CONOSCERE LO SPIRITO SANTO (XIII)

 

IL TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO 

Mons. J. J. Gaume:  

[vers. Ital. A. Carraresi, vol. I, Tip. Ed. Ciardi, Firenze, 1887; impr.]

CAPITOLO XII.

Il re della Città del male.

Lucifero, il Re della Città del male — Chi è, secondo i nomi che gli dà la Scrittura Dragone, Serpente, Avvoltoio, Leone, Bestia, Omicida, Demonio, Diavolo, Satana — Spiegazione particolareggiata di ciascuno di questi nomi.

Secondo l’insegnamento universale, noi dedicammo il quadro delle celesti gerarchie; che magnificenza in quelle angeliche creazioni! che armonia in quel grande esercito dei cieli! che ammirabile varietà, e nel tempo stesso, che potente unità nel governo della Città del bene! Se l’uomo intendesse, la sua vita, supposto che potesse vivere, sarebbe una lunga estasi. Ma egli morrebbe di spavento se potesse vedere coi suoi propri occhi il Re della Città del male, circondato dal suoi orribili principi e dai suoi neri satelliti. Di lui dunque ci occuperemo adesso. Chi è questo Re della Città del male? quali sono i suoi caratteri? quale idea dobbiamo noi avere della sua potenza e del suo odio? Quale spavento deve egli ispirarci? domandiamone la risposta a Colui che solo lo conosce a fondo. Abbiamo detto che nominare, è definire. Definire è esprimere le qualità distintive di una persona o di una cosa. Ora, Colui che non può ingannarsi nominando, chiama Re della Città del male: Il Dragone, il Sergente, Avvoltoio, il Leone, la Bestia, l’Omicida, il Demonio, il Diavolo, Satana. Perché tutti questi nomi differenti di un medesimo essere? Perché Lucifero riunisce tutti i caratteri delle bestie alle quali è assomigliato: e ciò in un tal grado che formano di lui un essere a parte. Un angelo, un Arcangelo, forse il più bello degli Arcangeli, divenuto in un batter d’occhio tutto ciò che vi è di più immondo, di più odioso, di più crudele, di più terribile nell’aria, sulla terra e nelle acque; qual caduta! E questo per un peccato solo! O Dio, che cosa è dunque il peccato? Così è; questo principe angelico, anticamente cosi buono, cosi dolce, cosi risplendente di luce e di bellezza, la Scrittura lo appella Dragone, Draco, gran Dragone, Draco magnus. Nei libri santi, come nello spaventoso ricordo di tutti i popoli, questa parola indica un animale mostruoso per la sua statura, terribile per la sua crudeltà, spaventoso per la sua forma, tremendo per la rapidità dei suoi movimenti e per la penetrativa della sua vista. Animale di terra, di mare, di palude; rettile con le ali vigorose, con lunghe file di denti di acciaio, con gli occhi sanguigni; spavento della natura intera; il dragone della Scrittura e della tradizione è tutto questo. (Bellar. in Ps. 109; Corn. a Lap. in s. LI, 9, et passim; Id. S. Aug, Sopra il dragone, Enarrat, in ps. CIII. n. 9 opp. t. IV, p. 1678).Sotto questa forma o quella di qualche mostruoso rettile il demonio, padrone del mondo innanzi l’incarnazione, trovasi dappertutto. Quanti santi fondatori nella S. Chiesa non veggonsi obbligati a cominciare, giungendo alla loro missione, dal combattere un drago: ma un drago in carne ed in ossa! Nella Bretagna è sant’Armelo, san Tugdalo, sant’Efflam, san Brieuc, san Paolo di Leon. Roma, Parigi, Tarascona, Draguignan (Draguignan, il cui nome medesimo viene da draco), Avignone, Perigueux, il Mans, non so quanti luoghi della Scozia e altrove, furono testimoni dello stesso combattimento. Oggidì ancora non è contro il Drago o il Serpente adorato, che debbono lottare i nostri missionari nell’Africa?Ma questi antichi racconti non appartengono alla Leggenda? Queste descrizioni sono quadri immaginati? Il Drago è egli realmente esistito? Prima di tutto noi risponderemo che il Drago con i suoi differenti caratteri è troppo spesso nominato nei santi libri ed anche in tutte le lingue antiche, per non essere che un animale fantastico. Noi risponderemo in seguito che in ogni tempo e dappertutto, a Babilonia come in Egitto, il demonio ha preferito la forma di drago per offrirsi alle adorazioni dei pagani; ed è per questo che i loro templi portavano il nome generale di Dracontia. Inoltre questa forma trovasi troppo di frequente nell’origine cristiana dei popoli; essa è troppo bene attestata dalla tradizione che i nostri dotti moderni riconoscono finalmente: quattro volte più vera della storia, (Aug. Thierry) per non essere che un simbolo del paganesimo. Noi ci annoiamo finalmente di sentir trattare i nostri più gloriosi titoli di pie allegorie, o racconti leggendari. Non ammettiamo il sistema di mito per base della nostra storia religiosa, non solo nelle lotte dei primi missionari contro il serpente in carne e in ossa, quanto nella tentazione del Paradiso terrestre. Crediamo invece a tutti questi materiali combattimenti, visibili e palpabili, perché gli inviati da Dio ne avevano bisogno per accreditare la loro missione; essendo testimonianza dei nostri padri in tutti i secoli, e perché l’evoluzione di tutti questi fatti si opera, come dice Mabillon, nelle abitudini normali del miracolo, e perché la Chiesa sanziona questi racconti ammettendoli nella sua preghiera pubblica. Finalmente noi rispondiamo che, mercé le scoperte recenti della Geologia, l’esistenza del Drago non può essere posta in dubbio. Riguardo al drago come al liocorno, dei quali Voltaire e la sua scuola avevano tanto motteggiato, la scienza è venuta a dar ragione alla Bibbia ed alla antica credenza dei popoli. David parla del liocorno. Aristotele descrive l’Origia (asino indiano), il quale secondo lui non aveva che un corno. Plinio indica la Fera Monoceros (bestia rossiccia con un corno solo). Gli storici Chinesi citano il Kiota-ouau (animale con un corno diritto) che abita la Tartaria. Tutte queste testimonianze non diminuivano l’empietà burlesca dell’ultimo secolo. Contuttoció dovevano venire a riconoscere 1’antica esistenza del liocorno, forse anche la scoperta di questo animale: verso il 1834 questa speranza è stata realizzata. Un inglese residente nelle Indie, il sig. Hodgson, ha inviato all’accademia di Calcutta la pelle ed il corno di un liocorno, morto nel serraglio del Radjah di Népaul. Dipoi, conforme all’indicazione data dagli storici cinesi, si è scoperto nel Thibet una valle nella quale abita l’animale biblico. (L’illustre abate Moigno, la cui testimonianza vale, al dire degli stessi increduli, quanto l’autorità di tutta la scienza moderna, dimostra con forti argomenti che il liocorno della Bibbia è l’Abou-karhn. (Vedi Les livres saints et la Science , c. III.). Quanto al Drago, lasciamo parlare il nostro più illustre geologo: « Un genere di rettili molto notevole,, dice Cuvier, e le cui spoglie abbondano nelle sabbie superiori, e il Megalosaurus (grande lucertola), è cosi nominato giustamente, imperocché con le forme di lucertola, e particolarmente dei Monitors, e che ha pure i denti incisivi e frastagliati era di una cosi enorme statura che attribuendogli le proporzioni dei monitors, doveva passare settanta piedi di lunghezza: quest’era una lucertola grande come una balena. » Più oltre, Cuvier parla del Plesiosaurus (prossimo alla lucertola) e del Pterodactylus (che vola con le sue zampe come il pipistrello) specie di lucertola: « armati di denti acuti; posanti sopra alte gambe e la cui estremità anteriore ha un dito eccessivamente lungo che portava verosimilmente una membrana atta a sostenerlo per l’aria, accompagnato da quattro altri diti di ordinaria dimensione, terminati da unghie adunche. » Ed aggiunge: « Se qualche cosa potesse giustificare quelle idre e quelli altri mostri dei quali i monumenti del medio evo hanno tante volte ripetuta la figura, sarebbe incontestabilmente questo Plesiosauro. » (Il sig. Buckland l’ha scoperto in Inghilterra, ma ne abbiamo pure in Francia). Difatti, a questo mostro ed a suoi simili, che cosa gli manca per essere i Draghi dell’istoria? Pur nonostante per restituir loro questo nome senza contestazione, la conoscenza positiva di certi dettagli mancava prima di tutto al grande naturalista. La loro prodigiosa dimensione e la loro facoltà di volare non sono per lui ancora altro che supposizioni e verosimiglianze. Ma ecco che a confusione della incredulità la terra apre di nuovo le sue viscere, e le congetture di Cuvier divengono fatti palpabili. Alcuni scavi conducono alla scoperta di rettili giganteschi. Cuvier gli vede e ne dà la seguente descrizione: Eccoci, dice, giunti a quelli fra tutti i rettili e forse di tutti gli animali fossili, che meno rassomigliano a quel che conosciamo, e le cui combinazioni di struttura sembrerebbero, senza alcun dubbio, incredibili a chiunque non fosse capace di osservarli da se stesso. – « Il Plesiosauro con zampe di cetaceo, con testa di lucertola e collo lungo, composto di più di trenta vertebre, numero superiore a quello di tutti gli altri animali conosciuti, che è lungo quanto il suo corpo, e che si alza e si ripiega come il corpo dei serpenti. Ecco ciò che il Plesiosauro e FIchtyosauro sono venuti ad offrirci, dopo essere stati sepolti per parecchie migliaia d’anni sotto enormi cumuli di terra e di marmi. » (Ricerche ecc., t. V, p. 245. — « Gli occhi dell’Ichtyosauro erano di una straordinaria grandezza. La loro potenza visiva permetteva loro a un tempo di scoprire la loro preda alla più gran distanza e inseguirla durante la notte, o nelle più oscure profondità del mare. Si sono veduti dei crani d’Ichtyosauro, le cui cavità orbitali avevano un diametro di 35 a 36 centimetri. Nel più grande spazio, le mascelle armate di denti acuti hanno una apertura di quasi due metri. » Mangin. Il mondo marino, n. 3, p. 219, ed. 1865). – Parlando del Gigante-Pterodactylo: « Ecco dunque, continua il grande naturalista, un animale il quale nella sua osteologia, dai denti sino alle estremità delle unghie, offre tutti i caratteri classici dei Saurii (Lucertole). Non si può dunque dubitare che non abbia altresi i caratteri nei tegumenti e nelle parti molli; e che non ne abbia avute le squame, la circolazione…. Era nel tempo stesso un animale provvisto di mezzi di volare… che poteva ancora servirsi dei più corti dei suoi diti per tenersi sospeso…. ma la cui posizione tranquilla doveva essere ordinariamente sopra i suoi piedi di dietro, ancora come quella degli uccelli. Allora doveva altresì, com’essi, tenere ritto il suo collo e ricurvo indietro, affinché il suo enorme capo non rompesse tutto l’equilibrio. » – Col tempo la dimostrazione diventa sempre più splendida. Di guisa che nel 1862 si è scoperto, con un tronco di strada ferrata in esecuzione vicino a Poligny, gli avanzi di un enorme sauro, o pipistrello. La dimensione delle ossa raccolte è tale che non si può assegnare all’animale rinvenuto meno di 30 o 40 metri di lunghezza. Il celebre Zimmermann dal canto suo ha pubblicati i disegni di giganteschi fossili scoperti recentemente in Germania. Cosa degna di nota! questi disegni, copia fedele della realtà, si accostano molto alle figure dei draghi conservati dai cinesi, il popolo più tradizionalista del mondo. « Trovansi, dice il dotto alemanno, i fossili di lucertole della statura della più enorme balena. Ad una di queste specie mostruose appartiene l’Hydrarchos (il principe delle acque), il cui scheletro ha 120 piedi di lunghezza…. a cui aggiungiamo un altro mostro che sembra giustificare tutte le leggende dei tempi antichi, intorno ai draghi alati, che è il Pterodactilo. « Il suo patagion, o membrana che serve a volare, si spiega tra il piede dinanzi e il piede di dietro, in modo da lasciare le granfie libere per carpire la preda. La testa del mostro è quasi grande quanto la metà del tronco. La sua mascella è armata di acuti denti e ricurvi, i quali dovevano farne un terribile nemico per gli animali facendone tante sue vittime. » (II mondo avanti la creazione dell’uomo, lib. XXXII, p. 4; 1856). Piglino pure il loro partito, Voltaire e la sua generazione; è esistita una specie di mostri anfibii di cento piedi di lunghezza e di una grossezza proporzionata, ritti sopra alte gambe che vanno a terminare come le granfie del leone, aventi le ali del pipistrello, le squame del coccodrillo, i denti del pesce cane, la testa del maschio della balena, il collo e la coda di serpente, ed ecco il Drago. – E questo drago dà il nome all’arcangelo decaduto, al re della Città del male. All’oggetto di vendicare la Scrittura, abbiamo creduto estenderci intorno al primo nome che essa gli dà. – Essa lo chiama Serpente, Serpens; antico Serpente, Serpens antiquus. Questo nome si addice a Lucifero e perché come serpente ha sei mila anni d’età e perché una lunga pratica lo rende il più terribile: e perché ei si serve per tentare Eva del ministero del serpente; e perché ha tutte le qualità dell’odioso rettile. Serpente per l’astuzia, serpente per il veleno, serpente per la forza, serpente per la potenza del fascino. Tale è questa potenza che seduce l’intero mondo: seducit universum orbem; di maniera che il culto del demonio sotto la forma del serpente, ha fatto il giro del pianeta. I Babilonesi, gli Egizii, i Greci, i Romani, tutti i grandi popoli, pretesi inciviliti dell’antichità pagana, hanno adorato il serpente, come l’adorano anche oggi i negri degradati dell’Africa. (Corn. a Lap., in Gen. III, 15; e Dan. XIV, 22). E questo serpente, il più spaventoso di tutti gli altri è l’arcangelo decaduto, è il Re della Città del male! – Essa lo chiama Avvoltoio, Uccello di rapina, Avis. Per le regioni ch’egli abita, per l’agilità dei suoi movimenti, per l’abilità nello scuprire la preda, per la sua prontezza a gettarsi sopra, per la sua rapidità nel corrergli dietro per l’aria, per la crudeltà con la quale egli succhia il sangue e gli divora le carni, il demonio è bene un uccello di rapina, un avvoltoio. E questo avvoltoio più crudele di tutti gli altri, è l’arcangelo ribelle, il Re della Città del male! (S. Cyp., de Proelat.simpl., tract, III – S. Greg., lib. XXXIII Moral., XIV).Lo appella Leone, Leo. Come il Verbo incarnato è chiamato Leone della tribù di Giuda, Leo de tribù Juda, a motivo della sua forza: la Scrittura ha cura di chiamare, il demonio, Leone ruggente, Leo rugiens, Leone  sempre in furore e cercante preda, quaerens quem devoret. (S. Aug serm. XLVI, de diversis, n. 2). Nessun nome fu mai meglio applicato. Il leone è il re degli animali: Lucifero è il principe dei demoni. Orgoglio, vigilanza, forza, crudeltà: tale è il leone, e tale l’angelo decaduto, il leone divora non solamente quando ha fame, ma specialmente quando è in collera. In Lucifero, la fame e l’odio delle anime sono insaziabili. Il leone disprezza i lordi avanzi delle sue vittime. Non v’ha sorte di avaria, talora di cattivi trattamenti che il demonio non faccia subire ai suoi schiavi senza parlare delle vergogne alle quali sempre li trascina. – Ardente per natura, il leone è libidinoso all’eccesso. (Vid. Com. a Lap., in Dan. VII, 4). – Altrettanto può dirsi del demonio in questo senso perché nulla omette per spingere l’uomo all’impuro vizio. Il leone esala un odore acuto e sgradito. Il demonio spande un odore di morte. Perciò l’ebreo lo chiama Capro; e la storia afferma che di solito ei piglia la forma di quell’immondo animale, per offrirsi agli sguardi e alle adorazioni degli evocatori. E questo leone ruggente, e questo capro immondo è l’arcangelo ribelle, il Re della Città del male! (Corn. a Lap., I Petr., v, 8). – Lo appella Bestia, la bestia propriamente detta, Bestia. Riunite tutti i caratteri dei diversi animali nei quali la Scrittura personifica l’Arcangelo decaduto, e voi avrete la bestia per eccellenza: in uno stesso mostro la grandezza della balena, la gola e la voracità del pesce cane, i denti, gli occhi, le ignobili inclinazioni del coccodrillo, l’astuzia ed il veleno del serpente; l’agilità dell’uccello di rapina, la forza e la crudeltà del leone. Per compiere il ritratto dell’Arcangelo divenuto Bestia, gli oracoli divini gli danno sette teste, come simbolo energico dei suoi terribili istinti, o dei sette demoni principali che formano il suo corteggio. E questa bestia che non può rappresentarsi senza impallidire, è l’Arcangelo decaduto, vale a dire il Re della Città del male! (Corn. a Lap., Apoc., XII, 8). Ancor più che le spaventevoli qualità di cui abbiamo descritto il quadro, due cose lo rendono terribile: la sua natura ed il suo odio. Il leone ed il drago, il serpente e gli altri mostri corporei, non hanno che una limitata potenza. Essi sono soggetti alla fatica, alla fame, alla vecchiaia, alla morte, alle leggi della gravità e delle distanze. Allontanati, sazi, infermi, morti, incatenati o addormentati essi cessano di nuocere. Come semplice spirito, Satana non conosce né stanchezza, né bisogno, né catene, né vecchiaia, né morte, né sonno, né gravezza, né distanza apprezzabile ai nostri calcoli. (S. Th., I, p. 9,. 53, art. 3, ad. 3). Per la sua stessa essenza egli ha sul mondo della materia una naturale potenza. Come il corpo è fatto per essere messo in moto mediante l’anima, cosi la creazione materiale è, in ragione della sua inferiorità, soggetta all’impulso degli esseri spirituali. Nella sua caduta satana non ha perduto niente di questa potenza. Essa è tale che egli può, in parte almeno, scuotere il nostro pianeta, rovesciarlo e combinarne gli elementi in modo da produrre i più meravigliosi effetti. ( S. Th., I p. q. CX, art. 3, De malo, q. xvi, art. 10, ad 8). Se noi ne giudichiamo dalla potenza della nostra anima, quella di satana non ha nulla che debba meravigliarci. Che cosa non fa l’anima umana della creazione materiale che essa può colpire? E che non farebbe ella se non ne fosse impedita? Fra le sue mani, la materia, anche la più ribelle, è come un giocattolo tra le mani di un fanciullo. Essa la sconvolge, la scava, la sminuzza, la trasloca, la sommerge negli abissi dell’Oceano; essa la lancia in aria, e la forza a tenersi in piedi per secoli interi. Non v’è forma che essa non le imprima. Ora la rende solida, ora liquida, o aeriforme. Essa la condensa, la dissolve, la fa ridurre in scoppi. Con le sue forze combinate, essa produce la folgore che uccide, o l’elettricità che trasporta il pensiero con la rapidità del lampo. Ossia ghiaccio, o neve, o fuoco, scoglio, montagna, pianura, bosco, lago, mare o fiume, essa gli comanda da padrona. Ciò che l’anima umana fa della materia che può colpire, essa lo farebbe del pari del rimanente del pianeta. Che dico? essa farebbe mille volte più se non fosse impedita dagli impacci, che la uniscono al corpo e dall’imperfezione degli istrumenti di cui dispone. Tutti i giorni i suoi giganteschi pensieri fanno testimonianza che non è la forza che le manca, ma i mezzi di esecuzione. Se la potenza dell’anima nostra sulla materia ha dei limiti che ci sono sconosciuti, come misurare quella dell’angelo, puro spirito, di una natura molto superiore a quella dell’anima nostra? (I p. q. LXXV, art. 7, ad 2). Come soprattutto calcolare la potenza del principale degli spiriti? Ora, tale è satana, il Re della Città del male: « Il primo angelo che peccò, dice san Gregorio, era il capo di tutte le gerarchie. Come egli superava in potenza, egli le superava in splendore. (Homil. XXXIV in Evang., e S. Th. I p. q. LXVII, art. 7 e 9 ». Per non citare che un esempio di quel che egli può, contentiamoci di ricordare la storia di Giobbe. Allo scopo di esperimentare la virtù del santo uomo, Iddio permette a satana di usare contro di lui, dentro un certo limite, della potenza del suo odio. In un attimo egli ha condensato le nubi, scatenato i venti, acceso il fulmine, scossa la terra, e i fabbricati di Giobbe sono atterrati. Le sue greggi spariscono, i suoi figliuoli muoiono. Pochi istanti gli sono bastati per cagionare tutte queste rovine. Allorché gli sarà dato il permesso, ei porrà meno tempo ancora a ricoprire Giobbe dal capo sino ai piedi, di ulceri puzzolenti, e farà del più magnifico principe dell’Oriente, un solitario mendico, e il patriarca del dolore. Più tardi noi lo vediamo assalire, senza conoscerlo, il Figliuolo stesso di Dio. Con la rapidità del lampo, ei lo trasporta alternativamente dal fondo del deserto sul pinnacolo del tempio e sulla cima d’una montagna. Ivi, con uno di quei prestigi, che noi non possiamo comprendere, ma che gli sono famigliari, ei fa passare davanti agli occhi del Verbo incarnato tutti i regni della terra con le loro magnificenze. Ora, ciò che era a tempo di Giobbe e della redenzione, il Re della Città del male lo è oggidì. La stessa natura, per conseguenza la stessa potenza, lo stesso odio dell’uomo e del Verbo fatto carne. Di qui deriva a lui un altro nome. Esso è chiamato omicida, omicida per eccellenza, homicida ab initio, Omicida sempre, omicida di volontà, omicida di fatto, omicida di tutto ciò che respira, omicida del corpo, omicida dell’anima. Questo nome troppo lo giustifica.

Omicida del Verbo. — Nell’istante stesso in cui il mistero dell’Incarnazione gli fu rivelato, divenne omicida. Allo scopo di far mancare il piano divino, concepì pensiero di uccidere il Verbo incarnato. Egli l’uccise in cuor suo, e fu omicida dinanzi al Padre, dinanzi al Figlio, dinanzi allo Spirito Santo, dinanzi al mondo angelico, aspettando d’esserlo in realtà dinanzi al mondo umano. (Rupert, in Joan., lib. VIII, n. 242, III.

Omicida degli Angeli. — Strascinandoli nella sua rivolta ei fu per essi la cagione della dannazione, cioè della morte eterna. Far soccombere, quanto possano soccombere degli spiriti, centinaia di milioni di creature, le più felici e le più belle che sieno uscite dal nulla; qual carneficina e qual delitto! (Viguier, LXXXVII).

Omicida dei Santi. — Quel che fu in cielo egli è sulla terra. Omicida d’Adamo, omicida d’Abele, omicida dei profeti, omicida dei Giusti dell’antico mondo, immagini profetiche del Verbo incarnato. In essi è lui che perseguita, lui che tortura, lui che uccide. Omicida degli Apostoli e dei martiri, continuazione vivente del Verbo incarnato. In essi ancora è lui, sempre lui che insulta, che oltraggia, che flagella, che sbrana, che mutila, che brucia, che uccide e che ucciderà sino alla fine dei secoli.

Omicida dell’uomo in generale. — Egli è che ha introdotto la morte nel mondo. Nessuna agonia succede che egli non ne sia la cagione; non una goccia di sangue versato che non ricada su di lui; non un uccisione di cui non ne sia egli l’istigatore. Gli avvelenamenti, gli assassinii, le guerre, i combattimenti dei gladiatori, i sacrifici umani, l’antropofagia, vengono da lui. Omicida specialmente dell’infante, immagine più perfetta e più amata dal Verbo: sono a miliardi i fanciulli che satana ha fatti immolare al suo odio, presso tutti i popoli dell’Oriente e dell’Occidente, e che continua a fare immolare. (oggi con la barbara pratica dell’aborto – ndr. -). Omicida, non solo spingendo l’uomo ad uccidere il suo simile, ma eccitandolo ad uccidere se medesimo. Il suicidio è opera sua. Noi lo mostreremo altrove, provando che il suicidio, sopra una grande scala non si è visto nel mondo che nelle due epoche, in cui il regno di satana fu al suo apogeo. Intanto, citeremo la testimonianza di uno dei nostri Vescovi missionari: « Quanti fatti avrei io da raccontarvi per dimostrarvi sempre più, se se ne potesse dubitare, la potenza di satana sugli infedeli. Tra mille eccone uno il quale è ordinario in Cina, come pure nel Su-Tchuen che qui, in Mandchourie, e che è attestato da migliaia di testimoni. Quando per qualche lite con sua suocera o col suo marito, per colpi ricevuti o per amare parole, piglia ad una donna la voglia di impiccarsi, ed il caso è frequente in questo impero, sovente non è necessario ricorrere alla sospensione. Questa disgraziata si pone a sedere sopra una sedia o sopra il suo kango (specie di panchetto), si passa al collo la corda fatale, e quegli che fu omicida sin da principio s’incarica del resto…. e serra il nodo. (Annali della Propag. ecc., 1857, n. 175, p. 428. Lettera di Monsig. Vérolles, vescovo di Mandchourie). Uccidere il corpo non gli basta. L’uomo è soprattutto per l’anima l’immagine del Verbo incarnato, e il grande omicida tende principalmente all’anima. La sua esistenza non è che una caccia alle anime: e quale carneficina non ne fa egli! Milioni di cacciatori e milioni di carnefici sono ai suoi ordini. Dappertutto le loro insidie, dappertutto le loro vittime. La terra è ricoperta degli uni, l’inferno pieno degli altri. Che cosa è l’idolatria che ha regnato e che regna tuttora sulla maggior parte del pianeta, se non una immensa macelleria d’anime? Chi ne è la causa divoratrice? il grande omicida, nascosto sotto mille nomi e sotto mille differenti forme. (S, Th., 2a 2æ 10, q. XCIV, art. 4, corp.) Dal seno stesso del Cristianesimo, donde viene la funesta tendenza e sempre più generale che spinge tanti milioni d’anime al suicidio di sé medesime? Non potendo essere dello Spirito Santo, è dunque altresì e sempre dell’eterno omicida.1 (S. Th,, I p. q. LXIV, art. 2, corp. ; id,, id., CXIV, art. 3, corp.; id., Ia 2ae, q. LXXX, art. 4. Corp.). – Tale è la guerra accanita, spietata, che satana fa al Verbo incarnato e che gli merita il nome di omicida: ma ne ha ancora degli altri. Esso è detto Demonio, Dæmon. Per nominare Lucifero, i sacri oracoli dicono il Demonio, cioè a dire il demonio più terribile, il Re dei demoni. La sua spaventosa scienza delle cose naturali, la sua scienza non meno spaventosa dell’uomo e di ciascun uomo, del suo carattere, delle sue inclinazioni, delle sue abitudini, del suo temperamento, insomma delle sue disposizioni morali, gli hanno fatto dare questo nome che significa: intelligente, dotto, veggente. Non potendo leggere immediatamente. nell’anima nostra, egli vede quel che accade dalle finestre dei nostri sensi. I nostri occhi, il nostro volto, il tuono della nostra voce, i moti dei nostri membri, il nostro incesso, la maniera di abbigliarci, di tenerci, di mangiare, di comportarci in tutte le cose, sono altrettanti indizi da cui ei trae certe conclusioni, per tenderci insidie e scagliarci dei dardi. – Egli è chiamato Diavolo o piuttosto il Diavolo, Diabolus. – Odioso tra tutti, questo nome significa calunniatore. Due cose costituiscono la calunnia: la menzogna e l’oltraggio. A questo doppio punto di vista, Lucifero è il calunniatore per eccellenza. Dal punto di vista della menzogna, il suo nome presenta allo spirito uno spaventoso composto d’ipocrisia, di scaltrezza, di frode, d’astuzia, d’inganno, di malizia, di bassezza e di tracotanza. Il mentire è la sua vita. È desso che ha inventato la menzogna, ed è la menzogna vivente: Mendax et Pater mendacii. Egli mentì in cielo, e mente sulla terra; mentì ad Adamo e mente a tutta la sua posterità. Egli mentì nelle sue promesse, mente nei suoi terrori; mente dicendo la verità, poiché non la dice che per meglio ingannare. (S. Th. I p. q. LXIV,  art. 2, ad 5). – Mente sopra ogni cosa, mente con audacia, mente sempre e tutte le sue menzogne sono tanti oltraggi. Sotto questo punto di vista è del pari degno del suo nome. Calunniare, cioè dire, oltraggiare e bestemmiare il Verbo fatto carne; calunniarlo nella sua divinità, nella sua Incarnazione, nella sua veracità, nella sua potenza, nella sua sapienza, nella sua giustizia, nella sua bontà, nei suoi miracoli e nei suoi benefizi; calunniare la Chiesa sua sposa, calunniarla nella sua infallibilità, nella sua autorità, nei suoi diritti, nei suoi precetti, nelle sue opere, nei suoi ministri, nei suoi figli; provocare cosi l’odio e il disprezzo del Verbo incarnato e di tutto ciò che gli appartiene; tale è, la storia lo prova, l’incessante occupazione del Re della Città del male. Egli è chiamato satana, satanas. Quest’ultimo nome riassume tutti gli altri. satana vuol dire avversario, nemico. Nemico di Dio, nemico degli angeli, nemico dell’uomo, nemico di tutte le creature, nemico instancabile, implacabile, sveglio notte e giorno, e al quale tutti i mezzi son buoni; nemico per eccellenza, il quale riunendo in sé tutte le potenze ostili con la loro astuzia e forza, gli pone a servigio del suo odio: tale è l’Arcangelo decaduto. –  Di fronte a un simile nemico, la presuntuosa ignoranza può sola rimanere noncurante e disarmata. Altri sono i pensieri, altra è la condotta del genio. Sempre camminare coperto dell’armatura divina, che sola può difenderlo dai dardi infiammati di satana, è la sua sollecitudine del giorno e la sua preoccupazione della notte. Traiamo profitto dagli avvertimenti che un terrore troppo giustificato ispirava a sant’Agostino: « Che cosa vi è di più perverso, di più malefico del nostro nemico? Egli ha posto la guerra in cielo, la frode nel paradiso terrestre, l’odio tra i primi fratelli: ed in tutte le opere nostre ha seminato la zizzania. Vedete: nel mangiare, ha messo la gola; nella generazione, la lussuria; nel lavoro, la pigrizia; nelle ricchezze, l’avarizia; nel conversare tra di noi, la gelosia; nell’autorità, l’orgoglio; nel cuore, i cattivi pensieri: sulle labbra, la bugia, e nei nostri membri operazioni colpevoli. Quando siamo svegli ci spinge al male; si dorme, ci dà dei sogni vergognosi; nella gioia, ci porta alla dissolutezza; nella tristezza, allo scoraggiamento ed alla disperazione. Per dir tutto in una sola parola: tutti i peccati del mondo sono un effetto della sua perversità. » (Serm. comm., IV). L’odio di lui va più oltre. Nella stessa guisa che il Verbo incarnato appropria la sua grazia alla natura, alla posizione ed ai bisogni di ciascuno; cosi satana approfittando della sua penetrazione cambia i suoi veleni, secondo la particolare disposizione di ciascuna anima. Ascoltiamo ancora un altro genio: « L’astuto serpente, dice san Leone, sa a chi deve presentare l’amore delle ricchezze; a chi gli allettamenti della gola; a chi le eccitazioni della lussuria; a chi il virus della gelosia. Egli conosce chi bisogna turbare col rimorso; chi bisogna sedurre con la gioia; chi bisogna abbattere col timore; chi affascinare con la bellezza. Di tutti egli discute la vita, districa le sollecitudini, scrutina le affezioni; e dove vede la preferenza di qualcuno, ivi egli cerca un’occasione di nuocere. » (Et ibi causas quærit nocendi, ubi quemcumque viderit studiosius. Serm. VIII, de Nativ.). – Tale è satana, l’arcangelo decaduto, il re della Città del male.

CONOSCERE LO SPIRITO SANTO (XII)

IL TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO 

Mons. J. J. Gaume:  

[vers. Ital. A. Carraresi, vol. I, Tip. Ed. Ciardi, Firenze, 1887; impr.]

CAPITOLO XI

(fine del. precedente).

I sette Angeli assistenti al trono di Dio — Essi sono i supremi governatori del mondo — Prove: Culto che la Chiesa rende loro — Storia della chiesa di S. Maria degli Angeli in Roma dedicata a loro onore — Funzioni delle Dominazioni — Dei Principati — Delle Potenze — Funzioni delle Virtù — Degli Arcangeli — Degli Angeli — Angeli custodi — Prove e particolarità.

