IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XIV)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XIV)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

PRIMA PARTE DEL CATECHISMO:

FEDE (11).

8. Art. del simbolo: lo Spirito Santo.

I. LA GRAZIA DELLO SPIRITO SANTO CI È NECESSARIA.

.1. Lo Spirito Santo è la terza Persona di Dio, di conseguenza è Dio; è quindi eterno, presente ovunque, onnisciente, onnipotente.

Lo chiamiamo Spirito Santo perché il Padre e il Figlio rivelano la loro santità attraverso di Esso. (Scheeben, erudito trologo tedesco gesuita, 1835-1888). Lo Spirito Santo è Dio da Dio, come una luce è dalla luce da cui è stata accesa. (Tert); come Il vapore che galleggia sopra le acque, non è di altra natura rispetto alle acque, così lo Spirito Santo è consustanziale al Padre e al Figlio. (S. Cyr. Al.). Io scaccio i demoni – disse Cristo – per mezzo del dito di Dio”, cioè con lo Spirito Santo. Così come il dito è della stessa sostanza del corpo da cui proviene, così lo Spirito Santo ha necessariamente la natura divina (S. Isid.); è chiamato dito di Dio perché è attraverso di Esso che il Padre ed il Figlio entrano in contatto con noi, perché è stato Lui a scrivere le tavole della legge (S. Athan.). L’eternità, l’onnipotenza e l’immensità dello Spirito Santo sono state definite dalla Chiesa contro i Macedoniani teretici nel 2° Concilio Ecumenico di Costantinopoli, nel 381. – Lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio (cfr. p. 57). I Greci rifiutarono di credere a questo dogma e si separarono dalla Chiesa cattolica nell’867 e nel 1053. – Una curiosa coincidenza! Costantinopoli fu conquistata dai Turchi nel 1453, proprio il giorno di Pentecoste.

2. LA MISSIONE DELLO SPIRITO SANTO È QUESTO DI COMUNICARE LE GRAZIE MERITATE DA GESÙ CRISTO NEL SACRIFICIO DELLA CROCE.

Lo Spirito Santo non produce quindi alcuna nuova grazia; agisce solo per completare e rendere fecondo ciò che Cristo ha iniziato; quando il sole sorge, non porta nessun seme sulla terra che illumina con i suoi raggi, ma fa germogliare e crescere i semi già esistenti. – La grazia è un beneficio concesso senza essere obbligati (gratuitamente). Quando un sovrano concede la vita ad un criminale condannato a morte, si dice che gli abbia concesso la grazia. Giuseppe II una volta concesse la grazia ad un bambino. Egli se lo incontrò piangente in una strada di Vienna e gli chiese il motivo delle sue lacrime. Il bambino era andato a vedere un medico per la madre malata, che si rifiutava di venire se non veniva pagato in anticipo. L’imperatore si recò a casa della madre e le scrisse un vaglia di 50 ducati dal tesoro imperiale. Dio fa lo stesso con noi: ci investe di benefici senza alcun merito da parte nostra (Rom. II, 23). Lo scopo di questi benefici divini è talvolta temporaneo, come la salute, la ricchezza e i talenti, e a volte per la nostra salvezza eterna, come il perdono dei peccati”. È dei benefici di quest’ultima specie di cui parliamo qui sotto il nome di grazia. Queste sono le grazie che Gesù Cristo ha guadagnato per noi sulla croce.

3. L’AIUTO DELLO SPIRITO SANTO È ASSOLUTAMENTE INDISPENSABILE PER LA NOSTRA SALVEZZA.

Con le sue sole forze naturali, l’uomo non è in grado di ottenere il paradiso. Ad esempio, si trova in un giardino davanti a un bell’albero e tende le braccia verso il frutto, senza raggiungerlo; arriva il padre, solleva il bambino, che può così raccogliere il frutto. Lo stesso vale per l’uomo: da solo, con le sue forze naturali, è impotente a raggiungere la felicità eterna senza l’aiuto dello Spirito Santo. I nostri occhi non possono vedere o distinguere oggetti troppo lontani, ma hanno bisogno di un telescopio, il nostro braccio ha bisogno di una leva per i carichi troppo pesanti; allo stesso modo le facoltà naturali della nostra anima, così limitate, la nostra ragione e la nostra volontà hanno bisogno di un aiuto soprannaturale per raggiungere la beatitudine eterna; lo Spirito Santo è per l’anima ciò che il telescopio è per l’occhio, la leva per il braccio. Ecco perché Gesù Cristo ha detto: “Se qualcuno è privo dello Spirito Santo, non può entrare nel regno dei cieli. (S. Giovanni III, 5). Non c’è vita senza luce, non c’è navigazione senza nave. È impossibile senza lo Spirito Santo, il soffio di Dio, entrare nel porto della salvezza. (San Macario).

SENZA LO SPIRITO SANTO, NON SIAMO IN GRADO DI COMPIERE IL MINIMO ATTO MERITORIO.

Non possiamo fare nulla senza l’aiuto di Dio, “la nostra capacità viene da Dio”. (II Cor. 111, 5). Dal peccato originale siamo come un malato che, senza l’aiuto degli altri, non è in grado di alzarsi dal letto (S. Tommaso Aq.), ad un bambino che non può badare a se stesso, lavarsi o vestirsi da solo, e che, con gli occhi implora sua madre, versa lacrime finché lei non ha pietà di lui e lo aiuta. (S. Macario). Senza lo Spirito Santo siamo, nonostante i nostri sforzi, come gli Apostoli che, nonostante una notte intera di lavoro, non avevano preso nulla. – L’uomo è incapace di lavorare nelle tenebre; non può fare alcun bene senza la luce della grazia dello Spirito Santo. Il corpo è incapace di qualsiasi azione se non è animato dall’anima; anche l’anima non può fare nulla per il cielo se non è aiutata dal S. Spirito che è la sua vita (S. Fulg.). La luna non brilla senza ricevere luce dall’esterno, così l’anima non può fare nulla di meritorio senza la luce della grazia. (S. Bonav.). La nostra anima produce frutti solo quando è innaffiata dalla pioggia della grazia dello Spirito Santo. (S. Hil.) Senza pioggia non cresce l’erba, non si apre il fiore, non matura il raccolto.; allo stesso modo ogni virtù è impossibile senza la grazia. (S. Greg., S. Iren) La grazia non fa nulla senza la volontà, e la volontà non può produrre alcuna opera meritoria senza la grazia; la terra non fa germogliare nulla senza la pioggia e la pioggia non produce nulla senza essere prima ricevuta dalla terra (S. G. Cris.). L’inchiostro è indispensabile alla penna dello scrittore, e la grazia dello Spirito Santo è essenziale per scrivere le virtù nell’anima (S. Th. Aq.). – Ogni opera meritoria è dunque comunemente prodotta dallo Spirito Santo. e dalla nostra libertà (I. Cor. XV, 10), proprio come il maestro e l’allievo scrivevano insieme quando il primo guidava la mano del secondo. Non possiamo mai attribuirci i meriti delle nostre opere buone. I movimenti del corpo sono opera dell’anima che lo anima, e le nostre opere buone devono essere attribuite a Dio che dà vita alla nostra anima (Rodriguez). Possiamo prenderci il merito delle nostre buone azioni con la stessa facilità con cui un soldato in particolare può prendersi il merito della propria vittoria e non di quella del generale. generale. (San Valeriano).

Con l’aiuto dello Spirito Santo, possiamo compiere il lavoro più difficile.

“Posso fare ogni cosa – dice San Paolo – in Colui che mi fortifica”. (Fil. IV, 13). Gli Apostoli non avevano certo le qualità necessarie per convertire il mondo, né Davide per governare un popolo, né Giuseppe per giustificare la fiducia del Faraone; è il 8. Spirito che li ha resi capaci di ciò che hanno fatto.

2. LE OPERE DELLO SPIRITO SANTO.

Lo Spirito Santo:

1. concede a tutti gli uomini la grazia attuale,

2. concede a molti uomini la grazia santificante;

3. spesso i suoi sette doni, raramente le grazie straordinarie;

4. conserva e dirige la Chiesa cattolica.

I. La grazia attuale.

1. Lo Spirito Santo agisce spesso su di noi in questa vita, illuminando la nostra comprensione, rafforzando la nostra volontà. Questa azione temporanea dello Spirito Santo si chiama grazia attuale o divina ispirazione.

A Pentecoste lo Spirito Santo ha esercitato questa azione sugli Apostoli; illuminò le loro menti e rafforzò la loro volontà. In precedenza erano stati uomini ignoranti, che Cristo stesso chiamava uomini che tardavano a credere (Lc. XXIV, 25), e da quel momento in poi ebbero risposte per tutto; prima erano timorosi e tenevano le porte chiuse, ora erano audaci come leoni. Le lingue di fuoco significavano la luce della comprensione; la tempesta, la forza della volontà (la tempesta sradica i grandi pini). – Lo Spirito Santo agisce come il sole, che illumina e riscalda; illumina la mente e riscalda la volontà di bene. Appena il sole sorge, la luminosità delle stelle scompare e vediamo solo la sua luce; allo stesso modo l’illuminazione dello Spirito Santo ci fa disprezzare tutto ciò che abbiamo amato nelle tenebre del peccato, i piaceri della tavola, del gioco, del ballo, ecc. e tutti i nostri pensieri si rivolgono a Dio. La luce del sole fa vedere anche la vera forma delle cose, le profanazioni del nostro corpo o dei nostri abiti, le strade lontane; la luce dello Spirito Santo ci permette di cogliere la verità del mondo, il vero valore delle cose terrene, i nostri peccati, il vero scopo della nostra vita. – Appena il calore del sole si fa sentire, il ghiaccio si scioglie e le piante cominciano a diventare verdi; il calore dello Spirito Santo rende morbida la durezza del nostro cuore attraverso l’amore per Dio e per il prossimo, ci fa produrre rami verdi, cioè atti meritori per il cielo.. – Lo Spirito Santo è una luce che proviene dal Padre delle luci (S. Giacomo I, 17); la grazia attuale è una luce che illumina e muove i peccatori. (S. Aug.) – Nel linguaggio comune, la grazia attuale è chiamata ispirazione divina o anche grazia di aiuto, perché costituisce un aiuto temporaneo per realizzare la nostra salvezza. Cristo ci rappresenta la grazia attuale nella figura del buon pastore che segue la pecora smarrita finché non la ritrova. (Luca XV).

Lo Spirito Santo esercita questa azione in diverse circostanze: attraverso una predica, una buona lettura, una malattia, un lutto, immagini o esempi edificanti, ammonizioni di superiori o amici, ecc.

S. Antonio l’eremita (+ 366) ricevette l’influenza dello Spirito Santo attraverso il sermone sul giovane ricco; i Giudei di Gerusalemme attraverso la predica degli Apostoli il giorno di Pentecoste; S. Ignazio di Loyola (+ 1556), attraverso la lettura della Passione e delle vite dei santi; San Francesco d’Assisi (+ 1226), attraverso una malattia; San Francesco Borgia (+ 1572), attraverso la visione del cadavere della regina Isabella; San Norberto (+ 1134), a causa del pericolo che corse per un fulmine; e così via. In tutte queste anime si produsse una presente una trasformazione subitanea scaturita dall’ispirazione divina dello Spirito Santo. Tutti potevano dire, come San Cipriano: “Quando lo Spirito Santo è entrato nella mia anima, mi ha cambiato in un altro uomo”. – Quasi sempre Dio fa precedere queste ispirazioni dalla sofferenza. La cera non riceve l’impronta del sigillo se prima non viene ammorbidita dal fuoco e schiacciata da una pressione.

L’uomo non è sensibile all’azione dello Spirito Santo finché non è stato ammorbidito dalla sofferenza. La carta viene prima impastata e smaltata prima di poter essere usata per la scrittura, e l’uomo ascolta l’ispirazione dello Spirito Santo solo dopo essere stato purificato dai suoi desideri malvagi.

2. A VOLTE. PER MIRACOLO, L’AZIONE DELLO SPIRITO SANTO POTEVA ESSERE VISTA ED UDITA.

È il caso del battesimo di Gesù, quando si vide la colomba e si udì la voce dal cielo, alla Pentecoste con le lingue di fuoco ed il vento impetuoso, alla conversione di San Paolo. Per donarci lo Spirito Santo, Gesù Cristo ha istituito i Sacramenti, che possono essere percepiti anche con la vista e l’udito.

3. LO SPIRITO SANTO NON CI VIOLA, CI LASCIA LA NOSTRA COMPLETA LIBERTÀ.

Lo Spirito Santo è come una guida che possiamo seguire o meno, soprattutto la colonna di fuoco e di nube che indicava agli israeliti la strada per la Terra Promessa. Lo Spirito Santo è una luce divina, alla quale possiamo chiudere gli occhi. “Seguire la chiamata di Dio o rimanere sordi ad essa è una questione di libero arbitrio”. “Dio non agisce su di noi come su pietre o esseri senza ragione o libertà” (S. Aug.). Dio rispetta la libertà dell’uomo, non la distrugge nemmeno quando l’uomo la usa per perdersi (Mons. Ketteler). Dio non permette allo spirito maligno di toglierci la libertà, non la toglie lui stesso (Santa Gertrude).

L’uomo può collaborare con la grazia attuale, ma può anche resistere.

Saulo collaborava con la grazia, ma il giovane ricco (S. Luc. XVIIÏ) le resisteva. Coloro che, a Pentecoste, si fecero beffe degli Apostoli facendoli passare per ubriachi resistevano alla grazia (Act. Ap. II, 13), così come quelli che deridevano S. Paolo che predicava il Vangelo e la risurrezione dei morti davanti all’areopago di Atene (ibid. XVII, 32). Anche Erode, che aveva saputo della nascita di Cristo dai Magi, si rifiutò di collaborare con la grazia. Anche Lutero si oppose alla grazia alla Wartburg scagliando il suo calamaio contro il muro, dicendo contro il demonio; non era il diavolo che lo perseguitava con questi pensieri: Chi ti ha dato questa missione? Sei saggio tu solo? – Se qualcuno vuole sposarsi, fa una proposta di matrimonio alla persona di cui cerca la mano e il cuore. Questa persona può accettare o rifiutare la richiesta. Dio fa lo stesso: ci fa le sue proposte e noi possiamo accettarle o rifiutarle. (S. F. de Sales). Chi resiste abitualmente alla grazia attuale e muore in questa resistenza, commette un peccato grave e irremissibile contro lo Spirito Santo; assomiglia a satana che resiste ostinatamente alla verità. Da qui l’avvertimento della Scrittura: “Se oggi udite la sua voce, guardatevi dall’indurire i vostri cuori”. (Sal. XCIV, 8).

Chi collabora con la grazia attuale riceve grazie più abbondanti; chi vi resiste perde tutte le altre grazie e subirà un giudizio terribile.

Beato chi collabora con la grazia! Colui che ne utilizza la prima, se ne attira tutta una serie. La grazia usata è come un seme che germoglia. Il servo che ha usato bene i suoi cinque talenti, ne riceve altri cinque come ricompensa. (Matteo XXV, 28). A chi ha già, dice Gesù Cristo, sarà dato di più e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha nulla sarà tolto anche quello che ha. (ibid. XIII, 12). – Ma guai a chi resiste alla grazia. Gerusalemme subì un terribile giudizio (70 d.C) per non aver riconosciuto il giorno in cui Dio l’aveva visitata, le aveva offerto la grazia. (S. Luc. XIX, 41). È alla resistenza alla grazia che si applicano le parole di Gesù: “Getta il servo inutile nelle tenebre esteriori dove ci sarà pianto e stridore di denti” (S. Matth. XXV, 30). Un grande signore è irritato per il mancato rispetto dei suoi doni e dei suoi benefici, Dio, il sovrano padrone del cielo e della terra, è irritato dal rifiuto della grazia dello Spirito Santo, il suo beneficio più importante. “Dio abbandona i pigri” (S. Aug.). Colui che ottiene langrazia senza usarla, non raggiungerà il cielo, più di quanto uno non raggiunge la meta del suo viaggio non salendo sul treno quando questo è in stazione. Il momento attuale della grazia è come il momento critico di una malattia. Se non stiamo attenti, rischiamo la vita. – Molti uomini, ahimè, rendono vane le grazie divine e con le distrazioni e i piaceri mondani respingono lo Spirito Santo che voleva agire su di loro nei momenti di lutto, nelle feste della Chiesa, attraverso la ricezione dei Sacramenti. Dovrebbero invece ritirarsi in solitudine, riflettere seriamente, ricorrere alla preghiera. purificare la propria coscienza con la confessione, come fece Sant’Ignazio di Loyola che, dopo la sua conversione, si ritirò per diversi mesi nella grotta di Manresa per diversi mesi, e Santa Maria egiziaca, che dopo la sua conversione si confessò e si stabilì nel deserto. I piloti salpano non appena si accorgono che il vento è favorevole; allo stesso modo dobbiamo lasciarci condurre, non appena sentiamo il soffio dello Spirito Santo (Louis de Gren.). Se non seguiamo la grazia con docilità e prontezza, Dio la ritira da noi. La grazia è come la manna, che doveva essere raccolta al mattino presto e che i pigri trovavano sciolta. (San F. de Sales). – Più grandi sono le grazie ricevute, più grande è la responsabilità (S. Grég. M.), perché, dice Gesù Cristo, molto sarà chiesto a colui al quale molto è stato dato.m(S. Luc. XII, 48).

4. LO SPIRITO SANTO AGISCE SU PECCATORI E GIUSTI, ERETICI ED INFEDELI, COSÌ COME SUI CATTOLICI.

Il buon Dio è come il buon pastore (San Giovanni X) che segue la pecora perduta finché non la trova. (S. Luc. XV). Gesù Cristo, la luce del mondo, illumina ogni uomo che viene al mondo (S. Giovanni I, 8); Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità (L Tim. II, 4).

Lo Spirito Santo ha agito per la salvezza degli uomini fin dall’inizio del mondo, ma si è dato nella sua pienezza solo dalla Pentecoste.

Durante la prigionia ebraica a Babilonia, lo Spirito Santo agiva spesso sul popolo attraverso i numerosi miracoli che compiva per glorificare Dio: i tre giovani nella fornace, Daniele nella fossa dei leoni. I patriarchi e i profeti erano stati illuminati dallo Spirito Santo, e forse anche i filosofi come Socrate, che aveva riconosciuto l’unità di Dio e fu condannato a morte per averla insegnata (399 a.C.). Così come il sole, prima ancora di apparire, è annunciato dai suoi raggi, così Gesù Cristo, il Sole della giustizia: la sua venuta è preceduta dai raggi luminosi dello Spirito Santo. Così come acconsentiamo ai prestiti quando ci aspettiamo di ricevere del denaro, così Dio ha dato la sua grazia dell’Antico Testamento, in vista della futura soddisfazione del Salvatore.

Ma lo Spirito Santo non distribuisce le sue grazie in modo uguale a tutti gli uomini.l; è più generoso nei confronti dei membri della della Chiesa cattolica.

Uno dei servi ricevette cinque talenti, l’altro due, il terzo uno solo. (S. Matth. XXV, 15). Gli ebrei ricevettero più grazie dei pagani. La Vergine, più di tutti gli altri uomini; le città di Corozaïn e di Betsaida più di Tiro e Sidone; Cafarnao, più di Sodoma (ibid. XI, 31). Ci sono delle grazie universali di cui tutti gli uomini, senza eccezione, sono partecipi; altre grazie sono particolari, cioè concesse solo ad alcune anime destinate da Dio ad una speciale vocazione. (Marie Lat.). Alcune grazie si ottengono attraverso le preghiere di altri o attraverso la corrispondenza alla prima grazia; S. Agostino ottenne più grazie attraverso la preghiera di altri Agostino ottenne più grazie attraverso l’intercessione della madre che mille altre anime; S. Paolo ricevette grandi grazie attraverso la preghiera di altri. Paolo ricevette grandi grazie attraverso le preghiere di Santo Stefano. Gli Apostoli ricevettero molte grazie perché seguirono subito la chiamata di Gesù.

Lo Spirito Santo non agisce sulle anime in modo continuo, ma ad intervalli.

S. Paolo scrisse ai Corinzi: “Ora è il tempo opportuno, ora è il giorno della salvezza”. (2 Cor. VI, 2). Nella parabola della vigna, gli operai sono chiamati una sola volta per ogni serie (S. Matth. XX). La Quaresima, le missioni, il Giubileo sono tempi di grazia; sono come le fiere dove le merci sono più numerose e più economiche. Senza dubbio, lo Spirito Santo può essere acquistato senza denaro e completamente gratuito (Is. LV, 1).

Attingete alle fonti della grazia, per quanto potete, a fiumi interi; verrà un tempo in cui non potrete più bere da esse (S. Ephr.).

5. LE GRAZIE ATTUALI SI OTTENGONO FACILMENTE CON LE OPERE BUONE, LA PREGHIERA, IL DIGIUNO E LELEMOSINA., CON L’USO DEI MEZZI DI SANTIFICAZIONE DELLA CHIESA, LA SANTA MESSA, I SACRAMENTI E LA PREDICAZIONE.

La grazia di Dio non può essere meritata rigorosamente con le opere, dalle buone azioni, altrimenti non sarebbe più grazia (Rm XI, 6). Le opere buone sono necessarie, perché Dio, che ci ha creati senza di noi, non ci salverà senza di noi. (S. Aug.) Quando un mendicante tende la mano per chiedere l’elemosina, questo movimento non costituisce un diritto, ma è necessario per ricevere l’elemosina. (Allioli). Dio ci ha salvati, non per le opere della giustizia che abbiamo fatto, ma per la sua misericordia (Tt II I, 5). Se quindi facciamo molte opere buone, otteniamo più facilmente le grazie. Lo Spirito Santo concede a ciascuno ciò che gli piace (I. Cor. XII, 11), tuttavia secondo la preparazione e la cooperazione di ciascuno. (Conc. de Tr. VI 7); il numero delle grazie attuali è dunque in proporzione alle opere buone. Un mezzo molto efficace per ottenere le grazie è l’invocazione dello Spirito Santo, perché il Padre che è nei cieli dà il buono Spirito a coloro che glielo chiedono (S. Luc.-Xl. 43). – L’invocazione della Beata Vergine non è meno efficace, perché Maria è piena di grazia e dispensatrice di tutte le grazie divine. Questo titolo non è esagerato, perché è il linguaggio dei più grandi Santi, e non è decoroso credere che abbiano mancato la verità, perché erano tutti animati dallo Spirito Santo, che è lo Spirito della verità. (S. Alph.) L’adorazione del Santissimo Sacramento è anche una fonte di grazie, come il ritiro dal mondo, la solitudine in cui Dio parla alla nostra anima (Osea II, 44), la mortificazione dei sensi (repressione della curiosità, evitamento delle conversazioni inutili); gli Apostoli sono un esempio lampante.

II. La grazia santificante.

1. QUANDO IL PECCATORE COLLABORA ALLA GRAZIA ATTUALE, LO SPIRITO SANTO ENTRA NELLA SUA ANIMA PER DARLE UNA LUMINOSITÀ ED UNA BELLEZZA CHE GLI FARANNO GUADAGNARE L’AMICIZIA DI DIO.

Questa bellezza permanente dell’anima, conseguenza della dimora dello Spirito Santo, si chiama grazia santificante.

Quando si permette al fuoco di agire sul ferro, il fuoco penetra nel ferro e il metallo assume un’altra natura: diventa luminoso, incandescente, dorato, per così dire. È lo stesso per l’anima; quando essa si abbandona all’azione della grazia, lo Spirito Santo la penetra e, grazie a questa inabitazione (I Cor. VI, 19) è immediatamente dotata di una qualità permanente: una certa luce, un certo splendore, in altre parole, la grazia santificante. Dio stesso ci ha rivelato che, cooperando con la grazia, l’uomo la attira in sé: “Volgetevi a me e io mi rivolgerò a voi”. (Zac. I, 3); ^Preparate i vostri cuori al Signore.(1 Re VII, 3). L’abito nuziale nella parabola della festa (S. Matth. XXII) e la nuova tunica data al figlio prodigo rappresentano per noi l’anima che ha ricevuto la grazia santificante come un uomo rivestito di una magnifica veste nuova. Lo S. Spirito conferisce una grande bellezza all’anima che l’ha ricevuta, subisce un cambiamento simile a quello di un malato affetto dalla vecchiaia e dalla paralisi, che per miracolo recupera improvvisamente il fulgore di una bella gioventù e si riveste di ornamenti regali. (S. G. Cris.). Perché un palazzo possa degnamente ricevere un sovrano, deve prima essere debitamente preparato, allo stesso modo lo Spirito Santo trasforma l’anima in un magnifico tempio dove Dio possa abitare. (Scheeben). Se potessimo vedere la bellezza di un’anima in grazia di Dio, cadremmo in estasi. (L. de Blois); se potessimo vedere un’anima senza peccato, dimenticheremmo di mangiare e bere per tutta la vita. (S. Vinc. Fer.). Dopo la resurrezione la bellezza del corpo sarà proporzionata a quella dell’anima. “Dobbiamo quindi dedicare tutte le nostre cure alla santificazione dell’anima, perché essa servirà anche al corpo, che altrimenti perirebbe con l’anima. È quindi una follia prendersi tanta cura del proprio corpo, passare tanto tempo ad abbellirlo, senza preoccuparsi della propria anima. – La grazia santificante non consiste quindi semplicemente in una certa compiacenza da parte di Dio nei nostri confronti (Conc. de Tr. VI, 1), ma è un dono dello Spirito divino (S. Giovanni IV, 13). Lo S. Spirito è dunque un fuoco che ci penetra intimamente, e non un semplice raggio di sole che splende in un appartamento. (Scheeben). Questa bellezza dell’anima attira l’amicizia di Dio. Se solo sapessimo quanto ci ama Dio, quando abbiamo la grazia santificante, moriremmo di gioia (S. Madd. de Pazzi). Dio è così buono che, quando siamo in stato di grazia, non ci considera più come suoi servi, ma come suoi amici (S. Giovanni XV, 15). L’amicizia presuppone una certa uguaglianza. – L’elevazione dell’anima dallo stato di peccato a quello di amico di Dio si chiama anche giustificazione. (Conc. di Tr. VI, 4), nuova nascita (S. Giovanni III, 5; Tit. III, 4-7), spogliarsi dell’uomo vecchio e rivestirsi del nuovo (Ef. IV, 22). –

Esempi: appena Davide, il figliol prodigo, Saul si convertirono, ebbero lo Spirito Santo e la grazia santificante; è questo che ha fatto sì che facessero sacrifici così grandi. Infatti, Davide e Saul trascorsero lunghi giorni in preghiera ed in severi digiuni ed il figliol prodigo dovette superare una vergogna straordinaria per tornare da suo padre. È certo che chi ha una contrizione perfetta ha la grazia santificante, anche prima della confessione. Anche i Patriarchi e i Profeti dell’Antico Testamento avevano in loro lo Spirito Santo e la grazia santificante, come risultato del loro spirito di penitenza e della loro fede nella venuta del Salvatore. Molti uomini ricevono lo Spirito Santo Spirito Santo prima del battesimo: è sceso, anche visibilmente, sul centurione Cornelio e su coloro che erano nella sua casa che avevano ascoltato il sermone di S. Pietro (Act. Ap. X. 44).

2. ORDINARDINARIAMENTE LO SPIRITO SANTO ENTRA NELLE ANIME ATTRAVERSO I SACRAMENTI DEL BATTESIMO E DELLA PENITENZA.

Colui che si confessa con contrizione imperfetta riceve la remissione dei peccati soltanto attraverso l’assoluzione del Sacerdote (vedi Parte III: Sacramento della Penitenza). Si può quindi dire che questi sacramenti attingono al tesoro dei meriti di Gesù Cristo, quello che manca alla cooperazione del peccatore penitente, riaccendono la piccola scintilla nel cuore del peccatore in una grande fiamma che divora la pula del peccato; sono anche come una bevanda che accresce le nostre forze.

3. LO SPIRITO SANTO, DIMORANDO NELLE NOSTRE ANIME, COMUNICA LORO LA VERA VITA.

Il nostro Dio è il Dio vivente; la sua presenza produce vita ovunque.

Lo Spirito Santo, abitando nella nostra anima, la vivifica, come vivifica il corpo. Non c’è dubbio che l’anima abbia una vita; essa anima il corpo, è dotata di una volontà e di un’intelligenza in grado di cogliere e amare il bello, il buono ed il vero; ma questa vita naturale dell’anima è una morte rispetto alla vita di Dio, così come la statua è morta rispetto a colui che essa rappresenta. È la vita stessa di Dio che l’anima riceve attraverso la grazia dello Spirito Santo: essa diventa capace di vedere, di amare, di possedere Dio stesso nella sua gloria.. Questa vita divina è chiamata anche soprannaturale. Una volta Elia risuscitò il figlio della vedova di Zareptath (III Re XVII), ed Eliseo, il figlio della sua ospite a Sunam, (IV Re IV) sdraiandosi sul cadavere, applicando la sua bocca, le sue mani, i suoi occhi a quelli del bambino; lo Spirito Santo fa lo stesso per far risorgere la nostra anima alla vita divina con la sua grazia. Si china verso l’anima, la sua immagine, mette la sua bocca sulla nostra per respirare se stesso in noi; mette i suoi occhi sui nostri, cioè ci dà la sua conoscenza; unisce le sue mani alle nostre, dandoci la sua forza divina. La nostra anima rinasce così a nuova vita. (S. Pietr. I, B; 24). L’anima vive in Dio e Dio in essa. – La grazia deposita nell’anima il seme della vita eterna. secondo l’espressione del Salvatore (S. Giovanni IV) una sorgente che scorre verso la vita eterna, cioè ha una forza vivificante per tutta l’eternità. Un seme celeste è posto in noi per far nascere la vita celeste. Siamo una razza celeste il cui Padre è intronizzato nei cieli. Questa è la dignità a cui la grazia ci ha elevato (S. P. Cris.). Mentre i nostri corpi muoiono ogni giorno, la grazia ringiovanisce le nostre anime giorno per giorno. (II Cor. VI, 16). La grazia deposita nel corpo persino il seme della vita eterna. Infatti, dice S. Paolo, se lo Spirito di Dio che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Gesù dai morti risusciterà anche i vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi. (Rom. VIII, 11). Lo Spirito Santo è quindi giustamente chiamato vivificante (Credo della Messa).

Lo Spirito Santo, dimorando in noi per mezzo della sua grazia:

1 . ci purifica da tutti i peccati gravi.

Il ferro arrossato dal fuoco viene liberato dalla ruggine, e noi siamo liberati dal peccato quando il fuoco dello Spirito Santo è penetrato in noi. La grazia è un certo splendore, una luce che cancella tutte le macchie dalla nostra anima e la rende più bella, più brillante. (Cat. rom.). La grazia santificante e il peccato sono quindi incompatibili; – Chiunque sia libero dal peccato grave è la dimora dello Spirito Santo, mentre chi vive nel peccato, è la dimora del diavolo. Tuttavia, anche se la grazia di Dio guarisce l’anima, non guarisce la carne; in questa parte della natura umana, nella carne, come dice l’Apostolo, regna il peccato, cioè il pungiglione del peccato (catech. Romano), la concupiscenza. I più grandi Santi hanno quindi in sé l’inclinazione al male, contro la quale sono obbligati a lottare fino alla morte. Così San Paolo ha detto: “So che nulla di buono abita in me, cioè nella mia carne” (Rm VII, 18). La concupiscenza può essere indebolita in questa vita, ma non distrutta. (S. Aug.). La concupiscenza rimane perché l’uomo riconosca quanto sia pernicioso il peccato, in modo che nella lotta contro la sua natura corrotta abbia sempre la possibilità di acquisire meriti per il cielo.

2. Lo Spirito Santo ci unisce a Dio e ci rende templi di Dio.

Quando lo S. Spirito viene a dimorare in noi, siamo intimamente uniti a Dio. Lo Spirito viene ad abitare in noi, e siamo intimamente uniti a Dio.; sempre secondo l’esempio del ferro arrossato dal fuoco. Chi ha lo Spirito Santo è unito a Cristo, come il tralcio della vite è unito al tronco (S. Giovanni XV, 5), come una goccia d’acqua con il vino di una coppa dove viene versata e da cui acquisisce il colore, l’odore e il sapore del vino (S. Greg. Naz.). Attraverso lo Spirito Santo diventiamo partecipi della natura divina (II. S. Pietro I, 4), non solo di nome, ma in realtà. (S. Cir. Al), siamo per così dire divinizzati (S. Th. A.). Lo Spirito Santo, venendo in noi, agisce come un balsamo che profuma tutto ciò che tocca, come un sigillo che lascia un’impronta sulla cera (Scheeben). La grazia comunica la divinità. (S. Max.). Il fuoco trasforma il ferro nella sua stessa sostanza e lo Spirito Santo trasforma l’uomo in Dio, tanto che la Scrittura chiama gli uomini dèi. (Sal. LXXXI, 6; S. Giov. X, 36). Il raggio di sole che passa attraverso il cristallo lo rende chiaro e luminoso, simile al sole stesso. Lo spirito, questo raggio di oceano di luce della divinità, rende l’anima, toccandola, simile a Dio, santa e celeste (Dr. Schmitt). Il diavolo e i nostri primi genitori desideravano questa somiglianza con Dio, ma in unione con Lui (Scheeben). La grazia ci rende uguali agli Angeli, poiché anch’essi hanno il S. Spirito (S. Bas.). – Lo Spirito Santo fa di noi dei templi di Dio; indubbiamente la sua dimora immediata è nelle anime alle quali dà la vera vita, ma essendo l’anima nel corpo, anche quest’ultimo diventa la dimora dello Spirito Santo. (S. Aug.). L’anima in stato di grazia è quindi come il tempio di Gerusalemme. Il tempio era di un bianco abbagliante all’esterno, ricoperto di lamine d’oro all’interno, abitato da Dio nascosto in una nube, illuminato dal candelabro a sette bracci. Quest’anima è pura da ogni peccato, piena di carità simboleggiata dall’oro, è il trono dello Spirito Santo illuminato dai suoi sette doni. Così San Paolo scriveva ai primi Cristiani: “Non sapete che siete templi dello Spirito Santo?” (I. Cor. III, 16)”. “Voi siete i templi dello del Dio vivente”. (II Cor. VI, 16). Nel Padre nostro diciamo: “Padre nostro che sei nei cieli”; ma sulla terra, il cielo è l’anima del giusto dove abita Dio (S. Aug.). Se qualcuno mi ama, cioè ha lo Spirito Santo in lui, dice Cristo., io e il Padre mio verremo ad abitare in lui. (S. Giovanni XIV, 23).

3. Lo Spirito Santo nobilita le facoltà della nostra anima e ce ne dona di nuove attraverso le virtù teologali e morali.

Per la spiegazione di questa proposizione è sufficiente ricordare i paragoni del ferro arrossato dal fuoco, del cristallo trafitto dai raggi del sole. Lo Spirito nobilita le nostre anime con la sua grazia: vi accende la fiaccola della fede (II. Cor. IV, 6) e il fuoco della divina carità (Rom. V, 5). Ci dona la capacità di credere in Dio, di sperare in lui, di amarlo (cfr. p. 21). In altre parole, ci trasmette le tre virtù teologali (Conc. di Tr. 6, 7). Ci rende anche capaci di seguire le ispirazioni dello Spirito Santo e docili ai suoi impulsi, in altre parole ci conferisce i suoi 7 doni. L’anima in cui abita lo S. Spirito è incline al bene, come il ferro rovente è facilmente piegabile. Questa azione è molto visibile in San Paolo. Paolo; appena l’ha sentito, ha gridato Signore, che cosa vuoi che io faccia?” (Atti degli Apostoli IX, 6). E poiché la grazia inclina la volontà alla pratica del bene morale, noi possediamo grazie ad essa le virtù morali (come facoltà, non come abitudini che possono essere acquisite solo con l’esercizio). – In questo modo, la nostra vita spirituale diventa molto diversa. La vita interiore di un santo differisce radicalmente dalla vita di una persona mondana. Quest’ultima, non avendo lo Spirito Santo, di solito pensa solo al buon cibo, al gioco d’azzardo, ai piaceri, al denaro, agli onori; ha un amore per il mondo, ma manca di pace interiore; l’altro, invece, di solito pensa a Dio, cerca di piacergli e ha un amore per Dio. Così San Paolo diceva: “Non sono io che vivo, ma è Cristo che vive in me”(Gai. II,20). Un uomo di questo tipo disprezza le cose terrene, gode della pace interiore e di un’incommensurabile consolazione, nonostante le più grandi sofferenze. Lo S. Lo Spirito è davvero il Consolatore. (S. Giovanni XIV, 26).

4. Lo Spirito Santo ci dà la vera soddisfazione.

Esso ci dona una pace che supera ogni comprensione (Fil. IV, 7). Colui che è in stato di grazia, e quindi alla luce dello Spirito Santo, assomiglia a un viaggiatore che va per la sua strada alla luce del sole e sotto un cielo sereno, che quindi è in uno stato di gioia. Ben diverso è il caso dell’uomo che dalla luce della grazia è caduto nelle tenebre del peccato; è come il viaggiatore che è costretto a camminare nella notte in mezzo alla tempesta, e che mormora pieno di cattivo umore. Quando un usignolo vede l’alba, canta con tale ardore da scoppiare, per così dire. Tale è la gioia dell’anima quando vede sorgere in lei il sole della giustizia. (S. Vinc. Ferr.). Il ghiaccio non si trasforma in acqua finché il calore non lo penetra e lo scioglie, così l’anima si riempie di coraggio e di consolazione, quando lo Spirito Santo penetra in essa (Alb. Stolz).

5. Lo Spirito Santo è il nostro maestro, il nostro educatore.

Il nostro maestro. Esso ci istruisce nella dottrina della Chiesa cattolica; l’unzione che riceviamo da Lui ci istruisce in tutti i suoi punti. (San Giovanni II). Possiamo imparare la dottrina cristiana, ma senza di Esso non la si coglie; è una scienza morta. Possiamo vedere il corpo umano senza poterne dedurre la natura dell’anima. Allo stesso modo, senza lo Spirito Santo, si può ascoltare esternamente la parola di Cristo senza coglierne il senso e il significato. Al buio è quasi impossibile leggere un libro, così come la Parola di Dio rimarrà incomprensibile per noi senza la luce dello Spirito Santo. (Alb. Stolz.) Ciò che lo Spirito Santo ci dice è infallibile, ma non possiamo mai essere sicuri che lo Spirito Santo ci abbia parlato; ogni Cattolico, per quanto illuminato, ha l’obbligo di attenersi strettamente agli insegnamenti della Chiesa. Chi non li accetta, non ha lo Spirito Santo in sé. (S. Giovanni IV, 6). – Lo Spirito Santo è anche il nostro maestro; ci guida come un padre conduce per mano il suo bambino lungo i sentieri malvagi. “Coloro che sono in stato di grazia sono guidati da Dio in modo molto speciale, e possono dire: ‘Non sono io a governarmi, ma Dio governa in me”. I giusti hanno davvero il regno di Dio dentro di loro” (Cat. rom.), come Cristo ha detto: “Il regno di Dio è dentro di voi”. (S. Luc. XVII, 21).

6. Lo Spirito Santo ci stimola alle opere buone e le rende degne del cielo.

Lo Spirito Santo ci eccita alle opere buone. Lo Spirito, aleggiando sulle acque della creazione primitiva, ha tirato fuori dal caos piante, animali e uomini; Essi fa lo stesso con le anime. Con la sua luce celeste e il suo calore divino, fa sì che esse producano frutti dell’amore di Dio che dureranno per l’eternità. (Scheeben). Il vapore muove la macchina, e lo Spirito Santo (in greco il soffio) che risiede nell’uomo lo muove al bene; lavora in noi come un operaio in una miniera. (Il fiore sboccia ai raggi del sole, così l’anima del peccatore si apre ai raggi della sua luce e diffonde il profumo della virtù e della pietà. – S. Macario). Il corpo si muove sotto l’influsso vivificante dell’anima e l’anima compie opere buone quando è animata dallo Spirito Santo. Questo Spirito è sempre in azione come il fuoco; stimola continuamente al bene, come il vento muove le pale di un mulino a vento. – La grazia dello Spirito Santo rende le nostre opere meritorie. L’anima rende ragionevoli gli atti animali dell’uomo, e lo Spirito Santo rende le nostre azioni umane sante e, per così dire, divine. Senza il sole, la luna non brilla; senza la grazia santificante, le nostre azioni non hanno merito per il cielo. Lo Spirito Santo agisce come un giardiniere che innesta un ramo su una pianta selvatica e le fa produrre non frutti selvatici, ma frutti coltivati. Egli innesta su di noi la grazia santificante, un tralcio dell’albero della vita, Gesù Cristo, e da allora non produciamo più frutti selvatici, cioè frutti puramente naturali, ma opere soprannaturali, e meritorie. In stato di grazia siamo tralci della vite, uniti alla vite, Gesù Cristo, che possono quindi portare frutto. (S. Giovanni XV, 4). – Le opere buone fatte in stato di peccato mortale ci procurano semplicemente le grazie attuali, necessarie per la nostra conversione.

7. Lo Spirito Santo ci rende figli di Dio ed eredi del cielo.

Quando lo Spirito Santo entra nella nostra anima, rinnova in noi il mistero del battesimo di Gesù Cristo, sul quale è sceso in quell’occasione Dio Padre. Dio Padre ci adotta come suoi figli prediletti e il cielo si apre a noi. Essere annoverati tra i figli di Dio è nobiltà suprema. (S. Cipr.). Non abbiamo ricevuto lo spirito di servitù, ma lo spirito di adozione con il quale gridiamo: “Abbah Padre! (Rm VIII, 15). “Tutti coloro che sono mossi dallo Spirito di Dio sono figli di Dio.” (ibid. 14). Ma se siamo figli, siamo anche eredi di Dio e coeredi con Gesù Cristo (ivi, 18). Infatti, i figli hanno sempre un titolo sulla ricchezza del padre (eredità). Sappiamo che questa casa di terra in cui viviamo si dissolve. Dio ci darà un’altra casa in cielo, una casa non fatta con le mani, che durerà per sempre. (II. Cor. V. 1). Lo Spirito Santo rimarrà eternamente in noi. (S. Giovanni XIV, 16). – Quale splendore è quello dell’uomo in stato di grazia! È vero che è invisibile quaggiù, come la brillantezza di un diamante non ancora lucidato. La grazia santificante è, per così dire, l’alba del sole divino. Occorre attendere che essa sorga in noi, che ci penetri e ci illumini con tutto il suo fuoco (Scheeben). Davide ha giustamente cantato: “Rallegratevi nel Signore, ed esultate, o voi giusti (Sal. XXXI, 11). In effetti, la felicità più grande qui sulla terra è lo Spirito Santo nell’uomo; chi lo possiede, possiede il più grande regno, il regno di Dio in lui (S. Luc. XVII, 21). Eppure quanti uomini disprezzano questa suprema felicità, questa filiazione divina, e la vendono alla loro misera carne, preda di vermi.!

5. LA GRAZIA SANTIFICANTE SI CONSERVA E SI ACCRESCE CON LA PRATICA DRLLE BUONE OPERE E CON L’USO DEI MEZZI DI SANTIFICAZIONE DEPOSITATI NRLLA CHIESA.

