DOMENICA DI QUINQUAGESIMA

Introitus Ps XXX: 3-4

Esto mihi in Deum protectórem, et in locum refúgii, ut salvum me fácias: quóniam firmaméntum meum et refúgium meum es tu: et propter nomen tuum dux mihi eris, et enútries me. – [Sii mio protettore, o Dio, e mio luogo di rifugio per salvarmi: poiché tu sei la mia fortezza e il mio riparo: per il tuo nome guídami e assistimi.]

Ps XXX:2

In te, Dómine, sperávi, non confúndar in ætérnum: in justítia tua líbera me et éripe me. – [In Te, o Signore, ho sperato, ch’io non resti confuso in eterno: nella tua giustizia líberami e sàlvami.]

  1. Glória Patri, et Fílio, et Spirítui Sancto.
  2. Sicut erat in princípio, et nunc, et semper, et in saecula saeculórum. Amen

Esto mihi in Deum protectórem, et in locum refúgii, ut salvum me fácias: quóniam firmaméntum meum et refúgium meum es tu: et propter nomen tuum dux mihi eris, et enútries me. – [Sii mio protettore, o Dio, e mio luogo di rifugio per salvarmi: poiché tu sei la mia fortezza e il mio riparo: per il tuo nome guídami e assistimi.]

Orémus. Preces nostras, quaesumus, Dómine, cleménter exáudi: atque, a peccatórum vínculis absolútos, ab omni nos adversitáte custódi. [O Signore, Te ne preghiamo, esaudisci clemente le nostre preghiere: e liberati dai ceppi del peccato, preservaci da ogni avversità.]

Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia sæcula sæculorum.

Amen.

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corinthios.

1 Cor XIII:1-13

Fratres: Si linguis hóminum loquar et Angelórum, caritátem autem non hábeam, factus sum velut æs sonans aut cýmbalum tínniens. Et si habúero prophétiam, et nóverim mystéria ómnia et omnem sciéntiam: et si habúero omnem fidem, ita ut montes tránsferam, caritátem autem non habúero, nihil sum. Et si distribúero in cibos páuperum omnes facultátes meas, et si tradídero corpus meum, ita ut árdeam, caritátem autem non habuero, nihil mihi prodest. Cáritas patiens est, benígna est: cáritas non æmulátur, non agit pérperam, non inflátur, non est ambitiósa, non quærit quæ sua sunt, non irritátur, non cógitat malum, non gaudet super iniquitáte, congáudet autem veritáti: ómnia suffert, ómnia credit, ómnia sperat, ómnia sústinet. Cáritas numquam éxcidit: sive prophétiæ evacuabúntur, sive linguæ cessábunt, sive sciéntia destruétur. Ex parte enim cognóscimus, et ex parte prophetámus. Cum autem vénerit quod perféctum est, evacuábitur quod ex parte est. Cum essem párvulus, loquébar ut párvulus, sapiébam ut párvulus, cogitábam ut párvulus. Quando autem factus sum vir, evacuávi quæ erant párvuli. Vidémus nunc per spéculum in ænígmate: tunc autem fácie ad fáciem. Nunc cognósco ex parte: tunc autem cognóscam, sicut et cógnitus sum. Nunc autem manent fides, spes, cáritas, tria hæc: major autem horum est cáritas.” –

[Fratelli: Quand’io parlassi le lingue degli uomini e degli àngeli, se non ho la carità sono come un bronzo risonante o un cémbalo squillante. E quando avessi la profezia e intendessi tutti i misteri e ogni scienza, e se avessi tutta la fede così da spostare le montagne: se non ho la carità sono un niente. E quando distribuissi in nutrimento per i poveri tutti i miei possessi e sacrificassi il mio corpo per essere bruciato: se non ho la carità nulla mi giova. La carità è paziente, è benigna. La carità non è astiosa, non è insolente, non è tronfia, non è ambiziosa, non cerca il proprio interesse, non si muove ad ira, non pensa male, non gode dell’ingiustizia, ma si rallegra della verità: tutto soffre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non viene mai meno: mentre invece le profezie passeranno, le lingue cesseranno e la scienza sarà abolita. Adesso conosciamo imperfettamente e profetiamo imperfettamente. Quando verrà ciò che è perfetto, verrà rimosso ciò che è imperfetto. Quand’ero bambino, parlavo da bambino, avevo gusti da bambino, pensavo da bambino. Divenuto uomo, ho smesso le cose che erano dei bambini. Adesso vediamo come in uno specchio, per enigma: allora poi faccia a faccia. Ora conosco in parte: allora conoscerò come sono conosciuto. Per ora restano queste tre cose: la fede, la speranza e la carità, ma la più grande è la carità.]

 Graduale : Ps LXXVI:15; LXXVI:16

Tu es Deus qui facis mirabília solus: notam fecísti in géntibus virtútem tuam. . [Tu sei Dio, il solo che operi meraviglie: hai fatto conoscere tra le genti la tua potenza.]

Liberásti in bráchio tuo pópulum tuum, fílios Israel et Joseph

[Liberasti con la tua forza il tuo popolo, i figli di Israele e di Giuseppe.]

Tratto: Ps XCIX:1-2

Jubiláte Deo, omnis terra: servíte Dómino in lætítia, V. Intráte in conspéctu ejus in exsultatióne: scitóte, quod Dóminus ipse est Deus. V. Ipse fecit nos, et non ipsi nos: nos autem pópulus ejus, et oves páscuæ ejus.

[Acclama a Dio, o terra tutta: servite il Signore in letizia. V. Entrate alla sua presenza con esultanza: sappiate che il Signore è Dio. V. Egli stesso ci ha fatti, e non noi stessi: noi siamo il suo popolo e il suo gregge.]

Evangelium

Luc XVIII:31-43

In illo témpore: Assúmpsit Jesus duódecim, et ait illis: Ecce, ascéndimus Jerosólymam, et consummabúntur ómnia, quæ scripta sunt per Prophétas de Fílio hominis. Tradátur enim Géntibus, et illudétur, et flagellábitur, et conspuétur: et postquam flagelláverint, occídent eum, et tértia die resúrget. Et ipsi nihil horum intellexérunt, et erat verbum istud abscónditum ab eis, et non intellegébant quæ dicebántur. Factum est autem, cum appropinquáret Jéricho, cæcus quidam sedébat secus viam, mendícans. Et cum audíret turbam prætereúntem, interrogábat, quid hoc esset. Dixérunt autem ei, quod Jesus Nazarénus transíret. Et clamávit, dicens: Jesu, fili David, miserére mei. Et qui præíbant, increpábant eum, ut tacéret. Ipse vero multo magis clamábat: Fili David, miserére mei. Stans autem Jesus, jussit illum addúci ad se. Et cum appropinquásset, interrogávit illum, dicens: Quid tibi vis fáciam? At ille dixit: Dómine, ut vídeam. Et Jesus dixit illi: Réspice, fides tua te salvum fecit. Et conféstim vidit, et sequebátur illum, magníficans Deum. Et omnis plebs ut vidit, dedit laudem Deo. –

[In quel tempo: Gesù prese a parte i dodici e disse loro: Ecco, andiamo a Gerusalemme, e si adempirà tutto quello che è stato scritto dai profeti sul Figlio dell’uomo. Poiché sarà dato nelle mani della gente e sarà scernito, flagellato e sputato: e dopo che l’avranno flagellato, lo uccideranno e il terzo giorno risorgerà. Ed essi non compresero nulla di tutto questo, un tal parlare era oscuro per essi e non comprendevano quel che diceva. E avvenne che, avvicinandosi a Gerico, un cieco se ne stava sulla strada mendicando. E udendo la folla che passava, domandava cosa accadesse. Gli dissero che passava Gesù Nazareno. E quegli gridò e disse: Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me. E quelli che andavano avanti lo sgridavano perché tacesse. Ma egli gridava sempre più: Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me. E Gesù, fermatosi, ordinò che glielo conducessero. Quando gli fu vicino, lo interrogò dicendo: Cosa vuoi che ti faccia? E quegli disse: Signore, che io vegga. E Gesù gli disse: Vedi, la tua fede ti ha salvato. E subito vide, e lo seguiva: magnificando Dio. E tutto il popolo, vedendo ciò, rese lode a Dio.]

Omelia

della DOMENICA di QUINQUAGESIMA

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. I -1851-]

(Vangelo sec. S. Luca, XVIII, 31-43)

Contro il Carnevale.

 Lungo la via di Gerico sedeva un povero cieco, mendicando dai passeggeri qualche soccorso. Si avvenne a passar di colà il divin Redentore, seguito da numeroso popolo. Il cieco ne udì il calpestìo, e interrogò che cosa fosse, gli fu riposto, essere Gesù Nazzareno che di là passava, “Gesù figliuol di Davide, esclamò tosto il mendico, abbiate pietà di me”! Taci, lo sgridavano i primi del seguito, taci, che tanto gridare? “Gesù, a voce più alta gridò il cieco, Gesù figliuol di Davide, abbiate di me pietà”. Si fermò il benigno Signore, e fattolo condurre a sé innanzi, “che vuoi, gli disse, che chiedi da me?” – “O Signore, rispose, e che può desiderare, e che può chiedere un misero cieco par mio, se non la vista?” –  “Domine ut videam” : “sia fatto, ripigliò Gesù, secondo la tua domanda e la tua fede.” – Aprì gli occhi alla luce in quell’istante il non più cieco mendìco, e saltellando per gioia si accompagnò col Salvatore, e ne esultò tutto il popolo dando gloria a Dio. Chi fosse questo cieco l’Evangelista non lo dice, entri qui il magno Gregorio (Hom. 2 in Evang.), ma è una figura assai esprimente la cecità dell’umano genere, del cieco mondo, che prima della venuta del divino Verbo era avvolto nelle tenebre del peccato, e nelle caligini della idolatria. Volesse Iddio che da questa cecità non fossero colpiti anche al presente, tanti fra i cristiani! E qual maggior cecità in questi giorni di licenze carnevalesche che darsi in preda alle follie del paganesimo? E nol dite voi stessi che il carnevale fa l’uomo cieco e matto? Se dunque, da quei saggi che siete confessate così, posso sperare da voi una grazia, che son per domandarvi. Voi siete assidui ad ascoltar la divina parola, voi con devota frequenza assistete alle sacre funzioni, lasciate che i ciechi facciano da ciechi e i matti da matti, e voi fate da savi e buoni cristiani. Astenetevi dal concorrere, e dal vedere le vane pazzie, le scandalose sciocchezze del mondo insensato. Datevi in questo tempo dannoso per le anime ed oltraggioso per Dio, a servirLo con maggior impegno, accorrete a quelle Chiese ove è esposto all’adorazione dei fedeli, santificate questi giorni profanati dai ciechi mondani. Quest’è la grazia che io vi domando, anzi ve la domanda Gesù medesimo per bocca mia, come udirete in tutto il corso della presente spiegazione. – “Miei figli, ( è Gesù che parla, come già vi accennai, per organo del suo sebben indegno ministro), miei figli, anime redente col sangue mio, date ascolto alle parole che escono più dal mio cuore che dal mio labbro, “venite filii, audite me” (Ps. XXXIII, 12) . Una gran parte dei vostri fratelli e figli miei, innalzati da me col carattere del santo Battesimo ad esser meco coeredi del celeste regno, e nutriti alla mia mensa colle mie carni e col mio sangue, ingrati ai miei benefizi in tutt’i tempi, e massime in questo di carnevale, son giunti a disprezzarmi con una specie di autenticità basata sul depravato costume dei ciechi idolatri e dei più ciechi cristiani. “Filios enutrivi et exaltavi: ipsi autem spreverunt me” (Is. I, 2). E non è un disprezzo di me e della mia legge, l’immodesta libertà autorizzata dal ballo, l’inverecondia delle saltatrici, lo scandalo delle nudità? E non è un disprezzo di me, e del mio Vangelo, così contrario al mondo, il darsi in preda ai disordini e alle scostumatezze dal mondo? Così è, si sono dimenticati i cristiani miei seguaci, ch’Io sono il fonte d’acqua viva, che sola può spegnere le arsure dell’uman cuore, e si son lusingati di trovar refrigerio alla loro sete col ricorrere alle rotte e fangose cisterne dei sensuali piaceri; mi hanno perciò voltate le spalle, e villanamente abbandonato. “Me dereliquerunt fontem aquæ vivæ, et foderunt sibi cisternas dissipata, quæ continere non valent aquas” (Gerem. XI, 13). E voi miei cari che mi ascoltate, volete ancor voi abbandonarmi? “Numquid et vos vultis abire?” (Joan.VI, 68). Così già dissi ai miei Apostoli in un tempo, che altri del mio seguito e della mia udienza si partirono da me. E bene, dissi a loro dodici, eccomi ridotto a voi soli, tutti gli altri si sono allontanati, sareste mai ancor voi tentati a seguir l’esempio malvagio e lasciarmi qui solo? “Numquid et vos vultis abire?”– Dico altrettanto a voi. Tutti corrono dietro al gran mondo, som piene di gente le sale di ballo, e le mie Chiese deserte: gli stravaganti sollazzi disonorano la mia religione, le mode scandalose, i tratti indecenti corrompono il buon costume, le danze licenziose, alle quali presiede il demonio, le oscene parole, i motti allusivi, i sospiri amorosi rubano al mio costato tante anime incaute. Volete ancor voi, uditori figliuoli miei, unirvi ai miei nemici, ed essere complici o spettatori dei trionfi di Satanasso, sprezzare le mie parole?Num quid et vos vultis abire? Avrà più forza sul vostro cuore una vana allegrezza che la compassione delle mie offese? Via, se non vi muovono gli oltraggi gravissimi, che mi son fatti dai seguaci di Venere, dai deliranti per le baccanali follie, vi muova almeno il vostro bene, e l’amor di voi stessi. Qual vantaggio avete voi riportato dai balli, dai festini dei carnevali trascorsi? Quante volte la vostra stolta allegria si è convertita in tristezza, e il gaudio in lutto? L’amor non corrisposto vi ha portato doglia e rancore, il corrisposto confusione e rimorso. La gelosia vi ha fatto struggere, l’invidia marcire: le risse, le rivalità vi han tolto il sonno dagli occhi e la pace dal cuore, le crapule, le pompe, le dissolutezze vi hanno resi poveri, infermi, avviliti. S’è rinnovata in voi la dolorosa catastrofe del figliuol prodigo. Giovane sconsigliato! Lo tradì l’amor di libertà; l’amor delle donne fu quell’assassino, che lo spogliò di tutte le sue sostanze, e mezzo ignudo lo ridusse, per non morir di fame, a farsi mandriano d’immondi animali. – Ma quel che immensamente più importa, ditemi, anime mie care, volete salvarvi? Mi rispondete di sì. Ma se volete salvarvi, fuggite l’occasione di perdervi. Imitate Àbramo mio servo fedele. Era egli nella Caldea in mezzo a un popolo idolatra, le pagane superstizioni non macchiarono mai la sua fede nel vero Dio; stava però in mezzo ai pericoli. Per sottrarlo da questi bastò un mio comando, e con tutta prontezza e generosità abbandonò la casa, la patria, i congiunti, ed Io lo colmai di ogni terrena e celeste benedizione, e del suo nome mi fregiai la fronte, chiamandomi il Dio di Abramo, ed esso padre di tutti i credenti. Che sono le allegria del carnevale? Feste profane son queste istituite dagli idolatri in onore dei loro falsi Dei: fa orrore il solo leggerle nella storia del Paganesimo. – Sembra impossibile che l’uomo fornito di ragione sia giunto ad eccessi che degradano l’umana natura nella foggia più obbrobriosa. Non soffre il pudore che si rammentino le sozzure delle baccanti ubriache, le prostituzioni nel culto dato a Venere, e mille altre vergognosissime nefandezze. Or voi, miei fedeli, nati nel grembo della mia Chiesa, insigniti del carattere cristiano, illuminati dal mio Vangelo, avrete animo d’imitare senza rossore, di seguire senza rimorso i rei costumi, i deliri, le pazzie, le abominazioni della cieca gentilità, della riprovata idolatria? Deh! come Abramo, ubbidite alla mia voce, allontanatevi da quei pericoli, uscite da quei lacci, fuggite da quegli scandali, e discenderanno su di voi, come sopra Abramo, le più desiderabili mie benedizioni. – I miei eletti si sono sempre distinti cosi. Tobia ancor giovane, mentre nella prevaricazione del suo popolo i sedotti suoi fratelli n’andavano agli idoli d’oro, innalzati dalla scellerata politica dell’empio Geroboamo, egli tutto solo si incamminava al tempio in Gerusalemme ad adorare il Dio dei padri suoi, e il Dio dei suoi padri fu il suo protettore in terra, ed il suo premio in cielo. – Che dirò di quei generosi Ebrei ai tempi d’Antioco? Quest’empio conquistatore e crudelissimo tiranno ordinò che nella soggiogata Gerusalemme si celebrassero solennemente le feste Baccanali. Minacciati di morte erano costretti quegli infelici, coronati di edera, andar in giro saltando ad onore di Bacco, “cogebantur hedera coranati Lìbero circuire” (2 Macch. VI, 7). Ma parte di essi fuggirono sui monti, e parte elessero d’essere barbaramente trucidati, pria che contaminarsi con quei riti profani, e pieni di fede e di coraggio s’animavano a vicenda ad andar generosamente incontro alla morte dicendo che Iddio, da tanti abbandonato, si consolerebbe nella fedeltà dei servi suoi, “in servis suis consolabitur Deus” (Ibid.). Le feste profane del carnevale, già vel dissi hanno l’origine dall’idolatria. Questo è il tempo che distingue i veri cristiani da quelli che seguono i costumi degl’idolatri. Se vi fosse minacciata la morte, come a quei valorosi Giudei, vorrei in qualche modo scusare la vostra debolezza, ma qui non v’è da vincere che un misero allettamento, per conseguire un gran merito. E voi mi negherete questa consolazione? Avrà più forza in voi la concupiscenza, che la mia fede? Più l’amor sensuale, che l’amor mio? Più la danza, che l’anima? Se perdeste l’anima per l’acquisto di tutti i regni del mondo, sarebbe sempre una perdita incalcolabile. Perduta l’anima, tutto è perduto. Or che sarà se si perda per tali trastulli da pazzi? Aprite gli occhi, e fate senno, miei cari. Dopo esservi stancati giorno e notte nei balli, aprite, e mirate il concavo delle vostre mani, che vi resta? Un bel nulla. Vi restano invece tedi, malinconie e rimorsi. E quando anche vogliate affettare allegrezza, Io, che vedo l’interno vostro so e vi dico che non siete contenti: e siatelo per un istante, l’estremo dell’allegrezza finisce in lutto, e il riso del mondo va a terminare in un eterno pianto. “Extrema gaudii luctus occupat” (Prov. XIV, 13). Così avvenne a quegli stolti Ebrei nel deserto che festeggiarono il Vitello d’oro ad imitazione degli Egizi pagani, e la loro letizia andò a finire colla strage di ventitré mila di loro, che in poco d’ora coprirono il campo dei loro cadaveri, l’inondarono del proprio sangue, e l’anime piombarono a popolar l’inferno. Qualora poi, dilettissimi miei, non vi muovesse né l’amor mio, né il vostro vantaggio, né il vostro pericolo, mirate a qual passo discende l’amor di giovarvi. Questi giorni d’allegria pel mondo son giorni di mestizia per me; e perciò nella mia afflizione cerco da voi un qualche sollievo, come già lo cercai dai miei discepoli nell’orto delle mie agonie. Se non lo trovo fra voi, da chi potrò sperarlo? Quest’è l’ora vostra o amatori del mondo. Già me l’aspettava, “improperium expectavit cor meum et miseriam” (Ps. LXVIII, 21). – Che amarezza per l’animo mio, se dovessi soggiungere colle parole del mio Profeta, ho cercato fra quei che m’ascoltano un cuore, che meco senta doglia dei miei affanni, o almeno per compassion mi consoli, e son costretto a dire che non lo trovai. “Et sustinui, qui simul contristaretur et non fiat, et qui consolaretur, et non inveni”. La Chiesa mia sposa dolente assegna in questa domenica il tratto di quell’Evangelio, in cui predissi ai miei Apostoli gl’insulti, i flagelli, la morte ch’Io era per soffrire in Gerosolima dai miei nazionali e dai soldati gentili. Ed ora non dai miei nemici, ma dai miei figli mi si rinnovano barbaramente l’ingiurie stesse. Fui da Erode vestito da pazzo, fui dai soldati mascherato da re di burla con uno straccio di porpora sulle spalle, con scettro di canna, con corona di spine, con benda agli occhi, con finte adorazioni. – E non fanno altrettanto al presente i miei seguaci colle maschere, colle vesti scandalose, colle danze impudiche, colle adorazioni agl’idoli di carne, con  l’esultar pazzamente in ogni genere di scostumatezza? Se dai miei nemici fossi trattato così, nel soffrirei in pace, “si inimicus meus maledixisset mihi, sustinuissem utique(Ps. LIV); ma i miei cristiani, ma i figli miei, redenti col mio sangue, nutriti alla mia mensa, eredi del mio regno, ah quale acerba ferita all’afflitto mio cuore! – Orsù conchiudiamo. Voi, che qui radunati m’ascoltaste finora, volete in questi giorni seguir la folla del gran mondo, di quel mondo per cui mi son protestato di non pregare, e volete abbandonarmi? Andate pure, un giorno mi cercherete. La scena si cambierà ben presto. A rivederci all’ora di vostra morte, che potrebbe suonare in questi stessi giorni. Gente senza consiglio, dirò allora, mi avete provocato a sdegno colle vane vostre follìe : “Ipsi me irritaverunt in vanitatibus suis” (Deuter. XXXII, 21), ed Io come gente colpevolmente stolta vi abbandonerò al mio giusto furore ; “et ego in genie stulta irritabo illos”. Orsù venga a conforto del vostro spirito agonizzante la memoria degli allegri balli e delle danze festose. Fatevi porgere quella maschera che usaste al festino e copritevi il volto, se vi fa confusione l’immagine di me crocifisso, che vi presenta il sacerdote assistente. Anch’io nasconderò la mia faccia, e vi lascerò senza soccorso sul limitare della morte e dell’inferno: “Abscondam faciem meam ab eis, et considerabo novìssima eorum” (ibid.). Anime mie carissime, non m’obbligate a compiere le mie minacce, che partono da un cuore che v’ama, che v’avvisa per non ferirvi, che vi spaventa per consolarvi. Venite a me, volgete le spalle a Belial, e vi riguarderò come miei fidi seguaci, come miei figli diletti nel tempo e nell’eternità.

Credo

Offertorium

Orémus Ps CXVIII: 12-13

Benedíctus es, Dómine, doce me justificatiónes tuas: in lábiis meis pronuntiávi ómnia judícia oris tui. [Benedetto sei Tu, o Signore, insegnami i tuoi comandamenti: le mie labbra pronunciarono tutti i decreti della tua bocca.]

Secreta

Hæc hóstia, Dómine, quaesumus, emúndet nostra delícta: et, ad sacrifícium celebrándum, subditórum tibi córpora mentésque sanctíficet. [O Signore, Te ne preghiamo, quest’ostia ci purifichi dai nostri peccati: e, santificando i corpi e le ànime dei tuoi servi, li disponga alla celebrazione del sacrificio.]

Communio Ps LXXVII:29-30

Manducavérunt, et saturári sunt nimis, et desidérium eórum áttulit eis Dóminus: non sunt fraudáti a desidério suo. [Mangiarono e si saziarono, e il Signore appagò i loro desiderii: non furono delusi nelle loro speranze.]

Postcommunio

Orémus. Quaesumus, omnípotens Deus: ut, qui coeléstia aliménta percépimus, per hæc contra ómnia adversa muniámur. Per eundem … [Ti preghiamo, o Dio onnipotente, affinché, ricevuti i celesti alimenti, siamo muniti da questi contro ogni avversità.]

I KAZARI: dominatori del mondo

I kazari

Conosco la tua tribolazione, la tua povertà – tuttavia sei ricco – e la calunnia da parte di quelli che si proclamano Giudei e non lo sono, ma appartengono alla sinagoga di satana.” [Apoc. II, 9]

Questo versetto è veramente magnifico e inquadra perfettamente la situazione attuale della Chiesa Cattolica. Ma chi sono questi giudei dell’Apocalisse, citati nella lettera all’Angelo della chiesa di Smirne, che si pretendono giudei senza esserlo? Essi non lo sono né per fede, avendo ripudiato la legge di Mosè per preferire il talmud, né per sangue non essendo originari della Giudea, bensì dell’Asia centrale, dell’Europa centrale e dell’est, e più precisamente provenienti dalla Turchia e della Mongolia. Si tratta innegabilmente del popolo kazharo (in turco significa “errante”). Secondo gli storici ufficiali Benjamin H. Freedmann ed Arthur Koestler, il reame dei kazhari dominò il mondo come nazione, dopo la Russia dal VII al X secolo. Anche prima della venuta di Cristo sulla terra, i kazhari avevano già invaso l’Europa orientale. Questi guerrieri furono inizialmente dei pagani che si allearono a Bisanzio (l’Impero Romano d’Oriente) contro i persiani ed i musulmani. Poi il loro re Bulan dovette scegliere tra le tre religioni monoteiste. Il cristianesimo, l’islam, ed il talmudismo. Il re di questi pretesi giudei optò per il terzo, cosa che diede diritto al suo popolo di proseguire la sua dominazione attraverso l’usura, essendo all’epoca il talmudismo ciò che si chiama oggi il giudaismo talmudico. Nel suo libro “Due secoli insieme”, il russo Alexandre Soljenitse da una spiegazione politica a questa conversione determinante. “I capi etnici dei turco-kazari idolatri di questa epoca non volevano né l’islam, per non sottomettersi al califfo di Bagdad, né il Cristianesimo per evitare la tutela di Bisanzio. Così quasi 722 tribù adottarono la religione giudaica.” Qualunque sia il motivo, politico o economico, questa conversione al giudaismo doveva condurre alla loro egemonia. Questa falsa religione deve molto a questo popolo. Perché ci si chiede, senza i kazari, sarebbe mai sussistito il giudaismo talmudico? L’interrogativo resta aperto. – Il re Butan si convertì dunque nell’anno 740. Questa conversione cambiò le cose, altre seguirono massivamente: oramai solo un giudeo poteva accedere al trono perché l’autorità religiosa era il talmud. I rabbini si incaricarono poi di imporlo alle popolazioni. – L’apogeo della dominazione kazhara fu a metà del IX secolo. Il loro reame aveva allora esteso largamente il suo territorio, dall’Europa dell’est all’Europa centrale, su circa 15,3 milioni di chilometri quadrati. I kazhari, questi askhenaziti dell’Europa orientale, non sono quindi semiti, bensì ariani. Essi parlano l’yddish, una lingua che ha preso un gran numero di parole dal tedesco, e che nulla a che a vedere, nemmeno una parola, con l’ebraico antico o biblico di cui ha ereditato solo i caratteri esdraici quadratici. I kazhari furono in seguito cacciati dalla Russia come spesso è loro accaduto nel corso della storia. La capitale dell’Ucraina, Kief, era stata creata da loro ed in loro onore nel 640. Certi autori, tra i quali pure il Freedman, pensano, legittimamente, che la rivoluzione bolscevica sia stata una rivincita del kazari sul popolo russo. I fatti danno credito a questo punto di vista, poiché si sa bene che gli autori maggiori della sovversione in Russia erano tutti giudei askhenaziti, cioè falsi giudei. Ora il 90 % degli askhenaziti sono di discendenza kazhara, secondo Benjamin H. Freedman, Arthur Koestler e John Beaty. Il legame tra questo popolo e l’oligarchia mondialista è stretto, perché i due non fanno che una sola cosa. Osserviamo ciò che analizzava a suo tempo il giornalista Paul Copin-Albancelli sugli uomini che dirigono la franco-massoneria: “… va da sé che un’opera come quella che abbiamo studiato, [la realizzazione della piramide massonica] non potrebbe essere quella di un unico uomo, né quella di alcuni uomini estranei tra loro che si sarebbero incontrati. La sua continuità, più ancora che la sua immensità, rivela questa permanenza di sforzi della quale sono capaci solo le razze che rendono indistruttibili la loro fedeltà alla fede degli avi. Il potere occulto è dunque costituito dai rappresentanti di una razza e di una religione”. Questa razza è appunto la razza giudeo-askhenazita kazhara e questa religione è il giudaismo talmudico. Pertanto, ciò che si chiama comunemente l’impero, trasse le sue origini da questo popolo sanguinario, da questi askhenaziti di discendenza kazhara che sono globalmente dei rifugiati dell’Europa dell’est. Quindi ai giorni nostri, si è avverato che la stragrande maggioranza dei giudei askenaziti discendenti dal popolo kazaro e l’alta finanza dei Rothschild, Warburg, Soros, Lazard … proviene in pratica tutta da questa razza, che nulla ha a che vedere con la Giudea e con gli Ebrei.

