UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE IL MODERNISTA APOSTATA DI TORNO: IL FERMO PROPOSITO

Questa stupenda enciclica di Papa Sarto, scritta in italiano, si collega al Magistero del suo “immenso” predecessore, Papa Leone XIII, ed in particolare alla lettera cardine delle Encicliche sociali, la “Rerum Novarum”, della quale si ricordano i principi ivi enunciati. Qui poi il Santo Padre ancora annuncia e ribadisce che, nella soluzione dei problemi sociali, oltre che spirituali, occorre “restaurare tutto in Cristo”, motto del suo Pontificato ed ineludibile principio di vita, fondamento imprescindibile di ogni azione sociale e politica, oltre che naturalmente spirituale. A questo principio deve conformarsi, secondo il Sommo Pontefice, ogni azione o attività del Cattolico, religioso o laico; nell’ambito sociale e politico si ribadisce, una volta di più, la necessità dell’osservanza della dottrina cattolica e la sottomissione umile e piena alla Santa Chiesa di Cristo, la Chiesa Cattolica ed alla sua Gerarchia. Sono i princîpi di sempre della dottrina cristiana, che hanno portato in altri tempi uomini bruti, pagani, incivili, barbari, alla sommità della civiltà umana in ogni campo ed in ogni luogo. Questi sono i princîpi che purtroppo coloro che reggono oggi i destini dei popoli, i politici di ogni schieramento e fazione, hanno abiurato, apostatato e contraddetto ostinatamente, cercando inutilmente “ricette” e filosofie alternative che si dimostrano nel tempo pure disastrose, foriere di indigenza e distruzione materiale, di instabilità sociale, disperazione personale e di gruppo, di tracolli e crisi economiche di ogni tipo, senza trovare soluzione alcuna capace di incidere sui reali bisogni delle popolazioni, ormai asservite a sistemi falsamente democratici, ove regna l’interesse di pochi, oppressori di deboli e di [resi] miseri. Riprendano le guide dei popoli, i concetti che la Chiesa Cattolica ha espresso infallibilmente nel tempo, se si vuole veramente riportare l’umana società alla concordia sociale ed al benessere sia materiale che soprattutto spirituale, veicolo per raggiungere l’unico obiettivo dell’essere umano: la salvezza eterna.

san Pio X

Il fermo proposito

Lettera Enciclica

Il fermo proposito, che fin dai primordi del Nostro Pontificato abbiamo concepito, di voler consacrare tutte le forze che la benignità del Signore si degna concederCi alla restaurazione di ogni cosa in Cristo, Ci risveglia nel cuore una grande fiducia nella potente grazia di Dio, senza la quale nulla di grande e di fecondo per la salute delle anime possiamo pensare od imprendere quaggiù. Nello stesso tempo però sentiamo più che mai vivo il bisogno di essere secondati unanimemente e costantemente nella nobile impresa da voi, Venerabili Fratelli, chiamati a parte dell’ufficio Nostro pastorale, da ognuno del Clero e dei singoli fedeli alle vostre cure commessi. Tutti in vero nella Chiesa di Dio siamo chiamati a formare quell’unico corpo, il cui capo è Cristo: corpo strettamente compaginato, come insegna l’Apostolo Paolo (Eph. IV, 16), e ben commesso in tutte le sue giunture comunicanti, e questo in virtù dell’operazione proporzionata di ogni singolo membro, onde il corpo stesso prende l’aumento suo proprio e di mano in mano si perfeziona nel vincolo della carità. E se in quest’opera di “edificazione Corpo di Cristo” (Eph. IV, 12) è Nostro primo ufficio d’insegnare, additare il retto modo da seguire e proporne i mezzi, di ammonire ed esortare paternamente, è altresì dovere di tutti i Nostri figliuoli dilettissimi, sparsi pel mondo, di accogliere le parole Nostre, di attuarle dapprima in se stessi e di concorrere efficacemente ad attuarle eziandio negli altri, ciascuno secondo la grazia da Dio ricevuta, secondo il suo stato ed ufficio, secondo lo zelo che ne infiamma il cuore. – Qui vogliamo soltanto ricordare quelle molteplici opere di zelo in bene della Chiesa, della società e degli individui particolari, comunemente designati col nome di azione cattolica, che fioriscono per grazia di Dio in ogni luogo e che abbondano altresì nella nostra Italia. Voi ben intendete, Venerabili Fratelli, quanto esse Ci debbano tornar care e quanto intimamente bramiamo di vederle rassodate e promosse. Non solo a più riprese ne abbiamo trattato a voce con parecchi almeno di voi, e col principali loro rappresentanti in Italia nell’occasione che essi Ci recavano in persona l’omaggio della loro devozione e del loro affetto filiale, ma altresì pubblicando Noi su questo argomento o facendo pubblicare con la Nostra Autorità vari Atti, che tutti già conoscete. Vero è che alcuni di questi, come richiedevano le circostanze per Noi dolorose, erano piuttosto diretti a rimuovere gli ostacoli al più spedito procedere dell’azione cattolica e a condannare certe tendenze indisciplinate, che con grave danno della causa comune si andavano insinuando. Però Ci tardava il cuore di rivolgere a tutti eziandio una parola di paterno conforto e di eccitamento acciocché sul terreno, per quanto è da Noi, sgombro dagli impedimenti, si continui ad edificare il bene e ad accrescerlo largamente. Ci è dunque ben grato di farlo ora con le presenti Nostre Lettere a comune consolazione, nella certezza che le parole Nostre saranno da tutti dolcemente ascoltate e seguite. – Vastissimo è il campo dell’azione cattolica, la quale per sé medesima non esclude assolutamente nulla di quanto, in qualsiasi modo, diretto od indiretto, appartiene alla divina missione della Chiesa. Di leggieri si riconosce la necessità del concorso individuale a tant’opera, non solo per la santificazione delle anime nostre, ma anche per diffondere e sempre meglio dilatare il Regno di Dio negli individui, nelle famiglie e nella società, procurando ciascuno, secondo le proprie forze, il bene del prossimo con la diffusione della verità rivelata, con l’esercizio delle virtù cristiane e con le opere di carità o di misericordia spirituale e corporale. Questo è il camminare degno di Dio, a che ci esorta San Paolo, così da piacergli in ogni cosa, producendo frutti di ogni opera buona e crescendo nella scienza di Dio: “Ut ambuletis digne Deo per omnia placentes: in omni opere bono fructificantes et crescentes in scentia Dei” (Coloss. I, 10). – Oltre a questi però v’è un gran numero di beni appartenenti all’ordine naturale a cui la missione della Chiesa non è direttamente ordinata, ma che pure sgorgano dalla medesima, quasi naturale sua conseguenza. Tanta è la luce della Rivelazione cattolica, che si diffonde vivissima su ogni scienza; tanta la forza delle massime evangeliche, che i precetti della legge naturale si radicano più sicuri ed ingagliardiscono; tanta infine l’efficacia della verità e della morale insegnate da Gesù Cristo, che lo stesso benessere materiale degli individui, della famiglia e della società umana si trova provvidenzialmente sostenuto e promosso. La Chiesa, pure predicando Gesù Cristo crocifisso, scandalo e stoltezza innanzi al mondo (I Cor. I, 23), è divenuta ispiratrice e fautrice primissima di civiltà; e la diffusione per tutto dove predicavano i suoi Apostoli, conservando e perfezionando gli elementi buoni delle antiche civiltà pagane, strappando dalla barbarie ed educando a civile consorzio i nuovi popoli che al suo seno materno si rifugiavano, diede all’intera società, bensì a poco a poco, ma con tratto sicuro e sempre più progressivo, quell’impronta tanto spiccata, che ancora oggi universalmente conserva. La civiltà del mondo è civiltà cristiana; tanto è più vera, più durevole, più feconda di frutti preziosi, quanto è più nettamente cristiana; tanto declina, con immenso danno del bene sociale, quanto all’idea cristiana si sottrae. Onde, per la forza intrinseca delle cose, la Chiesa divenne anche di fatto custode e vindice della civiltà cristiana. E tale fatto in altri secoli della storia fu riconosciuto e ammesso; formò anzi il fondamento inconcusso delle legislazioni civili. Su quel fatto poggiarono le relazioni tra la Chiesa e gli Stati, il pubblico riconoscimento dell’autorità della Chiesa nelle materie tutte che toccano in qualsivoglia modo la coscienza, la subordinazione di tutte le leggi dello Stato alle divine leggi del Vangelo, la concordia dei due poteri dello Stato e della Chiesa, nel procurare in tal modo il bene temporale dei popoli, che non ne abbia a soffrire l’eterno. – Non abbiamo bisogno di dirvi, o Venerabili Fratelli, quale prosperità e benessere, quale pace e concordia, quale rispettosa soggezione all’autorità e quale eccellente governo si otterrebbero e si manterrebbero nel mondo, se si potesse attuare ovunque il perfetto ideale della civiltà cristiana. Ma posta la lotta continua della carne contro lo spirito, delle tenebre contro la luce, di satana contro Dio, tanto non è da sperare, almeno nella sua piena misura. Onde continui strappi si vanno facendo alle pacifiche conquiste della Chiesa, tanto più dolorosi e funesti, quanto più la società umana tende a reggersi con principi avversi al concetto cristiano, anzi ad apostatare interamente da Dio. – Non per questo è da perdere punto il coraggio. La Chiesa sa che le porte dell’inferno non prevarranno contro di lei; ma sa ancora che avrà nel mondo premura, che i suoi Apostoli sono inviati come agnelli tra lupi, che i suoi seguaci saranno sempre coperti d’odio e di disprezzo, come d’odio e di disprezzo fu saturato il divino suo Fondatore. La Chiesa va quindi innanzi imperterrita, e mentre diffonde il Regno di Dio là dove non fu peranco pregiudicato, si studia per ogni maniera di riparare alle perdite nel Regno già conquistato. “Restaurare tutto in Cristo” è stata sempre la divisa della Chiesa, ed è particolarmente la Nostra nei trepidi momenti che traversiamo. Ristorare ogni cosa, non in qualsivoglia modo, ma in Cristo: “in Lui, tutte le cose che sono in Cielo ed in terra, soggiunse l’Apostolo (Eph. I, 10): ristorare in Cristo non solo ciò che appartiene propriamente alla divina missione della Chiesa di condurre le anime a Dio, ma anche ciò che, come abbiamo spiegato, da quella divina missione spontaneamente deriva, la civiltà cristiana nel complesso di tutti e singoli gli elementi che la costituiscono. – E poiché Ci fermiamo a quest’ultima sola parte della restaurazione desiderata, voi vedete, o Venerabili Fratelli, di quanto aiuto tornano alla Chiesa quelle schiere elette di Cattolici che si propongono appunto di riunire insieme tutte le forze vive, a fine di combattere con ogni mezzo giusto e legale la civiltà anticristiana, riparare per ogni modo i disordini gravissimi che da quella derivano; ricondurre Gesù Cristo nella famiglia, nella scuola, nella società; ristabilire il principio dell’autorità umana come rappresentante di quella di Dio; prendere sommamente a cuore gli interessi del popolo e particolarmente del ceto operaio ed agricolo, non solo istillando nel cuore di tutti il principio religioso, unico vero fonte di consolazione nelle angustie della vita, ma studiandosi di rasciugarne le lacrime, di raddolcirne le pene, di migliorare la condizione economica con ben condotti provvedimenti; adoperarsi quindi perché le pubbliche leggi siano informate a giustizia, e si correggano o vadano soppresse quelle che alla giustizia si oppongono: difendere infine e sostenere con animo veramente cattolico i diritti di Dio in ogni cosa e quelli non meno sacri della Chiesa. – Il complesso di tutte queste opere sostenute e promosse in gran parte dal laicato cattolico e variamente ideate a seconda dei bisogni propri di ogni nazione e delle circostanze particolari in cui versa ogni paese, è appunto quello che con termine più particolare e certo nobile assai suoi essere chiamato azione cattolica, ovvero azione dei cattolici. Essa in tutti i tempi venne sempre in aiuto della Chiesa, e la Chiesa tale aiuto ha sempre accolto favorevolmente e benedetto, sebbene a seconda dei tempi si sia variamente esplicato. – Ed è infatti da notare qui subito, che non tutto ciò che potrà essere stato utile, anzi unicamente efficace nei secoli andati, torna oggi possibile restituire allo stesso modo: tanti sono i cangiamenti radicali che col correre dei tempi s’insinuano nella società o nella vita pubblica, e tanti i nuovi bisogni che le circostanze cambiate vanno di continuo suscitando. Ma la Chiesa nel lungo corso della sua storia ha sempre ed in ogni caso dimostrato luminosamente di possedere una meravigliosa virtù di adattamento alle variabili condizioni del consorzio civile, talché, salva sempre l’integrità e l’immutabilità della fede e della morale, e salvi egualmente i sacrosanti suoi diritti, facilmente si piega e si accomoda in tutto ciò che è contingente ed accidentale alle vicende dei tempi ed alle nuove esigenze della società. La pietà, dice San Paolo, a tutto si acconcia possedendo le promesse divine, così per i beni della vita presente, come per quelli della vita futura. “Pietas autem ad omnia utilis est, promissionem habens vitæ, quæ nunc est, et futuræ” (I Tim. IV, 8). E però anche l’azione cattolica, se opportunamente cambia nelle sue forme esterne e nei mezzi che adopera, rimane sempre la stessa nei principi che la dirigono e nel fine nobilissimo che si propone. Perché poi nello stesso tempo torni veramente efficace, converrà diligentemente avvertire le condizioni che essa medesima impone, se ben si considerino la sua natura ed il suo fine. – Anzitutto dov’essere altamente radicato nel cuore che lo strumento vien meno, se non è acconcio all’opera che si vuol eseguire. L’azione cattolica (come si ritrae ad evidenza dalle cose anzidette) poiché si propone di ristorare ogni cosa in Cristo, costituisce un vero apostolato ad onore e gloria di Cristo stesso. Per bene compierlo ci vuole la grazia divina, e questa non si dà all’apostolo che non sia unito a Cristo. Solo quando avremo formato Gesù Cristo in noi, potremo più facilmente ridonarlo alle famiglie, alla società. E però quanti sono chiamati a dirigere o si dedicano a promuovere il movimento cattolico devono essere cattolici a tutta prova, convinti della loro fede, sodamente istruiti nelle cose della Religione, sinceramente ossequienti alla Chiesa ed in particolare a questa suprema Cattedra Apostolica ed al Vicario di Gesù Cristo in terra; di pietà vera, di maschie virtù, di puri costumi e di vita così intemerata che tornino a tutti di esempio efficace. Se l’animo non è così temprato, non solo sarà difficile promuovere negli altri il bene, ma sarà quasi impossibile procedere con rettitudine d’intenzione e mancheranno le forze per sostenere con perseveranza le noie che reca seco ogni apostolato, le calunnie degli avversari, le freddezze e la poca corrispondenza degli uomini anche dabbene, talvolta perfino le gelosie degli amici e degli stessi compagni di azione, scusabili senza dubbio, posta la debolezza dell’umana natura, ma pure grandemente pregiudizievoli e causa di discordie, di attriti, di domestiche guerricciuole. Solo una virtù paziente e ferma nel bene, e nello stesso tempo soave e delicata, è capace di rimuovere o diminuire questa difficoltà, così che l’opera a cui sono dedicate le forze cattoliche non ne vada compromessa. Tale è la volontà di Dio, diceva San Pietro ai primitivi fedeli, che col ben fare chiudiate la bocca agli uomini stolti. “Sic est voluntas Dei, ut bene facientes obmutescere faciatis imprudentium hominum ignorantiam” (I Petr. II, 15). – Importa inoltre ben definire le opere intorno alle quali si devono spendere con ogni energia e costanza le forze cattoliche. Quelle opere devono essere di così evidente importanza, così rispondenti ai bisogni della società odierna, così acconce agli interessi morali e materiali, soprattutto del popolo e delle classi diseredate, che mentre infondono ogni migliore alacrità dei promotori dell’azione cattolica pel grande e sicuro frutto che da sé medesime promettono, siano insieme da tutti e facilmente comprese ed accolte volonterosamente. Appunto perché i gravi problemi della vita odierna sociale esigono una soluzione pronta e sicura, si desta in tutti il più vivo interesse di sapere e conoscere i vari modi onde quelle soluzioni si propongono in pratica. Le discussioni in un senso o nell’altro si moltiplicano ogni dì più e si propagano facilmente per mezzo della stampa. È quindi supremamente necessario che l’azione cattolica colga il momento opportuno, si faccia innanzi coraggiosa e proponga anch’essa la soluzione sua e la faccia valere con propaganda ferma, attiva, intelligente, disciplinata, tale che direttamente si opponga alla propaganda avversaria. La bontà e giustizia dei principi cristiani, la retta morale che professano i cattolici, il pieno disinteresse delle cose proprie non altro apertamente e sinceramente bramando che il vero, il solo, il supremo bene altrui, infine l’evidente loro capacità di promuovere meglio degli altri anche i veri interessi economici del popolo, è impossibile non facciano breccia sulla mente e sul cuore di quanti ascoltano e non ne aumentino le file, fino a renderli un corpo forte e compatto, capace di resistere gagliardamente alla contraria corrente e di tenere in rispetto gli avversari. – Tale supremo bisogno avvertì pienamente il Nostro Antecessore di b. m. Leone XIII, additando soprattutto nella memoranda Enciclica “Rerum Novarum” ed in altri documenti posteriori, l’oggetto intorno al quale precipuamente doveva svolgersi l’azione cattolica, cioè “la pratica soluzione a seconda dei principi cristiani della questione sociale“. Noi pure, seguendo così sapienti norme, col Nostro Motu proprio del 18 Dicembre 1903 abbiamo dato all’azione popolare cristiana, che in sé comprende tutto il movimento cattolico sociale, un ordinamento fondamentale che fosse quasi la regola pratica del lavoro comune ed il vincolo della concordia e della carità. Qui dunque ed a questo scopo santissimo e necessarissimo devono anzitutto aggrupparsi e solidarsi le opere cattoliche, varie e molteplici nella forma, ma tutte egualmente intese a promuovere con efficacia il medesimo bene sociale. – Ma perché quest’azione sociale si mantenga e prosperi con la necessaria coesione delle varie opere che la compongono è soprammodo importante che i cattolici procedano con esemplare concordia tra loro; la quale per altro non si otterrà mai, se non vi ha in tutti unità di intendimenti. Su tale necessità non può cadere dubbio di sorta alcuna; tanto chiari ed aperti sono gli insegnamenti dati da questa Cattedra Apostolica, tanta la viva luce che vi hanno sparso intorno coi loro scritti i più insigni tra Cattolici d’ogni paese, tanto lodevole esempio che più volte, anche da Noi medesimi, si è proposto ai Cattolici di altre nazioni, i quali appunto per questa concordia ed unità di intendimenti, in breve tempo hanno ottenuto frutti fecondi e assai consolanti. – Ad assicurarne poi il conseguimento, tra le varie opere degne egualmente di lode, si è dimostrata altrove singolarmente efficace un’istituzione di carattere generale, che col nome di Unione popolare è destinata ad accogliere i Cattolici di tutte le classi sociali, ma specialmente le grandi moltitudini del popolo intorno ad un solo centro comune di dottrina, di propaganda e di organizzazione sociale. Essa infatti, poiché risponde ad un bisogno egualmente sentito quasi in ogni paese, e poiché la sua semplice costituzione risulta dalla natura stessa delle cose quali egualmente per tutto s’incontrano, non può dirsi che sia propria più di una nazione che di un’altra, ma di tutte, dove si manifestano gli stessi bisogni e sorgono i medesimi pericoli. La sua grande popolarità la rende facilmente cara ed accettevole e non disturba né impedisce alcun’altra istituzione ma piuttosto a tutte le istituzioni dà forza e compattezza poiché con la sua organizzazione strettamente personale sprona gli individui a entrare nelle istituzioni particolari, li addestra al lavoro pratico e veramente proficuo, ed unisce gli animi di tutti in un unico sentire e volere. – Stabilito così codesto centro sociale, tutte le altre istituzioni d’indole economica, destinate a risolvere praticamente e sotto i vari suoi aspetti il problema sociale, si trovano come spontaneamente raggruppate insieme nel fine generale che le unisce, mentre pure, a seconda dei vari bisogni a cui si applicano, prendono forme diverse e diversi mezzi adoperano, come richiede lo scopo particolare proprio di ciascuna. E qui Ci torna ben caro di esprimere la Nostra soddisfazione pel molto che in questa parte si è già fatto in Italia, con certa speranza che, posto l’aiuto divino, si faccia ancora assai più nell’avvenire, rassodando il bene ottenuto e dilatandolo con zelo sempre più crescente. Nel che si rese grandemente benemerita l’Opera dei Congressi e Comitati Cattolici, grazie all’attività intelligente degli uomini esimi che la dirigevano, e che a quelle particolari istituzioni furono preposti o le dirigono tuttora. E però tale centro od unione di opere d’indole economica, come fu da Noi espressamente conservata al cessare dell’anzidetta Opera dei Congressi, così dovrà continuare anche in seguito sotto la solerte direzione di coloro che le sono preposti. – Contuttociò, perché l’azione cattolica sia efficace sotto ogni rispetto, non basta che essa sia proporzionata ai bisogni sociali odierni; conviene ancora che si faccia valere con tutti quei mezzi pratici, che le mettono oggi in mano il progresso degli studi sociali ed economici, l’esperienza già fatta altrove, le condizioni del civile consorzio, la stessa vita pubblica degli Stati. Altrimenti si corre rischio di andare tentoni lungo tempo in cerca di cose nuove e mal sicure, mentre le buone e certe si hanno in mano ed hanno fatto già ottima prova; ovvero di proporre istituzioni e metodi propri forse di altri tempi, ma oggi non intesi dal popolo, ovvero infine di arrestarsi a mezza via non servendosi, nella misura pur concessa, di quei diritti cittadini che le odierne costituzioni civili offrono a tutti e quindi anche ai Cattolici. E per fermarsi a quest’ultimo punto, certo è che l’odierno ordinamento degli Stati offre indistintamente a tutti la facoltà di influire sulla pubblica cosa, ed i Cattolici, salvo gli obblighi imposti dalla legge di Dio e dalle prescrizioni della Chiesa, possono con sicura coscienza giovarsene, per mostrarsi idonei al pari, anzi meglio degli altri, di cooperare al benessere materiale civile del popolo ed acquistarsi così quell’autorità e quel rispetto che rendano loro possibile eziandio di difendere e promuovere i beni più alti, che sono quelli dell’anima. – Quei diritti civili sono parecchi e di vario genere, fino a quello di partecipare direttamente alla vita politica del paese rappresentando il popolo nelle aule legislative. Ragioni gravissime Ci dissuadono, Venerabili Fratelli, dallo scostarsi da quella norma già decretata dal Nostro Antecessore di s. m. Pio IX e seguita poi dall’altro Nostro Antecessore di s. m. Leone XIII durante il diuturno suo Pontificato, secondo la quale rimane in genere vietata in Italia la partecipazione dei Cattolici al potere legislativo. Sennonché altre ragioni parimenti gravissime, tratte dal supremo bene della società, che ad ogni costo deve salvarsi, possono richiedere che nei casi particolari si dispensi dalla legge, specialmente quando voi, Venerabili Fratelli, ne riconosciate la stretta necessità pel bene delle anime e dei supremi interessi delle vostre Chiese e ne facciate domanda. – Ora la possibilità di questa benigna concessione Nostra induce il dovere nei Cattolici tutti di prepararsi prudentemente e seriamente alla vita politica, quando vi fossero chiamati. Onde importa assai, che quella stessa attività, già lodevolmente spiegata dai Cattolici per prepararsi con una buona organizzazione elettorale alla vita amministrativa dei Comuni e dei Consigli provinciali, si estenda altresì a prepararsi convenientemente e ad organizzarsi per la vita politica, come fu opportunamente raccomandato con la circolare del 3 dicembre 1904 alla Presidenza generale delle Opere economiche in Italia. Nello stesso tempo dovranno inculcarsi e seguirsi in pratica gli altri principi che regolano la coscienza di ogni vero cattolico. Deve egli ricordarsi sopra ogni cosa di essere in ogni circostanza e di apparire veramente cattolico, accedendo agli offici pubblici ed esercitandoli col fermo e costante proposito di promuovere a tutto potere il bene sociale ed economico della Patria e particolarmente del popolo, secondo le massime della civiltà spiccatamente cristiana e di difendere insieme gli interessi della Chiesa, che sono quelli della Religione e della giustizia. – Tali sono, Venerabili Fratelli, i caratteri, l’oggetto e le condizioni dell’azione cattolica, considerata nella parte sua più importante, che è la soluzione della questione sociale, degna quindi che vi si applichino con la massima energia e costanza tutte le forze cattoliche. Il che però non esclude che si favoriscano e si promuovano anche altre opere di vario genere, di diversa organizzazione, ma tutte egualmente destinate a questo o quel bene particolare della società e del popolo ed a rifiorimento della civiltà cristiana sotto vari determinati aspetti. Sorgono esse per lo più grazie allo zelo di particolari persone e si diffondono nelle singole diocesi e talvolta si aggruppano in federazioni più estese. Ora, sempreché sia lodevole il fine che si propongono, siano fermi i principi cristiani che seguono e giusti i mezzi che adoperano, sono anch’esse da lodare e incoraggiare per ogni modo. E si dovrà lasciare loro una certa libertà di organizzazione, non essendo possibile, che dove più persone convengono insieme, si modellino tutte in medesimo stampo e si accentrino sotto un’unica direzione. L’organizzazione poi deve sorgere spontanea dalle opere stesse, altrimenti si avranno edifici bene architettati, ma privi di fondamento reale e perciò al tutto effimeri. Conviene pure tener conto dell’indole delle singole popolazioni. Altri usi, altre tendenze si manifestano in luoghi diversi. Quel che importa è che si lavori su buon fondamento, con sodezza di principi, con fervore e costanza, e se questo si ottiene, il modo e la forma che prendono le varie opere, sono e rimangono accidentali. – Per rinnovare ed infine accrescere in tutte indistintamente le opere cattoliche l’alacrità necessaria, e per offrire occasione ai promotori e ai membri delle medesime di vedersi e conoscersi scambievolmente, di stringere sempre meglio i vincoli della carità fraterna fra loro, d’animarsi l’un l’altro con zelo sempre più ardente all’azione efficace e di provvedere alla migliore solidità e diffusione delle opere stesse, gioverà mirabilmente il celebrare di tempo in tempo, secondo le norme già date da questa Santa Sede, i Congressi generali e parziali dei Cattolici italiani, che devono essere la solenne manifestazione della fede cattolica e la festa comune della concordia e della pace. – Ci resta a toccare, Venerabili Fratelli, di un altro punto di somma importanza, ed è la relazione che tutte le opere dell’azione cattolica devono avere rispetto all’Autorità ecclesiastica. Se bene si considerano le dottrine che siamo andati svolgendo nella prima parte di queste Nostre Lettere, si conchiuderà di leggieri, che tutte quelle opere che direttamente vengono in sussidio del ministero spirituale pastorale della Chiesa e che si propongono un fine religioso in bene diretto delle anime, devono in ogni menoma cosa essere subordinate all’autorità dei Vescovi, posti dallo Spirito Santo a reggere la Chiesa di Dio nelle diocesi loro assegnate. Ma anche le altre opere, che, come abbiamo detto, sono precipuamente istituite a ristorare e promuovere in Cristo la vera civiltà cristiana e che costituiscono nel senso spiegato l’azione cattolica, non si possono per niun modo concepire indipendenti dal consiglio e dall’alta direzione dell’Autorità ecclesiastica, specialmente poi in quanto devono tutte informarsi ai principi della dottrina e della morale cristiana; molto meno è possibile concepirle in opposizione più o meno aperta con la medesima Autorità. Certo è che tali opere, posta la natura loro, si debbono muovere con la conveniente ragionevole libertà, ricadendo sopra di loro la responsabilità dell’azione, soprattutto poi negli affari temporali ed economici ed in quelli della vita pubblica amministrativa o politica, alieni dal ministero puramente spirituale. Ma poiché i Cattolici alzano sempre la bandiera di Cristo, per ciò stesso alzano la bandiera della Chiesa, ed è quindi conveniente che la ricevano dalle mani della Chiesa, che la Chiesa ne vigili l’onore immacolato e che a questa materna vigilanza i Cattolici si sottomettano, docili ed amorevoli figliuoli. – Per la qual cosa appare manifesto quanto fossero sconsigliati coloro, pochi invero, che qui in Italia e sotto i Nostri occhi vollero accingersi a una missione che non ebbero da Noi, né da alcun altro dei Nostri Fratelli nell’episcopato, e si fecero a promuoverla, non solo senza il debito ossequio all’Autorità, ma perfino apertamente contro il volere di lei, cercando di legittimare la loro disobbedienza con frivole distinzioni. Dicevano anch’essi di alzare in nome di Cristo un vessillo; ma tal vessillo non poteva essere di Cristo, perché non recava tra le sue pieghe la dottrina del divin Redentore, che anche qui ha la sua applicazione: “Chi ascolta voi, ascolta me; e chi disprezza voi, disprezza me” (Luc. X, 16); “Chi non è meco è contro di me; e chi meco non raccoglie, disperde” (Ib. XI, 23), dottrina dunque di umiltà, di sommissione, di filiale rispetto. Con estremo rammarico del Nostro cuore abbiamo dovuto condannare una simile tendenza ed arrestare autorevolmente il moto pernicioso che già si andava formando. E tanto maggiore era il dolor Nostro, perché vedevamo incautamente trascinati per così falsa via buon numero di giovani a Noi carissimi, molti dei quali di eletto ingegno, di fervido zelo, capaci di operare efficacemente il bene, ove siano rettamente guidati. – Mentre però additiamo a tutti la retta norma dell’azione cattolica, non possiamo dissimulare, Venerabili Fratelli, il pericolo non lieve al quale, per la condizione dei tempi, si trova oggi esposto il Clero; ed è di dare soverchia importanza agli interessi materiali del popolo, trascurando quelli ben più gravi del sacro suo ministero. – Il sacerdote, elevato sopra gli altri uomini per compiere la missione che tiene da Dio, deve mantenersi egualmente al disopra di tutti gli umani interessi, di tutti i conflitti, di tutte le classi della società. Il suo proprio campo è la Chiesa, dove ambasciatore di Dio predica la verità ed inculca col rispetto dei diritti di Dio il rispetto ai diritti di tutte le creature. Così operando, egli non va soggetto ad alcuna opposizione, non apparisce un uomo di parte, fautore degli uni, avversario degli altri, né per evitare l’urto di certe tendenze o per non irritare in molti argomenti gli animi inaspriti si mette nel pericolo di dissimulare la verità o di tacerla, mancando nell’uno o nell’altro caso ai suoi doveri; senza dire che dovendo trattare ben spesso di cose materiali, potrebbe trovarsi solidale in obbligazioni dannose alla sua persona, e alla dignità del suo ministero. Non dovrà dunque prender parte ad associazioni di questo genere, se non dopo matura considerazione, d’accordo col suo Vescovo, ed in quei casi soltanto, ne’ quali l’aiuto suo è immune da ogni pericolo e torna di evidente profitto. – Né in tal maniera si raffrena punto il suo zelo. Il vero apostolo deve “farsi tutto a tutti, per tutti salvare” (I Cor. IX, 22); come già il divin Redentore, deve sentirsi muovere a pietà le viscere, “mirando le turbe così vessate, giacenti quasi pecore senza pastore” (Matth. IX, 36). Con la propaganda efficace degli scritti, con l’esortazione viva della parola, col concorso diretto nei casi anzidetti s’adoperi adunque a fine di migliorare eziandio, entro i limiti della giustizia e della carità, la condizione economica del popolo, favorendo e promovendo quelle istituzioni che a ciò conducono, quelle soprattutto che si propongono di ben disciplinare le moltitudini contro l’invadente predominio del socialismo e che ad un tempo le salvano e dalla rovina economica e dallo sfacelo morale e religioso. In questo modo l’assistenza del clero alle opere dell’azione cattolica mira ad un fine altamente religioso, né tornerà mai d’impedimento, sarà anzi di aiuto al suo ministero spirituale, allargandone il campo e moltiplicandone il frutto. – Ecco, o Venerabili Fratelli, quanto Ci premeva esporre ed inculcare intorno all’azione cattolica da sostenere e promuovere nella nostra Italia. —Additare il bene non basta; è necessario eseguirlo in pratica. Nel che tornerà di grandissimo aiuto l’esortazione vostra altresì ed il paterno vostro immediato eccitamento al ben fare. Siano pure umili i principi, purché veramente si cominci, la grazia divina li farà crescere in breve tempo e prosperare. E tutti i Nostri diletti figliuoli, che si dedicano all’azione cattolica, ascoltino di nuovo la parola che Ci sgorga tanto spontanea dal cuore. Nelle amarezze onde siamo tuttodì circondati, se vi ha alcuna consolazione in Cristo, se alcun conforto Ci vien dalla carità vostra, se vi ha comunione di spirito e viscere di compassione, diremo Noi pure con l’Apostolo Paolo (Phil. II, 1-5), rendete compiuto il Nostro gaudio con la concordia, con l’identica carità, col sentimento unanime, con l’umiltà e debita soggezione, cercando non il proprio comodo, ma il bene comune, e trasfondendo nei vostri cuori quei medesimi sentimenti, che in sé nutriva Gesù Cristo, Salvatore nostro. Sia Egli il principio di ogni vostra impresa: “Quanto voi dite o fate, sia tutto nel nome del Signore Gesù Cristo” (Coloss. III, 17); sia Egli il termine d’ogni vostra operazione: “Conciossiaché da Lui, e per Lui, ed a Lui sono tutte le cose; a Lui gloria nei secoli” (Rom. XI, 36). Ed in questo giorno faustissimo, che ricorda gli Apostoli, quando, ripieni di Spirito Santo, uscirono dal Cenacolo a predicare al mondo il Regno di Cristo, discenda eziandio su tutti voi la virtù del medesimo Spirito e pieghi ogni durezza, ritempri gli animi freddi, e quanto è sviato rimetta sul retto sentiero: “Flecte quod est rigidum, fove quod est frigidum, rege quod est devium“. – Auspice intanto del divino favore e pegno del Nostro specialissimo affetto sia l’Apostolica Benedizione, che dall’intimo del cuore impartiamo a voi, Venerabili Fratelli, al vostro Clero e al popolo italiano.

