UN’ENCLICA AL GIORNO TOGLIE IL MODERNISTA APOSTATA DI TORNO: SODALITIUM PIANUM

Il Sodalitium Pianum fu istituito dal Santo Papa Pio V al tempo della controriforma, per stanare i “marrani” finti cattolici in odore di protestantesimo, e ripreso con grande impegno da Mons. Umberto Benigni per contrastare i nuovi “marrani” modernisti. In altra occasione parleremo di questo organismo. Oggi ci accontentiamo di proporre il “Manifesto” programmatico del Sodalitium Pianum come concepito dalla Santa Sede dell’epoca (c’era il Santo Papa Pio X), e da Mons. Benigni. Questo “manifesto” è valido oggi forse ancor più di allora, ed i “veri” Cattolici dovrebbero aver cura di osservarlo integralmente per considerarsi tali. Anche qui si indica, come condizione imprescindibile, la sottomissione piena ed umile ai Vescovi, alla Tradizione apostolica, al Magistero ecclesiastico ed al Santo Padre, il Vicario di Cristo. Leggiamo, meditiamo,  facciamo nostro questo manifesto, facciamone un quadretto da guardare spesso … in obbedienza ed umiltà. È indicata la via che porta diritta al cielo … è in salita, angusta ma sforziamoci di provare, in ballo c’è la promessa di un grande premio: la vita e la felicità eterna, ed … un inferno da evitare.

PROGRAMMA DEL
SODALITIUM PIANUM

[approvato ed incoraggiato dalla Santa Sede]
(Rescritti Autografi di S. S. Pio X, del 5
luglio 1911 e dell’8 luglio 1912; Lettera della S. Congr. Concistoriale, del 25 febbr. 1913).

1. — Noi siamo Cattolici-Romani integrali. Come l’indica questa parola, il Cattolico-Romano integrale accetta integralmente la dottrina, la disciplina, le direzioni della Santa Sede e tutte le loro legittime conseguenze per l’individuo e per la società. Egli è «papalino», «clericale», antimodernista, antiliberale, antisettario. Egli è dunque integralmente contro-rivoluzionario, perché è avversario non solamente della Rivoluzione giacobina e del Radicalismo
settario, ma ugualmente del liberalismo religioso e sociale.
Resta assolutamente inteso che dicendo «Cattolico Romano integrale», non s’intende affatto modificare in qualsiasi modo l’autentico e glorioso titolo
di Cattolico-Romano. La parola «integrale» significa soltanto «integralmente Cattolico-Romano», cioè pienamente e semplicemente Cattolico-Romano senza le aggiunte o restrizioni corrispondenti (anche al di fuori dell’intenzione di chi ne usa) tanto alle espressioni di «cattolico liberale», «cattolico sociale», e qualunque altra, quanto al fatto di chi tende a restringere in teoria od in pratica l’applicazione dei diritti della Chiesa e dei doveri del cattolico nella vita religiosa e sociale.

2. — Noi lottiamo per il principio e per il fatto dell’Autorità, della Tradizione, dell’Ordine religioso e sociale nel senso cattolico della parola e nelle sue deduzioni logiche.

3. — Noi consideriamo come piaghe nel corpo umano della Chiesa lo spirito e il fatto del liberalismo e del democratismo cosiddetti cattolici, come del Modernismo intellettuale e pratico, radicale o moderato, con le loro conseguenze.

4. – Nel caso pratico della disciplina cattolica, noi veneriamo e seguiamo i Vescovi, posti dallo Spirito Santo a reggere la Chiesa di Dio, sotto la direzione ed il controllo del Vicario di Cristo, col quale noi vogliamo sempre essere, prima di tutto e malgrado tutto.

5. —La natura della Chiesa cattolica c’insegna, e la sua storia ci conferma, che la Santa Sede è il centro vitale del cattolicismo: per ciò stesso, da un certo punto di vista e specialmente in alcune circostanze, il contegno momentaneo della Santa Sede è altresì la risultante della situazione religiosa e sociale. Così noi comprendiamo pienamente come Roma possa talvolta tacere ed attendere, in vista della situazione stessa, quale nel momento si presenta. In tali casi noi ci guarderemo bene dal prenderne pretesto per restare inattivi davanti ai danni ed ai pericoli della situazione.
Dacché abbiamo compresa e sicuramente controllata, in ogni caso, la realtà delle cose, noi agiamo nel miglior modo possibile contro quei danni e pericoli, sempre e dovunque secondo la volontà e il desiderio del Papa.

6. — Nella nostra osservazione ed azione noi ci mettiamo soprattutto dal punto di vista «cattolico», cioè universale, — sia nel tempo, attraverso i differenti momenti storici – sia nello spazio, attraverso tutti i paesi.
Noi sappiamo che nelle contingenze momentanee e locali, c’è sempre, almeno nel fondo, la lotta secolare e cosmopolita fra le due grandi forze organiche: da un lato, l’unica Chiesa di Dio, Cattolica-Romana, dall’altro i suoi nemici interni ed esterni. Gli esterni (le sètte giudeo-massoniche ed i loro alleati diretti) sono nelle mani del Potere centrale della Sètta; gl’interni (modernisti, demoliberali, ecc.) gli servono d’istrumento cosciente o incosciente per l’infiltrazione e la decomposizione tra i cattolici.

7. —Noi combattiamo la Sètta interna ed esterna, sempre e dovunque, sotto tutte le forme e con tutti i mezzi onesti ed opportuni.
Nelle persone dei settari interni ed esterni e dei loro complici noi combattiamo soltanto la realizzazione concreta della Sètta, della sua vita, della sua azione, dei suoi piani. Questo, intendiamo farlo senza alcun rancore verso i nostri fratelli traviati, come altresì senza alcuna debolezza e senza alcun equivoco,come un buon soldato tratta sul campo di battaglia quanti militano sotto lo stendardo nemico, i loro ausiliari ed i loro complici.

8. — Noi siamo pienamente: contro ogni tentativo di diminuire, di rendere secondarie, di dissimulare sistematicamente le rivendicazioni papali per la Questione Romana, di ostacolare l’influenza sociale del Papato, di far dominare il laicismo; per la rivendicazione instancabile della Questione Romana secondo i diritti e le direzioni della Santa Sede, e per uno sforzo continuo al fine di ricondurre, il più possibile, la vita sociale sotto l’influenza legittima e benefica del Papato ed, in genere, della Chiesa cattolica;

9. contro l’interconfessionalismo, il neutralismo e il minimismo religioso nell’organizzazione ed azione sociale, nell’insegnamento, come in ogni attività dell’individuo e della collettività, la quale dipende dalla vera morale, dunque dalla vera religione, dunque dalla Chiesa; per la confessionalità in tutti i casi previsti dal comma precedente; e se, in casi eccezionali e transitori, la Santa Sede tollera delle unioni interconfessionali, per l’applicazione coscienziosa e controllata di tale tolleranza eccezionale e per la sua durata ed estensione le più possibilmente ristrette, secondo le intenzioni della Santa Sede.

10. contro il sindacalismo apertamente o implicitamente «areligioso», neutro, amorale, che fatalmente conduce alla lotta anticristiana delle classi, secondo la legge brutale del più forte;
contro il democratismo anche quando si chiama cristiano, ma sempre più o
meno avvelenato da idee e fatti demagogici; contro il liberalismo, anche quando si chiama economico-sociale, che spinge col suo individualismo alla disgregazione sociale; per l’armonia cristiana delle classi fra loro, come fra l’individuo, la classe e la società intera;  per l’organizzazione corporativa della società cristiana secondo i principi e le tradizioni di giustizia e di carità sociale, insegnati e vissuti dalla Chiesa e dal mondo cattolico per molti secoli, e che perciò  sono perfettamente adattabili ad ogni epoca e società veramente civili;

11.contro il nazionalismo pagano che fa riscontro al sindacalismo areligioso (quello considerando le nazioni, come questo le classi, quali collettività di cui ciascuna può e deve fare amoralmente i propri interessi al di fuori e contro quelli degli altri, secondo la legge brutale di cui abbiamo parlato); e, nello stesso tempo,  contro l’antimilitarismo ed il pacifismo utopista, sfruttati dalle Sètte allo scopo d’indebolire e addormentare la società sotto l’incubo giudeo-massonico; per il patriottismo sano e morale, patriottismo cristiano  di cui la storia della Chiesa Cattolica ci ha dato sempre splendidi esempi.

12.contro il femminismo che esagera e snatura i diritti e i doveri della donna, mettendoli fuori della legge cristiana; contro  la coeducazione dei sessi; contro l’iniziazione sessuale della fanciullezza; per il miglioramento delle condizioni materiali e morali della donna, della gioventù, della famiglia secondo la dottrina e la tradizione cattolica.

13. contro la dottrina ed il fatto profondamente anticristiani della separazione fra la Chiesa e lo Stato, come fra la religione e la civiltà, la scienza, la letteratura, l’arte;
per l’unione leale e cordiale tanto della civiltà, della scienza, della letteratura, dell’arte quanto dello Stato, con la religione e perciò con la Chiesa.

14. contro l’insegnamento filosofico, dogmatico e biblico «modernizzato», il quale, anche quando non è prettamente modernista, si rende per lo meno uguale ad un insegnamento archeologico od anatomico, come se non si trattasse di una dottrina immortale e vivificatrice, che tutto il clero, senza eccezione, deve imparare soprattutto per il suo ministero sacerdotale; per  l’insegnamento ecclesiastico ispirato e guidato dalla gloriosa tradizione della Scolastica e dei Santi Dottori della Chiesa e dei migliori teologi del tempo della Contro—riforma, con tutti i seri sussidii del metodo e della documentazione scientifica.

15. — contro il falso misticismo a tendenze individualistiche ed illuministe;
per la vita spirituale, intensa e profonda, secondo l’insegnamento dottrinale e pratico dei Santi e degli autori mistici lodati dalla Chiesa.

16.— in genere, contro lo sfruttamento del clero e dell’azione cattolica da parte di qualsiasi partito politico o sociale, ed, in ispecie;
contro l’esagerazione «sociale» che si vuole inoculare al clero ed all’azione cattolica sotto pretesto di «uscire dalla sagrestia» per non rientrarvi che troppo raramente, o di nascosto, od almeno con lo spirito assorbito dal resto; per il mantenimento dell’azione ecclesiastica e rispettivamente della azione cattolica nel suo insieme sul terreno apertamente religioso, avanti tutto, e senza esagerazioni «sociali» o simili per il resto.

17. contro la mania o la debolezza di tanti cattolici, di voler apparire «coscienti ed evoluti, veramente del loro tempo», e bonarii di fronte al nemico brutale od ipocrita, ma sempre implacabile, pronti ad ostentare il loro tollerantismo, e ad arrossire, se non a dir male, degli atti di giusto rigore compiuti dalla Chiesa o per essa; pronti ad un ottimismo sistematico verso gli inganni degli avversari, e riservando le loro diffidenze e durezze per i Cattolici-Romani integrali; per un contegno giusto e conveniente, ma sempre franco, energico ed instancabile di fronte al nemico, alle sue violenze e alle sue astuzie.

18.contro tutto quanto è opposto alla dottrina, alla tradizione, alla disciplina, al sentimento del cattolicesimo integralmente romano;
per tutto quanto gli è conforme.

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Il Sodalitium Planum di mons Benigni, incoraggiato da Papa Pio X, è da applicarsi oggi interamente dai veri Cattolici -pusillus grex- con un aggiornamento, o meglio una puntualizzazione che riguarda la necessità ineludibile dell’attacamento speciale alla Santa Sede, al Santo Padre, alla Gerarchia “eclissata” sì, ma VIVA, e in AZIONE costante, con il sostegno continuo, in primo luogo mediante la preghiera. E poichè Nostro Signore Gesù Cristo ci ha comandato di pregare soprattutto per i nemici, invitiamo i Cattolici veri “una cum” Gregorio XVIII a pregare per gli apostati del Novus ordo, per gli eretici e gli scismatici sedevacantisti e delle Fraternià paramassoniche procedenti dai cavalieri kadosh, per gli iscritti alle conventicole di tutto il mondo, in particolare per i 33° e gli Illuminati e, con particolare intensità, per i cabalisti-talmudisti e coloro che, al servizio di lucifero, odiano Dio, il suo Cristo e tutti gli uomini …

… et IPSA conteret caput eorum!

DOMENICA QUARTA DOPO PASQUA [2018]

 

DOMENICA QUARTA dopo PASQUA [2018]

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus Ps CXVII:1; XCVII:2

Cantáte Dómino cánticum novum, allelúja: quia mirabília fecit Dóminus, allelúja: ante conspéctum géntium revelávit justítiam suam, allelúja, allelúja, allelúja. [Cantate al Signore un cantico nuovo, allelúia: perché il Signore ha fatto meraviglie, allelúia: ha rivelato la sua giustizia agli occhi delle genti, allelúia, allelúia, allelúia.]

Salvávit sibi déxtera ejus: et bráchium sanctum ejus. [Gli diedero la vittoria la sua destra e il suo santo braccio.]

Cantáte Dómino cánticum novum, allelúja: quia mirabília fecit Dóminus, allelúja: ante conspéctum géntium revelávit justítiam suam, allelúja, allelúja, allelúja. [Cantate al Signore un cantico nuovo, allelúia: perché il Signore ha fatto meraviglie, allelúia: ha rivelato la sua giustizia agli occhi delle genti, allelúia, allelúia, allelúia.]

Oratio

Orémus.

Deus, qui fidélium mentes uníus éfficis voluntátis: da pópulis tuis id amáre quod praecipis, id desideráre quod promíttis; ut inter mundánas varietátes ibi nostra fixa sint corda, ubi vera sunt gáudia. [O Dio, che rendi di un sol volere gli animi dei fedeli: concedi ai tuoi popoli di amare ciò che comandi e desiderare ciò che prometti; affinché, in mezzo al fluttuare delle umane vicende, i nostri cuori siano fissi laddove sono le vere gioie.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Jacóbi Apóstoli. Jac. I: 17-21.

“Caríssimi: Omne datum óptimum, et omne donum perféctum desúrsum est, descéndens a Patre lúminum, apud quem non est transmutátio nec vicissitúdinis obumbrátio. Voluntárie enim génuit nos verbo veritátis, ut simus inítium áliquod creatúræ ejus. Scitis, fratres mei dilectíssimi. Sit autem omnis homo velox ad audiéndum: tardus autem ad loquéndum et tardus ad iram. Ira enim viri justítiam Dei non operátur. Propter quod abjiciéntes omnem immundítiam et abundántiam malítiæ, in mansuetúdine suscípite ínsitum verbum, quod potest salváre ánimas vestras

 [Mons. Bonomelli, Nuovo saggio di Omelie – vol. II; Marietti ed. Torino 1899, impr.]

Omelia XXI.

 “Ogni buon dono ed ogni perfetto presente viene dall’alto, discendendo dal Padre dei lumi, presso il quale non vi è mutamento, od ombra di vicende. Egli di sua volontà ci ha generati colla parola di verità, affinché in certo modo fossimo la primizie dell’opera sua. Intendetelo bene, fratelli miei diletti. Ognuno sia pronto ad udire, tardo al parlare, lento all’ira. Perché l’ira dell’uomo non fa quello che è giusto dinanzi a Dio. Perciò smessa ogni bruttura e malvagità, accogliete docilmente la parola seminata in voi, la quale può salvare le anime vostre „ (S. Giacomo, I; 17-21).Queste poche sentenze leggiamo nella Messa odierna e si trovano nella epistola di S. Giacomo. Se non erro, è questa la prima volta che mi accade di dover togliere a soggetto dell’omelia un tratto di questa lettera. Essa, come si legge a principio, fu scritta da S. Giacomo apostolo. Son due gli Apostoli di questo nome; il primo, detto il Maggiore, fratello di Giovanni e figliuolo di Zebedeo, ed uno dei tre prediletti da Cristo. Questi fu messo a morte da Erode Agrippa, dieci anni dopo l’Ascensione di nostro Signore, l’anno 42 dell’era nostra. L’altro, detto il Minore, forse per ragione dell’età, figliuolo di Alfeo o Cleofa e di Maria, sorella o cugina della Vergine, e perciò detto fratello di Cristo, ossia cugino. Visse sempre in Gerusalemme, ne fu il primo vescovo, venerato per la sua santità anche dai Giudei, ebbe la corona del martirio l’anno 62 dell’era nostra, ad istigazione del pontefice Anano, otto anni prima dello sterminio di Gerusalemme. La lettera è di questo apostolo e fu indirizzata, non molto prima della sua morte, a tutti i Giudei convertiti e sparsi in varie provincie. Il suo scopo è tutto pratico e morale e riflette mirabilmente il fare degli Evangeli e mostra la perfetta opposizione, che esiste tra Dio ed il mondo, l’amore dell’uno e dell’altro. Sembra anche, per avviso di alcuni autorevoli interpreti, che S. Giacomo si proponesse in questa lettera di correggere l’abuso, che per molti si faceva della lettera di S. Paolo ai Romani. Interpretando male quella lettera, essi dicevano che la sola fede bastava a salute senza le opere, mentre san Paolo aveva insegnato soltanto che nessuno, né Giudeo, né Gentile, poteva con le opere meritare il dono della fede. S. Giacomo stabilisce che la fede senza le opere è morta, e che queste sono necessarie alla salvezza. Premesse queste comuni e non inutili avvertenze, io tolgo a chiosare i cinque versetti, che or ora ho voltato nella nostra lingua.«Ogni buon dono ed ogni perfetto presente, viene dall’alto, discendendo dal Padre dei lumi. „ Nei versetti che precedono, san Giacomo parla della concupiscenza e del peccato, che ne è il figlio e che genera la morte dell’anima. Ecco il mondo e l’opera del mondo: a questa l’Apostolo contrappone il dono e l’opera di Dio, che produce la vita, e dice: “Ogni dono, ogni grazia perfetta non viene dal basso, dalla terra, ma discende dall’alto, discende da Dio, Padre e fonte d’ogni lume e d’ogni verità. „ Vi è un doppio ordine di beni o doni, che vengono da Dio: i beni dell’ordine naturale, che sono la vita, la ragione, la libertà e tutto ciò che conserva la vita e svolge le sue forze o facoltà: i beni dell’ordine sopranaturale, che sono la grazia, la fede e andate dicendo. Di quali doni scrive qui S. Giacomo? Di tutti, io credo, perché tutti provengono da Dio, ma certamente intende parlare dei sovranaturali in particolar modo, perché più eccellenti, e di questi soli ragiona nel versetto che segue. Miei cari! come i raggi della luce emanano dal sole e con essi il calore, che avviva ogni cosa sulla terra, così tutti i beni sgorgano da Dio ed incessantemente si spargono sulle anime per fecondarle, abbellirle e santificarle. Tutti i beni derivano da Dio! Ma forse, donando continuamente a tutti, Dio si muta? Forse perde alcun che dell’essere suo? Forse passa sopra di Lui un’ombra sola d’imperfezione? No, mai. Egli dà sempre e nulla perde opera sempre e non si muta, tutto muove e non si muove. Egli è come la verità: essa è sempre la stessa: conosciuta da milioni di intelligenze in vari modi e applicata in tutte le forme, è sempre la stessa in tutti i luoghi ed in tutti i secoli passati, presenti e futuri. In cielo, in terra, corpi e spiriti, intelligenze e volontà acquistano o perdono, risplendono, si eclissano e si mutano, Dio solo è immutabile. « Presso di lui, grida S. Giacomo, non vi è mutamento, non ombra di vicende. „ A noi torna difficile concepire come Dio operi sempre e disponga ogni cosa, eppure non si muti. Io vi presenterò un fatto naturale, certissimo, che ci aiuterà a concepire l’immutabilità e la continua azione di Dio. Voi sapete che la terra e gli astri tutti del nostro sistema si muovono intorno al sole. Chi li muove incessantemente? Il sole con la forza, che dicono di attrazione. E il sole è immobile nel loro centro: esso tutti li muove in ogni istante e li illumina e li riscalda sempre egualmente, ed essi si muovono sempre e sempre sono illuminati e riscaldati variamente secondo i vari punti, in cui si trovano. Così Dio è immutabile in sé e muta le cose tutte. Non comprendete il mistero? Spiegatemi come il sole immutabile nel centro muti gli astri tutti, ed io vi spiegherò come Dio immutabile nella sua natura possa mutare le cose. S. Giacomo ha detto in genere, che Dio è fonte d’ogni dono, d’ogni grazia perfetta: ora passa a menzionarne una principalissima, che ne comprende molte altre. Udite: ” Dio, così Egli, di sua volontà, ci generò con la parola di verità. „ Dio Padre, della sua stessa sostanza, da tutta l’eternità genera il Figliuol suo in ogni cosa a sé eguale: questo Figliuolo, unico come unico è il Padre, è l’immagine perfetta e sostanziale di Colui che lo genera, è l’oggetto delle eterne sue compiacenze, lo specchio, in cui contempla se stesso e si bea e si letizia. Ma piacque a Dio formarsi altri figli fuori di sè, che fossero l’immagine del Figliuol suo, che in qualche modo crescessero e rispecchiassero le sue infinite perfezioni: tra questi figli di Dio, dopo gli Angeli, sono gli uomini. – E come forma noi, poveri uomini, suoi figli? Forse ci genera della sua sostanza, come l’eterno Figliuol suo? No, sarebbe empietà il dirlo e cosa impossibile: noi siamo creati dal nulla, e chi è creato dal nulla non può essere eguale a Dio. Come dunque? Dio ci fa suoi figliuoli, non per generazione naturale, ma per adozione. Che cosa è questa adozione ? È forse come quella che avviene tra gli uomini? No: l’adozione che avviene tra gli uomini non mette nulla del padre adottante nel figlio adottato, doveché l’adozione divina mette in noi una forza, una qualità, un elemento divino. – Spieghiamoci meglio. Un pittore ritrae sulla tela una figura, uno scultore effigia sul marmo una statua: che fanno essi? Imprimono sulla tela o nel marmo una immagine: quella immagine donde la traggono? Certamente dalla loro mente, dalla loro anima. Quella immagine, pur rimanendo nella mente e nell’anima del pittore e dello scultore, si è impressa e stampata nella figura e nella statua e forma con essa una cosa sola ed è divenuta l’immagine esterna dell’immagine interna dell’artista, ed in qualche senso si può dire che la figura e la statua sono figlie dell’artista stesso e si chiamano “parto del suo genio”. Meglio ancora, o carissimi: un maestro ha intorno a sé una bella corona di figliuoli, che l’ascoltano: il maestro li istruisce a poco a poco. Non è egli vero, che il maestro, istruendo quei figliuoli, piglia le cose o verità che insegna, e mediante la parola, le viene acconciamente travasando dalla propria nella loro tenera intelligenza, senza che egli nulla ne perda? Non è egli vero, che il maestro in tal modo viene ritraendo se stesso nei discepoli, e ponendo in loro ciò che ha di più proprio in sé, cioè le sue idee, la sua mente? Non è egli vero che in quei fanciulli il maestro ritrarrà se stesso, ed essi saranno sue immagini più o meno fedeli e formeranno la sua gioia, la sua gloria? Non è egli vero che quei fanciulli in qualche senso si potranno dire del maestro, perché nello spirito formati a sua immagine? Ciò è sì vero, che i nomi di maestro e di discepolo, di padre e di figlio si scambiano, perché, se non eguali, sono somigliantissimi. – Voi ora potete alcun poco intendere la nostra adozione in figli di Dio, accennata da san Giacomo. Dio ci adotta come figli, ma non mai come un padre adotta un figlio qualunque senza comunicargli nulla del proprio: Dio fa come e più assai del pittore, dello scultore con i lavori delle loro mani, del maestro con i suoi scolari: con la parola comunica alle anime nostre le eterne verità che emanano da Lui e le stampa in esse per modo che vi restano e diventano la loro forma. Non è tutto: Dio versa nelle anime nostre la sua grazia, specialmente con i Sacramenti: essa le penetra, le investe, come l’acqua, come il calore penetrano i corpi, e le viene trasformando mirabilmente. Come sotto la mano dell’artista la figura e la statua acquistano a poco a poco la forma da lui vagheggiata, e sotto la parola e l’azione del maestro i fanciulli acquistano la fisionomia intellettuale e morale da lui voluta, così sotto la luce della verità evangelica, annunziata dalla Chiesa, e sotto l’azione della grazia interna che Dio largisce in tanti modi, l’anima riceve l’immagine, i lineamenti di Gesù Cristo medesimo, divien simile a Lui, e si dice ed è figlio di Dio: “Ut filii Dei nominemur et simus”. – Questa adozione, generazione o rigenerazione, che Dio opera in noi, è il capolavoro della sua sapienza, è la sua gloria più bella fuori di sé, e qui S. Giacomo la chiama volontaria — “Voluntarie genuit nos verbo veritatis”,— per distinguerla dalla naturale, necessaria ed eterna, con la quale Dio Padre produce il suo Figliuolo unigenito. La nostra adozione in figli di Dio è dono della bontà sua, tutto suo dono, giacche a tanto onore non aveva diritto di sorta la nostra natura, né potevamo avere ombra di merito. È dunque nostro dovere riconoscere l’alto beneficio ricevuto, ringraziare Iddio e mostrare la nostra gratitudine con la più fedele corrispondenza. Dio, con la predicazione evangelica, ci ha chiamati alla dignità di suoi figliuoli, ed in tal modo, continua S. Giacomo, ci ha fatto l’onore insigne d’essere la primizie dell’opera sua, cioè della sua Chiesa: “Ut simus initium aliquod creatura ejus”. Tutte le cose che esistono in cielo ed in terra sono opere della mano di Dio, perché d’ogni cosa Egli è Creatore; ma quelle creature si dicono specialmente sue, nelle quali più bella e più perfetta riluce la sua immagine e somiglianza: tali sono in cielo gli Angeli e sulla terra gli uomini, che mercé il Battesimo fanno parte dell’ovile, della famiglia di Gesù Cristo, che è la Chiesa. Questa è la sposa di Gesù Cristo, che Gli genera i suoi figli, ed è l’opera sua per eccellenza. I Cristiani ai quali S. Giacomo scriveva, erano entrati per primi in questa Chiesa, primi dei suoi figli, e perciò meritatamente si dicono principio o primizie della sua conquista. Seguitiamo il commento. “Intendetelo bene, o fratelli diletti.„ Con queste parole l’apostolo richiama l’attenzione dei suoi lettori, e fa conoscere che la cosa che vuol dire è di grande importanza, e lo è veramente nella vita pratica. Sopra, nel quinto versetto di questo capo, S. Giacomo esorta i Cristiani a fare acquisto della verace sapienza con l’esercizio della preghiera e della pazienza nelle tentazioni: e qui passa, se ben vedo, a dare tre ammonimenti, che valgono non poco a far tesoro della sapienza: “Ogni uomo sia pronto ad udire, tardo a parlare e lento all’ira. „ Il mezzo più spedito e sicuro per apprendere qualunque scienza e la scienza stessa delle cose divine, egli è di ascoltare quelli che la insegnano. Senza dubbio il leggere i libri che ne trattano o il meditare da sé le cose, sono mezzi utilissimi per apprendere; ma non tutti hanno tempo, ingegno e volontà ferma per studiare sui libri e meditare da sé e giungere con sicurezza e presto, per queste vie, al conoscimento della verità, mentrechè tutti possono ascoltare chi le annunzia e impararle con facilità e senza pericolo di errare. Gesù Cristo, volendo ammaestrare tutti gli uomini nelle verità della fede, non disse agli Apostoli ed ai discepoli: “andate, scrivete, dettate libri”, ma disse: “Andate, predicate, ammaestrate!” — E S. Paolo ci fa sapere che la fede viene dall’udito, cioè dalla parola predicata. È questo il mezzo per eccellenza che genera e nutre la fede nelle anime nostre, la parola di Dio. Sia dunque ognuno di voi pronto ad udire quelli che per ufficio vi ammaestrano. La scuola delle verità celesti è sempre aperta a tutti, ed è questa Chiesa; noi, che abbiamo il dovere di annunziarle, faremo del nostro meglio per adempirlo, e voi venite sempre e prontamente ad udirle. Che se dobbiamo essere pronti ad udire, secondo l’Apostolo, dobbiamo essere tardi a parlare. — Perché questa differenza tra l’udire e il parlare? Perché con l’udire riceviamo la verità, con il parlare la partecipiamo altrui, e prima di comunicare ad altri ciò che abbiamo appreso, si richiede che lo meditiamo attentamente, ed il conoscimento della nostra miseria ci persuade a preferire d’essere discepoli anziché farci maestri, come di sé scriveva sant’Agostino: “Io amo piuttosto imparare che insegnare — Ego plus amo discere quam ducere(Quæst. ad Ducitium). Di Maria non si legge che mai insegnasse se non con l’esempio, e si dice per contrario che ascoltava le parole di Gesù e le meditava in cuor suo: “Conservabat omnia verba hæc in corde suo” (Luca II, 51). Che più? Gesù, che venne per ammaestrarci, tacque fino ai trent’anni, e parlò solo per tre anni. La stessa natura, avverte S. Basilio, fa che dobbiamo essere pronti più ad udire che a parlare, perché se ci ha dato due orecchi, non ci ha dato che una sola lingua (De Verginitate), e il molto favellare non è senza colpa, è indizio d’animo leggero e stolto (Multum loqui stultitia est. S. Bernardus, De Interiori dono, c. 50), e recherà danno a se stesso. “Ognuno sia lento all’ira.„ Forse questa espressione si deve collegare con la antecedente in questa forma: Se vuol essere lento all’ira sia tardo a parlare —, e il senso è buono, perché generalmente è la lingua, come più innanzi dice ancora S. Giacomo, come una scintilla che appicca l’incendio, che è fonte funesta d’ogni male, che sparge un veleno mortifero. Ma questa sentenza si può pigliare anche separatamente e, in tal caso, essa suppone che talvolta si possa secondare anche l’ira, volendo soltanto l’Apostolo che siamo lenti, onde sta scritto: Sdegnatevi, ma non peccate —, cioè sdegnatevi contro il male, ma in guisa che non pecchiate, conservando sempre il pieno dominio sopra di voi stessi. S. Tommaso spiega assai bene questo luogo. Conviene distinguere, secondo il santo dottore, ira da ira. V’è un’ira che previene la ragione, che spinge ad operare senza riflettere, seguendo la passione, e questa è riprovevole, perché operare senza la guida della ragione, non è da uomo, ma da bruto; ma vi è un’ira, che è voluta, che è quasi un aiuto della ragione per operare, ne accresce le forze, e questa è buona; nobile è la santa indignazione, che proviamo alla vista del delitto, è lo zelo dei profeti, degli uomini di Dio, è quella ch’ebbe Cristo medesimo, del quale si dice nel Vangelo che un giorno, vedendo la perfidia dei Farisei, li guardò con ira: “Circumspexit eos cum ira” (S. Thom. p. 3, q. 15, a. 9). Non sia mai, o dilettissimi. che noi ci lasciamo strappare di mano le redini della ragione e ci rendiamo schiavi neppure per un istante della brutta passione, che è l’ira. Essa stia sempre ai cenni della ragione e a lei non comandi, ma obbedisca, come il destriero ubbidisce al cavaliere. L’uomo, dice lo Spirito Santo, che raffrena l’ira, è più grande del conquistatore, perché vince se stesso.“Il perché, smessa ogni bruttura e malvagità, accogliete docilmente la parola seminata in voi, la quale può salvare le anime vostre: „ è questa l’ultima sentenza della nostra epistola. Dopo avere esortato i fedeli a stare in guardia contro l’ira, S. Giacomo li esorta in genere a bandire da sé qualunque passione, la gola, la lussuria, l’avarizia, l’invidia, comprese tutte in quella parola “ogni bruttura, omnem immundìtiam, ogni malvagità, che ribocca, et abundantìam malitiæ.„ E mondato il cuore, nettata l’anima di quelle sozzure, che devono essi fare? Allorché un vaso è purgato d’ogni feccia, lo si può riempire d’ogni liquore che sia buono: così devesi fare del vaso del nostro cuore. Purificato da tutte le immondezze dei peccato e delle passioni che lo insozzavano, con docilità di spirito e con amore, riceviamo e custodiamo in esso la verità e la grazie che sole possono salvare le anime nostre. La mente sia vuota dell’errore e ripiena di verità: il cuore sia sgombro d’ogni affetto sregolato e, come una coppa d’oro, vi accolga il preziosissimo liquore dell’amore divino.

