I NOVISSIMI

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[da. I tesori di Cornelio Alapide – vol. II)

-1.- Grande disgrazia è dimenticare i novissimi. — 2. Quanto è utile ricordarsi dei novissimi. — 3. Come dobbiamo ricordare i novissimi.

novissimi

 1. -Grande disgrazia è dimenticare i novissimi. — I novissimi, cioè gli ultimi fini, sono la morte, il giudizio, il paradiso, l’inferno, l’eternità. Dimenticare cose di tanta importanza, non prevederle, non prepararvisi, è la somma delle disgrazie che possa accadere ad un uomo. Infatti dimenticare la morte, vuol dire non pensare a prepararvisi, ed avventurarsi alla triste morte del peccatore: disgrazia irreparabile. Dimenticare il giudizio di Dio è un disprezzarlo; e allora sarà molto terribile questo giudizio. Dimenticare il cielo è grande sciagura, perché così facendo non si fa nulla per guadagnarlo, e si perde; e perduto il paradiso, tutto è perduto. Dimenticare l’inferno, è un andarvi incontro; e chi vi si incammina, facilmente vi precipita. Dimenticare l’eternità, è lo stesso che perdere il tempo e l’eternità; si può immaginare disgrazia più tremenda? Ciò non ostante, oh come è comune nel mondo la dimenticanza dei novissimi! Per ciò Gesù fulminò quello spaventevole anatema: «Guai al mondo» (Matth. XVIII, 7). A quanti si possono rivolgere quelle parole del Signore nel Deuteronomio: « Gente senza consiglio e senza prudenza, perché non aprire gli occhi e comprendere e provvedere ai loro novissimi? » (XXXII, 28-29). E quelle altre d’Isaia : « Tu non hai pensato a queste cose, e non ti sei ricordato dei tuoi novissimi » (- Terribile imprudenza che ha conseguenze fatali è quella di dimenticare le cose future, di non considerare i novissimi per arrivarvi preparati. Che onta, che rabbia non sarà per i figli del mondo l’udirsi rinfacciare dai demoni nell’inferno: O sciagurati! voi sapevate che c’era un inferno, e potendolo schivare con poco costo, vi ci siete tuffati a capo fitto! Voi avete dimenticato i novissimi, e avete perduto tutto. Ci si parla dei nostri novissimi; noi li conosciamo, vi crediamo, e intanto operiamo come se non ci riguardassero affatto e non ne diventiamo migliori! O cecità fatale! O follia incredibile! O uomini stupidi e da compiangersi! Non pensare, non penetrare, non temere cose tanto gravi, non prepararvisi!

