SALMI BIBLICI: “EXALTABO TE, DEUS MEUS, REX” (CXLIV)

SALMO 144: “EXALTABO TE, DEUS MEUS REX

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS. 

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 144

Laudatio ipsi David.

[1] Exaltabo te, Deus meus rex;

et benedicam nomini tuo in sæculum, et in sæculum saeculi.

[2] Per singulos dies benedicam tibi, et laudabo nomen tuum in sæculum, et in sæculum sæculi.

[3] Magnus Dominus, et laudabilis nimis; et magnitudinis ejus non est finis.

[4] Generatio et generatio laudabit opera tua, et potentiam tuam pronuntiabunt.

[5] Magnificentiam gloriæ sanctitatis tuae loquentur, et mirabilia tua narrabunt.

[6] Et virtutem terribilium tuorum dicent, et magnitudinem tuam narrabunt.

[7] Memoriam abundantiæ suavitatis tuæ eructabunt, et justitia tua exsultabunt.

[8] Miserator et misericors Dominus; patiens, et multum misericors.

[9] Suavis Dominus universis; et miserationes ejus super omnia opera ejus.

[10] Confiteantur tibi, Domine, omnia opera tua; et sancti tui benedicant tibi.

[11] Gloriam regni tui dicent, et potentiam tuam loquentur;

[12] ut notam faciant filiis hominum potentiam tuam, et gloriam magnificentiæ regni tui.

[13] Regnum tuum regnum omnium sæculorum; et dominatio tua in omni generatione et generationem. Fidelis Dominus in omnibus verbis suis, et sanctus in omnibus operibus suis.

[14] Allevat Dominus omnes qui corruunt, et erigit omnes elisos.

[15] Oculi omnium in te sperant, Domine; et tu das escam illorum in tempore opportuno.

[16] Aperis tu manum tuam, et imples omne animal benedictione.

[17] Justus Dominus in omnibus viis suis, et sanctus in omnibus operibus suis.

[18] Prope est Dominus omnibus invocantibus eum, omnibus invocantibus eum in veritate.

[19] Voluntatem timentium se faciet; et deprecationem eorum exaudiet, et salvos faciet eos.

[20] Custodit Dominus omnes diligentes se, et omnes peccatores disperdet.

[21] Laudationem Domini loquetur os meum; et benedicat omnis caro nomini sancto ejus in sæculum, et in sæculum sæculi.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXLIV.

Lode di Dio per la sua grandezza, e per le opere di lui, ispirata dallo Spirito Santo a Davide. — È Salmo alfabetico, a giovamento della memoria e del canto.

Lauda dello stesso David.

1. Te io esalterò, o Dio mio re, e benedirò il nome tuo pel secolo di adesso, e pei secoli dei secoli.

2. Ogni giorno io ti benedirò, e loderò il nome tuo pel secolo d’adesso, e pei secoli dei secoli.

3. Grande il Signore, e laudabile oltremodo; e la grandezza di lui non ha termine.

4. Le generazioni tutte celebreranno le opere tue, e annunzieranno la tua potenza.

5. Parleranno della magnifica gloria della tua santità, e racconteranno le tue meraviglie.

6. E diranno come la potenza tua è terribile, e racconteranno la tua grandezza.

7. Rammenteranno a piena bocca l’abbondanza di tua soavità, e faran festa di tua giu stizia.

8. Benigno e misericordioso egli è il Signore: paziente, e molto misericordioso.

9. Il Signore con tutti è benefico, e in tutte le opere di lui han luogo le sue misericordie.

10. Dien lode a te, o Signore, tutte le opere tue, e te benedicano i santi tuoi.

11. Eglino ridiranno la gloria del tuo regno e parleranno di tua potenza.

12. Per far conoscere ai figliuoli degli uomini la tua potenza, e la gloria magnifica del tuo regno.

13. Il tuo regno, regno di tutti i secoli e il tuo principato per tutte quante l’etadi.

Fedele il Signore in tutte le sue parole e santo in tutte le opere sue.

14. Il Signore sostenta tutti que’ che stanno per  cadere, a rialza tutti que’ che si sono infranti.

15. Gli occhi di tutti mirano a te, o Signore e tu dai loro nutrimento nel tempo convenevole.

16. Apri tu le tue mani, e ogni animale di benedizione ricolmi.

17. Giusto il Signore in tutte le sue vie, e santo in tutte le opere sue.

18. Il Signore sta d’appresso a tutti coloro che l’invocano; a tutti coloro che l’invoca  con cuor verace.

19. Ei farà la volontà di coloro che lo amano, ed esaudirà la loro preghiera; e li salve!

20. Il Signore custodisce tutti coloro che lo temono; e sterminerà tutti i peccatori.

21. La mia bocca parlerà delle laudi del Signore; e ogni carne benedica il santo nome di lui pel secolo d’adesso, e pe’ secoli dei secoli.

Sommario analitico

In questo canto di lode in onore di Dio e dei suoi divini attributi, il Re-Profeta espone nei primi due versetti tutto il soggetto del suo cantico, vale a dire che egli canterà le lodi di Dio in questa vita e nell’altra (1, 2), poi:

I. – Egli celebra gli attributi infiniti di Dio:

1° la grandezza infinita di Dio (3);

2° le opere della sua onnipotenza, che sono di tre ordini e specie (4);

a) le une gloriose e magnifiche (5);

b) le altre amabili, altre terribili nei castighi dei peccatori (6);

c) a causa della sua giustizia (7),

d) a causa della sua misericordia,

e) a causa della sua longanimità (8),

f) a causa della sua grande bontà nei riguardi di tutti (9).

II.- Proclama ed invita tutte le creature con lui a far conoscere:

1° la gloria e la potenza del regno di Dio (10-12),

2° l’eternità di questo regno,

3° la moltitudine dei soggetti che Egli comprende (13)

III. – Celebra le virtù del Re stesso, virtù che sono in Dio, come in Gesù-Cristo, di una perfezione infinita:

1° la fedeltà nelle promesse e la santità nelle opere (14),

2° la bontà e la misericordia per i soggetti deboli (15),

3° la liberalità verso i suoi soggetti (18, 17),

4° la giustizia nei suoi giudizi (18),

5° la facilità a lasciarsi dirigere dai suoi soggetti (19),

6° la benevolenza, l’affabilità con le quali Egli accoglie ed esaudisce le loro richieste (21);

7° la provvidenza di cui ricopre i giusti, e che Egli rivolge contro i peccatori (21).

Egli finisce questo salmo così come lo ha iniziato, promettendo a Dio di pubblicare le sue lodi nei secoli dei secoli. (22)

Spiegazioni e considerazioni

I. – 1-9.

ff. 1, 2. – In questi primi due versetti, che sono come l’esordio del salmo, il Re- Profeta fa conoscere ciò che si propone di celebrare in Dio, vale a dire gli attributi che gli sono propri, intanto che Re governante gli uomini e tutto il resto della creazione. – Il nome di Dio è un nome di re e di padre insieme, ed un re deve regnare per inclinazione, non come un tiranno con la forza e con la violenza. L’odio forzato ci dà un tiranno; la speranza interessata ci dà un maestro ed un padrone, come presentemente si parla nel secolo; l’amore sottomesso per dovere ed inclinazione dà al nostro cuore un re legittimo. Ecco perché Davide esclama: « Io vi esalterò, o mio Dio, mio Re. » Il mio amore voi eleverà un trono (BOSSUET, III Serm. pour Pâques). « Io benedirò il vostro Nome nel secolo. » « Nel secolo, » è nel tempo presente, e « nel secolo dei secoli, » nell’eternità. Cominciare dunque a lodare ora, se lo dovete lodare eternamente. Colui che rifiuta di lodarlo, nel corso passeggero di questo secolo, sarà ridotto al silenzio quando sarà venuto il secolo dei secoli. Per timore che si comprendano altrimenti queste parole: « io loderò il vostro nome nel secolo, » il Profeta ha detto: « in questi giorni che passano, uno ad uno, io vi benedirò. » Lodate dunque e benedite il Signore vostro Dio in questi giorni che passano uno ad uno, affinché, quando i giorni avranno avuto fine, ed il giorno unico che non avrà fine, sarà giunto, voi passiate dalle lodi alla lode, come dalle virtù alla virtù. (Ps. LXXXIII, 8). In questi giorni che passano uno ad uno, egli dice, io vi benedirò, non passerà un solo giorno senza che io vi benedica. Non è strano che benediciate il vostro Dio, quando il giorno è gioioso; ma cosa farete se si presenta qualche giorno pieno di tristezza, secondo il corso ordinario delle cose umane, il gran numero di scandali e la molteplicità delle tentazioni? Cosa farete? Se sopravviene qualcosa di triste per l’uomo, cesserete dal lodare Dio? Cesserete dal benedire il vostro Creatore? Se cessate di farlo, smentirete questa parola: « In questi giorni che passano, uno ad uno, io vi benedirò, Signore. » Se al contrario, voi non cessate in qualche tristezza che il giorno vi ha portato, voi vi troverete bene nel vostro Dio. C’è sempre, in effetti, qualche posto in cui vi troverete bene, anche quando vi troverete male altrove. Perché, se vi troverete male in qualcosa di cattivo, c’è possibilità, senza alcun dubbio, di trovarvi bene in qualcosa di buono. E cosa c’è di meglio del vostro Dio, del quale è detto: « Non è buono che Dio solo » ? (Luc. XVIII, 1, 9) (S. Agost.). – Il Re-Profeta prende l’impegno di benedire Dio tutti i giorni, senza eccezioni. Ma nel numero di questi giorni, ce ne saranno di tristi e di nebulosi; ci saranno giorni di tentazioni, giorni di sofferenze, giorni di tribolazioni. Malgrado questi contrattempi, egli sarà fedele al santo esercizio che si è prescritto; egli canterà le lodi del Signore; lo ringrazierà di tutti gli avvenimenti; adorerà la mano che lo colpisce; e siccome Dio è la bontà e la beltà per eccellenza, questi giorni consacrati al suo culto diventeranno pure dei bei giorni, giorni fortunati, giorni che avranno preso l’impronta della felicità di Dio stesso (Berthier).

ff. 3, 4. – Davide ci mostra or che Dio non ha bisogno delle nostre lodi e delle nostre benedizioni, che gli inni di coloro che lo servono, nulla possono aggiungere alla sua Gloria; perché la sua sostanza è al riparo da ogni diminuzione e da ogni necessità, e le lodi di cui è oggetto volgono unicamente a nostra gloria. Questo non solo per il bene che ci fa, ma ancora e soprattutto è a causa della sua grandezza infinita che noi gli dobbiamo le nostre lodi … Nulla gli manca, ma Egli ha diritto alle nostre lodi, ai nostri inni di adorazione e di amore (S. Chrys.). – La considerazione della grandezza infinita di Dio opera grandissimi effetti nello spirito umano, fortifica la fede, ispira una profonda umiltà, lo stacca efficacemente da tutti i beni creati (Berthier). – « Ogni generazione passando ammirerà le vostre opere. » Queste opere non sono state fatte per sussistere per un tempo solamente e sparire in seguito; la loro esistenza non si limita a due o tre anni, essa si estende a tutto il secolo presente, di tal sorta che ogni generazione possa contemplarle a sua volta, e la generazione attuale e quella che segue, quella che dovrà venire ancora in seguito, tutte le generazioni, in una parola, che si alterneranno sulla terra (S. Chrys.). – « Ed esse annunzieranno la vostra potenza. » In effetti, esse non loderanno le vostre opere se non per rendere pubblica la vostra potenza. Nelle scuole, si danno ai giovani allievi delle lodi da comporre, e questi soggetti di lode son tutte cose che Dio ha creato. Si propone all’uomo di lodare il sole, il cielo, la terra, per discendere agli oggetti minori; si propone lor l’elogio della rosa, l’elogio dell’alloro. Tutte queste cose che si propongono, che si accettano e si lodano, sono opere di Dio; si celebrano le opere, se ne tace il Fattore. Per me, io voglio che sia il Creatore che si glorifichi nelle sue opere; io non amo un lodante ingrato. Come? Voi lodate ciò che ha fatto, e di Lui, che ha fatto queste meraviglie, non dite nulla? Si direbbe veramente che se non fosse così grande, voi trovereste in Lui qualche cosa da lodare. Nelle cose che voi vedete, cosa lodate? La bellezza, l’utilità, qualche forza, qualche potenza. Se la loro bellezza vi affascina, quanto c’è di più bello in Colui che le ha fatte? Voi lodate in esse l’utilità, cosa c’è di più utile di Colui che ha creato tutto? Se lodate in esse la forza, cosa c’è di più potente di Colui che fatto ogni cosa e che, dopo averle fatte, non le ha abbandonate, ma che regge e governa tutto? Ecco perché la generazione e la generazione dei vostri servi non vi lodano, quando lodano le vostre opere, come questi muti parlanti che lodano la creatura e dimenticano il Creatore. Ma come vi lodano? « Ed esse pubblicheranno la vostra potenza. » Lodando le vostre opere esse manifesteranno la vostra potenza (S. Agost.).

ff. 5-7. – Nelle opera del Signore ci sono meraviglie di terrore, meraviglie di grandezza, meraviglie di bontà, meraviglie di giustizia, o di equità, o di fedeltà; ed è in qualche modo questo il piano di omaggi, di cantici, di trasporto di gioia che il Profeta traccia per le future generazioni. Questo esercizio, che comprende tutti i doveri della Religione, non è, per così dire, che un preludio ed una bozza in questa vita. Se queste meraviglie sono infinite – dice San Agostino – come lodarle con dignità, tanto che si è limitati a qualche momento di esistenza? Non si può assolvere a questa funzione che nell’eternità, perché la sua durata è infinita. – Era necessario, aggiunge il santo dottore, aggiungere le meraviglie del terrore alle meraviglie di bontà; perché sarebbe invano che Dio facesse delle promesse, se non stupisse anche con delle minacce. Gli uomini sono presuntuosi, hanno bisogno di essere contenuti dal timore; essi sono lassi, la vista dei castighi rianima la loro vigilanza; infine i doni di Dio sarebbero poco stimati se, con la punizione dei colpevoli, non si facesse vedere quanto sia terribile l’abusarne. San Agostino fa ancora una riflessione che è per tutti i tempi, e ancora più per il nostro rispetto a quello in cui è vissuto il santo Padre. Molta gente – egli dice – parla delle meraviglie sparse in questo universo, e poca del loro Autore. Ci sono, in ogni secolo, degli osservatori curiosi, dei naturalisti, degli astronomi, degli uomini attenti a seguire il corso delle rivoluzioni che avvengono nei corpi ed anche negli spiriti; ma quale cura hanno preso di passare dalle opere della creatura al Creatore, di riflettere sulla potenza che ha prodotto e che conserva tanti esseri di cui la varietà, il numero, le proprietà, sono l’oggetto della nostra ammirazione? Questa osservazione di Sant’Agostino, è di una verità che l’esperienza conferma, e che diviene tanto più sensibili quanto più gli uomini si allontanano dall’origine del mondo. Le luci si accrescono sulle produzioni della natura, sui movimenti dei cieli, sulle ricchezze che la terra ed il mare contengono nel loro seno, e sembra che la conoscenza di Dio diminuisca nella stessa proporzione; si abusa del progresso dei lumi sulle opere di Dio, per forgiare dei sistemi contro Dio; più la natura si sviluppa, più di immaginano ipotesi assurde per bestemmiare il suo Autore. Sant’Agostino chiamava ingrati coloro che lodavano le creature senza adorare Colui che le ha create: qual nome si deve dare a coloro che inventano delle opinioni mostruose, per sottrarre le sue creature a Colui senza il quale esse non esisterebbero? (Berthier). – « Proclameranno dal fondo del loro cuore il ricordo e l’abbondanza della vostra dolcezza. » Felice festino! Cosa mangiano dunque, per riportare nel loro cuore un tale profumo? « Il ricordo dell’abbondanza della vostra dolcezza » Che cos’è il ricordo dell’abbondanza della vostra dolcezza? È ciò che Voi non avete mai obliato, dopo che noi stessi vi abbiamo obliato. In effetti ogni carne aveva obliato Dio, e Dio non ha dimenticato l’opera delle sue mani. Il suo ricordo per noi, che Egli non ha dimenticato, ecco ciò che bisogna pubblicare, ciò che bisogna raccontare; e siccome questo ricordo di Dio è un dolce nutrimento, occorre mangiarlo e spanderne in seguito il profumo. Mangiate in modo da manifestare la vostra sazietà; ricevete in modo da dare. Voi mangiate quando apprendete; vi spandete profumo del vostro pasto, quando insegnate. Voi mangiate quando ascoltate; spandete il profumo del vostro pasto, quando pregate; ma voi non spandete il profumo se non di ciò che avete mangiato. Vedete l’Apostolo S. Giovanni, conviviante sì avido, perché non era sufficiente per lui stare alla tavola del Signore: egli si riposava sul petto del Signore (Giov. XIII, 23) e se egli non beveva a questa fonte nascosta di divini segreti, qual profumo ha poi diffuso al di fuori? « In principio era il Verbo, ed il Verbo era in Dio ». – « Essi spanderanno dal fondo del loro cuore il ricordo dell’abbondanza della vostra dolcezza. » Perché non era sufficiente il dire: vostro ricordo, o il ricordo della vostra dolcezza? Perché occorreva dire: « Il ricordo dell’abbondanza della vostra dolcezza? » Non serve a nulla che una cosa sia abbondante, se essa è senza dolcezza; e questa sarà una pena, se fosse dolce senza essere abbondante (S. Agost.).

ff. 8, 9. – « Il Signore è buono verso tutti. » Perché dunque Dio condanna? Perché colpisce con i suoi castighi? Coloro che Egli condanna, coloro che castiga, non sono forse opera sua? Senza dubbio, essi sono opera sua; e volete voi conoscere che « le sue misericordie si espandono su tutte le sue opere?  Di là viene questa longanimità per la quale Dio fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi. » E non è perché « le sue misericordie si espandono su tutte le sue opere, che Egli fa cadere la pioggia sui giusti e sugli ingiusti? » (Matth. V, 5). Le sue misericordie non si spandono su tutte le sue opere? Egli attende il peccatore con longanimità dicendogli: « Tornate a me ed Io tornerò a voi. » (Malach. III, 7 e Zacc. I, 3). Le sue misericordie non si espandono su tutte le sue opere? Ma quando si dirà: « Andate nel fuoco eterno, preparato per i demoni ed i suoi angeli, » (Matth. XXV, 41), non sarà più la sua misericordia, ma la sua severità che si mostrerà. La sua misericordia la estende su tutte le suo opere, ma la sua severità colpisce non le sue opere, bensì le vostre. Fate sparire le vostre cattive opere; non resteranno più in voi che le opere di Dio e la sua misericordia non vi abbandonerà; ma se conservate le vostre opere, la sua severità si abbatterà non sulle sue opere, ma sulle vostre. (S. Agost.). – Uno degli attributi più importanti di Dio, ed il più degno delle nostre lodi in questo Essere sovranamente perfetto, non è l’aver creato il cielo, perché Egli è potente; l’aver fondato la terra, perché ha in Lui la virtù creatrice; l’aver misurato il corso dell’anno con la rivoluzione degli astri, perché Egli è saggio; l’aver dato all’uomo una esistenza animata, perché Egli è la vita; ma è l’essere misericordioso, essendo pure giusto; è il compatire, pur essendo re; dissimulare con pazienza i peccati degli uomini, pur essendo Dio. La potenza è un attributo essenziale della sua natura, la misericordia non esiste che per la nostra salvezza; per Dio val più non fare uso degli attributi che gli sono propri, piuttosto che comunicare liberamente agli altri ciò che a Lui è. Ecco perché la sua misericordia supera tutte le altre opere di Dio, perché le sue opere meravigliose sono fatte dalla sua natura onnipotente, mentre la misericordia non è essenziale alla natura divina e non si esercita se non per la salvezza dell’uomo. (S. Hil.).

II. – 10-13.

ff. 10-12. – « Che tutte le vostre opere, vi glorifichino, Signore, e che i vostri Santi vi benedicano. » Che vi rendano grazie, che vi elevino un inno di adorazione, sia gli esseri che possiedono la parola sia quelli che non la possiedono. Ciascuno di questi ultimi, in effetti, è costituito in maniera tale che benedica Dio senza poter elevare la sua voce, con la sua sola natura; questi ha come interprete gli uomini che lo vedono e lo utilizzavano a proprio vantaggio; gli esseri insensibili lodano Dio per quel che sono, e gli uomini lo lodano per quel che essi fanno; con il carattere della loro vita. (S. Chrys.). – « Che tutte le vostre opera vi glorifichino, » Ma come? La terra non è opera sua? Gli alberi non sono opera sua? I greggi, le bestie selvatiche, i pesci, gli uccelli non sono forse opera sua? Sicuramente, tutti questi esseri sono opera sua. E come glorificano il Signore? Io vedo, in verità, che le sue opere lo glorificano negli Angeli, perché gli Angeli sono opera sua, e gli uomini sono pure opera sua; di conseguenza quando gli uomini lo glorificano, le opere sue lo glorificano: ma gli alberi o le pietre hanno forse una voce per glorificarlo? Che tutte le sue opere, senza eccezione, lo glorifichino. Ma cosa dite? La terra e gli alberi pure? Tutte le sue opere! Se tutti lo lodano, perché non lo glorificano tutti? Questa armonia della creazione, questo ordine così perfetto, questa bellezza così magnifica che, elevandosi dagli esseri inferiori agli esseri superiori e che, discendendo dai gradi più alti fino ai più bassi, senza alcuna interruzione in questa catena i cui anelli presentano dall’uno all’altro delle differenze mirabilmente proporzionate, tutto questo insieme loda il Signore. Perché dunque questo insieme loda il Signore? Perché contemplando ed ammirando la bellezza dell’universo, lodate il Dio. La bellezza della terra è come la voce di questa terra muta. Voi considerate e vedete la bellezza della terra, ne vedete la fecondità, ne vedete le forze; vedete come essa riceve le semenze, come produca spesso frutti che non avete seminato; voi vedete queste meraviglie e con questa contemplazione voi interrogate in qualche modo la terra, e questo esame è per voi come una interrogazione. E quando questo esame vi ha riempito di ammirazione, quando avete sondato i misteri della natura, quando avete riconosciuto in essa una forza immensa, una magnifica bellezza, una potenza eclatante, poiché essa non può avere questa potenza da se stessa, il vostro spirito concepisce che essa non ha potuto darsi l’essere da sé, e che essa non la ottiene che dal Creatore. In questo sentimento che vi si presenta quando la interrogate, c’è la voce della sua confessione che essa vi presta perché voi stessi lodiate il Creatore; perché, quando considerate la bellezza di tutto questo universo, questa bellezza non vi risponde che con una voce sola: non mi sono fatta io, ma Dio mi ha creato? (S. Agost.). – « Signore, che tutte le vostre opere vi glorifichino dunque, ed i vostri santi vi benedicano; » (Ps. CXLIV, 10); e perché tutti i vostri santi vi benedicano confessando le vostre opere, considerino come la creazione intera confessi il vostro Nome. Ma Voi, degnatevi di ascoltare la loro voce che vi benedice; perché, cosa dicono i vostri Santi, quando vi benedicono? « Essi diranno la gloria del vostro regno e proclameranno la vostra potenza. » Quanto è potente il Dio che ha fatto la terra! Quanto è potente il Dio che ha riempito la terra di beni! Quanto è potente Dio che ha dato a ciascuno la vita che gli è propria! Quanto è potente Dio che ha affidato tante semenze diverse alle viscere della terra, per farne germogliare piante così diverse ed alberi tanto magnifici! Quanto Dio è potente! Quanto Dio è grande! Interrogate la creatura, e la creatura vi risponderà, e voi, santi di Dio, ascoltando la sua risposta che è come la sua confessione, benedirete Dio proclamando la sua potenza (S. Agost.). – « Per far conoscere ai figli degli uomini la vostra potenza e la gloria del suo regno. » Questi beni fanno vedere che il Signore accetta le nostre lodi, perché gli altri siano istruiti circa la sua grandezza. Grande è la potenza di Dio, grande è la sua gloria, ineffabile è la sua maestà, e tuttavia, così grande ed ineffabile com’è, occorrono delle bocche che le proclamino, a causa dell’ignoranza della maggior parte dei mortali. Il sole è certo il più brillante di tutti gli astri, ma gli occhi malati non possono gioire del suo splendore. La provvidenza di Dio è più splendente del sole stesso; ma coloro la cui ragione è pervertita, le cui orecchie sono chiuse; non saprebbero riconoscerla, se lo zelo non li istruisse (S. Chrys.). – I vostri Santi proclamano dunque la gloria della grandezza della bellezza del vostro reame, la gloria della grandezza della sua beltà. C’è dunque per il vostro regno una certa grandezza di beltà; vale a dire che il vostro regno ha beltà, ed una grande beltà. Poiché tutto ciò che ha beltà, ottiene questa bellezza da Voi, quale eclatante beltà deve avere il vostro regno! Che il vostro regno non ci spaventi: c’è una beltà che farà le nostre delizie. In effetti quanto è grande questa bellezza di cui gioiranno i santi, a cui sarà detto: « Venite, benedetti dal Padre mio, ricevete il regno! » (Matth. XXV, 34). Da dove verranno e dove andranno? Vedete e se potete, per quanto possiate, concepisca il vostro pensiero la bellezza di questo regno venturo, in vista del quale noi diciamo nella nostra preghiera: « Venga il vostro regno. » (Ibid. VI, 10). In effetti noi desideriamo l’avvento di questo regno; i Santi ci annunciano che questo regno arriverà. Considerate questo mondo, esso è pieno di bellezza. Quale splendida beltà nella terra, nel mare, nell’aria, nel cielo, negli astri! E tutte queste magnificenze non stupiscono colui che le consideri? E questa bellezza non è così perfetta da sembrare che non se ne possa trovare una più bella? E dappertutto i vermi, i topi e tutti gli animali che strisciano sulla terra, vivono con voi o in mezzo a questa beltà; si, essi vivono qui con voi, in mezzo a tanta bellezza. Quale deve essere lo splendore laddove solo gli Angeli vivono con noi? Ecco perché il salmista non si è accontentato di dire: « la gloria della beltà; » perché si può dire « la gloria della beltà » parlando di ogni bellezza che esiste in questo mondo, sia che fiorisca sulla terra, sia che brilli in cielo; ma le parole: « ma la grandezza della beltà del vostro reame, » presentano alla nostra immaginazione qualche cosa che non abbiamo ancora visto, alla quale crediamo senza averla vista, che desideriamo perché ci crediamo, ed il cui desiderio ci darà la forza di sopportare tutto con pazienza. È dunque questione della grandezza di una certa beltà; amiamola prima di vederla, al fine di possederla quando la vedremo. (S. Agost.)

ff. 13. – Il Profeta fa risaltare la differenza essenziale del regno di Dio con il regno dei principi della terra. Il dominio di costoro è soggetto a continue rivoluzioni: rivoluzioni nelle loro persone, poiché la morte li toglie successivamente al loro popolo; rivoluzioni nella loro fortuna, perché sono soggetti a provare delle disgrazie inaudite dopo una lunga serie di prosperità, delle sconfitte dopo le vittorie, delle turbolenze dopo anni di pace e di gloria; rivoluzioni nei loro Stati, poiché i più potenti periscono, i più deboli si ingrandiscono, e coloro che erano sorti dai detriti e dalle rovine, divengono i più rigogliosi. Il regno di Dio si estende per tutti i secoli, a tutte le generazioni; e, quando le generazioni non saranno più, esso sussisterà ancora, perché è eterno (Berthier).  

III. — 14-22.

ff. 14. – « Il Signore è fedele nelle sue parole. » Cos’è in effetti che abbia promesso e che non abbia dato? « Il Signore è fedele nelle sue parole. » Ci sono delle cose che ha promesso e che non ancora ha dato; bisogna crederlo dopo ciò che ha già detto. « Il Signore è fedele nelle sue parole. » Noi potremmo credere solamente alla sua parola, ma Egli non ha voluto solamente parlare, ci ha voluto dare la sua Scrittura come pegno; come voi stessi fareste, volendo dire ad un uomo promettendogli una cosa: Voi non mi credete, io vi do uno scritto. In effetti, siccome ogni generazione passa ed un’altra le succede, e così i secoli completano il loro corso con l’arrivo e la dipartita successiva dei mortali, occorreva che la Scrittura di Dio sussistesse e restasse un biglietto di Dio, che tutti gli uomini potessero leggere passando sulla terra, al fine di seguire la via delle sue promesse. E quanti impegni su questo biglietto si sono già compiuti! Possono essi esitare a credere alla resurrezione dei morti ed alla vita futura, le sole promesse che non si sono ancora compiute, allorché  gli stessi infedeli devono arrossire quando Dio entra in disputa con essi. Se Dio vi dicesse: voi avete nelle mani la mia obbligazione; io ho promesso di giudicare gli uomini, di separare i buoni dai malvagi, di dare ai fedeli il regno eterno, e voi vi rifiutaste di credervi? Leggete dunque nel mio biglietto tutte le promesse che Io ho fatto ed entrate in disputa con me;« sicuramente, se voi esaminate tutto ciò che ho già pagato, voi potete credere che io pagherò tutto ciò che ancora devo. In questo biglietto, Io vi ho promesso il mio Figlio unico; Io non l’ho risparmiato, e lo ho offerto per voi; (Rom. VIII, 32); inscrivete questo debito al numero dei miei pagamenti (Act. I, 8-11; II, 4). Io ho promesso, con questo biglietto, l’effusione del sangue ed il coronamento dei miei gloriosi martiri; aggiungete questo debito al numero dei miei pagamenti. (S. Agost.). –  « Egli è santo in tutte le sue opera. » La santità: tale è la legge dell’essere di Dio, della sua vita, della sua operazione, delle sue opere e delle creature che lascia cadere dalle sue mani: « Santo, Santo, Santo è il Signore! » esclama il Profeta. La santità! In questa unica parola si trova raccolto tutto ciò che Dio è, tutto ciò che Dio fa. Prima dei tempi, quando Egli era ancora solo con se stesso al suo tempo, suo luogo e suo tutto, e dopo tutti i secoli, quando le creature, al termine della loro corsa, rientreranno nel riposo che Egli ha loro assegnato, Dio sempre è Santo, Santo in se stesso, Santo negli eletti, Santo nei riprovati, Santo nel più alto dei cieli, Santo nel fondo degli abissi dell’inferno. Principio e fine di ogni cosa, Egli si impone ad ogni vita per santificarla, ed opera questa santificazione con un contatto misterioso che vivifica o che uccide, che consuma nella salvezza o nella perdizione, ma che sempre è santo. (Mgr BAUDRY, Le Coeur de Jésus, 331). – Dio è santità infinita, perché l’Essenza divina è la radice e la sorgente di ogni santità. Egli è santo, perché Egli è la regola, il modello, l’esemplare di ogni santità; Egli è santo perché è l’oggetto di ogni santità, che non può essere che l’amore di Dio e l’unione con Lui; Egli è Santo, perché e il principio di ogni santità, che Egli diffonde negli Angeli e negli uomini, e che è l’ultimo fine verso il quale la santità è necessariamente diretta. Supponendo anche che noi siamo santi, cosa sarà la nostra santità creata nell’essere comparata a quella di Dio? Egli è Santo in se stesso, e da se stesso, Santo per essenza, ciò che è impossibile ad una creatura che, secondo la teologia, non può essere, per sua natura, Figlio di Dio, Essere impeccabile, avere lo Spirito Santo e vedere la natura divina. La nostra santità consiste nei doni sopraggiunti gratuitamente alle debolezze ed alle incapacità della nostra natura finita; quella di Dio è sostanziale, è la sostanza sua propria; la nostra non è che una qualità, un accessorio, una illuminazione dello spirito ed un movimento del cuore che ci vengono da Lui; quella di Dio è infinita e nella sua intensità, e nella sua estensione, come noi non ne abbiamo, ahimè! Bastano parole molto basse per esprimere l’estrema debolezza, il deplorevole languore, la povertà della nostra santità più eclatante e più ardente. La santità di Dio è infinitamente feconda, perché essa è l’origine, il sostegno, l’esempio, l’incoraggiamento di ogni santità creata; la nostra è feconda anche, perché è nella natura della santità, ma quanto poco abbiam fatto, a quante anime abbiamo insegnato a conoscere Dio ed amarlo? (FABER, Le Créât, et la Créât., p. 145, 146).

ff. 15. – Il Profeta, dopo avere attestato la grandezza del regno di Dio, la verità della sua parola, l’inalterabile santità della sua condotta, parla di nuovo della sua clemenza, che soprattutto fa la gloria del suo regno; egli ce la presenta sostenente coloro che sono ancora in piedi, prevenendo la caduta di coloro che sono sul punto di cadere, rialzando infine coloro che sono a terra e, cosa più mirabile, non a questi o a quelli, ma a tutti accorda una tal grazia, a tutti, senza eccettuare i poveri, gli uomini della condizione estrema. Egli è il Signore di tutti, non saprebbe passare al fianco di un uomo caduto, né chiudere gli occhi su colui che vacilla. Ciò che Egli fa per l’umanità intera, lo fa per ciascun uomo in particolare; Se questi è tra i caduti che non si rialzano, non è perché gli manchi il soccorso, è perché non vuole profittarne. (S. Chrys.). 

ff. 16, 17. – Il Re-Profeta passa dopo ad un altro ordine di benefici: « E Voi date a tutti il loro nutrimento al tempo opportuno. » Questo non è precisamente la pioggia, la terra o l’aria, è l’ordine stesso di Dio che produce la messe o i frutti « nel tempo opportuno, » per ricordarci che ogni cosa ha il suo tempo determinato, che le produzioni della terra cambiano con le stagioni. Nulla manifesta in modo più evidente, la saggezza di Dio, che questa attenzione che ha nel non darci in ogni tempo ed a distribuire le nostre risorse nel corso dell’anno (S. Chrys.). – « Dio concede a tutti il loro nutrimento in tempo opportuno. » Egli assiste gli indigenti quando sono nel bisogno, non accorda il superfluo a coloro che lo desiderassero per abusarne; Egli spoglia qualcuno dalle sue ricchezze, perché le possiedono a sproposito e senza utilità per il bene degli altri. La sua Provvidenza è asservita alle circostanze, ai bisogni, allo stato, ai doveri di tutti gli uomini (Berthier).

ff. 18. – « Il Signore è giusto in tutte le sue opere. » Sia che Egli colpisca, sia che guarisca, il Signore è giusto e non c’è ingiustizia in Lui! Tutti i Santi, in mezzo alle afflizioni che hanno subito, hanno cominciato con il lodare la sua giustizia ed hanno così implorato i suoi benefici, hanno cominciato col dire: ciò che Voi fate è giusto! Così pregava Daniele, così pregarono gli altri Santi: giusti sono i vostri giudizi, la nostra sofferenza è meritata, la nostra sofferenza è giusta. (Dan. III, 27 e IX, 5). Essi non hanno attribuito a Dio alcuna mancanza di equità, non lo hanno tacciato né di ingiustizia né di errore; essi hanno cominciato con il lodarlo quando li castigava ed è così che hanno sentito che li nutriva. « Il Signore è giusto in tutte le sue vie. » Che nessuno lo creda ingiusto, quando soffra qualche dolore; ma che lodi la giustizia di Dio ed accusi la propria ingiustizia: « Il Signore è giusto in tutte le sue vie e Santo in tutte le sue opere. » (S. Agost.).

ff. 19. – « Il Signore è vicino a tutti quelli che lo invocano in verità. » Molti lo invocano, ma non in verità. Se cercano di ottenere da Lui qualche altra cosa che non sia Lui, essi non lo cercano. Perché amate Dio? Perché mi ha dato la santità! Il fatto è evidente, è Lui che ve l’ha data; perché la salvezza non può venire da nessun altro che Lui. Io l’amo, perché Egli mi ha dato, a me che non avevo nulla, una sposa ricca che mi serve bene. È Lui che ve l’ha data, voi dite il vero. Io l’amo, perché mi ha dato figli numerosi e buoni, mi ha dato dei servi, tutti i miei beni. È per questo che l’amate? È per questo che non domandate nulla più? Avete ancora fame, battete ancora alla porta del padre di famiglia, c’è ancora qualcosa da darvi: voi siete nella mendicità in mezzo a tutti questi doni che avete ricevuto, e non lo sapete; voi portate ancora gli stracci della vostra carne mortale; voi avete dunque ricevuto la veste gloriosa dell’immortalità, o essendo già sazi non la chiedete? « Beati coloro che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati. » (Matth. V, 6). Se dunque Dio è buono, perché vi ha dato questi beni, quanto sarete più felici quando Egli si sarà dato Egli stesso a voi! Voi avete desiderato tante cose da Lui, ma io ve ne scongiuro, desiderate anche Egli stesso, perché veramente questi beni non sono più dolci di Lui, o piuttosto non gli sono in alcun modo paragonabili. Di conseguenza, colui che preferisce Dio, pur avendo ricevuto i doni di cui si rallegra, a tutto ciò che già ha ricevuto da Dio, costui invoca Dio in verità. (S. Agost.).

ff. 20. – Ci è sufficiente chiedere con fede e nell’ordine della salvezza, sollecitare con una convinzione indistruttibile, per essere esauditi almeno nella maniera più utile ai nostri veri interessi. È vero, e questi mirabili risultati non sono che il commentario di queste parole del Profeta: « Dio farà la volontà di coloro che lo temono e, a maggior ragione, di coloro che lo amano. » Il Signore – dice Origene – vuole che, nella preghiera, le nostre disposizioni siano tali come se parlassimo ad un altro Dio: Io voglio che siamo i figli di Dio, affinché siamo i coeredi di suo Figlio. (Orig. Hom. II, in Ps. XXVII, 34). – « Egli farà la volontà di coloro che lo temono. » Qual uomo non crederebbe di degradare la divinità con espressioni simili: « Fare la volontà? » Qual re, qual principe direbbe di fare la volontà dei suoi sudditi? E di chi oserebbe dirlo come di un elogio? A maggior ragione, nessuno oserebbe dirlo di Dio. È che in tutte le nostre idee sulle grandezze divine, quando queste idee non sono che nostre, noi uniamo sempre involontariamente ciò che in noi si mescola più o meno in ogni grandezza, cioè l’orgoglio. Dio non saprebbe essere orgoglioso, perché non può compararsi al nulla, ed è per questo che non può temere come noi, di discendere. (La Harpe).

ff. 21, 22. – Vedete – dice Sant’Agostino – qual sia la severità di Colui che ritrova tanta clemenza e tanta bontà. Egli salverà tutti coloro che mettono la speranza in Lui, tutti i fedeli, tutti coloro che lo temono, tutti coloro che lo invocano in verità, « ed Egli perderà tutti i peccatori, » cioè coloro che perseverano nei loro peccati, coloro che disperano del perdono dei loro peccati, e che con questo disperare possa accumulare peccati su peccati, o coloro che, con una colpevole presunzione, si prometteno il perdono, e che questa promessa che si fanno, li ritenga nel peccato e nell’empietà (S. Agost.). 

IL CUORE DI GESÙ E LA DIVINIZZAZIONE DEL CRISTIANO (14)

H. Ramière: S. J.

Il cuore di Gesù e la divinizzazione del Cristiano (14)

[Ed. chez le Directeur du Messager du Coeur de Jesus, Tolosa 1891]

TERZA PARTE

MEZZI PARTICOLARI DELLA NOSTRA DIVINIZZAZIONE

Capitolo XII.

IL CUORE DI GESÙ ED IL MATRIMONIO.

Idee generali sul Sacramento del Matrimonio.

Se c’è uno stato nella società che esige un amore puro e sacrificale, è senza dubbio quello che impone all’uomo i pesanti fardelli della paternità; alle donne i dolori, i pericoli e le angosce della maternità, la sottomissione ai mariti che porta con sé un legame perennemente indissolubile, ai genitori il doloroso dovere di educare i figli: in una parola: il matrimonio. Per fornire agli uomini un mezzo per adempiere agli obblighi quasi sovrumani di questo stato, Gesù Cristo ha anche istituito un Sacramento. Attraverso di esso, riversa la dolcezza nei cuori disposti ad unirsi a Lui, santifica l’amore che la natura ispira e lo riveste con la qualità e la forza che non potremmo sperare nella natura. Anche il matrimonio merita di essere chiamato il Sacramento del Cuore di Gesù. Se ci fosse permesso di esprimere un sentimento, diremmo che non ci piace il fatto che le istruzioni date al popolo in questa materia siano così scarse. Cosa significa questo? Che molti che le apprendono non hanno imparato a considerarle alla luce della fede e praticamente ci vedono poco più di quello che vede il mondo, cioè un contratto civile ed un cambio di posizione. Ignorando sia i beni che il Sacramento conferisce, loro sia i pericoli da cui intende liberarli, non sanno né godere dei primi né fuggire dai secondi. Non essendo stati sufficientemente preparati nella loro giovinezza ad i loro obblighi futuri, perdono le abitudini e i sentimenti di un’educazione cristiana, quando ne avrebbero maggiormente bisogno e potrebbero produrne i frutti più grandi.