Il rossore del ferro, la luce ed il calore di un appartamento possono essere aumentati; la grazia santificante può crescere in un’anima. Chi è giusto sia più giustificato, chi è santo sia più santificato! (Apoc. XXII, 11). La rettitudine si conserva e si accresce con le buone opere (Concilio di Trento, VI, 24); è così che Stefano, per esempio, era un uomo pieno di Spirito Santo”. (Act. Ap. VI, ô). “Quando lo Spirito Santo, che è Esso stesso elemosina, non vedrà in te alcuna elemosina, ti abbandonerà, perché non rimane in un’anima senza misericordia”. (S. G. Cris.). Pietre ed erbacce impediscono al sole di dare ai campi tutta la loro fecondità. I nostri peccati sono ostacoli all’azione pienamente efficace dello Spirito Santo. Spirito, devono essere la ricezione dei sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia (Alb. Stolz). I campi devono essere ben preparati se si vuole che il sole sia loro utile. Allo stesso modo le anime devono essere preparate per ricevere lo Spirito Santo attraverso una frequente istruzione negli insegnamenti di Cristo. Cristo non ha agito diversamente con gli Apostoli. – Il peccato mortale porta alla perdita della grazia santificante. Dio non abbandona mai coloro che sono stati giustificati dalla sua grazia, se prima non viene abbandonato da loro. (Concilio di Trento VI, 11). Solo attraverso il peccato mortale l’anima si separa completamente da Dio; ma quando questo viene commesso, lo Spirito Santo lo abbandona immediatamente, ed è ciò che accade ad un corpo quando l’anima lo abbandona. Perciò S. Paolo dà questo avvertimento: “Non spegnete lo Spirito.” (I Tess. V, 19). Il peccato mortale introduce tra Dio, il sole della giustizia, e la nostra anima, nuvole oscure di tempesta, che immediatamente fanno impallidire lo splendore celeste della nostra anima (Scheeben). Il peccato mortale annerisce improvvisamente la veste bianca della grazia santificante; la perdita della grazia porta all’oscuramento dello spirito e all’indebolimento della volontà. “Quando il sole tramonta, l’oscurità e le tenebre velano gli occhi che perdono la vista delle cose, allo stesso modo l’anima, dopo la scomparsa della luce della grazia dello Spirito Santo, si riempie di tenebre e perde la chiara visione della verità. della verità. (Louis de Grenade). Un uomo senza grazia è come un occhio senza senza luce. (Vedi Parte II, gli effetti del peccato mortale). – Chi ha perso la grazia santificante, può recuperarla attraverso il Sacramento della Penitenza, ma solo con uno sforzo serio. Lo spirito maligno entra in un’anima di questo tipo e porta con sé altri sette spiriti più cattivi di lui (S. Matth. XII, 45). È impossibile (cioè molto difficile) per coloro che sono stati illuminati una volta e poi sono nuovamente caduti, essere rinnovato con la penitenza. (Eb. VI, 4).

5. COLUI CHE NON HA LA GRAZIA SANTIFICANTE È SPIRITUALMENTE MORTO E PERIRÀ IN ETERNO.

Come il corpo senza anima è morto, così l’anima senza la grazia dello Spirito Santo è morta al cielo. (S. Aug.); siede nelle tenebre e nell’ombra della morte (S. Luc. I, 79); non sente nulla dello Spirito di Dio, la sua parola gli sembra stoltezza. (Cor. II, 14). Chi non ha la veste nuziale, cioè la grazia santificante, non è ammesso al banchetto nuziale, ma viene gettato nelle tenebre. (S. Matth. XXII, 12). Il tralcio che non è unito alla vite appassisce e viene gettato nel fuoco, così sarà reprobo chi non rimane in Gesù per grazia. Colui che non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene (Rm VIII, 9). Chi non ha la grazia santificante, è in stato di peccato mortale, è abitato da uno Spirito maligno.

6 . NESSUNO SA CON CERTEZZA SE POSSIEDE LA GRAZIA SANTIFICANTE O MENO, O LA POSSIEDERÀ AL MOMENTO DELLA MORTE.

L’uomo non sa se è degno di amore o di odio. (Eccles. IV, 1). Anche S. Paolo dice di sé: “Non sono consapevole di alcuna colpa, ma non per questo sono giustificato”. (I Cor. IV, 4). Salomone, questo re dalla sapienza così divina, divenne comunque un idolatra prima della sua morte. “Possiamo avere la fiaccola della grazia e della carità; ma siamo lontani dalla nostra casa, camminiamo all’aria aperta e un soffio di vento può spegnerla” (S. Bernardo). Il nostro cuore è come un vaso di argilla che può essere rotto dal peccato mortale e il suo contenuto, la grazia santificante, può sfuggire. (Teofilatto). Portiamo il tesoro della grazia in vasi di terracotta molto fragili (II Cor. IV, 7). Perciò san Paolo ci esorta a lavorare per la nostra salvezza con timore e tremore (Fil. II, 12). Possiamo essere fiduciosi di essere in stato di grazia, ma senza una rivelazione speciale non abbiamo la certezza di fede (Concilio di Trento VI, 6). – Si può indubbiamente concludere dalle buone opere lo stato di grazia, perché un albero cattivo non può dare buoni frutti. (S. Matth. VII, 18).

III. I sette doni dello Spirito Santo e le grazie straordinarie.

1. TUTTI COLORO CHE HANNO LA GRAZIA SANTIFICANTE, RICEVONO DALLO SPIRITO SANTO I SUOI SETTE DONI, CIOÈ SETTE ATTITUDINI DELL’ANIMA CHE LE PERMETTONO DI ESSERE FACILMENTE ILLUMINATA E MOSSA DALLO SPIRITO SANTO.

Lo spettro solare ha sette colori. Il candelabro a sette bracci del tempio di Gerusalemme rappresentava i sette doni dello Spirito Santo – Questi doni completano le quattro virtù cardinali. Essi non fanno altro che rimuovere gli ostacoli che ci tengono lontani da Dio, sottomettendo le nostre passioni sensibili all’impero della ragione (S. Thom. Aq.); i sette doni ci spingono verso Dio. Essi perfezionano e illuminano il nostro spirito in modo tale che lo Spirito Santo possa facilmente agire su di esso (illuminare l’intelligenza, muovere la volontà). Nello stesso modo in cui le scuole elementari formano la mente degli alunni in modo da renderla capace di beneficiare delle lezioni di una scuola superiore, così i 7 doni rendono l’uomo capace di ricevere più facilmente lo Spirito Santo. – I 7 doni sono sorpassati dalle tre virtù teologali, perché i 7 doni non fanno altro che condurre l’anima a Dio. Se i 7 doni conducono l’anima a Dio, le virtù teologali la uniscono a Kui. – Chiunque abbia lo Spirito Santo Santo, ha anche i 7 doni, e chi li perde con il peccato mortale li perde allo stesso tempo. – Più si progredisce nella perfezione, più abbondante è la partecipazione ai sette doni. Questi vengono accresciuti anche dalla Cresima.

I sette doni dello Spirito Santo sono: sapienza, intelletto, scienza, consiglio, fortezza, pietà e timor di Dio. I primi 4 illuminano la ragione, gli altri rafforzano la volontà. Questi 7 doni sono enumerati da Isaia, che dice che il futuro Messia li avrebbe posseduti (Is. XI, 3), va da sé, nel grado più eminente.

1. Il dono della sapienza ci fa riconoscere con chiarezza che i beni temporali sono transitori e che solo Dio è il nostro bene sovrano.

S. Paolo considerava spazzatura tutto ciò che il mondo ama e ammira. (Fil. III, 8). Salomone, che aveva goduto del mondo, chiamava tutti i suoi beni e piaceri vanità. (Eccl. I, 2). Sant’Ignazio esclamava spesso: “Come mi disgusta la terra quando penso al cielo! ” e San Francesco d’Assisi: “Mio Dio e mio tutto!”. – Quando il sole tramonta, proietta ombre molto lunghe; le ombre al contrario sono piccole quando è a mezzogiorno. Lo stesso vale per l’uomo; quando lo Spirito Santo si allontana da lui, le cose di questo mondo gli appaiono più grandi. Se lo Spirito regna al centro di questo mondo, esse gli sembreranno piccole, un puro nulla.

2. Il dono dell’intelletto ci permette di distinguere la vera dottrina cattolica da qualsiasi altra e ci rende capaci di difenderla.

B. Clém. Hofbauer, l’apostolo di Vienna (+ 1820), iniziò come garzone di un fornaio. Egli iniziò gli studi solo all’età di 21 anni, li completò molto rapidamente e fu costretto a limitarsi alle conoscenze teologiche più elementari. Le sue numerose occupazioni nel ministero non gli permisero di ampliare considerevolmente le sue conoscenze in in seguito. Eppure, i grandi dignitari della Chiesa chiedevano spesso il suo parere nelle controversie teologiche e sulle nuove opere. Egli senza lunghe riflessioni indicava ciò che non era ortodosso. Per modestia nascondeva l’illuminazione divina dicendo scherzosamente: “Ho un’attitudine cattolica”. Il dono dell’intelligenza – L’intelletto ci dona una profonda convinzione della verità cattolica e una tale facilità nel difenderla che la persona più semplice può confondere i nemici della Chiesa. Santa Caterina (+307) confutò 70 filosofi di Alessandria e li convertì al Cristianesimo. Il Salvatore aveva promesso ai suoi discepoli “di dare loro una tale sapienza che tutti i loro avversari non saranno in grado di resistere o di contraddirla”. (S. Luc. XXI, 15).

3. Il dono della scienza ci permette di comprendere la dottrina cattolica senza uno studio particolare.

Il Curato d’Ars (1859) aveva fatto solo studi ordinari, ma predicava in modo tale che persino i Vescovi assistevano alle sue prediche e si meravigliavano del suo sapere. San Tommaso d’Aquino (+ 1274) affermava spesso di aver imparato sull’altare più di quanto avesse mai imparato dai libri. Allo stesso modo, sant’Ignazio di Loyola diceva di essere dalla grotta di Manresa più sapiente che se fosse stato sotto la direzione di tutti i dottori del mondo. B . Clém. Hofbauer ripeteva spesso queste parole “Io non ho la scienza dei libri” (Sal. LXX, 15). Il vecchio Simeone non aveva appreso dai libri che il bambino posto tra le sue braccia fosse il Messia (S. Luc. II, 26). Dopo la venuta dello Spirito Santo, gli Apostoli furono rivestiti con potenza dall’alto, cioè con una chiara conoscenza di Dio (ibid. XXIV, 49). Paolo fu rapito in Paradiso e udì parole misteriose (II Cor. XII, 4). Tutti i dottori della Chiesa, che, nonostante le loro molteplici occupazioni, scrissero così tanti libri, erano dotati del dono della scienza.

4. Il dono del consiglio ci permette di riconoscere nelle situazioni difficili ciò che sia conforme alla volontà di Dio.

Gesù Cristo ha dato una risposta prudente alla domanda: Dobbiamo pagare il tributo a Cesare? (S. Matth. XXII, 15). Questo dono fece sì che Salomone portasse avanti giudizi notevoli. (III Re 111). Ai satelliti di Giuliano che domandavano a S. Atanasio in fuga : “dov’è Attanasio?” egli rispose: “Non è lontano”. Era il dono del consiglio che lo guidava. Il monaco Notker di S. Gallo (+912) fu spesso consultato da Carlo Magno. Una volta, per gelosia, uno dei cortigiani cercò di umiliare questo santo uomo. Un giorno, mentre quest’ultimo stava pregando in chiesa, il cortigiano andò dritto da lui con i suoi compagni e gli disse: “Uomo dotto, sai cosa sta facendo Dio in cielo?”. – Sì, rispose Notker, Egli innalza gli umili e abbassa i superbi. I cortigiani scoppiarono a ridere e il tentatore se ne andò coperto di vergogna. Il giorno stesso cadde da cavallo e si ruppe una gamba. La risposta di Notker fu l’effetto del dono del consiglio. Il Salvatore aveva già detto agli Apostoli, annunciando le imminenti persecuzioni: “Non preoccupatevi di ciò che risponderete, né di come risponderete, perché in questa stessa ora lo Spirito Santo vi insegnerà ciò che dovrete dire”. (S. Luc. X ll, 12).

5. Il dono della fortezza ci fa sopportare tutto per compiere la volontà di Dio.

5. Giovanni Nepomuceno (+ 1393) si lasciò gettare in carcere, torturare con i ferri rossi, precipitare nella Moldova piuttosto che violare il segreto della confessione. Giobbe non si perse d’animo, nonostante la rovina della sua salute e del suo patrimonio, nonostante la morte dei suoi figli, nonostante la derisione dei suoi amici e di sua moglie. Abramo era pronto a sacrificare il suo unico figlio amato, perché Dio lo voleva. Il dono della fortezza risiedeva in misura eminente nei cuori dei martiri, dei confessori e dei penitenti., ma soprattutto nel cuore della Madre di Dio, la Regina dei martiri. “Fu così costante durante la passione del Salvatore che, se non ci fossero stati i carnefici, lei stessa avrebbe crocifisso suo Figlio se Dio glielo avesse ordinato, perché aveva il dono della fortezza in misura molto maggiore di Abramo (S. Alf.).

6 . Il dono della pietà ci porta a onorare Dio con sempre maggiore fervore ed a compiere sempre più perfettamente la sua santa volontà.

S. Luigi faticava ad allontanarsi dal tabernacolo anche dopo ore di adorazione. Il suo confessore fu costretto a ordinargli di abbreviare le sue visite. Molti dei Santi versavano lacrime durante le loro preghiere e la meditazione delle cose divine.

Quale pietà, quale profonda adorazione di Dio! Santa Teresa aveva fatto voto di fare sempre ciò che riteneva più perfetto, e Sant’Alfonso, quello di non stare mai in ozio.

7. Il dono del timore di Dio ci fa temere la più piccola offesa a Dio come il più grande male del mondo.

Questo dono portò i tre giovani nella fornace a preferire la morte all’apostasia. S. Francesco Saverio disse nel mezzo di una pericolosa traversata: “Non temiamo altro se non offendere Dio onnipotente”.

2. ALCUNI UOMINI RICEVONO DONI STRAORDINARI,

come ad esempio il dono delle lingue, i miracoli, il discernimento degli spiriti, visioni, estasi, ecc.

Il giorno di Pentecoste gli Apostoli ricevettero il dono delle lingue; anche San Francesco Saverio, l’apostolo delle Indie, lo possedeva. S . Biagio (+ 316) guarì un bambino malato al collo. I Profeti dell’Antico Testamento avevano il dono di predire il futuro. S. Pietro conosceva i pensieri di Anania. Caterina Emmerich, una monaca di Dolmen (1824), vedeva in spirito l’intera vita di Gesù, della Beata Vergine e di un gran numero di santi. Santa Caterina da Siena (+ 1380) cadde in estasi dopo le comunioni e rimase sospesa a mezz’aria. Il principe Alessandro di Hohenlohe (+ 1849), consigliere episcopale di Bamberga, poi canonico di Grosswardein, ha curato molti malati con le sue preghiere, l’imposizione delle mani o semplicemente con un ordine; molti sacerdoti pii avevano questo dono in quel tempo di incredulità. (Vedi le promesse di Gesù Cristo, in S. Marco. Marco. XVI, 17). Anche Bernadette Soubirous cadde in estasi all’apparizione della Vergine nella grotta di Lourdes (1858).

Le stimmate, cioè l’impronta delle ferite del Salvatore, sono anch’esse un dono straordinario dello Spirito Santo. Sono circa 50 le persone di eminente santità la cui stimmatizzazione è autenticamente nota, tra cui: San Francesco d’Assisi durante l’apparizione sul Monte Arverna, Santa Caterina da Siena e in tempi moderni, Cath. Emmerich in Dülmen e Marie de Morl (+ 186S) a Caldern nel Titolo meridionale. – Questi doni sono distribuiti dallo Spirito Santo a suo piacimento. (1, Cor. XII, II). – Il sole che illumina i fiori fa sì che essi emanino profumi diversi, così lo Spirito Santo li distribuisce a suo piacimento. Lo Spirito con la sua luce divina produce nei giusti diversi risultati e concede loro doni secondo il loro temperamento (Louis de Gren.).

Lo Spirito Santo concede queste grazie straordinarie solo per la salvezza delle anime e per il bene della Chiesa.

Questo era il caso al tempo degli Apostoli (I. Cor. XÎI, 14). Dio è come un giardiniere che innaffia le piante solo quando sono giovani (S Greg. M.). Quando la fede è in pericolo, Dio aiuta la sua Chiesa con grazie straordinarie che devono essere usate solo per il bene comune. (I. Cor. XIV, 12). Il mercante non lascia mai il suo denaro in cassa senza farlo fruttare; allo stesso modo Dio non vuole che le sue grazie rimangano inutilizzate, vuole che gli uomini ne traggano beneficio. (S. Iren.). Le grazie straordinarie non rendono migliore l’uomo in sé. Si tratta di talenti che Dio concede secondo il suo buon volere, come la ricchezza, gli onori, la vita lunga. Sono senza dubbio doni preziosi con cui si può fare molto bene e accumulare molti meriti; così diceva Santa Teresa: “Non avrei scambiato uno solo di questi doni con tutti i beni e le gioie del mondo; li ho sempre considerati come un grande dono del Signore ed un tesoro inestimabile. Questi beni di per sé non aumentano il valore di un’anima, è solo il loro buon uso. Si può possedere il dono dei miracoli e perdere la propria anima. I miracoli non danno alcuna certezza di salvezza (S. Fulgenzio). Giuda Isc. ha persino fatto miracoli, si dice. Queste grazie non sono sempre una prova di santità: lo afferma Gesù Cristo stesso (S. Matth. VII, 22). Tuttavia, sarebbe difficile trovare nella Chiesa un Santo che non avesse questi doni straordinari dello Spirito Santo. “Come regola generale – dice Benedetto XIV – questi doni non sono dati ai peccatori, ma ai giusti; se, quindi, sono combinati con le virtù eroiche, sono una prova della loro santità”. Questi doni straordinari sono spesso accompagnati da grandi sofferenze, ad esempio l’aridità interiore, le tentazioni diaboliche, malattie, persecuzioni, problemi con i superiori, ecc.

3. QUESTI DONI DELLO SPIRITO SANTO SONO STATI DATI NELLLA. LORO PIENEZZA A GESÙ CRISTO, (Act. ap. X , 38) molto abbondantemente alla Beata Vergine, e agli Apostoli, ai Patriarchi e ai Profeti dell’Antico Testamento e a tutti i Santi della Chiesa cattolica.

IV. Governo della Chiesa da parte dello Spirito Santo.

Lo Spirito Santo conserva e governa la Chiesa cattolica.

Ciò che l’anima è per il corpo, lo Spirito Santo è per la Chiesa. L’azione di entrambi è invisibile. – Lo Spirito Santo può essere chiamato l’Architetto della Chiesa. Nella creazione ha formato, organizzato e vivificato ogni cosa; agisce allo stesso modo nel rinnovamento e nella redenzione delle anime: è attraverso di Lui che si è realizzata l’Incarnazione (S. Luc. I, 35), è Lui che ha operato nell’umanità di Cristo (ibid. IV, 18; Act. Ap. X, 38), Esso continua e completa l’edificio della Chiesa fondata da Cristo (Ef. II, 20):

1 . Lo Spirito Santo preserva la Chiesa dalla rovina (S.Matth. XVI, 18) e dall’errore. (S. Giovanni XIV, 16).

2. Lo Spirito Santo sostiene i capi della Chiesa nelle loro funzioni sacre, (Act. Sp. XX, 28) specialmente il Papa, Vicario di Gesù Cristo.

Lo Spirito Santo li ispira in ciò che devono insegnare (S. Matth. X, 19); parla attraverso di loro come attraverso gli Apostoli nel giorno della Pentecoste (ib. X, 20). Come il vento dirige le nuvole, così lo Spirito Santo muove gli annunciatori del Vangelo e ispira loro ciò che debbano dire (S. Greg. M.). La penna scrive “ciò che vuole lo scrittore”, così i predicatori del Vangelo non parlano da soli, ma secondo l’ispirazione dello Spirito Santo. (S. Bas.). Dio parla alle anime attraverso la bocca dei Sacerdoti (S. Thom. da Villanova).

3. Lo Spirito Santo suscita uomini provvidenziali nella Chiesa.

Al tempo degli ariani, S. Atanasio (+ 375); al tempo della decadenza, S. Gregorio VII (+ 1085); al tempo degli Albigesi, S. Domenico (+ 1221); durante il Grande Scisma, Santa Caterina da Siena (1380); S. Ignazio (+ 1556), al tempo di Lutero; i miracoli postumi di S. Giovanni Nepomuceno (+ 1393), al tempo degli Hussiti in Boemia. Nell’Antico Testamento troviamo già uomini come Abramo, Giuseppe e Mosè che Dio scelse come suoi strumenti1.

4. Lo Spirito Santo fa sì che nella Chiesa cattolica ci siano sempre dei santi.

3. APPARIZIONI DELLO SPIRITO SANTO.

Lo Spirito Santo è apparso sotto forma di colomba e di lingue di fuoco, per simboleggiare le sue operazioni.

Lo Spirito Santo apparve sotto forma di colomba e di lingue di fuoco, perché rende miti e ardenti tutti coloro che riempie; chi non ha queste due virtù non è ripieno di Spirito Santo (San Gregorio Magno). Lo Spirito Santo Spirito scese su Cristo sotto forma di colomba per la sua grande mitezza verso i peccatori. (id) – Lo Spirito Santo apparve sotto forma di lingue. Lo Spirito Santo è apparso sotto forma di lingue, perché dà agli uomini la grazia di parlare, in modo che infiammino il loro prossimo per amore di Dio (id.); perché la Chiesa sotto la sua direzione deve parlare la lingua di tutte le nazioni (id.); perché Esso procede dal Verbo eterno e conduce gli uomini a questo Verbo, e la parola e la lingua sono intimamente connesse (id.). Lo Spirito Santo è apparso sotto forma di lingue di fuoco, per purificare le anime dalla ruggine del peccato, per dissipare le tenebre dell’ignoranza, per sciogliere il ghiaccio dei cuori e renderli ardenti di carità verso Dio e verso il prossimo, per renderci forti come il fuoco indurisce i vasi di argilla impastati dal vasaio. “Il nostro Dio è un fuoco divorante” (Eb. XII, 29). Lo Spirito è apparso in mezzo ad un vento impetuoso. Un uragano violento fa crollare torri e sradica alberi. Lo Spirito ha abbattuto, attraverso la predicazione degli Apostoli, l’idolatria, il potere dei tiranni, la sapienza e l’eloquenza dei filosofi” (P. Faber).

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XV)

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNI: SS. PIO XI – “MENS NOSTRA”.

In questa bella lettera Enciclica, il Santo Padre illustra i benefici e la valenza degli Esercizi spirituali di S. Ignazio di Loyola. Questo è soprattutto un rimedio utile ai tempi nostri, tempi convulsivi e frenetici, movimentati tanto da togliere nella giornata ogni momento di riflessione e di pace spirituale. Questa frenesia nei godimenti di piaceri di ogni tipo, è un’arma potente che i demoni usano per indurre le anime al peccato ed alla perdizione eterna. Se tutti si fermassero a riflettere sul senso della propria vita ed a cercare la luce divina come guida illuminante, il mondo sarebbe totalmente diverso e non in mano agli adepti di satana che sono la nostra giusta punizione per tanto abbandono di Dio e trascuratezza nel praticare la dottrina evangelica di Cristo. Il rimedio lo conosciamo e S. S. Pio XI ce ne illustra la enorme portata salvifica; fermiamoci nella corsa verso la voragine infernale trascinata da illusorie filosofie e devastanti teologie di falsi profeti ed abominevoli chierici, torniamo alla dottrina ed alla spiritualità cattolica fatta di silenzio, digiuno, interiorità e preghiera fervorosa, e potremo fermare le infernali intenzioni dei dominatori del mondo, tutti al servizio del dragone maledetto.

LETTERA ENCICLICA

MENS NOSTRA
AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI,
PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI
E AGLI ALTRI ORDINARI LOCALI
CHE HANNO PACE E COMUNIONE
CON LA SEDE APOSTOLICA:
SULL’IMPORTANZA DEGLI ESERCIZI SPIRITUALI.
PIO PP. XI
VENERABILI FRATELLI
SALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE.


Vi sono certamente note, Venerabili Fratelli, le intenzioni che Ci mossero all’inizio di quest’anno a promulgare uno straordinario Giubileo per tutto il mondo cattolico in occasione del cinquantesimo anniversario del Nostro Sacerdozio. Infatti, come abbiamo solennemente dichiarato nella Costituzione Apostolica «Auspicantibus Nobis» del 6 gennaio 1929, non solo intendevamo invitare tutti i diletti figli della grande famiglia, che il Cuore di Dio ha affidato al cuore Nostro, ad unirsi al giubileo del Padre comune per rendere comuni grazie al sommo Datore di ogni bene; ma in modo particolare Ci arrideva la dolce speranza che, aprendo più largamente i tesori spirituali di cui il Signore Ci ha costituiti amministratori, i fedeli ne avrebbero tratto felice opportunità per rinvigorirsi nella fede, per crescere nella pietà e nella perfezione cristiana e per riformare più efficacemente i costumi privati e pubblici: donde, come frutto della piena pacificazione dei singoli con se stessi e con Dio, sarebbe anche venuta la mutua pacificazione degli animi e dei popoli. – Né vana fu la Nostra speranza. Infatti, quel mirabile slancio di devozione, con cui venne accolta la promulgazione del Giubileo, lungi dall’affievolirsi, andò anzi sempre crescendo, concorrendovi il Signore anche coi memorandi avvenimenti che renderanno imperituro il ricordo di quest’anno veramente salutare. E Noi, con indicibile consolazione, abbiamo potuto in gran parte seguire con gli occhi Nostri questo magnifico aumento di fede e di pietà attraverso le schiere così varie e così numerose di tanti figli carissimi, che Ci fu dato personalmente vedere e accogliere nella Nostra casa, e che potemmo, stavamo per dire, stringere al Nostro cuore paterno. Ora, mentre dall’intimo dell’animo Nostro innalziamo al Padre delle misericordie un caldo inno di ringraziamento per tanti e così segnalati frutti che Egli si è degnato seminare, maturare e raccogliere nella sua vigna lungo tutto quest’anno giubilare, la Nostra stessa pastorale sollecitudine Ci muove a vivamente desiderare che tali e tanti frutti si conservino e crescano a bene dei singoli, e per ciò stesso a bene dell’intera società. – Riflettendo su come ciò possa essere conseguito, Ci sovviene che il Nostro Predecessore di felice memoria Leone XIII, nell’indire il sacro Giubileo in altra occasione, con parole che nella già ricordata Costituzione «Auspicantibus Nobis» facemmo Nostre, esortava tutti i fedeli « a raccogliersi un poco in se stessi e ad innalzare i pensieri immersi nelle cose terrene a cose migliori ». Ci sovviene altresì che il Nostro Predecessore di santa memoria Pio X, così zelante promotore e vivo esempio di santità sacerdotale, durante l’anno giubilare del suo sacerdozio, in una piissima e memoranda «Esortazione» al clero cattolico dava documenti preziosi di vita spirituale. Orbene, procedendo sulle orme di questi Pontefici, abbiamo giudicato opportuno fare anche Noi qualche cosa per promuovere un’iniziativa dalla quale confidiamo possano derivare molti rilevanti vantaggi a favore del popolo cristiano. Intendiamo parlare della pratica degli Esercizi spirituali, che desideriamo vivamente venga diffusa in larga scala non solo fra l’uno e l’altro clero, ma anche fra le schiere dei cattolici laici, in modo che sia possibile lasciare ai Nostri diletti figli un ricordo di questo anno sacro. Ciò facciamo tanto più volentieri al tramonto di questo anno giubilare del Nostro Sacerdozio. Infatti, nulla di più lieto possiamo avere che ricordare le grazie celesti e le ineffabili consolazioni da Noi sperimentate negli Esercizi spirituali che fummo soliti frequentare assiduamente, tanto che essi segnarono quasi le varie tappe della Nostra vita sacerdotale. Da essi attingemmo luce e forza per conoscere e compiere la volontà divina, e con non minore soddisfazione ripensiamo al ministero sacerdotale da Noi esercitato per lunghi anni, nel corso del quale Ci fu concesso di dedicarCi più e più volte all’opera degli Esercizi spirituali, e potemmo constatare gl’immensi salutari effetti che ne derivano al bene delle anime. – E veramente, Venerabili Fratelli, sotto molti rispetti si constatano la somma importanza, utilità, opportunità di questi santi ritiri specialmente nei tempi che corrono. La grande malattia dell’età moderna, fonte precipua dei mali che tutti deploriamo, è la mancanza di riflessione, quell’effusione continua e veramente febbrile verso le cose esterne, quella smodata cupidigia delle ricchezze e dei piaceri, che a poco a poco affievolisce negli animi ogni più nobile ideale, li immerge nelle cose terrene e transitorie e non permette loro di assurgere alla considerazione, delle verità eterne, delle leggi divine, di Dio, unica fonte di tutto ciò che esiste, unico fine dell’universo creato, il quale nella sua infinità bontà e misericordia, ai giorni nostri, con effusione straordinaria di grazie, potentemente attira a sé le anime, nonostante la corruzione che dappertutto s’infiltra. – Ora, ad un morbo così profondo della famiglia umana, quale rimedio migliore possiamo Noi proporre che invitare tutte queste anime dissipate e stanche al raccoglimento degli Esercizi? E veramente anche se gli Esercizi spirituali non consistessero in altro che nell’appartarsi per qualche tempo dalle assillanti occupazioni e preoccupazioni terrene per riposare lo spirito nella quiete non oziosa di un ritiro e nel silenzio di tutte le cose esteriori, per dare comodità all’uomo di pensare ai problemi più vitali che, nei segreti più intimi della coscienza, hanno sempre preoccupato e preoccupano l’umanità, cioè ai problemi della sua origine e del suo fine, «donde venga e dove vada», sarebbe già un grande ristoro per l’anima. Gli Esercizi spirituali, costringendo l’uomo all’interiore lavoro dello spirito alla riflessione, alla meditazione, all’esame di se stesso, sono per le umane facoltà una mirabile scuola di educazione in cui la mente impara a riflettere, la volontà si rafforza, le passioni si dominano, l’attività riceve una direzione, una norma, un impulso efficace e tutta l’anima assurge alla sua nativa nobiltà e grandezza, conforme a ciò che il Pontefice San Gregorio nel suo libro Pastorale afferma con elegante similitudine: «La mente umana, a guisa dell’acqua, se è rinchiusa si raccoglie in alto, perché ritorna là donde discende; se è rilasciata si disperde, perché si effonde inutilmente in basso». Oltre a ciò, nel ritiro degli Esercizi spirituali, non solo «la mente, lieta nel suo Signore, viene eccitata come da certi stimoli del silenzio e rinvigorita da ineffabili rapimenti», come dice Sant’Eucherio, Vescovo di Lione, ma soprattutto viene con divina larghezza convitata a quel «celeste nutrimento» di cui parla Lattanzio: «poiché nessun cibo è più soave all’anima che la cognizione della verità»; viene ammessa a quella «scuola di celeste dottrina e palestra di arti divine» come la chiama un antico autore che per lungo tempo fu creduto S. Basilio Magno, dove «Dio è tutto quello che si impara, è la via per cui si tende, è il tutto per cui si giunge alla cognizione della verità». – Pertanto, gli Esercizi non solo perfezionano le naturali facoltà dell’uomo, ma hanno un mirabile potere nel formare l’uomo soprannaturale, cioè il Cristiano. Nei tempi difficili in cui viviamo, nei quali il vero senso di Cristo, lo spirito soprannaturale, essenza della nostra santa religione, soffre tanti ostacoli ed impedimenti, nell’imperversare del naturalismo, che tende ad illanguidire la vivezza degli ideali della fede e a smorzare gli ardori della carità cristiana, è quanto mai salutare sottrarre l’uomo a quel fascino « della vanità » che « oscura il bene », e trasportarlo in quella beata solitudine, ove in un celeste magistero l’anima apprende il vero valore dell’umana esistenza, riposta appunto nel servizio a Dio, il salutare orrore alla colpa il santo timore di Dio, la vanità delle cose cose terrene, e nella contemplazione di Colui che è « via e verità e vita » impara a deporre l’uomo vecchio e a rinnegare se stesso, e nell’esercizio dell’umiltà, dell’ubbidienza, della mortificazione, a rivestirsi di Cristo, fino a giungere a quell’« uomo perfetto » e a quella « misura dell’età piena di Cristo » di cui parla l’Apostolo, anzi fino a poter dire con lui: «Vivo non già io, ma vive in me Cristo»: sublimi ascensioni e divina trasformazione che l’anima compie sotto l’azione della grazia invocata nelle più frequente e fervorosa preghiera, attinta nella partecipazione più devota ai sacrosanti misteri. – Inestimabili beni soprannaturali sono questi, Venerabili Fratelli, nel felice possesso dei quali solamente è riposta la quiete, il riposo, la vera pace, suprema aspirazione dell’anima, a cui tende con profonda nostalgia il mondo moderno, ma che invano ricerca nel perseguimento di terreni ideali, nel turbine della vita. L’esperienza di anime veramente innumerevoli attraverso i secoli ha luminosamente dimostrato, e dimostra oggi forse più che mai, questo mirabile potere pacificatore e santificatore riposto nel sacro ritiro degli Esercizi spirituali, da cui le anime escono « radicate ed edificate » in Cristo, piene di luce, di vigore, di felicità « che supera ogni senso ». Ma da questa pienezza della vita cristiana, che gli Esercizi spirituali apportano e perfezionano, oltre il frutto soavissimo della pace interiore, germoglia quasi spontaneo un altro importantissimo frutto che ha una più larga risonanza sociale: lo spirito di apostolato. È infatti naturale effetto della carità che un’anima, quando è piena di Dio, senta il bisogno di comunicare alle altre anime la conoscenza e l’amore dell’infinito Bene che essa ha trovato e possiede. Orbene in questi tempi di immensi bisogni per le anime, quando le lontane regioni delle Missioni « già biondeggiano per la mietitura » e domandano sempre più numerosi operai; quando nei nostri stessi paesi le crescenti necessità spirituali dei popoli esigono numerosi e scelti manipoli di ben formati apostoli nell’uno e nell’altro Clero dispensatori dei misteri di Dio, e, partecipanti all’apostolato gerarchico, le schiere dei laici consacrati ai molteplici rami dell’Azione Cattolica, Noi, Venerabili Fratelli, ammaestrati dall’esperienza della storia, negli Esercizi spirituali vediamo e salutiamo i provvidenziali Cenacoli, dove i cuori generosi, sotto l’influsso della grazia, apprezzando degnamente al lume delle eterne verità e degli esempi di Cristo il valore inestimabile delle anime, sentiranno la voce del Signore che li invita a farsi suoi cooperatori nella redenzione del mondo, in quel qualunque stato di vita, a cui, con saggia elezione, conosceranno essere chiamati a servire il loro Creatore, e dove apprenderanno gl’ideali, i propositi, gli ardimenti dell’apostolato cristiano. Del resto, tale fu sempre la via ordinaria tenuta dal Signore per formare i suoi Apostoli. Perciò il divino Maestro, non contento del lungo nascondimento di Nazareth, volle premettere alla sua vita pubblica il severo ritiro di quaranta giorni nel deserto. Perciò in mezzo alle fatiche della predicazione evangelica, spesso invitava gli Apostoli al silenzio dell’isolamento: «Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un poco »; perciò soprattutto volle che, dopo la sua Ascensione, gli Apostoli ricevessero la loro ultima formazione nel Cenacolo di Gerusalemme: « perseverando concordi nella preghiera », in attesa dello Spirito Santo in quel memorando ritiro di dieci giorni, che furono, quasi oseremmo dire, i primi Esercizi spirituali praticati nella Chiesa, dai quali anzi la Chiesa stessa nacque con tutta la sua sempre giovanile vigoria: beato ritiro in cui, sotto lo sguardo e nella materna assistenza di Maria, si formarono, insieme con i primi Apostoli, coloro che vorremmo chiamare i precursori dell’Azione Cattolica. Da quel giorno la pratica degli Esercizi spirituali, se non nel nome e nella forma quale ora si usa, almeno nella sostanza, divenne « famigliare agli antichi cristiani », come dice san Francesco di Sales, e ne troviamo chiari accenni nelle opere dei Santi Padri. Così, per esempio, San Girolamo alla nobile matrona Celanzia: « Scegliti — scriveva — un luogo adatto e lontano dallo strepito della famiglia, in cui tu possa ripararti come in un porto. Quivi lo studio della divina Scrittura sia così intenso, così frequente il ritorno alla preghiera, tanto assidua la riflessione sulle cose future che tu abbia da compensare con questo riposo tutte le occupazioni degli altri tempi. Né diciamo questo quasi volessimo distoglierti dai tuoi: anzi, con ciò intendiamo che ivi tu impari e mediti quale poi tu debba mostrarti verso i tuoi ». Nel medesimo secolo il grande Vescovo di Ravenna, San Pietro Crisologo, lanciava a tutti i fedeli il noto eloquente invito: «Abbiamo dato al corpo un anno, diamo all’animo alcuni giorni … Viviamo un po’ di tempo per Dio, noi che siamo vissuti interamente per il mondo … Risuoni la divina voce ai nostri orecchi: lo strepito domestico non turbi il nostro udito … Così agguerriti, o fratelli, così ammaestrati, dichiareremo guerra al peccato … sicuri della vittoria ». – Anche in seguito, lungo i secoli, gli uomini hanno sempre sentito l’attrattiva della tranquilla solitudine, dove l’anima, lontana da qualsiasi osservatore, potesse dedicarsi alle cose divine, e quanto più burrascosi erano i tempi, tanto più forte si faceva sentire l’impulso dello Spirito Santo che sospingeva nel deserto le anime sitibonde di giustizia e di verità, « affinché più assiduamente libere dagli appetiti corporei, possano attendere alla divina sapienza nell’intimo della loro mente, dove, tacendo ogni strepito di sollecitudini terrene, si rallegrino in sante meditazioni e nelle delizie eterne ». Più tardi Dio suscitò nella sua Chiesa illuminati Maestri della vita soprannaturale che diedero sapienti norme e proposero metodi di ascesi attinti alla divina rivelazione ed all’esperienza propria e dei secoli cristiani, e non senza particolare provvidenza del Signore ne uscirono, per opera del grande Servo di Dio Ignazio di Loyola, gli Esercizi spirituali propriamente detti: « tesoro, — come lo chiamava quel venerabile uomo dell’inclito Ordine di San Benedetto, Ludovico Blosio, citato da Sant’Alfonso Maria de’ Liguori in una bellissima lettera « sugli Esercizi in solitudine— tesoro, che Dio ha manifestato alla sua Chiesa in questi ultimi tempi, per il quale gli si devono rendere speciali azioni di grazie ». Ma Da questi Esercizi, che ben presto sollevarono sì gran fama di sé nella Chiesa, prese ispirazione per correre ancor più generoso nella vita della santità, tra gli altri molti, il Nostro veneratissimo e per tanti titoli a Noi carissimo San Carlo Borromeo, il quale, come avemmo Noi stessi altra volta l’opportunità di ricordare, « ne divulgò l’uso nel clero e nel popolo » non solo con l’impulso del suo zelo e l’autorità del suo nome, ma anche con regole e direttòrii speciali; e giunse persino a farsi fondatore di una casa esclusivamente destinata per gli Esercizi stessi secondo il metodo di Sant’Ignazio. Ad essa diede il nome di «Asceterium», la prima forse, a quanto si sappia, di tal genere: esempio imitato poi ben presto felicemente in ogni parte. Corrispondente alla stima sempre crescente che si andava diffondendo nella Chiesa per gli Esercizi spirituali, fu il moltiplicarsi di tali Case riservate per questi sacri ritiri, quasi oasi verdeggianti e feconde nel deserto del pellegrinaggio terreno, destinate a raccogliere separatamente i fedeli dell’uno e dell’altro sesso ad un periodo di spirituale ristoro. Dopo l’immane tragedia della guerra, di fronte al profondo rivolgimento sociale che essa ha portato, al tramonto di tante illusioni, al riaffermarsi più potente in molte anime di elevate aspirazioni, ecco risvegliarsi mirabilmente in molti, sotto il soffio dello Spirito Santo, il bisogno dei Ritiri spirituali. Anime desiderose di una vita migliore e più santa, altre sbattute dalle tempeste della vita, dalle preoccupazioni dell’esistenza, dalle distrazioni e dalle seduzioni del mondo, anime avvelenate da una atmosfera satura di razionalismo e di sensualità, cercano rifugio in questi asili di pace, in queste case di preghiera, ove possano riposare lo spirito, ritemprare le forze, orientare soprannaturalmente il cammino della vita. – Dal canto Nostro, mentre dall’intimo del cuore godiamo di tale salutare movimento e vi scorgiamo un efficacissimo rimedio ai mali presenti, siamo risoluti ad assecondare, per quanto sta in noi, i pietosi disegni della Divina Bontà e a non lasciare passare invano questo invito dello Spirito Santo che oggi spira in molti cuori. Noi Ci apprestiamo a compiere ciò con animo particolarmente lieto, osservando quanto è stato compiuto dai nostri predecessori. Infatti, questa stessa Sede Apostolica, dopo aver tante volte raccomandato gli Esercizi spirituali con la parola, ha voluto precedere i fedeli anche con l’esempio, e già da parecchio tempo, di quando in quando suole per alcuni giorni convertire in Cenacolo di meditazione e di preghiera le auguste aule Vaticane; consuetudine, che Noi ben volentieri abbiamo seguito con grande gioia e conforto. E per procurare in più larga misura questa gioia e questo conforto a Noi ed a quanti più da vicino Ci assistono, soddisfacendo ai loro pii desiderii, abbiamo dato le opportune disposizioni affinché un corso di santi spirituali Esercizi abbia luogo ogni anno in questa Nostra Sede Vaticana. – Anche voi, Venerabili Fratelli, conoscete ed apprezzate altamente gli Esercizi spirituali, coi quali avete temprato dapprima il vostro spirito sacerdotale e vi siete poi preparati alla pienezza del sacerdozio, e ad essi, non di rado, alla testa dei vostri sacerdoti ricorrete per rinfrancare gli animi vostri nella contemplazione dei beni celesti. Ciò costituisce certamente un’apprezzabile azione, per la quale vogliamo darvi un doveroso e pubblico elogio. Sappiamo inoltre, (ed anche questo additiamo come esempio da imitare, tanto più luminoso quanto più alto e di natura sua meno frequente) che in alcune regioni tanto dell’Oriente che dell’Occidente i Vescovi, con a capo il loro Metropolita o Patriarca, talvolta si sono riuniti insieme per attendere ad un ritiro spirituale tutto proprio e adatto alla loro eccelsa dignità e ai doveri che ne derivano. Il che forse non sarà troppo difficile da imitare quando specialmente gravi ragioni chiamano a raccolta tutti i Presuli di una Provincia Ecclesiastica, o per provvedere con comuni decisioni ai più urgenti bisogni spirituali dei loro greggi o per prendere più efficaci deliberazioni secondo le esigenze del momento. Così Noi stessi pensavamo di fare coi Vescovi della regione Lombarda quando per brevissimo tempo fummo preposti alla Chiesa Metropolitana di Milano, e l’avremmo eseguito in quello stesso primo anno, se altri disegni non avesse avuto e compiuto la divina Provvidenza sulla Nostra umile persona. – I sacerdoti e i religiosi, già prima che fosse loro prescritto l’uso degli Esercizi per legge della Chiesa, con lodevole frequenza si valevano di questo mezzo di santificazione; così ora con tanto maggiore impegno vi si applicheranno quanto più solenne è la voce dei sacri Canoni che a questo li sprona. I sacerdoti del Clero secolare siano fedeli nel frequentare gli Esercizi spirituali almeno nella così discreta misura prescritta loro dal Codice di Diritto Canonico e vi apportino tanto maggior desiderio di trarne frutto, quanto più in mezzo alle sollecitudini del loro ministero sentiranno il bisogno di quella pienezza di spirito che è loro necessaria perché possano, com’è loro dovere, effonderla sulle anime loro affidate. Così hanno sempre sentito i sacerdoti più zelanti, così hanno praticato ed insegnato tutti quelli che si distinsero nella direzione delle anime e nella formazione del Clero, come, per citare un esempio moderno, il Beato Giuseppe Cafasso, da Noi recentemente elevato agli onori degli altari. Egli appunto degli esercizi spirituali si valeva per santificare se stesso e i suoi confratelli di sacerdozio; e fu al termine di uno di tali ritiri che con sicuro intuito soprannaturale poté indicare ad un giovane sacerdote suo penitente, quella via che la Provvidenza gli assegnava e che lo condusse poi a diventare il Beato Giovanni Bosco, per il quale nessun elogio è sufficiente. I Religiosi, poi, che ogni anno sono chiamati ai sacri Esercizi, qualunque sia la regola sotto cui militano, vi troveranno una miniera inesauribile e ricca di ogni genere di tesori, a cui tutti possono attingere secondo i loro particolari bisogni per perseverare e progredire nella pratica più perfetta della legge e dei consigli evangelici. Gli annui Esercizi sono per loro come un mistico « albero della vita », valendosi del quale tanto gli individui quanto le comunità conserveranno sempre vigoroso e vivace il primitivo spirito della loro vocazione. I Sacerdoti dell’uno e dell’altro Clero non ritengano perduto per l’apostolato il tempo che consacreranno agli Esercizi spirituali. San Bernardo non esitava a raccomandare perfino a colui che, già suo discepolo, era allora Sommo Pontefice, il Beato Eugenio III: « Se vuoi essere di tutti, ad imitazione di Colui che si fece tutto a tutti, lodo tale umanità, purché sia completa. E come mai sarà completa, se escludi te stesso? Anche tu sei uomo: affinché dunque tale umanità sia intera e piena, accolga anche te dentro di sé quel cuore che accoglie tutti gli altri; altrimenti, che ti giova guadagnare tutti, se perdi te stesso? Perciò, siccome tutti ti posseggono, sii anche tu uno dei tuoi possessori. Ricordati, non dico sempre, non dico spesso, ma almeno talvolta di restituire te a te stesso.” Né meno ci stanno a cuore, Venerabili Fratelli, gli Esercizi ai vari gruppi di quell’Azione Cattolica che non Ci stanchiamo né Ci stancheremo di promuovere e raccomandare, essendo l’utilissima, per non dire necessaria, partecipazione dei laici all’apostolato gerarchico della Chiesa. Vediamo con immensa consolazione organizzarsi ovunque corsi d’Esercizi particolarmente riservati alle pacifiche schiere di questi valorosi soldati di Cristo, e specialmente ai più giovani, che numerosi vi accorrono per addestrarsi alle sante battaglie del Signore, e vi trovano non solo la forza di migliorare la propria vita, ma spesso sentono nel cuore la voce misteriosa che li chiama a diventare apostoli in tutta la magnifica pienezza del nome. Splendida aurora di bene che Ci fa salutare e sperare un prossimo luminoso meriggio, se la pratica degli Esercizi spirituali più universalmente e più regolarmente verrà promossa e caldeggiata nelle file delle varie Associazioni cattoliche, specialmente giovanili. – Ed è ora veramente disposizione ammirabile della misericordiosa provvidenza di Dio che in un tempo, in cui i beni temporali e il conseguente benessere materiale e una certa agiatezza di vita tendono ad estendersi in qualche notevole misura ai lavoratori e ad un maggior numero dei figli del popolo, è provvidenziale, diciamo, che si vada facendo comune anche alla massa dei fedeli questo tesoro spirituale, destinato a controbilanciare il peso dei beni terreni, affinché non trascinino le anime verso il materialismo teorico e pratico. Diamo dunque il Nostro plauso e il Nostro paterno incoraggiamento alle Opere « pro Exercitiis » che già sorgono in varie regioni, specialmente quelle così fruttuose e così opportune dei « Ritiri Operai » con le relative « Leghe di Perseveranza », e le raccomandiamo vivamente, Venerabili Fratelli, alla vostra cura e alla vostra sollecitudine. – Ma tutto quello che abbiamo riferito circa gli Esercizi spirituali e i loro mirabili frutti suppone che il sacro ritiro sia praticato veneramente come si conviene, e che non diventi come una semplice consuetudine che si pratica senza interiore slancio ed energia e, conseguentemente, con poco o nessun frutto per l’anima. Pertanto, anzitutto bisogna che gli Esercizi si facciano nel ritiro, appartandosi dal frastuono delle ordinarie sollecitudini della vita quotidiana; poiché, come esattamente insegna l’aureo libretto «Dell’Imitazione di Cristo »: «Nel silenzio e nella quiete fa profitto l’anima devota ». Ond’è che quantunque siano certamente lodevoli e da promuoversi con ogni pastorale sollecitudine, come sono sempre dal Signore largamente benedetti, gli Esercizi spirituali, predicati pubblicamente al popolo, Noi però particolarmente insistiamo sugli Esercizi « chiusi », nei quali la segregazione dalle creature è più facilmente ottenuta, e l’anima nel silenzio e nella solitudine attende unicamente a sé e a Dio. Inoltre gli Esercizi spirituali esigono un certo periodo di tempo perché possano dirsi tali; un periodo di tempo che può variare a seconda delle circostanze e delle persone, da alcuni giorni fino ad un intero mese, ma che in ogni caso non dovrebbe essere troppo ristretto se si vogliono sperimentare tutti quei vantaggi che abbiamo sopra enumerati. Come per il corpo la permanenza in luoghi salubri deve prolungarsi alquanto perché se ne senta l’effetto, così anche in questa cura salutare dello spirito l’anima deve trattenersi un certo tempo, se vuole veramente sentirne ristoro e riportarne nuovo vigore. Infine, condizione importantissima perché gli Esercizi siano fatti bene e riescano fruttuosissimi è il farli secondo un metodo sapiente e pratico. Or non vi è dubbio che fra tutti i metodi di Esercizi spirituali che lodevolmente si attengono ai princìpi della sana ascetica cattolica, uno ha riscosso le piene e ripetute approvazioni di questa Sede Apostolica, ha meritato gli amplissimi elogi dei Santi e dei Maestri della vita spirituale, ha raccolto incalcolabili frutti di santità attraverso ormai quattro secoli: intendiamo alludere al metodo di sant’Ignazio di Loyola, di questo che Ci piace chiamare Maestro specializzato degli Esercizi, il cui « ammirabile libro degli Esercizi », piccolo di mole ma grande e prezioso di contenuto, dal dì che venne solennemente approvato, lodato, raccomandato dal Nostro Predecessore Paolo III di santa memoria, « quasi subito si affermò ed impose» — per usare le parole che Noi stessi prima del Sommo Pontificato avemmo già occasione di scrivere — « quale il più sapiente ed universale codice di governo spirituale delle anime, quale sorgente inesauribile della pietà più profonda ad un tempo e più solida, quale stimolo irresistibile e guida sicurissima alla conversione ed alla più alta spiritualità e perfezione ». E quando agli inizi del nostro Pontificato « assecondando i voti e gli ardentissimi desideri dei sacri Pastori di quasi tutto l’orbe cattolico dell’uno e dell’altro rito » con la Costituzione Apostolica « Summorum Pontificum » del 25 luglio 1922 « abbiamo dichiarato e costituito Sant’Ignazio di Loyola celeste patrono di tutti gli Esercizi Spirituali, e quindi degli istituti, sodalizi, e associazioni di qualunque genere che curano ed assistono coloro che fanno gli Esercizi spirituali », non abbiamo fatto altro che sancire con la Nostra suprema Autorità quello che già sentivano comunemente i Pastori e i fedeli; quello che implicitamente più volte avevano detto i Nostri Predecessori lodando gli Esercizi spirituali di Sant’Ignazio, specialmente, oltre il ricordato Paolo III, i grandi Pontefici Alessandro VII, Benedetto XIV, Leone XIII; quello che hanno dichiarato con alti elogi, e ancor più con la loro virtù attinta o aumentata a questa scuola, tutti coloro (per usare le parole dello stesso Nostro Predecessore Leone XIII) « che o per la dottrina ascetica o per la santità dei costumi » in quest’ultimi quattro secoli « sommamente fiorirono ». La sodezza della dottrina spirituale, lontana dai pericoli e dalle illusioni dei pseudomistici, l’ammirabile adattamento ad ogni ceto e condizione di persone (dalle anime dedite per vocazione alla vita contemplativa sino agli uomini viventi nel mondo), l’unità organica delle sue parti, il mirabile ordine con cui si succedono le verità da meditare e i documenti spirituali, ordinati a condurre l’uomo dalla liberazione della colpa alle più alte vette dell’orazione e dell’amor di Dio per la via sicura dell’abnegazione e della vittoria sulle passioni, rendono il metodo degli Esercizi di Sant’Ignazio il più commendevole e il più fruttuoso. – Resta, Venerabili Fratelli, che a mantenere negli animi il frutto degli Esercizi spirituali da Noi ampiamente magnificato, ed a risvegliarne le salutari impressioni, raccomandiamo un compendioso rinnovamento degli Esercizi, cioè il ritiro mensile o trimestrale: costume, diremo col Nostro venerato Predecessore Pio X, che « godiamo di vedere introdotto in molti luoghi », specialmente nelle Comunità religiose e tra i Sacerdoti, desiderando vivamente che se ne estenda il benefico vantaggio anche ai laici: tanto più che a questi potrà talvolta supplire in qualche misura il frutto degli Esercizi stessi, quando per gravi ragioni non fosse loro possibile praticarli. In questo modo, Venerabili Fratelli, dalla diffusione degli Esercizi spirituali in tutte le classi della società cristiana e soprattutto dall’uso fervoroso di essi, Noi Ci ripromettiamo i più salutari frutti di rigenerazione, di vita spirituale, di apostolato, cui terrà dietro la pace individuale e sociale. Fu nel silenzio di una notte misteriosa, lungi dal frastuono del mondo, in luogo solitario, che il Verbo eterno fatto carne si rivelò all’umanità, ed echeggiò nel cielo il canto angelico: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà“. Questo canto di pace cristiana, che è supremo anelito del nostro cuore apostolico e meta a cui tendono gli sforzi e l’opera Nostra — Pax Christi in regno Christi ! — risuonerà, potente nelle anime dei cristiani che, segregati dal frastuono assordante della vita moderna, si ritireranno nella solitudine e nel silenzio a meditare le verità della Fede e i misteri di Colui che portò al mondo, e gli lasciò come sua preziosa eredità, il dono della pace: «Vi dò la mia pace ». – Questo saluto di pace Noi intanto inviamo a voi tutti, Venerabili Fratelli, in questo giorno in cui si compiono i cinquant’anni del nostro Sacerdozio, sotto gli auspici e quasi alla vigilia di quel dolcissimo mistero di pace che è la Natività di nostro Signore Gesù Cristo; e questa pace invochiamo con fervide preghiere da Colui che è stato salutato Principe della pace. Con questi sentimenti, con l’animo aperto ad una lieta e sicura speranza, a voi, Venerabili Fratelli, al Clero e al vostro popolo, cioè a tutta la Nostra dilettissima famiglia cattolica impartiamo nel Signore, con grande affetto, l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 20 dicembre 1929, anno ottavo del Nostro Pontificato.

