carnefice? Ma Dio si fermerà solo alle minacce? Sarebbe molto facile provare il contrario e dopo quello che Dio ha detto e fatto nel passato possiamo giudicare quello che farà nell’avvenire. Abbiamo piuttosto sempre in mente il pensiero del terribile tribunale, del fiume di fuoco, delle catene eterne nell’inferno, delle tenebre profonde, dello stridore dei denti e del verme che avvelena e rode » (2° Nott.). Questo sarà il mezzo migliore per rimanere nell’umiltà, che ci fa dire con la Chiesa: « Ogni volta che io ho invocato il Signore, questi ha esaudita la mia voce. Mettendomi al sicuro da quelli che mi perseguitavano, li ha umiliati, Egli che è prima di tutti i tempi » (lntr.). « Custodiscimi, o Signore, come la pupilla dei tuoi occhi, perché i tuoi occhi vedono la giustizia » (Grad.). « Signore, io ho innalzata l’anima mia verso te, i miei nemici non mi derideranno perché quelli che hanno confidenza in te non saranno confusi » (Off.).

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps LIV: 17; 18; 20; 23
Dum clamárem ad Dóminum, exaudívit vocem meam, ab his, qui appropínquant mihi: et humiliávit eos, qui est ante sæcula et manet in ætérnum: jacta cogitátum tuum in Dómino, et ipse te enútriet.

[Quando invocai il Signore, esaudí la mia preghiera, salvandomi da quelli che stavano contro di me: e li umiliò, Egli che è prima di tutti i secoli e sarà in eterno: abbandona al Signore ogni tua cura ed Egli ti nutrirà.]


Ps LIV: 2
Exáudi, Deus, oratiónem meam, et ne despéxeris deprecatiónem meam: inténde mihi et exáudi me.

[O Signore, esaudisci la mia preghiera e non disprezzare la mia supplica: ascoltami ed esaudiscimi.]

Dum clamárem ad Dóminum, exaudívit vocem meam, ab his, qui appropínquant mihi: et humiliávit eos, qui est ante sæcula et manet in ætérnum: jacta cogitátum tuum in Dómino, et ipse te enútriet.

[Quando invocai il Signore, esaudí la mia preghiera, salvandomi da quelli che stavano contro di me: e li umiliò, Egli che è prima di tutti i secoli e sarà in eterno: abbandona al Signore ogni tua cura ed Egli ti nutrirà.]

Oratio

Orémus.
Deus, qui omnipoténtiam tuam parcéndo máxime et miserándo maniféstas: multíplica super nos misericórdiam tuam; ut, ad tua promíssa curréntes, cœléstium bonórum fácias esse consórtes.

[O Dio, che manifesti la tua onnipotenza soprattutto perdonando e compatendo, moltiplica su di noi la tua misericordia, affinché quanti anelano alle tue promesse, Tu li renda partecipi dei beni celesti.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corínthios.
1 Cor XII: 2-11
Fratres: Scitis, quóniam, cum gentes essétis, ad simulácra muta prout ducebámini eúntes. Ideo notum vobisfacio, quod nemo in Spíritu Dei loquens, dicit anáthema Jesu. Et nemo potest dícere, Dóminus Jesus, nisi in Spíritu Sancto. Divisiónes vero gratiárum sunt, idem autem Spíritus. Et divisiónes ministratiónum sunt, idem autem Dóminus. Et divisiónes operatiónum sunt, idem vero Deus, qui operátur ómnia in ómnibus. Unicuíque autem datur manifestátio Spíritus ad utilitátem. Alii quidem per Spíritum datur sermo sapiéntiæ álii autem sermo sciéntiæ secúndum eúndem Spíritum: álteri fides in eódem Spíritu: álii grátia sanitátum in uno Spíritu: álii operátio virtútum, álii prophétia, álii discrétio spirítuum, álii génera linguárum, álii interpretátio sermónum. Hæc autem ómnia operátur unus atque idem Spíritus, dívidens síngulis, prout vult.

[“Fratelli: Voi sapete che quando eravate gentili correvate ai simulacri muti, secondo che vi si conduceva. Perciò vi dichiaro che nessuno, il quale parli nello Spirito di Dio dice: «Anatema a Gesù»; e nessuno può dire: «Gesù Signore», se non nello Spirito Santo. C’è, sì, diversità di doni; ma lo Spirito è il medesimo. Ci sono ministeri diversi, ma il medesimo Signore; ci sono operazioni differenti, ma è il medesimo Dio che opera tutto in tutti. A ciascuno poi è data la manifestazione dello Spirito, perché sia d’utilità. Mediante lo Spirito a uno è data la parola di sapienza, a un altro è data la parola di scienza, secondo il medesimo Spirito. A un altro è data nel medesimo Spirito la fede; nel medesimo Spirito a un altro è dato il dono delle guarigioni: a un altro il potere di far miracoli; a un altro la profezia; a un altro il discernimento degli spiriti; a un altro la varietà delle lingue, a un altro il dono d’interpretarle. Ma tutte queste cose le opera l’unico e medesimo Spirito, il quale distribuisce a ciascuno come gli piace”].

UNITA’ NELLA VARIETA’ E VICEVERSA.

Gli uomini piccoli si rivelano colle loro unilateralità. C’è chi al mondo non vede, non vuole, non ama che la unità, una unità esagerata che diviene, né essi se ne dolgono, uniformità; c’è chi non vede, non vuole, non ama che la varietà, la diversità, una diversità che diviene, così esagerata, del che ad essi non cale, confusione babelica, caos. Per i primi tutti dovrebbero pensare allo stesso identico modo in tutto e per tutto, fare tutti la stessa cosa, farla tutti allo stesso modo. Per gli altri il rovescio, tutti pensare e agire diversamente. Estremismi opposti, figli della stessa micromania. Il Vangelo, il Cristianesimo ci si rivela grande e divino anche per quella formula « unitas in varietate » che è la sua divisa. N. S. Gesù ha detto una parola nella quale è lo spunto di quello che oggi dice San Paolo nel brano domenicale della Epistola prima ai Corinzi: « nella casa di mio Padre vi sono molte dimore. » La Casa è una, una la Chiesa, Casa di Dio, edificio classico e prediletto di Gesù Cristo; una per unità di culto. Se non fosse così, non sarebbe divina. Una nelle cose essenziali, sostanziali. Ma in questa bellissima e forte e compatta e vigorosa unità non si esaurisce la vita della Chiesa; se no saremmo, nell’uniformità plumbea. La casa è una e le stanze, anzi i piani sono molti e diversi. San Paolo riprende il pensiero evangelico e dice testualmente così: « Or vi sono (nella Chiesa) distinzioni (ossia varietà) di doni, ma non c’è che un medesimo Spirito; e c’è distinzione nei ministeri, ma non c’è che un medesimo Signore; e c’è distinzione nei modi di operare, ma non c’è che un medesimo Dio, il quale opera ogni cosa in tutti». Varietà, continua l’Apostolo, utile al corpo sociale, come, dico io, la varietà dei cibi è utile al corpo umano. Di questa varietà non bisogna né scandalizzarsi, né abusare. Alcuni estremisti se ne sono scandalizzati. Per esempio: i Greci, che poi si separarono dalla Chiesa, si scandalizzarono quando fu aggiunta una paroletta « Filioque » al Credo di Nicea, senza domandarsi se essa stonava o sintetizzava, armonizzava col Credo nel suo insieme, nel suo spirito. Altri ne abusano e vorrebbero portare la diversità dappertutto, dappertutto le novità, dimenticando l’aureo principio: «in necessariis unitas ». Varietà che nel campo pratico, l’operare e il modo dell’operare sono ben altrimenti ricche e accentuate che non siano nel campo teorico. Quante diversità, salva la unità essenziale, nei riti! Quante nell’azione dei Santi! Ecco qua dei Santi e delle spirituali famiglie dei Santi che son tutto calcolo e prudenza; altri e altre che sono tutta spontaneità e ingenuità. Santi che edificano monasteri grandiosi come spirituali reggie, quasi ad affermare la maestà dello spirito, e santi che fabbricano modestissimi conventini; Santi che sono tutto zelo e severità, altri il cui zelo realissimo è fatto di mansuetudine. Paolo che va a destra, Barnaba che va a sinistra e camminano per le vie di un unico apostolato. Ma lo Spirito è uno; lo Spirito di Dio, Spirito di verità d’amore. Rallegriamoci di questa varietà che è ricchezza e rispettiamola; rallegriamoci di questa unità e cerchiamola, lieti per conto nostro ciascuno del posto che gli è toccato nella casa del Padre, nella vigna del Signore, non smaniosi di cambiarlo, avidi solo di occuparlo degnamente.

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps XVI: 8; LXVIII: 2
Custódi me, Dómine, ut pupíllam óculi: sub umbra alárum tuárum prótege me.

[Custodiscimi, o Signore, come la pupilla dell’occhio: proteggimi sotto l’ombra delle tue ali.]

V. De vultu tuo judícium meum pródeat: óculi tui vídeant æquitátem.

[Venga da Te proclamato il mio diritto: poiché i tuoi occhi vedono l’equità.]

Alleluja

Allelúja, allelúja

 Ps LXIV: 2
Te decet hymnus, Deus, in Sion: et tibi redde tu votum in Jerúsalem. Allelúja.

[A Te, o Dio, si addice l’inno in Sion: a Te si sciolga il voto in Gerusalemme. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum S. Lucam.
Luc XVIII: 9-14.
In illo témpore: Dixit Jesus ad quosdam, qui in se confidébant tamquam justi et aspernabántur céteros, parábolam istam: Duo hómines ascendérunt in templum, ut orárent: unus pharisæus, et alter publicánus. Pharisæus stans, hæc apud se orábat: Deus, grátias ago tibi, quia non sum sicut céteri hóminum: raptóres, injústi, adúlteri: velut étiam hic publicánus. Jejúno bis in sábbato: décimas do ómnium, quæ possídeo. Et publicánus a longe stans nolébat nec óculos ad cœlum leváre: sed percutiébat pectus suum, dicens: Deus, propítius esto mihi peccatóri. Dico vobis: descéndit hic justificátus in domum suam ab illo: quia omnis qui se exáltat, humiliábitur: et qui se humíliat, exaltábitur.” 

 [“In quel tempo disse Gesù questa parabola per taluni, i quali confidavano in se stessi come giusti, e deprezzavano gli altri: Due uomini salirono al tempio: uno Fariseo, e l’altro Pubblicano. Il Fariseo si stava, e dentro di sé orava così: Ti ringrazio, o Dio, che io non sono come gli altri uomini, rapaci, ingiusti, adulteri; ed anche come questo Pubblicano. Digiuno due volte la settimana; pago la decima di tutto quello che io posseggo Ma il Pubblicano, stando da lungi, non voleva nemmeno alzar gli occhi al cielo; ma si batteva il petto, dicendo: Dio, abbi pietà di me peccatore. Vi dico, che questo se ne tornò giustificato a casa sua a differenza dell’altro: imperocché chiunque si esalta, sarà umiliato; e chi si umilia, sarà esaltato”].

Omelia

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. II, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)

L’orgoglio.

Non sum sicut cæteri hominum.

(Luc. XVIII, 11).

È questo, F. M., il linguaggio ordinario della falsa virtù, e quello dell’uomo orgoglioso che, soddisfatto di se stesso, è sempre pronto a criticare e censurare la condotta degli altri. È questo altresì il linguaggio dei ricchi che considerano i poveri come se fossero di natura differente dalla loro, e li trattano secondo questo modo di pensare. Anzi, aggiungo, F. M., questo è il linguaggio di quasi tutti gli uomini. Ve ne sono pochissimi, anche nelle più misere condizioni, che non siano vittime di questo maledetto peccato, che non abbiano buona stima di sé, mettendosi completamente al disopra dei propri simili, e che non spingano questo detestabile orgoglio fino a credere ch’essi valgono più di tanti altri. Ed io ne concludo che l’orgoglio è la sorgente di tutti i vizi, e la causa di tutti i mali presenti e futuri, e che noi portiamo sì innanzi il nostro accecamento che, spesso, ci gloriamo di ciò che dovrebbe coprirci di confusione. Gli uni si gloriano perché credono d’avere più spirito; gli altri per un palmo di terra o per un po’ di danaro; mentre dovrebbero tremare per il terribile conto che Dio ne domanderà loro un giorno. Ah! F. M., quanti avrebbero bisogno di fare quella preghiera che rivolgeva a Dio S. Agostino: “Dio mio, fatemi conoscere quello che sono; e non ho bisogno di altro per coprirmi di confusione e di disprezzo di me stesso, „ (Noverim me. ut oderim me). – Vi mostrerò dunque:

1° quanto l’orgoglio accechi l’uomo e lo renda odioso agli occhi di Dio e degli uomini;

2° in quanti modi ce ne rendiamo colpevoli;

e 3° ciò che dobbiamo fare per correggercene.

I. — Sì, F . M., per darvi un’idea di questo maledetto peccato, bisognerebbe che Dio mi permettesse di strappare Lucifero dal fondo degli abissi, e di trascinarlo qui al mio posto, e che egli stesso vi dipingesse gli orrori di questo delitto, mostrandovi i beni che questo peccato gli ha rapito, cioè il cielo, ed i mali che gli ha attirato, cioè le pene dell’inferno. Ahimè! F. M., per un peccato d’un momento una punizione che durerà tutta un’eternità! Ed il peggio si è che più ne siamo presi, meno ce ne crediamo colpevoli. Infatti, un orgoglioso non vorrà mai persuadersi di esserlo, né riconoscere d’aver torto: quello che fa e dice è ben fatto e ben detto. Volete formarvi un’idea dell’enormità di questo peccato, F. M.? Vedete quanto ha fatto Iddio per espiarlo. Perché ha Egli voluto nascere da poveri genitori, vivere nell’oblio, passare nel mondo non come uno di mediocre condizione, ma come persona da nulla? Perché vedeva che questo peccato aveva talmente oltraggiato il Padre suo, che Egli non avrebbe mai potuto espiarlo se non abbandonandosi allo stato il più umiliante e spregevole qual è quello della povertà; giacché basta il non possedere nulla per essere disprezzato dagli uni e rigettato dagli altri. – Vedete, F. M., quanto sono grandi i mali arrecati da questo peccato. Senza questo peccato non vi sarebbe l’inferno. Senza questo peccato Adamo sarebbe ancora nel paradiso terrestre, e noi tutti felici, senza malattie, e senza tutte le altre miserie che ogni giorno ci opprimono: non la morte, non il giudizio che ha fatto tremare i più grandi santi; non eternità infelice da temere; il cielo ci sarebbe assicurato. Felici in questo mondo e più ancora nell’altro: la nostra vita sarebbe passata nel benedire le grandezze, le bontà del nostro Dio, e saremmo poi andati in corpo ed anima a continuare in cielo questa felice occupazione. Ah! che dico, F. M., senza questo malaugurato peccato Gesù Cristo non sarebbe morto! Oh, quanti tormenti risparmiati a questo divin Salvatore!… Ma, mi direte, perché questo peccato ha causato più male che gli altri? — Perché? Eccovelo. Se Lucifero e gli altri angeli ribelli non fossero stati orgogliosi, non vi sarebbero stati i demoni, e, per conseguenza, nessuno avrebbe tentato i nostri progenitori, e questi avrebbero avuto la fortuna di perseverare. So bene che tutti i peccati oltraggiano Dio, che tutti i peccati mortali meritano un’eterna punizione: un avaro che cerca solo di accumulare, e sacrifica la salute, l’onore e la stessa vita per mettere assieme un po’ di danaro per l’avvenire, ingiuria certamente la Provvidenza di Dio, il quale ci ha promesso che se lo serviremo ed ameremo, avrà cura di noi. Un ubriacone che si abbandona agli eccessi del bere perdendo la ragione, mettendosi al di sotto dei bruti, fa un grande oltraggio a Dio che gli ha dato dei beni solo perché ne facesse buon uso, consacrando le proprie forze e la propria vita a servirlo. Un vendicativo che si vendica delle ingiurie fattegli, arreca una sanguinosa ingiuria a Gesù Cristo che, da tanti mesi o da tanti anni lo tollera sulla terra, e per di più, gli dà tutto ciò che gli è necessario, mentre non meriterebbe che di essere gettato nelle fiamme. Un impudico avvoltolandosi nel fango della passione, si mette al di sotto dei bruti, perde la propria anima e dà la morte al suo Dio, fa del tempio dello Spirito Santo il ricettacolo del demonio, “fa che le membra di Gesù Cristo diventino le membra di un’infame meretrice„ Tollens ergo membra Christi, faciam membra meretricis? Absit (I Cor. VI, 15), da fratello del Figlio di Dio diviene non solo fratello dei demoni, ma schiavo di satana. Questi sono delitti di cui nessuna parola potrà esprimere l’orrore, né la grandezza delle pene che meritano. Ebbene! F. M., io vi dico che questi peccati sono lontani dall’orgoglio, per l’oltraggio ch’essi arrecano a Dio, quanto il cielo lo è dalla terra: seguitemi, e vedrete che nulla è più facile ad intendersi. Quando commettiamo gli altri peccati, ora violiamo i comandamenti della legge di Dio, ora disprezziamo i suoi benefizi; oppure, se volete, rendiamo inutili tutte le fatiche, i dolori e la morte di Gesù Cristo. Ma costui, cioè l’orgoglioso, fa come un suddito che, non contento d’aver disprezzato e messo sotto i piedi le leggi e gli ordini del suo sovrano, spinge il suo furore fino a tentare di piantargli un pugnale nel petto, lo strappa dal trono, lo calpesta sotto i piedi, e prende il suo posto. Può darsi un’atrocità più grande, F. M.? Ebbene! ecco ciò che fa chi s’inorgoglisce quando riesce in ciò che tenta, o in ciò che brama. Mio Dio! quanto grande è il numero di costoro! Ascoltate, F. M., ciò che ci dice lo Spirito Santo parlando dell’orgoglioso: “Egli sarà in abbominazione davanti a Dio e davanti agli uomini. Poiché il Signore detesta l’orgoglioso ed il superbo. „ Gesù Cristo stesso ci dice “che ringraziava il Padre d’aver nascosto i suoi segreti agli orgogliosi „ (Matth. XI, 25). Infatti se scorriamo la sacra Scrittura vediamo che i mali con cui Dio opprime l’orgoglioso sono sì grandi e sì spaventosi da sembrare ch’Egli esaurisca il suo furore e la sua potenza per punirli, e vediamo pure che Dio sembra pigliar diletto nell’umiliare i superbi a mano a mano ch’essi vogliono innalzarsi. Spesso vediamo che l’orgoglioso cade in qualche vizio detestevole che lo disonora davanti al mondo. (Rodriguez racconta (tom. III), che il demonio sotto la forma d’una donna sedusse Palladio, religioso stimatissimo per le sue austerità, ma di spirito assai orgoglioso. – Nota del Beato). – Il grande Nabucodònosor ce ne offre un bell’esempio. Quel principe era così orgoglioso, aveva così buona stima di sé, che voleva essere considerato come un Dio. Nel momento in cui era gonfio della grandezza di sua potenza, ode d’improvviso una voce dal cielo dire che il Signore non poteva più tollerare il suo orgoglio, e che, per fargli conoscere che v’era un Dio padrone dei regni, il suo regno gli sarebbe tolto e dato ad un altro; egli verrebbe cacciato dalla società degli uomini, dimorerebbe tra le belve selvagge, mangerebbe erba e strame come una bestia da soma. Ed in quell’ora stessa Dio gli sconvolse talmente il cervello, ch’egli credette d’essere una bestia e si rifugiò nelle foreste, fino a quando riconobbe di essere un nulla (Dan. IV, 27- 34).Vedete i castighi che il Signore fece subire a Core, Dathan ed Abiron e a duecento fra i più ragguardevoli Israeliti. Pieni d’orgoglio, essi dicono a Mosè ed Aronne: “E perché non avremo anche noi l’onore di offrire l’incenso al Signore al pari di voi? „ Il Signore disse a Mosè e ad Aronne di segregarli con tutto ciò che loro apparteneva; perché voleva punirli… Ed appena essi furono segregati la terra s’aprì sotto i loro piedi, e li inghiottì vivi nell’inferno (Nm XVI). Vedete Erode che fece morire S. Giacomo ed imprigionare S. Pietro. Egli era così orgoglioso che un giorno vestito del suo paludamento regale ed assiso sul trono, parlando al popolo con grande enfasi, giunse a dire: “No, no, non è un uomo che vi parla, ma un Dio. „ E sull’istante un Angelo lo colpì con una malattia sì spaventosa, che i vermi lo corrosero vivo, morì disperato. Egli voleva essere onorato come un Dio, e fu consumato dal più vile degli insetti (Act. XII, 21-23). Vedete ancora Aman, quel celebre orgoglioso, il quale aveva comandato che tutti i sudditi si inginocchiassero davanti a lui. Infuriato perché Mardocheo lo disprezzava fece innalzare un patibolo per impiccarvelo; ma Iddio, che ha in orrore gli orgogliosi, permise che egli stesso vi venisse appeso (Esther VII, 10). Leggiamo nella storia che un solitario pieno d’orgoglio, volle mostrare la grandezza della sua fede. Essendo andato da S. Palemone, questi vedendolo far mostra del suo orgoglio, caritatevolmente gli osservò che era ben difficile avere la fede che egli diceva; che non avendo in noi nulla di buono, non possiamo far altro che umiliarci, gemere davanti a Dio o domandargli la grazia di non abbandonarci. Ma quel povero cieco, lungi dall’approfittare del caritatevole avviso, corse a gettarsi su di un braciere di fuoco, e Dio per mettere il colmo al suo orgoglio, permise che non sentisse neppure l’ardore del fuoco. Ma poco tempo dopo il religioso cadde in un vergognoso peccato contro la santa virtù della purità. Il demonio gli si presentò sotto forma di donna la quale seduta accanto a lui, tanto lo sollecitò ch’egli volle abbracciarla. Il demonio allora si gettò su di lui, lo percosse con ripetuti colpi e lo lasciò semivivo steso sul pavimento. Il disgraziato riconosciuto il suo fallo, cioè il suo orgoglio, ritornò da S. Palemone e gli confessò piangendo il proprio peccato. Cosa strana, F. M., mentre egli stava parlando, il demonio s’impadronì di lui, alla presenza di S. Palemone, lo trascinò con furore e lo precipitò in una fornace ardente, dove perdette la vita (Vita dei padri del deserto, t. I, p. 256). Sì, F. M., vediamo dappertutto che Dio si compiace di confondere gli orgogliosi. Non solo un orgoglioso è in abbominazione davanti a Dio, ma è altresì insopportabile agli uomini. — Perché? mi direte. — Perché egli non può intendersi con nessuno: ora vuol levarsi al di sopra dei suoi uguali, ora uguagliare quelli che gli sono superiori, di modo che non può andar d’accordo con nessuno. Così gli orgogliosi sono sempre in lite con alcuno, e perciò tutti li odiano, li fuggono, li disprezzano. No, F. M., non v’è peccato che operi un più grande cambiamento in chi lo commette; poiché l’Angelo, la creatura più bella, diventò per esso orribile demonio; ed esso, rese l’uomo, che era figlio di Dio, schiavo del demonio.

