SALMI BIBLICI: “CANTATE DOMINO CANTICUM NOVUM” (XCV)

SALMO 95: “CANTATE DOMINO canticum novum”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME DEUXIÈME.

PARIS -LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878 IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 95

Canticum ipsi David, quando domus ædificabatur post captivitatem.

[1] Cantate Domino canticum novum,

cantate Domino omnis terra.

[2] Cantate Domino, et benedicite nomini ejus; annuntiate de die in diem salutare ejus.

[3] Annuntiate inter gentes gloriam ejus, in omnibus populis mirabilia ejus.

[4] Quoniam magnus Dominus, et laudabilis nimis; terribilis est super omnes deos;

[5] quoniam omnes dii gentium daemonia; Dominus autem cœlos fecit.

[6] Confessio et pulchritudo in conspectu ejus; sanctimonia et magnificentia in sanctificatione ejus.

[7] Afferte Domino, patriæ gentium; afferte Domino gloriam et honorem;

[8] afferte Domino gloriam nomini ejus. Tollite hostias, et introite in atria ejus;

[9] adorate Dominum in atrio sancto ejus. Commoveatur a facie ejus universa terra;

[10] dicite in gentibus, quia Dominus regnavit. Etenim correxit orbem terræ, qui non commovebitur; judicabit populos in aequitate.

[11] Lætentur caeli, et exsultet terra: commoveatur mare et plenitudo ejus;

[12] gaudebunt campi, et omnia quæ in eis sunt. Tunc exsultabunt omnia ligna silvarum

[13] a facie Domini, quia venit, quoniam venit judicare terram. Judicabit orbem terræ in æquitate, et populos in veritate sua.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO XCV

Davide compose questo Salmo nel trasporto dell’arca (1 Paralip., c. 16). Esdra che raccolse in un libro i Salmi, lo intitolò da cantare nella riedificazione del Tempio dopo la cattività. Intenzione primaria di Davide e dello Spirito Santo è la predizione del regno di Cristo (la sua Chiesa), da propagarsi in tutto il mondo.

Cantico dello stesso David, quando la casa si edificava dopo la cattività.

1. Cantate al Signore un nuovo cantico; terra tutta, canta il Signore!

2. Cantate il Signore, e benedite il nome di lui; annunziate ogni giorno la salute recata da lui.

3.Annunziate la gloria di lui tra le genti, e le sue meraviglie a tutti i popoli.

4. Imperocché il Signore è grande e grandemente laudabile; egli è terribile sopra tutti gli dèi.

5. Imperocché tutti gli dèi delle genti sono demoni; ma il Signore ha creati i cieli.

6. La gloria e lo splendore sono intorno a lui; la santità e la magnificenza nel suo santuario.

7. Presentate al Signore, voi famiglie delle nazioni, presentate al Signore gloria ed onore; presentate al Signore gloria, qual conviensi al suo nome.

8. Prendete le ostie, ed entrate nell’atrio di lui; adorate il Signore nel santo atrio di lui.

9. Dinanzi a lui stia in timore e tremore tutta quanta la terra; dite tra le nazioni: Il Signore ha preso possesso del regno.

10.Imperocché egli ha emendata la terra, la quale non sarà smossa; egli giudicherà i popoli con equità.

11. Rallegrinsi i cieli, ed esulti la terra; il mare sia in movimento con tutte le cose ond’egli è ripieno; tripudieranno le campagne e tutto quello che in esse si trova.

12. Allora esulteranno tutti gli alberi delle selve dinanzi al Signore, perché è venuto; perché venuto egli è a governare la terra.

13.Governerà la terra con equità; governerà i popoli secondo la sua verità.

Sommario analitico

Qui, come in diversi Salmi precedenti, l’oggetto differisce essenzialmente dall’occasione. In effetti non c’è nulla che abbia precisamente rapporto con il trasporto dell’arca, o con la ricostruzione del tempio, o con il ritorno dalla cattività, mentre vi si vede chiaramente indicata la vocazione dei gentili al regno del Messia. Il salmista invita dunque i ricchi, tutto il popolo, a venire ad adorare il Signore (1).

I. – Egli li invita a celebrare le sue lodi.

1° Cantando un cantico nuovo in suo onore:

2° Benedicendo il suo nome (1);

3° Annunciando la salvezza che porta alla terra (2, 3).

II. – Ne dà i motivi:

1° La grandezza di Dio e la sua eccellenza infinita al di sopra di tutti quelli che portano sulla testa il nome di dei (4, 5);

2° La sua bellezza, la sua santità, la sua magnificenza (6).

III. – Li invita ad onorarli con degli atti:

1° Egli invita le famiglie delle nazioni ad entrare nei sagrati del tempio per offrirvi il sacrificio della nuova legge (7-9);

2° Ne dà i motivi: le leggi sante del Signore, l’equità incorruttibile del Giudice sovrano (9, 10);

3° Descrive gli sforzi della venuta del Salvatore. b) la gioia del cielo e della terra per il presente (11, 12); b) la sovrana equità e la verità del giudizio futuro (13, 14).

(1) L’analogia dello stile di questo salmo e del seguente con quello di Isaia e di Asaf, li fanno ricondurre da qualche interprete ai tempi di Ezechia. Essi sembrano composti tanto per le grandi solennità di Pasqua e dei Tabernacoli, tanto si possono rapportare alla gloria delle due venute del Messia.

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-3.

ff. 1, 2. – I cantici dell’antico popolo di Dio non si cantano fuori dalla terra promessa. « Come potremmo cantare i cantici del Signore in terra straniera? » dicevano gli Israeliti  prigionieri a Babilonia. Se dunque il salmista esorta tutte le nazioni a cantare le lodi del Signore, è perché questi cantici non devono essere limitati al culto della sinagoga, che non saranno di conseguenza dei cantici appropriati ad una nuova Alleanza; è l’amore – dice S. Agostino – che canta il cantico nuovo. (Berthier). – La cupidigia della carne canta ciò che è vecchio, l’amore di Dio canta ciò che è nuovo.  Cantando sotto l’ispirazione della cupidigia voi non canterete se non ciò che è vecchio, e quando anche la vostra bocca pronunciasse le parole del cantico nuovo, la lode non è bella sulla bocca del peccatore (Eccli. XV, 9). Vale più l’essere l’uomo nuovo, ed osservare il silenzio, che essere l’uomo vecchio e cantare; perché se voi siete l’uomo nuovo e tacete, le orecchie degli uomini non vi ascolteranno, ma il vostro cuore non sarà da meno nel cantare il cantico nuovo, e questo cantico arriverà fino alle orecchie di Dio, che ha fatto di voi un uomo nuovo. Voi amate e osservate il silenzio: ora l’amore stesso è una voce, è il cantico nuovo. Ascoltate la prova che è il cantico nuovo: « Io vi do, dice il Signore, un comandamento nuovo, che cioè vi amiate gli uni gli altri. » (Giov. XIII, 31), (S. Agost.). – Il cantico della gioia del secolo – dice sant’Agostino – è un linguaggio straniero che abbiamo appreso nel nostro esilio; » è il cantico dell’uomo vecchio che, cacciato dal suo Paradiso, cerca una miserabile consolazione. Se avete in voi stessi lo spirito di Gesù, non cantate più il cantico dei piaceri del mondo … cantate a Dio un cantico nuovo, cantate a Dio il cantico della nuova alleanza, cantico di allegria spirituale e di giubilo divino: « Lode a Dio, » lode a Dio nei beni, lode a Dio nei mali; lode a Dio quando ci colpisce, lode a Dio quando ci incorona, lode a Dio quando ci punisce: è il cantico dell’uomo nuovo, è quello che deve risuonare nel fondo dei nostri cuori; questo deve essere il nostro cantico: Amen, Alleluja, in questo consumazione, in questa riduzione di tutte le linee al loro centro, di tutte le creature al loro principio (Bossuet, III Serm. P. le jour de Pâques). – Tutta la terra canta dunque il cantico nuovo, ed è là che è costruita la casa di Dio … è là in effetti che ciò che era vecchio è stato gettato via, per far posto a ciò che è nuovo. E come, ciò che era vecchio è stato gettato via? Il Signore ha detto . « In verità, in verità non resterà qui pietra su pietra che non sia distrutto. » (Matt. XXIV, 2). In effetti, le pietre riunite per la nuova costruzione che si costruisce dopo la cattività, sono ammassate in una sola tutto per la carità, che non c’è più pietra su pietra, ma che tutte le pietre non sono che una sola pietra. Non ve ne stupite: è la il risultato del cantico nuovo, cioè del nostro rinnovo per mezzo dell’amore. L’Apostolo vi esorta ad appartenere a questa costruzione, ci racchiude in questa unità, e ci attacca indissolubilmente quando ci dice: « Cercate di conservare l’unità di spirito con il legame della pace. » (Efes. IV, 2, 3). Là dove si trova l’unità di spirito, non c’è che una pietra, ma una pietra unica, fatta da un gran numero di pietre. Ma con qual mezzo, fatta da un gran numero, essa diviene unica? Con il mutuo supporto dell’amore. La casa del Signore nostro Dio si costruisce, dunque, si costruisce; se essa si fa, essa si eleva: tale è l’opera delle nostre parole, tale è l’opera delle sante letture, tale è l’opera della predicazione del Vangelo nell’intero universo; perché questa casa si costruisce ancora oggi. Essa è grandemente accresciuta, ha riempito numerose nazioni, tuttavia non le possiede ancora tutte; accrescendosi, essa si è annesse un gran numero di nazioni, e deve possederle tutte. Così c’è contraddizione da parte di coloro che si glorificano di appartenervi, quando dicono. Già essa è in decremento. Essa cresce ancora, ci sono ancora delle nazioni che non hanno abbracciato la fede e che tutte l’abbracceranno (S. Agost.). – « Cantate al Signore, benedite il suo nome; annunciate con zelo, di giorno in giorno, la salvezza che viene da Lui. » Come si ingrandisce l’edificio? Il Profeta dice: « Annunziate con zelo, di giorno in giorno, la salvezza che viene da Lui; » che sia predichi ogni giorno. Così di giorno in giorno, egli dice, la casa si eleva; la mia casa – dice il Signore – si accresca, e come se gli operai gli dicessero: Dove ordinate che sia costruita? Dove volete che si ingrandisca? sceglieteci un luogo compatto, un luogo spazioso, se volete che noi costruiamo una vasta casa; dove ci ordinate di annunziare con zelo, di giorno in giorno, la salvezza che viene da Voi? Il Profeta mostra loro il luogo ove essi devono costruire: « Annunziate la sua gloria, vi dice, tra le nazioni, la sua gloria, non la vostra. O voi che costruite, annunziate con zelo la sua gloria tra le nazioni. Se pretendete di annunziare la vostra gloria, voi cadrete; se annunziate la sua gloria, voi stessi vi collocate nell’edificio elevandolo (S. Agost.). – Sembra che non ci siano che gli Apostoli e gli operai evangelici che possano annunziare le meraviglie della salvezza a tutti i popoli della terra. Ma chiunque conosca bene la costituzione della Chiesa, vede senza difficoltà che tutto è comune in questa santa società; che le opere più segrete contribuiscono alla propagazione del Vangelo ed alla santificazione di tutti i popoli; che le preghiere del solitario appoggiano la predicazione del ministero della parola, che Dio accorda sovente più alle lacrime di una vergine cristiana rinchiusa nella sua cella, che agli sforzi dello zelo più attivo. Tutti possono annunciare Gesù-Cristo con il buon odore delle virtù. L’edificio della Chiesa – dice sant’Agostino – si costruisce con l’unità di spirito, si consolida con i legami della carità, si eleva sui fondamenti dell’umiltà. « Annunziate la gloria di Dio, » dice il Profeta, non la vostra. Colui che costruisce per la sua gloria, non lavora per la casa di Gesù-Cristo, che è la Chiesa universale … occorre annunciare Gesù-Cristo e le sue meraviglie di giorno in giorno, perché la corona non è data che alla perseveranza. (Berthier). 

II.—4-6.

ff. 4-6. – Le quattro ragioni date dal Profeta, sono: – 1° che Dio è il Signore dei signori, che Egli è grande in assoluto, sia che se ne consideri la potenza, la saggezza, la bontà, la distesa della sua dominazione, l’abbondanza delle sue ricchezze, e tutte le altre cose che contribuiscono a rendere grandi; – 2° che Egli è degno di ogni lode, perché la sua eccellenza è ineffabile ed incomprensibile; – 3° perché Egli è formidabile, al di sopra di tutte le potenze della terra, o di tutti i demoni, – 4° è Egli che ha fatto i cieli, ed in questa parola sono compresi tutti i cieli, non solo quelli in cui si svolgono gli altri, ma anche quelli in cui abitano gli Angeli ed i Santi, quelli ove si trovano riuniti tutti gli eletti per gioire tutti insieme della eterna presenza di Dio, perché il Signore è grande ed infinitamente degno di lode. » – Qual è questo Signore grande ed infinitamente degno di lode, se non il Cristo? Vi sapete con certezza che Egli è apparso sulla terra in forma umana; voi sapete con certezza che è stato concepito nel seno di una donna; voi sapete che Egli è nato dal suo seno; sapete che è stato allattato e portato in braccio; che è stato circonciso, che una vittima in sacrificio è stata offerta per Lui, che è cresciuto; che è stato infine flagellato, coperto di sputi, coronato di spine e crocifisso; … che Egli è morto ed è stato trafitto da un colpo di lancia. Voi sapete che Egli ha sofferto tutti questi supplizi e tuttavia è grande ed infinitamente degno di lodi. Guardatevi dal disprezzare la sua piccolezza, e comprendete la sua grandezza. Egli si è fatto piccolo, perché voi siete piccolo; comprendete la sua grandezza e sarete grande con Lui (S. Agost.). – Ciò che in uomo sarebbe un difetto considerevole, è una grande perfezione in Dio. L’uomo immagina spesso di avere dei grandi vantaggi che in effetti non ha, e merita di essere rimproverato, e Dio non vede davanti a Lui che soggetti di gloria e di lodi, e che merita di essere adorato. Dio è dappertutto santo e magnifico; ma è principalmente in cielo, nel luogo suo santo che farà brillare la sua santità e la sua magnificenza (Dug.) – Diffidate – dice sant’Agostino – spiegando queste parole nel senso topologico della confessione dei peccati: queste due cose non si separano davanti a Dio, la confessione del peccato e la beltà dell’anima; è in queste due parole, prosegue lo stesso dottore, che voi apprendete tutto in una volta, a chi potete piacere, e come potete piacergli. A chi potete piacere: è al vostro Dio; per dove potete piacergli: per la confessione del vostro peccato (BOURDALOUE, Sur la confession.). – Amate la bellezza, volete essere bello? Confessatevi. Il Profeta non vi dice: la bellezza e la confessione, ma « la confessione e la bellezza. » Voi siete sporco, confessatevi per essere bello; voi siete peccatore, confessatevi per essere giusto. Voi avete potuto macchiarvi, non potete rendervi bello (S. Agost.).

III. — 7 – 14.

ff. 7-9. – Tutta l’economia del culto divino è descritto in questi versetti: adorare il Signore, celebrare le sue grandezze, cantare la gloria del suo Nome, rendersi assiduo nel suo tempio. Offrirgli sacrifici puro e graditi ai suoi occhi; infine soddisfare questi doveri in unione con tutti i popoli (Berthier). – Il Profeta fa allusione all’uso che avevano i Giudei di portare le vittime al tempio, quando vi salivano per adorarlo. Ma poiché qui sono evidentemente in questione nazioni pagane chiamate a far parte della Chiesa di Gesù-Cristo, bisogna vedere in queste vittime, le vittime spirituali di cui S. Pietro parla nella sua prima epistola (II), e che sono la contrizione del cuore, la confessione dei peccati, la preghiera, il digiuno, l’elemosina, etc. Ma il testo del salmo riguarda tutti i popoli, e facendo menzione del sacrificio in cui non si utilizzava che fior di farina, è certo che il Salmista ha pure in vista il Sacrificio dei Cristiani, il Sacrificio in cui il pane ed il vino sono cambiati in corpo e sangue di Gesù-Cristo. – « Adorate il Signore nel suo tabernacolo, » cioè nella Chiesa Cattolica, perché è là che vi è il suo santo tabernacolo. Nessuno dica: « il Cristo è qui, il Cristo è la, perché si leveranno falsi profeti. » (Matt. XXIV, 23) Dite loro questo: « Non resterà pietra su pietra che non sarà distrutta. » Voi mi chiamate vanamente alla vostra muraglia imbiancata, io adoro il mio Dio nel suo santo tabernacolo. (S. Agost.).

ff. 10-13. – Il Profeta, che ha già eccitato i predicatori della parola di Dio ad annunziarla al mondo intero, ed il mondo intero a riceverla, freme ora ed esorta non solo gli uomini, ma ancora tutta la natura, a ricevere il Messia con timore e rispetto. – Il regno del Signore, così dolce e gradevole per i suoi amici, è altrettanto terribile e spaventoso per i suoi nemici. – Il regno di Gesù-Cristo che, avendo trovato tutta la terra nella corruzione e nel peccato, nella confusione e nell’incostanza, ha reindirizzato, con la verità del suo Vangelo e la sua grazia, i costumi degli uomini, ed ha talmente rafforzato la Chiesa, che è la terra dei veri Israeliti, che fino alla fine del mondo sarà indistruttibile per tutte le potenze del mondo e dell’inferno, (Dug.). (È qui che diversi Padri latini hanno letto: « regnavit a ligno », dizione che la Chiesa ha consacrato ed inserita in uno dei suoi inni). –  Le stesse creature inanimate, dice san Paolo, non possono soffrire di vedersi soggette, malgrado esse, alle profanazioni dei peccatori; i cieli vedono che gli uomini studiano i loro corsi con tanta cura, senza darsi pena di studiare i mezzi propri per possederli un giorno; la terra si rattrista nell’essere un soggetto continuo di guerre tra re e popoli, e di contese tra i particolari, e vedere che non si pensa che ad essa, invece di pensare al cielo; il mare porta con pena tutti i navigli con ricchi carichi che non servono altro che a soddisfare l’avarizia degli uomini; le campagne e tutto ciò che esse contengono si dolgono nell’essere rifornimento del lusso e della sensualità degli uomini: tutte queste creature sono assoggettate, loro malgrado, alla vanità. Gli uomini, invece di riportarle a Dio come pur esse desiderano, fanno loro violenza riconducendole a se stesse.  Dice infatti il grande Apostolo: « essa infatti è stata sottomessa alla caducità – non per suo volere, ma per volere di colui che l’ha sottomessa – e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. » (Rom. VIII, 21), (Duguet). – I cieli sono i predicatori, e la terra gli uditori. « Che il mare, con tutto ciò che contiene, sia scosso. » Quale mare? Il secolo! Il mare, con tutto ciò che contiene, è stato scosso: il secolo intero si è sollevato contro la Chiesa nel momento in cui si ingrandiva e si levava come un edificio in tutto l’universo. Questo traballare, il Vangelo lo ha predetto: «Vi consegneranno ai sinedri, sarete percossi nelle sinagoghe, comparirete davanti ai governatori ed ai re a causa mia, per render testimonianza davanti a loro. » (Marc. XIII, 9). Il mare è stato scosso: ma come poteva il mare vincere Colui che ha fatto i cieli? – « Le campagne con tutto ciò che contengono, sono entusiaste per la gioia. » Gli alberi delle foreste sono gli infedeli, … perché anch’essi gioiscono? Perché sono stati staccati dall’olivo selvatico ed innestati sull’olivo verace (Rom. XI, 17). Allora tutti gli alberi della foresta saranno nell’allegria; perché i grandi alberi, i cedri, i cipressi sono stati tagliati ed i loro legni incorruttibili sono stati trasportati per la costruzione della casa. Essi erano alberi della foresta, prima di essere innestati e produrre olive (S. Agost.). – « Tutti gli alberi delle foreste trasaliranno alla vista del Signore perché è venuto, perché è venuto a giudicare la terra. » Il Signore è venuto una prima volta, e verrà di nuovo più tardi; è venuto una prima volta nella sua Chiesa, sulle nubi. Quali sono le nubi che l’hanno portato? Gli Apostoli, i predicatori, di cui San Paolo ha detto: « Noi fungiamo da ambasciatori per Cristo,  ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. » (II Cor. V, 20). – Ecco le nubi sulle quali Egli è venuto, senza parlare della sua venuta ulteriore, quando verrà a giudicare i vivi ed i morti … Egli è venuto una prima volta, portato dai suoi predicatori, ed ha riempito tutta la terra. Cerchiamo di non resistere alla sua prima venuta, per non dover terrorizzarci alla seconda … Pratichiamo ciò che ci raccomanda l’Apostolo: « … coloro che piangono, come se non piangessero e quelli che godono come se non godessero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano del mondo, come se non ne usassero appieno: perché passa la scena di questo mondo. » (I Cor. VII, 29-32). San Paolo vuole vederci esenti dalle preoccupazioni di tutte queste cose. Colui che è esente da preoccupazioni attende con sicurezza l’avvento del suo Signore; perché che cos’è questo amore di Cristo, con il quale si teme la sua venuta? Non ne arrossiamo? Noi lo amiamo e temiamo la sua venuta! Ma è certo che lo amiamo? O non amiamo il nostro peccato più di Lui? Odiamo allora i nostri peccati ed amiamo Colui che deve venire a punire i peccati. Egli verrà, che lo vogliamo o non … Egli verrà, e non ne sapete il momento, e poco importa che lo ignoriate se vi trova preparati. –  Il giudizio di Dio è pieno di equità, non conforme ai giudizi ed alle ide che gli uomini si formano. Essi lo fanno a modo loro, sulla terra, un Dio tanto paziente ed insensibile come chiedono le loro passioni, che soffre tutti e disdegna di giudicare coloro che ha creati capaci di buona o cattiva scelta; ma nel grande giorno, essi saranno giudicati, non secondo la loro verità, ma secondo la sua, “in veritate sua”. – « Egli giudicherà l’universo intero secondo l’equità ed i popoli secondo verità. » Egli giudicherà l’universo intero e non una parte dell’universo, perché non ne è stato riscattato solo una parte. Egli deve giudicare la totalità, perché Egli ha pagato il riscatto della totalità. « Egli giudicherà secondo equità, secondo verità. » Perché voi siete ingiusto, il Giudice non sarà giusto? Perché voi siete mendace, Colui che è la verità non sarà veritiero? Se voi volete che Egli usi misericordia verso di voi, siate misericordioso prima che Egli venga; Se si è ommesso qualche torto verso di voi, rimettetelo e date nella vostra abbondanza. E da chi avete ciò che avete, se non da Lui? Donare del vostro, sarebbe elargire; ma dare del suo, è una restituzione. « Cosa avete in effetti che non abbiate ricevuto? » Ecco le vittimi gradite a Dio: la misericordia, l’umiltà, la confessione, la pace, la carità. Offriamole ed attenderemo con sicurezza la venuta del Giudice che giudicherà l’universo secondo l’equità, ed i popoli secondo la sua verità (S. Agost.).

L’INABITAZIONE DELLO SPIRITO SANTO NELLE ANIME DEI GIUSTI (3)

L’INABITAZIONE DELLO SPIRITO SANTONELLE ANIME DEI GIUSTI (3)

R. P. BARTHELEMY FROGET

[Maestro in Teologia Dell’ordine dei fratelli Predicatori]

L’INABITAZIONE DELLO SPIRITO SANTONELLE ANIME DEI GIUSTI SECONDO LA DOTTRINA DI SAN TOMMASO D’AQUINO

PARIS (VI°) P. LETHIELLEUX, LIBRAIRE-ÉDITEUR 10, RUE CASSETTE, 1929

Approbation de l’ordre:

fr. MARIE-JOSEPH BELLON, des Fr. Pr. (Maitre en théologie).

Imprimatur:

Fr. Jos. Ambrosius LABORÉ, Ord. Præd. Prior Prov. Lugd.

Imprimatur, Parisiis, die 14 Februarii, 1900.

E. THOMAS, V. G.

SECONDA PARTE

DELLA SPECIALE PRESENZA DI DIO, O DELLA ABITAZIONE DELLO SPIRITO SANTO NELLE ANIME DEI GIUSTI

CAPITOLO PRIMO

La presenza speciale di Dio nei giusti. –

Missione, donazione, abitazione dello Spirito-Santo.

« Oltre al modo ordinario e comune secondo il quale Dio è in tutte le cose con la sua essenza, potenza e presenza, poiché la causa sta negli effetti che entrano nella partecipazione della sua bontà, ce n’è un altro speciale, che conviene solo alle creature ragionevoli, nelle quali Dio si trova come l’oggetto conosciuto e amato ed è nell’essere che conosce e ama. E poiché la creatura ragionevole può ascendere a Dio attraverso la conoscenza e l’amore, e raggiungerlo in se stesso, invece di dire semplicemente che Dio, secondo questo particolare modo di presenza, è nella creatura ragionevole, si dice che “vive in essa” come nel suo tempio. Nessun altro effetto se non la grazia santificante, può essere la ragione di questo nuovo modo di essere presente della Persona divina. È dunque unicamente per la grazia santificante che la Persona divina è inviata e che procede temporalmente. Ma, con la grazia, si riceve anche lo Spirito Santo, che è Egli stesso donato ed inviato, e viene ad abitare nell’uomo » (S. Th., Summa Theol., I, q. XLIII, a. 3). – Queste parole di san Tommaso, così laconiche, contengono, nella loro brevità, un’ammirevole sintesi della questione che al presente ci occupa. Infatti, vi troviamo chiaramente indicati: – a) prima di tutto il fatto della speciale presenza di Dio nell’anima che ha la grazia: Super istum modum autem communem est unus specialis, qui convenit naturæ rationali; – b) di poi la natura di questa presenza, che è una presenza sostanziale; Dio non c’è semplicemente con i suoi doni, ma di Persona: In ipso dono gratiæ gratum facientis Spiritus Sanctus habetur, e inhabitat hominem. Unde ipsemet Spiritus Sanctus datur et mittitur; – c) il modo di questa presenza; non è più come in qualità di agente efficiente o di causa che Egli è in questa anima; è a titolo di ospite e di amico, come oggetto di conoscenza e di amore: Sicut cognitum in cognoscente, et amatum in amante; – d) il soggetto capace di ricevere tale beneficio: questo soggetto non è altro che la creatura ragionevole: Modus iste specialis convenu convenu naturæ rationali; – e) infine la condizione di questa presenza, cioè lo stato di grazia: Nullus alius alius effectus potest esse ratio quod divina persona sit novo modo in rationali creatura, nisi gratia gratum faciens. – Tutti questi sono capi di riflessione, e per essere ben compresi, richiedono chiarimenti proporzionati alle difficoltà che possono offrire e nella misura della loro importanza. Affrontiamo innanzitutto il fatto della speciale presenza di Dio nelle anime santificate dalla grazia.

I.

Forse non c’è alcuna verità più frequentemente richiamata nel Santo Vangelo e nelle Lettere di San Paolo, della verità della missione, del dono, della dimora delle Persone divine nelle anime che hanno la grazia. Sul punto di lasciare la terra per tornare al Padre suo, Nostro Signore, volendo consolare i suoi Apostoli e alleviare la tristezza che la sua partenza avrebbe causato loro, promise di mandare loro il Paraclito: « Vi dico in verità: è opportuno per voi che Io vada via, perché se non vado via, il Paraclito non verrà a voi; ma se vado via, Io ve lo manderò « Ego veritatem dico vobis: Expedit vobis ut ego vadam; si enim non abiero, Paraclitus non veniet ad vos; si autem abiero, mittam eum ad vos. » (Joan., XVI, 7.). – Quando sarà venuto il Paraclito, che Io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, Egli vi renderà testimonianza di me, e anche voi mi renderete testimonianza, perché voi siete con me fin dall’inizio. »  – « Cum autem venerit Paraclitus, quem ego mittam vobis a Patre, Spiritum veritatis, qui a Patre procedat; ille testimonium perhibebit de me. Et vos testimonium perhibebitis, quia ab initio mecum estis. » – (Joan., XV, 36-37.). Disse loro di nuovo: « Se mi amate, osservate i miei Comandamenti, e alla mia preghiera il Padre vi darà un altro Paraclito, affinché Egli dimori eternamente con voi; lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce, ma voi lo conoscerete, perché Egli sarà in voi e vi fisserà la sua dimora. Io non vi lascerò orfani, verrò da voi. « Si diligitis me, mandata mea servate. Et ego rogabo Patrem, et alium Paraclitum dabit vobis, ut maneat vobiscum in æternum; Spiritum veritatis, quem mundus non potest accipere, quia non videteum, nec scit eum; vos autem cognoscetis eum, quia apud vos manebit, et in vobis erit. Non relinquam vos orphanos; Veniam ad vos. » (Joan., XIV, 15-18) Questo nuovo consolatore che Gesù Cristo promette qui, non è altri che lo Spirito Santo, lo Spirito di verità, come Egli lo chiama, cioè lo Spirito del Figlio, che è Lui stesso la Verità sostanziale: Ego sum veritas (Joan. XIV, 6). Mentre era in mezzo a loro, il Maestro divino confortava Egli stesso i suoi discepoli; ma, lasciandoli la sua partenza esposti a molte tribolazioni, promise loro un altro consolatore, lo Spirito Santo, che avrebbe mandato loro dal Padre.  Questa missione dello Spirito Santo, questa donazione del Paraclito, che Gesù ha promesso ai suoi, non doveva essere prerogativa esclusiva degli Apostoli, ma la dote comune di tutti coloro che, mediante la grazia, diventano figli di Dio. Infatti, scrivendo ai Galati, san Paolo diceva loro: “Poiché voi siete suoi figli, Dio ha mandato nei vostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abba, Padre « Quoniam estis filii, misit Deus Spiritum Filii sui in corda vestra clamantem: Abba Pater. » (Gal., IV, 6.). –  « Non uno spirito di timore e servitù, ma lo spirito di adozione dei figli.  Non enim accepîstis spiritum servitutis iterum in timoré, sed accepistis Spiritum adoptionis filiorum. » (Rom., VIII, 15). –  « La carità di Dio è stata riversata nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. – Charitas Dei diffusa est in cordibus nostris per Spiritum Sanctum. qui datus est nobis. » (Rom., V, 5.). E non è solo lo Spirito Santo ad esserci inviato e donato per grazia e con la grazia, ma tutta la Santissima Trinità viene ad abitare la nostra anima e a farne la sua dimora. Nostro Signore lo dice formalmente nel Vangelo secondo s. Giovanni: « Se qualcuno mi ama, egli osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà, e noi verremo a lui, e lì stabiliremo il nostro soggiorno. – Si quis ditigit me, sermonem meum servabit, et Pater meus diliget eum, et ad eum veniemus, et mansionem apud eum faciemus. » (Joan., XIV, 23.). Perciò, per condurre i primi fedeli ad evitare accuratamente il peccato e a mantenere il santuario della loro anima pura ed immacolata, il grande Apostolo non trovò ragione più potente, motivo più pressante, argomento più persuasivo che ricordare loro che erano il “tempio di Dio”. “Non sapete – disse loro – che siete il tempio di Dio e che lo Spirito Santo abita in voi? Se qualcuno viola questo tempio, Dio lo lascerà, perché il tempio di Dio è santo, e voi stessi siete quel tempio –  » Nescitis quia templum Dei estis, et Spiritus Dei hibitat in vobis? Si quis au te m templum Dei violaverit, disperdet illum Deus. Templum enim Dei sanctum est, quod estis vos. » (I Cor., III, 16-17). – Mi fermo, per non moltiplicare eccessivamente i passi della Scrittura che stabiliscono il fatto della missione, della donazione delle Persone divine, della abitazione della Santissima Trinità nelle anime giuste. Ora è importante raccogliere e chiarire gli insegnamenti tratti da queste testimonianze.  – Ciò che emerge a prima vista da tutti questi testi nel loro senso naturale e ovvio, ciò che risplende con la chiarezza dell’evidenza, è il fatto di una speciale presenza di Dio nelle anime in stato di grazia. Ed in vero, se lo Spirito Santo è inviato a loro, non è forse perché Egli sia in loro in modo diverso che in ogni altra parte? Perché, infine, se si trova nei giusti semplicemente nel modo ordinario, come lo è in tutte le cose, non capiamo cosa possa significare e apportare questa missione. D’altra parte, se lo Spirito Santo è dato alle anime con la grazia e per mezzo della grazia, è apparentemente perché esse lo posseggano e possano goderne liberamente. Ora solo la creatura ragionevole è capace di possedere Dio attraverso la conoscenza e l’amore; solo essa può goderne; essa è quindi suscettibile di una presenza speciale della Divinità, che superi la portata degli esseri inferiori. Vedremo più avanti che non è neppure a qualsiasi creatura ragionevole che questo possesso di Dio, questo godimento iniziato o consumato del Bene sovrano, appartenga, e che per questo si richiede, come disposizione preliminare, o la grazia santificante o la luce della gloria. Ma non anticipiamo, e accontentiamoci per il momento di sottoporre ad un’analisi teologica i concetti di missione, donazione, di abitazione, per vedere se implichino necessariamente un particolare modo di presenza delle Persone divine nelle anime a cui sono inviate o donate e che Esse vengono ad abitare.

II.