2. Quanto è utile ricordarsi dei novissimi. — « In tutte le tue opere, dice il Savio, proponiti sotto gli occhi i tuoi novissimi, e non cadrai mai in peccato » (Eccli. VII, 40). La ragione è chiara, poiché il fine che uno si propone, diventa il principio e la regola di tutte le azioni; ora il fine di tutte le cose sta compreso essenzialmente nei fini ultimi, ossia nei novissimi. Tutte le persone operano per un fine; perché dunque non operare guardando ai fini ultimi?… Chi dice a se stesso, quando si sente tentato a offendere Dio: Al punto di morte, vorrò io aver commesso questo peccato? — tosto si mette su l’avviso e resiste. — Quando sarò innanzi al tribunale di Dio, quando il Giudice divino mi peserà nella bilancia della sua giustizia, vorrò che il peso dei miei misfatti vinca quello delle mie virtù? Ebbene, schiverò il peccato e praticherò la virtù. Mi sta a cuore di passare dal tribunale di Dio al cielo? dunque mi studierò di guadagnarmi questo cielo. Forse che mi garberà udirmi al giudizio quella terribile sentenza : “Partitevi da me, o maledetti, e andate al fuoco eterno?” Dio me ne scampi! Dunque mi applicherò a chiudermi l’inferno per sempre, schivando soprattutto il peccato mortale. Quando entrerò nell’eternità, vorrò io aver perduto il tempo? Certo che no: conviene dunque che non ne perda un istante; — queste sono le salutari considerazioni che fa colui il quale non dimentica i suoi novissimi. Dunque chi non vede ch’egli diventa quasi impeccabile, compiendosi in lui il detto dello Spirito Santo — Il fine dell’uomo che è la beatitudine eterna, lo porta alla fuga del peccato e alla pratica della virtù, come a mezzi coi quali si ottiene la beatitudine. Per ciò S. Agostino dice: «La considerazione di questa sentenza: — Ricorda i tuoi novissimi e non peccherai in eterno — è la distruzione dell’orgoglio, dell’invidia, della malignità, della lussuria, della vanità e della superbia, il fondamento della disciplina e dell’ordine, la perfezione della santità, la preparazione alla salute eterna. Se ti preme non andare perduto, guarda in questo specchio dei tuoi novissimi ciò che sei e ciò che sarai tu la cui concezione è macchia vergognosa, l’origine è fango, il termine è putredine. Davanti a questo specchio, cioè in faccia ai novissimi, che cosa diventano le delicate imbandigioni, i vini squisiti, le splendide calzature, il lusso del vestire, la mollezza della carne, la ghiottoneria, la crapula, l’ubriachezza, la magnificenza dei palazzi, l’estensione dei poderi, l’accumulamento delle ricchezze? ». Prendiamo dunque il consiglio di S. Bernardo e nel cominciare un’azione qualunque diciamo a noi medesimi: Farei io questo, se dovessi morire in questo momento? (In Speculo monach.). Simile a quella di S. Bernardo è la regola di condotta suggerita da Siracide, per ordinare e santificare tutte le nostre azioni: « In ogni tua impresa scegli quello che vorresti aver fatto e scelto quando sarai in punto di morte ». Fate tutte le vostre azioni come vorreste averle fatte il giorno in cui comparirete innanzi a tutto il mondo, per renderne conto al supremo tribunale di Dio. Non fate cosa di cui abbiate a pentirvi eternamente: schivate quello che vi farebbe piangere per tutta l’eternità, quello che vi toccherebbe pagare nell’eterno abisso dell’inferno. Studiatevi di fare benissimo e perfettissimamente ogni cosa, affinché abbiate da rallegrarvi di tutto ciò che pensate, dite, e fate; e ne riceviate una ricca mercede in cielo. Ora la memoria dei novissimi procura tutti questi vantaggi… Non dimenticate anche che sono prossimi i vostri novissimi…; che incerta è l’ultima ora… Chi non teme una cattiva morte, come avrà paura del giudizio e dell’inferno? Ah! se gli uomini pensassero di frequente al giorno della loro morte, preserverebbero la loro anima da ogni cupidigia e malizia… O voi, che volete essere eternamente felici, pensate sempre a quella sentenza. — Parlando di Gerusalemme, Geremia dice che « ella si dimenticò del suo fine, per ciò sdrucciolò in un profondo abisso di miserie e di degradazione » (Lament. I, 9). Dunque, pensando agli ultimi fini non si cade, e chi è caduto, si rialza. « Noi cessiamo di peccare, dice S. Gregorio, quando temiamo i tormenti futuri ». Ripetiamo anche noi col Salmista: « Ho pensato ai giorni antichi, ho meditato gli anni eterni » (Psalm. LXXVI, 5).

