SALMI BIBLICI: “DIXIT INIUSTUS UT DELINQUAT IN SEMETIPSO” (XXXV)

SALMO 35: “DIXIT INIUSTUS UT DELINQUAT …”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

TOME PREMIER.

PARIS LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR RUE DELAMMIE, 13 – 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

SALMO XXXV

[1] In finem. Servo Domini ipsi David.

[2] Dixit injustus ut delinquat in semetipso:

non est timor Dei ante oculos ejus.

[3] Quoniam dolose egit in conspectu ejus, ut inveniatur iniquitas ejus ad odium.

[4] Verba oris ejus iniquitas, et dolus; noluit intelligere ut bene ageret.

[5] Iniquitatem meditatus est in cubili suo; astitit omni viæ non bonæ, malitiam autem non odivit.

[6] Domine, in cælo misericordia tua, et veritas tua usque ad nubes.

[7] Justitia tua sicut montes Dei; judicia tua abyssus multa. Homines et jumenta salvabis, Domine,

[8] quemadmodum multiplicasti misericordiam tuam, Deus. Filii autem hominum in tegmine alarum tuarum sperabunt.

[9] Inebriabuntur ab ubertate domus tuæ, et torrente voluptatis tuae potabis eos;

[10] quoniam apud te est fons vitae, et in lumine tuo videbimus lumen.

[11] Prætende misericordiam tuam scientibus te, et justitiam tuam his qui recto sunt corde.

[12] Non veniat mihi pes superbiæ, et manus peccatoris non moveat me.

[13] Ibi ceciderunt qui operantur iniquitatem; expulsi sunt, nec potuerunt stare.

[Vecchio Testamento secondo la Volgata

Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO XXXV

Salmo inspirato a Davide da cantare sempre sino alla fine. Argomento è la gran malizia di alcuni uomini, e la molto maggiore misericordia e giustizia di Dio.

1. Per la fine: salmo dello stesso David servo del Signore.

2. Discorre l’iniquo dentro di sé stesso di far del male; il timore di Dio innanzi agli occhi di lui non è.

3. Perocché nel cospetto di lui egli ha agito con frode, onde odiosa diventi la sua iniquità.

4. Le parole della bocca di lui sono ingiustizia ed inganno; non volle intendere per bene operare.

5. Meditò nel suo letto l’iniquità: qualunque via non buona gli piacque, e non ebbe nissun raccapriccio della malvagità.

6. Signore, nel cielo è la tua misericordia, e la tua verità fino alle nubi.

7. La tua giustizia è come gli altissimi monti: abisso grande i tuoi giudizi.

E gli uomini e i giumenti tu salverai, o Signore;

8. Tanto si stende, o Signore, la tua misericordia. Ma i figliuoli degli uomini all’ombra dell’ali tue spereranno.

9. Saranno inebriati della opulenza della tua casa, e al torrente di tue delizie darai loro da bere.

10. Perocché presso di te è la sorgente della vita, e nel lume tuo vedrem la luce.

11. Spandi la tua misericordia sopra coloro che ti conoscono, e la tua giustizia a prò di quelli che hanno cuor retto.

12. Non venga contro di me il pie del superbo, e non mi smovano i tentativi del peccatore.

13. Ivi andarono per terra quelli che commettono l’iniquità: furon cacciati fuora, e non poteron tenersi in piedi.

Sommario analitico

In questo salmo:

I. Davide dipinge l’empietà e la malizia di certi uomini: 1° essa si impadronisce a) della loro volontà, per la scelta riflessiva che ha fatto del male; b) della loro intelligenza, nel rifiutare il pensiero del timor di Dio (1). 2°Da queste due facoltà principali, la corruzione si estende: a) alle loro opere, piene di frodi per gli uomini, ed odiose al Signore (2); b) ai loro discorsi empi nei riguardi di Dio, ingannatori nei riguardi del prossimo (3 e 4); c) ai loro pensieri che il male impregna in ogni tempo, nella notte, durante la quale il malvagio medita e concepisce il male; e durante il giorno, ove indugia nelle vie perverse e vi persevera (4).

II Egli oppone a questa empietà, a questa malizia, il quadro degli attributi di Dio, della sua verità, della sua giustizia, ma soprattutto della sua misericordia.

1° Egli espone le dimensioni di queste divine perfezioni: – a) l’altezza della sua misericordia: essa si eleva fino ai cieli, e la sua verità fino alle nubi (5); – b) la profondità dei suoi giudizi. Essa eguaglia quella degli abissi (6).

2° Egli considera la sua misericordia nei rapporti con gli uomini: – a) rispetto ai peccatori; 1) essa li salva, benché con i loro peccati siano divenuti simili agli animali; 2) essa si moltiplica in proporzione alla moltitudine dei peccatori (7). – b) nei riguardi dei giusti nel cielo; 1) essa li copre con una provvidenza speciale ed una singolare affezione (8); 2) inebria la loro volontà con il suo amore; 3) inonda tutti i loro sensi col torrente delle divine voluttà; 4) unisce la loro volontà a Dio con la luce della gloria (10). – c) nei riguardi dei giusti della terra, Dio fa loro sentire la misericordia e la giustizia (11), 1) la misericordia, dando loro la virtù dell’umiltà; difendendoli contro i superbi (12); 2) la giustizia, abbassando i loro nemici, impedendo loro di rivelarsi rendendo la loro rovina irrevocabile (13).

Spiegazioni e Considerazioni

I — 1-4.

ff. 1. – Il salmista ci traccia qui un’immagine molto somigliante di un grande numero di uomini che peccano, non solo per sorpresa o per debolezza, ma per volontà determinata e con ferma premeditazione. Qualunque cosa si faccia per dissuaderli, essi hanno detto in se stessi che vogliono assolutamente peccare e non vanno al di là dei loro propositi, e questo solo in odio a Dio (Dug.). – Ma colui che si è proposto di peccare, lo dice pubblicamente, o piuttosto non lo dice in se stesso? Perché lo dice soltanto in se stesso? Perché gli uomini non possono vederlo, come mai? Perché gli uomini non vedono in fondo al loro cuore, ove dice che peccherà, e Dio non vede ugualmente? Certamente Dio vi guarda. Ma ascoltate ciò che segue: « Il timore di Dio non è davanti ai loro occhi » (S. Agost.). – La causa di tutti i misfatti che si commettono nel mondo, è la mancanza di questo timore. Cosa fanno gli empi prima di bestemmiare contro tutti i misteri della Religione? Cominciano col negare la vita futura e i giudizi di Dio. Una volta rotto questo freno, nulla più li arresta; quando sussiste la fede nei giudizi di Dio, nulla è ancora perduto per i peccatori. È per questo che tutti i libri Sacri raccomandano con forza il timore del Signore (Berthier).

ff. 2. –  Non c’è nulla che renda l’iniquità più degna dell’odio di Dio che la dissimulazione e l’inganno. Ora, è questo l’agire con artificio alla presenza di Dio:  apparire di essere suo amico, quando si è invece amico del mondo; è agire con l’inganno alla sua presenza dare al mondo tutto il suo interno e gli effetti reali, e non dare a Dio che l’esteriorità e le apparenze; è agire con la dissimulazione in sua presenza, il difendere il proprio peccato o facendo in modo negligente l’esame di coscienza (Hug. Card.).

ff. 3. – È uno stato funesto, uno stato deplorevole, e nello stesso tempo molto più comune di quanto si pensi: essere malato e sapere come guarire; essere cieco e non voler uscire dalla propria cecità, né aver l’intelligenza necessaria per fare il bene; ed anche non volersi istruire nei propri doveri, per paura di sentirsi obbligato a metterli in pratica, fuggire i predicatori ed i confessori, che dicono la verità, perché non si vuole apprendere nulla da loro, né si vuole seguirli (Duguet). – È questo un peccato di un’infinità di Cristiani che non vogliono essere illuminati su determinati fatti, su certi dubbi, su certe turbe di coscienza, perché sentono bene, per poco che sondino se stessi, che non sono nella disposizione di compiere dei doveri ai quali questi chiarimenti poi li obbligherebbero … Se in una moltitudine di circostanze, si volesse entrare nella discussione delle cose e pesare tutto nella bilancia del santuario, è evidente che si troverebbero tanti conti da rendere, tante ingiustizie da riparare, restituzione di beni da fare; ora, tutto questo imbarazzerebbe e si risolverebbe in estremi incresciosi. Che si fa allora? Per togliersi l’inquietudine e lo scrupolo, se ne ignora la conoscenza; ci si indurisce su questo, e si prende la decisione di non pensarci affatto (Bourd.: Aveugl. spirit.). – Questo rifiuto di comprendere, questa fuga dalla luce, è uno dei tratti che meglio caratterizzano l’uomo vizioso. Allora, la legge di Dio, proprio perché apre l’intelligenza, rischiara la vista e non serve più che ad importunare. Ciò che si era appreso e che è più capace di indurre rimorsi, diviene allora odioso e penoso, si cessa di leggere e vedere ciò che sarebbe istruttivo, edificante e salutare, perché non lo si ama più, essendosi resoluti nel non osservare alcun dovere, anche il più piccolo, e di obliarli. Un tale disgusto della virtù e della verità conduce ben presto ad una indisposizione ancor più criminale. Il male diviene un’occupazione tanto seria, che lungi dal detestarlo, se ne fa uno studio: lo si medita di notte, lo si esegue di giorno (Degu, Rendu).

ff.4. – Naturalmente colui che si mantiene nella via dell’errore, medita l’ingiustizia, la malizia, che dovrebbe odiare. Il Salmista dice che costui si è arrestato in questa via. In un altro Salmo egli proclama felice colui che non indugia nella via dei peccatori, ma non colui che non smette di soggiornarvi. (S. Ambrog.). – Quando un uomo è interamente votato all’iniquità, non pensa che al male, anche nel tempo consacrato al riposo. Il silenzio della notte è destinato a formare iniqui progetti, a cercare i mezzi per soddisfare una passione odiosa; ci si alza ancora più colpevole di quanto ci si era addormentati, ed il giorno è impiegato solo per mettere in pratica quanto si è immaginato durante le tenebre. I santi ritengono il sonno come tempo perso per la salvezza, mentre i malvagi lo ritengono molto utile per i progetti che formano nelle loro passioni. (Berthier). – Così si applicano all’odio del bene e alla ricerca del male, con cui il profeta ci intrattiene. La grandezza e la bontà di Dio sono precisamente ciò che acceca ed indurisce i malvagi. Una misericordia inesauribile, delle verità sublimi, una giustizia lenta a punire, dei giudizi che sembrano degli impenetrabili abissi, una Provvidenza che fa sorgere il sole e cadere la pioggia su tutte le creature: tutto questo, è fatto per suscitare l’ammirazione e la riconoscenza nei cuori retti e puri, ma è mortale per i cuori dei mal disposti. Essi ne concludono o che Dio non esista, o che non si preoccupi affatto, nel supremo giudizio del bene e del male, di ciò che avviene sulla terra. Da questo traggono un’ultima conseguenza, che cioè essi possono, senza alcun rischio per l’eternità, abbandonarsi alle loro passioni (Rendu). – Letto funesto, riposo maledetto, è la falsa pace di una cattiva coscienza. Il peccatore riposa nella sua iniquità come in un letto piacevole; ma quale riposo può trovare un cuore nel quale tutto è pieno di turbamento ed agitazione? Egli va per ogni tipo di strada; segue indifferentemente tutte le vie; fugge la buona, che è la via stretta che sola porta alla vita, e si ferma in quelle larghe che non sono buone. – Quando non si amasse il male, è sufficiente, per essere colpevoli, il non detestarlo, non averne avversione, essere insensibile a tutti gli oltraggi che si fanno incessantemente a Dio (Duguet).

II — 5-13.

ff. 5, 6. –  « Voi salverete, o Signore, gli uomini e gli animali » Cosa vuol dire? Le creature ragionevoli e quelle prive di ragione. Per le prime la giustizia; per le seconde, la misericordia. Le une sono governate, dirette, le altre sono sottomesse, così il salmista aggiunge: « Ma i figli degli uomini sperano all’ombra delle vostre ali »; cioè i figli degli uomini che vivono ad immagine e somiglianza di Dio, non sono condotti al pascolo, ma si siedono al banchetto. Agli uni le fertili praterie; agli altri i privilegi insigni dei Sacramenti; per gli imperfetti il latte, per i perfetti questa tavola dove essi riparano le loro forze e dove lo stesso salmista ha detto in un altro luogo: « Voi avete preparato davanti a me una tavola » (Ps. XXII, 5). – La misericordia di Dio è ineffabile, essa si estende dalla terra al cielo, è più elevata del cielo, e sorpassa infinitamente i nostri pensieri. La verità si eleva fino alle nubi, poiché non c’è nulla di più sublime, ma essa ha anche, in questa via, l’oscurità delle nubi. Il sole di giustizia ci rischiara attraverso queste ombre, ma non quanto ci rischiarerà nella patria celeste. Tre epoche sono in rapporto alla verità: quella della legge, in cui la verità era figurativa; quella del Vangelo, in cui la verità è rivelata, ma avvolta da ombre affinché possiamo avere il merito della fede; infine quella della vita futura, in cui la verità è messa allo scoperto, perché Dio la rivela pienamente in Se stesso (Berthier). – La giustizia di Dio non è meno elevata sopra di noi della sua misericordia. Essa è, come le montagne di Dio, inaccessibile a tutti gli uomini. I giudizi di Dio sono un abisso impenetrabile che oltrepassa la pochezza della nostra intelligenza (S. Agost.). – « L’uno sarà preso, l’altro lasciato ». Un grande peccatore si converte, fa penitenza e si salva; un giusto che è vissuto nella virtù soccombe ad un movimento di orgoglio, decade dal suo stato e si danna. Saggi agli occhi del mondo ed ai loro occhi, che sono abbandonati alle loro tenebre; la luce di Dio è data agli umili ed ai piccoli. « O profondità dei tesori della saggezza e della scienza di Dio, che i suoi giudizi sono impenetrabili e le sue vie incomprensibili » (Rom. XI, 33). – La giustizia di Dio è elevata, perché nessuno merita che Dio non gli renda molto più di quello che meriti. La verità è più elevata, perché Dio ci ha promesso e ci ha dato le grazie che noi non abbiamo mai meritato, come l’Incarnazione e tutto quel che ha rapporto con la Redenzione. Ma la misericordia è molto più elevata, perché essa ci ha dato delle cose alle quali il nostro pensiero non può giungere, secondo quanto ci dice San Paolo: « ciò che l’occhio dell’uomo non ha visto, etc. ». (S. Tommaso). – I vostri giudizi sono come abissi infiniti. Il sublime Apostolo era confuso dinanzi a questi abissi, ed era questo un grido di stupore ed ammirazione: « O abisso della saggezza e della sapienza di Dio, quanto incomprensibili sono i suoi giudizi, ed inscrutabili le sue vie! Chi ha conosciuto il pensiero del Signore? Chi penetra le sue profondità nascoste? Chi penetra nei suoi segreti impenetrabili ». Cosa! Un’anima resta per un’altra anima un mondo assolutamente chiuso nell’oscurità, e noi pretendiamo di entrare nell’Essenza divina, la sola infinita, la sola inaccessibile, come una volgare soglia, aperta a tutti, e noi pretendiamo di annullare o rivedere i suoi giudizi? « O Dio i vostri giudizi sono come degli abissi », i vostri misteri si elevano davanti a me, intercettano tutti i sentieri della mia intelligenza, oltrepassano i più potenti sforzi della mia sapienza, e bruciano le ali della mia investigazione più perspicace. Il mistero è dappertutto, dappertutto ombre pericolose mi circondano, dappertutto io devo adorare senza vedere, inchinare davanti alla vostra infinita sapienza ed ai vostri incomprensibili pensieri, la mia debole ed orgogliosa ragione (Doublet, Psaumes etc. III, 218).

ff. 7. – La vostra misericordia è così abbondante, che essa non si espande solo sugli uomini, ma pure sugli animali; essa è così potente che fa sì che il sole si elevi sui buoni e sui cattivi, e che voi spandiate la vostra rugiada sui giusti e sui peccatori (Matt. V, 45). – Ma i vostri santi non avranno nulla di particolare? Il giusto non riceverà nulla che gli sia proprio e che l’empio non spartirà con lui?. Sì, senza dubbio; ascoltate ciò che segue: « Ma i figli degli uomini »? e gli uomini non sono forse i figli degli uomini? Voi, Signore, conservate gli uomini e gli animali; ma i figli degli uomini? Ebbene, cosa avranno essi di particolare? « I figli degli uomini spereranno all’ombra delle vostre ali » (Ps. XXXV, 7, etc.). – Ecco cosa non sarà in comune con gli animali. Perché dunque questa distinzione tra gli uomini? E gli uomini non sono forse i figli degli uomini? Senza alcun dubbio, c’è un uomo che non sia figlio di un uomo? Adamo era uomo, ma non figlio dell’uomo; Gesù Cristo era nel contempo Uomo e Figlio dell’uomo. Ora, come tutti muoiono per Adamo, tutti rivivono per Gesù-Cristo (I Cor. XV, 22). – Coloro che muoiono e che muoiono senza ritorno, cercano la loro salvezza con gli animali, e non la cercano con i figli dell’uomo, nella speranza della vita eterna. I primi sono nel novero degli uomini, ma i figli dell’uomo appartengono al Figlio dell’uomo (S. Agost.). – La provvidenza generale che veglia sulla conservazione e la sopravvivenza degli animali di ogni specie, è una sorta di dimostrazione in favore del desiderio che il Signore ha di salvare tutti gli uomini. Senza la salvezza eterna, gli uomini sarebbero più sciagurati delle bestie, e Dio avrebbe – sembrerebbe – meno provvidenza per gli uomini che per le bestie, anche in apparenza i più vili (Berthier). – L’eredità dei giusti, come figli della casa, è dunque quella di essere al coperto sotto le ali dell’Onnipotente, contro i pericoli che li minacciano, e di sostenersi con la speranza che essi hanno di prendere parte, un giorno, all’eredità del Padre loro.

ff. 8. – È in questi termini che il Re-profeta, sollevando un angolo del velo dei nostri destini immortali, e facendoci vedere in enigma ciò che contempleremo un giorno faccia a faccia, ci rivela la felicità degli eletti. Egli ha cercato di esprimere, per mezzo di qualche comparazione con le cose umane, ciò che egli voleva dire, e siccome vedeva che gli uomini piombavano nella ebrezza, nel bere vino smoderatamente e perdere la ragione, egli ha creduto di poter esprimere il suo pensiero con questa immagine, perché sotto l’espressione di questa gioia ineffabile, la ragione umana si perderà in qualche modo, diventerà divina e sarà inebriata dall’abbondanza che è nella casa di Dio (S. Agost.). Il torrente differisce dai fiumi nel fatto che questi scorrono incessantemente e le loro acque sono più tranquille. Il torrente si precipita con più violenza, trascina e travolge tutto ciò che incontra nel suo passaggio; noi temeremo allora il torrente, poiché si tratta di un torrente di voluttà. Ma la felicità celeste invaderà le nostre anime con una effusione così rapida, che la sola impetuosità del torrente ce ne può dare solo una pallida idea. Tuttavia, è bene sperare in un altro torrente, il torrente della persecuzione, della sofferenza, prima di essere bagnati dal torrente della voluttà, che deve essere la nostra ricompensa. Ricordiamo le parole di San Paolo. « Tutte le sofferenze di questo mondo non sono degne di essere assimilate alla gloria che ci sarà rivelata un giorno » (Rom. VIII, 18). Non temiamo più di bere nel corso del nostro cammino l’acqua del torrente; non temiamo più le pene, le persecuzioni, le sofferenze, poiché ci dovremo un giorno inebriare del torrente delle eterne delizie. Opponiamo la povertà, la carestia, l’indigenza a tutti i piaceri della terra, che lasciano sempre l’anima tormentata dalla fame, all’abbondanza, alla pienezza, alla società perfetta che si trova nella casa di Dio; … quest’acqua morta e melmosa che non fa che alterare coloro che ne bevono, all’acqua viva, all’acqua pura, al torrente di delizie tutte divine di cui Dio inonda l’anima degli eletti. – Tale è la gioia dei beati, la cui pienezza è infinita, di cui i trasporti sono inconcepibili e gli eccessi tutti divini. Lungi dalla nostra idea le gioie sensibili, che turbano la ragione e non permettono all’anima di possederla, di modo che non si osi dire che essa gioisca di alcun bene, poiché uscita da se stessa, sembri non essere in sé per gioirne. Qui essa è veramente toccata nel fondo più intimo, nella parte più delicata e più sensibile: tutta fuor d’essa, tutta a se stessa, possedendo Colui che la possiede, la ragione sempre attenta e sempre contenta (Bossuet, III Serm. Fete de tous Saints).

ff. 9. –  « In voi è la sorgente della vita, ed è nella vostra luce che vedremo la luce ». Nostro Signore Gesù Cristo è questa sorgente di vita abbondante ed inesauribile che è discesa sulla terra per irrorare la secchezza della nostra anima. Egli è lo splendore della gloria di Dio Padre, l’immagine della sua sostanza, ed è così che in questa luce vera che rischiara ogni uomo che viene in questo mondo, noi vedremo il Padre, perché Dio è luce. Il Re-profeta dice con giustezza rimarchevole di espressione: « è nella vostra luce che noi vedremo la luce », secondo quella parola del Salvatore: « Colui che mi vede, vede il Padre mio » (Joann. XIV, 9). In Voi dunque è la sorgente della vita, in Voi noi vedremo il Padre. Fin dal principio, Voi, il Dio, il Verbo, eravate con vostro Padre, così il Padre è sempre in Voi (S. Ambr.). – Sulla terra, la sorgente è diversa dalla luce. Voi cercate una sorgente per estinguere la vostra sete e, per venire a questa sorgente, voi cercate la luce, e se è durante la notte, voi accendete una lampada per dirigere i vostri passi verso questa sorgente. Ma questa sorgente nello stesso tempo è la luce: per colui che ha sete, è una sorgente, per colui che è cieco, è una luce; aprite i vostri occhi per vedere la luce, aprite la bocca del vostro cuore per bere a questa fonte: ciò che bevete lo vedete, lo comprendete. Dio diventa tutto per voi, perché Egli riunisce in Lui tutte le cose che amate: voi affamati,… Egli è vostro pane; voi assetati, … Egli è l’acqua che vi rinfranca; voi siete nelle tenebre, Egli per voi è la luce, perché Egli resta sempre incorruttibile; se ignudo, Egli è per voi un vestito di immortalità (S. Agost. Traité XIII sur Saint Jean, 5). – « Dio è luce, e luce senza mescolanza di tenebre » (Joann, I, 5), e comunica all’uomo questa luce in tre gradi differenti: Dio dà all’uomo dapprima la luce della ragione, quella che lo distingue dal bruto, quella che fa che noi pensiamo, giudichiamo, compariamo, percepiamo la verità. Ma noi siamo creati per un fine che oltrepassa e lascia molto dietro tutti i limiti della propria natura: vedere Dio e contemplarlo faccia a faccia, tale è il destino umano! Ora, ci dice il Dottore angelico, come l’uccello nella notte, a causa dell’infermità dei suoi occhi, non può sopportare il chiarore del giorno, allo stesso modo l’uomo, a causa dell’infermità della sua ragione, non può contemplare lo splendore di Dio. Per vedere la sua luce infinita, non c’è di meglio per l’uomo, che questa luce stessa di Dio. È l’espressione del Re-profeta: « … noi vedremo la vostra luce nella vostra luce ». Questa è la luce di quel libro che rischiara gli eletti nel cielo, e che Dio comunica all’anima per renderla capace di vederlo faccia a faccia. Tuttavia, aggiunge San Tommaso, così come tra le tenebre della notte ed il chiarore del giorno pieno, ci sono gli intermedi del crepuscolo e dell’aurora, così pure Dio, per abituare l’uomo, ed iniziarlo poco a poco col suo occhio infermo alla luce grande e completa che deve un giorno vedere, comincia già da questo mondo ad aggiungere alla ragione umana una seconda luce, che già metta l’uomo in rapporto con verità di un ordine superiore alla sua natura. È la luce della grazia, luce di fede e di amore, lampada brillante che rischiara lo spirito e riscalda il cuore (S. Tommaso, Summa theol. I, p. III.). – È così che Dio ci ha tracciato i gradini luminosi attraverso i quali dobbiamo salire fino a Lui. Egli ci eleva di luce in luce: Egli ci rischiara sempre più nella misura in cui ci avviciniamo alla sua chiarezza divina, e quando, infine, nella sua luce, noi vedremo la sua luce faccia a faccia, allora soltanto avremo raggiunto il termine del nostro destino immortale.

ff. 11. « Che il piede del superbo non giunga fino a me », vale a dire che io non cada nell’orgoglio. Guardiamoci dall’orgoglio, che può causare la nostra rovina anche in mezzo alla più prospera situazione. Adamo in paradiso ha fatto una caduta ben più rovinosa di quella che avrebbe fatto sulla terra. Cadere da queste altezze, è precipitare in un precipizio; sul terreno più umile, questa è una semplice caduta. Ora il piede del superbo si smarrisce, perché non è guidato dalla testa, perché gli occhi del saggio sono nella sua testa. Nulla di sorprendente se il piede fuorvia, quando non è diretto dall’occhio. L’occhio precede, ed il piede segue. Come un viaggiatore potrebbe camminare nelle tenebre? Il piede viene ben presto a smarrirsi, se l’astro delle notti, che è come l’occhio del mondo, non gli mostra la via. Ora, voi siete nella notte di questo secolo. La Chiesa vi mostra il cammino, il Sole di giustizia vi illumina dall’alto del cielo, perché non abbiate a temere alcuna caduta (S. Ambr.). – Il salmista ci parla del piede dell’orgoglio; aggiunge: « … e che la mano del peccatore non mi disperda ». Siccome i Santi sono le membra di Gesù-Cristo, così gli empi sono le membra del demonio. « … Che la mano del peccatore non mi disperda », cioè che le azioni di coloro peccano contro di Voi, non mi facciano uscire dal sentiero della giustizia. Sovente, in effetti, quando noi vediamo tutte le imprese dei peccatori coronate dal successo, la nostra anima è smarrita. E la mano dei peccatori sembra volerci separare dalla radice della giustizia. Prendiamo dunque cura che una mano nemica non venga a sradicare ciò che la mano di Dio ha piantato nella sua casa (Idem).

ff. 12. –  « Essi sono stati abbattuti, e non possono rialzarsi ». Breve questa conclusione, ma piena di gravi insegnamenti! Che io non sia superbo, per non peccare; che io non pecchi per non essere abbattuto; che io non sia abbattuto per on cadere, che o non cada per non essere espulso, come Adamo lo è stato dal paradiso, perché in lui, per primo, il piede dell’orgoglio, non ha potuto rialzarsi » (S. Ambr.). – Questa abbondanza della casa di Dio, questa sorgente di vita, questa luce di Dio, i doni ineffabili della sua misericordia, sono precisamente l’eredità di coloro che lo conoscono bene, cioè di coloro che Lo conoscono col cuore, che praticano esattamente tutti i suoi comandamenti, Lo intrattengono familiarmente con la preghiera, Gli parlano e Lo ascoltano quando Egli si degna parlare con loro (Dug.). – Coloro il cui cuore è retto sono coloro che, in questa vita, si conformano alla volontà di Dio. La volontà di Dio è la medesima, sia quando siete in salute, sia quando siete malati: se, quando siete in salute, la volontà di Dio è dolce, ma vi è amara quando siete malato, voi non avete il cuore retto. Perché? Perché vi rifiutate di regolare la vostra volontà sulla volontà di Dio, e volete piegare la volontà di Dio alla vostra volontà. La sua volontà è retta, e la vostra non lo è: occorre dunque raddrizzare la vostra volontà sulla sua, e non piegare la sua conformemente alla vostra: allora voi avrete il cuore retto (S. Agost.). – La felicità eterna è nello stesso tempo una misericordia ed una giustizia: una misericordia, perché è una grazia puramente gratuita per cui da peccatori si diventi giusti e si fanno buone opere. È anche una corona di giustizia e la ricompensa delle buone opere. Così la ricompensa è dovuta alle buone opere, se si fanno; ma la misericordia, che non è dovuta, precede, affinché le si facciano. (Conc. Arauc. II, can. 16). – Rimarchiamo David che esalta queste due cose: la conoscenza di Dio e la rettitudine del cuore. L’una e l’altra sono doni preziosi dello Spirito Santo. La conoscenza di Dio bisogna conquistarla con la meditazione e lo studio, fatti ai piedi della croce; la rettitudine del cuore, bisogna meritarla con l’amore sincero dei beni celesti, preferiti a tutte le cose della terra. Allora si realizza il doppio augurio del Re-profeta: la vittoria sull’orgoglio, il nostro più grande nemico interiore, e la vittoria sui nemici esterni. Ogni pensiero orgoglioso è respinto dal lavorio fatto ai piedi della croce; e cosa può temere l’uomo che, andando dritto a Dio, sempre attento ai suoi doveri, usando di questo mondo senza mai servirsene per le sue vanità e i suoi capricci, non stimi realmente e non ambisca al cielo? Egli sa bene che ogni operatore di iniquità, dopo qualche successo momentaneo che avrà esaltato le sue ambizioni e gonfiato il suo orgoglio, deve finire con una caduta eterna (Rendu). – Il Re-Profeta temeva la radice del peccato e la testa del peccato; ecco perché egli dice. « Che l’orgoglio non prenda piede in me ». Perché parla del piede dell’orgoglio? Perché l’orgoglio allontana da Dio e Lo lascia; dicendo il piede, egli vuol dire l’affezione. « Che la mano del peccatore non mi disperda »; cioè che le azioni del peccatore non mi allontanino da Voi, e mi attirino nell’imitarle » (S. Agost.). – Il piede dell’orgoglioso conduce all’orgoglio che è il primo ed il principe di tutti i peccati; la mano del peccatore spinge al peccato, e se non sempre abbatte, comunque fa vacillare.

ff. 13. –  Tutti coloro che sono ora nell’iniquità sono caduti dapprima nell’orgoglio, primo peccato del cielo e della terra: del cielo, con la caduta degli angeli; della terra, con la caduta del primo uomo: « … essi sono stati cacciati e non si sono rialzati ». Il primo è il demonio, che non si è tenuto nella verità; in seguito coloro che Dio, a causa dello stesso, ha cacciato dal Paradiso (S. Agost.). – Ciò che è vero per gli individui, lo è egualmente per le nazioni e per i popoli: l’impunità non avrà mai lunga durata per una nazione che camminerà, come nazione, nelle vie dell’infedeltà e dell’apostasia, e che immolerà i diritti sacri a Dio ai pretesi diritti dell’uomo. Essa sarà sempre sul punto di perdere l’equilibrio e non potrà tenersi in piedi. Nessuno dei regimi che piacerà ad essa darsi, potrà durare; il minimo soffio li sconvolgerà l’uno dopo l’altro, la loro espulsione sarà affare di un istante. Così sono caduti tutti i poteri che abbiamo visto succedersi nelle stesse condizioni; un semplice scossone li ha gettati a terra, perché non avevano in se stessi la potenza per tenersi in piedi (Mgr. Pie, VII, 101).

LA GRAZIA (NOTE DI TEOLOGIA DOGMATICA) – 1-

La questione della grazia, come già in altri post abbiamo potuto vedere (v. link), è una questione centrale nel Cristianesimo, fulcro della dottrina e dell’azione spirituale che conduce alla salvezza eterna. Continuiamo quindi l’approfondimento di questo argomento vitale per la Fede Cattolica e per ottenere l’eterna Gloria. Ci sono momenti in cui l’argomento è apparentemente ostico, ma con un po’ di pazienza, con una rilettura attenta e meditata, invocando la luce dello Spirito Santo, si possono ottenere lumi decisivi nel progresso spirituale dell’anima cristiana. In questa breve serie di articoli ne esaminiamo le basi teologiche, passando poi alle considerazioni di teologia ascetica. Senza comprendere il ruolo della Grazia nella vita del Cristiano, tutto diventa incerto e permane un grado di oscurità nell’azione salvifica lungo il cammino spirituale del Cattolico che vuol giungere all’eterna salvezza. [n.d.r.-]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/09/03/la-grazia-1/

https://www.exsurgatdeus.org/2019/09/05/la-grazia-2/

LA GRAZIA

(Note di Teologia Dogmatica) (1)

[Ludovico Ott: Compendio di Teologia Dogmatica; Marietti Torino-Herder Roma – imprim. Can. Oddone, Vis. Gen. 7/VI/1955]

INTRODUZIONE

Della grazia in generale.

§ I. La redenzione soggettiva in generale.

Gesù Cristo, Uomo-Dio, con la sua soddisfazione vicaria e col suo merito redentivo ha riconciliato l’umanità con Dio in linea di principio e oggettivamente. La redenzione oggettiva però deve essere partecipata ad ogni singolo uomo, diventando così soggettiva. L’atto della distribuzione del frutto della redenzione ai singoli uomini si chiama giustificazione (iustificatio) o santificazione (santificatio) e il frutto stesso grazia di Cristo. Il principio della redenzione soggettiva è Dio uno e trino. La comunicazione della grazia essendo opera dell’amore divino, è attribuita allo Spirito Santo, l’amore divino personale, sebbene essa sia effettuata in comune dalle tre divine Persone. – La redenzione soggettiva però non è solo opera di Dio, ma richiede anche la libera cooperazione dell’uomo, come s’addice alla sua natura dotata di ragione e di άlibertà (Denz. 799). – Nell’intima cooperazione e compenetrazione della potenza divina e della libertà umana sta l’imperscrutabile mistero della dottrina della grazia. Tutte le eresie e le controversie concernenti la grazia traggono inizio di qui. – Nel processo della redenzione soggettiva Dio aiuta l’uomo non solo mediante un principio interno, la potenza della grazia, ma anche mediante un principio esterno, l’attività della Chiesa che insegna, governa e santifica con l’amministrazione dei Sacramenti. La redenzione soggettiva termina nel compimento eterno della visione beatifica di Dio.

§ 2. Il concetto della grazia.

1. Nella Sacra Scrittura.

Grazia (χάρις – karis = gratia) secondo l’uso della Scrittura significa:

a) in senso soggettivo la condiscendenza e benevolenza di una persona di grado superiore verso una di grado inferiore, in particolare di Dio verso l’uomo (gratia = benevolentia). Cfr. Gen. 30, 27; Lc. 1, 30.

b) in senso oggettivo, il dono gratuito derivante dalla benevolenza (gratia = beneficium o donum gratis datum). Il dono come tale è l’elemento materiale, la mancanza di ogni esigenza o la gratuità l’elemento formale. Cfr. Rom. II, 6;

c) graziosita, amabilità. Cfr. Sal. XLIV, 3; Prov. XXXI, 30.

2. Nella teologia.

La teologia prende la parola grazia in senso oggettivo ed intende con essa un dono indebito da parte di Dio e non meritato da parte dell’uomo. In questa più ampia accezione si può anche parlare di grazia naturale(per es. la creazione, doni dell’ordine naturale come la salute del corpo e la sanità della mente).

In senso più stretto e proprio si intende un dono soprannaturale concesso gratuitamente da Dio alle creature ragionevoli in ordine alla salvezza eterna: donum supernaturale gratis a Deo creaturæ rationali concessum in ordine ad vitam æternam. – Vi appartengono in primo luogo i doni soprannaturali « quoad substantiam » che nella loro intima essenza trascendono l’essere, le forze e le esigenze della natura creata (la grazia santificante, la visione beatifica di Dio); poi i doni soprannaturali « quoad modum », che superano nel modo con cui vengono concessi la capacità naturale della creatura che li riceve (guarigione miracolosa, dono delle lingue, dono della profezia) e i doni preternaturali, che perfezionano la natura umana nell’ambito del suo proprio ordine (immunità dalla concupiscenza, dai dolori e dalla morte).

3. Cause della grazia.

La causa efficiente principale della grazia è Dio uno e trino; la causa efficiente strumentale sono l’umanità di Cristo e i Sacramenti; la causa meritoria della grazia concessa all’umanità decaduta è Gesù Cristo, Uomo-Dio, a motivo della sua opera redentrice; la causa finale primaria è la glorificazione di Dio, la causa finale secondaria è la salvezza eterna dell’uomo.

§ 3. Divisione della grazia.

1. Grazia creata – grazia increata.

La grazia increata è Dio stesso in quanto nel suo amor eterno è fonte di tutti i doni, in quanto si comunica all’umanità di Cristo nell’incarnazione (gratia unionis), in quanto abita nell’anima dei giusti e in quanto si dona in possesso e godimento nella visione beatifica. L’atto dell’unione ipostatica, dell’inabitazione e della visione beatifica è bensì una grazia creata, ma è increato il dono che in questi atti vien dato alla creatura. — La grazia creata è un dono soprannaturale distinto da Dio e suo effetto.