De Segur: BREVI E FAMILIARI RISPOSTE ALLE OBIEZIONI CONTRO LA RELIGIONE [risp. V-VIII]

Mons. G. De Sègur: BREVI E FAMILIARI RISPOSTE ALLE OBIEZIONI CHE SI FANNO PIU’ FREQUENTEMENTE CONTRO LA RELIGIONE -2-

V.

LA RELIGIONE È BUONA PER LE DONNE.

  1. R. E perché dunque non per gli uomini? O essa è vera o è falsa. Se è vera, è anche vera (e perciò anche buona) per gli uomini come per le donne. Se essa è falsa non è migliore per le donne che per gli uomini; perché la menzogna è buona per nessuno. Sì certo « la religione è buona per le donne » ma anche ed assolutamente per le stesse ragioni è buona per gli uomini. – Come le donne, gli uomini hanno delle passioni sovente molto violente a combattere; e come le donne, gli uomini non le possono vincere senza il timore e l’amore di Dio, senza i mezzi potenti, che la religione sola lor dona. – Per gli nomini come per le donne, la vita è piena di doveri difficili e penosi: doveri verso Dio, doveri verso la società, doveri verso la famiglia, doveri verso se – Per gli uomini, come per le donne vi ha un Dio da adorare e da servire, un’anima immortale da salvare, dei vizi ad evitare, delle virtù a praticare, un paradiso a guadagnare, un inferno a schivare, un giudizio a temere, una morte sempre minacciosa a cui è d’uopo prepararsi. – Per gli uni come per le altre Gesù Cristo è morto sulla croce, e i suoi comandamenti riguardano tutti. La Religione dunque è cosi buona per gli uomini come per le donne; e se vi ha una differenza, si è ch’essa è ancora più necessaria agli uomini, che alle donne, specialmente agli uomini giovani. Essi sono infatti esposti a maggiori pericoli; essi possono fare il male più facilmente, e sono più circondati da cattivi esempi, principalmente in ciò, che riguarda i cattivi costumi, l’intemperanza, e la negligenza dei doveri religiosi. Essi hanno dunque ancora più bisogno di preservativo, perché il male che li minaccia è più grave, e più imminente.

VI.

BASTA ESSERE ONEST’UOMO; CIÒ È LA MIGLIOR RELIGIONE:

CIÒ BASTA.

R. Sì per non essere mandato alle forche; ma non per andare al cielo. — Sì, avanti agli uomini; no avanti Dio, il Giudice Supremo. « 1.° Basta essere onest’uomo?» Dite voi. — Sia; ma intendiamoci. Chi chiamate voi onest’uomo? Ecco una parola, che mi sembra molto elastica, molto comoda, e che si presta a tutti i gusti. Domandate infatti a questo giovane di costumi sregolati, se colla condotta più che leggiera che tiene, si può essere onest’uomo?— « Ah, qual domanda! » vi risponderà; Delle follie di gioventù non impediscono per nulla d’essere un onest’uomo. Ho certamente la pretensione d’esserlo: o vorrei vedere che qualcuno venga a contestarmi questo bel titolo! » – Domandate in seguito a questo avido negoziante che apparecchia le sue stoffe di qualità inferiore, e le vende quasi fossero di prima qualità; a quell’operaio che lavora la metà di meno, quando si paga a giornata, che quando è pagato a fattura; a quel padrone, che abusa della miseria dei tempi per carpire ai suoi operai il riposo necessario della Domenica. Domandate loro, se ciò che fanno l’impedisca d’essere persone oneste? e ciascun d’essi non esiterà a rispondervi, ch’egli è un onest’uomo, e che queste taccherelle, queste destrezze, non fanno alla bisogna. -Domandate altresì a quel dissipatore, se la sua prodigalità; a quel vecchio, se la -sordida sua avarizia; a quell’abituato all’osteria, se l’ubriachezza distruggano la loro onestà? E ciascuno domanderà scusa per la sua passione favorita nel tempo stesso che si proclamerà onesto anzi onestissimo uomo! – Così per confessione delle stesse persone oneste di cui qui si parla, un uomo sfrenato, ingannatore, dato all’ubriachezza, avaro, usuraio, prodigo e libertino, può essere un onest’uomo, e nessuno può negargli questo titolo a condizione che non abbia rubato o assassinato!! – Non trovate voi forse questa morale molto comoda? Chiunque non ha questione a sbrigare avanti tribunali criminali, avrà a rendere nessun conto a Dio. — Perciò non più al cuore, ma alle spalle ormai abbisognerà guardare per giudicare le persone; e chi non avrà il L. F. o il L. P. [ L. F. Lavori forzati; L. P. Lavori forzati perpetui] sarà riputato buono per il cielo! Quale religione è la religione dell’onest’uomo!—e voi dite che quella è la vostra religione? Che è la migliore delle religioni? Una religione che permette tutto fuori del furto e dell’assassinio!! Ma voi non ci pensate? È una perversione, una abominevole dottrina e non una religione. – 2.° « Ma, dite voi, intendo allora per uomo onesto, più di quello che s’intende comunemente. Chiamo onesto uomo quello che adempie tutti i suoi doveri, che fa il bene e fugge il male. » – Ed io allora vi rispondo e sostengo appoggiato sull’esperienza, che se voi siete tal quale vi dite senza l’aiuto potente della religione, voi siete l’ottava meraviglia del mondo; ma vi ha cento a mettere contro uno che voi non lo siete punto. – Perché voi non mi farete credere, che non abbiate passioni ed inclinazioni sregolate; ogni uomo ne ha molte. — Se dunque voi siete proclive al libertinaggio, alla cupidigia, ai piaceri del senso, chi vi regolerà?— Se voi siete portato alla violenza o alla pigrizia, o all’orgoglio, chi dominerà queste passioni ? Chi arresterà il vostro braccio? Chi la vostra lingua? — Il timore di Dio? — Ma non se ne parla in questa religione dell’onest’uomo.— La voce della ragione? — Ma noi sappiamo che valga il ragionamento alle prese con una passione violenta. — Chi dunque? Io non vedo altra cosa che il timore della polizia, la forza brutale. Ma allora quale nobile religione!… ve ne faccio i miei complimenti. — Amo meglio la mia. – Sola la religione cristiana offre dei rimedi efficaci alle nostre passioni, e oppone un freno sufficiente alla loro veemenza. — A meno d’ammettere che un uomo è impeccabile, che egli è un angelo (ciò che non è) è necessario conchiudere che senza i potenti soccorsi che ci somministra il Cristianesimo noi non possiamo essere costantemente fedeli a tutti i grandi doveri, l’adempimento dei quali costituisce il vero onest’uomo. Senza il Cristianesimo noi non possiamo soprattutto adempierli con quella sincerità d’intenzione che ne forma tutta la bellezza morale. – I cristiani più virtuosi (tanto è grande questa debolezza umana da cui voi vi pretendete esente!) mancano essi stessi alle volte ai loro doveri, malgrado la forza sovrumana che attingono dalla fede. E voi privo di questo freno onnipotente, abbandonati le inclinazioni della natura, esposto a mille pericoli del mondo, pretenderete voi essere sempre fedele? – Io vi affermo con certezza, che colui, il quale non essendo cristiano, sì dice onest’uomo (nel senso che or ora abbiamo indicato) o fa a se stesso una grande illusione, oppure mente alla sua coscienza. – 3.° Ma io vado più lungi. Quand’anche vi vedessi adempiere perfettamente i vostri doveri di cittadino, di padre, di sposo, di figlio, d’amico, in una parola i doveri che fanno l’onest’uomo secondo il mondo, io vi direi ancora : « Ciò non basta ! ». No, ciò non basta. — E perché? — Perché vi ha un Dio, che regna nei cieli, che vi ha creato, che vi conserva, che vi chiama a sé, che v’impone una legge. — Perché voi avete verso questo gran Dio dei doveri di adorazione, di ringraziamento, di preghiera, così stretti, così necessari, e nello stesso tempo più essenziali, più imprescrittibili di quello che siano i nostri doveri in riguardo ai vostri simili. — Questi ultimi doveri potrebbero infatti cessare, se voi veniste ad essere separato dal rimanente degli uomini, mentre che in ogni luogo e sempre sussisteranno le vostre obbligazioni verso Dio; in ogni luogo, e sempre vi sarà per voi obbligo di credere in Lui, di amarLo, di adorarLo, di pregarLo. – Un ingrato può dire a se stesso: « Io son buono; non ho niente a rimproverarmi? » — No, certamente! — Or bene! voi siete un ingrato, voi, onest’uomo del mondo, che dimenticate Iddio! — Egli è vostro Padre; voi Gli dovete l’esistenza, la vita, l’intelligenza, la dignità morale, la sanità, i beni, tutto; Egli ha creato il mondo per voi, per vostra utilità, per vostro piacere. — Egli vi prepara nel cielo un’immensa felicità. — Egli è vostro Signore; vostro Padrone; Egli vi benedice, vi perdona, v’ama, v’aspetta! – E voi qual cosa gli rendete in cambio? Quale amore, qual rispetto, qual omaggio? Voi discutete freddamente i pretesti, ch’inventano i suoi nemici per sottrarvi al suo servizio! Voi forse non avete che sarcasmi, odio, disprezzo per tutto ciò che riguarda il suo culto! Voi non Lo pregate. Voi non L’adorate. Voi non Lo ringraziate. Voi vi beffate della fede alla sua parola, della pratica della sua legge! ! . . . Ingrato! E voi non avete niente a rimproverarvi? E voi adempite tutti i vostri doveri? – Credetemi, cessate di farvi quest’illusione! a che ingannar se stesso? a che dissimular i propri falli? Riconosciamo piuttosto, che il giogo della religione, cioè del dovere ci ha spaventati, e che si è per scaricarcene senza troppa impudenza, che noi abbiamo immaginato questa Religione dell’onest’uomo. – Non solamente essa non basta, ma a dir vero non è che una sonora ciancia, vuota di senso, destinata a coprire agli occhi del mondo, ed ai nostri propri, dei disordini, delle debolezze, di cui la pratica del Cristianesimo è il solo rimedio.

VII.

PER ME LA MIA RELIGIONE È DI FAR DEL BENE AGLI ALTRI.

R. Nulla di meglio, che amar gli altri, e fare loro del bene. È ciò altresì, che la Religione cristiana ci ordina con maggiore insistenza, essa giunge persino ad assomigliare questo dovere al grande, e fondamentale dovere d’amar Dio: « Tu amerai, essa ci dice, il Signore Dio tuo di tutto il tuo cuore; » questo è il primo comandamento. Ed ecco il secondo, che è simile al primo: « Amerai il tuo prossimo come te stesso. » Queste sono le parole di Gesù Cristo (Ev. di s. Matt. c. XXII); ma aggiunge qualche cosa a cui non ponete troppo mente: « In questi due comandamenti consiste tutta la legge ». Voi, la cui Religione a vostro dire, consiste solo nel far del bene agli altri, voi sopprimete uno dei due comandamenti, il principale, quello che ordinariamente fa nascere l’altro, che lo sviluppa, l’alimenta, fa ascendere sino all’eroismo, quello che l’innalza all’altezza di un dovere religioso Il comandamento dell’amor di Dio, e l’obbligo di servirlo. Bisogna avere queste due gambe per camminare, non è egli vero? Parimenti per compiere il nostro destino sulla terra, e arrivare al cielo abbisogna la pratica dei due grandi comandamenti: 1.° Tu amerai il tuo Dio, 2.° Amerai i tuoi fratelli come te stesso. Così il secondo esiste raramente colà dove il primo non regna; l’esperienza di diciannove secoli è là per attestarlo. I cristiani che appoggiano l’amore dei loro simili sopra l’amore di Dio sono i soli che amino veramente, efficacemente, puramente c – Quali sono stati i più grandi benefattori dell’umanità sofferente? I Santi, cioè, gli nomini accesi dell’amor di Dio. – Per contarne un solo tra tutti, osservate S. Vincenzo de’ Paoli, quest’eroe della carità fraterna, questo padre di tutti gl’infelici, che ancora adesso fa del bene in tutta la terra per mezzo delle opere benefiche che ha fondate! Chi era Vincenzo de Paoli? Un prete, un uomo di Chiesa! Dove attingeva egli questo sacrificio di sé per i suoi simili? Nell’amore di Dio, nella pratica della religione di Gesù Cristo. – Quali sono le instituzioni di beneficenza che prosperano di più? (per non dire che prosperano le sole). – Quali sono quelle che vivono, che si sviluppano, che sussistono attraverso dei secoli? Quelle che fonda la Chiesa; quelle che riposano su di un pensiero religioso; quelle che corona la croce di Gesù Cristo! Chi ha fondati gli ospìzi? La Chiesa! – Chi ha sovvenute in tutti i tempi, chi nei nostri giorni ancora, a dispetto degli ostacoli che ricchi governi le frappongono, sovviene tutte le miserie sia dell’anima, sia del corpo, sia dell’infanzia, sia dell’età virile, sia della vecchiezza ? La Chiesa. – Chi, per sollevare ciascuna di queste miserie, ha creato gli ordini religiosi degli uomini e delle donne, occupati gli uni per i piccoli ragazzi abbandonati, altri nell’educazione dei poveri, altri alla cura degli ammalati, questi alla cura dei pazzi, quelli alla redenzione degli schiavi, all’ospitalità dei viaggiatori ecc., ecc.? La Chiesa e la Chiesa sola! – È dessa che produce i più grandi benefici all’umanità, è dessa che, fa la suora di carità, come ella fa il missionario e il monaco di S. Bernardo! Sempre l’amor di Dio come fondamento il più solido dell’amor degli uomini! – Ai nostri tempi più che mai sì parla molto di umanità, di fraternità, d’amor dei poveri. Si fantasticano sistemi; le belle parole non costano niente: si fanno dei libri e dei discorsi. Perché tutto ciò ottiene cosi piccolo risultato? Perché la religione non vivifica i suoi sforzi. Un effetto non può sussistere senza la sua causa; la causa, il principio più fecondo della carità fraterna è la carità divina, o l’amor di Dio. – Diffidatevi dunque dei bei sistemi di fraternità, che fanno astrazione dalla Religione. Senza nostro Signor Gesù Cristo non vi ha amor degli uomini efficace, puro, solido e durevole.

VIII.

LA RELIGIONE INVECE DI PARLAR TANTO DELL’ ALTRA VITA, DOVREBBE PIUTTOSTO OCCUPARSI DI QUESTA, DISTRUGGERE LA MISERIA, E DARCI LA FELICITA’.

R. Sotto quest’irragionevole accusa è nascosta una delle più grandi questioni sempre del giorno, sempre accese, che riguardano a ciò che vi ha di più intimo in noi: la questione della felicità. – Voi cercate la felicità; voi volete esser felice. — Voi avete ragione. Dio nella sua paterna bontà non ha potuto crearvi che per rendervi felice. Cercate dunque la felicità …. ma guardatevi di non ingannarvi nella scelta de’ mezzi ! Molte sono le vie aperte avanti a voi: Una sola è la vera …. Infelice chi ne prende una falsa!… Quest’errore è più facile che mai ai nostri giorni; perché giammai, io penso, il nostro paese fu più inondato di dottrine menzognere su quest’argomento. —Uomini colpevoli, o sviati spandono da ogni parte e per le mille maniere che fornisce la stampa, dottrine che adescano tutte le passioni, penetrano facilmente nello spirito delle popolazioni. – Essi vogliono persuaderci, che non siamo sulla terra che per godere, che le speranze della vita futura sono chimere; che la felicità consiste nella prosperità materiale, nel denaro, e nei piaceri che procura il denaro. — Alcuni più audaci e più logici, aggiungono, che per procurarsi questo denaro e questi piaceri, tutti i mezzi sono buoni, e che quand’anche avesse a perire la società, la famiglia, la Religione, bisogna che tutto il mondo arrivi a questa perfetta felicità terrena. Lo stato attuale della società umana è vizioso, dicono essi; bisogna distruggere tutto, tutto cambiare; bisogna che la terra muti aspetto; allora tutto il mondo sarà felice. Questa dottrina voi non la conoscete che troppo. È il Comunismo (Si chiama ancora fourierismo, socialismo, sansimonismo ecc. La sostanza di questi sistemi è la stessa: quanto olla morale, essi non differiscano chi nei particolari poco essenziali d’applicazione. Pei dotti questa dottrina sì chiama Panteismo. La morale del Panteismo è la stessa che quella del Comunismo, è il Comunismo, che parla latino, ed abbigliato da Pedagogo e da Pedante.). – Io non vi farò l’ingiuria di provarvi, che questa felicità di piaceri avvilisce. Ciò salta agli occhi. Esso annulla ciò che ci distingue dalle bestie, il bene, la virtù, il sacrificio, l’ordine morale. L’uomo non differisce più dal suo cane che per la pelle, e la figura; la felicità è la stessa per l’uno come per l’altro, la soddisfazione delle sue inclinazioni, il piacere! – Ma ciò di cui non si è appieno convinti, e ciò sopra cui voglio richiamare la vostra attenzione, è l’impossibilità pratica della dottrina comunista, l’assurdità della sua felicità universale. – Vorrei farvi toccar con mano la sua opposizione assoluta con la natura delle cose, coi fatti esistenti che nessuno può cangiare; convincervi che ella non è che un sogno, una dannosa e ridicola utopia, e che sotto le grandi parole colle quali si presenta avvi un niente. – Se vi è un fatto accertato, cosi chiaro come il sole, è senza dubbio la triste necessità in cui noi siamo tutti quaggiù di soffrire e morire; è la condizione umana in ciò che le è essenziale sulla terra; è Io stato in cui io sono, in cui voi siete, in cui sono stati i nostri padri, in cui saranno i nostri figli, da cui nessuno umano sforzo ci può sottrarre. – Avvi, io domando, sulla terra e non vi saranno per sempre, sempre, sempre, malattie, pene, dolori? Vi sono e non vi saranno sempre vedove ed orfani? Madri piangenti inconsolabilmente davanti la culla vuota del loro bambino? Vi sono, e non vi saranno sempre conflitti di caratteri, opposizioni di volontà, inganni maligni? Nulla potrà cambiare questo stato di cose. Una nuova organizzazione della società qual ella siasi, impedirà essa che noi abbiamo delle malattie, dei dolori, delle flussioni al petto, la febbre, la gotta, il colerà? che noi perdiamo quelli che amiamo?… Impedirà essa le intemperie così spiacevoli delle stagioni, il rigore del freddo d’inverno, l’ardore bruciante del sole d’estate?.. Impedirà essa che l’uomo abbia dei vizi? ch’esso abbia orgoglio, egoismo, violenza, odio? Impedirà essa soprattutto di morire? Tutto ciò è vero, o non é vero? E non è parimente tanto certo ed indubitabile che ciò è, quanto è certo che ciò sarà sempre? Bisognerebbe aver perduta la testa per negarlo. – Cosa diventa, ditemi, in presenza di questo fatto, cosa diventa in mezzo di tanti mali inevitabili questo piacere costante, questa perfetta felicità terrena, che ci promette il Comunismo?—Il solo avvicinarsi d’una malattia, d’un dispiacere della morte basta per annientarlo!… e questi terribili nemici sono continuamente alla nostra porta. – Dunque il vostro Comunismo, il vostro Socialismo (chiamatelo come volete) è un sogno, una vana utopia contraria alla natura delle cose. Dunque egli s’inganna, o egli m’inganna, quando mi prometto la felicità sulla terra dove non vi può essere, e quando la fa consistere in uno stato impossibile di piaceri. – Dunque bisogna che la cerchi altrove, perché io so che in qualche parte si trova: la sapienza, la bontà, la potenza di Dio me ne sono certo pegno. Dove adunque? Là dove me la fa vedere il Cristianesimo, in germe sulla terra,,perfetta nel Cielo. – Il Cristianesimo si accorda perfettamente col gran fatto della nostra condizione mortale. Esso ci spiega il terribile problema del dolore e della morte. – Esso ci fa vedere la punizione del peccato. Esso ci mostra nelle pene inevitabili della vita delle afflizioni passeggere destinale, nei disegni del nostro Padre Celeste, a provare la nostra fedeltà, a purificarci dalle nostre mancanze, a renderci più simili al nostro Salvator Crocifisso, a farci meritare una più grande felicità nella Patria eterna! Esso ce le fa sopportare con pazienza, talvolta ancora con gioia, esso ci fa amare la mano paterna, che non ci percuote se non per salvarci. – Esso prende l’uomo tutto intero, e tale quale egli è; esso tiene conto dei fatti, che dimentica il Comunismo (il peccato originale, la condanna alla penitenza, la redenzione di Gesù Cristo, la necessità d’imitare il Salvatore per aver parte alla sua redenzione, la vita eterna, che ci aspetta, ecc.). Esso non ragiona in aria, come il Comunismo, e sopra supposizioni chimeriche. – Tutti gl’interessi dell’uomo gli sono presenti il suo corpo, la sua anima, la sua vita in questo mondo, la sua vita futura, esso non dimentica niente! – Il Comunismo non vede in noi che la scorza, esso dimentica il midollo, l’anima. — Il Cristianesimo non dimentica punto la scorza, il corpo, ma vede altresì il midollo, e trova che il midollo vale ancor più che la scorza. — Esso riferisce tutto all’anima, all’eternità, a Dio. – Per un’azione altrettanto dolce, che potente, esso purga a poco a poco l’anima del suo orgoglio, delle sue cupidigie, della sua concupiscenza, del suo egoismo, dei suoi eccessi, in una parola di tutti i suoi vizi; esso va ancora alla radice più profonda della maggior parte di questi mali che noi continuamente sentiamo. – Quasi sempre infatti, i nostri mali vengono dalle nostre passioni, e queste passioni il Cristianesimo le calma, le trattiene, le doma. – Esso dà al nostro cuore questa gioia e pace sì dolce che produce la purità della coscienza. – La fede ci mostra chiaramente la via che conduce alla felicità, e a quale felicitai! … La speranza e l’amore ci fan correre in questa via, e rendono dolce ed amabile il giogo del dovere. – Se il Cristianesimo fa tanto per l’anima, come abbiamo detto, non oblia il corpo. Esso lo venera come il tempio di questa anima immortale che é essa stessa il tempio vivente di Dio. Esso si studia incessantemente a sollevarla, a guarirla, e a prevenire anche tutti i dolori coi suoi caritatevoli istituti, i suoi ospizi, ecc. – Dovunque la sua voce è ascoltata, la miseria va scemando, il ricco diventa l’amico, il fratello, sovente il servo del povero. Esso versa il suo superfluo nel seno degli infelici; e la povertà se non può esser distrutta diventa almeno sopportabile (La povertà non può essere distrutta, perché le sue cause non possono essere tolte. La prima è l’ineguaglianza delle forze fisiche, della sanità, dell’ingegno, dell’intelligenza, dell’attività ecc. tra gli uomini. È egli possibile rendere tutti gli uomini eguali in forza, talento e buona volontà?… La seconda causa della miseria, non meno profonda che l’alita, sono i vizi della nostra povera natura corrotta dal peccato: la pigrizia, la dissolutezza l’ubriachczza, la prodigalità ecc. La miseria è una delle punizioni del peccato. È impossibile distruggerla ma è possibile scemarla, sollevarla, addolcirla, santificarla. Ciò fa la religione. I ricchi adunque divengano buoni cristiani e caritatevoli, ed i poveri buoni cristiani e pazienti. Qui sta tutto il mistero). – Il Cristianesimo s’occupa del corpo, non come di principale e di padrone (ciò sarebbe un disordine), ma come di accessorio e di compagno. Esso lo conserva colla sobrietà e castità ; lo santifica col culto esteriore, colla partecipazione dei sacramenti, e soprattutto per l’unione al corpo sacrato di Gesù Cristo nell’Eucaristia…. – Esso raccoglie i suoi ultimi sospiri; l’accompagna con onore sino all’ultima sua dimora; e là ancora non gli dice un eterno addio! … Esso sa che un giorno questo corpo cristiano, purificato dal Battesimo della morte, sorgerà raggiante dalla sua polvere, risusciterà nella gloria, sarà riunito alla sua anima, e gusterà con essa nel paradiso ineffabili delizie…. Tale è il Cristianesimo.- Esso conosce, promette, concede la felicità. Esso dà sulla terra ciò che è possibile. Se non concede tutto, si è perché tutto né deve né può essere concesso sulla terra. Esso appoggia le sue promesse con prove le più irrefragabili. Ciò che non ha ancora, il Cristiano sa, è sicuro che l’avrà un giorno. – Così ogni vero cristiano è felice. Egli ha dei dispiaceri, dei dolori… egli è impassibile il non averne, ma il suo cuore è sempre soddisfatto, sempre calmo e contento. – Il Comunismo tratta egli così i poveri sviati che egli incanta colle sue chimere? Esso promette ciò che nessuna potenza umana può dare; promette l’impossibile … Esso non ha altra prova che l’affermare audace dei suoi capi! E i suoi capi son essi atti ad inspirare confidenza? – Il mondo sarà felice, dicono essi, quando tutto vi sarà cambiato »—Sì; ma quando sarà tutto cambiato?—Se, come crediamo averlo provato, questo cambiamento è contrario alla natura delle cose, il mondo corre gran rischio di giammai conoscere la felicità. Il Comunismo fa come quel parrucchiere della Guascogna, che metteva sulla sua insegna: « Qui per nulla si rade alla dimane ». La dimane resta sempre la dimane, e l’oggi non arrivava mai. – Il comunista vuole la ricompensa senza il lavoro; il cristiano vuole la ricompensa dopo il lavoro. L’uno parla come il cattivo operaio, l’altro come il buono. Così ogni ozioso, ogni pigro accetta volentieri le dottrine del Comunismo , e respinge per istinto la voce della religione. – Si guardi la nostra patria dunque da queste promesse vuole, ma seducenti, di cui i suoi nemici riempiono i loro giornali, i romanzi, libelli; che essa li respinga, ch’essa col suo disprezzo giudichi uomini, che non arrossiscono di proporre ai loro fratelli la vile felicità delle bestie, il piacere. Solleviamo la testa! Rianimiamo l’addormentala nostra fede; siamo, ritorniamo cristiani. Colà solamente è il rimedio ai nostri mali, istruiamoci in questa religione cattolica, che ha creato la nostra Patria! Penetriamone il nostro spirito, il nostro cuore, le nostre abitudini, le nostre istituzioni, le nostre leggi!…. Noi avremo la felicità possibile in questo mondo, e la felicità perfetta nell’altro mondo. Chi pretende di più è un insensato che non avrà né l’una, né l’altra.

