LE GRANDEZZE DEL NOME DI MARIA

Le Grandezze del Nome di Maria.

[A. Carmagnola: LA PORTA DEL CIELO – S. E. I. Torino, 1895]

Non rare volte Iddio volle Egli medesimo imporre a taluno il nome, e ciò perché il nome imposto avesse ad esprimere con particolare esattezza la destinazione di colui al quale usava tanto riguardo. Così leggiamo nella Sacra Scrittura, che Iddio apparendo al suo servo Abramo gli disse: « D’ora innanzi il tuo nome non sarà più quello di Abramo, ma quello di Abrahamo, perocché io ti ho destinato padre di molte genti, e la tua moglie non chiamerai più col nome di Sarai, mia signora, ma con quello di Sara, assolutamente la Signora, perciocché io la benedirò e le darò un figlio, che sarà capo di nazioni e di popoli ». Così pure fece Iddio con Giacobbe. Essendo questi, nel cammino verso di suo fratello Esaù, rimasto vincitore contro dell’Angelo, che rappresentando Iddio aveva lottato con lui, il Signore gli disse: « Il tuo nome d’ora in poi sarà Israele, perocché se fosti forte a petto di Dio, tanto più prevarrai contro tutti gli uomini ». Così ancora operò con Giovanni precursore di Gesù Cristo. Inviando un Angelo a suo padre Zaccaria per annunziargliene la nascita, dallo stesso Angelo gli fece dire: « A quel figliuolo, che ti nascerà dalla moglie Elisabetta, porrai nome Giovanni, che significa grazia, perocché egli sarà grande nel cospetto del Signore e andrà innanzi a Lui con lo spirito e con la virtù di Elia». E finalmente, per tacere di molti altri, così accadde per il Verbo incarnato, Gesù Cristo, poiché l’Angelo del Signore nel presentarsi e a Maria Santissima ed a S. Giuseppe, disse e all’una e all’altro: « Al Divin Figliuolo porrete nome Gesù, Salvatore, perché libererà il suo popolo da’ suoi peccati ». Or bene poteva essere che Iddio non seguisse anche per Maria un tal costume? Poteva essere che il suo nome le fosse imposto così a caso ? Il Vangelo, è vero, nulla dice a questo riguardo, ma ben possiamo credere che fosse veramente Dio stesso, il quale a Gioachino ed Anna suggerisse il nome della loro figlia, poiché il nome di Maria, e lo vedremo oggi, è:

1° Un nome di gloria.

2° Un nome di luce.

3° Un nome di salute.

I. — Anche a Maria adunque il nome venne imposto da Dio, poiché non poteva essere che avesse un nome casuale Colei, che era preordinata da Dio alla più sublime destinazione, ad essere cioè la Madre del Divin Salvatore e la Corredentrice del genere umano. Epperò anche in Maria il nome è come una cifra, la quale indica le sue grandezze, i nobilissimi unici a cui venne trascelta. Difatti, che cosa significa il nome di Maria? Questo nome, secondo l’interpretazione di S. Epifanio, di S. Gerolamo e di S. Giovanni Damasceno, dedotta dalla fonte ebraica, significa anzitutto Signora. Or bene qual nome meglio di questo poteva esprimere la gloria altissima, a cui fu elevata Maria? Qual nome, più di questo, le conveniva? Ed in vero Maria dovea essere Madre, e lo fu, di Colui che è chiamato nelle sacre Scritture Dominus omnipotens, Signore onnipotente, Rex regum et Dominus Dominantium, Re dei re e Signore dei signori. E tale essendo Maria, ben a ragione, dice S. Pier Crisologo, fu chiamata col nome di Signora. Lo stesso vanno dicendo S. Giovanni Damasceno, S. Pier Damiani, Alberto Magno ed altri: dal momento che ella è Madre del Creatore e Signore di tutte le cose, ancoressa è di tutte le cose Signora. E Signora infatti Ella fu proclamata lassù in cielo da tutti i cori degli Angeli e da tutti gli altri beati spiriti il giorno della sua trionfale Assunzione, quando incoronata da Dio Regina del cielo e della terra, ed ascesa in trono col manto dorato e circondata di varietà, come la descrive il profeta, si assise accanto del suo Divin Piglio, vedendo nient’altro al di sopra di sé che Iddio, e al disotto tutto l’universo prostrato ai suoi piedi. E come Signora fu riconosciuta per tutta la terra, dove col titolo di Madonna, che vuol dire appunto Mia signora, si saluta, si chiama e si invoca in tutte le lingue, dove come a Signora le si erigono per ogni luogo altari e santuari e come di Signora si scrive da per tutto il suo nome, e sui frontoni delle chiese e delle case, e sulle vele e sui fianchi delle navi, e persino sulle bandiere degli eserciti. E Signora ella è veramente, poiché tutto quello che non è Dio a Lei deve inchinarsi e Lei deve obbedire, dovendosi dappertutto sentire la sua universale padronanza, avendo Gesù Cristo tutte le cose a Lei assoggettate. Oh ben a ragione adunque S. Pier Damiani esclama: « Nell’udir il nome di Maria ogni creatura si taccia riverente e tremi, né presuma giammai di levare il guardo alla immensa sua grandezza: Taceat et contremiscat omnis creatura; et vix audeat adspicere tantæ dignitatis immensitatem. E come quando si pronuncia il nome adorabile di Gesù suo Figlio, così nel pronunciarsi il nome di Lei che è sua Madre, si pieghi riverente ogni ginocchio e nel cielo e nella terra e negli inferni: Omne genu flectatur cœlestium, terrestrium et infernorum. Ma poiché il nome santissimo di Maria esprime con tanta esattezza la gloria di Lei e l’altissima sua padronanza, procuriamo per parte nostra che ciò esprima pure esattamente per ciascuno di noi. Tanti uomini nel mondo ambiscono di essere servi di qualche re o di qualche grande signora, e se arrivano a ciò ottenere, si reputano grandemente fortunati. E noi che possiamo tutti, se il vogliamo, avere la fortuna di essere servi e sudditi di Maria non ce ne daremo alcun pensiero? Oh non sia mai. Il nome di Maria si verifichi in tutta la sua estensione: Maria da vera signora regni sovrana in ciascuno dei nostri cuori, si abbia del continuo gli omaggi della nostra servitù e a somiglianza di S. Stefano d’Ungheria chiamandola spesso la nostra gran Signora, e ad esempio di S. Ildefonso preghiamola, che voglia veramente dominarci Esto Domina mea atqìie dominatrix mea dominans mihi.

II— In secondo luogo il nome di Maria è un nome di luce. Dicono i sacri interpreti che questo nome significa pure illuminatrice. Or bene anche per questa ragione chi non vede quanto questo nome si addica a Maria? E non è dessa che diede al mondo la luce, lucem dedit sæculo, conforme a quel che canta la Chiesa, quella luce vera che illumina ogni uomo, la Sapienza incarnata, Gesù Cristo ? Non è dessa che portando nel suo seno questa luce beatissima n’ebbe ripiene le parti più intime della sua mente e del suo cuore e ne fu così illustrata da poter poi Ella medesima gettar luce vivissima sulle verità da Dio rivelate e confidate alla Chiesa? Sì senza alcun dubbio. Ella, che per singolare privilegio penetrò tanto addentro nelle divine perfezioni, nei disegni della divina Provvidenza, nella cognizione del suo Figliuolo Gesù, nelle intenzioni e nei voleri del suo sacratissimo Cuore, nei destini ammirabili della Chiesa, Ella fu altresì Colei, che tra gli Apostoli ed i primi fedeli sparse tanta luce sui dogmi e sulla morale di nostra santa Religione. Ed è a Lei, che nelle inquietudini, nelle dubbiezze, nelle incertezze ricorrevano e i fedeli e gli Apostoli, ben sapendo quanto illuminatrice fosse la parola di Maria e quanto vera la luce, che dalla sua parola usciva. Anzi è dessa, che anche senza essere interrogata, mettendo fuori quei divini oracoli che serbava in fondo al cuore, veniva sempre più illustrando la mente di quei suoi primi diletti figliuoli, come è dessa ancora, che colla santità dell’esempio, colla soavità del conforto e coll’autorità del consiglio li animava a correre volenterosi per tutta la faccia della terra a portare la santissima luce del Vangelo. Sicché ben a ragione dice il Santo Padre Leone XIII che « non parrà eccedere il vero chi affermi che fu segnatamente per la guida e il presidio di Lei, che la sapienza e le istituzioni dell’Evangelo, benché tra difficoltà e contraddizioni fierissime, penetrarono per ogni nazione con tanto celere corso, portando da per tutto un nuovo ordine di giustizia e di pace ». Dopo di che non è meraviglia che i Padri della Chiesa di secolo in secolo prendendo a mantener chiara la dottrina di Cristo in mezzo alle nebbie degli errori che cercavano di offuscarla, ricorressero per luce a Maria. Per certo e quando Ario e Nestorio e Pelagio e Lutero e Calvino si travagliavano a corrompere la verità immacolata della Chiesa Cattolica, i santi Vescovi e Dottori non esitavano un istante a ricorrere a Maria, e Maria, pulchra ut luna, electa ut sol, brillante come la luna, sfolgoreggiante siccome il sole in pien meriggio, interveniva con la sua assistenza, con le sue illustrazioni, con le stesse apparizioni a fugare le tenebre degli errori e a far risplendere di nuova luce la Cattolica Dottrina. Per modo che sopra il labbro dei Cristiani risuonava entusiastico quel canto, che tuttora si ripete e si ripeterà per tutti i secoli: Allegrati, o Maria, che per te sola furono distrutte tutte le eresie per tutto il mondo: Gaude Maria Virgo, cunctas hæreses sola interemisti in universo mundo. Ed anche ai dì nostri non è per opera massimamente di Maria, per la sua bontà, per i santi eccitamenti, che Ella desta nel cuore di generosi missionari, che la santa luce del Vangelo è portata e fatta risplendere a quelli, che giacciono ancor nelle tenebre e nell’ombra di morte? Sì, Maria è veramente illuminatrice e il suo santissimo nome, dopo quello del suo divin Figlio, è nome ripieno di luce, nome che lucet prædicatum, che predicato sprazza vivissima luce, nome nella luce del quale altresì siamo chiamati alla conoscenza più chiara della verità. Oh quanto utile pertanto ci sarà in mezzo ai dubbi di nostra vocazione, nelle incertezze di nostra vita, fra le oscurità della nostra mente invocare questo amabilissimo Nome! Maria senza dubbio accorrerà in nostro aiuto e rischiarerà le nostre vie.

III. — Infine il nome di Maria è un nome di salute. Poiché questo dolcissimo nome significa ancora stella del mare. Or bene, siccome chi in una oscurissima notte, in cui imperversi la bufera, trovandosi in alto mare non ha maggior conforto e sicurezza, che tener fisso lo sguardo alla stella polare, così chi si trova nel mar tempestoso di questa misera vita non ha una guida ed un sostegno più caro di Maria. È vero, le tentazioni del demonio, le lusinghe del mondo, la veemenza delle nostre passioni come altrettanti scogli e venti furiosi ci rendono difficilissimo il cammino per il mar della vita: ma in alto brilla di vivissima luce la stella: Maria risplende di meriti, luccica di esempi : micans meritis, illustrans exemplis; rivolgiamo a Lei lo sguardo e sicurezza arriveremo al porto della beata eternità. È questo tutto il pensiero di S. Bonaventura: Maria est stella utilissima nos ad patriam cœlestem dirigendo, immo ducendo nos per mare huius sæculi ad portum Paradisi. Ma anche nei temporali affanni nonè forse un nome di salute il nome di Maria?L’orfano che ha perduto la sua madre quaggiùnon è forse invocando Maria, che non si sentepiù abbandonato e sente di aver ancora una madre? La vedova che ha perduto nel marito il suosostegno e quello dei suoi figli, non è ricorrendo a Maria che sente dilatarsi il cuore alla fiducia nella divina Provvidenza? L’infermo che languisce da più mesi sul letto dei suoi dolori non è nel pronunciare questo nome, che sente rinascere la pazienza e trova un balsamo salutare alle sue pene? E non è nel ripetere Maria, che si conforta il pellegrino smarrito nella foresta, il navigante che combatte coi flutti del mare, il soldato che cimenta la vita sui campi di battaglia? E non è dicendo Maria, che la donzella si difende nel pericolo, che ognuno cerca scampo nel disastro, che persino il fanciullo si libera dalle paure della notte? Oh sì: Maria! Maria! ecco il grido più spontaneo, più frequente, più solito in mezzo ad ogni calamità, ad ogni sventura, ad ogni rischio. E che è mai questo spontaneo ricorrere al nome di Maria da parte di tutti i fedeli, se non un riconoscere, che per Lei massimamente ci viene la salute? Che se tale è il nome di Maria nei pericoli del corpo, oh quanto più lo sarà in quelli dell’anima! Epperò è ben con ragione che l’eloquentissimo encomiator del nome di Maria, S. Bernardo, tanto ci anima all’invocazione di questo nome, dicendo:« Se sorgono contro di te i venti delle tentazioni,se incorri negli scogli delle tribolazioni, riguardala stella, chiama Maria: respice stellam, voca Mariam. Se ti sbattono le onde della superbia, dell’ambizione,della detrazione, dell’ingiusta emulazione, riguarda la stella, chiama Maria, respice stellam, voca Mariam. Se l’ira, l’avarizia, le lusinghe della carne cercano di mettere a fondo la navicella dell’anima tua, riguarda Maria. Se turbato per la gravità delle tue colpe, confuso perle sozzure della tua coscienza, atterrito dall’orrore del divino giudizio cominci ad essere assorbito dal baratro della tristezza, dall’abisso della disperazione, pensa a Maria. Nei pericoli, nelle angustie, nelle cose dubbie pensa a Maria, chiama Maria: Mariam cogita, Mariam invoca. Deh! Non avvenga mai che questo nome si parta dalla tua bocca, si scosti dal tuo cuore; coll’aiuto di questo nome giungerai alla gloriosa tua meta ».

FIORETTO.

Non profferir mai i nomi di Dio, di Gesù Cristo e di Maria invano; chinare la testa con riverenza qualora sentissimo qualche bestemmia contro di essi, ed invocarli noi sovente.

GIACULATORIA.

Viva Gesù! Viva Maria!

Esempio e preghiera

Il nome santissimo di Maria ha nel corso dell’anno una festa particolare ed è la domenica fra l’ottava della Natività di Maria. Anche una tal festa ricorda al popolo cristiano una grazia straordinaria di Maria. Nel 1683 i Turchi, invasa già l’Ungheria, si avanzarono anche sull’Austria e strinsero di assedio la città di Vienna con una armata di duecentomila soldati. Vienna gagliardamente resisteva, ma non di meno trovavasi nel più spaventoso pericolo di cadere nelle mani dei Turchi e sottostare agli orrori di una ferocissima strage. Lo spavento fu accresciuto da un incendio sviluppatosi in una chiesa e dilatatosi così rapidamente da giungere ormai vicino all’arsenale, ove conservavansi le polveri. La tremenda esplosione era imminente ed avrebbe in pari tempo aperto il passo ai nemici e seppellito la città intera coi suoi cittadini sotto le rovine. Ma essendo quello il giorno dell’Assunzione di Maria fece nascere il pensiero di ricorrere a Lei. Ed ecco tutto il popolo e tutta l’armata mettersi ad invocare il soccorso della Vergine ed a ripetere con fiducia il suo santissimo nome. Quelle preghiere non furono vane, poiché come per miracolo l’incendio si arrestò e poi si estinse, sicché le polveri non presero fuoco. Questa così sensibile protezione di Maria riaccese in tutti la speranza di essere liberati dalla potenza ottomana e fece accrescere i voti e le preghiere. Ma intanto erano già tre settimane dacché i Turchi avevano aperta la trincea e, ridotto agli estremi il presidio che la difendeva, sembrava giunto il momento della resa, quando quasi miracolosamente giungeva in aiuto un’armata di Polacchi capitanata dall’eroe Sobieski. A quella vista gli abitanti di Vienna giubilando esclamavano: È Maria, che ci è venuta in soccorso. Come ci ha salvati dalla rovina nel dì dell’Assunta, così ora ci salva dai nostri nemici. E non s’ingannarono. Il principe Carlo di Lorena, che comandava l’esercito alemanno, andò ad unirsi con Sobieski presso una cappella, ove fecero celebrare la santa Messa in onore di Maria. Sobieski istesso la volle servire, tenendo sempre le braccia incrocicchiate al petto e facendo la santa Comunione. Infine avuta la benedizione dal sacerdote nel nome di Maria per sé e per l’esercito, pieno di animo a gran voce esclamò: Andiamo, che la Vergine sarà con noi. Nell’atto stesso tutta l’armata si mosse e slanciossi con tanto impeto contro al nemico, che in breve scompigliatolo, messolo in rotta, e fattolo con precipitazione ripassare il Danubio colla perdita delle munizioni, di duecento cannoni e con pressoché la metà de’ suoi morti e feriti, ne riportò una fra le più splendide vittorie. Da tutti i Cristiani fu riconosciuto l’aiuto manifesto di Maria; il principe di Lorena e l’eroe Polacco si recarono davanti al suo altare a rendergliene grazie solenni ed il Pontefice Innocenzo XI, avuto lo stendardo verde di Maometto, tolto ai Turchi, e depostolo ai piedi della Vergine, decretò, che nella domenica fra l’ottava della Natività di Lei si celebrasse, a memoria di tanto trionfo, la festa del suo santissimo Nome. Oh! se tanto è potente il nome di Maria contro i nostri nemici temporali, quanto più lo sarà contro i nemici spirituali. Dell’invocazione di questo nome pertanto armiamoci prontamente ogni qualvolta saremo assaliti dalle tentazioni del demonio, del mondo e della carne, e il nome di Maria ci renderà forti ed invincibili. – Sì, o Maria santissima, è al nome vostro che noi faremo fiducioso ricorso in mezzo agli assalti dei nemici dell’anima nostra, e voi che sotto la protezione del vostro santissimo nome già ci deste di allietarci, fate ancora che per la intercessione dello stesso nome siamo liberati da ogni male qui in terra e possiamo un giorno arrivare ai gaudi eterni nel cielo. Così sia.

SALMI BIBLICI: “EXSULTATE, JUSTI, IN DOMINO” (XXXII)

SALMO 32: “EXSULTATE, JUSTI, IN DOMINO”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

TOME PREMIER.

PARIS

LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR – RUE DELAMMIE, 13; 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

[1] Psalmus David.

    Exsultate, justi, in Domino;

rectos decet collaudatio.

[2] Confitemini Domino in cithara; in psalterio decem chordarum psallite illi.

[3] Cantate ei canticum novum; bene psallite ei in vociferatione.

[4] Quia rectum est verbum Domini, et omnia opera ejus in fide.

[5] Diligit misericordiam et judicium; misericordia Domini plena est terra.

[6] Verbo Domini caeli firmati sunt; et spiritu oris ejus omnis virtus eorum.

[7] Congregans sicut in utre aquas maris; ponens in thesauris abyssos.

[8] Timeat Dominum omnis terra; ab eo autem commoveantur omnes inhabitantes orbem.

[9] Quoniam ipse dixit, et facta sunt; ipse mandavit et creata sunt.

[10] Dominus dissipat consilia gentium; reprobat autem cogitationes populorum, et reprobat consilia principum.

[11] Consilium autem Domini in aeternum manet; cogitationes cordis ejus in generatione et generationem.

[12] Beata gens cujus est Dominus Deus ejus; populus quem elegit in hæreditatem sibi.

[13] De cælo respexit Dominus; vidit omnes filios hominum.

[14] De præparato habitaculo suo respexit super omnes qui habitant terram:

[15] qui finxit sigillatim corda eorum; qui intelligit omnia opera eorum.

[16] Non salvatur rex per multam virtutem, et gigas non salvabitur in multitudine virtutis suae.

[17] Fallax equus ad salutem; in abundantia autem virtutis suae non salvabitur.

[18] Ecce oculi Domini super metuentes eum: et in eis qui sperant super misericordia ejus.

[19] Ut eruat a morte animas eorum: et alat eos in fame.

[20] Anima nostra sustinet Dominum, quoniam adjutor et protector noster est.

[21] Quia in eo lætabitur cor nostrum, et in nomine sancto ejus speravimus.

[22] Fiat misericordia tua, Domine, super nos, quemadmodum speravimus in te.

[Vecchio Testamento secondo la VolgataTradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO XXXII.

Esortazione ai giusti di lodare la potenza, la provvidenza e la bontà di Dio. É detto dai Settanta: Salmo di Davide.

Salmo di David.

1. Esultate nel Signore, o giusti; a coloro che sono retti sta bene il lodarlo.

2. Lodate il Signore sulla cetera; cantate inni a lui sul salterò a dieci corde.

3. Cantate a lui un nuovo cantico; cantate a lui inni soavi con alto suono.

4. Perocché diritta ell’è la parola del Signore, e tutte le opere di lui sono nella fedeltà.

5. Egli ama la misericordia e la giustizia; della misericordia del Signore è ripiena terra.

6. Dalla parola del Signore i cieli ebbero sussistenza, e dallo spirito della sua bocca tutte le loro virtudi.

7. Ei che raduna le acque del mare quasi in un otre, e gli abissi ripone ne’ serbatoi.

8. La terra tutta tema il Signore, e dinanzi a lui tremino tutti gli abitatori dell’universo.

9. Perocché egli disse, e furon fatte le cose; comandò, e furon create.

10. Il Signore manda in fumo i disegni delle nazioni, e vani rende i pensieri dei popoli, e rende vani i consigli de’ principi.

11. Ma il consiglio del Signore è stabile per tutta l’eternità; i pensieri del cuore di lui per tutte le etadi e generazioni.

12. Beato il popolo, che ha per suo Dio il Signore; il popolo, cui egli si elesse per sua eredità.

13. Dal cielo mirò il Signore; vide tutti i figliuoli degli uomini.

14. Da quella mansione sua, ch’ei preparò, gettò lo sguardo sopra tutti coloro che abitano la terra.

15. Egli che formò a uno a uno i loro cuori,  egli che le opere loro tutte conosce.

16. Non trova salvezza il re nelle molte squadre; e il gigante non si salverà per la sua molta fortezza.

17.Fallace mezzo per la salute è il cavallo: e la molta sua robustezza nol salverà.

18. Ecco gli occhi del Signore sopra coloro che lo temono, e sopra coloro che confidano nella sua misericordia:

19. Per liberare le anime loro dalla morte, e per sostentarli nel tempo di fame.

20. L’anima nostra aspetta in pazienza il Signore, perché egli è nostro aiuto e protettore.

21. Perché in lui si rallegrerà il nostro cuore, e nel nome santo di lui porrem nostra speranza.

22. Sia sopra di noi, o Signore, la tua misericordia, conforme noi in te abbiamo sperato.

Sommario analitico

Dai versetti 10, 15, 16 di questo salmo, si sarebbe portati a concludere che Davide lo abbia composto dopo le vittorie eclatanti che Dio, con un soccorso tutto particolare, gli aveva concesso sui suoi numerosi e potenti nemici, i Filistei in particolare, ai quali egli sembra fare allusioni nel versetto 16 (si veda II Re, XXI, 15 e segg.). È un invito fatto ai giusti di lodare il Signore, per le sue perfezioni, e soprattutto a causa della sua potenza e della sua provvidenza.

I. – Davide invita tutti i giusti a lodare Dio, ed indica tutte le condizioni che caratterizzano questa lode:

– 1° Coloro che devono celebrare le lodi del Signore: i giusti; – 2° la considerazione della Persona alla quale si indirizzano queste lodi, il Signore; – 3° coloro che conviene associare a questa lode, i retti di cuori (1); – 4° il modo esteriore di queste lodi (2); – 5° la qualità e l’eccellenza che debba avere questa lode di Dio: « Cantate un cantico nuovo … »; – 6° La forma interiore ed essenziale che deve vivificare queste lodi, la bontà e la virtù: « Fate un armonioso concerto di voci e di strumenti » (3).

II. – Davide espone a lungo la materia e la causa di queste lodi, vale a dire gli attributi di Dio.

– 1° La sua rettitudine e la sua fedeltà nel compimento delle sue promesse (4); – 2° la sua giustizia; – 3° la sua misericordia (5). – 4° la sua potenza che ha reso manifesta: a) nella creazione dei cieli e di tutto ciò che essi contengono (6); b) serrando come in un otre le acque del mare e chiudendo gli abissi nelle loro riserve (7); c) governando sovranamente la terra e tutti i suoi abitanti, poiché Egli ha tutto creato con la sua sola Parola (8,9). 5° la sua saggezza con la quale: a) dissipa i consigli dei suoi nemici (10), b) rafferma eternamente i suoi (11), benedice i consigli della nazione di cui Egli è Dio, e la conduce fino all’eterna felicità (12). 6° la sua provvidenza con la quale: a) vede tutti gli uomini dall’alto del cielo, scruta i loro cuori che Egli ha creato, e considera le loro opere (13-15); b) Egli vede gli orgogliosi pieni di fasto e di arroganza, e li distrugge senza che essi possano difendersi né con le loro numerose armate, con la grandezza e la forza dei combattenti, né con la loro potente cavalleria (16, 17). c) Egli considera i giusti (18): 1) per liberare la loro anima dalla morte; 2) per nutrirli nella loro fame (19); 3) per essere loro soccorso e loro protettore (20); 4) per essere loro gioia nella prosperità; 5) per essere loro pazienza nelle prove (21); 6) per coprirli con la sua misericordia, secondo la speranza che in Lui hanno riposto (22).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-3.

ff. 1-3. – « Giusti, rallegratevi nel Signore ». Rallegratevi non quando il successo corona le vostre imprese, quando avete una perfetta salute, quando i vostri raccolti sono abbondanti, ma perché avete un Maestro e un Signore la cui beltà, bontà, saggezza, non hanno limiti. Che vi ricolma della gioia che è in Lui (S. Basilio). – « La gioia conviene a coloro che hanno il cuore retto ». Così come un piede torto non può adattarsi ad una calzatura stretta, così la lode di Dio non può accordarsi con dei cuori tortuosi. Così come due rette sovrapposte sono giustapposte, la loro regolarità fa che esse si uniscano perfettamente, ma se applicate ad una di queste rette un legno tortuoso, non vi è accordo possibile tra loro (Idem). – « cantate la sua gloria come conviene »; cioè, cantate ma badate di non cantare male. Dio non può avere le orecchie ferite. Quando vi si dice: cantate in maniera da piacere ad un tale buon musicista che viene ad ascoltarvi, voi tremate nel cantare, se non avete qualche conoscenza dell’arte musicale per timore di urtare un artista, perché questo artista saprà ben individuare nel vostro canto dei difetti che un ignorante non saprebbe riconoscere. Chi dunque oserà cantare come occorre davanti a Dio, davanti ad un tale Giudice, davanti ad un tale apprezzatore di tutte le cose, davanti ad un tale ascoltatore? Quando potrete apportare al vostro canto tanta arte ed eleganza per non infastidire delle orecchie così perfette? Ma ecco che Egli vi dice in qualche modo, come dovete cantare. Non cercate più parole, come se foste capaci di esprimere ciò che possa affascinare Dio. « Cantate con giubilazione ». Che cos’è dunque il cantare con giubilazione? – È comprendere che le parole non sapranno esprimere ciò che canta il cuore. E verso chi, se non verso il Dio ineffabile, conviene maggiormente il giubilo? Dio è ineffabile, in effetti, poiché le parole non possono esprimere ciò che Egli è. Ma se voi non potreste parlare, e ciò nonostante non dovrete tacere, cosa vi resta se non il trasporto del giubilo? Che cosa vi resta se non che il vostro cuore sia muto nella gioia, e che l’immensa distesa della vostra allegria non sia racchiusa nei limiti di qualche sillaba? (S. Agost.).

II. — 4-22.

ff. 4-7. – Tutte le opere di Dio sono conformi alla sua parola, cioè fedeli, giuste e sante. – Alcuni traducono: « E tutte le sue opere sono nella fede ». Cosa vuol dire qui il Re-Profeta? Il cielo è opera sua, la terra è opera sua, il mare è opera sua, l’aria, le cose animate ed inanimate, gli esseri ragionevoli o privi di ragione sono opere sue. Com’è che tutte queste opere siano nella fede? Quale fede è possibile negli esseri inanimati, negli animali stessi? La proposizione però comprende tutto e non fa eccezione di niente. Quale ne è dunque il senso? Sia che contempliate il cielo e l’ordine ammirevole che vi regna, vi dice il salmista, è la legge che è le vostra guida, perché è essa che vi mostra l’Autore del cielo; sia che voi consideriate la magnificenza della terra, la vostra fede in Dio riceve un nuovo accrescimento; perché non sono certo gli occhi della carne che vi insegnano a credere in Dio, ma la penetrazione dello spirito che vi fa scoprire l’invisibile attraverso le cose visibili. « Tutte le sue opere sono dunque nella fede ». Voi considerate una pietra, anch’essa richiude in sé una certa manifestazione della potenza del Creatore. Direi la stessa cosa di una formica, di un moscerino, di un’ape: è in questi esseri così piccoli che risplende maggiormente la saggezza di Colui che li ha creati (S. Basilio). – La misericordia è messa qui per prima, perché è attraverso di essa che Dio comincia sempre. Egli dà primariamente le sue grazie, poi ricompensa o punisce il loro buono o cattivo uso. – Se il giudizio di Dio si esercitasse su di noi, secondo la sua natura e separata dalla misericordia, e se Egli ci rendesse secondo le nostre opere, quale speranza ci resterebbe? Chi di noi potrebbe essere salvato? Ma « Dio ama la misericordia ed il giudizio ». Non è se non dopo aver posto la misericordia come assistente di Dio presso il tribunale della sua giustizia, che Egli cita gli uomini al suo tribunale (S. Basilio). – « La terra è piena della misericordia di Dio ». Qui la misericordia è separata dal giudizio, perché essa sola riempie tutta la terra, ed il giudizio è rinviato ad altro tempo. Quaggiù la misericordia è dunque senza la giustizia, perché il Signore non è venuto per giudicare il mondo, ma per salvarlo (S. Basilio). – « La terra è piena della misericordia del Signore ». E dei cieli, cosa ne è? Ascoltate ciò che riguarda i cieli: essi non hanno bisogno di misericordia, perché qui non esiste il misero. Sulla terra, ove abbonda la miseria umana, la misericordia di Dio è sovrabbondante: la terra è piena di miserie umane, la terra è piena di misericordie di Dio. Pertanto nei cieli, ove non c’è alcuna miseria, se non hanno bisogno della misericordia di Dio, non hanno bisogno del Signore? Tutte le cose, miserabili o felici, hanno bisogno del Signore, senza di Lui, il miserabile non è risollevato; senza di Lui il beato non viene diretto … Sappiate dunque che anche i cieli hanno bisogno del Signore: « I cieli sono stati consolidati dalla parola del Signore »; perché essi non hanno trovato in se stessi la loro solidità, e non si sono dati una forza che fosse loro propria. « I cieli sono stati consolidati dalla parola del Signore, ed il soffio della sua bocca costituisce tutta la sua forza » (S. Agost.). – Come definire questo prezioso attributo della misericordia? Non è la sola perfezione che la creatura dà o sembri dare al Creatore? Come avrebbe Egli misericordia se questa non fosse per noi? Non ci sono dispiaceri da consolare, bisogni da soddisfare, perché essa è un oceano senza limiti. La misericordia è la calma della sua onnipotenza, è l’incanto della sua onnipresenza, il frutto della eternità e la compagna della sua immensità, la principale soddisfazione della sua giustizia, il trionfo della sua saggezza, la pazienza perseverante del suo amore. Dappertutto noi incontriamo la misericordia del nostro Padre celeste, dolce, attiva, vasta, senza limiti. Il giorno, essa rischiara i nostri travagli; la notte, noi dormiamo sotto la sua protezione; la Corte del cielo risplende dei raggi della sua beltà feconda, la terra ne è ricoperta, e come un altro oceano, essa riposa sulle acque del mare (Faber, Créateur et créature, L. II, Ch. 2). – La grande opera della creazione dell’universo è l’effetto non di un grande lavoro, ma di una parola onnipotente di Dio. – L’insinuazione del mistero della Trinità nella creazione del mondo, è ugualmente l’opera del Figlio e dello Spirito Santo (S. Bas.). – « Egli ha rinchiuso come in un otre le acque del mare ». Nel pavimento dei mari – se è permesso parlare così – essendo più basso di quello della terra, le acque si son dovute raccogliere; ma questo è un effetto della sapienza del Creatore, che ha reso il suolo simile ad un otre capace di ricevere questa prodigiosa quantità di acqua. Da un otre ben chiuso non esce nulla, per cui vediamo che i mari non debordano. È questo un altro effetto della Provvidenza divina, perché se questo immenso volume di acque uscisse dal suo letto, la terra ne sarebbe ben presto sommersa. Una delle ragioni per le quali il mare dimora nel suo letto, benché riceva tutti i fiumi, è che esso restituisce, con vapori continui, l’eccesso di acque che ha ricevuto; questi vapori, dissipati e trasportati dai venti, si cambiano in piogge e neve, che ricadono sulla terra e la fecondano: ancora questo è un beneficio della liberalità divina, che provvede così alla sussistenza dell’uomo e degli animali (Berthier). – Questi abissi che Dio rinchiude nei suoi tesori sono, in figura, i consigli impenetrabili della sua condotta rispetto agli uomini, che il Re-Profeta chiama – in un altro salmo – « un abisso molto profondo ». Essi sono rinchiusi nei tesori delle sue conoscenze, che lo spirito dell’uomo non è più capace di penetrare.

ff. 8, 9. « Tutti coloro che abitano l’universo non temano che Lui ». E non temano nessun altro che Lui. Una bestia furiosa vi attacca? Temete Dio. Un serpente vuole lanciarsi su di voi? Temete Dio! Un uomo vi odia? Temete Dio! Il demonio tenta di assalirvi? Temete Dio! Tutte le creature sono sottomesse a Colui che vi è ordinato di temere ; « perché Egli ha parlato e tutte le cose sono state fatte; Egli ha comandato ed esse sono state create » (9). Quando Colui che con una parola ha fatto ogni cosa, e che da un comandamento ha creato ogni cosa, dà loro un ordine, esse si muovono; quando Egli dà loro un ordine, esse si arrestano. La malvagità degli uomini ha in se stessa il desiderio di fare del male; ma essa non ne ha il potere, se Dio non lo conceda (S. Agost.).