2. Grazia di Dio – grazia di Cristo.

La grazia di Dio e del Creatore è quella che Dio ha concesso agli Angeli e ai nostri progenitori nel Paradiso terrestre per il solo motivo dell’amore senza guardare ai meriti di Cristo, poiché essi erano senza peccato e quindi solo negativamente indegni (non digni) di riceverla. — La grazia di Cristo o del Salvatore, è quella che Dio concede, per duplice motivo dell’amore e della misericordia, in vista dei meriti di Cristo, agli uomini decaduti i quali col peccato se ne sono resi positivamente indegni (indigni). Sia la grazia di Dio sia quella di Cristo elevano chi la riceve nell’ordine soprannaturale dell’essere e dell’agire (gratia elevans); la grazia di Cristo inoltre ha il compito di sanare le ferite prodotte dal peccato (gratia elevans et sanans vel medicinalis). – Vi sono teologi i quali con Scoto e Suarez sostengono che l’Incarnazione sarebbe avvenuta egualmente anche senza la caduta originale e che, di conseguenza, ogni grazia è grazia di Cristo, anche quella degli Angeli e del Paradiso terrestre. – Nondimeno questa grazia manca della caratteristica della Redenzione: non è grazia di Cristo in quanto Redentore, bensì grazia di Cristo in quanto capo degli Angeli e degli uomini ossia di tutta la creazione.

3. Grazia esterna – grazia interna.

La grazia esterna è qualsiasi beneficio di Dio per la salvezza degli uomini, che è fuori dell’uomo e agisce moralmente su di lui, per es. rivelazione, dottrina ed esempio di Cristo, prediche, liturgia, sacramenti, esempi di virtù. — La grazia interna afferra nell’intimo l’anima e le sue potenze ed influisce fisicamente su di esse, per es. la grazia santificante, le virtù infuse, la grazia attuale. La grazia esterna è ordinata alla grazia interna come a suo fine. Cfr. 1 Cor. III, 6.

4. Gratia gratis data – gratia gratum faciens.

Sebbene ogni grazia sia un libero dono della bontà divina, tuttavia, in senso stretto si dice gratia gratis data (Mt. X, 8 « gratis accepistis, gratis date ») quella che viene concessa ad alcune persone per la salute di altre e non dipende dalla condizione morale o collaborazione del soggetto (cfr. Mt. VII, 22; Gv. XI, 49-52). Vi appartengono i doni straordinari (carismi, profezie, dono dei miracoli, delle lingue; 1 Cor. XII, 8 ss.) e i poteri ordinari dell’ordine e della giurisdizione. — La gratia gratum faciens o grazia santificante è destinata a tutti gli uomini e vien concessa per la santificazione personale. – Essa rende chi la riceve gradito (gratum) agli occhi di Dio o santificandolo formalmente (grazia santificante) o preparandolo alla santificazione (grazia attuale). La gratia gratum faciens è il fine della gratia gratis data ed è perciò intrinsecamentepiù elevata e più preziosa di questa. Cfr. 1 Cor. 12, 31.

5. Grazia abituale (santificante) – grazia attuale.

La gratia gratum faciens o grazia santificante è abituale o attuale. La grazia abituale è una qualità soprannaturale permanente dell’anima, che santifica interiormente l’uomo e lo rende giusto e accetto a Dio (grazia santificante o giustificante).

La grazia attuale è un influsso soprannaturale transeunte di Dio nell’anima per il compimento di un atto salutare che ha per fine l’acquisizione della grazia santificante o la conservazione e aumento di essa.

6. La grazia attuale viene distinta:

a) secondo le potenze dell’anima che essa muove, in grazia di intelligenza e in grazia di volontà, ossia di illuminazione (gr. illuminationis) o di ispirazione(gr. inspirationis);

b) secondo il rapporto con la volontà, in grazia preveniente(gr. præveniens, antecedens, excitans, vocans, operans), inquanto precede la libera decisione della volontà e in grazia adiuvante e concomitante(gr. subsequens, adiuvans, concomitans,cooperans) in quanto accompagna e sostiene l’azionelibera dell’uomo;

c) secondo il suo effetto, in grazia sufficientee grazia efficace. La prima dà la pura possibilità di compiere l’atto salutare, la seconda lo fa effettivamente compiere.

§ 4. Le principali eresie sulla grazia. (omissis …)

…..

SEZIONE PRIMA

La grazia attuale.

La dottrina della grazia attuale viene qui esposta in quattro capitoli che trattano rispettivamente della sua natura, della sua necessità, della sua distribuzione gratuita e universale (rimandiamo, poiché complessi e di natura eminentemente teologica, in questa sede, i relativi problemi della predestinazione e riprovazione, delle sue relazioni con la libertà umana –ndr. -).

CAPITOLO PRIMO

La natura della grazia attuale.

§ 5. La grazia di illuminazione e di ispirazioni

1. Concetto di grazia attuale.

La grazia attuale è un influsso (qualità) soprannaturale transeunte di Dio sulle facoltà spirituali dell’uomo per muoverla all’atto salutare, cioè relativo alla santificazione e alla vita eterna. Essa come influsso transeuntesi distingue di quella abituale e dalle virtù infuse che ineriscono all’animi a guisa di qualità permanenti; come soprannaturale si distingui dalla cooperazione di Dio nelle azioni naturali delle creatura (concursus Dei naturalis). Il termine « gratia actualis » compare nella tarda scolastica (Capreolus) e, dopo il Concilio di Trento, che non l’usa ancora, diviene di uso corrente.

2. Natura della grazia attuale.

a) Dottrina della Chiesa.

La grazia attuale illumina l’intelletto e fortifica la volontà interiormente ed immediatamente. Sent. certa.

Il Concilio di Orange (529) dichiarò eretica la proposizione seguente: l’uomo può con le sole forze della natura, senza l’illuminazione e l’ispirazione dello Spirito Santo concepire come si conviene, un buon pensiero relativo alla salvezza eterna 0 sceglierlo, ossia dare il suo assenso al messaggio evangelico (D. 180). Cfr D. 1791, 104, 797. È pertanto dottrina della Chiesa che l’uomo per compiere atti salutari abbisogna di una forza che trascenda le sue naturali possibilità e perciò soprannaturale. L’aiuto soprannaturale divino per le azioni salutari si estende ad ambedue le facoltà spirituali umane e consiste in una illuminazione immediata e interna dell’intelligenza e in una collaborazione parimenti immediata e interna della volontà. Occorre distinguere l’illuminazione e la collaborazione immediata, di cui si tratta qui, dall’illuminazione mediata proveniente da aiuti esterni (gratiæ externæ), quali ad es. l’insegnamento della rivelazione, le prediche, le buone letture, e dalla collaborazione pure mediata che deriva dall’illuminazione. – Un atto salutare si ha soltanto quando le facoltà dell’anima sono immediatamente e internamente influenzate dalla grazia.

b) Prova della Scrittura e della Tradizione.

La realtà e la necessità di una illuminazione divina immediata e interiore dell’intelligenza per compiere atti salutari sono attestate dai passi seguenti: 2 Cor. III, 5: « Non che da noi stessi siamo in grado di pensare alcunché, come se venisse proprio da noi, ma la capacità nostra viene da Dio ». Paolo insegna con ciò che noi per natura non siamo capaci di pensare alcunché che sia in stretto rapporto con la nostra salvezza eterna. Tale capacità ci viene da Dio, il quale illumina la nostra intelligenza e la rende atta a pensieri soprannaturali. 1 Cor. III, 6: « Io ho piantato, Apollo ha innaffiato, ma è Dio che ha fatto crescere; di modo che nulla è il piantatore né l’innaffiatore, ma è tutto Dio che fa crescere ». Con questa immagine l’Apostolo esprime il pensiero che la predicazione apostolica rimane infruttuosa se all’illuminazione esteriore per opera del predicatore non si aggiunge quella interiore per opera di Dio. Cfr. Ef. 1, 17-18; 1 Gv. II, 27.

La fortificazione o ispirazione interna della volontà è attestata in Fil. II, 13: « Dio infatti è colui che opera in voi e la volontà e l’agire ». Gv. VI, 44: « Nessun può venire a me (cioè credere a me), se non lo attiri il Padre, che mi ha mandato ».

Tra i Padri è soprattutto AGOSTINO che pone in risalto, combattendo i pelagiani, la necessità della grazia interiore dell’intelligenza e della volontà. Cfr. In ep. 1 Ioan. tr. 3, 1 De gratia Christi 26, 27. – L’illuminazione immediata, interna dell’intelligenza e fortificazione della volontà sono richieste dall’intima connessione che esiste tra il fine ultimo soprannaturale e gli atti salutari. I mezzi devono avere la stessa natura del fine,

il fine è soprannaturale, perciò anche i mezzi, cioè le azioni derivanti dall’intelligenza e dalla volontà, devono essere soprannaturali.

§ 6. La grazia preveniente e la grazia cooperante.

1. La grazia preveniente.

C’è un influsso soprannaturale di Dio sulle facoltà spirituali che previene la libera decisione della volontà. De fide.

In questo caso opera Dio solo « in noi senza di noi » (in nobis sine nobis, sc. libere cooperantibus) e produce atti spontanei, non liberi dell’intelligenza e della volontà (actus indeliberati). Questa grazia vien detta preveniente, antecedente, eccitante, operante. – La dottrina della Chiesa circa l’esistenza di siffatta grazia e la sua necessità per il giungere alla giustificazione fu definita nel Concilio di Trento: « L’inizio della giustificazione negli adulti va ricercato nella grazia proveniente di Dio per mezzo di Gesù Cristo » (a Dei per Iesum Christum præveniente gratia; D. 797. Cf. D. 813).

La Scrittura allude all’operazione della grazia preveniente quando dice che Cristo sta alla porta e picchia (Ap., 20), che il Padre attira (Gv. VI, 44), che Dio chiama (Ger. XVII, 23; Sal. XCIV, 8).

2. La grazia cooperante.

C’è un influsso soprannaturale di Dio sulle facoltà spirituali che coopera con la libera attività della volontà umana. De fide.

In questo caso Dio e l’uomo agiscono insieme. Dio agisce « in noi con noi » (in nobis nobiscum; cfr. D. 182) di modo che l’atto salutare è opera comune della grazia di Dio e della libertà dell’uomo. Questa grazia che sostiene e accompagna la libera attività della volontà vien detta sussequente, adiuvante, concomitante, cooperante.

La dottrina della Chiesa circa la realtà e necessità della grazia cooperante è stata espressa nel Decreto della giustificazione del Concilio di Trento. D. 797: Il peccatore si dispone alla giustificazione « assentendo e cooperando liberamente alla grazia » (gratiæ libere assentiendo et cooperando). D. 810: « L’amore di Dio per tutti gli uomini è così grande da volere che siano loro meriti (in virtù della loro libera attività) quelli che sono i suoi doni (in virtù della sua grazia) ». Cfr. D. 141. – S. Paolo pone in risalto l’aiuto dato dalla grazia di Dio alla libera attività dell’uomo. 1 Cor. XV, 10: « Ma per grazia di Dio sono quel che sono e la grazia di Lui verso di me non fu cosa vana; anzi ho faticato più di tutti loro, non già io, ma la grazia di Dio con me (gratia Dei mecum) ». – S. AGOSTINO cosi descrive l’operazione della grazia preveniente e di quella cooperante: « Dio opera nell’uomo molte cose buone senza che l’uomo operi; però l’uomo non può operarne alcuna se Dio non interviene e non opera » (Contr. duas ep. Pel. II, 9, 21 = D. 193). « Dio prepara la volontà e perfeziona cooperando con noi, ciò che Egli aveva cominciato operando in noi. Infatti è Lui che comincia facendo sì che noi vogliamo, e quando poi vogliamo è lui che perfeziona cooperando con noi… Così affinché vogliamo Egli agisce senza di noi; quando poi vogliamo, e vogliamo efficacemente, Egli coopera con noi. Se Egli non opera per deciderci a volere e non coopera quando ci siamo decisi a volere, noi non possiamo assolutamente compiere alcuna opera buona » (gratia et lib. arb. 17, 33). Cfr. GREGORIO MAGNO, Moralia XV 25, 30 e la preghiera Actiones nostras.

§ 7. Controversia sull’essenza della grazia attuale

1. Si deve respingere la dottrina di Pascasio Quesnel, secondo cui la grazia attuale si identifica con la volontà onnipotente di Dio. Cfr. la 19 proposizione condannata: « Dei gratia nihil aliud est quam eius omnipotens voluntas » (D. 1369; 1360-1361). La volontà onnipotente di Dio si identifica con la sua essenza. La grazia attuale invece è un effetto finito della sua volontà salvifica e quindi da Lui distinto (gratia creata). Quesnel con questo suo concetto intendeva fondare la pretesa efficacia irresistibile della grazia.

2. Secondo i molinistila grazia attuale consiste formalmente in atti vitali indeliberati dell’anima, cioè in atti dell’intelligenza o della volontà, prodotti immediatamente da Dio nell’anima. Per provare la loro dottrina essi si rifanno alla Scrittura, alla Tradizione ed alle dichiarazioni del Magistero che chiamano la grazia attuale « cogitatio pia, cognitio, scientia e « bona voluntas, sanctum desiderium, cupiditas boni, voluptas, delectatio » ecc., espressioni che designano atti vitali dell’anima.

3. I tomistidefiniscono la grazia attuale un dono o energia che precede tali atti indeliberati ed eleva in modo transeunte l’intelletto e la volontà rendendoli capaci di produrli. Questa energia soprannaturale concessa da Dio si unisce con le facoltà spirituali dell’uomo formando così un unico principio dal quale scaturisce l’atto salutare. I tomisti si appellano alle espressioni della Scrittura, dei Padri e dei Concili, in cui la grazia preveniente vien presentata come un chiamare, illuminare, picchiare, destare, attirare e toccare da parte di Dio. Tutte queste espressioni denotano un’attività divina che precede gli atti vitali dell’anima e li produce. L’energia che eleva transitoriamente le facoltà dell’anima rendendole capaci di atti soprannaturali è caratterizzata dai tomisti come una qualità transeunte o « fluente » (qualitas fluens) per distinguerla dalla grazia santificante, che è una qualità permanente. Non diverso è il pensiero di S. TOMMASO (S. th. I – II, 110, 2) sebbene dica espressamente che la grazia attuale « non è una qualità, ma un moto dell’anima (non est qualitas, sed motus quidem animæ), poiché per qualità egli intende alcunché di permanente e per « moto dell’anima » intende non un atto vitale, ma il ricevere la mozione di Dio (anima hominis movetur a Deo ad aliquid cognoscendum vel volendum vel agendum). Contro l’opinione molinista si fa valere soprattutto la considerazione che gli atti vitali soprannaturali vengono prodotti a un tempo da Dio e dalle potenze dell’anima, mentre la grazia è causata solo da Dio.

CAPITOLO SECONDO

La necessità della grazia attuale.

§ 8. La necessità della grazia

per gli atti dell’ordine soprannaturale.

1. Necessità della grazia per ogni atto salutare. Per ogni atto salutare è assolutamente necessaria la grazia soprannaturale di Dio (gratia elevans). De fide.

Il II Concilio di Orange (529) insegna nel can. 9: « Ogni qualvolta noi facciamo opere buone (salutari) è Dio che opera in noi e con noi perché le facciamo » (quoties bona agimus, Deus in nobis atque nobiscum, ut operemur, operatur; D. 182) e nel can. 20: « L’uomo non può fare opere buone (salutari) senza che Dio non gli conceda di farle » (nulla facit homo bona, quæ nel Deus præstat, ut faciat homo; D. 193; cfr. 180). Il Concilio di Trento confermò questa dottrina nel Decreto sulla giustificazione, can. 1-3 (D. 811-813). Sono contro la dottrina della Chiesa il pelagianesimo ed il razionalismo moderno. – Cristo, con l’immagine della vite e dei tralci ( Gv. XV, 1 ss.), mostra chiaramente il suo influsso di grazia nelle anime, che produce frutti di vita eterna, ossia atti salutari: « Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me ed Io in lui, produce molto frutto; perché senza di me voi non potete fare nulla » (sine me nihil potest facere; v. 5). Paolo esprime lo stesso pensiero con l’immagine dell’unione tra il capo e le membra (Ef. IV, 15 ss. Col. II, 19). Per ogni pensiero salutare (2 Cor. III, 5) per ogni decisione della volontà (Rom. IX, 16) e per ogni opera buona (Fil. II, 13; 1 Cor. XII, 3) l’Apostolo richiede l’aiuto della divina grazia. 1 Cor. XII, 3: « Nessuno può dire: Gesù Signore, se non in Spirito Santo ». I Padri accolsero la dottrina di Pelagio come una innovazione contraria alla fede tradizionale della Chiesa. S. AGOSTINO spiega cosi il passo di Gv. XV, 5: « Perché nessun creda che il tralcio possa da se stesso fare almeno un piccolo frutto, Egli non dice: « senza di me potere fare poco », ma « non potete far nulla ». Dunque sia poco sia molto non « può fare fuori di Colui senza del quale non si può far nulla. (In Ioan. tr. 81, 3). – Che la grazia sia assolutamente necessaria per ogni atto salutare la ragione stessa lo deduce da ciò che essendo il fine ultimo, la visione beatifica, essenzialmente soprannaturale, anche gli atti che servono a raggiungerlo devono essere soprannaturali ossia fatti con la grazia. Cfr. S. th. I – II, 109, 5.

2. Necessità della grazia per l’inizio della fede e della salvezza.

Per l’inizio della fede e della salvezza è assolutamente necessaria la grazia interna soprannaturale. De fide.

II Il Concilio di Orange (529) dichiara nel can. 5 contro la dottrina dei semipelagiani: « Chi dice che l’inizio della fede e la stessa pia inclinazione a credere… sono in noi per natura e non per il dono della grazia, ossia per ispirazione dello Spirito Santo… si dimostra contrario agli insegnamenti apostolici »: Si quis… initium fidei ipsumque credulitatis affectum… non per gratiæ donum, id est per inspirationem Spiritus Sancti… sed naturaliter nobis inesse dicit, Apostolicis dogmatibus adversarius approbatur (D. 178). Similmente il Conciliodi Trento insegna che l’inizio della giustificazione è costituitodalla grazia preveniente di Dio. Cfr. D. 797-798,813.La Scrittura insegna che la fede, condizione soggettiva della giustificazione, è dono di Dio. Ef. II, 8:«È per mera grazia che voi siete stati salvati mediantela fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; nonè in virtù di opere affinché nessuno se ne gloria  ». Gv.VI, 44: « Nessuno può venire a me (cioè credere in me),se non lo attira il Padre, che mi ha mandato ». Cfr.Gv. VI, 66. Secondo Ebr. XII, 2 Cristo è « autore e consumatoredella fede ». Cfr. Fil. 1, 6; 1, 29; 1 Cor. IV, 7.I testi biblici a cui si richiamavano i semipelagiani (Zac. I , 3: « Tornate a me e io tornerò a voi »; Prov. VIII, 17: « Io amoquelli che mi amano »; Mt. VII, 7: « Chiedete e vi sarà dato »;Atti XVI, 31: « Credi nel Signore Gesù e sarai salvato »; E f . V, 14: « Destati… ed il Cristo ti illuminerà ») vanno spiegati in armoniacon gli altri luoghi della Scrittura, tenendo presenteche il rivolgersi dell’uomo verso Dio è già sotto l’influssodella grazia attuale. L’attività libera della volontà non escludela grazia. Il rivolgersi di Dio verso l’uomo non va riferitoalla concessione della prima grazia, ma alla comunicazionedi grazie ulteriori.S. AGOSTINO nell’opera De dono perseverantiæ (19, 48-50)adduce già una prova della tradizione con testimonianze di Cipriano, Ambrogio e Gregorio Nazianzeno. Egli si richiamaalla preghiera della Chiesa per la conversione degli infedeli: « Se la fede è esclusivamente un prodotto della libera volontàe non è un dono di Dio, perché dunque preghiamo per coloro che non vogliono credere, affinché credano? » (De gratiaet lib. arb. 14, 29). In scritti anteriori alla sua elezione episcopale (395), Agostino stesso aveva sostenuto l’idea erroneache la fede non è un dono di Dio, ma opera esclusiva dell’uomo. Soprattutto il passo di 1 Cor. IV, 7: « Che cosa hai che non ricevesti? » lo indusse ad ammettere che anche la fede è dono di Dio. Cfr. De præd. sanct. 3, 7.Non poche espressioni patristiche preagostiniane che sannodi semipelagianesimo si spiegano agevolmente se si tengaconto della lotta contro il fatalismo pagano ed il manicheismoche negavano la libertà. S. GIOVANNI CRISOSTOMO, al quale soprattutto si appellavano i semipelagiani, osserva in Ebr. XII, 2: « Egli stesso ha piantato in noi la fede, Egli stesso vi ha dato inizio » (In ep. ad Hebr. hom. 28, 2).La gratuità della grazia esige che anche il principio dellafede e della salvezza sia opera di Dio. Quando ha luogo l’attodi fede, il primo giudizio sulla credibilità della rivelazione(iudicium credibilitatis) e l’inclinazione a credere (pius credulitatis affectus) è da ascrivere all’influsso della grazia immediata di illuminazione e di ispirazione.

3. Necessità della grazia attuale per gli atti salutari del giustificato.

Anche l’uomo giustificato, ossia in stato di grazia, ha bisogno della grazia attuale per compiere atti salutari. Sent. communis.

Poiché le facoltà spirituali di chi è giustificato sono elevate in modo permanente dalla grazia abituale, la grazia attuale opera in lui non come elevante ma come eccitante e adiuvante, in quanto fa passare le facoltà dalla potenza dell’atto e accompagna il compimento dell’atto, ed opera pure come sanante in quanto guarisce le rimanenti ferite del peccato. Non esiste una precisa decisione del magistero ecclesiastico sulla necessità di questa grazia. Il II Concilio di Orange e quello di Trento parlano tuttavia di un influsso della grazia divina o di Cristo sulle opere buone del giusto, senza distinguere espressamente tra grazia attuale e abituale. D. 809: « Gesù Cristo stesso… infonde continuamente la sua virtù nei giustificati. E questa virtù sempre antecede, accompagna e sussegue le loro buone opere ». Cfr. D. 182. Secondo la prassi della Chiesa anche i giusti pregano per impetrare la grazia dell’assistenza divina (Actiones nostras ecc.). La frase di Cristo: « Senza di me non potete far nulla » (Gv. XV, 5) dimostra che anche il giusto ha bisogno dell’aiuto della grazia attuale per fare atti salutari. – Paolo insegna che Dio stimola e compie le opere buone dei giusti. Fil. II, 13: « Dio è quello che opera in voi e il volere e l’agire in virtù della sua benevolenza ». 2 Tess. II, 16: « Dio… consoli i vostri cuori e vi confermi in ogni opera buona e in ogni buona parola ». Ebr. XIII, 21: « Il Dio della pace… vi renda atti a ogni opera buona, sicché possiate fare la sua volontà». – S. AGOSTINO estende la necessità della grazia attuale anche ai giusti: « Come l’occhio del corpo, benché perfettamente sano, non può vedere senza lo splendore della luce, così anche l’uomo, benché completamente giustificato, non può vivere rettamente se non è divinamente aiutato dall’eterna luce della giustizia » (De nat. et grat. 26, 29). – La necessità della grazia attuale per le buone opere dei giusti, si fonda sul fatto che ogni creatura, a cagione della sua completa dipendenza dal Creatore, ha bisogno perché le sue facoltà passino all’atto di un attuale influsso divino (gratia excitans et adiuvans). Inoltre poiché le conseguenza del peccato originale permangono anche nei giusti, questi abbisognano di un particolare aiuto della grazia, che ne sani le debolezze morali (gratia sanans). Cfr. S. th. I – II, 109, 9.

https://www.exsurgatdeus.org/2019/09/19/la-grazia-note-di-teologia-dogmatica-2/

SALMI BIBLICI: “JUDICA DOMINE, NOCENTES ME” (XXXIV)

SALMO 34: JUDICA DOMINE, nocentes me …”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

TOME PREMIER.

PARIS LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR RUE DELAMMIE, 13 – 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

[1] Ipsi David.

    Judica, Domine, nocentes me;

expugna impugnantes me.

[2] Apprehende arma et scutum, et exsurge in adjutorium mihi.

[3] Effunde frameam, et conclude adversus eos qui persequuntur me; dic animæ meæ: Salus tua ego sum. (1)

[4] Confundantur et revereantur quærentes animam meam; avertantur retrorsum et confundantur cogitantes mihi mala.

[5] Fiant tamquam pulvis ante faciem venti, et angelus Domini coarctans eos.

[6] Fiat via illorum tenebrae, et lubricum; et angelus Domini persequens eos.

[7] Quoniam gratis absconderunt mihi interitum laquei sui, supervacue exprobra-verunt animam meam. (2)

[8] Veniat illi laqueus quem ignorat, et captio quam abscondit apprehendat eum, et in laqueum cadat in ipsum.

[9] Anima autem mea exsultabit in Domino, et delectabitur super salutari suo.

[10] Omnia ossa mea dicent: Domine, quis similis tibi? eripiens inopem de manu fortiorum ejus; egenum et pauperem a diripientibus eum.

[11] Surgentes testes iniqui, quae ignorabam interrogabant me.

[12] Retribuebant mihi mala pro bonis, sterilitatem animae meae.

[13] Ego autem, cum mihi molesti essent, induebar cilicio; humiliabam in jejunio animam meam, et oratio mea in sinu meo convertetur. (3)

[14] Quasi proximum et quasi fratrem nostrum sic complacebam; quasi lugens et contristatus sic humiliabar.

[15] Et adversum me laetati sunt, et convenerunt; congregata sunt super me flagella, et ignoravi.

[16] Dissipati sunt, nec compuncti, tentaverunt me, subsannaverunt me subsanna-tione; frenduerunt super me dentibus suis.

[17] Domine, quando respicies? Restitue animam meam a malignitate eorum, a leonibus unicam meam.

 [18] Confitebor tibi in ecclesia magna; in populo gravi laudabo te.

[19] Non supergaudeant mihi qui adversantur mihi inique, qui oderunt me gratis, et annuunt oculis.

[20] Quoniam mihi quidem pacifice loquebantur; et in iracundia terræ loquentes, dolos cogitabant. (4)

[21] Et dilataverunt super me os suum; dixerunt: Euge, euge! viderunt oculi nostri. (5)

[22] Vidisti, Domine, ne sileas; Domine, ne discedas a me.

[23] Exsurge et intende judicio meo, Deus meus; et Dominus meus, in causam meam.

 [24] Judica me secundum justitiam tuam, Domine Deus meus, et non super-gaudeant mihi.

[25] Non dicant in cordibus suis: Euge, euge, animæ nostræ; nec dicant: Devoravimus eum.

[26] Erubescant et revereantur simul qui gratulantur malis meis; induantur confusione et reverentia qui magna loquuntur super me.

[27] Exsultent et lætentur qui volunt justitiam meam; et dicant semper: Magnificetur Dominus, qui volunt pacem servi ejus.

[28] Et lingua mea meditabitur justitiam tuam, tota die laudem tuam.

[Vecchio Testamento secondo la Volgata

Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO XXXIV

Argomento principale è l’orazione di Cristo al Padre contro i persecutori suoi e della sua Chiesa.

Salmo dello stesso David.

1. Giudica, o Signore, coloro che mi offendono; combatti coloro che mi combattono.

2. Prendi l’armi e lo scudo, e levati a darmi aita.

3. Tira fuori la spada, e serra la strada a coloro che mi perseguitano; di’ all’anima mia: Io sono la tua salute. (1)

4. Rimangan confusi e svergognati tutti coloro che tendono insidie alla mia vita.

Sian messi in fuga e in iscompiglio quei che ordiscon del male contro di me.

5. Il Signore come polvere al soffiar del vento, e l’Angelo del Signore li prema.

6. La loro via sia tenebrosa e sdrucciolevole; e l’Angelo del Signore gl’incalzi.

7. Perocché senza ragione mi tesero occultamente il loro laccio di morte; ingiustamente caricarono di obbrobri l’anima mia. (2)

8. Venga sopra di lui un laccio, a cui egli non pensa; e dalla rete, lesa occultamente da lui, egli sia preso, e cada nello stesso suo laccio.

9. Ma l’anima mia esulterà nel Signore, e si rallegrerà per la salute che vien da lui.

10. Tutte quante le ossa mie diranno: Signore, chi è simile a te? Tu che liberi il povero dalle mani di quei che ne possono più di lui, l’abbandonato e il povero da quelli che lo spogliavano.

11. Testimoni iniqui, levatisi su, mi domandavan conto di cose ch’io ignoravo.

12. Pel bene mi rendevan dei mali: la sterilità all’anima mia.

13. Ma io, mentre quelli mi molestavano, mi rivestii di cilizio. Umiliai col digiuno l’anima mia, e nel mio seno si aggirava la mia orazione. (3)

14. Quasi parente e quasi fratello lo trattai con amore; mi umiliai come uno che è in duolo e in tristezza.

15. Ed essi eran lieti, e si adunarono contro di me; furon messi insieme flagelli contro di me, e io non li conoscevo.

16. Vennero in discordia, ma non si compunsero; mi tentarono, m’insultarono grandemente; digrignavano i denti contro di me.

17. Signore, quando porrai tu mente? Sottrai l’anima mia dalla malignità di costoro, dai leoni l’unica mia.

18. Te io confesserò in una chiesa grande; in mezzo a un popolo numeroso li loderò.

19. Non abbiano da godere del mio male  quelli che ingiustamente mi sono avversi; quelli che mi odiano senza cagione, e ammiccano gli occhi.

20. Imperocché meco parlavan parole di pace, ma nella commozion della terra meditavano inganni. (20)

21. Dilatarono la loro bocca contro di me; dissero: Bene sta, bene sta, i nostri occhi han veduto. (21)

22. Tu hai veduto, o Signore, non restare in silenzio; Signore, non ritirarti da me.

23. Levati su, e abbi a cuore il mio giudizio, la mia causa, Dio mio e Signor mio.

24. Giudicami secondo la tua giustizia, o Signore Dio mio, e coloro di me non trionfino.

25. Non dicano nei loro cuori: Bene sta, buon per noi; e non dicano: Lo abbiam divorato.

26. Sieno tutti insieme confusi e svergognati quelli che si rallegrano dei miei mali. Siano vestiti di confusione e di rossore loro che parlan superbamente contro di me.

27. Esultino e si rallegrino quei che favoriscono la mia giustizia e dicano sempre: magnificato il Signore; quei che la pace desiderano del servo di lui.

28. E la mia lingua mediterà la tua giustizia, le lodi tue tutto il giorno.

***

(1) Parola per parola: vuota la lancia, cioè tirala dal fodero.

(2) Gli antichi, per prendere le bestie feroci, tendevano un filo sul davanti o su di una fossa.

(3) Vale a dire, io pregavo con la testa abbattuta dal dolore e riversata sul mio seno. La Vulgata, in accordo con i Settanta, traduce cum mihi molesti essent; ma il termine ebraico “bacaloutham” diverge da questa traduzione. Esso significa letteralmente “tum ægrotarum, cum infirmarentur”, “quando erano malati”. Così l’ha inteso Gerolamo e Bossuet, Duguet, Agier, e Galion, come pure D. Calmet, Sacy, e la Bibbia di Vence e M. le Hir nelle loro note. L’intenzione del Profeta ne fa un pensiero tutto evangelico: quando questi uomini, miei nemici, erano “pieni di infermità, io mi coprivo di cilicio, digiunavo, mi umiliavo, raddoppiavo le mie preghiere per ottenere la loro guarigione.

(4) Nella loro collera contro la terra per turbare la terra. L’ebraico riporta: «contro questi pacifici della terra ». Ora parlare per irritare o per turbare la terra, è parlare contro gli uomini pacifici della terra.

(5) Coraggio! Noi andiamo a vedere la sua rovina ed i nostri disegni compiuti.

Sommario analitico

Davide, perseguitato da Saul, pressato da tutti i lati dai suoi nemici, invoca Dio come giudice, e Lo prega di prendere in mano la sua difesa e la sua causa. Egli è figura di Gesù Cristo in preda al furore dei farisei, soprattutto nella sua Passione, e di tutti i santi perseguitati.

I – Egli descrive in questo combattimento:

1. Le armi di Dio, a) la sentenza di condanna che pronuncerà contro i suoi nemici (1) ; b) lo scudo di protezione con cui lo coprirà (2); c) la spada della sua collera con la quale colpirà i suoi persecutori (3).

2. le armi dei suoi nemici e la loro vergognosa sconfitta, a) la crudeltà con la quale cercheranno di togliergli la vita, ma essi saranno messi in fuga e coperti di ignominia (4); b) la malizia con la quale essi gli hanno teso dei tranelli e lo hanno coperto di oltraggi quando vi è finito, ma 1) essi saranno dispersi, come la polvere portata via dal vento (5); essi saranno messi in fuga ed inseguiti dall’Angelo del Signore; 3) il loro cammino sarà coperto dalle tenebre e scivoloso (6); 4) saranno presi nelle proprie reti (7, 8).

3 Le sue armi personali, – a) l’amore di Dio che lo fa gioire in Dio e lodareLo con tutte le forze dell’anima (9): 1) perché Egli ha strappato il povero dalle mani di coloro che erano più forti di lui (10); 2) di coloro che lo accusavano ingiustamente (11); 3) di coloro che lo opprimevano dopo che averli ricolmati di benefici (12); – b) l’amore della sua salvezza che lo porta: 1) a rivestirsi del cilicio con pazienza, 2) a digiunare con umiltà, 3) ad applicarsi alla preghiera con perseveranza (13); – c) l’amore per i suoi nemici, che egli ama come suoi fratelli (14), benché essi: 1) abbiano gioito interiormente per le sue sciagure, 2) si siano uniti per attaccarlo (15); 3) lo abbiano ingiuriato con insulti digrignando di denti contro di lui(16).

II. – Egli decreta alla fine del combattimento:

1° la vittoria di Dio che: – a)con il solo sguardo ha messo i nemici in fuga; – b) ha liberato dalla loro crudeltà la sua anima desolata (17); – c) ha aperto la sua bocca perché possa celebrare le lodi di Dio (18); – d) ha distrutto la gioia dei suoi nemici, che sono ingiusti, malvagi, ipocriti, collerici, ingiuriosi e oltraggiosi, pieni di orgoglio e di alterigia (19-21).

2° Dall’alto dei cieli tutto considera Dio, al Quale egli domanda: – a) di non mantenere il silenzio e di terrorizzarli con la sua voce terribile; – b) di non allontanarsi da lui (22); – c) di non tardare nel venire in suo aiuto; – d) di prestare un’attenzione favorevole alla giustizia della sua causa, e di giudicarlo secondo le regole della sua giustizia (23-24); – e) di non permettere che i suoi nemici gioiscano su di lui e si vantino di averlo divorato (25); – f) di coprirli di onta e di confusione (26); – g) di dare ai suoi amici la gioia del cuore (27) e la riconoscenza dei suoi benefici, riconoscenza che, dal canto suo, sarà eterna (28).