Rapporto tra il Cuore di Gesù e il matrimonio.

A) Intimità dell’unione del Verbo con la natura umana e l’intimità dell’unione coniugale.

Alcuni si stupiranno che si possa anche solo pensare di cercare un rapporto tra il Cuore verginale di Gesù e lo stato opposto alla verginità. Ciononostante, esiste. Nella sua epistola agli Efesini, San Paolo ci fa vedere come la santità e la nobiltà divina del matrimonio derivi dall’essere immagine ed estensione dell’ineffabile, indissolubile e feconda alleanza che il Verbo di Dio ha stretto con la Chiesa nell’Incarnazione. Questa alleanza è stata prefigurata nell’unione di Adamo ed Eva, il cui primo frutto, e organo infinitamente fecondo, è stato il Cuore di Gesù. Quando Adamo si svegliò dal suo sonno misterioso, vide davanti a sé la sposa che Dio aveva appena formato dalla materia più vicina al suo cuore, ed esclamò: « Ecco, questa è la parte più profonda delle mie ossa e la carne della mia carne; l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si congiungerà con sua moglie. » Con queste parole formulò le leggi eterne del matrimonio e pose le basi della società umana. Quanto sono toccanti le analogie tra le due unioni, ma soprattutto le loro differenze! Quando Dio decide di unire Adamo ed Eva, inizia col separarli. Toglie qualcosa al primo uomo per farne una persona diversa, ma dice anche che sono due in una sola carne. Quando la Parola di Dio vorrà unire la nostra natura, troverà i mezzi per unirla a Sé con un legame così stretto da formare con essa una sola persona. Adamo ed Eva, marito e moglie, per quanto teneri nell’amore che li unisce, sono due esseri indipendenti, e hanno due cuori, solo moralmente in sintonia tra loro. In Gesù Cristo, invece, il Figlio di Dio e il Figlio dell’uomo, la natura divina e la natura umana formano una sola sostanza completa, hanno un solo cuore in cui l’amore divino e quello umano confondono le loro fiamme, ed è sia il Cuore di Dio, che il cuore dell’uomo.

B) Fertilità dell’unione del Verbo con la natura umana e dell’unione matrimoniale.

Adamo ed Eva hanno trasmesso ai loro discendenti solo una vita umana, che, pur emanando dalla loro, è totalmente diversa da essa. E lo sarà ancora di più quando si avvicinerà alla perfezione. Più il bambino cresce e diventa forte, meno ha bisogno della compagnia e del sostegno dei genitori. Inoltre, presto li lascerà per fondare una nuova famiglia egli stesso. Molto diversa è la fruttuosa unione del Verbo di Dio con la nostra natura. Dando questa unione al Verbo una vita umana, Egli la dispone a dare agli uomini una vita divina, che, riversata dall’inesauribile fonte del suo Cuore, non sarà solo un’emanazione, ma la vera comunicazione della sua stessa vita. Coloro che la riceveranno saranno figli di Dio e allo stesso tempo suoi membri viventi. Ogni loro atto e movimento sarà l’effetto dell’influenza del Cuore di Gesù e la loro vita sarà tanto più esuberante e vigorosa quanto più intima sarà la loro unione con il Cuore Divino. La Chiesa, che è la società degli uomini animata dalla vita di Gesù Cristo, non è solo la famiglia di Dio, ma è veramente il Corpo di Dio.

C) L’unione del Verbo con la natura umana, modello di unione della famiglia.

Se l’unione di Dio con la nostra natura è infinitamente più stretta di quella che esiste nel matrimonio tra marito e moglie, tra genitori e figli, è anche un modello per loro. È questa la meta a cui, per volontà di Dio, deve tendere continuamente, anche se non potrà mai raggiungerla. I coniugi cristiani non si ameranno mai l’un l’altro come si amano Gesù Cristo e la Chiesa. Un uomo non farà mai per la sua compagna di vita ciò che il Figlio di Dio ha fatto per la povera umanità quando, mosso da un amore ineffabile, scese dal cielo e la tirò fuori dal fango dove era già povera, sporca, coperta di stracci, rosa da orribili piaghe e la lavò con il suo sangue, curò le sue piaghe, la adornò con la sua porpora e la fece sedere sul suo stesso trono. D’ora in poi Essa sarà inseparabile dalla sua divinità. Ha lo stesso fine e le stesse prerogative e la stessa gloria e la stessa eternità. Il Figlio di Dio, facendo sue tutte le sue miserie, le ha dato l’unico possesso di tutti i suoi beni. Anche la moglie più sacrificata non farà per il marito quello che la Chiesa ha sempre fatto per Gesù Cristo. Ereditiera di tutte le sue ricchezze e di tutte le sue glorie, Regina della terra, come Egli è il Re, non vuole altro privilegio in questo mondo che soffrire per il suo Sposo Divino, continuare il suo Sacrificio, immolare se stessa per Lui come Egli si è immolato per Essa. È una serie di persecuzioni, ignominie, lotte, sconfitte. Non c’è potere umano che non abbia messo le mani su di Essa e che non abbia potuto vantarsi di averla combattuta. Tutto il suo desiderio è stato quello di pagare l’immenso debito d’amore che aveva verso l’Uomo che è morto per Essa. Non sarà considerata felice finché non si sentirà una copia viva della lunga passione di trentatré anni che Gesù Cristo ha sofferto per Essa in questo mondo. I veri coniugi cristiani avranno sempre questo modello davanti agli occhi e faranno di tutto per diventare giorno dopo giorno più simili ad esso. Nel legame che li unisce, essi vedranno prima di tutto il dovere di sacrificarsi l’uno per l’altro.

D) Lo Spirito Divino lega tra loro gli sposi cristiani.

Questo Spirito è reale e veramente presente nel cuore degli sposi cristiani, che è il legame vitale dell’unione ineffabile di Gesù Cristo e della Chiesa, che ha spinto Gesù Cristo a immolare se stesso per la Chiesa e la Chiesa per Gesù Cristo, che ha tanto addolcito il Cuore di Gesù le sue pene più amare, che a sua volta ha alleggerito le tribolazioni più crudeli della Chiesa. Esso è veramente presente nel cuore dei coniugi cristiani e produce gli stessi effetti: fa sopportar loro con gioia le prove che la loro unione comporta ed accettare, senza mai scoraggiarsi, la sottomissione e le delusioni che l’accompagnano. Questa unione neutralizza la diversità delle opinioni e dei caratteri; previene o attenua gli attriti; alleggerisce i fardelli; addolcisce i dolori; dona piacere e consolazioni di cui non avrebbero mai assaporato la dolcezza, se avessero aspettato e cercato solo i piaceri terreni. Mentre le unioni che nascono dalla passione o dal puro affetto naturale di solito si allentano in breve tempo e vengono frantumate in un giogo insopportabile, il contrario accade per quelle di coloro il cui legame è il Cuore di Gesù: queste si stringono con il tempo, e invece di appassire, sembrano ritrovare una nuova freschezza e rigogliosità. E più è piacevole la loro intimità, più è felice la loro fertilità.

E) I genitori, secondo il Cuore di Cristo, comunicano la vita divina ai loro figli e vivono intimamente uniti a loro.

I genitori, secondo il Cuore di Gesù, imparano da Lui a comunicare ai loro figli la vita soprannaturale di cui Egli è la fonte e dalla quale i genitori stessi l’hanno ricevuta così abbondantemente. La carità diventa in loro un mezzo di educazione molto potente. Sotto la sua influenza, i cuori dei bambini si aprono. Impregnati fin dalla più tenera età della loro vita della scienza del vero amore, la più necessaria per l’uomo, sono meravigliosamente disposti verso altre utili conoscenze. Poiché il cuore è la grande sorgente dell’organizzazione umana, quando questa facoltà sovrana funziona bene, è impossibile che le altre facoltà non si sviluppino con essa. In questo modo, l’influenza con cui il Cuore di Gesù unisce i genitori l’uno all’altro, si estende ai loro figli, unendoli agli autori dei loro giorni, non solo durante l’adolescenza, ma per tutta la vita; ed ancora di più, durante l’eternità, perché eterna è la carità divina, principio di tale benefica influenza. Le due unioni hanno lo stesso fine: dare a Dio nuovi figli, dare al cielo nuovi cittadini; aumentare il suo regno, far crescere il suo Corpo mistico; entrambe hanno lo stesso legame: lo Spirito di Dio e la carità che dal Cuore di Gesù si riversa in quello degli sposi. Entrambe producono gli stessi frutti: l’intima unione delle anime e la comunicazione della vita di Dio. Ecco perché il Matrimonio è un grande Sacramento: il segno sensibile ed efficace di qualcosa di sacro tra tutte le altre cose, del primo mistero della Religione, della grande opera dell’amore divino, l’alleanza del Creatore con la sua creatura che, dal cuore di un uomo, ha fatto il Cuore di un Dio.

Triste esperienza di molte unioni

Molto diversa è l’unione di coloro che si impegnano nel matrimonio senza considerare né poco né molto gli insegnamenti della fede. Questi, molto numerosi, si sposano alla pagana piuttosto che come Cristiani, anche quando si attengono a chiedere le benedizioni della Chiesa. La passione, l’interesse, o forse la convenienza puramente umana, sono le ragioni che li spingono a mettere sulle loro spalle fardelli spesso al di sopra delle forze naturali. Si preoccupano poco anche delle garanzie che possono rivendicare gli interessi eterni dell’anima, cioè le garanzie più indispensabili, anche per quanto riguarda il benessere temporale. La fortuna, la posizione sociale, i rapporti, tutto ciò che è più esteriore, sono messi al primo posto; le qualità personali e soprattutto quelle morali e religiose, condizioni essenziali di felicità, del sacrificio e quindi di vera serenità, non sono prese in considerazione, né si nota la loro assenza, fino a quando non c’è altro rimedio che piangere amaramente su di esse. Una volta realizzata l’unione, allora, gli ornamenti, gli addobbi, i doni, le felicitazioni, le gioie, la libertà, le disposizioni, assorbono completamente la mente. I fastidiosi doveri, i sacrifici e le responsabilità, sono convenientemente seppelliti nell’oblio. Così accade che quando si presentano i sacrifici, si impongono gli obblighi ed il peso della responsabilità diventa più schiacciante; quando le rose che inizialmente circondavano i legami indissolubili del matrimonio appassiscono e si lasciano apparire così come sono; quando la passione si spegne e l’incostanza del cuore getta via il primo affetto dando origine ad altri che ne sono totalmente opposti; quando invece della libertà sognata, si incontrano legami di ogni tipo: l’anima che, di per sé, non ritrova la grazia per portare il peso, mormora, si abbatte, si irrita, si scrolla di dosso il giogo, si lamenta delle difficoltà del suo stato, della società, di Dio. Miserabili! Farebbero meglio a lamentarsi di loro stessi e di coloro che, abusando della sconsideratezza di questi infelici, li hanno condotti a uno stato di cui nessuno si è preoccupato di avvertirli ed a cui nessuno li ha preparati nell’adempiere ai gravi obblighi.

Il Cuore di Gesù e l’Indissolubilità del matrimonio.

È nota la ferocia infernale con cui scrittori e nemici di Dio lavorano per minare l’edificio sociale, distruggendo l’indissolubilità del matrimonio. Con una logica che ci sembra irresistibile, si affidano all’impossibilità dell’uomo di adempiere agli obblighi di uno stato che esige una costanza di volontà e un impero sulle passioni superiore alle forze della natura. È impossibile confutare con successo un tale argomento, se si rifiuta l’insegnamento di Gesù Cristo e si sottrae il matrimonio all’influenza soprannaturale della grazia. È facile dimostrare che l’indissolubilità del matrimonio sia un’istituzione necessaria per la conservazione della famiglia e il vero progresso della società. Ma questo non prova che sia nelle mani dell’uomo, lasciato a se stesso, il farlo. Siamo alla presenza di uno di quegli enigmi sociali la cui unica soluzione è nel Cuore di Gesù. È una soluzione sublime e consolante in teoria e consolante in pratica. Ciò che il cuore umano non può trovare in sé, la dedizione perfetta all’altro, l’abnegazione, la fedeltà inviolabile, viene concessa dalla carità del Cuore di Gesù a coloro che sono uniti a Lui. È possibile che la società dubiti ancora che se profana il matrimonio, sia minacciata? È possibile che, quando il Vicario di Gesù Cristo ricorda le condizioni vitali del matrimonio cristiano, si rifiutino i suoi insegnamenti come un tentativo contro il progresso, invece di riceverli con gratitudine?

Capitolo XIII

IL CUORE DI GESÙ E LO STATO DI VERGINITÀ

Lo stato di verginità è più santo di quello del matrimonio. Lo stato del matrimonio è il più sacro? Per niente; e chi osasse affermarlo sarebbe contro la Chiesa, che nel Concilio di Trento ha definito lo stato di verginità più santo e perfetto. Lo scopo dello stato di verginità è di disporre le anime affinché il Cuore di Gesù realizzi l’intima unione, senza riserve, attraverso la quale Egli si è donato alla sua Chiesa, perché Egli possa soddisfare in loro tutti i desideri e le aspirazioni del Suo amore. In questo consiste la gloria di questo stato, questo lo rende lo stato per eccellenza del Cuore di Gesù. È in essa infatti che le anime contraggono con il Cuore Divino legami incomparabilmente più intimi e fecondi di quelli risultanti dal Sacramento del Matrimonio. Prima di sviluppare questa idea facciamo due osservazioni importanti. Parlando della santità dello stato di verginità, non vogliamo canonizzare tutti coloro che l’hanno abbracciata, né metterli davanti a coloro che sono sulla via ordinaria. La santità infatti consiste propriamente nella carità, e l’anima che più ama Dio e il prossimo è la più santa, qualunque sia il suo stato. Ci sono però stati più santi degli altri, e sono quelli che hanno più facilità e mezzi per amare Dio, quelli che presuppongono di per sé un amore più grande: in questo senso lo stato di verginità è più santo del matrimonio. E a quale verginità attribuiamo tale eccellenza? Non a colui che fugge dal Matrimonio per i sacrifici che comporta, ma al volontario. A colui che nasce da una vocazione celeste, conosciuto, amato e soprattutto anteposto ad ogni contratto umano. A colui che merita che Gesù si doni all’anima come il migliore degli sposi per darsi completamente a Lui. A colui che evita con scrupolosa cura le minime macchie di anima e di corpo, a colui che offre un vero sacrificio, un olocausto perfetto. È questo i Santi elogiano abbondantemente nei loro scritti: perché la paragonano alla vita degli Angeli per averne preservato la purezza in mezzo alle tentazioni a cui sono soggetti. Con Sant’Ambrogio lo chiamano la milizia celeste; con San Cipriano, il fiore del piano divino il cui stelo è la Chiesa; la gloria e l’ornamento della grazia spirituale; l’immagine di Dio che riproduce la santità del modello divino; la parte più illustre del gregge del Signore.

La verginità nei piani del Cuore di Gesù.

L’Incarnazione del Verbo di Dio è un’opera eminentemente amorosa, il cui termine è il più ineffabile, intimo, completo ed indissolubile di tutte le alleanze tra il Figlio dell’Altissimo e la nostra miserabile natura. Realizzato nella natura individuale che ha preso il Verbo nel grembo di Maria e con la quale Egli è solo una Persona, comunicherà i suoi frutti a tutte le anime che accetteranno le sue condizioni gloriose. Ognuno di loro potrà fregiarsi del titolo onorifico di Sposa del proprio Dio e formare con gli altri la Chiesa, che è la Sposa in modo eccellente. L’unione del Figlio di Dio con la sua Chiesa, o, come dice San Giovanni, le nozze dell’Agnello, è l’opera divina per eccellenza del Cuore di Gesù. È stato annunciato dai Profeti e celebrato in anticipo nelle loro glorie. È prefigurato dalla storia dell’Antico Testamento. Il Vangelo racconta la sua realizzazione e l’Apocalisse di San Giovanni ne rivela la consumazione. Alcuni salmi e, in modo particolare, il Cantico dei Cantici, sono il canto nuziale in cui lo Sposo e la Sposa aprono il loro cuore in mezzo ad ineffabili trasporti. L’amore del Figlio di Dio per la sua sposa è un amore senza limiti. Vuole che ella sia tutta sua perché vuole essere tutto suo. Non può permettere nessuna macchia, nessuna ruga, nessuna deformità in lei. Un solo capello della sua testa che fosse disordinato lo costringerebbe a toglierle gli occhi di dosso. La Chiesa, così come la vediamo oggi e così com’è stata fin dall’inizio, non può presentarci in molti dei suoi membri le perfezioni o gli ardori descritti dai libri ispirati. Al contrario, vediamo in loro molte imperfezioni e molta tiepidezza. È vero che nella sua essenza, o, che è la stessa cosa, nella sua dottrina, nella sua morale, nei suoi sacramenti e nel suo culto, è sempre santa. Ma crediamo che questo possa soddisfare l’amore del Cuore di Gesù e soddisfare tutte le sue aspirazioni? Perché sarebbe un assurdo pensare che Egli ami nella sua Chiesa un essere astratto o solo i mezzi di salvezza che offre alle anime. Egli ama loro, le anime che sono la Chiesa vivente, e quindi la Chiesa del Dio vivente, per la quale è morto e vive in cielo e muore misticamente ogni giorno sull’altare. Per questo vuole essere amato e con esse vuole celebrare matrimoni ineffabili che permetteranno loro di vivere in Lui e Lui in esse.

Vocazione e missione di chi è vergine

Non basta che in tutti gli stati scelga anime completamente consacrate a Lui. Deve essercene una in cui questa consacrazione sia professata apertamente e abbia la sua ragione d’essere. Ecco perché, in tutte le classi sociali, alte e basse, a volte anche sui gradini del trono, lo Sposo celeste lascia che la sua voce sia ascoltata dalle anime prescelte, ispirando in esse un desiderio simile al suo, che è quello di essere solo sue, come Lui è di loro. Egli le ispira ad essere stanche di tutto ciò che è delizioso e grande sulla terra. Le porta via dal mondo o le fa vivere in esso come pellegrine e straniere. Instilla in loro i suoi sentimenti, le fa agire come Lui e affida loro la difesa dei suoi interessi. In una parola, procura loro, in carne ed ossa mortali, una vita totalmente divina. Questa è la vocazione e la missione dei vergini. Essi sono, in un certo senso, la personificazione della Chiesa, la Sposa Vergine dell’Uomo-Dio. Sono i rappresentanti e i continuatori della bella e gloriosa razza iniziata da Maria Vergine Madre e la prima e più perfetta personificazione della Chiesa. Sono la gioia ineffabile dello Sposo Divino, perché solo nelle anime con le quali Egli si unisce, trova la gioia nel mondo. Essere tutto è l’attributo incomunicabile di Dio. L’unico omaggio degno di Lui e l’unico che la Sua divinità accetta con piacere, è quello dei cuori che non cercano nulla al di fuori di Lui. E questo è proprio quello che fanno i vergini. Dicono a gran voce al mondo malato che anela e si preoccupa di tutto tranne che di Dio, che Lui solo è tutte le cose e che tutto ciò che non è Lui non è nulla. Gesù ha molti servitori, tra i quali non sono pochi quelli che adempiono la sua legge con lo sguardo rivolto alla ricompensa promessa per i loro servizi. Ma questi non sono i vergini; è chiaro che queste anime generose non rinunciano ai loro interessi, ma esse non li separano da quelli di Gesù. Poiché il loro cuore è quello di Gesù, hanno gli stessi desideri, le stesse gioie e gli stessi dolori. Queste sono le sue vere spose.

Il posto che occupano nella Chiesa coloro che sono vergini.

Guardiamo al mistero della Presentazione di Gesù nel Tempio di Gerusalemme, come la figura della sposa di Cristo. Tutte le anime si offrono e sono unite ad un unico e medesimo sacrificio, l’unico che può essere gradito a Dio: il sacrificio di Gesù Cristo. Ma non tutti lo fanno allo stesso modo e non tutti partecipano in ugual misura al frutto del sacrificio. Simeone si è rivolto a lui con la sua fede e la sua speranza. Anna offre la sua vedovanza. Ma che dire dei genitori vergini del Salvatore, Maria e Giuseppe? Quanto più perfetta era la loro offerta! Seguendo il loro esempio, i vergini continuano nel sacro tempio l’immolazione dell’olocausto che non si interromperà fino alla fine dei secoli. Anche se gli altri sacrifici sono graditi a Dio, Egli di questo è molto più contento e Lo induce a riversare sulla terra i suoi doni migliori e le benedizioni più copiose. La verginità non solo produce l’intimità dell’unione di Gesù Cristo con la sua Chiesa, ma anche la fecondità dell’unione. Ella compie l’antica profezia: la volontaria sterile è la madre di molti bambini e riempie di gioia la sua casa, un tempo deserta (Sal. CXII, 9). Ovunque vediamo case fondate dalla verginità. In essi crescono molti bambini accuditi da vergini eroiche che possono essere chiamate madri ancora più di quelle che li avevano portati in grembo. Ci sono due madri: madri rispetto all’anima e madri rispetto al corpo. Esse riempiono con il sacrificio della loro verginità, l’abisso che apre nel seno della società l’assenza sempre più spaventosa della vera maternità. Chi può calcolare il numero di anime che sarebbero state sepolte nel vizio o che avrebbero smesso di vivere, se la verginità non avesse conservato per loro la vita del corpo e dell’anima? La maternità cristiana non ha come unico scopo quello di dare al bambino la vita miserabile che finisce con la morte, ma, unita alla maternità della Chiesa, offre una vita infinitamente migliore. Gli rivela il suo magnifico destino e lo prepara a regnare con Dio per tutta l’eternità. La madre cristiana è il primo ministro di Dio e della Chiesa, nella misura in cui è legata all’educazione divina dell’anima del suo bambino; è il primo organo del Verbo per l’illuminazione dello spirito; il primo strumento dello Spirito Santo per la formazione dei cuori. Se ogni bambino cristiano è un dio creato, destinato a crescere sulla terra fino a raggiungere la pienezza dell’Essere divino, di cui ha ricevuto il primo germe nel Battesimo, la madre è uno dei principali collaboratori di Dio in quest’opera capitale. Ma quante poche madri sembrano sospettare pur anche la sublimità della loro vocazione e la gravità dei doveri che hanno verso l’anima dei loro figli! Quanti ignorano che i loro figli hanno un’anima immortale e che queste anime hanno bisogno di cibo immortale, che sono esposte a malattie incomparabilmente più dolorose e disastrose di quelle fisiche e che, per evitarle, devono essere circondate dalle cure più squisite e dal sacrificio più fervente! Quanti amano i loro figli solo con un amore puramente animale e pensano solo a dar loro la soddisfazione dei sensi, ed agiscono, alimentando con il più funesto permissivismo, la tirannia dei loro capricci, una vergognosa e irrimediabile schiavitù! Chi si occuperà delle conseguenze dei doveri materni non adempiuti? Chi conserverà alle anime la vita divina, la cui distruzione è favorita primariamente dai loro genitori? Chi insegnerà loro a conoscere se stessi, a stimarsi, a dominarsi? Chi mostrerà loro il Fine a cui devono tendere e la strada che porta ad Esso? Chi illuminerà, nutrirà, fortificherà le loro nobili facoltà e le metterà in grado di godere della vera felicità di questa vita, raggiungendo la felicità eterna? In una parola: dove troveranno le loro madri queste anime? Nella Chiesa, la vera madre delle anime. In Maria, la personificazione più alta della maternità della Chiesa. Ma sia la Chiesa che Maria hanno bisogno di aiuto e di rappresentanti per esercitare la loro maternità. Quali sono le madri visibili per le quali le invisibili devono fornire tali servizi? Lo abbiamo già detto: c’è sulla terra una classe di uomini a cui Gesù Cristo ha dato il potere e ha lasciato in eredità la sua verginità come protezione contro la tiepidezza. Il primo e più necessario esercizio dell’amore materno della Chiesa per le anime spetta ai Sacerdoti e, in modo particolare, ai sacerdoti vergini. Ma non sono sufficienti per tante anime e tanti bisogni. Più di Adamo, che ebbe il compito di coltivare nel paradiso le sue delizie, il Sacerdote, destinato a purificare il giardino della Chiesa da ogni tipo di cardi, ha bisogno di aiuto per completare il suo sacerdozio. Questa gloriosa funzione è riservata alle vergini. Sarà loro e del Sacerdote, ma anche di Maria e della Chiesa: la loro fecondità sarà il risultato della loro verginità. Liberi da ogni ambizione umana e dalle preoccupazioni terrene, essi consacrano il loro essere e la loro forza al servizio di Dio e delle anime. Quanto più sono uniti al Cuore di Gesù, tanto più l’ardente fiamma si impadronirà del loro zelo, del loro amore appassionato per le anime, della sete di salvezza che li consuma e del sentimento intimo della necessità di sacrificarsi per loro. Questa maternità soprannaturale non si limita alla cura delle anime, perché si estende al sollievo dei bisogni e delle sofferenze del corpo. L’uomo non è che un essere composito di corpo e di anima. Non importa quanto sia superiore ad esso, il corpo merita un grande rispetto per l’alta dignità di cui è dotato. Guardate la cura materna con cui la Chiesa veglia sulla purezza del corpo dei suoi figli. Con quante unzioni li consacra. Con quale solennità, dopo che ha cessato di essere la dimora dell’anima, lo colloca nel seno della terra dove sarà trasfigurato. Ereditando le funzioni materne della Chiesa, i vergini ereditano anche la cura rispettosa dei corpi, nei quali vedono i templi viventi dello Spirito Santo. Anche coloro che hanno come missione speciale l’educazione delle anime, guarderanno con tenerezza materna allo sviluppo fisico dei bambini loro affidati. Quanti istituti, senza trascurare il bene delle anime, si propongono di occuparsi dei corpi! Dare da mangiare agli orfani, dare sollievo ai poveri, curare i malati, assistere gli anziani, dare madri a chi non ne ha, anche a quelli la cui età o il cui parto sfortunato sembra privarli completamente della dolcezza materna; madri agli anziani, madri agli orfani, madri ai bambini indifesi. Non è questo un vero miracolo che la verginità compie alla vista del mondo intero, in migliaia di congregazioni?

Odio dei malvagi nei confronti della verginità.

Supponiamo che Platone o Aristotele, quando si dedicavano inutilmente ad escogitare mezzi per rigenerare la società, avessero visto l’infinito numero di case di sollievo da tutte le miserie e da tutte le malattie, in virtù della verginità; i prodigi del sacrificio di sé compiuti da donne che i tempi antichi non hanno mai prodotto; donne che sono allo stesso tempo vergini e madri, tanto più coraggiose nel sopportare i fardelli della maternità quanto più vigorosamente rinunciano alle consolazioni terrene; donne che sono volentieri sterili e divinamente feconde con l’esempio del loro sacrificio. Perché se Platone o Aristotele avessero potuto anche solo sospettare un tale miracolo, non si sarebbero forse commossi per la loro ammirazione ed invocato l’avvento rapido del giorno in cui la splendida stella della verginità avrebbe aleggiato sul mondo? Ebbene, ciò che gli onesti pagani avrebbero guardato con ammirazione, è furiosamente perseguitato nei Cristiani. Molti, invece di elevare la nobiltà delle anime caste, cospirano contro di loro odio e sterminio. Invece di benedire i sacrifici quotidiani e le immolazioni eroiche che sollevano tante miserie, bruciano dal desiderio, in nome di non so quale progresso sociale, di sopprimere tutti questi sacrifici, e lasciare tutti questi mali senza che una diga ne fermi la furia distruttrice. È possibile mai in modo naturale, una tale cecità criminale e un tale odio per il bene morale o fisico? La rabbia con cui chi non chiede altro privilegio se non quello di sacrificarsi per il bene del prossimo, non è forse l’opera del cosiddetto “assassino fin dal principio del mondo”? E, così come l’abnegazione religiosa è la prova dell’azione divina e dell’influenza vivificante del Cuore di Gesù, la furia dei suoi nemici non ci manifesta, in un certo senso, che c’è qualcosa che superi le forze della natura? E la traccia evidente del dito di satana non è un nuovo argomento per l’azione del dito di Dio?

https://www.exsurgatdeus.org/2020/06/16/il-cuore-di-gesu-e-la-divinizzazione-del-cristiano-15/

FESTA DEL CORPUS DOMINI (2020)

FESTA DEL CORPUS DOMINI (2020)

Doppio di I cl. con Ottava privilegiata di 2° ordine.

Paramenti bianchi.

Dopo il dogma della SS. Trinità, lo Spirito Santo ci rammenta quello dell’Incarnazione di Gesù, facendoci celebrare con la Chiesa il Sacramento per eccellenza che, riepilogando tutta la vita del Salvatore, dà a Dio gloria infinita e applica alle anime in tutti i momentii frutti della Redenzione (Or.) ». Gesù ci ha salvati sulla Croce e l’Eucarestia, istituita alla vigilia della passione di Cristo, ne è il perpetuo ricordo (Or.). L’altare è il prolungamento del Calvario, la Messa annuncia « la morte del Signore » (Ep.). Infatti Gesù vi si trova allo stato di vittima; poiché le parole della doppia consacrazione ci mostrano che il pane si è cambiato in corpo di Cristo, e il vino in sangue di Cristo; di modo che per ragione di questa doppia consacrazione, che costituisce il sacrificio della Messa, le specie del pane hanno una ragione speciale a chiamarsi « Corpo di Cristo », benché contengano Cristo tutto intero, poiché Egli non può morire, e le specie del vino una ragione speciale a chiamarsi « sangue di Cristo », per quanto anche esse contengano Cristo tutt’intero. E così il Salvatore stesso, che è il sacerdote principale della Messa, offre con sacrificio incruento, nel medesimo tempo che i suoi i sacerdoti, il suo Corpo e il suo Sangue che realmente furono separati sulla croce, e che sull’altare lo sono in maniera rappresentativa o sacramentale. – D’altra parte si vede che l’Eucarestia fu istituita sotto forma di cibo (All.) perché possiamo unirci alla vittima del Calvario. L’Ostia santa diviene così il « frumento che nutre le nostre anime » (Intr.). E a quel modo che il Cristo, come Figlio di Dio, riceve la vita eterna dal Padre, così i Cristiani partecipano a questa vita eterna (Vang.) unendosi a Gesù mediante il Sacramento che è il Simbolo dell’unità (Secr.). Così questo possesso anticipato della vita divina sulla terra mediante l’Eucarestia, è pegno e principio di quella di cui gioiremo pienamente in cielo (Postcom.). « Il medesimo pane degli Angeli che noi mangiamo ora sotto le sacre specie, dice il Concilio di Trento, ci alimenterà in cielo senza veli », poiché saremo faccia a faccia nel cielo, con Colui che contempliamo ora con gli occhi della fede sotto le specie eucaristiche. – Consideriamo la Messa come centro di tutto il culto eucaristico della Chiesa; consideriamo nella Comunione il mezzo stabilito da Gesù per farci partecipare più pienamente a questo divino sacrifizio; cosi la nostra devozione verso il Corpo e il Sangue del Salvatore ci otterrà efficacemente i frutti della suaredenzione. Per comprendere il significato della Processione che segue la Messa, richiamiamo alla mente come gli Israeliti onoravano l’Arca d’Alleanza che simboleggiava la presenza di Dio in mezzo a loro. Quando essi eseguivano le loro marce trionfali, l’Arca santa avanzava portata dai leviti, in mezzo a una nuvola d’incenso, al suono degli strumenti di musica, di canti, e di acclamazioni di una folla entusiasta. Noi Cristiani abbiamo un tesoro molto più prezioso, perché nell’Eucaristia possediamo Dio stesso. Siamo dunque santamente fieri di fargli scorta ed esaltiamo, per quanto è possibile, il suo trionfo.

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps LXXX: 17.
Cibávit eos ex ádipe fruménti, allelúia: et de petra, melle saturávit eos, allelúia, allelúia, allelúia.
Ps 80:2 [Li ha nutriti col fiore del frumento, allelúia: e li ha saziati col miele scaturito dalla roccia, allelúia, allelúia, allelúia.]

Exsultáte Deo, adiutóri nostro: iubiláte Deo Iacob.

[Esultate in Dio nostro aiuto: rallegratevi nel Dio di Giacobbe.]


Cibávit eos ex ádipe fruménti, allelúia: et de petra, melle saturávit eos, allelúia, allelúia, alleluja

[Li ha nutriti col fiore del frumento, allelúia: e li ha saziati col miele scaturito dalla roccia, allelúia, allelúia, allelúia.

Oratio

Orémus.
Deus, qui nobis sub Sacraménto mirábili passiónis tuæ memóriam reliquísti: tríbue, quǽsumus, ita nos Córporis et Sánguinis tui sacra mystéria venerári; ut redemptiónis tuæ fructum in nobis iúgiter sentiámus:

[O Dio, che nell’ammirabile Sacramento ci lasciasti la memoria della tua Passione: concedici, Te ne preghiamo, di venerare i sacri misteri del tuo Corpo e del tuo Sangue cosí da sperimentare sempre in noi il frutto della tua redenzione:]

Lectio

Léctio Epistolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corinthios
1 Cor XI: 23-29
Fratres: Ego enim accépi a Dómino quod et trádidi vobis, quóniam Dóminus Iesus, in qua nocte tradebátur, accépit panem, et grátias agens fregit, et dixit: Accípite, et manducáte: hoc est corpus meum, quod pro vobis tradétur: hoc fácite in meam commemoratiónem.
Simíliter ei cálicem, postquam cenávit, dicens: Hic calix novum Testaméntum est in meo sánguine. Hoc fácite, quotiescúmque bibétis, in meam commemoratiónem. Quotiescúmque enim manducábitis panem hunc et cálicem bibétis, mortem Dómini annuntiábitis, donec véniat. Itaque quicúmque manducáverit panem hunc vel bíberit cálicem Dómini indígne, reus erit córporis et sánguinis Dómini. Probet autem seípsum homo: et sic de pane illo edat et de calice bibat. Qui enim mánducat et bibit indígne, iudícium sibi mánducat et bibit: non diiúdicans corpus Dómini.

(Fratelli: Io l’ho appreso appunto dal Signore, ciò che ho trasmesso anche a voi: che il Signore Gesù la notte che fu tradito, prese del pane, e dopo aver reso le grazie, lo spezzò, e disse: Prendete e mangiate, questo è il mio corpo che sarà offerto per voi: fate questo in memoria di me. Parimenti, dopo aver cenato, prese il Calice, e disse: Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue. Tutte le volte che Lo berrete, fate questo in memoria di me. Poiché ogni volta che mangerete questo pane, e berrete questo calice, annunzierete la morte di Signore fino a che egli venga. Perciò chiunque mangerà questo pane, o berrà il calice del Signore indegnamente, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Ciascuno, dunque, esamini se stesso, e poi mangi di questo pane e beva di questo calice. Poiché chi mangia e beve indegnamente, mangia e beve la propria condanna, non distinguendo il corpo del Signore.)

OMELIA I

A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli, Sc. Tip. Vesc. Artigianelli, Pavia 1929)

IL SACRIFICIO DELLA NUOVA LEGGE

Nei primi tempi della Chiesa aveva luogo, in giorni determinati, un banchetto in comune, chiamato, agape, che doveva significare a stringere il vincolo della mutua carità tra i fedeli. Per seguire più da vicino l’esempio di Gesù Cristo che aveva istituito l’eucaristia dopo la cena pasquale, si faceva seguire/all’agape la celebrazione dell’Eucaristia. Non tardò l’introduzione degli abusi. A Corinto p. e. i ricchi, invece di mettere in comune il vitto sovrabbondante che portavano, affinché anche/i poveri potessero avere la loro parte, cominciavano, prima ancora che avesse principio il banchetto, a mangiare e bere più di quanto era richiesto da una cena simbolica. La conseguenza era duplice: accontentare la gola e privare della cena i più poveri, i quali ne provavano confusione. S. Paolo rimprovera severamente i Corinti, per questa loro sregolatezza e per la mancanza di carità verso il prossimo. E richiamata alla loro mente l’istituzione della S. Eucaristia, vuole che la si riceva degnamente, astenendovisi chi si riconosce reo di peccato grave. Quanto dice S. Paolo della istituzione della S. Eucaristia ci presenta l’opportunità di parlare di essa come:

1 Sacrificio della nuova Legge,

2 Superiore all’antico,

3 Che non ha limiti né di luogo, né di tempo.

1.

Fin dal principio gli uomini usavano rendere omaggio a Dio con l’offerta di cose sensibili, conforme al loro genere di vita. Così leggiamo che Caino, agricoltore, offre a Dio i frutti della terra, e Abele, pastore, gli offre le primizie del gregge. Sappiamo che Noè, uscito dall’arca, «eresse un altare al Signore, e, presi di tutti gli animali e di tutti gli uccelli mondi, li offri in sacrificio sopra l’altare» (Gen VIII, 20). E ai tempi di Abramo vediamo Melchisedech, re di Salem, offrire a Dio pane e vino in ringraziamento della vittoria riportata sopra i cinque re (Gen. XIV, 18-20). Più tardi Mosè, per ordine di Dio, prescrive delle norme che devono regolare i sacrifici. Ci sono i sacrifici cruenti, in cui si immolano animali, e se ne sparge il sangue; e ci sono i sacrifici incruenti, in cui si offrono alimenti, bevande, profumi. Nei sacrifici cruenti sono determinate varie qualità delle vittime, secondo la specie dei sacrifici, ed è determinato l’ufficio di chi presenta la vittima, l’ufficio del sacerdote e di coloro che lo coadiuvano. – Tutto questo doveva durare fino a che sarebbe stato offerto il sacrificio predetto dai profeti, del quale i sacrifici della legge erano una figura. Col sacrificio della croce Gesù Cristo compie la redenzione eterna, ma vuole che la Chiesa non manchi di un sacerdozio visibile e di un sacrificio visibile, che rappresenti il sacrificio della croce, ne rinnovi la memoria, e ne applichi i frutti. Ed ecco che  prima di incominciar la passione, trovandosi a cena con gli Apostoli, prese del pane, e dopo aver rese le grazie lo spezzò, e disse: Prendete e mangiate, questo è il mio corpo che sarà offerto per voi… Parimenti, dopo aver cenato prese il calice e disse: Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue. – In virtù di queste parole la sostanza del pane e del vino è totalmente cambiata nel corpo e nel sangue di Gesù Cristo. Del pane e del vino non rimangono che le apparenze. La consacrazione a parte, poi, del pane e del vino, ci dà la separazione mistica del corpo e del sangue di Gesù Cristo; per la quale Gesù Cristo ci si presenta come sulla croce, mentre compie il sacrificio versando il proprio sangue. Questo è il mio corpo che sarà offerto per voi. Ecco la nuova vittima: Gesù Cristo. Egli « offre se stesso per noi e immola la vittima, essendo nel medesimo tempo sacerdote e quell’agnello di Dio che toglie i peccati dal mondo » (S. Greg. Nisseno, In Christi Resurr. Orat. 1).

2.