ff. 10, 11. Tutte le nazioni, tutti i prìncipi e tutti i popoli si uniscano insieme per sovvertire i disegni di Dio; questa cospirazione generale non servirà che a far evidenziare ancor più la debolezza degli uomini e la potenza di Dio. « Tutti i popoli sono davanti ai suoi occhi come se non fossero; essi non sono per Lui come il vuoto ed il niente » (Isaia XL, 17). « Non c’è saggezza, non c’è prudenza, né consiglio contro il Signore. » (Prov. XXI, 30). – Vedete come tutti i pretesi dogmi dei gentili, la vana filosofia dei suoi saggi, le loro intenzioni così sottili nella metafisica, nella morale e nella fisica, come tutto sia stato dissipato, mentre la verità del Vangelo brilla di un vivo splendore in tutte le parti del mondo. Tanti consigli si agitano nei cuori degli uomini, ma il consiglio del Signore li travolge sempre (S. Basilio). – Se noi vogliamo che il consiglio di Dio si stabilisca e metta radice nella nostra anima, bisogna escludere innanzitutto i pensieri umani. È come colui che volendo scrivere su una tavoletta di cera, cominci con il renderla quanto più piana possibile, e tracci poi i caratteri che vuole, così il cuore che deve ricevere i divini oracoli deve purificarsi di tutti di tutti i pensieri contrari (S. Basilio). – Quale spettacolo ci presenta, nell’ora attuale, l’universo cristiano? Quasi ogni potenza, anche cattolica, che non sia ostile a Dio, alla sua Religione, alla sua Chiesa. Uomini che tengono nelle loro mani i destini dei popoli, divisi su tutto il resto, sono qui animati da un unico sentimento: l’odio implacabile contro Gesù-Cristo e contro la sua Chiesa. Nulla li ferma, ogni mezzo è per loro legittimo onde distruggere una Religione che si dice la sola vera e divina; la menzogna o la verità, la perfidia o la violenza, i rispetti ipocriti o i disprezzi infamanti, le massime sulla tolleranza o i furori della persecuzione, la calunnia o la contumelia, tutto è impiegato senza scrupolo alcuno. Noi li vediamo concertare abilmente i loro disegni, ordire trame profonde, adoperare le risorse più raffinate della diplomazia, prendere misure che credono infallibili, esaurire tutte le risorse della loro saggezza. Ricordiamoci allora che i sacri oracoli che predissero la rovina di tutti i consigli, di tutte le lingue empie, continueranno fino a che si compiranno; .. che, quando Dio vuole distruggere e dissipare tutti i progetti, tutti i consigli dei popoli e dei re, non gli basta che una parola, che un atto della sua volontà, poiché i decreti di questo Essere immutabile sono fissi e dimorano eternamente.

ff. 12. –  « Felice la nazione della quale Dio è il Signore ». È un augurio questo che dobbiamo realizzare nel nostro interesse e nell’interesse della società di cui siamo i cittadini; perché la patria non potrebbe essere felice ad altra condizione, così come il cittadino singolo, perché la città non è altra cosa che un certo numero di uomini riuniti sotto una stessa legge. In effetti il buon senso ci insegna che il Creatore del genere umano, creando l’uomo essenzialmente sociale, non ha voluto che la società umana fosse indipendente da Lui. Queste grandi famiglie di popoli che si chiamano Nazioni dipendono dunque dalle sue leggi non meno che le esistenze private (Mgr. Pie, T. v, 175). – Felice non l’individuo, ma il popolo, la Nazione, la società di cui Dio è veramente il Dio, non soltanto in virtù del suo diritto inalienabile di Creatore e di sovrano Maestro di ogni cosa; ma felice il popolo in cui Dio è come alla sua  sommità, al centro, alla base; felice la Nazione che Dio circonda, penetra, anima tutta interamente; felice la società della quale Dio ispira la costituzione, il governo e le leggi; felice il popolo che si fa un dovere, non meno che un onore, di accettare francamente e pubblicamente la legge di Dio, amarla, conservarla, difenderla, propagarla, farne il fondo dei suoi costumi e delle sue istituzioni pubbliche, ed usare anche la sua forza, la sua autorità, non per imporla, ma per preservarla e sottrarla all’oppressione assicurando a tutti gli uomini il diritto di conoscerla e di conformarvisi liberamente, procurando alle Nazioni meno avanzate verso Dio i beni eterni, la fede, la giustizia, la civilizzazione. Tale fu lungo il corso dei secoli la gloriosa missione della Nazione francese, chiamata il Reame cristianissimo. Ha perseverato essa come Nazione, come popolo, in questa vocazione alla quale Dio l’aveva chiamata? Ahimè! Per dirla con una parola, è l’ateismo, l’assenza di Dio, che in Francia, serve ora come fondamento all’edificio sociale; noi siamo discesi al di sotto di quegli ateniesi di cui parlano gli Atti degli Apostoli (XVII, 23), e per descrivere esattamente la situazione, si dovrebbe issare in tutte le nostre piazze pubbliche una colonna con questa « legenda »: al Dio, non più solo ignoto, ma dimenticato, disprezzato, negato dalla nazione e dai suoi governanti1 – « Beato il popolo che ha come Dio il Signore ». Di chi il nostro Dio non è Dio? Ma evidentemente Egli non è il Dio di tutti gli uomini alla stessa maniera. Egli è soprattutto il nostro, il nostro per noi che viviamo di Lui come del nostro pane. Egli è nostra eredità, nostro possesso. Forse parliamo temerariamente facendo di Dio nostro possesso, laddove Egli è il Signore, il Creatore? No; non è temerarietà, è l’aspirazione del desiderio, è la dolcezza della speranza. Che la nostra anima dica, e dica in tutta sicurezza: « Voi siete il mio Dio », e Lui non farà ingiuria nel dirlo; al contrario Gli si farà ingiuria non dicendolo. Così dunque la nostra felicità dipenderà dal possesso di Dio. Ma che! Noi Lo possederemo, ed Egli non ci possederà? Egli ci possiede e noi Lo possediamo, e tutto questo per causa nostra. In effetti Egli non ci possiede per essere felici per noi, ma perché noi siamo felici per Lui e con Lui (S. Agost.).

ff. 13, 14. – Considerate Dio che dall’alto del cielo abbassa i suoi occhi sui figli degli uomini; consideratelo penetrare il suo sguardo divino fino alle estreme profondità del loro cuore, raggiungendo la divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e al midollo, districarsi tra i pensieri più segreti ed i movimenti più intimi (Ebr. IV, 12). – dovunque andiate, qualunque cosa facciate, sia nelle tenebre che alla luce del sole, voi avete l’occhio di Dio fissato su di voi (S. Basil.). – A questi occhi così penetranti di Dio nulla è inaccessibile; né i recessi più profondi e più nascosti, né le muraglie più spesse, né le nostre azioni prima ancora di averle compiute, né i nostri pensieri ancor prima che siano stati concepiti nel nostro spirito (S. Agost.). – Doppio è lo sguardo di Dio sui figli degli uomini: sguardo di misericordia sugli uni, sguardo di indignazione e di giustizia sugli altri (S. Agost.).

ff. 15. – Dalla mano della sua grazia, dalla mano della sua misericordia Egli ha formato i cuori; Egli ha fatto i nostri cuori, li ha formati ognuno in maniera speciale, dando a ciascuno particolarmente un cuore, senza che l’unità fosse distrutta. La potenza di Dio ha formato separatamente tutti i cuori, e la sua grazia li ha creati di nuovo dando loro doni diversi, perché nel corpo di Cristo, tutti gli uomini in particolare, così come ogni membro del corpo, ha ricevuto un dono speciale, perché Colui che ha scelto il suo popolo come sua eredità, ha formato i cuori in modo speciale per ognuno (S. Agost.). – Dio forma i cuori degli uomini uno ad uno, e con cura ammirevole, e noi possiamo credere che se è così, è perché Egli ci ama e ci chiama alla perfezione. Se questo è vero per il cuore, e per il cuore di ciascuno di noi, questo è vero soprattutto per il cuore di coloro ai quali Dio vuole manifestare quaggiù la sua potenza e la sua misericordia. Di questo numero sono i buoni re, i capi dei popoli dei quali Dio tiene sempre il cuore nella sua mano; i saggi nel cuore nei quali Egli depone la sua verità e attraverso i quali diffonde la sua luce; i santi, ai quali Egli riempie il cuore del suo amore, e che Egli abbraccia con una carità ardente per il bene dei loro fratelli; in una parola, tutti coloro che, con una qualunque vocazione, siano chiamati a cooperare alla gloria di Dio ed alla salvezza delle anime (Mgr. Baudry, Le Coeur de Jésus, 2° Part, I).

ff. 16, 17. – Rientra nel piano della divina Provvidenza il fare tutto con l’intermediazione di cause seconde, tranne il caso in cui essa voglia manifestarsi più chiaramente con dei miracoli. Questa cause seconde sono tutte nella sua mano, ed alcune di esse non possono nulla contro la sua volontà sovrana, né per salvarci, né per perderci. Ma esse sono i mezzi, gli strumenti ordinari dei suoi disegni su di noi; di conseguenza, noi dobbiamo impiegarli, salvo poi a non attribuire il successo delle nostre imprese che alla protezione ed alla potenza del Padrone di tutte le cose. Così, il re deve circondarsi di un’armata numerosa e agguerrita; l’uomo robusto deve spiegare la sua forza; il cavaliere deve cavalcare un cavallo vigoroso; ma il cavaliere, l’uomo, il re, non devono mai dimenticare che in definitiva Dio solo dà l’accrescimento. Dimenticare le cause seconde sarebbe tentare Dio, contare unicamente sulle cause seconde sarebbe misconoscerlo ed offenderlo. Se queste verità sono certe, quando si tratta di cose puramente temporali, tanto più hanno luogo ad essere quando si tratta della salvezza, della vera pietà, della giustizia interiore! – Ciò che fa che gli uomini contino sulle loro forze, è che essi non si conoscono; e ciò che fa che essi contino così poco sul soccorso di Dio, è che essi non conoscono Dio. Si dice ordinariamente che Dio è sempre per i grossi battaglioni, massima che si avvicina fortemente al deismo, nemico della Provvidenza. Questa massima è dimostrata falsa, – 1° da una infinità di esempi: si potrebbero citare sia tante occasioni in cui delle piccole armate abbiano vinto contro le grandi, sia citare le grandi armate che siano state battute dalle piccole; – 2° per esperienza si sa che tra due forze uguali, di uguali capacità, di uguale bravura, arrivi sempre il giorno in cui, una delle due armate è battuta, cosa che non potrebbe succedere se la Provvidenza non si mischiasse nelle cose umane; perché forze perfettamente eguali dovrebbe distruggersi mutualmente senza alcun vantaggio né da una parte, né dall’altra; – 3° Quando i grossi battaglioni hanno la meglio sui piccoli, questo è ancora per effetto della Provvidenza che ha dato più forza all’una delle due parti, sia che la causa del più forte fosse più giusta, sia senza che fosse giusta, Dio ha voluto umiliare ancor più coloro che sono già deboli, come accadde agli Israeliti ai tempi di Nabuchodonosor; sia che, in un’occasione, Dio favorisca i più forti per abbatterli poi con maggior clamore (Berthier). – Questi non sono, dice Davide, dice Salomone, non sono né le buone armi, né un buon cavallo, non è né il nostro arco, né la nostra spada, né il nostro coraggio, né il nostro valore, né la nostra destrezza, né la forza delle nostre mani, che ci salvano in un giorno di battaglia, ma la protezione dell’Altissimo (Ps. CXLVI, 10, 11; Prov. XXI, 31). – « Quando avrò preparato il mio cuore, bisogna che Egli diriga i miei passi » (Prov. XVI, 9). Io non sono più potente dei re « … il cui cuore è nelle sue mani, ed Egli le volge dove vuole » (Prov. XXI, 1). Che si renda padone del mio, che mi aiuti con il soccorso che mi fa dire: « Aiutatemi ed io sarò salvato » (Ps. CXVIII, 117); ed ancora: Convertitemi ed io sarò convertito; perché dopo avermi convertito io faccio penitenza e dopo che mi avete toccato, io mi sono colpito il ginocchio » (Gerem. XXII, 18, 19), in segno di compunzione e di rammarico (Bossuet, Mèd. sur l’Ev. 2° P, LXXII° j.).

ff. 18, 19. –  Gli occhi del Signore sono poggiati « su coloro che Lo temono, su quelli che mettono la loro speranza nella sua misericordia »; non nei loro meriti, non nella loro forza, non nel loro coraggio, ma nella sua misericordia (S. Agost.). È questo lo sguardo del Signore, sguardo efficace che procura la salvezza. – Doppio è il beneficio per coloro che sperano nella sua misericordia: Egli li preserva dalla morte o li libera resuscitandoli alla vita, e li nutre in tempo di fame, nel deserto spirituale di questa vita (Dug.). – Egli li nutre ma non li sazia. Il tempo della fame è il tempo attuale, il tempo della sazietà verrà più tardi. Colui che non ci abbandona quando abbiamo fame nella nostra natura corruttibile, ci sazierà in cielo quando saremo divenuti immortali, noi che quaggiù abbiamo fame e sete di giustizia (S. Agost.).

ff. 20-22. – Ma poiché noi abbiamo a soffrire del viaggio, intanto che dura il tempo della fame, e poiché noi attendiamo il soccorso di qualche nutrimento lungo cammino, per paura che le forze non ci manchino, quali condizioni ci si impongono e cosa dobbiamo fare dal canto nostro? « La nostra anima attenderà pazientemente il Signore ». Essa attenderà con sicurezza Colui che promette con misericordia. E che ne sarà se perseveriamo nella nostra pazienza? Non temete niente; noi persevereremo perché Egli è nostro aiuto e nostro protettore. « Egli vi aiuta nel combattimento, vi protegge dal calore, non vi abbandona. E quando avrete sopportato tutto, quando siete stati pazienti in tutto, quando avrete perseverato fino alla fine, cosa avverrà? » – « Il vostro cuore gioirà in Lui » (S. Agost.). – Il Profeta ci ha esortato a soffrire tutto, ci ha riempito di gioia e di speranza, ci ha mostrato quel che noi dobbiamo amare, ci ha detto in cosa solo e su Chi solo noi possiamo riporre la nostra fiducia, e termina con questa breve preghiera: « Che la vostra misericordia, Signore, discenda su di noi ». A quale titolo l’abbiamo meritata? « Secondo quel che abbiamo sperato in Voi ». La speranza in Dio è la misura della sua misericordia (S. Agost.).

PERFEZIONE DELLA VITA CRISTIANA (1)

Perfezione della vita cristiana.

[A. Tanquerey: Compendio di teologia ascetica e mistica – Soc. S. Giovanni Evang. Desclée e Ci.; Roma, Tournai – Parigi. 1948]

CAPITOLO III -1-

295. Ogni vita deve perfezionarsi, ma principalmente la vita cristiana, la quale è, per sua natura, essenzialmente progressiva e non toccherà il suo termine se non in cielo. Dobbiamo quindi esaminare in che consista la perfezione di questa vita, per poterci così meglio dirigere nelle vie della perfezione. Essendoci però su questo punto fondamentale errori e idee più o meno monche ed inesatte, cominceremo a rimuovere le false nozioni della perfezione cristiana e ne esporremo poi la vera natura.

I. Le false nozioni:

a) degli increduli;

b) dei mondani;

c) dei devoti.

II. La vera nozione:

a) consiste nella carità;

b) suppone sulla terra il sacrifizio;

c) concilia armoniosamente questi elementi;

d) abbraccia i precetti e i consigli;

e) ha i suoi gradi e i suoi limiti.

ART. I. FALSE NOZIONI SULLA PERFEZIONE.

Queste false nozioni si trovano presso gl’increduli, i mondani e i falsi devoti.

296. Agli occhi degl’increduli la perfezione cristiana è un puro fenomeno soggettivo, che non corrisponde ad alcuna sicura realtà.

A) Molti di loro studiano quelli che essi chiamano fenomeni mistici con malevoli pregiudizi e senza discernere tra i veri e i falsi mistici: tali Max Nordau, J. H. Leuba, E. Murisier. A loro giudizio, la pretesa perfezione dei mistici non è che un fenomeno morboso, una specie di psiconevrosi, di esaltazione del sentimento religioso, ed anche una forma speciale di amore sessuale, come appare dai vocaboli di sponsali o sposalizio, di matrimonio spirituale, di baci, di amplessi, di carezze divine, che ricorrono così spesso sotto la penna dei mistici. – È chiaro che questi autori, i quali non s’intendono quasi d’ altro che di amore profano, non hanno capito nulla dell’amor divino e sono di coloro a cui si potrebbe applicare la parola di Nostro Signore: “Neque mittatis inargaritas vestras ante porcos” (Matth. VII, 6). Quindi anche gli altri psicologi, come W. James, fanno loro notare che l’istinto sessuale non ha nulla da vedere con la santità; che i veri mistici praticarono la purità eroica, gli uni non avendo mai o quasi mai provato le debolezze della carne, gli altri avendo superate violente tentazioni con mezzi eroici, per esempio voltolandosi tra le spine. Se dunque usarono il linguaggio dell’ amor umano, la ragione è che non ve n’è altro che sia più adatto ad esprimere in modo analogico le tenerezze dell’amor divino. Del resto essi mostrarono in tutta la loro condotta, con le grandi opere che impresero e condussero a buon fine, che erano persone savie e prudenti; e in ogni caso non si possono che benedire le nevrosi che ci diedero i Tommasi d’Aquino, i Bonaventura, gli Ignazi di Loiola, i Franceschi Saveri, 1e Terese e i Giovanni della Croce, i Franceschi di Sales, 1e Giovanne di Chantal, i Vincenzi de’ Paoli, le Damigelle Legras, i Berulle e gli Olier, gli Alfonsi de’ Liguori e i Paoli della Croce.

297. B ) Altri increduli rendono giustizia ai nostri mistici pur dubitando della realtà obbiettiva dei fenomeni da loro descritti: tali William James e Massimo di Montmorand. Riconoscono che il sentimento religioso produce nelle anime mirabili effetti, uno slancio invincibile verso il bene, un illimitata dedizione verso il prossimo, che il loro preteso egoismo non è in fondo che una carità eminentemente sociale feconda della più lieta influenza, che la loro sete di patimenti non impedisce loro di godere ineffabili delizie e diffondere un poco di felicità attorno a loro; solo dubitano che siano vittime d’autosuggestione e d’allucinazione. Ma noi facciamo osservare che così benefici effetti non possono derivare se non da una causa proporzionata; che, nel complesso, il bene reale e duraturo non può venire che dal vero, e che se solo i mistici cristiani hanno praticato le virtù eroiche e prodotto opere sociali utili, la ragione è che la contemplazione e l’amore di Dio, ispiratori di queste opere, non sono allucinazioni ma realtà viventi ed operose : “ex fructibus eorum cognoscctis eos” (Matth. VII, 20).

298. I mondani, anche quando hanno la fede, hanno spesso, sulla perfezione o su ciò ch’essi chiamano la devozione, idee molto false.

A) Gli uni riguardano i devoti come ipocriti, come Tartufi, che, sotto la maschera della pietà, nascondono vizi odiosi o ambiziose mire politiche, come sarebbe il desiderio di dominare le coscienze e così governare il mondo. Or questo è un confondere l’abuso con la cosa stessa, e la continuazione di questo studio dimostrerà che la semplicità, la lealtà e l’umiltà sono i veri caratteri della devozione.

299. B) Altri considerano la pietà come esaltazione della sensibilità e dell’immaginazione, una specie di emotività, buona tutt’al più per le donne e per i bambini ma indegna di uomini che vogliono guidarsi con la ragione e con la volontà. Eppure quanti uomini iscritti nel catalogo dei Santi, che si distinsero per un proverbiale buon senso, per una intelligenza superiore, per una volontà energica e costante? Anche qui si confonde dunque la caricatura col ritratto.

300. C) Vi sono infine di quelli che pretendono che la perfezione sia un’utopia inattuabile e per ciò stesso pericolosa, che basti osservare i comandamenti e soprattutto aiutare il prossimo, senza perdere il tempo in pratiche minuziose, o nella ricerca di virtù straordinarie. Basta la lettura della vita dei Santi a correggere quest’errore, mostrando che la perfezione fu veramente conseguita sulla terra, e che la pratica dei consigli non solo non nuoce all’osservanza dei precetti ma la rende anzi più facile.

301. 3° Tra le stesse persone devote ce ne sono di quelle che s’ingannano sulla vera natura della perfezione, dipingendola ognuno secondo la propria passione e la propria fantasia (È quanto osserva S. Franc. DI SALES, Intr. alla vita davota, P. I , c. I che è da leggersi per intero.)

A) Molti, confondendo la devozione con le devozioni, si immaginano che la perfezione consista nel recitare un gran numero di preghiere e nel far parte di molte confraternite, talora anche a detrimento dei doveri del proprio stato che costoro trascurano per fare questo o quel pio esercizio, o mancando alla carità verso le persone di casa. Questo è un sostituire l’accessorio al principale e un sacrificare al mezzo il fine.

302. B) Altri poi si danno ai digiuni e a austerità, fino ad estenuarsi e rendersi incapaci di compiere bene i doveri del proprio stato, credendosi con ciò dispensati dalla carità verso il prossimo; mentre non osano intingere la lingua nel vino, non temono poi di « immergerla nel sangue del prossimo con la maldicenza e con la calunnia ». Anche qui si prende abbaglio su ciò che vi è di più essenziale nella perfezione, e si trascura il dovere capitale della carità per esercizi buoni senza dubbi, ma meno importanti. — In pari errore cadono color che fanno ricche elemosine, ma non vogliono perdonare i nemici, oppure, perdonando i nemici e non pensano poi a pagare i debiti.

303. C) Alcuni, confondendo le consolazioni spirituali col fervore, si credono perfetti quando sono inondati di gioia e pregano con facilità; s’immaginano invece d’essere rilassati quando son assaliti dalle aridità e dalle distrazioni. Dimenticano che ciò che conta agli occhi di Dio è lo sforzo generoso e spesso rinnovato, non ostante le apparenti sconfitte che si possono provare.

304. D) Altri, invaghiti di azione e di opere esteriori, trascurano la vita interiore per darsi più interamente all’apostolato. E un dimenticare che l’anima di ogni apostolato è la preghiera abituale, che attira la grazia divina e rende feconda l’azione.

305. E) Finalmente alcuni, avendo letto libri mistici o vite di Santi in cui si descrivono estasi e visioni, si immaginano che la devozione consista in questi fenomeni straordinari e fanno sforzi di mente e di fantasia per arrivarvi. Non capiscono che, a detta dei mistici stessi, questi sono fenomeni accessori che non costituiscono la santità, ai quali quindi non bisogna aspirare, e che la via della conformità alla volontà di Dio è molto più sicura e più pratica.

Sgombrato così il terreno, potremo ora più facilmente

intendere in che essenzialmente consista la

vera perfezione.

ART. II. LA VERA NOZIONE DELLA PERFEZIONE

306. Stato della questione. Per ben risolvere questo problema, cominciamo con determinar lo stato della questione:

Nell’ordine naturale un essere è perfetto (perfectum) quando è finito e compito, e quindi quando consegue il suo fine: « Unumquodque dicitur esse perfectum in quantum attingit proprium finem, qui est ultima rei perfectio » (Sum. Theol. IIa, IIæ, q. 184, a. 1). Questa è la perfezione assoluta; ve n’è però un’altra, relativa e progressiva, che consiste nell’avvicinarsi a questo fine, sviluppando tutte le proprie facoltà e praticando tutti i propri doveri secondo le prescrizioni della legge naturale manifestata dalla retta ragione.

307. 2° Il fine dell’uomo, anche nell’ordine naturale, è Dio. 1) Creati da Lui, siamo necessariamente creati per Lui, poiché è chiaro che non può Dio trovare un fine più perfetto di Sé, essendo la pienezza dell’Essere; e d’altra parte creare per un fine imperfetto sarebbe indegno di Lui. 2) Di più, essendo Dio la perfezione infinita e quindi la fonte di ogni perfezione, l’uomo è tanto più perfetto quanto più s’avvicina a Lui e ne partecipa le divine perfezioni; ecco perché il cuore umano non trova nelle creature nulla che possa soddisfarne le legittime aspirazioni: « Ultimus hominis finis est bonum increatum, scilicet Deus, qui solus sua infinita bonitate potest voluntatem hominis perfecte implere » (S. Theol. Ia, IIæ, q. 3,a. 1). A Dio quindi convien rivolgere tutte le nostre azioni; conoscerlo, amarlo, servirlo, e così glorificarlo, tal è il fine della vita e la fonte d’ogni perfezione.

308. 3° Il  che è anche più vero nell’ordine soprannaturale. Gratuitamente elevati da Dio ad uno stato che supera le nostre esigenze e le nostre possibilità, chiamati a contemplarlo un giorno con la visione beatifica e possedendolo già con la grazia, dotati di un intero organismo soprannaturale per unirci a Lui con la pratica delle virtù cristiane, è chiaro che non possiamo perfezionarci se non avvicinandoci continuamente a Lui. E non potendo far questo senza unirci a Gesù, che è la via necessaria per andare al Padre, la nostra perfezione consisterà nel vivere per Dio in unione con Gesù Cristo: « Vivere summe Deo in Christo Jesu » (J. J. Olier). Il che facciamo praticando le virtù cristiane, teologali e morali, che tutte hanno per fine di unirci in modo più o meno diretto a Dio, facendoci imitare N. S. Gesù Cristo.

309. 4° Sorge quindi qui la questione di sapere se, tra queste virtù, non ve ne sia una che compendi e contenga tutte le altre, e costituisca, a così dire, l’essenza della perfezione. S. Tommaso, sintetizzando la dottrina della S. Scrittura e dei Padri, risponde affermativamente e c’insegna che la perfezione consiste essenzialmente nell’amor di Dio e del prossimo amato per Dio: « Per se quidem et essentialiter Consistit perfectio Christianæ vitæ in caritate, principaliter quidem secundum dilectionem Dei, secundario autem secundum dilectionem proximi » (S. Theol., IIa, IIæ, q. 184, a, 3). Ma,poiché nella vita presente l’amor di Dio non puòpraticarsi senza rinunziare all’amore disordinato dise stessi, ossia alla triplice concupiscenza, in praticaall’amore bisogna aggiungere il sacrificio. Questoverremo esponendo col dimostrare: 1) come l’amordi Dio e del prossimo costituisca l’essenza dellaperfezione; 2) perché quest’amore debba giungerefino al sacrifizio; 3) in che modo si debbano conciliarequesti due elementi; 4) come la perfezioneabbracci insieme precetti e consigli; 5) quali nesiano i gradi e fin dove possa arrivare sulla terra.

§ I. L’essenza della perfezione consiste nella carità.

310. Spieghiamo anzitutto il senso della tesi.

L’amore di Dio e del prossimo, di cui qui trattiamo, è soprannaturale nel suo oggetto come nel suo motivo e nel suo principio. Il Dio che noi amiamo è il Dio manifestatoci dalla rivelazione, il Dio della Trinità; e l’amiamo perché la fede ce lo mostra infinitamente buono e infinitamente amabile; l’amiamo con la volontà perfezionata dalla virtù della carità e aiutata dalla grazia attuale. Non è dunque un amore di sensibilità; è vero che, essendo l’uomo composto d’anima e di corpo, spesso si mescola ai nostri più nobili affetti un elemento sensibile; ma un tal sentimento manca talora interamente, e in ogni caso è del tutto accessorio. L’essenza stessa dell’amore è la dedizione, è la volontà ferma di darsi e, occorrendo, d’immolarsi interamente per Dio e per la sua gloria, di preferire il suo beneplacito al nostro e a quello delle creature.

311. Conviene dire altrettanto, salve le proporzioni, dell’amor del prossimo.

In lui amiamo Dio, un’immagine, un riflesso delle sue divine perfezioni; il motivo quindi che ce lo fa amare è la bontà divina in quanto è manifestata, espressa, irradiata nel prossimo; o, in parole più intelligibili, noi vediamo e amiamo nei nostri fratelli un’anima abitata dallo Spirito Santo, ornata della grazia divina, riscattata dal sangue di Gesù Cristo; e amandola, ne vogliamo il bene soprannaturale, lo spirituale perfezionamento, la salute eterna. – Non vi sono quindi due virtù di carità, l’una verso Dio e l’altra verso il prossimo; ve n’è una sola che abbraccia insieme Dio amato per se stesso e il prossimo amato per Dio. – Con queste nozioni ci sarà facile intendere come la perfezione consiste proprio nella virtù della carità.

Le prove della tesi.

312. 1° Interroghiamo la S. Scrittura. A) Nel Vecchio come nel Nuovo Testamento, ciò che domina e compendia tutta la Legge è il gran precetto della carità, carità verso Dio e carità verso il prossimo. Quindi, quando un dottore della legge domanda a Nostro Signore che cosa bisogna fare per acquistare la vita eterna, il divin Maestro gli risponde soltanto: Che cosa dice la legge? E il dottore pronto gli cita il testo del Deuteronomio: « Amerai il Signore Dio tuo, con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze, con tutta la tua mente, e il prossimo tuo come te stesso: « Diliges Dominimi Deum tuum ex toto corde tuo et ex tota anima tua et ex omnibus viribus tuis et ex omni mente tua, et proximum tuum sicut teipsum. » E Nostro Signore l’approva dicendogli: « Hoc fac et vives » (Luc. X, 25-29; Deut. VI, 5-7). Aggiunge altrove che questo doppio precetto dell’amor di Dio e dell’amor del prossimo costituisce la legge e i Profeti (Matth. XXII, 39-40) –. Ed è ciò che sotto altra forma dichiara S. Paolo, quando, dopo aver rammentati i principali precetti del Decalogo, aggiunge che la pienezza della legge è l’amore: « Plenitudo legis dilectio » (Rom. XIII, 10). Così l’amor di Dio e del prossimo è nello stesso tempo la sintesi e la pienezza della Legge. Ora la perfezione cristiana non può essere che l’adempimento perfetto ed intero della Legge; perché la Legge è ciò che Dio vuole, e che cosa v’è di più perfetto della santa volontà di Dio?

313. B) Vi è un’altra prova tratta dalla dottrina di S. Paolo sulla carità nel cap. XIII° della I Lettera ai Corinti; con lirico linguaggio Paolo vi descrive l’eccellenza della carità, la sua superiorità sui carismi o sulle grazie gratisdate, sulle altre virtù teologali, la fede e la speranza; e mostra ch’essa compendia e contiene in modo eminente tutte le virtù, che è anzi il complesso di queste virtù: « caritas patiens est, benigna est; caritas non æmulatur, non agit perperam, non inflatur, non est ambitiosa, non quærit quæ sua sunt, non irritatur, non cogitat malum… »; e in ultimo aggiunge che i carismipasseranno, che la fede e la speranza spariranno, mache la carità è eterna. Non è questo un insegnareche non solo la carità è la regina e l’anima delle virtù,ma che è pur così eccellente da bastare a rendereun uomo perfetto, comunicandogli tutte le virtù?

314. C) S. Giovanni, l’apostolo del divino amore, ce ne dà la fondamentale ragione. Dio, egli dice, è carità, « Deus caritas est »; è questa, a così dire, la sua nota caratteristica. Se dunque vogliamo somigliar a Lui ed essere perfetti come il Padre celeste, bisogna che noi amiamo Lui come Egli ha amato noi « quoniam prior ipse dilexit nos » (1 Giov. III, 16; IV, 10); e non potendo amar Lui senza amar pure il prossimo, dobbiamo amare questo caro prossimo fino a sacrificarci per Lui « et nos debemus prò fratribus animas ponere »: « Carissimi, amiamoci l’un l’altro, perché l’amore viene da Dio e chi ama è nato da Dio e conosce Dio. Chi non ama, non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore… Or questo amore sta in ciò che non fummo noi ad amar Dio, ma egli il primo amò noi e mandò il suo Figliuolo vittima di propiziazione per i nostri peccati. Carissimi, se Dio ci ha amati in tal guisa, dobbiamo noi pure amarci l’un l’altro… Dio è amore e chi sta nell’amore sta in Dio e Dio in lui » Si può dire in modo più chiaro che tutta la perfezione consiste nell’amor di Dio e del prossimo per Dio?

315. 2° Interroghiamo la ragione illuminata dalla fede: se consideriamo sia la natura della perfezione sia la natura della carità, arriviamo alla stessa conclusione.

A) Abbiamo detto che la perfezione d’un essere consiste nel conseguire il proprio fine o nell’ avvicinategli quanto più è possibile (n. 306). Ora il fine dell’uomo nell’ordine soprannaturale è Dio eternamente posseduto con la visione intuitiva e con l’amore beatifico; sulla terra ci avviciniamo a questo fine vivendo già in unione intima con la SS. Trinità che vive in noi e con Gesù mediatore necessario per andare al Padre. Quanto più dunque siamo uniti a Dio, ultimo nostro fine e fonte della nostra vita, tanto più siamo perfetti.

316. Or qual è tra le virtù cristiane la più unificante, quella che unisce l’anima nostra interamente a Dio, se non la divina carità? Le altre virtù ci preparano a questa unione, o anche a lei ci iniziano, ma non possono compierla. Le virtù morali, prudenza, fortezza, temperanza, giustizia, etc, non ci uniscono direttamente a Dio, ma servono solo a sopprimere o diminuire gli ostacoli che ce ne allontanano e ad avvicinarci a Dio conformandoci all’ordine; cosi la temperanza, combattendo lo smoderato uso del piacere, attenua uno dei più violenti ostacoli all’amor di Dio; 1’umiltà, allontanando l’orgoglio e l’amor proprio, ci predispone alla pratica della divina carità. Inoltre queste virtù, facendoci praticare l’ordine ossia la giusta misura, sottomettono la nostra volontà a quella di Dio e ci avvicinano a Lui. Le virtù teologali poi distinte dalla carità, ci uniscono certamente a Dio, ma in modo incompleto. La fede ci unisce a Dio, infallibile verità, e ci fa vedere le cose alla luce di Dio; ma è compatibile col peccato mortale che ci separa da Dio. La speranza ci eleva a Dio, in quanto è cosa buona per noi, e ci fa desiderare i beni del cielo, ma può sussistere con colpe gravi che ci allontanano dal nostro fine.

317. La sola carità ci unisce interamente a Dio. Suppone la fede e la speranza ma le oltrepassa: prende tutta quanta l’anima, intelligenza, cuore, volontà, attività, e la dà a Dio senza riserva. Esclude il peccato mortale, che è il nemico di Dio, e ci fa godere della divina amicizia: « Si quis diligit me, et Pater meus diliget eum » (Joan. XIV, 23). Ora l’amicizia è unione, è fusione di due anime in una sola: cor unum et anima una… unum velle, unum nolle; completaunione di tutte le nostre facoltà: unione dellamente, che fa che il nostro pensiero si modelli suquello di Dio; unione della volontà, che ci fa abbracciarela volontà di Dio come fosse nostra; unionedel cuore, che ci stimola a darci a Dio come Egli sidà a noi, dilectus meus mihi et ego illi; unione delleforze attive, onde Dio mette a servizio della nostra debolezzala divina sua potenza per aiutarci a eseguirei nostri buoni disegni. La carità ci unisce dunque a Dio, nostro fine, a Dio infinitamente perfetto, e costituisce quindi l’elemento essenziale della nostra perfezione.

318. B) Studiando la natura della carità, arriviamo alla stessa conclusione; come infatti dimostra S. Francesco di Sales, la carità racchiude tutte le virtù e dà loro anzi una speciale perfezione (Tratt. dell’amor di Dio, I, XI, c. 8).

a) Racchiude tutte le virtù. La perfezione consiste, com’è chiaro, nell’acquisto delle virtù: chi le possiede tutte, in un grado non solo iniziale ma elevato, è certamente perfetto. Ora chi possiede la carità possiede tutte le virtù e le possiede nella loro perfezione: possiede la fede, senza cui non si può conoscere ed amare l’infinita amabilità di Dio; e la speranza, che, ispirandoci la fiducia, ci conduce all’amore; e tutte le virtù morali, per esempio, la prudenza, senza cui la carità non potrebbe né conservarsi né crescere; la fortezza, che ci fa trionfare degli ostacoli che si oppongono alla pratica della carità; la temperanza, che doma la sensualità, implacabile nemica dell’amor di Dio. Anzi, aggiunge S. Francesco di Sales, « il grande Apostolo non dice solo che la carità ci dà la pazienza, la benignità, la costanza, la semplicità, ma dice ch’essa stessa è paziente, benigna, costante » (1 Cor. XIII, 4), perché contiene la perfezione di tutte le virtù.