La parola “missione”, nel linguaggio umano, implica solitamente l’idea di un mandato affidato ad una persona, con l’obbligo per il mandatario di allontanarsi dalla persona che lo invia, per raggiungere il fine della sua missione. Un capo di Stato, ad esempio, invia spesso l’uno o l’altro dei suoi sudditi in missioni ordinarie o straordinarie presso un sovrano straniero, a volte per rappresentarlo come ambasciatore, a volte per negoziare una questione importante. Tuttavia, la missione non è sempre data come un ordine, come accade quando un superiore manda un suo subordinato; essa può ancora essere data per via di consiglio, quando – per esempio – il primo ministro di un re o di un imperatore lo manda in guerra; può esserci anche una missione in virtù di un semplice procedere d’origine, come quando il sole ci manda i suoi raggi. Ma in qualunque modo si faccia, la missione comporta sempre un doppio rapporto: un rapporto della persona inviata a colei che è inviata e un rapporto alla fine della missione; perché si è inviati da qualcuno a una determinata persona o ad un luogo designato in precedenza (S. Th., Summa Theol., I, q. XLIII, a. I.). Nella missione creata che si svolge per comando o consiglio, il primo di questi rapporti consiste in un rapporto di dipendenza o di inferiorità del mandatario rispetto al mandante, o più in generale della persona inviata rispetto a colui che lo invia, perché per dare tale missione, è necessario possedere questo tipo di superiorità che dà l’autorità di grado o il prestigio della sapienza. Niente di simile avviene nelle missioni divine; perché in Dio le tre Persone che hanno la stessa natura e una medesima dignità, l’una non ha autorità sull’altra e non glielo comanda affatto; d’altra parte, poiché Esse sono perfettamente uguali per scienza e sapienza, non devono consigliarsi o dirigersi a vicenda. La missione delle Persone divine non avviene dunque né per comando né per consiglio, ma implica semplicemente l’idea di origine o di processione (S. Th., Siimma Theol., I, q. XLIII, a. I. ad 1). – La seconda relazione che la missione denota è relativa al termine al quale viene inviata. Essa stabilisce che il messaggero debba, se non c’è già, recarsi nel luogo in cui è stato inviato, per poter adempiere all’incarico affidatogli. Nelle missioni create, dopo aver preso congedo dal suo padrone, l’ambasciatore di un principe, si allontana da lui e dal suo paese per recarsi alla corte del sovrano presso il quale è accreditato; c’è di conseguenza un cambio di luogo. Non è impossibile, però, che un soggetto, già presente in un Paese che non sia il suo Paese d’origine, possa ricevere dal suo principe una particolare missione presso il monarca nella cui terra si trovi; in questo caso, l’ambasciatore non deve spostarsi verso il luogo della sua missione perché è già lì, ma per il fatto del mandato che gli è affidato, egli si rende presente in modo nuovo, o meglio in una nuova veste, non più come un semplice individuo, ma come rappresentante. La missione divina non comporta né spostamento né separazione; Dio, essendo ovunque, non può andare da nessuna parte dove non sia già, e la Persona inviata non si separa da quella che la invia, perché le tre Persone dell’adorabile Trinità, avendo una sola e una stessa natura, sono necessariamente inseparabili; in virtù della circumincessione, ovunque si trovi una di Esse, anche le altre due sono egualmente  là (S.Th., Summa TheoL 1, q. XLIII, a. I, ad 2.). – Ma perché ci sia una vera missione, la Persona divina deve cominciare ad essere presente in un modo nuovo là dove viene inviata. Così, quando il Figlio di Dio fu inviato nel mondo per realizzare la nostra redenzione, Egli non lasciò il seno del Padre per venire in mezzo a noi; Egli era già nel mondo, come causa, per conservare ciò che aveva originariamente creato: « In mundo erat, et mundus per ipsum factus est » (Joan. I, 10), ma vi è tornato in veste nuova, perché appariva rivestito della nostra carne. Ciò che diciamo sulla missione visibile del Verbo, vale anche per la missione invisibile dello Spirito Santo. Quando, dunque, questo Spirito divino è inviato dal Padre e dal Figlio per santificare la creatura, non c’è né spostamento né cambiamento in Lui; tutta la mutazione è dalla parte dell’essere creato, il quale, ricevendo la grazia, entra così in un nuovo rapporto con la Divinità, di cui diventa amico e santuario.  – Questo dimostra che la missione divina comporta solo due cose: un processo originale ed un nuovo modo di presenza; cioè, la Persona inviata procede da Colui che lo invia, e diventa presente in modo nuovo alla fine della sua missione. E poiché il Figlio procede solo dal Padre, non può che essere inviato solo da Lui; lo Spirito Santo, al contrario, è inviato dal Padre e dal Figlio, perché procede da entrambi. Quanto al Padre, non procedendo da nessuno a causa della sua innascibilità, non viene mai inviato; pertanto Egli viene da Se stesso nell’anima giusta ed accompagna le altre due Persone.

III.

Le considerazioni che abbiamo appena fatto sulla missione invisibile dello Spirito Santo valgono anche per la sua donazione; con la differenza che la parola “missione” esprime, oltre al rapporto originale con il Padre e il Figlio che lo inviano, solo un modo speciale di presenza nella creatura che santifica, senza indicare la natura di questa presenza; mentre la “donazione” ci rivela già, come una sorta di mezzogiorno, il carattere particolare dell’unione che la creatura ragionevole contrae per grazia con la Persona divina che le viene data. In effetti, perché ci sia donazione dello Spirito Santo, non basta che si stabilisca un nuovo rapporto tra l’anima che lo riceve e questo Spirito divino, ma è ancor necessario che quest’anima possieda colui che la Chiesa chiama giustamente il dono di Dio; perché ciò che si dona a qualcuno diventa suo bene, suo possesso (S. Th., Sent., l.I, dist.XIV, q. II, a. 2, ad 2); e che cosa è il possedere una cosa, se non avere la facoltà di usarne liberamente e di goderne a piacimento? Habere atem dicimur id quo liberère possumus uti vel frui ut volumus (S. Th., Summ. Theol., I, q. XXXVIII, a I). Ora, solo la creatura ragionevole è capace di possedere Dio e di goderne, o in modo perfetto come i beati in cielo, o in modo iniziale e incipiente, come i giusti e i santi di questo mondo. (S. Th., Sent., 1.1, dist. XIV, q. II, a. 2, ad 2). – Gli esseri privi di ragione possono ricevere il moto, l’impulso, l’azione di Dio; non possono godere della sua presenza o usare liberamente i suoi doni; possono avere in essi una partecipazione lontana e analoga della perfezione increata, ma quanto a possedere la sostanza divina e godere del Bene sovrano, ne sono radicalmente incapaci, perché si può possedere Dio e goderne solo attraverso la conoscenza e l’amore, e solo l’essere intelligente è capace di tali atti. Ma ancora c’è bisogno di essere elevato al di sopra della propria condizione originaria e di ricevere dall’alto una grazia che lo renda partecipe del Verbo divino e dell’Amore che procede dal Padre e dal Figlio come un unico principio (S. Th., Summa Theol, I, q. XXXVIII, a. i.). Così il dono di una Persona divina implica una presenza speciale della Divinità nella creatura che la riceve; una presenza assolutamente distinta da quella per cui Dio è in ogni cosa come causa efficiente. Numerosi infatti, sono i caratteri che differenziano queste due modalità di presenza. Così, la presenza di Dio come causa efficiente (Summa Theol., I, q. VIII, a. 3)  è comune a tutti gli esseri senza eccezioni; la presenza di Dio come oggetto di conoscenza e di amore è possibile solo per le creature intelligenti. La prima è universale e necessariamente si verifica dovunque ci sia un effetto della potenza divina; è addirittura inammissibile finché l’essere creato sia mantenuto in esistenza, perché Dio deve esser là per preservarlo. Il secondo, se si tratta di una presenza sostanziale e non puramente oggettiva, è privilegio esclusivo delle anime giuste; effetto del libero arbitrio di Dio, esso viene con la grazia e si perde con essa. L’una non apporta, almeno direttamente, né gioia né consolazione; spesso è inconsapevole o ignorata; e quanti degli esseri ragionevoli capaci di conoscerla o addirittura conoscendola effettivamente, vorrebbero, nella loro malizia, riuscire a liberarsene scacciando dal loro cuore Colui che considerano come il testimone indesiderato della loro cattiva condotta ed il vendicatore dei loro crimini! L’altra, al contrario, è piena di dolcezza e soavità; è un’unione di godimento iniziata o consumata. Chi potrebbe confondere le due modalità di presenza così diverse tra loro? Nell’una, Dio è in noi come agente; nell’altra, Dio è in noi come nostro protettore ed amico.

IV.

Dio si trova quindi nei giusti in un modo tutto speciale, vi abita, secondo l’espressione impiegata dai nostri Libri santi. Ma, sorprendentemente, Dio non vive ovunque si trovi.  Quanti esseri vi sono, in cui Egli è realmente e sostanzialmente presente come causa efficiente, esercitandovi la sua attività, producendovi questo o quell’effetto, e nei quali tuttavia non abita, nel senso che la Scrittura dà a questa espressione! E questo è comprensibile. Il luogo che è la dimora di Dio ha, in tutte le lingue, un nome speciale: un “tempio”. Tuttavia, non si può dare il nome di un tempio ad una residenza volgare, destinata ad usi profani: il tempio è un luogo dedicato, e dedicato al culto di Dio, in cui Egli si degna di vivere ed accogliere favorevolmente le preghiere dei suoi fedeli. « Il tempio è un luogo dedicato al Signore perché Egli vi abita », dice l’angelico Dottore: Templum est locus Dei ad inhabitandum sibi consecratus. (S. Th., Comment. In II Cor., II, 16). Nei templi materiali, questa consacrazione viene fatta dal ministero del Pontefice, con tutta una serie di preghiere, unzioni, cerimonie, capaci di far capire al popolo cristiano che questo luogo è ormai santo, e che debba essere presentato e tenuto con tutto il rispetto dovuto alla Maestà sovrana che lo abita. Nei templi spirituali, cioè nelle anime, questa consacrazione è fatta mediante la grazia, che riceviamo per la prima volta nel santo Battesimo (S. Th., in I Cor III,17); e se abbiamo la sventura di contaminare col peccato questo santuario interiore, la divina Misericordia si è degnata di darci, col Sacramento della Penitenza, un mezzo con cui operare la riconciliazione.  – Ma poiché la violazione di una cosa santa è un sacrilegio capace di attirare l’ira divina sul capo di colui che lo commette, l’apostolo san Paolo, volendo far capire ai fedeli di Corinto la gravità di tale dissacrazione e le terribili conseguenze che essa potesse comportare, diceva loro: « Se qualcuno viola il tempio di Dio, Dio lo perderà: « Si quis templum Dei violaverit, disperdet illum Deus » (1 Cor. III, 17). Ed il motivo che se ne dà, è  che il tempio di Dio è santo; « e siete voi stessi – aggiungeva – ad essere questo tempio: Templum enim Dei sanctum est, quod estis vos. (Ibid.) ». E perché non siamo tentati di credere che Dio abiti, anche se con dolore e ripugnanza, nei peccatori, la Scrittura ci dichiara formalmente che non è affatto così. Ci dice che la Sapienza (e con questa espressione possiamo intendere la Sapienza increata e generata, cioè il Verbo) non entrerà in un’anima malvagia, che Essa non abiterà in un corpo soggetto al peccato: « In malevolam animam non introibit sapientia, nec habitabit in corpore subdito peccatis » (Sap. I, 4). Essa aggiunge poi che anche lo Spirito Santo, che è spirito di scienza, abbandona colui che ha solo l’apparenza del bene, e che il verificarsi dell’iniquità lo mette in fuga: « Spiritus enim sanctus disciplinæ effugiet fictum …. et corripietur a superveniente iniquitate ». (sap. I, 4). E per evitare ogni errore, per evitare ogni illusione, si spinge fino a dire che Dio non solo non dimora nei peccatori, ma che è pure lontano da essi: « Longe est Dominus ab impiis ». (Prov. XV, 29). – È interessante sentire su questo punto il grande Vescovo di Ippona. Nel suo libro “Sulla presenza di Dio”, indirizzato a Dardanus, dove affronta ex professo la questione dell’abitazione divina, sant’Agostino inizia spiegando che Dio è ovunque, tutto intero in ogni essere ed in ogni parte dell’essere, poi aggiunge: « Ma ciò che più sorprende è che Dio, sebbene tutto sia intero ovunque, non viva in tutti gli uomini. Infatti, non è a tutti che si possono applicare le parole dell’Apostolo: « Non sapete che siete il tempio di Dio e che lo Spirito Santo abita in voi? » (I Cor., III, 16), perché di alcuni lo stesso dice: « Chi non ha lo Spirito di Cristo non gli appartiene. » (Rom., VIII, 9.). Ora, chi oserebbe pensare, a meno che non si ignori completamente l’inseparabilità delle Persone divine, che il Padre o il Figlio possano abitare dove lo Spirito Santo non abita, e che lo Spirito Santo abiti da qualche parte senza il Padre e il Figlio? Bisogna quindi ammettere che Dio è ovunque con la presenza della sua divinità, ma non per grazia di abitazione: unde fatendum est ubique esse Deus per divinitatis præsentiam, sed non ubique per habitationis gratiam. – « Dio, dunque, che è dappertutto, non abita in tutti gli uomini; e non abita nella stessa misura in coloro dove stabilisce la sua dimora: Etiam in quibus habitat, non æqualiter habitat. – Non è davvero per questo che Eliseo ha chiesto il doppio spirito che c’era in Elia? (4 Reg. XI, 9). E da dove viene il fatto che alcuni dei Santi lo siano più degli altri, se non perché Dio abita più pienamente in loro? Ma se Dio è più in alcuni che in altri, che diviene la verità di ciò che abbiamo precedentemente enunciato, sapendo che Dio è tutto intero ovunque? Per saperlo, dobbiamo considerare attentamente ciò che abbiamo già detto, che è in se stesso che Dio è tutto intero ovunque, e non negli uomini, che lo ricevono alcuni in misura maggiore, ed altri minore. Si dice in effetti che Egli sia ovunque, perché non è assente da nessuna parte dell’universo; che Egli è intero ovunque, perché non è parzialmente presente ad ogni cosa, cosicché una parte maggiore o minore del suo essere risponda ad ogni parte maggiore o minore delle cose; ma Egli è interamente presente non solo nell’universalità delle creature, ma ancora in ogni parte dell’universo. Coloro che con il peccato, gli diventano dissimili, si dice che siano lontano da Lui; al contrario, se ne avvicinano coloro che gli assomigliano per mezzo di una pia e santa vita.  – « Ma coloro ai quali Dio è presente, possono essere in minor grado di riceverlo, ma non per questo nondimeno è se stesso. E anche se non è assente da coloro in cui Egli non vive, è tuttavia tutto intero in essi, benché non lo possiedano; così Egli è presente nella sua interezza in colui che Egli abita, benché non lo comprendano totalmente. « Per abitare negli uomini, Dio non si divide nei loro cuori o nei loro corpi, distribuendo una parte di sé a questi e parte di sé a quelli …. ; ma pur rimanendo eternamente intero in se stesso, può essere interamente in tutte le cose, e tutto intero in ciascuno, anche se coloro in cui Egli abita, li rende, per sua bontà e grazia, un tempio molto caro, chi lo possiede di più, chi di meno, secondo le loro diverse capacità »  (S. Aug., lib. De Præsentia Dei, seu Epist. ad Dardan., 187 (alias 57), c. V et VI, n. 16 -19). – Quindi, ecco che, secondo il sentimento di Sant’Agostino, Dio abita in un’anima solo a condizione di essere compreso e posseduto da essa, il che avviene mediante la conoscenza e l’amore; perchè possedere Dio, è conoscerlo: « Hoc est Deum habere, quod nosse » non – è vero – di un conoscenza qualunque, perché « non appartengono al tempio di Dio, questi superbi filosofi che lo hanno conosciuto senza glorificarlo e rendergli grazie », ma con una conoscenza accompagnata dalla carità, ed ecco perché « appartengono al tempio di Dio, quei figli che sono stati santificati dal Sacramento di Cristo, e rigenerati dallo Spirito Santo, e che la loro età rende incapaci di conoscere Dio. Così, Colui che i filosofi hanno conosciuto ma non hanno posseduto, è posseduto dai bambini anche prima di essere in condizione di conoscerlo. Ma beati coloro per i quali  conoscere Dio, è possederlo; perché questa conoscenza è la più ampia, la più completa, la più vera e la più felice ». (S. Aug., lib.. De Præsentia Dei,  c. VI, n. 21).   Così che, cosa estremamente sorprendente, Dio abita in alcuni di coloro che non lo conoscono ancora, mentre  non vive in altri che Lo conosco.  Per essere il tempio e dimora della Divinità, occorre avere la grazia e la carità: ne è questa la condizione indispensabile; inoltre, non solo quelli che conoscono Dio senza amarlo non hanno in loro l’ospite divino, ma neanche coloro che fanno miracoli senza essere nello stato di grazia lo possiedono; perché tutte queste cose sono fatte da Dio in virtù della sua presenza ordinaria, oppure per il ministero degli Angeli santi: « Agit enim hoec Deus tanquam ubique proesens, vel per sanctos angelos suos » (Ibid. c. XII, n. 36). – E sant’Agostino conclude infine con queste parole, che riassumono questa lunga ma istruttiva citazione: «Dio è quindi presente ovunque e tutto intero ovunque; tuttavia, Egli non abita dappertutto, ma solo in coloro che formano il suo tempio e sui quali diffonde i tesori della sua grazia e misericordiosa bontà. E coloro in cui Egli abita lo posseggono a gradi diversi, alcuni più, altri meno » (Ibid., c. XIII, n. 38.).

V.

Questa dottrina della particolare presenza, della abitazione di Dio nei giusti, che il Dottore della Grazia afferma, nei fatti, in termini così formali, ma che poi lascia, rispetto al modo di essere intesa, in una sorta di oscurità, è stata portata alla luce dal suo fedele discepolo ed interprete, il Dottore Angelico. Ecco, in effetti, come questi si esprime nel suo Commento alle parole dell’Apostolo: Voi siete il tempio del Dio vivente:  « Anche se Dio è in tutte le cose con la sua presenza, la sua potenza e la sua essenza, Egli non abita ovunque, ma solo nei santi mediante la grazia. E la ragione ne è che, se Egli è in tutte le cose con la sua azione, unendosi alle creature per dare loro e conservare il loro essere, non vi sono che i Santi che, per mezzo delle loro operazioni, cioè con la conoscenza e l’amore, possano raggiungere Dio, e contenerlo in qualche modo in loro. Perché colui che conosce e ama ha in sé l’oggetto conosciuto e amato »  (S. Th., in II Cor., c. VI, 16, lect. 3.). Già su quest’altro testo dello stesso Apostolo: « Non sapete che siete il tempio di Dio e che lo Spirito Santo abita in voi? » San Tommaso aveva fatto le seguenti riflessioni: « È nella natura di un tempio l’essere l’abitacolo di Dio, secondo le parole del Salmista: Dio abita nel suo tempio santo (Ps. X, 5): perciò tutto ciò che sia dimora di Dio, può essere chiamato tempio. Ma Dio abita principalmente in se stesso, perché è l’unico che comprende se stesso; può quindi essere chiamato suo proprio tempio …. Egli vive anche in una casa consacrata dal culto speciale che vi riceve … Egli abita ancora negli uomini per la fede che la carità rende attiva, secondo queste parole dell’Apostolo agli Efesini: « Cristo abita nei vostri cuori mediante la fede ». (Ephes., III, 17). E per dimostrare che i fedeli siano il tempio di Dio, l’Apostolo aggiunge che Dio abita in loro: e lo Spirito di Dio abita in voi …. È dunque evidente che lo Spirito Santo è Dio, poiché, stabilendo la sua permanenza nei fedeli, li rende templi di Dio; poiché non è che  l’abitazione della Divinità che costituisce un tempio: Sola enim inhabitatio Dei, templum Dei facit. « Ma dobbiamo considerare che Dio è in ogni essere creato con la sua essenza, la sua potenza e la sua presenza, riempiendo tutto con gli effetti della sua bontà, secondo le parole di Geremia: « Riempio il cielo e la terra ». (Jer., XXIII, 24) Spiritualmente, Dio abita come nella sua casa di famiglia, « tamquam in familiari domo », nei santi, il cui spirito è capace di possederlo con la conoscenza e l’amore, quorum mens capax est Dei per cognitionem et amorem, anche se non lo conoscono e lo amano in maniera attuale, purché tuttavia abbiano, con e per la grazia, la virtù della fede e della carità, come avviene per i bambini battezzati. Ma la conoscenza che non è accompagnata dalla carità è insufficiente per stabilire la dimora di Dio, come indicano le parole di San Giovanni: « Chi dimora nella carità dimora in Dio, e Dio in lui. » (I Joan., IV, 16). Ecco perché molti conoscono Dio attraverso una conoscenza naturale o una fede informe, eppure non hanno lo Spirito di Dio che abita nei loro cuori. »  (S. Th., in I Cor., III, 16, lect. 3). È dunque una verità acquisita ed indiscutibile che Dio esista in modo speciale nei giusti; la Scrittura, la Tradizione, l’insegnamento teologico, concordano nell’affermare il fatto di una particolare presenza della Divinità nelle anime alle quali lo Spirito Santo è inviato o dato, e che per grazia diventano il tempio e la dimora dell’adorabile Trinità. – Non è più semplicemente attraverso la sua operazione, come agente o causa efficiente, che Dio è in esse; è in qualità di ospite, di amico, di Bene sovrano, di cui esse possono già iniziare a godere da questa vita.  – Questo nuovo modo di presenza, che non esclude gli altri, ma vi si sopraggiunge, non porta a nessun cambiamento in Dio, che è immutabile, ma  presuppone nella creatura una modifica (S. Th., Summa Theol., I, q. XLIII, a. 2, ad 2.), un nuovo effetto prodotto in essa e che diventa il principio di una nuova relazione, secondo la quale la creatura non si riferisce più a Dio solo come effetto della sua causa, ma come possessore dell’oggetto divenuto sua proprietà e materia del suo godimento; e, da parte sua, invece di un volgare rapporto causale che aveva prima con la creatura, Dio entra con essa in un rapporto di appartenenza e di possesso: diventa suo bene, suo amico, suo sposo, l’oggetto della sua conoscenza e del suo amore. Questo nuovo effetto che fonda, tra l’anima giusta e Dio, rapporti così diversi da quelli esistenti tra una qualsiasi creatura e il suo Creatore, non è altro che la grazia santificante. Né i doni della natura, per quanto elevati e brillanti possano essere, né le grazie gratuite, come il dono dei miracoli o della profezia, né la fede stessa o la speranza, separata dalla carità, sono sufficienti per stabilire legami nel contempo sì dolci e sì stretti. « Nullus alias effectus potest esse ratio quod divina persona sit novo modo in creatura rationalis nisi gratia gratun faciens » (S. Th., Summa Theol., I , q. XLIII, a.3). Nessun altro effetto se non la grazia santificante può essere la ragione di questo nuova modalità di presenza della Persona divina. » Ma qual è più esattamente la natura di questa presenza? Questo è ciò che ora bisogna esaminare.

https://www.exsurgatdeus.org/2020/02/06/linabitazione-dello-spirito-santo-nelle-anime-dei-giusti-4/

SALMI BIBLICI: “VENITE, EXSULTEMUS DOMINO” (XCIV)

SALMO 94: “VENITE, EXSULTEMUS DOMINO

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME DEUXIÈME.

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR – 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 94

Laus cantici ipsi David.

[1]  Venite, exsultemus Domino; jubilemus Deo salutari nostro;

[2] præoccupemus faciem ejus in confessione, et in psalmis jubilemus ei:

[3] quoniam Deus magnus Dominus, et rex magnus super omnes deos;

[4] quia in manu ejus sunt omnes fines terræ, et altitudines montium ipsius sunt;

[5] quoniam ipsius est mare, et ipse fecit illud, et siccam manus ejus formaverunt.

[6] Venite, adoremus, et procidamus, et ploremus ante Dominum qui fecit nos;

[7] quia ipse est Dominus Deus noster, et nos populus pascuae ejus, et oves manus ejus.

[8] Hodie si vocem ejus audieritis, nolite obdurare corda vestra

[9] sicut in irritatione, secundum diem tentationis in deserto, ubi tentaverunt me patres vestri, probaverunt me, et viderunt opera mea.

[10] Quadraginta annis offensus fui generationi illi; et dixi: Semper hi errant corde.

[11] Et isti non cognoverunt vias meas: ut juravi in ira mea: Si introibunt in requiem meam.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO XCIV

Invito ed esortazione a lodar Dio col cuore, colla bocca e colle opere.

Landa: ovver cantico dello stesso David.

1. Venite, esultiamo nel Signore, cantiam le Lodi di Dio Salvator nostro.

2. Corriamo a presentarci davanti a lui coll’orazione, e coi salmi celebriamo le sue lodi.

3. Imperocché il Signore è un Dio grande, e un Re grande sopra tutti gli dèi.

4. Perocché l’ampiezza tutta della terra egli tiene nella sua mano, e a lui gli altissimi monti appartengono.

5. Perocché di lui è il mare, ed egli lo fece, e dalle mani di lui fu fondata l’arida terra.

6. Venite, adoriamolo e prostriamoci, e spargiamo lagrime dinanzi al Signore, di cui siamo fattura.

7. Imperocché egli è il Signore Dio nostro: e noi popolo dei suoi paschi e pecorelle di suo governo.

8. Oggi, se la voce di lui udirete, non vogliate indurare i vostri cuori.

9. Come nel luogo dell’Altercazione al dì della tentazione nel deserto, dove tentaron me i padri vostri, fecer prova di me, e videro le opere mie. con quella generazione, e dissi: Costoro van sempre errando col cuore.

11. Ed eglino non han conosciute le mie vie; ond’io giurai sdegnato: Non entreranno nella mia requie.

Sommario analitico

Questo Salmo, senza titolo in ebraico, è attribuito a Davide dai Settanta, la Vulgata e San Paolo, che lo cita sotto il nome di Davide nella lettera agli Ebrei (IV, 7). Esso fu composto probabilmente dopo il trasporto dell’arca a Sion, e dato ai cantori per il servizio divino.

[Il Salterio liturgico contiene questo salmo secondo l’antico italico; questo spiega le differenze con la traduzione della Vulgata che qui leggiamo. – Questo Salmo sembra essere un dialogo a tre voci, con una quarta a nome del Salmista (vers. 8), ed una quinta a nome di Dio (vers. 9-11)].

Il Re-Profeta:

I. – Invita il popolo giudeo a cantare le lodi di Dio.

1° Egli chiama tutti i cori, tutte le voci, tutti gli strumenti ad unirsi nella lode divina (1, 2);

2° Ne offre i motivi: – a) la grandezza di Dio, elevato sopra tutti gli dei (3); – b) Egli è il sovrano Creatore e Signore della terra, del mare e di tutto l’universo (4, 5); – c) Egli ci ha creato, e noi abbiamo offeso con i nostri peccati il nostro Creatore (6); – d) la provvidenza tutta particolare con la quale Dio ci governa (7).

II. – Ricorda che occorre aggiungere a questo culto di lode, l’obbedienza alla voce di Dio:

1° Introduce Dio stesso parlando al suo popolo ed esortandolo a non chiudere le sue orecchie ed il suo cuore alla voce che fa intendere (8);

2° lo invita ad evitare la disobbedienza e l’ostinazione dei Giudei nel deserto (9);

3° ricorda la pena di questa ostinazione, i rimproveri continui che Dio ha loro fatto, il loro incessante accecamento, la loro esclusione dalla terra promessa (10, 11).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-7.

ff. 1, 2. – Ci sono tre gradi, o se si vuole, tre azioni in questo preambolo del Salmo: cantare le lodi del Signore con gioia, servire il Signore con allegria, comparire alla presenza del Signore, o nel suo santo tempio, con i sentimenti di perfetta soddisfazione. Nessuna noia in questi santi cantici, nessun mormorio in queste servitù; nessuna agitazione in questo traffico con Dio. Colui che vuole accordare l’amore del mondo con i doveri della religione non comprenderà niente degli inviti del Profeta.  Egli dirà – se è in buona fede – che la preghiera lo disgusta, che la fedeltà alla legge di Dio lo intimorisce, che l’assiduità nel santo tempio lo riempie di cattivo umore. Così succede quando il cuore è vuoto di Dio e quando vi regna imperiosamente l’amore del mondo (Berthier). – Si giunge a Dio con l’intelligenza e la volontà, che sono come i due piedi dell’anima. L’intelligenza ci avvicina a Dio mediante la fede. Per avvicinarsi a Dio, bisogna innanzitutto credere che Dio c’è; (Hebr. XI, 6); la volontà ci avvicina a Dio con le affezioni (S. Agost.). – Noi dobbiamo pervenire a Dio come servi al loro signore. « Voi avete riempito le vostre mani per il Signore, avvicinatevi ed offrite le vittime e le lodi della casa del Signore; » (II Paral. XXIX, 31); come i discepoli al loro maestro: « Venite e saliamo al monte del Signore, alla casa del Dio di Giacobbe, ed Egli ci insegnerà le sue vie » (Isai. II, 3); come i malati al loro medico: « Venite, torniamo al Signore, è Lui che ci ha colpito, ma Egli ci guarirà; Egli ci ha battuto, ma chiuderà le nostre ferite, » (Osea VI, 1, 2.); come coloro che hanno sete vengono ad una fonte rinfrescante: « se qualcuno ha sete, venga a me e beva; » (Giov. VII, 37); come ciechi alla luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo; come degli amici che vengono ad intrattenersi con un amico. – Tre tipi di confessione vi sono: la confessione della fede, la confessione dei peccati, la confessione delle lodi. – Noi dobbiamo prevenire l’arrivo di Gesù-Cristo come giudice con questa triplice confessione della fede, dei peccati, delle lodi. «  Confessate Dio durante la vostra vita, confessatelo nella vostra forza e nella vostra gloria, confessate Dio e glorificatelo nelle sue misericordie. » (Eccli. XVII, 27).

ff. 3-7. – Niente è di più importante per pregare bene, che concepire innanzitutto delle grandi idee di Dio. – Egli è superiore ad ogni potenza; questo sarebbe poco per Dio, o piuttosto non sarebbe nulla l’essere al di sopra degli dei della gentilità, che non erano se non idoli privi di vita e sentimento, ma la sua grandezza sorpassa quella di tutti coloro che portano il nome di dei nell’antica Scrittura, gli Angeli, i re, i potenti, i giudici della terra, etc. Seconda ragione, Dio domina sovrano su tutto l’universo. Questo pianeta terra che ci sembra così considerevole e pieno di meraviglie, è come un atomo; se lo si compara alla potenza di Dio, esso è tutto intero nella sua mano. Egli è il padrone delle montagne più elevate, da dove considera tutte le azioni e tutti i pensieri degli uomini; è padrone assoluto del mare, al quale comanda con autorità, e nel quale eccita tempeste quando gli pare, e lo riconduce alla calma quando gli piace. – Tutto gli appartiene ancora a titolo di produzione, di modo che nulla esisterebbe senza di Lui. – C’è poi questa terza ragione: « Dio ci ha fatto », che comprende riassumendo tutta la Religione. Essa è il fondamento della fede, l’appoggio della fiducia, il motivo della riconoscenza, l’aculeo dell’amore … ogni opera  è cara a colui che l’ha fatta; ma quale opera, aggiunge Sant’Agostino, quella che è formata ad immagine e similitudine del proprio Autore? Non c’è alcuno di noi che non abbia disonorato questa divina immagine: compiangiamo le nostre offese e chiediamo grazie ai piedi del suo trono. – Penitenza, per quando è il tempo: inchiniamo la faccia al Giudice; preveniamolo con la confessione dei nostri peccati, preveniamo il suo volto con la confessione della nostra impotenza, per timore che non ce la faccia conoscere con la nostra caduta. « Piangiamo, piangiamo davanti a Colui che ci ha fatti; »  piangiamo prima di cadere in questi pianti irrimediabili ed infiniti; piangiamo con San Pietro, per timore di non piangere eternamente ed inutilmente con Giuda e con tutti i malvagi (Bossuet,  Médit., sur l’Ev.) — Noi non possiamo riparare da noi stessi questa divina somiglianza, è a Dio che compete ristabilire questi tratti troppo spesso e troppo a lungo cancellati, il creare in noi un cuore nuovo, renderci conformi al gran modello che ci ha dato nella Persona di suo Figlio. – Quarto motivo, ancora più toccante: noi apparteniamo in proprio al Signore, noi siamo la porzione cara del suo gregge, noi siamo immediatamente sotto la sua condotta. Gesù-Cristo, divin Pastore delle nostre anime, non solamente ci nutre nei pascoli delle Scritture, ma ci conduce Egli stesso per mano, come pecore ragionevoli, e si degna di nutrirci con la propria carne. (S. Agost.; Berthier; Dug.). – « Noi siamo il popolo dei suoi pascoli e le pecore che le sue mani hanno creato. » Vedete con quale eleganza il Profeta ha cambiato l’ordine delle parole, le ha come stornate dal loro senso naturale, al fine di farci intendere che le pecore ed il popolo sono la medesima cosa. Egli non ha detto: le pecore dei suoi pascoli, ed il popolo che le sue mani hanno formato, cosa che poteva apparire più conveniente, perché le pecore si riportano ai pascoli; ma egli ha detto: « il popolo dei suoi pascoli. » Le sue pecore sono dunque questo popolo, poiché ha detto: « il popolo dei suoi pascoli, », questo popolo formato dalle sue pecore. D’altra parte, così come noi possediamo le pecore che compriamo, ma che non creiamo noi, e come aveva detto più in alto: « … prostriamoci davanti a Colui che ci ha creati, » egli dice qui a ragione: « le sue pecore che le sue mani hanno creato. » Nessun uomo si crea delle pecore: egli può comprarne, riceverne in dono, trovarne, aggiungerle al suo gregge, rubarne addirittura; ma crearne, non può! Al contrario, il Signore ci ha creati, ecco perché : « il popolo dei suoi pascoli e le pecore che le sue mani hanno creato, » sono le pecore che si è degnato creare da sé con la sua grazia (S. Agost.). 

