Doni dello Spirito Santo: Il dono di SCIENZA

Il Dono di Scienza.

[J.-J. Gaume: Trattato dello Spirito Santo; vol. II, CAPITOLO XXIX]

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 Ammollire la durezza del cuore e comunicargli una sensibilità squisita per tutto ciò che deve amare; renderci come i figliuoli sottomessi e consacrati inverso Dio; come fratelli compassionevoli, dolci, affabili, indulgenti verso il prossimo; uccidere l’invidia e la gelosia, elementi distruttori della felicità e della concordia, formare tra il cielo e la terra come tra tutti gli uomini, il gran legame sociale della carità; tali sono gli effetti generali del dono di pietà. Non meno prezioso e non meno necessario é il dono di scienza. Per provarlo basta farlo conoscere; di qui i nostri tre quesiti. Che cosa è il dono di scienza ; quali ne sono gli effetti ; quale la necessità.       1° Che cosa è il dono di scienza? La scienza è un dono dello Spirito Santo che perfeziona il giudizio, e ci fa discernere con certezza nelle cose spirituali, il vero dal falso, il bene dal male. Diciamo che perfeziona il giudizio. I doni di timore e di pietà operano principalmente sulla volontà. Cieca di sua natura, la volontà reclama una direzione, sia per temere, come per amare. Essa non può riceverla che dall’intelletto; ma il nostro intelletto é ravvolto nelle tenebre, soggetto a mille illusioni ed esposto di continuo a divenir vittima dell’errore. Evidentemente il suo primo bisogno è una seria attitudine a discernere il vero dal falso, attitudine che facendoci apprezzare le cose al loro giusto valore, fissa con certezza la misura delle nostre affezioni e dei nostri timori. Chi soddisfa a questa prima necessità? Il dono di scienza. Questo dono non è né la stessa scienza divina, né la fede, né la scienza naturale. Non è la scienza divina, nel senso che reca all’anima la pienezza di tutte le conoscenze; ma se non è la scienza, n’è il mezzo necessario. Difatti, egli comunica all’intelletto un impulso, un vigore, un’estensione, un’attitudine che lo rende capace di conoscere alla maniera dello stesso Dio per una semplice veduta. [“Divina scientia non est discursiva vel ratiocinativa, sed absoluta et simplex: cui similis est scientia quae ponitur donum Spiritus sancti, cum sit quaedam participata similitudo ipsius”. S. Thom., 2a, 2ae, q. 9, art. 1, ad 1.] -Da ciò, una grande facilità d’imparare e di ragionare la verità. Quindi un discernimento sicuro per distinguere il vero dal falso, il certo dall’incerto, il solido dall’immaginario, il reale da ciò che non è che apparente. Non è la fede; ma la perfeziona, come tutti i doni dello Spirito Santo perfezionano le virtù teologali.. – Mediante la fede, si conosce la verità e vi si aderisce. Mediante il dono della scienza, si conosce la verità più chiaramente, la si ragiona con più sicurezza, la si afferma più coscienziosamente, “rationabile obsequium”, la si difende più vittoriosamente, la si predica con più efficacia. Il dono di scienza ci fa pervenire a quella perfezione, mediante lo studio delle cose create, delle quali forma una vasta sintesi e come una scala di luce che c’innalza sino a Dio. – Per il cristiano arricchito del dono di scienza, l’universo è un libro scritto, tanto di dentro che di fuori. Al disotto dei corpi e delle loro proprietà, al disotto delle proporzioni chimiche degli elementi che le compongono, egli vede ciò che si nasconde: Dio, Dio onnipotente, Dio sapiente, Dio buono, che fa tutto con numero, peso e misura, e che dirige tutto ad un fine unico. Egli intende ciò che non intende il concerto armonioso degli esseri, che cantano ciascuno a loro modo le lodi del loro autore. [“Omnia dona ad perfectionem theologicarum virtutum ordinantur”. S. Th., 2a, 2ae, q. 9, art. 1, ad 8]- [“Cum homo per res creatas Deum cognoscit, magis videtur hoc pertinere ad scientiam, ad quam pertinet formaliter”. Ibid. art. 2 ad 3. — “Liber pulcherrimus, intus et foris depictus, est creaturarum universitas, in quo Dei perspicua habetur notitia…. Tot audientium audit voces quot creaturarum intuetur species. S. Laurent., De casto connubi C. XIX.] Non è la scienza naturale. Mediante il lavoro della sua ragione l’uomo può arrivare a giudicare con certezza di certe verità, vale a dire che la scienza umana si acquista col ragionamento e con dimostrazione. Ma Dio giudica con certezza della verità, senza discussione né ragionamento, per una semplice veduta; e cosi dentro certi limiti, l’uomo dotato del dono di scienza. [S. Th., 2a, 2ae, q. 9, art. 1, ad 1]. – Quindi una differenza enorme tra il sapiente che non ha il dono di scienza e il cristiano che lo possiede. Con la fronte ripiena d’algebra, come dice Maistre, la scienza del primo è faticosa nel suo cammino, incerta nelle sue affermazioni, limitata nella sua estensione, sterile nei suoi risultati. – Molto differente è la scienza del secondo. Libera nei suoi andamenti e dotata di quel colpo d’occhio sicuro ch’essa deve allo Spirito Santo, distingue senza fatica la verità dall’errore: è precisa nelle, sue affermazioni. – La storia della ragione, priva del dono di scienza, è un libro a partita doppia. La prima pagina dice: sì; la seconda dice: no: risultato: zero. Percorrete tutte le scuole dell’antichità pagana: in quale troverete voi una affermazione certa, una di quelle affermazioni che si sostengono a costo della vita? Se ripassate in questo stesso mondo dopo la diffusione dello Spirito, di scienza, voi troverete dappertutto affermazioni certe, incrollabili, vittoriose del sofisma e della spada. – Come in mezzo al sistema planetario voi vedete il sole scintillante di luce, cosi nel centro del mondo cristiano vedrete un magnifico corpo di dottrina, composto di dodici articoli: poi i più bei geni che applicano le verità che esso contiene a tutti gli studi materiali, sociali e filosofici, comporre la gran sintesi della scienza cattolica, a cui l’umanità cristiana deve, sotto tutti i rapporti, la sua evidente superiorità. – Essa è immensa nella sua estensione. Com’è la ragione che ne è il principio e la fiaccola, cosi la scienza del dotto ordinarlo è limitata nel suo obbietto. Il mondo soprannaturale, vale a dire più della metà del dominio scientifico, o gli sfugge o non si mostra a lui che attraverso ad oscure nubi. Con alcune verità, penosamente legate a sistema, essa può fare delle dotte specialità: ma un vero sapiente, mai. La profondità e la sintesi le mancano. La profondità, essa vede le superfici e le applicazioni materiali delle cose; ma il quid divinum, nascosto nel filo d’erba cosi bene come nel sole, non lo ignora meno che delle applicazioni morali, alle quali dà luogo. La sintesi: non conoscendo o molto imperfettamente Dio, l’uomo, il mondo e le relazioni loro, è incapace di collegare, come conviene, le conoscenze dell’ordine inferiore alle verità dell’ordine superiore, e di dare ai suoi lavori un utile veramente degno di questo nome. – Essa è feconda nei suoi risultati. Il più bel risultato della scienza è di condurre l’uomo al suo fine. Sapere con certezza quale é questo fine, con la stessa certezza conoscere i mezzi che vi conducono: ecco ciò che la scienza umana non ha mai insegnato a nessuno, né lo insegnerà mai. Non solamente il dono di scienza accresce tutte le scienze umane e le coordina: ma altresì ha dotato il mondo di una scienza, il cui nome medesimo fu sconosciuto alle accademie pagane; una scienza che da sé sola rende più servigi alla società di tutte le altre insieme. Abbiamo nominato la scienza dei santi, scientia sanctorum. Infatti di tutte le scienze, quella dei santi è la più magnifica, la più estesa, la più utile, la sola necessaria, la sola che faccia fare un vero progresso all’umanità, la sola alla quale si. riferiscono necessariamente, a meno che esse non siano corrotte, tutte le altre scienze sociali, filosofiche, naturali, matematiche. Perché non è così? Perché la scienza dei santi è la sola che sia piena di verità, nient’ altro che di verità, verità sopra Dio, sull’uomo e sul mondo. – Per dissipare una illusione, madre troppo feconda di funeste ammirazioni, terminiamo di notare la differenza che esiste tra l’intelletto, ricco del dono di scienza, e quello che ne è privo. « La diminuzione della fede, dice Donoso Cortes, che produce la diminuzione della verità, non trascina forzatamente la diminuzione, ma il traviamento dell’intelletto umano. Iddio, misericordioso e giusto insieme, ricusa la verità alle intelligenze colpevoli, ma non rifiuta ad esse la vita; Ei la condanna all’errore, non alla morte. Noi tutti abbiamo visto passare dinanzi agli occhi nostri, quei secoli cosi prodigiosamente increduli, e cosi perfettamente colti, i quali hanno lasciato dietro di sé, sui flutti del tempo, una traccia non meno luminosa che ardente, e che hanno brillato di una luce fosforica nella storia. – ” Ciò non pertanto fissate i vostri sguardi su di essi, fissateli attentamente, e vedrete che i loro splendori sono tanti incendi, e che non hanno luce altro che simile ad un baleno” . Il giorno che ce li mostra, pare che venga dalla esplosione di materie oscure di per se medesime, ma infiammabili, piuttostoché dalle pure regioni, dove nasce questa luce pacifica, dolcemente estesa sulle volte del cielo dal sovrano pennello di un pittore sovrano. – « Ciò che si dice dei secoli, può dirsi degli uomini. Ricusando loro, o non accordandogli la fede, Iddio ricusa o toglie loro la verità: ma non dà però, né ricusa ad essi l’intelligenza. L’intelligenza degli increduli può essere elevatissima; e quella dei credenti limitatissima. Pur tuttavia la prima non è grande che alla maniera dell’abisso, mentre la seconda è santa alla stessa guisa di un tabernacolo: nella prima abita l’errore; nella seconda la verità; Nell’abisso, la morte è con Terrore; nel tabernacolo la vita è con la verità. Ecco perché non avvi speranza per quei consorzi che abbandonano il culto austero della verità per l’idolatria dello spirito. Dietro i sofismi vengono le rivoluzioni, e dietro le rivoluzioni i carnefici. » [Saggio intorno al cattolicesimo, ec., p. 8 e 9]. – Dopo aver considerato il dono di scienza in sè medesimo, resta per meglio conoscerlo, studiarlo nei suoi effetti. 2° Quali sono gli effetti o le applicazioni del dono di scienza? L’ignorante vede la superficie delle cose, il dotto ne vede il fondo. L’ignorante si lascia abbagliare, il dotto apprezza. Cosi il primo effetto del dono di scienza, è, come l’abbiamo indicato, quello di farci discernere con certezza il vero dal falso, il solido dall’immaginario, il vero da ciò che non è che apparente. Il cristiano che lo possiede, sente per istinto la falsità delle obiezioni della empietà contro la religione. Lungi da scuotere la sua fede, questi attacchi provocano in lui il disprezzo, il disgusto e l’orrore. Ai suoi occhi l’uomo, che il Cristianesimo ha tratto fuori dalla barbarie, dall’idolatria della schiavitù e che nega il Cristianesimo, che insulta o che lascia insultare il Cristianesimo, che arrossisce del Cristianesimo, e che lo abbandona, è di tutti gli esseri il più vile e il più odioso, perché è il più ingrato e il più colpevole. – Dinanzi al giudizio fermo e retto di cui è dotato vengono a frangersi, come tante maschere che tolgono ad imprestito, le sottigliezze della menzogna e le arguzie del sofismo. Questo discernimento non fa soltanto giustizia dei sofismi dell’incredulo, ma si oppone altresì ai sofismi del mondo. Il vero cattolico, diretto dallo spirito di scienza, vede chiaramente due cose che nessun altri vede. – La prima è il nulla di tutto ciò che il mondo ama e ricerca. Come il cieco che ha ricuperato la vista, col suo sguardo divinamente illuminato ei penetra da parte a parte la vanità delle ricchezze, degli onori, e dei piaceri: come egli comprende una verità matematica, così comprende che tutte queste cose riunite, non possono più contentare un’anima immortale, creata per Iddio, che l’aria non può satollare una bestia da soma affamata. Per lui, nessuna parola é più vera di quel grido di disperazione del più savio e del più felice dei re: “Vanità delle vanità, e tutto è vanità, disprezzo e afflizione di spirito. [Eccl., I, 2, 10]. – La seconda è l’ammirabile bellezza, la grandezza, l’utilità di tutto ciò che il mondo teme e fugge con tanta premura. Alla luce del dono di scienza ei conosce la perfetta armonia dell’umiliazione, della povertà, del patimento con i bisogni dell’uomo decaduto. Ei gli riceve come il malato riceve il rimedio, che deve salvarlo dalla morte e rendergli la salute; come il negoziante riceve il cliente che viene ad offrirgli in cambio di poche bagattelle, tesori inammissibili. La sua divisa è la parola di san Paolo : «Quelli che erano i miei guadagni gli stimai a causa di Cristo, mie perdite: anzi io giudico che le cose tutte siano perdite rispetto all’eminente cognizione di Gesù Cristo mio Signore, per causa di cui ho giudicato un discapito tutte le cose, e le stimo come spazzatura, per fare acquisto di Cristo. » [Philipp III, 7, 8]. – Il secondo effetto del dono di scienza è di operare sulla volontà e di porre i suoi atti in armonia con i lumi dell’intelletto. Nel cristiano animato dallo spirito di scienza, l’odio dell’errore, dell’eresia, dell’incredulità, del razionalismo non è una scienza speculativa. Con la vigilanza su se medesimo, con 1’allontanamento di qualunque lettura, di qualunque conversazione anticattolica, con l’esempio, con la preghiera, con tutti i mezzi in suo potere, egli oppone una barriera alle bestie selvaggia che infestano il campo della verità. – Tali sono le disposizioni di tutti i giusti, cioè dire, di tutti gli uomini in istato di grazia. In favore di alcuni Dio aggiunge la facoltà superiore di comunicarti la scienza mediante la parola. È ciò che san Paolo appella il discorso della scienza: “sermo scientiae”. L’allievo dello Spirito Santo che ne è dotato, impiega la sua voce e la sua penna, non più solamente a difendersi ma a difendere i suoi fratelli. Veglie, studi, dispendi, fatiche, nulla costa al suo zelo. Cosi alla scienza che uccide, egli oppone la scienza che salva. – Medesima condotta rispetto ad affascinamenti mondani. Se il nulla degli onori, delle ricchezze e dei piaceri gli ispira il disprezzo, il pericolo che essi presentano gli fa prendere in avversione tutto ciò che il mondo stima. È il viandante di notte che inciampa in una grossa borsa. Ei la raccatta e si crede felice, credendo aver trovato un tesoro; ma venuto il giorno, vede che quella borsa è piena di pezzi di vetro e di rettili velenosi, e la getta lungi da sé con sdegno. – Come prende compassione di questa moltitudine tumultuosa che chiamasi mondo! Insensato, che si consuma a perseguitare fantasmi e a tessere tele di ragno, che si irrita per una ingiuria, che si dà alla disperazione per una malattia o per un rovescio di fortuna. Egli, contento della posizione che la Provvidenza gli ha fatta, non desidera punto di uscirne. Se egli è povero, sconosciuto, perseguitato, trovasi felice di questi tratti di rassomiglianza col suo divino Fratello, il Verbo incarnato. Se egli ha delle ricchezze, non vi pone né il suo pensiero, né il suo cuore. Spesso anche, con un atto di sublime follia, egli pone tra sé e i beni pericolosi e lusinghieri di quaggiù, l’insormontabile barriera dei tre voti d’obbedienza, di castità e di povertà. – Il terzo effetto del dono, di scienza è di irraggiare su tutte le scienze umane, di ben situarle, di fecondarle, di nobilitarle e di affermarle. Solo il dotto cristiano afferma; i filosofi pagani non hanno niente affermato. – L’affermazione è di origine cristiana. Farci conoscere scientificamente la fine dell’uomo e del mondo, la natura e l’armonia degli esseri, tale è il privilegio esclusivo dello spirito di scienza. Ora, senza questa conoscenza preventiva, nessuna scienza esiste. Di qui quella parola dei nostri libri sacri: « Vani, cioè dire senza solidità né di spirito, né di cuore, sono tutti gli uomini in cui non è innanzi tutto la scienza di Dio. 1 »1 [Sap., XIII, 1]. – Muti parolai, loquaces muti, aggiunge sant’Agostino, essi sono pieni di parole e vuoti d’idee. Dal canto suo nelle sue Confessioni d’ un rivoluzionario, Proudhon scrive queste parole degne di nota: « È sorprendente che in fondo alla nostra politica ci troviamo sempre la teologia. » Su di che Donoso Cortes cosi si esprime: « Non vi è qui di sorprendente altro che la sorpresa del signor Proudhon. La teologia, per ciò stesso che è la scienza di Dio, è l’oceano che contiene e abbraccia tutte le scienze, siccome Dio è l’oceano che contiene e abbraccia tutte le cose. » [Saggio, ecc., p. 1]. – Ma la teologia suppone il dono di scienza, come il figlio suppone il padre. Colui che lo possiede è teologo, e possiede in germe tutte le scienze. « Difatti, aggiunge Donoso Cortes, possiede la verità politica colui il quale conosce le leggi a cui sono assoggettati i governi; e possiede la verità sociale quegli che conosce le leggi alle quali sono sottomesse le società umane [È lo stesso delle scienze naturali]; conosce queste leggi quello che conosce Dio; e conosce Dio colui che intende ciò che Dio afferma di sé medesimo, e che crede ciò che intende. La scienza che ha per oggetto queste affermazioni è la teologia. Donde ne segue che ogni affermazione relativa alla società o al governo, suppone un’ affermazione relativa a Dio, ovvero, ciò che è la stessa cosa, che ogni verità politica o sociale si converte necessariamente in una verità teologica. – « Se tutto si spiega in Dio e per mezzo di Dio, e se la teologia è la scienza di Dio, nella quale e per la la quale tutto si spiega, la teologia è la scienza di ogni cosa. [Per conseguenza, il principio di ogni sapere è il dono di scienza]. – Ciò essendo, nulla vi è fuori di questa scienza, che non ha plurale, perché il Tutto, che è il suo oggetto, non l’ha. La scienza politica, la scienza sociale non esistono che come tante classificazioni arbitrarie, dell’intelletto umano. L’uomo nella sua debolezza distingue ciò che in Dio è unito dall’unità la più semplice. – Cosi egli distingue le affermazioni politiche dalle affermazioni sociali e dalle affermazioni religiose, mentre in Dio non havvi che un’ unica affermazione indivisibile e sovrana. Colui che parlando esplicitamente di qualche cosa, ignora che egli parla implicitamente di Dio, e chi parlando esplicitamente di qualche scienza, ignora che egli paria implicitamente di teologia, sappia che non ha ricevuto da Dio altro che l’intelligenza assolutamente necessaria per essere uomo. » [Saggio, ecc., p. 1 e 9]. – Grazie al dono di scienza diffuso nel mondo, quante volte i secoli cristiani hanno visto di questi meravigliosi teologi, per conseguenza veri dotti, in tutte le età e in tutte le condizioni! Bernardo, .Francesco d’Assisi, Caterina da Siena, Colette, pastori, lavoratori, fanciulli, senza lettere umane, ma dotati, mi si permetta la parola, del fiore della verità, seppero essi scoprirla con un istinto meraviglioso, parlarne a quando a quando con una semplicità che pareva esser loro naturale, con una forza che trascina le più ribelli convinzioni, con una profondità che stupisce i sapienti, e con un buon senso talmente sicuro, che i loro apprezzamenti divenivano altrettanti assiomi e regole di condotta. – Questo dono prezioso non è perduto. Oggi ancora, dove bisogna cercare la scienza della vita, la rettitudine del giudizio, la certezza delle affermazioni, il colpo d’occhio dell’insieme che riannoda il fine coi mezzi e i mezzi col fine, il senso pratico delle cose, questo gran maestro della vita, come parla Bossuet, non si trova né nelle accademie letterarie, né nelle assemblee politiche, né nei corpi sedicenti dotti, ma presso i veri cristiani. – « La scienza di Dio, continua l’illustre pubblicista spagnolo, dà a chi la possiede, sagacia e forza, perché a un tempo essa aguzza e dilata lo spirito. Ciò che vi è di più mirabile per me nella vita dei santi, e particolarmente in quella dei Padri del deserto, è una circostanza che io credo non sia stata ancora convenientemente apprezzata. L’uomo abituato a conversare con Dio e a esercitarsi nelle contemplazioni divine, a parità di condizioni sorpassa gli altri o per l’intelligenza e la forza della sua ragione, o per la sicurezza del suo giudizio, o per la elevatezza e la forza del suo spirito; ma soprattutto, io credo che nessuno, in pari circostanze, la vinca sugli altri per quel senso pratico e savio che appellasi buon senso. » [ Saggio intorno al Cattolicismo, ec., p. 199]. 3° Qual è la necessità del dono di scienza? Noi l’abbiamo veduto: il dono di scienza ci fa discernere con certezza il vero dal falso, il reale dall’immaginario. Fu egli mai più necessario d’oggidì?In un mondo che nega Dio, che nega Gesù Cristo, che nega la Chiesa, che, proclamando 1’eguaglianza di tutte le religioni, circonda la verità e l’errore in un comune disprezzo, che nega la distinzione assoluta del bene e del male, che chiama progresso ciò che è deviazione, lumi ciò che è tenebre, libertà ciò che è servitù, come discernere il vero dal falso? In un mondo che non vive che per le ricchezze, per gli onori, che conta per nulla i beni dell’anima e dell’eternità, che è giunto sino a trattare di chimera il mondo soprannaturale tutto quanto, come fare a sfuggire a questo generale affascinamento? Non é in mezzo a un tale “Babelismo” che bisogna di continuo guardare il cielo e gridare con lo Spirito Santo: « Illumina gli occhi miei, affinché io non dorma giammai sonno di morte; affinché non dica una volta il mio nemico: io l’ho vinto? » [Ps. XII]. – Questo dovere è tanto più pressante, perché l’uomo si trova posto .nella crudele alternativa di vivere sotto l’impero dello spirito di scienza, o sotto la tirannia dello spirito contrario. Qual’è questo spirito direttamente opposto al dono di scienza? Secondo sant’,Antonino, è il quinto dono di satana che si chiama “Ira”. « Lo spirito di scienza, dice il gran teologo, respinge lo spirito d’ira che impedisce di vedere la verità, che è il fine del dono di scienza. » [“Spiritus scientiae repellit spiritum irae, quae impedit animum ne possit cernere verum, ad quod scientia attendit”. iv p., tit. X, c. L]. – Come la notte succede infallibilmente al giorno, allorquando il sole lascia l’orizzonte; cosi lo spirito d’ira s’impadronisce dell’anima che perde lo spirito di scienza. Questa affermazione sembra strana. Non si vede a prima vista l’opposizione che esiste tra il dono di scienza e l’ira. Per afferrarla bisogna distinguere due sorta d’ira, e ricordarsi degli effetti principali del dono di scienza. – Vi è una collera giusta e santa che non è nient’affatto contraria allo spirito di scienza. Tale fu la collera o meglio l’indignazione di Nostro Signore contro i venditori del tempio: tale la veemenza del predicatore che tuona contro il vizio, o la resistenza energica del proprietario verso il ladro e l’assassino. Una simile collera, se pure essa meriti questo nome, lungi dall’essere contraria al dono di scienza, non è che la scienza armata per difendere con mezzi legittimi, un bene vero: essa non è contraria al dono di scienza, poiché non turba la ragione, né eccede in nulla i limiti della giustizia. – Ma havvi un’altra collera che accusa un fondo di malcontento e d’ irritazione, la quale erompe per cause non legittime, che eccede nei suoi moti, che turba la ragione e che tende a sostituire alla forza del diritto il diritto della forza. Quest’è l’ignoranza armata per la difesa di un bene, o la ripulsa di un male più immaginario che reale. Quanto al dono di scienza, che ha per fine la cognizione ragionata e certa della verità, il suo primo effetto consiste nel comunicare a noi una grande rettitudine di giudizio; questa rettitudine ci fa apprezzare e stimare ogni cosa nel suo giusto valore; poi operando sulla volontà, essa regola i suoi atti sui lumi dell’intelletto perfezionato. – Ora il dono di scienza ci mostra chiaramente, che i beni ed i mali di questo mondo non sono né veri beni né veri mali; che ciò che è .chiamato male dagli uomini, come la povertà, l’umiliazione, il soffrire, non è un male vero; che ciò che è chiamato bene dagli Uomini, come le ricchezze, gli onori, i piaceri non è un bene vero, ma spesso un male e sempre un pericolo. – Il cristiano che, mercé il dono di scienza, sa tutto questo e la cui volontà è all’unisono della sua scienza, ha mille ragioni di non mettersi in collera. Tali sono tra le altre, la sua dignità compromessa, lo scandalo dato, la pace turbata, l’odio partorito, il peccato commesso dall’usurpazione del diritto divino della vendetta. Esso non trova nessuna ragione di mettervisi. E chi potrebbe irritarlo? L’ingiuria? ma essa è di per sé una preziosa sementa di merito. l’ingiustizia, l’ingratitudine? ma egli conosce tutta la miseria umana, e sapendo che egli medesimo ha bisogno d’indulgenza, dice: Padre, perdonate loro, perché essi non sanno ciò che fanno. La perdita di questi beni? Ma egli sa che perdendoli non ha perduto niente del suo; e con la calma di Giobbe dice: Il Signore mi aveva dato, il Signore mi ha tolto: come è piaciuto al Signore, cosi è stato fatto; che il nome del Signore sia benedetto. Così degli altri accidenti che il mondo appella rovesci, calamità, disgrazie. Tale è la serenità dell’anima illuminata dallo spirito di scienza. – Al contrario 1’anima .vuota dello spirito di scienza è subito ripiena dello spirito d’ira. La ragione ne è semplice: quest’anima si fa una falsa idea delle cose. Essendo essa cieca nei suoi apprezzamenti, stima, ama, teme senza regola sicura: per essa i mali sono beni e reciprocamente. – Siccome le è altrettanto impossibile di godere pacificamente, senza contraddizione e senza inquietudine, ciò che appella bene, quanto il non essere ogni giorno esposta a ciò che appella male, cosi essa si turba, mormora, si irrita, respinge con violenza ciò che reca offesa alla sua felicità; insomma essa cade sotto l’impero dell’ira; vi cade per un’idea falsa del suo diritto, o per un apprezzamento inesatto dei beni e dei mali. – Ciò è talmente vero, che in tutte le lingue l’ira riceve l’epiteto di cieca; niente è meglio applicato. L’ira, figlia dell’ignoranza, impedisce all’uomo di ragionare. In lui, la face della ragione si oscura e fa luogo alla forza. La vita si concentra sulle labbra che ingiuriano, in cima al piede che colpisce, o nel pugno che atterra. [“Ira dicitur esse janua vitiorum…. Removendo prohibens, id est impediendo judicium rationis, per quod homo retrahitur a malis”. S. Th. 2a, 2ae, q. 158, art. 6, ad 3]. – Ciò che è vero dell’ individuo, è vero eziandio dei popoli, vero dell’umanità. Ritirate dalla terra il dono di scienza, che cosa avrete voi? L’ignoranza dei veri beni e dei veri mali, e con l’ignoranza l’ira, e con l’ ira la guerra. Che cosa è la guerra ? … è  l’ira dei re e dei popoli. – Perché il mondo pagano fu egli sempre in guerra? Perché fu sempre in collera. Perché sempre in colletta? Perché il dono di scienza gli mancava. Tutta la sua esistenza è stata definita da san Paolo: i tempi d’ignoranza, “tempora ignorantiae”. Come cieco estimatore, egli si appassionò costantemente pei falsi beni: sempre in armi per conquistarli o per difenderli. Per la stessa legione la guerra, nell’ordine delle idee, non fu meno viva né meno permanente della guerra nell’ordine dei fatti. – Questa ignoranza fece perire il mondo dei Cesari, come essa avea fatto perire il mondo dei giganti. [“Ibi fuerant gigantes…. statura magna, scientes bellum;. .. et quoniam non habuerunt sapientiam perierunt propter suam insipientiam”. Baruch, III, 26, 28]. – Perché da quattro secoli in qua il. mondo moderno è in guerra intellettuale e materiale? Perché non cessa dì essere in collera. Perché ciò? Perché gli manca il dono di scienza. Mancandogli questo dono, la sua stima delle cose diventa pagana, i suoi apprezzamenti pagani, i suoi giudizi pagani: le sue affezioni, le sue tendenze, le sue affermazioni e le sue negazioni, sono pagane. Visto altrimenti che alla superficie, che cosa è questa spaventosa confusione di cui siamo testimoni? secondo la profonda parola della Scrittura, non è altro che la gran guerra dell’ignoranza, “magnum inscientiae bellum”. [Sap. XIV, 22]. – Guerra delle idee, perché manca la scienza divina; guerra degli interessi, perché la cieca passione dei beni terreni succede all’amore dei beni spirituali: guerra dell’uomo contro Dio, perché non conosce più la verità; guerra dell’ uomo contro l’uomo, perché non conosce più la verità; guerra di tutti contro tutti, che finirà con catastrofi ignote, a meno che essa non sia fermata dallo spirito di scienza, regnando nella pienezza della sua luce e della sua forza. Metter fine ad un simile flagello, scongiurare simili disgrazie non è nulla?. Ecco pertanto il servizio che solo può rendere al mondo il quinto dono dello Spirito Santo.