PIUS PP. XI

I SERMONI DI PADRE CAMPBELL 1/10/2023 – XVIII Domenica dopo Pentecoste.

Padre Louis Campbell –
Diciottesima domenica dopo Pentecoste


Il banco vacante

Sermone del 1° ottobre 2023, Santuario di San Giuda, Stafford, Texas


Oggi, la diciottesima domenica dopo Pentecoste, era conosciuta in passato come “domenica vacante”, perché la Messa utilizzata era quella del giorno precedente, di solito il sabato di settembre, uno dei giorni in cui si celebravano le ordinazioni dei minori e dei maggiori. In un secondo momento è stata inserita nel Messale una nuova Messa, che è quella che di solito viene celebrata oggi. Ma questo era il giorno in cui i sacerdoti appena ordinati celebravano la loro prima Messa. – Con un pensiero così felice in mente dobbiamo allo stesso tempo lamentarci del fatto che il sacerdozio oggi sta attraversando una valle oscura. Piuttosto che atleti spirituali che si sforzano come San Paolo di vincere la gara, molti sacerdoti, soprattutto i “sacerdoti” del novus ordo formati negli attuali seminari, sono più simili al paralitico del Vangelo di oggi. Non sono in grado di parlare chiaramente o di dare una direzione chiara al gregge perché sono prigionieri di una mentalità mondana. Sono motivati dallo spirito sbagliato – lo spirito della rivoluzione, che è quello che è realmente lo “spirito del Vaticano II”. Purtroppo, sono stati inghiottiti dalla rivoluzione perché non sono disposti o non sanno come combatterla, perché “la Rivoluzione divora i suoi figli”. La santa monaca agostiniana Anna Katherine Emmerich forse guardava in avanti, in una visione, al tempo del Vaticano II quando riferiva: “Tra le cose più strane che ho visto, c’erano lunghe processioni di vescovi. I loro pensieri e i loro discorsi mi venivano resi noti attraverso immagini che uscivano dalle loro bocche. Le loro colpe verso la religione erano mostrate da deformità esterne. Alcuni avevano solo un corpo, con una una nuvola scura di nebbia al posto della testa. Altri avevano solo la testa, i loro corpi e i loro cuori erano come vapori densi. Alcuni erano zoppi, altri paralitici, altri ancora addormentati o barcollanti. Io ho visto quelli che ritengo essere quasi tutti i vescovi del mondo, ma solo un piccolo numero era perfettamente sano” (Y. Dupont, Catholic Prophecy, p. 68). – Quando ero un giovane sacerdote ero tra quelli divorati dalla Rivoluzione. Probabilmente ero uno di quelli con una nuvola al posto della testa. All’inizio degli anni Ottanta fui inviato dal mio Ordine all’Istituto di Formazione Religiosa di St. Louis, dove affluivano altri sacerdoti, suore e fratelli religiosi provenienti da tutto il mondo. Si trattava di un programma per coloro che erano coinvolti nella formazione dei candidati al sacerdozio e alla vita religiosa. Attraverso varie sessioni di sensibilità da parte di vari “esperti” di profili di personalità, del Giornale di Progoff, dell’Enneagramma e di altri programmi basati sulla psicologia junghiana, sulla teologia della liberazione o sulle religioni non cristiane, siamo stati programmati per essere “utili idioti” per la Rivoluzione. Da lì siamo stati mandati nei seminari, nei conventi e nei noviziati di tutto il mondo, pronti a fare, a nostro turno, delle vittime innocenti, molte delle quali ora insegnano nei seminari o nelle scuole cattoliche, o predicano nelle parrocchie a vittime altrettanto ignare della Rivoluzione. – Uno dei commenti di suor Emmerich: “La maggior parte dei sacerdoti è stata attirata dalla scintillante ma falsa conoscenza dei giovani insegnanti di scuola, e tutti hanno contribuito all’opera di distruzione” (Ibid., p. 68). Ne vediamo i tristi risultati quando i cattolici fuggono come agnelli dai lupi. È davvero la “Domenica Vacante” in molte parrocchie. Quelli che sono rimasti, a meno che non siano sotto la speciale protezione di Dio, si stanno trasformando in figli della Rivoluzione, che non saranno in grado di resistere alle attrattive del mondo e periranno con esso. Dovreste rendervi conto che potreste essere stati derubati come un gregge di pecore innocenti ed indifese, e che i vostri pastori, “guide cieche dei ciechi”, stanno conducendo i loro seguaci verso il precipizio, e la maggior parte dei quali non è nata per essere predatrice, ma è stata rovinata dai rivoluzionari… Che possano ancora essere guariti dal Pastore misericordioso. – Il rimedio per questa terribile paralisi spirituale che affligge molti dei nostri leader religiosi, vescovi ed aspiranti papi, ci viene dall’esempio di Gesù Cristo stesso. Una rivoluzione è una disobbedienza organizzata ad un ordine stabilito, con l’intenzione di rovesciarlo.. satana è il padre della rivoluzione contro l’ordine voluto da Dio. La sua disobbedienza ha introdotto il disordine tra gli Angeli ed in questa creazione attraverso la disobbedienza di Adamo ed Eva. L’eredità della rivoluzione del Vaticano II è che la disobbedienza e il disordine regnano in quella che passa per la “Chiesa”. Ma coloro che sono obbedienti, sull’esempio di Cristo obbediente, daranno il colpo di grazia alla Rivoluzione. Obbedienti, però, a coloro che hanno un’autorità legittima, non ai lupi travestiti da pecore. – “Abbiate in voi questa mente che era anche in Cristo Gesù”, dice San Paolo, “che, pur essendo per natura Dio, non considerò l’essere uguale a Dio ma svuotò se stesso, assumendo la natura di schiavo e facendosi simile agli uomini. E, apparso in forma di uomo, umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte ed alla morte di croce” (Fil2,5-8). Senza obbedienza non c’è progresso nella vita spirituale. Abramo era disposto a obbedire a Dio fino al punto di sacrificare suo figlio Isacco, affinché Dio gli promettesse una discendenza numerosa come le stelle del cielo o le sabbie del mare. Allo stesso modo, l’obbedienza a Dio ed a coloro che Egli ha posto al di sopra di noi produce grazie e doni spirituali altrettanto numerosi. Tutti noi dobbiamo praticare l’obbedienza secondo il nostro stato di vita. I bambini onorano il loro padre e la loro madre soprattutto attraverso l’obbedienza. Le mogli devono essere obbedienti ai loro mariti, dice la Parola di Dio. I mariti, in quanto capo famiglia, devono essere come Cristo obbediente. Tutti noi dobbiamo ascoltare la parola di Dio ed obbedirle. Eliminiamo la Rivoluzione! Diciamo con San Paolo: “Per questo anche noi abbiamo pregato per voi incessantemente… chiedendo che siate ricolmi di conoscenza della sua volontà, in ogni sapienza spirituale ed in ogni intelligenza. Che possiate camminare degnamente con Dio e piacergli in ogni cosa, portando frutto in ogni opera buona e crescendo nella conoscenza di Dio” (Col.1:9,10).

IDOMENICA XVIII DOPO PENTECOSTE (2023)

DOMENICA XVIII DOPO PENTECOSTE (2023)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semìdoppio. – Paramenti verdi.

Questa Domenica, inserita nel Messale dopo il Sabato delle Quattro-Tempora, era anticamente libera. La liturgia della vigilia si prolungava, infatti, fino alla Domenica mattina, e quindi questo giorno non aveva Messa propria. La lezione del Breviario nella Domenica che segue le Quattro Tempora (4a Domenica di settembre) è quella del libro di Giuditta, che S. Ambrogio, nel 2° Notturno riporta a questo tempo di penitenza, attribuendo al digiuni e all’astinenza di quest’eroina la sua miracolosa vittoria. Per continuare il riavvicinamento che abbiamo stabilito fra il Messale e il Breviario, possiamo anche studiare la Messa del Sabato delle Quattro Tempora, che era anticamente quella di questa Domenica in rapporto con la storia di Giuditta. – Nabuchodonosor, re degli Assiri, mandò Oloferne, generale del suo esercito, a conquistare la terra di Canaan. Quest’ufficiale assediò la fortezza di Betulia. Ridotti agli estremi, gli assediati decisero di arrendersi nello spazio di cinque giorni. Viveva allora in questa città una vedova chiamata Giuditta, che godeva grande riputazione. « Facciamo penitenza per i nostri peccati disse ella, e imploriamo il perdono da Dio con molte lacrime! Umiliamo le anime nostre davanti a Lui e preghiamolo di farci sperimentare la sua misericordia. Crediamo che questi flagelli, con i quali Dio ci castiga, ci sono mandati per correggerci e non per rovinarci ». E questa santa donna entrò allora nel suo oratorio rivestita di cilicio e con la testa cosparsa di cenere si prostrò a terra davanti al Signore. Compiuta la sua preghiera, mise le sue vesti più belle ed uscì dalla città con la sua ancella. Sul far del giorno giunse agli avamposti dei Caldei e dichiarò che era venuta per dare i suoi nelle mani di Oloferne. I soldati la condussero dal generale che fu colpito dalla sua grande bellezza « che Dio si compiacque di rendere ancor più abbagliante, poiché aveva per scopo non la passione, ma la virtù ». Oloferne credette alle parole di Giuditta e offrì in suo onore un gran banchetto. Nel trasporto della gioia bevve con intemperanza maggiore del solito e oppresso del vino si distese sul letto e si addormentò. Tutti si ritirarono allora e Giuditta restò sola presso di lui. Ella pregò il Signore di dar forza al suo braccio per la salvezza di Israele; poi, staccata la spada appesa al capo del letto, tagliò coraggiosamente la testa di Oloferne, la consegnò all’ancella ordinandole di nasconderla nella borsa da viaggio e ambedue rientrarono a Betulia quella notte medesima. Quando gli Anziani della città appresero quello che Giuditta aveva fatto, esclamarono: « Benedetto sia il Signore, che ha creato il cielo e la terra! ». L’indomani la testa sanguinante di Oloferne venne esposta sulle mura della fortezza. I Caldei gridarono al tradimento ma, inseguiti dagli Israeliti, furono massacrati o messi in fuga. Quando il Sommo Sacerdote venne da Gerusalemme con gli Anziani per festeggiare la vittoria, tutti acclamarono Giuditta, dicendo: «Tu sei la gloria di Gerusalemme, tu la letizia di Israele, tu l’onore del nostro popolo ». S. Ambrogio, nel 2° Notturno della IV Domenica di Settembre commenta questa pagina della Bibbia dicendo: « Giuditta tagliò la testa ad Oloferne in forza della sua sobrietà ». Armata del digiuno, essa penetrò arditamente nel campo nemico. Il digiuno di una sola donna ha vinto le innumerevoli schiere degli Assiri ». La Messa del Sabato delle Quattro Tempora è piena di sentimenti analoghi. Le Orazioni implorano il soccorso della misericordia divina, appoggiandosi sul digiuno e sull’astinenza che ci rendono più forti dei nostri nemici. Perdonaci le nostre colpe, Signore, dice il l° Graduale. Vieni in nostro aiuto, o Dio nostro Salvatore; liberaci, per l’onore del nome tuo ». – « O Signore, Dio degli eserciti, continua il 2° Graduale, presta l’orecchio alle preghiere dei tuoi servi ». « Volgi il tuo sguardo, o Signore; sino a quando volti da noi la tua faccia? Aggiunge il 3° Graduale, abbi pietà dei tuoi servi ». — Le Lezioni fanno tutte allusioni alla misericordia di Dio verso il popolo, che ha fatto penitenza. Così parla il Signore degli eserciti: « Come ebbi l’intenzione di far del male ai vostri padri quando essi provocarono la mia collera, cosi in questi giorni ho avuto l’intenzione di fare del bene alla casa di Gerusalemme ». – Il racconto della liberazione del popolo ebreo dalla servitù assira per mezzo di Giuditta (nome che è il femminile di Giuda) dopo che essa ebbe digiunato è un’immagine della liberazione del popolo di Dio alla Pasqua, per mezzo di Gesù (della stirpe di Giuda) dopo la Quaresima. – Più tardi, allorché non si attese più la sera per celebrare il santo Sacrificio il Sabato delle Quattro Tempora, si prese per la 18° Domenica dopo Pentecoste, la Messa che era stata composta al VI secolo per la Dedicazione della Chiesa di San Michele a Roma e che fu celebrata il 29 settembre; infatti tutto il canto si riferisce alla consacrazione di una Chiesa. « Mi rallegrai quando mi dissero “Andremo nella casa del Signore” (Versetto All’Introito e Graduale). Mosè consacrò un altare al Signore, dice l’Offertorio. « Entrate nell’atrio del Signore e adoratelo nel Tempio Suo santo », aggiunge al Communio, e questa è una immagine del cielo ove affluiranno tutte le nazioni quando verrà la fine dei tempi indicata da questa Domenica e dalle seguenti che vengono alla fine del Ciclo. L’Alleluia è infatti quello delle Domeniche dopo l’Epifania, che annunziava l’ingresso dei Gentili nel regno dei cieli. L’Epistola parla di coloro che attendono la rivelazione di Nostro Signore al suo ultimo avvento; allora essi godranno eternamente, nella casa del Signore, la pace che, come dissero i Profeti, Egli accorderà a quelli che lo attendono (Intr., Graduale). Questa pace Gesù ce l’ha assicurata morendo sulla croce, che è il sacrificio vespertino. Questa pace e questo perdono noi lo godiamo già nella Chiesa, in grazia del potere accordato da Gesù ai suoi Sacerdoti. Questa Messa, che segue il sabato delle Ordinazioni fa infatti allusione anche al sacerdozio. Come il Salvatore, che esercitò il suo ministero e guarì l’anima del paralitico guarendone il corpo, quelli che sono ora stati ordinati Sacerdoti predicano la parola di Cristo (Epistola), celebrano il santo Sacrifizio (Offert.) e rimettono i peccati (Vangelo). E cosi preparano gli uomini a ricevere irreprensibili il loro divin Giudice (Epistola).

La predicazione evangelica è una testimonianza resa a Gesù Cristo. Quelli che l’accettano ricevono doni celesti in sovrabbondanza e possono attendere con fiducia l’avvento glorioso di Gesù alla fine dei tempi.

Giovanni Crisostomo così commenta la risposta data da Gesù agli Scribi che non gli riconoscevano la facoltà di perdonare i peccati: « Se non credete la potestà di rimettere le colpe, credete la facoltà di conoscere i pensieri, credete la virtù del sanare da malattie incurabili i corpi. Più facile sanare il corpo; ma giacché non credete alla maggiore meraviglia, ve ne mostrerò una minore ma aperta ai sensi.  »                                                                           

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Eccli XXXVI: 18
Da pacem, Dómine, sustinéntibus te, ut prophétæ tui fidéles inveniántur: exáudi preces servi tui et plebis tuæ Israël.

[O Signore, dà pace a coloro che sperano in Te, e i tuoi profeti siano riconosciuti fedeli: ascolta la preghiera del tuo servo e del popolo tuo Israele.]

Ps CXXI: 1
Lætátus sum in his, quæ dicta sunt mihi: in domum Dómini íbimus.

[Mi rallegrai per ciò che mi fu detto: andremo alla casa del Signore].

Da pacem, Dómine, sustinéntibus te, ut prophétæ tui fidéles inveniántur: exáudi preces servi tui et plebis tuæ Israël

[O Signore, dà pace a coloro che sperano in Te, e i tuoi profeti siano riconosciuti fedeli: ascolta la preghiera del tuo servo e del popolo tuo Israele.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Dírigat corda nostra, quǽsumus, Dómine, tuæ miseratiónis operátio: quia tibi sine te placére non póssumus.

[Te ne preghiamo, o Signore, l’azione della tua misericordia diriga i nostri cuori: poiché senza di Te non possiamo piacerti.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corinthios
1 Cor 1: 4-8
Fratres: Grátias ago Deo meo semper pro vobis in grátia Dei, quæ data est vobis in Christo Jesu: quod in ómnibus dívites facti estis in illo, in omni verbo et in omni sciéntia: sicut testimónium Christi confirmátum est in vobis: ita ut nihil vobis desit in ulla grátia, exspectántibus revelatiónem Dómini nostri Jesu Christi, qui et confirmábit vos usque in finem sine crímine, in die advéntus Dómini nostri Jesu Christi.

[“Fratelli: Io rendo continuamente grazie al mio Dio per voi, a motivo della grazia di Dio che vi è stata data in Cristo Gesù; perché in lui siete stati arricchiti di ogni cosa, di ogni dono di parola e di scienza, essendosi stabilita solidamente in mezzo a voi la testimonianza di Cristo, in modo che nulla vi manca rispetto a qualsiasi grazia; mentre aspettate la manifestazione di nostro Signor Gesù Cristo, il quale vi manterrà pure saldi sino alla fine, così da essere irreprensibili nel giorno della venuta del nostro Signor Gesù Cristo”.]

LE RICCHEZZE DEL CRISTIANESIMO.

Anche il lettore più zotico e disattento capisce subito che quando San Paolo afferma arricchiti in Gesù e per Gesù i Cristiani, arricchiti in tutti i modi, non parla di ricchezze materiali: il discorso dell’Apostolo si svolge su un piano diverso e superiore al piano della materia, che è il piano dello spirito. Però in quel piano la frase di San Paolo ha una verità, una esattezza matematica: N. S. Gesù col suo Vangelo ha, spiritualmente, arricchito l’umanità. C’è più vita al mondo e nella storia dopo di Lui, maggiore e migliore, più intensa e più alta. C’è più luce. La fede non è una barriera, un limite, è un progresso, uno slancio. Dove si ferma la ragione con la sua luce umana, comincia la fede con la sua luce divina, divina e umanizzata, messa per opera di Gesù, il Rivelatore, il Maestro, alla portata dell’umanità. Prima di Gesù c’è la filosofia, dopo Gesù accanto e oltre la filosofia c’è la Teologia. Prima c’è Dio — mistero — poi ci sono i Misteri di Dio. Il Cristiano sa tutto ciò che sapeva il pio pagano e sa molto di più. E anche il patrimonio di verità comuni, nella mente del Cristiano è più luminoso. Le stesse cose noi le sappiamo meglio. Meglio la sua grandezza, meglio la sua bontà, la giustizia così severa, la misericordia così grande. Il più umile Cristiano, sotto questo rispetto, è più avanti del più grande filosofo pagano. C’è una vita morale più ricca. Si vive nella sfera morale più intensamente, con maggiore severità e maggiore dolcezza. Nostro Signore ci ha tenuto ad affermare questa superiorità morale del Suo Vangelo sulla antica Legge, non discutendo neanche la superiorità della Legge mosaica sulla etica pagana. Sinteticamente ha detto che la giustizia, la bontà dei suoi seguaci, deve essere superiore a quella degli Scribi e dei Farisei. E ha specificato una serie di superiorità morali, spirituali. La parola nostra è più sincera, deve essere tersa come uno specchio. – Non bisogna solo non nascondere la verità delle parole, bisogna non velarla. La morale giudaica, salvo le apparenze, provvede ad evitare il male sociale, la morale cristiana va al fondo della realtà, mette l’anima nella luce e al contatto di Dio. Dove il Cristianesimo trionfa è nel regno della carità, dell’amore. Dopo N. S. Gesù c’è più amore al mondo, un amore più operoso. Chi li aveva mai neanche lontanamente sognati i miracoli della carità cristiana nell’inverno dell’età pagana? Cera a Roma la vestale; non c’era la Suora di carità. L’ha creata Gesù. Tra il paganesimo e il Cristianesimo, c’è la differenza dal verno alla primavera. Il nostro amore è più intimo. Non si benefica solo nel Cristianesimo, non si fa solo del bene, si fa del bene, perché si vuole bene. C’è la fratellanza dell’anima, oltre le divisioni sociali. Rimangono materialmente i poveri e i ricchi, ma poveri e ricchi non conta nulla; si è fratelli. La carità cristiana va oltre la divisione nazionale; ci sono ancora i greci, i romani, i barbari, ma greci, romani e barbari si sentono fratelli, si chiamano con questo bel nome, si amano con questo bel titolo.

(P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939. – Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps CXXI: 1; 7

Lætátus sum in his, quæ dicta sunt mihi: in domum Dómini íbimus.

[Mi rallegrai di ciò che mi fu detto: andremo alla casa del Signore.]

Alleluja

V. Fiat pax in virtúte tua: et abundántia in túrribus tuis. Allelúja, allelúja

[V. Regni la pace nelle tue mura e la sicurezza nelle tue torri. Allelúja, allelúja]

Ps CI: 16

Timébunt gentes nomen tuum, Dómine, et omnes reges terræ glóriam tuam. Allelúja.

 [Le genti temeranno il tuo nome, o Signore: e tutti i re della terra la tua gloria. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Matthæum.
Matt. IX: 1-8
“In illo témpore: Ascéndens Jesus in navículam, transfretávit et venit in civitátem suam. Et ecce, offerébant ei paralýticum jacéntem in lecto. Et videns Jesus fidem illórum, dixit paralýtico: Confíde, fili, remittúntur tibi peccáta tua. Et ecce, quidam de scribis dixérunt intra se: Hic blasphémat. Et cum vidísset Jesus cogitatiónes eórum, dixit: Ut quid cogitátis mala in córdibus vestris? Quid est facílius dícere: Dimittúntur tibi peccáta tua; an dícere: Surge et ámbula? Ut autem sciátis, quia Fílius hóminis habet potestátem in terra dimitténdi peccáta, tunc ait paralýtico: Surge, tolle lectum tuum, et vade in domum tuam. Et surréxit et ábiit in domum suam. Vidéntes autem turbæ timuérunt, et glorificavérunt Deum, qui dedit potestátem talem homínibus”.

[“In quel tempo Gesù montato in una piccola barca, ripassò il lago, e andò nella sua città. Quand’ecco gli presentarono un paralitico giacente nel letto. E veduta Gesù la loro fede, disse al paralitico; Figliuolo, confida: ti son perdonati i tuoi peccati. E subito alcuni Scribi dissero dentro di sé: Costui bestemmia. E avendo Gesù veduti i loro pensieri, disse: Perché pensate male in cuor vostro? Che è più facile, di dire: Ti sono perdonati i tuoi peccati; o di dire: Sorgi e cammina? Or affinché voi sappiate che il Figliuol dell’uomo ha la potestà sopra la terra di rimettere i peccati: Sorgi, disse Egli allora al paralitico, piglia il tuo letto e vattene a casa tua. Ed egli si rizzò, e andossene a casa sua. Ciò udendo le turbe s’intimorirono e glorificarono Dio che tanta potestà diede ad uomini].

Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI  ediz. Soc. Ed. Vita e pensiero – Milano).