319. b) Anzi dà loro una perfezione e un valore speciale, perché è, secondo l’espressione di S. Tommaso (S. Theol. IIA, IIæ, q. 23, a. 83) la forma di tutte le virtù. « Tutte le virtù, separate dalla carità sono molto imperfette, perché non possono senza di lei giungere al loro fine che è di rendere l’uomo felice… Non dico che senza la carità non possano nascere e anche progredire; ma che abbiano tal perfezione da meritare il titolo di virtù fatte, formate e compite, questo dipende dalla carità, che dà loro la forza di volare a Dio, e raccogliere dalla sua misericordia il miele del vero merito e della santificazione dei cuori in cui si trovano. La carità è tra le virtù come il sole tra le stelle: distribuisce a tutte la loro luce e la loro bellezza. La fede, la speranza, il timor di Dio e la penitenza, vengono ordinariamente nell’anima prima di lei a prepararle la dimora; e giunta che è, la ubbidiscono e la servono come tutte le altre virtù, ed ella le anima, le adorna e le avviva con la sua presenza » (S. Franc. Di Sales, I c., c. 9) . In altri termini, la carità, orientando direttamente l’anima nostra verso Dio, perfezione somma ed ultimo fine, dà pure a tutte le altre virtù che vengono a porsi sotto il suo impero, lo stesso orientamento e quindi lo stesso valore. Così un atto d’obbedienza e di umiltà, oltre al proprio valore, riceve dalla carità un valore assai più grande quando è fatto per piacere a Dio, perché allora diventa un atto di amore, cioè un atto della più perfetta tra le virtù. Aggiungiamo che quest’atto diventa più facile e più attraente: obbedire e umiliarsi costano molto alla orgogliosa nostra natura, ma il pensiero che, praticando questi atti, si ama Dio e se ne procura la gloria, li rende singolarmente facili. – Così dunque la carità è non solo la sintesi ma l’anima di tutte le virtù, e ci unisce a Dio in modo più perfetto e più diretto delle altre; è quindi lei quella che costituisce l’essenza stessa della perfezione.

CONCLUSIONE.

320. Poiché l’essenza della perfezione consiste nell’amor di Dio, ne viene che l’accorciatoia per arrivarvi è d’amar molto, d’amare con generosità ed intensità, e principalmente di amare con amor puro e disinteressato. Ora noi amiamo Dio non solo quando recitiamo un atto di carità ma anche quando facciamo la sua volontà o quando compiamo un dovere sia pur minimo per piacergli. Ognuna quindi delle nostre azioni, per quanto volgare essa sia in se stessa, può essere trasformata in un atto di amore e farci avanzare verso la perfezione. Il progresso sarà tanto più reale e più rapido, quanto più intenso e più generoso sarà quest’amore e quindi quanto più il nostro sforzo sarà energico e costante; perché ciò che conta agli occhi di Dio è la volontà, è lo sforzo, indipendentemente da ogni emozione sensibile. E poiché l’amore soprannaturale del prossimo è anch’esso un atto d’amor di Dio, tutti i servizi che rendiamo ai nostri fratelli, vedendo in loro un riflesso delle divine perfezioni, o, ciò che torna lo stesso, vedendo in loro Gesù Cristo, diventano tutti atti d’amore che ci fanno avanzare verso la santità. Amare dunque Dio e il prossimo per Dio, ecco il segreto della perfezione, purché su questa terra vi si aggiunga il sacrificio.

[1 – continua … ]

SALMI BIBLICI: “BEATI QUORUM REMISSÆ SUNT INIQUITATES” (XXXI)

SALMO 31: “BEATI QUORUM remissæ sunt iniquitates …”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

TOME PREMIER.

PARIS

LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR, RUE DELAMMIE, 13 – 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

[1] Ipsi David intellectus.

    Beati quorum remissæ sunt iniquitates,

et quorum tecta sunt peccata.

[2] Beatus vir cui non imputavit Dominus peccatum, nec est in spiritu ejus dolus.

[3] Quoniam tacui, inveteraverunt ossa mea, dum clamarem tota die. (1)

[4] Quoniam die ac nocte gravata est super me manus tua; conversus sum in aerumna mea, dum configitur spina.

[5] Delictum meum cognitum tibi feci, et injustitiam meam non abscondi. Dixi: Confitebor adversum me injustitiam meam Domino; et tu remisisti impietatem peccati mei.

[6] Pro hac orabit ad te omnis sanctus in tempore opportuno. Verumtamen in diluvio aquarum multarum, ad eum non approximabunt.

[7] Tu es refugium meum a tribulatione quae circumdedit me; exsultatio mea, erue me a circumdantibus me.

[8] Intellectum tibi dabo, et instruam te in via hac qua gradieris; firmabo super te oculos meos.

[9] Nolite fieri sicut equus et mulus, quibus non est intellectus. In camo et freno maxillas eorum constringe, qui non approximant ad te.

[10] Multa flagella peccatoris, sperantem autem in Domino misericordia circumdabit.

[11] Lætamini in Domino et exultate justi, et gloriamini omnes recti corde.

[Vecchio Testamento secondo la Volgata

Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO XXXI

Davide piange il proprio peccato, ed esorta gli nomini a penitenza. Essendo il salmo oscuro, ha per titolo di intelligenza, perché necessario è il dono dello Spirito Santo ad intenderlo. L’intelligenza del proprio peccato Davide l’ebbe dalla grazia divina.

Dello stesso Davide, salmo di intelligenza.

1. Beati coloro ai quali sono state rimesse le iniquità, e i peccati de’ quali sono stati ricoperti.

2. Beato l’uomo, cui Dio non imputò peccato e nello spirito di lui simulazione non è.

3. Perché io mi tacqui, si consumarono le mie ossa mentre io per tutto il giorno alzava le strida.

4. Perché di e notte si aggravò sopra di me la tua mano, mi avvolgeva nella mia miseria, mentre portava fitta la spina.

5. A te il delitto mio feci noto, e non tenni ascosa la mia ingiustizia. Io dissi: Confesserò contro di me stesso al Signore, la mia ingiustizia; e tu mi rimettesti l’empietà del mio peccato.

6. Per questo porgerà preghiere a te ogni uomo santo nel tempo opportuno. Certo che quando inonderanno le grandi acque, a lui non si accosteranno.

7. Tu se’ mio asilo nella tribolazione da cui son circondato; tu, mia letizia, liberami da coloro che mi assediano.

8. Io ti darò intelligenza, e t’insegnerò la via, per cui tu hai da camminare; terrò fissi gli occhi miei sopra di te.

9. Guardatevi dall’esser simile al cavallo e al mulo, i quali son privi del bene dell’intelletto. Stringi col morso e colla briglia le mascelle di coloro che si ritiran da te.

10. Molti i flagelli pei peccatori; ma la misericordia sarà a guardia di colui che spera nel Signore.

11. Nel Signore rallegratevi ed esultate, o giusti, e gloriatevi voi tutti, che siete di retto cuore.

 (1) Queste tre parole, iniquitates, peccata, peccatum, in ebraico phesa, hataa, avon, esprimono il realtà la stessa cosa, cioè il peccato, ma il peccato considerato formalmente sotto un diverso aspetto; il primo significa più particolarmente la defezione, la ribellione, l’offesa di Dio; il secondo, il carattere impresso all’anima, o la privazione della grazia; il terzo, la pena dovuta al peccato. Lo stesso è per le tre parole remittere, traere, non imputare, che significano tutte e tre il perdono dei peccati, ma sotto una visuale differente; il primo significa la remissione gratuita, la seconda l’abbondanza della grazia che li cancella, la terza che Dio tratta il peccatore riconciliato con tenerezza maggiore che se fosse stato sempre innocente.

Sommario analitico

Questo salmo è stato composto da Davide, sulla testimonianza di San Paolo (Rom. IV, 6), verosimilmente quando ebbe riconosciuto il doppio peccato, il suo adulterio con Bethsabea, e l’omocidio di Uria, come confessato davanti a Natan.

I – Il Re-Profeta celebra il beneficio della giustificazione e proclama beati coloro:

1) ai quali sia stata rimessa l’offesa; 2) nei quali la traccia del peccato sia stata cancellata; 3) per i quali la condanna alla pena sia stata distrutta; nell’anima dei quali Dio diffonde la sincerità e la purezza.

II – Occorre conoscere i vantaggi inestimabili della confessione, la quale ci ottiene questo beneficio della giustificazione:

1° Prima della quale: – a) le forze della sua anima si erano come esaurite, – b) la mano di Dio si era appesantita su di lui, – c) i rimorsi lo hanno trafitto con punte acuminate (3, 4).

2° Nella quale occorre vedere con il suo esempio le sei condizioni di una buona confessione: – a) che sia personale, e che abbia come oggetto i propri peccati di colpevolezza; – b) che sia chiara e pulita « cognitum tibi feci »; – c) che sia intera … « ed io non ho nascosto la mia ingiustizia »; – d) che sia premeditata e preparata in anticipo: « io ho detto », – e) che sia una vera accusa « contro di me »; – f) che sia umile, « il mio sopruso al Signore », voi siete il mio sovrano, Signore, io sono il vostro servo.

3° Dopo la quale egli ha ricevuto i tre effetti della buona confessione: – a) la remissione dei peccati che sollecitano gli stessi Santi nel tempo opportuno, cioè durante questa vita; – b) la remissione della pena eterna figurata da questo diluvio di grandi acque (6); – c) la remissione della pena temporale, figurata dalle tribolazioni, etc. (7).

III – Egli insegna come si conserva questo beneficio della giustificazione:

1° Dio gli dice che Egli darà al giusto: – a) l’intelligenza a mo’ di fiamma per rischiararlo: – b) il soccorso esterno della sua Provvidenza per guidarlo; – c) il rafforzamento e la perseveranza nella grazia (8).

2° Gli raccomanda di evitare: – a) le affezioni sregolate nella volontà, – b) l’accecamento dell’intelligenza che lo renderebbe simile ad un animale senza ragione (9). –

3° Egli gli insegna come dovrà reprimere queste affezioni sregolate, con il morso ed il freno della legge divina, della mortificazione, etc. (10).

4° Davide avverte: – a) i peccatori che Dio usa al loro riguardo la severità, moltiplicando le loro punizioni; – b) i giusti, che la misericordia di Dio non cesserà di ricoprirli (10).

5° Egli invita tutti i giusti a rallegrarsi nel Signore, e tutti quelli che hanno un cuore retto, a rendere pubblica la sua gloria con i loro cantici (11).

Spiegazioni e Considerazioni

1. – 1, 2

ff. 1, 2. – Felici non sono coloro nei quali non siano stati trovati peccati, bensì coloro nei quali i peccati siano coperti, nei quali i peccati siano interamente coperti, pienamente nascosti, e di conseguenza non esistono più. Se Dio ha “coperto” dei peccati, non ha voluto notarli; se non ha voluto rimarcarli, non ha voluto usare la sua giustizia contro di essi, non ha voluto punirli, non ha voluto conoscerli, ma ha amato il rimetterli … Ma quando il Profeta parla dei peccati così coperti, cerchiamo di comprendere che questi peccati sussistono ancora e vivono nei peccatori. Perché si dice allora che i peccati sono coperti? È perché essi non sono più trovati (S. Agost.). – Mai un viaggiatore considera con più piacere la calma profonda del mare, se non dopo essere sfuggito ad una furiosa tempesta e scampato ad un naufragio certo; mai un uomo stima la salute se non dopo esser passato attraverso i dolori di una lunga e crudele malattia. Mai anche un Cristiano concepisce meglio la felicità di un’anima riconciliata con il suo Dio, se non dopo il gemere per qualche tempo sotto la servitù del peccato. La prima felicità è quella di non cadere più nel peccato, la seconda di rialzarsi con la penitenza (Duguet).

ff. 2. – Artificio e travestimento sono molto frequenti nella maggior parte di coloro che si credono penitenti: essi sono estremamente addestrati nell’ingannare gli altri, ma incomparabilmente più abili nell’ingannare se stessi, e mai più spesso che pericolosamente nella Penitenza. Che cosa è questo ingannare Dio, camuffandosi agli altri e a se stessi, se non voler ingannare se stessi? (Dug.). – Non cerchiamo scuse ai nostri crimini; non li rigettiamo sulla parte debole che è in noi; confessiamo che la ragione doveva presiedere e dominare i nostri appetiti; non cerchiamo di coprirci; mettiamoci davanti a Dio, Egli ci coprirà forse con la sua bontà così che saremo tra quelli dei quali è scritto: « Felici coloro le cui iniquità sono state rimesse, e i cui peccati sono stati coperti » (Bossuet, Elév. VI j. VIII E.).

II. – 3-7.

ff. 3. – Diversi sono i tipi di silenzio, sia buono, sia cattivo, secondo la Scrittura.

I. – Silenzio buono e lodevole: 1° Un silenzio di obbedienza: « il silenzio sarà frutto della giustizia ». (Isaia XXXII, 17). – 2° Un silenzio di prudenza: « Anche il folle, se tace, passa per saggio » (Prov. XVII, 28). – 3° Un silenzio di pazienza: « È nel silenzio e nella speranza che sarà la vostra forza » (Isaia XXX, 15). – .4° Un silenzio di saggezza: « Suo Padre considerava tutto ciò in silenzio ». (Gen. XXXVII, 11). – 5° Un silenzio di rispetto: « ascoltate in silenzio, e la vostra riservatezza vi acquisterà molta grazia » (Ecclei. XXXII, 9). – 6° Un silenzio di contemplazione: « Egli si siederà in solitudine, e tacerà ». – 7° Un silenzio di condiscendenza: « Io non ho potuto parlare come a degli uomini spirituali » (I Cor. III, 1). –

II. Il silenzio cattivo: 1° Un silenzio con il quale si cessa di lodare Dio: « Maledizione a me a causa del mio silenzio » (Isaia IV, 5). – 2° Un silenzio durante la confessione dei peccati, un silenzio che fa sì che si taccia, quando invece ci si dovrebbe correggere (I Re, III, 13). – 3° Un silenzio riguardo alla preghiera: « Se voi tacete ora, i Giudei saranno liberati in altro modo » (Esther. IV, 14). – 4° Un silenzio di lusinga. «Parla il ricco e tutti tacciono » (Eccli XIII, 23). – 5° Un silenzio di infedeltà: « Silenzio, non si deve ricordare più il nome del Signore » (Amos. VI, 11). – 6° Un silenzio che viene dalla cattiva coscienza « Ed egli tacque » (Matt. XXII, 12). – 7° Il silenzio qui in questione è un silenzio colpevole che impedisce a Davide di confessare il suo duplice crimine di adulterio e di omicidio. – Il peccatore « tace »: l’insensibilità è completa, il silenzio profondo ed universale, nulla in quest’uomo rimescola, nulla parla; la confessione della fede è muta, la preghiera è spenta; il figlio snaturato non ha più una parola da dire a suo padre, non ha più un sorriso da indirizzargli. Tale è lo stato del peccato; è un silenzio interiore, un’immobilità sacrilega … Lo stato del peccato è caratterizzato ancora da un altro segno: lo stato di senescenza e di malattia. Il peccatore è un vecchio languente e decrepito, tutto è distrutto, tutto è impotente, tutto è cancellato; lo sguardo smorto, la volontà si volge a capricci infantili, la memoria si lascia sfuggire tutta la scienza di una lunga vita. Il vecchio, come il peccatore, non è più che una rovina di se stesso, e delle grandezze primitive non ritrova più, se non dei ruderi mutilati (Doublet, Psaumes etc. III, 208). – Sembra che non ci sia contraddizione tra queste parole: « Perché io tacevo, le mie ossa sono invecchiate, mentre io gemevo ». Se gemeva, come faceva a tacere? Egli ha taciuto alcune cose, altre non le ha potuto tacere. Egli ha taciuto quello che poteva dire a suo vantaggio, non ha taciuto quello che ha detto a suo svantaggio. Egli ha taciuto la confessione dei suoi peccati, spinto da uno spirito di presunzione. Egli in effetti ha detto: io ho taciuto; cioè io non ho confessato tutti i miei peccati, occorreva qui che egli parlasse, che egli tacesse i suoi meriti e dicesse con forte grida i suoi peccati. Qui bisognava che egli parlasse, che tacesse i suoi meriti e dicesse con gran strepito i suoi peccati; ma al contrario ha commesso l’errore di tacere i suoi peccati e di proclamare i suoi meriti. Cosa dunque gli è successo? « Le sue ossa sono invecchiate ». Notate che se egli avesse proclamato i suoi peccati e nascosto i suoi meriti, le sue ossa, cioè la sua forza, si sarebbe rinnovata; egli è stato forte nel Signore, perché si è trovato debole in se stesso. Ma ora, poiché ha voluto essere forte in se stesso, è diventato debole e le sue ossa si sono logorate. È rimasto nella sua vecchiaia, perché non ha voluto acquisire una nuova giovinezza con la confessione dei suoi peccati (S. Agost.).

ff. 4. –  Perché nel Vangelo, nostro Signore ci dice che il fariseo viene abbassato? Perché egli si è elevato. Perché il Pubblicano è elevato? Perché egli si è abbassato. Di conseguenza Dio, per abbassare colui che si eleva, appesantisce la sua mano su di lui. Egli ha rifiutato di abbassarsi confessando la sua iniquità, è abbassato sotto il peso della mano divina. Come sopporterà questo peso della mano che si abbassa? Al contrario, quanto leggera è stata la mano che elevava il pubblicano? Questa mano è ugualmente forte verso l’uno e verso l’altro: forte per pesare sull’uno e forte per sollevare l’altro (S. Agost.).- Quando Dio vuole convertire, il più spesso comincia con il colpire … l’anima dapprima si irrigidisce, e resiste « io mi rotolo nel mio dolore, e la mia spina ancor più si conficca ». Quando Dio ha lanciato in un’anima la sua freccia aguzza, quando cioè una misteriosa tristezza la devasta, quando il rimorso la dilania, quando il pungolo di qualche grande prova la mortifica, ella cade in crisi laceranti, si rotola nella sua sofferenza, approfondendo sempre più il tratto da cui è squarciata (Doublet, Psaumes, etc.). – Invano il peccatore rinvia sempre all’indomani l’accusa dei suoi crimini, e vorrebbe dissimulare lo stato deplorevole della sua coscienza; rimorsi cuocenti, come un avvoltoio impietoso, rodono il suo cuore notte e giorno, non permettendogli di gustare il minimo riposo. Coloro che di lui non vedono se non ciò che sembra all’esterno, sarebbero tentati di provare invidia per il suo buonumore; ma egli farebbe pietà a colui che, penetrando fino al fondo del suo cuore, vi avrebbero scoperto queste agitazioni eterne, questi turbamenti, queste inquietudini, questi allarmi che li assalgono nel tempo stesso in cui non sogna che di librarsi verso il piacere e la gioia. Dio permette che sia tormentato dal ricordo di mille cose compiute, perdonate, dimenticate, considerate come irreprensibili dal mondo, chiuse forse nella tomba. All’impotenza di sfuggire a questi ricordi brucianti, se egli comprendesse che la mano piuttosto vigorosa per serrarlo così nella catena dei rimorsi, può solo liberarlo aprendosi egli al perdono, e che avendo creato il supplizio del rimorso, Dio ha dovuto legare le grazie sovrane del perdono, alla libertà di pentirsi e di emendarsi! Ma no, per liberarsi da tanto fastidio e dall’angoscia che la colpa commessa genera in lui, questi li commette nuovamente, e domanda senza sosta una felicità che sa che esse non gli daranno mai; egli fa e rifà incessantemente e sempre, senza altro risultato che un rammarico più struggente, tutto ciò che la legge di Dio ha preso cura di proibire. Egli si volge e si rivolge da ogni lato, ma tutti questi movimenti inquieti non fanno che infiggere sempre più profondamente la punta aguzza della spina che lo penetra; egli ha un bel cambiare luogo ed oggetto, ma non può lasciare se stesso, e porta con sé i suoi nemici domestici, dei quali non può disfarsi: le sue agitazioni, i suoi turbamenti, i suoi allarmi, le sue inquietudini (Massil. & L. Veuill. Rome e Lorette).

ff. 5. – Io ho detto: « Io declamerò, etc. »; egli non dichiara ancora la sua ingiustizia, ma promette che la dichiarerà, e già Dio la rimette. Fate attenzione, questo punto è di grande importanza. Egli ha detto: « Io dichiarerò », non ha detto « Io ho dichiarato e voi mi avete rimesso », bensì : « io dichiarerò e voi mi avete rimesso ». Con questa parola. « io dichiarerò » egli prova che non ha ancora fatto con la bocca questa dichiarazione, ma che essa è fatta già nel suo cuore … ma la confessione non è giunta ancora alle mie labbra perché non ancora avevo detto queste parole: « io dichiaro contro di me »; ma Dio aveva inteso la voce del mio cuore. La mia voce non era ancora sulla mie labbra, ma l’orecchio di Dio era già nel mio cuore (S. Agost.). – Il profeta aggiunge a ragione: « … io declamerò contro di me ». In effetti ci sono molti che dichiarano la loro iniquità, ma contro il Signore stesso. Quando si trovano in peccato dicono: « è Dio che lo ha voluto. In effetti se qualcuno dice che non ha commesso questa azione, o questa azione che voi gli rimproverate non sia un peccato, egli non fa dichiarazioni né contro di lui né contro Dio. Ma se egli dice: « si, io l’ho fatto, è un peccato, ma Dio lo ha voluto, ed io l’ho fatto », Queste è una dichiarazione contro Dio. Forse, mi direte: nessuno parla così. E cosa intendete con « … Dio lo ha voluto »? Io ripeto che molti usano questo linguaggio; ma per coloro che non impiegano precisamente questi termini, ma non dicono altra cosa con queste frasi tipo: era il mio destino, così ha voluto la mia stella? Essi vanno alla larga per accusare Dio, essi che vogliono acchetarsi ma senza prendere il retto cammino. Essi dicono: era il mio destino; … ma che cos’è il destino? Così l’ha voluto la mia stella, … ma quali sono queste stelle? Apparentemente quelle che noi vediamo nel cielo, e chi dunque le ha create? Ma è Dio. E chi ne ha regolato il corso? Ma è Dio! Voi vedete dunque bene ciò che volevo dire: Dio ha fatto in modo che io peccassi. E così Egli è ingiusto e voi giusti; perché se Egli non vi avesse fatto peccare, voi non avreste peccato (S. Agost.). – È certamente vero che non c’è alcun colpevole che non abbia le sue ragioni; i peccatori hanno la capacità di aggiungere all’audacia di scusare il loro peccato, quella di commetterlo; e come se non fosse poca l’iniquità di proseguire in esso, noi continuiamo ancora a difenderlo. Sempre si dichiara o che qualcuno ci ha trascinato, o che qualche incontro imprevisto ci ha coinvolti nostro malgrado; e se non troviamo fuori di noi qualcuno su cui rigettare la nostra colpa, cerchiamo in noi stessi qualcosa che non venga però da noi stessi, il nostro umore, la nostra inclinazione, il nostro naturale. È il linguaggio ordinario di tutti i peccatori, che il Profeta Isaia ci ha espresso con semplicità con queste parole che fa loro dire: « Perché tu avevi nascosto da noi il tuo volto, ci hai messo in balìa della nostra iniquità » (LXIV, 6). – Non è mai una nostra scelta né la nostra depravazione volontaria; è un vento impetuoso che è sopravvenuto, è una forza maggiore, una passione violenta alla quale, quando per lungo tempo ci siamo lasciati dominare, siamo ben disposti a credere che sia invincibile (Bossuet, Serm. Sur l’Efficac. de la Pén. 1° P). – « Se noi confessiamo i nostri peccati, Dio è fedele e giusto per rimetterceli, e per purificarci da ogni iniquità » (Giov. I, 9) – Chi si giudica da sé, anche senza misericordia, troverà misericordia davanti a questo tribunale che giustifica coloro che si accusano. – Occorre confessare la propria ingiustizia contro se stessi senza scusarla, senza sminuirla, senza farla ricadere sugli altri. – Bisogna confessare la propria ingiustizia, non le buone opere, non le cose inutili o indifferenti. – … la propria ingiustizia, non quella degli altri (Dug.). – È questo il fondo di empietà che si trova in ogni peccato. Chiunque voi siate, sotto qualunque cielo abbiate visto il giorno, di qualunque crimine abbiate macchiato la vostra anima, anche se foste tanto infelice da non provare neanche un desiderio di speranza, pieno di rimorsi da non gustare per un istante né il sonno né un attimo di oblio, inginocchiatevi ai piedi di questo tribunale; qui vi si trova un orecchio per ascoltarvi, un potere grande per assolvervi, un cuore buono per amarvi. Non vi si chiederà che nome portiate, o quale grado abbiate nel mondo; abbiate solo un pentimento sincero, sottomettetevi a questa voce che vi dirà di cambiare vita; Dio che sa e che vede, non ve ne chiederà più conto, ed ecco … la pace ritorna, ecco il cielo riconquistato (L. V.).

ff. 6. – E come il perdono accordato ad un grande peccatore, come Davide, o come ogni altro, sarà un motivo per l’uomo buono di pregare, di sollecitare la sua grazia in tempo opportuno? Accade che: 1° l’uomo buono, testimone dello stato infelice in cui era il peccatore prima della giustificazione, chiederà subito di non ricadere nello stesso precipizio; – 2° che questo uomo buono, che sa qual sia la fragilità della nostra natura, e che avrà potuto convincersene sempre più con la caduta dei peccatori, solleciterà la grazia di mantenersi nella giustizia. – 3° questo stesso uomo buono, avendo sempre delle debolezze e dei peccati da rimproverarsi, animerà la sua fiducia vedendo quanto il Signore sia misericordioso verso i grandi peccatori. – 4° Infine l’uomo buono spera di ottenere con le sue preghiere la protezione divina contro il diluvio delle tribolazioni, sia per esserne preservato, sia per avere la forza di sopportarle con gioia (Berthier).

ff. 7. – Èla onsolazione solida di un peccatore penitente il vedere tutti contro di lui, e non avere la gioia e le risorse se non in Dio. Più egli soffre da parte degli uomini, più ha speranza dalla parte di Dio. Egli sente di essere circondato da nemici temibili, e sa che il demonio ha la sua felicità nel perderlo, che questo nemico crudele e potente, trova le sue delizie nella ricaduta di un peccatore penitente che cercherà di ghermire con forza, mettendo in opera tutta la sua rabbia e la sua scaltrezza per farlo ricadere nella rete. Aggiungete le sollecitazioni del mondo che lo circonda e con il quale non riesce a rompere, le sue passioni che sono sì affievolite, ma non sono interamente estinte, che ancora fumano e che possono in ogni istante riprendere le loro forza primitiva, i temibili nemici che lo circondano (Duguet). – « voi siete il mio trionfo, riscattatemi ». Sento un grido di gioia: « Voi siete il mio trionfo »; sento un gemito: « riscattatemi ». Voi gioite e gemete. Sì, egli risponde, io gioisco e gemo; io gioisco nella mia speranza, gemo nello stato in cui mi trovo ancora. « Noi gioiamo nella speranza – dice l’Apostolo (Rom. XII, 11) – e soffriamo nelle tribolazioni ». Perché allora aggiunge: « riscattatemi »? … perché noi attendiamo ancora, gemendo dentro di noi, la redenzione del nostro corpo (Rom. VIII, 23), « perché è nella speranza che siamo stati salvati » (S. Agost.).

III.  8-11.

ff. 8. – Dio qui promette tre cose di cui noi abbiamo bisogno: l’intelligenza per non ingannarci nelle scelte del vero bene; la condotta o la conoscenza della strada in cui dobbiamo marciare; la protezione del Signore, il cui occhio veglia su di noi (Berthier). – La via della vera penitenza è sì difficile da tenere, che non c’è che Gesù Cristo che ci possa istruire e condurci con sicurezza. – « Io fisserò, arresterò i miei sguardo su di voi ». È la Provvidenza paterna di Dio per i peccatori nuovamente convertiti, è una maniera dolce e caritatevole con la quale Dio tratta i suoi nemici riconciliati; Egli non si accontenta di cancellare le loro macchie, né di lavare tutte le loro lordure, ma diviene Egli stesso loro direttore e loro Maestro, ed insegna con la sua bocca il cammino che devono seguire per espiare i loro crimini e fare penitenza; Egli aggiunge alla grazia della conversione, la grazia non meno preziosa della direzione, che ci fa raggiungere il termine felice della via della salvezza.

ff. 9, 10. – Nulla c’è che renda l’uomo più simile alle bestie del peccato, particolarmente quello dell’impurità, che obnubila i sensi e la ragione, abbrutisce l’uomo e lo fa scendere al livello degli animali senza ragione. Colui che ne è schiavo, e che San Paolo chiama: « l’uomo animale », non è più capace di comprendere, di gustare le cose spirituali; egli è tutto sensuale, e diventa così simile al cavallo ed al mulo, che sono privi di ragione (Dug.). – Quale pena sarà inflitta a coloro che vi somigliano? Voi volete non essere che un cavallo e un mulo? La vostra bocca sarà serrata con il morso ed il freno. Dio chiuderà questa bocca con la quale esaltate i vostri meriti, mentre tacete i vostri peccati; Dio metterà come un freno nella bocca per farvi andare ove piace a Lui (S. Agost.). – Le tribolazioni sono diverse dal castigo: le tribolazioni possono essere la parte dei giusti, i castighi sono esclusivamente propri ai peccatori. Il Re-Profeta ci dice in un altro salmo: « grandi tribolazioni sono riservate ai giusti » (Ps. XXXIII, 20), mentre parlando qui dei peccatori, egli dichiara che « numerosi castighi sono la ricompensa dei peccatori ». In effetti essi sono castigati esteriormente ed interiormente, nella vita presente e nella vita futura, per le colpe che essi hanno commesso e per le pene che hanno meritato, da Dio e dagli uomini, dal mondo e dal demonio, per le passioni alle quali si sono assoggettati e che fanno della loro vita una lunga e dura servitù (Innoc.).

ff. 11. – Non soltanto i penitenti, ma anche i giusti, devono gioire nel Signore. La gioia è l’appannaggio dell’innocenza e della virtù. Questa gioia dei giusti non può perdersi e nessuno può loro rapirla, Gesù Cristo ce lo assicura, perché essi la mettono, non nelle cose deperibili, ma nella speranza di possedere Dio eternamente. – La differenza che esiste tra un cuore retto ed un cuore depravato, è che ogni uomo che non attribuisce che alla giusta volontà di Dio ciò che prova contro la sua volontà, afflizioni, dispiaceri, umiliazioni, e che non accusa Dio di non sapere ciò che Egli fa flagellando un uomo e risparmiando quelli che gli sono simili, questi ha un cuore retto. Ma questi al contrario, hanno un cuore pervertito, depravato e deformato: sono coloro che pretendono di soffrire ingiustamente tutti i mali che patiscono, e che accusano di iniquità Colui la cui volontà infligge loro queste pene o che, se non osano accusarlo di iniquità, rifiutano comunque di credere che Egli governi il mondo (S. Agost.).

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: FESTA DELLA NATIVITÀ DELLA SS. VERGINE

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: FESTA DELLA NATIVITÀ DELLA SS. VERGINE

[Da: I Sermoni del Curato d’Ars, trad. it. di Giuseppe D’Isengard, vol. IV, Torino, libreria del Sacro Cuore – 1907]

LA NATIVITÀ DELLA SS. VERGINE.

De qua natus est Jesus.

Da Maria ci è nato il Salvatore.

(S. MATTEO I, 16).

Ecco, miei fratelli, in due parole l’elogio più compiuto che possa farsi di Maria: dire che da Lei ci è nato Gesù, Figliuolo di Dio. Si, Maria è la creatura più bella che sia uscita mai dalle mani del Creatore. Dio medesimo l’elesse per essere il canale per cui doveva far discendere le sue grazie più preziose e più abbondanti su quelli che avessero fiducia in Lei. Dio ce la rappresenta come un bello specchio, in cui si riflette come un compiuto modello di tutte le virtù. Perciò appunto vediamo la Chiesa riguardarla qual Madre sua e qual patrona e protettrice contro i suoi nemici, e piena d’ardore celebrare colla pompa più solenne il giorno beato in cui questo bell’astro cominciò a splendere sulla terra. La nascita de’ grandi del mondo ci ispira timori e apprensioni, perché non sappiamo, se saran giusti o peccatori, salvi o riprovati, non sappiamo, dico, se renderan felici o sventurati i loro popoli. Ma quanto a Maria non abbiamo timore alcuno. Nasce per esser Madre di Dio, e con la sua nascita ci reca ogni sorta di beni e di benedizioni. Dio ce la propone qual modello, in qualunque stato o condizione siam posti. Abbandoniamoci dunque, fratelli miei, con tutta la Chiesa a una santa gioia, e: – 1° ammiriamo in questa Vergine santa il modello delle più perfette virtù; – 2° consideriamo Maria come destinata da tutta l’eternità ad esser Madre del Figlio di Dio e nostra; – 3° contempliamo finalmente con riconoscenza i doni e le grazie che ha in sé la Mediatrice che Dio ha preparato agli uomini. Ma ascoltatemi attentamente; poiché parlarvi di Maria non è forse interessare i vostri cuori trattenendovi di Colei ch’è oggetto della vostra fiducia e del vostro amore?