Innanzi di lasciare la prima gerarchia angelica ci sembra necessario dire una parola dei Sette Angeli assistenti al Trono di Dio, dei quali è parlato nell’uno e nell’altro Testamento. « Io sono Raffaello uno dei sette Angeli che stiamo in piedi dinanzi a Dio, diceva Raffaele a Tobia. » « Giovanni, alle sette Chiese che sono in Asia. Grazie a Voi e pace, da parte di Colui che è e che era e che deve venire, e da parte dei sette Spiriti che stanno alla presenza del suo Trono, scriveva il discepolo diletto.1 » [Tob., XII; 15- Apoc., I, 4]. La tradizione cattolica, interprete fedele degli insegnamenti divini, venera difatti, sette Angeli più belli, più grandi, più potenti di tutti gli altri, che circondano il Trono di Dio, sempre pronti ad eseguire, sia per se medesimi, ossia per altri, le sue volontà supreme [Septem sunt quorum maxima est potentia. Primogeniti angelorum principes. Clem. Alex., Strom lib. VI]. All’oggetto di confermarla, il Re degli Angeli si è piaciuto sovente di mostrarsi ai Santi ed ai martiri, circondato da questi sette Principi sfolgoreggianti di splendore. Così Egli apparve al comandante della coorte pretoriana, san Sebastiano, per animarlo al combattimento del martirio; e come pegno di vittoria, lo fece rivestire da questi sette angeli di un manto di luce. [Corn. a Lap., in Apoc., I, 4]. – Un’altra tradizione comune ai giudei, ai filosofi ed ai teologi, attribuisce a questi sette Angeli il supremo governo del mondo fisico e del mondo morale. Essi sono simili ai ministri dei re, la cui vita pare inoperosa perché essa si esercita intorno al Trono; ma che, in realtà, è l’anima di tutti i movimenti dell’impero. Essendo essi paragonati, secondo san Girolamo, al candelabro dalle sette braccia del tabernacolo mosaico, presiedono ai sette grandi pianeti, le rivoluzioni dei quali determinano il movimento di tutte le ruote secondarie nella meravigliosa macchina che chiamasi universo materiale. – Sotto la stessa figura noi vediamo questi sette Spiriti che presiedono al mondo morale. « Di qui viene, secondo l’osservazione di un dotto commentatore, la distribuzione settennaria, cosi frequente nelle opere divine. Come vi sono nel mondo sette pianeti e sette giorni nella settimana, cosi vi sono nella Chiesa sette doni dello Spirito Santo, e sette virtù principali, alle quali presiedono questi sette Angeli superiori al fine di condurre per mezzo di essi gli uomini alla vita eterna. » [Corn. a Lap., ivi.]. – Ascoltiamo ancora un altro teologo: « Il numero sette che indica i sette grandi Principi della corte celeste, è un numero preciso; imperocché quando trovasi nella Scrittura lo stesso numero, usato parecchie volte in differenti luoghi, soprattutto in materia di Storia, la regola è di prenderla nel suo significato matematico. Vi sono dunque sette angeli superiori a tutti gli altri. Loro uffici speciali sono di vegliare ai sette doni dello Spirito Santo, a fine di ottenerli, di comunicarceli e di farli fruttificare; di domare in virtù ed in forza speciale i sette demoni che presiedono ai sette peccati capitali, di presiedere ai sette corpi più splendidi del firmamento, e di farci praticare le sette virtù necessarie alla salute, le tre teologali e le quattro cardinali. « Poiché sotto la direzione di satana sette demoni presiedono ai sette peccati capitali, e nel loro odio implacabile dell’uomo, nulla trascurano per farci commettere questi peccati e strascinarci alla dannazione: perché non crediamo noi che sotto il gran Re della Citta del bene, sette Angeli, scelti tra i più nobili, sono incaricati di sorvegliare questi sette nemici principali, di metterci, al riparo contro i loro assalti, e di farci praticare le virtù che debbono assicurare la nostra eterna salvezza? L’assalto può essere egli superiore alla difesa? E se tra gli angeli cattivi vi ha un accordo per perdere gli uomini, perché non ve ne sarebbe uno tra gli Angeli buoni per salvarli? » [Seravius in Bibliam, c. XI. Tob. quæstiuncul. 3, edit. In-folio; 1610]. – La Chiesa erede fedele di questi alti insegnamenti, ha avuto cura di riprodurli nella sua gerarchia. Diciamo meglio: il divino fondatore della Chiesa militante ha voluto ch’essa offrisse nella sua gerarchia, l’immagine di quella della sua sorella, la Chiesa trionfante. Perché vediamo noi gli Apostoli, diretti dallo Spirito Santo, stabilire sette diaconi e non sei o otto? Perché i primi successori di san Pietro creano essi sette Cardinali diaconi? Perché ordinano che sette diaconi assisteranno il sovrano Pontefice ed anche il Vescovo, quando pontifica? Per ricordare i sette Angeli che assistono al Trono di Dio. « Questi sette diaconi, continua Serario, erano chiamati gli occhi del Vescovo pei quali egli vedeva tutto ciò che avveniva nella sua diocesi. Ora, Iddio è il primo e il maggiore dei Vescovi. La sua diocesi, è il mondo. Ei vede tutto ciò che vi accade per mezzo dei sette diaconi angelici. Non certamente che Egli abbia bisogno delle creature, come il Vescovo ha bisogno de suoi diaconi per conoscere tutte le cose; ma se ne serve per la stessa ragione che gli fa adoperare le cause seconde pel governo dell’universo. Questa ragione è di onorare le sue creature. » [Corn. a Lap. Ubi supra. — Vedi anche il dotto trattato del sig. di Mirville, Pneumatologia degli Spiriti. T. II, 852]. – I sette grandi Principi angelici occupano un troppo gran posto nella creazione e nel governo del mondo; essi ci ottengono troppi favori, ci rendono troppi servigi; essi sono troppo onorati da Dio medesimo, perché la Chiesa abbia dimenticato di render loro un culto speciale di riconoscenza e di venerazione. La loro memoria è celebre nelle diverse parti del mondo cattolico; ma in nessuna parte è tanto viva come in Sicilia, a Napoli, a Venezia, a Roma ed in parecchie città d’Italia. Questi luoghi, dove sembrano conservarsi più religiosamente che altrove le antiche tradizioni, ce li mostrano rappresentati in pittura, in scultura ed anche in mosaico. Palermo capitale della Sicilia possiede una bella chiesa dedicata ai sette Angeli principi della milizia celeste. Nel 1516 le loro immagini di una grandissima antichità, furono scoperte dall’arciprete di quella chiesa, il venerabile Antonio Duca. Stimolato spesso dall’ispirazione divina, questo sant’uomo venne a Roma nel 1527, per propagare il culto di questi Angeli, e trovar loro e fabbricarli un santuario. Dopo molti digiuni e preghiere ei meritò di conoscere per rivelazione che le Terme di Diocleziano dovevano essere il tempio dei sette Angeli assistenti al trono di Dio. Le ragioni della scelta divina erano, che queste Terme famose erano state costruite da migliaia di angeli terrestri, vale a dire da quaranta mila Cristiani condannati a questa dura fatica; che la loro costruzione gigantesca aveva durato sette anni; che tra tutti quei martiri, sette rifulsero di un più vivo splendore: Ciriaco, Largo, Smaragdo, Sinsinio, Saturnino, Marcello e Trasone, i quali incoraggiavano i Cristiani e provvedevano alle loro necessità. – Questa rivelazione essendo stata accertata, i sovrani Pontefici Giulio III e Pio IV ordinarono di purificare le Terme e di consacrarle in onore dei sette Angeli assistenti al Trono di Dio, o della Regina del cielo circondata da questi sette Angeli. Michelangelo fu incaricato del lavoro. Con i ricchi materiali delle voluttuose Terme del più gran nemico dei Cristiani, il celebre architetto fabbricò la splendida chiesa che si ammira tuttora. Il 5 agosto 1561 Pio IV, in presenza del sacro collegio e di tutta la corte romana, la consacrò solennemente a S. Maria degli Angeli e l’onorò del titolo cardinalizio.1[ . Andrea Victorelli. De ministeriis angel.; et Coni, a Lap., Apoc. I, 4]Si vede che la Chiesa Cattolica nella sua materna sollecitudine nulla trascura per farci conoscere gli Angeli, per onorarli, per avvicinarci ad essi ed assicurarci la loro potente protezione. Nulla di più intelligente di una simile condotta. Noi siamo della famiglia degli Angeli e dobbiamo vivere con essi per tutta l’eternità.

. – Passiamo alla seconda gerarchia. L’abbiamo già notato, non avvi nessun salto nella natura. Tutte le creazioni si toccano e si concatenano con legami misteriosi talmentechè le ultime produzioni di un regno superiore si confondono con le produzioni le più elevate del regno inferiore. [S. Th. I p., q. CVIII, art. 5, corp.] La stessa legge regge il mondo delle intelligenze, prototipo del mondo dei corpi. Così, i Troni, ultimo ordine della prima gerarchia angelica, riguardano immediatamente l’ordine il più elevato della seconda, le Dominazioni. Se i Troni finiscono la gerarchia degli Angeli assistenti, le Dominazioni cominciano le gerarchie degli Angeli ministranti. Queste ultime in numero di tre sono nel governo del mondo e della città del bene, ciò che sono nelle società umane i capi dei grandi corpi dello stato, i generali d’ armata, i magistrati. La più eminente si compone delle Dominazioni, dei Principati e delle Potestà. Indicare e comandare quel che bisogna fare è la parte delle Dominazioni. Esse sono così chiamate e con ragione, perché dominano tutti gli ordini angelici, incaricati di eseguire le volontà del gran Re: come il generalissimo di un esercito domina tutti i capi dei corpi posti sotto i suoi ordini, e gli fa manovrare secondo le intenzioni del principe di cui è il rappresentante. [Viguier, p. 85]. Per continuare il confronto, i Principati, il cui nome significa conduttori secondo rondine sacro, rappresentano i generali e gli ufficiali superiori che .comandano ai loro subordinati i movimenti e le manovre, conforme alle prescrizioni del generalissimo. Principi delle nazioni e dei regni, questi potenti spiriti le conducono, ognuna in ciò che le riguarda, alla esecuzione del piano divino. In questo ministero, di tutti il più importante, sono secondati dagli Angeli immediatamente sottomessi ai loro ordini. Da ciò resulta la magnifica armonia della quale parla sant’Agostino. « I corpi inferiori, dice il gran Vescovo, sono regolati dai corpi superiori, e tanto gli uni che gli altri dagli Angeli, e i cattivi angeli dai buoni. » [S. Th. I p. q. CVIII, art. 6, corp.]. Vengono finalmente le Potestà. Rivestiti, come lo indica il loro nome, di una autorità speciale, questi Angeli sono incaricati di togliere gli ostacoli alla esecuzione degli ordini divini, allontanando gli angeli cattivi che assediano le nazioni per distoglierli dal loro scopo. Nell’ordine umano, i loro consimili sono le pubbliche potestà, incaricate di allontanare i malfattori e togliere cosi gli ostacoli al regno della giustizia e della pace. [S. Th., ibid.] La terza gerarchia angelica è formata delle Virtù, degli Arcangeli e degli Angeli. Nei soldati che compongono i differenti corpi di un esercito, di cui ciascun reggimento ha la sua destinazione particolare, negli amministratori subalterni alla giurisdizione ristretta, noi troviamo l’immagine dei tre ultimi ordini angelici e l’idea delle loro funzioni. Le Virtù, il cui nome vuol dir forza, esercitano il loro impero sopra la creazione materiale, presiedono immediatamente al mantenimento delle leggi che la reggono, e vi conservano l’ordine che ammiriamo. Quando la gloria di Dio l’esige, le Virtù sospendono le leggi della natura e operano dei miracoli. Cosi gli agenti invisibili, dai quali noi siamo circondati, rivelano la loro presenza, e mostrano che il mondo materiale è soggetto al mondo spirituale, come il corpo è soggetto all’anima.  – Tutti i ministeri degli ordini angelici si riferiscono alla gloria di Dio ed alla deificazione dell’uomo; in altri termini, al governo della Città del bene. Gli uomini, sudditi di questa gloriosa Città, sono l’oggetto particolare della sollecitudine degli Angeli. Fra essi e noi esiste un commercio continuo, figurato dalla scala di Giacobbe. Scendere gli scalini di questa scala misteriosa e venire, in occasioni solenni, a compiere presso l’uomo importanti missioni, soprintendere al governo delle province, delle diocesi, delle comunità; tale è la duplice funzione degli Arcangeli, il cui nome significa Angelo superiore, o Principe degli Angeli propriamente detti. [Viguier, 86.]. – Sotto quest’ordine vi è quello degli Angeli. Angelo significa inviato. Tutti gli spiriti celesti essendo i notificatori dei pensieri divini, il nome di Angelo è ad essi comune. A questa funzione gli Angeli superiori aggiungono certe prerogative, dalle quali traggono il proprio loro nome. Gli Angeli dell’ultimo ordine dell’ultima gerarchia, non aggiungendo niente alla funzione comune d’inviati e di notificatori, ritengono semplicemente il nome di Angeli. In relazione più immediata e più abituale con l’uomo, essi vegliano alla custodia della sua duplice vita e gli recano ad ogni ora, ad ogni istante, lumi, forze, grazie di cui abbisogna, dalla culla fino alia tomba. [Ibid.]. Se noi riepiloghiamo questo rapido schizzo, quale immenso orizzonte non si apre dinanzi a noi! Quale imponente spettacolo non si spiega a’nostri occhi! È vero dunque che invece di non essere niente, il mondo superiore è tutto; che il reale è l’invisibile; che il mondo materiale vive sotto l’azione permanente del mondo spirituale; che Dio governa l’universo mediante i suoi Angeli, liberamente, senza necessità, senz’obbligo, come un re governa il suo regno mediante i suoi ministri, e un padre, la sua famiglia, per mezzo dei suoi servi. È vero altresì che razione di questi spiriti amministratori raggiunge ciascuna parte dell’insieme, di modo che né l’uomo né alcuna creatura non è abbandonata all’evento, lasciata alle proprie sue forze, o lasciata in balìa degli assalti delle potenze nemiche. [S. Th., I p. q. VII. art. 2, corp.]. Come principi e governatori della grande Città del bene, a cui si riferisce tutto il sistema della creazione, gli Angeli, nell’ordine materiale presiedono al moto degli astri, alla conservazione degli elementi, ed al compimento di tutti i fenomeni naturali che ci rallegrano o che ci spaventano. Tra essi è divisa l’amministrazione di questo vasto impero. Gli uni hanno cura dei corpi celesti, gli altri della terra e dei suoi elementi; altri delle sue produzioni, come gli alberi, le piante, i fiori ed i frutti. Ad altri è affidato il governo dei venti, dei mari, dei fiumi, delle fonti; ad altri la conservazione degli animali. Neppure una visibile creatura grande o piccola ch’ella sia, che non abbia una potenza angelica incaricata di sorvegliarla. 2 [S. Aug., lib. LXXXIII, Quæst LIX]. L’uomo animale, lo sappiamo, animalis homo, nega questa azione angelica; ma la sua negazione non prova che una cosa, cioè ch’egli è animale. Per l’uomo che ha l’intelligenza, questa azione è evidente. Dappertutto dove la natura materiale lascia scorgere dell’ordine, dell’armonia, del moto, un fine; ivi si riconosce tosto un pensiero, una intelligenza, una causa motrice e direttrice. – Ora, niente nella natura materiale si fa senza ordine, senza armonia, senza movimento, senza scopo. Qual’è il principio di tutte queste cose? Non è, né può essere nella materia inerte, cieca di sua natura. Senza dubbio, il vento non sa né dove, né quando dee soffiare; né con qual violenza; né quali tempeste deve suscitare; né quali nubi deve accumulare. La pioggia, la neve, la folgore stessa non sanno dove debbono formarsi, né dove debbono cadere; la direzione che devano tenere, il fine che debbono raggiungere; il giorno e 1’ora dove debbono compiere la loro missione. Cosi è lo stesso delle altre creature materiali, così impropriamente decorate del nome di agenti. Dov’é dunque il principio dell’ordine, dell’armonia e del moto? A meno che non si ammettano degli effetti senza causa, bisogna per necessità cercarlo fuori della creazione materiale, in una natura intelligente, essenzialmente attiva, superiore ed estranea alla materia. È infatti solamente là dove lo pone la vera filosofia. Il profeta parlando del Creatore, principio di ogni moto e di ogni armonia, ci dice; Le creature fanno la sua parola, vale a dire eseguiscono le sue volontà, facìunt Verbum ejus. Ma come è ella la parola creatrice posta in contatto universale e permanente col mondo inferiore, fino all’ultimo degli esseri dei quali si compone? Nel modo stesso che la parola di un monarca con le parti più lontane e più oscure del suo impero, per mezzo di mediatori. I mediatori di Dio sono gli spiriti celesti: qui facit angelos suos spiritus. Questa verità è di fede universale. Sotto tutti i climi, in tutte le epoche, il paganesimo medesimo la proclama, e la teologia cattolica la manifesta in tutta la sua splendidezza. Il sapere che tutte le parti dell’universo vivono sotto la direzione degli Angeli; qual sorgente inesauribile di luce e di ammirazione per lo spirito, di rispetto e di adorazione per il cuore!. – Nell’ordine morale, non meno certo e più nobile altresì è il ministero degli angeli. Essi sono, giusta la bella espressione di Lattanzio, preposti alla guardia ed alla cultura del genere umano. [De Instit, dipin., lib. II, c. XVI. Ancor qui le loro funzioni non sono meno variate dei bisogni del loro pupillo. Gli uni custodiscono le nazioni, ciascuno la sua, altri, la Chiesa universale. Come un esercito formidabile difende una città assediata, così essi proteggono la città del loro Re, la santa Chiesa Cattolica, nella sua guerra eterna contro le potenze delle tenebre. [Euseb. In Ps. XLVII]. Ve ne sono di quelli incaricati della cura di ciascuna Chiesa, cioè di ciascheduna diocesi in particolare. « Due custodi e due guide, insegnano con sant’Ambrogio gli antichi Padri, sono preposti a ciascuna Chiesa: l’uno visibile, che è il Vescovo; l’altro invisibile, che è l’Angelo tutelare. »  [Dan., X, 13; S. Th., I p. q. 118, art. 8, corp.]. Se per conservarla e per impedire che il demonio la deturpi o la distragga, la più piccola creatura nell’ordine fisico, come l’insetto o un filo d’erba, vive sotto la protezione di un Angelo, a più forte ragione l’essere umano, per quanto debole lo si supponga, è oggetto di una eguale sollecitudine. Ogni uomo ha il suo custode. Come tutore potente, il principe della Città del bene veglia su di noi, anche nel seno materno, a fine di proteggere la nostra fragile esistenza contro i mille accidenti che possono comprometterla e privarci del Battesimo. Lasciamo parlare la scienza: « Grande dignità delle anime, poiché fino dalla nascita, ognuna ha un Angelo per custodirla! Avanti di nascere, l’infante attaccato al seno materno fa in qualche modo parte della madre; come il frutto pendente all’albero fa tuttavia parte dell’ albero. È dunque probabile che 1’Angelo custode della madre guardi l ‘infante rinchiuso nel suo seno; come quegli che custodisce l’albero custodisce il frutto. Ma appena l’infante è separato dalla madre che subito un Angelo particolare è mandato alla sua custodia.1 » [S. Hier. inMatfh., c. XVIII ; Viguier, p. 86]. – L’Angelo custode, compagno inseparabile della nostra vita, ci segue in tutte le nostre vie, ci illumina, ci difende, ci rialza, ci consola. Mediatore tra Dio e noi, intercede in nostro favore, offre all’Antico dei giorni i nostri bisogni, le nostre lacrime, le nostre preghiere, le nostre buone opere, come incenso di grato odore, bruciato in un turibolo d’oro. La sua missione non cessa con la vita terrena, ma dura finché l’uomo non è giunto al suo fine. Così gli Angeli presentano le anime al tribunale di Dio e le introducono in cielo. Se la porta è ad esse momentaneamente chiusa, essi le accompagnano nel purgatorio, dove le consolano fino al dì della loro liberazione. Quanto a quelle che un orgoglio ostinato rende sino alla morte indocili ai loro consigli, i principi della Città del bene le abbandonano solamente sul limitare dell’inferno, ardente dimora preparata da satana, agli angeli e schiavi suoi. Come hanno essi presieduto al governo del mondo, cosi gli Angeli assisteranno al suo giudizio, risveglieranno i morti e faranno la eterna separazione degli eletti dai reprobi. – Nel lasciare la Città del bene, cerchiamo di riportare con noi una memoria che riassuma e il fine della sua esistenza e le innumerevoli funzioni dei Principi che la governano. La Città del bene ed i ministeri degli Angeli si riducono ad un solo oggetto: il Verbo incarnato: ad un solo scopo: la salute dell’uomo, mediante la sua unione col Verbo incarnato. Monarca assoluto di tutti gli esseri, creatore di tutti i secoli, Erede di tutte le cose del cielo e della terra, il Verbo incarnato è l’ultima parola di tutte le opere divine, come la salute dell’uomo è l’ultima parola del suo pensiero. Che cosa avvi di più logico, di più semplice, di più sublime e di più luminoso, per conseguenza di più vero, di questa filosofia del mondo angelico, di questa storia della Città del bene! [S. Th., I, p. q. LVII, art. 6 ad i]. — Il credere che tutte le spiegazioni che precedono siano il risultato di semplici congetture, piuttostochè cognizioni positive, sarebbe un errore. La scienza del mondo angelico è una scienza certa: certa perché essa è vera; vera perché essa è universale. La rivelazione, la tradizione, la ragione medesima di tutti i popoli, la conoscono, la insegnano, la praticano. Come tutte le altre, essa è stata richiamata alla sua purezza primitiva e svolta dal Signor Nostro, i cui insegnamenti non scritti sono, a testimonianza di san Giovanni, infinitamente più, numerosi che quelli di cui il Vangelo ci ha tramandata la cognizione. Il più ricco depositario di questi preziosi insegnamenti fu Maria; e sappiamo che, Madre della Chiesa e istitutrice degli Apostoli, la Augusta Vergine ha parlato sapientemente degli Angeli, che essa conosceva meglio di chiunque. Parimente Paolo, che può chiamarsi l’Apostolo degli Angeli, dei quali annovera tutti gli ordini, Paolo, rapito sino al terzo cielo, ha arrecato sulla terra una conoscenza profonda di ciò che aveva visto, non per se ma per la Chiesa. – Il suo illustre discepolo san Dionigi, infatti è il primo tra i Padri, che abbia dato una particolareggiata descrizione, dotta, sublime, del mondo angelico. Questa descrizione, fondata sulle Scritture e sulla testimonianza degli altri Padri, è divenuta il punto di partenza degli scrittori posteriori, e particolarmente, la scorta dell’impareggiabile san Tommaso nel suo grandioso studio del mondo angelico. Tali sono i canali pei quali è giunta sino a noi la conoscenza degli Angeli, delle loro gerarchie, dei loro ordini e dei loro ministeri. Quale scienza può essere più certa?

CONOSCERE LO SPIRITO SANTO (XI)

IL TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO 

Mons. J. J. Gaume:  

[vers. Ital. A. Carraresi, vol. I, Tip. Ed. Ciardi, Firenze, 1887; impr.]

CAPITOLO X.

(continuazione del precedente).

Numero degli angeli — Gerarchie e ordini angelici — Definizione della gerarchia — Sua ragion d’essere— Perché tre gerarchie tra gli Angeli e non più che tre — Definizione dell’ ordine — Perché tre ordini in ciascuna gerarchia e non altri che tre — Immagini della gerarchia angelica nella Chiesa e nella Società — Funzioni degli Angeli — Gli Angeli superiori illuminano gli Angeli inferiori — Linguaggio degli Angeli — Grandi divisioni degli Angeli — Angeli assistenti ed Angeli che eseguiscono — Funzioni dei serafini — Dei cherubini — ‘ Dei Troni — Riverbero di questa prima gerarchia nella Società e nella Chiesa.

Numero degli angeli. Quando gli autori ispirati, ammessi a vedere talune delle realtà del mondo superiore, vogliono indicare la moltitudine degli Angeli, essi non parlano che di milioni e di centinaia di milioni. « Io mi stava osservando, dice Daniele, fino a tanto che furono alzati dei troni e l’antico dei giorni si assise: le sue vestimenta candide come neve e i capelli della sua testa come lana lavata. Il trono di lui era di fiamme infuocate; le ruote del trono erano vivo fuoco. Rapido fiume di fuoco usciva dalla sua faccia. I suoi ministri erano migliaia di migliaia e i suoi assistenti dieci mila volte cento mila. » [Dan. VII, 10]. Testimone dello stesso spettacolo san Giovanni, continua: « E io vidi e intesi intorno al trono la voce di una moltitudine di Angeli il cui numero era di migliaia di migliaia. » [Apoc. V, 11] Più sotto avendo osservato l’universalità degli eletti del sangue d’Abramo, aggiunge: «Dopo ciò vidi una grande moltitudine che nessuno poteva contare, di tutti i popoli e di tutte le lingue. » [Ibid. VII, 9]. Ora sin dal principio del mondo, ciascun predestinato e ciascun reprobo ha per guardiano un Angelo dell’ordine inferiore; cosicché il numero degli Angeli di tutte le gerarchie è incalcolabile. San Dionigi, depositario degli insegnamenti del suo maestro Paolo rapito al terzo cielo, tiene lo stesso linguaggio: «I beati eserciti delle superne menti, superano, egli dice, per numero tutti i poveri calcoli della nostra aritmetica materiale. Non sospettate nessuna esagerazione nelle parole dei profeti. Il numero degli Angeli è incalcolabile; eccede quello di tutte le creature anche quello degli uomini che furono, che sono e che saranno. [ De Coelest. hier. c. IX e XIV] »L’Angelo della scuola ne dà la ragione; e noi traduciamo il suo pensiero. Il fine principale che Dio si è proposto nella creazione degli esseri è la perfezione dell’universo. La perfezione o la bellezza dell’universo risulta dalla più splendida manifestazione degli attributi di Dio, nei limiti segnati dalla sua sapienza. Quindi ne segue che quanto più certe creature sono belle e perfette, tanto più ne è stata abbondante la creazione. Il mondo materiale conferma questo ragionamento. Vi si rinvengono due specie di corpi: i corruttibili e gli incorruttibili. La prima si riduce al nostro pianeta, abitazione degli esseri corruttibili; ed il pianeta nostro è un nulla in confronto ai globi del firmamento. Ora siccome la grandezza è per i corpi la misura della perfezione, il numero lo è per gli spiriti. Così la ragione medesima conduce a questa conclusione, che gli esseri immateriali superano gli esseri materiali in numero incalcolabile [S. Th. I p. q. L, art. 3, corp.]. Aspettando che il cielo ci riveli la esattezza di queste magnifiche supposizioni del genio illuminato dalla fede, è per il nostro pellegrinaggio un grande argomento di sicurezza il sapere che gli Angeli buoni sono molto più numerosi dei cattivi. « La coda del Dragone, dice san Giovanni, non trascinò seco che la terza parte delle stelle. » [Ap. XII, 4] Non avvi nessuno interprete che per queste stelle non intenda parlarsi qui degli angeli ribelli. (Corn. a Lap. in XII. Apoc. et S. Th., i p. q. LIV, art. 9,, corp.]. Gerarchie e ordini degli angeli. Una moltitudine senza ordine è la confusione: tale non può essere lo stato degli Angeli. « Tutte le opere di Dio, dice l’Apostolo, sono ordinate; » o, come è scritto altrove: « Dio ha fatto tutte le cose in numero, peso e misura, » (Omnia in mensura, et numero et pondere disposuisti. Sap. XI, 21). cioè dire con ordine perfetto. (Rom. XIII, 1). L’ordine è la prima cosa che ci colpisce nel mondo materiale. L’ordine produce l’armonia, e l ‘armonia suppone la mutua subordinazione di tutte le parti dell’universo. Dal canto suo questa armonia rivela una causa intelligente che l’ha creata e che la mantiene. – Senza dubbio la stessa armonia deve esistere per quanto è possibile più perfetta nel mondo degli spiriti, archetipo del mondo dei corpi e capo d’opera della Sapienza creatrice. La subordinazione, per conseguenza la gerarchia degli esseri che la compongono, è dunque la legge del mondo invisibile, come è la legge del mondo visibile. Tali sono l’insegnamento della fede e l’affermazione invariabile della ragione. – Ora secondo l’etimologia delle parole; La Gerarchia è un sacro principato. (Hierarchia est sacer principatus. S. Th. I  p. q. CVIII, art. 1, corp.). Principato significa a un tempo il principe stesso e la moltitudine posta sotto i suoi ordini. Di qui derivano bellissime conseguenze che mandano una viva luce sull’ordine generale dell’universo e sul governo particolare della Città del bene. Dio essendo il Creatore degli Angeli e degli uomini non ha rispetto a sé che una sola gerarchia della quale Egli è il supremo Gerarca. Lo stesso è rispetto al Verbo incarnato. Re dei Re, Signore dei Signori, a cui è stata data ogni potenza in cielo e in terra, Egli è il supremo Gerarca degli Angeli e degli uomini e per conseguenza della Chiesa trionfante e della Chiesa militante. Pietro, come Vicario del Verbo incarnato è il supremo gerarca della Chiesa militante in virtù di quelle parole divine: Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecore. Dal canto suo poi Pietro ha stabilito altri gerarchi, i quali essi pure hanno stabilito rettori subalterni, incaricati di dirigere le diverse provincie della Città del bene. Ciononostante tutti non formano che una sola e medesima gerarchia, poiché tutti militano sotto uno stesso capo, Gesù Cristo.(Viguier, p. 184). Vedremo tra poco che la gerarchia angelica è il tipo della gerarchia ecclesiastica, tipo essa stessa della gerarchia sociale. Se consideriamo il principato nei suoi rapporti con la moltitudine, chiamasi gerarchia l’insieme degli esseri soggetti ad una sola e medesima legge. Se essi sono soggetti a leggi differenti formano delle gerarchie distinte, senza cessare di far parte della gerarchia, generale. (S. Th., I p. q. CVIII, art. 1, corp.). – Cosi vediamo in uno stesso reame e sotto uno stesso re delle città governate da differenti leggi. (Vediamo altresì da questo che la centralizzazione in un grande impero è contraria alle leggi fondamentali dell’ordine, e come conseguenza inevitabile, ella deve produrre la collisione, l’inquietudine, la ribellione, la rovina). Ora, gli esseri non sono soggetti alle stesse leggi, se non perché hanno la stessa natura e le stesse funzioni. Resulta da ciò che gli Angeli e gli uomini non avendo né la stessa natura né le stesse funzioni, formano delle gerarchie distinte; risulta altresì che tutti gli Angeli non avendo le stesse funzioni, il mondo angelico si divide in parecchie gerarchie. Che gli Angeli e gli uomini formino delle gerarchie distinte, la ragione e la prova è nella perfezione relativa degli uni e degli altri. Questa perfezione è tanto più grande, quanto gli esseri partecipano più abbondantemente delle perfezioni di Dio. Come creatura puramente spirituale, l’Angelo ne partecipa più dell’uomo. Infatti l’Angelo riceve le illuminazioni divine nell’intelligibile purità della sua natura, mentre l’uomo le riceve sotto le immagini più o meno trasparenti delle cose sensibili, come la parola ed i Sacramenti. L’Angelo è dunque una creatura più perfetta dell’uomo, e deve per conseguenza formare una diversa gerarchia. Inoltre siccome vi è gerarchia, vale a dire ordine di subordinazione nel mondo angelico, è evidente che tutti gli Angeli non ricevono ugualmente le divine illuminazioni. Vi sono dunque degli Angeli superiori agli altri. La loro superiorità ha per fondamento la cognizione più o meno perfetta, più o meno universale della verità. – « Questa conoscenza, dice san Tommaso, segna tre gradi negli Angeli; imperocché essa può essere riguardata sotto un triplice rapporto. « Primieramente, gli Angeli possono vedere la ragione delle cose in Dio, principio primo e universale. Questa maniera di conoscere è il privilegio degli Angeli che si accostano più a Dio, e che secondo la bella parola di san Dionigi, stanno dentro il suo vestibolo. Questi Angeli formano la prima gerarchia. – « In secondo luogo possono essi vederla nelle cause universali create che appellansi le leggi generali. Queste cause sono multiple, la conoscenza è meno precisa e meno chiara. Questa maniera di conoscere è la dote della seconda gerarchia. – « In terzo luogo, possono essi vederla nella sua applicazione agli esseri individuali, in tanto che essi dipendono dalle loro proprie cause, o dalle leggi particolari che le reggono. In tale modo conoscono gli Angeli della terza gerarchia.(1 p. q. CVIII, art. 1, corp.). Vi sono dunque tre gerarchie tra gli Angeli e non sono che tre: una quarta non troverebbe posto. Di fatti queste tre gerarchie hanno la loro ragione d’essere nelle tre maniere possibili di vedere la verità: in Dio, nelle cause generali, nelle cause particolari, vale a dire come parla il sublime areopagita, nella vita più o meno abbondante della quale godono gli Angeli che le compongono. ( De divin. nom., c. v.). – La rivelazione ci scopre altresì in ciascuna gerarchia tre cori o ordini differenti. Chiamasi coro ovvero ordine angelico, una certa moltitudine di Angeli, simili tra loro per i doni della natura e della grazia. (Magist, Sent. Dist. 9, Sent. n. II). Ogni gerarchia ne racchiude tre non più che tre. Più sarebbe troppo; meno, non basta. Infatti ogni gerarchia compone come un piccolo stato. Ora ciascuno stato possiede necessariamente tre classi di cittadini né più né meno. « Per quanto siano numerosi, dice san Tommaso, tutti i cittadini di uno stato si riducono a tre classi, secondo le tre cose che costituiscono ogni società bene ordinata: il principio, il mezzo e il fine. Perciò noi vediamo invariabilmente tre ordini tra gli uomini; gli uni sono al primo grado, ed è l’aristocrazia; gli altri all’ultimo, cioè il popolo gli altri tengono il mezzo, e quest’è la cittadinanza. « Così avviene fra gli Angeli. In ciascuna gerarchia vi sono ordini differenti. Simili alle gerarchie medesime questi ordini si distinguono per l’eccellenza naturale degli Angeli che gli compongono e per la differenza delle loro funzioni. Tutte queste funzioni si riferiscono necessariamente a tre cose né più né meno: il principio, il mezzo e il fine. » (1 p. q. CVIII, art. 2, corp.; id. id art. 4, c.). Vedremo ciò chiaramente con la spiegazione delle particolari funzioni di ogni ordine. – Prima di darla confermiamo che la magnifica gerarchia del cielo, o della Chiesa trionfante si prova di per se stessa, riflettendosi agli occhi nostri nella Gerarchia della Chiesa militante, quell’altra porzione della Città del bene. Basta aprire gli occhi per vedere che la Chiesa terrena si divide in tre gerarchie, ed ogni gerarchia in tre ordini. –

La prima si compone di prelati superiori, e racchiude tre ordini: il supremo Pontificato, l’Arcivescovado e l’Episcopato; al supremo pontificato appartiene il Cardinalato, imperocché i cardinali sono i coadiutori del supremo Pontefice; come l’arcivescovado appartiene al patriarcato, la cui giurisdizione si estende a parecchie diocesi ed anche a parecchie provincie. –

La seconda si compone di prelati mezzani, i quali ricevono la direzione dai prelati superiori, e che adempiono a certe funzioni, sia in virtù della loro propria autorità, ossia per delegazione. Essa racchiude altresì tre ordini: gli abati a cui è affidato il potere di benedire e qualche volta di confermare. I priori e i decani delle collegiate o delle comunità, i cui poteri sono più o meno estesi. I rettori ed i curati, incaricati della condotta delle parrocchie, ed ai quali si riferiscono nella qualità loro di ausiliari!, i vicari ed i chierici inferiori. Tutti hanno per missione di amministrare i Sacramenti.