LE ABITUDINI CATTIVE

Portavano a Lui perché lo guarisse un paralitico sul suo giaciglio. Il Maestro divino, davanti alla fede di quella povera gente, sentì l’anima sua piena di commozione e rivolse al malato delle parole piene di bontà: « Figliuolo! » lo chiamò, « confida: i tuoi peccati ti sono perdonati ». A queste parole, alcuni maligni cominciarono a pensare male, « Ma cosa crede di essere costui? Le sue parole sono bestemmia: Dio solo può cancellare i peccati ». E non s’accorgevano quegli uomini gretti che Gesù intanto leggeva i loro pensieri: « Perché  pensate male in cuor vostro? Secondo voi, è più facile perdonare i peccati o far camminare un paralitico? Ebbene, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha la potestà sopra la terra, di rimettere i peccati: sorgi! – gridò, volgendosi all’infermo, – prendi il tuo letto e vattene a casa tua! »  Quegli si rizzò e, caricatosi sulle spalle il giaciglio, si diresse a casa: per tutta la folla passò un fremito di meraviglia. Qualcuno, a gran voce glorificava il Signore. Questo è il brano del Vangelo: deduciamo alcune riflessioni per l’anima nostra.  Il male che affliggeva il povero paralitico io lo assomiglio al male che affligge molte anime: l’abitudine cattiva. Osservate quanto è vero. Il paralitico da solo non poteva fare un passo: ma anche quelli che si trovano da anni e anni irretiti nelle abitudini peccaminose non sanno più muovere un passo sulla via del bene. Essi si lasciano trasportare dalle passioni, come una fragile barchetta senza remi da una rapace fiumana. Non una preghiera sincera, non più un proposito efficace, non più uno sforzo per uscire dal terribile stato in cui ogni giorno affondano maggiormente. Il paralitico notte e dì giaceva sul letto duro: anche l’abitudine cattiva è un letto duro per i disgraziati che vi giacciono. Capiscono che rovinano la propria anima, quella degli altri, dissipano magari la salute e la sostanza, trascurano la moglie e i figli: capiscono e soffrono ma una fune invisibile li tiene legati al vizio. Una fune non di ferro né di corda, ma formata dalla loro volontà, quella volontà che hanno ceduto al demonio perché ne facesse le catene d’imprigionare la loro anima (S. Ag. Conf., VIII, 5). Il paralitico fu guarito, non per i propri meriti, ma per la fede che era negli altri; così è ben difficile che chi vive in abitudine cattiva possa guarire, se qualche persona buona tra i parenti e gli amici non prega per lui e non lo conduce con dolcezza ai Sacramenti dove troverà Gesù che gli dirà: « Sorgi e cammina! ». Ma il danno più grave che l’abitudine cattiva cagiona nell’uomo è quello di sconvolgerlo così che la sua anima non capisce più il bene, non sente più nessun affetto per ciò che è nobile e soprannaturale, non conosce più nemmeno Iddio che l’ha creata. Questo è il primo pensiero. Esaminiamo poi la nostra coscienza: e se, Dio non voglia, siamo proprio anche noi travolti da qualche abitudine cattiva, con uno sforzo eroico corriamo ai rimedi per guarire. – 1. L’ABITUDINE CATTIVA SCONVOLGE TUTTA L’ANIMA NOSTRA a) Non capisce più i suoi eterni interessi: Un padre visitava una fiera con la sua figliuola; nel trambusto, nella folla, nel clamore smarrisce la figlia. Subito la cerca; la fa cercare; senza utilità. Passarono quattro anni: quattro lunghi anni di trepidazione, di attese, di speranze e di accascianti delusioni. Finalmente, passando per Londra, scorge sopra un palco di lottatori una fanciulla. Non ha dubbio alcuno: è sua figlia. Penetra nel palco… « Figlia mia! » le dice; ma la piccina, guasta per la dimora prolungata coi saltimbanchi, contaminata dai loro cattivi discorsi, già aveva dimenticato la sua prima infanzia: aveva dimenticato la sua casa tiepida e linda, il riso delle sue sorelle, i baci della mamma che sempre l’aspettava e piangeva; aveva dimenticato perfino il volto di suo padre. E non lo riconobbe più. « Voi, mio padre? » rispondeva. « Indietro: non vi conosco! ». « Bimba mia! » le diceva l’infelice signore col cuore spezzato, « bimba mia, guardami in viso: non ti ricordi più di quando ti cullavo sulle ginocchia, di quando ti compravo i balocchi, di quel giorno fatale in cui ti condussi alla fiera? ». « No, no! » insisteva la fanciulla. « Con voi non voglio venire: il mio vero padre è questo qui ». E accennava un sinistro ciarlatano, che voleva intervenire per non lasciarsi sfuggire la preda! (Mons. DE SÉGUR Semplici storie). Quante volte accade così all’uomo come a quella fanciulla! Attirato da una gioia di bassi istinti, ingannato dal demonio, grande ladrone di anime, abbandona la dolce casa di famiglia, perde l’amicizia del Padre che sta nei cieli. Divenuto preda delle passioni, a poco a poco si abitua a convivere con loro; fatto schiavo dal demonio, e poco a poco si persuade di esserne il suo servitore. Dio va a cercarlo: moltiplica gli appelli, ripete gl’inviti: « Figliuolo, eccomi, sono Io: tuo Padre, te ne supplico! Oh, se sapessi quanto io bramo di riaverti come mio figliuolo! » Ma l’uomo, abituato nei peccati, non capisce più niente, non riconosce più la voce di Dio, non sa più d’avere un’anima; e con la sua condotta risponde al Signore: « Non so nemmeno chi tu sia: a me piace fare la mia volontà, il mio padrone è il demonio ». Suo padrone è il demonio?… E non sa più che da Dio è stato creato, che da Gesù Uomo-Dio è stato redento, che a Dio deve ritornare per essere giudicato? E non sa più che il demonio, è il nemico acerrimo dell’uomo, e che le sue passioni lo precipiteranno nell’inferno per tutta un’eternità di tormenti e di paure? b) Non capisce più nemmeno i suoi interessi temporali: Ecco un uomo abituato nella passione del gioco: ha sperperato così l’eredità de’ suoi poveri genitori, ha rovinato l’avvenire a’ suoi figliuoli, ha già fatto debiti; eppure gioca ancora. Prevede che i creditori tra poco lo assalteranno, e non potendo pagare sarà chiamato in tribunale; eppure gioca ancora. Tutti già sussurrano di lui, il suo onore e quello della famiglia è già intaccato, eppure gioca ancora. – Ecco un uomo abituato nella passione del bere: ogni domenica, ed anche più spesso, nella casa avvengono scene ributtanti. Egli torna dall’osteria dove ha sciupato il guadagno di molti giorni; entra in casa in uno stato pietoso; gli occhi stravolti, la persona scomposta e dondolante, parole insensate, bestemmie orribili. I figlioletti hanno paura del loro padre e si nascondono vicino alla mamma che tace e piange. Come farà quella famiglia a prosperare? Come farà quell’infelice a guadagnare se le continue ubriacature gli bruciano lo stomaco e dànno a tutte le sue membra un tremito nervoso? Come cresceranno quei figliuoli sotto l’influsso degli esempi paterni? Forse, dopo l’ebbrezza, queste cose le pensa, e pensa a qual calvario condanna la sua sposa; eppure, si è formato una tale abitudine a cui non è più possibile resistere. – Ecco un uomo abituato nella passione dell’impurità: tutto il giorno la sua mente freme sotto il soffio di mille demoni; i suoi occhi non sono mai custoditi; la sua lingua è un carbone d’inferno. La sua anima è discesa al livello dei bruti; i suoi interessi vanno male, ma egli pensa ben altro. La sua famiglia soffre, ma egli non ha più cuore per i nobili affetti. L’abitudine cattiva l’ha sommerso nel fango, e non ricorda più nemmeno se esiste il cielo. Ecco un uomo abituato nella passione dell’avarizia; non dorme, non mangia abbastanza. Sempre in ansietà, è pronto nel ghermire l’altrui, è lento nel concedere il proprio. Non un’elemosina ai poveri, non una beneficenza alle opere pie, non un suffragio a’ suoi morti. Trascura perfino la doverosa educazione dei figli, a cui non concede nemmeno il necessario per vestirsi: è schiavo del danaro. E dopo una vita di stenti sanguinosi, le ricchezze accumulate di chi saranno? Non importa: alla sua passione non può dire di no. – 2. RIMEDI CONTRO LE ABITUDINI CATTIVE. Quello strambo filosofo ch’era Diogene, un giorno, prese un uomo che aveva la cattiva abitudine di rubare, cominciò a sgridarlo e a dimostrargli il male che commetteva e la necessità di correggersi. Per caso, passò da quelle parti un amico del filosofo che gli chiese: « Diogene! che stai dicendo, che parli con tanto calore? ». Il filosofo rivolse uno sguardo all’amico passante e gli disse: « Sto lavando la faccia al moro ». Io non sono così pessimista come l’antico sapiente, ma sono persuaso che non sia cosa facile correggersi da un’abitudine cattiva. Come l’uccello s’accorge d’esser legato al filo quando tenta di volarsene via, così l’uomo si lascia impaniare dalla cattiva abitudine senza accorgersi, ma quando tenta di liberarsene si trova davanti a difficoltà gravissime. E prima di tutto bisogna vincere le difficoltà che il demonio suscita contro quelli che vogliono ricominciare una vita nuova. Quel gran monte a cavaliere del Lazio aspro e della ridente Campania per molti anni fu la sede degli dei bugiardi e del demonio: anche quando in tutta Italia il culto idolatrico era scomparso, là rimanevano ancora i boschetti sacri a Venere e il simulacro d’Apollo. Un giorno su quel monte salì una compagnia d’uomini vestiti di nero, cinti di cuoio: erano S. Benedetto e i suoi primi compagni, i quali a colpi di scure, cantando inni di gloria al Cristo vittorioso, rovesciarono ogni residuo di paganesimo. Si dice che mentre i monaci lavoravano, il demonio escogitava le sue vendette. Una volta mentre rovesciavano un idolo dal suo piedestallo, si destò tutto intorno una fiamma gagliarda che minacciava di incendiare la montagna. Un’altra volta, massi ciclopici, ruinavano giù dalla vetta, schiacciando ogni cosa, e rintronando spaventosamente. I monaci inorriditi fecero per fuggire, ma S. Benedetto tranquillo li arrestò e li incoraggiò con la preghiera. O Cristiani, quando il monte della vostra anima l’avete lasciato in possesso dell’idolo per anni e anni: quando avete permesso al demonio di rizzare dentro di voi un piedistallo per esservi adorato; quando nel vostro cuore avete lasciato che l’impurità impiantasse i suoi boschetti, non meravigliatevi se al momento in cui prenderete la scure per abbattere in voi il regno del demonio, questi vi abbia a spaventare per non lasciarsi sfuggire una preda che già credeva sua. E saranno incendi di passioni che si svilupperanno al primo tentativo di conversione; e saranno macigni che rotoleranno contro l’anima vostra ad abbatterla ogni volta che tenterà di alzarsi dal vizio e dal fango. Ed anche a noi mancherà il coraggio come ai primi monaci benedettini alla conquista di Montecassino. Non disperiamoci. Non è facile vincere una abitudine cattiva, ma non è neppure una cosa disperata come lavare la faccia al moro. Non importa, se qualche volta ricadremo: il Signore, quando c’è tutta la buona volontà e lo sforzo, sa compatire e aiutare maggiormente. Vinti gli inganni del demonio, attacchiamoci alla preghiera con quella bramosia con cui il naufrago s’attacca alla tavola della salvezza: La preghiera è il cibo dell’anima nostra, e come il corpo che non mangia s’indebolisce e muore, così l’anima che non prega s’indebolisce e soccombe. Il demonio è molto più astuto e più forte di noi; ma se preghiamo, Dio scenderà al nostro fianco: e se Dio è con noi, chi può essere contro di noi? Più necessaria ancora della preghiera, per quelli che vogliono liberarsi dall’abitudine cattiva è la frequenza ai sacramenti della Confessione e della Comunione: l’uno purifica e l’altro fortifica. Prima di farlo camminare, Gesù ha liberato il paralitico da’ suoi peccati: « Confida, figlio: i tuoi peccati ti sono rimessi ». Prima di muovere il primo passo sulla via del bene, bisogna liberarci dal fardello del male nella santa Confessione. La Comunione poi irrobustirà le nostre forze e ci renderà temibili anche al demonio. Infine bisogna agir contro all’inclinazione che l’abitudine cattiva ha formato in noi. Chi ha deviato dalla via giusta deve rifare in senso opposto tutta la strada sbagliata: così è pure nelle cose spirituali: « Age contra! ». Finora sei stato troppe indulgente col tuo corpo? da oggi incomincia a castigarlo con qualche mortificazione di occhi, di gola, di lingua. Finora sei stato troppo inclinato all’avarizia? da oggi sii più generoso coi poveri, con quelli che ti cercano aiuto e più giusto con te e con la famiglia. –  Dall’esercito Filisteo accampato contro i soldati di Saul, uscì fuori un terribile gigante, armato di placche di ferro dalla testa fino ai piedi: « Avanti — sfidò — venite a combattere con me! ». Ed ecco dalla parte d’Israele venire un giovanetto, senz’elmo, senza spada: soltanto portava il bastone, col quale tante volte aveva guidato sui pascoli il gregge e una piccola fionda con cinque pietruzze bianche; lui solo contro il gigante. Disse Goliath: « Sono io un cane, perché tu venga col bastone? Vieni e ti farò preda d’uccelli e di belve ». Disse David: « Tu hai spada, asta, scudo: io vengo inerme, però nel nome del Signore, Dio degli eserciti e Dio delle armate ». Dopo qualche tempo, un enorme troncone giaceva insanguinato sulla terra, ed un giovanetto correva verso il campo di Saul portando un capo mozzo, ancora grondante (1 Re, XVII). Se anche l’abitudine cattiva, — o del gioco, o del vino, o dell’avarizia, o della sensualità, o del furto — in cui siamo caduti è per noi terribile da vincere come un gigante armato, non scoraggiamoci! È vero che siamo deboli per natura e per peccato, ma se noi davvero vogliamo convertirci, il Dio degli eserciti, il Dio delle armate combatterà con noi e per noi, E vinceremo. — CARITÀ VERSO I PECCATORI. La malattia di quel poveretto era ben grave. Inchiodato in un letto, non poteva fare il minimo gesto, non sapeva muovere neppure un dito. Solo negli occhi aveva la vita, ma il corpo era immobile come un cadavere. Per guarirlo i medici non avevano nessun rimedio: perché nelle sue vene rifluisse la linfa vitale ci voleva la parola di Gesù che faceva i miracoli. Ma se non ci fossero stati quei buoni uomini a prenderlo e a portarlo a Gesù quell’infermo non si sarebbe certo mai più trovato col Maestro divino. Forse venivano anche da lontano perché se fossero stati tutti di Cafarnao avrebbero saputo che Gesù era partito con la barca e così non sarebbero andati, con quel peso, ad incontrarlo al porto, ma nella casa che Lo ospitava. Quanta carità in questi uomini che dimenticano per un giorno i loro interessi, la loro casa per curarsi di un loro fratello che ha bisogno di vedere Gesù e di essere da Lui veduto. Certo erano uomini di fede viva; perché uno che non crede a Gesù non farebbe neppure un passo, neanche il minimo sforzo per portare qualcuno da Lui. Dice anzi il Vangelo che il Signore rivolse la sua parola al malato quando vide la fede degli uomini che lo portavano e pregavano per lui. Io paragono alla malattia di quell’infelice lo stato deplorevole di quei Cristiani che sono morti alla grazia di Dio, se ne stanno lontani dalla Chiesa o vanno appena qualche rarissima volta forse più per superstizione che per spirito di fede. Oppure potremmo paragonare al paralitico del Vangelo di oggi i Cristiani che riguardo all’anima hanno quel poco di vita sufficiente per dire che non c’è la morte, ma non esiste un po’ di slancio per frequentare i Sacramenti, pregare di gusto, amare davvero il Signore. Ebbene, con questi Cristiani noi dobbiamo fare come gli uomini del Vangelo. Cioè se non abbiamo anche noi la stessa malattia, bisogna che li portiamo a Gesù col nostro buon esempio, bisogna che preghiamo il Signore con vivissima fede perché li guarisca. E non è forse vero che l’esempio trascina e che la preghiera è onnipotente? – 1. COL BUON ESEMPIO. Ai tempi di Nostro Signore Gesù Cristo, comandava da per tutto l’Impero Romano. I sudditi dovevano pagare ciascuno il proprio tributo secondo quello che possedevano, ma questo obbligo era diventato odioso a tutti per il modo con cui le tasse erano pagate. Alcuni ricchi coi loro danari compravano dal governo il diritto di ricevere i tributi di una determinata regione e tutti dovevano portare i denari a questi esattori che si chiamavano pubblicani. Gente, per lo più odiata da tutti perché liberi nei loro affari, senza nessuna sorveglianza delle autorità romane facevano grandi ingiustizie, succhiando il sangue alla povera gente che doveva tacere e pagare. Gesù che era venuto per evangelizzare i poveri e predicare la giustizia non poteva approvare questi disordini. Ora con la bontà e la mansuetudine, ora con la forza dei suoi rimproveri cercava di arrivare fino al cuore di quei pubblicani per convertirli alla giustizia ed all’amore. Ma tutti lo schivavano perché… seguire Gesù voleva dire rinunciare ai denari rubati, voleva dire aiutare i poveri, non pretendere di più di quanto era giusto. Questo costava fatica e nessun pubblicano si sentiva capace di compierlo. Un giorno però il Maestro passa vicino al banco di un pubblicano che stava proprio riscuotendo le tasse. Si chiamava Matteo. Gesù lo fissa in volto e gli dice: « Vieni dietro a me ». Il pubblicano senza esitare lascia tutto e si mette a seguire Gesù. Ed è così contento di stare con Lui che vuole imbandire un sontuoso banchetto in suo onore. E pensare che Gesù certamente da quell’uomo ha voluto una riparazione di carità, di elemosine per tutte le ingiustizie commesse in passato. Eppure, osservate: da quel momento i pubblicani si fanno coraggio, vincono la loro vergogna e cominciano a stare con Gesù. Vedete come era stato efficace l’esempio di Matteo! Sembrava dovesse essere da tutti compianto perché rovinava i suoi affari ed invece si è visto seguito da moltissimi altri. Cristiani, guardando attorno troviamo di quelli che possiamo paragonare al paralitico del Vangelo di oggi od ai pubblicani che pensano solo alle cose del corpo. Ma non mettiamoci in mente di far loro del bene con tante parole, con prediche lunghe o consigli studiati. Avviare un’anima alla conversione, alla grazia di Dio è dare a quest’anima la vita che le manca. Ora che possono dare la vita sono soltanto i vivi: un morto non può far nulla. Ci vuol dunque prima in noi la vita spirituale davvero vissuta, vita fatta di fedeltà assoluta ai propri doveri. Quando uno non manca mai alla Chiesa, frequenta con sincerità e fervore i Sacramenti, lavora con onestà, educa cristianamente i suoi figlioli, sta lontano dai divertimenti pericolosi, e rifugge da ogni discorso cattivo, e legge i giornali buoni questi vive la sua vita. Ebbene senza che egli se ne accorga, va gettando semi di bene in quelli che lo avvicinano, lo vedono, lo ascoltano. Soltanto in paradiso noi potremo comprendere bene tutta l’efficacia di una vita di buoni esempi. – 2. CON LA PREGHIERA. Tra i molti miracoli avvenuti a Lourdes v’è anche il seguente. Una giovane suora da parecchi giorni era gravemente inferma. Aveva già completamente perduto la vista ed ora cominciava ad irrigidirsi in una paralisi che le rendeva impossibile ogni movimento del capo e delle gambe. I medici dicevano tutti che il caso era disperato; per questo il sacerdote le aveva già amministrato gli ultimi Sacramenti. Ma in quell’Istituto c’erano delle anime che pregavano per la povera malata, c’erano soprattutto i piccoli innocenti che ogni giorno innalzavano al Cielo suppliche ardenti perché — se al Signore fosse piaciuto — la loro maestra riacquistasse la salute. Ed ecco che proprio quando tutto pareva perduto, quando la malata e le consorelle cominciavano già a pregare perché il giorno dell’Assunta fosse il giorno della dipartita da questa terra, una mano invisibile accarezza per tre volte quella fronte arsa dalla febbre. Credendo, perché non vedeva, che fossero state le suore a lei vicine a far le carezze, le pregò di desistere. Passano alcune ore e la inferma che dormiva è risvegliata da un’altra carezza sulla fronte e scorge distintamente la radiosa figura della Madonna, ammantata di celeste e cinta il capo di stelle, che si eleva soavemente magnifica dalla sponda del suo letto verso l’alto. La suora, fino allora immobile e cieca, si slanciava dal letto e alla suora infermiera che la tratteneva gridava: « Ho visto la Madonna! Ci vedo! Sono guarita ». Ed è così. Scomparsa la febbre, liberi i movimenti, nuovamente completa la vista. È impossibile descrivere la commozione di tutti, ma specialmente dei piccoli che avevano finalmente ottenuto la grazia implorata con tante preghiere. Cristiani, lo sa il Signore perché ha compiuto questo miracolo, ma io penso che la preghiera di tante anime deve aver fatto violenza sul Cuore di Dio. e penso anche a tanti ammalati nell’anima che camminano sull’orlo dell’inferno e pei quali ogni speranza di ravvedimento sembra perduta. Sono quelli che hanno abbandonato la Chiesa e i Sacramenti, sono quelli che bestemmiano come demoni e vivono pensando solo al corpo, senza un palpito per Dio e per l’anima. Questa è la vera infermità, la vera agonia, l’unico vero male. Solo il Signore è buono di portare un rimedio. Ma noi possiamo pregare, possiamo come quei piccoli innocenti forzare il Cuore di Dio a concedere un po’ di luce a quelli che sono ciechi, a dare un po’ di vita a quelli che sono morti. Ecco allora che, quando tutto sembra inutile, la mano invisibile di Dio e della Vergine comincia a toccare le menti riarse dalla febbre del peccato. È un pensiero di fede, un rimorso, una compagnia, una parola buona che si fa sentire e penetra in fondo al cuore. Dapprima forse non si vuole credere, ma poi… il Signore ottiene la vittoria completa. – Di quante conversioni e diciamo pure di quante santità raggiunte, la causa deve essere ricercata nelle preghiere, nelle immolazioni, nei sacrifici di anime sconosciute nei conventi o nelle case o nelle botteghe o nelle officine strappano a Dio i miracoli! – Ai primi Cristiani di Corinto, S. Paolo scriveva così: « Voi siete una lettera di Cristo » Che cosa voleva dire? Vedete, la lettera è fatta per esprimere ad uno lontano i nostri pensieri. Se Gesù dovesse scrivere una lettera agli uomini quali pensieri esprimerebbe? « Seguite la mia legge di amore, ascoltate le mie parole perché io sono stato mandato dal Padre a salvare i peccatori ed ora sto sempre davanti a Lui a pregare per voi ». Ebbene S. Paolo dice che noi, la nostra vita deve essere questa lettera, questa predica vivente col buon esempio e con la preghiera perché tutti si salvino.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Exod. XXIV: 4; 5
Sanctificávit Móyses altáre Dómino, ófferens super illud holocáusta et ímmolans víctimas: fecit sacrifícium vespertínum in odórem suavitátis Dómino Deo, in conspéctu filiórum Israël.

[Mosè edificò un altare al Signore, offrendo su di esso olocausti e immolando vittime: fece un sacrificio della sera, gradevole al Signore Iddio, alla presenza dei figli di Israele.]

Secreta

Deus, qui nos, per hujus sacrifícii veneránda commércia, uníus summæ divinitátis partícipes éfficis: præsta, quǽsumus; ut, sicut tuam cognóscimus veritátem, sic eam dignis móribus assequámur.

[O Dio, che per mezzo dei venerandi scambii di questo sacrificio, ci rendi partecipi della tua sovrana e unica divinità, concedi, Te ne preghiamo, che, come conosciamo la verità, cosí la conseguiamo con degna condotta.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de sanctissima Trinitate
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in uníus singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua glória, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretiónis sentímus. Ut in confessióne veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, et in esséntia únitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamáre quotídie, una voce dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: che col Figlio tuo unigénito e con lo Spirito Santo, sei un Dio solo ed un solo Signore, non nella singolarità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Cosí che quanto per tua rivelazione crediamo della tua gloria, il medesimo sentiamo, senza distinzione, e di tuo Figlio e dello Spirito Santo. Affinché nella professione della vera e sempiterna Divinità, si adori: e la proprietà nelle persone e l’unità nell’essenza e l’uguaglianza nella maestà. La quale lodano gli Angeli e gli Arcangeli, i Cherubini e i Serafini, che non cessano ogni giorno di acclamare, dicendo ad una voce:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster, qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps XCV: 8-9
Tóllite hóstias, et introíte in átria ejus: adoráte Dóminum in aula sancta ejus.

 [Prendete le vittime ed entrate nel suo atrio: adorate il Signore nel suo santo tempio.]

Postcommunio

Orémus.
Grátias tibi reférimus, Dómine, sacro múnere vegetáti: tuam misericórdiam deprecántes; ut dignos nos ejus participatióne perfícias.

[Nutriti del tuo sacro dono, o Signore, Te ne rendiamo grazie, supplicando la Tua misericordia di renderci degni di raccoglierne il frutto.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: OTTOBRE 2023

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: OTTOBRE 2023

Ottobre è il mese che la Chiesa Cattolica dedica al Santo Rosario. Oltre a questa, c’è un’altra importante festa mariana, l’11 di ottobre, la Maternità divina della Vergine Maria. Poi ci sono le feste degli Angeli custodi (2) e di grandi Santi, tra cui l’Evangelista S. Luca (18) e gli Apostoli S.S. Simone e Giuda (28). L’ultima domenica c’è la Festa di Cristo Re (29 – doppio di I Classe).

… Allorché l’eresia degli Albigesi s’estendeva empiamente nella provincia di Tolosa mettendovi di giorno in giorno radici sempre più profonde, san Domenico, che aveva fondato allora l’ordine dei Predicatori, si applicò interamente a sradicarla. E per riuscirvi più sicuramente, implorò con assidue preghiere il soccorso della beata Vergine, la cui dignità quegli eretici attaccavano impudentemente, ed a cui è dato di distruggere tutte l’eresie nell’intero universo. Ricevuto da lei l’avviso (secondo che vuole la tradizione) di predicare ai popoli il Rosario come aiuto singolarmente efficace contro l’eresie e i vizi, stupisce vedere con qual fervore e con qual successo egli eseguì l’ufficio affidatogli. Ora il Rosario è una formula particolare di preghiera nella quale si distinguono quindici decadi di salutazioni angeliche, separate dall’orazione Domenicale, e in ciascuna delle quali ricordiamo, meditandoli piamente, altrettanti misteri della nostra redenzione. Da quel tempo, dunque, questa maniera di pregare incominciò, grazie a san Domenico, a farsi conoscere e a spandersi. E, ch’egli ne sia l’istitutore e l’autore, lo si trova affermato non di rado nelle lettere apostoliche dei sommi Pontefici. – Da questa istituzione sì salutare promanarono nel popolo cristiano innumerevoli benefici. Fra i quali si cita con ragione la vittoria, che il santissimo Pontefice Pio V e i principi cristiani infiammati da lui riportarono presso le isole Cursolari sul potentissimo despota dei Turchi. Infatti, essendo stata riportata questa vittoria il giorno medesimo in cui i confratelli del santissimo Rosario indirizzavano a Maria in tutto il mondo le consuete suppliche e le preghiere stabilite secondo l’uso, non senza ragione essa si attribuì a queste preghiere. E ciò l’attestò anche Gregorio XIII, ordinando che a ricordo di beneficio tanto singolare, in tutto il mondo si rendessero perenni azioni di grazie alla beata Vergine sotto il titolo del Rosario, in tutte le chiese che avessero un altare del Rosario, e concedendo in perpetuo in tal giorno un Ufficio di rito doppio maggiore; e altri Pontefici hanno accordato indulgenze pressoché innumerevoli a quelli che recitano il Rosario e alla confraternita di questo nome. – Clemente XI poi, stimando che anche l’insigne vittoria riportata l’anno 1716 nel regno d’Ungheria da Carlo VI, imperatore dei Romani, su l’immenso esercito dei Turchi, accadde lo stesso giorno in cui si celebrava la festa della Dedicazione di santa Maria della Neve, e quasi nel medesimo tempo che a Roma i confratelli del santissimo Rosario facendo preghiere pubbliche e solenni con immenso concorso di popolo e grande pietà indirizzavano a Dio ferventi suppliche per l’abbattimento dei Turchi e imploravano umilmente l’aiuto potente della Vergine Madre di Dio a favore dei Cristiani; perciò credé dover attribuire questa vittoria al patrocinio della stessa Vergine, come pure la liberazione, avvenuta poco dopo, dell’isola di Corcira dall’assedio parimente dei Turchi. Quindi perché restasse sempre perpetuo e grato ricordo di sì insigne beneficio, estese a tutta la Chiesa la festa del santissimo Rosario da celebrarsi collo stesso rito. Benedetto XIII fece inserire tutto ciò nel Breviario Romano. Leone XIII poi, in tempi turbolentissimi per la Chiesa, e nell’orribile tempesta di mali che da lungo tempo ci opprimono, ha sovente e vivamente eccitato con reiterate lettere apostoliche tutti i fedeli del mondo a recitare spesso il Rosario di Maria, soprattutto nel mese d’Ottobre, ne ha innalzato di più la festa a rito superiore, ha aggiunto alle litanie Lauretane l’invocazione, Regina del sacratissimo Rosario, e concesso a tutta la Chiesa un Ufficio proprio per la stessa solennità. Veneriamo dunque sempre la santissima Madre di Dio con questa devozione che le è gratissima; affinché, invocata tante volte dai fedeli di Cristo colla preghiera del Rosario, dopo averci dato d’abbattere e annientare i nemici terreni, ci conceda altresì di trionfare di quelli infernali. (Dal Messale Romano).

Festa degli Angeli custodi

Zach II:1-5

E alzai i miei occhi, e guardai, ed ecco un uomo con in mano una corda da misuratore; e dissi: Dove vai tu? Ed egli mi disse: A misurare Gerusalemme per vedere quanta sia la sua larghezza, e quanta la sua lunghezza. Quand’ecco l’Angelo che parlava con me uscì fuori, e gli andò incontro un altro Angelo. E gli disse: Corri, parla a quel giovane, e digli: Gerusalemme sarà abitata senza mura, per la gran quantità d’uomini e di bestie che saranno dentro di essa. Ed io le sarò, dice il Signore, muraglia di fuoco tutt’intorno, e sarò glorificato in mezzo a lei.

Festa di Cristo Re

… Ci sembrò poi più d’ogni altra opportuna a questa celebrazione l’ultima domenica del mese di ottobre, nella quale si chiude quasi l’anno liturgico, così infatti avverrà che i misteri della vita di Gesù Cristo, commemorati nel corso dell’anno, terminino e quasi ricevano coronamento da questa solennità di Cristo Re, e prima che si celebri e si esalti la gloria di Colui che trionfa in tutti i Santi e in tutti gli eletti. – Pertanto, questo sia il vostro ufficio, o Venerabili Fratelli, questo il vostro compito di far sì che si premetta alla celebrazione di questa festa annuale, in giorni stabiliti, in ogni parrocchia, un corso di predicazione, in guisa che i fedeli ammaestrati intorno alla natura, al significato e all’importanza della festa stessa, intraprendano un tale tenore di vita, che sia veramente degno di coloro che vogliono essere sudditi affezionati e fedeli del Re divino…

(S. S. Pio XI, lett. Enc. Quas primas)

Indulgenze per il mese di OTTOBRE:

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Fidelibus, qui mense octobri saltem tertiam Rosarii partem sive publice sive privatim pia mente recitaverint, conceditur:

Indulgentia septem annorum quovis die;

Indulgentia plenaria, si die festo B . M. V. de Rosario et per totam octavam idem pietatis obsequium præstiterint, et præterea admissa sua confessi fuerint, ad eucharisticum Convivium accesserint et alicuius ecclesiæ aut publici oratorii visitationem instituerint;

Indulgentia plenaria, additis sacramentali confessione, sacra Communione et alicuius ecclesiæ aut publici oratorii visitatione, si post octavam sacratissimi Rosarii saltem decem diebus eamdem recitationem persolverint (S. C. Indulg., 23 iul. 1898 et 29 aug. 1899; S. Pæn. Ap., 18 mart. 1932). 81028

[Ai fedeli che nel mese di ottobre reciteranno almeno la terza parte del Rosario in pubblico o in privato, si concede:

Indulgenza di sette anni ogni giorno;

Indulgenza plenaria se nel giorno della festa del B.M.V. saranno confessati e comunicati secondo s.c.

Indulgenza plenaria, s. c.  se dopo l’ottava del sacratissimo Rosario, almeno per dieci giorni lo avranno recitato.]

RECITATIO ROSARII

395

a) Fidelibus, si tertiam Rosarii partem devote recitaverint, conceditur: Indulgentia quinque annorum;

Indulgentia plenaria, suetis conditionibus, si quotidie per integrum mensem idem præstiterint (Bulla Ea quæ ex fidelium, Sixti Pp. IV, 12 maii 1479; S. C. Indulg., 29 aug. 1899; S. Pæn. Ap., 18 mart. 1932 et 22 ian. 1952).

ORATIO AD D. N. IESUM CHRISTUM REGEM

Indulg. plenaria suetis condicionibus semel in die (272)

DÒMINE Iesu Christe, te confiteor Regem universàlem. Omnia, quæ facta sunt, prò te sunt creata. Omnia iura tua exérce in me. Rénovo vota Baptismi abrenùntians sàtanæ eiùsque pompis et opéribus et promitto me victùrum ut bonum christiànum. Ac, potissimum me óbligo operàri quantum in me est, ut triùmphent Dei iura tuæque Ecclèsiæ. Divinum Cor Iesu, óffero tibi actiones meas ténues ad obtinéndum, ut corda omnia agnóscant tuam sacram Regalitàtem et ita tuæ pacis regnum stabiliàtur in toto terràrum orbe. Amen.

Queste sono LE FESTE DEL MESE DI OTTOBRE 2023:

1 Ottobre Dominica XVIII Post Pentecosten I. Octobris  S.duplex Dom. minor *I* –    

                   Commemoratio: S. Remigii Episcopi et Confessoris

2 Ss. Angelorum Custodum Duplex majus *L1*

3 S. Theresiæ a Jesu Infante Virginis  Duplex

4 S. Francisci Confessoris  Duplex majus

5 Ss. Placidi et Sociorum Martyrum  Simplex

6 S. Brunonis Confessoris  Duplex

7 Sanctissimi Rosarii Beatæ Mariæ Virginis  Duplex II. classis *L1*

                Commemoratio ad Laudes tantum: S. Marci Papæ

8 Dominica XIX Post Pentecosten II. Octobris  Semiduplex Dominica minor

                 Commemoratio: S. Birgittæ Viduæ

9 S. Joannis Leonardi Confessoris  Duplex

10 S. Francisci Borgiæ Confessoris  Semiduplex m.t.v.

11 Maternitatis Beatæ Mariæ Virginis  Duplex II. classis *L1*

13 S. Eduardi Regis Confessoris  Semiduplex m.t.v.

14 S. Callisti Papæ et Martyris  Duplex

15 Dominica XX Post Pentecosten III. Octobris  Semiduplex Dominica minor

                Commemoratio: S. Teresiæ Virginis

16 S. Hedwigis Viduæ  Semiduplex

17 S. Margaritæ Mariæ Alacoque Virginis  Duplex

18 S. Lucæ Evangelistæ  Duplex II. classis

19 S. Petri de Alcantara Confessoris  Duplex m.t.v.

20 S. Joannis Cantii Confessoris  Duplex

21 S. Hilarionis Abbatis

22 Dominica XXI Post Pentecosten IV. Octobris  Semiduplex Dominica minor *I*

24 S. Raphaëlis Archangeli  Duplex majus *L1*

25 Ss. Chrysanthi et Dariæ Martyrum  Simplex

26 S. Evaristi Papæ et Martyris  Simplex

           Elezione di S.S. Papa Gregorio XVII Giuseppe Siri

27 In Vigilia Ss. Simonis et Judæ Ap.  Simplex.

28 Ss. Simonis et Judæ Apostolorum  Duplex II. classis *L1*

29 Domini Nostri Jesu Christi Regis  Duplex I. classis *L1*

             Commemoratio: Dominica XXII Post Pentecosten I. Novembris *I*

31 In Vigilia Omnium Sanctorum  Simplex

LO SCUDO DELLA FEDE (271)

P. Secondo FRANCO, D.C.D.G.,

Risposte popolari alle OBIEZIONI PIU’ COMUNI contro la RELIGIONE (14)

4° Ediz., ROMA coi tipi della CIVILTA’ CATTOLICA, 1864

CAPO XIV.

RELIGIONE AMMODERNATA

I. Perché la religione non si piega un poco. Il. Progresso in religione. III. Esigenze dei tempi.

I. Il nostro secolo è secolo di conciliazione, dicono i moderati, or perché non si potrebbe fare anche un poco di transazione in fatto di religione? Se questa si piegasse un tantino, si adattasse e smettesse alquanto del suo rigore, e si conformasse ai tempi, non dovrebbero poi gli uomini del mondo guardarla sì di mal occhio…: tutto sarebbe che ci fosse un poco di discrezione, ed la religione cattolica potrebbe ancora sperare un avvenire. Questo modo di favellare è usitatissimo nel mondo, ed un cotale in questi ultimi tempi spese non so quanti volumi a persuadere questo ammodernamento del cattolicismo al Papa, ai Vescovi, ai Preti, a tutti i fedeli, e trovò non pochi dabben uomini di spirito conciliante che gli tennero bordone. Or che cosa volete che io dica a questa proposta? Mi sembra impossibile che, non dico empietà, ma stravaganze cotali possano annidarsi in mente cattolica. E per rispondere prima generalmente, che cosa è la religione cattolica? E una religione rivelata da un Dio, venuto sopra la terra a farsi maestro degli uomini, una religione che professa un determinato numero di verità da credere ed un determinato numero di esercizi da praticare. Ora, come può cadere in mente ad un Cattolico che tutto ciò si possa cangiare? Ma chi sarà e chi avrà il coraggio di mutare quello che è di divina istituzione? Se dunque il dicono per ischerzo, si rammentino che in materia sì grave non è lecito di scherzare; se il dicono da senno, hanno perduto il senno. – Quello che dà noia a molti e che perciò vorrebbero vedere cambiato, sono l’autorità della Chiesa, l’obbligo dei digiuni e delle astinenze, l’intervento alla Messa, le confessioni, le comunioni, la preghiera, l’indissolubilità del matrimonio e simili: ma e chi può apportare cambiamento a tutte queste leggi? La Chiesa stessa, sebbene di alcuni di questi obblighi può determinare praticamente il modo con cui soddisfarvi, non può mettervi mano al tutto, quanto all’abrogarli. Non può levare nè la Messa, nè la confessione, nè l’obbligo di pregare o di far penitenza, nè diminuire di un solo articolo la somma delle credenze rivelate, o scemare di un apice i precetti imposti. Quello che Cristo ha rivelato un tempo, rimane rivelato per sempre; quello che fu vero una volta, rimane sempre vero; come quello, che una volta fu comandato da Gesù, non fu mai più da Lui abrogato. Chi pertanto avrà diritto di porvi mano e modificarlo a sua posta? I protestanti, che si formano da sé la religione col giudizio privato, possono formare e riformare quanto vogliono; e così noi vediamo che usano di questo loro diritto con qualche ampiezza. Niun protestante, cinquant’anni dopo Lutero, credette più quello che credette Lutero; come la seguente generazione non credette più quello che la generazione che l’aveva preceduta: e dai cambiamenti che si fanno ogni giorno si può raccogliere che quelli, che verranno tra poco, non crederanno più quanto credono quei d’oggigiorno. Sì, per loro ciò è possibile, ma per noi che non siamo ancora giunti a cambiar di religione, come si fa degli abiti o delle mode; che professiamo di tenere quel solo che Gesù Cristo ha insegnato; che sappiamo esser chiusa da diciotto secoli la rivelazione e non essersene fatta più veruna posteriormente, per noi è al tutto impossibile.

II. Ma le ragioni del progresso? domanderà alcuno. Vi risponderò: rispetto alla verità rivelate il progresso non fa prova, perde sua forza e passa per un semplice ciarlatanismo. La religione è stazionaria, ferma, immobile, come quella rocca sopra cui è fondata. Tutti i Padri della Chiesa, tutti i Dottori, tutti i fedeli gridano concordemente ad una voce, che si deve tenere solo ciò che fu tenuto sempre, quello che fu tenuto dovunque (quod semper, quod ubique), che ogni novità è uno scandalo, che basta, affinché sia ripudiata una dottrina qualunque, il sapersi che essa non sia antica. Il perché quello che fu tenuto e fatto in antico, quello bisogna tenere e fare in presente. Ne’ primi secoli i fedeli non volevano aver niuna comunione di preghiere con gli eretici, niuna vuol aversene in presente. Allora i fedeli intervenivano nelle catacombe a celebrare i divini misteri e partecipare ai sacramenti, ed ora, cambiate solo le catacombe ne’ nostri templi sontuosi, bisogna intervenire ai medesimi misteri e partecipare agli stessi sacramenti. Allora Gesù intimava la sommissione intiera e completa all’autorità della Chiesa, pena l’essere avuto in conto di gentile e di pubblicano: ed ora pretende al tutto che dipendiamo dalla Chiesa e dai pastori che in essa sono stabiliti. Allora proibiva le ribellioni, le congiure, i diletti, ed imponeva la sommissione alle legittime autorità dei principi, fossero anche discoli, ed ora intima lo stesso e non accorda il far guerra e macchinare né contro il barbaro, né contro il civile. Un solo progresso è lecito in religione se lo volete, ed è amar più Dio che non l’amarono i vostri maggiori, essere più che essi non furono pii, limosinieri, caritatevoli, disinteressati, casti, abbondanti di ogni opera buona. In tutto ciò vi è pienissima libertà: ed è il solo progresso che sia pienamente consentito. Per nostra disgrazia però è il solo progresso di cui nessuno si cura.

III. Voi fate il soro, dirà taluno, con queste risposte, e mostrate di non intendere quello che a meraviglia già avete compreso. – Non vogliamo che si muti la religione quanto all’essenziale, tenete pure, se volete, anche i dogmi; ma dimandiamo solo che sia raffazzonata, soprattutto quanto alla pratica, che sia recata alle esigenze dei tempi…. Questa e non altra è la nostra dimanda. Ebbene, io vi Risponderò che ho afferrato benissimo il vostro concetto, così Dio vi conceda, o lettore, di comprendere tutto quello che in esso v’ha di falso e di iniquo. Di tanti errori che da tre secoli in qua si sono sparsi contro la Chiesa, niuno forse è più pernicioso di questo. Le aperte eresie dei riformatori del secolo XVI non possono far gabbo a uomini che cercano sinceramente la verità, sono espresse in chiare formole, sono apertamente contro la dottrina della Chiesa, e da questa in termini riprovate. Similmente le bestemmie sfrenate del passato sono così audaci e così svergognate, che, passato il momento di delirio, ne ebbero orrore quegli stessi che ne erano sedotti; ma la dottrina che si sparge ora di raffazzonare, ammodernare il Cristianesimo, di adattarlo al tempo ed al popolo, siccome è più benigna e non mostra nell’apparenza tutta la malignità che contiene intrinsecamente, si fa largo anche presso certi Cristiani non malvagi, ma leggieri e superficiali, i quali credono benissimo che la religione si possa spogliare, quasi d’una scoria che la ricopre, di certe asperità, durezze e forme esterne che le sono essenziali. Ad intelligenza di questo errore, avvertite adunque che la religione abbraccia due sorte di verità, naturali le une, soprannaturali le altre. A cagione di esempio, che Dio esista, che questo Dio sia uno, buono, santo, perfettissimo, sono verità alle quali può pervenire anche la sola ragione usata debitamente: ma che Dio sia uno nell’essenza e trino nelle Persone, che una di queste tre divine Persone si sia incarnata, sono verità a cui niuna ragione umana può pervenire, e bisogna al tutto che vi sia una rivelazione divina, la quale ce ne ammaestri. Similmente nell’ordine pratico vi sono dei precetti morali, ai quali può arrivare anche la sola natural ragione, come è il non rubare, non ammazzare, non fornicare, e Dio per mezzo della natura stessa ce li intima: vi sono dei precetti morali, ai quali non giunge la sola natura, come l’amare i nemici, dare la vita pel prossimo e adoperare per nostra santificazione certi riti, cerimonie, esercizii piuttosto che altri; e questi Gesù Cristo ce li intima con atti di sua positiva volontà. – Inoltre avete da sapere che il Cristianesimo abbraccia bensì anche tutti quei precetti naturali, ma consiste esso principalmente nella perfezione che a quei primi precetti volle aggiunta il Figliuolo di Dio, e per questo esso è legge più perfetta, più pura, più santa che non fu la legge data ai Patriarchi, od a Mosè, che non è quella che possa scoprirsi col solo lume della natura. Vedetelo in parte nel riscontro colla legge antica, sebbene data dallo stesso Dio, là come apparecchio della novella. La legge antica ordinava certamente di amare il prossimo, ma permetteva ancora in certi casi la legge del taglione. Gesù Cristo aggiunse invece l’amar perfino i nostri nemici, il far loro del bene per imitare il Padre celeste, il quale fa bene anche ai malvagi. La legge antica prevedeva l’uso onesto dei beni terreni, ma li lasciava godere, anzi prometteva, come rimunerazione del bene vivere, l’abbondanza di essi: la legge nuova vuole che distacchiamo il cuore da tutto il sensibile, e inclina, per renderci somiglianti a Gesù, all’amore della povertà, e ci propone dei beni spirituali invece dei temporali per premio. La legge antica concedeva perfino in certi casi la pluralità delle donne: la nuova non solo non ne consente più d’una , ma conforta quelli, che il vogliono, ad una illibatissima purità. La legge antica aveva riti e cerimonie che figuravano misteri avvenire e che non davano altra giustizia che l’esteriore e legale: la muova invece ha sacramenti, i quali giustificano pienamente l’uomo comunicandogli la grazia interiore. La legge antica guidava i suoi professori per via di timore più che d’amore: la nuova vi conduce per via d’amore più che di timore. E così andate dicendo di molte altre varietà che vi sono tra le due leggi, per le quali si vede quanto l’evangelica superi la passata. Ciò presupposto, ecco quello che interviene a dì nostri. Popoli eresiarchi hanno impugnata ora l’una, ora l’altra delle dottrine speculative di Gesù Cristo, ed hanno fatta opera di distruggere il Cristianesimo quanto alla credenza: a giorni nostri, data un poco di tregua alle credenze, si tenta di distruggere, tutta la pratica di esso, cioè tutta quella ulteriore perfezione, che Cristo aggiunse alla legge naturale ed alla legge scritta, per tornarci se fosse possibile, allo stato in che erano gli uomini prima di Gesù Cristo. – Ed ecco in qual modo Gesù Cristo mirava, come abbiam detto di sopra, nella formazione dei suoi seguaci a stabilire l’amore dei beni del cielo sul distacco dei beni della terra; e l’eresia moderna che così può benissimo chiamarsi) sotto pretesto di far discendere al popolo, al secolo, all’odierna civiltà la religione, inculca che non bisogna poi in grazia del cielo postergare la terra. – Cristo, per formarsi un popolo spirituale e per comprimere l’amor del mondo e dei piaceri carnali, proponeva la penitenza, il digiuno, la fuga delle occasioni ecc., e l’eresia moderna, sotto colore di moderazione, condanna le austerità e le penitenze siccome eccessi, la fuga delle occasioni come sciocca rusticità, ed a rin contro promuove e proclama tutto quello che sollecita i sensi e la carne. – Gesù Cristo, per sottomettere lo spirito pienamente a Dio, inculcava l’umiltà, il disprezzo di sé medesimo, l’abnegazione del proprio volere; e l’eresia moderna fa tutto l’opposto, chiama imbecillità, bassezza tutto quello che serve all’umiliazione di se stesso, e fanatismo tutto quello che ripugna e contraddice alla propria volontà. – Gesù Cristo, per ottenere la nostra santificazione, ha ordinato mezzi affatto superiori agli umani, cioè virtù soprannaturali, quali sono la fede, la speranza, la carità, mezzi soprannaturali che c’impetrino, o ci apportino la grazia interiore, quali sono l’orazione ed i sacramenti; e l’eresia moderna, disconoscendo tutto quello che è sopra natura, vi sostituisce le sue virtù tutto umane, cioè la filantropia, l’amor proprio, il sentimento della propria dignità e simili. – Gesù Cristo voleva che, nell’attuare i mezzi della salute noi dipendessimo totalmente dalla Chiesa che Egli sostituì in sua vece pel magistero dei fedeli; e questa eresia, disconoscendo l’autorità stabilita, crede superbamente di poter fare da sè, e fa veramente da sè, non curandosi nè punto, nè poco del magistero della Chiesa. – In breve, Gesù Cristo ordinò modi e vie tutto speciali per la salvezza di quelli che sarebbero stati suoi fedeli; e l’ eresia presente, dispettandoli tutti, tutti li prevarica iniquamente. Di che quale sarà la conseguenza? Che con questa riforma si viene a negare l’un dopo l’altro ogni articolo della legge cristiana e ad annientare tutto il Cristianesimo. In prova di che fingete pure che costoro osservassero quella legge qualunque di probità naturale che si propongono, e di cui sola si contentano, sarebbero così ancora Cristiani? Nulla meno. Imperocché un poco di probità naturale, l’amore umanitario degli uomini, il sentire la propria dignità, il rispettarsi, e cento altre di queste virtù, possono stare ottimamente in un Gentile, che mai non ha inteso parlare di Gesù Cristo. – Cristianesimo è muoversi per fede, è aspirare ai beni eteni colla speranza, è operare per carità. Cristianesimo è star sottomessi al sommo Pontefice, ai Vescovi che Dio ha proposti a reggere la Chiesa. Cristianesimo è praticare quelle virtù speciali che Gesù Cristo portò al mondo ed insegnò ai mortali, la purezza, l’umiltà, il distacco dai beni terreni, l’amore soprannaturale di Dio e del prossimo. Cristianesimo è onorare Iddio non a capriccio, ma con quei modi determinati da Gesù, quali sono il sacrifizio della Messa, l’orazione, la partecipazione all’Eucaristia ed agli altri sacramenti nei tempi e modi da Lui assegnati. Tutte quelle altre maniere possono esser buone prese in sè stesse, ma per un Cristiano al tutto non bastano. – Ed è evidente anche da ciò, che se queste bastassero, gl’insegnamenti di Gesù, il suo magistero, la grand’opera della fondazione della Chiesa, con tutti i tesori di grazie, onde la fece depositaria per nostro vantaggio, sarebbero affatto inutili. La croce di Gesù Cristo resterebbe, per parlare coll’Apostolo, pienamente invanita, e non porterebbe più un frutto che nol potesse portare allo stesso modo la nostra corrotta natura. E come no? Se bastavano quelle virtù senza le pratiche positive del Cristianesimo, i Gentili fino ad un cotal punto vi potevano pervenire. Certamente poi non era mestieri d’abrogare la legge dei Giudei, i quali avevano già tutti quegli obblighi imposti nella loro legge. Al naturalismo in religione doveva bastare la natura. Se Gesù è venuto sulla terra, se ci ha innalzati ad uno stato soprannaturale per essere seguaci suoi, bisogna ammettere tutto quello che costituisce la detta elevazione e perfezione. Dio buono! che sorta di errore è mai questo! È la distruzione pratica di tutto il Cristianesimo. – Eppure in questo errore giacciono turpemente Cristiani senza fine. Io ve ne accennerò alcune schiere, perchè le possiate meglio conoscere. – Vi sono in primo luogo quei protestanti, i quali di negazione in negazione son pervenuti fino al razionalismo, dei quali è piena l’Allemagna, che, non accettando più dalle mani di santa Chiesa quel che devono credere ed operare, non si guidano se non se con la cortissima loro ragione, e praticamente trascinati poi dalle passioni non esercitano più nessun culto. Vi sono anche tra i Cattolici quei mondani, i quali tutti immersi nella grande opera di far danari o di sollazzarsi continuamente, non conoscono più neppur quello che sia Cattolicesimo, e non vivono diversamente dai protestanti. Vi sono di quelli che pur conoscono alcun poco le dottrine cattoliche, ma essendo carnali, femminieri, dediti al senso ed alla voluttà, per non contristare la loro carne, e non diminuire i loro diletti, si danno attorno a persuadere sè ed altrui, che non sono essi che hanno da piegarsi alle esigenze della religione, ma che la religione dee piegarsi alle loro. Vi sono dei progressisti fanatici, i quali, piena la mente delle mirabilità del progresso, hanno bisogno per farsi passare quali filosofi, di declamare tutto giorno che la religione ha da avanzare. – Vi sono dei riformatori, i quali pensano che, come si ha da ristorare la politica e metterla in armonia con la civiltà moderna, così si ha da fare altrettanto colla religione. – Vi sono poi certi fanciulloni di università, i quali, per fare i maestri addosso al padre, alla madre ed alle sorelle nella famiglia, non trovano altro mezzo che quello di scaraventare le più strane proposizioni contro le divine istituzioni del Cristianesimo. – Credereste? vi ha persino delle donne, che, piene di vanità fin nelle viscere e svogliate al tutto delle pratiche religiose, che mal possono combinare col lusso sformato, colle genialità, colle tresche e colle dissolutezze, onde son contaminate, hanno bisogno di far passare sotto colore filosofico la non curanza dei doveri religiosi ed il segreto dispetto che loro portano. Vi ha persino qualche ecclesiastico, il quale, avendo bisogno di farsi perdonare dal mondo il collare che porta, dichiara e propaga che si può combinare la religione col secolo, purché si distingua il Cattolicismo dal gesuitismo, le pratiche superstiziose dalle religiose, il culto sincero dalle forme estrinseche onde si riveste, e, che so io. – Tutti costoro, qual più, qual meno, sono in questo errore spaventosissimo ed in questa pratica negazione del Cristianesimo. Per spogliarlo delle sue asperità e durezze gli tolgono quello che è a lui essenziale e vitale, cioè tutto quello che Gesù Cristo ha apportato sulla terra di positivo, tutto quello che più espressamente ha voluto da noi. Ecco dove ricade poi finalmente l’ammodernare la religione, il raffazzonarla, il conciliarla col secolo e colla civiltà.

IL CATECHISMO DI SPIRAGO (XIII)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XIIi)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

PRIMA PARTE DEL CATECHISMO:

FEDE (9).

2-7 Art. del Simbolo: Gesù Cristo. (4)

7. LA PERSONA DEL SALVATORE.

Gesù Cristo nostro Salvatore è il Figlio di Dio fatto uomo, e quindi Dio stesso.

I. L’incarnazione del Figlio di Dio.

I pagani stessi avevano il presentimento che la divinità sarebbe discesa tra gli uomini per conversare con loro. La loro mitologia, ad esempio la storia di Tantalo, parla di visite agli uomini da parte degli dei. Ma Dio ora è veramente disceso sulla terra (S. Giovanni III, 10) all’Annunciazione della nascita di Gesù Cristo.

1. LA SECONDA PERSONA DIVINA HA ASSUNTO L’UMANITÀ NEL GREMBO DELLA VERGINE MARIA, PER OPERA DELLO SPIRITO SANTO AL MOMENTO DELL’ANNUNCIAZIONE.