Dato a Roma, presso San Pietro, nella Festa della Pentecoste, 11 Giugno 1905, del Nostro Pontificato anno II.

DOMENICA IN ALBIS [2018]

DOMENICA I DOPO PASQUA

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus 1 Pet II, 2.

Quasi modo géniti infántes, allelúja: rationabiles, sine dolo lac concupíscite, allelúja, allelúja allelúja. [Come bambini appena nati, alleluia, siate bramosi di latte spirituale e puro, alleluia, alleluia,]

Ps LXXX:2. Exsultáte Deo, adjutóri nostro: jubiláte Deo Jacob. [Inneggiate a Dio nostro aiuto; acclamate il Dio di Giacobbe.]

Quasi modo géniti infántes, allelúja: rationabiles, sine dolo lac concupíscite, allelúja, allelúja allelúja. [Come bambini appena nati, alleluia, siate bramosi di latte spirituale e puro, alleluia, alleluia.]

Oratio

Orémus.

Præsta, quaesumus, omnípotens Deus: ut, qui paschália festa perégimus, hæc, te largiénte, móribus et vita teneámus. [Concedi, Dio onnipotente, che, terminate le feste pasquali, noi, con la tua grazia, ne conserviamo il frutto nella vita e nella condotta.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Joannis Apóstoli. – 1 Giov. V: 4-10.

“Caríssimi: Omne, quod natum est ex Deo, vincit mundum: et hæc est victoria, quæ vincit mundum, fides nostra. Quis est, qui vincit mundum, nisi qui credit, quóniam Jesus est Fílius Dei? Hic est, qui venit per aquam et sánguinem, Jesus Christus: non in aqua solum, sed in aqua et sánguine. Et Spíritus est, qui testificátur, quóniam Christus est véritas. Quóniam tres sunt, qui testimónium dant in coelo: Pater, Verbum, et Spíritus Sanctus: et hi tres unum sunt. Et tres sunt, qui testimónium dant in terra: Spíritus, et aqua, et sanguis: et hi tres unum sunt. Si testimónium hóminum accípimus, testimónium Dei majus est: quóniam hoc est testimónium Dei, quod majus est: quóniam testificátus est de Fílio suo. Qui credit in Fílium Dei, habet testimónium Dei in se”.  [Carissimi: chiunque è nato da Dio trionfa del mondo; e ciò che ha trionfato del mondo è la nostra fede. Chi è che vince il mondo, se non chi crede che Gesù è figliolo di Dio? È Lui che è venuto per mezzo dell’acqua e del sangue, Gesù Cristo: non nell’acqua solo, ma nell’acqua e nel sangue. Ed è lo Spirito che attesta, perché lo Spirito è verità. Poiché sono tre che rendono testimonianza in cielo: il Padre, il Verbo e lo Spirito Santo: e questi tre sono una sola cosa. E sono tre che rendono testimonianza in terra: lo Spirito, l’acqua e il sangue: e questi tre sono concordi. Se ammettiamo la testimonianza degli uomini, dobbiamo tanto più ammettere la testimonianza di Dio, che è superiore. Ora è Dio stesso che ha reso testimonianza al suo Figlio. Chi crede nel figliolo di Dio ha in sé la testimonianza di Dio.]

Omelia I

[Mons. Bonomelli: “Nuovo saggio di Omelie”, Marietti ed. Torino, vol. I; 1899 – Omel. XV]

Di S. Giovanni, oltre il Vangelo, che porta il suo nome, abbiamo tre lettere: le due ultime piuttosto che lettere, si potrebbero dire biglietti, perché brevissime, affatto confidenziali e prive d’importanza sia dogmatica, sia morale, sia polemica, e indirizzate a persone private. – La prima lettera, da cui è tolto il brano recitatovi, è di grandissima rilevanza sotto ogni rispetto, e si direbbe un’eco del Vangelo, tanto a quello è somigliante. Quando fu scritta? Prima o dopo il Vangelo? Lo ignoriamo. A chi fu scritta? Questo pure ignoriamo, né di ciò vi è traccia in tutta la lettera: essa non porta indirizzo né a principio, né infine, non saluti, a differenza di tutte le altre lettere, e perciò sembra uno scritto esortativo indirizzato in generale alle Chiese da lui fondate. L’argomento della lettera è stabilire la divinità di Gesù Cristo e la verità della umana natura assunta, contro alcuni eretici gnostici, che cominciavano a negarla, e inculcare la necessità della fede in Lui e la carità scambievole fra i credenti. – Mandati innanzi questi pochi schiarimenti generali sulla lettera di S. Giovanni, poniamo mano alla spiegazione dei versetti, che avete udito. “Quanto è nato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria, che ha vinto il mondo, la nostra fede!” Che cosa è la terra, o dilettissimi? È un campo di battaglia. Chi sono i combattenti? Da una parte Cristo, coi suoi seguaci, che Lo precedettero, che vissero con Lui e che dopo di Lui vivranno fino al termine dei secoli, continuando l’opera di Lui; dall’altra il demonio, coi suoi seguaci, da Adamo ed Eva fino all’ultimo uomo che vivrà sulla terra. Quali sono le armi, che si adoperano? Dalla parte di Cristo e suoi seguaci: la verità, la fede, la speranza, la carità, l’umiltà, la purezza, la mortificazione e andate dicendo: dalla parte del demonio e suoi seguaci: la menzogna, l’empietà, l’odio, l’orgoglio, la sensualità, le passioni tutte sfrenate. Tutti gli uomini pigliano posto più o meno in questi due gran campi di battaglia. S. Giovanni, che tratteggia più volte questa gran lotta in tutti i suoi scritti, qui ci fa sapere che tutti quelli che sono nati da Dio [Il testo dice: Tutto ciò che è nato da Dio vince il mondo; perché non dice: Chiunque è nato da Dio, ecc.? Credo che quel neutro equivalga propriamente al chiunque, che indica persona; ma forse Giovanni usò il: Tutto ciò ecc. in forma neutra, perché con la persona volle significare tutti i doni della fede, della grazia ecc. che vengono da Dio.), ossia tutti quelli che per il Battesimo sono rigenerati e divenuti figliuoli di Dio ed esercitano le virtù proprie dei figliuoli di Dio, che hanno il loro compimento nella carità, come sopra ha detto, vincono il mondo]. – Con questa parola, “mondo”, san Giovanni non intende certo di significare la terra che calpestiamo, ma gli uomini che vivono secondo le massime del mondo, gli schiavi delle sue cupidigie e, in una parola, i seguaci di colui che Gesù Cristo stesso chiamò “principe di questo mondo”, gli uomini malvagi colle loro passioni! – Sì, ripiglia S. Giovanni, spiegando meglio il suo concetto e ripetendo la stessa verità in altra forma: Questa è la vittoria, cioè quelli riportano la vittoria, quelli hanno in mano l’arma sicura della vittoria sul mondo, che hanno la fede: la fede li farà vincitori del mondo. Che fede è questa che ci farà vincere il mondo e le sue passioni? Non certo la sola fede, nuda delle opere, che è morta per se stessa: ma la fede viva, che dalla mente discende al cuore, che dal pensiero si travasa nelle opere, che, secondo l’espressione di san Paolo, opera per la carità. Datemi un uomo che creda fermamente ciò che la fede insegna e ciò che crede per fede pratica con le opere, che al Simbolo congiunga il Decalogo: quest’uomo naturalmente disprezzerà il mondo, respingerà le sue lusinghe e calpesterà i suoi piaceri colpevoli: quest’uomo, ossia la fede di quest’uomo vincerà il mondo: “Hæc est Victoria, quæ vincit mundum, fides nostra”. – Né di questa sentenza si appaga S. Giovanni, ma la ribadisce nel versetto seguente in forma d’interrogazione e piena di energia: ” Chi è mai colui che vince il mondo, se non chi crede che Gesù è il Figliuolo di Dio? Come se dicesse: Nuovamente e più fortemente l’affermo: solo colui che crede ed opera conformemente alla fede, vince il mondo: a chi non crede è impossibile vincere il mondo. E questa fede, o Giovanni, in chi si appunta? In Chi si compendia? Da chi trae origine e forza? In Gesù Cristo, autore e consumatore della fede, come scrive S. Paolo, “autore”, perché viene da Lui, “consumatore”, perché Egli solo ci dà la forza di attuarla nelle opere, Gesù Cristo, che è il Figliuolo di Dio! Accenna con questa espressione al fondamento di tutta la nostra fede, che è la divinità di Gesù Cristo. Perciò badate che S. Giovanni non dice già che — Gesù è Figliuolo di Dio — ma sì “che è “il” Figliuolo di Dio”, cioè Figliuolo per eccellenza, Figliuolo unico, Figliuolo proprio di Dio, a Dio Padre consustanziale. Scolpitevela bene addentro nel cuore questa verità, o cari: Gesù Cristo è Dio ed Uomo, vero Dio e vero Uomo: se voi togliete in Lui la divinità, non vi resta che l’uomo, è distrutta la redenzione, perché un uomo non poteva riscattarci dal peccato, non poteva soddisfare la divina giustizia, cade tutta la sua autorità, e noi ci troviamo ai piedi d’un uomo, siamo adoratori di un uomo, il massimo dei delitti. Crediamo dunque che Gesù è il Figlio di Dio, Dio come il Padre, ed uniti a Lui saremo forti della sua forza, e come Egli ha vinto il mondo, così lo vinceremo noi pure. – Gesù Cristo è il Figlio di Dio, vero Dio! Ma come lo sappiamo noi? Come si è provato tale? Ascoltate S. Giovanni: “Gesù è il venuto per acqua e sangue”. Come per acqua? Lascio alcune interpretazioni date e mi attengo a quella che mi sembra più chiara, più naturale e meglio fondata. Gesù, allorché ricevette il battesimo al Giordano, ricevette la solenne testimonianza dal Padre, che disse: ” Questi è il Figliuolo mio diletto, in cui trovo tutte le mie compiacenze: Lui ascoltate” [Alcuni vogliono intendere quelle parole ” E venuto nell’acqua, pel battesimo, cioè viene in noi col battesimo. Ma le parole del versetto 9° non lo permettono, perché là si parla di testimonianza resa a Gesù, la massima, quella del Padre]. – Testimonianza splendidissima ripetuta colle stesse parole nella Trasfigurazione. Ma Gesù è anche il venuto nel sangue, cioè nella passione e morte, che non si può disgiungere dalla risurrezione, nella quale provò luminosamente ch’Egli era Dio, Signore della morte e della vita. E qui S. Giovanni, quasi per ribadire la cosa, ripete: Gesù è il venuto [È da osservare quel modo di dire assai efficace : “Il Venuto”, come si ha nel greco, che designa Gesù Cristo come il Messia, “Il Venuto” per antonomasia], non nell’acqua soltanto, ma nell’acqua e nel sangue: ha provato ch’Egli era Dio nel suo battesimo di acqua e nel battesimo del suo sangue, coronato dalla sua gloriosa Risurrezione. Alle prime due prove tiene dietro la terza, dicendo: “E lo Spirito attesta, che Cristo è la verità”, cioè è veramente il Figlio di Dio! E che vuol dire in questo luogo S. Giovanni? Nel Vangelo (Cap. XV, vers. 26) S. Giovanni riferisce queste parole dette da Gesù nell’ultima Cena: “e quando verrà il Paraclito, che vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità, che procede dal Padre, Egli farà testimonianza di me”, vale a dire, “vi farà conoscere che Io sono il Figlio di Dio”, Gesù Cristo dunque afferma che la venuta dello Spirito Santo sarebbe stata una prova, una solenne testimonianza della sua divinità, ed è quella notata dallo stesso S. Giovanni nella sua lettera. Onde per conchiudere in poche parole le sentenze di S. Giovanni, noi dobbiamo tenere che Gesù Cristo ci mostrò la sua divinità nel suo Battesimo al Giordano, nella sua Passione, morte e risurrezione, e finalmente nella venuta dello Spirito Santo, nella trasformazione degli Apostoli e nella fondazione della Chiesa. E non erano quelli miracoli solenni, strepitosissimi, che mostravano la sua divina potenza? Non cadevano sotto gli occhi di tutti? Non si potevano verificare da tutti con la massima facilità? – S. Giovanni, proseguendo, fa cenno d’una analogia e mette innanzi un paragone per confermare la sua sentenza, e il paragone è questo: “Poiché son tre, che attestano in cielo: Padre, Verbo e Spirito Santo, e questi tre sono una cosa sola; e tre sono quelli che attestano in terra, lo Spirito, l’acqua ed il sangue, e questi tre riescono ad una sola cosa”, E volle dire: Il Padre, il Verbo e lo Spirito Santo con le loro manifestazioni esterne dal cielo hanno attestata e comprovata la missione divina di Gesù Cristo, e come le tre divine Persone sono una sola cosa, una sola essenza o sostanza, così la loro testimonianza esterna si unisce e si concentra in una sola, attestando la stessa verità, così le tre grandi manifestazioni esterne, ad intervalli succedute sulla terra e accertate dagli uomini, al Giordano, nella passione, morte e Risurrezione di Gesù Cristo, e nella venuta dello Spirito Santo, tornano allo stesso, raffermano la medesima verità, e mettono in luce la divina origine e missione di Gesù Cristo. – Allora si comprende ciò che S. Giovanni soggiunge nel seguente versetto: “Se noi accettiamo la testimonianza degli uomini, maggiore è la testimonianza di Dio: e la testimonianza di Dio è quella con cui ha attestato intorno al Figliuol suo”. Se noi accettiamo, e dobbiamo accettare, la testimonianza degli uomini degni di fede, e credere quello ch’essi affermano, a maggior ragione dobbiamo accettare la testimonianza stessa di Dio che dal cielo ripetutamente attesta intorno a Gesù Cristo, e ci assicura ch’Egli è il Figlio dell’Eterno. Insomma il sacro Scrittore ci mette innanzi tre Testimoni in cielo e tre sulla terra: i tre Testimoni in cielo sono le tre divine Persone distintamente nominate e che sono una sola cosa o natura; e i tre testimoni sulla terra, pure nominati, spirito, acqua e sangue, siano fatti, siano persone, cospiranti nella stessa cosa e affermanti anch’essi sulla terra ciò che le tre Persone attestano dal cielo. Voi vedete, o cari, che non si poteva esprimere in forma più precisa e più netta il grande mistero della augusta Trinità. S. Giovanni proclama che sono tre le Persone divine, Padre, Figlio, o Verbo, e Spirito Santo, e che queste tre Persone sono una cosa sola od unica essenza. È quel mistero, che abbiamo imparato bambini sulle ginocchia della madre e al catechismo in chiesa; che abbiamo professato la prima volta che facemmo il segno di croce, e nel quale e pel quale fummo rigenerati nel Battesimo e accolti nel grembo della Chiesa. Questo mistero trascende le forze della nostra povera ragione, è vero; ma Dio lo ha rivelato chiarissimamente, la Chiesa lo professa come una delle verità fondamentali della fede, e noi lo dobbiamo tenere con tutta fermezza. Sappiate poi anche, o dilettissimi, che se la sola ragione non può dimostrare e conoscere questa verità con le sole sue forze, nondimeno essa, studiandolo, vi trova tanta convenienza, tanta luce, tante armonie, che per poco ne è rapita ed è costretta ad esclamare: “la santa Trinità delle Persone nella unità della essenza, è mistero, mistero altissimo, ineffabile, ma non solo non offende la ragione, la illumina, armonizza con essa, getta un riverbero di luce su tutto il creato, specialmente sulla natura dell’uomo: la S. Trinità è un mistero per la ragione umana, ma sarebbe più grande mistero il non ammetterlo”. Crediamo adunque, o cari, sì alto mistero, crediamolo con la semplicità con cui lo credevamo fanciulli, persuasi che, se supera le forze della ragione, ad essa non si oppone, anzi ad essa mirabilmente consuona. – Siamo all’ultima sentenza del nostro commento: “Chi crede nel Figlio di Dio, ha in se stesso la testimonianza di Dio”. Chi legge e medita alcun poco le sante Scritture e particolarmente gli scritti di S. Giovanni, sa bene che la stessa verità si ripete spesse volte, o, dirò meglio, la si presenta sotto varie forme, sia per inculcarla meglio, sia per farcene vedere tutti i lati, che non sempre si affacciano subito sotto una sola forma. E ciò, se non erro, accade in questo versetto, nel quale conferma e si svolge meglio ciò che sopra è detto. Chi crede nel Figlio di Dio, chi per fede viva, salda ed operosa unisce la sua mente e il suo cuore a Gesù Cristo, Figlio di Dio, forma quasi una cosa sola con Lui, ed ha in sé, come un germe, la verità e la vita eterna, che poi a suo tempo si manifesterà in tutta la sua pienezza; possiede con la grazia e con la fede viva Gesù Cristo stesso, del quale San Paolo ebbe a dire che, “Cristo abita in noi per la fede”. – Osservate di grazia, o dilettissimi: se voi tenete stretto alla vostra persona, p. es. un corpo qualunque odoroso, un mazzo di fiori, non è egli vero, che voi partecipate della loro fragranza finché ad essi vi tenete uniti? Ciò che avviene del nostro corpo avviene altresì della nostra mente e del nostro cuore. Se noi con la mente ci teniamo fermi alle verità della fede, e con la nostra volontà le veniamo attuando nelle opere, la nostra mente e la nostra volontà si abbelliscono della bellezza di quelle verità, e quasi direi rimangono imbalsamate della fragranza della grazia, e si trovano necessariamente unite a Lui, dal quale vengono la verità e la grazia, che è Gesù Cristo stesso. Allorché voi pensate al padre, alla madre, all’amico lontani e li amate, non è egli vero che in qualche modo il padre, la madre, l’amico sono nella vostra mente e nel vostro cuore? Lo dite voi stessi: “Noi li abbiamo in mente, li teniamo sempre nel nostro cuore”. — È ciò che insegna S. Tommaso. E in questo senso che si dice Gesù Cristo abitare in noi, Dio dimorare in noi e spandersi in noi lo Spirito di Lui, e noi diventare suoi templi, sue membra, e partecipi della divina natura. – Vedete, o cari, un granello, che è affidato alla terra: sembra che voi, possedendo quel piccolo granello, non possediate che quel piccolo corpicciuolo, cosa da nulla per se stesso; ma aspettate alcuni mesi, lasciate compiere alla natura il suo occulto lavorìo. Che è avvenuto? Il granello è cresciuto e, fatto pianta, ha prodotto i suoi fiori e finalmente i suoi frutti che cortesemente ci porge, curvando sotto essi i suoi rami. Eravate possessori d’un solo granello, e più tardi siete possessori d’una pianta e di molti saporosi frutti. Così noi, o dilettissimi: ora, qui in terra possediamo il granello della fede, la radice della carità; un giorno troveremo che il granello è diventato albero carico di frutti di vita eterna. E quando verrà questo giorno? Quando, chiudendo gli occhi a questa luce del tempo, li apriremo alla luce della eternità; quando, addormentandoci la sera qui sulla terra, ci sveglieremo al mattino in cielo!

Alleluja

Alleluia, alleluia –

Matt XXVIII:7. In die resurrectiónis meæ, dicit Dóminus, præcédam vos in Galilæam. [Il giorno della mia risurrezione, dice il Signore, mi seguirete in Galilea.]

Joannes XX:26. Post dies octo, jánuis clausis, stetit Jesus in médio discipulórum suórum, et dixit: Pax vobis. Allelúja. [Otto giorni dopo, a porte chiuse, Gesù si fece vedere in mezzo ai suoi discepoli, e disse: pace a voi.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum S. Joánnem.

 Joannes XX: 19-31.

“In illo témpore: Cum sero esset die illo, una sabbatórum, et fores essent clausæ, ubi erant discípuli congregáti propter metum Judæórum: venit Jesus, et stetit in médio, et dixit eis: Pax vobis. Et cum hoc dixísset, osténdit eis manus et latus. Gavísi sunt ergo discípuli, viso Dómino. Dixit ergo eis íterum: Pax vobis. Sicut misit me Pater, et ego mitto vos. Hæc cum dixísset, insufflávit, et dixit eis: Accípite Spíritum Sanctum: quorum remiseritis peccáta, remittúntur eis; et quorum retinuéritis, reténta sunt. Thomas autem unus ex duódecim, qui dícitur Dídymus, non erat cum eis, quando venit Jesus. Dixérunt ergo ei alii discípuli: Vídimus Dóminum. Ille autem dixit eis: Nisi vídero in mánibus ejus fixúram clavórum, et mittam dígitum meum in locum clavórum, et mittam manum meam in latus ejus, non credam. Et post dies octo, íterum erant discípuli ejus intus, et Thomas cum eis. Venit Jesus, jánuis clausis, et stetit in médio, et dixit: Pax vobis. Deinde dicit Thomæ: Infer dígitum tuum huc et vide manus meas, et affer manum tuam et mitte in latus meum: et noli esse incrédulus, sed fidélis. Respóndit Thomas et dixit ei: Dóminus meus et Deus meus. Dixit ei Jesus: Quia vidísti me, Thoma, credidísti: beáti, qui non vidérunt, et credidérunt. Multa quidem et alia signa fecit Jesus in conspéctu discipulórum suórum, quæ non sunt scripta in libro hoc. Hæc autem scripta sunt, ut credátis, quia Jesus est Christus, Fílius Dei: et ut credéntes vitam habeátis in nómine ejus.” – [In quel tempo, la sera di quel giorno, il primo della settimana, essendo, per paura dei Giudei, chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli, venne Gesù, si presentò in mezzo a loro e disse: Pace a voi! E detto ciò mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono nel vedere il Signore. Ed egli disse loro di nuovo: Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, così anch’io mando voi. E detto questo, soffiò su di loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo. A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi; a chi li riterrete, essi saranno ritenuti. E uno dei dodici, Tommaso, detto Didimo, non era con loro quando venne Gesù. Ora gli altri discepoli gli dissero: Abbiamo visto il Signore. Ma egli rispose loro: Non crederò se non dopo aver visto nelle sue mani la piaga fatta dai chiodi e aver messo il mio dito dove erano i chiodi e la mia mano nella ferita del costato. Otto giorni dopo i discepoli si trovavano di nuovo in casa e Tommaso era con loro. Venne Gesù a porte chiuse e stando in mezzo a loro disse: Pace a voi! Poi disse a Tommaso: Metti qua il tuo dito, e guarda le mie mani; accosta anche la tua mano e mettila nel mio costato; e non voler essere incredulo, ma fedele. Tommaso gli rispose: Signore mio e Dio mio! E Gesù: Tommaso, tu hai creduto perché mi hai visto con i tuoi occhi; beati coloro che non vedono eppure credono. Gesù fece ancora, in presenza dei suoi discepoli, molti altri miracoli, che non sono stati scritti in questo libro. Queste cose sono state scritte, affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e affinché credendo, abbiate vita nel nome di lui.] – R. Laus tibi, Christe!

OMELIA II

 [Bonomelli: Omelie, vol. II, om. XVI]