IL FEENEYSMO

S. Alfonso, martello degli eretici

Dopo circa duemila anni, come se non bastassero tutte le bestialità di eretici e settari catalogate in una lunga lista di errori che hanno gangrenato la Chiesa, si è aggiunta alla predetta lista, di recente, una nuova eresia. Nel bel mezzo del XX secolo, durante il pontificato di Pio XII, il prete gesuita Leonard Feeney si è spinto a negare il Battesimo di sangue ed il Battesimo di desiderio. Questo punto della dottrina era per lui una libera interpretazione del dogma: “Fuori dalla Chiesa Cattolica non c’è salvezza”. Così secondo il padre Feeney, solo il Battesimo con acqua permette la salvezza dell’anima. La Chiesa Cattolica ha invece sempre insegnato ed applicato il Battesimo di desiderio e di sangue. Essa ha onorato in diverse occasioni i martiri che non avevano ricevuto il Battesimo con acqua. A titolo di esempio, quando essa ancora catecumena, san Emerenziana morì martirizzata nel IV secolo prima di essere canonizzata dalla Chiesa. Era stato dunque applicato il Battesimo di sangue. – Il Concilio di Trento, come il Catechismo di san Pio X, sono formali su questo dogma di fede. Il Codice di diritto canonico menziona che “il Battesimo è necessario, di fatto o almeno di desiderio, alla salvezza di tutti”. Nella Summa teologica [III, Q 66 art. 11] san Tommaso d’Aquino precisa sul soggetto del Battesimo di desiderio: “supponiamo ora un adulto che desidera il battesimo ed in pericolo di morte, che il prete non voglia battezzarlo senza denaro. Egli deve, se vuole, farsi battezzare da qualcun altro. Se questa possibilità non può realizzarsi, egli non deve assolutamente comprare col denaro il suo Battesimo, ma piuttosto morire senza averlo ricevuto. Il Battesimo di desiderio supplisce per lui al Sacramento che non può ricevere”. Il catechismo di San Pio X riprende la stessa tesi, infatti Papa San Pio X nel Catechismo della Chiesa cattolica scrive [III parte, n.545]: Q. Si può supplire in qualche modo alla mancanza del Battesimo? – R. Alla mancanza del Sacramento del Battesimo può supplire il martirio, che chiamasi Battesimo di sangue, o un atto di perfetto amor di Dio o di contrizione, che sia congiunto al desiderio almeno implicito del Battesimo, e questo si chiama Battesimo di desiderio. – Riferendosi al Concilio di Trento, san Alfonso Maria de’ Liguori scrive nella sua “Teologia morale”: “il Battesimo secondo l’etimologia greca significa abluzione o immersione nell’acqua, si distingue in battesimo di acqua, di fuoco (di desiderio), e di sangue (martirio). Più avanti tratteremo del battesimo di acqua; che molto probabilmente secondo san Tommaso, Salma, il maestro delle sentenze, Soto, Vasquez etc. fu istituito prima della Passione di Nostro Signore Gesù-Cristo, ai tempi in cui fu battezzato da San Giovanni. Ma il Battesimo di fuoco (di desiderio), è una perfetta conversione a Dio mediante la contrizione o l’amore di Dio sopra ogni altro con la voce esplicita o implicita del vero Battesimo d’acqua: questo dunque supplisce la forza, secondo il Concilio di Trento, quanto alla remissione del peccato, ma non quanto all’impressione del carattere, né quanto alla soppressione di tutta la pena del peccato. È detto “di fuoco” perché giunge per impulso dello Spirito-Santo, che è rappresentato da una fiamma.”. – Nel suo Catechismo di Perseveranza, monsignor Gaume è molto chiaro su questa questione: “Si distinguono tre tipi di Battesimo : il Battesimo di acqua, è il Sacramento del Battesimo, il Battesimo di sangue, è il martirio, il Battesimo di fuoco, è il desiderio di ricevere il Battesimo. Il secondo ed il terzo non sono dei sacramenti, ma essi suppliscono al Battesimo quando non è possibile riceverlo”. Una spiegazione simile è data nel “Catéchisme expliqué par monseigneur Cauly”: “Benché così rigorosa sia la legge del Battesimo d’acqua, questo Sacramento può essere supplito, per gli adulti, in due modi. Con la carità perfetta, che si chiama pure Battesimo di fuoco o di desiderio, e con il martirio, che si chiama talvolta il Battesimo di sangue”. Infine l’abate Francesco Spirago nel “Catechismo Cattolico Popolare” conclude: “Quando il Battesimo di acqua è impossibile, esso può essere supplito dal desiderio del Battesimo o dal martirio per Gesù-Cristo. Valentiniano II si era messo in cammino per andare a Milano a ricevere il battesimo, ma fu assassinato lungo la strada, e Sant’Ambrogio disse in questa occasione: “il suo desiderio del Battesimo, lo ha purificato”. Note sono pure le parole di S. Agostino: «Che il martirio qualche volta faccia le veci del Battesimo lo sostiene validamente S. Cipriano prendendo argomento da quel ladro non battezzato a cui fu detto: “Oggi sarai con me nel Paradiso”.[De bapt. contra Donat. 4, 22]. Nel Codice canonico pio-benedettino del 1917, documento accluso e parte integrante dell’enciclica di S. S. Benedetto XV: “Providentissima Mater”, e quindi da considerarsi senza alcun dubbio Magistero infallibile, il canone 1239, nello stabilire a chi debba essere concessa o negata la sepoltura ecclesiastica, afferma: “Non si ammetterà alla sepoltura ecclesiastica chi non è battezzato. .. I catecumeni sono ammessi, se ancora non battezzati senza loro colpa … – Potremmo ancora moltiplicare le fonti che approvano il Battesimo di desiderio e di sangue che suppliscono il Battesimo di acqua. Essi attestano una continuità e non una qualunque novità nell’insegnamento della Chiesa. Comunque il padre Leonard Feeney, che riteneva che Santi canonizzati, Pontefici e Concilii vari, fossero tutti in errore, mentre egli solo, ovviamente, possedeva la verità, rimase irremovibile; persistendo nell’errore questo americano di origine irlandese fu convocato dalla Chiesa romana. Non essendosi presentato alla convocazione, fu scomunicato nel 1953. La tesi del pr. Feeney è oggi ripresa dai fratelli Dimond del C.M.R.I. e della linea Thuc, i cui discepoli si considerano pure sedevacantisti [altra grave eresia]. Oltre il Battesimo del sangue e di desiderio, aderire a questa tesi eretica, significa pure rimettere in questione l’Infallibilità del Magistero della Chiesa, poiché il Concilio di Trento ed il catechismo di san Pio X sono considerati fallibili, così come il Codice canonico del 1917. Secondo questo ragionamento, la Chiesa Cattolica non sarebbe dunque di natura divina [come si vede la Congregazione Feeneysta del CMRI, della quale fanno parte pure dei finti sacrileghi vescovi senza giurisdizione e altrettanto finti sacerdoti senza alcuna missione canonica, quindi sacrileghi e “lupi vestiti da agnelli”, proclama una robusta serie di stravaganti eresie e, pur affermando che “fuori dalla Chiesa Cattolica non c’è salvezza”, si pone lontanissima dall’atrio della Chiesa Cattolica … beata incoerenza, essi sanno bene che fuori dalla Chiesa Cattolica non c’è salvezza, eppure non vi entrano loro, né fanno entrare quegli sventurati che li seguono]. Si realizza la profezia del Principe degli Apostoli: “Ci sono stati anche falsi profeti tra il popolo, come pure ci saranno in mezzo a voi falsi maestri che introdurranno eresie perniciose, rinnegando il Signore che li ha riscattati e attirandosi una pronta rovina. Molti seguiranno le loro dissolutezze e per colpa loro la via della verità sarà coperta di impropèri. Nella loro cupidigia vi sfrutteranno con parole false; ma la loro condanna è già da tempo all’opera e la loro rovina è in agguato. [2 Piet. II, 1-3]

CATTEDRA DI S. PIETRO

22 FEBBRAIO

CATTEDRA DI S. PIETRO IN ANTIOCHIA

Festa della Cattedra di Antiochia.

[Dom Guéranger: l’Anno Liturgico, vol I]

 

Per la seconda volta la santa Chiesa festeggia la cattedra di Pietro; ma oggi, siamo invitati a venerare non più il suo Pontificato in Roma, ma il suo Episcopato ad Antiochia. La permanenza del Principe degli Apostoli in quest’ultima città fu per essa la più grande gloria che conobbe dalla sua fondazione; pertanto, questo periodo occupa un posto tanto rilevante nella vita di S. Pietro da meritare d’essere celebrato dai cristiani.

Cristianesimo ad Antiochia.

Cornelio aveva ricevuto il battesimo a Cesarea dalle mani di Pietro, e l’ingresso di questo Romano nella Chiesa preannunciava il momento in cui il Cristianesimo doveva estendersi oltre la popolazione giudaica. Alcuni discepoli, i cui nomi non ci furono tramandati da Luca, fecero un tentativo di predicazione in Antiochia, ed il successo che ne riportarono indusse gli Apostoli ad inviarvi Barnaba. Giunto questi colà, non tardò ad associarsi un altro giudeo convertito da pochi anni e conosciuto ancora col nome di Saulo, che, più tardi, cambierà il suo nome con quello di Paolo e diventerà oltremodo glorioso in tutta la Chiesa. La parola di questi due uomini apostolici suscitò nuovi proseliti in seno alla gentilità, ed era facileprevedere che ben presto il centro della religione di Cristo non sarebbe stato più Gerusalemme, ma Antiochia. Così il Vangelo passava ai gentili e abbandonava l’ingrata città che non aveva conosciuto il tempo della sua visita (Lc. XIX, 44).

Pietro ad Antiochia.

La voce dell’intera tradizione c’informa che Pietro trasferì la sua residenza in questa terza città dell’Impero romano, quando la fede di Cristo cominciò ad avere quel magnifico sviluppo che abbiamo qui sopra ricordato. Tale mutamento di luogo e lo spostamento della Cattedra primaziale stanno a dimostrare che la Chiesa s’avanzava nei suoi destini e lasciava l’augusta cinta di Sion, per avviarsi verso l’intera umanità. – Sappiamo dal Papa S. Innocenzo I ch’ebbe luogo in Antiochia una riunione degli Apostoli. Ormai il vento dello Spirito Santo spingeva verso la gentilità le sue nubi sotto il cui emblema Isaia raffigura gli Apostoli (Is. LX, 8). S. Innocenzo, alla cui testimonianza si unisce quella di Vigilio, vescovo di Tarso, osserva che si deve riferire al tempo di questa riunione di S. Pietro e degli Apostoli ad Antiochia, quanto S. Luca scrive negli atti, là dove afferma che alle numerose conversioni di gentili, si incominciò a chiamare i discepoli di Cristo con l’appellativo, di Cristiani.

Le tre Cattedre di S. Pietro.

Dunque Antiochia è diventata la sede di Pietro, nella quale egli risiede, e dalla quale partirà per evangelizzare le diverse province dell’Asia; qui farà ritorno per ultimare la fondazione di questa nobile Chiesa. Sembrava che Alessandria, la seconda città dell’impero, volesse rivendicare a sé l’onore della sede del primato, quando piegò la testa sotto il gioco di Cristo. Ma ormai Roma, da tempo predestinata dalla divina Provvidenza a dominare il mondo, ne avrà maggior diritto. Pietro allora si metterà in cammino, portando nella sua persona i destini della Chiesa; si fermerà a Roma, ove morirà e lascerà la sua successione. Nell’ora segnata, si distaccherà da Antiochia e stabilirà vescovo Evodio, suo discepolo. Questi, quale successore di Pietro, sarà Vescovo di Antiochia; ma la sua Chiesa non eredita il primato che Pietro porta con sè. Il principe degli Apostoli designa Marco, suo discepolo, a prender in suo nome possesso di Alessandria; la quale sarà la seconda Chiesa dell’universo e precederà la stessa sede di Antiochia, per volontà di Pietro, che però non ne occupò mai personalmente la sede. Egli è diretto a Roma: ivi finalmente, fisserà la Cattedra sulla quale vivrà, insegnerà e governerà nei suoi successori. – Questa l’origine delle tre grandi Cattedre Patriarcali così venerate anticamente: la prima, Roma, investita della pienezza dei diritti del principe degli Apostoli, che gliele trasmise morendo; la seconda, Alessandria, che deve la sua preminenza alla distinzione di cui volle insignirla Pietro adottandola per sua seconda sede; la terza, Antiochia, sulla quale si assise di persona, allorché, rinunciando a Gerusalemme, volle portare alla Gentilità le grazie dell’adozione. – Se dunque Antiochia cede in superiorità ad Alessandria, quest’ultima le è inferiore rispetto all’onore d’aver posseduta la persona di colui che Cristo aveva investito dell’ufficio di Pastore supremo. E’ dunque giusto che la Chiesa onori Antiochia per aver avuto la gloria d’essere temporaneamente il centro della cristianità: è questo il significato della festa che oggi celebriamo (i).

Doveri verso la Cattedra di S. Pietro.

Le solennità che si riferiscono a S. Pietro devono interessare in modo speciale i figli della Chiesa. La festa del padre è sempre quella dell’intera famiglia, perché da lui viene la vita e l’essere. Se ‘è un solo gregge, è perché esiste un solo Pastore. Onoriamo perciò la divina prerogativa di Pietro, alla quale il Cristianesimo deve la sua conservazione; riconosciamo gli obblighi che abbiamo verso la Sede Apostolica. Il giorno che celebravamo la Cattedra Romana, apprendemmo come viene insegnata, conservata e propagata la Fede dalla Chiesa Madre nella quale risiedono le promesse fatte a Pietro. Onoriamo oggi la Sede Apostolica, quale unica sorgente del legittimo potere, mediante il quale vengono retti e governati i popoli in ordine alla salvezza eterna.

Poteri di Pietro.

Il Salvatore disse a Pietro: « Io ti darò le Chiavi del Regno dei cieli » (Mt. XVI, 19), cioè della Chiesa; ed ancora: « Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle» (Gv. XXI, 15-17). Pietro dunque è principe, perché le Chiavi, nella Sacra Scrittura, significano il principato; e Pastore, Pastore universale, perché non vi sono in seno al gregge che pecore ed agnelli. Ma ecco che, per divina bontà, in ogni parte incontriamo Pastori: i Vescovi, « posti dallo Spirito Santo a reggere la Chiesa di Dio » (Atti XX, 28), che in suo nome governano le cristianità, e sono anch’essi Pastori. Come mai le Chiavi, che sono eredità di Pietro, si trovano in altre mani, che non sono le sue? La Chiesa cattolica ce ne spiega il mistero nei documenti della sua Tradizione. (1) Facemmo osservare il 18 gennaio che, secondo l’antica tradizione romana, conservata inalterata sino al XVI secolo, oggi si celebrava la festa della Cattedra romana di S. Pietro, senza il menomo cenno di Antiochia, perché ci si limitava a venerare la Cattedra vaticana, simbolo del primato universale di S. Pietro e dei suoi successori. Le Chiese delle Gallie, escludendo qualsiasi solennità in Quaresima, avevano trasferita tale festa al 18 gennaio. Da tre secoli a questa parte, fu la pietà verso il Principe degli Apostoli che suggerì di estendere gli onori dovuti alla sua parola anche alla Cattedra di Antiochia. – Ecco Tertulliano affermare che « il Signore diede le Chiavi a Pietro, e per mezzo suo alla Chiesa » (Scorpiaco, c. 10); S. Ottato di Milevi, aggiungere che, « per il bene dell’unità, Pietro fu preferito agli altri Apostoli, e, solo, ricevette le Chiavi del Regno dei cieli per trasmetterle agli altri » (Contro Parminiano, 1. 8); S. Gregorio Nisseno, dichiarare che « per mezzo di Pietro, Cristo comunicò ai Vescovi le Chiavi della loro celeste prerogativa» (Opp., t. 3); e infine S. Leone Magno, precisare che « il Salvatore diede per mezzo di Pietro agli altri prìncipi della Chiesa tutto ciò che ha creduto opportuno di comunicare » (Nell’anno della sua elevazione al Sommo Pontificato, Discorso 4, P. L., 54, c. 150).

Poteri dei Vescovi.

Quindi l’Episcopato rimarrà sempre sacro, perché si ricollega a Gesù Cristo per mezzo di Pietro e dei suoi successori; ed è ciò che la Tradizione cattolica ha sempre affermato nella maniera più imponente, plaudendo al linguaggio dei Pontefici Romani, che non hanno mai cessato di dichiarare, sin dai primi secoli, che la dignità dei Vescovi era quella di compartecipare alla propria sollecitudine, “in partem sollicitudinis vocatos”. Per tale ragione S. Cipriano non ebbe difficoltà d’affermare che, « volendo il Signore stabilire la dignità episcopale e costituire la sua Chiesa, disse a Pietro: Io ti darò le Chiavi del Regno dei cieli; e da ciò deriva l’istituzione dei Vescovi e la costituzione della Chiesa » (Lettera 33). – La stessa cosa ripete, dopo il vescovo di Cartagine, S. Cesario d’Arles, nelle Gallie, nel V secolo, quando scrive al Papa S. Simmaco: « Poiché l’Episcopato attinge la sua sorgente nella persona del beato Pietro Apostolo, ne consegue necessariamente che tocca a Vostra Santità prescrivere alle diverse Chiese le norme alle quali esse si devono conformare » (Lettera 10). Questa fondamentale dottrina, che S. Leone Magno espresse con tanta autorità ed eloquenza, e che in altre parole è la stessa che abbiamo ora esposta mediante la Tradizione, la vediamo imposta a tutte le Chiese, prima di S. Leone, nelle magnifiche Epistole di S. Innocenzo I arrivate fino a noi. In questo senso egli scrive al concilio di Cartagine che « l’Episcopato ed ogni sua autorità emanano dalla Sede Apostolica » {Ibid. 29) ; al concilio di Milevi che « i Vescovi devono considerare Pietro come la sorgente del loro appellativo e della loro dignità » {Ibid. 30) ; a San Vitricio, Vescovo di Rouen, che « l’Apostolato e l’Episcopato traggono da Pietro la loro origine » (Ibid. 2). – Non abbiamo qui l’intenzione di fare un trattato polemico; il nostro scopo, nel presentare i magnifici titoli della Cattedra di Pietro, non è altro che quello di alimentare nel cuore dei fedeli quella venerazione e devozione da cui devono essere animati verso di lei. Ma è necessario ch’essi conoscano la sorgente dell’autorità spirituale, che nei diversi gradi di gerarchia li regge e li santifica. Tutto passa da Pietro, tutto deriva dal Romano Pontefice, nel quale Pietro si perpetuerà fino alla consumazione dei secoli. Gesù Cristo è il principio dell’Episcopato,lo Spirito Santo stabilisce i Vescovi, ma la missione, l’istituzione che assegna al Pastore il suo gregge ed al gregge il proprio Pastore, Gesù Cristo e lo Spirito Santo le comunicano attraverso il ministero di Pietro e dei suoi successori.

Trasmissione del potere delle Chiavi.

Com’è sacra e divina questa autorità delle Chiavi, che, discendendo dal cielo nel Romano Pontefice, da lui, attraverso i Prelati della Chiesa, scende su tutta la società cristiana ch’egli deve reggere e santificare! Il modo di trasmissione attraverso la Sede Apostolica ha potuto variare secondo i secoli; ma mai alcun potere fu emanato se non dalla Cattedra di Pietro. A principio vi furono tre Cattedre: Roma, Alessandria, Antiochia; tutte e tre, sorgenti dell’istituzione canonica per i Vescovi che le riguardano; ma tutte e tre considerate altrettante Cattedre di Pietro da lui fondate per presiedere, come insegnano S. Leone (Lettera 104 ad Anatolio), S. Gelasio (Concilio Romano, Labbe, t. 4) e S. Gregorio Magno (Lettera ad Eulogio). Ma, delle tre Cattedre, il Pontefice che sedeva sulla prima aveva ricevuto dal cielo la sua istituzione, mentre gli altri due Patriarchi non esercitavano la loro potestà se non perché riconosciuti e confermati da chi era succeduto a Roma sulla Cattedra di Pietro. Più tardi, a queste prime tre, si vollero aggiungere due nuove Sedi: Costantinopoli e Gerusalemme; ma non arrivarono a tale onore, se non col beneplacito del Romano Pontefice. Inoltre, affinché gli uomini non corressero pericolo di confondere le accidentali distinzioni di cui furono ornate quelle diverse Chiese, con la prerogativa della Chiesa Romana, Dio permise che le Sedi d’Alessandria, d’Antiochia, di Costantinopoli e di Gerusalemme fossero contaminate dall’eresia; e che divenute altrettante Cattedre di errore, dal momento che avevano alterata la fede trasmessa loro da Roma con la vita, cessassero di tramandare la legittima missione. Ad una ad una, i nostri padri videro cadere quelle antiche colonne, che la mano paterna di Pietro aveva elevate; ma la loro rovina ancora più solennemente attesta quanto sia solido l’edificio che la mano di Cristo fondò su Pietro. – D’allora, il mistero dell’unità s’è rivelato in una luce più grande; e Roma, avocando a sé i favori riversati sulle Chiese che avevano tradita la Madre comune, apparve con più chiara evidenza l’unico principio del potere pastorale.

Doveri di rispetto e sudditanza.

Spetta dunque a noi, sacerdoti e fedeli, ricercare la sorgente dalla quale i nostri pastori attinsero i poteri, e la mano che trasmise loro le Chiavi. Emana la loro missione dalla Sede Apostolica ? Se è così, essi vengono da parte di Gesù Cristo, che, per mezzo di Pietro, affidò loro la sua autorità, e quindi dobbiamo onorarli ed esser loro soggetti. – Se invece si mostrano a noi senza essere investiti del Mandato del Romano Pontefice, non seguiamoli, ché Cristo non li riconosce. Anche se rivestono il sacro carattere conferito dall’unzione episcopale, non rientrano affatto nell’Ordine Pastorale; e le pecore fedeli se ne devono allontanare.Infatti, il divino Fondatore della Chiesa non si contentò d’assegnarle la visibilità come nota essenziale, perché fosse una Città edificata sul monte (Mt. V, 14) e colpisse chiunque la guardasse; Egli volle pure che il potere divino esercitato dai Pastori derivasse da una visibile sorgente, affinché ogni fedele potesse verificare le attribuzioni di coloro che a lui si presentano a reclamare la propria anima in nome di Gesù Cristo. Il Signore non poteva comportarsi diversamente verso di noi, poiché, dopo tutto, nel giorno del giudizio Egli esigerà che siamo stati membri della sua Chiesa e che abbiamo vissuto, nei suoi rapporti, mediante il ministero dei suoi Pastori legittimi. Onore, perciò, e sottomissione a Cristo nel suo Vicario; onore e sottomissione al Vicario di Cristo nei Pastori che manda.

Elogio.

Gloria a te, o Principe degli Apostoli, sulla Cattedra di Antiochia, dall’alto della quale presiedesti ai destini della Chiesa universale! Come sono splendide le tappe del tuo Apostolato! Gerusalemme, Antiochia, Alessandria nella persona di Marco tuo discepolo, e finalmente Roma nella tua stessa persona; ecco le città che onorasti con la tua augusta Cattedra. Dopo Roma, non vi fu città alcuna che ti ebbe per sì lungo tempo come Antiochia ; è dunque giusto che rendiamo onore a quella Chiesa che, per tuo mezzo fu un tempo madre e maestra delle altre. Ahimè! oggi essa ha perduto la sua bellezza, la fede è scomparsa nel suo seno, e il giogo del Saraceno pesa su di lei. Salvala, o Pietro, e reggila ancora; assoggettala alla Cattedra di Roma, sulla quale ti sei assiso, non per un limitato numero di anni, ma fino alla consumazione dei secoli. Immutabile roccia della Chiesa, le tempeste si sono scatenate contro di te, e più d’una volta abbiamo visto coi nostri occhi la Cattedra immortale essere momentaneamente trasferita lontano da Roma [come pure è attualmente in esilio . ndr. -]. Ci ricordavamo allora della bella espressione di S. Ambrogio: Dov’è Pietro, ivi è la Chiesa, e i nostri cuori non si turbarono; perchè sappiamo che fu per ispirazione divina che Pietro scelse Roma come il luogo dove la sua Cattedra poggerà per sempre. Nessuna volontà umana potrà mai separare ciò che Dio legò; il Vescovo di Roma sarà sempre il Vicario di Gesù Cristo e il Vicario di Gesù Cristo, sebbene esiliato [come è oggi appunto – ndr. – ] dalla sacrilega violenza dei persecutori, rimarrà sempre il Vescovo di Roma.

Preghiera.

Calma le tempeste, o Pietro, affinché i deboli non ne siano scossi; ottieni dal Signore che la residenza del tuo successore non venga mai interrotta nella città che tu eleggesti ed innalzasti a tanti onori. – Se gli abitanti di questa città regina hanno meritato d’essere castigati perché dimentichi di ciò che ti devono, risparmiali per riguardo dell’universo cattolico, e fa’ che la loro fede, come al tempo in cui Paolo tuo fratello indirizzava la sua Epistola, torni ad essere famosa in tutto il mondò (Rom. I, 8).

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Rileggendo questo notevole scritto di dom Guéranger si possono chiarire e comprendere meglio tante cose che riguardano i nostri tempi circa l’importanza della figura del Pontefice romano, oggi tanto bistrattata dagli eretici “falsi tradizionalisti” sedevacantisti, e dagli “adepti della setta modernista” guidata dagli antipapi marrani che dal 1958 occupano indegnamente e fraudolentemente la gloriosa Cattedra di Pietro. Soprattutto significativo, e fondamentale per la salvezza dell’anima, è il passaggio ove precisa: “Se invece si mostrano a noi senza essere investiti del Mandato del Romano Pontefice, non seguiamoli, ché Cristo non li riconosce. Ma, come da promessa evangelica e da infallibile Magistero ecclesiastico, il successore di Pietro [quello vero] c’è, anche se non a Roma, e si avvia a compiere [il 3 maggio] il suo 26° anno di Pontificato, uno dei più lunghi della storia della Chiesa, dopo S. Pietro, Pio IX e Gregorio XVII. Lunga vita al nostro Santo Padre, GREGORIO XVIII, con la speranza che possa nuovamente occupare, e quanto prima, la Cattedra usurpata, … o almeno il suo prossimo successore …

Dal Divinum Officium:

I lett. di S. Pietro

Pietro, Apostolo di Gesù Cristo, ai fedeli esuli sparsi per il Ponto, per la Galizia, la Cappadocia, l’Asia e Bitinia, Eletti, secondo la prescienza di Dio Padre, ad essere santificati dallo Spirito, ad essere sudditi di Gesù Cristo, e ad essere aspersi dal suo sangue: Grazia e pace scendano in abbondanza su voi. Benedetto Dio, Padre di nostro Signor Gesù Cristo, che, nella sua grande misericordia, ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo da morte, alla viva speranza di possedere Una eredità incorruttibile, e incontaminata, e immarcescibile, riservata nei cieli per voi che dalla potenza di Dio siete custoditi, mediante la fede per la salvezza, che è pronta a manifestarsi colla fine del tempo. In questo (pensiero) voi esulterete, sia pure che dobbiate essere ora per poco afflitti da diverse prove: affinché la prova della vostra fede molto più preziosa dell’oro (che pur si prova col fuoco) torni a lode, a gloria e ad onore quando si manifesterà Gesù Cristo: che voi amate senza aver veduto: in cui anche adesso credete senza vederlo: e, credendo così, esulterete di gioia ineffabile e beata perché conseguirete il fine della vostra fede, la salvezza delle anime. 10 Salvezza che ricercarono e scrutarono i profeti, che predissero la grazia che voi dovevate ricevere; 11 E siccome essi indagavano il tempo e le circostanze che lo Spirito di Cristo, ch’era in essi, andava rivelando intorno alle sofferenze di Cristo e alle glorie susseguenti, 12 Che prediceva loro, fu ad essi rivelato che non per sé ma per voi essi erano dispensatori delle cose che ora vi sono state annunziate da quelli che vi hanno predicato il Vangelo, mercé lo Spirito Santo mandato dal cielo, e che gli Angeli bramano di contemplare.

Sermone di sant’Agostino Vescovo

Sermone 15 sui Santi

L’istituzione dell’odierna solennità ricevé dai nostri antenati il nome di Cattedra, perché è tradizione che Pietro, principe degli Apostoli, prendesse possesso quest’oggi della sua sede episcopale. I fedeli perciò, con ragione, celebrano l’origine di quella Sede onde l’Apostolo fu investito per la salute delle chiese con quelle parole del Signore: «Tu sei Pietro, e su questa pietra io edificherò la mia Chiesa» (Matth. XVI, 18). – Il Signore dunque ha chiamato Pietro il fondamento della Chiesa: ed è perciò che la Chiesa venera giustamente questo fondamento sul quale poggia tutto l’edificio ecclesiastico. Quindi ben a ragione si dice nel Salmo ch’è stato letto: «Lo esaltino nell’adunanza del popolo, e lo lodino nel consesso dei seniori» (Ps. 106, 32). Benedetto Dio, che prescrive d’esaltare il beato Pietro Apostolo nell’adunanza del fedeli; è giusto infatti che la Chiesa veneri questo fondamento per cui si sale al cielo. – Celebrando dunque quest’oggi l’origine della Cattedra, noi onoriamo il ministero sacerdotale. Le chiese si rendono questo mutuo onore, comprendendo esse che la Chiesa tanto più cresce in dignità, quanto più viene onorato il ministero sacerdotale. Avendo dunque una pia usanza introdotto giustamente nelle chiese questa solennità, mi meraviglio delle grandi proporzioni che ha preso oggi un pernicioso errore tutto pagano, di portare cioè sulle tombe dei defunti dei cibi e del vino, come se le anime, che hanno abbandonato i loro corpi, reclamassero questi cibi propri della carne.