II. — Questo peccato, mi direte, è veramente orribile; bisogna che chi lo commette non conosca né il bene che perde, né i mali che si attira, né infine gli oltraggi che arreca a Dio ed alla propria anima. Ma in che modo si può sapere d’esserne diventati colpevoli? — In che modo, amico? Eccolo. Possiamo dire che questo peccato si trova in ogni parte, accompagna l’uomo in tutto ciò che fa e dice; è una specie di condimento che sta dappertutto. Ascoltatemi un momento e lo vedrete. Gesù Cristo ce ne dà un esempio nel Vangelo, dicendo che un fariseo essendo andato nel tempio per far orazione stava in piedi davanti a tutti, dicendo ad alta voce: “Vi ringrazio, o Signore, perché non sono come gli altri uomini, coperto di peccati; io passo la mia vita nel fare il bene e nel piacere a Voi. „ Ecco il vero tipo dell’orgoglioso: invece di ringraziare Dio perché è stato così buono da servirsi di lui per compiere il bene e d’essergliene riconoscente, considera tutto come cosa propria e non di Dio. Entriamo in qualche particolare, e vedrete che quasi nessuno ne va esente. Vecchi e giovani, poveri e ricchi; ognuno si loda e si vanta di ciò che non è e di ciò che non ha fatto. Ciascuno s’applaude ed ama d’esser applaudito; ciascuno s’affretta a mendicare le lodi degli uomini, e ciascuno lavora per attirarsele. Tale è la vita della maggior parte dei nostri simili. La porta per cui l’orgoglio entra con maggiore abbondanza è la porta delle ricchezze. Quando una persona comincia ad accrescere i suoi beni, voi la vedete cambiar modo di vivere; essa fa, come dice Gesù Cristo dei farisei: “Costoro bramano d’esser chiamati maestri, d’esser salutati, vogliono i primi posti: e amano comparire vestiti più riccamente. (Matth. XXIII, 5-6). „ Essa abbandona quell’aria di semplicità; salutata china appena il capo, senza levare il cappello; cammina a testa alta, e parlando cerca le parole più belle, di cui spesso non conosce il significato; ed ama ripeterle. Quell’uomo vi romperà la testa narrandovi le eredità avute, per farvi sapere che la sua sostanza s’è aumentata. Ogni sua cura è riposta nel cercare di farsi stimare e lodare. Sarà riuscito in qualche lavoro? s’affretta di pubblicarlo per far mostra del suo preteso talento. Se ha detto qualche cosa di cui è stato applaudito, non cessa di rompere le orecchie a quelli che gli sono dattorno fino ad annoiarli ed a farli ridere. Ha fatto qualche viaggio? Lo sentite dire cento volte più di ciò che ha fatto, detto e veduto: il che mette compassione a quelli che lo ascoltano. Stima di esser tenuto per persona di spirito, mentre nel loro interno tutti lo disprezzano. Nessuno può fare a meno di dire tra sé: Ecco un grande orgoglioso; poveretto è persuaso che si creda tutto ciò ch’egli dice!… Vedete una persona del mestiere che esamina il lavoro d’un altro, vi troverà mille difetti e dirà: “Che volete? non sa far di più! „ Ma siccome l’orgoglioso non abbassa mai gli altri senza innalzare se stesso, s’affretterà subito a parlare di qualche lavoro suo, che il tale ha trovato così ben fatto che ne ha parlato a molti. Un orgoglioso, vedendo più persone che parlano assieme, pensa si dica male o bene di lui. Una giovane avrà belle fattezze? o almeno crede d’averle? La vedete studiare il passo, con un’affettazione, con un orgoglio che sembra voler salire fino alle nubi. Ha camicie e vesti? lascerà l’armadio aperto per farle vedere. S’inorgoglisce delle sue galline e della sua casa. Si vanta di sapere confessarsi bene, di pregar bene il buon Dio, d’essere assai modesta in chiesa. Una madre s’inorgoglisce de’ suoi figli; un contadino perché le sue terre sono in migliore stato che quelle degli altri, che egli disprezza, e si vanta del suo sapere. Un giovane ha un orologio in tasca, e forse anche spesso non ha che la catena con cinque soldi in tasca? lo sentite dire: “Non so se è tardi, „ affinché gli si dica di guardare l’orologio, perché si sappia che egli ne ha uno. Se si giuoca d’azzardo, non avrà che due soldi da metter fuori, prenderà in mano tutto ciò che ha, e spesso anche, tutto ciò che non è suo; oppure dirà di più di quanto ha. Quanti domandano a prestito, per andar a partite di piacere, abiti e denaro. Una persona entra in una compagnia dove crede essere sconosciuta? la vedrete subito parlare della sua famiglia, dei suoi beni, dei suoi talenti e di tutto ciò che può distinguerla, e far conoscere ciò ch’essa è, o piuttosto quello che non è. No, F. M., non v’è nulla di così ridicolo e sciocco quanto il parlare sempre di ciò che si ha e di ciò che si fa. Ascoltate un padre di famiglia, quando le sue figlie sono in età di accasarsi. In tutte le compagnie in cui si trova, lo si sente dire: “Ho dato tante migliaia di lire in prestito, le mie ricchezze mi rendono tanto „ e poi domandategli cinque soldi per i poveri, egli non ha nulla. Un sarto od una sarta saranno riusciti bene a fare un vestito; se vedono passare quella persona che lo porta, e alcuno dice: come sta bene, non so chi l’ha fatto. „ — “L’ho fatto io „ subito diranno. E perché l’hanno detto? per far vedere la loro abilità. Ma se non sono riusciti bene, si guardano purtroppo dal parlarne, per timore d’essere umiliati. Le donne nella loro casa… e vi dirò che questo peccato è ancora più da temere in quelle persone che sembrano far professione di pietà. Eccone un bell’esempio. – Questo maledetto peccato dell’orgoglio s’infiltra anche nelle professioni più umili. Un agricoltore o un taglia legna, se sono vicini alla strada, metteranno nel loro lavoro tutte le cure “affinché – dicono – quando alcuno passerà non trovi ch’io non so lavorare. „ Questo peccato s’infiltra anche nel delitto e nella virtù; si vedono alcuni che si vantano d’aver fatto il male. Ascoltate la conversazione di parecchi ubriaconi. “Ah! dicono, mi sono trovato un giorno col tale; ha voluto scommettere con me, a chi bevesse di più, senza ubbriacarsi; ed io assai presto l’ho vinto!„ È altresì orgoglio il desiderio di diventare più ricco e l’invidiare quelli che lo sono, perché si vedono i ricchi rispettati ed onorati. Si troveranno altri che, nel loro linguaggio, saranno estremamente umili, ed anche si disprezzeranno, facendo pubblicamente la confessione di loro debolezze. Ma dite loro qualche cosa che li punga un po’. Alla prima parola li vedete scaldarsi, rispondervi a dovere, fino al punto di diffamarvi e ledere la vostra riputazione, per un preteso affronto ricevuto. Avranno una grande umiltà, in apparenza, finché sono lodati ed onorati. Qualche volta se sentiamo parlare bene di un altro davanti a noi, proviamo fastidio, ci pare di restarne umiliati; mostriamo aria triste, oppure diciamo: Ma che? egli è come gli altri, ha fatto questo, ha detto quello, non ha tanta abilità come voi dite, voi non lo conoscete!… „ Io dico che l’orgoglio s’infiltra anche nelle nostre opere buone. Vi sono molti che fanno l’elemosina e rendono servizi al prossimo solo per essere stimati persone dabbene, persone caritatevoli. Se faranno l’elemosina davanti a qualcheduno, daranno di più che non se fossero soli. Vorranno far sapere che hanno fatto un po’ di bene, o reso qualche servizio al vicino e cominceranno a dire: “ Il tale è ben disgraziato, non ha di che vivere; è venuto un giorno da me, mi ha raccontato la sua miseria, ed io gli ho dato la tal cosa.„ Un orgoglioso non vuol mai essere rimproverato, egli ha sempre ragione: ciò che egli dice è ben detto, ciò che egli fa è ben fatto. E lo vedete esaminare continuamente la condotta degli altri; dappertutto trova difetti; non v’è in loro nulla di ben detto e di ben fatto. Una persona farà un’azione colle migliori intenzioni del mondo, eccolo che, colla sua lingua velenosa, la interpreta male. E quanti non ve ne sono che per orgoglio, inventano tutto? Se raccontano ciò che hanno fatto, diranno assai più di quanto hanno fatto. Altri mentiscono per timore d’essere umiliati. Dirò di più; i vecchi si gloriano di ciò che non hanno fatto; a sentirli, sembrano i più grandi conquistatori del mondo, si direbbe che essi hanno percorso l’intero universo; ed i giovani si lodano di ciò che non faranno mai: tutti mentiscono, tutti corrono dietro al fumo dell’onore. Così va oggi il mondo, F. M., mettete la mano sulla vostra coscienza, scrutate il vostro cuore, e riconoscerete che quanto dico è vero. Ma la cosa più triste è che questo peccato getta le anime in tenebre così dense, che nessuno mai se ne crede colpevole. Conosciamo, è vero, quando gli altri falsamente si lodano, e si attribuiscono onori non meritati; ma quanto a noi crediamo di meritarli sempre. Io dico, F. M., che chiunque cerca la stima degli uomini è cieco. — Perché? mi direte. — Eccone la ragione, amico. Non dirò che egli perde tutto il merito di ciò che fa e che tutte le sue carità, tutte le sue preghiere e penitenze non saranno per lui che motivo di condanna. Egli crederà d’aver fatto qualche bene; e troverà tutto guastato dall’orgoglio. Ma io dico inoltre che egli è cieco. Se vuol meritare la stima di Dio e degli uomini, deve fuggirli invece di cercarli, deve persuadersi che è nulla, che merita nulla; allora è sicuro d’aver tutto. Vediamo ad ogni momento che più una persona vuol innalzarsi e più Dio permette ch’essa venga umiliata; e più essa vuol nascondersi, e più Dio ne fa conoscere la riputazione. Basta farvi attenzione per toccar con mano questa verità. Un orgoglioso si affanna a mendicare le lodi degli uomini; ed è conosciuto appena nella sua parrocchia! Ma chi si nasconde, quanto può, e si disprezza, andate lontano venticinque o cinquanta miglia, e vedrete pubblicate le sue buone qualità. Dirò di più: il suo onore vola ai quattro angoli del mondo: più egli si nasconde e più è conosciuto; e più l’altro vuol mostrarsi e più si affonda nelle tenebre, e perciò quasi nessuno lo conosce ed egli meno ancora conosce se stesso. Se il fariseo, come avete veduto, è il vero ritratto dell’orgoglioso, il pubblicano è l’immagine sensibile d’un cuore sinceramente penetrato del proprio nulla, dei suoi pochi meriti e della grande confidenza che bisogna avere in Dio. Gesù Cristo ce lo presenta come il perfetto modello al quale possiamo conformarci. Il pubblicano, ci dice S. Luca, dimentica tutto il bene che forse ha fatto durante la sua vita, per non occuparsi che della sua miseria spirituale e della sua indegnità; non osa comparire davanti ad un Dio sì santo. Lungi dall’imitare il fariseo, che si mette in un luogo dove può esser veduto da tutti e riceverne le lodi, il povero pubblicano, appena entrato nel tempio si nasconde in un canto, si considera come solo davanti al suo giudice, colla faccia verso terra, col cuore spezzato dal dolore, cogli occhi pieni di lagrime, non osa guardare l’altare, tanto è coperto di confusione alla vista dei suoi peccati e della santità di Dio, davanti al quale si trova indegno di comparire. E nella più grande amarezza del cuore grida: “Mio Dio, di grazia, abbiate pietà di me, perché sono un gran peccatore!„ Quest’umiltà commosse talmente il cuore di Dio, che, non solo gli perdonò tutti i suoi peccati, ma lo lodò pubblicamente, dicendo a tutti che quel pubblicano, sebbene peccatore, per la sua umiltà, gli era stato più gradito che il fariseo con tutta la sua mostra di buone opere: “poiché vi dico, sono parole di Gesù Cristo, che quel pubblicano ritornò a casa senza peccati, mentre il fariseo uscì dal tempio più colpevole di quando v’era entrato. Concludo quindi che chi si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato. „ Abbiamo visto, F. M., che cos’è l’orgoglio, quanto sia orribile questo vizio, quanto esso oltraggia il buon Dio, e finalmente come il Signore si compiace di punirlo. Vediamo che cos’è l’umiltà, la virtù contraria.

III. — Se “l’orgoglio è la sorgente di ogni vizio„ possiamo dire che l’umiltà è la sorgente ed il fondamento di ogni virtù (Prov. XV, 33); essa è la porta per la quale Iddio fa giungere a noi le sue grazie; essa perfeziona tutte le nostre azioni, e comunica loro tanto valore che le rende accette a Dio; finalmente essa ci fa padroni del cuore di Dio, il quale diventa, per così dire, nostro servo; poiché mai Iddio ha potuto resistere ad un cuore umile (1 Piet. V, 5). — Ma, mi direte, in che cosa consiste questa umiltà, che ci merita tante grazie? — Eccolo, amico. Ascoltatemi: voi avete già dovuto conoscere se siete presi dall’orgoglio; vedrete ora se avete la fortuna di possedere sì bella e rara virtù; se l’avete in tutta la sua integrità, il cielo è vostro. L’umiltà, ci dice S. Bernardo, consiste nel conoscere noi stessi, nel disprezzo di noi medesimi. L’umiltà è una fiaccola che ci mostra nettamente le nostre imperfezioni; essa, dunque, non consiste nelle parole, né nelle opere; ma nella conoscenza di noi stessi, conoscenza che ci fa scoprire un’infinità di difetti che il nostro orgoglio ci aveva nascosti fino ad ora. Io dico che questa virtù ci è assolutamente necessaria per andare in cielo; ascoltate ciò che ci dice Gesù Cristo nel Vangelo: “Se non sarete simili ad un fanciullo, non entrerete nel regno de’ cieli. In verità vi dico, che se non vi convertite, se non abbandonate quei sentimenti d’orgoglio e di ambizione, così naturali nell’uomo, non entrerete in cielo. „ (Math. XVIII, 3). “, ci dice il Savio, l’umiltà ottiene tutto.„ (Ps. CI, 18). Volete ricevere il perdono dei vostri peccati? Presentatevi a Dio nella persona dei suoi ministri, coperti di confusione, come indegni di ottenere la grazia che domandate, siete sicuri del perdono. Siete tentati? umiliatevi della vostra miseria, e riconoscete che da soli non potete che perdervi: siete allora sicuri d’esser liberati. O bella virtù quanto rendi cara un’anima a Dio! Gesù Cristo stesso non poteva darci una più bella idea della grandezza del suo merito, che dicendoci d’aver voluto prendere “la forma di servo, „ (Phil. II, 7), che è la più vile condizione. Che cosa rese la santa Vergine così cara a Dio se non la sua umiltà e il disprezzo che aveva di se stessa? – Leggiamo nella storia (Vita dei Padri del deserto, t. I, pag. 52) che S. Antonio ebbe una visione, nella quale Dio gli fece vedere il mondo tutto coperto da una rete, tenuta ai quattro capi dai demoni. “Ah! esclamò il santo, chi non potrà cadere in quella rete? „ — “Antonio, gli disse il Signore, l’umiltà sola basta: cioè, se riconoscete di nulla meritare, di non esser capaci di nulla, sarete vittoriosi.„ Un amico di S. Agostino, gli domandava qual era la virtù che bisognava praticare per essere più cari a Dio, ed egli rispose: “L’umiltà sola basta. Ho ben faticato per conoscere la via più sicura per andare a Dio, ma non ne ho trovato altra. „ Ascoltate ciò che ci dice la storia: S. Macario, ritornando con una bracciata di legna, trovò il demonio armato di una falce tutta infiammata, che gli disse: “Macario, quanto mi fai soffrire per non poterti maltrattare; perché mi fai tanto patire? tutto ciò che tu fai io lo faccio meglio di te: se tu digiuni io non mangio mai; se tu vegli io non dormo; non v’è che una sola cosa che tu hai più di me e per la quale mi hai vinto. „ Sapete, F. M,, la cosa che era in S. Macario e che il demonio non aveva? Ah! amici miei, era l’umiltà. O bella virtù, quant’è felice e capace di grandi cose chi ti possiede! Infatti, F. M., quando pure aveste tutte le altre virtù e non questa, non avete nulla. Date le vostre ricchezze ai poveri, piangete i vostri peccati per tutta la vostra vita, fate penitenza finché il vostro corpo potrà resistere, vivete nel ritiro durante tutta l’esistenza vostra; se non avete l’umiltà non lascerete di dannarvi (Se non avete l’umiltà, non lascerete di dannarvi, „ cioè se non avete l’umiltà che il buon Dio domanda da voi vi esporrete al pericolo di dannarvi). Perciò vediamo che tutti i Santi hanno lavorato tutta la loro vita per acquistarla o per conservarla. Più Iddio li colmava di favori e più essi si umiliavano. Vedete S. Paolo, innalzato fino al terzo cielo, egli considera se stesso come un grande peccatore, un persecutore della Chiesa di Gesù Cristo, « un miserabile, un aborto, indegno del posto che occupa » (I Tim. I, 13; – 1 Cor. xv, 8, 9). Vedete S. Agostino, S. Martino: non osavano entrare in chiesa senza tremare, tanto li spaventava la loro miseria spirituale. E tali devono essere le nostre disposizioni se vogliamo essere cari a Dio. Vediamo, F . M., che più un albero è carico di frutti, e più i suoi rami si abbassano; così, più noi facciamo buone opere, più dobbiamo umiliarci riconoscendoci indegni che il buon Dio si serva d’un sì vile strumento per fare il bene. F. M., non possiamo conoscere un buon Cristiano se non dall’umiltà. Ma, mi direte, come si può conoscere se un Cristiano è umile? — Niente di più facile, e lo vedrete. Dapprima io dico che una persona veramente umile non parla mai di se stessa, né in bene né in male, ella si accontenta di umiliarsi davanti a Dio che la conosce. Non guarda che alla propria condotta, geme nel vedersi tanto colpevole: lavora a rendersi più degna di Dio. Non la sentite mai giudicare la condotta degli altri, ha buona opinione di tutti. Disprezza qualcheduno? disprezza solo sé medesima. Interpreta bene tutto quello che fanno i suoi fratelli; è persuasissima che ella sola è capace di far male. Quindi se parla del suo prossimo, ne parla solo in bene; se non ha nulla in bene da dire, tace; se vien disprezzata, pensa che riceve solo quanto si merita, e che dopo aver disprezzato Dio, essa merita ben di più: se si vede lodata arrossisce, e fugge, addolorandosi perché nel giorno del giudizio disingannerà quelli che la credono persona dabbene, mentre invece è tutta coperta di peccati. Ella ha tanto in orrore le lodi quanto gli orgogliosi amano le umiliazioni. Quelli che le fanno conoscere i suoi difetti saranno sempre suoi amici. Se ha del bene da dare, cercherà sempre di farlo a colui che l’ha calunniata o disprezzata. Gli orgogliosi cercano la compagnia di quelli che li adulano, e li stimano, ella invece li fuggirà per andare con quelli che sembrano avere cattiva opinione di lei. Il suo piacere sta nell’esser sola con Dio, mostrandogli la propria miseria e domandando pietà. Si trovi pur sola od in compagnia, non vedete nessun cambiamento nelle sue preghiere, né nel suo modo d’agire. Non facendo tutte le sue azioni che per poter piacere a Dio, non guarda affatto a quello che pensano o dicono gli altri. Lavora per piacere a Dio, e, quanto al mondo, può dire che lo mette sotto i piedi. Così pensano e fanno quelli che tengono come lor porzione, l’umiltà… – Gesù Cristo non sembra far distinzione tra il Sacramento del Battesimo, quello della Penitenza e l’umiltà. Ci dice che senza Battesimo non entreremo mai nel regno dei cieli, senza quello della Penitenza, dopo il peccato, non avremo il perdono, e dice poi, che senza l’umiltà, non entreremo in cielo (Matt. XVIII). Sì, F. M., se abbiamo l’umiltà, quand’anche fossimo coperti di peccati, siamo sicuri d’esser perdonati; e senza l’umiltà, se avessimo anche fatto tutte le buone opere possibili, non ci salveremo mai. Ecco un esempio che ve lo mostrerà nel miglior modo possibile. Si legge nel libro dei Re (III Re, XXI), che il re Acabbo era il più abominevole che avesse regnato fino allora; non credo che se ne possa dir di più di quello che dice lo Spirito Santo: ascoltate. “Era un re dato ad ogni sorta d’impudicizie, che metteva impunemente le mani su tutti i beni dei suoi sudditi; fece ribellare a Dio gli Israeliti, sembrava uomo venduto ed impegnato a fare ogni sorta di male: insomma coi suoi delitti superò quelli che l’avevano preceduto. Perciò Iddio, non potendo più tollerare i suoi delitti, ed avendo deciso di punirlo, chiama il suo profeta Elia, gli comanda di andare dal re e dirgli le sue decisioni: “Digli che i cani mangeranno le sue carni e berranno il suo sangue; farò cadere su di lui tutti i fulmini delle mie vendette; non gli risparmierò nulla, anche per mezzo di quei cani, farò sentire l’eccesso del mio furore.„ Osservate qui quattro cose, F. M.: 1° Si vide mai uomo più malvagio di lui? 2° Si vide mai una più chiara determinazione di far morire un uomo che merita tanto di esser punito? – 3 ° Si diede mai un ordine più preciso? – 4° In questo luogo, disse il Signore, tutto ciò avverrà.„ Si è mai visto nella storia un uomo condannato ad un supplizio più infame di quello di Acabbo, cioè di far mangiare la sua carne, e bere il suo sangue dai cani? Ah! F. M., chi potrà strapparlo dalle mani di un nemico così potente che ha già cominciata la sua vendetta? – Acabbo, sentito il profeta, si stracciò le vesti. Ascoltate ciò che gli dice il Signore: “Va, non sei più in tempo, hai aspettato troppo, ora mi rido di te. „ Ed Acabbo si copre di cilicio: “Tu forse credi, continua il  Signore, di muovermi a pietà e di far così revocare il mio comando; ora digiuni; bisognava digiunare pel sangue di tante persone che hai fatto morire.„ Allora gettatosi per terra, si coprì di cenere, e quando doveva uscir fuori, camminava colla testa nuda e cogli occhi a terra. “Profeta, disse il Signore, hai veduto come Acabbo si è umiliato, e prostrato colla faccia a terra? Ebbene! va a dirgli che, giacché si è umiliato, io non lo punirò, e non farò cadere su di lui la folgore e la vendetta che avevo preparata. Digli che la sua umiltà mi ha commosso, mi ha fatto revocare gli ordini, ed ha disarmata la mia collera. „ (III Reg., XXI). Ebbene, F. M., non avevo io ragione di dirvi che l’umiltà è la più bella e la più preziosa di tutte le virtù, che essa è onnipotente presso Dio, e che Dio nulla sa rifiutarle? Possedendola, avremo tutte le altre; senza di essa tutte le altre valgono nulla. Concludo, F. M., dicendo che conosceremo se un Cristiano è veramente tale dal disprezzo ch’egli ha di se stesso e di tutto ciò che fa, e se interpreta in bene tutto ciò che fa o dice il suo prossimo. E con questo, F. M., possiamo star sicuri che il nostro cuore gusterà la felicità sulla terra e che il cielo sarà per noi…

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps XXIV: 1-3
Ad te, Dómine, levávi ánimam meam: Deus meus, in te confído, non erubéscam: neque irrídeant me inimíci mei: étenim univérsi, qui te exspéctant, non confundéntur.