Omelia della Domenica X dopo Pentecoste

-Omelia della Domenica X dopo Pentecoste

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. II -1851-]

[Vangelo sec. S. Luca XVIII, 9-14]

Fariseo-e-pubblicano

-Opere buone-

Il Fariseo descritto da Gesù Cristo nell’odierno Vangelo si può rassomigliare a quella canna là nel deserto agitata dal vento, di cui lo stesso divin Salvatore ad altro proposito fa menzione. Osservate: una canna è ritta, vuota, infeconda; eppur se la muove un leggier vento, par che applauda a sé stessa col romorìo delle foglie. Mirate se non è questa l’immagine più espressiva del Fariseo superbo. Ritto in piedi innanzi all’altare, vuoto di meriti, sterile di opere buone, fa plauso a sé stesso, e si vanta per uomo singolare e virtuoso; e, Signore, dice, io non sono già come il restante degli uomini, ingiusti, adulteri, rapaci. In ogni settimana io fo due digiuni, pago puntualmente le decime di tutto ciò che possiedo. Un pubblicano per l’opposto in fondo del Tempio, come un albero carico di frutti, che piega i rami, e curva la cima fin sul terreno, sta cogli occhi e col capo chini al suolo, e battendosi il petto, chiede pietà e perdono, e si confessa peccatore. Diversa è la disposizione d’entrambi, diversa la sorte. Il primo accresce la sua malizia e la sua colpa, il secondo se n’esce giustificato dal Tempio. Oh quanti cristiani sono imitatori del Fariseo! E perché stanno lontani da alcuni vizi più enormi, si lusingano d’ottener salute, ancorché tralascino l’opere buone. Quanti cristiani contenti delle foglie d’un apparente virtù sperano conseguir l’eterna mercede! A disingannare costoro passo senza più a dimostrare come una vita senza opere buone equivale ad una vita rea, e come una virtù di esterna apparenza non si distingue dal vizio. Incominciamo.

I. – Molti, che alieni dalle opere della cristiana pietà menano una vita sterile, oziosa, indifferente in tutto ciò che riguarda il bene dell’anima ed il servizio di Dio, a sedare i rimorsi della propria coscienza, o sedotti da una non sempre scusabile ignoranza, sogliono uscire in queste espressioni: Io non faccio alcun male, non rubo, non bestemmio, non fo torto a persona, e in così dire credono aver fatto il tutto per andar salvi. – Voi dunque dite: “Non faccio alcun male”. E che male, io rispondo, fece quel servo nell’Evangelio, a cui il suo padrone diede un talento da mettere a traffico? Non consumò già quel danaro in crapule, in giuochi, in gozzoviglie, anzi lo custodì gelosamente; ma perché lo tenne ozioso fu condannato e punito. “Io non faccio alcun male”: e che male fecero quelle cinque vergini dall’Evangelio chiamate stolte? Non macchiarono già né in fatti, né in pensieri la loro purezza, eppure perché negligenti a provvedersi di olio per andar incontro al divino sposo, furono escluse per sempre dalle nozze celesti. “Io non faccio alcun male”: e che male fece quella ficaia da Gesù Cristo maledetta? Non aveva già prodotti frutti velenosi o nocivi; eppure, perché infruttuosa, la maledisse. Fu quella ficaia un’immagine della riprovata Sinagoga, ed è altresì una figura d’un anima pigra, trascurata, sterile di buone operazioni, e come tale non può aspettarsi che la divina maledizione. – In effetti Cristo giudice alla fine del mondo non dirà rivolto ai reprobi: lungi da me, bestemmiatori, ladri, sacrileghi, adulteri, fornicatori; perché tutti questi portando scritti in fronte i loro delitti, e il carattere della loro riprovazione, non vi ha bisogno di somiglianti invettive. Dirà ad essi bensì, andate, maledetti, al fuoco eterno, perché avete omesse le opere della cristiana carità. Io era affamato nella persona de’ miei poverelli, e non mi avete soccorso, era ignudo, e non mi avete coperto, era infermo e non mi siete comparsi davanti. Dunque, quand’anche non si fosse fatto altro male, l’omissione delle opere buone è un motivo più che sufficiente, e giustissimo per meritare condanna di morte eterna. – Due cose, dice il re Profeta, si richiedono per operare la nostra salute, declinar dal male, e praticare il bene: “Diverte a malo, et fac bonum” (Psal. XXXIII, 14). Son questi i due piedi, coi quali si cammina per la strada del paradiso, sono queste le due ali, colle quali si vola al cielo. – Chi si allontana dal male va con un piè solo, e pretende volare con una sol’ala; ma con un sol piede non può far lunga strada, ma con un’ala sola il volo si converte in caduta. Voi vi astenete dal male, questo è tenersi sul negativo; ma per salvarsi non basta una bontà negativa, è necessaria una positiva bontà. Anche una statua à una bontà negativa, perché non fa né può far male alcuno; ma non ha alcun merito, né può aver alcun premio. – Tutti quei cristiani adunque che nulla fanno di positivo bene, si possono rassomigliare, col citato re Profeta, agl’idoli del paganesimo, così da esso descritti; hanno questi falsi Dei, fatti per man degli uomini, hanno occhi e non vedono, hanno orecchie e non sentono, anno lingua e non parlano, hanno mani e non palpano, hanno piedi e non camminano. Tali sono que’ trascurati e neghittosi nel ben operare. Hanno occhi, e non vedono il pericolo a cui gli espone una vita così discorde dalle verità della fede: hanno orecchie, e non ascoltano la parola di Dio, né le voci e i reclami della rea coscienza: hanno lingua, e non pregano, né si confessano interamente: hanno mani, o sia facoltà di travagliare per la loro salvezza, e stanno “tota die otiosi”: hanno piedi finalmente, ma non battono quella strada che conduce al cielo. Or che sarà di quest’idoli, di questi simulacri? Che ne sarà? Incorreranno la divina maledizione al par degl’idoli pagani, come sta scritto nel libro della Sapienza : “Idolum maledictum. . . et qui fecit illud” (Sap. XIV, 18).

II. Ma noi, parmi d’essere qui interrotto da chi va dicendo: noi ben persuasi che senza buone opere non si può sperar salute, frequentiamo i Sacramenti e le ecclesiastiche funzioni, facciamo limosine, visitiamo infermi, e tanti altri atti pratichiamo di religione e di cristiane virtù. Assai mi consola quanto voi asserite. Ma siccome può nascer dubbio se l’opere vostre siano in realtà, o in apparenza virtuose, contentatevi che per puro zelo ed amor delle vostre anime io le chiami ad esame. Voi frequentemente vi confessate e comunicate. Fin qui questi sono verbi, vi dirò col beato Alberto Magno precettore di S. Tommaso l’angelico, “verba, sunt ista”; ma i verbi non bastano per il merito e per la salute; è necessario che ai verbi si aggiungano gli avverbi. Mi spiego: confessarsi, comunicarsi, questi son verbi, confessarsi bene, comunicarsi fruttuosamente, questi sono avverbi. Voi frequentate i Sacramenti, ma frequentate altresì le conversazioni pericolose, ove si parla, si burla, si ride a spese della santa onestà; frequentate i Sacramenti, e frequentate del pari le bettole, i giuochi, i ridotti: accusate le vostre colpe nel tribunale di penitenza, ma ricadete colla stessa facilità nelle medesime colpe; ricevete sulla vostra lingua Gesù sacramentato, ma la vostra lingua è sempre mordace, impura, mormoratrice; accogliete in seno il mansueto Agnello di Dio, siete sempre impazienti, iracondi, collerici, se è così, le vostre confessioni, le vostre comunioni sono foglie e non frutti, sono veleno e non medicina. E voi che vantate opere di pietà e di virtù, venite qua. In prima, un atto, per essere virtuoso e meritevole, fa d’uopo indirizzarlo a un buon fine. Se fate limosina per esser veduti e stimati dagli uomini, l’azione per sé ottima e santa, diventa rea, peccaminosa pel fine obliquo di vana ostentazione. Dite altrettanto di qualunque altro atto di virtù. Il fine buono o malvagio, dicono i Teologi con S. Agostino, fa buona o malvagia la vostra azione: “Noveris ex fine a vitiis discernendas esse virtutes”. – In secondo luogo: sia buono, sia retto il vostro fine, se voi non siete in grazia di Dio, le opere vostre tuttoché naturalmente buone, potranno bensì esservi giovevoli a piegar il cuore di Dio, a concedervi grazia di ravvedimento e di conversione, ma in ordine alla vita eterna sono di niun valore, sono cadaveri di virtù, sono opere morte. Avete mai veduto nelle grandi città qualche superbo mausoleo innalzato per tomba e per memoria d’illustre personaggio? In mezzo sta locata un’urna marmorea, che racchiude il corpo del rinomato defunto; stanno intorno in atto dolente diverse statue esprimenti le virtù reali o supposte del morto soggetto. Evvi la giustizia che piange, la clemenza che si scopre il volto, la pietà che si asciuga le lacrime, la prudenza che ad una mano appoggia la fronte. Tutte queste sono virtù di marmo, virtù simboliche che fanno onore ad uno scheletro. Per non dissimil guisa, se per alcun grave peccato siete morti alla grazia, le virtù da voi praticate sono, in ordine al merito di vita eterna, simulacri di virtù, vane immagini di un’anima incadaverita. Dunque, fratelli amatissimi, non ci pasciamo di vento, come l’odierno Fariseo, non ci vantiamo di foglie. – È vero che il divin maestro c’inculca a dar, coll’opere buone, esteriore esempio edificante, onde ne sia glorificato il Padre celeste: “Videant opera vestra bona, et glorificent patrem vestrum qui in coelis est” (Matth. V, 16); ma se agli atti esterni di pietà e di religione ci obbliga il buon esempio, l’intenzione, dice S. Gregorio Magno (Ad Philip. II, 12), l’intenzione occulta del nostro spirito, veduta da Dio solo, dev’essere pura, a Dio diretta, a Dio piacente, e custodita nel segreto del cuore. Purifichiamo pertanto la nostra intenzione nell’operare il bene: non siamo così facili ad approvare noi stessi e la morale nostra condotta. Temendo, tremando, ci esorta S. Paolo, operate la vostra salute: “Cum metu et tremore, vestram salutem operamini”. Semplice, temente Iddio e santo era Giobbe, eppur temeva di tutte l’opere sue “Verebar omnia opera mea” (Job. IX, 21). Non crediamo così agevolmente d’essere giusti o giustificati. Son ripresi nel Vangelo odierno quei che in sé confidando si reputavano giusti: “Qui in se confidebant tamquam justi”. Temiamo, miei cari, sull’incertezza di salvarci, e temiamo sul pericolo di perderci. Ancora uno sguardo al penitente pubblicano: compreso da salutare spavento non ardisce inoltrarsi nel Tempio; ma dietro al Fariseo si tiene in fondo, umiliato, confuso, non osa alzar gli occhi dal pavimento, si confessa peccatore, e come tale implora la divina clemenza, e a colpi sonori si batte il petto: “Percutiebat pectus suum”. Tre cose sono da osservarsi a nostra istruzione su questo battersi il petto, sulla scorta di Teofilatto, Eutimio, e S. Agostino. Il moto della mano, il petto percosso, e il suono del colpo. Nel moto della mano son figurate l’opere buone necessarie a praticarsi per chi vuole andar salvo: nel petto percosso il pentimento del cuore per le colpe commesse, e la riparazione delle stesse colla penitenza: finalmente nel suono del colpo il buon esempio che nasce dall’emendazione della vita. – Ecco la norma che dobbiamo seguire per evitare la condanna del Fariseo, per ottenere, come il Pubblicano, il perdono, la grazia giustificante, e la vita eterna, che Dio ci conceda.

Il cavaliere kadosh Achille Lienart (4)

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Il cavaliere Kadosh Achille Lienart