Alleluja

Allelúja, allelúja

Ps CXVII:16. Déxtera Dómini fecit virtútem: déxtera Dómini exaltávit me. Allelúja [La destra del Signore operò grandi cose: la destra del Signore mi ha esaltato. Allelúia.]

Rom VI:9 Christus resúrgens ex mórtuis jam non móritur: mors illi ultra non dominábitur. Allelúja. [Cristo, risorto da morte, non muore più: la morte non ha più potere su di Lui. Allelúia]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Joánnem.

Joannes XVI:5-14 In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Vado ad eum, qui misit me: et nemo ex vobis intérrogat me: Quo vadis? Sed quia hæc locútus sum vobis, tristítia implévit cor vestrum. Sed ego veritátem dico vobis: expédit vobis, ut ego vadam: si enim non abíero, Paráclitus non véniet ad vos: si autem abíero, mittam eum ad vos. Et cum vénerit ille, árguet mundum de peccáto et de justítia et de judício. De peccáto quidem, quia non credidérunt in me: de justítia vero, quia ad Patrem vado, et jam non vidébitis me: de judício autem, quia princeps hujus mundi jam judicátus est. Adhuc multa hábeo vobis dícere: sed non potéstis portáre modo. Cum autem vénerit ille Spíritus veritátis, docébit vos omnem veritátem. Non enim loquétur a semetípso: sed quæcúmque áudiet, loquétur, et quæ ventúra sunt, annuntiábit vobis. Ille me clarificábit: quia de meo accípiet et annuntiábit vobis.

Omelia

[ut supra, omelia XXII]

“Ora vado a chi mi ha mandato, e nessuno di voi mi chiede: Dove vai tu? Ma perché vi ho dette queste cose, la tristezza ha ricolmo il vostro cuore? Ma io vi dico la verità: è bene per voi che Io me ne vada, perché se Io non sarò andato, il Paraclito non verrà a voi; se partirò, ve lo manderò. E allorché Egli sarà venuto, convincerà il mondo di peccato, di giustizia e di giudizio. Di peccato, perché non credettero in me; di giustizia, perché vado al Padre e già più non mi vedrete. In fine di giudizio, perchè il principe di questo mondo è già giudicato. Molte altre cose ho ancora a dirvi, ma per ora non ne siete capaci. Ma quando sarà venuto quegli, lo Spirito di verità, vi guiderà in ogni verità , perché non parlerà da se stesso, ma dirà quanto avrà udito e vi annunzierà le cose future. Egli mi glorificherà, perché riceverà del mio e lo annunzierà a voi. Quanto ha il Padre è mio, perciò ho detto che prenderà del mio e ve lo annunzierà „ (S. Giov. XVI). Anche questo tratto del Vangelo, come quello che vi spiegai la Domenica passata, è tolto da quel magnifico discorso dell’ultima cena e precisamente da quella parte di discorso, che Gesù tenne lungo la via dal cenacolo al Getsemani. L’argomento versa sulla necessità che Gesù se ne vada al Padre e mandi lo Spirito Santo, e tocca ciò che farà lo Spirito Santo allorché sarà venuto. Di qui potete comprendere quanto opportunamente la Chiesa ci metta innanzi queste parole di Gesù Cristo agli Apostoli: esse ci devono preparare a celebrare santamente la Pentecoste, alla quale siamo vicini. – Gesù Cristo, dopo avere ammoniti gli apostoli della prova terribile imminente, che era la sua morte si crudele: dopo aver loro predette le più feroci persecuzioni da parte degli uomini, affinché, quando fossero venute, se ne ricordassero e si confortassero, prosegue e dice: “Ora vado a chi mi ha mandato. „ Con queste parole, più volte ripetute, Gesù Cristo esprime tutto insieme la sua morte, la sua risurrezione e la sua ascensione al cielo, e specialmente  questa come termine ultimo della sua missione sulla terra, e come quella che lo separava sensibilmente dagli Apostoli, che voleva consolare. Dette queste parole, benché il Vangelo non lo dica, è da credere che il divin Maestro con breve pausa interrompesse il suo discorso aspettando che gli Apostoli domandassero qualche schiarimento e gli chiedessero, com’è naturale, dove se ne andasse (Nel capo XIII, 36 di questo Vangelo S. Pietro fece precisamente questa domanda a nostro Signore: “Signore,dove vai? „ E nostro Signore rispose: ” Dove Io vo, tu non puoi venire: verrai dopo. „ Come dunque qui Gesù Cristo si meraviglia e quasi si lagna che nessuno gli dica: Dove vai? Evidentemente tra la prima domanda di Pietro e la risposta di Cristo e quest’ultima domanda di Cristo dovette passare un certo tempo). Ma quelli afflitti, costernati, tacevano. Allora Gesù soggiunse: “Nessuno di voi mi chiede: Dove vai tu? Ma perché vi ho dette queste cose, cioè, che soffrirete grandi tribolazioni dopo che Io me ne sarò andato, voi siete sopraffatti dalla tristezza. „ È un linguaggio tutto spirante bontà, compatimento e calma divina quando si considera che usciva dalla bocca di chi sapeva con tutta certezza trovarsi al principio della sua passione e a pochi passi dal Calvario e dalla croce, sulla quale venti ore appresso doveva essere confitto. – Gesù, vedendo gli Apostoli muti, sconfortati e ripieni di tristezza, per consolarli, con accento di sicurezza e di sovrana autorità, ripigliò: ” Io vi dico la verità. „ Che fu un dire: “Ponete ben mente alle mie parole e il pensiero della imminente mia dipartita non vi affligga di soverchio: perché è bene per voi ch’Io me ne vada: Expedit vobis ut ego vadam, „ Voi non dovete cercare ciò che vi piace e vi diletta, voleva dire Cristo, ma si quello che giova; ora Io vi dico che a voi giova ch’Io vi lasci e me ne vada al Padre mio. — Come mai ciò, o divino Salvatore? Vedere voi e le opere vostre: udire le vostre parole, parole di verità e di vita, non è il sommo dei beni che possiamo avere? Stare con voi, possedere voi, toccare voi non è stare, non è possedere, non è toccare l’Uomo-Dio, la vita stessa? Come dunque potete dire che è bene per noi che ci lasciate? Voi ci diceste un giorno: “Beati gli occhi che vedono le cose che voi vedete, che ascoltano le cose che voi ascoltate: molti re e profeti desiderarono di vedere ed udire ciò che voi vedete ed udite, e non le videro e non le udirono”, ed ora ci dite che sarà meglio per noi non vedervi, ne udirvi? Spiegatevi, o divino Maestro. — E si spiega e risponde nettamente così: ” S’Io non sarò andato, il Paraclito non verrà a voi: se poi me ne andrò, ve lo manderò.  Non vi è dubbio alcuno: qui Gesù Cristo parla della venuta dello Spirito Santo, chiamato Paraclito, che vuol dire consolatore o avvocato, e che doveva tenere il luogo di Gesù Cristo stesso, continuarne e compirne l’opera. Ora qual rapporto esiste tra l’andata di Cristo al cielo e la venuta dello Spirito Santo? Perché la venuta di questo era legata alla partenza di quello, e legata per modo che l’una esclude l’altra: “S’Io non sarò andato, il Paraclito non verrà a voi”? — Spiegando questo luogo del Vangelo, i Padri e gli interpreti ci danno parecchie ragioni, che riduco a due principali. Nessuno può mettere in dubbio che Gesù Cristo avrebbe potuto dare lo Spirito Santo agli Apostoli con tutta la pienezza, anche rimanendo sulla terra. Chi oserebbe negarlo? Ma era sua volontà che la venuta dello Spirito Santo sopra gli Apostoli e la piena loro trasformazione fosse l’ultimo frutto e come il culmine supremo della redenzione, ed il principio solenne della Chiesa e della sua vita in essa. – “Era dunque necessario, osserva S. Tommaso, che questa venuta dello Spirito Santo seguisse!” dopoché Cristo aveva compiuta la sua missione terrena con la Ascensione. Ritirandosi Egli dalla terra in modo visibile, doveva sottentrare, con la sua azione, lo Spirito Santo (S. Tommaso, p. 3. q. 57, a. 6). – Vi è anche un’altra ragione, toccata da molti e che è connessa con quella or’ora esposta, ed è questa: perché lo Spirito Santo potesse entrare con tutta la sua pienezza negli Apostoli, occorreva che la loro fede fosse ravvivata, e purificato perfettamente il loro cuore da ogni affetto che non fosse al tutto spirituale. Essi credevano fermamente in Gesù Cristo dopo la prova splendidissima della sua risurrezione; ma finché la loro fede aveva una prova palpabile nella vista di Gesù Cristo risorto era una fede, diciamo così, appoggiata un poco ai sensi: doveva elevarsi ancora e diventare affatto spirituale, appoggiandosi tutta all’autorità della parola del divino Maestro, e questo avvenne allorché Gesù Cristo tolse loro la vista della sua umana natura con l’Ascensione, avverandosi anche in loro ciò che disse a Tommaso: “Beati quelli che non hanno veduto ed hanno creduto. „ Similmente avvenne del loro affetto verso di Gesù Cristo; Lo amavano teneramente, ardentemente mentre Lo vedevano ed udivano; e come non avrebbero amato Lui sì buono, sì dolce, perfetto? Ma l’amor loro era come quello dei figli verso la madre: nella vista, nella parola di Gesù Cristo trovava un alimento santo sì, ma alcun poco sensibile: doveva trasformarsi in amore tutto puro e spirituale e, perché divenisse tale, conveniva fosse loro levata la vista dell’umanità di Gesù e Lo amassero invisibile, per sola e viva fede, e allora le loro menti e i loro cuori sarebbero fatti stanza degna di ricevere lo Spirito Santo in tutta la copia dei suoi doni. Sono queste le ragioni per le quali Gesù Cristo dice agli Apostoli quelle parole: “È bene per voi ch’Io me ne vada: perché se non sarò andato, il Paraclito non verrà a voi: se Io me n’andrò, lo manderò a voi. „ – E notate quella parola: ” Lo manderò a voi. „ Chi manderò a voi? Lo Spirito Santo, la terza Persona dell’augusta Trinità, ma come lo manderò? Non certo come  uomo, ma sì come Dio. Ma come Dio, Gesù Cristo, manda lo Spirito? Senza dubbio: come la Scrittura dice che il Padre manda il Figlio, così il Padre e il Figlio mandano lo Spirito Santo. E in qual senso si ha da intendere questo mandare del Padre e del Figlio? Per fermo non dovete credere che il Padre mandi il Figlio e il Padre e il Figlio mandino lo Spirito Santo come un superiore manda l’inferiore, un re il suo ministro, con movimento materiale, che sarebbe ridicolo ed empio, parlandosi di Persone, eguali, aventi la stessa sostanza e perciò egualmente infinite. Il Padre manda il Figlio in quantoché lo genera da sé “ab eterno“, e il Padre e il Figlio mandano lo Spirito Santo in quantochè lo producono: l’origine del Figlio dal Padre è detta missione eterna, ed eterna missione è pur l’origine dello Spirito Santo dal Padre e dal Figlio: la Persona divina poi, che ha l’origine o la missione eterna da un’altra Persona, si dice dalla medesima mandata anche esternamente, allorché esternamente si manifesta, perché la missione esterna segue l‘interna od eterna e ne è, per così dire, l’eco fedele, il riflesso visibile. E allorché questo Spirito Santo promesso sarà venuto, che cosa farà? Convincerà il mondo di peccato, di giustizia e di giudizio. E che vogliono dire queste tre cose? Gesù Cristo medesimo si compiacque spiegarle: “Convincerà il mondo di peccato, „ cioè mostrerà che gli uomini, Ebrei e Gentili, ostinati nei loro errori, si resero rei d’un gran delitto, rifiutando fede a Gesù Cristo. È vero: la venuta dello Spirito Santo, che produce la trasformazione miracolosa degli Apostoli, che fonda la Chiesa e per mezzo della Chiesa perennemente annunzia all’universo la vita, i miracoli e la divinità di Gesù Cristo, è la condanna continua del mondo, è la prova, il grido incessante della fede, che predica sempre e da per tutto il delitto orrendo commesso dai figli d’Israele e il peccato di quanti a Gesù Cristo non ubbidiscono. Che altro è la Chiesa, se bene si considera, se non il testimonio indistruttibile della divinità di Gesù Cristo, del deicidio degli Ebrei e della ostinazione di quanti non credono in Lui? Ma non solo lo Spirito Santo, per mezzo della Chiesa, mette in luce il peccato del mondo, esso lo convince “di giustizia”, perché, dice Gesù Cristo, “Io me ne vo al Padre e non mi vedrete più. „ È una sentenza che fu variamente intesa e presenta non poche difficoltà: nondimeno l’interpretazione più naturale sembra questa: Gesù fu messo a morte come un malfattore, un falso profeta, un ribelle, anzi come un empio sacrilego, che osava dichiararsi Figlio di Dio: Gesù morì sotto il peso dei più orribili delitti appostigli e della morte più crudele che si possa immaginare: ecco il fatto pubblico, attestato dal Vangelo. Ma Gesù risorse: Gesù coronò la sua vita con l’Ascensione gloriosa in cielo: mandando lo Spirito Santo fondò la Chiesa, la più meravigliosa creazione della sua onnipotenza, che attraversa i secoli e riempie lo spazio, celebrando da per tutto le glorie di Gesù Cristo. La risurrezione pertanto, l’Ascensione di Gesù Cristo e sopra tutto la fondazione della Chiesa che crede in Gesù Cristo, spera in Lui, l’ama e l’adora senza vederlo, è la riparazione più grande dell’ingiustizia commessa contro di Lui, e perciò il mondo è convinto di giustizia, ossia è costretto a riconoscere la giustizia, che è resa a Cristo. In altre parole e più chiare: lo Spirito Santo mostrò che il mondo errò nella giustizia, attribuendola a chi non si doveva, e negandola a Cristo, cui si doveva. – Finalmente lo Spirito Santo convincerà il mondo  “di giudizio, perché il principe di questo mondo è già giudicato. „ Questo principe del mondo indubbiamente è satana, che prima di Cristo vi esercitò largamente e quasi senza contrasto la sua tirannica signoria: con la sua morte Gesù Cristo lo sconfisse e conquise, e con Lui e per Lui comincia la resurrezione dell’umanità. Il mondo dopo Cristo e dopo la venuta dello Spirito Santo e lo stabilimento della Chiesa, che è la stessa cosa, comincia a vedere la caduta degli idoli, la distruzione del paganesimo, la rovina, in una parola, del regno di satana, l’eseguimento della sentenza di Cristo: “Ora il principe di questo mondo è cacciato fuori”. – Ben è vero che questa cacciata del regno di satana, questo abbattimento del suo regno non è compiuto, ma è cominciato e prosegue, e il giudizio o la sentenza fulminata da Cristo, il mondo la può vedere in gran parte eseguita. “Molte cose, Cristo continua il suo discorso, ho a dirvi ancora, ma ora non ne siate capaci. „ Gesù Cristo come sapientissimo maestro, temperò sempre il suo insegnamento secondo la capacità degli Apostoli. Dio creatore e conservatore fa tutto gradatamente, seguendo la evoluzione naturale: Dio redentore opera allo stesso modo nell’ordine della grazia, e perciò Gesù Cristo non disse tutto ai suoi Apostoli da principio, ma quel solo di cui erano capaci. Ed è questa l’economia bellissima, che Dio continua nella sua Chiesa: Egli le ha affidato l’intero deposito delle verità rivelate: ma molte di queste, che erano come in germe, si svolgono a mano a mano sotto l’azione dello Spirito Santo e, secondo i tempi e le circostanze, risplendono di maggior luce fino ad ottenere il suggello della definizione. Ora, diceva Cristo, continuando il suo cammino, certe verità non le comprendete: non turbatevi: “Quando sarà venuto quegli, che è lo Spirito di verità, vi guiderà al conoscimento d’ogni verità „ per voi necessaria. Noi giungiamo al conoscimento della verità con lo studio, con l’ascoltare i maestri, col meditare: gli Apostoli vi giunsero guidati dallo Spirito Santo, rischiarati dalla sua luce, che disceso sopra di loro il dì delle Pentecoste, non li abbandonò più mai e li accompagnò in tutte le vicende della fortunosa loro vita. Questo Spirito di verità, che guidò gli Apostoli, guida e muove la Chiesa e non cesserà mai di scorgerla in mezzo alle lotte e alle prove, alle quali è sottoposta sulla terra. Gesù Cristo dice che lo Spirito Santo guiderà gli Apostoli al conoscimento d’ogni verità. Forseché lo Spirito Santo insegnò agli Apostoli le scienze matematiche, fisiche, astronomiche e andate dicendo? No sicuramente: Gesù Cristo non parlò mai di queste scienze umane, ma solo delle cose che riguardano Dio e la salvezza delle anime: Egli venne non per farci matematici e filosofi, dice un Padre, ma per farci suoi discepoli: non per dirci come è fatto il cielo, ma per insegnarci la via che vi conduce. Similmente lo Spirito Santo e la Chiesa dallo Spirito Santo guidata, non ha la missione di insegnare le scienze umane o di pronunciare sentenza sopra di esse direttamente: la sua missione è quella di Gesù Cristo stesso, condurre le anime al conoscimento delle verità necessarie alla salvezza. Delle altre non si occupa o solo indirettamente per illustrare o difendere il deposito sacro della fede. – Lo Spirito Santo guiderà gli Apostoli al conoscimento d’ogni verità, “perché non parlerà da se stesso. „ Come ciò? Lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio e perciò tutto riceve da loro, onde tutto ciò che dirà od insegnerà agli Apostoli ed alla Chiesa viene dal Padre e dal Figlio e non può che ripetere che l’insegnamento stesso di Cristo, ossia, come dice Cristo stesso, “non può dire che ciò che ascolta o riceve da me e dal Padre. „ In queste parole pertanto Gesù Cristo in termini afferma che lo Spirito Santo procede da Lui, perché da Lui riceve la scienza, e ricevere la scienza è ricevere l’essenza, come insegna S. Agostino (Tract. 99). Vedo una difficoltà che si può fare, ed è questa: Gesù Cristo dice che lo Spirito Santo riceverà la scienza da Lui, in futuro: non può dunque intendersi della essenza che Egli riceve, perché questa è eterna e immanente: è dunque forza riferirla a quella scienza che lo Spirito Santo più tardi comunicherà agli Apostoli. – Nella spirazione dello Spirito Santo non v’è né futuro, né passato, ma tutto è presente, perché tutto è eterno, ma la Scrittura, adattandosi alla umana debolezza, usa ora il futuro, ora il passato anche per indicare il presente: qui poi usa il futuro perché l’opera dello Spirito Santo, ossia la scienza ch’Egli comunicherà agli Apostoli, benché la riceva in modo immanente e presente, si manifesterà quanto a noi nel futuro. E lo Spirito Santo, che vi ammaestrerà, ossia vi darà la scienza, che da me riceve con la sostanza, “vi annuncerà le cose future, „ dice Gesù Cristo. Egli vi farà conoscere le cose che avverranno a voi, secondo il bisogno, e vi farà conoscere soprattutto le verità eterne, i beni futuri, che un giorno possederete. “Egli, lo Spirito Santo, glorificherà me, perché piglierà del mio e ve lo annunzierà. „ Lo Spirito Santo illustrerà le vostre menti, vi farà conoscere la mia dottrina e la mia Persona, spanderà nelle anime vostre ogni abbondanza di grazia, e perciò renderà glorioso il mio nome sulla terra. L’opera dello Spirito Santo mostrerà la mia gloria, perché ciò ch’Egli fa, lo fa per me, e lo fa per me, perché riceve l’essenza da me com’Io la ricevo dal Padre. Qui pure Gesù Cristo in modo chiaro stabilisce, che lo Spirito Santo procede da Lui come procede dal Padre, affermando, ch’esso riceve del suo: ora una Persona divina che può mai ricevere da un’altra Persona, se non l’origine e la sostanza divina, e con essa ogni cosa? Il perché questa sola sentenza di nostro Signore basterebbe a mostrare la nostra fede nella processione dello Spirito Santo anche dal Figlio, verità che i Greci, nostri fratelli erranti, ostinatamente negano. Ho terminato il mio commento e la mia omelia, benché gli ultimi due versetti, che racchiudono il dogma della processione dello Spirito Santo anche dal Figlio, avrebbero richiesto una spiegazione più larga e più completa; ma la legge della discrezione me lo vieta.