– La terza si compone dei fedeli o del popolo; ai quali appartiene il ricevere i beni spirituali, ma non amministrarli. – Come le altre, quest’ultima gerarchia racchiude tre ordini, le vergini, i continenti ed i maritati, i cui doveri sono diversi, come la loro stessa vocazione è distinta. – Nella regolarità del loro ministero queste gerarchie e questi ordini presentano la più bella armonia che l’uomo possa contemplare quaggiù, e quest’armonia non è altro che l’immagine dell’armonia mille volte più bella che noi vedremo nel cielo. Lassù si mostreranno agli occhi nostri senza nubi e senza velo, le tre Gerarchie angeliche, con i loro nove cori, di luce e di beltà risplendenti.

Nella prima: i Serafini, i Cherubini ed i Troni.

Nella seconda: le Dominazioni, i Principati e le Potenze.

Nella terza: le Virtù, gli Arcangeli e gli Angeli.

Funzioni degli angeli. Il mondo angelico composto di tre grandi gerarchie, ed ogni gerarchia divisa in tre ordini distinti, ci apparisce come un magnifico esercito in bell’ordine. Il saper questo non basta. Per godere dello spettacolo di un immenso esercito nei suoi formidabili splendori, bisogna vederlo in movimento. Cosi, per avere un’idea dell’esercito armato dei cieli, e misurare il luogo occupato nel piano provvidenziale, con i principi della Città del bene, è d’uopo studiarli nell’esercizio delle loro funzioni. Essere purificati, illuminati, perfezionati; ovvero purifìcare, illuminare e perfezionare; tal’è il duplice fine a cui si riferiscono tutte le funzioni delle gerarchie e degli ordini angelici. (San Dion., apud s. Th., I p. q., CVIII, art. 1, corp.). Qual è il significato di queste misteriose parole? Tutti gli Angeli non conoscono del pari i segreti divini. La prima gerarchia, abbiamo detto con san Tommaso, vede la ragione delle cose in Dio medesimo; la seconda, nelle cause seconde universali: la terza, nell’applicazione di queste cause agli effetti particolari. Alla prima appartiene la considerazione del fine; alla seconda, la disposizione universale dei mezzi; alla terza,, il porla in opera. (I p. q. CVIII, art. 6, corp.) I lumi attinti nel seno stesso di Dio gli Angeli della prima gerarchia gli comunicano, per quanto occorre, agli Angeli della seconda gerarchia: questi agli Angeli della terza; e quelli della terza ne fanno parte agli uomini. Ma la reciprocità non ha luogo, atteso che gli Angeli inferiori non hanno nulla da insegnare agli Angeli superiori, né gli uomini agli Angeli. (Vigiiier, p. 79.). Questa comunicazione incessante, come necessaria al governo del mondo, durerà sino all’ultimo giudizio. Essa racchiude quel che noi abbiamo chiamata la purificazione, l’illuminazione ed il perfezionamento. Infatti la manifestazione di una verità a colui che non la conosce, purifica il suo intelletto, dissipando le tenebre dell’ignoranza; essa l’illumina facendo rifulgere la luce dove regnava l’oscurità; essa lo perfeziona dandogli una scienza certa della verità. (S. Dion., cœlest. hier., c. VII). Tali sono le operazioni degli Angeli superiori rispetto agli Angeli inferiori; i quali sono, per questo, detti purificati, illuminati e perfezionati. Neppure una di quelle misteriose operazioni della gerarchia celeste, che non si rinvenga nella gerarchia della Chiesa militante. Ora le comunicazioni angeliche si fanno mediante la parola; imperocché gli Angeli, immagini perfette del Verbo, hanno un linguaggio e si parlano tra di loro. Che gli Angeli parlino, san Paolo ce lo insegna, allorché dice: « Quando io parlassi le lingue degli uomini e degli Angeli. » (I Cor., XIII, 1) Non pertanto guardiamoci dall’immaginare che il linguaggio angelico sia simile al linguaggio umano, e che abbia bisogno di suoni articolati o di segni esteriori, veicoli del pensiero tra un Angelo e l’altro. Questo linguaggio è tutto interiore, tutto spirituale, come lo stesso Angelo. Ei consiste da parte dell’Angelo superiore nella volontà di comunicare una verità all’Angelo inferiore; e dalla parte di questi nella volontà di riceverla. Queste due operazioni non incontrando nessun ostacolo, né nella natura degli Angeli, né nelle loro disposizioni individuali, sono infallibili ed istantanee. (Viguier, p. 80). Tanto la seconda che la terza gerarchia ricevono dalla prima, l’una immediatamente, l’altra mediatamente le divine illuminazioni. Di qui, relativamente alla loro dignità ed alle loro funzioni quella grande divisione degli Angeli, in Angeli assistenti e in Angeli esecutori, o amministratori. I primi considerano in Dio stesso la ragione delle cose da fare, e le manifestano agli Angeli inferiori, incaricati di eseguirle. Tale è l’immagine sotto la quale la sacra Scrittura ci rappresenta gli Angeli della prima gerarchia. Uno di questi principi illustri della corte del grande Re, parlando a Tobia gli dice: « Io sono Raffaello, uno dei sette angeli che siamo assistenti dinanzi a Dio. » (Tob., XII, 15). Che letteralmente vuol dire: che noi stiamo in piedi dinanzi al suo trono. Bisogna dire che questa bella espressione essere assistenti al trono di Dio ha parecchi significati. Gli Angeli assistono dinanzi a Dio allorquando essi prendono i suoi ordini; allorché gli porgono le preghiere, le elemosine, le buone opere, i voti dei mortali; quando essi difendono contro i demoni la causa degli uomini al supremo tribunale; quando penetrano i loro sguardi nei raggi della faccia divina per ritrarne le ineffabili voluttà che costituiscono la loro felicità. In quest’ultimo significato tutti gli Angeli, nessuno eccettuato, sono assistenti dinanzi a Dio; poiché tutti godono e godono continuamente della beatifica visione, allorché pure essi compiono le loro missioni sul governo del mondo. Nondimeno nel senso preciso, l’espressione assistere dinanzi a Dio designa gli Angeli della prima gerarchia, che non hanno costume d’essere impiegati in ministeri esterni. (Corn. a Lap., in Tob. XII, 15). Questi Angeli assistenti al trono di Dio e superiori a tutti gli altri si chiamano i Serafini, i Cherubini, i Troni, e formano la prima gerarchia. Poiché le gerarchie del mondo inferiore non sono che un riflesso delle gerarchie del mondo superiore; un solido confronto, preso dalla corte dei re della terra, ci aiuta a comprendere il grado e le funzioni di questi grandi ufficiali della Corona eterna. Fra i cortigiani ve ne sono di quelli che debbono alla loro dignità l’entrare famigliarmente presso il principe, senza aver bisogno d’essere introdotti; altri che aggiungono a questo primo privilegio quello di conoscere i segreti del principe; altri finalmente ancor più favoriti, compagni inseparabili del principe, sembrano non fare che un solo con lui. Questi ultimi ci rappresentano i Serafini. Creature le più sublimi che Dio abbia tratte dal nulla, questi spiriti angelici debbono il loro nome alla fiamma del loro amore. (Viguier, p. 85; S. Dion., 7; Cœlest hier,). Posti in cima delle gerarchie create, essi giungono fin dove il finito può giungere all’infinito, alla Trinità divina, all’amore stesso ed al centro eterno di ogni amore. Lungi dal raffreddare il loro ardore, le solenni missioni che gli sono qualche volta affidate sembrano accrescerlo e far loro ripetere, con una più intima voluttà, il cantico sentito da Isaia: « I Serafini stavano in piedi, e chiamandosi l’un l’altro, dicevano: Santo, santo, santo è il Signore Dio degli eserciti; tutta la terra è ripiena della sua gloria. » (Is., VI, 3) Nei fortunati cortigiani che conoscono tutti i segreti del principe, noi abbiamo un’immagine dei Cherubini, il cui nome significa pienezza della scienza. (Viguier, ibid.) Questi spiriti deiformi che non abbagliano né turbano mai i raggi scintillanti della faccia di Dio, contemplano con uno sguardo le ragioni intime delle cose nella loro sorgente, a fine di comunicarle agli Angeli inferiori, dei quali debbono essi determinare le funzioni e regolare la condotta. Essi medesimi qualche volta sono spediti in missione. Cosicché vedesi un Cherubino incaricato di guardare l’ingresso del paradiso terrestre e d’interdirlo all’uomo colpevole. Perché un Cherubino e non un altro Angelo? Vegliare e vedere di lontano sono le due qualità di una sentinella. Ora, come il loro nome lo indica, i Cherubini posseggono queste due qualità ad un grado sovraeminente, anche nel mondo angelico.(Corn. a Lap., in Gen., III, 23). I Troni sono rappresentati dai grandi signori che hanno libero ingresso presso il Re. Elevatezza, beltà, solidità: ecco le tre idee che reca allo spirito il nome della sede sulla quale si pongono i monarchi nelle occasioni solenni. Nessuno poteva meglio designare il terzo ordine angelico della prima gerarchia. I Troni sono così chiamati, anche quegli Angeli, sfolgoranti di bellezza, che sono elevati al disopra di tutti i cori delle gerarchie inferiori, ai quali essi intimano gli ordini del gran Re, dividendo con i Serafini ed i Cherubini il privilegio di vedere chiaramente la verità in Dio medesimo, vale a dire nella causa delle cause. (S. Th. I p. q. CVIII, art. 5, ad. 3). Fissi in Dio per intuizione della verità, essi sono incrollabili. – Di più, come il trono materiale è aperto da un lato per ricevere il monarca che parla di questa fede maestosa; cosi i Troni angelici sono aperti per ricevere lo stesso Dio che parla per bocca loro. Ad essi appartiene il nobile ufficio di trasmettere le sue sovrane comunicazioni agli Angeli delle gerarchie inferiori, sparsi in tutte le parti della Città del bene. Infatti i Troni, essendo l’ultimo ordine della prima gerarchia o degli Angeli assistenti, toccano immediatamente alle Dominazioni, che formano il coro il più elevato degli Angeli ministranti. – Tali sono dunque in poche parole i rapporti e le distinzioni che esistono tra gli Angeli della prima gerarchia. Tutti sono assistenti al Trono. Tutti contemplano le ragioni delle cose nella causa prima. Il privilegio dei Serafini è di essere uniti a Dio nel modo il più intimo, negli ardori deliziosi di un indicibile amore! Il privilegio dei Cherubini è di vedere la verità, di una veduta superiore a tutto ciò che è al disotto di essi. Il privilegio dei Troni è di trasmettere agli Angeli inferiori, in proporzione del bisogno, le comunicazioni divine di cui essi posseggono la pienezza. S. Th., I p., q. CVIII, art. 6, corp.).  Cosi è che l’augusta Trinità, la cui immagine passa attraverso a tutte le creazioni, brilla di un incomparabile splendore nella massima perfezione. Nei Troni vediamo la Potenza; nei Cherubini, l’intelligenza; nei Serafini, l’Amore. La gerarchia ecclesiastica, come riflesso della gerarchia celeste, offre lo stesso spettacolo. Nel Diacono voi avete la Potenza che eseguisce; nel Sacerdote, l’Intelligenza che illumina; nel Pontefice, l’Amore che consuma, secondo quella parola indirizzata al capo supremo del Pontificato: « Simone, figlio di Giovanni, mi ami tu più degli altri? — Signore, voi sapete che io vi amo. — Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecore. » L’amore è dunque il principio, il fine, la legge suprema della Città del bene; siccome l’odio, come noi vedremo, è il principio, il fine, la legge suprema della Città del male. (S. Dion., Eccles. hierarch; C. V.)

CONOSCERE LO SPIRITO SANTO (X)

IL TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO 

Mons. J. J. Gaume:  

[vers. Ital. A. Carraresi, vol. I, Tip. Ed. Ciardi, Firenze, 1887; impr.]

CAPITOLO IX.

I Principi della Città del bene.

Gli angeli buoni, principi della Città del bene — Prova particolare della loro esistenza — Loro natura — Essi sono puramente spirituali, ma possono prendere dei corpi: prove — Loro qualità: l’incorruttibilità, la bellezza, l’intelligenza, l’agilità, la forza — Prodigiosa estensione della loro forza — Essi l’esercitano sopra i demoni sul mondo e sull’uomo quanto al corpo e quanto all’anima: prove.

Il Re della Città del bene non è solitario. Intorno al suo trono stanno innumerevoli legioni di principi risplendenti di bellezza che formano la sua corte.(Dan. VII, 10) Ufficio, loro è di onorare il grande Monarca, vegliare alla guardia della Città e presiedere al suo governo: questi principi sono i buoni Angeli. Sotto pena di lasciare nell’ombra una delle più grandi meraviglie del mondo superiore ed il roteggio più importante della sua amministrazione, noi dobbiamo farli conoscere. Perciò fa d’uopo dire la loro esistenza, natura, numero, le loro gerarchie, i loro ordini e funzioni.

Esistenza degli Angeli. Gli Angeli sono tante creature incorporee, invisibili, incorruttibili, spirituali, dotate di intelligenza e di volontà. (Viguier, c. in, § 2, vers. 2, p. 77) La fede del genere umano, la ragione, l’analogia delle leggi divine si riuniscono per stabilire sopra un fondamento incrollabile il domma dell’esistenza degli Angeli. Di già abbiamo visto la lede del genere umano manifestarsi con splendore nel culto universale dei geni buoni e cattivi. La ragione dimostra facilmente che il nostro mondo visibile con la sua imperfetta natura, non ha né può avere in sé, né la ragione della sua esistenza, né il principio delle leggi che la regolano. Bisogna cercarla in un mondo superiore, del quale non è che il reverbero. Com’è per l’albero, il cui fogliame sboccia ai nostri sguardi, cosi sono i principii di vita e di solidità, nascosti nelle profondità della terra. – L’osservazione più sapiente delle leggi divine provoca quest’assioma: che non vi è salto nella natura né rottura nella catena degli esseri. (Natura non facit saltus. Linneo). Nello stesso tempo essa dimostra che di questa catena magnifica l’uomo non può essere l’ultimo anello. Dio è l’oceano della vita. Egli la diffonde su tutte le forme, vegetativa, animale, intellettuale. Secondo che essa è più o meno abbondante, la vita segna il grado gerarchico degli esseri. Ora essa è più abbondante via via che l’essere si avvicina più a Dio. Cosi per ricondurre a sé con gradi insensibili tutta la creazione discesa da lui, l’Onnipotente, la cui infinita sapienza si è divertita nella formazione dell’universo, ha tratto dal nulla parecchie specie di creature. Le une visibili e puramente materiali, come per esempio, la terra, l’acqua, le piante: altre, visibili ed invisibili a un tempo, materiali e immateriali, come gli uomini; altre infine, invisibili ed immateriali come gli Angeli. Questi ultimi, non meno degli altri, sono dunque una necessità della creazione. Ascoltiamo il più grande dei filosofi: « Supposto, dice san Tommaso, il decreto della creazione, l’esistenza di certe creature incorporee è una necessità. Difatti il fine principale della creazione, è il bene. Il bene o la perfezione consiste nella rassomiglianza dell’essere creato col Creatore, dell’effetto con la causa. La rassomiglianza dell’effetto con la causa è perfetta, allorquando l’effetto imita la causa, secondo che essa lo produce. Ora, Dio produce la creatura con intelletto e con volontà. La perfezione dell’universo esige dunque che vi siano creature intellettuali ed incorporee.(I p. q. L, art. 1, cor.) – « Di maniera che, che vi siano Angeli, e che questi siano esseri personali, e non miti o allegorie, quest’è una verità insegnata dalla rivelazione, confermata dalla ragione, e attestata dalla fede del genere umano. –

« Natura degli Angeli. L’abbiamo già indicata; gli Angeli sono incorporei, vale a dire che non hanno corpi con i quali siano essi naturalmente uniti. La ragione è che essendo tanti esseri completamente intellettuali e sussistenti per se medesimi, formæ subsistentes, come  parla san Tommaso, cosi essi non hanno bisogno di corpo per essere perfetti. Se l’anima umana è unita ad un corpo, è che essa non ha la pienezza della scienza, e che è obbligata ad acquistarla per mezzo delle cose sensibili. Quanto agli Angeli, essendo perfettamente intellettuali per loro natura, non hanno niente da apprendere dalle creature materiali: e il corpo loro è inutile.1 »1 (Sum.th. I p.? q. LI, art. 1. cor.). – Da ciò resulta che gli Angeli non possono, come le anime umane, essere uniti essenzialmente a dei corpi, e diventare una stessa persona con loro. Essi sono per conseguenza incapaci di esercitare nessun atto della vita sensibile o vegetativa, come vedere corporeamente, sentire, mangiare e altre cose simili. (Viguier, ubi supra, p. 78.) Dell’aria o di un’altra materia già esistente, essi possono però formarsi dei corpi, e dar loro una figura ed una forma accidentale. L’Arcangelo Raffaello diceva a Tobia: Quando io era con Voi per volere di Dio, pareva che io mangiassi e bevessi, ma io faceva uso di cibi invisibili. 33 (Tob., XII). Cosi, l’apparizione degli Angeli sotto una forma sensibile non è una visione immaginaria. La visione immaginaria non è che nella immaginazione di colui che la vede: essa sfugge agli altri. Ora, la Scrittura ci parla sovente degli Angeli che appaiono sotto forme sensibili, e che sono visti indistintamente da tutti. Gli Angeli che appariscono ad Abramo sono visti dal patriarca, da tutta la sua famiglia, da Lot e dagli abitanti di Sodoma. Cosi pure l’Angelo che apparisce a Tobia è visto da lui, da sua moglie, da suo figlio, da Sara e da tutta la famiglia di Sara. È dunque manifesto che non era quella una visione immaginaria. Era bensì una visione corporea, nella quale quegli che ne gode, vede una cosa che è esteriore a lui. – Ora, l’oggetto di una simile visione, vale a dire la cosa esteriore non può essere altro che un corpo. Ma, poiché gli Angeli sono incorporei e che non hanno corpi, ai quali siano naturalmente uniti, ne resulta, ch’essi rivestono, quando ne hanno bisogno, di corpi formati accidentalmente. (S. Th., I p. q. LI, art. 1, cor.). Questi corpi, composti d’aria condensata, o di un’altra materia, gli Angeli non gli prendono per sé ma per noi. Tutte le loro apparizioni si riferiscono al mistero fondamentale dell’Incarnazione del Verbo, e alla salute dell’uomo del quale è la indispensabile condizione. Le une lo preparano, le altre lo confermano, intanto che esse provano la esistenza del mondo superiore con le sue realtà eterne, gloriose o terribili. « Conversando familiarmente con gli uomini, dice san Tommaso, gli Angeli vogliono mostrarci la verità di questa grande società degli esseri intelligenti, che noi attendiamo nel cielo. Nell’antico Testamento, le loro apparizioni avevano per scopo di preparare il genere umano all’Incarnazione del Verbo, imperocché erano tutte figura dell’apparizione del Verbo nella carne. (Id. ad 1) – Nel Nuovo, esse concorrono al compimento del mistero, sia in se medesimo, ossia nella Chiesa e negli eletti. È facile convincersene esaminando le circostanze delle apparizioni angeliche a Zaccaria, alla santa Vergine, a San Giuseppe, a san Pietro, agli Apostoli, ai martiri, ai santi in tutti i secoli. Secondo i più dotti interpreti, le apparizioni accidentali degli Angeli sulla terra non sarebbero che il preludio di una apparizione abituale in cielo. « I reprobi, dicono essi, saranno tormentati non solamente nella loro anima, per la conoscenza dei loro supplizi: ma altresì nei loro corpi, vedendo le figure orribili dei demoni. In essi gli occhi del corpo hanno peccato nello stesso modo che gli occhi dell’anima; è dunque giusto che tanto gli uni che gli altri ricevano il loro castigo. « Parimenti, è probabile che nel cielo gli Angeli prenderanno corpi magnifici aerei, a fine di rallegrare gli occhi degli eletti, e di conversare con essi a bocca a bocca. Ciò pare esatto, da un lato, per l’amicizia, per l’unione, per la comunicazione intima, la quale esisterà tra gli Angeli ed i beati, come concittadini della stessa patria: dall’altro per la ricompensa dovuta alla mortificazione

dei sensi ed alla vita angelica che i santi hanno menato quaggiù, nella speranza di godere della società degli Angeli. Se fosse altrimenti, i sensi degli eletti non riceverebbero nessuna gioia dagli Angeli,, ed anche ogni relazione con essi sarebbe loro impossibile. Tutto si limiterebbe ad una comunicazione mentale, ed il corpo sarebbe privato di una parte della sua ricompensa. » (Corn. a Lap., In Is., XXXIV, 14. — In virtù dello stesso ragionamento non si potrebbe supporre che le due persone della Santa Trinità che non hanno preso corpo, il Padre e lo Spirito Santo, degneranno pure mostrarsi agli eletti sotto una forma visibile? 0 altitudo diuitiarum!) Parlando del giudizio ultimo essi aggiungono: « Egli è credibilissimo che tutti gli Angeli riappariranno in corpi splendidi; altrimenti questa gloria del Figliuolo di Dio non sarebbe veduta dagli empi, pei quali appunto sarà soprattutto mostrata. L’esercito potente dei cieli niente aggiungerebbe alla maestà esteriore del Giudice supremo; maestà che la Scrittura prende cura di descrivere con tanta precisione. La moltitudine degli Angeli essendo innumerevole, essa riempirà dunque le immense pianure dell’aria e presenterà alle nazioni radunate, il formidabile aspetto d’un’armata schierata in battaglia. Non è meno credibile che i demoni appariranno sotto forme corporee: altrimenti non sarebbero veduti dai reprobi, e però la gloria del Nostro Signore e la confusione dei malvagi esigono che siano visibili. (Viguier, p. 78).

« Qualità degli Angeli. Dalla semplicità o incorporeità della loro natura, resulta che i principi della Città del bene sono incorruttibili. Esenti da languori e da infermità, essi non conoscono né il bisogno di nutrimento o di riposo, né le debolezze dell’infanzia, né le infermità della vecchiaia. Resulta ancora ch’essi sono dotati di una bellezza, di una intelligenza, di una agilità e di una forza incomprensibile all’uomo. – Iddio è la bellezza perfetta e la sorgente di ogni bellezza. Quanto più un essere gli rassomiglia, tanto più è bello. I cieli sono belli, la terra è bella, perché i cieli e la terra riflettono alcuni raggi della bellezza del Creatore. Di tutti gli esseri materiali il corpo umano è il più bello, perché possiede in un grado più elevato la forza e la grazia, la cui felice unione forma il marchio della bellezza. L’anima è più bella del corpo, perché è l’immagine più perfetta dell’eterna bellezza. L’angelo, dunque essendo alla sua volta l’immagine incomparabilmente più perfetta di questa bellezza, è incomparabilmente più bello che l’anima umana. – Per conseguenza quale spettacolo offre agli sguardi il Re della Città del bene, circondato da tutti questi principi, rilucenti come tanti soli, il meno bello dei quali ecclissa tutte le bellezze visibili! Il giorno in cui sarà dato all’uomo di vederlo faccia a faccia, entrerà in un rapimento, indicibile anche a Paolo che ne fu testimone. Frattanto l’umanità ha l’istinto di questa suprema bellezza; imperocché, per indicare il grado più perfetto della bellezza sensibile essa dice; bello come un Angelo. La bellezza degli Angeli è il raggio della loro perfezione essenziale, e questa loro essenziale perfezione è l’intelligenza. Chi ne dirà l’estensione? Risponde san Tommaso : « L’intelligenza angelica è deiforme, vale a dire, che l’Angelo acquista la conoscenza della verità non mediante la vista delle cose sensibili, né per via del ragionamento, ma per il semplice sguardo.1 (S- Th., 2a 2æ, q. CLXXX , art. 6 ad 2.). Come sostanza esclusivamente spirituale la potenza intellettiva é in lui completa, cioè dire ch’essa non è mai in potenza come nell’uomo, ma sempre in atto, di maniera che l’Angelo conosce attualmente tutto ciò che può conoscere naturalmente. » (Id. , q. L, art. 1, ad 2; q . LV, art. 1, cor.; e t art. 2, cor.) Ei lo conosce tutto intero, nel complesso, e nei particolari, nel principio, e nelle ultime conseguenze. « Le intelligenze d’un ordine inferiore, come l’anima umana, hanno bisogno per giungere alla perfetta cognizione della verità di un certo movimento, di un certo lavoro intellettuale, col quale esse procedono dal noto all’ignoto. Questa operazione non avrebbe luogo se, dal momento che esse conoscono un principio, ne vedessero istantaneamente tutte le conseguenze. Tale è la prerogativa degli Angeli. Tosto che sono in possesso di un principio, già conoscono tutto quel che racchiude: ecco perché si chiamano intellettuali, e le anime umane semplicemente ragionevoli. Così non può esservi né falsità, né errore, né inganno nell’intelligenza di nessun angelo.2 (Id., art. 5, c.). – A che cosa si estende la conoscenza dei principi della Città del bene? Essa si estende a tutte le verità dell’ordine naturale.I p. q. LXXV, art. 1, cor., etc.). Per essi il cielo e la terra niente hanno di celato; e dacché sono confermati in grazia, conoscono la maggior parte delle verità dell’ordine soprannaturale. Noi diciamo “la maggior parte”, poiché sino al di del giudizio, in cui il corso dei secoli finirà, gli Angeli riceveranno delle nuove comunicazioni intorno al governo del mondo, e in particolare circa la salute dei predestinati.(Id. q. CVI, art. 4, ad 3.). Se l’intelligenza dei principi della Città del bene è per essi la sorgente di voluttà ineffabili, essa è per noi un triplice soggetto di consolazione, di tristezza e di speranza; di consolazione, perché i buoni Angeli non si servono della loro intelligenza, se non che nel nostro interesse e quello del nostro Padre celeste. Di tristezza, perché in Adamo noi possedevamo un’intelligenza simile alla loro, esente da errore e noi l’abbiamo perduta. (Id. I p. q. XCIV, art. 1 et 4, cor.). Di speranza, perché noi la ritroveremo in cielo, e già ne possediamo le primizie negli splendori della fede. – Dalla incorporeità degli angeli nasce la loro agilità. – Come essere finito, l’Angelo non può essere dappertutto nel tempo stesso, ma tale è la rapidità de’ suoi movimenti, che equivalgono quasi all’ubiquità. « L’Angelo, dice san Tommaso, non è composto di diverse nature, di modo elle il movimento dell’una impedisca o ritardi il movimento dell’altra; come avviene all’uomo, in cui il movimento dell’anima è contenuto dagli organi. Ora dunque, siccome nessun ostacolo lo ritarda né lo impedisce, l’essere intellettuale si muove in tutta la pienezza della sua forza. Per lui lo spazio sparisce. Così, i principi della Città del bene possono a un colpo d’occhio, essere in un luogo, ed, in un altro colpo d’occhio, in altro luogo senza durata intermedia. (I p. q. LIII, art. 3, ad 3; q. LXII, art. 6, cor.). Tale è d’altro canto la loro sottigliezza, che i corpi più opachi sono per essi meno di un velo diafano che per i raggi del sole. Come agilità, la forza degli Angeli prende la sua sorgente nell’essenza del loro essere, il quale partecipa più abbondantemente d’ogni altro dell’essenza divina, forza infinita.(Diamo a questa partecipazione il significato delle parole di san Pietro: divinæ consortes naturæ. Ciò che non è del panteismo Cosi l’una e l’altra sorpassano tutto ciò che noi conosciamo d’agilità e di forza nella natura, vale a dire che esse sono incalcolabili e si esercitano sul mondo e sull’uomo. Sul mondo: gli Angeli sono quelli che gli imprimono il moto. Tutte le creature materiali, come inerti di loro natura, sono nate per essere messe in movimento dalle creature spirituali, siccome il nostro corpo e l’anima nostra. « È legge della divina sapienza, insegna l’angelico dottore, che gli esseri inferiori siano mossi dagli esseri superiori. Ora la natura materiale essendo inferiore alla natura spirituale, è manifesto ch’essa è posta in movimento da esseri spirituali. Tale è l’insegnamento della filosofia e della fede. » (I p. q. ex, art. 3, cor.). Ora, la forza d’impulsione della quale gli Angeli sono dotati è cosi grande, che basta un solo per mettere in moto tutti i corpi del sistema planetario; e benché sia ad oriente la sua azione, secondo un’antica credenza conservata pure presso i pagani, si fa sentire a tutte le parti del pianeta. Di guisa che lo stesso uomo, la cui mano pone in azione la ruota maestra di un’immensa macchina produce senza cambiar di luogo, il movimento di tutte le ruote secondarie. (Viguier, p. 81). La conseguenza logica di questa forza d’impulsione è che gli Angeli possono spostare i corpi più voluminosi e trasportarli dove vogliono con una tale rapidità che sfugge al calcolo. Secondo sant’Agostino la forza naturale dell’ultimo degli Angeli è tale, che tutte le creature corporee e materiali gli obbediscono quanto al moto locale, nella sfera della loro attività, a meno che Iddio o un Angelo superiore non vi ponga ostacolo. Se dunque Iddio lo permettesse, un Angelo solo trasporterebbe un’intera città da un luogo ad un altro, come l’hanno fatto per la santa Casa di Loreto trasportata da Nazaret in Dalmazia, e di Dalmazia al luogo ove riceve oggi gli omaggi del mondo cattolico. (Apud Viguier, p. 81). Non solamente gli Angeli imprimono il moto al mondo materiale, ma lo conservano, sia impedendo ai demoni di portare la perturbazione nelle leggi che presiedono alla sua armonia, ossia vegliando al mantenimento perpetuo di quelle leggi ammirabili. « Tutta la creazione materiale, dice sant’Agostino, è amministrata dagli Angeli. – Perciò nulla impedisce di dire, aggiunge san Tommaso, che gli Angeli inferiori sono preposti dalla sapienza divina al governo dei corpi inferiori, e i superiori al governo dei corpi superiori, e in fine, i più elevati, all’adorazione dell’Essere degli esseri. » (Tota creatura corporats administratur a Deo per angelos, ut Aug. dicit, tib. III, De Trinit, c. IV et V). Non bisogna dunque illudersi: l’ordine meraviglioso che ci colpisce nella natura e soprattutto nel firmamento, è dovuto non al caso, non alla forza delle cose, non a leggi immutabili, ma all’azione continua dei principi della Città del bene. [Questo intervento degli angeli, che san Tommaso e gli antichi filosofi ammettevano per spiegare il moto dei globi celesti, può benissimo conciliarsi con le cognizioni che abbiamo ora dalle scienze naturali, in specie dall’astronomia, in questo senso, che gli angeli cioè senza effettuare immediatamente cotesti moti, presiedano alle leggi fìsiche, che direttamente li producono. (N. d. Ed.)]. –  Sotto gli ordini del loro re, essi conducono gli immensi globi che compongono la splendida armata dei cieli, come tanti ufficiali conducono i loro soldati, come i capi del treno conducono le terribili macchine; con questa differenza che gli ultimi possono ingannarsi, i primi giammai. A malgrado della spaventosa rapidità che imprimono a queste masse gigantesche, essi le mantengono però nella loro orbita, facendo percorrere ad ognuna la sua ruota con una precisione matematica. Un giorno solamente, che sarà l’ultimo dei giorni, questa magnifica armonia sarà rotta. All’avvicinarsi del Giudice supremo, allorché tutte le creature si armeranno contro l’uomo colpevole, i potenti conduttori degli astri, rovesceranno l’ordine del sistema planetario, allora le nazioni, inorridiranno di timore nell’aspettativa di ciò che deve succedere. (Corn. a Lap. in Matth., XXIV, 29). Sull’uomo: In virtù della stessa legge di subordinazione gli esseri spirituali di un ordine inferiore sono sottomessi all’azione degli esseri spirituali di un ordine superiore. Così l’uomo è soggetto corpo e anima, alle potenze angeliche e gli Angeli non sono a lui soggetti. Bisognerebbe scorrere tutta la Scrittura qualora si volessero