È sì bello, sì caro questo racconto, tutto spirante un’aria di semplicità e di candore senza esempio, che mi tarda di venire, non ad una spiegazione, della quale non v’è bisogno, ma alla pratica considerazione delle singole parti, che riusciranno dolci e fruttuose, se vi compiacerete porgere, come siete soliti, tutta la vostra attenzione. – “Allorché fu sera, in quello stesso primo giorno della settimana, cioè la nostra Domenica, ed essendo chiuse le porte del luogo dov’erano radunati i discepoli per timore dei Giudei, Gesù venne e stette in mezzo a loro, e disse: Pace a voi ! „ – Era la sera del giorno della risurrezione, cioè la domenica stessa della Pasqua, dopo le nove circa; perché sappiamo da S. Luca (C. XXIV, 33 seg.) che erano presenti i due ritornati quella sera stessa da Emmaus, e non potevano aver compiuto il loro cammino in meno di tre ore, come dicemmo. I due discepoli avevano appena narrata l’apparizione di Gesù ai dieci Apostoli e agli altri ivi raccolti, e udito dell’apparizione fatta a Pietro: eran ancora tutti in preda ad una grande agitazione conseguenza naturale dei fatti di quella giornata, della speranza, del dubbio ed anche del timore e, come suole avvenire, dovevano vivamente discutere tra loro, ed ecco Gesù, nella sua forma naturale, senza rumore alcuno, apparire in mezzo a loro, pronunciando il saluto solito, degli Ebrei: Schalom, “la pace a voi. „ – Come rimanessero tutti quei discepoli è facile immaginarlo. Parmi vederli immoti, quasi estatici, fermi gli occhi sul volto di Gesù, impotenti a pronunciare una parola, per poco senza respiro, come inconsci di se stessi, ondeggianti tra la gioia di vedere il Maestro, e il timore d’avere innanzi a sé un’ombra, uno spirito, Per incorarli e accertarli della verità, Gesù mostrò loro le cicatrici delle mani e del fianco, e ripeté il saluto: “Pace a voi” e, come narra S. Luca, completando il racconto, disse loro: Palpatemi e vedete: perché uno spirito non ha né ossa, né carne come mi vedete avere. – Poi domandò da mangiare, e mangiò un po’ di pesce e di miele. — Allora finalmente gli Apostoli e i discepoli smisero ogni timore ed ogni dubbio, e dovettero prorompere in grida di gioia e cadere ai suoi piedi e baciarglieli e sciogliersi in lacrime, come ciascuno può immaginare. Tutto ciò il Vangelista, ch’era presente, espresse con la solita sua parsimonia di linguaggio in queste cinque parole : “Gavisi sunt discipuli, viso Domino”! — I discepoli, visto il Signore, ne gioirono. Dopo la tempesta la calma, dopo il dolore la gioia, dopo gli strazi e le agonie il tripudio e la letizia più pura: la vista di Gesù tutto fa dimenticare a questi poveri discepoli, e certo non v’ebbe mai sulla terra gioia eguale alla loro. Miei cari, non dimentichiamo mai che la nostra vita quaggiù è una serie continua di pene e di gioie, di amarezze e di dolcezze, di giorni sereni e di giorni procellosi, e allorché questi imperversano, attendiamo quelli fidenti e tranquilli, e allorché questi brillano sopra di noi, prepariamoci alle ore della prova. – Gesù, dice il Vangelo, entrò, essendo chiuse le porte per timore dei Giudei. E come il corpo, il vero corpo di Gesù Cristo passò attraverso le porte o alle pareti? Se la voce nostra passa attraverso le porte e le pareti: se il raggio del sole passa attraverso l’acqua ed il cristallo: se ora la scienza ha scoperto raggi di luce che attraversano anche corpi solidi ed opachi, perché altrettanto non potrebbe fare un corpo glorioso e fatto spirituale, come dice S. Paolo? Tal era il corpo di Cristo. Egli, dice il Crisostomo, non bussò alla porta, non l’aperse, né sfondò per non atterrire gli Apostoli: “Januas non pulsavìt, ne turbarentur”. Quanta delicatezza! quanto amore per i suoi cari! Noi non sappiamo ciò comprendere, è vero, ma confessiamo, soggiunge S. Agostino, che Dio può fare cose che noi non intendiamo: ci basti il sapere che Dio può tutto, e non cerchiamo più oltre! – Ora sappiate, o cari, che vi furono e vivono tuttora, uomini ai quali non fanno difetto né ingegno, né dottrina, i quali osarono affermare, che i buoni Apostoli, in quella sera, furono vittima d’una illusione, credettero vedere e udire Gesù risorto, e non videro, né udirono che un fantasma, un’ombra creata dalla loro fantasia e dall’ardente loro brama di vedere ed udire redivivo il Maestro. Ma ci dicano questi dotti, ci dicano in nome del cielo: gli Apostoli e i discepoli, colà raccolti, che dovevano essere più di dodici persone, erano tutti vittima della propria fantasia? E tutti insieme, proprio nello stesso momento? Credere di vedere tutti, nello stesso momento, una persona, di udire tutti la stessa parola, e non vedere, non udire che un’ombra? E vederla sì da vicino e nella stessa figura e ingannarsi? Non solo vederla e udirla per pochi istanti, ma per qualche tempo, vedere le cicatrici delle mani e dei piedi e del costato e toccarle, e vederlo mangiare ed essere sempre e tutto giuoco della fantasia? Ed aver tale persuasione d’aver veduto Cristo risorto da non dubitarne mai, da patire e morire per Lui? E notate che gli Apostoli erano sì poco disposti a credere che fosse veramente risorto che, vedendolo, dubitavano e sospettavano che fosse un fantasma. E poi questa apparizione fatta la sera della Pasqua non bisogna separarla dalle tante altre che avvennero dopo, fino all’ultima solenne, allorché salì al cielo. San Paolo attesta che Gesù Cristo si mostrò risuscitato a circa 500 persone, nel periodo di quaranta giorni, in diversi luoghi e in diverse maniere: il dire od anche solo il sospettare che tutte queste apparizioni fossero effetto d’una allucinazione, è cosa sì strana, sì enorme, sì incredibile da mettere in dubbio tutti i fatti della storia più certi, da gettarci in uno scetticismo universale, e da urtare contro le leggi del senso comune in guisa da credere ragionevolmente essere allucinati davvero gli spacciatori di siffatte ipotesi e favole. – Ma è da ritornare al nostro racconto evangelico. Poiché Gesù ebbe ripetuto la cara parola “Pace a voi, „ soggiunge: “Siccome il Padre mandò me, così Io mando voi. „ Questa forma di parlare sì alta e sublime vuole essere spiegata: essa importa che la missione degli Apostoli e dei discepoli è, non solo simile, ma eguale, per quanto lo può essere, a quella che ebbe Cristo dal Padre: essa afferma l’identità della missione, ossia dell’ufficio di Cristo e dei suoi Apostoli, l’identità del fine, dei mezzi e del modo. Il Padre, così si ha da intendere la espressione di Cristo, il Padre ha mandato me con piena autorità di ammaestrare, di sciogliere i peccati, di dare la grazia di offrire il divin Sacrificio, ed Io do a voi la stessa autorità, sotto di me: “siete vicari miei [gli Apostoli ed i loro successori nella Sede Apostolica e nell’episcopato sono vicari di Cristo e non successori, perché il vicario ha il potere istesso di colui del quale è vicario, ma ne deve usare nel modo e nella misura che gli è determinata; mentreché il successore può anche modificare le cose stabilite da colui del quale è successore. Il Papa è vicario di Gesù Cristo, non successore, perché la sua potestà è delegata e circoscritta dai limiti posti da Cristo stesso.]: il Padre ha mandato me per santificare e salvare le anime, e voi pure santificate e salvate le anime: il Padre ha mandato me per vincere e guadagnare i cuori non con la forza, ma con la carità, con la persuasione, e così fate voi pure: il Padre mi ha mandato perché dia la mia vita per la salute del mondo: altrettanto fate voi: il Padre ha mandato me come un agnello in mezzo ai lupi, e così Io mando voi come agnelli in mezzo ai lupi: in una parola, voi avete lo stesso potere, che tengo Io dal Padre, e voi lo eserciterete nel modo stesso che l’ho esercitato io. Carissimi! comprendete la grandezza e l’eccellenza veramente divina della potestà della Chiesa, che risiede nel Capo in tutta la sua pienezza, e si spande da Lui in tutti i gradi della gerarchia in diversa misura! Nella Chiesa riguardiamo sempre Cristo vivente, operante, ammaestrante e santificante: si mutano gli uomini, che esercitano il potere, ma il potere è sempre quello: è come l’acqua d’un fiume, che muta il letto e le rive entro le quali scorre; ma è sempre la stessa: è come una gemma, che muta le persone che se ne adornano, ma essa non muta mai. “Come Gesù ebbe ciò detto, alitò sopra di loro, e disse: Ricevete lo Spirito santo. „ – E perché Gesù Cristo alitò loro in volto? Poiché Iddio a principio ebbe formato di poca argilla il corpo del primo uomo, gli alitò in volto, infuse in esso la vita del corpo, e quella troppo più preziosa dell’anima: doppia vita dell’anima e del corpo che doveva propagarsi nella futura generazione: qui, l’Uomo-Dio, il secondo Adamo, alita in volto ai suoi Apostoli e discepoli, rappresentanti la sua Chiesa, e infonde in essi quel soffio di vita divina, che essi dovranno propagare nella nuova generazione fino al termine dei secoli. Mirabile riscontro fra quel primo soffio di vita, che viene da Dio, e questo secondo, che viene dall’Uomo-Dio [“Qui initio naturam nostram, creavit et Spiritu sancto signavit, rursus in initio renovandæ natura sufflatione Spiritum discipulis largitur ut sicut creati ab initio fuimus, sic etìam renovaremur (S. Cyrill. Alex, in Joan.)! E perché Gesù alitò in volto ai suoi discepoli? L’alito è una cotale emanazione che esce da noi, una cotale effusione del nostro essere, che si comunica ad altri. Ora la fede ci insegna che lo Spirito santo è lo Spirito, ossia l’Emanazione amorosa del Padre nel Figlio e del Figlio nel Padre, consustanziale ad entrambi, e perciò assai opportunamente con quell’alito Gesù Cristo adombrò lo Spirito Santo, non già che quell’alito materiale fosse lo stesso Spirito Santo (cosa, più che assurda, ridicola), ma molto bene lo raffigurava. Certamente con quell’alito Gesù Cristo diede agli Apostoli e ai loro successori il potere divino, di cui tosto si parla. L’uomo, perché composto di spirito e di corpo, ha sempre bisogno di alcun che di sensibile per conoscere ciò che è spirituale, e non riceve questo che per mezzo di quello. Voi ora ricevete la verità, che è invisibile, ma la ricevete per mezzo della mia parola, che è sensibile: voi ricevete la grazia invisibile, ma sempre per mezzo dei Sacramenti, che sono mezzi visibili, noi ci uniamo a Dio per mezzo di Gesù Cristo, che è Dio, ma anche Uomo. Che più? Noi vediamo che l’autorità stessa umana si dà agli uomini con segni visibili, che saranno una divisa militare, un diploma, una corona, uno scettro. Era dunque ben naturale che Gesù Cristo, volendo dare agli Apostoli il suo potere, alitasse sopra di loro, quasi per significare, che come il suo soffio passava da Lui in loro, così con esso e per esso passava in loro il suo potere. – Ora vediamo, o dilettissimi, qual sia il potere che Gesù col misterioso suo soffio volle dare agli apostoli. Udite: “Quelli ai quali rimetterete i peccati, saranno rimessi: quelli ai quali li riterrete, saranno ritenuti. „ Se dovessi spiegarvi ampiamente questa sentenza di nostro Signore si richiederebbe un lungo discorso: mi restringerò a ciò che è necessario e voi raddoppiate la vostra attenzione, che l’argomento lo esige. Gesù Cristo non dà qui il potere di predicare la verità, di consacrare il suo corpo adorabile, di reggere la Chiesa od altro: dà il potere di rimettere o perdonare i peccati, di ritenerli ossia di rifiutare di perdonarli. L’oggetto dunque di questo potere divino sono i peccati, tutti i peccati, sempre e senza eccezione. Ma come si deve esercitare questo potere di perdonare o non perdonare i peccati? Forse col predicare la divina verità e con essa eccitare la fede e quindi ottenere la remissione dei peccati, come già dissero i fratelli nostri protestanti ? No, per fermo: se così fosse, il potere dato da Cristo di ritenere i peccati avrebbe significato il potere di non predicare, mentre Cristo comandò espressamente di predicare a tutte le genti. Più: se il potere di annunziare la verità è il potere stesso di perdonare i peccati, chiunque ammaestra nelle cose della fede, sia uomo, sia donna, sia cristiano, sia pagano, sia laico, sia prete, può rimettere i peccati; anzi potrebbero perdonare i peccati anche i libri, perché anche i libri, come gli uomini, e talora meglio degli uomini, ci insegnano le eterne verità. È dunque cosa manifesta che qui Gesù Cristo non diede il potere di predicare, ma un altro potere ben diverso. E quale? Considerate che Gesù Cristo conferisce agli Apostoli un doppio potere, quello di rimettere e quello di non rimettere i peccati. In qual maniera si deve esercitare questo potere? A caso? a capriccio? Andando per le vie gli Apostoli potranno dire agli uni, come loro talenta: “A voi sono rimessi i peccati”; e agli altri: “A voi non sono rimessi”? Certamente no; sarebbe cosa stolta, indegna di uomini che si rispettano, quanto più di Dio, che è la stessa sapienza! È dunque chiaro che gli Apostoli debbono perdonare i peccati o ritenerli secondo ragione, ossia debbono perdonarli a quelli ai quali è giusto perdonarli, e ritenerli a quelli ai quali è giusto ritenerli, e perciò devono avere una norma, una regola sicura, secondo la quale rimetterli o non rimetterli. Ora perché gli Apostoli e loro successori potessero sapere se si doveva dare il perdono o no secondo la regola evangelica, era assolutamente necessario che conoscessero le colpe di ciascuno e le disposizioni dell’animo, in una parola, era necessario che potessero entrare nei segreti della coscienza: solo allora avrebbero potuto sapere con sicurezza se dovessero assolvere o non assolvere. – Ma come entrare nei penetrali della coscienza senza la confessione volontaria dei propri peccati? Gesù Cristo dunque col dare quel doppio potere di rimettere o non rimettere i peccati, istituì necessariamente la Confessione, come mezzo indispensabile per esercitare ragionevolmente o l’uno o l’altro dei due poteri. Una similitudine chiarirà la cosa. – Il capo supremo di giustizia costituisce un giudice, gli assegna il campo della sua giurisdizione, egli dice: Giudicate, assolvete o condannate quanti saranno condotti innanzi al vostro tribunale. — Ditemi, o cari: potrà egli il giudice assolvere o condannare gli accusati come meglio gli piace, senza conoscere lo stato delle cose, udire l’accusato, esaminare le prove? No, sicuramente: sarebbe un insulto alla giustizia e al buon senso. Quelle parole del capo supremo della giustizia: “Assolvete o condannate gli accusati, „ vanno intese così: Udite, esaminate, conoscete debitamente lo stato degli accusati, accertatevi della loro innocenza o della loro reità, e allora usate del vostro potere di assolvere o di condannare, a norma di giustizia. Ecco come si debbono intendere le parole di Gesù Cristo, il sommo ed eterno Giudice: Quelli, ai quali, rimetterete i peccati, saranno rimessi; quelli, ai quali li riterrete saranno ritenuti. — Esse domandano da parte degli Apostoli e di quanti eserciteranno il loro ufficio la cognizione della causa, ossia la manifestazione della coscienza, ossia la Confessione, affinché si possa pronunciare sentenza secondo ragione e giustizia, e dire: “Ti assolvo, … non ti assolvo”. — Cristo dunque, dando il potere di assolvere o non assolvere i peccati, impose manifestamente ai peccatori l’obbligo di manifestare la loro coscienza, come condizione necessaria per l’esercizio del potere stesso. La cosa è sì chiara che non vi spendo intorno altre parole. – S. Giovanni continua il suo racconto, e dice: “Ma Tommaso, uno dei dodici, chiamato Didimo, non era con loro, quando venne Gesù; il Vangelo non dice per qual ragione Tommaso, che si chiamava anche Didimo, cioè gemello (forse perché gemello), era assente, né importa cercarla. Appena i discepoli l’ebbero visto, il primo loro saluto, come è facile immaginare, fu il grido che eruppe spontaneo dal loro cuore: “Abbiamo veduto il Signore. „ Sì lieto annunzio, sembra a noi, doveva ricolmare di gioia l’afflitto Tommaso: eppure non ne fu nulla. Misteri del cuore umano! Gli si assicurava dai compagni, che i desideri sì ardenti del suo cuore erano adempiuti, che Gesù era risorto, ed egli rifiuta ogni loro fede, si ostina a consumarsi nel dubbio e nel dolore, e pronuncia queste parole:” S’io non vedo nelle mani di Gesù la squarciatura dei chiodi e non vi metto il mio dito e non pongo la mia mano sul suo costato, non crederò. „ Era un linguaggio pieno di presunzione, di superbia, di caparbietà e oltraggioso verso i suoi fratelli. Era un dir loro sul viso, che li riputava tutti allucinati, visionari, fanatici, o bugiardi: era un dubitare delle promesse del divino Maestro e un pretendere che si mostrasse direttamente anche a lui; e notate che questa ostinazione dell’Apostolo durò per otto giorni. Egli voleva vedere e toccare le ferite delle mani e del costato del Maestro prima di credere: ma non le avevano vedute e toccate i suoi compagni? I loro occhi e le loro mani non valevano bene i suoi occhi e le sue mani? Perché quell’orgoglioso e ostinato: “Non credo? „ Io sono d’avviso che il buon Tommaso non si rendesse ragione del fallo, di cui si rendeva colpevole, e che dinanzi alla sua coscienza fosse immune da peccato grave: penso anche che, sopraffatto dal dolore per la morte del Maestro, non sapesse riaversi dal profondo scoramento in cui era caduto, né aprire il cuore alla speranza; ma, se mi è lecito dire un mio pensiero, in fondo a quell’anima afflitta e un po’ caparbia v’era un’altra causa, che lo teneva fermo nella sua ostinazione e che aveva la radice in una delle tante debolezze del cuore umano. Il povero Tommaso udiva che Gesù era apparso alle donne, a Pietro, a Giacomo, ai due che se ne andavano ad Emmaus, ai dieci suoi compagni nell’onore dell’apostolato: vedeva d’essere ormai il solo quasi dimenticato da Gesù: si sentiva umiliato e il suo cuore n’era punto sul vivo. Era naturale un risentimento, un certo dispetto di gelosia, d’amor proprio offeso, che cercava dissimulare e coprire dicendo: “Se non lo vedo, se non lo tocco anch’io, non crederò. „ Ma l’amoroso Gesù, pieno di compatimento pel suo caro Apostolo, permise la sua ostinazione per dare a lui una prova del suo affetto, e raffermare lui e gli altri tutti nella certezza della propria risurrezione. – “Otto giorni appresso (precisamente come oggi, ottava della Pasqua), i suoi discepoli erano ancora dentro quella casa e Tommaso con loro. Venne Gesù a porte chiuse, e stette in mezzo, e disse: Pace a voi! „ Ciascuno di noi comprende come a quella apparizione improvvisa il buon Tommaso, più che gli altri, dovesse sentirsi rimescolare il sangue, martellare il cuore e confondere tutte le idee: gioia e timore, rimorsi e giubilo, come le onde sopra uno scoglio, si avvicendavano nell’anima sua. Quel Gesù, che si era ostinato a negare risorto, ricusando fede alle sue promesse e alle affermazioni dei fratelli, era lì, a due passi; i suoi occhi, in un primo istante, incontratisi con quelli del Maestro, confusi, umiliati, si erano chinati a terra. I pensieri dei suoi compagni si riflettevano nell’anima sua, sentiva di meritare i loro rimproveri e più ancora quelli del Maestro, e li aspettava ed aspri…. Che cuore fu il tuo, o Tommaso, allorché in mezzo a quel solenne silenzio aspettavi di udire la parola di Gesù, parola severa, parola di duro e meritato rimprovero? Ma conosceva il Maestro, il suo cuore, la sua bontà, e temendo pure sperava. Quella voce, dolce e sì cara, in fondo alla quale si sentiva un lamento, un rimprovero, ma paterno, si fe’ udire: “Tommaso: qua il tuo dito (era un richiamo delicato alle sue proteste); qua il tuo dito e vedi le mie mani: stendi la tua mano e mettila sul mio costato [Bisogna dire che quel colpo di lancia, che trapassò il petto di Gesù già morto in croce, fosse rimasto profondamente fitto nella fantasia e nella memoria di Tommaso e di tutti gli Apostoli, perché lo notano in modo speciale] e fa di essere non incredulo, ma credente. „ Oh bontà, oh benignità, oh tenerezza del divino Maestro! Non un rimprovero, non un accento di sdegno contro l’Apostolo sì ostinato. Anzi Gesù lo invita a fare ciò che desiderava e a pigliarsi quella prova che esigeva qual condizione della sua fede e a smettere così la sua pervicacia. Poteva essere più benigno e più indulgente? Quelle parole, come una punta acuta penetrarono nel cuore di Tommaso, lo riempirono di dolore, di gioia e di gratitudine, e fuor di sé, nell’impeto dell’amore onde riboccava, con gli occhi gonfi di lacrime, e con voce rotta dai singulti, cadde ai piedi di Gesù, esclamando: “Signor mio e mio Dio! „ In queste parole non c’è neppure un verbo, ma esse dicono tutto. Esse volevano dire: O Signore, o Dio mio! vi credo, vi amo, mi pento, vi ringrazio, vi benedico, vi adoro, sono vostro, tutto vostro, perdonatemi, fate di me ciò che volete. Notate quella professione sì chiara di Tommaso: Dio mio! Vede un uomo, e protesta che quest’uomo è suo Dio! Il miracolo della risurrezione, congiunto a tutti gli altri miracoli, dei quali egli stesso era stato testimonio, alla dottrina, che aveva udita da Gesù Cristo, gli fece sentire e vedere in Gesù Cristo, in quell’uomo, che gli stava innanzi, il Figlio di Dio, e gli strappò quelle parole eloquentissime : “Signor mio e Dio mio [“Videbat tangebatque hominem et confitebatur Deum, quem non videbat neque tangebat? Sed per hoc quod videbat atque tangebat, illud, jam remota dubitatione, credebant” – S. August., Tract. 121]! „ Quanta carità e soavità in quella esortazione di Gesù Cristo: “Fa di essere non incredulo, ma credente” e poco dopo in quelle altre: “Perché hai veduto, o Tommaso, hai creduto: beati coloro, che non hanno veduto ed hanno creduto.” Questa sentenza deve tornare carissima a noi, o figliuoli dilettissimi. Noi non abbiamo veduto, non abbiamo udito, non abbiamo toccato Gesù Cristo nella sua umanità risorta, eppure abbiamo creduto e crediamo fermamente alla sua risurrezione e alla sua divinità, che ci fu annunziata dagli Apostoli e ci si ripete dalla Chiesa, e più felici di Tommaso, noi siamo da Cristo stesso dichiarati beati. – Siamo alla chiusa del nostro Evangelo. “Molti altri miracoli fece Gesù alla presenza dei suoi discepoli, che non sono scritti in questo libro, ma questi sono stati scritti affinché crediate che Gesù è il Cristo, Figlio di Dio, e affinché credendo, abbiate, nel nome di Lui, la vita eterna. „ – Da queste parole di S. Giovanni apprendiamo, che Gesù operò molti altri miracoli, oltre a quelli da Lui e negli altri tre Evangeli registrati, che Giovanni senza dubbio conosceva; perché voi, o cari, non potete ignorare che non tutto ciò che Gesù disse e fece fu scritto negli Evangeli, ma solo ciò che allo Spirito Santo parve necessario ed utile a nostro ammaestramento; il resto, in parte almeno, giunse a noi per la viva tradizione che si conserva nella Chiesa. S. Giovanni poi, in quest’ultimo versetto ci dice il fine o la ragione che lo mosse a scrivere il Vangelo, che fu quello che i lettori credessero Gesù essere il Cristo, cioè il Messia aspettato, il Figlio di Dio, eguale al Padre, e credendo questo, che è il fondamento della fede e vivendo conformemente a questa fede, potessero ottenere la vita eterna, meta ultima della fede e speranza nostra, vita eterna, che Iddio misericordioso conceda a me, a voi, a tutti gli uomini. [Qui è necessaria una avvertenza. È cosa evidente che qui si chiudeva il Vangelo di S. Giovanni. Come sta che segue dopo un altro capo, che è l’ultimo? In esso si narra distesamente un’altra apparizione avvenuta sul lago di Genesaret. Questo capo XXI, ora ultimo, certamente fu scritto da S. Giovanni dopo qualche tempo, quasi appendice. Per qual motivo? Per distruggere l’opinione, divenuta quasi generale, ch’egli, Giovanni, non avesse a morire fino alla seconda venuta di Cristo. In questo capo egli spiega le parole di Cristo, che, malintese, diedero occasione all’errore].

Credo …

Offertorium

 Orémus

Matt XXVIII:2; XXVIII:5-6. Angelus Dómini descéndit de cœlo, et dixit muliéribus: Quem quaeritis, surréxit, sicut dixit, allelúja. [Un Angelo del Signore discese dal cielo e disse alle donne: Quegli che voi cercate è risuscitato come aveva detto, alleluia.]

Secreta

Suscipe múnera, Dómine, quaesumus, exsultántis Ecclésiæ: et, cui causam tanti gáudii præstitísti, perpétuæ fructum concéde lætítiæ. [Signore, ricevi i doni della Chiesa esultante; e, a chi hai dato causa di tanta gioia, concedi il frutto di eterna letizia.]

Communio

[Joannes XX:27] Mitte manum tuam, et cognósce loca clavórum, allelúja: et noli esse incrédulus, sed fidélis, allelúja, allelúja. [Metti la tua mano, e riconosci il posto dei chiodi, alleluia; e non essere incredulo, ma fedele, alleluia, alleluia.]

Postcommunio

Orémus.

Quæsumus, Dómine, Deus noster: ut sacrosáncta mystéria, quæ pro reparatiónis nostræ munímine contulísti; et præsens nobis remédium esse fácias et futúrum.

I MEZZI NECESSARI ALLA SALVEZZA

  1. “I mezzi necessari alla salvezza” di S. Alfonso

Sant’Alfonso Liguori (morto nel 1787), vescovo e dottore della Chiesa

Sui mezzi necessari per la salvezza. 
di S. Alfonso M. de’ Liguori

Io sono voce di uno che grida nel deserto: raddrizzate la via del Signore” – Giovanni 1:23

Tutti vorrebbero essere salvati e godere della gloria del Paradiso; ma per conquistare il Paradiso, è necessario camminare sulla giusta via che conduce alla beatitudine eterna. Questa strada è l’osservanza dei comandamenti divini. Per questo, nella sua predicazione, il Battista esclamò: “Rendi dritta la via del Signore”. Per poter camminare sempre sulla via del Signore, senza deviare a destra o a sinistra, è necessario adottare i mezzi adeguati. Questi mezzi sono, innanzitutto, la diffidenza di noi stessi; in secondo luogo, la fiducia in Dio; in terzo luogo, la resistenza alle tentazioni.

Primo mezzo. Diffidenza di noi stessi

1. “Con timore e tremore”, dice l’Apostolo, “sviluppa la tua salvezza” – [Fil. II:12]. Per assicurarci la vita eterna, dobbiamo essere sempre penetrati dal timore; dobbiamo avere sempre timore di noi stessi (con paura e tremore) e diffidare del tutto delle nostre forze, perché, senza la grazia divina, non possiamo fare nulla.”Senza di me“, dice Gesù Cristo, “non puoi fare nulla“.: “Non possiamo fare nulla per la salvezza delle nostre anime”. San Paolo ci dice che noi non siamo capaci nemmeno di un buon pensiero. “Non però che da noi stessi siamo capaci di pensare qualcosa come proveniente da noi, ma la nostra capacità viene da Dio”[II Cor. III: 5]. Senza l’aiuto dello Spirito Santo, non possiamo nemmeno pronunciare il nome di Gesù per meritare una ricompensa. “E nessuno può dire: “Signore Gesù”, se non per mezzo dello Spirito Santo” – I Cor.XII: 3

2. “Miserabile l’uomo che si affida a se stesso sulla via di Dio”. San Pietro ha sperimentato il triste effetto della fiducia in se stessi. Gesù Cristo gli disse: “In questa notte, prima del canto del gallo, mi rinnegherai tre volte” – [Matt. XXVI: 34]. Confidando nelle proprie forze e nella sua buona volontà, l’Apostolo rispose: “Sì, anche se dovessi morire con Te, non ti rinnegherò” – [v.35]. Quale fu il risultato? Nella notte in cui Gesù Cristo venne preso, Pietro fu rimproverato nella corte di Caifa di l’essere uno dei discepoli del Salvatore. Il rimprovero lo riempì di paura: tre volte negò il suo Maestro e giurò di non averlo mai conosciuto. L’umiltà e la diffidenza in noi stessi ci sono così necessarie, che Dio ci permette talvolta di cadere nel peccato, affinché, con la nostra caduta, possiamo acquisire l’umiltà e la conoscenza della nostra stessa debolezza. Per mancanza di umiltà anche Davide cadde: quindi, dopo il suo peccato, disse: “Prima di essere umiliato, andavo errando” – Sal. CXVIII:67.

3. Quindi lo Spirito Santo pronuncia: benedetto l’uomo che ha sempre paura: “Beato l’uomo che ha sempre paura” – Prov. XXVIII:14. Chi ha paura di cadere, diffida delle proprie forze, evita il più possibile tutte le occasioni pericolose e si raccomanda spesso a Dio, preservando così la sua anima dal peccato. Ma l’uomo che non ha paura, e che è pieno di fiducia in se stesso, si espone facilmente al pericolo del peccato, raramente si raccomanda a Dio e così cade. Immaginiamo una persona sospesa su di un grande precipizio sopra una corda tenuta da un’altra persona. Sicuramente griderebbe costantemente alla persona che lo sostiene: tieni duro, tieni duro; per l’amor di Dio, non lasciarti andare. Siamo tutti in pericolo di cadere nell’abisso di ogni crimine, se Dio non ci sostiene. Quindi dovremmo costantemente implorarlo di tenere le sue mani su di noi e aiutarci in tutti i pericoli.

4. Alzandosi dal letto, san Filippo Neri soleva dire ogni mattina: “O Signore, tieni la tua mano oggi su Filippo; se non lo fai, Filippo ti tradirà”. E un giorno, mentre camminava per la città, riflettendo sulla propria infelicità, spesso diceva: “Io dispero, mi dispero”. Un certo religioso che lo ascoltò, credendo che il santo fosse davvero tentato dalla disperazione, lo corresse e lo incoraggiò a sperare nella divina misericordia. Ma il santo rispose: “Io dispero di me stesso, ma confido in Dio”; quindi, durante questa vita in cui siamo esposti a tanti pericoli di perdere Dio, è necessario per noi non vivere sempre con grande sfiducia in noi stessi, ma pieni di fiducia in Dio.

Secondo mezzo: fiducia in Dio.

5. San Francesco di Sales afferma che la sola attenzione all’autodifesa, a causa della nostra debolezza, ci renderebbe solo pusillanimi e ci esporrebbe al grande pericolo di abbandonarci ad una vita tiepida o addirittura alla disperazione. Più diffidiamo delle nostre forze, più dovremmo confidare nella misericordia divina.Questo è un equilibrio, dice lo stesso Santo, in cui più si alza il livello di fiducia in Dio, più scende il livello di diffidenza in noi stessi.

6. Ascoltatemi, o peccatori che avete avuto la disgrazia di aver offeso finora Dio, e di essere condannati all’inferno: se il diavolo vi dice che rimane poca speranza per la vostra salvezza eterna, rispondete con le parole della Scrittura: “Nessuno che ha sperato nel Signore, è stato confuso” – Eccl.II:11.Nessun peccatore che ha sempre creduto in Dio è mai andato perso.Fate, quindi, un fermo proposito di non peccare più; abbandonatevi nelle braccia della divina bontà; e state certi che Dio avrà pietà di voi e vi salverà dall’inferno. “Getta le tue cure sul Signore, ed Egli ti sosterrà” – Sal.XLIV:23.Il Signore, come leggiamo in Blosius, un giorno disse a santa Gertrude: “Chi confida in me, mi fa talmente violenza che non posso che ascoltare tutte le sue suppliche”.

7. “Ma”, dice il profeta Isaia, “ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi” – XL: 31. Coloro che ripongono la loro fiducia in Dio rinnoveranno la loro forza; essi metteranno da parte la propria debolezza e acquisiranno la forza di Dio; voleranno come aquile sulla via del Signore, senza fatiche e senza mai mancare. Davide dice che “la misericordia comprenderà colui che spera nel Signore” – Sal.XXI: 10. Colui che spera nel Signore sarà circondato dalla sua misericordia, così che non sarà mai abbandonato da essa.

8. San Cipriano dice che la divina misericordia è una fonte inesauribile. Coloro che ne portano la fiducia più grande, ne traggono le più grandi grazie. Quindi, il Profeta Reale ha detto: “La tua grazia, Signore, sia sopra di noi, ché abbiamo sperato in Te” – Sal.XXXII: 22. Ogni volta che il Diavolo ci terrorizza ponendo sotto i nostri occhi la grande difficoltà di perseverare nella grazia di Dio, nonostante tutti i pericoli e le occasioni peccaminose di questa vita, lasciate che, senza rispondergli, eleviamo gli occhi a Dio, e sperando che bella sua bontà ci invierà certamente un aiuto per resistere ad ogni attacco. “Ho alzato gli occhi verso le montagne, da dove mi verrà l’aiuto? ” – Sal.CXX: 1. E quando il nemico ci rappresenta la nostra debolezza, diciamo con l’Apostolo: “Posso fare tutto in Colui che mi da forza” – Fil.IV:13. Da me stesso non posso fare nulla; ma confido in Dio così che, per sua grazia, sarò in grado di fare tutte le cose.

9. Quindi, nel mezzo dei più grandi pericoli di perdizione ai quali siamo esposti, dovremmo continuamente rivolgerci a Gesù Cristo e gettarci nelle mani di Colui che ci ha redenti con la sua morte, e dovremmo dire: “Nelle tue mani io raccomando il mio spirito: Tu mi riscatti, o Signore, Dio verace “- Sal.XXX: 6. Questa preghiera dovrebbe essere detta con la grande sicurezza di ottenere la vita eterna, e ad essa dovremmo aggiungere: “In te, o Signore, ho sperato, non lasciarmi confuso per sempre” – Sal.XXX: 1

Terzo mezzo: resistenza alle tentazioni.

10. È vero che quando ricorriamo a Dio con fiducia, in pericolose tentazioni, Egli ci assiste; ma, in certe occasioni molto urgenti, il Signore a volte desidera che cooperiamo e facciamo violenza a noi stessi onde resistere alle tentazioni. In tali occasioni, non sarà sufficiente ricorrere a Dio una o due volte; sarà necessario moltiplicare le preghiere e spesso prostrarsi e sospirare davanti all’immagine della Beata Vergine e del Crocifisso, gridando nelle lacrime: Maria, Madre mia, aiutatemi; Gesù, mio ​​Salvatore, salvami, per la tua misericordia, non abbandonarmi, non permettere che io mi perda.

11. Teniamo presente le parole del Vangelo: “Quanto è stretta la porta e dritta è la via che conduce alla vita: e pochi sono quelli che la trovano” – Mat.VII:14. La via per il Cielo è diritta e stretta: coloro che desiderano arrivare in quel luogo di beatitudine camminando per le vie del piacere, saranno delusi; e quindi pochi lo raggiungono, perché pochi sono disposti ad usare la violenza per resistere alle tentazioni. “Il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono” – Matt.XI: 12. Nello spiegare questo passaggio, uno scrittore dice: “Vi quæritur, invaditur, occupatur”. Deve essere ricercato e ottenuto con la violenza: chi vuole ottenerlo senza inconvenienti, o conducendo una vita dolce e regolare, non lo acquisisce e ne sarà escluso.

12. Per salvare le loro anime, alcuni Santi si sono ritirati nel chiostro;alcuni si sono rinchiusi in una grotta; altri hanno abbracciato tormenti e morte. “I violenti se ne impadroniscono”. Alcuni lamentano la loro mancanza di fiducia in Dio; ma non percepiscono che la loro diffidenza deriva dalla debolezza della loro risoluzione di servire Dio. Santa Teresa soleva dire: “Di anime irresolute il Diavolo non ha paura”. E l’uomo saggio ha dichiarato che “i desideri uccidono i pigri” – Prov.XXI:25. Alcuni vorrebbero essere salvati e diventare santi, ma non risolveranno mai di adottare i mezzi della salvezza, come la meditazione, la frequentazione dei Sacramenti, il distacco dalle creature; oppure, se adottano questi mezzi, presto li abbandonano. In una parola, sono soddisfatti dei loro desideri infruttuosi, e così continuano a vivere nell’inimicizia con Dio, o almeno nella tiepidezza, che, alla fine, li conduce alla perdita di Dio. Così in loro sono verificate le parole dello Spirito Santo, “i desideri uccidono il pigro“.

13. Se, quindi, desideriamo salvare le nostre anime e diventare santi, dobbiamo prendere la decisione forte, non solo in generale di donarci a Dio, ma anche in particolare di adottare i mezzi adeguati, senza mai abbandonarli mai dopo averli presi una volta. Quindi non dobbiamo mai smettere di pregare Gesù Cristo e la sua Santissima Madre, per ottenere la santa perseveranza.

UNA PAROLA AL FEDELE NEO-CONVERTITO (fr. UK)

Una parola al fedele neo-convertito.

Caro fedele,

poiché alcuni di voi hanno chiesto di darvi un’istruzione almeno sommaria, qui potete trovare alcune indicazioni sul come organizzare la vita cattolica nelle circostanze in cui la maggior parte del clero ha cessato di praticare la Fede cattolica e è divenuto seguace della religione del “Novus Ordo”.

Il Papa e pochissimi sacerdoti continuano a servire la Chiesa Cattolica in esilio, e i Cattolici possono fare la loro confessione, partecipare alla Santa Messa e ricevere la Santa Comunione non più di due volte all’anno.

Bisogna capire che non solo è in esilio l’alta Gerarchia, ma bensì anche tutta la gerarchia ed i fedeli. Tutta la Chiesa conduce la sua missione in Eclissi.

Tale situazione non è nuova per la Chiesa di Cristo. La Beata Vergine Maria, gli Apostoli, molti Santi in tempi di persecuzione, furono esiliati e finanche Nostro Signore fu esiliato: per un po’ fu “nascosto in un campo … come una perla preziosa di grande valore” (San Matteo XIII: 44-46), poi però, nel momento giusto, essa fu ritrovata per brillare sulla croce.

«Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. » [Filip. II, 4-8]

E così non è una novità per la Sua Chiesa seguirlo sulla via della Croce, verso l’esilio!

Nostro Signore Gesù Cristo creò questo mondo, ma il mondo lo mandò in esilio: “Era nel mondo, e il mondo fu creato da lui, e il mondo non lo conobbe. Venne tra i suoi, e i suoi non lo accolsero “(San Giovanni 1: 9-11). Ma quelli che lo accolsero, divennero figli di Dio: “Ma a tutti quelli che l’hanno ricevuto, ha dato il potere di diventare figli di Dio, a quelli che credono nel suo Nome, che sono nati non da sangue, né dalla volontà della carne, né dalla volontà dell’uomo, ma da Dio “(San Giovanni 1: 12-13).

Purtroppo, coloro che hanno accolto il Nostro Signore Gesù Cristo, sono una minoranza, e questa minoranza è permanentemente perseguitata dal mondo che “non Lo ha ricevuto”. “Se il mondo ti odia, sappi che ha odiato Me, prima di te … Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche te” (San Giovanni XV: 18-23).