[A Te, o Signore, ho innalzata l’anima mia: o Dio mio, in Te confido, che io non abbia ad arrossire: che non mi irridano i miei nemici: poiché quanti a Te si affidano non saranno confusi.]

Secreta

Tibi, Dómine, sacrifícia dicáta reddántur: quæ sic ad honórem nóminis tui deferénda tribuísti, ut eadem remédia fíeri nostra præstáres.

[A Te, o Signore, siano consacrate queste oblazioni, che in questo modo volesti offerte ad onore del tuo nome, da giovare pure a nostro rimedio.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps L: 21.
Acceptábis sacrificium justítiæ, oblatiónes et holocáusta, super altáre tuum, Dómine.

[Gradirai, o Signore, il sacrificio di giustizia, le oblazioni e gli olocausti sopra il tuo altare.]

Postcommunio

Orémus.
Quǽsumus, Dómine, Deus noster: ut, quos divínis reparáre non désinis sacraméntis, tuis non destítuas benígnus auxíliis.

[Ti preghiamo, o Signore Dio nostro: affinché benigno non privi dei tuoi aiuti coloro che non tralasci di rinnovare con divini sacramenti.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: “L’ORGOGLIO”

I SERMONI DEL CURATO D’ARS

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. II, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)

L’orgoglio.

Non sum sicut cæteri hominum.

(Luc. XVIII, 11).

È questo, F. M., il linguaggio ordinario della falsa virtù, e quello dell’uomo orgoglioso che, soddisfatto di se stesso, è sempre pronto a criticare e censurare la condotta degli altri. È questo altresì il linguaggio dei ricchi che considerano i poveri come se fossero di natura differente dalla loro, e li trattano secondo questo modo di pensare. Anzi, aggiungo, F. M., questo è il linguaggio di quasi tutti gli uomini. Ve ne sono pochissimi, anche nelle più misere condizioni, che non siano vittime di questo maledetto peccato, che non abbiano buona stima di sé, mettendosi completamente al disopra dei propri simili, e che non spingano questo detestabile orgoglio fino a credere ch’essi valgono più di tanti altri. Ed io ne concludo che l’orgoglio è la sorgente di tutti i vizi, e la causa di tutti i mali presenti e futuri, e che noi portiamo sì innanzi il nostro accecamento che, spesso, ci gloriamo di ciò che dovrebbe coprirci di confusione. Gli uni si gloriano perché credono d’avere più spirito; gli altri per un palmo di terra o per un po’ di danaro; mentre dovrebbero tremare per il terribile conto che Dio ne domanderà loro un giorno. Ah! F. M., quanti avrebbero bisogno di fare quella preghiera che rivolgeva a Dio S. Agostino: “Dio mio, fatemi conoscere quello che sono; e non ho bisogno di altro per coprirmi di confusione e di disprezzo di me stesso, „ (Noverim me, ut oderim me). – Vi mostrerò dunque:

1° quanto l’orgoglio accechi l’uomo e lo renda odioso agli occhi di Dio e degli uomini;

2° in quanti modi ce ne rendiamo colpevoli;

e 3° ciò che dobbiamo fare per correggercene.

I. — Sì, F . M., per darvi un’idea di questo maledetto peccato, bisognerebbe che Dio mi permettesse di strappare Lucifero dal fondo degli abissi, e di trascinarlo qui al mio posto, e che egli stesso vi dipingesse gli orrori di questo delitto, mostrandovi i beni che questo peccato gli ha rapito, cioè il cielo, ed i mali che gli ha attirato, cioè le pene dell’inferno. Ahimè! F. M., per un peccato d’un momento una punizione che durerà tutta un’eternità! Ed il peggio si è che più ne siamo presi, meno ce ne crediamo colpevoli. Infatti, un orgoglioso non vorrà mai persuadersi di esserlo, né riconoscere d’aver torto: quello che fa e dice è ben fatto e ben detto. Volete formarvi un’idea dell’enormità di questo peccato, F. M.? Vedete quanto ha fatto Iddio per espiarlo. Perché ha Egli voluto nascere da poveri genitori, vivere nell’oblio, passare nel mondo non come uno di mediocre condizione, ma come persona da nulla? Perché vedeva che questo peccato aveva talmente oltraggiato il Padre suo, che Egli non avrebbe mai potuto espiarlo se non abbandonandosi allo stato il più umiliante e spregevole qual è quello della povertà; giacché basta il non possedere nulla per essere disprezzato dagli uni e rigettato dagli altri. – Vedete, F. M., quanto sono grandi i mali arrecati da questo peccato. Senza questo peccato non vi sarebbe l’inferno. Senza questo peccato Adamo sarebbe ancora nel paradiso terrestre, e noi tutti felici, senza malattie, e senza tutte le altre miserie che ogni giorno ci opprimono: non la morte, non il giudizio che ha fatto tremare i più grandi santi; non eternità infelice da temere; il cielo ci sarebbe assicurato. Felici in questo mondo e più ancora nell’altro: la nostra vita sarebbe passata nel benedire le grandezze, le bontà del nostro Dio, e saremmo poi andati in corpo ed anima a continuare in cielo questa felice occupazione. Ah! che dico, F . M., senza questo malaugurato peccato Gesù Cristo non sarebbe morto! Oh, quanti tormenti risparmiati a questo divin Salvatore!… Ma, mi direte, perché questo peccato ha causato più male che gli altri? — Perché? Eccovelo. Se lucifero e gli altri angeli ribelli non fossero stati orgogliosi, non vi sarebbero stati i demoni, e, per conseguenza, nessuno avrebbe tentato i nostri progenitori, e questi avrebbero avuto la fortuna di perseverare. So bene che tutti i peccati oltraggiano Dio, che tutti i peccati mortali meritano un’eterna punizione: un avaro che cerca solo di accumulare, e sacrifica la salute, l’onore e la stessa vita per metterò assieme un po’ di danaro per l’avvenire, ingiuria certamente la Provvidenza di Dio, il quale ci ha promesso che se lo serviremo ed ameremo, avrà cura di noi. Un ubriacone che si abbandona agli eccessi del bere perdendo la ragione, mettendosi al di sotto dei bruti, fa un grande oltraggio a Dio che gli ha dato dei beni solo perché ne facesse buon uso, consacrando le proprie forze e la propria vita a servirlo. Un vendicativo che si vendica delle ingiurie fattegli, arreca una sanguinosa ingiuria a Gesù Cristo che, da tanti mesi o da tanti anni lo tollera sulla terra, e per di più, gli dà tutto ciò che gli è necessario, mentre non meriterebbe che di essere gettato nelle fiamme. Un impudico avvoltolandosi nel fango della passione, si mette al di sotto dei bruti, perde la propria anima e dà la morte al suo Dio, fa del tempio dello Spirito Santo il ricettacolo del demonio, “fa che le membra di Gesù Cristo diventino le membra di un’infame meretrice„ Tollens ergo membra Christi, faciam membra meretricis? Absit (I Cor. VI, 15), da fratello del Figlio di Dio diviene non solo fratello dei demoni, ma schiavo di satana. Questi sono delitti di cui nessuna parola potrà esprimere l’orrore, né la grandezza delle pene che meritano. Ebbene! F. M., io vi dico che questi peccati sono lontani dall’orgoglio, per l’oltraggio ch’essi arrecano a Dio, quanto il cielo lo è dalla terra: seguitemi, e vedrete che nulla è più facile ad intendersi. Quando commettiamo gli altri peccati, ora violiamo i comandamenti della legge di Dio, ora disprezziamo i suoi benefizi; oppure, se volete, rendiamo inutili tutte le fatiche, i dolori e la morte di Gesù Cristo. Ma costui, cioè l’orgoglioso, fa come un suddito che, non contento d’aver disprezzato e messo sotto i piedi le leggi e gli ordini del suo sovrano, spinge il suo furore fino a tentare di piantargli un pugnale nel petto, lo strappa dal trono, lo calpesta sotto i piedi, e prende il suo posto. Può darsi un’atrocità più grande, F. M.? Ebbene! ecco ciò che fa chi s’inorgoglisce quando riesce in ciò che tenta, o in ciò che brama. Mio Dio! quanto grande è il numero di costoro! Ascoltate, F. M., ciò che ci dice lo Spirito Santo parlando dell’orgoglioso: “Egli sarà in abbominazione davanti a Dio e davanti agli uomini. Poiché il Signore detesta l’orgoglioso ed il superbo. „ Gesù Cristo stesso ci dice “che ringraziava il Padre d’aver nascosto i suoi segreti agli orgogliosi „ (Matth. XI, 25). Infatti se scorriamo la sacra Scrittura vediamo che i mali con cui Dio opprime l’orgoglioso sono sì grandi e sì spaventosi da sembrare ch’Egli esaurisca il suo furore e la sua potenza per punirli, e vediamo pure che Dio sembra pigliar diletto nell’umiliare i superbi a mano a mano ch’essi vogliono innalzarsi. Spesso vediamo che l’orgoglioso cade in qualche vizio detestevole che lo disonora davanti al mondo. Rodriguez racconta (tom. III), che il demonio sotto la forma d’una donna sedusse Palladio, religioso stimatissimo per le sue austerità, ma di spirito assai orgoglioso. – Nota del Beato). – Il grande Nabucodònosor ce ne offre un bell’esempio. Quel principe era così orgoglioso, aveva così buona stima di sé, che voleva essere considerato come un Dio. Nel momento in cui era gonfio della grandezza di sua potenza, ode d’improvviso una voce dal cielo dire che il Signore non poteva più tollerare il suo orgoglio, e che, per fargli conoscere che v’era un Dio padrone dei regni, il suo regno gli sarebbe tolto e dato ad un altro; egli verrebbe cacciato dalla società degli uomini, dimorerebbe tra le belve selvagge, mangerebbe erba e strame come una bestia da soma. Ed in quell’ora stessa Dio gli sconvolse talmente il cervello, ch’egli credette d’essere una bestia e si rifugiò nelle foreste, fino a quando riconobbe di essere un nulla Dan. IV, 27- 34).Vedete i castighi che il Signore fece subire a Core, Dathan ed Abiron e a duecento fra i più ragguardevoli Israeliti. Pieni d’orgoglio, essi dicono a Mosè ed Aronne: “E perché non avremo anche noi l’onore di offrire l’incenso al Signore al pari di voi? „ Il Signore disse a Mosè e ad Aronne di segregarli con tutto ciò che loro apparteneva; perché voleva punirli… Ed appena essi furono segregati la terra s’aprì sotto i loro piedi, e li inghiottì vivi nell’inferno (Nm XVI). Vedete Erode che fece morire S. Giacomo ed imprigionare S. Pietro. Egli era così orgoglioso che un giorno vestito del suo paludamento regale ed assiso sul trono, parlando al popolo con grande enfasi, giunse a dire: “No, no, non è un uomo che vi parla, ma un Dio. „ E sull’istante un Angelo lo colpì con una malattia sì spaventosa, che i vermi lo corrosero vivo, morì disperato. Egli voleva essere onorato come un Dio, e fu consumato dal più vile degli insetti (Act. XII, 21-23). Vedete ancora Aman, quel celebre orgoglioso, il quale aveva comandato che tutti i sudditi si inginocchiassero davanti a lui. Infuriato perché Mardocheo lo disprezzava fece innalzare un patibolo per impiccarvelo; ma Iddio, che ha in orrore gli orgogliosi, permise che egli stesso vi venisse appeso (Esther VII, 10). Leggiamo nella storia che un solitario pieno d’orgoglio, volle mostrare la grandezza della sua fede. Essendo andato da S. Palemone, questi vedendolo far mostra del suo orgoglio, caritatevolmente gli osservò che era ben difficile avere la fede che egli diceva; che non avendo in noi nulla di buono, non possiamo far altro che umiliarci, gemere davanti a Dio o domandargli la grazia di non abbandonarci. Ma quel povero cieco, lungi dall’approfittare del caritatevole avviso, corse a gettarsi su di un braciere di fuoco, e Dio per mettere il colmo al suo orgoglio, permise che non sentisse neppure l’ardore del fuoco. Ma poco tempo dopo il religioso cadde in un vergognoso peccato contro la santa virtù della purità. Il demonio gli si presentò sotto forma di donna la quale seduta accanto a lui, tanto lo sollecitò ch’egli volle abbracciarla. Il demonio allora si gettò su di lui, lo percosse con ripetuti colpi e lo lasciò semivivo steso sul pavimento. Il disgraziato riconosciuto il suo fallo, cioè il suo orgoglio, ritornò da S. Palemone e gli confessò piangendo il proprio peccato. Cosa strana, F. M., mentre egli stava parlando, il demonio s’impadronì di lui, alla presenza di S. Palemone, lo trascinò con furore e lo precipitò in una fornace ardente, dove perdette la vita (Vita dei padri del deserto, t. I, p. 256). Sì, F. M., vediamo dappertutto che Dio si compiace di confondere gli orgogliosi. Non solo un orgoglioso è in abbominazione davanti a Dio, ma è altresì insopportabile agli uomini. — Perché? mi direte. — Perché egli non può intendersi con nessuno: ora vuol levarsi al di sopra dei suoi uguali, ora uguagliare quelli che gli sono superiori, di modo che non può andar d’accordo con nessuno. Così gli orgogliosi sono sempre in lite con alcuno, e perciò tutti li odiano, li fuggono, li disprezzano. No, F. M., non v’è peccato che operi un più grande cambiamento in chi lo commette; poiché l’Angelo, la creatura più bella, diventò per esso orribile demonio; ed esso, rese l’uomo, che era figlio di Dio, schiavo del demonio.

II. — Questo peccato, mi direte, è veramente orribile; bisogna che chi lo commette non conosca né il bene che perde, né i mali che si attira, né infine gli oltraggi che arreca a Dio ed alla propria anima. Ma in che modo si può sapere d’esserne diventati colpevoli? — In che modo, amico ? Eccolo. Possiamo dire che questo peccato si trova in ogni parte, accompagna l’uomo in tutto ciò che fa e dice; è una specie di condimento che sta dappertutto. Ascoltatemi un momento e lo vedrete. Gesù Cristo ce ne dà un esempio nel Vangelo, dicendo che un fariseo essendo andato nel tempio per far orazione stava in piedi davanti a tutti, dicendo ad alta voce: “Vi ringrazio, o Signore, perché non sono come gli altri uomini, coperto di peccati; io passo la mia vita nel fare il bene e nel piacere a Voi. „ Ecco il vero tipo dell’orgoglioso: invece di ringraziare Dio perché è stato così buono da servirsi di lui per compiere il bene e d’essergliene riconoscente, considera tutto come cosa propria e non di Dio. Entriamo in qualche particolare, e vedrete che quasi nessuno ne va esente. Vecchi e giovani, poveri e ricchi; ognuno si loda e si vanta di ciò che non è e di ciò che non ha fatto. Ciascuno s’applaude ed ama d’esser applaudito; ciascuno s’affretta a mendicare le lodi degli uomini, e ciascuno lavora per attirarsele. Tale è la vita della maggior parte dei nostri simili. La porta per cui l’orgoglio entra con maggiore abbondanza è la porta delle ricchezze. Quando una persona comincia ad accrescere i suoi beni, voi la vedete cambiar modo di vivere; essa fa, come dice Gesù Cristo dei farisei: “Costoro bramano d’esser chiamati maestri, d’esser salutati, vogliono i primi posti: e amano comparire vestiti più riccamente. (Matth. XXIII, 5-6). „ Essa abbandona quell’aria di semplicità; salutata china appena il capo, senza levare il cappello; cammina a testa alta, e parlando cerca le parole più belle, di cui spesso non conosce il significato; ed ama ripeterle. Quell’uomo vi romperà la testa narrandovi le eredità avute, per farvi sapere che la sua sostanza s’è aumentata. Ogni sua cura è riposta nel cercare di farsi stimare e lodare. Sarà riuscito in qualche lavoro? s’affretta di pubblicarlo per far mostra del suo preteso talento. Se ha detto qualche cosa di cui è stato applaudito, non cessa di rompere le orecchie a quelli che gli sono dattorno fino ad annoiarli ed a farli ridere. Ha fatto qualche viaggio? Lo sentite dire cento volte più di ciò che ha fatto, detto e veduto: il che mette compassione a quelli che lo ascoltano. Stima di esser tenuto per persona di spirito, mentre nel loro interno tutti lo disprezzano. Nessuno può a meno di dire tra sé: Ecco un grande orgoglioso; poveretto è persuaso che si creda tutto ciò ch’egli dice!… Vedete una persona del mestiere che esamina il lavoro d’un altro, vi troverà mille difetti e dirà: “Che volete? non sa far di più! „ Ma siccome l’orgoglioso non abbassa mai gli altri senza innalzare se stesso, s’affretterà subito a parlare di qualche lavoro suo, che il tale ha trovato così ben fatto che ne ha parlato a molti. Un orgoglioso, vedendo più persone che parlano assieme, pensa si dica male o bene di lui. Una giovane avrà belle fattezze? o almeno crede d’averle? La vedete studiare il passo, con un’affettazione, con un orgoglio che sembra voler salire fino alle nubi. Ha camicie e vesti? lascerà l’armadio aperto per farle vedere. S’inorgoglisce delle sue galline e della sua casa. Si vanta di sapere confessarsi bene, di pregar bene il buon Dio, d’essere assai modesta in chiesa. Una madre s’inorgoglisce de’ suoi figli; un contadino perché le sue terre sono in migliore stato che quelle degli altri, che egli disprezza, e si vanta del suo sapere. Un giovane ha un orologio in tasca, e forse anche spesso non ha che la catena con cinque soldi in tasca? lo sentite dire: “Non so se è tardi, „ affinché gli si dica di guardare l’orologio, perché si sappia che egli ne ha uno. Se si giuoca d’azzardo, non avrà che due soldi da metter fuori, prenderà in mano tutto ciò che ha, e spesso anche, tutto ciò che non è suo; oppure dirà di più di quanto ha. Quanti domandano a prestito, per andar a partite di piacere, abiti e denaro. Una persona entra in una compagnia dove crede essere sconosciuta? la vedrete subito parlare della sua famiglia, dei suoi beni, dei suoi talenti e di tutto ciò che può distinguerla, e far conoscere ciò ch’essa è, o piuttosto quello che non è. No, F. M., non v’è nulla di così ridicolo e sciocco quanto il parlare sempre di ciò che si ha e di ciò che si fa. Ascoltate un padre di famiglia, quando le sue figlie sono in età di accasarsi. In tutte le compagnie in cui si trova, lo si sente dire: “Ho dato tante migliaia di lire in prestito, le mie ricchezze mi rendono tanto „ e poi domandategli cinque soldi per i poveri, egli non ha nulla. Un sarto od una sarta saranno riusciti bene a fare un vestito; se vedono passare quella persona che lo porta, e alcuno dice: come sta bene, non so chi l’ha fatto. „ — “L’ho fatto io „ subito diranno. E perché l’hanno detto? per far vedere la loro abilità. Ma se non sono riusciti bene, si guardano purtroppo dal parlarne, per timore d’essere umiliati. Le donne nella loro casa… e vi dirò che questo peccato è ancora più da temere in quelle persone che sembrano far professione di pietà. Eccone un bell’esempio. – Questo maledetto peccato dell’orgoglio s’infiltra anche nelle professioni più umili. Un agricoltore o un taglia legna, se sono vicini alla strada, metteranno nel loro lavoro tutte le cure “affinché – dicono – quando alcuno passerà non trovi ch’io non so lavorare. „ Questo peccato s’infiltra anche nel delitto e nella virtù; si vedono alcuni che si vantano d’aver fatto il male. Ascoltate la conversazione di parecchi ubbriaconi. “Ah! dicono, mi sono trovato un giorno col tale; ha voluto scommettere con me, a chi bevesse di più, senza ubbriacarsi; ed io assai presto l’ho vinto!„ È altresì orgoglio il desiderio di diventare più ricco e l’invidiare quelli che lo sono, perché si vedono i ricchi rispettati ed onorati. Si troveranno altri che, nel loro linguaggio, saranno estremamente umili, ed anche si disprezzeranno, facendo pubblicamente la confessione di loro debolezze. Ma dite loro qualche cosa che li punga un po’. Alla prima parola li vedete scaldarsi, rispondervi a dovere, fino al punto di diffamarvi e ledere la vostra riputazione, per un preteso affronto ricevuto. Avranno una grande umiltà, in apparenza, finché sono lodati ed onorati. Qualche volta se sentiamo parlare bene di un altro davanti a noi, proviamo fastidio, ci pare di restarne umiliati; mostriamo aria triste, oppure diciamo: Ma che? egli è come gli altri, ha fatto questo, ha detto quello, non ha tanta abilità come voi dite, voi non lo conoscete!… „ Io dico che l’orgoglio s’infiltra anche nelle nostre opere buone. Vi sono molti che fanno l’elemosina e rendono servizi al prossimo solo per essere stimati persone dabbene, persone caritatevoli. Se faranno l’elemosina davanti a qualcheduno, daranno di più che non se fossero soli. Vorranno far sapere che hanno fatto un po’ di bene, o reso qualche servizio al vicino e cominceranno a dire: “ Il tale è ben disgraziato, non ha di che vivere; è venuto un giorno da me, mi ha raccontato la sua miseria, ed io gli ho dato la tal cosa.„ Un orgoglioso non vuol mai essere rimproverato, egli ha sempre ragione: ciò che egli dice è ben detto, ciò che egli fa è ben fatto. E lo vedete esaminare continuamente la condotta degli altri; dappertutto trova difetti; non v’è in loro nulla di ben detto e di ben fatto. Una persona farà un’azione colle migliori intenzioni dal mondo, eccolo che, colla sua lingua velenosa, la interpreta male. E quanti non ve ne sono che per orgoglio, inventano tutto? Se raccontano ciò che hanno fatto, diranno assai più di quanto hanno fatto. Altri mentiscono per timore d’essere umiliati. Dirò di più; i vecchi si gloriano di ciò che non hanno fatto; a sentirli, sembrano i più grandi conquistatori del mondo, si direbbe che essi hanno percorso l’intero universo; ed i giovani si lodano di ciò che non faranno mai: tutti mentiscono, tutti corrono dietro al fumo dell’onore. Così va oggi il mondo, F. M., mettete la mano sulla vostra coscienza, scrutate il vostro cuore, e riconoscerete che quanto dico è vero. Ma la cosa più triste è che questo peccato getta le anime in tenebre così dense, che nessuno mai se ne crede colpevole. Conosciamo, è vero, quando gli altri falsamente si lodano, e si attribuiscono onori non meritati; ma quanto a noi crediamo di meritarli sempre. Io dico, F. M., che chiunque cerca la stima degli uomini è cieco. — Perché? mi direte. — Eccone la ragione, amico. Non dirò che egli perde tutto il merito di ciò che fa e che tutte le sue carità, tutte le sue preghiere e penitenze non saranno per lui che motivo di condanna. Egli crederà d’aver fatto qualche bene; e troverà tutto guastato dall’orgoglio. Ma io dico inoltre che egli è cieco. Se vuol meritare la stima di Dio e degli uomini, deve fuggirli invece di cercarli, deve persuadersi che è nulla, che merita nulla; allora è sicuro d’aver tutto. Vediamo ad ogni momento che più una persona vuol innalzarsi e più Dio permette ch’essa venga umiliata; e più essa vuol nascondersi, e più Dio ne fa conoscere la riputazione. Basta farvi attenzione per toccar con mano questa verità. Un orgoglioso si affanna a mendicare le lodi degli uomini; ed è conosciuto appena nella sua parrocchia! Ma chi si nasconde, quanto può, e si disprezza, andate lontano venticinque o cinquanta miglia, e vedrete pubblicate le sue buone qualità. Dirò di più: il suo onore vola ai quattro angoli del mondo: più egli si nasconde e più è conosciuto; e più l’altro vuol mostrarsi e più si affonda nelle tenebre, e perciò quasi nessuno lo conosce ed egli meno ancora conosce se stesso. Se il fariseo, come avete veduto, è il vero ritratto dell’orgoglioso, il pubblicano è l’immagine sensibile d’un cuore sinceramente penetrato del proprio nulla, dei suoi pochi meriti e della grande confidenza che bisogna avere in Dio. Gesù Cristo ce lo presenta come il perfetto modello al quale possiamo conformarci. Il pubblicano, ci dice S. Luca, dimentica tutto il bene che forse ha fatto durante la sua vita, per non occuparsi che della sua miseria spirituale e della sua indegnità; non osa comparire davanti ad un Dio sì santo. Lungi dall’imitare il fariseo, che si mette in un luogo dove può esser veduto da tutti e riceverne le lodi, il povero pubblicano, appena entrato nel tempio si nasconde in un canto, si considera come solo davanti al suo giudice, colla faccia verso terra, col cuore spezzato dal dolore, cogli occhi pieni di lagrime, non osa guardare l’altare, tanto è coperto di confusione alla vista dei suoi peccati e della santità di Dio, davanti al quale si trova indegno di comparire. E nella più grande amarezza del cuore grida: “Mio Dio, di grazia, abbiate pietà di me, perché sono un gran peccatore!„ Quest’umiltà commosse talmente il cuore di Dio, che, non solo gli perdonò tutti i suoi peccati, ma lo lodò pubblicamente, dicendo a tutti che quel pubblicano, sebbene peccatore, per la sua umiltà, gli era stato più gradito che il fariseo con tutta la sua mostra di buone opere: “poiché vi dico, sono parole di Gesù Cristo, che quel pubblicano ritornò a casa senza peccati, mentre il fariseo uscì dal tempio più colpevole di quando v’era entrato. Concludo quindi che chi si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato. „ Abbiamo visto, P . M., che cos’è l’orgoglio, quanto sia orribile questo vizio, quanto esso oltraggia il buon Dio, e finalmente come il Signore si compiace di punirlo. Vediamo che cos’è l’umiltà, la virtù contraria.