riferire le diverse operazioni degli Angeli sul corpo dell’uomo. – Citiamo soltanto l’esempio del profeta Abacuc trasportato da un angelo dalla Palestina in Babilonia, a

fine di portare il suo nutrimento a Daniele rinchiuso nella fossa coi leoni. Citiamo altresì l’esercito del re d’Assiria Sennacheribbe, del quale cent’ottantacinque mila uomini sono tagliati a pezzi da un Angelo in una notte. Ricordando questo fatto a proposito delle dodici legioni d’angeli che Nostro Signore avrebbe potuto chiamare intorno a sé nell’orto degli Ulivi, san Crisostomo esclama con ragione: « Se un Angelo solo ha potuto mettere a morte cent’ottantacinque mila soldati che cosa non avrebbero fatto dodici legioni d’angeli? » (In Matth. XXVI, 3). Si potrebbe aggiungere il passo cosi noto dell’Angelo sterminatore, al quale pochi istanti bastarono per fare perire tutti i primogeniti degli uomini e degli animali nel vasto regno d’Egitto. Quanto alla nostra anima, Ali angeli possono esercitare, e in realtà esercitano su di lei una azione a quando a quando ordinaria e straordinaria, di cui è difficile misurare la potenza. L’intelletto deve ad essi i suoi lumi più preziosi. « Le rivelazioni delle cose divine, dice il gran san Dionigi, giungono agli uomini per mezzo degli Angeli. » (Revelationes divinorum. perveniunt ad homines mediantibus

angelis. Cælest hierarch., c. IV). – Dalla prima sino all’ultima tutte le pagine dell’antico e del nuovo Testamento verificano le parole dell’illustre discepolo di san Paolo. Abramo, Lot, Giacobbe, Mosé, Gedeone, Tobia, i Maccabei, la SS. Vergine, san Giuseppe, le sante donne e gli Apostoli sono istruiti e diretti da questi spiriti amministratori dell’uomo e del mondo. Noi vedremo che l’Angelo custode compie certo con meno splendore, ma non con meno realtà le stesse funzioni rispetto all’anima affidata alla sua sollecitudine. Questa illuminazione così potente intorno alla condotta della vita ha luogo in parecchie maniere. Ora l’Angelo fortifica l’intelletto dell’uomo, affinché possa concepire la verità; ora gli presenta immagini sensibili, mediante le quali egli può conoscere la verità, perché senza di esse non conoscerebbe. A questo modo si conduce l’uomo medesimo nell’istruirne un altro. (S. Th.. p. q. CXI, art. 1, corp.). Si tratta per caso della volontà? È vero che gli Angeli, buoni o malvagi, non possono forzare le sue determinazioni, imperocché l’anima resta sempre libera; ma l’esperienza universale insegna quanto le ispirazioni degli Angeli buoni e le suggestioni degli angeli cattivi sono efficaci, per condurci al bene come al male. Tanto gli uni che gli altri, traggono gran parte della loro forza dalla potenza che hanno i principi della Città del bene e della Città del male, di agire profondamente sopra i sensi esteriori. Mercé di essi, i demoni affascinano l’immaginazione con lusinghiere immagini che tolgono al male la sua bruttura, e lo rivestono dell’apparenza di bene; sommuovono tutta la parte inferiore dell’anima e accendono in tal modo la concupiscenza. Al contrario i buoni Angeli allontanano le nubi dell’errore e le tenebre delle passioni, riconducono i sensi alla loro natia purezza, e producono come una seconda veduta, mediante cui le cose si presentano agli apprezzamenti dell’anima sotto il vero loro aspetto. In certi casi, gli Angeli possono altresì privare l’uomo dell’uso dei suoi sensi, come avvenne agli abitanti di Sodoma. A questa legge si ricollega la lunga serie dei fatti del soprannaturale divino e del soprannaturale satanico, che riempiono gli annali di tutti i popoli, e di cui la ragione non può molto meno spiegare la natura o disconoscere la causa, come non può negarne l’autenticità. (I p. q. CVI, art. 2, corp.; q. CXI, art. 3 et 4 corp., etc.). I Pagani meno ignoranti o meno ostinati nell’errore dei nostri razionalisti moderni, che non avevano inventato ancora il sistema delle leggi immutabili, proclamano altamente e senza restrizione il libero governo dell’uomo e del mondo, mediante le potenze angeliche. Oltre le testimonianze già citate, abbiamo quella di Apuleio. Esso è talmente esplicito, che direbbesi una pagina del libro di Giobbe. « Se, dice egli, è sconveniente per un re di far tutto, e governare tutto da sé medesimo, egli è molto più per Iddio. Per conservar a lui tutta la sua maestà, bisogna dunque credere che Egli stia assiso sul suo sublime trono e che governi tutte le parti dell’universo con le potenze celesti. Infatti egli governa il mondo inferiore mediante le loro cure: perciò non gli occorre né fatica, né calcoli, cose di cui l’ignoranza o la debolezza dell’uomo hanno bisogno. « Quando dunque il re ed il padre degli esseri che noi non possiamo vedere, fuorché con gli occhi dell’anima, vuol porre in movimento l’immensa macchina dell’universo, risplendente di stelle, fulgida di mille bellezze, regolata dalle sue leggi ei fa, se dirlo è permesso, come facciamo nel momento di una battaglia. Al suono della tromba i soldati, animati dai suoi accenti, si pongono in moto; chi piglia la sua spada, chi il suo scudo; quelli la loro corazza, il loro elmo, i loro stivali; questi inforca il suo cavallo, l’altro attacca i suoi cavalli alla quadriga, ciascuno con ardore si prepara. I veliti formano le loro file, i capitani fanno la loro ispezione e i cavalieri ne pigliano il comando. Ognuno si occupa del suo ufficio. Ciononostante tutto l’esercito obbedisce ad un sol generale che il re pone alla sua testa. Cosi avviene lo stesso nel governo delle cose divine ed umane. Sotto gli ordini di un solo capo, ciascuno conosce il suo dovere e lo compie, quantunque esso non conosca la molla segreta che lo fa agire e che questa potenza sfugge agli occhi del corpo. Prendiamo un esempio in un ordine meno elevato. Nell’uomo l’anima è invisibile. Però bisognerebbe essere pazzo per negare che tutto ciò che l’uomo fa, viene da questo principio invisibile. A lui deve la vita umana e la sua sicurezza, i campi la loro cultura, i frutti il loro uso; le arti il loro esercizio; insomma tutto quel che fa l’uomo. »(De mando lib. unus, p. 148). Bossuet è stato dunque l’eco della fede universale, allorquando ha pronunziato questa magistrale parola: « La subordinazione delle nature create chiede che questo mondo sensibile ed inferiore sia diretto dal superiore ed intelligibile, e la natura corporea dalla natura spirituale. (Sermone per la festa dei SS. Angeli p. 402, t. XVI, edit. Lebel. – Che l’uomo dunque se ne ricordi. Come il mondo materiale è governato dalle potenze angeliche, egli stesso è posto sotto l’azione immediata di un angelo buono o malvagio. Non una parola, non una azione, non un minuto nella sua esistenza che non sia influenzato da una o dall’altra di queste potenti creature. Ma è dolce il pensare che il potere dei principi della Città del bene supera quello dei principi della Città del male. « In Dio, dice l’Angelo delle Scuole, è la sorgente principale di ogni superiorità. Quanto più esse si accostano a Dio, tanto più le creature partecipano di Esso e tanto più sono perfette. Ora, la perfezione più grande, quella che si accosta più di tutto a quella di Dio, appartiene agli esseri che godono di Dio medesimo; tali sono gli Angeli buoni. I demoni sono privi di questa perfezione. Ecco perché i buoni angeli sono superiori a loro in potenza, e li tengono soggetti al loro impero. – Di qui deriva, come conseguenza, che l’ultimo degli Angeli buoni comanda al primo dei demoni, atteso che la forza divina, alla quale egli partecipa, la vince sulla forza della natura angelica. » (Dicendum quod angelus, qui est inferior ordine naturæ, praeest dæmonibus, quamvis superioribus ordine naturæ; quia virtus divinæ justitiæ, cui inhærent boni angeli, potior est quam virtus naturalis angelorum. I p. q. CIX, art. 4 corp. et ad 3)

CONOSCERE LO SPIRITO SANTO (IX)

IL TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO 

Mons. J. J. Gaume:  

[vers. Ital. A. Carraresi, vol. I, Tip. Ed. Ciardi, Firenze, 1887; impr.]

CAPITOLO VIII

Il Re della Città del bene.

Lo Spirito Santo, Re della Città del bene: Perché? — Risposta della teologia— Nomi diversi del Re della Città del bene: Spirito Santo, Dono, Unzione, Dito di Dio, Paracleto — Spiegazione particolareggiata di ciascuno di questi nomi.

 L’ordine visibile non è che il riflesso dell’ordine invisibile. Nei governi della terra l’ordine si compone essenzialmente di una autorità suprema e di autorità subalterne, incaricate di eseguire la volontà della prima. Non può concepirsi veruna società senza questi due elementi. Cosi avviene del pari della città del bene e della città del male. Sì nell’una, come nell’altra il governo si compone di un re e di ministri, di potenza disuguale, soggetti ai suoi ordini. Ora, come l’abbiamo indicato, il Re della Città del bene è lo Spirito Santo. Perché si attribuisce allo Spirito Santo e non al Figliuolo o al Padre, la gloriosa monarchia della città del bene? La Teologia cattolica risponde: «Quantunque tutte le opere esteriori della Santa Trinità, opera ad extra, siano comuni alle tre Persone, pur tuttavia, per appropriazione la lingua divina attribuisce allo Spirito Santo le opere, in cui l’amor di Dio si manifesta con uno splendore più marcato. Cosi la potenza è attribuita al Padre, la sapienza al Figliuolo, la bontà allo Spirito Santo. Con tutto ciò in queste tre Persone, la potenza, la sapienza e la bontà è una e indivisibile: come è una e indivisibile, la divinità, l’essenza e la natura. » – Essendo la città del bene la creazione più magnifica dell’amor di Dio, a giusto titolo la monarchia viene attribuita allo Spirito Santo, amore consustanziale del Figliuolo e del Padre. Il fondamento, o come parla la Scrittura, la pietra angolare di questa città è il Verbo incarnato. Ora dunque, l’incarnazione del Verbo è l’opera dello Spirito Santo. Con la sua ordinaria profondità, l’angelo della scuola mostra l’esattezza di questo linguaggio, dicendo: « Il concepimento del corpo di Gesù Cristo è senza dubbio l’opera di tutta la Trinità. Nondimeno, essa è attribuita allo Spirito Santo, e ciò per tre ragioni.

« La prima perché ciò conviene alla causa dell’Incarnazione, considerata dal lato di Dio. Difatti lo Spirito Santo è l’amor del Padre e del Figliuolo. Ora è un effetto dell’immenso amore di Dio che il Verbo si sia rivestito di carne nel seno di una vergine. Quindi la parola di san Giovanni: Iddio ha amato il mondo sino al punto di dargli l’unico suo figliuolo.

« La seconda, perché ciò conviene alla causa dell’Incarnazione, considerala dal lato dell’umana natura. Con ciò si capisce perché la natura umana è stata presa dal Verbo e unita alla sua Persona divina senza alcun merito da parte sua; ma unicamente per un affetto della grazia che è attribuita allo Spirito Santo secondo la parola dell’Apostolo: Le grazie sono diverse ma vengono dallo stesso Spirito.

« La terza, perché conviene ciò all’intento dell’Incarnazione. Difatti il fine dell’incarnazione era che l’uomo che stava per essere concepito fosse santo e Figlio di Dio. Ora la santità e la figliolanza divina sono attribuite allo Spirito Santo. Prima di tutto è da Lui che gli uomini divengono figli di Dio, come l’insegna l’Apostolo san Paolo ai Galati: Perché voi siete figli di Dio, Iddio ha inviato lo Spirito del suo Figlio nei vostri cuori, gridando: Salve, o Padre. Di poi Egli è lo Spirito di santificazione, come lo stesso Apostolo lo scrive ai Romani. Perciò nella stessa guisa che è mediante lo Spirito Santo che gli altri uomini sono santificati spiritualmente, a fine di essere i figli adottivi di Dio; così il Cristo, l’uomo per eccellenza, il novello Adamo, è stato concepito nella santità mediante lo Spirito Santo, a fine d’essere il Figlio naturale di Dio. « Tale è l’insegnamento dell’Apostolo, il quale parlando di nostro Signore dice: Chi è stato predestinato Figliuolo di Dio in potenza, aggiungendovi subito: Secondo lo Spirito santificante; vale a dire, perché è stato concepito dallo Spirito Santo. Finalmente l’Arcangelo, annunziando l’effetto di questa promessa, cioè: lo Spirito Santo sopravverrà in te, conclude: perchè l’essere santo che da te nascerà sarà chiamato il Figliuolo di Dio. 1 » (S. Th.., p. III, q. XXXII,  art. 1, corp.).

Re della Città del bene, perché ne ha formato la base viva; lo Spirito Santo l’é altresì, perché ne è l’anima e la vita. Circolando Egli in tutte le parti di questo gran corpo, come il sangue circola nelle nostre vene e la luce nell’aria, così la sua carità lo ispira, la sua sapienza lo governa, la sua beltà lo abbellisce, la sua potenza lo protegge. (Omnipotens sempiterne Deus, cujus Spiritu totum corpus Ecclesiæ sanctifìcatur et regitur. Orat., Eccl. inter divers.) All’oggetto di conoscere la natura e il modo delle sue comunicazioni divine, in altri termini il governo del Re della Città del bene, accostiamoci con rispetto misto ad amore al trono ove è assiso, e vediamo Qual è in se stesso questo divino Re. Il conoscerlo è tutto quel che vi è di più alto a farci desiderare di vivere sotto il suo impero.Conoscere un essere, vuol dire sapere il suo nome; chi ci dirà i nomi propri del Re della Città del Bene? Egli solo; imperocché l’Essere infinito può solo nominarsi. Ora Egli si chiama: Spirito Santo, Dono, Unzione, Dito di Dio, Paracleto. Che la più vasta intelligenza creata prenda queste parole divine nel loro più alto significato, e si ricordi che, a malgrado di tutti gli sforzi, rimarrà sempre infinitamente al disotto delle sublimi realtà ch’essi esprimono. Tal è il suo dovere, studiando l’Ineffabile. Egli si chiama Spirito Santo,

Spiritus Sanctus.

Spirito. Le altre due persone divine, il Padre, ed il Figliuolo, sono altresì degli Spiriti e Spiriti Santi. Tutti gli Angeli del cielo e tutte le anime beate lo sono del pari. Perché dunque attribuire ad un solo il nome comune a parecchi ? « È vero, risponde san Tommaso, la Trinità nella sua natura e nelle sue Persone, è Spirito Santo. Contuttociò, siccome la prima Persona ha un nome proprio, che è quello di Padre; e la seconda quello di Figlio, si è lasciato alla terza il nome di Spirito Santo, per distinguerla dalle due altre e per fare intendere la natura delle sue operazioni.

« Questo nome la distingue; poiché designa la Persona divina che procede mediante l’amore. Indica la natura delle sue operazioni, imperocché nelle cose corporee, la parola Spirito significa un certo impulso. Di qui deriva che noi chiamiamo spirito, l’alito e il vento. Ora, proprietà dell’amore è di spingere la volontà di colui che ama verso l’oggetto amato, e la santità si attribuisce alle cose che tendono a Dio. È dunque con grande proprietà di linguaggio che si chiama Spirito Santo la terza Persona della Trinità, la quale procede mediante l’amore, amore pel quale noi amiamo Dio. » (S. Th., I, p . q. XXXVI, art.1, corp.). – È vero ancora che gli Angeli e le anime beatificate sono tanti spiriti santi; ma essendo semplici creature, non sono santi che per grazia, mentre lo Spirito Santo è Santo per natura e la stessa santità. È dunque arcigiustissimo che lo si chiami per eccellenza lo Spirito Santo. Come quello del Padre e del Figlio, il nome dello Spirito Santo viene, non dagli uomini, ma da Dio medesimo. Di questa conoscenza siamo debitori alla Scrittura che lo ripete più di trecento volte, tanto nell’antico che nel nuovo Testamento.

Santo. Santo vuol dire puro, privo di composizione. Il Re della Città del bene è appellato santo perché è l’Essere propriamente detto; l’essere puro da ogni miscuglio e la sorgente di ogni purità. Quel che è l’Oceano alla pioggia che feconda la terra, e alle rugiade che la rinfrescano, cosi è lo Spirito Santo alla santità ed anche più. Non è solamente il serbatoio inesauribile, ma ne è il principio eterno ed eternamente fecondo. Ora, è verità d’ordine morale come d’ordine materiale, che la cagione del male, e per conseguenza della vergogna e del dolore, è il miscuglio, il dualismo o per dire la vera parola l’impurità. Comunicandosi alle creature che cosa fa lo Spirito di santità? Elimina gli elementi eterogenei che le disonorano e le fanno soffrire. Quanto più questa comunicazione è abbondante, tanto più le creature si semplicizzano; e quanto più si semplicizzano, tanto più si perfezionano; imperocché più che mai esse si accostano alla loro purità nativa ed alla purità ineffabile del loro Creatore e del loro modello. Ma a misura che esse si perfezionano, tanto più diventano belle e felici. Da queste nozioni fondate sull’essenza stessa delle cose, risulta che la santità è il principio unico della bellezza e della felicità. Poiché il Re della Città del bene essendo la santità medesima, possiamo giudicare se è glorioso, e se è dolce il vivere sotto le sue leggi. – Le creature materiali medesime ci rivelano qualcuna delle ricchezze racchiuse in questo nome misterioso dello Spirito Santo. Si può dire che fra tutti gli elementi, l’alito e il vento è il più necessario. Per esso vive tutto ciò che respira. Esso è il più forte; noi lo abbiamo visto sradicare in meno di sette minuti, cento mila piedi di alberi secolari sopra una estensione di tre leghe. (Tromba di Fuans -Doubs-, 11 luglio 1855). Ogni giorno i naviganti lo vedono mettere a nudo gli abissi del mare, sollevando fino alle nubi la pesante massa delle loro acque. Esso è il più carezzevole: chi non ha invocato con ardore la sua azione benefica in mezzo dei cocenti calori della state e non l’ha sentita con delizia? Esso è il più indipendente, il più utile, il più misterioso. Il vento è il principio sempre attivo che purifica le nostre citta, le nostre campagne e le nostre abitazioni; nessuno lo può incatenare. Egli è il veicolo della parola, e mediante essa il legame necessario della società. In un ordine più elevato, vale a dire più reale, lo Spirito Santo è tutto ciò. Egli è vita, è forza, è dolcezza è purificatore, è il legame universale. In lui tutto è uno; e sebbene abiti il cielo, la terra ed il purgatorio, l’immensa Citta della quale è re, non forma che uno stesso corpo, obbedendo allo stesso impulso. Da ciò viene che san Cipriano lo chiama l’anima del mondo: « Questo divino Spirito, dice il glorioso martire, anima di tutto ciò che è, riempie talmente gli esseri della sua abbondanza che le creature inintelligenti come le creature intelligenti ricevono ciascuna nel suo genere, e resistenza ed i mezzi d’agire conforme alla loro natura. Non è che Egli sia lui stesso sostanzialmente l’anima di ciascuna di esse; ma come distributore magnifico della sua pienezza egli comunica a ciascuna creatura e le fa proprie le sue divine influenze: simile al sole che dà il calore e la vita a tutta la natura, senza diminuzione né esaurimento. » (Serm. De Pentecost. in Biblioth. vetus. homil. etc.). Egli si chiama Dono. Tale è il nome proprio, il vero nome del Re della Città del bene. Chi ne dirà le incomprensibili ricchezze? Il dono è quello che si dà senza intenzione di ricambio; il che importa l’idea di donazione gratuita. Ora, la ragione di una donazione gratuita è l’amore: noi non diamo gratuitamente una cosa a qualcuno, se non perché gli vogliamo del bene: cosicché la prima cosa che noi gli diamo, è il nostro amore. Donde ne segue manifestamente, che l’amore è il primo dono, poiché è per lui che noi diamo gratuitamente tutto il resto. – Ne segue altresì che lo Spirito Santo essendo lo stesso amore, è il primo di tutti i doni, la sorgente di tutti, il dono per eccellenza. A nessun altro conviene come a Lui questo nome adorabile, e talmente gli conviene che è il suo nome personale. Non si creda del resto che questo nome implichi nello Spirito Santo una inferiorità qualunque rispetto al Padre ed al Figlio; il pensarlo sarebbe una eresia, il dirlo una bestemmia. Esso indica soltanto la relazione d’origine dello Spirito Santo nei suoi rapporti col Padre ed il Figlio che ce lo donano. Ma questo dono è lo stesso Spirito Santo, e il dono è pari al donatore, eterno, infinito, onnipotente, Dio insomma come lui. (S. Th., i, p. q. XXXVIII, art. 2, corp. et art. 1 ad 3 ; et ad Contra, – 2 S. Basii., lib. De Spir. Sancto, c. xxiv). – « Quando dunque, dice sant’Agostino, noi intendiamo chiamare lo Spirito Santo dono di Dio, dobbiamo ricordarci che questa espressione rassomiglia a quell’altra della Scrittura, Nostro Corpo di carne. Alla guisa stessa che il corpo di carne non è altro che la carne, così il dono dello Spirito Santo è lo stesso Spirito Santo. Esso è dono di Dio solamente in quanto ci è dato; ma perché il Padre ed il Figlio lo danno, ed Egli stesso si dà, non è punto ad essi inferiore; poiché è donato, come dono di un Dio, ed Egli medesimo si dà come Dio. « Nessuno infatti può dire, che non sia padrone di sé medesimo e perfettamente indipendente, poiché trovasi scritto di lui: Lo Spirito spira dove vuole. L’apostolo aggiunge: Tutte queste cose, è il solo e medesimo Spirito che le fa, distribuendo i suoi favori a ciascuno com’Egli l’intende. In tutto questo non bisogna dunque vedere né inferiorità in colui che viene donato, né superiorità in quelli che donano; ma l’ineffabile concordia del donato e dei donatori. » (De Trinit., lib. XV, c. XVII, n° 86). Cosi, amore donato, amore infinito, amore vivente, amore principio, amore Dio: tale è lo Spirito Santo. Ora, la proprietà dell’amore è di tendere all’unione; e la proprietà dell’amore infinito è di tendere all’unione infinita. L’unione infinita è l’unità. Fare, secondo il voto del Verbo incarnato, che tutti gli uomini siano uno, un tra loro, uno con Dio, di una verità simile a quella delle tre Persone dell’augusta Trinità; procurare con questa unità universale, la pace, la felicità, la deificazione universale; ecco l’unico pensiero del Re della Città del bene, lo scopo supremo al quale si riferiscono tutte le leggi, tutti i moti del suo governo. O uomo, chiunque tu sia, niente e polvere; se tu consideri la tua nudità, la tua impotenza, la tua triplice nullità di spirito, di cuore e di corpo, quale amore irresistibile non deve destare in te questo titolo adorabile di dono, sotto il quale il Re della Città del bene si rappresenta al tuo pensiero ! Quale energica volontà di vivere sotto le sue leggi! Tu non hai nulla e tu hai bisogno di tutto; lo Spirito Santo è il dono che racchiude tutti i doni: dono della fede che illumina; dono della speranza che consola, dono della carità che deifica; dono dell’umiltà, della pazienza, della santità, dono della conversione e della perseveranza; dono di tutti i beni dell’anima e del corpo. In nome dei tuoi bisogni, dei tuoi pericoli, e delle tue pene; in nome dei bisogni, dei pericoli e delle pene dei tuoi parenti, dei tuoi amici, della società e della Chiesa, sii il suddito fedele del Re nella Città del bene. Invoca con tutta la vivacità della tua fede lo Spirito Dio, dono e donatore, che desidera Egli stesso ardentemente di comunicarsi a te. In lui solo tu troverai tutti i beni, unum bonum in quo sunt omnia bona. Fuori di Lui tutti i mali: indigenza per il tuo cuore; vanità per il tuo spirito, malessere per la tua vita, terrori per la tua morte, supplizi per l’eternità. Egli si chiama unzione, unctio. Fra un numero grande di mirabili significati, unzione vuol dire sapienza e luce. Siccome esso è l’amore per essenza, cosi il Re della Città del bene è la stessa sapienza, la luce senz’ombra, la luce eterna, il sole senza eclisse. Egli partecipa la sua pienezza ai suoi sudditi, e inonda il suo impero. Partecipandone i suoi sudditi diventano tutto ciò che vi ha di più grande tra gli uomini: come Re, Sacerdoti, Profeti. – Come Re: invece d’essere dominati, dominano; invece d’essere servi della materia, delle creature, dei sensi, delle passioni degli angeli ribelli, essi gli tengono incatenati ai loro piedi. Né le promesse, né le minacce, né i rovesci, né le infermità, né le tentazioni fanno cadere la corona dal loro capo, né lo scettro dalle loro mani. La loro autorità diretta dall’eterna sapienza, ha per carattere l’equità, la dolcezza, la forza. (Sap. VIII, 1, e IX, 23) – Come Sacerdoti: essi si servono del loro dominio sulle creature e sopra sé medesimi, per fare di tutto ciò che è creato, di tutto ciò che posseggono, di tutto quel che essi sono, un grande olocausto a Dio, da cui tutto è disceso e a cui tutto deve ritornare. Come Real sacerdote, come popolo amato fra tutti i popoli, dovunque regnano i figli della città del bene, si fa la luce, l’ordine si stabilisce, la civiltà si sviluppa, le nazioni prospere procedono tranquillamente nella loro via. Ne volete la prova? interrogate la storia, e date un’occhiata al mappamondo. Come Profeti; le loro parole e le opere loro, più eloquenti delle loro parole, fanno irradiare sulla terra la luce divina da cui sono inondati. Esse proclamano incessantemente le eterne leggi dell’ordine, l’esistenza del mondo futuro, il gran giorno della giustizia e la duplice dimora di felicità o d’infelicità senza fine oltre la tomba. – « Di più, esclama un Padre della Chiesa, ciò che l’occhio umano può appena scorgere attraverso folte nubi, ciò che tutti i sapienti pagani non fanno altro che intravedere, i cittadini della Città del bene lo vedono chiaramente. Il loro corpo è sulla terra, la loro anima legge nei cieli: essi vedono come Isaia, il Signore assiso sopra un trono eterno. Come Ezechiele, vedono Colui che riposa sopra i Cherubini. Come Daniele, vedono i milioni di Angeli che lo circondano. Un omiciattolo, exiguus homo, vede con un solo sguardo il principio e la fine del mondo, la metà dei tempi, la successione degli imperi. Egli sa ciò che non ha mai imparato; imperocché in esso è il principio di ogni luce. Con tutto che rimanga uomo, ei riceve dal Re della Città del bene una scienza potente che va sino a scoprirgli le segrete azioni altrui. « Pietro in persona non era con Anania e Safira allorquando essi vendevano il loro campo: ma vi era per mezzo dello Spirito Santo. Perché, dice egli, satana ha tentato il vostro cuore sino al punto da farvi mentire allo Spirito Santo? Non v’era né accusatore, né testimonio. Come dunque lo sapeva egli? Non eravate voi liberi, soggiunge, di tenere il vostro campo, e quel che avete venduto non vi apparteneva? Perché dunque avete voi formato questo cattivo disegno? Così quest’uomo ignorante possedeva per la grazia dello Spirito Santo, una scienza che tutti i sapienti della Grecia non conobbero mai. Non trovate voi la stessa scienza in Eliseo? Assente, egli vede Giezi ricevere i doni di Naaman, ed al suo ritorno egli gli dice: Che forse il mio spirito viaggiava con te, poiché il mio corpo era qui; ma lo spirito che Iddio mi ha dato conosce ciò che accade lontano. Vedete come il Re della Città del bene illumina quando vuole, i suoi sudditi, toglie loro l’ignoranza e gli arricchisce di scienza. » (S. Cyrill., Hier., Catech., xvi). – Egli si chiama: DITO DI DIO, digitus Dei. Questo nome di una incomparabile ricchezza indica a un tempo la successione del Re della Città del bene, e la sua infinita potenza, come pure la diversità dei suoi doni e delle sue operazioni nell’eterna unità dell’amore. Ogni volta che l’uomo, come immagine di Dio, studierà sopra sé medesimo, accerterà la giustizia di questo nome divino. Come i diti procedono dalla mano e dal braccio senza essere staccati, cosi lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figliuolo, ai quali resta unito inseparabilmente.(Cor. a Lap. in Exod., VIII, 19). In tutte le lingue il braccio, la mano e i diti significano la potenza e l’azione, di cui sono gli istrumenti necessari. Di qui, il nome di dito di Dio, adoperato cosi sovente dalla Scrittura per notare l’azione onnipotente di Dio sulle creature, materiali o spirituali. Benché in Dio la forza attrice sia unica, essa è però molteplice e multiforme nelle sue opere. Di qui ancora, la Scrittura che parla di tanto in tanto dei diti e del dito di Dio. Cosi il Profeta Isaia ci rappresenta l’onnipotente che solleva il globo con tre diti. (Is., XL, 12). Davide dice al Signore che i cieli sono l’opera dei suoi diti. (Ps. VIII, 4). Mosè annunzia che le Tavole della legge sono scritte col dito di Dio; ed i maghi di Faraone, impotenti a contraffare certi miracoli operati da Aaron e dal suo fratello esclamano: Il dito di Dio è qui.  (Exod., XXX, 18, e 19). Qual nome poteva meglio di questo convenire allo Spirito Santo? Noi lo domandiamo all’uomo medesimo. Non fa egli ogni cosa con le sue dita? Se il genere umano non ne avesse avute, nessuna delle opere meravigliose delle quali è ricoperta la faccia del globo, esisterebbe. Se oggi cessa d’averne, domani tutti questi monumenti non saranno che rovine: lui stesso morrà. Così dunque co’ suoi diti o con quelli dello Spirito Santo, Iddio opera tutte le sue meraviglie, poiché tutte sono opera dell’amore. – Le dita delle nostre mani non servono soltanto a creare, servono pure a pigliare, a dividere, e a distribuire. La loro lunghezza e la loro forza disuguale, gli costituiscono in una mutua dipendenza e formano la bellezza della mano. Così è per mezzo dello Spirito Santo che Iddio somministra e distribuisce a ciascuna creatura i doni che gli riserba; e ciò in proporzioni ineguali; ad una più, all’altra meno, secondo le regole della sua infallibile sapienza. Disuguaglianza necessaria donde resulta la mutua subordinazione degli esseri tra loro, la base di ogni ordine, il principio di ogni armonia nel cielo e sulla terra. E malgrado la molteplicità del loro numero, la diversità delle loro forme, la varietà dei loro movimenti, le dita inseparabilmente unite tra di loro, obbediscono allo stesso impulso. I doni e le opere dello Spirito Santo, comecché sieno varii, procedono dallo stesso principio. Considerate i cieli e la terra; interrogate l’une dopo le altre le innumerevoli creature ch’essi racchiudono; stelle o soli, monti o valli, cedri o viole, tutte vi diranno: È un solo e medesimo Spirito che ci ha fatte: Hæc autem omnia operatur unus atque idem Spiritus. Alzate i vostri sguardi sopra una creazione più magnifica; contemplate gli ordini e le gerarchie di beltà e di disuguale potenza del mondo angelico: esse vi diranno ancora; Questo è un solo e medesimo Spirito che ci ha fatte: Hæc autem omnia operatur unus atque idem Spiritus. Abbassate il. vostro sguardo sul cielo della terra, la Chiesa, madre e modello di tutte le società incivilite. Donde vengono a lei i doni interni ed. esterni, i quali per la loro brillante varietà formano la sua potenza e la sua gloria? Una voce risponde: « Vi è diversità di doni, ma non vi è che un medesimo Spirito; diversità di operazioni, ma non vi ha che uno stesso Dio che opera tutto in tutti. Uno possiede il dono di parlare con sapienza, l’altro con scienza. Un altro il dono della fede; un altro il dono di guarigione; un altro il dono dei miracoli; un altro, il dono di profezia; un altro il dono di parlare diverse lingue; un altro il dono d’interpretarle. Ora questo è un solo medesimo Spirito che opera tutte queste cose: Hæc autem omnia operatur unus atque idem Spiritus. » (I Cor. XII, 4 e segg.). Lavorando ciascuno nella sua sfera tutte le nostre dita tendono allo stesso fine, cioè alla perfezione dell’opera da loro intrapresa. Come tutte le dita di Dio, così tutte le meraviglie dello Spirito Santo tendono ad un fine unico: realizzare nella Città del bene la più perfetta concordia, la più completa unità che si possa concepire, l’unità stessa del corpo umano e la concordia delle sue membra. Come il nostro corpo che è uno, è composto di parecchie membra, e tutte le membra del corpo sebbene numerose non sono tutte che un corpo solo; parimente nella Città del bene, che è il regno dello Spirito Santo e il corpo del Verbo incarnato. Come tutte le membra del corpo lavorano le une per l’altre, e che nessuna può soffrire senza che soffrano tutte le altre, né ricevere onore senza che tutte le altre non se ne rallegrino; cosi accade fra i membri della grande Città, della quale lo Spirito d’amore è la artefice, il re, l’anima, ed il vincolo.1S. Aug. Quæst. Evang. lib. II, etc. Che ideale magnifico! e quest’ideale imperfettamente realizzato sulla terra, lo sarà completamente nell’eternità. Sotto qual titolo possiamo noi invocare lo Spirito Santo che sia in rapporto con i nostri bisogni, quanto quello di dito di Dio? Potenza, bontà, istrumento di miracoli, Spirito Santo, dito di Dio, mescolatevi attivamente nelle nostre faccende e di quelle del mondo attuale. Giudicate la vostra propria causa, riparate, alzate i bastioni della vostra città: dissipate gli eserciti che l’assalgono, fate tacere i bestemmiatori che l’oltraggiano e voi con essi. Che lo splendore delle vostre opere confonda i vostri nemici, apra gli occhi ai ciechi, risvegli gli indifferenti, ammollisca gli induriti, forzi i moderni maghi a confessarsi vinti, affinché il campo delle anime, reso. Ai ministri della verità, riceva finalmente la cultura che sola può surrogare, con frutti di vita, i frutti di morte il cui odore infetto va a provocare sino al cielo terribili catastrofi. O Dito divino, scolpite profondamente nel nostro cuore la legge reale della Città del bene, la fede potente, l’immutabile speranza, l’immortale carità; date a ciascuno di noi l’armatura impenetrabile, della quale abbisogniamo per respingere i dardi infiammati di u nemico più che mai audace. Egli si chiama Paracleto: Paracletus. Attraente al pari degli altri, questo nome vuol dire, avvocato, esortatore, consolatore. Che nomi per un Re ! (S. Ang. in Joan., tract. CXIV, n. 2. — Exhortator, incitator, impulsor. Cor. A Lap., in Joan., XIV, 16).Ancorché lo Spirito del bene non ne avesse altri, questi non basterebbero per chiamare sotto le sue leggi tutti i popoli, tutte le tribù, tutti i membri della disgraziata famiglia umana? Come avvocato Egli difende: ma che difende Egli? La causa a cui fanno capo tutte le cause, tutti i processi, la causa delle anime, la causa dei popoli, la causa della Chiesa e del mondo, la causa dalla quale dipende l’eterna felicità o l’infelicità eterna. Dove la difende Egli? Ei la difende al duplice tribunale della giustizia e della misericordia. Della giustizia all’oggetto di piegarla e disarmarla; della misericordia a fine di ottenerne larghe effusioni di grazie, di forze, di lumi, di aiuti d’ogni genere, sia per preservare i cittadini della sua città dagli assalti del nemico, ossia per guarirli dalle loro ferite. Tribunali della giustizia e della misericordia divina, corti sovrane, dinanzi alle quali non v’è alcuno, re o suddito, popolo o particolare, che ogni giorno, ad ogni ora non abbia una causa attualmente pendente. Come difende Egli? Come sa difendere l’amore. Tutta la sua eloquenza è nei suoi sospiri. Lo Spirito Santo, scrive l’Apostolo, aiuta la nostra infermità, imperocché noi non sappiamo, né ciò che dobbiamo domandare, né come dobbiamo domandarlo; ma lo stesso Spirito domanda per noi con gemiti ineffabili. (Rom. VIII, 26). Com’è dunque profonda, gran Dio! la mia miseria, la miseria dell’uman genere! Privo di tutto e mendicante in questa valle di lacrime, io non conosco i miei veri bisogni; appena gli suppongo, e gli sento ancor meno. Se io gli vedo, ignoro il modo di chiederne il sollievo. Quale necessità maggiore d’avere un abile maestro che m’insegni a mendicare; caritatevole che mendica per me; onnipotente che mendica con successo. Il Re della città del Bene in persona mi rende questo caritatevole ufficio; Ei lo rende a tutti. Si, è di fede: lo Spirito Santo prega per me, e per me si fa mendicante. « Che cosa voglio io dire con ciò? Domanda sant’Agostino. Può lo Spirito Santo gemere, Lui che gode della felicità suprema col Padre e col Figliuolo? No certo. Lo Spirito Santo non piange in se stesso e nella beata Trinità; ma geme in noi, imperocché egli c’insegna a gemere. Insinuandoci alle orecchie del cuore che noi siamo viandanti nella valle delle lacrime; c’insegna a sospirare per la patria eterna, e questo desiderio produce i nostri gemiti. Colui che sta bene, o piuttosto che crede di star bene in questa terra d’esilio, colui che s’inebria della gioia dei sensi, e che nuotando nell’abbondanza dei beni temporali, si pasce di una vana felicità, costui non fa sentire se non che la voce del corvo; poiché la voce del corvo è schiamazzante e non gemente. « Al contrario, colui che sente il peso della vita, e che si vede ancora separato da Dio e privo della beatitudine infinita che ci ha promessa, che possiede in speranza, ma che non possederà in realtà se non il di in cui il Signore verrà splendente della sua gloria, dopo essere venuto nell’umiltà; colui che conosce ciò piange; e finché egli piange per questo, piange con profitto: poiché è lo Spirito Santo che gli insegna a piangere e ad imitare la colomba. Infatti piangono molti, allorquando sono essi colpiti da alcune avversità, o in preda ai dolori dell’infermità, o sotto i catenacci di una prigione, o nelle catene della schiavitù, o nell’onde semiaperte per inghiottirli, o nei lacci tesi dai loro nemici: ma essi non gemono di quel gemito della colomba; non è, né l’amore di Dio che gli fa gemere, né lo Spirito Santo che geme per essi. Perciò quando essi sono liberati dai loro mali, gli sentite esultare ad alta voce: il che dimostra che essi sono corvi e non colombe. » (S. Aug., in Joan., tract. VI, n. 2, opp., t. III, 1737).