Ma questa non è una causa di disperazione o di panico, poiché abbiamo il “Sommo Sacerdote Misericordioso e Fedele” (Ebrei II:17), che è in grado di aiutarci: “… infatti proprio per essere stato messo alla prova ed avere sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova “.[Ebr. II, 18], abbiamo il Buon Pastore che dice: ” Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno”. [Luc. XII, 32]

Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!” [Matt. VII, 13-14].

Quando qualcuno si converte dal “Novus Ordo” alla Religione Cattolica, non cambia solo il luogo di culto, né la giurisdizione… cambia totalmente la fede, la morale e la disciplina. Ciò significa che i Cattolici non hanno il diritto di sentirsi liberi di fare ciò che vogliono, come hanno fatto in passato, quando erano membri della larga e comoda falsa religione del “Novus Ordo”.

La via verso il Regno di Dio è una via di numerose e benefiche limitazioni. Coloro che vogliono entrare nel Regno di Dio devono prendere su di sé il giogo di Gesù Cristo ed imparare da Lui ad essere miti ed umili di cuore, così come Lui stesso è mite ed umile di cuore. (San Matteo XI: 29-30).

Falso culto:

Molti convertiti non sapevano ad esempio, che violando il primo comandamento, un uomo commette peccato mortale. Ma dal momento stesso in cui un convertito conosce la verità, è obbligato ad abbandonare tutte le pratiche proibite, per tutto il resto della vita.

I Cattolici sono obbligati ad osservare tutti i Dieci Comandamenti di Dio, i Precetti della Chiesa nonché la Fede, la Morale e la Disciplina nella sua integrità.

Spesso dopo la conversione alcune persone cercano ancora di continuare in pratiche e costumi falsi, assolutamente inutili e persino dannosi per i Cattolici. Lo fanno “per inerzia”, ​​o perché pensano che la fede del “Novus Ordo” e la Fede della Chiesa Cattolica siano uguali o solo un po’ diversi. E se qualcuno, dopo essersi unito alla Chiesa Cattolica, intende ancora praticare la falsa fede, la morale e la disciplina precedente, la sua conversione è nulla, e non si è unito affatto alla Chiesa Cattolica!

Il primo Comandamento tra l’altro, proibisce di credere in “messaggi”, “rivelazioni”, “ispirazioni”, “voci” ecc., ricevuti in un sogno o in una “visione”.

Se qualcuno dice che ha visto Gesù, o la Madre di Dio, o gli Angeli o i Santi, e che tutti devono fare ciò che “essi hanno loro detto”, bisogna essere cauti e tenere presente questo avvertimento di Dio: “Quindi, se c’è qualcuno che ti dirà: Ecco, ecco Cristo, o eccolo là; non credergli. Perché sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e mostreranno grandi segni e prodigi, tanto da ingannare (se possibile) persino gli eletti. Ecco, te l’ho detto prima “(San Matteo XXIV: 23-25). E anche  San Paolo, l’Apostolo, dice: ” … nessuna meraviglia; poiché satana stesso si trasforma in un angelo di luce “(2 Corinzi XI:14).

Una credenza in una strana “immagine” su una pietra, su un legno, su una superficie  d’acqua, su un vetro, ecc., che in qualche modo ricorda remotamente strane creature, o anche un uomo, un Angelo, ecc., è una sorta di falsa adorazione … Spesso accade questo, quando qualcuno vuole presentare la “propria” immaginazione come “messaggio molto importante dal cielo” per il mondo.

Quando vediamo il mondo che ci circonda, creato da Dio, non dovremmo adorare la creazione stessa, perché è proibito dal primo comandamento, ma dovremmo piuttosto glorificare e ringraziare Dio Creatore per la sua potenza e la eterna carità nei nostri confronti. La via migliore per la glorificazione di Dio è il ringraziamento è l’adempimento dei Comandamenti di Dio.

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L’approvazione della Chiesa delle rivelazioni private, significa semplicemente che esse non contengono nulla contro la fede e la morale. Non pecca mai mortalmente chi li nega perché non è convinto che vengano da Dio. (Teologia morale)

Vera adorazione:

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I. Il Sacrificio.

Il culto di Dio richiede l’offerta del Santo Sacrificio della Messa, a cui i fedeli sono obbligati ad assistere nelle occasioni comandate.

II. L’Adorazione.

Concetto. L’adorazione è l’atto dell’adorazione divina con la quale riconosciamo l’Infinita Maestà e la Signoria di Dio, la nostra dipendenza da Lui e la sottomissione a Lui.

Obbligo.

a) L’adorazione nel senso proprio (cultus latriæ) può e deve essere resa a Dio solamente.

È reso a Lui e Lui soltanto è adorato in quanto Dio stesso  (ad esempio: la Santissima Trinità, Gesù Cristo, il Santissimo Sacramento) a causa della Sua eccellenza; Gli viene offerto relativamente, quando sono venerate le immagini di Dio, gli strumenti della Sacra Passione, ecc., per l’eccellenza di Dio con cui hanno una relazione così stretta.

b) Un culto speciale (cultus duliæ) è dovuto agli Angeli e ai Santi, poiché come amici di Dio anch’essi partecipano alla Sua eccellenza.

Una maggiore adorazione (cultus hyperduliæ) di quella offerta a qualsiasi altra creatura, è dovuta alla Madre di Dio, perché anche Ella condivide in modo speciale la Sua eccellenza.

– I Santi canonizzati possono essere venerati ovunque sulla terra con qualsiasi atto di culto di dulia; il Beato invece, solo in quei luoghi dove la Santa Sede permette la loro venerazione e nella maniera da essa approvata (C. 1277).

– Il titolo di “Venerabile”, o di “Servo di Dio” non consente la pratica della venerazione pubblica (C. 2115); la venerazione privata di una tale persona non è però proibita.

– Solo gli Angeli e quei Santi e Beati che sono stati riconosciuti come tali dalla Chiesa possono essere invocati pubblicamente. In privato possiamo implorare tutti i giusti in cielo e sulla terra, ed in particolare anche i bambini battezzati che muoiono prima di raggiungere l’uso della ragione, così come anche le Anime del Purgatorio. (Teologia morale)

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Alcune parole sulla preghiera:

I Cattolici dovrebbero pregare quotidianamente con preghiere mattutine, preghiere serali, notturne, con varie preghiere da rivolgere a nostro Signore, alla Madre di Dio, agli Angeli e ai Santi, il Credo, le preghiere ai pasti e prima di ogni azione, ecc., le Novene, fare spesso il segno della croce.

È ottima cosa che i Cattolici preghino il Santo Rosario uniti  nelle loro famiglie quotidianamente o tutte le volte che possono, almeno la domenica e le festività di obbligo, secondo gli orari di lavoro dei membri della famiglia.

È molto consigliabile fare un esame quotidiano di coscienza e un atto di contrizione perfetta; ma l’obbligo di confessare i peccati davanti a un sacerdote rimane sempre, appena sia possibile.

Ed è molto bello ricevere frequentemente la Comunione Spirituale, quando non si ha la possibilità di partecipare alla Santa Messa.

Quando un Vescovo o un Sacerdote saranno in grado di venire dai fedeli, allora essi potranno confessare i peccati e ricevere la Santa Comunione.

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L’omissione volontaria delle preghiere quotidiane è raramente esente da ogni colpa, poiché è il risultato di negligenza e tiepidezza. (Teologia morale)

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Altro sulla preghiera:

Se i fedeli saranno in grado, potranno riunirsi in una sala, in gruppo di tre o più persone per pregare il Santo Rosario. I giorni preferibili sono le domeniche e le feste comandate. Nessuno può essere un leader, né un “capo”, né un “profeta” in quelle riunioni del Rosario. Un Fedele per volta può condurre una decina del Rosario. Se è presente un uomo ad un incontro di preghiera, egli ha la priorità di condurre il Santo Rosario, oppure può delegare le donne nel condurre una, due o tre decine del Rosario.

A causa delle circostanze molto difficili della Chiesa in Eclissi, l’alta Gerarchia non vieta la preghiera del Santo Rosario, fatta in un piccolo gruppo  di due persone, anche per telefono. Tale pratica è una forma di devozione non ufficiale, ma straordinaria, ed è consentita a mo’ di privilegio per coloro che vivono lontani e non possono essere fisicamente presenti alle riunioni del Rosario, o per coloro che hanno bisogno di preghiere in circostanze difficili. Non sono consentite “video-conferenze”.

Le cosiddette “conferenze telefoniche di preghiera” per gruppi più grandi, costituiti da più di due persone, non sono consentite, perché non sono sicure. Lo stesso vale per le “videoconferenze”.

Nessun fedele laico o laica può far da predicatore, catechista, insegnante durante le riunioni del Rosario, né in sala né per telefono (vedi: Falsa adorazione).

È proibito ai Cattolici di pregare insieme ai non cattolici.

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La partecipazione attiva dei Cattolici ai servizi di culto non cattolici è del tutto vietata (C. 1258).

Chiunque si oppone alle prescrizioni del C. 1258 e prende parte a servizi non cattolici è sospettato di eresia (C. 2316).

La presenza passiva è consentita solo per una buona ragione, ad esempio: Soldati e prigionieri possono partecipare a tali servizi se comandati a farlo per ordine, ma non se imposti in odium fidei. (Teologia morale)

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I due corpi della Chiesa Cattolica:

[dal Catechismo di Baltimora] :

490. Come possono essere divisi i membri della Chiesa sulla terra?

I membri della Chiesa sulla terra possono essere divisi in: coloro che insegnano e coloro che vengono istruiti. Coloro che insegnano, cioè il Papa, i Vescovi e i Sacerdoti, sono chiamati: Chiesa docente, o semplicemente la Chiesa. Coloro che vengono istruiti sono chiamati: Chiesa discente, o semplicemente i fedeli.

http://www.baltimore-catechism.com/lesson11.htm

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[da: Il “Catechismo spiegato”, del Rev. Francis Spirago]:

“La Chiesa Cattolica consiste in un corpo docente ed un corpo discente. Al primo appartengono il Papa, i Vescovi e i Sacerdoti; al secondo tutti i fedeli. I sacerdoti sono gli assistenti dei Vescovi; essi ricevono i loro ordini dal Vescovo e sono anche suoi figli spirituali; il loro compito è quello di eseguire i comandi del Vescovo; anche quando sono chiamati ad assistere ai Concili, non votano come giudici, ma solo come consiglieri, né hanno poteri per scomunicare. I sacerdoti hanno solo una parte del potere episcopale, e il loro ufficio può essere esercitato solo con il mandato del Vescovo. Questa mandato è detto: missione canonica (missio canonica).

“Manuale per sacerdoti, insegnanti e genitori a cura del Rev. S.G. Messmer, D.D., D.C.L., Vescovo di Green Bay. IL CATECHISMO SPIEGATO dall’originale di Rev. Francis Spirago, professore di teologia, a cura del rev. Richard F. Clarke S.J., data di pubblicazione 1899.

Nel Concilio di Trento, è scritto: [CANON V]:  Se qualcuno dovesse dire, che nella Chiesa Cattolica non c’è una Gerarchia nell’ordinazione divinamente istituita, composta da Vescovi, Sacerdoti e Ministri, sia anatema “.

http://www.thecounciloftrent.com/ch23.htm

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I doveri dei laici derivano principalmente dalla legge naturale, dalla legge divina positiva e dai precetti della Chiesa.

I diritti dei laici sono in gran parte riducibili al diritto fondamentale di ricevere dal clero i beni spirituali necessari alla salvezza, secondo le regole della disciplina ecclesiastica. – Questi diritti possono essere fortemente limitati, ad es. in una persona che si unisce ad una setta non-cattolica o incorre in una censura ecclesiastica, in particolare la scomunica (C. 87). Ma un battezzato non può mai essere privato di nessuno dei diritti che ha in virtù del carattere indelebile del Battesimo, né può perdere la sua inalienabile pretesa della speciale sollecitudine della Chiesa, e, in pericolo di morte, se è giustamente disposto, ai Sacramenti necessari alla salvezza.(Teologia morale).

I fedeli non appartengono alla Chiesa docente o alla Gerarchia. Un fedele può essere un insegnante o un catechista solo con l’esplicito permesso di un Vescovo o di un prete. Quando i fedeli reclamano un’autorità sulla Gerarchia, essi agiscono in contrasto con l’insegnamento della Chiesa.

In alcuni, casi dei fedeli possono avere autorità su altri fedeli.

I genitori hanno autorità sui propri figli naturali ed adottivi, hanno il dovere di governare, educare ed insegnare ai bambini. – Nell’estremo bisogno un laico può amministrare il Battesimo, se sa come agire secondo il rito della Chiesa.

 Sacramento del Battesimo:

Il Battesimo dell’acqua è necessario per il raggiungimento della salvezza come mezzo indispensabile per raggiungere il fine. Solo in casi eccezionali può prenderne il posto il Battesimo del desiderio o del sangue.

Il Battesimo del sangue consiste nel soffrire la morte per Cristo. Funziona quasi ex opere operate, cioè non è richiesto alcun atto soggettivo, e quindi anche i bambini possono essere giustificati in questo modo.

Il Battesimo del desiderio consiste in un atto di contrizione perfetta o di amore perfetto, che agisce in qualche modo come un desiderio del Battesimo.

Né il Battesimo del desiderio né quello del sangue, imprimono un carattere indelebile.

Il Battesimo condizionale è sempre necessario ogni volta che ci sia un dubbio, anche minimo, sulla validità del Battesimo ricevuto. Se non vi sono dubbi sulla validità del Battesimo ricevuto, non si può essere battezzati, nemmeno condizionatamente, sebbene il Battesimo sia stato amministrato da un laico o da un eretico. Prima di ribattezzare condizionatamente a causa di un dubbio, si deve cercare di rimuovere il dubbio con un’indagine accurata.

Gli effetti del Battesimo sono:

la remissione dei peccati, sia l’originale che i personali, e la pena dovuta al peccato;

l’imprinting del carattere battesimale,

l’infusione della grazia santificante,

delle virtù soprannaturali e dei doni dello Spirito Santo,

e soprattutto il conferimento di un diritto alle grazie necessarie per condurre una vita cristiana.

I peccati personali e le pene così contratte, sono rimessi solo in seguito ad con una contrizione almeno imperfetta. – Pertanto, se un adulto deve essere battezzato, deve essere esortato a produrre un atto di contrizione.

 

Ministro del Battesimo solenne.

Il ministro ordinario è un qualsiasi sacerdote. Battezzare è un diritto pastorale. L’Ordinario o il pastore locale possono permettere ad altri di battezzare. A parte il caso della necessità, è mortalmente peccaminoso battezzare senza il permesso almeno presunto del parroco.

Ministro straordinario è il diacono.

II. Ministro del Battesimo valido e privato, può essere qualsiasi persona.

Perciò anche il Battesimo amministrato dai non credenti e dagli eretici è valido. Per quanto riguarda l’intenzione si veda al n. 451.

Lecitamente i laici possono battezzare solo in pericolo di morte e quando non ci sia un sacerdote (C. 742). Fare altrimenti è mortalmente peccaminoso. – Un’eccezione è permessa e persino necessaria quando un bambino deve essere battezzato nel grembo materno. – Un’usanza contraria è prevalente nei distretti missionari, dove i catechisti o altri fedeli laici battezzano, al di fuori della necessità impellente, ogni volta però che non sia presente alcun sacerdote.

Se possibile, dovrebbero essere presenti nel Battesimo privato due o almeno un testimone, dai quali possa essere attestata l’amministrazione del Battesimo stesso (C. 742).

Nel Battesimo privato si userà sempre l’acqua ordinaria.

La materia prossima legale presso la Chiesa occidentale consiste nella triplice infusione, cioè, il battezzante versa tre volte l’acqua sulla testa di chi viene battezzato mentre pronuncia la forma.

La formula del Battesimo prescritto per la Chiesa latina recita:

Ego te baptizo in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti“.

Battesimo degli adulti. È valido il Battesimo di chiunque abbia l’uso della ragione ed abbia l’intenzione di essere battezzato. – Nel dubbio sull’intenzione di una persona in pericolo di morte, il Battesimo è amministrato condizionatamente.

(451). Il battesimo è valido se amministrato da un medico ebreo che agisce con l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa, o come fanno i Cristiani.

Non viene amministrato nessun Sacramento se si compiono semplicemente i gesti sacramentali come per la pratica (ad es. di un seminarista), o per burla.

Una sola e medesima persona deve impiegare la materia e recitare la formula. Pertanto, il Battesimo non è valido se una persona versa l’acqua mentre un’altra pronuncia le parole. (Teologia morale).

Il Battesimo in un gruppo che si pretende tradizionale, dove i ministri usano la forma di rito latino o la forma di rito bizantino, può essere ritenuto valido. Il Battesimo in tutti gli altri gruppi deve essere investigato secondo l’insegnamento della Chiesa Cattolica.

La forma del battesimo condizionale è:

… nome … “Si non es baptizatus (a), ego te baptizo in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti“.

Ogni volta i laici intendano battezzare privatamente, al di fuori del caso di necessità (in pericolo di morte), devono chiedere per iscritto il permesso ad un sacerdote.

Un laico maschio ha sempre la priorità di battezzare rispetto ad una donna. Una donna può battezzare qualora non sia disponibile nessun uomo. Nel Battesimo privato, dovrebbero essere presenti due o almeno un testimone.

Sacramento della Penitenza.

La Penitenza è il Sacramento in cui i peccati di un peccatore pentito, commessi dopo il Battesimo, sono perdonati dall’assoluzione di un sacerdote.

a) La materia necessaria sono tutti i peccati mortali commessi dopo il Battesimo che non siano stati direttamente rimessi dal Potere delle Chiavi.

Se uno confessa un peccato mortale subito dopo aver ricevuto l’assoluzione, questa deve essere data di nuovo.

b) La materia libera e sufficiente sono tutti i peccati veniali commessi dopo il Battesimo, ed anche tutti i peccati mortali già confessati in precedenza e direttamente rimessi.

Un’accusa generale è sufficiente quando si ha solo la materia libera.

c) La materia insufficiente sono tutti i peccati commessi prima del Battesimo, le imperfezioni ed i peccati incerti.

Se uno confessa solo i peccati commessi prima del Battesimo o menziona solo le imperfezioni, non può essere assolutamente assolto.

Se si confessano solo i peccati dubbi, l’assoluzione può essere data condizionatamente.

Modo di dare l’Assoluzione.

L’assoluzione deve essere data:

– Oralmente; l’assoluzione per iscritto o mediante altri segni non è valida.

– Ad un soggetto personalmente presente.

– L’assoluzione è dubbiamente valida se il sacerdote e il penitente sono in stanze diverse tra le quali non ci sia comunicazione. (Teologia morale).

Santa Messa:

La Santa Eucaristia è Sacramento e Sacrificio.

 Il Santo Sacrificio della Messa è il vero e proprio Sacrificio del Nuovo Testamento in cui Cristo viene offerto, sotto le apparenze del pane e del vino, continuando così il Sacrificio della Croce in modo incruento.

Essenza del Sacrificio della Messa. Il sacrificio della Messa consiste essenzialmente nella Consacrazione; la Santa Comunione, tuttavia, è parte integrante del Sacrificio.

Poiché la Chiesa comanda la partecipazione a tutta la Messa, non adempie il suo obbligo domenicale chi è presente solo alla Consacrazione.

Il Sacramento della Santa Eucaristia nella sua realizzazione è inseparabilmente legato all’offerta di una oblazione. Il Santissimo Sacramento dell’Altare è il Sacramento in cui il Corpo e il Sangue di Cristo sono presenti sotto le forme del pane e del vino per il nutrimento spirituale delle nostre anime.

Il consacratore della Santa Eucaristia è solo il sacerdote validamente ordinato.

Per la ricezione della Santa Comunione è richiesta la pulizia esteriore.

Pertanto, non si può comparire alla Tavola Santa con abiti sporchi, lacerati o sconvenienti.

Anche il viso, le mani e tutto il corpo devono essere puliti. (Teologia morale).

 

CENSURE LATÆ SENTENTIÆ

– sono sostenute “ipso facto” dal commettere un reato. Scomunica individuale: Una scomunica “speciale modo”, riservato alla Santa Sede è comminata a: Chiunque, non essendo un prete, simula dicendo Messa o udendo una Confessione (C.2322). (Teologia morale).

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È una pratica insolita per i fedeli recitare una “versione abbreviata” della Santa Messa la domenica o nelle feste d’obbligo, o nei giorni feriali senza sacerdote. La comunione spirituale durante queste “messe abbreviate” senza sacerdote, sembra essere una simulazione del dire Messa. È proibito dal diritto canonico dire la santa Messa senza un prete.

Il Papa San Pio X ha espresso la sua speranza e il suo desiderio che il Messale Romano sia usato più comunemente dai fedeli di tutte le classi durante la loro partecipazione alla Messa.

Il Messale può essere utilizzato dai fedeli fuori dalla Santa Messa per lo studio. Anche i fedeli possono leggerne parti separate, come Salmi, preghiere, Epistola o Lezione, il Vangelo, le Antifone, il Credo ecc.  senza l’intenzione di simulare la Messa.

Per ricevere la Comunione spirituale al di fuori della Santa Messa, i fedeli non hanno alcun obbligo di leggere tutta la Messa o alcune parti da soli senza un sacerdote. Hanno solo bisogno di fare un atto di comunione spirituale, come il seguente:

Preghiere per la Comunione spirituale

Gesù mio, credo che voi state nel Santissimo

Sacramento. V’amo sopra ogni cosa e vi desidero

nell’anima mia. Giacché ora non posso ricevervi

sacramentalmente, venite almeno

spiritualmente nel mio cuore. Come già venuto, io vi

abbraccio e tutto mi unisco a Voi: non permettere

che io mi abbia mai a separare da Voi.

(Indulg. di tre anni ogni volta, leggendo qualsiasi formula; indulg. plenaria alle consuete condizioni se fatta ogni giorno per un intero mese).

Donne in Chiesa:

Secondo la Legge di Dio una donna è un aiuto per un uomo (Genesi II: 18-24), quindi la Chiesa non riconosce la guida delle donne in Chiesa. San Paolo, l’Apostolo, dice: “Le donne tengano il silenzio nelle chiese; perché non è permesso loro di parlare, ma di essere soggetti, come anche la legge dice. Ma se imparassero qualcosa, che chiedessero ai loro mariti a casa. Perché è una vergogna per una donna parlare in chiesa “(1 Corinzi 1XIV: 34-35), e “La donna impari in silenzio, con tutta sottomissione. Non concedo a nessuna donna di insegnare, né di dettare legge all’uomo; piuttosto se ne stia in atteggiamento tranquillo” (1 Timoteo II: 11-13).

Il ruolo proprio di una donna cattolica è quello di essere una buona figlia, una buona sorella, moglie, madre, parrocchiana, cittadina. Alcune donne hanno la vocazione per essere suora. Secondo la legge ecclesiastica, una donna può essere superiora, ad esempio in una congregazione religiosa femminile, canonicamente approvata  e stabilita dall’altaGerarchia .

LA DONNA NELLA CHIESA:

Codice di  ABBIGLIAMENTO

Durante la recita del Rosario per telefono, durante le riunioni del Rosario e la Santa Messa i Cattolici dovrebbero tenere un abbigliamento modesto.

Non è permesso alle donne e alle ragazze cattoliche di ricevere la Santa Comunione se i loro volti e le loro labbra sono dipinte, perché sarebbe un atteggiamento indecoroso al cospetto del Santo Sacrificio della Croce. La Santa Messa è il culto davanti all’Altare di Dio, non una cena a un tavolo comune, per cui le donne cattoliche non devono venire alla S. Messa con il viso truccato.

È proibito alle donne cattoliche di partecipare alla Santa Messa e alle riunioni di preghiera, indossando jeans, pantaloncini, pantaloni, ampi decolté, camicie senza maniche e t-shirt, in abbigliamento da spiaggia o da sport, vestiti con scritte e messaggi, loghi di grandi marchi, loghi sportivi, vestiti trasparenti. Una gonna o un vestito dovrebbero essere lunghi, così che quando ella è seduta, le sue ginocchia devono essere coperte. Anche le maniche dovrebbero essere abbastanza lunghe, fino al palmo delle mani o un po’ sotto i gomiti, nei tempi caldi dell’estate. La testa dovrebbe essere sempre coperta. Scarpe o sandali a seconda dei tempi; le calze sono richieste soprattutto quando la donna indossa sandali estivi aperti.

Anche gli uomini ed i ragazzi cattolici dovrebbero indossare un consono abbigliamento nel partecipare alla Santa Messa e agli incontri di preghiera. Vietati sono: jeans, pantaloncini, magliette senza maniche e t-shirt, vestiti da spiaggia, vestiti sportivi, vestiti con scritte o messaggi, loghi di grandi marchi, loghi sportivi, indumenti trasparenti. Essi dovrebbero indossare abiti composti, come un abito classico con cravatta o anche senza, pantaloni di stile classico e camicie a maniche lunghe. Scarpe o sandali semiaperti a seconda della stagione; le calze sono obbligatorie. Il principio essenziale del codice di abbigliamento nel culto cattolico è una manifestazione esterna di Fede, morale e disciplina. Poiché il centro del culto cattolico c’è la Croce di Gesù Cristo, si devono indossare abiti casti e modesti, specialmente quando si riceve la santa Comunione durante la santa Messa.

Sacramentali:

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I sacramentali sono oggetti o azioni che la Chiesa usa, ad imitazione dei Sacramenti, per ottenere favori, specialmente quelli spirituali, attraverso la loro intercessione (1144 C. J. C.).

I Sacramentali non conferiscono mai direttamente un aumento di grazia santificante o di remissione dei peccati. – Vero ministro dei sacramentali è un chierico a cui la Chiesa ha concesso le relative facoltà ed al quale non sia vietato l’esercizio di queste facoltà (C. 1146).

È vietato dare pubblicamente i sacramentali a non cattolici. Quindi, non dovrebbero essere date loro le candele benedette durante la Festa della Purificazione, le ceneri del mercoledì, le palme della Domenica di Passione.(Teologia Morale).

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Quando un cattolico dà un oggetto sacramentale a un non cattolico, potrebbe aspettarsi che l’acattolico usi il sacramentale per uno scopo superstizioso, per un rituale pagano, o gettar via l’oggetto sacramentale.

Digiuno ed astinenza

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La legge del digiuno obbliga tutti coloro che hanno completato il loro ventunesimo anno di età fino al sessantesimo anno (C. 1254).

La legge dell’astinenza obbliga tutti coloro che hanno completato il loro diciassettesimo anno di età fino al termine della loro esistenza (C. 1254).

L’impossibilità fisica o morale scusa dalla legge del digiuno.

Per esempio, persone malate o convalescenti, in condizioni di salute delicate, coloro che sono nevrotici o che sono soggetti a forti mal di testa, che non possono dormire quando digiunano, donne incinte o che allattano, donne durante il periodo delle mestruazioni, i poveri che non hanno abbastanza da mangiare in una unica volta per soddisfare la loro fame;

Una maggiore quantità di cibo in quaresima viene concessa a persone soggette a lavori stressanti fisicamente e mentalmente, a coloro che dovrebbero intraprendere un viaggio lungo e faticoso. Non si può intraprendere un duro lavoro allo scopo di eludere la legge del digiuno. Mogli, figli e servi sono scusati se il padrone di casa non consente loro altro cibo. Un invito a mangiare fuori, dove verrà servito cibo proibito, non deve essere accettato. Si potrebbe, tuttavia, accettare un simile invito se lo stesso comporterebbe una grave perdita per sè, o creerebbe inimicizia, ecc. (Teologia Morale).

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Da ricordare che la cremazione non è una pratica Cristiana., ma è condannata espressamente dalla Chiesa Cattolica, tanto che il diritto al funerale e alla Messa di anniversario viene rifiutato a coloro che richiedono che i loro corpi vengano cremati. (Teologia Morale).

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Per conoscere la fede

I fedeli possono studiare la fede cattolica attraverso siti approvati dall’alta gerarchia in esilio.

I fedeli hanno l’obbligo di studiare la Fede Cattolica

La Gerarchia in esilio consiglia:

Il Catechismo di Baltimora:

http://www.baltimore-catechism.com

Il Concilio di Trento

http://www.thecounciloftrent.com/

Anche dai Catechismi, che si possono scaricare in PDF e stampare su un foglio per tutti o per ogni famiglia.

C’è un buon Catechismo Cattolico in tre volumi che è conveniente stampare su fogli:

CATECHISM MADE EASY

Being A Familiar Explanation of The Catechism of Christian Doctrine

In Three Volumes

By The Rev. Henry Gibson, Catholic Chaplain to the Kirldale Gaol and Kirkdale Industrial Schools. Publication dates 1865, 1874, 1877

https://archive.org/details/CatechismMadeEasyV1

https://archive.org/details/CatechismMadeEasyV2

https://archive.org/details/CatechismMadeEasyV3

Il “Catechismo dogmatico” di G. Frassinetti

https://archive.org/details/ADogmaticCatechism1872

The Catechism explained, by Rev. Francis Spirago

By Rev. Francis Spirago, Professor of Theology
Edited by Rev. Richard F. Clarke S.J.

Publication date 1899

https://archive.org/details/catechismexplain00spiruoft

Spesso è utile rinfrescare alla memoria le parole pronunciate durante l’abiura dell’eresia e la professione di fede:

“Io, NN, dichiaro sinceramente e solennemente che sono stato educato nella falsa Religione (novus ordo, protestantesimo, o altra Religione, a seconda del caso), ma ora per grazia di Dio, essendo stato portato alla conoscenza della Verità, io credo fermamente e professo tutto ciò che la Santa Chiesa Cattolica e Apostolica romana crede e insegna, ed io rifiuto e condanno tutto ciò che essa rifiuta e condanna ”

La forma completa della professione di fede è qui:

http://www.tcwblog.com/182861443

Ricezione di convertiti e professione di fede 

[Rituale Romano, 1944, Supplemento per il Nord America]

(Secondo il modello approvato dalla Sacra Congregazione del Sant’Uffizio, il 20 luglio 1859 e con la nuova formula per l’abiura e la professione di fede che deve essere fatta dai convertiti, approvata dalla Suprema Sacra Congregazione del Sant’Uffizio come data in: la “Rivista ecclesiastica”, maggio 1942)

Nel caso di un convertito, prima di tutto bisogna fare un’indagine accurata sulla validità del suo precedente battesimo. Se si scopre che non è stato Battezzato o che il Battesimo ricevuto non sia valido, deve essere battezzati incondizionatamente. Se, tuttavia, dopo un’indagine diligente, rimane un ragionevole dubbio sulla validità del loro precedente Battesimo, deve essere battezzato in modo condizionale. Se, in terzo luogo, il battesimo fosse giudicato valido, deve richiedersi solo l’abiura o la professione di fede. In conformità, quindi, con la loro condizione ci sono tre metodi di ricezione delle conversioni:

I. Se non è battezzato o se il precedente battesimo non era valido – il convertito è battezzato incondizionatamente, e non seguono né l’abiura né l’assoluzione, poiché il Sacramento della rigenerazione lava via tutto.

II. Se il precedente battesimo è dubbio: il convertito è battezzato condizionatamente, osservando la seguente procedura: 1. Abiura o professione di fede e assoluzione condizionata dalle censure. 2. Battesimo condizionale. 3. Confessione sacramentale con assoluzione condizionale.

III. Se il precedente battesimo era valido: – 1. Abiura e professione di fede. 2. Assoluzione dalle censure. 3. Volendo si può procedere alle cerimonie supplementari del Battesimo (vedi modulo per adulti [o di bambini, secondo decreti più recenti]).

Il sacerdote rivestito di cotta e stola viola, siede davanti al centro dell’altare o, se è presente il Santissimo Sacramento, sul lato dell’Epistola. Il convertito si inginocchia davanti a lui e con la mano destra sul libro dei Vangeli (o il messale) legge quanto segue: (Se il convertito non può leggere il sacerdote, glielo legge lentamente e distintamente, in modo che possa capire e ripetere le parole.)