Credo

Offertorium

Orémus Ps LXV:1-2; LXXXV:16

Jubiláte Deo, univérsa terra, psalmum dícite nómini ejus: veníte et audíte, et narrábo vobis, omnes qui timétis Deum, quanta fecit Dóminus ánimæ meæ, allelúja. [Acclama a Dio, o terra tutta, canta un inno al suo nome: venite e ascoltate, tutti voi che temete Iddio, e vi narrerò quanto il Signore ha fatto all’anima mia, allelúia.]

Secreta

Deus, qui nos, per hujus sacrificii veneránda commércia, uníus summæ divinitátis partícipes effecísti: præsta, quaesumus; ut, sicut tuam cognóscimus veritátem, sic eam dignis móribus assequámur. [O Dio, che per mezzo degli scambi venerandi di questo sacrificio ci rendesti partecipi dell’unica somma divinità: concedici, Te ne preghiamo, che come conosciamo la tua verità, così la conseguiamo mediante una buona condotta.]

Communio

Joann XVI:8

Cum vénerit Paráclitus Spíritus veritátis, ille árguet mundum de peccáto et de justítia et de judício, allelúja, allelúja. [Quando verrà il Paràclito, Spirito di verità, convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio, allelúia, allelúia.]

Postcommunio

Orémus.

Adésto nobis, Dómine, Deus noster: ut per hæc, quæ fidéliter súmpsimus, et purgémur a vítiis et a perículis ómnibus eruámur. [Concédici, o Signore Dio nostro, che mediante questi misteri fedelmente ricevuti, siamo purificati dai nostri peccati e liberati da ogni pericolo.]

NESSUNO PUO’ SALVARSI AL DI FUORI DELLA CHIESA ROMANA

Pio IX: Nessuno si può salvare al di fuori della Chiesa romana 

Fonte: “IL DOGMA CATTOLICO”

Di Michael Müller, C.SS.R
New York, Cincinnati e Chicago:
FRATELLI BENZIGER

Stampatori per la Santa Sede Apostolica
Permissu Superiorum, 1888 d. C.

In un’allocazione tenuta da Pio IX. il 9 dicembre 1854, Sua Santità dice: “Non è senza dolore che abbiamo saputo di un altro, non meno pernicioso errore, che è stato diffuso in diverse parti dei paesi cattolici, ed è stato fatto proprio da molti cattolici, che sono dell’opinione che coloro che non sono membri della vera Chiesa di Cristo possano essere salvati. Quindi discutono spesso la questione riguardante il futuro destino e la condizione di coloro che muoiono senza aver professato la fede cattolica, e danno le ragioni più futili a sostegno della loro cattiva opinione …

È davvero di fede che nessuno può essere salvato al di fuori della Chiesa Apostolica Romana, che è l’unica arca della salvezza, e che colui che non è entrato in essa, perirà nel diluvio”.

Nella sua Lettera Enciclica, Quanto conficiamur, datata 10 agosto 1863, Papa Pio IX dice: “Devo menzionare e condannare di nuovo quel più pernicioso errore in cui vivono alcuni cattolici, che sono dell’opinione che quelle persone che vivono nell’errore e non hanno la vera fede, e siano separate dall’unità cattolica, possano ottenere la vita eterna. Ora questa opinione è molto contraria alla fede cattolica, come è evidente dalle semplici parole di Cristo: “.. Se non ascolterà la Chiesa, sia per te come un pagano e un pubblicano”. Matt. XIII, 17; colui che non crede, sarà condannato. “Marco, XVI, 16: “Colui che ti disprezza, disprezza me; e colui che mi disprezza, ha disprezzato Colui che mi ha mandato “. Luca, X, 16:” Colui che non crede, è già giudicato”. Giovanni, III. 18; “È di fede che, poiché c’è un solo Dio, così anche c’è una sola fede e un solo Battesimo. Andare al di là di questo nelle nostre dichiarazioni significa essere empi. ” (Allocuzione, 9 dicembre 1854.)

Il 18 giugno 1871, papa Pio IX, rispondendo a una delegazione francese guidata dal vescovo di Nevers, disse: “Figli miei, le mie parole devono esprimervi ciò che ho nel cuore. Ciò che affligge il vostro paese e gli impedisce di meritare le benedizioni di Dio, è la mescolanza di principi di cui ora parlerò e che non mi da pace. Ciò che temo non è la Comune di Parigi, quegli uomini miserabili, quei veri demoni dell’inferno che vagano sulla faccia della terra – no, non la Comune di Parigi temo; quello che temo è il cattolicesimo liberale…. L’ho detto più di quaranta volte, e ve lo ripeto ora, per l’amore che vi porto. La vera piaga della Francia è il cattolicesimo liberale, che si sforza di unire due principi, che si ripugnano l’un l’altro come il fuoco e l’acqua. Figli miei, vi scongiuro di astenervi da quelle dottrine che vi stanno distruggendo … se questo errore non viene fermato, porterà alla rovina della religione e della Francia”. In un breve, datato 9 luglio 1871, a Mons. De Segur, il Santo Padre dice: ” Non sono solo le sette infedeli che stanno cospirando contro la Chiesa e la Società che la Santa Sede ha spesso rimproverato, ma anche quegli uomini che, pensando di agire in buona fede e con rette intenzioni, sbagliano nel carezzare le dottrine liberali“. Il 28 luglio 1873, Sua Santità si espresse ancora così: “I membri della Società Cattolica di Quimper non corrono certo il rischio di essere allontanati dalla loro obbedienza alla Sede Apostolica dagli scritti e dagli sforzi dei nemici dichiarati della Chiesa, ma possono scivolare giù per il pendio di quelle cosiddette opinioni liberali che sono state adottate da molti cattolici, per altro onesti e devoti, che, per l’influenza del loro carattere religioso, possono facilmente esercitare un potente ascendente sugli uomini, e portarli ad Opinioni molto perniciose. Dì, dunque, ai membri della Società Cattolica, che nelle numerose occasioni in cui abbiamo censurato coloro che hanno opinioni liberali, non intendevamo quelli che odiano la Chiesa, che sarebbe stato cosa inutile da riprovare, ma piuttosto quelli che abbiamo appena descritto: quegli uomini preservano e alimentano il veleno nascosto dei principi liberali, che hanno succhiato come latte della loro educazione, facendo finta che quei principi non siano infetti dalla malizia, e non possano interferire con la religione; così instillano questo veleno nella mente degli uomini e propagano i germi di quelle perturbazioni con le quali il mondo è stato a lungo oppresso “.

(Una vero est fidelium universalis Ecclesia, extra quam nullus omnino salvatur)

Una, è la Chiesa universale dei fedeli, fuori dalla quale nessuno assolutamente si salva …”

– (Quarto Concilio Lateranense,  1215, Costit. I: De fide Catholica) –

ESERCIZIO SPIRITUALE PER LA MATTINA

ESERCIZIO SPIRITUALE

Per la Mattina.

DEL S. PONTEFICE INNOCENZO XI.

Approvato Dalla Sacra Congregazione dei Riti

[Via del Paradiso, 3a Ed. in Siena, 1823, presso Onorio Porri]

Appena svegliato.

Gesù mio, Signor mio, e Dio mio, vi adoro, vi ringrazio, e vi amo; in nome del Padre, etc.

Prendete l’acqua benedetta, e segnatevi la fronte, la bocca, e il petto, dicendo:

Gesù mio Crocifisso, purificate i miei pensieri, le mie parole e le opere mie.

Per il segno della Santa Croce liberatemi, Signore, dai miei nemici visibili, e invisibili.

Nel vestirvi.

Spogliate il mio cuore da ogni impurità, e rivestitelo, o mio Dio, del candore della innocenza.

Volgetevi al SS. Sacramento della chiesa a voi più vicina.

Vi adoro, e vi ringrazio ogni momento, o vivo Pan del Ciel gran Sacramento,

Disponetevi poi alla Preghiera della mattina con la seguente:

Preparazione di S. Bonaventura.

Signore, che purificate i cuori dei peccatori, quando vi piace, purificate talmente il mio, acciò vi preghi in questo giorno e sempre, con tutta l’attenzione e fervore possibile; e se io soffrirò qualche distrazione, abbiate pietà di me, e con la vostra grazia aiutatemi a correggere i miei difetti. Non permettete che io vi adori e vi preghi con la bocca solamente, né che il mio spirito si smarrisca, ma allontanate da me per vostra misericordia quanto potrebbe dispiacervi nelle preghiere, che devoto vi umilio.

Prendete l’Acqua benedetta.

Lavatemi, o Signore, con quest’acqua, che trae la sua virtù dal Sangue di Gesù Cristo, e l’anima mia diverrà bianca come la neve.

In Nome del Padre, e del Figliuolo, e dello Spirito Santo. Amen.

Per la Mattina.

Io vi adoro, Dio mio, Santissima Trinità, Padre, Figliuolo, e Spirito Santo, tre Persone, e un Dio: io e con l’aiuto vostro, che supplichevole imploro, mi umilio nell’abisso del mio niente sotto il cenno della Maestà Vostra.

Vi credo fermissimamente, e porrei mille vite per testificare quello che vi siete degnato di farci sapere, per mezzo della sacra Scrittura e della vostra santa Chiesa.

Pongo ogni mia speranza in Voi,  e quanto posso aver di bene, tanto spirituale, quanto temporale, così in questa vita come nell’altra, tutto lo desidero e spero, e voglio solo dalle vostre mani, Dio mio, vita mia, e sola speranza mia.

A Voi consegno per oggi e per sempre il corpo, e l’anima mia, le mie potenze, Memoria, Intelletto, e Volontà, e tutti i sentimenti miei.

Mi protesto, che non consento, né sono per consentire, quanto è in me, a cosa, che sia di minima offesa della Maestà Vostra.

Propongo fermamente d’impiegarmi con tutto l’esser mio al servizio, e alla gloria vostra. – Son pronto a pigliare qualunque pena mi verrà dalle vostre mani, per darvi gusto. – Vorrei tutto impiegarmi, acciocché la Maestà Vostra fosse servita, glorificata, ed amata da tutti gli uomini del Mondo.

Godo sommamente della vostra eterna felicità, e mi rallegro, che siate tanto glorioso in Cielo e in terra. Vi ringrazio infinitamente dei benefici che io e tutto il mondo abbiamo ricevuti, e che riceveremo dalla Vostra Maestà. Amo la Bontà vostra per se stessa con tutto l’affetto del cuore e dell’anima mia, e vorrei sapervi amare, come vi hanno amato gli Angeli e i Giusti, con l’amore dei quali congiungo l’amore mio imperfettissimo. – Offerisco alla Maestà Vostra con i meriti dei Santi, della BB. Vergine, e di Cristo nostro Signore le opere mie per sempre, bagnandole col Sangue di Gesù Redentor mio. – Ho intenzione di prendere quante Indulgenze posso nelle azioni di questo giorno, e quelle applicabili ai Defunti intendo di applicarle a tutte le Anime del Purgatorio, e in particolare a quelle alle quali più debbo. – Ho anche intenzione d’offerire tutto quello che posso, e che farò e tutte le Messe, che per tutto il Mondo in tutte le ore del giorno d’oggi si offriranno in penitenza e soddisfazione dei miei peccati. – Dio mio, per essere Voi infinitamente degno di essere amato e servito, perché siete quello, che siete, mi dolgo e mi pento quanto più posso di tutti i miei peccati, e me ne dispiace più d’ogni altro male: ve ne domando umilmente perdono, e propongo di non offendervi mai più per l’avvenire. –  Resto nelle vostre Piaghe, Gesù, difendetemi dentro di quelle oggi e sempre, finché mi concediate di vedervi, e di amarvi in eterno in Paradiso. Amen.

Gesù, Giuseppe, e Maria, vi dono il cuore, e l’anima mia.

Oremus

Domine Deus omnipotens, qui ad principium hujus dièi nos pervenire fecisti, tua nos hodie salva virtute, ut in hac die ad nullum declinemus peccatum, sed semper ad tuam justitiam faciendam nostra procedant eloquia, dirigantur cogitationes et opera.

[Fidelibus, qui mane supra relatam orationem devote recitaverint, conceditur: Indulgentia quinque annorum; Indulgentia plenaria suetis conditionibus, si quotidie per integrum mensem eamdem recitationem pie praestiterint (S. Pæn. Ap., 15 oct. 1935)].

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Dirigere, et santificare, regere, et gubernare, dignare. Domine Deus Rex Cœli, et Terræ, hodie corda, et corpora nostra, sensus, sermones, et actus nostros in lege tua, et in operibus mandatorum tuorum, ut hic, et in æternum, te auxiliante, salvi, et liberi esse mereamur.

Ure igne Sancti Spiritus renes nostros, et cor nostrum, Domine, ut tibi casto corpore serviamus, et mundo corde placeamus.

Concede nos famulos tuos, quæsumus, Domine, perpetua mentis et corporis sanitate gaudere, et gloriosæ beatæ Mariæ semper Virginis intercessione a praesenti liberari tristitia, et æterna perfrui letitia.

Sancte Michael Arcangele, defende nos in prælio, ut non pereamus in tremendo judicio.

Angele Dei, qui Custos es mei, me, tibi commissum pietate superna, hodie et semper, illumina, custodi, rege, et guberna.

Exaudi nos, Domine Sancte Pater omnipotens æterne Deus, et mittere digneris Sanctum Angelum tuum de Cœlis, qui nos custodiat, foveat, protegat, visitet, atque defendat omnes habitantes in hoc babitaculo.

Fidelium Deus, omnium Conditor et Redemptor, animabus famulorum, famularumque tuarum remissionem cunctorum tribue peccatorum, ut indulgentiam, quam semper optaverunt, piis supplicationibus consequantur. Per te, Jesu Christe Salvator Mundi, qui cum Patre, et Spiritu Sancto vivis, et  regnas per omnia sæcula sæculorum. Amen.

Fiat, laudetur, atque in æternum superexaltetur justissima , altissima, et amabilissima voluntas Dei in omnibus.

Misereatur nostri omnipotens Deus, et dimissis peccatis nostris, perducat nos ad vitam æternam.

Indulgentiam, absolutionem, et remissionem peccatorum nostrorum tribuat nobis omnipotens, et misericors Dominus. Amen.

Dominus nos benedicat, ab omni malo defendat, et ad vitam perducat æternam, et Fidelium animæ per misericordiam Dei requiescant in pace. Amen.

Benedictione perpetua benedicat nos Pater æternus. Pater, Ave, Gloria, etc.

Unigenitus Dei Filius nos benedicere, et adjuvare dignetur.

Pater, Ave, Gloria, etc.

Spiritus Sancti gratia illuminet sensus et corda nostra. Pater, Ave, Gloria, etc.

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dominus Deus exercituum, plena est omnia Terra gloriæ tuæ; Gloria Patri, Gloria Filio, gloria Spiritui Sancto. Amen.

Sia da tutti conosciuta, ed amata la SS. Trinità col SS. Sacramento; sia benedetta la santa purissima Concezione immacolata della beatissima Vergine Maria.

In nome del Padre, e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.

ATTI DI PREGHIERA PER UNA BUONA E S. MORTE.

Dispone domui tuæ, quia morieris;

Padre Eterno, che con la Vostra potenza mi avete tratto dal nulle conservato, difendetemi nella mia morte, e conducetemi al fine per cui mi avete creato.

Eterno Verbo, per quell’amore col quale vi siete fatto uomo per me, conducetemi a quella vita eterna, che mi avete meritata.

Divinissimo Paraclito Spirito, che mi avete santificato per mezzo dei Sacramenti, perfezionate l’opera vostra col glorificarmi, acciò vi ringrazi in eterno.

Mio Gesù, che mi avete amato più della vostra stessa vita, assistetemi nel gran punto della mia morte, e siate mio salvatore. – Maria SS. Avvocata pietosa dei moribondi, impetratemi da Gesù gli aiuti efficaci per ben morire. – Angiolo mio Custode, S. Giuseppe, Santi N. N. miei Avvocati, Santi tutti del Paradiso, per quanto vi stimate obbligati a quella divina Bontà, che vi salvò, impiagatevi tutti per la mia eterna salute.

V. Domine, exaudi orationem meam;

R. Et clamor meus ad te veniat.

Oremus.

Domine Jesu Chiste, qui de Cœlis ad Terram de sinu Patris descendisti, et Sanguinem tuum pretiosum in remissionem peccatorum nostrorum fudisti, te humiliter deprecamur, ut in die Judicii ad dexteram tuam audire mereamur: Venite Benedicti; Qui vivis, et regnas in sæcula sæculorum;

Amen.

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Vi adoro, mio Dio, e vi amo con tutto il cuore.

Vi ringrazio di avermi creato, fatto cristiano e

conservato in questa notte. Vi offro le azioni

della giornata, fate che siano tutte secondo la

vostra santa volontà, per la maggior gloria vostra.

Preservatemi dal peccato e da ogni male.

La grazia vostra sia sempre con me. Così sia.

Fidelibus, qui mane supra relatam orationem pia mente recitaverint, conceditur: Indulgentia quingentorum dierum (S. Pæn. Ap., 10 oct. 1940).

 

SAN MARCELLINO PAPA, eretico come PAPA GREGORIO XVII, … dicono gli asini …

SAN MARCELLINO PAPA E MARTIRE

(26 aprile – Festa di Papa San Marcellino)

Alcune persone non catechizzate, o volutamente ignoranti, osano dire, dall’alto della loro orgogliosa empietà, che Papa Gregorio XVII (1958-1989), che fu vittima di grave violenza per 30 anni da parte dei massoni della “sinagoga di satana”, quinta colonna infiltrata nella Chiesa Cattolica, “avrebbe perso il suo Papato” per aver “forse” celebrato il reprobo “Novus Ordo Missæ”.

A tal proposito si cita il precedente storico nella vita della Chiesa Cattolica, di un altro Papa prigioniero, che ebbe il suo libero arbitrio impedito da satanici persecutori (anche questi della sinagoga di satana): Sua Santità, Papa San Marcellino, la cui festa è celebrata il 26 aprile:

Nel breviario romano si legge il 5 aprile. “Durante la crudele persecuzione dell’imperatore Diocleziano, Marcellino di Roma, sopraffatto dal terrore, offrì incenso agli idoli degli dei: per questo peccato fece penitenza e indossò un silicio, andò al Concilio di Sinuesse, dove molti Vescovi si erano radunati e lì apertamente ebbe confessato il suo crimine “.