Omelia di san Leone Papa

Sermone 3 nell’anniversario della sua elezione, dopo il principio

Il Signore domanda agli Apostoli, chi dicesse la gente ch’egli sia: e la loro risposta è comune finché essi esprimono l’incertezza dello spirito degli uomini. Ma appena interroga i discepoli sul proprio sentire, il primo in dignità fra gli Apostoli è il primo ancora a confessare il Signore. Ed avendo egli detto: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Matth. 16, 16); Gesù gli rispose: «Beato te, Simone, figlio di Giona, perché non te l’ha rivelato la natura e l’istinto, ma il Padre mio ch’è nei cieli» (Matth. 16, 17). Vale a dire: Perciò tu sei beato, perché te l’ha insegnato il Padre mio; non sei stato ingannato dall’opinione terrena, ma te l’ha dichiarato l’ispirazione celeste: e non la natura e l’istinto mi ti han fatto conoscere, ma colui del quale sono il Figlio unigenito. – «E io, continua, ti dico» (Matth. XVI, 18); cioè: Come il Padre mio ti ha manifestato la mia divinità, così io pure ti faccio conoscere la tua propria eccellenza. Perché tu sei Pietro: cioè: Mentre io sono la pietra inviolabile, la pietra angolare che di due (popoli) ne faccio uno, io il fondamento all’infuori del quale nessuno può porne altro; tuttavia anche tu sei pietra, essendo confermato dalla mia virtù, così che quanto m’appartiene di proprio, quanto al potere, ti sia comune per la mia partecipazione. «E su questa pietra io edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno non prevarranno contro di lei» (Matth. 1XVI 18): Su questa fortezza, dice, edificherò un tempio eterno; e la sublimità della mia Chiesa, che deve penetrare il cielo, si eleverà sulla fermezza di questa fede. – Le porte dell’inferno non impediranno mai questa confessione (di Pietro), né la legheranno punto le catene della morte; poiché questa parola è parola di vita. E come essa innalza al cielo i suoi confessori, così ne sommerge nell’inferno i negatori. Perciò dice al beatissimo Pietro: «Ti darò le chiavi del regno dei cieli: e qualunque cosa legherai sulla terra, sarà legata anche nei cieli; e qualunque cosa scioglierai sulla terra, sarà sciolta anche nei cieli» (Matth. 1XVI, 19). Certo, questo potere fu comunicato anche agli altri Apostoli, e questo decreto costitutivo riguarda egualmente tutti i principi della Chiesa; ma confidando questa prerogativa, non senza motivo il Signore s’indirizza a uno solo, benché parli a tutti. Essa è affidata particolarmente a Pietro, perché Pietro è stabilito capo di tutti i pastori della Chiesa. Il privilegio dunque di Pietro sussiste in ogni giudizio portato in virtù della sua legittima autorità. E non c’è eccesso né di severità né di indulgenza, dove non si lega né si scioglie se non ciò che il beato Pietro avrà sciolto o legato.

 

Hymnus

“Beate Pastor, Petre, clemens accipe Voces precantum, criminumque vincula Verbo resolve, cui potestas tradita Aperire terris caelum, apertum claudere. Sit Trinitati sempiterna gloria, Honor, potestas, atque jubilatio, In unitate, quae gubernat omnia, Per universa aeternitatis sæcula. Amen.”

[Beato Pietro Pastore, accogli clemente le voci dei supplicanti, e spezza con una parola le catene dei peccati, tu cui fu dato il potere di aprire il cielo alla terra, e di chiuderlo se aperto. Alla Trinità sia sempiterna gloria, onore, potere e giubilo, la quale nella (sua) unità governa ogni cosa, per tutti i secoli eterni. Amen.]

Hymnus [ai Vespri]

Quodcumque in orbe nexibus revinxeris, Erit revinctum, Petre, in arce siderum: Et quod resolvit hic potestas tradita, Erit solutum caeli in alto vertice; In fine mundi judicabis sæculum. Patri perenne sit per ævum gloria, Tibique laudes concinamus inclytas, Aeterne Nate, sit superne Spiritus, Honor tibi, decusque: sancta jugiter Laudetur omne Trinitas per sæculum. Amen.”

[Tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato, o Pietro, nella rocca celeste: e tutto ciò che scioglierà quaggiù il potere concessoti, sarà sciolto nelle altezze del cielo: alla fine del mondo tu giudicherai il secolo. Al Padre eterno sia perenne gloria; e a te, Figlio eterno, noi cantiamo insigni lodi; a te, Spirito Santo, sia onore e splendore: la santa Trinità sia ognor lodata per tutti i secoli Amen.]

… et super hanc petram ædificabo Ecclesiam meam, et portæ inferi non prævalebunt adversus eam

I PROTESTANTI, “FRATELLI” [di loggia?] DEGLI APOSTATI MODERNISTI

I PROTESTANTI, “FRATELLI” [di loggia?] DEGLI APOSTATI MODERNISTI

Un tempo nemmeno troppo lontano, venivano chiamati eretici e scismatici. Oggi i modernisti li chiamano “fratelli separati”, e dicono che hanno in comune con loro l’eredità spirituale. A pensarci bene è proprio vero, perché questa eredità a ben vedere, è il … satanismo! Ecco qui, brevemente tratteggiati da par suo dall’Abate J. J. Gaume, i figuri che i più accesi tra i modernisti vorrebbero addirittura canonizzare, … d’altra parte che c’è di strano, visto che ne hanno già falsamente canonizzati diversi ancor peggiori di questi! Il bianco burattino ultramodernista del b’nai b’rith è corso già ad osannare, a prostrarsi, a partecipare ai festeggiamenti del V centenario dell’istituzione turpe, blasfema ed apostatica del luteranesimo. Ma si sa, il patrimonio spirituale oramai è il medesimo: il satanismo di matrice massonica!

Protestanti

[J.J- GAUME: Catechismo di Perseveranza, Vol. 3 – Torino tip. G. Speirani e f., 1881]

Noi siamo sul punto di assistere al più grande combattimento che siasi dato alla Chiesa nostra madre dall’Arianesimo in poi; nel corso del sedicesimo secolo sembra che l’inferno abbia schierato tutte le sue forze. Quattro giganteschi settari si presentano con lo stendardo alla mano della rivolta. Non attaccano essi più un domma, un sacramento, una pratica particolare della Religione, ma l’autorità medesima della Chiesa, base del domma e della morale. Il loro grido di guerra sono quelle parole diaboliche che rovinarono la stirpe umana: Spezzate il giogo dell’autorità e diventerete come Dei. E gl’ingrati popoli si credettero abbastanza forti, abbastanza illuminati per bastare a se stessi, e accorsero in folla sotto le bandiere della ribellione, e assalirono con furore quell’antica Chiesa, alla quale erano debitori della educazione, della libertà, de’ costumi, delle leggi, della civiltà, della superiorità e perfino dell’esistenza. – Alcuni abusi veri o supposti servirono di pretesto alla loro defezione: ma non era questa la vera cagione; l’orgoglio umano era intollerante del freno dell’autorità, e si ribellò. Fu questa l’origine del Protestantesimo: lo indica abbastanza lo stesso nome. Il cristianesimo, al suo nascere, aveva dovuto sostenere la ribellione della forza materiale, personificata negli imperatori romani: sei secoli dopo dovette sostenere la ribellione de’ sensi, personificata in Maometto; mille anni dopo ei doveva sostenere la ribellione dell’orgoglio, personificato in Lutero. Quindi l’ambizione, la voluttà, l’orgoglio furono in tutte le epoche i tre nemici del Cristianesimo, e tali saranno eternamente. Or è d’uopo conoscere i campioni dell’orgoglio sedizioso, cioè del protestantismo: son essi ben degni della causa che difendono!

Lutero.

Lutero nacque in Germania nel 1484. Essendo stato un suo compagno ucciso dal fulmine mentre passeggiavano insieme, ei rimase talmente colpito da tale sinistro che si fece Agostiniano. Quivi nel leggere gli scritti dell’eretico Giovanni Hus, concepì un odio implacabile contro la Chiesa Romana; e ardente, impetuoso, orgoglioso esalò ben presto la bile ed il veleno in alcune tesi sostenute nel 1516. Avendo il Pontefice Leone X fatta pubblicare una indulgenza a favore di coloro che contribuivano all’ultimazione della chiesa di san Pietro di Roma, Lutero si levò la maschera e attaccò le indulgenze, poi la libertà dell’uomo, quindi la confessione, in seguito il primato del Papa, e per ultimo i voti monastici. Il Sommo Pontefice condannò i costui errori con Bolla del 1520: ma per risposta il frate apostata la fece ardere pubblicamente a Wittemberga. – Allora egli pubblicò il suo libro Della schiavitù di Babilonia. Dopo aver confessato ch’ei si pente di essere stato sì moderato, ammenda il proprio fallo con tutte le ingiurie che il delirio più avventato può somministrare a un eretico. Egli esorta i principi a scuotere il giogo del Papismo, e abolisce ad un tratto quattro sacramenti. E siccome questi audaci tentativi eccitavano vivi reclami, Lutero, per darsi una sembianza di ragione, prese a giudice la facoltà di teologia di Parigi, di cui aveva sempre venerato la profonda dottrina. La facoltà lo condannò ad una voce, onde il monaco eretico entrò in furore, e vomitò contro di lei le ingiurie le più grossolane. – Contemporaneamente Enrico VIII re d’Inghilterra pubblicò contro di lui un’opera che dedicò al Pontefice Leone X. Quello scritto fruttò al monarca inglese il titolo di « Difensore della fede » che i suoi successori hanno conservato e impresso su le loro monete. Lutero furioso ebbe ricorso alle ingiurie, sua ordinaria risposta. Eccovi un saggio delle leggiadrie e delle lepidezze che uscivano dalla sua penna : « io non so se la follia stessa, egli diceva, può essere così insensata quanto la mente del povero Enrico: oh! quanto volentieri coprirei quella inglese maestà di fango e di sozzure, e ne avrei ben diritto: venite a me, Ser Enrico, ed io v’ammaestrerò 1 ». [“Veniatis, Domine Henrice, ego docebo vos.”]. Al qual proposito Erasmo non ha potuto a meno di osservare, che Lutero avrebbe almeno dovuto parlar latino, e non aggiungere i solecismi alle villanie. Ritirato in un castello, sotto la protezione di Federico, Elettore di Sassonia, l’ardente apostata scriveva tutte le stravaganze che gli passavano per la testa. Fra le altre cose ei disse di avere avuto un colloquio col diavolo, e avergli questo manifestato che se voleva salvarsi doveva abolire tutte le messe non solenni, ed egli infatti scrisse contro le medesime. Tuttavia per Lutero diveniva, a lungo andare, troppo angusto il castello in cui dimorava; quindi percorse la Germania, e per avere più seguaci dispensò i sacerdoti, i monaci e le monache dal voto di castità, e ciò in un’opera, in cui la modestia è offesa in mille maniere. Dopo aver fatto un appello alla impudicizia, ei ne fece uno all’avarizia, e quindi pubblicò nel 1522 un’opera intitolata, Trattato del fisco comune. In essa invitava i regnanti ad impossessarsi delle rendite di tutti i monasteri, abbazie, vescovadi, e in generale di tutti i benefizi ecclesiastici. L’esca del guadagno produsse a Lutero più proseliti che non i suoi scritti; e il suo partito s’impinguò ben presto di quanti vi avevano uomini incontinenti e principi ambiziosi, estendendosi in gran parte della Germania. – Il predicatore del nuovo Vangelo lasciò in quel tempo l’abito agostiniano, e l’anno di poi, cioè 1525, sposò una monaca che aveva fatto uscire dal suo convento; e poco dopo diede al mondo cristiano uno spettacolo anche più strano, permettendo pubblicamente a Filippo, Landgravio di Assia, di prendere due mogli. – L’imperatore Carlo V, dolente di quegli scandalosi eccessi, convocò una Dieta o assemblea di principi Tedeschi a Spira nel 1529. Da essa i Luterani presero il nome di Protestanti per aver protestato contro i l decreto della Dieta, che ordinava dovessero attenersi alla religione della Chiesa cattolica. – Lutero non ne fu che maggiormente irritato. Ogni anno pubblicava un nuovo libello contro il Sommo Pontefice o contro ì principi o i teologi cattolici. Ecco un nuovo saggio del suo stile : ei chiamava Roma la feccia di Sodoma, la prostituta Babilonia; il Papa, uno scellerato che sputava diavoli; i Cardinali, miserabili che bisognava distruggere. « S’io ne avessi il potere, ei diceva, io farei un solo fardello del papa e de’ cardinali per gettarli unitamente in mare; questo bagno li guarirebbe, ve lo giuro, e ne do per mallevadore Gesù Cristo». Parla con la stessa dolcezza de’ teologi cattolici, e le sue più gentili parole sono: bestia, porco, epicureo,ateo, ecc. Co’ suoi stessi seguaci era sdegnoso egualmente che coi cattolici; li minacciava, se continuavano a contraddirlo o ricredersi di quanto egli aveva insegnato: minaccia ben degna dì un apostolo di menzogna! Avendo gli Zuingliani, di cui parleremo tra poco, avuto la disgrazia di offenderlo prorompe: « Il diavolo si è impossessato di loro; sono persone indiavolate, sopraindiavolate, perindiavolate; il loro linguaggio non è che un linguaggio di menzogna, messo in moto a talento di Satana, infuso e soprainfuso del suo veleno infernale ». Finalmente nel suo furore ei scagliava ingiurie a se stesso; diceva di esser pieno di diavoli, di esser satanizzato, soprasatanizzato. È questo forse il linguaggio di un apostolo di verità? – Dacché si fece apostata, la sua vita si consumò in furibonde declamazioni e in dissolutezze. Si conserva tuttavia una Bibbia, in fine della quale si legge una preghiera in versi tedeschi e scritta di mano di Lutero, il cui senso è questo: « Mio Dio, per vostra bontà, provvedeteci di vesti, di cappelli, di cappe e di mantelli, di vitelli ben grassi, di capretti, di bovi, di montoni, di giovenche e di quanto abbisogna per soddifare a’ nostri gusti . . . bever bene e mangiar bene è il vero mezzo di non annoiarsi ». [Cristiano Juncker, Vita Lutheri , pag. 225.] – Questa preghiera, in cui l’indecenza, l’empietà, la lussuria, la gola si contendono la palma, dà una giusta idea del Capo della pretesa Riforma. Egli morì nel 1546, in età di sessantadue anni, per aver troppo mangiato e troppo bevuto com’era suo costume. Monaco apostata e seduttore di una monaca, amico della taverna e della gozzoviglia; buffone empio e lubrico, che per primo pose in fuoco la Chiesa sotto pretesto di riformarla, e che in prova della sua strana missione, che certamente chiedeva miracoli i più luminosi, offerse, come Maometto, i successi della spada, il progresso del libertinaggio, gli eccessi della discordia, della ribellione e della crudeltà, del sacrilegio e della malvagità: ecco qual fu Lutero [Vedi Viaggio d’un Gentiluomo Irlandese in cerca d’una Religione. — Vite di Lutero, di Juncker e di Audin.]

Zuinglio.

Curato di Santa Maria degli Eremiti in Svizzera, poi predicatore a Zurigo, Zuinglio, avendo letto le opere di Lutero, si mise a dommatizzare, il che significa, ch’egli attaccò quanto la Chiesa aveva insegnato e praticato fino allora; cioè le indulgenze, l’autorità pontificia, il sacramento di penitenza, i voti monastici, il celibato de’ preti e l’astinenza dalla carne. Lo strano apostolo, profittando della libertà che predicava agli altri, sposò una ricca vedova; perché il matrimonio fu lo scioglimento ordinario di tutte le commedie de’ Riformatori. La sua dottrina scosse tutta la Svizzera sì pacifica e sì felice fino a quell’epoca; i Cantoni protestanti sorsero in armi contro i cattolici. Zuinglio fu costretto di condurre i suoi seguaci al combattimento, in cui, malgrado la sua predizione, essi perderono la battaglia, ed egli stesso rimase morto nel 1531 [Storia della Riforma nella Svizzera occidentale di Haller].

Calvino.

Questo nuovo corifeo della pretesa Riforma nacque nella diocesi di Noyon nel 1509; e venne provvisto d’un benefizio, quantunque non sia stato mai prete. Pel disordine de’ suoi costumi fu bollato sopra la spalla con un ferro rovente [Vedasi M. Jaques nella sua Teologia]. – Lasciò la patria e dopo aver vagato per diverse città della Francia predicando gli errori di Lutero, ai quali aveva aggiunto le proprie stranezze, si recò a Basilea, ove pubblicò il suo libro dell’Istruzione cristiana. Al paro di Lutero e di Zuinglio ei fa man bassa della dottrina, della morale e del culto nel quale era nato. Non vuol ammettere né culto esteriore, né invocazione dei Santi, né Capo visibile della Chiesa, nè Vescovi, né sacerdoti, né feste né croce, né alcuna di quelle cerimonie sacre, che la Religione riconosce essere tanto utili al culto di Dio, e la filosofia tanto necessarie ad uomini materiali e rozzi, che non s’innalzano per così dire che per mezzo de’ sensi alla contemplazione delle cose spirituali. Dopo diversi viaggi in Svizzera ed in Italia, questo preteso riformatore prese stanza in Ginevra, dove quel desso che non ammetteva Papa nella Chiesa, divenne non già il Papa ma il despota di Ginevra. – La minima obiezione, la più leggiera opposizione che gli venisse fatta, era sempre un’opera di Satana, un delitto meritevole del fuoco. Essendo stato contraddetto dal giovine medico spagnolo Michele Serveto, ei Io fece ardere vivo; ed esortava i suoi discepoli a trattare egualmente tutti quelli che si opponessero ai progressi della propria dottrina. Scriveva a Du Poét, ch’egli chiama Generale della Religione nel Delfinato: « Dà opra costante a purgare il paese da quei cialtroni, che coi loro discorsi persuadono il popolo ad opporsi a noi, screditando la nostra condotta, e vogliono far passare per sogno la nostra credenza. Simili mostri debbono essere soffocati come è avvenuto di Michele Serveto ». – Tale era la mansuetudine di quest’uomo evangelico. – Eccovi un saggio della costui urbanità: Porco, asino, cane, cavallo, toro, ubbriaco, erano i complimenti ch’ei dirigeva à’ suoi avversari. Esortava i propri partigiani ad impossessarsi di tutte le ricchezze de’ Cattolici; « e ciò, diceva egli, per amore di » Dio, affinché possiamo metterci in grado di sostentare il piccolo gregge: senza mèzzi grandi e potenti la buona volontà riuscirebbe inutile ». Orgoglioso, impudico, crudele, Calvino morì disperato e di una malattia vergognosa, che agli occhi stessi de’ suoi discepoli passò per un visibile castigo di Dio [“Calvinus in desperatione finiens vitam obiit turpissimo et medissimo morbo, quem Deus et rebellibus maledictis comminatus est, prius excruciatus et consumptus. Quod ego verissime attestari audeo, qui funestum et tragicum illius exitum et exitium his meis oculis praesens aspexi”. Joan. Haren. Apud- Peti: Cutsemium. Vita di Calvino di Audio.]. – Il tristo suo fine lo colse a Ginevra l’anno 1564.

Enrico VIII

Il quarto riformatore della Religione fu Enrico VIII re d’Inghilterra, che da principio aveva scritto contro Lutero. Finché si mantenne casto, Enrico rimase cattolico; ma volendo soddisfare le sue passioni, pregò papa Clemente VII a sciogliere il suo matrimonio. E siccome quel matrimonio era più che legittimo, il Sommo Pontefice gli rispose che non era in sua facoltà di separare ciò che era stato unito da Dio. Enrico allora ruppe i l freno, ripudiò la moglie e sposò Anna Bolena : onde il Papa lo scomunicò. Per sottrarsi ai fulmini della Chiesa, l’impudico principe si fece dichiarare Protettore e Capo sapremo della Chiesa d’Inghilterra. Divenuto papa, nulla cambiò Enrico alla dottrina; ma ben presto lo scisma conduce all’eresia. – I nuovi errori non potevano non essere bene accolti in un paese tanto disposto alla rivolta. Vivente tuttavia Enrico, il Luteranismo cominciava ad introdursi colà senza sua saputa e suo malgrado. Dopo ch’ei fu morto, Eduardo VI abolì totalmente la religione cattolica. -Più occupato di soddisfare alle proprie passioni che di stabilire la sua Chiesa, Enrico sposò cinque mogli, che ripudiò l’una dopo l’altra, facendole poscia trarre al patibolo. Si narra che vicino a morire esclamasse guardando coloro che circondavano il suo letto: « Amici miei, abbiamo perduto tutto: il regno, la fama, la coscienza e il cielo». Morì l’anno 1547. Se adunque ci facciamo a considerare il Protestantismo, che oggidì per tanti sforzi si cerca d’introdurre tra noi:

Negl’individui che lo hanno stabilito;

noi vediamo aver esso avuto per autori quattro sfacciati libertini, quattro individui, a’ quali nessun uomo onesto vorrebbe somigliare. E siete voi, o mio Dio, Dio di tutta santità, che avreste scelto simili ministri per riformare la Chiesa, la vostra sposa, e insegnare agli uomini la verità e la virtù? Lo creda chi vuole!

Nelle sue cagioni; eccole: l’orgoglio, l’amore delle ricchezze e de’ piaceri sensuali. « Lutero e Calvino, diceva Federico re di Prussia, protestante e filosofo, erano due miserabili ». Non bisogna pensare, soggiunge un altro scrittore, che i settari del sedicesimo secolo fossero vasti intelletti: no, i capi-setta sono come gli ambasciatori, fra’ quali spesso riescono meglio gli spiriti mediocri, purché le condizioni che offrono sieno vantaggiose. La sete de’ beni ecclesiastici fu il principale stimolo della Riforma in Germania; in Francia fu l’amore della novità; in Inghilterra l’amore della dissolutezza.

Nel suo dogma. Il Simbolo de’ Protestanti si riduce ad un solo articolo: Io credo tutto quello che voglio. – Infatti, il principio fondamentale, unico, universale del protestantesimo, si è che ogni individuo deve cercare la propria religione nella Bibbia, né deve ammettere se non ciò che vi trova egli stesso, non già un altro. Il protestantismo dunque dice ai popoli nel presentare loro la Bibbia: «La verità, tutta la verità si contiene in questo libro. Ma che cos’è la verità? Che cos’è il Cristianesimo? Nol so, risponde, e tocca a voi a cercarlo nella Bibbia ». Cercate dunque voi tutti, uomini, donne, fanciulli, dotti e ignoranti, cercate. Ora ditemi: trovate voi nella Bibbia il mistero della Trinità? Vi credete? voi siete cristiano. Non vi credete? voi siete cristiano. Credete voi alla divinità di Gesù Cristo? voi siete cristiano. Non vi credete? Voi siete cristiano. Credete voi alle pene eterne? voi siete cristiano. Non vi credete? voi siete cristiano. Quali che siano le vostre opinioni, tosto che voi pretendete trovarle nella Bibbia, tanto basta, e voi siete cristiano. Tuttavia ciò che voi credete, altri lo negano; ciò che a voi sembra vero, ad altri sembra falso. Chi di voi ha ragione? Inutile il chiederlo; rimanete soltanto tranquilli nella vostra incertezza, e assicuratevi che si può esser buon cristiano senza sapere ciò che bisogna credere per esser cristiano. Tale è, alla lettera, la dottrina del pròtestantismo. Ora, che ne avvenne? Accadde che sorsero tra i protestanti tante religioni quanti individui. L’uno credè trovare nella Bibbia che cinque sono i Sacramenti; l’altro che son quattro; quegli due; questi, nessuno; attalché, vivente ancora Lutero, si contavano già tra i suoi discepoli trentaquattro religioni diverse, che si combattevano, che si denigravano, che si anatematizzavano, unite soltanto nel loro odio contro la vera Chiesa. Da quell’epoca le sètte protestanti si sono moltiplicate all’infinito. Ogni giorno ne sorgono delle nuove: nella sola città di Londra e nelle adiacenze se ne contano più di cento 1[Ecco i nomi delle principali (nomi bizzarri al pari de’ loro principii). Anglicani, Collegiani, Facienti, Lacrimanti, Indifferenti, Moltiplicanti, Impeciatiti, Quaccheri, Schakeri , Giumperi, Groanneri, Metodisti, Weslejani, Wifeldiani, Miilenarj, Adamiti, Razionalisti, Generazionisti, Sontostisti, Anabattisti, Adiaforisti, Enslusiasti, Pneumatici, Brownisti , Interimitii , Monnoniti, Berboriti, Calvinisti, Evangelisti, Labadisti, Luterani, Lutero-Calvinisti, Battisti, Lutero-Battisti, Universali-Battisti, Meinseriani, Sabbatariani, Puritani, Armcniani, Sociniani, Zuingliani, Presbiteriani, Anti-Presbiteriani, Lutero-Zuingliani, Calvino-Zuingliani, Osiandriani, Lutero-Osiandriani, Staneriniani, Sincretiniani, Sinerginiani, Ubiquisteni, Pietisti, Bunakeriani, Versecoriani, Latitudinariani, Cecederiani, Burrignoniani, Camisariani, Glassimiani, Sademaniani, Ercionsiniani, Cameroniani, Filistei, Marescialliani, Hopkinsiniani, Necessariani, Edwariani, Priestliani, Relief-Cecedriani, Burgeriani, Anti-Burgeriani, Bereaniani, Ambrosiani, Moravi, Monasteriani, Antimoniani, Anomeani, Munsteriani, Mamilarj, Clancularj, Grubenarj, Staberi, Baeolarj, Nupwrali, Sanguinarj, Confcssionarj, Unitarj, Trinitarj, Anti-Trinitarj, Convulsionarj, Anti-Convulsionarj, Impeccabili, Apostolici, Spirituali, Taciturni, Demoniaci, Piagnoni, Liberi, Concubinarj, Allegri, Rustici, Vasaj. Pastoricidi, Conformisti, Non-Conformisti , Episcopali, Mistici, Coscienziosi, Socialisti, Puiseisti. In tutto 110 (Estratto dall’opera inglese intitolata: La guida per condurre alla verità e alla felicità, pag. 85). – [Non è ella, questa una pagina curiosa da aggiungere alla Storie delle Variazioni?]; e in ciascuna setta le professioni di fede germogliano come le foglie sugli alberi. « La Religione protestante, così scriveva ultimamente un professore protestante, è totalmente disciolta per la moltiplicità delle confessioni e delle sètte che si sono formate durante e dopo la Riforma… Non solamente l’apparenza esteriore della nostra Chiesa ha subito innumerabili suddivisioni, ma ella è anche disunita e divisa interiormente nelle sue massime e nelle sue opinioni ». [Vette: I Protestanti, 1828.]. Un altro scriveva nel 1835. « La Riforma somiglia nelle sue Chiese separate, e nel suo potere spirituale, ad un verme tagliato in piccolissime parti, che tutte si seguitano a muoversi finché conservano una certa vitalità, ma che perdono finalmente a grado a grado il moto e la facoltà del moto che avevano conservata » [Le Chiede cristiane, 1835]. – Un altro aggiunge : « Se Lutero uscisse oggi dalla tomba, gli sarebbe impossibile riconoscere come suoi e perfino come membri della società da lui instituita, quegli apostoli che nella nostra Chiesa sono attualmente riguardati come suoi successori 3 ». [Reinhard, Discorso sulla Chiesa, 1800]. – E un terzo prosegue così: « La disunione de’ Pastori fa nascere nella mente e nel cuore de’ popoli la più grande confusione. Essi ascoltano, essi leggono, ma non sanno più ove sono, né a chi debbono credere, né chi debbono seguire » [Ludke, Ministro]. – La confusione è tale da far esclamare un protestante in un’opera recente, che ei s’impegnava di scrivere su l’unghia del suo pollice le dottrine credute ancora generalmente tra i protestanti [Harms, Ministro a Kiel]. Finalménte un altro conclude: « A forza di riformare e di protestare, il protestantismo si riduce a una fila di zeri senza unità » [Schmaltz, giureconsulto Prussiano]. – E ci si vorrebbe dare il protestantismo per religione! Meglio è dire che col protestantismo si vorrebbe abbattere ogni ombra di religione! Noi non faremo osservare le perpetue inconseguenze de’ protestanti. Essi ricusano qualunque autorità, e di tradizione in materia di religione; or come sanno essi dunque essere la Bibbia un libro divino? Non è forse per l’autorità della tradizione? Se la tradizione sembra loro infallibile quando dice Che la Bibbia viene da Dio, perché nol sarebbe quando insegna loro tutte le altre verità che rigettano? Quando cesserete voi di avere due pesi e due misure? Quando sarete coerenti a voi stessi? Voi osservate la domenica; ma, di grazia, come sapete voi esser questo il giorno del Signore? Forseché noi sapete per tradizione? Perché dunque avete voi abolito le feste? Perché non osservate l’astinenza in quaresima, nelle vigilie, ne’ venerdì e ne’ sabati secondo la tradizione e l’uso antico della Chiesa? E dove avete voi pure imparato se non nella tradizione, che il battesimo per infusione è valido, al paro di altre pratiche che voi riguardate come sacre?