PROFESSIONE DI FEDE

Io, N.N., ______ anni, nato fuori dalla Chiesa cattolica, ho tenuto e creduto in errori contrari al suo insegnamento. Ora, illuminato dalla grazia divina, mi inginocchio davanti a voi, Reverendo Padre _____________, avendo davanti ai miei occhi e toccando con mano i santi Vangeli.  Con fede ferma, credo e professo ciascuno e tutti gli articoli contenuti nel Credo degli Apostoli e cioè: Credo in Dio, Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra; e in Gesù Cristo, il Suo unico Figlio, nostro Signore, che fu concepito dallo Spirito Santo, nato da Maria Vergine, soffrì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto; Discese all’inferno, il terzo giorno risuscitò dai morti; Salì al cielo e siede alla destra di Dio, il Padre onnipotente, da lì verrà per giudicare i vivi e i morti. Io credo nello Spirito Santo; la santa Chiesa Cattolica; la comunione dei santi; il perdono dei peccati; la risurrezione dei corpi e la vita eterna. Amen.

– Ammetto e abbraccio fermamente le Tradizioni apostoliche ed ecclesiastiche e tutte le altre costituzioni e prescrizioni della Chiesa.

– Ammetto la Sacra Scrittura secondo il senso che è stato sempre tenuto ed è tenuto dalla Santa Madre Chiesa, il cui compito è quello di giudicare il vero senso e l’interpretazione delle Sacre Scritture, e io non le accetterò mai né le interpreterò se non in accordo all’unanime consenso dei Padri.

– Professo che i Sacramenti della nuova legge sono in verità e precisamente, sette di numero, istituiti per la salvezza dell’umanità, sebbene non siano tutti necessari per ogni individuo: battesimo, confermazione, santa Eucaristia, penitenza, estrema unzione, ordini sacri, e Matrimonio. Professo che tutti conferiscono grazia, ed alcuni tra essi, il battesimo, la confermazione e l’ordine sacro non possono essere ripetuti senza commettere sacrilegio.

– Accetto e ammetto anche il rituale della Chiesa Cattolica nella solenne amministrazione di tutti i suddetti Sacramenti.

– Accetto e professo, in ogni parte, tutto ciò che è stato definito e dichiarato dal Sacro Concilio di Trento riguardo al peccato originale e alla Giustificazione. Professo che nel Santo Sacramento dell’Eucaristia ci sia veramente e sostanzialmente il Corpo ed il Sangue insieme con l’Anima e la Divinità di nostro Signore Gesù Cristo, e che lì avviene ciò che la Chiesa chiama transustanziazione, cioè il cambiamento di tutta la sostanza del pane nel Corpo di Cristo e di tutta la sostanza del vino nel Sangue di Cristo. Confesso anche che, ricevendo anche una sola di queste specie, si riceve Gesù Cristo, integro ed intero.

– Io sostengo fermamente che il Purgatorio esiste e che le anime ritenutevi possono essere aiutate dalle preghiere dei fedeli. Allo stesso modo, ritengo che i santi, che regnano con Gesù Cristo, devono essere venerati e invocati, perché essi offrono preghiere a Dio per noi e che le loro reliquie devono essere venerate.

– Professo fermamente che le immagini di Gesù Cristo e della Madre di Dio, sempre Vergine, così come di tutti i santi, devono ricevere il dovuto onore e venerazione. Affermo anche che Gesù Cristo ha lasciato alla Chiesa la facoltà di concedere le indulgenze, e che il loro uso è molto salutare per il popolo cristiano. Riconosco la Chiesa santa, romana, cattolica e apostolica come madre e maestra di tutte le chiese, e prometto e giuro la vera obbedienza al Romano Pontefice, successore di San Pietro, Principe degli Apostoli e Vicario di Gesù Cristo.

– Accolgo inoltre senza esitazione e professo tutto ciò che è stato tramandato, definito e dichiarato dai Sacri Canoni e dai Consigli generali, specialmente dal Concilio di Trento e dal Concilio Vaticano, e in modo speciale ciò che riguarda il primato e l’infallibilità del Romano Pontefice. Allo stesso tempo condanno e riprovo tutto ciò che la Chiesa ha condannato e riprovato. Questa stessa fede cattolica, al di fuori della quale nessuno può essere salvato, ora professo liberamente e ad essa quale aderisco sinceramente; lo stesso prometto e giuro di mantenerla e professarla con l’aiuto di Dio, intera, inviolata e con ferma costanza fino all’ultimo soffio di vita; e cercherò, per quanto possibile, che questa stessa Fede sia tenuta, insegnata e professata pubblicamente da tutti coloro che dipendono da me e da coloro di cui sarò incaricato.

Quindi mi aiuti Dio e questi santi Vangeli.

Il convertito rimane in ginocchio, e il sacerdote ancora seduto dice il Miserere (Salmo 50) o il De profundis (Salmo 129), aggiungendo alla fine un Gloria Patri.

Se qualcuno vuole venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. A che serve all’ uomo, guadagnare il mondo intero e subire poi la perdita della propria anima? “(San Matteo XVI: 24-27).

Possa Dio Onnipotente darmi la forza di essere umile soldato di Cristo in esilio ed un membro buono della Chiesa in Eclissi.

Un sac. della Chiesa in Eclissi:  fr. UK.

[trad. redaz. G.D.G.]

LA BESTEMMIA

 LA BESTEMMIA.

[G. Dalla Vecchia: Albe Primaverili; G. Galla ed. 1911]

Et vos inhonorastis me.

E voi mi avete vituperato.

( Joan. VIII. 49).

ESORDIO. — Gesù nel Tempio affollato dichiara apertamente

che non è figlio di Dio chi non ascolta le sue parole di verità e di vita. Propterea vos non auditis, quia ex Deo non estis (Ioan. VIII, 47). — Ma un’empia bestemmia risuona e si scaglia contro di Lui; lo si chiama Samaritano e posseduto dal Demonio (v. 48). — Gesù ne resta addolorato, e con una pazienza inarrivabile risponde: Io non sono indemoniato (49); ma onoro il Padre mio, e voi mi avete vituperato. Et vos inhonorastis me! Quanti cristiani, ai nostri giorni, alzano temerari la loro voce per offendere e bestemmiare Dio, la Vergine, i Santi, le cose sacre… Oh ! non vi pare di  sentire da questo Crocefisso la voce di Gesù: Voi, tanto amati da me, voi che siete il mio popolo eletto, voi che avete nelle vostre chiese il Sacramento dell’amor mio, voi redenti al prezzo infinito di tutto il mio Sangue, voi mi bestemmiate? Vos inhonorastis me?  – Vediamo dunque il grave delitto, che è la bestemmia e, santamente inorriditi, giuriamo odio eterno a questo linguaggio d’Inferno.

PARTE PRIMA

1° La bestemmia è un parlare ingiurioso contro Dio ed i santi. — Ereticale, se contiene un errore contro la fede, purché coll’animo di offenderlo, o di negargli qual che attributo … Semplice, o comune, quando con aggettivi ingiuriosi si offende il nome di Dio, il SS. Sacramento, la Madonna …, o per sfogo di rabbia, od altro motivo…

(a) Chi infrange un Comandamento della legge di Dio, offende il Signore; ma è un’offesa indiretta … Chi bestemmia, offende ed assale direttamente Dio stesso. — Un cittadino disobbedisce alle leggi, offende il re nei suoi ordini …; ma se gli va vicino e gli dice villanie … , in questo caso l’ingiuria è più grave… ; è reo di lesa maestà… Ecco quello che fa il bestemmiatore! E come osare di profanare quel nome santo, che gli Angeli e saltano venerabono? Sanctus, sanctus… Dominus Deus Sabahot… I cieli e la terra narrano le sue glorie… Coœli enarrant gloriam Dei… Terra tremuit et quievit; (Salmi) i demoni tremano a quel Nome potente… Et in nomine Iesu omne genuflectatur cœlestium,, terrestrium, et ìnfernorum (Filipp. II, 10), ed un cristiano oserà gettare contro di Lui i titoli più ingiuriosi, le parole più empie, le imprecazioni più triviali?

(b) È peccato gravissimo. — Il Crisostomo lo chiama il peccato più orrendo … ; nullum hoc peccato deterius; insegna che esso irrita singolarmente il Signore ; nihil ita exacerbat Deum. sicut quando nomen eius blasphematur.

— S. Girolamo aggiunge, che al suo confronto ogni colpa sembra leggera, che niente è più mostruoso della bestemmia. Nihil horribilius blasphemia. Omne peccatum, comparatum blasphemiæ, levius est. — E S. Bernardino: La lingua del bestemmiatore è come una spada, che penetra il cuore di Dio; e perciò nessun peccato racchiude in sé tanta iniquità, quanta ne contiene la bestemmia. È un peccato di pretta malizia.

(c) Il bestemmiatore è peggiore dei demoni. — Essi bestemmiano sotto i flagelli della giustizia di Dio … ; tu, nel momento, in cui Egli fa scorrere sul tuo capo 1’onda delle sue grazie … Ti conserva … , ti provvede…, ti . ama … Lo dovresti benedire…,, ed invece, ingrato, ti avventi su di Lui … , lo strazi col tuo parlare ingiurioso. E che ti ha fatto di male? — Quello che sei … , possiedi … , tutto suo dono. — La fede, i sacramenti, i rimorsi, le ispirazioni, le forze, la salute … ; tutto da Lui … Dunque sei un perfido…, un ingrato …

(d) Ne ricavi forse vantaggio ? — Il ladro … ha la cosa rubata … Il voluttuoso … qualche diletto… Ma tu niente … ; cioè sì; hai una colpa gravissima … sulla coscienza.

Forse ottieni onore ? — No; anzi sei disprezzato dagli Angeli; da chi ti sente proferire quei detti sacrileghi … Sei forse temuto ? — Allora ti mostri insolente, temerario contro il divino Benefattore… ; quindi un vile. — Le persone, che si rispettano, non pronunciano simili insulti. — L’è dei vigliacchi … , dei viziosi … Ti riesce meglio il lavoro ? — Ma ti manca allora la benedizione del Signore: e la casa, che non è benedetta da Dio, cadrà in rovina … — Ne sei forse contento ? — Il bestemmiatore, ha torvo lo sguardo, bieca la faccia, è irrequieto … ; sembra un dannato…

(e) E tu, sì povero e meschino, tu misero verme, osi ribellarti, ingiuriare 1’Onnipotente? — Ti può colpire di morte…, gettare in un inferno … Bisogna dire che ti manchi la fede… ; altrimenti non lo faresti di certo.

(f) Dai scandalo. — Da te i fanciulli imparano a maledire il loro Dio… E intanto la bestemmia dilaga con un crescendo pauroso… ; e l’immoralità procede di pari passo con questo parlare d’inferno. Iugiter tota die nomen meum blasphematur (Isaia LII, 4).

2° – Ed i castighi?

(a) Dio nel Levitico (XXIV., 16) minaccia la morte ai bestemmiatori:  et qui blasphemaverit nomen Domini, morte moriatur. — Al cenno di Mosè la terra inghiotte vivi i bestemmiatori del nome di Dio. Salumit della tribù di Dan è lapidato dal popolo… Oloferne viene ucciso da Giuditta … Golia dalla pietruzza di Davide … Sennacherib vede il suo esercito distrutto … Antioco muore ricoperto di piaghe…

— Se il Signore assicura, che non lascerà impunito chi nomina il suo nome invano, che sarà di chi lo bestemmia? Non enim habebit insontem Dominus eum, qui assumpserit nomen Dei sui frustra (Esodo XX)

(b) Nei primi secoli della Chiesa il bestemmiatore doveva fare per sette settimane pubblica penitenza… ; se non 1’accettava, era privato dei sacramenti e della sepoltura ecclesiastica … — I principi di Francia fecero leggi severe contro la bestemmia: si traforava e poi si tagliava la lingua a chi insultava il nome di Dio.

(c) S. Gregorio narra, che un fanciullo, a sei anni, proferì una bestemmia…, e morì all’istante … S. Bernardino racconta, che un soldato, cenando con gli amici, si pose a bestemmiare… Stramazzò a terra morto.

— La bestemmia provoca i pubblici flagelli … ; la peste, la guerra, la fame, le inondazioni. — Roberto, re di Francia, pregava un dì ai piedi del Crocefisso per ottenere la pace al desolato suo regno; ed una voce gli risponde: Punisci i bestemmiatori, ed avrai la pace. —

Sulle montagne della Salette la Vergine avverte il popolo cristiano di cessare dalle bestemmie, per non provare i fulmini della divina Giustizia … Per la bestemmia tante sventure pubbliche e private… Messina (Sicilia) crollava scossa dal terremoto, il giorno dopo, (1908) che un empio giornale pubblicava una poesia d’insulto al celeste Bambino.

(d) Il bestemmiatore sul letto di morte. — Il suo parlare è quello dell’Inferno; e già presenta i sintomi della dannazione … Oppresso dai dolori…, teme, si agita, trema … ; non invoca la Madonna ed i Santi … , che li ha tanto bestemmiati … Intorno al suo guanciale i demoni fanno una ridda infernale. — Muore…, è condannato. Imitaris linguam blasphemantem ? Condemnabit te os suum (Iob. XV 5, 6). – Per tutta 1’eternità sarà maledetto. Maledicti qui contempserint te, Domine… Damnati erunt omnes, qui blasphemaverint te, Domine (S. Scritt. passim.).

(e) Pretesti e scuse. 1° Io bestemmio solo quando vado in collera; del resto mai … Bella davvero! un peccato capitale, com’è la collera, un peccato, che rende l’uomo quasi una bestia, sarà scusa sufficiente per potere bestemmiare… In altre parole, invece di un peccato, farne due. – Mettiamo caso: Vai in casa di un amico; lo trovi irritato con la moglie, con i figli. Egli appena ti vede, ti regala un ceffone sulla faccia … ; e poi ti dice: Perdonami; ero in collera, e per questo ti ho percosso… Gli faresti buona questa scusa? — Ed un cristiano, perché in collera coi figli, con gli affari, con le bestie, si crederà lecito di bestemmiare ed offendere Dio?

2° – Ho provato tante volte a correggermi, ma non ne sono capace!

— Proprio – ? — Scommetto che, se ad ogni bestemmia dovessi sborsare cinque lire , oppure scontare due mesi di prigione, metteresti tutto 1’impegno per correggerti, e riusciresti davvero. È invece, che non ami e non temi il Signore; languida è la tua fede; dell’anima poco t’importa, e per questo bestemmi… Ma con Dio non si scherza; ed egli ti giudicherà severamente sulle parole che hai pronunciato. Et vos inhonorastis norastis me. — Propter peccata labiorum ruina proximat malo (Prov. XII, 13).

PARTE SECONDA

3° – La bestemmia dunque è un orribile delitto, che offende direttamente Dio stesso, provoca sulle famiglie, sulla società, sui miseri bestemmiatori la collera dell’Altissimo … Preme dunque togliere questa colpa orrenda dalla faccia della terra.

I mezzi, che deve usare il bestemmiatore per correggersi di quest’orrido vizio, sono:

(a) La mattina, fare una generosa risoluzione di non pronunciare in quel giorno la minima parola di offesa contro il Signore.

(b) Ti è sfuggita?… Subito, una breve giaculatoria. — Gesù mio misericordia!…

(c) L a sera, prima di coricarti, esamina se hai bestemmiato … , al caso, bacia tante volte i piedi del tuo Crocefisso, quante sono le bestemmie dette durante il giorno.

(d) Ti imponi qualche piccola preghiera per ottenere la grazia di smettere un parlare cosi esecrabile …, che ti rende peggiore dei Turchi …, che disonora la nostra patria … Con questi mezzi ti correggerai, e te ne chiamerai contento.

— Ma tutti siamo figli di Dio, dunque a tutti deve premere 1’onore del santo suo Nome. Tutti dobbiamo provare profondo il rammarico per gli strappazzi, le villanie, che 1’amoroso Signore riceve continuamente dalle labbra di tanti …, anche in giovane età… ; i quali proprio non sanno, almeno sembra, quello che fanno col loro linguaggio satanico. Ut unanimes uno ore honorificetis Deum (Rom. XV, 6). Tutti uniti, come in una santa crociata, muoviamo guerra alla bestemmia.

— Voi, o genitori, con l’esempio…, con la correzione…, coi castighi, fate che i vostri figli non prendano un abito così detestabile…

— Voi, o padroni, proibite ai vostri dipendenti simile parlare …; intimate loro: In casa mia non si bestemmia.

— Non si correggono ? — Licenziateli.

— Voi, fanciulle, se il vostro fidanzato bestemmia, abbandonatelo… Il padre, che bestemmia, attira sulla famiglia le maledizioni divine.

— Nessuno stringa amicizia con chi strapazza il Nome benedetto di Dio. — Chi gode di qualche autorità sugli altri, corregga, rimproveri …; chi non ne ha, volti le spalle al bestemmiatore, e lo consacri all’isolamento, al disonore.

— Preghiamo per la conversione dei miseri bestemmiatori … Sanctificetur nomen tuum…

— Se udiamo qualcuno prorompere in linguaggio sì empio, ripetiamo: Sia benedetto .. il nome di Gesù… ; Dio sia benedetto. « Sit Nomen Domini benedictum! » [indulgenza di 500 giorni ogni volta che, udendo una bestemmia, si reciti devotamente la giaculatoria suddetta (S. C. Indulg., 28 nov. 1903; S. Pæn. Ap., 9 dec. 1932). Così daremo lode al Signore; concepiremo un odio sempre più acerrimo contro questa colpa tanto detestabile … Remove a te os pravum (Prov. IV, 24). Guai! guai a chi bestemmia, e non si sforza di correggersi! Egli si associa al delitto dei Giudei, che deridevano ed insultavano il Figlio di Dio pendente dalla Croce, agonizzante in un mare di spasimi, per la nostra salute …- Moltiplica le iniquità, accumula a suo danno debiti enormi verso la divina Giustizia …; si priva dell’intercessione dei due potenti Avvocati, Gesù e Maria … Chi allora, se non si emenda, lo salverà dall’eterna dannazione? — Odio, dunque, odio eterno alla bestemmia.

8

SIT NOMEN DOMINI BENEDICTUM!

[Ps. CXII]

(Indulg. 500 giorni ogni volta che, udendo una bestemmia contro Dio, si reciti devotamente la preghiera giaculatoria . – S. C. Indulg., 28 nov. 1903; S. Pæn. Ap.., 9 dec. 1932)

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: APRILE 2018

APRILE [2018]

è il mese della Santa PASQUA e delle ROGAZIONI Maggiori

 LITANIE O ROGAZIONI.

[Dom Guéranger: “Istituzioni liturgiche”, vol. I]

ISTRUZIONE.

Litania, che vuol dire Preghiera, è parola greca derivata dal verbo lìtanevo, che significa: “prego”. Le Litanie Maggiori cadono nel giorno 25 Aprile, e si dicono maggiori, o perché ebbero origine dalla maggiore delle Chiese, quale si è Roma, o perché comandate in tutta la Cristianità da S. Gregorio, detto “Magno”, il quale, se non ne fu l’istitutore, dacché egli stesso ne parla come di cosa già in uso, fu però quel Papa che le universalizzò dopo di averle celebrate con una solennità tutta particolare, allorquando nel 598, per impetrare la cessazione della peste che desolava tutta Roma, chiamò tutto il Clero e, tutto il Popolo ad una Processione di penitenza che fece capo alla chiesa di Santa Maria Maggiore e durante la quale si serenò il cielo, cessò la mortalità, e si vide sulla mole Adriana un Angelo che rimetteva nel fodero la propria spada, per significare che il flagello era cessato. Fu in quella circostanza che all’antica mole Adriana si mutò il nome in quello di Castel sant’Angelo, e vi fu eretta la grande statua di S. Michele.

PER I GIORNI DELLE LITANIE

Dio della bontà e della misericordia, Padre amoroso ed Arbitro sovrano di tutta quanta la natura, che regolando ogni cosa secondo i consigli della vostra sapientissima Provvidenza, avete a noi assoggettate tutte le creature dell’universo perché ci fornissero, giusta il bisogno, il cibo, il vestito l’ alloggio, la difesa, e fino conveniente ricreazione; Voi da cui solo dipende 1’opportunità delle stagioni, la fecondità della campagna, la prosperità del commercio, la tranquillità degli Stati, la salute dei nostri corpi e la santificazione delle nostre anime, degnatevi di volger propizio il vostro sguardo sopra di noi, e fate che tutto ci serva ad alleviare le miserie del tempo per assicurarci beata la eternità. – Come liberaste Noè dalle acque del Diluvio, Lot dalle fiamme di Sodoma, Davide dagli orsi, Daniele dai leoni, e poi Naaman dalla lebbra, Tobia dalla cecità, la casa di Raab dall’eccidio, e la Samaria dalla fame, liberate ancor tutti noi da ogni inondazione, da ogni incendio, da ogni carestia, da ogni contagio, da ogni persecuzione e da ogni guerra. Purgate l’aria da ogni influsso cattivo, la terra da ogni insetto dannoso”, e mandate a suo tempo il vento e la rugiada, la serenità e la pioggia, onde ogni seme fruttifichi in abbondanza. Togliete ai nostri nemici, così pubblici come privati, cosi visibili come invisibili, la volontà e la forza di nuocere, onde tra noi regni costantemente la sicurezza e la pace. Allontanate insomma da noi tutti quanti i vostri flagelli, onde alle nostre preghiere uniamo sempre più fervorosi i nostri sinceri ringraziamenti. – Che se mai pei nostri peccati voleste visitarci con qualche traversia, dateci nel tempo stesso lo spirito della cristiana pazienza, onde, ricevendo dalle vostre mani, e sopportando in espiazione dei nostri falli i vostri paterni castighi, ci assicuriamo quel premio che voi tenete preparato nel cielo a chi porterà con rassegnazione la propria croce sopra la terra. Pater, Ave, Gloria.

Di seguito le Feste di APRILE

1 Aprile Dominica Resurrectionis    Duplex I.

2 Aprile Die II infra octavam Paschæ    Duplex I. classis

3 Aprile Die III infra octavam Paschæ    Duplex I. classis

4 Aprile Die IV infra octavam Paschæ    Semiduplex

5 Aprile Die V infra octavam Paschæ    Semiduplex

6 Aprile Die VI infra octavam Paschæ    Semiduplex – Primo Venerdì

7 Aprile Sabbato in Albis    Semiduplex  – Primo Sabato

8 Aprile Dominica in Albis in Octava Paschæ    Duplex I. classis

9 Aprile In Annuntiatione Beatæ Mariæ Virginis    Duplex I. classis *L1*

11 Aprile S. Leonis I Papæ Confessóris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

13 Aprile S. Hermenegildi Martyris    Semiduplex

14 Aprile S. Justini Martyris    Duplex *L1*

15 Aprile Dominica II Post Pascha    Semiduplex Dominica minor

17 Aprile S. Aniceti Papæ et Martyris    Simplex

21 Aprile S. Anselmi Epíscopi Confessóris et Ecclésiæ Doctóris    Duplex

22 Aprile SS. Soteris et Caii Summorum Pontificum et Mártyrum    Semiduplex

23 Aprile S. Georgii Martyris  Simplex

24 Aprile S. Fidelis de Sigmaringa Martyris    Duplex

25 Aprile S. Marci Evangelistæ    Duplex II. classis

26 Aprile SS. Cleti et Marcellini Summorum Pontificum et Mártyrum    Semiduplex

27 Aprile S. Petri Canisii Confessóris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

28 Aprile S. Pauli a Cruce Confessóris    Duplex

29 Aprile S. Petri Martyris    Duplex

30 Aprile S. Catharinæ Senensis Virginis    Duplex

LO SCUDO DELLA FEDE -V- LE FALSE PROFEZIE

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LO SCUDO DELLA FEDE

V – LE FALSE PROFEZIE E L’IPNOTISMO.

Le false profezie delle false religioni. — Le sibille. — I gabbammondi odierni. — Il Sonnambulismo, il magnetismo e l’ipnotismo. —  È desso lecito, sì o no?

— Per altro, ho inteso ad accertare che tutte le religioni hanno delle profezie. Se ciò fosse vero, tali profezie si dovrebbero conoscere. Ma io ti sfido a trovarmele in qualunque libro, di qualsiasi autore.

— Eppure ho appreso dalla storia, che presso tutti i santuari dei pagani vi erano delle pitonesse, degli indovini, che indicavano l’avvenire. So che a tal fine vi erano gli Aruspici che guardavano le viscere degli uccelli scannati, gli Auguri che osservavano il loro volo, l’Ariolo che si teneva stretto agli altari, il Fatidico che consultava la potenza del destino? L’Astrologo che mirava la posizione degli astri, … eccetera, eccetera.

E a simile genìa vorresti tu dare il nome di profeti? A loro riguardo non posso dirti se non che o erano bricconi matricolati, che si giovavano ad esempio della loro condizione di ventriloqui, di epilettici, di isterici, o di arti ciarlatanesche per ingannare i gonzi, come fanno pur troppo anche ai dì nostri per attestazione dei missionari e dei viaggiatori certi stregoni scellerati tra le tribù selvagge o barbare; oppure erano miserabili posti in qualche modo in comunicazione con satana, che alle volte dava loro dei segni per mezzo di treppiedi od altri simili strumenti, come li dà oggidì per mezzo di tavole parlanti, scriventi o semoventi. – E non ti salta agli occhi la differenza enorme, che passa tra questa cattiva razza e i profeti biblici? Gli indovini e pitonesse pagane, quando pretendevano indicar il futuro, si abbandonavano a grida, a gesti strani, ad agitazioni e convulsioni, a singulti, ad un linguaggio rotto ed equivoco, ad operazioni in fondo in fondo ridicole, e ciò facevano fra le tenebre o la semiluce, alla presenza di pochi fidi; al contrario i veri profeti, come attestano i Sacri libri, parlavano seriamente, chiaramente, in pubblico, nell’atrio dei templi, sulle vie o sulle piazze, senza far dei misteri, senza ricorrere a statue, a treppiedi, o ad altri simili strumenti, senza interesse personale, anzi affrontando talora, come già dissi, con santo coraggio lo sdegno del popolo. – E poi dimmi francamente; erano predizioni certe, quelle che gl’indovini pagani andavano facendo ? Ricordi quei famosi oracoli: Ibis, redibis, non, morieris in bello. — Dico tibi, Pyrrhe, populum romanum te victurum esse?

— Ma io non m’intendo di latino.

Se tu t’intendessi, vedresti come il primo di tali oracoli, secondo che si metta il non unito a redibis oppure a morieris, voglia dire queste due cose diverse: Andrai, non ritornerai, morrai in guerra — e —Andrai, ritornerai, non morrai in guerra, e che il secondo si può prendere in questi due opposti sensi: Dico a te o Pirro, che vincerai il popolo romano, e: Dico a te, o Pirro, che il popolo romano  vincerà te. Ora questi ghiribizzi di parole appositamente studiati per potersi poi scusare, qualora l’evento non riuscisse conforme al senso desiderato, erano desse profezie e valevano forse qualche cosa in favore di quelle religioni, in cui si andavano facendo?

— Certamente, che stando così le cose, tali predizioni tutt’altro che valere in favore di quelle religioni non potevano servire che a screditarle.

Dici giustamente; ed è perciò che lo stesso Cicerone asseriva, che non era possibile che due àuguri, due indovini, sapendo bene quanto ciurmassero il popolo, potessero guardarsi tra di loro senza ridere.

— Ma le sibille non furono vere profetesse! Mi pare che anche la Chiesa nel Dies iræ porti la testimonianza della Sibilla.

In quanto alle sibille può essere che siano esistite davvero. Si dice che fossero dieci, la Cumana, l’Ellesponziaca, la Frigia, la Tiburtina, l’Europea, l’Egiziana, la Persiana, la Libica, la Delfica e l’Eritrea. Si dice anzi, che abbiano fatto delle profezie riguardanti Gesù Cristo e Maria Vergine, e mi piace di fartele conoscere, almeno per una curiosità.

« Iam redit Virgo — Già torna la Vergine ». Cumana.

« De Virgine Hæbrea — Da una Vergine Ebrea ». Ellesponziaca.

« Annuntiabitur Virgo— La Vergine sarà annunziata ». Frigia.

« O felix mater 0 madre felice ». Tiburtina.

« Egredietur de utero Virginis — Uscirà dal seno di una Vergine ». Europea.

« De matre Deus — Da una madre Dio ». Egiziana.

« Et salus in gremio Virginis — E la salute nel seno di una Vergine ». Libica.

« De stirpe Judæorum — Dalla stirpe dei Giudei ». Delfica,

« Jacebit in fœno— Giacerà sul fieno». Eritrea,

Ma i libri sibillini, in cui sono contenute queste profezie, sono affatto apocrifi ed inventati dagli ebrei o dai primi cristiani col pio intento di indurre i pagani al conoscimento della verità. Ed in vero l’esistenza delle sibille si confonde con le favole mitologiche, Figurati che della sibilla di Cuma, che fu la più celebre, e che avrebbe abitato in ima spelonca vicina a quella città, si dice niente meno che Apollo la fece vivere tanti anni quanti granelli d’arena avrebbe potuto tenere in mano, sì che venuta decrepita non le rimase altro che la voce per profetare!

— Ma allora perché la Chiesa lascia nel Dies iræ quel cum Sibilla?

La Chiesa nella sua liturgia ha preso e adottato quell’inno, del resto grandioso ed efficacissimo, quale l’ha composto Fra Tommaso da Celano, uno dei primi e dei più celebri figli di S. Francesco, senza badar a questa minuzia, ma anche senza volere con ciò che si dia fede alle sibille ed ai loro libri.

— Ho inteso. Ma non vi sono però anche ai dì nostri di coloro, che predicono l’avvenire sulle pubbliche piazze e nei gabinetti magnetici

Coloro che anche ai dì nostri sulle piazze e nei gabinetti magnetici pretendono di predire l’avvenire, il più delle volte sono ciarlatani, impostori, gabbamondi, che abusano per loro interesse della dabbenaggine altrui. – Se poi vi sono degli spiritisti, dei mediums, che facciano realmente qualche vera divinazione, egli è perché si trovano o si mettono in comunicazione col diavolo, che, come ti dissi, con la intelligenza, di cui fu dotato da Dio quando fu creato angelo, e che ha conservato nella sua natura di spirito, benché maligno e dannato, può vedere molto più a fondo di noi, e da cause naturali, che gli stanno sotto lo sguardo, prevedere, o per lo meno arguire certe conseguenze che ne seguono o seguiranno. – Ma anche in questo caso non c’è profezia vera perché, benché si tratti di una predizione che l’uomo, con la sua debole intelligenza non potrebbe fare, si tratta sempre non di meno di una previsione e predizione di ciò che si può prevedere e predire nelle cause naturali. – E da ultimo poi ti osservo che accadendo durante il sonnambulismo, procurato altrui con arte (e specialmente alle donne nervose, deboli, isteriche), procurato cioè con la magnetizzazione e con l’ipnotismo, che si indovinino certe cose occulte e si faccia anche qualche predizione, in tutto ciò di profezie propriamente dette non c’è neppure l’ombra, essendo che tali divinazioni e predizioni non sono altro che o cognizioni più vive e profonde, che si acquistano nello stato di sonnambolismo, o induzioni da cause naturali, che si conoscono.

— A proposito, che cosa si ha da pensare del sonnambolismo, del magnetismo e dell’ipnotismo?

Il sonnambulismo è di due sorta: spontaneo o procurato altrui con arte. Il primo, si capisce, non dipende dal paziente che lo subisce; epperò non comporta responsabilità di sorta, tanto più perché, passato lo stato di sonnambolismo, il paziente non si ricorda più di nulla di quanto in tale stato gli è accaduto. Durante il sonnambolismo il soggetto non solo si alza a passeggiare durante il sonno, come esprime la parola, ma più assai che la parola esprima, mostra le relazioni abituali dello spirito e del corpo sospese, invertite, trasformate ed elevate ad un grado di potenza superiore allo stato di veglia. In questo stato il sonnambolo parla, discorre con altri su cose le più svariate, e conosce gl’individui tenendo gli occhi chiusi, compone dei versi, va e viene passando anche tranquillamente per luoghi pericolosi, e fa altre cose simili. Ora questo stato si può produrre in taluno artificialmente gettandolo nello stato di ipnotismo, ossia addormentamento, col magnetismo, cioè provocando in lui quei fenomeni che accadono durante il sonnambolismo naturale ed anche maggiori. Di fatti il magnetizzato, o ipnotizzato artificialmente, in quanto al corpo può restare rigido oppure prendere una flessibilità affatto insolita, cessando in lui le impressioni e l’uso dei sensi; e in quanto alla mente può diventare più perspicace, più energico, più attivo. Dicesi che allora veda cose e persone lontane, oda le loro parole, veda persino l’interno del corpo, e così ai malati sappia indicare la sede del male e suggerire i mezzi per guarire. Nota bene però il mio dicesi, perchè questi fatti, chi li ammette, chi no affatto. Di qual maniera il magnetizzante con la sua volontà produca nel soggetto lo stato d’ipnotismo, e stabilisca relazione con lui, e lo metta in relazione con altri, stante le diverse sentenze non si può ben dire. Chi parla di un fluido magnetico, che il magnetizzante irraggia nel magnetizzando, chi lo nega. Ma comunque siano le cose, è certo: 1° che questi fenomeni meravigliosi, se sono certi, non avvengono che a qualche indispensabile condizione, che sebbene occulta può essere del tutto naturale; 2° che l’uso dell‘ipnotismo è per lo meno pericoloso e può degenerare in aperti e gravissimi disordini morali d’ogni genere.