Nota : questo atto non costituiva la perdita del Papato, dal momento che era commesso sotto grave costrizione. Papa San Marcellino è elencato ovviamente nella lista ufficiale dei Papi e finanche Canonizzato e considerato Martire della fede. Più volte abbiamo poi riportato su questo blog, a beneficio dei numerosi e saccenti pseudo-teologi, ignoranti veri, o “finti tonti” (specie tra gli eretici sedevacantisti, gli scismatici lefebvriani o i ridicoli tesisti) che, come riporta qualsiasi manualetto di Teologia morale, un conto è il “peccato” di eresia (commesso materialmente ma senza assenso interno), altro è il delitto di eresia, nel quale c’è condivisione convinta e pertinace, nonché pieno assenso in foro interno. Il peccato di eresia, benché grave, è considerato come un qualsiasi altro peccato grave in cui possa incorrere anche un Papa (senza perdere il suo incarico, come ribadito da sempre, v. Conc. di Costanza), mentre il “delitto” di eresia è la condizione in cui un Papa possa essere destituito, una volta che, avvertito da chi ne ha facoltà, sia pertinace. Quindi tutti gli “ignoranti” muli [senza offesa per i muli!] che, in buona o (soprattutto) in cattiva fede, si ostinano a non riconoscere come vero Papa Gregorio XVII, arrogandosi il diritto di condanna che non compete loro in nessun caso, sono da considerarsi, oltre che ignoranti pertinaci, degli eretici e scismatici, e quindi fuori dalla Chiesa Cattolica, e pertanto già con due piedi nell’inferno fino alla cintola, se non ricorrono ai ripari quanto prima (rimozione delle censure da chi ne ha potestà e Confessione Sacramentale) … a Napoli si dice però che: ” … a voler lavare la testa dell’asino, si perde la pezza ed il sapone!” (cioè il tempo, e l’impegno…). Inoltre occorre ricordare ai teologi dell’inganno, che: la proposizione 46 [A] Per la natura e per la definizione del peccato non è richiesta la volontarietà, e il problema non è di definizione, ma di causa e di origine, se ogni peccato debba essere volontario” e la proposizione 64(67), secondo la quale: “L’uomo pecca anche in modo degno di condanna, in quello che compie per necessità”, furono condannate da S. Pio V nel lontano 1568 nella bolla “Ex omnibus afflictionibus” contro Bajo.  Pertanto non c’è nemmeno peccato di eresia in Gregorio XVII. Beata ignoranza degli eretici modernisti, dei sedevacantisti scismatici, dei tradizionalisti vetero-gnostici del cavaliere kadosh! Andate a studiare, e prima di ragliare, … documentatevi!

* San Tommaso d’Aquino insegna che per costituire un vero atto della volontà: l’atto deve essere eseguito spontaneamente [o liberamente] – senza costrizione o uso della forza- (e che) l’uomo può essere costretto o indotto a fare qualcosa contro il suo volere in due modi: dalla violenza e dalla paura (VI 4, 5,6). Ciò che si fa sotto la violenza esteriore è del tutto involontario (VI 5).

(La vita di San Marcellino, Papa e martire, morto nel 304 d.C.)

San Marcellino, nato a Roma, succedette al Papa San Caio, il 30 giugno 296, governando poi la Chiesa per otto anni. Fu vittima della persecuzione di Diocleziano. Non sappiamo se morisse sotto i colpi dei suoi carnefici, o in seguito alle ferite riportate. La sua tomba, nel cimitero di Priscilla visitata dai fedeli, testimonia la venerazione che suscitò. I Donatisti, nel v secolo pretendevano che prima avesse offerto incenso agli dei, e che poi, pentitosi della sua colpa, l’abbia riparata con una coraggiosa confessione della fede, che gli valse infine la corona del martirio. [l’Anno Liturgico, vol. II]

* Nota: Il Papa S. Marcellino non perse ipso facto il suo ufficio di Papa, ma fu confermato da numerosi Vescovi al Sinodo di Sinuesse.

Quando Marcellino stava per essere decapitato, si dichiarò indegno della sepoltura cristiana e scomunicò tutti coloro che presumevano di seppellirlo. Così il suo corpo rimase insepolto per 35 giorni. Alla fine di quel tempo l’Apostolo Pietro apparve a Marcello, che  era succeduto a Papa e gli disse: “Fratello Marcello, perché non mi seppellisci?” Marcello rispose: “Non sei ancora stato sepolto, mio ​​Signore?” … e Pietro: “Mi considero insepolto finché Marcellino è insepolto!” “Ma non lo sai, mio ​​signore,” Marcello  rispose, “che egli ha lanciato una maledizione su chiunque lo voglia seppellire?” Pietro disse ancora: “Non è scritto che “chi si umilia deve essere esaltato”? Avresti dovuto tenerlo a mente! Ora va’ e seppelliscimi ai miei piedi. “Marcello andò subito e eseguì lodevolmente le ordinanze.” (Dal beato Giacomo, in “Legenda Aurea” , 1260 d.C.)

LO SCUDO DELLA FEDE (VIII)

[A. Carmignola: “Lo Scudo della Fede”. S.E.I. Ed. Torino, 1927]

VIII.

I FALSI MIRACOLI E LO SPIRITISMO.

I Falsi miracoli delle false religioni. — I prodigi del diavolo e perché Dio li permétta. — Lo spiritismo e sua malizia. — Le apparizioni buone.

— Ma non vi sono forse miracoli in tutte le religioni?

Dato che ciò fosse vero, bisognerebbe spingerli senz’altro come seduzioni d’una potenza nemica del vero, del giusto, del divino.

— E perché?

Ascolta bene. Se Dio ha operati dei miracoli a prò della religione cristiana affine di

mostrarla vera, è chiarissimo che le altre religioni a lei contrarie sono false, e con esse sono falsi i pretesi miracoli, che si adducono in loro favore, perché già te l’ho detto, Iddio non farà mai dei miracoli che provino delle religioni contrarie a quella, che ha dimostrata vera precisamente coi miracoli.

— Che dire adunque di certi miracoli, che raccontano avvenuti nelle altre religioni?

Puoi dire che se qualche volta è avvenuto qualche vero miracolo, Dio l’avrebbe operato non in favore della falsa religione, in cui fu operato, ma a prò e difesa di qualche virtù. E così potresti credere del miracolo, che si dice avvenuto in favore della famosa Claudia vergine e sacerdotessa vestale, la quale, accusata di grave colpa, a dimostrarsi innocente dicesi aver portato dell’acqua in un crivello, senza che ne cadesse a terra una goccia. Non potrebb’essere che davvero Dio abbia operato questo miracolo a mostrare e difendere l’innocenza di quella donna? – Ma in generale puoi dire e credere che sono favole. Favole i pretesi prodigi di Apollonio Tianéo, raccontati da Filostrato, filosofo del terzo secolo, giacché nessuno degli altri scrittori più accreditati e suoi contemporanei ne fanno cenno; favola, della quale si ride lo stesso Cicerone, il miracolo di Accio Nervo, che dicesi aver tagliato una cote col rasoio; favola il miracolo di Vespasiano, che si narra aver guarito un cieco, che lo stesso Tacito attesta non aver perduta la forza visiva; favola il miracolo di Maometto, che riaggiustò la luna, la quale essendo caduta sulla terra si era fatta in pezzi!

— Dunque in comprova di una religione contraria alla Cattolica non possono accadere miracoli!

No, assolutamente: se si ammettesse ciò, sarebbe lo stesso che dire che può avvenire un miracolo per dimostrare che le tenebre sono la luce. Del resto la storia medesima comprova questa verità.

— Davvero? Sarei curioso di saper in proposito qualche cosa.

Ti accennerò due fatti principali, dei quali non si può avere alcun dubbio, essendo narrati da molti storici degnissimi di fede. Un falso patriarca ariano di Africa per nome Cirilla per opporsi al vescovo S. Eugenio, che dimostrava con tanti miracoli la verità del Cristianesimo, e guadagnar gente all’arianesimo, subornò un uomo con cinquanta monete d’oro, affinchè si fìngesse cieco, e al suo passaggio in un giorno determinato alla presenza di gran popolo gli chiedesse la vista. Così fece quel misero. E Cirilla gli comandò di aprire gli occhi e veder la luce. Ma ecco che in quel momento colui, che si era fìnto cieco, lo divenne realmente, epperò fattosi fremente di rabbia contro Cirilla disvelò la sua finzione e lo fece andare scornato. Buon per lui che essendo stato richiesto S. Eugenio, questi col segno della croce gli fece riacquistare la vista perduta. – Calvino, volendo egli pure acquistare fede ai suoi errori, s’intese con un certo Brulé, che si fingesse morto, perché egli potesse dare ad intendere di risuscitarlo. Il Brulé allettato dalla speranza di denaro si adattò a quell’inganno. Si finge morto, e la sua moglie mette grida di dolore nel momento che Calvino seguito da molti passava di là. Questi come per compassione entra con la sua comitiva in casa, si avvicina al morto e poi dice: « Affinché siate convinti che sono divine le cose, che io v’insegno, ecco che io adesso richiamerò a vita questo morto ». E preso il Brulé per mano gl’intima di risorgere. Ma… oh miracolo tutto all’incontrario! Chi si era finto morto, era morto davvero e nulla valse a farlo risuscitare. Chi può dire lo scorno patito da Calvino! Aveva dunque ragione Erasmo di Rotterdam nel dire ai Protestanti: « I miracoli non sono il vostro forte! Finora non avete guarito neppure un cavallo zoppo! » Vedi adunque se avvengano miracoli a prò delle false religioni.

— Ma per altro ho sentito dire che anche i diavoli, i maghi, gli spiritisti possono fare dei miracoli.

Certamente i diavoli, di natura spirituale, con l’esercizio della loro attività ed intelligenza di gran lunga superiore a quella dell’uomo, combinando prontamente e repentinamente varie leggi ed agenti naturali possono, permettendolo Iddio, operare dei prodigi, cui si può anche dare il nome di veri nel senso che sono fatti, i quali ancor essi sorpassano le leggi ordinarie della natura, come sarebbe far comparire una persona, una casa, sollevare in aria un uomo, far muovere delle tavole, dei candelabri, delle sedie, degli armadii, dei canestri, drizzare una penna su una tavola e farla scrivere rapidamente e simili. E come li possono operare per sé, così li possono col loro intervento far operare dai maghi, dai falsi sacerdoti, dai lama, dai bonzi, dagli spiritisti, da tutti i loro rappresentanti. La storia sacra ci parla appunto di quei maghi, che alla presenza di Faraone tramutarono le loro verghe in serpenti, e fecero qualche altro prodigio; e lo stesso Gesù Cristo dice nel Vangelo che negli ultimi tempi sorgeranno dei falsi cristi e falsi profeti, che faranno segni grandi e prodigi per modo, che gli stessi eletti, se fosse possibile, saranno indotti in errore. (V. Vangelo di S. Matteo, capo XXIV, versetto 24). I missionari poi e gli stessi viaggiatori nelle loro relazioni attestano di aver veduto coi loro occhi dei prodigi operati dai maghi e dagli stregoni dei popoli pagani. E da tutti si sa che per opera degli spiriti, nei nostri stessi paesi, alle volte per inganno e ciarlataneria, ma altre volte realmente, avvengono dei fenomeni affatto meravigliosi. Ma siccome Iddio ha scelto il miracolo come una prova della verità dei suoi insegnamenti, perciò non sarà mai che Egli permetta i prodigi diabolici per guisa che non possano facilmente riconoscersi per tali, come fece per esempio nei prodigi dei maghi di Faraone, i quali fino a tre o quattro volte poterono operare qualche cosa di simile ai veri miracoli di Mosè, ma poi non poterono più nulla, e dovettero confessare che solamente il dito di Dio poteva operare ciò, che Mose andava operando.

— E a quali indizi si possono riconoscere i veri miracoli dai prodigi diabolici?

I principali sono questi : 1° Nei veri miracoli si manifesta una potenza illimitata, somma, sia pei loro effetti, come pel loro numero; nei prodigi diabolici, sia per l’una che per l’altra cosa, c’è una potenza ristretta, limitata. 2° I veri miracoli sono operati generalmente dai santi, giacché, sebbene a rigore uomini perversi possano operare prodigi con parole sante e segni sacri, Dio non lo permette che per modo di eccezione. Invece gli operatori di prodigi diabolici, certi maghi, certi sacerdoti di false divinità sono gente scellerata, che, anche allora che non è addirittura immorale, non lascia di essere superba. 3° I veri miracoli sono compiuti dai santi con la massima semplicità, con qualche preghiera, con un segno di croce, con un comando fatto a nome di Dio; al contrario i prodigi diabolici sono operati in modo strano, con prestigi, con allucinazioni, con segni e figure ridicole, con cerimonie superstiziose e simili. 4° I veri miracoli hanno per scopo immediato generalmente la beneficenza e sono fatti per qualche grave necessità, come per guarire degli ammalati, per nutrire una moltitudine famelica, per eccitare la pietà. I prodigi del diavolo per lo più non hanno altro scopo che pascolare la curiosità pubblica facendo ad esempio rumori spaventevoli, evocando dei fantasmi, eccetera. 5° Da ultimo i veri miracoli si trovano in compagnia di, una dottrina santa, qual è la dottrina cristiana, dottrina che non può venire che da Dio; i prodigi diabolici si trovano invece in compagnia di dottrine cattive, materialistiche, opposte le une alle altre, epperò piene di errori.

— Ma se è dunque vero che i diavoli, e con il loro concorso i maghi, i falsi sacerdoti possano operare dei prodigi, ed è certo che questi prodigi sono avvenuti ed avvengono, e da essi molti popoli poterono e possono essere ingannati, come mai Iddio li permette?

Se dovessi rispondere adeguatamente a questa tua difficoltà entreremmo in un campo troppo vasto, e nel quale potremo entrare più di proposito in seguito. Per ora mi contento di osservarti che Iddio se ha permesso e permette tuttora questo rischio per tanti popoli, non è, forse, se non perché questi popoli con la loro malvagia vita e con la continua resistenza alle grazie sue si sono meritato tale castigo. Del resto che cosa non ha fatto, che cosa non fa anche oggi il Signore per mezzo dei santi e dei missionari affine di togliere dall’errore questi popoli disgraziati e a un tempo colpevoli! No, dell’inganno che questi popoli cercano pur troppo essi medesimi, o nel quale per lo meno amano di restare, non è da incolpare affatto la Divina Provvidenza, come non è da incolpare se vi hanno tra di noi di coloro che amano lo spiritismo, si abbandonano alle sue empie pratiche e vi annettono una somma importanza.

— Fanno adunque male coloro che si occupano di spiritismo e prendono parte alle sue pratiche?

Fanno male assai, perché lo spiritismo in certi casi è una semplice ciarlataneria, e il dedicarvisi e darvi importanza è allora una ciurmeria; in certi altri è l’effetto di cause naturali, pericolose e riprovevoli, ed allora è violazione della stessa legge di natura; ed in altri ancora è vero spiritismo, cioè rivela il vero intervento degli spiriti, ed allora il praticarlo è una vera empietà, e in tutti i casi è una vera immoralità.

— Avrei caro in proposito di conoscere meglio quanto asserisce.

Ti dirò qualche cosa con la massima brevità. Il vero spiritismo è una manifestazione di spiriti. Ecco in una sala alla presenza di molte persone una tavola muoversi e dare colpi cadenzati, una sedia levarsi in aria e danzare sulle teste, ecco una penna scrivere da sé o nella mano di un medium, rapidamente, sotto la dettatura di un essere misterioso, dare risposte, consigli, rivelazioni di cose lontane, di malattie interne e simili; ecco farsi avanti persino delle apparizioni incarnate, che si mostrano composte di carne d’ossa, come il corpo umano, e che nel loro linguaggio rivelano una intelligenza di gran lunga superiore a quella dell’uomo. Qui adunque siamo alla presenza di una forza soprannaturale ed intelligente, alla presenza di uno spirito: altrimenti non si possono spiegare questi fatti. Ora sarà egli possibile che si tratti di uno spirito buono, di un Angelo per esempio, dell’anima di un santo o di un defunto? No, assolutamente. Capisco che Iddio potrebbe metterci in commercio e con gli spiriti angelici e con quelli dei santi e di qualche defunto, ed è certo anzi che talvolta Egli lo fa. Ma in tutti i casi ei lo farebbe sempre per un fine buono, in modo degno di Lui, e in conformità del suo divino volere. Ma nello spiritismo non c’è nulla di ciò. Il fine non apparisce buono, perché a confessione degli stessi più celebri spiritisti, generalmente gli spiriti dicono cose, che sono di una empietà e malizia finissima e spudorata, che mirano perciò a travolgere la fede e a trascinare per la china delle passioni, non ostante che astutissimamente talora sembrino dare dei santi consigli per ingannare tanti poveri bagiani. Il modo non è decoroso, perché gli spiriti danno segno di loro presenza con strepiti, con rumori strani, con sghignazzi, con colpi di tavole, con balli di sedie e simili frivolezze. – Il fatto poi non è conforme al volere di Dio, perché nelle Sacre Scritture Iddio ha, espressamente proibito ogni evocazione degli spiriti e dei defunti. Di fatti nel libro I dei Re (Capo XXVIII, versetto 2) si rimprovera a Saul di avere chiesto alla Pitonessa l’evocazione dell’ombra di Samuele; nel Deuteronomio (Capo VIII, versetti 9-11) si legge: « Non imitate le genti degl’infedeli. Che tra di voi non vi sia un miserabile così temerario da interrogare gl’indovini, da badare ai segni ed agli auguri, da fare malefizi ed incantesimi… e da cercare presso i morti la verità; » e tutti i profeti condannano tali pratiche non solo in Israele, ma anche negli altri popoli, ed ascrivono giustamente a pratiche siffatte il castigo della prima schiavitù, cui dovette soggiacere il popolo ebreo, ciò che dimostra aver Iddio punite tali evocazioni spiritiche come gravi peccati. – Dunque, vedi chiaro da tutto ciò, che né gli spiriti degli Angeli, né quelli dei santi o dei defunti non sono quelli, che intervengano nello spiritismo. E se non sono gli spiriti buoni, bisognerà senza dubbio che siano gli spiriti malvagi, che siano i demoni, i quali per tal modo anche tra i popoli civili e colti si studiano di fare sempre maggiori acquisti. Ed ecco perché lo spiritismo è cattivo ed illecito, e la Chiesa giustamente ne ha fatto speciale e severissima proibizione.

— Ma allora se Dio non permette agli spiriti buoni di comunicare coi vivi, e nelle manifestazioni spiritiche è sempre uno spirito maligno che interviene, non potremmo riderci di tante rivelazioni, visioni, apparizioni dei santi?

Adagio, caro mio. Che Dio non permetta agli spiriti buoni di comunicare coi vivi vale solo per le manifestazioni dello spiritismo. Del resto già ti ho detto che Dio può, e non di raro vuole, fare delle manifestazioni celesti agli uomini, specialmente a qualche suo servo eletto. Ma nelle rivelazioni, visioni, apparizioni che si leggono nelle vite dei santi c’è una differenza enorme dalle manifestazioni spiritiche. In queste lo spiritista è egli che contro la volontà espressa di Dio batte alla porta dell’invisibile e invoca gli spiriti; in quelle invece il santo riceve una apparizione che non ha punto richiesta; nelle sedute spiritiche si ricorre a mezzi troppo spesso grotteschi, si prepara l’ambiente, si ricorre ai mediums ufficiali, si dispongono i mobili, si abbassa la luce…; nelle apparizioni ai santi o dei santi non accade nulla di tutto ciò; da ultimo nelle manifestazioni spiritiche vi è quasi sempre, sia pure velatamente, lo scherno alla fede ed alla morale; nelle apparizioni dei santi vi è invece l’eccitamento alla fede ed alla virtù, vi è nulla insomma che sia indegno di Dio e degli spiriti buoni, e in tutto l’insieme si manifestano celesti. Basta leggere le apparizioni avute da S. Teresa, da S. Caterina da Siena, dalla Beata Margherita Alacoque, da S. Filippo Neri, da S. Antonio di Padova, da S. Gaetano Tiene e da molti altri santi e sante per essere convinti della serenità, della calma, della soavità, della bellezza e della maestà delle medesime. Chi pertanto volesse mettere a paro queste rivelazioni, visioni od apparizioni colle manifestazioni spiritiche e ridersi di esse, sarebbe per lo meno un povero insensato.

— Ho inteso, e mi trovo soddisfatto.

G. FRASSINETTI: CATECHISMO DOGMATICO (V)

[Giuseppe Frassinetti, priore di S. Sabina di Genova:

Catechismo dogmatico

Ed. Quinta, P. Piccadori, Parma, 1860]

CAP. IV

INCARNAZIONE DEL FIGLIO DI DIO.

§ I.

Nozione dl Mistero.

Come si definisce il mistero della Incarnazione?

Un mistero primario della Religione Cristiana, per il quale il Verbo Eterno inseparabilmente assunse in unità di Persona vera ed intera natura umana, per placare Iddio con i suoi patimenti e riconciliarlo col genere umano (Habert. de Incarn. c. 4).

— Perché lo chiamate mistero primario?

Perché è il fondamento della Cristiana Religione e l’appoggio di ogni nostra speranza.

— Perché si dice che il Verbo Eterno ecc.?

Per fare intendere che s’incarnò una Persona Divina, che perciò Cristo non è puro uomo, ma vero uomo e vero Dio; inoltre per denotare che sola si incarnò la seconda Persona della Ss. Trinità; e non si è incarnato né il Padre, né lo Spirito Santo (Habert ut sup.).

— Dunque l’Incarnazione del Figlio di Dio non è opera di tutta la Ss. Trinità? il Padre e lo Spirito Santo vi concorsero?

L’Incarnazione del Figlio di Dio è opera della Divina Onnipotenza, e perciò è opera della Ss. Trinità; vi concorsero dunque il Padre e lo Spirito Santo; per altro l’unione della natura umana si fece solo con la seconda Persona, solo il Figlio prese e assunse umana carne. Vi porterò un paragone materiale: figuratevi che Pietro si vesta, e siano Giacomo e Giovanni aiutandolo nel suo vestirsi, solo Pietro si mette la veste, ma Giacomo e Giovanni cooperano, concorrono al vestirsi di Pietro (ut sup.).

— Perché si mette quella parola. “inseparabilmente”?

Perché il Verbo avendo assunto la natura umana se la unì per non separarsene mai più; perciò morto Cristo sulla Croce si separò l’anima di Cristo dal suo corpo; ma il Verbo Eterno non si separò né dal corpo, che restò nel sepolcro, né dall’anima che discese al limbo; e per tutta l’Eternità Gesù Cristo sarà sempre vero Uomo e vero Dio (Habert ut sup.).

— Perché si dice che assunse la natura umana e non piuttosto l’uomo; non si potrebbe dire che si unì l’uomo?

Bisogna che intendiate che Dio non ha creato un’anima e un corpo, e non ne ha formato un uomo prima di unirselo nella Incarnazione; ma creò l’anima e il corpo assumendolo, ossia unendoselo alla sua Divina Persona; perciò il Verbo Eterno non prese persona umana, ma la natura umana. Chi dicesse che in Cristo vi sono due persone umana e Divina sarebbe un eretico: in Cristo vi sono due nature Divina ed umana; ma non due persone. Cristo è una sola Persona cioè la seconda della Ss. Trinità (ut mpra).

— Perché sarebbe eresia il dire che in Cristo vi sono due persone umana e Divina?

Perché la Chiesa ha condannato questo errore in Nestorio. Nestorio voleva che Cristo constasse di due persone umana e Divina unite insieme con il vincolo della carità; perché non voleva che Maria Ss. si chiamasse Madre di Dio, come madre della sola persona umana di Cristo, secondo il suo errore (ut supra).

— Dunque Maria è vera Madre dì Dio?

Questo è un articolo di fede, perché nel seno di Maria s’incarnò, e da Lei nacque Gesù Cristo Persona Divina (ut supra).

— Ammettendo di Gesù Cristo una sola Persona non si potrebbe anche dire che vi sia una sola natura?

Questa sarebbe l’eresia condannata in Eutichete. La Chiesa ha definito articolo di fede, che in Cristo vi sono due nature: umana e Divina, e una sola Persona Divina come si è detto; questo è che bisogna dire e credere fermamente (ut sup.).

— Quali conseguenze vengono da queste verità?

Che in Cristo si deve ammettere quella che è chiamata dai Teologi Communicatio idiomatum per la quale a Gesù Cristo si attribuiscano quelle proprietà ed attributi, che convengono tanto alla natura umana come alla natura Divina. Gesù Cristo perciò si dice nato e si dice eterno: nato perché la sua umanità ebbe principio nel seno di Maria Vergine; eterno perché la sua Divinità è sempre stata. Si dice limitato, e si dice immenso: limitato perché tale è la sua umanità; immenso perché tale è la sua Divinità; e così delle altre proprietà delle due nature (ut sup.).