  1. Come dobbiamo ricordare i novissimi. — Perché il ricordo dei novissimi abbia tutta l’efficacia che ne promette lo Spirito Santo, conviene in primo luogo che non si fermi soltanto sopra di uno, ma li abbracci tutti. Per qualcuno infatti il pensiero della morte, invece di essere incentivo al bene, può essere uno stimolo al male: « La nostra vita sfumerà come nebbia » (Sap. II, 3), dissero gli empi ricordandosi della loro morte imminente; ma da questo pensiero conclusero: « Venite dunque e godiamo finché abbiamo tempo » (Ib. 6). Perciò non dice il Savio nel citato testo: memorare novissimum tuum, ma novissima tua; perché il pensiero della morte riesca proficuo, ricordiamoci che alla morte terrà dietro un duro giudizio (Hebr. IX, 27); che al giudizio andrà annessa una sentenza o di eterna pena o di eterno premio (Matth. XXV, 46). Dal ricordo dei novissimi trae pure un gran vantaggio la vita spirituale del cristiano, la quale consistendo nella pratica delle quattro virtù cardinali, prudenza, giustizia, fortezza, temperanza, trova nella meditazione dei novissimi un ottimo alimento. Infatti il ricordo della morte distrugge l’ambizione e la superbia, e così dà la prudenza. La memoria del giudizio, mettendoci dinanzi agli occhi quel Giudice rigoroso, ci porta a usare giustizia e bontà col prossimo. Il ricordo dell’inferno reprime l’appetito dei piaceri illeciti e così avvalora la temperanza. La memoria del Paradiso diminuisce il timore dei patimenti di questa vita e cosi rinsalda la fortezza. – Si richiede in secondo luogo, che questo ricordo sia fatto su la propria persona, come pare ci dica il Savio il quale non dice semplicemente: memorare novissima, ma vi aggiunge tua. Quanti vi sono, che ricordano i novissimi anche spesso, ora discorrendone nelle chiese, ora trattandone nei libri, ora disputandone su le cattedre, ora figurandoli o su marmi, o su bronzi o su tele? eppure non menano tutti una vita santa. Bisogna che chi ricorda i novissimi, pensi che proprio lui si troverà, e forse tra brevissimo tempo, al letto di morte… nella bara, al camposanto… Che proprio lui si presenterà al giudizio di Dio e a lui toccherà il castigo o il premio eterno. Conviene in terzo luogo che questo ricordo dei novissimi non sia cosa speculativa ma pratica, perciò lo Spirito Santo fa precedere al testo citato quelle parole: in ogni tua azione. Se prima di ogni azione considerassimo i novissimi, non solo eviteremmo il peccato, ma troveremmo in quella considerazione la forza di praticare le più eroiche virtù. Sarebbe poi un errore il credere che il pensiero dei novissimi porti con sé la tristezza. Se lo Spirito Santo ci assicura che il ricordo frequente dei novissimi basta a tenerci pura la coscienza: — In aeternum non peccabis — è cosa chiara che porta con se la gioia del cuore che è la più grande di tutte le gioie. — Non est oblectamentum super cordis gaudium (Eccli. XXX, 16). E ne abbiamo infatti una conferma nel medesimo Ecclesiastico il quale dopo di aver detto in altro luogo: « Non abbandonarti alla tristezza, ma cacciala da te» (XXXVIII, 21), soggiunge subito: e ricordati dei novissimi, quasi che il pensiero dei novissimi sia il più sicuro per tenere lontana dal cuore umano la tristezza.

DIGIUNO E ASTINENZA

DIGIUNO E ASTINENZA

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I bambini di Fatima praticavano eroici digiuni e penitenze per aiutare a salvare le povere anime dall’inferno.

[da E. Barbier: I tesori di Cornelio Alapide]

  1. Necessità del digiuno e dell’astinenza. — 2. Esempi di digiuno e di astinenza. — 3. Eccellenza del digiuno. — 4. Fallaci pretesti per non digiunare. — 5. Diverse specie di digiuno.
  2. Necessità del digiuno e dell’astinenza. — E nell’antica e nella nuova legge Dio comanda il digiuno… La Chiesa ne fa un precetto… “Togli le legna al fuoco, se vuoi estinguere la fiamma”, canta un antico poeta. Ma qual fuoco più vorace della concupiscenza? Bisogna dunque che si faccia digiunare la carne. « È molto meglio per te, scriveva S. Gerolamo, sentirti dolere il ventre che non la mente; ti giova di più comandare alla carne che non obbedirle; zoppicare del piede che non nella pudicizia. Col rigore dei digiuni e delle vigilie si devono respingere le infocate saette del diavolo: chi se la gode nelle delicatezze, pare vivo, ma è morto ».

Platone proibiva di prendere cibo due volte al giorno e di mangiare a sazietà (De Leg.). Necessità del digiuno e dell’astinenza per evitare il peccato… Per espiare i peccati commessi… Per respingere e vincere il demonio. « Donde viene, dicevano gli apostoli a Gesù Cristo, che noi non abbiamo potuto cacciare questo demonio? Ed egli a loro: Questa genìa di demoni non si può scacciare se non con la preghiera e col digiuno » (Mc. IX, 27-28). È cosa impossibile mantenersi casto senz’essere mortificato. Il digiuno è di obbligo sotto pena di peccato mortale, per chi ha compiuto l’età di ventun anno, eccetto che legittime ragioni lo dispensino.