 Sacrifici antichi hanno ormai perduta la loro ragione di essere. Ora abbiam il gran Sacrificio: il solo che possa piacere a Dio a salvare il mondo. «La luce scaccia le tenebre. In questa mensa del nuovo Re la nuova Pasqua della nuova Legge pon fine alla Pasqua antica » (Seq. Luada Sion), come dice S. Tommaso. Gesù dichiara: Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue. La nuova Alleanza è, senza confronto, superiore all’antica. Anche il sacrificio che suggella questa alleanza deve, necessariamente, essere superiore all’antico. Quando il popolo ebraico, strinse alleanza con Dio obbligando a osservare i suoi comandamenti e le sue leggi; e Dio, da parte sua, promise di dar loro la terra di Cana e di proteggerli, Mosè prese il sangue dei giovenchi e lo sparse sopra il popolo dicendo: «Ecco il sangue del patto che il Signore ha stretto con voi» (Es. XXIV, 8.). Nel nuovo patto non si tratta di immolare giovenchi, e di versare il loro sangue. Si tratta di immolare il Verbo fatto carne; si tratta di versare il sangue dell’Unigenito di Dio. Vittima più preziosa, più gradita a Dio, più degna di Lui, la nostra mente non arriverà mai a immaginare Gesù Cristo si sacrifica e si annienta mistica mente nella Messa per il ministero del sacerdote: il primo e principale offerente, però, è Gesù Cristo stesso. Egli, dunque, è vittima e sacerdote. E qui abbiamo, oltre una vittima di valore infinito, un offerente senza macchia, segregato dai peccatori, che non ha bisogno di offrire il sacrificio per i propri peccati prima di offrirlo per i peccati degli altri. Se consideriamo poi i fini pei quali si soffre un sacrificio nessuno può dubitare dell’eccellenza del Sacrificio della Messa sopra gli antichi sacrifici. Se vogliamo rendere onore a Dio come padrone supremo dell’universo, non potremo mai farlo in modo migliore che offrendogli ciò che gli è più caro. E nella Messa gli offriamo appunto ciò che gli è più caro: gli offriamo il Figlio suo diletto. Tutte le adorazioni degli uomini e degli Angeli non onorano Dio come questa offerta. — Se vogliamo ringraziare Dio dei suoi benefici, che cosa potremo rendergli? Nessuno può dare quel che non ha. E noi non possediamo nulla, che sia degno dei benefici che Dio ci ha fatto. Quando i due Tobia, padre e figlio deliberano di ricompensare l’Arcangelo Raffaele, il figlio osserva: «Qual cosa vi sarà che possa essere degna dei suoi benefici?» (Tob. XII, 2) Nella Messa noi abbiamo ciò che è degno non solo dei benefici degli Angeli, ma di tutti gli innumerevoli benefici che dispensa il loro Creatore. Abbiamo una vittima divina. Tutti abbiam bisogno della grazia del pentimento e della remissione dei peccati. Per questo c’era nell’antica legge il sacrificio propiziatorio. Nessun sacrificio, però, può essere propiziatorio come il sacrificio della Messa. In essa Gesù Cristo stesso offre all’eterno Padre offeso il proprio sangue per la remissione dei peccati degli uomini. — Come sacrificio impetratorio, poi, per ottenere grazie e aiuto in tutte le necessità dell’anima e del corpo, la superiorità del S Sacrificio della Messa sul sacrificio ebraico, risalta subito se si considera che in essa viene immolato «il mediatore tra Dio e gli uomini. Cristo Gesù» (1 Tim. II, 5) « nelle cui mani il Padre ha posto ogni cosa » (Giov. III, 35). – Per dir tutto in breve, basti considerare che il s Sacrificio della Messa sostanzialmente è lo stesso che il s Sacrificio della croce. Tanto nel Sacrificio della croce, quanto nel Sacrificio della Messa Gesù Cristo è la vittima. Gesù Cristo è l’offerente. L’unica differenza è che sulla croce il sacrificio fu cruento; nella Messa, invece, è incruento. Nel Sacrificio della croce si ebbe la pienezza dei frutti della redenzione: nel s Sacrificio della Messa questi frutti vengono applicati. –  

3.

Il Salvatore, dopo aver consacrato il pane, disse agli Apostoli: fate questo in memoria di me. Con queste parole dava agli Apostoli e ai loro successori il potere di fare ciò che Egli ha fatto; cioè, di convertire il pane nel suo corpo e il vino nel suo sangue; in una parola, istituiva il sacerdozio, per mezzo del quale il sacrificio si sarebbe celebrato ovunque e sempre, come Malachia aveva predetto: « Da levante a ponente è grande il mio nome tra le genti; e in ogni luogo si sacrifica e si offre al mio nome un oblazione monda » (Mal. I, 11). Il sacrificio ebraico era ristretto ad un solo Paese. Il Sacrificio della nuova legge si offrirà in tutti i luoghi del mondo, e non sarà, come il sacrificio ebraico, privilegio d’una sola nazione. In ogni ora del giorno, tra popoli civili e tra popoli ancora barbari si offre questo Sacrificio vero e pieno. E dove non si offre ancora questo Sacrificio adesso, si offrirà un giorno. « Vi chiedo un altare per dirvi una Messa e un’isola selvaggia per morirvi ». Così pregava Dio il giorno della sua professione religiosa Mons. Verjus, l’Apostolo della Nuova Guinea (Cesare Gallina, Mons. Enrica Verjus, Roma 1925, p. 157). Ed ebbe l’isola selvaggia, in cui poté erigere l’altare, e celebrare il Sacrificio cruento, ove non era mai stato celebrato. Questo voto è quello di tutti i missionari. Poter innalzar un altare e offrirvi a Dio un’oblazione monda. E il voto si compie, mano mano che essi, succedendosi, allargano il campo delle conquiste della fede. A poco a poco scompaiono i sacrifici dell’idolatria per lasciar posto al Sacrificio della Messa. – Ogni volta che mangerete questo pane e berrete questo calice annunzierete la morte del Signore fino a che Egli venga. Queste parole pronunciate da Gesù Cristo dopo la consacrazione, oltre che dichiarare che l’eucaristia è un vero sacrificio commemorativo della passione di Gesù Cristo compiuta sul Calvario, dichiarano anche che il Sacrificio dell’eucaristia si offrirà per tutti i tempi sino alla fine del mondo, quando il Redentore verrà per il giudizio universale. Come dice S. Agostino, l’eucaristia è « il sacrificio quotidiano della Chiesa » (De Civ. Dei L. 10, 20). E siccome la Chiesa durerà sino alla fine dei secoli secondo la promessa di Gesù Cristo, sino alla fine dei secoli si offrirà il sacrificio eucaristico. – Qual fortuna per i Cristiani poter assistere tutti i giorni a un Sacrificio di tanto valore, e così partecipare in modo particolare dei suoi frutti. Il Sacrificio della croce la sorgente delle grazie: il Sacrificio della Messa è il canale che fa discendere queste grazie sui fedeli: ma è naturale che discendano più abbondantemente sui fedeli che vi assistono. Il sacerdote, che prega durante la Messa non prega solamente in nome suo; ma prega in nome di tutti gli astanti. Con la parola: «preghiamo» incominciano sempre le orazioni. Quando offre al Padre l’offerta ricorda in modo particolare «i circostanti»; cioè, coloro che assistono alla Messa. E quando si avvicina il momento più solenne invita i presenti a unirsi a lui nella preghiera: «Pregate, o fratelli, affinché il sacrificio mio e vostro torni accetto a Dio Padre onnipotente». È impossibile assiste alla Messa con le dovute disposizioni senza riportar abbondanza di grazie. E maggiori grazie si avrebbero ancora se coloro che assistono al sacrificio della Messa — assecondando il desiderio della Chiesa — si comunicassero non solo spiritualmente, ma anche col ricevere sacramentalmente l’Eucaristia. Ciascuno dovrebbe darsi premura di assistere, appena lo possa, al santo Sacrificio della Messa, anche quando non vi è obbligato, e di compire l’opera, accostandosi a ricevere la vittima immolata su l’altare, Gesù. Le miserie spirituali d’ogni giorno non devono trattenerci, quando non manchi la grazia e la retta intenzione; anzi, devono essere uno stimolo a non privarci «della medicina quotidiana del corpo del Signore».

Graduale

Ps CXLIV: 15-16
Oculi ómnium in te sperant, Dómine: et tu das illis escam in témpore opportúno,

[Gli occhi di tutti sperano in Te, o Signore: e Tu concedi loro il cibo a tempo opportuno,]

V. Aperis tu manum tuam: et imples omne animal benedictióne. Allelúia, allelúia,[Apri la tua mano: e colma ogni essere vivente della tua benedizione,]
Ioannes VI: 56-57
Caro mea vere est cibus, et sanguis meus vere est potus: qui mandúcat meam carnem et bibit meum sánguinem, in me manet et ego in eo. Alleluia.

[La mia carne è veramente cibo, e il mio sangue è veramente bevanda: chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, rimane in me e io in lui. Alleluia.]

Sequentia
Thomæ de Aquino.

Lauda, Sion, Salvatórem,

lauda ducem et pastórem
in hymnis et cánticis.

Quantum potes, tantum aude:
quia maior omni laude,
nec laudáre súfficis.

Laudis thema speciális,
panis vivus et vitális
hódie propónitur.

Quem in sacræ mensa cenæ
turbæ fratrum duodénæ
datum non ambígitur.

Sit laus plena, sit sonóra,
sit iucúnda, sit decóra
mentis iubilátio.

Dies enim sollémnis agitur,
in qua mensæ prima recólitur
huius institútio.

In hac mensa novi Regis,
novum Pascha novæ legis
Phase vetus términat.

Vetustátem nóvitas,
umbram fugat véritas,
noctem lux elíminat.

Quod in coena Christus gessit,
faciéndum hoc expréssit
in sui memóriam.

Docti sacris institútis,
panem, vinum in salútis
consecrámus hóstiam.

Dogma datur Christiánis,
quod in carnem transit panis
et vinum in sánguinem.

Quod non capis, quod non vides,
animosa fírmat fides,
præter rerum órdinem.

Sub divérsis speciébus,
signis tantum, et non rebus,
latent res exímiæ.

Caro cibus, sanguis potus:
manet tamen Christus totus
sub utráque spécie.

A suménte non concísus,
non confráctus, non divísus:
ínteger accípitur.

Sumit unus, sumunt mille:
quantum isti, tantum ille:
nec sumptus consúmitur.

Sumunt boni, sumunt mali
sorte tamen inæquáli,
vitæ vel intéritus.

Mors est malis, vita bonis:
vide, paris sumptiónis
quam sit dispar éxitus.

Fracto demum sacraménto,
ne vacílles, sed meménto,
tantum esse sub fragménto,
quantum toto tégitur.

Nulla rei fit scissúra:
signi tantum fit fractúra:
qua nec status nec statúra
signáti minúitur.

Ecce panis Angelórum,
factus cibus viatórum:
vere panis filiórum,
non mitténdus cánibus.

In figúris præsignátur,
cum Isaac immolátur:
agnus paschæ deputátur:
datur manna pátribus.

Bone pastor, panis vere,
Iesu, nostri miserére:
tu nos pasce, nos tuére:
tu nos bona fac vidére
in terra vivéntium.

Tu, qui cuncta scis et vales:
qui nos pascis hic mortáles:
tuos ibi commensáles,
coherédes et sodáles
fac sanctórum cívium.
Amen. Allelúia.

[Loda, o Sion, il Salvatore,  loda il capo e il pastore,  con inni e càntici.
Quanto puoi, tanto inneggia:  ché è superiore a ogni lode,  né basta il lodarlo.
Il pane vivo e vitale  è il tema di lode speciale,  che oggi si propone.
Che nella mensa della sacra cena,  fu distribuito ai dodici fratelli,  è indubbio.
Sia lode piena, sia sonora,  sia giocondo e degno  il giúbilo della mente.
Poiché si celebra il giorno solenne,  in cui in primis fu istituito  questo banchetto.
In questa mensa del nuovo Re,  la nuova Pasqua della nuova legge  estingue l’antica.
Il nuovo rito allontana l’antico,  la verità l’ombra,  la luce elimina la notte.
Ciò che Cristo fece nella cena,  ordinò che venisse fatto  in memoria di sé.
Istruiti dalle sacre leggi,  consacriamo nell’ostia di salvezza  il pane e il vino.
Ai Cristiani è dato il dogma:  che il pane si muta in carne,  e il vino in sangue.
Ciò che non capisci, ciò che non vedi,  lo afferma pronta la fede,  oltre l’ordine naturale.
Sotto specie diverse,  che son solo segni e non sostanze,  si celano realtà sublimi.
La carne è cibo, il sangue bevanda,  ma Cristo è intero  sotto l’una e l’altra specie.
Da chi lo assume, non viene tagliato,  spezzato, diviso:  ma preso integralmente.
Lo assuma uno, lo assumino in mille:  quanto riceve l’uno tanto gli altri:  né una volta ricevuto viene consumato.
Lo assumono i buoni e i cattivi:  ma con diversa sorte  di vita e di morte.
Pei cattivi è morte, pei buoni vita:  oh che diverso esito  ha una stessa assunzione.
Spezzato poi il Sacramento,  non temere, ma ricorda  che tanto è nel frammento  quanto nel tutto.
Non v’è alcuna separazione:  solo un’apparente frattura,  né vengono diminuiti stato  e grandezza del simboleggiato.
Ecco il pane degli Angeli,  fatto cibo dei viandanti:  in vero il pane dei figli  non è da gettare ai cani.
Prefigurato  con l’immolazione di Isacco, col sacrificio dell’Agnello Pasquale,  e con la manna donata ai padri.
Buon pastore, pane vero,  o Gesú, abbi pietà di noi:  Tu ci pasci, ci difendi:  fai a noi vedere il bene  nella terra dei viventi.
Tu che tutto sai e tutto puoi:  che ci pasci, qui, mortali:  fa che siamo tuoi commensali,  coeredi e compagni dei santi del cielo.  Amen. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangéli secúndum S. Ioánnem.

Ioann VI: 56-59
In illo témpore: Dixit Iesus turbis Iudæórum: Caro mea vere est cibus et sanguis meus vere est potus. Qui mandúcat meam carnem et bibit meum sánguinem, in me manet et ego in illo. Sicut misit me vivens Pater, et ego vivo propter Patrem: et qui mandúcat me, et ipse vivet propter me. Hic est panis, qui de coelo descéndit. Non sicut manducavérunt patres vestri manna, et mórtui sunt. Qui manducat hunc panem, vivet in ætérnum.

[Gesù disse un giorno alle turbe della Giudea: « La mia carne è veramente cibo, e il mio sangue è veramente bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, resta in me, e Io in lui. Come il Padre vivente ha mandato me, e io vivo per il Padre; così chi mangerà da me, vivrà per me. Questo è il pane che discese dal cielo. Non come i vostri padri, che mangiarono la manna e morirono: chi mangia di questo pane, vivrà in eterno » (Giov. VI, 56-59). ]

OMELIA II

IL ” CORPUS DOMINI „

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. II, 4° ed. Torino, Roma; C. Ed. Marietti, 1933)

Incola ego sum in terra.

(Ps. CXVIII, 19)

Queste parole, F. M., ci ricordano tutte le miserie della vita, il disprezzo che dobbiamo avere delle cose create e periture, ed il desiderio di uscirne per andare nella nostra vera patria, poiché la nostra patria non è il mondo. Tuttavia, F. M., consoliamoci nel nostro esilio: vi abbiamo un Dio, un amico, un consolatore ed un redentore, che può addolcir le nostre pene, e da questo luogo di miserie ci fa scorgere grandi beni; il che deve portarci ad esclamare, come la sposa dei Cantici: ” Avete visto il mio diletto? e se l’avete visto, ah! ditegli che io altro non faccio che languire d’amore. „ — “Ah! sin a quando, Signore, esclama il santo Re profeta nei suoi trasporti d’amore e d’ammirazione; ahi sino a quando prolungherete il mio esilio lontano da voi ? (Ps. CXIX, 5) „ Ma, F . M., più felici dei santi dell’Antico Testamento, non solo possediamo Dio nella grandezza di sua immensità per la quale trovasi dappertutto; ma l’abbiamo ancora tal quale fu durante nove mesi nel seno di Maria, e sulla croce. Ancor più felici dei primi Cristiani che percorrevano cinquanta o sessanta miglia per aver la fortuna di vederlo, ogni parrocchia lo possiede, ogni parrocchia può goder quanto vuole della sua dolce compagnia. Ah! popolo felice quello dei Cristiani! E qual è, F. M., il mio proposito oggi? Eccolo. Voglio mostrarvi quanto è buono Iddio nella istituzione del sacramento adorabile della Eucaristia, ed i grandi vantaggi che ne possiamo cavare.

I. – F. M., ciò che forma la felicità d’un buon Cristiano, costituisce la sventura del peccatore. Ne volete la prova? Eccola. Per un peccatore che non vuol uscire dal peccato, la presenza di Dio diviene il suo supplizio: vorrebbe poter cancellare il pensiero che Dio lo vede e lo giudicherà: si nasconde, fugge la luce del sole, si immerge nelle tenebre, ha orrore di quanto può richiamargliene il pensiero: un ministro di Dio gli fa ombra, lo odia, lo fugge: ogni volta che pensa d’avere un’anima immortale, che Dio la ricompenserà o la punirà nell’eternità, a norma di quanto avrà fatto: è per lui uno strazio che lo divora senza tregua. Ah! triste esistenza quella d’un peccatore che vive nel peccato! Invano, amico mio, vorresti toglierti dalla presenza di Dio, non lo potrai! ” Adamo, Adamo, dove sei? „ — ” Ah! Signore, esclama, ho peccato, e temo la vostra presenza!. „ Adamo, tutto tremante, corre a nascondersi, e proprio nel momento in cui credeva che Dio nol vedesse, la sua voce si fa sentire: “Adamo, tu mi troverai dappertutto: tu hai peccato, ed io fui testimonio del tuo delitto: i miei occhi eran fissi su di te. „ — “Caino, Caino, dov’è tuo fratello? „ Caino, udendo la voce del Signore, fugge come disperato. Ma Dio l’insegue colla spada alle reni: “Caino, il sangue di tuo fratello grida vendetta (Gen. III, 10). „ Oh! è dunque vero che il peccatore è nel timore, nella disperazione continua. Peccatore, che facesti? Dio ti punirà. — No, no, esclama, Dio non mi ha visto, “non vi è Dio „ — Ahi disgraziato, Dio ti vede e ti punirà. Da ciò concludo che un peccatore può ben tentare di rassicurarsi, di dimenticar i peccati, di fuggir la presenza di Dio e procurarsi quanto il suo cuore può desiderare; non sarà che un infelice: trascinerà dappertutto le sue catene ed il suo inferno. Ah! triste esistenza! No, F. M., non andiamo più oltre, questo pensiero è troppo straziante, questo linguaggio non conviene oggi davvero: lasciamo quei poveri sventurati nelle tenebre, poiché vogliono restarvi: lasciamoli dannarsi, poiché non vogliono salvarsi. “Venite, figli miei, diceva il santo re David, venite, ho grandi cose da annunciarvi; venite, e vi dirò quanto è buono il Signore con chi l’ama. Ha preparato ai suoi figli un nutrimento celeste, che produce frutti di vita. Dappertutto lo troveremo il nostro Dio: se andiamo nel cielo, là Egli vi è; se traversiamo i mari, lo vedremo al nostro fianco; se ci nascondiamo negli abissi del mare, ci accompagnerà (Ps. XXXIII, XXXII, CXXXVIII). „ No, no, il nostro Dio non ci perde di vista, come una madre non perde di vista il bambino che incomincia a muovere i primi passi. “Abramo, dice il Signore, cammina alla mia presenza e la troverai dappertutto. „ — “Mio Dio! esclama Mosè, mostratemi di grazia la vostra faccia: avrò quanto posso desiderare.„ (Es. XXXIII, 12). Ah! un Cristiano è consolato da questo caro pensiero che Dio lo vede, che Egli è testimonio delle sue pene e delle sue lotte, che Dio è al suo fianco. Ah! diciamo meglio, F. M., egli stringe Dio continuamente al suo seno. Ah! popolo cristiano, quanto sei avventurato di avere vantaggi che tanti altri popoli non hanno! E non avevo ragione di dirvi che se la presenza di Dio è un tormento pel peccatore, essa però è una felicità ineffabile, un cielo anticipato pel buon Cristiano? Sì, F. M., tutto questo è bello, è vero: ma è ancor poco, per così dire, in confronto dell’amore che Gesù Cristo ci porta nel sacramento adorabile dell’Eucaristia. Se parlassi ad increduli o ad empi che osano dubitare della presenza di Gesù Cristo in questo Sacramento adorabile, comincerei col dar loro delle prove così chiare e convincenti, da morir pel dolore d’aver dubitato d’un mistero basato su ragioni tanto forti e convincenti; io direi loro: Se Gesù Cristo è verace, lo è pure questo mistero, che preso del pane disse ai suoi Apostoli: « Eccovi del pane: ebbene lo cambio nel mio corpo; ecco del vino, lo cambio nel mio sangue: questo corpo è veramente lo stesso che sarà crocifisso, ed il sangue è lo stesso che verrà sparso per la remissione dei peccati: ogni volta che pronuncerete queste parole, voi farete il medesimo miracolo: questo potere voi lo comunicherete gli uni agli altri sino alla consumazione dei secoli „ Ma qui lasciamo da una parte queste prove: questo ragionamento è inutile per Cristiani, che tante volte gustarono le dolcezze che Dio loro comunica nel Sacramento d’amore. S. Bernardo ci dice che vi sono tre misteri ai quali non può pensare senza sentirsi il cuore morir d’amore e di dolore. Il primo è quello dell’Incarnazione, il secondo quello della Passione e Morte di Gesù Cristo, e il terzo quello del Sacramento adorabile dell’Eucaristia. Quando lo Spirito Santo ci parla del mistero dell’Incarnazione, adopera frasi che ci mettono nell’impossibilità di poter comprendere sin dove arriva l’amor di Dio per noi, dicendoci: “Così Dio ama il mondo, „ come se ci dicesse: lascio al vostro spirito, alla vostra immaginazione la libertà di formarvi quelle idee che vorrete: quand’anche aveste tutta la scienza dei profeti, i lumi dei dottori, le cognizioni degli Angeli, vi sarà impossibile comprendere l’amore che ebbe per voi Gesù Cristo in questi misteri. Quando S. Paolo ci parla dei misteri della Passione di Gesù Cristo, ecco come si spiega: “Benché Dio sia infinito in grazia e misericordia, sembra essersi esaurito per l’amor nostro. Eravamo morti, ci ha dato la vita. Eravamo destinati ad essere infelici per tutta l’eternità, e per sua bontà e misericordia cambiò la nostra sorte! (Ef. II, 4-6) „ Infine, quando S. Giovanni ci parla della carità che Gesù Cristo ebbe per noi istituendo il Sacramento adorabile dell’Eucaristia, ci dice « che ci ha amati sino alla fine » (Giov. XIII, 1) , „ cioè ha amato nel corso della sua vita l’uomo d’un amore senza confronto. Dirò meglio, F. M., ci ha amato quanto poteva amarci. O amore, quanto sei grande e poco conosciuto! Ecchè, amico mio! non ameremo un Dio che ha sospirato per la nostra felicità durante l’eternità intera?… Un Dio, che ha tanto pianto i nostri peccati, ed è morto per cancellarli! Un Dio, che volle lasciare gli Angeli del cielo, dov’è amato d’amor sì puro e perfetto, per venire in questo mondo, quantunque sapesse benissimo come sarebbe stato disprezzato. Conosceva anticipatamente le profanazioni di cui sarebbe stato oggetto in questo Sacramento d’amore. Sapeva che gli uni lo riceverebbero senza contrizione; gli altri senza desiderio di correggersi: altri forse col peccato nel cuore, e lo farebbero morire. Ma no, tutto questo non poté arrestare il suo amore. O popolo fortunato quello dei Cristiani!… “O città di Sion, rallegrati, fa conoscere il tuo giubilo, esclama il Signore per bocca del profeta Isaia, perché il tuo Dio abita in mezzo a te „ (Is. XII, 6). Sì, F. M., ciò che il profeta Isaia diceva al suo popolo, posso dirlo a voi, anzi con più verità. Cristiani, rallegratevi! Il vostro Dio vuol comparire in mezzo a voi. Questo tenero Salvatore vuol visitare le vostre piazze, le vostre e vie, le case vostre: dappertutto vuol spargere le sue benedizioni più abbondanti. O case avventurate, davanti alle quali Egli passerà! O strade fortunate, che sosterranno i suoi passi santi! Potremo, trattenerci di dire dentro di noi, quando ritorneremo per la medesima via: Ecco dove è passato il mio Dio, ecco la strada che ha preso quando spargeva benefico le sue benedizioni su questa parrocchia. – Oh! quanto è consolante questo giorno per noi! Ah! se è permesso gustare qualche consolazione in questo mondo, non è in questo momento felice? Sì, dimentichiamole è possibile, tutte le miserie. Questa terra d’esilio sta per divenire veramente l’immagine della celeste Gerusalemme, le feste e le gioie del cielo discendono sulla terra. Ah! « se la mia lingua può obliare questi benefici, s’attacchi al mio palato !… „ (Ps. CXXXVI). Ah! se i miei occhi debbono ancor volgere i loro sguardi sulle cose terrene, che il cielo rifiuti loro la luce! Sì, F. M., se consideriamo tutto quanto Dio ha fatto: il cielo e la terra, questo bell’ordine che regna nel vasto universo, tutto ci annuncia una potenza infinita che ha tutto creato, una saggezza ammirabile che tutto governa, una bontà suprema che a tutto provvede con la stessa facilità che se fosse occupata d’un essere solo: tanti prodigi, non possono che riempirci di stupore e di ammirazione. Ma, se parliamo dell’adorabile sacramento dell’Eucaristia, possiamo dire che qui v’è il prodigio dell’amore d’un Dio per noi: qui la sua potenza, la grazia, la bontà sua risplendono in modo al tutto straordinario. Possiamo dire con tutta verità, che qui v’è il pane disceso dal cielo, il pane degli Angeli, che ci è dato per cibo delle anime nostre. E questo pane dei forti che ci consola, ed addolcisce le nostre pene. È qui veramente ” il pane dei viatori; „ diciamo anzi, F. M., la chiave che ci ha aperto il cielo. “Chi mi riceverà, dice il Salvatore, avrà la vita eterna: chi non mi riceverà, morrà. Chi ricorrerà, dice il Salvatore, a questo sacro banchetto farà nascere in sé una fonte che zampillerà sino alla vita eterna  „ (Giov. VI, 54, 55). Ma per meglio conoscere l’eccellenza di questo dono, bisogna esaminare sino a qual punto Gesù Cristo ha spinto il suo amore per noi in questo Sacramento. No, F. M., non bastava al Figlio di Dio l’essersi fatto uomo per noi: per accontentare il suo amore, bisognò che si desse a ciascuno di noi in particolare. Vedete, F. M., quanto ci ama. Nel medesimo istante che i suoi poveri figli si preparavano a farlo morire, il suo amore lo porta a fare un miracolo, per restare in mezzo ad essi. Si vide, si può vedere un amore più generoso e più splendido di quello che ci mostra nel Sacramento del suo amore? Non possiamo dire, come il Concilio di Trento, che in esso la sua liberalità e generosità hanno esaurito tutte le loro ricchezze ? (Sess. XIII, cap. II). Può forse trovarsi qualche cosa sulla terra, ed anche in cielo, capace di essergli messa a confronto? Si vide alcune volte la tenerezza d’un padre, la liberalità d’un re pei suoi sudditi andar sì oltre quanto quella di Gesù Cristo nel Sacramento dei nostri altari! Vediamo che i genitori, nel testamento danno i loro beni ai figli: ma nel testamento che Gesù Cristo ci fa, non ci dà i beni temporali, poiché li abbiamo…, ma ci dà il suo Corpo adorabile ed il suo Sangue prezioso. Oh! felicità del Cristiano, quanto poco sei gustata! – No, F. M., non poteva spingere più lungi il suo amore che dandosi a noi: poiché ricevendolo, lo riceviamo con tutte le sue ricchezze. Non è questa la vera prodigalità d’un Dio per le sue creature? Sì, se Dio ci avesse data la libertà di domandargli quanto desideravamo, avremmo osato spinger sì lontano le nostre speranze? “D’altra parte, Dio stesso, benché Dio, poteva trovare cosa più preziosa da donarci?„ domanda S. Agostino. Sapete, F. M., che cosa indusse Gesù Cristo ad acconsentire di restar notte e giorno nelle nostre chiese? Ah! F. M., fu perché ogni volta volessimo vederlo, potessimo trovarlo. Ah! tenerezza di padre, quanto sei grande! Può esserci cosa più consolante per un Cristiano, che sa di adorare un Dio presente in Corpo ed Anima!” Ah! Signore, esclama il Re-profeta, un giorno passato vicino a Voi, è preferibile a mille passati nelle adunanze del mondo!„ (Ps. LXXXIII, 11) Che cosa rende le nostre chiese così sante e rispettabili? Non è la presenza di Gesù Cristo? Ah! popolo felice quello dei Cristiani!

II. — Ma, chiederete, cosa dobbiamo fare per testimoniare a Gesù Cristo il nostro rispetto e la riconoscenza nostra? — Ecco, F. M.:

1° Non ci presenteremo davanti a Lui se non col più grande rispetto, e lo seguiremo in processione con gioia tutta celeste, raffigurandoci alla mente il gran giorno di quella processione che si farà dopo il giudizio universale. – Sì F. M., per penetrarci del rispetto più profondo basta ricordarci che siamo peccatori, che siamo indegni di seguire un Dio così santo e puro. E un padre buono che tante volte abbiam disprezzato ed oltraggiato, che ci ama ancora, e ci dice che è pronto ad accordarci perdono. Cosa fa Gesù Cristo quando lo portiamo in processione? Eccolo. È come un re buono in mezzo ai suoi sudditi, come un buon padre circondato da’ suoi figli, come un buon pastore che vigila il suo gregge. Qual pensiero dobbiamo avere seguendo il nostro Dio? Eccolo. Dobbiamo seguirlo come i primi fedeli lo seguivano quand’era sulla terra, e beneficava tutti. Se avessimo la ventura di accompagnarlo con fede viva, potremmo essere sicuri di ottenere quanto gli domanderemo. Leggiamo nel Vangelo, che due ciechi, trovatisi sulla via seguita dal Signore, si posero a gridare: “O Gesù! Figlio di Davide, abbi pietà di noi! „ Gesù, n’ebbe compassione e domandò loro cosa volessero. “Ah! Signore, gli dissero, fate che noi vediamo. „ — “Ebbene! vedete, „ disse loro il buon Salvatore. (Matt. XX, 30-34). Un gran peccatore, Zaccheo, desiderando vederlo, s’arrampica su d’un albero: ma Gesù Cristo, che non ora venuto che per salvare i peccatori, gli gridò: “Zaccheo, discendi, perché oggi voglio fermarmi in casa tua. „ In casa tua! È come se gli avesse detto: Zaccheo, da lungo tempo la porta del tuo cuore è chiusa pel tuo orgoglio e le tue ingiustizie: aprimi oggi,vengo a darti il perdono. Sull’istante Zaccheo discende, si umilia profondamente davanti al suo Dio, ripara tutte le sue ingiustizie, e non vuol più che la povertà ed i patimenti per sé. O  fortunato momento che gli valse una felicità eterna! Un altro giorno in cui il Salvatore passava per un’altra via, una povera donna, afflitta da dodici anni da una perdita di sangue, lo seguiva. “Ah! diceva tra sé, se avessi la fortuna di toccare anche solo il lembo del suo abito, sono sicura che guarirei. „ (Luc. XIX, 1-10). Piena di confidenza, corre a gettarsi ai piedi del Salvatore, tocca il lembo del suo abito e sull’istante è liberata dal suo male. Sì, F. M., se avessimo la medesima fede, la medesima confidenza, otterremmo le medesime grazie: perché è lo stesso Dio, lo stesso Salvatore, lo stesso Padre, animato dalla stessa carità. “Venite, diceva il Profeta, venite, Signore, uscite dai vostri tabernacoli, mostratevi al popolo vostro che vi desidera e vi ama. „ Ahimè! quanti ammalati da guarire: quanti ciechi, cui render la vista! Quanti Cristiani, che seguiranno Gesù Cristo, e la loro povera anima è ricoperta di piaghe! Quanti Cristiani che sono nelle tenebre, e non vedono che son vicini a cadere nell’inferno! Mio Dio! Guarite gli uni ed illuminate gli altri! Povere anime, quanto siete sventurate! S. Paolo ci dice che essendo ad Atene, trovò scritto sa un altare : “Al Dio ignoto, „ o almeno dimenticato (Act. XVII, 23). Ah! F. M.! io potrei ben dirvi  al contrario: vengo ad annunciarvi un Dio che sapete essere il vostro Dio, e non lo adorate e lo disprezzate. Quanti Cristiani che nei giorni di domenica non sanno che fare del loro tempo; che non si degnano neppure di venire per qualche breve momento a visitare il loro Salvatore, che arde di desiderio di vederli a sé vicini, per dir ad essi che li ama e vuol colmarli di benefizi. Oh! qual vergogna per noi!… Succede qualche novità? Si lascia tutto, e si corre. Per Iddio altro non facciamo che disprezzarlo e fuggirlo; il tempo ci pesa alla sua santa presenza; quanto facciamo è sempre lungo. Ah! qual differenza tra i primi fedeli e noi! essi consideravano come il tempo più felice di lor vita quello in cui avevano la fortuna di passare i giorni e le notti intere nelle chiese a cantar le lodi del Signore, od a piangere i loro peccati: ma oggi non è più così. Egli è lasciato, abbandonato da noi, v’è persino chi lo disprezza: la maggior parte ci presentiamo nelle chiese, in questi luoghi sacri, senza rispetto, senza amor di Dio, senza neppur sapere cosa vi veniamo a fare. Gli uni lasciano occupare il loro spirito ed il cuore da mille cose terrestri, e forse anche peccaminose: gli altri vi stanno con noia e disgusto: altri s’inginocchiano a fatica, mentre un Dio sparge il suo sangue prezioso pel loro perdono: altri infine lasciano appena discendere il Sacerdote dall’altare e subito sen fuggono. Mio Dio, come i figli vostri vi amano poco, o piuttosto vi disprezzano! Infatti, quale spirito di leggerezza e dissipazione non mostrate voi, quando siete in chiesa! gli uni dormono, gli altri parlano, e quasi nessuno si occupa di quanto dove fare.

2° F. M., tutti noi, fatti per Iddio, ricolmati di continuo de’ suoi benefizi più abbondanti, tutti dobbiamo testimoniargli la nostra riconoscenza, e affliggerci di vederlo tanto oltraggiato. Dobbiam fare come un amico che si rattrista per la sventura di un amico: così gli mostra sincera amicizia. Eppure, F . M., per quanti servigi abbia quest’amico potuto rendere all’amico, non avrà fatto mai quanto Dio ha fatto per noi. — Ma, chi deve, a quanto pare, dimostrare un amore più grande ed ardente per gli oltraggi che Gesù Cristo riceve da parte dei cattivi Cristiani? — Certamente tutti debbono affliggersi dei disprezzi che gli si fanno, e procurar di risarcirnelo: ma alcuni fra i Cristiani vi sono obbligati in modo particolare; ed eccoli: sono coloro che hanno la ventura d’appartenere alla confraternita del Ss. Sacramento. Dico: “Che hanno la fortuna. „ Ah! può darsi sorte più cara di quella d’esser scelti per far riparazione a Gesù Cristo degli oltraggi che riceve nel Sacramento del suo amore? Ma non illudetevi, F. M; come confratelli, siete obbligati a condurre una vita ben più perfetta che il resto dei Cristiani. I vostri peccati sono assai più sensibili per Gesù Cristo. Miei cari, non basta portare una candela in mano, per mostrar d’essere fra coloro che Dio ha scelto: ma bisogna che ci distingua la nostra vita, come la candela ci distingue da chi non l’ha. Perché, F. M., brillano queste candele? se non perché la vita vostra dev’essere un modello di virtù, e voi dovete gloriarvi d’essere figli di Dio, pronti a dar la vita per sostenere gli interessi del vostro Dio, al quale vi consacraste con grande sincerità? Sì, F. M., affaccendarsi ad abbellir le chiese ed i tabernacoli: sono queste buone e lodevoli dimostrazioni esteriori: ma non bastano. I Betsamiti, quando l’arca del Signore passò per il loro territorio, mostrarono la maggior premura e lo zelo più ardente: appena scortala, il popolo uscì in folla per incontrarla: tutti si affrettarono di uccidere buoi pel sacrificio. Eppure cinquanta mila furon colpiti da morte, perché non era stato abbastanza grande il loro rispetto!. (1 Re, VI). Oh! F. M., ci deve ben far tremare quest’esempio! Cosa rinchiudeva quell’arca? Ahimè! un po’ di manna, le tavole della legge: eppure, perché coloro che vi s’avvicinano non sono abbastanza penetrati della sua presenza, il Signore li colpisce di morte. Ma, ditemi, chi riflettendo alquanto alla presenza di Gesù Cristo, non sarebbe colto da timore? Quanti, F. M., sono così sciagurati da far compagnia al Salvatore, col cuore macchiato di colpe! Ah! disgraziato, potrai ben piegar le ginocchia, mentre Dio si alza per benedire il suo popolo: i suoi sguardi penetranti non lasceranno di vedere gli orrori che sono nel tuo cuore. Ma se l’anima nostra è pura, presentiamoci a seguire Gesù Cristo come un gran re che esce dalla sua città capitale a ricevere gli omaggi dei sudditi, e colmarli di benefici. Leggiamo nel Vangelo, che i due discepoli d’Emmaus camminavano col Salvatore senza conoscerlo: quando lo riconobbero, scomparve. Rapiti di gioia, si dicevano l’un l’altro: “Come mai non l’abbiamo conosciuto? I nostri cuori non si sentivano forse infiammati d’amore quando ci parlava spiegandoci la santa Eucaristia?„ (Luc. XXIV, 13-32) Mille volte più felici, F. M., di quei discepoli, che camminavano con Gesù Cristo senza conoscerlo, noi sappiamo che è il nostro Dio ed il nostro Salvatore, che parla in fondo al nostro cuore, e vi fa nascere un numero infinito di buoni pensieri, di buone ispirazioni. “Figlio mio, ci dice, perché non vuoi amarmi? Perché non lasci quel maledetto peccato, che mette un muro di separazione tra noi due? Ah! figlio mio, vuoi dunque abbandonarmi? vorrai costringermi a condannarti ai supplizi eterni? Figlio mio, eccoti il perdono: vuoi tu pentirti? „ Ma che gli dice il peccatore? “No, no, Signore, preferisco vivere sotto la tirannia del demonio ed esser riprovato, anziché domandarvi perdono. „ Ma, mi direte, noi non diciamo questo al buon Dio. — Ed io vi soggiungo, che lo dite continuamente, ogni volta Iddio vi manda il pensiero di convertirvi. Ah! infelice, verrà un giorno che domanderai quanto oggi rifiuti; e forse non ti sarà accordato. È certo, F. M., che se avessimo la fortuna di tanti santi, ai quali Dio si faceva vedere, come a S. Teresa, talora come bambino nella culla, talora confitto sulla croce, avremmo senza dubbio maggior rispetto ed amore per Lui: ma non lo meritiamo; e poi ci crederemmo già santi: il che ci sarebbe argomento d’orgoglio. Ma, sebbene il buon Dio non ci conceda una tal grazia, non è meno presente e pronto ad accordarci quanto gli domanderemo. – Raccontasi nella storia, che un sacerdote, dubbioso di questa verità, dopo aver pronunciato le parole della consacrazione: “Come è possibile, diceva tra sé, che le parole di un uomo facciano un sì gran miracolo? „ Ma Gesù Cristo, per rimproverargli la sua poca fede, fece trasudare sangue all’Ostia santa in grande abbondanza. Ascoltate che cosa ci dice il medesimo autore: essendosi appiccato il fuoco in una cappella, tutta la costruzione fu abbruciata e distrutta: e la santa Ostia restò sospesa in aria, senza appoggio alcuno: venuto il sacerdote a riceverla in un vaso, subito vi discese dentro (È  il miracolo delle sante Ostie di Faverney, nella diocesi di Besançon, avvenuto il 26 Maggio 1608. Mgr de Ségur, La Francia ai piedi del Ss. Sacramento, xv, ricorda alcune particolarità del fatto in modo un po’ differente dal racconto del Beato). Leggiamo nella storia ecclesiastica (Questo celebre miracolo avvenne in Parigi l’anno 1290. Vedi Rohrbacher, Storia universale…, lib. LXXVI), che la fantesca d’un giudeo, per pura compiacenza verso del padrone, gli portò un’ Ostia santa. Dopo ricevutala in bocca, questa disgraziata la prese, la mise nel fazzoletto e la portò al padrone. Questo mostro, ebbro di gioia per aver Gesù Cristo in suo potere, come già i padri suoi quando lo misero in croce, si abbandonò a quanto il furor suo poté ispirargli. Gesù Cristo volle mostrargli quanto vivamente sentisse gli oltraggi che gli faceva. Il disgraziato, messa l’Ostia santa su d’una tavola, la colpì parecchie volte col temperino: l’Ostia si coperse tosto tutta di sangue: il che fece fremere la moglie ed i figli suoi, presenti a così raccapricciante spettacolo. Ripresala, la sospende ad un chiodo, e le dà molti colpi di staffile e di lancia: il sangue usciva in grande abbondanza come prima. La riprende per la terza volta, e la getta in una caldaia d’acqua bollente. Subito l’acqua fu cambiata in sangue: e nello stesso istante Gesù Cristo riprende la forma che aveva sull’albero della croce. In tal modo sembrava volesse Gesù Cristo tentar se poteva di commuoverlo. Ma il disgraziato, simile a Giuda, considera il suo delitto come troppo grande, e, disperando del perdono, fu condannato ad esser abbruciato vivo. F. M., non possiamo udir questi orrori senza fremere. Ahimè! quanti Cristiani lo trattano ancor più crudelmente! Ma, mi direte, come è possibile diportarsi in tal modo? — Ahimè! amico mio, Dio voglia che non vi tocchi mai tale sventura! Ogni volta che acconsentite al peccato!: un pensiero di orgoglio lo calpesta sotto i piedi e gli dà la morte: un pensiero impuro gli squarcia il cuore. — Ahimè! in questa processione raffiguriamoci il Salvatore come se andasse al Calvario: gli uni gli davano dei calci, gli altri lo ricoprivano d’ingiurie e di bestemmie… soltanto alcune anime sante lo seguivano piangendo, e mescolavano le lor lagrime col Sangue prezioso, di cui bagnava la via. Oh! quanti Giudei e carnefici stanno per seguire Gesù Cristo, e non si accontenteranno solo di farlo morire una volta, ma sopra tanti calvari, quanti sono i loro cuori! Ah! è possibile che un Dio che ci ama tanto sia così disprezzato e maltrattato? Sì, F. M., se amassimo il buon Dio, ci faremmo una gioia ed una felicità di venir tutte le domeniche a passar alcuni istanti per adorarlo, domandargli la grazia di perdonarci: considereremmo questi momenti come i più belli della vita. Ah! che gli istanti passati con questo Dio di bontà sono dolci e consolanti! Siete nell’affanno! venite a gettarvi un momento a’ suoi piedi, e vi sentirete consolati. Siete sprezzati dal mondo? venite qua, e troverete un amico che non vi mancherà di fedeltà. Siete tentato? oh! è qui che troverete delle armi forti e terribili per vincere il vostro nemico. Temete il giudizio formidabile che ha fatto tremare i più gran santi? approfittate del tempo in cui il vostro Dio è il Dio della misericordia, ed in cui vi è sì facile ottenere la sua grazia. Siete oppresso dalla povertà? Venite qui,vi troverete un Dio infinitamente ricco, e che vi dirà che tutti i suoi beni sono per voi, non in questo mondo, ma nell’altro. “E là ch’io ti preparo dei beni infiniti; disprezza questi beni perituri, e ne avrai altri che non periranno mai. „ Vogliamo incominciare a gustare la felicità dei santi? veniamo qui, e ne gusteremo il beato inizio. Ah! quanto fa bene, F. M., il godere i casti amplessi del Salvatore! Non li avete mai gustati? Se aveste avuto tal felicità non potreste più abbandonarla. Non meravigliamoci più che tante anime sante abbiano passata la lor vita nella sua casa giorno e notte: esse non potevano più separarsi dalla sua presenza. – Leggiamo nella storia, che un santo sacerdote trovava tante dolcezze e consolazioni nelle chiese, che dormiva sul pavimento dell’altare per aver la fortuna, svegliandosi di trovarsi presso il suo Dio: e Dio, per ricompensarlo, permise che morisse ai piedi dell’altare. Vedete S. Luigi, che nei suoi viaggi, Invece di passar la notte nel letto, la passava ai piedi degli altari, vicino alla dolce presenza del suo Salvatore. Perché, F. M., abbiamo tanta indifferenza e disgusto quando dobbiamo venir qui? Ahimè! perché mai gustammo questi momenti felici. Che dobbiam concludere da tutto ciò? Eccolo. Dobbiam riguardare come il momento più felice di nostra vita quello, in cui possiamo tener compagnia ad un amico sì buono. Seguiamolo in processione con un santo timore: siamo peccatori, domandiamogli con dolore e lagrime il perdono dei nostri peccati e saremo sicuri di ottenerlo… Riconciliati, sollecitiamo il dono prezioso della perseveranza. Diciamogli che piuttosto di offenderlo ancora, preferiamo morire. No, F. M., fin che non amerete il vostro Dio non sarete mai contenti: tutto vi peserà tutto vi annoierà: ma dacché l’amerete, passerete una vita felice, e aspetterete la morte con desiderio… Quella morte avventurata che ci riunirà al nostro Dio!… Ah! felicità! quando verrai?… Quanto è lungo questo tempo! Ah! vieni! tu ci procurerai il più grande di tutti i beni, il possesso di Dio!… Ciò che… vi desidero.