III. — Se “l’orgoglio è la sorgente di ogni vizio„ possiamo dire che l’umiltà è la sorgente ed il fondamento di ogni virtù (Prov. XV, 33); essa è la porta per la quale Iddio fa giungere a noi le sue grazie; essa perfeziona tutte le nostre azioni, e comunica loro tanto valore che le rende accette a Dio; finalmente essa ci fa padroni del cuore di Dio, il quale diventa, per così dire, nostro servo; poiché mai Iddio ha potuto resistere ad un cuore umile (1 Piet. V, 5). — Ma, mi direte, in che cosa consiste questa umiltà, che ci merita tante grazie? — Eccolo, amico. Ascoltatemi: voi avete già dovuto conoscere se siete presi dall’orgoglio; vedrete ora se avete la fortuna di possedere sì bella e rara virtù; se l’avete in tutta la sua integrità, il cielo è vostro. L’umiltà, ci dice S. Bernardo, consiste nel conoscere noi stessi, nel disprezzo di noi medesimi. L’umiltà è una fiaccola che ci mostra nettamente le nostre imperfezioni; essa, dunque, non consiste nelle parole, né nelle opere; ma nella conoscenza di noi stessi, conoscenza che ci fa scoprire un’infinità di difetti che il nostro orgoglio ci aveva nascosti fino ad ora. Io dico che questa virtù ci è assolutamente necessaria per andare in cielo; ascoltate ciò che ci dice Gesù Cristo nel Vangelo: “Se non sarete simili ad un fanciullo, non entrerete nel regno de’ cieli. In verità vi dico, che se non vi convertite, se non abbandonate quei sentimenti d’orgoglio e di ambizione, così naturali nell’uomo, non entrerete in cielo. „ (Math. XVIII, 3). “, ci dice il Savio, l’umiltà ottiene tutto.„ (Ps. CI, 18). Volete ricevere il perdono dei vostri peccati? Presentatevi a Dio nella persona dei suoi ministri, coperti di confusione, come indegni di ottenere la grazia che domandate, siete sicuri del perdono. Siete tentati? umiliatevi della vostra miseria, e riconoscete che da soli non potete che perdervi: siete allora sicuri d’esser liberati. O bella virtù quanto rendi cara un’anima a Dio! Gesù Cristo stesso non poteva darci una più bella idea della grandezza del suo merito, che dicendoci d’aver voluto prendere “la forma di servo, „ (Phil. II, 7), che è la più vile condizione. Che cosa rese la santa Vergine così cara a Dio se non la sua umiltà e il disprezzo che aveva di se stessa? – Leggiamo nella storia (Vita dei Padri del deserto, t. I, pag. 52) che S. Antonio ebbe una visione, nella quale Dio gli fece vedere il mondo tutto coperto da una rete, tenuta ai quattro capi dai demoni. “Ah! esclamò il santo, chi non potrà cadere in quella rete? „ — “Antonio, gli disse il Signore, l’umiltà sola basta: cioè, se riconoscete di nulla meritare, di non esser capaci di nulla, sarete vittoriosi.„ Un amico di S. Agostino, gli domandava qual era la virtù che bisognava praticare per essere più cari a Dio, ed egli rispose: “L’umiltà sola basta. Ho ben faticato per conoscere la via più sicura per andare a Dio, ma non ne ho trovato altra. „ Ascoltate ciò che ci dice la storia S. Macario, ritornando con una bracciata di legna, trovò il demonio armato di una falce tutta infiammata, che gli disse: “Macario, quanto mi fai soffrire per non poterti maltrattare; perché mi fai tanto patire? tutto ciò che tu fai io lo faccio meglio di te: se tu digiuni io non mangio mai; se tu vegli io non dormo; non v’è che una sola cosa che tu hai più di me e per la quale mi hai vinto. „ Sapete, F. M,, la cosa che era in S. Macario e che il demonio non aveva? Ah! amici miei, era l’umiltà. O bella virtù, quant’è felice e capace di grandi cose chi ti possiede! Infatti, F. M., quando pure aveste tutte le altre virtù e non questa, non avete nulla. Date le vostre ricchezze ai poveri, piangete i vostri peccati per tutta la vostra vita, fate penitenza finché il vostro corpo potrà resistere, vivete nel ritiro durante tutta l’esistenza vostra; se non avete l’umiltà non lascerete di dannarvi (Se non avete l’umiltà, non lascerete di dannarvi, „ cioè se non avete l’umiltà che il buon Dio domanda da voi vi esporrete al pericolo di dannarvi). Perciò vediamo che tutti i Santi hanno lavorato tutta la loro vita per acquistarla o per conservarla. Più Iddio li colmava di favori e più essi si umiliavano. Vedete S. Paolo, innalzato fino al terzo cielo, egli considera se stesso come un grande peccatore, un persecutore della Chiesa di Gesù Cristo, « un miserabile, un aborto, indegno del posto che occupa » (I Tim. I, 13; – 1 Cor. xv, 8, 9). Vedete S. Agostino, S. Martino: non osavano entrare in chiesa senza tremare, tanto li spaventava la loro miseria spirituale. E tali devono essere le nostre disposizioni se vogliamo essere cari a Dio. Vediamo, F. M., che più un albero è carico di frutti, e più i suoi rami si abbassano; così, più noi facciamo buone opere, più dobbiamo umiliarci riconoscendoci indegni che il buon Dio si serva d’un sì vile strumento per fare il bene. F. M., non possiamo conoscere un buon Cristiano se non dall’umiltà. Ma, mi direte, come si può conoscere se un Cristiano è umile? — Niente di più facile, e lo vedrete. Dapprima io dico che una persona veramente umile non parla mai di se stessa, né in bene né in male, ella si accontenta di umiliarsi davanti a Dio che la conosce. Non guarda che alla propria condotta, geme nel vedersi tanto colpevole: lavora a rendersi più degna di Dio. Non la sentite mai giudicare la condotta degli altri, ha buona opinione di tutti. Disprezza qualcheduno? disprezza solo sé medesima. Interpreta bene tutto quello che fanno i suoi fratelli; è persuasissima che ella sola è capace di far male. Quindi se parla del suo prossimo, ne parla solo in bene; se non ha nulla in bene da dire, tace; se vien disprezzata, pensa che riceve solo quanto si merita, e che dopo aver disprezzato Dio, essa merita ben di più: se si vede lodata arrossisce, e fugge, addolorandosi perché nel giorno del giudizio disingannerà quelli che la credono persona dabbene, mentre invece è tutta coperta di peccati. Ella ha tanto in orrore le lodi quanto gli orgogliosi amano le umiliazioni. Quelli che le fanno conoscere i suoi difetti saranno sempre suoi amici. Se ha del bene da rare, cercherà sempre di farlo a colui che l’ha calunniata o disprezzata. Gli orgogliosi cercano la compagnia di quelli che li adulano, e li stimano, ella invece li fuggirà per andare con quelli che sembrano avere cattiva opinione di lei. Il suo piacere sta nell’esser sola con Dio, mostrandogli la propria miseria e domandando pietà. Si trovi pur sola od in compagnia, non vedete nessun cambiamento nelle sue preghiere, né nel suo modo d’agire. Non facendo tutte le sue azioni che per poter piacere a Dio, non guarda affatto a quello che pensano o dicono gli altri. Lavora per piacere a Dio, e, quanto al mondo, può dire che lo mette sotto i piedi. Così pensano e fanno quelli che tengono come lor porzione, l’umiltà… – Gesù Cristo non sembra far distinzione tra il Sacramento del Battesimo, quello della Penitenza e l’umiltà. Ci dice che senza Battesimo non entreremo mai nel regno dei cieli, senza quello della Penitenza, dopo il peccato, non avremo il perdono, e dice poi, che senza l’umiltà, non entreremo in cielo (Matt. XVIII). Sì, P. M., se abbiamo l’umiltà, quand’anche fossimo coperti di peccati, siamo sicuri d’esser perdonati; e senza l’umiltà, se avessimo anche fatto tutte le buone opere possibili, non ci salveremo mai. Ecco un esempio che ve lo mostrerà nel miglior modo possibile. Si legge nel libro dei Re (III Re, XXI), che il re Acabbo era il più abominevole che avesse regnato fino allora; non credo che se ne possa dir di più di quello che dice lo Spirito Santo: ascoltate. “Era un re dato ad ogni sorta d’impudicizie, che metteva impunemente le mani su tutti i beni dei suoi sudditi; fece ribellare a Dio gli Israeliti, sembrava uomo venduto ed impegnato a fare ogni sorta di male: insomma coi suoi delitti superò quelli che l’avevano preceduto. Perciò Iddio, non potendo più tollerare i suoi delitti, ed avendo deciso di punirlo, chiama il suo profeta Elia, gli comanda di andare dal re e dirgli le sue decisioni: “Digli che i cani mangeranno le sue carni e berranno il suo sangue; farò cadere su di lui tutti i fulmini delle mie vendette; non gli risparmierò nulla, anche per mezzo di quei cani, farò sentire l’eccesso del mio furore.„ Osservate qui quattro cose, P. M.: 1° Si vide mai uomo più malvagio di lui? 2° Si vide mai una più chiara determinazione di far morire un uomo che merita tanto di esser punito? – 3 ° Si diede mai un ordine più preciso? – 4° In questo luogo, disse il Signore, tutto ciò avverrà.„ Si è mai visto nella storia un uomo condannato ad un supplizio più infame di quello di Acabbo, cioè di far mangiare la sua carne, e bere il suo sangue dai cani? Ah! F. M., chi potrà strapparlo dalle mani di un nemico così potente che ha già cominciata la sua vendetta? – Acabbo, sentito il profeta, si stracciò le vesti. Ascoltate ciò che gli dice il Signore: “Va, non sei più in tempo, hai aspettato troppo, ora mi rido di te. „ Ed Acabbo si copre di cilicio: “Tu forse credi, continua il  di muovermi a pietà e di far così revocare il mio comando; ora digiuni; bisognava digiunare pel sangue di tante persone che hai fatto morire.„ Allora gettatosi per terra, si coprì di cenere, e quando doveva uscir fuori, camminava colla testa nuda e cogli occhi a terra. “Profeta, disse il Signore, hai veduto come Acabbo si è umiliato, e prostrato colla faccia a terra? Ebbene! va a dirgli che, giacché si è umiliato, io non lo punirò, e non farò cadere su di lui la folgore e la vendetta che avevo preparata. Digli che la sua umiltà mi ha commosso, mi ha fatto revocare gli ordini, ed ha disarmata la mia collera. „ (III Reg., XXI). Ebbene, P. M., non avevo io ragione di dirvi che l’umiltà è la più bella e la più preziosa di tutte le virtù, che essa è onnipotente presso Dio, e che Dio nulla sa rifiutarle? Possedendola, avremo tutte le altre; senza di essa tutte le altre valgono nulla. Concludo, P. M., dicendo che conosceremo se un Cristiano è veramente tale dal disprezzo ch’egli ha di se stesso e di tutto ciò che fa, e se interpreta in bene tutto ciò che fa o dice il suo prossimo. E con questo, P. M., possiamo star sicuri che il nostro cuore gusterà la felicità sulla terra e che il cielo sarà per noi…

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: AGOSTO 2021

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: Agosto 2021

Surge! Jam terris fera bruma cessit,
Ridet in pratis decus omne florum,
Alma quæ Vitæ Génitrix fuísti,
Surge, María!

Lílium fulgens velut in rubéto,
Mortis auctórem teris una, carpens
Sóntibus fructum pátribus negátum
Arbore vitæ.

Arca non putri fabricáta ligno
Manna tu servas, fluit unde virtus,
Ipsa qua surgent animáta rursus
Ossa sepúlcris.

Prǽsidis mentis dócilis minístra,
Haud caro tabo pátitur resólvi;
Spíritus imo sine fine consors
Tendit ad astra.

Surge! Dilécto pete nixa cælum,
Sume consértum diadéma stellis,
Teque natórum récinens beátam
Excipe carmen.

Laus sit excélsæ Tríadi perénnis,
Quæ tibi, Virgo, tríbuit corónam,
Atque regínam statuítque nostram
Próvida matrem.
Amen.

[Inno  – dal Proprio dei Santi –
Sorgi! Cessi già in terra l’aspro inverno; rida nei prati ogni bellezza di fiori: tu, che fosti la divina Madre della Vita, sorgi, o Maria! / O giglio fulgente tra le spine, tu sola abbatti l’autore della morte, togliendo il frutto negato ai padri colpevoli con l’albero della vita. / Nell’arca fabbricata con legno non guasto conservi la manna, da cui fluisce la forza che dai sepolcri fa di nuovo risorgere, animate, le ossa. / Docile ministra della mente di Dio, la carne non si assoggetta alla corruzione; anzi per sempre consorte dello Spirito, sale al cielo, /Sorgi! Col tuo Diletto, vola in cielo, ricevi il diadema intrecciato di stelle ed accogli il carme dei figli, che ricanta, te beata. / Lode perenne alla Triade eccelsa, che a te, o Vergine, consegnò la corona
e provvide a stabilirti Regina e nostra Madre. Amen.]

Dagli Atti del Papa S. S. Pio XII


Poiché la Chiesa universale nel corso dei secoli ha manifestato la fede nell’Assunzione corporea della beata vergine Maria, e i vescovi del mondo cattolico con quasi unanime consenso chiesero che questa verità, fondata sulla sacra Scrittura, insita profondamente nell’animo dei fedeli e sommamente consona con le altre verità rivelate, fosse definita come dogma di fede divina e cattolica, il sommo pontefice Pio XII, annuendo ai voti di tutta la Chiesa, stabilì di proclamare solennemente questo privilegio della beata vergine Maria. Perciò il primo novembre 1950, anno del massimo giubileo, a Roma, nella piazza della basilica di san Pietro, alla presenza di moltissimi Cardinali e Vescovi di santa romana Chiesa giunti anche dalle più remote regioni, dinanzi ad un’ingente moltitudine di fedeli, col plauso dell’universo mondo cattolico, con infallibile oracolo proclamò in questi termini l’assunzione corporea in cielo della beata vergine Maria: « Dopo aver innalzato ancora a Dio supplici istanze, ed aver invocato la luce dello Spirito di verità, a gloria di Dio onnipotente, che ha riversato in Maria la sua speciale benevolenza, ad onore del suo Figlio, re immortale dei secoli e vincitore del peccato e della morte, a maggior gloria della sua augusta Madre ed a gioia ed esultanza di tutta la Chiesa, per l’autorità di nostro Signore Gesù Cristo, dei santi apostoli Pietro e Paolo e nostra, pronunziamo, dichiariamo e definiamo esser dogma da Dio rivelato che l’immacolata Madre di Dio sempre vergine Maria, terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo ».

Queste sono le feste del mese di Agosto 2021

1 Agosto Dominica X Post Pentecosten I. Augusti  – Semiduplex Dom. minor *I*

                         S. Petri ad Vincula – 

2 Agosto S. Alfonsi Mariæ de Ligorio Episc. Conf. et Eccles. Doct. – Duplex

3 Agosto De Inventione S. Stephani Protomartyris    Semiduplex *L1*

4 Agosto S. Dominici Confessoris    Duplex majus

5 Agosto S. Mariæ Virginis ad Nives    Duplex

6 Agosto In Transfiguratione Domini Nostri Jesu Christi  –  Duplex II. classis *L1*

                  PRIMO VENERDI’

7 Agosto S. Cajetani Confessoris – Duplex

                   PRIMO SABATO

8 Agosto Dominica XI Post Pentecosten II. Augusti  – Semiduplex Dom. minor *I*

                    Ss. Cyriaci, Largi et Smaragdi Martyrum – Semiduplex

9 Agosto S. Joannis Mariæ Vianney Confessoris –  Duplex

10 Agosto S. Laurentii Martyris – Duplex II. classis *L1*

11 Agosto Ss. Tiburtii et Susannæ Virginum et Martyrum    Feria

12 Agosto S. Claræ Virginis – Duplex

13 Agosto Ss. Hippolyti et Cassiani Martyrum    Feria

14 Agosto In Vigilia Assumptionis B.M.V. – Duplex II. classis *L1*

15 Agosto In Assumptione Beatæ Mariæ Virginis    Duplex I. classis *L1*

                    Dominica XII Post Pentecosten III. Augusti   

16 Agosto S. Joachim Confessoris, Patris B. M. V. – Duplex II. classis

17 Agosto S. Hyacinthi Confessoris – Duplex

18 Agosto S. Agapiti Martyris    Feria

19 Agosto S. Joannis Eudes Confessoris – Duplex

20 Agosto S. Bernardi Abbatis et Ecclesiæ Doctoris – Duplex

21 Agosto S. Joannæ Franciscæ Frémiot de Chantal Viduæ    Duplex

22 Agosto Dominica XIII Post Pentecosten IV. Augusti – Semiduplex Dom. minor *I*

              Immaculati Cordis Beatæ Mariæ Virginis – Duplex II. classis

23 Agosto S. Philippi Benitii Confessoris – Duplex

24 Agosto S. Bartholomæi Apostoli – Duplex II. classis

25 Agosto S. Ludovici Confessoris – Duplex

26 Agosto S. Zephyrini Papæ et Martyris    Feria

27 Agosto S. Josephi Calasanctii Confessoris Duplex

28 Agosto S. Augustini Episcopi et Confessoris et Ecclesiæ Doctoris – Duplex

29 Agosto Dominica XIV Post Pentecosten I. Septembris-Semiduplex Dom. minor *I*      In Decollatione S. Joannis Baptistæ 

30 Agosto S. Rosæ a Sancta Maria Limanæ Virginis – Duplex

31 Agosto S. Raymundi Nonnati Confessoris – Duplex

LO SCUDO DELLA FEDE (167)

A. D. SERTILLANGES, O. P.

CATECHISMO DEGLI INCREDULI (III)

[Versione autoriz. Dal francese del P. S. G. Nivoli, O. P. – III ristampa. S. E. I. – Torino 1944]

III. — La Religione;

D. Ammettendo Dio e la Provvidenza di Dio, si è certamente preparati all’idea religiosa; ma non sì è forzati ad aderirvi. Che cosa veramente intendi tu per religione?

R. Della religione si possono dare definizioni abbastanza varie; io ti propongo questa: la religione è il vincolo che lega la creatura umana alla realtà misteriosa dalla quale sente di dipendere essa e l’ambiente in cui vive, e dalla quale per conseguenza dipende il suo destino.

D. Ma a che pro questo « vincolo »?

R. Questione immensa, tu ben lo supponi.

D. Io chiedo una breve indicazione.

R. Il visibile non basta al nostro sforzo di vita, a quello slancio interiore che ci anima. La potenza di espansione che si spiega in noi cerca un altro oggetto. Sia per la conoscenza, sia per la durata, la potenza, la rettitudine e la gioia del nostro essere, noi proviamo un bisogno di allargamento, di tutela, di pienezza felice che questo mondo non ci fornisce punto. La nostra mente è arrestata dal mistero, la nostra libertà è incatenata da fatalità inesorabili; il nostro appetito di felicità cozza con la sofferenza, con le umiliazioni, con le incomprensioni, con le separazioni, con la morte. La vita non ci appartiene e non ci basta. Le nostre relazioni col visibile lasciano libero un istinto di sociabilità superiore che il Dio sconosciuto sollecita e dovrà soddisfare. « L’infinito mi tormenta, a mio dispetto »; non è una vana parola. Per rispondere a questo soprappiù di attività interiore che nessun oggetto reale esaurisce, è veramente l’infinito, che in un modo o in un altro deve entrare nella nostra vita. Non si tratta di una forza estranea; bisogna che essa sia intima, poiché la vita interiore sarà la sua prima cliente; bisogna ancora che sia trascendente. A questo doppio segno non si riconosce forse la realtà sovrana, quella realtà che è il retrofondo di tutto e del nostro essere stesso, cioè il divino?

D. Credi tu veramente di avere così un fatto universale?

R. Sì, è un fatto universale; l’etnografia e la storia lo attestano. Ed è un fatto universale perché è un fatto umano e autentico, non è una superfetazione; non è un sentimento parassita; non è, etimologicamente, una superstizione; ma è una necessità vitale, richiesta da uno sforzo di adattamento superiore, e, se si può dire, di totalizzazione della vita. Niente è totale, per noi, se si sopprime l’oggetto della religione e la religione stessa. Onde la religione è «un prodotto dell’uomo normale », come dice Renan. Max Muller la chiama «la roccia solida, il granito primordiale e indistruttibile dell’anima umana ». Per Bergson, essa fa parte di ciò che egli chiama dati immediati della coscienza. Per questo Quatrefages ha definito l’uomo «un animale religioso »; «un animale che ha una finestra su Dio », come traduce lepidamente uno dei nostri giovani poeti (GIUSEPPE DELTEIL).