Spiegazioni e Considerazioni

I. – 1-16.

ff. 1-3. – Qual grande e consolante spettacolo per gli occhi della nostra fede, vedere Dio stesso armato a nostra difesa, « se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? » (Rom. IX, 31S. Agost.). – Dio non ha bisogno di armi esteriori per difendere o attaccare, ma vuole accomodarsi alla nostra debolezza e conformarsi al nostro linguaggio. È nei tesori dell’amore ineffabile di Dio per noi, che sono chiusi, come un arsenale tutto divino, le armi difensive ed offensive delle quali Egli si serve per trionfare di coloro che ci perseguitano. « Signore voi ci coprite col vostro amore come una scudo » (Ps. V, 13). – Chi sono quelli che vi perseguitano? Forse è un vostro vicino, o colui che avete ferito, ingiuriato, o colui che viene a rapire ciò che voi possedete, o colui contro il quale voi predicate la verità, o colui al quale voi rimproverate le colpe, o colui che, vivendo male, è obbligato da Voi a vivere bene? Questi qui, in effetti, sono nostri nemici e ci perseguitano; ma noi siamo informati nel conoscere ancora altri nemici, come quelli contro i quali l’Apostolo Paolo ci mette in guardia (Efes. VI, 12) e che sono da combattere in maniera invisibile (S. Agost.). – « Dite alla mia anima, dite nel fondo del mio cuore », cioè imprimetevi, con l’unzione del vostro divino Spirito, questa parola sì dolce, sì consolante e sì capace di calmare le mie inquietudini: « sono Io la tua salvezza ». – Coloro che cercano la mia anima siano confusi e arrossiscano, la mia anima alla quale avete detto: « Io sono la vostra salvezza ». Io non chiederò altra salvezza se non quella che viene dal Signore mio Dio. Vanamente la creatura si offre di salvarmi, la salvezza è in Dio, e se io alzo gli occhi verso le montagne da cui esso viene, il soccorso mi sarà inviato, e non è che il soccorso mi viene da queste montagne, « ma mi viene dal Signore che ha fatto cielo e terra » (Ps. CXX, 1). Dio è venuto in vostro soccorso, nelle vostre angosce temporali per mezzo di un Uomo: è Lui la vostra salvezza. Tutte le cose Gli sono sottomesse ed Egli provvede ai bisogni di questa vita temporale, in vario modo con questa o tal altra maniera; ma quanto alla vita eterna, Egli non la dà che per se stesso. Se siete nelle angosce del dolore, voi non avete sempre sotto mano ciò che cercate; ma Colui che voi cercate è sempre là. Cercate dunque Colui che non può mai mancarvi. Vi si può togliere ciò che vi è stato dato, ma Colui che ve lo ha dato, chi ve lo toglierà? (S. Agost.). – O Gesù, il vostro cuore ha delle parole conoscono solo coloro che le hanno intese da Voi. Vi piaccia, o divino Maestro, di dirne una al mio cuore! Questa parola, che Gli chiedo da molto tempo, mi darà la vita ed ogni bene. Gesù, dite alla mia anima. « Io sono la tua salvezza »; dite questa parola e la mia anima sarà guarita. Ma questa parola siete Voi, e la salvezza siete ancora Voi, o Gesù, o Salvatore! E quando il vostro cuore la dice così al mio cuore, genera se stessa in colui che l’ascolta; essa lo rende simile a Voi, che siete la parola che dice il Padre; essa lo fa vivere della vita che Voi vivete; e colui che l’ascolta unito a Colui che parla, è un solo spirito, un solo cuore con Lui; se non ha la consustanzialità dell’essere, non di meno ha la consustanzialità della vita (Mgr. Baudhy, Le cœur de Jesus, 92).

ff. 4-8. – La confusione per un nemico, è il non poter nuocere a colui che l’attacca, confusione ancor più disonorevole, quando questo nemico, avendo prevalso, lo si supera con la pazienza, e si ricevono tutti i suoi colpi senza lamentarsi.- La polvere trasportata dal vento, immagine che rende la leggerezza e la debolezza dei peccatori: essi sono costanti solo nel fare il male, ma sono incostanti nella maniera di farlo. Costantemente schiavi delle loro passioni, hanno spesso desideri ed intenzioni contrarie. La loro debolezza è simile alla loro leggerezza. – « Il loro cammino diventi tenebroso e scivoloso », immagine ancora più vera della debolezza e delle leggerezza degli empi. Essi non si fermano mai nel male, passano di crimine in crimine, di precipizio in precipizio; essi marciano nelle vie oscure in un cammino scivoloso, segno dell’accecamento dello spirito e dell’abitudine alla voluttà. Essi pensano di essere liberi, quando sono invece rinchiusi in una schiavitù. Essi si considerano illuminati, quando non vedono neppure il cammino per il quale procedono. Prima specie di persecuzione che i giusti soffrono ordinariamente da parte dei malvagi, sono le insidie segrete che si tendono loro, e questo senza alcun soggetto. Più si testimonia la buona volontà a questa sorta di nemici, più li si irrita, perché questa condotta provoca la loro confusione. – È la strana malignità dell’invidia, che si nutre anche della carità del prossimo: quanto è pericoloso permettere l’entrata nel cuore a questa passione implacabile, poiché le ingiurie e i benefici l’offendono allo stesso modo! (Duguet). – « Ricadano nella rete che hanno teso ». È come se un uomo preparasse per un altro una coppa di veleno e poi la bevesse egli sbadatamente; o ancora come se un uomo scavasse una fossa perché un suo nemico vi cadesse nelle tenebre, e poi, dimenticando di averla scavata, vi cadesse egli per primo. È assolutamente così: ogni malvagio nuoce essenzialmente a se stesso. Si può comparare la malvagità al fuoco. Voi volete incendiare qualcosa: l’oggetto che si avvicina, brucia per prima, perché se non bruciasse, non potrebbe incendiare. Voi avete una torcia, avvicinate questa torcia per metter fuoco a qualcosa; non è vero che questa torcia brucia per prima per poter comunicare il fuoco ad un oggetto qualunque? La malvagità esce dunque da voi, e chi divora innanzitutto, se non voi? Se essa colpisce il ramo ove si conficca, come non colpirebbe la radice dalla quale esce? E ve lo dico in verità, « … può darsi che la vostra malvagità non nuoccia agli altri, ma è impossibile che non nuoccia a voi stessi » (S. Agost.).

ff. 10. – « La mia anima al contrario, sarà trasportata con allegrezza nel Signore » perché essa ha inteso da Lui queste parole: « … Io sono vostra salvezza »; perché essa non cerca all’esterno altre ricchezze, essa non desidera vedere attorno ad essa con abbondanza le voluttà ed i beni terreni, essa ama il suo vero Sposo con un amore disinteressato, che non chiede di ricevere da Lui altre delizie che non siano Egli stesso, e non chiede di possederle per trovare solo in Lui ogni delizia. « Chi potrebbe darmi ciò che vale, meglio del mio Dio? » (S. Agost.). – Non è in se stessa, ma in Dio solo che un’anima cristiana debba trovare la sua consolazione e la sua gioia, gioia che non somiglia a quella del mondo, una gioia falsa, simulata, passeggera, e sempre mista a paura o disgusto. La gioia del Signore è pura ed inonda talmente tutte le facoltà dell’anima che ridonda anche sul corpo. – Tutte le mie ossa diranno: « Signore, chi è simile a Voi? » Quanto a me, io penso che queste parole vadano solo riportate e non spiegate: perché dunque andate alla ricerca di questa o di tal altra cosa? Cosa vi è di simile al vostro Signore? Egli è Lui stesso davanti ai vostri occhi. « Tutte le mie ossa diranno: Signore, chi è simile a voi? ». « Gli empi mi hanno raccontato le delizie che li affascinano; ma esse, o Signore, non sono, comparabili alla vostra legge » (Ps. CXVIII, 85). Dei persecutori hanno detto al giusto: Adorate gli idoli; no, io non adoro gli idoli, egli ha risposto: Signore, chi è simile a Voi? « Questi idoli hanno degli occhi ma non vedono; hanno delle orecchie ma non sentono » (Ps. CXIII, 5). Signore, chi è simile a Voi, che avete l’occhio per vedere e l’orecchio per ascoltare? Io non adoro gli idoli, perché essi sono l’opera di un artigiano. Adorate quest’albero e questa montagna, è un artigiano che li ha fatti? Ed il giusto dice subito: Signore, chi è simile a Voi? Mi si mostrano delle cose terrestri, ma Voi siete il Creatore della terra. E forse si rivolgeranno verso creature di un ordine più elevato, e mi diranno: adoriamo la luna, adoriamo il sole che, per la sua luce, simile ad una lampada immensa, diffonde il giorno dall’alto del cielo. E qui ancora io rispondo apertamente: Signore, chi è simile a Voi? Siete Voi che avete creato la luna e le stelle; siete Voi che avete fatto rilucere il sole per produrre il giorno; siete Voi che avete formato il cielo. Ci sono ancora degli altri esseri invisibili ben superiori a queste meraviglie. Ma forse mi si viene a dire: abbiate un culto per gli Angeli, adorate gli Angeli! Ed io risponderò di nuovo: Signore, chi è simile a Voi? Siete ancora Voi che avete creato gli Angeli. Gli Angeli sono qualcosa perché essi gioiscono della vostra vista. È meglio possedervi con essi, che decadere dal vostro possesso per averli adorati (S. Agost.).

ff. 11, 12. –  Questo salmo è come la vita, è un’alternativa perpetua tra gioia e tristezza, tra fiducia e timore, tra pace e guerra. Il Profeta ha appena dipinto la felice sorte che attende i giusti affrancati dalla morte delle miserie del secolo presente, e ridiscende sulla terra richiamandoci al combattimento. Egli espone qui una delle prove più dure alle quali il cuore dell’uomo possa essere sottomesso: l’ingratitudine, divenuta troppo spesso l’unica ricompensa dei benefici più segnalati; l’amicizia, indegnamente tradita, dopo le più eclatanti testimonianze di affetto e devozione (Rendu). – Una seconda specie di persecuzione, con la quale gli empi perseguitano i giusti, non è più solamente l’indirizzar loro delle insidie segrete, ma pubblicamente attribuire loro dei falsi crimini, appoggiandoli sulla deposizione di ingiusti falsi testimoni. È questa l’immagine troppo fedele di ciò che l’invidia possa fare tutti i giorni contro i veri Cristiani e gli uomini dabbene. Si prende la risoluzione di renderli persi, poi se ne cercano i mezzi, per quanto ingiusti questi possano essere; li si suppone o li si dichiara criminali, poi ci si sforza di attribuire loro dei crimini. Si cercano dei « testimoni ingiusti, e si interrogano su cose di cui non hanno alcuna conoscenza », e poiché non possono rispondere, questo è sufficiente a renderli colpevoli (Duguet).

ff. 13, 14. – C’è qui per noi un insegnamento: che in tutte le nostre tribolazioni, noi non dobbiamo cercare come dover rispondere ai nostri nemici, ma come ci renderemo propizio Dio con la preghiera, affinché, soprattutto, non veniamo vinti dalla tentazione, e di conseguenza che quelli stessi che ci perseguitano, ritornino alla sana giustizia. Nulla di più importante, nulla di meglio c’è nella tribolazione, che allontanarsi dai brusii esterni e ritirarsi nel segreto del più profondo dell’anima (Matt. VI, 6), … invocare Dio in modo nascosto, ove nessuno veda il gemito dell’uomo, né il soccorso di Dio, chiudere la porta di questa camera ad ogni attacco che viene dall’esterno; infine glorificare e lodare Dio allo stesso modo, nei castighi e nelle consolazioni (S. Agost.). – Tutti i Santi hanno combattuto la tentazione con la mortificazione della carne. È così che Davide si copriva con un rude cilicio, quando si sentiva turbato dai propri pensieri ed i desideri del cuore lo portavano al male e lo tentavano. È per questo che San Paolo trattava rigorosamente il suo corpo e lo riduceva all’obbedienza. La grazia è di altra tempra nelle nostre mani che in quelle dell’Apostolo? Abbiamo noi forse uno spirito più fervente o una carne più sottomessa di quella di Davide? Il nemico ci spinge verso altri combattimenti, e siamo forse noi più forti di tanti religiosi e solitari, gli eletti e gli amici di Dio (Bourd. Sur les Tent.)? – « Io umiliavo la mia anima, etc. ». Siano i giovani santificati in tutta umiltà di spirito, indeboliscano il loro corpo senza gonfiare l’anima, per timore che un’opera di umiltà non divenga causa di orgoglio e che i vizi non prendano origine dalla virtù stessa (S. Girolamo). – Davide, perseguitato sì crudelmente ed ingiustamente, non solo rende bene per male, cosa esteriore, ma ancora ha un’affezione veramente sincera per gli autori di queste persecuzioni. Egli li ama come suo prossimo, come suoi fratelli. Egli compatisce i loro mali, fino ad esserne abbattuto dal dolore e dalla tristezza. Grande confusione, o piuttosto terribile condanna per un gran numero di Cristiani, che sono tanto lontani da queste disposizioni, anche dopo l’esempio che ha loro lasciato il loro divino Maestro e modello: Nostro Signore Gesù Cristo (Dug.).

ff. 15, 16. – In questi due versetti, si sottolineano tutti i caratteri della malvagità al naturale. I malvagi cominciano con il rallegrarsi quando trovano l’occasione di nuocere: essi si riuniscono in seguito, per mettere in atto con più sicurezza i loro complotti. Quando essi hanno preso il sopravvento, e non si può resistere loro, moltiplicano le vessazioni, le calunnie, i processi ingiusti, mentre il giusto che è l’oggetto del loro odio, non conosce nulla dei loro oscuri disegni, e non ha la minima conoscenza dei fatti dei quali li si accusa. Quando questo uomo giusto cerca di giustificarsi e mostrare l’ingiustizia delle loro accuse al tribunale della ragione, questi accusatori sono confusi, ma non per questo abbandonano la loro impresa. Essi ostentano delle rette intenzioni, delle giuste vedute, dei motivi di zelo per illudere il pubblico. In fondo questi uomini empi sono trasportati dal furore: essi insultano in modo oltraggiante; aggiungono la burla ai loro colpi più crudeli (Berthier). – Dio dissipa talvolta i cattivi disegni dell’empio, ma l’empio non diventa per questo migliore. Se non può nuocere alla persona del giusto, mira alla sua reputazione; egli fa della sua virtù, della sua pietà, l’oggetto delle sue prese in giro, delle sue burle, delle sue blasfemie. Infine, se non riesce nei suoi disegni, digrigna i denti contro il giusto, ribolle di rabbia e di stizza. – E noi pure, qual uso abbiamo fatto dei beni e dei mali della vita? « Il popolo non è tornato verso colui che lo colpiva, e non ha cercato il Dio degli eserciti ». – Quando Dio ha diminuito i nostri beni, abbiamo pensato nel contempo a moderare i nostri eccessi? Quando la fortuna ci ha abbandonato, abbiamo distolto il nostro cuore dai beni che non sono di nostra spettanza e dominio? O al contrario siamo stati di coloro dei quali è scritto: « … essi sono stati afflitti senza essere stati toccati dalla compunzione »? Servitori protervi ed incorreggibili, che si rivoltano anche sotto la verga, colpiti e non corretti, abbattuti e non umiliati, castigati e non convertiti. Il faraone indurì il suo cuore sotto i colpi raddoppiati della giustizia; il mare l’inghiotti nei suoi abissi (Bossuet, I Serm. Pour la Quinquag.). Tali sono ancora coloro dei quali è scritto nell’Apocalisse che Dio, avendoli colpiti con una piaga orribile, per la rabbia mordevano le loro lingue e bestemmiavano il Dio del cielo, non facendo penitenza. Tali uomini non sono come i dannati, che conducono il loro inferno alla vista del mondo, per sgomentarci con il loro esempio e che la croce precipita nella dannazione, come il ladrone indurito. Si strappano loro i beni di questa vita, essi si privano di quelli della vita futura, benché frustrati da ogni parte, pieni di rabbia e di disperazione, non sapendo con chi prendersela, scagliano contro Dio la loro lingua insolente per i loro mormorii e le loro blasfemie, e sembra, dice Salvien, che i loro crimini si moltiplichino con le loro suppliche, e che la pena stessa dei loro peccati sia la madre di nuovi disordini (Idem II, Serm. p. le Dim. des Ram.).

II. 17-28.

ff. 17. Sembra ora che Dio abbia gli occhi chiusi su tutto ciò che avvenga sulla terra; ma un giorno aperti saranno, questi occhi che sembravano chiusi, per vedere e punire il male e per liberare il giusto dalla cattiva volontà dei malvagi. Se il nostro Giudice differisce nel salvarci, non è per il fastidio delle nostre importunità, come il giudice del Vangelo (Luc. XVIII, 3), ma per amore; è con ragione e non per impotenza; non è per mancanza nel poterci soccorrere da subito, ma perché il numero dei nostri martiri possa completarsi fino alla fine. E noi cosa Gli domandiamo, nella violenza dei nostri desideri? « Signore, quand’è che aprirete gli occhi »? Il tempo dell’attesa è lungo per l’uomo che soffre, e Dio, che con una parola può far cessare la sofferenza, permette alla sua debole creatura un pianto umile, sottomesso e fiducioso: Signore, quando vedrete? (Rendu).

ff. 18. –  Solo nella grande assemblea della Chiesa Cattolica, si loda veramente Dio. – « Io vi loderò in mezzo ad un popolo importante, che non è leggero » (senso particolare per S. Agost.). In effetti, il nome di Dio è confessato dall’intera moltitudine, ma Dio non è lodato da tutti: la folla intera intende che noi confessiamo il nome di Dio, ma Dio non trova la sua lode nell’intera folla; perché in mezzo a tutta questa folla, cioè nella Chiesa sparsa su tutta la terra, c’è la paglia ed il frumento: la paglia vola via, il frumento resta. Ecco perché il Profeta dice. « io vi loderò in mezzo ad un popolo che non è leggero, e che non si solleva al vento della tentazione », perché la paglia è sempre causa di blasfemia riguardo a Dio. Quando si esamina la vostra paglia, cosa si può dire? Ecco dunque come vivono i Cristiani; ecco ciò che fanno i Cristiani, ed allora si compie ciò che è scritto: « … a causa vostra il mio nome è blasfemato in mezzo ai gentili » (Is. LII, 5; Rom. II, 24). Se voi esaminate l’aria del granaio con spirito di ingiustizia e di invidia, voi vi trovate in mezzo alla paglia, e vi sarà difficile incontrare il grano; ma cercate e troverete questo popolo che non è leggero e loderete con esso il Signore. Volete trovarlo? Rassomigliategli, perché se non gli somigliate, è difficile che non vi sembrino essere tutti quelli che voi stessi siete (S. Agost.). – Io voglio, o Signore, come il Profeta, confessare il vostro santo Nome, ma io voglio « confessarlo nella vostra Chiesa ». Io voglio rendere pubbliche le vostre grandezze, e celebrare le vostre lodi, ma io le voglio celebrare nella vostra Chiesa. È la santa montagna dalla quale dalla quale deve uscire la vostra legge, è il tempio augusto ove i popoli dovevano riunirsi da tutte le parti del mondo, per offrirVi il loro incenso ed indirizzare a Voi le loro voci; è il santuario ove volete ricevere il vostro culto, è la Cattedra ove Voi insegnate le vostre vie con la bocca dei vostri predicatori e dei vostri profeti (Bourd.: Pensèes, Act. de gr. d’une ame inviol. attach. à l’Eglise).

ff. 19-21. – Ipocrisia dei falsi amici: questi, con apparenze esteriori, vogliono sembrare ben altro di quel che sono. Questa persecuzione è dapprima esercitata contro Gesù Cristo nella sua vita mortale e nella sua passione, ed Egli la soffre ancor oggi da parte di un gran numero dei suoi membri. – Essi parlano talvolta di Gesù-Cristo in termini convenienti, quando si trovano con persone di pietà, fin quando le si credono dalla propria parte; essi riveriscono anche in apparenza le sue parole; ma quando si trovano con il mondo, parlano con il linguaggio odioso del mondo e si dichiarano apertamente contro i fedeli servitori di Gesù-Cristo. – È la triste e funesta soddisfazione dei malvagi, riportata sui buoni, che sono visti infine nello stato che essi avevano desiderato, cioè sotto i loro piedi.

ff. 22-24. – Tristi sono le ragioni che obbligano a dimorare nel silenzio: o perché non si vede la cosa di cui si tratta, o perché non vi si possa rimediare, o infine perché non lo si voglia. Nessuna di queste ragioni è per Dio (Dug.). – Che vuol dire: « Rompete il silenzio? Giudicateli ». È in effetti a proposito del giudizio che è detto in qualche luogo: « Per molto tempo, ho taciuto, ho fatto silenzio, mi sono contenuto »; (Is. XLII, 14). Come potrebbe mantenere il silenzio Colui che parla con i profeti, che parla con la propria bocca nei Vangeli, che parla per mezzo degli Evangelisti, che parla per mezzo di noi tutti ogni volta che proclamiamo la verità? Che ne è dunque? Egli tace in ciò che riguarda il giudizio, non per ciò che tocca i suoi Comandamenti e la sua dottrina. Ora è il giudizio che il Profeta invoca in qualche modo e che predice: « Voi l’avete visto, Signore, rompete il silenzio »; cioè, Voi interrompete il silenzio, perché è necessario che Voi giudichiate. « Signore, non vi allontanate da me ». Fino al giorno del giudizio non vi allontanate da me, così come mi avete promesso: « Io sarò con voi fino alla consumazione dei secoli » (S. Agost.). – « Dedicatevi al mio giudizio ». Forse perché siete nella tribolazione, perché oberati da lavoro e dolore? Ma pure tanti malvagi non soffrono gli stessi mali? Quale giudizio dunque? Voi siete giusto solo perché soffrite così? No! Di cosa si tratta infine? Del mio giudizio. Vediamo il seguito: « Applicatevi al mio giudizio, o mio Signore e mio Dio, per apprezzare la mia causa » (Ibid.). Giudicatemi non su ciò che io patisco, ma sul valore della mia causa; non su ciò che un ladro può avere in comune con me, ma sul fatto che « felici sono coloro che soffrono la persecuzione a causa della giustizia » (Matt. V, 10). Perché la differenza è nella causa; la pena può essere la stessa per i buoni e per i malvagi. Ma non è la pena che fa il martire, bensì la causa della loro pena: discerniamo la causa del supplizio. Che nessuno dica: poiché io soffro, allora son giusto; perché il Cristo, che ha sofferto per prima, ha sofferto a causa della giustizia; ecco perché aggiunge alla sua parola questa importante restrizione « Felici coloro che soffrono persecuzioni a causa della giustizia » (S. Agost.).

ff. 25, 26. – Gioia estrema è per i malvagi quando essi siano giunti al loro scopo di sopraffare l’uomo giusto, gioia che si manifesta nel loro contegno, nei loro discorsi, nei loro scritti. – Il successo dei peccatori è una grande insidia per essi, perché così prendono l’ardire di proseguire nelle loro criminali imprese. – Funesta è la preda che divora coloro che pensano di divorarla, o coloro che prendendo, si trovano presi, come un pesce che ingioiando l’amo coperto da un’esca, ingoia la sua morte (Duguet).

ff. 27, 28. le stesse cose ripetute più volte in questo salmo, ci danno ad intendere che non è stato solo Davide ad essere stato oltraggiato dai suoi nemici, ma che è la figura di un altro David che deve essere ugualmente oltraggiato, e dai Giudei, che erano il suo popolo, e dai Cristiani, dei quali un gran numero continuerà ad insultarLo per una via tutta opposta alla sua, fino alla fine del mondo. – « la mia lingua mediterà la vostra giustizia », espressione straordinaria, perché è proprio dello spirito il meditare, come è proprio della lingua il parlare. E la lingua non deve altro proferire se non le lodi del Signore, come frutto della meditazione del suo cuore (Duguet). – Chi potrebbe lodare il Signore tutto il giorno? E quale lingua potrebbe cantare tutto il giorno le lodi del Signore? Ecco un mezzo per lodare tutto il giorno, se volete. Qualunque cosa facciate, fatelo bene, ed avrete lodato Dio. Quando cantate un inno, voi lodate Dio; ma cosa fa la vostra lingua se il vostro cuore non lo loda ugualmente? Avete finito di cantare questo inno, e vi ritirate per il pasto? Guardatevi da ogni eccesso, e avrete lodato Dio. Voi rincasate per dormire? Non vi rialzate per fare il male, e avrete lodato Dio. State per concludere un affare? Guardatevi dal non commettere frode alcuna, ed avrete lodato Dio. Che l’innocenza delle vostre azioni sia dunque per voi una maniera per lodare Dio tutto il giorno (S. Agost.).

FESTA DI MARIA ADDOLORATA (2019)

FESTA DI MARIA ADDOLORATA (2019)

15 SETTEMBRE

I sette Dolori della B. V. Maria.

Doppio di II classe. – Paramenti bianchi.

Maria stava ai piedi della Croce, dalla quale pendeva Gesù [Intr., Grad., Seq., All., Vangelo) e, come era stato predetto da Simeone (Or.), una spada di dolore trapassò la sua anima (Secr.). Impotente « ella vede il suo dolce figlio desolato nelle angosce della morte, e ne raccoglie l’ultimo sospiro » (Seq.). L’affanno che il suo cuore materno provò ai piedi della croce, le ha meritato, pur senza morire, la palma del martirio (Com.). – Questa festa era celebrata con grande solennità dai Serviti nel XVII secolo. Fu estesa da Pio VII, nel 1817, a tutta la Chiesa, per ricordare le sofferenze che la Chiesa stessa aveva appena finito di sopportare nella persona del suo Capo esiliato, e prigioniero, e liberato, grazie alla protezione della Vergine. Come la prima festa dei Dolori di Maria, al Tempo della Passione, ci mostra la parte che Ella prese al sacrificio di Gesù, così la seconda, dopo la Pentecoste, ci dice tutta la compassione che prova la Madre del Salvatore verso la Chiesa, sposa di Gesù, che è crocifissa a sua volta nei tempi calamitosi che essa attraversa. Sua Santità Pio X ha elevato nel 1908 questa festa alla dignità di seconda classe.

[Messale Romano; D. G. Lefebvre O. S. B. – L.I.C.E. – R. Berruti 6 C. – Torino, Imprim. 1936]

Septem Dolorum Beatæ Mariæ Virginis ~ Duplex II. classis

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Joann XIX: 25
Stabant juxta Crucem Jesu Mater ejus, et soror Matris ejus, María Cléophæ, et Salóme et María Magdaléne.
Joann XIX: 26-27
Múlier, ecce fílius tuus: dixit Jesus; ad discípulum autem: Ecce Mater tua.
Stabant juxta Crucem Jesu Mater ejus, et soror Matris ejus, María Cléophæ, et Salóme et María Magdaléne.

Oratio

Orémus.
Deus, in cujus passióne, secúndum Simeónis prophetíam, dulcíssimam ánimam gloriósæ Vírginis et Matris Maríæ dolóris gladius pertransívit: concéde propítius; ut, qui transfixiónem ejus et passiónem venerándo recólimus, gloriósis méritis et précibus ómnium Sanctórum Cruci fidéliter astántium intercedéntibus, passiónis tuæ efféctum felícem consequámur:
[O Dio, nella tua passione, una spada di dolore ha trafitto, secondo la profezia di Simeone, l’anima dolcissima della gloriosa vergine e madre Maria: concedi a noi, che celebriamo con venerazione i suoi dolori, di ottenere il frutto felice della tua passione:

Lectio

Léctio libri Judith.
Judith XIII: 22; 23-25
Benedíxit te Dóminus in virtúte sua, quia per te ad níhilum redégit inimícos nostros. Benedícta es tu, fília, a Dómino, Deo excélso, præ ómnibus muliéribus super terram. Benedíctus Dóminus, qui creávit coelum et terram: quia hódie nomen tuum ita magnificávit, ut non recédat laus tua de ore hóminum, qui mémores fúerint virtútis Dómini in ætérnum, pro quibus non pepercísti ánimæ tuæ propter angústias et tribulatiónem géneris tui, sed subvenísti ruínæ ante conspéctum Dei nostri.

[Il Signore nella sua potenza ti ha benedetta: per mezzo tuo ha annientato i nostri nemici. Benedetta sei tu, o figlia, dal Signore Dio altissimo più di ogni altra donna sulla terra. Benedetto il Signore, che ha creato il cielo e la terra, perché oggi egli ha tanto esaltato il tuo nome, che la tua lode non cesserà nella bocca degli uomini: essi ricorderanno in eterno la potenza del Signore. Perché tu non hai risparmiato per loro la tua vita davanti alle angustie e alla afflizione della tua gente: ci hai salvato dalla rovina, al cospetto del nostro Dio.]

Graduale

Dolorósa et lacrimábilis es, Virgo María, stans juxta Crucem Dómini Jesu, Fílii tui, Redemptóris.
V. Virgo Dei Génetrix, quem totus non capit orbis, hoc crucis fert supplícium, auctor vitæ factus homo. Allelúja, allelúja.
V. Stabat sancta María, coeli Regína et mundi Dómina, juxta Crucem Dómini nostri Jesu Christi dolorósa.

[Addolorata e piangente, Vergine Maria, ritta stai presso la croce del Signore Gesù Redentore, Figlio tuo.
V. O Vergine Madre di Dio, Colui che il mondo intero non può contenere, l’Autore della vita, fatto uomo, subisce questo supplizio della croce! Alleluia, alleluia.
V. Stava Maria, Regina del cielo e Signora del mondo, addolorata presso la croce del Signore.]

Sequentia


Stabat Mater dolorosa


Juxta Crucem lacrimósa,
Dum pendébat Fílius.

Cujus ánimam geméntem,
Contristátam et doléntem
Pertransívit gládius.

O quam tristis et afflícta
Fuit illa benedícta
Mater Unigéniti!

Quæ mærébat et dolébat,
Pia Mater, dum vidébat
Nati poenas íncliti.

Quis est homo, qui non fleret,
Matrem Christi si vidéret
In tanto supplício?

Quis non posset contristári,
Christi Matrem contemplári
Doléntem cum Fílio?

Pro peccátis suæ gentis
Vidit Jesum in torméntis
Et flagéllis súbditum.

Vidit suum dulcem
Natum Moriéndo desolátum,
Dum emísit spíritum.

Eja, Mater, fons amóris,
Me sentíre vim dolóris
Fac, ut tecum lúgeam.

Fac, ut árdeat cor meum
In amándo Christum Deum,
Ut sibi compláceam.

Sancta Mater, istud agas,
Crucifixi fige plagas
Cordi meo válida.

Tui Nati vulneráti,
Tam dignáti pro me pati,
Poenas mecum dívide.

Fac me tecum pie flere,
Crucifíxo condolére,
Donec ego víxero.

Juxta Crucem tecum stare
Et me tibi sociáre
In planctu desídero.

Virgo vírginum præclára.
Mihi jam non sis amára:
Fac me tecum plángere.

Fac, ut portem Christi mortem,
Passiónis fac consórtem
Et plagas recólere.

Fac me plagis vulnerári,
Fac me Cruce inebriári
Et cruóre Fílii.

Flammis ne urar succénsus,
Per te, Virgo, sim defénsus
In die judícii.

Christe, cum sit hinc exíre.
Da per Matrem me veníre
Ad palmam victóriæ.

Quando corpus moriétur,
Fac, ut ánimæ donétur
Paradísi glória.
Amen
.

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Joánnem.
Joann XIX: 25-27.
In illo témpore: Stabant juxta Crucem Jesu Mater ejus, et soror Matris ejus, María Cléophæ, et María Magdaléne. Cum vidísset ergo Jesus Matrem, et discípulum stantem, quem diligébat, dicit Matri suæ: Múlier, ecce fílius tuus. Deinde dicit discípulo: Ecce Mater tua. Et ex illa hora accépit eam discípulus in sua.

[In quel tempo, stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa, e Maria Maddalena. Gesù, dunque, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che amava, disse a sua madre: «Donna, ecco tuo figlio». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre». E da quell’ora il discepolo la prese con sé.]

OMELIA

[G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle Feste del Signore e dei Santi; VI Ed. Sov. Vita e Pens. – Milano, 1956]

LA MADRE ADDOLORATA

Uno dei grandi conquistatori dell’America del Sud è Pizzarro. Con una piccola flotta era giunto la prima volta alla spiaggia del continente nuovo: le foreste opache e immense, le fiumane rombanti, il suolo pieno d’agguati spaventarono i suoi compagni che, mossi alcuni passi sulla terra ignota volevano risalire le navi e tornarsene in Europa, nella tranquillità della loro famiglia. Pizzarro allora getta la sua spada sul terreno, e, volgendosi ai suoi grida: « Se alcuno di voi ha paura, resti al di qua della mia spada, i coraggiosi vengano con me! ». Anche il nostro capitano, Gesù Cristo, ha gettato tra il paradiso e noi la sua croce e grida: « Se alcuno di voi ha paura del patimento, resti al di qua della mia croce, ma non ascenderà mai in Cielo. Chi invece mi ama, venga con me! » Molte anime, intrepidamente, disprezzando i tormenti, oltrepassarono la croce pur di tenere dietro a Gesù: un S. Vincenzo si lasciò distendere sul cavalletto, scarnificare dagli uncini di ferro, tagliuzzare da lame ardenti; un San Bonifacio si lasciò colare, nella bocca, del piombo fuso; San Marco e S. Marcelliano coi piedi trapassati dai chiodi furono legati a un palo; e San Lorenzo, giovane diacono, abbrustolito sulla graticola si volgerà scherzando al carnefice: «Sono cotto arrosto; assaggiami». – Ma prima di tutti costoro, ma avanti ad ogni martire, dietro al grido di Gesù, accorse la Madonna. Il suo dolore supera i dolori di tutti gli uomini messi insieme; la sua croce è più grave di tutte le croci del mondo messe assieme: essa anche nel patimento è sopra ogni creatura. Ego primogenita ante omnem creaturam. (Eccli., XXIV, 5). « A chi, nella tua angoscia, ti paragonerò o Vergine? c’è forse fra tutte le figlie di Sion una sola che abbia un dolore simile al tuo? Grande come il mare è la tua ambascia, e nessuno ti può consolare (Thr., II, 13). « O uomini immersi sempre negli affari, distratti sempre da pensieri mondani, raccoglietevi in questa festa! Fermatevi un momento, e considerate se vi è un dolore che somigli a quello di Maria! » (Thr., I , 12). A voler compendiare lo strazio della Madonna, io penso che non ci sia frase migliore di quelle due semplici parole che spesso abbiamo ripetute: « Mater dolorosa». Sì! Soprattutto come madre la madre la Vergine ha sofferto: come Madre di Dio, come Madre degli uomini.

Ecco due facili e fecondi pensieri.

1. LA DOLOROSA MADRE DI DIO

La circoncisione, la fuga in Egitto, la perdita di Gesù nel tempio, non furono che il preludio; tutta la tragedia si consumò al Calvario. Sotto il cielo imbrunito, nonostante che il mezzogiorno fosse passato da poco, si ergevano tre croci: due per due ladroni e in mezzo stava quella del Figlio di Dio. Aveva la testa coronata di spine, gli occhi senza lacrime, ma gonfi, le palme delle mani e le piante dei piedi trafitte, e la persona era tutta in una piaga sola. Ai piedi del patibolo, ritta, immota, senza parola, senza lamento stava la dolorosa Madre dell’Unigenito divino.

Ella tutto vedeva: quando Agar, profuga della casa d’Abramo, si trovò nel deserto senza latte, senz’acqua, senza stilla di rugiada per dissetare i l suo figliuolo, lo depositò sulla sabbia e fuggì via disperatamente non volendo assistere alle crudeli agonie della morte di sete. « Non lo vedrò morire! » — Maria invece non fuggì dal Golgotha: con gli occhi intenti, vedeva ogni stilla di sangue rigare la persona del suo Figliuolo, vedeva ogni spasimo del volto divino, vedeva l’orribile morte avvicinarsi lentissimamente.

Ella tutto udiva: le madri non sanno soffrire che qualcuno sparli delle loro creature; o fuggono per non udire o accorrono per difenderle dalla mala lingua. Maria invece era costretta a sentire tutte le bestemmie, le ironie, gl’insulti banali, le sghignazzate che dalle bocche infernali latravano contro suo Figlio morente. « Ecco: hai fatto tanti miracoli per gli altri, fanne uno anche per te e discendi dalla croce. Hai detto che in tre giorni puoi fabbricare un tempio come quello di Salomone e non sai salvarti? Ci hai fatto credere di essere re, ma i tuoi soldati dormono, che non vengono a liberarti? ». L a Madre udiva. E taceva.

Ella tutto provava: lo spasimo nel suo cuore. Il respiro di Gesù si faceva sempre più rantolante, ed il petto gli si dilatava con affannoso convulso per bere un po’ d’aria: ed anch’ella sentiva il suo fiato farsi sempre più corto e quasi mancarle. Sentiva nelle palme delle mani una puntura acutissima come se un chiodo gliele attraversasse, il medesimo dolore sentiva nelle piante dei piedi. – Il cuor di Gesù pulsava con battiti celeri e veementi che lo squassavano come per strapparlo: ed anch’ella sentiva il suo cuore materno rompersi dentro. La lebbre sitibonda cominciò a bruciare tutta la persona del Crocifisso divino: « Ho sete! » gridò. E sua Madre non poté dargli un bacio per placargli l’arsura delle labbra. Quanto è terribile!

Ella tutto comprendeva: quando l’Agonizzante esclamò: «Dio mio, Dio mio! Perché mi hai abbandonato anche tu? » nessuno comprese il significato vero di quelle parole. « Sentite — dicevano — chiama Elia a liberarlo ». Ma la Vergine sapeva che in quel momento Gesù s’era caricato di tutti i peccati del mondo, e provava la vendetta di Dio; sapeva come questo fosse il dolore massimo, ma per alleviarlo non poteva far niente.

Ella tutto sopportò fin anche lo sfregio al cadavere. Anche a Respha (II Re, XXI) avevano crocifisso due figliuoli: ma poi che furono morti, essa poté rimanere per più giorni accanto ai loro cadaveri perché non li mangiassero i corvi rapaci. Maria invece dovette vedere un soldato squarciare con una lancia il costato del suo Gesù: il Figlio già morto non lo avvertì quel colpo, ma la Madre sentì il freddo della lama penetrarle in seno, e dividerle il cuore.

Eppure stava presso la croce. Quando a Davide uccisero il figlio Assalonne, per alcuni giorni fece rimbombare la reggia di urli e di pianti. Maria non fece querela. Il monte tremava, il sole si copriva di caligine, il velo del tempio si fendeva, i sepolcri s’aprivano, solo la Madre stava. Stabat Mater (Giov., XIX, 25).

2. LA DOLOROSA MADRE DEGLI UOMINI

L’Addolorata noi amiamo rappresentarla con il cuore trafitto da sette spade: i sette dolori più gravi della sua vita. Eppure la Vergine rivolgendosi a noi potrebbe

far questo lamento: «Tu super dolorem vulnerum meorum addidisti» (Salm., LXVIII, 27). Un dolore più grave di questi sette, me l’hai dato tu. Non vi sembrapossibile? ascoltate.Una ricchissima signora di Parigi aveva un figliuolo ch’ella amava sopra ognicosa. Volle dargli un’educazione quale non possono averla se non i figli del re: chiamò i professori più rinomati, non lesinò in ricompense, e poi, a completare la formazionelo mandò in Inghilterra. Di là riceveva di quando in quando lettere del figliuolochiedente denaro sempre: la madre già tutto aveva speso per lui, tuttavia vendette anche l’oro e le gemme di quando era giovane sposa. Le lettere chiedenti danaro continuavano ancora; e la madre vendette i suoi vestiti di seta e poi anche il palazzo in cui abitava. Si ritirò in una stanzetta, povera ma contenta di rivedere tra poco il figlio ricco di titoli e d’istruzione, onorato e invidiato da tutti. Ed ecco un’ultima lettera annunciarle prossimo il ritorno solo che occorreva ancora danaro. E la madre agucchiò, notte e giorno, pur di guadagnare quell’ultimo sforzo. Finalmente sente bussare alla porta; ma non era suo figlio. Venivano a dirle che la giustizia l’aveva agguantato e rinchiuso nel carcere dei delinquenti. « Ma come!— urlava la povera mamma — tutta la mia sostanza fu spesa inutilmente? Il mio danaro fu usato a delinquere? È troppo! È troppo!… ».Questa non è che una parabola. La realtà è che un’altra madre ha fatto per noi molto di più. Non l’oro, non la seta, ma il suo Figlio divino ha sacrificato per noi, ha versato per noi il sangue del suo sangue! Ed inutilmente. Noi siamo ritornati a peccare nelle nostre cattive abitudini. « Come mai? — pare che oggi ci dica la nostra Madre dolorosa — come!? Per niente ho lasciato crocifiggere il mio Gesù? Il suo sangue fu inutile per la tua anima? Il suo sangue, il mio sangue sparso perla tua redenzione, tu lo tramuti per la tua perdizione? È troppo, è troppo!» Tu super dolorem vulnerum meorum addidisti.