CREDO …

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/12/il-credo/

Offertorium

Orémus
Levit. XXI: 6
Sacerdótes Dómini incénsum et panes ófferunt Deo: et ideo sancti erunt Deo suo, et non pólluent nomen eius, allelúia. [I sacerdoti del Signore offrono incenso e pane a Dio: perciò saranno santi per il loro Dio e non profaneranno il suo nome, allelúia.]

Secreta

Ecclésiæ tuæ, quǽsumus, Dómine, unitátis et pacis propítius dona concéde: quæ sub oblátis munéribus mýstice designántur.

[O Signore, Te ne preghiamo, concedi propizio alla tua Chiesa i doni dell’unità e della pace, che misticamente son figurati dalle oblazioni presentate.]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/comunione-spirituale/

Communio

1 Cor XI: 26-27
Quotiescúmque manducábitis panem hunc et cálicem bibétis, mortem Dómini annuntiábitis, donec véniat: itaque quicúmque manducáverit panem vel bíberit calicem Dómini indígne, reus erit córporis et sánguinis Dómini, allelúia.

[Tutte le volte che mangerete questo pane e berrete questo calice, annunzierete la morte del Signore, finché verrà: ma chiunque avrà mangiato il pane e bevuto il sangue indegnamente sarà reo del Corpo e del Sangue del Signore, allelúia.]

Postcommunio

Orémus.
Fac nos, quǽsumus, Dómine, divinitátis tuæ sempitérna fruitióne repléri: quam pretiósi Corporis et Sanguinis tui temporalis percéptio præfigúrat: [O Signore, Te ne preghiamo, fa che possiamo godere del possesso eterno della tua divinità: prefigurato dal tuo prezioso Corpo e Sangue che ora riceviamo].

Preghiere leonine:

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/

https://www.exsurgatdeus.org/2018/09/13/ringraziamento-dopo-la-comunione-1/

https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/

SALMI BIBLICI: “BENEDICTUS DOMINUS, DEUS MEUS” (CXLIII)

SALMO 143: BENEDICTUS DOMINUS DEUS MEUS

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS. 

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 143

Psalmus David. Adversus Goliath.

[1] Benedictus Dominus Deus meus,

qui docet manus meas ad prælium, et digitos meos ad bellum.

[2] Misericordia mea et refugium meum, susceptor meus et liberator meus; protector meus, et in ipso speravi; qui subdit populum meum sub me.

[3] Domine, quid est homo, quia innotuisti ei? aut filius hominis, quia reputas eum?

[4] Homo vanitati similis factus est; dies ejus sicut umbra prætereunt.

[5] Domine, inclina cœlos tuos, et descende; tange montes, et fumigabunt.

[6] Fulgura coruscationem, et dissipabis eos; emitte sagittas tuas, et conturbabis eos.

[7] Emitte manum tuam de alto: eripe me, et libera me de aquis multis, de manu filiorum alienorum:

[8] quorum os locutum est vanitatem, et dextera eorum dextera iniquitatis.

[9] Deus, canticum novum cantabo tibi; in psalterio decachordo psallam tibi.

[10] Qui das salutem regibus, qui redemisti David servum tuum de gladio maligno,

[11] eripe me, et erue me de manu filiorum alienorum, quorum os locutum est vanitatem, et dextera eorum dextera iniquitatis.

[12] Quorum filii sicut novellæ plantationes in juventute sua; filiæ eorum compositæ, circumornatæ ut similitudo templi.

[13] Promptuaria eorum plena, eructantia ex hoc in illud; oves eorum fœtosæ, abundantes in egressibus suis;

[14] boves eorum crassæ. Non est ruina maceriæ, neque transitus, neque clamor in plateis eorum.

[15] Beatum dixerunt populum cui hæc sunt; beatus populus cujus Dominus Deus ejus.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXLIII.

Il salmo canta la vittoria di Davide sul gìgante Goliath; ed in senso spirituale, predice la vittoria Cristo e della Chiesa sul demonio.

Salmo di David contro Goliath.

1. Benedetto il Signore Dio mio, il quale alle mani mie insegna a combattere, e alle mie dita a trattare l’armi.

2. Egli mia misericordia e mio asilo; mia difesa e mio liberatore; Protettor mio, e in lui ho sperato: egli che a me soggetta il mio popolo.

3. Signore, che è l’uomo, che a lui ti sei dato a conoscere? o il figliuolo dell’uomo, che tal tu ne mostri concetto?

4. L’uomo è divenuto simile al nulla: i giorni di lui passan come ombra.

5. Signore, abbassa i tuoi cieli, e discendi, tocca i monti e andranno in fumo.

6. Fa lampeggiare i tuoi folgori, e dissiperai costoro; scocca le tue saette, e li porrai in ispavento.

7. Stendi la mano tua dall’alto, e salvami; e liberami dalla piena dell’acque, dalla mano de’ figliuoli stranieri.

8. La bocca de’ quali di cose vane ragiona, e la loro destra, destra d’iniquità. (1)

9. 0 Dio, io canterò a te un cantico nuovo; inni di laude dirò a te sul salterio a dieci corde.

10. A te che dai salute ai regi, che liberasti David tuo servo dalla spada micidiale; liberami,

11. E toglimi dalle mani de’ figliuoli stranieri, la bocca de’ quali di cose vane ragiona, e la loro destra, destra d’iniquità.

12. I figliuoli de’ quali sono come piante novelle nella lor giovinezza. Le loro figliuole abbigliate, e ornate da ogni lato, come l’idolo di un tempio. (2)

13. Le loro dispense ripiene, e ridondanti per ogni lato. (3)

14. Feconde le loro pecore, escono fuori in branchi copiosi: pingui le loro vacche.

Da ruina sono esenti le loro mura, e da incursione; nè flebil grido si ode nelle lor piazze.

15. Beato hanno detto quel popolo che ha tali cose; ma beato il popolo, che per suo Dio ha il Signore.

(1) Dextera eorum, dextera iniquitatis, Vale a dire, letteralmente: che porgono la mano per fare alleanze ingannevoli.

(2) Secondo il testo ebraico: le nostre figlie sono come delle pietre angolari tagliate come ornamento di un tempio o in un palazzo.

(3) Eructantia ex hoc in illud, letteralmente: fornente delle provvigioni di una specie ed altra, cioè di ogni specie.

Sommario analitico

Il Re-Profeta, persuaso che egli debba la sua vittoria, o su Golia, o sui popoli vicini congiurati contro di lui, al favore divino, testimonia a Dio la sua riconoscenza per i molteplici benefici che ha ricevuto, malgrado la sua debolezza e la sua indegnità, ed implora nuovamente la protezione divina.

I. – Egli rende grazie a Dio per la vittoria che ha riportato:

1° Benedicendo Dio che, a) con la sua saggezza ha istruito le sue mani al combattimento e le sue dita alla guerra (1);

2° Con la sua misericordia è stato:

a) suo rifugio dai nemici;

b) suo sostegno e liberatore, liberandolo da ogni pericolo al quale è stato esposto;

c) suo protettore, dandogli sua speranza tra i combattimenti, e sottomettendogli il suo popolo (2);

3° Abbassandosi egli stesso,

a) si riconosce indegno di conoscere Dio, indegno perché Dio si possa degnare di pensare a lui (3);

b) spiega la causa di questa indegnità: il nulla dell’uomo e la brevità della sua esistenza (4);

II. –  Implora il soccorso di Dio contro i suoi nemici, e gli domanda:

1° che i suoi nemici siano distrutti da Dio stesso,

a) abbassando i cieli,

b) colpendo con fulmini queste montagne orgogliose (5), e facendo brillare i suoi fulmini onde dissiparli,

c) lanciando contro di essi i suoi dardi per riempirli di terrore (6);

2° Che sia liberato dai perfidi disegni dei suoi nemici, e adduce come ragione i loro discorsi ispirati dalla menzogna e dalla vanità, e l’iniquità delle loro opere (7, 8).

III. – Promette a Dio delle nuove azioni di grazie per le nuove vittorie che egli spera dalla sua misericordia:

1° promette di cantare un cantico nuovo per ringraziare Dio per averlo salvato e liberato dalla mano di figli di stranieri (9-11);

2° porta come ragioni in appoggio alla sua preghiera, l’orgoglio dei suoi nemici, prodotto dalla prosperità e dall’abbondanza di cui godono:

a) col numero dei loro figli, pieni di linfa e di vigore (12);

b) dalla bellezza e splendore delle loro figlie (12);

c) dall’abbondanza dei loro raccolti (13);

d) dal numero e dalla fecondità delle loro greggi;

e) dalla solidità delle loro abitazioni;

f) dalla calma e tranquillità che li circonda (14);

3° all’opinione del mondo, che proclama felici cloro che possiedono questi beni, egli oppone il proprio pensiero, espressione della verità, e cioè che il popolo veramente felice è quello di cui è Signore Dio (15).

Spiegazioni e considerazioni

I. — 1-4.

ff. 1, 2. – Cosa dite, o Profeta? Che Dio insegna a far la guerra, a darsi ai combattimenti, a preparare delle armate in battaglia? Sì, senza dubbio, e non ci si inganna ad attribuirgli le vittorie così riportate … ma vi è un’altra guerra più spaventosa, in cui il soccorso dall’alto ci è soprattutto necessario: è la guerra che dobbiamo sostenere contro le potenze nemiche (Ephes. VI, 12). E ciò che rende questa guerra più spaventosa è che queste potenze siano di una natura differente dalla nostra, di una natura invisibile, e che non si tratti di interessi senza importanza: sono in gioco la nostra salvezza o la nostra perdita! Le  vittime di questa guerra non si possono vedere; è impossibile prevedere né il tempo, né le difficoltà, né i luoghi, né le altre circostanze del combattimento (S. Chrys.). – Due lezioni sono comprese in questi versetti: la prima: che è necessario considerare Dio come l’Autore ed il principio di ogni bene, di ogni successo riportato sui nostri nemici temporali o spirituali; la seconda è: che la protezione del Signore consiste tanto nell’istruirci, che nel fortificarci (Berthier). –  « Egli è mia misericordia, etc. » Noi vediamo qui in quale ordine Dio ha dato la vittoria a Davide, ed in quale ordine pure la darà a  noi, se riponiamo in Lui ogni nostra speranza. Innanzitutto Dio lo ha considerato con misericordia. La misericordia divina è, in effetti, l’origine di tutti i beni e previene assolutamente ogni tipo di merito. – Una volta prevenuto e chiamato dalla misericordia celeste, Davide ha rivolto gli occhi al Signore, e mettendo in Lui tutte le sue speranze, si rifugia nel suo seno. – Dio, dal suo canto, gli tende la mano, gli promette il suo soccorso: Egli è il suo difensore. – Ma non basta, Dio lo libera e, dopo averlo liberato, continua a proteggerlo, per sottrarlo ad ogni pericolo; in altri combattimenti Egli è il suo protettore; infine come pure Dio ha sottomesso a Davide il popolo sul quale egli doveva regnare, Egli ammorbidisce la fuga delle nostre passioni, ce le assoggetta e ce ne rende padroni. – In effetti, nella guerra contro i nemici della salvezza, l’operazione più difficile e necessaria è il renderci padroni del nostro popolo, cioè delle nostre facoltà, dei nostri sensi, della nostra immaginazione, della nostra memoria, del nostro spirito, della nostra volontà (Bellar., Berthier, Duguet)

ff. 3, 4. – Ci è necessaria una doppia conoscenza, che questo salmo ci dà in successione: la conoscenza di noi stessi, la conoscenza di Dio. – Per l’uomo è un grande onore conoscere il Creatore. In questo noi differiamo dagli animali, perché noi conosciamo il nostro Creatore, mentre gli animali non lo conoscono affatto. La direzione stessa del nostro corpo sembra cercare il suo Creatore. Gli altri animali guardano a terra, i loro occhi seguono la direzione del loro ventre, i nostri occhi, al contrario, sono levati al cielo, affinché, anche se la nostra anima è cieca, noi non cessiamo mai di guardare il cielo con gli occhi del corpo. (S. Girol.). – Il Re-Profeta non intende marcare le differenze tra Dio e l’uomo. L’intervallo è infinito, e non c’è nell’uomo alcun termine che possa servire da regola e da proporzione. « Che cos’è l’uomo, e cosa siete Voi o Signore? » È tutto ciò che può dire questo grande Profeta; il suo spirito entra in una sorta di estasi, si perde in questi due abissi, l’uno di perdizione e l’atro di debolezza (Berthier). « Signore, che cos’è l’uomo? » Tutto ciò che egli è, lo è perché Voi gli avete concesso di conoscervi. « Che cos’è l’uomo perché gli abbiate concesso di conoscervi? O il figlio dell’uomo perché ne facciate conto? » Voi lo considerate, fate gran caso di lui, lo apprezzate di grande valore: gli date un rango, Voi sapete sopra di chi porlo, Voi sapete sopra di chi lo avete posto. La stima su misura dal prezzo che si dà ad una cosa; e quale stima ha fatto dell’uomo Colui che ha versato per lui il sangue del suo Figlio unigenito? « Cosa è l’uomo perché gli abbiate concesso di conoscervi? » A chi lo avete concesso? Chi lo ha concesso? « Cos’è il figlio dell’uomo perché Voi lo consideriate? » E ponendo un prezzo così alto, stimandolo di un tal valore, Voi dimostrate che egli è qualcosa di prezioso; perché Dio non stima l’uomo, come l’uomo stima se stesso. Quando si compra uno schiavo, lo si paga meno di un cavallo. Vedete quando Dio vi stimi, perché possiate dire: « Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? » (Rom. VIII, 31). A qual prezzo elevato, vi ha stimato, Egli che non ha risparmiato suo Figlio, ma lo ha offerto per noi! « Come non ci avrebbe dato ogni cosa con Lui? » (ibid.). Egli che ha dato un tal nutrimento al combattente, cosa riserva al vincitore? (San Agost.). – « L’uomo è diventato simile alla vanità, i suoi giorni passano come l’ombra. » I nostri giorni sono veramente come l’ombra: io ero un bambino, sono stato adolescente, giovane, sono diventato un uomo fatto, cioè ho raggiunto l’età perfetta, senza accorgermene, sono diventato vecchio, e la morte si appresta a succedere alla vecchiaia. Io cambio ogni giorno, non sento che sono nulla. Noi non restiamo un solo istante della nostra vita nel medesimo stato, ma sempre ci accresciamo o decresciamo. L’uomo dunque cambia ad ogni istante, e muore nel momento che meno immagina. Vecchio, mi ricordo di ciò che sono stato, ciò che ho fatto da piccolo, giocare, correre qua e là, io mi vedo ora curvo sotto il peso degli anni. « I suoi giorni passano come l’ombra. » (S. Gerol.) – « L’uomo è divenuto simile alla vanità! » A quale vanità? Ai tempi che passano e scorrono. In effetti, i tempi possono essere chiamati una vanità, in confronto alla verità che resta eternamente e non può morire. Ma questa creatura è al suo posto. In effetti, « Dio, come è scritto, ha riempito la terra dei suoi beni. » (Eccli. XVI, 30). Che significa « Dei suoi beni? » Dei beni che gli convengono. Ma tutti questi beni terrestri sono cangianti e passeggeri, se li si compara a questa verità per eccellenza che ha detto: « Io sono colui che sono » (Es. III, 14); tutto ciò che accade si chiama col nome di Vanità; perché tutto ciò svanisce nel tempo, come il fumo nell’aria. E cosa dirò di più di ciò che ha detto l’Apostolo San Giacomo, con l’intenzione di richiamare all’umiltà l’orgoglio degli uomini? « Cos’è – egli dice – la vostra vita? un vapore che appare per un po’ di tempo e che dopo sarà disperso. » (Giac. IV, 15). « L’uomo è dunque divenuto simile alla vanità. » E peccando, « … egli è divenuto simile alla vanità; » perché, quando è stato creato, è stato fatto in origine simile alla verità; ma poiché ha peccato ed ha ricevuto il castigo, « è divenuto simile alla vanità. » (S. Agost.). –  I giorni dell’uomo passano come l’ombra. Questo paragone è completo: l’ombra diminuisce di forma, a misura che cresce; crescendo si avvicina alla sua fine, e sparisce nel momento in cui ha maggiore estensione. I nostri giorni diventano più deboli man mano che il loro numero aumenta, e si spengono completamente quando hanno raggiunto la somma che Dio ha loro assegnato. Non resta a colui che è giunto alla vecchiaia se non il ricordo delle sue diverse età, e questo ricordo è ancora nel suo spirito come un’ombra che si affievolisce con il progredire dei giorni, e si spegne del tutto al momento della morte. (Berthier).

II. — 5-8.

ff. 5, 6. – Il Signore ha abbassato i cieli ed è sceso quando si è annientato fino ad unirsi all’uomo. Egli ha colpito le montagne, quando ha umiliato i superbi ed i grandi della terra. – Ciò che succede nelle regioni dell’aria, quando Dio vi eccita delle tempeste, è un’immagine dello stato in cui si trova l’anima toccata dalla grazia e penetrata dal timore dei giudizi di Dio. Sembra allora che i cieli si abbassino, che i fulmini della collera divina giungano fino a tutto l’interno. Che Dio lanci i suoi colpi e ferisca tutte le parti del cuore un tempo fiero, ribelle ed insensibile (Berthier). – Nel linguaggio della Scrittura, dice S. Agostino, vi sono dei buoni e dei cattivi monti. I buoni rappresentano la grandezza spirituale; i cattivi designano il rigonfiamento del cuore. – Questi ultimi sono la figura di quelle persone che fanno professione di religione e che, pieni di sentimenti di più alta pietà, non respirano che Dio e la sua gloria, sagge nella loro condotta e severi nelle loro massime, ma incapaci, tra tutto questo, di ricevere un avvertimento: gente meravigliosa nel dire le verità agli altri, ma insensibili fino alla fiacchezza, quando sono obbligati ad ascoltare le loro; delle montagne, dice la Scrittura, per l’apparenza della loro elevazione, ma montagne presto fumanti quando si giunge a toccarle (BOURD. Am. et crainte de la Vér.)

ff. 7. 8. – « Mandate dall’alto del cielo la vostra mano e liberatemi. » La potenza di Dio non si esercita solamente per punire, ma per salvare. La mano di Dio, è il suo soccorso, la sua protezione. Queste acque figurano l’irruzione disordinata e violenta dei nemici ed il loro attacco tempestoso. Una prova, in effetti, che il Profeta non parla qui delle acque in senso proprio, è che egli aggiunge: « Dalla mano dei figli dello straniero. » Questi figli stranieri sono a mio avviso, coloro che sono estranei alla verità: come noi riguardiamo tutti i fedeli come nostri parenti e fratelli, così consideriamo gli infedeli come degli stranieri, ed è per questo che noi distinguiamo lo straniero da colui che ci è unito dai legami di affetto. Io considero mio fratello colui che riconosce la stesso padre mio, partecipa alla medesima tavola, piuttosto che colui che non mi è unito che per il sangue. Questa parentela è ben più perfetta dell’altra, ed anche l’incompatibilità che risulta dai sentimenti contrari è molto più pronunziata di quella che proviene dalla diversità delle famiglie. Non vi fermate dunque a questo pensiero secondo cui viviamo sotto lo stesso cielo ed abitiamo la stessa terra; io voglio un’altra unione che è al di sopra dei cieli. « È là che è il nostro regno e la nostra vita. » Noi non abitiamo più la terra, noi veniamo trasportati nella città dei cieli. Noi abbiam un’altra vera luce, un’altra patria, altri concittadini, altri parenti. Ecco perché San Paolo diceva: (Ephes. II, 19) « Voi non siete più stranieri né ospiti, ma concittadini dei Santi. » (S. Chrys.).

III. — 9-11.

ff. 11. – Vediamo ora i segni con i quali possiamo distinguere lo straniero dal prossimo: dai loro discorsi, dalle loro opere. Chi sono questi stranieri? Sono coloro che vivono nel crimine, che amano l’iniquità, che fanno discorsi insensati, e dicono parole inutili: quindi è dai loro discorsi, dalle loro parole che potete riconoscerli, come dichiara Gesù-Cristo; (Matth. VII, 16); « dai frutti li riconoscerete. » (S. Chrys.). – Parole di menzogna e di vanità. Azioni ingiuste, opere inique: è da qui che li riconoscerete.

ff. 12.-14. – Non è dunque li la felicità? Io lo chiedo ai bambini del regno dei cieli; io lo chiedo alla razza che deve resuscitare per l’eternità; io lo chiedo al corpo di Cristo, ai membri del Cristo, al tempio di Dio: dunque la felicità non è l’avere figli vigorosi, figlie ornate, cantine ricolme, greggi numerose; avere non solo delle muraglie, ma delle aie senza brecce né aperture, non sentire nelle strade né tumulti, né clamori, ma possedere il riposo, la pace, le ricchezze e l’abbondanza di tutti i beni nelle case e nelle città? Non è dunque lì la felicità? I giusti devono rifuggire da questa felicità? Non troverete mai la casa del giusto ricolma di tutte queste ricchezze e piena di questa beatitudine? La casa di Abramo non abbondava in oro, in argento, in figli, in servi ed in greggi? (Gen. XII, 5 e XIII, 2-6). Il santo patriarca Giacobbe, fuggitivo in Mesopotamia davanti alla faccia del fratello Esaù, e tenuto a servizio di Labano, non vi si è arricchito? Al suo ritorno non ha reso grazie a Dio di ciò quando passando il Giordano, con un bastone solo, tornava con una moltitudine di greggi e di figli? (Gen. XXXI, 18; XXXII, 7-10). Non è li la felicità? Certo, è una felicità ma viene dalla sinistra. Che vuol dire dalla sinistra? Una felicità temporale, mortale, materiale. Io non esigo che voi la evitiate, ma io non voglio che la scambiate con la felicità della destra; perché questi uomini non erano malvagi e vani perché possedessero questi beni in abbondanza; ma perché essi ponevano a destra i beni che dovevano lasciare a sinistra. Cosa devono porre alla loro destra? Dio, l’eternità, gli anni indefettibili di Dio, di cui è detto:  « I vostri anni non avranno fine. » (Ps. CI, 28). Là è la nostra destra. Usiamo la sinistra per il tempo, aspiriamo a destra per l’eternità. (S. Agost.). – Gli uomini mostrano le loro figlie per essere spettacolo di vanità ed oggetto della pubblica cupidigia, e « le preparano come si fa con un tempio. », Essi trasportano gli ornamenti che il vostro tempio solo dovrebbe avere, a questi cadaveri ornati, a questi sepolcri imbiancati e sembra che abbiano deciso di farli adorare nella vostra piazza. Essi nutrono la loro vanità e quella degli altri; riempiono altre figlie di gelosia, gli uomini di voluttà; tutto questo, di conseguenza, è errore e corruzione. O fedeli, o figli di Dio, non abusate di queste false concupiscenze. Perché volgete le vostre necessità in vanità? Voi avete bisogno di una casa come di una difesa contro le ingiurie dell’aria; è una debolezza; voi avete bisogno di nutrimento per restaurare le vostre forze che si esauriscono e si dissipano in ogni momento: altra debolezza; voi avete bisogno del letto per riposarvi dalla vostra stanchezza e lasciarvi andare al sonno che lega e seppellisce la vostra ragione: altra deplorevole debolezza. Voi fate di tutti questi testimoni e di tutti questi monumenti della vostra debolezza uno spettacolo alla vostra vanità, e sembra che vogliate trionfare dell’infermità che vi circonda da ogni parte. Mentre il resto degli uomini si inorgoglisce dei propri bisogni, e sembra voler ornare le sue miserie per nasconderle a se stesso, tu almeno, o Cristiano, discepolo della verità, distogli i tuoi occhi da queste illusioni. Ama nella tua tavola il sostegno necessario del tuo corpo, e non questo apparato sontuoso. Felici coloro che, ritirati umilmente nella casa del Signore, si dilettano nella nudità della loro piccola cella e del modesto armamentario di cui hanno bisogno in questa vita, che non è che ombra di morte, per non vedervi che la loro infermità ed il giogo pesante di cui il peccato li ha caricati! Felici le vergini consacrate, che non vogliono essere lo spettacolo del mondo, e che vorrebbero nascondersi a se stesse sotto il velo sacro che le circonda! Felice la dolce costrizione ai loro occhi per non vedere le vanità, per dire con Davide: « Allontanate i miei occhi al fine di non vederle! » Beati coloro che abitando secondo il loro stato in mezzo al mondo, come questo santo re, non ne sono toccati, che lo traversano senza legarvisi; « che usano – come dice San Paolo – di questo mondo come se non ne usassero; » che dicono con Esther sotto il diadema: « Voi sapete, o mio Signore quanto disprezzi questo segno di orgoglio e tutto ciò che può servire alla gloria degli empi, e che la vostra serva non si è mai rallegrata se non di Voi solo, o Dio di Israele; » che ascoltano questo grande precetto della legge: « non seguite i vostri pensieri ed i vostri occhi, contaminandovi con diversi oggetti, » che sono la corruzione e, per parlare con il sacro testo, la fornicazione degli occhi; infine coloro che prestano ascolto a San Giovanni, che, penetrato da tutta l’abominazione che è legata agli sguardi, tanto di uno spirito curioso che gli occhi catturati dalla vanità, non cessa di gridar loro: « Non amate il mondo che è pieno di illusioni e di corruzione per la concupiscenza degli occhi. » (BOSSUET, Traité de la concup., ch. IX.)

ff. 15. – « Si dice felice il popolo che gioisce dei suoi beni; no, ma felice il popolo che come solo padrone, possiede Dio. » – Spesso in un popolo giunto alla fine prossima, i germi di morte che esso contiene in seno sono dissimulati sotto le apparenze della prosperità. Le nazioni vicine ammirano questo popolo, lo proclamano il più felice tra i popoli, mentre Dio lo ha già condannato ed i suoi giorni sono contati. – Quel serio e triste soggetto di riflessione per la nostra Francia! « Perché, dopo tutto, nessuno degli elementi ordinari che costituiscono la prosperità di una nazione ci viene rifiutato. Il frumento, che è la vita dell’uomo, riempie e sovraccarica i nostri granai, troppo ripieni di abbondanza; tutti i mari sono solcati da navigli che portano i loro tesori al nostro continente, e lo stato non riesce a marcare con la sua effige l’oro che affluisce da noi dall’estremità della terra;  » e ciò che la saggezza di tutti i popoli, conforme agli insegnamenti della Scrittura, ha sempre segnalato come la principale ricchezza di un paese, la patria è dotata di una popolazione numerosa, di una gioventù lussureggiante. L’arte si è aggiunta alla natura per moltiplicare sul nostro suolo i pascoli e le greggi, e la fecondità non manca alle nostre pecore, né il sovrappeso ai nostri buoi. Appena sussiste nelle nostre città ed anche nei nostri borghi, una abitazione che cela la miseria e della quale la rovina affligga gli occhi del viaggiatore. Il grido della destrezza non si fa intendere per le strade e sulle piazze. Non c’è l’uso di chiamare felice il popolo che ha tutte queste cose? – E tuttavia, fenomeno inspiegabile! In mezzo a tutte queste condizioni di benessere, noi proviamo tutte le angosce dello scioglimento: noi siamo poveri nell’abbondanza, tremanti in seno alla pace; ciò che, in altri tempi faceva la ricchezza e la sicurezza di una nazione, non ci porta che perturbazione e timore. Chi dunque ci ha messo in questo stato? Le sante Scritture e la storia del popolo di Dio ci rispondono: che se è la giustizia che eleva una nazione, è il peccato che la rende infelice. Così il più grande e il solo ostacolo alla tranquillità pubblica, è la nostra opposizione a Dio, è la nostra ingiustizia nei riguardi della verità, è la nostra simpatia perseverante per la menzogna, è l’iniquità che lasciamo ristagnare nel fondo delle nostre anime. Ecco il terribile avversario della patria; il nemico mortale della repubblica, dell’impero, del reame, di tutte le forme che il diritto pubblico e l’autorità possono rivestire tra noi. È l’empietà!  (Mgr PIE. Disc. et Instruct. I, p. 356, 357.) – Che altri felicitino dunque la nostra patria di tutti questi vantaggi. Io mi consento di aggiungere la mia voce alla loro voce, purché mi si lasci aggiungere: « Felice il popolo che, arricchito dal grasso della terra, non lasci di implorare la rugiada del cielo! Felice il popolo potente e religioso ad un tempo, forte e sottomesso, che sa comandare alla natura ed obbedire al Creatore! Felice, in una parola, il popolo grande e fedele di cui il Signore è sempre il Dio! » (Idem, t. I, 45). 

IL CUORE DI GESÙ E LA DIVINIZZAZIONE DEL CRISTIANO (13)

H. Ramière: S. J.

Il cuore di Gesù e la divinizzazione del Cristiano (13)

[Ed. chez le Directeur du Messager du Coeur de Jesus, Tolosa 1891]

TERZA PARTE

MEZZI PARTICOLARI DELLA NOSTRA DIVINIZZAZIONE

Capitolo IX.

IL CUORE DI GESÙ E LA PENITENZA

Eucaristia e Penitenza: Sacramenti del Cuore di Gesù

Attraverso il Battesimo e la Cresima, il Salvatore ci ha dato il Suo Spirito. Attraverso l’Eucaristia ha aggiunto a questo primo dono quello della sua carne, del suo sangue, anima e divinità. Cos’altro ancora può offrirci? Gesù Cristo non avrebbe più nulla da offrirci sulla terra, se ci vedesse solo come creature imperfette da perfezionare. Ma questa non è la nostra condizione: non siamo non solo imperfetti, ma anche peccatori. E l’ufficio principale del Salvatore è quello di liberarci dal peccato. Per realizzare questo, Egli istituisce un nuovo Sacramento, che ci manifesta l’amore del suo Cuore sotto un nuovo aspetto: il pozzo senza fondo della sua misericordia. La penitenza, come l’Eucaristia, merita di essere chiamata il mistero dell’amore, il Sacramento del Cuore di Gesù. L’Eucaristia è il mistero dell’amore, fino al dono completo di sé. La Penitenza è il mistero del perdono, dell’amore che giunge fino a dimenticare se stesso. Il secondo di questi misteri non manifesta con meno splendore del primo l’onnipotenza del Cuore di Gesù. Quando ha voluto istituire il primo, Egli non ha trovato altri ostacoli che le leggi della natura. Ma per istituire la Penitenza, era necessario superare l’infinita ripugnanza al peccato del Cuore infinitamente santo di un Dio e far prevalere su di essa un’infinita condiscendenza verso l’uomo peccaminoso. Gli Sngeli erano stati liberati dal peccato con una grazia di preservazione. Gli infedeli ad essa, già alla loro prima ribellione, erano stati puniti senza alcuna speranza di perdono. Per l’uomo, più debole di loro, Dio doveva agire diversamente: così come non sarebbe stato impeccabile dopo il primo atto meritorio, così sarebbe stato punito dopo la sua prima caduta. La sua lotta contro il peccato durerà quanto la sua vita: né il Battesimo, né la Cresima, né l’Eucaristia lo metteranno al riparo da questo nemico. Dovrà combattere ad ogni passo, ed in ogni momento potrà essere sconfitto. Ma grazie alla Penitenza, avrà una mano per rialzarsi dalle sue cadute, profittare delle sue sconfitte, trasformare in fonti di merito gli stessi peccati, dei quali tutti sarà spogliato. Solo la misericordia infinita del Cuore di Gesù poteva compiere tali meraviglie.

Penitenza: riconciliazione di due opposti interessi

La prima meraviglia operata dal Cuore di Gesù nel Sacramento della Penitenza è la perfetta riconciliazione dei due interessi che gli uomini hanno sempre visto come inconciliabili: quello della gloria di Dio e quello dell’uomo peccatore. La conservazione della legge e la salvezza del trasgressore. La riparazione del crimine e la conservazione del criminale. Prima di Gesù Cristo, come dopo di Lui, gli uomini hanno cercato invano un bilanciere che permettesse loro di avere in equilibrio tali interessi contrapposti. Solo Gesù Cristo, Giustizia incarnata, ha trovato l’equilibrio che gli uomini hanno cercato invano. E lo ha stabilito con un Sacramento che sembrava tendere alla distruzione di ogni santità e giustizia. Supponiamo che un sovrano abbia una legge promulgata in tutto il suo impero che assicuri l’impunità a ladri, assassini, adulteri e criminali di ogni genere, a condizione che, essendo sinceri e pentiti, confessino i loro crimini, nel più inviolabile segreto, ad un magistrato per questo scopo prescelto. La supposizione è assurda. Ammettiamo, però, che sia così. Chi non crederebbe di vedere in una tale legge il sacrificio di tutti i diritti legittimi, la sanzione di tutti i crimini e gli eccessi, la rovina di tutte le istituzioni sociali? Ebbene, Gesù Cristo non ha avuto paura di promulgare una legge così umanamente assurda, ma che non ha cessato di essere in vigore nella Chiesa Cattolica. Nessun crimine, nessun misfatto è esente dal beneficio di questa legge. Non è stato posto alcun limite alla reiterazione del perdono. L’impunità è assicurata in anticipo a tutti coloro che peccano, qualunque sia il numero e l’enormità delle loro offese, dal momento in cui vengono ad accusarsi con sincerità e con vero pentimento. Affinché questa condizione possa essere facilmente soddisfatta, il numero di magistrati incaricati di ascoltare le confessioni e di perdonare le colpe è in continuo aumento. Sono in ogni parte del mondo, in ogni città, in ogni paese e persino in quasi tutti i villaggi. Hanno l’incarico di non aspettare che i criminali vengano a cercarli, ma di andare loro incontro e di portare il perdono a casa loro, se i criminali trovano troppo dispendioso venire in tribunale. Devono ascoltare senza indignazione la narrazione dei crimini più abominevoli; mostrare compassione ai malvagi per i quali la prigione e il patibolo sarebbero pene molto blande. E dopo aver dimostrato la realtà delle più odiose violazioni della legge divina, la loro unica sentenza dovrebbe essere l’assoluzione, a meno che non la si rifiuti rinnegando volontariamente il pentimento. Come potrebbe funzionare una tale istituzione nella Chiesa senza distruggere completamente non solo la Chiesa, ma anche la legge divina su cui poggia?

La penitenza distrugge il peccato.