Egli è Esortatore. Tutto il bene, degno di questo nome, che si compie sin dal principio del mondo, che tuttora si compie, che si compirà sino alla consumazione dei secoli, è dovuto al Figliuolo dello Spirito Santo, ai cittadini della Città del bene. Chi dà loro la volontà di farlo? il loro Re. Senza il di Lui aiuto nessuno può neppure pronunziare in modo utile per il cielo il nome del Redentore.(I Cor. XII, 3). Abele offre generosamente al Signore i suoi più pingui agnelli. Io vedo il sacrificio: dov’è l’anima che lo ispira? chi ne è l’esortatore? Il Re della Città del bene. – Noè affronta per cento anni le beffe dei suoi contemporanei e costruisce a po’ alla volta l’arca che deve salvare la specie umana. Io vedo il coraggio del patriarca e vedo la nave; ma qual è il sostegno dell’uno e l’ispiratore dell’altro? Il Re della Città del bene. Io vedo Abramo che lega sull’ara l’unico suo figlio Isacco, e sta alzando la mano per immolarlo; chi è l’esortatore e la guida dell’eroico padre dei credenti? Il Re della Città del bene. Io vedo nella serie degli antichi secoli i patriarchi, i re, ed i guerrieri d’Israele compiere mille atti splendidi, trionfare di mille difficoltà, affrontare senza timore dolori senza numero; quale fu l’anima di queste grandi anime? chi fu il loro esortatore? Il Re della Città del bene. – Nei tempi nuovi chiedete ai pescatori di Galilea chi gli ha spinti ai quattro angoli del mondo a fine di spargere dappertutto, come nubi benefiche, le divine rugiade della grazia; chi ha dato loro l’intelligenza e la forza necessarie per intraprendere le loro gravose fatiche, portare la guerra persin nel centro della Città del male, battere in breccia questa città colossale, smantellarla, minarla; e fabbricare in sua vece la città del bene? Quando occorre difendere l’opera divina, a costo di tutti i sacrifici, chi è l’esortatore dei martiri ed il sostegno del loro coraggio, in faccia ai tribunali, alle torture, ai roghi ed alle fiere dell’anfiteatro? Il Re della Città del bene. – Ciò che fu per gli Apostoli e per i martiri il divino Re, lo fu e continua ad esserlo, per i solitari, per le vergini, per i missionari, per i santi ed i fedeli, i quali in tutte le condizioni ed in tutti i paesi, ogni di intraprendono e conducono ad un fine felice l’opera eroica della loro santificazione e della santificazione degli altri. Contate se potete, il numero dei buoni pensieri, delle salutari risoluzioni, dei sacrifici d’inclinazione, di gusto, d’interesse, d’amore, di tendenze, di passioni che debbono per salvare un’anima, riempire una vita di cinquant’anni; calcolatene l’estensione e vedrete, quale buono, quale instancabile e qual potente esortatore è lo Spirito Santo.

Egli è Consolatore. Miei dilettissimi, sin qui io vi ho istruiti, diretti, consolati; ecco perché vi attrista la mia prossima dipartita. Fatevi coraggio, perché Io vi manderò in mia vece un altro consolatore che dimorerà con voi, non per un po’ di tempo come me, ma per sempre. Egli v’istruirà, vi dirigerà, vi consolerà nelle vostre pene, ne’ vostri dubbi, nelle vostre tentazioni, nei vostri incessanti combattimenti. Tale è il significato delle parole del Verbo incarnato annunziante lo Spirito Santo a’ suoi apostoli, alla Chiesa, a noi medesimi. (Joann. XIV, 16). Consolatore. Bisognava conoscer bene l’umanità per dare questo nome al Re della Città del bene. La vedete voi questa povera umanità, rovina vivente, che attraversa da sessanta secoli in qua una terra di miserie, troppo giustamente chiamata la valle delle lacrime: avvolta nelle tenebre, circondata da nemici, affranta da travagli, oppressa da dolori, rosa da cure: lasciando sul selciato della via le macchie del suo sangue, ed ai rovi i brandelli della sua carne: trascinantesi dietro una lunga catena di speranze deluse, scorgendo di lontano, come ultima prospettiva, una tomba semiaperta con misteri di decomposizione ch’essa non ardisce guardare; e al di là, gli abissi imperscrutabili di una doppia eternità? Fa d’uopo convenirne, se l’umanità ha bisogno di qualcuno, è innanzi tutto di un consolatore. Degno di questo nome veramente regio, il Re della Città del bene, è il consolatore per eccellenza: Consolator optime. La sua sovranità non ha altro scopo che di rasciugare le lacrime dei suoi sudditi, o di trasformarle in perle d’immortalità. Consolatore potente; le sue consolazioni non sono vane parole che si frangono alla superficie del cuore, ma sollievi efficaci, e intime gioie. Consolatore universale; non un patimento del corpo, non un dolore dell’anima, non un rovescio di fortuna, non un dubbio, non una perplessità, non un fallo, pei quali non abbia un rimedio, una luce, una speranza. Che l’uomo, il popolo, il secolo il quale non ha nessuna faccenda da trattare dinanzi al tribunale della giustizia e della misericordia divina; che non ha bisogno né di lumi per conoscere il bene, né coraggio per intraprenderlo, né perseveranza per compierlo, né consolazione nelle sue pene, insomma, che il niente orgoglioso che ha la pretensione di bastare a sé medesimo, o di trovare in braccia di carne un appoggio sufficiente per la sua debolezza, disprezza, oblia l’Avvocato divino, l’Esortatore soprannaturale, il Consolatore supremo: noi non ci abbiamo niente da dirgli. Una profonda pietà, delle preghiere e delle lacrime, questo è tutto ciò che resta a dargli. Quanto all’uomo, al popolo, al secolo che ha la coscienza dei suoi bisogni, trova nel fondo dell’anima sua mille motivi ogni giorno più pressanti, di invocare lo Spirito Santo, e di vivere sotto le sue leggi.Tale è, secondo i nomi principali che gli danno questo carattere, il Re della Città del bene. Se a tanti titoli che gli sono propri, si aggiungono quelli ch’Egli divide col Padre e col Figliuolo, ci apparirà come il più grande, il più magnifico, il più sapiente, il migliore di tutti i monarchi; la sua città, come il regno più glorioso, il più libero, il più felice che l’uomo possa sognare; i suoi sudditi, come una famiglia di fratelli, come un’assemblea di dei, incominciati dalla grazia e in via di divenire tanti dei consumati nella gloria. Se un simile spettacolo vi lascia la forza di parlare, sarà per dire col profeta: Città del mio Dio, quanto siete bella! beati coloro cbe vi abitano. (omium habitatio est in te. Ps. LXXXVI, 3, 7).

CONOSCERE LO SPIRITO SANTO (VIII)

IL TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO 

Mons. J. J. Gaume:  

[vers. Ital. A. Carraresi, vol. I, Tip. Ed. Ciardi, Firenze, 1887; impr.]

La Città del bene e la Città del male.

CAPITOLO VII.

(seguito del precedente)

Nuove prove della riparazione del male e della possibilità della salute per tutti gli uomini — Dottrina cattolica: la circoncisione, la fede, il Battesimo — Qual fede è necessaria alla salute ed alla remissione del peccato originale — Dottrina di sant’Agostino e di san Tommaso — Dei fanciulli morti prima di nascere — Degli adulti — Riassunto delle prove e delle risposte.

« La teologia cattolica insegna, che esser salvo, vuol dire essere incorporato in Gesù Cristo, novello Adamo. Anco innanzi l’Incarnazione del Verbo e sino dall’origine del mondo, la salvezza non è stata possibile che a questa condizione. È scritto: sotto il cielo non v’è altro nome dato agli uomini per salvarsi. Ma gli uomini erano innanzi l’Incarnazione incorporati a Gesù Cristo con la fede alla sua futura venuta. Il segnale di questa fede fu la circoncisione. E innanzi a questa erano gli uomini incorporati a Gesù Cristo mediante la fede sola e mediante il sacrificio, segnale della fede degli antichi padri. Dopo il Vangelo, fu mediante il Battesimo. Questo stesso Sacramento non è stato dunque sempre necessario alla salvezza; ma la fede di cui il Battesimo è il segno sacramentale è stata sempre necessaria. » […. Et ideo licet ipsum sacramentum baptismi non semper fuerit necessarium ad salutem; fìdes tamen, cujus baptismus sacramentum est, semper necessaria fuit. S. Th. III, p. q. LXVIII, art.1, corp.]. – Si vede dunque che la circoncisione non era altro che un segno locale e passeggero. Esso, come esclusivamente proprio della stirpe giudaica non era punto obbligatorio per gli altri popoli. La stessa applicazione non si estendeva che ai figli e non alle figlie degli Ebrei. Le nazioni straniere alla posterità d’Abramo, riguardo all’espiazione del peccato originale, rimanevano come gli ebrei stessi, rispetto alle figlie, sottomesse alla condizione primitiva della legge di natura, alla fede cioè manifestata per mezzo del sacrificio. – « Il tempo anteriore al Messia e il tempo posteriore, dice un dotto commentatore di san Tommaso, sono tra loro come l’indeterminato al determinato. Prima della circoncisione, per rimettere il peccato originale non eravi alcun sacrificio determinato, né quanto alla materia, né quanto al tempo, né quanto al luogo. I genitori potevano, a questo fine, offrire il sacrificio ch’essi volevano, quando volevano, e dove volevano. La circoncisione determinò la natura e il tempo del sacrificio, pel quale i figli degli Ebrei dovevano essere purificati dalla macchia originale. – « L’ottavo giorno dopo la nascita, era fissato per questa purificazione, che non poteva essere anticipata. Se prima di quest’epoca, eravi pericolo di morte, i genitori erano ritornati nelle condizioni della legge di natura e potevano purificare il fanciullo con un altro mezzo. Il che fa dire a san Tommaso : « Come avanti l’istituzione della circoncisione la sola fede al Redentore futuro bastava per purificare i fanciulli e gli adulti, così era del pari dopo la circoncisione. Soltanto, innanzi di essa, non si pretendeva nessun segno speciale, come testimonianza di questa fede. È però probabile che in favore dei neonati in pericolo di morte, i genitori fedeli offrissero alcune preghiere al Signore, o adoprassero certa benedizione, o qualche altro segno di fede, » come gli adulti lo facevano per se medesimi e come veniva praticato per le figlie, che non erano soggette alla circoncisione. » [Viguier, Instit., c. xv, § 2, vers. S, p. 468]. Qual è questa fede, che presso i Giudei anteriormente alla circoncisione, e presso i Gentili, fino al angelo, bastava per incorporare gli uomini al secondo Adamo? Essa consisteva essenzialmente nella credenza più o meno esplicita di un vero Dio, redentore del mondo: credenza manifestata da un segno esteriore, come sacrificio, benedizione, preghiera. [S, Th. la 2æ p. CLXXIV, art. 6, corp.]. Ora, chi potrebbe provare che questa fede imperfetta non l’avesse Iddio conservata presso i pagani al grado sufficiente per la salute? Per ciò che riguarda l’esistenza di un solo Dio, sant’Agostino dice: « Le nazioni non sono giammai cadute tanto a basso nell’idolatria da avere esse perduto la nozione di un solo vero Dio creatore di tutte le cose. » [Gentes non usque adeo ad falsos Deos esse delapsas, ut opinionem omitterent unius veri Dei, ex quo est omnis qualiscumque natura. Contr. Faust, lib. XX, n. 19; id,, Lactant De errore.] – Quanto a Dio redentore, Signor nostro, non è egli chiamato il desiderato da tutte le nazioni?[Agg. II, 8]. Non si desidera ciò che non si conosce, e ciò di cui non abbisognarne. Tutte le nazioni dell’antico mondo, i Gentili come pure gli Ebrei, con la consapevolezza della loro caduta, avevano dunque la fede nel futuro Redentore. Ascoltiamo intorno a questa consolante verità, l’incomparabile san Tommaso. Dopo aver ricordato che Dio vuole la salute di tutti gli uomini, aggiunge: « Ora, la condizione necessaria della salute, è l’incarnazione del Verbo. Bisognava dunque che il mistero dell’Incarnazione fosse in qualche modo conosciuto in tutti i tempi e da tutti gli uomini. Questa conoscenza però, ha variato secondo i tempi e le persone. Adamo innanzi di peccare, ebbe la fede esplicita del mistero dell’Incarnazione in tanto che destinato alla consumazione della gloria eterna, ma non in quanto destinato alla liberazione dal peccato, mediante la passione del Redentore…. « Dopo il peccato, il mistero dell’Incarnazione fu creduto con una fede esplicita, non solamente quanto all’Incarnazione del Verbo, ma ancora quanto alla passione ed alla resurrezione, che dovevano liberare l’uomo dal peccato e dalla morte. Altrimenti gli uomini non avrebbero anticipatamente figurata la passione di Gesù Cristo mediante sacrifici, tanto innanzi che dopo Mosè. – I più istruiti conoscevano perfettamente il significato di questi sacrifici. Gli altri credendo questi sacrifici istituiti dallo stesso Dio, avevano per mezzo loro una conoscenza velata del futuro Redentore. Questa conoscenza più oscura nei remoti tempi, divenne più chiara via via che il Messia si avvicinava. « Se si tratta dei pagani, la rivelazione del mistero dell’Incarnazione fu fatta ad un gran numero. Testimone fra gli altri, Giobbe, che dice: Io so che il mio Redentore è vivo. Testimone la Sibilla citata da sant’Agostino. Testimone quell’antica tomba romana, scoperta sotto il regno di Costantino e dell’Imperatrice Irene, in cui trovossi un uomo che aveva una lamina d’oro sul petto con questa iscrizione: Cristo nascerà da una vergine, ed io credo in lui. O sole, tu mi rivedrai sotto il regno di Costantino e di Irene. Se vi ebbero di quelli che furono salvati senza questa rivelazione, non lo furono però senza la fede del mediatore. Certo, essi non ebbero la fede esplicita, ma ebbero quella implicita nella divina Provvidenza, credendo che Dio fosse il liberatore degli uomini, con mezzi ad esso noti e manifesti a coloro, che il di lui Spirito aveva degnato ammaestrarne. » – Trovasi inoltre in tutte le epoche e sotto tutti i climi, l’uso dei sacrifici, delle purificazioni, delle adorazioni, delle preghiere conservate presso i popoli pagani come presso gli Ebrei. Chi potrebbe affermare che ognuno di questi atti, manifestazione di una fede qualunque, non avesse in ogni circostanza una relazione più o meno compresa, tra l’espiazione del peccato in generale e il peccato originale in particolare? Non trovasi egli scritto del centurione Cornelio tuttora pagano, che le di lui preghiere e le sue elemosine erano accette a Dio? (Act. X, 31). Parlando ai pagani del tempo suo, sepolti nella più rozza idolatria, Tertulliano non dice ad essi: « Nella prosperità voi fissate i vostri sguardi al Campidoglio, ma nell’avversità, voi gli alzate al cielo, dove sapete che risiede il vero Dio? » Sarebb’egli pure di una necessità invariabilmente assoluta, che il fanciullo fosse nato per trar benefìcio dalla fede dei suoi genitori? « È vero, risponde un gran teologo, che in nessun luogo si legge che tali sacrifici siano stati offerti o ricevuti per i bambini tuttora nel seno materno. Cosi in virtù di un ordine provvidenziale, legalmente stabilito, nessun bambino prima di nascere, non ha mai ottenuto con sacrifici esteriori, la remissione del peccato originale. Parecchi hanno ricevuto questa grazia per uno special privilegio, come Geremia e san Giovan Battista. Tuttavia non dobbiamo disapprovare né le preghiere, né i voti, né le buone opere esterne dei genitori, per i loro figli nati o da nascere, e che si trovano in pericolo di morte. Imperocché Iddio non ha incatenato la sua onnipotenza ai sacramenti. « Possono essi dunque pregare, affinché Egli si degni nell’infinita sua misericordia condurli al battesimo, o rimetter loro il peccato originale. Allora Iddio che è infinitamente buono, potrà salvarli. Ciò sarà non in virtù di una legge, ma unicamente per grazia. Perciò, senza una rivelazione, non bisogna affermare ch’essi siano salvi, e il corpo loro non deve essere sepolto in terreno sacro, » (Viguier, c. xv, § 2, vers. 8, p. 467-458). Fin dove si estendeva e fin dove si estende ancora questa possibilità della salute per gli infanti sopraccitati, come per gli altri, mediante le preghiere, le opere buone, i sacrifici, la fede, insomma, dei genitori tuttora idolatri? Chi può ancora qui rispondere? Tutti questi dubbi e altri pure che possono, senza offendere l’insegnamento cattolico, essere risoluti nel senso della misericordia, permettono di diminuire, forse infinitamente più che non si creda, il numero dei soggetti, e soprattutto delle vittime eterne dello Spirito maligno. Se ella ne avesse bisogno, questo solo basterebbe per giustificare, agli occhi di ogni uomo imparziale, l’infinita sapienza, e l’infinita bontà dell’eterno amatore delle anime, specialmente di quelle dei bambini. – Venendo agli adulti nati nell’antico paganesimo Egiziani, Assirii, Persi, Greci, Romani, Galli, tutti avevano per sottrarsi all’impero di satana, la conoscenza essenziale della legge primitiva; la grazia per adempirla o per pentirsi d’averla violata; finalmente il Battesimo dì desiderio; il che basta alla salute. Ascoltiamo ancora san Tommaso. Pigliando l’esempio il più decisivo, quello di un selvaggio nato in mezzo alle foreste, e che non ha mai sentito parlare del Battesimo, il gran dottore insegna una dottrina seguita da tutta la scuola. Egli dice che: « Se al momento in cui si sveglia la sua ragione, questo selvaggio si volge verso un fine onesto, Iddio gli concede la grazia, e il peccato originale vien cancellato. Se egli non persevera, gli rimane il rimorso, di modo che nell’una e nell’altra ipotesi, questo povero selvaggio, l’ultimo degli esseri umani, non sarà dannato altro che per sua colpa.1 » (Viguier, Institutiones7 c. xvi, p. 483). – Tali erano generalmente i mezzi di salute dati ai pagani prima della venuta del Redentore. L’incarnazione, mistero d’infinita misericordia, ha forse reso peggiore la condizione degli infedeli d’oggidi, posti nelle stesse condizioni di quelli antichi? Chi oserebbe pretenderlo? Da queste spiegazioni derivano rigorosamente i seguenti corollari;

l°. Se la maggior parte degli abitanti del globo non hanno mai appartenuto all’impero visibile dello Spirito Santo, o come parla la Teologia, al corpo della Chiesa; nessuno può provare che un solo vi sia stato, o vi sia ancora, nell’impossibilità assoluta di appartenere all’impero invisibile dello Spirito Santo, che appellasi l’anima della Chiesa, il che basta per essere salvo. La ragione ne è, che se noi conosciamo i mezzi esteriori pei quali Iddio applica agli uomini i meriti del Redentore, gli innumerevoli mezzi interiori ci sfuggono; e noi dobbiamo dire con Giobbe: « Benché voi gli nascondiate nell’intimo del vostro cuore, io so però che voi vi ricordate di tutto ciò che respira.1 » (Giob. X, 13).

2° Se, a malgrado questa deduzione, la moltitudine dei sudditi di satana rimane cosi considerevole, bisogna imputarlo, non a Dio, ma al libero arbitrio dell’uomo. – Ora nessuno può provare che Iddio abbia dovuto creare l’uomo impeccabile, o che la maggior parte degli uomini abbiano la volontà seria di salvarsi.

3° È bene stabilito che la prescienza di Dio non offende in nulla la liberta dell’uomo, e che Dio non è per niente nel male che l’uomo si è fatto vendendosi al demonio; tanto meno il padre del prodigo nelle vergogne e nelle miserie del suo figlio ribelle. Iddio non è intervenuto se non che per prevenire il male, per contenerlo e per ripararlo. Se il libero arbitrio dell’uomo non vi mettesse ostacoli, la stessa riparazione sorpasserebbe la rovina in profondità ed in estensione.

4° Iddio vuole la salute di tutti gli uomini, niuno eccettuato. La salute, è il godimento eterno di Dio mediante la visione beatifica. Iddio lo vuole di una volontà seria, poiché Egli riserba eterni supplizi a coloro che non l’avranno raggiunta. Egli ha dunque procurato a tutti gli uomini in tutti i tempi, i mezzi di salvarsi, cosicché nessuno sarà dannato se non per propria colpa.

5° Il sapere poi come in certi casi particolari questi mezzi di salute sono applicabili e applicati, quest’è l’incognita del problema. Ora, in domma come in geometria, sciolta o no, l’incognita esiste nondimeno. – Una cosa resta dunque matematicamente certa: ed è, che a malgrado delle misteriose tenebre in cui Egli ravvolge i secreti della sua misericordia, Iddio, essendo la potenza, la sapienza e la infinita bontà, non farà torto a nessuno. Tale è il soave guanciale su cui dormono in pace, e la fede del Cristiano e la ragione dell’uomo, capace di legare due idee: In pace in idipsum dormiam et requiescam. – Dinanzi a questi schiarimenti, per quanto incompleti possano essere, sparisce la difficoltà che abbiamo da risolvere; e con essa l’inquietudine che poteva porre negli spiriti. Niente impedisce dunque di continuare il nostro cammino, e di passare allo studio profondo delle due Città.

CONOSCERE LO SPIRITO SANTO (VII)

IL TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO 

Mons. J. J. Gaume:  

[vers. Ital. A. Carraresi, vol. I, Tip. Ed. Ciardi, Firenze, 1887; impr.]

CAPITOLO VI.

La Città del bene e la Città del male.

Influenza del mondo superiore sul mondo inferiore, provata dall’esistenza della Città del bene e della città del male — Che cosa sono queste due Città considerate in sé medesime — Ogni uomo appartiene necessariamente all’una o all’altra — Necessità di conoscerle a fondo — Estensione della Città del male — Risposta all’obiezione che se ne cava — Il male non costituisce che un disordine più apparente che reale — Gloria che procura a Dio — Le battaglie dell’uomo — La potenza del demonio sull’uomo viene da questo e non da Dio — Dio non è intervenuto nel male che per prevenirlo, contenerlo e ripararlo: prove.