Nella sua morale. Il decalogo de’ protestanti si riduce ad un solo precetto: Tu praticherai tutto ciò che credi. I protestante può praticare ciò che vuole, cioè, tutto ciò che sembra vero alla sua ragione; può dunque fare tutto ciò che vuole, restando sempre protestante e senza che veruno altro prestante possa nulla rimproverargli. Ciò è quanto abbiamo veduto e quanto vediamo anche oggigiorno. Lutero per parte sua stabilì qual fondamento della sua morale che le opere buone sono inutili e anche nocive alla salute; che l’uomo non è che una semplice macchina senza libertà morale, incapace di virtù e vizi. Calvino dice, che l’uomo, una volta giustificato per mezzo della fede, è certo della sua salute, quand’anche si abbandonasse in seguito a tutti i disordini; e Lutero e Calvino pretendevano trovare queste abominevoli massime chiaramente nella Bibbia! – Gli Anabattisti alla loro volta dicevano. Noi abbiamo trovato nella Bibbia, che per eseguire gli ordini del Cielo, dobbiamo trucidare gli empi e confiscare i loro beni, affine di stabilire un nuovo mondo: e furono infatti veduti con la Bibbia in una mano, una torcia nell’altra e una spada al fianco, bruciare, uccidere, saccheggiare, devastare tutta la Germania. [Vedi le vite di Giovanni di Leida e di Munzer]. – Agli Anabattisti tennero dietro i Familisti, che insegnavano, e sempre a tenore della Bibbia: Che è ben fatto perseverare nel peccato affinché la grazia possa abbondare; in seguito gli Antimoniani i quali apertamente predicarono: Che l’adulterio e l’omicidio ci rendono più santi in terra e più beati in cielo. – Se voi studiate le innumerabili sètte protestanti, troverete non darsi verun precetto di morale che non sia stato negato da qualcuna di loro. Il protestantismo non può, secondo il proprio sistema, dire di alcuna massima morale: A cotesta è necessario d’uniformare la propria condotta; per la ragione ben semplice che non vi è alcun domma del quale ei possa accertare, esser necessario crederlo o soggettarvi la propria ragione. In conclusione, nel modo stesso che il simbolo del protestantismo può ridursi a questo solo articolo: Io credo tutto ciò che mi sembra vero, cosi il suo codice di morale può ristringersi a questo: Io debbo fare tutto ciò che mi sembra buono; Corniola di morale, da cui ogni uomo, qualunque siano le sue passioni, può trarre suo profitto; siccome si accontenterà, qualunque siano i suoi errori, della formula di fede corrispondente.

Nel suo culto. Il culto è l’espressione della fede e della morale; ora, tra i protestanti non vi ha fede, non morale obbligatoria e uniforme; dunque non vi ha né può esservi culto obbligatorio e uniforme. – I1 vuoto della Riforma, per difetto di fede e di amore, si manifesta sensibilmente ne’ suoi templi: essi sono muti, vuoti, squallidi; non vi ha cosa più fredda più melanconica d’un sermone protestante, poiché, dalla continua mobilità delle opinioni emerge la mobilità de’ segni destinati ad esprimerle. Perciò tra i protestanti gli uni riguardano la predica come un atto religioso, gli altri come un atto civile; taluni considerano il battesimo come un rito inutile, tali altri lo stimano necessario. – Ma ecco ciò che sorpassa l’immaginazione. Avendo ultimamente i Luterani e i Calvinisti di Germania formata una riunione, i ministri annunziarono che amministrerebbero la realtà o la figura del corpo di Gesù Cristo nella comunione, secondo la volontà e la credenza di ciascheduno. – Così quando i fedeli si presentavano per ricevere la comunione, i ministri dicevano: Credi tu di ricevere il corpo di Gesù Cristo? si, rispondevano i Luterani: — dunque ricevi il corpo di Gesù Cristo. — Credi tu di ricevere la figura del corpo di Gesù Cristo? sì, rispondevano i Calvinisti: — dunque ricevine la figura. . Che cosa è ciò, se non è sacrilega ciurmerla, ed una pubblica dichiarazione che sull’articolo dell’Eucaristia, come su tutto il resto, e che l’azione più augusta del culto cristiano non è ai suoi occhi che una cerimonia qualunque, di cui nulla più intende? – Vi sarà dunque luogo a meravigliarsi se tanti protestanti mostrano una invincibile ripugnanza per quel culto vuoto di fede? Nullameno quel culto ancor si sostiene; ma come le forme d’un corpo esanime che rimangono ancora qualche tempo dopo che l’anima lo ha abbandonato, e pronte al sopravvenire della putrefazione a dissolversi in polvere.

6° Ne’ suoi effetti. Il protestantismo è la principale cagione di tutte le calamità che hanno oppresso l’Europa da trecento anni [Grozio, famoso protestante, diceva: « Ubicumque invaluere Calvini discipuli, imperia turbavere »]; e lo provano i fatti. Appena ebbero i primi suoi apostoli sparso le loro massime tra il popolo, un vasto incendio divampò in Germania, Svizzera, Francia, Inghilterra, ed una guerra di trent’anni, il sacco di cento mila monasteri, sacri asili della scienza e monumenti della carità de’ nostri avi, la devastazione e lo spogliamene) delle chiese, fiumi di sangue da settentrione a mezzo giorno, delitti inauditi, odii mortali, spergiuri, scandali da fare arrossire la stessa depravazione, furono questi gli effetti immediati del protestantismo! Ed esso sarebbe la verità? « No, dice un famoso empio; la verità non è mai dannosa » [J. J. Rousseau]; ed è questa la miglior prova per noi che il protestantismo non è la verità. – Di questi fatti lacrimevoli la logica inesorabile vien a renderci ragione e a porli a carico eh’ riformatori del secolo decimosesto. Che cos’è infatti il protestantismo agli occhi dell’osservatore imparziale? Un invito energico alle grandi passioni, che nelle diverse epoche della storia hanno sovvertito il mondo! « L’appetito dei beni ecclesiastici, dice un autore non sospetto, fu il principal motore della Riforma in Germania; in Francia fu l’amore di novità: in Inghilterra l’amore impudico». – Che cosa è il protestantismo, se non la deificazione della ragione individuale, e quindi la sanzione del dubbio universale come principio in materia di religione, ed in seguito in tutto il resto? Ora, non vi ha società senza religione, non religione senza credenza; non credenza senza fede, non fede col dritto di dubitare di tutto, vale a dire col protestantismo. Dunque col protestantismo non vi ha religione, e quindi non società, ma rivoluzioni sempre rinascenti e sanguinose catastrofi come ne vediamo nella storia dell’Europa e del mondo da più di tre secoli. – Se pertanto si potè con tutta verità dire di Voltaire, ch’esso non era che un logico del protestantesimo; « Voltaire non ha veduto tutto ciò che ha fatto, ma ha fatto tutto ciò che noi vediamo »; a più forte ragione possiamo dire di Lutero, padre del dubbio: « Lutero non ha veduto tutto il male che ha fatto, ma ha fatto tutto quel male che noi veggiamo ». Andate, ed osservate le nazioni che hanno adottato il protestantismo: da per tutto in presenza dell’orrido caos di opinioni, fra cui sono immerse, e dello spaventevole dubbio che li consuma, la coscienza universale pronunzia contro la Riforma questo tremendo anatema: “Uccidendo la fede, ella ha ucciso il Cristianesimo e la società.” – Lutero, Zuinglio, Calvino, Enrico VIII, voi tutti, che vi arrogaste di proprio capriccio la vostra missione di riformare arbitrariamente la Chiesa, udite quanto avete fatto: Tosto che, rigettando l’autorità cattolica, aveste proclamato l’indipendenza di ciascun individuo in materia di fede, altri riformatori sorsero sotto i vostri occhi stessi per continuare la vostra impresa. Essi riformarono i vostri insegnamenti, come voi riformaste quelli della Chiesa. Voi avevate detto: Noi rigettiamo i tali dommi, perché urtano la nostra ragione; essi hanno detto: Noi rigettiamo tali altri dommi perché la nostra ragione non può ammetterli. Voi avevate domandato loro: Chi siete voi? Ed essi vi hanno domandato alla loro volta: Chi eravate voi per contraddire la Chiesa? A ciò voi non avete potuto rispondere. – Spaventati della stessa opera vostra al suo nascere, ne prevedeste fino d’allora i funesti progressi, scorgeste con terrore nell’avvenire quelle guerre interminabili di opinioni, quella immensa confusione di dottrine, quella graduale distruzione della fede che lasciavate in retaggio alla posterità. Ohimè! i sinistri vostri presentimenti erario ben lungi dall’uguagliare la realtà; voi non avete veduto tutto ciò che avete fatto, ma avete fatto tutto quello che noi vediamo. Appena eravate scesi nel sepolcro, che nuove sètte svegliandosi alla tremenda parola di rivolta che voi avevate proferito, lacerarono i brani della fede da voi risparmiati, e distrussero successivamente tutto il Simbolo della Religione, fino a tanto che finalmente i vostri ultimi discepoli sono giunti al punto di rinnegare la divinità stessa di Gesù Cristo; e questa solenne apostasia che avrebbe strappato alla Riforma un grido d’indignazione, s’ella fosse stata tuttora cristiana, è stata ratificata dallo scandalo del suo silenzio. Allora tutto è stato per lei consumato; l’opera del protestantismo è giunta al suo termine, e nulla più le rimane da riformare nel Cristianesimo, dappoiché finalmente è scesa a riformare lo stesso Dio. Ed ecco qual è la Religione, che oggi per tante vie si tenta propagare![Ma mons. Gaume ha avuto la fortuna di non conoscere la peste nera del modernismo ecumenico dei marrani, somma vergognosa di incredibili ed assurde eresie, alle quali i falsi prelati del post-conciliabolo si sono rapidamente assoggettati senza difficoltà, pur di mantenere le poro prebende, gli onori, le ricchezze e giustificare i vizi impuri che li caratterizzano- ndr.-].

Preghiera.

O mio Dio, che siete tutto amore, io vi ringrazio di averci fatti nascere nel grembo della vera Chiesa ; fateci grazia che la consoliamo con la santità della nostra condotta. Mi propongo di amar Dio sopra tutte le cose, e il prossimo come me stesso per amore di Dio, e in prova di questo amore, io pregherò spesso per la conversione degli eretici [… e dei blasfemi modernisti – ndr. – ].

Un’Enciclica al giorno, toglie il modernista-apostata di torno: SAPIENTIÆ CHRISTIANÆ

Proponiamo una delle più belle e “scuotenti” encicliche di Leone XIII, datata 10. 1. 1890, zeppa di contenuti importantissimi per la fede cattolica, dedicata ai principali doveri del cristiano, doveri che la setta modernista attuale elude accuratamente, protesa demagogicamente solo a soddisfare i bisogni ed i “pruriti” dei suoi adepti che, pur nel peccato, nei sacrilegi, nelle scomuniche, nelle innumerevoli censure, continuano a reputarsi cattolici. Qui abbiamo un elenco di doveri dei cristiani, in particolare nei confronti delle autorità civili che imponessero leggi o costumi contrari alla morale cristiana ed agli insegnamenti religiosi, ricordando l’obbligo che si ha di obbedire a Dio piuttosto che agli uomini, specie se corrotti e guidati da intenti loschi e malvagi … notevole e perentorio è il passaggio che recita: “… però se le leggi dello Stato dovessero essere apertamente in contraddizione con il diritto divino; se dovessero essere ingiuriose verso la Chiesa, o contraddire i doveri della religione o violare l’autorità di Gesù Cristo nella persona del Papa, allora è doveroso resistere ed è colpa [sottolineiamo: colpa!] ubbidire”. C’è inoltre un’aperta condanna del laicismo e della pluralità religiosa, considerata come libertà di propugnare l’errore… figuriamoci poi l’ecumenismo attuale propagato dalla setta modernista-mondialista del “Novus Ordo”, costola attiva del progettato governo mondiale e delle religioni unite sotto l’egida giudeo-massonica. – Eccezionalmente illuminanti sono poi le espressioni sul dovere dei fedeli di conoscere e tutelare la dottrina cristiana, il pericolo dell’inerzia colpevole, l’impegno a professare e divulgare la fede cattolica, [ … ciascun fedele deve propagare agli altri la propria fede, sia per l’istruzione degli altri fedeli, sia per confermarli, o per reprimere gli assalti degli infedeli …],  le modalità di partecipazione alla vita politica senza falsa prudenza e falso zelo, per finire in brillantezza con l’educazione dei giovani, oggi totalmente disattesa e deviata opportunamente con ogni mezzo e da tutte le istituzioni, soprattutto in seno alla famiglia, [i padri … si sforzino di respingere in questo campo ogni intromissione ingiuriosa e rivendichino il diritto di educare come conviene i figli nel costume cristiano], famiglia che è germe della società divina, e richiamando alfine alla gravità dei doveri di ogni cristiano. – Ma non roviniamo queste pagine del Sacro Magistero che, lo ricordiamo a beneficio di coloro che sono oramai protestantizzati e massonizzati da mass media “teleguidati”, nonché da falsi prelati mai validamente ordinati, quindi laici in maschera di carnevale, è la voce del Vicario di Cristo in terra, e quindi è parola vivente di Gesù-Cristo-Dio:

“Sapientiæ Christianæ revocari præcepta, eisque vitam, mores, instituta populorum penitua conformati …”

S. S. Leone XIII

“Sapientiae christianae”

[De præcipuis civium chriastianorum officiis]