La potenza del Cuore di Gesù ha fatto questo miracolo! Un vero miracolo, anche se non unico. Aggiungete quindi a questo Sacramento un secondo, ancora più ammirevole, stupefacente. Sacrificare in apparenza tutti i suoi diritti per la salvezza del peccatore, la giustizia misericordiosa di Dio ha guardato, più efficacemente della giustizia degli uomini, alla distruzione del peccato. Con esso, il Sacramento che sembrava essere l’abolizione della legge è, al contrario, la sua salvaguardia e il suo più potente sostenitore. Lungi dal moltiplicarsi dei crimini, ne ha distrutto le radici più profonde. Perché, ovunque sia stato in vigore, ha reso inutilizzabili non solo le guarnigioni, ma anche le carceri. Basta un momento di riflessione per convincersi che debba essere proprio così. Quali sono le cause del crimine? Non sono forse le passioni disordinate, i cattivi sentimenti del cuore? Lascite germogliare una brutta passione nel profondo dell’anima senza ostacoli, e presto vedrete i suoi frutti velenosi germogliare verso l’esterno. Mancherà solo un’occasione favorevole per far scoppiare il crimine. Le considerazioni umane potranno fermare per qualche tempo le eruzioni del vulcano che ruggisce al suo interno. Ma presto questa diga troppo debole non sarà in grado di contenere la colata lavica in aumento. Sfonderà improvvisamente l’ostacolo, e guai a chi lo ostacola! Per distruggere il crimine è necessario scendere nelle profondità dell’anima e prosciugare la sorgente di questo torrente devastante. Per preservare la società dal contagio del vizio è necessario purificare il cuore dal veleno delle passioni depravate. Questo fa e farà sempre con ineffabile efficacia il Sacramento della Penitenza. Esso obbliga il peccatore a penetrare nei recessi della sua coscienza per riconoscere e distruggere non solo gli atti criminali esterni, ma anche i desideri ed i pensieri più intimi che li suscitano. Poiché il penitente si esporrebbe all’illusione se fosse il solo a istruire la sua causa, gli viene dato il Sacramento della Penitenza da un aiutante istruito, gentile e disinteressato, incaricato di vegliare sugli interessi della legge divina e su quelli della sua anima. Con l’aiuto di questo intimo consigliere, egli può scoprire nel suo cuore tutti i semi che sono stati messi nel terreno e rimuoverli prima che portino i frutti della morte. Se sono germogliati, la Penitenza li strappa via e ne impedisce la rinascita. Sotto la sua influenza, il peccatore prende contro se stesso gli interessi della legge. Si fa da sé proprio giudice, e la punizione interiore che impone a se stesso è più efficace, più santificante e più salutare di tutte le punizioni esterne. Potremmo giustamente dire di questo Sacramento che è in realtà un’ammirevole salvaguardia degli interessi della legge. Infatti, non c’è peccato o crimine, per quanto abominevole, che non sopporti e non perdoni. Ma perdonando il peccatore distrugge il peccato. Colui che viene giustiziato dalla misericordia divina, assolto dal Tribunale della Penitenza, si trasforma in un uomo completamente nuovo: da colpevole è diventato veramente un santo, poiché ha appena acquisito la grazia santificante. La penitenza trasforma il male in merito. La misericordia del Cuore di Gesù in questo Sacramento si estende a molto di più. Non solo distrugge tutte le iniquità, ma trasforma i mali in merito e ci fa trovare, anche nella morte, un mezzo di vita. Quando il peccato è entrato nell’anima ha tolto tutti i suoi meriti, perché il merito è il diritto alla vita eterna, che non può sussistere in un’anima condannata alla morte eterna. Ma questi meriti non sono stati distrutti in modo tale da non poter essere rianimati. Avevano cessato di esistere nella persona del loro legittimo possessore, che, rinunciando ad essi, diventava incapace di rivendicarli. Ma anche quando cessano di esistere nella sua persona, rimangono indelebili nella mente di Dio. Così, quando nella Penitenza il possessore di questi meriti torna in vita, essi rinascono con lui e riportano alla sua anima i frutti immortali. Il peccatore si trova in ascesa e ricco com’era prima di cadere. Ma il Cuore di Gesù non si accontenta di questo: vuole che il perdono sia un anticipo, e che il peccato, di cui si confessa colpevole, sia l’occasione e la questione di nuovi meriti. Infatti, il Sacramento che perdona i suoi peccati produce con la sua stessa virtù un aumento di grazia santificante. Ciascuno degli atti soprannaturali che il penitente compie è accompagnato da un aumento di questa grazia proporzionale al fervore con cui li compie. Ora, ad ogni grado di grazia santificante ne corrisponde uno di merito e di gloria per tutta l’eternità.

Conclusione.

Non è senza ragione che attribuiamo questi miracoli di misericordia in modo speciale al Cuore di Gesù. Per Lui, e Lui solo, è sia l’inizio immediato che la causa remota dei buoni effetti prodotti dal Sacramento della Penitenza. Il sacerdote è l’interprete e lo strumento del Cuore di Gesù. L’assoluzione che egli pronuncia non sarebbe altro che una formula vana se non fosse ratificata dal Cuore Divino e se non mandasse all’anima del peccatore l’unica cosa che può purificarla: la grazia. Questa non è altro che l’applicazione degli infiniti meriti acquisiti dai dolori e dall’agonia del Cuore di Gesù. Solo questo può spiegare ciò che altrimenti sarebbe inspiegabile. Se è così facile per noi espiare i nostri crimini è perché il Cuore di Gesù ha espiato per tutti loro ed ha offerto un prezzo sovrabbondante per ognuno di loro. La facilità del perdono non solo non ci renderà meno odiose le nostre colpe, o pentiti meno amareggiati, ma al contrario, ci farà concepire un dolore mille volte più vivo. Non avviciniamoci mai a quel tribunale della misericordia senza ricordare quella terribile notte del Getsemani, in cui il Cuore di Gesù fu tanto schiacciato che un sudore di sangue fuoriuscì da tutto il suo corpo, gli inzuppò le vesti e inondò il suolo. Questo stesso sangue è versato su di noi. E non saremo forse penetrati dall’orrore più vivido, quando lo riceviamo sopra la nostra testa, dal peccato che lo ha fatto germogliare? Ma come possono tanti uomini mostrare così poca gratitudine a questo capolavoro della Sua misericordia? Come possono rifiutare i mezzi infallibili per riconquistare la pace per le loro anime? Misteri di cecità ed ingratitudine non meno impenetrabili di quelli della bontà divina!

Capitolo X

Il CUORE DI GESÙ E L’ESTREMA UNZIONE

L’Estrema Unzione rispetto agli altri Sacramenti.

Nel Sacramento della Penitenza il Cuore di Gesù dispiega tutte le ricchezze della sua misericordia. Prepara la nostra debolezza ad un copioso riscatto e non pone limiti al perdono. Tuttavia, anche se l’anima riacquista la grazia, può non ritrovare la pienezza della sua forza. Questa debolezza potrebbe essere fatale nella battaglia finale: l’agonia che porta all’eternità. È stato quindi degno della bontà e della saggezza del nostro Capo, l’offrirci un ultimo soccorso per questa crisi. Lo ha fatto attraverso l’Estrema Unzione. La penitenza è un secondo Battesimo. L’Estrema Unzione può essere considerata come una seconda Confermazione. La ragione di questa somiglianza tra questi Sacramenti è la grande analogia dei loro effetti. L’unzione del santo crisma nella Cresima prepara i Cristiani alle lotte della vita, l’unzione dell’olio santo nell’Estrema Unzione li prepara alle lotte della morte. La prima dona all’anima la perfezione della grazia santificante, la seconda la prepara a ricevere la perfezione molto più alta della gloria. Come la pienezza della vita cristiana conferita dalla Cresima è un’emanazione del Cuore di Gesù, così la grazia di una morte cristiana, data dall’Estrema Unzione, scaturisce unicamente dalla carità del Cuore Divino.

Significato e scopo della morte.

Prima di tutto, è necessario comprendere il significato e lo scopo della morte. Questa non è altro che una temporanea riparazione per il peccato, così come l’inferno è la sua eterna espiazione. A causa del peccato, l’uomo nega a Dio il suo titolo di Signore sovrano e di fine eterno. È proprio in questa ribellione volontaria contro Dio, non nell’atto materiale in sé, che consiste la malizia del peccato. Per quanto disordinato possa essere di per sé questo atto, non sarebbe peccato se si ignorasse che è contrario alla volontà di Dio. Ma dal momento in cui l’uomo vuole volontariamente togliere il suo essere dal dominio sovrano di Dio, l’infinita maestà del Creatore esige una riparazione, che gli offriamo offrendogli la morte. La morte, infatti, distrugge l’opera del peccato sulla terra. Essa manifesta il supremo dominio di Dio, prostrando ai suoi piedi l’essere orgoglioso e insolente che aveva osato sollevarsi contro di Lui. È proprio la manifestazione del potere assoluto di Dio attraverso la distruzione di tutto ciò che vi si può opporre, che le religioni hanno voluto mostrare con i sacrifici. L’uomo ha sempre creduto che fosse necessario placare Dio offrendogli vittime la cui immolazione era la figura del suo stesso sacrificio. Dio accetta il simbolo, poiché i sacrifici simbolici sono un atto di religione gradito ai suoi occhi, perché vogliono ristabilire l’ordine distrutto dal peccato. Ma quest’ordine non può essere pienamente ristabilito fino a quando il peccato non sarà punito nell’essere che lo ha commesso. La morte è l’unico sacrificio completo, l’atto supremo della Religione, l’ultima ed indispensabile preparazione dell’uomo peccatore alla sua eterna unione con Dio.

La morte è convertita dal Cuore Divino in un sacrificio di grazia e di consolazione.

Si guardi fino a che punto arriva la bontà e la misericordia del Cuore di Gesù! Questo sacrificio di giustizia e di vendetta è convertito dal Cuore Divino in un sacrificio di grazia e di consolazione per i Cristiani. Come ha divinizzato la nostra vita, Egli divinizza pure la nostra morte. Non sappiamo forse che Egli abbia comunicato una dignità e una virtù divina a tutti coloro di cui si è rivestito per la nostra salvezza? Cosa manca, dunque, perché anche la nostra morte sia divinizzata? Che il Figlio di Dio la prenda come ha preso la nostra natura; che, dopo essere sceso sulla terra, scenda nella tomba e muoia per noi dopo essere nato per noi. Così ha fatto! Ha preso la nostra morte, e l’ha presa per noi, perché Egli era immortale. E così, come ha abbracciato tutte le infermità prendendo la nostra natura, ha voluto anche assaporare tutta l’amarezza e i terrori della nostra morte; con l’intento che queste paure ed agonie siano per noi flussi di grazia e strumenti di vittoria. Anche in questo ha seguito un piano: Egli ci salva, non preservandoci dagli attacchi del male, ma dandoci la forza di sostenere i suoi assalti e superare i suoi sforzi. Lascia i nostri nemici interamente liberi e ci dà la gloria di vincerli combattendo e sconfiggendoli Egli stesso con noi. Per questo Gesù ha voluto soffrire, prima di morire, tutti i dolori e i terrori dell’agonia. Tutto ciò sarebbe estremamente inconcepibile in un Dio, se non tenessimo conto del fatto che si è fatto uomo per essere il Capo dell’umanità, e che ha pagato tutti i nostri debiti. Il primo di questi è stato proprio la morte, e quindi era giusto che Lui la pagasse per noi e ci mettesse in condizione di pagarla con Lui. Quando si immerse nelle acque del Giordano, vi seppellì i nostri crimini. Immergendosi nell’Orto degli Ulivi, nell’oceano amaro dell’agonia, ha dato a queste amarezze la virtù di santificare l’agonia e la morte dei suoi fratelli. Di Lui è stato scritto che riceviamo tutto dalla sua pienezza, per grazia. Vivendo per noi ha acquistato per noi la grazia di vivere con Lui, e morendo per noi ha ottenuto per noi la grazia di morire con Lui. Era molto giusto che, per riversare su di noi i tesori di meriti che Egli ha accumulato nell’amarezza della sua agonia, usasse un canale particolare, il Sacramento dei morenti: l’Estrema Unzione.

Effetti dell’Estrema Unzione

La materia di questo Sacramento è mirabilmente scelta per indicare i suoi effetti. L’olio è una sostanza che illumina, fortifica, ammorbidisce ed è usato per ogni tipo di consacrazione. Produce nell’anima del Cristiano che sta per lasciare questo mondo tutti questi effetti: lo illumina spiritualmente, gli fa vedere la verità delle cose, scoprendo il nulla di ciò che accade, il prezzo dei beni eterni, il male del peccato, il bene della morte. Chi non ha ammirato quell’improvvisa chiarezza che brilla negli occhi dei Cristiani morenti, unti con l’olio santo e alla cui presenza le grandi illusioni si dissipano come una nuvola? Da dove possono venire questi raggi luminosi così improvvisi, se non dal Cuore di Gesù e dalla spaventosa oscurità in cui si è avvolto per amore nel Getsemani e sul Calvario? L’olio santo fortifica l’atleta di Gesù Cristo nel momento in cui sta per sostenere l’ultimo combattimento. Forse fino ad allora è fuggito dalla lotta, forse purtroppo ha ceduto. Tuttavia, egli non può essere esonerato dalla legge universale di non raggiungere la corona senza ottenere la Vittoria. Gli viene presentata una lotta con la quale può recuperare ciò che gli è mancato in tutti gli altri combattimenti, una vittoria decisiva che annullerà tutte le sue sconfitte. Ma la sua natura svanisce, la sua energia si esaurisce e tutto il suo essere è avvolto dal terrore della morte. Dove trovare le armi e l’incoraggiamento necessario per sconfiggere i suoi avversari? Nei tesori del Cuore di Gesù, i cui meriti gli saranno comunicati dall’olio sacro dell’Estrema Unzione. Non appena la santa unzione si sarà estesa attraverso le sue membra, egli potrà dire con l’Apostolo: « Quando più debole mi sento, è allora che sono più potente ». La sua amarezza non sarà diminuita, ma da queste torture scaturirà una fonte di pace e di consolazione. Insieme al Cuore di Gesù morente ripeterà la preghiera dell’Orto degli Ulivi: « Padre mio, se è possibile, passi questo calice da me. Ma non sia fatta la mia volontà, bensì la tua. » L’olio non è solo un principio di forza, ma serve anche per ammorbidire: è uno dei principali lenitivi. Un effetto simile è prodotto dall’olio santo nell’anima del Cristiano morente. Spesso elimina gli orrori della morte, e proprio in coloro che ne avevano con più intensità durante la sua vita, questo effetto appare con maggiore evidenza. Se nell’ultima ora si gode una pace che non si è goduta mai, sappiate che lo dovete al misterioso terrore del Cuore di Gesù: « Non pensavo – diceva un santo religioso – che fosse così dolce morire. Non avevo mai pensato che ad ogni amarezza sofferta dal Cuore di Gesù corrispondesse una nostra dolcezza: grazia per grazia ». L’olio è il mezzo universale di consacrazione. Si usa per ungere sacerdoti e re. È proprio per questo motivo che si usa per ungere il Cristiano nel momento in cui sta per offrire il suo ultimo sacrificio e conquistare definitivamente la sua eterna regalità.

Il Cristiano è, sul letto di morte, sia sacerdote che vittima.

Come Gesù sulla croce, il Cristiano è sul letto di morte, sacerdote e vittima allo stesso tempo. I due uomini che egli porta in grembo dal giorno del suo Battesimo, l’uomo del peccato e l’uomo della grazia, saranno definitivamente separati. La loro separazione non può che consumare la glorificazione dell’uomo di grazia nella misura in cui essa consuma la immolazione dell’uomo del peccato. L’Estrema Unzione prepara il membro di Cristo a compiere, con il suo Capo Divino, una gloriosa quanto dolorosa immolazione. Ogni volta che si avvicinava all’altare, annunciava la morte del Salvatore e si univa misticamente al Suo sacrificio. Ora è necessario riprodurlo realmente per poterne raccogliere tutti i frutti. Nel ricevere l’ultima unzione, si prepara, come membro della razza prescelta, della nazione santa, della tribù reale e sacerdotale, a compiere l’ultimo atto delle sue funzioni sacerdotali. Ma questa unzione è molteplice: si applica ai cinque sensi, ai reni e ai piedi. Perché? Perché nello stesso tempo che consacra il Cristiano come sacerdote, e gli dà la forza di consumare il suo sacrificio, lo consacra anche come vittima, e prepara il suo corpo alla gloriosa trasformazione che lo attende. Aveva violato la legge con tutti i suoi sensi, i suoi poteri affettivi e le sue forze motrici gli erano serviti come strumenti di peccato: vittime che la morte immolerà. Ma poiché questo sacrificio deve essere un sacrificio d’amore, la santa unzione purifica la vittima prima della sua immolazione, figura questa della beatificazione che si realizzerà nella prossima vita. Molto presto quegli stessi occhi, quegli stessi orecchi, quello stesso corpo, quella stessa anima, che la mano del sacerdote prepara con l’ultima unzione per sopportare con fede ed amore gli attacchi della morte, saranno inondati dall’olio della gioia, il balsamo della vita eterna.

Capitolo XI

IL CUORE DI GESÙ E L’ORDINE

L’Ordine nel piano del Cuore di Gesù.

Darla agli uomini, attraverso il Battesimo, aumentarla con la Cresima, offrirgli il cibo divino nell’Eucaristia, restaurarla con la Penitenza e l’Estrema Unzione, sono tanti benefici del Cuore di Gesù, tanti canali attraverso i quali si distribuisce la grazia soprannaturale di cui Egli possiede la pienezza. Affinché questi canali non si esaurissero mai e affinché questi benefici fossero a disposizione delle anime fino alla fine dei tempi, era necessario che Egli scegliesse sulla terra ausiliari e cooperatori, per dare ai figli degli uomini non solo il potere di raggiungere la filiazione divina, ma anche di dare figli a Dio. Bisognava renderli capaci di comunicare la vita di Dio, di distribuire il suo Spirito, di far risorgere le anime, di far crescere il loro corpo mistico, e quindi di far crescere Dio stesso, anche se non è di per sé soggetto a qualsiasi crescita. Questa è la meraviglia delle meraviglie che Gesù ha compiuto sulla terra istituendo il Sacramento dell’Ordine. Alle creature di tutti i regni della creazione, Dio concede l’onore di lavorare con Lui. Non solo li rende partecipi del suo essere, ma vuole anche che partecipino alle sue opere. Così li unisce l’uno all’altro, e rende l’universo nel suo insieme così concatenato e armonioso. Egli lavora ovunque, ma in nessuna parte da solo. Egli muove tutti i corpi, ma lo fa attraverso l’azione di altri corpi. Illumina le intelligenze, ma in genere fa intervenire altre intelligenze. Dà vita a tutti gli esseri viventi, ma richiede la collaborazione di altri esseri viventi. Dio Figlio ha voluto seguire nella redenzione una dinamica simile a quello di Dio Padre nella creazione. Anche se avrebbe potuto fare tutto da solo, voleva avere dei collaboratori. Ha concesso agli uomini l’onore di aiutarlo a produrre la vita soprannaturale, la cui unica focalizzazione e fonte inesauribile è nel suo Cuore. Da Lui, e da Lui solo, gli Apostoli ricevono l’impulso e la forza per far nascere le anime, i Dottori per illuminarle, i Pastori per nutrirle. E attraverso l’opera dei vari cooperatori e il fedele adempimento dei loro ministeri, che le anime vengono santificate e il Corpo mistico del Salvatore cresce. Così il mondo soprannaturale diventa più vario e bello, e l’edificio divino si avvicina sempre più alla perfezione.

Il sacerdote è “Alther Christus”.

Se vogliamo sapere che cosa sia un Sacerdote nella Chiesa, dobbiamo prima di tutto immaginarlo come il luogotenente di Gesù Cristo, come il suo interprete e ministro, e non solo a parole, come un altro Gesù Cristo. Perché non c’è una delle funzioni divine esercitate da Gesù Cristo sulla terra che non sia esercitata anche dal Sacerdote. E non esiste un potere divino conferito al Figlio di Dio dal Padre, che il Figlio di Dio non abbia delegato ai suoi Sacerdoti. Come Lui e attraverso di Lui, essi sono per gli uomini, i loro fratelli, la verità, la via e la vita: tre funzioni in cui si riassume la missione del Salvatore. Gesù Cristo, infatti, è prima di tutto la verità, la luce del mondo, un titolo che gli si dà e che gli è dovuto. Solo Lui ha istruito gli uomini su tutti i grandi problemi, la cui soluzione è di fondamentale importanza per essi. Ma, allo stesso modo, dice ai suoi Apostoli: voi siete la luce del mondo! Se il Verbo divino è la luce che illumina, i Sacerdoti sono le torce con il quale, unico  mezzo, si diffonde la chiarezza. Gesù Cristo è la via e la porta del cielo: chi non entra da questa porta sarà per sempre escluso dalla vita. Chi non segue questa strada, inevitabilmente si smarrirà. Non è solo il Sacerdozio che può mostrare questa via e aprire questa porta? Non ha ricevuto, nella persona del suo Capo, le chiavi del cielo? Gesù Cristo non ha forse dato l’assicurazione che: tutto ciò che legherete in terra sarà legato in cielo e tutto ciò che scioglierete in terra sarà sciolto in cielo? Non vi ha affidato l’interpretazione dei suoi precetti? Non ha forse detto che avrebbe considerato coloro che non avrebbero ascoltato i suoi ministri come ribelli contro la sua stessa autorità? Gesù Cristo è la vita e il Padre delle anime; il nuovo Adamo che genera per l’eternità, a coloro che Egli dapprima fa nascere alla vita vivendo la morte eterna. Non hanno forse i Sacerdoti il diritto di dire a tutti coloro che essi rigenerano con le acque del Battesimo e nutrono col pane eucaristico, quello che San Paolo diceva ai suoi discepoli: « Non sono solo il vostro maestro, ma anche vostro padre, perché vi ho veramente generati in Gesù Cristo »? Infine, Gesù Cristo risuscita le anime, le libera dalla morte del peccato, spezza le loro catene, ripristina la loro salute insieme alla vita, ed è per questo che merita il nome di Salvatore. Ma un tale potere divino, al cui confronto la resurrezione dei morti ha ben poco valore, non viene esercitato ordinariamente attraverso il ministero dei Sacerdoti? Il Sacerdote non pronuncia ogni giorno la parola che fu uno scandalo per i Giudei (perché sembrava loro propria ed esclusiva di Dio): Io ti assolvo, ti libero dal giogo di satana, ti do la vita che avevi perso, il cielo a cui non avevi diritto? Non invano Gesù Cristo disse ai suoi ministri quando ascese al cielo: « Come il Padre mio ha mandato me, così io mando voi ». Non sono vane le promesse che, se rimarrete uniti a Lui come il tralcio alla vite, darete molto frutto e farete opere simili alle sue, anzi più grandi delle sue. Il Sacerdozio ha compiuto questa missione divina e ha realizzato questa magnifica predicazione. Da quando Gesù è salito in cielo, i suoi Sacerdoti non hanno cessato di fare sulla terra le opere che Egli, nella sua vita mortale, ha compiuto; e hanno convertito incomparabilmente più peccatori, illuminato più infedeli, santificato più anime di quante ne abbia fatte Egli personalmente.

Il sacerdote ha potere sullo stesso Gesù Cristo.

Il Sacerdote è veramente un altro Gesù Cristo. Possiamo dire qualcos’altro? Sì, il potere che esercita su Gesù Cristo: il potere di comandare il Figlio dell’Onnipotente. Gesù Cristo, dalla sua Ascensione, ha tre vite: quella gloriosa in cielo, quella sacramentale nell’Eucaristia e quella mistica nelle anime. La gloriosa non può essere soggetta ad alcun potere, perché è elevata al di sopra di ogni principato e potere. Ma, per quanto riguarda le altre due vite, Gesù Cristo è del tutto subordinato al potere dei suoi Sacerdoti. È da loro che riceve la sua vita sacramentale, perché non scende sull’altare se non quando lo chiamano con le formule della Consacrazione. Egli è alla loro mercé e a loro disposizione come il più umile schiavo; con i loro orari stabiliti ed attende le loro consolazioni. Quando e come lo desiderano, con la maggiore o minore frequenza che conviene, riceverà sull’altare questa nuova esistenza. Quando vorranno toglierlo, si lascerà togliere senza mai mostrare alcuna resistenza. Avete mai visto un servo così docilmente sottomesso agli ordini dei suoi padroni? La schiavitù si definiva dicendo che lo schiavo era una cosa del suo padrone. L’Eucaristia è una delle cose di cui il Sacerdote può disporre a suo piacimento. Infatti, se rinchiude la vittima eucaristica in un oscuro tabernacolo, questa non farà nulla per uscire dagli angusti limiti della sua prigione. La lascerà quando vorrà, andrà dove vorrà, e camminerà in trionfo per le strade e per le piazze di una città, o per entrare in un lurido tugurio, luogo dove la povertà lotta disperatamente contro gli orrori della malattia. Per unirsi ad un’anima angelica o per esporsi ai baci sacrileghi di un nuovo Giuda. Tutte quelle cose che il Sacerdote comanderà a Gesù, Egli le farà come se non avesse altro pensiero, nessun altra volontà, nessun altro potere che non sia quello del suo ministro. Non meno importante è la dipendenza del Salvatore, per quanto riguarda la vita che Egli ha nelle anime. Essa gli appartiene e la stima più della sua vita sacramentale e corporea. Per darla a noi ed accrescerla senza interruzioni, è rimasto presente nell’Eucaristia e non ha esitato un attimo a sacrificare la vita naturale che il suo corpo riceve dall’anima, quando si è visto nella condizione di scegliere questa o quella soprannaturale. Non si può infatti negare che è molto più glorioso avere un corpo mistico composto da anime divinamente vivificate dal suo Spirito, piuttosto che un corpo fisico, i cui elementi materiali sono animati dalla sua anima. Ora, sia questa terza vita che la seconda vita, le riceve Gesù dai suoi Sacerdoti, e per la sua conservazione e crescita dipende dalla libera collaborazione dei suoi ministri. Un sacerdote zelante santificherà molte anime rispetto ad un altro negligente che le lascia languire nell’imperfezione e ad un altro malvagio che le porta alla perdizione. Gesù Cristo riceverà dal primo una vita che il secondo gli darebbe solo in parte, e che il terzo gli toglierebbe. Per mezzo di essi Egli nascerà nelle anime, crescerà, diventerà forte, sarà curato nelle sue infermità e raggiungerà in cielo il loro sviluppo perfetto. In questo modo inizia in tutti i Cristiani una nuova esistenza, esposta a molti pericoli, combattuta da tanti nemici come la prima, e molto più soggetta ai suoi ministri di quanto la sua vita mortale lo sia stata alla Vergine Maria. Non è quindi un’esagerazione dire che il Sacerdote partecipa veramente alla gloriosa maternità della Vergine; un’affermazione che possiamo corroborare con la parola del Salvatore stesso. Un giorno gli fu detto che sua madre e i suoi fratelli lo stavano aspettando: « Chi è mia madre – rispose il Salvatore – e chi sono i miei fratelli? »; e rivolgendosi ai suoi Apostoli: « Ecco – dice – mia madre e i miei fratelli; perché chi fa la volontà del Padre mio questi è mio fratello, mia sorella e mia madre. » La volontà di Dio Padre è la salvezza e la rigenerazione delle anime. Coloro che si dedicano alla realizzazione di questo desiderio del Signore, non sono solo i fratelli di Gesù Cristo, in quanto partecipano alla sua vita e acquisiscono diritti sul suo patrimonio celeste, ma anche « sua Madre », comunicando la sua vita alle anime e dando ad esse una vita completamente nuova.

L’Ordine è un Sacramento del Cuore di Gesù.

Vista alla luce di queste considerazioni l’incomparabile dignità del Sacerdozio cristiano, non dubitiamo che sia un Sacramento del Cuore di Gesù. Il Cuore Divino non ne è solo l’inizio, come per gli altri, ma non c’è nessuno al di fuori di Lui che possa dare a chi sente le spalle appesantite da un carico così formidabile, la forza di portarlo senza soccombere. Ogni potere porta con sé una responsabilità il cui peso è proporzionato alla sua portata e alla sua eccellenza. C’è solo una forza capace di portare un fardello così grande: quella dell’amore divino. Per attirare Gesù Cristo sulla terra e per riceverlo con dignità, il Sacerdote deve mostrargli un amore simile a quello che brucia nel cuore degli abitanti del cielo. Per farlo nascere nelle anime, egli deve essere consumato, come Maria, nelle fiamme il cui fulcro è l’adorabile Cuore di Gesù. Dio Padre ha voluto che la comunicazione della sua paternità fosse accompagnata da quella del suo amore. Sappiamo tutti quanto sia vivo questo amore negli animali che sono insignificanti e deboli di per sé. E se la paternità animale pura è accompagnata da un vero e proprio abbandono, che dire allora della paternità spirituale? Colui che è stato scelto per dare la vita di Dio non amerà forse gli uomini con amore divino? Se l’amore paterno per gli uomini è sufficiente perché essi sopportino i fardelli della paternità umana, ci sarà pure un amore che dia la forza ai ministri di Gesù Cristo di compiere i loro doveri e di uscire illesi dai pericoli che la paternità divina conduce con sé. Non sorprende che Dio abbia proibito qualsiasi altra paternità a coloro che sono investiti da questa incomparabile paternità. La capacità di amare che il cuore di un uomo contiene non è eccessiva, per adempiere a tutti gli obblighi che il Sacramento impone a chi ha ricevuto un tale temibile onore. Per rappresentare davanti alle anime l’infinitamente amorevole Dio che è morto per loro, il Sacerdote deve essere distaccato da tutto ciò che può ridurre le sue forze e impedirgli di dare la vita per le anime a lui affidate. Come può il Sacerdote far capire e fare amare agli uomini l’eccelsa paternità attribuitagli? Per portare a termine il suo compito e attirare le moltitudini ostili, non ha altro rimedio che rinfrescarsi alla fonte del suo Sacerdozio, e attingere dal Cuore di Gesù un amore più ardente di tutti gli odi ed uno spirito di abnegazione in cui tutte le ostilità siano infrante. L’unione con il Cuore di Gesù, che per i Cristiani è il mezzo più efficace di santificazione, è per il Sacerdote la principale condizione di successo nel suo temibile ministero e l’unica garanzia di trionfo nella lotta feroce che deve sostenere. I fedeli non dimentichino: il trionfo del Sacerdozio è il trionfo della Chiesa e i pericoli che minacciano i pastori sono i peggiori e più formidabili attacchi al gregge.

https://www.exsurgatdeus.org/2020/06/11/il-cuore-di-gesu-e-la-divinizzazione-del-cristiano-14/

SALMI BIBLICI. “DOMINE, EXAUDI ORATIONEM MEAM; AURIBUS” (CXLII)

SALMO 142: DOMINE, EXAUDI ORATIONEM MEAM; auribus…

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS. 

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 142

Psalmus David, quando persequebatur eum Absalom, filius ejus.

 [1] Domine, exaudi orationem meam; auribus

percipe obsecrationem meam in veritate tua; exaudi me in tua justitia.

[2] Et non intres in judicium cum servo tuo, quia non justificabitur in conspectu tuo omnis vivens.

[3] Quia persecutus est inimicus animam meam, humiliavit in terra vitam meam; collocavit me in obscuris, sicut mortuos sæculi.

[4] Et anxiatus est super me spiritus meus; in me turbatum est cor meum.

[5] Memor fui dierum antiquorum: meditatus sum in omnibus operibus tuis, in factis manuum tuarum meditabar.

[6] Expandi manus meas ad te; anima mea sicut terra sine aqua tibi.

[7] Velociter exaudi me, Domine; defecit spiritus meus. Non avertas faciem tuam a me, et similis ero descendentibus in lacum.

[8] Auditam fac mihi mane misericordiam tuam, quia in te speravi. Notam fac mihi viam in qua ambulem, quia ad te levavi animam meam.

[9] Eripe me de inimicis meis, Domine; ad te confugi.

[10] Doce me facere voluntatem tuam, quia Deus meus es tu. Spiritus tuus bonus deducet me in terram rectam.

[11] Propter nomen tuum, Domine, vivificabis me; in aequitate tua, educes de tribulatione animam meam;

[12] et in misericordia tua disperdes inimicos meos, et perdes omnes qui tribulant animam meam, quoniam ego servus tuus sum.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXLII

Davide, nella persecuzione di Assalonne, conoscendo il proprio peccato, lo deplora e invoca la misericordia di Dio. È Salmo penitenziale, che insegna ai veri penitenti la norma di pregare.

Salmo di David, quando lo perseguitava Assalonnesuo figlio.

1. Signore, esaudisci la mia orazione; porgi le orecchie alle mie suppliche secondo la tua verità; esaudiscimi secondo la tua giustizia.

2. E non entrare in giudizio col tuo servo; dappoiché nessun vivente sarà riconosciuto per giusto al tuo cospetto.

3. Perché il nimico ha perseguitato l’anima mia; ha umiliata la mia vita fino alla terra.

4. Mi ha confinato in luoghi tenebrosi, come i morti da gran tempo; ed è involto nell’affanno il mio spirito, il mio cuore si è conturbato dentro di me.

5. Mi son ricordato dei giorni antichi, ho meditate tutte le opere tue; meditava le cose fatte dalle tue mani.

6. A te io stesi le mani mie; l’anima mia è a te come una terra priva d’acqua.

7. Esaudiscimi prontamente, o Signore; è venuto meno il mio spirito. Non rivolger la tua faccia da me, perché  sarei simile a que’ che scendono nella fossa.

8. Fa ch’io senta al mattino la tua misericordia, perché in te ho sperato. Fammi conoscer la via che ho da battere, perché a te ho elevata l’anima mia.

9. Liberami, o Signore, da’ miei nemici, a te son ricorso; insegnami a far la tua volontà. Perché mio Dio se’ tu.

10. Il tuo spirito buono mi condurrà al diritto cammino, pel nome tuo, o Signore! Mi  darai vita secondo la tua equità.

11. Trarrai dalla tribolazione l’anima il e per tua misericordia manderai dispersi il nemici.

12. E dispergerai tutti coloro che affliggono l’anima mia perché tuo servo son io.

Sommario analitico

Davide, considerando la spada della giustizia di Dio sospesa sulla sua testa, durante la ribellione di suo figlio Assalonne, non osando invocare alcun merito personale, mette tutta la sua fiducia nella misericordia di Dio. Davide è qui la figura di ogni peccatore penitente.

I. Egli chiede a Dio di essere esaudito, e riporta diverse ragioni in appoggio della sua preghiera:

1° egli prega di esaudirlo, secondo la verità delle sue promesse e l’equità della sua giustizia (1);

2° perché se Dio entra in discussione ed in giudizio con lui, nessun uomo vivente sarà giustificato davanti a Lui (2);

3° perché egli è stato perseguitato ed umiliato profondamente dal suo nemico, dal demonio (3);

4° perché è stato gettato nell’oscurità e nelle tenebre, come i morti da secoli;

5° perché la sua anima è stata piena di turbamenti, ansia ed angoscia (4).

II. – Davide ci insegna come abbia iniziato ad uscire da questo infelice stato:

1° ha passato in rassegna il ricordo della grandezza e delle misericordie di Dio;

2° ha considerato attentamente tutte le sue opere (5);

3° ha steso le sue mani verso Dio per ottenere che irrorasse con la sua grazia e rendesse feconda tutta la terra arida dell’anima sua (6);

4° egli prega Dio di non tardare nel soccorrerlo, a causa dell’estremità alla quale si trova ridotto (7).

III. – Egli chiede a Dio di fargli sentire senza indugi gli sforzi della sua misericordia (8), e di insegnargli la sua volontà:

1° facendogli conoscere la via celeste per la quale l’anima può giungere fino a Lui (8);

2° rompendo i legami nei quali i suoi nemici lo tenevano prigioniero (9);

3° insegnandogli come debba camminare in questa via (10);

4° chiedendo come sua guida lo Spirito-Santo, affinché non si allontani dalla via (10);

5° dandogli la vita e la forza necessaria per non cadere lungo il cammino (11);

6° liberandolo da tutte le sue tribolazioni e da tutti i suoi nemici perché egli è suo servo (12, 13).

Spiegazioni e considerazioni

I. — 1-4.

ff. 1, 2. – Qua è la natura di questa preghiera? È questo un punto che gli uomini esaminano con cura per cui non si raccolgono in preghiera se non quando sembri loro giusto e legittimo. Ma cosa si domanda ordinariamente quando ci si rivolge agli uomini? Onori, ricchezze, la loro protezione contro l’ingiustizia; lo stesso avviene nel sollecitare i giudici nelle cose che oltrepassano il loro potere. Ma noi, al contrario, chiediamo a Dio la remissione dei nostri peccati, e facciamo ricorso alla preghiera, quando non abbiamo potuto ottenere perdono dal giudice interiore, cioè dalla nostra coscienza, che non ci lascia riposo alcuno. (S. Chrys.) – Cosa fate o Profeta? Voi dite in un istante: « Non entrate in giudizio con il vostro servo, perché nessun uomo vivente sarà giustificato davanti a voi, » e domandate qui di essere esaudito secondo le regola della giustizia? Egli non parla qui della sua giustizia; egli dirà anche, nel versetto seguente che, comparata a quella di Dio, essa non è nulla. La giustizia di cui qui si vuol parlare è la bontà. La giustizia degli uomini è senza misericordia, ma non è così la giustizia di Dio. La misericordia in Lui si trova sempre mescolata alla giustizia, ed in proporzione tale che la giustizia prenda nome di bontà. (S. Chrys.).  Egli implora dunque la giustizia divina, che si esercita propriamente in questo mondo con la misericordia, perché perdonando al peccatore, Dio usa del diritto supremo  che ha di cancellare i peccati e ristabilire la giustizia in un’anima che si era resa colpevole. –  Chi sono coloro che vogliono entrare in giudizio con Dio, se non coloro che, non conoscendo la giustizia di Dio, pretendono di stabilire la propria giustizia. « Perché, essi dicono, abbiamo digiunato e non l’avete visto? Perché tenuto la nostra anima nelle privazione e non l’avete saputo? » (Isai. LVIII, 3). È come se gli dicessero: noi abbiamo fatto ciò che avete comandato, perché non ci rendete ciò che avete promesso? Dio vi risponde: perché voi riceviate ciò che ho promesso, io ve lo darò; affinché voi fissiate di che meritare ciò che ho promesso, io ve l’ho dato … è dunque con ragione che l’uomo umile dice a Dio: « Non entrate in giudizio con il vostro servo; » non abbiamo infatti da dibattere tra noi; io non voglio avere processo da Voi, perché non abbia a mettere avanti la mia giustizia, e Voi non mi convinciate della mia iniquità. (S. Aug.) – « Non entrate in giudizio con il vostro servo. » Perché questo? « Perché nessun uomo vivente potrà giustificarsi davanti a Voi. » Che bisogno c’è di parlare di me, di questo, di quello? Non c’è alcun uomo sulla terra che possa essere trovato giusto, se entra in discussione con Voi sui comandamenti che gli avete imposto; il vostro trionfo è dunque completo. (S. Chrys.) – Quale speranza ci resterà, se Dio volesse giudicarci secondo le regole severe della sua giustizia, se esigesse che l’innocenza della nostra vita fosse in rapporto con la sua infinità santità? Chi è tra i mortali colui che potrebbe essere giustificato in presenza di Dio, allorché la collera, il dolore, la lussuria, l’ignoranza, l’oblio, la necessità, venisse a mescolarsi in tutte le sue azioni, con una sequenza naturale della debolezza del corpo o delle agitazioni di un’anima mobile ed incostante, allorché tutti i giorni è minacciato da un implacabile nemico, il demonio, che tende trappole all’anima fedele e la perseguita fino alla morte? (S. Hil.). – Noi dobbiamo temere che Dio entri con noi in giudizio: 1° a causa delle macchie e dei resti funesti che i peccati passati hanno lasciato nella nostra anima; – 2° A causa dei peccati attuali che non cessiamo di commettere; – 3° a causa delle imperfezioni anche delle buone opere; – 4° perché queste buone opere, quali siano, sono in numero troppo piccolo rispetto alle grazie che noi abbiamo ricevuto; – 5° perché Dio ci chiederà conto rigorosissimo di queste grazie; 6° perché l’uomo non sa se è degno di amore o di odio,  e colui al quale la sua coscienza rende testimonianza la più favorevole non può tuttavia essere sicuro di essere senza macchia davanti a Dio.   

ff. 3, 4. – Il Profeta dipinge qui le tristi sequel del peccato in un’anima che è stata perseguitata, perseguita, e vinta dal demonio. – I nemici della salvezza cominciano col perseguitarla, molestarla, presentandole mille occasioni di cadute, moltiplicando le tentazioni. – Essi la curvano interamente verso terra, e la umiliano piombandola nel fango delle passioni e nell’abisso del peccato: « Avevo altre volte delle ali e prendevo liberamente il mio volo; ora, il mio nemico, il demonio, ha perseguitato la mia anima, se ne è impadronita, ne ha legato piedi e mani, come un uccello che, caduto in potere dell’uomo, sembra come morto, perché non ha più la libertà di volare; è così che il mio nemico mi ha legato con la coscienza dei miei peccati. » (S. Gerol.). – Essi diffondono nell’anima delle tenebre dense che fanno considerare i falsi beni come dei veri beni; che gli nascondono i precipizi, affinché vi cada, ed il cammino del cielo per paura che vi entri. San Paolo ci dipinge queste tenebre spirituali, allorquando dice, parlando dei pagani: « Essi camminano nella vanità dei loro pensieri, hanno lo spirito pieno di tenebre, e sono interamente allontanati dalla vita di Dio, a causa dell’ignoranza che è in loro, e l’accecamento del loro cuore. » (Ephes. IV, 17, 18) – « Tribolazione, angoscia, per l’anima di ogni uomo che fa il male. » (Rom. II, 9). Il torbido si impossessa di tutte le sue facoltà; il suo spirito, creato per un fine più nobile, cade nel disgusto, nella noia; il suo cuore, divenuto il trastullo delle passioni, è il centro dei movimenti più tempestosi. Questo turbamento della coscienza, è la risorsa contro il peccato: se il peccatore vuol profittarne, il demonio non  lo ispira più, ma se ne serve per portare l’uomo alla disperazione.