— Eppure ho letto varie volte sulla quarta pagina dei giornali ed ho anche inteso ad asserire, che ai dì nostri vi sono dei celebri magnetizzatori e delle valentissime sonnambole da loro magnetizzate, che anche di lontano indovinano molte malattie e indicano con precisione il modo di guarirle, purché si mandi loro qualche cosa appartenente all’ammalato, fosse anche solo il pezzetto d’un pannolino.

Avresti detto meglio « purché si mandi loro un buon vaglia postale ». Credilo, novantanove volte su cento in questo affare tutto mira lì, a carpire destramente del denaro a tanti poveri goccioloni, che nell’intendimento di essere guariti da qualche male preferiscono essere gabbati dalle sonnambole che dire una sola Ave Maria di cuore alla Madonna. E così quelli che negano fede alla potenza di Dio, della Vergine e dei Santi, confidano poi ciecamente in un ciurmatore qualsiasi.

— Credo anch’io che il più delle volte si tratti più di inganno e ciarlataneria che d’altro, e che però sia da sciocchi ricorrere a questi mezzi in caso di infermità. Ma quando si tratti di vero ipnotismo allora è lecito, sì o no, prender parte ad esperimenti in proposito per tentare la guarigione?

Ecco come ha risposto a questa domanda la Chiesa per mezzo della Suprema Congregazione del S. Ufficio in data 26 luglio 1899: « Se si tratta di fatti, che certamente siano superiori alle forze della natura, non è lecito. Quando la cosa è dubbia, si potrà tollerare purché si premetta la protesta di non volere aver parte a fatti preternaturali e non vi sia pericolo di scandalo ».

— E quando mai si tratterrebbe di fatti superiori alle forze della natura e quando no?

Se mercé l’ipnotismo ad esempio si ottiene davvero di conoscere ciò che altri pensa, di imporre ad altri di fare questa o quell’altra cosa, di sapere con certezza ciò che altrove, in luogo lontano si fa e si dice, e cose simili, allora si tratta di fatti superiori alle forze della natura e ben puoi capire se in tal caso l’ipnotismo, che può cagionare disordini gravissimi e spingere eziandio ad azioni le più capricciose e nefande, sia illecito. Quando invece si trattasse solo di una certa qual azione suggestiva, che procaccia ad un infermo conforto, accrescimento di forze, e serve anche a guarirlo, benché quell’azione suggestiva abbia carattere un po’ dubbioso, tuttavia se si intende di non voler affatto aver parte a fatti preternaturali, e non c’è alcuno che si scandalizzi, perché è conosciuto il buon intendimento che si ha, allora non ci sarebbe in ciò alcun male, epperò sarebbe lecito.

— Son contento di quanto ho appresso, e mi rimetto in carreggiata.

IMITARE GESU’ CRISTO

IMITARE GESÙ CRISTO.

[G. Dalla Vecchia: Albe Primaverili; G. Galla ed. Vicenza. 1911 – impr.]

“Sed induimini Dominum Jesum Christum. ,,

Ma rivestitevi del Signore Gesù Cristo.

(Rom. XIII, 14)

ESORDIO. — Povero Gesù! dopo circa due anni di predicazione, di miracoli, di fatiche e di stenti, vede assottigliarsi le file dei suoi uditori; anche i suoi parenti dubitavano di lui. Neque enim fratres eius credebant in eum (Ioan. VII., 5).

Nella festa dei tabernacoli giunge, quasi solo, a Gerusalemme; nel Tempio cerca di persuadere il popolo, che la sua dottrina, non era sua, ma del Padre che lo aveva mandato. Indarno: chi ne dubita, altri muove obbiezioni, qualcuno sprezza le sue parole. — Ne nasce un tumulto ; si mandano soldati per catturarlo… Ma non era giunto ancora il momento prestabilito dall’eterno Genitore…

— Non è quello forse che succede anche al presente nel mondo? Anche adesso si mettono in dubbio e si negano le verità della fede; si perseguita la Chiesa, s’infrangono i suoi ordini, s’insultano i suoi ministri… Anche fra i buoni, come pochi meditano la vita di Gesù! come pochi si studiano d’imitare le sue virtù ed i suoi esempi, di seguire da vicino i suoi passi!

E Voi? — Deh! vi dirò coll’Apostolo, induimini Dominum Jesum Christum; rivestitevi di Gesù, Cristo, cercando di assomigliarlo nei pensieri, negli affetti, nelle intenzioni, nel suo operare. — Imitare Gesù Cristo è per noi cosa al tutto necessaria, della massima utilità per raggiungere con certezza e facilità il regno dei cieli. — Lo vedremo con tutta brevità.

PARTE PRIMA.

Per praticare la vera virtù, per farci santi, e salvare così 1’anima nostra, ci occorre un modello pronto e perfetto: questo modello è Gesù Cristo. — Quindi dobbiamo imitarlo.

1° – È necessario. — Sei creatura di Dio, devi servirlo… ; non a tuo capriccio…, ma come Egli vuole… Devi servirlo coll’imitare Gesù Cristo. — Hic est filius meus dilectus… ipsum audite (Luca IX, 35). — È la tua vocazione di cristiano; christianus alter Christus, così S. Gregorio; altrimenti non ti salvi. — Egli è la via, la verità e la vita… Per questo sei stato battezzato; hai rinunciato al demonio, ed alle sue opere malvagie… Gesù deve essere come la tua veste nuziale, con cui prendere parte alle nozze celesti… In hoc vocati sumus, ut sequamur vestigia eius ( I. Petri 2°, 21).

Tutti formiamo il corpo mistico della Chiesa; Gesù è il capo, noi le membra…; dunque dobbiamo operare, parlare, pensare come Lui, altrimenti vi sarà separazione… e ci mancherà la vita… Unum corpus sumus in Christo; singuli autem alter alterius membra (Rom. XII, 5). Divisi da Lui periremo, come tralci recisi dalla vite. — Si quis in me non manserit, mittetur foras sicut palmes, et arescet…, et in ignem mittent, et ardet (Ioan. XV, 6).

— Gesù Cristo insiste su questo punto tanto necessario: Io vi ho dato 1’esempio: come ho fatto io, dovete fare anche voi (Ioan. XIII, 15). — E poi: Voi mi chiamate maestro, e dite bene; lo sono infatti… Imparate dunque da me, perché sono mite ed umile di cuore…

— D’altra parte nessuno potrà arrivare fino al suo Padre celeste, se non imiterà Gesù Cristo. Nemo venit ad Patrem nisi per me • cioè, dice Cornelio a Lapide, me imitando (Ioan. XIV, 6).

2° – Imitare Gesù Cristo ci apporta una grandissima utilità nella vita spirituale.

(a) Siamo avvolti dalle tenebre della superbia…; dai dubbi, dalle incertezze… — Gesù è la vera luce che illumina ogni uomo, che viene a questo mondo (Ioan. VIII, 12).

— Chi lo segue ed imita le sue virtù, è certo di non sbagliare… Per godere di questa luce, occorre retta intenzione…, santa indifferenza nel seguirlo dovunque… Eamus et nos ut moriamur cum eo (Ioan. XI, 16).

(b) Si è deboli: si conosce il bene, lo si apprezza, eppure giù al male, perché non si vuole il sacrificio delle proprie inclinazioni. — Ma Gesù ti fortifica con la sua grazia…, col suo esempio…, coi consigli dei suoi ministri. Prope est Dominus omnibus invocantibus eum in veritate (Salmo CXLIV, 18).

(c) Tu soffri. Ma che cosa sono le tue pene al confronto di Gesù? — Sei malato? Ed Egli è tutto una piaga… Sei umiliato? — Eccolo vilipeso, calunniato, condannato…. a morire sopra una croce, tra due malfattori… Sei abbandonato? — E Gesù è derelitto dai suoi cari … ; Giuda lo tradisce, Pietro lo rinnega… — Segui Gesù, e le pene diventeranno dolci, soavi… Al punto di morte esclamerai contento: Ave Crux, spes unica…

(d) Santifica le tue azioni. — Perché le opere tue siano sante, occorre:

1° Un fine retto… Ebbene unisci nel lavoro… le tue intenzioni a quelle di Gesù — Egli diceva: Io non cerco la mia gloria, ma dò onore al Padre mio. Sed honorifico Patrem meum (Ioan. VIII).

2° – Fare sempre quello che vuole il Signore, — E Gesù proclama: Non sono venuto a fare la mia volontà, ma quella di Colui che mi ha mandato… ; quæ placita sunt ei, facio semper. E questa volontà del Padre suo, la chiama suo cibo, suo calice… Meus cibus est, ut faciam voluntatem eius, qui misit me (Ioan. IV, 34). — Calicem, quem dedit mihi Pater, non bibam illum? (Ioan. XVIII, 11).

(e) Ti rende simile a Gesù. Cristo. — Noi siamo i suoi membri, Egli il nostro capo… Dunque dobbiamo continuare, in qualche modo, in noi stessi le sue azioni, i suoi patimenti… Dobbiamo procurare, che la nostra vita si avvicini, al possibile, alla sua…, perché non si veda troppa differenza… Questo, l’otterremo coll’imitare Lui, nostro divino Modello… Adimpleo ea quæ desunt passionum Christi in carne mea. (Ad Colos. I, 24). Di più Gesù è il nostro fratello primogenito (Rom. VIII, 29) Quindi cerca di ritrarre in te le sue virtù, di renderti simile a Lui nelle parole, nel pensiero, nel lavoro, nella tribolazione…, per diventare in Lui veramente perfetto. Ut exhibeamus omnem hominem perfectum in Christo lesu (Coloss. I , 28). Allora potrai ripetere coli’ Apostolo: Non sono più io che vivo, ma è Gesù Cristo, che vive in me. “Vivo autem jam non ego, vivit vero in me Christus (Galatas. III, 20). Ecco la perfezione.

PARTE SECONDA.

Dunque è per noi assolutamente indispensabile imitare il divin Redentore, fino al punto di rivestirci completamente di Lui.

3° – Ma che devi fare per riuscire in un lavoro così importante e difficile? Come condurti per imitare il divino Maestro?

I . — Bisogna conoscerlo. — Leggi, medita spesso la sua vita… Betlemme, l’Egitto, Nazaret, il Cenacolo, la Croce, il Tabernacolo …, sono i grandi centri in cui si aggruppano i Misteri della vita del Salvatore… Contemplali con calma… ; studiali con costanza…, applicali alle tue circostanze… Inspice et fac secundum exemplar, quod Ubi in monte monstratum est (Esodo XXV, 10).

II — Bisogna amarlo. — Tu ami un amico…, ed a poco per volta, quasi senza accorgerti, prendi le sue abitudini, i suoi gusti… Amicus alter ego, dicevano gli antichi.

— Ama Gesù…, e sentirai il bisogno di vivere della sua vita… A parole non si ama; fatti ci vogliono… L’amore ti condurrà a seguirlo non solo nelle vie facili, ma ancora nei sentieri dirupati, anche nelle difficoltà, nelle privazioni, negli strazi, nei disprezzi. Sequar te quocumque ieris (Matth. VIII., 19).

III. — Confronta spesso la tua vita con quella di Gesù.

Lo scultore esamina con diligenza il modello, che deve ritrarre sul marmo; ad ogni tratto lo confronta col suo lavoro… Tu pure avvicina la tua umiltà, obbedienza, energia, purità, dolcezza… a quelle di Gesù… Vedi se corrispondano al suo gusto…, se siano difettose… Chiedi spesso a te medesimo: Come penserebbe Gesù in questa circostanza?

— Quali le sue parole? — Come si diporterebbe?

Poi mettiti all’opera. — Pregalo di aiuto; ché senza di Lui nulla puoi fare, neppure un buon pensiero meritorio per il cielo. – Ecco il modo pratico di imitare Gesù Cristo. Egli solo sia la tua scienza, la tua gloria… Non piegare, né a destra, né a sinistra… Ascolta la sua voce, che ti chiama con pietosa insistenza, con amoroso comando… Quid ad te? Tu me sequere (Ioan. XXI., 22). Studialo, amalo, seguilo, imitalo…, e tu sei virtuoso, perfetto, santo. Quos præscivit, et prædestinavit conformes fieri immagini Filii sui, (Rom. VIII, 29) ut sit ipse primogenitus in multis fratribus!

 

LUNEDI’ IN ALBIS (2018)

Lunedì in albis

Incipit
In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus
Exod XIII:5; XIII:9
Introdúxit vos Dóminus in terram fluéntem lac et mel, allelúja: et ut lex Dómini semper sit in ore vestro, allelúja, allelúja.  [Il Signore vi ha introdotti in una terra ove scorrono latte e miele, allelúia: affinché la legge del Signore sia sempre sulle vostre labbra, allelúia, allelúia.]
Ps CIV:1
Confitémini Dómino et invocáte nomen ejus: annuntiáte inter gentes ópera ejus.  [Glorificate il Signore, e invocate il suo nome: annunziate tra le genti le sue opere.]
Introdúxit vos Dóminus in terram fluéntem lac et mel, allelúja: et ut lex Dómini semper sit in ore vestro, allelúja, allelúja.   [Il Signore vi ha introdotti in una terra ove scorrono latte e miele, allelúia: affinché la legge del Signore sia sempre sulle vostre labbra, allelúia, allelúia.]

Oratio
Orémus.
Deus, qui sollemnitáte pascháli, mundo remédia contulísti: pópulum tuum, quǽsumus, coelésti dono proséquere; ut et perféctam libertátem consequi mereátur, et ad vitam profíciat sempitérnam. [O Dio, che nella solennità pasquale procurasti al mondo i mezzi di salvezza: accompagna il tuo popolo, Te ne preghiamo, col celeste aiuto, affinché consegua la perfetta libertà e avanzi verso la vita eterna.]

Lectio
Léctio Actuum Apostólorum.
Act. X, 37-43.
Aperiens autem Petrus os suum, dixit: In veritate comperi quia non est personarum acceptor Deus;  sed in omni gente qui timet eum, et operatur justitiam, acceptus est illi. Verbum misit Deus filiis Israel, annuntians pacem per Jesum Christum (hic est omnium Dominus). In diébus illis: Stans Petrus in médio plebis, dixit: Viri fratres, vos scitis, quod factum est verbum per universam Judaem: incípiens enim a Galilaea, post baptísmum, quod prædicávit Joánnes, Jesum a Názareth: quómodo unxit eum Deus Spíritu Sancto et virtúte, qui pertránsiit benefaciéndo, et sanándo omnes oppréssos a diábolo, quóniam Deus erat cum illo. Et nos testes sumus ómnium, quæ fecit in regióne Judæórum et Jerúsalem, quem occidérunt suspendéntes in ligno. Hunc Deus suscitávit tértia die, et dedit eum maniféstum fíeri, non omni pópulo, sed téstibus præordinátis a Deo: nobis, qui manducávimus et bíbimus cum illo, postquam resurréxit a mórtuis. Et præcépit nobis prædicáre populo et testificári, quia ipse est, qui constitútus est a Deo judex vivórum et mortuórum. Huic omnes Prophétæ testimónium pérhibent, remissiónem peccatórum accípere per nomen ejus omnes, qui credunt in eum.

Omelia I

[Mons. Bonomelli, Nuovo saggio di Omelie, Vol. II, om. XIII – Marietti ed. 1898]7

“Pietro disse: Fratelli, con tutta certezza io ho compreso, che Dio non è accettatore di persona; che anzi chiunque lo teme edopera la giustizia, a qualunque nazione egli  appartenga, gli è accetto. Iddio mandò la parola ai figli d’Israele, annunziando la pace per Gesù Cristo (è questi il Signore di tutti); voi conoscete ciò che è avvenuto per tutta la Giudea, cominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni; come Iddio unse Gesù di Nazaret di Spirito Santo e di potenza, il quale andò attorno facendo beneficii e liberando quanti erano posseduti dal demonio, perché Dio era con lui. E noi siamo testimoni di tutto ciò ch’egli fece nel paese dei Giudei e in Gerusalemme. Essi, i Giudei, lo uccisero, sospendendolo ad un legno. Dio lo ha risuscitato il terzo giorno ed ha fatto che fosse conosciuto, non già a tutto il popolo, ma a testimoni preparati da Dio, cioè a noi che abbiamo mangiato e bevuto con Lui, dopo ché fu risorto dai morti. Ed Egli ci comandò di predicare al popolo e di attestare, ch’esso è costituito da Dio giudice dei vivi e dei morti. A lui rendono testimonianza tutti i profeti, che nel suo nome si riceve la remissione dei peccati da quanti credono in Lui „ (Atti apost, X, 34-43).

Nulla di più conveniente quanto il ricordare ai fedeli il grande mistero della risurrezione di Gesù Cristo anche in questa seconda festa della santa Pasqua. E perciò la Chiesa ci fa leggere nell’Epistola della Messa odierna il compendio di un bellissimo discorso, nel quale S. Pietro annunzia il miracolo della risurrezione ad alcuni Gentili. E perché conosciate la ragione di questo discorso di S. Pietro, compendiato da S. Luca, è necessario fare un po’ di storia. – I profeti in modo chiarissimo avevano annunziato che il futuro Messia avrebbe chiamato al conoscimento della verità anche i Gentili: Cristo più e più volte l’aveva insegnato agli Apostoli, anzi fatto loro un comando formale di predicare il Vangelo dovunque e battezzare tutte le genti. Gli Apostoli pertanto sapevano benissimo che anche i Gentili dovevano essere chiamati alla fede ed alla Chiesa di Gesù Cristo; ma trovavano una fiera opposizione, non solo nei Giudei avversi al Vangelo, ma ciò che era peggio, anche nei Giudei già divenuti cristiani. Questi, ancorché credenti in Gesù Cristo, non sapevano persuadersi, che i Gentili dovessero essere pareggiati a loro, figliuoli di Abramo: non potevano tollerare che ricevessero il battesimo come loro, se prima non professavano il mosaismo e non si sottomettevano alla circoncisione. Gli Apostoli, ancorché conoscessero perfettamente la volontà di Cristo, erano sospesi quanto al modo e al tempo di procedere in cosa sì grave e sì delicata per non offendere troppo apertamente questi Ebrei cristiani, sì deboli nella fede. Aspettavano che la Provvidenza aprisse loro la via, e l’aperse col fatto narrato da San Luca nei versetti precedenti a quelli che vi ho recitati. A Cesarea viveva un centurione romano, della coorte detta Italica; era gentile, ma religioso, pio, caritatevole, pregava Dio che lo illuminasse: e come lui, era tutta la sua famiglia. Un giorno gli apparve un Angelo e gli impose di chiamare Pietro, che si trovava a Joppe, l’odierna Giaffa. Vi mandò due suoi domestici e un soldato fedele, e Pietro, a cui Iddio con una mirabile visione aveva fatto conoscere, che l’ora di chiamare alla fede anche i Gentili era venuta, andò con loro a Cesarea, entrò nella casa di Cornelio, dov’erano raccolti molti altri Gentili: vi fu ricevuto come un Angelo del cielo. A questo gruppo di Gentili, che cercavano la verità con tanto amore, che vivevano piamente, Pietro rivolge il discorso, del quale lo scrittore degli Atti apostolici ci ha conservato un brevissimo sunto. Ora commentiamolo. – S. Pietro parlava ad una piccola radunanza di Gentili, che l’avevano chiamato affinché li istruisse: due miracoli erano avvenuti, l’apparizione dell’Angelo a Cornelio e la visione manifestata a Pietro, ed entrambi i miracoli erano evidentemente volti a provare che anche i Gentili dovevano essere ricevuti nella Chiesa. Ciò posto, nulla di più naturale di queste prime parole di S. Pietro: “Con tutta certezza ho compreso che Dio non è accettatore di persona. „ Comprendo, dice l’Apostolo, che ora è venuto il tempo della salute anche per i Gentili: la volontà di Dio ora è manifesta: “Egli non è accettatore di persona. „ È una espressione ripetuta più volte nei Libri del nuovo Testamento, e significa che nella distribuzione dei suoi doni il Signore non guarda alle qualità personali di nazione o di patria, d’ingegno, di dottrina, di ricchezza o povertà, od altre doti, come sogliono fare gli uomini. Iddio non è tenuto di dare le sue grazie a chicchessia appunto perché sono grazie. Nondimeno per sua bontà e perché l’ha promesso, le grazie necessarie a salute, mediatamente o immediatamente, le dà a tutti. – Ciò non toglie ch’Egli poi sia più largo con gli uni che con gli altri, secondochè a Lui piace secondo i consigli della sua sovrana sapienza, che a noi non è dato di scrutare. – Credevano i Giudei d’avere essi soli diritto alla fede, perché figli di Abramo, e ne volevano esclusi i Gentili, perché Gentili. No, dice S. Pietro, Dio non guarda se siano Giudei o Gentili, non distingue gli uni dagli altri, ed offre a tutti la sua grazia, perché tutti sono opera delle sue mani e per tutti Gesù Cristo è morto. Una cosa sola Dio esige, ed è “che lo si tema e si operi la giustizia: chi fa questo, a qualunque nazione egli appartenga, è accetto a Dio. „ Qui si affaccia una difficoltà: noi sappiamo per fede, che nessun uomo può fare cosa alcuna che lo renda accetto a Dio, se prima non riceve la sua grazia, e qui il Principe degli Apostoli afferma ch’Egli, Dio, ha per accetto, ossia dà la grazia a chi lo teme e opera la giustizia: sembra dunque che le opere buone dell’uomo debbano precedere la grazia, che è errore manifesto ed eresia. Come dunque si ha da intendere? Ecco, o carissimi. Le grazie di Dio sono come una catena, nella quale un anello tira con sé l’altro. Dio comincia e dà la prima grazia ai poveri Gentili, giacché in questo luogo si parla a Gentili: li muove a pregare, a fare limosine, a cercare la verità; se essi corrispondono a questa grazia prima, per una cotale convenienza e per la bontà e promessa di Dio, si rendono in qualche modo meritevoli d’altre grazie maggiori, finché si compia l’opera della loro conversione e santificazione. Il timore adunque di Dio e l’opera della giustizia, di cui parla San Pietro, e che a Dio rendono accetto l’uomo, suppongono sempre la grazia precedente, senza della quale l’uomo non può né cominciare, né proseguire opera buona alcuna. Voi, il paragone è di S. Francesco di Sales, voi, viaggiando verso la patria, stanchi vi addormentate all’ombra d’un albero. Il sole, continuando il suo cammino, drizza i suoi raggi sul vostro volto e vi costringe ad aprire gli occhi: voi allora vi accorgete che l’ora è tarda, che bisogna ripigliare il cammino: vi alzate  alla luce del sole e proseguite la via. Fu il sole che vi destò, il sole che vi mostrò la via da percorrere e alla luce del sole camminaste. Così fa la grazia di Dio col peccatore, col Gentile: comincia a fargli conoscere la verità, lo eccita a fare alcune opere, che lo preparano alla conversione, e finalmente lo converte, rinnova il suo cuore, lo rende figlio di Dio, e cominciando con la grazia attuale, finisce con la abituale e santificante. – Ma ascoltiamo S. Pietro. Dio dà la gtazia a tutti senza far distinzione tra Giudeo e Gentile, ed io, dice l’Apostolo, son venuto ad annunziarvela. Sappiate adunque che Dio mandò la parola ai figliuoli d’Israele, „ cioè fece loro conoscere la verità per mezzo della parola e della predicazione di Gesù Cristo, predicazione annunziatrice della pace, che deve stabilirsi tra Dio e gli uomini, riconciliando questi con quello; predicazione di Gesù Cristo, che è, sappiatelo bene, il Signore di tutti, perciò Signore degli Ebrei non meno che dei Gentili, e dispensatore egualmente a tutti delle sue grazie. – E qui S. Pietro in poche parole accenna alla predicazione di Gesù Cristo, che ebbe principio nella Galilea, dopo il battesimo ricevuto da Giovanni, e poi si sparse ampiamente per tutta la Giudea. Voi conoscete, prosegue S. Pietro, come Iddio unse Gesù da Nazaret di Spirito Santo e potenza. I Gentili, ai quali parlava S. Pietro, senza dubbio dovevano, almeno per fama, conoscere Gesù Cristo e le opere che aveva compiuto, giacché il fatto qui narrato avvenne cinque o sei anni circa dopo la sua morte, e grande era il rumore che si era levato in tutta la Palestina e cresceva ogni giorno mercé la predicazione degli Apostoli. E che unzione è questa, della quale parla il sacro testo? Un’unzione qualunque suppone chi la dà e chi la riceve, e naturalmente significa non solo una applicazione esterna del liquido che si adopera, ma una penetrazione intima del medesimo, a talché la parte unta ne rimane, a così dire, tutta imbevuta. Che cosa raffigura questa unzione? Senza dubbio la grazia divina, che a guisa d’olio o di balsamo tutta penetra e imbeve l’anima, risanandola, nutrendola, rafforzandola e trasformandola. Chi è Colui, che dà questa unzione, che sparge questo balsamo divino? È Dio Padre, Dio Figlio, Dio Spirito Santo, con un solo e medesimo atto. E perché poi qui si attribuisce al solo Spirito Santo? Non sono esclusi il Padre ed il Figlio, ma si nomina il solo Spirito Santo, perché questa unzione o grazia è dono di Dio, è atto di amore, e lo Spirito Santo è l’Amore sostanziale del Padre e del Figlio, e però dice un rapporto particolare allo Spirito Santo. E chi è Colui che riceve questa unzione dello Spirito Santo? È Gesù Cristo in quanto uomo. Nell’atto istesso, in cui l’anima sua fu creata e congiunta al corpo, e anima e corpo congiunti alla Persona del Verbo di Dio in guisa che Egli poté dire: Io sono Dio, ed Io sono Uomo; in quell’istante istesso dalla Persona del Verbo si riversò nell’umanità assunta tutta la pienezza della grazia quanta ve ne capiva: l’umanità assunta, anima e corpo, fu come una massa d’oro posta in mezzo ad un fuoco immenso, che tutta la investe, la penetra, la trasforma, senza mutare la sua natura di oro. È questa l’unzione che Gesù in quanto uomo ricevette, e in quell’istante divenne Re e Sacerdote e Mediatore dell’umanità tutta. S. Pietro poi dice che questa unzione fu anche unzione di potenza, accennando al potere stabile e proprio di operare miracoli, che Gesù ebbe nell’atto stesso in cui si compì l’unione ipostatica. E questa potenza sovraumana e divina, che Gesù Cristo ebbe per l’unione personale, la esercitò a benefìcio degli uomini: Pertransiit benefaciendo: liberando i corpi e le anime dalla tirannica signoria del peccato e del demonio. In queste parole S. Pietro annunziò a quei buoni Gentili la divinità di Gesù Cristo, e le prove della sua divinità, che furono i miracoli onde fu ripiena la sua vita pubblica. Ecco, grida S. Pietro, ecco le prove della divinità di Gesù Cristo, della sua missione e della nostra: i miracoli; e di questi miracoli, continua il Principe degli Apostoli con l’accento della più profonda convinzione che gli sgorga dall’anima, noi, noi stessi siamo testimoni. Noi l’abbiamo seguito in Giudea, a Gerusalemme: noi l’abbiamo visto darsi nelle mani dei suoi nemici, i Giudei: noi l’abbiamo visto appeso ad un legno e messo a morte: noi, noi, al terzo dì l’abbiamo veduto risorto, come aveva promesso: Egli apparve a noi, così Pietro prosegue come rapito da un sacro entusiasmo; no, non si mostrò a tutti, ma a quelli che erano stati alla sua scuola e preparati all’ufficio di annunziare la sua dottrina; si mostrò a noi in guisa che non ci fu, né ci è possibile ingannarci: noi l’abbiamo veduto, noi abbiamo mangiato, noi abbiamo bevuto con Lui. Come dunque potevamo dubitare della sua risurrezione, e perciò della verità delle dottrine per Lui insegnate? Voi vedete, o cari, come il Principe degli Apostoli dopo aver esposta la vita di Cristo e accennati i suoi miracoli, collochi la prova massima e irrecusabile della divinità di Gesù Cristo e del dovere di credere alla sua dottrina sul fatto, sul miracolo splendidissimo fra tutti della sua risurrezione. E veramente questo è la corona ed il suggello di tutti gli altri; la risurrezione è per se stessa il sommo dei miracoli, perché il ridare la vita a chi non l’ha domanda una potenza al tutto divina: Dio solo è padrone della vita; perché qui è un morto, anzi uno ucciso dai suoi nemici, che si è dato in loro mano vivo e morto, che risuscita se stesso; perché predisse la sua morte e il modo della morte, e predisse la risurrezione e ne determinò il tempo, e perché volle che gli stessi suoi nemici ne fossero testimoni. – In tutta la sua vita appellò costantemente a questo miracolo della risurrezione e a questo miracolo, per così dire, ridusse tutte lo prove della sua missione, onde questo miracolo è come la conferma degli altri, e tutti li lega insieme e formano tal fascio di prove, che schiacciano la ragione più esigente e più ribelle. S. Pietro dice che Gesù-Cristo si mostrò risorto “non a tutto il popolo, ma sì a testimoni preordinati o preparati da Dio. „ Perché ciò? Non sarebbe stato meglio che Gesù risuscitato si fosse dato a vedere, non ai soli Apostoli e discepoli, ma a tutti, anche ai suoi nemici, e a questi sopra tutto? In tal guisa non li avrebbe umiliati e conquisi e chiusa la bocca della incredulità? Senza dubbio Dio così poteva fare, ma se non lo fece, è forza conchiudere che non era questa la via che meglio conveniva ai disegni della sua sapienza. Era troppo giusto che le sue apparizioni dopo la risurrezione fossero riserbate ai suoi cari discepoli, quasi premio della loro fedeltà e conforto ai patimenti sofferti e argomento fortissimo, che li doveva sostenere nella missione loro affidata di annunziare da per tutto il Vangelo del Maestro. Né punto era scemata la certezza della risurrezione di Gesù Cristo, poiché gli Apostoli, i discepoli e i testimoni della medesima pel numero, per la qualità, per la varietà delle apparizioni erano tanti e tali da togliere qualunque ombra di dubbio e da generare la più assoluta certezza del miracolo. Che si poteva volere di più? Oltrediché è da por mente che Iddio dà e deve dare gli argomenti e le prove, che mettano al di sopra d’ogni dubbio la verità della fede, ma lascia e sta bene che lasci sempre libero l’assenso dell’uomo, affinché non gli sia tolto il merito della fede istessa ed abbia modo di rendere omaggio alla autorità divina, che gli dice: Credi. Ponete che Gesù Cristo si fosse mostrato solennemente a tutti, ai suoi nemici e crocifissori: che ne sarebbe avvenuto? O avrebbe quasi a forza estorto il loro assenso, o questi, perfidiando, avrebbero negato l’apparizione istessa, spiegandola coi sofismi sempre pronti a servigio delle passioni: quelli che negarono tanti miracoli di Gesù Cristo, e specialmente l’ultimo della risurrezione di Lazzaro, avrebbero trovato modo di revocare in dubbio anche la solenne apparizione di Cristo, se loro fosse stata concessa. – Iddio dispone ogni cosa con ordine e soavità; Egli rispetta la libertà dell’uomo, e porge alla sua ragione prove sufficienti della verità, ma rifiuta di appagare la sua curiosità e secondare la sua pervicacia e i suoi capricci. – S. Pietro chiude il suo discorso con queste due sentenze: “Gesù ci comandò di predicare al popolo e di attestare ch’Egli è costituito giudice da Dio dei vivi e dei morti. A Lui rendono testimonianza i profeti, che si riceve nel suo nome la remissione dei peccati da quanti credono in Lui. „ Gesù Cristo si dice costituito giudice dei vivi e dei morti, che è quanto dire, Egli ha potere sovrano su tutti gli uomini, buoni e cattivi, viventi e già morti, e renderà a suo tempo a ciascuno secondo le opere sue. Verità fondamentale, con cui si termina ogni simbolo, che deve scuotere ogni uomo, il quale pensi al suo avvenire, e che S. Pietro non poteva tacere a quei Gentili, che l’avevano chiamato e volevano udire la novella dottrina. Il giudizio divino, che sarà fatto alla fine dei secoli, ci attende tutti. Guai a coloro, che si troveranno innanzi a Lui schiavi del peccato! Bisogna liberarci dai peccati ottenerne il perdono prima di quel giorno; e chi ce lo darà questo perdono dei peccati? Lui stesso, che deve essere il nostro giudice, Gesù Cristo. Tutti i profeti, annunziando la sua venuta, ci attestano che la remissione dei peccati non ci può venire che da Gesù Cristo, il quale ha dato il prezzo del nostro riscatto, ha versato per noi il suo sangue ed è divenuto la nostra riconciliazione, la nostra redenzione e santificazione, come scrive san Paolo. E come otterremo noi questa remissione dei nostri peccati? “Credendo in Lui. „ Non già che per ottenerla basti la sola fede, come dissero alcuni eretici; ma credendo in Lui e facendo ciò che Egli insegna. La fede sola senza le opere a nulla giova; essa ci segna la via che dobbiamo battere, ci dice ciò che dobbiamo fare per salvare le anime nostre, e in questo senso le Scritture sante affermano che la fede ci salva; così diciamo assai volte: Il medico mi ha salvato, il maestro mi ha appreso la verità, l’amico mi ha messo sulla buona via, in quanto che m’hanno suggerito il rimedio efficace, m’hanno insegnato ciò che dovevo fare per apprendere la verità, mi hanno consigliato di tenere la retta via; ma certamente questi beni non sono opera esclusivamente del medico, del maestro o dell’amico. È sempre la stessa fondamentale verità, che si ribadisce: la fede è il principio e la radice della giustificazione: è il seme, che germoglia la spiga e l’albero. Se voi non aveste il seme non potreste mai avere la spiga e l’albero: ma potreste avere il seme senza avere la spiga e l’albero quando lo spegneste, oppure non fosse debitamente coltivato, irrigato dall’acqua e riscaldato dal sole. Senza la fede è impossibile la vita cristiana: ma perché la fede ci salvi e produca i suoi frutti si domanda l’opera nostra, dirò meglio, la nostra cooperazione. Conservate adunque con somma cura il seme della fede e con l’opera vostra rendetela feconda e fruttuosa. Se noi riandiamo al discorso di S . Pietro, troviamo che è come l’epilogo del catechismo, il compendio del Simbolo. Ci insegna che Dio offre a tutti la sua grazia, Giudei e Gentili, purché facciano quanto per loro è possibile; che Iddio mandò il Figliuol suo Gesù Cristo; annunziò la verità e la confermò coi miracoli; ch’Egli patì e morì in croce e risuscitò da morte; che la sua risurrezione, il massimo dei miracoli, è indubitata, perché gli Apostoli e i discepoli tutti lo videro; che Gesù Cristo è il giudice supremo dei vivi e dei morti, che per Lui solo si può avere la remissione dei peccati, facendo ciò ch’Egli con la fede ci insegna. Eccovi in queste poche parole compendiato il Simbolo.