CONCLUSIONE

Cristiani, figli di Maria, che la considerazione dei dolori della Vergine non passi senza frutto davanti all’anima vostra! Ed il frutto sia quello che è consigliato nel libro dell’Ecclesiastico: «Gemitus matris tuæ ne obliviscaris » (VII, 29). Non essere sordo al gemito di tua Madre. Quando il mondo ti affascina con i suoi piaceri e non sai come strapparti dalla fantasia l’immaginazione di delizie velenose, ricordati del pianto di Maria e non dimenticare il gemito di questa tua Madre dolorosa. Gemitus matris tuæ ne obliviscaris. O uomini miserabili! quale pensiero vi agita? Volete voi un’altra volta elevare la croce a Gesù Cristo? Volete rinnovellare a Maria il suo strazio? Lasciamoci commuovere dal grido d’una Madre dolorosa. «Figliuoli! — ci dice Ella — Io ho visto morire il mio Figlio diletto, io sotto la croce ho patito tutto quello che a creatura umana è possibile patire. Eppure tutto quel dolore io non lo conto più, io lo dimentico. Credete al mio amore: il colpo che mi date col vostro peccato, questo è la piaga più spasimante che mi passa il seno, che mi colpisce il cuore! ». Ecco un gemito della Madre nostra; fratelli, non dimentichiamolo.

Credo

Offertorium

Orémus
Jer XVIII: 20
Recordáre, Virgo, Mater Dei, dum stéteris in conspéctu Dómini, ut loquáris pro nobis bona, et ut avértat indignatiónem suam a nobis.

[Ricordati, o Vergine Madre di Dio, quando sarai al cospetto del Signore, di intercedere per noi presso Dio, perché distolga da noi la giusta sua collera].

Secreta

Offérimus tibi preces et hóstias, Dómine Jesu Christe, humiliter supplicántes: ut, qui Transfixiónem dulcíssimi spíritus beátæ Maríæ, Matris tuæ, précibus recensémus; suo suorúmque sub Cruce Sanctórum consórtium multiplicáto piíssimo intervéntu, méritis mortis tuæ, méritum cum beátis habeámus:

[Ti offriamo le preghiere e il sacrificio, o Signore Gesù Cristo. supplicandoti umilmente: a noi che celebriamo. in preghiera i dolori che hanno trafitto lo spirito dolcissimo della santissima tua Madre Maria, per i meriti della tua morte e per l’amorosa e continua intercessione di lei e dei santi che le erano accanto ai piedi della croce, concedi a noi di partecipare al premio dei beati:]

Præfatio de Beata Maria Virgine

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubique grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Et te in Transfixióne beátæ Maríæ semper Vírginis collaudáre, benedícere et prædicáre. Quæ et Unigénitum tuum Sancti Spíritus obumbratióne concépit: et, virginitátis glória permanénte, lumen ætérnum mundo effúdit, Jesum Christum, Dóminum nostrum. Per quem majestátem tuam laudant Angeli, adórant Dominatiónes, tremunt Potestátes. Coeli coelorúmque Virtútes ac beáta Séraphim sócia exsultatióne concélebrant. Cum quibus et nostras voces ut admitti jubeas, deprecámur, súpplici confessióne dicéntes: ….

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: Te, nella Transfissione della Beata sempre Vergine Maria, lodiamo, benediciamo ed esaltiamo. La quale concepí il tuo Unigenito per opera dello Spirito Santo e, conservando la gloria della verginità, generò al mondo la luce eterna, Gesú Cristo nostro Signore. Per mezzo di Lui, la tua maestà lodano gli Angeli, adorano le Dominazioni e tremebonde le Potestà. I Cieli, le Virtú celesti e i beati Serafini la célebrano con unanime esultanza. Ti preghiamo di ammettere con le loro voci anche le nostre, mentre supplici confessiamo dicendo:]

Communio

Felices sensus beátæ Maríæ Vírginis, qui sine morte meruérunt martýrii palmam sub Cruce Dómini.

[Beata la Vergine Maria, che senza morire, ha meritato la palma del martirio presso la croce del Signore.]T

Postcommunio

Orémus.
Sacrifícia, quæ súmpsimus, Dómine Jesu Christe, Transfixiónem Matris tuæ et Vírginis devóte celebrántes: nobis ímpetrent apud cleméntiam tuam omnis boni salutáris efféctum:

[O Signore Gesù Cristo, il sacrificio al quale abbiamo partecipato celebrando devotamente i dolori che hanno trafitto la vergine tua Madre, ci ottenga dalla tua clemenza il frutto di ogni bene per la salvezza:]

Per l’Ordinario, vedi:

https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO XI – “STUDIORUM DUCEM”

Questa stupenda lettera enciclica tesse le lodi del Dottore Angelico in occasione dell’avvicinarsi del VI centenario della sua canonizzazione. Tantissime le citazioni dei Sommi Pontefici a suo riguardo a cominciare da quella celeberrima di Govanni XXII: « Egli illuminò la Chiesa di Dio più di qualunque altro Dottore; e ricava maggior profitto chi studia per un anno solo nei libri di lui, che chi segua per tutto il corso della sua vita gl’insegnamenti degli altri », oppure (S. Pio X) «Dopo la morte beata del Santo Dottore, non fu tenuto nella Chiesa alcun Concilio ove egli non sia stato presente con la sua preziosa dottrina ». Praticamente la sua opera teologica abbracciò ogni ambito, come giustamente ricorda il Santo Padre Pio XI, « … Chi voglia conoscere quanto si estenda il precetto dell’amore di Dio, come crescano in noi la carità e i doni dello Spirito Santo ad essa congiunti, come tra di loro differiscano i vari stati della vita, quali lo stato di perfezione, lo stato religioso, l’apostolato, e quale sia la natura di ciascuno, o altri punti di teologia ascetica o mistica, dovrà principalmente consultare l’Angelico Dottore », per cui occorre tenersi ben saldi alla sua dottrina, che poi è quella approvata dalla Chiesa Cattolica di sempre, per considerarsi nella “barca di Pietro” a pieno titolo. Segue l’immancabile accenno ai modernisti [… le varie opinioni e teorie dei Modernisti sono da lui vittoriosamente confutate… – … a qui si rileva perché i Modernisti nessun altro dottore della Chiesa paventino quanto Tommaso d’Aquino], che ovviamente cercavano di ostacolare le dottrine esposte dell’aquinate sostituendole con deliri razionalistici, agnostici, o fantasie pseudo-teologiche come ben enunciato da S. S. San Pio X nella sua graffiante intramontabile “Pascendi”. Attualmente poi, la setta del novus ordo, quella degli apostati usurpanti la Sede Apostolica, adoratori del baphomet-lucifero, cioè quello che essi chiamano “signore dell’universo”, la filosofia e teologia di San Tommaso, sbandierata a parole dagli attuali finti-domenicani, nei fatti è scalzata dallo gnosticismo variamente travestito: il solito panteismo oggi pure in salsa “verde-ecologica”, il deismo cabalistico, il nichilismo del nulla (o del tutto … che è lo stesso) universale, l’emanatismo e l’inneismo che rinnega ed è l’opposizione totale alla Rivelazione divina della tradizione cristiana, con annesso falso ecumenismo di stampo massonico, ed indifferenti smog religioso, etc. L’antidoto a queste e fuorvianti dottrine sataniche, spesso comiche ed esilaranti oggi in voga presso i “non-teologi” formati nelle logge e conventicole varie, è quello indicato da Papa Ratti: « … per evitare poi gli errori che sono la prima origine di tutte le miserie della nostra età, occorre rimanere fedeli, oggi ancor più che in altri tempi, alle dottrine dell’Aquinate. Seguono indicazioni per le celebrazioni con la concessione di indulgenze, e … dulcis in fundo, la preghiera a S. Tommaso con indulgenza relativa. La lettera merita un’attenta riflessione perché possa generare un rigetto salutare e salvifico, delle “ermeneutiche” sataniche oggi in voga e delle lucifero-teologie importate dalle foreste Bavaresi e dalla prateria della Pampa.

PIO XI

LETTERA ENCICLICA

STUDIORUM DUCEM

DEL SOMMO PONTEFICE
AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI,
PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI
E AGLI ALTRI ORDINARI LOCALI
CHE HANNO PACE E COMUNIONE
CON LA SEDE APOSTOLICA,
IN OCCASIONE DEL VI CENTENARIO
DELLA CANONIZZAZIONE
DI SAN TOMMASO D’AQUINO

Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

Con recente Lettera Apostolica [Officiorum omnium dell’1° agosto 1922] confermammo quanto era già stato stabilito dal Diritto Canonico e ordinammo che Tommaso d’Aquino dovesse essere considerato la principale guida negli studi delle discipline superiori.Ed avvicinandosi ora il giorno, in cui si compie il seicentesimo anno da quando egli fu ascritto nel numero dei Santi, Ci si presenta una bella occasione per inculcare maggiormente la medesima cosa nell’animo dei nostri, e dichiarare loro in che modo potranno profittare alla scuola di tanto Maestro. Poiché la vera scienza e la pietà, che di tutte le virtù è compagna, sono tra di loro mirabilmente congiunte; ed essendo Iddio la stessa verità e bontà, non basterebbe certo, per ottenere la gloria di Dio e la salvezza delle anime — scopo principale e proprio della Chiesa — che i sacri ministri fossero bene istruiti nella cognizione delle cose, se essi non fossero pure abbondantemente forniti di idonee virtù. Ora questa unione della dottrina con la pietà, della erudizione con la virtù, della verità con la carità, fu veramente singolare nel Dottore Angelico, a cui venne attribuito il distintivo del sole, poiché, mentre egli porta alle menti la luce della scienza, accende nelle volontà la fiamma della virtù. – E sembrò che Iddio, fonte d’ogni santità e sapienza, volesse mostrare in Tommaso come queste due cose si aiutino a vicenda, come cioè l’esercizio delle virtù disponga alla contemplazione della verità ed a sua volta l’accurata meditazione della verità renda più pure e perfette le stesse virtù. Perché chi vive integro e puro, e con la virtù tiene a freno le sue passioni, quasi libero da un grande impedimento, potrà elevare alle cose celesti molto più facilmente il suo spirito e meglio fissarsi nei profondi misteri della Divinità, secondo le parole dello stesso Tommaso: «Prima è la vita che la dottrina; perché la vita conduce alla scienza della verità » (1); se l’uomo avrà messo tutto il suo studio nel conoscere le cose che sono sopra la natura, per questo stesso si sentirà non poco eccitato al vivere perfetto; né una tale scienza, la cui bellezza tutto lo rapisca e a sé lo attiri, potrà mai dirsi arida ed inerte, ma attiva in grado supremo. – Sono questi gli ammaestramenti che questa solennità centenaria ci fornisce, Venerabili Fratelli; ma per renderli più manifesti, Noi pensammo di dover trattar brevemente della santità e dottrina di Tommaso d’Aquino e mostrarvi quali vantaggi possa trarre da un tale argomento sia tutto l’ordine sacerdotale, i giovani del clero specialmente, sia tutto intero il popolo cristiano. – Tutte le virtù morali furon possedute da Tommaso in altissimo grado e talmente associate e connesse, che, come vuole egli stesso, si unirono nella carità « la quale dà la forma agli atti di tutte le virtù » (2). Se poi cerchiamo le caratteristiche proprie e particolari di questa santità, ci vien fatto di trovare per prima quella virtù per cui Tommaso sembrò assomigliare alle nature angeliche, la castità, per la quale egli fu degno di esser cinto ai fianchi dagli Angeli di una mistica cintura, avendola egli conservata intatta in un pericolosissimo cimento. A purezza così esimia andò congiunto il distacco dai beni terreni e il disprezzo degli onori; e sappiamo come egli vincesse, con somma costanza, l’ostinazione dei parenti che lo volevano con tutti i mezzi trattenere nella vita agiata del secolo; e come poi, offerti a lui dal Pontefice Sommo i parimenti sacri, lo scongiurasse a non imporgli quel peso, per lui formidabile. Ma il principale distintivo della santità di Tommaso è quello che da Paolo è chiamato « il linguaggio della sapienza » (3), quell’unione cioè della duplice sapienza, acquisita ed infusa, come vengono dette; con le quali nulla meglio si accorda quanto l’umiltà, l’amore della preghiera, la carità verso Dio. – Quanto all’umiltà, che Tommaso mise a fondamento di tutte le altre sue virtù, fu manifesta dall’essersi egli posto nelle azioni della vita quotidiana, sotto l’ubbidienza di un fratello laico; né meno essa si rivela dalla lettura dei suoi scritti, dai quali spira ogni riverenza verso i Padri della Chiesa; e « siccome egli ebbe in somma venerazione gli antichi dottori, così sembrò che di tutti egli ereditasse l’intelligenza » (4). – La stessa cosa viene bene chiarita dall’aver egli impiegato, per il trionfo della verità, tutte le forze del suo divino ingegno, senza cercare per nulla la propria gloria. E così, mentre i filosofi si propongono spesso quale méta la propria fama, egli invece si studiò, nell’insegnare le sue dottrine, d’oscurare se stesso, appunto perché splendesse di per sé la luce della verità divina. Questa umiltà pertanto, congiunta alla purezza del cuore, di cui abbiamo parlato, ed alla grande assiduità nelle sante preghiere, rendeva l’animo di Tommaso docile e tenero tanto a ricevere quanto a seguire gl’impulsi e le illuminazioni dello Spirito Santo, nel che consiste la sostanza della contemplazione. E per impetrarle dall’alto, egli soleva spesso astenersi da ogni cibo, passare le intere notti in continua preghiera, e di quando in quando con l’impeto d’un’ingenua pietà appoggiare il suo capo al tabernacolo dell’augusto Sacramento, e rivolgere di continuo i suoi occhi e il suo spirito addolorato all’immagine di Gesù Crocifisso, che fu il massimo libro da cui apprese tutto quello che seppe, com’egli stesso confessò all’amico suo San Bonaventura; sicché di Tommaso poteva dirsi quello che si era detto del suo santo padre e legislatore Domenico, che non parlava se non di Dio o con Dio. – E siccome egli soleva contemplare tutto in Dio come causa prima ed ultimo fine di tutte le cose, gli fu facile seguire tanto negli insegnamenti della sua « Somma Teologica », quanto nella sua vita, l’una e l’altra sapienza, che egli stesso così definisce: « Per la sapienza acquisita mediante lo studio umano si ha il retto giudizio delle cose divine secondo l’uso perfetto della ragione. Ma ve n’è un’altra che discende dall’alto e che giudica delle cose divine per una certa connaturalità ad esse. E questa è un dono dello Spirito Santo, per cui l’uomo divien perfetto nelle divine cose, e non solo le apprende, ma in se stesso le sente » (5).  – Accompagnata dagli altri doni dello Spirito Santo, questa sapienza derivata da Dio per infusione in Tommaso, fu in un continuo aumento al pari della carità, signora e regina di tutte le virtù. Poiché per lui fu dottrina certissima che l’amore di Dio deve in noi crescere sempre « a norma del primo precetto: ‘Amerai Iddio tuo Signore con tutto il tuo cuore’; perché tutto e perfetto sono la stessa cosa … Fine del precetto è la carità, come c’insegna l’Apostolo (6); ora nel fine non si pone misura alcuna, ma solo nelle cose che servono al fine » (7). E questa è la causa per cui la perfezione della carità cade sotto precetto; perché essa è il fine a cui tutti devono tendere secondo la loro condizione. E siccome « l’effetto proprio della carità è che l’uomo tenda a Dio unendo a lui il suo affetto, perché egli viva non più a sé ma a Dio stesso » (8), noi vediamo come in Tommaso il divino amore, insieme con quella duplice sapienza, aumentò senza posa, fino ad ingenerare in lui il prefetto oblio di se stesso; tale che, essendogli stato detto da Gesù Crocifisso: «Tommaso, hai scritto bene di me », e domandato: «Qual premio tu desideri per l’opera tua? », Egli rispose: «Te solo, o Signore ». Ond’è che, stimolato dalla carità, s’impegnava assiduamente a favore degli altri con lo scrivere ottimi libri, coll’aiutare i fratelli nei loro lavori, e si spogliava delle stesse sue vesti per soccorrere i poveri, ed anche restituiva agli infermi la salute, come avvenne nella Basilica Vaticana, dove egli predicò nella solennità di Pasqua, allorché liberò ad un tratto da un inveterato flusso di sangue una donna che gli aveva toccato il lembo della veste. – E dove mai si trovò più chiaro che nel Dottore Angelico questo « linguaggio di sapienza », mentre a lui non bastò erudire le menti degli uomini, ma con ogni studio cercò di eccitare le volontà loro a riamare un tanto amore, che è la causa di tutte le cose? « L’amore di Dio », egli afferma con frase sublime, « è quello che infonde e crea nelle cose la bontà » (9), né mai si stanca, trattando dei varii misteri ad uno ad uno, di illustrare questa diffusione della divina bontà. «Appartiene » egli dice, « alla natura del sommo bene, che in sommo grado comunichi se stesso; e questo massimamente è fatto da Dio coll’Incarnazione » (10). – E nessun’altra cosa più apertamente dimostra questa potenza non meno del suo ingegno che della sua carità, quanto l’ufficio ch’egli compose dell’augusto Sacramento; e quanto amore egli avesse in tutta la vita verso l’Eucarestia, lo dichiarò nella parola che proferì morendo prima di ricevere il santo Viatico: « Io ti ricevo, prezzo della redenzione dell’anima mia, per amore del quale io studiai, vegliai e lavorai ». – Dopo questo breve cenno intorno alle grandi virtù di Tommaso, sarà più agevole comprendere l’eccellenza della sua dottrina, che nella Chiesa ha un’autorità e un valore ammirabili. I nostri Predecessori la esaltarono sempre con unanimi lodi. – Alessandro IV non dubitò di scrivere a lui vivente: «Al diletto figlio Tommaso d’Aquino, uomo eccellente per nobiltà di natali e onestà di costumi, che per grazia di Dio si acquistò un vero tesoro di coscienza e dottrina». E dopo la sua morte Giovanni XXII sembrò voler canonizzare ad un tempo le sue virtù e la sua dottrina, mentre, parlando ai Cardinali in Concistoro, pronunciò quella memorabile sentenza: « Egli illuminò la Chiesa di Dio più di qualunque altro Dottore; e ricava maggior profitto chi studia per un anno solo nei libri di lui, che chi segua per tutto il corso della sua vita gl’insegnamenti degli altri ». La fama perciò della sua intelligenza e sovrumana scienza fece sì che San Pio V lo scrivesse nel numero dei Dottori e gli confermasse il titolo di Angelico. Del resto, quale fatto più chiaramente dimostra la stima che la Chiesa ha fatto sempre d’un tanto Dottore, quanto l’essere stati esposti sopra l’altare dei Padri Tridentini due soli volumi, la Scrittura e la Somma Teologica, perché potessero ispirarsi ad essi nelle loro deliberazioni? E per non riportare la serie degli innumerevoli documenti della Sede Apostolica su quest’argomento, è sempre vivo in Noi il felice ricordo del rifiorire delle dottrine dell’Aquinate per l’autorità e le premure di Leone XIII; e questo merito di così illustre nostro Predecessore è tale, come dicemmo altre volte, che da solo basterebbe a dargli gloria immortale quand’anche altre cose sapientissime egli non avesse fatto o stabilito. Seguì il suo pensiero Pio X di santa memoria, specialmente nel Motu proprio «Angelici doctoris » ove troviamo questa bella sentenza: «Dopo la morte beata del Santo Dottore, non fu tenuto nella Chiesa alcun Concilio ove egli non sia stato presente con la sua preziosa dottrina ». E più prossimo a Noi, Benedetto XV, Nostro compianto Antecessore, più d’una volta mostrò la stessa compiacenza; e a lui spetta la lode della promulgazione del Codice di Diritto Canonico, ove vengono consacrati « il metodo, la dottrina e i principii » dell’Angelico Dottore (11). E Noi, mentre facciamo eco a questo coro di lodi date a quel sublime ingegno, approviamo che egli non solo sia chiamato Angelico, ma altresì che gli sia dato il nome di Dottore Universale, mentre la Chiesa ha fatto sua la dottrina di lui, come da moltissimi documenti viene attestato. E siccome sarebbe troppo lungo esporre qui tutte le ragioni addotte dai Nostri Predecessori intorno a tale argomento, basterà che Noi dimostriamo che Tommaso scrisse animato dallo spirito soprannaturale onde viveva, e che i suoi scritti, ove sono insegnati i principii e le regole di tutte le scienze sacre, sono da giudicarsi di natura universale. – Trattando egli infatti delle cose divine nei suoi insegnamenti e nei suoi scritti, porse ai teologi un luminosissimo esempio della strettissima relazione che deve correre fra gli studi e i sentimenti dell’animo. E siccome non può dirsi che abbia esatta notizia di un lontano paese chi ne conosca anche la più minuta disposizione, se non vi avrà per alcun tempo vissuto, così nessuno potrà acquistare un’esatta cognizione di Dio con la sola diligente ricerca scientifica, se non sarà anche con Dio in perfetta unione. E a questo appunto tende tutta la teologia di San Tommaso; a condurci a vivere una vita intima con Dio. E come fanciullo a Montecassino non si stancava di domandare: « Chi è Dio? », così i libri da lui composti intorno alla creazione del mondo, intorno all’uomo, alle leggi, alle virtù e ai Sacramenti, tutti quanti trattano di Dio come Autore della nostra eterna salvezza.  Perciò, disputando intorno alle cause che rendono sterili gli studi, come la curiosità, lo smodato desiderio di sapere, l’ottusità dell’ingegno, l’avversione allo sforzo ed alla perseveranza, egli non trova a tali cause altro rimedio che una gran prontezza alla fatica, rinvigorita dall’ardore della pietà, e come derivata dalla vita dello spirito. – Ed essendo i sacri studi diretti da un triplice lume: la retta ragione, la fede infusa e i doni dello Spirito Santo che perfezionano l’intelligenza, nessuno più di Lui ebbe questa luce in abbondanza, perché dopo avere in qualche ardua questione impiegato tutte le forze del suo ingegno, implorava da Dio la spiegazione delle difficoltà con i digiuni e con umilissime preghiere; e Dio soleva ascoltarlo con tanta benignità, che mandò talora gli stessi Prìncipi degli Apostoli ad ammaestrarlo. – Né fa meraviglia se, avvicinandosi alla fine della sua vita, egli raggiunse un così alto grado di contemplazione, che le cose da lui scritte non gli parevano altro che paglia, e diceva di non poter dettare più oltre; così già egli aveva fisso il pensiero nelle verità eterne da non bramare ormai più altro che di vedere Dio. Poiché questo, come Tommaso stesso insegna, è il frutto che deve principalmente cogliersi dagli studi: un grande amore di Dio e un gran desiderio delle cose eterne. – Ma mentre con il suo esempio egli c’insegna come dobbiamo comportarci negli studi di vario genere, così di ogni particolare disciplina ci dà fermi e stabili precetti. E innanzi tutto, chi meglio di lui spiegò la natura e la ragione della filosofia, le sue parti e l’importanza di ciascuna? Ecco con quanta perspicacia egli dimostra la convenienza e l’accordo delle varie membra che formano come il corpo di tale scienza: «Al sapiente » egli dice « spetta l’ordinare. E la ragione è che la sapienza è principalmente perfezione di ragione, della quale è proprio conoscere l’ordine; poiché, sebbene le virtù sensitive conoscano alcune cose in modo assoluto, l’ordine fra l’una e l’altra non lo conosce che l’intelletto e la ragione. Così, secondo i diversi ordini che la ragione considera, sono diverse le scienze. L’ordine che la ragione, considerando, produce nel proprio atto appartiene alla filosofia razionale (ossia alla Logica) che propriamente considera l’ordine delle parti del discorso fra di loro e l’ordine dei principii sia fra loro stessi, sia rispetto alle conclusioni. Alla filosofia naturale (ossia alla Fisica) spetta il considerare l’ordine delle cose che la ragione umana considera, ma non fa: e così nella filosofia stessa naturale noi comprendiamo anche la Metafisica. L’ordine delle azioni volontarie viene considerato dalla filosofia morale, che si divide in tre parti: la prima considera le operazioni dell’individuo in ordine al fine e si chiama Monastica; la seconda considera le operazioni della moltitudine domestica e si chiama Economica; la terza considera le operazioni della moltitudine civile, e si chiama Politica »(12). Tutte queste parti della filosofia sono state trattate diligentemente da Tommaso, ciascuna nel proprio modo, cominciando da quelle che sono più strettamente congiunte alla ragione umana, e gradatamente salendo alle più remote, fino a fermarsi, per ultimo, « al vertice supremo di tutte le cose » (13). – È fermissima dottrina del Nostro quella che riguarda il valore dell’intelligenza umana. « Il nostro intelletto naturalmente conosce l’ente e le cose che appartengono all’ente in quanto tale, e su questa cognizione si fonda la notizia dei primi principii » (14). Dottrina che distrugge fin dalle radici gli errori e le opinioni di quei recenti filosofi che negano all’intelletto la percezione dell’ente, lasciandogli solo quella delle impressioni soggettive; errori da cui segue l’agnosticismo, così vigorosamente riprovato dall’Enciclica Pascendi. – Gli argomenti con cui San Tommaso dimostra l’esistenza di Dio e che Egli solo è lo « stesso Essere sussistente », sono anche oggi, come nel medioevo, le prove più valide, chiara conferma del dogma della Chiesa proclamato nel Concilio Vaticano e interpretato egregiamente da Pio X con queste parole: « Iddio, come principio e fine di tutte le cose, può conoscersi e con certezza dimostrarsi con lume naturale della ragione, per le cose fatte, ossia per le opere visibili della creazione, come dagli effetti si conosce certamente la causa » (15). E la sua metafisica, sebbene tuttora, e non di rado, acerbamente impugnata, ritiene ancora la sua forza e tutto il suo splendore, quasi oro che nessun acido può alterare; e bene aggiunge lo stesso nostro Predecessore: « Allontanarsi dall’Aquinate, specialmente in metafisica, non può essere senza un grande danno » (16). – La più nobile tra le umane discipline è certamente la Filosofia, ma, secondo l’ordine attuale della divina Provvidenza, non possiamo definirla al disopra delle altre perché essa non abbraccia tutto intero l’insieme delle cose. Tanto nell’inizio della « Somma contro i Gentili », quanto in quello della « Somma Teologica », il Santo Dottore descrive un altro ordine di cose superiore alla natura ed eccedente la capacità stessa della ragione, e che mai l’uomo avrebbe conosciuto, se la bontà divina non glielo avesse rivelato. È il campo dove domina la fede, e questa scienza della fede si chiama Teologia, la quale si troverà più perfetta in chi avrà cognizione più profonda dei documenti della fede, e insieme più piena e più alta facoltà di filosofare. Ora non è da dubitare che la Teologia sia stata elevata al più alto grado dall’Aquinate, avendo egli posseduto perfettamente i documenti divini della fede, e disponendo di un ingegno mirabilmente disposto a filosofare.  – Perciò Tommaso, non tanto per la sua dottrina filosofica quanto per gli studi di una tal disciplina, è nelle nostre scuole il principale maestro. Nessuna parte, infatti, vi è nella Teologia in cui egli non abbia felicemente mostrato la straordinaria ricchezza della sua mente. Anzitutto egli stabilì su propri e genuini fondamenti l’Apologetica, definendo bene la distinzione che corre fra le cose della ragione e quelle della fede, tra l’ordine naturale e il soprannaturale. Perciò il sacrosanto Concilio Vaticano, allorché definì che alcune verità religiose si possono conoscere naturalmente, ma che per conoscerle tutte e senza errore bisognò per necessità morale che fossero rivelate, e che per conoscere i misteri fu assolutamente necessaria la divina rivelazione, si servì di argomenti tratti non da altri che da Tommaso, il quale vuole che chiunque si accinga alla difesa della dottrina cristiana tenga fermo questo principio: « Assentire alle verità della fede non è leggerezza, benché esse siano al disopra della ragione » (17). Egli infatti dimostra che, sebbene le cose di fede siano arcane ed oscure, pure le ragioni che inducono l’uomo alla fede sono chiare e manifeste, poiché « egli non crederebbe, se non vedesse che le cose sono da credere ».(18) Ed aggiunge altresì che la fede, lungi dall’essere un impedimento od un giogo servile imposto all’umanità, è invece da stimarsi un massimo beneficio, essendo ella in noi un « preludio della vita eterna » (19). – L’altra parte della Teologia che riguarda l’esposizione dei dogmi è trattata da Tommaso con ricchezza tutta speciale; e nessuno ha penetrato più a fondo o più accuratamente esposto i misteri augustissimi della fede, come quelli che appartengono alla vita intima di Dio, al segreto della predestinazione eterna, al soprannaturale governo del mondo, alla facoltà di conseguire il loro fine concessa alle creature ragionevoli, alla redenzione del genere umano operata da Gesù Cristo e continuata dalla Chiesa e dai Sacramenti: due mezzi che il Dottore Angelico chiama in certo modo « reliquie della Divina Incarnazione ». Egli stabilì inoltre una sicura dottrina teologica morale per l’orientamento di tutti gli atti umani al fine soprannaturale. Da perfetto teologo egli assegna non solo agli individui in particolare, ma anche alla società domestica e civile le norme sicure della vita: in ciò consiste la scienza economica e politica dei costumi. Così nella parte seconda della Somma Teologica sono assai eccellenti le cose che insegna intorno al regime paterno, ossia domestico, al regime legale dello Stato e della Nazione, al diritto naturale e a quello delle genti, alla pace, alla guerra, alla giustizia e al potere, alle leggi e alla loro osservanza, al dovere di provvedere sia alle private necessità, sia alla pubblica prosperità; e tutto questo tanto nell’ordine naturale, quanto nel soprannaturale. Precetti, che, se venissero inviolabilmente ed esattamente osservati in privato ed in pubblico nonché nelle mutue relazioni tra nazioni e nazioni, nient’altro ormai si richiederebbe per ottenere tra gli uomini « la pace di Cristo nel regno di Cristo » a cui tutto il mondo anela. Pertanto è molto desiderabile che sempre più si conoscano le dottrine dell’Aquinate intorno al diritto delle genti ed alle leggi che stabiliscono le relazioni dei popoli fra di loro, contenendo esse i veri fondamenti di quella che si chiama « Società delle Nazioni ». – Non ebbe in lui minor pregio la dottrina ascetica e mistica, perché, ridotta tutta l’economia morale alla ragione di virtù e di doni, stabilisce questa dottrina ed una tale economia secondo le diverse classi degli uomini, tanto di coloro che vogliono vivere secondo le regole comuni, quanto di quelli che aspirano di proposito a conseguire la perfezione cristiana del loro spirito, e ciò in un doppio genere di vita: attiva e contemplativa. Chi voglia conoscere quanto si estenda il precetto dell’amore di Dio, come crescano in noi la carità e i doni dello Spirito Santo ad essa congiunti, come tra di loro differiscano i vari stati della vita, quali lo stato di perfezione, lo stato religioso, l’apostolato, e quale sia la natura di ciascuno, o altri punti di teologia ascetica o mistica, dovrà principalmente consultare l’Angelico Dottore. – In tutte le opere che egli scrisse, ebbe somma cura di mettere a base e fondamento le Sacre Scritture. Tenendo fermo che la Scrittura in tutte e singole le sue parti è parola di Dio, egli ne esige l’interpretazione secondo le norme stesse che diedero i Nostri Predecessori Leone XIII nell’Enciclica « Providentissimus Deus » e Benedetto XV nell’altra Enciclica « Spiritus Paraclitus », e posto per principio che « lo Spirito Santo è autore principale della Sacra Scrittura… mentre l’uomo non ne fu che l’autore strumentale » (20), non permette che alcuno muova dubbi contro l’autorità storica della Bibbia; mentre dal fondamento del significato delle parole, o sia senso letterale, egli ricava le copiose ricchezze del senso spirituale, di cui suole spiegare con la massima precisione il triplice genere: l’allegorico, il tropologico e l’anagogico.  – Infine, il Nostro ebbe il dono e il privilegio singolare di poter tradurre gl’insegnamenti della sua scienza in preghiere ed inni della liturgia, e divenire così il poeta e il massimo lodatore della divina Eucaristia. Poiché la Chiesa Cattolica in ogni parte del mondo e presso tutte le genti, nei riti sacri si serve e si servirà sempre, con ogni zelo, dei cantici di Tommaso, dai quali spira il sommo fervore dell’animo supplichevole, e che contengono ad un tempo l’espressione più esatta della dottrina tradizionale intorno all’augusto Sacramento, che principalmente si chiama «Mistero di fede », ripensando a questo e ricordando l’elogio già citato fatto a Tommaso da Cristo stesso, nessuno si meraviglierà se a lui è stato dato anche il titolo di Dottore Eucaristico. – Da quanto si è detto, Noi ricaviamo queste conseguenze molto opportune per la pratica. Occorre anzitutto che i giovani in particolare prendano a loro modello San Tommaso e cerchino d’imitare e seguire con ogni diligenza le grandi virtù che in lui risaltarono, soprattutto l’umiltà, che è il fondamento della vita spirituale, e la purezza. Da quest’uomo, sommo per impegno e dottrina, imparino sia a frenare ogni moto d’orgoglio del proprio animo, sia ad implorare umilmente sui loro studi l’abbondanza della luce divina. Apprendano altresì da tale maestro a fuggire instancabilmente gli allettamenti del senso, per non dover poi contemplare la sapienza con occhio ottenebrato. Questo infatti egli insegnò nella sua vita con l’esempio, e confermò col suo insegnamento: « Se uno si astiene dai piaceri corporali per attendere più liberamente alla contemplazione della verità, questo appartiene alla rettitudine della ragione » (21). Siamo per questo ammoniti dalla Sacra Scrittura: «Nell’anima malevola non entrerà la sapienza, né abiterà in un corpo venduto al peccato» (22). Perciò, se la pudicizia di Tommaso, nel pericolo estremo a cui fu esposta, fosse venuta meno, è da ritenersi che la Chiesa non avrebbe avuto il suo Angelico Dottore. E vedendo la maggioranza dei giovani, ingannati dagli allettamenti del piacere, gettare tanto presto la loro purezza e darsi ai diletti del senso, Noi, Venerabili Fratelli, con ogni premura vi raccomandiamo di propagare dovunque, e specialmente tra i seminaristi, la società della Milizia Angelica, fondata per la conservazione e la custodia della purità sotto la tutela di Tommaso, e confermiamo tutte le indulgenze pontificie di cui essa fu arricchita da Benedetto XIII e da altri Nostri Predecessori. E perché più facilmente ognuno s’induca a dare il suo nome tale a Milizia, concediamo il permesso, a coloro che ne faranno parte, di portare, invece del cingolo, una sacra medaglia appesa al collo, che porti impressa da un lato l’immagine di San Tommaso cinto dagli Angeli, e dall’altro quella della Vergine, Regina del Santissimo Rosario.  – Essendo poi San Tommaso dichiarato patrono di tutte le scuole cattoliche, come colui che mirabilmente congiunse in se stesso una duplice sapienza, quella cioè che si acquista con la ragione e quella che ci viene infusa da Dio, e nel risolvere le questioni più difficili unì alle preghiere i digiuni, e ritenne l’immagine di Gesù Cristo Crocifisso come suo libro principale, la gioventù consacrata a Dio apprenda da lui come debba esercitarsi nei buoni studi per ritrarne il maggior frutto. I membri delle famiglie religiose abbiano presente come in uno specchio la vita di Tommaso, che ricusò le dignità d’ogni grado, anche altissimo, per poter vivere nell’esercizio d’una perfetta ubbidienza e morire nella santità della sua professione. Tutti i fedeli cristiani abbiano nell’Angelico Dottore un esempio della più tenera devozione verso l’augusta Regina del cielo, della quale egli recitava spesso il saluto angelico e soleva scrivere il dolce nome nelle sue pagine; ed al Dottore Eucaristico domandiamo il fervore verso il divino Sacramento. E questo conviene che chiedano soprattutto i sacerdoti. «Ogni giorno, quando l’infermità non lo impediva, Tommaso celebrava una Messa, e poi ne ascoltava un’altra del suo compagno o di altri, e spesso la serviva », come racconta il diligentissimo autore della sua vita. E chi può esprimere il fervore del suo spirito nel celebrare il santo sacrifizio, e con quanta diligenza si preparasse, e, terminatolo, quali ringraziamenti egli porgesse alla Maestà divina? – Per evitare poi gli errori che sono la prima origine di tutte le miserie della nostra età, occorre rimanere fedeli, oggi ancor più che in altri tempi, alle dottrine dell’Aquinate. Le varie opinioni e teorie dei Modernisti sono da lui vittoriosamente confutate, tanto le filosofiche, difendendo, come vedemmo, il valore e la forza dell’intelligenza umana e provando con fermissimi argomenti l’esistenza di Dio; quanto le dogmatiche, ben distinguendo l’ordine naturale dal soprannaturale e illustrando le ragioni del credere e tutti quanti i dogmi; e mostrando nella teologia che le cose credute per fede non si appoggiano sopra un’opinione, ma sulla verità e sono immutabili; nella scienza biblica dando il vero concetto della divina ispirazione; nella disciplina morale, sociale e giuridica, con lo stabilir bene i principii della giustizia sia legale e sociale, sia commutativa e distributiva, e le relazioni della giustizia stessa con la carità; nell’ascetica col dare insegnamenti sulla perfezione della vita cristiana e contrastando coloro che al suo tempo avversavano gli ordini religiosi. E contro quella emancipazione da Dio che oggi si vanta, egli afferma i diritti della prima Verità e l’autorità che ha sopra di noi Iddio supremo Signore. Da qui si rileva perché i Modernisti nessun altro dottore della Chiesa paventino quanto Tommaso d’Aquino. – Come dunque un giorno fu detto agli Egiziani, nel loro estremo bisogno di vivere, « Andate da Giuseppe » perché avessero da lui in abbondanza il frumento per alimentare il loro corpo, così ora a tutti gli affamati di verità Noi diciamo: « Andate da Tommaso » per aver da lui, che ne ha tanta abbondanza, il pascolo della sana dottrina e il nutrimento delle loro anime per la vita eterna. Che un tal cibo sia pronto e alla portata di tutti fu attestato con la santità del giuramento quando si trattò di ascrivere Tommaso nel catalogo dei Santi: «Alla scuola luminosa ed aperta di questo Dottore fiorirono moltissimi maestri religiosi e secolari per il suo modo succinto, facile, e chiaro … ed anche laici ed uomini di scarsa intelligenza desiderano avere i suoi scritti ». – Ora noi vogliamo che tutte le cose stabilite principalmente da Leone XIII (23) e da Pio X(24), e da Noi stessi comandate nello scorso anno, siano attentamente e inviolabilmente osservate specialmente da coloro che nelle scuole del clero insegnano le materie superiori. Essi tengano presente che soddisferanno bene ai loro doveri e compiranno i Nostri voti se, cominciando ad amare il Dottore d’Aquino e rendendo a sé familiari i suoi scritti, comunicheranno agli alunni della propria disciplina questo ardente amore, facendosi interpreti del suo pensiero, e li renderanno capaci di eccitare negli altri un eguale ardore. – Fra i cultori di San Tommaso, quali devono essere tutti i figli della Chiesa che attendono ai buoni studi, Noi certamente vogliamo che, nei limiti di una giusta libertà, vi sia quella bella emulazione che fa progredire i buoni studi, ma desideriamo che sia il più possibile evitata quell’asprezza di contrasto che non giova alla verità e serve soltanto a rallentare i vincoli della carità. Sia adunque da tutti inviolabilmente osservato ciò che è prescritto nel Codice di Diritto Canonico: «Gli studi della filosofia razionale e della teologia, e l’istruzione degli alunni in tali discipline, siano assolutamente trattati dai professori secondo il metodo, la dottrina e i principii del Dottore Angelico, e questi siano religiosamente mantenuti » (25). Essi si regolino in modo da poterlo con tutta verità chiamare loro maestro. Ma nessuno esiga dagli altri più di quello che da tutti esige la Chiesa, maestra e madre comune; perché nelle cose in cui autori di buona fama sogliono disputare fra loro in senso diverso, essa certo non vieta che ciascuno segua la sentenza che gli sembra migliore. – Pertanto, siccome a tutta la cristianità importa che questo centenario sia degnamente celebrato, quasi che, onorando San Tommaso, si tratti non solo della gloria di lui, ma dell’autorità della Chiesa docente, è Nostro desiderio che una tale ricorrenza, dal giorno 18 luglio dell’anno che volge fino alla fine dell’anno venturo, si celebri in tutto il mondo, dovunque esistano scuole di giovani chierici; non soltanto, cioè, presso i Frati Predicatori « all’Ordine dei quali », come dice Benedetto XV, « ha da darsi lode non meno per averci dato il Dottore Angelico, che per non aver mai abbandonato d’un punto la sua dottrina » (26), ma anche presso le altre famiglie religiose e in tutti i Collegi ecclesiastici, Università e Scuole cattoliche, a cui egli fu dato per celeste Patrono. – E converrà che nel celebrare queste feste solenni la prima sia quest’alma Città, ov’egli fu per un certo tempo Maestro del Sacro Palazzo; e che nel manifestare la loro santa letizia vadano, avanti a tutti gli istituti ove si coltivano gli studi sacri, il Pontificio Collegio Angelico, ove si direbbe che Tommaso abiti come in casa sua propria, e tutti gli altri Atenei Ecclesiastici che si trovano in Roma. E Noi, per accrescere lo splendore e il frutto di questa solennità, col Nostro potere, accordiamo:

I. che in tutte le chiese dell’Ordine dei Predicatori e in qualunque altra chiesa o cappella pubblica o dove il pubblico possa introdursi, specialmente presso i Seminari, i Collegi e le Case di educazione per la gioventù, si celebri un triduo od un ottavario od una novena, in cui possano lucrarsi le stesse indulgenze che si concedono per simili funzioni in onore di Santi o Beati;

II. che nelle chiese dei Frati e delle Suore dell’Ordine Domenicano, soltanto per le celebrazioni centenarie, durante i giorni di tali funzioni, i fedeli, confessati e comunicati possano lucrare l’Indulgenza Plenaria tante volte quante volte avranno pregato dinanzi all’altare di San Tommaso;

III. che nelle predette chiese domenicane i sacerdoti dell’Ordine ed i terziari, durante l’anno centenario, possano ogni mercoledì, o nel primo giorno libero della settimana, celebrare la Messa in onore di San Tommaso, come nella festa, recitando in essa od omettendo il Gloria e il Credo secondo il rito del giorno, e concediamo, tanto a chi celebra la Messa quanto a quelli che l’ascoltano, l’Indulgenza Plenaria alle condizioni consuete. – Si cerchi inoltre di tenere nei sacri Seminari e negli altri Istituti ecclesiastici, durante questo tempo, qualche solenne disputa filosofica o sopra altre gravi discipline, in onore del Dottore Angelico. E perché in seguito la festa di San Tommaso sia celebrata come si conviene a quella del Patrono di tutte le scuole cattoliche, Noi vogliamo che in tale giorno si faccia vacanza dalle lezioni, e che non solo in esso si celebri la Messa solenne, ma che, almeno nei Seminari e nelle Famiglie religiose, sia tenuta una delle dispute di cui abbiamo parlato.  – Infine, perché sotto la guida dell’Angelico Maestro d’Aquino gli studi dei nostri alunni diano sempre maggiori frutti a gloria di Dio e a vantaggio della Chiesa, aggiungiamo a questa Lettera, con la raccomandazione di divulgarla, la formula della preghiera da lui stesso usata. A coloro che devotamente la reciteranno, Noi concediamo per ogni volta, con la Nostra autorità, l’indulgenza di sette anni e sette quarantene.- Auspice infine dei doni celesti e segno della Nostra benevolenza, Noi impartiamo di tutto cuore a voi, Venerabili Fratelli, al clero ed al popolo affidato alle vostre cure, l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 29 giugno 1923, festa del Principe degli Apostoli, anno secondo del Nostro Pontificato.

PREGHIERA DI SAN TOMMASO

Creatore ineffabile, che dai tesori della tua sapienza hai tratto le tre gerarchie degli Angeli, le hai collocate con meraviglioso ordine sopra il cielo empireo ed hai disposto con grandissima precisione tutto l’universo; Tu, che sei celebrato come autentica Fonte della Luce e della Sapienza, e supremo Principio di ogni cosa, dégnati di infondere sulle tenebre del mio intelletto il raggio della tua chiarezza, liberandomi dalle due tenebre in cui sono nato: il peccato e l’ignoranza.

Tu, che rendi faconde le lingue degl’infanti, istruisci la mia lingua e infondi nelle mie labbra la grazia della tua benedizione. Dammi l’acutezza dell’intelligenza, la capacità della memoria, il modo e la facilità dell’apprendere, la perspicacia dell’interpretare, il dono copioso del parlare. Disponi Tu l’inizio, dirigi lo svolgimento e portami fino al compimento: Tu che sei vero Dio ed uomo, che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen.


1 Comment. in Matth., c.V.

2 II-II, q. XXIII, a. 8; I-II, q. LXV.

3 I Cor., XII, 8.

4 Leo XIII, ex Card. Caietano, litt. Encycl. Aeterni patris, d. IV aug. a. MDCCCLXXIX.

5 II-II, q. XLV, a. 1, ad 2 et a. 2, c.

6 I Tim., I, 5.

7 II-II, q. CLXXXIV, a. 3.

8 II-II, q. XVII, a. 6, ad 3.

9 I, q. XX, a. 2.

10 III, q. I, a. 1.

11 Cf. can. 1366, par. 2.

12 Ethic., lect. 1.

13 Contra Gentes, II, c. 56 et IV, c. 1.

14 Contra Gentes, II, c. 83.

15 Motu proprio Sacrorum Antistitum, diei 1 septembris MDCCCCX.

16 Litt. Encycl. Pascendi, diei VIII septembris MDCCCCVII.

17 Contra Gentes, I, C. 6.

18 II-II, q. I, a. 4.

19 Qq. disp. de Verit., q. XIV, a. 2.

20 Quodlib., VII, a. 14, ad. 5.

21 II-II, q. CLVII, a. 2.

22 Sap., I, 4.

23 Litt. Encycl. Aeterni Patris.

24 Motu proprio Doctoris Angelici, diei XXIX iunii MDCCCCXIV.

25 Can. 1366, par. 2.

26 Acta Apostolicae Sedis, vol. VIII (1916), p. 397.


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DOMENICA XIV DOPO PENTECOSTE (2019)

DOMENICA XIV DOPO PENTECOSTE (2019)

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps LXXXIII: 10-11.
Protéctor noster, áspice, Deus, et réspice in fáciem Christi tui: quia mélior est dies una in átriis tuis super mília. [Sei il nostro scudo, o Dio, guarda e rimira il tuo Consacrato: poiché un giorno passato nel tuo luogo santo vale più di mille altri].
Ps LXXXIII: 2-3
V. Quam dilécta tabernácula tua, Dómine virtútum! concupíscit, et déficit ánima mea in átria Dómini. [O Dio degli eserciti, quanto amabili sono le tue dimore! L’ànima mia anela e spàsima verso gli atrii del Signore].

Protéctor noster, áspice, Deus, et réspice in fáciem Christi tui: quia mélior est dies una in átriis tuis super mília. [Sei il nostro scudo, o Dio, guarda e rimira il tuo Consacrato: poiché un giorno passato nel tuo luogo santo vale più di mille altri].

Oratio

Orémus.
Custódi, Dómine, quǽsumus, Ecclésiam tuam propitiatióne perpétua: et quia sine te lábitur humána mortálitas; tuis semper auxíliis et abstrahátur a nóxiis et ad salutária dirigátur.
[O Signore, Te ne preghiamo, custodisci propizio costantemente la tua Chiesa, e poiché senza di Te viene meno l’umana debolezza, dal tuo continuo aiuto sia liberata da quanto le nuoce, e guidata verso quanto le giova a salvezza.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Gálatas.
Gal V: 16-24
“Fratres: Spíritu ambuláte, et desidéria carnis non perficiétis. Caro enim concupíscit advérsus spíritum, spíritus autem advérsus carnem: hæc enim sibi ínvicem adversántur, ut non quæcúmque vultis, illa faciátis. Quod si spíritu ducímini, non estis sub lege. Manifésta sunt autem ópera carnis, quæ sunt fornicátio, immundítia, impudicítia, luxúria, idolórum sérvitus, venefícia, inimicítiæ, contentiónes, æmulatiónes, iræ, rixæ, dissensiónes, sectæ, invídiæ, homicídia, ebrietátes, comessatiónes, et his simília: quæ prædíco vobis, sicut prædíxi: quóniam, qui talia agunt, regnum Dei non consequántur. Fructus autem Spíritus est: cáritas, gáudium, pax, patiéntia, benígnitas, bónitas, longanímitas, mansuetúdo, fides, modéstia, continéntia, cástitas. Advérsus hujúsmodi non est lex. Qui autem sunt Christi, carnem suam crucifixérunt cum vítiis et concupiscéntiis.”

Omelia I

[A. Carmignola, Spiegazione dei Vangeli domenicali, S. E. I. Ed. Torino,  1921]

I DUE PADRONI

“Fratelli: Camminate secondo lo spirito e non soddisferete ai desideri della carne. Perché la carne ha desideri contrari allo spirito, e lo spirito contrari alla carne: essi, infatti, contrastano tra loro, così che non potete fare ciò che vorreste. Che se voi vi lasciate guidare dallo spirito non siete sotto la legge. Sono poi manifeste le opere della carne: esse sono: la fornicazione, l’impurità, la dissolutezza, la lussuria, l’idolatria, i malefici, le inimicizie, le gelosie, le ire, le risse, le discordie, le sette, le invidie, gli omicidi ecc. le ubriachezze, le gozzoviglie e altre cose simili; di cui vi prevengo, come v’ho già detto, che coloro che le fanno, non conseguiranno il seguiranno il regno di Dio. Frutto invece dello Spirito è: la carità, il gaudio, la pace, la pazienza, la benignità, la bontà, la mansuetudine, la fedeltà, la modestia, la continenza, la castità. Contro tali cose non c’è logge. Or quei che son di Cristo han crocifisso la loro carne con le sue passioni e le sue brame (Gal. V, 16-24).

L’Epistola, come quella della domenica scorsa, è tratta dalla lettera ai Galati. Anche dopo il Battesimo che libera dalla servitù della legge, c’è nell’uomo un complesso di desideri e di tendenze, che cercano di sottrarlo allo Spirito di Dio. La carne e lo spirito sono tra loro opposti. Dalle opposte opere che ne seguono, parecchie delle quali sono qui enumerate da S. Paolo, l’uomo può giudicare se è diretto dalla carne o dallo Spirito. Se è diretto dallo Spirito, la legge, che è fatta per gli uomini carnali, non ha nulla che fare con lui, che, da vero Cristiano, affligge la propria carne con tutte le sue passioni. Gli uomini, come tutti vedono, si lasciano guidare da due padroni, dei quali:

1 Uno, spodestato, maligno, menzognero.

2 L’altro, grande e potente, pieno di bontà, veritiero.

3 Uno ci procura la dannazione, l’altro la vita beata.

I.

La carne ha desideri contrari allo spirito, e lo spirito contrari alla carne. È una verità che si è manifestata subito dopo la caduta del primo uomo. Da allora, la concupiscenza che cerca di trascinare al male, e la ragione, che guidata dalla grazia dello Spirito Santo cerca il bene, non fu più possibile l’accordo. E l’uomo si trovò a dover scegliere tra due regni; il regno della carne e il regno dello spirito; e si ebbero da una parte i seguaci di Dio e dall’altra i seguaci di satana.Chi è Satana, che comanda ai seguaci della carne? È un superbo umiliato sotto la potente mano di Dio. Voleva essere simile all’Altissimo, e fu da Lui precipitato dalla gloria del cielo nei tormenti dell’inferno, e vi fu precipitato senza speranza di riacquistare il posto perduto. Invidioso della felicità degli uomini, non cerca che la loro rovina: tutta la sua opera è devastatrice. Nel paradiso terrestre distrugge la felicità dei nostri progenitori. Accende nel cuore di Caino l’invidia, e lo spinge al fratricidio. Entra nel cuor di Giuda, e gli fa compiere l’orribile tradimento. Se gli fosse concesso il potere procurerebbe agli uomini tutte le calamità.Bugiardo e ingannatore per eccellenza promette quel che non darà mai. Promette a Eva un innalzamento tale da renderla simile a Dio. Ed Eva, dando retta alla parole di satana, precipita nel fondo di ogni miseria. Il paradiso terrestre è cangiato in valle di lagrime. Si accosta a Gesù Cristo che digiuna nel deserto. Condottolo su un alto monte gli mostra tutti i regni della terra, e gli dice:« Io ti darò tutta questa potenza e la gloria di questi regni, perché a me sono stati dati e li dò a chi voglio. Se  tu, dunque, prostrandoti mi adorerai tutto sarà tuo »(Luc. IV, 6-7). Con tanta franchezza assicura di poter disporre di regni chi, spodestato di tutto, è stato relegato nel baratro infernale.E con menzogne continue si presenta agli uomini. Ti darò la pace nelle ricchezze, dice all’avaro. Ti darò la felicita nei piaceri, dice al voluttuoso. Non romperti la testa nel pensare a Dio e al suo servizio, e io ti darò una vita senza turbamento, dice all’indifferente. Non voler star dietro agli altri, — dice al vanitoso e al superbo —, e io ti darò gli onori; non perdonare al tuo nemico e ti darò la dolcezza della vendetta. Percorri la via larga: — dice alla gioventù — divertimenti e baldorie siano i compagni dei tuoi giorni, e io riempirò il tuo cuore di ebbrezza. E l’esperienza insegna che la pace, la felicità, l’ebbrezza, i beni che egli offre ai suoi seguaci non possono essere diversi da quelli che ha procurati ai nostri progenitori. Quanti credono alle sue promesse, debbono poi fare la costatazione di Eva: «Il serpente mi ha ingannata» (Gen. III, 13).

2

Se vi lasciate guidare dallo Spirito non siete sotto la legge. – Quando ci lasciam guidare non dalla carne, ma dalla ragione, illuminata e corroborata dallo Spirito Santo, siamo superiori alla legge, le cui minacce non sono più per noi, e abbiamo quel che la legge non può dare: la facilità di compiere ciò che ci vien comandato. Il vivere secondo lo spirito è il dovere di ogni Cristiano, il quale deve lasciarsi guidare non dalle promesse di satana, ma dallo Spirito di Dio, che è un padrone che ci ama, e che non vuole ingannarci. Egli è un padrone grande e potente. Egli, sì, può dire: «Mio è il mondo e tutto quanto lo riempie» (Ps. XLIX, 12). « Poiché egli disse una parola e le cose furono fatte; diede un comando, e tutto fu creato» (Ps. XXXII, 9) «Questi è il nostro Dio, e nessun altro starà al paragone con lui» (Baruch, III, 36). Nessuno può stargli al paragone non solamente in fatto di grandezza e di potenza, ma anche in fatto di bontà. Invero, «della bontà del Signore è piena la terra » (Ps. XXXII, 5). E la sua bontà si manifesta in modo particolare verso quelli che lo seguono. Non li chiama neppure col nome di servi, ma col nome di amici, perché essi sono i suoi intimi, messi a parte delle sue intenzioni e dei suoi disegni (Joan. XV, 15). La sua parola, come dice la S. Scrittura, «è purgata col fuoco» (II Re, XXII, 31). Come è puro e schietto un metallo messo al fuoco, così è pura e schietta la sua parola, che non inganna nessuno. Ai suoi seguaci non si rivolge con false promesse, non colorisce l’impresa nascondendo le difficoltà. Dichiara apertamente che per seguir Lui bisogna condurre una vita di sacrifici e di rinunce. «Chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me» (Matth. X, 38). « Sarete in odio a tutti per causa del nome mio » (Matth. X, 23). « In Verità, in verità vi dico, che piangerete e gemerete voi: ma il mondo godrà: voi invece sarete in tristezza » (Joan. XVI, 20). Son parole rivolte agli Apostoli e ai discepoli, e in loro a tutti quelli che intendono seguirlo da vicino. Egli inculca la penitenza, esalta la povertà, elogia il pianto, chiama beati quei che soffrono persecuzioni per la giustizia. Previene tutti che «angusta è la porta e stretta la via che conduce alla vita» (Matth. VII, 14). Quando scoppia una guerra, buona parte della gioventù, che non conosce la guerra che dalle descrizioni entusiastiche dei libri o dai discorsi fioriti dei propagandisti, s’infiamma d’entusiasmo, e parte cantando le fiere canzoni. Ma quando esperimenta che la guerra non è una passeggiata né una partita al gioco, confessa che s’immaginava tutt’altro. Chi si mette a seguir Dio, non può dire d’essersi ingannato. Gesù Cristo ha parlato molto chiaro. La sua parola ciascuno la trova nel Vangelo. «Il Vangelo è specchio di verità; non lusinga nessuno, non seduce alcuno ».

3.

Sono poi manifeste le opere della carne : esse sono: la fornicazione, l’impurità, la dissolutezza, la lussuria, l’idolatria, i malefici, le inimicizie, le contese, le gelosie, le ire, le risse, le discordie, le sette, le invidie, gli omicidi, le ubriachezze, le gozzoviglie e altre cose simili. Sono queste le opere che quel pessimo padrone che è il demonio domanda ai suoi seguaci. E la conseguenza? La fa notare subito S.Paolo: Vi prevengo, come v’ho già detto, che coloro che le fanno, non conseguiranno il regno di Dio. Ecco la paga che satana ha serbato a coloro che si mettono al suo servizio. Ha fatto sperar loro beni e delizie, e alla fine si sono trovati privi de beni celesti e immersi nell’amarezza eterna. Sulla terra poche gioie e non intere, perché finite sempre col disgusto e nel turbamento della coscienza. Nell’altra vita nessun bene e mali interminabili. Ben altrimenti avviene a coloro, che seguono Dio.Le opere di costoro sono: la carità, il gaudio, la pace, la benignità, la bontà, la longanimità, la mansuetudine, la fedeltà, la modestia, la continenza, la castità. Sono opere che costano un po’ di sacrificio al nostro amor proprio e alle nostre tendenze sregolate; ma che non sono senza premio neppur su questa terra. Il gaudio, la pace non si hanno che da chi segue lo spirito. E dopo il gaudio e la pace verrà la ricompensa eterna. Gesù che aveva detto agli Apostoli e ai discepoli : «Voi sarete nella tristezza», ha anche aggiunto : «Ma la vostra tristezza sarà cambiata in gioia» (Joan. XVI, 29). Di coloro che seguono Lui invece di satana, ha detto chiaramente: «Le mie pecorelle ascoltano la mia voce; io le conosco ed esse mi seguono, e io darò loro la vita eterna» (Joan. X, 27-28).Giosuè, avvicinandosi la fine della sua vita, fa giurare dal popolo ebreo fedeltà a Dio. Prima di compiere la cerimonia, tiene un discorso in cui, fatti passare i favori usati dal Signore a Israele, domanda: «Se vi sembra un male servire il Signore vi si dà la scelta: eleggete oggi quel che vi piace; e a chi dobbiate di preferenza servire: se agli dei, ai quali servirono i vostri padri nella Mesopotamia, oppure agli dei degli Amorrei nella terra dei quali abitate: ma io e la mia casa serviremo il Signore. E il popolo rispose… Noi serviremo al Signore, perché Egli è il nostro Dio» (Gios. XXIV, 15-18).Il Cristiano ha davanti agli occhi due padroni, che non può servire simultaneamente. A lui è data la scelta. Questi padroni li conosce bene tutti e due. Uno è un angelo debellato, omicida fin dal principio, principe della tenebre, padre della bugia, giudicato per mezzo della morte di Gesù Cristo, che strappò a Lui le anime. L’altro è il Re dei Re, Signore dei dominanti, via, verità, vita, giudice dei vivi e dei morti. Uno ci impone un giogo insopportabile e vergognoso: l’altro ci sottopone a un giogo leggero e soave; poiché « il giogo di Gesù Cristo non grava sul collo, ma lo orna, non piega a terra i nostri capi ma gli innalza» (S. Massimo, Serm. 75). Uno fa promesse che non può mantenere, perché nessuno può dare quel che non ha, e ci conduce alla dannazione eterna: l’altro mantiene la promessa e ci dà la corona eterna. Purtroppo, «Dio promette il regno ed è disprezzato, il diavolo ci procura l’inferno ed è onorato » (s. Giov. Cris. In Act. Ap. Hom., 6, 3). Non cadiamo noi in tanta stoltezza da preferire il diavolo a Dio. Parrà dolce sul principio servir satana, ma presto verrà il disinganno. Dove non c’è pietà, non c’è felicità. Sembrerà duro sul principio servire il Signore, ma presto esclamerai: « Come sono amabili le tue tende, o Dio degli eserciti » (Ps. LXXXIII, 2) in attesa di passare dalle tende alla patria.

 Graduale

Ps CXVII:8-9
Bonum est confidére in Dómino, quam confidére in hómine.
[È meglio confidare nel Signore che confidare nell’uomo].

V. Bonum est speráre in Dómino, quam speráre in princípibus. Allelúja, allelúja
  [È meglio sperare nel Signore che sperare nei príncipi. Allelúia, allelúia].

 Alleluja

XCIV: 1.
Veníte, exsultémus Dómino, jubilémus Deo, salutári nostro. Allelúja.
[Venite, esultiamo nel Signore, rallegriamoci in Dio nostra salvezza. Allelúia.]

 Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum S. Matthæum.
R. Gloria tibi, Domine!
Matt VI: 24-33
“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Nemo potest duóbus dóminis servíre: aut enim unum ódio habébit, et álterum díliget: aut unum sustinébit, et álterum contémnet. Non potéstis Deo servíre et mammónæ. Ideo dico vobis, ne sollíciti sitis ánimæ vestræ, quid manducétis, neque córpori vestro, quid induámini. Nonne ánima plus est quam esca: et corpus plus quam vestiméntum? Respícite volatília coeli, quóniam non serunt neque metunt neque cóngregant in hórrea: et Pater vester coeléstis pascit illa. Nonne vos magis pluris estis illis? Quis autem vestrum cógitans potest adjícere ad statúram suam cúbitum unum? Et de vestiménto quid sollíciti estis? Consideráte lília agri, quómodo crescunt: non labórant neque nent. Dico autem vobis, quóniam nec Sálomon in omni glória sua coopértus est sicut unum ex istis. Si autem fænum agri, quod hódie est et cras in clíbanum míttitur, Deus sic vestit: quanto magis vos módicæ fídei? Nolíte ergo sollíciti esse, dicéntes: Quid manducábimus aut quid bibémus aut quo operiémur? Hæc enim ómnia gentes inquírunt. Scit enim Pater vester, quia his ómnibus indigétis. Quaerite ergo primum regnum Dei et justítiam ejus: et hæc ómnia adjiciéntur vobis”.

 Omelia II

[A. Carmignola, Spiegazione dei Vangeli domenicali, S. E. I. Ed. Torino,  1921]

SPIEGAZIONE XLII

“In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: Nessuno può servire due padroni: imperocché od odierà l’uno, e amerà l’altro; o sarà affezionato al primo, e disprezzerà il secondo. Non potete servire a Dio e allo ricchezze. Per questo vi dico: non vi prendete affanno né di quello onde alimentare la vostra vita, né di quello onde vestire il vostro corpo. La vita non vale ella più dell’alimento, e il corpo più del vestito! Gettate lo sguardo sopra gli uccelli dell’aria, i quali non seminano, né mietono, né empiono granai; e il vostro Padre celeste li pasce. Non siete voi assai da più di essi? Ma chi è di voi che con tutto il suo pensare possa aggiuntare alla sua statura un cubito? E perché vi prendete cura pel vestito? Pensate come crescono i gigli del campo; essi non lavorano e non filano. Or io vi dico, che nemmeno Salomone con tutta la sua splendidezza fu mai vestito come uno di questi. Se adunque in tal modo riveste Dio un’erba del campo, che oggi è e domani vien gittata nel forno; quanto più voi gente di poca fede? Non vogliate adunque angustiarvi, dicendo: Cosa mangeremo, o cosa berremo, o di che ci vestiremo? Imperocché tali sono le cure dei Gentili. Ora il vostro Padre sa che di tutte queste cose avete bisogno. Cercate adunque in primo luogo il regno di Dio e la sua giustizia; e avrete di soprappiù tutte queste cose” (Matth. VI, 24-35).

La dottrina del mondo, o miei cari, è del tutto contraria alla dottrina di Gesù Cristo. Il mondo tentando di farci credere che assai lunga sarà la nostra vita, e cercando di persuaderci che con la morte nostra tutto sarà finito, ci invita altresì a ricercare tutti i suoi godimenti ed a volgere tutto l’affetto del nostro cuore alle ricchezze di questa terra. Che se pure egli non riesce a farci dimenticare affatto che su questa terra non siamo che di passaggio, né a dissuaderci che dopo la nostra morte vi sarà una eternità o di gaudio o di tormento eterno, conforme alla bontà od alla malvagità della nostra vita, si studia allora di darci ad intendere che si può benissimo conciliare insieme una vita gaudente e colma di ogni bene di fortuna con la giusta preoccupazione della vita futura e con l’attendere a fare quanto è necessario per procurarcela. Ma contro di queste false ed ingannevoli massime del mondo Gesù Cristo parla assai chiaro nel tratto di Vangelo, che la Chiesa ci propone a considerare in questa Domenica.

1. Disse adunque Gesù a’ suoi discepoli: Nessuno può servire due padroni: imperciocché od odierà l’uno, e amerà l’altro; o sarà affezionato al primo e disprezzerà il secondo. Certamente il divin Redentore non poteva parlar più chiaro, né farci più nettamente intendere essere impossibile congiungere il suo servizio con quello del demonio. Eppure quanti sono anche ai dì nostri quei Cristiani, quei giovani, i quali pretendono di unire insieme una cosa coll’altra? Non ostante la parola indefettibile di Gesù Cristo, costoro si studiano ogni giorno di sciogliere questo insolubile problema e conciliare il servizio di quei due padroni, tra i quali non vi può essere avvicinamento di sorta. Essi vogliono fare quel che facevano certi eretici, chiamati Ebioniti, i quali non volendo essere contro la legge ebraica e neppure contro la legge cristiana, professavano un misto di Vangelo e di ebraismo per modo che S. Girolamo ebbe a dir di loro: Cum velunt iudæi esse et christiani, neque iudæi sunt, neque christiani: mentre vogliono esser giudei e Cristiani, non sono né l’uno né l’altro. Di fatti tra costoro voi vedrete anzitutto di quelli, i quali mentre pretendono e protestano di essere Cattolici, membri della Chiesa di Gesù Cristo, nei loro sentimenti e nei loro discorsi non fanno altro che discutere sugli insegnamenti e sugli atti di chi visibilmente è alla testa della Chiesa, vale a dire del Papa, non fanno altro che censurare la sua condotta e ripetere ad ogni tratto che converrebbe smettesse ormai la sua inflessibilità nel condannare certe dottrine e certi fatti, che dovrebbe farla finita con certi lamenti e con certe rivendicazioni, che dovrebbe adattarsi alle esigenze dei tempi e degli uomini, che dovrebbe insomma da essi prendere la lezione e questa praticare. Vogliono costoro essere Cattolici sì, ma solo sino al punto da non tenersi obbligati ad ascoltare ed obbedire Colui che Gesù Cristo ha costituito suo Vicario qui in terra, poiché da questo punto in su essi vogliono pensare e dire, come pensano e dicono i nemici della Chiesa e di Gesù Cristo. Ne vedrete poi degli altri, i quali non arriveranno a questo, ma che si fanno pur anche i difensori della Chiesa e del Papa, ma che pure pretendono ancor essi di servire a due padroni, a Dio e al demonio. Ed in vero o dominati dal rispetto umano, o forse anche mossi dall’interesse, per lo più schiavi delle loro passioni, costoro mentre vanno pure ogni domenica a sentir Messa ed ogni anno a far la Pasqua, e se porta l’occasione a prendere pur parte a qualche speciale funzione religiosa, non lasciano poi di tenersi in stretta relazione con gente nemica di Dio e della Chiesa e di fare con questa gente discorsi irreligiosi ed immorali; non lasciano di frequentare teatri, caffè, conversazioni cattive, non lasciano di comprare e leggere ogni giorno uno ed anche più giornali contrari alla fede ed alla morale cattolica. Di modo che anche costoro vogliono congiungere insieme il servizio di Dio col servizio del mondo. – Altri poi ne vedrete ancora, massime tra la gioventù, che educati cristianamente e sufficientemente conoscitori della legge di Dio, vorrebbero osservarla, ma vorrebbero nel tempo stesso poter accontentare le loro malvagie passioni; epperò compiono pure certi atti esteriori di pietà, pregano, ascoltano la Messa, si accostano eziandio di tanto in tanto ai SS. Sacramenti, ma tengono pur sempre nel cuore l’affetto alle maledette dilettazioni del peccato, sentono ripugnanza a staccarsene interamente, vi pensano sopra con piacere e cadono e ricadono in esse miseramente. Or bene tutti costoro sono in un gravissimo inganno, e perciò solo, che vorrebbero servire a Dio ed al peccato, sono nemici di Dio e servitori di satana. Epperò se essi intendono di servire d’ora innanzi a Dio, dovrebbero fare quel che si legge aver fatto un giovane militare. Imperando Giuliano l’apostata, uscì un ordine rigorosissimo, che chiunque tra i Cristiani avesse qualche carica civile o militare rinunziasse alla medesima od alla fede. Un giovane Cristiano, chiamato Marino, essendo tribuno militare, si trovava assai perplesso di ciò che avesse a fare. Ma un santo Vescovo, conosciuta la sua perplessità, con amore e con fermezza ad un tempo gli disse: Mio caro Marino, pensa bene che o devi servire a Dio, o devi servire a Cesare: potrai bene dividere un servizio dall’altro, ma congiungerli insieme ti è impossibile. A queste parole il buon giovane restò santamente deciso, e lasciato il servizio dell’imperatore si diede tutto al servizio di Dio. Ecco quel che dovrebbero pur fare tutti coloro che sino adesso hanno preteso di servire due padroni: santamente decidersi di lasciare il servizio di satana per darsi ancor essi unicamente al servizio di Dio.

2. Ma il divin Redentore dopo di averci detto che non è possibile servire a due padroni, volle venire a prendere di mira in particolare una passione, che è la più ordinaria, la più frequente, ed anche la più tirannica, quella cioè del danaro. Oh! chi sa dire la fame, da cui la più parte degli uomini è travagliata per riguardo al danaro. Chi può descrivere le ansietà, gli affanni, le brame che per esso si hanno? Epperò Gesù Cristo proseguì dicendo: Non potete servire a Dio ed alle ricchezze. Colla quale asserzione Egli ci fece chiaramente intendere che servire alle ricchezze, le quali per se stesse non sarebbero cattive, cioè desiderarle, amarle ingiustamente, idolatrarle con l’avarizia, non giovarsene in bene col servirsene solo a soddisfare le proprie passioni, è cosa direttamente opposta al servizio di Dio, e tale per conseguenza che col servizio di Dio non può andare assolutamente congiunta. Or ecco perché anche S. Paolo scriveva che radice di ogni male è l’amor del denaro e raccomandava perciò al suo discepolo Timoteo di fuggirlo a tutto potere, facendolo avvertito che chi anela alle ricchezze, dà nei lacci del diavolo e si impiglia in brame perverse, che lo conducono a perdizione. Ecco perché anche Sant’Ambrogio scrive che le ricchezze sono terribile occasione di peccato, perché gonfiano, inorgogliscono e fanno dimenticare il Creatore. L’amor del denaro non si arresta in faccia a nessun peccato, ma di tutti è padre, e ben si vede come gli amanti del denaro trasandano la Religione, strapazzano i santi precetti di Dio e della Chiesa. E siccome delitto porta a delitto, ne avviene che costoro crescono in orgoglio, in ambizione, in ingiustizia ed in ogni sorta di disordini e cadono alfine nell’incredulità e nell’ateismo, arrivando persino a burlarsi di Dio, del giudizio, dell’inferno, del Paradiso, ed a cantare in aria di grandi sapientoni, che il Paradiso, non è altro che aver danari ed averne nella massima quantità. Ora se questo disordinatissimo amor del denaro arriva sino a tal punto, qual meraviglia che questa sia una delle passioni prese maggiormente di mira da Gesù Cristo, siccome una di quelle che più facilmente impedisce di conseguire l’eterna vita? E di fatti, o miei cari, che cosa accadrà a costoro nel termine della loro vita? Vi era nel Vangelo un ricco, che diceva all’anima sua: Godi e sta allegra; i granai riboccano di frumento, le cantine sono ripiene di vino; mangia, bevi e datti al bel tempo. Ma in quel mentre una voce terribile risuonò al suo orecchio: Stolto, questa notte sarà richiesta da te l’anima tua, e tutte le cose, che apparecchiasti, di chi saranno: et quæ parasti cuius erunt? Oh quanti sono gli adoratori del danaro, cui succede questa grande sventura. Essi hanno sudato per anni interi, con la febbre indosso, sempre ai traffici, ai banchi, ai commerci; per accumulare ricchezze non hanno badato a mezzi se leciti o illeciti: le truffe non furono altro per essi che sante industrie, che beato chi sa usarle; il defraudare persino la mercede agli operai, il lesinare sul soldo guadagnato, il far piangere la vedova e l’orfano reputarono necessità indispensabili per sistemare i loro affari. Ma la verità era questa, che essi avevano preso ad adorare non altro che il dio oro ed alla fine son riusciti a farsi una gran fortuna. Ma in quella che speravano di goderla in pace, l’ira di Dio li ha colpiti e sono passati all’altra vita lasciando ogni cosa ai figli ed ai nipoti, che in breve hanno fatto sparire quel che non fu radunato che in tanti anni e con tante ansie. Ma intanto che sarà nell’eternità delle anime di quegli infelici, che lungo la loro vita hanno riposto ogni affetto nelle ricchezze? Et sepultus est in inferno: ecco la tremenda parola pronunziata da Gesù Cristo a riguardo del ricco Epulone; ed ecco la sorte riservata nell’eternità agli idolatri delle ricchezze. Benché neanche sopra di questa terra sarà possibile a costoro di essere veramente felici. E chi mai trovò davvero la sua felicità in questi beni transitori e fallaci? Se ci fu un uomo che abbia nuotato nella prosperità del mondo è certamente Salomone. Egli ricchi palagi, egli numerose schiere di servi, egli ridotti a tributari moltissimi re, egli abbondanza di fertili terreni, egli un popolo fiorente nella pace per opulenza di traffico e di commercio, egli insomma, secondo il mondo, il più beato dei mortali. I re e le regine traendo alla sua reggia si partivano pieni di meraviglia d’avervi trovato mille volte tanto di quel che suonava la fama. Eppur che diceva quel monarca? Ho veduto e goduto di ogni bene che vi sia sotto la cappa del cielo, ed ho trovato che tutto è vanità delle vanità ed afflizione di spirito. No, le ricchezze non rendono felici su questa terra, e, tutt’altro che appagare il cuor dell’uomo, lo rendono insaziabile, e pieno di continue ansietà, giacché lo stesso nostro divin Maestro chiamò le ricchezze col nome di spine: spine, come spiega San Bernardo, che pungono prima del loro acquisto per il desiderio che si sente in cuore di averle, spine che pungono dopo il loro acquisto per il timore che si ha di perderle, spine che pungono dopo che si sono perdute per il dispiacere di non possederle più. – Se tale pertanto è la verità a questo riguardo, procuriamo di metterci nel novero di coloro, che Gesù Cristo stesso chiama poveri di spirito, di coloro cioè che, o ricchi o poveri, se ne vivono col cuore distaccato dalle ricchezze; di coloro che se in condizione povera, non si lamentano del loro stato, sopportano con pazienza le privazioni, a cui devono andar soggetti; che se in condizione ricca, non mettono affezione alle ricchezze, ne impiegano sempre il superfluo per fare elemosine ai poveri, agli orfani, agli infermi, alle chiese ed acquistarsi così dei tesori indefettibili nel cielo.