Delle quattro verità che formano la base di questo lavoro, tre sono oramai stabilite. Due Spiriti opposti si disputano l’impero della creazione; avvi un mondo soprannaturale; questo mondo si divide in buono ed in cattivo. I due Spiriti sono: da una parte lo Spirito Santo, cioè lo Spirito di Dio, spirito di luce, d’amore e di santità, avente ai suoi ordini legioni di Angeli, chiamati da san Paolo Spiriti ministri inviati in missione, a prender cura de’suoi eletti. [Hebr., I, 14] Dall’altra lucifero o satana, l’arcangelo ribelle, spirito di tenebre, di odio e di malizia, che comanda ad una armata di spiriti perversi, occupati di continuo a fare dell’uomo il complice della loro rivolta, per farne il compagno delle loro pene. [Eph. VI, 11,12]. – In un lavoro dove si tratterà costantemente degli agenti soprannaturali, era indispensabile lo stabilire innanzi tutto, questi dommi fondamentali, su’quali riposa d’altro canto la vera filosofia della storia. Ne rimane un quarto; l’influenza del mondo superiore, buono o cattivo, su quello inferiore. Noi l’abbiamo già indicata, ma una indicazione non basta. Lo studio profondo di questa duplice influenza, de’suoi caratteri e della sua estensione, è uno degli elementi necessari della storia dello Spirito Santo. Come in pittura lo studio dell’ombre è indispensabile allo studio della luce, così nella filosofia cristiana, la cognizione della redenzione non può essere separata da quella della caduta. Ora la certezza di questo nuovo domma è affermata da un fatto luminoso come il sole, palpabile come la materia, intimo come la coscienza: noi abbiamo nominato la Città del bene e la Città del male. « Due amori, dice sant’Agostino, hanno fatto due città. (Fecerunt itaque civitates duas amores duo. De Civ. Dei, lib. XIV, c. XXVIII) ». I due opposti spiriti, con le forze di cui essi dispongono, non sono rimasti oziosi nelle inaccessibili regioni del mondo superiore. La loro presenza nel mondo inferiore è permanente. Se essi restano invisibili in sé medesimi, le loro opere sono palpabili. Tale è la loro influenza che ognun d’essi ha fatto un mondo, o per ripetere la parola del grande dottore, una città sua immagine. Queste due città, visibili come fa luce, antiche quanto il mondo, così estese quanto il genere umano e così opposte tra loro quanto il giorno e la notte, accusano per autori due spiriti essenzialmente differenti. Queste due Città sono la Città del bene e la Città del male. Per conoscerle, fa d’uopo prima di tutto considerarle in sé medesime. Come svolgimento dell’uomo composto d’un corpo e d’un’anima, ogni società presenta un lato palpabile e un lato spirituale. Nella Città del bene, come nella Città del male, la parte palpabile e visibile è la riunione degli uomini di cui esse si compongono. Sotto il nome di buoni e di cattivi, o, come dice la Scrittura, di figli di Dio e di figli degli uomini, i cittadini di queste due città esistono sino dall’origine dei tempi, e si rivelano ad ogni pagina della storia. Noi li vediamo, noi vi inciampiamo; noi contiamo o tra gli uni o tra gli altri. Provare questo fatto sarebbe superfluo. Niuno d’altronde tenta porlo in dubbio, eccetto il selvaggio incivilito, abbrutito abbastanza per negare la distinzione del bene e del male; ma la negazione del bruto non conta. Il lato invisibile delle due città è lo spirito che le anima. Con ciò intendiamo i fondatori ed i governatori dell’una e dell’altra, per conseguenza, l’azione reale, permanente, universale del mondo superiore sul mondo inferiore, del mondo degli spiriti sul mondo dei corpi. Una di queste due si chiama la Città del bene. La ragione è che il suo fondatore e il suo re è lo Spirito del bene; i governatori ed i guardiani suoi sono gli angeli buoni; i cittadini di essa, tutti gli uomini che lavorano alla loro deificazione conforme al piano tracciato da Dio medesimo. Questa Città è l’ordine universale. Essa è l’ordine perché piglia per regola delle sue volontà, la volontà stessa di Dio, ordine supremo. Essa è l’ordine, perché il suo pensiero coordinando il finito all’infinito, il presente con l’avvenire, tende all’eternità, oggetto di tutti i suoi sforzi e di tutte le sue aspirazioni. Ora l’eternità è l’ordine o il riposo immutabile degli esseri nel loro centro. È l’ordine universale perché in questa città tutto sta al suo posto. Iddio nell’alto e l’uomo al basso. Questa Città è il Cattolicismo. Immensa e gloriosa famiglia, nata col tempo, composta di Angeli e di fedeli di tutti i secoli, e i di cui membri, oggi separati ma non disuniti, formano la Chiesa della terra, la Chiesa del Purgatorio, la Chiesa del Cielo, fino al giorno in cui, confondendosi in un abbraccio fraterno, queste tre Chiese non formeranno altro che una Chiesa eternamente trionfante. – L’altra è la Città del male. La si chiama cosi, perché il suo fondatore e suo re è lo Spirito del male; i suoi governatori gli angeli caduti: i cittadini, tutti gli uomini che lavorano alla loro pretesa deificazione, conforme alle regole date da satana. Questa Città è il disordine, disordine universale. È il disordine perché piglia se stessa per regola, senza tener conto della volontà di Dio. Ella è il disordine, perché frangendo nel suo pensiero le relazioni tra il finito e l’infinito, tra il presente e l’avvenire, si concentra nei limiti del tempo, i cui godimenti formano l’unico oggetto delle sue aspirazioni e delle sue fatiche. Essa è il disordine universale, perché nient’altro è in suo luogo. L’uomo in alto, Dio in basso. Questa città è il Satanismo. Immensa e orrida famiglia, nata dalla ribellione angelica, composta di demoni e di malvagi di tutti i paesi e di tutti i secoli; sempre febbricitante di libertà, e sempre schiava, sempre in cerca della felicità, e sempre infelice fino al dì in cui l’ultimo colpo del fulmine dell’ira divina la farà rientrare violentemente nell’ordine, precipitandola tutta quanta nei cuocenti abissi dell’ eternità. Ivi, per non aver voluto glorificare l’eterno amore, glorificherà essa l’inesorabile giustizia. (S. Aug,, De Citi. Dei, lib. XIX, c. XXVIII, e lib. XI, c. XXXIII, dove si trova un vivo ritratto delle due città).Vedesi dunque, che come non vi sono tre spiriti, così non vi sono tre città, ma due sole; queste due città abbracciano il mondo inferiore ed il mondo superiore, il tempo e l’eternità. Quindi, per ogni creatura intelligente, angelo o uomo, la terribile alternativa d’appartenere all’una od all’altra, al di qua e al di là della tomba. « Qualunque cosa facciasi, ci gridano con instancabile voce la ragione, l’esperienza e la fede, l’uomo vive necessariamente sotto l’impero dello Spirito Santo, o sotto l’impero di satana. Voglia o non voglia, egli è cittadino della Città del bene, o cittadino di quella del male.  (Quisque enim aut Spiritu sancto plenus est, aut Spiritu immundo; neque utrumque horum caveri potest, quin alterum accidere necesse sit. Constit. apostol., lib, IV, c. XXVI). D’onde il motto di sant’Ilario: « Dove non è lo Spirito Santo vi è il Diavolo. » Ubi non est Spiritus Dei, ibi Diabolus. » Essendo libero di darsi un padrone, non è però libero di non ne avere. S’ei si sottrae all’azione dello Spirito Santo, non diventa indipendente, ma cade proporzionatamente alla sua diserzione, sotto l’azione di satana. Ciò che è vero dell’individuo, è vero eziandio della famiglia, della nazione, e della stessa umanità. Conoscere a fondo le due città, come dimora tanto della vita che della morte, come vestibolo del Cielo e vestibolo dell’Inferno, è dunque per l’uomo di un interesse supremo. Conoscerle a fondo, è conoscerle nel loro governo, nella loro storia, nelle opere e nel fine loro. Iniziarci a questa conoscenza decisiva e così rara ai nostri dì, sarà l’oggetto dei seguenti capitoli. Ma avanti di porsi a provarla, dobbiamo schiarirla. Due città si dividono il mondo, e la più estesa è la Città del male. Secondo le più recenti statistiche, la terra sarebbe popolata da mille duecento milioni d’abitanti. Su questo numero noveransi appena duecento milioni di Cattolici. Tutto il rimanente, almeno esteriormente, vive e muore sotto il dominio dello spirito malvagio. Nulla prova che questa proporzione non sia stata sempre ciò ch’ella è oggidì. Prima dell’Incarnazione del Verbo, essa era molto più forte in favore di satana. Cos’è dunque questo mistero, pietra di scandalo pel debole, cavallo di battaglia per l’empio? e come conciliarlo con l’idea di Dio ed i precetti della fede? Per non lasciare nessuna inquietudine negli animi, ci sembra necessario di appianare sin d’ora questa difficoltà, che accrescerebbe di troppo il seguito del nostro lavoro. Tutto ciò che noi pretendiamo e tutto ciò che si è in diritto di sapere è, non di spiegare quel che è inesplicabile, ma di mostrare che la divisione dell’uman genere tra il buono ed il cattivo Spirito, non offre nessuna contradizione con gli attributi di Dio e le dottrine rivelate. Ora, per fare svanire la difficoltà, basta questo. Che sia un mistero la formidabile potenza del demonio sull’uomo e sulle creature noi ne conveniamo. Ma questo che cosa prova? Dentro di noi, intorno a noi, nella natura come pure nella religione, non è egli tutto un mistero? Noi non lo intendiamo per niente, ha detto Montaigne, e nemmen noi giungeremo mai a capirlo. Opere di Dio, la natura e la Religione si avvicinano per tutti i punti all’infinito. Comprendere l’infinito, è tanto possibile all’uomo, quanto il mettere l’Oceano in un guscio di noce. Ma il mistero del fatto non toglie nulla alla certezza del fatto. Lo stesso incredulo più ostinato lo confessa. Ciascuno dei suoi aliti è un atto di fede verso tali incomprensibili misteri. L’istante in cui cessasse di credervi, ei cesserebbe di vivere. Sarebbero questioni impertinenti il domandare perché Dio ha permesso questa terribile potenza, perché in tali limiti piuttostoché in tali altri. Che cosa è l’uomo, che abbia diritto di chiedere a Dio ragione della sua condotta e dirgli: Perché avete voi fatto questo? Se l’osasse, guai a lui, poiché sta scritto: lo scrutatore della maestà divina sarà oppresso dalla gloria. (Qui scrutator est majestatis opprimetur a gloria. Prov.,) Due volte guai se ardisse aggiungere: Poiché io non comprendo, ricuso di credere. Una simile pretesa posta per principio è il suicidio dell’intelletto. L’intelletto vive di verità, e ogni verità racchiude un mistero. Pretendere di non ammettere altro che ciò che si capisce è un condannarsi a non ammetter nulla. Perciò il non ammetter nulla, più che abbrutimento, è il nulla. Contuttociò, allorché la potenza del demonio e la colpevole obbedienza dell’uomo alle perverse ispirazioni di lui, sono studiate senza idee preconcette, perdono una parte della loro oscurità misteriosa. Prima di tutto vediamo ch’esse costituiscono un disordine puramente passeggiero e più appariscente che reale; poi vediamo ch’esse non hanno nulla di contrario alle divine perfezioni. Disordine passeggiero. La lotta dello Spirito del male contro lo Spirito del bene ha per limiti la durata del tempo. Questo paragonato all’eternità che lo precede ed all’eternità che lo segue, è men che un giorno. A fine di ragionar con giustezza dell’ordine provvidenziale, bisogna dunque unire il tempo all’eternità; come pure per giudicare sanamente di una cosa, bisogna considerarla non in un punto isolato, ma nell’insieme. Secondo questa regola di saviezza, il disordine che si misura dalla durata del tempo, è relativamente all’ordine provvidenziale nella sua generalità, ciò che è una nube fuggitiva sull’orizzonte rifulgente di luce. Disordine più apparente che reale. Il fine principale della Creazione e dell’Incarnazione, come di tutte le opere esteriori di Dio, è la sua gloria. (Universa propter semetipsum operatus est Dominus. Prov. XVI, 4. — Propter me, propter me faciam, ut non blasphemer: et gloriam meam alteri non dabo. Is., XLVIII, 12) – Il fine secondario, è la salute dell’uomo. La gloria di Dio, è la manifestazione degli attributi suoi: la potenza, la sapienza, la giustizia, la bontà. Che la lotta del bene e del male esista o no; ch’essa sia favorevole all’uomo o sfavorevole; che l’uomo si perda o si salvi, Dio avrà pur sempre raggiunto il suo fine essenziale. L’inferno non canta la gloria di Dio con minore eloquenza del cielo. Se uno proclama la bontà, l’altro proclama la giustizia; e la giustizia non è un attributo meno glorioso a Dio di quello della bontà. (S, Th. 1a p. q. 68, art. 7 ad.)- (Iddio certamente ha visto fino da ab eterno la caduta degli Angeli e dell’uomo, ma questa visione non ha per nulla nociuto alla libertà degli Angioli e dell’uomo. Sono entrambi caduti, non perché Dio l’ha visto, ma Dio ha visto il perché sono caduti. Altrimenti sarebbe l’autore del male, e il male stesso. Che la visione eterna di Dio non nuoce alla libertà dell’uomo è facile il dimostrarlo. Io veggo un uomo che cammina. La mia vista non gli impone nessuna necessità di camminare. Cosi, la prescienza, o piuttosto la vista di Dio non gli impone nessuna necessità agli atti liberi. Malgrado questa vista, io sono libero di cessare gli atti che io faccio, e anche di fare il contrario. In una parola. Dio ha voluto che gli Angeli e l’uomo fossero liberi, affinché fossero capaci di merito e di demerito. Noi tutti sentiamo d’esser liberi: dunque la prescienza di Dio non ha impacciato in nulla la libertà degli Angeli o di Adamo, e non inceppa in nulla la nostra. Quanto alla salute dell’uomo, Dio la rende sempre possibile, e l’ottiene ben più gloriosamente mediante la guerra che mediante la pace. Nell’ordine attuale, un solo giusto che si salvi, dice in un luogo sant’Agostino, procura più gloria a Dio che non possano togliergliene mille peccatori che si perdono. Per perdersi, basta che l’uomo si abbandoni alle sue corrotte inclinazioni; mentre che per salvarsi, bisogna vincerle. Un istante di riflessione mostra tutto quel che ridonda a gloria di Dio in una simil vittoria. Che cosa è l’uomo, e chi sono i suoi nemici? L’uomo è una canna, e una canna per natura inclinata verso il male. L’intera natura, ribellata contro di lui sembra congiurata a schiacciarlo. Intorno ad esso, miriadi di animali malefici o molesti, con dente micidiale, o con veleno ancor più micidiale, attentano notte e giorno al suo riposo, ai suoi beni, alla sua vita. Sopra di lui, il cielo che lo illumina, l’aria che respira, divenuti ora gelo, ora fuoco, pongono la conservazione de’ suoi giorni a prezzo di cure faticose e di precauzioni inutili. In prospettiva gli appare la tomba, al termine della sua dolorosa carriera, con i suoi tristi misteri di dissolvimento. Al presente, l’infermità sotto tutte le forme col suo innumerevole seguito di dolori più vivi gli uni degli altri, lo assedia sin dalla culla e lo spinge incessantemente alla irritazione, al rammarico, qualche volta alla bestemmia ed anche alla disperazione. Invece di alleggerire il suo peso, i compagni dei suoi pericoli e delle sue fatiche non servono troppo di sovente che ad aggravarlo. La metà del genere umano pare creata per tormentar l’altra. Condannato a coltivare una terra ingombra di spine, mangia un pane quasi sempre bagnato di sudore o di lacrime. Ei trascina sul difficile sentiero della vita, simile al galeotto, la lunga catena delle sue speranze deluse. Oggi, ricco e contornato da amici; domani povero e derelitto. La sua fisica esistenza non è altro che una continua successione di disinganni, di umilianti servitù, di fatiche e di dolori, e per conseguenza di terribili tentazioni. – Mentre che al di fuori tutto cospira contro di lui, internamente egli è obbligato a sostenere una guerra ancor più terribile. Circondato da nemici invisibili, arrabbiati, indefessi; da una malizia e da una potenza i cui limiti sono sconosciuti, per sopraggiunta porta in sé medesimo delle intelligenze dì e notte intente ad abbandonarlo. Insidie d’ogni specie son tese a ciascuno dei suoi sensi, e lo stesso bene gli diventa occasione di caduta; così è l’uomo. (Cosi egli è sempre stato. La di lui triste condizione, dipinta da sant’Agostino, darà, lo spero, largo campo alla misericordia. “Vita hæc, vita misera, vita caduca, vita incerta, vita laboriosa, vita immonda, vita domina malorum, regina superborum, plena miseriis et erroribus— quam humores tumidant, dolores extenuant et ardores exsiccant, aer morbidat, escæ inflant, jejunia macerant, joci dissolvunt, tristitiae consumunt, sollicitudo coarctat, secUritas hebetat, divitiae infiant et jactant, paupertas dejicit, juventus extollit, senectus incurvat, infìrmitas frangit, moeror deprimit. Et his malis omnibus mors furibunda succedit. Meditaz. c. XXI). – Ebbene! quest’essere cosi fragile, così combattuto, cosi esposto a cadere, che un semplice cattivo pensiero quanto è grosso un capello lo separa dall’abisso, lotterà per sessant’anni senza cadere; o, se talvolta egli cade, si rialza, ripiglia coraggio; e malgrado la natura, malgrado l’inferno, malgrado se stesso, rimane vittorioso nell’ultimo combattimento. Respingere il nemico non è che una parte della sua gloria. Vedete questo figlio della polvere e della corruzione, che piglia l’offensiva, e che s’innalza con l’eroismo delle sue virtù fino alla rassomiglianza di Dio; e che poi porta la guerra al centro stesso dell’impero nemico, atterra le cittadelle di satana, gli strappa le sue vittime, pianta lo stendardo della croce sulle rovine dei templi di lui, guarisce ciò che aveva ferito, salva quel che aveva perduto, in premio del suo sangue allegramente versato, e fa fiorire l’umiltà, la carità, la verginità in milioni di cuori, schiavi sin’allora dell’orgoglio, dell’egoismo e della voluttà. – Questo spettacolo di un eroismo che gli Angeli ammirano e del quale essi sarebbero gelosi, se la gelosia trovasse accesso nel cielo, non avrebbe mai avuto luogo senza il combattimento. Mercé di questo, tutti i secoli l’han visto, tutti lo vedranno, e nel di delle manifestazioni supreme, le nazioni riunite accoglieranno con acclamazioni immense questo magnifico trionfo della grazia, che Dio stesso coronerà di un’eterna gloria, facendo sedere il vincitore sul di lui proprio trono. (Qui vicerit dabo ei sedere mecum in throno meo. Apoc. III, 21) D’altra parte, bisogna notar bene che non è Dio che ha dato al demonio il suo terribile impero sull’uomo, ma è l’uomo stesso. La potenza del demonio gli viene dalla eccellenza medesima della sua natura. Come angelo, il peccato non gli ha fatto perder nulla dei suoi doni naturali, né della sua forza, né della sua intelligenza, né della sua attività prodigiosa. L’impero naturale ch’egli ha sopra di noi, l’esercita con più o meno estensione, secondo i consigli divini, e troppo sovente secondo la permissione che noi medesimi abbiamo l’imprudenza di dargli. Nel primo caso, la potenza del demonio, come la vediamo per l’esempio di Giobbe e degli Apostoli, (Job., I, 12; Luc., XXII, 31) è controbilanciata da quella della grazia, di guisa che la vittoria ci è sempre possibile, e lo stesso combattimento sempre vantaggioso. « Dio è fedele, dice san Paolo, e non permetterà mai che voi siate tentati oltre le vostre forze; egli vi farà altresì approfittare della tentazione, affinché possiate perseverare. (I Cor. X, 13) » Nel secondo caso, l’uomo deve incolpare soltanto sé medesimo della potenza tirannica del demonio. Cosi, Adamo conosceva molto meglio di noi il mondo angelico. (S. Th., ì, p. q. xc, art. 2. corp.). Nel momento della tentazione, sapeva perfettamente qual fosse la terribile potenza di Lucifero, e a qual tiranno ei si vendeva, disobbedendo a Dio. D’altra parte ei possedeva tutti i mezzi di rimaner fedele e ne conosceva i motivi. Dio, per onorarlo al pari degli Angeli, gli aveva dato il libero arbitrio. Il Creatore, la cui sapienza aveva unito la beatitudine soprannaturale degli spiriti angelici a uno sforzo meritorio, era egli obbligato di crear l’uomo impeccabile, o di coronarlo senza combattimento? Dunque malgrado i lumi della sua ragione, malgrado il grido della sua coscienza, malgrado l’aiuto della grazia, Adamo disobbedisce a Dio per obbedire al demonio, e diviene suo schiavo. In tutto ciò, Dio non c’entra per nulla. La potenza tirannica del demonio sul primo uomo è il fatto del primo uomo. La tentazione di Adamo è il tipo di tutti gli altri. Allorquando noi vi soccombiamo, diamo volontariamente appiglio su di noi al nostro nemico. Dio non ci è per nulla se non se per l’oltraggio, ch’ei riceve dalla nostra ingiusta preferenza. (Iddio non è Fautore del male che deturpa, ma del male che punisce. Questo assioma è esposto da san Tommaso cosi: Deus est auctor mali pœnæ, non autem mali culpœ. I. p. q. XLVIII, art. 6. corp.). – Che dico io? nel male che l’uomo fa a sé medesimo, dandosi al demonio, Dio interviene per prevenirlo e per ripararlo. Ei lo previene: e per porre Adamo ed i suoi figli al coperto dalle seduzioni del tentatore, gli provvede di tutti i mezzi di resistenza, ed annunzia loro chiaramente le conseguenze inevitabili della loro infedeltà: se voi disobbedite, morrete, morte moriemini. Adamo affronta questa minaccia, e i discendenti di lui lo imitano. Il diluvio viene a vendicare Iddio oltraggiato, e l’uomo si ostina nella suo ribellione. Appena la catastrofe è passata che i discendenti di Noè volgono le spalle al Signore, e con allegrezza di cuore si danno al culto del demonio; e adonta di nuove minacce e di nuovi castighi, satana diviene il dio e il re di questo mondo. Quello che fecero i peccatori in antico, noi lo vediamo fare dai peccatori d’oggidì. Con chi debbono rifarsela della formidabile potenza del demonio e della loro deplorabile schiavitù? Io veggo un padre pieno di tenerezza e di esperienza che dice al maggior figlio: Non mi lasciare; se tu ti allontani da me, tu cadrai in un abisso, in fondo al quale c’è un mostro pronto a divorarti. Il figlio disobbedisce, cade nell’abisso e diviene preda del mostro. L’esempio del fratello maggiore non fa più saggi gli altri figli e cadono anch’essi nell’abisso dove il mostro gli divora. E questi figli possono imputare il padre suo della loro disgrazia? In questo padre vediamo Dio; in questi figli indocili vediamo Adamo, vediamo tutte le generazioni di peccatori che si sono succedute dalla caduta originale in poi. – È dunque una bestemmia il rendere Dio responsabile delle nostre cadute e della potenza tirannica del demonio sul mondo colpevole. Ei lo ripara. Appena che l’uomo si è venduto, Iddio dona il proprio suo figlio per redimerlo. Questo Figlio adorabile rigenerando l’uomo col suo sangue, diviene un secondo Adamo, ceppo di un nuovo genere umano, ristabilito in tutti i suoi diritti perduti. Come basta d’essere figlio del primo Adamo per essere schiavo del demonio, cosi, per cessare di esserlo, basta diventare figlio del secondo Adamo. (Sicut in Adam omnes moriuntur, ita et in Cirri sto omnes vivifìcabuntur. I Cor., XV, 22).  Cosicché, nella potenza lasciata al demonio per divina sapienza, non bisogna vedere che due cose: primo, una condizione della prova, necessaria alla conquista del regno eterno; secondo, la grandezza della ricompensa, che sarà il frutto di una vittoria tanto a caro prezzo acquistata. Rimane a sapersi come si diviene figli del seconda Adamo e se tutti possono diventarlo. L’uomo è il figlio dell’uomo mediante una generazione umana; ei diviene, figlio di Dio mediante una generazione divina. Questa generazione si completa nel Battesimo. Qui ricomparisce, come una insolubile obiezione, l’impero immenso del demonio, in tutte le epoche della storia. — Da un lato, Dio vuole la salute di tutti gli uomini; egli ciò vuole di una volontà positiva, poiché il suo Figlio è morto per tutti gli uomini. Ora, la salute non è solamente il possesso di una felicità naturale dopo la morte, né l’esenzione dalle pene dell’inferno, ma bensì la felicità soprannaturale che consiste nella visione intuitiva di Dio (Omnes homines vult salvos fieri, et ad agnitionem veritatis venire. I Tim., XI) — (Pro omnibus mortuus est Christus, ut et qui vivunt jam non sibi vivant, sed ei qui prò ipsis mortuus est et resurrexit. II Cor., V, 15) – (Il fine della redenzione è di rendere all’uomo, con usura, tutto ciò che ha perduto col peccato originale. Ora Adamo, cioè dire ogni uomo, è stato creato in uno stato di giustizia soprannaturale il cui termine è la chiara vista di Dio nel cielo. Dunque il frutto della redenzione è di rendere ad ogni uomo lo stato soprannaturale e il cielo in cui va ad aver termine. Conc. Trid. sess. V, De Peccat. orig.). Dall’altra, niuno può esser salvo senza esser battezzato. (Nisi quis renatus fuerit ex aqua,et Spiritu Sancto, non potest introire in regnum Dei. Joan., III, 5.). Come conciliare, con l’antico stato del genere umano e la statistica attuale del globo, la possibilità del Battesimo per tutti gli uomini? Qual modo hanno avuto ed hanno ancora d’essere battezzati tante migliaia di milioni di creature umane, completamente straniere al Cristianesimo? Bisogna egli forse ammettere, per esempio, che tutti i fanciulli nati da sei mil’anni in qua fuori del Cristianesimo, e morti innanzi d’aver potuto peccare, siano eternamente privi della vista di Dio? Se così fosse, come stabilire che Dio ha bastantemente provvisto alla riparazione del male? Tutto ciò è mistero. Ma lo ripetiamo: una verità per essere misteriosa, non è per questo men certa. Ora, che Dio abbia bastantemente provveduto alla riparazione del male, dando a ciascun uomo tutti i mezzi di salvarsi, è una verità tanto certa quanto l’esistenza stessa di Dio. Ammettere che sia altrimenti, sarebbe ammettere un Dio senza verità, senza potenza, senza sapienza, senza bontà infinita; un Dio che vuole il fine senza volere i mezzi; un Dio che non è Dio, un Dio nullo. Questa risposta del semplice buon senso è perentoria e si potrebbe starcene a questa. Non pertanto cercheremo di dare alcune spiegazioni nel seguente capitolo.

CONOSCERE LO SPIRITO SANTO (VI)

IL TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO 

Mons. J. J. Gaume:  

[vers. Ital. A. Carraresi, vol. I, Tip. Ed. Ciardi, Firenze, 1887; impr.]

CAPITOLO V.

Conseguenze di questa Divisione.

Espulsione degli angeli ribelli — Loro dimora: l’inferno e l’aria — Passi di san Pietro e di san Paolo — di Porfirio — di Eusebio — Di Beda — di Viguiero — di san Tommaso — Ragione di questa doppia dimora — Dal Cielo discende la lotta sulla terra — L’odio contro il domina dell’Incarnazione, ultima parola di tutte le eresie e di tutte le rivoluzioni, innanzi e dopo la predicazione del Vangelo — Odio particolare di Satana contro la donna — Prove e ragioni.

E il Dragone, aggiunge l’Apostolo, venne precipitato sulla terra, projectus in terram. [Et postquam vidit Draco quod projectus esset in terram, etc. Apoc., XII, 18]. – Qual è questa terra? Parlando della caduta di Lucifero e de’ suoi complici, san Pietro dice che Dio gli ha precipitati nell’inferno, dove sono tormentati e tenuti in riserva sino al dì del giudicio. [Rudentibus inferni detractos in tartarum tradidit cruciandos, in judicium reservari, II Petr. II, 4]. Altrove egli ci esorta alla vigilanza prevenendoci che il demonio, simile ad un leone che ruggisce, gira di continuo a noi d’intorno per divorarci. [Vigilate quia adversarius vester diabolus tanquam leo rugiens, Circuit quaerens quem devoret. I Petr., V, 8]. – San Paolo dal canto suo, chiama Satana il principe delle potenze dell’aria, ed avvisa l’uman genere di porsi indosso la sua divina armatura a fine di poter resistere agli assalti del demonio. « Per noi, dice egli, la lotta non è contro i nemici di carne e di sangue, ma contro i principi e le potenze, contro i governatori di questo mondo di tenebre, gli spiriti maligni, che abitano nell’aria. » [Secundum principem potestatis aeris hujus. Ad Ephes. II, 2. — Induite vos armaturam Dei, ut possitis stare adversus insidias diaboli. Quoniam non est nobis colluctatio adversus carnem et sanguinem; sed adversus principes et potestates, adversus mundi rectores tenebrarum harum, cantra spiritualia nequitiæ, in cœlestibus. Id., VI, 11 et 12].  A questo modo, i due organi più illustri della verità, san Pietro e san Paolo, danno a vicenda per abitazione agli angeli caduti, l’inferno e 1’aria che ci circondano. Malgrado un’apparente contradizione, il loro linguaggio è esatto: è l’eco rimbombante della tradizione universale. Sotto il nome di Plutone o di Serapide, gli antichi popoli non hanno eglino forse ammesso un re dell’inferno, che abita le tenebrose regioni del Tartaro, e circondato da dii infernali satelliti suoi e suoi cortigiani Non hanno essi nel tempo stesso proclamato con mille sacrifici, con mille suppliche, mille differenti riti, la presenza di quelli dèi infernali negli strati inferiori della nostra atmosfera, insieme alla loro malefica azione sull’uomo e sul mondo? Dice Porfirio: « Non è invano che noi crediamo soggetti i demoni malvagi a Serapide, che è lo stesso dio di Plutone. E poiché questo genere di demoni abita i luoghi più prossimi alla terra, all’ oggetto di saziare più liberamente e più di sovente le loro abominevoli inclinazioni, non v’è sorta di delitti ch’essi non abbiano costume di tentare e di far commettere. » [Improbos dæmones Serapi subditos esse haud temere suspicamux…. atque idem prorsus qui Fiuto deus iste est. Porphyr., apud Eìiseb., Præp, Evang., ibid. IV, cap. XXIII, etc. — Hoc genus dæmonum, ut in locis terræ vicinioribus cupiditatis explendæ causa libentius frequentiusque versatur, nihil piane, sceleris est, quod moliri non soleat. Ibid., lib. IV, cap. XXII]. – Sotto questo rapporto il linguaggio dell’ umanità cristiana è simile a quello dell’umanità pagana. I Padri della Chiesa parlano come i filosofi. Ecco quel che dice il Signore rivolgendosi a Lucifero: « Tu fosti generato sul monte santo di Dio; tu nascesti in mezzo a pietre rilucenti di fuoco. Tu le sorpassavi per splendore sino al dì in cui l’iniquità penetrò nel cuor tuo. La tua scienza si è corrotta con la tua beltà, e ti ho precipitato sulla terra. » [Ezech. XXVIII, 14 e seg.]. – « Da queste parole e da altre ancora, noi veniamo chiaramente a conoscere, dice Eusebio, il primo stato di Lucifero fra le più divine potenze e la sua caduta dal più alto grado, a motivo del suo orgoglio segreto e della sua rivolta contro Dio. Ma sotto di lui troviamo miriadi di spiriti dello stesso genere, inclinati alle stesse prevaricazioni, ed a causa della loro empietà espulsi dal beato soggiorno. Invece di quello splendido cerchio di luce, soggiorno della Divinità, invece di quella gloria che brilla nella celeste magione, invece della società dei cori angelici, essi abitano la dimora preparata per gli empii, per la giusta sentenza di Dio onnipotente, il Tartaro, che i libri santi designano sotto il nome d’abisso e di tenebre. « A fine di esercitare gli atleti della virtù e di arricchirli di meriti, una parte di questi esseri maligni ha ricevuto da Dio il permesso di abitare intorno alla terra, nelle regioni inferiori dell’aria. Questa è divenuta la causa concomitante del politeismo, che non val meglio dell’ateismo; è quella che la Scrittura nomina coi nomi che le convengono: di spiriti malvagi, di demoni, di principati e di potenze, di principi del mondo, di re malefici dell’aria. Altre volte in vista di rassicurare gli uomini, suoi dilettissimi, Iddio gli designa sotto tanti simboli, per es. allorché dice: Voi camminerete sull’aspide e sul basilisco; voi calpesterete il leone e il dragone. » [Praep. Evang., lib. VII, cap. XVI.]. – Per omettere altri venti nomi, Beda il venerabile, nell’ottavo secolo, parlava in Occidente come Eusebio, al quarto secolo, aveva parlato in Oriente. Ecco le sue parole: « Sia che i demoni sorvolino nell’aria o ch’essi percorrano la terra, ossia che vaghino nel centro del globo, o che vi siano come incatenati, dappertutto e sempre portano seco le fiamme che gli tormentano: simili al febbricitante che stando in un letto d’avorio, o esposto al raggi del sole, non può evitare il calore o il freddo inerente alla sua infermità; cosi i demoni, ancorché siano onorati in splendidi templi, o che percorrano gli spazi immensi dell’ aria, non cessano per questo di ardere del fuoco dell’ inferno. » [Comment. in cap, in, epist. Jacob.]. – Più tardi un altro testimonio della fede universale si esprime in questi termini: « Una parte degli angeli cattivi, cacciati dal cielo, è rimasta nella oscura regione delle nuvole, vale a dire, negli strati mezzani e inferiori dell’atmosfera, portando seco l’inferno. Essi stanno ivi per una disposizione della Provvidenza, per tenere in esercizio gli nomini. Un’altra parte è stata precipitata  nell’inferno, spogliata di ogni nobiltà e di ogni dignità non però naturale, attesoché, come insegna san Dionigi, gli angeli caduti non hanno perduto i loro doni naturali, ma bensì i doni gratuiti, vale a dire l’amicizia di Dio, le virtù e i doni dello Spirito Santo, chiamati da Isaia le delizie del Paradiso. » [Viguier, c. m, § 2, v. 15, p. 97]. – San Tommaso col suo acume ordinario scopre la ragione di questo doppio soggiorno: « La Provvidenza, dice l’angelico dottore, conduce l’uomo al suo fine in due maniere: direttamente, portandolo al bene, che è il ministero degli Angeli buoni: indirettamente, esercitandolo alla lotta contro il male. Conveniva che questa seconda maniera di procurare il bene dell’uomo fosse affidata agli angeli cattivi, affinché essi non fossero del tutto inutili all’ordine generale. Da ciò deriva che vi sono per essi due luoghi di tormenti; uno per ragione della loro colpa, ed è l’inferno; l’altro per ragione dell’esercizio che essi debbono procurare all’uomo, ed è la tenebrosa atmosfera che ci circonda. « Ora, procurare la salute dell’uomo deve durare fino al giorno del giudizio: dunque durerà fino allora il ministero degli Angeli buoni e la tentazione dei cattivi. Cosi gli Angeli buoni, continueranno ad esserci mandati fino all’ultimo giorno del mondo, ed i cattivi seguiteranno ad abitare le regioni inferiori dell’aria. Per altro ve ne sono alcuni tra di loro che dimorano nell’inferno per tormentare quelli che vi sono trascinati; come pure una parte degli angeli buoni rimane nel cielo con le anime dei santi. Ma dopo il giudizio, tutti i cattivi, tanto uomini che angeli, saranno nell’inferno, e tutti i buoni nel cielo.1 » [Pars I, q. LXIV, art. 4, corp.]. – Il testo sacro continuala dire: Il Dragone precipitato che fu una volta sulla terra, si mise a perseguitare la Donna, persecutus est mulierem. Quale è questa persecuzione? Non è altro che la continuazione della gran battaglia di Lucifero e degli angeli suoi, contro il Verbo incarnato. Sulla terra come nel cielo, oggi come al principio e sino alla fine del mondo, sono gli stessi combattenti, le armi stesse, lo stesso fine. Qui sta tutta la filosofia dell’istoria passata, presente e futura. Ohi non capisce ciò, non capirà mai nulla del grande enimma, che si chiama la vita del genere umano sulla terra. Noi abbiamo visto, e pigliando ad imprestito le parole di Cornelio a Lapide, ripetiamo che: « Il peccato di Lucifero e dei suoi angeli fu un peccato di superbia. Essi avendo avuto conoscenza del mistero dell’Incarnazione, videro con gelosia preferita la natura umana all’angelica. Di qui l’odio loro contro il Figlio della Donna, vale a dire il Cristo. Di qui la loro guerra nel cielo, guerra a morte che essi continuano sulla terra.2 » (Apoc. XII, 4). – Lucifero e i suoi satelliti non essendosi potuti opporre al decreto dell’unione ipostatica della natura divina con l’umana, sono costantemente e unicamente occupati a deluderlo nei suoi effetti. Rendere impossibile o inutile la fede al dogma dell’Incarnazione; tale è l’ultima parola di tutti i loro sforzi. Apriamo la storia. Mercé la malizia del demonio, l’uomo che sopra ogni altro doveva profittare dell’Incarnazione, incomincia per divenire prevaricatore. Satana per ritenerlo eternamente lontano dal Verbo suo liberatore, aggrava il suo nobile schiavo di una triplice catena. Sino alla venuta del Messia, tre grandi errori dominano le nazioni: il Panteismo, il  Materialismo, il Razionalismo. Questi tre grandi errori si riassumono in un solo, che n’è il principio e la fine; il Satanismo.Queste mostruose eresie, madri di tutte le altre, tendono, come è facile vederlo, a rendere radicalmente impossibile la credenza al domma dell’Incarnazione.