— Si potrà dunque dire che l’umanità di Cristo è immensa, e che la sua Divinità è limitata?

Questo poi no; parlando assolutamente di Cristo, il quale è una sola Persona Divina, e ha due distinte nature, si può parlare di Lui come di Dio, e come di Uomo; ma quando si parla della sua Divinità o della sua Umanità separatamente, non si può fare questa reciproca comunicazione. Perciò bisogna dire che l’umanità di Cristo è limitata, immensa la sua divinità; che la sua umanità ebbe principio nel tempo, che la sua Divinità è eterna ecc.

— Quali altre conseguenze ne vengono?

Che Cristo si deve dire Figlio di Dio naturale, e non si deve chiamare Figlio di Dio adottivo, nemmeno come Uomo; e così ha definito la Chiesa contro alcuni eretici: Che Cristo si deve adorare col supremo culto di Latria, e non di Dulìa, o di Iperdulìa, come si adorano i Santi e Maria Ss.; Che le azioni di Cristo ebbero un merito infinito; Che Maria è vera Madre di Dio, ed altre conseguenze che si possono vedere nei Teologi.

— Se Maria Ss. devesi chiamare Madre di Dio perché nel suo seno s’incarnò il Figliuolo di Dio, si dovrà chiamare Padre di Dio lo Spirito Santo, mediante la cui operazione nel seno di Maria Vergine s’incarnò.

Perché uno si possa chiamar padre bisogna che conferisca della sua sostanza al figlio; lo Spirito Santo non conferì la sostanza alla formazione del corpo del Verbo Incarnato. Questa sostanza la somministrò soltanto Maria, dal cui purissimo sangue per virtù dello Spirito Santo, si formò il corpo di Gesù Cristo (Habert de Incarn., c. 1).

— Perché si dice inoltre che Cristo prese vera ed intera la natura umana?

Per allontanarsi dall’errore di quelli eretici, i quali insegnarono che Cristo aveva preso un corpo aereo, ed apparente, e perciò che non aveva preso vera carne umana. Similmente per indicare ch’Egli prese vera anima umana ragionevole, contro l’errore di altri eretici, i quali pensarono che Cristo avesse preso soltanto il corpo, o pure ammettendo che avesse preso l’anima, dicevano che non era un’anima umana, cioè non ragionevole; perché pensavano che in Cristo facesse le veci dell’anima il Verbo Eterno (Habert ut sup.).

— Per qual ragione si dice infine: per placare Iddio con i suoi patimenti, e riconciliarlo col genere umano?

Con queste parole si nota il fine dell’Incarnazione, il quale fu quello di liberare gli uomini dal peccato, e dal castigo che il peccato si merita; e si nota il mezzo che adoprò Cristo pel conseguimento di questo fine, ciò la sua passione, e la sua morte, mediante la quale la Divina Giustizia restò placata verso di noi.

— Cristo ha patito realmente, ha cioè veramente sentito quei dolori interni ed esterni che dimostrò di patire?

È di fede che Cristo abbia patito realmente, come è di fede che abbia preso vera umana carne. Il Verbo Eterno ha preso un corpo umano soggetto alla fame, alla stanchezza, alle ferite, al dolore, passibile e mortale, e veramente patì tutto ciò che dei suoi patimenti raccontano i Santi Evangelisti. Prese pure un’anima umana la quale era capace di tristezza, di tedio, di afflizione come quella degli altri uomini, con questa diversità che noi soffriamo tristezze, tedii, afflizioni che non possiamo bene spesso né togliere, né alleggerire con la nostra volontà; invece l’anima di Cristo regolava da padrona queste passioni, e le soffriva in quel grado che ella voleva (Habert ut sup.).

— È di fede che Cristo ci abbia meritato il perdono dei peccati, le grazie necessarie alla salute e ci abbia rimesso nel diritto, che avevamo perduto, alla vita eterna?

Queste sono verità di Fede, Gesù Cristo con le sue umiliazioni, e patimenti oltre all’aversi meritato la gloria del suo corpo, e l’esaltazione del suo nome, come dice S. Paolo (ad Philipp. II), ha meritato a noi ogni grazia soprannaturale; ed ha meritato non solo per quelli che vennero dopo il tempo della sua Incarnazione; ma anche per quelli che vissero prima di quel tempo; sicché tutte le grazie soprannaturali concesse agli uomini anche prima della sua Incarnazione, loro furono meritate da Gesù Cristo, cioè le ottennero a riguardo dei meriti di Gesù Cristo che doveva venire a soddisfare per i peccati di tutto il mondo, ed ottenere agli uomini ogni bene salutare per la vita eterna.

— Se Egli a tutti gli uomini ha meritato la vita eterna, vuol dire che tutti si salveranno?

Ha meritato la vita eterna a tutti gli uomini, per altro esige la cooperazione degli uomini per il conseguimento della medesima. Non ha meritato che gli uomini fossero sforzati a salvarsi, ma ha meritato che si potessero salvare volendo con la sua grazia; perciò nonostante i suoi meriti soprabbondanti, e capaci a salvare innumerevoli uomini di più di quanti ne esistettero, ne esistono, e ne esisteranno, chi vuole dannarsi si danna, come vediamo che fa la maggior parte degli uomini, i quali abusandosi della propria libertà, vanno perduti.

— Dio non avrebbe potuto in altro modo salvare gli uomini senza farsi uomo?

Di potenza assoluta avrebbe potuto salvarci in altra maniera. Ma Egli ha scelto questo modo per avere una condegna soddisfazione dell’ingiuria che gli fece il peccato. Bisogna notare che Dio di potenza assoluta avrebbe potuto perdonare il peccato senza esigerne alcuna soddisfazione, o accettando la soddisfazione, che gli fosse stata offerta da qualche santa creatura, p. es. da un Angelo; questa soddisfazione però sarebbe stata sproporzionata all’ingiuria ricevuta (Antoin. tract. de Incarn, cap. 1. est. 3).

— Per qual ragione adunque Dio ha scelto più quel modo che un altro?

Noi non dobbiamo cercare a Dio la ragione delle sue operazioni; per altro possiamo dire che scelse questo modo, perché era convenientissimo; restando in tal maniera pienamente soddisfatta la sua Divina Giustizia, e venendo manifestati in un grado incomparabile gli altri suoi attributi, come la Clemenza, la Sapienza, l’Onnipotenza ecc. Inoltre questo era il modo più efficace per conciliarsi il nostro amore; giacché un Dio che si fa uomo, si assoggetta ai patimenti, alla morte per salvare gli uomini, è un tratto di amore così eccessivo da obbligare anche i cuori più duri ad amar questo Dio (Antoin. ut sup. art. 2).

— Dio era obbligato a rimediare in qualche modo alla nostra rovina, nella quale eravamo incorsi per lo peccato?

Che abbia rimediato ai nostri mali fu un tratto della sua infinita Misericordia, e giustamente poteva abbandonarci nel peccato, e nelle sue conseguenze.

— L’Incarnazione del Figliuolo di Dio fu predetta prima che si sia effettuata?

Fu predetta subito dopo il peccato di Adamo e ne parlarono in seguito tutti i Profeti; perciò Gesù Cristo era aspettato dal Popolo Ebreo, e gli stessi Gentili, come si ricava dalle storie profane, aspettavano un Salvatore.

— Per qual ragione il Popolo Ebreo non volle riconoscerlo quando è venuto?

Per la sua superbia e ostinazione nei suoi pregiudizi. Il Popolo Ebreo fu assolutamente inescusabile, perché esso aveva le Profezie che ne parlavano chiaramente, e queste Profezie si vedevano avverate in Gesù Cristo.

§ II.

Del Corpo e dell’Anima di Cristo.

— Si deve dire che il Corpo di Gesù Cristo constasse di carne umana, e che Egli perciò siasi fatto figlio di Adamo?

Abbiamo già notato essere verità Cattolica che Cristo ha preso umana carne vera e reale come è quella degli altri uomini, con questa differenza, che Egli non  l’ha presa per opera di uomo, ma per opera dello Spirito Santo: perciò avendo preso vera, e reale umana carne si è fatto figlio di Adamo.

— S. Giuseppe Sposo di Maria non fu il Padre di Gesù?

Giuseppe fu Sposo di Maria; ma restò sempre vergine, e lasciò sempre Vergine Maria Ss. Sarebbe una eresia il dire che S. Giuseppe fosse vero Padre di Gesù Cristo; ne era Padre putativo, cioè creduto tale dalle persone, le quali sapendo che aveva sposato, ed abitava con Maria, vedendo che Ella aveva avuto un figliuolo, pensavano che lo avesse avuto da Giuseppe; ma invece S. Giuseppe visse sempre con Maria Ss., come se fosse stato suo fratello, e nulla più.

— Maria Ss. come ha potuto avere un figliuolo restando Vergine?

Questo è un miracolo della Onnipotenza di Dio, e miracolo tale, che non mai ne è succeduto un altro simile. Lo Spirito Santo, già abbiamo accennato, formò dal purissimo Sangue di Maria il Corpo di Gesù Cristo; al debito tempo Maria Ss. lo partorì nella stalla di Betlemme, restando pure allora Vergine come prima; perciò lo partorì senza alcuno spasimo, o dolore, e senza danno alcuno della sua inviolata integrità. Si noti essere articolo di fede che Maria fu Vergine prima del parto, nel parto, e dopo il parto, come definì il Concilio Generale di Calcedonia.

— Nel Santo Vangelo si nominano i fratelli di Gesù Cristo: vuol dire dunque che Maria Ss. ebbe altri figliuoli?

Gli Ebrei chiamavano col nome di fratelli anche gli altri parenti; perciò quelli erano parenti di Gesù Cristo, ma non suoi veri fratelli; e perciò Maria Ss. non ebbe altri figliuoli.

— Come é avvenuta la morte di Gesù Cristo?

Si separò l’anima dal suo corpo siccome avviene quando muoiono gli uomini, restando però, come già si é detto, unita la Divinità, cioè il Verbo Eterno, tanto al corpo quanto all’anima.

— Il corpo di Gesù Cristo in quel tempo che restò nel sepolcro aveva cominciato a corrompersi come avviene ai corpi dei morti?

Il corpo di Gesù Cristo non soffrì alcuna corruzione nel sepolcro: lo aveva predetto il Profeta Davide (Salmo XV).

— Per quanto tempo stette nel sepolcro il corpo di Cristo?

Parte del Venerdì, l’intero Sabato, e parte della Domenica. Nel mattino della Domenica, l’Anima si riunì di nuovo al suo corpo, e risuscitò glorioso, immortale e impassibile. Gesù Cristo in tal modo risorto, comparve molte volte ai suoi Discepoli, e dopo quaranta giorni dalla sua Risurrezione ascese al Cielo.

— Il Verbo Eterno facendosi uomo ha preso pure un’anima della stessa natura della nostra?

È articolo di Fede, come già abbiamo accennato, che il Verbo Eterno prese un’anima umana; e perciò della stessa natura che la nostra.

— In Cristo si deve riconoscere umana volontà, oltre la Divina?

È articolo di Fede che si debba riconoscere in Cristo umana volontà, la quale, sebbene libera come la nostra, fu però sempre uniforme alla Divina, non avendo mai voluto l’Anima di Cristo se non quello che voleva il Verbo Eterno. Questo articolo di Fede fu definito dalla Chiesa contro i Monoteliti, antichi eretici.

— In Cristo oltre le operazioni Divine si devono riconoscere anche le operazioni amane?

Essendo Cristo non solo vero Dio, ma anche vero Uomo, si devono certamente riconoscere in Lui operazioni umane; e in fatti quando nel Santo Vangelo leggiamo che Cristo soffrì fame, stanchezza, pianse, si attristò ecc., intendiamo subito che queste sono operazioni umane; però le umane operazioni di Cristo avevano un merito infinito stante che per l’unione ipostatica erano azioni di una Persona Divina (Habert de Incarn. Cap. I).

— L’Anima di Cristo era dotata di scienza?

L’Anima di Cristo fin dal primo momento della sua creazione, ebbe una piena e perfettissima scienza di tutte le cose; e sebbene crescendo poi Cristo in età, pareva, come nota il Vangelo, che crescesse nella scienza, in realtà non cresceva nella medesima, avendone avute subito la pienezza. L’anima di Cristo godeva pure della visione intuitiva di Dio, come ne godono i Santi in Paradiso, vedendo chiaramente la Persona del Verbo Eterno cui era unita ipostaticamente, e necessariamente insieme a quella, la Persona del Padre, e la Persona dello Spirito Santo.

— Se l’Anima di Cristo vedeva Dio chiaramente, doveva essere beata, e incapace di patire; come dunque può sussistere, con questa visione di Dio attribuita a Cristo, il dogma cattolico, che Cristo patì veramente nella sua Passione, e Morte?

È vero che la visione beatifica di Dio rende l’anima incapace di patire; ma per un gran miracolo della Divina Onnipotenza fu trattenuto, e a così dire raffrenato il gaudio che le veniva dalla visione di Dio nella parte superiore dell’anima, cioè intellettuale; affinché alla parte inferiore, cioè sensitiva, non si comunicasse, e in tal modo potesse patire; quindi veramente patì dolori interni ed esterni come ci insegna il Vangelo.

— Mi potrebbe meglio spiegare la cosa con una parità?

Osservate ciò che avviene nelle montagne molto alte; alle volte verso la metà delle medesime si condensano delle nuvole, e si formano delle tempeste mentre sulla cima risplende il sole. Per tanto chi è sulla cima del monte gode del Cielo sereno, chi è alle falde vede il Cielo nuvoloso ed è percosso dalla tempesta. Secondo il nostro modo d’intendere, avvenne le stesso nell’Anima di Cristo; la sua parte superiore, cioè intellettuale, godeva della chiara vista di Dio, la sua parte inferiore, cioè sensitiva, soffriva ogni genere di dolori, e di pene.

— L’Anima di Cristo vedendo e conoscendo Dio più chiaramente di qualunque creatura, arriva a comprenderlo, cioè a conoscerlo, quanto Dio comprende e conosce se stesso?

Abbiamo già notato (Cap. 2. § 4) che Dio, essendo incomprensibile, nessuna creatura lo può comprendere; perciò l’Anima di Gesù Cristo lo conosce più chiaramente di qualunque creatura, ma non lo comprende, cioè non lo conosce con quella pienezza di cognizione, con cui Dio conosce se stesso.

— L’Anima di Cristo era dotata di libertà?

Senza dubbio, altrimenti le sue operazioni non sarebbero state azioni umane, e sarebbe stata di una natura diversa dalla natura dell’anima nostra.

— Poteva peccare?

Unita ipostaticamente col Verbo Eterno non poteva peccare; anzi aveva la grazia detta di unione, ossia sostanziale, per la quale era santa sostanzialmente.

— Ebbe la grazia santificante?

L’ebbe in grado sommo, che eccede senza comparazione la grazia di tutti gli Angeli, di tutti i Santi, e della stessa Maria Ss. .

— Furono in Cristo tutte le virtù?

Senza dubbio, eccettuate quelle che suppongono il peccato o altra imperfezione; perché non poté avere la virtù della penitenza, giacché in Lui non si trovò cosa di cui si potesse pentire, né meno la virtù della Fede, o della Speranza, perché queste non possono ritrovarsi in un’anima che gode la vista intuitiva di Dio.

— L’Anima di Cristo, essendosi separata dal suo corpo quando morì sulla Croce, discese all’inferno?

È un articolo di Fede espresso nel Simbolo; però bisogna notare che sotto il nome d’inferno qui non s’intende l’inferno destinato ai demoni e ai dannati, ma quei luoghi sotterranei chiamati volgarmente col nome di Limbo, ove riposavano le Anime Sante di tutti i Giusti morti prima della venuta di Cristo, i quali aspettavano che, compita l’opera della Redenzione, loro fossero aperte le porte del Paradiso.

— I Giusti adunque morti prima dell’epoca della morte di Cristo non godevano in Cielo la vista di Dio?

Non la godevano: ma in somma pace e tranquillità riposavano nel Limbo. Quivi discese l’Anima di Cristo e li liberò da questa carcere per condurli al Cielo.

§ III.

Di vari titoli che convengono a Cristo, del culto che a Lui si deve, e di quello che compete ai suoi Santi.

— Quali titoli convengono a Cristo?

1. Egli è Figlio di Dio Naturale, e nemmeno considerandolo come Uomo si deve chiamare Figliuolo di Dio adottivo. 2. È Re secondo la Divinità non solo, ma anche secondo l’Umanità. 3. È Capo degli uomini e degli Angeli. 4. È Legislatore. 5. È Giudice. 6. È Sacerdote e Sacerdote in eterno. 7. È Mediatore, ossia Conciliatore di Dio con gli Uomini avendo pienamente, anzi sovrabbondantemente soddisfatto per essi appresso la Divina Giustizia (Habert de Incarn. e. 8).

— Cristo prega per noi il Divin Padre?

Dice S. Agostino che Cristo come Uomo prega per noi, e che, come Dio, esaudisce la preghiera insieme al Divin Padre: Christus homo prò nobis est orator, ut Deus est cum Patre exauditor (Habert ibid.).

— Quale culto si deve a Cristo?

Bisogna notare tre sorta di culto. Il primo è quello di Latria, che è l’adorazione somma ed assoluta con la quale si adora Dio per la sua Eccellenza increata ed infinita. Il secondo è di Dulia, e questa è l’adorazione con la quale si venera alcuna creatura per la sua dignità soprannaturale, non però eccellente in modo singolare. Il terzo di Iperdulìa, e questa è l’adorazione con la quale si onora una creatura per la sua dignità soprannaturale in modo singolare eccellente. Notate queste cose, è di fede che Cristo Uomo Dio, devesi adorare con adorazione di latria, e con adorazione di latria si deve pure adorare la sua Umanità, non per se stessa, ma per l’Increata e Infinita Eccellenza del Verbo Eterno, cui personalmente e sostanzialmente è unita (Antoin. de. Incarn. cap. 7. art. 1 et 2).

— A chi si deve il culto di Dulìa?

Si deve agli Angeli ed ai Santi, i quali hanno una dignità soprannaturale, ma non eccellente in modo singolare.

— A chi si deve il culto di Iperdulia?

Si deve soltanto a Maria Vergine, la quale ha una dignità soprannaturale, eccellente in modo singolare, essendo vera Madre di Dio come abbiamo detto.

— È cosa conveniente il venerare i Santi, gli Angeli, e Maria Vergine?

È cosa convenientissima, come fu sempre cosa convenientissima l’onorare gli amici, i ministri, e tanto più la Madre del Sovrano. I Sovrani in questa terra vedendo onorati i propri amici, ministri e madre, reputano fatto a loro stessi l’onore che si rende a quelli. Similmente Iddio si onora con l’onore reso ai Santi, agli Angeli, e a Maria Vergine.

— È ella cosa utile il ricorrere all’Intercessione dei Santi, degli Angeli, e di Maria?

É cosa utilissima: perché eglino ascoltano le nostre preghiere, sono zelantissimi del nostro bene, e ci ottengono le grazie delle quali abbisogniamo. Sopra tutto, è cosa utilissima il ricorrere all’intercessione di Maria Ss., perché Ella, appresso il suo Divin Figlio, è così potente con le sue preghiere, che ne varrebbe più una delle sue che tutte quelle degli Angeli e dei Santi tutti del Paradiso. La Chiesa ha sempre promosso con impegno singolarissimo la Divozione verso Maria Ss., la quale appunto consiste nel venerarla e nel pregarla ché interceda per noi. I Santi più distinti in scienza e pietà, si distinsero sempre per una specialissima devozione a Maria. Gli Autori che nella Chiesa godono il pregio di più sicura e immacolata dottrina, scrissero ognora grandi cose della Divozione a Maria; mentre il suo culto non è disapprovato che dagli eretici, e i poco devoti di Lei. sono solamente i poco buoni Cristiani. Mi perdoni perciò Maria, mi perdonino i suoi devoti, se io dico soltanto che la divozione a Maria è cosa utilissima; se ne dica di più senza timore di errare.

— Si esprimono bene, quelli che dicono che Maria fa delle grazie?

Si esprimono bene, perché la Chiesa domanda a Maria che faccia grazie: “Solve vincla reis, profer lumen cœcis etc;” per altro bisogna intendere che Maria le impetra, essendo certo che l’autore di ogni grazia è Dio, come l’Autore di ogni bene.

— Quali sono le cose espressamente definite di Fede a riguardo del culto dei Santi?

Il sacrosanto Concilio di Trento, nella sess. XXV, dichiarò di Fede che i Santi pregano per noi appresso Dio, e che è cosa buona ed utile l’invocarli supplichevolmente, perciò chi negasse queste verità, sarebbe un eretico.

— Si devono venerare le immagini Sante?

È cosa di Fede definita nel Concilio Niceno II, e nel Tridentino che si debbano venerare le sante immagini, riferendo però il culto che loro si presta o a Cristo, o alla Vergine, o ai Santi che rappresentano.

— Si devono pure venerare le reliquie dei Santi?

Il sacrosanto Concilio di Trento (sess. XXV) definì espressamente, che alle Reliquie dei Santi si deve venerazione ed onore; s’intende poi che speciale venerazione ed onore fra tutte le Reliquie merita il Legno della vera Croce di Cristo, come la più eccellente Reliquia che ci è rimasta del Salvatore.

25 APRILE, LITANIE DEI SANTI: INDULGENZE

Indulgenze per le LITANIE DEI SANTI

XXI
LITANIÆ SANCTORUM
-687-

a) Fidelibus, qui in festo S. Marci Ev. vel in feriis
Rogationum in ecclesiis vel publicis oratoriis peculiari
sacræ functioni, quæ hisce diebus celebrari solet, devote
interfuerint, conceditur:
Indulgentia decem annorum;
Indulgentia plenaria, si peccatorum veniam obtinuerint,
eucharisticam Mensam participaverint et ad Summi
Pontificis mentem preces fuderint.
b) Iis vero, qui præfatis diebus, deficiente memorata
sacra functione, Litanias Sanctorum devote recitaverint,
conceditur:
Indulgentia septem annorum.
– c) Iis vero, qui ceteris anni diebus easdem Litanias
pie recitaverint, conceditur:
Indulgentia quinque annorum;
Indulgentia plenaria suetis conditionibus, si quotidie
per integrum mensem eamdem fecitationem iteraverint
(S. Pæn. Ap., 10 iul. 1935 et 21 mart. 1941).

[10 anni a chi partecipa alla funzione in pubblico oratorio o in Chiesa (funzione della Chiesa Cattolica “una cum” il Papa legittimo, S. S. GREGORIO XVIII); Ind. Plenaria a chi è pure confessato e comunicato; 7 anni se recitate nella giornata del 25 aprile e nei gioni delle Rogazioni minori anche senza partecipare alle funzioni; 5 anni in qualunque giorno dell’anno, e ind. plenaria s.c. se recitate per un mese).

25 Aprile: LITANIE O ROGAZIONI. – Litanie dei Santi

LA PREGHIERA (Alapide, 3)

PREGHIERA (3)

[E. Barbier: I Tesori di Cornelio Alapide]

10. Come si può pregare sempre? — 11. Ma quando bisogna particolarmente pregare? — 12. Preghiera pubblica. — 13. La preghiera fatta in chiesa ha più efficacia. — 14. Bisogna pregare gli uni per gli altri. — 15. Delle varie preghiere in uso presso i cristiani. — 16. L’elevazione delle mani, nella preghiera, ci propizia Iddio ed è essa stessa una preghiera. — 17. Vi sono di quelli che pregano male. — 18. Errori che si commettono nella preghiera. — 19. Ostacoli alla buona riuscita della preghiera. — 20. Vi sono preghiere che invece di essere esaudite, meritano di essere punite. — 21. Disgrazia di quelli che non pregano. — 22. Mezzi per pregare bene.