II. — 8-11.

ff. 8-11. – Non è sufficiente lodare il Signore con cantici, con adorazioni, con azioni di grazie, bisogna aggiungere a questo culto esterno, l’obbedienza alla voce di Dio, il compimento delle sue volontà. – La parola “oggi” indica il tempo della vita presente e ciascuno dei momenti che la compongono: « Nel mentre di quel che si dice oggi, se ascoltate la mia voce, non indurite i vostri cuori, come nel luogo della contraddizione. » (Ebr. III, 15). « Se oggi ascoltate la sua voce, badate di non indurire i vostri cuori. » Il demonio, al contrario, non cessa di suggerirci di commettere oggi il peccato e di rinviare all’indomani la pratica della giustizia. Ecco perché il Signore, volendo distruggere l’influenza di questi cattivi consigli, ci dice per bocca del Profeta: « Oggi, se ascoltate la mia voce. » Il demone dice: Oggi mi appartieni, il domani è per Dio. Il Signore, al contrario, grida a voce spiegata: « Ascoltate oggi la mia voce. » Considerate i trucchi artificiosi del vostro nemico: non osa consigliarvi di allontanarvi interamente da Dio, egli sa che questo pensiero ripugna sovranamente ai Cristiani, ma cerca di attaccarvi con le sue trovate artificiose. Egli è scaltro nel fare il male. Egli sa che noi non viviamo realmente che nel tempo presente, e che tutte le nostre azioni si compiono nel breve arco di tempo che noi chiamiamo il presente. Ecco perché ci deruba fraudolentemente il giorno presente e ci lascia la speranza del domani. Giunto il domani, questo cattivo consigliere si presenta di nuovo, prende ancora per lui il giorno attuale, rimandando il domani per il Signore, ed è così che togliendoci costantemente il tempo presente con l’attrazione dei piaceri, e rinviando sempre la nostra speranza ai tempi avvenire, ci conduce all’ultimo giorno senza che, nella nostra imprudenza, siamo stati vigilanti per prepararvici. (S. Basil., Homin. S. Babtisma.) – L’Apostolo san Paolo, dopo aver messo davanti agli occhi degli ebrei convertiti alla fede l’esempio dei loro padri che, per loro ostinazione, si erano resi indegni di entrare nella terra che Dio aveva loro promesso, conclude con questo eccellente avviso: « Temete, dunque, fratelli miei che non ci sia in alcuno di voi un fondo o di incredulità o di malignità che vi allontani dal Dio vivente; ma esortatevi incessantemente l’un l’altro, mentre ancora dura questo tempo che la Scrittura chiama “oggi”, perché dovete essere persuasi che ciò che si chiama l’oggi è per voi il tempo delle misericordie del Signore. Vedete, sottolinea san Crisostomo, la mirabile teologia di san Paolo: egli non esorta gli ebrei a convertirsi, né a seguire i lumi della grazia quando saranno liberi da certi imbarazzi del secolo, né ad allontanarsi dai loro errori in un certo termine che avrebbe potuto loro demarcare … ma egli dice loro: Esortatevi gli uni gli altri, mentre disponete di questo giorno presente, perché questo giorno presente vale meglio per voi di tutti i secoli compresi nella durata infinita di Dio; perché il giorno presente è il solo punto di eternità al quale abbiate diritto; in una parola, perché non c’è che il giorno presente in cui possiate sicuramente ed infallibilmente operare per la vostra salvezza (Bourdiol, Sur le retard de la Pén.) –  Nella legge del sabbat, Dio figura il riposo futuro che si prepara ai suoi servi … È la dottrina di san Paolo che vi fa vedere nell’antico popolo, e dalle origini del mondo, in una eccellente figurazione, la promessa di un riposo felice. L’Apostolo chiama Davide a conferma di questa verità, allorché sottolinea che questo grande Profeta promette ai figli di Dio un nuovo riposo e giura che « … i ribelli non entreranno, »  e nello stesso tempo un giorno di prova in cui apprendiamo ad obbedire alla sua voce, secondo quanto è nello stesso salmo: « Oggi se voi ascoltate la sua voce, non indurite i vostri cuori! » altrimenti per voi non ci sarà riposo. Ecco dunque due giorni misteriosamente segnati dal Signore, uno per obbedire alla sua voce, e l’altro per riposarsi eternamente con Lui! Ed è questo il vero sabbat, « … il vero riposo che è concesso al popolo di Dio. » (BOSSUET, Elév. VIII, S. XII, Elév.) – La causa principale del traviamento degli uomini, è il non conoscere le vie di Dio. Queste vie di Dio sono la sua legge, sia naturale che scritta; le sue ispirazioni ed i tocchi della sua grazia; l’imitazione costante di Gesù-Cristo, che ha detto essere Egli stesso la via; la conoscenza della nostra miseria e la persuasione stessa della nostra debolezza; la fuga dal mondo e l’allontanamento da tutto ciò che il mondo stima, ama, ammira; lo spirito di solitudine e la pratica della preghiera; l’amore per le umiliazioni, le sofferenze, la povertà (Berthier). – Non dubitate del riposo, della felicità, dell’eternità, dell’immortalità, se siete fedeli alla legge di Dio; e non dubitate ancor più della morte eterna, del fuoco eterno, della dannazione in compagnia dei demoni, se trasgredite a questa legge. La promessa di Dio contempla questi due termini (S. Agost.).

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO IX – “OMNEM SOLLICITUDINEM”

Questa Lettera Enciclica, scritta ai Ruteni Greco-Cattolici, ha una grande importanza perché, seppur trattando di questioni specifiche, definisce delle certezze canoniche per la Chiesa Cattolica in ciò che riguarda la santa Liturgia, le cui modifiche sono espressamente condannate: … « Con lo specioso pretesto dunque di purificare i riti e di ricondurli all’antica purezza, queste persone senza scrupoli si propongono di tendere insidie alla fede dei Ruteni di Chelm e di allontanarli dal grembo della Chiesa Cattolica con il chiaro proposito di indirizzarli all’eresia e allo scisma », – « … si tratta infatti di un problema di primaria importanza, cioè della salvezza delle anime, dal momento che le illegittime innovazioni mettono in estremo pericolo la Fede cattolica e la santa unità dei Ruteni. ». Quello che veniva giustamente ricordato ai Ruteni ingannati da un falso illegittimo amministratore senza giurisdizione, vale a maggior ragione oggi, quando la Liturgia Cattolica di sempre, è stata totalmente sconvolta ed adattata alle imbeccate della Massoneria, infiltrata nei sacri palazzi, nei conclavi, nei seminari ed in tutte le istituzioni ecclesiastiche. E tutti sanno pure che tale liturgia “modernista” del c. d. Novus Ordo, è stata imposta da un antipapa privo di vera giurisdizione, un impostore Simon Mago che sedeva al posto di Simon Pietro, il Santo Padre legittimamente e canonicamente eletto, Gregorio XVII. Ora se le minime innovazioni – ci ricorda Pio IX – mettono in estremo pericolo la Fede Cattolica e quindi la salvezza eterna dell’anima, figuriamoci il totale stravolgimento del Sacrificio della Messa, delle formule sacramentali e delle varianti dottrinali che la setta satanica del “novus ordo” spaccia come dottrina della Chiesa Cattolica! Miliardi di anime sono in pericolo certo di dannazione eterna, anche se allegramente partecipano a riti blasfemi e sacrileghi offerti al “signore dell’universo” – il baphomet delle logge – accompagnati da canti aliturgici e cacofonie musicali di ogni risma con uso di strumenti elettronici e tambureggianti manovrati da dissennati dilettanti allo sbaraglio, che dissacrano quella minima apparente sacralità dei riti e dei luoghi. Che dire allora dopo aver letto questa Lettera Enciclica? Possiamo solo pregare per tante anime ignare – seppur in maggior parte colpevolmente – della loro condizione spirituale, offrirci come ostie in sacrificio, almeno nelle azioni ordinarie, e sperando in un rapido intervento del Redentore, affinché ripristini una situazione umanamente compromessa, comportarci come i Ruteni di allora che « … preferirono affrontare ogni male e mettere addirittura a repentaglio la propria vita piuttosto che sacrificare la fede degli avi e abbandonare i Riti Cattolici ricevuti dagli antenati, affermando di volerli conservare integri e senza macchia per sempre. »

Pio IX

Omnem sollicitudinem

Fin dai primi anni del Nostro lungo Pontificato abbiamo impegnato tutta la Nostra attenzione e abbiamo operato per procurare e favorire il bene spirituale delle Chiese Orientali, dichiarando solennemente, fra le altre cose, che le peculiari liturgie di rito cattolico dovevano essere mantenute e conservate con ogni cura e diligenza, in sintonia con i Nostri Predecessori che le circondarono della massima attenzione e considerazione. Esiste al riguardo una ricca documentazione a noi trasmessa da Clemente VIII nella sua Costituzione Magnus Dominus del 1595, da Paolo V nel suo Breve del 10 dicembre 1615, e soprattutto, per tralasciare altri documenti, da Benedetto XIV nelle sue Encicliche Demandata del 1743 e Allatæ sunt del 1755. Esistendo uno stretto rapporto che lega le norme liturgiche alle dottrine dogmatiche, questa Sede Apostolica, maestra infallibile della Fede e accorta custode della Verità, non appena rilevava che “si era insinuato nella Chiesa Orientale qualche rito pericoloso e disdicevole, lo condannava, lo riprovava e ne interdiceva l’uso” . – La summenzionata sollecitudine a mantenere integri gli antichi riti liturgici non impedì di accogliere tra i riti orientali alcuni altri praticati presso altre Chiese e che, come scriveva Gregorio XVI di felice memoria ai Cattolici Armeni, “i vostri antenati preferirono, o perché sembravano più semplici, o perché li avevano accolti già da qualche tempo come segno di distinzione dagli eretici e dagli scismatici” . “Resta dunque ferma“, come tramanda lo stesso Sommo Pontefice, “la norma che ribadisce l’obbligo di non procedere a modifiche dei sacri riti liturgici senza aver preventivamente consultato la Sede Apostolica, sia pure con il pretesto di introdurre cerimonie ritenute più conformi alle liturgie approvate dalla stessa Sede, se non in presenza di serie motivazioni e dopo l’assenso della stessa Sede Apostolica” . – A queste norme, saggiamente disposte per tutte le Chiese di rito orientale, deve pure soggiacere, come fu più volte dichiarato, ma soprattutto nel menzionato Breve di Paolo V, la disciplina liturgica dei Ruteni, che i Romani Pontefici non cessarono mai di circondare con particolare benevolo affetto e con peculiari favori. Non appena si prospettò qualche pericolo a minacciare la loro fede, la Sede Apostolica non tralasciò di far udire immediatamente la propria voce per ovviare a un così grave male. È tuttora viva l’eco delle solenni parole pronunciate dal Nostro Predecessore Gregorio XVI di felice memoria, quando la Nazione dei Ruteni, come è noto a tutti, fu coinvolta in una situazione di così estrema gravità che tre milioni di loro furono strappati dal seno della Chiesa Cattolica, e ancora oggi ne piangiamo. – Neppure mancò l’aiuto della Sede Apostolica alla Nazione dei Ruteni, quando sorsero gravi e interminabili controversie nella Provincia di Leopoli per la difformità dei riti e per i rapporti che intercorrevano fra gli ecclesiastici di rito latino e quelli di rito greco, con negativi riflessi sulla carità cristiana. Intervenne allora un accordo, o convenzione, proposto dai Vescovi di entrambi i riti che, sancito da un decreto della S. Congregazione di Propaganda Fide per gli affari delle Chiese di rito orientale in data 6 ottobre 1863, risolse e pose felicemente fine alla controversia. – Per la verità, la deplorevole situazione in cui si viene a trovare la stessa Provincia ecclesiastica [di Leopoli], e in modo particolare la confinante Diocesi di Chelm, chiama nuovamente in causa, e a buon diritto, il Nostro dovere di sollecita vigilanza. È assai recente la notizia a Noi riportata di un’accesa controversia fra codesti Cattolici di rito Greco-Ruteno temerariamente imbastita su questioni di liturgia. Alcuni individui, e tra questi anche membri del clero, attratti dalle novità e sulla scorta di un loro capriccio, vanno proponendo innovazioni dei riti liturgici, alcuni già in uso da tempo immemorabile e altri solennemente recepiti dal Sinodo di Zamosc, approvato dalla Sede Apostolica. – Ma ciò che maggiormente Ci affligge e riempie di profonda amarezza il Nostro cuore è la gravissima situazione, a Noi recentemente riferita, in cui versa la Diocesi di Chelm. Non appena si allontanò il Vescovo, scelto da Noi stessi pochi anni orsono e ancora spiritualmente legato a quella Diocesi, uno pseudo-amministratore già da Noi ritenuto indegno della dignità episcopale, non esitò ad usurpare la giurisdizione ecclesiastica, a sovvertire ogni cosa nella suddetta Chiesa, a sconvolgere e ad alterare a proprio arbitrio le disposizioni liturgiche sancite dai canoni. – Con animo affranto scorriamo le righe della lettera circolare emanata il 20 ottobre 1873, con cui quel funesto pseudo-amministratore osa innovare l’esercizio del culto divino e la sacra liturgia, con l’evidente proposito di introdurre nella cattolica Diocesi di Chelm la liturgia degli scismatici: al fine di ingannare gli incolti e gl’ingenui per indurli più facilmente allo scisma, non si vergogna di produrre varie Costituzioni della Sede Apostolica storcendone fraudolentemente le disposizioni al proprio scopo. D’altra parte, non può esserci alcuno che non ritenga nullo e irrito quanto disposto sulla liturgia nella succitata lettera, e Noi, forti del Nostro Potere Apostolico, dichiariamo ciò nullo è irrito. Questo pseudo-amministratore risulta assolutamente privo di qualsiasi giurisdizione ecclesiastica: né il Vescovo legittimo al momento della partenza, né in seguito la Sede Apostolica giammai gliela conferirono. È dunque chiaro ed evidente che “non è entrato nell’ovile delle pecore per la porta, ma che vi è penetrato per altra via” (Gv 10,1), e deve essere considerato un intruso. – I Sacri Canoni della Chiesa dispongono che gli antichi riti orientali legittimamente introdotti debbano essere scrupolosamente osservati: “I Romani Pontefici Nostri Predecessori, dopo averli esaminati con ogni cura e non avendoli trovati in contrasto con la Fede cattolica, né occasione di pericolo per le anime, né capaci di sminuire il decoro ecclesiastico, ritennero opportuno approvarli e permetterli” ; sono sempre gli stessi Romani Pontefici a proclamare solennemente che a nessuno è lecito, senza aver consultato questa Sede Apostolica, introdurre nella liturgia innovazioni sia pure di poco peso. È quanto dispongono chiaramente le Costituzioni Apostoliche ricordate all’inizio della presente. – Non ha alcuna importanza il fatto che, per gettare fumo negli occhi, si presentino le innovazioni come strumento per purificare i riti orientali e restituirli all’antica forma. Non può infatti esistere alcuna altra liturgia dei Ruteni diversa da quella istituita dai Santi Padri della Chiesa, definita dai canoni dei Sinodi, invalsa per legittima consuetudine, ma sempre espressamente o tacitamente approvata dalla Sede Apostolica. Se con il trascorrere del tempo subentrarono variazioni nella Liturgia, queste non avvennero senza il consenso dei Romani Pontefici e furono introdotte con il preciso intento di preservare i riti da ogni contaminazione eretica e scismatica, perché potessero ergersi a difesa dei dogmi cattolici e della fede, e diventassero più idonei alla promozione del bene delle anime. – Con lo specioso pretesto dunque di purificare i riti e di ricondurli all’antica purezza, queste persone senza scrupoli si propongono di tendere insidie alla fede dei Ruteni di Chelm e di allontanarli dal grembo della Chiesa Cattolica con il chiaro proposito di indirizzarli all’eresia e allo scisma. – Ma in mezzo a queste amarissime avversità, che Ci assediano da ogni parte, Ci ristora e Ci solleva la visione straordinaria di un comportamento eroico e indefettibile offerto recentemente a Dio, agli Angeli e agli uomini dai Ruteni della Diocesi di Chelm. Essi, respingendo le inique disposizioni dello pseudo-amministratore, preferirono affrontare ogni male e mettere addirittura a repentaglio la propria vita piuttosto che sacrificare la fede degli avi e abbandonare i riti cattolici ricevuti dagli antenati, affermando di volerli conservare integri e senza macchia per sempre. – Per parte nostra non tralasciamo di innalzare a Dio, ricco di misericordia, suppliche incessanti perché effonda benigno la luce della sua grazia nel cuore di coloro che, contro ogni norma divina, violentano la Diocesi di Chelm e, nello stesso tempo, sovvenga con la sua onnipotenza quei miseri fedeli privi di ogni aiuto e di assistenza spirituale, e acceleri la consolazione dell’auspicata tranquillità. – A questo punto rivolgiamo a Voi, Venerabili Fratelli, che vi siete fatti carico con tanta dedizione e con zelo ammirevole della cura spirituale dei Ruteni, una pressante esortazione nel Signore perché difendiate le disposizioni liturgiche approvate dalla Sede Apostolica o introdotte con la sua consapevolezza e senza il suo divieto. E poiché non è assolutamente permesso introdurre innovazioni, vogliate affidare una meticolosa salvaguardia dei Sacri Canoni, in particolare delle decisioni del Sinodo di Zamosc, ai Parroci e ai Sacerdoti, persino ricorrendo a pene severissime se fosse necessario. – Si tratta infatti di un problema di primaria importanza, cioè della salvezza delle anime, dal momento che le illegittime innovazioni mettono in estremo pericolo la Fede cattolica e la santa unità dei Ruteni. Proprio per questo occorre applicarsi con tutto l’impegno, affrontare ogni fatica e non lasciare nulla di intentato per reprimere sul nascere tutto lo stravolgimento messo in opera da uomini malvagi in codesta regione in campo liturgico. Siamo certi, Venerabili Fratelli, che non verrete meno in alcun modo al preciso dovere di accollarvi, con l’aiuto della grazia di Dio, gli impegni menzionati con decisione e accortezza. – Perché ciò possa felicemente avverarsi, impartiamo con affetto a Voi, Venerabili Fratelli, e al popolo affidato a ciascuno di Voi, l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 13 maggio 1874, anno ventottesimo del Nostro Pontificato.

FESTA DELL’ARCICONFRATERNITA DEL SS. ED IMMACOLATO CUORE DI MARIA (2020)

DOMENICA PRECEDENTE LA DOMENICA DI SETTUAGESIMA:

FESTA DELL’ARCICONFRATERNITA DEL SS. ED IMMACOLATO CUORE DI MARIA

[Dufriche Desgenettes – Notizie storiche intorno all’Arciconfraternita del Ss. CUORE DI MARIA , Imola, Baracani St. Vesc. 1843 –

Con dedica a S. E. Cardinal Giovanni Maria Mastai Ferretti, futuro Papa Pio IX)

PRŒMIO

Se ella è opera di uomo cotesta, dicea Gamaliele ai seniori di Gerusalemme, cadrà di per se stessa, ma se la vien da Dio, sussisterà; ed avete a temere non forse opponendovi a quella, vi opponiate a’ disegni di Dio. – Questa appunto si fu la sola risposta che ci permettemmo fare a coloro che sebbene con intenzione retta, biasimaron però sulle prime l’istituzione dell’Arciconfraternita del Sacro Cuor di Maria per la conversione de’ peccatori. Le obbiezioni loro, fondate sulla umana prudenza, non valsero a farci cader di animo, né ad arrestarci ne’ nostri sforzi, da che resistere non sapevamo all’interno nostro sentimento. – Oggimai dell’opera si farà giudizio agli effetti stupendi, sigillo verace delle òpere di Dio manifestato all’uomo; e così gli uomini che altra fiata la guardavano con animo pregiudicato, colpiti dal vasto e rapido suo incremento, sbalorditi pe’ copiosissimi frutt i che ella non cessa di produrre, le fanno essi stessi giustizia, e benedicono il nome di Maria, il cui intervento attrae tante grazie ed opera tanto meravigliose conversioni. – Senza prevalerci di. Un successo che vince della mano tutte nostre speranze, confessiam francamente che se fossimo stati consultati sul partito da prendersi per ricondurre a cristiana vita gli uomini del secol nostro, non avremmo noi pensato mai, parlando secondo uomo, a consigliare l’erezione di una arciconfraternita siccome mezzo efficace per convertire i peccatori. La parola stessa era un obbietto di derisione, qualche anno innanzi. Sarebbonsi tutti senza dubbio burlati della semplicità di un sacerdote che cercando satisfare alla necessità de’ tempi nostri e calmar le grida dei miserabili del nostro secolo, proposto avesse una meschina confraternita, rimembranza del medio evo. I Cristiani anche i più fedeli per poco istruiti del carattere dell’attuale incivilimento, avrebbero disdegnato questo strano e vieto rimedio, né avrebbero mai avvisato che sotto questo nome e con questa forma si potessero ricondurre all’ovile le smarrite pecorelle. – A così grandi bisogni si volean contrapporre più grandi aiuti; ogni uom serio che gemeva sulle nostre calamità e sul traviare de’ più alti intelletti, inculcava la necessità di un intero rinnovellamento di scienza e di una nuova diffusione di luce per guarire le piaghe del secolo, spegner la sete di sapere che crucia gli ingegni, saziare la fame degli umani desideri. Noi pur siamo stati d’avviso, che giammai la face della scienza cristiana non ebbe a fugare più folte e sparse tenebre. Intanto, diciamolo pur chiaramente, non mancò alla Chiesa questo soccorso; e se altri si fa a rimembrare le innumerevoli difficoltà che negli ultimi tempi opprimevano il sacerdozio ed attraversavano gli alti studi del clero, dovrà trasecolare al vedere le penne e gl’ingegni che a’ nostri dì si esercitano, negli scritti religiosi e ne’ pulpiti evangelici. I diversi rami dell’umano sapere non furono per avventura mai coltivati con più zelo e splendore di quel che si faccia presentemente da que’ medesimi che annunziano al mondo la divina parola. – Ma basta egli questo rimedio? La sola scienza può mai sopperire a tutti i bisogni? Ed acciò sia feconda e si coroni de’ divini frutti non debbe ella forse andar di conserva, nel cuor dei Cristiani, coll’amore e la pratica della carità? – La vera scienza, la scienza, che getta luce di fede e converte lo spirito, è dono del cielo, scaturisce dal Padre dei lumi, procede dall’amore; che per servirci delle espressioni del pio Cardinal di Berulle: Dall’amore appunto si fa passaggio alla luce e non è mai che dalla luce si passi all’amore. E così ad ottener scienza e luce si debbe amare, pregare, domandare e cercare con umiltà e confidenza. Tal si è la condizione ad ogni grazia: Cercate in prima il regno di Dio, e la sua giustizia, e ‘l rimanente vi sarà dato quasi per soprappiù. – La divina luce adunque impedita dalle tenebre di orgoglio che s’innalzano attorno a noi, ci è stata offerta; ma d’appressarvisi non è dato che all’umiltà, sol può vederla l’occhio obbediente della fede. Il perché in tutti i tempi l’incredulità della umana sapienza, poiché salse al suo più alto grado di esaltazione, ha dovuto esser confusa dai mezzi che a lei si parvero una follia. – L’arciconfraternita rinnova a’ giorni nostri una di queste sante follie. Col suo titolo ella comanda l’umiltà a coloro ch’ella accoglie; col suo obbietto risveglia la cristiana e fraterna carità; colle sue condizioni esige la preghiera; col suo fruttificare muove a riconoscenza ed amore; e l’amore alla sua volta riconduce gli animi e i cuori alla buona via, alla verità ed alla vita. – Se oggimai ci facciamo a considerare che l’Arciconfraternita nel sesto anno di sua esistenza conta già due milioni incirca di fratelli sparsi in tutte le contrade del mondo; che sonovi aggregate oltre a 1900 parrocchie, sì in Francia, sì presso le straniere nazioni; che ogni dì si accresce il novero, e che da ultimo infra sì gran moltitudine di fedeli riuniti nel sentimento di una stessa preghiera, noi osserviamo un considerevol numero di giovani e di uomini di mondo, d’ogni ordine della società, tutti parteciperanno alle speranze nostre sull’avvenire, ed agevole tornerà il comprendere l’interesse che può venire dal pubblicare periodicamente cotesti Annali.

D’altra parte non pretendiamo noi di fornire la istoria contemporanea di soli documenti; non offriamo alla cristiana pietà solo i fatti di edificazione: un altro disegno abbiamo in cuore, un più serio e dolce pensiero ci stringe e ci predomina. A Maria, Madre del nostro Signor Gesù Cristo dedichiam questi Annali; e glieli presentiamo siccome novello monumento innalzatole dai riconoscenti figli della Chiesa. – Maria sì, Maria e il compassionevole suo Cuore implorato abbiamo, con confidenza invocato; e questo Cuore mosso dai nostri gemiti, si è mostrato al nostro come un emblema dell’amore materno, come un simbolo di grazia, come l’iride che annunzia serenità dopo la procella e che conferma l’alleanza di Dio cogli uomini.

La santa Vergine, dal primo momento della incarnazione del Verbo, è divenuta mediatrice alla nostra riconciliazione, trono di grazie, pegno ed istrumento alle divine misericordie, aureo anello che conferma e stringe l’umanità colla Divinità. Che che ne dica l’eretico, questa immacolata Vergin Maria sarà eternamente il sostegno del popol di Dio, il rifugio dei peccatori, l’onore e la gloria della umanità rigenerata dal Sangue di Gesù Cristo. Ella è pur la Madre dei Cristiani non per figurato vocabolo di lingua, ma secondo la verità della eterna parola; dappoiché ella è Madre veramente: Madre di Dio fatto uomo, Madre di Gesù Cristo, Madre della Chiesa ch’è il corpo di Gesù Cristo; Madre d’ogni e singolo membro di questo mistico corpo, Madre di tutti i veri fedeli. – Questa saldissima verità, il dogma della maternità verginale e della materna verginità, questo dogma appunto fu altamente annunciato, e consacrato dall’alto della croce: Ecce Mater tua! Egli è questa lultima asserzione di un Dio moriente, il testamento di Gesù Cristo, il compimento del Cristianesimo, la pienezza dei doni di Dio. – Or se dalla prima pagina della santa Scrittura, la vittoria fu promessa alla Vergine che stritolerebbe il capo del serpente, ei si conveniva invocare questa Vergine vittoriosa sotto il nome di Nostra Signora delle Vittorie; e dappoiché l’umiltà fu sempre sua divisa e suo vessillo, ben si spiega la scelta da lei fatta di una delle più umili chiese della capitale della Francia per collocarvi il centro dell’Arciconfraternita. – Lasceremo ora che parlino i fatti, i quali ci mostreranno in più eloquente maniera, che il languido nostro parlare, i tesori del Cuor di Maria, l’inesauribile sua indulgenza, la possente sua mediazione a favor delle anime dolenti e traviate, l’efficacia di sua misericordiosa intercessione presso Gesù Cristo, nostro Salvatore, a cui la gloria e l’impero ne’ secoli de’ secoli si appartiene. Amen.

(Se rimanemmo tanto edificati in leggendo sì pii concetti espressi con tutta semplicità dal ch. autore, non ci sorprenderà meno la perspicuità e la forza di Logica ch’egli adopera in un primo articolo che tien dietro al proemio, ov’ei prende a dimostrar con invitti argomenti divini e umani, come 1’opera dell’Arciconfraternita sia opera della divina Misericordia. A farne intesi i lettori estrarremo la miglio parte di esso, volgendolo in volgar nostro, lasciando di sovente parlar lui stesso e non aggiungendo che qualche frase a legare i sentimentitolti qua e là all’uopo di farne un ristretto giusta lo scopo della presente appendice alle notizie storiche.)

https://www.exsurgatdeus.org/2016/10/28/larciconfraternita-del-cuore-immacolato-di-maria/

https://www.exsurgatdeus.org/2019/02/09/istruzioni-intorno-allarciconfraternita-del-ss-ed-immacolato-cuore-di-maria/

FESTA DELLA CANDELORA (2020)

MESSA DELLA PURIFICAZIONE

Doppio di 2° classe. – Paramenti bianchi.

La festa delia Purificazione chiude il Ciclo santoriale del Tempo dopo l’Epifania. È una delle più antiche solennità della Vergine, ed occupava a Roma, nel VII secolo, il secondo posto dopo l’Assunta. Questa festa si celebra il 2 febbraio, poiché, volendo sottomettersi alla legge mosaica, Maria doveva andare a Gerusalemme, 40 giorni dopo la nascita di Gesù (25 dicembre – 2 febbraio) per offrirvi il sacrificio prescritto. Le madri dovevano offrire un agnello, o, se i loro mezzi non lo permettevano, « due tortorelle odue piccioni ». La Santa Vergine portò con sé a Gerusalemme il Bambino Gesù; e la processione della Candelora, ricorda il viaggio di Maria e di Giuseppe da Betlemme al Tempio, alfine di presentarvi « l’Angelo dell’alleanza » (Ep., Intr.), come aveva predetto Malachia. Le Messe dell’Annunciazione, dell’Assunta, della Natività di Maria, dell’Esaltazione della Santa Croce e della Candelora erano accompagnate una volta dalla processione. Questa ultima sola resta. La Purificazione, alla quale la Madre del Salvatore non era obbligata, perché Ella partorì in modo straordinario, passa in secondo piano nella liturgia ed è la Presentazione di Gesù che forma l’oggetto principale di questa festa. Rileggiamo la 1° orazione della benedizione delle candele, per comprendere il simbolo della lampada del santuario e dei ceri benedetti in questo giorno, e per ben conoscere l’uso che bisogna farne al letto del morenti, nelle tempeste e nei pericoli che può incorrere il «nostro corpo e la nostra anima sulla terra e sulle acque ». Se la Purificazione cade in una domenica privilegiata, la festa si celebra il giorno dopo; tuttavia la benedizione delle candele si fa prima della Messa della Domenica.

BENEDIZIONE DELLE CANDELE

Il celebrante, terminata l’ora di Terza, rivestito di stola e piviale violaceo, con i Ministri, procede alla benedizione delle Candele, poste dal lato dell’Epistola, e stando in piedi dice:

V.: Dóminus vobiscum

R.: Et cum spiritu tuo.

Oratio. – Domine sancte, Pater omnipotens, ætérne Deus, qui omnia ex nihilo creasti, et jussu tuo per opera apum, hunc liquórem ad perfectiónem cèrei venire fecisti: et qui hodierna die petitiónem justi Simeónis implésti: te humiliter deprecàmur: ut has candélas ad usus hóminum et sanitàtem córporarm, et animàrum, sive in terra, sive in aquis, per invocatiónem tui sanctissimi nóminis, et per intercessiónem beàtæ Mariæ semper Virginis, cujus hodie festa devòte celebrantur, et per preces omnium sanctórum tuórum, benedicere, et sanctificàre dignéris: et hujus plebis tuæ, quæ illas honorifice in manibus desiderat portare, teque cantando laudare, exaudias voces de cœlo sancto tuo, et de sede majestatis tuæ: et propitius sis òmnibus clamàntibus ad te, quos redemisti pretioso sanguine Filli tui, Qui tecum vivit ….

[Orazione. – O  Signor santo, Padre onnipotente, eterno Dio, te che tutto creasti dal nulla e mediante l’opera delle api, per comando tuo, facesti si che d’una molle sostanza si potessero formare dei ceri; te che oggi compisti i voti del giusto Simeone, noi ti supplichiamo di benedire e santificare queste candele, destinate ad uso degli uomini, a salute dei corpi e delle anime, sia in terra che sulle acque, mediante l’invocazione del tuo santissimo nome, l’intercessione della beata Maria sempre Vergine, di cui oggi si celebra devotamente la festa, e le preghiere di tutti i tuoi Santi. Di questo popolo tuo, che brama portare queste candele in mano in tuo onore e lodarti coi suoi canti, esaudisci le preghiere dai cielo e sii propizio a tutti quelli che t’invocano e che hai redento col sangue prezioso del Figlio tuo: Il quale teco vive e regna…

– Cosi sia.]

OratioOmnipotens sempitèrne Deus, qui hodiérna die Unigénitum ulnis sancti Simeónis in tempio sancto tuo suscipiéndum presentasti: tuam sùpplices deprecàmur cleméntiam; ut has candélas, quas nos fàmuli tui, in tui nóminis magnificéntiam suscipiéntes, gestàre cùpimus luce accénsas, benedicere, et sanctificàre, atque lùmine supérnæ benedictiónis accèndere dignéris: quàtenus  eas tibi Domino Deo nostro offerendo, digni et sancto igne dulcissimse caritàtis tuæ succénsi, in tempio sancto gióriæ tuæ repræsentàri mereàmur.Per eùmdem Dóminum nostrum.

Amen.

[Orazione. – Onnipotente ed eterno Dio, che oggi presentasti il tuo Unigenito nel tempio santo tuo per essere ricevuto tra le braccia del santo Simeone, noi preghiamo supplichevoli la tua clemenza affinché queste candele, che noi tuoi servii ricevendole al gloria del tuo santo nome bramiamo portare accese, benedica e santifichi. Degnati di accenderle con il fuoco della benedizione celeste, di modo che, con l’offrirle a te, Signore e Dio nostro, degni e accesi dal santo fuoco  della dolcissima carità, meritiamo di essere presentati nel tempio della tua gloria! – Per il medesimo Signor nostro. –

Cosi sia.]

Oratio. – Dòmine, Jesu Christe, lux vera, quæ illùminas omnem hominem veniéntem in hunc mundum: effùnde benedictiónem tuam super céreos, et sanctifica eos lùmine gràtiæ tuæ, et concede propitius; ut, sicut hæc luminària igne visibili accénsa noctùrnas depéllunt ténebras; ita corda nostra invisibili igne, id est, Sancti Spiritus splendóre illustrata, omnium vitiórum cæcitàte càreant: ut, purgato mentis óculo, ea cernere possimus, quæ tibi sunt plàcita, et nostræ saluti utilia; quàtenus post discrimina, ad lucem indeficéntem pervenire mereàur. Per te, Christe Jesu, Salvator mundi, qui in Trinitate perfécta vivis et regnas Deus, per omnia sæcula sæculórum.

Amen.

[O Signore Gesù Cristo, luce vera, che illumini ogni uomo che viene in questo mondo, benedici questi ceri e santificali con il lume della tua grazia. Concedi propizio che, come questi lumi accesi da un fuoco visibile fugano le tenebre, cosi i nostri cuori, rischiarati da un fuoco invisibile, cioè dalla luce dello Spirito Santo, siano liberi della cecità di ogni vizio, onde, purificato l’occhio della nostra mente, possiamo discernere quelle cose che sono gradite ed utili alla nostra salvezza, di modo che dopo le caliginose vicende di questo secolo, meritiamo di pervenire alla luce indefettibile. – Per te, Gesù Cristo, Salvatore del mondo, che nella Trinità perfetta vivi e regni Dio nei secoli dei secoli. –

Cosi sia.]

Oratio. – Omnipotens sempiterne  Deus, qui per Moysen fàmulum tuum purissimum ólei liquórem ad luminaria ante conspectum tuum jùgiter concinnànda præparàri jussisti: benedictiónis tuæ gratiam super hos céreos benignus infùnde: quàtenus sic administrent lumen exterius, ut, te donante, lumen Spiritus tui nostris non desit méntibus intérius.

Per Dóminum… in unitàte ejùsdem Spiritus Sancti.

Amen.

[Orazione. – Onnipotente eterno Dio, che per mezzo di Mosè tuo servo, comandasti

di preparare un purissimo olio per alimentare continuamente lumi davanti alla tua maestà, infondi benigno la grazia della tua benedizione sopra questi ceri, affinché, mentre procurano la luce esterna, per tuo dono non manchi alle nostre menti la luce interiore del tuo Spirito. Per il Signor nostro… in unione dello stesso Spirito Santo. – Cosi sia.]

Oratio. – Dòmine Jesu Christe, qui hodiérna die in nostræ carnis substàntia inter hómines appàrens, a paréntibus in templo es præsentàtus: quem Simeon veneràbilis senex, lumine Spiritus tui irradiàtus, agnóvit, suscépit, et benedixit: præsta propitius; ut ejùsdem Spiritus Sancti gràtia illuminati atque edócti, te veràcitar agnoscàmus, et fidéliter diligàmus: Qui cum Deo Patre in unitàte ejùsdem Spititus Sancti vivis et regnas Deus, per omnia sæculasæculórum.