II. — 5-7

ff. 5-7. – È una grande consolazione conoscere nello stesso tempo il passato ed il presente; perché come il mondo attuale è governato dalle stesse leggi divine delle generazioni che ci hanno preceduto, il ricordo degli avvenimenti antichi è una delle più dolci consolazioni per il presente. (S. Crys.). Ricordiamoci, dunque, in mezzo alle nostre prove, delle meraviglie che Dio ha operato nei secoli passati, in favore di coloro che hanno fatto ricorso a Lui. Quando il demonio si sforza di abbattere il nostro coraggio con il ricordo delle nostre colpe, meditiamo le grandi misericordie di Dio su coloro che hanno sinceramente rinunziato ai loro peccati. – Come la terra dura e disseccata sembra domandare la pioggia, solo esponendo al cielo la sua aridità, così l’anima, esponendo i suoi bisogni a Dio, lo prega veramente. È ciò che qui dice Davide: Ah! Signore, io non ho bisogno di pregarvi, è il mio bisogno che vi prega, la mia necessità vi prega, tutte le mie miserie e tutte le mie debolezze vi pregano: « La mia anima è davanti a Voi come terra arida e senza acqua. » (BOSSUET, Opusc. Prière au nom de J.-C.). « Sforzatevi, Signore, di esaudirmi, la mia anima è caduta in  disgrazia. » Cosa dite? Approntate la medicina della guarigione? No, ma accade d’ordinario alle anime che sono nell’afflizione, come agli uomini provati dalla sventura, cercare una pronta liberazione dai loro mali. (S. Chrys.). – In tutte le circostanze, bisogna attendere i momenti di Dio, ed è vero il dire che l’attitudine alla pazienza è veramente il genio del Cristiano. Ma quando si sente la propria anima mancare, quando la causa di questo mancamento è il pesante pensiero dei peccati commessi, quando infine è a Dio che ci si rivolge, è anche necessario sentire e testimoniare il desiderio che il soccorso richiesto non sia differito per lungo tempo (Rendu). – A meno di un ritorno favorevole a Dio, il peccatore discenderà sempre più nella fossa profonda del peccato, e di là nella tomba ancor più profonda dell’inferno.

III. — 8-13.

ff. 8-9. – « Fatemi sentire, fin dal mattino, la voce della vostra misericordia. « Io sono piombato nella morte, ma ho messo in Voi la mia speranza, finché non passi l’iniquità della notte » (Ps. LXI, 2). – « Al mattino, Voi ascolterete la mia voce; al mattino, mi porrò davanti a Voi e vi contemplerò » (Ps. V, 4. 5) « … perché ho messo in Voi la mia speranza. » In effetti, se speriamo ciò che non vediamo ancora, noi l’aspettiamo con il soccorso della pazienza. (Rom. VIII, 25). « La notte esige la pazienza, il giorno darà la gioia, » (S. Agost.) – « Fatemi conoscere la via in cui camminare. » Tutto il segreto della vita è in questa preghiera; conoscere la propria strada, vuol dire conoscere ciò che si deve credere quaggiù, ciò che si deve sperare, praticare; ciò che si deve fare perché questa vita sia come il vestibolo del cielo, ecco l’uomo intero e la vita in tutti i suoi aspetti … –  Quante volte i cuori più fermi sono sconvolti nelle loro vie, e vacillano nel cammino della vita! L’anima guarda in tutte le direzioni, e non scopre che le tenebre più fitte; non le resta che la preghiera del Profeta: « … fatemi conoscere la strada in cui volete che io cammini. » Ma anche essa prova allora che in un quarto d’ora di intrattenimento, di conversazione con Dio, si impara più dei nostri destini, sulla direzione da dare a certi affari delicati, che le più lunghe riflessioni e le più abili combinazioni dell’umana saggezza. (Mgr LANDRIOT, Prière, II, 10).   

ff. 10. –  Supponiamo che un uomo si sia smarrito in una foresta oscura o un deserto senza uscita: egli si agita con ardore per trovare una strada che lo conduca al termine del suo viaggio e, se non può riuscire, se l’impenetrabile caos degli alberi e l’onda inesorabile delle solitudini, rifiutano di rispondere alle sue voce, se le sue grida, malgrado i violenti sforzi per richiamare indicazioni e guide che lo illuminino, muoiono intorno a sé senza eco, la sua inquietudine diventa profonda e minaccia di raggiungere la disperazione. Ecco la nostra disperazione nella vita, se non sappiamo nettamente la direzione che essa debba prendere, e la via per la quale dobbiamo camminare … Conoscere esattamente la via che bisogna seguire, è evidentemente il bisogno più imperioso di ogni anima cristiana. (Mgr LANDRIOT, Euch. IV, 20.) – « Perché ho levato la mia anima verso di Voi » egli chiede a Dio la via che conduce a Lui, ma comincia a fare ciò che dipende da lui per entrarvi: « Io ho elevato la mia anima verso di Voi; » vale a dire che è verso Dio soltanto che sospira il mio cuore, è verso di Voi solo che io tengo fissi gli occhi. È in effetti, alla anime così disposte che Dio si compiace farsi conoscere. (S. Chrys.). – Egli va ancor più lontano, chiede di essere liberato dalla tentazione del demonio, che si sforza sovente di oscurarne l’intelligenza per impedirgli di vedere la via della giustizia; perché le concupiscenze scatenate dal tentatore fanno sì che le cose ci appaiono diverse da come in realtà esse sono. (Bellarm.).

ff. 9 – 18. – È difficile immaginare una preghiera più bella e più santa di questa: « Insegnatemi Signore, a fare la vostra volontà, perché Voi siete il mio Dio. » 1° Essa contiene la confessione della nostra debolezza; noi riconosciamo che, senza la luce divina, siamo incapaci di compiere ciò che a Dio piace. 2° Essa racchiude la persuasione intima in cui noi siamo, o piuttosto la viva fede che abbiamo, che per noi vi sia un obbligo stretto di fare ciò che piace a Dio esigere da noi. 3° Essa offre a Dio l’omaggio di tutto ciò che siamo, perché, dal momento che noi dichiariamo che Egli è il nostro Dio, non escludiamo alcun tipo di dipendenza, alcun genere di servizio. (Berthier). – Non bisogna fermarsi alla conoscenza della volontà di Dio: « Non cessiamo di pregare per voi, diceva San Paolo ai Colossesi, e di chiedere a Dio che vi riempia della conoscenza della sua volontà e di ogni intelligenza spirituale. » Ma notate quale deve essere la fine di questa conoscenza, « … perché possiate comportarvi in maniera degna del Signore, per piacergli in tutto, portando frutto in ogni opera buona e crescendo nella conoscenza di Dio; » (Coloss. I, 9-10) – « … Perché Voi siete il mio Dio. » Non esiste che una sola volontà che abbia il diritto essenziale ed assoluto di essere obbedita, la volontà dell’Essere eterno che ha creato tutto e che conserva tutto: da qui la mirabile preghiera del Profeta-Re: « Insegnatemi Signore, a fare la vostra volontà, perché Voi siete il mio Dio. » Poiché Egli ci ha creato, e creati capaci di una buona e di una cattiva scelta, è Lui che ci insegna, e che cosa può insegnare di meglio se non fare la sua volontà? Questa volontà sovrana ha dei ministri per ricordare i suoi ordini e mantenerne l’esecuzione nella famiglia, nello stato, nella Chiesa, e l’obbedienza loro è dovuta, perché essi rappresentano Dio, ognuno nel suo ordine, secondo i gradi di una sublime gerarchia che risale dal padre al re, dal re al Pontefice, dal Pontefice a Gesù-Cristo, da Gesù-Cristo a Colui che lo ha inviato, e « dal quale ogni paternità, in cielo e sulla terra, prende il suo nome, » vale a dire la sua autorità. (Lam., imit.) – Perché Voi siete il mio Dio, « io sarei corso verso un altro, per essere creato di nuovo, se un altro mi avesse fatto » Voi siete il mio tutto, « perché Voi siete il mio Dio. » Cercherò un padre per avere la sua eredità? « Voi siete il mio Dio, » che non solo date un’eredità, ma siete Voi stesso mia eredità. » (Ps. XV, 5). Cercherò un maestro che mi riscatti: « Voi siete il mio Dio. » Cercherò un padrone che mi liberi: « Voi siete il mio Dio. » Infine, dopo essere stato creato, desidero essere ricreato nuovamente: « Voi siete il mio Dio » mio Creatore che mi avete creato per mezzo del Verbo e creato di nuovo per mezzo del Verbo. Ma Voi mi avete creato per mezzo del Verbo dimorante in Voi, e mi avete creato di nuovo per mezzo del Verbo fatto carne per la nostra salvezza. « Insegnatemi dunque a fare la vostra volontà, perché Voi siete il mio Dio. » – « Insegnatemi, » perché non può essere che nello stesso tempo Voi siate il mio Dio, ed io il mio maestro. Notate come il Profeta ci mostri qui la grazia. Conservate bene questo pensiero, penetrate in esso, e nessuno possa farlo uscire dal vostro cuore, per timore di avere per Dio uno zelo che non sia secondo scienza, per timore ancora che, ignorando la giustizia di Dio e volendo stabilire la vostra, non siate sottomesso alla giustizia di Dio (Rom. X, 2-3). – Voi riconoscete là, senza dubbio, le parole dell’Apostolo. Dite dunque: « Insegnatemi, affinché io faccia la vostra volontà, perché Voi siete il mio Dio. » (S. Agost.) – Il Padre ci ha creati con la sua potenza, il Figlio ci insegna le sue vie mediante la sapienza, lo Spirito-Santo ci fa entrare e ci conduce con la sua grazia. – E siccome Dio solo è buono, con la testimonianza di Gesù-Cristo, si può anche dire che non c’è che lo Spirito di Dio che sia buono. – Il vostro Spirito che è buono, e non il mio che è cattivo. « Il vostro Spirito, che è buono, mi condurrà in terra di giustizia, » perché il mio spirito che è cattivo, mi ha condotto in terra di ingiustizia. E cosa ho meritato? Quali buone opere ho fatto senza la vostra assistenza, che possano essermi accreditate, affinché o ottenga e sia degno di essere condotto dal vostro Spirito in terra di giustizia? (S. Agost.). – Ricordate la grazia che vi segnala qui il Profeta e che vi ha gratuitamente salvato: « A causa del vostro Nome, Signore, Voi mi farete vivere: nella vostra giustizia e non nella mia; non perché io l’abbia meritato, ma perché Voi siete misericordioso; perché se volessi mostrare i miei meriti, io non meriterei da Voi se non supplizi. Voi avete fatto sparire i miei meriti, e li avete compensati con i vostri doni. » (S. Agost.). Motivo della confidenza del Profeta, è la professione che fa di essere il servo di Dio. – Noi siamo servi di Dio a doppio titolo, perché Egli ci ha creati, perché ci ha riscattato come gli altri uomini e perché ci ha tratti da una servitù più gravosa della prima, perché proveniva dalla nostra volontà.

FESTA DI MARIA REGINA (2020)

FESTA DI MARIA REGINA (2020)

Rerum suprémo in vértice
Regína, Virgo, sísteris,
Exuberánter ómnium
Ditáta pulchritúdine.

Princeps opus formósior
Verbo creánti prǽnites,
Prædestináta Fílium,
Qui prótulit te, gígnere.

Ut Christus alta ab árbore
Rex purpurátus sánguine,
Sic passiónis párticeps,
Tu Mater es vivéntium.

Tantis decóra láudibus,
Ad nos ovántes réspice,
Tibíque sume grátulans
Quod fúndimus præcónium.

Jesu, tibi sit glória,
Qui natus es de Vírgine,
Cum Patre et almo Spíritu
In sempitérna sǽcula.
Amen.

[Vergine Regina: sei collocata
al vertice della creazione
e dotata d’una bellezza che supera
la bellezza di tutte le creature.

Opera somma, sei la più bella
ed amabile al Verbo creatore,
predestinata ad esser madre
di quel Figlio che ti creò.

Come Cristo, dall’alto della Croce,
fu vero re nella sua porpora insanguinata,
così tu, partecipe della passione di lui,
sei madre di tutti i viventi.

Splendida per così grandi titoli di onore,
guarda a noi che ti esaltiamo:
accetta l’inno di lode
che t’innalziamo per lodarti.

Sia gloria a te, o Gesù,
che sei nato dalla Vergine;
con il Padre e lo Spirito Santo
per tutti i secoli.
Amen.]

De libro Ecclesiástici

Sir XXIV: 5-11; 14-16; 24-30


5 Ego ex ore Altíssimi prodívi, primogénita ante omnem creatúram:
6 Ego feci in cælis ut orirétur lumen indefíciens, et sicut nébula texi omnem terram:
7 Ego in altíssimis habitávi et thronus meus in colúmna nubis.
8 Gyrum cæli circuívi sola, et profúndum abýssi penetrávi, in flúctibus maris ambulávi,
9 Et in omni terra steti: et in omni pópulo,
10 Et in omni gente primátum hábui:
11 Et ómnium excelléntium et humílium corda virtúte calcávi: et in his ómnibus réquiem quæsívi, et in hereditáte Dómini morábor.

14 Ab inítio, et ante sǽcula creáta sum, et usque ad futúrum sǽculum non désinam, et in habitatióne sancta coram ipso ministrávi.
15 Et sic in Sion firmáta sum, et in civitáte sanctificáta simíliter requiévi, et in Jerúsalem potéstas mea.
16 Et radicávi in pópulo honorificáto, et in parte Dei mei heréditas illíus, et in plenitúdine sanctórum deténtio mea.

 24 Ego mater pulchræ dilectiónis, et timóris, et agnitiónis, et sanctæ spei.
25 In me grátia omnis viæ et veritátis: in me omnis spes vitæ et virtútis.
26 Transíte ad me, omnes qui concupíscitis me, et a generatiónibus meis implémini;
27 Spíritus enim meus super mel dulcis, et heréditas mea super mel et favum.
28 Memória mea in generatiónes sæculórum.
29 Qui edunt me, adhuc esúrient, et qui bibunt me, adhuc sítient.
30 Qui audit me non confundétur, et qui operántur in me non peccábunt: qui elúcidant me, vitam ætérnam habébunt.

[5 Io sono uscita dalla bocca dell’Altissimo, primogenita di tutta la creazione.
6 Io ho fatto sorgere nel cielo una luce indefettibile e come vapore ho coperto tutta la terra.
7 Ho posto la mia tenda in alto: il mio trono è sopra una colonna di nube.
8 Io sola ho percorso la volta del cielo, sono penetrata nelle profondità dell’abisso, ho camminato sui flutti del mare
9 E su tutta la terra: ho preso dominio su ogni popolo
10 E gente:
11 Ho soggiogato, con la mia forza, il capo dei potenti e degli umili; e in tutti questi ho cercato riposo, e mi fermerò nei domini del Signore.

14 Mi creò prima del tempo, dal principio; né tramonterò mai più. Davanti a lui servivo nella sua tenda.
15 E perciò ho preso dimora stabile in Sion, e mi fermai nella città amata; io comando su Gerusalemme.
16 Affondai le radici presso un popolo glorioso, nella porzione del Signore, nella sua eredità.]

24 Io sono la madre del vero amore, del timore e della scienza e della santa speranza.
25 In me è ogni grazia di via e di verità, in me ogni speranza di vita e di virtù.
26 Venite a me, o voi tutti che mi desiderate, e saziatevi dei miei frutti.
27 Perché il pensare a me è dolce più del miele, e il possedermi più del miele e del favo:
28 La mia memoria si perpetuerà nelle successioni dei secoli.
29 Quelli che mi mangiano avranno ancora fame e quelli che mi bevono avranno ancora sete.
30 Chi mi ascolta non avrà da arrossire, e quelli che operano per me non peccheranno. Quelli che mi esaltano, avranno la vita eterna.]

Sermone di s. Pier Canisio presbitero

Su Maria Madre di Dio Vergine incomparabile, lib. 15, c. 13

Seguendo san Giovanni Damasceno, sant’Atanasio e altri, perché non dobbiamo chiamare regina la vergine Maria, quando nelle Scritture sono esaltati il suo antenato David come famoso re e il Figlio suo come re dei re e signore dei dominanti, per l’eternità? Inoltre Maria è regina se la si unisce con coloro che, quasi come re, posseggono il regno dei cieli, assieme con Cristo, il re eterno: infatti essi sono eredi assieme a Gesù e siedono sul suo stesso trono, per usare una frase della Scrittura. Maria è regina non inferiore a nessun altro; anzi, è levata talmente al di sopra degli angeli e degli uomini, che nessuno può essere più alto e più santo di lei: infatti solo lei ha un figlio comune con il Padre. Al di sopra di sé vede solo il Padre e il Figlio, e al di sotto di sé ogni altra creatura.

Il grande sant’Atanasio disse con acutezza: «Maria deve esser ritenuta realmente non solo Madre di Dio, ma anche regina e signora, poiché quel Cristo che nacque da questa vergine Madre, è lui stesso Dio, signore e re». Si può attribuire a questa regina quello che si legge nei salmi: «Alla tua destra si è assisa la regina, vestita in laminato d’oro». Inoltre Maria è regina non soltanto del cielo, ma pure dei cieli, essendo la madre del re degli angeli, e l’amica e la sposa del re dei cieli. O Maria, nobile regina e madre fedele, nessuno ti implora senza essere aiutato e tutti ti siamo riconoscenti per le tue grazie: ti prego e ti supplico con insistenza e con rispetto, di accettare e di approvare questa manifestazione della mia devozione, di tener conto della mia offerta, non badando alla sua consistenza, ma alla mia buona volontà, e di raccomandarmi al tuo Figlio onnipotente.

Dalla Lettera enciclica del papa Pio XII

Enciclica Ad caeli Reginam, 11 Ottobre 1954

Dai monumenti dell’antichità cristiana, dalle preghiere liturgiche, dall’innata devozione del popolo cristiano, dalle opere d’arte, da ogni parte abbiamo potuto raccogliere espressioni ed accenti, secondo i quali la vergine Madre di Dio consta primeggiare per la sua dignità regale; ed abbiamo anche provato come le ragioni che la sacra teologia ha dedotto dal tesoro della fede, confermino pienamente questa verità. Di tali testimonianze riportate si forma un concerto, la cui eco risuona larghissimamente per celebrare il sommo fastigio della regale dignità della Madre di Dio e degli uomini, che è al di sopra di ogni cosa creata, e che è stata «innalzata sopra i cori degli angeli, ai regni celesti». Essendoci poi fatta la convinzione, dopo mature e ponderate riflessioni, che verranno grandi vantaggi alla Chiesa, se questa verità, solidamente dimostrata, risplenderà più evidente davanti a tutti – quasi lucerna più luminosa posta sul suo candelabro – con la nostra autorità apostolica, decretiamo e istituiamo la festa di Maria Regina, da celebrarsi in tutto il mondo il giorno 31 maggio di ogni anno.

Omelia di s. Bonaventura vescovo

Sermone sulla regia dignità della Beata Maria Vergine

La beata vergine Maria è diventata madre del sommo Re mediante una maternità del tutto singolare, secondo quanto si sentì dire dall’angelo: «Ecco, concepirai e darai alla luce un figlio»; e inoltre: «Il Signore gli darà il trono di David suo padre, e regnerà sulla casa di Giacobbe in eterno e il suo regno non avrà fine». È come se dicesse apertamente: Concepirai e darai alla luce un figlio che è re, che eternamente abita sul suo trono regale, e per questo tu regnerai come madre del Re, e come Regina siederai tu pure sul trono regale. Se infatti è giusto che il figlio onori la madre, è altrettanto giusto che partecipi ad essa il trono regale; per questo, per il fatto cioè che la vergine Maria ha concepito colui che porta scritto sul suo femore «Re dei re e Signore dei dominanti», nell’istante stesso in cui concepì il Figlio di Dio, divenne Regina non soltanto della terra, ma anche del cielo. E questo era stato preannunciato nell’Apocalisse dove si dice : «Un grande prodigio apparve nel cielo: una donna vestita di sole, e la luna sotto i suoi piedi, e sul suo capo una corona di dodici stelle».

Anche riguardo alla sua gloria, Maria è regina illustre. Il Profeta esprime ciò in modo adeguato in quel salmo, che si riferisce in modo particolare a Cristo e alla vergine Maria. In esso si afferma in un primo luogo di Cristo: «Il tuo trono, o Dio, è eterno». Poco dopo si dice della Vergine: «Alla tua destra è assisa la regina». Ciò si riferisce alle qualità più elevate, e perciò viene attribuito alla gloria del cuore. Poi il testo prosegue: «Vestita in laminato d’oro»: qui si intende il vestito di quella gloriosa immortalità che Maria acquistò con l’assunzione. Non si può credere che il vestito che aveva circondato il Cristo e che sulla terra era stato santificato totalmente dal Verbo incarnato, fosse distrutto dalla corruzione. Come fu opportuno che Cristo donasse a sua Madre la grazia totale quando ella fu concepita, così fu pure opportuno che donasse la gloria completa con l’assunzione di sua Madre. Ne consegue che è da ritenere vero il fatto che la Vergine, entrata nella gloria con l’anima e con il corpo, sia assisa accanto al Figlio.

Maria è regina e distributrice di grazie: ciò fu. intuito nel libro di Ester, dove è scritto: «La fonte crebbe diventando fiume, e poi si trasformò in luce e in sole». La vergine Maria, raffigurata nella persona di Ester, è paragonata al dilatarsi dell’acqua e della luce, proprio perché diffonde la grazia che aiuta l’azione e la contemplazione. La stessa grazia di Dio che curò l’umanità, fu comunicata a noi attraverso Maria, come attraverso un acquedotto: è un compito della Vergine distribuire la grazia, non perché sia creatrice di grazia, ma perché ce la guadagna con i suoi meriti. Giustamente, quindi, la vergine Maria è regina nobile di fronte al suo popolo, proprio perché ci ottiene il perdono, vince le difficoltà, distribuisce la grazia e finalmente, introduce nella gloria.

REGINA Christianorum … ora pro nobis

SACRO CUORE DI GESÙ (31): IL SACRO CUORE DI GESÙ E LA SUA ESTREMA AGONIA

[A. Carmignola: Il sacro Cuore di Gesù; S. E. I. Torino, 1929]

IL SACRO CUORE DI GESÙ

DISCORSO XXXI.

Il Sacro Cuore di Gesù e la sua estrema agonia.

Su, o miei cari, su ascendiamo al monte santo di Dio, ascendiamo al Calvario, e contempliamo il Crocifisso Gesù sull’altare del suo sacrifizio. Oh Dio! che spettacolo si presenta ai nostri occhi! In che stato è ridotto l’amabile Gesù e quali sofferenze lo aggravano nel corpo e nell’anima! Eccolo sospeso tra cielo e terra, ritenuto da grossi chiodi su d’un infame patibolo, coperto di sangue e di piaghe dalla testa ai piedi. Egli soffre, e senza aicun sollievo. Se cerca riposarsi sui piedi, ohimè! non ha per appoggiarli se non il ferro, che li trapassa; se vuole riposarsi sulle mani, non fa che allargarne le piaghe e produrre una dolorosa tensione alle sue braccia; se egli abbassa la testa, accresce il peso del suo corpo, e il petto si gonfia, e la respirazione gli si fa più penosa; se Ei la solleva, la corona di spine incontra il legno della croce e le spine penetrano più addentro. Così non vi ha parte alcuna del suo Corpo adorabile, che non soffra un indicibile tormento. – Ma ben più gravi sono i tormenti della sua anima. Quando un uomo sta agonizzando, si vede circondato dalle persone più care, che gli prodigano le tenerezze più affettuose, e gli recano ogni possibile sollievo, gli porgono qualche stilla di consolazione. Per Gesù non è così. Tutto ciò che lo circonda è per Lui cagione di pena, tutto contribuisce a schiacciare il suo tenero Cuore ed a generargli nello spirito i più accascianti pensieri. Ai piedi della croce vede la sua Madre, S. Giovanni, e le pie donne, immerse nella più grande afflizione; dintorno alla croce vede una soldatesca insolente ed un vile popolaccio, che lo insulta e lo maledice; accanto alla croce, a destra ed a sinistra, vede crocifissi due ladroni per sua maggior ignominia. Oh se almeno lanciando lo sguardo nell’avvenire vedesse la croce tornare di salute a tutti gli uomini! Ma invece Egli ha pur dinnanzi questa dolorosissima vista, che la croce sarà di scandalo pei Giudei, e quale stoltezza ai Gentili. Povero Gesù! quanto soffre per ciò nell’anima sua! Eppure in mezzo a sì terribili sofferenze Egli apre ancora il suo labbro divino per parlare. E per quale ragione? Forse per maledire a’ suoi patimenti? per imprecare a’ suoi crocifissori? per scatenare i fulmini delle sue vendette?… Ah! no, certamente. In quegli estremi istanti della sua agonia Egli sembra dimenticare affatto le pene atrocissime che soffre e non ricordare ed aver presente altro, se non che Egli è un padre, che muore. E come ogni padre di famiglia che sta per morire si dà tosto la più viva sollecitudine di dichiarare a’ suoi figli le sue ultime volontà e di fare in loro vantaggio il suo testamento, così a questo stesso fine Gesù Cristo apre ancora il suo labbro divino e per ben sette volte ancora Egli parla. Per tal modo facendo uscire dal suo Cuore agonizzante sette parole, e compendiando con esse tutte le sue lezioni, tutti i suoi esempi, tutte le prove del suo amore infinito per noi, ci fece sempre meglio toccare con mano, che la causa vera, che lo ha confitto come vittima sull’altare della croce, più assai che non la perfidia de’ Giudei, è stata la carità immensa che nel Cuor suo ci ha portato. Raccogliamoci adunque anche noi presso la croce di Gesù Cristo per intendere le sue parole, ed ascoltandone oggi le tre prime, riconosciamo come per esse questo Padre e maestro divino ci abbia animati a confidare tutti nella sua infinita misericordia e a darci a Lui senza più mai abbandonarlo.

I. — Miei cari! Quale lo avevano descritto i profeti, Gesù Cristo ora veramente sulla croce l’uomo dei dolori, vir dolorum. Eppure a quei dolori atrocissimi, che già pativa nelle sue piaghe, veniva ad aggiungersi in questo momento un altro dolore, ancor più crudele per le anime delicate e sublimi, quello cioè degli insulti e delle derisioni. Benché dinnanzi all’estremo supplizio di un uomo, per quanto scellerato e odiato, sogliano spegnersi gli odii e cader le ire, e non sia mai lecito ad alcuno di compiacersi delle sue pene, di oltraggiare la sua persona e d’insultare al suo dolore, tuttavia per Gesù non accade così. A Lui è negato ogni riguardo. Al vederlo in quel misero stato pendente fra due malfattori, i Giudei esultano di gioia infernale e privi di ogni senso di umanità si fanno a recargli le più orribili ingiurie. Chi lo guarda e lo beffeggia, chi batte palma a palma e lo bestemmia, chi fa fischiate o digrigna i denti, chi crolla il capo e sogghignando esclama: « Va! Suvvia! Tu, che distruggi il tempio di Dio e lo rifabbrichi in tre giorni, salva ora te stesso! Se sei figliuolo di Dio discendi dalla croce! » Ma più empi e protervi di questa vile plebaglia, i sacerdoti, i maggiorenti e i maestri della legge scagliano contro del Giusto inverecondi motti e feroci bestemmie. « Cotesto maliardo, dicono quei tristi, ha salvato gli altri, salvi ora se stesso, se gli basta il vigore. Ei si disse re d’Israele, via! discenda dalla croce sotto gli occhi nostri e non tarderemo a credere nel regno suo. Si è vantato Figliuolo di Dio: vediamo come Dio si affretti a liberarlo. » Oh scellerati Giudei! E non vi basta l’essere venuti a capo delia vostra impresa? Gesù voleste confitto in croce, ed ecco Egli è in croce confitto; a vista delle sue piaghe rimanetevi almeno dall’amareggiarlo con nuovi obbrobri! Ma no! Con delitto più esecrando nel mirare le ambasce del Salvatore più inacerbano la loro collera e più aggravano il loro disprezzo. E Gesù? … Il profeta Isaia, che già molti secoli innanzi aveva descritte e piante le pene destinate al sospirato Redentore, erasi piaciuto dipingerlo a sé e agli altri in sembianza di mite ed innocente agnello, che condotto ad essere ucciso non apre il suo labbro al menomo lamento. Ed invero Gesù, satollo di ogni maniera di obbrobri e di patimenti, da crudi carnefici flagellato e coronato di spine, caricato di pesante croce, e con calci e percosse spinto e trascinato per l’erta di un monte, ed ivi disteso, inchiodato ed innalzato su d’un infame patibolo, mai non aperse la bocca; e a tanti clamori levati contro di Lui non mai altro oppose che un generoso silenzio. – Ma caro Gesù! egli è tempo, che parliate. La vostra dignità fa oltraggiata; il vostro Padre fu offeso; e ciò che è, più ributtante, s’insulta all’innocenza, nella quale voi state per spirare, su, su parlate! Una sola vostra parola sarà bastante a far di tutti questi miserabili un mucchio di cenere! Parlate, che lo aspetta il cielo, che impaziente si è coperto di tenebre.. Parlate … lo aspetta la terra, che trema inorridita bevendo il vostro sangue, parlate… lo aspetta fremendo tutta la natura … parlate, lo aspettano istupiditi gli Angeli … parlate… lo aspettano pieni di rabbia e d’invidia i demoni… parlate… lo aspetta il vostro stesso Padre celeste, che stringe ormai i suoi fulmini per vendicarvi … parlate… Sì, parla Gesù, parla! … ma ben diversamente, da quello che noi aspettiamo. Quanto più forti s’innalzano le voci del cielo e della terra, degli angeli, degli uomini e degli stessi demoni a chiedere vendetta, tanto più forte innalza Gesù il grido dell’amore; e rompendo alla fine i suoi silenzi, rivolti in alto gli oscurati suoi occhi : Padre, esclama, perdona loro, perché non sanno quel che si facciano:

Pater, dimitte illis, non enim sciunt quid faciunt! (Luc. XXIII, 34) Oh parole! oh preghiera! oh misericordia infinita di Gesù Cristo! questo Agnello divino ha interrotto al fine il suo silenzio, ma non per altra ragione che per domandar grazia e perdono a’ suoi crudeli nemici. Ed in qual modo! Con quale efficacia! Quando si farà a lagnarsi del suo abbandono, l’ascolteremo rivolgersi al suo Padre celeste col nome di Dio: Deus, Deus meus; ma ora trattandosi di assicurare a’ suoi crudeli nemici il perdono, lo chiama col nome più dolce che vi sia, col nome di padre, quasi per dirgli: Ricordatevi che Voi siete padre, il più tenero, il più amoroso, il più misericordioso, e che io vi sono il figlio più umile, più sottomesso, più ubbidiente, sino al punto da sacrificare la mia vita fra i più atroci tormenti per compiere la vostra volontà: obediens usque ad mortem, mortem autem crucis. Per le qualità adunque, che adornano la paternità vostra e la mia figliolanza, voi dovete passar sopra al delitto, che costoro han commesso e perdonarli: Pater, dimitte illis. Inoltre ad ottenere più sicuramente l’effetto della sua preghiera, con somma premura si fa ancora in essa a scusare l’enormità del delitto de’ suoi crocifissori, e dice: Non conoscono quello che fauno: Non enim sciunt quid faciunt. Come per dire: Non hanno conosciuto abbastanza che Io sono il Re della gloria, il Salvatore del mondo, il Figlio di Dio; ed è perciò che nel loro furore si sono scagliati a far scempio di Colui, che dovrebbero amare, lodare, benedire, adorare. Sebbene adunque sia grande la loro malizia nell’imperversare che fanno così crudelmente contro di me, abbi tuttavia riguardo, o mio Padre celeste, alla loro ignoranza ed al loro accecamento: Pater, dimitte illis, non enim sciunt quid faciunt. Ah! ben a ragione osserva S. Agostino, non mai vi è stato un avvocato così sollecito, così abile, così efficace a perorare la causa del suo cliente, quanto lo è stato Gesù Cristo nel perorare quella degli stessi suoi crocifissori; perciocché con una prece piena di misericordia infinita allontana da essi la condanna eterna. Per tal guisa mentre i suoi nemici Io provocavano insolentemente a comprovare la sua divinità col discendere dalla croce e salvare se stesso, Egli diede loro una prova di gran lunga  maggiore di quella che chiedevano, e pur rimanendo sulla croce si manifestò Dio nel modo più splendido e più degno, col fare una preghiera, come nota S. Bernardo, non mai intesa per lo innanzi, e che solo un Figlio di Dio, un Dio Egli stesso, poteva fare. Ma perché mai nostro Signor Gesù Cristo ha voluto fare questa preghiera non già in silenzio, nel secreto del suo Cuore Santissimo, ma bensì ad alta voce da essere intesa da tutti coloro, che stavano intorno alla sua croce? Per due principali ragioni. La prima si fu, perché Gesù Cristo divenuto sull’altare della croce vittima di salute per noi, volle continuare, tuttavia sopra di essa, come sopra la cattedra più degna di lui, ad essere il nostro divino maestro e modello. E poiché già più volte nel corso della vita ci aveva ripetuta la legge del perdono, volle ancora ripetercela un’altra volta ed animarci alla sua pratica con queste sublimi parole, e confermarla con questo ammirabile esempio. Dopo di che, chi vi sarà ancora tra di noi, che al più piccolo affronto, che gli sia fatto, vada tosto in collera, e risponda colle ingiurie, coi giuramenti di odio e di vendetta, colle sfide ingiuste e scellerate? Vi sarà ancora tra di noi, chi avendo ricevuto una qualche offesa la covi e l’ingrandisca nel suo cuore, senza volerla affatto perdonare? Ah! si ricordi il misero, che lo stesso Gesù Cristo in altra circostanza ha solennemente dichiarato, che con la stessa misura, con cui avremo misurato gli altri, saremo misurati pur noi, vale a dire che se noi non perdoneremo agli altri le ingiurie, che ci avessero fatte, Iddio non perdonerà neppure a noi i nostri peccati, e che un giudizio senza misericordia è preparato a colui, che non usa misericordia; ma che il vero Cristiano invece, che docile alla dottrina di Gesù Cristo, e imitatore esatto del suo esempio, non concepirà, né conserverà ira od odio per le offese ricevute, che anzi ricambierà le medesime coll’amore, col benefizio e colla preghiera, sarà certamente da Dio perdonato delle sue colpe e premiato largamente delle sue buone opere. Animo adunque, o miei cari, non rendiamo inutile quella divina condotta, che Gesù Cristo ha tenuto in questa circostanza, per nostro ammaestramento ed esempio, ma a sua somiglianza siamo generosi del perdono anche al nostro più fiero nemico. – Ma la seconda ragione, per cui Gesù Cristo ha fatto ad alta voce questa preghiera di perdono, si fu perché conoscessimo, che colla stessa preghiera Egli chiedeva la stessa grazia non solo per coloro che direttamente lo avevano crocifisso, ma ancora per tutti i peccatori, di ogni tempo e di ogni luogo, i quali ancor essi coi loro peccati hanno cooperato alla passione e morte di Gesù Cristo. Ed in vero il divin Redentore rivoltosi al suo Padre celeste non gli disse: Padre, perdona ai Giudei; ma disse: Padre, perdona loro, volendo dire con questa espressione, come ne insegna S. Giovanni Crisostomo: Padre, perdona ai Giudei, perdona ai gentili, perdona agli estranei, perdona ai barbari, perdona al primo uomo, perdona alla sua posterità, perdona, perdona a tutti. Oh pensiero consolantissimo per noi: Tra i patimenti così atroci, che egli soffriva sopra la croce per cagion nostra, Gesù Cristo non ci ha dimenticati; e sebbene vedesse come anche noi colle nostre iniquità ci univamo ai crudeli Giudei per disprezzarlo e dargli la morte, sebbene conoscesse che in noi vi è maggiore malizia, perché peccando sappiamo di offendere il più grande dei sovrani, il più tenero dei padri, il più affettuoso tra gli amici, tuttavia pure di noi ha sentito pietà, pure per noi ha implorato perdono, e noi pure ha scusati col dire: Non sanno il male che fanno: Pater, dimitte illis, non enim sciunt quid faciunt. Certamente Gesù Cristo non poteva far uscire dal suo Cuore pieno di amore per noi, una preghiera di più grande misericordia. Ma ciò, che più di tutto ci deve consolare si è, che come tutte le preghiere di Gesù Cristo furono sempre dal suo celeste Padre esaudite, così pure fu esaudita questa. Alla voce potente con cui il Salvatore implorava perdono per i suoi crocifissori e per tutti gli uomini del mondo, Iddio si mosse a pietà, e spense la sua collera, colla penna intinta nel sangue istesso del suo Figlio cancellò il funesto decreto che ci condannava alla morte. Da quell’istante adunque fu stabilito che i nostri peccati per i meriti di Gesù Cristo ci siano perdonati, a sola condizione che col suo divin Sangue facciamo scorrere altresì le lagrime di una vera penitenza. Se è così, o miei cari., non tardiamo più un istante a spezzare le pesanti catene del peccato, veniamo tosto correndo a gettarci anche noi ai pie’ della croce di Gesù Cristo, e al suo Sangue prezioso congiungendo le lacrime nostre, meritiamo davvero che il Padre celeste ci perdoni, e non indarno per alcuno di noi Gesù Cristo abbia detto: Pater, dimitte illis, non enim sciunt quid faciunt. Ma passiamo alla seconda parola.