10. Come si può pregare sempre? — Ma com’è mai possibile, dicono i partigiani del mondo, gli avari, i dissipati, come è possibile attendere di frequente alla preghiera, pregare, pregare sempre, in mezzo alle cure della famiglia, ai rumori e ai disturbi dei negozi? Senza contare che il tempo manca, come può reggere la mente ad una preghiera continua? Questa cosa è impossibile. Inganno ed errore: la cosa è non solamente possibile ma facilissima. Ascoltate come si può pregare sempre. – Il Venerabile Beda ci dà egli solo in due parole la soluzione di ogni difficoltà: « Sempre prega colui che fa tutte le sue azioni secondo Dio » dice il citato scrittore (In Sentent.). La stessa massima aveva già espresso S. Basilio con quelle altre consimili parole: «Chi si regola sempre bene prega sempre; la sua vita è una preghiera continua » (Hom in Iudittham mart.). Anche secondo S. Ambrogio, il giusto prega sempre, perché anche quando l’anima sua non prega, le opere ch’egli fa, intercedono per lui e tengono per lui il luogo di preghiera; anzi, perfino quando dorme, i fatti suoi risplendono innanzi al Signore e gli servono da patrocinatori presso Dio. Il peccatore medesimo che si trova in peccato mortale, prega sempre dal punto in cui desidera ardentemente di spezzare le sue catene e uscire dal peccato, pregando e offrendo a Dio i suoi sforzi, le sue azioni attuali per ottenere la grazia di convertirsi. Quindi se appena svegliati e levati, offrite a Dio il primo vostro pensiero, e le occupazioni giornaliere, il giorno intero sarà per voi una continua preghiera. Andate al lavoro? Fatene offerta a Dio, ed il vostro lavoro sarà una non interrotta preghiera. Vi sedete a mensa, o uscite a ricreazione? Offrite a Dio il vostro cibo, ricreatevi avendo lui in mente, e il cibo e il divertimento vi servirà di preghiera. Raccomandate a Dio il sonno prima di chiudere le palpebre, e il vostro sonno è una preghiera… Oh quanto ci arricchiremmo facilmente e senza disagio, se facessimo in questo modo! O come guadagneremmo il cielo quasi senza fatica, se veramente lo volessimo! Noi potremmo dire col Salmista: sebbene in altro senso: «Ebbero a bassissimo prezzo la terra desiderata » (Psalm. CV, 24).

11. Ma quando bisogna particolarmente pregare? — In 1° luogo bisogna pregare principalmente al mattino dopo che ci siamo levati: « Signore, dice il re profeta, voi ascoltate sul mattino la mia voce; in sui primi albori del giorno io mi presenterò a voi e contemplerò le opere vostre meravigliose » (Psalm. V, 4-5). « O Dio, Dio mio, io dono a voi i miei pensieri fin dall’aurora » (Psalm. LXII, 1). « Signore, io ho gridato a voi, e la mia preghiera salirà a voi di buon mattino » (Psalm. LXXXVII, 14). – Di buon mattino dobbiamo riempire il nostro cuore dei tesori della preghiera… L’Ecclesiastico ci dice che il vero savio « applicherà, in sul primo albeggiare dell’aurora, il suo cuore a pensare al Signore che lo ha fatto ed a pregare in presenza dell’Altissimo » (Eccli. XXXIX, 6); e l’autore della Sapienza ci fa notare che la manna la quale non poteva essere consumata dal fuoco, si squagliava al primo raggio di sole che l’avesse toccata, affinchè si rendesse a tutti manifesto che bisogna prevenire il sole per lodare Iddio, e conviene adorarlo sui primi albori del giorno (Sap. XVI, 27-28). – « Fin dal mattino, diceva S. Giovanni Climaco, io conosco la mia corsa di tutto il giorno » (Grad. VII); e voleva dire che la sua preghiera del mattino lo rischiarava e lo dirigeva per tutto il giorno, santificava la intera sua giornata. Questo eccellente vantaggio godrebbero tutti i cristiani, se tutti imitassero questo gran Santo… Con la preghiera del mattino; tutto il giorno è bene impiegato e Santificato. Si può quasi asserire che è intieramente profanato, triste e perduto quel giorno in cui si è trascurata la preghiera del mattino.

2° Bisogna pregare al principio ed alla fine di ogni azione… Con questo mezzo tutte le opere restano santificate; si schivano le azioni malvage, perchè non si può offrire a Dio quello che è cattivo.

3° Bisogna imitare il Salmista che diceva: « La sera, la mattina e al mezzodì invocherò il Signore, ed egli ascolterà la mia voce » (Psalm. LIV, 18). La Chiesa per ricordarci questa pia ed utile pratica e per incoraggiarci e aiutarci a seguirla, ha stabilito l’Angelus…

4° Bisogna pregare la sera, prima del riposo. Ascoltate il Salmista: « S’innalzi la mia preghiera come incenso al tuo cospetto; l’elevazione delle mie mani sia il mio sacrifìcio vespertino » (Psalm. CXL, 2).

5° Bisogna pregare nelle tentazioni, fra i pericoli, nelle infermità, quando si tratta della scelta dello stato, e generalmente in ogni affare di rilievo.

6° Bisogna particolarmente pregare nelle domeniche e nelle feste…

7° Bisogna pregare giunti all’età della ragione, in tutte le età della vita, e in tutti i luoghi, ma specialmente nell’ora suprema della morte.

 

12. Preghiera pubblica. — È cosa ottima la preghiera particolare, ma più potente ancora è presso Dio la preghiera pubblica. Dice Gesù Cristo : « Vi dico, in fede mia, che se due tra di voi si accordano su la terra per dimandare qualche cosa, l’otterranno dal Padre mio che è nei cieli, perchè dove si trovano due o tre congregati nel mio nome, io mi trovo in mezzo a loro » (Matth. XVIII, 19-20). – Il popolo tutto quanto pregò con Giuditta; quella preghiera operò prodigi… I Niniviti pregano tutti insieme, ottengono grazia… Gli Apostoli pregano insieme nel cenacolo, lo Spirito Santo discende sopra di loro, li colma de’ suoi doni… I primi Cristiani, unendosi agli Apostoli, fanno preghiere pubbliche, e ottengono la conversione dell’universo pagano. Ester suggerisce a Mardocheo che raduni tutto il popolo, e preghino tutti per lei mentre entrerà nelle stanze del re. Così fu fatto, ed in virtù di quella preghiera pubblica, Ester si rese celebre e gloriosa, cambiò Assuero, fece castigare Amano, liberò il suo popolo dalla strage, procurò grandissima gloria a Dio. Perciò in occasione di pubbliche calamità, di pesti, di carestie, di guerre e simili flagelli, la Chiesa ebbe sempre in uso di ricorrere alla preghiera pubblica. – Le preghiere pubbliche sono più efficaci presso Dio, che le altre, perchè nel numero vi sono sempre dei giusti mescolati coi peccatori, e Dio ascolta anche la preghiera dei peccatori, perchè unita a quella dei giusti… Principalmente nelle preghiere pubbliche lo Spirito Santo dimanda Egli medesimo per noi e supplica con gemiti ineffabili, come dice S. Paolo ai Romani (Rom, VIII, 26). I santi Padri dicono che lo Spirito Santo dimanda per noi, ossia si muove a domandare e gemere. Domanda poi con gemiti ineffabili, cioè celesti e divini, e per mezzo delle misteriose ispirazioni della grazia… Impariamo da questo, che la vera preghiera consiste nei gemiti, negli affetti, nei desideri, nelle orazioni giaculatorie, nei sospiri infocati. – Ma quantunque soli, noi possiamo in certo modo fare pubbliche preghiere, unendo la nostra intenzione a quella della Chiesa e domandando con essa, con tutti i suoi giusti ed i suoi santi, tutto quello che essa chiede a Dio. Vi è poi anche una preghiera comune che tutti possiamo fare. È perfetta e comune la preghiera di coloro che pregano col cuore, con l’anima, con lo spirito; che pregano con le parole, con la compostezza, col raccoglimento di tutti i sensi. Preghiera comune a tutto ciò che in noi può invocare il nome del Signore, è accoppiare insieme, quando preghiamo, la parola, l’attenzione, le buone opere, una vita santa, il corpo, l’anima, la volontà, lo spirito, il cuore. Questi sono come altrettanti esseri riuniti che pregano insieme; ed una preghiera cosiffatta è sempre la ben venuta, l’ascoltata, l’esaudita da Dio… Così pregava l’Apostolo il quale dice : « Che cosa farò io? Pregherò con lo spirito, con l’anima, col cuore » (I Cor. XIV, 15)… La più perfetta di tutte le preghiere pubbliche è la Messa, ossia il Sacrifizio dell’altare…

13. La preghiera fatta in chiesa ha più efficacia. — La preghiera che si fa in chiesa ha maggior pregio ed onora più Iddio, che fatta altrove, perché, 1° essendo la Chiesa la casa propria di Dio in questo mondo, la preghiera che vi si fa veste il carattere di pubblica invocazione, di lode, di adorazione a Dio in faccia a tutta la Chiesa. 2° Nella Chiesa, tutte le preghiere sono unite; quelle di Gesù Cristo, del sacerdote, dei fedeli. 3° Nel tempio, il giusto unito al peccatore viene in aiuto di questo. 4° Vi trova l’esempio degli altri, e questo esempio è di grande spinta e conforto. « Il Signore ha esaudito la mia preghiera nel suo santo tempio», diceva il re profeta (Psalm, XVII, 8). Il profeta Gioele dice che i sacerdoti, i ministri di Dio, piangeranno tra il vestibolo e l’altare, e grideranno: Perdonate, o Signore, perdonate al vostro popolo, e non abbandonate al vitupero la vostra eredità. E allora il Signore avrà pietà degli uomini, li risparmierà, e loro perdonerà; li colmerà de’ suoi favori e darà loro l’abbondanza dei frutti della terra (Ioel. II, 17-19). Salomone costruisce il tempio di Gerusalemme; e Dio gli annunzia e gli promette: « Io ho santificato questa casa da te fabbricata, per porre in essa il mio nome in eterno, e qui si volgeranno i miei sguardi, e quivi poserà il mio cuore per tutti i tempi » (II. Reg. IX, 3).

14. Bisogna pregare gli uni per gli altri. — « Pregate gli uni per gli altri, dice S. Giacomo, affinché andiate salvi », (Iac. V, 16). La carità ci invita e c’impone il debito di pregare gli uni per gli altri; a questo ci spinge l’esempio del Redentore, degli Apostoli e di tutti i Santi. « Padre santo, diceva Gesù a Dio Padre, io vi prego di conservare nel vostro nome quelli che a me avete dato, affinché siano tutti una sola cosa, come noi » (Ioann. XVII, 11). E tanto gli sta a cuore che preghiamo gli uni per gli altri, che non vuole esclusi da questa atto di carità i nemici medesimi; anzi ce ne ha fatto obbligo preciso, con quelle parole: «Pregate per quelli che vi perseguitano e calunniano » (Matth. V, 44), e suggellò il precetto con l’esempio, pubblicamente, in croce, allorché disse: «Padre, perdona loro (ai carnefici), perché non sanno quel che si fanno»  (Luc. XXIII, 34). «Noi pregheremo continuamente per tutti», dicevano gli Apostoli (Act, VI, 4). «Non cessiamo mai dal pregare per voi», scriveva San Paolo ai Colossesi (I, 3), e anche voi pregate per noi (IV, 3). Egli assicurava ai Romani, che faceva sempre ricordo di loro nelle sue orazioni (Rom. I, 9-10). A Timoteo poi raccomandava che si facessero nella sua chiesa preghiere, suppliche, domande, ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per quelli che sono in alto grado (I Tito. II, 1-2). La Chiesa prega ogni giorno per tutti: non solamente prega per i suoi membri, ma per tutti gli uomini; per i pagani, per gli eretici, per gli scismatici; prega per i suoi nemici, per i persecutori, per i suoi carnefici. « Per me, esclamava Samuele, Dio mi guardi da questo peccato, che cessi mai dal pregare per voi! » (I Reg. XII, 23). «Se Stefano non avesse pregato per Saulo, forse la Chiesa non avrebbe un San Paolo», scriveva S. Agostino (Epl. XCVII)… Pregare per gli altri è carità, e la carità è la prima condizione della preghiera. Ciascuno dunque, conchiudo con S. Agostino, preghi per tutti, e tutti preghino per ciascuno (Epl. XCVII).

15. Delle varie preghiere in uso presso i Cristiani. — La preghiera del mattino giova a passare santamente la giornata…; quella della sera si fa perché Dio ci benedica e conservi lungo la notte. Con l’invocazione che premettiamo al pranzo ed alla cena, noi dimostriamo e confessiamo : 1° che riconosciamo di avere da Dio le vivande ed ogni altra cosa; 2° che vogliamo prendere il cibo per amor di Dio; 3° che non mangiamo come le bestie; 4° domandiamo che quell’alimento giovi all’anima ed al corpo; 5° preghiamo per ricordarci di Dio, o aver altro buon pensiero durante il pasto; 6° affinché il cibo non sia per satana un mezzo con cui tentarci; 7° per non mangiare troppo o per golosità, ma solo secondo il bisogno; 8° per scacciare il demonio dagli alimenti, non meno che da noi. Il ringraziamento dopo la mensa si fa: 1° per ringraziare Iddio degli alimenti somministratici nella sua bontà; 2° per ottenere la grazia di farne buon uso; 3° perché non abusiamo del vigore e delle forze che quel cibo ci ha dato; 4° affinché Dio continui a somministrarci il pane di ogni giorno… – La preghiera prima del lavoro ha per fine di attirare sopra di noi e su le opere nostre la benedizione di Dio nell’ordine temporale e nello spirituale. La preghiera dopo il lavoro ha lo scopo di ringraziare Dio di averci insinuato l’amore al lavoro, che è una virtù, di averci dato il coraggio per lavorare, e di chiedergli perdono delle colpe o mancanze commesse nel lavorare. – L’Angelus è per onorare la Madre di Dio, la Santissima Trinità, e per ricordarci l’insigne benefizio dell’Incarnazione del Verbo e la grandezza nostra per la Redenzione. La preghiera della domenica vale a santificare il giorno del Signore e ad ottenere grazie per la settimana, ecc., ecc…

16. L’elevazione delle mani, nella preghiera, ci propizia Iddio ed è essa stessa una preghiera. — « Io offro il mio sacrificio della sera, innalzando le mani », diceva il Salmista (Psalm. CXL, 2). « Signore, esclama egli altre volte, io ho innalzato le mie mani verso di te; l’anima mia è come terra arsa da siccità; deh! esaudiscimi presto! » (Psalm. CXLII, 6-7). Leggiamo nell’Esodo, che quando Mosè innalzava le mani, Israele era vittorioso dei nemici; ma quando le abbassava Amalec trionfava (XVII, 11). Del resto, noi troviamo che fin dai primi tempi del cristianesimo gli Apostoli avevano stabilito questa pratica nelle preghiere pubbliche e private : « Voglio, scriveva S. Paolo a Timoteo, che gli uomini preghino in ogni luogo, alzando le mani pure » (I Tim., II, 8). – Ma con le mani dobbiamo innalzare anche i cuori nostri a Dio che è ne’ cieli, secondo l’avviso di Geremia (Lament. IlI, 41). A commento di queste parole, serve quel tratto di S. Gregorio : « Colui che convalida le sue preghiere con opere buone, alza le sue mani col cuore; come colui il quale prega senza aggiungervi le opere, alza il cuore ma non le mani; chi al contrario fa delle opere buone, ma non prega, costui alza le mani, non il cuore». A quelle parole del Prefazio della Messa il sacerdote alza le mani, e le tiene quindi in alto fino alla comunione… 1° Alzare le mani è atto da supplicante… 2° Noi tendiamo le mani come infelici che sul punto di naufragare, chiedono aiuto… 3° L’elevazione delie mani indica l’elevazione dell’anima a Dio… 4° Per l’estensione delle mani, noi ci offriamo a Dio e ci mettiamo nelle sue braccia divine… 5° Imitiamo la posizione di Gesù Cristo su la croce… 6° E il segnale della carità che abbraccia tutto il mondo… 7° Professiamo il nostro distacco dalla terra… 8° Accenniamo di tendere ed aspirare al cielo… 9° Facciamo violenza a Dio e, animati da confidenza, mostriamo di volere quasi afferrare con le mani quello che gli domandiamo… 10° Stendiamo le braccia come per avvinghiarci a colui che supplichiamo, per vincerlo e sforzarlo a farci misericordia, a patteggiare con noi, e a concederci l’oggetto dei nostri desideri… 11° Proclamiamo i meriti di Gesù crocifisso e li offriamo al Padre come mezzo efficacissimo di ottenere tutto ciò che domandiamo. Perciò il prete all’altare prega molte volte con le braccia stese in forma di croce. 12° Finalmente con questo atteggiamento mostriamo di voler respingere i nemici della nostra salute.

17. Vi sono di quelli che pregano male. — « Voi non sapete quello che domandate », disse Gesù Cristo agli Apostoli, a proposito della domanda da loro fatta di cosa non conveniente (Matth. XX, 22); a quanti si potrebbe dare questa risposta! « Voi domandate e non ricevete, perché chiedete male », a molti altri può ripetersi con S. Giacomo (Iac. IV, 3). – In tre modi può succedere che una persona parlando ad alcuno, non possa farsi intendere e capire: 1° o perché colui al quale si parla, non ode il suono delle parole; 2° o perché non ne afferra il significato; 3° o perché sta distratto in altri pensieri e non bada a quello che gli si dice… Dio ode tutto, intende tutto, comprende tutto, sta attento a tutto. Ma si vuol dire che talora non intende, o non sente, o non sta attento, perché non cura, anzi disprezza, la preghiera mal fatta, come se non badasse, o non udisse, o non intendesse. Perciò il Profeta, prima di mettersi in orazione, diceva al Signore: Porgete orecchio alle mie parole, ascoltate i gemiti miei, udite il grido del mio dolore, o mio re, o mio Dio; state attento alla mia preghiera (Psalm. V, 1-2). Egli chiede pertanto in sul principio che Dio l’intenda, presti l’orecchio, lo comprenda. Ora Dio disprezza, come se non intendesse il suono delle parole di colui che lo prega, quando costui è talmente distratto, che non capisce nemmeno egli medesimo quello che dice, ovvero prega con tanto torpore e tanta divagazione, che la sua preghiera non può levarsi in alto. Dio si regola come se non comprendesse quello che gli si domanda, quando chi prega non sa quello che dice, domandando quello che gli è inutile, ovvero anche nocevole, ancorché lo domandi con attenzione e desiderio. Finalmente Dio fa come chi è distratto, quando chi prega non è degno di essere ascoltato, o prega senza l’umiltà voluta, senza la confidenza necessaria e senza le altre disposizioni che devono accompagnare la preghiera, o quando, essendo peccatore, non ha nemmeno cominciato a pentirsi, a correggersi, a fare penitenza. – Il Salmista, inspirato dallo Spirito Santo, chiede dunque a Dio il dono di pregare bene, affinché gli sia dato di pregare come bisogna, acciocché Dio non rigetti la sua orazione, ma ne oda il suono, ne intenda il significato e l’ascolti. Il Salmista aggiunge, mio re, per ottenere più facilmente; perché un buon re suole esaudire il suo popolo. Soggiunge: mio Dio, per mostrare che in questo re egli vede il suo Dio di cui egli è creatura dipendente in tutto da lui, e che nulla può senza di lui… Dio né ascolta, né comprende, né guarda quelli che pregano male; e quindi non li esaudisce, non essendone meritevoli… .. – Oh come è grande il numero di quelli che pregano male! Se quelli che pregano male non raggiungono quello che domandano, non è da incolparne né Dio né la preghiera in se stessa, ma solamente chi prega male, perché egli prega con cattive disposizioni, o domanda male, o chiede quello che non deve chiedere… « Parecchi, dice S. Agostino, nel pregare languiscono e stanno dormigliosi. Come! il nemico veglia e tu dormi? (In Psalm. LXV). – Dunque pregano male e non meritano di essere né ascoltati né esauditi coloro che pregano senza preparazione, senz’attenzione, o non pregano nel nome di Gesù Cristo; quelli che pregano senza, zelo, senza diligenza, senza fede, senza fiducia, senza fervore, senza umiltà, senza compunzione, senza carità, senza perseveranza. Mancando anche una sola di queste disposizioni, si prega male… Voi domandate e non ricevete; non lagnatevi nè brontolate contro Dio o contro la preghiera: chiamate voi medesimi in colpa; voi non ricevete nulla, nemmeno allora che domandale, perché domandate male (Iac. IV, 3).

18. Errori che si commettono nella preghiera. — « Quello che dobbiamo domandare pregando, non lo sappiamo », dice il grande Apostolo (Rom. VIII, 26). Questo ci può accadere in sei modi: 1° Se domandiamo un bene temporale che sia per nuocere all’anima; 2° se preghiamo con intenzione di essere assolutamente liberati dalla tentazione o da una qualche infermità o croce la quale giova a tenerci bassi e a farci praticare qualche virtù speciale; 3° se chiediamo qualche favore, anche spirituale; ma per ambizione, come i figli di Zebedeo; 4° se domandiamo, per impeto di zelo indiscreto, come gli Apostoli che domandavano a Gesù Cristo che facesse piovere fuoco dal cielo su gli abitanti di Samaria, perché non lo avevano voluto ospitare tra le loro mura; 5° se preghiamo Dio che ci dia subito qualche grazia, la quale meglio ci conviene che ci sia differita, affinché per quest’indugio cresca in noi l’applicazione alla preghiera e il merito della pazienza, e della perseveranza; 6° se chiediamo una condizione nel mondo, o uno stato di vita, al quale Dio non ci chiama… Ora lo Spirito Santo invocato, ricevuto, regnante in noi, governa e dirige tutte queste cose nella preghiera, e dissipa tutti i nostri errori ed inganni. Questo è ciò che intende dire S. Paolo, con quelle parole: « Lo Spirito aiuta la nostra debolezza; poiché quello che ci convenga domandare pregando, noi non lo sappiamo, ma lo Spirito domanda Egli medesimo per noi, con gemiti ineffabili » (ut sup.). – « Vi sono molti, scrive S. Isidoro, i quali Dio non esaudisce secondo il loro volere, ma secondo che conviene alla loro salute ». Dio ci esaudisce talvolta togliendoci quella tribolazione da cui pregavamo di essere liberati, tal altra dandoci la virtù della pazienza, ed in quest’ultimo caso il dono è ancor più grande; qualche volta ci comunica non solo la pazienza, ma anche la gioia nelle prove, e questo è eccellentissimo benefizio… In quanto alle cose temporali, bisogna sempre domandarle con la condizione che possano tornare alla gloria di Dio, a nostra salute, ad edificazione del prossimo… Quelle spirituali possiamo chiederle senza riserva.

19. Ostacoli alla buona riuscita della preghiera. — 1° S. Isidoro nota come due ostacoli insuperabili al buon esito della preghiera, l’ostinarsi nel peccato e il negare il perdono di una ingiuria ricevuta.

2° Impedimenti alla preghiera sono l’agitazione, l’affanno, gli scrupoli. Come nell’acqua torbida non si vede nulla, così l’anima agitata, commossa, troppo scrupolosa, non può vedere Iddio nella preghiera, nè sapere quello che le manca, né domandare come bisogna…

3° « La preghiera è zoppa, dice il Crisostomo, quando l’azione non cammina di pari passo con l’orazione; perché la preghiera e le opere sono i due piedi che reggono l’anima ».

4° Il peccato, e principalmente l’abito del peccato, sono un ostacolo immenso all’efficacia della preghiera. « I vostri delitti alzarono un muro di divisione tra voi e il vostro Dio, leggiamo in Isaia; e i vostri peccati vi nascosero la sua faccia, sicché egli più non vi ode » (Isai. LIX, 2).

5° Pregare senza preparazione, forma un altro ostacolo al buon esito della preghiera. Di questo ci avverte lo Spirito Santo con quella sentenza : « Prima di pregare, prepara l’anima tua; e non essere come uomo che tenta Dio » (Eccli. XVIII, 23).