Lettera Enciclica

Richiamarsi ai precetti della sapienza cristiana e conformare profondamente ad essi la vita, i costumi e le istituzioni dei popoli è cosa che ogni giorno appare sempre più necessaria. Avendoli messi da parte, ne sono derivati mali così grandi che nessun uomo saggio può sopportare la presente situazione senza una grave preoccupazione, né guardare al futuro senza timore. – Si è realizzato un non comune progresso dei beni che riguardano il corpo e le cose materiali, ma tutta la natura sensibile, il possesso dell’energia e dell’agiatezza, se possono generare comodità e aumentare la dolcezza della vita, non possono soddisfare l’anima che è nata per destini più grandi e più alti. Contemplare Dio e tendere a Lui è la suprema legge della vita degli uomini, i quali, creati a immagine e somiglianza divina, sono fortemente invitati a possedere il loro Creatore. – Ma non si va a Dio con le tendenze e le esigenze del corpo, bensì con la conoscenza e l’affetto che sono atti dell’anima. È Dio, infatti, la prima e suprema verità, e la nostra mente non si pasce che di verità: alla santità perfetta e al sommo bene può aspirare e accedere soltanto la nostra volontà sotto la guida della virtù.- Quanto si dice dei singoli uomini, deve essere riferito anche alla società, sia domestica, sia civile. La natura infatti non ha creato la società perché l’uomo la seguisse come un fine, ma affinché in essa e per essa trovasse gli aiuti adatti alla propria perfezione. Se la società civile persegue unicamente le comodità esteriori e il culto della vita nel lusso e nell’abbondanza; se ignora Dio nella vita amministrativa e non si cura delle leggi morali, essa devìa terribilmente dal suo scopo e da quanto la natura prescrive, e non può essere considerata società e comunità di uomini ma una falsa imitazione e parodia di società. – Quei beni spirituali che – come abbiamo già detto – si ritrovano soprattutto nel culto della vera religione e nella costante osservanza dei precetti cristiani, li vediamo oscurarsi ogni giorno per dimenticanza o per fastidio degli uomini, cosicché quanto più grandi sono i progressi che riguardano la vita corporale, tanto maggiore è il tramonto dei valori che riguardano l’anima. Indizio significativo della diminuita e indebolita fede cristiana si trova nelle stesse ingiurie che vengono rivolte troppo spesso contro il nome cristiano, in piena luce e sotto gli occhi di tutti; in altri tempi, una società rispettosa della religione non l’avrebbe mai tollerato. Per queste cause è incredibile a dirsi quale grande numero di uomini si trovi in pericolo di perdere l’eterna salvezza. Ma le stesse città e gli Stati non possono restarne indenni a lungo, perché crollando gli ordinamenti e i costumi cristiani, inevitabilmente crollano anche le fondamenta della società umana. – Per difendere la pubblica tranquillità e l’ordine resta soltanto la forza: ma anche la forza pubblica diventa molto debole se scompare l’aiuto della religione: risulta più atta a creare schiavitù che obbedienza; raccoglie già in se stessa i semi di gravi disordini. – Il nostro secolo ha provato gravi, memorabili vicende, e non si sa se dobbiamo paventarne altre uguali. Pertanto il momento storico ci ammonisce da che parte bisogna cercare i rimedi, cioè ripristinare in tutte le componenti della vita sociale il modo cristiano di pensare e di agire della vita privata: questo è l’unico sicuro mezzo per eliminare i mali che ci affliggono e impedire i pericoli che ci sovrastano. – A questo, Venerabili Fratelli, è necessario che ci dedichiamo; a questo dobbiamo portare ogni nostro sforzo con il massimo impegno: per questa ragione, sebbene abbiamo già altrove trattato queste cose, quando Ci fu data la possibilità, Ci sembra tuttavia molto utile descrivere i doveri dei cattolici più chiaramente in questa Lettera: questi doveri, se osservati con ogni cura, saranno di grande utilità per la salvezza dei beni sociali. – Incorriamo quasi ogni giorno in grandi contrasti sui massimi problemi: ed è molto difficile non restare vittime di inganni, di errori e di vedere molti perdersi d’animo e soccombere. È nostro dovere, Venerabili Fratelli, ammonire, insegnare, esortare a suo tempo affinché nessuno abbandoni la via della verità. – Non si può dubitare che siamo molti e maggiori i doveri dei cattolici che non di coloro che sono appena consapevoli della loro fede cattolica o ne sono completamente privi. Allorché Cristo, procurata la salvezza al genere umano, comandò agli Apostoli di predicare il Vangelo ad ogni creatura, impose pure questo dovere a tutti gli uomini: che imparassero e credessero alle cose che venivano loro insegnate; a questo dovere è congiunto il raggiungimento dell’eterna salvezza. “Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo: chi non crederà sarà condannato” (Mc XVI,16). Ma l’uomo quando ha abbracciato la fede cristiana – come è suo dovere – deve perciò stesso sottomettersi alla Chiesa come figlio suo, e diventa partecipe di questa grandissima e santissima società, sulla quale spetta esercitare il sommo potere al romano Pontefice, sottoposto al capo invisibile Gesù Cristo. – Ora, pertanto, se siamo obbligati per legge di natura ad amare e difendere particolarmente quella città nella quale siamo nati e cresciuti in questa luce, fino al punto che un buon cittadino non può dubitare di dover dare anche la vita per la patria, è molto più doveroso per i cristiani amare sempre la Chiesa. La Chiesa è infatti la città santa del Dio vivente, nata da Dio stesso e costituita dallo stesso Autore: è pellegrina qui sulla terra, ma sempre intenta a chiamare gli uomini per istruirli e condurli all’eterna felicità del cielo. Pertanto si deve amare la patria dalla quale abbiamo ricevuto il dono di una vita mortale: ma è necessario anteporle nell’amore la Chiesa, alla quale dobbiamo una vita che durerà in perpetuo: perché bisogna anteporre i beni dell’anima a quelli del corpo; i nostri doveri verso Dio sono molto più santi che non quelli verso gli uomini. – D’altra parte, se si vuole giudicare rettamente, l’amore soprannaturale per la Chiesa e l’amore naturale per la patria sono entrambi figli della stessa sempiterna fonte, poiché hanno come causa e autore Dio stesso, dal che consegue che un dovere non può essere in contraddizione con l’altro. Possiamo e dobbiamo dunque amare l’una e l’altra: amare noi stessi; essere benevoli con il prossimo; amare lo Stato e il potere che vi presiede, e nello stesso tempo venerare la Chiesa come nostra madre, e con il massimo amore possibile tendere a Dio. Tuttavia questo ordine di precetti talora viene pervertito, sia per la calamità dei tempi, sia per la cattiva volontà degli uomini. Accadono anche circostanze in cui sembra che lo Stato richieda dai cittadini cose del tutto contrarie a quelle richieste dalla religione ai cristiani, per il fatto che le autorità dello Stato non tengono in nessun conto il potere sacro della Chiesa, oppure la vogliono soggetta a sé. Da qui sorgono il contrasto e l’occasione per mettere alla prova la virtù. Incalzano due poteri, per cui non si può obbedire contemporaneamente a coloro che comandano cose contrarie: “Nessuno può servire a due padroni” (Mt 6,24), per cui se si segue uno, diventa inevitabile lasciare l’altro. Nessuno può dubitare quale dei due sia da anteporre. – È un atto di empietà abbandonare l’ossequio a Dio per soddisfare gli uomini: come pure trasgredire le leggi di Gesù Cristo per obbedire alle autorità dello Stato, o violare i diritti della Chiesa col pretesto di osservare il diritto civile. “È necessario obbedire più a Dio che agli uomini” (At V,29). È ciò che Pietro e gli altri Apostoli risposero alle autorità che imponevano cose ingiuste; è ciò che si deve sempre ripetere senza esitazioni in casi simili. Nessun cittadino, sia in pace sia in guerra, è migliore di un vero cristiano, memore del proprio dovere; ma questi deve essere pronto a sopportare tutto, anche la morte piuttosto che abbandonare la causa di Dio e della Chiesa. Perciò non hanno considerato adeguatamente la forza e la natura delle leggi coloro che riprovano questa decisione nella scelta dei doveri, e affermano che questa è sedizione. Parliamo di cose note al popolo e da Noi altre volte spiegate. La legge non è che un comando della retta ragione, promulgata per il bene comune da colui che ha un legittimo potere. – Ma non c’è nessun vero e legittimo potere se non parte da Dio, sommo sovrano e padrone di tutte le cose, che solo può concedere ad un uomo il potere su altri uomini; e non deve essere ritenuta retta una ragione che dissenta dalla verità e dalla ragione divina: né vi è un vero bene se è contrario al sommo e immutabile bene o che allontani e svii dall’amore a Dio le volontà degli uomini. Sacro è per i cristiani il nome dell’autorità pubblica, nella quale essi riconoscono una certa immagine e un simbolo della maestà divina, persino quando è gestita da persone indegne. Alla legge è dovuto un giusto rispetto, non per la forza o le minacce, ma per la consapevolezza di un dovere: “Dio non ci ha dato uno spirito di timore” (2Tm 1,7). Però se le leggi dello Stato dovessero essere apertamente in contraddizione con il diritto divino; se dovessero essere ingiuriose verso la Chiesa, o contraddire i doveri della religione o violare l’autorità di Gesù Cristo nella persona del Papa, allora è doveroso resistere ed è colpa ubbidire; e questo si collega al disprezzo verso lo Stato, perché si pecca anche contro lo Stato quando si va contro la religione. – Nuovamente si chiarisce quanto sia ingiusta l’accusa di sedizione: infatti, non si ricusa la dovuta obbedienza al capo dello Stato e agli autori delle leggi, ma ci si oppone solamente alla loro volontà in quei precetti che essi non hanno alcun potere di imporre perché vengono emanati offendendo Dio, perciò mancano di giustizia e sono tutto fuorché leggi. – Voi sapete, Venerabili Fratelli, che questa è la stessa dottrina del beato Paolo Apostolo, che dopo aver scritto a Tito che si dovevano ammonire “i cristiani di stare soggetti ai principi e ai governanti e obbedire ai loro ordini”, aggiunse subito che “dovevano essere preparati per ogni opera buona” (Tt 3,1). Dal che appare chiaramente che se le leggi umane dovessero stabilire qualcosa di contrario all’eterna legge di Dio, sarebbe giusto non obbedire. Con simile argomentazione il Principe degli Apostoli rispondeva con forte ed eccelsa nobiltà d’animo a coloro che gli volevano togliere la libertà di predicare il Vangelo: “Se è giusto al cospetto di Dio ascoltare voi piuttosto che Dio, giudicatelo voi stessi: non possiamo infatti non parlare di quelle cose che abbiamo visto e udito” (At 4,19-20). È dunque grande dovere dei cristiani amare le due patrie, quella di natura e l’altra della città celeste, purché sia prevalente l’amore di quest’ultima sulla prima, e non si antepongano mai i diritti umani a quelli divini, e si consideri la città celeste come fonte dalla quale sgorgano tutti gli altri doveri. Il Salvatore del genere umano ha detto di se stesso “Io sono nato per questo, e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza della verità” (Gv 18,37). Come pure “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra, e che cosa voglio se non che si accenda?” (Lc 12,49). Tutta la vita e la libertà del cristiano stanno nella conoscenza di questa verità, che è il massimo della perfezione della mente, e nell’amore a Dio che pure rende perfetta la volontà. E la Chiesa conserva e difende con continuo impegno e vigilanza questo nobilissimo patrimonio – cioè della verità e della carità – affidatole da Gesù Cristo. – Ma non vale la pena parlare qui della guerra accanita e multiforme scatenata contro la Chiesa. Tutto quello che capita alla ragione umana di scoprire con l’investigazione scientifica su realtà finora sconosciute e gelosamente nascoste dalla natura, e di convertire le scoperte in uso per la vita, dà agli uomini l’ardire di sentirsi dei e di poter allontanare dalla vita comune l’autorità di Dio. Ingannati da questo errore, trasferiscono alla natura umana il dominio strappato a Dio, e sostengono che si deve ricercare nella natura il principio e la norma di ogni verità: da essa emanano e ad essa dovrebbero essere ricondotti tutti i doveri religiosi. Pertanto, niente è stato rivelato da Dio: non si deve obbedire alla Chiesa e alla disciplina dei costumi cristiani; la Chiesa non ha nessun potere e nessun diritto di legiferare; anzi, è necessario non lasciare alla Chiesa spazio alcuno nelle istituzioni dello Stato. Esigono, e con ogni sforzo operano per giungere al potere e al governo negli Stati per potere più agevolmente indirizzare le leggi secondo queste dottrine, e creare nuovi costumi fra i popoli. E così si aggredisce ovunque la cattolicità, o apertamente o la si combatte occultamente: permettendo la libertà ad ogni perverso errore, viene spesso limitata e ristretta con molti vincoli la professione della verità cristiana. In questa triste condizione, ciascuno prima di tutto deve rientrare in se stesso per custodire e difendere la fede altamente radicata nell’animo, evitando i pericoli, sempre armato contro le varie insidie dei sofismi. A tutela di questa virtù è molto utile, e consentaneo ai nostri tempi, lo studio diligente, secondo le personali capacità, della dottrina cristiana e di quelle cose che riguardano la religione e che possono essere comprese col lume della ragione, e di esse arricchirsi la mente. E poiché non basta conservare incorrotta la fede nell’anima, ma è necessario aumentarla con assiduo studio, si deve ricorrere a Dio con la reiterata e umile preghiera degli Apostoli: “Aumenta i noi la fede!” (Lc 18,5). Per la verità in questa materia che riguarda la fede cristiana ci sono altri doveri che, se fu sempre importante osservare accuratamente e religiosamente per la salvezza, è più che mai necessario osservare ai nostri tempi.- In tanta pazza confusione di ideologie così vastamente diffuse, è certamente compito della Chiesa assumersi la difesa delle verità e sradicare dagli animi gli errori: questo in ogni tempo e religiosamente, poiché essa deve tutelare l’amore di Dio e la salvezza degli uomini. Ma quando lo richieda la necessità, non solo devono difendere la fede i prelati, ma “ciascun fedele deve propagare agli altri la propria fede, sia per l’istruzione degli altri fedeli, sia per confermarli, o per reprimere gli assalti degli infedeli” . Cedere all’avversario o tacere, mentre dovunque si alza tanto clamore per opprimere la verità, è proprio dell’inetto oppure di chi dubita che sia vero quello che professa. L’uno e l’altro atteggiamento sono ignobili e ingiuriosi a Dio; l’una cosa e l’altra contrastanti con la salvezza individuale e collettiva: sono soltanto giovevoli ai nemici della fede, perché l’arrendevolezza dei buoni aumenta l’audacia dei malvagi. Per questo è ancor più da condannare l’inerzia dei cristiani perché il più delle volte si possono confutare gli errori e le malvagie affermazioni facendolo spesso con poco sforzo; ma farlo sempre occorre un impegno molto più grande. Per ultimo, nessuno è dispensato dall’usare quella forza che è propria dei cristiani, perché con essa si spezzano spesso le macchinazioni e i piani degli avversari. Ci sono poi dei cristiani nati per la disputa: quanto più grande è il loro coraggio, tanto più certa è la vittoria con l’aiuto di Dio. “Confidate: io ho vinto il mondo” (Gv 16,33). E nessuno può opporre l’obiezione che il custode e il garante della Chiesa, Gesù Cristo, non ha bisogno certamente dell’opera degli uomini. Ma non è per mancanza di potenza, bensì per la grandezza della sua bontà che egli vuole che qualcosa si faccia pure da noi per l’opera della salvezza che egli ci ha procurato, e per ottenerne frutti sempre maggiori. – Gl’impegni più importanti di questo dovere sono di professare la dottrina cattolica a viso aperto e con costanza, e di propagarla come ciascuno può. Infatti, come è stato affermato tante volte e con verità, niente è così dannoso per la dottrina cristiana che il non essere conosciuta. Basta da sola a dissipare gli errori quando è appresa rettamente; se la mente con semplicità e non vincolata da falsi pregiudizi la comprende, la ragione dichiara di dovere assentire. Per vero, la virtù della fede è un grande dono della grazia e della bontà divina. Ma i mezzi con i quali si raggiunge la fede non sono generalmente altri che l’ascolto: “Come potranno credere, senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza uno che lo annunzi?.. La fede dipende dunque dalla predicazione, e la predicazione a sua volta si attua per la parola di Cristo” (Rm IX,14-17). – Poiché dunque la fede è necessaria per la salvezza, ne consegue che si deve assolutamente predicare la parola di Cristo. Certamente il ministero di predicare, cioè di insegnare, per diritto divino spetta a quei maestri che lo “Spirito Santo ha costituito Vescovi per reggere la Chiesa di Cristo” (At XX,28) e specialmente al Pontefice romano, Vicario di Gesù Cristo, messo a capo di tutta la Chiesa con il supremo potere, maestro di quanto si deve credere e praticare. Ma nessuno creda che sia proibito ai privati di dare la propria attività in questo compito, specialmente per coloro ai quali Dio ha dato profondità di ingegno, e il desiderio di rendersi meritevoli per il bene comune. Costoro, quando sia necessario, possono convenientemente assumersi non la parte del dottore della Chiesa, ma quella di trasmettere agli altri ciò che essi hanno appreso, facendo risuonare la voce dei maestri come fossero la loro immagine. L’opera dei privati è apparsa anzi così opportuna e utile ai Padri del Concilio Vaticano da richiederla espressamente. “Per le viscere di Gesù Cristo noi supplichiamo tutti i fedeli, specialmente coloro che sono costituiti in autorità o che hanno il compito d’insegnare, e ordiniamo loro in nome di Dio e del nostro Salvatore affinché impegnino la loro opera e le loro forze nel respingere ed eliminare dalla Santa Chiesa tutti questi errori e nel diffondere la luce della purissima fede” . – Del resto ognuno ricordi che può e deve diffondere la fede cattolica con l’autorità dell’esempio, e predicarla con la costante professione. Fra i doveri che ci uniscono a Dio e alla Chiesa questo più di tutti bisogna ricordare, che cioè ciascuno, con tutte le capacità possibili, lavori per propagare la verità cristiana e per confutare gli errori. – Certamente non potranno compiere utilmente e sufficientemente questi compiti se scenderanno in campo divisi gli uni dagli altri. Gesù Cristo predisse che come Egli stesso per primo dovette sostenere l’offesa e l’avversione degli uomini, certamente anche l’opera da Lui istituita avrebbe incontrato eguale trattamento; in modo che a molti sarebbe stato vietato di giungere alla salvezza da Lui recata con il suo sacrificio. Per questo non volle soltanto avere seguaci della sua dottrina, ma unirli strettamente in una comunità e in un solo corpo, “che è la Chiesa” (Col 1,24), di cui Egli fosse il capo. La vita di Gesù Cristo permea e si diffonde in tutto il corpo nella sua compagine; alimenta e sostiene le singole membra, e così unite e composte le dirige allo stesso fine, anche se l’azione di ciascun membro non è la stessa. Per questa ragione la Chiesa non solo è una società perfetta e molto superiore ad ogni altra società, ma è stato ordinato dal suo Autore che essa debba combattere per la salvezza del genere umano “come esercito schierato sul campo” (Ct VI,9). – Codesto ordinamento e codesta conformazione della società cristiana non possono essere cambiati in nessun modo: a nessuno è lecito vivere secondo il proprio arbitrio, né seguire nella lotta la tattica che gli pare, perché non raccoglie ma disperde chi non raccoglie con Cristo e con la Chiesa, e certamente combattono contro Dio coloro che non combattono con Lui e con la Chiesa. – Prima di tutto, dunque, sono necessarie una piena concordia e uniformità di sentimenti per unire tutti gli animi nell’azione motivata contro i nemici del nome cattolico. A questa stessa unione Paolo Apostolo esortava con grande ardore e con gravi parole i Corinzi: “Pertanto vi scongiuro, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, a dire tutti la stessa cosa, e che non esistano divisioni fra voi: siate uniti nello stesso spirito e nello stesso sentimento” (1Cor 1,10). Facilmente si percepisce la sapienza di questo precetto. Infatti, principio dell’azione è la mente; pertanto non possono essere concordi le volontà né simili le azioni se le menti hanno pensieri diversi. Coloro che seguono soltanto la ragione poco facilmente possono avere, anzi neppur possono avere, una sola dottrina; l’arte di conoscere bene le cose è molto difficile: la nostra mente è inferma per natura e deviata dalla varietà delle opinioni: spesso erra per l’impulso offertole esternamente dalle cose: si aggiungono poi le passioni, che spesso tolgono la facoltà di scorgere il vero o la diminuiscono certamente molto. Per questa ragione nel governo degli Stati si opera spesso per tenere unite con la forza persone che fra loro sono discordi. Ben diversamente avviene fra i cristiani che ricevono dalla Chiesa ciò che bisogna credere: dalla sua autorità e dalla sua guida sanno per certo di attingere alla verità. Poiché dunque una è la Chiesa, uno Gesù Cristo, una deve essere la dottrina di tutti i cristiani in tutto il mondo. “Un solo Signore, una sola fede” (Ef 4,5). “Avendo tutti lo stesso spirito di fede” (2Cor 4,13), ottengono effetti salutari, dai quali derivano spontaneamente in tutti la stessa volontà e lo stesso modo di agire. – Ma, come comanda l’Apostolo Paolo, bisogna che l’unanimità sia perfetta. Poiché la fede cristiana non si basa sulla ragione umana ma sull’autorità della mente divina, noi crediamo che le cose che abbiamo ricevuto da Dio siano “vere non per l’intrinseca verità delle cose viste con il naturale lume della ragione, ma per l’autorità dello stesso Dio rivelante che non può ingannarsi né può ingannare” . Ne consegue che qualunque cosa certamente rivelata da Dio deve essere accettata con pieno ed uguale assenso: negare fede ad una sola di queste, significa rifiutarle tutte. Sovvertono il fondamento stesso della fede coloro che negano che Dio abbia parlato agli uomini, o che dubitano della sua infinita verità e sapienza. Spetta alla Chiesa docente stabilire quali sono le verità divinamente affidate alla Chiesa stessa, alla quale Dio demandò anche la custodia e l’interpretazione della propria parola. Il sommo maestro nella Chiesa è il Pontefice romano. E come la concordia degli animi richiede un perfetto consenso in una stessa fede, così richiede che le volontà siano perfettamente soggette e obbedienti alla Chiesa e al romano Pontefice, come a Dio. L’obbedienza deve essere perfetta perché è richiesta dalla fede stessa, ed ha in comune con la fede che non può essere separata da essa; anzi, se non è assoluta pur avendone tutti gli aspetti le resta soltanto un’apparenza di obbedienza, ma di fatto scompare. La tradizione cristiana attribuisce a tale perfezione tanto valore, che essa è sempre stata ed è ritenuta la nota caratteristica per riconoscere i cattolici. Questa asserzione è mirabilmente spiegata da Tommaso d’Aquino: “L’oggetto formale della fede è la prima verità, come ci viene rivelato nella Sacra Scrittura e nella dottrina della Chiesa, che procede dalla prima verità. Perciò chiunque non aderisce alla dottrina della Chiesa come a regola infallibile e divina che promana dalla verità prima manifestata nelle Sacre Scritture, non ha la proprietà della fede, ma considera le verità della fede in modo diverso dalla fede. È pertanto manifesto che chi aderisce alla dottrina della Chiesa come a regola infallibile, accetta tutto ciò che la Chiesa insegna; invece, se dei suoi insegnamenti egli ritiene quello che vuole e rigetta quello che non vuole, egli non aderisce come norma infallibile alla dottrina della Chiesa, ma unicamente alla propria volontà . Una sola deve essere la fede di tutta la Chiesa secondo le parole dell’Apostolo Paolo (cf. 1Cor 1). Siate unanimi nel parlare, e non vi siano divisioni fra voi: e quest’unanimità non si potrebbe conservare se, sorta una questione intorno alla fede, non venisse decisa da colui che presiede a tutta la Chiesa, in modo che la sua dichiarazione sia accolta fermamente da tutta la Chiesa. Quindi alla sola autorità del Sommo Pontefice spetta approvare una nuova edizione del Simbolo, come pure tutte le altre cose che riguardano la Chiesa” . – Nel determinare i limiti dell’obbedienza nessuno creda di dover obbedire all’autorità dei sacri Pastori, e specialmente del romano Pontefice, solamente in ciò che riguarda il dogma, il cui ostinato ripudio non può essere disgiunto dal peccato di eresia. Anzi, non basta neppure accettare con sincera e ferma approvazione quelle dottrine che, quantunque non definite da un solenne giudizio, vengono tuttavia proposte dalla Chiesa alla credenza dei fedeli come divinamente rivelate al magistero ordinario ed universale, e si devono credere come “di fede cattolica e divina” secondo il decreto del Concilio Vaticano. Ma resta ancora l’obbligo dei cristiani, che devono lasciarsi guidare e governare dal potere e dal consiglio dei Vescovi, e in primo luogo dalla Sede Apostolica. Quanto ciò sia ragionevole è evidente. Infatti, delle verità contenute nella Rivelazione, alcune riguardano Dio, altre l’uomo stesso e le cose necessarie alla salvezza eterna dell’uomo. Ora, questo doppio ordine di verità, cioè quello che si deve credere e quello che si deve operare, appartiene per diritto divino, come abbiamo detto, alla Chiesa e al Sommo Pontefice. Per tali motivi il Pontefice deve poter giudicare con la sua autorità quali siano le cose contenute nella parola di Dio, quali dottrine sono ad esse conformi, e quali no. Allo stesso modo deve indicare ciò che è onesto o turpe; ciò che si deve fare e cosa fuggire per raggiungere la salvezza; altrimenti non sarebbe più il sicuro interprete della parola di Dio, né guida sicura all’uomo nell’agire. – Addentrandoci ancor più profondamente nella natura della Chiesa, vediamo che essa non è una fortuita comunità di cristiani, ma una società costituita con eccellente ordinamento di Dio stesso, con il fine diretto e naturale di portare la pace e la santità nelle anime; e poiché essa sola ha da Dio i mezzi a ciò necessari, ha le sue leggi ben determinate, determinati doveri, e segue nel governo dei popoli cristiani metodi e vie conformi alla sua natura. Ma l’esercizio di questo governo è difficile e con frequenti contrasti. La Chiesa guida popoli sparsi su tutta la terra, differenti per razze e costumi, i quali, vivendo nei singoli Stati secondo le proprie leggi, devono obbedire contemporaneamente al potere civile e a quello ecclesiastico. Questi due doveri sono congiunti nella stessa persona, ma non contrastanti fra loro – come abbiamo detto – e neppure confusi, perché l’uno riguarda la potestà dello Stato, l’altro il bene proprio della Chiesa: ambedue istituiti per il perfezionamento dell’uomo. – Posta questa delimitazione di diritti e di doveri, è evidente che i governanti sono liberi nell’amministrazione dei loro Stati, e questo non certamente con l’ostilità della Chiesa, ma anzi con il suo pieno aiuto, poiché inculcando l’osservanza della pietà religiosa, che è un atto di giustizia verso Dio, essa promuove con ciò stesso l’ossequio verso il principe. Ma con intendimento molto più nobile il potere della Chiesa tende a governare gli uomini tutelando “il regno di Dio e la sua giustizia” (Mt 6,33), dedicandosi totalmente a realizzarlo. Nessuno può dubitare, salva la fede, che alla sola Chiesa sia stato assegnato questo particolare governo delle anime in modo che non è rimasto spazio alcuno alla potestà civile; infatti Gesù Cristo ha affidato le chiavi del regno dei cieli non a Cesare ma a Pietro. Con questa dottrina politico-religiosa sono connesse alcune altre questioni di non lieve importanza, delle quali in questo documento non vogliamo tacere. – La società cristiana dista moltissimo da ogni tipo di governo politico. Anche se ha somiglianza e forma di regno, senza dubbio ha un’origine, una ragion d’essere e una natura molto diversa dai regni terreni. Pertanto è diritto della Chiesa vivere e conservarsi con leggi e istituzioni conformi alla sua natura. Essa, essendo non soltanto una società perfetta, ma superiore a qualunque altra società umana, si rifiuta di seguire, per suo diritto e per il suo fine, le vicende dei partiti e di adeguarsi alle esigenze mutabili della vita civile. Per la stessa ragione, custode del proprio diritto, rispettosissima dell’altrui, afferma che non appartiene alla Chiesa esprimere preferenze sulla forma di governo e con quali istituzioni la società civile dei popoli cristiani debba reggersi: fra le varie forme di governo non ne condanna nessuna, purché siano rispettate la religione e la morale dei costumi. A questo contegno devono essere indirizzati i pensieri e le azioni dei singoli cristiani. Non v’ha dubbio che sia lecita in politica una giusta lotta, naturalmente quando si combatte secondo verità e giustizia, affinché prevalgano quelle opinioni che appaiono più conformi delle altre al bene comune. Ma trascinare la Chiesa a partecipare all’attività di qualche partito, oppure pretendere di averla come aiuto per superare gli avversari è di coloro che vogliono abusare smoderatamente della religione. Al contrario la religione deve essere santa e inviolata per tutti. Nella politica stessa, che non può prescindere dalle leggi morali e dai doveri della religione, si deve precipuamente e sempre cercare ciò che è più conforme al nome cristiano. Se talora appare che questo è in pericolo ad opera degli avversari, allora deve cessare ogni divergenza, e con intendimento concorde degli animi si deve prendere la difesa della religione, che è il massimo bene comune a cui devono rapportarsi tutti gli altri. Il che conviene che sia da Noi esposto più diffusamente. – Certamente sia la Chiesa, sia lo Stato, hanno una loro sovranità: pertanto nessuno dei due, nella propria sfera e nei propri limiti costituiti dai singoli fini, ubbidisce all’altro. Ma da questo non si deve tuttavia concludere che i due poteri siano fra loro separati e tanto meno in lotta l’uno contro l’altro. La natura non ci ha dato soltanto un’esistenza fisica, ma anche una morale. Per questo l’uomo chiede alla tranquillità dell’ordine pubblico, che la società civile si propone come fine prossimo, di poter vivere bene, ma soprattutto chiede sempre maggior aiuto per perfezionare i costumi; e questa perfezione non consiste altro che nel conoscere e praticare la virtù. Contemporaneamente l’uomo vuole doverosamente trovare nella Chiesa gli aiuti dei quali possa fruire per la sua perfezione religiosa, la quale si trova nella conoscenza e nella pratica della vera religione che è la regina delle virtù, appunto perché, ordinandole a Dio, le compie e le perfeziona tutte. – Nel sancire le leggi e le istituzioni si deve aver riguardo alla natura morale e religiosa dell’uomo, e si deve curare la sua perfezione, ma rettamente e con ordine: non si deve comandare o vietare alcunché, senza tener conto di quello che spetta alla società civile e di quello che spetta alla società religiosa. Per questa ragione la Chiesa non può disinteressarsi delle leggi che hanno valore nello Stato, non in quanto tali, ma perché, uscendo dai limiti del proprio ambito, talvolta invadono il diritto della Chiesa. Anzi, per essa è un dovere impostole da Dio di resistere ogni volta in cui la legislazione dello Stato danneggi la religione, e di impegnarsi attivamente affinché lo spirito del Vangelo arrivi a permeare le leggi e le istituzioni dei popoli. – Poiché le sorti degli Stati per lo più dipendono dall’indole dei governanti, la Chiesa non può favorire e appoggiare coloro dai quali si sente contestata: cioè coloro che apertamente ricusano di rispettare i suoi diritti e che vogliono separare due cose connesse per la loro natura, la religione e la vita civile. Al contrario essa favorisce, come è suo dovere, coloro che avendo un giusto concetto dello Stato e della società cristiana, vogliono operare concordi per il bene comune. In questi precetti è contenuta la norma che ogni cattolico deve seguire nell’esercizio della vita pubblica. Pertanto, è permesso ovunque militare per la Chiesa nella politica, favorendo uomini di specchiata probità morale che diano buona speranza di onorare il nome cristiano, e non c’è nessuna ragione per cui si debba dare la preferenza a uomini ostili alla religione. – Da questo appare chiaramente quanto sia importante il dovere di conservare l’unità degli animi specialmente in questi tempi, in cui con tanta astuzia viene impugnato il cristianesimo. Tutti coloro che vogliono restare fedeli alla Chiesa che è “colonna e fondamento della verità” (1Tm 3,15) eviteranno facilmente i maestri menzogneri “che promettono agli altri la libertà, mentre essi stessi sono schiavi della corruzione” (2Pt 1,19). Anzi, resi forti della potenza spirituale della Chiesa, sapranno vincere con la saggezza le insidie, e con il coraggio la violenza. – Non è questo i luogo per indagare se e quanto abbiano contribuito a creare questo nuovo stato di cose l’opera troppo debole e l’interna discordia dei cattolici: ma certamente gli uomini malvagi sarebbero stati meno audaci e non avrebbero provocato tante rovine se ci fosse stata negli animi di molti una fede più vigorosa: quella fede che “opera per mezzo della carità” (Gal V,6), e non sarebbe tanto scaduta nel costume quella morale cristiana che ci è stata divinamente affidata. Voglia Dio che il passato, attraverso il ricordo, procuri maggiore saggezza nell’avvenire. – Quanto poi a coloro che parteciperanno alla politica dovranno evitare due difetti, dei quali uno usurpa il falso nome di prudenza, l’altro è la temerarietà. Alcuni affermano che non conviene opporsi apertamente alla potente e imperante iniquità, perché la lotta non esasperi l’animo degli avversari. Non si sa se costoro stiano pro o contro la Chiesa, in quanto affermano di professare la dottrina cattolica ma poi vorrebbero che la Chiesa permettesse di propagare impunemente le teorie che le sono contrarie. Si lamentano dello scadimento della fede e anche della corruzione dei costumi, ma non fanno nulla per rimediarvi, anzi talvolta con l’eccessiva indulgenza o con una dannosa simulazione aggravano il male. Costoro vogliono che nessuno abbia dubbi sulla loro devozione alla Sede Apostolica, ma hanno sempre qualcosa da rimproverare al Papa. La prudenza di queste persone è di quel genere che l’Apostolo Paolo chiama “sapienza della carne e morte dell’anima”, dato che non è né può essere subordinata alla legge divina . Nulla è meno utile per chi voglia diminuire questi mali. I nemici lo dichiarano apertamente, e se ne gloriano: hanno il fermo proposito di abbattere fin dalle fondamenta, se fosse possibile, l’unica vera religione, quella cattolica. Con tale obiettivo tutto osano: comprendono infatti che quanto più si indebolirà il coraggio degli altri, tanto maggiore libertà avranno per compiere le loro malefatte. Pertanto coloro che seguono la “prudenza della carne” e fingono di ignorare che ognuno deve essere un buon soldato di Cristo, coloro che vogliono conseguire il premio dovuto ai vincitori attraverso una via addolcita e senza combattere, invece di troncare la via dei malvagi arrivano a favorirla. – Alcuni, mossi da intenti fallaci o, quel che è peggio, un po’ agendo e un po’ dissimulando, non si assumono le loro responsabilità. Vorrebbero che la Chiesa si reggesse secondo il loro giudizio e parere, fino ad accettare di malavoglia o con ripugnanza ciò che si fa altrimenti. Costoro contestano con vane parole e sono da rimproverare non meno degli altri. Questo significa non voler seguire la legittima potestà, ma prevenirla; è un voler trasferire ai privati l’ufficio dei magistrati, con grande sconvolgimento di quell’ordine che Dio ha stabilito nella sua Chiesa, da osservarsi in perpetuo, e che non permette sia violato impunemente da chicchessia. – Agiscono veramente bene coloro che non rifiutano di scendere in campo ogni volta che è necessario, nella ferma persuasione che un’ingiusta persecuzione contro la santità del diritto e della religione avrà certamente fine. Questi si presentano come coloro che riprendono ancora l’antico valore, quando si sforzano di difendere la religione, specialmente contro quella setta audacissima, nata per far guerra al cristianesimo, che non cessa di perseguitare il Sommo Pontefice nei suoi poteri, pur conservando diligentemente la tattica dell’obbedienza e di non intraprendere nulla senza permesso. – Ma siccome questa volontà di obbedienza congiunta a forza e carattere e a costanza è necessaria a tutti i cristiani, affinché in qualsiasi circostanza “non siano carenti in nessuna cosa” (Gc 1,4), Noi vorremmo che nell’animo di tutti fosse radicata quella che Paolo chiama “la prudenza dello spirito” (Rm VIII,6). Questa, nel moderare le azioni umane, segue l’aurea regola del giusto mezzo, facendo sì che l’uomo non si disperi per paura, o troppo presuma per temerarietà. C’è anche differenza tra la prudenza politica, che riguarda il bene comune, e quella che riguarda il bene personale di ciascuno. Quest’ultima è propria di ogni privato, che nel governo di se stesso segue i dettami della retta ragione. L’altra è quella dei governanti, soprattutto dei sovrani, il cui compito è di governare validamente; così come la politica dei privati è tutta impostata sulla prudenza, quella del potere legittimo è di eseguire fedelmente i decreti . Questa disposizione e quest’ordine tanto più devono valere nella società cristiana, in quanto la prudenza politica del Pontefice abbraccia tanti settori. Infatti egli non solo deve reggere la Chiesa, ma dirigere dovunque le azioni dei cittadini cristiani, affinché si conformino alla speranza di ottenere la vita eterna. Da questo risulta chiaramente che oltre una somma concordia di pensieri e di opere, essi devono conformarsi nell’agire alla sapiente politica del potere ecclesiastico. Il governo della società cristiana, dopo il romano Pontefice e secondo le sue direttive, spetta ai Vescovi, i quali anche se non hanno la pienezza del potere pontificio, tuttavia nella gerarchia ecclesiastica sono autentici principi e nell’amministrazione della propria Chiesa sono “per così dire i principali costruttori… dell’edificio spirituale” , ed hanno come coadiutori nel loro ufficio ed esecutori dei loro ordini i sacerdoti. A questa struttura della Chiesa che nessun mortale può cambiare, bisogna adattare l’azione della vita. E come è necessaria per i Vescovi l’unione con la Sede Apostolica, così i chierici e i laici devono vivere e operare in perfetta unione con i Vescovi. Può accadere di trovare qualcosa di poco lodevole in qualche Vescovo, sia nei costumi, sia nelle opinioni: ma nessun privato deve arrogarsi la funzione di giudice, perché questo potere Cristo Signore lo diede soltanto a colui cui affidò gli agnelli e le pecore. Tenga ben presente ciascuno le sapientissime parole di Gregorio Magno: “I sudditi devono essere ammoniti a non giudicare temerariamente la vita dei loro superiori, anche se forse vedono in loro qualcosa di riprovevole, affinché mentre giustamente riprovano il male, essi per orgoglio non cadano più in basso di loro. Devono essere ammoniti che, considerando le colpe dei loro superiori, non diventino arroganti contro di essi, ma se le loro colpe sono molto grandi, le giudichino entro se stessi, in modo che per l’impulso del timore di Dio non ricusino il dovere della obbedienza… Le azioni dei superiori non devono essere ferite con la spada della lingua, anche quando sono giustamente da condannare” . – Ma tutti questi sforzi giovano poco se non viene intrapresa una condotta di vita conforme alla morale cristiana. È della Sacra Scrittura quella sentenza sul popolo ebreo: “Finché non peccarono al cospetto del loro Dio avevano molti beni, perché Dio odia la loro iniquità. Quando abbandonarono la strada che Dio aveva loro insegnato perché in essa camminassero, furono sterminati in battaglia da molti popoli” (Gdt 5,21-22). La nazione Giudaica portava in sé la figura del popolo cristiano: nelle sue antiche vicende c’era il preannuncio di realtà future; sennonché avendoci la bontà divina arricchiti e ornati di molti e maggiori benefici, la colpa dell’ingratitudine rende ancor più gravi le colpe dei cristiani. – La Chiesa in nessun tempo e in nessun modo viene abbandonata da Dio: per questo non ha nulla da temere dalla malvagità degli uomini; ma le nazioni, degenerando dalla virtù cristiana, non possono avere la stessa sicurezza. “Infatti il peccato rende miseri i popoli” (Pr 14,34). E se ogni età anteriore ha sperimentato la forza e la verità di questa sentenza, per quale motivo non dovrebbe sperimentarla la nostra? Anzi, molti già affermano che il castigo è imminente e la condizione stessa degli Stati moderni lo conferma: infatti ne vediamo parecchi per nulla sicuri e tranquilli a causa delle discordie intestine. E se le fazioni dei malvagi continueranno spavaldamente per questa strada: se accadrà che coloro che già procedono sulla via del malaffare e dei peggiori proponimenti aumentino di potere e di mezzi, c’è da temere che demoliscano tutto l’edificio sociale fin dalle fondamenta poste dalla natura. E non è possibile che tanti pericoli possano essere allontanati con la sola opera degli uomini, soprattutto perché molta gente, abbandonata la fede cristiana, giustamente paga il fio della propria superbia; accecata dalle passioni, inutilmente cerca la verità; abbraccia come vero ciò che è falso, e crede di essere saggia “quando chiama bene il male e male il bene” e chiama “luce le tenebre e tenebre la luce” (Is 5,20). È necessario che Dio intervenga e, memore della sua benignità, rivolga uno sguardo pietoso sulla società civile. Per questo, come abbiamo altre volte esortato, è necessario adoperarsi con particolare zelo e costanza affinché la divina clemenza venga implorata con umile preghiera e siano richiamate quelle virtù che costituiscono l’essenza della vita cristiana. – Prima di tutto bisogna far risorgere e poi difendere la carità, che è il fondamento della vita cristiana, senza la quale le altre virtù sono vane e senza alcun frutto. San Paolo, esortando i Colossesi a fuggire qualsiasi vizio ed a conseguire la lode per le altre virtù, aggiunge “soprattutto conservate la carità, che è il vincolo della perfezione” (Col III,14). La carità è certamente il vincolo della perfezione, perché congiunge intimamente con Dio coloro che la praticano, per cui ottengono da Dio la vita dell’anima, agiscono in unione con Dio e tutto riferiscono a Dio. L’amore per Dio deve però essere unito all’amore per il prossimo, perché gli uomini partecipano della infinita bontà di Dio e portano espressa in se stessi la sua immagine e somiglianza. “Noi abbiamo da Dio questo comandamento: chi ama Dio deve amare il fratello” (1Gv IV,21). “Se qualcuno dirà che ama Dio e odia il fratello, è bugiardo” (1Gv IV,20). Il divino legislatore di questo comandamento della carità lo chiamò “nuovo” non perché qualche altra legge o la stessa natura non avessero già comandato di amare il prossimo, ma perché questo modo cristiano di amare era affatto nuovo, e a memoria d’uomo inaudito. Infatti Gesù Cristo domandò ai suoi discepoli e seguaci quell’amore con il quale Egli è amato dal Padre ed Egli stesso ama gli uomini, affinché essi potessero essere in Lui un cuore solo e un’anima sola, come Egli e il Padre sono per natura una cosa sola. Nessuno ignora come la potenza di questo precetto sia profondamente penetrata fin dall’inizio nel cuore dei cristiani, e quali frutti di concordia, di benevolenza reciproca, di pietà e di pazienza abbia procurato. Perché non ci si adopera ad imitare gli esempi dei primi cristiani? I nostri tempi ci stimolano vivamente alla carità. Mentre gli empi rinfocolano il loro odio contro Gesù Cristo, i cristiani devono rinvigorire la loro pietà e rinnovare quella carità che è fonte di grandi imprese. Cessino dunque gli eventuali dissensi; tacciano quelle contese che diminuiscono le forze dei combattenti e in nessun modo giovano alla religione: con l’unione delle menti nella stessa fede, con la carità sollecitatrice delle volontà, vivano tutti, come è giusto, nell’amore di Dio e dell’umanità. – L’occasione Ci porta ad ammonire specialmente i padri di famiglia affinché sappiano governare la loro casa con questi precetti ed educare bene i figli. La famiglia è il germe della società civile, e le sorti della società si formano in gran parte fra le pareti domestiche. Pertanto, coloro che vogliono strappare la società dal cristianesimo, partono dalle radici e si affrettano a corrompere la famiglia. Da questa decisione e da questo crimine non li trattiene il pensiero di non poterlo fare senza recare una gravissima ingiuria ai genitori: infatti i genitori hanno dalla natura il diritto di educare coloro che hanno procreato, con il conseguente dovere che la loro educazione corrisponda alla grazia di avere avuto dei figli in dono da Dio. È dunque necessario che i genitori, reagendo, si sforzino di respingere in questo campo ogni intromissione ingiuriosa e rivendichino il diritto di educare come conviene i figli nel costume cristiano, specialmente tenendoli lontani da quelle scuole nelle quali corrono il pericolo di assorbire il veleno dell’empietà. Quando si tratta di formare rettamente la gioventù, nessun’opera e fatica sono tanto rilevanti che non se ne possano compiere delle maggiori. In questo sono veramente degni di ogni ammirazione quei cattolici di varie nazioni, che per l’educazione dei loro figli hanno organizzato scuole con grandi spese e maggiore costanza. Bisogna che questi salutari esempi siano imitati dovunque i tempi lo esigono: ma si convinca ognuno che prima di tutto nell’anima dei fanciulli molto può l’educazione domestica. Se l’adolescenza avrà trovato in casa una retta regola di vita, come una palestra di cristiane virtù, la salvezza della società sarà in gran parte assicurata. – Ci sembra avere trattato delle cose principali che i cattolici oggi devono seguire oppure evitare. Il resto, Venerabili Fratelli, tocca a voi: che la Nostra voce si diffonda in ogni parte e che tutti comprendano quanto è importante mettere in pratica le cose delle quali abbiamo trattato in questa lettera. L’osservanza di questi doveri non può essere né molesta né grave, perché il giogo di Gesù Cristo è lieve e il suo carico leggero. Se qualche cosa sembrerà difficile da eseguire, con la vostra autorità e con il vostro esempio farete sì che ognuno, con la maggior forza d’animo, vi si applichi e dimostri coraggio contro ogni difficoltà. Spiegate a tutti che sono in pericolo, come spesso abbiamo ammonito, i beni più grandi e più desiderabili, per la difesa dei quali ogni fatica deve essere considerata sopportabile; a tale sforzo è unita una grandissima ricompensa, quanta ne produce una vita cristianamente vissuta. Altrimenti, rifiutarsi di combattere per Cristo significa combattere contro di Lui. Egli stesso proclama (Lc 9,26) che rinnegherà davanti al Padre suo che è nei cieli chiunque avrà ricusato di confessarlo davanti agli uomini sulla terra. – Per quanto riguarda Noi e tutti voi, certamente, finché siamo in vita faremo sì che non vengano mai meno in questo combattimento la Nostra autorità, il Nostro consiglio e la Nostra opera. E non c’è dubbio che sia al gregge, sia ai pastori, non mancherà il particolare aiuto di Dio, finché il nemico non sarà vinto. – Sostenuti da tale fiducia, auspice dei celesti favori, con tutto il cuore impartiamo nel Signore a voi, Venerabili Fratelli, al Clero e a tutto il popolo al quale singolarmente presiedete, come pegno della Nostra benevolenza l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 10 gennaio 1890, anno dodicesimo del Nostro Pontificato.