II. — I profeti della passione e morte di Gesù Cristo, tra le molte circostanze, che ne predissero, vi fu anche questa: che Egli sarebbe stato annoverato fra i scellerati : Et cum sceleratis reputatus est. (Is. xxxv) E lo stesso divin Redentore nell’orto del Getsemani, avendo rivolto la parola a’ suoi discepoli, asserì che era necessario che questa profezia si adempisse: Hoc quoque oportet impleri in me: et cum iniquis deputatus est. (Luc. XXII, 3) E questa profezia ancor essa si adempì.Ed in vero mentre Egli era condotto sulla cima del Calvario,insieme con Lui furono condotti due ladroni, al par di Lui condannati alla morte; e come Lui furono crocifissi, l’uno alla sua destra e l’altro alla sua sinistra. Ora, uno di essi,quello che stava alla sinistra, aveva preso egli pure a bestemmiare Gesù, e gli andava dicendo: « Su, se tu sei veramente il Messia, dammelo a conoscere col salvare te stesso e noi!Ma al contrario il ladro che si trovava alla destra e che fino

allora era stato uno scellerato egli pure, inorridito all’udire il compagno del suo supplizio ad insultare così il moribondo Signore, gli volge tosto questo giusto rimprovero: « E come? nemmeno tu, che pur stai sulla croce, temi la collera di Dio, che ti unisci a questo popolo scellerato per insultare un innocente? Noi, sì che soffriamo le pene giustamente dovute ai nostri delitti, ma questi che cosa ha fatto di male? » Rivoltosi quindi al divin Redentore con un’aria tutta umile, con voce supplichevole e col cuore spezzato dal dolore delle sue passate colpe: Signore, gli disse, ricordati di me, quando sarai giunto nel tuo regno: Domine, memento mei, cum veneris in regnum tuum. (Luc. XXIII, 42) Oh fede meravigliosa di questo buon ladrone! Oh mutamento ammirabile del suo cuore! Oh conversione portentosa sopra ogni altra! Fu grande, senza dubbio, la conversione di Maria Maddalena, perciocché una giovane ricca e peccatrice per eccellenza tutto ad un tratto vincendo le inveterate abitudini della colpa, sinceramente pentita andò a gettarsi ai piedi di Gesù Cristo per darsi interamente al suo amore; ma alla fin flne ella si convertiva, quando alla parola di Gesù Cristo i ciechi riacquistavano la vista, i sordi l’udito, i muti la loquela, i lebbrosi e gli infermi la guarigione, e i morti stessi la vita, allora insomma che Gesù comprovava coi miracoli che Egli era veramente Dio.. Così pure fu grande la conversione di Paolo, perché nell’atto stesso che questo fiero persecutore dei novelli seguaci del Nazareno si scagliava a ricercarli per incatenarli e farli condannare, fu di repente tramutato in un vaso di elezione e in un apostolo delle genti; ma egli si convertiva, quando una subita luce si faceva ad investirlo, quando un colpo ignoto lo balzava da cavallo e quando una voce poderosa risuonava per l’aria gridando: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? Ma questo ladro invece si convertiva allora, che Gesù Cristo pendeva dalla croce egli pure, come un vil malfattore, quando era svillaneggiato non solo dalla plebe, ma dagli stessi sacerdoti e maggiorenti, quando appariva agli occhi di tutti come un prodigio di umiliazione e di miseria. Sì, fu allora, che quest’uomo, sino a quel punto ostinato nel delitto, in un istante si converte, e benché vegga Gesù Cristo in mezzo a tanto obbrobrio, crede fermamente, che Egli sia l’innocente, il santo per eccellenza, il sovrano padrone del regno celeste, il Salvatore divino del genere umano; e fu allora che, rimproverato acerbamente il suo compagno degli insulti, che gli profferiva contro, a lui si rivolse, e colla fede più viva, coll’umiltà più profonda, colla contrizione più perfetta gli disse: Signore, ricordati di me, quando entrerai nel tuo regno: Domine, memento mei, cum veneris in regnum tuum. Ma tutto ciò, o miei cari, non fu che un miracolo della potenza della grazia, della bontà di Gesù Cristo. Fu Egli, che sebbene come uomo stesse soffrendo ogni sorta di ludibri, di scherni e di tormenti, come Dio dispiegò ed esercitò in questo ladro quella forza ineffabile, che penetra nelle menti più ottenebrate e le illumina, che tocca i cuori anche più duri e li muta, che comanda alle volontà anche più ribelli e le doma. Fu Egli che commosse quest’uomo sino a quel momento indurato nella colpa, fu Egli che lo animò di una fede sì viva, di una umiltà sì profonda, di una contrizione sì perfetta; fu Egli che gli ispirò e gli suggerì quella bella preghiera; fu Egli che in un attimo, di questo scellerato fece un penitente, un profeta, un evangelista, un martire, un confessore, un predicatore pubblico e coraggioso della sua innocenza, della sua potenza, del suo regno, della sua divinità e della sua redenzione. E così, mentre i Giudei, stupidi e maligni, collocando Gesù tra due ladroni, non avevano pensato ad altro che a maggiormente avvilirlo, beffati da Dio nella loro stupidità e malizia, non servirono invece che a renderlo più glorioso, dandogli agio anche qui di esercitare la sua misericordia, di manifestarsi Dio e di acquistare un nuovo adoratore. Ma se la conversione repentina di questo ladro fu anzitutto l’opera della grazia di Gesù Cristo, non lasciò di essere da parte del ladro una pronta e fedele corrispondenza alla medesima. Epperò questa condotta così ammirabile non poteva rimanere senza premio. Che farà adunque Gesù Cristo? Che cosa gli risponderà? Ah! Gesù Cristo, ascoltata l’umile e confidente preghiera, piega amorosamente verso di lui il suo capo, e con somma dolcezza gli risponde: « Te lo assicuro, oggi sarai meco in paradiso: » Amen dico Ubi: hodie mecum eris in paradiso. (Luc. XXIII, 43) Oh parola! oh risposta degna, d’immortale memoria! Oh prontezza della misericordia divina nel muovere incontro al peccatore penitente ed assicurarlo non solo del perdono, ma della eterna beatitudine. « Oggi sarai meco in paradiso, » vale a dire: Tu chiedi che Io mi ricordi di Te entrato che sarò nel mio regno, ma Io ti dono assai più di quello che chiedi; oggi stesso, prima che il giorno finisca, tu, benché sia stato ladro, sarai in mia compagnia; oggi stesso ti mostrerò agli Angioli come primo trofeo della mia grazia, come primo frutto della mia redenzione; oggi stesso insieme coi giusti che mi attendono nel limbo ti darò a vedere la mia essenza divina, in cui propriamente consiste la vera gloria del paradiso: Hodie meoum eris in paradiso. È dunque vero! L’uomo può ancora allargare alla speranza il suo cuore, quando pure ha passato una vita intera nelle abominazioni del peccato? Sì, o miei cari, nella sua infinita misericordia Iddio è pronto sempre ad accogliere nelle sue braccia il povero peccatore, anche allora che da lunghissimi anni sta lontano da lui. Forse vi saranno qui tra voi di coloro, che da dieci, venti, trenta, quarant’anni accumulano iniquità sopra iniquità, miserie sopra miserie, delitti sopra delitti, e che in questo istante medesimo all’udire il miracolo della grazia del Crocifisso sentono in fondo all’anima un salutare risveglio, che li fa esclamare: Oh se anch’io … Deh! assecondino essi il primo impulso della divina misericordia; non si spaventino al pensiero delle infinite colpe passate; non rispondano alla brama di convertirsi: Per noi è inutile; Dio non ci perdonerà più; no, o dilettissimi, ma, contemplando il buon ladrone accanto a Gesù Cristo, come lui percuotano il Cuore amoroso, come lui gli dicano contriti ed umiliati: Domine, memento mei: Signore, ricordati di me, volgimi il tuo sguardo amoroso; miserere mei; abbimi compassione. E d ancor essi potranno sentirsi ripetere questa consolante parola: Oggi sarai meco in Paradiso: Hodie mecum eris in paradiso. Sì, oggi, perché per la grazia di Dio, l’anima del peccatore può essere spezzata da un dolore sì grande delle proprie colpe, da ricolmare in un istante gli abissi, che la separano da Dio. Senonché, o miei cari, imitando la illimitata fiducia, con cui questo ladro corrispose alla grazia divina, guardiamoci bene dal differire come lui sino agli estremi della vita la nostra conversione. È vero, questo ladro si convertì e si fece santo, direi in quel momento medesimo, in cui l’anima gli fuggiva dal corpo; ma ben diversamente il cattivo ladrone in quel momento istesso si ostinava nella sua colpa, nella sua cecità, nella sua malizia; e propriamente vicino a Gesù Cristo, mentre il sangue di Lui si versa per la salute degli uomini, mentre le sue piaghe stanno aperte per riceverli, mentre insomma la grand’opera della redenzione si compie, egli, il disgraziato, si perde e si avvia con precipizio all’inferno. Ah ciò vuol dire adunque che il divin Redentore, nella misericordia infinita del Cuor suo, assicura il paradiso ai veri penitenti, che docili all’azione della sua grazia prontamente vi corrispondono, ma che d’ordinario abbandona alla loro trista sorte quegli uomini superbi ed ostinati che respingono le misericordiose sue chiamate. Ciò vuol dire che ad ottenere la salute non basta esser vicini alla Croce di Gesù Cristo, frequentando la chiesa, ascoltando anche ogni giorno la messa, intervenendo a processioni e ad altre pratiche devote, se per siffatto modo stando presso alla stessa croce pur si continua ad essere nemici di Gesù Cristo tenendo nell’animo il peccato e nutrendo perciò una profonda inimicizia con Lui. Ciò vuol dire che se si può perire sullo stesso Calvario presso alle piaghe ed al sangue del divin Redentore, vi è ben da tremare per coloro che se ne vivono lontani nei teatri, nei balli, nei ridotti, nei conviti, nelle conversazioni, negli scandali e nella corruzione del secolo. Ciò vuol dire insomma che la misericordia divina non manca a chi prontamente la vuole, la cerca, la invoca, ma che può mancare in eterno a chi ne abusa, a chi non la cura, a chi volontariamente la sfugge. Deh! o miei cari, se oggi la voce di. Gesù Cristo agonizzante, sprigionandosi dal suo Cuore divino ha ferito le nostre orecchie, non vogliamo indurare i cuori nostri. La gioventù, la sanità, il tempo potrebbero sul più bello mancarci, perché la morte propriamente come un ladro può coglierci quando meno si aspetta. Diciamo dunque ancor noi a Gesù Cristo con prontezza e con sincerità: Signore, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno; perché a tutti Gesù Cristo risponda: Oggi sarai meco in paradiso: Hodie mecum eris in paradiso.

III. — Ma ecco che Gesù apre un’altra volta il suo labbro divino e pronunzia un’altra parola, la più dolce, la più tenera, la più consolante di tutte, quella parola con cui ci diede Maria SS. per Madre. Ma perché questa parola è così grande, che basta da se sola a costituire una delle prove supreme dell’amore di Gesù Cristo per noi, dobbiamo senza dubbio riservarla da sola e per altro giorno alle nostre considerazioni. Passiamo ora adunque a meditare la quarta parola, che il divin Redentore profferisce. Gettando lo sguardo sopra la terra sembra di non vedere altro che pene, guai e dolori; tendendo l’orecchio a noi d’intorno sembra non udire altro che lamenti, gemiti e pianti! Tant’è! Dopo la caduta del nostro progenitore il soffrire è divenuto legge universale per tutti gli uomini. Noi cominciamo a piangere appena nati, e il dolore, fattosi compagno del nostro viaggio attraverso a questa valle di lagrime, più non ci lascia sino al termine. Vi ha forse alcuno tra di voi, sebbene entrato da pochi anni per questo cammino della vita, che ignora ancora l’amarezza del pianto! Vi è stato o condizione che si possa sottrarre al dolore? Soffre il povero, ma non soffre meno il ricco; soffre il suddito, ma soffre pure il sovrano. Tutti, tutti soffrono; e in quanti modi diversi! Ma per quanto gravi siano tutto le sofferenze, a cui variamente sono gli uomini assoggettati, forse non ve n’è alcuna maggiore di quella, che opprime un’anima innocente, destinata ingiustamente al supplizio e per essere creduta rea, abbandonata persino dalle persone a lei più care. Io me la immagino quest’anima infelice in un giovane sventurato, che lanciatagli contro la falsa accusa di aver cospirato contro la patria, caricato di ferri vien gettato nel fondo di tetra prigione, perché ivi aspetti il giorno, in cui sarà tratto alla morte. Gli amici, anziché pigliar le sue difese, per timore di essere trascinati nella stessa iniqua sentenza, si sono nascosti. Ognuno tra gli stessi parenti lo aborre, ognuno lo abbandona al suo destino; nessun lo compiange, lo soccorre. Lo stesso suo vecchio padre, quel padre che prima tanto lo amava, ora ritenendolo egli pure colpevole, e costringendo al silenzio ogni affetto di natura, non ricorda il figlio che per far pesare sul suo capo tremendo la sua maledizione! Ah! dite: vi può essere afflizione più grave di questa? Morire innocente e abbandonato maledetto dallo stesso padre! Ahimè! o miei cari, che questa è propriamente la condizione di Gesù Cristo! Anche questa terribile parola: Maledictus, qui pendet in ligno! doveva per Lui essere adempiuta. Gesù Cristo, vero Figliuolo di Dio, innocente, senza macchia, segregato dai peccatori, colmo di tutte le ricchezze della grazia e della santità, non per necessità, ma per amore venuto sulla terra ad operare la nostra salute, si è rivestito di tutti i peccati degli uomini affine di espiarli. Ma da quell’istante medesimo che Egli fece sue tutte quante le nostre iniquità, il suo divin Padre lo riguardò come reo delle medesime, e senza punto risparmiarlo prese a percuoterlo terribilmente. Lo percosse nella sua nascita, e Gesù patì la povertà, il freddo, la miseria; lo percosse nella sua vita privata e Gesù patì l’esiglio, l’indigenza, la fatica; lo percosse nella sua vita pubblica e Gesù patì l’ingratitudine, gl’insulti e le maledizioni; lo percosse nella sua passione e Gesù patì l’abbandono dei discepoli, il tradimento di Giuda, la cattura, gli obbrobri, la flagellazione, la coronazione di spine, la condanna a morte, il portar la croce, l’esservi sopra confitto; lo percosse sulla croce istessa e in mezzo a quegli atroci tormenti, che andava soffrendo, lo lasciò nel più desolante abbandono. Non già, o miei cari, che il divin Padre abbandonasse Gesù Cristo in quanto alla natura divina, per cui sono tra di loro una cosa sola ed inseparabile, ma lo lasciò tuttavia in abbandono coll’esporre la sua umana ed inferma natura alle potestà delle tenebre, col lasciarlo in balìa de’ suoi nemici, in preda al furore degli nomini e dei demoni, a tutte le ignominie, a tutti gli insulti, a tutte le pene e a tutti gli orrori della croce; col sottrargli ogni protezione, col negargli ogni stilla di consolazione e di refrigerio, e qualunque siasi di quelle dolcezze, con cui confortando poscia i martiri li rendeva contenti e giulivi negli stessi più atroci tormenti, col lasciarlo insomma come immerso ed affogato in un mare di amarezza, anzi col gettarvelo Egli stesso: Proprio filio non pepercit, ned prò nobis tradidit illum. A questo colpo non poté più resistere l’agonizzante Gesù, e raccolto sulle labbra quel misero avanzo di fiato che gli era rimasto, si lamentò d’un sì doloroso abbandono, esclamando a tutta voce: Dio, Dio mio, perché mi hai Tu abbandonato? Deus, Deus meus, ut quid dereliquisti me? (MATT. XXVII, 46). Oh parole da far tremare la terra, da ecclissare il sole, da sbalordire tutta la natura! Certo è, che non vi era cosa più famigliare a Gesù Cristo, quando parlava a Dio o di Dio, che chiamarlo col nome di Padre! Eppure in così grande occasione, in tanta necessità di conforto, dimenticato questo dolce nome, lo chiama col nome augusto e terribile di Dio! Deus, Deus meus! Ah! queste non furono certamente le voci della natura divina, ma bensì le voci della inferma umanità, che vedendosi dall’Eterno Padre trattata come se non fosse quella del suo Figliuolo, non ebbe più l’ardire di chiamarlo Padre, e lo chiamò Dio. E volle dire : « Mio Dio, che io chiamo con questo nome, perché sembra che Tu stesso abbia dimenticato di essermi Padre; lasciandomi a soffrire in questo mare di amarezze senza una stilla sola di quella consolazione, che neppure negasti ad un ladro, che per enormi delitti mi pende su d’un patibolo qui vicino; Dio, Dio mio, perché, mi hai così abbandonato: Deus, Deus meus, ut quid dereliquisti me? » Oh parole! Oh lamento da impietosire un cuore di sasso! Ma di queste parole, di questo lamento noi siamo stati le causa coi nostri peccati. Questa è la conseguenza, questo l’effetto di quell’ingrato abbandono, che noi tante volte adoprammo con Dio. Sì, egli è per te, o superbo sapiente del mondo, perché abbondonasti le verità della fede, che Dio ha abbandonato Gesù; egli è per te, o magistrato iniquo, perché abbandonasti la giustizia, che Dio ha abbandonato Gesù, egli è per te, o vile schiavo degli umani rispetti, perché abbandonasti la pratica della santissima Religione, che Dio ha abbandonato Gesù! Egli è per te, o miserabile assetato dei beni della terra, perché abbandonasti l’equità ne’ tuoi guadagni e il rispetto alle altrui sostanze, che Dio ha abbandonato Gesù! Egli è per te, o sacrilego infame, perché abbandonasti la santità nei sacramenti, che Dio ha abbandonato Gesù! Egli è per te, scellerato marito, perché abbandonasti la tua sposa, che Dio ha abbandonato Gesù; egli è per te, o padre snaturato, perché abbandonasti la cura de’ tuoi figli, che Dio ha abbandonato Gesù; egli è per te, o donna vana e superba, perché hai abbandonato la modestia e l’umiltà; per te, o donzella scandalosa, perché abbandonasti il pudore; per te, o giovane dissoluto, perché abbandonasti l’onestà; per te, figliuolo ingrato, perché abbandonasti l’onore a’ tuoi genitori; per me, sacerdote e religioso indegno, perché abbandonai la santità ed il fervore; egli è per tutti noi, perché tutti abbiamo abbandonato Gesù che Gesù fu abbandonato da Dio! E perché lo abbandonammo? Oh stolti che fummo, Gesù stesso lo dice: « Abbandonarono me, fonte di acqua viva per scavarsi delle sozze pozzanghere! Dereliquerunt me, fontem aquæ vivæ, et fonderunt sibi cisternas… dissipatas. Per un capriccio, per un puntiglio, per una vendetta, per uno sfogo di carne, per un umano riguardo, per una lettura cattiva, per un discorso disonesto, per un piacere da nulla, che non ci ha fruttato che amari rimorsi. Se adunque Gesù Cristo ha sofferto l’abbandono del suo divin Padre per cagion nostra e di questo abbandono gliene ha mosso lamento, non fu già una lagnanza delle pene, che soffriva Egli stesso, ma piuttosto una lezione sensibile delle pene, cui andiamo incontro noi a cagione de’ nostri peccati. Vox istadice S. Agostino – doctrina est, non querela. I peccatori, che si danno con tanta licenza a contentar le passioni, a seguire il vizio, a commettere la colpa, abbandonano violentemente Iddìo, e si allontanano da lui: Elongaverunt a me; (GER. II, 5) ma il Signore abbandona alla sua volta questi peccatori e si fa lontano da essi: Longe est Dominus ab impiis. (Prov. xv, 29) Allora poi soprattutto, quando gli sciagurati si sono ostinati nella via dell’impenitenza e han fatto i sordi ai non pochi richiami della divina misericordia, allora Iddio pronunzia per essi la sentenza dell’eterno abbandono: Curavimus Babylonem, et non est sanata, derelinquamus eam. (GER. LI, 9) Ed allora effettuandosi questa feribile sentenza, verrà giorno, in cui i peccatori grideranno come Gesù Cristo: Deus, Deus meus, ut quid dereliquisti meiE questa straziante elegia del loro cuore, affranto da una maledizione irrimediabile, riempirà l’eco della loro eternità. Ecco la pena terribile, che Gesù Cristo ci ha posto innanzi in quel suo grido. E tutto ciò non fu un’altra prova della sua Carità infinita per noi? Non ha voluto per tal guisa animarci quanto più gli era possibile a non voltargli più mai le spalle, a non volerlo più. abbandonare? Ah! che le mire caritatevoli del Cuore di Gesù Cristo non siano frustrate! Che tutti abbiamo pietà dell’anima nostra! Che tutti prontamente risolviamo di unirci a Gesù Cristo per non abbandonarlo più mal e per non esserne più mai abbandonati. Sì, o Cuore Santissimo, noi ci stringiamo in questo momento alla vostra croce, e confidati nei meriti infiniti del vostro Sangue e delle vostre Piaghe, noi giuriamo solennemente di star sempre d’ora innanzi a voi uniti colla grazia vostra, di seguirvi dappertutto, in tutta la vostra dottrina e in tutti i vostri esempi, per meritarci un giorno la felicissima sorte di unirci a voi con un nodo indissolubile e godere della vostra beata compagnia per tutti i secoli.

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. GREGORIO XVI – “QUEL DIO”

In questa breve lettera, il Santo Padre Gregorio XVI, elogia tutti coloro che con forza e coraggio, si prodigarono in soccorso della Santa Sede, attaccata da sediziosi e turpi figuri, nemici della Chiesa di Cristo e soggetti all’impero del serpente antico. Questa determinazione, che spinse all’epoca quegli uomini valorosi ad impegnarsi in difesa dei diritti della Sede Apostolica perché potesse indipendentemente da qualsiasi potere temporale, esercitare le proprie funzioni apostoliche su tutto l’orbe terrestre, è solo un vago ricordo ed un sogno d’altri tempi oggi che la mollezza e l’indifferenza effeminata anima una società falsamente cristiana in balia del serpente maledetto e dei suoi adepti settari e non guidata che da falsi ed invalidi sacrileghi pastori, dediti a nutrire i propri appetiti, senza curarsi delle anime di fedeli sbandati e lasciati nelle fauci di lupi rabbiosi e leoni voraci e che essi stessi sbranano senza pietà. Qui si può costatare la distanza abissale che corre tra le persone dell’epoca dedite alla salvaguardia della propria fede, anche a rischio della propria vita, e gli abitanti attuali delle stesse terre, ridotti a fantasmi ebbri di piaceri e dediti a vizi vergognosi dai quali traggono una fellonia – come si esprime qui Sua Santità – che li conduce a tradire anche i più elementari doveri verso la patria e la Religione di Cristo. C’è veramente da rifugiarsi in caverne ed invocare che le montagne crollino e seppelliscano questi già morti, come i sepolcri imbiancati dei nostri governanti, nonché degli ipocriti – falsi chierici e falsi fedeli della sinagoga di satana – apparentemente vivi, ma morti nell’anima, sepolti e condannati all’eterna dannazione.

Gregorio XVI
Quel Dio

Quel Dio, che nei suoi impenetrabili consigli non disdegnò chiamare la Nostra debolezza al Sommo Pontificato, non ci dimenticò fra le angustie che fin dai primi momenti del medesimo si moltiplicarono rapidamente, e con un tratto della sua sempre amabile provvidenza, non permettendo che esse fossero superiori alle forze, fornì sollecitamente a Noi con la tribolazione stessa il mezzo di superarla, affinché non fossimo confusi nelle speranze di sicura protezione divina, le quali già esternammo vivissime nell’indirizzare per la prima volta la voce ai Nostri popoli. Perciò, mentre annunciamo lieti che si è calmata la tempesta e resa la tranquillità nelle province (che persone nemiche della religione e del trono desolarono con gli orrori della fellonia), esultiamo nel poter proclamare, a gloria del vero, che, se si conserva incontaminata nel Nostro popolo Romano la purità di quella fede, che con divina testimonianza asserì l’Apostolo Paolo essere annunziata in tutto l’universo, costante del pari e celebrata in tutta l’Europa è la sua fedeltà a chi ne è costituito Padre e Sovrano. – Dolce è per Noi rendere così un pubblico elogio ad un popolo tanto fedele, da cui perciò anche nei momenti più torbidi non Ci saremmo mai allontanati, risoluti di dividere con esso quella sorte con la quale fosse piaciuto a Dio umiliarci sotto la potente sua mano. L’attaccamento sincero, la filiale obbedienza, la docile sommissione dello stesso popolo verso la Nostra persona, come ispiravano a Noi una illimitata fiducia nel medesimo, così Ci renderanno sempre cara la memoria delle commoventi dimostrazioni che esso cercò di fornire con i modi più luminosi. – Passarono, mercé il divino soccorso che nel fervore di pubbliche e private preghiere affrettarono i Nostri figli, passarono i giorni di tristezza, e in un con l’arco si spezzarono le armi, che mani sacrileghe imbrandirono per portare nell’agro Levitico devastazione e pianto. La Sede del Cristianesimo, che per singolare predilezione Dio volle che si reggesse da chi fosse Principe e Pontefice, affinché l’essere egli principe lo rendesse più libero nell’esercizio della sua spirituale autorità, trionfò anche questa volta, difesa contro le macchine dell’empietà da chi la pose quasi torre inespugnabile da cui pendono a mille e mille gli scudi ed ogni armatura dei forti. – Ma se con la sincerità di riconoscenza più viva ravvisiamo nell’imperiale reale esercito Austriaco quelle elette schiere di prodi, alle quali Dio volle riservato il trionfo sopra la perversità dei rivoltosi, e con esso l’onore di restituire i suoi Stati alla Santa Sede, coronando con sì felice successo gl’impulsi incessanti di quella Religione purissima che forma il più bell’elogio dell’augusto e potente loro signore Francesco I (al quale indelebile gratitudine Ci legherà perpetuamente), siano pure gloria e lode a quegli onorati cittadini che, riunitisi premurosi in milizia civica, vegliarono indefessi sotto le armi, e fra i travagli di servizio più stretto, alla salvezza della Nostra persona ed alla quiete di questa città. Noi osservammo con tenerezza gareggiare in questo, generosamente e indistintamente col popolo, persone tratte dalla nobiltà più illustre, e da quanto vi è in tutti gli ordini di scelto e di attivo. Il nostro spirito ne fu commosso sommamente; e caro quindi Ci è il dichiarare che a prove sì belle di tanta devozione corrisponderà sempre la pienezza del Nostro affetto, che non sarà pago se non con la sicurezza della compiuta felicità di figli così fedeli: è per Noi un vero conforto dedicare ad essa le cure più industriose. – Ma in così decisa fedeltà e in così nobile intendimento il popolo Romano ebbe emule le convicine province che, dopo essersi disposte alla difesa dei loro territori, ebbero a gloria d’inviare dei volontari i quali, lasciati i propri focolari, concorsero ad aumentare quella parte preziosa delle Nostre truppe che, sotto esperti ed onorati condottieri, sentì la forza dei giuramenti a Noi prestati, e seppe difendere e far rispettare un suolo sacro alla fedeltà: e qui abbiano tutti l’assicurazione del Nostro pieno gradimento e la promessa che ciò non rimarrà sterile, troppo interessandoci di procurare effettivamente il loro maggiore vantaggio, per quanto le infauste circostanze lo permetteranno. – Vorremmo pur dilatare il cuore con eguali espressioni anche sopra tutti gli altri popoli che Dio affidò al Nostro temporale governo. Ma se essi furono trascinati nelle disavventure della rivolta, Ci è ben noto che non furono, nella massima parte, che vittime della coazione o del timore, come ben dimostrarono l’esultanza e la gioia con cui, appena apparve un raggio di prossima liberazione, scosso il giogo umiliante loro imposto dai sediziosi, e sostituito alle insegne della fellonia il pacifico vessillo del governo Pontificio, si proclamò il ritorno a quel Padre e Sovrano dal cui seno li aveva strappati miseramente il delitto di pochi. – Fermi nel gran pensiero di dare provvidenze che migliorino felicemente lo stato dei Nostri sudditi, volgemmo a questo, anche fra le affliggenti passate calamità, le Nostre sollecitudini: pronti sempre ad ascoltarne i voti che siano figli di autentici bisogni, ed atti ad operare i desiderati vantaggi, manifesteremo premurosi quelle disposizioni che la considerazione del passato e l’esame delle circostanze Ci additano essere le più utili. – Ma tante cure paterne rimarrebbero purtroppo deluse, né potrebbero farci pervenire al bramato intento, e quand’anche Ci si presentasse il più lusinghiero apparato di un felice avvenire, momentanea ne sarebbe la durata se con energiche misure non si prevenisse il ritorno dei disordini, che lasceranno a lungo le tracce dei mali che ne ridondarono. – Memori, perciò, che sarà sempre soffocato il grano eletto se non ne sia divelta fin dalle radici la zizzania che l’uomo nemico vi disseminò, non potemmo che vedere con rincrescimento un atto dato in Ancona il giorno 26 dello scorso marzo, il quale, lasciando illesi gli elementi della ribellione, non ne sospendeva che momentaneamente gli effetti, che tanto più ruinosi si sarebbero risentiti appena fosse mancato quel che ne arrestava il vorticoso torrente. Ma grazie a quel Dio che immenso nella sua provvidenza trae dal male veri beni, ove così giudichi convenire per la causa della maggiore sua gloria, Egli permise nei capi dei faziosi nuove penali cecità. Avverandosi nei medesimi che essi fallirono nei loro vaneggiamenti nello scrutare follemente nuovi mezzi alla loro reità, essi decisero di riparare al bisogno dell’istante col carpire in presenza della forza e con fallaci prospetti d’imminenti sciagure, non senza simulare anche menzogneri pentimenti, un atto del dilettissimo Nostro figlio il Cardinale Benvenuti, il quale senza alcun riguardo alla sublime sua dignità ingiuriato poco prima, assalito, arrestato e caduto per siffatti trattamenti in grave malattia, né ancor reso alla necessaria libertà, era tuttora trattenuto da quegli stessi che con pubblici editti calunniosissimi avevano tentato di formarne un oggetto di popolare indignazione. – Ma chiara evidentemente e troppo conosciuta da tutti era la nullità intrinseca di un atto di tale natura emesso in istato di coazione da chi, con l’essere trascinato prigioniero del nemico, aveva già perduto sull’istante le facoltà di essere interprete della Nostra mente, ed aveva per conseguenza cessato di essere depositario di quei poteri che gli avevano affidato. I buoni se ne rattristarono senza fine, e comune fu il sentimento di dolore per la sorpresa nella quale si vide caduto l’uomo giusto in momenti di trepidazione, e fra i tortuosi sforzi degli implacabili nemici dell’ordine pubblico. Noi, appena ne fummo a conoscenza, riprovammo tale atto, e ne dichiarammo altamente la nullità, che risultava manifestissima per tanti titoli. In linea con questa massima, che ogni sacro e profano diritto garantiva, furono le istruzioni che Ci affrettammo ad ordinare, al solo scopo di allontanare dai Nostri popoli reiterate disgrazie. – Ministri pertanto di quel Signore il quale vuole che si recida ciò che dà causa a scandalo e che sia tolto il fermento guasto che corromperebbe la massa, non dimenticheremo di dovere un giorno render conto a Dio dell’uso che avremo fatto della clemenza come della giustizia. Penetrati dai doveri, che Ci impone la qualità di Principe, avremo sempre presente al pensiero, anche nell’insistere sulle vie della pace, che a questa si deve accompagnare in dolce amplesso la giustizia, la quale da Noi esige severamente di porre nel caso di non poter nuocere coloro che alle reiterate profusioni di pietà e di mansuetudine non corrisposero che con nuovi attentati contro la Religione, contro il Principato, contro la pubblica tranquillità. Debitori ai Nostri sudditi di procurare loro la sicurezza nelle persone, nell’ordine morale e nelle sostanze, non regoleremo che con questo scopo salutare le Nostre provvidenze, tenendoci nei limiti che debbono avere la clemenza e la giustizia. Sia quindi del comune impegno implorare su Noi dalla divina misericordia lume ed aiuto, onde le Nostre determinazioni siano secondo il suo volere, affinché protette da essa rendano quei risultati di soda e costante felicità, che nata, fomentata, accresciuta nel retto e nel vero, può sola rendere soddisfatti i voti che, nell’impartire sui Nostri sudditi l’Apostolica Benedizione, per essi indirizziamo al cielo fervorosissimi.

Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, il 5 aprile 1831, anno primo del Nostro Pontificato.

DOMENICA DELLA FESTA DELLA SANTISSIMA TRINITÀ (2020)

DOMENICA DELLA FESTA DELLA SANTISSIMA TRINITÁ (2020)

O Dio, uno nella natura e trino nelle Persone, Padre, Figlio e Spirito Santo, causa prima e fine ultimo di tutte le creature, Bene infinito, incomprensibile e ineffabile, mio Creatore, mio Redentore e mio Santificatore, io credo in Voi, spero in Voi e vi amo con tutto il cuore.

Voi nella vostra felicità infinita, preferendo, senza alcun mio merito, ad innumerevoli altre creature, che meglio di me avrebbero corrisposto ai vostri benefìci, aveste per me un palpito d’amore fin dall’eternità e, suonata la mia ora nel tempo, mi traeste dal nulla all’esistenza terrena e mi donaste la grazia, pegno della vita eterna.

Dall’abisso della mia miseria vi adoro e vi ringrazio. Sulla mia culla fu invocato il vostro Nome come professione di fede, come programma di azione, come meta unica del mio pellegrinaggio quaggiù; fate, o Trinità Santissima, che io mi ispiri sempre a questa fede e attui costantemente questo programma, affinché, giunto al termine del mio cammino, possa fissare le mie pupille nei fulgori beati della vostra gloria.

[Fidelibus, qui festo Ss.mæ Trinitatis supra relatam orationem pie recitaverint, conceditur:I

Indulgentia plenaria suetis conditionibus (S. Pæn. Ap.,10 maii 1941).

[Nel giorno della festa della Ss. TRINITA’, si concede indulgenza plenaria con le solite condizioni: Confessione [se impediti, Atti di contrizione perfetta], Comunione sacramentale [se impediti, Comunione Spirituale], Preghiera secondo le intenzioni del S. Padre, S. S. GREGORIO XVIII]

Canticum Quicumque

Symbolum Athanasium

Quicúmque vult salvus esse, * ante ómnia opus est, ut téneat cathólicam fidem:
Quam nisi quisque íntegram inviolatámque serváverit, * absque dúbio in ætérnum períbit.
Fides autem cathólica hæc est: * ut unum Deum in Trinitáte, et Trinitátem in unitáte venerémur.
Neque confundéntes persónas, * neque substántiam separántes.
Alia est enim persóna Patris, ália Fílii, * ália Spíritus Sancti:
Sed Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti una est divínitas, * æquális glória, coætérna majéstas.
Qualis Pater, talis Fílius, * talis Spíritus Sanctus.
Increátus Pater, increátus Fílius, * increátus Spíritus Sanctus.
Imménsus Pater, imménsus Fílius, * imménsus Spíritus Sanctus.
Ætérnus Pater, ætérnus Fílius, * ætérnus Spíritus Sanctus.
Et tamen non tres ætérni, * sed unus ætérnus.
Sicut non tres increáti, nec tres imménsi, * sed unus increátus, et unus imménsus.
Simíliter omnípotens Pater, omnípotens Fílius, * omnípotens Spíritus Sanctus.
Et tamen non tres omnipoténtes, * sed unus omnípotens.
Ita Deus Pater, Deus Fílius, * Deus Spíritus Sanctus.
Ut tamen non tres Dii, * sed unus est Deus.
Ita Dóminus Pater, Dóminus Fílius, * Dóminus Spíritus Sanctus.
Et tamen non tres Dómini, * sed unus est Dóminus.
Quia, sicut singillátim unamquámque persónam Deum ac Dóminum confitéri christiána veritáte compéllimur: * ita tres Deos aut Dóminos dícere cathólica religióne prohibémur.
Pater a nullo est factus: * nec creátus, nec génitus.
Fílius a Patre solo est: * non factus, nec creátus, sed génitus.
Spíritus Sanctus a Patre et Fílio: * non factus, nec creátus, nec génitus, sed procédens.
Unus ergo Pater, non tres Patres: unus Fílius, non tres Fílii: * unus Spíritus Sanctus, non tres Spíritus Sancti.
Et in hac Trinitáte nihil prius aut postérius, nihil majus aut minus: * sed totæ tres persónæ coætérnæ sibi sunt et coæquáles.
Ita ut per ómnia, sicut jam supra dictum est, * et únitas in Trinitáte, et Trínitas in unitáte veneránda sit.
Qui vult ergo salvus esse, * ita de Trinitáte séntiat.
Sed necessárium est ad ætérnam salútem, * ut Incarnatiónem quoque Dómini nostri Jesu Christi fidéliter credat.
Est ergo fides recta ut credámus et confiteámur, * quia Dóminus noster Jesus Christus, Dei Fílius, Deus et homo est.
Deus est ex substántia Patris ante sǽcula génitus: * et homo est ex substántia matris in sǽculo natus.
Perféctus Deus, perféctus homo: * ex ánima rationáli et humána carne subsístens.
Æquális Patri secúndum divinitátem: * minor Patre secúndum humanitátem.
Qui licet Deus sit et homo, * non duo tamen, sed unus est Christus.
Unus autem non conversióne divinitátis in carnem, * sed assumptióne humanitátis in Deum.
Unus omníno, non confusióne substántiæ, * sed unitáte persónæ.
Nam sicut ánima rationális et caro unus est homo: * ita Deus et homo unus est Christus.
Qui passus est pro salúte nostra: descéndit ad ínferos: * tértia die resurréxit a mórtuis.
Ascéndit ad cælos, sedet ad déxteram Dei Patris omnipoténtis: * inde ventúrus est judicáre vivos et mórtuos.
Ad cujus advéntum omnes hómines resúrgere habent cum corpóribus suis; * et redditúri sunt de factis própriis ratiónem.
Et qui bona egérunt, ibunt in vitam ætérnam: * qui vero mala, in ignem ætérnum.
Hæc est fides cathólica, * quam nisi quisque fidéliter firmitérque credíderit, salvus esse non póterit.

MESSA

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Doppio di I° classe. – Paramenti bianchi.

Lo Spirito Santo, il cui regno comincia con la festa di Pentecoste, viene a ridire alle nostre anime in questa seconda parte dell’anno (dalla Trinità all’Avvento – 6 mesi), quello che Gesù ci ha insegnato nella prima (dall’Avvento alla Trinità – 6 mesi). Il dogma fondamentale al quale fa capo ogni cosa nel Cristianesimo è quello della SS. Trinità, dalla quale tutto viene (Ep.) e alla quale debbono ritornare tutti quelli che sono stati battezzati nel suo nome (Vang.). Così, dopo aver ricordato, nel corso dell’anno, volta per volta, pensiero di Dio Padre Autore della Creazione, di Dio Figlio Autore della Redenzione, di Dio Spirito Santo, Autore della nostra santificazione, la Chiesa, in questo giorno specialmente, ricapitola il grande mistero che ci ha fatto conoscere e adorare in Dio l’Unità di natura nella Trinità delle persone (Or.). — « Subito dopo aver celebrato l’avvento dello Spirito Santo, noi celebriamo la festa della SS. Trinità nell’officio della domenica che segue, dice S. Ruperto nel XII secolo, e questo posto è ben scelto perché subito dopo la discesa di questo divino Spirito, cominciarono la predicazione e la credenza, e, nel Battesimo, la fede e la confessione nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo ». Il dogma della SS. Trinità è affermato in tutta la liturgia. È in Nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo che si comincia e si finisce la Messa e l’Ufficio divino, e che si conferiscono i Sacramenti. Tutti i Salmi terminano col Gloria Patri, gli Inni con la Dossologia e le Orazioni con una conclusione in onore delle tre Persone divine. Nella Messa due volte si ricorda che il Sacrificio è offerto alla SS. Trinità. — Il dogma della Trinità risplende anche nelle chiese: i nostri padri amavano vederne un simbolo nell’altezza, larghezza e lunghezza mirabilmente proporzionate degli edifici; nelle loro divisioni principali e secondarie: il santuario, il coro, la navata; le gallerie, le trifore, le invetriate; le tre entrate, le tre porte, i tre vani, il frontone (formato a triangolo) e, a volte le tre torri campanili. Dovunque, fin nei dettagli dell’ornato il numero ripetuto rivela un piano prestabilito, un pensiero di fede nella SS. Trinità. — L’iconografia cristiana riproduce, in differenti maniere questo pensiero. Fino al XII secolo Dio Padre è rappresentato da una mano benedicente che sorge fra le nuvole, e spesso circondata da un nimbo: questa mano significa l’onnipotenza di Dio. Nei secoli XIII e XIV si vede il viso e il busto del Padre; dal secolo XV il Padre è rappresentato da un vegliardo vestito come il Pontefice.Fino al XII secolo Dio Figlio è rappresentato da una croce, da un agnello o da un grazioso giovinetto come i pagani rappresentavano Apollo. Dal secolo XI al XVI secolo apparve il Cristo nella pienezza delle forze e barbato; dal XIII secolo porta la sua croce, ma è spesso ancora rappresentato dall’Agnello. — Lo Spirito Santo fu dapprima rappresentato da una colomba le cui ali spiegate spesso toccano la bocca del Padre e del Figlio, per significare che procede dall’uno e dall’altro. A partire dall’XI secolo fu rappresentato per questo sotto forma di un fanciullino. Nel XIII secolo è un adolescente, nel XV un uomo maturo come il Padre e il Figlio, ma con una colomba al disopra della testa o nella mano per distinguerlo dalle altre due Persone. Dopo il XVI secolo la colomba riprende il diritto esclusivo che aveva primieramente nel rappresentare lo Spirito Santo. — Per rappresentare la Trinità si prese dalla geometria il triangolo, che con la sua figura, indica l’unità divina nella quale sono iscritti i tre angoli, immagine delle tre Persone in Dio. Anche il trifoglio servì a designare il mistero della Trinità, come pure tre cerchi allacciati con il motto Unità scritto nello spazio lasciato libero al centro della intersezione dei cerchi; fu anche rappresentata come una testa a tre facce distinte su un unico capo, ma nel 1628 Papa Urbano VIII  proibì di riprodurre le tre Persone in modo così mostruoso. — Una miniatura di questa epoca rappresenta il Padre e il Figlio somigliantissimi, il medesimo nimbo, la medesima tiara, la medesima capigliatura, un unico mantello: inoltre sono uniti dal Libro della Sapienza divina che reggono insieme e dallo Spirito Santo che li unisce con la punta delle ali spiegate. Ma il Padre è più vecchio del Figlio; la barba del primo è fluente, del secondo è breve; il Padre porta una veste senza cintura e il pianeta terrestre; il Figlio ha un camice con cintura e stola poiché è sacerdote. — La solennità della SS. Trinità deve la  sua origine al fatto che le ordinazioni del Sabato delle Quattro Tempora si celebravano la sera prolungandosi fino all’indomani, domenica, che non aveva liturgia propria. — Come questo giorno, così tutto l’anno è consacrato alla SS. Trinità, e nella prima Domenica dopo Pentecoste viene celebrata la Messa votiva composta nel VII secolo in onore di questo mistero. E poiché occupa un posto fisso nel calendario liturgico, questa Messa fu considerata costituente una festa speciale in onore della SS. Trinità. Il Vescovo di Liegi, Stefano, nato verso l’850, ne compose l’ufficio che fu ritoccato dai francescani. Ma ebbe vero principio questa festa nel X secolo e fu estesa a tutta la Chiesa da Papa Giovanni XXII nel 1334. — Affinché siamo sempre armati contro ogni avversità (Or.), facciamo in questo giorno con la liturgia professione solenne di fede nella santa ed eterna Trinità e sua indivisibile Unità (Secr.).