1) Il Panteismo: se tutto è Dio, l’Incarnazione è inutile.

2) Il Materialismo: se tutto è materia, l’Incarnazione è assurda;

3) Il Razionalismo: se la suprema sapienza è credere alla sola ragione, l’Incarnazione é chimerica.

Questo in quanto alle nazioni pagane. – Quanto al popolo ebreo, incaricato di conservare la promessa del gran Mistero, tutti gli sforzi di satana hanno per fine di trascinarlo nell’idolatria. Diverse volte, almeno in parte, vi riuscì. Israele ai piè degli idoli perde persino la memoria del Verbo incarnato, futuro liberatore del mondo. Allora, satana regna in pace sull’uman genere vinto, e la storia dell’antichità non è che la storia del suo insolente trionfo. Che cosa vediamo noi allorché giunge la pienezza dei tempi? Da tutte le parti arrossiscono le infernali potenze. La guerra contro il dogma dell’Incarnazione ricomincia con un accanimento indicibile. Per impedire che si stabilisca, satana scatena le persecuzioni; e per rovinarlo nello spirito di coloro che l’hanno accettato egli scatena le eresie. Per otto secoli, dal tempo degli Apostoli sino ad Elipando ed a Felice di Urgel, passando per Ario, lo sforzo dell’Inferno si porta direttamente sul dogma dell’Incarnazione. Lo stesso assalto più o meno mascherato continua nei secoli susseguenti. – Per un ricorso troppo significativo, la divinità del nostro Signore, o il mistero della Incarnazione, chiave di volta del mondo soprannaturale, è ridiventata sotto i nostri occhi, ciò ch’essa fu al principio, il fine confessato, il punto capitale, l’ultima parola dell’eterno combattimento. Ario non è egli risuscitato ed abbellito in Strauss, in Renan e consorti, corifei della lotta presente? satana nell’aspettare la rovina quasi totale della fede verso il dogma riparatore, funesta vittoria che gli è annunziata per gli ultimi giorni del mondo, moltiplica i suoi sforzi, a fine di renderla inutile a coloro che la conservano ancora. Egli spinge oggi i Cristiani, come anticamente gli ebrei, a ogni sorta d’iniquità: che è ciò che san Paolo chiama l’idolatria spirituale, il cui effetto immediato è di annientare in tutto o in parte la salutare influenza dell’augusto mistero. (Quod est idolorum servitus. Gal., v. 20). – L’oggetto eterno dell’odio di satana, è dunque il Verbo incarnato; ecco l’ultima parola delle persecuzioni, degli scismi, delle eresie, degli scandali, delle tentazioni e delle rivoluzioni sociali: in altri termini, ecco la spiegazione della gran battaglia che, incominciata nel cielo, si perpetua sulla terra, per far capo all’eternità della felicità, ovvero all’eternità della infelicità. – Ma perché l’Incarnazione è stata, è tuttavia, e sarà sempre l’unico oggetto della lotta tra il cielo e l’inferno? Questa questione è fondamentale. Solamente la risposta può spiegare l’eterno accanimento di tal battaglia, come pure la natura e l’insieme dei mezzi adoperati dall’assalto e dalla difesa. L’Incarnazione è la base di tutto il Cristianesimo. Ma qual è il fine dell’Incarnazione? Già l’abbiamo indicato: è di deificare l ‘uomo. (Il lettore cattolico intende da se, quanto questa deificazione della quale parla l’autore, nel significato cattolico sia lontana dall’assurdità che avrebbe, intesa nel significato panteìstico. Del resto l’autore più sotto spiega anche con maggiore evidenza il suo pensiero. (V. d. Ed.). –  Iddio non se lo è nascosto. Le sue parole, ripetute venti volte, manifestano il suo consiglio. « Io l’ho detto: voi siete tanti Dei e tutti figli dell’Altissimo. Si chiameranno: Figli del Dio vivente. Siate perfetti, come è perfetto il vostro Padre celeste medesimo; imperocché voi partecipate della natura divina. Vi è stato dato il potere di diventare figli di Dio. Vedete dunque qual è la carità del Padre, egli vuole che non solo siamo chiamati, ma che siamo realmente figli di Dio.2 » (Ego dixi: Dii estis et filii Excelsi omnes. Ps LXXXI , 6. — Dicetur eis: Filii Dei viventis. Osee, I, 10. — Estote ergo vos perfecti, sicut et Pater vester coelestis perfectus est. Matth., V, 48. — Divinæ consortes naturæ. II Petr., i, 4. — Dedit eis potestatem filios Dei fieri. Joan., I, 12. — Videte qualem charitatem dedit nobis Pater, ut filii Dei nommemur et simus. I Joan., III, 1). – L’uomo conosce il divino consiglio, e lo ha sempre conosciuto. Sa, ed ha sempre saputo, nel significato cattolico della parola, ch’egli deve diventare Dio. Egli vi aspira con tutte le potenze del suo essere. Satana pure lo sa, e prende l’uomo per questo verso. Mangiate di quel frutto e voi sarete come Dio, questa è la prima parola che egli gli indirizza. (Gen., III. 5). Tale n’è il significato: « Voi dovete essere tanti Dii, lo so e non lo contrasto. Soltanto vi propongo un mezzo breve e facile per divenirlo. Per essere Dii vi è stato detto: umiliatevi; obbedite; astenetevi; riconoscete la vostra dipendenza. Sottoporvi a simili condizioni, è volgere il tergo alfine. L’abbassarsi non può condurre all’innalzamento. Volete voi giungervi? rompete i vostri lacci, il primo passo verso la deificazione è la libertà. » – Avvi del vero in queste parole come in qualsisia eresia: il vero è che l’uomo dev’essere divinizzato. Il falso è ch’egli possa divenirlo seguendo la via indicata da satana. Perciò, notiamolo bene; comunque strana ella sia, questa promessa di deificazione non eccita nei padri dell’uman genere, né meraviglia, né indignazione, né sorriso di disprezzo. Essi l’accolgono; e, per averla presa nel significato del tentatore, si perdono accogliendola. Per conseguenza, san Tommaso nota con ragione che il principale peccato dei nostri primi padri non fu né la disobbedienza, né la gola, ma bensì il desiderio disordinato di diventare simili a Dio. La disobbedienza e la gola furono i mezzi; l’ambizione illegittima d’esserle come Dii, fu lo scopo finale della loro prevaricazione. – « Il primo uomo, dice il gran dottore, peccò principalmente pel desiderio di diventare simile a Dio quanto alla scienza del bene e del male, secondo la suggestione del serpente: in modo da potere, con le sole forze della sua natura stabilire da sé medesimo le regole del bene o del male; o conoscere anticipatamente e da se stesso la felicità o l’infelicità che poteva avvenirgli. In secondo luogo peccò pel desiderio di diventare simile a Dio, quanto alla potenza d’agire, in modo da giungere alla beatitudine con le proprie sue forze. » (2a 2ae, q. LXIII, art. 2, corp.). Qui san Tommaso non è altro che l’eco di sant’Agostino che dice chiaramente: « Adamo ed Èva vollero rapire la divinità, e persero la felicità. » (Adam et Èva rapere voluerunt divinitatem et perdiderunt felicitatem. Gloss. in Ps. LXIII). Che certi antropologi la cui audacia giunge persino a negare l’unità della specie umana, spieghino l’influenza di questa magica parola sopra tutti gli abitanti del globo: voi sarete come Dii. Questa parola vincitrice, or son mille anni, dei padri della nostra stirpe, satana la ripete costantemente alla posterità loro, e ne ottiene lo stesso successo: egli non ne conosce altre, ed infatti quella gli basta. La psicologia del male, studiata con attenzione, dimostra che un desiderio di divinità è nel fondo di tutte le tentazioni: le vittime di satana non sono sue vittime, tranne che per aver voluto essere come tanti Dii. In conclusione, tanto per parte dello Spirito di luce che per parte dello Spirito di tenebre, tutto si raggira intorno alla divinizzazione dell’uomo. Il primo vuole operarla con l’umiltà; il secondo con l’orgoglio. Uno dice all’uomo sulla terra, la parola apoteizzante che dice all’Angelo in cielo: Sottomissione. L’altro ripete all’uomo la parola corrompitrice, che egli stesso pronunziò in cielo: Indipendenza. Da questi due principii opposti scaturiscono, come due rivi dalle loro sorgenti, i mezzi contradittorii dell’apoteosi divina, e dell’apoteosi satanica. – È inutile aggiungere che la prima è la verità, la seconda, una contraffazione; che l’una rende l’uomo veramente figlio di Dio, immagine viva delle sue perfezioni, erede del suo regno, compagno della sua gloria; e l’altra, figlio di satana, complice della sua ribellione e compagno del suo castigo. Esiste per altro, tra questi opposti mezzi, un parallelismo completo, che noi faremo conoscere più tardi; imperocché non è il minor pericolo della grande persecuzione dell’angelo caduto. « Lucifero e i suoi ministri faranno grandi prodigi, e cose meravigliose in modo da sedurre, se fosse possibile, gli stessi eletti: (Matth. XXIV, 24) » tale è l’avvertimento troppo dimenticato del Divino maestro. Vero in tutti i tempi, sembra divenirlo oggi più che mai, e domani lo sarà ancor più d’oggidì. L’Apostolo termina la grande istoria del male, dicendo: E il Dragone perseguitò la donna che partorì il figliuolo: Persecutus est mulierem quæ peperit fìlium. – La persecuzione ci è nota; ma qual donna ne è l’oggetto? È la donna per eccellenza, madre del figlio per eccellenza. È la donna di cui fu detto allo stesso Dragone, subito dopo la sua prima vittoria: « Io decreterò la guerra tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua; essa ti schiaccerà il capo, e tu tenderai dell’insidie al suo calcagno. (Gen. III, 15) » Volete voi conoscerla? Porgete l’orecchio alla voce dei secoli passati e dei secoli presenti: tutti ripetono il nome di Maria. – Ma come mai Maria, il cui passaggio sulla terra si è compiuto in pochi anni, in un angolo oscuro della Palestina, può Ella essere l’oggetto di una persecuzione cosi durevole quanto i secoli, e così estesa quanto il mondo? Maria è la Donna immortale. Quaranta secoli avanti la sua nascita essa viveva in Eva; e satana lo sapeva. Dopo diciotto secoli, ella vive nella Chiesa, e satana neppure questo ignora. Ma viveva in Eva. Ella vi viveva come la figlia nella madre sua, o piuttosto come il tipo in un ritratto. Secondo i Padri, Adamo fu formato sul modello del Verbo incarnato, ed Eva su quello di Maria. Sin dall’origine, Maria fu in Eva la madre di tutti i viventi, perché Ella doveva partorire la vita: Mater cunctorum viventium. Questo mistero, noto a satana, spiega il di lui odio particolare contro la donna. Certo la donna colpevole è stata condannata alla dipendenza dell’uomo, e ai dolori propri al suo sesso. Ma questa condanna basta ella per spiegare la sua trista condizione in tutti i secoli e su tutti i punti del globo? Che cosa sono i patimenti dell’uomo paragonati alle umiliazioni, agli oltraggi, ai dolori della donna? Donde deriva questa differenza? Il credere che ella, abbia la sua causa unicamente nella colpabilità maggiore della donna primitiva, ci sembra una affermazione arrischiata, per non dire un errore. – È vero, che secondo san Tommaso, il peccato di Eva fu, sotto molti rapporti, più grande di quello di Adamo; ma è vero altresì che, secondo lo stesso dottore, il peccato d’Adamo relativamente alla persona, fu maggiore di quello di Eva. (2a 2æ, q. CLXIII, art. 4, corp.) Come fare a provare che agli occhi della giustizia divina non vi sia una sorta di compenso che riconduca i colpevoli all’eguaglianza? Se rimane una differenza sfavorevole alla donna, basta ella a giustificare l’enorme aggravio della sua pena? Basta a spiegare soprattutto la indubitabile preferenza che ha sempre avuta nell’odio di satana? In tutti i paesi dove egli ha regnato, e dove regna tuttora, essa è la più infelice creatura che sia sotto il cielo. Nata schiava, bestia da soma, battuta, venduta, oltraggiata in ogni maniera, oppressa dalle più dure fatiche, la sua istoria non può scriversi che con lacrime di sangue e di loto. Perché questa ferocia del Dragone contro l’essere il più debole, e da cui pare per conseguenza che si abbia meno da temere? Donde viene quella predilezione nello scegliere la donna, e soprattutto la giovinetta per medium, per organo delle sue menzogne, per istrumento delle sue ridicole o colpevoli manifestazioni? (La storia è piena di queste vergognose preferenze). – Noi non potremmo dubitare esser questa una vendetta del Dragone. Nella donna, e soprattutto nella vergine, egli vede Maria. Egli vede quella che gli deve schiacciare il capo; e perciò vuole ad ogni costo tormentare la donna, avvilirla, degradarla, sia per vendicarsi della sua disfatta, ossia per impedire al mondo di credere alla incomparabile dignità della donna, e scuotere cosi fino nelle sue fondamenta il dogma dell’Incarnazione: Persecutus est mulierem. (Questa preferenza dell’odio, dice Camerario, si osserva persino nell’ordine puramente fisico. L’opinione è che i serpenti, nemici crudeli dell’uomo, lo sono ancor più della donna; essi l’assalgono più spesso e più spesso la uccidono co’ loro morsi. Un fatto evidente lo conferma, ed e che se vi ha una sola donna in una gran quantità d’uomini, è quella che il serpente cerca di mordere. « Id enim in eo maxime perspicitur, quod etiam in turba frequentissima virorum, serpens unius mulieris, etiam si sola fuerit, calcibus insidiari consueverit. » Medit. Hist., par I, cap. IX, p. 81). – Ma calcolando bene, non parrebbe egli più giusto che dovesse l’uomo e non la donna avere la preferenza nell’odio di satana? Poiché alla fine non è la donna ma l’uomo-Dio che ha distrutto l’impero del demonio. Certo, il vincitor del Dragone è il Figlio della Donna; ma è vero altresi che senza la donna, senza Maria, questo vincitore non sarebbe esistito; e che satana continuerebbe ad essere pacificamente ciò che egli fu in antico, il dio ed il re di questo mondo. L’osservazione è tanto più giusta, in quanto che il vincitore di satana non è venuto dall’uomo, ma dalla donna, senza veruna partecipazione dell’uomo. A ragione dunque incolpò il Dragone non l’uomo ma la donna, della sua disfatta. Per questa stessa ragione dunque Iddio medesimo gli annunziò che la donna e non l’uomo, gli schiaccerebbe il capo: e così in fine la Chiesa fece omaggio a Maria delle sue vittorie, e fece ripetere a Lei da tutte le parti del globo: Rallegrati, o Maria; tu sola hai distrutto tutte le eresie da un capo all’altro della terra. (Gaude, Maria Virgo, cunctas haereses sola interemisti in universo mundo. Brev. Rom., offic. B. M. Virg.) A giusto titolo dunque la donna è l’oggetto preferito dall’odio di satana: Persecutus est mulierem. Insomma a tutti i trionfi di Maria corrispondono i ruggiti del Dragone, ed essi divengono tanto più spaventosi, quanto è più sorprendente il trionfo. Oh come queste idee così ragionevoli insieme e misteriose, cosi sublimi e così semplici, spiegano a meraviglia la lotta feroce, inaudita, della quale siamo noi oggidì i testimoni! Per sollevare tanti furori che cosa ha fatto la Chiesa? È inutile il domandarlo. Essa proclamando il dogma dell’Immacolata Concezione ha glorificato l’eterna nemica di satana di una gloria sin qui sconosciuta. Ora, con l’innalzare sino agli ultimi estremi il trionfo di Maria, ha fatto cadere sul Dragone l’ultimo scoppio della folgore da cui fu minacciato sei mila anni fa. È veramente oggi che il piede verginale della donna gravita con tutto il suo pondo sul capo del serpente. Che Pio IX soffra di angosce inaudite, egli le ha ben meritate. (L’acuto lettore non avrà mancato di osservare, che lo studio profondo dell’autore sui mali dei suoi tempi, e sulle vere cause di quelli, lo fa apparire, quasi diremmo, dotato di lume profetico. Anche dopoché l’autore dettava queste pagine stupende, quanto non è cresciuta la rabbia di satana, e dei suoi complici! Quanto maggiormente inaudite divennero le angosce di Pio IX, finché la Vergine glorificata da lui non lo chiamava al cielo, nel momento che i sacri bronzi invitavano i pii fedeli a benedire Colei che per la divina Maternità era stata l’oggetto costante dell’odio di Satana! – N. d. Ed.-). – Essendo Maria stata perseguitata in Eva sua madre, e in tutte le donne, sue sorelle, con una rabbia la cui storia può appena delinearne di nuovo il quadro, lo fu eziandio nella sua persona. Dal presepio alla croce qual fu la sua vita? Donna dei dolori, come suo figlio fu l’uomo dei dolori, ad Ella appartiene il diritto esclusivo di ripetere di generazione in generazione: « O voi tutti che passate per via, osservate e vedete se v’è un dolore da paragonarsi al mio! (O vos omnes, qui transitis per viam, attendite et videte si est dolor sicut dolor meus. Thren., I, 12). » A nessun altro; e per conseguenza conviene come a Lei, il titolo di Regina dei Martiri. –  Muore Maria, e la persecuzione non si ferma dinanzi alla sua tomba. Infatti, come Maria aveva vissuto in Eva, sua madre e sua figura, così ella vive nella Chiesa, sua figlia e suo prolungamento. Diciamo la sua Figlia, poiché il sangue divino che ha partorito la Chiesa è il sangue di Maria. (Beata Virgo Maria, ait Ambrosius, mater est, imo avia Ecclesiæ; quia eum peperit, qui caput et parens est Ecclesiæ. – Apud Corn. a Lap. in Apoc., XII, 1). Noi diciamo il suo prolungamento; perché la Chiesa è come Maria, Vergine e Madre tutt’insieme: vergine, perché l’errore non l’ha mai macchiata; madre, perché essa partorisce -tanti Cristi quanti partorisce Cristiani: Chrìstianus alter Christus. Maria fu la sposa dello Spirito Santo; la Chiesa ha lo stesso privilegio. È desso che la protegge, che la nutrisce, che ne piglia cura e che la fa Madre d’innumerevoli figli.33 (Corn. a Lap. in Gen. III, et in Apoc., XIII, 1). – Così, la donna, oggetto dell’odio eterno del Dragone, è Eva, è Maria, è la Chiesa, o meglio è Maria sempre vivente in Eva e nella Chiesa. Donna per eccellenza, in cui un privilegio senza esempio riunisce le più incompatibili glorie della donna, l’integrità della vergine e la fecondità della madre: Donna della Genesi e dell’Apocalisse, posta al principio ed alla fine di tutte le cose; sii benedetta! La tua eccellenza ci dà l’ultima parola della grande lotta che senza di te nessuno saprebbe capire; come pure la tua missione, immortale come la tua esistenza, spiega l’immortalità dell’odio infernale del quale tu sei l’oggetto, e noi con te: Persecutus est mulierem quæ peperìt masculum.

CONOSCERE LO SPIRITO SANTO (V)

IL TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO 

Mons. J. J. Gaume:  

[vers. Ital. A. Carraresi, vol. I. , Tip. Ed. Ciardi, Firenze, 1887; impr.]

CAPITOLO III

Dogma che ha cagionato la divisione del mondo soprannaturale.

L’Incarnazione del Verbo, causa della caduta degli angeli — Prove: dottrina dei Teologi — San Tommaso — Viguier — Suarez — Catharin.

Decretato sino ab æterno il dogma dell’Incarnazione del Verbo, fu a suo tempo proposto all’adorazione degli Angeli. Alcuni accettarono umilmente la superiorità ch’esso creava in favore dell’uomo; altri, ribellatisi per la preferenza data all’umana natura, protestarono contro il divino consiglio. Tale essendo l’opinione della maggior parte degli illustri dottori, essa merita per ogni rispetto l’attenzione del teologo e del filosofo. Il primo vi trova la soluzione delle più alte questioni della scienza divina. Al secondo spiega essa unicamente il carattere intimo dell’eterna lotta del bene e del male. Comunque siasi, tre incontrovertibili proposizioni ci sembrano dimostrarne la giustezza. Il mistero dell’Incarnazione fu la prova degli Angeli: 1° se essi hanno avuto cognizione di questo mistero; se questo mistero era di natura da ferire l’orgoglio loro e da eccitare gelosia; 3° se il Verbo incarnato è l’unico oggetto dell’odio di satana e dei suoi angeli. – Sentiamo i dottori che stabiliscono questa triplice verità: « Sin dal principio della loro esistenza, dice san Tommaso, tutti gli Angeli conobbero in qualche maniera il mistero del regno di Dio adempito mediante il Cristo; ma soprattutto partendo dal momento in cui essi furono beatificati con la visione del Verbo: visione che non ebbero mai i demonii, imperocché fu essa la ricompensa della fede degli angeli buoni. (Mysterium regni Dei, quod est impletum per Christum, omnes quidem angeli a principio aliquo modo cognoverunt; sed maxime ex quo beatificati sunt visione Verbi, quam dæmones nunquam habuerunt. – P. I, q. LXIV, art. 1, ad. 4) » – Che tutti gli Angeli, senza eccezione, abbiano avuto sin dal primo istante della loro creazione una certa conoscenza del Verbo eterno, la ragione si eleva sino a capirlo. Il Verbo è il sole di verità che illumina ogni intelletto che esce dalla notte del nulla; non ve ne sono però altri. Gli Angeli come specchi di una rara perfezione non poterono non riverberare qualche raggio di quel sole divino, del quale essi erano le più perfette immagini. Ma, quantunque essi avessero la coscienza di se medesimi, e delle verità che possedevano, quei raggi erano ancora velati e dovevano esserlo. Creati gli Angeli nello stato di grazia, non godettero però sin dall’origine della visione beatifica. Essi non conobbero dunque che imperfettamente il regno di Dio mediante il Verbo. Le cognizioni preliminari degli spiriti angelici furono, che questo Verbo adorabile, pel quale tutto è stato fatto, sarebbe il punto d’unione tra il finito e l’infinito, tra il Creatore e la creazione tutta quanta, e che in tal modo stabilirebbe gloriosamente il regno di Dio sopra l’universalità delle sue opere. Era insomma il mistero in germe dell’Incarnazione, o della unione ipostatica del Verbo con la creatura; ma nulla di più. (Fa d’uopo dire altrettanto dello stesso Adamo, e per le stesse ragioni. S. Th. II. 2a, q. n, art. 7. corp., ec.; e q. I, p. XCIV, art. 1, corp). – Spiegando le parole del maestro: « Gli Angeli, dice un dotto discepolo di san Tommaso, hanno una duplice cognizione del Verbo, cognizione naturale e soprannaturale. » – « Una cognizione naturale, con cui essi conoscono il Verbo nella sua immagine, risplendente nella loro propria natura. Questa prima cognizione, illuminata dalla luce della grazia e riferita alla gloria di Dio e del Verbo, costituiva quella beatitudine naturale nella quale essi furono creati. Pur tuttavia essi non erano ancora perfettamente beati, poiché essi erano capaci di una maggior perfezione, e che potevano perderla, il che infatti ebbe luogo per un gran numero. « Una cognizione soprannaturale o gratuita, in virtù della quale gli Angeli conoscono il Verbo per essenza e non per immagine. Essa non fu data loro al primo istante della loro creazione, ma al secondo, dopo una libera elezione per parte loro. » – Ascoltiamo adesso Suarez, per la cui bocca, dice Bossuet, parla tutta la scuola: « Bisogna tenere per molto probabile l’opinione che crede, che il peccato originale commesso da lucifero, sia stato il desiderio dell’unione ipostatica: ciò che l’ha reso sin da principio il nemico mortale di Gesù Cristo. Ho detto che questa opinione è molto verosimile, e continuo a dirlo. Abbiamo dimostrato che tutti gli Angeli, nello stato di prova, avevano avuto rivelazione del mistero dell’unione ipostatica che doveva compiersi nella natura umana. È dunque credibilissimo che lucifero abbia trovato in ciò l’occasione del suo peccato e della sua caduta. » (Viguier, cap. III, § 11, vers. 6, p. 79) – Una delle glorie teologiche del concilio di Trento, Catharin, sostiene altamente la stessa opinione, e con altri commentatori spiega egli così il testo di san Paolo: E allorquando lo introdusse di nuovo nel mondo, Egli disse: che tutti gli angeli l’adorino. (Hebr. I, 6). Perché questa parola di nuovo, una seconda volta? « Perchè il Padre eterno aveva già introdotto una prima volta il suo Figliuolo nel mondo, allorché, sin dal principio, Egli lo propose all’adorazione degli Angeli e rivelò loro il mistero dell’incarnazione. Lo introdusse una seconda volta, allorquando lo mandò sulla terra per incarnarsi effettivamente. Ora, a questa prima introduzione e rivelazione, lucifero ed i suoi angeli rifiutarono a Gesù Cristo di adorarlo ed obbedirlo. Tale fu il loro peccato. « Difatti, secondo la dottrina comune dei Padri, il demonio ha peccato per invidia contro l’uomo, ed è più probabile ch’egli abbia peccato prima che l’uomo fosse creato. Ora, non bisogna credere che gli angeli abbiano invidiato la perfezione naturale dell’uomo, in tanto che creata ad immagine e similitudine di Dio. In questa supposizione, ogni Angelo avrebbe avuto la stessa ragione, ed anche una più forte, quella d’ingelosire gli altri Angeli. È dunque più verosimile che il demonio abbia peccato per l’invidia della dignità con cui ha visto innalzare la umana natura nel mistero dell’Incarnazione. » (Opusc. de gloria Beator. apud Vasquez, pars I, q. LXIII, disp. 233). – Nel capitolo seguente verranno nuove autorità a confermare l’opinione dell’illustre teologo.

CAPITOLO IV.

(continuazione del precedente.)

Naclanto — Nuovo passo di Viguier — Ruperto — Ragionamento —

Testimonianza di san Cipriano, di sant’Ireneo, di Cornelio a Lapide

— Conclusione.

Un altro membro del concilio di Trento, il dottissimo vescovo di Foggia, Naclanto, così si esprime: « Sin dal principio, lucifero e lo stesso Adamo conobbero il Cristo, almeno per il lume della fede e di una rivelazione particolare, come il Creatore, il Signore e l’Oceano di tutti i beni. Ma, traviati per propria loro colpa, rimossero gli occhi dalla luce, e come se non l’avessero conosciuto per il Signore e per l’autore di ogni grazia e di ogni felicità, rifiutarono di sottometterglisi. Essi lo disprezzarono altresì nel modo il più empio: cosi la Scrittura spiega il non conoscerlo. Quanto a lucifero, la cosa è evidente. Non solo egli pretese innalzarsi da sé medesimo nel cielo, ma di più uccidere Cristo, invadere il suo trono e costituirsi in suo luogo. » (Enarrat, in epist ad Eph., cap. I, p. 49, in-fol.). –  Per stabilire che l’odio verso il Verbo incarnato fu il peccato di lucifero, e che non ha altro scopo che di combatterlo, Naclanto dimostra dal canto suo che il Verbo incarnato non ha altro pensiero che di combattere satana e di distruggere l’opera sua, « Cristo è venuto per distruggere le opere del diavolo. Infatti, muore Cristo, e il capo di satana è schiacciato, e cacciato egli stesso dal suo impero. Cristo scende all’inferno, e satana è spogliato; le armi ed i trofei nei quali riponeva egli la sua fiducia gli son tolti. Cristo trionfa, e satana, nudo e prigioniero, è consegnato e lasciato in balìa del disprezzo del mondo, e lasciato in. Esempio ai suoi partigiani. » (Venit Christus ut dissolvat opera diaboli. Cliristo moriente, contritum est caput ejus; et ipse foras est a principatu dejectus. Christo descendente, Tartarus est spoliatus, et arma et trophaea in quibus confidebat sunt direpta. Christo triumphante, nudus et captivus palam est ostentatus, et reliquia ejus membris in exemplum traductus. Enarr. In Epist. ad Eph., XI, p. 100).  – La stessa dottrina trovasi, ma in una maniera più esplicita, nel gran teologo spagnolo Viguiero. Parlando del testo di san Tommaso (Part. I, q. LXIII, art. 3; et De malo, q. XVIII, art. 8, ad 4) egli dice: « lucifero, considerando la bellezza, la nobiltà e la dignità della sua natura e della sua superiorità su tutte le creature, dimenticò la grazia di Dio, a cui tutto doveva. Disconobbe inoltre i mezzi di giungere alla perfetta felicità che Dio riserba ai suoi amici. Pieno d’orgoglio, ambì quella felicità suprema, e il cielo dei cieli, retaggio della natura umana, che doveva essere unita ipostaticamente al Figlio di Dio. Egli invidiò quel posto, il quale, nella Scrittura è chiamato la destra di Dio, s’ingelosì dell’umana natura, e comunicò il suo desiderio a tutti gli Angeli, dei quali egli era naturalmente il capo. – « Siccome egli era superiore agli Angeli nei doni naturali, cosi volle esserlo pure nell’ordine soprannaturale. Insinuò loro dunque di sceglierlo per mediatore o mezzo di giungere alla beatitudine soprannaturale, in luogo del Verbo incarnato, predestinato da tutta la eternità a questa missione. Tale è il significato dèlle sue parole: Io salirò al cielo; sopra le stelle di Dio innalzerò il mio trono, salirò sul monte del testamento al lato di settentrione. Sormonterò l’altezza delle nuvole, sarò simile all’Altissimo.  (Is., XIV, 13, 14) « Risovvenendosi i buoni Angeli allo stesso istante della grazia di Dio, come principio di tutti, i beni, e conoscendo per via della fede la passione del vero mediatore, il Verbo incarnato, cui gli eterni decreti avevano riserbato il posto e l’ufficio di mediatore del quale Lucifero voleva impadronirsi, non vollero per niente associarsi alla sua rapina. Essi gli seppero resistere; e grazie al merito della passione preveduta del Cristo, vinsero mediante il sangue dell’Agnello. In cotal modo quella gravitazione verso Dio che fin dal primo istante di loro creazione avevano essi incominciata, parte per inclinazione naturale, parte per impulso della grazia, liberamente, ma imperfettamente, la continuarono poi in piena e perfetta libertà. « In quanto agli angeli cattivi, ve ne furono di tutte le gerarchie e di tutti gli ordini, in tutto formanti la terza parte del cielo. Abbagliati essi, come Lucifero, dalla nobiltà e dalla bellezza della loro natura, si lasciarono adescare dalla brama di ottenere la bellezza soprannaturale, mediante le proprie loro forze e col soccorso di Lucifero; se ne stettero alle di lui suggestioni, applaudirono al suo progetto, portarono invidia alla natura umana, e giudicarono che l’unione ipostatica, l’ufficio di mediatore e la destra di Dio, si addicevano meglio a Lucifero che alla natura umana, inferiore alla natura angelica. « Dopo quell’istante, la cui durata ci è ignota, di libera e completa elezione, l’Iddio onnipotente comunicò ai buoni Angeli la chiara visione della sua essenza, e condannò al fuoco eterno i cattivi, con lucifero, loro capo, a cui disse: Tu non salirai, ma scenderai, e sarai trascinato nell’inferno.(Isa. XIV, 1). Gli Angeli buoni, avendo Michele e Gabriele alla loro testa, tosto eseguirono l’ordine di Dio, e comandarono a lucifero ed ai partigiani suoi di uscire dal cielo, dove pretendevano rimanere. – Bisognò loro malgrado obbedire. « In conseguenza di quanto abbiamo visto, risulta chiaro:

1° Che lucifero non ha peccato per avere ambito di essere uguale a Dio; era egli troppo illuminato da ignorare ch’è impossibile uguagliare Dio, essendo impossibile che vi fossero due infiniti. Inoltre è impossibile che una natura di un ordine inferiore diventi una natura d’un ordine superiore; attesoché bisognerebbe, perciò, ch’ella si annientasse. Egli non poté concepire un tal desiderio, conciossiachè ogni creatura desidera altresì, innanzi tutto e invincibilmente, la sua conservazione. Perciò il Profeta Isaia non gli fa dire: Io sarò uguale, sarò simile a Dio.