D. Io non posso trattenermi dal pensare che, seguendo lo slancio religioso, come tu dici, lo spirito umano fugge per la tangente, e sì crea una preoccupazione estranea alla vita.

R. Estranea alla vita inferiore e parziale, sì; estranea alla vita umana integrale, no. Se mi fosse lecito servirmi di un paragone un po’ strano, direi: Vi sono animali striscianti animali ambulanti, animali volanti, e solo l’uomo si schiera in queste tre specie: egli striscia per la sua vita fisica; cammina per la sua ragione; vola per la religione.

D. Vi son di quelli che non provano punto il bisogno di volare.

E. Vi son anche di quelli che non sentono affatto il bisogno di camminare, cioè di esser ragionevoli; vi sono perfino di quelli che rifiutano di strisciare menando la vita fisica, poiché si uccidono. L’uomo nondimeno per natura, è un vivente e un essere ragionevole. È parimenti, per natura, un essere religioso, benché a volte, per lo meno durante lunghi periodi della sua vita, egli non lo senta. «I cuori angusti, scrive Rousseau, non sentono mai il vuoto, perché sono sempre pieni di niente ». Ciò non si verifica meno dei cuori larghi, quando consentono, per impulso di passione o per negligenza, al loro proprio restringimento.

D. È dunque possibile che si abbia bisogno di essere destati a questo sentimento che dici istintivo?

E. Vi sono infatti degli istinti che dormono, come vi sono degli istinti che si corrompono. È la gloria della religione il rispondere, nello stesso tempo che agli inviti degli uomini, ai loro presentimenti ignorati.

D. Mi sembra paradossale dare alla vita un orientamento non proporzionato ad essa.

R. «Quello che mi occupa, scrive Emilio Faguet, è ciò che è secondo la mia misura; quello che mi preoccupa, è ciò che mi oltrepassa, I metafisici — e gli uomini religiosi — sono trattati da folli da alcuni belli spiriti o da alcuni spiriti più o meno belli; ma il « demente » sarebbe colui che, svegliandosi in treno e non sapendo più donde è partito e non sapendo dove va, contemplasse il suo scompartimento, lo verificasse, lo analizzasse, prendesse delle note, e non si desse pensiero donde ha potuto partire e dove può arrivare ».

D. Vi furono sempre molti dementi di questa specie, e temo che tu esageri, almeno per la Francia, l’importanza del fatto religioso.

R. Apri solo il piccolo Larousse tascabile alla parola Saint. Lì si vede come il popolo di Francia è nato, e quali furono i padrini del suo battesimo.

D. Ad ogni modo, molti ci vedono oggi un anacronismo.

R. Coloro che chiamano la religione un anacronismo dimostrano col loro atteggiamento che essa è piuttosto ai loro occhi un rimprovero. Di fatto, la religione è la preoccupazione di tutti, e più ancora di coloro che la negano.

D. Se certuni fanno a meno della religione, è certamente perché non è loro necessaria.

R. Necessaria perché?

D. Per essere felici e buoni.

R. Ma se la religione è vera, è necessaria a tutti per essere nel vero, ed essere nel vero è necessario per essere buoni, necessario per essere felici, come essere sulla buona strada è necessario per essere un buon viaggiatore, e perché si arrivi.

D. Tu rischi di attribuire alla religione ciò che dovrebbe essere attribuito alla morale?

R. Una vita morale è indispensabile a tutti, e chi pretendesse di sottrarvisi sotto colore di religione, più ancora che l’uomo, offenderebbe la religione stessa. Ma la moralità senza la religione non potrebbe bastare; perché, oltre le impotenze alle quali sovviene la religione e le nostre cadute ch’essa rialza, è ancora un articolo di legge morale di rendere a Dio quello che gli è dovuto, e come Egli lo intende.

D. Resta che in certi limiti, la moralità, di fatto, sì mostra indipendente dalla religione.

R. Coloro che se lo immaginano ignorano dunque che le loro idee morali sono idee religiose a mala pena abbozzate; che la loro moralità è venuta alla luce e non sussiste se non in grazia di un ambiente spirituale impregnato di senso cristiano? Colui che parla dell’inutilità della religione per la sua vita morale rassomiglia all’arbusto che, nella foresta umida, credesse inutili la sorgente, le piogge, i fiumi, il lontano oceano.

D. La religione non avrebbe oggi dei succedanei più alti di lei stessa a compiere il suo ufficio, di modo che la parte che essa si attribuisce ancora non sarebbe che una parte usurpata?

R. Di quali succedanei parli tu?

D. Ho già menzionato la morale, ora penso alla scienza.

R. Abbiamo veduto la scienza impotente a sostituire Dio come spiegazione delle cose; eppure la spiegazione è la parte sua propria: tanto meno sarà essa in grado di fare altre parti divine, che non sono più del suo dominio.

D. Eppure la scienza importa alla vita.

E. Sì certamente! La scienza è una conoscenza direttrice di un potere; essa accerta l’ordine dei fenomeni e se ne vale per l’azione, per utilissime creazioni. Ma il suo valore esplicativo è debole; anzi molti lo mettono in dubbio; esso è nulla finora riguardo ai fatti più generali, quelli che condizionano e potrebbero giustificare tutti i fenomeni visibili. In quanto all’interpretazione e alla direzione della vita umana, la scienza è, per natura, radicalmente impotente, o meglio estranea. E che cosa offre essa di efficace contro il dolore, la miseria morale, l’insufficienza vitale, la morte?

D. Donde avviene allora che là dove la scienza avanza, la religione indietreggia?

R. Tu generalizzi indebitamente; questo fatto, là dove si produce, è dovuto a un’ostruzione momentanea, a un’infedeltà orgogliosa. Oppure intendi parlare delle false religioni. Infatti è ben certo che la scienza ha detronizzato il dio-sole, il dio-nube, il Giove che lancia la folgore, il dragone che produce le ecclissi, e tutto ciò che rassomiglia a questi trastulli religiosi. Essa ha eliminato i guaritori per incantesimo, le streghe, gli oracoli; ha contribuito a epurare il sentimento religioso in seno alle popolazioni cristiane stesse, e conviene essergliene grati. Ma nulla di tutto questo tocca il fondo delle cose, e il dominio del soprannaturale resta inviolato; la vita è lasciata alle sue insufficienze essenziali; di fronte alle conquiste della scienza, noi sentiamo forse più che mai quel che manca alla scienza e quel che fa d’uopo agli uomini al di là di tutto l’umano. A forza di misurare il visibile, si deve giudicare sempre più come un vuoto spaventoso l’assenza dell’invisibile.

D. Non si vedono tuttavia di quelli che si attaccano alla scienza disperatamente, come all’unica salvezza?

R. Costoro non sono generalmente dei sapienti, e sono spesso degli appassionati che cercano un alibi per il loro odio, «Io sospetto fortemente, come scrive Andrea Gide a proposito di Remy Gourmont, che non amino tanto la scienza se non per detestare meglio la religione »,

D. Ma se sono dei genii?

R. Allora sono « degli uomini prodigiosi a cui manca tutto » (RENATO SCHWOB).

D. Credi tu che la scienza e la religione si disputeranno così per lungo tempo la direzione delle anime?

R. È troppo anormale che si sia fatto della scienza un duello tra l’uomo e Dio; un tale stato di cose è transitorio! « Vaneggiare dei proprii lumi », come dice Barbey d’Aurevilly, è cosa che mai non ha se non un tempo. Ascolta una bella profezia ottimista. « Noi siamo in un’era del mondo in cui l’umanità sta per fare un passo. Dopo tre secoli, essa porta innanzi un piede da gigante accanto alla natura, e non sapendo dove posare l’altro, si snerva e si stanca. Il mondo è troppo piccolo per i suoi due piedi, gli occorre l’al di là, come per misurare il sole occorre all’astronomo un’altra base diversa dalla terra. Un giorno, la religione e la scienza che sembrano oggi allontanarsi l’una dall’altra, come i due piedi di un uomo che cammini con la lentezza dei secoli, si ricongiungeranno nella luce, E l’umanità avrà fatto il suo passo » (GIUSEPPE SERRE).

D. Tra i succedanei religiosi, volevo anche parlare dell’arte. Non hai detto tu stesso: l’arte è una religione?

R. Lo dicevo per metafora, a cagione dello stretto rapporto di questi due ordini di fatti. Ma come l’arte sostituirebbe la religione, poiché in fondo vive di essa? Per una parte le è identica, perché anch’essa si eleva, da ciò che si vede, a quello che non si vede, poi anch’essa discende alle radici delle cose. Ma bisogna che essa si completi. L’artista non religioso è un artista incompleto. L’artista che rigettasse veramente e radicalmente ogni religione, non avrebbe più nulla da dire.

D. Tuttavia a molti artisti bastò l’arte.

R. Certi l’hanno detto; forse l’hanno pensato; ma il loro cuore non lo credeva. Dagnan-Bouveret, pochi anni prima della sua morte ammirabilmente cristiana, scriveva: « La mia povera mente, che non si pasce che di dubbi, trova almeno nella contemplazione della luce e dell’ombra qualche cosa di bello e d’indiscutibile nella sua eternità, che l’attira e affascina. E si abbandona a questa certezza evidente per lei, problematica per il cieco, insufficiente per il credente, con tutto il trasporto d’un disperato ».

D. La filosofia, almeno, può bastare a se stessa, poiché è una sapienza.

R. Essa è un « amore della sapienza », come indica il suo nome, e appunto per questo, il suo compito è di condurre alla religione, di rischiarare la religione ne’ suoi rapporti coi pensieri terrestri, di costituire, in grazia della religione che la prolunga dall’alto, la sintesi eminente del sapere. Ma sostituire la religione non sarebbe possibile alla filosofia se non a patto che essa disponesse del suo proprio oggetto, in vece di conoscerlo soltanto — se essa lo conoscesse con una cognizione sicura, in vece di cedere a tutti i venti di dottrina — se lo conoscesse con una cognizione viva, in vece di costituirsi in un sistema di astrazioni, e se avesse il potere di diffondere questa cognizione in tutti gli uomini, invece di confinarsi nei limiti d’una scuola o anche di un cervello. La filosofia è un mandarinato; la filosofia vede lacerare le sue membra che le sette si dividono; la filosofia vive di nozioni astratte, quasi ignara dell’azione, estranea all’immaginazione e al cuore degli uomini, impotente a sostenere la vita senza disporre di nessuna promessa eterna, non fosse che per quella parte di eternità che il tempo importa. La religione vuole essere un vincolo effettivo tra l’uomo e Dio; la filosofia non offre in fatto di vincolo altro che il tenue filo della logica dimostrativa, vero filo della Vergine, che svolazza in aria e non porta niente. Che cosa è una scuola filosofica di fronte alla Chiesa universale? e che cosa è l’insegnamento d’una filosofia umana di fronte a questo: Dio è nostro Padre; Egli c’invita, in seno alla sua Trinità, a un’intimità domestica; Lui stesso ha visitato la nostra terra e misteriosamente l’abita ancora; Egli ci unisce in una società della quale è l’invisibile capo, della quale il suo Spirito è l’anima, e, dopo questo tempo di prova durante la quale ci consola, ci promette una vita perfetta, la reintegrazione del nostro corpo, una perpetua e comune felicità?

D. Non è questa una filosofia?

R. È una filosofia, e la più grandiosa. « Il Cristianesimo è la prima religione che sia stata, nello stesso tempo, una filosofia » (Pietro Lasserre). Ma tal è nello stesso tempo. Il Cristianesimo è ancora un’altra cosa, esso è una fede.

D. Vi sono delle grandi filosofie fuori della fede.

R. Le filosofie senza fede sono come case vecchie sopra un promontorio di sabbia; esse scintillano al sole, ma l’interno è mediocre, e di fuori il mare le corrode.

D. Non dicono dunque mai il vero, o il vero che dicono, non avrebbe pregio?

R. Dicono spesso il vero, ed esse stesse sarebbero vere, se tollerassero il loro proprio compimento nella verità plenaria. Ma oltre ai loro errori, credendo di bastare a se stesse, si annichilano; perché chi rigetta il tutto non può conservare la parte, e « chi ritira il Verbo, distrugge la parola » (PAOLO CLAUDEL). « Ogni filosofia, scrive Lachelier, è astratta e formale, semplice aspirazione o folle esigenza del pensiero, che non finisce in religione ».

D. Perché la filosofia non è fatta per tutti?

R. Per la stessa ragione che il calcolo integrale.

D. Perché non fa capo a qualche cosa di fisso e di sicuro?

R. Perché lo spirito umano è debole, orgoglioso, appassionato, e quello che è sicuro, in queste condizioni, è l’insicurezza; quello che è fisso, è la disputa. Le divisioni della mente e i suoi traviamenti hanno le medesime cause che le nostre liti domestiche o sociali, e sono i nostri vizi.

D. Ma tutto questo non agisce punto nel mondo religioso?

R. Questo agisce dovunque; anche i teologi non sono meno divisi, nel loro campo, che i filosofi nel proprio. Ma la religione ha modo di limitare questo male umano con mezzi divini; essa può mantenere l’essenziale e pervenire al cuore dell’unità umana. Gli errori teologici girano attorno al dogma, il quale rimane, mentre l’errore filosofico, periodicamente, altera o spazza via tutto. Perciò la filosofia disserta senza concludere, là dove la religione afferma; la filosofia ricomincia, mentre la religione conserva ed applica. Ma al di sopra di tutto, la religione è universalmente umana, popolare nel grande senso, nello stesso tempo che sublime. Il suo Dio non è un interlocutore dei genii, ma un Padre; ai genii si rivolge come agli altri, ma inoltre Egli « annunzia il Vangelo ai piccoli »; ecco il suo segno; Egli conta con quelli che non contano punto.

D. Tu patrocini per le religioni positive, o il vero che dicono non e specialmente per la tua; ma vi è una religione naturale, e che potrebbe bastare.

R. Quello che si chiama religione naturale non è che una filosofia, vagamente tinta di una religiosità presa dal Cristianesimo. In materia propriamente religiosa, essa fu chiamata « un corridoio aperto sopra il nulla » (ALBERTO DE MUN).

D. Quello che è naturale può forse essere un nulla?

E. La religione naturale è così poco nella natura che non è mai esistita. Fu scritto un libro o due con questo titolo; ma un libro non è un fatto. In nessun secolo, in nessun paese, si è prodotto un fatto collettivo che meriti l’appellazione che si usurpa.

D. E se si producesse?

R. Si produrrebbe necessariamente coi caratteri che io rilevo. La religione naturale è una pura filosofia, per conseguenza accessibile solo ai privilegiati, e la più umile umanità ha bisogno di vivere. È una dottrina astratta, tutta in idee, e vi sono i fatti; vi sono le particolarità del nostro essere, le difficoltà della nostra vita, gli accidenti della nostra via; vi è il male in noi e attorno a noi, e le incertezze delle nostre menti, e le debolezze del nostro volere, e gli eccitamenti dei nostri sensi, e i pericoli come le felici possibilità della vita collettiva. Che cosa ci propone la religione naturale per sovvenire a tutto questo? Con quale autorità? e per quali fini superiori che essa possa garantire? È un programma seducente in apparenza; è un manuale per un allievo maestro dei tempi andati; ma non un Credo o un formulario d’azione proprio di un’istituzione vivente; non è una religione.

D. Tu ricusi perfino di concepire uno sviluppo della vita naturale fuori del soprannaturale religioso?

R. Una natura fatta per l’infinito e che si chiude all’infinito non può che rattrappirsi e finalmente corrompersi. Essa è capace di qualche bene, ma non del bene.

D. Ecco per me la religione che tutti potrebbero ammettere: una religione puramente spirituale, cioè consistente in uno spirito, in un orientamento superiore del quale Cristo fosse il grande maestro, di cui il Vangelo fosse il libro scelto; che guidasse la nostra vita, ma senza rinchiuderci in un dogma stretto e rigido, sotto un’autorità dispotica, sottoposti a riti fastidiosi.

R. Questa supposta religione dello spirito è la religione del vago, la religione di coloro che non ne hanno punto e non ne vogliono avere, ma che una volta ne avevano una e ne hanno conservato il ricordo nostalgico. Essi credono al vero, al bello e al buono senza definire né l’uno né l’altro, senza garantire né facilitare il loro regno, senza unirci nel loro culto e nella loro pratica, senza mostrare la meta a cui ci faranno pervenire, insomma, senza effettuare niente di ciò che è l’oggetto d’una religione, né dare la minima risposta alle questioni che una religione propone. Sotto pretesto di « spirito », si abbandonano così gli uomini a un completo denudamento spirituale, e senza speranza.

D. Questa religione ha tuttavia degli adepti.

R. Ho detto il perché. Essa è predicata da vecchi cattolici romani diventati già protestanti ortodossi, diventati più recentemente protestanti liberali o razionalisti; essa è predicata anche da quei Cattolici snaturati che il modernismo ha prodotti. È il « profumo del vaso vuoto » di cui parlava Renan. Ma l’umanità non vive punto di profumo, né di vuoto; specialmente la più umile umanità, la massa, che questo bel dilettantismo non raggiunge.

D. I dilettanti di cui parli si orientano almeno verso l’avvenire, tu verso il passato.

R. Noi ci orientiamo verso l’eternità. L’idea che solo l’avvenire offre una speranza è un pregiudizio evoluzionista senz’alcun fondamento. L’evoluzione non tocca nel loro fondo altro che le realtà inferiori; quanto più si sale, tanto più si arriva a ciò che è immutabile e permanente, ed è naturalmente il caso della vita religiosa, rapporto essenziale dell’uomo, se così posso dire, con Colui che non muta,

D. Un ultimo succedaneo della religione non si potrebbe trovare nella politica, nel senso più largo della parola? Hai notato tu stesso l’aspetto sociale delle religioni: non sarebbero esse, a questo titolo, delle anticipazioni, e la laicità associata a un umanismo superiore, non sarebbe forse la verità definitiva?

R. Il giorno che mi sarà additata una società che funzioni fuori dell’influsso diretto o indiretto d’un principio religioso, io crederò al « laicismo » in quanto principio sociale. Ma fin qui gli onori della vita pubblica furono riservati alle religioni e alle loro filiali più o meno fedeli. Non vi fu mai società laica sotto il cielo.

D. La nostra, in Francia, dopo la separazione delle Chiese e dello Stato non sarebbe affatto laica?

R. Non ti fermare ai testi legislativi, ai discorsi, ai programmi; noi parliamo di vita sociale, e la vita sociale è tautt’altra cosa che questo.

D. Che cosa è dunque la nostra società detta « laica »?

R. È una società cristiana che della fede ha rigettato tutto ciò che desiderava di perdere, e che ne conserva, dopo avergli tolto la marca, tutto ciò che desidera di conservare.

D. E che sarebbe una società veramente laica?

R. Il nulla organizzato.

D. La religione dunque, secondo te, è necessaria alla civiltà?

R. Come una madre è necessaria a sua figlia, come un’anima è necessaria al suo corpo. La religione è l’anima delle civiltà; ne è l’origine. Si possono costruire delle ipotesi; ma i fatti sono più sicuri. Ora, nel fatto, le civiltà e le religioni si presentano nella storia come un unico fenomeno sociale. Le civiltà antiche procedono dagli dèi e dal loro culto; la civiltà moderna, che sola merita veramente questo titolo, lo merita a cagione del Cristianesimo, del quale è interamente formata. Quando la laicità avrà prodotto qualche cosa di indipendente che sia veramente e unicamente di essa, le cui origini religiose non siano evidenti per tutti, si potrà paragonare il suo valore di civiltà a quello del Cristianesimo. Per il momento, non ne parliamo.

D. Allora devi temere, per la civiltà, il movimento che ci porta via.

R. La notte che si estenderà sopra la nostra civiltà, se la Chiesa se ne ritira, sarà più nera che quella da cui la Chiesa l’aveva tratta un tempo. La civiltà e la morale sono un prestito consentito al mondo moderno dal Cristianesimo. Tu potresti sostituire ciò che non dipendesse che da te stesso; potresti quindi ignorarlo e dissiparlo senza rischio. Ma ciò che hai da altri e che altri ti mantiene per un influsso segreto, lo perdi per l’ingratitudine, nello stesso tempo che l’amicizia più preziosa che te lo assicurerebbe. « Non cercare il regno di Dio, e il resto ti sarà ritirato per soprappiù » (AGOSTINO COCHIN).

D. Ecco una terribile sentenza! Ma ne fai una profezia?

R. Io credo all’avvenire, perché credo a Dio e all’uomo, perché vedo all’opera immense forze del bene. Si ha un bel fare, ma la nostra civiltà è ancora adagiata a piè della croce come una leonessa impaziente o distratta. Se tuttavia il movimento « laico » avesse il sopravvento, e se gli uomini di domani non sapessero riprendersi e fermarsi a tempo sopra la china, la stessa violenza dei fatti materiali riaprirebbe per noi il mondo dello spirito.

D. Sarebbe ancora la salvezza.

R. La verità può vincere l’errore dandogli vinta la causa, come un fino politico si vale del partito avverso lasciandogli momentaneamente il potere.

D. Da chi dipende l’avvenire che tu vagheggi?

R. L’avvenire è nelle mani delle giovinezze nuove. L’avvenire è nelle mani di Dio.

LA SUMMA PER TUTTI (6)

LA SUMMA PER TUTTI (6)

R. P. TOMMASO PÈGUES

LA SOMMA TEOLOGICA DI S. TOMMASO DI AQUINO IN FORMA DI CATECHISMO PER TUTTI I FEDELI

PARTE SECONDA

L’UOMO VENUTO DA DIO E DESTINATO A RITORNARE A DIO

SEZIONE PRIMA

Idea generale del ritorno dell’uomo a Dio

CAP. I.

Rassomiglianza dell’uomo con Dio nella libera gestione di ciò che lo riguarda.

403. L’uomo ha qualche rassomiglianza speciale con Dio, nelle sue azioni?

Sì; l’uomo nelle sue azioni ha una rassomiglianza speciale con Dio.

404. In che cosa consiste questa rassomiglianza speciale che l’uomo ha nelle sue azioni con Dio?

Consiste in questo, che come Dio dispone di tutto l’universo che dipende da Lui a suo piacimento e con tutta libertà, così l’uomo dispone a suo piacimento e con tutta libertà di ciò che dipende da lui (Prologo).

Capo II.

Del fine ultimo dell’uomo in tutte le sue azioni: la felicità.

405. L’uomo ha sempre uno scopo in ciascuna delle sue azioni?

Sì; l’uomo in ciascuna delle sue azioni ha sempre uno scopo, quando agisce come uomo e non come una macchina, ossia per impulso e reazione puramente fisica o istintiva (I, 1).

406. Non vi è che l’uomo nel mondo materiale che abbia uno scopo nelle sue azioni?

Sì; nel mondo materiale non vi è che l’uomo, che abbia uno scopo nelle sue azioni (I, 2).