1. — Fratelli miei, se, per ispirarvi una tenera devozione verso Maria, fosse necessario mostrarvi quanto avventurata è la sorte di chi confida in Lei; quanti aiuti, quante grazie, quanti vantaggi può ottenerci; se fosse necessario, aggiungo, mostrarvi l’accecamento e la sciagura di chi per una Madre sì buona, sì tenera, sì potente e così inclinata a farci sperimentare gli effetti della sua tenerezza ha soltanto indifferenza e disprezzo, avrei solo ad interrogare i patriarchi e i profeti, e in tutte le grandi cose che lo Spirito Santo ha fatto dire ad essi intorno a Maria, avreste argomento di confusione pei bassi sentimenti di cui troppo spesso siete ripieni a riguardo di questa buona Madre. Se poi vi narrassi tutti gli esempi, che i Santi ne han tratto, dovremmo deplorare il nostro accecamento ed avvivare la nostra fiducia verso di Lei. Primieramente nulla giova meglio a ispirarci una tenera devozione verso Maria del primo passo che leggiamo nelle sante Scritture, in cui vediamo Dio medesimo annunziare pel primo la nascita di Maria. – Quando i nostri progenitori ebbero la sventura di cader nel peccato, Dio, mosso dal loro pentimento, promise che verrebbe un giorno in cui nascerebbe una Vergine, la quale darebbe alla luce un figliuolo, onde avesse rimedio la sciagura cagionata dal loro peccato (ISAIA VII, 14). Più tardi i profeti dopo di Lui non cessarono d’annunziare di secolo in secolo, per dar conforto al genere umano che gemeva sotto la tirannia del demonio, che una Vergine darebbe alla luce un figliuolo, il quale sarebbe Figlio dell’Altissimo e mandato dal Padre per redimere il mondo perduto pel peccato d’Adamo (Genesi III, 15). Tutti i profeti annunziano che sarò la creatura più bella che abbia ad apparir sulla terra. Talora le danno il nome di Stella del mattino, che pel suo splendore e per la sua bellezza ecclissa tutte le altre, e che, in pari tempo, è guida al viaggiatore attraverso i mari; per farci intendere ch’essa sarà modello perfetto d’ogni virtù. A ragione dunque la Chiesa, nel tripudio della sua gioia, dire alla SS. Vergine: « La vostra nascita, o santa Vergine Maria, riempì il mondo intero di dolce consolazione e di santa allegrezza, perché da Voi è nato il Sol di giustizia, Gesù nostro Dio, che ci ha liberati dalla maledizione nella quale eravamo pel peccato de’ nostri progenitori, e ci ha colmato d’ogni sorta di benedizioni ». Sì, voi, o Vergine senza pari, Vergine incomparabile, avete distrutto l’impero del peccato e ristabilito il regno della grazia. « Levati su, dice lo Spirito Santo, esci dal seno di tua madre, tu che sei la mia più cara e insieme la mia più bella amica; vieni, tenera colomba, la cui purezza e la cui modestia sono senza pari, mostrati sulla terra, mostrati al mondo, come Colei che deve adornare il cielo e render felice la terra. Vieni, e mostrati in tutto lo splendore, di cui Dio t’ha rivestita, perché  tu sei l’opera più bella del tuo Creatore ». Infatti, quantunque la SS. Vergine avesse origine per la via ordinaria, lo Spirito Santo volle che l’anima sua fosse la più bella e la più ricca di grazie; e volle altresì che il suo corpo fosse il più bello di quanti se n’erano visti mai sulla terra. La Scrittura la paragona all’aurora nella sua nascita, alla luna nella sua pienezza, al sole nel suo meriggio (Cantico dei Cantici VI, 9). Ci dice pure che ha una corona di dodici stelle (Apocalisse XII, 1) ed è costituita dispensatrice di tutti i tesori celesti. Dopo la caduta d’Adamo il mondo era coperto di orrende tenebre; apparve allora Maria e, a guisa d’un bel sole in giorno sereno, dissipa le tenebre, avviva la speranza e dà alla terra la fecondità. Non dovette Iddio, fratelli miei, dire a Maria come a Mosè (Esodo III): « Va a liberare il mio popolo, che geme sotto la tirannia di Faraone; va ad annunziargli ch’è vicina la sua liberazione e che ho udito la sua preghiera, i suoi gemiti e le sue lacrime. Sì, o Maria, sembra ch’Ei dica, ho udito i gemiti, ho visto le lacrime de’ patriarchi, de’ profeti e di tante anime che sospirano il momento beato della loro liberazione ». Maria infatti, o miei fratelli, meglio assai che Mosè, annunzia che cesseranno ben presto le nostre sciagure, e che il cielo si riconcilierà colla terra. Oh! quali tesori apporta al cielo e alla terra la nascita di Maria! Il demonio freme di rabbia e di disperazione, perché in Maria vede Colei che deve schiacciarlo e coprirlo di confusione. Invece gli Angeli e i Beati fan risuonare la volta dei cieli di cantici d’allegrezza vedendo nascere una Regina, che deve aggiungere alla loro bellezza nuovo splendore. Ma, siccome Dio voleva cominciare a mostrarci che il cielo si sarebbe acquistato solo per via dell’umiltà, del disprezzo, della povertà e dei patimenti, volle che nella natività della Vergine nulla vi fosse di straordinario. Nacque in istato di debolezza, la sua culla fu bagnata di lacrime, come quella degli altri bambini, che nel nascere pare prevedano le miserie da cui saranno oppressi nel corso della vita. In questo senso lo Spirito Santo dice per bocca del Savio « che il giorno della morte è preferibile a quello della nascita » (Eccl. VII, 2). Maria nasce nell’oscurità. Sebbene fosse della stirpe di David e tra’ suoi antenati potesse noverare patriarchi, profeti e re, tutti questi titoli, sì ricercati dalle persone del mondo erano caduti in dimenticanza: essa non aveva altro splendore che la virtù, la quale agli occhi degli uomini non è oggetto di grande considerazione. Dio aveva permesso cosi, perché questa nascita fosse più conforme a quella del suo divino Figliuolo, di cui i profeti avevano annunziato che non avrebbe avuto neppure ove riposar il suo capo. Ma s’Ella viene al mondo così povera de’ beni della terra, è ricca de’ tesori di Colui che, da tutta l’eternità, l’aveva eletta ad esser sua Madre. S. Giovanni Damasceno ci dice che i secoli si disputarono a gara, quale tra loro avrebbe la sorte avventurata di vederla nascere. Vogliam sapere, dice uno de’ grandi suoi servi, il santo Vescovo di Ginevra, chi è questa Vergine coronata sin dalla culla? Interroghiamo gli Angeli, e ci diranno che li vince infinitamente in grazia, in meriti, in dignità e in ogni maniera di perfezioni. S. Basilio dice che dalla creazione del mondo alla venuta di Maria, l’Eterno Padre non aveva trovato creatura tanto pura e tanto santa che potesse esser Madre del suo Figliuolo. Quante volte i patriarchi e i profeti non levarono la voce con sospiri e con lacrime a dire: « Ah! quando verrà il beato momento in cui apparirà nel mondo questa Tergine santa? Oh! Beati gli occhi che vedranno quella creatura, che dovrà esser Madre del Salvatore degli uomini! »

II. — Sarebbe impossibile, fratelli miei, non amare Maria, se riflettessimo un momento alla sua tenerezza verso di noi e ai benefici di cui ha continuamente ricolmati. Invero, se Gesù Cristo ha versato il suo sangue prezioso per salvarci, chi, se non Maria, ha prodotto questo sangue adorabile? Se teniamo dietro alla sua vita mortale, quanti affanni, quanti dolori, quante angosce ha tollerato! Ogni volta che volgeva lo sguardo al suo divino Figliuolo, soffriva, dicono i SS. Padri, più che tutti i martiri insieme. — E in che modo direte? — Dio per compiere questa profezia, volle farle conoscere anticipatamente tutti i patimenti, tutti gli oltraggi, e tutti i tormenti che il suo divin Figliuolo doveva tollerare prima della sua morte (Infatti il giorno della Purificazione il santo vecchio Simeone annunziò a Maria, che una spada di dolore trapasserebbe l’anima sua. – Nota degli editori francesi). Ogni volta che Maria toccava i piedi o le mani adorabili di Gesù diceva tra se: « Ohimè! questi piedi e queste mani che pel corso di trentatré anni avranno atteso soltanto a portar grazie e benedizioni, saranno un giorno trafitti e inchiodati ad un legno infame; i suoi occhi d’amore saranno coperti di sputi; il suo volto, più bello che i cieli, sarà tutto pesto dagli schiaffi che gli si daranno. Tutto questo corpo dev’essere flagellato così crudelmente, che sarà quasi impossibile riconoscerlo per un uomo; questo capo, tutto raggiante di gloria, sarà traforato da una crudele corona di spine ». Quando passava per le vie di Gerusalemme, diceva tra sé: « Verrà giorno in cui vedrò queste pietre tutte bagnate del suo sangue prezioso. Sarà steso sull’albero della croce; udrò i colpi di martello, e non potrò dargli soccorso ». O dolore incomprensibile! O ineffabile martirio! ci dice un santo Padre: solo Dio può misurarne tutta l’estensione. Sì, miei fratelli, dobbiam dire che Gesù Cristo fece provare particolarmente alla Madre sua ognuno dei dolori della sua passione; poiché Maria aveva del continuo dinanzi alla mente i supplizi a cui doveva essere sottoposto il suo Figliuolo. « Ah! (esclama il gran servo di Maria S. Bernardo) siam pure ciechi e sciagurati, se non amiamo una Madre sì benefica e sì buona! Da gran tempo, se non fossero state le preghiere di Maria, il mondo non esisterebbe più: sarebbe caduto in rovina a cagion del peccato ». Si narra infatti che, ai tempi di S. Domenico e di San Francesco, Dio era irritato contro gli uomini per modo, che aveva risoluto di farli tutti perire. Questi due santi videro la SS. Vergine gettarsi a’ piedi del suo divino Figliuolo: « Figlio mio, diss’Ella, rammentate che per questo popolo appunto siete morto: manderò due miei grandi servi (e additò S. Domenico e S. Francesco): si, andranno per tutto il mondo, e inviteranno gli uomini a convertirsi e far penitenza ». Ohimè! quante volte Essa ha presentato al suo divin Figlio le viscere ove fu concepito, il seno che l’ha nutrito, le braccia che l’hanno portato! Quante volte gli ha detto: « Figliuol mio, lasciatevi muovere dalle preghiere di Colei che vi portò nove mesi nel suo seno, che vi nutrì con tanta tenerezza, che con tanta gioia avrebbe dato la sua vita per salvare la vostra; risparmiate, di grazia, questo popolo che vi è costato sì gran prezzo ». O ingratitudine! O accecamento de’ peccatori, sei pur grande ed incomprensibile! Non aver che disprezzo per Colei che sì volentieri avrebbe dato la vita per noi! Ben diversamente, fratelli miei, operarono i santi a riguardo di Maria. Ah! essi erano ben persuasi che senza Maria sarebbe stato loro quasi impossibile poter resistere agli assalti, che il demonio dava loro per perderli. S. Bernardo insegna che tutte le grazie a noi concesse dal cielo passano per le mani di Maria. Sì, dice un altro Padre della Chiesa: « Maria è come una buona madre di famiglia, che non si contenta d’aver cura in generale di tutti i suoi tigli, ma veglia su ciascuno in particolare ». Se dopo ogni peccato Dio ci avesse trattato come meritavamo, da gran tempo bruceremmo nell’inferno. Oh! quanti son tra quelle fiamme, e non vi sarebbero, se avessero ricorso a Maria! Essa avrebbe pregato il suo Figliuolo di prolungare i loro giorni perché avessero tempo di far penitenza. Se questa sventura non c’è toccata, ringraziamo Maria; a Lei veramente ne siamo debitori. Leggiamo nell’Evangelo (S. LUCA XIII, 6) che « un uomo aveva piantato un albero nella sua vigna. Giunta la stagione dei frutti, andò a vedere se quell’albero ne aveva: ma non ne trovò. Vi andò la seconda e la terza volta, e non ne trovò punto: disse allora al vignaiuolo: « Ecco tre volte che vengo invano per cercar frutto da quest’albero: perché gli lasci occupare il posto d’un altro albero che darebbe frutto? Taglialo e gettalo nel fuoco ». Che fa il vignaiuolo? Si getta ai piedi del suo padrone e lo prega ad aspettare ancor qualche tempo, dicendo che raddoppierà le sue cure, lavorerà la terra all’intorno; concimerà l’albero e non trascurerà nulla per farlo fruttificare. « Ma, aggiunge poi, se quando tornerai l’anno venturo, non avrà dato frutto, sarà tagliato e gettato nel fuoco ». Viva immagine, fratelli miei, di ciò che accade tra Dio, la SS. Vergine, e noi: il padrone della vigna è Dio, la vigna tutta la Chiesa, gli alberi piantati nella vigna siam noi. Dio esige e vuole che diam frutto, cioè facciamo opere buone pel cielo. Come il padrone della vigna aspetta due, tre, ohimè! fors’anche venti o trent’anni per darci tempo di convertirci e far penitenza. Quando vede che, invece di correggerci e far penitenza, moltiplichiamo il numero de’ nostri peccati, comanda che quell’albero venga tagliato e gittate nel fuoco; cioè permette al demonio di prender quei peccatori e gettarli all’inferno. Ma che fa Maria, miei fratelli? Fa ciò che fece quel buon vignaiuolo, si getta ai piedi del suo divin Figliuolo: « Figliuol mio, gli dice, grazia ancor per qualche tempo a questo peccatore: forse si convertirà e farà meglio di ciò che ha fatto finora ». E che fa per placale la collera del Padre? Gli ricorda quanto ha fatto e sofferto il suo Figliuolo per risarcire la gloria toltagli dal peccato; con grande sollecitudine rappresenta al Figliuolo ciò che per amore suo Ella ha patito nei giorni della sua vita mortale: « Figlio mio, gli dice ad ogni tratto, ancor qualche giorno: forse si pentirà ». Oh! tenerezza materna, quanto sei grande! Ma sei pur pagata d’ingratitudine! Gli uni la disprezzano, altri, non contenti di disprezzarla, coi loro scherni si fanno beffe di coloro che hanno fiducia in Lei! Ebbene, fratelli miei, sebbene abbiam per Lei disprezzo e non altro, Maria non ci ha abbandonato; perché altrimenti saremmo già all’inferno: la prova è senza replica. Udite che cosa si legge nella vita del signor di Q… Narra egli stesso che il demonio fece quanto poté per farlo morire in peccato. Una notte poco mancò che il fulmine non l’incenerisse; passò attraverso parecchie tavole e distrusse metà del suo letto. Qualche tempo dopo, trovandosi in un luogo ove si cacciava il demonio dal corpo d’un ossesso, gli chiese chi l’avesse salvato dal fulmine. Il demonio rispose: «Ringraziate la SS. Vergine; se la sua protezione non v’avesse salvato, v’avremmo già da gran tempo all’inferno; e quel giorno credevamo davvero che foste nostro ». Ebbene, miei fratelli, potrei dir l’istesso anche a voi: se vivete ancora, non ostante che la vostra coscienza sia aggravata da tante colpe, dovete credere con certezza che da gran tempo sareste a patire nell’altra vita, se non vi avesse salvato la protezione di Maria presso il suo divino Figliuolo, a cui chiede di prolungare i vostri giorni per veder se vi convertirete. Ah! fratelli miei, perché non ricorreremo continuamente alla SS. Vergine, poiché abbiam continuo bisogno della sua protezione, ed Ella è inclinata sempre a soccorrerci? Nella vita di S. Maria Egiziaca si legge che fino all’età di diciannove anni condusse vita scandalosa. Un Venerdì Santo volle andar, come gli altri ad adorare il legno prezioso della vera croce. Mentre voleva entrare in chiesa, sentì una mano invisibile che la respingeva fuori, il che accadde per ben tre volte. Sbigottita si ritirò in un angolo della piazza, e cominciò a ricercare quale potesse esser la cagione d’un caso così straordinario: tutti entravano senza ostacolo; essa soltanto era respinta con tanta violenza. « Ah! esclamò sospirando, lo veggo bene: ne son cagione i miei peccati! Non vi sarà più aiuto per me? Oserò presentarmi dinanzi a Dio dopo avergli rapito tante anime redente dal suo sangue prezioso? Egli sì santo e sì puro, consentirà che il mio corpo, il quale servì solo al peccato, s’accosti al suo sacro legno? Oh! disse tra sé piangendo amorosamente, ho udito dir tante volte che la SS. Vergine è così buona anche pei più grandi peccatori, e che niuno l’ha pregata mai senza ottener grazia e misericordia: andrò dunque a pregarla ». E si ritirò tutta tremante, presso un’immagine della SS. Vergine, si prostrò col volto per terra, bagnandola delle sue lacrime: « Oh! Vergine santa, ecco dinanzi a Voi la più grande peccatrice del mondo: oserò ancora implorare il vostro aiuto e quello del vostro divin Figliuolo, o m’avrà Egli abbandonato per sempre? O Vergine santissima, se mi ottenete misericordia da Gesù Cristo, e la bella sorte d’andar ad adorare quel sacro legno su cui si è immolato, andrò a far penitenza in qualunque luogo vi piaccia ». Dopo questa protesta torna a presentarsi tutta trainante alla porta della chiesa per veder se potesse entrare senz’essere respinta come le tre prime volte; ed entra senza ostacolo. Piena di riconoscenza adora il santo legno, bagna il pavimento delle sue lacrime, e si confessa per ricevere il perdono de’ suoi peccati. Quindi si ritira in un bosco, ove rimase pel corso di quaranta anni, facendo risuonare il deserto delle sue grida e de’ suoi singhiozzi e nutrendosi solo d’erbe selvatiche. Riferisce essa medesima che il demonio per ben diciannove anni la tentò in tutte le maniere; e di mano in mano che il demonio la tentava, essa raddoppiava le sue penitenze: talora il mattino, destandosi, era tutta coperta di neve, e nel suo deserto il freddo era sì rigido che le sue carni ne cadevano a brandelli. Meditava mattina e sera, ora sulle sue colpe passate, ora sulle grazie che Maria le aveva ottenute, o anche sulla speranza che aveva d’andare a cantare in cielo le misericordie del Signore. Oh! saremmo pur felici, fratelli miei, se imitassimo questa grande penitente nel suo pentimento e nella sua viva fiducia in Maria. – Quando si ama qualcuno, si stima lieta ventura averne qualche oggetto come ricordo. Così, miei fratelli, se amiamo la SS. Vergine, dobbiamo riguardare come onore e dovere il tenerne nelle nostre case qualche immagine, che ci ricordi di tratto in tratto, questa buona Madre. Di più i genitori veramente Cristiani non debbono trascurar d’istillare nei loro bambini una tenera divozione alla SS. Vergine: è mezzo sicuro per attirar sulle loro famiglie le benedizioni del cielo e la protezione di Maria. Nella vita di S. Giovanni Damasceno (RIBADENEIRA. al 6 di Maggio) si legge che l’imperatore aveva concepito contro le sacre immagini così viva avversione da comandar sotto pena di morte di distruggerle od abbruciarle. S. Giovanni si mise subito a scrivere che si dovevano invece avere immagini e venerarle. L’imperatore si sdegnò contro il santo a tal segno che, per impedirgli di scrivere, gli fece tagliare la mano. Il santo andò a prostrarsi dinanzi ad un’immagine della SS. Vergine, dicendole: « Vi chieggo la mano che mi fu recisa, perché volevo sostenere l’onore che si rende alle vostre immagini: so che siete tanto potente da restituirmela». Fatta questa preghiera, s’addormentò, e nel sonno vide la SS. Vergine, la quale gli disse che la sua preghiera era esaudita. Quando si svegliò, trovò la mano perfettamente ricongiunta al braccio: Iddio aveva soltanto lasciato, nel punto ove s’era riunita al braccio, una piccola riga rossa, perché ricordasse la grazia ottenutagli dalla SS. Vergine. Con questo miracolo volle Essa mostrare quanto le sia gradito l’onore, che si rende alle sue rappresentazioni, cioè alle sue immagini. – Udite ciò che dice S. Anselmo: « Quelli che avranno la mala sorte di spregiare la .Madre, possono star sicuri che saranno spregiati dal Figlio. Sì, soltanto i demoni, i riprovati e i grandi peccatori, immersi nelle sozzure de’ loro vizi, non amano Maria e non hanno fiducia in Lei. Potrete riconoscere agevolmente se un Cristiano è per la via del cielo, o se va per la strada della perdizione: chiedetegli se ama Maria; se vi dice che l’ama e le sue azioni lo dimostrano, benedite il Signore: quell’anima è pel cielo. Ma se vi dice di no, e per ciò che riguarda il suo culto mostra solo disprezzo, gettatevi a’ piedi del crocifisso e piangete amaramente; perché è abbandonato da Dio, e vicino a cader nell’abisso. Sì, quando pur foste immerso nelle più obbrobriose abitudini, se avete fiducia in Lei, non disperate, che, presto o tardi, vi otterrà il perdono ». – Leggiamo nella storia (RIBADENEIRA al 9 d’Ottobre. — Il Beato ha citato più sopra in compendio questo fatto tolto dal P. Lejeune. – Nota degli editori francesi) che S. Dionisio Areopagita fu gran devoto di Maria. Ebbe la sorte felice di vivere mentre la SS. Vergine era ancora sulla terra. Pregò l’Evangelista S. Giovanni, a cui Gesù, prima di morire, aveva confidato Maria, di procurargli la consolazione di vedere la SS. Vergine. San Giovanni lo fece quindi entrare nella camera ov’era Maria. S. Dionigi fu così abbagliato dalla sua presenza che si vide ad un tratto circondato da una luce celeste: « Io era come smarrito, sentivo uscir dal suo corpo una sì grata fragranza che credevo morir d’amore; la mia mente e il mio cuore erano sì vivamente colpiti dallo splendore della sua gloria che mi sentiva venir meno. Vedevo uscir dal suo sacro corpo tale splendore di luce, che, se la fede non m’avesse insegnato che v’è un Dio solo, l’avrei creduta veramente una divinità. Per tutto il resto della mia vita mi pareva d’averla dinanzi agli occhi; la mia mente e il mio cuore erano sempre in quella camera, ove avevo avuto la bella sorte di contemplarla! Ah! che cosa sarà dunque, allorché la vedremo in cielo, accanto al suo Figliuolo, sul bel trono della reggia celeste, e rivestita della gloria stessa di Dio?» – Ecchè, miei fratelli, dopo tutto quel che abbiam detto, non ameremo Maria, la quale pare non per altro si rallegri d’esser Madre di Dio, che per ottenerci maggior copia di grazie? O accecamento!… non amare Colei che vuol soltanto la nostra felicità, questa madre che per salvarci avrebbe dato volentieri la vita!..

III. — L a SS. Vergine è pure continua difesa contro gli assalti del demonio. Un giorno il suo gran servo S. Domenico essendo stato pregato di scacciare il demonio dal corpo d’un ossesso dinanzi a una immensa folla di gente accorsa per veder questo fatto, alla presenza di tutti il demonio disse che la SS. Vergine è la sua più crudele nemica, ch’essa rovescia tutti i suoi disegni; che senz’Ella da lungo tempo non vi sarebbe più Religione, ch’egli avrebbe sconvolta la Chiesa cogli scismi e colle eresie; che Maria ad ogni istante gli strappa le anime, che sperava aver seco un giorno all’inferno; che parecchi all’ora della morte, implorandone il soccorso, ottengono misericordia, e che niuno che abbia fiducia in Lei, si perde. – Questo, fratelli miei, confessò il demonio in presenza di tutti gli astanti. E se è necessario convincervene anche meglio, ricordiamo quella donna, che, accusata falsamente dal marito, era stata condannata a morir sul patibolo; andò a prostrarsi dinanzi ad un’immagine della SS. Vergine, pregandola a non permetter che morisse, poich’era innocente. Or quando il carnefice volle giustiziarla, non poté riuscirvi. Tuttavia, credendola morta, fu staccata dal patibolo, e quando fu portata in chiesa per seppellirla, non solo die segni di vita, ma si alzò e corse dinanzi ad un’immagine della SS. » Vergine esclamando: « O Vergine santa, voi siete la mia liberatrice! » Voltasi poi verso il popolo che empiva la chiesa: « Sì, disse, ho visto Maria in atto di fermar la mano al carnefice e consolarmi mentr’ero sospesa al patibolo ». Quanti furono testimoni di questo fatto sentirono raddoppiarsi la loro confidenza nella SS. Vergine. Ma, diranno taluni ignoranti e senza religione, tutto questo va bene per chi non sa leggere, o pei poveri di spirito e di beni. — Ah! miei fratelli! Se volessi potrei dimostrarvi che in tutti gli stati Maria ebbe grandi servi; ne troverei tra quelli che van mendicando il pane di porta in porta; ne troverei tra coloro il cui stato era quello della maggior parte di voi; ne troverei, e assai numerosi, tra i ricchi. Leggiamo nel Vangelo che Nostro Signor Gesù Cristo trattò sempre tutti con grande dolcezza, eccetto una sola classe di persone, che trattò duramente, ed erano i farisei; e li trattò così perché erano orgogliosi e peccatori induriti. Gli avrebbero, se avessero potuto, volentieri impedito di compiere la volontà di suo Padre; perciò li chiamava: « sepolcri imbiancati, ipocriti, razza di vipere, viperette che straziano il seno della loro madre ». L’istesso possiam dire quanto alla divozione alla SS. Vergine. I Cristiani han tutti gran divozione a Maria, eccetto que’ vecchi peccatori ostinati, che da gran tempo, perduta la fede, si avvoltolano nelle sozzure della loro brutale passione. Il demonio cerca di mantenerli nel loro accecamento fino al momento della morte; e allora farà ad essi aprir gli occhi. Ah! se avessero la bella sorte di ricorrere a Maria, non cadrebbero all’inferno, come pur troppo loro accadrà! No, miei fratelli, non imitiamo siffatta gente! Seguiamo invece le orme dei veri servi di Maria. Del numero di questi fu S. Carlo Borromeo, che diceva sempre in ginocchio il Rosario; di più digiunava tutte le vigilie delle feste della Madonna. Era sì esatto a salutarla (quando suonava la campana, che al suono dell’Angelus, in qualunque luogo si trovasse, si metteva in ginocchio, anche in mezzo alla strada tutta fangosa. Voleva che in tutta la sua Diocesi si avesse gran divozione a Maria, e se ne pronunziasse il nome con molto rispetto. Fece edificare gran numero di cappelle in suo onore. Ebbene, fratelli miei, perché non vorremo imitar questi santi, che ottennero da Maria tante grazie per tenersi lontani dal peccato? Non abbiamo da combattere gli stessi nemici, e il medesimo paradiso da sperare? Sì, Maria ha gli occhi sempre su noi: se siam tentati, volgiamo a Maria il nostro cuore, e stiamo certi che saremo liberati. Ma non basta ancora, fratelli miei: per meritare la sua protezione, bisogna imitar le virtù, di cui ci ha dato l’esempio. Bisogna imitarne la grande umiltà. Essa non disprezzava alcuno: quantunque sapesse benissimo che Dio l’aveva innalzata alla più grande tra tutte le dignità, la dignità di Madre di Dio, di Regina del cielo e della terra, pur si riguardava come l’ultima tra tutte le creature. Bisogna imitarne l’ammirabile purità che l’ha resa a Dio sì gradita. La sua modestia era sì grande, che Dio si compiaceva nel contemplarla. Dobbiamo ancora, fratelli miei, conforme al suo esempio, staccarci dalle cose del mondo, e pensar solo al cielo, nostra vera patria. Dopo l’Ascensione del suo divin Figliuolo la vita di Maria sulla terra era continuo languire. Tollerava, sì, con pazienza la vita; ma aspettava con ardore la morte che doveva ricongiungerla al suo divino Figliuolo, unico oggetto del suo amore. Quante volte esclamava col profeta: « Mio Dio, fino a quando prolungherete il mio esilio? Oh! quando verrà il momento beato, in cui sarò a Voi ricongiunta per sempre! Oh! se vedete il mio Sposo, ditegli che languisco d’amore! » Dio la tolse dal mondo, ove aveva tanto patito nel corso del suo lungo pellegrinaggio; morì, ma non posero fine alla sua vita né gli acciacchi dell’età, né il naturale deperimento, ma solo l’amore del suo Figliuolo. Il suo primo sospiro era stato un sospiro d’amore, ed era giustissimo che un sospiro d’amore fosse anche l’ultimo. Se vogliam persuadercene, fratelli miei, gettiamo uno sguardo sul letto di morte di Maria. O nuovo spettacolo! Cielo e terra sono rapiti in ammirazione; i fedeli accorrono da ogni parte: gli apostoli si trovano prodigiosamente riuniti in quella povera casa. Nella morte di Maria non si vede ciò che nella nostra mette orrore: quello spaventoso pallore, quell’universale indebolimento, e le dolorose convulsioni dell’agonia: nella morte di Maria tutto è tranquillo; il suo volto è più splendente che mai: le sue grazie modeste si manifestano con maggior vivezza ancora che durante la vita, un’amabile pudore brilla nella sua fronte, una dolce maestà riveste il suo corpo: i suoi occhi teneramente fissi al cielo, ne han già tutta la serenità; il suo spirito, inabissato in Dio, par che già lo contempli faccia a faccia; il suo tenero cuore, stimolato da un amore del pari dolce e forte, gusta anticipatamente i torrenti d’eterne delizie, che Dio le apparecchia in cielo. Non teme, perché non ha mai offeso il suo Dio; non ha rammarico, perché non fu mai attaccata alle cose terrene; sospira solo il suo Gesù, e la morte le assicura questa felicità; lo vede venirle incontro con tutta la corte celeste per onorare il suo ingresso trionfale in cielo. Così si addormenta nel bacio del Signore questa sacra amante, così scompare questo bell’astro, che per settantadue anni ha illuminato il mondo. Così trionfa della morte Colei che ha dato alla luce l’Autore della vita… Che cosa concluder da tutto questo, fratelli miei? Che, conforme all’esempio di Maria, dobbiamo sospirare la medesima felicità e lavorare a conseguirla. Il che vi desidero …

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. LEONE XIII, “AUGUSTISSIMÆ VIRGINIS”

Si tratta dell’ennesima enciclica mariana del Santo Padre Leone XIII, il Papa che forse più di tutti i suoi predecessori abbia prodotto documenti che riguardano il culto mariano. Nell’”Augistissimæ Virginis“, il Papa parla ancora e sempre dei vantaggi immensi, sia personali che per la società, del culto mariano e degli onori tributati alla Madre del Dio-Uomo, lodando in questo caso le associazioni che ne coltivano la venerazione. Antidoto alle conventicole delle empie società luciferine, congregate contro il Signore ed il suo Messia (v. Ps. II), cioè alle sette e logge massoniche di ogni risma, comprese quelle della loggia Ecclesia, cioè del c. d. “Novus ordo” (che usurpa vergognosamente e sacrilegamente oggi i sacri palazzi ed i templi della Chiesa Cattolica resa “eclissata”) può essere la costituzione e l’adesione pia e sentita alle Confraternite mariane, in particolare a quelle del Santo Rosario, dando la possibilità di formare un … esercito schierato in battaglia, pronto a respingere le falangi avversarie, con a capo la Vergine Santa, alla Quale è stato affidato fin dal principio il compito di schiacciare la testa del serpente infernale, lucifero e tutti i suoi adepti delle varie empie sette.  “… Noi abbiamo una preghiera pubblica e comune, e quando preghiamo, non preghiamo per un singolo individuo, ma per tutto il popolo, perché quanti siamo formiamo una sola cosa … ” (S. Cipriano); questo è il vero scopo della recita del Rosario recitato in privato, ma ancor meglio in gruppi di ferventi Cristiani che vogliono sconfiggere l’esercito dei reprobi congregati contro Dio e contro tutti gli uomini. E come a Lepanto, come a Belgrado, come a Vienna, come a Superga (duci Eugenio e Vittorio Amedeo di Savoia), la Vergine diede la vittoria alle deboli forze cristiane assemblate sotto il suo vessillo glorioso, così ancora una volta mostrerà la sua potente azione sbaragliante i demoni ed i loro servi, anche (… e soprattutto) quei lupi travestiti con talare nera, rossa, porpora o bianca. … Qui habitat in cælis irridebit eos, et Dominus subsannabit eos.