Il nostro cavaliere kadosh, che nella loggia giura “Adonay nokem” e che maledice benedicendo, secondo quanto Malachia trascrive nel suo libro che, lo ricordiamo solo per inciso, è parola di Dio, è indubbiamente un censurato ed uno scomunicato, e proprio di quelli D.O.C. Leggiamo allora dalla nostra inseparabile Enciclopedia Cattolica cosa viene riportato alla voce “SCOMUNICA”, vol. XI, col. 145 e segg. Al punto II c’è scritto: “Il CIC definisce ancora la scomunica (s.) [2257, par.1]: “la censura che esclude il punito dalla comunione dei fedeli e che produce gli effetti elencati nei canoni seguenti” (cann. 2258 – 67). Ma la separazione dello scomunicato dalla comunione dei fedeli è più un ricordo del passato che una realtà effettiva: il vescovo scomunicato, ad es., continua ad essere il capo della propria diocesi con tutti i diritti inerenti. – (…) Scomunica: Effetti. – Neppure è esatto che la scomunica produce effetti inseparabili e che essi vengono elencati nei cann. 2258-67. Gli effetti della scomunica sono molteplici e vengono sanciti in numerosi canoni, che non fanno parte del diritto penale. Essi poi sono più o meno gravi, secondo che la scomunica sia semplicemente incorsa, divenga notoria, sia inflitta o dichiarata con sentenza o decreto penale; gravissimi se lo scomunicato viene dichiarato « vitando ». A “qualsiasi” scomunicato è vietato di: a) ricevere i Sacramenti; b) fare e amministrare i Sacramenti e i sacramentali; c) assistere agli Uffici divini; d) porre gli atti legittimi ecclesiastici, di cui al can. 2256, n. 2 ° ; e) esercitare le funzioni inerenti ad un ufficio o incarico ecclesiastico; ) usufruire di un privilegio ecclesiastico ; g) eleggere, presentare, nominare; h) conseguire dignità, uffici, benefici, pensioni ed incarichi nella Chiesa; i ) porre atti di giurisdizione ecclesiastica. Egli non partecipa delle indulgenze, suffragi e preghiere pubbliche della Chiesa. Se viola la censura, ponendo un atto di ordine, riservato ai chierici in sacris, diviene irregolare (can. 985, n. 70 ) . Se poi persiste per un anno intero nella contumacia, è sospetto di eresia (can. 2340 §1), a tutti gli effetti di legge. Se il fedele è notoriamente incorso nella scomunica non può lecitamente fungere da padrino nel Battesimo (can. 766, n. 20) e nella Cresima (can. 796, n. 30 combinato col can. 766, n. 2°); inoltre non può essere scusato dall’osservanza della censura per evitare l’infamia (can. 2232 §1, ultimo comma), né assolto dal semplice confessore, nei casi urgenti, dalla censura, se riservata, a norma del can. 2254 §1, primo comma; infine gli deve essere impedita l’assistenza attiva agli Uffici divini (can. 2259 § 2, ultimo comma). Se poi è stato scomunicato o dichiarato tale con sentenza o precetto penale non può lecitamente ricevere neppure i sacramentali (can. 2260 §1, secondo comma); validamente fungere da padrino nel Battesimo o nella Cresima, essere nominato arbitro ( can. 1931, primo comma), esercitare il diritto di elettorato attivo, presentazione o designazione, porre atti di giurisdizione (can. 2264, secondo comma), ottenere una grazia pontificia, se nel rescritto non viene fatta menzione della s.: perde la capacità di conseguire dignità, uffici, benefici ed incarichi nelle Chiese, di ottenere pensioni ecclesiastiche (can. 2265 §1, 2° combinato col § 2), e di acquistare il diritto di patronato (can. 1453 §1, ultimo comma ). Inoltre egli rimane privato dei frutti della dignità, uffici, benefici, pensioni ed incarichi, se ne abbia precedentemente conseguito qualcuno (can. 2266). Personalmente può stare in giudizio solo per impugnare la giustizia o la legittimità della scomunica inflittagli; per mezzo di un procuratore per scongiurare un pericolo che sovrasti al bene della sua anima; nel resto è privo della capacità processuale (can. 1654,§1). Se muore, senza aver dato segni di penitenza, gli deve essere negata la sepoltura ecclesiastica (can. 1240 § 1,2°) con tutte le conseguenze di legge (can. 1241). E se, nonostante tale divieto, egli viene seppellito nel luogo sacro, questo rimane profanato (can. 1172 §1, 4° e 1207). Allo scomunicato « vitando » infine, cioè a colui che sia stato dichiarato tale in una sentenza o decreto di condanna, pronunciati dalla S. Sede e pubblicati nelle forme stabilite dalla legge, e al reo di ingiuria reale sulla persona del Sommo Pontefice (can. 2258 § 2), deve essere impedito di assistere alla sacre funzioni, e se riesce impossibile allontanarlo, queste ordinariamente non possono aver luogo o essere continuate (can. 2259, § 2, I comma). – Egli rimane privato non solo dei frutti, ma delle stesse dignità, benefici, uffici o incarichi ecclesiastici (can. 2266, ultimo comma) . È permesso aver relazioni con lui nelle cose di ordine temporale solo ai genitori, al coniuge, ai figli, ai dipendenti e a coloro che abbiano un giusto motivo di farlo (can. 2267). Gravi pene sono comminate ai suoi correi, complici, e ai chierici, che lo ammettono alle sacre funzioni (can. 2338 § 2) . – 2. Comparazioni con le altre censure. — È facile cogliere le profonde differenze tra la scomunica e le altre censure: l’interdetto e la sospensione. La prima esclude il punito dalla comunione dei fedeli, sia pure nei limiti indicati di sopra; il secondo invece vieta soltanto alcuni atti della comunione, i quali sono diversi a seconda della specie dell’interdetto; la sospensione poi, i cui effetti sono separabili e quasi sempre separati, proibisce soltanto l’esercizio della potestà ecclesiastica, inerente all’ufficio o beneficio. Inoltre la scomunica è sempre censura, mentre l’interdetto e la sospensione possono essere anche pena vendicativa (v .). Infine la scomunica può colpire soltanto le persone fisiche, pertanto se viene inflitta ad un corpo morale soltanto i singoli colpevoli sono tenuti a sottostare ad essa. Invece la sospensione può colpire sia una persona fisica che morale collegiale e l’interdetto anche un luogo (can. 2255 § p. 2). – 3. Riserva e assoluzione della scomunica – Nel CIC sono comminate 37 s., di esse sono riservate alla S. Sede 4 specialissimo modo, 11 speciali modo, 11 simpliciter, all’Ordinario 6 e 5 non sono riservate. – Le prime colpiscono i seguenti gravissimi delitti: 1) profanazione delle Sacre Specie (can. 2320); 2) ingiuria reale sulla persona del Sommo Pontefice (can. 2343 § 1°); 3) assoluzione del complice nel peccato d’impudicizia semplice o qualificata (can. 2367); 4) violazione diretta del sigillo sacramentale (can. 2369 § 1, comma 1). Le seconde ordinariamente sono comminate ai rei di delitti contro la fede o che comunque fanno presumere la mancanza di fede nel colpevole, e in specie dei seguenti: 1) apostasia, eresia e scisma (can. 2314); 2) edizione, difesa, ritenzione e lettura dei libri che p r o pugnano l’apostasia o lo scisma (can. 2318 § 1); 3) simulazione della celebrazione della S. Messa e dell’amministrazione del sacramento della Penitenza da parte di uno che non sia sacerdote (can. 2322, n. 1°); 4 ) ricorso al concilio universale avverso leggi, decreti e ordini del Sommo Pontefice vivente (can. 2332 ); 5) ricorso al potere secolare per impedire l’emanazione, la promulgazione o l’esecuzione di atti della S. Sede o dei suoi legati (can. 2333); 6) emanazione di leggi, ordini o decreti lesivi della libertà o dei diritti della Chiesa; l’impedire, facendo ricorso al potere secolare, l’esercizio della giurisdizione ecclesiastica (can. 2334); 7) il convenire davanti ad un giudice laico un cardinale, un legato della S. Sede, un ufficiale maggiore della Curia Romana (assessori, segretari, sottosegretari o sostituti delle SS. Congregazioni ed altri prelati ad essi equiparati) per atti del loro ufficio, e il proprio Ordinario (can. 2341,1 comma); 8) ingiuria reale sulla persona di un cardinale o di un legato del Sommo Pontefice (can. 2343 § 2, 1°); 9) usurpazione o detenzione di beni o di diritti della Chiesa Romana (can. 2345); 10) contraffazione o alterazione di lettere, decreti o rescritti della S. Sede ed uso doloso di essi (can. 2360 § 1 ) ; 11) calunniosa denunzia ai superiori di un confessore per sollecitazione (can. 2363). – Le simpliciter riservate colpiscono i seguenti delitti: 1) traffico sacrilego delle indulgenze (can. 2327); 2) iscrizioni alla massoneria o ad associazioni affini (can. 2335); 3) assoluzione, data con dolo senza la necessaria facoltà, di una scomunica riservata specialissimo o speciali modo alla S. Sede (can. 2338 § 1 ) ; 4 ) correità o complicità in un delitto per cui uno viene dichiarato scomunicato « vitando », sua ammissione a prendere parte agli uffici divini o comunicazione in divinis con lui, consapevole e spontanea da parte di un chierico (can. 2338 § 2) ; 5) il convenire davanti ad un giudice laico un vescovo che non sia il proprio Ordinario, un abate o prelato nullius, o un superiore generale di un istituto religioso di diritto pontificio (can. 2341, comma 11); 6) violazione della clausura delle monache o dei regolari e illegittima uscita delle prime dal monastero (can. 2342, nn. 1 °, 2 °, 30); 7) usurpazione o distrazione di beni ecclesiastici (can. 2346) ; 8) duello (c a n. 2351 § 1); 9) Matrimonio attentato da chierici in sacris (vescovi, sacerdoti, diaconi, suddiaconi), e da regolari o monache che abbiano emesso la professione solenne (can. 2388 § 1); 10) simonia circa gli uffici, i benefici e le dignità ecclesiastici (can. 2392, n. i °); 11) sottrazione, distruzione, occultamento o alterazione di un documento appartenente alla Curia vescovile (can. 2405). – (…) Certo ci vuole un po’ di pazienza per districarsi tra i canoni, ma chi vuole vedere, ne ha abbastanza per farsi un’idea chiara di censure e scomuniche, e come molti di essi si possano tranquillamente applicare al nostro cavaliere e ai suoi figliocci”. L’unica sottolineatura è quella che riguarda il canone 2343, nel quale è detto: “Chi usa violenza contro il Papa, incorre la scomunica in modo specialissimo riservata alla Sede Apostolica; è infame e se chierico, deve degradarsi; ( … ) sarà privato di benefici, uffici, dignità, pensioni o incarichi … Ora è lecito chiedersi: “ma uno che giura morte solennemente al Papa, con patto di sangue con lucifero, è o non è uno che usa violenza contro il Papa? Qui non stiamo parlando di un massone muratore apprendista di basso grado, bensì di un “cavaliere kadosh” 30° grado, che ha giurato fedeltà eterna a lucifero, e di cui abbiamo potuto costatare il grado di infamia che raggiunto con l’investitura, non c’è alcuna scappatoia, replica, mancata consapevolezza, ignoranze o inganni, qui è tutto alla luce del sole. Calpestare la tiara Papale, colpire con un pugnale un cranio ricoperto dalla tiara, è forse onorare il Cristo in terra? … fargli i complimenti, augurargli ogni bene? Oppure formalmente è violenza e della peggiore, partorita da un odio feroce contro il successore di Pietro, e pronto a tutto anche materialmente? Lasciamo il giudizio a chi ha lumi maggiori dei nostri, in modo da darci spiegazioni convincenti, argomentando magari dal Magistero cattolico. Può darsi che ci sia qualche bolla o enciclica sfuggita al nostro esame … chissà i soloni pseudo teologi forse l’hanno salvata dalle sforbiciate e occultamenti operati dal magistero gallicano, fallibilista, sedevacantista e … chi più ne ha più ne metta! – Una volta assodato questo punto ci chiediamo se il continuare ad esercitare “in sacris” pur essendo “ipso facto” censurato, scomunicato etc. etc., non sia per caso un sacrilegio? Nel dubbio atroce che ci assale, cambiamo volume della succitata Enciclopedia e andiamo alla voce: SACRILEGIO. [col. 1598, 1599, vol X]: È il trattamento irriverente o la profanazione di una cosa sacra. Nella definizione data, si intende per “cosa sacra” non solo quanto di materiale viene messo in relazione con Dio, come oggetti e luoghi, ma anche le stesse persone consacrate a Dio. (…. ). È noto infatti che Gesù Cristo stesso rese sacre alcune cose, quali, ad esempio i Sacramenti e i ministri dell’altare; altre invece le rese sacre la Chiesa. È evidente che il carattere sacro è più intrinseco nelle prime che nelle seconde. (…) il sacrilegio è peccato ex genere suo, grave. Esso ha una propria e intrinseca malizia distinta dalla malizia di ogni altro peccato e pertanto chi, ad es. ruba oggetti sacri commette un doppio peccato, ossia di furto e di sacrilegio. Parimenti che uccide una persona consacrata commette un omicidio ed un sacrilegio. [chi fa sacrilegio perché riceve illecitamente una consacrazione, commette peccato di furto-usurpazione, e sacrilegio –ndr.-]. Il sacrilegio stesso però ammette tre forme specificamente distinte secondo l’oggetto diverso a cui si dirige la profanazione in: s. personale, s. locale e s. reale. [qui a noi interessa in particolare l’ultima tipologia]; (…) IV. Sacrilegio REALE. – Si ha per profanazione di cose sacre diverse dalle persone e dai luoghi. La gravità dei vari sacrilegi reali ha molte gradazioni: altro è una grave profanazione dell’Eucarestia, altro il ridurre a uso profano per breve tempo una veste benedetta, ad es. un manipolo. I modi principali con i quali si commette sacrilegio reale sono l’indegna amministrazione dei Sacramenti, l’indegno accostarsi ad essi, la profanazione delle reliquie o immagini di santi, (etc. … ). – Vediamo cosa ne pensa il Dottore Angelico. Nella Summa c’è un’ampia trattazione della materia: II-II Q. 99: ARGOMENTO 99 IL SACRILEGIO. In particolare si evince che: “… E così tutte le mancanze di rispetto verso le cose sacre costituiscono un‘ingiuria verso Dio, e hanno natura di sacrilegio. [II-II, Q. 99 Art. 1-3]. – “In contrario: Il sacrilegio si contrappone a una virtù specificamente distinta, cioè alla religione, la quale ha il compito di rendere a Dio e alle cose divine l‘onore dovuto. Quindi il sacrilegio è un peccato specifico”. [ibid. a. 2, 3,) – “E così con qualsiasi genere di peccato uno agisca contro l‘onore dovuto alle cose sacre, commette formalmente un sacrilegio, anche se materialmente si tratta di peccati di genere diverso”. [ibid. a2, 2] “E anche la terza specie del sacrilegio, cioè la violazione delle cose sacre, presenta gradi diversi, secondo la differenza delle cose sacre. Tra queste occupano il primo posto i sacramenti, che servono a santificare gli uomini: e il principale dei sacramenti è il sacramento dell‘Eucaristia, che contiene Cristo medesimo”. [II-II, Q.99 a.3, 3]. Da par suo l’Aquinate tratta l’argomento in modo esauriente e chiaro, per cui, quanto per brevità non abbiamo riportato qui, può essere facilmente consultato da ognuno. Quello che a noi interessa però in particolare è questo: un illecito, che in giurisprudenza si chiama “delitto” o “reato”, in materia religiosa si chiama “sacrilegio”, e per questo, come per tutti i reati, la Chiesa dispone delle pene, la principale delle quali è come visto la scomunica. Pertanto una consacrazione illecita, o qualunque altro Sacramento illecitamente conferito, ancor più se validamente, è un atto sacrilego, che produce materia o persona altrettanto sacrilega, che a sua volta opera in modo sacrilego con atti non più santificanti, benzì offensivi della Maestà divina, a Dio sommamente sgraditi, che non conferiscono la grazia santificante, anzi la impediscono. Ecco allora che il cardinale cavaliere kadosh Lienart, nella ordinazione sacrilega di sacerdoti e vescovi ha realizzato la profezia di Malachia:

et maledicam benedictionibus vestris, et maledicam illis

Cambierò in maledizioni le vostre benedizioni!  LE MALEDIRO’!!!

Quindi, anche se lo pseudo-cardinale Achille Lienart non era stato canonicamente sancito, e non appariva un “vitando” esternamente; in foro interno era ben scomunicato, perché oltretutto agente dell’anti-Chiesa Cattolica, per cui non poteva ricevere l’ordine, essendo già maestro massone e 18° livello cavaliere “Rosa Croce” ed ancora peggio, 30° livello cavaliere kadosh [cosa ben risaputa da Lefebvre e associazioni a lui ispirate], e ovviamente non poteva trasmetterlo a nessun altro, anche se la cerimonia veniva fatta materialmente con tutti i canoni previsti. “Nessuno può dare ad un altro ciò che non possiede”: non possedendo l’ordine, Lienart non poteva naturalmente trasmetterlo, ed il suo “episcopato usurpato”, non era valido né trasmissibile, ad essere benevoli, semplicemente sacrilego! – Ma finiamo, se qualcuno avesse ancora dei dubbi, con la bolla “Cum ex Apostolatus Officio”(1559), documento inoppugnabile ed irreformabile del Magistero della Chiesa, di S.S. Papa Paolo IV, che non si è inventato nulla di nuovo, confermando le bolle di Niccolò III (Noverim), Bonifacio VIII (Felicis) Giulio III (lettera dell’8.3.1554) ed i decreti del Concilio di Costanza, e confermato successivamente a sua volta, rincarando la dose per gli irriducibili che si servono del Magistero a loro uso e consumo, da S.S. Papa S. Pio V nella bolla “Inter multiplices curas”del 21-XII-1566, a sottolinearne la reale PERPETUA efficacia, vera “mina vagante” ad effetto dirompente per eretici modernisti di ogni risma, compresi i “falsi” tradizionalisti (in realtà modernisti a “marcia ridotta”), che non sanno più che cosa inventarsi per boicottarla ed occultarla: a noi, forse perché “naif” o semplici come colombe, sembra chiarissima! Ne diamo uno stralcio:    Papa Paolo IV, Cum Ex Apostolatus Officio”, 1559 Ex Cathedra:Emaniamo, determiniamo, decretiamo e definiamo e “ … Aggiungiamo che, se mai dovesse accadere in qualche tempo che un vescovo, anche se agisce in qualità di arcivescovo o di patriarca o primate od un Cardinale di Romana Chiesa, come detto, od un legato, oppure lo stesso Romano Pontefice, che prima della sua promozione a Cardinale od alla sua elevazione a Romano Pontefice, avesse deviato dalla fede cattolica o fosse caduto in qualche eresia (o fosse incorso in uno scisma o lo abbia suscitato), sia nulla, non valida e senza alcun valore (“nulla, irrita et inanis esista”), la sua promozione od elevazione, anche se avvenuta con la concordanza e l’unanime consenso di tutti i Cardinali; neppure si potrà dire che essa è convalidata col ricevimento della carica, della consacrazione o del possesso o quasi possesso susseguente del governo e dell’amministrazione, ovvero per l’intronizzazione o adorazione (adoratio) dello stesso Romano Pontefice o per l’obbedienza a lui prestata da tutti e per il decorso di qualsiasi durata di tempo nel detto esercizio della sua carica, né essa potrebbe in alcuna sua parte essere ritenuta legittima, e si giudichi aver attribuito od attribuire una facoltà nulla, per amministrare (“nullam … facultatem”) a tali persone promosse come vescovi od arcivescovi o patriarchi o primati od assunte come Cardinali o come Romano Pontefice, in cose spirituali o temporali; ma difettino di qualsiasi forza (“viribus careant”) tutte e ciascuna (omnia et singula) di qualsivoglia loro parola, azione, opera di amministrazione o ad esse conseguenti, non possano conferire nessuna fermezza di diritto (nullam prorsus firmitatem nec ius), e le persone stesse che fossero state così promosse od elevate, siano per il fatto stesso (eo ipso) e senza bisogno di una ulteriore dichiarazione (absque aliqua desuper facienda declaratione), private (sint privati) di ogni dignità, posto, onore, titolo, autorità, carica e potere (auctoritate, officio et potestate)”. – Al punto 3 della bolla di S. Pio V si dice ancora in modo chiaro, esplicito ed inconfutabile: “ … 3) ed inoltre rifacendosi al felice esempio del nostro predecessore Papa Paolo IV, rinnoviamo e confermiamo un’altra volta il decreto contro gli eretici e gli scismatici, pubblicato a Roma presso S. Pietro dallo stesso Paolo nostro predecessore nell’anno 1558 dell’incarnazione del Signore, il 15 febbraio, anno quarto del suo pontificato. Tale decreto rinnoviamo e confermiamo e vogliamo e comandiamo che sia osservato in maniera precisa e inviolabile! . (Et insuper, vestigiis felicis recordationis Pauli Papae IV, praedecessoris nostri, inhaerendo, constitutionem alias contra haereticos et schismaticos per eumdem Paulum praedecessorem, sub data vide licet Romaese apud Sanctum Petrum, anno incarnationis dominicae millesimo quingentesimo quinquagesimo octavo, quinto decimo kalendas martii, pontificatus sui anno IV, editam, tenore praesentium renovamus et etiam confirmamus, illamque inviolabiter et ad unguem observari volumus et mandamus, iuxta illius seriem atque tenorem.)

La faccenda, per quanto ci riguarda è così definitivamente chiusa, proprio perché è contemplato il caso specifico qui preso in esame: “ … se mai dovesse accadere in qualche tempo che un vescovo, anche se agisce in qualità di “Arcivescovo” (manca solo: “in qualità di Arcivescovo di Lille”!- n.d.r. -) ( …) avesse deviato dalla fede cattolica o fosse caduto in qualche eresia (nel caso esaminato ce n’è abbastanza in tema di deviazioni, eresie, anatemi e via discorrendo, per uno che aderiva alla Massoneria già al 18° livello – [uno dei più nefandi e satanici, ove si insegna che la parola persa e ritrovata è INRI: Igne Renovatur Natura Integra, – la Natura intera è rinnovata con il fuoco –, ove le agapi rosacrociane sono accompagnate da numerosi sacrilegi, e si compiono sacrifici cruenti a lucifero, tra cui quello di un agnello coronato di spine e con le zampe perforate da chiodi, immagine del Signore Gesù Cristo, agnello a cui viene mozzata la testa e gli arti che vengono poi bruciati ed offerti a lucifero – quindi in piena consapevolezza! alla “consacrazione sacerdotale”, e addirittura al 30° – quello del Cavaliere Kadosh, [nel quale si giura odio e morte al re e al Papa, si adora il baphomet con l’incenso offerto a lucifero, livello quindi di assoluta consapevolezza dei veri scopi della massoneria, e che prelude al “passaggio in astrale”(*) – prima della “pseudo-consacrazione” episcopale) …. neppure si potrà dire che essa è convalidata col ricevimento della carica, della consacrazione o del possesso o quasi possesso susseguente del governo e dell’amministrazione, (….) o per l’obbedienza a lui prestata da tutti e per il decorso di qualsiasi durata di tempo nel detto esercizio della sua carica, né essa potrebbe in alcuna sua parte essere ritenuta legittima (….) e si giudichi aver attribuito od attribuire una “facoltà nulla, per amministrare” (“nullam … facultatem”) a tali persone promosse come vescovi od arcivescovi o patriarchi o primati od assunte come Cardinali o come Romano Pontefice, in cose spirituali o temporali; ma difettino di qualsiasi forza (“viribus careant”) tutte e ciascuna (omnia et singula) di qualsivoglia loro parola, azione, opera di amministrazione o ad esse conseguenti, non possano conferire nessuna fermezza di diritto (nullam prorsus firmitatem nec ius), e le persone stesse che fossero state così promosse od elevate, siano per il fatto stesso (eo ipso) e senza bisogno di una ulteriore dichiarazione (absque aliqua desuper facienda declaratione), private (sint privati) di ogni dignità, posto, onore, titolo, autorità, carica e potere (auctoritate, officio et potestate). – L’operato anche sacramentale della Fraternità o di altre chiesuole abusive scismatiche, ad essere indulgenti ed infantili, diventa quantomeno dubbio o comunque di “probabilità”, ma … l’orologio svizzero del Magistero anche per questo ha una regola …

Punto chiave della teologia morale è: “In caso di dubbio, ASTENERSI”.

[Henry Davis, S.J.: “Teologia morale e pastorale”; Londra: Sheed & Ward, 1935 Volume III, pag. 27]

L’UTILIZZO DEI PARERI PROBABILI [CAPO VII, SEZIONE I: Opinioni probabili di Validità]. – Nel conferire i Sacramenti (così come anche nella consacrazione nella Messa) non è mai permesso adottare una probabile linea di condotta per la validità, ed abbandonare il corso più sicuro. Il contrario è stato esplicitamente condannato da Papa Innocenzo XI. Fare ciò sarebbe un grave peccato contro la religione, cioè un atto di irriverenza verso ciò che Cristo nostro Signore ha istituito, sarebbe un grave peccato contro la carità, quindi il destinatario sarebbe probabilmente privato delle grazie e dell’effetto del Sacramento; sarebbe un grave peccato contro la giustizia, poiché il destinatario ha diritto a Sacramenti validi, ogni volta che il ministro, sia d’ufficio o no, si impegna a conferire un sacramento. Nei Sacramenti necessari non vi è alcun dubbio circa il triplo peccato; nei Sacramenti che non sono indispensabili ci sarà comunque sempre il sacrilegio grave contro la religione!

“E’ una grave responsabilità di tutti i cattolici dimostrare a se stessi che i sacramenti che frequentano siano leciti [legale] agli occhi della Chiesa di Cristo, perché se i cattolici si avvicinano ai Sacramenti senza sapere per certo che i ministri hanno sia validi ordini sacri, sia ordini che sono stati dati con approvazione canonica [autorizzazioni alla pratica], si mettono fuori della Chiesa. ”

Innocencius_XI

Il Magistero espressamente dichiara: che [Il seguente errore è] condannato da un decreto del Sant’Uffizio, del 4 marzo 1679:Non è lecito nel conferire sacramenti seguire un parere probabile per quanto riguarda il valore del sacramento, abbandonando il parere più sicuro, a meno che non lo vieti la legge, le convenzioni o il pericolo di incorrere in danni gravi. Pertanto non si dovrebbe fare uso di pareri probabili nel conferimento del battesimo, degli ordini sacerdotali, o episcopali.” (Denzinger n.1151). Innocenzo XI (1676-1689). – Se poi qualcuno dovesse dire che queste bolle sono stagionate (ammesso che ciò che lega e scioglie un Papa non abbia carattere definitivo ed eterno!) ci conforta la Enciclica di Pio IX, “Graves ac diuturnae” (23 marzo 1875) emessa come condanna per i veterocattolici, ma estesa anche a tutti “coloro che operano senza missione e giurisdizione”: … Siccome poi fu sempre proprio e peculiare degli eretici e degli scismatici l’usare simulazione ed inganni; così questi Figli delle tenebre (…) nulla hanno maggiormente a cuore che d’ingannare gl’incauti e gl’ignoranti, e trarli negli errori con la simulazione e l’ipocrisia, ripetendo pubblicamente che non respingono la Chiesa cattolica e il suo Capo visibile, ma anzi desiderano la purezza della dottrina cattolica, e sono essi soli cattolici ed eredi dell’antica fede. Di fatto essi non vogliono riconoscere tutte le prerogative del Vicario di Cristo in terra, né sono ossequienti al supremo magistero di Lui. ( …) che dal vecchio sacco degli eretici ha estratto tanti errori contro i sovrani principi della fede cattolica, rovescia i fondamenti della religione cattolica, impudentemente respinge le dogmatiche definizioni del Concilio Ecumenico Vaticano, e in tanti modi lavora per la rovina delle anime ( …) sono segregati dalla comunione della Chiesa e devono ritenersi scismatici ( …) che si guardino con ogni attenzione da quegl’insidiosi nemici del gregge di Cristo e dai loro pascoli velenosi; rifuggano assolutamente dai loro riti religiosi, dalle istruzioni, dalle cattedre di pestilenza, erette per insegnare impunemente le sacre dottrine; dai loro scritti e da qualunque contatto; non sopportino alcuna convivenza e relazione coi preti intrusi ed apostati dalla fede, i quali osano esercitare gli uffici del ministero ecclesiastico, e sono privi di legittima missione e di qualsiasi giurisdizione; aborriscano dai medesimi come da estranei e da ladri, i quali vengono solo per rubare, per uccidere, per rovinare. Infatti i Figli della Chiesa debbono pensare che si tratta di custodire il preziosissimo tesoro della fede, senza la quale è impossibile piacere a Dio, ed insieme di conseguire il fine della fede, la salvezza delle anime proprie, seguendo la retta via della giustizia. Ed a chi invoca uno “stato di necessità ha risposto bene Pio XII in “Ad apostolorum principis” : “… quando vorrebbero giustificarsi invocando la necessità di provvedere alla cura delle anime nelle diocesi prive della presenza del loro vescovo? (…) È evidente, anzitutto, che non si provvede ai bisogni spirituali dei fedeli con la violazione delle leggi della Chiesa. In secondo luogo, non si tratta – come si vorrebbe far credere – di diocesi vacanti…

Considerazioni finali

I “nemici di tutti gli uomini”, quelli che hanno per padre il diavolo, gnostici-marrani, nel tentativo di distruggere la Chiesa Cattolica, hanno progettato da secoli una tenaglia a due ganasce, sapendo che le novità dei novatori para- e post-conciliari avrebbero prodotto una scissione nei fedeli, generando così due “anelli”: quello dei progrediti – a loro dire – (modernisti), e quello dei “retrogradi”, tradizionalisti. La ganascia dei “progrediti”, che è la setta apostatica conciliare-modernista, ha occupato quasi tutte le posizioni della Chiesa Cattolica, dalla carica più alta a quella più infima, e praticamente tutte le giurisdizioni territoriali dell’orbe. Ma sarebbero pur sempre rimasti i “retrogradi”, i cattolici integrali, i “fanatici” reazionari legati alla tradizione apostolica, al Magistero millenario della Chiesa, ed alla Messa di sempre, sancita dal Concilio Tridentino e da S.S. il Papa S. Pio V. Nessun problema signori, basta mettere un po’ la testa sotto terra, come gli struzzi, e voilà … il gioco è fatto: si è provveduto a “generare” una piccola serie di chiesuole o movimenti tradizionalisti e formalmente sedevacantisti, anche se fintamente sedeplenisti, ( … obbediscono infatti solo a se stessi), che fanno capo alla più numerosa, foraggiata e trainante tra esse: la FSSPX alla cui testa ci sono non-vescovi invalidamente e sacrilegamente consacrati senza giurisdizione e missione manco a parlarne.

testa nella sabbia

Per distruggere la Chiesa (ove mai fosse possibile!) occorreva abbattere sì, la Messa, ma pure i Sacramenti, e soprattutto la Gerarchia dispensatrice dei Sacramenti ed officiante il Culto divino. Così i modernisti-conciliari, dopo aver sostituito la Santa Messa con un abominevole culto del baphomet (il cabalistico “signore dell’universo”), hanno attuato il progetto abbatti-Gerarchia), modificando la forma della consacrazione episcopale che, resa così invalida, ha impedito dal 1968 la formazione di nuovi “veri” vescovi, e di conseguenza di “veri” sacerdoti. Attualmente nelle chiese cattoliche moderniste viene praticato un culto falso da chierici totalmente “falsi”, con sacramenti fasulli e sacrileghi, fatto salvo qualche stagionato ottuagenario, consacrato nel lontano passato da un vero Vescovo. Restava però il problema di come fare per convincere i retrogradi legati a doppio filo al precetto domenicale, alla Messa di sempre, quella del Messale Romano tradizionale. Qui, non potendo ovviamente taroccare apportando modifiche alla Messa, le “ruspe” di demolizione, hanno pianificato una “gerarchia” nata da un massone di alto grado, un cavaliere kadosh, appunto, tale già prima della sua invalida consacrazione, gerarchia “rigenerantesi” e perpetuantesi invalidamente e sacrilegamente. Quindi agli sventurati ignari fedeli viene propinata una Messa vera nel testo, ma officiata da sacerdoti invalidamente consacrati, e sacrileghi che conferiscono sacramenti sacrileghi, che tolgono la grazia santificante. In tal modo sono state approntate, nel silenzio, nella ignoranza o (che Iddio non voglia) nella connivenza più o meno consapevole, le due ganasce della tenaglia capace di strozzare anche il Cattolico più “ostinato”. A questo punto non ci resta che invocare la Vergine Maria, ed il Signore Nostro Gesù Cristo:

tenaglia

“Exsurgat Deus et dissipentur inimici eius”!