407. Ne segue che tutti gli altri esseri, nel mondo materiale, agiscano senza alcuno scopo?

No; non ne segue che tutti gli altri esseri nel mondo materiale agiscano senza alcuno scopo. Tutti anzi agiscono sempre per uno scopo ben determinato; ma non hanno affatto questo scopo come cosa che essi si propongono: è Dio che lo ha per loro e lo ha loro fissato (I, 2).

408. Tutti gli altri esseri agiscono dunque in vista di un fine, ossia per raggiungere uno scopo segnato loro da Dio?

Sì; tutti gli altri esseri agiscono in vista di un fine, ossia per raggiungere uno scopo segnato loro da Dio (I, 2).

409. Dio non ha segnato all’uomo lo scopo per il quale agisce?

Sì; Dio ha segnato anche all’uomo lo scopo per il quale agisce.

410. Che differenza passa dunque tra l’uomo quando agisce, e gli altri esseri del mondo materiale?

L’uomo può fissare a se stesso, sotto l’azione superiore di Dio e dipendentemente da questa azione, lo scopo per il quale agisce; mentre gli altri esseri del mondo materiale non fanno che eseguire ciecamente, per loro natura e per loro istinto, ciò che Dio ha segnato come fine della loro azione (I, 2).

411. Da che cosa deriva questa differenza tra l’uomo e gli altri esseri materiali nelle loro azioni?

Questa differenza deriva da ciò, che l’uomo ha la ragione e gli altri esseri no (I, 2).

412. Esiste per l’uomo uno scopo supremo, ossia un fine ultimo che egli stesso si propone nelle sue azioni?

Sì; esiste sempre per l’uomo uno scopo supremo, ossia un fine ultimo che egli si propone nelle sue azioni; perché senza questo ultimo fine e questo scopo supremo non potrebbe niente volere (I, 4, 3).

413. L’uomo nelle sue azioni ordina tutto a questo fine ultimo, ossia a questo scopo supremo che si propone?

Sì; l’uomo nelle sue azioni ordina tutto a questo ultimo fine, ossia a questo scopo supremo che nelle sue azioni si propone; se non sempre in maniera cosciente ed esplicita, almeno implicitamente e per una specie di istinto naturale nell’ordine della ragione (I, 6).

414. Qual è il fine ultimo, ossia lo scopo supremo che l’uomo si propone sempre, ed a cui ordina tutto nelle sue azioni?

Il fine ultimo, ossia lo scopo supremo che l’uomo si propone sempre ed a cui ordina tutto nelle sue azioni è la felicità (I, 7).

415. L’uomo vuole dunque necessariamente essere felice?

Sì: l’uomo vuole necessariamente essere felice.

416. È assolutamente impossibile trovare un uomo che voglia essere infelice?

È assolutamente impossibile trovare un uomo che voglia essere infelice (V; 8).

417. L’uomo può ingannarsi sull’oggetto della sua felicità?

Sì; l’uomo può ingannarsi sull’oggetto della sua felicità, perché potendo cercare il proprio bene in beni molteplici e diversi, può ingannarsi sul suo vero bene (I, 7).

418. Che cosa accade se l’uomo si inganna sull’oggetto della sua felicità?

Se l’uomo si inganna sull’oggetto della sua felicità, accade che invece di trovare la felicità al termine delle sue azioni, non troverà che la più orribile infelicità.

419. È dunque sommamente importante per l’uomo di non ingannarsi sull’oggetto della sua felicità?

Non vi è niente di più importante per l’uomo che di non ingannarsi sull’oggetto della sua felicità.

Capo III

Dell’oggetto di questa felicità.

420. Qual è l’oggetto della felicità dell’uomo?

L’oggetto della felicità dell’uomo è un bene superiore a lui, e nel quale soltanto può trovare la sua perfezione (II, 1-8).

421. Sono le ricchezze oggetto della felicità dell’uomo?

No; non sono affatto le ricchezze perché esse sono inferiori all’uomo, e non bastano ad assicurare il suo bene totale e la sua perfezione (II, 1).

422. Sono gli onori?

No; non sono gli onori perché gli onori non dànno la perfezione, ma solo la suppongono quando non sono falsi; e se sono falsi non sono niente (II, 2).

423. È la gloria o la fama?

No; perché esse non hanno valore se non si meritano; e di più sono cosa fragilissima e molto vana tra gli uomini (II, 3).

424. È la potenza?

No; perché la potenza è per il bene degli altri, ed è alla mercè dei loro capricci e dei loro rivolgimenti (II, 4).

425. È la sanità o la bellezza del corpo?

No; perché sono beni troppo fragili, d’altra parte, non sono che la perfezione esteriore dell’uomo, non la perfezione della sua anima e del suo interno (II, 5).

426. Sono i piaceri nei quali può aver parte il corpo?

No; non sono affatto i piaceri nei quali può aver parte il corpo, atteso che questi piaceri sono ben poca cosa paragonati ai piaceri superiori della mente, che sono propri dell’anima (II, 6).

427. La felicità dell’uomo consisterebbe dunque nel bene dell’anima?

Sì; la felicità dell’uomo consiste nel bene dell’anima (II, 7).

428. E qual è questo bene dell’anima, in cui consiste la felicità dell’uomo?

Il bene dell’anima in cui consiste la felicità dell’uomo è Dio, Bene Supremo, Sommo ed Infinito (II, 8).

Capo IV.

Del possesso di questa felicità.

429. Come può l’uomo arrivare a possedere Dio, suo Bene Supremo, e goderne?

L’uomo può arrivare a possedere Dio, suo Bene Supremo e goderne, con un atto della sua intelligenza mossa a questo fine dalla sua volontà (III, 4).

430. Che cosa ci vuole perché l’uomo trovi la sua perfetta felicità in questo atto della sua intelligenza?

Perché l’uomo trovi la sua perfetta felicità in questo atto della sua intelligenza, bisogna che Dio sia da lui raggiunto come è in Se stesso, e non solamente quale può essere raggiunto per mezzo delle creature, qualunque esse siano (II, 5-8).

431. Come si chiama questo atto per mezzo del quale Dio è raggiunto dalla intelligenza; come è in Se stesso?

Questo atto si chiama « la visione di Dio » (III, 8).

432. Dunque la perfetta felicità dell’uomo consiste nella visione di Dio?

Sì; la perfetta felicità dell’uomo consiste nella visione di Dio (III, 8).

438. Questa visione di Dio, quando l’uomo la possederà, porterà seco tutto ciò che può essere una perfezione per lui, nella sua anima, nel suo corpo ed in tutto quello che sarà intorno a lui?

Sì; questa visione di Dio, quando l’uomo la possederà in tutta la sua pienezza, porterà seco necessariamente tutto ciò che per l’uomo può essere una perfezione, nella sua anima, nel suo corpo ed in tutto quello che sarà intorno a lui; perché essendo essa il bene dell’uomo nella sua più alta origine, si riversa in tutto ciò che è dell’uomo per colmarlo e perfezionarlo (IV, 1-8).

434. Sarà dunque per l’uomo il possesso di ogni bene e la esclusione di ogni male?

Sì; sarà per l’uomo il possesso di ogni bene e la esclusione di ogni male (Ibid.).

Capo V.

Del mezzo d’assicurarsi questo possesso; ossia delle buone azioni che lo meritano e delle azioni cattive che lo fanno perdere.

435. L’uomo può conseguire su questa terra ed in questa vita la visione di Dio, che costituisce la sua perfetta felicità?

No; l’uomo non può conseguire su questa terra ed in questa vita la visione di Dio che costituisce la sua perfetta felicità, perché le condizioni e le miserie della vita presente sono incompatibili con una tale pienezza di felicità (V. 3).

436. Come potrà l’uomo conseguire la visione di Dio che deve costituire la sua perfetta felicità?

L’uomo non potrà conseguire la visione di Dio che deve costituire la sua perfetta felicità, se non ricevendola da Dio stesso (V, 5).

437. Dio gliela concederà senza che esso vi si prepari e la meriti?

No: Dio non gliela concederà senza che esso vi si prepari e la meriti (V, 7).

438. Dunque che cosa deve fare l’uomo su questa terra ed in questa vita?

L’uomo su questa terra ed in questa vita non deve che prepararsi per via di merito a ricevere un giorno da Dio la visione di Lui e tutto ciò che dovrà accompagnarla, quando Dio stesso gli darà la sua ricompensa.

Capo VI.

Che cosa comporti l’atto umano, all’effetto di essere un atto buono meritorio, o un atto cattivo demeritorio, parlando del merito e del demerito in generale.

439. Potreste dirmi con che cosa l’uomo, su questa terra ed in questa vita, può prepararsi per via di merito a ricevere un giorno da Dio la visione di Lui, che deve formare la sua eterna felicità a titolo di ricompensa? Sì; unicamente con i suoi «atti» (VI, Prologo).

440. Che cosa sono questi atti per i quali l’uomo, su questa terra ed in questa vita, può prepararsi per via di merito a ricevere un giorno da Dio la visione di Lui, che deve formare la sua eterna felicità a titolo di ricompensa?

Sono gli «atti di virtù».

441. Che cosa intendete per atti di virtù?

Sono gli atti che l’uomo compie con la propria volontà in conformità alla volontà divina, sotto l’impulso della grazia (VI-CXIV).

442. Che cosa si richiede perché gli atti dell’uomo siano compiuti con la sua volontà?

Si richiede che li compia spontaneamente e con cognizione di causa (VI, 1-8).

443. Che cosa intendete col dire che si richiede che li compia spontaneamente?

Intendo che si richiede che li compia da se stesso e senza esservi costretto comunque o

forzato (VI, 1, 4, 5, 6).

444. Come può essere l’uomo costretto a fare qualche cosa contro la propria volontà?

L’uomo può essere costretto a fare qualche cosa contro la propria volontà in due maniere: con la violenza e col timore (VI, 4, 5, 6).

445. Che cosa intendete per violenza?

Intendo una forza estranea all’uomo, che lega le sue membra e lo impedisce di agire come vorrebbe; oppure lo costringe a fare esteriormente ciò che la sua volontà rifiuta (VI, 4, 5).

446. E che cosa intendete per timore?

Intendo un moto interno che induce l’uomo a volere una cosa che in altre circostanze non vorrebbe, per evitare un male che lo minaccia (VI, 6).

447. Ciò che si fa sotto l’azione della violenza esterna è del tutto involontario?

Sì: ciò che si fa sotto l’azione della violenza esterna è del tutto involontario (VI, 5).

448. Perché dite sotto l’azione della violenza « esterna »?

Perché la parola «violenza» si prende qualche volta anche per il moto interno della collera.

449. In questo caso, come nei casi di altri moti interni che eccitano od inclinano la volontà, si può parlare di involontario?

No; in questi diversi casi non si può parlare affatto di involontario, purché tali moti interni non siano così veementi che giungano ad impedire l’uso della ragione (VI, 7).

450. E quando si agisce per timore, vi è allora l’atto involontario?

Quando si agisce per timore l’atto è volontario, ma con un misto di involontario; nel senso che si vuole, sì, quello che si fa; ma si vuole a malincuore e per causa di un male che si cerca di evitare (VI, 6).

451. Avete detto anche che si richiede, perché gli atti dell’uomo siano compiuti di sua volontà, che siano compiuti con cognizione di causa?

Sì; e ciò vuol dire che se si fa una cosa ingannandosi sulla materia della cosa stessa la cosa che si fa non è volontaria (VI, 8).

452. Quella cosa sarebbe allora involontaria?

Sì, se sapendola non si sarebbe fatta (VI, 8)

453. Ciò che si fa o non si fa per ignoranza o per errore, può essere qualche volta volontario?

Sì; e lo sarà sempre quando si è responsabili di tale ignoranza o di tale errore (VI, 8).

454. E quando si è responsabili di tale ignoranza o di tale errore?

Quando si sono voluti direttamente, sono effetto di colpevole negligenza (VI, 8).

455. L’atto che l’uomo compie di sua volontà, si presenta rivestito di certe circostanze di cui bisogna tener conto, e che possono contribuire al carattere di tale atto?

Sì; e niente è più importante della considerazione di queste circostanze, per apprezzare

come conviene l’atto che 1’uomo compie con la sua volontà (VII, 1, 2).

456. Potreste dirmi quali sono queste circostanze?

Sono le circostanze di persona, di oggetto o di effetto prodotto, di luogo, di causa, di mezzo, di tempo (VII, 3).

457. Che cosa si deve intendere per queste diverse circostanze?

Queste diverse circostanze riguardano il carattere o la condizione della persona che agisce, ciò che fa o risulta dal suo atto, il luogo dove agisce, lo scopo per il quale agisce, coloro che le servono di aiuto, il tempo in cui agisce (VII, 3).

458. Di queste circostanze quale è la più importante?

Quella del motivo per il quale si opera ossia dello scopo che ci si propone nell’azione.

459. È sempre la volontà che produce gli atti che l’uomo compie di sua volontà?

Sì; è sempre la volontà; ma qualche volta è la volontà sola, mentre altre volte sono altre facoltà ed anche i membri esterni del corpo, ma sotto l’impulso e per ordine della volontà (VIIT-XVII).

460. Dunque per l’uomo tutto si riferisce alla volontà, negli atti che costituiscono la sua vita ed il valore di questa vita, in vista della felicità del cielo da guadagnare o da perdere?

Sì; per l’uomo tutto si riferisce sempre alla volontà, negli atti che costituiscono la sua vita ed il valore di questa vita, in vista del cielo da guadagnare o da perdere. E ciò al dire che l’atto dell’uomo non ha valore se non in quanto emana dalla sua volontà; sia che essa stessa lo produca, sia che muova a produrlo le altre facoltà od i membri che lo producono (VIII-XXI).

461. Di tutti gli atti interni della volontà qual è il più importante, e che impegna definitivamente la responsabilità dell’uomo?

È l’atto di scegliere, ossia «la elezione» (XIII, 1-6).

462. Perché l’atto di scegliere, ossia la elezione, ha questa importanza?

Perché fa sì che la volontà si fermi con cognizione di causa e dopo deliberazione su di un bene determinato che essa accetta ed intende far suo, a preferenza di ciò che non è quello (XIII, 1).

463. La elezione è propriamente atto stesso del libero arbitrio?

Sì; la elezione è propriamente l’atto stesso del libero arbitrio (XIII, 6).

464. Dunque per mezzo della elezione l’uomo assume in ogni cosa il suo vero carattere morale ed il suo reale valore, in ordine alla eterna felicità da acquistare o da perdere?

Sì; per mezzo della elezione l’uomo assume in ogni cosa il suo vero carattere morale ed il suo reale valore, in ordine alla eterna felicità da acquistare o da perdere.

465. Come si divide la elezione dell’uomo relativamente al suo vero carattere ed al suo valore reale, in ordine alla vera felicità eterna da acquistare o da perdere?

Si divide in « elezione buona» ed «elezione cattiva » (XVITI-XXI).

466. Che cosa è la elezione buona?

È quella che porta ad una cosa buona, in vista di un fine buono, e di cui tutte le circostanze che accompagnano sono buone (XVII-XIX).

467. Da che si deduce la bontà della cosa, la bontà del fine e la bontà delle circostanze?

Tale bontà si deduce dal rapporto che tutte queste cose hanno con la retta ragione (XIX, 3-6).

468. Che cosa intendete per retta ragione?

Intendo la ragione illuminata da tutti i lumi venuti da Dio, o che almeno non è loro scientemente contraria.

469. Dunque quando l’uomo vuole e sceglie una cosa conforme alla retta ragione, con uno scopo e per un fine che la retta ragione approva ed in circostanze armonizzanti tutte e ciascuna con la retta ragione stessa, l’atto voluto e scelto dall’uomo è un atto buono?

Sì: allora, ed allora soltanto, l’atto dell’uomo è un atto buono. Se sopra qualcuno di questi punti l’atto dell’uomo non è conforme alla retta ragione, non è più un atto buono e diventa, benché in diversi gradi, un atto cattivo (XVIII-XXI). 5

470. Come si chiama l’atto cattivo?

L’atto cattivo si chiama «colpa» o «peccato » (XXI, 1).

Capo VII.

Dei moti affettivi dell’uomo, ossia delle passioni.

471. In materia di atti affettivi che possono contribuire al valore della sua vita, non vi sono nell’uomo che gli atti della sua volontà?

Nell’uomo vi sono ancora altri atti affettivi.

472. Quali sono nell’uomo questi altri atti affettivi?

Sono le «passioni» (XXII-XLVIII).

473. Che cosa intendete per passioni?

Per passioni intendo i moti affettivi della parte sensibile dell’uomo.

474. Non vi è che l’uomo che abbia questi moti affettivi della parte sensibile?

No; questi moti affettivi della parte sensibile si trovano in tutti gli animali (XX1I,1,2,8).

475. Tali moti affettivi della parte sensibile hanno negli altri animali un valore morale?

No; tali moti affettivi della parte sensibile non hanno negli altri animali un valore morale; solamente nell’uomo hanno un valore morale.

476; Perché solamente nell’uomo questi moti affettivi della parte sensibile hanno un valore morale?

Perché solamente nell’uomo sono in rapporto con gli atti superiori della libera volontà e sono soggetti al loro impero (XXV o XXIV, 1-4).

477. Quali sono nell’uomo questi moti affettivi della parte sensibile che si chiamano passioni?

Questi moti affettivi della parte sensibile dell’uomo che si chiamano passioni, sono i moti del cuore che si dirige verso il bene, o si allontana dal male che i sensi ci presentano (XXIII, XXIV o XXV).

478. Quante sono le specie dei moti del cuore?

Sono «undici» (XXII, 4).

479. Come si chiamano?

Si chiamano: amore, desiderio, piacere o gioia; odio, disgusto, tristezza; speranza, audacia, timore, disperazione, ira (XXII, 4).

480. Questi moti del cuore occupano un gran posto nella vita degli uomini?

Sì; questi moti del cuore occupano un gran posto nella vita degli uomini.

481. E perché questi moti del cuore occupano un sì gran posto nella vita degli uomini?

Perché gli uomini hanno in sé una doppia natura: ragionevole e sensibile; e la natura sensibile viene commossa per prima dall’azione del mondo sensibile in mezzo al quale viviamo, e donde ricaviamo tutti i dati stessi della nostra vita ragionevole.

482. Dunque i moti del cuore o passioni non sono sempre e di per sé cosa cattiva?

No; i moti del cuore o passioni non sono sempre e di per sé cosa cattiva.

483. Quando sono cosa cattiva questi moti del cuore o passioni?

Quando non sono nell’ordine voluto dalla retta ragione.

484. E quando non sono nell’ordine voluto dalla retta ragione?

Quando tendono verso un bene sensibile o si allontanano da un male sensibile, prevenendo il giudizio della ragione o contrariamente a tale giudizio (XXV, o XXIV, 3).

485. Non sono che nella parte sensibile i moti di amore, di desiderio, di gioia, di odio, di disgusto, di tristezza, di speranza, di audacia, di timore, di disperazione e di ira?

Questi stessi moti si trovano anche nella volontà (XXVI, 1).

486. Che differenza passa tra questi moti, secondoché sono nella parte sensibile o nella volontà?

Vi è questa differenza, che nella parte sensibile implicano sempre una certa partecipazione dell’organismo ossia del corpo; mentre nella volontà sono puramente spirituali (XXXI, 4).

487. Quando si parla di moti del cuore, di quali moti affettivi si tratta, di quelli della parte sensibile o di quelli della volontà?

In senso proprio si tratta dei moti della parte sensibile; ma in senso metaforico si tratta anche di quelli della volontà.

488. Quando, dunque, si parla del cuore dell’uomo, si può trattare di questa doppia specie di moti?

Sì; quando si parla del cuore dell’uomo si può trattare di questa doppia specie di moti.

489. E quando si dice di un uomo che ha cuore, che cosa si vuol dire con questo?

Quando si dice di un uomo che ha cuore, talvolta si vuol dire che egli è affettuoso e tenero, di qualsiasi ordine di affezioni si tratti, o puramente sensibili od anche di ordine superiore; ed altre volte si vuol dire che ha coraggio ed energia.

490. Perché si dice qualche volta che bisogna vegliare sul proprio cuore: e che cosa si vuol dire con questo?

Quando si dice che bisogna vegliare su proprio cuore si vuol dire che bisogna guardarsi dal seguire inconsideratamente i primi moti affettivi, soprattutto di ordine sensibile che ci portano a cercare ciò che ci piace e a fuggire ciò che ci dispiace.

491. Si parla anche alle volte di educazione del cuore: che cosa si vuol dire con questo!

Si vuol dire che bisogna impegnarsi a non avere in sé che dei buoni moti affettivi.

492. Questa educazione del cuore così intesa è cosa importante?

Questa educazione del cuore così intesa riassume tutto l’esercizio dell’uomo nell’acquisto della virtù e nella fuga del vizio.

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (XIII)

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (XIII)

INTERPRETAZIONE DELL’APOCALISSE

Che comprende LA STORIA DELLE SETTE ETÁ DELLA CHIESA CATTOLICA.

DEL VENERABILE SERVO DI DIO

BARTHÉLEMY HOLZHAUSER RESTAURATORE DELLA DISCIPLINA ECCLESIASTICA IN GERMANIA,

OPERA TRADOTTA DAL LATINO E CONTINUATA DAL CANONICO DE WUILLERET,

PARIS, LIBRAIRIE DE LOUIS VIVÈS, ÉDITEUR RUE CASSETTE, 23 – 1856

LIBRO QUARTO

SUI CAPITOLI OTTO E NOVE

SEZIONE II.

SUL CAPITOLO IX.

DEL QUINTO E SESTO ANGELO.

§ I.

Del quinto angelo che suonò la tromba.

CAPITOLO IX. VERSETTI 1-12.

Et quintus angelus tuba cecinit: et vidi stellam de caelo cecidisse in terram, et data est ei clavis putei abyssi. Et aperuit puteum abyssi: et ascendit fumus putei, sicut fumus fornacis magnæ: et obscuratus est sol, et aer de fumo putei: et de fumo putei exierunt locustæ in terram, et data est illis potestas, sicut habent potestatem scorpiones terræ: et præceptum est illis ne laederent foenum terrae, neque omne viride, neque omnem arborem : nisi tantum homines, qui non habent signum Dei in frontibus suis: et datum est illis ne occiderent eos: sed ut cruciarent mensibus quinque: et cruciatus eorum, ut cruciatus scorpii cum percutit hominem. Et in diebus illis quærent homines mortem, et non invenient eam: et desiderabunt mori, et fugiet mors ab eis. Et similitudines locustarum, similes equis paratis in prælium: et super capita earum tamquam coronae similes auro: et facies earum tamquam facies hominum. Et habebant capillos sicut capillos mulierum. Et dentes earum, sicut dentes leonum erant: et habebant loricas sicut loricas ferreas, et vox alarum earum sicut vox curruum equorum multorum currentium in bellum: et habebant caudas similes scorpionum, et aculei erant in caudis earum: et potestas earum nocere hominibus mensibus quinque: et habebant super se regem angelum abyssi cui nomen hebraice Abaddon, græce autem Apollyon, latine habens nomen Exterminans. Væ unum abiit, et ecce veniunt adhuc duo væ post hæc.