3. Infine il divin Redentore, affinché neanche la soverchia sollecitudine di quel che abbisogna alla nostra vita possa esserci causa di attaccare il cuore alle cose della terra, ci fa il più bell’elogio della divina Provvidenza e ci anima nel modo più efficace a riporre in essa tutta la nostra fiducia. – Non prendetevi affanno, Egli disse, su di quello onde alimentare la vostra vita, né di quello onde vestire il vostro corpo. Gettate lo sguardo sopra degli uccelli dell’aria, i quali non seminano e non mietono, né empiono granai; e il vostro Padre celeste li pasce. Non siete voi assai più di essi? E perché vi prendete pena pel vestito? Considerate come crescono i gigli nel campo: essi non lavorano e non filano. Eppure io vi dico, che neppur Salomone con tutta la sua splendidezza fu mai vestito come uno di questi. Se adunque in tal modo Iddio riveste un’erba del campo, che oggi è e domani è gettata nel forno, non vestirà molto più voi, o uomini di poca fede? Non vogliate adunque angustiarvi dicendo: Che cosa mangeremo e che cosa berremo? con che cosa ci vestiremo? che tutte queste cose, di cui avete bisogno, sa benissimo il vostro Padre. Cercate adunque in primo luogo il regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date per giunta. – Quali ammaestramenti, o miei cari! Che parole di conforto sono queste! E quale rimprovero eziandio per noi, che tanto facilmente ci lamentiamo della divina Provvidenza da arrivare talvolta sino al punto di pensare e dire che il Signore non si ricorda di noi! Ah miei cari, che insensatezza è mai la nostra in queste parole! Iddio è padre, amorosissimo Padre. E come possiamo noi credere che Egli non pensi ad aiutarci nei nostri bisogni, a soccorrerci nelle nostre necessità? Un padre, che ami davvero i suoi figli, che cosa non è disposto a fare per non lasciar loro mancare il necessario? Si racconta che un padre, non avendo più nulla da dare ai suoi figli, che pativano la fame, si aperse con una lama il petto e poi invitò i suoi figli a cibarsi del sangue che ne spicciava fuori. Ciò è per nulla incredibile, quando si rifletta attentamente la forza che ha l’amore per i suoi figli nel cuore di un padre. Ora se un padre terreno farebbe tanto per i figli suoi, Iddio, Padre nostro celeste, il quale è onnipotente, tralascerà Egli di disporre le cose in modo che non abbiamo mai a mancare di ciò che strettamente ci abbisogna? Che se la sacra scrittura attribuisce occhi a questo Dio di bontà, egli è per significare che vigila del continuo sopra di noi; se gli attribuisce orecchi è per significare che ascolta sempre i nostri gemiti e le nostre preghiere, e se gli attribuisce mani è per significare che le distende misericordiosamente verso di noi per sollevarci dalle nostre miserie, dalle nostre infermità, dai bisogni nostri. No, no, Iddio non ci dimentica: « Vi porterò nelle mie braccia, dice egli per mezzo di Isaia; vi stringerò al mio seno, vi accarezzerò sulle mie ginocchia, come una madre accarezza il suo figlio. Una madre può ella dimenticare il suo bambino? No certamente. Ma pure se una madre arrivasse a tal punto, Io non mi dimenticherò mai di voi ». Oh se noi fossimo ben convinti di queste verità, quanto saremmo più tranquilli e più felici. Persuasi che Dio ci ama, si ricorda di noi, pensa al nostro bene, noi riconosceremmo in ogni caso della nostra vita la sua mano benedetta; anche in mezzo alle tribolazioni crederemmo con viva fede che Iddio dispone tutto per il nostro bene, e che quando Egli lo creda perciò opportuno, ha mille mezzi per trarcene fuori. Epperò che calma! che placidezza di spirito sarebbe mai sempre la nostra! L’anima, che si affida interamente nella divina Provvidenza, riposa e s’addormenta soavemente tra le sue braccia, come un bambino nelle braccia di sua madre; ella prende per divisa le parole di Davide: In pace in idipsum dormiam et requiescam (Salm. IV, 9). Io riposo tranquillamente in pace, perché tutta la mia speranza è riposta nella divina Provvidenza. Il Signore mi conduce e perciò niente mi mancherà; guidato dalla sua mano ed all’ombra della sua protezione io trionferò di tutti i miei nemici e non avrò timore di nessun male. La misericordia del Signore mi accompagnerà’ in tutti i giorni della mia vita, affinché io abiti nella casa di lui per tutta l’eternità. Tuttavia, o miei cari, se dobbiamo anzi tutto essere ben convinti che la divina Provvidenza non ci verrà mai meno, dobbiamo ancora far di tutto per rendercene degni con la santità della vita. Vi sono taluni, i quali vivono malamente, commettono sempre gravi peccati, non vanno quasi mai in chiesa, non aprono mai la bocca per dire un po’ di preghiera, se nominano il santo nome di Dio e di Gesù Cristo non è che per bestemmiarlo, insomma non si danno mai pensiero di Dio e vivono come se Iddio non fosse, e poi quando Iddio fa loro sentire che c’è, mandando ai medesimi qualche privazione o disgrazia, allora vengono fuori a gridare: E come ci può essere la Provvidenza, se noi siam così sventurati? Oh deliranti! E costoro che non pensano punto a Dio pretendono poi così superbamente che Iddio si prenda la più amorosa cura di loro e li preservi da ogni male? Riconoscano anzi tutto la loro mala vita, se ne pentano sinceramente, ne chiamino a Dio perdono, si mettano con impegno a ripararla, ed allora potranno non dico pretendere, ma sperare che il Signore li tratti con maggior bontà. Ma fino a tanto che essi rimangono nella loro mala vita, lamentandosi della Divina Provvidenza, non fanno altro che aggiungere peccato a peccato e rendersi sempre più indegni degli aiuti del Signore » – Ma oltrecchè allo studiare di rendersi degni della divina Provvidenza, conviene altresì implorarla incessantemente da Dio, e specialmente in quelle circostanze della vita, in cui se ne ha maggior bisogno, ed allora quel Dio, il quale ha detto: Domandate e riceverete: cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto; potrà esser che non esaudisca le nostre preghiere e non ci tolga dall’infermità, dalla miseria, dalla privazione, in cui ci troviamo? « Oh! chi chiede, riceve, chi cerca, trova, e a chi picchia, sarà aperto. Quando un figliuolo domanda al padre del pane, il padre gli darà forse un sasso? E se un pesce, gli darà forse invece del pesce una serpe? E se chiederà un uovo, gli darà uno scorpione? Se adunque voi, che siete cattivi, diceva Gesù Cristo stesso, sapete, del bene dato a voi, far parte ai vostri figliuoli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo spirito buono a coloro, che glielo domandano (Luc. XI, 9-13) ». Che se ad ogni modo, non ostante le nostre preghiere, il Signore sembrasse fare il sordo, e non farci sentire la sua Divina Provvidenza in quel modo che piacerebbe a noi, ravviviamo la nostra fede e riconosciamo che in ciò appunto, nel lasciarci inesauditi, usa il Signore verso di noi la sua provvidenza, essendoché il non esaudirci nei nostri desideri sarà cosa sommamente utile alla salvezza dell’anima nostra. Ed allora più che mai richiamiamo alla mente la sentenza del Vangelo: Cercate innanzi tutto il regno di Dio e la sua giustizia, ed il resto vi sarà dato per giunta: quærite primum regnum Dei et iustitiam ejus, et hæc omnia adiicientur vobis.

Credo …

Offertorium

Orémus
Ps XXXIII:8-9
Immíttet Angelus Dómini in circúitu timéntium eum, et erípiet eos: gustáte et vidéte, quóniam suávis est Dóminus. [L’Angelo del Signore scenderà su quelli che Lo temono e li libererà: gustate e vedete quanto soave è il Signore].

Secreta

Concéde nobis, Dómine, quǽsumus, ut hæc hóstia salutáris et nostrórum fiat purgátio delictórum, et tuæ propitiátio potestátis. [Concédici, o Signore, Te ne preghiamo, che quest’ostia salutare ci purifichi dai nostri peccati e ci renda propizia la tua maestà].

Communio

Matt VI:33
Primum quærite regnum Dei, et ómnia adjiciéntur vobis, dicit Dóminus. [Cercate prima il regno di Dio, e ogni cosa vi sarà data in più, dice il Signore.]

 Postcommunio

Orémus.
Puríficent semper et múniant tua sacraménta nos, Deus: et ad perpétuæ ducant salvatiónis efféctum.
[Ci purífichino sempre e ci difendano i tuoi sacramenti, o Dio, e ci conducano al porto dell’eterna salvezza].

Per l’Ordinario, vedi: https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/

FESTA DELL’ESALTAZIONE DELLA CROCE (2019)

FESTA DELL’ESALTAZIONE DELLA CROCE (2019)

[Messale Romano di D. G. Lefebvre O. S. B.; L.I.C.E.- R. Berruti, Torino, imprim. 16 giu. 1936 Can. L. Coccolo)

Esaltazione della Santa Croce.

Doppio maggiore. – Paramenti rossi.

Il 14 settembre 320 si fece la consacrazione della basilica costantiniana che racchiudeva la sommità del Calvario e il $. Sepolcro. Fu allora, dice Eteria, che si scopri la Croce. Ed è per questo che si celebra l’anniversario con altrettanta solennità quanto a Pasqua ed all’Epifania ». Di qui ebbe origine la festa dell’Esaltazione della Croce. « Allorché sarò esaltato, attirerò tutto a me » (Vang.) aveva detto Gesù. E poiché il Salvatore si è umiliato, facendosi obbediente sino alla morte sulla croce, Dio l’ha innalzato e gli ha dato un nome al disopra di ogni altro nome (Ep.) Così dobbiamo gloriarci nella Croce di Gesù, perché è la nostra vita e la nostra salvezza (Intr.), e protegge i suoi servi dalle insidie dei nemici (Off., Comm., Postc). – Verso la fine del regno di Foca, Cosroe, re dei Persiani, si impadronì di Gerusalemme, fece perire molte migliaia di Cristiani e trasportò in Persia la Croce di nostro Signore, che Elena aveva deposto sul monte Calvario. Eraclio, successore di Foca, dopo aver implorato fervorosamente l’aiuto divino, riunì un’armata e sconfisse Cosroe. Allora egli esigette la restituzione delia Croce del Signore. Questa preziosa reliquia venne così ricuperata, dopo quattordici anni dacché era caduta in possesso dei Persiani. Di ritorno a Gerusalemme, Eraclio la prese sulle spalle e la riportò in gran pompa sul Calvario (630). Questo atto, secondo una tradizione popolare, fu accompagnato da uno strepitoso miracolo, Eraclio, carico d’oro e di pietre preziose, sentì una forza invincibile arrestarlo dinanzi alla porta che conduceva al monte Calvario, più faceva sforzi per avanzare, più gli sembrava di essere trattenuto. Poiché l’imperatore e con lui tutti i testimoni della scena erano stupefatti, Zaccaria, Vescovo di Gerusalemme, gli disse: « O imperatore, con questi ornamenti di trionfo, tu non imiti affatto la povertà di Gesù Cristo, e l’umiltà con la quale Egli portò la Croce ». Eraclio si spogliò allora delle splendide vesti, e toltosi i calzari, si gettò sulle spalle un semplice mantello e si rimise in cammino. Fatto questo, egli compi facilmente il resto del tragitto, e rimise la Croce sul monte Calvario, nello stesso luogo donde i Persiani l’avevano portata via. La solennità dell’Esaltazione della Santa Croce, che si celebrava già ogni anno in questo stesso giorno, prese allora una grande importanza, in ricordo del fatto che l’imperatore Eraclio aveva rimessa la Croce proprio nello stesso luogo dove era stata eretta la prima volta per la crocifissione del Salvatore ». — Uniamoci in ispirito ai fedeli che, nella chiesa di Santa Croce a Roma, venerano oggi le reliquie esposte del Sacro Legno, affinché, essendo stati ammessi ad adorare la Croce sulla terra in questa solennità, nella quale ci rallegriamo per la sua Esaltazione, siamo messi in possesso per tutta l’eternità della salvezza e della gloria che essa ci ha procurato (Or., Secr.).

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Gal VI : 14
Nos autem gloriári opórtet in Cruce Dómini nostri Jesu Christi: in quo est salus, vita et resurréctio nostra: per quem salváti et liberáti sumus [Ci dobbiamo gloriare nella Croce di nostro Signore Gesù Cristo: in cui è la salvezza, la vita e la nostra resurrezione; per mezzo del quale siamo stati salvati e liberati].Ps LXVI :2

Deus misereátur nostri, et benedícat nobis: illúminet vultum suum super nos, et misereátur nostri.

[Dio abbia pietà di noi e ci benedica: faccia brillare su di noi il suo volto e ci usi misericordia].

Nos autem gloriári opórtet in Cruce Dómini nostri Jesu Christi: in quo est salus, vita et resurréctio nostra: per quem salváti et liberáti sumus [Ci dobbiamo gloriare nella Croce di nostro Signore Gesù Cristo: in cui è la salvezza, la vita e la nostra resurrezione; per mezzo del quale siamo stati salvati e liberati].

Oratio

Orémus.
Deus, qui nos hodiérna die Exaltatiónis sanctæ Crucis ánnua sollemnitáte lætíficas: præsta, quǽsumus; ut, cujus mystérium in terra cognóvimus, ejus redemptiónis præmia in coelo mereámur.
Per eundem Dominum nostrum Jesum Christum filium tuum ….

[O Dio, che ci allieti in questo giorno con l’annua solennità dell’Esaltazione della S. Croce, concedici, Te ne preghiamo, che, come conosciamo in terra il mistero della Croce, cosí in cielo ne godiamo il frutto di redenzione.
Per il medesimo nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio,….]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Philippénses.
Philipp II: 5-11

Fratres: Hoc enim sentíte in vobis, quod et in Christo Jesu: qui, cum in forma Dei esset, non rapinam arbitrátus est esse se æquálem Deo: sed semetípsum exinanívit, formam servi accipiens, in similitudinem hóminum factus, et hábitu inventus ut homo. Humiliávit semetípsum, factus oboediens usque ad mortem, mortem autem crucis. Propter quod et Deus exaltávit illum: et donávit illi nomen, quod est super omne nomen: hic genuflectitur ut in nomine Jesu omne genu flectátur coeléstium, terréstrium et infernórum: et omnis lingua confiteátur, quia Dóminus Jesus Christus in glória est Dei Patris. [Fratelli: Abbiate gli stessi sentimenti che ebbe Gesù Cristo: il quale, essendo nella forma di Dio, non considerò questa sua uguaglianza a Dio come una rapina: ma annichilí sé stesso prendendo la forma di servo e, fatto simile agli uomini, apparve come semplice uomo. Umiliò sé stesso facendosi obbediente fino alla morte, e alla morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli diede un nome che è sopra ogni altro nome qui ci si inginocchia onde nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio in cielo, in terra e nell’inferno, e ogni lingua confessi che il Signore Gesù Cristo è nella gloria di Dio Padre].

Graduale

Phil II: 8-9
Christus factus est pro nobis oboediens usque ad mortem, mortem autem crucis.
V. Propter quod et Deus exaltávit illum, et dedit illi nomen, quod est super omne nomen. Allelúja, allelúja.
V. Dulce lignum, dulces clavos, dúlcia ferens póndera: quæ sola fuísti digna sustinére Regem coelórum et Dóminum. Allelúja. [
Per noi Cristo si è fatto ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce.
V. Per questo Dio lo esaltò e gli diede un nome che è sopra ogni altro nome. Allelúia, allelúia.
V. O dolce legno, amati chiodi, che sostenete l’amato peso: tu che solo fosti degno di sostenere il re dei cieli, il Signore. Allelúia

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Joánnem.
Joann XII: 31-36
In illo témpore: Dixit Jesus turbis Judæórum: Nunc judícium est mundi: nunc princeps hujus mundi ejiciétur foras. Et ego si exaltátum fuero a terra, ómnia traham ad meipsum. (Hoc autem dicébat, signíficans qua morte esset moritúrus.) Respóndit ei turba. Nos audívimus ex lege, quia Christus manet in ætérnum: et quómodo tu dicis: Opórtet exaltári Fílium hóminis? Quis est iste Fílius hóminis? Dixit ergo eis Jesus: Adhuc módicum lumen in vobis est. Ambuláte, dum lucem habétis, ut non vos ténebræ comprehéndant: et qui ámbulat in ténebris, nescit, quo vadat. Dum lucem habétis, crédite in lucem, ut fílii lucis sitis. [In quel tempo: Gesú disse alle turbe dei Giudei: Ora si compie la condanna di questo mondo: ora il principe di questo mondo sarà per essere cacciato via. E io, quando sarò innalzato da terra, trarrò tutti a me. Ciò diceva per significare di qual morte sarebbe morto. Gli rispose la turba: Abbiamo appreso dalla legge che il Cristo vive in eterno: come dici allora che il Figlio dell’uomo sarà innalzato? Chi è questo Figlio dell’uomo? Disse allora Gesù ad essi: Ancora un poco è con voi la luce. Camminate mentre avete lume, affinché non vi sorprendano le ténebre: e chi cammina nelle tenebre non sa dove vada. Finché avete la luce, credete nella luce, per essere figli della luce].

OMELIA

[Non abbiamo trovato nessuna omelia più espressiva e bella del Cap. XII del II lib. dell’Imitazione. La proponiamo alla lettura e alla pia meditazione – ndr. -]

 [IMITAZIONE DI CRISTO,  trad. T. Canonico; P. Marietti ed., Torino-Roma 1924]

DELLA REGIA VIA DELLA SANTA CROCE

Lib. II, CAPO XII.

1. Dura sembra a molti questa parola (Joan. VI, 61) : « Rinnega te stesso, prendi la tua croce, e segui Gesù » (Matth. XVI, 24). Ma più duro assai sarà udire quell’estrema parola: « Lungi da me, o maledetti, nel fuoco eterno » (id, XXV, 41). Coloro che volentieri ascoltano adesso e seguono la parola della croce (1 Cor. I, 18),non temeranno allora di ascoltare l’eterna condanna (Ps. CXI, 6). Questo segno della croce sarà in cielo quando Iddio verrà a giudicare. Allora tutti i servi della croce, che in vita si conformarono al Crocefisso (Rom. VIII, 29), si accosteranno a Cristo giudice con grande fiducia.

2. Perché dunque temi di prendere la croce, mediante la quale si va al regno? Nella croce è la salvezza, nella croce è la vita, nella croce la protezione contro i nemici. Nella croce è l’infusione di soavità superna, nella croce il vigore della mente, nella croce la gioia dello spirito. – Nella croce è il compendio della virtù, nella croce è la perfezione della santità. Non v’è salute per l’anima, né speranza di vita eterna, fuorché nella croce. Prendi dunque la tua croce, e segui Gesù, e andrai nella vita eterna (Matth. XXV, 46). – Precedette egli portando la propria croce (Joan. XIX, 17), e per te in croce morì; affinché tu pure porti la croce tua, e desideri morire in croce. Poiché, se con Lui sarai morto, con Lui pure vivrai (Rom. VI, 8), e se sarai compagno a Lui nei dolori, lo sarai altresì nella gloria.  

3. Ecco che tutto sta nella croce, e tutto si riduce al morire; e non v’è altra via alla vita ed alla vera pace interiore, fuorché la via della santa croce e della quotidiana mortificazione. Va dove vuoi, cerca tutto ciò che ti piace; e non troverai al di sopra via più alta, né al di sotto via più sicura che la via della santa croce. Disponi ed ordina ogni cosa secondo il tuo volere e piacimento; e non troverai fuorché dover sempre soffrire qualche cosa, o per amore o per forza; e cosi troverai sempre la croce. – Poiché, o sentirai dolore nel corpo, o nell’anima sosterrai tribolazione di spirito.

4. Talora sarai abbandonato da Dio, talora sarai esercitato dal prossimo; e, ciò che più è, spesse volte sarai grave a te stesso (Job. VII, 20). Né potrai trovare rimedio che ti liberi, o conforto che ti sollevi; ma finché vorrà Iddio, conviene che ciò sopporti. Poiché Iddio vuole che tu impari a soffrire la tribolazione senza consolazione; affinché a Lui totalmente ti assoggetti, e per mezzo della tribolazione diventi più umile. – Nessuno sente così nel cuore la passione di Cristo come colui al quale sia avvenuto di soffrire siffatte cose. Dunque la croce è sempre pronta, ed in ogni luogo ti aspetta. Non puoi sfuggirla dovunque tu corra; perché da qualsiasi parte tu venga, porti teco te stesso, e troverai sempre te. Volgiti all’alto, volgiti al basso, volgiti al di fuori, volgiti al di dentro; in tutte queste direzioni troverai la croce. Ed è necessario che in ogni luogo tu conservi la pazienza, se vuoi avere la pace interiore e meritare la corona perpetua.

5. Se porti volentieri la croce, essa porterà te e ti condurrà al fine desiderato, dove cioè sarà fine al patire, benché ciò non sia quaggiù. Se la porti malvolentieri, te la rendi più pesante; nondimeno conviene che la porti. Se getti via una croce, ne troverai certamente un’altra, e forse più pesante.

6. Credi tu sfuggire a ciò che nessun mortale poté schivare? Qual santo fu al mondo senza croce e senza tribolazione? Neppure Gesù Cristo, Signor nostro restò, finché visse, un’ora sola senza dolore di passione. Conveniva che Cristo patisse e risorgesse da morte, e per tal modo entrasse nella sua gloria (Luc. XXIV, 46). E come mai cerchi tu altra via, fuori di questa via regia della santa croce?

7. La vita intera di Cristo fu croce e martirio: e tu cerchi gioia e riposo? T’inganni, t’inganni, se cerchi altra cosa che soffrire tribolazioni; perché tutta quanta questa vita mortale è piena di miserie (Giob. XIV, 1), e segnata intorno di croci. E quanto più altamente altri ha progredito nello spirito, tanto maggiori croci spesso egli trova; perché l’angoscia del suo esilio cresce in proporzione dell’amore.

8. Però chi è in tal modo variamente afflitto non resta senza conforto; perché sente che dal sopportare la sua croce gli deriva grandissimo frutto. Giacché, mentre si sottomette spontaneamente alla croce, tutto il peso della tribolazione si cambia in fiducia nella consolazione divina. E quanto più la carne resta domata dall’afflizione, tanto più lo spirito vien confortato dalla grazia interiore. E talora, pel desiderio di conformarsi alla croce di Cristo, si trova talmente fortificato dall’amore della tribolazione e dell’avversità, che non vorrebbe esser mai senza dolore e senza tribolazione; poiché si crede tanto più accetto a Dio (Libro di Tobia, XII, 13.), quanto maggiori e più gravi cose può per esso soffrire. Non è questo virtù dell’uomo, ma è grazia di Cristo, la quale tanto può ed opera nella fragile carne, che l’uomo col fervore dello spirito affronta ed ama quelle cose da cui naturalmente sempre abborre e rifugge.

9. Non è cosa naturale per l’uomo portare la croce, amare la croce, tener in freno il corpo e sottoporlo a servitù (1 Cor. IX, 27); fuggire gli onori, sopportar volentieri gli oltraggi, spregiar se medesimo e bramare di essere spregiato; sopportare con proprio danno ogni cosa avversa, e niente di prospero desiderare in questo mondo. Se guardi a te stesso, nulla di tutto questo potrai da te solo. Ma se confidi in Dio, ti sarà data fortezza dal cielo, e verranno assoggettati al tuo impero il mondo e la carne. Cheanzi non temerai neppure il nemico demonio, se sarai armato di fede e segnato colla croce di Cristo.

10. Mettiti dunque da buono e fedele servitore di Cristo a portar virilmente la croce del tuo Signore crocifisso per amore di te. Preparati a tollerare molte avversità ed ogni sorta d’incomodi in questa misera vita; perché così sarà di te dovunque tu sia, e questo è ciò che troverai realmente, dovunque tu ti nasconda. Bisogna che sia cosi: non c’è mezzo per uscire dalla tribolazione e dal dolore dei mali (Ps. CVI, 39), se non che tu soffra. Bevi con amore il calice del Signore, se vuoi essere suo amico ed aver parte con Lui (Joan. XIII, 8). Le consolazioni, rimettile a Dio: faccia Egli, quanto ad esse, come più a Lui piace. Ma tu disponiti a sostenere le tribolazioni, e tienile per grandi consolazioni; poiché i patimenti di questa vita non sono degni di meritare la gloria futura (Rom. VIII, 18), quando anche li potessi soffrir tutti tu solo.

11. Quando sarai giunto a tale, che la tribolazione ti sia dolce e soave per Cristo, allora pensa pure che le tue cose van bene; perché avrai trovato il paradiso in terra. Finché il soffrire ti pesa, e cerchi difuggirlo, sempre starai male. e dovunque fuggirà teco la tribolazione.

12. Se ti sottometti a ciò che devi essere, cioè a soffrire e morire, le cose andranno subito meglio, e troverai pace. Ancorché tu fossi rapito con Paolo fino al terzo cielo (2 Cor. XII, 2), non saresti sicuro perciò di non soffrire contrarietà. Io, dice Gesù, gli mostrerò quanto bisogna ch’egli soffra pel mio nome (Act. IX, 6). Soffrire adunque, soffrire ti resta se desideri amare Gesù e servirlo per sempre.

13. Piacesse a Dio che tu fossi degno di soffrire qualche cosa pel nome di Gesù! (Act. V, 41) quanto grande gloria ne verrebbe a te, quanta esultanza a tutti i Santi di Dio, e quanta sarebbe l’edificazione del prossimo! Poiché tutti raccomandano la pazienza, ma pochi vogliono patire. A buon diritto dovresti patir volentieri qualche cosa per Cristo, mentre molti patiscono tanto pel mondo.

14. Tieni per certo che ti conviene vivere in un morire continuo. E quanto più altri muore a se stesso, tanto più comincia a vivere a Dio (Gal. II, 19). Nessuno è atto a comprendere le cose celesti, se non si è prima sottomesso a sopportare cose avverse per amore di Cristo. Nulla è più accetto a Dio, nulla più salutare per te in questo mondo, che il soffrire volentieri per Cristo. E se fosse tua la scelta, dovresti preferire di soffrire avversità per Cristo, anziché avere il conforto di molte consolazioni; perché saresti più simile a Cristo e più conforme a tutti i Santi. – Il nostro merito ed il nostro progresso non ìstanno già in molte soavità e consolazioni; ma piuttosto nel sopportare grandi gravezze e tribolazioni.

15. Veramente, se vi fosse stato qualche cosa di meglio e di più utile alla salute dell’uomo che il patire, Cristo per certo l’avrebbe mostrato con la parola e coll’esempio. Poiché i suoi discepoli che lo seguono, e tutti coloro che desiderano seguirlo, manifestamente Egli esorta a portar la croce, e dice: « Se alcuno vuol venire dietro a me, rinneghi sé medesimo, prenda la sua croce, e mi segua» (Matth. XVI, 24). Dopo dunque di aver letto e meditato ogni cosa, sia questa la conclusione finale: Che per mezzo di molte tribolazioni ci conviene entrare nel regno di Dio (Act. XIV, 21).

Credo …

Offertorium

Orémus
Prótege, Dómine, plebem tuam per signum sanctæ Crucis ab ómnibus insídiis inimicórum ómnium: ut tibi gratam exhibeámus servitútem, et acceptábile fiat sacrifícium nostrum, allelúja. [O Signore, per il segno della santa Croce, proteggi il tuo popolo dalle insidie di tutti i nemici, affinché ti sia gradito il nostro servizio e accetto il nostro sacrificio. Allelúia].

Secreta

Jesu Christi, Dómini nostri, Córpore et Sánguine saginándi, per quem Crucis est sanctificátum vexíllum: quǽsumus, Dómine, Deus noster; ut, sicut illud adoráre merúimus, ita perénniter ejus glóriæ salutáris potiámur efféctu.  [A noi che dobbiamo essere nutriti dal Corpo e dal Sangue del nostro Signore Gesú Cristo, per mezzo del quale fu santificato il vessillo della Croce, concedi, o Signore Dio nostro, che, come ci permettesti di adorare tale vessillo, cosí perennemente ne sperimentiamo l’effetto salutare.]

Communio

Per signum Crucis de inimícis nostris líbera nos, Deus noster. [Per il segno della Croce, líberaci dai nostri nemici, o Dio nostro.]

Postcommunio

Orémus.
Adésto nobis, Dómine, Deus noster: et, quos sanctæ Crucis lætári facis honóre, ejus quoque perpétuis defénde subsídiis.
[Assistici, o Signore Dio nostro, e coloro che Tu allieti colla solennità della S. Croce, difendili pure coi tuoi perpetui soccorsi].

Per l’Ordinario:

https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/

LO SCUDO DELLA FEDE (77)

LO SCUDO DELLA FEDE (77)

[S. Franco: ERRORI DEL PROTESTANTISMO, Tip. Delle Murate, FIRENZE, 1858]

PARTE SECONDA. FRODI PER CUI S’INTRODUCE IL PROTESTANTISMO

CAPITOLO XII.

DUODECIMA FRODE: CHE IL PURGATORIO È UN’INVENZIONE DEI PRETI.