Santa Maria Maddalena penitente

Santa Maria Maddalena penitente :

“… tulerunt Dominum meum, et nescio ubi posuerunt Eum”.

maddalena

Maria, soprannominata la Maddalena dal luogo di nascita, era sorella di Marta e Lazzaro. Molto traviò nella sua giovinezza, ma illuminata dalla Divina Grazia, pianse i suoi falli e mutò vita. – Un giorno, udito che Gesù era entrato in casa di Simone il fariseo, prende un vaso d’unguento prezioso, corre dal Salvatore, si getta ai suoi piedi, glieli lava con lacrime, li asciuga coi capelli del capo, li bacia, e li unge di balsamo. «Oh se costui fosse un profeta, dice in cuor suo il Fariseo, certo saprebbe che donna è costei che Lo tocca e com’è peccatrice». – Gesù che gli legge nel cuore, «Simone, ho una cosa a dirti. Un creditore aveva due debitori; uno gli doveva cinquecento denari e l’altro cinquanta. Or non avendo quelli di che pagare condonò il debito a tutti e due: Chi dunque di loro lo amerà di più » « Penso, risponde Simone, colui al quale ha condonato di più ». E Gesù: « Rettamente giudicasti. Vedi questa donna? Sono entrato in casa tua, tu non mi hai data acqua per i piedi, ma essa non finisce di bagnarli con le sue lacrime ed asciugarli con i capelli del capo ». E volto alla Maddalena le dice: « Donna, molto hai amato e per questo molto ti è perdonato ». Maria si leva assolta, e risorge a vita novella. Con amare lacrime lava le sue colpe, segue il Maestro nelle peregrinazioni attraverso i villaggi della Giudea, e profonde tutte le sue ricchezze pel mantenimento del Collegio Apostolico. – Sul Calvario sfida l’ira dei nemici di Gesù, assiste alla morte del suo Maestro,e non s’allontana se non dopo la sepoltura di Lui. Non vede l’ora che passi il sabato, per correre ad imbalsamare con profumi ed aromi il corpo di Gesù, e fu la prima che ebbe la grazia di vederlo risorto. – Ella, quando i discepoli se ne erano tornati a casa, era rimasta vicino al sepolcro a piangere e mentre pian s’affacciò alla tomba, ci scorse due angeli vestiti di bianco, ed essi le dissero: « Donna, perché piangi? » Rispose loro: « Perché hanno portato via il mio Signore e non so dove l’abbiano messo ». E detto questo si voltò indietro e vide Gesù in piedi, senza però conoscere che era Gesù. Gesù le disse: «Donna, perché piangi? chi cerchi? » Ed essa, pensando che fosse l’ortolano, gli disse: « Signore, se l’hai portato via tu, dimmelo dove l’hai messo ed io Lo prenderò. Gesù le disse: « Maria! » Essa rivoltasi, esclamò: « Rabbonì, che vuol dire Maestro ». Le disse Gesù: « Non mi toccare, perché non sono ancora asceso al Padre mio; ma va’ dai miei fratelli, e di’ loro: Ascendo al Padre mio, e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro ». – Salito Gesù al Cielo, fu perseguitata con Lazzaro e Marta sua sorella. Gettata su sdruscita nave, venne abbandonata in balia delle onde, ma miracolosamente protetta approdò a Marsiglia. Scelse per dimora una squallida spelonca e quivi visse 30 anni in penitenze, preghiere e lacrime, finché il 22 luglio del 66 s’addormentò nel bacio del Signore rimanendo la figura più fulgida della vera penitente.

VIRTÙ. — Il Signore disse alla Maddalena: « Molto ti è perdonato, perché molto hai amato ». Queste parole divine, ispirino pure a noi grande confidenza nella misericordia infinita di Gesù.

PREGHIERA. — Deh! Signore, ci venga in aiuto l’intercessione della beata Maria Maddalena dalle cui preghiere supplicato tu risuscitasti vivo dal sepolcro il fratello Lazzaro morto da quattro giorni. Così sia. 

Maria autem stabat ad monumentum foris, plorans. Dum ergo fleret, inclinavit se, et prospexit in monumentum: et vidit duos angelos in albis sedentes, unum ad caput, et unum ad pedes, ubi positum fuerat corpus Jesu. Dicunt ei illi: Mulier, quid ploras? Dicit eis: Quia tulerunt Dominum meum: et nescio ubi posuerunt eum. [Joan. XX, 11-13]

Anche noi oggi, entrando in una chiesa gestita dagli apostati modernisti, davanti a quello che una volta era il Tabernacolo, divenuto oggi “abominio della desolazione”, rivolgiamo la nostra ardente preghiera agli Angeli, invocandoli, come la Santa: “…tulerunt Dominum meum, et nescio ubi posuerunt Eum”.

Che la Santa penitente ci guidi nel cammino lungo e faticoso per ritrovare il nostro Gesù-Cristo e poterLo onorare ed amare sotto le Specie Eucaristiche in vita, ed un giorno nella gloria del Paradiso.

A Santa Maria Maddalena (22 luglio)

(traslata a Costantinopoli nell’890, a Roma nel 1216).

I. – O modello dei penitenti, gloriosa Maddalena che, tocca appena dalla grazia, rinunciaste subitamente a tutti i piaceri del mondo per consacrarvi all’amore di Gesù Cristo, otteneteci, vi preghiamo, la grazia di corrispondere anche noi fedelmente a tutte le divine ispirazioni. Gloria.

II. – O modello dei penitenti, gloriosa Maddalena che, calpestando generosamente tutt’i riguardi del mondo, compariste nell’abito il più dimesso in quelle stesse contrade nelle quali avevate condotto in trionfo il vostro lusso, la vostra vanità, otteneteci, vi preghiamo, la grazia di superare tutti gli ostacoli che si incontrano nella via della salute, e specialmente gli umani rispetti, con cui tante volte abbiamo traditi i nostri più sacri doveri e i nostri più grandi interessi. Gloria.

III. – O modello de’ penitenti, gloriosa Maddalena, che, piangendo colle lacrime le più amare, colla contrizione la più viva i vostri errori, meritaste di essere da Gesù Cristo medesimo assicurata di un assoluto perdono, otteneteci, vi preghiamo, la grazia di detestare e piangere incessantemente tutti i nostri falli, onde assicurarcene la remissione al tribunale di Dio. Gloria.

IV. – O modello dei penitenti, gloriosa Maddalena, che, convertita sinceramente a Gesù Cristo, vi faceste un dovere ed una gloria di costantemente accompagnarlo nei viaggi, ascoltarlo nei discorsi, servirlo nei bisogni, otteneteci, vi preghiamo, la grazia di mettere tutta la nostra consolazione nell’assistere ai divini misteri, ricevere i SS. Sacramenti, ascoltare la divina parola, soccorrere i poveri, che sono le immagini più vive del nostro Signor Gesù Cristo. Gloria.

V. – O modello dei penitenti, gloriosa Maddalena, che non abbandonaste Gesù-Cristo nemmeno allora che, spontanea vittima del furor de’suoi nemici agonizzava sul patibolo della croce, otteneteci, vi preghiamo la grazia di perseverare fedelmente nel divino servizio anche fra le desolazioni, le malattie, le avversità e le persecuzioni con cui piacerà al Signore di provarci. Gloria.

VI. – O modello dei penitenti, gloriosa Maddalena, che in premio della vostra fede e del vostro amore, foste consolata dalla visita di Gesù-Cristo risorto, che vi onorò della sua prima apparizione, otteneteci vi preghiamo, la grazia di menar sempre una vita così illibata e così santa, da meritarci dopo morte la visione beatifica del sommo Bene nella casa della sua gloria. Gloria.

VII. O modello dei penitenti, gloriosa Maddalena, che quantunque accertata del perdono delle vostre colpe, pure non lasciaste di piangerle in tutto il tempo di vostra vita con continui digiuni ed incessanti austerità, per cui meritaste d’essere tante volte visitata dagli Angioli, e da loro assistita nell’estremo passaggio, e accompagnata al Paradiso, otteneteci, vi preghiamo, la grazia di non rallentarci giammai nell’esercizio della penitenza così necessaria alla salute, onde assicurarci la tranquillità dei giusti alla morte, e la beatitudine dei Santi nell’eternità. Gloria.

[da: Manuale di Filotea del sac. G. Riva – Milano 1888]

Il cavaliere kadosh Achille Lienart (3)

Il Cavaliere Kadosh Achille Lienart (3)

lienart 4

   Il nostro pregiato sacrilego (finto)cardinale, il cavaliere Kadosh Achille Liénart, era in buona compagnia nelle logge delle varie conventicole, i cui nomi figurano in varie liste, da quella di Mino Pecorelli, a quella del “il Borghese”, alle inchieste di Chiesa Viva, liste che costituiscono degli ampi squarci nel velo che copriva e copre tuttora gli adepti. Tra questi nomi ritroviamo personaggi importanti della Gerarchia ecclesiastica, cardinali come Casaroli, Suenens, Villot, Tisserant, Poletti, Baggio, il noto prestigiatore Buan 1365/75, arcivescovo Bugnini, e poi Ruini etc., e ancora tante altre personalità … eccellenti … si fa per dire, per non parlare degli usurpanti della Cattedra, per i quali rimandiamo ai numeri speciali di Chiesa Viva del “segugio” don Luigi Villa.

A proposito della faccenda Lienart e Lefebvre, quando se n’è cominciato a discutere, tutto è stato incentrato, dagli adepti delle fraternità, sull’ordinazione conferita “validamente”, a loro dire, dell’Arcivescovo di Lille al sig. M. Lefebvre, con dotte citazioni e stralci dall’enciclica di Leone XIII “Apostolicae curae” [sembravano Caifa che si straccia le vesti!]. Tutto, opportunamente confezionato, …. però … la radice infetta del problema non era l’ordinazione episcopale del sig. Lefebvre, (sulla quale è stata volutamente incentrata la questione), bensì quella sacerdotale ed episcopale del sig. Lienart, il “falso” consacratore, falso perché mai consacrato egli stesso!!! Pertanto invalida l’una, invalida l’altra, e di conseguenza quelle successive, oltretutto senza giurisdizione e missione! Qualcuno, per confondere il povero sprovveduto, distingue la consacrazione valida da quella lecita, non sottolineando però che un Sacramento o una consacrazione illecita è un sacrilegio infinitamente più grave di quello invalido. Se ad esempio un tale prende un’ostia non consacrata o non validamente consacrata, e la getta nella fogna, in realtà non commette alcun peccato, ma se utilizza consapevolmente un’Ostia consacrata per fare lo stesso gesto, compie un Sacrilegio gravissimo degno del più profondo degli inferi. Comunque ne riparleremo successivamente, codice canonico alla mano, lungi dalle fantasie del magistero autonomo di Ecône, “ad usum delpini”, zeppo di sforbiciate e tagli chirurgici. – Vediamo più da vicino la questione.

Cosa comporta l’adesione alla Massoneria, o anche semplicemente l’appoggio esterno o la condivisione dei suoi falsi principi e valori? Esaminiamo succintamente cosa dice il Magistero della Chiesa, citando i più importanti documenti al riguardo, documenti inoppugnabili, inconfutabili ed irreformabili.

Encicliciche Anti massoneria.

– 1) Clemente XII: “In Eminenti” (1738)

     In questa bolla non viene riportata una vera e propria condanna contro la massoneria, perché non vengono citate concezioni eretiche o malcostume, ma viene messo in guardia il clero dall’aderire o assecondare l’ideologia massonica. Alla fine c’è la : SCOMUNICA!!!!

-.2) Benedetto XIV (1751): Bolla “Providas Romanorum Pontificum”.

   Rafforza l’ammonimento della bolla papale di Clemente XII,enumerando cinque punti che danno seguito alla condanna delle “sette muratorie” . Nel suo intento colpisce le Logge riconosciute e presenti in molte regioni italiane, in quanto rappresentano un pericolo al potere temporale della Chiesa.  Annessa:

SCOMUNICA!!!!

– 3) Pio VII (1821): “Ecclesiam a Jesu Christe”.

     Papa Pio VII° condanna le società segrete ed in maniera particolare la Carboneria. In questa bolla traspare l’intento del frenare l’ideologia massonica che tende ad espandersi. Alcune fonti storiche riportano che la bolla venne promulgata su influenza di molti sovrani europei. Anche qui è comminata la SCOMUNICA!!!! “ipso facto”.

-. 4) Leone XII (1825):” Quo graviora”.

     Leone XII condanna con particolare energia le sette dei Liberi Muratori, o dei Franc-Maçons, e dei Carbonari, nonché qualsiasi altra setta occulta comunque denominata. Al fine di eliminare qualunque interessata incomprensione, il Pontefice riproduce integralmente nella presente Bolla tutti i documenti di condanna delle società segrete promulgati dai suoi Predecessori Clemente XII, Benedetto XIV e Pio VII. Si conferma la sentenza di   SCOMUNICA!!!!

-. 5) Pio VIII (1829): “Traditi humilitati”

     Pio VIII precisa ed aggrava le accuse contro la massoneria e contro le affiliazioni carbonare. La scomunica dei massoni viene spiegata richiamando le parole di San Leone Magno:”La loro legge è la menzogna; il loro Dio è il demonio, la turpitudine il loro culto” … Inutile aggiungere che anche qui c’è: SCOMUNICA !!!! 

-. 6) Pio IX (1846): “Qui pluribus”

     Pio IX°, bersaglio privilegiato, fu grande oppositore delle conventicole, anche per la perdita del potere temporale da esse sostenute. L’enciclica tratta la questione della verità di fede, senza alludere alla massoneria, ma alludendo alla propaganda dai modi empi. Il Pontefice sensibilizza i fedeli contro il pensiero liberale. Conferma della SCOMUNICA (!!!!) delle precedenti encicliche.

 

In Etsi multa luctuosa – 21 novembre 1873, Pio IX per la prima volta definisce ufficialmente la massoneria, “sinagoga di satana”: « … Si meraviglierà forse qualcuno di Voi, Venerabili Fratelli, che la guerra che oggi si muove alla Chiesa Cattolica si espanda tanto. Ma chiunque conosce il carattere, gli obiettivi ed il proposito delle sette, sia che si chiamino massoniche, sia che si chiamino con qualsivoglia altro nome, e li paragoni al carattere, al modo, e all’ampiezza di questa guerra, da cui la Chiesa è assalita quasi da ogni parte, non potrà certamente dubitare che questa calamità non si debba attribuire alle frodi ed alle macchinazioni di quelle sette. Da esse infatti è formata la sinagoga di Satana, che ordina il suo esercito contro la Chiesa di Cristo, innalza la sua bandiera e viene a battaglia ». Le colpe della massoneria vengono ribadite in Etsi Nos (15 febbraio 1882)

Leone XIII (1884): “Humanum genus”

   Papa Leone XIII condanna in maniera perentoria la massoneria. In quel periodo Giuseppe Garibaldi era il capo della massoneria mondiale, dopo Mazzini, e non trovò alcuna indulgenza nelle parole del Papa. Alla massoneria viene attribuita la colpa di divulgare la filosofia naturalistica. Per la notizia il poeta Carducci, noto massone luciferiano, e per questo premio Nobel, cantava il suo “inno a satana”. In questa enciclica non vengono riportati riferimenti generici come in passato, in quanto la dottrina massonica non era più serbata in segreto. SCOMUNICA !!!!

In “Dall’alto dell’Apostolico Seggio” del 15 ottobre 1890, indirizzata ai vescovi italiani, c’è una nuova ferma presa di posizione contro la massoneria. Papa Leone XIII, scrive ancora sia Custodi di quella Fede [custodes fidei] (8 dicembre 1892) [ … scritta ai fedeli cattolici d’Italia sulle deplorevoli condizioni della Nazione. L’Enciclica è una nuova denuncia del Pontefice contro la Massoneria. Questa enciclica venne pubblicata in duplice edizione: questa in italiano per il popolo; e col nome “Inimica Vis” in latino per l’Episcopato italiano.]

Leone XIII (1892 ): “Inimica vis”

     Leone XIII° si rivolge ai Vescovi d’Italiani e al loro clero affinché condannino l’ideologia massonica unitamente alla bolla “Custodes Fidei” dell’ 8 dicembre 1892 riaffermando i fondamenti dell’Humanum genus del 20 aprile 1884. Si descrive crudamente condannandola senza appello la setta massonica. È implicita ed ovvia la SCOMUNICA!!!!

     L’adesione alla setta massonica comporta la SCOMUNICA!!!! (“ipso facto” e “latae sententiae”) (solo qui ne abbiamo contate otto!) che può essere revocata cioè solo dal Santo Padre o da un suo delegato, tranne che in pericolo di morte imminente. A proposito della scomunica “ipso facto”, sulla quale molti sorridono allegramente, c’è, come se non bastasse, una sentenza infallibile ed inappellabile del Magistero ecclesiastico di Papa Pio VI, in “errori del Sinodo di Pistoia”, 1794, nella proposizioni di Condanna n. XLVII.: “Similmente [condanna] quella [proposizione] che dice essere necessario, secondo le leggi naturali e divine, che tanto alla scomunica quanto alla sospensione debba precedere un personale esame, e che perciò le cosiddette sentenze “ipso facto” non abbiano altra forza che di una seria minaccia senza alcun effetto attuale; FALSA, TEMERARIA, PERNICIOSA, INGIURIOSA AL POTERE DELLA CHIESA, (D. 1547 in “Auctorem fidei”).

   Pertanto, non occorre alcuna sentenza, avviso o giudizio di un giudice competente per comunicare ad un cattolico che è diventato un eretico, perché gli eretici sono automaticamente scomunicati dalla legge della Chiesa. Le cariche eventualmente conservate sono quindi USURPATE A TUTTI GLI EFFETTI configurando anche un illecito giuridico [ad es. furto ed appropriazione indebita]. – Sorge una domanda, a questo punto già “puerile” e superflua: ma uno scomunicato ipso facto, “latae sententiae” per adesione alla Massoneria, quindi eretico, apostata, un “vitando” della contro-Chiesa, può ricevere validamente gli ordini sacerdotali e addirittura l’episcopato, senza commettere un odioso sacrilegio, e comunicarlo poi ad altri “ordinati”, altrettanto sacrilegamente? Vediamo cosa ci suggerisce la sana teologia, nella “ Summa” del dottore angelico S. Tommaso:

Dalla Summa teologica

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A proposito della scomunica:

Parte III, Argomento 21: la scomunica.

 Art.1,4 Chi col battesimo è inserito nella Chiesa è reso capace di due cose: di costituire il ceto dei fedeli e di partecipare ai sacramenti. E questa seconda cosa presuppone la prima, poiché mediante la partecipazione ai sacramenti i fedeli sono anche in comunione tra loro. Perciò si può essere posti fuori della Chiesa con la scomunica in due modi. Primo, con la sola esclusione dai sacramenti: e questa è la scomunica minore. Secondo, con l‘esclusione da entrambe le cose: e questa è la scomunica maggiore definita in questo articolo…. «Chi è colpito di anatema (l’anatema è scomunica maggiore – n.d.r. -) per un delitto, è escluso dalla bocca, dalla preghiera, dal saluto, dalla comunione e dalla mensa». «Dalla bocca», cioè dal bacio, «dalla preghiera», poiché non si può pregare con gli scomunicati, «dal saluto», poiché essi non vanno salutati, «dalla comunione», cioè da ogni rapporto sacramentale, «dalla mensa», poiché non si può mangiare con essi. Ora, la definizione data implica l‘esclusione dai sacramenti con le parole «quanto al frutto», e dalla comunione dei fedeli quanto alle realtà spirituali con il riferimento ai «suffragi comuni della Chiesa».

… Articolo2,2

  1. In S. Matteo [18, 17], di chi si rifiuta di ascoltare la Chiesa, sta scritto: «Sia per te come un pagano e un pubblicano». Ora, i pagani sono fuori della Chiesa. Perciò è giusto che la Chiesa, con la scomunica, escluda dalla sua comunione coloro che non vogliono ascoltarla.

Parte III, Questione 36, artic. 5, in contrario:

– 1) Dionigi [Epist. 8, 2] ha scritto: «Costui», ossia chi non è illuminato [dalla grazia], «sembra molto presuntuoso, mettendo mano alle funzioni sacerdotali; e non sente timore e vergogna nel trattare le cose divine senza dignità, pensando che Dio ignori i segreti della sua coscienza; e pensa di poter ingannare Colui che egli falsamente chiama Padre; e osa servirsi delle parole di Cristo per pronunziare sui segni divini, non oso dire delle preghiere, ma delle immonde bestemmie». Perciò il sacerdote che indegnamente esercita il proprio ordine è come un bestemmiatore, o un ipocrita. Quindi pecca mortalmente. E per lo stesso motivo peccano in caso analogo tutti gli altri ordinati. 2. La santità è richiesta negli ordinandi in quanto indispensabile per esercitare le loro funzioni. Ora, chi si presenta agli ordini in peccato mortale pecca mortalmente. A maggior ragione quindi pecca chiunque esercita in stato di peccato il proprio ordine.

-.2) Dimostrazione: La legge [Dt: XVI, 20] comanda di «compiere santamente le cose sante». Perciò chi esegue le funzioni del proprio ordine in modo indegno compie le cose sante in maniera non santa, e quindi agisce contro la legge, per cui pecca mortalmente. Chi infatti esercita un ufficio sacro in peccato mortale, senza dubbio lo esercita indegnamente. Perciò è evidente che fa peccato mortale.

Spulciamo il codice canonico, pio-benedettino del 1917.

Codex juris canonici 1917

Conferma per ciò che riguarda la massoneria:

Can. 2335. Nomen dantes sectae massonicae aliisve eiusdem generis associationibus quae contra Ecclesiam vel legitimas civiles potestates machinantur, contrahunt ipso facto excommunicationem Sedi Apostolicae simpliciter reservatam. – [Chi si iscrive alla massoneria o altra setta che trama contro la Chiesa o il potere civile, incorre la scomunica riservata alla Sede apostolica, ( …)].

A proposito dell’ordinazione:

CAPUT II.

De subiecto sacrae ordinationis.

Can. 968. §1. Sacram ordinationem valide recipit solus vir baptizatus; licite autem, qui ad normam sacrorum canonum debitis qualitatibus, iudicio proprii Ordinarii, praeditus sit, neque ulla detineatur irregularitate aliove impedimento. 2. Qui irregularitate aliove impedimento detinentur, licet post ordinationem etiam sine propria culpa exorto, prohibentur receptos ordines exercere. – (968. §1[Riceve validamente l’ordinazione il solo battezzato, lecitamente chi ha le qualità richieste ed è senza irregolarità o impedimento].

2 – Chi è impedito o irregolare, anche se questo avviene senza colpa, dopo ricevuto l’ordine non potrà esercitarlo.)

  E chi sono gli irregolari? Ce lo spiega ancora il C.J.C. al can 985 al punto 1, per quel che ci riguarda: Can. 985. Sunt irregulares ex delicto: Apostatae a fide, haeretici, schismatici; etc. (Can. 985. sono irregolari per delitto: 1° gli apostati della Fede, eretici, scismatici, ….)