[E il quinto Angelo diede fiato alla tromba: e vidi una stella caduta dal cielo sopra la terra, e gli fu data la chiave del pozzo dell’abisso. E aprì il pozzo dell’abisso: e dal pozzo salì un fumo, come il fumo di una grande fornace: e il sole e l’aria si oscurò pel fumo del pozzo: e dal fumo del pozzo uscirono per la terra locuste, alle quali fu dato un potere, come lo hanno gli scorpioni della terra: E fu loro ordinato di non far male all’erba della terra, né ad alcuna verdura, né ad alcuna pianta: ma solo agli uomini, che non hanno il segno di Dio sulle loro fronti. E fu loro dato non di ucciderli, ma di tormentarli per cinque mesi: e il loro tormento (era) come il tormento che dà lo scorpione, quando morde un uomo. E in quel giorno gli uomini cercheranno la morte, né la troveranno: e brameranno di morire, e la morte fuggirà da loro. E gli aspetti delle locuste, simili ai cavalli preparati per la battaglia: e sulle loro teste una specie di corone simili all’oro; e i loro volti simili al volto dell’uomo. E avevano capelli simili ai capelli delle donne: e i loro denti erano come di leoni. E avevano corazze simili alle corazze di ferro, e il rumore delle loro ali simile al rumore dei cocchi a più cavalli correnti alla guerra: e avevano le code simili a quelle degli scorpioni, e v’erano pungiglioni nelle loro code: e il lor potere (era) di far male agli uomini per cinque mesi: e avevano sopra di loro per re l’angelo dell’abisso, chiamato in ebreo Abaddon, in greco Apollyon, in latino Sterminatore. Il primo guaì è passato, ed ecco che vengono ancora due guai dopo queste cose.]

La stella che cadde dal cielo al suono della tromba del quinto angelo era l’imperatore Valente, uno zelante e potente falsificatore dell’eresia di Ario. Questo errore cominciò ad assumere tali proporzioni sotto questo principe, che l’Apostolo riferisce giustamente il suono della quinta tromba, a causa del grande danno che fece alla Chiesa. Questo principe fece più danni sostenendo e propagando questa eresia di quanto ne avesse fatti Ario nel predicarla e nel suonare la sua prima tromba. Sedotto dalle lusinghe di sua moglie, che si era lasciata prendere dalle insidie dell’arianesimo, e dalla perfida eloquenza di Eudosso, vescovo di Costantinopoli, il più colpevole di tutti gli ariani, questo imperatore divenne uno dei più ardenti sostenitori di questa setta. Fu battezzato dallo stesso vescovo e giurò di essere sempre fedele a questa empia dottrina; Anzi, egli la protesse con un tale zelo che divenne un vero e proprio persecutore dei Cristiani ortodossi. Non risparmiò contro di loro né l’esilio né la tortura; li bandì dai templi e proibì tutte le loro assemblee. Fu un acerrimo nemico dei monaci d’Egitto, che sradicò dalla loro solitudine per farli servire nella milizia. La descrizione dei suoi atti di furore si trova in Teodoreto e Baronio, che li hanno descritti. Aggiungeremo solo che il più perfido dei suoi crimini fu che, su istigazione dell’empio Eudosso, inviò ai Goti dei sacerdoti ariani che chiedevano invece di abbracciare la vera fede di Gesù Cristo. – Egli agì allo stesso modo nei confronti dei Vandali, che poi divennero nemici così formidabili per i Cattolici che nello spazio di 150 anni inondarono la Tracia, la Gallia, la Spagna, l’Africa, l’Italia, la Borgogna e altri paesi con incessanti incursioni, finché finalmente, sotto l’imperatore Giustiniano, nell’anno 527, Belisario e Narste sconfissero e annientarono questi barbari. (Ut habetur 21. Lib. spec. Hist. et pluribus chronologiis). I Vandali erano un immenso popolo di barbari e bellicosi, molto abili nell’arte della guerra e terribili per la velocità della loro marcia. Un’idea delle loro devastazioni può essere formata dalle dolorose prove che la Germania ha dovuto subire nel nostro secolo, per mano dei protestanti.

Vers. 1. – E il quinto angelo suonò la tromba. Questo angelo è collocato al quinto posto, secondo l’ordine della narrazione e della rivelazione di San Giovanni, che ripercorre le conseguenze ed i terribili danni derivanti dall’errore di Ario. Si sa, infatti, che fu l’empio Eudosso, un uomo presuntuoso e perfido, … che suonò la tromba e convinse l’imperatore Valente ad abbracciare questo errore. L’Apostolo continua: E vidi una stella cadere dal cielo sulla terra. Si tratta qui di paragonare l’imperatore Valente ad una stella, a causa delle sue qualità distinte, che lo avrebbero fatto brillare tra migliaia di principi, se non le avesse offuscate nell’oscurità dell’arianesimo. Egli viene anche paragonato ad una stella, a causa dell’insegna della dignità imperiale, che dovrebbe sempre far brillare gli imperatori e innalzarli al di sopra dei principi e dei popoli che sono loro soggetti, con una conoscenza più profonda della vera fede e per la superiorità delle loro virtù. E vidi una stella, l’imperatore Valente, che era caduta dal cielo, cioè dalla Chiesa di Cristo sulla terra. L’Apostolo dice al passato che questo imperatore è caduto a causa della sua ostinazione e del suo giuramento, che effettivamente adempì, poiché morì ariano. Si dice anche che sia caduto dal cielo alla terra, perché è stato abbandonato, disprezzato, rifiutato da Dio, e persino privato degli onori della sepoltura ecclesiastica, dopo essere morto miseramente. E gli fu dato la chiave del pozzo dell’abisso. Questa chiave si riferisce al potere imperiale, che gli era stato dato dall’alto, e Dio gli permise di usarlo in modo empio per diffondere l’eresia di Ario ovunque. Ed essa aprì il pozzo dell’abisso, cioè aprì ovunque la strada a questo errore, gli accordò la più grande libertà, e lo sostenne in tutti i suoi sforzi portando via, quasi in tutta la terra, le chiese e i vescovadi dei Cattolici, per consacrarli al culto dell’errore. Il pozzo qui significa, per metafora, l’eresia di Ario stesso, e l’abisso significa l’inferno; perché come le acque che scorrono sulla terra vengono dall’abisso dei mari, così anche tutte le eresie che scorrono sul mondo, vengono dall’inferno.

Vers. 2.- Ed ella aprì la fossa dell’abisso, e dalla fossa uscì un fumo, come il fumo di una grande fornace; e il sole e l’aria furono oscurati dal fumo del pozzo.

II. Queste parole esprimono gli orribili mali che questa abominevole eresia produsse, sia nella Chiesa Cattolica che nell’Impero Romano. 1°. Per quanto riguarda la Chiesa, lo vediamo in queste parole: E dal pozzo si levò un fumo come il fumo di una grande fornace. Con il fumo, San Giovanni ci mostra l’esaltazione, la promozione e l’espansione dell’eresia di Ario; poiché il fumo sale nell’aria, oscura la luce, e si diffonde sulla terra, espandendosi nello spazio. Ora, tale è il carattere delle eresie che, dopo aver incontrato proponenti simili a Lucifero, che ne è il primo autore, si elevano al di sopra di tutto e salgono alle più alte regioni dell’intelligenza, oscurano il sole o la luce della verità, la divorano come un granchio roditore, e si diffondono sulla terra, corrompendo gli uomini e sterminando persino coloro che vogliono opporvisi. L’eresia di Ario è qui paragonata al fumo di una grande fornace, a causa della sua immensa potenza e della sua lunga durata, che superò tutte le altre, poiché durò fino al regno di GiustinianoI, nell’anno 527, ed ebbe come colpevoli e seguaci i più potenti ed illustri imperatori, re, patriarchi, arcivescovi, vescovi, etc. che si possano vedere nella storia ecclesiastica. E il sole e l’aria erano oscurati dal fumo del pozzo. Queste parole indicano una proprietà particolare di questa eresia, che era la denigrazione del nome di Cristo e della sua Chiesa; poiché il sole rappresenta Cristo, che era come oscurato nella sua gloria esterna, poiché gli ariani negavano che Egli fosse il figlio di Dio, vero Dio stesso e consustanziale al Padre; e con questa bestemmia Lo derubarono della Sua gloria divina davanti agli uomini. L’aria significa la Chiesa Cattolica, che è illuminata da Cristo, come il sole visible, diffonde la sua luce nell’aria. Ora, durante il regno di Valente e dei suoi potenti successori, la Chiesa fu veramente oscurata dall’arianesimo, a causa del gran numero di coloro che lo abbracciarono. Al tempo dell’imperatore Zenone, non c’era un solo monarca che fosse cattolico. Infine, si dice che il sole e l’aria furono oscurati dal fumo del pozzo, perché l’eresia di Ario non avrebbe mai conquistato un tale impero senza la protezione datagli da Valente.

III. Vers. 3. – E le locuste uscirono dal fumo del pozzo e si sparsero sulla terra. San Giovanni descrive con queste parole le orribili calamità che questa eresia diffuse nell’Impero Romano e in altri regni. Questi mali sono divisi in due parti, la prima delle quali è contenuta in queste parole: Fu dato loro di tormentarli (gli uomini) per cinque mesi. L’altra parte si trova in quest’altro passaggio: E il loro potere era di nuocere agli uomini per cinque mesi. Per comprendere queste cose, bisogna ricordare che Valente condusse nell’errore di Ario i Goti e i Vandali, che avevano chiesto di essere istruiti nella vera fede, e che li costrinse addirittura, con un trattato di alleanza, a far parte della sua setta, inviando loro sacerdoti ariani. Ma poco tempo dopo, per il giusto permesso di Dio, questo empio complotto cadde sulla testa di Valente stesso;  infatti i Goti, che erano divisi tra loro in più fazioni, si unirono di nuovo, pieni di fiducia nelle proprie forze, maltrattarono i Traci e devastarono crudelmente il loro paese. Valente, che si trovava allora ad Antiochia, appena informato di questo, riconobbe in questi atti l’effetto fatale dell’errore che aveva commesso, avendo perso per questa circostanza un potente alleato in quella nazione, così bellicosa e così utile a lui e al suo impero. Per quanto riguarda le sue truppe, ne aveva fatto così poco conto, che invece di assoldarli e cercare di accattivarseli, ne aveva chiesto un tributo, tanto è vero che Dio acceca quelli che da Lui si allontanano! – Dopo aver devastato la Tracia, i Goti marciarono su Costantinopoli; Valente inviò contro di loro Traiano, che fu immediatamente sconfitto, messo in fuga e costretto alla ritirata. Dopo questi antefatti, l’imperatore volle provare egli stesso la sorte delle armi, ma fu a sua volta sconfitto e sbaragliato presso Andrinopoli, e perì miseramente, bruciato in una capanna, nell’anno 378. È dopo di questo che i Goti, i Vandali e altri barbari prevalsero ovunque fino al regno di Giustiniano, A.D. 527; infatti, verso il 403, nella fazione di Stilicone, che aveva precedentemente oppresso Abagasio, re dei Goti, tenendolo rinchiuso nelle difese del Tesin con un esercito di 200.000 uomini, i Vandali, gli Svevi, gli Alani, i Burgundi e tutte le orde barbariche invasero la Gallia. Fu allora che Alarico, re dei Goti, rivendicando il trono dei Galli che Onorio gli aveva dato, si irritò e venne ad assediare Roma nell’anno 409. Questa città dovette riscattarsi al prezzo di denaro, e nonostante ciò fu assediata una seconda volta dallo stesso Alarico, che la prese e la spogliò delle sue ricchezze per tre anni consecutivi, sottoponendola così a prove più dure, per così dire, che se l’avesse distrutta. Si può vedere da Lechmanius, 1. I, c. 31, e da Baronio, quanto l’Impero d’Occidente abbia dovuto soffrire per le incursioni di Attila, degli Unni e di altri barbari, durante il regno di Valentiniano III, nell’anno 451 d. C. Più tardi Roma fu nuovamente saccheggiata da Genserico, capo dei Vandali. Odoacre, a sua volta, devastò l’Italia con un potente esercito di Eruli, e se ne impadronì per 14 anni. Questo sfortunato paese passò poi per molti anni sotto il giogo di Teodorico, re degli Ostrogoti, un principe barbaro ed avido, che sconfisse Odoacre presso Verona, nell’anno 475. Sotto l’imperatore Zenone, i Vandali passarono in Africa, e il loro re Unnerico consegnò ai Mori 4.966 Vescovi e sacerdoti, per essere deportati nei deserti, mentre gli Ostrogoti, da parte loro, occupavano l’Italia, la Gallia, la Borgogna e la Spagna. Così queste orde barbariche scorrazzavano di regno in regno e portavano rovina e desolazione, finché finalmente, verso l’anno di Gesù Cristo 510, Clodoveo, re dei Franchi, avendo abbracciato la fede cattolica, sconfisse e uccise Alarico, re dei Visigoti, che regnava da 22 anni nelle Gallie. (Era il secondo degli Alarico, re dei Visigoti, che fu ucciso per mano di Clodoveo sulle pianure di Vouillé, vicino a Poitiers, nel 507). Infine, nell’anno 527, Giustiniano il Grande, salito sul trono dell’impero, scacciò i Vandali dall’Africa con Belisario e Narsete, riconquistò Cartagine, annientò i Parti, che stavano devastando la Siria, uccise Totila, il quale, impadronitosi di Roma, l’aveva ridotta in cenere e aveva scacciato tutti i Goti dall’Italia. Così furono sterminate, dopo il corso di 150 anni, quelle nazioni feroci, e scomparvero con l’arianesimo, che l’imperatore Valente aveva suscitato, e fu da quel momento che la fede Cattolica cominciò a fiorire e a prosperare di nuovo. – Tuttavia, il veleno di Ario non scomparve completamente con tutto questo, perché Narsete fece esplodere con una specie di rabbia la gelosia che covava nel suo cuore contro Giustino il Giovane, governatore dell’Italia. Egli richiamò i Longobardi, di origine scandinava, che erano allora in Pannonia ed infettati dall’arianesimo (La Pannonia era una regione dell’Europa antica che faceva parte dell’Illiria occidentale: ora è la parte orientale del cerchio dell’Austria, tutta la bassa Ungheria, con la Schiavonia propriamente detta, e qualcosa delle province della Croazia, Bosnia e Serbia, nella Germania e nella Turchia europea. La Pannonia era divisa in diverse province, di cui le principali erano la Pannonia superiore e inferiore.), e si servì di questo potente e fedele alleato per cacciare i Goti. I Lombardi, partiti con gli Unni loro alleati, sotto la guida di Alboino loro re, nell’anno 570, occuparono prima la Gallia Cisalpina, poi invasero l’Italia e stabilirono la sede del loro potere a Pavia. San Gregorio, (Hom. 1 in Evangelium), e dopo di lui il diacono Paolo, 1. I, c. 5, raccontano che quando avvenne questa invasione, si videro di notte nel cielo segni terribili, dove si poteva distinguere nel cielo la presenza di armate di fuoco schierate in battaglia, e si vedevano anche scorrere il sangue umano che fu versato orribilmente in seguito. È con certezza che lo stesso San Gregorio considera (IV. Epist., lib. XXXIV, Dial. 3) l’invasione dei Longobardi in Italia come una delle più crudeli persecuzioni della Chiesa; poiché tutti i re, se si eccettua solo Agilulfo, che, avendo rinunciato all’arianesimo per entrare nella fede cattolica con tutta la sua nazione, regnò in seguito per quarant’anni; tutti i re, dicevamo, si mostrarono i più fervidi difensori dell’empietà di Ario. Questo terribile flagello durò non meno di 150 anni, fino al regno di Pipino, che salì sul trono dei Galli nell’anno 751, e avendo preso Ravenna, su richiesta di Papa Stefano, represse Astolfo, che allora portava scompiglio in Italia e negli stati romani. Poi suo figlio Carlo Magno, su richiesta del pontefice Adriano I, depose dal trono il successore e figlio di Astolfo, si impadronì della sua corona, e così finì la tirannia dei Longobardi. Infine, verso l’anno 774, con l’aiuto di Dio, questo pio e potente imperatore relegò la setta di Ario, con tutta la sua tirannia e crudeltà, nelle fosse dell’inferno, e la fede cattolica ricominciò a diffondersi in lungo e in largo, sia per terra che per mare, per la conversione degli Slavi in Pannonia, degli Unni, degli Svevi, dei Goti, degli Ostrogoti; e in Germania, dei Sassoni, dei Danesi e di quasi tutti i popoli germanici, soprattutto della zona settentrionale. Segue nel contesto:

IV. Vers. 3. E le locuste uscirono dal fumo del pozzo e si sparsero sulla terra. Per locuste intendiamo i barbari del nord, e specialmente e principalmente i Goti e i Vandali, infettati di arianesimo. È per metafora che l’Apostolo le rappresenta in forma di locuste, 1° per farci capire la moltitudine che doveva diffondersi ovunque, tra i popoli e le nazioni, come locuste; infatti il martire Metodio, Giordano Goto e il diacono Paolo riferiscono che dal nord vennero i Mussageti, gli Unni, gli Amazzoni, i Cimbri, i Parti, i Longobardi, gli Eruli, gli Svevi, i Bulgari, i Danesi, i Daci, i Germani, gli Slavi, i Burgundi, i Livoni, i Servi, i Normanni e i Celti, etc. Tutte queste nazioni si sparsero sulla terra come locuste, nei tempi stabiliti e permessi da Dio, e devastarono tutto ciò che si presentava loro davanti, così da poter essere giustamente considerate come piaghe che Dio si era riservato per punire il mondo intero e la cristianità in particolare, secondo le parole del profeta Geremia, I, 14: « Il male verrà dall’aquilone su tutti gli abitanti della terra. » Ibidem, IV, 6, 7, 9: « Porterò un male orribile e una grande distruzione dall’aquilone. Il leone è uscito dalla sua tana, il ladro delle nazioni si è alzato, è uscito dal suo paese per fare della vostra terra una desolazione, i vostri villaggi saranno devastati e resteranno disabitati, ecc. » 2° Come le locuste saltano da un posto all’altro, e cercando in nutrimento rovinano i campi, i prati, i raccolti e i fiori, così queste nazioni barbare passarono dalla Spagna alla Tracia, all’Africa e di là in Italia, poi nelle Gallie, etc., depredando e devastando tutto. – 3º Come le cavallette sono molto agili e fuggono con un solo balzo dalla mano che cerca di afferrarle, così queste nazioni si stabilirono ora in un luogo, e subito dopo in un altro. E le locuste uscite dal fumo del pozzo si diffusero sulla terra, perché l’eresia di Ario trovò appoggio nell’imperatore Valente, e tutte queste nazioni ne furono contagiate; e queste locuste si diffusero, etc., … per un giusto giudizio di Dio, sulla terra dell’impero, contro Valente stesso, e poi sulle altre terre e regni, come abbiamo detto. E fu dato loro un potere come quello degli scorpioni della terra. Il potere che questo popolo aveva da Dio e dalla natura è paragonato a quello degli scorpioni, 1° a causa della loro arma: infatti lo scorpione ha sulla sua parte anteriore la forma di un arco, e porta nella sua coda una freccia che è un dardo velenoso, con cui da la morte dell’uomo; e così queste nazioni avevano come arma una specie di balestra, per mezzo della quale lanciavano dardi acuti e sottili, la maggior parte dei quali velenosi con cui causavano lesioni gravi e persino mortali. – L’arma usata da queste nazioni aveva, inoltre, questa peculiare somiglianza con gli scorpioni, in quanto questi animali poggiano sulla loro parte anteriore delle braccia che hanno la forma di un arco; e così tutto il loro corpo, che termina con una coda armata di un pungiglione, rappresenta più o meno nella sua interezza la forma della balestra armata di una freccia. 2°. A causa della rapidità, perché lo scorpione è molto agile con la sua coda nel ferire l’uomo, e così queste nazioni erano molto abili e molto esperte nel maneggiare le loro armi, con le quali facevano piovere frecce mortali sui loro nemici. Ecco perché era molto difficile fare la guerra contro di loro, e la vittoria su di loro era raramente raggiunta. 3°. Questa somiglianza con lo scorpione si trova nella perfidia degli ariani, che era davvero come un veleno sottile e pericoloso, per mezzo del quale infettarono successivamente tutte le nazioni e quasi tutto il mondo, occupando uno dopo l’altro tutti i regni, e costituendo ovunque re ariani. 4°. Lo scorpione è un animale pericoloso, astuto e abile, che si nasconde nelle fessure delle pietre e negli angoli dei muri e delle case, per sorprendere gli uomini all’improvviso e ferire a morte chiunque non possa prevenirlo. Ora, tale era il carattere di queste nazioni barbare e feroci, molto astute nell’arte della guerra e molto ingegnose nell’invenzione di macchine, e allo stesso tempo prudenti e sapevano perfettamente come tendere trappole ai loro nemici per sorprenderli all’improvviso e impadronirsi dei loro paesi e delle loro città. Così essi ricoprirono il mondo di rovine e devastazioni.

Vers. 4. E fu loro proibito di danneggiare l’erba della terra. Queste parole ci mostrano la limitazione del potere ariano secondo la volontà di Dio, per la conservazione della sua Chiesa ed a vantaggio dei suoi eletti. Perché la giustizia di Dio permette, nei suoi imperscrutabili consigli, la maggior parte dei mali e delle calamità di questo mondo, in modo tale però da non portare al loro completo sterminio; e Dio sa come moderare e dirigere i mali che ci infligge, in modo che possano servire come castighi inflitti ai peccatori e agli empi, e come prove per gli eletti. Dio sa anche trarre dal male, beni sunlimi ed ammirabili. E ricevettero la proibizione, cioè la barbarie e la potenza di queste nazioni fu moderata e contenuta dai decreti di Dio. Per evitare che facessero del male all’erba della terra, cioè perché risparmiassero il popolo cristiano nei loro massacri, metaforicamente rappresentato dall’erba della terra. E a tutto ciò che era verde. Questo passaggio si applica alla nazione francese, che fu effettivamente risparmiata dai Goti e dai Vandali, e riservata come una giovane vite alla fede cattolica, che abbracciò con il suo re Clodoveo, che finalmente cedette alle continue sollecitazioni di Santa Clotilde, sua moglie, nell’anno 500 dell’era cristiana. Fu dopo una brillante vittoria ottenuta con l’aiuto del cielo sui Germani, che rgli divenne Cattolico e liberò l’Italia dall’ariano Alarico, re dei Visigoti, che uccise. Fu loro proibito danneggiare l’erba della terra, etc. ….. e a tutti gli alberi, cioè i prelati e i sacerdoti, che scamparono quasi tutti alla morte, sebbene ebbero molto da soffrire, soprattutto in Africa, per mano di Unerico, re dei Vandali. Ma solo agli uomini che non avevano il segno di Dio sulla fronte. Queste parole si riferiscono al resto dei pagani che non avevano ancora ricevuto il carattere del battesimo; è noto, infatti, che un gran numero di essi fu ucciso in Africa dai Vandali, ed anche nelle altre regioni che i barbari invasero. Ma siccome gli ariani si vantavano del nome di Cristiani, risparmiarono i Cattolici dalla morte, sebbene li affliggessero con molte calamità, facendo loro soffrire l’esilio ed altre avversità, come vediamo nella storia ecclesiastica.