Amen

[Orazione. – O Signore Gesù Cristo, che oggi, mostrandoti fra gli uomini nella sostanza della nostra carne, fosti presentato al tempio dai parenti e dal vecchio venerabile Simeone, illuminato dalla luce del tuo Spirito, fosti riconosciuto, preso (fra le sue braccia) e benedetto, concedi propizio che, illuminati ed ammaestrati dalla grazia dello Spirito Santo conosciamo veramente e amiamo fedelmente Te, che con Dio Padre in unità dello stesso Spirito Santo vivi e regni Dio, per tutti i secoli. –

Così sia.]

Il Celebrante pone l’incenso nel turibolo, asperge d’acqua benedetta le candele, dicendo l’Antifona: Asperges me senza il Salmo e dopo le incensa. Allora si avvicina all’Altare il più degno del Clero e porge la candela al Celebrante, il quale la riceve stando in piedi e senza baciargli la mano. Poscia il Celebrante distribuisce le candele cominciando dal più degno del Clero, poi ai Ministri sacri, agli altri del Clero e da ultimo ai laici. Tutti ricevono la candela genuflessi e baciano la candela e la mano del Celebrante, eccetto i Prelati.

Lumen ad revelatiónem géntium: et glóriam plebis tuæ Israel. (Cant. – ibid., 29, 31)

Nunc dimittis servum tuum, Domine, secùndum verbum tuum in pace.

Ant. – Lumen…

Quia vidérunt óculi mei salutare tuum.

Ant. – Lumen

Quod parasti ante fàciem omnium populórum.

Ant. – Lumen…

Glòria Patri et Filio et Spiritui Sancto.

Ant. – Lumen

Sicut erat in principio, et nunc, et semper, et in sæcula sæculórum. Amen.

Ant. – Lumen

Ant. – Ps. XLIII, 26. Exsurge, Dòmine, àdjuva nos: et libera nos propter nomen tuum.  

Ps. -Ibid., 2. Deus, àuribus nostris audivimus: patres nostri annuntiavéruntnobis. f. Glòria Patri.

Exsùrge …

[Sorgi, o Signore, aiutaci e liberaci per il tuo nome. Aiutaci e liberaci per iltuonome. Sai. – O Dio, abbiamosentito con le nostre orecchie i nostri padri ci raccontaronoi prodigi da te operati a nostro favore. – f. Gloria al Padre. Sorgi…]

Oratio. – Exàudi, quæsumus, Dòmine, plebem tuam: et, quæ extrinsecus annua tribuis devotióne venerari, intérius àssequi gràtiæ tuæ; luce concède. Per Christum Dóminum nostrum. R. Amen.

[Orazione. – Esaudisci, ti preghiamo, o Signore, il tuo popolo: e ciò che gli concedi di venerare esteriormente con annua devozione, concedi pure di conseguire interiormente con la luce della tua grazia. Per Cristo nostro Signore.

Cosi sia.

Quindi si fa la Processione: prima, però, il Celebrante pone l’incenso nel turibolo, poi il diacono rivolto al popolo dice:

V. Procedamus in pace.

R. In nomine Christi. Amen.

Precede il turiferario, segue il Suddiacono, che porta la croce fra ceroferari, poi il Clero ed ultimo il Celebrante col Diacono alla sinistra; tutti portano le candele accese e si cantano le seguenti Antifone:

Ant. – Adórna thàlamum tuum, Sion, et sùscipe Regem Christum: amplectere Mariam, quæ est cœlestis porta: ipsa enim portat  Regem gloriæ novi luminis: subsistit Virgo, adducens manibus Filium ante luciferum génitum: quem accipiens Simeon in ulnas suas, prædicàvit pópulis, Dóminum eum esse vitæ et mortis, et Salvatórem mundi.

[Ant. – Adorna il tuo talamo o Sion, e ricevi il Cristo Re: accogli con amore Maria, porta del cielo: Ella infatti reca il Re della gloria, la luce nuova. La Vergine si arresta, presentando sulle braccia il Figlio, generato prima dell’aurora. Simeone ricevendolo fra le sue braccia, annunzia ai popoli esser Egli il Signore della vita e della morte, il Salvatore del mondo.

Alia Ant. – Luc. II, 26-29 Respónsum accépit Simeon a Spiritu Sancto, non visùrum se mortem, nisi vidéret Christum Domini: et cum indùcerent puerum in templum, accepit eum in ulnas suas, et benedixit Deuin, et dixit: Nunc dimittis servum tuum, Dòmine, in pace.

t . Cum indùcerent pùerum Jesum paréntes ejus, utfàcerent secùndum consuetùdinem legis prò eo, ipse accépit eum in ulnas suas.

[Altra Ant. – Lo Spirito Santo aveva rivelato a Simeone che non sarebbe morto, prima di vedere l’Unto del Signore: e quando il bambino fu portato al tempio lo prese fra le sue braccia, benedisse Dio e disse: Ora lascia, o Signore, che se ne vada in pace il tuo servo.

V. Quando i genitori recarono il bambino Gesù, per compiere a suo riguardo le prescrizioni della legge, Simeone lo accolse fra le sue braccia.]

Nel rientrare in chiesa si canta.

Obtulerunt pro eo Dòmino par tùrturum, aut duos pullos columbàrum: * Sicut scriptum est in lege Dòmini.

f. Postquam impléti sunt dies purgatiónis Mariæ, secùndum legem Móysi, tulérunt Jesum in Jerùsalem, ut sisterent eum Domino. * Sicut scriptum est in lege Dòmini, f. Glòria Patri… * Sicut scriptum est in lege Dòmini.

[Offrirono per lui al Signor un paio di tortore o duepiccoli colombi: come è scritto nella legge del Signore.

f. Compiuti i giorni della purificazione di Maria, Gesù secondo la legge di Mosè, fu portato a Gerusalemme, per esser presentato al Signore: come è scritto nella legge Signore. – f. Gloria al Padre …

Come è scritto nella legge del Signore]

Terminata la Processione, Celebrante e Ministri depongono i paramenti violacei ed assumono i paramenti bianchi per la Messa

https://www.exsurgatdeus.org/2020/02/01/domenica-iv-dopo-lepifania-2020/.

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XLVII: 10-11.
Suscépimus, Deus, misericórdiam tuam in médio templi tui: secúndum nomen tuum, Deus, ita et laus tua in fines terræ: justítia plena est déxtera tua.
[Abbiamo conseguito, o Dio, la tua misericordia nel tuo tempio: secondo il tuo nome, o Dio, la tua lode andrà fino ai confini della terra: le tue opere sono piene di giustizia.]

Ps XLVII: 2.
Magnus Dóminus, et laudábilis nimis: in civitáte Dei nostri, in monte sancto ejus.
[Grande è il Signore e sommamente lodevole: nella sua città e nel suo santo monte.]

Suscépimus, Deus, misericórdiam tuam in médio templi tui: secúndum nomen tuum, Deus, ita et laus tua in fines terræ: justítia plena est déxtera tua.

 [Abbiamo conseguito, o Dio, la tua misericordia nel tuo tempio: secondo il tuo nome, o Dio, la tua lode andrà fino ai confini della terra: le tue opere sono piene di giustizia.]

Oratio

Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, majestátem tuam súpplices exorámus: ut, sicut unigénitus Fílius tuus hodiérna die cum nostræ carnis substántia in templo est præsentátus; ita nos fácias purificátis tibi méntibus præsentári. [Onnipotente e sempiterno Iddio, supplichiamo la tua maestà onde, a quel modo che il tuo Figlio Unigenito fu oggi presentato al tempio nella sostanza della nostra carne, cosí possiamo noi esserti presentati con ànimo puro.]

Lectio

Léctio Malachíæ Prophétæ.
Malach III:1-4.
Hæc dicit Dóminus Deus: Ecce, ego mitto Angelum meum, et præparábit viam ante fáciem meam. Et statim véniet ad templum suum Dominátor, quem vos quæritis, et Angelus testaménti, quem vos vultis. Ecce, venit, dicit Dóminus exercítuum: et quis póterit cogitáre diem advéntus ejus, et quis stabit ad vidéndum eum? Ipse enim quasi ignis conflans et quasi herba fullónum: et sedébit conflans et emúndans argéntum, et purgábit fílios Levi et colábit eos quasi aurum et quasi argéntum: et erunt Dómino offeréntes sacrifícia in justítia. Et placébit Dómino sacrifícium Juda et Jerúsalem, sicut dies sǽculi et sicut anni antíqui: dicit Dóminus omnípotens.

[Questo dice il Signore Iddio: Ecco, io mando il mio Angelo, ed egli preparerà la strada davanti a me. E subito verrà al suo tempio il Dominatore che voi cercate, e l’Angelo del testamento che voi desiderate. Ecco, viene: dice il Signore degli eserciti: e chi potrà pensare al giorno della sua venuta, e chi potrà sostenerne la vista? Perché egli sarà come il fuoco del fonditore, come la lisciva del gualchieraio: si porrà a fondere e purgare l’argento, purificherà i figli di Levi e li affinerà come l’oro e l’argento, ed essi offriranno al Signore sacrifici di giustizia. E piacerà al Signore il sacrificio di Giuda e di Gerusalemme, come nei secoli passati e gli anni antichi: così dice Iddio onnipotente.]

Graduale

Ps XLVII:10-11;9.
Suscépimus, Deus, misericórdiam tuam in médio templi tui: secúndum nomen tuum, Deus, ita et laus tua in fines terræ.

 [Abbiamo conseguito, o Dio, la tua misericordia nel tuo tempio: secondo il tuo nome, o Dio, la tua lode andrà fino ai confini della terra.

V. Sicut audívimus, ita et vídimus in civitáte Dei nostri, in monte sancto ejus.
V. Ciò che sentimmo, ora lo abbiamo visto: nella città del nostro Dio, nel suo monte santo.

Allelúja,

V. Senex Púerum portábat: Puer autem senem regébat. Allelúja.

[ Alleluia, alleluia.

V. Il vecchio portava il Bambino: ma il Bambino reggeva il vecchio. Allelúia.]T

Evangelium
Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Lucam.
R. Glória tibi, Dómine.

Luc II: 22-32.
In illo témpore: Postquam impleti sunt dies purgatiónis Maríæ, secúndum legem Moysi, tulérunt Jesum in Jerúsalem, ut sísterent eum Dómino, sicut scriptum est in lege Dómini: Quia omne masculínum adapériens vulvam sanctum Dómino vocábitur.
Et ut darent hóstiam, secúndum quod dictum est in lege Dómini, par túrturum aut duos pullos columbárum. Et ecce, homo erat in Jerúsalem, cui nomen Símeon, et homo iste justus et timorátus, exspéctans consolatiónem Israël, et Spíritus Sanctus erat in eo. Et respónsum accéperat a Spíritu Sancto, non visúrum se mortem, nisi prius vidéret Christum Dómini. Et venit in spíritu in templum. Et cum indúcerent púerum Jesum parentes ejus, ut fácerent secúndum consuetúdinem legis pro eo: et ipse accépit eum in ulnas suas, et benedíxit Deum, et dixit: Nunc dimíttis servum tuum, Dómine, secúndum verbum tuum in pace: Quia vidérunt óculi mei salutáre tuum: Quod parásti ante fáciem ómnium populórum: Lumen ad revelatiónem géntium et glóriam plebis tuæ Israël.

[In quel tempo: Compiutisi i giorni della purificazione di Maria, secondo la legge di Mosè, portarono Gesù a Gerusalemme per presentarlo al Signore, come è scritto nella legge di Dio: Ogni maschio primogenito sarà consacrato al Signore; e per fare l’offerta, come è scritto nella legge di Dio: un paio di tortore o due piccoli colombi. Vi era allora in Gerusalemme un uomo chiamato Simone, e quest’uomo giusto e timorato aspettava la consolazione di Israele, e lo Spirito Santo era in lui. E lo Spirito Santo gli aveva rivelato che non sarebbe morto prima di vedere l’Unto del Signore. Condotto dallo Spirito andò al tempio. E quando i parenti vi recarono il bambino Gesù per adempiere per lui alla consuetudine della legge: questi lo prese in braccio e benedisse Dio, dicendo: Adesso lascia, o Signore, che il tuo servo se ne vada in pace, secondo la tua parola: Perché gli occhi miei hanno veduta la salvezza che hai preparato per tutti i popoli: Luce per illuminare le nazioni e gloria del popolo tuo Israele.]

OMELIA

[G. PERARDI: LA VERGINE MADRE DI DIO – Libr. del Sacro Cuore, Torino, 1908]

XIII.

Presentazione di Gesù al Tempio e Purificazione di Maria

ESORDIO: Il fatto evangelico. Semplicità e misteri. — I . PURIFICAZIONE: Maria non v’è tenuta. Mistero di umiltà. Siamo umili. — II. OFFERTA DI GESÙ: 1. La legge dell’offerta. 2. Come Maria l’adempì. Significato. Il sacrifizio di fsacco. — 3. Ragione della legge. Raggiunge lo scopo coll’offerta di Gesù. — 4. Gesù si offre volontariamente.— 5. Maria è l’altare e il sacerdote. — III. SIMEONE: 1. Chi era. —2. Il cantico 3. Gloria a Gesù e Maria. — IV. CONCLUSIONE: Imitiamo Maria nell’umiltà.

Dopo Betlemme dobbiamo recarci in spirito a Gerusalemme, ove, quaranta giorni dopo la sua nascita, troviamo il Bambino Gesù e la Madre sua. Per l’intelligenza del fatto bisogna ricordare due leggi mosaiche: la prima riguardante la madre, la seconda riguardante il neonato, se primogenito. La madre doveva presentarsi per la cerimonia della purificazione legale; il neonato, se primogenito, doveva venire offerto al tempio, poi riscattato mediante un’offerta. Altrimenti quel fanciullo avrebbe dovuto prestarsi al servizio divino per tutta la vita. – Maria e Giuseppe si portano al tempio per presentare Gesù al Signore e per fare l’offerta. Allora « era in Gerusalemme un uomo, di nome Simeone, persona giusta e pia, che aspettava la consolazione d’Israele; e lo Spirito Santo era in lui: e gli era stato rivelato dallo Spirito Santo che non vedrebbe la morte, prima di vedere il Cristo del Signore. Così per lo spirito andò al tempio. E quando i genitori v’introdussero il bambino Gesù per far di lui secondo il rito della legge, egli pure se lo prese tra le braccia e benedisse Dio, esclamando: Adesso, Signore, rimanda in pace il tuo servo, secondo la tua parola; che gli occhi miei han visto la tua salute, la quale hai disposta al cospetto di tutti i popoli: luce a rivelazione per le nazioni e gloria d’Israele, tuo popolo. E il padre e la madre di Gesù restavano meravigliati delle cose che sì dicevano di lui. E Simeone li benedisse, dicendo però a Maria, sua Madre: Ecco, Egli è posto per rovina e per risurrezione di molti in Israele e per segno di contraddizione; e anche a te una spada trapasserà l’anima affinché restino svelati i pensieri di molti cuori. C’era inoltre una profetessa, Anna, figliuola di Fanuel, della tribù d’Aser; molto avanzata in età, vissuta col suo marito sette anni dalla sua verginità. Rimasta vedova fino agli ottantaquattro anni, non usciva dal tempio, servendo Dio notte e giorno con preghiere e digiuni. Questa dunque sopraggiunse in quell’ora stessa, e dava gloria al Signore, parlando di Lui a quanti aspettavano la redenzione d’Israele » (S. Luca, II, 25-28). Quale semplicità di narrazione è mai questa! Ma quali sublimi misteri offre alla nostra mente. « Misteri venerabili, dice il Bourdaloue, nei quali scopriamo ciò che la nostra Religione ha non solo di più sublime e divino, ma di più edificante e commovente: un Uomo-Dio offerto a Dio, il Santo dei santi consacrato al Signore, il sommo Sacerdote della nuova alleanza in istato di vittima, il Redentore del mondo riscattato; una vergine purificata; e una madre che sacrifica il proprio figliuolo; quali prodigi nell’ordine della grazia » (Sermone II della Purificazione.). No, non vi ha cosa in apparenza più semplice e più sublime in realtà del racconto che il Vangelo ci fa di questi misteri. Consideriamoli brevemente. Ci assista Maria perché possiamo ricavarne frutto di grazia per l’anima nostra.

I. — Il primo fatto su cui dobbiamo raccogliere la nostra considerazione è la Purificazione di Maria. Pronunziando la parola purificazione e applicandola a Maria il nostro cuore prova un senso di ripugnanza, perché sente che la legge della purificazione non era fatta per Maria, la creatura tutta bella, santa, pura, perché sente che le due parole purificazione e Maria contrastano, essendo Maria la Vergine per eccellenza, la Vergine Madre. Ed a Maria perciò si applica con più ragione la parola già indirizzata ad Ester: La legge non è fatta per te. No, la legge della purificazione fatta per le donne ebree, non era per Maria. E perché Maria vi si assoggetta ? Ha Ella forse dimenticato il saluto celeste: Benedetta tu fra le donne? Ha dimenticato d’aver Ella stessa proclamato che tutte le generazioni la chiameranno beata perché in Lei grandi cose aveva operato colui che è potente, Iddio? Non poteva Ella ripetere in questo momento che era beata, che era benedetta, e che era benedetto il frutto del suo seno; che veniva non a cercare la purificazione, ma a recarla al mondo, che veniva non a domandare il riscatto, ma a recarlo? Gl’interessi del suo Figliuolo non parevano forse prescriverle questo, mentre il suo silenzio e la sua condotta parevano derogare alla divinità di Lui e, facendolo passare per figliuolo ordinario, smentivano i tanti prodigi e i tanti oracoli che lo avevano già proclamato Figliuolo di Dio? Così certamente avrebbe pensato ed operato qualunque altra donna: non così pensa Maria. Maria è una creatura al tutto singolare. La sua grandezza è incomprensibile, ha dell’infinito; ma non meno grande è la sua umiltà. Questa virtù che spicca in tutti gli atti della vita di Maria, che abbiamo particolarmente ammirato nel mistero dell’Annunciazione, qui ci si rivela in un nuovo abisso incomprensibile, solo paragonabile alla incomprensibile grandezza di Lei. Ella accordandosi mirabilmente coi disegni di umiliazione e di sacrifizio di suo Figlio, si spoglia di tutte le grandezze, vela le sue glorie per soggettare Sé e Lui alle prescrizioni più umilianti. Scrutate quest’umiltà: Non sono trascorsi ancora undici mesi che Maria riceveva la visita dell’Angelo venuto dal cielo a richiederla del suo consenso alla divina Maternità: Maria tiene in sì alto pregio l’illibatezza verginale che è disposta a sacrificarle pur l’incomparabile grandezza della Maternità divina; e allora soltanto presta il suo consenso. Quando è assicurata che la sua verginità non patirà alcun detrimento, che quello che avverrà sarà dello Spirito Santo, che la potenza dell’Altissimo l’avrebbe adombrata. Ora nella purificazione Maria dimostra un amore, direi, ancor più grande dell’umiltà. Se per amore della verginità era disposta a rinunziare all’onore di Madre di Dio; ora per amore dell’umiltà si spoglia di tutte le grandezze, vela tutte le glorie, sacrifica lo stesso onore esterno della sua verginità. È la Vergine Madre di Dio: si umilia a segno da non comparire né Madre di Dio, né vergine, si umilia a comparire bisognosa di purificazione come un’altra donna qualsiasi. Quant’è ammirabile l’umiltà di Maria! Impariamo da questo fatto il dovere nostro di mortificare la superbia e praticare fedelmente l’umiltà se vogliamo essere veri devoti di Maria, imitandone quelle virtù ch’Essa ha particolarmente amato e praticato. Maria si assoggetta alla cerimonia della purificazione, offre le due piccole colombe pel sacrifizio, le due vittime che, se avessero potuto comprenderlo, si sarebbero stimate felici di essere offerte. Andate, piccoli animali, innocenti vittime, andate a morire per Gesù sinché Egli possa morire per noi.

II . — Il secondo fatto che dobbiamo considerare è la presentazione di Gesù al Tempio, cioè l’offerta di Gesù all’Eterno Padre.

1° Maria, purificata, si avanza nel tempio. « Quale indescrivibile commozione dovette provare Maria, rivedendo quel luogo confidente dei pensieri e dei fervori della sua fanciullezza? Lì Ella aveva passati lunghi giorni nella preghiera, aveva votato la sua verginità al Signore, e aveva accettato la mano di Giuseppe, ornata di gigli, per proteggere i suoi. Quante cose celesti erano passate da un anno appena; e adesso vi ritorna a presentare il Figliuol suo, l’Emanuele » (Lemann, La Vergine Maria, etc.). L’offerta del primogenito che gli Ebrei dovevano fare a Dio, si collegava con la loro liberazione dalla schiavitù d’Egitto e coll’uccisione di tutti i primogeniti degli Egiziani. L’indomani di questo prodigio Dio, per mezzo di Mosè promulgava la legge : Consacratemi tutti i primogeniti tra i figli d’Israele, poiché ogni cosa mi appartiene (Es. XIII, 2). Or Gesù, Figlio di Dio, appartiene veramente a Dio, anche come uomo. Sia dunque offerto a Lui. – Quando Iddio dispose che alla tribù di Levi fossero affidate le cure del culto riformò la legge dell’offerta dei primogeniti disponendo che, dopo d’averli offerti, i genitori li potessero riscattare mediante cinque sicli d’argento (circa 15 lire). Giuseppe e Maria offrono Gesù al Padre e lo riscattano coi cinque sicli d’argento. Oh Maria, riscattatelo pure il vostro Gesù! non lo avrete per lungo tempo; lo vedrete rivenduto per trenta denari.

2° Maria, coll’offrire Gesù non ha compiuto soltanto una cerimonia. Essa conosceva la grandezza dell’offerta: era l’offerta vera e reale di Gesù all’eterno Padre pel sacrifizio che il divin Figliuolo avrebbe offerto un giorno, della sua vita, sul Calvario. Quale sacrifizio pel cuor di Maria, pel cuor della Madre! – Un giorno Abramo ed Isacco ascendevano il monte Moria per offrire a Dio un sacrifizio. Isacco, che portava la legna per l’altare, domanda al padre: Dov’è la vittima dell’olocausto? E Abramo, col cuore lacerato da immenso dolore, non ebbe animo di rivelare ad Isacco ch’egli stesso era la vittima designata e si contentò di rispondere: Iddio stesso ci provvedere la vittima per l’olocausto (Gen. XXII). Noi ammiriamo l’eroica ubbidienza di Abramo, la sua perfetta sottomissione al cenno divino. Ma osserviamo pure che Dio domandò il sacrificio di Isacco non alla madre Sara, ma al padre. Una madre meditando questo fatto ebbe a dire che Dio non avrebbe chiesto un simile sacrificio ad una madre. Quello di cui Sara non sarebbe stata capace, compì Maria coll’offerta di Gesù al Tempio. Il sacrificio di Gesù non doveva consumarsi che più tardi sul Calvario: Nel tempio però Maria dà il suo consenso e offrendolo, in certo modo, dispone la vittima sull’altare. Maria aveva certamente coscienza di questo grande mistero nel momento in cui Ella lo compiva: «Se di fatto gli Ebrei illuminati intendevano in un senso spirituale quello che celebravano corporalmente, con ben maggior ragione Maria, la quale aveva il Salvatore tra le braccia e lo offriva con le sue mani all’eterno Padre, doveva eseguire quella cerimonia in ispirito ed unire la sua intenzione a ciò che era rappresentato dalla figura, vale a dire all’oblazione santa del Salvatore per tutto il genere umano. Pertanto nella guisa medesima che nel giorno dell’Annunciazione aveva prestato il suo consenso all’Incarnazione del Messia, che era argomento dell’annunzio angelico: così ratificò, per così esprimerci, in questo giorno il trattato della sua passione, poiché questo giorno n’era figura e come primo apparecchio » (Bossuet, Sermone III sulla festa della Purificazione). Perciò in questo giorno riscatta il Redentore; ma lo riscatta in figura per darlo poi in realtà; lo riscatta temporaneamente e quasi sotto condizione per allevarlo in vista del sacrificio, per essergli in esso compagna e dividerlo con Lui.

3° L’offerta di Gesù va considerata ancora sotto un altro aspetto per intendere tutto il disegno divino. E l’ha fatto con un’insuperabile maestà di vedute un grande oratore francese (Bourdaloue, Serm. II sulla Purificazione di Maria) che scrisse: « Dio voleva che in ogni famiglia il primogenito gli fosse offerto perché gli rispondesse di tutti gli altri e fosse come un ostaggio della dipendenza di quelli de’ quali era il capo. Ma ciascuno di questi primogeniti non era capo che della sua casa e la legge di cui si parla non obbligando che i figliuoli d’Israele, a Dio non ne poteva venire che un onore limitato, circoscritto. Che fa Iddio? Nella pienezza dei tempi elegge un uomo capo di tutti gli uomini, la cui oblazione gli è come un tributo universale per tutte le nazioni e per tutti i popoli: un uomo che ci rappresenta tutti e che sostenendo a nostro riguardo l’ufficio di primogenito risponde a Dio di lui e di noi, a meno che abbiamo l’audacia di sconfessarlo o che siamo così ciechi da separarcene: un uomo, infine, in cui tutti gli esseri riuniti rendano a Dio l’omaggio della loro sottomissione e che, mediante la sua obbedienza, rimetta sotto l’impero di Dio tutto ciò che il peccato ne aveva sottratto: ed anche su questo è fondato il diritto di primogenitura che Gesù Cristo deve avere al di sopra di tutte le creature: Primogenitus omnis creaturæ(Col. I, 15). « Dico di più: Tutte le creature, prese anche insieme, non avendo alcuna proporzione coll’Essere divino, e, come parla Isaia, non essendo tutte le nazioni, che una goccia d’acqua innanzi a Dio, un atomo, un nulla, perciò qualunque sforzo facessero per attestare a Dio la loro dipendenza, Dio non poteva essere pienamente onorato, e nel culto che riceveva restava sempre un vuoto infinito che tutti i sacrifici del mondo non avrebbero potuto riempire. Occorreva un soggetto grande come Dio, e che col più stupendo prodigio possedendo da una parte l’infinità dell’essere, e dall’altra parte mettendosi in istato di venire immolato potesse dire a tutto rigore di parola, che Egli offriva a Dio un sacrificio eccellente quanto Dio stesso, e che nella sua persona sottometteva a Dio non vili creature, non poveri schiavi, ma il Creatore e il Signore istesso ». E questo appunto fa oggi il Figliuolo di Dio coll’offerta sua all’eterno Padre, nel tempio di Gerusalemme.

4° Poiché occorre ricordare che Gesù al Tempio non solo viene offerto, ma Egli stesso volontariamente si offre. Gesù si era fatto bambino, del bambino aveva rivestito la debolezza ma non l’inconsapevolezza. Gesù era bambino e Dio: le umiliazioni a cui si sottometteva, gli atti che compiva non erano umiliazioni od atti di cui fosse inconscio; erano umiliazioni ed atti volontari. Gesù volontariamente si era sottomesso, otto giorni dopo la nascita, alla circoncisione; volontariamente aveva sofferto i primi dolori, sparse le prime lagrime, versate le prime stille di sangue; volontariamente si offrì nel Tempio, costituendosi fin da quell’istante vero e proprio mediatore nostro presso l’eterno Padre. Gesù aprendo gli occhi alla vita, già sapeva la sua missione, sapeva a qual sacrificio si sottoponeva. A nostro modo di esprimerci questo sacrificio ha nuovamente accettato col lasciarsi offrire, anzi col voler essere offerto da Maria all’Eterno Padre. E quindi in quell’ora ha, a dir così, accettato ufficialmente di essere, innanzi al Padre, nostro Redentore; ha accettato di essere a noi Maestro con la parola e con l’esempio, ha accettato la morte, la croce, i flagelli. Perciò dobbiamo oggi un pensiero ed un affetto specialissimo a Gesù. Figuratevi il figlio d’un Re che redime uno schiavo a prezzo di un grande sacrificio. Lo schiavo redento ricorderà un giorno tutti gli atti della sua liberazione; la determinazione, i preparativi, l’opera del suo liberatore. Ricorderà quell’istante in cui il Principe Reale, fatti gli apparecchi, rinnova l’accettazione della sua missione ricordando e quasi passando in rassegna le disposizioni prese e date, e confermando il suo proposito. E appunto nella sua presentazione al tempio, nel porsi tra Dio Padre e noi, Gesù ha confermato la determinazione presa da tutta l’eternità, i preparativi già fatti pel nostro riscatto, l’accettazione di quel genere di morte, ch’era secondo il beneplacito di Dio, accompagnata da tutti quei dolori che erano o necessari o convenienti al nostro maggior bene. Quindi riguardo a Gesù noi ricordiamo oggi l’atto suo di porsi tra Dio Padre e noi, quasi dicesse: Questi infelici prendo io sotto la mia tutela; sono peccatori: soddisferò io quello che non possono essi. In quest’offerta di sé, Gesù fu mosso da un doppio sentimento: amor del Padre per soddisfare all’eterna di Lui giustizia; amore di noi per salvarci. Vedete quindi come un affetto specialissimo meriti da noi oggi Gesù: sia un affetto di fervido amore e di sincera riconoscenza.

5° Un pensiero ancora all’offerta di Gesù la quale viene fatta per mano di Maria. Gloria incomparabile per Maria, e fondamento certo della nostra fiducia nella mediazione di Lei. Riflettete: Nell’Incarnazione il Figliuolo di Dio, mercé la cooperazione e la sostanza di Lei ha avuto un corpo come il nostro. Nella redenzione sarà immolato in unione a Maria che starà presso la croce. Nella presentazione vuole essere portato da Lei al Tempio, e da Lei medesima offerto. Le braccia ed il cuore di Maria sono come l’altare del sacrificio; Maria il Sacerdote; Gesù il Sacerdote e la vittima. « In quest’attitudine sublime le braccia della Madre di Dio offrivano; il suo cuore ardeva, e Gesù era nelle sue braccia e in mezzo al suo fuoco: non è questo l’altare del sacrificio? Come l’altare è inseparabile dalla vittima, la porta, la sostiene e sembra dirle: Sono una cosa sola con te, così la carità di Maria era pronta ad accompagnare ovunque la carità del Figliuolo di Dio pel mondo » (LÉMANN, op. cit.). Quanto ci si rivela grande la cooperazione di Maria alla nostra redenzione, e come basterebbe questo fatto a meritarle il titolo di corredentrice. – « Così questo mistero ci unisce alla santa Vergine in modo particolare. Essa vi rappresenta la Chiesa, offrendo Gesù Cristo a Dio in nome di tutta la società cristiana; ma tutta la società cristiana deve altresì congiungersi a Lei ed unirsi al suo sacrificio, come a quello del principale dei suoi membri operante in nome di tutto il corpo, e ciascuno deve procurare di entrare nelle sue disposizioni e pregarla di ottenerne qualche partecipazione » ( NICOLE, Saggi di morale, tomo XIII, pag. 318).

III. — Il terzo fatto dell’odierno mistero è costituito dalla parte che vi prende il vecchio Simeone.

1° Il Vangelo ci dice che questo vecchio era giusto e timorato di Dio e aspettava la consolazione d’Israele. Era giusto: la quale parola non esprime solo una virtù; ma le virtù nel loro complesso. Era timorato di Dio, di quel santo e figliale timore che è il principio dell’amore. Era giusto e timorato ed aspettava la consolazione d’Israele. Certamente non era solo ad aspettare; tutta la nazione, anzi tutto il mondo aspettava il Salvatore. I patriarchi, i profeti, i giusti l’avevano aspettato. L’avevano aspettato la terra, il cielo, il limbo. Di questa universale aspettazione il vecchio Simeone era come la personificazione veneranda; lo spirito dei giusti dell’antica legge era passato nel santo vecchio. Da questo giudicate le elette disposizioni dell’anima di lui. E ne riceve il premio: lo Spirito Santo dimorava in lui con singolare compiacenza, e gli aveva apertamente rivelato « che non vedrebbe la morte prima di vedere il Cristo del Signore ».

2° Il santo vecchio vive in quest’ansiosa aspettazione. Un giorno, mosso da presentimento divino, si reca al tempio quando appunto vi entrava la Sacra famiglia. Riconosce nel fanciullo il Salvatore del mondo, lo riconosce a nome di Gerusalemme che, atterrita da Erode non aveva ardito aggiungere alcun rappresentante al corteo dei Magi, lo riconosce, e con un movimento ardente e rapido come l’amore lo prende tra le sue braccia e stringendolo al cuore, erompe nel cantico: Adesso, o Signore, rimanda in pace il tuo servo… che gli occhi miei hanno visto la tua salute. E allora una chiara visione dell’avvenire si manifesta a Simeone: l’universalità del regno di quel bambino: Al cospetto di tutti i popoli, porterà la luce della fede non ai soli Giudei, ma altresì alle nazioni pagane: Luce e rivelazione per le nazioni; ma questa luce viene dal popolo d’Israele eletto, come a prepararla, e perciò il bambino è gloria d’Israele.

3° Questa profetica manifestazione della grandezza di Gesù ci rivela la costante economia di Dio a riguardo di Gesù e di Maria, la quale usa pure riguardo a tutti i Cristiani. Maria e Gesù nel mistero della Purificazione e della Presentazione cercano l’oscurità e l’umiliazione, e trovano lo splendore e la gloria. Come Vergine, Maria sacrifica la sua riputazione di verginità; come Madre, sacrifica il suo Figliuolo. E tosto per disposizione provvidenziale questo figlio, raccolto nelle braccia del vecchio Simeone, è proclamato Salvatore del mondo e Maria ristabilita nella gloria della sua maternità divina che aveva voluto nascondere sotto il velo della più umiliante condizione. – Ammiriamo le vie della Provvidenza; affidiamoci ad essa, sicuri che le vie da Essa disposte a nostro riguardo saranno le più salutari per noi.