6° Altro ostacolo al felice esito della preghiera, è domandare cose ingiuste, inutili, vane, nocevoli. Dio, dice S. Cipriano, promette di essere presente e di esaudire le orazioni di coloro i quali rompono i legami dell’ingiustizia e fanno quello che egli comanda: questi meritano di essere esauditi dal Signore. Non bisogna pretendere di accostarci a Dio con preghiere disadorne, infruttuose, sterili; una preghiera nuda non ha efficacia presso Dio perché come ogni albero che non produce frutti è reciso e gettato al fuoco, così un’orazione senza buone opere, senza fecondità di virtù, non è capace di placare Dio e non merita di essere esaudita (Serm.).

7° « Cambiamo i nostri cuori, secondo l’avviso di S. Agostino: perché il giudice supremo si fa subito propizio per mezzo della preghiera, se chi prega si corregge delle sue cattive inclinazioni ».

 20. Vi sono preghiere che invece di essere esaudite, meritano di essere punite. — « Vi è una preghiera esecrabile, dice lo Spirito Santo, ed è quella di colui che si tura le orecchie per non udire la legge »  (Prov. XXVIII, 9); e di questa preghiera imprecava il Salmista: « L’orazione sua gli si ascriva a peccato »  (Psalm. CVIII, 7). 1° È questa la legge del taglione, perché Dio restituisce ciò che gli si presta; come l’empio non vuole ascoltare Iddio che parla per mezzo della sua legge, così a sua volta Iddio ricusa d’ascoltare l’empio, quando questi gli parla con la preghiera… 2° La preghiera di colui che si ostina nel peccato, andando congiunta all’affetto per il peccato e portando perciò con se stessa un disprezzo di Dio; è un peccato, riesce quindi abbominevole ed esecrabile a Dio: ora come volete che Dio l’ascolti senza punirla, piuttosto che rimunerarla? Chi prega con questa disposizione d’animo, dice infatti: Io voglio invocare Dio e servirlo, ma nel medesimo tempo offenderlo e irritarlo. Egli somiglia veramente a quei Giudei che, piegando il ginocchio innanzi a Gesù Cristo e adorandolo, gridavano: Ave, re del Giudei; e nello stesso mentre gli sputavano addosso (Matth. XXVII, 29). Di più, quegli che prega così, sembra fare complice Iddio del suo delitto, perchè preghiere di tal sorta domandano che favorisca il peccato e allora esse sono bestemmie e infinitamente oltraggiose a Dio. Prega davvero solamente colui che non vuole più peccare; ma chi prega e intanto continua nel peccato, si burla di Dio, anzi che pregarlo. 3° Il più delizioso profumo puzza se si mescola col lezzo di una cloaca; così è della preghiera : per quanto odorosa e cara sia a Dio in se stessa, se esce da un cuore infetto e incorreggibile, rimane corrotta dalle pestifere esalazioni del peccato: è un profumo corrotto che Dio non può più soffrire. 4° La preghiera di chi rimane nel peccato è esecrabile, perché chi si ostina nel male vive in istato di inimicizia con Dio : ora Dio odia necessariamente il suo nemico e non ne accoglie la preghiera. Perciò chi prega Dio mentre vuole rimanersene nel peccato, imita Giuda che tradisce il suo maestro mentre lo bacia. – S. Ambrogio, per farci comprendere l’accecamento e la disgrazia di coloro che continuano nel male, e intanto osano pregare senza volontà di correggersi e convertirsi, si serve del seguente paragone: Un tale stava affogato nella melma fino al collo; vedendo passare un viandante, stese le mani e gridò: Deh! abbi pietà di me e cavami di questa pozza. Il viandante gli porse la mano, ma quegli invece di aiutarsene a uscire, cacciò nel fango il braccio che gli veniva in aiuto, e cercò tuffare con sé nella pozzanghera il suo benefattore. Questi allora cambiata la carità in furore, gli disse: Triste ipocrita, perché domandarmi soccorso, mentre tu vuoi rimanerti nel lezzo, e cerchi affondarvi me stesso? Giacché tu ami la corruzione e la morte, restaci; tieni quello che hai scelto. Così fanno coloro i quali pregano Dio che li cavi dalla cloaca impura dei vizi, e frattanto si tengono strettamente abbracciati al vizio; non vogliono uscirne, e si ostinano a rimanervici (In c. IV Apoc.). – Oh! come è grande in questo mondo perverso il numero di coloro che imitano questo infelice! Tutti quelli che non vogliono osservare le leggi di Dio e della Chiesa, uscire dal peccato, allontanarsi dalle occasioni prossime del peccato, si burlano di Dio pregandolo; la loro preghiera è un peccato, è esecrabile O ciechi disgraziati e colpevoli, che non paghi di servirsi di ciò che è male in se stesso, cambiano anche il bene in male; che non contenti di bere acque avvelenate, cambiano in veleno le acque limpide e salutari in se stessei… Come appunto significò Iddio dicendo: « Quando voi stenderete le mani verso di me, io volgerò altrove i miei occhi; voi raddoppierete le preghiere ed io sarò sordo, perchè le vostre mani stillano sangue » (Isai. I, 15). – La ragione ne è evidente, dice Alvarez: Io non vi esaudirò perché siete coperti di peccati volontari: perché per quanto sta da voi, spargete il sangue di Gesù Cristo, e ve ne bagnate le mani (In cap. I Isai.). Non meno fortemente parla, S. Basilio: La causa, egli dice, per cui Dio non ci esaudisce, è che noi lo irritiamo coi nostri peccati. È come se un assassino con le mani tuttora grondanti del sangue di un figlio diletto, da lui svenato sotto gli occhi del padre, andasse a stenderle verso il padre desolato per abbracciarlo e chiedergli grazia. Il sangue del caro figlio, di cui rosseggiano le mani dell’uccisore, non muoverebbe piuttosto a collera che a pietà il padre? E una tal preghiera non è esecrabile? Se questo padre volgerebbe altrove gli occhi e non darebbe retta ad una simile preghiera, come guarderà Iddio, o come potrà esaudire le orazioni di quelli che calpestano le sue leggi, che lo vilipendono senza pentirsene, che vogliono continuare a oltraggiare e crocifiggere il suo divin Figlio? Chi prega Dio senza volontà di uscire dal peccato, tenta Dio, lo provoca, lo irrita con la sua temerità e irriverenza.

 

21. Disgrazia di quelli che non pregano. — Se è disgrazia, anzi peccato il pregare male, e specialmente con volontà di non lasciare la colpa, disgrazia più grave e peccato più enorme è abbandonare la preghiera; poiché sarebbe questo un rinunziare interamente alla propria salvezza e un voler vivere e morire dannato, eternamente reprobo e maledetto… Un orbo che più non vede il sole, è degno di tutta la nostra compassione; ma infinitamente più da compiangere è il cieco spirituale che più non vede la luce della preghiera. S. Bonaventura insegna che colui il quale abbandona la preghiera, porta un’anima morta in un corpo vivo, o è un corpo senz’anima (In Speculo). Abbandonare la preghiera equivale ad essere segnato col suggello della maledizione di Dio e dell’eterna riprovazione che è l’estrema di tutte le sciagure… Oloferne, visitando i dintorni di Betulia, trovò che l’acqua la quale serviva ad abbeverare la città, veniva dal di fuori; ed ordinò che si rompessero gli acquedotti per vincere con la sete la città assediata (Iudith. VII, 6). Il demonio toglie il canale della grazia, quando allontana dalla preghiera; ci priva di forze, ci soggioga e trionfa di noi a suo talento se riesce a farcela abbandonare… « Come città non munita di torri nè di mura, facilmente cade in potere del nemico, così il demonio con poco sforzo espugna e si sottomette un’anima non difesa dalla preghiera, e la spinge a poco a poco ad ogni sorta di scelleratezze ».

22. Mezzi per pregare bene. — 1° Come si può ottenere di non essere distratti, nel tempo della preghiera? domanda S. Basilio, e risponde: Col pensare che si è sotto gli occhi di Dio.

2° « Se procurassimo, dice S. Bernardo, di cercare, di domandare, di battere alla porta con sincera divozione, con grande affetto, con ardente desiderio, state certi che chi domanda riceverebbe, chi cerca troverebbe, a chi picchia sarebbe aperto ».

3° Bisogna accompagnare la preghiera col digiuno e con la elemosina… La preghiera da sola è debole, ma diventa vigorosa e robusta quando sia aiutata dalle due ali del digiuno e della elemosina; con queste ella vola rapida fino al cielo. Perciò il Signore dice: Spezza il tuo pane con l’affamato, da’ ricetto in tua casa al pellegrino, vesti il povero… Poi vieni ad invocarmi ed io ti esaudirò; grida a me ed io ti risponderò : eccomi presente (Isai. LVIII, 7-9). Appoggiato su queste parole, S. Cipriano insegna che Dio non esaudisce la preghiera, se non è congiunta ad opere pie (Serm.). Perciò Daniele diceva di essersi volto a pregare e supplicare Iddio nei digiuni, nella cenere e nel cilizio (Dan. IX, 3).

4° Finalmente chi intende di pregare bene e di ricavare frutto dalla preghiera, deve amare il ritiro: « Io allatterò quest’anima, dice Iddio, la condurrò nella solitudine e parlerò al suo cuore » (Ose. II, 14).

[Fine]

 

LA PREGHIERA (Alapide, 2)

PREGHIERA 2

[E. Barbier: I Tesori di Cornelio Alapide, vol. III, S.E.I. Torino, 1930]

5. Facilità della preghiera. — 6. Bontà infinita di Dio nella preghiera. 7. La preghiera è un onore, una gloria, una felicità. — 8. Motivi di pregare. — 9. Qualità della preghiera . 1° Che cosa si deve fare prima della preghiera; 2° Bisogna pregare nel nome di Gesù Cristo; 3° Bisogna pregare con attenzione; 4° Con zelo, diligenza, fervore; 5° Con fede e confidenza; 6° con umiltà e compunzione; 7° Bisogna pregare per quanto è possibile in istato di grazia; con cuore puro e scevro di odio; 8° Bisogna pregare sovente e perseverare nella preghiera fino alla morte.

5. Facilità della preghiera. — La preghiera è cosa facilissima a tutti, ricchi e poveri, dotti e ignoranti, vecchi e giovani e tutti possono facilmente pregare. La preghiera, mentre è il più efficace, anzi l’indispensabile mezzo di salute, è nello stesso tempo il più facile. Si può pregare in ogni tempo e luogo… Chiunque ha cuore, possiede tutto quello che occorre per pregare. Dare il cuore a Dio, questo basta: Dio non domanda altra cosa… – Qualcuno alle volte si lamenta che non sa pregare. Come!? Non sapete pregare! questo proviene dal fatto che voi non pregate; pregate, e voi saprete pregare; e quanto più pregherete, tanto più saprete pregare; nessuno diventa sapiente nella preghiera, se non a misura che prega: pregando spesso, s’impara a pregare. – La preghiera è facile, perché può essere breve ed insieme efficacissima. Il Pater, che è la più ricca, la più perfetta di tutte le preghiere; il Pater che racchiude in sè tutte le altre preghiere, è una preghiera non lunga e da tutti conosciuta… Qual fu la preghiera del cieco? «Signore, fate che io veda!». Qual fu la preghiera del pubblicano? « Signore, siatemi propizio, perché io sono un peccatore ». Quale fu la preghiera degli Apostoli in pericolo di naufragare? « Signore, salvateci perché andiamo perduti ». Qual fu la preghiera del centurione? « Signore, io non sono degno che voi entriate in casa mia, ma dite una sola parola, ed il mio servo sarà salvo ». Qual fu la preghiera del buon ladrone su la croce? « Signore, ricordatevi di me quando sarete nel vostro regno ». Tutte queste preghiere sono brevi, facilissime e furono tutte esaudite immediatamente. La preghiera è facile, perché si può pregare in ogni ora, di notte e di giorno. La preghiera è facile, perché Dio che è sempre presente, è sempre disposto ad esaudirci, a soccorrerci, ad ascoltarci. La preghiera è facile, perché Dio è di facile accesso, benché infinitamente grande, vuole che ci rivolgiamo a lui con libertà grandissima. Facile riesce la preghiera, per le consolazioni che vi si gustano ed il sollievo che vi si t.7. rova a tutti i mali.

6. Bontà infinita di Dio nella preghiera. — L’apostolo S. Giacomo dice che chi ha bisogno « domandi a Dio il quale dà a tutti con abbondanza » (Iac. I, 5). Dice S. Giovanni Crisostomo: « Dio vuole che noi riceviamo per mezzo della preghiera quello che desideriamo; oh che felicità, che fortuna è mai questa per noi, di discorrere con Dio, di poter domandare quello che ci abbisogna! ». « Dio è tutto per noi, dice S. Agostino, noi troveremo in lui ogni cosa. Hai tu fame? è tuo cibo; hai tu sete? è tua bevanda; ti trovi a brancolare nel buio? è tua luce; sei tu nudo? è tuo vestimento per l’eternità ». Diciamo pure anche noi con S. Bernardo: « Iddio si è dato tutto a me; si è speso tutto quanto a mio vantaggio» (Servi. IlI, in Circumcis.).
« Dio è vicino a coloro che lo invocano » (Psalm.. CXLIV, 18); e quanti lo invocano, sono esauditi (Psalm. XCVIII, 6). E il Signore medesimo impegna la sua parola, che esaudirà colui il quale leverà a lui le sue grida (Psalm. XC, 15); e si appellava all’esperienza del Salmista, dicendo : « Tu mi hai invocato nella tribolazione, ed io ti ho liberato » (Psalm. LXXX, 8). Insomma, possiamo sfidare con l’Ecclesiastico tutto il mondo a dirci chi mai abbia invocato Dio e non sia stato esaudito (Eccli. II, 12). – È tanta la bontà di Dio, che più desidera egli di dare che non noi di ricevere; e pregato, molto più abbondantemente dà, di quel che non gli si chieda. Iddio, come osserva S. Tommaso, dà 1° liberamente, non vende i suoi doni…; 2° generalmente, non a uno solo, ma a tutti…; 3° copiosamente…; 4° generosamente e senza rimproveri… Si vergogni dunque di se stessa l’indolenza umana; Dio è più disposto a dare che noi a ricevere; è nella natura di Dio il dare.

7. La preghiera è un onore, una gloria, una felicità. — Come è bella e vera quella sentenza del Crisostomo : « La corte e le orecchie dei principi sono aperte per poche persone privilegiate, ma la corte e le orecchie di Dio stanno spalancate per chiunque voglia avervi accesso. »  (De Orand. Dom. 1. II). Nei reali appartamenti non si penetra che a stento; ai monarchi, raro è che si possa parlare, tanti sono gli ostacoli che chiudono il passo alla loro reggia ed alla loro persona! Ma la preghiera ha libera entrata in cielo; essa va a Dio quando le talenta; entra nella corte celeste, si spinge fino al trono della divinità, da sola e ad ogni istante, senza che nessuna guardia le gridi: olà, dove vai? il re del cielo non dà udienza; tu a quest’ora lo importuni. Anzi, le guardie della corte divina, che sono gli Angeli, dicono a chi prega: vieni, entra, chiedi quanto vuoi e ti sarà dato. — E se è onore insigne Tessere ammesso all’udienza di un re, che onore infinitamente più grande non è quello di avere sempre libero l’accesso alla persona del re del cielo! Il mendicante è cacciato via dai palazzi abitati da uomini i quali in fin dei conti sono simili a lui per natura; e i poveri, i miserabili sono quelli che il gran Dio ammette più facilmente nel suo corteo ed ascolta con più premura. Andate, dice continuamente a’ suoi ministri il Re dei re, il Signore dei monarchi, andate per le piazze e per le contrade, nei vicoli e per i crocicchi, e conducete qua tutti gli accattoni, infermi, ciechi, sciancati che troverete e fate loro ressa che entrino, in modo che la mia casa si riempia (Luc. IX, 21-23). Ma non solamente questo gran Dio ci permette di rivolgerci a lui, assicurandoci che ci darà tutto quello che domanderemo, la qual cosa è già altissimo onore e singolarissima distinzione, ma ce ne fa un obbligo… Supponiamo che un mendicante ardisse accostarsi alla mensa di un ricco, con quali parole e con quali maniere ne sarebbe scacciato! e il più misero dei mendicanti va, per mezzo della preghiera, a sedersi quando vuole alla tavola di Dio, presso la persona medesima di Dio. Che dignità! che onore! che gloria!… « Ti è permesso conversare con Dio, scrive il Crisostomo, ti è lecito trattenerti con lui a tuo piacere, per mezzo della preghiera ti è dato di meritare quello che brami. E benché tu non possa intendere con le orecchie del corpo la voce di Dio, ricevendo quello che domandi, ben vedi ch’egli si degna parlare con te, se non con parole certo con benefizi ». Domandate e riceverete, affinché il vostro gaudio sia perfetto, dice Gesù Cristo (Ioann. XVI, 24)… « E qual felicità più grande può avere l’uomo, esclama S. Basilio, che quella di riprodurre su la terra i concerti degli Angeli, attendere alla preghiera su l’alba, esaltare il Creatore con inni e cantici? E poi, spuntato il sole, applicarsi al lavoro, non però mai dimenticando la preghiera? E finalmente, condire come di sale, tutte le azioni con cantici spirituali? ». « Io ho creato la pace per frutto della preghiera», dice il Signore per bocca d’Isaia (Isai. LVII, 19). Ecco la mercede, la felicità, la dolcezza della preghiera: è la pace. Nulla infatti rende l’uomo tanto contento, allegro, tranquillo, quanto la preghiera, principalmente nelle prove, nelle tribolazioni, nella contrizione, e nel pianto dei peccati… Al mondo stolto che non prega, riesce di grave pena la preghiera; non trova tempo per pregare; non può intendere come le anime virtuose possano tanto amare e praticare la preghiera, da consacrarvi ore intere non solo senza noia, ma anzi con diletto. Infelici! essi non conoscono l’unzione della preghiera; non gustarono mai, perché non ne sono meritevoli, o meglio, perché non vogliono, le consolazioni ineffabili, le dolci gioie che accompagnano questo divino trattenimento con Dio! La preghiera è veramente un saggio anticipato delle delizie celesti. Anime tepide, aride, negligenti, pigre, provatevi, fate qualche sforzo, e comprenderete quello che dico, perché lo sentirete, lo proverete in fondo al cuore.

8. Motivi di pregare. — « Domandate, dice Gesù Cristo, cercate, picchiate » (Matth. VII, 7). Domandate per ottenere forze; perché voi non siete che debolezza… Cercate la luce e la verità con la preghiera, perchè voi non siete che tenebre ed errori… Bussate con l’orazione alla porta del cielo e della grazia; perchè vi sono necessari ambedue… Chiedete la grazia senza la quale non potete nulla… Sforzatevi di ritrovare con la preghiera la veste dell’innocenza e delle virtù che avete smarrito… Battete affinchè vi siano aperti i tesori del Cuore ricchissimo di Gesù Cristo. I motivi che ci spingono a pregare sono la nostra povertà…, la nostra fiacchezza…, i nostri debiti spirituali…, le colpe, l’accecamento…, il tempo che ci è dato apposta perchè preghiamo…, la morte…, il giudizio…, l’inferno, il paradiso…, l’eternità.

9. Qualità della preghiera. 1° Che cosa si deve fare prima della preghiera. — « Prima di metterti all’orazione, prepara l’anima tua », dice l’Ecclesiastico (Eccli. XVIII, 23). Ci prepariamo alla preghiera: 1) con la lettura…; 2) col pentimento…; 3) con la considerazione della divina maestà alla quale si va a parlare…; 4) con la meditazione del proprio nulla…; 5) con la considerazione dei propri bisogni…; 6) con la considerazione dei vantaggi della preghiera…; 7) con la premeditazione delle cose che intendiamo domandare, perché non ci accada di chiedere cose o inutili, o nocevoli, o ingiuste; ma la nostra domanda versi intorno ad oggetti giusti, santi, degni di Dio, a lui graditi, a noi salutari. S. Bernardo dice: «Quale tu ti apparecchierai per comparire innanzi a Dio con la preghiera, tale a te si mostrerà Iddio; com’Egli troverà voi, così voi troverete lui; perché Egli è santo, sarà con chi è santo, Egli l’innocente, sarà con l’innocente ».Dio avrà cura di esaudire chi preparerà la sua preghiera nell’attenzione e nel raccoglimento; si mostrerà premuroso e liberale con chi apporterà diligenza e generosità. Chi si mette a pregare senza preparazione, chi si avvicina a Dio senza darsene pensiero, non placa Dio con la sua orazione, ma lo tenta, l’irrita, lo provoca con la sua temerità, con l’audacia, con l’irriverenza, con l’impudenza sua; principalmente poi se trovandosi in peccato, e quindi nemico di Dio e sotto il peso della sua collera, osa chiamarlo amico, senza che provi nessun dolore di averlo offeso. Dio ascolta solamente coloro che gli indirizzano le preghiere accompagnate da fede retta e da buone opere… Dunque, prima di cominciare la preghiera, pensate che voi siete una persona sommamente vile, perché peccatore ingrato, che siete cenere, polvere e corruzione; e per questa considerazione umiliatevi. Pensate quindi alla grandezza del Dio innanzi a cui vi portate con la preghiera; che è un Dio sapientissimo, santissimo, ottimo, onnipotente; amatore delle nature angeliche, riparatore della natura umana, creatore di tutte le cose. Ammirate, rispettate, adorate la divina maestà intimamente presente; ella sta davanti a voi. Amate la sua immensa bontà che è inclinata ad ascoltarvi, ad esaudirvi, a farvi del bene. Riaccendete la vostra speranza, ben sapendo che non uscirete né a mani vuote, né col cuore desolato, dalla presenza di un così gran re, dopo di avergli indirizzata la vostra preghiera. – Ecco un modo pratico per apparecchiarvi alla preghiera: 1) Io intendo pregare per dare lode, benedizione, onore a Dio. Una preghiera cosiffatta è un atto di religione. 2) Mi propongo di pregare Dio per piacergli; questa preghiera vi è ordinata dall’amore. 3) Voglio pregare per ringraziare Dio di tutti i suoi doni temporali e spirituali, concessi a me e a tutti gli altri; ecco un atto di riconoscenza. 4) Voglio pregare per imitare Gesù Cristo, la Beata Vergine Maria, gli Angeli beati e tutti i Santi del cielo, che mai non cessano dal pregare; unisco le mie preghiere alle loro orazioni ed ai loro meriti; ed in questa unione io offrirò le mie preghiere a Dio. Ecco l’iperdulia ed il culto dei Santi… 5) Voglio pregare per ottenere il perdono de’ miei peccati e soddisfarvi; ecco un atto di penitenza… 6) Voglio pregare per la liberazione delle anime del purgatorio, per ottenere ai peccatori il perdono, ai giusti l’aumento della loro giustizia; ecco un atto dell’amor del prossimo… 7) Intendo ancora pregare per chiedere un aumento di grazia e di gloria, cioè di umiltà, di carità, di mansuetudine, di castità, di sobrietà, di forza, di costanza, di perseveranza, di zelo, e in conseguenza per domandare un accrescimento di gloria celeste che corrisponda all’aumento di queste virtù e di queste grazie: ecco un atto di speranza e di differenti virtù… Utilissima cosa è avere tali intenzioni non solamente nella preghiera, ma ancora in tutte le azioni del giorno… Ci siamo noi fino ad oggi apparecchiati così alla preghiera? –

2° Bisogna pregare nel nome di Gesù Cristo. — È promessa formale del divin Redentore, che tutto quello che domanderemo al Padre nel nome suo, egli lo farà (Ioann. XIV, 13). « Se non sempre subito, osserva S. Agostino, sempre per certo; poiché le grazie sono talora differite, non mai negate ». Altra volta ripete: « Vi do la mia parola, che qualunque cosa domandiate al Padre mio in mio nome, egli ve la darà»; e si lagnava con gli Apostoli, che non avessero fino a quel giorno domandato nulla in nome suo (Ioann. XVI, 23-24). Per questo noi vediamo la Chiesa conchiudere tutte le sue orazioni con l’invocazione del nome di Gesù Cristo. – Perché bisogna pregare nel nome di Gesù Cristo? Primieramente, perché Gesù è il nostro mediatore presso il Padre (I Ioann. II, 1). Secondariamente, perché Gesù Cristo ci ha riscattati… In terzo luogo perché tutte le grazie vengono da Lui che ne è l’autore ed il dispensiere… In quarto luogo, perché tutto abbiamo da lui, tutto dobbiamo a Lui, e principalmente l’efficacia delle nostre preghiere… – Quando è che noi domandiamo, ossia preghiamo nel nome di Gesù Cristo? “Risponde S. Gregorio: «Il nome del Figliuolo di Dio è Gesù; e Gesù vuol dire Salvatore : pertanto prega nel nome di Gesù, chi domanda cose le quali veramente giovino alla sua eterna salute ». Siccome poi Gesù Cristo ci ha aperto il cielo, si è fatto uomo ed è morto per procurarcelo, il vero mezzo di pregare nel nome di Gesù Cristo, sta nel mettere in pratica quelle parole del Salvatore: « Cercate prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia, ed il resto l’avrete per di più » (Matth. VI, 33).