I Protestanti dopo aver turbato i fedeli che vivono sulla terra, tenterebbero se potessero di tormentare anche quelli che già sono passati all’altra vita, e li vorrebbero privare dei suffragi, delle Messe, delle orazioni di S. Chiesa. Per ciò insegnano che il Purgatorio non esiste, che i fedeli appena morti senz’altro o salgono in Paradiso, o piombano nell’Inferno: che non per altro fu inventato dai Preti cotesto domma se non perché riusciva utile ai loro interessi. Ora sappiate che con queste falsità che spacciano, commettono tre gravissimi mali, tolgono a noi dal cuore la fede intorno ad una verità solennissima nella S. Chiesa, spogliano le povere anime dei defunti dei suffragi che loro sarebbero sì vantaggiosi, e calunniano atrocemente il Sacerdozio cristiano. Osservate se non è vero. – Dicono che non esiste il Purgatorio: ma le S. Scritture che essi a parole fan tanta mostra di rispettare, insegnano tutto l’opposto; la S. Chiesa che è di tanta autorità come sopra vi ho detto ha sempre tenuto che esistesse; i sacri Dottori non solo l’hanno difeso, ma l’hanno anche temuto; innumerabili rivelazioni fatte non a donnicciole ma a gran Santi lo confermano, e tutto ciò non vale un po’ più che le loro beffe, le loro risa, e le loro bestemmie? – Nella S. Scrittura si dice chiaro che Giuda Maccabeo mandò dodicimila dramme di argento a Gerusalemme perché si offrissero sacrifici per quelli che erano morti in battaglia, poiché, è ivi soggiunto, è un pensiero santo c salutare pregar pei morti, onde siano disciolti dai loro peccati. Ora se non vi è Purgatorio, che giova il pregar pei morti? Quelli che sono in Paradiso non ne hanno più bisogno, quelli che sono nell’Inferno non possono più ricevere sollievo di sorta. É dunque manifesto che vi ha Purgatorio. I Protestanti per isbrigarsi di questa Autorità, non sapendo che dire han negato che quel libro facesse parte delle S. Scritture: ma S. Agostino, S. Cipriano, S. Ambrogio e tutta la Cattolica Chiesa che in ogni secolo l’ha sempre riconosciuto, ha qualche peso maggior del loro. Del resto anche il nuovo Testamento lo prova chiaro. Nostro Signore insegna che chi bestemmia contro lo Spirito Santo non sarà perdonato né in questo secolo né nell’altro (Matth. XII); dunque, conclude il grande S. Agostino, vi hanno da essere dei peccati che nell’altro si perdonino. Non si perdonano nel cielo, perché in esso non entra nulla che sia macchiato, non si perdonano nell’Inferno perché in esso non vi è più redenzione, che resta se non il Purgatorio? Anche S. Paolo nella sua lettera ai Corinti dice di alcuni che sarau salvi, ma tuttavia passando pel fuoco (1 Cor. III). Nella lettera ai Filippesi dice che al nome dì Gesù si debbono curvare nel cielo, sulla terra, e nelle parti infernali (Fil. II). Or nell’Inferno dove stanno i dannati niun certo riverisce il nome di Gesù, sono dunque le anime racchiuse nel Purgatorio che lo riveriscono. E poi è chiaro che se nel cielo non entra nulla che sia macchiato come insegna S. Giovanni (Apoc. XXI), se è vero che anche i giusti cadono in molte mancanze sebbene non gravi, come insegnano i Proverbi (Prov. XXIV, 16) è anche manifesto che vi ha da essere un luogo di espiazione dove possano purificarsi quelli che non ebbero il tempo o la sollecitudine di farlo in vita. Ed infatti così l’insegnò sempre la S. Chiesa come ne fanno fede indubitatissima i Santi Dottori che ne sono autorevoli testimoni. Io ve ne ricorderò solo qualcuno, perché veggiate quanto abbiano torto quei disgraziati che dicono che è un’invenzione dei Preti. S. Efrem nel suo testamento spirituale chiede delle preghiere per riposo della sua anima. – L’Imperatore Costantino volle esser sepolto in una Chiesa affinché i fedeli si ricordassero di pregare per lui: che è il desiderio che hanno anche ai dì nostri i Cristiani fervorosi. S. Giovanni Crisostomo avverte i fedeli che se sono inutili le lagrime dei vivi sopra dei morti, ben son loro utili le limosine e le preghiere. S. Girolamo loda Pammachio perché invece di spargere fiori sulla tomba di sua moglie, avea sparse tra i poverelli delle limosine per suffragarla. S. Agostino ricorda i sacrifici che si celebrarono per la sua madre Monica, e nel libro delle Eresie scrive che fu Ario il primo eretico che osò negare il Purgatorio. Ora se tutti questi gran Santi ed altri molti che potrei qui allegarvi, tutti si accordano a raccomandar la preghiera pei defunti, quale audacia non è quella di questi nuovi dottori che negano l’esistenza del Purgatorio? Ma non è solo un’audacia diabolica, è anche una crudeltà inaudita contro quelle povere anime. Imperocché senza star qui a ricercare qual sia il modo delle loro pene, è certo però che esse soffrono orribilmente, e Dio solo sa per quanto tempo, dovranno esse soddisfare ad ogni loro benché leggera mancanza. Ora chi consideri un momento che sono non solo anime di Cristiani, che hanno avuto con noi comune la S. Fede, che sono morte nella grazia di Gesù, che sono quelle che speriamo di aver compagne per tutta l’eternità nella gloria, ma che fra loro sono anche le anime dei nostri parenti, dei nostri amici, del nostro povero padre, della nostra povera madre, forse di un marito, forse di una sposa che già ci furono sì cari sulla terra, e che ora aspettano da noi un poco di aiuto; chi consideri, io dico, tutto ciò come non si sentirà inorridire al pensiero di abbandonarle sul pretesto frivolo che non vi ha Purgatorio? Bisogna aver perduta non solo la fede, ma anche il cuore per dare in questi eccessi. Certo non pochi protestanti ai nostri giorni guidati anche solo dal cuore sono giunti ad ammettere questa verità per aver la consolazione di pregare pei loro parenti e pei loro cari: e noi soffriremo poi che questi maestri di errore ci tolgano un sì bel conforto, noi a cui la fede lo somministra? – Ma che ragioni hanno adunque da recare in mezzo per negare questa verità? Ce lo facciano almeno sapere. Ve le esporrò. Allegano in primo luogo quelle parole dell’Ecclesiaste dove è detto che da qualunque parte l’albero cadrà sia mezzo giorno, sia settentrione ivi resterà (Eccles. XI, 3). E quelle di S. Paolo che sono beati quei che muojono nel Signore, perché si riposano dei lor travagli, e pretendono che per queste parole venga escluso il domma del Purgatorio. Per verità se non avevano altre migliori ragioni ad allegare, potevano tacere eternamente. Conciosiachè che hanno mai che fare queste sentenze col Purgatorio? Le parole dell’Ecclesiastico significano che nell’altra vita non v’è se non la salvezza eterna, oppure la dannazione. E chi l’ha mai negato? Questo è lo stato finale delle anime: ma quelle che passano prima a purificarsi nel Purgatorio non pervengono poi subito dopo all’eterna salute? Le parole di S. Paolo significano la consolantissima verità, che i morti nel Signore si riposeranno dei loro travagli. Sì. ma se tra loro ve n’avesse di quelli che prima dovessero per qualche tempo purificarsi, non si verificherebbe più che giungono poi al riposo? S. Paolo ha forse detto che tutti vi giungeranno subito? Eppure credereste queste frivole ragioni sono le più gagliarde che arrecano per negare il Purgatorio. Si burlano proprio di voi, mentre vi spacciano i loro errori. – Sebbene no, replicano essi, sono i Preti che vi danno ad intendere tante sciocchezze, perché al fuoco del Purgatorio essi fanno bollire (sono parole loro) la loro pentola. Veramente se io volessi rispondere allo stolto secondo la sua stoltezza, potrei dire che Dio farà bollire questi sacrileghi in ben altro fuoco che non è quello del Purgatorio. Potrei osservare ancora quanto sia riverente un tal modo di parlare, e quanto convenga a quelli che si danno per inviati di Gesù Cristo: ma lasciando stare tutto ciò io chieggo loro prima di tutto, e che cosa guadagnano i Sacerdoti sul Purgatorio? La Chiesa Cattolica insegna che le anime del Purgatorio si possono suffragare colle orazioni, coll’ascoltare la S. Messa, col digiuno, con la limosina, con la penitenza e con ogni sorta di opere buone. Ora che cosa guadagnano i Preti se voi pregate, se voi udite la S. Messa, se voi digiunate, se voi distribuite limosine, se voi vi mortificate, o vi esercitate altrimenti a far del bene? Su dite che guadagno fanno i Sacerdoti in tutto ciò? Se fosse vero che essi hanno inventato il Purgatorio per trarne vantaggio insegnerebbero mai per suffragare le anime, tante maniere che a loro non fruttano nulla? Tutto il loro guadagno si ristringerà solo alta celebrazione delle Messe, ed al canto dei divini Uffizi. Ma in primo luogo chi obbliga i fedeli a suffragare le anime in questo modo, e non sono essi padroni di scegliere quegli altri modi sopraccennati? Ma poi, se perché può tornare di qualche vantaggio ai Sacerdoti che si pratichi un’opera di pietà, non è più lecito il raccomandarla per timore di parere interessati, non sarà più lecito di raccomandar nessuna virtù al mondo. Imperocché in quasi tutte le opere buone che altri vi raccomanda si trova sempre qualche vantaggio di chi l’inculca. In cominciando dal Principe che raccomanda al suddito 1’ubbidienza fino al contadino che la raccomanda al suo garzone, tutti vi trovano il loro conto: dunque non si raccomanderà più l’ubbidienza benché l’abbia tanto raccomandata Gesù Cristo? Il marito non potrà più inculcare alla moglie la ritiratezza, perché si dirà che lo fa per suo conto poiché è geloso. Il padre non potrà più raccomandare al figliuolo che non scialacqui perché si dirà che lo fa per suo conto poiché è avaro. Ed allora si potrà anche dire di questi disgraziati che negano il Purgatorio che lo fanno per loro utile, perché sono cosi sordidi da aver paura di cavar fuori un quattrino pei loro poveri morti. Se queste maniere d’interpetrare l’intenzione è buona riguardo ai Sacerdoti, perché non sarà buona riguardo ai loro calunniatori? Che cosa ne dite? – Del resto se i Sacerdoti ritraggono qualche vantaggio temporale dalla limosina, intendetelo bene una volta e fatelo sentire a costoro, è giustissimo che la ritraggono. Ancor essi hanno da vivere. Gran cosa! Si stima giusto che un medico, un avvocato, un giudice riceva uno stipendio e perché ancora esso ha da campare, e perché avendo passato tanti anni e sostenute tante spese ad apprendere la sua professione, si stima convenevole che a suo tempo ne sia rimunerato: ed un Sacerdote che ha speso tanti anni per rendersi capace del sublimissimo ministero di annunziare la divina parola, di amministrare i Sacramenti, di offrire il gran Sacrifizio, non avrà diritto non dico ad una remunerazione, che non la cerca, ma neppure al suo quotidiano sostentamento? Qui il ridicolo e l’assurdo è congiunto con la perfidia e con l’empietà. – Sapete qual è in fondo in fondo la vera ragione per cui tanto schiamazzano contro i Sacerdoti? Eccovela chiara. Non li possono sopportare perché odiano la Religione di cui essi sono i ministri. Non vorrebbero che si predicasse per non essere turbati nel sonno del peccato in cui si giacciono, non vorrebbero la Confessione perché non vogliono essi cambiar vita, e non fa loro comodo spesse volte che la vogliano cambiare gli altri, non vorrebbero lo zelo sacerdotale perché scompiglia le loro trame, e per ciò non potendoli soffrire, si sveleniscono contro di loro con ogni calunnia e colgono occasione da tutto per metterli in mala voce. E ciò sia detto per cautelarvi contro ogni loro diceria. – Conchiudendo ora quello che abbiamo discorso in questo capo, non solo tenete salda la dottrina di S. Chiesa sul Purgatorio, ma animatevi secondo levostre forze a suffragare il più che potete quelle povere anime. Esse non saranno ingrate verso di voi, che anzi per quella bella Comunione che passa tra i fedeli vivi, e defunti pregheranno singolarmente per voi e adesso, e quando saranno giunte a godere la faccia di Dio svelata, siccome ne fanno fede tutte le ecclesiastiche storie, e tutte le vite dei Santi. E quando alcuno vi dice che il Purgatorio non v’è, rispondete quel che già disse, un buon popolano a chi gli parlava così, che è vero che non v’è Purgatorio per chi lo nega, poiché come eretico è riserbato solo all’Inferno!

SALMI BIBLICI: “BENEDICAM DOMINUM IN OMNI TEMPORA” (XXXIII)

SALMO 33: “Benedicam Dominum in omni tempore”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

TOME PREMIER.

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR

RUE DELAMMIE, 13; 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

Salmo XXXIII

David, cum immutavit vultum suum coram Achimelech, et dimisit eum, et abiit.

[1] Benedicam Dominum in omni tempore;

semper laus ejus in ore meo.

[2] In Domino laudabitur anima mea: audiant mansueti, et laetentur.

[3] Magnificate Dominum mecum, et exaltemus nomen ejus in idipsum.

[4] Exquisivi Dominum, et exaudivit me; et ex omnibus tribulationibus meis eripuit me.

[5] Accedite ad eum, et illuminamini; et facies vestrae non confundentur.

[6] Iste pauper clamavit, et Dominus exaudivit eum, et de omnibus tribulationibus ejus salvavit eum.

[7] Immittet angelus Domini in circuitu timentium eum, et eripiet eos.

[8] Gustate, et videte quoniam suavis est Dominus; beatus vir qui sperat in eo.

[9] Timete Dominum, omnes sancti ejus, quoniam non est inopia timentibus eum.

[10] Divites eguerunt, et esurierunt; inquirentes autem Dominum non minuentur omni bono.

[11] Venite, filii, audite me; timorem Domini docebo vos.

[12] Quis est homo qui vult vitam, diligit dies videre bonos?

[13] Prohibe linguam tuam a malo, et labia tua ne loquantur dolum.

[14] Diverte a malo, et fac bonum; inquire pacem, et persequere eam.

[15] Oculi Domini super justos, et aures ejus in preces eorum.

[16] Vultus autem Domini super facientes mala, ut perdat de terra memoriam eorum.

[17] Clamaverunt justi, et Dominus exaudivit eos; et ex omnibus tribulationibus eorum liberavit eos.

[18] Juxta est Dominus iis qui tribulato sunt corde, et humiles spiritu salvabit.

[19] Multae tribulationes justorum; et de omnibus his liberabit eos Dominus.

[20] Custodit Dominus omnia ossa eorum: unum ex his non conteretur.

[21] Mors peccatorum pessima; et qui oderunt justum delinquent.

[22] Redimet Dominus animas servorum suorum, et non delinquent omnes qui sperant in eo.

[Vecchio Testamento secondo la VolgataTradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO XXXIII

Davide ringrazia Dio pel beneficio della liberazione dall’imminente pericolo di morte, incontrato alla Corte di Achis re di Geth (detto Abimelech, nome comune dei re Filistei), e schivato coll’aiuto di Dio contraffacendosi di sensato in insensato. Esorta poi tutti a sperare in Dio. È salmo alfabetico.

Salmo di David, quando si contraffece in presenza di Abimelech, il quale lo licenziò ed ei si partì.

1. In ogni tempo io benedirò il Signore; le laudi di lui saran sempre nella mia bocca.

2. Nel Signore si glorierà l’anima mia; ascoltino gli umili, e si consolino.

3. Esaltate meco il Signore ed esaltiamo insieme il nome di lui.

4. Cercai il Signore, e mi esaudì; e mi trasse fuori di tutte le mie tribolazioni.

5. Accostatevi a lui, e sarete illuminati, e i vostri volti non averan confusione.

6. Questo povero alzò le grida, e il Signore lo esaudì, e lo trasse fuori di tutte le sue tribolazioni.

7. Calerà l’Angelo del Signore intorno a coloro che lo temono, e li libererà.

8. Gustate, e fate esperienza, come soave sia il Signore; beato l’uomo che spera in lui.

9. Santi tutti del Signore, temetelo; imperocché non manca nulla a coloro che lo temono.

10. I ricchi si trovarono in bisogno, e patiran la fame; ma a coloro che temono il Signore, non mancherà nissun bene.

11. Venite, o figliuoli, ascoltatemi: vi insegnerò a temere il Signore.

12. Chi è colui che ama la vita, e desidera di vedere dei buoni giorni?

13. Custodisci pura da ogni male la tua lingua, e le tue labbra non parlino con inganno.

14. Fuggi il male, e opera il bene; cerca la pace e valle appresso.

15. Gli occhi del Signore sopra dei giusti e le orecchie di lui tese alle loro orazioni.

16. Ma la faccia del Signore irata inverso coloro che fanno il male, per isterminare dal mondo la lor memoria.

17. Alzaron le grida i giusti, eil Signore gli esaudì e liberolli da tutte le tribolazioni.

18. Il Signore sta dappresso a coloro che hanno il cuore afflitto, e agli umili di spirito darà salute.

19. Molte le tribolazioni dei giusti; e da tutte queste li trarrà il Signore.

20. Di tutti i loro ossi ha cura il Signore: uno di questi non sarà fatto in pezzi.

21. Pessima la morte dei peccatori; e quelli che odiano il giusto saran delusi.

22. Il Signore riscatterà le anime dei servi suoi, e non saranno delusi tutti quei che sperano in lui.

Sommario analitico

Davide, liberato dal pericolo estremo che aveva corso presso il re di Geth, Achis, proclama in questo salmo:

I.Che Dio deve essere amato e benedetto dai giusti: 1° con costanza, nell’avversità come nella prosperità; 2° con perseveranza, fino alla fine della vita (1); 3° con umiltà, come fanno i servitori nei confronti del loro padrone; 4° con una gioia interiore e spirituale che si compiace dei suoi comandamenti (2); 5° con fervore, esaltando il suo nome e manifestando le sue grandezze; 6° con carità, unendosi ai santi che Lo lodano (3); 7° con diligenza, cercando scrupolosamente il Signore (4); 8° con fede, avvicinandosi alla sua luce (5); 9° con speranza, gridando verso di Lui in mezzo alle tribolazioni (6).

II. – Che non c’è nulla di più equo, perché Dio è sovranamente liberale verso i giusti:

1. dà loro gli Angeli

a) che li circondano come un accampamento,

b) che li liberano da ogni pericolo (7). .

2. – Dà loro tutti i beni: a) beni interiori accompagnati da soavità e dolcezza (8); b) beni esteriori, prodigati con abbondanza (9, 10).

3. – Si dà Egli stesso: – a) insegnando loro 1) ad amare di cuore i beni eterni (11, 12), 2) a non nuocere il prossimo con parole (13), 3) a servire Dio con le loro opere, allontanandosi dal male e facendo il bene, 4) ad amare la pace, tanto con Dio che con se stessi e con il prossimo (14); – b) guardandoli con occhio favorevole; – c) dando ascolto alle loro preghiere (15); – d) guardando con occhio severo i loro nemici per sterminarli (16); – e) venendo in soccorso dei giusti, in mezzo alle tribolazioni (17); – f) tenendosi vicino ad essi per consolarli e liberarli da tutte le loro afflizioni (18, 19); – g) vegliando con una provvidenza tutta particolare sulle loro ossa, perché non ne perisca alcuno (20); – h) perdendo i loro nemici, la cui morte sarà pessima (21); – i) riscattando col suo sangue le anime dei suoi servitori (22).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-6.

ff. 1. Quando benedite il Signore? Quando fate del bene? Quando i beni del secolo abbondano in voi? … no, ma in ogni tempo! È dunque in questo stato prospero che bisogna benedirlo, ed anche quando questi elementi di felicità siano turbati dalle circostanze e dal castigo di Dio; quando questi beni ci vengono sottratti; quando non nascono più per noi, o quando appena nati spariscono. Beneditelo sia quando vi da questi beni, sia quando ve li toglie, beneditelo ancora. Egli ritira questi beni, perché essi vengono da Lui, ma Egli non ritira mai Se stesso da colui che Lo benedice (S. Agost.). – Esempio ne è Giobbe: « il Signore mi aveva dato tutto, il Signore mi ha tolto tutto; sia fatto come è piaciuto al Signore, che il Nome del Signore sia benedetto! » (Giob. I, 21). – Giobbe ci insegna in poche parole a lodare Dio senza sosta; egli ci insegna che quando Dio dà, dà con misericordia, e quando toglie, toglie con misericordia; egli ci insegna a non ritenerci abbandonati dalla sua misericordia, sia che ci carezzi con i suoi doni, per timore che non ci perdiamo di coraggio, sia che ci corregga nell’eccesso della nostra gioia, per timore che non ne veniamo a perire. Lodiamolo dunque in ogni tempo, sia che riceviamo i suoi doni, sia i suoi castighi. La lode del Signore che vi castiga è il rimedio che vi guarisce (S. Agost.). – Un cuore che non benedice Dio se non quando riceve del bene, usa di Dio come di sfuggita, per gioire piacevolmente di questo secolo (S. Greg. Mor. II, 5).

ff. 2. – « Chi si glorifica, si glorifichi dunque nel Signore, perché colui che rende testimonianza a se stesso non è veramente buono, ma colui a cui Dio rende testimonianza. » (II Cor. X, 17, 18). – Dio ci ha dato tutto, finanche il suo Figlio unigenito; tutto è per noi, dice San Paolo; ma Egli si è riservato una sola cosa, che è incomunicabile, è la sua gloria: « Io sono il Signore, questo è il mio Nome, ed Io non darò la mia gloria ad un altro » (Isaia, LII, 8). – I miti, gli umili sono i soli che mettono la loro gloria nel Signore. Che ascoltino dunque, questi miti, questi umili, la Verità eterna ed incarnata che ha aperto la bocca per proclamare la loro felicità: « Beati sono i miti, perché essi possederanno la terra». (S. Matt., V), e che gioiscano di questa speranza (Dug.).

ff. 3. – Chiunque faccia parte del Corpo di Cristo, deve apportarvi le sue cure affinché tutti partecipino alle grandezze del Signore. In effetti, chiunque agisca così, ama il Signore. E come lo ama? Lo ama non avendo invidia per coloro che Lo amano nello stesso tempo. Colui che ama secondo la carne, ama necessariamente con gelosia … Ma che dice colui che ama la saggezza di Dio? « Annunciate con me le grandezze del Signore ». Io non voglio essere il solo a proclamarle, io non voglio essere il solo ad amarlo, io non voglio essere il solo ad abbracciarlo. La saggezza di Dio è talmente estesa che tutte le anime che l’abbracciano, ne gioiscono insieme. Se dunque amate Dio, invitate ad amarlo coloro che hanno con voi qualche legame, e tutti quelli che abitano nella vostra casa; se voi amate il Corpo di Cristo, cioè l’unità della Chiesa, trascinateli a gioire di Dio e dite: « … proclamate con me le grandezze del Signore. » (S. Agost.). – Questa raccomandazione è messa in pratica con le preghiere pubbliche della Chiesa, ove tutti insieme, coralmente, con la medesima bocca, « … i Cristiani glorificano Dio, il Padre di nostro Signore Gesù-Cristo » (Rom. XI, 6).

ff. 4. –  « Io ho cercato ardentemente il Signore ed Egli mi ha esaudito ». Coloro dunque che non sono esauditi non cercano il Signore. Il Profeta non ha detto: io ho domandato l’oro al Signore ed Egli mi ha esaudito; io ho domandato al Signore di arrivare alla vecchiaia, ed Egli mi ha esaudito; io ho domandato al Signore tale o tal’altro favore ed Egli mi ha esaudito. Domandare qualche cosa, non è cercare il Signore. Egli dice: io ho cercato ardentemente il Signore ed Egli mi ha esaudito. Guardatevi dunque dal non cercare altra cosa al di fuori di Dio, ma cercate Dio stesso ed Egli vi esaudirà, e mentre voi ancora parlate, Egli dirà: « Eccomi » (Isai. LXV, 24). – cosa vuol dire « eccomi »? Io sono là presente, cosa volete da Me? Cosa mi domandate? Tutto quello che vi darò, vale meno di Me; possedete dunque Me stesso, gioite di Me, abbracciatemi; voi non potete ancora farlo interamente, ma toccatemi con la fede e sarete uniti a Me (S. Agost.). – Il Signore, ordinariamente non impedisce che si cada nell’afflizione, ma Egli ne libera. Dio non vuol lasciare i suoi santi senza che siano provati, ma Egli si contenta di sostenerli in queste prove (Dug.)

ff. 5. – Come approcciarvi a Dio? cercandolo con la fede. « Per avvicinarsi a Dio, bisogna credere primariamente che Dio c’è, e che Dio ricompensi coloro che Lo cercano » (Ebr. XII, 6), aspirando a Lui con il cuore, e correndo verso di Lui con la carità. La carità: ecco i piedi che vi servono per cercarlo! Quali sono questi piedi? I due comandamenti dell’amore di Dio e dell’amore del prossimo. Con questi due piedi correte verso Dio ed avvicinatevi a Dio (S. Agost.). – … e sarete illuminati, « Dio è la luce stessa, ed in Lui non ci sono tenebre » (I Giov. I. 5). – Egli è la luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo » (Giov. I, 4). – Questa luce ha Egli nel cielo, nello splendore dei Santi, sulle montagne, sugli spiriti elevati, sugli Angeli; ma essa ha voluto rilucere anche tra gli uomini, che se ne erano allontanati. Essa si è avvicinata, e per rischiararli ha portato loro la fiamma fin negli occhi. Non siamo tra coloro di cui è detto: « la luce è venuta tra le tenebre e le tenebre non l’hanno accolta; è venuta fra quelle anime superbe o attaccate dalle loro passioni che non hanno compreso l’umiltà di Gesù Cristo, tra quelle anime curiose che vogliono vedere per il piacere di vedere e di conoscere, e non per essere illuminate, per regolare i propri costumi, e mortificare la propria cupidigia; tra questi sventurati di cui parla Gesù Cristo, che hanno voluto sì gioire per la luce, ma non lasciarsi infiammare i loro cuori dal fuoco che era venuto ad illuminarli (Bossuet, Elév. XII Sem. IX Elév.).

ff. 6. – La povertà tutta non è sempre degna di elogi, ma lo è soltanto quella che parte da una volontà libera di obbedire ai consigli evangelici. Numerosi sono i poveri, non volendo considerare che la penuria delle ricchezze, ma la maggior parte di questi poveri sono ricchi ed avari per i loro desideri; la loro indigenza non li salva, la loro cupidigia li condanna. Il Re Profeta si serve di questo pronome dimostrativo, « questo povero », per elevare la nostra anima fino al vero povero secondo Dio, che soffre per Lui la sete e la fame, come se dicesse: questo discepolo di Gesù Cristo (S. Basilio). – Il profeta vi insegna come sarete esauditi. Se non siete esauditi, voi siete ricchi: « Questo povero grida ed il Signore lo ascolta ». Siate indigenti e gridate, e Dio vi esaudirà. E come potrò io diventare indigente, per gridare verso Dio? Non presumendo delle vostre forze, anche quando in possesso di una qualche ricchezza; comprendendo che siete indigenti e veramente poveri quando non possedete Colui che solo può rendervi ricco (S. Agost.). – L’umanità prega in ogni luogo e a tutte le ore; non c’è alcuno dei suoi bisogni che sia estraneo al cuore di Dio. Essa si indirizza a Lui come alla luce che vede tutto, alla sovranità che può tutto, alla bontà che vuole tutto ciò che può, e ci vogliono miracoli per esaudire la sua preghiera; essa vi conta fermamente come sull’effetto naturale di un ordine che comandi a tutte le leggi. Non è solo nelle rare e solenni circostanze che la sua voce supplicante sale verso Dio, come se Dio non si fosse riservato di intervenire che negli avvenimenti famosi che cambiano il corso delle cose e delle nazioni. No; la preghiera esce dal cuore del povero, come da quello dei re. Essa è tanto più forte se si eleva da un tetto di paglia, piuttosto che dalle cime dei cedri, parlando a Dio di un pezzo di pane, piuttosto che dell’occupare un impero. « Questo povero ha gridato, diceva Davide, e Dio lo ha ascoltato ». Anche a vedere la fiducia dei piccoli nel governo dell’Altissimo, si crederebbe che essi conoscano a fondo questa grande legge che genera la protezione della stessa impotenza, e che fa così di Dio e dell’oppresso le due cose che si toccano più da vicino (Lacord. LXVII, Conf.).

II. — 7 – 22.

ff. 7. – Qual è questo Angelo del Signore? È l’Angelo posto a nostra custodia e che Dio ha dato perché vegli su tutte le nostre vie. « È nostro Signore Gesù Cristo, che è nominato nelle profezie come l’Angelo del grande Consiglio, l’inviato del gran consiglio. Non temete quindi di restare misconosciuti a Dio: in qualunque parte voi siate: se temete il Signore, questo Angelo vi conosce, vi circonderà e vi libererà ».  (S. Agost.).

ff. 8. – Noi vediamo in diversi brani della Scrittura che le facoltà dell’anima ricevono gli stessi nomi delle membra esterne dei corpi. Poiché nostro Signore è un vero pane, e la sua carne nutre veramente, è necessario che il sentimento delizioso che ci procura questo pane, sia prodotto in noi da una degustazione spirituale. Le parole sono impotenti per far comprendere a coloro che l’ignorano la natura del miele, bisogna aggiungervi la degustazione. Così è per la bontà e la dolcezza tutta celeste del Verbo, le parole non sono sufficienti ad esprimerla; occorre un lungo esame delle verità divine, perché noi possiamo pervenire a gustare la bontà del Signore. « Gustate », Egli dice, non riempitevene, perché ora noi conosciamo Dio solo imperfettamente; non vediamo che come in uno specchio e sotto immagini oscure (I Cor. XIII, 12); ma verrà il tempo in cui questa caparra di felicità eterna, questo gusto della grazia, farà posto alla pienezza della gioia (S. Basil.). – Come far gustare ai mondani delle dolcezze che non hanno mai sperimentato? Le ragioni in questa materia sono poco efficaci, poiché per discernere ciò che piace, occorre conoscere i propri gusti e conoscere quello che si è conosciuto. È perciò a Dio che i peccatori possono risolversi a gustare quanto il Signore sia dolce! Essi conoscerebbero per esperienza che ci sono delle delizie spirituali che sorpassano le false dolcezze dei nostri sensi e tutte le loro lusinghe (Bossuet, Effic. de la Pén. II, P.). – « Gustate e vedete quanto è dolce il Signore; quanto è dolce la verità, la giustizia, la buona speranza, il casto desiderio di possederla; e gemerete nel vedervi in mezzo agli inganni e agli errori, ed emetterete un dolce e tenero sospiro verso la città santa, che Dio ci ha preparato, ove regna la verità, ove si trova la pace eterna e tutto il bene con Dio » (Bossuet, Méd. sur l’Evangil.). – Dio vuole essere conosciuto per essere amato. Il mondo perde nell’approfondirsi; esso non si rallegra che della superficie e del primo colpo d’occhio. Ma entrate più oltre: non c’è che vuoto, vanità, afflizione, agitazione e miseria. Ma il Signore, bisogna conoscerlo e gustarlo a lungo – dice il Profeta – per sentire tutto ciò che Egli ha di ammirevole. Più Lo conoscete, più Lo amate; più vi unite a Lui, più sentite che non c’è vera felicità in terra se non nel conoscerlo ed amarlo (Massil. sur la Prière).

ff. 9. – Timore di Dio unito alla speranza: una di queste due virtù non può sussistere senza l’altra. – Nulla può mancare a coloro di cui Gesù Cristo è Dio, perché la giustizia di Dio è la fonte di tutti i beni. « Cercate innanzitutto – dice nostro Signore (Matt. VI, 3) – il regno di Dio e la sua giustizia, e tutto il resto vi sarà dato in sovrappiù »  (S. Girol.).

ff. 10. – Si dirà che gli Apostoli ed i Santi che hanno camminato sulle loro tracce, non abbiano avuto parte dei beni della terra, perché non hanno cercato il Signore, o che, se essi sono stati fedeli nel cercarlo, la santa Scrittura sia in difetto, proclamando che coloro che lo cercano non saranno privati di alcun bene! Ma no, i Santi hanno cercato il Signore, e non sono stati privati dell’intelligenza di Colui che essi cercavano, e non sono stati spogliati dei beni che sono stati loro riservati nel riposo eterno; perché è parlando di questi beni che si può dire che essi rinchiudano ogni bene, mentre che i piaceri della carne portano con sé più dolori e pene che gioie (S. Basil.). – L’avaro manca sia di ciò che ha, sia di ciò che non ha (S. Ger.). – Molti che non vogliono temere il Signore, hanno paura di soffrire la fame. Si dice loro: guardatevi dall’usare la frode. Di cosa mi nutrirò? … rispondono essi. La mia professione non può esercitarsi senza impostura, io non posso svolgere i miei affari senza ingannare. Ma Dio punisce la frode, temete Dio! Se temo Dio, non avrò di che vivere. « Santo del Signore, temetelo tutti, perché nulla manca a coloro che Lo temono ». Dio promette l’abbondanza a colui che così teme e che comprende che se vive del timore del Signore, il superfluo non gli manca. Dio vi nutre, anche se voi Lo disprezzate, e vi abbandonerà quando voi Lo temerete! Riflettete e guardatevi dal dire: un tale è ricco ed io sono povero; io temo Dio e lui, che non Lo teme, cosa non ha guadagnato? Ed io che Lo temo, io sono nudo! Vedete cosa aggiunge il profeta. « I ricchi sono stati nel bisogno ed hanno avuto fame, ma coloro che cercano il Signore non mancheranno di alcun bene. » Se prendete queste parole alla lettera, sembra che esse vi ingannino. Vedete in effetti, molti ricchi perversi che muoiono in mezzo alle loro ricchezze, e che non sono mai stati poveri nella loro vita; li vedete invecchiare ed arrivare al termine di una lunga vita in mezzo a grandi abbondanze di beni; voi vedete che si celebrano i loro funerali con pompa e sfarzo; vedete una folla numerosa che conduce fino alla tomba questo ricco che viene a spirare su di un letto di avorio, e tutta la famiglia lo circonda e lo piange; e voi dite in voi stessi: io conosco tutto il male che quest’uomo ha fatto, conosco le sue azioni; … la Scrittura mi ha deluso, mi ha ingannato perché vi ho letto e cantato queste parole: « i ricchi sono stati nel bisogno ed hanno avuto fame ». Quando dunque, quest’uomo è stato nel bisogno? Quando ha avuto fame? « Coloro che cercano il Signore non mancheranno di alcun bene ». Ma tutti i giorni io vado in chiesa, tutti i giorni mi inginocchio, tutti i giorni io cerco il Signore, e non possiedo alcun bene; e quest’uomo che non ha cercato Dio è morto in mezzo ad una tale opulenza! Ed i lacci dello scandalo serrano alla gola colui che parla così! In effetti egli non cerca sulla terra un nutrimento deperibile, egli non cerca la vera ricompensa nel cielo. Guardatevi bene allora dal considerare le cose come lui. E come le comprenderò? Cercando i beni spirituali! Ma dove sono questi beni? Non è con gli occhi che si vedono, ma con il cuore. Questi beni io non li vedo. Colui che li ama li vede! Io non vedo la giustizia. In effetti la giustizia non è né oro né argento. Se essa fosse d’oro, la vedreste. Così è della fedeltà che voi non vedete. Pertanto se non vedete la fedeltà, come mai amate un servitore fedele? Perché trovate la vostra gioia in colui che vi testimonia la fedeltà, e vi rallegrate di un bene che solo gli occhi del cuore possono apprezzare? – Ecco un ambizioso carico di onori e colmo di ricchezze; non vi lasciate abbagliare, egli brilla esternamente, ma è vuoto all’interno; egli è gonfiato, ma non è riempito; tutti i suoi tesori eccitano la vostra invidia; ahimè! Essi non hanno fatto che stuzzicare la sua fame, ben lungi dal saziarlo. Voi lo credete contento, errore grossolano! La sua grande fortuna non fa che dargli grandi bisogni; voi lo chiamate un « realizzato », nuovo errore, egli si crede appena nel mezzo della sua corsa, ed il suo orgoglio monta incessantemente, dice il Profeta (S. Agost.). – la sua fortuna, voi dite, ha oltrepassato le sue speranze; questo forse è così, ma essa non le ha colmate; egli non ha più nulla da desiderare, voi vi ingannate: la voragine della sua cupidigia dilata sempre più i suoi abissi (De Boulogne, Sur l’ambit.).

ff. 11. –  « Venite figli miei ». È la voce di un maestro pieno di bontà che invita alla pratica della saggezza, con un accento di tenerezza tutta paterna. In effetti, il discepolo è come un figlio spirituale per il suo maestro; il discepolo che riceve dal suo maestro gli insegnamenti che formano alla pietà, è formato, modellato da lui come il bambino nel seno di sua madre. Ascoltate l’Apostolo San Paolo (Gal. IV, 19): « figli miei, che io genero nuovamente finché Gesù-Cristo sia formato in voi » (S. Bas.). – Uno dei privilegi della nuova legge è che i Cristiani siano edotti da Dio stesso (Giov. VI, 45). È la voce di un padre che si fa ascoltare, chiamando i suoi figli, coloro che egli vuole istruire, per far loro capire che il timore che vuole insegnare loro, non è un timore servile, ma un timore filiale. Io vi insegnerò non il timore del mondo, non la paura degli uomini, ma il timore del Signore. La grande, la vera scienza è il sapere in quale maniera noi dobbiamo temere Dio, mescolando il timore con l’amore, temperando la paura che incute la sua giustizia, con una perfetta fiducia nella sua bontà. – Io vi insegnerò non il corso degli astri, la natura delle cose, i segreti celesti, ma il timore del Signore. La scienza di queste cose, senza il timore di Dio, gonfia; il timore del Signore, anche senza scienza, salva. Chiunque desideri essere pieno di saggezza e di scienza, e che, sotto la condotta dello Spirito di Dio, desideri salire fino alla sommità della perfezione cristiana, deve necessariamente cominciare dal timor di Dio. Questo timore di Dio è la forza dell’anima, la luce dell’intelligenza e la speranza di salvezza (S. Laur. Just.).

ff. 12. – « Se qualcuno desidera la vita », non quella che abbiamo in comune con gli animali, ma la vera vita, che è a prova di morte, la vera vita che è Gesù Cristo,  desidera vedere giorni di felicità. I giorni di questo secolo sono giorni cattivi, perché essendo questo secolo la misura del mondo del quale è detto: « il mondo intero è sotto l’impero dello spirito malvagio »  (Giov. V, 19), condivide la natura del mondo del quale è la misura. È ciò che faceva dire all’Apostolo: « redimete il tempo, perché i giorni sono cattivi », e ben prima al Patriarca Giacobbe: « i giorni del mio pellegrinaggio sono stati brevi e cattivi » (Gen. XLVII, 9). – È dunque un’altra vita verso la quale queste parole elevano il nostro pensiero, ed altri giorni che non saranno più né misurati con il corso degli astri, né interrotti dalla notte; perché Dio sarà la loro luce e li inonderà dei raggi della sua gloria (S. Basil.). – « Chi è l’uomo che desidera la vita e si augura di vedete giorni felici »? A questa domanda, tutta la natura, se animata, risponderebbe con la stessa voce che tutte le creature vorrebbero essere felici; ma soprattutto le nature intelligenti non hanno volontà e desiderio se non della loro felicità. È vero che gli uomini si rappresentano la felicità sotto forme differenti: gli uni la ricercano e le inseguono sotto il nome di piacere, altri sotto quella di abbondanza e di ricchezze, altri sotto quello di riposo, o di libertà, o di gloria; altri sotto quella di virtù. Ma infine tutti la ricercano, sia il barbaro che il greco, le nazioni selvagge e le nazioni progredite e civilizzate, colui che si riposa nella propria casa, e colui che lavora nella campagna, colui che attraversa i mari e colui che dimora sulla terra. Noi tutti vogliamo essere felici ed in noi non c’è nulla di più intimo, né di più forte, né di più naturale che questo desiderio. Aggiungiamo pure che non c’è nulla di più ragionevole, perché cosa c’è di meglio che desiderare il bene, cioè la felicità? Voi dunque, o mortali che la cercate, voi cercate una cosa buona; preoccupatevi solo se non la cercaste, o se essa non ci fosse! Voi la cercate sulla terra, ma non è là che essa è stabilita, né là che si trovano questi giorni felici di cui il Salmista ci ha parlato (S. Agost. e Bossuet, IV Serm. P. la Touss.). – Si desidera vedere giorni felici, e ci si attacca a quelli che lo Spirito Santo chiama « giorni malvagi ». Si vuole il fine, ma ci si rifiuta di prendere i mezzi che solo possono condurvici.

ff. 13. – Se volete vedere giorni felici, se amate la vita, compite i precetti della vita, « perché colui che mi ama, dice il Salvatore, osserva i miei precetti » (Giov. XIV, 23). – Ora il primo precetto, è quello di trattenere la propria lingua dal male, e le labbra da ogni artificio; perché i peccati che si commettono con la lingua sono i più frequenti e rivestono le più molteplici forme (S. Basil.). – Prima e vera caratteristica di chi aspira alla vita felice, è il controllare esattamente la propria lingua. « La morte e la vita sono in mano alla lingua » (Prov. XVIII, 21); « … colui che sorveglia la propria lingua, sorveglia la propria anima ». – « Se qualcuno crede di avere la pietà e non mette un freno alla propria lingua, la sua pietà è vana » (Giac. I, 26). – Io non voglio, dice l’uomo sciagurato, io non voglio vegliare sulla mia lingua e trattenerla dal male: io voglio vivere e trascorrere giorni felici. Se un operaio vi dicesse: io voglio devastare questa vigna e ricevere da voi il mio salario; voi mi avete condotto nella vostra vigna per potarla e tagliarla, io ho tagliato tutti i germogli che dovevano dare frutto; ho tagliato i ceppi stessi, affinché voi possiate togliere ogni speranza di raccolto, e voi, dopo quello che ho fatto, mi pagherete il mio lavoro… !  non direste voi a quest’uomo che è un folle? Non lo caccereste via da voi prima che metta mano alla sua ronca? Tali sono gli uomini che vogliono fare il male, giurare il falso, bestemmiare Dio, mormorare, commettere frodi, ubriacarsi, fare processi su processi, darsi ad ogni tipo di crimini ed avere poi giorni felici (S. Agost.). – Si dice loro: voi non potete, facendo il male, reclamare la ricompensa dovuta al bene. Se siete ingiusto, bisogna che anche Dio sia ingiusto? Cosa farò dunque? Cosa volete? Io voglio vivere e trascorrere giorni felici. « Frenate la vostra lingua da ogni male, e che le vostre labbra non proferiscano parole di inganno » (Ibid.).

ff. 14. – È poca cosa allontanarsi dal male, non è che una parte della giustizia necessaria alla salvezza; l’altra parte, non meno necessaria, consiste nel fare il bene. È poca cosa non nuocere ad alcuno, non uccidere nessuno, non rubare, non commettere adulterio, non rendere falsa testimonianza. Quando ve ne sarete allontanati, voi forse direte: io sono in sicurezza, ho compiuto ogni prescrizione, avrò la vita e vivrò giorni felici. Non solo allontanatevi dal male, ma fate il bene! « Cercate la pace e perseguitela con perseveranza » (S. Agost.). – Il Profeta non ci domanda di avere la pace, ma di desiderarla e di ricercarla. Questo dipende da noi: noi possiamo sempre averla con Dio, quando lo vogliamo sinceramente; ma non dipende sempre da noi averla sia con il prossimo che con noi stessi. Occorre quindi ricercare questa pace con perseveranza, con Dio, unendoci a Lui con la purezza del suo amore; con noi stessi, lavorando a distruggere in noi tutto ciò che si oppone alla sua volontà; e con il prossimo, sopportando i suoi difetti e restando pacifici con gli stessi che odiano la pace (Ps. CXIX).