2° É evidente che Lucifero ha peccato desiderando in un modo colpevole la rassomiglianza con Dio. Ambì egli d’essere il capo degli Angeli, non solamente per l’eccellenza della sua natura, privilegio di cui godeva, ma volendone esser loro mediatore per ottenere la beatitudine soprannaturale: beatitudine che voleva acquistare egli stesso con le sue proprie forze. Cosi è che egli desiderò l’unione ipostatica, l’ufficiò di mediatore ed il posto riserbato all’umanità del Verbo, come ad esso conveniente meglio che alla natura umana, alla quale sapeva che il Verbo doveva unirsi. Il volere impadronirsene era dunque per parte sua, un atto di rapina. Perciò Nostro Signore Gesù Cristo lo chiama ladro. » (Viguier, cap. m, § 11, vers. 15, p. 96, 97). – Ruard, Molina e altri sommi teologi professano la stessa dottrina in un modo non meno assoluto: assolute. Molto prima di costoro il celebre Ruperto area espresso la stessa sentenza. Intorno a quelle parole del Salvatore: Egli fu omicida sino da principio, e voi volete compiere i desideri del Padre vostro, egli dice: Il Figliuolo di Dio parla qui della sua morte. Cosi, niente impedisce d’intendere per questo primitivo omicidio, l’antico odio di satana contro il Verbo. Quest’odio, anteriore alla nascita dell’uomo, satana arde di soddisfarlo. Per giungere al suo intento, adopra tutti i mezzi di far porre a morte quello stesso Verbo di Dio, attualmente rivestito dell’umana natura. « Ciò è tanto più vero, in quanto che Nostro Signore aggiunge: Ed egli non fu fedele al vero; il che ebbe luogo avanti la creazione dell’uomo. Infatti, nel momento in cui sollevandosi contro il Figliuolo, che solo è l’immagine del Padre, egli disse nel suo orgoglio: Io sarò simile all’Altissimo, divenne omicida dinanzi a Dio, salvo a divenirlo dinanzi agli uomini, facendo morire per mano dei Giudei l’eterno oggetto dell’odio suo…. Queste parole, egli non rimase fedele alla verità, significano che egli non ha continuato ad amare Colui il quale è la verità, il Figlio di Dio. Difatti rimanere nella verità è lo stesso che amare la verità; e rimanere o tenersi a Cristo è la stessa cosa che amare Cristo. Satana è dunque omicida sin dal principio, perché ha sempre tenuto per la verità, che è il Verbo, un odio indicibile.1 » (Comment. in Joan., lib. VII, ad illa: Ille erat homicida, n° 242 a 224).  Questa notevole testimonianza può riassumersi cosi: lucifero, avanti la sua caduta, conosceva le adorabili persone della SS. Trinità, e le amava. Troppo grandi erano i suoi splendori per permettergli d’essere geloso di Dio, tanto meno ancora di avere la pretensione di divenirlo. Allora egli tenevasi nel vero. Ma quando seppe che il Verbo doveva unirsi alla natura umana, a fine di divinizzarla, e, divinizzandola, innalzarla al disopra degli Angeli, al disopra del medesimo lucifero, allora non stette più nel vero. L’orgoglio entrò in lui, questo lo condusse alla ribellione; dalla ribellione all’odio, dall’odio alla caduta. – La stessa ragione dall’altra parte, per poco che essa rifletta, si persuade facilmente che la prova degli Angeli ha dovuto consistere nel credere al mistero dell’Incarnazione. Prima di tutto, il peccato degli Angeli è stato un peccato d’invidia; questo è un punto indiscutibile della dottrina cattolica. Fra tutti i Padri ascoltiamo solamente san Cipriano, parlando dell’invidia: « Come è grande, o miei dilettissimi figli, esclama egli, quel peccato che ha fatto cadere gli Angeli; che ha offuscato quelle alte intelligenze, e rovesciato dai troni loro quelle potenze sublimi; che ha ingannato lo stesso ingannatore! Di qui appunto è discesa sulla terra l’invidia. Per cagion sua perì colui che, pigliando a modello il maestro della perdizione, obbedì alle sue ispirazioni, come sta scritto: Per invidia del demonio la morte entrò nel mondo. » (Invidia diaboli mors introivit in orbem terrarum. – Opusc. de zelo et livore.) In conseguenza, l’invidia degli angeli non ha potuto avere che due oggetti: Dio o l’uomo. Rispetto a Dio, il volere essere simile a Dio, uguale a Dio, considerato in se medesimo, e fatta astrazione dal mistero della Incarnazione, è un desiderio che l’angelo non ha potuto avere: « Questo desiderio, dice san Tommaso, è assurdo e contro natura; e l’angelo lo sapeva. » (Scivit hoc esse impossibile, naturali cognitione…. et dato quod esset possibile, hoc esset contra naturale desiderium. Pars I; q. LXIII, art. 3, corp.; id Petav. de Ang. cap. XI, n° 22) – L’uomo è stato dunque l’oggetto della gelosia di lucifero. « Per la gelosia concepita contro l’uomo, dice sant’Ireneo, l’angelo divenne apostata e nemico dell’uman genere. » (Ex tunc enim apostata est angelus et ininnicus, ex quo zelavit plasma Dei et inimicum illum Deo facere agressus est. Lib. IV”, Adv. hæres., cap. LXXVIII). – Ma come noi abbiamo già visto, l’angelo non aveva nessuna ragione d’invidiare la dignità naturale dell’uomo. Questa dignità consiste nella creazione ad immagine ed a somiglianza di Dio. Ora, l’Angelo stesso è fatto ad immagine di Dio, ed anche in un modo più perfetto dell’uomo. (S. Aug.: De Trinit, lib. XII, cap. VII). Una sola cosa innalzava l’uomo al disopra dell’Angelo e poteva eccitare la sua gelosia, cioè l’unione ipostatica. – Se il dogma dell’Incarnazione, considerato in sé medesimo, basta per spiegare la caduta di lucifero; lo spiega ancor meglio riguardato nelle sue relazioni e ne’suoi effetti. Da un lato, questo mistero è il fondamento e la chiave di tutto il disegno divino, tanto nell’ordine della natura che in quello della grazia. Dall’altro esigeva dagli Angeli, per essere accettato, il più grande atto di abnegazione: atto sublime relativamente alla sublime ricompensa che doveva coronarlo. Tutta la creazione, materiale, umana, ed angelica, come discesa da Dio, a Dio deve risalire; imperocché il Signore ha fatto tutto per sé e per sé solo. (Universa propter semetipsum operatus est Dominus. Prov., XVI, 4. — Ego Dominus, hoc est nomen meum, et gloriam meam alteri non dabo. Is. XLII, 8). Ma una distanza infinita separa il creato dall’increato. Per colmarla, è necessario un mediatore; e poiché è necessario, si troverà. Formando il punto di congiunzione, e come la saldatura del finito con l’infinito, questo mediatore sarà il legame misterioso che unirà tutte le creazioni tra di esse e con Dio. (S. Aug. Soliloq. cap. VI. Chi sarà egli? Evidentemente Colui il quale, avendo fatte tutte le cose, non può lasciare l’opera sua imperfetta: sarà dunque il Verbo eterno. Alla natura divina unirà ipostaticamente la natura umana, nella quale si danno convegno la creazione materiale e la creazione spirituale. Mercé di questa unione in una medesima Persona, dell’Essere divino e dell’essere umano, del finito e dell’infìnito, Dio sarà uomo, e l’uomo sarà Dio. Questo Dio-uomo diventerà la deificazione di tutte le cose, principio di grazia e condizione di gloria, anco per gli Angeli, i quali dovranno adorarlo come loro Signore e loro padrone. (S. Iren. Adv. hæres., lib. III, cap. VIII, et Corn. a Lap., in Epist. ad Eph. ap. I, 10).Un uomo-Dio, una Vergine-Madre, l’innalzamento più smisurato dell’essere il più umile, la natura umana preferita alla natura angelica, l’obbligo d’adorare, in un uomo-Dio, il loro inferiore divenuto loro superiore! A questa rivelazione, l’orgoglio di Lucifero si rivolta, e si manifesta la sua invidia. Iddio l’ha visto. La giustizia, rapida come la folgore, colpisce il ribelle ed i complici suoi, in quelle colpevoli disposizioni, le quali, facendo eterno il loro delitto, eternizzano il loro castigo. Tale è la grande battaglia della quale parla san Giovanni.Il Cielo ne fu il primo teatro: la terra sarà il secondo.

CONOSCERE LO SPIRITO SANTO (III)

IL TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO 

Mons. J. J. Gaume:  

[vers. Ital. A. Carraresi, vol. I. , Tip. Ed. Ciardi, Firenze, 1887; impr.]

CAPITOLO I.

Lo Spirito del bene e lo Spirito del male.

Due Spiriti opposti, dominatori del mondo — Prove della loro esistenza: la fede universale, il dualismo — L’esistenza di questi due Spiriti suppone quella di un mondo superiore al nostro — Necessità di dimostrarla — La negazione del soprannaturale, grande eresia del nostro tempo — Che cosa è il mondo soprannaturale — Prove della sua esistenza: la religione, la storia, la ragione — Passi del signor Gruizot.

Due Spiriti opposti si contrastano l’impero del mondo. (Questa espressione, il cui equivalente si trova quasi ad ogni pagina dell’Antico e Nuovo Testamento, sarà spiegata nel corso del capitolo). – La storia non è altro che il racconto dell’eterno loro combattimento. Questo gran fatto suppone: l’esistenza di un mondo superiore al nostro, e la divisione di questo in buono e in cattivo, che vuol dire la duplice influenza del mondo superiore sulla creatura inferiore. Innanzi tutto bisogna porre al di sopra di questa contesa quattro verità fondamentali. Che i due Spiriti contrari si disputano l’impero dell’uomo e della creazione, domma scritto in testa della teologia di tutti i popoli e nella biografìa di ciascuno individuo, ce lo insegna la rivelazione. L’antico paganesimo lo mostra nel culto universale dei geni, buoni e malvagi: il buddismo dell’Indiano, del Chinese e del Tibetano, il feticismo del negro dell’Affrica, come la sanguinosa idolatria dell’Oceanico, continuano a fornircene la più incontrovertibile prova. Nel cuore della civiltà, non meno che nel centro della barbarie, l’esperienza lo rende sensibile in un fatto sempre antico e sempre nuovo, il Dualismo. Ancorché si neghi ogni distinzione tra la verità e l’errore, tra il bene ed il male, tra l’uccidere il proprio padre ed il rispettarlo, e ancorché si faccia dell’uman genere un armento, si è costretti però a riconoscere sulla terra la coesistenza e la perpetua lotta del vero e del falso, del giusto e dell’ingiusto, degli atti buoni e dei malvagi. Ora questo fenomeno è un mistero inesplicabile, altrimenti che per l’esistenza dei due Spiriti opposti, superiori all’uomo. – Per non ne citare che una prova, il sacrificio umano ha fatto il giro del mondo; e continua al presente presso tutti quei popoli che non adorano lo Spirito del bene, quello Spirito Santo, quale la rivelazione ce lo dimostra. Ma l’idea del sacrificio umano è tanto straniera ai lumi della ragione, quanto ella è opposta ai sentimenti della natura. Qualunque cosa ella faccia la ragione resterà eternamente impotente a trovare una relazione qualsiasi tra l’uccisione del mio simile, e l’espiazione del mio peccato. Lungi dal seguire l’istinto della natura, il padre, per quanto egli sia degradato, ha inorridito sempre e sempre inorridirà, nel recare egli stesso il suo figlio sotto il coltello del sacrificatore. Con tutto ciò il sacrificio dell’uomo per mano dell’uomo, del figlio per mano del padre, è un fatto [oggi l’omicidio dei fili è perpetrato dalle madri attraverso l’aborto volontario, nuova forma di infanticidio rituale!], ma ha però una cagione. Se è un fatto universale e permanente, esso ha dunque una causa universale permanente; se questo fatto è inesplicabile, ha per conseguenza una causa sovrumana. Fatto che si produce da per tutto, dove non regna lo Spirito del bene; adunque è inspirato e comandato dallo spirito del male. Nello spiegare il dualismo, questi due Spiriti sono i veri dominatori del mondo. Non vuol dir certamente che essi siano, affrettiamoci a dirlo, uguali tra loro; poiché il pretenderlo sarebbe cadere nel manicheismo; errore mostruoso che la ragione respinge e che la fede condanna. Ma la verità è che questi due Spiriti sono ineguali e di una ineguaglianza infinita. Uno è Dio, potenza eterna; l’altro, una semplice creatura, essere effimero che un alito potrebbe annientare. Solamente per un consiglio della sua infallibile sapienza, ma della quale l’uomo terreno non potrà mai scandagliare la profondità, Dio ha lasciato a satana il terribile potere di combattere contro di Lui; e, nel possesso dell’uman genere di tenere indecisa la vittoria. Noi tenteremo bentosto di sollevare un lembo del velo, che copre questo irrepugnabile mistero. Frattanto l’esistenza di due Spiriti opposti, suppone l’esistenza di un mondo superiore al nostro. Quindi intendiamo un mondo composto di esseri più perfetti e più potenti di noi, sciolti dalla materia, e puramente spirituali: Dio, gli Angeli buoni e malvagi in numero incalcolabile; mondo delle cause e delle leggi, senza il quale il nostro non esisterebbe o camminerebbe a caso, come la nave senza bussola e senza piloto; mondo pel quale l’uomo è fatto e verso cui aspira; mondo che ci circonda da tutte le parti, e con cui siamo incessantemente in rapporti; al quale noi parliamo, che ci vede, ci intende, che opera su di noi e sulle creature materiali, realmente, efficacemente, come l’anima opera sul corpo. – Lungi dall’essere una chimera, l’esistenza di questo mondo superiore è la prima delle realtà. La Religione, la storia e la ragione .si riuniscono per farne l’articolo fondamentale della fede del genere umano. Oggi più che mai è necessario il dimostrarlo; imperocché la negazione del soprannaturale è la grande eresia del nostro tempo. Poco fa lo stesso sig. Guizot ce lo faceva avvertire scrivendo: « Tutti gli assalti di cui il Cristianesimo è oggi l’oggetto, per quanto essi siano diversi nella loro natura o nella misura loro, partono da uno stesso punto, e tendono ad uno stesso fine, cioè la negazione del soprannaturale nei destini dell’ uomo e del mondo, e l’abolizione dell’elemento soprannaturale nella Religione Cristiana, nella sua storia come nei suoi domini. Materialisti, panteisti, razionalisti, scettici; critici, eruditi, parte di questi altamente, altri discretissimamente, tutti pensano e parlano sotto l’impero di questa idea, che il mondo e l’uomo, la natura morale come la natura fisica, sono unicamente governati da leggi generali, permanenti e necessarie, di cui nessuna volontà speciale è mai venuta né mai viene a sospendere o modificare il corso. 1 » (La Chiesa e la Società Cristiana nel 1861; Cap. IV, pag. 19-20) Nulla di più esatto: ma aggiungeremo soltanto che l’indicare il male, non basta a guarirlo. A fine di porre sulla via del rimedio, sarebbe stato necessario dire come, dopo diciotto secoli di soprannaturalismo cristiano, l’Europa attuale si trova popolata di naturalisti di tutte le gradazioni, la cui razza, fiorente nell’antichità pagana, era scomparsa dopo la predicazione del Vangelo. Comunque siasi, le negazioni individuali svaniscono dinanzi ad affermazioni generali. Per conseguenza il genere umano ha, sempre affermato l’esistenza di un mondo soprannaturale. L’esistenza di una religione presso tutti i popoli è un fatto, il quale è inseparabile dalla credenza in un mondo soprannaturale. Il signor Guizot continua: « Ogni religione si fonda sopra una fede naturale nel soprannaturale, e sopra un istinto innato del soprannaturale. In tutti i luoghi, in tutti i climi, in tutte le epoche della storia, in tutti i gradi della civiltà l’uomo porta in sé questo sentimento, o meglio direi, questo presentimento, che il mondo che egli vede, l’ordine in seno al quale vive, e i fatti che regolarmente e costantemente si succedono intorno a lui, non sono ogni cosa. « Invano egli fa ogni giorno in questo vasto insieme scoperte e conquiste; invano egli osserva ed accerta sapientemente le leggi permanenti che vi presiedono; il suo pensiero non si racchiude punto in quell’universo lasciato alla scienza. Questo spettacolo non basta alla sua anima, essa si slancia altrove; essa cerca, intravede altra cosa; essa aspira per l’universo e per se medesima ad altri destini, a un altro padrone. Il Dio dei cieli risiede al di là di tutti i cieli, ha detto Voltaire; e questo Dio non è la natura personificata, ma è il soprannaturale in persona. A lui s’indirizzano le religioni; e si fondano per porre l’uomo in comunicazione con lui. Senza la fede istintiva dell’uomo nel soprannaturale, senza il suo slancio spontaneo e invincibile verso il soprannaturale, la religione non sarebbe. » (La Chiesa e la Società Cristiana, nel 1861. Cap. IV, pag. 21)Il genere umano non crede soltanto all’esistenza isolata di un mondo soprannaturale, crede bensì all’azione libera e permanente, immediata e reale de’ suoi abitanti sul mondo inferiore. Di questa fede costante noi troviamo la prova in un fatto non meno splendido della stessa religione, vuol dir la preghiera. « Solo tra tutti gli esseri terreni, l’uomo prega. Fra gli istinti morali non ve ne ha di più naturale, di più universale, nè di più invincibile fuorché la preghiera. » Il figlio vi si volge con una docilità premurosa; il vecchio vi si ripiega come in un rifugio contro la decadenza e l’isolamento: la preghiera sale da se medesima sulle giovani labbra che appena balbettano il nome di Dio, e sulle labbra morenti che non hanno più la forza di pronunziarlo.« Ad ogni passo incontransi presso tutti i popoli celebri od oscuri, inciviliti o barbari, atti e formule di invocazione. Dappertutto dove vivono uomini, in certe circostanze, in certe, ore, sotto l’impero di certe impressioni dell’anima, gli occhi si innalzano, le mani si congiungono, piegansi i ginocchi, per implorare o per rendere grazie, per adorare o per pacificare. L’uomo si rivolge per ultimo rifugio, alla preghiera con trasporto e con tremore, pubblicamente, o nell’intimo del suo cuore, per riempiere i vuoti della sua anima, o per portare i pesi del suo destino. Quando tutto gli manca, egli cerca nella preghiera appoggio per la sua debolezza, consolazione nei suoi dolori, speranza nella virtù. (Ibid., pag. 22) » Non si creda che questa fiducia nel potere e nella bontà degli esseri soprannaturali sia una chimera. Prima di tutto vorrei che mi si mostrasse una chimera universale: quindi niuno disconosce il valore morale e interno della preghiera. L’anima per il solo motivo che ella prega si solleva, si rialza, si addolcisce, si fortifica: ella prova, nel rivolgersi verso Dio, quel sentimento di ritornare a salute ed a riposo che si diffonde nel corpo, allorché passa da un’aria tempestosa e pesante in una atmosfera pura e serena. Dio viene in aiuto a coloro che lo implorano, innanziché sappiano se saranno da Lui esauditi. Se avvi un solo uomo che consideri come chimerici questi felici effetti della preghiera, perché non gli ha mai provati, egli è degno di compianto, ma non è rifiutato. – La preghiera ha una forma più elevata della parola, ed è il sacrificio. Questa seconda forma più facile a chiarirsi, essendo ella sempre palpabile, non è meno universale della prima. Essendo il sacrificio in uso presso tutti i popoli, in tutti i tempi e sotto tutte le latitudini, esso si è offerto ad esseri buoni o malvagi, ma sempre stranieri al mondo inferiore. Il sangue di un toro non ha mai scorso sugli altari in onore di un toro o di un altro essere materiale, neppure di un uomo. Il diritto al sacrificio non comincia che allorquando l’adulazione vede in lui un genio personificato, ed è a questo genio che si volge il sacrificio; o quando ritraendolo dal mondo inferiore, la morte ha fatto di lui l’abitatore del mondo soprannaturale. Ora, nel pensiero dell’uman genere, il sacrificio ha la stessa significazione della preghiera. Offerto perpetuamente, egli è dunque la prova perpetua della fede, dell’umanità nell’influenza permanente del mondo superiore su quello inferiore. – L’uomo non si è mai contentato d’ammettere un’azione generale e indeterminata degli agenti soprannaturali sul mondo e su lui. Interrogato in qualunque momento che vi piaccia, sulla sua lunga esistenza, egli vi dirà: Io credo nel governo del mondo materiale, a motivo del mondo spirituale, come io credo al governo del mio corpo pel bene dell’anima mia; io credo che ciascuna parte del mondo inferiore sia diretta da un agente speciale del mondo soprannaturale, incaricato a conservarla ed a mantenerla nell’ordine. Io credo a queste verità, come credo che nei governi visibili (pallido riflesso di quel governo invisibile), l’autorità sovrana personificata nei suoi funzionari è presente in ogni parte dell’ impero, ad oggetto di proteggerla, e di farla concorrere all’armonia generale. – Niuno ignora che i popoli dell’antichità pagana, senza alcuna eccezione, hanno ammessa l’esistenza di eroi, semidei, ai quali attribuiscono i fatti meravigliosi della loro storia, le loro legislazioni, e lo stabilimento de’ loro imperi. Niuno ignora che essi hanno creduto, scritto, cantato che ogni parte del mondo materiale è animata da uno spirito che presiede alla sua esistenza ed ai suoi movimenti; che questo spirito è un essere soprannaturale, degno degli omaggi dell’uomo, e potente abbastanza per fare della creatura, la cui conservazione gli è affidata, un istrumento di bene o un istrumento di male. La stessa credenza è anche oggidì in pieno vigore presso tutti i popoli idolatri delle cinque parti del mondo. – In questa unanime credenza, base della religione e della poesia, come altresì della vita pubblica e privata del genere umano, non v’è nessuna particella di vero? A meno che non si sia dementi, chi oserebbe sostenerlo? Il mondo dei corpi è governato dal mondo degli spiriti: tale è, benché l’abbiano alterato in alcuni punti secondari, il domma fondamentale che l’uman genere ha sempre posseduto. Vogliamo noi averlo in tutta la sua purità? Rileggiamo i divini oracoli. Sino dalla prima pagina dell’antico Testamento, noi vediamo lo Spirito del male farsi sensibile sotto la forma del serpente, e questo seduttore soprannaturale esercitare sull’uomo e sul mondo un dominio che non ha mai perduto. Vediamo da un altro lato gli Spiriti del bene governare il popolo di Dio, come i ministri di un re governano il suo regno. Da Abramo, padre della eletta nazione, sino ai Maccabei, ultimi campioni della sua indipendenza, tutti gli uomini della Bibbia, sono diretti, soccorsi, protetti da agenti soprannaturali, la cui autorità determina i grandi eventi registrati nella storia di questo popolo, tipo di tutti gli altri. – Il popolo cristiano successore, o meglio, svolgimento del popolo giudaico, ci offre lo stesso spettacolo. Ma, se le società le più perfette sono state sempre, e sono tuttora poste sotto la direzione del mondo angelico, con più potente ragione quelle meno perfette, si trovano, a causa altresì della loro inferiorità, sottoposte allo stesso governo. Quanto alle creature puramente materiali, ascoltiamo la testimonianza dei più grandi geni che hanno illustrato il mondo: « Gli Angeli, dice Origène, soprintendono a tutte le cose, alla terra, all’acqua, all’aria, al fuoco, vale a dire, agli elementi principali; e secondo quest’ordine, pervengono a tutti gli animali, a tutti i germi e perfino agli astri del firmamento. [Omnibus rebus angeli praesident, tam terræ et aquæ, quam aeri et igni, id est præcipuis elementis, et hoc ordine perveniunt ad omnia animalia, ad omne germen, ad ipsa quoque astra cœli. Homil. VIII, in Jerem. » Sant’Agostino non è meno esplicito: « In questo mondo, egli dice, ogni creatura visibile è affidata ad una angelica potenza secondo la testimonianza, più volte ripetuta, delle sante Scritture. » [Lib. De diversis quæst. LXXXIII-LXXIX, n° 1, opp. t. IV, pag. 125]. Lo stesso linguaggio udiamo in bocca di san Girolamo, di san Gregorio Nazianzeno e degli organi più autentici della fede dell’uman genere rigenerato. Di questa fede universale ed invincibile, la vera filosofìa porge due perentorie ragioni: l’armonia dell’universo, e la natura della materia.

L’armonia dell’universo. Nella natura non v’è salto; Natura non facit saltum. Tutte le creature visibili agli occhi nostri si sovrappongono, si incastrano, si incatenano le une con le altre con misteriosi legami, la cui successiva scoperta è il trionfo della scienza. Di scalino in scalino, tutte vanno a far capo all’uomo: come spirito e materia, l’uomo è la saldatura dei due mondi. Se per il suo corpo egli è al gradino più alto della scala degli esseri materiali; per la sua anima è ai piè della scala degli esseri spirituali. La ragione si è che la perfezione degli esseri, per conseguenza la loro superiorità gerarchica, si calcola sulla loro rassomiglianza più o meno completa con Dio, l’Essere degli esseri, lo spirito increato, la perfezione per eccellenza. – Ora, la creatura puramente materiale è meno perfetta della creatura materiale e spirituale nello stesso tempo. All’inverso, questa è meno perfetta della creatura puramente spirituale. Poiché non vi ha nessun salto nelle opere del Creatore, al disopra degli esseri puramente materiali, perciò vi sono degli esseri misti; sopra a questi, esseri puramente spirituali, al di sopra dell’uomo, gli Angeli. Come puri spiriti, quelle brillanti creature, gerarchicamente disposte, continuano la lunga catena degli esseri e sono, rispetto all’uomo, ciò ch’è egli stesso rispetto alle creature puramente materiali; esse lo rannodano a Dio, come l’uomo stesso congiunge la materia allo spirito. [La perfezione dell’universo esigeva questa gradazione degli esseri: quest’è l’osservazione di san Tommaso: « Necesse est ponere aliquas creaturas incorporeas. Id enim quod praecipue in rebus creatis Deus intendit, est bonum quod consistit in assimilatione ad Deum. Perfecta autem assimilation effectus ad causam attenditur, quando effectus imitato causam secundum illud per quod causa producit effectum; sicut calidum facit calidum. Deùs autem creaturam producit per intellectum et voluntatem. Unde ad perfectionem universi requiritur quod sint aliquæ creaturæ intellectuales. I p. q. 50. art. 1. Cor.]. Tutto ciò è fondato sopra due grandi leggi che la ragione non saprebbe contrariare, senza cadere nell’assurdo. La prima, che tutta la creazione discesa da Dio tende di continuo a risalire a Dio; imperocché ogni essere gravita verso il suo centro. La seconda, che gli esseri inferiori non possono ritornare a Dio, se non per l’intermezzo degli esseri superiori. Ora abbiamo visto, che l’essere puramente materiale essendo per la sua stessa natura, inferiore all’essere misto, soltanto per mezzo di questo può ritornare a Dio. La teologia cattolica formula dunque un’assioma di alta filosofìa, allorché essa dice: « Tutti gli esseri corporei sono governati e mantenuti nell’ordine da esseri spirituali; tutte le creature visibili da creature invisibili. » La natura della materia. Questa è inerte di sua natura, nessuno lo può negare: « Purtuttavia, dice san Tommaso, vediamo da tutte le parti la materia in moto: questo non le può essere comunicato che da esseri naturalmente operosi; e questi esseri sono, né possono essere che potenze spirituali, le quali sovrapponendosi le une sulle altre, vanno a terminare negli Angeli, e a Dio stesso, principio di ogni moto. Di qui derivano quelle parole di sant’Agostino: Tutti i corpi sono retti da uno spirito di vita dotato d’intelligenza; e quest’altre di san Gregorio: In questo mondo visibile nulla può esser messo in ordine ed in movimento fuor che mediante una creatura invisibile. Così il mondo dei corpi tutto quanto, è fatto per esser retto dal mondo degli spiriti.1 » — [Vi sono dunque tante anime quante sono vite: vita e anima vegetativa, vita e anima sensitiva, vita e anima intellettiva. Inutile dire che le due prime anime non sono della stessa natura della nostra, niente più della vita di cui esse sono il principio.]. –  A questa prova tratta dal moto della materia si aggiunge un fatto « che merita, dice ancora il Guizot, tutta l’attenzione degli avversari del soprannaturale. È riconosciuto ed accertato dalla scienza, che il nostro globo è anteriore all’uomo: ma in che maniera e con qual potenza il genere umano ha incominciato sulla terra? Non vi possono essere che due spiegazioni intorno alla sua origine: v’è stato il lavoro proprio e intimo delle forze naturali della materia, o pure è stata l’opera di un potere soprannaturale, esteriore e superiore alla materia. Per la comparsa dell’uomo sulla terra è necessario: la creazione spontanea o la creazione libera, o l’una o l’altra di queste cause.« Ma ammesse, il che per mio conto io non ammetto, le generazioni spontanee, questo mondo di produzione non potrebbe, non avrebbe mai potuto produrre che esseri infantili, e di pochi istanti, e nel primo stato della vita nascente. Niuno, io credo, ha mai detto né mai dirà, che per virtù di una spontanea generazione, l’uomo, vale a dire l’uomo e la donna, la coppia umana, sien potuti uscire, e che un giorno siano usciti, dal seno della materia, già formati, già grandi, in pieno possesso della loro statura, della loro forza, di tutte le facoltà loro, come il paganesimo greco ha fatto uscire Minerva dal cervello di Giove. « Però soltanto a questa condizione l’uomo, comparendo per la prima volta sulla terra, avrebbe potuto vivervi, perpetuarvi e fondarvi il genere umano.Immaginiamoci il primo uomo che nasca nella prima età infantile, vivente ma inerte, privo d’intelligenza, impotente, incapace di bastare per un istante a sé stesso, tremolante e gemebondo, senza madre che lo intenda e che lo nutra. Quest’è frattanto il solo primo uomo che la generazione spontanea possa dare. Evidentemente, l’altra origine dell’uomo è la sola ammissibile, la sola possibile. Il fatto soprannaturale della creazione spiega solo l’apparizione dell’uomo quaggiù …. E i razionalisti sono costretti a fermarsi dinanzi alla cuna soprannaturale dell’umanità, impotenti a farne uscire l’uomo senza la mano di Dio. » Riassumendo; il genere umano, interrogato sul mondo soprannaturale, risponde con tre atti di fede: Io credo e ho sempre creduto all’esistenza di un mondo superiore: credo e ho sempre creduto al governo del mondo inferiore, non per le leggi immutabili, ma per l’azione libera di agenti superiori; io credo e ho sempre creduto che in certi casi, Dio interviene da se medesimo, o per via dei suoi agenti, in un modo eccezionale, nel governo del mondo inferiore, cioè dire ch’egli sospende, o modifica le leggi delle quali egli è autore, e che fa miracoli; Io credo in particolare, aggiunge il mondo moderno, nell’eletta dell’umanità, cioè che io son nato per virtù di un miracolo. La mia esistenza tutta quanta riposa sulla fede nella risurrezione di un morto, e la mia civiltà ha per piedistallo un sepolcro. Per tacciare d’errore questa fede costante, universale, invincibile, occorre provare che il genere umano, dalla sua origine sino ai dì nostri, è colpito da una triplice follia. Follia l’aver creduto all’esistenza d’un mondo soprannaturale; follia 1’aver creduto all’influenza degli esseri superiori sugli inferiori; follia l’aver creduto che il Legislatore supremo è libero di modificare le sue leggi, o di sospenderne il corso. Queste tre operazioni di pietà filiale, compite religiosamente, e l’uman genere debitamente convinto di essere stato sempre colpito di demenza; ne rimane una quarta: chi nega il soprannaturale dovrà provare, che egli medesimo non è pazzo.