IV. — Riserbandoci di considerar altra volta il seguito della profezia di Simeone raccogliamo il frutto dell’odierna considerazione, e raccogliamolo in una ferma risoluzione di praticar con singolare predilezione l’umiltà, col sacrificio volenteroso del nostro amor proprio. Se vi ha virtù di cui nel mondo si parla con disprezzo, perché ignorata, è appunto la umiltà! Oh, che non si dice contro tale virtù? Comprendete bene, o devoti Cristiani, che la vera umiltà è fondata sulla verità. Per l’umiltà dobbiamo sottometterci a Dio riconoscendo il suo pieno e perfetto dominio su noi. Non siamo nostri, siamo di Dio, a Dio apparteniamo noi e le cose nostre. Per l’umiltà dobbiamo riconoscere che se abbiamo qualche cosa di bene, essa non è nostra, ma di Dio da cui l’abbiamo avuta. Tutto quello che’ abbiamo, l’abbiamo avuto da Dio, e perciò dobbiamo usarne secondo la volontà di Dio, ricordando che perciò appunto a Dio un giorno dovremo renderne rigorosissimo conto. Per l’umiltà dobbiamo riconoscere il bisogno costante che abbiamo della divina grazia, perché se per un istante solo ci abbandona, che sarà di noi? Questo il pensiero che ci obbliga a non anteporci ad alcuno, neppure al più grande peccatore, perché tra breve possono essere cambiate completamente le cose: noi possiamo cadere e pervertirci, mentre il peccatore può rialzarsi e convertirsi. Per l’umiltà dobbiamo seriamente riflettere: Se Iddio avesse ad altri concesse le grazie che accordò a noi, qual maggior frutto avrebbero saputo ritrarne! E poi: quanti si trovano all’inferno, ed hanno peccato meno di noi! E perciò se avviene che il prossimo ci manchi di riguardo o di attenzione, se anche ci avviene di essere offesi, ricordiamo che innanzi a Dio abbiamo meritato ben peggio. Sappiamo elevarci a Dio, e rimirare in quello che quaggiù avviene, una permissione di Dio: e nelle persone, lo strumento di cui Iddio si serve. – Cerchiamo pertanto di conoscere seriamente il nostro nulla, la debolezza che portiamo con noi onde diffidare di noi e delle nostre forze. Imitiamo Maria: cerchiamo di essere buoni, virtuosi, pii innanzi a Dio, e non curiamoci del giudizio del mondo, non cerchiamone la stima, od il plauso. Nascondiamo volentieri agli occhi del mondo quel poco di bene, che con la grazia di Dio abbiamo potuto fare; da Dio solo attendiamone la ricompensa e sia nostra regola la sentenza di Gesù che vedemmo avverata nell’odierno mistero: Chi si innalza, sarà umiliato ; e chi si umilia, sarà esaltato(S. Luca, XIV, 11). Evitiamo ogni innalzamento di superbia pernon essere eternamente umiliati; umiliamoci quaggiù peressere eternamente esaltati nella gloria del cielo.

Credo

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Offertorium

Orémus
Ps XLIV: 3.
Diffúsa est grátia in lábiis tuis: proptérea benedíxit te Deus in ætérnum, et in sǽculum sǽculi.

[La grazia è diffusa sulle tue labbra: perciò Iddio ti benedisse in eterno e nei secoli dei secoli]

Secreta

Exáudi, Dómine, preces nostras: et, ut digna sint múnera, quæ óculis tuæ majestátis offérimus, subsídium nobis tuæ pietátis impénde.
[Esaudisci, o Signore, le nostre preghiere: e, affinché siano degni i doni che offriamo alla tua maestà, accordaci l’aiuto della tua misericordia.]

Comunione spirituale

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Communio

Luc II:26.
Respónsum accépit Símeon a Spíritu Sancto, non visúrum se mortem, nisi vidéret Christum Dómini.

[Lo Spirito Santo aveva rivelato a Simone che non sarebbe morto prima di vedere l’Unto del Signore]

Postcommunio

Orémus.
Quǽsumus, Dómine, Deus noster: ut sacrosáncta mystéria, quæ pro reparatiónis nostræ munímine contulísti, intercedénte beáta María semper Vírgine, et præsens nobis remédium esse fácias et futúrum.

[Ti preghiamo, o Signore Dio nostro: affinché questi sacrosanti misteri, che ci procurasti a presidio della nostra redenzione, intercedente la beata sempre Vergine Maria, ci siano rimedio per la vita presente e futura].

Preghiere leonine

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Ringraziamento

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Ordinario della Messa

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DOMENICA IV DOPO L’EPIFANIA (2020)

DOMENICA IV DOPO L’EPIFANIA (2020)

Semidoppio. – Paramenti verdi.

Il Vangelo è tratto dallo stesso capo del Santo Vangelo della terza Domenica dopo l’Epifania. È il racconto di un nuovo miracolo. Gesù manifesta la sua divinità comandando ad elementi potenti ed indocili come le acque sconvolte ed i venti scatenati. E « l’Evangelista fa risaltare l’importanza del prodigio, opponendo alla grande agitazione delle onde », « la grande calma che ne segue » (Vang.). Ma è nella Chiesa che si esercita la regalità divina di Gesù; così i Padri hanno visto nei venti che soffiano in tempesta un simbolo dei demoni di cui l’orgoglio suscita le persecuzioni contro i Santi, e nel mare tumultuoso le passioni e la malvagità degli uomini; cause delle trasgressioni ai comandamenti e delle lotte fraterne. Nella Chiesa, al contrario, regna la gran legge della carità perché, se i tre primi precetti del Decalogo ci impongono l’amore di Dio, altri sette ci impongono, come conseguenza logica, l’amore del prossimo (Ep.) Dio infatti è nel prossimo perché, mediante la grazia siamo in certo modo il complemento del corpo di Cristo. È questo il mistero dell’Epifania. Gesù si rivela Figlio di Dio e tutti quelli che riconoscendolo tale, lo riconoscono loro Capo, divengono membri del suo corpo mistico. Formando tutti un solo corpo nel Cristo, i Cristiani devono anche amarsi reciprocamente. Questa barca, dice S. Agostino, rappresenta la Chiesa la quale manifesta nei secoli la divinità di Cristo. È infatti alla protezione del Salvatore che Essa deve « malgrado la sua fragilità » (Or. Sec), se non è inghiottita in mezzo a tanti pericoli che la minacciano (Or.). Gesù, dice S. Giov. Crisostomo, sembra che dorma per costringerci a ricorrere a Lui, e salva sempre quelli che lo invocano.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XCVI:7-8 Adoráte Deum, omnes Angeli ejus: audívit, et lætáta est Sion: et exsultavérunt fíliæ Judae. [Adorate Dio, voi tutti Angeli suoi: Sion ha udito e se ne è rallegrata: ed hanno esultato le figlie di Giuda.]

Ps XCVI: 1 Dóminus regnávit, exsúltet terra: læténtur ínsulæ multæ.[Il Signore regna, esulti la terra: si rallegrino le molte genti.]

Orémus.

Deus, qui nos, in tantis perículis constitútos, pro humána scis fragilitáte non posse subsístere: da nobis salútem mentis et córporis; ut ea, quæ pro peccátis nostris pátimur, te adjuvánte vincámus.

[O Dio, che sai come noi, per l’umana fragilità, non possiamo sussistere fra tanti pericoli, concédici la salute dell’ànima e del corpo, affinché, col tuo aiuto, superiamo quanto ci tocca patire per i nostri peccati.]

LECTIO

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános.

Rom XIII: 8-10

Fratres: Némini quidquam debeátis, nisi ut ínvicem diligátis: qui enim díligit próximum, legem implévit. Nam: Non adulterábis, Non occídes, Non furáberis, Non falsum testimónium dices, Non concupísces: et si quod est áliud mandátum, in hoc verbo instaurátur: Díliges próximum tuum sicut teípsum. Diléctio próximi malum non operátur. Plenitúdo ergo legis est diléctio.

Omelia I.

[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia, 1921]

L’AMOR DEL PROSSIMO.

“Fratelli: Non vi resti con nessuno altro debito che quello dell’amore scambievole; poiché chi ama il prossimo ha adempiuto la legge. Infatti: «Non commettere adulterio; non ammazzare; non rubare; non dire falsa testimonianza; non desiderare; e qualsiasi altro comandamento si riassume in questa parola: «Amerai il prossimo come te stesso». L’amore del prossimo non fa male alcuno. L’amore è, dunque, il compimento della legge»”. (Rom. XIII, 8-10).

L’Epistola di quest’oggi è tolta dal cap. 13 della lettera ai Romani. L’Apostolo, inculcata antecedentemente la soggezione alle autorità costituite, e mostrati i motivi di questa soggezione, viene a parlare del dovere di rendere a ciascuno il fatto suo. Gli uni devono essere sciolti da qualsiasi debito verso gli altri. Un solo debito deve rimanere ai Cristiani: quello della carità fraterna. Invero, questo è un debito:

1. Al quale, nessun Cristiano può sottrarsi,

2. Che deve animare tutte le sue relazioni col prossimo,

3. Senza escludere nessuno.

1.

Fratelli: non vi resti con nessuno altro debito che quello dell’amore scambievole. Dopo gli obblighi versole autorità costituite, vengono gli obblighi verso gli individui. Come abbiamo dei debiti verso la società, così neabbiamo verso i singoli membri che la compongono. Se si considerano i debiti soltanto dal lato materiale, tanti potranno dire: Io non ho debiti con nessuno. Felice chi può dire così; perché di questi debiti non si dovrebbe averne. E se, caso mai, ce ne fosse qualcuno, la giustizia obbliga a pagarlo subito, se è possibile; o a mettersi in grado di poterlo pagare il più presto che si può.L’Apostolo, però, non considera solamente questi debiti, che nessuno dovrebbe avere. Considera anche un debito d’una natura tutta particolare: il debito della carità. Nessuno a questo debito può sottrarsi. L’uomo deve amar Dio. Nessuno, per altro, è così insensato da dire che ami Dio colui che non vuol amare ciò che Dio ama. E che Dio ami il mio prossimo è cosa più chiara della luce. Per tutti gli uomini, nessuno escluso, fu spinto dal suo amore a versar il sangue sulla croce. Sarebbe, dunque, un assurdo affermare che io ami Dio, quando escludo dal mio amore, coloro che Dio amò fino a morir per essi. «Infatti — dice S. Giovanni— chi non ama il suo fratello che vede, come può amar Dio, che egli non vede?». (I Giov. IV, 20).«L’uomo deve amare ciò che è caro a Dio». (S. Cipriano. De bono patientiæ, 3). E il prossimo è tanto caro a Dio, che il Discepolo prediletto ci assicura che chi ama il proprio fratello è quasi certo di vivere nella grazia del Signore. «Noi sappiamo che siam passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli». (I Giov. III, 14). E tanto più dobbiamo amare i propri fratelli, quanto più sono meschini, diseredati, sofferenti. Questi erano i prediletti da Gesù Cristo. E i santi, considerando in essi le membra sofferenti di Gesù Cristo, li facevano oggetto particolare del loro amore. Il Beato Andrea Umberto Fournier, rimproverato una volta dalla sorella, perché aveva dato parte dei suoi abiti a un poverello, risponde:« Che vuoi, ho incontrato Nostro Signore Gesù Cristo, potevo rifiutargli qualche cosa? ». Un’altra volta, preso un bicchiere, che aveva servito a un povero, dice: « Ch’io beva dopo Nostro Signore Gesù Cristo! » (Il Beato Andrea Umberto Fournier, Milano, 1926, p, 361). – Il soldato si conosce dalla divisa, e le varie armi tra i soldati si conoscono dai distintivi particolari di ciacun’arma. Qual è il distintivo del buon cristiano? È l’amore disinteressato verso i propri fratelli. Ciò afferma il Redentore stesso : « Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avrete amore l’uno per l’altro » (Jov. XIII, 35). Può capitare che uno, con tutta la sua buona volontà, non sia in potere di concorrere a un’opera di beneficenza; che sia nell’impossibilità di concedere un favore, che gli si chiede; e sia costretto a dire: «Mi dispiace, ma non posso accontentarvi». Chi è il Cristiano che osi dire: «Non posso amare il mio fratello?». Chi ha questi sentimenti, si pone da se stesso fuori del numero dei buoni Cristiani, e dimostra di non voler seguire Gesù Cristo.

2.

Non commettere adulterio: non ammazzare; non rubare; non dire falsa testimonianza: non desiderare, e qualsiasi altro comandamento si riassume in questa parola: «Amerai il prossimo come te stesso».

Chi ama il prossimo non desidera che al proprio fratello accada ciò che non vorrebbe accadesse a se stesso. Così, nessuno desidera che a proprio danno si commettano quelle mancanze che qui enumera S. Paolo, e altre simili. Naturalmente, non deve desiderare che si commettano neppure a danno del proprio fratello. Comincia a non commetterne da parte sua, e, per quanto sta da lui, s’adopera per impedire che si commettano dagli altri. E qui, quanto è vasto il campo! Se tutte le nostre azioni fossero informate dalla carità, non recheremmo mai offesa a persona qualsiasi. Chi ama il proprio fratello non lo critica, senza un giusto motivo; non lo giudica precipitosamente, non fa strazio della sua fama.Le visite, i convegni, le passeggiate porgono facile occasione di parlare del prossimo con grande leggerezza. Se si tratta di azioni apertamente cattive, non c’è pericolo che, pur condannando il male, il cattivo esempio, lo scandalo,si abbia a trovare qualche attenuante per il peccatore. Se si tratta di azioni a cui si possono dare diverse interpretazioni, siano pronti a dare, senz’altro, l’interpretazione peggiore. Se si tratta di azioni manifestamente buone, andiamo a cercare i secondi fini. Se si tratta di falli ancora nascosti, non ci par vero di essere i primi a farli palesi. Ben diversamente si comportano quelli che, nelle loro relazioni col prossimo, sono guidati dalla carità. Essi procurano di coprire i difetti del prossimo, non di rivelarli; di attenuarli, non di ingrandirli; di interpretarli in bene fin dove è possibile. Essi si guardano bene di scavar il solco della discordia tra fratelli, come fanno, per esempio, quelli che riportano le parole degli altri. Chi è animato dalla carità non inasprisce le sofferenze altrui con modi scortesi, con parole che umiliano. Cerca, anzi, di addolcirle con farsele proprie. « È un atto di vero amore far proprie le sofferenze di chi soffre».(S. Pietro Cris. Serm. 14). C’è poi una virtù che è veramente la prova dell’amore che anima le nostre relazioni col prossimo: la pazienza! Questa parola che noi ripetiamo volentieri agli altri e a noi stessi in tante circostanze, corrisponde ai fatti? Se sopportiamo i difetti del nostro prossimo; se sopportiamo con dolcezza le provocazioni, tante volte involontarie, che da esso ci possono venire, allora abbiamo la pazienza, e dimostriamo di amare il prossimo.

3.

L’amore del prossimo non fa male alcuno.

Chi ha l’amore del prossimo non fa dei torti al suo fratello, chiunque esso sia; anzi, è disposto a riceverne, invece di farne; e, quando li riceve, perdona. L’amor del prossimo è un amore che esclude ogni egoismo. Noi diciamo che non c’è vera amicizia, quando si cerca di sfruttare l’amico, pronti ad abbandonarlo quando non ci torna più utile, o ci potrebbe recar delle noie o chiedere dei sacrifici. Lo stesso dobbiamo dire dell’amor del prossimo, se ha per scopo il tornaconto. Si dà uno, ma con la speranza di potere un giorno, direttamente o indirettamente, ricavarne dieci. Si dà un aiuto, ma con l’animo di ipotecare chi lo riceve. Questa è una carità che fa piuttosto torto al prossimo. Far del bene a quelli che ne fanno a noi; amare chi ci ama è buona cosa, ma è troppo poco per un Cristiano, che, oltre la ricompensa degli uomini, attende quella di Dio. « Quando — dice il divin Maestro — fai qualche convito, chiama i poveri, gli zoppi, i ciechi, e sarai fortunato, perché non hanno da rendertene il contraccambio; ma il contraccambio ti sarà reso nella risurrezione dei giusti». (Luc. XIV, 13-14). Nessuna esclusione, dunque, di coloro che non possono esserci utili, o retribuirci. – Capita, quando si chiede qualche sussidio o qualche favore per una persona, di sentirsi rispondere: «Per quella persona ho già fatto abbastanza: adesso basta! ». Noi non dobbiamo mai dire basta, quando si tratta di usare, in un modo o in un altro, la nostra carità verso il prossimo. La carità è un debito diverso dai debiti materiali. Quando tu hai versato la somma che il creditore ti richiede puoi dire: “Adesso basta! Tra me e te i conti son saldati”. Ma il debito della carità è sempre aperto fin che c’è vita. E fino a che uno vive non puoi escluderlo dai tuoi creditori. Nota poi che, attingendo al tesoro materiale, questo tanto più diminuisce, quanto più ne dai al creditore. Attingendo, invece, al tesoro della carità questo tanto più s’accresce, quanto più sono gli atti di carità che noi usiamo verso gli altri, quanto più numerose sono le persone che ricevono dalla nostra carità. L’osservazione è di S. Agostino. La carità «con il darla non si perde, anzi, quanto più uno ne è prodigo, tanto più in lui s’accresce» (Ep. 192 ad Coles.). Ma si tratta di un nemico, d’una persona, che mi ha fatto del male; come posso amarla? Puoi amarla con l’aiuto di Dio. Se Dio comanda una cosa, dà anche la forza di compierla, e il comando di Dio è troppo chiaro per pretendere di sottrarsene. «Avete udito che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: Amate i vostri nemici; fate del bene a coloro che vi odiano, e pregate per coloro che vi perseguitano e calunniano». ( Matth. V, 43-44). Nessuno nega che è un bel sacrificio amare i nostri nemici; che è difficile amarli se li consideriamo come tali; ma in pratica la difficoltà diminuisce se li consideriamo come creature di Dio, figli come noi di uno stesso Padre. «Pensa — dice il Crisostomo — che tu fai bene non al nemico, ma a te. Non ami lui, ma obbedisci a Dio». (In Ep. ad Ephes. Hom. 7, 4). Si dice: L’amore è cieco, ma vede da lontano. Il nostro amore sia cieco sui torti del prossimo. Di là dei torti veda la volontà di Dio. “Non vogliate avere altro debito, che quello d’amarvi l’un l’altro; perché chi ama il prossimo, ha adempiuta la legge. Di fatto, il non fare adulterio, non uccidere, non rubare, non dir falsa testimonianza, non desiderare il male e se vi è alcuna altro precetto, tutto è compreso in questa parola: Amerai il prossimo come te stesso. L’amore del prossimo non opera alcun male: il compimento dunque della legge è l’amore „ (Rom. XIII, 8-10).

Graduale

Ps CI: 16-17

Timébunt gentes nomen tuum, Dómine, et omnes reges terræ glóriam tuam. [Le genti temeranno il tuo nome, o Signore: tutti i re della terra la tua gloria.]

ALLELUJA

V. Quóniam ædificávit Dóminus Sion, et vidébitur in majestáte sua. Allelúja, allelúja. [Poiché il Signore ha edificato Sion: e si è mostrato nella sua potenza. Allelúia, allelúia] Alleluja

Ps XCVI: 1 Dóminus regnávit, exsúltet terra: læténtur ínsulæ multæ. Allelúja. [Il Signore regna, esulti la terra: si rallegrino le molte genti. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthæum.

Matth. VIII: 23-27

“In illo témpore: Ascendénte Jesu in navículam, secúti sunt eum discípuli ejus: et ecce, motus magnus factus est in mari, ita ut navícula operirétur flúctibus, ipse vero dormiébat. Et accessérunt ad eum discípuli ejus, et suscitavérunt eum, dicéntes: Dómine, salva nos, perímus. Et dicit eis Jesus: Quid tímidi estis, módicæ fídei? Tunc surgens, imperávit ventis et mari, et facta est tranquíllitas magna. Porro hómines miráti sunt, dicéntes: Qualis est hic, quia venti et mare obædiunt ei?”

OMELIA II

[A. Carmignola, Spiegazione dei Vangeli domenicali, S. E. I. Ed. Torino,  1921]

SPIEGAZIONE IX.

 “In quel tempo essendo Gesù montato nella barca, lo seguirono i suoi discepoli. Quand’ecco una gran tempesta si sollevò nel mare, talmente che la barca era coperta dall’onde; ed egli dormiva. E accostatisi a lui i suoi discepoli, lo svegliarono, dicendogli: Signore, salvaci: ci perdiamo. E Gesù disse loro: Perché temete, o uomini di poca fede? Allora rizzatosi, comandò ai venti e al mare; e si fe’ gran bonaccia. Onde la gente ne restò ammirata, e dicevano: Chi è costui, a cui ubbidiscono i venti e il mare”?

Nel Santo Vangelo si parla ripetutamente di un lago, il quale perciò è diventato assai celebre. Questo lago, che trovasi nella Palestina, è attraversato dal fiume Giordano, ed ha la forma ovale. Ed ora vien chiamato lago di Tiberiade dal nome della grande città romana, che sorgeva sopra le sue rive, ora il lago di Genezaret per ragione della vasta pianura di Genezar, di cui rende mite l’aria e fertilizza il suolo, ora semplicemente il mare, perciocché esso ha alle rive coperte di ghiaia il leggero movimento d’un piccolo mare. Incassato da ogni parte, eccetto che a mezzodì, da alte montagne, allorquando spunta il sole sembra un’immensa coppa azzurra incastonata nell’argento. Intorno ad esso sorgevano una diecina circa di città, e tra le più nominate Cafarnao, Betsaida, Tiberiade, Magnala; poi una gran moltitudine di castelli, di ville, di giardini. Era un luogo incantevole. Ed è attorno a questo lago, anzi sopra di questo lago medesimo, che Gesù Cristo compì la più parte dei grandi fatti della sua vita pubblica. Ed è pure in questo lago, che Gesù operò il grande miracolo, che ci racconta il Vangelo d’oggi, della tempesta sedata.

1. Ci dice adunque il Vangelo di questa Domenica, che essendo Gesù montato nella barca, lo seguirono i suoi discepoli. Ora, prima di andarti innanzi, conviene subito di sapere che cosa significa questa barca, sopra la quale montò Gesù Cristo. Ascoltate. Il nostro divin Salvatore disceso dal cielo in terra per salvarci, volle stabilire un mezzo, onde fosse assicurato il deposito della fede, fondando quaggiù un regno spirituale. Questo regno è la sua Chiesa, ovvero la congregazione de’ fedeli Cristiani di tutto il mondo, che professano la dottrina di Gesù Cristo sotto la condotta dei legittimi pastori, e specialmente del Romano Pontefice. Questa Chiesa qual madre amorosa doveva in ogni tempo e in ogni luogo ricevere coloro, che avessero voluto ricoverarsi nel suo materno seno, ed essere perciò in ogni tempo visibile ed accessibile a tutti. Quindi nel Vangelo questa Chiesa ora è paragonata ad una colonna, con tra cui nulla valgono gli assalti dei nemici delle anime, ora è paragonata ad una pietra, sopra cui poggia un grande edificio, che deve durare sino alla fine dei secoli, ed ora, come qui, è paragonata ad una barca, la quale farà sempre il suo cammino senza mai affondare, per quanto infurino contro di essa i venti e le tempeste delle persecuzioni. E sopra di questa barca in modo ora invisibile vi è Gesù Cristo, che l’assiste, ed in modo visibile a governarla vi è il Vicario di Gesù Cristo, il Romano Pontefice, successore di S. Pietro. E ciò è pure chiaramente indicato dal Vangelo di oggi, giacché la barca, sopra della quale montò nostro Signore, era propriamente quella di S. Pietro. Ora, o miei cari, come al tempo di Noè, quanti si trovavano fuori dell’arca miseramente perirono, così ora quanti sono fuori della barca di Gesù Cristo e di S. Pietro, vale a dire della “vera” Chiesa, non possono salvarsi. E qui vi è da tremare pensando al gran numero di coloro, che sono fuori della Chiesa Cattolica, epperciò fuori della barca, che conduce al porto celeste. Per altra parte vi è da rallegrarsi grandemente nel riflettere, che noi abbiamo la bella fortuna di trovarci dentro. Quale riconoscenza dobbiamo perciò al Signore per questo singolare benefizio, che ci fece senza alcun nostro merito! Ma il miglior modo di dimostrare la nostra gratitudine a Dio per tanto bene è quello di amare, rispettare, obbedire questa Chiesa istessa, di cui siamo figliuoli. Ed in ciò possiamo noi gloriarci di compiere esattamente il volere di Gesù Cristo, espresso in quelle parole: si autem Eccclesiam non audierit sit tibi sicut ethnicus et publicanus: Chi non ascolta la Chiesa, abbilo come per gentile e per pubblicano (Matt. XVIII, 19). Miei cari, riflettiamo bene, che la Chiesa, quando ci fa dei comandi, ce li fa con autorità, perché Gesù Cristo disse agli Apostoli, e nella loro persona a tutti i loro successori, il Papa ed i Vescovi, queste parole: « Ogni potere mi fu dato in cielo ed in terra: come il Padre mio ha inviato me, così Io mando voi. Andate adunque, ammaestrate tutte le nazioni, insegnando loro ad osservare i precetti, che Io ho dato a voi. Tutto ciò che voi scioglierete sulla terra, sarà sciolto in cielo, e tutto ciò che avrete legato sulla terra, sarà legato in cielo. Chi ascolta voi, ascolta me: chi disprezza voi, disprezza me »; e che perciò i comandamenti della Chiesa sono veri comandamenti, cioè atti di autorità, coi quali essa può e vuole con una legittimità perfetta legare la nostra coscienza, pel nostro vero bene, per la nostra eterna salute. Guai adunque a noi, se non la ubbidiamo nei suoi precetti! Sarà lo stesso come se non avessimo obbedito a Dio. Pur troppo vi hanno tanti Cristiani, che guardano alle leggi della Chiesa senza alcuna stima e se le mettono sotto i piedi con una leggerezza e superbia incredibile. – La Chiesa ad esempio comanda di lasciare assolutamente la lettura di certi libri e di certi giornali da lei proibiti, perché contrari alla fede ed ai costumi, o almeno pericolosi, e vi ha chi dice: Perché?… Come c’entra la Chiesa in ciò? Vuol dunque impedire di istruirci? E poi… non sono mica più un fanciullo! Mi sento abbastanza fermo nella mia fede e non temo affatto per essa cotali letture. E  intanto superbamente disobbedisce. La Chiesa per ispirito di penitenza saggiamente ci impone il digiuno in certi giorni dell’anno, e il magro in qualche dì della settimana, e madre benigna ed amorosa ciò fa, massime ai giorni nostri, con una remissione direi più unica che rara. Eppure quanti Cristiani vi sono, che scrollando la testa a questi santi precetti esclamano: Che magro? Che digiuno? Non è ciò che entra nella bocca, che macchia l’uomo. E superbamente disobbediscono. La Chiesa del tutto sollecita che la grazia del Signore adorni le anime nostre e la sua pace sia con noi, ci ordina di recarci almeno una volta all’anno ai piedi di un sacerdote per fare la confessione delle nostre colpe. Ma a questo precetto quanti non vi sono, che vanno dicendo: Che confessarci ? Noi ci confessiamo a Dio. E poi se c’è proprio questo dovere, lo soddisferemo al punto di morte. E superbamente disobbediscono anch’essi. Ora costoro che con sì futili e sì superbi pretesti si esimono dall’osservanza dei precetti ecclesiastici si potranno dire Cristiani? Impossibile. Si potranno ben dire protestanti, eretici, scismatici, ma Cristiani no. È Gesù Cristo stesso, che lo dice: Si autem ecclesiam non audierit sit tibi sicut ethnicus et publicanus (Matt. XVIII, 19). Chi non ascolta la Chiesa abbilo come per gentile e per pubblicano. Oh quanto importa perciò di fare in proposito un po’ di esame di coscienza per vedere se caso mai alcuno di noi appartenesse al numero di questi falsi Cristiani. Quanto importa che prendiamo la ferma risoluzione di volere mai sempre essere obbedienti ai comandi della Chiesa! Sì, o miei cari, obbediamo sempre umilmente, prontamente, esattamente, alla Chiesa Cattolica, al suo Capo augusto il Romano Pontefice, a’ suoi santi Pastori, i Vescovi; ed obbediamo in tutto, fiduciosi che obbedendo alla Chiesa obbediamo a Dio. Che se accadesse di parlare o udire altri a parlare della Chiesa diportiamoci come rispettosi figli verso amorosa madre: non diciamo mai cosa alcuna contro a quanto la Chiesa comanda o proibisce: e per quanto sta in noi parliamone sempre bene ed opponiamoci coraggiosamente a chiunque cercasse di parlarne male. Lo Spirito Santo ci assicura, che chi onora sua madre, è come chi fa tesori (Eccli. III, 5). E ciò sarà tanto più vero per colui che onora la sua madre secondo lo spirito, la Chiesa.

2. Ma Gesù Cristo non fu pago di fondare la Chiesa, Egli per di più le ha promessa e comunicata tale una forza, per cui non verrà meno giammai sino alla consumazione dei secoli. Tu sei Pietro, disse al Principe degli Apostoli, e sopra di questa pietra fabbricherò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa giammai: et porta inferi non prævalebunt adversus eam (S. Matt. XVI, 18). Io ho pregato per te, affinché non venga meno la tua fede: rogavi prò te, ut non deficiat fides tua (S. Luc. XXII, 31). E a tutti gli Apostoli disse: Ecco che io sarò con voi sino alla consumazione dei secoli: Ecce ego vobiscum sani usque ad consummationem sæculi (S. Matt. XXVIII, 20). Così ha parlato Gesù Cristo alla Chiesa nella persona degli Apostoli, e Gesù Cristo ha fatto, fa e farà onore alla sua parola sino alla fine del mondo. Come la testa tiene il primo luogo nel corpo umano e da lei l’anima dà vita e forza a tutto il corpo, così Gesù Cristo capo invisibile di tutto il corpo mistico, che è la Chiesa, risiedendone sempre in Lui lo spirito e l’anima, a tutto il corpo mantiene la vita e la forza. – Ma sebbene per la promessa, che fedelmente Gesù Cristo mantiene, la Chiesa Cattolica non debba mai temere, o tanto o poco, di venir meno, è certo tuttavia, che la Chiesa va soggetta alle persecuzioni, è destinata anzi alle persecuzioni, e le persecuzioni formano uno de’ suoi essenziali e divini caratteri. Lo stesso Gesù Cristo come predisse ed assicurò alla Chiesa la indefettibilità, così le predisse e assicurò le persecuzioni. Se hanno perseguitato me, disse agli Apostoli, perseguiteranno anche voi: Si me persecuti sunt, et vos persequentur (Giov. XV, 20). E difatti da diciannove secoli, quanti ne conta la Chiesa Cattolica, mentre nel suo cammino e nel suo stabilirsi attraverso il mondo da molti è stata felicemente accolta, amata, obbedita, da molti altri invece è stata derisa, odiata, perseguitata a morte. E così sarà con momenti più o meno lunghi di tregua e di pace sino alla fine del mondo. E ciò perché mai? senza dubbio per moltissime ragioni, alcune delle quali non comprenderemo che in cielo. Ma tra quelle, che anche qui in terra possiamo rilevare, questa tiene un principalissimo posto: volere, cioè, il Signore Nostro Gesù Cristo, che non dimentichiamo giammai essere Egli colui, dal quale solo viene la vita e la forza della Chiesa, e dovere noi perciò incessantemente ricorrere a Lui per aiuto e protezione, affinché esaudendo le nostre preghiere e concedendo alla Chiesa l’aiuto e la protezione invocata, si renda ognor più manifesta la sua potenza e la sua gloria. È ciò che ci ha fatto chiaramente intendere Gesù Cristo stesso nel Vangelo di oggi. Poiché dopo d’essere con gli Apostoli montato sopra quella nave sul lago di Genezareth, e a poppa di quella nave dormendo, si suscitò una gran tempesta, talmente che la barca era coperta dalle onde e sembrava da un momento all’altro doversi capovolgere e calare a fondo. Quindi accostatisi a Lui i suoi discepoli, lo svegliarono mandando un grido di spavento e di invocazione, dicendo: Signore, salvaci, periamo: Domine, salva nos, perimus. Or bene, bellamente osserva Origene, quantunque Gesù Cristo dormisse allora col corpo, vegliava con la sua divinità, perché concitava il mare e conturbava gli Apostoli, affine di manifestare la sua potenza: Dormiébat corpore, sed vigilabat Deitate, quia concitdbat mare, conturbabat Apostolos, suam potentiam ostensurus. E poiché, come dice S. Agostino, quella nave, in cui Gesù Cristo si trovava cogli Apostoli, in tale circostanza raffigurava la Chiesa Cattolica, perciò ben possiamo dedurre che l’intendimento, che ebbe allora nel permettere la tempesta, lo abbia tuttora nel permettere le persecuzioni. Egli è certo ad ogni modo che la Chiesa ha mai sempre riconosciuto il bisogno ed il dovere di ricorrere a Dio per aiuto e protezione in tutti quanti i tempi, ma allora massimamente che trovavasi stretta dalla tribolazione; epperò sempre, benché con molteplici forme, Ella ha fatto salire al cielo questo grido: Salva nos, perimus. Signore, vieni in nostro aiuto, in nostra protezione, affinché non abbiamo a perderci. Ora, o miei cari, se noi amiamo davvero la Chiesa, adesso più che mai dobbiamo con lei e per lei rivolgere a Dio lo nostre ardenti preghiere, perché se mai furono tempi calamitosi per la Chiesa di Gesù Cristo, se mai volsero giorni così infausti alla nostra santissima fede, sono propriamente i giorni ed i tempi nostri. Oggi, più che mai, si muove guerra tremenda contro i santi altari; oggi, più che mai, si assaltano i dogmi, i misteri, la dottrina e la morale di Gesù Cristo; oggi, più che mai, si vede l’empietà sfidare il cielo e far disperate prove onde sbandire dalle menti umane persino l’idea di Dio. È ritornato proprio oggidì il tempo in cui fremuerunt gentes.., astiterunt reges terræ, et principes convellerunt in unum adversus Dominun et adversus Christian eius (Salm. II). Popoli e re, grandi e piccoli, tutti l’hanno con Cristo e con la sua Chiesa. I falsi dotti con la penna, la stampa irreligiosa coi fogli, il popolazzo con le urla e con le maledizioni, i governi con la forza brutale assalgono ad un tempo e da ogni parte questa barca costrutta da Dio, e già quasi si applaudono d’averla affondata. Si snaturano le intenzioni della Chiesa, le si attribuiscono umane passioni ed ingorde voglie, e sotto questi futili pretesti, i quali alle masse poco istruite, segnatamente in fatto di Religione, presentano sempre qualche cosa di specioso, le si rimprovera d’aver degenerato dalla primitiva perfezione, la incolpano di idee retrograde, di ostinazione a non volersi associare al progresso dei tempi, si rovesciano le sue istituzioni, si perseguitano le sue corporazioni religiose, si rapiscono violentemente i suoi beni, si atterrano le sue opere pie, si assediano e si spiano i suoi ministri per coglierli in fallo, ed al caso si calunniano, si sparge il ridicolo sopra le sue più auguste cerimonie, si beffano i più devoti e fedeli suoi figli. E intanto l’incredulità e l’indifferenza religiosa si impadroniscono dei cuori, il vizio passeggia a fronte alta da per tutto, i popoli, la gioventù si guastano e si corrompono spaventosamente, e così i membri della Chiesa di Gesù Cristo corrono i più gravi pericoli della eterna perdizione. Or bene, quantunque la Chiesa neppure ai dì nostri abbia a temere di se stessa, né con una lotta sì accanita abbia a cadere, a disfarsi, a perire, pur tuttavia ella ha bisogno di aiuto e di protezione celeste. Noi, da veri suoi figli, imploriamola da Dio nelle nostre preghiere per lei. Non dimentichiamo che questo è pure un nostro importantissimo dovere; epperò compiamolo volentieri e con impegno, ed allora avverrà anche tra di noi, quel che avvenne sul lago di Genezareth.