Leggiamo al Can. 2260. §1. Nec potest excommunicatus Sacramenta recipere; imo post sententiam declaratoriam aut condemnatoriam nec Sacramentalia. [Uno scomunicato non può ricevere i Sacramenti, anzi dopo la sentenza nemmeno i Sacramentali.]

codice di diritto canonico 1917 (canone 188. 4.):

Can. 188. Ob tacitam renuntiationem ab ipso iure admissam quaelibet official vacant ipso facto et sine ulla declaratione, si clericus: (1°….) 4° A fide catholica publice defecerit; [“ci sono alcune cause che influenzano la tacita rassegnazione di un Ufficio, per cui le dimissioni sono accettate in anticipo per effetto di legge e quindi sono efficaci senza alcuna dichiarazione. Queste cause si verificano quando: … (4) si è pubblicamente disertato (per caduta) dalla fede cattolica.”]

Riassume compiutamente la “Enciclopedia Cattolica” [vol. XI, col. 145-146]: A qualsiasi scomunicato è vietato di: a) ricevere i Sacramenti; b) fare e amministrare i Sacramenti e i sacramentali; c) assistere agli Uffici divini; d) porre gli atti legittimi ecclesiastici, di cui al can. 2256, n. 2; e) esercitare le funzioni inerenti ad un ufficio o incarico ecclesiastico; f) usufruire di un privilegio ecclesiastico; g) eleggere, presentare, nominare; h) conseguire dignità, uffici, benefici, pensioni ed incarichi nella Chiesa; i) porre atti di giurisdizione ecclesiastica. – Quindi, anche se lo pseudo-cardinale, il sig. Achille Lienart non era stato canonicamente sancito, e non appariva un “vitando” esternamente; in foro interno era ben scomunicato e “vitando”, perché oltretutto agente dell’anti-Chiesa Cattolica, per cui non poteva ricevere l’ordine, essendo già maestro massone e 18° livello: “Rosa Croce” ed ancora peggio, come spiegato in precedenza, 30° livello, cavaliere kadosh, e ovviamente non poteva trasmetterlo a nessun altro, anche se la cerimonia veniva fatta materialmente con tutti i canoni previsti. “Nessuno può dare ad un altro ciò che non possiede”: non possedendo l’ordine, il sig. Lienart, che gridava regolarmente “Adonai nokem” non poteva naturalmente trasmetterlo, ed il suo “episcopato usurpato”, non era valido né trasmissibile, semplicemente sacrilego, come tutti i (pseudo)-consacrati. A questo punto si chiarisce bene la vicenda delle Fraternità e “derivati”, singoli o organizzati! Ed i sacrileghi ministri ricadono nella sentenza di Dio emanata per bocca del Profeta Malachia, nel cui libro leggiamo al capitolo II: 1Ora a voi questo monito, o sacerdoti.2Se non mi ascolterete e non vi prenderete a cuore di dar gloria al mio nome, dice il Signore degli eserciti, manderò su di voi la maledizione e cambierò in maledizione le vostre benedizioni. Anzi le ho già maledette perché nessuno tra di voi se la prende a cuore. 3Ecco, io spezzerò il vostro braccio e spanderò sulla vostra faccia escrementi, gli escrementi delle vittime immolate nelle vostre solennità, perché siate spazzati via insieme con essi. 4Così saprete che io ho diretto a voi questo monito, perché c’è anche un’alleanza fra me e Levi, dice il Signore degli eserciti. 5La mia alleanza con lui era alleanza di vita e di benessere e io glieli concessi; alleanza di timore ed egli mi temette ed ebbe riverenza del mio nome. 6Un insegnamento fedele era sulla sua bocca, né c’era falsità sulle sue labbra; con pace e rettitudine ha camminato davanti a me e ha trattenuto molti dal male. 7Infatti le labbra del sacerdote devono custodire la scienza e dalla sua bocca si ricerca l’istruzione, perché egli è messaggero del Signore degli eserciti. 8Voi invece vi siete allontanati dalla retta via e siete stati d’inciampo a molti con il vostro insegnamento; avete rotto l’alleanza di Levi, dice il Signore degli eserciti. 9Perciò anch’io vi ho reso spregevoli e abbietti davanti a tutto il popolo, perché non avete osservato le mie disposizioni [e quelle della Chiesa – ndr.-].

[1] Et nunc ad vos mandatum hoc, o sacerdotes. [2] Si nolueritis audire, et si nolueritis ponere super cor, ut detis gloriam nomini meo, ait Dominus exercituum, “mittam in vos egestatem”, et “maledicam benedictionibus vestris, et maledicam illis”, quoniam non posuistis super cor. [“Manderò si di voi la maledizione … e cambierò in maledizioni le vostre benedizioni …”.  Noi siamo ignoranti è vero, ma il Signore si fa capire ai piccoli, agli ignoranti, a quelli che Lo amano con cuore sincero; i boriosi saccenti invece li acceca nel fumo della loro superbia. … “et maledicam illis”! ] . [Continua …]

 

I SANTI NELLA SETTIMANA

  1. I SANTI NELLA SETTIMANA

[da: Manuale di Filotea del sac. Giuseppe Riva, XXX ed. 1888, Milano]

Siccome è antico e universale il costume di onorare alcuni Santi col dedicare al loro culto un determinato numero di giorni particolari della settimana, così all’intento di far conoscere tanto queste pratiche, quanto la loro ragionevolezza, tornerà molto grata la seguente tabella della quantità e qualità dei giorni che sì consacrano a un Santo piuttosto che all’altro, nonché la spiegazione dei motivi che determinano i divoti a queste particolarità.

Domenica

A S. Luigi Gonzaga (21 Giugno): 6 Domeniche, perché fu sempre unito a Dio, cui è specialmente dedicata la Domenica. Sono sei in memoria dei sei anni che passò in Religione.

A S. Pasquale Baylon (17 Maggio): 17 Domeniche, perché il Santo nacque la Domenica di Pentecoste 17 Maggio l549, e morì nella Domenica di Pentecoste 17 Maggio 1592.

Lunedì

.A S. Andrea Avellino (10 Novembre): 9 Lunedì, perché morì in lunedì.

 

Martedì

A S. Agostino (28 Agosto): 13 Martedì, in memoria dei 13 Pater che recitano quotidianamente i devoti della sua Cintura, in onore di Gesù e dei suoi dodici Apostoli: e perché sono 13 i libri delle sue Confessioni, nelle quali tanto risplende la sua umiltà.

A S. Anna (26 Luglio): 9 Martedì, perché è tradizione che sia nata, e divenuta madre, e morta in giorno di Martedì. Sono 9 in memoria dei 9 mesi che portò nel suo seno Maria. SS.

A S. Antonio da Padova (13 Giugno): 13 Martedì, perché in martedì è apparso egli a una donna che chiedeva prole maschile le ingiunse di pregare per nove Martedì. Sono 13 in memoria delle ore che dimorò i l Bambino fra le sue braccia, e delle 13 grazie che si crede dispensare egli ogni giorno a suoi devoti.

A S. Benedetto (21 Marzo): 10 Martedì, perché in tal giorno, fin dai tempi del Papa S. Gregorio, si costumava nella sua religione a recitare il suo officio. Sono 10 perché il Santo aveva costume di adorare specialmente 10 perfezioni divine, cioè: Potenza, Sapienza, Bontà, Immensità, Provvidenza, Giustizia, Misericordia, Beneficenza, Infinità, Carità.

A S. Domenico (4 Agosto): 15 Martedì, perché in Martedì, il Beato Giordano, Generale dei Domenicani trasferì in luogo più convenevole il corpo del Santo trovato incorrotto e l’istesso beato Generale impetrò dal Sommo Pontefice una Bolla acciocché fra i Domenicani si facesse ogni Martedì speciale memoria del Santo Patriarca. Sono 15 per i 15 misteri del Rosario che egli con tanto zelo e con tanto vantaggio propagò in tutto il mondo, dietro l’ordine avuto da Maria SS. a lui apparsa.

Mercoledì

A S. Filippo Benizzi (23 Agosto): 7 Mercoledì, perché in Mercoledì. Sono 7 perché discepolo dei 7 Beati chi istituirono la Religione dei Serviti: perché fu gran propagatore della Devozione ai 7 Dolori di Maria e perché 7 volte fu visitato da Maria SS.

A S. Gaetano (7 Agosto): 7 Mercoledì, perché volle nel suo Ordine santificato dall’astinenza il Mercoledì.

A S. Giuseppe (19 Marzo): 7 Mercoledì, perché questo giorno è il giorno destinato allo speciale suo culto tra ì Carmelitani Scalzi di cui è speciale protettore. Sono 7 in memoria dei suoi 7 Dolori e delle sue 7 Allegrezze.

A S. Gregorio taumaturgo (17 Novembre): 17 Mercoledì, perché fatto vescovo di Neocesarea, non trovò in quella città che 17 Cristiani, e morendo non vi lasciò che 17 Gentili.

A S. Nicola di Bari (9 Dicembre): 9 Mercoledì, perché anche lattante in fasce digiunò il Mercoledì, ricusando in tal giorno il suo solito nutrimento.

A S. Teresa (15 Ottobre): 9 Mercoledì, perché questo giorno è consacrato alla devozione del Carmine, del cui Ordine fu riformatrice, per cui ne venne la istituzione dei Carmelitani Scalzi.

A S. Tommaso d’Aquino (7 Marzo): 7 Mercoledì, perché per antica concessione pontificia, nell’Ordine dei predicatori si recita l’ufficio di questo Santo in tutti i Mercoledì non impediti.

Giovedì

S. Filippo Neri (26 Maggio): 8 Giovedì, per la gran devozione ch’egli ebbe alla SS. Eucaristia, instituita in Giovedì, e perché dopo aver celebrato nel Giovedì del Corpus Domini morì la notte seguente. Sono 8 in memoria delle 8 decine di anni, cioè 80 ch’egli scampò.

A S. Francesco Borgia (10 Ottobre): 7 Giovedì, perché fu sempre singolarmente devoto della SS. Eucaristia instituita in Giovedì.

Venerdì

A S. Francesco d’Assisi (4 Ottobre): 5 Venerdì, in memoria delle 5 Stimmate che egli ricevette, e della sua particolare devozione alla Passione, quindi alle 5 Piaghe di. Gesù crocifisso.

A S. Francesco da Paola (2 Aprile) 13 Venerdì, perché mori nel Venerdì santo, e stabilì nel suo Ordine la divozione di 13 Venerdì, in onor del sacro Collegio, cioè di Gesù Cristo coi 12 Apostoli.

A S. Francesco Saverio (3 Dicembre): 10 Venerdì, perché morì in Venerdì, dopo d’aver predicato per 10 anni nelle Indie.

A S. Nicola da Tolentino (10 Settembre): 7 Venerdì, perché morì in Venerdì, ed in tal giorno praticò sempre il digiuno anche quand’era lattante.

A S. Vincenzo Ferreri (5 Aprile): 7 Venerdì, perché così ha stabilito Benedetto XIII, accordando perciò molte Indulgenze.

Sabato

A s. Ignazio di Lojola (10 Luglio): 10 Sabati, perché in sabato comincio la famosa sua estasi in Manresa, e durò fino all’altro Sabato, e perché in Sabato cominciò e finì il digiuno di 8 giorni sì rigoroso da non gustare alcuna sorta di cibo onde ottenere, come ottenne difatti, la liberazione dagli scrupoli che lo travagliavano. Sono 10 in memoria dei 10 mesi che stette in Manresa a formare il piano del suo Istituto, la celebre compagnia di Gesù, ed a comporre il libro così ammirabile degli Esercizi spirituali.

 

Doni dello Spirito Santo: Il dono di PIETA’

Il dono dì Pietà.

[J.-J. Gaume: il Trattato dello Spirito Santo; vol. II, CAPITOLO XXVII]

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Il dono di timore è il primo gradino della scala misteriosa, che noi dobbiamo percorrere per ritornare a Dio: il dono di pietà é il secondo. Il timore che viene dallo Spirito Santo, avendo qualcosa di figliale, contiene in germe il dono di pietà; e n’esce come il suo primo fiore e il suo primo frutto. A fine di dare pratica conoscenza di questo nuovo benefizio, risponderemo a tre quesiti: Che cosa è il dono di pietà? quali ne sono gli effetti? quale ne è la necessità? [ Viguier c. XII, p. 413]. Che cosa è il dono di pietà? La pietà è un dono dello Spirito Santo che ci riempie d’affetto figliale verso Dio, e ce Lo fa onorare come un padre. San Paolo celebra questo dono delizioso, quando dice: «Voi non avete ricevuto di bel nuovo lo spirito di servitù per temere, ma avete ricevuto lo spirito di adozione in figliuoli, mercé di cui godiamo, Abba (padre).» [Rom. VIII, 15, 16]. – Per conseguenza come il dono di timore, cosi il dono di pietà opera nell’anima una nuova creazione. Se l’uomo è poco sensibile al timore di Dio, lo è meno ancora al suo amore. L’insensibilità del cuore è uno dei più grandi ostacoli alla salute; ma quando sopravviene lo spirito di pietà, il cuore cambia all’istante; questo spirito fa sul cuore ciò che il fuoco opera sulla cera. Il fuoco ammollisce la cera e la rende atta a ricevere ogni sorta d’impronte, anzi la liquefa e la fa scorrere come l’acqua e l’olio. [“Factum est cor metun tanquam cera liquescens in medio ventris mei.” Ps. XXI]. – Questo miracolo del dono di pietà lo distingue dalla virtù di religione e costituisce la sua superiorità. Mediante la virtù di religione, l’uomo onora Dio, come Creatore e sovrano padrone di tutte le cose ; mediante il dono di pietà l’onora, come Padre. In Dio, la virtù di religione vede la maestà: oltre la maestà, il dono di pietà vi vede la paternità. La virtù di religione fa l’adoratore che rispetta; il dono di pietà fa il figlio che rispetta e che ama, e che rispetta perché ama. – Cosi tra noi e Dio, il dono di pietà crea un nuovo ordine di rapporti di una dolcezza e di una nobiltà infinite. Di creature, ci innalza alla dignità di figli; e nel nostro cuore egli versa i sentimenti di quella gloriosa filiazione, come ce ne dà tutti i diritti. Appena sospettato dall’Ebreo, e completamente sconosciuto dal gentile, questo favore rapisce d’ammirazione 1’apostolo san Giovanni: « Vedi, ci dice, qual carità ci ha fatta il Padre, di volere che noi non siamo solamente chiamati, ma che siamo realmente i figli di Dio.» [Joan., III, 1]. – Il dono di pietà differisce altresì dalla carità sotto due rapporti: lo spirito di pietà è l’eccitatore della carità, come il vento è quello che spinge la nave. La carità ci fa amare Dio, perché è infinitamente perfetto, infinitamente benefico; il dono di pietà ce Lo fa amare perché è Padre; più Padre di tutti i padri, Padre dei cristiani e di tutti gli uomini che noi amiamo come fratelli. – 2° Quali sono gli effetti particolari del dono di pietà? Si noverano due effetti principali o atti particolari del dono di pietà, secondo gli oggetti riguardo ai quali si esercita. Questi oggetti sono: Dio, e tutto ciò che gli appartiene, i suoi templi, i suoi ministri, la sua parola: il prossimo, il suo corpo e la sua anima. Iddio essendo l’oggetto principale del dono di pietà, ne risulta che l’atto principale di questo dono è il culto figliale, interiore ed esteriore che noi rendiamo a Dio. – Culto interiore: ei si compone di tutti i sentimenti di fede, di speranza, di carità, impressi in un cuore ammollito dal fuoco della pietà figliale. Tutti rivestono un carattere particolare che è difficile esprimere. Difatti, come dire gli slanci d’amore, le risoluzioni eroiche, le lacrime deliziose, le sante voluttà, le dolci famigliarità, la confidenza e le confidenze fanciullesche, i pianti stessi ed i teneri rimproveri dell’anima, che prova la figlia e la sposa pel suo Dio? Prestiamo le orecchie a qualcuno dei suoi accenti. Nelle sue tenerezze ella dice: Voi siete il mio dilettissimo, voi appartenete a me, io sono vostra, io vi tengo né vi lascerò punto andare. [Cantic., III, 4]. Nelle sue generosità: Il mio cuore è pronto, o Signore, il mio cuore ò pronto: voi siete la mia porzione: fuori di voi non vi è nulla per me in cielo, né sulla terra. – Nelle sue aridità: E fino a quando mi dimenticherete? Voi vedete bene che sono davanti a Voi come una bestia da soma, come un otre gelato. [Ps. CXLII, XII, LXXII, CXVIII]. – Nelle sue tristezze: Perché stornate da me il vostro volto? Perché Vi addormentate? Non sentite che la mia voce è divenuta rauca a forza di chiamarvi? Ma avete un bel fare, io non me ne andrò finché non mi abbiate benedetta. – Nei suoi scoraggiamenti: quand’anche mi uccideste, io spererei ancora in Voi.[Job., XIII, 15]. – Nei suoi patimenti: Bisogna confessare che Voi siete meravigliosamente abile nel tormentarmi; che forse io sono dura come le pietre, o la mia carne è di bronzo. Vi torna più conto scaricare la vostra potenza sopra una foglia che porta via il vento. [Giob., X, 16; VI, 12; XIII, 25]. – Nei rovesci della fortuna o nella perdita dei suoi parenti: Io mi sono taciuta e non ho aperto bocca, perché siete Voi che l’avete fatto: sì, Padre, che così sia, poiché Voi l’avete riconosciuto buono. [Ps. 88; Matth. II, 26]. – Nelle sue medesime colpe: Voi siete il Padre mio, il mio redentore, Voi mi perdonerete il mio peccato perché è assai grande.[Is., LXIII 16 ; Ps. 24]. – Questi sono tanti sentimenti che il dono di pietà forma nell’anima e che danno la misura della superiorità morale della quale il mondo cristiano va debitore allo Spirito Santo. [II cristiano come figlio di Dio, mercé il dono di pietà reca nelle sue relazioni col suo Padre celeste una familiarità che ci sorprende, ma che però non è meno di buona lega. Essa si manifesta soprattutto nelle sue preghiere. « Eccone una che non possiamo resistere al piacere di tradurla. L’originale italiano scritto rozzamente con errori di ortografia e di pronunzia è caduto dal libro delle ore di un contadino di Colle Berardi vicino a Casamari, venuto a Roma per le feste di Pasqua nel 1858. Un francese raccattò senza tanti scrupoli questa carta. Le tracce evidenti di un lungo uso permettevano di credere che il contenuto non uscisse più dalla memoria del proprietario : « Padre eterno! io Vi presento due cambiali. — Una è l’amara passione del vostro caro Figlio unigenito, morto per noi sulla croce. — L’altra è il dolore della sua SS. Madre, che per amore di me e per mia colpa ha dovuto soffrire così acerba passione. — Dunque su queste due cambiali, o Padre eterno, pagatevi di quello che io Vi debbo e rifatemi il resto.] – Culto esterno. A questi sentimenti di pietà figliale corrisponde un ordine (i fatti, privati e pubblici, improntati dello stesso carattere. Fatti privati: tra il Padre celeste e l’uomo suo figlio, tutto divien comune; le stesse gioie, le stesse tristezze, i medesimi interessi, i medesimi pensieri, il medesimo scopo. Penetrato di tenerezza, questo figlio ama soprattutto la gloria di suo Padre. A fine di procurarla e di ripararla, preghiere, mortificazioni, elemosine, buoni esempi e buoni consigli, travagli, sacrifici, nulla gli costa. Alla vista degli oltraggi fatti a suo Padre e a delle anime che il paganesimo moderno gli rapisce, la vita gli pesa. Per alleviarne il peso, si associa con ardore a tutte le opere riparatrici. La più preziosa di tutte, la Propagazione della fede, non ha partigiano più zelante. Non una nuova conquista del Vangelo, il cui racconto non ricolmi di gioia; non una persecuzione che non lo commuova fino alle lacrime. Se egli ama la gloria del Padre suo, ama eziandio la sua casa. Il suono della campana che ve lo chiama fa vibrare tutte le fibre del suo cuore e conduce sulle sue labbra le parole dei veri Israeliti: “Che felicità! ecco che mi si dice: noi andremo nella casa del Signore”. Il suo contegno mostra il rispetto figliale da cui è penetrato. La pompa delle cerimonie, la magnificenza di sacri ornamenti, lo splendore dei vasi dell’altare, formano il suo più dolce spettacolo. Invece di trovare, come gli antichi e moderni Giuda, che le stoffe lucenti, l’argento, il marmo, le pietre preziose, offerti a Nostro Signore nei suoi templi, sono una perdita, vorrebbe avere le ricchezze del mondo intero per farne omaggio al Padre suo. Tali sono le disposizioni ed i fatti, che nell’ordine privato, mostrano lo spirito di pietà figliale. – Fatti pubblici. La più alta espressione del dono di pietà figliale è il culto cattolico; egli nuota come in un oceano d’amore. Nelle sue feste, nei suoi Sacramenti, nelle sue cerimonie, niente d’oscuro, di secco, di spaventoso; tutto al contrario, spira dolcezza e reca fiducia. L’amore solo canta, e il Cattolicismo canta sempre. – Egli canta le sue gioie e le sue tristezze, i suoi timori e le sue espiazioni anche le più dure; canta altresì la morte ed i misteri della tomba. Ora, egli canta sempre perché sempre ama, e il suo amore è sempre pieno d’immortalità. Che cosa dicono tutti i suoi canti, i suoi inni, le sue prose, i suoi proemi ? Una cosa sola, l’amore. Che cosa sono infatti se non la traduzione sotto mille varie forme della divina preghiera dell’amore figliale: Padre nostro che stai nei cieli? Nulla di simile si è visto, né mai si vedrà, né presso i pagani, né presso gli eretici. La ragione è che lo spirito di pietà non si trova che nella Chiesa. – Un padre come Voi, mio Dio, nessuno; e cosi tenero come Voi non esiste: Tam pater, “nemo; iam pius, nemo”. [Tertull., de Poenitent.,. VIII]. – Ecco ciò che il dono di pietà è venuto a porre nel cuore e sulle labbra del genere umano; del genere umano, il quale da quattromil’anni in qua diceva: “Io morrò, perché ho visto Dio”. [Judic., XIII, 22]. – E in faccia a questa rivoluzione, profonda come l’abisso, splendida come il sole, inesplicabile come Dio, vi sono alcuni che vengono a domandare la prova della verità del Cristianesimo e della divinità dello Spirito Santo! – Con tutto ciò il fuoco non ammollisce la cera, ma la liquefa e la fa scorrere: cosi si conduce lo Spirito di pietà sulle anime. L’amor figliale che ci ispira per Iddio, si diffonde dapprima su ciò che appartiene di più accosto a Dio: gli Angeli ed i santi, i sacerdoti. [S. Anton., ubi supra]. Per non parlare che dei ministri del Signore, il dono di pietà dà il senso pratico di questa parola : « Chi ascolta voi ascolta me, e chi disprezza voi disprezza me, » [Luca, X, 16] e di quest’altra: « Quegli che è catechizzato nella parola, faccia parte di tutto quello che ha di bene a chi lo catechizza. » [Galat. VI, 6]. – Per colui che ne viene illuminato, il sacerdote non è più ciò che è disgraziatamente per il mondo attuale, né un uomo come un altro, né uno straniero, né un nemico dei lumi e della libertà: è l’ambasciatore di Dio, il benefattore dell’umanità, il dottore il più sicuro, il migliore degli amici. Di qui deriva nel cuore dei veri cattolici, una figliale tenerezza per i padri delle loro anime: la docilità verso i loro consigli, la sollecitudine dei loro bisogni, la felicità di ricevere la loro visita, di offrir loro l’ospitalità, di far loro partecipare alle gioie di famiglia, come ne partecipano tutti i dolori; le preghiere per la loro conservazione: lo zelo nel prendere la loro difesa o la premura nel distendere sulle loro colpe il manto della carità. Abbracciando tutta la sacra gerarchia, dal sovrano Pontefice fino al più umile chierico, lo spirito di pietà figliale assicura la felicità della società, imperocché protegge la legge fondamentale della sua esistenza: “Onorerai padre e madre, affinché tu viva lungamente”. – Il figlio che ama suo padre non ama soltanto i suoi inviati, ma altresì la sua parola. [S. Anton., ubi supra]. – Agli occhi del cristiano, animato dallo spirito di pietà, la parola di Dio intesa o no, è del pari cara e rispettabile. Egli sa che viene dal Padre suo e che è verità, e ciò gli basta. Se egli non la capisce, ne dimanda l’interpetrazione non alla sua ragione particolare, ma alla Chiesa. L’empio che bestemmia la Sacra Scrittura, l’eretico che la snatura, il cattivo cristiano che disprezza, che critica o che volge in ridicolo la parola divina, gli fanno orrore. – Come il figlio ben nato non legge mai senza intenerirsi il testamento del suo padre diletto; così il vero cattolico non legge mai l’Antico e soprattutto il Nuovo Testamento, senza che quella lettura parli al suo cuore. Come san Carlo, egli legge il sacro testo in ginocchio e a capo scoperto; come sant’Antonio, si meraviglia non che un imperatore scriva all’ultimo dei suoi sudditi, ma che lo stesso Dio abbia degnato scrivere all’uomo. Pur di sovente, ad esempio dei primi fedeli, egli porta seco il Vangelo; e in viaggio come in riposo, ogni giorno ne nutrisce il suo spirito ed il suo cuore. – Un altro oggetto del dono di pietà, è il prossimo. – La virtù naturale che chiamasi la pietà figliale, ci porta ad amare non solamente nostro padre secondo la carne, ma ancora tutto ciò che va ad esso unito pei vincoli di sangue. Lo spirito di pietà produce l’adempimento dello stesso dovere, in un modo assai più perfetto e assai più esteso. Più perfetto, perché la grazia e non la natura ne è il principio e il movente; più esteso, perché tutti gli uomini ne sono l’obietto. Dal cuore ove risiede il dono di pietà si dilata in sette opere di misericordia corporale, e in sette opere di misericordia spirituale. – Quest’è il candelabro d’ oro, che dividendosi in sette rami, illuminava il tempio di Gerusalemme e l’imbalsamava dei più dolci profumi. Come figlie del dono di pietà, queste opere abbracciano tutti i bisogni dell’umanità. Cercate che siano fedelmente adempiute, e le società raggiungeranno la loro perfezione: il cielo è sulla terra. Per provarlo basta nominarle. Le sette opere di misericordia corporali sono:

1° Dare da mangiare all’affamato, da bere all’assetato. Il cibo essendo il primo bisogno dell’uomo, è altresì il primo oggetto e il primo atto del dono di pietà. Un fratello può egli vedere il suo fratello patire la fame o la sete senza dargli da mangiare e da bere? – Ma tra l’uomo che solleva il suo simile ed il cristiano che esercita la carità, grande è la differenza. Il primo opera per un movente tutto umano della fratellanza naturale; il secondo per l’ impulso superiore della fratellanza divina. Il primo può dare, il secondo si offre interamente. Il primo dà a quelli che ama; il secondo dà eziandio a’ suoi nemici. Il primo è incostante; il secondo persevera in conseguenza del principio che lo fa operare. L’aver dato il pane e l’acqua, basta al primo; però la felicità del secondo consiste nell’aggiungere allo stretto necessario, certe dolcezze, compatibili co’ suoi mezzi, e secondo i bisogni del povero. – 2° Alloggiare i pellegrini. L’uomo può non aver bisogno né di pane per saziare la sua fame, né di acqua per estinguere la sua sete, ma è viandante e straniero. Viene la notte e non ha dove porsi al coperto. – Lo spirito di pietà vuole che ne abbia, e l’avrà. Molto differente dall’ospitalità naturale, che prima di aprire la sua porta, osserva com’è vestito e il sembiante del povero; invece l’ospitalità cristiana riceve a occhi chiusi e con le braccia aperte; imperocché ella sa che nella persona del povero, chiunque possa essere, è il divino mendico che accoglie, che ricovera e che riscalda: “Christus est qui in universitate pauperum mendicat”. – 3° Vestire gli ignudi. Lo spirito di pietà figliale ha dato, dà ancora, ogni giorno, su tutti i punti della terra dove si fa sentire, delle pezze al neonato, al povero il vestito per coprirsi, e il letto per riposarsi. A tutte le orecchie cristiane fa risuonare queste parole di un gran dotto della Chiesa: « All’affamato appartiene il pane che ritenete presso di voi; all’ignudo quell’abito che voi non adoperate più; allo scalzo quelle scarpe che sono mangiate dai vermi; all’indigente quel danaro che avete nascosto. Perciò molti sono i poveri che potete sollevare e che non sollevate: e parecchie sono le ingiustizie che voi commettete. [“Esurientis est panis ille quem tu apud te detines. Nudi, vestis illa quam in cella tibi servas. Discalceati, calceus ille qui domi tuae putredine corrumpitur. Egeni, argentum quod humi defossum habes. Itaque tot injuria afficis, quot tuis rebus, dum licet, non juvas”. S. Basil., conc. IV de Eleemosyn]. – 4° Visitare gli infermi. Il mondo pagano che contava i suoi teatri a centinaia di migliaia, non aveva uno spedale. Ma lo Spirito di pietà ha soffiato, e il mondo si è coperto di palazzi per ricevere le vittime delle infermità umane. Di generazione in generazione, questi palagi si sono popolati d’angeli visibili, il cui volto sorridente ha consolato l’infermo, la cui carità industriosa gli ha procurato mille dolcezze, e la cui mano or dolce or forte ha asciugato le sue piaghe, o rivoltato la paglia del suo letto. Ogni giorno ancora lo stesso spirito conduce la dama di carità, l’associato di san Vincenzo de’ Paoli, nel tugurio del patimento, e abbassando in tal modo il forte verso il debole, contribuisce più efficacemente che tutti i discorsi, per consolidare i legami sociali. – 5° Consolare il prigioniero. Il povero ordinario, lo stesso infermo, possono in molte circostanze esporre i loro bisogni e muovere a compassione. Questo conforto manca al prigioniero. Una doppia barriera tiene lontana da lui la carità; le mura della sua prigione e la ripulsione che ispira. Mercé il dono di pietà, le spaventose prigioni del paganesimo, i putridi bagni del maomettismo hanno fatto luogo a prigioni meno micidiali. Il prigioniero non è più solo a divorare le sue lacrime, solo non porterà i suoi ferri; e se deve salire il patibolo, avrà per sostenerlo un braccio fraterno, e per consolarlo un amico devoto che gli aprirà il cielo in ricompensa del suo sacrificio. – 6° Riscattare lo schiavo. Roma pagana dava al creditore il diritto di fare a pezzi il debitore insolvente. Lo spirito di pietà soffiando sul mondo, non ha solamente abolito questo barbaro diritto, ma ha ispirato delle sacre fondazioni al riscatto del debitore. Tutta l’antichità pagana faceva la guerra per conquistare del bottino e degli schiavi; di rado si riscattavano i soldati prigionieri. Esser venduti come bestie da soma, immolati sulla tomba dei vincitori, o riserbati per i giuochi omicidi dell’anfiteatro, era la sorte ordinaria che gli attendeva. Mercé il dono di pietà la guerra si è fatta più umana, la vita dei prigionieri é rispettata, il loro cambio o il loro riscatto è divenuto una legge sacra delle nazioni cristiane. Qualunque sia il suo nome, la sua condizione o il suo paese, lo schiavo cristiano è divenuto per il cristiano un fratello e un amico. Gli annali di Marocco, di Tangeri, di Tunisi, d’Algeri e di cento altre città ripeteranno eternamente i miracoli di redenzione, compiuti durante parecchi secoli, in favore degli schiavi cristiani. [Dal 1198 al 1787 i Trinitari riscattarono sulle coste di Barberia novecentomila schiavi. I Padri della Mercede dal canto loro ne liberarono cinquantamila. Tenendo conto delle spese di viaggio e di trasporto, diritti da pagare, avarie o estorsioni di danaro, la media del prezzo di uno schiavo ascendeva a seimila lire, ciò che per un milione e duecentomila, forma l’enorme totale di sette miliardi. E poi si parla della carità moderna e della filantropia? Tedi Annali della Propag. della fede, n. 238, p. 271, an. 1867]. – 7° Seppellire i morti. Porre nel numero delle opere più eccellenti tutto ciò che ripugna di più alla natura, è il capo d’opera dello Spirito di pietà. Ora il mondo cristiano ha visto ciò che il mondo pagano non avrebbe mai sospettato, delle numerose associazioni, come quelle dei Cellìti, consacrate alla tumulazione ed alla sepoltura dei morti. Nelle cure religiose, che anche oggi debbono circondare la spoglia mortale del povero, non meno di quella del ricco; qual lezione di rispetto per l’uomo! Quale predicazione incessante di questo domma, consolazione della vita e base della società, il domma della “risurrezione della carne”! Cosi appunto il cuore del cristiano, fuso dallo Spirito Santo, come la cera dal fuoco, si diffonde su tutti i bisogni corporali dell’uomo, dalla cuna sino alla tomba. Con non minore abbondanza, si diffonde intorno ai suoi bisogni spirituali: sette generi di sacrificio o sette opere di misericordia li sollevano. – 1° Istruire gli ignoranti. Il primo bisogno dell’anima è la verità. Il farla brillare ai suoi occhi, è altresì il primo bisogno che ispira lo Spirito di pietà. La bella antichità non era che una mandria di bruti. Composti di schiavi, i tre quarti del genere umano, e più ancora, vivevano senza Dio, senza fede, senza speranza, senza consolazione, senz’altra legge che i capricci dei loro padroni. Questi padroni, schiavi essi medesimi dello Spirito di tenebre, o disdegnavano, o ignoravano, o combattevano, o travisavano la verità. Ispirato dallo Spirito di pietà, l’amor fraterno delle anime ha mutato la faccia del mondo. Egli lo ha tratto dalla barbarie e gli impedisce di ricadervi. È desso che da un polo all’altro moltiplica gli organi della verità e, dall’entrare sino all’uscire dalla vita, accende i fari destinati a illuminare la via tenebrosa dell’umanità. È lui che ogni giorno trasporta al di là dei mari e fissa in mezzo alle tribù selvagge il missionario cattolico e la suora di carità. – 2° Correggere i peccatori. Appena l’uomo si è svegliato alla ragione, sente in sé la legge delle membra; con mille incitamenti questa potenza funesta lo trascina al male. L’avvertirlo col fine di prevenire la caduta; rialzarlo allorché cade; tale è nell’ordine spirituale il secondo beneficio dello Spirito di pietà. Chi potrebbe misurarne l’estensione? Preservare o guarire l’uomo da una malattia mortale, é un benefizio; dare la vista ad un cieco, è un beneficio; rimettere in sulla via il viandante smarrito che cammina a precipizio, è un benefizio. Ma preservare l’anima o guarirla dalla lebbra mortale del peccato; ripulire gli occhi del peccatore che non vede il suo’ male, che non vuole vederlo; fargli accettare il consiglio che egli respinge, la correzione che lo irrita, il soccorso della mano che lo ferma sull’orlo dell’abisso; non è forse un benefizio incomparabilmente più grande? Per realizzarlo, quali commoventi industrie, quali dolci parole, che sacrifici costosi alla natura e quanti mezzi ingegnosi sa ispirare lo Spirito di pietà! Ma altresì, non si conoscerà mai il numero delle anime, anime di giovani e di vecchi, anime di padri e di figli, che ha preservate o ritirate dal male, che ne preserva, o che ne ritrae ancora ogni giorno. – Consigliare i dubbiosi. Chi non ha bisogno di questo nuovo beneficio dello Spirito di pietà? L’uomo nasce avvolto nelle tenebre. Egli non ha per condursi che incerti barlumi della sua vacillante ragione. Con l’età, diviene lo zimbello della sua immaginazione e de’ suoi sensi. Nei suoi rapporti con i suoi simili, é troppo sovente esposto ad essere vittima degli artifizi altrui o delle sue proprie perplessità. Guai a lui se rimane abbandonato a se stesso; e maggior guaio, se non vuol consigli. “Prendere se medesimo per maestro, è farsi discepolo di uno stolto”. [“Qui se sibi magistrum constituit, se stulto discipulum subdit”]. S. Bern. – Ora è un fatto esperimentato, che la stoltezza, figlia dell’orgoglio, conduce alla rovina. Così, da un consiglio può dipendere la fortuna, l’onore ed anche la salute; per conseguenza nessuna elemosina più utile di un consiglio ispirato dallo Spirito di pietà. Quando il tribunale della penitenza non avesse altro scopo che di distribuirla, sarebbe ancora degno di tutte le benedizioni della terra. – 4° Consolare gli afflitti. Il patimento sotto tutti i nomi e sotto tutte le forme: tale è la vita dell’uomo su questa terra di prova. Mentre la moltitudine si affolla intorno ai fortunati del secolo, troppo sovente l’afflitto è lasciato solo coi suoi infortuni. Ispirando all’uomo una vera compassione per quegli che soffre, lo Spirito di pietà previene quest’atto di crudele egoismo. Mercé sua, qual differenza tra l’infelicità sotto l’impero del paganesimo, e l’infelicità sotto il regno del Cristianesimo! Là, una insensibilità stoica e quasi barbara, qui, cuori commossi e occhi che piangono. Là tutt’al più qualche parola, fredda come l’inesorabile destino; qui parole piene di speranza che rialzano il coraggio abbattuto, rendono la croce leggera, e vanno qualche volta sino a farla preferire ai più dolci godimenti. – Almeno quante lacrime rese meno amare, quanti sospiri prevenuti, quanti suicidi impediti! – 5° Sopportare pazientemente le ingiurie e gli altrui difetti. La consolazione aiuta a tollerare noi medesimi, la pazienza ci fa tollerare il prossimo. “Fai al tuo fratello, dice lo Spirito di pietà al cristiano, ciò che tu vuoi che egli ti faccia”. Egli ha i suoi difetti, e tu i tuoi. – Se tu vuoi che egli ti tolleri, tolleralo tu medesimo. – Portando reciprocamente il vostro fardello, voi l’allevierete e specialmente lo renderete meritorio. Egli ha parlato, ed i più opposti caratteri possono vivere insieme; e tante famiglie che diversamente sarebbero un inferno anticipato, divengono il soggiorno della concordia e il vestibolo del cielo. – 6° Perdonare di tutto cuore le offese. Tra il sopportare pazientemente un’ingiuria e perdonarla di buon cuore, grande è la differenza. La bocca può tacersi, e l’anima essere profondamente ulcerata. Quindi i lunghi e crudi rancori che fanno della vita una vergogna ed un supplizio. Ma ecco lo Spirito di pietà che dice all’orecchio del cuore ferito: “perdonateci le nostre offese, come noi perdoniamo a quelli che ci hanno offeso”. Da queste parole onnipotenti, sono usciti milioni di miracoli, più grandi della resurrezione di un morto. Il braccio si disarma, il risentimento si attutisce, il perdono cessa d’essere una vigliaccheria; e invece di passare per una gloria, la vendetta ripugna come un vergognoso delitto. – 7° Pregare per tutti e per coloro che ci perseguitano. Essere dimenticato durante la vita e soprattutto dopo la morte, ovvero non essere l’oggetto che di una memoria sterile, è una delle più crudeli crocifissioni del cuore. Lo Spirito di pietà è venuto a risparmiarcela. – Voi non dimenticherete, ci dice, né i morti, né i vivi, nemmeno quelli che vi perseguitano. Per tutti avrete degli utili ricordi; le vostre preghiere otterranno loro i beni che il vostro cuore desidera, ma che la vostra impotenza non vi permette di dar loro. Quel che hanno otténuto di favori e sollevato infortuni sulla terra e nel purgatorio queste semplici parole, nessuno lo saprà, se non nel giorno delle grandi manifestazioni, in cui ci sarà dato di vedere in tutta la sua estensione la fecondità inesauribile dello Spirito di pietà. – 3.° Qual è la necessità del dono di pietà? Noi ce ne appelliamo adesso a qualunque uomo imparziale, e gli domandiamo, se è possibile, anche dal punto di vista puramente umano, d’immaginare qualche cosa di più fecondo e di più necessario del dono di pietà! Se dato il caso, per impossibile, che egli esitasse a rispondere, consideri allora il dono di pietà sotto un altro aspetto. L’uomo (non cesseremo mai di ripeterlo) è posto tra due spiriti opposti: checché egli faccia, obbedisce all’uno o all’altro. – Se non è ispirato dallo Spirito di pietà, è spinto dallo spirito contrario. E qual è? lo Spirito d’invidia. [“Donum pietatis expellit Spiritum invidiae, quae crudelis est, et non potest pati alios bona habere, sed potius appetit sui malum cum pejori malo proximi”. S. Anton., VI p., tit. X, c. I]. – L’attristarsi del bene altrui, rallegrarsi del loro male: ecco l’invidia in se medesima. [“Invidia est alienae felicitatis tristitia, et in adversitate Laetitia”. S. Bonav. diaeta salutis, c. IV]. – Può immaginarsi niente di più perverso, di più vergognoso e di più antisociale? No, se non è l’invidia considerata nei suoi effetti. Quali sono? Mentre il dono di pietà intenerisce il cuore, lo nobilita, lo dilata e lo diffonde in effusioni d’amore su Dio e sull’uomo, l’invidia indurisce il cuore, lo degrada, lo restringe, lo rende malvagio e infelice. Verme nel legno, ruggine nel ferro, tignola nella stoffa: ecco l’invidia nel cuore. Essa lo rode e lo riempie d’ogni sorta di male, e lo spoglia di ogni sorta di bene. Se gli altri vizi sono opposti ad una virtù particolare, l’invidia è opposta a tutti. Come quelli uccelli notturni che la luce gli acceca, così l’invidioso non può tollerare lo splendore di nessuna virtù, di nessuna superiorità, di nessun vantaggio, di nessuna affezione che non s’indirizzi a lui. – Di qui nasce che l’invidia è appellata non una cattiva bestia, ma una bestia malvagissima. [“Unde non tantum dicitur mala, sed pessima. Haec est fera pessima quae devoravit Joseph”. S. Bonav., ubi supra]. – È l’invidia che ha perduto gli angeli nel cielo. È l’invidia che ha perduto i nostri progenitori nel paradiso terrestre. È l’invidia che ha reso Caino fratricida. È l’invidia che ha venduto Giuseppe. È l’invidia che ha crocifisso il Figliuolo di Dio. Se si volessero riferire tutte le nefandezze, gli avvelenamenti, le calunnie, gli odi, le ingiustizie, le divisioni, gli atti di crudele egoismo, vale a dire le vergogne, le disgrazie prodotte dall’invidia, bisognerebbe citare quasi tutte le pagine della storia dei popoli e delle famiglie; Liberare l’umanità da un simile flagello, è il beneficio riservato allo Spirito di pietà. Non è forse qualcosa? Come tutti gli altri, il dono di pietà è dunque un elemento sociale, che nessuna invenzione umana potrebbe sostituire.

 

Il cavaliere kadosh Achille Lienart (2)

Fr. Achille Liénart, confessava negli ultimi istanti sul letto di morte (nel 1973), che era un massone e incaricava il suo confessore di rivelare al mondo la sua confessione sul letto di morte, che egli, come un massone, ha partecipato alla trama ordita dalla massoneria per la distruzione della Chiesa cattolica.lienart 3

   Nel marzo del 1976, la rivista tradizionalista cattolica italiana, Chiesa Viva n. 51, pubblicava delle informazioni inerenti il lungo tempo di appartenenza segreta alla Massoneria del cardinale Achille Liénart, il prelato che aveva aiutato il percorso di Marcel Lefebvre in seminario, lo aveva ordinato al sacerdozio cattolico e poi lui stesso lo aveva consacrato vescovo. Durante i discorsi ha che ha tenuto a Minneapolis e a Montreal ai tradizionalisti nel 1976, Lefebvre stesso, aveva pubblicamente riconosciuto Liénart come suo Vescovo ordinante, e ben sapeva che era stato un massone … e che massone! Liénart, che una volta fu denominato da Lefebvre suo “padre spirituale”, aveva mantenuto un alto profilo come leader liberale di ispirazione massonica del Concilio Vaticano II, e veniva identificato, da un ex compagno massone, come un adoratore di satana ed un luciferiano. Al momento della sua morte, nel 1970, il Liénart apparentemente impenitente, si segnalò per essersi vantato che: “…umanamente parlando, la Chiesa cattolica è morta”. Egli ben sapeva il perché! Se qualcuno pensa che si tratti di accuse infondate, di calunnie gratuite, tirate fuori da qualche buontempone in vena di tiri mancini o rivalse personali, evidentemente non conosce, o fa finta di non conoscere, la figura di don Luigi Villa, l’unico sacerdote della Chiesa Cattolica ad aver mai ricevuto da un Sommo Pontefice, S. S. Pio XII, tramite il santo frate Pio da Pietrelcina, l’incarico di stanare gli adepti della massoneria infiltrati nella Chiesa Cattolica per destabilizzarla ed infine [si fieri potest] per distruggerla. Il sacerdote di Brescia ha ben operato in tal senso e la sua opera benemerita, evidentemente mal digerita dai segnalati di ogni appartenenza ed obbedienza, è ben conosciuta oramai in tutto il mondo. Infatti gli articoli della sua rivista “Chiesa Viva” nascevano da ponderate, oculate e ben documentate informazioni. A chi volesse contestarci su questo punto, consigliamo di cambiare interlocutore e rivolgersi direttamente ai collaboratori di don Luigi Villa, nel frattempo deceduto. – Qui di seguito è riportato un elenco cronologico degli eventi significativi della vita di Achille Liénart, riportati nella Newsletter n. 72 del defunto Hugo Maria Kellner, Ph.D., 9 Iroquois Strada, Caledonia, NY, del luglio 1977:

Nato a Lille, in Francia……………………..2-7-1884

Ordinato sacerdote . ………………………. 29 – 6 -1907

Entrato nella loggia Massonica a Cambrai………………il 15 ott. 1912

Divenne “Visitatore” in Massoneria di 18° grado. Cav. Rosa+croce,..…. 1919

Giunto al 30 ° grado cav. Kadosh ……………… 1924

Consacrato vescovo………………………… 12 – 8-1928

Ordinazione di Marcel Lefebvre al sacerdozio………… 21 – 9 -1929

Creato cardinale da Papa Pio XI…..…….. 6 – 30-1930

Consacrazione vescovile (invalida e sacrilega) di Marcel Lefebvre:18.9.1947 – Si noti che già 16 anni prima che venisse consacrato vescovo, Liénart era stato un membro della loggia massonica, e 4 anni prima aveva raggiunto il 30° grado, quello del cavaliere kadosh, il primo livello nel quale gli iniziati vengono informati dettagliatamente sui veri fini della Massoneria, come già segnalato e secondo quanto Albert Pike, supremo pontefice della Massoneria universale dell’epoca ammetteva: “Alla gente comune dobbiamo dire: “noi adoriamo un “dio”, ma un dio che si adora senza superstizione. A voi, Grandi ispettori Sovrani, diciamo ciò che si può ripetere ai fratelli dei gradi 32°, 31° e 30°: tutti noi iniziati degli alti gradi dovremmo mantenere la religione massonica nella “purezza della dottrina di lucifero”. Se, lucifero non fosse dio, ma lo fosse solo Adonay, il Dio dei cristiani, le cui gesta rivelano la sua crudeltà, la perfidia e l’odio dell’uomo, la sua barbarie e la repulsione per la scienza, Adonay ed i suoi sacerdoti lo calunnierebbero? Sì, lucifero è dio, e purtroppo Adonay è anche Dio. La filosofia religiosa nella sua purezza e verità consiste nella credenza in lucifero, al pari di Adonay “(Albert Pike, citato in A.C. de la Rive: La Femme et l’Enfant dans la Franc-Maçonnerie Universelle, pagina 588.). – La citazione di cui sopra non rappresenta una speculazione, ma è la testimonianza, oltre che un manifesto di intenzioni, di un esponente massonico le cui credenziali sono indiscusse. Albert Pike (1809-1891) è stato l’impareggiabile sommo sacerdote americano della massoneria. Nel 1859, Pike fu eletto Sovrano Gran Commendatore del Supremo Consiglio del Sud, del Rito Scozzese Antico ed Accettato, e più tardi divenne Gran Maestro Provinciale della Gran Loggia del Reale Ordine di Scozia negli Stati Uniti, ed è stato membro onorario di quasi tutti i Consigli Supremi nel mondo. Nel 1871, ha pubblicato il suo infame “Morale e Dogma”, un compendio di filosofia massonica, di terminologia, procedure, rituali, simbolismo e storia. – Alla luce delle ammissioni di Pike, e di quanto già riportato nel precedente articolo dal volume di Leon Meurin “Franc-Maçonerie, la synagogue de satan”, possiamo ben credere che Liénart fosse un luciferiano “consapevole” e “convinto” già quattro anni prima della sua consacrazione episcopale. Infatti, anche delle rivelazioni fatte in modo più preciso, riguardanti il sinistro “retroterra” del Liénart sono state pubblicate nel 1970 dal marchese de la Franquerie, nel suo libro: “L’infallibilité Pontificale”, che per la prima volta è stato presentato all’attenzione dei cattolici di lingua inglese dal già citato Dr. Hugo M. Kellner. Ora citiamo, dal paragrafo del libro del Marchese, che è stato presentato dal dottor Kellner nella Newsletter n° 72, il commento introduttivo del dottore: “Il nome completo dell’autore è André Henri Jean, Marchese de la Franquerie. Il Marchese è un segretario pontificio Ciambellano che vive a Luçon, Vendea, Francia, ed è riconosciuto come uno storico dotto con competenze specifiche nel campo della penetrazione della Gerarchia cattolica da parte della Massoneria in Francia, e delle attività massoniche del cardinale Rampolla, come il suo libro succitato dimostra. Il libro rivela l’atteggiamento ‘tradizionalista’ dell’autore. – “Il marchese discute, come indicato correttamente in “Chiesa viva”, del Cardinale Liénart alle pagine 80 e 81 del suo libro. A pagina 80 dice che Liénart era un satanista che ha partecipato a ‘messe nere.’ Dopo la descrizione del ruolo ben noto a supporto del Modernismo [la somma di tutte le eresie sec. S. Pio X] che ha giocato all’apertura del Vaticano II, il conciliabolo condannato anzitempo dalla bolla “Execrabilis” di Pio II, e di cui l’autore dice di aver ottenuto, in quel momento, delle informazioni esatte sul fatto che questo abbia avuto luogo per ordine del potere ‘Occulto, scrive:”Questo atteggiamento del cardinale non poteva sorprendere coloro che conoscevano la sua appartenenza alle logge massonico-luciferine”. Questo è stato il motivo per cui l’autore di questo studio ha sempre rifiutato di accompagnare il cardinale Liénart nelle cerimonie ufficiali come segretario-Ciambellano. – “‘Il Cardinale era stato iniziato in una loggia a Cambrai, il cui Venerato Fratello era Debierre. Frequentava abitualmente una loggia a Cambrai, tre a Lille, una a Valenciennes, e due a Parigi, di cui una era in modo particolare composta da parlamentari. Nell’anno 1919 venne designato come ‘Visiteur’ (grado 18°), poi, nel 1924, divenne 30° grado. Il futuro “cardinale” ha incontrato nelle logge il “Fratello” Debierre e Roger Solengro. Debierre è stato uno dei delatori del Cardinale Gasparri, che era a sua volta stato iniziato in America, e del Cardinale Hartmann, arcivescovo di Colonia, un “fratello” Rosa+croce”. – “‘E’ stato dato di incontrare a Lourdes un ex massone che, il 19 luglio 1932, era stato miracolosamente guarito da una ferita suppurata al piede sinistro da ben quattordici anni! Una guarigione riconosciuta dal Bureau di verifica. Questo signore miracolato, Mr. B. …, ci ha detto che ai tempi in cui frequentava una loggia luciferina, vi ha incontrato il Cardinale [Liénart] che egli riconobbe, rimanendo interdetto. ‘” – Liénart sarebbe naturalmente caduto in un’apostasia sempre più profonda dalla fede, nei dodici anni trascorsi dal giorno in cui aveva fatto il giuramento e si era assoggettato agli obblighi della Massoneria nel 1912. Inoltre, si sarebbe in tal modo necessariamente dedicato al rovesciamento della Chiesa, almeno dal momento della sua accettazione del 30° grado, quello di “cavaliere Kadosh” esaminato in precedenza, nel 1924, cioè quattro anni prima della sua “consacrazione” a Vescovo. In considerazione di quanto sopra, sembra essere più che ragionevole dubitare delle intenzioni di Achille Liénart nel ricevere gli ordini episcopali assunti al momento della sua consacrazione in modo assolutamente sacrilego ed usurpante la giurisdizione! – E’, ovviamente, impossibile esagerare l’importanza della corretta intenzione per invalidare la ricezione del Sacramento dell’Ordine, che per una volontà contraria rende nullo il Sacramento. A questo proposito, la Chiesa insegna: “Ogni battezzato di sesso maschile che sia in grado di aver intenzione di ricevere il Sacramento [degli Ordini sacerdotali o episcopali] può farlo validamente” (William E. Addis & Thomas Arnold, “Dizionario cattolico”, pagina 627, 1885). Alcuni hanno teorizzato che Liénart avesse voluto ricevere gli ordini episcopali per uno scopo malefico, e quindi diventare vescovo valido. Ma anche se ciò fosse vero, il suo conferimento degli Ordini sacri a Lefebvre avrebbe richiesto l’intenzione di fare ciò che la Chiesa intende, quella stessa Chiesa che, per gli obblighi del suo alto ufficio massonico di 30° grado di cavaliere kadosh, ha giurato di rovesciare. Inoltre, uno dei principali mezzi con cui la “loggia” ha da sempre cercato di distruggere la Chiesa, è stato quello di invalidare i suoi Sacramenti e di renderli sacrileghi, “abominio agli occhi di Dio”! Questo fatto è stato definitivamente stabilito nel lavoro classico, “Il corpo mistico di Cristo e la riorganizzazione della società” (1943), di p. Denis Fahey, CSSp., che è stato una delle principali autorità e studioso della Massoneria nel corso del XX secolo. Pertanto, qualsiasi ordinazione fatta da Liénart può essere considerata discutibile [nulla o, ancor peggio, sacrilega], per due motivi: per gli ordini episcopali propri del Liénart e poi per la sua non retta intenzione di amministrare i Sacramenti della Chiesa. Non dimentichiamo mai nello stesso tempo la bolla di Paolo IV “Ex Apostolatus officio”, confermata in pieno da S. Pio V, nella quale è detto che: “Esordio: Impedire il Magistero dell’errore – Poiché, a causa della carica d’Apostolato affidataci da Dio, benché con meriti non adeguati, incombe su di noi il dovere d’avere cura generale del gregge del Signore. E siccome per questo motivo, siamo tenuti a vigilare assiduamente per la custodia fedele e per la sua salvifica direzione e diligentemente provvedere come vigilante Pastore, a che siano respinti dall’ovile di Cristo coloro i quali, in questi nostri tempi, indottivi dai loro peccati, poggiandosi oltre il lecito nella propria prudenza, insorgono contro la disciplina della vera ortodossia e pervertendo il modo di comprendere le Sacre Scritture, per mezzo di fittizie invenzioni, tentano di scindere l’unità della Chiesa Cattolica e la tunica inconsutile del Signore, ed affinché non possano continuare nel magistero dell’errore coloro che hanno sdegnato di essere discepoli della verità. 1 – Finalità della Costituzione: Allontanare i lupi dal gregge di Cristo. – Noi, riteniamo che una siffatta materia sia talmente grave e pericolosa che lo stesso Romano Pontefice, il quale agisce in terra quale Vicario di Dio e di Nostro Signore Gesù Cristo ed ha avuto piena potestà su tutti i popoli ed i regni, e tutti giudica senza che da nessuno possa essere giudicato, qualora sia riconosciuto deviato dalla fede possa essere redarguito (possit a fide devius, redargui), e che quanto maggiore è il pericolo, tanto più diligentemente ed in modo completo si debba provvedere, con lo scopo d’impedire che dei falsi profeti o altre persone investite di giurisdizione secolare possano miserevolmente irretire le anime semplici e trascinare con sé alla perdizione ed alla morte eterna innumerevoli popoli, affidati alle loro cure e governo per le necessità spirituali o temporali; né accada in alcun tempo di vedere nel luogo santo l’abominio della desolazione predetta dal Profeta Daniele, desiderosi come siamo, per quanto ci è possibile con l’aiuto di Dio e come c’impone il nostro dovere di Pastore, di catturare le volpi indaffarate a distruggere la vigna del Signore e di tener lontani i lupi dagli ovili, per non apparire come cani muti che non hanno voglia di abbaiare, per non subire la condanna dei cattivi agricoltori o essere assimilati al mercenario. 2 – Approvazione e rinnovo delle pene precedenti contro gli eretici – Dopo approfondito esame di tale questione con i nostri venerabili fratelli i Cardinali di Santa Romana Chiesa, con il loro parere ed unanime consenso, Noi, con Apostolica autorità, approviamo e rinnoviamo tutte e ciascuna, le sentenze, censure e pene di scomunica, sospensione, interdizione e privazione, in qualsiasi modo proferite e promulgate contro gli eretici e gli scismatici da qualsiasi dei Romani Pontefici, nostri predecessori o esistenti in nome loro, comprese le loro lettere non collezionate, ovvero dai sacri Concili ricevute dalla Chiesa di Dio, o dai decreti dei Santi Padri, o dei sacri canoni, o dalle Costituzioni ed Ordinamenti Apostolici, e vogliamo e decretiamo che essi siano in perpetuo osservati e che si torni alla loro vigente osservanza ove essa sia per caso in disuso, ma doveva essere vigenti; inoltre che incorrano nelle predette sentenze, censure e pene tutti coloro che siano stati, fino ad ora, sorpresi sul fatto o abbiano confessato o siano stati convinti o di aver deviato dalla fede, o di essere caduti in qualche eresia, od incorsi in uno scisma, per averli promossi o commessi, di qualunque stato (uniuscuiusque status), grado, ordine, condizione e preminenza essi godano, anche se episcopale (etiam episcopali), arciepiscopale, primaziale o di altra maggiore dignità (aut alia maiori dignitate ecclesiastica) quale l’onore del cardinalato o l’incarico (munus) della legazione della Sede Apostolica in qualsiasi luogo, sia perpetua che temporanea; quanto che risplenda con l’autorità e l’eccellenza mondana quale la comitale, la baronale, la marchionale, la ducale, la regia o imperiale. 3 – Sulle pene da imporre alla gerarchia deviata dalla fede. Legge e definizione dottrinale: privazione «ipso facto» delle cariche ecclesiastiche. – Considerando non di meno che, coloro i quali non si astengano dal male per amore della virtù, meritano di essere distolti per timore delle pene e che i vescovi, arcivescovi, patriarchi, primati, cardinali, legati, conti, baroni, marchesi, duchi, re ed imperatori, i quali debbono istruire gli altri e dare loro il buon esempio per conservarli nella fede cattolica, prevaricando peccano più gravemente degli altri in quanto dannano non solo se stessi, ma trascinano con se alla perdizione nell’abisso della morte altri innumerevoli popoli affidati alla loro cura o governo, o in altro modo a loro sottomessi; Noi, su simile avviso ed assenso (dei cardinali) con questa nostra Costituzione valida in perpetuo (“perpetuum valitura”), in odio a così grave crimine, in rapporto al quale nessun altro può essere più grave e pernicioso nella Chiesa di Dio, nella pienezza della Apostolica potestà (“de Apostolica potestatis plenitudine”), sanzioniamo, stabiliamo, decretiamo e definiamo (“et definimus”), che permangano nella loro forza ed efficacia le predette sentenze, censure e pene e producano i loro effetti, per tutti e ciascuno (“omnes et singuli”) dei vescovi, arcivescovi, patriarchi, primati, cardinali, legati, conti, baroni, marchesi, duchi, re ed imperatori i quali, come prima è stato stabilito fino ad oggi, siano stati colti sul fatto, o abbiano confessato o ne siano stati convinti per aver deviato dalla fede o siano caduti in eresia o siano incorsi in uno scisma per averlo promosso o commesso, oppure quelli che nel futuro, siano colti sul fatto per aver deviato dalla fede o per esser caduti in eresia o incorsi in uno scisma, per averlo suscitato o commesso, tanto se lo confesseranno come se ne saranno stati convinti, poiché tali crimini li rendono più inescusabili degli altri, oltre le sentenze, censure e pene suddette, essi siano anche (sint etiam), per il fatto stesso (eo ipso) e “senza bisogno di alcuna altra procedura” di diritto o di fatto, (absque aliquo iuris aut facti ministerio) interamente e totalmente privati in perpetuo (“penitus et in totum perpetuo privati”) dei loro Ordini, delle loro chiese cattedrali, anche metropolitane, patriarcali e primaziali, della loro dignità cardinalizia e di ogni incarico di Legato, come pure di ogni voce attiva e passiva e di ogni autorità, nonché‚ di monasteri, benefici ed uffici ecclesiastici (“et officiis ecclesiasticis”) con o senza cura di anime, siano essi secolari o regolari di qualunque ordine che avessero ottenuto per qualsiasi concessione o dispensa Apostolica, o altre come titolari, commendatari, amministratori od in qualunque altra maniera e nei quali beneficiassero di qualche diritto, benché saranno parimenti privati di tutti i frutti, rendite e proventi annuali a loro riservati ed assegnati, anche contee, baronie, marchesati, ducati, regni ed imperi; inoltre, tutti costoro saranno considerati come inabili ed incapaci (inhabiles et incapaces) a tali funzioni come dei “relapsi” [ribelli –ndr. -] e dei sovversivi in tutto e per tutto (in omnibus et per omnia), per cui, anche se prima abiurassero in pubblico giudizio tali eresie, “mai ed in nessun momento potranno essere restituiti, rimessi, reintegrati e riabilitati nel loro primitivo stato” nelle chiese cattedrali, metropolitane, patriarcali e primaziali o nella dignità del Cardinalato od in qualsiasi altra dignità maggiore o minore, (“aut quamvis aliam maiorem vel minorem dignitatem”) nella loro voce attiva o passiva, nella loro autorità, nei loro monasteri e benefici ossia nella loro contea, baronia, marchesato, ducato, regno ed impero; al contrario, siano abbandonati all’arbitrio del potere secolare che rivendichi il diritto di punirli, a meno che mostrando i segni di un vero pentimento ed i frutti di una dovuta penitenza, per la benignità e la clemenza della stessa Sede, non siano relegati in qualche monastero od altro luogo soggetto a regola per darsi a perpetua penitenza con il pane del dolore e l’acqua dell’afflizione. – Essi saranno considerati come tali (ribelli e sovversivi) da tutti, di qualunque stato, grado, condizione e preminenza siano e di qualunque dignità anche episcopale, arciepiscopale, patriarcale, primaziale o altra maggiore ecclesiastica anche cardinalizia, ovvero che siano rivestiti di qualsiasi autorità ed eccellenza secolare, come la comitale, la baronale, la marchionale, la ducale, la regale e l’imperiale, e come persone di tale specie dovranno essere evitate (evitari) ed escluse da ogni umana consolazione” [“Vitandi”-ndp.].- Non abbiamo mai letto nulla di più chiaro, esaustivo e autoritario, senza alcuna possibilità di ribattuta,[almeno in persone che conservano sanità mentale ed il lume della ragione]. [il grasseto è redazionale]. Si tratta quindi di scomunica maggiore, ipso facto, con appellativo espresso di “vitando”, il peggiore che possa mai essere pronunziato! Ne vedremo più avanti anche le pene canoniche, comminate per questi delitti contro la fede, lo Spirito Santo: verità impugnata, ostinazione e impenitenza finale! – “ … A questo punto, quindi, gli ordini di “tutto” il clero, ordinato e consacrato dai “figli spirituali del cavaliere”, non sarebbero doppiamente sospetti [si tratta di un eufemismo, evidentemente]?

lefebvre e tisser.

M. Lefebvre e l’agente della massoneria Tysserand

   Altri ribattono che quant’anche questa fosse stata la condizione di Lienart, i suoi consacrati non sarebbe privi dell’Ordinazione episcopale poiché questa comunque era assicurata dalla presenza, al momento della sua consacrazione, di due Vescovi co-consacranti insieme con Liénart. Tuttavia, se un consacrando Vescovo non è già in precedenza Sacerdote, non può essere consacrato Vescovo. La vera essenza della Consacrazione episcopale si esprime con le parole sacramentali, che conferiscono “la pienezza del sacerdozio.” Così, è stato affermato dalla stragrande maggioranza delle opinioni teologiche e da lunga data è consuetudine, nella Chiesa, che il possesso degli ordini sacerdotali validi è un prerequisito necessario, indispensabile, per l’elevazione alla carica di Vescovo. San Tommaso scrive al proposito: “il potere vescovile dipende dal potere sacerdotale, poiché nessuno può ricevere il potere vescovile se non ha già il potere sacerdotale. Pertanto l’episcopato non è un Ordine.” (Summa Theologica, Supp. 40, 5). – Pertanto, non sarebbe corretto mettere in dubbio gli ordini episcopali del “consacrato del cavaliere”? … così come è giusto essere diffidenti nei confronti di qualsiasi Sacramento incerto, o sospetto sacrilego, come nel caso della cosiddetta “nuova messa”, nella quale si offrono i frutti del lavoro dell’uomo al “signore dell’universo”? – Queste domande sono forse troppo difficili da valutare per coloro che hanno riposto tutte le loro speranze su cappellucce, istituti, società “tradizionaliste” di “sacerdoti” che sono venuti alla ribalta, con grande fanfara e scoppi di petardi, come i salvatori dei fedeli residui, mediante il supporto di una campagna sapientemente orchestrata e preparata dagli avversari della Chiesa. Se un tale scenario sembra troppo orribilmente cupo per ammettere che provenga da Dio, si consideri questo: il Papa Leone XIII dichiarò gli Ordini anglicani non validi a causa dell’ “intenzione difettosa”, 350 anni dopo la loro introduzione da parte della Chiesa d’Inghilterra. Milioni di anime per molte generazioni sono state influenzate negativamente prima che Roma esprimesse un giudizio definitivo in materia. Allo stesso modo, le ordinazioni sacerdotali messe in atto con il rito dell’ordinazione della contro-chiesa “riformata”, (una copia carbone prossima al rito anglicano, e per certi aspetti ancor peggiore), in uso oggi, richiederanno sicuramente una dichiarazione radicale di nullità da parte della “vera” Chiesa cattolica “fuoriuscita dall’eclissi attuale” in un giorno futuro. Ma nel frattempo, la “società” del “figlio spirituale del cavaliere” ed i lupi solitari da essa fuoriusciti, continuano a riconoscere gli ordini sacerdotali della contro-chiesa “cattolica”, la chiesa oggi contraffatta, fino al punto da incorporare, in alcune delle sue cappelle, “sacerdoti” ordinati col rito del Novus Ordo, senza nemmeno far passare queste ordinazioni attraverso provvedimenti di “correzione” (e meno male …!). – Lefebvre stesso ha riconosciuto che Achille Liénart era un massone, e lo si può ascoltare in un discorso che, registrato su nastro, fece a Montreal, Canada il 27 maggio 1976, dichiarando [falsamente] che questo però non incideva sulla validità e liceità dei suoi ordini. – Gli apologeti del “figlio spirituale del cavaliere” sostengono che, poiché la Chiesa ha sempre accettato gli ordini conferiti dal massone Talleyrand, anche quelli di Liénart debbano quindi essere riconosciuti. Ma tutto questo è falso, come si può facilmente dimostrare: Talleyrand, fu Consacrato vescovo di Autun, in Francia, nel 1789, lo stesso anno cioè della Rivoluzione francese. Inizialmente si oppose alla rivolta perché essa aveva “smembrato la Francia”, ma due anni più tardi, capitolò davanti al movimento democratico, ed approvò pubblicamente la “costituzione rivoluzionaria civile del clero”, che portò alla confisca della sua sede nel 1791, e la scomunica da Roma, poi revocata a causa del suo pentimento sul letto di morte. – Talleyrand, che è anche accusato di aver inserito i livelli inferiori della Franco-massoneria, aveva consacrato diversi Vescovi, che tuttavia sono stati riconosciuti dal Vaticano. Né prima né dopo la propria Consacrazione, si è evidenziato che Talleyrand avesse mai cercato di svolgere una “sceneggiata” in vesti episcopali, per favorire il rovesciamento della Chiesa, bensì le sue azioni erano in ogni caso alla luce del sole, e sono state motivate da mero opportunismo. Piuttosto che un “agente segreto” in combutta con i nemici della Chiesa, Talleyrand era un opportunista consumato che cambiava i cappelli come meglio si adattavano alle proprie ambizioni politiche, ritrattando poi i suoi errori sul letto di morte. La sua carica di Vescovo venne esercitata per appena due anni, consentendogli il tempo solo per l’introduzione di un apprendista della Massoneria, e consacrò poi comuni Vescovi. Così i Vescovi consacrati da Talleyrand e dai suoi co-consacranti (che non erano massoni), sono stati giustamente ritenuti validi perché già “legittimamente” ordinati sacerdoti anni prima, dal momento che non sono mai state loro attribuite carenze sacerdotali che ne avessero suggerito il contrario. – D’altra parte, tra una cerchia sempre più ampia di Cattolici, l’eventuale nullità o illiceità del clero di “fraternità” o “istituti” vari, viene considerata come la migliore spiegazione per l’instabilità di questi “sacerdoti” e l’alto tasso di fuoriusciti dal proprio gruppo, (come nella nuova “chiesa”), o il passaggio da un gruppetto all’altro. Scandali coinvolgenti, lotte intestine, divisioni, azioni da donnaioli, cause distruttive sulla proprietà, calunnie e alienazioni di buone famiglie, contenziosi faziosi, procedure irregolari, senza contare le tendenze giansenistiche, gallicane e fallibiliste, sono caratteristiche di questo corpo di “sacerdoti” fin quasi dall’inizio dell’attività missionaria della società, che iniziò nella metà degli anni 1970. Questi mali, dai quali essi sono invariabilmente affetti, sono di solito attribuiti ad intemperanze “giovanili” o a “scarsa formazione,” ma è ora chiaramente evidente che c’è qualcosa di molto più profondo di viziato e sbagliato nel clero della società: il sacrilegio palese. – Questo non è molto probabilmente un “colpo di fortuna” o un “incidente”, ma è probabile che sia un colpo “da maestro” del nemico, che, sulla scena politica, ha sempre incuriosito onde impostare la propria opposizione fasulla; uno stratagemma simile avrebbe senso solo nell’ambito ecclesiastico. Ci potrebbe essere forse un mezzo più efficace per neutralizzare il movimento Cattolico tradizionale, della creazione di un quasi monopolio sulla “Messa tridentina”, da parte di una “società” di preti e vescovi fasulli o peggio ancora illeciti e sacrileghi? Centri di resistenza cattolica presidiati da sacerdoti invalidi andrebbero presto in preda all’autodistruzione. Gli intelletti, e forse anche le anime, di quelli che vi aderiscono, sarebbero man mano oscurati. I fedeli sarebbero sedati rispetto al cambio di gestione del culto, mentre la “chiesa conciliare” potrebbe continuare nella sua corsa rovinosa per le anime, senza impedimenti! – Nel processo, i buoni ma più anziani sacerdoti, che possiedono la formazione e l’esperienza antecedente al temuto conciliabolo, spesso sono sottovalutati da laici ingenui e disperati, per le rassicurazioni rilassanti (di una continuità di preti e sacramenti) da una società che è stata creata per “tirare da sotto il tappeto” la Chiesa cattolica “residua” al momento opportuno, in futuro, quando cioè la maggior parte di tutto il clero valido sarà deceduta, e quindi la resistenza sembrerà senza speranza. – Che cosa deve dunque fare un Cattolico durante questa terribile crisi? In primo luogo, evitare tutto ciò che è discutibile per quanto riguarda i Sacramenti. Papa Innocenzo XI dichiarò che nel conferimento e la ricezione dei Sacramenti, non è mai permesso adottare una linea “probabile” di condotta per la loro validità, abbandonando la più sicura. (Vedi: Denzinger, # 1151; Morale e Teologia Pastorale, Vol 3, “I sacramenti, l’uso di pareri probabili”, pagina 27). In secondo luogo, ricevere i Sacramenti solo dai residui sacerdoti più anziani, che offrono la vera Messa in comunione non con il falso-papa imposto dalle conventicole, e la cui ordinazione è indiscutibilmente valida. In terzo luogo, avere fede in Dio Onnipotente, che conosce tutte le cose e protegge la Sua Chiesa dall’oblio a Suo modo e a Suo tempo. Pregare ogni giorno il Rosario. Infine, pregare incessantemente il Cielo perché, per amore degli eletti, vengano abbreviati questi giorni, e la “chiesa delle Tenebre” lasci Roma per far posto alla vera, legittima Gerarchia, e al vero “Papa”. – Sul tema degli scomunicati e degli “illeciti” sacrilegi commessi dagli scomunicati “vitandi” o anche solo “ipso facto”, quelli che gridano brindando, pugnale all’aria: “Adonai nokem!” parleremo ancora a breve prossimamente. Per noi la questione invero già da tempo sarebbe conclusa, ma vogliamo continuare ancora per dimostrare l’assoluta malafede e devianza dal codice canonico e quindi dall’autentico Magistero pietrino di coloro che, sotto la “mascherina” della Messa di sempre, e sotto un magistero aggiustato a loro uso e consumo, balbettando formulette in latino, ingannando tanti incauti e sprovveduti che spesso in buona fede credono di recuperare un cattolicesimo di “tradizione” a buon mercato, nascondono la loro bocca avida di anime da divorare e consegnare al nemico dell’uomo e di Dio. (continua …)