S. S. Leone XIII

Augustissimæ Virginis

Lettera Enciclica


12 settembre 1897

Chiunque consideri il grado sublime di dignità e di gloria, a cui Dio ha elevato l’augustissima Vergine Maria, facilmente può comprendere quale vantaggio arrechi alla vita pubblica e privata il continuo svilupparsi e il sempre più ardente diffondersi del suo culto. Dio infatti la prescelse fin dall’eternità a divenire Madre del Verbo, che si sarebbe incarnato; e per questo motivo, tra tutte le creature più belle nell’ordine della natura, della grazia e della gloria, egli la contrassegnò con tali privilegi che la chiesa a ragione le applica quelle parole: “lo uscii dalla bocca dell’Altissimo primogenita avanti ad ogni creatura” (Eccli XXIV,5). Quando poi s’iniziò il corso dei secoli, ai progenitori del genere umano, caduti nella colpa, e ai loro discendenti, contaminati dalla medesima macchia, ella fu data come pegno della futura riconciliazione e della salvezza. – Il Figlio di Dio poi, a sua volta, fece oggetto la sua santissima Madre di evidenti dimostrazioni di onore. Infatti, durante la sua vita privata, egli la scelse come sua cooperatrice nei due primi miracoli, da lui operati. Il primo fu un miracolo di grazia, e si ebbe quando, al saluto di Maria, il bambino esultò nel grembo di Elisabetta; il secondo fu un miracolo nell’ordine della natura; e si ebbe quando, alle nozze di Cana, Cristo trasformò l’acqua in vino. Giunto poi al termine della sua vita pubblica, quando stava per stabilire e suggellare col suo sangue divino la nuova alleanza, egli l’affidò all’apostolo prediletto, con quelle soavissime parole: “Ecco tua madre!” (Gv XIX,27). Noi pertanto che, sebbene indegnamente, rappresentiamo sulla terra Gesù Cristo, Figlio di Dio. non cesseremo mai, finché avremo vita, di promuovere la sua gloria. E siccome sentiamo che la Nostra vita, per il peso grande degli anni. non potrà durare ancora a lungo, non possiamo non ripetere a tutti i Nostri figli e a ciascuno di essi in particolare le ultime parole, che Cristo ci lasciò come testamento, mentre pendeva dalla croce: “Ecco tua madre!”. Oh come ci stimeremmo felici, se le Nostre raccomandazioni giungessero a far sì che ogni fedele non avesse sulla terra nulla di più importante o di più caro della devozione alla Madonna, e potesse applicare a se stesso le parole che Giovanni scrisse di sè: “Il discepolo la prese con sé” (Gv XIX,27). – Ora, all’avvicinarsi del mese di ottobre, non vogliamo che, neppure quest’anno, venerabili fratelli, vi manchi una nostra lettera, per raccomandare di nuovo a tutti i cattolici, con l’ardore di cui siamo capaci, di voler guadagnare a se stessi e alla chiesa, tanto travagliata, la protezione della Vergine, con la recita del rosario. Pratica questa che, sul tramonto di questo secolo, si è, per divina disposizione, meravigliosamente affermata, per ridestare l’illanguidita pietà dei fedeli; come chiaramente attestano insigni templi e celebri santuari dedicati alla Madre di Dio, – Dopo aver dedicato a questa divina Madre il mese di maggio col dono dei nostri fiori, consacriamole, con affetto di singolare pietà, anche il mese di ottobre, che è il mese dei frutti. Sembra infatti giusto dedicare questi due mesi dell’anno a colei che disse di sé: “I miei fiori divennero frutti di gloria e di ricchezza” (Eccli XXIV,23). – Lo spirito di associazione, fondato sull’indole stessa della natura umana, non fu forse mai tanto vivo e universale come ora, e nessuno certo lo condannerebbe, se spesso questa nobilissima tendenza naturale non fosse rivolta al male: se cioè gli empi, mossi da uno stesso intento, non si raccogliessero in società di vario genere “contro il Signore e il suo Messia” (Sal II), D’altra parte però si può rilevare, e certo con grandissima gioia, che anche tra i Cattolici cresce l’amore per le pie associazioni: associazioni ben compatte, che diventano come delle famiglie, nelle quali i membri sono talmente legati tra di loro dal vincolo della cristiana carità da parere, anzi da essere, veramente fratelli. E infatti, se si elimina la carità di Cristo, non vi può essere fraternità; questo già energicamente dimostrava Tertulliano, dicendo: “Siamo vostri fratelli, per diritto di natura, che è madre comune; benché voi siate troppo poco uomini, perché siete dei cattivi fratelli. Ma quanto meglio si addice il nome e la dignità di fratelli a coloro che riconoscono per loro padre comune Dio; che si sono imbevuti dello stesso spirito di santità; che, sebbene nati dallo stesso grembo della comune ignoranza, si sono poi nutriti della stessa luce di verità!”. La forma di queste utilissime società, costituite tra i Cattolici, è la più varia; circoli, casse rurali, ricreatori festivi, patronati per la protezione della gioventù, confraternite, e moltissimi altri, istituiti tutti con nobilissimi intenti, Certo tutte queste associazioni hanno nomi, forme e fini propri e immediati moderni, ma sono antichissime nella sostanza; poiché se ne possono scorgere le tracce fin dagli inizi del Cristianesimo, Più tardi poi furono rafforzate con leggi, distinte con proprie divise, arricchite di previlegi, ordinate al culto divino delle chiese, oppure destinate al bene delle anime e al sollievo dei corpi, e designate con nomi diversi, secondo i tempi, E con l’andare del tempo il loro numero aumentò talmente che, soprattutto in Italia, non v’è città, paese o parrocchia che non ne abbia molte o almeno una. – Ora fra queste associazioni Noi non esitiamo di dare un posto eminente alla confraternita, che prende il nome dal Santo Rosario. Se infatti si considera la sua origine, essa e tra le più antiche; poiché è fama che l’alto fondata lo stesso padre san Domenico; se poi se ne considerino i privilegi, essa ne è ricchissima per la munificenza dei Nostri predecessori. – Da ultimo, forma e quasi anima di questa istituzione è il Rosario mariano, della cui efficacia abbiamo già a lungo trattato in altre circostanze. Ma l’efficacia e il valore del Rosario appaiono ancora maggiori, se lo si considera come un dovere imposto alla Confraternita, che da esso prende il nome. In verità, nessuno ignora quanto sia necessaria per tutti la preghiera, non perché si possano con essa modificare i divini decreti, ma perché, come dice s, Gregorio: “Gli uomini con la preghiera meritano di ricevere ciò che Dio onnipotente fino dall’eternità ha deciso di donare loro”. E S. Agostino aggiunge: “Chi sa pregare bene, sa anche vivere bene”.E la preghiera appunto allora raggiunge la sua massima efficacia nell’impetrare l’aiuto del Cielo, quando è innalzata pubblicamente, con perseveranza e concordia da molti fedeli, che formino come un solo coro di oranti. Ciò risulta evidente dagli Atti degli Apostoli, dove si dice che i discepoli di Cristo, nell’attesa dello Spirito Santo promesso, “perseveravano concordi nella preghiera” (At 1,14). – Coloro che pregano in questo modo, certissimamente otterranno sempre il frutto della loro preghiera. E ciò appunto si verifica tra i confratelli del Santo Rosario. Infatti, come la preghiera del divino Ufficio, fatta dai sacerdoti, è una preghiera pubblica e continua, e per questo efficacissima; così, in certo senso, è pubblica, continua e comune la preghiera dei confratelli del Rosario, definito perciò da alcuni Papi “il Breviario della Vergine”. – Siccome poi, come già abbiamo detto, le preghiere pubbliche hanno un’eccellenza e un’efficacia maggiore delle private, perciò la Confraternita del Rosario fu anche chiamata dagli scrittori ecclesiastici “milizia orante arruolata dal padre Domenico, sotto le insegne della divina Madre”, di Colei, cioè, che la sacra Scrittura e i fasti della Chiesa salutano vincitrice del demonio e di tutte le eresie. E ciò perché il Rosario mariano lega tutti coloro che chiedono di associarvisi con un vincolo comune, facendone quasi dei fratelli e dei commilitoni. E così formano una validissima schiera, armata di tutto punto e pronta a respingere gli assalti dei nemici, sia interni che esterni. – Perciò i membri di questa pia associazione possono a ragione applicare a se stessi quelle parole di s. Cipriano: “Noi abbiamo una preghiera pubblica e comune, e quando preghiamo, non preghiamo per un singolo individuo, ma per tutto il popolo, perché quanti siamo formiamo una sola cosa”. – Del resto la storia della Chiesa attesta la forza e l’efficacia di queste preghiere, ricordandoci la sconfitta delle armate turche nella battaglia navale di Lepanto e le splendide vittorie riportate nel secolo scorso sopra i medesimi turchi a Temeswar in Pannonia [Ungheria] e presso l’isola di Corfù. Del primo fatto resta monumento perenne la festa della Madonna delle Vittorie, istituita da Gregorio XIII, e consacrata poi ed estesa alla Chiesa universale da Clemente XI, col nome di festa del Rosario. – Per il fatto poi che questa milizia orante è “arruolata sotto la bandiera della divina Madre” acquista una nuova forza e si illustra di nuova gloria, come soprattutto dimostra, nella recita del Rosario, la frequente ripetizione del saluto angelico, dopo l’orazione del Signore [“Padre nostro”]. Questa pratica, lungi dall’essere incompatibile con la dignità di Dio – come se insinuasse che noi dobbiamo confidare più in Maria che in Dio stesso – ha al contrario una particolarissima efficacia nel commuoverlo e rendercelo propizio. Infatti la Fede Cattolica ci insegna che noi dobbiamo pregare non solo Dio, ma anche i Santi,sebbene in maniera diversa: “Dio, come sorgente di tutti i beni, i Santi come intercessori. “In due modi – dice s. Tommaso – si può rivolgere ad uno una preghiera: con la convinzione che egli lo possa esaudire o con la persuasione che egli possa impetrare ciò che si chiede. Nel primo modo noi preghiamo solamente Dio, perché tutte le nostre preghiere debbono essere rivolte al conseguimento della grazia e della gloria, che Dio solo può donare, come è detto nel salmo LXXXIII,12: “La grazia e la gloria la largisce il Signore”. Nella seconda maniera presentiamo la nostra preghiera ai santi Angeli e agli uomini; non già perché Dio per loro mezzo venga a conoscere le nostre domande, ma perché, per la loro intercessione e per i loro meriti, le nostre preghiere siano esaudite. E perciò in Apocalisse VIII, 4 si dice che salì il fumo degli aromi, per le orazioni dei santi, dalla mano dell’Angelo al cospetto di Dio”.7 Ora chi mai, fra tutti i santi, che abitano le sedi beate, potrà competere con l’augusta Madre di Dio nell’impetrare la grazia? Chi potrà con maggiore chiarezza vedere nel Verbo eterno di Dio le nostre angustie e le nostre necessità? A chi è stato concesso maggiore potere nel commuovere Dio? Chi al pari di Lei ha viscere di materna pietà? È questo precisamente il motivo per cui noi non preghiamo i Santi del cielo nello stesso modo con cui preghiamo Dio; “poiché alla Santa Trinità chiediamo che abbia pietà di noi, mentre a tutti gli altri Santi chiediamo che preghino per noi”.Invece la preghiera che si rivolge a Maria ha qualche cosa di comune col culto che si rende a Dio; tanto che la chiesa la invoca con questa espressione, che si suole indirizzare a Dio: “Abbi pietà dei peccatori”. Pertanto i confratelli del Santo Rosario fanno molto bene a intrecciare tanti saluti e tante preghiere a Maria, come altrettante corone di rose. Infatti, davanti a Dio, Maria è tanto grande e tanto vale che chi vuol grazie e a lei non ricorre, sua desianza vuol volar senz’ale. – Alla Confraternita, di cui stiamo parlando, spetta poi un altro titolo di lode, che non vogliamo passare sotto silenzio. Ogni volta che, nella recita del Rosario mariano, consideriamo i misteri della nostra salvezza, noi in certo qual modo imitiamo ed emuliamo gli uffici una volta affidati alla milizia angelica. Furono essi che nei tempi stabiliti rivelarono questi misteri, nei quali ebbero una grande parte, e intervennero instancabilmente, atteggiando il loro volto ora al gaudio, ora al dolore, ora al tripudio della gloria trionfale. Gabriele è inviato alla Vergine, per annunziarle l’incarnazione del Verbo eterno. Nella grotta di Betlemme gli Angeli accompagnano coi loro canti la gloria del Salvatore, appena venuto alla luce. Un Angelo avverte Giuseppe di fuggire e di recarsi in Egitto col Bambino. Mentre Gesù nell’Orto suda sangue per la tristezza, un Angelo con la sua pietosa parola lo conforta. Quando Gesù, trionfando sulla morte, si leva dal sepolcro, degli Angeli ne danno notizia alle pie donne. Degli Angeli annunziano che Egli è asceso al cielo e preannunziano che di là Egli ritornerà fra schiere angeliche, per unire ad esse le anime degli eletti, e condurle con sé fra i cori celesti, sopra i quali “fu esaltata la santa Madre di Dio”. Perciò in modo speciale agli associati, che praticano la devozione del Rosario, si adattano le parole che s. Paolo rivolgeva ai nuovi discepoli di Cristo: “Vi siete accostati al monte Sion e alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e alle miriadi di Angeli” (Eb XII,22). Che cosa vi può essere di più eccellente e di più soave che contemplare Dio e pregarlo insieme con gli Angeli? Come devono nutrire una grande speranza e fiducia di godere un giorno nel cielo la beatissima compagnia degli angeli coloro che sulla terra, in certo qual modo, condivisero il loro ministero! – Per tali motivi, i Papi esaltarono sempre con grandissime lodi questa Confraternita, dedicata a Maria. Tra gli altri, Innocenzo VIII la definisce “devotissima confraternita”; Pio V attribuisce alla sua influenza i seguenti risultati: “I fedeli si trasformano rapidamente in altri uomini; le tenebre dell’eresia si dissipano; e la luce della Fede Cattolica si manifesta”. Sisto V, osservando quanto questa istituzione sia stata feconda di frutti per la Religione, se ne professa devotissimo; molti altri infine la arricchirono di preziose e abbondantissime indulgenze, oppure la posero sotto la loro particolare protezione, iscrivendosi ad essa, e manifestandole in diversi modi la loro benevolenza. – Mossi da questi esempi dei Nostri predecessori, anche Noi, venerabili fratelli, vivamente vi esortiamo e vi scongiuriamo – come già più volte abbiamo fatto – a voler dedicare una cura tutta particolare a questa sacra milizia; in modo che, grazie al vostro zelo, ogni giorno si arruolino dappertutto nuove schiere. Che dall’opera vostra e di quella parte di clero a voi sottoposto, che ha cura d’anime, venga il resto del popolo a conoscere e a valutare nella giusta misura la grande efficacia di questa Confraternita e il suo vantaggio in ordine all’eterna salvezza degli uomini. E tanto più insistiamo in tale raccomandazione in quanto recentemente è rifiorita una bellissima manifestazione di pietà mariana: il Rosario “perpetuo”. Noi abbiamo benedetto volentieri questa iniziativa, e desideriamo vivamente che vi adoperiate con sollecitudine e zelo al suo incremento. Nutriamo infatti viva speranza che non potranno non essere assai valide le lodi e le preghiere che escono, senza sosta, dalla bocca e dal cuore di un’immensa moltitudine, e che, alternandosi, giorno e notte, per le varie regioni del mondo, uniscono l’armonia delle voci con la meditazione delle divine verità. E certamente la continuità di queste lodi e di queste preghiere fu prefigurata dalle parole, con le quali Ozia inneggiava a Giuditta: “Benedetta sei tu, figlia, dal Signore Dio eccelso, sopra tutte le donne della terra … perché egli oggi ha reso si grande il tuo nome che la tua lode non verrà mai meno sulle labbra degli uomini”. E a questo augurio tutto il popolo d’Israele rispondeva ad alta voce: “Così è, così sia” (Gdt XIII, 23ss). – Frattanto, come auspicio dei benefici celesti, a testimonianza della Nostra benevolenza, di gran cuore impartiamo nel Signore l’apostolica benedizione a voi, venerabili fratelli, al clero e a tutto il popolo affidato alla vostra fedele vigilanza.

Roma, presso S. Pietro, 12 settembre 1897, anno XX del Nostro pontificato.

DOMENICA XIII DOPO PENTECOSTE (2019)

DOMENICA XIII dopo PENTECOSTE (2019)

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps LXXIII: 20; 19; 23
Réspice, Dómine, in testaméntum tuum, et ánimas páuperum tuórum ne derelínquas in finem: exsúrge, Dómine, et júdica causam tuam, et ne obliviscáris voces quæréntium te. [Signore, abbi riguardo al tuo patto e non abbandonare per sempre le anime dei tuoi poveri: sorgi, o Signore, difendi la tua causa e non dimenticare le voci di coloro che Ti cercano.] 

Ps LXXIII: 1
Ut quid, Deus, reppulísti in finem: irátus est furor tuus super oves páscuæ tuæ?
[Perché, o Signore, ci respingi ancora? Perché arde la tua ira contro il tuo gregge?]

Réspice, Dómine, in testaméntum tuum, et ánimas páuperum tuórum ne derelínquas in finem: exsúrge, Dómine, et júdica causam tuam, et ne obliviscáris voces quæréntium te. [Signore, abbi riguardo al tuo patto e non abbandonare per sempre le ànime dei tuoi poveri: sorgi, o Signore, difendi la tua causa e non dimenticare le voci di coloro che Ti cercano.]

Oratio

Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, da nobis fídei, spei et caritátis augméntum: et, ut mereámur asséqui quod promíttis, fac nos amáre quod præcipis.
[Onnipotente e sempiterno Iddio, aumenta in noi la fede, la speranza e la carità: e, affinché meritiamo di raggiungere ciò che prometti, fa che amiamo ciò che comandi.]

Lectio


Léctio Epístolæ beáti S. Pauli Apóstoli ad Gálatas. [Gal. III: 16-22]
“Fratres: Abrahæ dictæ sunt promissiónes, et sémini ejus. Non dicit: Et semínibus, quasi in multis; sed quasi in uno: Et sémini tuo, qui est Christus. Hoc autem dico: testaméntum confirmátum a Deo, quæ post quadringéntos et trigínta annos facta est lex, non írritum facit ad evacuándam promissiónem. Nam si ex lege heréditas, jam non ex promissióne. Abrahæ autem per repromissiónem donávit Deus. Quid igitur lex? Propter transgressiónes pósita est, donec veníret semen, cui promíserat, ordináta per Angelos in manu mediatóris. Mediátor autem uníus non est: Deus autem unus est. Lex ergo advérsus promíssa Dei? Absit. Si enim data esset lex, quæ posset vivificáre, vere ex lege esset justítia. Sed conclúsit Scriptúra ómnia sub peccáto, ut promíssio ex fide Jesu Christi darétur credéntibus”.

Omelia I

 [A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia, 1920]

UNO SGUARDO AL CROCIFISSO

“Fratelli: Le promesse furono fatte ad Abramo ed alla sua discendenza. Non dice la scrittura: E ai suoi discendenti, come si trattasse di molti; ma come parlando di uno solo: E alla tua discendenza; e questa è Cristo. Ora, io ragiono così; un’alleanza convalidata da Dio non può, da una legge venuta quattrocento anni dopo, essere annullata, così da rendere vana la promessa. Poiché, se l’eredità viene dalla legge, non vien più dalla promessa. Ma Dio l’ha donata ad Abramo in virtù d’una promessa. Perché dunque la legge? E’ stata aggiunta in vista delle trasgressioni, finché non venisse la discendenza a cui era stata fatta la promessa, e fu promulgata per mezzo degli Angeli per mano di un mediatore. Ora non si dà mediatore di uno solo, e Dio è uno solo. Dunque la legge è contraria alle promesse di Dio? Niente affatto. Se fosse stata data una legge capace di procurarci la vita, allora, sì, la giustizia verrebbe dalla legge. Ma la Scrittura ha racchiuso tutto sotto il peccato, affinché la promessa, mediante la fede in Gesù Cristo, fosse data ai credenti»”. (Gal. III, 16-22).

S. Paolo aveva insegnato ai Galati che la giustificazione non dipende dalla legge di Mosè, ma dalla fede in Gesù Cristo, morto per noi in croce. Ma Gesù Crocifisso. dipinto tanto vivamente dall’Apostolo ai Galati, era stato ben presto dimenticato da essi, lasciatisi affascinare da coloro che insegnavano dover noi attendere la nostra salvezza dalla legge. S. Paolo, rimproverata la loro stoltezza, nota come Gesù, morendo sulla croce, maledetta dalla legge, libera i Giudei dalla maledizione, e conferisce a tutti, Giudei e Gentili, che si uniscono nella fede in Gesù Cristo, lo Spirito promesso. Passa poi a far osservare come vediamo nell’epistola di quest’oggi, che la promessa dei beni celesti, fatta ad Abramo e alla sua discendenza. cioè al Cristo, nel quale si sarebbero unite tutte le nazioni a formare un solo popolo, essendo incondizionata, fatta ad Abramo direttamente da Dio, e da Dio confermata, aveva tutto il carattere d’un patto irremissibile. Non poteva, quindi, venir indebolita o modificata dalla legge di Mosè venuta 430 anni dopo, con un contratto temporaneo. La legge, del resto, non escludeva la promessa, dal momento che essa non poteva giustificare e dare la vita, come fa la promessa. E neppure fu inutile; perché, facendo conoscere i numerosi doveri da compiere, senza porgere l’aiuto necessario, metteva l’uomo nella condizione di dover sperimentare tutta la propria debolezza e di sentir la necessità d’un Redentore; e di riconoscere, per conseguenza, che le celesti benedizioni non possono essere effetto della legge, ma della promessa, e che non si ottengono che con la fede in Gesù Cristo. Gesù Cristo, che morendo in croce, adempie le promesse fatte da Dio, sarà l’argomento di questa mattina. – Gesù Cristo Crocifisso, così presto dimenticato dai Galati, fermi la nostra attenzione. Consideriamo come il Crocifisso:

1. È il centro dei cuori

2. È la nostra guida,

3. È la causa della nostra salvezza.

I.

La legge mosaica non ci dà l’eredità né le benedizioni promesse, Essa è stata aggiunta in vista delle trasgressioni, finché non venisse la discendenza a cui era stata fatta la promessa. La legge aveva lo scopo di indicare le trasgressioni e di far sentire il peso dei peccati, risvegliando così e tenendo desta l’aspirazione al Salvatore, senza la grazia del quale era impossibile l’osservanza dei precetti. L’eredità e le benedizioni noi le abbiamo in Gesù Cristo, che muore per noi sulla croce. Dopo la risurrezione di Lazzaro, i pontefici e i farisei, che volevano sbarazzarsi di Gesù, radunato il consiglio, si pongono la domanda: «Che facciamo? Poiché quest’uomo opera grandi meraviglie. Se lo lasciamo fare così, tutti crederanno in lui». E Caifa, il pontefice di quell’anno, consiglia di disfarsene: «Conviene che un uomo muoia per il popolo» (Joan. I, 47). Che cosa si aspettavano costoro dalla morte di Gesù? Forse di seppellirne col corpo anche la memoria? Accecati dall’odio, questi orgogliosi che si vantavano di aver per padre Abramo, non avevano voluto riconoscere l’unica sua discendenza, cioè il Cristo, al quale erano state fatte tutte le promesse. Ragionando da veri insensati, confessano che Gesù compie dei miracoli, e invece di trarne la conseguenza: — Con questi miracoli egli prova che è veramente il Messia promesso, l’inviato di Dio, — concludono: — Sopprimiamolo: con la sua soppressione scompariranno anche i seguaci. — E lo sopprimono con la morte di croce. – Ma l’uomo propone e Dio dispone. Gesù Cristo aveva detto: «E io, quando sarò innalzato da terra, tutto trarrò a me (Joan. XII, 32). – Quando egli è innalzato sulla croce gli animi di buona volontà si rivolgono a Lui. Non è solamente il discepolo prediletto con la Madre e un gruppo di pie donne, che sono attratti a colui che muore sul patibolo. Uno dei due ladroni, che gli stanno di fianco, crocifisso come Lui, riconosce il Messia, che non vollero riconoscere i Giudei, e, rivolgendosi a Lui, lo pregò: «Signore, ricordati di me quando giungerai nel tuo regno. E Gesù gli rispose: Ti dico in verità; oggi sarai con me in Paradiso ». (Luc. XXIII, 42-43). Gesù è spirato sulla croce, e continua a conquistare  anime e a piegare i cuori. Il centurione, che stava di rimpetto a Gesù crocifisso, proclama la sua divinità e dà gloria a Dio. Coloro che erano andati al Calvario per vedere il supplizio di Gesù, riconoscono l’ingiustizia commessa contro di Lui, ed esprimono il loro dolore percuotendosi il petto. Sulla croce Gesù inaugura il regno dell’amore che conquisterà tutti i popoli della terra. E la Chiesa può cantare solennemente: «Dio regnò dal legno» (Vexilla Regis). – Gli Apostoli, mandati alla conquista di coloro che erano sotto il giogo di Satana, presentano Gesù Crocifisso. armati di nient’altro che del crocifisso partirono alla conquista dei popoli i loro successori. Armati di quest’unica arma compiono ancora oggi le loro conquiste i missionari tra gente barbara e selvaggia. – Il Crocifisso cerca con lo sguardo e con l’anima colui che sta per partire da questo mondo: davanti al Crocifisso si reca a cercar il balsamo lenitore chi è provato dal dolore: nelle piaghe del Crocifisso cerca il suo porto di salvezza chi è agitato dalle tentazioni: baciando il Crocifisso, trova la rassegnazione e la pace chi muore per la mano della giustizia terrena. Il Crocifisso è veramente la pace, il gaudio la vita dei Cristiani; è il centro dei loro cuori.

2.

Se fosse stata data una legge capace di procurarci la vita, allora, si, la giustizia verrebbe dalla legge. Ma Dio non volle dare alla legge antica il potere di comunicare all’uomo la vita della giustizia. E così, l’uomo non deve cercare la sua salute nelle opere della legge. Deve cercarla, mediante la fede e la carità, in Gesù Cristo, salito sulla croce a immolarsi per tutti, a esser «guida e luce nella via dell’esilio». – Le inclinazioni degli uomini non sono, senza dubbio, un incitamento alla virtù. Gli uomini desiderano le ricchezze, e Gesù Cristo, che fu poverissimo durante la sua vita, sulla croce è spogliato dell’unica veste. Gli uomini bramano gli onori, la gloria. Gesù, che aveva rifiutato di esser fatto re durante gli anni della sua vita pubblica, sulla croce sopporta con animo mansuetissimo i disprezzi che gli si fanno da parte di tutti, dopo esser stato percosso, sputacchiato, da vili sgherri e dalla plebaglia. È là come l’aveva dipinto Isaia: «Come tu fosti lo stupore di molti, così il tuo aspetto sarà senza gloria tra gli uomini e la tua faccia tra i figli degli uomini» (Is. LII, 14). La disubbidienza spopolò il cielo d’una gran quantità di Angeli, e portò la rovina del genere umano. Gesù Cristo, che nella bottega di Nazaret passò la vita nell’ubbidienza a Maria e a Giuseppe, sulla croce ubbidisce ai carnefici, ai giudici iniqui, che un giorno saranno da Lui giudicati. Raramente noi ci manteniamo calmi nei contrasti, nelle pene. Ci ribelliamo, e dichiariamo ingiuste le afflizioni che ci provano. Gesù sulla croce, dissanguato dai flagelli, con le mani e i piedi trapassati da chiodi, con spine confitte nel capo, agnello senza macchia, sopportò il peso della pena dovuta ad altri, e tace. – Duro è per noi dimenticare le offese ricevute, amare coloro che ci fanno del male. Ma diventerebbe leggero, se dessimo uno sguardo a Gesù, che dalla croce, perdona a suoi offensori, li scusa, prega per loro. – Il Beato Vincenzo Maria Strambi, era stato incaricato dal Papa Pio VI di predicare una missione al popolo di Roma nella vastissima Piazza Colonna. Una sera, nella foga dell’orazione, gli venne a mancare la voce. Riusciti inutili gli sforzi per farsi sentire, prese nelle mani Crocifisso, e lo mostrò al popolo, additandone le piaghe grondanti sangue, e, come poté, disse: «Popolo mio, io non posso più parlare; questo crocifisso parlerà per me». E il crocifisso parlò veramente al cuore dei Cristiani, poiché nessuno partì da quella piazza senza di aver concepito il proposito d’una vita migliore. – Se noi amiamo Gesù Crocifisso, ogni volta che gli diamo uno sguardo parlerà al nostro cuore con parola ora ammonitrice, ora esortatrice, che ci farà progredire sempre più nella via del bene.

3.

 Quando Gesù pende in croce, popolo, sacerdoti, senior e perfino il brigante che gli è crocifisso a fianco concordi nello scherno atroce : «Scenda dalla croce » (Matth. XXVII, 40-44). Se Gesù avesse voluto, sarebbe certamente sceso dalla croce. Poche ore prima solamente, aveva dato prova del suo potere, quando con due parole: «Sono io», dimostrò tanta potenza, che i soldati mandatigli incontro « diedero indietro e stramazzarono per terra» (Joan. XVIII, 6). Egli pende in croce, ma è sempre quel Gesù «potente in opere e in parole» (Luc. XXIV, 19) che guariva le malattie corporali e spirituali, che ridava la vita ai corpi e alle anime. Egli pende in croce come un malfattore, ma dalla croce dà la vita eterna al ladrone che gli sta vicino; e, spirando in croce, apre i sepolcri, da cui risorgono i morti addormentati nel Signore. Egli muore in croce, e la sua morte segna l’adempimento della promessa… data ai credenti. – Col peccato il giogo di satana era stato posto sul collo degli uomini, e nessuna forza umana avrebbe potuto scuoterlo. Gesù Cristo sulla Croce compì quello che nessun uomo avrebbe potuto compiere. Egli carica sopra di sé le colpe di tutti gli uomini; si presenta a Dio in abito di peccatore, e chiede che su Lui si compia la giustizia che doveva compiersi sui mortali. L’offerta è gradita al Padre, la sostituzione è accettata. Pene esterne e interne lo avvolgeranno come in un mare, e tutto sarà suggellato con la morte. Ma con questa morte il decreto di condanna è stracciato, il potere di satana è infranto. «Nel paradiso (terrestre) germogliò la morte; sulla croce la morte fu tolta » (S. Giov. Cris. In Epist. ad Eph. Hom. 20, 3). satana si era servito del frutto proibito per introdurre nel mondo il suo regno; per mezzo dell’albero della Croce Gesù Cristo prende la rivincita su satana. Sulla croce Gesù sta non come un giustiziato, ma come un conquistatore, che, conquiso e debellato il suo nemico, dall’alto del trono proclama la vittoria; e annuncia ai popoli tutti della terra la liberazione dalla schiavitù, la fine del regno della maledizione e il principio del regno della grazia. – Dall’alto della croce Gesù ci dice con le sue piaghe che il prezzo del riscatto è di valore così grande che nessuno, per quanto gravi siano i Suoi peccati, ne va escluso; dall’alto della croce, con le braccia aperte, Gesù ci dice tutta la sua brama di vederci vicini a Lui, di poterci abbracciare. – Non dimentichiamo, come i Galati, l’immagine del Crocifisso; ma frequentemente «si dia uno sguardo alla croce, su cui, per mezzo del gran delitto dei Giudei, ebbe compimento la volontà di Dio misericordioso, il quale volle che fosse ucciso il suo unico Figlio per la nostra salvezza ».

Graduale

Ps LXXIII:20; 19; 22.

Réspice, Dómine, in testaméntum tuum: et ánimas páuperum tuórum ne obliviscáris in finem.
[Signore, abbi riguardo al tuo patto: e non dimenticare per sempre le ànime dei tuoi poveri.]

Exsúrge, Dómine, et júdica causam tuam: memor esto oppróbrii servórum tuórum. Allelúja, allelúja
[
V. Sorgi, o Signore, e difendi la tua causa e ricordati dell’oltraggio a Te fatto. Allelúia, allelúia].

Alleluja

Ps LXXXIX: 1
Dómine, refúgium factus es nobis a generatióne et progénie. Allelúja. [O Signore, [Tu fosti il nostro rifugio in ogni età. Allelúia.]

Evangelium


Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam.
Luc XVII: 11-19

In illo témpore: Dum iret Jesus in Jerúsalem, transíbat per médiam Samaríam et Galilaeam. Et cum ingrederétur quoddam castéllum, occurrérunt ei decem viri leprósi, qui stetérunt a longe; et levavérunt vocem dicéntes: Jesu præcéptor, miserére nostri.
Quos ut vidit, dixit: Ite, osténdite vos sacerdótibus. Et factum est, dum irent, mundáti sunt. Unus autem ex illis, ut vidit quia mundátus est, regréssus est, cum magna voce magníficans Deum, et cecidit in fáciem ante pedes ejus, grátias agens: et hic erat Samaritánus. Respóndens autem Jesus, dixit: Nonne decem mundáti sunt? et novem ubi sunt? Non est invéntus, qui redíret et daret glóriam Deo, nisi hic alienígena. Et ait illi: Surge, vade; quia fides tua te salvum fecit.” 

OMELIA II

 [A. Carmignola, Spiegazione dei Vangeli domenicali, S. E. I. Ed. Torino,  1921]

SPIEGAZIONE XLI.

 “In quel tempo andando Gesù in Gerusalemme, passava per mezzo alla Samaria e alla Galilea. E stando por entrare in un certo villaggio, gli andarono incontro dieci uomini lebbrosi, i quali si fermarono in lontananza, e alzarono la voce dicendo: Maestro Gesù, abbi pietà di noi. E miratili, disse: Andate, fatevi vedere da’ sacerdoti. E nel mentre che andavano, restarono sani. E uno di essi accortosi di essere restato mondo, tornò indietro, glorificando Dio, ad alta voce: e si prostrò per terra ai suoi piedi, rendendogli grazie: ed era costui un Samaritano. E Gesù disse: Non sono eglino dieci que’ che son mondati? E i nove dove Sono? Non si è trovato chi tornasse, e gloria rendesse a Dio, salvo questo straniero. E a lui disse: Alzati, vattene, la tua fede ti ha salvato” (Luc. XVII, 11-19).

Allora che l’Apostolo ci dice che è volontà di Dio che noi ci facciamo santi, affinché apprendiamo in che cosa ha da consistere massimamente la nostra santificazione, ce lo dice con chiarissimi termini: Che vi teniate lontani da qualsiasi immondezza. E più volte nelle sue lettere, ora sotto un aspetto ed ora sotto un altro, ci ripete la medesima cosa e di niun’altra parla con tanta veemenza ed energia, perché come osserva S. Giovanni Grisostomo, nella virtù della castità è riposta in modo particolarissimo la santificazione delle anime, mentre nel vizio ad essa contrario è riposta la loro rovina, sia perché le tiene immerse come animali immondi nel fango di ogni laidezza, sia perché esso è un male che difficilmente si cura. Or bene, o carissimi, il Vangelo di questa mattina ci porge occasione di riconoscere il gran male che è un tal vizio, quali ne sono le cause principali e quali i rimedi. E sebbene sia questo un argomento poco piacevole, lo tratteremo tuttavia per il grande vantaggio, che ne possiamo ritrarre per la nostra salute.

1. Gesù, dice il Vangelo, andando a Gerusalemme, passava per mezzo la Samaria e la Galilea. E nell’entrare in un certo castello, se gli fecero incontro dieci lebbrosi. La lebbra era una malattia contagiosa,cagionata dai grandi calori e assai comune sotto il cielo della Giudea. Quindi chiunque aveva contratto quell’orribile malattia, secondo la legge, doveva lasciare il suo domicilio, rinunciare al commercio coi suoi simili, recarsi nella solitudine, fino a tanto che un sacerdote, dopo un maturo e coscienzioso esame, avesse riconosciuto e proclamato la totale guarigione da quella malattia; e questa legge veniva osservata con un’esattezza rigorosa. Ora tutti i commentatori della Sacra Scrittura hanno riguardato la lebbra come la figura del peccato, e soprattutto del peccato di disonestà; perciocché è massimamente questo peccato, che toglie all’anima, non solo la sua bellezza, ma ancora la sua innocenza e le comunica una bruttezza veramente spaventosa, ed è questo peccato ancora che più d’ogni altro si propaga per mezzo dello scandalo. Questo peccato è cosi brutto, che l’Apostolo Paolo vorrebbe che non si avesse neppure a nominare tra i Cristiani. E così non vi è peccato, che Iddio medesimo nelle Sacre Scritture dimostri di detestare tanto, quanto questo. Chi si dà a questo peccato nelle Sacre Scritture vien paragonato agli animali immondi. Il santo re Davide in uno de’ suoi salmi, di colui, che serve alle sue malvagie passioni, dice ripetutamente: L’uomo, che fu elevato alla più grande dignità, ha perduto l’intelletto ed è divenuto simile agli animali immondi, che si trascinano nel fango. Inoltre nelle Sacre Scritture si parla di tanti castighi mandati da Dio agli uomini per cagione di questo peccato. In esse si dice che Iddio mandò un diluvio sopra tutta la terra, perché il genere umano erasi abbandonato alla disonestà; che mandò un incendio sopra Sodoma, Gomorra e sopra le città vicine, perché quegli abitanti eransi abbandonati a questo brutto vizio; che Onan fu colpito da una morte repentina dopo un solo peccato, perché quello era un peccato di disonestà, che furono severissimamente puniti molti altri per lo stesso peccato. Nelle Sacre Scritture vi sono ancora le gravissime proibizioni fatteci dal Signore. E tra queste vi ha il sesto comandamento della sua divina legge, che dice: Non fornicare, cioè non far cose disoneste: ed il precetto di Gesù Cristo, col quale ci intima di non fissare lo sguardo, né trattenere il pensiero su ciò che può condurci al peccato della disonestà. Da questa dottrina, rivelata da Dio, voi potete già conoscere che gran male sia la disonestà: ma forse lo conoscerete molto più nel considerare nelle famiglie e domanderete la cagione di tante discordie, di tante miserie, di tanti patrimoni mandati a fondo, molti sono costretti a rispondervi che l’abbominevole vizio della disonestà ne fu la cagione. Se poi domanderete ai medici, che frequentano le case dei privati ed i pubblici ospedali, perché molti sul fior dell’età siano andati al sepolcro, vi risponderanno che ciò fu per il brutto vizio. E se le ceneri di taluni potessero parlare dalle tombe, quanti utili avvisi ci darebbero! Gli uni direbbero che la disonestà fu la cagione di risse, di guai, di affanni, di pazzie, di morte. Altri, che tal vizio loro indebolì la salute e li condusse anzi tempo alla tomba, avverandosi in essi ciò che dice lo Spirito Santo, che i peccati abbreviano la vita. Ma se sono già così gravi le sciagure, che questo vizio produce sopra il corpo, molto più gravi sono le sciagure che produce nello spirito.Dice Iddio, che il darsi alle disonestà è lo stesso che diventare apostati, cioè perdere ad un tempo l’amor di Dio e la fede. Di fatto noi vediamo i giovani, ed in generale tutti gli uomini, essere molto amanti del Signore, pieni di fervore nelle pratiche religiose, assidui ai Sacramenti, finché non sono dominati dalla disonestà. Ma appena questo vizio si fa strada nel loro cuore, cominciano a diventare tiepidi, rilassati nell’amor di Dio, diminuiscono la frequenza dei Sacramenti, si annoiano della divina parola, parlano con indifferenza delle cose di Religione, dubitano delle medesime verità della Fede, e cadendo di abisso in abisso, finiscono col divenire increduli e talora veri apostati e spregiatori beffardi dei divini misteri. Sì, perché dominati dal brutto vizio non vogliono più lasciarlo, e bramando di continuare a prendersi quelle soddisfazioni senza che i rimorsi della coscienza diano loro alcuna molestia, si adoperano a persuadersi che non esiste Iddio, che il Paradiso e l’inferno non sono altro che sogni di mente inferma. Or bene il perdere la fede non è la massima delle sciagure, che possa capitare al Cristiano? Da tutto ciò si capisce quanto sia orribile la lebbra della disonestà, che tanto è odiata da Dio e che cagiona così gravi danni.