3. Poiché il Santo Vangelo prosegue a dirci che al grido degli Apostoli, Gesù disse loro: Perché temete, o uomini di poca fede? E allora rizzatosi, comandò ai venti e al mare, e si fe’ gran bonaccia. Onde la gente ne restò ammirata, e dicevano: Chi è costui, a cui ubbidiscono i venti e il mare? Sì, o miei cari, quello che allora avvenne sul lago di Genezareth per virtù onnipotente di Gesù Cristo, è quello che è avvenuto ed avverrà in tutto il corso dei secoli. E qui è impossibile narrarvi, anco a brevi tratti, tutti i fasti della Chiesa, i pericoli tutti e le tempeste ch’ella ha superato per l’intervento meraviglioso del suo Capo e nocchiero celeste Gesù Cristo. Ricordate, o miei cari, i flutti di sangue, le persecuzioni dei primi secoli, quei flutti furibondi che agitavano questa barca e sembravano dover inghiottirla nel sangue dei suoi figli. Allora Gesù Cristo parve dormire per ben tre secoli. Ma si destava un giorno, e nella sua Chiesa entrava con Costantino il trionfo, e si stabiliva la tranquillità più perfetta: Facto, est tranquillitas magna. Ricordate come scatenavasi poscia su questa barca il vento dell’eresia, e veniva per fracassarla e sommergerla nell’abisso, dal quale pareva non dovesse giammai risorgere. Ma allora apparvero i grandi dottori, e la verità di Gesù Cristo che si risvegliò al grido della Chiesa, alle grida de’ suoi Pontefici, ristabilì ben tosto la tranquillità: Et facta est tranquillitas magna. –Ricordate come vennero in seguito gli scismi a lacerare il seno della Chiesa, ed a turbarne il regime. Ma Gesù Cristo si è levato, e la piò perfetta tranquillità è rinata: Et facta tranquillitas magna. – Ecco poi gli scandali dell’incredulità e dell’orgoglio, per cui la fede in Gesù Cristo, la verità di Dio, la purezza dei costumi, la Chiesa stessa, tutto pareva distrutto. Ma Gesù Cristo con la sua voce comanda ai venti e al mare, e si ristabilì la più perfetta tranquillità: Et facta est tranquillitas magna. – Così la calma si ristabilirà anche ai tempi nostri, perché Gesù Cristo non verrà meno al suo costume. Tuttavia non lasciamoci addormentare dalla soverchia fiducia che tutto debba fare Iddio, e guardiamoci bene dal credere, che una tale fiducia ci comandi, od anche solo ci permetta l’inazione. Senza dubbio Iddio ha contato il tempo anche ai nemici della sua Chiesa, ma non è necessario lasciarli imbaldanzire come loro piace. È necessario anzi combatterli, e combatterli con tutte le nostre forze intellettuali, morali e materiali. È necessario combatterli col rivendicare costantemente i sacrosanti diritti, che noi abbiamo di manifestare anche pubblicamente il nostro amore alla Chiesa, combatterli con la manifestazione coraggiosa della nostra fede, combatterli con l’aiutare efficacemente la buona stampa, il movimento cattolico, le buone associazioni, e tutto ciò che mira a distruggere il regno di satana, combatterli col mostrare quanto più è possibile le arti inique, di cui essi si valgono, combatterli segnatamente con l’abbracciare la vera democrazia cristiana insegnata e voluta dall’Autorità della Chiesa, con l’inchinarsi pieni di compassione e di amore verso il popolo e verso la gioventù affine di illuminarli, indirizzarli, sostenerli nella via diritta dell’amore di Dio e della Chiesa istessa. Allora sì, combattendo ancor noi contro il furore delle tempeste, che irrompono contro la Chiesa, potremo ritenere per certo che il nostro Divin Capitano Gesù Cristo non tarderà a comandare un’altra volta al vento ed al mare delle mondane persecuzioni affinché cessino, e a ridonare alla Chiesa una grande tranquillità.

Altra omelia:

[Mons. J. Billot; Discorsi Parrocchiali – Cioffi ed. Napoli, 1840]

Sopra la Mansuetudine.

Jesus imperavit ventis, et mari, ct facta est tranquillitas magna. Matth. VIII.

Quanto è dolce, Fratelli miei, di vedere la calma succedere ad una tempesta, in cui veduti ci siamo in pericolo di perdere la vita ! tale fu la felice circostanza, in cui si trovarono gli Apostoli sul mare di Tiberiade, dove una violenta procella, che sollevata vi si era, aveagli alle porte della morte condotti. Con qual piacere, cessare non videro i venti e la burrasca pel comando di Colui, al quali tutti ubbidiscono gli elementi! Tale è altresì la fortunata situazione di un’anima, che è stata lo scherno della morte eterna, e che dopo averne scosso il giogo, le dolcezze gusta, e la serenità che la virtù accompagnano. Volete voi farne, Fratelli miei, la felice esperienza? Domate le vostre passioni, sottomettetele all’impero della virtù, e gusterete la pace dell’anima. Or una delle virtù le più proprie a procurarvi questa pace, è senza contradizione la virtù della mansuetudine; poiché quanto l’ira intorbida il riposo dell’anima, altrettanto la mansuetudine conserva la serenità. Se lo stato di un uomo collerico rassomiglia ad un mare agitato dai venti, dove trovasi uno esposto ad ogni momento a far naufragio, dire si può che quello di un’anima, in cui regna la mansuetudine, simile è ad un mare tranquillo, ove si naviga in sicurezza, e con un’intiera fiducia di giungere felicemente al porto: “facta est tranquillitas magna”. Così dopo avervi fatto conoscere i disordini dell’ira, egli è mio dovere di dimostrarvi i vantaggi della mansuetudine, che n’è il rimedio. Infatti, per guarire le malattie dell’anima, usarne bi sogna come si fa per le malattie del corpo: per risanare queste, ci serviamo dei rimedi che loro sono contrari; rinfreschiamo quando evvi troppo di calore, riscaldiamo quando v’è troppo di raffreddamento. L’ira è un fuoco che fa dei gran danni in un’anima; convien dunque opporgli la mansuetudine, come una rugiada, che ne tempra gli ardori, Quali sono i vantaggi di questa virtù? Primo punto. Quale n’è la pratica? Secondo punto.

I. PUNTO. Dire si può della mansuetudine ciò, che Salomone disse della sapienza, ch’ella ci mette in possesso di tutti i beni, che render ci possono felici in questo mondo: venerunt mihi omnia pariter cum illa. La mansuetudine ci procura la benevolenza di Dio, l’amicizia del prossimo, e ci rende padroni di noi medesimi. Tali sono i vantaggi, che render ci devono stimabile questa virtù. La mansuetudine ci rende piacevoli a Dio; fu per questo mezzo che Mosè guada ò la sua benevolenza. Fu da Dio amato, la Scrittura, perché era il più mansueto tra gli uomini: dilectus Deo (Sap. IX). Con la mansuetudine noi possediamo il cuore di Dio, come un figliuolo possiede quello di suo padre. Beati, dice il Salvatore, sono i pacifici, perchè saranno chiamati i figliuoli di Dio: beati pacifici, quoniam filii Dei vocabuntur (Matth. V). Infatti, quanto il Signore abborrisce un’anima, in cui regna la dissensione e la discordia, altrettanto si compiace di fare la sua abitazione in quella dove regna la pace; ne fa le sue delizie, vi sparge i suoi più dolci favori: mansuetis dabit gratiam (Prov. III). La mansuetudine, dice il Crisostomo, è una virtù, che dà all’uomo un carattere di somiglianza con Dio, e che molto lo avvicina alla Divinità. Imperciocchè l’idea la più consolante che formar ci possiamo di Dio, e che c’ispira più di confidenza, si è quella della pazienza e della mansuetudine, ch’Egli esercita verso gli uomini. Non è forse sorprendente, infatti, che un Dio sì onnipotente, e sì giusto, com’Egli è, soffra con tanta pazienza gli affronti d’una infinità di peccatori, che precipitar potrebbe nel profondo degli abissi? Che non solamente li soffra, ma che li ricerchi,… che loro perdoni, quando a Lui ritornano: che li tratti con dolcezza: che ricolmi di benefici coloro che disprezzato l’hanno, offeso, ed oltraggiato? Con questi tratti di dolcezza, e di bontà verso gli uomini peccatori, fa particolarmente conoscere la sua onnipotenza, come ce lo annunzia la Chiesa: Deus qui omnipotentiam tuam parcendo, et miserando manifestas. E da ciò che ne segue, Fratelli miei? Che l’uomo, il quale è mansueto verso i suoi fratelli, e perdona di buon cuore le ingiurie, diventa per quanto può esserlo, simile a Dio; è sulla terra un’immagine vivente della Divinità; e per conseguenza l’oggetto delle compiacenze di Dio, il quale si riconosce in quest’anima, e si comunica ad essa con l’abbondanza delle sue grazie. Sono parimente le anime mansuete, e pacifiche, dice il Profeta, che Dio rende cura di condurre, e a cui insegna strade sicure, che bisogna tenere: docebit mites vias suas. Vuole ben volentieri servir loro di guida, e sotto la sua condotta non faranno esse alcun falso passo. Così dire si può, che la mansuetudine è uno dei segni i più certi di nostra predestinazione. Ce lo assicura Gesù Cristo medesimo, il quale apertamente ci dice, che coloro, che sono mansueti, sono beati, perché possederanno la terra: beati mites, quoniam ipsi possidebunt terram. (Matth. V.). – Or qual sarà questa terra, che sarà il retaggio degli uomini pieni di mansuetudine? Non è già, Fratelli miei, questa terra dai mortali abitata, la quale non è che un luogo di esilio, una valle di lagrime: questa terra è occupata dai peccatori egualmente che dai giusti: noi vediamo ancora, che i peccatori sono talvolta molto meglio favoriti nell’abbondanza de’ suoi beni, che i servi di Dio. La terra dunque, che è promessa a quelli che sono mansueti, è la felice terra dei viventi, dove più non si muore, da dove la tristezza, le malattie, i dolori sono interamente sbanditi; si è questo soggiorno di pace, in cui gli eletti di Dio gusteranno delizie ineffabili, e godranno l’abbondanza di tutti i beni: mansueti hæreditabunt terram, et delectabantur in multitudine pacis. (Psal. XXXVI.). Per farvi intendere questa verità, vediamo il gran segno di predestinazione, che ci dà l’Apostolo S. Paolo nella sua lettera ai Romani. Coloro, dice egli, saranno predestinati, che il Padre celeste ritroverà conforme all’immagine di suo Figliuolo: quos prædestinavit conformes fieri imaginis filii sui. (Rom. VIII). E non è forse stata la mansuetudine il carattere particolare del figliuolo di Dio? Non è forse stata una delle sue virtù le più gradite ? Con qual dolcezza trattò egli i peccatori? Ne rigettò mai alcuno? Qual fu la sua pazienza nel soffrire le rozzezze de’ suoi Apostoli? Come rintuzzò lo zelo amaro dei due tra loro, che volevano far scendere il fuoco dal cielo sui popoli ribelli? Niun altra difesa ha impiegato contro le violenze e le persecuzioni de’ suoi nimici: non è comparso innanzi a loro, secondo l’espressione di un Profeta, che come un agnello, il quale tosare si lascia senza dolersi: sicut agnum coram tondente se obmutescet. (Isai. V.). Mirate questo divin Salvatore nella sua passione, carico d’obbrobri, oppresso dalle ingiurie e dai cattivi trattamenti: come si difendeva? Non diceva neppur una parola per lamentarsi: Jesus autem tacebat. (Matth. XXVI). Ah quanto è eloquente questo silenzio di Gesù Cristo per ispirarci la mansuetudine, e la pazienza nel soffrir le ingiurie che ci dicono, i cattivi trattamenti che ci fanno! Tali sono l’arme, che ci ha messe in mano per difenderci dai nostri nemici, e per riportare la vittoria, che deve assicurare la nostra corona. Niun’altra ne diede ai suoi discepoli, allorchè gl’inviò a predicare il suo Vangelo. Io vi mando, loro disse, come agnelli in mezzo dei lupi: conservate sempre la semplicità della colomba, insieme con la prudenza del serpente. Gli Apostoli ancora renduti si sono più commendabili, ed hanno sommesse più nazioni all’impero di Gesù Cristo con la mansuetudine, e con la pazienza nelle afflizioni, che con i miracoli, che hanno operato, dice S. Gerolamo. La mansuetudine deve far dunque il carattere del Cristiano, giacché ha fatto quello di Gesù Cristo, e dei Santi: ma facendo il carattere del Cristiano essa è la sorgente della sua felicità, poiché gli guadagna il cuor di Dio, lo rende figliuol di Dio, e per conseguenza erede del suo regno, ed è uno dei segni i più certi della sua predestinazione. Tali sono i vantaggi, che ci procura la mansuetudine dal canto di Dio; grandi ancora ce ne procura essa dal canto del prossimo, di cui altresì il cuore guadagna, e l’amicizia. – Possiamo noi farci ubbidire con l’autorità; possiamo convincer lo spirito con la forza delle ragioni; ma non v’è che la mansuetudine, che guadagnar possa i cuori; alcuno non avvi, che non ceda alle sue attrattive; essa ha la virtù, dice lo Spirito Santo, di farsi degli amici, e di raddolcire anche i suoi nemici: multiplicat amicos, mitigat inimicos. (Eccl. VI.). Ed invero, chi astenere si può di amare un uomo mansueto e buono, il quale si fa un piacere di obbligar tutto il mondo, ed è di un carattere sempre eguale? Quanto si fugge la compagnia di un uomo collerico, altrettanto si ricerca e si ama quella dei mansueti. La loro conversazione incanta; si prova un gran diletto nel trattenersi con essi, perché si sa che di nulla si offendono, e facilmente perdonano i mancamenti, cui è l’umanità soggetta. Siccome portano sempre il miele nella loro bocca, ben lungi di disputar con calore, cedono anche con compiacenza i loro diritti i più legittimi: siccome sono sempre cortesi, e pronti a far piacere, ad essi ciascuno si indirizza con confidenza, persuaso che verrà graziosamente accolto. Se accordar non possono quanto loro si domanda, accompagnano i loro rifiuti con modi sì obbliganti, che se ne ritorna quegli molto soddisfatto della loro buona volontà. E come mai, ripeto, non amare persone di simil carattere? Oh quanto sarebbe mai tranquilla, e piacevole la società degli uomini, se composta non fosse che di persone mansuete e placide! Parlar non si sentirebbe né di contrasti, né di liti, né di rancore, né di vendetta: diverrebbe la terra simile al cielo, ove i cuori sono talmente uniti coi legami della carità, che tutti hanno i medesimi sentimenti, e gli affetti medesimi. Ma quanto rari sono questi uomini. Ed oh? come dovremmo loro unirci, quando li conosciamo! Mentre niente havvi di più prezioso nell’umana società, che un uomo ripieno di mansuetudine. Questa virtù ha non solo il potere di farci degli amici, ma ancora di riconciliare i nemici: mitigat inimicos. Essa trionfa dei cuori i più ribelli; non evvi uomo alcuno così feroce ch’ella non renda affabile. L’ira la più violenta, dice lo Spi rito Santo, resister non può ad una parola mansueta e cortese. Ne chiamo quì in testimonio l’esperienza, Fratelli miei; quante volte veduta non avete la vendetta la più pertinace disarmata dalla mansuetudine? E certamente in tal circostanza, che cosa risoluto non avevate ? Formati voi avevate neri disegni contro quella persona, che vi aveva disgustati; ma ben tosto voi siete stati appagati: le scuse che vi ha fatte, i modi cortesi, che ha per voi avuto, e i servigi, che vi ha renduti, tutto questo ha cangiato le vostre cattive disposizioni, e siete stati forzati di lodare la sua placidezza, ed il suo buon naturale: prova certissima, che nulla resiste alla mansuetudine. Non solamente questa virtù calma i nostri nemici, e con essi ci riconcilia, ma ancora quelli pacifica, coloro che sono tra loro divisi. Un uomo mansueto, dice il Crisostomo, sa talmente maneggiar gli spiriti, insinuarsi nei cuori, che discaccia ogni amarezza, che un insulto, o un cattivo servigio può avervi cagionata. Ora sono motivi di Religione, che propone per muovere a perdonare: ora sono scuse, di cui si serve, per sminuire il mancamento di colui che ha offeso; senza prendere alcun partito, dà a ciascheduno sua ragione, e prende sì bene le sue misure, che viene a capo di riunire i cuori divisi. Di qual vantaggio non è questo angelo di pace nell’umana società? Egli è un vero Apostolo, che procura la gloria di Dio, e degli uomini: dilectus Deo, et hominibus. Or se è padrone del cuor degli altri, lo è ancora di più di se stesso; terzo vantaggio della virtù della mansuetudine. Se l’ira trasporta l’uomo fuori di se medesimo, di modo che più non conosce se stesso, né sa più che cosa faccia; la mansuetudine all’opposto ritiene l’uomo in se stesso, lo rende padrone di tutti i movimenti del suo cuore; vede come in un acqua limpida, e chiara tutto ciò che avviene dentro di se medesimo; la minima procella, che vi si sollevi, sa immediatamente calmarla, perché la ragione, che gli serve da pilota, conduce il timone come vuole, e lo fa godere di una perfetta tranquillità. Tale è anche in questa vita medesima la ricompensa della mansuetudine, dissimile in ciò da molte altre virtù, le quali non avranno la loro ricompensa che nell’altro mondo, come la povertà, la pazienza, la mortificazione, le quali nulla hanno che di penoso in questo mondo; ma la mansuetudine porta seco la sua ricompensa; ella procura un riposo, che fa sino in questa vita un paradiso anticipato. Tanto le promette Gesù Cristo nel suo Vangelo: Imparate da me che sono mansueto, e ritroverete in questa mansuetudine il riposo delle anime vostre; et invenietis requiem animabus vestris (Matth. XI.), Ah, questa pace interiore, che accompagna la mansuetudine, quanti vantaggi procura all’uomo! Ella lo rende superiore ad ogni sventura, e a tutte le persecuzioni dei suoi nemici, agli affronti, ai dispregi, cui gli stessi più giusti sono esposti; gli si tolgano i beni con ingiustizie, gli si oscuri la sua reputazione con calunnie; egli è sempre eguale, sempre contento, perché possiede la pace di Dio, la quale supera tutto quanto dire si può, o pensare: pax Dei exsuperat omnem sensum (Philipp. IV.). Egli è a coperto di tutte le inquietudini, di tutte le agitazioni, di tutti gli affanni, che divorano, e consumano inutilmente l’uomo collerico. Può veramente esser sensibile ai mali, ma la sua virtù, e la sua religione soffocano ben presto i sentimenti della natura, e gli fanno trovare in se stesso un bene che lo risarcisce al centuplo di tutti i mali che può soffrire; un bene tanto più sodo, quanto che alcuno non può rapirglielo, e che da lui dipende di sempre conservare con la grazia di Dio, la quale non gli manca giammai. Questo vantaggio solo della mansuetudine bastar dovrebbe per rendercela pregevole. Imperciocchè nulla v’è di più soave, che di esser padrone di se stesso: ma nel medesimo tempo nulla di più grande, mentre è più glorioso, dice lo Spirito Santo, il trionfare di se stesso, che il vincere battaglie, ed il soggiogare città, e provincie. Volete voi farne, Fratelli miei, la felice esperienza? Apprendete qual sia la pratica della mansuetudine.

II. Punto. La mansuetudine non è soltanto l’effetto di un temperamento tranquillo; può bensì contribuire in qualche cosa a questa virtù, ma non ne fa il merito. Altro è l’essere mansueto per temperamento, altro è l’esserlo per virtù. Quelli, che sono mansueti per temperamento, hanno per verità minori vittorie da riportare per donar l’ira, che coloro, i quali sono di un temperamento vivo, e facile ad adirarsi. Ma questa placidezza può qualche volta degenerare in viltà, se non è sostenuta ed animata dalla forza, e regolata dalla prudenza, che è l’anima delle virtù. La mansuetudine non consiste nemmeno in alcune maniere oneste, in alcune parole affettate; possono esse esserne l’effetto, ma non ne sono un segno certo: un cuore inasprito, ed ulcerato si nasconde spesse fiate sotto le apparenze della civiltà, e ben molti fanno carezze a quelli, che l’oggetto sono del loro rancore, e della loro avversione. – La mansuetudine risiede dunque principalmente nel cuore; ed il proprio di questa virtù, dice S. Gioanni Crisostomo, è di reprimere, o di moderare in noi lo sdegno, e di cedere all’altrui: ecco in due parole il suo carattere, e la sua pratica. Se l’ira, che in noi si solleva, è biasimevole, la mansuetudine ne reprime i movimenti; se l’ira è lodevole, ed onesta, la mansuetudine la modera secondo le regole della prudenza, e della carità. Questa virtù non consiste dunque nell’insensibilità al male che ci accade; mentre aver si può della placidezza, e risentir vivamente il dolore per un’ingiuria che ci si dica, per un disprezzo che ci si faccia. La mansuetudine non è nemmeno incompatibile con un’ira giusta e ragionevole, che deve reprimere il vizio, e sostenere gl’interessi di Dio. Ma il proprio della mansuetudine, come dissi, è di reprimere in noi l’ira che merita biasimo, e di moderare quella che è degna di lode. Sì, Fratelli miei, se voi siete mansueti, avrete attenzione di reprimere ogni moto di collera che vi porti a vendicarvi, a nuocere al vostro prossimo. Voi soffocherete eziandio sino al minimo sentimento di amarezza, e di avversione, che potrebbe far nascere in voi un’ingiuria ricevuta, un cattivo servigio, che renduto vi avessero. Per la qual cosa esortava il grande Apostolo i primi Cristiani, a non avere tra essi niuna amarezza, niuno sdegno, nessun dispetto, nessun contrasto; ma abbiate, loro diceva, gli uni per gli altri della bontà, della compassione per perdonarvi vicendevolmente, come Dio perdonato vi ha in Gesù Cristo: estote invicem benigni, misericordes, donantes vobis invicem, sicut Deus in Christo donavit vobis. – Guardatevi duuque, se qualcheduno vi disgusta, di cercare i mezzi di rendergli la pariglia. Se v’han fatto qualche torto nei vostri beni, nel vostro onore, e che non possiate avere soddisfazione che per giustizia, fate in modo, che l’ira non abbia mai parte in questa riparazione: non proseguiate i vostri diritti con pregiudizio della carità; consultatevi prima d’intraprendere cosa alcuna, affinché la passione non conduca vostri passi, ma che vi presieda la sola ragione: rammentatevi sempre, che v’è maggior gloria, maggior profitto, maggior tranquillità nel perdonare, che nel farsi rendere giustizia; guardatevi soprattutto di render ingiuria per ingiuria; non è riparar il suo onore il macchiare quello del prossimo; ed affinché la vostra mansuetudine riporti una vittoria più compiuta sopra l’ira, non facciate neppur conoscere ad alcuno il dispiacere che vi è stato fatto, perché ritrovar potreste qualche spirito turbolento, come avvene purtroppo, che v’inasprirebbe di più, e vi impegnerebbe a prender soddisfazione del vostro nimico; in una parola, v’accada ciò che si vuole di dispiacevole dalla parte degli uomini, innalzatevi al di sopra di una natura sensibile sempre nimica di quanto le dispiace. Non siamo, è vero, padroni dei primi movimenti, che si sollevano nella nostr’anima; ma non è già il senso che ci rende colpevoli, è il consenti mento al male: tocca alla mansuetudine di prevenirlo, d’impedirlo, e di farci possedere la nostra anima in pace in mezzo delle più grandi tribolazioni: in patientia vestra possidebitis animas vestras (Luc. XXI). Ho detto in secondo luogo, che la mansuetudine deve moderar l’ira lodevole, ed il giusto sdegno, che risentire dobbiamo dei mancamenti altrui. Imperciocchè lungi da noi, Fratelli miei, una rea compiacenza, che non è sensibile alle offese di Dio, che tutto tollera, che non corregge il peccatore per tema di dargli fastidio, e d’incorrere nella sua disgrazia. Se cercassi di piacere agli uomini, diceva l’Apostolo, io non sarei più servo di Gesù Cristo: si hominibus placerem, Christi servus non essem (Gal. 1). La mansuetudine deve dunque essere accompagnata dalla fermezza per opporsi al vizio, per riformare gli abusi, massime in chi ha l’autorità, ed incaricato si trova per dovere di procurare la salute del prossimo. Quest’ira è sì necessaria, dice il Crisostomo, che senza di lei trionferebbe il vizio, e la virtù sarebbe oppressa. Mosè, benché il più mansueto degli uomini, si mise in collera contro gli adoratori del vitello d’oro, ed uccider ne fece venti mila. Gesù Cristo, l’agnello pieno di mansuetudine, si mise anche in collera contro i profanatori del tempio. Possiamo dunque adirarci senza peccare, come dice il Profeta, quando si tratta di sostenere gl’interessi di Dio:  irascimini, et nolite peccare (Psal. IV). Ma quest’ira dee esser moderata dalla mansuetudine. Essa si sforza di distruggere il vizio, senza voler distruggere il peccatore: riprender si deve il peccatore con fermezza, ma la mansuetudine ha da temperare l’amarezza delle riprensioni: in spiritu lenitatis (Gal. VI). Bisogna mescolare l’olio col vino per risanare le piaghe dell’infermo, facendogli vedere, che è la carità, e non la passione che ci spinge: caritas urget nos (2 Cor. V). Lungi dunque da noi, Fratelli miei, quei trasporti furiosi, quelle parole aspre, ed ingiuriose, quella voce minaccevole, quei modi fieri ed orgogliosi, quelle imprecazioni, quei cattivi trattamenti, i quali non fanno, che irritar il male, invece di guarirlo. Molti, che si lusingano di aver dello zelo, non hanno di severità che per gli altri, e d’indulgenza per se medesimi. Il vero zelo non inspira che rigore per se stesso e dolcezza per gli altri, ama meglio mancare per troppa bontà, che per troppo rigore. Finalmente la mansuetudine ceder ci fa all’altrui ira, e ci induce a prendere le convenienti misure per calmarla. Ella è cosa facile di esser mansueto e cortese con quelli, che lo sono per noi, di avere pazienza quando alcuno non ci reca fastidio. Ma non è già facile di cedere all’altrui ira, di essere sempre in pace, come il Reale Profeta, con quelli che non amano che la guerra: cum his qui oderunt pacem, eram pacificus (Psal. CXIX). Si ricerca per questo una mansuetudine universale e costante; universale per soffrire in ogni tempo, ed in ogni sorta di persone: una mansuetudine costante per non, disanimarsi dalle dure prove, cui ella è esposta. Tale nondimeno deve essere la mansuetudine cristiana; cedendo piuttosto che combattendo guadagna essa gli spiriti. Perciocché, se l’ira è un fuoco, che cerca distruggere tutto quanto gli viene imposto, invano per estinguerlo si vorrebbe opporgli un altro fuoco; non si farebbe che vieppiù accenderlo. Niente all’opposto più capace di che la mansuetudine, la quale, al dire della Scrittura, è una soave rugiada, che tempera gli ardori dell’ira. Ecco, Cristiani, l’arme di cui servir vi dovete per trionfare dell’altrui collera. – Voi a soffrire avete da qualunque sorta di persone, congiunti, vicini, amici, nemici, i quali talvolta si offendono di quanto avete detto, o fatto senza disegno di recare loro dispiacere; voi avete a vivere con persone bizzarre, turbolente, altere, che vi cercano contrasti ad ogni istante; con ostinati che intender non vogliono ragione alcuna; con violenti, che essere non possono dalle affabili maniere raddolciti, cui tutto il bene che si fa non serve che a renderli più cattivi. Come dovete voi regolarvi con questa sorta di gente. Imparatelo dal grande Apostolo: non vi lasciate vincere dal male, ma procurate di vincere il male col bene: noli vinci a malo, sed vince in bono malum (Rom. XII). Così si diportarono Gesù Cristo e i Santi riguardo ai loro nemici. A quanti affronti ed ingiurie corrisposto non hanno che coi benefizi i più segnalati? Caricavano Gesù Cristo d’oltraggi e di maledizioni, dice S. Pietro, ed Egli non malediceva alcuno: Christus cum malediceretur, non maledicebat ( 1 Pet. 2). Ci danno maledizioni, dice l’Apostolo, e noi loro diamo benedizioni; ci offendono con parole, e noi preghiamo per coloro che ci oltraggiano: blasphemamur, et obsecramur (1 Cor. IV). Ah! se i cristiani in tal modo si regolassero, se non opponessero che la mansuetudine all’ira di quelli con cui sono obbligati di vivere, si vedrebbero forse, come si vedono al giorno d’oggi, tante discordie e dissensioni nelle famiglie? Se una moglie, per esempio, invece di rispondere a suo marito con parole amare e pungenti, allorché si mette in collera contro di essa, non opponesse alle sue violenze, che le vie della mansuetudine; se osservasse il silenzio. quando non può altrimenti vincere i trasporti di un marito furioso, essa non ecciterebbe sopra di sé tempeste, di cui è la triste vittima: non si attirerebbe i cattivi trattamenti, che vengono tanto per colpa sua, quanto per l’ira di suo marito. Fu con la mansuetudine, che S. Monica venne a capo di calmare, e di convertire suo marito idolatro e furioso. Felici sarebbero le mogli, se seguissero quel modello: se la pazienza non convertisse i loro mariti, almeno vi troverebbero un gran fondo di merito innanzi a Dio: allo stesso modo se un marito avesse la compiacenza di cedere, quando vede una moglie resistergli in faccia, se procurasse di appagarla con buone ragioni; si vedrebbe regnar la pace nelle famiglie, si vedrebbe regnare altresì tra i vicini, i quali non sono in guerra gli uni con gli altri, se non se perché alcuno ceder non vuole. Ma se io sempre cedo, diretevi se il tutto soffro con pazienza, la mia mansuetudine mi attirerà nuovi insulti, si befferanno di me, mi disprezzeranno. La mansuetudine non ha ella forse i suoi limiti? Deve ella essere sì costante, e non deve finalmente esaurirsi a forza di perdonare? Ascoltate su questo proposito la risposta del grand’Apostolo: la vera carità non deve mai estinguersi; è un debito, che il cristiano de e sempre pagare, e di cui non è mai libero: nemini quidquam debeatis, nisi ut invicem diligatis (Rom. III). Voi potete bensì liberarvi dagli altri de biti, di cui caricati vi siete verso del prossimo; ma la carità è un debito di tutta la vita: perché, dice lo stesso Apostolo, la carità è la pienezza della legge: e chi soddisfa a questo precetto riempie tutta le legge: qui diligit proximum, legem implevit (ibid.). Non basta dunque di avere della mansuetudine in qualche occasione, di averne per qualche tempo: questa mansuetudine deve essere costante per sostenere in ogni tempo tutte le prove, cui può ella esser messa qualunque cosa molesta ci accada, qualsisia parola spiacevole ci si dica, fa d’uopo possedere sempre l’anima nostra in pace. – Volete voi finalmente, Fratelli miei, avere una mansuetudine costante e saldissima? abbiate l’umiltà, siate staccati da tutte le cose, e sottomessi ai voleri di Dio; la mansuetudine appoggiata sopra fondamenti sì sodi, ferma diverrà ed invincibile. Perciocché, se l’ira proviene dall’amore di se stesso, da un orgoglio segreto, da un attaccamento ai beni. del mondo; da un difetto di sommissione ai voleri di Dio; la mansuetudine è l’effetto delle virtù contrarie a questi vizi. Sì, fratelli miei, subito che avrete l’umiltà, voi avrete la mansuetudine. Gesù Cristo mette queste due virtù insieme, come due compagne indivisibili: imparate da me, che sono mansueto ed umile di cuore: discite a me quia mitis sum, et humilis corde. Tosto che avrete bassi sentimenti di voi medesimi; vi riputerete indegni d’ogni onore, amerete i dispregi e le umiliazioni; voi non sarete dunque disgustati del dispregio, che faranno di voi, degli affronti, degli insulti con cui vi opprimeranno; perché vi troverete il motivo della vostra umiltà. Se voi avete l’umiltà, accondiscenderete volentieri ai sentimenti altrui, parlerete loro in un modo affabile, sarete sempre d’un umore ugnale; il che è l’effetto della mansuetudine. Oimè! voi amate la mansuetudine e l’umiltà negli altri! Perché non praticate voi le virtù, che ritrovate sì amabili, e di cui siete molto contenti, che vi si diano delle prove? Siate staccati dai beni del mondo, né le perdite, né le disgrazie vi sapranno irritare. Siate staccati da voi medesimi, siate mortificati, ed avrete la mansuetudine; mentre l’ira, e l’impazienza non vengono che da un cuore immortificato. Siate ancora sommessi ai voleri di Dio, ed avrete la pazienza nelle afflizioni, nelle tribolazioni di cui Egli servirassi per provare la vostra virtù Non avvi virtù alcuna senza pazienza, ma è la pazienza, dice S. Giacomo, che dà alla virtù la sua perfezione patientia opus perfectum habet (Ja cob, 1). Ella è altresì che corona i uostri meriti, e che ci conduce alla somma felicità. Io ve la desidero. Così sia.

 Credo

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Offertorium

Ps CXVII: 16; 17

Déxtera Dómini fecit virtutem, déxtera Dómini exaltávit me: non móriar, sed vivam, et narrábo ópera Dómini. [La destra del Signore ha fatto prodigi, la destra del Signore mi ha esaltato: non morirò, ma vivrò e narrerò le opere del Signore.]

Secreta

Concéde, quaesumus, omnípotens Deus: ut hujus sacrifícii munus oblátum fragilitátem nostram ab omni malo purget semper et múniat. [O Dio onnipotente, concedici, Te ne preghiamo, che questa offerta a Te presentata, difenda e purifichi sempre da ogni male la nostra fragilità.]