Il Figlio di Dio ha poi accettato un’anima ed un corpo umani, come una sorta di veste per manifestarsi sulla terra. Nella sua incarnazione, Egli è arrivato da Dio come un sole: i nostri occhi possono guardarlo senza essere abbagliati solo quando è coperto dalle nuvole, così Dio si è circondato della nube della carne per mostrarsi ai nostri deboli occhi corporei. (L. de Grenade). Il pensiero umano si riveste di parola per comunicarsi al mondo esterno, così Dio si è rivestito della natura umana (corpo e anima) per rendersi visibile agli uomini; il Verbo (cioè il Figlio di Dio) si è fatto carne (uomo) ed abitò tra noi (visse 33 anni tra gli uomini). (S. Giovanni, I, 14). – L’incarnazione ha avuto luogo nel momento in cui Maria ha detto all’Arcangelo: “Mi sia fatto secondo la tua parola” (S. Luca, I, 38). Questa parola di Maria ha attirato il Verbo divino (San Bernardo), e la seconda Persona della Trinità discese nel grembo della Vergine Maria, come il sole si riflette sulla superficie di un mare calmo. È un’eresia credere che l’umanità di Cristo sia stata formata per prima e che il Figlio sia stato unito ad essa in seguito; o credere che Cristo abbia portato il suo corpo dal cielo (eresia dei Valentiniani). Cristo ha preso il suo corpo dalla B. Vergine Maria, è stato fatto da una donna, dice S. Paolo (Gal. IV, 4) ed è della razza di Davide secondo la carne (Rom. I, 3). Indubbiamente, il Figlio dell’uomo è disceso dal cielo (S. Giovanni III, 13), ma per quanto riguarda la sua Persona e non la sua umanità. – Non è necessario nemmeno credere che l’essenza divina, comune alle tre Persone, sia scesa dal cielo per unirsi alla natura umana, cioè il corpo e l’anima; in questo caso le tre Persone si sarebbero incarnate e sarebbe già stato impossibile, perché questa incarnazione avrebbe prodotto un cambiamento nella divinità, che è una supposizione assurda, data l’immutabilità di Dio. Solo una Persona della Trinità, il Figlio, ha assunto l’umanità. Dio (una Persona divina), ma non la divinità, si è fatto uomo. Per certo, la natura divina è intimamente unita alla natura umana, attraverso la Persona del Figlio. – Tuttavia, è fuori di dubbio che le tre Persone divine abbiano cooperato all’incarnazione; infatti, tutti gli atti esterni di Dio sono compiuti dalla natura divina, che è comune alle tre Persone. –

L’INCARNAZIONE È PROPRIAMENTE L’OPERA DELLE TRE PERSONE DIVINE.

Tutte e tre hanno creato un corpo e un’anima umani e li hanno uniti alla seconda Persona. Le tre Persone divine hanno rivestito una di esse di umanità, come tre fratelli che si aiutano a vicenda per coprire uno di loro con una veste. In una lira, la corda da sola produce il suono piacevole – dice S. Agostino – eppure sono in tre a collaborare alla produzione di questo suono: la mano, la corda e l’abilità dell’artista. Solo la seconda Persona si è fatta carne e si è resa visibile, eppure tutte e tre le Persone hanno cooperato. Il corpo e l’anima aiutano l’uomo a nutrirsi, eppure il nutrimento si unisce solo al corpo; allo stesso modo le tre Persone hanno agito di concerto nell’incarnazione, anche se la natura umana era unita solo alla seconda Persona. – Tuttavia, l’incarnazione è attribuita allo Spirito Santo, perché è la più grande opera dell’amore di Dio, le cui manifestazioni sono sempre attribuite allo Spirito Santo, cioè all’amore del Padre e del Figlio. (Cat. rom.) – I Dottori della Chiesa ritengono che anche il Padre e lo Spirito Santo avrebbero potuto incarnarsi; ma è stato il Figlio dell’uomo, che da tutta l’eternità è il Figlio di Dio, Colui che è l’immagine sovranamente perfetta di Dio, a ripristinare nell’uomo l’immagine soprannaturale di Dio, distrutta dal peccato.

2. IL PADRE di GESÙ È DUNQUE DIO NEI CIELI; GIUSEPPE, IL MARITO DI MARIA, È SOLO IL SUO PADRE ADOTTIVO.

Cristo è dunque il Figlio di Dio, non solo perché è la seconda Persona della Trinità, ma anche perché Dio ha creato la sua umanità, (Grég. M.). – Nella prima profezia sul Salvatore, nel Protovangelo, Cristo è chiamato discendente di Dio.

Vangelo, Cristo è chiamato figlio della Donna e non dell’uomo (Gen. III, 15J). Cristo stesso si è chiamato Figlio dell’uomo, cioè figlio di un’unica persona umana (S. Matth. XXVI, 64). Nella genealogia di Cristo, S. Matteo cita solo gli antenati di Maria, ma non quelli di Giuseppe (S. Matth. 1,16), eppure Gesù era considerato da molti come figlio di Giuseppe (S. Luca III, 23). Giuseppe era il marito di Maria, solo per salvaguardare l’onore di Gesù e di Maria davanti agli uomini e di provvedere alla loro sicurezza e al loro mantenimento. Di più, Dio voleva ancora nascondere il mistero dell’Incarnazione agli uomini, perché ne sarebbero stati scandalizzati. – Giuseppe era un artigiano (falegname) (S. Matth. XIII, 65); era giusto, cioè conduceva una vita santa (S. Matth. 1,19): era, dice S. Gerolamo, perfetto in ogni tipo di virtù. La sua santità era così grande perché era molto vicino alla fonte di ogni santità, così come l’acqua diventa più limpida quanto più si avvicina alla fonte (S. Thom. Aq.); si distingueva soprattutto per la sua castità che eguagliava la purezza degli Angeli e superava quella di tutti i Santi (S. Fr. de Sales); per questo è raffigurato con un giglio in mano. S. Giuseppe era pieno di di grazie; Dio gli concesse un onore che i re e i Profeti avevano bramato senza mai ottenerlo; gli fu concesso di portare Gesù in braccio, baciarlo, parlargli, vestirlo… di nutrirlo, di proteggerlo (S. Bern.; Pio IX). Giuseppe fu chiamato padre da Colui il cui Padre era Dio (S. Bas.). Molti santi pensano che egli abbia un rango in cielo, come marito della Regina dei cieli, che sarebbe molto invocato verso la fine del mondo. e che allora darebbe prova dell’efficacia della sua intercessione. (Anche Giuseppe in Egitto tardava a farsi riconoscere dai suoi fratelli). – S. Giuseppe è il patrono della Chiesa (Pio IX, 8 dicembre 1870), cioè la Chiesa si è posta sotto la sua speciale protezione presso Dio. È anche patrono della buona morte, perché chiede in modo particolare questa grazia per coloro che lo invocano: egli stesso infatti è morto di morte beata, perché Gesù e Maria lo hanno assistito. S. Giuseppe è anche invocato con successo nelle necessità temporali, perché ha provveduto al sostentamento del Salvatore. San Tommaso dice che questo santo ha ottenuto da Dio di aiutarci in ogni tipo di necessità, e Santa Teresa (+1582) dichiara che tutte le sue preghiere a questo santo, nei momenti di bisogno dell’anima e del corpo, venivano sempre esaudite. S. Alfonso lo invocava ogni giorno ed i missionari si rivolgono a lui con giustificata fiducia. La Chiesa lo colloca nel suo culto subito dopo la Beata Vergine, e quindi prima di tutti gli altri Santi (Congreg. des Riti, 8 dic. 1870).

3. L’incarnazione del Figlio di Dio è un mistero, perché non possiamo mai comprenderla, ma solo ammirarla e adorarla.

Già il profeta Isaia (LIII, 8) aveva dichiarato che la venuta del Salvatore era inenarrabile. La concezione e l’incarnazione di Gesù sono più misteriose della fioritura della verga secca di Aronne, che produsse foglie, fiori e frutti (mandorle) (S. Aug.). “Chiudi gli occhi, ragione, perché puoi sostenere lo splendore di questo mistero soltanto sotto il velo della fede, proprio come l’occhio del corpo non può sostenere la luce del sole senza il velo della nube”. (S. Bern.) “Io so – dice S. G. Cris. – che il Figlio di Dio si sia fatto uomo, ma non so come si sia fatto uomo”. Ecco alcuni paragoni che si riferiscono all’Incarnazione: “La divinità e l’umanità erano unite in Cristo come l’anima e il corpo nell’uomo”(Symb. Ath.); se la materia e lo spirito, che differiscono così radicalmente, possono essere uniti nell’uomo, a maggior ragione la divinità e l’umanità possono essere unite in Lui poiché hanno una certa somiglianza. Anche l’umano ha la sua incarnazione; la parola è prima di tutto pensiero, quindi qualcosa di spirituale, ma quando vuole comunicare se stessa, viene incorporata nella voce, diventa una parola sensibile e viene ascoltata da molti. Nonostante questo il mio pensiero non ha cessato di appartenere a me; così il Verbo di Dio è diventato visibile a molti uomini, senza cessare di essere con il Padre” (S. Aug). I seguenti paragoni sono delle figure del concepimento di Gesù Cristo. Dio ha formato il corpo di Cristo con il sangue di Maria, come trasse Eva da Adamo formato dalla terra (S. Isid.) L’incarnazione assomiglia alla produzione dei primi frutti al momento della creazione: le prime piante produssero i primi chicchi, per l’onnipotenza di Dio senza alcuna cooperazione da parte dell’uomo. –

Dobbiamo adorare il mistero dell’Incarnazione con il suono dell’Angelus.

Il sorgere e il tramontare del sole sono un vivido ricordo dell’Incarnazione e della morte di Cristo, luce del mondo. Le parole dell’Angelus ci ricordano il colloquio tra Maria e l’Angelo. – In ogni Messa in cui si recita il Credo, il Sacerdote piega il ginocchio alle parole: Et incarnatus est; così pure nell’ultimo Vangelo, alle parole: Et Verbum caro factum est. Questa genuflessione è un atto di adorazione del mistero dell’Incarnazione. – Nella Messa solenne di Natale e nella festa della Annunciazione (25 marzo), tutto il coro si inginocchia al suddetto passaggio. del Credo e china il capo. – Gli Angeli stessi adorano questo mistero. “Gli uomini – dice S. Efrem rivolgendosi a Cristo – confessano la tua divinità. gli Angeli adorano la tua umanità. Questi si meravigliano della tua bassezza, quelli della tua grandezza”.

4. L’INCARNAZIONE DEL FIGLIO DI DIO ERA NECESSARIA PER ESPIARE PERFETTAMENTE L’OFFESA FATTA ALLA MAESTÀ DI DIO..

Indubbiamente, Dio avrebbe potuto salvare gli uomini altrimenti che con l’Incarnazione; avrebbe potuto glorificare la sua bontà, accontentandosi di una soddisfazione insufficiente o addirittura perdonare il peccato senza alcuna soddisfazione. S. Agostino scriveva: “Ci sono degli stolti che considerano la sapienza divina incapace di salvare gli uomini se non attraverso l’Incarnazione, la nascita del Figlio da una donna, la sua passione dolorosa. Dio avrebbe potuto agire diversamente”, ma come vediamo dalla morte del Salvatore, Dio ha preteso una soddisfazione perfetta; gli è piaciuto glorificare la sua giustizia e non la sua bontà. E solo un Uomo-Dio poteva fornire una perfetta riparazione. La grandezza dell’offesa è sempre misurata dalla grandezza della persona., un’offesa nei confronti di Dio è infinita e, di conseguenza, nessuna creatura, nemmeno l’Angelo più perfetto, è in grado di riparare pienamente. Si richiede l’intervento di un essere infinito, cioè Dio stesso. La salvezza dell’uomo ha quindi richiesto l’Incarnazione (S. Anselmo); Dio da solo non poteva soffrire, l’uomo da solo non poteva redimere, ed è per questo che Dio si unisce all’umanità. (S. Proclo). Quando un ritratto irriconoscibile deve essere restaurato, l’originale è obbligato a posare di nuovo. È così che Dio è dovuto scendere dal cielo per restaurare l’uomo fatto a sua immagine e somiglianza. (S. Athan.).

Per soddisfare perfettamente la maestà divina offesa, il Dio-Uomo è apparso sulla terra in uno stato di abbassamento.

Se fosse apparso in tutto lo splendore della sua maestà, il Re della gloria non sarebbe stato crocifisso. (I Cor. XI:8). In un certo senso, Cristo ha imitato il re ateniese Codro. L’oracolo di Delfi aveva dichiarato che gli Ateniesi sarebbero stati vittoriosi se il loro re fosse stato ucciso dai nemici. Codro si travestì da schiavo ed entrò nell’accampamento nemico, dove fu ucciso. Quando vennero a sapere che avevano soddisfatto le condizioni dell’oracolo, si spaventarono e fuggirono. I profeti avevano anche predetto che l’umanità sarebbe stata salvata dalla morte del Re della Gloria. Egli prese la forma di uno schiavo, apparve nel mondo, non fu riconosciuto e fu ucciso. Quando gli spiriti maligni videro chi avevano ucciso attraverso i loro servi, fuggirono. (Deharbe). Se un re voleva mostrare le sue abilità di combattimento ed entrare nell’arena, doveva deporre tutti i segni della sua dignità, altrimenti nessuno avrebbe osato accettare la sua sfida; si sarebbe rivelato solo alla fine. È così che agisce il Figlio di Dio (Luigi de Gren.), ma tornerà con grande potenza e maestà. (S. Matth. XXVI, 64). È impossibile affermare in modo assoluto che il Figlio di Dio si sia fatto uomo, anche se gli uomini non avessero peccato; sappiamo solo che l’Incarnazione sia avvenuta dopo il peccato per salvare l’umanità. Tuttavia Dio, essendo onnipotente, avrebbe potuto incarnarsi anche senza peccato. Questa incarnazione avrebbe prodotto l’unione più intima degli uomini con Dio (S. Th. Aq.).

5. IL FIGLIO È SEMPRE RIMASTO DIO, NONOSTANTE L’INCARNAZIONE, NON HA PERSO NULLA DELLA SUA MAESTÀ.

Diciamo che il Figlio di Dio sia sceso sulla terra, ma questo non significa che abbia lasciato il cielo. Quando una stella diventa visibile, quando comincia a esistere per il nostro occhio, rimane nel firmamento, così il Verbo non ha lasciato la gloria del cielo quando si è fatto uomo. (Deharbe). La luminosità del sole non viene distrutta dalle nuvole, ma solo velata; allo stesso modo la divinità di Cristo non è annientata dalla sua umanità, ma solo nascosta, (S. Ambr.) Quando il verbo del nostro spirito, il pensiero, è tradotto esternamente dal linguaggio, non cessa di essere il pensiero della nostra intelligenza; allo stesso modo il Verbo di Dio, diventando visibile, non ha cessato di essere con il Padre. (S. Aug.). La parola, la parola che rivolgiamo a qualcuno, non è percepita solo da quella persona, ma da tutti coloro che la ascoltano, e così il Verbo divino, unendosi all’umanità, non è rimasto confinato in essa per non riempire il cielo e la terra con la sua presenza. (Deharbe). Cristo si è fatto uomo in modo tale da non cessare di essere Dio. Dio, attraverso l’incarnazione, non ha perso nulla della sua maestà. I raggi del sole possono asciugare una fogna senza macchiarsi. Dio ha potuto allearsi con il corpo casto di Maria senza riceverne alcuna macchia la divinità purifica tutto, senza essere macchiata da nulla (S. Odilone). Se un principe che ha indossato l’abito di uno schiavo raccogliesse un anello prezioso caduto nel fango e lo mettesse al dito, non perderebbe nulla del suo onore; così il Figlio di Dio non ha disonorato se stesso prendendo la forma di uno schiavo, per scendere tra gli uomini, salvare le loro anime e renderle sue proprietà. (Tert.) Una veste potrebbe essere troppo ordinaria per un monarca, se non fosse ricamata con oro, perle e pietre preziose; allo stesso modo la natura umana, sporcata dal peccato, sarebbe stata indegna del Figlio di Dio, ma non del corpo immacolato della Vergine. – Quando S. Paolo dice che Gesù Cristo annientò se stesso e prese la forma di uno schiavo (Fil. II, 7), non intende dire che Dio abbia perso una perfezione della la divinità, ma che si sia abbassato assumendo la natura umana e che così facendo ci abbia dato un esempio di umiltà.. (Ibid. 8).

6. CON L’INCARNAZIONE DEL FIGLIO DI DIO, L’INTERO GENERE UMANO È STATO INNALZATO AD UN’ALTA DIGNITÀ.

Il sole illumina con i suoi raggi tutti gli oggetti esposti. Così Cristo diffonde il suo fulgore divino su tutti gli uomini tra i quali ha conversato per 33 anni. La natura umana adottata dal Figlio di Dio è come il lievito che penetra in tutta la pasta (S. Matth. XIII, 33); Cristo è la vite, noi siamo i tralci (S. Giovanni X, 1). – In un certo senso siamo superiori agli Angeli; benché essi non siano soggetti alla morte ed alla malattia, non hanno Dio come fratello; se ne fossero capaci, sarebbero invidiosi di noi. “Il sommo padrone prese la forma di schiavo, perché lo schiavo diventasse libero” (S. Amb.). Il Figlio di Dio si è fatto Figlio dell’uomo, perché i figli dell’uomo diventino figli di Dio (S. Athan.). Quanto è preziosa la redenzione, visto che l’uomo sembra valere quanto Dio! – Perciò non sporchiamo mai la nostra dignità divina con il peccato; non svergogniamo Gesù Cristo; non facciamo mai ciò che è buono solo per il diavolo.

Quali sono le verità da concludere dal mistero dell’Incarnazione?

1. CRISTO È ALLO STESSO TEMPO VERO DIO E VERO UOMO; PER QUESTO LO CHIAMIAMO DIO-UOMO.

Ogni essere possiede la natura di quello da cui trae origine. Dall’origine umana il bambino riceve la natura umana. Cristo ha una doppia origine: con la sua origine da Dio Padre, possiede la natura divina; con la sua origine da Maria, ha acquisito la natura umana. Cristo ha sempre vissuto in modo tale da mostrarci che Egli è Dio e uomo (S. Aug.) A volte si è attribuito la divinità e a volte l’umanità. Il Padre, ha detto, è più grande di me (S. Giovanni XIV, 28), quindi “il Padre e Io siamo una cosa sola”. (ibid. X, 30). Come Dio, chiama Maria: Donna (a Cana e sulla croce); come uomo, la chiama: Madre. Egli stesso si è definito Figlio di Dio e Figlio dell’uomo.

Cristo come uomo è quindi simile a noi tranne il peccato (Concilio di Calcedonia).

“Cristo – dice S. Paolo – divenne in tutto simile ai suoi fratelli” (Eb. II, 17). Egli si è fatto simile agli uomini ed è stato riconosciuto come uomo da tutto ciò che appariva di Lui all’esterno. (Phil. II, 7). Cristo aveva un corpo umano come noi. Egli aveva le nostre necessità materiali, ha sentito la fame e la sete, ha mangiato, bevuto e dormito; ha sentito la gioia, ha pianto, ha sofferto ed è morto. Aveva quindi un corpo reale, e non solo l’apparenza di un corpo, come sosteneva l’eresia docetista. – Cristo aveva un’anima umana, e quindi un’intelligenza umana, perché dice di ignorare il tempo dell’ultimo giudizio (S. Marco XIII, 32) ed una volontà umana, perché prega: “Padre, non la mia volontà, ma la tua sia fatta”. (S. Luca, XXII, 42). Alla sua morte Cristo ha messo la sua anima nelle mani del Padre (ib. XXIII, 46). È quindi un’eresia credere che Gesù Cristo avesse soltanto un’anima sensibile, ma non un’anima ragionevole, come sosteneva Apollinare, che peraltro aveva ben meritato la fede con i suoi scritti contro gli ariani. – S. Paolo chiama Cristo uomo celeste, in contrasto con Adamo, l’uomo terreno che era stato formato dalla terra (1 Cor. XV, 47), perché il corpo di Cristo è stato miracolosamente formato dallo Spirito Santo dal corpo della Vergine, e che già sulla terra aveva rivelato le celestiali perfezioni di un corpo glorificato. (Trasfigurazione, cammino sulle acque).

2. IN CRISTO CI SONO DUNQUE DUE NATURE, LA NATYRA DIVINA E LA NATURA UMANA. Malgrado la loro intima unione, una sussiste accanto all’altra, senza mescolarsi con essa.

La natura è l’insieme delle facoltà insite in un essere; la persona è colui che mette in atto queste facoltà. Ciò che è comune a tutti gli uomini è la natura; ciò per cui l’uomo è un individuo, un essere che sussiste in sé, è la persona. La natura può essere comunicata a molti individui, ma non la persona. – Come un lingotto di ferro e un lingotto d’oro fuso si uniscono senza fondersi, così le due nature. di Cristo. -La natura umana non è stata quindi trasformata nella natura divina, come l’acqua si è trasformata in vino a Cana. Perché un essere finito e cangiante, non può essere trasformata in un essere immutabile e infinito. – Né la natura è stata assorbita dalla natura divina, come una goccia di miele viene assorbita dall’oceano, o un granello di cera dal fuoco (eresia di Eutiche, condannata dal Concilio di Calcedonia, 451). – L’unione delle due nature ha prodotto una terza natura, come, per esempio, l’idrogeno con l’ossigeno forma l’acqua, perché Dio è assolutamente immutabile.

Il Cristo ha dunque una doppiascienza, una scienza umana ed una scienza divina.

Come Dio, conosce tutto, anche i pensieri degli uomini, come uomo afferma di non conoscere né l’ora né il giorno dell’ultimo giudizio. (S. Marc. XIII, 32).

Anche Cristo ha una doppia volontà, una divina e una umana, anche se quest’ultima è completamente soggetta alla volontà divina. (III Concilio di Costantinopoli, 680).

L’esistenza di una volontà umana in Cristo è dimostrata dalla sua preghiera nell’Orto degli Ulivi: “Padre, non la mia volontà ma la tua sia fatta”. (S. Luc. XXII, 42). La sottomissione della volontà umana a quella divina emerge da queste parole: “Non cerco la mia volontà, ma quella di Colui che mi ha mandato”. (S. Giovanni, V 30). Questa volontà di Cristo morente può essere paragonata a quella di un malato che deve essere operato. La sua volontà è riluttante a sottoporsi all’operazione a causa delle sofferenze da sopportare, eppure si sottomette alla volontà del medico.

3. IN GESÙ CRISTO C’È UNA SOLA PERSONA LA PERSONA DIVINA.

Due occhi fanno una sola vista, due orecchie un solo udito. (Arnobio). L’anima ragionevole e il corpo sono un solo uomo, così Dio e l’uomo sono un solo Cristo (Simbolo di Sant’Atanasio). Nell’uomo il corpo sussiste solo grazie all’anima, e senza di essa cade nella polvere, così in Cristo la natura umana sussiste solo attraverso la Persona divina. – Sebbene la natura umana di Cristo non sussista in una persona umana ma divina, non per questo è imperfetta; al contrario, è diventata molto più perfetta. Il corpo, attraverso l’unione con l’anima, diventa più perfetto del corpo degli animali, così la natura umana diventa più perfetta attraverso la sua unione con il Verbo divino più perfetta rispetto a tutti gli altri uomini. Così il corpo di Cristo aveva qualità soprannaturali (ad esempio nella trasfigurazione). – Nell’uomo, il corpo è lo strumento attraverso il quale opera l’anima, così la natura umana è lo strumento attraverso il quale agisce la Persona divina. Tuttavia, l’umanità non è uno strumento inanimato, come la penna dello scrittore, ma è viva ed ha una sua attività distinta, come il fuoco che riscalda e illumina. (Esiste quindi una scienza ed una volontà umana distinta dalla scienza e dalla volontà divine). La natura umana di Cristo non è lo strumento della Persona divina come i Profeti, gli Apostoli, ecc. erano nelle mani di Dio; non erano intimamente uniti a Dio come l’umanità di Cristo. L’occhio e la mano sono strumenti intimamente uniti a noi, ma non la penna, la spada, ecc. È lo stesso che l’uso dei Profeti e degli Apostoli come strumenti di Dio. Essi non furono intimamente uniti a Dio come Cristo. – In Lui, quindi non abbiamo una Persona divina accanto ad una persona umana, un Cristo Dio accanto ad un Cristo uomo, in modo che la divinità, risieda in un uomo particolare come in un tempio, così come risiede nelle anime dei giusti. (Eresia di Nestorio, Patriarca di Costantinopoli, condannata al Concilio di Efeso: 431). Dal momento che la natura divina e la natura umana sono indissolubilmente unite nella Persona divina, ne consegue che:

1. Che Cristo stesso, in quanto uomo, è il Figlio di Dio.

Dio, dice S. Paolo, non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha offerto per tutti noi” (Rom. VIII, 32).

2. Maria, la Madre di Cristo, è veramente la Madre di Dio.

Maria ha partorito Colui che è Dio; è quindi la Madre di Dio. Elisabetta l’aveva già chiamata Madre del Signore. (S. Luc. ï f 43). L’eresia di Nestorio che sosteneva che si potesse chiamare solo la madre di Cristo, fu condannata dal Concilio di Efeso nel 431: “Se Nostro Signore Gesù Cristo è Dio – dice San Cirillo – come può la Beata Vergine che lo ha partorito non essere la Madre di Dio? Anche se il bambino non ha l’anima dalla madre, quest’ultima è tuttavia chiamata madre del bambino, così Maria è chiamata Madre di Dio, anche se non ha dato a Cristo la sua divinità.

3. Che Cristo come uomo non poteva né peccare né ingannarsi.

Cristo non ha peccato né in atti né in parole (S. Pietro II, 22). La luce non tollera alcuna tenebra intorno a sé, così il Figlio di Dio non tollera nella sua natura umana (S. Grég. M.). – Cristo possedeva la perfetta sapienza e santità fin dalla sua nascita (Col. II, 3) e non poteva fare nessun progresso. Le parole di S. Luc.: “Gesù cresceva in età e grazia”, (II, 52) significano che, con l’avanzare dell’età, la sua sapienza e la grazia di Dio si manifestavano sempre più nelle sue parole e nelle sue azioni. “Gesù Cristo, il sole di giustizia, agisce come il sole che dall’alba al mezzogiorno diffonde sempre più luce (Deharbe). – La statura corporea e il portamento di Cristo dovevano essere maestosi (Ps. XLIV, 3), La gloria e la maestà della divinità celata sotto il velo della carne si riflettevano sul suo volto e gli conferivano una bellezza che attraeva e soggiogava tutti coloro che avevano la fortuna di vederlo. (S. Ger.).

4. Le azioni umane di Cristo hanno un valore infinito.

Le azioni di un re sono azioni umane, perché è un uomo, ma sono anche azioni regali, perché è un re. Allo stesso modo, le azioni umane di Cristo erano veramente umane per la realtà della sua umanità, ma anche divine perché è veramente Dio. “Un ferro rovente brucia non perché ha questa proprietà per sua natura, ma perché. è stato a contatto con il fuoco, così la carne di Cristo agisce divinamente, non di per sé, ma perché è unita alla divinità” (S. Gioov. Dam.). La più piccola preghiera, la più piccola sofferenza di Gesù sarebbe stata quindi sufficiente a salvare il mondo.

5. L’umanità di Cristo deve essere adorata.

Questa adorazione non si riferisce alla natura umana, ma alla Persona; Il bambino che bacia la mano del padre non adora la mano, ma il padre stesso (Deh.) Chi onora il re, dice il B. Tommaso d’Aq., lo venera con la porpora che indossa.; così noi adoriamo in Cristo l’umanità con la divinità che è inseparabile da essa. Il legno può essere toccato, ma non quando brucia. Così non si può adorare la carne in sé, ma la carne a cui Dio era unita. La Chiesa adora dunque le Piaghe di Gesù Cristo, il Sacro Corpo di Cristo, il Sacro Cuore di Gesù (come sede del suo amore), il Prezioso Sangue di Cristo.

6. È quindi possibile attribuire qualità umane a Cristo-Dio e qualità divine a Cristo-Uomo. (La teologia chiama questo mistero comunicazione di idiomi.; idioma in greco significa proprietà). S. Pietro poté quindi dire, dopo la guarigione del paralitico: “Avete crocifisso il Creatore della vita”. (Act. Ap. III, 15). S. Paolo, da parte sua, scrive: “Se lo avessero conosciuto, non avrebbero crocifisso il Re della gloria”. (I Cor. II, 8), e S. Giovanni aggiunge: “Da questo conosciamo l’amore di Dio”, che ha dato la vita per noi” (I Ep. II, 15). (I Ep. II, 15). Poiché la seconda Persona divina è sia Dio che uomo, tutto ciò che si dice di questa Persona divina può essere detto anche di Cristo come uomo, ad esempio: quest’uomo sa tutto, è onnipotente. Ciò che possiamo attribuire a Cristo come uomo, possiamo attribuirlo anche alla seconda persona della Santissima Trinità, ad esempio che Dio ha sofferto, è morto per noi. Quando un uomo ha due qualità, la ricchezza e la misericordia, possiamo dire di lui: quest’uomo ricco è caritatevole, e quest’uomo misericordioso è ricco. Queste qualità si riferiscono alla sua Persona, che è ricca e caritatevole. Possiamo fare la stessa per Cristo in relazione alla sua Persona divina, che è Dio e uomo, che è qualità e proprietà divine e umane; possiamo quindi dire: questo morente è è Dio, questo morente è onnipotente, e così via. – Ma non si può dire: la divinità ha sofferto, è morta, perché questa parola designa la natura divina, che non ha sofferto. “Sebbene la divinità fosse in colui che soffriva, non era Essa a soffrire”. Il sole non viene colpito perché un albero illuminato da esso venga tagliato. Né la divinità è stata colpita dalle sofferenze dell’umanità. (S. G. Dam.).

II. GESÙ CRISTO È IL FIGLIO DI DIO..

Gesù Cristo è solitamente chiamato Figlio unigenito del Padre, ed è stato Lui stesso a darsi questo nome (S. Giovanni III, 10). Egli porta questo nome, in primo luogo perché è la seconda Persona della Santa Trinità che è unica, poi perché si distingue da tutti gli Angeli e da tutti i Santi, che sono anche chiamati figli di Dio. Dio infatti non si è sostanzialmente uniti a loro (Fil. II, 6), li ha solo resi suoi figli per adozione. (Gal. IV, 5). Cristo, in quanto Figlio unigenito di Dio, non voleva rimanere solo, ha voluto avere dei coeredi, sapendo che la sua eredità non sarebbe stata diminuita dall’aumento del numero dei partecipanti (S. Amb.).

1. Gesù Cristo affermò con giuramento davanti al sommo sacerdote di essere il Figlio di Dio (Matth. XXVI, 64).

Si attribuì questo titolo anche nel colloquio con il cieco-nato (S. Giovanni IX, 27).

2. Dio Padre chiamò Gesù suo Figlio, al momento del battesimo nel Giordano e della sua trasfigurazione sul monte (S. Matth. III, 17; xvu, 5).

3. Nell’annunciare a Maria la nascita di Gesù, (S. Luc. 1, 32) l’Arcangelo Gabriele lo chiamava già Figlio dell’Altissimo.

4. Anche Pietro lo chiamava Figlio del Dio vivente ed fu per questo elogiato da Gesù (S. Matth. XVI, 16).

5. Anche i demoni al momento di essere espulsi dai posseduti gridavano: “Gesù, Figlio di Dio, cosa vuoi da noi? Sei venuto a castigarci prima del tempo?” (S. Matth. Vlll, 29).

III. GESÙ-CRISTO È DIO STESSO.

I Profeti avevano già scritto: Dio stesso verrà a salvarci. (Is. XXXV, 4). Lo stesso Profeta aveva detto che il bambino destinato alla salvezza del mondo sarebbe stato Dio stesso (ib. IX, 6). – L’eretico Ario negava la divinità di Cristo. Egli fu condannato al Concilio di Nicea (325), che dichiarò che Cristo è consustanziale al Padre e quindi Dio. Ario morì improvvisamente durante una festa pubblica e il suo corpo scoppiò come quello di Giuda (336). La nostra fede nella divinità di Gesù Cristo deve essere molto salda e molto forte, perché tutta la religione poggia su questo dogma. Quando il giovane ricco disse a Gesù: “Maestro mio buono”, Gesù rispose: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo”. (S. Luc. XVIII, 19). Con questo Gesù voleva fargli capire che sopra ogni cosa doveva confessare la sua divinità, che senza quella tutto il resto non aveva valore.

1. LA DIVINITÀ DI GESÙ CRISTO È DIMOSTRATA DAL SUO INSEGNAMENTO E DALL’INSEGNAMENTO DEI SUOI APOSTOLI.

Al momento dell’Ascensione Egli disse: “Mi è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra” (S. Matth. XXVIII, 18); così come nella festa della Dedicazione disse: “Io e il Padre siamo una cosa sola ” (S. Giovanni X, 30), cosa che i Giudei consideravano una bestemmia per la quale volevano lapidarlo (ibid. 33). Inoltre, Cristo attribuisce a se stesso perfezioni e opere che sono appropriate solo a Dio; 1° l’eternità, dicendo di sé stesso: “Padre, glorificami con la gloria che avevo in te prima che il mondo fosse” (S. Giovanni XVII, 5), oppure: “Io sono prima che Abramo (ibid. VIII, 58); 2° il potere di perdonare i peccati: perdona i suoi peccati a Maddalena (S. Luc. VII, 48) ed al paralitico (S. Matteo, 2); 3° Egli è chiamato resurrezione (S. Giovanni V, 28), il Giudice dell’universo (S. Matth. XXV, 31); l’autore di ogni vita (S. Giovanni XI, 25), quando dice: “Se uno osserva la mia parola, non morirà mai”. (ibid. VIII, 51). – Gli Apostoli credettero fermamente e confessarono altamente la divinità di Gesù. Tommaso, vedendolo risorto, esclamò: “Mio Signore e mio Dio!” (ibid. XX 28). E S. Agostino dice di San Tommaso: “Vide l’umanità e confessò la divinità”. Tutta la pienezza della divinità, scriveva San Paolo ai Colossesi (II, 9), abita in lui corporalmente”; “per mezzo di lui tutte le cose sono state create, Egli è prima di tutto e tutte le cose sussistono in Lui”. (ibid. I, 16).

2. LA DIVINITÀ DI GESÙ CRISTO È DIMOSTRATA DAI SUOI MIRACOLI E DALLE PROFEZIE.

Il gran numero e la varietà dei miracoli compiuti da Gesù Cristo nel suo stesso nome dimostrano la sua onnipotenza. Questi miracoli possono essere suddivisi in 5 classi: l° miracoli nella natura inanimata (il cambiamento del vino in acqua, la moltiplicazione dei pani, il placarsi della tempesta, il camminare sull’acqua, ecc.); 2° guarigioni di malati (ciechi, muti, lebbrosi, paralitici); 3° le risurrezioni dei morti (la figlia di Giairo nella sua casa, il figlio della vedova di Naim alle porte della città, Lazzaro nel suo sepolcro); 4° l’espulsione dei demoni dagli indemoniati, che erano molto numerosi ai suoi tempi; 5° miracoli nel suo stesso corpo (la risurrezione, l’ascensione). – Il Cristo dimostrò così di avere il potere di comandare tutta la natura, in una misura che nessuno inviato da Dio aveva prima di lui. – I messaggeri di Dio compiono miracoli nel suo Nome (ad esempio, Pietro e Giovanni alla porta del tempio), ma Cristo operò in Nome proprio. Non disse: “Nel Nome di Dio, alzati” o simili, ma semplicemente: “Giovane, io ti dico, alzati”(S. Luc. VII, 14); “lo voglio, sii guarito” (S. Matth. VIII, 3); “Silenzio! Taci”. (S. Marco IV, 39). Quando Gesù prega dapprima il Padre suo, lo fa per allontanare il sospetto di essere uno strumento del principe dei demoni. (Benedetto XIV). – I miracoli attribuiti ai fondatori delle false religioni sono semplicemente ridicoli; Buddha deve aver cavalcato su un raggio del sole, la luna deve essere scesa davanti a Maometto e gli è passata per la manica; Apollonio di Tyana si dice che abbia trasportato tempeste in botti, creato alberi danzando, ecc. Che contrasto con la serena maestà di Cristo!

Le Profezie di Cristo sul suo stesso destino, sul tradimento di Giuda, il rinnegamento di Pietro, la morte di Giovanni e Pietro la distruzione di Gerusalemme, i destini del popolo ebraico e della Chiesa sono una prova della sua onniscienza.

Cristo aveva predetto che sarebbe morto a Gerusalemme (S. Luc. XIII, 32), che sarebbe stato flagellato e crocifisso, ma che sarebbe risorto dopo 3 giorni (S. Matth. XX, 17); durante l’ultima cena annunciò che Giuda lo avrebbe tradito (S. Giovanni XIII, 26), che Pietro lo avrebbe rinnegato prima che il gallo avesse cantato tre volte (S. Matth. XXVI, 34). Dopo la sua resurrezione predisse a Pietro che sarebbe stato crocifisso, a Giovanni che sarebbe morto di morte naturale (S. Giovanni XX, 18). Dopo il suo ingresso solenne a Gerusalemme (S. Luca XIX, 41) e nel suo discorso sul Monte degli Ulivi sul Giudizio Universale, annunciò che dopo una generazione Gerusalemme sarebbe stata assediata, circondata da trincee e completamente distrutta, che questo assedio sarebbe stato accompagnato da orrori come non ce ne sono mai stati, e come non ce ne saranno mai. Cristo sapeva anche che i Giudei sarebbero stati dispersi in tutto il mondo (S. Luca XXI, 24), che la sua Chiesa si sarebbe diffusa rapidamente tra tutti i popoli (S. Giovanni X, 16; S. Matteo XIII, 31), nonostante le violente persecuzioni contro i suoi Apostoli (S. Giovanni XVI, 2).

3. LA DIVINITÀ DI GESÙ CRISTO È PROVATA DALL’ELEVATEZZA DELLA SUA DOTTRINA E LA SUBLIMITÀ DEL SUO CARATTERE.

La dottrina di Gesù Cristo supera quella di tutti i saggi e differisce profondamente dalle dottrine delle altre religioni. La dottrina di Gesù risponde a tutte le esigenze del cuore umano ed è adatta ad ogni stato, ad ogni età, ad ogni sesso, ogni nazione. Milioni di persone hanno trovato in essa la perfezione della felicità, la consolazione in vita e in morte. I grandi filosofi, San Giustino e Sant’Agostino, hanno trovato in essa la pace del cuore che desideravano. – La dottrina cristiana ha gettato una luce abbagliante sull’origine e il fine ultimo dell’umanità; raccomanda le più sublimi virtù: amore per il prossimo, umiltà, mansuetudine, pazienza, amore per i nemici, sconosciute fino a Cristo, e che nessuno al di fuori di Lui avrebbe trovato. – La ragione, dice Kant, non conoscerebbe ancora le leggi generali della morale se il Cristianesimo non le avesse insegnate. La dottrina di Cristo, pur nella sua sublimità, è molto semplice e molto chiara, ed è stata insegnata con una tale autorità che il popolo quando ascoltava Cristo rimaneva stupito dalla forza del suo linguaggio (S. Matth. VII, 28). “È impossibile, dice Strauss, (teologo protestante razionalista) in qualsiasi epoca, prevalere su Gesù dal punto di vista religioso. La religione cristiana non contiene cosa che contraddica la ragione, che degradi l’uomo, cosa che non si può dire di altre religioni! Maometto ha insegnato il fatalismo e ha diffuso la sua religione con il ferro ed il fuoco. Il Talmud, la legge degli ebrei moderni, è altrettanto disdicevole.

Cristo era privo del minimo peccato e dotato di un numero infinito di virtù incomparabili, tanto da rimanere per sempre il modello dell’umanità.

Giuda, il traditore, confessò di aver versato sangue innocente {S. Matth. XXXVIT, 4); Pilato non trovò alcuna colpa in lui (S. Giovanni XVIII, 38); Cristo stesso chiese ai Giudei: “Chi di voi mi convincerà del peccato?” e i Giudei non potevano rispondergli (ibidem, VIII, 46). Cristo è persino esente da quei difetti, quelli che il tempo e la nazionalità imprimono al carattere di ogni uomo, come vediamo nel suo comportamento verso i Samaritani e i Romani, soprattutto nella sua bella parabola del Buon Samaritano. (S. Giovanni VII 1,46). – Le virtù eccezionali di Gesù sono: la sua grande carità verso il prossimo; tutta la sua vita è stata spesa nel servizio, “passava il tempo facendo del bene” (Act. Ap. X, 38), ha persino dato la vita per gli altri; la sua umiltà, che gli faceva cercare la compagnia dei più disprezzati; la sua mitezza, che gli ha fatto sopportare non solo le persecuzioni dei suoi nemici, ma anche l’infedeltà del suo apostolo; la sua pazienza, incomparabile nei tormenti più orribili; l’indulgenza verso i peccatori; l’amore per i nemici, di cui diede un esempio così bello sulla croce; la forza con cui si è mostrato ovunque; il suo ardore per la preghiera, che gli faceva trascorrere intere notti in questo esercizio. Dove altro si può trovare una figura come quella di Gesù? I filosofi pagani, ammirati dai loro contemporanei, sono come la luce di una pallida torcia rispetto al sole. Il personaggio di Gesù è e rimane un miracolo nella storia del mondo. – Ecco perché i più grandi nemici di Cristo lo adoravano loro malgrado: lo si vide quando scacciò i venditori dal tempio e nessuno osava opporsi a lui (S. Matth. XXI, 12). Quando i farisei volevano lapidarlo nel tempio, dopo che si era dichiarato Dio, egli passò oltre (S. Giovanni X). Nell’Orto degli Ulivi, Cristo non fece che parlare ai soldati, ed essi caddero all’indietro spaventati (ib. XVIII; Pilato stesso lo temeva (ibid. XIX).

4. LA DIVINITÀ DI GESÙ CRISTO È DIMOSTRATA DALLA RAPIDA DIFFUSIONE DELLA SUA DOTTRINA E DAGLI EFFETTI MERAVIGLIOSI CHE HA PRODOTTO NEL MONDO.

La dottrina cristiana si è diffusa rapidamente in tutto l’universo, superando i più grandi ostacoli e utilizzando i mezzi più semplici.

Gli ostacoli da parte dei pagani erano: le leggi romane che punivano con la morte o l’esilio il vilipendio agli dei; le calunnie diffuse contro i Cristiani accusati di ateismo, di antropofagia nei loro sacrifici, di terribili crimini di ogni tipo e di ogni genere, e incolpati di tutte le disgrazie pubbliche: la peste, la guerra, le inondazioni, provocate dall’ira degli dei; le crudeli persecuzioni a cui i Cristiani furono sottoposti a causa di queste calunnie per quasi 300 anni. In effetti, ci furono 10 grandi persecuzioni fino all’Editto della Tolleranza di Costantino il Grande. – Il Cristianesimo incontrò anche altri ostacoli: la dottrina di “un. suppliziato” era di per sé una follia per i pagani, e per di più era insegnata da giudei che i Romani disprezzavano profondamente. Inoltre, questa dottrina richiedeva la rinuncia, la generosità, virtù che aborrivano i pagani sensuali ed egoisti, virtù che erano penose anche per uomini relativamente ben disposti. – I Giudei erano forse ancora più difficili da conquistare, perché si aspettavano un impero messianico con gloria terrena. –

Mezzi usati per diffondere il Cristianesimo. Furono 12 semplici pescatori o pubblicani ignoranti, che senza eloquenza, senza adulazione, senza l’aiuto dei grandi, hanno convertito il mondo. Senza dubbio fecero dei miracoli, ma la diffusione del Vangelo senza miracoli sarebbe stato il miracolo più grande. (S. Aug.). – Questa diffusione fu meravigliosamente rapida. Il giorno di Pentecoste furono battezzati 3.000 convertiti, altri 2.000 dopo il miracolo nel portico del tempio. 100 anni dopo la religione di Cristo era così diffusa in tutto l’impero romano che Plinio il Giovane, governatore della Bitinia, riferì a Traiano “la diserzione dei templi nelle città e nei villaggi, perché vi erano Cristiani dappertutto”. Intorno al 150 d.C. Giustino scrisse: “Non c’è nazione in cui non si preghi il Padre celeste nel nome del Crocifisso”. Gamaliele aveva avuto ragione nel dire ne Sinedrio: “Se quest’opera è umana, cadrà da sola, se è divina, non potrete distruggerla”. (Atti degli Apostoli V, 38).