ff. 15, 16. – Dio, come possiamo notare dalle Scritture, ha un volto per i giusti ed un volto per i peccatori. Il volto che ha per i giusti è un volto sereno e tranquillo, che dissipa le nubi, che calma le turbe della coscienza, che la riempie di una santa gioia (Ps. XV, 11). C’è poi un altro volto che Dio mostra ai peccatori, un volto di cui è scritto: « Il volto di Dio è su coloro che fanno il male », è il volto della giustizia (Bossuet, Serm. P. le vend. saint.) – Lo sguardo di Dio sui giusti è uno sguardo di amore che tende a salvarli; lo sguardo di Dio sui peccatori è uno sguardo di giustizia che tende a punirli; l’uno procura una dimore eterna nella terra dei viventi, e l’altra stermina dalla terra coloro che i loro crimini hanno reso indegni del proprio ricordo e della memoria degli uomini. Quanti di questi ultimi hanno fatto di tutto per rendersi celebri, e dei quali non si sa neppure se essi fossero giammai? Se qualche generazione, anzi cosa dico? … se qualche anno dopo la loro morte essi ritornassero, uomini dimenticati in mezzo al mondo, essi si affretterebbero a rientrare nelle loro tombe per non vedere il loro nome offuscato, la loro memoria abliata (Bossuet, Or. fun, de Michel le Tellier). – Quanti altri vi sono ai quali Dio non ha rifiutato questa gloria tanto desiderata, questa ricompensa che non giunge a coloro il cui orgoglio Egli punisce severamente nell’inferno.. « Essi sono lodati là dove non sono, dice S. Agostino; essi sono tormentati là dove sono ».

ff. 17-19. – I giusti sono sempre esauditi da Dio, anche quando Egli non accorda loro quanto Gli chiedono, perché sarebbe per loro dannoso; Egli li esaudisce nel modo più elevato di quanto essi non intendano, e nell’esaudirli, elude vantaggiosamente la loro previsione. – Dio esaudì le preghiere della Chiesa riunita, quando liberò San Pietro dalla prigione; ma esaudì il principe degli Apostoli in modo più elevato, quando permise che fosse legato e condotto là dove egli non voleva (Giov. XXI, 18) e lo lasciò morire sulla croce. – « Dio è vicino a coloro che hanno il cuore infranto ». Ci sono molti che sono afflitti, ma non di cuore, come coloro che deplorano la perdita dei loro beni, o forse gli errori che hanno rovinato i propri affari, ma non si sognano affatto di deplorare quelli che hanno fatto perdere la loro eternità. – Benché tutti l’abbandonino per insensibilità, per odio o per indifferenza, Gesù Cristo è sempre vicina all’anima che soffre. Con Lui nessun rilassamento. La sua missione è quella di guarire coloro che hanno il cuore infranto e di consolare coloro che piangono. Oh! Voi potete parlarGli delle vostre pene, Egli comprenderà, perché Egli ha portato tutti i dolori dell’anima; Egli li allieverà, perché Egli ha imparato dalle sue prove personali a non lasciare nessuno senza rimedio. – I giusti non devono essere sorpresi nel vedersi afflitti quando sono sulla terra, essi al contrario devono ciò attendersi ed esservi preparati. È la vocazione di ogni Cristiano. « Nessuno di voi, dice S. Paolo, sia scosso in questo tempo di tribolazione, perché tutti sapete che a questo siamo destinati » (I Tessal. III, 3). – C’è di più, se gli uomini sono ingiusti, hanno meno tribolazioni da sopportare; se sono giusti, queste tribolazioni sono più numerose. Ma gli empi, dopo poche tribolazioni, o anche senza averne subite, cadranno in una tribolazione senza fine, dalla quale non saranno mai liberati; i giusti al contrario, dopo numerose tribolazioni, perverranno alla pace eterna ove non soffriranno alcun male (S. Agost.).

ff. 20. – Ammirevole è la provvidenza di Dio nei riguardi dei suoi fedeli servitori: non solo la loro anima, ma i loro corpi interamente, sono l’oggetto della sua attenzione, delle sue cure, del suo amore. Egli ha messo sul nostro corpo la sua mano sovrana, lo ha riempito con lo Spirito Santo che la Scrittura chiama suo dito, e del quale è già in possesso. Egli, agli occhi di chi nulla perde, segue tutte le particelle del nostro corpo, in qualunque punto più remoto del mondo la corruzione o il caso le getti. E tu, terra, madre e nello stesso tempo sepolcro comune di tutti i mortali, in qualsiasi recesso li abbia inghiottiti, dispersi, celati i nostri corpi, tu li restituirai tutti interi, e piuttosto saranno sconvolti il cielo e la terra, che uno solo dei nostri capelli perisca, perché essendone Dio il padrone, nessuna forza potrà impedire che si compiano le sue opere (Bossuet, Serm. sur la resur. Dern.).

ff.21-22. -La morte dei peccatori è simile alla loro vita. Questi è stato proprio un criminale, e quella molto malvagia, sia che si consideri il passato, nel quale si scoprono diversi crimini, sia che si riguardi al presente, dove essi si vedono abbandonati da Dio e votati al crudele tormento di una coscienza lacerata dai rimorsi, sia che si volgano gli occhi sullo spaventoso avvenire che li attende (Dug.). – Ma, voi dite, ciò che mi stupisce, è che io conosco i peccati di quest’uomo e so che egli è morto tranquillamente nella sua casa, nel suo ambiente, senza aver sofferto tutta la vita, fino all’ora della morte, le pene di una terra straniera. Ascoltate: « pessima è la morte del malvagio ». Questa morte che a voi sembra dolce, è pessima, se voi osservate cosa avviene interiormente. All’esterno voi vedete l’uomo coricato nel suo letto, ma lo vedete interiormente trascinato nell’inferno? Ascoltate, fratelli miei, e vedete nel Vangelo quanto è cattiva la morte del malvagio (Luc. XVI, 19). Apprendete dunque da qui che cosa sia la cattiva morte dei peccatori e trattenetevi dal considerare questi letti sovraccarichi di stoffe preziose, questa carne avvolta in ricche lenzuola, questi eredi che mostrano la pompa delle loro lamentele, questa famiglia che piange, questa folla di cortigiani che precede e segue il corpo che si muove dalla casa del defunto, e questi monumenti di oro e marmo. Interrogate il Vangelo ed esso farà vedere alla vostra fede l’anima del ricco che brucia nel fuoco vindice, senza che tutti gli uomini che gli hanno reso così splendido omaggio, e gli splendidi ossequi che la vanità ha prodigato al suo corpo, abbiano potuto servirgli a nulla (S. Agost.). I peccatori che non hanno avuto che odio per i giusti durante la loro vita, si ritrovano miseramente disingannati alla loro morte. Essi riconoscono, ma troppo tardi, di aver lavorato per la loro perdita, perseguitando gli amici del suo Giudice (Dug.). – È in effetti in rapporto all’anima che deve essere compresa la buona o la cattiva morte, e non in rapporto al corpo, rispetto agli affronti o agli onori che hanno ricevuto agli occhi degli uomini. Se le anime dei servitori di Dio sembrano agli occhi degli uomini insensati, perdute per qualche tempo, sarà bene il riscattarle e liberarle dalle mani dei peccatori. « Le anime dei giusti, invece, sono nelle mani di Dio, nessun tormento le toccherà. Agli occhi degli stolti parve che morissero; la loro fine fu ritenuta una sciagura, la loro partenza da noi una rovina, ma essi sono nella pace. Anche se agli occhi degli uomini subiscono castighi, la loro speranza è piena di immortalità. » (Sap. III, 1-3.).

PERFEZIONE DELLA VITA CRISTIANA (2)

Perfezione della vita cristiana

[A. Tanquerey: Compendio di teologia ascetica e mistica – Soc. S. Giovanni Evang. Desclée e Ci.; Roma, Tournai – Parigi. 1948]

CAPITOLO III -2-

§ II. La carità sulla terra suppone il sacrificio.

321. In paradiso ameremo senza bisogno di immolarci, ma sulla terra la cosa corre altrimenti. Nello stato attuale di natura decaduta ci è impossibile di amare Dio con amore vero ed effettivo senza sacrificarci per Lui. È ciò che risulta da quanto abbiamo detto più sopra, ai n. 74-75, sulle tendenze della natura corrotta che restano nell’uomo rigenerato. Noi non possiamo amar Dio senza combattere e mortificare queste tendenze; è lotta che comincia col primo svegliarsi della ragione e termina solo con l’ultimo respiro. Vi sono, è vero, momenti di sosta, in cui la lotta è meno viva; ma anche allora non possiamo disarmare senza esporci ai contrattacchi del nemico. È un fatto provato dalla testimonianza della Sacra Scrittura.

La Sacra Scritturaci dichiara apertamente la necessità assoluta del sacrificio o dell’abnegazione per amar Dio e il prossimo.

322. A) A tutti i suoi discepoli rivolge Nostro Signore questo invito: « Chi vuol seguir me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua » – « Si quis vult post me venire, abneget semetipsum, tollat crucem suam et sequatur me » (Matth. XVI; Luc. IX, 23). Per seguire Gesù ed amarlo, è condizione essenziale il rinunziare a se stesso, cioè alle cattive tendenze della natura, all’ egoismo, all’orgoglio, all’ambizione, alla sensualità, alla lussuria, all’amore disordinato delle comodità e delle ricchezze; è il portare la propria croce, accettare i patimenti, le privazioni, le umiliazioni, i rovesci di fortuna, le fatiche, le malattie, in una parola tutte quelle croci provvidenziali che Dio ci manda per provarci, per rassodarci nella virtù e facilitarci l’espiazione delle colpe. Allora, e allora soltanto, si può essere suoi discepoli e camminare per le vie dell’amore e della perfezione. Gesù conferma questa lezione col suo esempio. Egli che era venuto dal cielo espressamente per mostrarci il cammino della perfezione, non tenne altra via che quella della croce: « Tota vita Christi crux fuit et martyrium. » Dal presepio al Calvario,è una lunga serie di privazioni, d’umiliazioni, di pene, di fatiche apostoliche, coronate dalle angosce dalle torture della dolorosa sua passione. È ilcommento più eloquente del « Si quis vult venirepost me »; se ci fosse stata altra via più sicura, eice l’avrebbe mostrata, ma sapendo che non c’eratenne quella per trarci a seguirlo: « Quando saròelevato da terra, attirerò a me tutti gli uomini » :« Et ego, si exaltatus fuero a terra, omnia traham a me ipsum » (Joan. XIII, 32). Così l’intesero gli Apostoli che ciripetono, con S. Pietro, che se Cristo patì per noi,lo fece per trarci alla sua sequela: « Christus passus est prò nobis, vobis relinquens exemplum ut sequamini vestigia ejus » (1 Piet. II, 21).

323. B) Tal è pur l’insegnamento di S. Paolo: per lui la perfezione cristiana consiste nello spogliarsi dell’uomo vecchio e rivestirsi del nuovo, « exspoliantes vos veterem hominem cum actibus suis et induentes novum » (Col. III, 9). Or l’uomo vecchio è il complesso delle cattive tendenze ereditate da Adamo, è la triplice concupiscenza che bisogna combattere e infrenare con la pratica della mortificazione. Dice quindi nettamente che coloro che vogliono essere discepoli di Cristo devono crocifiggere i loro vizi e i loro cattivi desideri: « Qui sunt Christi, carnem suam crucifixerunt cum vitiis et coticupiscentiis » (Gal. V, 24). È condizione essenziale, tanto ch’egli stesso si sente obbligato a castigare il suo corpo e a reprimere la concupiscenza per non rischiare di essere riprovato: « Castigo corpus meum et in servitutem redigo, ne forte, cum aliis prædicaverim, ipse reprobus efficiar ». (1 Cor. IX, 27)

324. C) S. Giovanni, l’apostolo dell’amore, non è meno chiaro e netto: insegna che, per amar Dio, bisogna osservare i comandamenti e combattere la triplice concupiscenza che regna da padrona nel mondo; e aggiunge che se si ama il mondo e ciò che è nel mondo, cioè la triplice concupiscenza, non si può possedere l’amor di Dio : « Si quis diligit mundum, non est caritas Patris in eo » (1 Joan. II, 15). Ora per odiare il mondo e le sue seduzioni, è chiaro che bisogna praticare lo spirito di sacrificio, privandosi dei piaceri cattivi e pericolosi.

325. 2° Ed è del resto necessaria conseguenza dello stato di natura decaduta qual 1’abbiamo descritto al n. 74, e della triplice concupiscenza che dobbiamo combattere, (n. 193 ss). E impossibile infatti amar Dio e il prossimo senza sacrificar generosamente ciò che si oppone a questo amore. Ora, come abbiamo dimostrato, la triplice concupiscenza s’oppone all’amor di Dio e del prossimo; bisogna quindi combatterla senza tregua e pietà, se vogliamo progredire nella carità.

326. Rechiamo qualche esempio. I nostri sensi esterni corrono avidamente verso tutto ciò che li solletica e mettono in pericolo la fragile nostra virtù. Che fare per resistervi? Ce lo dice Nostro Signore coll’energico suo linguaggio: « Se il tuo occhio destro è per te occasione di caduta, cavalo e gettalo via da te: è meglio per te che perisca uno dei tuoi membri, anziché tutto il tuo corpo venga gettato nell’ inferno » (Matth. V, 29) . Il che significa che bisogna saper staccare con la mortificazione gli occhi, le orecchie, tutti i sensi da ciò che è occasione di peccato; altrimenti non c’è né salvezza né perfezione. Lo stesso si dica dei nostri sensi interni, specialmente della fantasia e della memoria; chi non sa a quali pericoli ci esponiamo se non ne reprimiamo sul nascere i traviamenti? Le stesse nostre facoltà superiori, l’intelligenza e la volontà, sono soggette a molte deviazioni, alla curiosità, all’indipendenza, all’orgoglio; quanti sforzi non sono necessari, quante lotte sempre rinascenti per tenerle sotto il giogo della fede e dell’umile sottomissione alla volontà di Dio e dei suoi rappresentanti! Dobbiamo dunque confessare che, se vogliamo amar Dio ed il prossimo per Dio, bisogna saper mortificare l’egoismo, la sensualità, l’orgoglio, l’amore disordinato delle ricchezze, onde il sacrifizio diventa necessario come condizione essenziale dell’amor di Dio sulla terra. – È questo in sostanza il pensiero di S. Agostino quando dice: « Due amori hanno fatto due città: l’amor di sé spinto fino al disprezzo di Dio ha fatto la città terrestre; l’amor di Dio spinto fino al disprezzo di sé ha fatto la città celeste » Non si può, in altre parole, amar veramente Dio che disprezzando se stesso, cioè disprezzando e combattendo le cattive tendenze. In quanto a ciò che vi è di buono in noi, bisogna esserne grati al primo suo Autore e coltivarlo con sforzi incessanti.

327. La conclusione che logicamente ne viene è che, se per essere perfetti bisogna moltiplicare gli atti d’amore, non è meno necessario moltiplicare gli atti di sacrificio, poiché sulla terra non si può amare che immolandosi. Del resto si può dire che tutte le nostre opere buone sono insieme atti d’amore e atti di sacrificio: atti di sacrificio in quanto ci distaccano dalle creature e da noi stessi, atti di amore in quanto ci uniscono a Dio. Resta quindi da vedere in che modo si possano conciliare insieme questi due elementi.

§ III. Parte rispettiva dell’amore e del sacrificio nella vita cristiana.

328. Dovendo l’amore e il sacrificio avere la loro parte nella vita cristiana, quale sarà l’ufficio di ognuno di questi due elementi? Su tale argomento, vi sono punti in cui tutti convengono e altri in cui si manifesta qualche disparere, benché poi in pratica i dotti delle diverse scuole riescano a conclusioni pressoché identiche.

329. 1° Tutti ammettono che in sé, nell’ordine ontologico o di dignità, l’amore tiene il primo posto: è lo scopo e l’elemento essenziale della perfezione, come abbiamo provato nella prima nostra tesi, n. 312. L’amore quindi occorre tenere primieramente in vista, a questo mirare continuamente, è lui che deve dare al sacrificio l’intima sua ragione e il suo valore principale: « in omnibus respice finem ». Bisogna dunque parlarne fin dal principio della vita spirituale e far rilevare che l’amor di Dio facilita singolarmente il sacrificio senza però poterne mai dispensare.

330. 2° Quanto all’ordine cronologico, tutti ammettono pure che questi due elementi sono inseparabili e che devono quindi coltivarsi insieme e anche compenetrarsi, poiché non v’è sulla terra amore vero senza sacrificio, e che il sacrificio fatto per Dio è una delle migliori prove di amore. Tutta la questione quindi si riduce in fondo a questa: nell’ ordine cronologico, su quale elemento bisogna maggiormente insistere, sull’amore o sul sacrificio? Or qui ci troviamo di fronte a due tendenze e a due scuole diverse.

331. A) S. Francesco di Sales, appoggiandosi su molti rappresentanti della scuola benedettina e domenicana e confidando negli aiuti che ci offre la natura rigenerata, dà la precedenza all’amor di Dio per farci accettare e praticar meglio il sacrificio; ma non esclude quest’ultimo, chiede anzi alla sua Filotea molto spirito di rinunzia e di sacrificio; lo fa però con molto riguardo e con molta dolcezza nella forma per meglio arrivare al suo scopo. Il che appare fin dal primo capitolo dell’Introduzione alla vita devota: « La vera e viva devozione presuppone l’amor di Dio, anzi non è altro in sé che un vero amor di Dio… E appunto perché la devozione sta in un certo grado di eccellente carità, non solo ci rende pronti, attivi, diligenti nell’osservanza di tutti i comandamenti di Dio, ma ci stimola pure a fare con prontezza ed affetto quante più buone opere possiamo, benché non siano in alcun modo comandate ma solamente consigliate o ispirate ». Ora osservare i comandamenti, seguire i consigli e le ispirazioni della grazia, è certamente un praticare un alto grado di mortificazione. Del resto il Santo chiede a Filotea che cominci dal mondarsi non solo dai peccati mortali ma anche dai peccati veniali, dall’affetto alle cose inutili e pericolose e dalle cattive inclinazioni. E quando tratta delle virtù, non ne dimentica la parte penosa; vuole soltanto che tutto sia condito con l’amor di Dio e del prossimo.

332. B) Per altro verso, la scuola ignaziana e la scuola francese del secolo XVII, pur non dimenticando che l’amor di Dio è lo scopo da conseguire e quello che deve avvivare tutte le nostre azioni, mettono al primo posto, soprattutto per i principianti, la rinunzia, l’amor della croce o la crocifissione dell’uomo vecchio, come il più sicuro mezzo per arrivare al vero ed effettivo amore. Pare che temano che, se non vi s’insiste sul principio, molte anime cadano poi nell’illusione, immaginandosi d’essere già molto avanzate nell’amor di Dio mentre la loro pietà è più sensibile ed apparente che reale; onde poi certe miserande cadute al presentarsi di violente tentazioni o al sopravvenire delle aridità. Del resto il sacrificio, virilmente accettato per amor di Dio, conduce a una più generosa e più costante carità, e la pratica abituale dell’amor di Dio viene a coronare 1’edificio spirituale.

333. Conclusione pratica. Senza aver la pretesa di dirimere cotesta controversia, proporremo alcune conclusioni ammesse dai dotti di tutte le scuole.

A) Ci sono due eccessi da evitare : a) quello di voler lanciare troppo presto le anime in quella che si chiama la via dell’autore, senza esercitarle nello stesso tempo nella pratica austera della rinunzia quotidiana. Così si fomentano le illusioni e talora anche miserande cadute: quante anime, provando le consolazioni sensibili che Dio concede ai principianti e credendosi salde nella virtù, si espongono alle occasioni di peccato, commettono imprudenze e cadono in colpe gravi! Un poco più di mortificazione, di vera umiltà, di diffidenza di se stesse, una lotta più coraggiosa contro le passioni, le avrebbe preservate da queste miserie.

b) Un altro eccesso sta nel parlare soltanto di rinunzia e di mortificazione senza far rilevare che sono soltanto mezzi per arrivare all’amor di Dio o manifestazioni di quest’amore. È questa la ragione per cui certe anime di buona volontà, ma ancor poco coraggiose, si sentono ributtate ed anche disanimate. Si sentirebbero maggiore slancio ed energia, se si mostrasse loro che questi sacrifici diventano molto più facili quando si fanno per amor di Dio: « Ubi amatur, non laboratur ».

334. B) Evitati questi eccessi, il direttore saprà scegliere per il suo penitente la via più conveniente al carattere suo e alle attrattive della grazia.

a) Vi sono anime sensibili e affettuose che non prendono gusto alla mortificazione se non dopo aver già praticato per qualche tempo l’amor di Dio. È vero che questo amore è spesso imperfetto, più ardente e sensibile che generoso e durevole. Ma, se si bada a giovarsi di questi primi slanci per mostrare che il vero amore non può perseverare senza sacrificio, se si riesce a far praticare, per amor di Dio, alcuni atti di penitenza, di riparazione, di mortificazione, quegli atti che sono più necessari a evitare il peccato, la loro virtù a poco a poco si rinsalda, si fortifica la loro volontà, e viene il momento in cui capiscono che il sacrificio deve andare di pari passo con l’amor di Dio. b) Se si tratta invece di caratteri energici, abituati ad agire per dovere, si può, pur mettendo loro avanti agli occhi l’unione con Dio come scopo, insistere dapprincipio sulla rinunzia come pietra di paragone della carità, e far praticare la penitenza, l’umiltà e la mortificazione, pur condendo queste austere virtù con un motivo d’amor di Dio o di zelo per le anime. – Così non si separerà mai l’amore dal sacrificio, e si mostrerà che questi due elementi si conciliano e si perfezionano a vicenda.

§ IV. La perfezione consiste nei precetti o nei consigli?

335. 1° Stato della questione. Abbiamo visto che la perfezione essenzialmente consiste nell’amor di Dio e del prossimo spinto fino al sacrificio. Ora intorno all’amor di Dio e al sacrificio vi sono nello stesso tempo precetti e consigli: precetti che ci comandano, sotto pena di peccato, di fare questa o quella cosa o di astenercene; consigli che c’invitano a fare per Dio più di quello che ci è comandato, sotto pena d’imperfezione volontaria e di resistenza alla grazia. Vi allude Nostro Signore quando dichiara al giovane ricco: « Se vuoi entrar nella vita, osserva i comandamenti… Se vuoi essere perfetto, va, vendi ciò che hai, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo » – « Si autem vis ad vitam ingredi, serva mandata…  Si vis perfectus esse, vende qua habes et da pauperibus, et habebis thesaurum in cælo, et veni, sequere me » (Matth. XIX, 17-21)1. Osservare dunque le leggi della giustizia e della carità in materia di proprietà basta per entrare in cielo; ma, se si vuole essere perfetti, bisogna vendere i propri beni, darne il prezzo ai poveri e praticare così la volontaria povertà S. Paolo ci fa pure notare che la verginità è un consiglio e non un precetto, che lo sposarsi è cosa buona ma che restar vergine è anche migliore. (1 Cor. VII, 25-40).

336. 2 ° La soluzione. Alcuni autori ne hanno conchiuso che la vita cristiana consiste nell’osservanza dei precetti e la perfezione nei consigli. È un modo di vedere un po’ semplicista e che, frainteso, potrebbe condurre a funeste conseguenze. La verità è che la perfezione esige prima di tutto l’adempimento dei precetti e secondariamente l’osservanza d’un certo numero di consigli. È questo appunto l’insegnamento di S. Tommaso (Sum. Theol. IIa, IIæ, q. 184, a. 3). Dopo aver provato che la perfezione non è altro che l’amor di Dio e del prossimo, conchiude che in pratica consiste essenzialmente nei precetti, di cui il principale è quello della carità, e secondariamente nei consigli, i quali pure si riferiscono tutti alla carità, perché allontanano gli ostacoli che si oppongono al suo esercizio. Spieghiamo questa dottrina.

337. A) La perfezione esige prima di tutto e imperiosamente l’adempimento dei precetti; è necessario inculcar fortemente questo concetto a certe persone che, per esempio, col pretesto della devozione, dimenticano i doveri del proprio stato, oppure, per praticar la limosina con maggior pompa, ritardano indefinitamente il pagamento dei debiti, insomma a tutti quelli che trascurano questo o quel precetto del decalogo con la pretesa di più alta perfezione. Ora è evidente che la violazione d’un precetto grave, come è quello di pagare i debiti, distrugge in noi la carità, e che il pretesto di far l’elemosina non può giustificare questa infrazione della legge naturale. Parimente la violazione volontaria d’un precetto in materia lieve è un peccato veniale, che, senza distruggere la carità, ne impaccia più o meno l’esercizio e soprattutto offende Dio e diminuisce la nostra intimità con Lui; il che è vero principalmente del peccato veniale deliberato e frequente, che crea in noi degli attacchi e c’impedisce di slanciarci liberamente verso la perfezione. Bisogna dunque, per essere perfetti, osservare prima di tutto i precetti.

338. B) Ma è necessario aggiungervi l’osservanza dei consigli, almeno di alcuni, specialmente di quelli impostici dall’adempimento dei doveri del nostro stato.

a) Così i Religiosi, essendosi obbligati per voto a praticare i tre grandi consigli evangelici della povertà, della castità e dell’ obbedienza, non possono santificarsi senza essere fedeli ai loro voti. Del resto questa pratica facilita singolarmente l’amor di Dio distaccando l’anima dai principali ostacoli che s’oppongono alla divina carità: la povertà, strappandoli all’amore disordinato delle ricchezze, fomenta lo slancio del cuore verso Dio e i beni celesti; la castità, sottraendoli ai piaceri della carne, anche a quelli leciti nel santo stato del matrimonio, li aiuta ad amar Dio senza divisione; l’obbedienza, combattendo l’orgoglio e lo spirito d’indipendenza, assoggetta la loro volontà a quella di Dio ed è in sostanza un atto d’amore.

339. b) Quelli poi che non hanno fatto voti, devono, per essere perfetti, praticarne lo spirito, ognuno secondo la propria condizione, le ispirazioni della grazia e i consigli d’un savio direttore. Così praticheranno lo spirito di povertà, privandosi di molte cose inutili per poter fare qualche risparmio da erogare in elemosine e in opere di beneficenza; lo spirito di castità, anche se sono coniugati, usando moderatamente e con qualche restrizione dei legittimi piaceri del matrimonio e diligentemente evitando tutto ciò che è proibito o pericoloso; lo spirito di obbedienza, assoggettandosi docilmente ai propri superiori, in cui vedranno l’immagine di Dio, e alle ispirazioni della grazia accertate da un savio direttore. – Amar dunque Dio e il prossimo per Dio e saper sacrificarsi a fine di meglio osservare questo doppio precetto e i consigli che vi si riferiscono, ognuno secondo il proprio stato, qui sta la vera perfezione.

§ V. Dei diversi gradi di perfezione.

La perfezione ha su questa terra i suoi gradi e i suoi limiti; onde due questioni: l ° quali sono i principali gradi di perfezione; 2 ° quali ne sono i limiti sulla terra?

I . Dei diversi gradi di perfezione.

340. I gradi per cui uno si eleva alla perfezione, sono numerosi; e non è qui il caso di enumerarli tutti ma solo di notare le principali tappe. Ora, secondo la dottrina comune, esposta da S. Tommaso, si distinguono tre tappe principali, o, come generalmente si dice, tre vie, quella degli incipienti, quella dei proficienti, quella dei perfetti, secondo lo scopo principale a cui si mira.

341. a) Nel primo stadio, la principale cura degli incipienti è di non perdere la carità che possiedono: lottano quindi per evitare il peccato, soprattutto il peccato mortale, e per trionfare delle male cupidigie, delle passioni e di tutto ciò che potrebbe far loro perdere l’amor di Dio », Questa è la via purgativa, il cui scopo è di mondar l’anima dalle sue colpe.

342. b) Nel secondo stadio si vuol progredire nella pratica positiva delle virtù, e fortificar la carità. Essendo già purificato, il cuore è più aperto alla luce divina e all’amor di Dio: si ama di seguire Gesù e imitarne le virtù, e poiché, seguendolo, si cammina nella luce, questa via si chiama illuminativa. L’anima si studia di schivare non solo il peccato mortale, ma anche il veniale.

343. c) Nel terzo stadio, i perfetti non hanno più che un solo pensiero, star uniti a Dio e deliziarsi in Lui. Costantemente studiandosi di unirsi a Dio, sono nella via unitiva. Il peccato fa loro orrore, perché temono di dispiacere a Dio e di offenderlo; le virtù li attirano, specialmente le virtù teologali, perché sono mezzi d’unirsi a Dio. La terra quindi sembra loro un esilio, e, come S. Paolo, desiderano di morire per andarsene con Cristo. – Sono queste brevi indicazioni soltanto che più tardi ripiglieremo e svolgeremo nella seconda parte di questo Compendio, dove seguiremo un’anima dalla prima tappa, la purificazione dell’anima, all’unione trasformante che la prepara alla visione beatifica.

II. Dei limiti della perfezione stilla terra.

344. Quando si leggono le vite dei santi e principalmente dei grandi contemplativi, si resta meravigliati al vedere a quali sublimi altezze può elevarsi un’anima generosa che nulla rifiuta a Dio. Nondimeno vi sono dei limiti alla nostra perfezione su questa terra, limiti che non si deve voler oltrepassare, sotto pena di ricadere in un grado inferiore o anche nel peccato.

345. E certo che non si può amar Dio tanto quanto è amabile: Dio infatti è infinitamente amabilee il nostro cuore, essendo finito, non potrà maiamarlo, anche in cielo, che con amore limitato. Possiamoquindi sforzarci d’amarlo sempre più, anzi, secondo S. Bernardo, la misura d’amar Dio è d’amarlo senza misura. Ma non dimentichiamo che il vero amore, più che in pii sentimenti, consiste in atti di volontà, e che il miglior mezzo d’amar Dio è di conformare la nostra volontà alla sua, come spiegheremo più avanti, trattando della conformità alla divina volontà.

346. 2° Sulla terra non si può amar Dio ininterrottamente e senza debolezze. Si può certamente, con grazie particolari che non sono rifiutate alle anime di buona volontà, schivare ogni peccato veniale deliberato ma non ogni colpa di fragilità; né si diventa mai impeccabili, come la Chiesa ha in parecchie circostanze dichiarato.

A) Nel Medio Evo, i Beguardiavevano preteso che l’uomo, nella vita presente, è capace d’acquistare tal grado di perfezione da divenire affatto impeccabile e da non potere crescere di più in grazia. Ne concludevano che colui il quale ha conseguito questo grado di perfezione, non deve più né digiunare né pregare, perché in questo stato la sensualità è talmente assoggettata allo spirito e alla ragione ch’egli può concedere al suo corpo ogni diletto; non è più obbligato ad osservare i precetti della Chiesa, né ad obbedire agli uomini, né anche a praticare gli atti delle virtù, tutte cose proprie dell’uomo imperfetto. Sono dottrine pericolose che finiscono poi nell’immoralità; quando uno si crede impeccabile e non si esercita più nella virtù, diventa presto preda delle più vili passioni. Ed è ciò che avvenne ai Beguardi, che il Concilio ecumenico di Vienna dovette poi giustamente condannare nel 1311.

347. B) Nel secolo XVII, Molinos rinnovò quest’errore, insegnando che « con la contemplazione acquisita si arriva a un tal grado di perfezione che non si commettono più peccati né mortali né veniali ». Ma mostrò troppo bene col suo esempio che, con massime apparentemente così alte, si è pur troppo esposti a cadere in scandalosi disordini. Fu giustamente condannato da Innocenzo XI il 19 novembre 1687, e quando si leggono le proposizioni che aveva osato sostenere, si resta inorriditi delle orribili conseguenze a cui conduce questa pretensione d’impeccabilità. — Siamo dunque più modesti e pensiamo soltanto a correggerci delle colpe deliberate e diminuire il numero di quelle di fragilità.

348. 3° Sulla terra non si può amar Dio costantemente o anche abitualmente con amore così perfettamentepuro e disinteressato che escluda ogni atto di speranza. A qualunque grado di perfezione si sia giunti, si è obbligati a fare di tanto in tanto degli atti di speranza; e non si può quindi in modo assoluto restare indifferenti alla propria salvezza. Vi furono, è vero, dei santi che, nelle prove passive, s’acconciarono momentaneamente alla loro riprovazione in modo ipotetico, cioè se tale fosse la volontà di Dio, pur protestando che in tal caso non volevano cessare d’amar Dio; ma sono ipotesi che si devono ordinariamente scartare, perché di fatto Dio vuole la salvezza di tutti gli uomini. Si possono però fare, di quando in quando, atti diamor puro senza alcuna mira a se stesso e quindi senza attualmente sperare o desiderare il cielo. Talè, per esempio, questo atto d’amore di S. Teresa : « Se vi amo, o Signore, non è per il cielo che m’avete promesso; se temo d’offendervi, non è per l’inferno di cui sarei minacciata; ciò che m’attira verso diVoi, o Signore, siete Voi, Voi solo, che vedo inchiodato alla croce, col corpo straziato, tra agonie di morte. E il vostro amore si è talmente impadronito del mio cuore che, quand’anche non ci fosse il paradiso, io vi amerei lo stesso; quand’anche non ci fosse l’inferno, pure io vi temerei. Nulla Voi avete da darmi per provocare il mio amore; perché, quand’anche non sperassi ciò che spero, pure io vi amerei come vi amo ». (Storia di S. Teresa ricavata dai Bollandisti, t. II, c. XXXI, (Lega Eucaristica, Milano).

349. Abitualmente vi è nel nostro amor di Dio un misto d’amor puro e d’amore di speranza, il che significa che noi amiamo Dio e per se stesso, perché è infinitamente buono, e anche perché è la fonte della nostra felicità. Questi due motivi non si escludono, perché Dio volle che nell’amarlo e nel glorificarlo troviamo la nostra felicità. Non ci affanniamo quindi di questo misto e, pensando al paradiso, diciamo soltanto che la nostra felicità consisterà nel posseder Dio, nel vederlo, nell’amarlo e nel glorificarlo; così il desiderio e la speranza del cielo non impediranno che il motivo dominante delle nostre azioni sia veramente l’amor di Dio.

CONCLUSIONE.

350. Amore e sacrificio, ecco dunque tutta la perfezione cristiana. Or chi non può, con la grazia di Dio, adempiere questa doppia condizione? È dunque così difficile amar Colui che è infinitamente amabile e infinitamente amante? L’amore che ci si chiede non è qualche cosa di straordinario, è l’amore di abnegazione, è il dono di se stesso, è specialmente la conformità alla divina volontà. Voler amare è dunque amare; osservare i comandamenti per Dio è amare; pregare è amare; compier doveri del proprio stato per piacere a Dio è amare, anzi ricrearsi, nutrirsi con le stesse intenzioni è amare; rendere servizio al prossimo per Dio è amare. Non v’è quindi nulla di più facile, con grazia di Dio, del praticare costantemente la divina carità e così incessantemente progredire verso la perfezione.

351. Il sacrificio certamente appare più penoso ma non ci si chiede di amarlo per se stesso: basta amarlo per Dio, o, in altre parole, persuadersi che sulla terra non si può amar Dio senza rinunziare a ciò che è di ostacolo al suo amore. Allora il sacrificio diventa prima tollerabile e poi presto anche amabile. Una madre che passa le lunghe notti al capezzale del figlio ammalato, non accetta forse lietamente le sue fatiche, quando ha la speranza, specialmente poi se ha la certezza di salvargli la vita? Ora noi abbiamo non solo la speranza ma la certezza di piacere a Dio, di procurarne la gloria, e nello stesso tempo di salvarci l’anima, quando, per amor di Dio c’imponiamo i sacrifici che ci domanda. E non abbiamo per rinfrancarci gli esempi e gli aiuti dell’Uomo-Dio? Non patì Gesù quanto e più di noi per glorificare il Padre suo e salvare le anime nostre? E noi, suoi discepoli, incorporati a lui col Battesimo, nutriti del suo corpo e del suo sangue, esiteremo a patire in unione con Lui, per amore di Lui, secondo le stesse sue intenzioni? E non è forse vero che la croce ha i suoi vantaggi, specialmente per i cuori che amano? « Nella croce sta la salute, dice l’Imitazione I. II. C. 12, v.2); nella croce la vita; nella croce la protezione contro i nemici; nella croce una soavità tutta celeste: « In cruce salus, in cruce vita, in cruceprotectio ab hostibus, in cruce infusio supernæ suavitatis“.

Concludiamo dunque con S. Agostino: « Per i cuori che amano non vi sono sacrifici troppo penosi; vi si trova anzi diletto, come si vede in quelli che amano la caccia, la pesca, la vendemmia, gli affari… Perché, quando si ama, o non si patisce o anche quel patimento si ama, aut non laboratur aut et labor amatur » (De bono viduitatis, c. 21, P. L. III, sez. I). E affrettiamoci a progredire, per la via del sacrificio e dell’ amore, verso la perfezione, perché per noi è un obbligo.