3° Bisogna pregare con attenzione. — Perché mai Gesù Cristo c’inculca di pregare in segreto, di allontanarci dal tumulto quando vogliamo pregare se non per insegnarci a stare attenti e raccolti nel tempo della preghiera? « Quando pregherete, dice, entrate nella vostra camera, e chiuso l’uscio, pregate il Padre vostro in segreto; ed egli che vede nel segreto, vi retribuirà » (Matth. VI, 33). Entrate nella vostra stanza, cioè raccoglietevi dentro di voi medesimi, fate attenzione a quello che dite… Chiudete l’uscio, cioè vigilate sui vostri sensi, cacciate le distrazioni, applicatevi con tutto l’animo all’orazione. Entrate nella vostra cella che è il vostro cuore; perché, secondo la frase di S. Francesco d’Assisi, « quando preghiamo, il corpo deve tenere luogo di cella, e l’anima fare l’uffizio di romito ». «State attenti nelle vostre preghiere», avvisa S. Pietro (I, IV, 7). « Non impiegate nel pregare molta copia di parole, scrive S. Agostino, ma con poche parole la preghiera riesce eccellente, quand’è fatta con pia e perseverante attenzione ». Tale era la preghiera di S. Paolo il quale diceva: « Pregherò con lo spirito, pregherò con attenzione » (I Cor. XIV, 15).Quando noi preghiamo, è come se dicessimo col Salmista: «Signore, porgete l’orecchio alle mie parole, ascoltate le mie grida; o mio re, o mio Dio, ascoltate la mia preghiera » (Psalm. V, 1-2). « Signore ascoltate la mia preghiera; essa non viene da bocca mentitrice » (Psalm. XVI, 1). Ora qual sarebbe la sfrontatezza, l’audacia nostra se mentre diciamo a Dio: ascoltateci, porgeteci orecchio, esaudite le  preghiere che in tutta sincerità vi indirizziamo, noi non facessimo punto attenzione a quello che diciamo, non pensassimo a quello che domandiamo, non sapessimo nemmeno noi quello che vogliamo? Noi siamo del continuo in distrazioni volontarie, attendiamo all’orazione sbadati, svagati, pigri, sonnolenti, pensando a tutt’altro che a Dio: ed è questo un pregare? Non è piuttosto un burlarsi di Dio, un insulto a Gesù Cristo? – La preghiera è un’elevazione della mente a Dio. Ma se mentre la bocca prega, l’anima vaga su la terra, si occupa della famiglia, degli affari, delle creature, e simili cose, può essa dire che è elevata a Dio? Ah! una tale preghiera, non merita il nome di preghiera. Noi ci lamentiamo molte volte che non otteniamo quello che domandiamo’. Ah! non è Dio che ricusi di darcelo, ma siamo noi che rifiutiamo di riceverlo. Oseremmo noi tenere tal modo nel chiedere qualche cosa agli uomini? « Voi domandate, diceva già S. Giacomo, e non ricevete, perchè domandate male » (Iac. IV, 3). « Ipocriti, direbbe Gesù Cristo a costoro, bene ha di voi profetato Isaia dove dice : Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me » (Matth. XV, 7-8).

4° Con zelo, diligenza, fervore. — Quando Gesù c’inculca di domandare, di cercare, certo egli c’insinua con questo modo di parlare, che la preghiera nostra dev’essere fatta con diligenza, zelo, fervore. Tale era la costumanza del profeta Davide il quale poteva dire a Dio: « O Dio, Dio mio, io vi cerco fin dall’aurora; chè assetata di voi è l’anima mia » (Psalm. LXII, 2). E poi ancora: « Io mi sono ricordato di voi stando nel mio letto nel più alto della notte; io ho meditato le vostre meraviglie al primo rompere dell’alba » (Id. 7). « A voi ho gridato, o mio Signore; e al mattino la mia preghiera vi previene » (Psalm. LXXXV, 14). I Santi vegliano la notte in preghiere, si alzano di buon mattino per pregare; e noi? noi poltriamo, noi dormiamo.
« O anima, dice S. Agostino, sii sollecita con Colui che è tutta sollecitudine a tuo riguardo; sii pura con Colui che è puro, sii santa con Colui che è santo, sii a disposizione di Colui che sta interamente ai tuoi cenni; quale sarai per Iddio, tale sarà Iddio per te »; cioè, come si esprime S. Eucherio di Lione: « quanta premura e diligenza noi portiamo all’orazione, tanta ne porrà Dio a esaudirci e a concederci le sue grazie» (Epist.). Se voi siete solleciti della preghiera, se procurate di prepararvi, di attendervi, di ben fare, Dio vi ammetterà Volentieri alla sua udienza, coronerà i vostri voti, adempirà i vostri desideri, vi colmerà di benefizi. Quanto meglio le vostre disposizioni concorderanno con quelle di Dio, tanto più vi ascolterà con piacere, vi risponderà con sollecitudine; poiché l’amico conversa volentieri con l’amico, si trattiene con lui lieto e festoso… « La preghiera, scrive l’Alvarez, non è sonno, ma veglia; non pigrizia, ma attività; perché il cuore deve applicarsi con diligenza, e l’intelletto adoprarsi con sollecitudine a comprendere le cose divine, affinché la volontà le gusti e vi si affezioni ». – Noi siamo sicuri di ottenere tutto ciò che domandiamo con la carità. Una preghiera breve ma fervente, vale infinitamente meglio che lunghissime orazioni fatte con tedio e rilassatezza. «La preghiera fervorosa, dice S. Bernardo, penetra certamente i cieli, donde non ritorna mai, senza alcun dubbio, vuota di effetto. Il grido che va diritto a ferire le orecchie di Dio, è il desiderio ardente che si sprigiona dal cuore per mezzo della preghiera ». « Non sono le alte grida, dice il Crisostomo, che scuotono Iddio, ma è il fervido amore, quello che lo muove. Dio non ascolta la voce, ma il cuore ». – « Voi m’invocherete, dice Iddio, e vi partirete esauditi; mi cercherete e mi troverete, perché mi avete cercato con tutto il cuore » (Ier. XXIX, 12-13). Ecco perché il re Profeta diceva che aveva trovato il suo cuore, per pregare (II Reg. VII, 27) : e si augurava che la sua preghiera salisse al cielo come incenso di soave odore (Psalm. CXL, 2). La preghiera fervorosa è incenso di grato odore. Tre cose si richiedono affinché l’incenso s’innalzi e sono l’incensiere, il fuoco, l’incenso. L’incensiere è il cuore, il fuoco dell’incensiere è l’amor di Dio, l’incenso è la preghiera. Senza fuoco, inutile è l’incenso. Quando il cuore avvampa di fervore, la preghiera sale in un attimo fino a Dio, e Dio colma l’anima di mille favori… La preghiera fiacca e accidiosa, è una preghiera non esaudita.

5° Con fede e confidenza. — Sono chiare le parole di Gesù Cristo : « Tutto quello che domanderete con fede, lo riceverete » (Matth. XXI, 22). È vero che la preghiera suppone la fede, altrimenti non si pregherebbe; ma questa non basta, si richiede una fede ferma e viva. Udite l’apostolo S. Giacomo : Se alcuno abbisogna di sapienza, si volga a chiederla a Dio, il quale la dà a tutti con abbondanza, e gli sarà data. « Ma domandi con fede, senza dubitare; perché chi dubita somiglia al flutto del mare, agitato e sobbalzato dal vento. Questo tale non si dia a credere di ricevere cosa veruna » (Iac. I, 5-7). « Il fondamento della preghiera è la fede; dunque, ne conchiude S. Agostino, crediamo per poter pregare, e preghiamo che questa fede la quale ci fa pregare, non ci manchi mai, né si intepidisca : la fede inspira la preghiera: la preghiera fatta ottiene la conferma della fede. Vegliate e pregate affinché non entriate in tentazione: che cosa è entrare in tentazione, se non uscire dalla fede? ». – «Bussate e vi sarà aperto», dice Gesù Cristo (Matth. VII, 7). Domandare e battere indicano la confidenza: non si domanderebbe, tanto meno poi si picchierebbe, quando non si avesse speranza di ottenere. Ma ci vuole una fiducia intera, assoluta, irremovibile… Si cerca, perché si ha fiducia di trovare. In ogni altro luogo la confidenza può essere ingannata; nella preghiera, non mai… Se Dio indugia a concederci quello che chiediamo, si raddoppi la confidenza e si otterrà. Quello che domandate, l’avrete a suo tempo. « Dio, dice il Profeta Abacuc, non ingannerà la vostra fiducia; se tarda a venire, aspettate, poiché verrà e non tarderà » (II, 3). Indegna cosa è tentennare nella confidenza… Chi manca di fiducia non merita di essere esaudito… La confidenza e la fede sono come le due ali della preghiera, con le quali essa Aula fino al trono di Dio e ottiene tutto ciò che le aggrada…

6° Con umiltà e compunzione. — Se, come insegna S. Paolo, noi non siamo capaci di concepire da noi medesimi il menomo buon pensiero, ma Dio è quegli che ce ne dà il potere (II Cor. II, 5), pensate voi se potremo pregare; importa adunque che chi vuole pregare si umilii innanzi a Dio, riconosca le sue miserie e i suoi bisogni, « L’orazione dell’uomo che si umilia, dice il Savio, passa le nubi, penetra nel cielo e non se ne parte finché l’Altissimo l’abbia guardata » (Eccli. XXXV, 21). No, Dio non isdegna mai né rigetta la preghiera dei poveri, cioè di quelli dal cuore umile, la guarda anzi con occhio benigno e cortese; come ci assicura il Salmista: (Psalm. XXI, 25) (Psalm. CI, 18); il quale perciò diceva a Dio: « Ascoltate la mia preghiera, perchè io mi sono umiliato profondamente » (Psalm. CXLI, 7). – L’umiltà è chiamata dal Crisostomo, il carro della preghiera (De Orat.). Anzi possiamo dire che essa le dà le ali con cui essa vola rapidissima al cielo, e senza le quali non fa che strisciare su la terra. Ne avete palpabile esempio nella preghiera del pubblicano, che è accettata immantinente ed esaudita da Dio, mentre quella del fariseo viene ributtata e punita. Osservate anche la preghiera del centurione: per umiltà e basso sentire che aveva di se medesimo, si professa indegno di accogliere tra le sue mura Gesù Cristo; ma appunto perché se ne conosce indegno, Gesù Cristo vuole andarvi. Ah! « Dio resiste agli orgogliosi, dice S. Giacomo, e dà la grazia sua agli umili » (Iac. IV, 6). – Nelle nostre preghiere dobbiamo imitare il mendicante. Appoggiato al suo bastone, il capo scoperto, se ne sta alla porta domandando un tozzo di pane per carità, e se ha alcune piaghe, le tiene scoperte. Tutte queste cose, i suoi cenci, le sue miserie, la sua voce fioca, la sua posizione umile, toccano il cuore del ricco il quale stende la sua mano benefica a sollevarlo… Noi siamo tutti quanti, dice S. Agostino, i mendicanti del grande Padre di famiglia; noi stiamo prostesi alla sua porta per domandargli il nostro pane quotidiano. Noi siamo stati scacciati dal paradiso terrestre, spogliati della veste dell’innocenza e privati di ogni bene, dal demonio e dal peccato. Bisogna dunque domandare con umiltà profondissima (Serra. XV, de Verb. Dovi. sec. Matth.); così pregando siamo certi di ottenere quanto ci occorre, perchè sempre Iddio gradì l’orazione degli umili (Iudith. IX, 16). – Quello poi che serve a un tempo ad eccitare in noi l’umiltà e a renderla certamente gradita a Dio e salutare a noi, è la compunzione del cuore; perchè Iddio non ripudia mai da sè un cuore contrito ed umiliato (Psalm. L, 19); e l’anima che prega compunta e contrita, al dire , di S. Bernardo, avanza rapidamente nella strada della salute. – « La preghiera, scriveva S. Agostino, si fa meglio con gemiti che con parole, più con le lacrime che con la lingua ». Oh come bella ed efficace preghiera sono le lacrime del cuore! « Quando tu pregavi piangendo, disse l’Angelo a Tobia, io presentava la tua preghiera al Signore » (Tob. XII, 12). « Mescoliamo le lacrime alle preghiere, ci suggerisce S. Cipriano: queste sono armi celesti le quali ci rendono invincibili: queste sono fortezze spirituali, e scudi divini che ci difendono ». Lisia si avanza alla testa di ottantamila uomini e di un forte nerbo di cavalleria e va ad assediare Betsura. Corsa voce a Giuda Maccabeo, che il nemico investiva la fortezza, si gettò per terra co’ suoi a domandare al Signore con pianto e gemiti che inviasse un Angelo per la salvezza d’Israele. Allora un cavaliere comparve innanzi ad essi, bianco vestito, con armi d’oro e con la lancia in pugno. Forti di questo soccorso, Giuda col suo esercito attacca battaglia col nemico, ne uccide gran parte, l’altra mette in fuga, riportando una splendida vittoria (II Mach. XI).

7° Bisogna pregare per guanto è possibile in istato di grazia; con cuore puro e scevro di odio. — Ci assicura S. Giacomo, che molto può la preghiera fervente e assidua del giusto (Iac. V, 16); e le preghiere che S. Giovanni vide esalare come profumi dalle coppe d’oro ch’erano tenute in mano dagli Angeli in Cielo, erano le preghiere de’ Santi (Apoc. V, 8). Le orazioni di coloro che si trovano in istato di grazia, sono paragonate ai profumi, a cagione del loro valore e del buon odore. Se Aronne, ponendosi in mezzo al popolo e alzando la voce a Dio con la preghiera, fece cessare la peste che mieteva la moltitudine, è perchè era giusto e santo (Num. XVI, 46). Se Mosè, Elia, Samuele, ecc. avevano tanta forza con le loro preghiere, da ottenere quanto chiedevano, e più ancora, lo dovevano allo stato di grazia in cui si trovavano. – Benché sia cosa desiderabile che chi prega si trovi in istato di grazia, tuttavia il peccatore il quale ha perduto la grazia, deve anche egli pregare, e pregare molto e più che il giusto, per ottenere il perdono de’ suoi peccati e riconciliarsi al più presto con Dio. Il malato ha bisogno di medico e di medicina; ora il peccatore è affetto dalla più spaventosa e orribile malattia che lo condurrebbe al sepolcro dell’inferno, se non adoprasse l’efficace rimedio dell’orazione, se non facesse ricorso a Gesù vero medico. – « Beati quelli dal cuore puro, perchè essi vedranno Dio », disse Gesù Cristo (Matth. V, 8). Ora se avviene che i puri, i casti veggano Dio quaggiù in terra, questo certamente avviene nella preghiera. Se noi ci presentiamo innanzi a Dio per pregarlo con cuore puro, noi potremo, diceva l’abate Giovanni, per quanto è possibile a uomo vestito di carne, vedere Dio e a lui volgere nella nostra preghiera, l’occhio del nostro cuore, e contemplare in ispirito l’Invisibile (Vit. Patr.). La castità di Giuditta unita alla sua preghiera, salvò il popolo giudeo da uno sterminio totale. La preghiera che parte da un’anima casta, pura, senza macchia, è infinitamente cara e gradita a Dio, e riesce onnipotente per l’uomo. – Ora che cosa sarà della preghiera che esce da un’anima travagliata dall’ira, rosa dall’odio? « Ah! nessuno, esclama S. Giovanni Crisostomo, sia così audace che si accosti a Dio con la preghiera, se cova nel suo cuore odio e vendetta ». Dio rigetta non meno con orrore la offerta, il sacrificio di chi prega con odio in cuore, che l’oblazione di chi prega col cuore volontariamente tuffato nel più fetente lezzo. – La preghiera perché  sia esaudita deve sgorgare da un cuore scevro di mal talento e pieno di carità. Pregando, l’uomo vuole e domanda che Dio gli usi misericordia; bisogna dunque che dimentichi e perdoni egli medesimo le ingiurie ricevute da’ suoi simili. Tutte le volte che l’uomo che odia profferisce quelle parole del Pater: Perdona a noi come noi perdoniamo a quelli che ci hanno offesi, pronunzia la sua condanna; la sua preghiera è un oltraggio.

8° Bisogna pregare sovente e perseverare nella preghiera fina alla morte. — Non basta pregare una volta, ma bisogna essere assidui a questo esercizio, e mantenervisi perseveranti fino alla morte. « È necessario pregare sempre e non stancarsi mai » (Luc. XVIII, 1). « Se egli continua a bussare, vi assicuro che gli sarà dato tutto ciò che gli abbisogna » (panes) (Luc. XI, 8). « Io vi dico domandate e vi sarà dato; cercate e troverete; picchiate e vi sarà aperto» (Ib. 9). Tutte queste sentenze sono di Gesù Cristo il quale, notate che non dice : domandate, cercate, battete una volta, due, dieci, mille volte; ma in termini generali raccomanda di sempre chiedere, sempre bussare. E la parola confortava con l’esempio; perché nella preghiera consumava le notti intere (Luc. VI, 12). Tre volte egli prega nel giardino degli ulivi, e solamente dopo la terza volta discende un Angelo a consolarlo. Non è questo un sublime esempio ed un forte stimolo per noi a perseverare nella preghiera? « Quando Iddio tarda un po’ a darci quello che gli domandiamo, ci vuole far notare il valore de’ suoi favori, non ce li nega, scrive S. Agostino; cosa lungamente aspettata, arriva più dolce e cara; se è subito concessa, non se ne tiene conto. Chiedendola e cercandola, cresce con l’appetito il gusto che poi si prova nell’assaporarla ». Quanti beni preziosi e abbondanti non ci darà Iddio nella sua bontà, dice il medesimo Santo; quel Dio che ci esorta a domandare e quasi si corruccia se non domandiamo; insistendo presso di lui con una violenza che, al dire di Tertulliano, gli riesce gratissima (Lib. de Orat.). Del resto, quegli che non persevera nella preghiera, non raccoglie nessun frutto duraturo: come non conseguisce il premio quel corridore il quale cade sfinito prima di avere toccato la mèta: la similitudine è di S. Lorenzo Giustiniani. – Degli Apostoli narra S. Luca, che ritornati a Gerusalemme dopo aver assistito all’ascensione del Salvatore, erano del continuo nel tempio a cantare le lodi del Signore (Luc. XXIV, 53); e perseveravano tutti d’accordo nella preghiera con le sante donne e con Maria madre di Gesù, e con i suoi fratelli (Act, I, 14). E tanto era l’amore che portavano alla preghiera, che rinunziarono ad ogni esteriore faccenda, per consacrarsi tutti di proposito alla preghiera continua (Act. VI, 4). Da ciò si comprende come inculcassero con tanta premura la preghiera ai cristiani. « Pregate con ogni sorta d’istanza e di supplica, in tutti i tempi, vigilando e pregando senza tregua, in ispirito, per tutti » (Eph. VI, 18). « Vegliate e perseverate nella preghiera con azioni di grazie » Coloss. IV, 2). « Pregate senza posa » (I Thess. V, 17). « La vera vedova deve perseverare giorno e notte nelle preghiere e nelle suppliche » (7 Tim. V, 5). E quello che raccomandava ai fedeli, lo eseguiva l’Apostolo medesimo che poteva dire di se stesso: «Io prego del continuo per voi » —  (Coloss. I, 3). « Non cesso mai dal pregare per voi e dal domandare che siate forniti della cognizione della volontà di Dio in tutta saviezza e intelligenza spirituale; affinché vi regoliate in maniera degna di Dio, cercando di piacere a lui in tutto » (Ib. 9-10). Mentre S. Pietro era custodito in carcere non si cessava di pregare per lui (Act. XII, 5); e Pietro ne fu scampato; perché grande valore, dice l’Apostolo S. Giacomo, ha la preghiera del giusto purché sia assidua (Iac. V, 16). – Dice S. Gregorio: « Iddio vuole che lo si preghi, che gli si faccia violenza, che lo si vinca con l’importunità. Perciò dice: Il regno de’ cieli va tolto a viva forza, e se ne impadroniscono quelli che usano violenza. Siate dunque assidui alla preghiera, siate importuni nelle vostre suppliche, non scoraggiatevi delle ripulse. Se colui che tu luoghi, pare che non ti ascolti, fagli violenza acciocché riceva il regno dei cieli: sii violento per forzare la porta del cielo. Dolce violenza è questa, per cui Dio non si offende, ma si placa: non si danneggia il prossimo, ma lo si aiuta; non si fa peccato, ma lo si cancella ». Ascoltiamo perciò il consiglio di S. Gerolamo : « Uscendo di casa tua, armati dell’orazione, e rientrandovi, riabbracciala; non dare mai riposo al tuo corpo se prima non hai nutrito l’anima con la preghiera ». Procuriamo con ogni diligenza, secondo il suggerimento di Bartolomeo dei Martiri, di far sì che per mezzo dell’assiduità alla preghiera, il nostro cuore stia sempre aperto a Dio : ricordando quel detto di S. Isidoro: « Chi vuol essere del continuo con Dio, deve frequentemente leggere e pregare: la frequenza nella preghiera ci ripara dall’assalto dei vizi ». Noi dovremmo poter dire col Salmista: «Abbi pietà di me, o Signore, perché ho gridato a Te tutto il giorno » (Psalm. LXXXV, 3). Questo re ci assicura ch’egli lodava e pregava il Signore sette volte al giorno: (Psalm. CXVIII, 164). Nel fatto di Giuditta è notato che, convocato tutto il popolo nel tempio, vi passò la notte in orazione, chiedendo soccorso al Dio d’Israele (Iudith. VI, 21). Che cosa fece Gesù allorché si trattò di scegliere i discepoli? « Se ne andò su la montagna a pregare, e stette in orazione tutta la notte: fattosi giorno, radunò intorno a sé i discepoli e ne scelse dodici tra loro, i quali chiamò Apostoli » (Luc. VI, 12-13). Impariamo da questo esempio a non mettere mai mano ad affare d’importanza, senza aver prima, sovente e per lungo tempo, invocato con la preghiera i lumi dello Spirito Santo. «Attendiamo dunque, conchiudiamo con S. Cipriano, a frequenti preghiere» (Epl. ad Mairtyr.); e ricordiamoci che, come dice lo Spirito Santo, è perseverante nella preghiera, colui che non cessa di pregare finché non abbia ottenuto dall’Altissimo quello che domanda (Eccli. XXXV, 21). Nella perseveranza sta la forza della preghiera; essa ottiene tutto quello che domanda con assiduità… La preghiera perseverante è indicata dal Crisostomo, come l’arma più forte (De Orando Dovi.). Chi non cessa di starsene accanto a Dio per mezzo di una preghiera perseverante, assicura l’anima sua da ogni tirannia di passioni…

                                                                                                                          [2- Continua]