DOMENICA DI SESSUAGESIMA

Introitus Ps XLIII:23-26

Exsúrge, quare obdórmis, Dómine? exsúrge, et ne repéllas in finem: quare fáciem tuam avértis, oblivísceris tribulatiónem nostram? adhaesit in terra venter noster: exsúrge, Dómine, ádjuva nos, et líbera nos.

[Risvégliati, perché dormi, o Signore? Déstati, e non rigettarci per sempre. Perché nascondi il tuo volto diméntico della nostra tribolazione? Giace a terra il nostro corpo: sorgi in nostro aiuto, o Signore, e líberaci.]

Ps XLIII:2 Deus, áuribus nostris audívimus: patres nostri annuntiavérunt nobis.

Ps 43:2 [O Dio, lo udimmo coi nostri orecchi: ce lo hanno raccontato i nostri padri.]

Oratio

Orémus. Deus, qui cónspicis, quia ex nulla nostra actióne confídimus: concéde propítius; ut, contra advérsa ómnia, Doctóris géntium protectióne muniámur. – Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia saecula saeculorum.

R. Amen.

[Colletta : Preghiamo. [O Dio, che vedi come noi non confidiamo in alcuna òpera nostra, concédici propizio d’esser difesi da ogni avversità, per intercessione del Dottore delle genti. – Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. R. – Amen.]

LECTIO

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corínthios.

2 Cor 11:XIX-33; XII:1-9.

“Fratres: Libénter suffértis insipiéntens: cum sitis ipsi sapiéntes. Sustinétis enim, si quis vos in servitútem rédigit, si quis dévorat, si quis áccipit, si quis extóllitur, si quis in fáciem vos cædit. Secúndum ignobilitátem dico, quasi nos infírmi fuérimus in hac parte. In quo quis audet, – in insipiéntia dico – áudeo et ego: Hebraei sunt, et ego: Israelítæ sunt, et ego: Semen Abrahæ sunt, et ego: Minístri Christi sunt, – ut minus sápiens dico – plus ego: in labóribus plúrimis, in carcéribus abundántius, in plagis supra modum, in mórtibus frequénter. A Judaeis quínquies quadragénas, una minus, accépi. Ter virgis cæsus sum, semel lapidátus sum, ter naufrágium feci, nocte et die in profúndo maris fui: in itinéribus sæpe, perículis fluminum, perículis latrónum, perículis ex génere, perículis ex géntibus, perículis in civitáte, perículis in solitúdine, perículis in mari, perículis in falsis frátribus: in labóre et ærúmna, in vigíliis multis, in fame et siti, in jejúniis multis, in frigóre et nuditáte: præter illa, quæ extrínsecus sunt, instántia mea cotidiána, sollicitúdo ómnium Ecclesiárum. Quis infirmátur, et ego non infírmor? quis scandalizátur, et ego non uror? Si gloriári opórtet: quæ infirmitátis meæ sunt, gloriábor. Deus et Pater Dómini nostri Jesu Christi, qui est benedíctus in saecula, scit quod non méntior. Damásci præpósitus gentis Arétæ regis, custodiébat civitátem Damascenórum, ut me comprehénderet: et per fenéstram in sporta dimíssus sum per murum, et sic effúgi manus ejus. Si gloriári opórtet – non éxpedit quidem, – véniam autem ad visiónes et revelatiónes Dómini. Scio hóminem in Christo ante annos quatuórdecim, – sive in córpore néscio, sive extra corpus néscio, Deus scit – raptum hujúsmodi usque ad tértium coelum. Et scio hujúsmodi hóminem, – sive in córpore, sive extra corpus néscio, Deus scit:- quóniam raptus est in paradisum: et audivit arcána verba, quæ non licet homini loqui. Pro hujúsmodi gloriábor: pro me autem nihil gloriábor nisi in infirmitátibus meis. Nam, et si volúero gloriári, non ero insípiens: veritátem enim dicam: parco autem, ne quis me exístimet supra id, quod videt in me, aut áliquid audit ex me. Et ne magnitúdo revelatiónem extóllat me, datus est mihi stímulus carnis meæ ángelus sátanæ, qui me colaphízet. Propter quod ter Dóminum rogávi, ut discéderet a me: et dixit mihi: Súfficit tibi grátia mea: nam virtus in infirmitáte perfícitur. Libénter ígitur gloriábor in infirmitátibus meis, ut inhábitet in me virtus Christi.”

Deo gratias.

Epistola

[Lettura della Lettera del B. Paolo Ap. ai Corinti. – 2 Cor XI:19-33; XII:1-9.

Fratelli: Tollerate volentieri gli stolti, essendo saggi. Infatti sopportate chi vi fa schiavi, chi vi divora, chi vi ruba, chi si insuperbisce, chi vi schiaffeggia. Dico ciò con rossore: noi siamo stati troppo deboli da questo lato. Ma di checché si voglia menar vanto parlo da insensato anch’io me ne vanterò: Sono Ebrei? Lo sono anch’io. Sono Israeliti? Anch’io. Sono figli di Abramo? Anch’io. Sono ministri di Cristo? Parlo da stolto Io lo sono più di essi. Più nei travagli, più nelle prigionie, oltre modo nelle battiture, frequentemente in pericolo di morte. Dai Giudei cinque volte ricevetti trentanove colpi. Tre volte fui battuto con le verghe, una volta lapidato, tre volte naufragai, una notte e un giorno stetti in alto mare, spesso in viaggi, tra i pericoli dei fiumi, pericoli degli assassini, pericoli dai miei nazionali, pericoli dai gentili, pericoli nelle città, pericoli nei deserti, pericoli nel mare, pericoli dai falsi fratelli: nel lavoro e nella fatica, nelle molte vigilie, nella fame e nella sete, nei molti digiuni, nel freddo e nella nudità. E, senza parlare di tante altre cose, le quotidiane cure che pesano sopra di me, la sollecitudine di tutte le Chiese. Chi è infermo che non sia io infermo? Chi è scandalizzato che io non arda? Se fa mestieri di gloriarsi, mi glorierò di quelle cose che riguardano la mia debolezza. Iddio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che è benedetto nei secoli, sa che io non mentisco. In Damasco, colui che governava la nazione a nome del re Areta, aveva poste guardie intorno alla città di Damasco per catturarmi: e per una finestra fui calato in una sporta dalle mura, e così gli sfuggii di mano. Fa duopo gloriarsi? Veramente ciò non è utile; nondimeno verrò pure alle visioni e rivelazioni del Signore. Conosco un uomo in Cristo, il quale quattordici anni fa non so se col corpo, oppure fuori dal corpo, Dio lo sa fu rapito fino al terzo cielo. E so che quest’uomo se nel corpo o fuori del corpo, io non lo so, lo sa Dio fu rapito in Paradiso: e udì arcane parole, che non è lecito a uomo di proferire. Riguardo a quest’uomo mi glorierò: ma riguardo a me, di nulla mi glorierò, se non delle mie debolezze. Però, se volessi gloriarmi non sarei stolto, perché direi la verità: ma io me ne astengo, affinché nessuno mi stimi più di quello che vede in me o di quello che ode da me. E affinché la grandezza delle rivelazioni non mi levi in orgoglio, mi è stato dato lo stímolo nella mia carne, un angelo di sàtana che mi schiaffeggi. Al riguardo di che, tre volte pregai il Signore che da me fosse tolto: e mi disse: Basta a te la mia grazia: poiché la mia potenza arriva al suo fine per mezzo della debolezza. Volentieri adunque mi glorierò nelle mie debolezze, affinché àbiti in me la potenza di Cristo. R. Grazie a Dio.]

Graduale Ps LXXXII:19; 82:14

Sciant gentes, quóniam nomen tibi Deus: tu solus Altíssimus super omnem terram, [Riconòscano le genti, o Dio, che tu solo sei l’Altissimo, sovrano di tutta la terra.]

Deus meus, pone illos ut rotam, et sicut stípulam ante fáciem venti.

[V. Dio mio, ridúcili come grumolo rotante e paglia travolta dal vento.]

 Ps LIX:4; LIX:6

Commovísti, Dómine, terram, et conturbásti eam.

Sana contritiónes ejus, quia mota est.

Ut fúgiant a fácie arcus: ut liberéntur elécti tui.

Ps 59:4; 59:6

[Hai scosso la terra, o Signore, l’hai sconquassata.

Risana le sue ferite, perché minaccia rovina.

Affinché sfuggano al tiro dell’arco e siano liberati i tuoi eletti.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam.

  1. Gloria tibi, Domine!

Luc VIII:4-15

“In illo témpore: Cum turba plúrima convenírent, et de civitátibus properárent ad Jesum, dixit per similitúdinem: Exiit, qui séminat, semináre semen suum: et dum séminat, áliud cécidit secus viam, et conculcátum est, et vólucres coeli comedérunt illud. Et áliud cécidit supra petram: et natum áruit, quia non habébat humórem. Et áliud cécidit inter spinas, et simul exórtæ spinæ suffocavérunt illud. Et áliud cécidit in terram bonam: et ortum fecit fructum céntuplum. Hæc dicens, clamábat: Qui habet aures audiéndi, audiat. Interrogábant autem eum discípuli ejus, quæ esset hæc parábola. Quibus ipse dixit: Vobis datum est nosse mystérium regni Dei, céteris autem in parábolis: ut vidéntes non videant, et audientes non intéllegant. Est autem hæc parábola: Semen est verbum Dei. Qui autem secus viam, hi sunt qui áudiunt: déinde venit diábolus, et tollit verbum de corde eórum, ne credéntes salvi fiant. Nam qui supra petram: qui cum audierint, cum gáudio suscipiunt verbum: et hi radíces non habent: qui ad tempus credunt, et in témpore tentatiónis recédunt. Quod autem in spinas cécidit: hi sunt, qui audiérunt, et a sollicitudínibus et divítiis et voluptátibus vitæ eúntes, suffocántur, et non réferunt fructum. Quod autem in bonam terram: hi sunt, qui in corde bono et óptimo audiéntes verbum rétinent, et fructum áfferunt in patiéntia.”

Laus tibi, Christe!

Séguito ✠ del S. Vangelo secondo Luca.

Gloria a Te, o Signore!

Luc 8:4-15

“In quel tempo: radunandosi grandissima turba di popolo, e accorrendo gente a Gesù da tutte le città. Egli disse questa parabola: Andò il seminatore a seminare la sua semenza: e nel seminarla parte cadde lungo la strada e fu calpestata, e gli uccelli dell’aria la divorarono; parte cadde sopra le pietre, e, nata che fu, seccò, perché non aveva umore; parte cadde fra le spine, e le spine che nacquero insieme la soffocarono; parte cadde in terra buona, e, nata, fruttò cento per uno. Detto questo esclamò: Chi ha orecchie per intendere, intenda. E i suoi discepoli gli domandavano che significasse questa parabola. Egli disse: A voi è concesso di intendere il mistero del regno di Dio, ma a tutti gli altri solo per via di parabola: onde, pur vedendo non vedano, e udendo non intendano. La parabola dunque significa questo: La semenza è la parola di Dio. Ora, quelli che sono lungo la strada, sono coloro che ascoltano: e poi viene il diavolo e porta via la parola dal loro cuore, perché non si salvino col credere. Quelli caduti sopra la pietra, sono quelli che udita la parola l’accolgono con allegrezza, ma questi non hanno radice: essi credono per un tempo, ma nell’ora della tentazione si tirano indietro. Semenza caduta tra le spine sono coloro che hanno ascoltato, ma a lungo andare restano soffocati dalle sollecitudini, dalle ricchezze e dai piaceri della vita, e non portano il frutto a maturità. La semenza caduta in buona terra indica coloro che in un cuore buono e perfetto ritengono la parola ascoltata, e portano frutto mediante la pazienza.”

Lode a Te, o Cristo.

OMELIA

Omelia della Domenica di sessagesima

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. I -1851-]

(Vangelo sec. S. Luca VIII 4-15

Sementa Buona e Malvagia.

Una gran turba di popolo accorso da diverse città s’affollò un dì attorno al divin Redentore per ascoltare le sue parole. Egli seguendo lo stile orientale, molto usitato nella Palestina, cominciò il suo discorso con questa parabola. Un cert’uomo, Ei disse, uscì di casa per condursi al campo a seminare, “exiit qui seminata seminare semen suum”. Qui facciamo punto. Chi è quest’uomo figurato in questa parabola? Egli è, rispondono concordemente i santi Padri, citati dall’angelico dottor S. Tommaso (In caten. aurea), il divin Verbo, disceso dal cielo su questa terra a spargere la sua divina parola. E appunto su questa divina parola tutto si raggira l’odierno Vangelo. Dovrei perciò su la medesima tenervi ragionamento, ma siccome in questa stessa Domenica ve n’ho parlato più volte permettetemi che per variar argomento, io mi attenga alla sola indicata similitudine del seminare, e vada proseguendo così. Non v’è nelle sacre Scritture paragone forse più ripetuto del seminare, per esprimere le umane operazioni. Fra tutti i testi che potrei addurvi, uno solo ne scelgo dell’apostolo Paolo nella sua lettera a quei di Galazia. “Quæ seminaverit homo, hæc et metet” (Cap. VI, 8) . Quel che avremo seminato, sarà da noi raccolto. Chi seminerà opere buone raccoglierà premi e ricompense temporali ed eterne; chi invece seminerà opere malvagie si aspetti guai e castighi temporali ed eterni. “Quæ seminaverit homo, hæc et metet”. Ed ecco in queste parole dell’Apostolo, secondo i due accennati rapporti, la materia del breve mio dire e del vostro cortese ascoltare.

  1. I. Qual è la sementa, tale sarà la raccolta. La cosa è naturale. Voi chiamereste pazzo colui, che seminando zizzania pretendesse mietere frumento. Dalle spine, dice il Salvatore (Matth. VII, 16), non si vendemmiano le uve, né da’ triboli si colgono fichi. Ora per quell’analogia che passa tra le naturali cose e le spirituali, è certo, che dalla mala sementa di peccaminose azioni non potete aspettarvi che male, e dalla buona non dovete sperare, che bene. – Non ci dipartiamo dall’evangelica allegoria. – Tre cose son necessarie per parte del seminatore, a fine di ottenere buona e abbondante raccolta. Buona semente, buon terreno, fatica e pazienza. Riportiamole al senso morale. Voi pascete i famelici, vestite i nudi, visitate gli infermi, consolate gli afflitti, date buoni consigli, vi esercitate in preghiere, in opere di pietà e di religione. Tutti questi son ottimi semi, ma non basta. Perché producano il frutto desiderato, bisogna spargerli in buon terreno. – Infatti non fu una buona sementa quella, che sparse l’agricoltore del presente Vangelo? Lo fu certamente. Ma quella che andò, forse spinta dal vento, nella pubblica strada, quella che cadde fra le spine, quella che restò sopra la nuda pietra, tutte furono via gittate e perdute. Quella soltanto, che cadde in buon terreno, produsse a suo tempo un frutto centuplicato. – Or qual è mai questo buon terreno, che rende buone le nostre azioni, onde fruttifichino per la vita eterna? Lo dice S. Paolo: lo spirito, l’anima in grazia di Dio, la retta intenzione son quella terra feconda, che produce frutti di eterna vita. “Qui seminat in spiritu de spiritu metet vitam æternam(ad Gal. VI, 8). Senza la grazia giustificante, che è lo spirito e la vita dell’anima, tutte le opere di pietà, di religione, di giustizia e di beneficenza, saranno buone nell’ordine naturale, saranno degne di premio temporaneo, possono muover Dio a convertir chi le pratica, ma non sono di alcun merito in ordine alla vita eterna, son opere morte, perché prodotte da un’anima morta alla grazia per il peccato. Né pur saranno opere meritevoli di eterna mercede quelle che partono da un’anima giustificata, se questa non le accompagna con puro fine e retta intenzione. Mi spiego. Colei frequenta le Chiese, assiste alle sacre funzioni con devoto contegno, con religiosa esemplarità; ma se il di lei fine è diretto ad acquistar la stima di chi l’osserva, questo suo fine avvelena la sua devozione per modo che di buona la rende colpevole. Colui fa limosine, sono queste semente ottime, ma se, come i Farisei, le fa suonando la tromba, cioè per la gloria vana di comparir limosiniero, la rea intenzione cangia quel buon frumento in malvagia zizzania. – Quell’altro presta il suo danaro, e senza alcun interesse, all’amico bisognoso. Ottimamente fin qui: “Jucundus homo qui miseretur, et commodat” (Ps. CXI, 5): ma fa quel prestito perché prevede, che al tempo pattuito l’amico non sarà in caso di soddisfare il suo debito, e perciò la sua mira è volta a spogliarlo di quel bello e buon possesso al prezzo infimo, che non avrebbe potuto ottenere nè pure al sommo. Cessa di essere atto di carità quel prestito, anzi, pel fine insidioso che l’accompagna, si converte in una specie di tradimento. Un atto dunque, intendete bene, miei cari, quantunque di sua natura buono e lodevole, è come un corpo morto, lo spirito che lo vivifica è il retto e virtuoso fine. Finalmente sparsa una sementa buona in terreno buono, aspettatevi pure il frutto, ma “in patientia, come dice l’odierno Vangelo. Molti si lagnano, che dopo aver assistiti i parenti, aiutati i vicini, soccorsi i poveri, dopo tante limosine, dopo tante opere buone non vedono spuntare alcun frutto. Questo frutto, io dico a costoro, l’aspettate voi da Dio, o dal mondo? Se dal mondo, oh quanto è incerto! oh quanto è fallace! Se l’aspettate da Dio, abbiate pazienza, e non sarete delusi nella vostra aspettazione. – L’agricoltore, dice s. Giacomo, aspetta pazientemente il frutto della terra, e dei suoi sudori. “Ecce agricola expectat pretiosum fructum terræ, patienter ferens”. (Iacob. V, 7.), imitate voi la sua pazienza, “patientes igitur estote et vos” (V, 8). Seminato il grano sul campo, si seppellisce sotterra, sopra di esso cade la pioggia, la neve, dominano i venti , il freddo, il gelo. E poi? E poi vengono le belle stagioni, spunta la messe, il sole l’indora, il mietitore ne gioisce. Così avvenne al buon Tobia. Trasportato questi da Salmanasar dalla Samaria in Ninive con dieci tribù d’Israele, nella cattività la fece da buon seminatore. Son senza numero le opere di carità che ei praticò a sollievo dei suoi fratelli in quella barbara schiavitù. Limosine agl’indigenti, conforti ai tribolati, correzioni ai trasgressori della legge di Dio e di Mosè, avvisi e minacce ai vacillanti, premura dei vivi, sollecitudine dei morti fino a lasciar il pranzo interrotto, fino a cimentar la propria vita per non lasciarli insepolti. Or questa eletta e copiosa sementa restò per un tempo notabile seppellita sotterra, e cadde sopra di essa un’alta neve. Mentre una sera Tobia ritorna a casa stanco dal trasportar cadaveri, vinto dal sonno si pone a giacere presso alla parete del portico. Quivi da un soprastante nido di rondinelle venne a cadere su le palpebre caldo e molle l’escremento de’ rondinini, che insinuandosi nelle pupille ne spense la luce con doppia cateratta. Ed ecco Tobia reso cieco. Ecco la neve caduta sul buon seminato. Alla cecità sopravviene la povertà, alla povertà la lingua pungente della sua moglie, ecco il vento, ecco il gelo. Ma che? Tutto sarà perduto? Eh, non temete, Tobia rassegnato aspetta pazientemente le divine retribuzioni nell’altra vita, e Dio lo vuol rimunerare anche in questa: manda l’Arcangelo Raffaele a guidar suo figlio in Rages città della Media. L’Angelo lo riconduce sano e salvo al padre, ricco di santa ricchissima sposa. Tobia riapre gli occhi alla luce, e quel eh’è più, Tobia, esempio di santità, riceve in cielo un eterno guiderdone delle sue virtù e della sua sapienza.

II. Per l’ opposto chi semina opere malvagie non può incorrere se non la mala sorte. “Qui seminat iniquitatem, metet mala(Prov. XXII, 8). L o dice lo Spirito Santo nei Proverbi. Quella lingua maledica semina discordie tra congiunti e congiunti, tra famiglie e famiglie, sparge bugie, calunnie, imposture: in quella bocca tutti sono malvagi, ipocriti i devoti, superbi i caritatevoli, ladri i facoltosi, ingiusti i tribunali , e non si risparmia né chiostro, né clero. Qual è il guadagno di una tal lingua? L’infamia che la disonora, che la fa abbominare e fuggire da tutte le oneste persone, come si fugge dalle vipere e dai serpenti. “Qui seminat iniquitatem, metet mala”. Figlio, rinnova l’avviso lo Spirito Santo, non seminar male azioni nei solchi dell’ingiustizia, acciò non ti avvenga dover raccogliere una messe sette volte maggiore di danni e d’infortuni. “Fili, non semines mala in sulcis iniustitias, et non metes ea in septuplum” (Prov. VII, 3). Quali sono questi solchi d’ingiustizia? Son le frodi, i pesi fallaci, le scarse misure, le usure palliate, i monopoli. Chi semina in questi solchi raccoglierà perdite, disgrazie, fallimenti, danni sette volte di più de’guadagni ricavati dai solchi dell’ingiustizia. – Giovani ciechi, voi seminate, secondo la frase di S. Paolo, opere di carne. “Ecco, dice lo stesso, il frutto che ne riporterete: macchie indelebili alla vostra reputazione, infermità vergognose, che vi faranno marcire le carni, che vi renderanno mezzo cadaveri, che abbrevieranno i vostri giorni, “Qui seminat in carne sua de carne metet corruptionem(ad Gal. VI, 8). – Davidde seminò scandali i n tutto il regno per l’adulterio con Bersabea, per l’ omicidio dell’innocente Uria, e ne raccolse ribellione dei sudditi, guerra del proprio figlio, disonore delle sue consorti. Sparse Gezabele calunnie contro Nabot, sparse il sangue de’ Profeti del Signore; e gettata via da un’alta loggia, lasciò strisce di sangue su la parete, e fu divorata dai cani. Sparse Ario l’eresia più perniciosa, e sparse le viscere e gl’intestini per simultanea vergognosissima morte. A finirla; è infallibile il divino oracolo: “Qui seminat iniquitatem, metet mala”. – Il frutto della presente spiegazione vorrei che fosse, fratelli carissimi, una generosa risoluzione di imitare i SS. Apostoli. A questi la s. Chiesa appropria le parole del re Salmista, “euntes ibant, et flebant mittentes semina sua(Ps. CXXV). Essi han sostenute fatiche, sparsi sudori in seminare la divina parola, si condussero alle più remote e barbare nazioni a spargere in quelle terre selvagge i semi della religione e della fede, piansero, si afflissero, diedero sangue e vita, “euntes ibant, et flebant mittentes semina sua”. Ma raccolsero una messe copiosissima di anime salve, di un mondo convertito, di una fede propagata e stabilita, della quale noi godiamo i frutti; e per sé stessi raccolsero una messe abbondante di meriti preziosi, di benedizioni perpetue e di eterna esultazione. I loro nomi, scritti nei libri santi e nel ruolo degli eletti, si rammentano con venerazione e riconoscenza; i loro corpi, le loro reliquie riscuotono culto sui nostri altari, le anime loro formano in cielo un coro glorioso e distinto, ove, colme di manipoli, ricche di meriti e di trionfi esulteranno nei secoli eterni: “Venientes autem venient cum exultatione portantes manipulos suos(ibid.). – Zeliamo ancor noi, fedeli amatissimi, secondo le nostre forze, la gloria di Dio e il bene dei prossimi, prepariamoci una buona raccolta di meriti colle opere di virtù, di carità di giustizia, di edificazione e di santità. Noi siamo in una valle di lacrime. Quei che seminano con dolore, dice il re Profeta, mieteranno con allegrezza, “qui seminant in lacrimis, in exultatione metent(Ibid. VI, 5). Conviene dunque nel pianto e nei dolore dei nostri peccati, nella mortificazione dei sensi, nella vittoria delle nostre passioni gettare i semi della nostra salvezza, per goderla poi eternamente nell’esultazione del nostro spirito. Per ciò ottenere da voi medesimi portate impressa nella mente e nel cuore la massima che fin qui vi venni esponendo. Qual è la sementa, tale sarà la raccolta: chi opera bene, speri bene, chi male, non si aspetti che male: “Quæ seminaverit homo, hæc et metet”.