2. Ma quali sono le cause, che producono una malattia sì turpe e sì dannosa? La lebbra dicesi che fosse cagionata specialmente da tre cose: dai soverchi calori, dal trattar liberamente colle persone che ne erano infette, e dall’alimentarsi con cibi nocivi. Or bene, sono analoghe le principali cause della disonestà. Anzi tutto cagiona questo orrendo vizio il fuoco delle passioni acceso nei cuori degli uomini dal non mortificare i sensi, specialmente quelli della vista e del tatto. Voi avete inteso le cento volte, che chi disprezza il poco, a grado a grado passa al molto, che una goccia scava una dura pietra, che una scintilla risveglia un grande incendio. E così anche qui: talvolta le più piccole libertà, sia di sguardo, sia di pericolosa confidenza, bastano per condure alla rovina. Difatti nelle Sante Scritture non vediamo un Sansone così saggio e così forte essere caduto vergognosamente, perché non fece caso della famigliarità con una infame donna? Non vediamo Davide esser stato vittima di un solo sguardo licenzioso! Gli sguardi sopra oggetti, sopra figure, sopra persone pericolose, le confidenze e le libertà di tatto sono fuoco terribile per le passioni; fuoco che manda un nerissimo fumo e che offusca l’intelletto. Epperò a nulla vale il dire: Io son forte e non cadrò; io mi permetterò soltanto questo e quello, non di più; io andrò sino a quel punto e non più in là; che con tutti questi propositi, in seguito a quelle libertà, accesosi il fuoco della passione, e non ragionandosi più affatto, miseramente si cede all’impeto della medesima, e si cade anche in gravissimi peccati. Come colui che prende ad usare dei cibi e delle bevande più del dovere, li converte ben presto in perniciosi veleni per il suo corpo, così chi non vuol negare a se stesso certe libertà di sguardo, di confidenza, di tatto, ne resterà una povera vittima; poiché tali libertà, che in sulle prime non sembrano che cose da nulla ed innocenti dimostrazioni di affetto e forse anche tratti di civiltà, diventano in seguito mostruosi eccessi di peccato e causa eziandio di eterna rovina. Oh quanti Cristiani, e specialmente quanti poveri giovani, per avere assecondato questo cattivo spirito di libertà nei sensi perdettero in breve tempo il candore dell’anima e la fede cristiana, e si abbandonarono poscia ad ogni sorta di peccati disonesti! Altra principale cagione di disonestà si è il frequentare cattivi compagni, i quali, già essendo infetti di questo male, lo mettono fuori come alito cattivo in tutti i discorsi, che fanno. Oh qual peste, qual veleno sono le compagnie cattive! In esse si svelano i misteri più orribili di iniquità; si ammaestrano addirittura i semplici sui modi più iniqui d’offendere Dio; si mette in piazza ciò che la stessa natura impone di tacere, persino ai fanciulletti s’insegna la malizia più consumata; e se taluno mostra ribrezzo di questi discorsi, gli si dà dell’ipocrita, del collo torto, dello scimunito; mentre invece si chiama giovane franco, spregiudicato e spiritoso, chi sa parlar più male e gloriarsi di azioni più vergognose. Epperò quanti entrarono casti in un ritrovo d’amici e da un osceno discorso, da un beffardo sogghigno, da un atto licenzioso ebbero guasto il cuore! Tant’è; l’innocenza è cosa gelosa, o miei cari; poco ci vuole perché ella faccia naufragio; e lo Spirito Santo per la bocca dell’Apostolo ci avvisa, che la compagnia dei tristi è corruttrice del buon costume: Corrumpunt bonos mores colloquia prava (I. Cor. XV, 33). – Terza e principalissima cagione di disonestà si è la pessima alimentazione, che si riceve dalla lettura di cattivi giornali e di cattivi libri. Purtroppo, simile a certi animali che pigliano il colore delle piante e delle foglie di cui si cibano, l’uomo prende costumi e carattere conforme alla lettura, cui attende. Onde ne consegue che i lettori di opere frivole e romantiche divengono poco a poco frivoli, leggeri e sbadati; i lettori di scritti empi ed irreligiosi perdono la fede e la pietà; quelli dei libri osceni divengono mostri di libidine. Gli scrittori dei libri e giornali cattivi per certo non hanno altro di mira che d’infiammare le passioni, scavar le fondamenta della sana morale, e snervare e corrompere le anime; e ciò fanno col sostituire incessantemente la menzogna alla verità, la frivolezza alla gravità, col narrare ed inventare le cose più turpi, coll’esaltare il soddisfacimento delle più brutte passioni. La qual cosa non può tardare ad indebolire il gusto naturale, che Dio ci ha dato pel vero e pel bello, a riempire la mente di gravissimi errori e di turpissime immaginazioni, ed a suscitare nel cuore i più immondi desideri. E volesse il Cielo che ciò non accadesse con tanta facilità e frequenza! Ma pur troppo le stesse più robuste complessioni non tengono saldo contro il veleno di cotali letture. Esse distruggono i frutti d’ogni più sana educazione, dissipano l’innocenza de’ primi anni, tolgono l’amore a quanto vi ha di più doveroso e di più caro. Quel giovane era modesto, riservato, spirante amabile pudore, amante dello studio e del lavoro, rispettoso e docile coi genitori e superiori. Ma dopo aver fatto cattive letture, ha perduto e modestia e pudore, e amore alla fatica, e rispetto ai genitori e ai superiori, tutto. Egli più non pensa che a quello che ha letto; la sua mente e il suo cuore tutto si riempie di quelle cattive immagini, alle quali finisce per prestare il suo assenso e cadere e ricadere del continuo nella colpa. Sì, i libri ed i giornali cattivi sono il più pestifero veleno, massime della gioventù, uccidono la moralità e la tendenza al bene, sono la tomba dell’onore e d’ogni nobile sentimento, inaridiscono il germe d’ogni bene, sviluppano il germoglio di tutte le passioni, di tutti i vizi, di tutte le turpezze. Addio innocenza, pudore, castità, dal cuore di coloro, che spinti da una colpevole curiosità si danno a leggere libri dettati dal diavolo a scrittori, che ne sono gli schiavi. Queste pertanto sono le cause principali della lebbra della disonestà, epperò quelle da cui deve massimamente rifuggire il Cristiano, che desidera non cadere in così schifosa e dannosa malattia. Per carità adunque evitiamo sempre ogni libertà di sguardo sopra persone indebite, sopra oggetti qualunque essi siano, che possano commuovere i nostri sensi. Giobbe (XXXI, 1) diceva di aver fatto un patto cogli occhi suoi di non pensare mai malamente: pepigi fœdus cum oculis meis ut ne cogitarem quidem de virgine. Oh! e perché mai ha fatto patto con gli occhi di non pensare? È forse con gli occhi che si pensa? No, certamente; ma sono gli occhi, che trasmettendo alla mente gli oggetti, che essi vedono, fanno dalla mente pensare agli stessi. Epperò se alla mente si trasmette la figura di persona o cosa che la colpisce malamente, come non vi penserà sopra e, pensandovi sopra, come non se ne accenderà di impura fiamma il cuore? Ma intendiamolo bene, questa mortificazione degli occhi non è solo necessaria per ciò che è vivo e reale, ma eziandio per ciò che può offendere il nostro sguardo anche solo in figura. Dunque via assolutamente dalle case nostre quei gessi, quelle statue, quelle immagini rappresentanti nudità scandalose; via assolutamente quei giornali, quelle strenne, quei libri, ove le illustrazioni umoristiche non consistono in altro che in un intreccio di irreligione e di immoralità; ma poi, giacché per le strade e per le piazze non possiamo quasi più dare un passo senza temere che i nostri occhi siano contaminati da indecenti affissi, ritratti e figure, non fermiamo mai sopra di ciò il nostro sguardo, anzi volgiamolo prontamente altrove. Mortifichiamo poi il senso del tatto, evitando ogni confidenza e famigliarità specialmente con persone indebite. Guai a colui, dice lo Spirito Santo, che si mette a trattare domesticamente con chi non deve; molti sono andati perciò in perdizione (Eccl. IX, 11). Ed è pure perciò che va alla perdizione tanta povera gioventù. Con pretesti più o meno speciosi si trovano insieme quei due o tre amici che sono l’uno all’altro di pericolo, insieme a passeggio, insieme al divertimento, insieme alle conversazioni, insieme da per tutto, e quel che è peggio si permettono tra di loro certe libertà, certe smancerie, certi atti incivili, e cose simili. Epperò come potranno costoro preservarsi dalle colpe anche più gravi? Insomma come non brucerà la paglia unita al fuoco? Infine oltre al mortificare i nostri sensi, bisogna pure evitare, fuggire anzi le compagnie cattive, in cui si dicono parole indecenti, si tengono cattivi discorsi e si fomentano i vizi; e col massimo impegno bisogna guardarsi dalle cattive letture, poiché non vi ha veramente nulla che valga di più a precipitare specialmente la gioventù nella corruzione, quanto la lettura di libri e romanzi osceni. Lo stesso Gian Giacomo Rousseau, sebbene tristo, non esitò a sentenziare crudamente ogni anima giovanile così: È ella casta? dunque non ha letto romanzi. Donde non segue qual legittima deduzione: È ella lettrice di romanzi? Dunque non è più casta.

3. Se tuttavia qualcuno fosse caduto in questa malattia, che dovrà egli fare per guarirne presto? Bisogna che imiti la condotta di quei lebbrosi, di cui ci parla il Vangelo d’oggi. Quei dieci lebbrosi certamente vivevano in disparte, all’ombra di qualche boscaglia. Ma un giorno dal luogo, ove si trovavano, avendo veduto sulla pubblica strada Gesù, ed avendo potuto in qualche modo conoscere la sua bontà e la sua potenza, mossi dall’ardentissimo desiderio, che avevano di guarire, si avanzarono alquanto fermandosi tuttavia in lontananza, ed alzarono la voce dicendo: Maestro Gesù, abbi pietà di noi. Alla quale preghiera, che fece Gesù? Miratili, disse: Andate, fatevi vedere dai sacerdoti. Il divin Redentore volle prima provare la loro fede e la loro obbedienza. Ed in vero poteva Egli medesimo guarirli, ma invece li manda ai sacerdoti. E che cosa faranno i lebbrosi? Faranno essi, come Naaman Siro, quando andò a pregar il profeta Eliseo di guarirlo? Egli stupì allora che il profeta gli comandasse di lavarsi sette volte nel Giordano per esser purificato dalla lebbra. « Io credeva, » diceva egli, « che invocherebbe il nome del Signore suo Dio, che toccherebbe colla sua mano la mia lebbra, e mi guarirebbe. Non abbiamo noi a Damasco i fiumi d’Abana e di Farfar, migliori di quelli d’Israele per lavarci e diventar puri? » Povero idolatra! ignorava che solamente la fede e l’obbedienza attirano la misericordia del Signore. I lebbrosi del Vangelo lo compresero e la loro fede fu perfetta, e cieca fu la loro obbedienza. Eccoli già in cammino, e nel mentre che andavano, restarono sani. Così volle la divina Provvidenza, forse perché se i lebbrosi non fossero stati guariti che in presenza del sacerdote, avrebbero attribuito la lor guarigione al suo ministero, mentre invece non si operava che per virtù di Colui che li aveva mandati. Ecco pertanto quel che deve fare colui il quale, sgraziatamente colpito dalla lebbra del peccato disonesto, volesse davvero guarirne. Anzi tutto egli deve, al par dei lebbrosi, arrestarsi sulla strada del suo peccato, e poi con fervorosa preghiera volgersi a Dio, perché lo aiuti a guarire dalla sua infermità; quindi fiducioso nella bontà e nella potenza di chi può e vuole guarirlo vada a presentarsi al sacerdote. E qui si osservi che il sacerdote dell’antica legge, a cui presentavasi il lebbroso, aveva incarico di esaminare la lebbra, di giudicare la gravezza del male, di dichiarare la guarigione, allorché era avvenuta; ma, tale guarigione non poteva operarla egli stesso, non aveva nessun mezzo, nessun segreto per procurarla allo sventurato, che gli compariva innanzi. Ma invece il Sacerdote della nuova legge è ben più fortunato, giacché per la podestà, che egli ha ricevuto per mezzo di quelle divine parole: « Saranno rimessi i peccati a chi li rimetterai; » egli, quando nel lebbroso che gli si presenta, vi sia il pentimento del suo male e la sincerità nello scoprirlo, può con la sua autorità guarirlo dalla sua malattia e ridonargli la mondezza dell’anima insieme con la grazia di Dio. – Vada adunque il povero peccatore a mostrarsi con tali disposizioni al Sacerdote e si opererà in lui la desiderata guarigione. Ma guarito che egli sia non deve già imitare la incomprensibile condotta di quei nove lebbrosi, che non tornarono neppure a ringraziare Gesti del bene ricevuto. Oh guai a quei pretesi convertiti, che non si tengono al tutto vicini a nostro Signore, che da Lui si allontanano per la preoccupazione delle cose di questo mondo, della vita e per la smania di gustare ancora il piacere. La loro virtù non durerà a lungo, la loro guarigione non sarà perfetta, ed in breve ricadranno anche più gravemente. – Bisogna imitare invece il solo lebbroso, che tornò indietro a lodare e glorificare Gesù ed a porsi alla sua sequela. Bisogna cioè mantenersi ferrei nei propositi fatti di star sempre vicini a Gesù, specialmente con la preghiera e con la fuga delle occasioni pericolose, perché solamente con questi mezzi sarà possibile non ritornare al peccato. Dio voglia, che chi ne avesse bisogno, si appigliasse aquesta condotta! Egli certamente sentirebbe nel suo cuore a risuonare la voce di Gesù, che gli direbbe: Alzati da’ tuoi vizi: vattene pel cammino della virtù; la tua fede ti ha salvato.

Credo…

Offertorium

Orémus
Ps XXXIII:15-16
In te sperávi, Dómine; dixi: Tu es Deus meus, in mánibus tuis témpora mea.
[O Signore, in Te confido; dico: Tu sei il mio Dio, nelle tue mani sono le mie sorti.]

Secreta

Popitiáre, Dómine, pópulo tuo, propitiáre munéribus: ut, hac oblatióne placátus, et indulgéntiam nobis tríbuas et postuláta concedas. [Sii propizio, o Signore, al tuo popolo, sii propizio alle sue offerte, affinché, placato mediante queste oblazioni, ci conceda il tuo perdono e quanto Ti domandiamo.]

Communio

Sap XVI: 20
Panem de coelo dedísti nobis, Dómine, habéntem omne delectaméntum et omnem sapórem suavitátis.
[Ci hai elargito il pane dal cielo, o Signore, che ha ogni delizia e ogni sapore di dolcezza.]

Postcommunio

Orémus.
Sumptis, Dómine, coeléstibus sacraméntis: ad redemptiónis ætérnæ, quǽsumus, proficiámus augméntum.
[Fa, o Signore, Te ne preghiamo, che, ricevuti i celesti sacramenti, progrediamo nell’opera della nostra salvezza eterna.]

Per l’Ordinario vedi: https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/

LO SCUDO DELLA FEDE (76)

LO SCUDO DELLA FEDE (75)

[S. Franco: ERRORI DEL PROTESTANTISMO, Tip. Delle Murate, FIRENZE, 1858]

PARTE SECONDA.

FRODI PER CUI S’INTRODUCE IL PROTESTANTISMO

CAPITOLO XI

UNDECIMA FRODE: VENDITA DELLE DISPENSE, ETC.

Dopo il traffico dell’Indulgenze, passano i Protestanti ad apporre alla S. Chiesa la vendita, come essi dicono, delle bolle, dei brevi, delle dispense, di che so io: ed anche qui fanno uno strepito infinito contro di Roma. Ora gli è proprio meraviglioso che a muovere questa difficoltà debbano essere appunto i Protestanti, i quali, in questa parte hanno le mani sì nette, che è una edificazione. Que’ ciuchi che cercano di sedurre voi, o non sanno quello che si passa nei paesi soggetti alla Riforma, o se lo sanno, vedono il bruscolo che non v’è negli occhi altrui, e non veggono la trave negli occhi propri. Avete dunque da sapere che presso di loro si comprano, si vendono, si negoziano i benefizi, le parrocchie, le cappellanie, come altrove si fa del grano, del vino, dell’olio, e dei giumenti. In Inghilterra hanno stabiliti Giornali i quali danno l’avviso di quello che v’ha da vendere e da comperare, hanno stabilite agenzie che ne determinano i prezzi e che ne fanno le convenzioni. Accumulano però benefizi sopra benefizi ecclesiastici, e poi li danno a godere alla moglie, ai figliuoli, alle figliuole, ai cognati ed alle cognate con tanto scialacquo, che più d’una volta mise orrore perfino al Parlamento protestante. E poi dopo tutto ciò caldi di santo zelo si mettono a declamare contro le vendite di Roma. Non vi par di sentire i ladri che perorano in favore della giustizia? Ma lasciando stare tutto ciò, è poi vero che a Roma si faccia questo traffico così iniquo? Falso falsissimo, ed ecco quello che ivi interviene. A Roma si ricorre per varie cagioni. Alcuni ricorrono per ottenere la facoltà di essere assoluti da certi peccati più enormi, che il Sommo Pontefice riserba a se stesso prudentemente, affinché la difficoltà dell’assoluzione ritragga più efficacemente i fedeli dal commetterli; ed allora è al tutto gratuita ogni concessione, siccome lo sanno molto bene i Sacerdoti, i quali per ciò ricorrono alla Penitenzieria, ed i fedeli che si trovano nel caso di abbisognarne. Anzi perché niuno degli ufficiali per le cui mani debbono passare tal concessioni, possa abusarne, portano il gratis perfino stampato in fronte. Si ricorre a Roma per avere sacre Reliquie di que’ corpi Santi che essa possiede e che sempre dissotterra nelle Catacombe, e che con tanta diligenza custodisce perché non perdano la loro autenticità: ma anche qui tolga Dio che riceva pure un denaro in compenso di esse, che debbono al tutto gratuitamente concedersi. E che sia così, lo possono testificare migliaia di forestieri, che da Roma in ogni anno riportano tali Reliquie. Ricorrono altri a Roma per ottenere grazie e privilegi, che sono una qualche lesione alle leggi comuni. Così avviene in chi vuol ergere per esempio un Oratorio privato per la sua famiglia e scansar così l’obbligo della parrocchia comune. Così avviene in chi vuol contrarre nozze in un grado non consentito dalle leggi ecclesiastiche. Ora ecco il procedere di Roma in questi casi. Se la persona è povera ed ha vera necessità di alcuna di queste dispense o per cessare uno scandalo, o per promuovere qualche gran bene, la S. Sede vi si presta con tutta la carità e si concedono queste grazie senza che la persona debba spendere denaro di sorte alcuna: e questo avviene sì spesso che tal dispense hanno perfino il proprio nome mentre si dicono concesse in forma pauperum. Se non vi ha necessità di quelle dispense, ma è solo una soddisfazione privata di chi sollecita il favore, allora la S. Chiesa suole imporre una multa prima di accordarlo. Ed è ciò regolamento savissimo per molti casi. Se le leggi comuni s’infrangessero ogni momento cadrebbero subito in rovina, ed il danno sarebbe universale. Se per esempio si concedesse ad ogni famiglia l’oratorio privato dove andrebbe a riuscire il culto comune, dove l’esempio che i Grandi debbono alleplebi d’intervenire ancor essi alle funzioni comuni delle parrocchie? Se non fosse richiesto un motivo grave, ma bastasse il solo comodo privato, perché ognuno potesse contrarre nozze in certi gradi che savissimamente furono vietate, quanti inconvenienti nascerebbero nelle famiglie? Perderebbe di riverenza il Sacramento, di sicurezza il consorzio domestico, si aprirebbe la via a mille delitti che è più facile l’intenderli che lo spiegarli. Laddove una multa, una penalità inflitta da S. Chiesa, raffrena il più dei fedeli da simili domande, e mantiene in vigore le leggi comuni. Non è dunque una vendita, non un mercimonio la dispensa che si accorda sotto tali condizioni, è un compenso che s’impone a chi ricerca un favore, acciocché la grazia col diventare troppo comune non deroghi a leggi che non si debbono universalmente abrogare. – Del resto quanto non è giusto che cosi si faccia anche per altre ragioni. In primo luogo conviene così perché è giusto che la Sede Apostolica, la quale ha tanti pesi da sopportare pel mantenimento di tante congregazioni e di tanti ufficiali, quanti ne richieggono gli interessi di tutto il mondo, ritragga da qualche parte il denaro onde sopperire al bisogno. Se già alcuno non volesse dire che Roma debba mantenere, oltre gli ufficiali che servono a Lei, anche quelli che son necessari al buon andamento ecclesiastico di tutto il mondo. È giusto tanto più, quanto che a molti di quegl’impieghi possono aspirare ed infatti pervengono uomini di tutti i paesi. È giusto poiché in tal guisa concorrono ad un tal mantenimento, non tutti universalmente, ma quelli specialmente che ne ritraggono qualche vantaggio, richiedendo ogni equità che chi gode un favore sopporti anche il peso che vi è annesso. – Del resto tutte queste multe giungono a sì poco, che se il Sommo Pontefice non sopperisse colla sua universale carità al bisogno, non avrebbero di che sostentarsi tutti quegli impiegati che si travagliano in tali faccende. Tutta Europa ne ha vedute mille volte le statistiche, e sa molto bene che un solo pseudovescovo Anglicano, il quale fa veramente nulla a detta dei medesimi protestanti, gode un’entrata dieci volte maggiore che non veruna Romana Congregazione. – Resta una parola a dire del denaro che si manda a Roma per impetrar le bolle, ossia l’investitura degli ecclesiastici Benefizi. Or bene i Cristiani che conoscono la dottrina di S. Chiesa sanno molto bene che il Sommo Pontefice è l’amministratore universale dei beni di S. Chiesa: né per quanto certi legulei Febroniani, Vanespeniani, Protestanti si sforzino di conferire allo Stato di cui ne han fatto un dio tutti i titoli di S. Chiesa, la cosa è o può essere diversamente. I beni della Chiesa sono donazioni fatte a Gesù Cristo da chi ne era padrone legittimo, e finché sarà in vigore il diritto di proprietà, finché non si potrà violare impunemente il precetto di non rubare, apparterrà alla Sede Apostolica determinarne l’uso secondo la natura di essi beni. Ora che cosa fa il Sommo Pontefice in proposito? Quello che un padre di famiglia prudente, il quale dispone dei beni che ha da amministrare in guisa da far fronte a tutti gl’impegni. Epperò quando crede di dover prelevare da quei benefizi qualche tassa o pel sostentamento di quei ministri che si adoperano con lui al regime della Chiesa Universale, o per provvedere Chiese povere, o per mantenere missioni, o per erigere Seminari, o per altre opere di divin culto, egli non fa se non se quello che da lui richiede il debito del suo ministero, ed il retto uso che vuol farsi di que’ beni che sono a detta de’ Sacri Canoni il patrimonio dei poveri, il prezzo dei peccati. É ben vero che alcuni non credono che si possa maneggiar denaro senza che tosto se ne appicchi alle mani – forse sarà esperienza loro particolare – ma la S. Chiesa non è fondata sopra di Giuda, bensì sopra gli Apostoli, i quali se ne valevano per le vedove e per i poveri, lo tenevano tuttavia sotto dei piedi. – Un’ultima obiezione in questa materia è quella che traggono dalla dispensa che per denaro, dicono essi, si ottien talora dai digiuni e dalle astinenze: di che esclamano poi quanto n’hanno in gola che è violata la giustizia, che è distrutta la carità. Ebbene sappiate che anche qui v’ingannano in molte maniere. Avvertite dunque in primo luogo che la Santa Chiesa non ha fatto né i ricchi, né poveri: ma che gli uni e gli altri per santissimi fini ha fatto il Signore, … Utriusque operator est Dominus. Alfine cioè che in questa disuguaglianza avesser luogo le differenti virtù: nei poveri l’umiltà. la pazienza, la soggezione; nei ricchi la carità, la misericordia, la benignità, e cosìtutti quale per una, quale per un’altra via montassero la beatitudine. Avvertite in secondo luogo che la S. Chiesa è Madre degli uni e degli altri, dei poveri e dei ricchi, dei piccoli e dei grandi: e sebbene ammaestrata da Gesù abbia una speciale predilezione pei poverelli, ciò non ostante ha somma sollecitudine della salvezza di tutti. Per questo inculca ad ognuno le opere buone ma come ha somma discrezione raccomanda ad ognuno quelle che gli sono possibili. So inculcasse ai poveri la limosina, so la pretendesse da loro che cosa direste voi? Rispondereste con ragione che vi domanda quello che non potete fare, che non ha discrezione. Epperò la Chiesa mentre inculca ai poveri l’umiltà, mentre ricorda loro per alto conforto che Gesù fu povero, che chiamò beati i poverelli, mitiga loro le altre opere buone giungendo fino ad esimerli molte volte in vista della loro povertà dai digiuni e dalle astinenze. I ricchi però sono in condizione diversa. Che cosa farà con loro S. Chiesa? Gli animerà invece quanto può alle opere di misericordia e di carità, e per indurveli più efficacemente, concede loro come abbiam detto di sopra in certi casi anche l’acquisto di S. Indulgenze, altre volte in grazia delle opere di misericordia li allevia da altri pesi che avrebbero a sopportare come sarebbero i digiuni e le astinenze, e viene così a fare una commutazione di opere buone: nel che è prudentissima per molte ragioni. Promuove così il massimo vantaggio dei poverelli medesimi che sono le pupille degli occhi suoi sforzando quasi i ricchi ad essere con loro splendidi o liberali. Conduce soavemente i ricchi a quello che è un debito indispensabile del loro stato, di far cioè parte del loro superfluo ai poverelli secondo che loro comanda N. S. Gesù Cristo. Li distacca efficacemente dall’amor dei beni sensibili di questa vita che è lo scoglio più pericoloso in che possano urtare, e così con questa savia dispensazione provvede al bene dei poveri e dei ricchi e di tutta la ecclesiastica società. Or dov’è qui la vendita, il traffico sognato dai Protestanti? Del resto io vi dirò qui sull’ultimo con ogni sincerità che io mi vergogno perfino di dovere rispondere a tutte queste difficoltà. Bisogna essere un figliuolo al tutto snaturato per chieder conto alla Madre dell’uso che fa delle sostanze di cui le fu affidata l’amministrazione. E che? É dunque questa la stima che facciamo della Chiesa, della Sposa immacolata di Gesù? Può un Cristiano darsi a credere che essa stimi sì poco i beni lasciatile da Gesù che li prostituisca all’interesse di pochi denari? E sono figliuoli di Gesù quelli che gettano sul volto della loro madre sì brutto insulto? Ah io non so se sorgessero dalla tomba quei generosi Cristiani che mettevano in man della Chiesa tutte le loro sostanze se riconoscerebbero costoro siccome eredi del loro spirito e della lor fede. Non so se farebbero concetto che fossero per dare al bisogno anche il sangue a Gesù Cristo, quelli che con tanta impudenza malignano per pochi soldi che talora spendono per Gesù. In qualunque caso abbiate orrore di simili mostri, e prendete occasione anche da ciò di amar sempre più quella Chiesa che non può impugnarsi senza cader tosto in vergognosissime enormità.

SALMI BIBLICI: “IN TE DOMINE, SPERAVI… INCLINA” (XXX)

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES 

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

TOME PREMIER.

PARIS

LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR RUE DELAMMIE, 13

1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

SALMO XXX

[1] In finem. Psalmus David, pro extasi.

[2] In te, Domine, speravi; non confundar in aeternum;

in justitia tua libera me.

[3] Inclina ad me aurem tuam; accelera ut eruas me. Esto mihi in Deum protectorem, et in domum refugii, ut salvum me facias:

[4] quoniam fortitudo mea et refugium meum es tu; et propter nomen tuum deduces me et enutries me.

[5] Educes me de laqueo hoc quem absconderunt mihi, quoniam tu es protector meus.

[6] In manus tuas commendo spiritum meum; redemisti me, Domine Deus veritatis.

[7] Odisti observantes vanitates supervacue; ego autem in Domino speravi.

[8] Exsultabo, et laetabor in misericordia tua, quoniam respexisti humilitatem meam; salvasti de necessitatibus animam meam.

[9] Nec conclusisti me in manibus inimici; statuisti in loco spatioso pedes meos.

[10] Miserere mei, Domine, quoniam tribulor; conturbatus est in ira oculus meus, anima mea, et venter meus.

[11] Quoniam defecit in dolore vita mea, et anni mei in gemitibus. Infirmata est in paupertate virtus mea; et ossa mea conturbata sunt.

[12] Super omnes inimicos meos factus sum opprobrium, et vicinis meis valde, et timor notis meis; qui videbant me foras fugerunt a me.

[13] Oblivioni datus sum, tamquam mortuus a corde. Factus sum tamquam vas perditum;

[14] quoniam audivi vituperationem multorum commorantium in circuitu. In eo dum convenirent simul adversum me, accipere animam meam consiliati sunt.

[15] Ego autem in te speravi, Domine; dixi: Deus meus es tu;

[16] in manibus tuis sortes meae: eripe me de manu inimicorum meorum, et a persequentibus me.

[17] Illustra faciem tuam super servum tuum; salvum me fac in misericordia tua.

[18] Domine, non confundar, quoniam invocavi te. Erubescant impii, et deducantur in infernum;

[19] muta fiant labia dolosa, quae loquuntur adversus justum iniquitatem, in superbia, et in abusione.

[20] Quam magna multitudo dulcedinis tuæ, Domine, quam abscondisti timentibus te! Perfecisti eis qui sperant in te, in conspectu filiorum hominum.

[21] Abscondes eos in abscondito faciei tuae, a conturbatione hominum; proteges eos in tabernaculo tuo, a contradictione linguarum.

[22] Benedictus Dominus, quoniam mirificavit misericordiam suam mihi in civitate munita.

[23] Ego autem dixi in excessu mentis meae: Projectus sum a facie oculorum tuorum: ideo exaudisti vocem orationis meae, dum clamarem ad te.

[24] Diligite Dominum, omnes sancti ejus, quoniam veritatem requiret Dominus, et retribuet abundanter facientibus superbiam.

[25] Viriliter agite, et confortetur cor vestrum, omnes qui speratis in Domino.

[Vecchio Testamento secondo la VolgataTradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO XXX

Per la fine, salmo di David per la festa

2. In te ho posta, o Signore, la mia speranza, non resti io confuso giammai; salvami tu che sei giusto.

3. Piega le tue orecchie verso di me; affrettati a liberarmi. Sii tu a me Dio protettore, e casa di asilo per farmi salvo.

4. Imperocché mia fortezza e mio rifugio sei tu; e pel nome tuo sarai mia guida, e mi darai il sostentamento.

5. Mi trarrai fuori da quel laccio, che mi han teso occultamente, perché tu sei mio protettore.

6. Nelle mani tue raccomando il mio spirito; tu mi hai redento, o Signore Dio di verità.

7. Tu hai in odio coloro che, senza prò, vanno dietro alle vanità. Ma io sperai nel Signore;

8. Esulterò, e mi rallegrerò nella tua misericordia. Perocché tu gettasti lo sguardo sopra la mia abbiezione, salvasti dalle angustie l’anima mia.

9. Né mi chiudesti tra le mani dell’inimico; apristi spazioso campo a’ miei piedi.

10. Abbi misericordia di me, o Signore, perché io sono afflitto; per l’indignazione è turbato il mio occhio, il mio spirito e le mie viscere.

11. Perché nel dolore si va consumando la vita mia, e ne’ gemiti gli anni miei.

Si è infiacchita nella miseria la mia fortezza, e le ossa mie sono in tumulto.

12. Presso tutti i miei nemici son divenuto argomento di obbrobrio, e massime pei miei vicini, e argomento di timore pe’ miei familiari. Quelli, che mi vedevano, fuggivan lungi da me;

13. Si scordaron di me in cuor loro, come d’un morto. Fui stimato qual vaso rotto:

14. Perocché io udiva i rimproveri di molti, che mi stavano intorno. Quando si radunarono contro di me, consultarono di por le mani sulla mia vita.

15. Io però in te sperai, o Signore; io dissi: Tu se’ il mio Dio.

16. Nelle mani tue la mia sorte. Strappami dalle mani dei miei nemici, e di coloro che mi perseguitano.

17. Splenda il chiarore della tua faccia sopra il tuo servo: salvami nella tua misericordia.

18. Ch’io non sia confuso, o Signore, perocché ti ho invocato. Sieno svergognati gli empi e condotti all’inferno.

19. Ammutoliscano le labbra ingannatrici; Le quali perversamente parlano contro del giusto per superbia e disprezzo.

20. Quanto è grande, o Signore, la molteplice bontà, che tu ascosa serbi per coloro che ti temono! E la hai tu dimostrata perfettamente, a vista dei figliuoli degli uomini, con quelli che sperano in te.

21. Li nasconderai nel segreto della tua faccia dai turbamenti degli uomini. Li porrai in sicuro nel tuo tabernacolo dalla contraddizione delle lingue.

22. Benedetto il Signore, poiché la sua misericordia mostrò a me mirabilmente nella forte città.

23. Ma nella costernazione dell’animo mio io dissi: Sono stato rigettato dalla vista degli occhi tuoi. Per questo tu esaudisti la mia orazione, mentre io alzava a te le mie grida.

24. Santi del Signore, voi tutti amatelo; perché il Signore sarà fautore della verità, e renderà misura colma a coloro che operano con superbia.

25. Operate virilmente, e si fortifichi il cuor vostro, o voi tutti che nel Signore avete posta speranza.

Sommario analitico

Davide, circondato e oppresso da ogni lato dai suoi nemici, abbandonato dai suoi amici ai tempi della persecuzione di Saul o di Assalonne, è figura che la Chiesa applica – in questo salmo – di Gesù Cristo in croce, così come di ogni Cristiano in preda alle persecuzioni della carne, del mondo e del demonio.

I – Egli prega Dio di venire in suo soccorso nel pericolo estremo in cui si trova, e porta come motivo in appoggio alla sua preghiera:

1° Gli attributi di Dio: a) il suo titolo di sovrano Signore e maestro; b) la sua giustizia (1); c) la sua bontà, facile da comprendere, pronta da eseguire (2); d) la sua onnipotenza per attaccare, così come per proteggere e difendere (3, 4); e) la sua liberalità e la sua paterna provvidenza; f) la sua saggezza preveggente (5); g) la sua fedeltà e la sua verità nell’eseguire le sue promesse (6); h) il suo odio per le osservanze vane e menzognere (7); i) la sua misericordia (8); j) la sua vigilante sollecitudine sui suoi fedeli servitori nel liberarli dalle mani dei loro nemici (9).