Incipit 

In nómine Patris,  et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus 

Tob XII: 6.

Benedícta sit sancta Trínitas atque indivísa Unitas: confitébimur ei, quia fecit nobíscum misericórdiam suam.

[Sia benedetta la Santa Trinità e indivisa Unità: glorifichiamola, perché ha fatto brillare in noi la sua misericordia.]

Ps VIII: 2

Dómine, Dóminus noster, quam admirábile est nomen tuum in univérsa terra!


[O Signore, Signore nostro, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!]

 Benedícta sit sancta Trínitas atque indivísa Unitas: confitébimur ei, quia fecit nobíscum misericórdiam suam.

[Sia benedetta la Santa Trinità e indivisa Unità: glorifichiamola, perché ha fatto brillare in noi la sua misericordia.]

Oratio

Orémus.

Omnípotens sempitérne Deus, qui dedísti fámulis tuis in confessióne veræ fídei, ætérnæ Trinitátis glóriam agnóscere, et in poténtia majestátis adoráre Unitátem: quaesumus; ut, ejúsdem fídei firmitáte, ab ómnibus semper muniámur advérsis. 

[O Dio onnipotente e sempiterno, che concedesti ai tuoi servi, mediante la vera fede, di conoscere la gloria dell’eterna Trinità e di adorarne l’Unità nella sovrana potenza, Ti preghiamo, affinché rimanendo fermi nella stessa fede, siamo tetragoni contro ogni avversità.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános. Rom XI: 33-36.

“O altitúdo divitiárum sapiéntiæ et sciéntiæ Dei: quam incomprehensibília sunt judícia ejus, et investigábiles viæ ejus! Quis enim cognovit sensum Dómini? Aut quis consiliárius ejus fuit? Aut quis prior dedit illi, et retribuétur ei? Quóniam ex ipso et per ipsum et in ipso sunt ómnia: ipsi glória in sæcula. Amen”. 

[O incommensurabile ricchezza della sapienza e della scienza di Dio: come imperscrutabili sono i suoi giudizii e come nascoste le sue vie! Chi infatti ha conosciuto il pensiero del Signore? O chi gli fu mai consigliere? O chi per primo dette a lui, sí da meritarne ricompensa? Poiché da Lui, per mezzo di Lui e in Lui sono tutte le cose: a Lui gloria nei secoli. Amen.]

 Graduale 

Dan III: 55-56. Benedíctus es, Dómine, qui intuéris abýssos, et sedes super Chérubim.

[Benedetto sei Tu, o Signore, che scruti gli abissi e hai per trono i Cherubini.]

Alleluja

Benedíctus es, Dómine, in firmaménto cæli, et laudábilis in sæcula. Allelúja.

[V.Benedetto sei Tu, o Signore, nel firmamento del cielo, e degno di lode nei secoli. Allelúia, alleluia.]

Dan III: 52 V. Benedíctus es, Dómine, Deus patrum nostrórum, et laudábilis in sæcula. Allelúja. Alleluja. 

[Benedetto sei Tu, o Signore, nel firmamento del cielo, e degno di lode nei secoli. Allelúia, allelúia]

Evangelium

Sequéntia  sancti Evangélii secúndum Matthæum. Matt XXVIII: 18-20

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Data est mihi omnis potéstas in coelo et in terra. Eúntes ergo docéte omnes gentes, baptizántes eos in nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti: docéntes eos serváre ómnia, quæcúmque mandávi vobis. Et ecce, ego vobíscum sum ómnibus diébus usque ad consummatiónem sæculi”. 

« Gesù disse a’ suoi discepoli: Ogni potere mi fu dato in cielo ed in terra: andate adunque, ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo, insegnando loro di osservare tutte le cose, che io vi ho comandate: ed ecco io sono con voi tutti i giorni, fino al termine del secolo ».

OMELIA

Il Vangelo della Domenica.

[Mons. G. Bonomelli, Misteri Cristiani; vol. IV, Queriniana ed. Brescia, 1896]

Dio, uno nella sua essenza o natura, si svolge nella Trinità delle Persone: ecco il mistero primo e massimo della Religione, l’oggetto e il termine supremo della nostra fede. Tutti i simboli o compendi della nostra fede cominciano col professare che un solo è Dio, il principio sovrano d’ogni cosa: « Credo in unum Deum »; poi considerano l’una dopo l’altra le tre Persone, che nell’unica natura sussistono, distinte ed eguali tra loro, e l’una dall’altra procedente con atto semplicissimo ed eterno: poi di ciascuna Persona toccano l’opere compiute fuori della essenza divina, opere che sono come il pallido riflesso e l’aureola caratteristica di ciascuna. – La liturgia della Chiesa, che rispecchia nel corso dell’anno la serie ordinata delle opere singolarmente del Figlio e dello Spirito Santo, il primo Redentore, il secondo Santificatore delle anime, si chiude con la Pentecoste, cioè con lo stabilimento del regno di Cristo e dello Spirito da Lui mandato sulla terra e che deve continuare l’opera sua fino alla consumazione dei tempi. Qual cosa più naturale per la Chiesa quanto il riassumere in una festa la storia tutta della divina rivelazione e invitare tutti i suoi figli a fissare gli occhi illuminati dalla fede nel Principio Uno e Trino, da cui tutto si deriva e si squaderna ciò che esiste in cielo, in terra e nell’inferno? Dopo di aver loro additato Dio, principio senza principio, uno, eterno: dopo aver loro mostrato in quel pelago immensurabile della essenza divina la Persona del Padre, che non emana da altri, che è da sé: dopo aver loro mostrato, che questo Padre genera di sé un Figlio unico, a sé eguale e ricordate l’opere sue dopo fatto uomo: dopo aver loro mostrato lo Spirito Santo, che procede come Amore eterno dal Padre e dal Figlio e che spande nella Chiesa l’onda della vita divina, dopo tutto questo la Chiesa grida a tutti i credenti: – Figli miei! ora dalle cose tutte create, dalle cose tutte compiute dal Figlio fatto uomo e dallo Spirito Santificatore, sollevate gli occhi, risalite il fiume, che dal cielo si versa sulla terra; ficcate lo sguardo nella fonte, nell’origine prima di tutte le cose e riconoscete Dio, che è uno nella essenza e trino nelle Persone, Padre, Figliuolo e Spirito Santo. Ecco la radice, il punto, da cui tutto si irradia, ecco la sintesi suprema della vostra fede. – La festa della Santa Trinità non si poteva meglio collocare che in questa domenica, che segue la Pentecoste, la manifestazione prodigiosa della terza divina Persona. La Festa odierna, o dilettissimi, è la degna corona dei misteri tutti della fede celebrati lungo l’anno e ci riconduce là donde siamo partiti, a Dio Uno e Trino. In questo primo Ragionamento io mi restringerò a commentare il Vangelo, che la Chiesa oggi ci propone a meditare e che esprime in tutta la sua chiarezza e concisione il mistero dell’Unità e Trinità di Dio. I tre versetti, che dobbiamo chiosare, sono gli ultimi dell’ultimo capo del Vangelo di S. Matteo e per intenderli a dovere è forza vedere il nesso con gli antecedenti. In quest’ultimo capo del suo Vangelo, S. Matteo narra la risurrezione di Gesù Cristo e lo fa in modo sì succinto, che più non avrebbe potuto fare. Narra la sua apparizione alle donne e il comando loro fatto di annunziarla agli Apostoli e che si recassero in Galilea, sopra un monte, sul quale die loro la posta, e dove essi lo videro e lo adorarono. E fu là in Galilea, su quel monte, che Gesù rivolse agli undici Apostoli le parole che ho riportate, che sono come l’ultimo suo ricordo, il compendio delle sue raccomandazioni e che ora dobbiamo spiegare. – « Ogni potere mi è dato in cielo ed in terra ». È Gesù che parla. Vi prego di ponderare questa sentenza semplicissima e chiarissima e pronunciata con una sicurezza, che ci deve riempire di stupore. Chi la pronuncia è un uomo, pochi giorni prima confìtto alla croce come un malfattore e mortovi sopra tra due ladroni, oggetto di pietà profonda per alcuni pochi, di abbominio per la nazione intera. È vero: Egli è uscito dal sepolcro poc’anzi con un miracolo, che non ha, ne avrà mai l’eguale. Ma contemplatelo bene: in Lui non vedete che un uomo: un uomo che non ha un solo soldato, che non cinge corona, né la vuole: che non ha un palmo di terra dove posare il capo. Eppure quest’uomo osa dire con una asseveranza, che non ammette dubbio: « Ogni potere mi è dato in cielo ed in terra ». O quest’uomo è pazzo, o questo uomo è Dio: non c’è via di mezzo, giacché sulla terra non vi ebbe mai un solo uomo anche nella ebbrezza d’una potenza sconfinata, nel delirio dell’orgoglio, a cui bastasse l’animo di dire: « Io ho ogni potere in cielo ed in terra ». Qualcuno potè dire: – Io posso tutto sulla terra: chi potrà sottrarsi al mio braccio? – ma aggiungere: – Io ho ogni potere in cielo -, questo non si udì mai. Ora chi potrà dire: Cristo è pazzo? La sua vita, la sua dottrina lo mostrano il sapientissimo degli uomini e per tale lo salutano e riconoscono gli apostoli stessi del libero pensiero; e se non foss’altro la sua creazione, che dopo quasi 2000 anni ci sta sotto gli occhi e ogni dì grandeggia, la Chiesa, ci prova che pari alla sapienza è la sua potenza. Dunque in questa frase d’una audacia inaudita, e che la storia ha suggellato con i fatti, Gesù Cristo si mostra Dio. « Ogni potere mi è dato in cielo e in terra ». Qual potere? Nelle parole di Cristo non si esclude potere alcuno e dove Cristo tutto afferma chi vorrebbe anche solo sospettare una eccezione? A Lui dunque spetta qualunque potere nell’ordine della natura e della grazia, il potere sacerdotale e regale, il potere di ammaestrare e di reggere, il potere di giudicare, di premiare e punire, sempre, dovunque, in cielo ed in terra: « Omnis, omnis potestas data est mihi in cœlo et in terra ». E ponete mente a questa parola: « Mihi » a me! A me solo, quale mi vedete qui, né può avervi parte alcuna qualsiasi uomo, o creatura celeste, a cui Io non la comunichi in quella misura che mi piace. – Ma come, o divin Salvatore? Voi dite che avete ogni potere senza limiti di tempo e di spazio e che questo potere vi è dato? Ma se siete Dio, e noi lo crediamo fermamente, come potete ricevere questo potere da altri? E chi ve lo può dare? Gesù Cristo è Dio e insieme è uomo. Come Dio da chi riceve Egli con la generazione la natura ed ogni cosa? Da Dio Padre. In quanto uomo da chi riceve Egli, come da principio attivo, la natura umana e tutto ciò che con essa è congiunto? Tutto riceve da Dio Padre, da Dio Figlio, da Dio Spirito Santo, unico Dio, Creatore, Conservatore e Santificatore, da Dio-Trinità, che fuori di sé opera con un solo e semplicissimo atto. A ragione adunque Gesù Cristo poteva dire, e come Dio e come uomo, che ogni potere in cielo ed in terra gli era dato e a Lui veniva da Dio. Nondimeno è da credere che Gesù Cristo ciò affermasse di sé specialmente in quanto uomo, perché in quanto uomo colla sua passione e con la sua morte redense l’umana natura e qui parla del potere, che conferisce agli Apostoli e ai loro successori di ammaestrare e governare la Chiesa, che è il suo regno, il suo corpo, la sua sposa secondo il linguaggio dei Libri Santi. Proseguiamo il commento. Io tengo ogni potere in cielo e in terra, dice Cristo: Io lo posso comunicare a chi voglio e in quella forma che voglio: ora lo comunico a voi, miei Apostoli, e a quelli che continueranno l’opera vostra; dacché questo e non altro importa la parola di Cristo, che segue: «Dunque andate, ammaestrate tutte le genti ». Poiché (così e non altrimenti suona il linguaggio di Cristo) poiché ora siete investiti del mio potere istesso, andate ed esercitatelo come Io l’ho esercitato. E qui è prezzo dell’opera fermare la nostra attenzione sopra una verità gravissima e non mai abbastanza inculcata. Il potere stesso di Cristo passa e si travasa da Lui negli Apostoli, ossia nei reggitori della Chiesa. Si muta il soggetto, ma non il potere [Non fa d’uopo avvertire che il potere di Cristo non ha limite, perché è Dio-Uomo e gli è proprio: il potere degli Apostoli e di Pietro, ha quei limiti che a Cristo è piaciuto porre: essi non sono che suoi Vicari e debbono esercitare il potere ricevuto secondo le norme stabilite da Cristo stesso, come è chiaro per la natura stessa delle cose]; si mutano le mani, che ricevono il tesoro, ma non il tesoro istesso: è sempre la stessa acqua quella che sgorga dalla fonte e quella che scorre nel letto del fiume, fosse pure a mille miglia dalla fonte. Per noi ascoltare e ubbidire l’Episcopato presente e Gregorio XVIII è ascoltare e ubbidire agli Apostoli ed a Pietro, ai quali Cristo disse: « Andate e ammaestrate ». Noi, illuminati dalla fede, nei Vescovi e nei successori di Pietro, quali che siano le loro doti e i loro difetti, non vediamo che gli Apostoli e Pietro, dirò meglio, non vediamo che Cristo, che ammaestra e regge la sua Chiesa e attraverso ai secoli continua l’opera sua riparatrice. Due cose Gesù Cristo impone agli Apostoli nelle parole che seguono: « Andate e ammaestrate – Euntes docete». Scopo immediato della venuta di Cristo sulla terra fu la fondazione della Chiesa e per essa la salvezza di tutti gli uomini. Questa Chiesa doveva essere universale secondo la condizione dei tempi e perciò gli Apostoli, destinati a fondare la Chiesa, dovevano spargersi dovunque per far udire dovunque la parola del Maestro: ecco perché dice loro: « Andate e ammaestrate tutte le genti ». Io, così Cristo, ho posto nelle vostre mani il seme della verità: spargetelo sulla terra: ho accesa la face del Vangelo: voi portatela dovunque e illuminate tutto il mondo: Io non vi mando a questa o a quella provincia: a questo o quel regno: a questo o quel continente: io vi mando per tutto il mondo, a tutte indistintamente le nazioni. Docete omnes gentes. Tutti gli uomini sono creature di Dio: Dio di tutti gli uomini è Padre e Maestro: dunque a tutti annunziate la verità e la salute, a tutti comunicate i suoi doni senza distinzione – Docete omnes gentes-. Dio, che vi manda, è Creatore di tutti gli uomini e di tutti vuol essere Salvatore -. E qui non è da lasciare un’altra osservazione della più alta importanza. Uditela e ponderatela. Il popolo ebraico in fatto specialmente di religione era d’uno spirito esclusivo senza esempio. Esso rinchiudevasi in sé medesimo e respingeva fieramente tutto ciò che veniva dagli stranieri e considerava come un sacrilegio comunicare ad essi le sue cose sacre, fuorché nel caso che abbracciassero la sua religione, ed anche allora quali difficoltà! Quante precauzioni – La legge mosaica l’aveva informato a questo spirito per isolarlo dagli altri popoli e così impedire il suo pervertimento. Questo rigidissimo esclusivismo religioso era penetrato nelle fibre del popolo, era la sua forza, la sua vita e dopo tanti secoli è quello che lo conserva separato benché disperso. Dio era Dio degli Ebrei: le promesse di Dio ai soli Ebrei: essi il popolo eletto: dagli Ebrei il Messia, che avrebbe soggiogato l’universo per metterlo a loro piedi. Da qui l’odio feroce, il furore degli Ebrei contro S. Paolo, che francamente predica la salute annunziata agli Ebrei dover essere comune a tutte le genti. È questo un fatto storico, che non ha bisogno d’essere dimostrato. – Ebbene: Gesù Cristo è nato in mezzo a questo popolo; è cresciuto ed educato nell’ultimo angolo della terra d’Israele, dove era ancora più tenace che altrove questo spirito di isolamento e di egoismo religioso nazionale: Gesù Cristo non era mai uscito dagli angusti confini di Israele anche per non offendere questo sentimento estremamente geloso de’ suoi connazionali. Eppure, eccolo comandare ai suoi discepoli, tutti profondamente imbevuti dello spirito giudaico, di annunziare a tutti i popoli le promesse di Abramo e di Giacobbe, le promesse fatte a Davide e ai Profeti. Gesù Cristo con questo comando formale « Andate, ammaestrate tutte le genti » atterra il muro di bronzo, che separa Israele da tutti gli altri popoli, sfata il pregiudizio comune e antichissimo, che della verità e della vita divina faceva il patrimonio d’una piccola nazione e inizia un’era novella, che nessun uomo mai aveva neppure immaginato. Perché dovete sapere che se l’egoismo religioso nazionale aveva radici sì profonde in Israele, ch’era quasi impossibile divellere, un altro egoismo non meno tenace appariva nei popoli gentili stessi più colti: Le più alte intelligenze, il fiore dei filosofi di Grecia e di Roma (basta ricordare Marco Tullio), erano persuasi, essere stoltezza credere di poter ridurre tutti gli uomini a professare le stesse dottrine e la scienza del retto vivere, il conoscimento delle verità più elevate essere riservato alle menti superiori, spettare alla sola aristocrazia dei maggiori ingegni. E non è difficile comprendere come questo errore dovesse naturalmente entrare e radicarsi nelle menti stesse dei più dotti tra gentili. Il perché se gli Ebrei nel loro orgoglio nazionale delle verità divine fecero un monopolio a proprio vantaggio, i gentili lo facevano a profitto d’un numero ancor più scarso di uomini, la classe privilegiata dei dotti e dei filosofi. E Gesù Cristo, questo povero operaio di Nazaret, quest’umile Maestro di umili pescatori, questo crocifisso risorto, sopra un colle di Galilea, ad undici uomini, rozzi, ignari del mondo, impigliati ancora in tutti i pregiudizi giudaici, senza protezioni, sforniti d’ogni scienza umana, che vivono di pesca e di elemosina, senza mostrare la più lieve esitanza, dice: « Andate, ammaestrate tutte le genti! ». Egli, il primo e l’unico, che sulla terra abbia concepito il disegno di raccogliere tutti i popoli in una sola religione, di imporre loro le stesse identiche dottrine dogmatiche e morali, sotto il governo d’un solo capo, e di imporre tutto questo, non con la forza, ma con la sola persuasione, usando della sola parola di uomini i più inetti, che fosse possibile immaginare. L’assurda impresa, lo stoltissimo disegno in gran parte è compiuto e va compiendosi sotto i nostri occhi. Permettete che ora vi domandi: Considerato attentamente e senza pregiudizi tutto questo, che dobbiamo dire di quest’uomo? È egli un pazzo? I pazzi non sanno concepire e attuare senza mezzi il più audace e il più impossibile disegno che sia caduto in mente umana: i pazzi non possono insegnare la più santa e la più sublime dottrina teorica e pratica che siasi udita sulla terra: i pazzi non possono offrire al mondo lo spettacolo della virtù più perfetta possibile, quale veneriamo in Gesù Cristo. Dunque chi è desso Gesù Cristo, che con quelle quattro parole « Andate e ammaestrate tutte le genti » rovescia tutti i pregiudizi giudaici e gentili e fonda la Chiesa universale e signoreggia il tempo e lo spazio e prosegue oggi ancora l’opera immane cominciata duemila anni or sono? Chi è desso? S’Egli non è un pazzo fortunato, non è un uomo. Chi è dunque? Lo dissero gli Apostoli, che vissero con Lui e lo conobbero: – il Figlio di Dio, il Verbo fatto uomo -. Lo disse Egli stesso: « Io e il Padre siamo una cosa sola. Io sono uscito dal Padre, son venuto sulla terra e ritorno al Padre ». Adoriamolo. Ma è da ritornare al testo evangelico, che stiamo chiosando. Allorché un uomo qualunque dà il suo nome ad una società, accetta un ufficio, riceve una dignità, fa parte d’un corpo sociale, accorre sotto le bandiere d’un esercito, ha bisogno d’un segno esterno, che mostri a lui e agli altri tutti il nuovo stato per esso abbracciato, i nuovi doveri assunti e i nuovi diritti od onori acquistati. È ciò che si è sempre fatto e si fa e si farà costantemente, perché l’uomo non può far conoscere i suoi pensieri e i suoi voleri e conoscere gli altrui che per mezzo dei sensi e per conseguenza per mezzo della parola e dei segni. Con parole e segni adunque si dovevano conoscere e distinguere tutti quegli uomini che avrebbero dato il loro nome a Cristo, che sarebbero entrati nel suo esercito, che sarebbero diventati cittadini del suo regno. A chi spettava determinare queste parole, questa formola sacra, questo segno, al quale riconoscere i suoi discepoli, i membri della novella Società? Non v’è dubbio alcuno: il diritto di determinare questo segno e questa formola sacra non poteva spettare ad altri fuorché al Capo e al Fondatore della Società stessa, Gesù Cristo. E l’una e l’altra cosa Egli determinò e prescrisse con una chiarezza e precisione, che mai la maggiore. Udite: « Andate e ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo. [Dire battezzare e lavare è la stessa cosa: ora lavare necessariamente richiama l’idea dell’acqua, che è l’elemento necessario del Battesimo, onde la parola Battesimo indica per se stessa la materia del Sacramento, come la parola ungere indica l’olio]. Ecco, o carissimi, il segno, ecco le parole, con le quali l’uomo è accolto nel regno di Cristo; ecco quel Sacramento, che è la porta della Chiesa e che si compie nel nome augusto di quella Trinità, che oggi adoriamo.L’acqua tra le terrene cose è la più comune e copre ben due terzi della superficie mondiale. Essa stilla dagli eterni ghiacciai, che Coronano tutte le più superbe vette dei monti; zampilla perenne dai loro fianchi, scorre pei ruscelli, per i torrenti, per i fiumi, si raccoglie negli ampi bacini dei laghi, si raduna e si agita nella immensità degli oceani, penetra nelle viscere della terra, dilatata in nubi passa sui nostri capi e riempie gli sterminati campi dell’atmosfera e irriga e feconda i colli e le pianure e porta dovunque la vita agli alberi e agli animali tutti. Fate che nel deserto o sulle rocce scorra un filo d’acqua e voi vedete sopra di esse verdeggiare l’erba, crescere i fiori e gli alberi e gli uccelli e gli animali accorrervi per dissetarsi. E Gesù Cristo volle che quest’acqua sì comune, sì facile ad aversi, fosse il segno materiale dei suoi seguaci, lo strumento per comunicare loro la vita divina nel Sacramento più necessario. L’acqua! Essa deterge i corpi, li monda, li fa belli e non avendo colore alcuno tutti li cancella e tutti li suscita, scrive S. Cirillo di Gerusalemme, perché spandendosi sui campi e sui prati, li copre di fiori variopinti. Ciò che l’acqua fa nei corpi, mondandoli d’ogni macchia, e sulla terra coprendola di verzura e di fiori, per virtù divina fa nelle anime, nettandole dalla macchia originale e deponendovi i germi della fede, della speranza e della carità, d’onde più tardi germoglieranno tutte le virtù. Ecco perché Gesù Cristo nell’immenso campo della materia diede la preferenza all’acqua, e con essa e per essa volle rigenerare gli uomini e ad essi dischiudere le porte della Chiesa e quelle del cielo. Se non che la materia per se stessa è muta e come è indifferente a ricevere qualunque forma, così è indifferente a significare qualunque cosa: spetta all’uomo determinarne il significato e il valore e ciò esso suol fare con la parola. Perciò, additandovi un agnello, vi dice: Ecco Gesù Cristo; additandovi una colomba, vi dice: Ecco lo Spirito Santo; additandovi una bilancia, vi dice: Ecco la giustizia. La parola circoscrive e determina il senso delle cose e ciò fece Gesù Cristo. Voi, così Egli, laverete l’uomo e per esprimere come quella lavanda produce nell’anima sua, aggiungerete queste parole: « Nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito ». Quell’acqua congiunta con le parole sante, quasi corpo congiunto all’anima, cancellerà il peccato, rimetterà ogni pena per esso dovuta, infonderà la grazia santificatrice e stamperà nello spirito un carattere, un segno indistruttibile, attestante il pieno dominio di Lui. E poiché questo rito sì semplice e sì augusto è a tutti necessario, come è necessaria la vita della grazia, a tutti è dato di amministrarlo. Tanta è la bontà e la larghezza del divino Istitutore! Ed ora, o dilettissimi, studiamoci di penetrare il senso profondissimo di questa formula caduta dalle labbra di Gesù Cristo: « Nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo ».E primieramente giova comprendere la forza di quella parola: Nel nome. Presso gli antichi come presso i moderni, nell’uso sacro come profano, dire: – Nel nome – è dire nel potere, nella autorità, nel diritto di chi si nomina poi: su ciò non è mestieri insistere. Ora dopo la parola:- Nel nome – nel testo sacro vengono nominate distintamente le tre divine Persone. Ponete che quelle tre Persone non fossero eguali, ma diverse per potere e per natura; poteva Egli Gesù Cristo collocarle sulla stessa linea e pareggiarle, dicendo:- Nel nome – cioè nella autorità o nella potestà? Come attribuire a tutte e a ciascuna la stessa dignità, la stessa potenza e quindi la stessa natura? Quando mai un Monarca intima una legge a’ suoi sudditi, dicendo: – Nel nome nostro e del nostro ministro? – Come poteva Gesù agguagliare a Dio altre Persone, che se non sono Dio, sono necessariamente creature e perciò per infinito intervallo a Dio inferiori? Come confondere insieme Dio e le creature, il Padrone d’ogni cosa e i suoi servi? Sarebbe stata una empietà enorme anche per un’altra ragione. Per il rito sacro del Battesimo l’uomo è consacrato a Dio, diviene suo figlio per adozione, ne riceve in sé l’immagine ed il carattere. E volete voi che l’uomo si consacri a creature e creature sarebbero almeno la seconda e la terza Persona nominate quando non fossero Dio? E non sarebbe empietà consacrarsi egualmente a Dio e alle creature, pareggiando queste a quello? Dunque quelle tre Persone, Padre, Figliuolo e Spirito Santo, poste nello stesso ordine, con la stessa autorità o podestà in forza della parola: – Nel Nome – e non nei nomi, sono eguali: se eguali nella autorità e podestà, debbono essere eguali nella natura o nella essenza, perché autorità e podestà, natura ed essenza sono inseparabili. È questa l’argomentazione comune dei Padri affermanti la Santa Trinità contro l’eresia Ariana. [La parola Trinità, se bene mi ricordo, fu introdotta per la prima volta da Tertulliano, quasi ter unitas vel trium unitas, tre volte unità od unità dei tre. Essa esprime sì felicemente il dogma, che la Chiesa la fece sua e ne consacrò l’uso.]. Il dogma della Santa Trinità consta di due termini distintissimi, l’unità della essenza o natura. e la Trinità delle Persone: nella parola: Nome – abbiamo visto il primo termine: nelle voci distinte di Padre, Piglio e Spirito Santo, brilla chiaramente la Trinità delle Persone. E come dubitarne? Ogni parola racchiude in sé il proprio significato, che non può essere quello di un’altra parola se non vogliamo ingannare o giuocare. Ora la parola Padre che significa essa? Certamente significa una persona, che dà principio per via di generazione ad un’altra e che necessariamente non può essere quella che è generata, se non vogliamo dire che generante e generato sono una sola persona. E la parola Figlio che significa essa? Certamente significa una persona, che riceve la vita e tutto l’essere suo per via di generazione dal padre e che per conseguenza necessaria non è il Padre stesso, ma un’altra persona da esso distinta. Chi mai potrebbe confondere in una sola Persona il padre e il figlio? Che significa essa la parola Spirito Santo? Certamente significa alcun che di emanante dalla natura stessa di Colui che lo spira od alita verso un altro, che lo riceve e che perciò è distinto dall’uno e dall’altro e poiché in Dio trattasi di un soffio, od alito o spirito infinito, debb’esser’Egli pure infinito e perciò Persona, tanto più che posto in ordine perfetto ed eguale dopo le Persone del Padre e del Figlio, non può essere che Persona. In questi tre nomi pertanto di Padre, di Figlio e di Spirito Santo non possiamo riconoscere tre attributi o tre perfezioni divine ma sì tre divine Persone, aventi la stessa natura e perfettamente eguali, ma distinte per le proprietà singolari di ciascuna, che non permettono di confonderle tra loro. – Ma forse a taluno di voi si affacceranno alcune difficoltà, che derivano naturalmente dalle voci di Padre, di Piglio e di Spirito Santo usate dal Vangelo, che per se stesse sembrano stabilire una disuguaglianza tra le Persone e quindi sembrano rovesciare il dogma cattolico. Il Padre deve precedere il Figlio e il Padre e il Figlio devono precedere lo Spirito Santo e per ragione della precedenza di origine debbono avere eziandio una precedenza di dignità e di potere. Non è egli così? No, dilettissimi: seguitemi e ve ne persuaderete facilmente. Noi non possiamo né ragionare, né parlare di Dio, della sua essenza, delle Persone divine, dei loro rapporti e delle loro perfezioni se non movendo da noi stessi e dalle cose tutte finite, che ci circondano: da ciò conseguita che qualunque nostro concetto, qualunque nostra idea e parola non possono mai adeguare ciò che pensiamo e diciamo di Dio: tutte le nostre idee e le nostre parole sono e saranno sempre imperfettissime e al tutto inette ad esprimere la verità. Che fare? Non pensare, non parlare mai di Dio e delle cose divine? Tanto varrebbe negare Dio stesso e fare alla ragione e al sentimento umano il massimo degli oltraggi. Pensiamo e parliamo di Dio e delle cose sue meglio che possiamo, correggendo secondo le forze nostre l’imperfezione dei nostri concetti e la povertà del nostro linguaggio. Dalla parola e dall’idea del padre comune e terreno, che conosciamo, assorgiamo alla parola e all’idea del Padre divino, che genera il Figliuol suo unigenito e rimuoviamone tutte quelle imperfezioni, che alla maestà e perfezione infinita di Dio ripugnano. L’uomo è un composto di anima e di corpo e nessuno dei suoi atti è sciolto perfettamente dall’impaccio corporeo: allorché dunque diciamo che in Dio vi è una Persona, che si chiama ed è vero Padre, via ogni immagine o concetto corporeo, perché in Dio non v’ha ombra o mistura qualsiasi di corpo. Per noi sulla terra, soggetti alla legge inesorabile del tempo, il padre esiste necessariamente prima del figlio: via questa precedenza di tempo in Dio, in cui tutto è eterno: il Padre fu sempre Padre e perciò ebbe sempre il Figlio, da Lui generato, ma eternamente generato. Vedeste mai il sole senza la luce, che è sua figlia, sua emanazione? No per fermo: così il Padre per ragione della origine è prima del Figlio, non mai in ordine di tempo, che non esiste: eterno il Padre, eterno il Figlio, cantiamo nel simbolo atanasiano. – Per noi uomini sulla terra la persona del padre è separata dalla persona del figlio: hanno la stessa natura, ma diversamente posseduta: in Dio via questa separazione delle Persone del Padre e del Figlio, perché la loro natura essendo unica e indivisibile e sovranamente spirituale, non può scindersi: essa è tutta ed identica nel Padre e tutta ed identica egualmente nel Figlio, come, o uomo, la tua anima è tutta nella tua mente, nella tua memoria e nella tua volontà. – L’uomo può essere padre di molti figli: via questa idea da Dio Padre, che ha un solo Figlio e non può averne altri. L’uomo, limitato nel tempo e nello spazio e nella natura, svolge gradatamente e con atti successivi e perciò molteplici la sua forza generatrice: Dio Padre, infinito nella sua essenza ed eterno, con un solo, eterno e semplicissimo atto esaurisce la infinita sua fecondità e perciò non può generare che un solo Figlio. L’uomo è libero d’essere e di non essere padre: la sua paternità dipende dalla sua libera volontà: via questo concetto da Dio Padre, che genera il Figliuol suo per natura e perciò necessariamente, ancorché poi lo voglia e vi trovi tutte le infinite compiacenze. – Rimosse tutte queste imperfezioni dalla divina paternità, voi vedete che Dio Padre è vero Padre e più Padre che non lo siano i padri terreni. Sì, il Padre è più Padre che non lo siano i padri terreni; è il Padre de’ padri, il Padre per eccellenza, dal quale, come da fonte prima e da archetipo sovrano, deriva ogni paternità. Egli è Padre per sola sua virtù e per attuare l’infinita sua fecondità non chiede l’aiuto di qualsiasi altro essere, né con altri divide la gloria della sua paternità, come avviene in tutte le creature che sole non possono generare. Egli è Padre da solo, vero e perfettissimo Padre, Padre senza esser figlio, sempre Padre, non altro che Padre, eternamente Padre. O mistero, nel quale chi ficca gli occhi della mente, si perde in un mare di luce! – Lo stesso si dica dello Spirito Santo, la terza Persona della augusta Trinità. Essa è una emanazione semplicissima, sempiterna dal Padre nel Figlio e dal Figlio nel Padre, un alito amoroso dell’uno nell’altro, che non divide l’uno dall’altro, che non cessa mai e nell’unica essenza compie e consuma l’ineffabile loro amplesso. Ma come ciò avvenga e come l’una Persona dall’altra si distingua, una e medesima rimanendo la natura, come in Dio non possono essere che tre Persone e come la mente umana, non può comprendere ma può concepire questo sommo dei misteri e trovarvi tanta luce da vederlo non pure ripugnante, ma conforme alla stessa ragione, lo vedremo nei due Ragionamenti che seguono. Ed ora ritorniamo al nostro commento, giacché ci rimangono ancora da spiegare due magnifiche sentenze. « Voi, diceva Cristo agli Apostoli, colla vostra predicazione e col Battesimo nel nome della Santa Trinità formerete i miei discepoli: ma perché giungano a salvezza basterà egli credere ed essere battezzati? No: la fede e il Battesimo sono necessari, sono il fondamento della giustizia: ma su questo fondamento bisogna innalzare l’edificio delle opere conformi alla fede e perciò Gesù Cristo continua e dice: Voi loro insegnerete ancora che bisogna osservare tutto ciò ch’Io vi ho prescritto ». Intendeste, dilettissimi? La fede e il Battesimo sono il seme della vita eterna; l’osservanza dei precetti, le opere sono i frutti e senza i frutti l’albero è tagliato e gettato ad ardere nel fuoco eterno. Pur troppo certi Cristiani dicono: – Noi siamo Cristiani: abbiamo la fede: la teniamo salda come il più prezioso dei tesori -. Ottimamente! Ma e l’opere della fede dove sono? Dove l’osservanza della legge? Chi non ama Dio non si salva, e non ama Dio chi non adempie la sua legge, lo disse Gesù Cristo medesimo. Non ingannatevi: la sola fede non salva, anzi, scompagnata dalle opere, essa è la vostra condanna. Gesù Cristo chiude il suo discorso con una sentenza, che è il suggello di tutte le altre, che è come il suo testamento, che è il sostegno e il conforto della Chiesa in tutte le sue prove. Eccola: « Ed ecco ch’Io sono con voi fino al termine del secolo » . O promessa consolante! O supremo conforto della Chiesa e di ogni anima cristiana! – Voi andrete, ecco il senso delle parole di Cristo, voi andrete per tutto il mondo: voi predicherete, voi battezzerete, voi continuerete l’opera mia ed altri dopo di voi la continueranno. L’opera, vel dissi, è grande, ardua, affatto superiore alle vostre forze: ma non temete: con voi quando predicherete, quando battezzerete. quando adempirete il vostro ufficio in mezzo alle più terribili lotte, Io, vostro Maestro, vostra guida, Io, Dio-Uomo, Signore d’ogni cosa, sarò con voi. Fin quando? Fino all’ultimo giorno, fino al termine dei tempi. E dove sono Io, vincitore della morte e dell’inferno, ivi è la vittoria -. E come Gesù Cristo sarà Egli sempre con la sua Chiesa? Nella Santa Eucaristia, in cui vive realmente e sostanzialmente presente, qual cibo delle anime, qual vittima espiatrice? Sì: Egli resterà sempre nella sua Chiesa per il Sacramento eucaristico, centro della sua vita. Ma rimarrà solo nella Santa Eucaristia? No: Egli per la sua grazia rimarrà nelle anime giuste, che crederanno in Lui, che spereranno in Lui, che lo ameranno. E non basta. Egli rimarrà sempre nella sua Chiesa, come uno sposo vive con la sua sposa: Egli la reggerà, la difenderà, la illustrerà col lume indefettibile della verità: Egli non permetterà giammai ch’Essa nel suo insegnamento esca dalla dritta via e si faccia banditrice dell’errore. Un giorno Gesù Cristo disse agli Apostoli: « Chi ascolta voi ascolta me ». È questa la sentenza che in altri termini ripete loro prima di lasciare la terra, allorché dice loro: « Ecco Io sono con voi fino al termine del secolo ». Carissimi! Vogliamo essere con Gesù Cristo per i secoli eterni? Siamo con la sua Chiesa nel tempo, con la Chiesa che ammaestra, che governa, che dispensa i Sacramenti e saremo con Gesù per tutta la eternità!

Credo …

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/12/il-credo/

Offertorium

Orémus

 Tob XII: 6. Benedíctus sit Deus Pater, unigenitúsque Dei Fílius, Sanctus quoque Spíritus: quia fecit nobíscum misericórdiam suam. 

[Benedetto sia Dio Padre, e l’unigenito Figlio di Dio, e lo Spirito Santo: poiché fece brillare su di noi la sua misericordia.]

Secreta

Sanctífica, quæsumus, Dómine, Deus noster, per tui sancti nóminis invocatiónem, hujus oblatiónis hóstiam: et per eam nosmetípsos tibi pérfice munus ætérnum. 

[Santífica, Te ne preghiamo, o Signore Dio nostro, per l’invocazione del tuo santo nome, l’ostia che Ti offriamo: e per mezzo di essa fai che noi stessi Ti siamo eterna oblazione.]

Praefatio de sanctissima Trinitate

… Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in unius singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua glória, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretiónis sentímus. Ut in confessióne veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, et in esséntia únitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamáre cotídie, una voce dicéntes:

[ …veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: che col Figlio tuo unigénito e con lo Spirito Santo, sei un Dio solo ed un solo Signore, non nella singolarità di una sola Persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Cosí che quanto per tua rivelazione crediamo della tua gloria, il medesimo sentiamo, senza distinzione, e di tuo Figlio e dello Spirito Santo. Affinché nella professione della vera e sempiterna Divinità, si adori: e la proprietà nelle persone e l’unità nell’essenza e l’uguaglianza nella maestà. La quale lodano gli Angeli e gli Arcangeli, i Cherubini e i Serafini, che non cessano ogni giorno di acclamare, dicendo ad una voce: ]…

Sanctus

Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt coeli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/comunione-spirituale/

Communio

Tob XII: 6. Benedícimus Deum coeli et coram ómnibus vivéntibus confitébimur ei: quia fecit nobíscum misericórdiam suam. 

[Benediciamo il Dio dei cieli e confessiamolo davanti a tutti i viventi: poiché fece brillare su di noi la sua misericordia.]

Postcommunio 

Orémus.

Profíciat nobis ad salútem córporis et ánimæ, Dómine, Deus noster, hujus sacraménti suscéptio: et sempitérnæ sanctæ Trinitátis ejusdémque indivíduæ Unitátis conféssio.

[O Signore Dio nostro, giòvino alla salute del corpo e dell’ànima il sacramento ricevuto e la professione della tua Santa Trinità e Unità.]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/

https://www.exsurgatdeus.org/2018/09/14/ringraziamento-dopo-la-comunione-2/

https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/