Il Cristianesimo ha eliminato l’idolatria e i suoi orribili costumi ed ha introdotto la vera civiltà nei popoli del mondo.

I sacrifici umani cessarono, così come i crudeli giochi circensi e i combattimenti tra i gladiatori. – Il Cristianesimo, rendendo obbligatorie le opere di misericordia, diede origine ad una serie di istituzioni caritatevoli per i malati, dei forestieri, ecc. – La dottrina dell’indissolubilità del matrimonio ha ricostituito la famiglia abolendo la poligamia e ripristinando la divinità della donna. Essendo ogni uomo membro di Cristo, la schiavitù scomparve gradualmente. – I governanti e le autorità hanno guadagnato rispetto, perché secondo il Cristianesimo i governi sono i rappresentanti di Dio. – Le leggi penali persero la loro disumanità e le guerre divennero più rare. I mestieri, le arti e le scienze erano meglio coltivati e il lavoro veniva messo al primo posto. – In una parola, tutti i veri Cristiani di tutti i secoli si distinsero per la pratica delle più alte virtù e delle opere di misericordia. Giuliano l’Apostata raccomandava ai pagani di imitare la generosità e la purezza di vita dei Cristiani. Una dottrina che produce tali effetti è ovviamente divina. – I nemici del Cristianesimo obiettano che il Cristianesimo abbia dato origine ad una miriade di guerre religiose e di scissioni (sette). Questa obiezione è inutile: questi mali non sono stati causati dalla dottrina di Cristo, ma dalle passioni degli uomini, che non hanno seguito questa dottrina in un modo o nell’altro. Non c’è nulla di così santo che non possa essere abusato. Io credo, dobbiamo gridare con San Pietro, che tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente.

IV. CRISTO È IL NOSTRO SIGNORE.

Nell’ultima cena, Gesù Cristo disse agli Apostoli: “Voi mi chiamate Maestro e Signore, e avete ragione, perché Io lo sono” (S. Giovanni XIII, 13).

Noi chiamiamo Cristo nostro Signore perché è il nostro Creatore, il nostro Salvatore, il nostro Legislatore, il nostro Maestro, il nostro Giudice.

Cristo è il nostro Creatore. Per mezzo di Cristo sono state create tutte le cose, il cielo e la terra, le cose visibili e quelle invisibili. (Col. I, 16). Dio ha fatto il mondo per mezzo del suo Figlio. (Eb. I, 2). S. Giovanni, nel suo Vangelo, chiama Gesù il Verbo ed aggiunge: “Nulla di ciò che è stato fatto, è stato fatto senza di Lui” (I, 3). Siamo quindi sue creature e gli apparteniamo come il vaso appartiene al vasaio. (Sal. II, 9), – Cristo è il nostro Salvatore. Siamo stati redenti e liberati da Lui dalla schiavitù di satana (I. S. Piet. I, 18); quindi gli apparteniamo come uno schiavo a colui che lo ha comprato. Così dice San Paolo: “Non sapete che non siete più vostri? Perché siete stati comprati a caro prezzo” (I Cor. VI, 19). È il nostro Legislatore. Ha reso più perfetto l’Antico Testamento e lo ha promulgato di nuovo, ha dato i due precetti dell’amore, è chiamato il Maestro del sabato (S. Luc. VI, 5); ora, colui che deve darci le leggi è il nostro Signore. – Cristo Cristo è il nostro Maestro. È così che chiamiamo chi insegna un mestiere, un’arte o una scienza. Ora, Gesù Cristo insegna agli uomini la scienza della salvezza, l’arte di diventare come Dio. Egli stesso si è chiamato Maestro. (S. Giovanni XIII, 13). – Cristo è il nostro giudice. Egli tornerà infatti con grande potenza e maestà, per radunare gli uomini davanti al suo tribunale e separarli, come il pastore separa i capri dalle pecore (S. Matth. XXV, 31). Sia i giusti che i peccatori lo chiameranno allora, Signore. “Signore: diranno, quando ti avremo visto affamato, assetato, straniero, nudo, malato, prigioniero?” (S. Matteo XXV, 37 e 44). – In tutto l’universo, i deboli sono soggetti ai forti e dipendono da loro. Il regno minerale serve il regno vegetale e quest’ultimo serve il regno animale, e tutti servono l’uomo. Come gli astri girano intorno alla stella polare, tutte le creature ruotano intorno a Cristo, il polo della grazia. Egli è l’unico Re dei re, l’unico Signore dei Signori, al quale siano onore e l’impero nell’eternità. Amen (I. Tim. VI, 16).

LA CHIESA ECLISSATA ED I SACRAMENTI (2)

LA CRESIMA O CONFERMAZIONE

IV. La Cresima è uno dei Sacramenti oggi maggiormente colpito, direi quasi “minato”, occultato dalla chiesa modernista finto-cattolica usurpante il Vaticano e tutte le diocesi mondiali. Iniziamo col ricordare qualche elemento base di questo Sacramento, richiamando canoni di Concili ecumenici, come ad esempio il Decreto agli Armeni del Concilio di Firenze, o i canoni del Concilio di Trento. Nel Concilio di Firenze venivano ricordate agli Armeni e a tutti i Cattolici alcuni pilastri dei Sacramenti: “… abbiamo riassunto la verità dei Sacramenti della Chiesa, per una più facile istruzione degli Armeni presenti e futuri, nella seguente brevissima formula: i Sacramenti della nuova Legge sono sette, cioè il Battesimo, la Cresima, l’Eucaristia, la Penitenza, l’Estrema unzione, l’Ordine e il Matrimonio, che differiscono molto dai sacramenti dell’antica Legge. Questi non erano la causa della grazia, ma solo la figura della grazia che doveva essere data dalla Passione di Cristo. I nostri, invece, contengono la grazia e la conferiscono a chi li riceve come si deve. …. I primi cinque sono stati ordinati per la perfezione spirituale di ogni uomo in se stesso, gli ultimi due per la guida e la moltiplicazione di tutta la Chiesa. Infatti, con il Battesimo rinasciamo spiritualmente; con la Confermazione cresciamo nella grazia e siamo rafforzati dalla fede. Rinati e rafforzati, siamo nutriti dal cibo della divina Eucaristia. E se, a causa del peccato, cadiamo in una malattia dell’anima, siamo guariti spiritualmente con la penitenza. Spiritualmente e corporalmente, come si addice all’anima, con l’Estrema Unzione. Ma con l’Ordine la Chiesa è governata e moltiplicata spiritualmente, con il Matrimonio è accresciuta corporalmente. … Tutti questi Sacramenti sono realizzati da tre componenti: le cose che sono come la materia, le parole che sono come la forma e la persona del ministro che conferisce il Sacramento con l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa. Se manca uno di questi elementi, il Sacramento non si compie. Tra questi sacramenti ce ne sono tre, il Battesimo, la Cresima e l’Ordine, che imprimono nell’anima un carattere, cioè un certo segno spirituale che lo distingue da tutti gli altri, in modo indelebile. Per questo non si ripetono nella stessa persona. Gli altri quattro non imprimono un carattere e possono essere ripetuti. … Il secondo Sacramento è la Cresima, la cui materia è il crisma fatto di olio, che significa la luce di coscienza, e balsamo, che significa odore di buona reputazione, benedetto dal Vescovo. La forma è “Ti segno con il segno della croce e ti confermo con il crisma della salvezza nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. Il suo ministro ordinario è il Vescovo. E mentre il semplice Sacerdote può impartire tutte le unzioni, solo il Vescovo deve conferire questa, perché solo degli Apostoli, di cui i Vescovi ricoprono il ruolo, leggiamo che abbiano conferito lo Spirito Santo con l’imposizione della mano, come dimostra la lettura degli Atti degli Apostoli. Infatti, poiché gli Apostoli, si dice, che erano a Gerusalemme, udirono che la Samaria aveva ricevuto la parola di Dio, mandarono da loro Pietro e Giovanni, i quali, arrivati, pregarono perché ricevessero lo Spirito Santo; poiché non era ancora entrato in nessuno di loro, ma erano stati battezzati solo nel Nome del Signore Gesù, imposero loro le mani e ricevettero lo Spirito Santo” (Atti VIII:14-17). Invece di questa imposizione delle mani, nella Chiesa si dà la Cresima. Tuttavia, a volte si legge che per dispensa della Sede Apostolica, per un motivo ragionevole e abbastanza urgente, un semplice Sacerdote con il crisma fatto dal Vescovo, amministrava il Sacramento della confermazione. A Trento invece si aggiunsero dei canoni con anatemi – per contrastare le falsità e gli errori dei protestanti – e che ribadivano i concetti già enunciati “… Se qualcuno dice che la cresima dei battezzati è una cerimonia vana e non un vero e proprio sacramento, o che in passato non era altro che una catechesi, con la quale coloro che si avvicinavano all’adolescenza rendevano conto della loro fede in presenza della Chiesa, sia anatema. … se qualcuno dice che chi attribuisce qualche virtù al santo crisma della confermazione fa ingiustizia allo Spirito Santo, sia anatema…. se qualcuno dice che il ministro ordinario della confermazione non è il solo Vescovo, ma qualsiasi semplice sacerdote, sia anatema ….” Qui abbiamo un quadro già abbastanza chiaro della Confermazione o Cresima secondo le intenzioni della Chiesa Cattolica. La falsa chiesa modernista usurpante si è molto data da fare per distruggere alla radice l’effetto di questo Sacramento nella gioventù e negli adolescenti, così da rendere sterili i semi loro piantati nell’anima con il Santo Battesimo. Oltre al cambio della forma sacramentale, oggi in lingua vernacolare e non nella lingua della Chiesa, il latino ecclesiastico, oltre alla mancanza di preparazione disposizioni (ricordiamo che essendo la Cresima un Sacramento dei vivi, richieda lo stato precedente di grazia), c’è stata una “bomba” ben più dirompente e catastrofica, come i nostri pochi lettori ricorderanno dai posts precedenti di qualche anno orsono, che parlavano della consacrazione episcopale inventata di sana pianta da G.B. Montini, il sedicente Paolo VI, cosa di cui è assolutamente vietato parlare per non incorrere nelle ire assurde ed immotivate degli pseudocattolici frequentanti la sinagoga del “baphomet signore dell’universo” ed i suoi riti sacrileghi e blasfemi. Il Ministro della Cresima è il Vescovo diocesano o un suo delegato che usi però il crisma preparato dal Vescovo, di solito il Giovedì Santo. A chi non ne avesse mai sentito parlare, ricordiamo che dal 18 giugno del 1968 fu totalmente cambiata la formula di consacrazione dei Vescovi, formula fissata appena una ventina di anni prima dal Sommo Pontefice Pio XII in “Sacramentum ordinis” (1947), in cui le formule venivano dichiarate immutabili, non modificabili da chicchessia. L’antipapa Montini, appunto perché non era Papa canonicamente eletto, essendo il Papa dell’epoca S.S. Gregorio XVII, modificò radicalmente la formula facendola diventare una formula per “Eletti manichei”, Vescovi invalidi sotto tutti gli aspetti canonici. Chi abba voglia di approfondire questa delicatissima questione, può leggerla sul nostro blog cattolico ExsurgatDeus.org. Per non essere prolissi, diciamo solo le conseguenze di questo vero e proprio “colpo di Stato”: dal 1968 non abbiamo più Vescovi ordinati validamente, quindi niente preti, anch’essi ordinati tutti invalidamente da quella data, né giovani cresimati, come vediamo tra i giovani attuali che non hanno alcune forza (tuttaltro!) di combattere per Cristo e la sua Chiesa, non avendone avuto mandato né forza. E allora, si domanderanno i pochi lettori ancora svegli ed incuriositi, come otterremo la grazia di questo Sacramento? Ma la Chiesa eclissata ha tutte le potenzialità per ottenere grazia e forza dallo Spirito Santo. In questo Sacramento, in unico momento, ed in un unico atto, otteniamo il sigillo e la forza per poter dispiegare i Doni dello Spirito Santo a difesa della fede e della Chiesa contro gli attacchi del maligno, del mondo, degli increduli. Però la Sapienza eterna ha disposto che in questi tempi finali, per avere gli stessi benefici dallo Spirito Santo, terza Persona della SS. Trinità, noi dobbiamo ricorrere ad Esso ogni giorno o momento, con la richiesta attuale dei Doni, mediante l’Inno canonico “Veni Creator Spiritus”, la sequenza di Pentecoste “Veni Creator Spiritus”, la Corona allo Spirito Santo ed altre preghiere sicuramente cattoliche con imprimatur ed indulgenze annesse. Non è certamente il Sacramento, che va comunque desiderato intensamente ed esplicitamente, ma un po’ di grazia arriverà, e con essa godremo dei frutti dello Spirito Santo, quelli che s. Paolo elencava ai Galati… gioia, amore, pace, pazienza, bontà, benevolenza, fedeltà, longanimità, modestia, mitezza, continenza, castità…

IL MATRIMONIO.

  V. Il Matrimonio, come voluto da N. S. Gesù Cristo, è un Sacramento che dona la grazia necessaria a chi sceglie questo stato di vita, il cui scopo primario è proprio quello di formare una famiglia cristiana, sul modello della Santa Famiglia di Nazaret, con l’accoglienza di tutte le creature che il buon Dio manderà secondo i suoi disegni e volontà. Per sostenere questo gravoso impegno che richiede la vita matrimoniale agli sposi, sussistenza materiale, educazione cristiana dei figli, adattamento caratteriale e sopportazione dei reciproci difetti, difficoltà ambientali, familiari etc., è necessaria una grazia che viene elargita ai Cattolici che si uniscono in matrimonio secondo il rito di santa Madre Chiesa, stabilito dai sacri Canoni nei modi richiesti da Dio. Iniziamo col fare una breve, ma importante premessa: che il matrimonio agli occhi Dio è sempre valido, anche quello “civile” dei selvaggi o degli acattolici, increduli, atei (tra i quali spiritualmente non ci sono differenze sostanziali, avendo un’anima morta senza vita di grazia), mentre il matrimonio celebrato secondo i riti cattolici, oltre alla validità, apporta la liceità e dà diritto alla grazia matrimoniale. Ecco che questa, quindi, è una prerogativa essenziale per un Cattolico e per tutta la società, cristiana e non, garante di serenità dell’anima e di una vita fruttuosa sotto ogni aspetto. Detto questo, il Cattolico vero, cioè il Cattolico ostinato nella vera, immutabile dottrina cristiana, apostolica ad ecclesiastica, farà di tutto per assicurarsi questa grazia indispensabile per tutta la famiglia che vuole costituire. – Come detto e gridato da queste pagine da molto tempo, la Chiesa eclissata è oggi sostituita da un baraccone satanico-anticristiano, retto da un servo dichiarato e vicario dell’anticristo, la sinagoga di satana, come la chiamava già a suo tempo S.S. Pio IX, per cui un matrimonio celebrato in questa setta dell’antichiesa, pur contraendo un vincolo valido e definitivo, non conferisce lo stato di grazia matrimoniale, come ognuno può vedere tra i propri vicini o addirittura familiari. Inoltre, sappiamo che, tranne pochi anziani Sacerdoti apostati dalla fede e praticanti un modernismo, somma di tutte le eresie, secondo la sentenza del santo Papa canonizzato Pio X, tutti gli altri sedicenti preti non hanno mai ricevuto una ordinazione valida per difetto di forma ed intenzione, ed oltretutto da un falso Vescovo a sua volta invalidamente ordinato secondo il pontificale fasullo dell’antipapa G. B. Montini del 18 giugno del 1968. Per cui tutti si chiedono, e pure noi un po’ di tempo fa: come fare per ottenere questo stato di grazia matrimoniale per costituire una vera famiglia cristiana? La Santa Madre Chiesa nella sua immensa sapienza e preveggenza ha definito dottrine che sono adatte ai tempi di prosperità e libertà di culto cattolico, e canoni e definizioni dottrinali per i tempi di persecuzione e per la Chiesa “eclissata” o delle catacombe. Al giorno attuale così, il Matrimonio Cattolico tra i pochi, ostinati fedeli Cattolici fedeli alla dottrina bimillenaria della Chiesa, è possibile pure nella difficoltà pratica, per i più, di reperire un Sacerdote o prelato cattolico in comunione con il Santo Padre Gregorio XVIII, capace quindi di fornire, come detto, dei Sacramenti validi e leciti, e nello specifico di rendere possibile l’acquisizione della grazia santificante e particolare relativa ai fini del Sacramento stesso. In effetti i fedeli Cattolici che vogliono ad ogni costo evitare – giustamente – le sette acattoliche, e soprattutto la setta dei falsi profeti della sinagoga di satana [la cosiddetta setta del “Novus ordo” di istituzione massonico-kazara!] oggi usurpante il Vaticano e tutti gli edifici di culto un tempo appartenenti alla Chiesa Cattolica, con le relative false funzioni che, lungi dall’apportare grazia, assicurano la “disgrazia” personale, familiare e sociale, hanno perplessità ed indecisioni nell’approcciarsi correttamente al matrimonio senza commettere una serie di gravi sacrilegi e peccati mortali che comprometterebbero il cammino di salvezza per sé, il coniuge, i parenti ed i partecipanti a funzioni invalide ed illecite e – soprattutto – alla futura prole che verrebbe generata in regime di peccato mortale e fuori dalla Chiesa Cattolica, complicando in tal modo tutta la loro vita di grazia, di redenzione e di salvezza. Ma … nessun problema, la Santa Madre Chiesa, la parte militante del Corpo mistico di Cristo, guidata infallibilmente dallo Spirito Santo e che opera da “Maestra delle genti” attraverso il Magistero apostolico Ordinario e Universale e Straordinario esercitato dal Sommo Pontefice Romano e dalla sua Gerarchia, ha pensato proprio a voi in difficoltà, in questi tempi di apostasia e di impostura dottrinale e canonica, spianandovi la strada al Matrimonio cattolico, se ci è lecito così definire … delle catacombe. Possiamo ricorrere in tutta certezza e sicurezza al Motu Proprio: « Sulla disciplina del Sacramento del Matrimonio per la Chiesa Orientale di San Pio XII » del 22 febbraio 1949 (festa della Cattedra di S. Pietro). – Ferme restando tutte le altre disposizioni (ivi dettagliatamente riportate) in materia di impedimenti, dispense e preparazione al Matrimonio cattolico (per noi la retta vera dottrina, una pratica di vita cristiana, la frequentazione di “veri” Sacramenti materiali e formali – se possibile – o almeno spirituali: severo e sincero esame di coscienza, contrizione perfetta con implicito desiderio di Confessione sacramentale appena possibile, Comunione spirituale, stato di grazia …), un canone in particolare concerne le situazioni estreme che riguardavano allora i fedeli orientali, ma che oggi sono ubiquitarie e riguardano praticamente l’intero pianeta, in riferimento alla disponibilità di un Sacerdote o prelato cattolico della “vera” Chiesa “una cum Papa nostro Gregorio”. Il Canone rinuncia esplicitamente alla presenza di un Sacerdote alla celebrazione del matrimonio in determinate circostanze straordinarie, ma non rinuncia, anche in questo caso, alla richiesta che il matrimonio sia celebrato davanti ad almeno due testimoni. Il matrimonio è validamente celebrato davanti ai soli testimoni comuni (naturalmente Cattolici), quando è impossibile per le parti avere o avvicinare un Sacerdote autorizzato, purché si verifichi una di queste condizioni:

1) una delle parti parte è in pericolo di morte,

2) si prevede che non sarà disponibile alcun Sacerdote autorizzato per almeno un mese. In sintesi: In situazioni estreme per il matrimonio non è richiesto il Sacerdote!!! (i ministri del Sacramento, sono gli sposi).

Ne riportiamo la sentenza dai trattati di teologia dogmatica e poi direttamente dal Motu proprio di S.S. Pio XII citato. Iniziamo dal Buscaren: «Sebbene i Canoni non concedano esplicitamente nessun’altra rinuncia alla celebrazione, c’è la dispensa all’obbligo della legge che richiede l’assistenza attiva di un Sacerdote autorizzato e l’assistenza di testimoni, almeno nel caso di estrema difficoltà che colpisce l’intera comunità. Il Sant’Uffizio ha dichiarato che i Cattolici della Cina non sono tenuti ad osservare la legge sulla forma del matrimonio finché continuano le circostanze create dal regime rosso ». (H. BOUSCAREN, CANON LAW DIGEST, III Ed. p. 408). – In questo Canone, sono riportate due importanti principii: – primo, che in pericolo di morte il matrimonio può essere contratto senza un Sacerdote ma davanti a due testimoni, e … – secondo, che nei luoghi dove non si possa avere un Sacerdote o le parti non possano recarvisi, non hanno bisogno di aspettare un mese intero, se c’è una buona ragione per giudicare che le stesse condizioni continueranno per un mese); ma senza ulteriori indugi riportiamo il canone succitato: (MOTU PROPRIO SULLA DISCIPLINA DEL SACRAMENTO DEL MATRIMONIO PER LA CHIESA D’ORIENTE PIO PP. XII – SUL SACRAMENTO DEL MATRIMONIO). CAPITOLO VI: Sulla forma della celebrazione del matrimonio. Canone 89: Se vi sia un grave incomodo per il parroco, o gerarca o Sacerdote con facoltà nell’assistere al matrimonio fatto a norma dei canoni 86, 87:

1° in pericolo di morte è valido e lecito il matrimonio contratto davanti ai soli testimoni; ed anche fuori dal pericolo di morte, quando stando le cose per cui si preveda prudentemente che si protraggano per un mese;

2 ° In entrambi i casi in cui non si possa al più presto chiamare un altro Sacerdote cattolico che possa venire ed assistere al matrimonio con i testimoni, salvo la validità dei coniugi, il matrimonio è valido e lecito… [validum et licitum est matrimonium contractum …] davanti ai soli testimoni.

Sursum corda, fedeli del “pusillus grex” cattolico, la Chiesa ha prevenuto i tempi e ci dà la possibilità in ogni tempo, anche nel nostro tempo di apostasia e paganesimo imperante, di ottenere la grazia necessaria alla vita dell’anima nostra in ogni condizione di vita. Deo gratias!

UNZIONE DEI MALATI O ESTREMA UNZIONE.

VI. Dal Sacrosanto Concilio di Trento: [Sess. XIV]“ … Questa santa Unzione degli infermi fu istituita da Cristo nostro Signore come vero e proprio Sacramento della Nuova Alleanza; questo Sacramento fu indicato in Marco (Mc VI, 13), raccomandato e promulgato da Giacomo, Apostolo e fratello del Signore. Egli disse: “Se qualcuno di voi è malato, chiami i presbiteri della Chiesa e questi preghino su di lui dopo averlo unto con olio nel Nome del Signore. La preghiera della fede salverà il malato e il Signore lo solleverà; e se è peccatore, gli saranno rimessi i peccati” (Giacomo V:14-15). Con queste parole, come la Chiesa ha appreso, tramandate di mano in mano dalla tradizione apostolica, egli insegna quali siano la materia, la forma, il ministro adatto e l’effetto di questo Sacramento salutare. La Chiesa ha infatti compreso che la materia è l’olio benedetto dal Vescovo, perché l’Unzione rappresenta in modo molto appropriato la grazia dello Spirito Santo, con la quale l’anima del malato viene invisibilmente unta. E la forma è costituita da queste parole: “Per questa Unzione, ecc. “

Capitolo 2. L’effetto di questo Sacramento.

La realtà e l’effetto di questo Sacramento sono spiegati da queste parole: “La preghiera della fede salverà il malato e il Signore lo solleverà; e se è in peccato, gli saranno rimessi i peccati” (Gc V,15) . La realtà è, infatti, la grazia dello Spirito Santo, la cui unzione purifica le colpe, se ancora da espiare, ed i postumi del peccato; lenisce e rafforza l’anima del malato (cf. 1717), ispirando grande fiducia nella misericordia divina. Alleggerito da questa grazia, l’ammalato, da un lato, sopporta più facilmente le difficoltà e le sofferenze della malattia e, dall’altro, resiste più facilmente alle tentazioni del diavolo che cerca di morderlo al tallone (Gn III, 15) talvolta, infine, ottiene la salute del corpo, quando questa è utile per la salvezza dell’anima.”

Tale è la dottrina stabilita al sacrosanto Concilio di Trento nella XIV Sess. del 25 novembre 1551 e corroborata dai canoni seguenti:

Canoni sul sacramento dell’estrema unzione. (da Enchiridion def. di H. Denzinger)

1716. (1) Se qualcuno dice che l’Estrema Unzione non sia veramente e propriamente un Sacramento istituito da Cristo nostro Signore, (Mc VI,13), e promulgato dall’Apostolo san Giacomo, (Gc 5,14-15), ma solo un rito ricevuto dai Padri o un’invenzione umana, sia anatema!.

1717. 2 Se qualcuno dice che la santa Unzione degli infermi non conferisca la grazia, non rimetta i peccati, non allevia i malati, ma che non esiste più, come se un tempo fosse stata solo una grazia di guarigione, sia anatema.

1718. 3 Se qualcuno dice che il rito e l’uso dell’Estrema Unzione, osservati dalla santa Chiesa romana, siano contrari alle parole del santo Apostolo Giacomo, e che quindi debbano essere cambiati, affinché possano essere disprezzati senza peccato dai Cristiani, sia anatema.

1719. 4. Se qualcuno dice che i presbiteri della Chiesa, a cui san Giacomo raccomanda di portare l’unzione ad un malato, non siano Sacerdoti ordinati dal Vescovo, ma i più anziani di ogni comunità, e che per questo il ministro dell’Estrema Unzione non sia solo il Sacerdote, sia anatema.

Si tratta pertanto di un Sacramento molto importante ai fini della salvezza eterna, capace in molti casi di aprirci le porte del Paradiso e farci evitare il fuoco eterno degli inferi. Ma come fare oggi che la vera Chiesa è eclissata ed è estremamente difficile trovare un vero Sacerdote con missione canonica comunicata da un Vescovo validamente consacrato, con giurisdizione pontificia ed “una cum” il Pontefice romano impedito? – Ricorrendo alla Summa di S. Tommaso, abbiamo già ricordato che lo Spirito Santo, qualora non abbiamo possibilità di accedere in buona fede a veri, validi e leciti sacramenti, ci darà la grazia attraverso mezzi a Lui noti capaci appunto di conferire la Grazia che in situazioni “normali” si ottiene mediante i Sacramenti istituiti da Gesù Cristo ed amministrati nella sua vera Chiesa, cioè la Chiesa Cattolica. Ma questo non significa rimanere inoperosi, spiritualmente parlando, perché questa grazia va in qualche modo meritata dalla nostra attiva collaborazione. Ed allora possiamo attingere dagli scritti di grandi Santi del passato che hanno scritto pagine edificanti ed utilissime circa la “buona morte”. Nello specifico penso al nostro grande S. Alfonso M. De Liquori e a San Roberto Bellarmino nel suo “l’Arte del ben morire” scritto nel 1619 ma più che mai attuale oggi. Egli inizia subito affermando perentoriamente nel primo precetto da lui consigliato: chi desidera morire bene, viva bene! Poi passa ad annunciare gli altri precetti: in primis morire al mondo, praticare le tre virtù teologali e soprattutto la carità. Tenere accese le lampade nelle mani (Luc. XII, 35), vigilare continuamente sui nostri atti, pensieri e parole, evitare l’uso cattivo dei beni e delle ricchezze e l’avidità priva di elemosina, la pratica di tre altre virtù: la sobrietà, la giustizia la pietà. Ovviamente un posto importante è riservato alla preghiera (settimo precetto), al digiuno ed astinenza canonici (quaresimale, delle quattro tempora e vigilie); particolare rilievo è dato all’esame di coscienza con il pentimento sincero dei peccati commessi, e la penitenza. Ancora ci raccomanda la meditazione frequente della morte riguardata come ingresso alla eterna beatitudine, degli altri novissimi (giudizio, inferno e paradiso); fare testamento senza lasciare situazioni indefinite, nutrirsi dei Sacramenti se possibile, così da attuare la beatitudine ricordata da s. Giovanni nell’Apocalisse … beati quelli che muoiono nel Signore (XIV, 35). Insomma, c’è veramente da leggere e meditare attentamente questi santi consigli che in pratica si riducono a vivere una vita veramente cristiana secondo gli insegnamenti evangelici della Chiesa (pensiamo alle beatitudini!). Infine possiamo affidarci con fede ai Santi padroni della buona morte, innanzitutto s. Giuseppe, da invocare praticamente sempre per ottenere questa grazia (fondamentale è la preghiera del “sacro Manto di San Giuseppe”), poi s. Barbara, s. Disma (il buon ladrone che “rubò” il Paradiso diventando il primo Santo canonizzato direttamente dal Salvatore … oggi sarai con me in Paradiso. Concludendo abbiamo ampie possibilità, con un impegno serio e costante, di procurarci una buona morte, lontana dalle tentazioni estreme del “nemico”, cioè in grazia di Dio e pronti per l’entrata nel Cielo anche se non dovessimo avere la possibilità di ricevere un Sacramento valido e lecito. Ora non abbiamo pretesti o accampare scuse, siamo chiamati alla conversione del cuore, ad una vita santa, ad una morte gloriosa in Dio… è ciò che auguriamo a tutti i nostri lettori.

SACRAMENTO DELL’ORDINE

VII. In questo numero trattiamo l’argomento più spinoso e cruciale della fede cattolica, solennemente definito dal Magistero ecclesiastico, a partire dal Sacrosanto Concilio di Trento, passando attraverso diversi documenti della Sede Apostolica, fino alla definitiva ed irreformabile Costituzione Apostolica di S.S. Pio XII data a San Pietro il 30 novembre dell’anno 1947 (vedi in: A.A.S., Vol. XL, n. 1-2 del gennaio-febbraio 1948): ci riferiamo cioè al Sacramento dell’Ordine, Sacramento fondamentale: 1) nel perpetuare la continuità apostolica della Chiesa di Cristo – l’unica vera Chiesa che assicura la salvezza eterna; – 2) garantire l’insegnamento dottrinale evangelico e tradizionale, fonte certa di pratica di pietà e retta moralità cristiana, ; – 3) somministrare gli altri Sacramenti divinamente istituiti e garantire il culto liturgico ecclesiastico. Ma procediamo con ordine. Concilio di Trento, Sess, XXIII, can 1: “Che poi questo sia stato istituito dallo stesso Signore e salvatore nostro, e che agli Apostoli e ai loro successori nel sacerdozio sia stato trasmesso il potere di consacrare, di offrire e di dispensare il suo corpo e il suo sangue; ed inoltre di rimettere o di non rimettere i peccati, lo mostra la Sacra Scrittura e lo ha sempre insegnato la tradizione della Chiesa cattolica… Capitolo IV … Poiché, poi, nel Sacramento dell’ordine, come nel battesimo e nella cresima, viene impresso il carattere, che non può essere né cancellato, né tolto, giustamente il santo Sinodo condanna l’opinione di quelli che asseriscono che i Sacerdoti del nuovo Testamento abbiano solo un potere temporaneo, e che quelli che una volta siano stati regolarmente ordinati, possano tornare di nuovo laici, se non esercitano il ministero della Parola di Dio.”. – Una cosa assolutamente rimarcata è la Tonsura clericale che deve essere praticata del Vescovo della diocesi di appartenenza dell’aspirante Sacerdote. Essa sancisce il desiderio di appartenere agli Ordini sacri offrendo la propria vita a Dio, rinunciando alla vita mondana e laica. Questo è un primo passo indispensabile tanto da poter affermare che senza tonsura non c’è Sacerdozio cattolico. Una volta praticata la tonsura (che non è quella degli istituti monastici) l’aspirante poteva accedere agli Ordini sacri, che procedevano secondo una sequenza ben determinata, in ascesa continua, distinguendosi in Ordini minori – Ostiariato, Esorcistato, Lettorato, Accolitato – ed Ordini maggiori: Subdiaconato, Diaconato, Presbiterato, fino alla pienezza dell’Ordine che è la dignità episcopale. Il conferimento del Sacramento, che imprime un sigillo [carattere] indelebile nell’anima del Sacerdote, avviene secondo le consuete disposizioni, cioè la materia, la forma [o formula] e l’intenzione. A scanso di equivoci e contestazioni, queste disposizioni, per altro millenarie, furono messe nero su bianco da S.S. Pio XII nell’accennata Costituzione Apostolica del novembre del 1947, nella quale veniva riportata la materia e la forma di ogni Ordine. Il ministro del Sacramento è il Vescovo e delle formule riportiamo quelle atte ad ordinare un Sacerdote ed un Vescovo cattolico appartenente alla successione apostolica che procede dagli Apostoli designati da Gesù Cristo. Nell’Ordinazione sacerdotale, la materia è la prima imposizione delle mani del Vescovo, quella che si fa in silenzio, e non la continuazione di questa stessa imposizione che si fa estendendo la mano destra, né l’ultima imposizione accompagnata da queste parole: « Accipe Spiritum Sanctum: quorum remiseris peccata, etc. » La forma è costituita dalle parole del Prefazio, delle quali le seguenti sono essenziali e pertanto necessarie per la validità; « Da, quæsumus, omnipotens Pater, in hunc famulum tuum Presbyterii dignitatem; innova in visceribus eius spiritum sanctitatis, ut acceptum a Te, Deus, secundi meriti munus obtineat censuramque morum exemplo suæ conversationis insinuet ».

(« Date, ve ne supplichiamo, Padre onnipotente, al vostro servo qui presente la dignità del Sacerdozio; rinnovate nel suo cuore lo spirito di santità, affinché egli eserciti questa unzione del secondo ordine [della gerarchia] che Voi gli affidate e che l’esempio della sua vita corregga i costumi »). Per la consacrazione episcopale: … Per la validità è pertanto richiesta: « Comple in Sacerdote tuo ministerii tui summam, et ornamentis totius glorificationis instructum cœlestis unguenti rore sanctifica ». … Noi ordiniamo – continua la Costituzione Apostolica – che nei confronti di ogni Ordine, l’imposizione delle mani si faccia toccando fisicamente la testa dell’ordinando, benché sia sufficiente il contatto morale per conferire validamente il Sacramento. Infine, non è affatto permesso interpretare ciò che stiamo dichiarando e decretando sulla materia e la forma, in modo da credersi autorizzato sia a trascurare, sia ad omettere le altre cerimonie previste nel Pontificale Romano; inoltre, Noi ordiniamo che tutte le prescrizioni del Pontificale Romano siano religiosamente mantenute ed osservate. Ecco, pertanto, ciò che Noi ordiniamo, dichiariamo e decretiamo, nonostante qualsiasi disposizione contraria, anche degna di speciale menzione. Di conseguenza, Noi vogliamo ed ordiniamo che le disposizioni sopramenzionate siano incorporate, in un modo o nell’altro nel Pontificale Romano.

NESSUNO AVRÁ DUNQUE IL DIRITTO DI ALTERARE LA PRESENTE COSTITUZIONE DA NOI DATA NÉ DI OPPORVISI CON TEMERARIO ARDIMENTO.

La questione, almeno per quanto possiamo noi illustrare in questo contesto giornalistico, ci sembra definita in modo chiaro ed esaustivo dalla dottrina della Chiesa, che ci offre la possibilità di ben distinguere tra veri Sacerdoti e veri Vescovi, ed impostori senza Sacramento dell’ordine né sigillo sacerdotale, i briganti ed i ladri ricordati nel santo Vangelo (S. Giov. X, 8) dal nostro Redentore che entrano nella Chiesa non dalla porta. a devastare le anime riscattate da Cristo a prezzo del suo preziosissimo sangue. E allora ricapitoliamo con chiarezza e senza tema di essere teologicamente o canonicamente smentiti: Sacerdote della Chiesa di Cristo, una, santa ed apostolica è colui che: 1) abbia ricevuto la tonsura ecclesiastica per mano del suo Vescovo diocesano; 2) abbia ricevuto il Sacramento dell’Ordine con la formula di S.S. Pio XII da un Vescovo a sua volta consacrato con la formula del Pontificale Romano sopra riportata, [abolita truffaldinamente dall’antipapa eresiarca Montini – sedicente Paolo VI – dal 18 giugno 1968, come abbondantemente illustrato su questo blog in passato], con missione canonica e giurisdizione pontificia annessa e documentata per iscritto. Tutti coloro che non possono soddisfare a queste due condizioni essenziali, sono da considerarsi dei laici travestiti sacrilegamente e che occupano usurpandole le cariche, i privilegi, le prebende, gli onori che detengono, che gli uomini non conoscono, ma che Dio conosce benissimo attendendoli al varco della vita eterna perché siano degnamente ricompensati per il loro operato. Non vorremmo veramente trovarci nei loro panni in quel momento e preghiamo quindi che il Signore li illumini in tempo perché salvino la loro anima pericolante. – Nella nostra terra ci sono Sacerdoti ancora validamente ordinati e con giurisdizione richiesta per la valida Confessione, anche se apostati dalla fede cattolica e scismatici dalla vera Chiesa Cattolica e dalla vera Gerarchia, aderenti all’antipapa usurpante attuale e celebranti uno pseudo-rito demoniaco con sacramenti sacrileghi ed illeciti, ma volendo … possono tornare al vero culto ripudiando la setta della sinagoga di satana a cui oggi appartengono legati dal filo della … congrua e della pensione (… meglio la pensione oggi che il Paradiso domani!) e che si spaccia per Chiesa di Cristo. A questi poveri derelitti voglio solo ricordare la profezia del Profeta Zaccaria alla fine del Cap. XI: “… Io susciterò nel paese un pastore, che non avrà cura di quelle pecore che si perdono, non cercherà le disperse, non curerà le malate, non nutrirà le affamate; mangerà invece le carni delle più grasse e strapperà loro perfino le unghie. Guai al pastore stolto che abbandona il gregge! Una spada sta sopra il suo braccio e sul suo occhio destro. Tutto il suo braccio si inaridisca e tutto il suo occhio destro resti accecato”. È parola di Dio.

LA SANTA MESSA.

VIII. Sulla Messa Cattolica abbiamo già da anni scritto tante volte, per cui qui ci limiteremo a ricordare le cose essenziali che un vero tenace Cattolico, cioè il Cattolico radicato nella fede della Chiesa di sempre, debba conoscere e ricordare attentamente per evitare le pene eterne dell’infero ed aspirare alla beatitudine senza fine. Il tutto ovviamente secondo il pensiero ed i Canoni della Chiesa Cattolica, attualmente sostituita da un baraccone posticcio di cui rimane solo una facciata logora e sfigurata che solo può attrarre chi non abbia mai conosciuto, né voglia conoscere, la meravigliosa realtà della Chiesa fondata dall’Uomo-Dio ed affidata al suo Vicario, capo in terra, il successore del Principe degli Apostoli, il vero Papa, riconoscibile non dalla talare bianca, ma dalla infallibilità nella fede e nella morale gelosamente custodita nel deposito della fede che racchiude l’insegnamento di  Cristo e dei suoi Apostoli e successori. Cominciamo col dire cosa sia la Messa cattolica: essa è essenzialmente il rinnovo del Sacrificio di Cristo sulla croce, offerto in modo non cruento sull’altare a Dio Padre per riscattare gli uomini dai peccati e riconciliarli col Padre onde permetterne la vita dello spirito e quindi l’ingresso nel regno dei Cieli. La sua frequentazione, per chi ne abbia possibilità, è obbligo di precetto ecclesiastico nella Domenica ed in tutte le feste liturgiche comandate. Ora dobbiamo riflettere sul fatto che la Messa, che nella sua essenza, ripete le parole e gli atti dell’ultima cena di Gesù, sia stata regolamentata infallibilmente ed irreformabilmente dal Concilio di Trento (Sess. IV) e messa “nero su bianco” da un santo Pontefice canonizzato, cioè da Papa S. Pio V in una celeberrima bolla, “Quo primum” del 1570, ulteriormente approvata da altri suoi successori e celebrata da sempre in tutto l’orbe cattolico. È chiaro che, secondo dottrina, nessuno possa abrogare una legge o definizione di un Papa autentico, un po’ come se lo Spirito Santo che dirige le azioni del Sommo Pontefice, cambiasse idea a seconda dei tempi o dei capricci degli uomini, cosa aberrante solo a pensarlo. E allora si chiederanno molti, come è stato possibile introdurre un “papocchio” liturgico composto da un massone 33° ed approvato da un Illuminato di Baviera? La risposta è già contenuta nella domanda così come posta: solo un impostore, un falso pontefice poteva modificare ciò che fosse stato stabilito infallibilmente da un Concilio ecumenico e da un vero Papa. Sappiamo infatti, come don Luigi Villa, sollecitato da padre Pio da Pietralcina ed incaricato da S.S. Pio XII, abbia documentato questa impostura, anche se non è l’unico, e noi più volte l’abbiamo riportato. A parte l’uso della lingua volgare, riprovato dal Concilio tridentino e tutte le preghiere e gli atti liturgici modificati (chi ci segue ricorderà gli articoli su questo blog che commentavano le osservazioni dei Cardinali Ottaviani e Bacci alla nuova pseudo-messa, e che qui non è il caso di riprendere). Solo vogliamo segnalare due fatti “illuminanti”. In primo luogo, la “messa modernista” viene offerta al “signore dell’universo” che, sempre in precedenza, abbiamo spiegato essere il baphomet-lucifero adorato nelle logge massoniche di alto livello. Da questo punto di vista il rito si configura come un’agape rosa+croce (18° livello della Massoneria scozzese A. A.) durante la quale un agnello vivo (figura di Cristo crocifisso) inchiodato e coronato di spine, viene decapitato ed immolato al demonio. Quindi il povero pseudo-fedele, che pensa di onorare e rendere culto al vero Dio-trino, in realtà rende culto a satana e reca offesa gravissima a Dio Padre e al S. N. Gesù Cristo, riportando in luogo della grazia divina, la disgrazia infernale.. Ci fermiamo qui su questo punto già sufficientemente illustrato in altri articoli del blog. – Il secondo punto che vogliamo toccare qui, riguarda la formula di consacrazione del pane e del vino transustanziato – nella vera Messa – nel vero Corpo e Sangue di Cristo. Qui la formula vera riporta le parole di Cristo pronunciate nell’ultima cena; ad un certo punto Gesù dice … bevete il mio sangue offerto in sacrificio, versato per voi e per molti (pro multis, in S. Matteo XXVI, 28); questa è la versione biblica riportata fedelmente nel Canone della Messa cattolica. Nella messa farlocca invece c’è … versato per voi e per tutti… Sembra una inezia a prima vista, ma dire “per molti” e “per tutti”, cambia completamente la prospettiva dell’opera della divina Redenzione. Dire “per molti”, vuol dire essersi immolato per coloro che, partecipando al Corpo mistico di Cristo, cioè la Chiesa Cattolica, lo riconoscono come vero Dio e Redentore, e sono nella sua grazia. Dire invece “per tutti” significa che la redenzione di Cristo è operata indifferentemente per i credenti e per i miscredenti, gli infedeli, gli atei, gli increduli, i pagani, gli empi, etc. il che ovviamente è una proposizione eretica, offensiva per l’opera di Cristo e della sua Chiesa, offensiva per le orecchie pie, lesiva per i diritti di Dio e per l’azione dello Spirito Santo, in breve: un vero e proprio abominio anticattolico. Quindi, anche a voler prescindere da altre considerazioni liturgiche o dottrinali pur giustissime, questa modifica del Canone rende totalmente invalida la transustanziazione. C’è poi da considerare che una vera Messa debba essere celebrata da un Sacerdote con missione canonica concessa da un vero Vescovo con giurisdizione comunicata dal vero Santo Padre, cioè attualmente il successore di Gregorio XVII, Giuseppe Siri, Papa impedito come il suo successore eletto dal 1991. Ed allora la domanda … sorge spontanea: come fare per assolvere al precetto domenicale ed ottenere la grazia che il Sacramento e la partecipazione alla Messa possono dare? Ci affidiamo, come sempre al Catechismo cattolico (tipo S. Pio X, o del Cardinal Gasparri, o Spirago, S. Pietro Canisio, ecc.ecc.). Qui la risposta è chiara, nel senso che dobbiamo partecipare ad una Messa sicuramente cattolica, approvata da una vera Autorità ecclesiastica ed officiata da un vero Sacerdote con le caratteristiche su riportare. Se questo non sia possibile o richiederebbe l’esporsi a pericoli o danni per la vita o la salute (viaggi lunghi e pericolosi, etc.) se in buona fede, si è dispensati dall’obbligo della presenza fisica in Chiesa, fermo restando l’obbligo di santificare il giorno di festa (3° Comandamento) con la preghiera, lo studio della dottrina, le opere di misericordia e potendo, leggendo la Messa con omelie relative di autori approvati antecedenti al 1958. Oggi il vero Cattolico si “arrangia” così con il desiderio ardente di poter partecipare ad un vero Sacrificio offerto al Deus Sabaoth… l’opposto del suo e nostro nemico, il demoniaco “signore dell’universo”. Si salvi chi vuole!