2° – La grandezza della sua tribolazione (11): egli è colpito:

a) nei beni dello spirito, tutte le facoltà della sua anima sono nello scompiglio (10);

b) nei beni del corpo, la sua vita scorre nella tristezza ed i gemiti, le sue forze sono esaurite (11);

c) nei beni della fortuna e della reputazione: – 1) i suoi nemici l’insultano a causa dell’estrema miseria nella quale è ridotto; – 2) è un soggetto di timore, anche per i suoi amici che lo hanno messo nell’oblio e cancellato dal loro cuore (12); – 3) è in preda ai rimproveri imperiosi di coloro che lo circondano; – 4) i suoi nemici tengono consiglio per togliergli la vita (13, 14).

II. – Davide chiede a Dio un soccorso particolare in rapporto a ciascuna delle ragioni che adduce ed a ciascuno dei pericoli che egli segnala.

1° Egli prega Dio di aver pietà di lui, come un buon padrone ha pietà del suo servitore, e dichiara ora che ripone tutta la sua affezione, tutta la sua fiducia in Dio come suo Signore, e che non vuole dipendere che da Lui;

2° Manifesta a Dio di essere nella tribolazione, e che i suoi occhi, le facoltà della sua anima, sono nello scompiglio, e chiede allora che Dio diffonda su di sé la luce del suo volto (17);

3° Rappresenta a Dio lo stato di debolezza in cui il suo corpo è ridotto, e chiede a Dio di salvarlo da questo stato per la sua misericordia (18);

4° Si lamenta di essere di essere in preda agli oltraggi calunniosi dei suoi nemici, e chiede a Dio che gli stessi vengano precipitati nell’obbrobrio e ridotti al silenzio (19).

III. – Davide, esaudito e liberato dai suoi nemici, rende grazie a Dio (22):

1° Descrive la felicità di cui Dio lo ha ricolmato, e che Egli riserva a tutti i giusti, a) essa è grande, b) è abbondante, c) è nascosta come una gemma preziosa nel tesoro di Dio, d) è perfetta (20), e) è gloriosa, f) non teme né gli attacchi, né la contraddizione delle lingue, g) è ammirabile (21).

2° Egli indica i gradi attraverso i quali sia giunto a questa felicità, e come tutti gli uomini possano anch’essi pervenirvi, a) si accusa della mancanza di fiducia che ha mostrato all’inizio dei suoi malanni (23); b) riconosce in seguito che Dio l’ha esaudito, perché egli ha sperato in Lui; c) invita tutti gli uomini ad amarlo (24); d) e li esorta a prendere coraggio ed a fortificare il loro cuore in questa speranza, in questo amore (25).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-14.

ff. 1. –  « C’è una confusione che conduce al peccato, ed una confusione che attira la gloria e la grazia » (Eccli. IV, 25). – Io ho orrore, dice il Re-Profeta, di questa confusione che dura eternamente! Perché c’è una certa confusione passeggera che è utile: è lo scompiglio di un’anima che considera i suoi peccati, che ha orrore di ciò che essa considera, che arrossisce di ciò di cui ha orrore, e che corregge ciò di cui arrossisce. È ciò che fa dire all’Apostolo: « Quale gloria avete tratto dalle cose di cui oggi vi vergognate? » (Rom. VI, 21). – Egli dice dunque che i fedeli arrossiscono, non dei doni che essi ricevono ora, ma dei peccati che hanno commesso altre volte. Ma il Cristiano non tema questa confusione, perché se egli non subisce questa confusione temporanea, subirà quella che dura eternamente (S. Agost.). – « Liberatemi nella vostra giustizia »; perché se non fate attenzione che alla mia giustizia, voi mi condannerete. C’è in Dio una giustizia che diviene la nostra, quando ci viene comunicata; è per questo che è chiamata la giustizia di Dio, perché l’uomo non possa credere di possedere la giustizia da se stesso. Siccome voi non avete trovato in me una giustizia che sia la mia, liberatemi per la vostra stessa giustizia; cioè che io sia liberato per ciò che mi giustifica, per ciò che da empio mi renda pio, per ciò che da ingiusto mi faccia giusto, per ciò che da cieco mi renda chiaroveggente, per ciò che da uomo caduto mi faccia diventare uomo rialzato, per ciò che da uomo condannato alle lacrime mi faccia possedere la gioia più dolce (S. Agost.). – « Inclinate il vostro orecchio su di me ». È ciò che Dio ha fatto, quando ha inviato il Cristo a noi. Egli ha inviato verso di noi Colui che, avendo inclinato la testa, scriveva col dito sulla sabbia, mentre la donna adultera Gli veniva presentata come tale perché Egli la condannasse.

ff. 2. –  « Affrettatevi a liberarmi ». Tutto ciò che ci sembra lungo nel corso del tempo, non è realmente che un punto. Ciò che ha un fine non può essere lungo. Che ne è del tempo trascorso da Adamo fino a noi, e questa durata è certamente più considerevole di quella che ancora ci resta da percorrere. Se Adamo vivesse ancora e morisse oggi, a cosa gli sarebbe servito l’essere esistito tanto tempo, l’aver vissuto per tanto tempo? Perché dunque questa fretta di cui parla il Profeta? Perché i tempi sfuggono! Ciò che ci sembra ritardare, è breve agli occhi di Dio; e colui che prega aveva compreso, nella sua estasi, questa rapidità del tempo (S. Agost.).

ff. 3,4. –  « Siate per me un Dio protettore ». Dio è qui considerato sotto due punti di vista che devono costituire la consolazione dei veri Cristiani. Egli è loro protettore o, secondo il testo ebraico, la loro forza, il loro scudo, la roccia salda sulla quale appoggiare la loro speranza. Egli è loro asilo, il loro rifugio sicuro. Nel combattimento ci vogliono delle armi, un sostegno; dopo il combattimento, un luogo di riposo. – Spesso sono in pericolo e voglio fuggire, ma dove fuggire? Verso quale luogo potrei fuggire per trovarmi in sicurezza? Ovunque io andrò seguirò me stesso. O uomo, tu puoi fuggire tutto ciò che vuoi, eccetto la tua coscienza. Invece di fuggire, ritirati nella tua casa, cerca il riposo nel tuo letto, penetra nel più intimo di te stesso; tu non hai in te un angolo così profondo nel quale scappare dalla tua coscienza, se il rimorso del tuo peccato ti rode. Ma così come ha detto « affrettatevi a liberarmi, e nella vostra giustizia ritraetemi dall’abisso, perdonando i miei peccati e mettendo in me la vostra giustizia », ha detto anche « voi sarete per me una casa di rifugio », perché dove fuggire per sfuggirvi? (Ps. CXXXVIII, 7). – Dunque, ovunque io vada, dovunque vi trovo, vendicatore dei miei peccati se siete irritato; mio protettore se siete placato. Non mi resta quindi che fuggire verso di Voi, e non lontano da Voi. Per sfuggire ad un uomo vostro padrone, se schiavi, voi vi rifugiate in un luogo dove non ci sia il vostro padrone; ma per sfuggire a Dio, rifugiatevi in Dio (S. Agost.). – Il Re-Profeta non tralascia affatto di chiamare Dio sua forza, suo rifugio, suo protettore, titoli che sono in effetti il fondamento della nostra speranza: noi siamo deboli, Dio è la nostra forza, e tutto noi possiamo in Colui che ci fortifica (Filip. IV, 13). – Noi siamo senza appoggio, senza risorse dal lato degli uomini, e Dio è nostro asilo; noi siamo circondati da nemici, e Dio è nostro protettore (Berthier). – « Voi mi nutrirete », affinché io divenga capace di mangiare il pane di cui nutrite gli Angeli; perché il Cristo – che ci ha promesso il nutrimento celeste – ci ha dapprima nutrito con il latte, usando verso di noi una misericordia materna. In effetti, come la madre che allatta fa passare per il proprio corpo il nutrimento che il bambino non è ancora capace di prendere e lo riversa nel latte che beve, così il Signore, per trasformare in latte la sua divina saggezza, è venuto a rivestirci della nostra carne (S. Agost.).

ff. 5, 6. –  Noi dobbiamo lottare contro nemici potenti, contro dei nemici abili, contro nemici pubblici, contro nemici occulti; noi dobbiamo salvaguardarci da insidie esposte e scoperte, e da trappole tese in segreto. Non avremmo alcun mezzo per difenderci da tanti nemici, se Dio non fosse il nostro protettore (Dug.). – « Io pongo il mio spirito nelle vostre mani ». Queste parole sono state consacrate da Gesù Cristo quando era prossimo a spirare sulla croce, cosa che prova che almeno questa parte del salmo Lo riguardi totalmente. Il Salvatore vuol parlare qui della sua anima, prossima a separarsi dal corpo. Egli non poteva che rimettere questa parte di sé nelle mani del Padre, poiché il suo corpo, che pertanto non si chiama spirito, doveva essere rinchiuso nella tomba; e quest’anima di Gesù Cristo doveva sopravvivere al suo corpo poiché Egli la rimette nelle mani del Padre (Berthier). – Sull’esempio di Gesù Cristo, rimettere la nostra anima e la nostra vita tra le mani di Colui che è onnipotente per salvarle, dicendo con i grande Apostolo: « Io so a chi mi sono affidato, e sono sicuro che Egli sia potente per custodire il mio deposito fino al giorno dell’eternità » (II Tim. I, 12). – Nessuna Potenza ci rapirà ciò che abbiamo depositato in queste mani divine. « Io gli do la vita eterna perché essi non periscano giammai, e nessuno le rapirà dalla mia mano ». Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti, e nessuno può strapparle dalle mani di mio Padre (Giov. X, 29). – Colui che ci ha riscattato dandoci il proprio Figlio, potrebbe forse rifiutarci nulla dopo averci fatto questo gran dono? (Rom. VIII, 32). – Egli che è il Dio di verità, il Dio che è la verità stessa, potrebbe mancare nell’essere fedele alle promesse che ci fatto? – O Signore, mi si annuncia la mia morte, ma quando mi si annuncia la vostra, io non temerò più nulla. Si, ora io potrò cantare con il Salmista: « Se cammino in mezzo all’ombra della morte, io non temerò nulla, perché Voi siete con me ». Ah! Dolce ricordo quello della vostra morte che ha cancellato i miei peccati, che mi ha assicurato il vostro Regno! Mio Salvatore, io mi unisco alla vostra agonia; io dico con Dio il mio « In manus! » Mio Dio, io rimetto il mio spirito nelle vostre mani. Signore Gesù, ricevete il mio spirito » (Bossuet, Med. sur l’Ev. LI° jour.).

ff. 7-10. –  « Voi odiate coloro che si attaccano alla vanità ». Ma io che non mi lego alla vanità, io ho messo la mia speranza nel Signore. Voi altri ponete la vostra speranza nel danaro: voi siete attaccati alla vanità; voi mettete la vostra speranza nell’uomo e nell’eccellenza della potenza umana: voi siete attaccati alla vanità; voi riponete la vostra speranza in qualche amico potente: siete attaccati alla vanità. Poiché voi riponete la vostra speranza in queste cose, voi morirete e sarete costretti a lasciare tutto quaggiù; oppure nel corso della vostra vita, esse periranno e voi sarete delusi nelle vostre speranze (S. Agost.). – Il mondo, non soltanto frivolo, ma spesso anche l’empio ed ateo, non ha qualche esteriorità religiosa? No, eccetto in certo regioni del mondo ove ancora si rispettano, si conservano delle convenienze religiose o si conservano delle abitudini, si colora un ateismo pratico con una certa religiosità di parvenza, e di bon ton. Il Salmista ha una parole ammirevole per caratterizzare questa religiosità dei mondani: « Essi hanno delle osservanze, ma vane e superflue ». Essi giocano alla Religione come una cosa qualsiasi (Doublet, Psaunes, etc.). – Queste vanità, sono ancora ogni sagacia, ogni scienza umana, ogni consiglio, ogni soccorso che sia contro Dio e senza il suo concorso, cose vane che non servono a niente. Lo sono ancora certe pratiche esteriori alle quali si è superstiziosamente attaccati, senza andare all’essenziale della legge, che è l’amore di Dio e la pratica dei suoi Comandamenti, osservanze vane e senza frutto, devozioni false e farisaiche alle quali si tiene scrupolosamente, mentre si calpestano i doveri sacrosanti del Cristianesimo. – La speranza unica nella misericordia di Dio, è la devozione più solida e sicura di tutte queste vane osservanze, ed è un soggetto della vera gioia. – Quali sono queste necessità per cui desideriamo che la nostra anima sia salva? Chi potrebbe contarle? Chi potrebbe riunirle in un solo blocco? Chi potrebbe enumerare completamente quelle che bisogna evitare e fuggire? E pertanto è una dura necessità della condizione umana non conoscere il cuore degli altri, diffidare il più spesso di un amico fedele e fidarsi sovente di amici infedeli. O dura necessità! Cosa potete fare per leggere oggi nel cuore del vostro fratello? E necessità ancora più dura, voi non vedere nemmeno ciò che sarà il vostro cuore domani. E che dire delle necessità che ci impone la morte? È una necessità morire, e nessuno lo vuole, nessuno non vede ciò che è necessario; nessuno vede ciò che arriverà, che lo si voglia o no. Dura necessità è il non volere ciò che è inevitabile! … Quali sono ancora queste penose necessità di vincere le bramosie inveterate, le cattive abitudini, consolidate negli anni? Voi vedete che ciò che fate è cattivo, quanto fate dovreste averlo in orrore, quanto ne soffrite, e nonostante questo, voi lo fate, l’avete fatto ieri, lo rifarete oggi. Se ne avete una tale avversione quando vi parlo, quale avversione non ne avrete quando vi riflettete? E ciò nonostante, voi lo farete. Quale forza vi costringe, quale potenza vi cattura? Non è quella legge delle membra che è in lotta con la legge dello spirito? gridate dunque: « Maledetto uomo qual sono! Chi mi libererà da un corpo sottomesso ad una tale morte? La grazia di Dio, per Gesù Cristo nostro Signore » (S. Agost.). – Questo passaggio continuo dalla gioia della liberazione, al timore di un nuovo pericolo, da un’azione di grazia ad una supplica, è un’immagine della vita cristiana. Tutti coloro che desiderano seriamente la loro salvezza, che si osservano, che si raccolgono, che lottano incessantemente contro le loro passioni e che a volte resistono, a volte soccombono, che sentono i loro piedi vacillare, poi si stabilizzano, la loro carità raffreddarsi, la loro pazienza perdersi, la pace interiore turbarsi, provano questa eterna alternanza di gioia e di dolore religioso. E come le anime così attente a se stesse si interessano necessariamente alla Chiesa, come esse si associano ai suoi beni e ai suoi mali, alle sue sofferenze ed ai suoi trionfi, esse trovano nei Salmi ciò che conviene così bene all’espressione dei propri sentimenti, una sorgente inesauribile di ferventi preghiere e di canti di gioia per la santa società di cui essi sono membra fedeli (A. Rendu). – I partigiani del mondo non possono sottomettersi alla legge di Dio, alle massime del Vangelo, perché esse provocano in essi un certo fastidio che va loro troppo stretto; essi vogliono vivere in modo più largo: illusione, accecamento deplorevole; è questa una verità di esperienza e pertanto poco compresa, ancor meno gustata, che i servitori di Dio sono i soli che siano veramente nel largo, mentre gli schiavi del mondo sono strettamente rinchiusi sotto la tirannia del demonio e delle loro passioni.

ff. 10-14. –  Tutte le tempeste del dolore più estremo sono espresse in questi versetti. Il Profeta non ne omette alcuna, persuaso che non si sarebbero trovate in tutti i tempi, delle anime così afflitte come la sua; ma, in capo a questa descrizione, c’è il ricorso a Dio, l’unico consolatore dei grandi dolori, il solo medico delle malattie disperate (Berthier). – Trattasi qui di una collera santa, che nasce non dall’impazienza, ma dall’amore per la giustizia, collera molto più vantaggiosa della compiacenza di colui che lusinga il peccatore e lo conferma nel suo peccato. – Per ogni uomo che viene in questo mondo, i giorni sono brevi e cattivi come per il patriarca Giacobbe; la vita si consuma nel dolore e gli anni nei gemiti. Le speranze della vita appassiscono, le speranze si scolorano e cadono come le foglie d’autunno; il cuore è un abisso in cui ogni giorno c’è posto per un nuovo gemito. Man mano che si avanza sul sentiero dell’esistenza, e che si consumano gli anni, il sole sembra diventare più ardente, il cielo più in fiamme … chissà cosa ci riserva l’avvenire? Ognuno degli anni che ci restano da vivere porterà forse un nuovo corollario a questa parola del Patriarca dell’Idumea (Giob. VII). – « La vita dell’uomo è un combattimento sulla terra, ed i suoi giorni sono come quelli di un mercenario; così come il mercenario, egli attende la fine della sua opera » (Mgr. Landriot, Prière chrét. 2° Part.). – Da questo momento di tristezza alla vista degli anni che passano, da questa figura del mondo che svanisce, si passa agli anni eterni che non passano. Ogni anno quaggiù non ha che un certo numero di giorni, ogni anno non ha che un determinato numero di ore, non c’è alcun evento che possa impedire al domani di arrivare. Uno di questi domani sarà il giorno della morte. Non c’è alcun tiranno che possa impedirci di morire. Ecco una bella massima di Santa Teresa: « … che nulla ti inquieti, nulla ti spaventi, tutto passa: ma Dio non passerà mai ». Felice la vita che si consuma nel dolore profondo per aver offeso Dio! Felici le lacrime che un vero spirito di compunzione fa scorrere dagli occhi e che sono come il sangue di un cuore ferito! Dolci e gradevoli gemiti che vengono dal sentimento della profondità delle piaghe nelle quali l’anima è colpita per la perdita di Dio (Duguet). – Nuove prove sono aggiunte alle prime, la povertà, lo svanire della salute e delle forze, la perdita della reputazione e degli amici, l’oblio da parte di persone che ci erano care, i rimproveri, le ingiurie, gli odi, i complotti. – Essere un obbrobrio a causa di Dio è mezzo infallibile per essere onorato presso Dio. I vicini, gli amici apparenti, coloro dai quali si è conosciuti, spesso i più ardenti ed i più ingiusti persecutori; quasi non c’è vita di un santo che non venga a confermare questa verità. – Nella prosperità, mille manifestazioni di servigi, di devozione. Se si viene a cadere in qualche disgrazia, tutti coloro che in precedenza erano conosciuti, non vi conoscono più: si diviene per essi soggetto di orrore. – Ci si deve ricordare che non si è mai più felici di quando si sia più abbandonati dalle creature, di quando si sia nella felice necessità di ricorrere al Creatore (Duguet).

ff. 13. –  Ci sono dei buoni cuori, delle belle anime che sembravano avervi atteso per amarvi; della loro frequentazione si era fatta un’abitudine, essi riscuotevano ogni vostra fiducia, si pensava si potesse sempre contare su di loro … non le si vedrà più … Inizialmente ci si consola con il pensiero che i legami così preziosi non saranno mai interrotti, anche se rilassati, ma questa povera consolazione dura poco! Pian piano si formano altre amicizie, si fa tra le due parti un oblio, si finisce per perdere quasi ogni ricordo di coloro che si erano tanto amati; essi finiscono per perdere ogni ricordo di voi; è proprio una morte, ed il cuore è una terra che consuma tutti i suoi morti (L. Veuillot, Rome et Lorete, II, 13.). – Si pensi allora a Gesù Cristo, a questo divino solitario dei nostri tabernacoli. La moltitudine passa indifferente e sprezzante davanti all’unico monumento che onora una ospite divino. Talvolta la curiosità varca i gradini del tempio; essa ha sguardi per ciò che gli uomini hanno messo con le loro ricchezze e le loro arti nell’edificio; ma essa non ne ha per ciò che Dio stesso ha messo di Se stesso nei tabernacoli. Gesù Cristo può ben dire che Egli è questo morto spirituale di cui parla il Re-profeta, così assente dal pensiero che i morti che la tomba ha ricevuto e che hanno perso, con il loro posto nella città, il loro posto nei nostri cuori (id.).

ff. 14. –  È questa l’immagine viva di ciò che è avvenuto alla morte del Figlio di Dio trattato come un vaso frantumato e distrutto, come l’ultimo degli uomini, caricato da obbrobriose ingiurie, dagli oltraggi di tutti coloro che Lo circondavano, che Lo consideravano un uomo perso e senza risorse, e Lo rimproveravano che ben lungi dall’essere il Salvatore degli altri, Egli non poteva salvare neppure se stesso. – Quanti Cristiani vivono attorno a Lui nella Chiesa, e con la loro vita totalmente opposta alla sua, Gli fanno oltraggi molto più cruenti di quelli sofferti sulla croce, rimproverandogli l’umiliazione della sua vita con l’orgoglio della loro vita, il fasto e l’ostentazione della loro condotta (Duguet).

II. — 15 – 19.

ff. 15-19. –  Colui che può dire a Dio con verità:  « Voi siete il mio Dio », cioè: io amo Lui solo, è incrollabile ed invincibile contro tutti i nemici visibili ed invisibili? – Per sorte, il Profeta intende – per quanto io possa credere – la grazia per mezzo della quale noi siamo salvati. Perché chi è che chiama la grazia di Dio col nome di sorte? Perché la sorte non suppone delle scelte, ma la volontà di Dio; perché là dove si dice: questo fa, quest’altro non fa tale cosa, si considerano i meriti di ciascuno, e laddove si considerano i meriti, non c’è più sorte. Ma Dio, non avendo trovato in noi alcun merito, ci ha salvati con la sorte della sua volontà, perché Egli lo ha voluto, e non perché noi l’abbiamo meritato (S. Agost.). – Il nostro destino è nelle mani di Dio. Ciò che noi siamo e ciò che deve succederci non dipende che da Dio. Tutte le creature insieme non cambieranno la benché minima circostanza; esse non abbrevieranno di un solo giorno la nostra vita; esse non ci faranno perdere un capello della nostra testa; tutti i loro sforzi non porteranno che a far giungere al successo ciò che esse vogliono impedire. « La nostra sorte è nelle mani di Dio ». Se noi pecchiamo, noi siamo nella sua mano come i suoi nemici; se noi non pecchiamo, noi siamo nella sua mano come suoi amici. Nulla può strapparci da questa mano sovrana, onnipotente per salvarci o perdere. – La sorte della nostra eternità è nelle mani di Dio, consolazione degli umili, soggetto di inquietudine e spavento per i superbi. Noi vogliamo, noi facciamo, ma « è Dio che opera in noi il volere ed il fare ». – Doppio errore egualmente pericoloso è il credere che la nostra salvezza dipenda da noi, o che dipenda talmente da Dio che noi non abbiamo nulla da fare (Dug.). – Ciò che deve fare il colmo della nostra gioia è poter dire, come Davide: nelle vostre mani è il mio destino, non solo la mia fortuna temporale, ma la mia eternità. Quando sarà in mio potere mettere la mia sorte altrove, ove potrò io riporla più sicuramente se non tra le mani di Dio, che è nello stesso tempo buono, potente e fedele? Se essa restasse nelle mie mani, ove sarei io? Ed io così leggero, fragile come sono, su chi potrei contare, ove sarebbe la mia fiducia ed il mio appoggio? Quale pensiero più dolce è per un Cristiano considerare Dio come il guardiano ed il depositario della mia salvezza? (Bourdal. Prédestin.).

ff. 17. –  Colui che geme per essere in mezzo a cattivi Cristiani grida come il Profeta: « fate splendere la luce del vostro volto sul vostro servo »; perché si potrebbe credere che ci sia qualche confusione nella Chiesa, ove tutti, di condotta buona o cattiva, portano il nome di Cristiani; ove tutti sono marcati con lo stesso carattere, ove tutti si avvicinano allo stesso altare, ove tutti sono lavati nello stesso Battesimo, ove tutti pronunciano la stessa Orazione domenicale, ove tutti assistono alla celebrazione degli stessi misteri. Come dunque, questi che gemono, saranno distinti da coloro sui quali essi gemono, se il Signore non fa splendere sui suoi servi la luce del suo volto? Cosa vuole allora dire il Profeta? « … che si veda chiaramente che io vi appartenga »; e che il Cristiano empio non possa dire che vi appartenga ugualmente, in modo tale che io vi abbia fatto inutilmente questa preghiera in un altro salmo (Salmo XLII, 1): « giudicatemi o mio Dio, e discernete la mia causa da quella di un popolo empio » (S. Agost.).

ff. 18 –  « Che io non sia confuso, perché vi ho invocato ». Voi volete che colui che vi abbia invocato sia confuso? Volete che gli sia detto « dov’è Colui in cui tanto ha sperato »? Ma pure, chi è tra gli empi colui che non invoca Dio? Se dunque il Profeta dicesse: « Io vi ho invocato », nel modo a lui proprio, egli non oserebbe in alcun modo reclamare per questa invocazione una così grande ricompensa. Dio gli risponderebbe: cosa domandate per non essere confuso? E per quale ragione? Perché mi avete invocato? Ma tutti i giorni gli uomini non mi invocano per essere appagati da bramosie adulterine? Tutti i giorni gli uomini non mi invocano per coloro dai quali attendono l’eredità, una volta morti? Tutti i giorni gli uomini che meditano le frodi non mi invocano perché abbiano pieno successo? Cosa hai tu dunque da esigere da me così grande ricompensa per dirmi: « … che non sia confuso, perché io vi ho invocato? » Si, questi uomini vi invocano in verità, ma non siete Voi che essi invocano. Voi invocate Dio quando chiamate Dio in voi: invocarlo è chiamarlo in voi, invitarlo in qualche modo ad entrare nella casa del vostro cuore. Ora voi osereste invitare un padre di famiglia tanto considerevole, se non gli preparereste una dimora? Cosa accadrebbe in effetti se Dio vi dicesse: ecco che mi voi mi avete chiamato presso di voi, Io vengo, ma dove entrerò? Dovrò sopportare le sozzure abominevoli della vostra coscienza? Se voi invitate uno dei miei servitori nella vostra casa, non comincereste con il pulirla? Voi mi chiamate nel vostro cuore, ma esso è pieno di rapine. Il luogo ove il vostro Dio è chiamato dalle vostre invocazioni è pieno di bestemmie, pieno di adulteri, pieno di frodi, pieno di cupidigie colpevoli, e voi mi invocate! (S. Agost.).

ff. 19. –  Questo giusto è il Cristo. Molte bocche tramano contro di Lui, con orgoglio e disprezzo … il linguaggio dell’iniquità. Perché con orgoglio e disprezzo? Perché sembrava spregevole agli orgogliosi quando Egli venne sulle terra con tanta umiltà. Voi non volete che sia disprezzato da coloro che amano gli onori, Egli che ha sopportato tanti oltraggi? Voi non volete che Egli sia disprezzato da coloro che reputano questa vita un bene prezioso, Egli che ha sofferto la morte? Voi non volete che sia disprezzato da coloro che considerano come una condanna vergognosa il supplizio della croce, Egli che è stato crocifisso? Voi non volete che Egli sia disprezzato dai ricchi, Egli che ha sopportato in questo mondo una vita povera, benché fosse il Creatore del mondo? Tutte quelle cose che amano gli uomini, il Cristo non ha voluto averle, non che non fosse in suo potere il possederle, ma al fine di mostrare, non possedendole, che esse sono da disprezzare; ed anche da disprezzare da tutti coloro che amano queste cose; ed ogni servo di Gesù Cristo che voglia seguire le sue orme e camminare egli stesso nella strada dell’umiltà ove sa che ha camminato il suo Maestro è disprezzato in Gesù Cristo, come membro di Gesù Cristo … ora quando queste labbra diventeranno mute … in questo secolo? Mai! Tutti i giorni esse gridano contro i Cristiani, e soprattutto contro gli umili. Tutti i giorni esse lo bestemmiano. Tutti i giorni esse latrano, aumentano con il loro linguaggio, la sete vendicativa che le attende nell’inferno, ove esse imploreranno una goccia di acqua senza poterla ottenere. Così dunque, le labbra ingannatrici non diventeranno mute ora, ma quando dunque? Quando le loro iniquità si leveranno contro di esse e le condanneranno … ora esse ci dicono: dov’è il vostro Dio? Cosa adorate voi? Cosa vedete? Voi credete e prendete pena: la vostra pena è certa, l’oggetto della vostra speranza incerta. Quando sarà venuto ciò che noi speriamo con certezza, allora le labbra ingannatrici diverranno mute (S. Agost.).

III. — 20-22.

ff. 20, 21. –  Nell’ignoranza sono i peccatori e gli uomini del mondo delle dolcezze celesti, delle quali invece i giusti gioiscono nel fondo dell’anima. – Se essi ci dicono: dov’è l’abbondanza di questa dolcezza, noi risponderemo loro: come vi farò gustare l’abbondanza di questa dolcezza, a voi cui la febbre dell’iniquità ha distrutto il palato? Se voi non conoscete il miele, non potrete compiacervi del suo gusto gradevole, a meno di averlo gustato. Se voi non avete il palato del cuore per gustare di questi beni, cosa posso fare? Come mostrarvi ciò che voi mi chiedete? Voi non siete un uomo al quale io possa dire: « gustate e vedete come è dolce il Signore » (Sal. XXXIII, 18) (S. Agost.). – « Oh quale abbondanza di dolcezza Voi avete riservato a coloro che vi temono! Esse sono dunque per coloro che vi amano, per coloro che vi servono con tutto il loro cuore? Sono veramente ineffabili, le delizie di cui inondate coloro che vi amano, quando la loro anima vi contempla (Imit. De J.-C. III, 10). – Due sono gli stati degli uomini del bene: uno è quello della solitudine e del silenzio, ove sono penetrati con il timore filiale del Signore; l’altro è quello del combattimento e della persecuzione, dove essi mettono solo in Dio la loro fiducia. Nel primo stato Dio li colma in segreto di una grande dolcezza, e nel secondo, Egli manifesta agli occhi degli uomini la protezione che accorda loro (Berthier).

ff. 21. –  Il Profeta non ha detto: Voi li accoglierete nel vostro cielo; non ha detto: Voi li accoglierete nel Paradiso: egli non ha detto: Voi li nasconderete nel seno di Abramo … Tutto ciò che è fuori di Dio ci sembra poca cosa. Colui che ci protegge nel luogo ove passiamo questa vita, sia Egli stesso, dopo questa vita, il luogo della nostra dimora … Noi saremo dunque nascosti nel volto di Dio. Ma aspettate che vi segnali quale segreto profondo si trovi in questo volto divino. Purificate il vostro cuore, affinché Dio vi rischiari, e Colui che invocate entri in voi. Siate sua casa, ed Egli sarà vostra casa; che abiti in voi, e voi abiterete in Lui. Se durante questa vita voi Lo riceverete nel vostro cuore, dopo questa vita, Egli vi riceverà nel suo volto (S. Agost.).- « Voi li proteggerete nella vostra tenda contro le contraddizioni delle lingue ». Un giorni Voi li nasconderete nel segreto del vostro volto, per salvarli dagli sconvolgimenti che vengono dagli uomini, affinché essi siano oramai completamente al riparo delle afflizioni umane; ma nell’attesa, mentre sono nel loro viaggio in questo mondo e, come coloro che vi servono, devono soffrire numerose contraddizioni, cosa farete per loro? « Voi li proteggerete nella vostra tenda ». Qual è questa tenda? La Chiesa di questo mondo è chiamata con il nome di tenda, perché essa viaggia ancora su questa terra (S. Agost.). – Per le anime privilegiate che Dio chiama alla vita religiosa, questo tabernacolo, questa tenda, sono questi ritiri solitari, tanto lontani dalle voce del secolo e separate da ogni commercio col mondo, in cui queste anime sante, nascoste nel segreto del volto di Dio, sono al coperto dalle turbe e dalla corruzione del mondo, vivendo nel silenzio, nella meditazione delle verità eterne, ed imitano lo stato dei Santi in cielo. – Se il volto di Dio è un rifugio tanto sicuro in questa vita, in cui « noi lo vediamo come in uno specchio e in enigma », che sarà quando vedremo Dio faccia a faccia? (S. Agost.).

ff. 22, 23. –  Dio fa cadere la sua misericordia suo suoi servi, ponendoli in luoghi talmente sicuri che non hanno da temere gli attacchi dei loro nemici. – Ci si metta in guardia contro un eccessivo timore, contro un sentimento di scoraggiamento che spesso si fa strada anche nelle anime più solidamente virtuose, quando, vedendosi come oppressi dalla violenza delle tentazioni e delle prove, in pericolo di soccombere, esse credono e dicono, nel trasporto del loro spirito, di essere rigettate lontano dagli occhi di Dio. – Si ricorre allora a Dio con una preghiera più fervente.

ff. 24. –  « Santi del Signore, amatelo tutti »; cioè amate il Signore, voi che non amate il mondo, « voi tutti che siete i suoi santi »; perché è forse a colui che ama ancora i piaceri del teatro, che io dico di amare Dio? È a colui che ama ancora gli eccessi della tavola, o a colui che ama ancora le pompe del secolo, le sue vanità e le sue follie menzognere, che io dico di amare Dio? A questi io dico: imparate a non più amare, per imparare ad amare; distoglietevi dal male per ritornare al bene; svuotatevi per essere riempiti (S. Agost.). – « Perché il Signore cercherà la verità ». Egli saprà ben discernere tra le proteste d’amore, che sono solo sulle nostre labbra, ed il vero amore che lo preferisce a tutto, cercando unicamente la sua gloria. Il Signore, che cerca la verità, punirà necessariamente i superbi secondo la grandezza del loro orgoglio. Ma, voi direte, quando li punirà? Quando Egli vorrà! Siate certi che Dio li punirà; non dubitate del castigo, ma non abbiate l’audacia di dare consigli a Dio sull’ora della sua giustizia. Alcuni saranno puniti quaggiù, noi l’abbiamo visto ed imparato … anche se in effetti non appare così allo sguardo di taluni, e la sua divina provvidenza sembrerebbe in qualche modo che non vegli sul mondo; se Egli agisse così con tutti, la sua divina pazienza sembrerebbe essere esausta … « Santi del Signore, amatelo tutti, perché Egli ricercherà la verità, e punirà i superbi secondo la grandezza del loro orgoglio ». Oh! Se li punisse subito, … io li vorrei vedere ora umiliati ed abbattuti. Ascoltate ciò che segue: « agite con coraggio ». Badate, nelle tribolazioni, di lasciar cadere le vostre mani stanche, che le vostre ginocchia non vacillino; che il vostro cuore si rinsaldi per sopportare tutte le miserie di questo mondo. Ma chi sono coloro ai quali il Profeta ha detto: « agite con coraggio e che il vostro cuore sia saldo »? A coloro che amano il mondo? No! « … voi tutti, egli dice, che ponete la vostra speranza nel Signore ». (S. Agost.).

IL CUORE DI GESÙ (22): Il Sacro Cuore di Gesù e i peccatori.

(A. Carmignola: IL SACRO CUORE DI GESÙ, S. E. I. Torino, 1920)

DISCORSO XXII

Il Sacro Cuore di Gesù e i peccatori.