Alleluja
Allelúja, allelúja.
Ps CXVII:24; 2.
Hæc dies, quam fecit Dóminus: exsultémus et lætémur in ea.
V. Dicat nunc Israël, quóniam bonus: quóniam in saeculum misericórdia ejus. Allelúja, allelúja.
Matt XXVIII:2.
Angelus Dómini descéndit de cœlo: et accédens revólvit lápidem, et sedébat super eum. [Alleluia, alleluia Questo è il giorno che fece il Signore: esultiamo e rallegriàmoci in esso. – Dica, Israele quanto è buono: la sua misericordia nei secoli. Alleluja, alleluja. – Un Angelo del Signore discese dal cielo: e, avvicinatosi, fece rotolare la pietra e sedette su di essa.]

Sequentia
Víctimæ pascháli laudes ímmolent Christiáni.
Agnus rédemit oves: Christus ínnocens Patri reconciliávit peccatóres.
Mors et vita duéllo conflixére mirándo: dux vitæ mórtuus regnat vivus.
Dic nobis, María, quid vidísti in via?
Sepúlcrum Christi vivéntis et glóriam vidi resurgéntis.
Angélicos testes, sudárium et vestes.
Surréxit Christus, spes mea: præcédet vos in Galilaeam.
Scimus Christum surrexísse a mórtuis vere: tu nobis, victor Rex, miserére.
Amen. Allelúja.

[Alla Vittima pasquale, lodi offrano i Cristiani.
L’Agnello ha redento le pécore: Cristo innocente, al Padre ha riconciliato i peccatori.
La morte e la vita si scontràrono in miràbile duello: il Duce della vita, già morto, regna vivo.
Dicci, o Maria, che vedesti per via?
Vidi il sepolcro del Cristo vivente: e la glória del Risorgente.
I testimonii angélici, il sudario e i lini.
È risorto il Cristo, mia speranza: vi precede in Galilea.
Noi sappiamo che il Cristo è veramente risorto da morte: o Tu, Re vittorioso, abbi pietà di noi. Amen. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam.
Luc. XXIV:13-35
In illo témpore: Duo ex discípulis Jesu ibant ipsa die in castéllum, quod erat in spátio stadiórum sexagínta ab Jerúsalem, nómine Emmaus. Et ipsi loquebántur ad ínvicem de his ómnibus, quæ accíderant. Et factum est, dum fabularéntur et secum quaererent: et ipse Jesus appropínquans ibat cum illis: óculi autem illórum tenebántur, ne eum agnóscerent. Et ait ad illos: Qui sunt hi sermónes, quos confértis ad ínvicem ambulántes, et estis tristes? Et respóndens unus, cui nomen Cléophas, dixit ei: Tu solus peregrínus es in Jerúsalem, et non cognovísti, quæ facta sunt in illa his diébus? Quibus ille dixit: Quæ? Et dixérunt: De Jesu Nazaréno, qui fuit vir Prophéta potens in ópere et sermóne, coram Deo et omni pópulo: et quómodo eum tradidérunt summi sacerdótes et príncipes nostri in damnatiónem mortis, et crucifixérunt eum. Nos autem sperabámus, quia ipse esset redemptúrus Israël: et nunc super hæc ómnia tértia dies est hódie, quod hæc facta sunt. Sed et mulíeres quædam ex nostris terruérunt nos, quæ ante lucem fuérunt ad monuméntum, et, non invénto córpore ejus, venérunt, dicéntes se étiam visiónem Angelórum vidísse, qui dicunt eum vívere. Et abiérunt quidam ex nostris ad monuméntum: et ita invenérunt, sicut mulíeres dixérunt, ipsum vero non invenérunt. Et ipse dixit ad eos: O stulti et tardi corde ad credéndum in ómnibus, quæ locúti sunt Prophétæ! Nonne hæc opórtuit pati Christum, et ita intráre in glóriam suam? Et incípiens a Móyse et ómnibus Prophétis, interpretabátur illis in ómnibus Scriptúris, quæ de ipso erant. Et appropinquavérunt castéllo, quo ibant: et ipse se finxit lóngius ire. Et coëgérunt illum, dicéntes: Mane nobiscum, quóniam advesperáscit et inclináta est jam dies. Et intrávit cum illis. Et factum est, dum recúmberet cum eis, accépit panem, et benedíxit, ac fregit, et porrigébat illis. Et apérti sunt óculi eórum, et cognovérunt eum: et ipse evánuit ex óculis eórum. Et dixérunt ad ínvicem: Nonne cor nostrum ardens erat in nobis, dum loquerétur in via, et aperíret nobis Scriptúras? Et surgéntes eádem hora regréssi sunt in Jerúsalem: et invenérunt congregátas úndecim, et eos, qui cum illis erant, dicéntes: Quod surréxit Dóminus vere, et appáruit Simóni. Et ipsi narrábant, quæ gesta erant in via: et quómodo cognovérunt eum in fractióne panis.

OMELIA II

[Id. Omelia XIV.]

“Il giorno medesimo due dei discepoli di Gesù se ne andavano ad una borgata, lontana sessanta stadi da Gerusalemme, chiamata Emmaus. E ragionavano fra loro di tutto ciò che era accaduto. E avvenne che ragionando ed investigando tra loro, appressatosi lo stesso Gesù, camminava con essi; ma i loro occhi erano trattenuti dal conoscerlo. Ed Egli disse loro: Che discorsi son questi che scambiate tra voi per via, e perché vi mostrate tristi? E rispondendo uno di loro, che aveva nome Cleofa, gli disse: Sei tu solo nuovo in Gerusalemme e non conosci le cose che vi sono avvenute in questi giorni? E disse loro: Quali? E quelli a Lui: di Gesù Nazareno, il quale fu profeta, potente in opere e parole innanzi a Dio e a tutto il popolo: e come i nostri principali sacerdoti e magistrati lo deferirono a giudizio capitale e lo confissero in croce. Noi poi speravamo, ch’Egli fosse per riscattare Israele, e frattanto in mezzo a queste cose, oggi siamo al terzo dì che sono avvenute. Anzi alcune delle nostre donne ci hanno stupiti perché, prima di giorno andate al sepolcro e non trovatovi il sepolto, vennero a dirci d’avere anche veduta una visione di Angeli, i quali dicono Lui essere vivo. E alcuni dei nostri andarono al sepolcro e trovarono le cose come dicevano le donne; ma Lui non lo trovarono. Ed Egli disse loro: O stolti e tardi di cuore a credere a quanto i profeti hanno detto! Non era forse necessario, che il Cristo ciò patisse e così entrasse nella sua gloria? E cominciando da Mosè e da tutti i profeti, interpretava loro le cose che lo riguardavano in tutte le Scritture. E si avvicinarono alla borgata, dove andavano, ed Egli fece vista di andar oltre. Ma essi gli fecero forza, dicendo: “Resta con noi, che ormai è sera, ed il giorno tramonta”; ed entrò con essi. E accadde, che essendo a mensa con essi, Egli, preso il pane, lo benedisse, e spezzatolo lo porse loro. Allora i loro occhi si apersero e lo conobbero, ma Egli sparì da loro. E dissero l’un l’altro: Ora il nostro cuore non ardeva in noi, allorché Egli ci parlava per via e ci spiegava le Scritture? E in quell’ora stessa levatisi, ritornarono in Gerusalemme, e trovarono radunati gli undici e gli altri con loro, i quali dicevano: Il Signore è veramente risorto, ed è apparso a Simone „ (S. Luca, XXIV, 13-34).

Questo racconto evangelico, benché alquanto lungo, è d’un candore, d’una bellezza, d’una precisione di contorni, d’una vivezza di tinta, d’una naturalezza al tutto meravigliosa, e ci fa conoscere lo stato di timore, di speranza, di dubbi angosciosi, di confusione e d’ignoranza, in cui si dibattevano i poveri Apostoli dopo la catastrofe imprevista del Calvario. Non vi è bisogno alcuno di commento, trattandosi di cose chiarissime per se stesse, ed io perciò mi limiterò a fare qua e là alcune riflessioni pratiche secondoché verranno a taglio. – Il giorno stesso due dei discepoli di Gesù se ne andavano ad una borgata lontana sessanta stadi da Gerusalemme, chiamata Emmaus. „ Gesù risuscitò in sullo spuntare della domenica, come è manifesto da tutti gli Evangelisti. Le donne che andarono al sepolcro per tempo, lo trovarono aperto e non vi invennero il corpo del Maestro: corsero a darne avviso agli Apostoli: la Maddalena rimase presso il sepolcro, e poco appresso vide Gesù, che a prima giunta scambiò con l’ortolano del luogo: Pietro e Giovanni corsero al sepolcro e trovarono come le donne avevano detto. Intanto la voce della risurrezione di Gesù Cristo si era diffusa, e gli Apostoli e i discepoli erano sossopra, ondeggianti tra la speranza e il timore. Quel giorno istesso, due dei discepoli di Gesù, l’uno dei quali chiamato Cleofa (forse il marito di Maria, cugina della Vergine e padre di Giacomo il Minore), uscirono da Gerusalemme per recarsi ad Emmaus, borgata posta a nord-ovest di Gerusalemme, a sessanta stadi circa, cioè dodici chilometri e tre ore di viaggio o poco più. E siccome apprendiamo dal Vangelo che i due discepoli giunsero ad Emmaus sul far della sera e sappiamo che il fatto accadde sugli ultimi di marzo, così è da credere che uscissero da Gerusalemme intorno alle tre dopo il mezzodì. I due discepoli camminando discorrevano, come suole avvenire, tra loro. E di che cosa potevano essi discorrere se non di ciò ch’era avvenuto al Maestro, e specialmente delle voci udite della sua risurrezione e dell’apparizione fatta alla Maddalena ed alle altre donne? Mentre essi discorrevano tra loro, ecco appressarsi, camminando nello stesso senso e accompagnandosi loro, Gesù. Ma essi non lo conobbero e lo presero per uno dei tanti pellegrini, che a quei giorni andavano e ritornavano da Gerusalemme. “I loro occhi, dice S. Luca, erano trattenuti dal conoscerlo, „ e S. Marco dice, che Egli era in altra forma. „ Come ciò, o dilettissimi? Il corpo di Gesù era vero e reale corpo, ma glorioso, e qual sia la natura d’un corpo glorioso, noi non lo sappiamo. Esso partecipa delle qualità dello spirito e può apparire e sparire, velarsi e lasciarsi vedere, modificare e cangiare la sua figura, come vuole, passare da un luogo all’altro con la rapidità del baleno. – E perché Gesù Cristo apparve ai due in altra forma e in guisa, che a principio non lo poteron conoscere? Nelle apparizioni di Gesù Cristo dopo la risurrezione vi è un fatto che è meritevole di considerazione. Più volte egli apparisce sotto forme diverse, sicché a principio quelli che lo vedono non lo riconoscono. Alla Maddalena, presso il sepolcro, apparisce sotto le forme di ortolano; ai discepoli, che pescavano sulle rive del lago di Genesaret, come narra S. Giovanni, si mostra in sembianze tali che in sulle prime non lo ravvisano, e argomentano che sia Lui dal miracolo della pescagione: qui si presenta ai due discepoli come un estraneo, un pellegrino, che viaggia con loro. Quali possono essere i motivi di queste apparizioni sotto altre sembianze? Perché, rispondono S. Agostino e san Gregorio, Gesù vuole mostrarsi in quel modo che meglio risponde allo stato di coloro ai quali si dà a vedere. Dubitano di Lui e delle sue promesse? Ed egli apparisce loro come estraneo, un pellegrino. Più: Gesù Cristo nelle sue apparizioni si conforma alla gran legge di natura, e che osservò in tutta la sua vita terrena. Egli manifestò le verità eterne a poco a poco, fece conoscere la sua stessa divinità per gradi, progressivamente, per non offendere e quasi opprimere le intelligenze e la volontà di quelli che lo ascoltavano. Similmente dopo la risurrezione non si scopre nella maestà della sua grandezza, nello splendore della sua gloria: Egli trova questi poveri discepoli dubbiosi, agitati, ancora ignari del grande mistero della sua passione, della sua morte e della sua risurrezione: si adopra pazientemente ad istruirli, come soleva fare in vita: fa penetrare la verità nella loro mente, la carità nel loro cuore, e poi si manifesta qual è. Se si fosse tosto fatto conoscere in tutta la grandezza e bellezza del suo corpo glorioso, come avrebbe potuto istruire quei due discepoli, ed essi come avrebbero potuto ascoltarlo? La verità sarebbe entrata nelle loro menti come un lampo di luce improvvisa, non come un raggio che a poco a poco cresce ed illumina tranquillamente, come vuole la natura umana. Ritorniamo al racconto evangelico. Gesù, raggiunti i due discepoli e scambiati, credo io, contemporaneamente i saluti, per bel modo disse loro: “Che discorsi son questi, che tenete tra voi per via, e perché vi mostrate sì tristi? „ Così il divino Maestro bellamente si introduce nei discorsi dei due discepoli. — E l’uno di loro, chiamato Cleofa, in tono di giusta meraviglia, rispose: “Sei tu solo nuovo in Gerusalemme e non conosci le cose che vi sono avvenute in questi giorni? — E quali? ripigliò tosto Gesù Cristo, all’intento che aprissero il loro cuore ed Egli potesse guarirli dal dubbio, che li tormentava. — E quelli a Lui: — Di Gesù Nazareno, il quale fu profeta potente in opere e parole dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini. „ Voi vedete come sia imperfetta e manchevole la fede di questi due discepoli: essi lo riconoscono uomo grande nelle opere, nei miracoli, nelle virtù e nella predicazione della verità (potens in opere et sermone), ma non vanno più oltre: non lo confessano pel Messia, e molto meno per il Figliuolo di Dio fatto uomo, e ciò dopo tre anni d’una scuola qual era quella di Gesù Cristo! – E noi meravigliamo e meniamo alti lamenti se il popolo, il povero popolo, talora non conosce i misteri della fede? Impariamo a compatirlo, come fece Gesù, e studiamoci di istruirlo con carità. È questo un grande esempio particolarmente per noi che abbiamo il dovere di istruire il popolo. Nei quattro versetti che seguono, i due buoni discepoli espongono con tutta schiettezza lo stato del loro animo e, ricordata prima la morte di Gesù in croce, esprimono la speranza avuta che Gesù fosse per riscattare Israele. E di qual riscatto d’Israele intendono essi di parlare? Io non dubito ch’essi intendevano parlare del riscatto temporale della patria loro e della sua ricostituzione politica, spezzando il giogo romano. Era l’idea fissa della grande maggioranza degli Ebrei, comune agli stessi discepoli di Gesù Cristo anche più tardi, poco prima della sua ascensione al cielo, come leggiamo negli Atti apostolici (cap. I, 6). È cosa che fa veramente stupore vedere questi discepoli di Gesù Cristo, formati alla sua scuola e ai suoi esempi, cresciuti nei campi o sulle rive del lago di Tiberiade, aver tanto a cuore la libertà e la grandezza della patria, e Gesù Cristo istesso aspettare che il tempo li illumini. Poi essi parlano del timore ch’ebbero all’udire le donne state la mattina al sepolcro e che non vi avevano ritrovato il corpo di Gesù: ricordano in confuso l’apparizione degli Angeli alle donne istesse, che assicuravano Gesù vivere, e come quelli dei loro compagni che furono al sepolcro, trovarono per l’appunto ciò che le donne avevano detto. È veramente strano che i due discepoli non parlino mai della risurrezione del Maestro. Le loro parole rivelano sgomento, sfiducia, leggerezza, e una confusione di idee, che hanno dell’incredibile. I due discepoli con un candore infantile hanno aperto il loro cuore al creduto pellegrino: hanno confessato i loro dubbi e i loro timori, hanno mostrato le piaghe del loro spirito, e allora comincia l’opera di Gesù, del medico delle anime. Egli comincia a rimproverarli fortemente e dolcemente della durezza del loro cuore, in credere a quanto del promesso Messia avevano tanti secoli prima annunziato i profeti. Egli comincia a rovesciare il primo e massimo pregiudizio, ch’era pur quello di quasi tutta la nazione, cioè che il Messia dovesse essere un grande condottiero, un conquistatore, un liberatore materiale del popolo, come Mosè, Davide, i Maccabei ed altri: con le Scritture alla mano Egli prende a mostrar loro che il Messia doveva patire e morire Egli stesso, anziché mettere in fuga ed uccidere i nemici: che in questo stava la sua vera gloria. In questa sentenza di Cristo: “Era necessario che Cristo patisse e così entrasse nella sua gloria, „ si racchiude tutto l’insegnamento dogmatico e morale del Vangelo: patire per santificarci e salvarci: ecco tutto. Questo insegnamento faceva cadere tutte le illusioni, tutte le stravolte idee dei due discepoli, ed apriva la loro mente alla luce della verità. Questo insegnamento il divino Pellegrino veniva confortando con la testimonianza di Mosè, dei profeti e di tutte le Scritture, che si adempivano perfettamente in quel Gesù di Nazaret, ch’era stato il loro Maestro e nel quale avevano collocate le loro speranze. Il discorso dovette durare buona pezza, giacché non occorre il dirlo, S. Luca ce ne presenta appena un cenno, ce ne dà l’argomento e niente più. I due discepoli, taciti, meravigliati e commossi lo ascoltavano, e tratto tratto dovevano mirarlo in volto con un cotal senso di riverenza e di amore, e nelle sue parole dovevano riconoscere un eco fedele di quelle che tante volte avevano udite dal divino Maestro. Pareva che, udito quel pellegrino, ch’erasi trasformato in maestro sì dotto ed eloquente, avrebbero dovuto darsi per vinti, confessare la propria ignoranza e riconoscere che Gesù di Nazaret era veramente il Messia aspettato, e protestare con un impeto generoso di fede. — Ora comprendiamo tutto: Gesù è il Messia, e non dubitiamo ch’Egli sia risorto, come ci fu detto. — Eppure non ne fu nulla. Questo fatto ci mostra che non sempre la verità annunziata produce tosto i suoi effetti: essa aspetta d’essere fecondata, aspetta l’ora della grazia, aspetta l’opera, che fa brillare e sentire la verità: l’esca è pronta e si aspetta la scintilla che l’accenda. E così avvenne ai due discepoli. – In quella, senza quasi accorgersene, erano giunti presso alla borgata di Emmaus, anzi presso la casa dei due discepoli, e Gesù, come pellegrino che prosegue la sua via, fece vista di passar oltre, accomiatandosi dai due compagni. Ma non fu possibile: essi tanto lo pregarono che per poco lo costrinsero a rimanere con loro: il sacro testo dice: Coegerunt eum, per mostrare le loro vive e ripetuto istanze, e per avvalorarle, aggiunsero: “Rimani con noi. Vedi: ornai si fa sera e già tramonta il giorno. „ Quanta semplicità! Quanta cordialità in queste parole e in questa preghiera dei due discepoli verso uno straniero che aveva fatto con loro il cammino di due o tre ore! Essi si sentirono dolcemente legati a Lui con quella effusione, che viene dalla stima e da quella riverenza verso chi parla altamente della verità e di Dio e parla al cuore. A quei tempi (e in quei paesi le cose non sono guari mutate nemmeno al presente) erano ignoti gli alberghi, quali noi abbiamo anche nei più umili villaggi, e perciò l’ospitalità era una necessità della vita sociale largamente praticata in Oriente, una vera carità, tantoché Cristo la mette tra le opere di misericordia: “Io ero pellegrino, e voi mi accoglieste. „ E fu questa ospitalità, questa carità sì schietta e cordiale, che meritò ai due discepoli l’onore di ospitare Gesù Cristo e d’essere tra i primi a riconoscerlo dopo la risurrezione. — Figliuoli carissimi! la carità è somigliante ad un albero: è un solo, eppure ci dà i frutti, i fiori e si ammanta di foglie, e così non solo ci nutre, ma diletta il gusto, l’occhio, l’odorato, e ci rallegra dell’ombra sua. Così la carità deve non solo soccorrere il fratello sofferente e bisognoso, ma con la parola amorevole, col tratto cordiale, coi modi soavi e delicati lo deve anche rallegrare e dilettare. Una carità burbera, dura, ruvida è sempre per sé cosa buona e santa, ma non è amabile e perde assai del suo valore: è un albero carico di soli frutti, senza un fiore, che l’abbellisca, senza le foglie, che l’adornano. La nostra carità sia dunque dolce, amabile, erompa dal cuore, sia simile a quella dei due discepoli, che bellamente obbligarono Gesù ad accettare la loro ospitalità. “E accadde, che seduti a mensa, Gesù preso il pane, lo benedisse, e spezzatolo lo porse loro. „ Molti credettero che quel pane benedetto, spezzato e porto da Gesù ai due compagni di viaggio, fosse la stessa Eucaristia è la rinnovazione di ciò che nell’ultima cena aveva fatto tre giorni innanzi. E sentenza abbastanza fondata, ma alla quale mi sembra da preferire quell’altra, la quale tiene, che quel pane non fu l’Eucaristia. E da sapere che presso i Giudei l’ospite soleva benedire e porgere il pane ai commensali: inoltre qui Gesù non pronunciò le parole consacratrici, né è verosimile che Gesù porgesse loro la santa Eucaristia senza averli preparati e quasi per sorpresa: onde inclino a credere che quel pane fosse pane comune. In quell’istante “… i loro occhi furono aperti e conobbero Gesù, ed Egli in quel momento stesso sparve. „ Vuol dire l’Evangelista, che Gesù in quel momento lasciò vedere la sua forma, togliendo quell’impedimento, quale che fosse, che prima aveva posto, ed essi lo riconobbero perfettamente. È certo in quell’istante, attoniti e ricolmi di meraviglia, essi dovettero levarsi, buttarsi ai suoi piedi, ma Gesù era sparito. La vista di Gesù, il suo conoscimento dovette essere sì chiaro, sì evidente, sì sfolgorante, che loro non ne rimase ombra di dubbio, che non era poca cosa per loro che non avevano creduto alle apparizioni delle donne ed erano sì lontani dal crederle. E perché mai Gesù Cristo, appena è riconosciuto dai discepoli, si toglie ai loro occhi e si rende invisibile? Perché non lasciarli beare della propria vista e trattenersi con loro e consolarli ed istruirli, come soleva fare prima della sua morte? Mistero! che noi dovremmo venerare, ancorché non vi scorgessimo un solo raggio di luce: è opera di Lui che è la stessa Sapienza, e per noi basta. Ma se vi fissiamo alcun poco riverente l’occhio della ragione, non è difficile trovarvi un po’ di luce. Sparve tosto per mostrare, che il corpo suo era glorioso, simile allo spirito, e di tal guisa anziché scemare, accresceva, se era possibile, la certezza della sua risurrezione. Il subito dileguarsi a quei suoi cari mostrava che la sua vita non era più sulla terra, ma in cielo, accendeva in essi più cocente il desiderio di rivederlo e d’essere con Lui e li obbligava a ritornare tosto a Gerusalemme e dare essi stessi la novella della risurrezione ai compagni raccolti nel cenacolo. I due discepoli, rapiti fuor di sé per la gioia, guardandosi stupefatti, e rimasti per qualche istante senza parola, sclamarono: “E non ardeva il nostro cuore in noi allorché Egli ci parlava per via e ci spiegava le Scritture? “Volevano dire, quasi rimproverandosi di non averlo conosciuto prima: Noi dovevamo ben conoscerlo lungo la via: la sapienza, con cui interpretava i Libri santi e la fiamma di fede e d’amore che accendeva nei nostri cuori, ce lo dicevano chiaramente. Non altri che Lui poteva parlare a quel modo e muovere ed infiammare i nostri cuori! — Sì, o cari; Dio parla ai nostri occhi coi Libri santi, parla ai nostri orecchi con la voce della sua Chiesa e dei suoi ministri, e nello stesso tempo parla ai nostri cuori coi forti impulsi e con i soavi attraimenti della sua grazia. La sua voce esterna non si scompagna mai dalla voce interna, sì cara, sì dolce, che fa beato chi l’ode. E volete voi conoscere questa voce e distinguerla dalla voce degli uomini e dalla voce che sì spesso vi frammischiano le nostre passioni? Allorché nel fondo del vostro cuore, al di sopra del santuario della vostra coscienza, udite una voce senza suono materiale, senza strepito, tranquilla, sicura, che vi invita a romperla col vizio, a finirla con quelle passioni che vi tormentano, che vi rimprovera le vostre debolezze, le vostre colpe, che v’invita a correre le vie della virtù, che vi porta ad amare la modestia, l’umiltà, la  giustizia, la carità, che vi spinge ad essere migliori che non siete, quella voce, o cari, è la voce di Dio, è quella stessa che si faceva sentire sì forte nel cuore dei due discepoli. Ascoltatela e non errerete mai. Quei due buoni discepoli pensarono tosto ai loro compagni in Gerusalemme, che sapevano immersi nel dubbio e nel dolore: la verità, quand’è qui dentro nei nostri cuori, ha bisogno di uscire, di comunicarsi a quelli che amiamo: siamo impazienti di farla conoscere. Allorché voi avete una novella felice, non potete chiuderla nel vostro cuore: siete costretti a correre da quelli con i quali avete comuni le gioie e le pene, e a versare nel loro il vostro cuore: è una necessità e sembra di raddoppiare la vostra gioia, comunicandola a chi amate. Ciò avvenne ai due discepoli: lasciarono il loro povero desco, dimenticarono il cibo e tosto a gran passi ripresero la via di Gerusalemme, senza sentirne la fatica e ad ogni istante ripetendo a se stessi i particolari della apparizione e riandando le parole udite dal divino Maestro. Potevano essere le sei ore della sera allorché lasciarono Emmaus, e poterono arrivare in Gerusalemme intorno alle nove, trafelati, ansanti e pur lietissimi di recare ai compagni la felice novella: “Gesù è risorto, noi l’abbiamo visto. „ Ma là loro gioia, se era possibile, si raddoppiò, allorché entrati là dove erano raccolti gli undici Apostoli e gli altri con loro, se li videro venire incontro sfavillanti di gioia e gridanti ad una voce: “Il Signore è veramente risorto, ed è apparso a Simone. „ Essi accennavano alla apparizione poco prima fatta nel cenacolo stesso e descritta da S. Giovanni (XX, 19), e ad un’altra fatta al solo Pietro, non ricordata distintamente dai Vangelisti, ma qui indicata e indicata pure da S. Paolo (I ai Corinti, capo XV, vers. 5), e che doveva essere notissima tra i Cristiani. Dilettissimi! E cosa che rallegra, che gioconda il cuore vedere la gioia e la felicità di questi Apostoli e discepoli, allorché possono avere la certezza che il Maestro è risorto: è uno spettacolo commovente questo degli Apostoli e dei discepoli che si amano come fratelli, che vivono della stessa vita, che non hanno che un solo pensiero, un solo amore, il pensiero e l’amore del loro divino Maestro! E perché nelle nostre vicendevoli relazioni, almeno nelle nostre famiglie, non potremmo rispecchiare l’armonia, la carità fraterna, che regnava tra gli Apostoli?

Credo …

 Offertorium
Orémus
Matt 28:2; 28:5-6
Angelus Dómini descéndit de coelo, et dixit muliéribus: Quem quaeritis, surréxit, sicut dixit, allelúja.
[Un Angelo del Signore discese dal cielo, e disse alle donne: Colui che cercate è risuscitato, come aveva detto, allelúia.]

Secreta
Súscipe, quǽsumus, Dómine, preces pópuli tui cum oblatiónibus hostiárum: ut, paschálibus initiáta mystériis, ad æternitátis nobis medélam, te operánte, profíciant.  [O Signore, Ti supplichiamo, accogli le preghiere del pòpolo tuo, in uno con l’offerta di questi doni, affinché i medésimi, consacrati dai misteri pasquali, ci sérvano, per òpera tua, di rimédio per l’eternità.]

Communio
Luc XXIV:34
Surréxit Dóminus, et appáruit Petro, allelúja. [Il Signore è risorto, ed è apparso a Pietro, allelúia.]

 Postcommunio
Orémus.
Spíritum nobis, Dómine, tuæ caritátis infúnde: ut, quos sacraméntis paschálibus satiásti, tua fácias pietáte concórdes.
[Infondi in noi, o Signore, lo Spírito della tua carità: affinché coloro che saziasti coi sacramenti pasquali, li renda unànimi con la tua pietà.]

 

 

UN RAGIONAMENTO AL GIORNO, TOGLIE L’INCREDULO GNOSTICO DI TORNO: RISURREZIONE DI CRISTO E LA RAGIONE UMANA

Risurrezione di Cristo e la ragione umana.