Offertorium

Orémus Ps XVI:5; XVI:6-7

Pérfice gressus meos in sémitis tuis, ut non moveántur vestígia mea: inclína aurem tuam, et exáudi verba mea: mirífica misericórdias tuas, qui salvos facis sperántes in te, Dómine.

[Rendi fermi i miei passi nei tuoi sentieri, affinché i miei piedi non vacillino. Inclina l’orecchio verso di me, e ascolta le mie parole. Fa risplendere la tua misericordia, tu che salvi chi spera in Te, o Signore.]

Secreta

Oblátum tibi, Dómine, sacrifícium, vivíficet nos semper et múniat.

[Il sacrificio a Te offerto, o Signore, sempre ci vivifichi e custodisca.]

Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia saecula saeculorum. – Amen.

[Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.]

Communio Ps XLII:4

Introíbo ad altáre Dei, ad Deum, qui lætíficat juventútem meam.

[Mi accosterò all’altare di Dio, a Dio che allieta la mia giovinezza.]

Postcommunio

Orémus. Súpplices te rogámus, omnípotens Deus: ut, quos tuis réficis sacraméntis, tibi étiam plácitis móribus dignánter deservíre concédas.

[Ti supplichiamo, o Dio onnipotente, affinché quelli che nutri coi tuoi sacramenti, Ti servano degnamente con una condotta a Te gradita.]

 

Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia saecula saeculorum.

  1. R.

S. SIMEONE VESCOVO E MARTIRE

SIMEONE VESCOVO E MARTIRE

18 FEBBRAIO.

Narra una pia leggenda che S. Simeone fosse figlio di una cugina della S. Madonna. Quello che è certo, si è che era cugino del Signore, secondo la testimonianza del S. Vangelo, e compreso fra quelli che sono chiamati « Fratelli di Gesù » (Matth. XIII, 55). – Nacque otto o nove anni prima di Gesù Cristo e non può dubitarsi che ben presto lo seguisse assieme ai suoi genitori. Divenne poi discepolo fedele nella sua vita pubblica, e si dedicò con ardore alla predicazione. Il dì di Pentecoste anch’egli ebbe l’inestimabile fortuna di trovarsi presente nel Cenacolo con Maria e gli altri Apostoli a ricevere lo Spirito Santo. – Quando nel 62 i giudei ebbero ucciso San Giacomo suo fratello, primo Vescovo di Gerusalemme, egli vi fu eletto per unanime consenso degli Apostoli e dei discepoli riuniti per l’elezione. – Sotto il suo Episcopato i Romani, stanchi delle continue insurrezioni dei giudei, deliberarono di distruggere la città. Fu allora che il Signore avvertì i pochi cristiani d’uscire di città col proprio pastore. Docili al miracoloso avviso, essi partirono e si recarono a Pella, piccola città posta al di là del Giordano. L’anno 66 infatti, Vespasiano assediò la città e la distrusse. Ma appena le orde romane abbandonarono la città distrutta, i fedeli ripassarono il Giordano ed andarono ad abitare fra quelle rovine e in tal modo rifiorì in breve la Chiesa. – Il Signore poi con miracoli la glorificò e lo zelo di S. Simone si raddoppiò sì che una gran parte di giudei passarono alla nuova religione, unica e vera. Le conversioni, dopo d allora si moltiplicarono ogni giorno riempiendo di santa letizia il cuore dell’ormai vegliardo vescovo. – Ma quella canizie venne presto turbata dal sorgere di due eresie: quella dei Nazareni e quella degli Ebioniti. – Quelli ritenevano che Cristo non fosse vero Dio; questi aggiungevano ancora che certi peccati, anche gravi erano leciti. – Intanto Traiano aveva emanato un editto di ricerca e seguente condanna a morte dei discendenti del Re Davide, perché erano troppo turbolenti e perché troppo spesso insorgevano. – S. Simeone, che già era sfuggito alle ricerche di Vespasiano, imperatore precedente, questa volta fu accusato dagli eretici e dagli stessi giudei. Arrestato per parecchi giorni fu torturato da crudeli tormenti, destando stupore negli stessi persecutori per la sua coraggiosa resistenza. Lusingato da certuni a rinunziare alla religione cristiana, egli rispondeva: — Oh, stolti che siete! Per quattro giorni di cui potrei allungare la mia vecchiaia, dovrò prepararmi un’eternità di tormenti? Ah, non sarà mai! Dopo tanti supplizi fu crocifisso come il suo divin Maestro e questo egli stimò grande grazia, onore e premio. – Era l’anno 106; contava 120 anni di vita ed era l’ultimo superstite dei discepoli del Signore.

PRATICA. — Varrebbe nulla essere anche cugini del Signore, se poi non stessimo ai suoi insegnamenti, se non seguissimo i suoi esempi, se non usassimo dei SS. Sacramenti da Lui istituiti a nostra santificazione! Per farci santi, questo basta.

PREGHIERA. — Riguarda, Dio onnipotente, alla nostra debolezza: e perché il peso del nostro mal operato è grave, ci protegga la gloriosa intercessione del tuo beato Vescovo e Martire Simeone. Così sia.

Le profezie della Beata Anna Caterina Emmerich sui tempi presenti!

Visione profetica del Venerabile Anna-Katrina Emmerick (1774-1824 A.D.)

Monaca agostiniana, stimmatizzata.

“Vidi anche il rapporto tra i due papi … Vidi quanto sarebbero state nefaste le conseguenze di questa falsa chiesa. Lho veduta aumentare di dimensioni; eretici di ogni tipo venivano nella città [di Roma]. Il clero locale diventava tiepido, e vidi una grande oscurità … Allora la visione sembrò estendersi da ogni parte. Intere comunità cattoliche erano oppresse, assediate, confinate e private della loro libertà. Vidi molte chiese che venivano chiuse, dappertutto grandi sofferenze, guerre e spargimento di sangue. Una plebaglia selvaggia e ignorante si dava ad azioni violente. Ma tutto ciò non durò a lungo”. (13 maggio 1820).- “Vidi ancora una volta che la Chiesa di Pietro era minata da un piano elaborato dalla setta segreta, mentre le bufere la stavano danneggiando. Ma vidi anche che l’aiuto sarebbe arrivato quando le afflizioni avrebbero raggiunto il loro culmine. Vidi di nuovo la Beata Vergine ascendere sulla Chiesa e stendere il suo manto su di essa. Vidi un Papa che era mite e al tempo stesso molto fermo (Gregorio XVII, Giuseppe Siri –n.d.r.-)… Vidi un grande rinnovamento e la Chiesa che si librava in alto nel cielo”. – “Vidi una strana chiesa che veniva costruita contro ogni regola (la contro-chiesa ecumenico-modernista –n.d.r.-)… Non c’erano angeli a vigilare sulle operazioni di costruzione. In quella chiesa non c’era niente che venisse dall’alto … C’erano solo divisioni e caos. Si tratta probabilmente di una chiesa di creazione umana (la chiesa dell’uomo –ndr. -), che segue l’ultima moda, così come la nuova chiesa eterodossa di Roma, che sembra dello stesso tipo …”. (12 settembre 1820). – “Ho visto di nuovo la strana grande chiesa che veniva costruita là [a Roma]. Non c’era niente di santo in essa. Ho visto questo proprio come ho visto un movimento guidato da ecclesiastici a cui contribuivano angeli, santi ed altri cristiani. Ma là [nella strana chiesa] tutto il lavoro veniva fatto meccanicamente. Tutto veniva fatto secondo la ragione umana … Ho visto ogni genere di persone, cose, dottrine ed opinioni avere molto successo. Io non vedevo un solo angelo o un santo che aiutasse nel lavoro. Ma sullo sfondo, in lontananza, ho visto la sede di un popolo crudele armato di lance (la sede in Vaticano del B’nai B’rith? –ndr.-), e ho visto una figura che ridente diceva: “Costruitela pure quanto più solida potete; tanto noi la butteremo a terra”. (12 settembre 1820).- “Ho avuto la visione del santo Imperatore Enrico. L’ho visto di notte, da solo, in ginocchio ai piedi dell’altare principale in una grande e bellissima chiesa … e ho visto la Beata Vergine venire giù da sola. Ella ha steso sull’altare un panno rosso coperto con lino bianco, vi ha posto un libro intarsiato con pietre preziose ed ha acceso le candele e la lampada perpetua … Allora ecco venire il Salvatore in Persona vestito con l’abito sacerdotale … –  La Messa era breve. Il Vangelo di San Giovanni non veniva letto alla fine [è stato eliminato, così come le preci leonine, dall’antipapa G. B. Montini, sedicente Paolo sesto –ndr.] [1]. Terminata la Messa, Maria si è diretta verso Enrico e stendendo la mano destra verso di lui gli ha detto che questo era in riconoscimento della sua purezza. Allora lo ha esortato a non avere esitazioni. Dopo di ciò ho visto un angelo, che ha percosso il tendine della sua anca, come Giacobbe. Enrico provava grande dolore, e dal quel giorno ha camminato zoppicando … [2]”. (12 luglio 1820). – “Ho visto altri martiri, non di oggi, ma del futuro … Ho visto le sette segrete (della Massoneria –ndr.) minare spietatamente la grande Chiesa. Vicino ad esse ho visto una bestia orribile che saliva dal mare … In tutto il mondo le persone buone e devote, e specialmente il clero, erano vessate, oppresse e messe in prigione. Ho avuto la sensazione che un giorno sarebbero diventate martiri. – Quando la Chiesa per la maggior parte era stata distrutta e quando solo i santuari e gli altari erano ancora in piedi, vidi entrare nella Chiesa i devastatori con la Bestia. Là essi incontrarono una donna di nobile contegno che sembrava portare nel suo grembo un bambino, perché camminava lentamente. A questa vista i nemici erano terrorizzati e la Bestia non riusciva a fare neanche un altro passo in avanti. Essa proiettò il suo collo verso la Donna come per divorarla, ma la Donna si voltò e si prostrò [in segno di sottomissione a Dio; N.d.R.], con la testa che toccava il suolo. – Allora vidi la Bestia che fuggiva di nuovo verso il mare, e i nemici stavano scappando nella più grande confusione … Poi vidi, in grande lontananza, grandiose legioni che si avvicinavano. Davanti a tutti vidi un uomo su un cavallo bianco. I prigionieri venivano liberati e si univano a loro. Tutti i nemici venivano inseguiti. Allora, vidi che la Chiesa veniva prontamente ricostruita, ed era magnifica più di prima”. (Agosto-ottobre 1820). – “Vedo il Santo Padre in grande angoscia (Gregorio XVII e/o XVIII –ndr.-). Egli vive in un palazzo diverso da quello di prima e vi ammette solo un numero limitato di amici a lui vicini. – Temo che il Santo Padre soffrirà molte altre prove prima di morire. Vedo che la falsa chiesa delle tenebre sta facendo progressi, e vedo la tremenda influenza che essa ha sulla gente. Il Santo Padre e la Chiesa sono veramente in una così grande afflizione che bisognerebbe implorare Dio giorno e notte”. (10 agosto 1820). – “La scorsa notte sono stata condotta a Roma dove il Santo Padre (Gregorio XVII –ndr.-), immerso nel suo dolore, è ancora nascosto per evitare le incombenze pericolose. Egli è molto debole ed esausto per i dolori, le preoccupazioni e le preghiere. Ora può fidarsi solo di poche persone; è principalmente per questa ragione che deve nascondersi. Ma ha ancora con sé un anziano sacerdote di grande semplicità e devozione (padre Damaso, O. M. cappucc.). Egli è suo amico, e per la sua semplicità non pensavano valesse la pena toglierlo di mezzo. –  Ma quest’uomo riceve molte grazie da Dio. Vede e si rende conto di molte cose che riferisce fedelmente al Santo Padre. Mi veniva chiesto di informarlo, mentre stava pregando, sui traditori e gli operatori di iniquità che facevano parte delle alte gerarchie dei servi che vivevano accanto a lui, così che egli potesse avvedersene”. – “Non so in che modo la scorsa notte sono stata portata a Roma, ma mi sono trovata vicino alla chiesa di Santa Maria Maggiore, e ho visto tanta povera gente che era molto afflitta e preoccupata perché il Papa non si vedeva da nessuna parte, e anche per via dell’inquietudine e delle voci allarmanti in città. – La gente sembrava non aspettarsi che le porte della chiesa si aprissero; essi volevano solo pregare fuori. Una spinta interiore li aveva condotti là. Ma io mi trovavo nella chiesa e aprii le porte. Essi entrarono, sorpresi e spaventati perché le porte si erano aperte. Mi sembrò che fossi dietro la porta e che loro non potessero vedermi. Non c’era alcun ufficio aperto nella chiesa, ma le lampade del Santuario erano accese. La gente pregava tranquillamente. – Poi vidi un’apparizione della Madre di Dio, che disse che la tribolazione sarebbe stata molto grande. Aggiunse che queste persone devono pregare ferventemente … Devono pregare soprattutto perché la Chiesa delle tenebre abbandoni Roma”. (25 agosto 1820).

“Vidi la Chiesa di San Pietro: era stata distrutta ad eccezione del Santuario e dell’Altare principale [3]. San Michele venne giù nella chiesa, vestito della sua armatura, e fece una sosta, minacciando con la spada un certo numero di indegni pastori che volevano entrare. Quella parte della Chiesa che era stata distrutta venne prontamente recintata … così che l’Ufficio Divino potesse essere celebrato come si deve. Allora, da ogni parte del mondo vennero sacerdoti e laici che ricostruirono i muri di pietra, poiché i distruttori non erano stati capaci di spostare le pesanti pietre della fondazione”. (10 settembre 1820). -“Vidi cose deplorevoli: stavano giocando d’azzardo, bevendo e parlando in chiesa; stavano anche corteggiando le donne. Ogni sorta di abomini venivano perpetrati là. I sacerdoti permettevano tutto e dicevano la Messa con molta irriverenza. Vidi che pochi di loro erano ancora pii, e solo pochi avevano una sana visione delle cose. Vidi anche degli ebrei che si trovavano sotto il portico della chiesa. Tutte queste cose mi diedero tanta tristezza”. (27 settembre 1820). – “La Chiesa si trova in grande pericolo. Dobbiamo pregare affinché il Papa non lasci Roma; ne risulterebbero innumerevoli mali se lo facesse. Ora stanno pretendendo qualcosa da lui. La dottrina protestante e quella dei greci scismatici devono diffondersi dappertutto. Ora vedo che in questo luogo la Chiesa viene minata in maniera così astuta che rimangono a mala pena un centinaio di sacerdoti che non siano stati ingannati. Tutti loro lavorano alla distruzione, persino il clero. Si avvicina una grande devastazione”. (1 ottobre 1820). -“Quando vidi la Chiesa di San Pietro in rovina, e il modo in cui tanti membri del clero erano essi stessi impegnati in quest’opera di distruzione – nessuno di loro desiderava farlo apertamente davanti agli altri -, ero talmente dispiaciuta che chiamai Gesù con tutta la mia forza, implorando la Sua misericordia. Allora vidi davanti a me lo Sposo Celeste ed Egli mi parlò per lungo tempo … – Egli disse, fra le altre cose, che questo trasferimento della Chiesa da un luogo ad un altro significava che essa sarebbe sembrata in completo declino. Ma sarebbe risorta. Anche se rimanesse un solo cattolico, la Chiesa vincerebbe di nuovo perché non si fonda sui consigli e sull’intelligenza umani. Mi fece anche vedere che non era rimasto quasi nessun cristiano, nell’antico significato della parola”. (4 ottobre 1820).- “Mentre attraversavo Roma con San Francesco e altri santi, vedemmo un grande palazzo avvolto dalle fiamme, da cima a fondo. Avevo tanta paura che gli occupanti potessero morire bruciati perché nessuno si faceva avanti per spegnere il fuoco. Tuttavia, mentre ci avvicinavamo il fuoco diminuì e noi vedemmo un edificio annerito. Attraversammo un gran numero di magnifiche stanze, e finalmente raggiungemmo il Papa. Era seduto al buio e addormentato su una grande poltrona. Era molto ammalato e debole; non riusciva più a camminare. – Gli ecclesiastici nella cerchia interna sembravano insinceri e privi di zelo; non mi piacevano. Parlai al Papa dei vescovi che presto dovevano essere nominati. Gli dissi anche che non doveva lasciare Roma. Se l’avesse fatto sarebbe stato il caos. Egli pensava che il male fosse inevitabile e che doveva partire per salvare molte cose … Era molto propenso a lasciare Roma, e veniva esortato insistentemente a farlo … – La Chiesa è completamente isolata ed è come se fosse completamente deserta. – Sembra che tutti stiano scappando. Dappertutto vedo grande miseria, odio, tradimento, rancore, confusione e una totale cecità. O città! O città! Cosa ti minaccia? La tempesta sta arrivando; sii vigile!”. (7 ottobre 1820). – “Ho anche visto le varie regioni della terra. La mia Guida [Gesù] nominò l’Europa e, indicando una regione piccola e sabbiosa, espresse queste sorprendenti parole: “Ecco la Prussia, il nemico”. Poi mi mostrò un altro luogo, a nord, e disse: “questa è Moskva, la terra di Mosca, che porta molti mali”. (1820-1821). – “Fra le cose più strane che vidi, vi erano delle lunghe processioni di vescovi. Mi vennero fatti conoscere i loro pensieri e le loro parole attraverso immagini che uscivano dalle loro bocche. Le loro colpe verso la religione venivano mostrate attraverso delle deformità esterne. Alcuni avevano solo un corpo, con una nube scura al posto della testa. Altri avevano solo una testa, i loro corpi e i cuori erano come densi vapori. Alcuni erano zoppi; altri erano paralitici; altri ancora dormivano oppure barcollavano”. (1 giugno 1820). – “Quelli che vidi credo che fossero quasi tutti i vescovi del mondo, ma solo un piccolo numero era perfettamente retto. Vidi anche il Santo Padre – assorto nella preghiera e timoroso di Dio. Non c’era niente che lasciasse a desiderare nella sua apparenza, ma era indebolito dall’età avanzata e da molte sofferenze. – La testa pendeva da una parte all’altra, e cadeva sul petto come se si stesse addormentando. Egli aveva spesso svenimenti e sembrava che stesse morendo. Ma quando pregava era spesso confortato da apparizioni dal Cielo. In quel momento la sua testa era dritta, ma non appena la faceva cadere sul petto vedevo un certo numero di persone che guardavano rapidamente a destra e a sinistra, cioè in direzione del mondo.- Poi vidi che tutto ciò che riguardava il Protestantesimo stava prendendo gradualmente il sopravvento e la religione cattolica stava precipitando in una completa decadenza. La maggior parte dei sacerdoti erano attratti dalle dottrine seducenti ma false di giovani insegnanti, e tutti loro contribuivano all’opera di distruzione. – In quei giorni, la Fede cadrà molto in basso, e sarà preservata solo in alcuni posti, in poche case e in poche famiglie che Dio ha protetto dai disastri e dalle guerre”. (1820). – “Vedo molti ecclesiastici che sono stati scomunicati e che non sembrano curarsene, e tantomeno sembrano averne coscienza. Eppure, essi vengono scomunicati quando cooperano (sic) con imprese, entrano in associazioni e abbracciano opinioni su cui è stato lanciato un anatema. Si può vedere come Dio ratifichi i decreti, gli ordini e le interdizioni emanate dal Capo della Chiesa e li mantenga in vigore anche se gli uomini non mostrano interesse per essi, li rifiutano o se ne burlano”. (1820-1821).- “Vidi molto chiaramente gli errori, le aberrazioni e gli innumerevoli peccati degli uomini. Vidi la follia e la malvagità delle loro azioni, contro ogni verità e ogni ragione. Fra questi c’erano dei sacerdoti e io con piacere sopportavo le mie sofferenze affinché essi potessero ritornare ad un animo migliore”. (22 marzo 1820).- “Ho avuto un’altra visione della grande tribolazione. Mi sembrava che si pretendesse dal clero una concessione che non poteva essere accordata. Vidi molti sacerdoti anziani, specialmente uno, che piangevano amaramente. Anche alcuni più giovani stavano piangendo. Ma altri, e i tiepidi erano fra questi, facevano senza alcuna obiezione ciò che gli veniva chiesto. Era come se la gente si stesse dividendo in due fazioni”. (12 aprile 1820). – “Vidi un nuovo Papa che sarà molto rigoroso. Egli si alienerà i vescovi freddi e tiepidi. Non è un romano, ma è italiano. Proviene da un luogo che non è lontano da Roma, e credo che venga da una famiglia devota e di sangue reale. Ma per qualche tempo dovranno esserci ancora molte lotte e agitazioni”. (27 gennaio 1822). -“Verranno tempi molto cattivi, nei quali i non cattolici svieranno molte persone. Ne risulterà una grande confusione. Vidi anche la battaglia. I nemici erano molto più numerosi, ma il piccolo esercito di fedeli ne abbatté file intere [di soldati nemici]. Durante la battaglia, la Madonna si trovava in piedi su una collina, e indossava un’armatura. Era una guerra terribile. Alla fine, solo pochi combattenti per la giusta causa erano sopravvissuti, ma la vittoria era la loro”. (22 ottobre 1822).- “Vidi che molti pastori si erano fatti coinvolgere in idee che erano pericolose per la Chiesa. Stavano costruendo una Chiesa grande, strana, e stravagante. Tutti dovevano essere ammessi in essa per essere uniti ed avere uguali diritti: evangelici, cattolici e sette di ogni denominazione. Così doveva essere la nuova Chiesa … Ma Dio aveva altri progetti”. (22 aprile 1823).- “Vorrei che fosse qui il tempo in cui regnerà il Papa vestito di rosso. Vedo gli apostoli, non quelli del passato ma gli apostoli degli ultimi tempi e mi sembra che il Papa sia fra loro.” – “Nel centro dell’inferno ho visto un abisso buio e dall’aspetto orribile e dentro di esso era stato gettato Lucifero, dopo essere stato assicurato saldamente a delle catene… Dio stesso aveva decretato questo; e mi è stato anche detto, se ricordo bene, che egli verrà liberato per un certo periodo cinquanta o sessanta anni prima dell’anno di Cristo 2000. Mi vennero indicate le date di molti altri eventi che non riesco a ricordare; ma un certo numero di demoni dovranno essere liberati molto prima di Lucifero, in modo che tentino gli uomini e servano come strumenti della vendetta divina.” – “Un uomo dal viso pallido fluttuava lentamente al di sopra della terra e, sciogliendo i drappi che avvolgevano la sua spada, li gettò sulle città addormentate, che vennero legate da questi. Questa figura gettò la pestilenza sulla Russia, l’Italia e la Spagna. Attorno a Berlino vi era un fiocco rosso e da lì venne in Westfalia. Ora la spada dell’uomo era sguainata, strisce rosse come il sangue pendevano dall’impugnatura e il sangue che grondava da questa cadeva sulla Westfalia [4]”. -“Gli ebrei ritorneranno in Palestina e diverranno cristiani verso la fine del mondo.”

Note:

1) Per secoli, prima della riforma liturgica del 1967, la Santa Messa si concludeva abitualmente (salvo rare eccezioni) con la lettura del Vangelo di Giovanni.

2) Questa è una delle numerose profezie in cui si dice che il Grande Monarca avrà un problema ad una gamba che lo farà zoppicare.

3) La visione di Suor Emmerich della chiesa di San Pietro in rovine è da intendersi certamente in senso figurato, l’immagine della distruzione delle mura di San Pietro rappresenta gli attacchi alla Fede e la decadenza della Chiesa che avranno luogo prima del suo più grande trionfo durante l’Era di Pace. Tuttavia, basandoci sulle numerose profezie che parlano di una futura distruzione di Roma, non si può escludere che anche il Vaticano in quest’occasione subirà pesanti danni materiali e devastazioni.

4) Qui probabilmente si allude alla battaglia della Westfalia, menzionata in molte profezie. In alcune di queste profezie si fa riferimento a questa regione della Germania col nome di “paese della betulla”.

Fonti:

“Catholic Prophecy” di Yves Dupont, Tan Books; “The Dolorous Passion of Our Lord Jesus Christ”, meditazioni di Anna Caterina Emmerich, Benziger Brothers, New York – 1904; “The Prophets And Our Times” di Padre Gerald Culleton, Tan Books; “Trial, Tribulation and Triumph” di Desmond A. Birch, Queenship Publishing;

(NB: i brani riportati in “Catholic Prophecy” e “Trial, Tribulation and Triumph” sono tratti da “The Life of Anne Catherine Emmerich” di Carl E. Schmoeger).

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Evidentemente la Venerabile aveva ben visto lo svolgimento dei fatti, ed inquadrati perfettamente gli avvenimenti sfociati nella attuale crisi della Chiesa Cattolica, in cui evidentissima sempre più appare l’apostasia di veri e falsi prelati [oramai quasi tutti i modernisti, falsi tranne qualche ultra ottuagenario, tutti falsi i non-preti delle fraternità paramassoniche e derivati, i figliocci del cavaliere kadosh Lienart]. Quello che dovrebbe far meditare questi apostati, modernisti e c.d. tradizionalisti, eretici, scismatici, sedevantisti, è il passaggio segnato in rosso, nel quale si accenna alle scomuniche che il buon Dio conferma, come da promessa evangelica a Pietro e successori legittimi “… quel che legherai in terra, sarà legato in cielo …” , e che tutti disprezzano  burlandosene allegramente con superficialità veramente satanica, dimostrando oltremodo la non considerazione delle leggi della Chiesa, eluse, ritenute semplici “chiacchiere” o “scartoffie” del passato, polverose o ammuffite, ma che invece conservano tutto il potere spirituale capace di barrare la via della salvezza. A questi invero raccomandiamo con spirito sinceramente fraterno, di riconsiderare le loro posizioni alla luce del Sacro Magistero cattolico, per rimuovere le loro numerose censure derivanti dal disprezzo delle leggi emanate nei secoli da Papi e Concilii, leggi che conservano, come ci ricorda opportunamente la Venerabile, tutte intatte le loro terribili sentenze di condanna ad essere estromessi dalla Chiesa Cattolica, unica Chiesa in cui c’è salvezza, e quindi essere destinati al fuoco eterno. Qui non si tratta di sterili polemiche, discussioni vane o farfugliamenti pseudo teologici, bensì della perdita della vita eterna e della condanna irrevocabile alla dannazione perpetua. Ricorrete, vi scongiuriamo fratelli, ai rimedi del caso, prima che sia troppo tardi!