Iddio, o miei cari, è veramente infinito, epperò ammirabile in tutte le sue perfezioni. Se io getto lo sguardo nell’universo e contemplo il sole, la luna, le stelle, i monti, i mari, i fiumi, le piante, le erbe, i fiori, gli animali, gli uccelli, i pesci, e tutte le altre meraviglie, che egli ha creato con un semplice fiat, e rifletto che con un solo atto di volontà potrebbe creare mille altri mondi più belli e più meravigliosi di quello che esiste, fuori di me per lo stupore io esclamo: Mio Dio, quanto sei potente! Se poi considero l’ordine ammirabile che nella molteplicità infinita degli esseri regna mai sempre, sicché gli astri del firmamento nel loro aggirarsi intorno ad altri astri non escono mai dalla loro orbita, la terra compie sempre nello stesso tempo il suo giro, il mare rimane sempre racchiuso tra i suoi confini, gli animali e le piante si riproducono sempre secondo la medesima legge ed ogni cosa risponde al fine per cui fu creata, allora non mi contengo dal dire: Mio Dio, quanto sei sapiente! E se poi io rammento i terribili castighi con cui il Signore lungo il corso dei secoli ha punito le iniquità degli uomini, ora col diluvio, ora col fuoco mandato dal cielo, ora con le pestilenze, ora col terremoto, ora colla guerra, ora con altre calamità, allora santamente atterrito io grido: Signore, quanto è tremenda la tua giustizia! Sì, Iddio è veramente infinito, in queste e in tutte le altre perfezioni. – Ma sebbene Iddio sia infinito, epperò ammirabile in tutte quante le sue perfezioni, una ve n’ha tuttavia, che la Chiesa c’invita ad ammirare di preferenza, ed è la misericordia. Questa, dice la Chiesa, è propria in modo particolarissimo di Dio: Deus cui proprium est misereri semper et parcere. Anzi con questa, ella soggiunge, iddio fa manifesta quella tra lo sue perfezioni, che sembra colpire maggiormente i nostri sensi, vale a dire la sua infinita potenza; Deus qui omnipotentiam tuam miserando maxime manifestas. E così dicendo, la Chiesa va pienamente d’accordo col Santo Re Davide, il quale dopo di aver passati in rassegna i più grandi attributi di Dio finisce per esaltare più d’ogni altro la sua misericordia, proclamando che le sue miserazioni sono al di sopra di tutte le sue opere: Miserationes eius super omnia opera eius. (Ps. CXLIV, 9)

– Io non so, o miei cari, se si possa fare una considerazione più bella, più dolce, più consolante di quella della divina misericordia verso i poveri peccatori. Ma come non farla parlando del Cuore Sacratissimo di Gesù, che della misericordia di Dio verso i poveri peccatori è la manifestazione più splendida? Sì, esclama la Chiesa nel giorno sacro al Cuore di Gesù, valendosi delle parole del Santo Zaccaria: « Iddio ci ha visitati per le viscere della sua misericordia, » vale a dire per quel Cuore dato ai miseri, dal quale uscì fuori quella gran parola esprimente la sua speciale missione: Non veni vocare iustos, sed peccatores; (MATT. IX, 13) non son venuto a chiamare i giusti, ma bensì i peccatori. Gettando adunque anche oggi lo sguardo sopra le fiamme del Cuore di Gesù, che son pur fiamme di carità compassionevole, considereremo la sua misericordia divina verso i poveri peccatori.

I. — Ed anzi tutto la misericordia di Gesù Cristo verso dei poveri peccatori si manifesta nel sopportarli con pazienza infinita. E qui, o miei cari, per ben intendere questa verità, bisognerebbe poter prima intendere che cosa è il peccato e chi è quel Gesù Cristo, contro di cui il peccato è commesso. Ma noi colla debolezza della nostra intelligenza non arriveremo mai ad intendere né l’una cosa, né l’altra. Il santo Re Davide ben a ragione ha potuto fare agli uomini questa sfida: Delicta quis intelligit? ( XVIII, 13) Chi arriverà a comprendere la malizia che si racchiude in un grave peccato? Ed il Savio nel libro dei Proverbi ha detto pur bene: Qui scrutator est maiestatis opprimetur a gloria, (XXV, 27) Colui che si fa a scrutare la maestà di Dio rimarrà sotto il peso della sua gloria. Il peccato, ha detto S. Tommaso colla maggior energia che gli fu possibile, è un villano voltar di spalle aDio per darsi in braccio alle misere creature : Aversio a Deo et conversio ad creaturas. – Col peccato l’uomo, che non è altro che un pugno di fango,si ribella contro di Gesù Cristo, che è per l’appunto

il suo Dio, e gli dice col fatto: E chi sei tu che io abbia a seguir la tua legge, a praticare i tuoi precetti, a servirti nei tuoi voleri? Non serviam: non ti voglio servire. Tu micomandi di credere alla tua dottrina, ed io non vi voglio credere. Tu mi comandi di rispettare il tuo nome, ed io lo voglio disprezzare. Tu mi comandi di onorarti nei giorni festivi, ed io non ne voglio sapere. Tu mi vieti di far la vendetta, ed io voglio vendicarmi.T u mi proibisci di soddisfare le brame della mia carne, ed io le voglio soddisfare. Tu insomma mi vuoi fare da padrone,ma io non voglio farti da servo: non serviam, non serviam! Ma chi è Gesù Cristo Dio, contro di cui il peccatore insolentisce per siffatto modo? È il sovrano Creatore di tutto il mondo; e il Signore di maestà infinita, dinnanzi a cui si prostrano riverenti tutti gli Angeli del cielo, è quel Dio, che se col dito tocca i monti questi fumano, che se il capo accenna, trema l’universo. E questo Dio così potente non schiaccia subito il misero vermiciattolodella terra, che si leva ardito contro di lui ad insultarlo? non lo fulmina? non lo incenerisce? No, ma ordinariamente con ammirabile pazienza lo sopporta e ne soffre l’offesa. Così appunto si diportò sempre verso dei peccatori durante la sua vita mortale. I protervi giudei, non ostante che Gesù Cristo si fosse loro manifestato Dio in tanti miracoli operati alla loro presenza, lo ingiuriarono in mille guise: lo chiamarono indemoniato, impostore, mangione, bevone, sovvertitore di popoli; attentarono alla sua vita, e pensarono persino a gettarlo giù da un monte; infine gli misero le mani addosso, lo legarono come vil malfattore, lo trascinarono davanti ai loro tribunali, lo gridarono reo di morte e lo fecero condannare; e quando l’ebbero confitto sulla croce si fecero ancora ad insultarlo nel modo più atroce; eppure a tutte queste offese, egli che essendo Dio avrebbe potuto stritolare inun attimo i suoi offensori, pazientò sempre sino all’ultimo suo respiro.E la condotta così longanime che tenne durante la sua vita mortale non fu che un saggio di quella condotta, che avrebbe continuato a tenere per tutto il corso dei secoli. Oh bontà! Oh misericordia infinita! E perché mai egli sopporta il peccatore con tanta pazienza! Ah! cosa incredibile a dirsi, egli è perché lo ama. Mirate quella madre che stringe tra le sue braccia il suo bambino. Quel cattivo preso da mal talento insensatamente si adira contro di lei, si dibatte, e colle mani percuote e graffia il seno che lo allatta. Che tornerebbe più facile alla madre per vendicarsi di quell’affronto, che aprire le sue braccia e lasciar cader a terra il suo bambino? Ma lo fa essa? Ah! tutt’altro. Benché essa nell’animo suo soffra della collera del suo figlioletto e la detesti, essendo ella in diritto di non riceverne che baci e carezze, tuttavia lo tiene ancor serrato al seno perché  lo ama. E così fa Gesù Cristo. Egli odia, detesta il peccato; non vi ha nulla che odi e detesti maggiormente; ma il povero peccatore continua ad amarlo. E amandolo si fa persino a difenderlo. È ciò che diceva S. Agostino: Ego te offendebam et tu me defendebas: Signore, io insensato ti offendeva in milleguise, e tu pieno di misericordia ti facevi ancora a prenderele mie difese. Ed invero allorquando il peccatore si rivoltacol peccato contro di Gesù Cristo, tutte le creature come inorriditein certa guisa si presentano dinnanzi a lui come peressere armate da lui che è Dio ad ultionem inimicorum suorum,alla vendetta dell’oltraggio ricevuto. E la terra par che dica:Signore, lo vuoi? ed io son pronta a spalancare i miei abissi ed

inghiottire nel più profondo di essi l’insensato che ti ha offeso. – Il mare par che dica! Signore, lo vuoi? ed io son pronto a gettar fuori da’ miei confini le mie onde gigantesche e raggiungere lo sciagurato e travolgerlo in fondo ai miei gorghi, E il vento par che dica: Signore, lo vuoi? ed io son pronto a lanciarmi contro dell’infelice e ravvolgerlo nelle le mie spire e lanciarlo contro di un masso per farlo in pezzi. E il fuoco par che dica: Signore, lo vuoi? ed io son pronto a piovere dal cielo sopra il miserabile ed investirlo coi vortici dello mie fiamme e ridurlo in minutissima cenere. E gli Angeli par che dicano: Signore, lo vuoi? e noi siamo pronti ad impugnare le spade della tua giustizia, avventarci contro l’ingrato e trapassarlo da banda a banda. E Gesù Cristo?… Ah! mi vien per la mente Davide. Questo re poiché l’empio suo figlio Assalonne si era ribellato contro di lui, fu costretto di mandargli contro il suo esercito. Ma in sì dura necessità Davide non si dimenticò che era padre. Epperò mentre i suoi capitani schizzando sdegno anelavano il momento di vendicare l’oltraggiato genitore, egli piantatosi ritto sulla porta di Mahanaim, per dove a schiere di cento e di mille uomini uscivano i suoi soldati, con voce alta sicché anche questi intendessero, ai capitani Gioabbo, Abisai, Ethai andava dicendo: Sì, marciate pure contro le schiere nemiche, combattetele, distruggetele… ma per carità, deh! salvate, salvate la vita al mio figlio Assalonne: servate, servate mihi puerum Absalom(2 Reg. XVIII, 5) Così o miei cari, quando le creature quasi presentandosi a Gesù Cristo sembrano offrirsi ministre di vendetta contro l’insensato ed empio peccatore, Gesù col Cuore infiammato di amore e pieno di compassione per lui, con la sua volontà deliberata di non punirlo, viene a dir loro le stesse parole di Davide: No, non fate…, lasciatelo ancora in vita, risparmiatelo… giorno verrà, in cui la mia grazia lo toccherà… il suo cuore si ammollirà… egli conoscerà il suo delitto, e piangendolo amaramente farà di nuovo a me ritorno: servate, servate mihi puerum…, servate, servate mihi! Oh bontà, oh pazienza ineffabile! Ohmisericordia infinita! Ben aveva ragione il reale salmista diinvitarci a confessarla e benedirla: Confitemini Domino, quoniam bonus, quoniam in æternum misericordia eius. (Ps. CXXXV).

II. — Ma se la misericordia di Gesù Cristo ci appare già così grande nel sopportare con pazienza il povero peccatore, ci apparirà anche maggiore nel ricercarlo e chiamarlo che egli fa colla più viva sollecitudine alla penitenza. Ed in vero, dite, o miei cari: Se io conoscendo avere alcun di voi ricevuta una gravissima offesa da un suo fiero nemico, gli dicessi: Mio caro è certamente enorme l’oltraggio che hai ricevuto da quel temerario, ma pur tuttavia tu lo devi perdonare, né solo lo devi perdonare, ma gli devi andare incontro colle braccia aperte per stringerlo con affetto al tuo seno, e siccome egli fuggirà tu gli devi correre dietro e chiamarlo con la più forte insistenza, fino a che con le tenero tue voci abbia domato il suo cuore di pietra, e con la tua suprema generosità lo abbia indotto a gettarsi pentito al tuo seno; non è egli vero che assai facilmente mi sentirei a rispondere: Come? Che io corra dietro al mio nemico con le braccia aperte? Che io lo chiami con la maggior tenerezza possibile mentre egli ancora mi fugge e mi abborre? Ah! che io lo perdoni… passi; ma che io faccia tutto il di più che voi m’imponete… sarebbe troppo! Or bene è questo troppo appunto che Gesù Cristo nella sua infinita misericordia ha fatto e continua sempre a fare verso il povero peccatore. Mentre esso non si dà alcun pensiero della lontananza da Dio, in cui si è posto a cagione della colpa, mentre forse aggiungendo peccato a peccato se ne allontana sempre di più, Gesù Cristo è Egli stesso che con la più viva sollecitudine muove in cerca di lui, che lo rincorre, che lo chiama con tenerezza divina, che in mille guise lo sprona a far ritorno al suo Cuore. E di ciò non possiamo avere il minimo dubbio, giacché ce lo ha fatto conoscere lo stesso divin Redentore con le sue belle parabole. Un pastore, diceva Egli, menò al pascolo cento pecore. Stando per ricondurle a casa si accorge di averne solo novantanove. A quella vista è grandemente turbato, e non reggendogli il cuore di rimanersi con una pecora di meno, lascia le altre novantanove sul loro cammino; e andato per valli e per monti non si dà posa finché non abbia ritrovata la pecorella smarrita. Riavutala il suo cuore s’inonda di gioia, e senza punto percuoterla, anzi risparmiandole la fatica del viaggio, se la carica sopra le spalle, e la porta all’ovile. E giunto a casa chiama gli amici e i vicini, e dice loro: « Misero me! avevo smarrita una pecorella: ma ora rallegratevi meco, perché l’ho ritrovata. » E terminata questa bella parabola il divin Redentore interrogava così i suoi uditori: «Chi di voi, avendo perduta una pecorella non farebbe altrettanto.» Quasiché volesse dire: Se così fareste voi medesimi per nient’altro che per una pecora, come dunque non andrò Io in cerca di anime infelici, che, smarrita la via del Cielo, corrono invece per la via di perdizione, in procinto di essere da un momento all’altro divorate dal lupo infernale? Quindi a ribattere anche meglio questa verità, continuava: « Qual è quella donna, la quale avendo dieci dramme, perdutane una, non accenda la lucerna, e non iscopi la casa e non cerchi diligentemente, fino a che l’abbia trovata? E trovatala non chiami le auliche e le vicine, dicendo: Rallegratevi meco, perché ho ritrovata la dramma perduta? » Ma una tal verità più ancora che con le parole ce l’ha appresa coi fatti. Un giorno insieme co’ suoi Apostoli si recava dalla Giudea nella Galilea, passando per le terre dei Samaritani. Egli, che nulla faceva a caso, ma ogni sua operazione dirigeva a nobilissimo fine, studiava il passo, e pareva, che assai gli premesse di portarsi avanti come se ad un’ora determinata avesse un appuntamento con qualche persona. Dopo un cammino a piedi per parecchie ore, egli sul meriggio giunse presso la città di Sichem, e ivi siccome a termine del suo faticoso viaggio, si pose a sedere sopra la sponda di un pozzo. Gli occhi suoi parevano brillare di un’insolita gioia, ed un più vivido raggio di celestiale bontà traspariva dalla sua faccia divina. A che pensa dunque, a che mira Gesù? Egli pensa e mira all’acquisto di un’anima in preda al peccato; Egli sta colà aspettando una misera donna che, quale smarrita pecora, va errando lungi da Dio ed è caduta nello zanne dei lupi. Egli sa che tra poco ella deve arrivare colà ad attingere acqua, ed il buon Pastore ansioso l’attende per ricondurla all’ovile. – La misera donna arriva di fatto, si accosta al pozzo ed allo sconosciuto non ilice parola. Ma se ella non pensa a Gesù, Gesù, che la conosce, si prende ben cura di lei. Laonde riempitache ebbe la secchia, e mentre già sta per andarsene, Gesù pel primo le volge il discorso, e le domanda da bere, non già perché abbia sete di acqua, ma perché ha sete dell’anima sua; e con la più ammirabile pazienza, con le parole più amorevoli egli ricerca e richiama a sé quell’anima traviata, la fa pentire de’ suoi peccati, la converte e la salva. Or bene, quello che Gesù fece colla Samaritana, è presso a poco quello che fa con qualsiasi povero peccatore. Sono davvero ineffàbili le industrie con cui egli ne va in cerca, sono inesprimibili le voci tenerissime con cui a sé lo chiama. Volete farvi una più bella idea di questa consolantissima verità? Lasciate che qui vi ricordi quello che si legge di S. Giovanni, l’Apostolo della carità. Racconta Eusebio nella sua Storia Ecclesiastica, che mentre il santo Apostolo andava per l’Asia Minore fondando nuove chiese, venne ad imbattersi in un giovane di bell’indole e di spiriti vivaci, e riputandolo abile a far progressi nella cristiana perfezione, lo raccomandò caldamente e con grandi espressioni al vescovo della città, acciocché prendesse di lui tutta la cura. Il prelato, in esecuzione dei suoi ordini, lo prese nella sua casa, lo battezzò, lo istruì, lo educò col latte della pietà e della divozione. Sicché parendogli che fosse ornai venuto un devoto e perfetto Cristiano, cominciò a rallentare un certo rigore di domestica disciplina. Ma oh Dio! Quanto è debole la virtù nei giovani! Sentendosi quegli quasi gettata la briglia sul collo, a guisa di un puledro sfrenato, comincio a camminare dissolutamente per la strada del vizio, e passando da un peccato all’altro, da un eccesso minore ad un altro maggiore, arrivò a commettere ladronecci, assassinamenti e scelleratezze esecrande. Che più? Giunse fino a farsi capo d’una squadra di ladroni, ed occupato un monte vicino alla città, si diede ad insidiare alla vita ed alla roba dei passeggieri. Ecco i precipizi in cui si arriva a cadere quando dall’alto della perfezione si comincia a dare indietro. Intanto essendo ritornato il diletto Apostolo in quella città per affari ecclesiastici, domandò conto al Vescovo del giovane, commesso alla sua cura. Quegli, tratto un profondo sospiro dal cuore: È morto, disse. E di che morte, ripigliò S. Giovanni, temporale o spirituale? Di morte spirituale, soggiunse il Vescovo, e irreparabile; perché lo sventurato fattosi capo bandito, se ne va ramingo per le pendici del vicino monte. In udir questo l’Apostolo si stracciò per dolore la vestimenta; e poi: Presto, disse, mi si trovi un cavallo, ed una guida; e salito su quello si diede con gran fretta a cercare la pecorella smarrita. Appena però si avvicinò alle radici del monte, che subito fu fermato dalle guardie e messo in arresto. E questo appunto io bramava, disse a quei micidiali il santo, di cadere nello vostre mani: presto, conducetemi qui il vostro capo, perché o esso dovrà essere mia preda, o io la sua. Ma già da se stesso se ne veniva il giovane infelice coll’armi in mano, tutto accigliato nella fronte e pieno di mal talento nel cuore. Quando mirando da lungi il santo Apostolo, lo riconobbe, vergognandosi di se stesso, voltò le spalle e si diede alla fuga. Allora il santo, spronato il cavallo, si diede a seguirlo a briglia sciolta per quelle balze, e dimentico affatto del suo carattere e della sua età cadente, cominciò a gridare ad alta voce: Ferma, tiglio, ferina! E da chi fuggi? Da tuo padre? E di chi temi? È forse d’un vecchio imbelle, che altre armi non ha con cui ferirti, che quelle del suo amore? Ferma, figlio, non temere, non dubitare, che c’è speranza ancora di salute per te; ferma, l’erma! Da questi strali di amore, vibrati da quel tenerissimo cuore, rimase altamente ferito il misero giovane. Si fermò, si voltò, e fissando a terra gli occhi, vergognossi, gettò via le armi che aveva in dosso, si spogliò immantinente della fierezza che aveva nel cuore, e corse precipitoso a gettarsi ai piedi del santo vecchio. Quivi incominciò con sospiri, con gemiti e con un profluvio di lagrime a mostrargli il suo grande dolore. Solo però manifestandogli il suo pentimento, nascondeva nel seno la destra, rea di tanti morti e di tanto sangue innocente, che aveva sparso, in vederlo così contrito, il santo Apostolo precipitò da cavallo, si prostrò davanti al sanguinario, gli gettò le braccia al collo, e mescolando lagrime con lagrime, gemiti con gemiti, pianto con pianto: Non temere, gli diceva, figlio mio, che io con solenne giuramento ti prometto d’impetrarti da Gesù il perdono delle tue colpe. E finalmente cavatagli dal seno la mano rea di tanto sangue, per eccesso di tenera pietà si pose a baciargliela replicatamente. Ricondottolo poscia alla chiesa non solo lo ripose sul sentiero della virtù cristiane, ma lo condusse a tanta perfezione, che poscia poté e volle crearlo Vescovo di quella città. – Ebbene, dove mai S. Giovanni aveva imparato a richiamare per siffatto modo i peccatori? Dove? Alla scuola di Gesù, posando il capo sopra il suo Cuore Sacratissimo nell’ultima cena. Se tale pertanto fu la sollecitudine del discepolo, quale non sarà mai quella del Maestro? Se con tanta insistenza e tenerezza S. Giovanni ha rincorso e chiamato il peccatore al pentimento, chi potrà dire con quale insistenza e tenerezza lo rincorra e lo chiami Gesù Cristo? Oh sì! egli lo rincorre e lo chiama con quelle sante inspirazioni, con quel buon libro che come per caso gli fa cadere sott’occhio, con quella predica che gli fa ascoltare, con quella parola che forse è uscita involontaria dal labbro del predicatore e che egli ha forse anche creduto guastare il suo discorso. Egli lo rincorre e lo chiama colle preghiere di una madre, coi gemiti di una sposa, Coi dolci lamenti di una sorella, cogli sguardi di un innocente fanciullo, colle esortazioni di un amico sincero. Egli lo rincorre e lo chiama colla voce della Chiesa, che in certi tempi si fa più grave e supplichevole, ripetendo ad ogni istante: « Ecco il tempo propizio, ecco i giorni di salute; eh! l’empio abbandoni le sue vie e l’uomo ingiusto rinunzi a’ suoi malvagi pensamenti. » Lo rincorre e lo chiama coi ricordi cristiani di una santa fanciullezza, coi crudi rimorsi, con le improvvise tristezze, con gli amari disinganni, con le vive agitazioni, con le insoffribili smanie che l’assalgono in mezzo all’ebbrezza medesima dei godimenti. Lo rincorre e lo chiama. Sì, quando non basta ancora la voce dell’amore, egli chiama con la voce tonante del castigo, che alla fin fine non è altro che l’ultimo spediente della sua inesauribile bontà. Rammenti,o Cristiano, quei rovesci di fortuna? quelle calunnie? quei tradimenti? quella malattia? Rammenti quei feretri, che involavano i tuoi amori fulminati dalla morte? Tu credevi che fosse la giustizia di Dio, ed era invece la misericordia del Cuore di Gesù, che menava l’ultimo colpo al tuo induramento, era la sua voce tutta piena di tenerezza e di compassione per te, che ti diceva nel modo più efficace: Convertere, convertere ad Dominum Deum tuum: convertiti, convertiti al Signore Iddio tuo. Oh bontà! oh misericordia infinita del Cuore di Gesù verso del povero peccatore! E quasi ciò non bastasse ancora, la misericordia di Gesù Cristo, come dice S. Catterina da Siena, perseguita con le sue chiamate il peccatore fino al momento supremo dell’agonia, in cui sospeso tra la vita e la morte non sembra più appartenere alla terra. Allora, un’ultima volta, in un mistero di bontà inesplicabile, il Cuore di Gesù, Creatore e Redentore delle anime si affaccia e gli dice: Figlio, vuoi essere mio? Ahimè! vi hanno di coloro che rispondono di no! Ma quanti vi saranno che a questa prova estrema di amore risponderanno di sì, e sfuggiranno per tal guisa all’eterna dannazione! Confessiamo, confessiamo chela misericordia di Gesù Cristo è infinita: Confitemini Domino, quoniam bonus, quoniam in aeternum misericordia eius.

III. — Ma infine dove spicca maggiormente la misericordia di Gesù Cristo verso i poveri peccatori si è nell’accoglierli con bontà e con gioia al tutto paterna, quando a lui ritornano sinceramente pentiti. E anche qui non potremmo intendere meglio questa dolcissima verità che dalla bocca stessa del divin Redentore in quella parabola sempre antica e sempre nuova, sempre sublime e sempre commovente, la parabola del figliuol prodigo. « È un padre, che ha due figli. Il minore si presenta a lui e gli dice: Padre, dammi la mia parte di eredità che mi spetta, che io sono stanco di stare in casa tua: me ne voglio andare lontano. – Ma, figlio, perché queste parole? t’ha fatto qualche cosa tuo padre da trattarlo così? – Tant’è, dammi la parte di eredità che mi spetta: torno a dirti che me ne voglio andare. E il buon padre eccolo a dividere le sue sostanze e dare a quel figlio la sua porzione. E lui, lo sciagurato, voltare villanamente le spalle a suo padre e andarsene in lontano paese, e là, cogli amici, nei bagordi e nelle scostumatezze dissipare tutta la sua sostanza. Sicché ben presto si trova nella miseria e sente lo stimolo della fame, tanto più che in quel paese è sopravvenuta la carestia. E come fare adesso per campare la vita? Gli amici, così numerosi nel tempo del godere, ora tutti l’hannoabbandonato. Come fare adunque? È costretto a porsi da servitore presso un duro padrone, che lo manda al pascolo di animali immondi, e per paga non gli dà che un tozzo di pan nero, sicché si trova al punto d’invidiare le ghiande a quei sozzi animali che pascola. Povero figlio, a che stato è mai ridotto! Ma in quello stato egli ritorna col pensiero a casa di suo padre. Seduto forse sotto di una quercia, appoggiata la testa al suo bastone egli pensa e ripensa: Oh quanti, non più che servi in casa di mio padre, abbondano di pane, ed io qui… qui mi muoio di fame. Ma dunque vorrò durarla a lungo una vita così infelice? E che fare? Tornare da mio padre? E perché no? Mio padre è buono, oh lo conosco bene il suo cuore: mi getterò ai suoi piedi, li bagnerò di lagrime, gli dirò: Padre, perdono! ho peccato contro il cielo e contro di te, non son più degno di essere chiamato tuo figlio: abbimi per l’ultimo dei tuoi servitori. E mio padre… mio padre mi perdonerà. Surgam Surgam et ibo ad patrem meum. E sorge; pianta là quel branco di animali, si getta attraverso il bosco, guadagna la strada maestra, cammina, cammina, corre… Ma il padre, oh padre amoroso! da quel dì che suo figlio s’era allontanato da lui, non aveva avuto più pace. Tutti i giorni si portava sul terrazzo del suo castello, e di là spingeva lo sguardo per tutte le vie, che vi mettevano capo, per vedere se caso mai… Ma quel giorno, dopo aver alquanto guardato, vide là in fondo ad una via una persona che si avanzava…’Man mano che si avvicinava,nell’andatura, nel movimento gli pareva… ma intanto che si ingannasse come le altre volte? No; gli pareva proprio lui: il cuore glielo diceva: batteva così forte! Ma pure… cominciava a vederlo tutto lacero, pezzente… Ah non era così mio figlio quando è partito… Eppure, sì, sì, è lui: lo riconosco già ai lineamenti. E qui il povero padre, dimentico della sua età correre giù frettoloso le scale, uscire di casa, andargli incontro. Ah! il figlio non ha quasi tempo a gettarseli ai piedi per dirgli piangendo: Padre, perdono: ho peccato contro il cielo e contro di te; non son più degno d’essere chiamato tuo tiglio; cheil Padre gettatosi al suo collo, pieno della più grande compassione lo bacia. Poscia gridando ai servi: Presto, dice, portate la più bella veste, e indossategliela: mettetegli l’anello in dito e i calzari ai piedi: ammazzate il vitello più grasso, invitate i parenti, gli amici, le musiche, mangiamo e stiamo allegri, perché questo mio figliuolo era morto ed è resuscitato, l’aveva perduto e l’ho ritrovato. E si cominciò a banchettare. E intanto il figliuolo maggiore tornando dalla campagna e sentendo tutta quella allegria interroga uno dei servi: Che cos’è questa festa? – Come, non sai? È tornato tuo fratello. – Quello scioperato? – E non voleva saperne di entrare nella sala del convito. Ma il padre avvisato esce fuori e si fa a pregarlo. Ed egli: Ma, padre, io vi sono sempre stato ubbidiente da tanti anni, e voi non mi avete mai dato un sol capretto da banchettare co’ miei amici, ed ora cheè tornato quello sciagurato di mio fratello fate sì gran festa? Figlio mio, non dire così: tu sei sempre con me, e tutte le cose mie sono anche tue; ma quel tuo fratello era morto ed ora è risuscitato, l’aveva perduto ed ora l’ho ritrovato. Vieni, vieni dunque anche tu a rallegrarti con noi. » – Così, o miei cari, così Gesù benedetto descriveva Egli medesimo la festosa accoglienza che Iddio fa al peccatore convertito. Così comprovava la verità di quella sentenza da Lui pronunziata poco più innanzi nel Santo Vangelo: Sì, io vi dico che si fa maggior festa in cielo per un peccatore che si pente, che non per novantanove giusti, che non, abbisognano di penitenza. Oh certamente! Gesù Cristo è buono ed infinita è la sua misericordia: Confitemiiti Domino, quoniam bonus, quoniam in æternum misericordia eius. Senza dubbio Gesù Cristo non poteva darci un’idea più viva della bontà e della gioia con cui accoglie al suo Cuore un peccatore che sinceramente pentito faccia a Lui ritorno. Tuttavia per farci sempre maggiore animo, alle parole volle aggiungere, i fatti. Ne abbiamo, anche qui, una prova nel Vangelo istesso riguardo ad un’altra donna, non meno peccatrice della Samaritana, anzi così peccatrice, che con tal nome era comunemente designata, e il Vangelo stesso la disse posseduta da sette demoni, cioè rea di ogni peccato. Orbene Gesù predicava un giorno nella Galilea, quando Maddalena, tratta dalla gran fama del nuovo Profeta, si decise di andarlo a udire. Oh fortunata decisione! Oh felicissimo pensiero! Alle parole che da quel labbro divino uscivano così efficaci sulla vanità degli onori terreni e dei piaceri del senso, al discorso così eloquente sulle ricchezze della bontà e misericordia di Dio, e soprattutto a quel dolcissimo invito: Venite a me tutti, o peccatori e peccatrici, che siete oppressi sotto il peso delle vostre colpe, ed io vi darò a gustare quella pace, che indarno cercate nelle vanità e nei piaceri del mondo; a questi insomma e ad altri simili detti la peccatrice famosa sentissi tocca nel profondo del cuore. Ella concepisce tosto un sì vivo dolore de’ suoi peccati, che non potendo più rattenersi comincia a versare dagli occhi come un torrente di lagrime. Si porta quindi subitamente a casa, getta via gli ornamenti di lusso, si scompiglia i capelli e dato mano ad un vaso di alabastro pieno d’unguento prezioso va di nuovo in cerca di Gesù. E saputolo nella città di Naim a pranzo in casa di Simon fariseo, in compagnia di ragguardevoli personaggi, ella, senza umani rispetti, si porta colà. Ed entra nella sala del convitto, si getta ai piedi di Gesù, glieli bagna con le lagrime del dolore, glieli asciuga con i suoi lunghi capelli, glieli profuma col suo prezioso liquore, glieli bacia con ardentissimo affetto. E Gesù! Gesù tollera che una donna così peccatrice e scandalosa lo tratti con una confidenza siffatta, quale appena si potrebbe permettere ad un’anima stata sempre innocente? E non le rinfaccia i suoi molti peccati? e non la manda prima a riparare gli scandali? non le impone di scostarsi da Lui? e non le impedisce di toccarlo? Così pensa nell’animo suo il Fariseo, perché tutto ciò non gli par prova che Gesù sia un gran profeta. Ma non così la pensa Gesù, che pieno di gioia indicibile nel vedere pentita ai suoi piedi quella povera Maddalena non solo ve la lascia e la rimira con occhio benigno, ma tosto la difende contro del Fariseo superbo, che di lei mormorava, la dimostra già migliore di lui, perché piena di contrizione e d’amore; quindi le dice la gran parola di perdono: Remittuntur tibi peccata. Fides tua te salvam fecit, vade in pace. (Luc. VII, 48, 50) Ti sono rimessi i peccati.La fede che opera mediante la carità, ti ha fatta salva; vannein pace. Né qui ebbe fine la bontà di Gesù con la penitenteMaddalena. Egli, in seguito ancora, trattolla come se nonavesse peccato giammai; l’ebbe ognora carissima, come sefosse sempre vissuta quale un’anima innocente. Gradì i servigidi lei, le permise che lo seguitasse con altre pie donne, eprovvedesse ai bisogni del Collegio apostolico. E morto Lazzarosi recò in Betania per consolarla, anzi ai prieghi, allelacrime sue, operò il più strepitoso miracolo, richiamandolea vita il fratello da quattro giorni morto e sepolto; dopo lasua Risurrezione gloriosa a lei apparve in modo tutto particolare,e prima ancora che agli stessi Apostoli. Ora un amoresì grande verso un’anima un dì rea di tanti peccati, non èforse una prova la più evidente della bontà sommamente paterna,con cui accoglie a sé i peccatori pentiti?Che altro dunque ci vuole, o sventurati e carissimi peccatori,per animarvi a ritornare tra le braccia di Dio? Ah!Se il Cuore di Gesù vi ha oggi chiamati ad ascoltar la suasanta parola, deh! non tardate più un istante a rifugiarvi in

lui: ad Cor reclusum vulnere, ad mite Cor accedite. Questo Cuore santissimo per ciò appunto è aperto, per facilitarvi l’entrata in esso. Andate a gettarvi ai piedi del suo ministro, e col pentimento sincero e colla santa confessione delle vostre passate colpe riacquistate la sua grazia e la sua amicizia. Ah sì, è vero, per chi da gran tempo vive lontano da lui, questo primo passo sarà duro! ma se egli lo darà risoluto, il Cuore di Gesù farà il resto. Oh quante volte, benché ministri indegni del Signore, abbiamo veduto queste meraviglie della sua bontà! Erano poveri peccatori che da quindici, venti, quarant’anni non si erano più confessati mai… e poi tocchi dalla grazia di Dio, facendosi pure un’estrema violenza venivano a gettarsi ai piedi del sacerdote, e cominciata appena l’accusa delle loro colpe davano in tali scoppi di pianto, che costringevano a dire: Ah! qui vi è veramente la mano, o meglio ancora qui vi è il Cuore di Dio! Ma quelle lagrime non erano soltanto di rammarico della passata vita, erano pure lacrime di consolazione, ed assai più che tutti i più eloquenti discorsi dicevano: Oh quanto è buono Iddio! Quanto è misericordioso Gesù! Come è dolce il ritornare al suo seno e a vivere in casa sua! Coraggio, coraggio adunque! Oggi il buon Gesù, col suo Cuore pieno di carità per voi, vi fa una chiamata decisiva, e beati voi se l’ascolterete! Ma se per isventura induriste il vostro cuore… Ah! Timeo Dominum transeuntem, esclama S. Agostino: temo il Signore che passa. Quando Gesù, chiama e richiama, non si sente mai a rispondere, vede anzi le sue chiamate accolte con indifferenza glaciale, disprezzate, si stanca ancor egli: Curavimus Babylonem et non est sanata, derelinquamus eam. (GER. LI, 9) L’abbandono, ecco il terribile castigo, con cui Gesù Cristo punisce chi si fa indocile alla misericordia del suo Cuore. Non più adunque, o Gesù mio. Abbastanza sono stato lontano da Voi. È tempo, che a voi ritorni pentito. Lo so, non sono più degno d’essere chiamato vostro figlio! Caro Gesù! Quanti peccati ho commessi! quante offese vi ho recate! Ma Voi siete buono, volete che speri in Voi, me lo comandate, ed io obbedisco. Mi getto ora nel vostro Cuore Santissimo, per cantarne poi in eterno la sua misericordia.