Si ringrazia il prof. A. Morgillo, direttore del mensile “Valle di Suessola” che ci ha consentito di riprodurre articoli tratti dal giornale da lui diretto.

LA CHIESA ECLISSATA ED I SACRAMENTI (1)

LA CHIESA ECLISSATA ED I SACRAMENTI (1)

LA CHIESA ECLISSATA ED I SACRAMENTI (1)

La domanda più frequente che i presunti cattolici aderenti alle sette scismatiche ed eretiche del Novus ordo modernista o delle cappelline pseudotradizionaliste che usano falsi chierici con la mascherina della Messa antica, è proprio questa: come facciamo allora con i Sacramenti ed il Sacrificio della Messa che ci viene comandato come precetto delle domeniche e dei giorni festive? Questa domanda deriva ovviamente dalla ignoranza della dottrina cattolica e dall’indottrinamento dei falsi chierici che sotto la parvenza della scienza teologica, occultano i punti che potrebbero illuminare i loro fedeli e portarli a lasciare le sette che frequentano. La Chiesa ha previsto sia i tempi in cui potesse esprimersi liberamente a livello morale e liturgico, ed i tempi di “eclissi” in cui la Chiesa sarebbe stata relegata in spazi angusti, catacombe o sotterranei, come è successo tante volte nel passato quando è stata perseguitata dalla barbarie musulmana, degli eretici protestanti o degli sc0ismatici sedicenti ortodossi orientali. Gesù Cristo ha promesso la salvezza a tutti gli uomini, specie per i perseguitati a motivo della confessione del suo Nome e della sua dottrina. Cominciamo a mo’ d’esempio con l’Angelico dottore il quale ci faceva già partecipi di una verità consolante per i nostri tempi in cui la sinagoga di satana si è insediata dei sacri palazzi fingendo di essere la Chiesa di Cristo:

L’UNIONE CON IL SOMMO PONTEFICE (quello canonicamente eletto in un vero e valido Conclave con Cardinali nominati dalla “vera” ed unica Autorità Apostolica, cioè il vero Papa!), è “condicio sine qua non” per l’ETERNA SALVEZZA DELL’ANIMA.

“Chi aderisce ad un falso [o finto usurpante] Papa, diceva già S. Cipriano, è assolutamente fuori dalla Chiesa Cattolica – quindi sulla via della dannazione – come pure gli scismatici senza giurisdizione o missione con i loro settari, che sacrilegamente amministrano falsi sacramenti e false messe senza l’ “una cum Papa nostro …”, l’unico garante della fede, dei Sacramenti e delle azioni liturgiche, e senza il quale, tutto il resto risulta inutile, anzi sacrilegio degno di riprovazione e condanna eterna. Ma sentiamo come si esprime la Dottrina immutabile e perenne della Chiesa Cattolica, per bocca del suo massimo teologo, l’Angelo della scuola, San Tommaso d’Aquino:

(T. Pégues, O. P.: LA SOMMA TEOLOGICA di S. Tommaso D’Aquino In forma di Catechismo per tutti i fedeli; (trad. aut. A. Romani) – ROMA, Marietti, 1922 p. 452, Impr .,). Sull’importanza vitale dell’essere in unione con la Giurisdizione papale onde  ricevere la grazia soprannaturale:

D. Perché questo potere supremo nell’ordine della Giurisdizione appartiene al Sovrano Pontefice?
R. Perché la perfetta unità della Chiesa esige che questo potere supremo appartenga a lui solo. Per questo motivo Gesù Cristo ha incaricato Simon Pietro di nutrire il suo gregge; e il Romano Pontefice è l’unico e solo legittimo successore di San Pietro fino alla fine dei tempi (XL. 6).

D. È quindi dal Sovrano Pontefice che dipende l’unione di ogni uomo con Gesù Cristo attraverso i Sacramenti, e di conseguenza la sua vita soprannaturale e la sua salvezza eterna?
R. ; poiché sebbene sia vero che la grazia di Gesù Cristo non dipende in modo assoluto dalla ricezione dei Sacramenti stessi quando è impossibile riceverli, almeno nel caso degli adulti e che l’azione dello Spirito Santo possa integrare questo difetto purché la persona non sia in malafede; è, d’altra parte, assolutamente certo che nessuno che si separi consapevolmente dalla comunione con il Sovrano Pontefice, possa partecipare alla grazia di Gesù Cristo, e che di conseguenza …

se muore in quello stato si perde irrimediabilmente “.

Questa sentenza la Chiesa l’ha ribadita costantemente in forma magisteriale a cominciare dalla Bolla di SS. Bonifacio VIII “Unam sanctam” e più recentemente nell’ultimo Concilio Ecumenico vaticano (1870) nella Costituzione dogmatica Pastor Æternus. Quindi, la salvezza nei casi di impossibilità nella ricezione di Sacramenti validi e leciti, amministrati da Sacerdoti con Giurisdizione e missione canonica, una cum il Santo Padre Vicario di Cristo, passa per altre vie secondo l’azione dello Spirito Santo santificatore. Tutto ciò che viene fatto fuori da questa regola dottrinale elementare è sacrilego, blasfemo e non apporta minimamente neppure un briciolo di grazia.

Altra bella e consolante – per gli “eclissati” – sentenza della Chiesa è la seguente data dal S.Officio nel 1949, alla vigilia cioè dell’istituzione dell’antichiesa col colpo di Stato nel Conclave del 26 ottobre del 1958:

Alla CHIESA CATTOLICA appartiene colui che, lasciata qualsiasi setta eretica e scismatica, sia battezzato ed abbia esplicito desiderio di appartenervi, pur non potendolo materialmente. Riportiamo il testo originale in latino così da controllare possibili errori della traduzione fatta in italiano. (i numeri posti in capo alle sentenze sono quelli del Denzinger.- S., XXXVI Ed.)

Lettera del Santo-Officio all’Arcivescovo di Boston, 8 agosto 1949.

[Ed: AmER 127 (1952, Oct.) 308ss.]

De necessitate Ecclesiæ ad salutem

[La necessità della Chiesa per la salvezza.]

3866 …. Inter ea autem, quæ semper Ecclesia prædicavit et prædicare numquam desinet illud quoque infallibile effatum continetur, quo edocemur « extra Ecclesiam nullam esse salutem ». Est tamen hoc dogma intelligendum eo sensu, quo id intelligit Ecclesia ipsa. Non enim privatis iudiciis explicanda dedit Salvator noster ea, quæ in fidei deposito continentur, sed ecclesiastico magisterio.

3867 – Et primum quidem Ecclesia docet, hac in re agi de severissimo præcepto Iesu Christi. Ipse enim expressis verbis Apostolis suis imposuit, ut docerent omnes gentes, servare omnia quæ ipse mandaverat. Inter mandata autem Christi non minimum locum illud occupat, quo baptismo iubemur incorporari in Corpus mysticum Christi, quod est Ecclesia, et adhærere Christo eiusque vicario, per quem ipse in terra modo visibili gubernat Ecclesiam. Quare nemo salvabitur, qui sciens Ecclesiam a Christo divinitus fuisse institutam, tamen Ecclesiæ sese subiicere renuit vel Romano Pontifici, Christi in terris vicario denegat obœdientiam.

3868 Neque enim in præcepto tantummodo dedit Salvator, ut omnes  gentes intrarent Ecclesiam, sed statuit quoque Ecclesiam medium esse salutis, sine quo nemo intrare valeat regnum gloriæ caelestis.

3869Infinita sua misericordia Deus voluit, ut illorum auxiliorum salutis,  quæ divina sola institutione, non vero intrinseca necessitate, ad finem ultimum ordinantur, tunc quoque certis in adiunctis effectus ad salutem necessarii obtineri valeant, ubi voto solummodo vel desiderio adhibeantur. Quod in sacrosancto Tridentino Concilio claris verbis enuntiatum videmus tum de sacramento regenerationis tum de sacramento pænitentiæ [*1524 1543].

3870 Idem autem suo modo dici debet de Ecclesia, quatenus generale ipsa  auxilium salutis est. Quandoquidem ut quis æternam obtineat salutem, non semper exigitur, ut reapse Ecclesiæ tamquam membrum incorporetur, sed id saltem requiritur, ut eidem voto et desiderio adhæreat. Hoc tamen votum non semper explicitum sit oportet, prout accidit in catechumenis, sed ubi homo invincibili ignorantia laborat, Deus quoque implicitum votum acceptat, tali nomine nuncupatum, quia illud in eà bona animae dispositione continetur, qua homo voluntatem suam Dei voluntati conformem velit.

3871 Quæ dare docentur in [Pii XII Litt. encycl.] . . . De mystico Iesu Christi Corpore. In iisdem enim Summus Pontifex nitide distinguit inter eos, qui re Ecclesiæ tamquam membra incorporantur, atque eos, qui voto tantum modo Ecclesiæ adhærent …. « In Ecclesiæ autem membris reapse ii soli adnumerandi sunt, qui regenerationis lavacrum receperunt veramque fidem profitentur neque a Corporis compage semet ipsos misere separaverunt vel, ob gravissima admissa, a legitima auctoritate seiuncti sunt » [*3802]. Circa finem autem earundem Litterarum encyclicarum, amantissimo animo eos ad unitatem invitans, qui ad Ecclesiæ catholicæ compagem non pertinent, illos commemorat, « qui inscio quodam desiderio ac voto ad Mysticum Redemptoris Corpus ordinentur », quos minime a salute æterna excludit, ex altera tamen parte in tali statu versari asserit, « in quo de sempiterna cuiusque propria salute securi esse non possunt… quandoquidem tot tantisque cælestibus muneribus adiumentis carent, quibus in catholica solummodo Ecclesia fruì licet » [3821].

3872 – Quibus verbis providentibus tam eos reprobat, qui omnes solo voto  implicito Ecclesiæ adhærentes a salute æterna excludunt, quam eos, qui falso asserunt, homines in omni religione aequaliter salvari posse [cf. *2806 2865]. Neque etiam putandum est, quodcumque votum ecclesiæ ingrediendæ sufficere, ut homo salvetur. Requiritur enim, ut votum, quo quis ad Ecclesiam ordinetur, perfecta caritate informetur; nec votum implicitum effectum habere potest, nisi homo fidem habeat supernaturalem [Alìegatur Hebr XI, 6 et Conc. Trid., sess. VI c. 8: *I532].

——

3866 – …. Or tra le cose che la Chiesa ha sempre predicato e non cesserà mai di predicare, si trova ugualmente questa affermazione infallibile che ci insegna che « Fuor dalla Chiesa, non c’è salvezza ». Questo dogma deve tuttavia essere compreso nel senso in cui la Chiesa stesso lo comprende. In effetti non è al giudizio privato che il Signore ha affidato la spiegazione delle cose contenute nel deposito della fede, ma al Magistero della Chiesa.

3867 – In primo luogo, la Chiesa insegna che in tal questione si tratta di un comandamento in senso stretto di Gesù Cristo. Egli ha, in effetti, imposto espressamente ai suoi Apostoli di insegnare a tutte le Nazioni ad osservare tutto quel che aveva ordinato. Tra i comandamenti del Cristo, ed esso non è il minore, c’è quello che ci ordina di essere incorporati con il Battesimo nel Corpo mistico del Cristo, che è la Chiesa, e di restar uniti al Cristo ed al suo Vicario attraverso il quale governa Egli stesso in modo visibile la sua Chiesa sulla terra. Ecco perché, nessuno sarà salvato se, sapendo che la Chiesa sia stata divinamente istituita dal Cristo, non accetti tuttavia di sottomettersi alla Chiesa, o rifiuti l’obbedienza al Pontefice Romano, vicario di Cristo sulla terra.

3868 – Ora il Salvatore non ha solamente ordinato che tutti i popoli entrino nella Chiesa, ma ha deciso anche che la Chiesa fosse il mezzo di salvezza, senza il quale nessuno possa entrare nel Regno della gloria celeste.

3869 – Nella sua infinita Misericordia, Dio ha voluto che gli effetti necessari per essere salvati, di questi mezzi di salvezza che sono ordinati al fine ultimo dell’uomo, non per necessità intrinseca ma unicamente per istituzione divina, possano essere ottenuti in certe circostanze, quando questi mezzi non siano messi in opera che per desiderio o voto. Noi vediamo questo chiaramente enunciato nel Sacrosanto Concilio di Trento rispetto sia al Sacramento della Rigenerazione, sia al Sacramento della Penitenza. (D. 1524, 1543)

3870 – Lo stesso va detto, a suo modo, della Chiesa come mezzo generale di salvezza. Infatti perché qualcuno ottenga la salvezza eterna, non sempre è necessario che uno sia effettivamente incorporato nella Chiesa come membro, ma è almeno necessario che sia unito a lei con il voto e il desiderio. Tuttavia, non è sempre necessario che questo voto sia esplicito, come avviene tra i catecumeni, ma quando l’uomo è vittima di un’invincibile ignoranza, Dio accetta anche un voto implicito, così chiamato perché è incluso nella buona disposizione d’animo con cui l’uomo vuole conformare la sua volontà alla volontà di Dio.

3871 – Questo è il chiaro insegnamento dell’enciclica di Pio XII (Mystici corporis) sul Corpo Mistico di Gesù Cristo. In essa il Sommo Pontefice distingue chiaramente tra coloro che sono veramente incorporati nella Chiesa come suoi membri e coloro che sono uniti alla Chiesa solo dal voto… « … Ma solo coloro che hanno ricevuto il battesimo della rigenerazione e professino la vera fede, e che, d’altra parte, non si siano miseramente auto-separati dall’insieme del Corpo, o non ne siano stati tagliati fuori per gravissime colpe dalla legittima autorità, (per eresia, scisma, apostasia) sono veramente membri della Chiesa » (D. S. 3802). Verso la fine della stessa Enciclica, però, invitando molto affettuosamente all’unità coloro che non appartengono al Corpo della Chiesa cattolica, egli menziona « coloro che, per un certo inconscio desiderio e voto, si trovano ordinati al Corpo mistico del Redentore », che non esclude in alcun modo dalla salvezza eterna, ma di cui, d’altra parte, dice di essere in uno stato « in cui nessuno può essere sicuro della sua salvezza eterna…. poiché sono privati di così tanti e di così grandi e celesti aiuti e favori, di cui si può godere solo nella Chiesa cattolica » (D. S. 3821).

3872 – Con queste sagge parole egli condanna sia coloro che escludono dalla salvezza eterna tutti gli uomini che sono uniti alla Chiesa dal solo voto implicito, sia coloro che affermano falsamente che gli uomini possono essere salvati anche in una qualsiasi religione (2865).

Né si deve pensare che qualsiasi tipo di desiderio di entrare nella Chiesa sia sufficiente per essere salvati. Perché è necessario che il voto che ordina qualcuno alla Chiesa sia animato da una perfetta carità. Il voto implicito può avere effetto solo se l’uomo ha una fede soprannaturale. (Ebrei XI: 6; Concilio di Trento, VI\VIII ss. Cap. 8).

Questo documento Ecclesiastico irreformabile ed infallibile (come tutto il Magistero Ordinario ed Universale della Chiesa, al quale siamo obbligati a dare il nostro assenso, pena scomunica, secondo la lettera Enciclica « Satis Cognitum » di S. S. Leone XIII), giunge a conferma della dottrina tomistica di San Tommaso d’Aquino sulla grazia fornita dallo Spirito Santo a coloro che, pur non avendo la possibilità di accedere a veri Sacramenti, o al Santo Sacrificio validamente celebrato da Sacerdoti canonicamente consacrati, siano battezzati osservanti la Dottrina Cattolica, in unità con il “vero” Sommo Pontefice seppure di desiderio, unica condizione – una volta lasciata la setta di appartenenza – per ottenere l’eterna salvezza.
Fuori dalla Chiesa Cattolica, cioè fuori dalla salvezza eterna, vi sono quindi:

1- Tutte le sette protestanti: luterane, anglicane, calviniste, ortodosse sec. Fozio, monotelite, monofisite, etc. …

2- La setta degli eretici e scismatici modernisti (il modernismo è la somma di tutte le eresie, secondo la sentenza di S. Pio X nella sua magistrale e magisteriale Enciclica “Pascendi” del Novus Ordo dell’attuale colle Vaticano – la “sinagoga di satana” inneggiante al signore dell’universo, il baphomet-lucifero delle logge massoniche – conformi alle eresie del conciliabolo c. d. Vaticano II (Concilio scomunicato con largo anticipo dalla bolla Execrabilis di Papa Pio II, Piccolomini);  sono qui compresi i secolari e tutti i religiosi degli ordini un tempo Cattolici, oggi “novusordisti”.

3 – I sedicenti tradizionalisti, supporter eretici del papa eretico – a loro dire -, la setta paramassonica-kadosh dei falsi chierici invalidi e sacrileghi, i c. d. lienart-lefebvriani di Ecône-Sion;

4- Tutte le sette pseudo-tradizionaliste degli eretici e scismatici sedevacantisti di Occidente e d’Oriente, parto distocico dell’ultima ora di satana che cominciava a capire che qualcosa non aveva funzionato nei suoi piani vacillanti e scricchiolanti, ed ha cercato di metterci una “pezza a colore”. .. ma si sa che il diavolo fa le pentole ma dimentica – per fortuna dei “veri” Cattolici – i coperchi … Questo documento sia dunque per loro, monito onde abbandonare senza indugi la setta infernale di appartenenza e confluire in massa, almeno con desiderio o voto esplicito, nella Chiesa Cattolica guidata dal suo Sommo Pontefice Romano, ovunque si trovi, prigioniero o nascosto! (Il Cristo ce lo ha promesso – solennemente – con noi fino all’ultimo giorno! … e pure la Pastor Aeternus).

       Fatta questa debita premessa, passiamo e valutare i Singoli Sacramenti istituiti da Cristo e come, almeno per una parte di essi, si possano ricevere senza un Sacerdote con giurisdizione e missione canonica, o come si possa in qualche modo supplire alla grazia sacramentale specifica da essi apportata.

BATTESIMO.

I. Cominciamo ovviamente con Santo Battesimo, il Sacramento che ci apre la via della salvezza, dandoci la grazia santificante, le virtù ed i santi Doni, donandoci la nuova vita soprannaturale con l’inabitazione del Spirito Santo in noi e la filiazione a Dio come figli adottivi.

I. In casi straordinari, il Battesimo può essere conferito da chiunque.

    Negli scritti magisteriali pubblicati incessantemente su questo blog, sono state evidenziate numerose sentenze ufficiali della santa Chiesa Cattolica che rendono espressamente ed incontestabilmente chiaro il danno prodotto alla Chiesa di Cristo – la Chiesa  Cattolica romana – dal conciliabolo cosiddetto Vaticano II e dagli antipapi succeduti  al Santo Padre Pio XII, ultimo Pontefice romano che abbia legittimamente e  liberamente occupato il seggio di San Pietro, vale a dire del Vicario di N. S. Gesù  Cristo, fedele custode della dottrina apostolica e Capo di tutta la gerarchia ecclesiastica e dei fedeli di Cristo. Abbiamo pure dimostrato come dal 26 ottobre del 1958, tutti i documenti approvati da falsi pontefici usurpanti, non abbiano alcuna validità canonica, ma siano al contrario sacrileghi ed in molti casi blasfemi, tali da  configurare un vero “ribaltone” della dottrina, della liturgia e dell’intera economia  della grazia. In particolare, abbiamo dimostrato, con documenti ineccepibili ed irreformabili prodotti dai canoni ecclesiastici, come le ordinazioni dei “vescovi” siano totalmente invalide a partire dal 18 giugno del 1968, data dell’entrata in vigore del falso pontificale romano dell’antipapa G. B. Montini (alias il sedicente Paolo VI).  Recentemente poi abbiamo dimostrato come gli ordini sacerdotali siano totalmente invalidi per difetto di forma ed intenzione secondo i canoni del Concilio di Trento, del Codice canonico pio-benedettino del 1917, della Costituzione apostolica Sacramentum Ordinis di S.S. Pio XII [A.A.S., vol. XL (1948), n. 1-2, pp. 5-7], per cui in pratica tutti i sacramenti  amministrati dalla antichiesa m del c. d.  novus ordo (la setta vaticana insediata dal 1958),  sono invalidi o quanto meno illeciti  [se  amministrati da vegliardi Sacerdoti e Vescovi validamente ordinati prima del 1968,  ma aderenti alla setta acattolica ubiquitaria e dominante summenzionata]. Ai nostri scritti, ovviamente, nessuno ha potuto opporre la benché minima osservazione, al netto di offese, derisioni, disprezzo. In realtà non si tratta di offendere un misero scribacchino “farneticante” , ma la dottrina bimillenaria della Chiesa e l’intero Magistero pontificio, per cui, i giovani pseudo preti non hanno argomenti per ribattere, date la loro scadentissima preparazione dogmatica e per quanto riguarda il  diritto canonico, mentre i “volponi”, i grassi Sacerdoti stagionati, prudentemente si  sono rinchiusi in un mutismo secondo l’aforisma del profeta Isaia come … “cani muti”, anche per non perdere prebende e pensioni – A questo punto, finalmente, sembra che alcune persone si siano svegliate dal  sonno illusorio in cui si erano assopiti, scossi dal torpore della narcosi spirituale in cui erano stati sprofondati dagli “anestesisti” dell’anima, i modernisti diretti da antipapi provenienti dalle “logge” e da pseudoprelati “illuminati”, ed abbiano cominciato a chiedersi con dubbio legittimo, se i loro sacramenti, ricevuti da laici  mascherati, siano validi e leciti, e nel caso non lo siano come riceverli per sé e per i propri cari. Essendoci giunte alcune richieste in merito da nostri attenti lettori  allarmati dalle argomentazioni e dai documenti ufficiali riportati, vogliamo a questo punto  occuparci di questo importantissimo argomento che interessa la vita dell’anima e le  nostre possibilità di salvezza, secondo la retta dottrina cattolica insegnata da due millenni da Gesù Cristo, dagli Apostoli, dai Padri e dai dottori della Chiesa, dai teologici riconosciuti ed approvati e dal Magistero pontificio e conciliare.- Innanzitutto possiamo tranquillizzarci osservando come la Chiesa abbia previsto l’evenienza di una propria “eclissi” (chiaramente prevista a La Salette nel 1946 dalla Vergine Maria) o inattività in tempi o in determinate aree geografiche, dando la possibilità ai fedeli impediti di accedere ai mezzi della grazia santificante, mediante la preghiera indulgenziata o alcuni sacramenti, tra i quali  hanno assoluta preminenza i cosiddetti “ Sacramenti dei morti ”, di quei sacramenti  cioè che permettono ai  morti spirituali  di avere o recuperare la grazia abituale, in  modo da consentire un retto cammino sulla via della salvezza. Essendo l’argomento  di capitale interesse, vogliamo focalizzare l’attenzione su di un singolo Sacramento per volta, citando come al nostro solito i canoni ed i documenti  cclesiastici come  sono consultabili nei volumi od opere citate e che fanno parte della dottrina dogmatica, teologica o morale ufficiale, approvata dalle Autorità validamente riconosciute. Iniziamo ovviamente dal Battesimo, Sacramento istituito da Gesù Cristo in persona con un comando perentorio impartito ai suoi Apostoli nel momento in cui li mandava ad evangelizzare i popoli presso i quali stavano per recarsi ad annunciare la buona novella. Il Battesimo è Sacramento essenziale nella vita cristiana, il Sacramento che trasforma l’anima umana in un’anima capace di divinizzarsi e divinizzare alla Resurrezione i corpi a cui è legata, per l’azione della grazia e dello Spirito Santo che ne vengono a prendere possesso rendendo il battezzando “figlio adottivo di Dio” per partecipazione ed incorporandolo nel Corpo mistico di Cristo. Su questo Divino Sacramento ci sono volumi interi di teologia dogmatica, morale, ascetica che ne spiegano l’importanza esclusiva ed il privilegio infinito che investe chi ne beneficia, e rimandiamo ad essi per un approfondimento salutare e la esatta comprensione della natura e della trasformazione che opera nel rendere l’anima recettiva della grazia in terra e della gloria in cielo. Qui a noi interessa il dato essenziale pratico, che la Chiesa abbia reso questo Sacramente accessibile a tutti in tutti i tempi ed in tutti i luoghi. Se non c’è un Sacerdote o Prelato cattolico validamente consacrato, con missione canonica conferita da un Vescovo valido con Giurisdizione ed “ una cum ” il Pontefice regnante (ai nostri tempi Gregorio XVIII o successore della linea Siri), la Chiesa permette il rito straordinario , come  viene ad esempio descritto nel trattato di Teologia dogmatica di B. Bartmann, vol. III, IV ed., Ed. Paoline, con nihil obstat  ed imprimaturdel 19 luglio 1957. Nel III volume, come dicevamo, leggiamo a pag. 103 e segg.: § 170 Ministro e soggetto del Battesimo.  Ministro ordinario del Battesimo è il Sacerdote avente Missione dal Vescovo; ministro straordinario, in caso di necessità, può essere qualsiasi persona umana.

Spiegazione. Eugenio IV dichiara nel suo decreto per gli Armeni: « Ministro di  questo sacramento è il Sacerdote cui compete per ufficio di battezzare. In caso di necessità, però, non solo il Sacerdote o diacono, ma anche il laico, uomo o donna, anzi il pagano e l’eretico può battezzare, purché osservi la forma prescritta ed abbia intenzione di fare ciò che fa la Chiesa (Denz. 696). Il IV Concilio Lateranense dice in modo affatto generale che il Battesimo da chiunque amministrato, purché nei debiti modi, è sempre valido (Denz. 430). Finalmente il Concilio di Trento ha ancora una volta definito l’antica dottrina della validità del Battesimo degli eretici (s. 7 de Bapt., can. 4, Denz. 860). Gli spazi ristretti non ci consentono di procedere oltre, ma penso che la questione sia fin troppo chiara: in casi straordinari, quando cioè non abbiamo la possibilità di ricorrere ad un “vero” e sicuro prete cattolico scartando i  Probabili (oggi sicuramente improbabili, anzi certamente falsi) del novus ordo o delle sette sedevacantiste o lefebvriane dei sedicenti tradizionalisti (secondo la sentenza del 4 marzo 1679 di S.S. Innocenzo  XI, in Denz. 1151: “Non è lecito nel conferire sacramenti seguire un parere probabile per quanto riguarda il valore del sacramento, abbandonando il parere più sicuro … pertanto non si dovrebbe fare uso di pareri probabili nel conferimento di Battesimo degli ordini sacerdotali ed episcopali”. Quindi, tranquilli, lettori carissimi, possiamo avere grazia santificante, figliolanza adottiva di Dio, Doni dello Spirito Santo, virtù teologali e cardinali, oltre all’inabitazione dello Spirito Santo in noi, anche con il Battesimo conferito da un laico, addirittura anche un eretico, purché si usi la forma –  la formula prescritta –, la materia, cioè l’acqua, e l’intenzione secondo la Chiesa Cattolica. Penso che l’argomento sia chiaro restando in attesa di eventuali chiarimenti, delucidazioni e ulteriori documenti, di cui la santa dottrina della santa  Madre Chiesa è stracolma. La formula è: «  Ego te baptizo in nomine Patris, et Filii,  et Spiritus Sancti, amen . » Nel contempo si versa l’acqua sul capo del battezzando, tracciando tre segni di croce e facendola scorrere in avanti verso la fronte. –

PENITENZA O CONFESSIONE

        II. Dopo il Battesimo, il Sacramento più importante per riacquistare la grazia perduta per aver commesso un peccato mortale, è la Penitenza o Confessione, Sacramento che, ben ricevuto con le dovute predisposizioni, ci ridona la figliolanza divina con il diritto alla sua eredità con le virtù ed i Doni, e la presenza nell’anima dello Spirito Santo, e con esso la Santissima Trinità. Essa nella pratica, si compone di tre momenti, la contrizione, la confessione, la penitenza. Ministro ordinario è il Vescovo o un  Sacerdote con potestà d’ordine e Giurisdizione (ad esempio il parroco – sottolineiamo che senza giurisdizione conferita dell’Ordinario del luogo, a sua volta in comunione col Sommo Pontefice romano [il vero] il Sacerdote, pur validamente ordinato, non è abilitato alla Confessione che resta perciò invalida e come non fatta). Condizione essenziale per ottenere il perdono delle proprie colpe è il dolore dei propri peccati, che teologicamente si distingue in Contrizione ed Attrizione.  Attrizione, o contrizione imperfetta, è semplicemente il dolore per aver commesso un grave peccato, o per aver  perso la possibilità di entrare in Paradiso ed aver meritato l’inferno con le pene eterne.  Contrizione perfetta, invece, è il dolore per aver offeso Dio nella sua Maestà,  Giustizia e Divinità, offesa infinita che richiede un dolore: interiore, soprannaturale,  sovrano, universale, cioè il dolore della più grave sventura della nostra vita, estesa ad  ogni nostro peccato mortale, e la detestazione del peccato commesso, col proposito di non peccare più in avvenire e fuggirne le occasioni prossime. Poiché nessuno potrà mai essere certo della sua perfetta contrizione, la Chiesa Cattolica richiede almeno l’attrizione unita alla Confessione sacramentale che supplirebbe così alla temuta imperfezione. I peccati mortali vanno confessati singolarmente riferendo ogni circostanza aggravante o che ne muti la specie, mentre i peccati veniali non devono necessariamente confessarsi, anche se sia lecito confessarli per accrescere il dolore delle proprie offese a Dio, Padre Creatore, Figlio Redentore, Spirito Santo santificatore. Tutte queste peculiarità sono state da sempre ritenute dalla Chiesa Cattolica, e sono state definite e fissate dogmaticamente dalla XIV Sessione del Sacrosanto Concilio di Trento. Quindi i fedeli della Chiesa  eclissata, cioè la vera unica Chiesa di Cristo oggi nelle catacombe, o portata nel deserto, come ben mostrato nel capitolo XII dell’Apocalisse, annunziata per i nostri tempi nell’apparizione della Vergine Santissima a La Salette nel 1846, e da diverse  visioni di veggenti Cattolici approvati, in diversi secoli, si chiedono come sia possibile riacquistare la grazia e tutte le prerogative perse con il commettere un peccato mortale, che ci taglia dal cammino verso la salvezza e l’eterna beatitudine,  spalancandoci le porte dello stagno di fuoco eterno. Ma il Signore, ovviamente, aveva  già “sistemato” la faccenda con largo anticipo, quando già nel 22 febbraio 1482 suggeriva al Sommo Pontefice Martino Quinto, la celebre bolla, contro l’eretico Wicleff: “ Inter cunctas ” tra le cui preposizioni, al numero 20, si sottolineava che un  Cristiano è tenuto, per essere necessariamente salvato, oltre alla contrizione del suo cuore [condizione assoluta  sine qua non], quando può trovare un sacerdote  qualificato (Sacerdotis idonei), a confessarsi solamente da un Sacerdote, e non da un  laico o laici, sebbene buoni o pii quanto mai (Denz.- Schon. 1260). Per la giustificazione, dopo il Battesimo, la prassi consolidata della Chiesa, è quindi la Contrizione perfetta, da chiedere come grazia a Dio con un atto di contrizione perfetto pubblicato con debito imprimatur, chiedendo la grazia delle lacrime per i propri peccati. Naturalmente la ricerca dei peccati viene fatta dopo un attento studio  della Dottrina cristiana e della propria coscienza … come può uno confessarsi se per trascuranza non conosce i peccati numerati dalla Chiesa, ad esempio i peccati contro i Comandamenti, in particolare gli ultimi due, che sono peccati solo di pensiero, i peccati contro i precetti della Chiesa, contro le Virtù teologali e cardinali, i peccati contro lo Spirito Santo, i peccati che gridano vendetta agli occhi di Dio, i peccati di omissione circa le opere di misericordia corporale e spirituale, i peccati capitali etc.. Utile sarebbe formare uno schema scritto, col quale esaminare la propria coscienza  alla luce della dottrina di sempre della Chiesa, che riporti pure le scomuniche più  solenni comminate dai Sommi Pontefici e dai Concilii ecumenici contro eresie e  difformità dottrinali o eterodossie. Fatto questo lavoro, si resterà sorpresi dalla enormità e dal numero delle proprie colpe se ben esaminate, accusate senza ritegno o attenuazioni, inquadrate nelle perverse dinamiche delle intenzioni. Subito dopo si passa alla detestazione dei peccati commessi e al dolore per avere offeso un Dio così buono che ci ha creato dal nulla dandoci la possibilità di essere suoi figli adottivi per mezzo  della redenzione di Gesù Cristo operata versando tutto il suo preziosissimo sangue. Non basta ancora, bisogna aggiungere il proposito serio e fermo di non più peccare, e soprattutto di evitare le occasioni prossime del peccato e possibilmente anche le remote, senza di che non è valida nessuna  Confessione, che al contrario sarebbe sacrilega ed aggiungerebbe anzi peccati gravissimi e difficilmente emendabili. Ultima condizione è il proposito esplicito di ricorrere alla Confessione sacramentale una volta reperito un Sacerdote cattolico con missione canonica e giurisdizione nominato da un vero Vescovo una cum il vero Sommo Pontefice Gregorio XVIII o successore della linea Siri. Se in buona fede operiamo tutto quanto la Chiesa ci comanda di fare quando non sia raggiungibile, siamo giustificati e rientriamo sulla “pista” della corsa verso la salvezza eterna. In articulo mortis (cioè in pericolo di morte imminente) si può ricorrere anche a Sacerdoti validamente consacrati fino al 18 giugno del 1968, anche se apostati e passati alla sinagoga infernale, l’antichiesa del Vaticano II, ma attenti! Occorre prudenza e grande preparazione dottrinale per non cadere nella trappola della finta “divina misericordia” che rende Nostro Signore ingiusto nel secondare ed approvare i capricci dei peccatori, facendo apparire inutile Redenzione, Sacramenti, Fede e Carità divina, e dulcis in fundo, come ultima beffa, li spedisce dritti all’inferno senza giustificazione. – Come più volte scritto e documentato con inoppugnabili documenti della Chiesa Cattolica “pre-modernista” (cioè l’unica vera Chiesa fondata da Gesù Cristo) il vero  Cattolico, una cum  la Sede Apostolica impedita ma realmente esistente, si trova oggi  nella impossibilità di praticare liberamente il retto culto dovuto a Dio essendo le strutture un tempo appartenenti alla Chiesa, invase dalla apostasia modernista, vero obbrobrio, d’altra parte concretamente visibile nel culto rasa+crociano definito nuova messa, o novus ordo missæ, che tutto è fuorché una Messa cattolica. In queste nuove “sinagoghe infernali”  si celebra un culto apparentemente cristiano (il demonio si sa è la scimmia di Dio e vuole ricevere il culto dovuto solo a Dio), ma assolutamente invalido e sacrilego,  da parte di pseudo-sacerdoti mai consacrati validamente, quindi, privi del sigillo sacerdotale impresso dallo Spirito Santo per mezzo dell’imposizione delle mani di un vero Vescovo, (cioè consacrato prima del 18 giugno 1968 come spiegato a suo tempo in una serie di articoli documentati e mai contestati e di cui parleremo ancora trattando del Sacramento dell’Ordine), e da qualche ultraottuagenario apostata che non ha mai compreso né le leggi della Chiesa, né il suo ruolo di agente in persona Christi. Questo significa, secondo le leggi canoniche della Chiesa (C. J. C. o codice pio-benedettino del 1917, l’unico valido perché facente parte di un documento ufficiale del Magistero, e perciò irreformabile ed eterno!) che tutto  quello che viene celebrato in queste pseudo-funzioni (o meglio FINZIONI), non ha alcuna validità né liceità, ergo: confessione invalida e sacrilega, comunione invalida e sacrilega con pane mai transustanziato per difetto di forma, intenzione, e perché operato da un laico “travestito” da prete. Ma la Chiesa, prevedendo possibile questa situazione che si è “evoluta” dal 1958 in poi, aveva già pensato a come ovviare alla mancanza di grazia sacramentale dei finti illeciti sacramenti.

COMUNIONE

III. Nel paragrafo precedente abbiamo parlato della Confessione, secondo i dettami del Sacrosanto Concilio Tridentino e del relativo Catechismo del Sacerdote (libro introvabile anche presso gli anziani Sacerdoti, ma che noi custodiamo gelosamente in cassaforte come perla dottrinale preziosissima), oggi parleremo della Comunione. Non è qui il caso di spiegare l’importanza centrale dell’Eucarestia nella vita del Cristiano e della Chiesa tutta, poiché mi illudo che i miei pochi lettori sappiano almeno a grandi linee di cosa si tratti. La Comunione sacramentale, Sacramento dei vivi, di coloro cioè che sono già in grazia, perché non contaminati dal peccato mortale, consiste nella transustanziazione del pane e del vino offerto durante la vera Messa cattolica definita da S.  Pio V, di cui non si poteva mutare nemmeno una parola, nel Corpo e nel Sangue di Cristo, che viene poi dato ai fedeli sotto una specie unica per aumentare la grazia e preservare dal peccato e da azioni indegne di un fedele di Cristo. La sua specificità è  indubbia, ma ecco che, nella impossibilità di ricevere l’Eucarestia validamente  consacrata direttamente in bocca dalla mano del Sacerdote che la porge, la Chiesa permette con gran frutto, la Comunione spirituale. Lasciamo la parola, noi che ne siamo indegni, ad uomini la cui santità è indiscussa e la dottrina purissima. Riportiamo per brevità le considerazioni di S. Leonardo di Porto Maurizio: « LA COMUNIONE SPIRITUALE,  Considerazioni di S. Leonardo da Porto Maurizio. » – “Coloro che non possono ricevere sacramentalmente il corpo del Signore, Lo possono  ricevere spiritualmente con gli atti di viva fede e fervente carità e con un grandissimo​ desiderio di unirsi a quel sommo Bene; in questa maniera ricevono il frutto di questo divin Sacramento.”  – La Comunione spirituale si può fare durante la Messa (la Messa di sempre, quella definita da S. Pio V, come riportato sopra – n.d.r.-) o in qualsiasi momento della vostra giornata. Quando il Sacerdote sta per comunicarsi nella santa Messa, voi, stando ben raccolti eccitate nel vostro cuore un atto di vera contrizione, e battendovi il petto umilmente, in segno che vi riconoscete indegno di una grazia così grande, fate tutti quegli atti di amore, di offerta, di umiltà, con tutti gli altri che fate abitualmente quando vi comunicate sacramentalmente, e poi desiderate ardentemente di ricevere il buon Gesù sacramentato per vostro bene. E per ravvivare la vostra devozione, immaginatevi che Maria santissima, o qualche altro vostro Santo avvocato vi porga la santa particola. Figuratevi di riceverla, ed abbracciando Gesù nel vostro cuore, replicate più e più volte:  venite, caro Gesù mio, venite dentro questo mio povero cuore, venite ed esaudite i miei desideri, venite e santificate l’anima mia;  venite Gesù dolcissimo, venite … E ciò detto fate silenzio, rimirate il vostro buon Gesù dentro di voi e, come se realmente vi foste comunicato, adorateLo e ringraziateLo e fate tutti quegli atti che fate abitualmente dopo la Comunione sacramentale”. Ora sappiate che questa benedetta e santa Comunione spirituale, così poco praticata dai Cristiani dei nostri tempi, è un tesoro che vi riempie l’anima di mille beni. E come dicono vari autori, è così utile che  può produrre quelle stesse grazie che produce la  Comunione sacramentale, anzi maggiori. Perché, sebbene la Comunione sacramentale – cioè quando realmente ricevete la sacra particola – di sua natura è di maggiore frutto, perché, essendo Sacramento, ha la virtù “ex opere operato” (cioè opera per virtù propria), tuttavia può un’anima con tanta umiltà, amore e devozione fare la sua Comunione spirituale, da meritare maggior grazia di quella che merita un’altra, la quale si comunichi sacramentalmente, ma non con tanta squisita preparazione. Quindi il nostro Salvatore gradisce tanto questo modo di comunicarsi spiritualmente, che tante volte con evidenti miracoli si è compiaciuto di esaudire benignamente i pii desideri dei suoi servi: come accadde alla beata Chiara da  Montefalco, a Santa Caterina da Siena, a santa Liduina, a san Bonaventura ed al beato Silvestro. Sappiate dunque che questa santa Comunione spirituale vi dà questo vantaggio rispetto alla Comunione sacramentale: che la Comunione sacramentale non può farsi che una sola volta al giorno, ma la Comunione spirituale potete farla tante volte, quante sono le Messe che ascoltate; ed anche fuori dalla Santa Messa, mattino e sera, giorno e notte, in Chiesa ed in casa: insomma, quante volte voi praticherete quanto si è detto, altrettante volte farete la Comunione spirituale e vi arricchirete di grazie e di meriti e di ogni bene.

Preghiera per la Comunione spirituale.

(di S. Alfonso M. dei Liguori).

« Gesù mio, credo che voi state nel Santissimo Sacramento. V’amo sopra ogni cosa e Vi desidero nell’anima mia. Giacché ora non posso ricevervi sacramentalmente, venite almeno spiritualmente nel mio cuore. Come già venuto, io Vi abbraccio e tutto mi unisco a Voi: non permettete che io abbia mai a separarmi da Voi. »

Ai fedeli che compiono un atto di comunione spirituale, usando qualsiasi formula che vogliano scegliere, si concede:

Un’indulgenza di 3 anni; Indulgenza plenaria una volta al mese alle solite condizioni, se recitato per ogni giorno del mese (S. S. Pænit.  Ap., 7 marzo 1927 e 25 febbraio 1933).

Potremmo citare una serie lunghissima di autori e libri che discorrono dei benefici straordinari di questa pratica devozionale, ma ne ricordiamo, per brevità, solo il  dottissimo Gesuita G. B. Scaramelli, che nel suo rinomatissimo DIRETTORIO ASCETICO, Trattato Primo, al CAPO VII ne fa una meravigliosa descrizione. – Non poteva mancare la pratica devota nel “libro dei libri” teologici, la Summa Theologica di S. Tommaso d’Aquino … « questa, dice S. Tommaso, consiste in un vivo desiderio di prendere il Santissimo Sacramento.» (3 p., q. 21, art.1 ad 3). Allora accade, dice ancora l’Angelico nell’articolo successivo, che alcuno mangi spiritualmente Gesù Cristo ricoperto dalle specie sacramentali, quando crede in Cristo con desiderio di riceverlo in questo sacramento. E questo non solo è un ricevere spiritualmente Gesù Cristo, ma è un ricevere spiritualmente lo stesso Sacramento. Se queste brame siano molto fervide, e molto accese, la comunione fatta in spirito sarà talvolta più fruttuosa e più cara a Dio, che molte altre Comunioni reali fatte con tiepidezza, non per difetto del Sacramento, ma di chi freddamente lo riceve. – Testimonianze ne abbiamo, come già ricordato, da S. Caterina da Siena, S. Liduina, S. Lorenzo Giustiniani e tanti altri che non possiamo qui riportare. Non tema dunque il vero Cattolico di essere escluso dalla grazia sacramentale della santa Comunione, l’importante, sottolinea sempre puntualmente l’Angelico di Roccasecca, è fuggire dalle sette eretiche ed essere unito anche solo di desiderio se impedito al Santo Padre, il Vicario di Cristo S.S. Gregorio XVIII, successo di G, Siri. Questa è la via che giunge in Paradiso, ogni altra conduce allo stagno di fuoco eterno.