Comunione spirituale

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Communio

Luc IV: 22 Mirabántur omnes de his, quæ procedébant de ore Dei. [Si meravigliavano tutti delle parole che uscivano dalla bocca di Dio.]

Postcommunio

Orémus.

Múnera tua nos, Deus, a delectatiónibus terrenis expédiant: et coeléstibus semper instáurent aliméntis. [I tuoi doni, o Dio, ci distolgano dai diletti terreni e ci ristorino sempre coi celesti alimenti.]

Preghiere leonine

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/

ringraziamento dopo la comunione exsurgatdeus

Ordinario della Messa

https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/

LO SCUDO DELLA FEDE (96)

Paolo SEGNERI S. J.:

L’INCREDULO SENZA SCUSA –

Tipogr. e libr. Salesiana, TORINO, 1884

CAPO VII.

Dal procurare che la natura fa quegli effetti, i quali ella ottiene, ai manifesti che ella non opera a caso.

I. Qualunque artefice retto, secondo la dottrina che dà l’Angelico, considera tre cose nei suoi disegni (S. Th. l. dist. 39. q. 2. art. 1). Considera il fine dell’opera: come si è (qualora egli abbia da fabbricar una casa) per chi la fabbrichi. Considera le proporzioni che hanno a tenersi: cioè la proporzion generale dell’opera al fine, e la proporzione speciale di ciascuna parti; dell’opera verso l’altre. E finalmente considera quali siano quei mezzi i quali più promuovono questo fine, e ne tengono indietro gl’impedimenti: valendosi però di modelli, di manovali, e di ordigni i più confacevoli che può ritrovare a tal uopo. Tutte queste considerazioni proprie dell’arte, nelle operazioni della natura risplendono a meraviglia: onde, se di niuno artefice, il quale proceda conforme alle dette regole, si dirà che egli operi a caso, ma che operi anzi con saper sommo; perché dovrà dirsi solo della natura? Forse non le osserva ella sempre divinamente? Miriamolo in ciò che ciascuno ha davanti gli occhi.

I.

II. La natura vuole che gli animali non lascino di nutrirsi, per la necessità che hanno tutti di riparare con l’alimento ciò che il calor innato consumò in essi con la sua attività.

III. Ed ecco che a tal fine ella riempie la terra d’erbe infinite, di frumento, di frutta, l’aria di pennuti, l’acque di pesci, le foreste di selvaggine, affinché quasi da dispensa incessante ne tragga chiunque vive una refezione proporzionata al talento, scegliendo fin  tra ciò che talvolta all’uno è veleno, all’altro è rimedio.

IV. Ma non basta che vi sia cibo: conviene che il cibo adattisi a quelle membra che si hanno ad alimentare. Ecco però, che a tutti gli animali, senza eccezione, vien data bocca da inghiottirlo, palato da discernerlo, denti da romperlo, da sminuzzarlo, da macinarlo; tanto che fino i tarli più tenerelli trovano nel duro legno di che sfamarsi, ed hanno al masticarlo una dentatura sì forte, che non si arrende dove si spezzan le seghe.

V. Senonchè non è sufficiente quella prima digestione di cibo che gli animali formano nella bocca, ad estrarne il sugo. Conviene che questo per la gola scenda allo stomaco, prodigioso nel suo lavoro. Perché, se quivi non si incontrasse una fervidezza piacevole, un fermento proporzionato, e una robustezza sufficiente di fibre e nervose e carnose con buona interna fodera vellutata nelle sue tuniche e corredata di minutissime glandule (affinché, secondo che è d’uopo, il cibo ritenuto si ammollisca, si agiti, si disciolga, ed in nuova tenera massa, risultante dal mescolamento del cibo con la bevanda, possa per lo clivo del piloro scorrere agevolmente nelle intestina, ciò che mangiossi, sarebbe più di peso che di sostegno.

VI. E pur che è ciò, rispetto al rimanente dell’opera che vi vuole alla nutrizione? Parlate agli anatomisti, ed essi con i propri lor termini vi diranno quanti liquori tuttavia vi abbisognino, stemperati con mirabil arte nelle officine del fegato, e del pancreas, donde per due loro acquedotti sgorghino al principio delle budella, quasi nuovo fermento, necessarissimo alla perfezion del chilo, perché assottigliato vieppiù, e quasi volatilizzato che questo siasi, possano le particelle utili (che sono le nutritive) separarsi dalle inutili (che sono le escrementizie), tanto che in virtù della pressione dei muscoli soprapposti, e delle fibre stesse degl’intestini, vadano a penetrare per angustissimi ingressi negl’innumerabili canali lattei, i quali, sparsi pel mesenterio, passano a prò del chilo per quelle ghiandole, prima di versarlo nel loro ricettacolo universale, detto altresì vaso linfatico grande. Né solo cibo, ma vi diranno come ivi il chilo nuovamente approfittisi nel mescolamento di sottilissima linfa, finché salendo per via poc’anzi scopertasi alla vena succlavia sinistra, arrivi misto finalmente col sangue, mediante la vena cava, al ventriglio destro del cuore; senzachè neppure venga però ammesso a nutrire perfettamente se non dopo essersi rotato prima tutto per li polmoni. E vi aggiungeranno, come alle imboccature dei canali per cui trascorre, son posti per ogni via tanti ripari contro il ringorgo de’ fluidi, e scompartiti tanti ingegni, e scansati tanti intoppi, e tenute tante avvertenze, che l’accennarle tutte sarebbe non finir mai. Pare a voi pertanto, che la natura in quel pochissimo solo che ne ho qui detto conseguisca un fine, il quale non sia da lei preteso direttamente, anzi procurato con tutte e tre quelle previe considerazioni le quali costituiscono il buono artefice (Queste considerazioni si trovano stupendamente espressa da Cicerone nel secondo libro del suo De natura Deorum.)?

II.

VII. Che se nella pura nutricazione degli animali, che è la più bassa di tutte le opere loro, bada ella sì attentamente al fine di essa, bada all’ordine, bada agli organi, bada a tutto, giudicate voi ciò che ella faccia nelle più sollevate: da che come un genere di ornamento cittadinesco, qual è il corintio, o il composto, è dovere che sia condotto più gentilmente di un rusticano: così nella fabbrica impareggiabile di qualunque animale non lascia la natura di avere la mira a ciò che dee più stimarsi. – Ditemi dunque: in che consiste far le cose a disegno, se questo è, secondo voi, farle a caso? Vedeste giammai miracolo così strano? Un cieco, nato senz’occhi, che mai non rimirò la luce in se stessa, mai ne’ colori, pigliare in mano un pennello, ed alla rinfusa bagnandolo in varie tinte, disegnare ad un tempo, e tirare a fine, non dirò un’opera pari a quella cena ammirabile degli dei, per cui RaffaelIo si dimostrò quasi nume della pittura, ma neppure una di quelle tanto inferiori che diedero il primo credito a Cimabue? Come può pertanto avvenire, che se la figura, contraffatta ancora e storpiata, di un animale, non può lavorarsi senz’arte, possa senz’arte lavorarsi a stupore l’animale medesimo vivo e vero? Bisogna bene uscire affatto di sé per credere queste ciance. Galeno mandò già un cartello di disfida a tutti gli epicurei, dando loro di tempo un intero secolo ad emendare, ad aggiungere, ad aggrandire, e mutare in meglio una minima particella del corpo umano; ed ove questo eseguissero, si offriva a farsi loro seguace, sino a riconoscere il caso per architetto di sì bello edifizio. Su, portate voi parimente una disfida simile agli ateisti sopra qualunque altro lavoro della natura, e vedrete se rimarran più che svergognati: tanto è infallibile che con tutto l’ingegno loro aguzzato dalla passione non troveranno in quei lavori altro oggetto che di applauso e di ammirazione; tale è la scienza del fine, tale è la disposizion delle parti, e tale è la prudenza in tutti que’ mezzi che la natura adopera al fine inteso.

III.

VIII. Né vale punto il ricorrere alle infinite combinazioni possibili di quegli atomi andati in volta: fra le quali una può dirsi che questa fu, da cui si forma al presente il nostro universo. Debol puntello a macchina sì cadente. Conciossiachè fra tutte le combinazioni che sian possibili al caso, non può trovarsi mai veruna di quelle che sono unicamente possibili all’intelletto. Se per infiniti secoli fossero andati già vagando per l’aria tutti i caratteri delle stampe olandesi, non avrebbero sortito mai di formare la Gerusalemme liberata del Tasso, ma ad ogni accoppiamento felice avrebbero sempre uniti a migliaia i falli; non potendo avvenire che il caso con tutti i suoi ravvolgimenti possibili giunga ad operar mai da quello che egli non è, cioè ad operare da artefice, non da caso; come non può avvenir che tutti i fantasmi di un cavallo, o di un cane, con infiniti ravvolgimenti che facciano in una tale immaginativa, giungano a produr mai discorso da uomo, mercecchè il discorrere trascenda tutti i confini prescritti al modo che tiene nel suo operare qualunque testa brutale. Tal è l’essenza del caso. Essere una cagione determinata a proceder in modo opposito a quello dell’intelletto, cioè a procedere senza connessione e senza corrispondenza: onde, se quei caratteri avessero mai formato un sol verso giusto, sarebbe stato un miracolo di fortuna maggior di quello che Plutarco racconta di un tal pittore, il quale disperato di poter esprimere al vivo la spuma del cavallo da lui ritratto col freno in bocca, gli gettò sul freno la spugna a guastare il fatto, e invece di guastarlo il perfezionò. E pure questo miracolo di fortuna cambiata in arte disse Plutarco esser l’unico a ricordarsi: Hoc unum fortunate artificiosum facinus narratur (Plut. libello de fortuna). Nel resto, come col gittar tale spugna infinite volte non sarebbe a quel dipintore riuscito mai di formare l’Elena di Zeusi, il Gialiso di Protogene, il Genio di Parrasio, l’Andiomene di Apelle, ma al più al più sarebbe avvenuto di fare qualche altra facile combinazion di colori, simigliante alle casuali; così quei caratteri, con accozzarsi infinite volte tra sé, non sarebbero mai pervenuti a formare un poema eroico. Pertanto, se immensamente più colma d’intelligenza e d’ingegno è qualunque composizione di un corpo animato, che non è qualunque composizione di versi, benché bellissimi; come può esser parto del caso un elefante, un alicorno, un delfino, un’aquila, un uomo, anzi tutto il concerto dell’universo sì ben disposto, se non può essere parto del caso un poema di ottava rima?

IV.

IX. Che più? Va per le bocche di tutti, che l’arte è bella, quando imita più la natura. Or come dunque la natura è senz’arte? Può chi copia cavare dall’esemplare ciò che non vi è?

X. Anzi, se l’arte ha bisogno di tanto senno e di tanta sagacità per imitar la natura; convien che la natura di tanto prevalga all’arte in senno e in sagacità, di quanto quel maestro che dà l’idea conviene che prevalga a quello scolaro che debba apprenderla. (L’arte umana è figlia della natura, come la natura è figlia di Dio, giusta il verso di Dante: « Sì che vostr’arte a Dio quasi è nipote – Inf. c. 11, v.105. ») É gran prodigio, che la luce di una verità così folgorante non ferisse a forza le pupille di Democrito, tutto che chine e chiuse in lui dall’impegno. Fu pur egli già quel Democrito, il quale abbattutosi in un tal villanello, detto Protagora, che su le spalle portava a casa un fastelletto di legne legate insieme con garbo non ordinario, si fermò prima tacito ad osservarlo, e dipoi fattogli scomporre da capo il suo piccol carico, pronunziò che Protagora avea talento da divenire filosofo di gran nome, e l’indovinò. Ora udite cosa incredibile, e pur sicura. Democrito riconosce in un fascio di legne ben ordinate l’ingegno di un uomo; ed in questo gran teatro dell’universo, sì metodico, riconosce se non il caso fabbricante a chius’occhi! Non vuole che poche legna accozzate insieme con qualche proporzione possano procedere da altra inferior cagione, che da un intelletto operante con avvedimento e con accortezza; e vuole che questa grande architettura del mondo, di cui tutti gl’ingegni umani non arrivano a penetrare la superficie, non che le finezze ed il fondo, sia struttura di un brulicame confuso di corpicciuoli volanti a caso nel nulla, ed acchiappatisi insieme, come fanno i ragazzi, alla gatta cieca. Ebbe ben ragione Aristotile (L. 1. metaph. c. 4) di chiamare questo discorso un discorso di ebbro, il quale non vede, travede. Se non che disse anche poco, mentre queste di verità non sono traveggole, sono stralunamenti. Ma voi frattanto che dite? Vi pare, che s’inducano a credere belle cose quei che hanno a sdegno di credere fermamente, che Dio vi sia? In qual de’ due casi dovete voi trattar più da tiranno la vostra mente; in obbligarla ad approvare i discorsi che sono cosi confacevoli alla ragione, o in obbligarla ad approvar le stoltizie? Ma tale è questa, che la natura non intenda quei fini a cui fa che cospirino tanti mezzi. Rimane ora a mostrare, che questi fini non ottenga ella soltanto una volta, o un’altra, come fa il caso, gli ottenga costantemente. Ma perché questo è chiamarmi all’altra proposizione, che getta a terra le fabbriche attribuite sì falsamente da Democrito a un orbo, riserbiamo il provarla ad un altro capo, da che so ‘l merita.

https://www.exsurgatdeus.org/2020/02/08/lo-scudo-della-fede-97/

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: FEBBRAIO 2020

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: FEBBRAIO 2020

FEBBRAIO è il mese che la CHIESA DEDICA alla SANTISSIMA TRINITA’

All’inizio di questo mese è bene rinnovare l’atto di fede Cattolico – autentico e solo – recitando il Credo Atanasiano, le cui affermazioni, tenute e tenacemente professate contro tutte le insidie della falsa chiesa dell’uomo vaticano-secondista e della gnosi modernista, protestante, massonica, pagana, atea, comunisto-liberista, noachide-mondialista, permettono la salvezza dell’anima per giungere all’eterna felicità. 

 IL CREDO Atanasiano

 (Canticum Quicumque * Symbolum Athanasium)

“Quicúmque vult salvus esse, * ante ómnia opus est, ut téneat cathólicam fidem: Quam nisi quisque íntegram inviolatámque serváverit, * absque dúbio in ætérnum períbit. Fides autem cathólica hæc est: * ut unum Deum in Trinitáte, et Trinitátem in unitáte venerémur. Neque confundéntes persónas, * neque substántiam separántes. Alia est enim persóna Patris, ália Fílii, * ália Spíritus Sancti: Sed Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti una est divínitas, * æquális glória, coætérna majéstas. Qualis Pater, talis Fílius, * talis Spíritus Sanctus. Increátus Pater, increátus Fílius, * increátus Spíritus Sanctus. Imménsus Pater, imménsus Fílius, * imménsus Spíritus Sanctus. Ætérnus Pater, ætérnus Fílius, * ætérnus Spíritus Sanctus. Et tamen non tres ætérni, * sed unus ætérnus. Sicut non tres increáti, nec tres imménsi, * sed unus increátus, et unus imménsus. Simíliter omnípotens Pater, omnípotens Fílius, * omnípotens Spíritus Sanctus. Et tamen non tres omnipoténtes, * sed unus omnípotens. Ita Deus Pater, Deus Fílius, * Deus Spíritus Sanctus. Ut tamen non tres Dii, * sed unus est Deus. Ita Dóminus Pater, Dóminus Fílius, * Dóminus Spíritus Sanctus. Et tamen non tres Dómini, * sed unus est Dóminus. Quia, sicut singillátim unamquámque persónam Deum ac Dóminum confitéri christiána veritáte compéllimur: * ita tres Deos aut Dóminos dícere cathólica religióne prohibémur. Pater a nullo est factus: * nec creátus, nec génitus. Fílius a Patre solo est: * non factus, nec creátus, sed génitus. Spíritus Sanctus a Patre et Fílio: * non factus, nec creátus, nec génitus, sed procédens. Unus ergo Pater, non tres Patres: unus Fílius, non tres Fílii: * unus Spíritus Sanctus, non tres Spíritus Sancti. Et in hac Trinitáte nihil prius aut postérius, nihil majus aut minus: * sed totæ tres persónæ coætérnæ sibi sunt et coæquáles. Ita ut per ómnia, sicut jam supra dictum est, * et únitas in Trinitáte, et Trínitas in unitáte veneránda sit. Qui vult ergo salvus esse, * ita de Trinitáte séntiat. Sed necessárium est ad ætérnam salútem, * ut Incarnatiónem quoque Dómini nostri Jesu Christi fidéliter credat. Est ergo fides recta ut credámus et confiteámur, * quia Dóminus noster Jesus Christus, Dei Fílius, Deus et homo est. Deus est ex substántia Patris ante sǽcula génitus: * et homo est ex substántia matris in sǽculo natus. Perféctus Deus, perféctus homo: * ex ánima rationáli et humána carne subsístens. Æquális Patri secúndum divinitátem: * minor Patre secúndum humanitátem. Qui licet Deus sit et homo, * non duo tamen, sed unus est Christus. Unus autem non conversióne divinitátis in carnem, * sed assumptióne humanitátis in Deum. Unus omníno, non confusióne substántiæ, * sed unitáte persónæ. Nam sicut ánima rationális et caro unus est homo: * ita Deus et homo unus est Christus. Qui passus est pro salúte nostra: descéndit ad ínferos: * tértia die resurréxit a mórtuis. Ascéndit ad cælos, sedet ad déxteram Dei Patris omnipoténtis: * inde ventúrus est judicáre vivos et mórtuos. Ad cujus advéntum omnes hómines resúrgere habent cum corpóribus suis; * et redditúri sunt de factis própriis ratiónem. Et qui bona egérunt, ibunt in vitam ætérnam: * qui vero mala, in ignem ætérnum. Hæc est fides cathólica, * quam nisi quisque fidéliter firmitérque credíderit, salvus esse non póterit.”

L’adorazione della Santissima Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, con il mistero dell’Incarnazione e la Redenzione di Gesù-Cristo, costituiscono il fondamento della vera fede insegnata dalla Maestra dei popoli, la Chiesa di Cristo, Sposa verità unica ed infallibile, via di salvezza, fuori dalla quale c’è dannazione eterna.  … O uomini, intendetelo quanto questo dogma vi nobiliti. Creati a similitudine dell’augusta Trinità, voi dovete formarvi sul di lei modello, ed è questo un dover sacro per voi. Voi adorate una Trinità il cui carattere essenziale è la santità, e non vi ha santità sì eminente, alla quale voi non possiate giungere per la grazia dello Spirito santificatore, amore sostanziale del Padre e del Figlio. Per adorare degnamente l’augusta Trinità voi dovete dunque, per quanto è possibile a deboli creature umane, esser santi al pari di lei. Dio è santo in se stesso, vale a dire che non è in lui né peccato, né ombra di peccato; siate santi in voi stessi. Dio è santo nelle sue creature: vale a dire che a tutto imprime il suggello della propria santità, né tollera in veruna il male o il peccato, che perseguita con zelo immanchevole, a vicenda severo e dolce, sempre però in modo paterno. Noi dunque dobbiamo essere santi nelle opere nostre e santi nelle persone altrui evitando cioè di scandalizzare i nostri fratelli, sforzandoci pel contrario a preservarli o liberarli dal peccato. Siate santi, Egli dice, perché Io sono santo. E altrove: Siate perfetti come il Padre celeste è perfetto; fate del bene a tutti, come ne fa a tutti Egli stesso, facendo che il sole splenda sopra i buoni e i malvagi, e facendo che la pioggia cada sul campo del giusto, come su quello del peccatore. Modello di santità, cioè dei nostri doveri – verso Dio, L’augusta Trinità è anche il modello della nostra carità, cioè dei nostri doveri verso i nostri fratelli. Noi dobbiamo amarci gli uni gli altri come si amano le tre Persone divine. Gesù Cristo medesimo ce lo comanda, e questa mirabile unione fu lo scopo degli ultimi voti che ei rivolse al Padre suo, dopo l’istituzione della santa Eucarestia. Egli chiede che siamo uno tra noi, come Egli stesso è uno col Padre suo. A questa santa unione, frutto della grazia, ei vuole che sia riconosciuto suo Padre che lo ha inviato sopra la terra, e che si distinguono quelli che gli appartengono. Siano essi uno, Egli prega, affinché il mondo sappia che Tu mi hai inviato. Si conoscerà che voi siete miei discepoli, se vi amate gli uni gli altri. « Che cosa domandate da noi, o divino Maestro, esclama sant’Agostino, se non che siamo perfettamente uniti di cuore e di volontà? Voi volete che diveniamo per grazia e per imitazione ciò che le tre Persone divine sono per la necessità dell’esser loro, e che come tutto è comune tra esse, così la carità del Cristianesimo ci spogli di ogni interesse personale ». – Come esprimere l’efficacia onnipotente di questo mistero? In virtù di esso, in mezzo alla società pagana, società di odio e di egoismo, si videro i primi Cristiani con gli occhi fissi sopra questo divino esemplare non formare che un cuore ed un’anima, e si udirono i pagani stupefatti esclamare: « Vedete come i Cristiani si amano, come son pronti a morire gli uni per gli altri! » Se scorre tuttavia qualche goccia di sangue cristiano per le nostre vene, imitiamo gli avi nostri, siamo uniti per mezzo della carità, abbiamo una medesima fede, uno stesso Battesimo, un medesimo Padre. I nostri cuori, le nostre sostanze siano comuni per la carità: e in tal guisa la santa società, che abbiamo con Dio e in Dio con i nostri fratelli, si perfezionerà su la terra fino a che venga a consumarsi in cielo. – Noi troviamo nella santa Trinità anche il modello dei nostri doveri verso noi stessi. Tutti questi doveri hanno per scopo di ristabilire fra noi l’ordine distrutto dal peccato con sottomettere la carne allo spirito e lo spirito a Dio; in altri termini, di far rivivere in noi l’armonia e la santità che caratterizzano le tre auguste persone, e ciascuno di noi deve dire a sé  stesso: Io sono l’immagine di un Dio tre volte santo! Chi dunque sarà più nobile di me! Qual rispetto debbo io aver per me stesso! Qual timore di sfigurare in me o in altri questa immagine augusta! Qual premura a ripararla, a perfezionarla ognor più! Sì, questa sola parola, io sono l’immagine di Dio, ha inspirato maggiori virtù, impedito maggiori delitti, che non tutte le pompose massime dei filosofi.

3

Te Deum Patrem ingenitum, te Filium unigenitum, te Spiritum Sanctum Paraclitum, sanctam et individuam Trinitatem, toto corde et ore confitemur, laudamus atque benedicimus. (ex Missali Rom.).

Indulgentia quingentorum dierum.

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, si quotìdie per integrum mensem precatiuncula devote reperita fuerit

(S. C. Ind., 2 iul. 1816; S. Pæn. Ap., 28 sept. 1936).

12

a) O sanctissima Trinitas, adoro te habitantem per gratiam tuam in anima mea.

b) Osanctissima Trinitas, habitans per gratiam tuam in anima mea, facut magis ac magis amem te.

c) O sanctissima Trinitas, habitans per gratiam tuam in anima mea, magis magisque sanctifica me.

d) Mane mecum, Domine, sis verum meum gaudium.

Indulgentia trecentorum dierum prò singulis iaculatoriis precibus etiam separatim (S. Pæn. Ap., 26 apr. 1921 et 23 oct. 1928).

16

a) Sanctus Deus, Sanctus fortis, Sanctus immortalis, miserere nobis.

b) Tibi laus, tibi gloria, tibi gratiarum actio in sæcula sempiterna, o beata Trinitas (ex Missali Rom.).

Indulgentia quingentorum dierum prò singulis invocationibus etiam separatim.

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, si quotìdie per integrum mensem alterutra prex iaculatoria devote recitata fuerit (Breve Ap., 13 febr. 1924; S. Pæn. Ap., 9 dec. 1932).

40

In te credo, in te spero, te amo, te adoro,

beata Trinitas unus Deus, miserere mei nunc et

in hora mortis meæ et salva me.

Indulgentia trecentorum dierum (S. Pæn. Ap., 2 iun.)

43

CREDO IN DEUM,

Patrem omnipotentem, Creatorem cœli et terræ. Et in Iesum Christum, Filium eius unicum, Dominum nostrum: qui conceptus est de Spiritu Sancto, natus ex Maria Virgine, passus sub Pontio Pilato, crucifixus, mortuus et sepultus; descendit ad inferos; tertia die resurrexit a mortuis ; ascendit ad cœlos; sedet ad dexteram Dei Patris omnipotentis; inde venturus est iudicare vivos et mortuos. Credo in Spiritum Sanctum, sanctam Ecclesiam catholicam, Sanctorum communionem, remissionem peccatorum, carnis resurrectionem, vitam æternam, Amen.

Indulgentia quinque annorum.

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo quotìdie per integrum mensem praefatum Apostolorum Symbolum pia mente recitatum fuerit (S. Pæn. Ap., 12 apr. 1940).

ACTUS ADORATIONIS ET GRATIARUM ACTIO PROPTER BENEFICIA, QUÆ HUMANO GENERI EX DIVINI VERBI INCARNATIONE ORIUNTUR.

45

Santissima Trinità, Padre, Figliuolo e Spirito Santo, eccoci prostrati alla vostra divina presenza. Noi ci umiliamo profondamente e vi domandiamo perdono delle nostre colpe.

I . Vi adoriamo, o Padre onnipotente, e con tutta l’effusione del cuore vi ringraziamo di averci dato il vostro divin Figliuolo Gesù per nostro Redentore, che si è lasciato con noi nell’augustissima Eucaristia sino alla consumazione dei secoli, rivelandoci le meraviglie della carità del suo Cuore in questo mistero di fede e di amore.

Gloria Patri.

II. O divin Verbo, amabile Gesù Redentore nostro, noi vi adoriamo, e con tutta l’effusione del cuore vi ringraziamo di aver preso umana carne e di esservi fatto, per la nostra redenzione, sacerdote e vittima del sacrificio della Croce: sacrificio che, per eccesso di carità del vostro Cuore adorabile, Voi rinnovate sui nostri altari ad ogni istante. 0 sommo Sacerdote, o divina Vittima, concedeteci di onorare il vostro santo sacrificio nell’augustissima Eucaristia con gli omaggi di Maria santissima e di tutta la vostra Chiesa trionfante, purgante e militante. Noi ci offriamo tutti a voi; e nella vostra infinita bontà e misericordia accettate la nostra offerta, unitela alla vostra e benediteci.

Gloria Patri.

III. O divino Spirito Paraclito, noi vi adoriamo, e con tutta l’effusione del cuore vi ringraziamo di avere con tanto amore per noi operato l’ineffabile beneficio dell’Incarnazione del divin Verbo, beneficio che nell’augustissima Eucaristia  si estende e amplifica continuamente. Deh! per questo adorabile mistero della carità del sacro Cuore di Gesù, concedete a noi ed a tutti i peccatori la vostra santa grazia. Diffondete i vostri santi doni sopra di noi e sopra tutte le anime redente, ma in modo speciale sopra il Capo visibile della Chiesa, il Sommo Pontefice Romano [Gregorio XVIII], sopra tutti i Cardinali, i Vescovi e Pastori delle anime, sopra i sacerdoti e tutti gli altri ministri del santuario. Così sia.

Gloria Patri.

Indulgentia trium annorum (S. C. Indulg. 22 mart. 1905; S. Pæn. Ap., 9 dee. 1932).

Queste sono le feste del mese di:

FEBBRAIO 2020

1 Febbraio S. Ignatii Episcopi et Martyris  –  Duplex

                 1° Sabato

2 Febbraio Dominica IV Post Epiphaniam    Semiduplex Dominica minor

                  In Purificatione Beatæ Mariæ Virginis    Duplex II. Classis

                  Festa dell’Arciconfraternita del Cuore Immacolato di Maria

3 Febbraio S. Blasii Episcopi  –  Feria

4 Febbraio S. Andreæ Corsini Episcopi et Confessoris    Duplex

5 Febbraio S. Agathæ Virginis et Martyris –  Duplex

6 Febbraio S. Titi Episc. et Confessoris  –  Duplex

7 Febbraio S. Romualdi Abbatis    Duplex

                  1° Venerdì

8 Febbraio S. Joannis de Matha Confessoris – Duplex

9 Febbraio Dominica in Septuagesima    Semiduplex II. classis

S. Cyrilli Episc. Alexandrini Confessoris Ecclesiæ Doctoris    Duplex

10 Febbraio S. Scholasticæ Virginis  –  Duplex

11 Febbraio In Apparitione Beatæ Mariæ Virginis    Duplex majus

12 Febbraio Ss. Septem Fundat. Ord. Servorum B. M. V.    Duplex

14 Febbraio S. Valentini  –  Feria

15 Febbraio SS. Faustini et Jovitæ  –  Feria

16 Febbraio Dominica in Sexagesima  –  Semiduplex II. classis

18 Febbraio S. Simeonis Faustini Episcopi et Martyris    Feria

22 Febbraio In Cathedra S. Petri Ap. –   Duplex II. classis

23 Febbraio Dominica in Quinquagesima    Semiduplex II. classis

S. Petri Damiani    Duplex

25 Febbraio S. Matthiæ Apostoli  – Duplex II. classis

26 Febbraio Feria IV Cinerum  –  Semiduplex

28 Febbraio S. Gabrielis a Virgine Perdolente Confessoris    Duplex

SALMI BIBLICI: “DEUS ULTIONUM DOMINUS” (XCIII)

SALMO 93: “Deus ultionum Dominus”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME DEUXIÈME.

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR

13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 93

Psalmus ipsi David, quarta sabbati.

 [1]  Deus ultionum Dominus;

Deus ultionum libere egit.

[2] Exaltare, qui judicas terram, redde retributionem superbis.

[3] Usquequo peccatores, Domine, usquequo peccatores gloriabuntur?

[4] effabuntur et loquentur iniquitatem, loquentur omnes qui operantur injustitiam?

[5] Populum tuum, Domine, humiliaverunt; et hæreditatem tuam vexaverunt.

[6] Viduam et advenam interfecerunt, et pupillos occiderunt.

[7] Et dixerunt: Non videbit Dominus, nec intelliget Deus Jacob.

[8] Intelligite, insipientes in populo; et stulti, aliquando sapite.

[9] Qui plantavit aurem non audiet? aut qui finxit oculum non considerat?

[10] Qui corripit gentes non arguet, qui docet hominem scientiam?

[11] Dominus scit cogitationes hominum, quoniam vanae sunt.

[12] Beatus homo quem tu erudieris, Domine, et de lege tua docueris eum;

[13] ut mitiges ei a diebus malis, donec fodiatur peccatori fovea.

[14] Quia non repellet Dominus plebem suam, et hæreditatem suam non derelinquet:

[15] Quoadusque justitia convertatur in judicium, et qui juxta illam omnes qui recto sunt corde.

[16] Quis consurget mihi adversus malignantes? aut quis stabit mecum adversus operantes iniquitatem?

[17] Nisi quia Dominus adjuvit me, paulo minus habitasset in inferno anima mea.

[18] Si dicebam: Motus est pes meus, misericordia tua, Domine, adjuvabat me.

[19] Secundum multitudinem dolorum meorum in corde meo, consolationes tuæ lætificaverunt animam meam.

[20] Numquid adhæret tibi sedes iniquitatis, qui fingis laborem in præcepto?

[21] Captabunt in animam justi, et sanguinem innocentem condemnabunt.

[22] Et factus est mihi Dominus in refugium, et Deus meus in adjutorium spei meæ.

[23] Et reddet illis iniquitatem ipsorum, et in malitia eorum disperdet eos; disperdet illos Dominus Deus noster.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

Salmo da recitarsi pel mercoledì. Argomento è la Provvidenza di Dio, che non lascia di punire in fine i malvagi e rimunerare i buoni.

Salmo dello stesso David per il quarto giorno della settimana.

1. Il Signore è il Dio delle vendette: il Dio delle vendette opera liberamente.

2. Dà a conoscere come glorioso sei tu, o Giudice della terra: rendi la loro retribuzione a’ superbi.

3. Fino a quando, o Signore, fino a quando i peccatori anderanno fastosi?

4. Apriranno la bocca, e parleranno iniquamente; parleranno con arroganza tutti quelli che operano l’ingiustizia?

5. Signore, eglino hanno umiliato il tuo popolo, e hanno malmenata la tua eredità.

6. Hanno ucciso la vedova e lo straniero, e messi a morte i pupilli.

7. E hanno detto: Il Signore non vedrà, e non ne saprà altro il Dio di Giacobbe.

8. Intendete, o i più stupidi del popolo; o voi, stolti, imparate una volta.

9. Colui che piantò l’orecchia, non udirà? e quei che lavorò l’occhio, sarà senza vista?

10. Non vi condannerà forse colui che castiga le genti? che all’uomo insegna la scienza?

11. Il Signore conosce i pensieri degli uomini, e come son vani.

12. Beato l’uomo, cui tu avrai istruito, o Signore, e cui avrai tu insegnata la tua legge,

13. Per rendere a lui men duri i giorni cattivi, fino a tanto che sia scavata la fossa del peccatore.

14. Imperocché il Signore non rigetterà il popol suo, e non lascerà in abbandono la sua eredità.

15. Fino a tanto che la giustizia venga a far giudizio e (fino a tanto) che staran presso a lei tutti quelli che sono di cuore retto. (1)

16. Chi si alzerà per me contro i maligni o chi starà dalla parte mia contro di quelli che operano l’iniquità?

17. Se non che il Signore mi ha aiutato quasi quasi avrei avuto per mia stanza il sepolcro.

18. Se io diceva a te: Il mio piede vacilla e la tua misericordia, o Signore, veniva in mio soccorso.

19. A proporzione dei molti dolori, che prova il cuor mio le tue consolazioni letificarono l’anima mia.

20. Ha forse il tribunale d’iniquità qualche cosa di comune con te, che ci prepari travaglio nei tuoi comandamenti? (2)

21. Anderanno a caccia del giusto, e non danneranno il sangue innocente.

22. Ma il Signore è stato mio rifugio, e il mio Dio il sostegno di mia speranza.

23. Ed ei renderà ad essi la loro iniquità, e per la loro malizia gli sperderà; li manderà in perdizione il Signore Dio nostro.

(1) Finché la giustizia si volge in giudizio, fino a che il diritto sia riconosciuto come retto nel giudizio, finché il giudizio torni alla giustizia, da cui non avrebbe dovuto mai allontanarsi.

(2) Sarete voi come un giudice iniquo, voi che avete dato dei precetti difficili e che non avete disposto di osservare?