[mons. G. Bonomelli: Misteri Cristiani, vol. II, Queriniana, Brescia, 1894]

Nell’augusta nostra Religione vi è un fatto solenne e strepitoso, che è il vertice della vita di Cristo, che getta una luce sfolgorante sulla sua divina missione, che suggella tutta l’opera sua e fa scintillare sulla sua fronte gli infiniti splendori della sua divinità: voi mi avete già compreso: esso è il fatto della sua Risurrezione, che la Chiesa in questo giorno, con tutta la pompa del sacro rito e con santo tripudio del suo cuore, rammenta e festeggia. Tutta la nostra Religione, tutta la nostra fede poggia, come sulla sua pietra fondamentale, su questa verità: Gesù Cristo è vero Dio! – Ora le prove svariatissime della divinità di Gesù Cristo si legano e si intrecciano tra loro per guisa che, tutte mettono capo e quasi si incentrano nel gran fatto della Risurrezione. È questo il miracolo dei miracoli, la prova delle prove della sua Divinità: se questa non regge agli assalti della ragione umana e della miscredenza, tutto intero si sfascia l’edificio della nostra fede: se questa prova sta salda di fronte agli assalti dei nemici tutti, con essa e per essa sta ritta in piedi la grand’opera di Cristo: la Chiesa e, con la Chiesa e per la Chiesa, la sua dottrina. Ecco perché gli Apostoli, fin dal primo dì che annunziarono il Vangelo, appellarono costantemente al miracolo della Risurrezione: ecco perchè l’Apostolo gridava ai Corinti: “Se Cristo non è risuscitato, è vana la nostra predicazione, vana ancora la nostra fede; noi siamo falsi testimoni di Dio, voi siete ancora nei vostri peccati…. e siamo i più miserabili di tutti gli uomini” (I ai Cor. XV, 14, 15, 17, 19) – Questo gran fatto, questo gran miracolo della Risurrezione da oltre diciotto secoli, cioè dal dì che fu annunziato fino ad oggi, è divenuto il bersaglio degli assalti più fieri della miscredenza. Dopo tante e sì lunghe prove, dopo tante e sì vergognose sconfitte, pareva che la miscredenza, fatta più savia, dovesse darsi per vinta e cessare dagli assalti. Ma non è così: gli uomini della miscredenza moderna, simili ai giganti della favola, proseguono nella loro lotta e confidano di dare la scalata al cielo, di balzare dal suo trono Cristo stesso, ed eccoli tutti affaccendati intorno al fondamento della sua Divinità, il miracolo della Risurrezione: agli ordigni antichi di guerra aggiungono i nuovi e fanno ogni sforzo per scrollarlo e rovesciarlo. Ma sono fanciulli  che, martellando la base granitica della più superba vetta dell’Alpi, credono di atterrarla. Si, dilettissimi figli! È certamente cosa che affligge e addolora il vederci costretti dopo tanti secoli a ripigliare le armi usate già dai primi apologisti per difendere il fatto e insieme il dogma capitale della nostra fede. Ma se è necessità il farlo, si faccia. La nostra fede non teme né le occulte insidie, né gli scoperti assalti della miscredenza, sia antica, sia moderna, da qualsivoglia parte le vengano. Essa attende a pie’ fermo i suoi nemici e sul terreno della pura ragione accetta qualunque combattimento, ad armi uguali. Il fatto, su cui poggia la massima prova della Divinità di Cristo, è la sua Risurrezione: gli nomini della miscredenza lo negano: la Chiesa l’afferma ed oggi canta per tutto il mondo: Resurrexit Dominus vere -. Io vi do parola di mostrarvi a tutto rigore questo fatto e questo miracolo, e di mostrarvelo, notatelo bene, con la sola ragione. Voi, che tenete salda la fede, vi sentirete in essa rinfrancati: e se tra voi che mi ascoltate, vi fosse alcuno che ha smarrita la fede, o in essa vacilla, dovrà toccare con mano che il fondamento della nostra Religione non paventa la luce della più severa discussione, della critica più inesorabile e non domanda di meglio che d’essere chiamato in giudizio. L’argomento è vasto e vi prego che non mi venga meno la vostra attenzione e la vostra pazienza, di cui forse avrò bisogno. Gesù Cristo è Egli veramente risorto? Si può dimostrare con la sola ragione ? L’una e l’altra cosa io affermo e voi siate giudici se attengo la mia promessa. – Il fatto o miracolo, che siamo per esaminare, ha due parti distinte, ma inseparabili, la morte e la Risurrezione: non vi è Risurrezione vera di Cristo se non è preceduta da una morte vera: non occorre dimostrarlo. Ora la morte e la Risurrezione di Cristo sono due fatti, e come tutti i fatti, non si possono provare che con la testimonianza. Nessuno adunque esiga prove matematiche o metafisiche; l’argomento non le comporta. Né vi sia chi creda la certezza dei fatti essere inferiore alla certezza delle prove matematiche. Chi di voi dubita che i Romani siano stati disfatti a Canne, che Cesare sia stato trucidato, che Napoleone sia morto a S. Elena? Nessuno. E come e perché voi tenete questi fatti con assoluta certezza? Li avete voi veduti? No. Ve li accertano uomini degni di fede e vi basta: la vostra certezza è incrollabile. Ma quali condizioni si domandano perché voi possiate prestare pienissima fede ai testimoni che affermano un fatto qualunque? Due condizioni sono necessarie e bastevoli: che i testimoni non si ingannino, né vogliano ingannare: in altri termini, si domanda in essi la scienza di ciò che asseriscono e la probità o sincerità. Poste queste due condizioni essenziali, la loro testimonianza è irrecusabile e la certezza che ne deriva, assoluta. Sulla affermazione di due o tre testimoni forniti di queste due doti, un tribunale condanna a vita ed anche all’estremo supplizio un uomo come uno scellerato. Si può dare certezza maggiore? Ed ora a noi, o fratelli. Eccovi i due fatti della morte e della Risurrezione di Cristo: sono due fatti esterni, che cadono entrambi sotto dei sensi e che per conseguenza non si possono provare che con la testimonianza di uomini degni di fede. Li abbiamo noi questi uomini degni di fede? Sì, e tali che per numero e qualità non potrebbero essere più autorevoli. E da prima accertiamoci sulla verità della morte di Cristo. Abbiamo quattro scrittori di quattro libri distinti, che si chiamano Vangeli: Matteo, Marco, Luca e Giovanni: tutti e quattro sono contemporanei ai fatti che narrano e due han visto ciò che scrivono. Tutti e quattro, narrati i patimenti di Cristo e la sua crocifissione, dicono semplicemente: – Egli spirò -. Altri testimoni, Pietro, Paolo, Giacomo, lo ripetono nelle loro lettere, e con loro lo attestano in modo diretto e indiretto tutti quelli che vissero con Gesù Cristo e lo seguirono. Per voi, uomini della critica e della scienza, basta l’autorità di Platone, di Cicerone, di Tacito e di Svetonio per essere certi della morte di Socrate, di Cesare, di Caligola, di Claudio: perché per essere certi della morte di Cristo non vi basterà la testimonianza dei biografi di Lui e degli storici o scrittori contemporanei? Testimoni della morte di Cristo sono i Giudei, gli Scribi, i Sacerdoti, gli Anziani, i Farisei e tutta quella gran folla, che lo seguì sul Calvario, che contemplò e contò con gioia crudele le ore e quasi i minuti della sua agonia. Era la vigilia della maggior festa d’Israele,, la Pasqua, e una moltitudine immensa da ogni angolo della Palestina traeva a Gerusalemme. Il nome di Gesù, del gran profeta e taumaturgo, risuonava dovunque, e immaginate voi qual turba dovesse accorrere al Calvario, appena si sparse la voce ch’Egli là doveva essere confitto in croce. In mezzo a quella turba e più presso alla croce, su cui agonizzava Gesù, stavano senza dubbio i suoi implacabili nemici, lieti della vittoria e aspettanti l’estremo anelito della odiata loro vittima. Pensate voi se, memori della promessa ripetuta da Cristo – Risorgerò dopo tre dì – non dovevano accertarsi della sua morte! Non è tutto: Gesù la sera del giorno innanzi aveva sofferto tale stretta di cuore da cadere in deliquio e sudar sangue: la notte era stata orribile: abbandonato, rinnegato e tradito dai suoi cari, lasciato in balìa d’una soldatesca feroce, che ne aveva fatto ogni strapazzo; al mattino spietatamente flagellato e coronato di spine; poi trascinato sul colle, inchiodato sulla croce, esposto così straziato e sanguinolente all’aria, al sole, divorato dalla febbre, colmo di dolori morali senza nome, senza una stilla di conforto, tutto lacero e pesto, ridotto ad una sola piaga, doveva soccombere; anzi fa meraviglia che dopo tanti dolori e sì orrida carneficina potesse vivere tre ore in croce. Aveva chinato il capo, era cessato l’anelito affannoso, il corpo tutto s’era abbandonato, un pallore mortale si era diffuso sul suo volto e la folla spettatrice aveva gridato: Egli è morto – La festa era imminente: i corpi dei giustiziati dovevano essere levati di là e i manigoldi venuti per il tristo ufficio, visti ancor vivi i due ladroni crocifissi a lato di Gesù, secondo la barbara usanza, a colpi di mazza, fracassarono loro le gambe e li finirono. Venuti a Gesù e, vistolo già morto, non gli ruppero le gambe, ma uno di loro, quasi per assicurarsi della sua morte, gli diede una lanciata nel petto, che gli dovette squarciare il cuore. Poco appresso un discepolo di Gesù ne chiese il corpo a Pilato per seppellirlo; e Pilato, prima di concederglielo, ebbe a sé il centurione, che presiedeva il drappello dei soldati presenti al supplizio e, accertatosi che Gesù era veramente morto, glielo accordò. Non basta ancora: il corpo di Gesù in sul calare della notte, fu tolto dalla croce, avvolto in un lenzuolo con una mistura di cento libbre di aloe e mirra e deposto in un sepolcro nuovo scavato, secondo l’uso dei Giudei, nella viva roccia e chiusane la bocca con una grossa pietra, che fu suggellata dai Giudei stessi, i quali vi posero a guardia alcuni soldati finché fosse passato il terzo dì, entro il quale Gesù aveva promesso di risorgere. Siamo sinceri, o signori. Poniamo che Gesù non fosse veramente morto sulla croce; che la sua morte fosse un deliquio, una sincope, o se vi piace meglio, una finta morte; vi domando: poteva Egli sopravvivere chiuso là nel sepolcro, avviluppato in tanti aromi, stretto nel lenzuolo, senz’aria, senza soccorso, senza cura di sorta? Riconosciamolo; se non era morto, doveva certamente morire. – Finalmente non vogliate dimenticare che gli Ebrei non posero mai in dubbio la realtà della morte di Cristo, che era pure il partito più sicuro per negare il miracolo della Risurrezione; ma ricorsero, come vedremo, al ridicolo espediente del furto del cadavere e della menzogna dei discepoli. Qual prova più evidente che non era possibile negare la verità della morte di Cristo? Concludiamo adunque questa prima parte del nostro ragionamento, affermando con la massima sicurezza: Gesù, allorché fu calato nella tomba, era indubitatamente morto – È Egli veramente risorto? Come è certissimo il primo fatto della morte, è certissimo altresì il secondo della Risurrezione. Sì: quei testimoni che provano il primo fatto, provano pure anche il secondo, e, se ci si permette il dirlo e se è possibile, anche con maggior forza. Come poc’anzi ho fatto avvertire, intanto si potrebbe dubitare ragionevolmente della testimonianza di quelli che affermano un fatto qualunque in quanto ché, o li possiamo supporre ingannati e allucinati, o li possiamo credere bugiardi e ingannatori. Dimostrata la impossibilità di queste due ipotesi, la certezza del fatto rimane là in tutto lo splendore della evidenza. La critica più sottile e più diffidente può essa dar luogo al sospetto che i testimoni della Risurrezione di Cristo si fossero ingannati, che fossero vittima d’una allucinazione? Il terzo dì dopo la morte di Cristo, il sepolcro dove fu collocato il corpo esangue, è aperto e l’intera Gerusalemme lo può vedere vuoto a tutto suo agio. Che è avvenuto di quel corpo? Non lo si saprà mai, risponde il Renan. Come, non lo si saprà mai? Volete voi gettare le tenebre sulla luce del sole e far ammutolire le mille lingue, che lo predicano dovunque e a tutti, a costo della vita? Quel Gesù, che fu deposto nel sepolcro e che là si cerca indarno, è visto da parecchie donne lungo la via; è visto dalla Maddalena presso il sepolcro; è visto da Pietro; è visto da Giacomo, è visto il giorno stesso della Risurrezione da due discepoli, che se ne andavano ad un vicino castello. È visto da sette discepoli insieme sulla riva del lago di Genezaret; è visto nel Cenacolo da dieci discepoli e poco dopo da undici ivi raccolti; è visto da centoventi persone presso Betania; è visto, scrive S. Paolo, da circa cinquecento persone, molte delle quali vivevano ancora quando l’Apostolo dettava la sua lettera. È visto da uomini, da donne, ora insieme, ora separatamente, di giorno, di notte, in casa, a mensa, sulle sponde del lago, sulla via, sul monte, in un giardino; parlano con Lui, con Lui mangiano, lo toccano, ascoltano le sue parole, lo interrogano, risponde e ciò per quaranta giorni, in Gerusalemme, nella Giudea, nella Galilea. E tutte queste apparizioni non sarebbero che illusioni e allucinazioni? Illusioni e allucinazioni, che durano sì a lungo, in tanti e sì diversi luoghi, in centinaia di persone di sesso e di carattere diverse, che cominciano nello stesso giorno e finiscono lo stesso giorno? Non nego, o signori, la potenza meravigliosa della allucinazione, gli scherzi stranissimi della fantasia. So che Teodorico vedeva sulla mensa il teschio sanguinoso di Simmaco per suo comando ucciso; so che di Socrate e di Torquato Tasso si narra come si vedessero a fianco un genio: e celebre è l’ombra di Banco, creazione del sommo tragico inglese, creazione stupenda perché rispondente alla natura umana. Ma chi mai potrebbe pareggiare a queste creazioni del genio poetico o a quegli scherzi di fantasia le apparizioni di Cristo registrate nei Vangeli, negli Atti e nelle Lettere degli Apostoli? Teodorico solo vedeva sulla sua mensa la testa di Simmaco, una sola volta e se ne comprende il perché: nessuno di quei commensali la vedeva e compativano il misero re ed erano più che certi, la sua essere una illusione. Socrate e Tasso vedevano il loro genio, ma non lo vedevano gli amici, gli scolari: era una allucinazione momentanea, conosciuta come tale, senza importanza pratica, senza nesso alcuno con la Religione. Quale immensa differenza tra queste allucinazioni e le apparizioni di Cristo per il numero, per i testimoni, per il modo, per le circostanze e per 1’importanza del fatto e della dottrina, con cui sono strettamente unite? In tutta la storia della Umanità è impossibile trovare alcun che, non dico di uguale, ma di simile alla narrazione evangelica. – Se la storia delle apparizioni di Cristo potesse dare anche solo l’ombra di sospetto d’una continuata allucinazione, dovremmo rinunciare ad ogni certezza dei sensi, la storia intera perderebbe ogni base, nessun giudice potrebbe pronunciare una sentenza, nemmeno sopra la deposizione di dieci testimoni consenzienti e cadremmo in un desolante scetticismo. E dire, o signori, che questa è la spiegazione dell’autore troppo celebre della vita di Gesù! [Renan] – Alle pie donne, e sopra tutto alla Maddalena, ai discepoli non pareva vero che Gesù fosse morto: credevano confusamente alla immortalità dell’anima; intesero alcune espressioni di Cristo come una cotal promessa della sua Risurrezione: alla Maddalena, nell’ardore della sua fede, parve di udirlo e di vederlo nell’orto: le sfuggì nell’impeto della gioia la magica parola – È risorto -. Gli Apostoli erano chiusi e silenziosi nel Cenacolo: parve loro di sentire un lieve soffio che passava sul loro capo e taluno affermò d’aver udito in quel silenzio il saluto ordinario di Gesù – Pace – Bastò: si disse: È risorto: lo abbiamo udito: l’abbiamo veduto: e così nacque e si stabilì universale e fermissima la fede nella Risurrezione di Gesù e nella sua dottrina e così nacque e si stabilì il Cristianesimo. Esso poggia sopra la allucinazione d’una donna, per un cotal contagio e per una certa tendenza alla imitazione comunicata ad altre donne ed ai discepoli! – Fratelli, arrestiamoci. Voi forse credete ch’io scherzi riportandovi questa spiegazione della Risurrezione di Cristo e che io insulti alla memoria d’un uomo, a cui non fe’ difetto l’ingegno e la coltura e un senso estetico non comune. No, non ischerzo, né insulto chichessia: ho riferito fedelmente il pensiero e la spiegazione di quell’uomo, che parve compendiare in sé tutta la scienza razionalistica moderna. Siffatte ipotesi o spiegazioni non si confutano: accennarle è sfatarle. È più facile concepire che 1’eccelso colosso del Montebianco poggi sopra la punta di un ago di quello che 1’intero Cristianesimo con tutti i suoi dogmi, con tutta la sua morale, con lo stupendo organismo della sua gerarchia poggi sulla affermazione d’una donna, che in un istante di allucinazione esclama: – Gesù è risorto! – Né qui vi spiaccia, o fratelli, por mente ad un’altra osservazione, che mi parrebbe colpa passare sotto silenzio. Non nego che le allucinazioni siano possibili, ancorché non mai nelle proporzioni, che il razionalismo gratuitamente attribuisce ai testimoni della Risurrezione di Cristo. Ma quando queste allucinazioni sono possibili? Quando gli animi sono preparati a subirle, in preda a grande aspettazione, ad ardentissimi desideri, a passioni violente. Una madre che aspetta con ansia febbrile il ritorno d’ un figlio, che piange sconsolata sopra un bambino perduto, facilmente potrà credere di vederlo, di abbracciarlo. La fantasia dà esistenza reale al desiderio vivissimo. È forse questo il caso degli Apostoli? Ma se le donne non credono a ciò che vedono? Se credono involato il corpo di Cristo? Se gli Apostoli le reputano colte da delirio? Se essi stessi, vedendo Gesù, non credono ai propri occhi e pensano di trovarsi alla presenza d’un fantasma? Se è necessario che Gesù faccia loro toccare le mani, le cicatrici del suo corpo, segga e mangi con loro? Se uno dei discepoli si ostina a negar fede ai compagni, che affermano d’ aver veduto Gesù risorto e solo allora si arrende quando con le sue mani tocca le cicatrici delle sue mani e del suo costato? Gli Apostoli adunque e le donne erano ben lungi dal dar corpo alle ombre, dall’essere vittime d’una allucinazione, essi che spinsero la incredulità oltre i confini del verosimile. Ma tutti questi testimoni della Risurrezione di Cristo, si dice, eran rozzi, ignoranti, creduli, inchinevoli ad ammettere tutto ciò che è meraviglioso e sovrannaturale. La maggior parte, si; non tutti. Ma diasi che lo fossero tutti. Qui non si tratta di lunghi e sottili ragionamenti, di cose ardue, sulle quali 1’autorità degli ignoranti non ha peso alcuno. Qui trattasi di un morto che è risuscitato: trattasi d’un fatto visibile, materiale, ripetutamente e in vari modi avvenuto. Qui non si domandano ragionamenti, discussioni, esperienze difficili: basta aver occhi, orecchi e mani, per vedere, udire e toccare e gli Apostoli e le donne avevano tutto questo al pari e forse meglio di tutti gli accademici di Parigi e del mondo. Dov’è il tribunale, che dovendo verificare il fatto d’un ferimento o d’un omicidio avvenuto sopra una piazza, rifiuti la testimonianza di dieci, di venti persone con la ragione, che sono ignoranti, rozze, illetterate? Esso esigerà soltanto di conoscere con sicurezza se hanno veduto od udito ciò che attestano e se siano moralmente degne di fede. Due cose, o fratelli, sin qui son poste fuori d’ogni controversia: Cristo veramente morì: gli Apostoli e i testimoni della Risurrezione di Lui non furono ingannati, non poterono ingannarsi, non si possono supporre giuoco d’una illusione od allucinazione. Ora procediamo nel nostro ragionamento. – Giunti a questo punto della nostra dimostrazione, per negar fede alla testimonianza degli Apostoli, dei Discepoli e delle donne affermanti d’aver visto Gesù Cristo risorto, una sola via rimane aperta ed è l’affermare francamente, che essi vollero ingannare od ingannarono. Ebbene: io assumo di provare che non solo non vollero ingannare, ma che non avrebbero potuto ingannare quando pure 1’avessero voluto. A me il dimostrarlo, a voi l’ufficio di giudici severissimi. Uno sguardo, o fratelli, a questi testimoni della Risurrezione di Cristo: sono uomini semplici, rustici, ignoranti, timidi, ignari delle cose del mondo finché volete; ma sinceri, schietti,, pieni di candore, come fanciulli, impotenti a mentire. Venuti dalla Galilea, ove avevano lasciato le reti e le loro barchette, portavano seco la semplicità della campagna, la felice ignoranza degli inganni e dei raggiri. È una lode, che più volte rende loro chi ce li rappresentò come poveri illusi. Tanta è la loro schiettezza, che negli scritti lasciatici, confessano al mondo intero i loro difetti, le loro debolezze, le gare e gelosie, che tra loro si manifestavano, la grossolana loro ignoranza, i rimproveri avuti dal Maestro, i loro timori, la fuga, gli spergiuri del loro capo, il tradimento orribile del loro compagno, gli inganni, in cui caddero, le loro illusioni, la loro ostinata incredulità, e il tutto narrano senza arte, senza debolezza, senza fasto, senza scusarsi o difendersi, con una semplicità infantile. E si vorrebbe che questi uomini ingannassero i loro fratelli, il mondo intero? Questi testimoni si presentano ai loro fratelli, a tutti gli uomini, annunziatori della dottrina del loro Maestro, a cui protestano di non aggiungere, né levare una sillaba. La dottrina ch’essi professano e che predicano in pubblico e in privato, come necessaria a salute, condanna e abbomina la menzogna e l’inganno sotto qualsivoglia forma; essa si compendia in questa sentenza del Maestro: – È, è; no, no – Possiamo noi credere che i discepoli e i maestri di questa dottrina si facessero artefici e propagatori della più scellerata menzogna, del più sacrilego inganno? A chi mai può bastare 1’animo di credere tutti i discepoli di Cristo e le donne stesse sì pie, sì generose, di crederli, dico, tutti bugiardi, sacrileghi, che si beffano di Dio e degli uomini? E poi veniamo a ragionamento più serrato e decisivo. O gli Apostoli e le donne credevano alla Risurrezione di Cristo, o non credevano: se credevano od anche solo ne dubitavano, a qual partito dovevano naturalmente appigliarsi? È chiaro: dovevano dire: Cristo risorgerà, come ha promesso: aspettiamo che risorga e lo annunzieremo: Egli avrà provata la sua divina missione; e non dovevano nemmeno pensare ad architettare 1’inganno e la menzogna. O non credevano alla Risurrezione, e allora perché mentire, ingannare i fratelli, gettarsi in una lotta disperata per far servigio ad un uomo, che conoscevano per un impostore? E non dimenticate che gli Apostoli e le donne erano Giudei credenti, pieni di venerazione per Mosè e per la legge, in cui erano nati, cresciuti ed educati. Vi sembra possibile che a questa legge loro, e dei padri loro ad un tratto potessero osare di sostituirne un’altra, che troppo bene sapevano essere fondata sulla impostura? Questi Apostoli e queste pie donne, dopo la catastrofe del Calvario e perdute le speranze della Risurrezione, dovevano rientrare in se stessi; dovevano vedere la difficilissima condizione, in cui li aveva messi il Maestro; resi invisi o sospetti a tutte le autorità per Lui, che dopo promessa la Risurrezione non risorgeva. E per Lui avrebbero mentito? Lui proclamato Messia e Redentore del mondo; Lui adorato come Dio; Lui che li aveva ingannati? Che altro sperare dall’insano tentativo che vessazioni, persecuzioni e una morte come quella del Maestro, il cui cadavere doveva stare loro sotto gli occhi? Senza capo, senza amici, senza forza, fuggiti da tutti, tremanti sui pericoli che li circondavano, dovevano in fretta pigliare la via di Galilea e farsi dimenticare, ritornando alle loro barchette e alle loro reti. Ma contro ogni verosimiglianza supponiamo che non temessero né Dio, né gli uomini; che spingendo il coraggio fino all’audacia, anzi alla disperazione, persistessero nella folle idea di fondare la nuova Religione sul fatto della Risurrezione del Maestro, ch’essi sapevano impossibile: supponiamo ch’essi volessero ripigliare l’opera, in cui il maestro era sì miseramente perito, e predicandolo risorto, farlo credere Salvatore del mondo e Figlio di Dio. Per riuscire nell’intento, dovevano ordire la trama e per modo, che presentasse almeno la possibilità della riuscita. i discepoli e le pie donne e tutti i testimoni della Risurrezione dovevano darsi la parola e riunirsi a consiglio. Quando? Precisamente in quel brevissimo spazio di tempo, che corse tra la morte di Cristo e l’affermazione che era risorto; non prima, perché non credevano possibile la sua morte; non dopo, perché il profeta era già chiarito falso profeta. Vi pare possibile siffatta riunione in quei momenti di trepidazione, di confusione e di suprema angoscia? Ma diasi possibile. Il più audace tra i convenuti doveva ragionare in questi sensi: Noi sappiamo che il Maestro non risorgerà; che per Lui tutto è ornai finito; ma noi dobbiamo compire l’opera per Lui iniziata e fondare la nuova Religione, ch’Egli aveva ideato. Affermiamo audacemente la sua Risurrezione; facciamone il capo saldo della Religione e predichiamo che il Maestro è Dio, che bisogna credere in Lui; morire per Lui; è una menzogna enorme, che ci costerà carceri, esili, la morte; ma non importa: così vendicheremo il Maestro e noi stessi. Giuriamo tutti di affermare sempre e dovunque, a costo della vita, che Gesù è risorto. L’empia e insensata proposta come doveva essere-accolta? Quei poveri Apostoli conoscevano abbastanza se stessi da sentire l’impossibilità dell’impresa: – Vivente il Maestro, siamo fuggiti tutti ieri sera; l’abbiamo abbandonato, negato; uno di noi 1’ha tradito; abbiamo contro di noi l’autorità dei Romani e del nostro Sinedrio: se il Maestro fu messo in croce, che sarà di noi? Come terremo il segreto, tutti, anche le donne? Se un solo tradisce, e scopre la congiura, siamo perduti tutti. E poi come e perché ingannare il mondo? Quale il guadagno qui in terra? E potremo sfuggire al braccio di Dio? – Erano riflessioni troppo ovvie perché non si affacciassero nemmeno alla mente degli Apostoli e delle donne e rendessero impossibile 1’impresa. Ma passiamo anche su questo e poniamo che la stoltissima ed empia proposta fosse accolta da tutti. Bisognava recarla ad effetto e subito prima che passasse il terzo dì, termine ultimo della prova fissato da Cristo stesso. La cosa più necessaria ed urgente era quella di levare il corpo del Maestro dal sepolcro e farlo sparire. Ma presso quel sepolcro stavano le guardie, probabilmente straniere, e senza dubbio vegliavano più che mai, avvertite del pericolo. Si potevano corrompere e guadagnare col danaro. Sì: ma ci voleva danaro e non poco e subito: chi lo forniva, se tutti erano poveri? Chi avrebbe assunto la pericolosissima missione di farne la proposta a quei soldati? Se avessero respinta l’offerta e trascinato chi la faceva dinanzi al Sinedrio? Se, avuto il danaro, non avessero mantenuta la promessa e denunziato i corruttori? Chi poteva assicurare il segreto tanto necessario? Potevasi rapire il corpo con la forza, mettendo in fuga i soldati. Ci volevano armi e coraggio: supporre quelle e più questo in quegli uomini, in quelle angustie, è un sogno. Ma supponiamo che tentassero un colpo di mano e assaltassero le guardie. Queste vincitrici, il corpo rimaneva: vinte, avrebbero detto: siamo state soverchiate dal numero e il corpo fu involato dai discepoli e la trama nell’uno e nel1’altro caso era svelata. Ma i soldati potevano dormire e lo si disse dai Giudei: i discepoli vennero e se ne portarono il corpo di Cristo e fu possibile 1’affermazione: – Gesù è risorto -. I soldati dormivano! Tutti? E gli Apostoli e i discepoli potevano supporre che dormissero? E nessuno si destò al rumore dei discepoli, che venivano e tornavano, al rumore della grossa pietra levata dalla bocca del sepolcro? È troppo. E chi disse che i soldati dormivano? I soldati istessi. E i dormenti sono testimoni? E non furono puniti come infedeli al loro dovere? È troppo. Setto od otto anni appresso un Evangelista afferma solennemente, che i capi del popolo con danaro guadagnarono i soldati, perché spacciassero la favola, che mentre essi dormivano, i discepoli avevano fatto sparire il corpo di Cristo. Chi levossi a smentire il Vangelista? Nessuno! prova evidente che non era calunnia. Ma sovrabbondiamo in concessioni con i nostri avversari. Che donne e discepoli entrassero nell’infame ed empia congiura di affermare la Risurrezione di Cristo; che riuscissero a far scomparire il cadavere di Lui e tutto ciò fosse stabilito ed eseguito in quelle quarant’ore, che trascorsero fra la morte di Cristo e il grido emesso: – E risorto -. Voi vedete che è un cumolo di cose affatto moralmente impossibili. — Non im porta. — Si conceda tutto. – Esiste la congiura di ingannare la nazione e il mondo intero: ne fanno parte necessaria tutti i discepoli e le donne e spetta a queste fare i primi passi. Una congiura di questo genere, ordita in fretta e in furia, di cui fanno parte alcune decine di uomini e parecchie donne! Consci tutti della propria e dell’altrui debolezza, provata testè a fatti, potevano essi fidarsi a vicenda? Dove tra congiurati non sia sicura ed assoluta la fiducia, la congiura non è possibile. Perché quelle donne e quei discepoli di Cristo potessero accingersi alla scelleratissima impresa, bisogna supporli tutti, senza eccezione, tristi e malvagi in sommo grado: bisogna crederli tutti senza Religione, senza coscienza. Ingannare i loro fratelli e ingannarli in ciò che vi è di più augusto e di più santo, la Religione! Tener mano ad una congiura, che ha per iscopo di rovesciare la Religione propria e de’ loro padri per fondarne un’altra, il cui autore sarebbe un impostore od un pazzo! Dite: vi sembra possibile che Apostoli ignoranti, grossolani sì, ma onesti e retti; che codeste donne pie potessero e volessero prestarsi all’opera nefanda? – E proseguiamo ancora: Chi si accinge ad una impresa scabrosa e in cui sono in giuoco non la sola quiete, ma l’onore, la libertà e la vita istessa, a due cose particolarmente deve badare: l’impresa è possibile? Se è possibile, offre essa la speranza d’una mercede proporzionata ai pericoli e alle fatiche, che si devono sostenere? Per quanto li supponiamo ignoranti e inesperti del mondo codesti Apostoli e codeste donne, è forza convenire che dovevano vedere chiarissimamente la impossibilità della disperata impresa. Si riconoscevano poveri, ignoranti, timidi, nuovi del mondo, senza credito, senza amici, senza capo; vedevano di fronte a sé l’autorità della Sinagoga, per scienza, credito, ricchezza, potere, prestigio del passato, onnipotente; vedevano dietro ad essa l’autorità romana stessa, che nel terribile dramma del Maestro per timore aveva ceduto alla Sinagoga e l’aveva abbandonato al suo furore dopo averne tentato invano la difesa. Potevano essi nutrire speranza di riuscire là dov’era fallito il Maestro? E qual mercede attendere da un’ impresa sì dissennata se non le carceri, i flagelli, gli esili, la morte più crudele e il disprezzo e l’infamia nella memoria dei futuri? Erano tutte considerazioni d’una evidenza massima, che rendevano impossibile la congiura negli uomini più audaci e più perversi; che dire poi negli Apostoli e nelle donne, sì timidi, sì onesti e sì religiosi? E tempo di conchiudere il nostro ragionamento. Non si può sollevare il più lieve dubbio sulla verità della morte di Cristo: la certezza della sua Risurrezione non può essere maggiore per il numero e per la qualità dei testimoni, che l’affermano; essi non poterono essere ingannati, né allucinati; essi non ingannarono, né poterono ingannare, quand’anche per una ipotesi assurda l’avessero voluto. – Mi sembra d’aver mostrato a punta eli logica, tutto questo e chiusa ogni via a qualunque sofisma e ne appello a voi stessi, o fratelli, alla vostra ragione. Quale la conseguenza che ne discende? Questa: – Cristo è veramente risorto -. Dunque la dottrina ch’Egli ha insegnato è vera; dunque Egli è veramente Dio, il nostro Salvatore; prostrandoci pieni di fede e d’amore per Lui, coll’apostolo Tommaso esclamiamo: – Mio Signore e mio Dio! -.