Vers. 5E fu dato loro di non ucciderli. Questo passaggio si riferisce di nuovo ai Cristiani menzionati sopra. Nello stesso passaggio, la Scrittura passa talvolta da certe persone ad altre, come se questi fossero gli stessi di prima. (Ps. LXXVII, 38): « Quando li colpì, allora lo cercarono, ecc. », dove è evidente che coloro che furono colpiti a morte dal Signore non fossero quelli che lo cercavano. Ora, allo stesso modo, San Giovanni parla qui degli abitanti dell’Africa, alcuni dei quali erano Cristiani ed altri pagani. E così, passando dagli uni agli altri, dice nello stesso testo: E fu dato loro, cioè Dio permise a queste nazioni, non di uccidere i cristiani, ma di tormentarli. Questo è quello che è successo quando i Vescovi, i Dottori ed altri Cattolici furono mandati in esilio, e alcuni di loro furono anche maltrattati e perseguitati in vari modi senza perdere la vita. Infatti, come abbiamo detto, Unerico, re dei Vandali, sollevò una forte persecuzione contro gli ortodossi in Africa, ed in un solo colpo consegnò 4.966 Cescovi e sacerdoti ai Mori, per essere portati via nei deserti. Il suo successore fece la stessa cosa ed anche di peggio: fece strappare la lingua ai Vescovi ortodossi, il che non impedì loro, per un miracolo di Dio, di parlare e predicare. Dalla storia emerge la crudeltà con cui devastarono la Francia e ne uccisero gli abitanti. Sappiamo dalla stessa fonte quanti danni causaono i Vandali e gli Unni in Gallia. Si ricorda che Alarico, re dei Goti, pose l’assedio a Roma, che in seguito rimosse, e che l’anno seguente tornò in quella città, di cui si impadronì e saccheggiò per tre anni, senza tuttavia mettere a ferro e fuoco i suoi abitanti. La storia non è forse piena delle crudeltà di Attila, re degli Unni, chiamato il flagello di Dio; di Genserico, re dei Vandali, di Totila e Odoacre? E non sappiamo quanto questi ed altri barbari abbiano tormentato i Cristiani in mille modi diversi, a volte mettendoli in cattività, depredandoli e infliggendo loro orribili tormenti, nelle successive incursioni che fecero quasi in tutto il mondo? Per questo il testo aggiunge espressamente: E fu dato loro non di ucciderli, ma di tormentarli, a causa di vari crimini commessi dagli stessi Cristiani in diversi luoghi, e in Gallia in particolare, ed a causa dell’allentamento della disciplina ecclesiastica. Per cinque mesi. Queste parole designano la durata del potere e dell’impero di queste nazioni ariane. In questa occasione, bisogna notare che, nella Scrittura, i giorni contano come anni. Ora, come i mesi sono di 28, 30 o 31 giorni, prendendo un mese di 28 giorni, due mesi di 30 giorni, e altri due mesi di 31 giorni, si avranno cinque mesi, che fanno 150 giorni, cioè 150 anni, che è precisamente la durata del regno dei Goti, dall’anno di Gesù Cristo 377, fino all’anno 527, come è stato detto sopra. E il loro tormento era come quello dello scorpione quando punge un uomo. In queste parole troviamo un’altra caratteristica di queste nazioni; perché erano come una peste nella Chiesa Cattolica, infettando molti fedeli e facendoli morire spiritualmente, diffondendo il veleno dell’arianesimo nelle terre che occupavano. Perciò le ferite di questi nemici della Chiesa possono essere paragonate perfettamente al pungiglione dello scorpione; infatti come questo animale, quando vuole fare del male, 1° prima apre la pelle della sua vittima con il suo pungiglione; 2. fa fluire il suo veleno nella ferita 3° che provoca una ferita pericolosa; 4° che porta anche alla morte, se non si portano in tempo i rimedi appropriati; così queste nazioni 1° irruppero nei regni con la forza delle armi, per avere l’opportunità di fare del male e stabilirvi il loro potere. 2° Diffusero il veleno dell’errore nel corpo della Chiesa, che è stabilita in tutta la terra, e avvelenarono con esso i vari popoli. 3° Fecero una ferita profonda e pericolosa, calpestando la Chiesa e tutte le cose sante e sacre. 4°. Infine, causarono la morte spirituale di un gran numero di Cattolici, che abbandonarono la vera fede alla vista di un tale scandalo. I giusti che perseverarono nella loro fedeltà vennero afflitti e tormentati in presenza di tante calamità alle quali non potevano porre rimedio. Quindi l’Apostolo aggiunge immediatamente:

Vers. 6. – In quel tempo gli uomini cercheranno la morte e non la troveranno; vorranno morire e la morte fuggirà da loro.

V. È infatti caratteristica dei santi e delle anime pie essere molto più angosciati che se dovessero sopportare la morte stessa, alla vista della perdita generale delle anime, la seduzione degli innocenti, la defezione dei fedeli, il disprezzo delle cose sante, la rovina delle chiese, l’esilio dei giusti e le bestemmie dei malvagi. Perché non potevano porvi rimedio, né impedire la prevaricazione della quale gemevano nei loro cuori. È allora che piangevano alla presenza del Signore, desiderando morire piuttosto che vedere i mali del loro popolo. Ne abbiamo un esempio nella Scrittura, che riferisce: « È meglio per noi morire in battaglia che vedere i mali del nostro popolo e del nostro santuario » (I. Mach., III, 59). ». E in questo tempo gli uomini cercheranno la morte, etc. Queste parole significano l’afflizione e la desolazione di quel tempo dell’arianesimo; e poiché queste disgrazie erano immense, specialmente per i prelati della Chiesa, l’Apostolo aggiunge: vorranno morire, e la morte fuggirà da loro. Possiamo vedere, infatti, da quanto precede, quanto grande fosse questa afflizione e desolazione che durò il considerevole spazio di 150 anni;  ed invase successivamente quasi tutti i regni, e si  sa che la Chiesa e i suoi prelati non hanno mai tanto da soffrire come quando hanno come avversari imperatori, re e principi; perché  allora i pilastri stessi della Chiesa si sgretolano, come Dio permise in particolare al tempo di Zenone, quando la Religione Cattolica non aveva un solo principe regnante, tra I suoi fedeli. Si dice che: Gli uomini cercheranno la morte e non la troveranno, per marcare la differenza del loro stato da quello dei martiri; perché al tempo delle prime persecuzioni, i fedeli cercavano con gioia e trovavano una morte gloriosa in mezzo ai tormenti, mentre in questo, Dio permise che i suoi eletti fossero orribilmente e a lungo tormentati, senza che ottenessero la gloria del martirio; cosa che era la più dolorosa da sopportare per gli uomini giusti.

Vers. 7. – E la faccia delle locuste era come quella di cavalli pronti alla battaglia; portavano sul capo come delle corone che sembravano d’oro. In questo testo l’Apostolo continua a sviluppare e spiegare le parole precedenti; e come aveva detto che i Goti e i Vandali erano locuste, ora indica le condizioni e le proprietà di queste nazioni sotto questo nome di locuste. 1° E la faccia delle locuste, cioè dei Goti e dei Vandali, era simile a dei cavalli preparati per la battaglia, per annunciare che sarebbero stati bellicosi, feroci e coraggiosi. Perché, proprio come i cavalli che stanno per combattere e ascoltano i corni e trombe, agitano le loro criniere, schiumano, solcano la terra con i piedi, sono quasi indomabili, si mostrano magnanimi e manifestano il loro ardore con i nitriti, calpestano tutto, e corrono verso la vittoria attraverso tutti gli ostacoli. Così, questi popoli del Nord aspettavano e desideravano la battaglia, e segnalavano il loro ardore, il loro coraggio e la loro impavidità con gli stessi gesti. Perciò l’Apostolo dice che erano come cavalli preparati per la battaglia; perché i cavalli sono pronti a correre in battaglia ogni volta che al loro cavaliere piace condurveli. Ora tali erano questi popoli, giustamente chiamati il flagello di Dio, aspettando solo il segnale della volontà divina per andare nel mondo a punire i Cristiani. Ecco perché si dice: « Tutto il male verrà dall’aquilone ». È dunque con tanta eloquenza quanto verità che San Giovanni rappresenta questi popoli come cavalli preparati alla battaglia. 2° Queste (le locuste) portavano sulle loro teste delle corone che sembravano d’oro. Queste parole denotano la falsa brillantezza dell’abilità, dell’astuzia, della lungimiranza e della prudenza umana, proprietà con cui queste nazioni barbare dovevano superare gli altri popoli e persino i Cristiani, secondo le parole di Gesù Cristo: (Luc. XVI, 8) « I figli di questo secolo sono più abili nel condurre i loro affari che i figli della luce. » Esse portavano come delle corone che sembravano d’oro, non che fossero corone come quelle indossate dai re, ma perché la saggezza è spesso paragonata ad una corona; infatti la saggezza deve formare dei re e incoronarli; e queste corone erano come corone che sembravano d’oro, cioè non erano assolutamente d’oro, ma assomigliavano all’oro, per esprimere la differenza della saggezza mondana dalla vera saggezza celeste, che solo è veramente come l’oro. 3°. E i loro volti erano come quelli degli uomini. Questo passaggio indica che queste nazioni dovevano essere cristiane. Perché bisogna sapere che in questo capitolo ci sono due diverse classi di uomini: – a. gli uomini che non sono segnati sulla fronte, e questi sono i gentili e i pagani, come è stato detto sopra; – b. e degli uomini semplicemente detti, che sono i Cattolici e i veri Cristiani di cui abbiamo parlato, parlando delle afflizioni che i Vandali inflissero loro. – In quel tempo gli uomini cercheranno la morte, cioè, perché queste nazioni barbare erano battezzate e si vantavano del nome di Cristiano, anche se non erano veramente tali, poiché erano infettati dall’errore di Ario, è con ragione che l’autore dell’Apocalisse dica che i volti erano simili a quelli degli uomini, per distinguerli perfettamente sia dai pagani che dai Cattolici.

Vers. 8. – 4° E i loro capelli erano come i capelli delle donne, perché queste nazioni lasciavano crescere i loro capelli, come si vede ancora qualche volta al giorno d’oggi. I capelli lunghi indicano forza, e anche se non sono più in uso, erano comunque molto utili ai guerrieri di quel tempo per preservarli contro il freddo e l’umidità nei bivacchi, ecc. La Scrittura dice che la forza di Sansone consisteva nei suoi capelli, che non tagliava, come facevano i nazareni tra i Giudei. Così sembra probabile che queste nazioni di cui parla San Giovanni avessero l’abitudine di lasciar crescere i loro capelli fin dall’infanzia senza mai tagliarli; ed è per questo che si dice che i loro capelli erano come quelli delle donne. – 5° E i loro denti come i denti di un leone. Queste parole indicano la ferocia, la furia e la forza che distingueva queste nazioni da tutte le altre. Infatti come il leone è considerato il più forte e terribile degli animali, avendo la sua forza principale nella testa e nei denti, con i quali depreda, strappa e divora tutto ciò che incontra; così anche queste nazioni dovevano essere le più feroci, crudeli e potenti, per sbranare e divorare gli altri.

Vers. 9. – 6° Portavano corazze come corazze di ferro. I guerrieri indossano la corazza per parare i colpi del nemico. Questa parola corazza deriva dal cuoio; anticamente i guerrieri proteggevano il loro petto con il cuoio più duro e forte, quello dei cammelli o di altri animali, come si fa ora con le corazze di ferro. Ecco perché è detto nel testo: Portavano corazze come corazze di ferro. Cioè, queste nazioni marciavano verso il nemico con la massima precauzione, fortemente armate e ben equipaggiate, non esponendosi incautamente ai dardi ed alle lance. Le loro corazze erano fatte di un cuoio così duro e forte da essere perfettamente paragonabile al ferro, ed erano allo stesso tempo così flessibili e ben adattate che resistevano ai colpi come se fossero state di ferro. 7°. E il rumore delle loro ali era come il rumore dei carri con molti cavalli che corrono alla battaglia. Qui si dice che queste nazioni avevano le ali per esprimere la loro velocità nelle spedizioni belliche. Sembravano volare di regno in regno e di paese in paese con i loro eserciti, il cui rapido movimento produceva un rumore spaventoso e devastava tutto sul loro cammino, come è stato detto sopra, (Isaia VII:18): « In quel giorno il Signore chiamerà con un fischio la mosca che è alla fine del fiume d’Egitto e l’ape dell’Assiria. E verranno a riposare presso i ruscelli, nelle cavità delle rocce, sulle siepi e su ogni arbusto. »

1° Per mosche e api il profeta intende le nazioni in guerra. 2°. Per ali si intendono anche le ali degli eserciti di queste nazioni, che, essendo schierati in buon ordine di battaglia, volavano in combattimento ed attaccavano il nemico con tanto coraggio, animosità, vivacità e clamore, che la terra fu scossa. La stessa cosa si vede nella Scrittura (I. Mach, IX , 13): « E la terra fu mossa dalla voce degli eserciti. » E siccome queste nazioni avevano acquisito una grande reputazione di coraggio e di valore militare, non meno che di abilità nell’arte della guerra, ottennero facilmente la vittoria sul nemico prevenuto e demoralizzato. E quindi il rumore delle loro ali era come il rumore dei carri con molti cavalli che corrono alla battaglia. Perché quando una grande moltitudine di combattenti corre in battaglia con i molti carri da guerra che di solito li accompagnano, fanno un rumore così orribile, che ispirano terrore e paura, e il suono delle trombe e dei corni non fanno che aggiungersi a questo orribile tumulto.  I cavalli stessi, eccitati e animati, corrono, saltano, nitriscono e alzano la criniera, mostrando così la loro gioia e il loro coraggio. Così facevano la guerra e andavano contro il nemico nazioni bellicose e barbare.

Vers. 10Le loro code erano simili a quelle degli scorpioni: esse avevano il pungiglione. Con queste code intendiamo metaforicamente le conseguenze disastrose delle incursioni di questi barbari, che furono una rovina ed una devastazione universale di tutti i regni che attraversarono in vari momenti. Queste parole indicano anche il danno considerevole che questi popoli hanno causato alla Chiesa. Le loro code avevano un pungiglione. Questi pungiglioni significano anche i vari errori che queste nazioni hanno lasciato dietro di essi, allo stesso modo in cui certi animali velenosi lasciano dietro di loro il loro pungiglione nella ferita che hanno inferto. 9°. E il loro potere era di nuocere agli uomini per cinque mesi. In questo passo ci viene mostrata la seconda parte dei mali che risultarono da questa eresia per la Chiesa in generale, e per l’Impero Romano in particolare. Vediamo prima di tutto la lunghezza del tempo durante il quale i Longobardi posero il loro giogo di ferro sull’Italia. Questi Longobardi erano una nazione malvagia, tana e centro di tutte le altre nazioni barbare che, quando gli Unni, che erano loro alleati, avevano abbandonato la Pannonia, seguirono il loro re Alboino per invadere la Gallia Cisalpina e poi l’Italia, e per esercitarvi le loro devastazioni per 150 anni, come spiegato sopra. Da ciò dobbiamo concludere che i primi cinque mesi di cui si parla nel testo designano il tempo dell’occupazione dell’Italia e di altre terre da parte dei Goti e dei Vandali, e gli altri cinque mesi indicano la durata del giogo dei Longobardi sotto il quale la Chiesa e l’Impero Romano ebbero tanto a gemere. È storicamente vero che il loro regno fu più lungo e durò da 190 a 200 anni; ma il testo ha comunque ragione nel dire che essi danneggiarono la Chiesa solo per 150 anni, poiché uno dei loro re, Agilulfo, essendo diventato Cattolico con tutta la nazione, cessò di essere ostile nel Corso di tutto il suo regno, che durò 40 anni. Ora, sottraendo questo numero al precedente, otteniamo, secondo il testo, la durata del tempo durante il quale essi fecero del male agli uomini. E il loro potere era quello di danneggiare gli uomini per cinque mesi. Se non c’è menzione del resto del loro regno, è perché sarebbe stato superfluo; ma lo Spirito Santo non ispira né scrive nulla di inutile.

Vers. 11. 10°-Avevano sopra di loro come re l’angelo dell’abisso, il cui nome in ebraico è Abaddon, e in greco Apollyon, e in latino lo Sterminatore. Attraverso questo Angelo re, lo Spirito Santo designa un essere di natura distinta e superiore; ed è l’angelo dei principati che, a capo dei suoi angeli malvagi, viene a sostenere i malvagi nella loro guerra empia e ad incitarli per affliggere, combattere e distruggere la Chiesa di Gesù Cristo, se possibile. Il testo indica solo uno e il principale di questi angeli, che è il rappresentante di tutti gli empi, gli eretici e i loro fautori e promotori, hanno in comune solo uno stesso obiettivo, che è quello di fare incessantemente una guerra di rovina e di sterminio contro Gesù Cristo e la sua Chiesa. Per spiegare meglio questo passaggio, non dobbiamo passare sotto silenzio che, secondo San Dionigi e l’opinione generale dei santi Dottori, gli angeli decaduti conservarono intatte le loro qualità naturali; e, di conseguenza, continuarono a possedere tra loro la distinzione degli ordini, secondo la distinzione delle loro nature. Inoltre, i Dottori ammettono comunemente che un certo numero di angeli si dimostrarono ribelli a Dio in ciascuno degli ordini o nove cori, così che i loro nomi distintivi furono mantenuti tra i demoni. Ora, il primo di questi ordini nella gerarchia infernale è quello dei principati, per cui gli angeli malvagi hanno il diritto e il potere di preminenza nei diversi regni e nelle guerre generali e particolari. Quindi, da questo consegue succede che, in opposizione agli angeli santi, che sono inviati da Dio per suscitare i regni e le nazioni al bene, gli angeli malvagi dello stesso ordine sono accreditati da lucifero onde incitare al male e alla tirannia contro i Cristiani, e per turbare la Chiesa militante con la guerra, etc. Tutto il male che possono fare nel regno di Dio con il suo permesso, lo compiono attraverso i loro satelliti, che governano, e che sono gli empi, gli eretici e i cattivi Cristiani. Perché sebbene tutti i regni e tutti gli uomini abbiano angeli buoni e cattivi che li ispirino, gli angeli buoni hanno il predominio sui cattivi, o i cattivi sui buoni, secondo la condizione di questi regni, secondo la scelta della volontà umana, e anche secondo ciò che Dio permette. Ed è dell’angelo malvagio che presiedeva alle erre dei Goti e dei Vandali che il testo aggiunge: Esse (queste nazioni) avevano per re l’angelo dell’abisso. In uno Stato, il re è colui che ha il predominio su tutti gli altri, tutti i suoi sudditi gli obbediscono, ascoltano la sua voce e lo seguono anche in guerra. Ora, tutti gli eretici costituiscono un vero regno il cui principe è sempre stato e sempre sarà Lucifero, che, attraverso i suoi vari capi a lui subordinati, guida i settari e gli empi nella guerra di questo mondo contro Cristo e la Sua Chiesa, a qualunque classe e tempo essi appartengano. Ed è solo da Dio che deriva il suo potere, o almeno il permesso di nuocere agli uomini nei grandi come nei piccoli stati. Essi avevano per re l’angelo dell’abisso, il cui nome in ebraico è Abaddon, in greco Apollyon e in latino lo Sterminatore. Qui la domanda è perché questo nome dell’angelo del dell’abisso si esprime in tre lingue. Per rispondere a questa domanda, dobbiamo sapere che San Giovanni ha scritto l’Apocalisse per la Chiesa universale; ora, queste tre lingue sono le principali, e contengono o rappresentano tutte le altre. Inoltre, queste tre lingue rappresentano, attraverso le principali nazioni e le principali epoche di queste lingue, tutta la Chiesa cattolica dalla sua origine alla sua consumazione.  – 1°. La Chiesa ebbe origine e cominciò a fiorire tra i Giudei più distinti per la loro santità, che si convertirono alla fede di Gesù Cristo, e il cui numero era davvero molto esiguo in proporzione a tutta la nazione. Ora fu da questi stessi Giudei, che erano diventati Cristiani, che sorsero i primi eretici che, sobillati da satana, intrapresero la guerra alla Chiesa di Cristo. Sappiamo dagli Atti degli Apostoli come le loro principali rivendicazioni fossero la circoncisione e il giogo della legge di Mosè,che cercavano di imporre ai gentili. 2° Poi venne la Chiesa greca, formata dai gentili, che brillava principalmente per il numero, l’istruzione e la virtù dei suoi santi maestri. Ma molti di questi greci, sedotti dall’angelo dell’abisso, dichiararono una guerra feroce contro la Chiesa di Gesù Cristo, insegnando i dogmi più pericolosi e introducendo scismi contro i sovrani Pontefici, i legittimi successori di San Pietro. Il più malvagio di questi fu Ario, che, come è stato detto, essendo sostenuto dall’imperatore Valente, corruppe i Goti e i Vandali. Ma, per un giusto giudizio di Dio, questo empio potere fu finalmente spezzato, e questa Chiesa greca, con tutto il suo impero, macchiato da mille errori, cadde sotto il potere dei Turchi e divenne loro tributaria, come lo è ancora in parte. (Si veda la Storia Ecclesiastica). 3°. Alla Chiesa greca e all’Impero d’Oriente sono succeduti la Chiesa latina e l’Impero d’Occidente, attraverso la conversione di tutte le nazioni che ne facevano parte, particolarmenre ai tempi di Carlo Magno. Questa Chiesa manterrà il suo impero in Occidente fino alla venuta del figlio della perdizione. Nel momento in cui la Chiesa è diventata latina, essa aveva 800 anni. Era allora nella sua quarta età, godendo di una pace e di una tranquillità perfette. Fu libera da ogni eresia per duecento anni, fino a Berengario il Sacramentario, che insorse contro di essa nelle Gallie. Questo eresiarca negò, come abbiamo già detto, la transustanziazione e la presenza reale del corpo e del sangue di Nostro Signore Gesù Cristo nella Santissima Eucaristia. satana, o l’angelo dell’abisso, non può soffrire che la Chiesa sia in pace; perciò cercò più volte dopo Berengario di continuare la guerra contro la Chiesa per mezzo di uomini empi, come vediamo nella Storia Ecclesiastica. Ma tutti i suoi sforzi furono paralizzati, e causarono piccolo o nessun danno alla Chiesa, che riuscì sempre a sopprimere gli eretici con la pietà dei suoi principi, con la vigilanza dei suoi Pontefici, e soprattutto con la protezione di Dio. Se esaminiamo le varie eresie, possiamo vedere che hanno preparato il mostro Lutero, quel drago infernale a cui la Germania diede la luce nel 1517, e il cui scopo evidente era la completa rovina della Chiesa latina. Questo eresiarca richiamò dall’inferno tutte le eresie precedenti e le vomitò dalla sua bocca impura contro questa Chiesa, come vedremo in seguito. È dunque chiaro, da quanto abbiamo appena detto, perché San Giovanni, scrivendo per la Chiesa universale, dà il nome di questo angelo dell’abisso in tre lingue: è per farci capire che si tratta sempre dello stesso demone, già re, capo e dottore dei Goti e dei Vandali, che presiedeva alla setta di Ario attraverso i Longobardi. Ed è questo stesso diavolo che sarà il capo, il re, il dottore e il seduttore di tutti gli eretici che verranno in seguito, e specialmente di quelli dei nostri giorni che negano il capo visibile della Chiesa.

Vers. 12Il primo “guai” è passato, ed ecco altri due “guai” che vengono dopo.

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (XIV)