Sommario analitico (3)

(3) Questo salmo, come il Salmo LXXXI, contiene delle minacce contro i giudici iniqui che abusano del loro potere. Tra le opinioni supposte circa l’epoca alla quale far risalire la composizione di questo salmo, due sembrano le più verosimili. Una lo riporta ai tempi in cui Isaia e Michea fulminavano di anatemi contro i giudici iniqui ed avidi dei beni altrui (Is. X, Mich. III, VII), e secondo questa opinione questi giudici iniqui erano Israeliti. – L’altra opinione pone la composizione di questo salmo ai tempi delle incursioni degli Assiri nella Terra Santa ed è contro di questi che il salmista dirigerà i suoi lamenti (P. Emman, Essai sur les Psalmes.)..

Il Profeta parlando qui a nome del popolo cristiano, della Chiesa di Gesù-Cristo perseguitata, dopo aver posto in cima a questo salmo due grandi attributi di Dio, la potenza nell’esercitare le sue vendette e la libertà di esercitarla (1):

I. Prega Iddio Onnipotente di esercitare la sua giusta vendetta

1° Contro gli orgogliosi che si vantano ed applaudono i loro crimini (2-4);

2° Contro gli oppressori dei giusti, delle vedove, degli stranieri e degli orfani (5,6).

II. – Egli combatte l’empietà di coloro che negano la divina provvidenza (7):

1° Li accusa di follia (8);

2° Li persuade dell’errore con un ragionamento tratto dai doni che il Creatore ha fatto alla sua creatura e che deve possedere in un grado infinitamente superiore (9, 10);

3° Egli li accusa di vanità (11).

III. – Proclama felici i giusti, perché

1° Essi hanno Dio per dottore, – a) che li istruisce con la sua legge (12), – b) li preserva dalla rovina riservata ai peccatori (13), – c) non li rigetta lontano da sé (14), – d) li riunisce ai santi che saranno presso di Lui nel giorno del giudizio finale (15);

2° essi hanno Dio come difensore: – a) Egli si leva per essi contro i malvagi (16); – b) tende loro la mano perché non cadano nell’inferno (17); – c) la sua misericordia li sostiene  quando i loro piedi vacillano (18);

3° Essi hanno Dio per consolatore: a) Egli proporziona la grandezza delle consolazioni all’estensione ed alla moltitudine dei precetti (20); b) compensa la pena attaccata all’osservazione dei precetti (20).

4° Essi hanno Dio come sostegno:- a) necessario contro i malvagi che cospirano contro la loro vita (21); – b) potente, per servire loro da rifugio ed appoggio (22); – c) giusto, per far ricadere sui malvagi la pena delle loro iniquità (23). 

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-6.

ff. 1-6. – Ricordiamoci innanzitutto di questa verità, spesso ripetuta, che la Scrittura, attribuendo sovente a Dio la gelosia, la collera, il furore e la vendetta, parla agli uomini un linguaggio umano, per accondiscendere alla debolezza dei loro pensieri ed elevarli più facilmente alla maestà dell’Essere supremo. – Che cos’è il Dio delle vendette? Il Dio dei castighi. Voi mormorate senza dubbio perché Egli non punisce i malvagi. Non mormorate se non volete essere nel numero di coloro che Egli punirà. Un uomo ha commesso un furto; voi mormorate contro Dio, perché colui che vi ha derubato non muore. Esaminate se voi stessi non commettete furto. E nel caso in cui voi non ne commettiate, cercate di ricordare se ne abbiate mai commesso. Se ora siete il giorno, ripassate il tempo in cui eravate notte; se ora siete rafforzati nel cielo, ripassate il tempo in cui abitavate la terra. Forse troverete che nel passato siete stato colpevole di furto, e che un altro si irritasse del fatto che siete stato lasciato in vita malgrado il vostro latrocinio, e che la morte non vi cogliesse. Ma nello stesso momento dei vostri crimini, Dio vi ha lasciato in vita affinché poteste rinunciare ai crimini, e riguardate come dopo aver traversato il ponte della misericordia di Dio, non vogliate rivoltarlo dopo di voi. Ignorate dunque che mille altri devono passare là dove siete passato voi stesso? E potreste voi mormorare oggi, se colui che ha mormorato contro di voi fosse stato esaudito? E tuttavia ora voi desiderate che Dio punisca i malvagi; voi vorreste vedere morire questo ladro e mormorate contro Dio perché questo ladro non sia morto…  pesate sulla bilancia dell’equità un ladro ed un bestemmiatore. Voi dite ora di non essere un ladro, e sia; ma mormorando contro Dio, siete un blasfemo. Il ladro sorveglia il sonno di un uomo per rubargli qualcosa; e voi, voi osate dire Dio dorme e non vede ciò che l’uomo fa! Voi volete dunque che quest’uomo corregga la sua mano: cominciate a correggere la vostra lingua; voi volete che Egli corregga il suo cuore colpevole verso un uomo, cominciate a correggere il vostro cuore colpevole verso Dio, per timore che questa punizione di Dio che voi invocate, non cada dapprima su di voi quando Dio verrà. (S. Agost.). – Perché Egli verrà, verrà certamente e giudicherà coloro che avranno perseverato nella loro malvagità, che saranno stati ingrati verso la sua misericordia che li ha prevenuti ed ingrati verso la sua pazienza, che avranno ammassato contro se stessi un tesoro di collera per il giorno della collera e della manifestazione del giusto giudizio di Dio, quando renderà a ciascuno secondo le sue opere (Rom. II, 46) – (S. Agost.). – Il Dio delle vendette ha agito con libertà, ed in effetti non ha risparmiato nessuno nei suoi  discorsi; perché il Signore era allora nella debolezza della carne, ma anche nella forza della parola. Egli non ha fatto eccezione di persone nei confronti dei primi tra i Giudei. Cosa non ha detto contro di loro?  Cosa non ha detto loro in faccia? Egli non temeva nessuno nei suoi discorsi perché meritavano di essere risparmiati nei suoi giudizi; perché se si fossero rifiutati di ricevere il rimedio della sua parola, avrebbero ricevuto la sua sentenza di giudice. Perché? Perché Egli è il Dio delle vendette. Egli non li risparmiava nei suoi discordi, perché meritassero di essere risparmiati nel suo giudizio. Perché il profeta ha detto: « Il Dio delle vendette ha agito con fermezza; » e non ha risparmiato nessuno nelle sue parole. E Colui che non ha risparmiato alcuno nei suoi discorsi, nel momento di soffrire la sua Passione, risparmierà alcuno nel suo arresto, al momento di giudicare? Colui che non ha temuto nessuno nella sua umiltà, potrà temere qualcuno nella sua gloria? La fermezza dei suoi primi atti vi dice come Egli agirà alla fine del mondo (S. Agost.). – « La vendetta è mia, e sono Io che la farò, dice il Signore. » (Rom. XII, 19). – Dio, nell’esercizio della sua giustizia, agisce liberamente: « Io mi vendicherò, e qual è l’uomo che mi resisterà? » (Isai. XLVII, 3) – Per la ragione stessa che la vendetta gli appartiene, Dio agirà liberamente e sovranamente, cioè in Dio; in Dio senza considerazioni, o piuttosto al di sopra di ogni considerazione; in Dio che, nell’ultimo giudizio che renderà agli uomini, non avrà né condizioni da distinguere, né nessuno verso cui aver riguardi, perché Egli verrà per vendicare gli abusi che avranno fatto gli uomini delle loro condizioni, e per punire le attitudini criminali che hanno avuto per le loro persone (Bourd. Jugem. De Dieu.) –  È un avvertimento dato a coloro che giudicano la terra, il levarsi al di sopra di coloro che si giudicano elevati sopra gli altri per la loro dignità o la loro potenza. – Non è con l’impazienza che il giusto debba domandare a Dio di far brillare la sua potenza contro coloro che lo opprimono, ma con un sincero amore della giustizia e per chiudere la bocca a coloro che, vedendo i peccatori glorificarsi con insolenza, potrebbero dubitare della Provvidenza di Dio. – Altra ragione c’è per domandare a Dio che arresti l’insolenza dei peccatori, affinché l’impunità non li renda ancor più criminali. Effetti funesti di questa impunità nei crimini sono: umiliare tutti coloro che possono elevarsi al di sopra degli altri: affliggere gli innocenti, opprimere i deboli o per interesse, o per la crudele soddisfazione di far loro del male. (Dug.). « Elevatevi, voi che giudicate la terra, rendete agli orgogliosi quello che hanno meritato. » Cosa significano queste parole? È la predizione di un profeta e non l’ordine di un audace. E non è in effetti se non perché il Profeta ha detto: « Elevatevi, voi che giudicate la terra, », che il Cristo, obbedendo al Profeta, è resuscitato per venire in cielo; ma è perché il Cristo voleva farlo che il Profeta l’ha predetto … « Rendete agli orgogliosi ciò che essi hanno meritato. » Qual sono gli orgogliosi? Coloro che non contenti di fare il male, vogliono pure difendere i loro peccati … Chi è orgoglioso? Colui che si rifiuta di far penitenza con la confessione dei suoi peccati alfine di poter ottenere la sua guarigione con l’umiltà. Chi è orgoglioso? Colui che pretende di attribuirsi il poco di bene che trova in lui e che ne rifiuta il merito alla misericordia di Dio. Chi è orgoglioso? Colui che, pur attribuendo a Dio le sue bone opere, insulta coloro che non ne fanno abbastanza e si eleva al di sopra di essi. (S. Agost.). – Ma quando renderà a ciascuno la pena che ha meritato? Nell’attesa i malvagi trionfano, i malvagi si danno all’allegria, i malvagi bestemmiano e fanno tutto ciò che è male. Ne siete colpiti? Cercate il malvagio con amore e non riprendetelo con orgoglio. Ne siete colpito? Il salmista compatisce la vostra pena, e cerca con voi, non per ignoranza, ma cerca con voi ciò che sa, per farvi trovare in lui ciò che voi non sapete. Così, colui che vuol consolare qualcuno non può sollevarlo dal suo abbattimento che a condizione di partecipare al suo dolore. Egli piange dapprima con lui e lo consola con parole di consolazione … ma in questo salmo, lo Spirito di Dio, benché sappia ogni cosa, cerca con voi e pronuncia in qualche modo le vostre parole: « … Fino a quando i peccatori si glorieranno,  risponderanno e terranno il linguaggio dell’iniquità? Fino a quando coloro che commettono l’ingiustizia ne sosterranno la lingua? » – Contro chi parlano se non contro Dio, coloro che dicono: A cosa ci serve vivere così? Perché i malvagi conservano la vita, questi uomini immaginano che Dio non sappia quel che facciano … « Fino a quando risponderanno ed avranno un linguaggio iniquo? » Il profeta menziona qui tutte le loro cattive opere. Che significa: essi risponderanno e parleranno con linguaggio di iniquità? Essi avranno sempre qualche cosa da rispondere in opposizione ai giusti. Un giusto viene a loro e dice: non commettete l’iniquità. Perché? Per paura che ne moriate. Ma io ho già commesso l’iniquità, eppure non sono morto. Un altro al contrario non ha fatto che opere di giustizia; perché Dio lo ha punito severamente? Perché egli soffre? Ecco la risposta dei malvagi. Essi hanno sempre una risposta pronta; e siccome Dio li risparmia, essi trovano in questa pazienza di Dio degli argomenti di risposta. Dio li risparmia per un motivo: essi rispondono su di un altro punto, sulla vita che viene loro lasciata. L’Apostolo dice perché Dio li risparmia, ed egli spiega così le cause della pazienza divina: « … Pensate voi dunque, voi che agite così, che sfuggirete al giudizio di Dio e disprezzate dunque le ricchezze della sua bontà e della sua longanimità? Ignorate che la pazienza di Dio ha per scopo di condurvi alla penitenza? Ma voi, per la durezza del vostro cuore, per l’impenitenza del vostro cuore, ammassate contro di voi un tesoro di collera per il giorno della collera e della manifestazione del giusto giudizio di Dio che renderà a ciascuno secondo le sue opere (Rom. II, 3, 6.). Cosi dunque Dio estende la sua longanimità e voi estendete la vostra iniquità; Dio avrà un tesoro di misericordia eterna per coloro che non avranno disprezzato la sua misericordia, il vostro tesoro sarà un tesoro di collera, e ciò a cui vi esponete giorno dopo giorno, lo troverete in un sol colpo; voi ammassate pezzo su pezzo, ma troverete un mucchio enorme. Non vi rassicurate sulla poca gravità dei vostri peccati di ogni giorno, perché queste sono piccole gocce che formano i fiumi. (S. Agost.). Vedete qui la concatenazione del male: colui che ha un linguaggio colpevole è come necessariamente indotto a fare del male; perché la bocca parla dell’abbondanza del cuore, ed una coscienza corrotta si spande in discorsi criminali (S. Girol.).

II. 7 – 11

ff. 7-11. – È il linguaggio degli atei e degli empi di professione, ma è pure il linguaggio nelle loro opere diversi Cristiani, che provano così bene che non sono convinti che Dio penetri il fondo dei cuori con la sua luce e che ci sia una conoscenza esatta di tutte le loro azioni e di tutti i loro pensieri. – Questi atei, questi empi difficilmente tornano indietro. Poiché essi sono tanto più insensati perché credendosi saggi – ed anche perché trattano gli altri con estremo disprezzo – è raro e quasi impossibile che possano divenire veramente saggi. – « Come, colui che ha formato l’orecchio non ascolta? E colui che ha fatto gli occhi è cieco? » L’orecchio che Dio ha formato nell’uomo non intende, e l’occhio non vede che ad una certa distanza; occorre che l’oggetto sia loro presente; ma Dio, posto a qualunque distanza, intende molto distintamente tutto ciò che si dice fin nel fondo del cuore; Egli vede chiaramente tutto ciò che accade nei luoghi più reconditi, o piuttosto, è presente dappertutto (Dug.). –  Perché non pensate che Egli è tutta la vista, tutto l’udito, tutta l’intelligenza, che i vostri pensieri gli parlano, che il vostro cuore gli scopre tutto, che la vostra coscienza è la sua sorvegliante ed il suo testimone contro voi stessi? E tuttavia sotto questi occhi così vivi, sotto questi sguardi così penetranti, voi vi rallegrate senza inquietudine del piacere di essere nascosto; voi vi abbandonate alla gioia e vivete riposati tra le vostre delizie criminose, senza pensare che Colui che ve le proibisce e vi ha lasciato tante volte impunito, verrà qualche giorno inopinatamente a turbare i vostri piaceri in modo terribile per i rigori del suo giudizio, quando meno lo aspettate. – Colui che insegna e punisce le nazioni, non le riprenderebbe? (Bossuet, “Serm., p. le I Dim. de l’Av., I^ p). È ciò che Do fa ora: Egli insegna alle nazioni; ecco perché ha inviato la sua parola per mezzo degli Angeli e dei Patriarchi, i suoi servi, una folla di araldi che precedono il Giudice in arrivo. Egli ha inviato il Verbo stesso, suo Figlio, ha inviato i servi di suo Figlio e suo Figlio stesso nei suoi servitori. Nell’intero universo è predicata la parola di Dio. Qual è il luogo ove non si dica agli uomini: rinunziate alle vostre antiche iniquità, e tornate sulla retta via? Dio vi risparmia affinché vi correggiate; Egli non vi ha punito ieri affinché oggi viviate nel bene. Egli insegna alle nazioni, non le riprenderà mai? Egli non intenderà dunque al suo tribunale coloro ai quali insegna? Non giudicherà forse coloro ai quali ha insegnato dapprima la sua parola e nei quali ha sparso la sua semenza? Se frequentate una scuola, riceverete senza mai rendere? Voi ricevete dal maestro quanto vi danno i suoi insegnamenti; il maestro vi confida ciò che vi insegna, e credete che egli non esigerà quando sarà venuto per voi il momento di renderglielo?  Forse credete che, venuto questo momento, non abbiate da temere il colpo? Noi dunque riceviamo ora, e più tardi saremo condotti davanti al Padrone per pagargli tutti i nostri debiti passati, cioè per rendergli conto di tutte le cose di cui noi ora prendiamo l’anticipo. E che, colui che insegna le nazioni non le riprenderà forse, Lui che da la scienza all’uomo? Colui che vi fa sapere, non saprebbe Egli stesso, che è Colui che dà la scienza all’uomo? (S. Agost.). – Tutti i pensieri e tutta la scienza dell’uomo che Dio non dà, non sono che vanità. La scienza che non entra nel cuore, queste luci che non vengono che dallo spirito, non ispirano che vani pensieri, non fanno che gonfiare e servono piuttosto a farci condannare che salvare. – Lasciamo dunque i nostri pensieri poiché sono vani, e prendiamo i pensieri di Dio, poiché essi sono la saggezza medesima. (S. Agost.).

III. – 12-23.

ff. 12-15. – Felici coloro ai quali Dio apre non solo l’orecchio del corpo per parlargli esteriormente, non solo l’orecchio dello spirito, per dargli la conoscenza, ma pure l’orecchio del cuore per ispirargli l’amore. – Dio è dottore dei giusti, li istruisce: – 1° come un padre: « Il Signore vostro Dio vi ha istruito come un padre insegna al figlio suo, affinché osserviate i comandamenti del Signore vostro Dio, e camminiate nelle sue vie e lo temiate; (Deut. VIII, 5, 6); – 2° come guida nella via che Egli ordina di seguire: « Io sono il Signore tuo Dio che ti insegna ciò che è buono e ti dirige nella via che percorri; » (Isai. XLVIII, 17); – 3° come il maestro degli atleti che si preparano al combattimento. « la sua unzione tutto vi insegna; » (I Giov. II, 27); – 4° come nostro Salvatore. « la grazia di Dio nostro Salvatore si è rivelata a tutti gli uomini, per insegnarci a rinunciare all’empietà, ai desideri del secolo, ed a vivere nel secolo con temperanza, con giustizia e con pietà. » (Tit. II, 11, 12). – Tale è uno dei mirabili effetti della divina dottrina, addolcire l’amarezza che prova il giusto vedendo e soffrendo le persecuzioni degli empi. Nessun riposo è più dolce durante i cattivi giorni di questa vita, nessun fondamento più solido in sicurezza dell’ultimo giorno, che è propriamente il cattivo giorno dei peccatori, che la conoscenza pratica dell’amore della legge di Dio. – Per quanto tempo sarà necessaria questa consolazione? Fino a quando sarà scavata questa fossa nella quale gli empi saranno precipitati. Allora tutti i mali saranno rivoltati dal lato dei malvagi, i giusti non avranno più bisogno di consolazione, perché non avranno più pene. La prosperità del peccatore è una fossa che si scava da sé sotto i suoi piedi. Più è elevato nel mondo, più questa fossa è profonda. (Bellarm., Dug.). Dio, per effetto della sua giustizia recondita, risparmia una uomo che sa peccatore ed empio, e per questo fatto che Dio lo risparmia, la sua impunità lo gonfia ancor più d’orgoglio. Egli si crede elevato ben in alto e cade, cade a motivo di questa impunità che gli ha fatto credere di essere grande; egli considera la sua felicità come un’elevazione, e Dio invece la chiama “fossa”. Una fossa precipita nell’abisso, lungi dall’elevare al cielo; ecco perché i peccatori orgogliosi, che credono di salire verso il cielo, non fanno che affossarsi sotto terra. Al contrario gli umili, che sembrano abbassarsi fino a terra, si elevano al cielo (S. Agost.). – « Perché il Signore non respingerà il suo popolo. » Egli lo esercita e non lo respinge. Che dice in effetti la Scrittura in un altro luogo? « … perché il Signore corregge colui che Egli ama e sferza chiunque riconosce come figlio. (Ebr. XII, 6). » Egli lo riceve dopo averlo punito, e voi dite che lo respinge? Noi vediamo gli uomini agire nello stesso modo verso i loro figli: talvolta li lasciano vivere a modo loro, i figli di cui essi disperano, ma puniscono coloro nei quali hanno buone speranze; quanto a coloro, al contrario, dei quali non sperano di domare i vizi, li lasciano vivere secondo la loro volontà. Ma il padre rigetta dalla sua eredità il figlio che lascia vivere secondo la propria fantasia, mentre castiga il figlio al quale riserva la sua eredità. Così, quando Dio flagella suo figlio, che corre a sottomettersi alla mano del Padre che lo colpisce, punendolo come Padre, gli insegna a meritare la sua eredità. Egli non rigetta la successione del figlio che castiga, ma lo punisce perché sia degno di raccoglierla (S. Agost.). – Questo stato di cose – dice il Profeta – durerà fino al giorno in cui la giustizia che si era mostrata molto più come una potenza passiva che come una potenza attiva, si formulerà nel Giudizio supremo (Bellarm.) – La stessa verità che è uscita dalla bocca di Gesù-Cristo, ci giudicherà nell’ultimo giorno. C’è conformità tra l’uno e l’altro stato: così come l’avrà pronunziata, così apparirà per pronunciare la nostra sentenza; questo sarà il precetto che diventerà una sentenza. Là essa sembra apparire come in un pulpito per insegnarci; là, come in un tribunale per giudicarci; ma essa sarà la stessa nell’uno e l’altro caso. Ma come è nell’uno e l’altro caso, tale deve essere nella nostra vita; perché chiunque non sia d’accordo con la regola, essa li respinge e li condanna; chiunque viene a scontrarsi con questa rettitudine inflessibile, bisogna che essa li rompa e li distrugga. (Bossuet, I° Serm. P. le D. de la Pass.). – Applicatevi ora a possedere la giustizia, poiché non potete ancora possedere il giudizio. Occorre che dapprima possediate la giustizia; ma la vostra giustizia sarà cambiata essa stessa in giudizio. Questa giustizia, gli Apostoli l’hanno posseduta e l’hanno portata gli ingiusti. Ma cosa ha detto loro il Signore: « voi sarete seduti su dodici troni e giudicherete le dodici tribù di Israele (Matth. XIX, 28). » – La loro giustizia sarà dunque cambiata in giudizio. In effetti, chiunque sia giusto quaggiù non lo è che per meglio sopportare i suoi mali con pazienza: che sopporti dunque il tempo della sua passione e verrà in giorno in cui eserciterà il giudizio. Ma perché parlare dei servi di Dio? Il Signore stesso, che è il Giudice di tutti i viventi e di tutti i morti, ha voluto essere giudicato per primo, per giudicare poi, « fino a che la giustizia sia cambiata in giudizio; ora, coloro che la possiedono hanno il cuore retto. »  Chi sono coloro « che hanno il cuore retto? » Coloro che vogliono ciò che Dio vuole. Ora Dio risparmia i peccatori, e voi volete che Dio perda da ora i peccatori? Il vostro cuore non è retto, la vostra anima è depravata, dal momento che voi volete una cosa e Dio un’altra. Dio vuole risparmiare i malvagi e voi non volete sopportare i peccatori? Come ho già detto, voi volete una cosa e Dio un’altra: prendete il vostro cuore e raddrizzatelo verso Dio. Astenetevi dunque dal voler curvare la volontà di Dio sulla  vostra, ma correggete la vostra volontà secondo quella di Dio. La volontà di Dio è come una regola: se avete, io suppongo, piegato una regola, ove trovare di che raddrizzarvi? Quanto alla divina volontà, essa resta nella sua integrità, è una regola immutabile. Intanto che la regola sia intatta, voi avete di che applicarvi per raddrizzare ciò che in voi non è retto, ma cosa vogliono gli uomini? È poco che la loro volontà sia tortuosa, essi vogliono addirittura piegare la volontà di Dio secondo i desideri del loro cuore, e fare che Dio agisca secondo la loro volontà, mentre essi stessi devono agire unicamente secondo la volontà di Dio (S. Agost.). 

ff. 16, 17. – Questi due versetti, avvicinati l’uno all’altro, racchiudono un grande e triste insegnamento: essi dipingono molto bene quel che succede continuamente in questo mondo, quando si tratta di lottare contro i malvagi, di resistere agli operatori d’iniquità. Una voce coraggiosa si eleva: un uomo giusto e fermo si mette davanti per sostenere questa lotta, per organizzare quella resistenza; egli fa appello agli uomini di cuore che sa che amano la verità e vogliono il trionfo del buon diritto. Sforzi vani! Qualche voce appena risponde alla sua voce: egli resta solo o quasi per sostenere il combattimento del Signore; e se il Signore non viene Egli stesso in suo soccorso, soccomberebbe certamente all’ingiustizia trionfante (Rendu). – Sant’Agostino ringraziava Dio di avergli perdonato i peccati che aveva commesso, e di averlo preservato dai peccati che non aveva commesso. Io attribuisco alla vostra grazia – diceva confessando la propria miseria ai piedi del Signore – di non aver commesso tutto il male he io potevo fare. Non c’è Santo in cielo che non possa dire, come il Profeta: « Se il Signore non mi avesse protetto, io sarei diventato ben presto preda dell’inferno. » La debolezza dell’uomo, senza l’appoggio di Dio, è estrema; la corruzione dell’uomo, senza il rimedio della grazia di Dio, è un male incurabile. Cosa troviamo fuori da Dio? Gli altri uomini e noi stessi. Se riposiamo sugli uomini, cadiamo con essi; se ci appoggiamo a noi stessi, acceleriamo da noi stessi la nostra caduta. Ed allora – diceva ancora con tanta saggezza Sant’Agostino –  se voi mettete la vostra speranza negli uomini, vi umiliate in maniera indegna; se lo ponete in voi stessi, vi elevate temerariamente; l’una e l’altra è cosa ugualmente perniciosa. Colui che si abbassa come schiavo si arrampicherà sempre, e colui che si leva come temerario farà una caduta deplorevole (Berthier.) – Dio non vi lascia tempo ad altre cose terribili in fondo alla nostra anima. L’accesso di qualche tentazione straordinaria, il risveglio fortuito di qualche passione  per lungo tempo dormiente, o infine un raggio di luce soprannaturale emanata da Dio, è sufficiente per rivelare ai nostri sguardi delle cavità sconosciute che rivelano nuovi elementi di peccato, è rende evidente il fatto che noi portiamo in noi immense riserve di peccato sconosciuto. Le sagge disposizioni di una Provvidenza piena di misericordia, e l’impero della grazia che ci sostiene, possono solo impedire che divengano dei fatti compiuti. Oh! Come ci affrettiamo a cercare un riparo sotto il mantello di Dio, come ci attacchiamo ai suoi piedi quando, per la prima volta, penetriamo in questi misteri! Quale mirabile, felice sproporzione tra il male che noi facciamo ed il male che siamo capaci di fare, che qualche volta siamo stati pure talvolta sul punto di commettere! … Se un imperatore pagano ringraziava Dio tutti i giorni per le tentazioni che allontanava da lui, quanto non dobbiamo noi ringraziarlo per i peccati che non abbiamo commesso?  (FABER, Progrès de l’ame dans la vie spir., c. XX.) – Il Profeta spiega in cosa consista questo soccorso di Dio che ha preservato la sua anima dal cadere nell’inferno. Se riconoscessi la mia infermità e me ne umiliassi, ben presto la vostra misericordia verrebbe in mio soccorso, illuminando la mia intelligenza, purificando il mio cuore, fortificando la mia volontà. (Bellarm.)

ff. 18. – Notate con Sant’Agostino queste parole, « … quando io ho detto », o « … se io dicessi »; poiché c’è una infinità di uomini i cui piedi vacillano nella via della salvezza; ma essi non lo dicono, non confessano la loro debolezza, non riconoscono il pericolo che li minaccia. Dio conosce i nostri mali, ma – dice il santo Dottore – Egli vuole che ne facciamo confessione: ama questa confessione, ama l’umiltà che accompagna questa confessione. Noi siamo scossi: è proprio dell’uomo. Dio ci appoggia: è il carattere di Dio. San Pietro cammina sulle acque, la paura lo prende, egli implora il soccorso di Gesù-Cristo, Gesù-Cristo gli tende la mano. La nostra forza dipende quindi solo da Dio, ma Dio esige da noi la persuasione della nostra debolezza. Una umile preghiera è la strada che conduce alla sua misericordia. (Berthier).

ff. 19-23. – È un paradosso sconosciuto a tutti coloro che non ne hanno fatta mai l’esperienza, che stando il corpo nel dolore, l’anima possa essere piena di consolazione e di gioia! San Paolo ne è un testimone fedele quando scriveva con santo trasporto: « Io sono pieno di consolazione e ricolmo di gioia in mezzo a tutte le mie tribolazioni, e nella misura che le sofferenze di Gesù-Cristo abbondano in noi, le nostre consolazioni abbondano pure mediante Gesù-Cristo. (II Cor. I, 5). –  La grandezza delle ricompense è in proporzione alla grandezza delle tribolazioni; tante ferite, tante corone; io non ho versato che una lacrima, non ho meritato che una consolazione; io ne ho versato dieci, sarò consolato dieci volte (S. Girol.). – Si, in questa valle dei nostri mali, che Davide chiama eloquentemente una valle di lacrime, in questo torrente di Cedron, dove il Salvatore del mondo è passato come noi, e dove noi ogni giorno beviamo l’acqua triste e turbolenta della nostra vita, la felicità non è una sconosciuta, neanche un’assente. Essa ha attraversato con l’uomo, quando l’uomo cadde, la soglia perduta dell’Eden, e dopo sessanta secoli, bandita come noi, essa erra con noi nel mondo, compagna sacra dei nostri infortuni e concittadina del nostro esilio. Ad essa non è permesso mostrarsi costantemente né interamente alla nostra vista, ma non le è impedito scegliere un’ora e donarcela. Un giorno o l’altro essa batte alla nostra porta, si siede al focolare deserto o pieno e con uno dei suoi sguardi, gettato sul nostro cuore, ne tira fuori questa lacrima unica ove noi leggiamo ciò che essa sia. Lacrime di madri che ritrovano i loro figli dopo assenze e disavventure! Lacrime del viaggiatore che saluta al mattino le coste della patria per tanto tempo perduta! Lacrime degli eroi tra la vittoria e la morte! Lacrime del giusto tra i brividi della coscienza! Lacrime di Agostino che parla di Dio a sua madre sulle creste delle onde che lo riportano a Cartagine! Quante non ne racconteremo, e quante altre ne ignoriamo, perché il cuore dell’uomo sì profondo per la miseria, lo è altrimenti pure per la felicità. La miseria gli viene da un accidente, la felicità dalla sua natura e dalla predestinazione: « Prendete forse posto sulla sedia dell’iniquità voi che avete messo per noi travaglio nei precetti? » Il profeta vuol dire: Alcun ingiusto prende parte nella vostra sede e mai Voi avrete una sede di iniquità. Egli rende poi conto del motivo per il quale giudica così: «Voi che avete messo travaglio nei precetti. » Io comprendo – egli dice – che voi non prenderete mai parte alla sede dell’iniquità perché Voi non ci avete risparmiato. Ecco perché non risparmiando Dio i suoi fedeli allo scopo di istruirli, il profeta ha detto: « Voi componete per noi il dolore nell’insegnamento » … Voi formate – egli dice – un insegnamento con il dolore, vale a dire: voi ci procurate dolore nell’insegnarci. Come il dolore può essere un insegnamento per voi? Quando siete punito da Colui che è morto per voi, che non vi ha promesso la felicità in questa vita, che non può ingannarci e che non vi dà quaggiù tutto ciò che voi cercate. Cosa vi darà? E dove ve lo darà? Quanto sarà grande ciò che vi donerà Colui che non vi dà nulla quaggiù che vi istruisce e del dolore ne fa un insegnamento? Quaggiù il lavoro è la vostra lotta, ma vi è ugualmente permesso il riposo. Fate attenzione che soffrirete quaggiù, ma riflettete al riposo che è promesso. Se poteste farvene un’idea, voi vedreste che il vostro lavoro non è la compensazione di questo riposo … Non siate pigri nel lavoro un solo istante, e voi vi rallegrerete per tutta l’eternità. Dio vi donerà la vita eterna, pensate che al prezzo di quel lavoro voi dovete comprarlo. Ciò che Io ho – vi dice Dio – è da vendere, compratelo. Che cos’è che occorre comprare? Il mio riposo è da vendere, compratelo con la forza del lavoro. – Il santo Profeta dà immediatamente un memorabile esempio di volontà rigorosa del Padre celeste, alla quale bisogna sottomettersi: i malvagi cospireranno contro la vita del giusto, e condanneranno il sangue innocente. Questa sottomissione è in se stessa molto difficile, ma innanzitutto i malvagi non avranno potere se non quello che Dio loro concede. È dunque la volontà di Dio e non quella dei malvagi che occorre vedere nelle afflizioni con cui essi ci infliggono; per questo essendo stato il Giusto per eccellenza perseguitato e condannato, coloro che vogliono partecipare alla sua gloria devono stimarsi felici di partecipare alla sue sofferenze (Rendu) – « Ma il Signore è diventato il mio rifugio. » Voi non avreste mai cercato questo asilo se non avreste avvertito il pericolo, e vi siete trovati nel pericolo alfine di ricorrere a questo asilo. Ecco come Dio ci invia le sofferenze per istruirci: Egli permette che i malvagi ci perseguitino, e queste persecuzioni ci fanno cercare un asilo in Lui. Mentre noi gioiamo delle prosperità mondane, noi non pensiamo a questo asilo; perché chi si ricorda di Dio gustando le soddisfazioni della vita presente? Bisogna che svaniscano le speranze del secolo, perché rivivano le speranze di Dio. Bisogna quindi provare delle disgrazie, per dire come il Profeta: « Dio è divenuto il mio asilo, Dio è diventato l’appoggio della mia speranza. » Non c’è che la speranza mentre siamo sulla terra. Noi speriamo, non gioiamo. Ma non tralasciamo di sperare, perché abbiamo un garante che non ci inganna; già Egli ci consola, stempera i mali che proviamo; mette, in una parola, un sostegno alla nostra speranza (S. Agost., Berthier). – « Egli farà ricadere su di essi la loro iniquità. » Giusta e ordinaria Provvidenza di Dio, è quella di punire i malvagi da se stessi e far ricadere su di loro la propria malizia. – « Egli li farà perire con la loro malizia. » Non è senza ragione che il Profeta dice: « per la loro malizia. » Mi ci viene del bene dal loro intervento, e tuttavia il Profeta parla della loro malizia e non del bene che essi procurano. Certamente è con il male che essi fanno che Dio ci prova e ci colpisca. A quale scopo Dio ci colpisce? In vista del regno dei cieli. Agendo così, Dio ci istruisce perché possiamo meritare la sua eredità eterna; e spesso ce la fa acquisire mediante i malvagi, per mezzo dei quali esercita e rende perfetta la nostra carità, che Egli vuole che noi estendiamo fin anche ai nemici (S. Agost.).