LA CHIESA ECLISSATA ED I SACRAMENTI (2)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XI)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XI)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

PRIMA PARTE DEL CATECHISMO:

FEDE (7).

2-7 Art. del Simbolo: Gesù Cristo.(2)

4. Quando e dove visse il Salvatore?

1. IL SALVATORE VISSE SU QUESTA TERRA CIRCA 2000 ANNI FA, PER 33 ANNI.

L’era cristiana è iniziata con la nascita di Gesù Cristo.

All’inizio del Cristianesimo, gli anni venivano contati in base al regno dei governanti o dei consoli romani. Dalla grande persecuzione di

di Diocleziano, i Cristiani presero come loro era il regno di questo imperatore (l’era dei martiri. L’abate Dionigi, di Roma, fu il primo che nel 525 cominciò a datare gli anni dall’Incarnazione di Cristo, cioè dall’Annunciazione. Carlo Magno introdusse questa epoca, ma iniziò a contare non dall’Incarnazione, ma dalla Natività di Cristo… -. Quest’epoca non è del tutto accurata, poiché Dionigi colloca la Natività quattro anni più avanti. Cristo sarebbe quindi nato 4 anni prima dell’anno 1 della nostra era.

Il tempo che precede Cristo è chiamato Antico Testamento o Antica Alleanza, il tempo successivo a Cristo, Nuovo Testamento o Nuova Alleanza. (Eb. IX , 15-17).

I tempi che precedono e seguono Gesù Cristo li chiamiamo Testamento, (cioè dichiarazione di volontà, concessione dell’eredità nel diritto, di volontà, concessione dell’eredità in caso di morte), perché nei tempi precedenti e successivi a Cristo, Dio ha espresso la sua santa volontà agli uomini ed ha assicurato loro un’eredità in caso di morte del Salvatore (un’eredità che diventa esecutiva con la morte del Salvatore). L’eredità assicurata agli ebrei era la Terra Promessa, l’eredità dei Cristiani è il cielo. – Il tempo prima di Cristo è chiamato l’Antica Alleanza, perché Dio fece un’alleanza con molti popoli, con Noè, Abramo, Giacobbe e con il popolo israelita al Sinai, attraverso la mediazione di Mosè. Lì il popolo israelita si impegnò a osservare le leggi appena promulgate. Dio, in cambio, promise di proteggerlo e di benedirlo. L’alleanza fu sigillata con il sangue di un sacrificio animale. – Il periodo dopo Cristo è chiamato Nuova Alleanza, perché Dio, attraverso la mediazione di suo Figlio, si è impegnato per la santificazione degli uomini qui sulla terra e per la loro glorificazione in cielo, se essi osservano i due comandamenti dell’amore. Questa alleanza è stata sigillata dal sangue di Cristo. – I libri sacri scritti in questo periodo sono noti anche come Antico Testamento, e il Nuovo Testamento, i libri sacri scritti dopo Cristo. Questi sono così chiamati perché contengono la volontà di Dio e la garanzia dell’eredità celeste.

2. IL SALVATORE FU MOLTO ATTIVO IN PALESTINA.

(Vedi la mappa di questo Paese).

Notiamo 1° per quanto riguarda il nome; che questo Paese fu chiamato prima Chanaan, poi Giudea, di solito Terra Promessa, cioè la terra promessa da Dio, infine Terra Santa, cioè la terra santificata dal soggiorno del Salvatore. – 2° per quanto riguarda la sua estensione e natura, la Palestina non è che un paese piccolo, appena 500 miglia quadrate, la metà della Svizzera, tanto che i pagani dicevano beffardamente che il Dio degli Ebrei doveva essere un Dio molto piccolo per aver dato al suo popolo un paese così piccolo. (È lunga solo 90 leghe e larga 30). Tuttavia, la sua posizione al centro del mondo antico fu molto favorevole alla diffusione della vera religione. Era un paese molto fertile, dove scorrevano latte e miele (Es. III, 8) e non c’era bisogno di importazioni dall’estero. La Palestina è tagliata fuori dai suoi vicini su tutti i lati, sia dal mare che dal deserto, così che le comunicazioni amichevoli tra i suoi abitanti e le nazioni vicine erano molto difficili. – 3° per quanto riguarda il numero di abitanti; che la Palestina al tempo di Gesù Cristo contava 5 milioni di abitanti, di cui 1 milione a Gerusalemme, la capitale. Oggi il Paese conta solo 500.000 abitanti e Gerusalemme 28.000.

LA PALESTINA È SITUATA LUNGO IL MEDITERRANEO SU ENTRAMBE LE SPONDE DEL FIUME GIORDANO.

La parte più grande, situata tra il mare e il Giordano, è chiamata il Paese del Giordano occidentale, la parte più piccola, al di là del fiume, è chiamata il Paese del Giordano Orientale. La Palestina è delimitata a nord dalla Fenicia e a est dal deserto siro-arabo, a sud dall’Arabia e a ovest dal Mediterraneo. – Il Giordano, che gli ebrei attraversarono sulla terraferma e dove Gesù fu battezzato, è largo da 80 a 150 passi; le sue acque torrenziali e giallastre attraversano il piccolo lago di Merom, poi il lago di Génèzareth (ove Gesù calmò la tempesta, predicò dalla barca, operò una pesca miracolosa, ha camminato sulla acque e diede il primato a Pietro) lungo 5 miglia, e sfociano nel Mar Morto, che è lungo 10 miglia.di lunghezza (nella depressione vi erano le città di Sodoma e Gomorra, le aque sono salare e non vi si trova alcuna creatura vivente). Prima di sfociare nel Mar Morto, il Giordano viene raggiunto dal torrente di Karith, vicino al quale viveva Elia. Il Mar Morto riceve anche le acque del Cêdron, che passa vicino a Gerusalemme e attraverso il quale fuggirono Davide e Cristo prima della sua agonia. – La Palestina era divisa in quattro parti: la Giudea a sud; la Samaria al centro; la Galilea a N., e a E. del fiume Giordano, la Perea (con Ituraea e Trachonitide).

Gli abitanti della Giudea erano i più fedeli alla vera religione; quelli della Samaria erano idolatri ed odiati dai Giudei, mentre quelli della Galilea erano in parte pagani, soprattutto al nord, e di conseguenza disprezzati dai Giudei. Essere chiamati Galilei era un insulto, soprattutto perché avevano un dialetto molto rozzo, ed erano facilmente riconoscibili, come accadde a Pietro nel tribunale del sommo sacerdote).

La città più importante della Giudea era Gerusalemme, dove era il Tempio. Gerusalemme (cioè il luogo della pace) è chiamata anche città dei colli, perché è situata su 4 alture: la più alta è il Monte Sion, sulla cui sommità si ergeva maestosa la cittadella di Davide e dove si trovava il cenacolo; a est di questo si trovava il monte Acra con la sorgente e la piscina di Siloe, dove avvenne la guarigione del cieco; a nord, il monte Moriah, dove era stato Isacco e dove si trovava il tempio; più a N. c’era il monte Bezetha con la città nuova; a ovest di Moriah, fuori dal recinto, c’era il Golgota, chiamato anche Calvario, sul quale Cristo fu crocifisso. L’insieme di queste alture è delimitata da due valli: quella a ovest, l’Hinnom (Gehenna, inferno, perché le donne israelite idolatre vi sacrificavano i loro figli a Moloch), a est la valle di di Giosafat (Giudizio di Dio; si riteneva che Dio avrebbe tenuto ivi l’ultimo giudizio). In questa valle scorre il torrente Cêdron. A est della valle di Josafat c’era il Monte degli Ulivi, con il giardino del Getsemani, dimora preferita del Salvatore. – Gerusalemme esisteva già al tempo di Melchisedec, che ne era il re.. Sotto Davide (1000 a.C.) divenne la capitale dei re ebrei, e fu distrutta completamente dal re di Babilonia (588 a.C.), Nabucodonosor, per poi essere ricostruita 50 anni dopo (536), e ridistrutta dal generale romano Tito, 70 anni dopo J.-C. – Il Tempio di Moria formava una lunga piazza e fu costruito in pietra biancastra. Da lontano appariva come una montagna coperta di neve e offriva uno spettacolo maestoso (S. Marco XIII, 1). Aveva un cortile per il popolo ed un altro interno per i sacerdoti, con l’altare degli olocausti; è in questo secondo cortile che si trovava il tempio vero e proprio, su un terrazzo lungo 30 metri, largo 10 e alto 15, con un tetto fatto di cedro. Questo tempio era composto dal vestibolo, dal Luogo Santo e dal Santo dei Santi. – Le pareti di questi due ultimi comparti erano ricoperte da spesse lastre di marmo e separate da un velo che fu strappato al momento della morte di Cristo. Nel Santo dei Santi era posta tra due grandi cherubini d’oro, l’Arca dell’Alleanza, che conteneva le tavole della legge, la manna, la verga di Aronne ed il libro della legge. (Pentateuco). Sopra l’arca, Dio dimorava in una nuvola. – Il tempio fu costruito da Salomone intorno all’anno 1000. Distrutto nel 588 da Nabucodonosor, fu ricostruito dopo 70 anni di cattività dal principe ebreo Zorobabele. Ma l’Arca dell’Alleanza era scomparsa. Re Erode lo restaurò al al tempo di Gesù Cristo. Questo restauro fu completato nel 64, e 6 anni dopo (70) il tempio fu distrutto dai Romani. Nel 361 l’imperatore Giuliano l’Apostata tentò di ricostruirlo, ma un terremoto fece crollare le fondamenta e le fiamme dal terreno dispersero gli operai. Questo tempio non sarà ricostruito fino alla fine dei tempi. (Dan. IX, 27).

Oltre a Gerusalemme, le città più notevoli sono Beihléhem e Nazareth.

Le città più importanti della Giudea sono: a sud di Gerusalemme, Betlemme, il luogo di nascita di Gesù; un po’ più a sud, Hebron, la casa di Abramo, Isacco e Giacobbe e i genitori di San Giovanni Battista; a est, Betania, la casa di Lazzaro e il deserto della Quarantena, dove Gesù digiunò per 40 giorni; a NW, Gerico, la città delle palme, dove visse Zaccheo, il pubblicano pentito; a N, Emmaus, famosa per un’apparizione del Salvatore risorto. Sulle rive del mare: Joppe, la città fenicia divenuta famosa durante le Crociate, dove vissero San Pietro e i suoi discepoli. Ivi Pietro risuscitò Tabitha dai morti e dove fu chiamato a visitare il centurione pagano Cornelio. Più a sud si trova l’antico paese dei Filistei, con le città di Gaza e Ascalon.

Ad ovest del Mar Morto si trova il deserto di Giuda o deserto di S. Giovanni, dove soggiornò il Precursore. – In Samaria, bisogna ricordare la capitale, Samaria, situata più o meno al centro del paese; a S. di questa città si trova la vicino a Sichem, il pozzo di Giacobbe, dove avvenne l’incontro tra Gesù e la Samaritana. Ad ovest si vede il Monte Gerizim, dove i Samaritani avevano un tempio idolatrico; a S., Silo, dove, dopo Giosuè, l’arca rimase per 350 anni. Lungo il Mediterraneo si estende la ricca pianura di Saron; sulle rive del mare si trova Cesarea, cioè la città imperiale, dove risiedevano i procuratori romani. A nord-est, non lontano dal mare e sul confine si erge, a 300 metri di altezza, il monte Carmelo con le sue 1000 grotte, casa degli anacoreti e di Elia, che vi offrì il suo sacrificio per confondere i sacerdoti di Baal. In Galilea sono da notare: Nazareth (la città del fiore), domicilio della Vergine Maria al momento dell’Annunciazione e dove Gesù Cristo visse fino all’età di 30 anni; a S, il monte Thabor, luogo della Trasfigurazione; nelle vicinanze, Naim, dove Ges risuscitò il figlio della vedova; a E., Cana, dove compì il suo primo miracolo. Sulle rive del lago di Genezareth si trovava Cafarnao, “la città di Gesù Cristo”, dove Egli amava fermarsi e dove compì molti miracoli, come la guarigione del servo del centurione. e la resurrezione della figlia di Giairo. Fu anche lì che fece la promessa dell’Eucaristia e chiamò a sé l’apostolo San Matteo; a S. Betsaida, da dove provenivano gli apostoli Andrea e Filippo; poi Magdala, la casa della Maddalena peccatrice. Sulle rive dello stesso lago, c’era anche Tibêriade. A nord della Galilea c’era Cesarea di Filippo, dove Pietro ricevette il potere delle chiavi. Le città marittime di Tiro e Sidone, dove Gesù si recava spesso (S. Matth, XV, 21; S. Marco VII, 27) si trovano in Fenicia piuttosto che in Galilea; ai confini di quest’ultima, ricoperta di neve perenne, si erge (fino a 3000 m.) la catena del Libano (Monte Libano (monte bianco) con i suoi magnifici cedri, ed a E. il grande Hermon (2900 m.); Più a est si trova Damasco, dove si convertì San Paolo. – In Perea molto vicino al Mar Morto, a est della foce del Giordano, si trova Bêthtibarah (anche Betania), il luogo dove Giovanni battezzò, dove rivelò il Salvatore e lo chiamò l’Agnello di Dio; e a E. il Monte Nebo, dove morì Mosè. A S. del lago di Génézareth si trovava Pella, dove i Cristiani di Gerusalemme si rifugiarono durante l’assedio di Tito (70).

5. GESÙ DI NAZARETH È IL SALVATORE O CRISTO.

Gli ebrei erano soliti chiamare l’atteso Salvatore Messia, Cristo o Unto.

Il termine unto del Signore era usato dagli ebrei per indicare Profeti, Pontefici e Re. Essi venivano unti con olio santo quando assumevano la carica, come segno della loro missione divina. (L’unzione simboleggiava l’illuminazione e la potenza dello Spirito Santo, oltre ad essere un’esortazione alla mitezza). Il futuro Salvatore sarà il Profeta, il Pontefice ed il Re per eccellenza, gli ebrei lo chiamano l’Unto del Signore. (Unto significa Messia in ebraico, Cristo in greco). Tuttavia Cristo non fu unto visibilmente con l’olio, ma interiormente dallo Spirito Santo. (Sal. XLIV, 8), la cui pienezza era in lui. (Act. Ap. X, 38).

1. GESÙ DI NAZARETH È IL SALVATORE, PERCHÉ IN LUI SI SONO ADEMPIUTE TYTTE LE PREDIZIONI DEI PROFETI.

Gesù si appellava spesso a questa testimonianza (S. Giovanni V, 39; S. Luca XVIII, 31), in particolare ai discepoli di Emmaus. (S. Luca, XXIV, 26). Matteo, da parte sua non cessa nel suo vangelo di mostrare l’adempimento delle profezie in Gesù Cristo.

2. IL CARATTERE DIVINO MESSIANICO DI GESÙ DI NAZARETH È DIMOSTRATO DALLA PERPETUITÀ DEL SUO REGNO SU QUESTA TERRA.

I falsi messia hanno avuto molti seguaci all’inizio, ma gradualmente li hanno persi del tutto. Gesù conserva i suoi seguaci attraverso tutti i secoli. Se il suo regno, la Chiesa, fosse un’opera umana, sarebbe già scomparso da tempo; ma dato che resiste nonostante tutte le persecuzioni, è necessariamente un’opera di Dio. Questo fu l’eccellente ragionamento di Gamaliele al Sinedrio (Act. Ap. V, 38).

3. GESÙ SI È DICHIARATO ESPRESSAMENTE COME IL SALVATORE IN PARTICOLARE NEL COLLOQUIO CON LA SAMARITANA E DAVANTI AL SOMMO SACERDOTE CAIFA.

“Io so”, disse la Samaritana, “che il Messia (cioè il Cristo) verrà”. Gesù le rispose: “Io che ti parlo sono lui”. (S. Giovanni IV). – Il sommo sacerdote Caifa disse a Gesù: “Ti ordino nel nome del Dio vivente di dirmi se sei il Cristo, il Figlio di Dio, e Gesù rispose: “Lo sono” (S. Matth. XXVI, 64). Inoltre, Gesù lodò S. Pietro quando gli disse: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente “. (S. Matth. XVI, 16).

4. ANCHE GLI ANGELI LO HANNO PROCLAMATO LORO SALVATORE, SIA QUELLO DELLA CAMPAGNA DI BETLEMME, SIA QUELLO CHE APPARVE A GIUSEPPE.

Un Angelo apparve ai pastori nei campi di Betlemme e disse loro: “Non temete. Perché ecco, vi porto una buona notizia di grande gioia per tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, vi è nato un Salvatore, il Cristo Signore. (S. Luca II,10). – Giuseppe, che voleva ripudiare Maria, vide in sogno un Angelo che gli annunciò la nascita di Gesù. e gli disse: “Lo chiamerai Gesù, perché egli salverà il suo popolo dai suoi peccati” (S. Matth. I, 21). Perché Gesù di Nazareth è il Cristo, cioè il Messia, è chiamato Gesù Cristo, nome che Egli stesso si è dato. (S. Giovanni XVII, 3).

6. LA VITA DI CRISTO.

L’infanzia e la giovinezza di Cristo.

La nascita di Gesù fu annunciata alla B. Vergine Maria a Nazareth dall’Arcangelo Gabriele. (S. Luc. I, 25).

Questo messaggio ci viene ricordato nella festa dell’Annunciazione (25 marzo), dall’Angelus del mattino, di mezzogiorno e della sera, e dalla prima parte dell’Ave Maria, che consiste nelle parole dell’Arcangelo. – Dopo l’Annunciazione della nascita Maria visitò sua cugina Elisabetta. Elisabetta la salutò con le parole contenute nella 2a parte dell’Ave Maria. Fu a casa di Elisabetta che Maria cantò il mirabile cantico del Magnificat. (S. Luc. 1). Questo mistero ci viene ricordato dalla festa della Visitazione (2 luglio – in certi Paesi questa festa è ancora di precetto, altrove è trasferita alla prima domenica di luglio; cadendo nella ottava della nascita di S. Giovanni Battista, alcuni interpreti pensano che la Vergine restasse nella casa di Zaccaria fino alla nascita del Precursore); anche S. Giuseppe, come abbiamo detto in precedenza, fu avvertito da un Angelo della nascita di Cristo.

CRISTO NACQUE DALLA VERGINE MARIA A BETLEMME, IN UNA STALLA.

L’imperatore Augusto aveva ordinato il censimento del popolo, così Maria e Giuseppe dovettero recarsi nella loro città natale, Betlemme (S. Luc. II, 1). Dando questo ordine, Augusto, come molti sovrani, servì come strumento inconsapevole del fatto che Ella non trovò posto a Betlemme (ibid.). Questa stalla sembra essere stata fuori Betlemme, nelle rovine di un palazzo di Davide, che in seguito servì come rifugio per i pastori e le loro greggi (Cath. Emmerich). La nascita di Cristo fu miracolosa quanto il suo concepimento, poiché Maria fu esentata dalla maledizione (Gen. III, 16) pronunciata contro Eva; fu esentata, dice S. Bernardo, dai dolori della maternità, perché era libera dalla concupiscenza. – A proposito di questa nascita, Sant’Agostino esclama: “Ecco, colui che sostiene i mondi giace in una mangiatoia! Colui che è il cibo degli angeli è è nutrito da una madre. La forza è diventata debolezza perché la debolezza diventi forte. “Un grande medico è disceso dal cielo, perché sulla terra c’è un infermo, gravemente malato; egli ci cura con un metodo nuovo, togliendoci le malattie. “Cristo – dice San Paolo – si è fatto povero, essendo ricco perché noi fossimo arricchiti dalla sua povertà” (2 Cor. VIII, 9). – Tutte le circostanze che circondano la nascita di Cristo sono piene di misteri (come lo sono tutti gli eventi della sua vita): 1. Gesù nacque a Betlemme (la casa del pane), perché Egli è il pane dal cielo (S. Ger.); a Betlemme e non a Nazareth, cioè in un luogo estraneo, perché aveva lasciato il cielo, la sua patria, per venire sulla terra, dove è uno straniero per la maggior parte degli uomini. 2 Nacque tra i pastori e le loro greggi, perché voleva essere il buon pastore (San Giovanni) di un grande gregge. 3 È nato in una stalla, perché la terra è più misera di questa grotta rispetto al cielo. Non è nato in un palazzo, per ispirare fiducia a tutti coloro che vogliono avvicinarsi a Lui. (S. P. Chr.) 4. Nasce oscuro, perché è il Dio nascosto. (Is. XLV, 15), invisibile a noi in questa vita, che ama le opere buone fatte in segreto (S. Matth. VI, 1-6). 5. Egli giace in una mangiatoia dove gli animali prendono il loro cibo. perché anche Lui vuole essere il cibo delle anime. Egli fin dalla nascita è adagiato sul legno, per indicare che è venuto sulla terra per morire sulla croce, (Similitudine tra la culla e il tabernacolo). 6. Egli è nato in una notte, perché quando arrivò il genere umano era immerso nelle tenebre dell’ignoranza di Dio. 7. Nasce in inverno, in una notte fredda (in Palestina le notti sono relativamente molto fredde), perché i cuori degli uomini erano freddi, totalmente privi dell’amore di Dio e 8. Scende dal cielo di notte, come la rugiada (Is. XLV, 8), perché esercita sugli uomini l’azione benefica della rugiada sulle piante. 9 Nasce quando a Roma il tempio di Giano è chiuso e la pace regna su tutta la terra, perché è il principe della pace (id. IX, 6), è un Dio di pace. 10.Egli viene sotto forma di bambino e non in età matura, per attirarci di più: noi ci spaventiamo di fronte a un grande signore, ma ci avviciniamo a un bambino piccolo non solo senza paura, ma con compassione, quando ascoltiamo i suoi gemiti. 11. Gesù viene nella povertà e nell’indigenza per mostrarci che il cielo non si raggiunge attraverso i piaceri e i godimenti sensuali ma attraverso la sofferenza e l’abnegazione. 11 vuole dimostrare che è un amico dei poveri, ai quali si rivolgerà per prima cosa per annunciare la buona novella. (S. Luc. IV, 18). 12. Gesù fa risplendere una luce intensa nella notte di Betlemme, per indicare che egli è la luce venuta nel mondo per dissipare le tenebre (S. Luc. IV, 18). (S. Giovanni 1). 13.Il canto degli Angeli annuncia immediatamente il motivo della sua venuta: Egli vuole glorificare Dio (S. Giovanni XIII. 32), portare agli uomini la pace: pace con Dio attraverso il suo sacrificio di riconciliazione sulla croce, pace con il loro prossimo attraverso la pratica della carità, dell’amore per i nemici, della mitezza; pace con se stessi attraverso la contentezza derivante dalla pratica delle virtù evangeliche. 14. Fece annunciare la sua venuta dagli Angeli, non ai superbi farisei e agli scribi, ma ai pastori, perché nasconde i suoi misteri ai saggi e ai prudenti di questo mondo e li rivela ai piccoli, (S. Matth. XL 25) e che dà la sua grazia agli umili, mentre resiste ai superbi (I Pietro V, 5). Inoltre ha indicato che, nel corso dei secoli, il Vangelo sarebbe rimasto per gli orgogliosi, anche per i più dotti, un libro chiuso, mentre sarebbe stato compreso dagli umili e dai piccoli. Egli chiama alla sua mangiatoia prima i Giudei, nella persona dei pastori, poi le nazioni, nella persona dei Magi, indicando che avrebbe mandato i suoi Apostoli prima ai Giudei (S. Matth. XV, 24) e poi ai Gentili per chiamarli alla Chiesa. 16. La stella meravigliosa che apparve ai Magi doveva indicare agli uomini che Cristo è l’Ammirabile annunciato da Isaia (IX, 6). 17. Il censimento fatto al momento della sua nascita, richiama quella del suo secondo Avvento; Gesù inizia così a insegnare nella sua nascita prima che iniziasse a balbettare. (Cat. rom.). Osservazioni liturgiche. Natale, il 25 dicembre è la festa della Natività di Cristo. – La notte di Natale si celebra una Messa solenne a mezzanotte e ogni sacerdote deve celebrare tre messe per ricordare il triplice avvento di Gesù (in forma umana a Betlemme, sotto le specie eucaristiche sull’altare e nella sua maestà nell’ultimo giorno), e la sua triplice nascita (la sua generazione eterna da parte del Padre, la nascita temporale da Maria e la sua nascita spirituale nei nostri cuori per grazia). L’usanza di erigere culle nelle chiese risale a San Francesco d’Assisi. L’albero di Natale ricorda l’albero fatale del paradiso e anche l’albero della croce. Per questo motivo vi si appendono frutta, luci e oggetti preziosi. I regali di Natale sono un simbolo dei doni ricevuti dall’umanità da Dio Padre. – All’indomani si celebra la festa di Santo Stefano e quella di San Giovanni Evangelista il giorno successivo, poi quella dei SS. Innocenti. La Chiesa sembra dirci: Se vuoi arrivare a Gesù Cristo, sii come Stefano, un martire, cioè un testimone, se non con il sangue, almeno con l’abnegazione e la pazienza; siate come Giovanni pieni di amore per Dio e per il prossimo, praticando le opere di misericordia; siate come un bambino davanti a Dio. Le quattro settimane che precedono il Natale si chiamano Avvento (arrivo) e rappresentano i 4.000 anni che hanno preceduto la venuta del Salvatore. L’Avvento, che ci ricorda il peccato originale e la miseria della razza umana, è sempre stato considerato un tempo di penitenza. La Chiesa primitiva (480) prescriveva 3 giorni di digiuno alla settimana e faceva leggere ogni Domenica il Vangelo gli appelli di Giovanni Battista alla penitenza.

L’Avvento si conclude il 24 dicembre con la commemorazione di Adamo ed Eva, per mostrarci il contrasto tra il primo Adamo e il secondo, per mostrarci l’immensa misericordia di Dio rivelata nell’Incarnazione. L’Avvento coincide con una stagione fredda e buia, proprio come prima di Gesù l’umanità era sprofondata nel buio della comprensione e della freddezza del cuore (il mondo pagano era idolatra, praticava la schiavitù e i sacrifici umani).

Il neonato Gesù fu adorato prima dai pastori, poi dai tre Magi.

I pastori stavano accudendo le loro greggi nella campagna di Betlemme ed appresero da un Angelo che Cristo era nato (S. Luc. II, 9); i tre Magi provenienti dall’Oriente (da un paese situato ad est della Palestina), grazie ad una stella miracolosa, che li condusse alla mangiatoia. (S. Matth. II, 9). Questa stella non era dunque una stella ordinaria, perché si muoveva in varie direzioni: S. Giovanni Cris. crede anche che si trattasse di un Angelo in forma di stella. I Magi indicavano con i loro doni le qualità di Colui che adoravano (S. Irén.): la sua regalità, attraverso l’oro, simbolo di fedeltà; la sua divinità, per mezzo dell’incenso, simbolo di preghiera; il suo sacerdozio redentore dalla mirra, simbolo della mortificazione e della sua passione. I Magi tornarono al loro paese per una via diversa, per indicare che possiamo tornare in paradiso, la nostra patria, solo abbandonando la via del peccato, e percorrendo quella della penitenza, dell’obbedienza e del dominio di sé. (S. Grég. M.) – I pastori erano i rappresentanti dei Giudei (e dei poveri); i tre Re, quelli dei Gentili (e dei ricchi). Le reliquie dei Re Magi vennero portate da Federico Barbarossa a Colonia (1162), dove riposano nella Cattedrale. – La festa dei Re Magi si celebra il 6 gennaio. Il giorno prima, nella primitiva chiesa orientale, venivano battezzati i Pagani. – È chiamata anche festa dell’Epifania (apparizione) perché in questo giorno in alcune chiese si celebrava la Natività, cioè l’apparizione di Cristo sulla terra.

(Nella Chiesa greca, l’Avvento dura fino a questa festa). Questo giorno commemora anche il battesimo di Gesù Cristo e il suo primo miracolo a Cana.

Quando il Salvatore aveva otto giorni, fu circonciso e gli fu dato il nome di Gesù. (S. Luc. II, 21).

La circoncisione era una cerimonia simbolica di purificazione dai vizi. (S. Ambr.) Gesù (in ebraico, Joshua) significa Salvatore, liberatore. Questo nome, dice S. Paolo, è al di sopra di tutti i nomi (Fil. II, 9); esso è stato scelto da Dio stesso e annunciato alla Beata Vergine (S. Matth. Vergine (S. Matth. I, 21). Questo nome ha un potere divino; la sua invocazione ci procura soccorso nella tentazione e in ogni disgrazia; i demoni sono scacciati da esso. (S. Marc. XVI, 17). I Profeti chiamavano spesso il Messia, Emmanuele, cioè Dio con noi (Is. VII, 14). – La festa della Circoncisione, il 1° gennai è anche il nuovo anno. La Chiesa ci esorta ad iniziare tutto l’anno nel Nome di Gesù e a purificare i nostri cuori da ogni peccato e vizio (Col. II, 11), se vogliamo avere un anno nuovo buono e felice. Fu Papa Innocenzo XII che, nel 1691, fissò l’inizio dell’anno al primo di gennaio. In precedenza, si iniziava generalmente a Natale. La vigilia di Capodanno, S. Silvestro, era in altri tempi un giorno festivo; da qui, in alcune regioni, le funzioni solenni per chiudere l’anno. Inoltre, è opportuno che ogni Cristiano non passi questo giorno in piaceri insensati, ma di rendere grazie per le benedizioni di Dio nell’anno trascorso, perché in questo modo xe ne attiviamo di nuove per il futuro.

Quando Gesù aveva 40 giorni, fu presentato nel tempio di Gerusalemme. (S. Luc. n, 39).

Maria osservò la legge di Mosè (Lev. XII), anche se la sua purezza la esentava da essa, offrì Gesù, perché Dio, al tempo della morte del primogenito d’Egitto, riservò a sé il primogenito degli israeliti (Num. VIII, 17). – Questa festa della Purificazione è chiamata anche Candelora. Infatti la Chiesa ha istituito in questo giorno una

processione prima della Messa con le candele accese, perché nel tempio il vecchio Simeone aveva proclamato Gesù, la luce che illumina le nazioni (S. Luc. Il, 32), da cui l’espressione, Candelora. Prima della processione ha luogo la benedizione delle candele; il Sacerdote chiede luce e protezione per tutti coloro che le portano. Non è superstizione accendere queste candele durante i temporali, metterle tra le mani dei moribondi e chiedere l’aiuto di Dio per questa preghiera del Sacerdote. Sarebbe solo superstizione se a queste candele si attribuisse una virtù infallibile contro il fulmine: quest’ultimo può cadere nonostante la candela, ma Dio può proteggere il Cristiano devoto. – Il giorno dopo la Candelora si celebra la festa di S. Biagio: in questo giorno i Sacerdoti benedicono il collo dei fedeli con delle candele della vigilia, perché in questo modo S. Biagio salvò un bambino dalla morte. Le candele accese in questi due giorni simboleggiano Gesù come luce del mondo, secondo le parole di Simeone citate sopra. Seguendo l’esempio di Maria, le madri cristiane portano i loro bambini appena nati in chiesa per offrirli a Dio (la cerimonia dell’elevazione).

Gesù trascorse i primi anni della sua vita in Egitto. Poi visse a Nazareth fino al suo trentesimo anno (Matth. II).

Un Angelo ordinò a Giuseppe di fuggire con il bambino, perché Erode stava attentando alla sua vita. Egli allora fece uccidere tutti i bambini maschi di età inferiore ai due anni (ibid. 16). Questa piaga colpì le madri di Betlemme a causa della loro durezza nei confronti del Salvatore, rifiutando un asilo a sua madre e a Giuseppe. Gli Innocenti non persero nulla con questo martirio, anzi il battesimo di sangue procura la beatitudine eterna. In un sobborgo del Cairo (ex Heliopolis) si venera la casa dove visse la Sacra Famiglia. L’Egitto è stato benedetto dalla presenza di Gesù bambino, e divenne la dimora di migliaia di monaci che condussero una vita “angelica”(Sant’Antonio l’Eremita, San Paolo di Tebe). Fu su un’isola nel Nilo che S. Pacomio fondò il primo monastero (340). Dopo il suo ritorno dall’Egitto, Gesù visse a Nazareth; scelse questo luogo perché era disprezzato dai Giudei: voleva darci una lezione di umiltà. Fino all’età di 30 anni ha condotto una vita assolutamente nascosta, per raccomandarci la lontananzadalmondo.

All’età di 12 anni, Gesù si recò al tempio di Gerusalemme.

Lì stupì i maestri con la sua saggezza.

Quando Cristo raggiunse l’età dell’uomo, Giovanni il Battista nel deserto annunciò il ministero pubblico di Gesù.

Questa è la storia di Giovanni Battista: l’Arcangelo Gabriele annunciò la sua nascita a suo padre Zaccaria nel tempio nell’ora del sacrificio. Zaccaria non volle credere e divenne muto; (S. Luc. 1) alla nascita del bambino recuperò la parola e cantò il magnifico cantico del Benedictus (ibid. 57-80). Fin dall’adolescenza, Giovanni visse nel deserto e si preparò con austere penitenze ai suoi doveri di precursore del Salvatore. Quando Gesù aveva circa 28 anni (S. Luc. III, 1), Giovanni, ispirato da Dio, uscì dalla sua solitudine, predicò sulle rive del Giordano una severa penitenza alle masse che accorrevano a lui, annunciò la venuta del Messia e battezzò (S. Matth. III). Un giorno vide arrivare Cristo e gridò: Questo è l’Agnello di Dio, che toglierà i peccati del mondo. “(S. Giovanni I, 29). Quando Giovanni rimproverò Erode per la sua vita dissoluta, Erode lo fece gettare in prigione e poi decapitare durante un banchetto. (S. Matth. XIV). S. Giovanni è il modello degli anacoreti.

II. La vita pubblica di Cristo.

All’età di 30 anni, Gesù fu battezzato da Giovanni nel Giordano e poi digiunò per 40 giorni nel deserto, dove fu tentato dal diavolo (S. Matth. III, IV). Tutti i messaggeri di Dio si ritirarono in solitudine prima della loro vita pubblica; Mosè, Giovanni Battista e gli Apostoli prima della Pentecoste. Attraverso il suo digiuno e la sua lotta vittoriosa con il demonio, Gesù, il nuovo Adamo, ha voluto rimediare per il peccato di aver mangiato il frutto proibito nel paradiso e per la caduta nella tentazione. – Il numero 40 ricorre spesso nella Scrittura e i Padri ne hanno fatto il simbolo della penitenza.

La piaga del diluvio, il digiuno di Mosè ed Elia durò 40 giorni, i Niniviti ebbero 40 giorni per convertirsi, Gesù rimase 40 giorni sulla terra dopo la sua risurrezione; gli israeliti trascorsero 40 anni nel deserto. – Liturgia: In memoria del digiuno di Gesù, la Chiesa ha prescritto i 40 giorni di digiuno quaresimale, che iniziano il mercoledì delle ceneri. Per esortarci seriamente a fare penitenza, la Chiesa ci ricorda con forza il pensiero della morte. Il Sacerdote sparge la fronte con la cenere, simbolo della nostra mortalità, e ci dice: “Ricordati, o uomo, che sei polvere e in polvere ritornerai“. “Questa cenere è fatta con rami benedetti dell’anno precedente, per ricordarci la fugace vanità dei piaceri e della gloria terrena. La Quaresima dura dal Mercoledì delle Ceneri alla Domenica di Pasqua; durante questo periodo gli adulti, secondo la legge della Chiesa, consumano un solo pasto al giorno, e tutti i Cristiani devono evitare i piaceri rumorosi e meditare sulla passione del Salvatore. (Da qui i sermoni quaresimali e i veli sulle immagini dell’altare). La domenica, il sacerdote indossa paramenti di colore viola (il colore della penitenza), e invece di dire Ite missa est, che indica la fine dell’ufficio, dice Benedicamus Domino, come per invitare il popolo a rimanere in chiesa per pregare e benedire Dio. In molte chiese ci sono saluti serali in cui si canta il Miserere. – I 3 giorni che precedono la Quaresima sono chiamati carnevale (caro = carne, vale=addio). Per allontanarci dai piaceri rumorosi di questo periodo la Chiesa fece celebrare in alcune chiese l’esposizione delle 40 ore. La follia, in particolare le mascherate e i balli in maschera che precedono il Mercoledì delle Ceneri, sono di origine pagana; i pagani celebrano a febbraio, quando le giornate si allungano notevolmente, il presunto ritorno di Apollo sul suo carro splendente. La quinta domenica di Quaresima, le croci vengono velate per simboleggiare la fuga del Salvatore, che fu costretto a nascondersi per non essere ucciso prima del tempo (S. Giovanni XI, 54); questa domenica è detta della Passione, perché da quel momento in poi la Chiesa è assorta nel meditare la passione del Salvatore.

A partire dal suo 30° anno di vita, Cristo viaggiò per la Giudea e insegnò per quasi 3 anni, raccogliendo intorno a sé 72 discepoli tra i quali scelse 12 Apostoli.

Gesù iniziò il suo ministero dottrinale alla festa di nozze di Cana, dove compì il suo primo miracolo per mostrare che il regno a cui invita le persone è come un matrimonio. (S. Matth. XXII, 1). Cristo parlava spesso a grandi folle,

da 4000 a 5000 persone, senza contare donne e bambini. (Moltiplicazione dei pani); Zaccheo, il pubblicano, fu costretto a salire su un albero per vedere Cristo in mezzo alla folla. Gesù Cristo era solitamente accompagnato dai suoi Apostoli e discepoli; essi erano testimoni di tutte le sue parole ed azioni, al fine di proclamarle a tutti i popoli del mondo. Gli Apostoli erano figura dei Vescovi; i discepoli, quella dei Sacerdoti, i collaboratori degli Apostoli. Apostolo significa inviato. – La dottrina di Cristo è giustamente chiamata Vangelo, cioè buona notizia, perché il Vangelo annuncia la remissione delle pene del peccato e l’eredità del cielo. (S. Giovanni Cris.) – Cristo è il Maestro dei maestri; ha insegnato come se avesse autorità, in modo tale da stupire il popolo con la sua dottrina (S. Marco I, 22 – S. Matth. VII, 29).

Cristo parlava chiaramente, con semplicità ed illustrava il suo linguaggio con azioni simboliche, parabole, allusioni allo spettacolo della natura.

La dottrina di Cristo è come un tesoro nascosto nel campo del linguaggio semplice. (Matteo III, 44). Tutti gli uomini apostolici parlano in modo semplice; non cercano di piacere, ma di farsi capire e di fare del bene. Parlano con il cuore e il loro linguaggio è sempre semplice. – Gesù Cristo ha anche usato azioni simboliche. Ha alitato sugli Apostoli, comunicando loro lo Spirito Santo, che è come un soffio che emana dalla divinità; elevò le mani (S. Luc. XXIV, 50) dando loro il potere di insegnare e battezzare prima della sua ascensione. Quando guarì il cieco nato (S. Giovanni IX), “sputò a terra, fece un po’ di fango, lo strofinò negli occhi del cieco e lo portò alla piscina, come se volesse dire: “l’acqua viva della mia dottrina, che esce dalla mia bocca e si mescola alla polvere, ha guarito l’uomo dalla sua cecità spirituale se inoltre si fa battezzare. – Cristo parlava spesso in parabole: il figliol prodigo, la samaritana, il ricco epulone ed il povero Lazzaro, il fariseo nel tempio, la vergine saggia e quella stolta, il servo buono e quello cattivo, i 10 talenti, la pecora perduta, la dracma perduta, il fico, gli operai nella vigna, le nozze reali, il grande banchetto, le 7 parabole sul regno del cielo: il seminatore, il grano e la zizzania, il seme di senape, il lievito, la rete, il tesoro nel campo, la perla. – Cristo ha fatto continue allusioni allo spettacolo della natura davanti ai suoi occhi: il giglio e l’erba del campo, i passeri sul tetto, il seme, la zizzania, il fico, la vite, le pecore, i pastori. La natura e la religione cristiana hanno molte analogie, entrambe vengono da Dio.

Cristo ha predicato per primo il Vangelo ai poveri.

Lo disse lui stesso nella sua risposta ai discepoli di Giovanni: “Il Vangelo è stato predicato ai poveri”. (S. Matth. XI, 6); nella sinagoga di Nazareth applicò a se stesso come al Messia, queste parole del profeta: “Il Signore mi ha mandato a evangelizzare i poveri”. (S. Luc. IV, 18). I poveri sono già in parte distaccati dai beni di questo mondo, e quindi più pronti a ricevere il Vangelo.

Il pensiero fondamentale di tutti gli insegnamenti di Gesù Cristo è questo: “Cercate il regno di Dio”.

“Cercate prima il regno di Dio!” dice nel Discorso della Montagna (S. Matth. VI, 33), cioè cercate la felicità eterna. Gli evangelisti riassumono anche la dottrina di Gesù Cristo in queste parole: “Fate penitenza e credete al Vangelo, perché il regno dei cieli è vicino”. (S. Matth. IV, 17 – S. Marco 1, 15).

Cristo ha insegnato nuovi dogmi, ha dato una nuova legge una nuova legge, istituì nuovi mezzi di santificazione.

Insegna, ad esempio, il mistero della Santissima Trinità, la sua stessa divinità, il Giudizio Universale. Promulgò la duplice legge della carità e perfezionò il Decalogo, ha persino proibito l’ira, le parole ingiuriose, eccetera; – ha istituito il s. Sacrificio della Messa, i 7 sacramenti e ci insegnò il Padre Nostro.

Cristo ha giustificato la sua missione divina e la verità della sua dottrina con numerosi miracoli, con prove della sua onniscienza e dalla santità della sua vita.

Cristo stesso si è appellato ai suoi miracoli quando ha detto: “Se non credete a me (cioè alle mie parole), credete alle mie opere”. (S. Giovanni X, 38). Nicodemo conclude anche dai miracoli di Cristo la sua missione divina: “Nessuno può fare i miracoli che fai tu, se Dio non è con lui”. (S. Giovanni III, 2). Cristo ha compiuto tutti i suoi miracoli con il proprio potere, mentre altri li hanno compiuti solo in Nome di Dio o di Cristo. Ne parleremo più avanti in relazione alla divinità di Gesù Cristo. – Egli era onnisciente; conosceva i peccati più segreti: quelli della Samaritana, quelli dei Farisei che gli avevano portato l’adultera nel tempio; prevedeva i piani di Giuda per tradirlo, le debolezze di Pietro e molte altre circostanze della sua passione, e le sue predizioni si sono avverate.

– Cristo è ancora notevole per la sua straordinaria santità; la sua pazienza, dolcezza, umiltà, carità, ecc. non sono mai state eguagliate. Come potrebbe un uomo così santo mentire?

I farisei e gli scribi lo odiavano e lo perseguitavano, perché non era all’altezza delle loro aspettative di un Messia e attaccava i loro vizi; dopo la resurrezione di Lazzaro, progettarono addirittura di ucciderlo.

Volevano lapidarlo nel tempio (S. Giovanni VIII, 59; X, 31), gettarlo giù da una roccia a Nazareth (S. Luc. IV, 29); lo hanno vituperato; lo hanno chiamato servo del diavolo (S. Matth. XII, 24), un sobillatore, un profanatore del sabato. Gli tendevano trappole, ad esempio chiedendogli se fosse lecito pagare un tributo a Cesare”. Tutto l’insegnamento di Cristo era quindi già una sorta di sacrificio. – Gli ebrei pensavano che il Messia sarebbe stato un re temporale molto potente che li avrebbe liberati dal giogo romano e speravano che li avrebbe riempiti dei beni di questo mondo. Ma Gesù è nato nell’oscurità e nella povertà; ha prescritto la mortificazione, le opere di misericordia, ecc.. Inoltre, rimproverava ai farisei la loro ipocrisia e il loro atteggiamento puramente esteriore, e li chiamava sepolcri imbiancati (S. Matth. XXIII, 27), figli di Satana (S. Giovanni VIII, 44). Per questo lo perseguitarono e attaccarono la sua dottrina; poi quando i capi dei sacerdoti e i farisei vennero a sapere della risurrezione di Lazzaro, dissero: “Quest’uomo fa molti miracoli; se lo lasciamo fare, tutti crederanno in Lui” e decisero di ucciderlo. (S. Giovanni XI, 47-53).