Lo strana sindrome di nonno Basilio: 29

Lo strana sindrome di nonno Basilio 29

nonno

     Esimio direttore, eccomi ancora alla sua cortese attenzione per renderla partecipe delle mie strane vicende che si susseguono ininterrottamente creandomi non poche perplessità che voglio sottoporre a lei perché possa aiutarmi, magari con la collaborazione di qualche suo lettore, a dipanare una matassa sempre più complicata. Mi trovavo nel mio studiolo con nelle mani la mia “Vulgata”, la Bibbia tradotta da S. Girolamo in latino ed approvata solennemente dal Concilio Tridentino, l’unica della quale mi fido, viste le recenti “papocchiate” ecumeniche, zeppe di errori teologici e sviste di ogni genere, letterali, grammaticali ed interpretative ad uso e consumo postconciliare, spesso ridicole e fuorvianti nell’emulare le libere fantasie protestanti. Leggevo per la cronaca il terzo capitolo del Deuteronomio, al versetto 11: “solus quippe Og rex Basan restiterat de stirpe gigantum monstratur lectus ejus ferreus qui est in Rabbath filiorum Ammon novem cubitos habens longitudinis et quattuor latitudinis ad mensuram cubiti virilis manus” (perché Og, re di Basan, era rimasto l’unico superstite della stirpe dei giganti (i refaim). Ecco, il suo letto, un letto di ferro, non è forse a Rabbath degli Ammoniti? Ha nove cubiti di longitudine e quattro di latitudine, secondo il cubito di un uomo). Nella Bibbia vernacolare attuale, non c’è il riferimento ai quattro cubiti di longitudine, (chissà perché le menti eccelse che l’hanno tradotta nella versione CEI l’hanno omessa?… un altro mistero ecumenico?). La cosa mi appassiona, (io sono un tipo curioso, penso che se ne sia già accorto …), e vado a controllare il testo ebraico e, come dice S. Agostino quando c’è qualche cosa che non convince, a consultare il testo greco dei “Settanta”, e trovo in entrambi i casi l’espressione ben tradotta da S. Gerolamo. Ora mi chiedo, che bisogno c’era di precisare questo particolare, apparentemente insignificante, circa le dimensioni di un letto di ferro di un re peraltro sconosciuto e di scarso interesse storico e teologico? E data la mia curiosità, vado a documentarmi subito sul “cubito” sulla mia inseparabile “Enciclopedia cattolica”, che non mi tradisce mai, un’opera ineguagliabile per chiarezza e dottrina, monumento alla verità, di cui i “modernisti” … ed i falsi tradizionalisti, per non essere colti in fallo, impediscono la ristampa e tengono ben occultati i pochi esemplari esistenti nei bassi delle biblioteche diocesane, come mi dice sempre mia nipote Caterna, una ragazza che di me ha ereditato la curiosità e la tenacia nella ricerca (… modestamente … mi perdoni la auto-sviolinata!). Alla colonna 1032 del III volume, leggo che il cubito ebraico (‘ammah) comune era di 6 palmi e 24 dita (458 mm.), mentre per le costruzioni sacre si usava il cubito grande di 7 palmi che corrispondeva a 525-530 mm.; analogo riferimento alle misure in cubiti si trova nei capitoli 40 e 43 di Ezechiele. Questo significa quindi che questo letto di ferro, misurava (mi faccio aiutare dalla mia calcolatrice … sa, l’età e la mia squassata memoria potrebbe fare brutti scherzi …!): 2 metri e 10 cm. in larghezza e 4 metri 70 cm. in altezza. Così soddisfatta la mia curiosità sfoglio un po’ a caso questo terzo volume della citata Enciclopedia, e l’occhio cade sulla colonna 955: “dimensioni della croce” ove si dice tra l’altro che la croce usata nella crocifissione per un uomo di 1 metro e 70 cm. di altezza, era alta “complessivamente” 4 metri e ½. Resto sbigottito!, direttore … ma questa è la misura longitudinale del letto di Gog re di Basan, e si intuisce che anche l’altra misura si adatta bene alle dimensioni di un uomo crocifisso di circa 1 metro e 80; ovverosia le misure riportate nel testo del Deuteronomio sono quelle della croce di Cristo, letto durissimo, altro che ferro, sul quale ha patito ed è morto Nostro Signore Gesù Cristo. Nel Pentateuco, quindi, già erano state già fissate, millenni prima, le misure del patibolo del Messia, di modo che, ed in particolare il popolo eletto, si potesse riconoscere facilmente il proprio Salvatore e Re, così come Pilato aveva fatto scrivere sulla croce, le cui dimensioni sono esattamente quelle del letto di ferro minuziosamente riportate. Come è allora possibile che proprio chi possedeva le chiavi appropriate per la comprensione del mistero redentivo, non abbia e non voglia nemmeno oggi comprendere la verità, alla quale invece cerca ostinatamente di resistere opponendo un rifiuto incoerente, cocciuto, assurdo, che sfida apertamente Dio e tutta la tradizione mosaica dell’antica e vera Sinagoga? Pensi, caro direttore, che si arriva oggi finanche a negare la lettura del capitolo LIII di Isaia, tacciandolo di esoterismo (!?!), per cui nella lettura dei sacri testi si salta dal capitolo 52 al 54 omettendo il capitolo in cui, tanto per ricordarlo a qualche lettore distratto, si legge: “Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci da’ salvezza si è abbattuto su di Lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti”. (Isaia LIII,5). Ma chi è allora, mi, e le chiedo, “Chi ci ha guarito con le sue piaghe?” Noi Cristiani lo sappiamo molto bene, a differenza di quelli che ci perseguitano a causa della “croce di Cristo”. Il mio pensiero va subito a San Paolo, che in un impeto di gioia, impeto che ci dovrebbe accomunare tutti, esplode in “Galati VI” nel celeberrimo versetto 14: “Quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo”. In questo momento arriva Mimmo, mio nipote, che mi chiede come mai sia diventato rosso come un pomodoro! “Mimmo, ma è la croce di Cristo che mi infiamma! Vedi, caro nipote, è la Croce che dà forma alla Chiesa, lo spargimento del Sangue di Nostro Signore, con la sua morte in Croce, costituisce la causa meritoria della nostra salvezza eterna. È dalla Croce che ci viene ogni beneficio spirituale, ogni grazia e l’efficacia dei Sacramenti. Per questa ragione, la Chiesa, da sempre, ha voluto esaltare il Crocifisso, offrendolo continuamente alla contemplazione dei suoi fedeli. Dunque, tutta la spiritualità cattolica è basata sulla Croce! Ma Gesù Cristo crocifisso non è solo la causa meritoria della nostra Redenzione, Egli è anche la causa esemplare della nostra vita. Egli è obbligatoriamente modello per ogni anima che vuole salvarsi e santificarsi. Togliere dai nostri occhi il Crocifisso significa perdere il senso del dolore, significa perdere il senso della vita. Ecco perché il Crocifisso, forma simbolica della nostra Religione, ha improntato la stessa “pianta” della chiesa, racchiudendo in essa un universo simbolico che ha conferito al suo edificio il carattere di luogo sacro”. E mi sovviene l’insegnamento dello zio Tommaso, che si intendeva anche di un po’ di architettura sacra, com’è logico per un ministro della Chiesa di Cristo; ci ricordava che“tra l’VIII e il XI secolo si impose, nell’edilizia ecclesiastica occidentale, la pianta a forma di croce (croce “latina”, cioè con assi di lunghezza diversa), che riprendeva la forma simbolica per eccellenza della Religione cristiana. Il braccio corto della croce (transetto) distingue nettamente il presbiterio dalla navata centrale” .Egli ci ricordava spesso che nella maggior parte delle “piante” delle chiese del Medio Evo, dal XI al XIV secolo, si osserva che l’asse della navata e quello del Coro formano una linea spezzata al transetto. È un simbolismo commovente; è un atto di fede sublime agli occhi di un architetto cristiano!” “Ma che volevano veramente gli architetti di quei tempi di Fede?” mi chiede il povero Mimmo, la cui cultura in materia è molto scarsa … “Ma è ovvio – rispondo – innalzare Basiliche, Templi, ove poter rinnovare degnamente il “Sacrificio” della Messa, memoriale vivente del Sacrificio di Cristo sul Calvario. Per questo, volevano ricordare la Vittima del Golgota, attaccata alla Croce. Ed ecco là, la Croce, sola, immensa, la navata e il transetto rappresentare il corpo e le braccia allargate. L’altare centrale rappresenta la testa augusta del Dio immolato, e le cappelle, a raggiera attorno all’abside, formano la corona gloriosa che cinge la fronte del Salvatore del mondo. Memori, poi, che l’Evangelista ha scritto che Gesù “inclinato capite, tradidit spiritum” (inclinato il capo, rese il Suo Spirito), i costruttori di cattedrali hanno volontariamente inclinato il coro sulle braccia del transetto e la testa verso le spalle”. Ecco perché entrando in una chiesa antica ci si sente immediatamente immersi in un’atmosfera spirituale che innalza l’animo a Dio Trino. In questo frangente entra pure Caterina, che sentendoci parlare di crocefisso dice: “Che ne pensi nonno di questa sentenza di un tribunale padano che per mantenere il crocifisso nelle aule scolastiche afferma: “Non si può pensare al crocifisso esposto nelle aule scolastiche come ad una suppellettile, oggetto di arredo, e neppure come ad un oggetto di culto; si deve pensare piuttosto come ad un simbolo idoneo ad esprimere l’elevato fondamento dei valori civili sopra richiamati, che sono poi i valori che delineano la laicità nell’attuale ordinamento dello stato.” “Ne deriverebbe allora che, nientemeno, il Crocifisso può essere esposto nelle aule scolastiche in quanto simbolo della “laicità?” Direttore, ma io resto sconcertato, come è possibile tale ipocrisia? Leggo e vedo che tutta la sentenza è argomentata in questo modo, così che il Crocifisso deve restare al proprio posto, non perché non si può imporre alla maggioranza dei Cattolici presenti in aula e a scuola un punto di vista esclusivo e di parte, non perché si offende la sensibilità religiosa dei Cattolici, non perché il Crocifisso è “il” simbolo dei cristiani, non perché la pretesa di rimozione addotta è blasfema: ma perché,- ascolti bene – in uno Stato laico, il Crocifisso èsimbolo idoneo ad esprimere l’elevato fondamento dei valori civili sopra richiamati, che sono i valori che delineano la laicità nell’attuale ordinamento dello Stato.” Ed è tale ancor di più, sembra, proprio per la sua presenza nelle aule scolastiche! E senti questa, dice ancora Caterina, l’UNESCO, vuole inserire il crocifisso nel patrimonio dell’umanità! … come le pietre disastrate degli antichi monumenti, gli edifici diroccati del paganesimo più abietto, amenità turistiche varie, luoghi caratteristici di eventi storici … “Incredibile, inaccettabile, ma stiamo scherzando? – sbotta Caterina all’improvviso, presa quasi da un raptus di zelo ardente … E basta! Non se ne può più di questi trucchi imposti dalle conventicole giudaizzanti, sostenute vigliaccamente dagli adepti ipocriti della quinta colonna di una gerarchia ridicola ed oramai ampiamente discreditata! Basta con l’offesa alla Religione Cattolica! Basta con l’equiparazione di Cristo ad un qualsiasi politicante moderno, a quattro pietre diroccate, a qualche barbaro di storica memoria! Basta con la riduzione al minimo di ogni sacrosanto sentire dei credenti!  Di questo “crocifisso” con la lettera minuscola, mantenuto a scuola per fare da sostegno alla massoneggiante Costituzione della Repubblica Italiana oramai diluita in una delle unioni che confluiranno nell’ordine mondiale dittatoriale planetario [questa poi l’avrà presa dallo zio Pierre, … si capisce, no?], si, quella che ha come vessillo il satanico pentacolo in una ruota dentata, di questo simbolo messo lì per dileggio, non ce ne importa niente! Tenetevelo, egregi signori, mettetelo pure tra le tante ridicole idiozie del patrimonio dell’umanità, di quell’umanità dominata dal “signore dell’universo”, dallo spirito malvagio del “principe di questo mondo”. “E non pensino, caro direttore, aggiungo io, di poterci prendere per i fondelli con trucchi del genere!” – Noi gridiamo: “… e no, noi non ci stiamo!”, No ai “nemici di tutti gli uomini” ed ai loro lecchini sciocchi, che quando non serviranno più saranno buttati nella fogna, ai “decorati” con medaglioni e grembiulini colorati, imboscati in ridicole conventicole, … no ai pastori infingardi, finti e marrani che non si curano del gregge, anzi lo divorano con avidità!! Lo comprendiamo bene: questi reprobi delle razza degli ofidi, quando vedono il crocifisso, dai loro geni, dai cromosomi di tutte le loro cellule si ravviva la memoria del “… non costui, ma Barabba!…crocifiggilo, crocifiggilo” e del “… il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli” (Matth. XXVII-25) … e il dolore della loro anima è intenso, insopportabile, insopprimibile, incurabile! E allora, direttore, suggeriamo loro l’unica terapia efficace: “Le parole che i vostri padri hanno pronunciato: «Sanguis ejus super nos et super filios nostros», ripetetele anche voi, però non in tono di sfida audace come duemila anni fa, ma con un rispetto religioso; con tutta la fiducia che si deve alla misericordia divina, e vedrete compirsi la profezia di Zaccaria…:“Effonderò sulla casa di David e sugli abitanti di Gerusalemme lo spirito di misericordia e di preghiera: Allora ESSI MIRERANNO A COLUI CHE HANNO TRAFITTO e faranno su di Lui il lamento che si fa per la morte di un figlio unico… In quel tempo invocherà il mio nome ed io lo esaudirò… Allora MI CHIAMERANNO COL MIO NOME… IL SIGNORE È MIO DIO!” (Zacc. XII,10 e XIII,9)». La mia pressione è alle stelle, la lascio: saluti vivissimi da tutti noi!

 

MADONNA DEL CARMELO

MADONNA DEL CARMELO

Istruzione sull’Abitino del Carmine.

[Manuale di Filotea, del sac. Giuseppe Riva – Milano, 1888]

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 Sul monte Carmelo, ove sta la spelonca del profeta Elia, ed ove ad Elia si mostrò in cielo quella nuvoletta che era figura di Maria SS. perché, piccolissima nel principio, si dilatò poi in maniera da coprir tutto l’orizzonte, e da mandare pioggia la più dirotta sopra dell’arsa Samaria, che da tre anni e mezzo era tormentata dalla siccità, e quindi dalla più desolante carestia, verso il secolo X, un vecchio sacerdote d’Italia, amante della vita eremitica, stabilì la propria dimora: e fabbricata ivi una chiesa, vi raccolse vari compagni, i quali pel loro impegno ad onorare la SS. Vergine, si denominarono Fratelli di Maria SS. del Carmelo. Alberto, Vescovo di Vercelli, divenuto Patriarca di Gerusalemme verso l’anno 1200, diede a quei Romiti una regola che fu poi approvala da Onorio III 30 gennaio 1230. Conosciuto quest’ Ordine da S Luigi IX Re di Francia, quando fu in Oriente per la Crociata, condusse seco alcuni di quei religiosi, che si stabilirono presso Parigi, e poi si diffusero i n tutto l’Occidente. Aggregatosi a quest’Ordine un penitentissimo inglese, S, Simone Stok, vi fu nell’anno 1245 a pieni voti nominato Superiore Generale. Supplicando egli Maria ss. a dargli qualche segno della sua predilezione e a suggerirgli il mezzo più atto a propagare la sua devozione, Maria gli comparve il 10 Luglio 1251, e consegnandogli uno scapolare, ossia abitino di lana, color tanè, cioè oscuro come il caffè tostato, gli impose di portarlo appeso al collo, e di suggerire tal pratica a chiunque bramasse il suo special patrocinio: dichiarando quest’abito per 1). Veste privilegiata di onore; 2) Insegna di sua fratellanza; 3). Caparra di sua materna predilezione; 4). Scudo di difesa nei pericoli; 5). Pegno di pace con Dio; 6). Presagio di eterna predestinazione. – E siccome tale fu subito sperimentato da quanti lo portarono così tal devozione dilatossi ben presto in ogni terra del Cristianesimo; e i Principi, e gli stessi Papi, non contenti di mettersi fra i nuovi Confratelli, si adoperarono con ogni impegno per sempre più dilatare sì benemerita istituzione. – Luigi IX Re di Francia fu uno dei primi a professarla, e il Papa Leone XI ne era così affezionato che non volle spogliarsi del santo abito nemmeno allora che, nominato Pontefice nel 1605, dovette assumere tutte le divise proprie della sua dignità. Siccome poi 1’apparizione di Maria a San Simone Stok era avvenuta il 10 Luglio, così la Chiesa ha in tal giorno fissata la festa del Carmine divenuta universale in tutto il mondo con Ufficiatura tutta speciale. – Fra i tanti vantaggi da Maria assicurati ai suoi devoti del Carmine merita la speciale menzione la promessa che loro fece di abbreviar loro le pene del Purgatorio fin dal primo sabato successivo alla loro morte. Questo privilegio che chiamasi Sabbatino, fu per ordine della stessa ss. Vergine, pubblicato dal Papa Giovanni XXII in una apposita Colla del 1322, che fu confermata da altre di Alessandro V nel 1409, di Paolo V nel 1620, non che dal decreto della Sacra Inquisizione nel 1613. È vero che per godere di tal privilegio, oltre il conservare la castità conveniente al proprio stato, che è dovere d’ogni cristiano, si richiede la recita quotidiana dell’ufficio della Madonna; ma è vero ancora ché, per chi non sa leggere basta l’astenersi dalle carni il mercoledì, oltre le astinenze e i digiuni già comandali; e non potendo né l’uno, né l’altro, a ricorrere al proprio confessore, il quale, in caso di impedimento, può commutare e l’Ufficio e l’astinenza in altra opera pia, come ha deciso la Sacra Congreg. delle Indulgenze il 12 Agosto 1840. Il surrogato più in uso è l’ingiungere 7 Pater e 7 Ave in memoria delle 7 Allegrezze di Maria SS. L’obbligo indispensabile per tutti gli ascritti è: 1° – di essere rivestito dell’abitino benedetto da un sacerdote a ciò autorizzato, 2°-  di essere iscritto nei Registri della Confraternita del Carmine, 3°- di portar sempre al collo il santo abitino di lana color “suboscuro”, od anche nero. Se per qualche tempo si lasciasse di portare lo scapolare, non è necessario di farsi iscrivere un’altra volta, ma basta ripigliare l’uso intermesso per goderne ancora tutti ì vantaggi, come ha deciso la S. Congregazione. delle Indulg. il 26 Maggio 1857. L’abitino che si indossa nell’atto dell’iscrizione deve essere benedetto da chi ne ha la facoltà. Quando però divenuto logoro, occorre di cambiarlo, non è necessario che sia benedetto di nuovo, supponendosi estesa a tutti gli abitini successivi la benedizione data al primo. La recita quotidiana delle 7 allegrezze è consigliata a tutti gli ascritti, ma non è di stretta obbligazione. Ogni fedele dovrebbe darsi grande premura di regolarmente ascriversi a sì santa Confraternita, e di praticare fedelmente quanto ai suoi ascritti è imposto e suggerito, dacché niun sacrificio sarà mai soverchio per assicurarci speciale la predilezione di Maria in questa vita, e la sollecita liberazione dalle pene acerbissime del purgatorio nell’altra.

PER LA FESTA DEL CARMINE (16 Luglio)

I. Vergine pietosissima, che per solo effetto di vostra benignità, colla vostra specialissima apparizione al gran luminare dell’ordine Carmelitano, S. Simone Stok, vi degnaste portare dal cielo in terra il vostro sant’abito, che come Veste privilegiata d’onore servisse di divisa a’vostri servi, deh! Per quell’allegrezza che voi provaste nell’essere dall’Angelo annunziata per Madre di Dio, degnatevi di accogliere noi tutti nel novero dei vostri devoti, onde meniamo una vita sempre conforme a dignità così eccelsa, Ave.

II . Vergine sacratissima,che vi degnaste dichiarare per vostri fratelli tutti coloro che vestissero il vostro sant’abito, deh! per quell’allegrezza che voi provaste nel visitare la vostra santa cugina Elisabetta, impetrate a noi tutti la grazia di viver sempre in un modo degno di una tal fratellanza, affine di meritare il favore della vostra visita al punto della morte. Ave.

III. Vergine amabilissima, che onoraste più volte col nome di vostri figli quelli che portavano degnamente il vostro sant’abito, da voi stessa dichiarato: Caparra dì vostra materna predilezione, deh! Per quell’allegrezza che provaste nel dare alla luce del mondo il divin Verbo incarnato, impetrate a noi tutti la grazia di viver sempre in un modo degno di tal fìgliuolanza, ond’essere sempre favoriti del vostro validissimo patrocinio. Ave.

IV. Vergine amabilissima, che vi degnaste intitolare il vostro sant’abito Pegno di Pace con Dio, deh! per quell’allegrezza che voi provaste nel veder dai Magi adorato e riconosciuto per Dio il vostro divin Figliuolo, degnatevi di assistere noi tutti negli ostacoli che si frappongono alla nostra eterna salute onde, godendo sempre di quella paco che solo è propria dei veri adoratori di Dio, meritiamo partecipare con voi alla eterna gloria nel cielo. Ave.

V. Vergine clementissima, che vi degnaste di protestare che il vostro sant’abito sarebbe stato di Difesa e di scampo in ogni pericolo, deh! per quell’allegrezza che voi provaste nella gloriosa risurrezione del vostro figlio Gesù difendeteci dagli assalti dell’infernale nemico, affinché, non decadendo mai dalla grazia di Dio, meritiamo nella finale risurrezione di essere colle anime elette chiamati dal Giudice eterno alla partecipazione della vostra gloria. Ave.

VI. Vergine potentissima, che vi degnaste di qualificare il vostro sant’abito per Presagio di eterna predestinazione, deh! per quell’allegrezza che voi provaste nell’esser in anima e in corpo Assunta al cielo, impetrate a noi tutti la grazia di goder sempre quel gaudio che è frutto dello Spirito Santo, onde, aborrendo noi sempre i falsi gaudi del mondo non aspiriamo giammai che ai gaudi veri ed eterni che ci sono preparati nel cielo. Ave.

VII. Vergine gloriosissima, che prometteste di preservare dal fuoco eterno, e presto ancor liberare dalle fiamme del Purgatorio, chiunque morisse devotamente col vostro sant’ abito, deh! per quella grande allegrezza che voi provaste nell’essere esaltata al disopra di tutti gli angelici cori, e collocata alla destra del vostro divin Figliuolo, degnatevi di effettuare in noi pienamente così consolanti promesse, onde, sciolti da ogni colpa o da ogni reato di pena, possiamo lodare perpetuamente quel Dio che vi fece sì grande e sì potente nella beata patria del Paradiso. Ave, Gloria.

Oremus

Deus, qui beatissima semper virginis et genitricis tuae Mariae, singulari titolo Carmeli Ordinem decorasti, concede propitius, ut cujus hodie commemorationem solemni celebramus officio, ejus muniti praesidiis, ad gaudia sempiterna pervenire valeamus. Qui vivis et regnas cum Deo Patre, etc.