  1. Esempi di digiuno e di astinenza. — Gli esempi che noi abbiamo di digiuno e di astinenza ce ne provano la necessità. Mosè, Elia, Gesù, digiunano quaranta giorni. Dietro l’esempio di quei digiuni la Chiesa ha stabilito il digiuno della Quaresima. I primi cristiani digiunavano tutti i giorni e facevano un solo pasto sul cadere del sole. Gli eremiti, gli anacoreti, digiunavano continuamente. In tutti i secoli i religiosi hanno digiunato; i veri fedeli si fecero sempre scrupolo del digiuno. Digiuna Giuditta, digiuna Ester, sul trono. I loro digiuni avevano i Giudei, ed i Maomettani anche essi hanno i loro digiuni che osservano esattamente. S. Giovanni Battista digiuna e osserva astinenza tutti i giorni, nel deserto, per trent’anni, non cibandosi che di miele selvatico e di locuste. Tutti i Niniviti, dal bambino al vecchio, dal più grande al più piccolo, dal mendicante al re, osservano un digiuno rigoroso; e fanno digiunare perfino gli animali…
  2. Eccellenza del digiuno. — « L’astinenza, predicava S. Leone, è madre di casti pensieri, di retti desideri, di salutari consigli, e per mezzo delle volontarie mortificazioni, la carne muore alla concupiscenza, lo spirito ringiovanisce alla virtù ». « Che cos’è il digiuno? scrive S. Ambrogio; non altro se non l’immagine e la sostanza della vita celeste. È il cibo dell’anima, l’alimento dello spirito, la vita degli angeli, la morte della colpa, la distruzione dei delitti, il farmaco della salute, la radice della grazia, il fondamento della castità, il cammino più breve per cui si arriva a Dio». Ascoltate S. Efrem: «Il digiuno è il carro per montare al cielo. Il digiuno suscita i profeti, insegna la sapienza ai legislatori. Il digiuno coabita col corpo senza nuocergli e fa buona guardia all’anima. Il digiuno è arma invincibile in mano ai soldati, è palestra d’esercizio agli atleti. Il digiuno respinge le tentazioni, dispone alla pietà, smorza l’ardore del fuoco, chiude le fauci ai leoni, indirizza al cielo le preghiere; è la madre della santità, l’educatore della gioventù, l’ornamento dei vecchi ». « Il digiuno, nota S. Gerolamo, è non solamente una virtù perfetta, ma il fondamento delle altre virtù; è la santificazione, la pudicizia, la prudenza, virtù senza le quali nessuno può vedere Iddio ». La fame, dice S. Ambrogio, è l’amica della verginità, la nemica della lussuria, mentre la gola mette a repentaglio la castità, nutrisce le passioni. Perciò S. Basilio dice che chi digiuna è simile agli Angeli. Giovanni Crisostomo, dopo di aver osservato che, come il soldato è nulla senza le armi e le armi a nulla valgono senza il soldato, così l’orazione poco vale senza il digiuno e il digiuno poco giova senza l’orazione, chiama il digiuno, « alimento dell’anima », e tale che « purga la mente, solleva il senso, sottomette la carne allo spirito, rende il cuore contrito e umiliato, dissipa le nebbie della concupiscenza, estingue gli ardori della libidine, accende la fiaccola della castità ». « Ecco, dice S. Atanasio, che cosa fa il digiuno: guarisce le malattie, calma l’impeto del sangue, mette in fuga i demoni, scaccia i cattivi pensieri, rende l’anima più candida e bella, il cuore più puro, il corpo più vegeto e robusto ». « Noi sappiamo, dice S. Pietro di Ravenna, che il digiuno è la cittadella di Dio, il campo di Gesù Cristo, la fortezza dello Spirito Santo, l’insegna della fede, il regno della castità, il trofeo della santità ». « Il digiuno, osserva S. Ambrogio, servì come di carro trionfale ad Elia per ascendere al cielo ». « Giacché per la gola, scrive S. Gregorio, abbiamo perduto la gioia del paradiso, affatichiamoci a riconquistarla con l’astinenza; mentre l’anima versa lagrime di pentimento, maceriamo coi digiuno la carne che si lasciò vincere dai piaceri del senso ». « Chi diede a Sansone la forza meravigliosa? Non è forse il digiuno, pel quale fu concepito nel seno materno? dice S. Basilio: “Sì, il digiuno l’ha concepito, il digiuno l’ha nutrito, il digiuno l’ha reso un miracolo di forza”. Il digiuno, continua il citato dottore, genera i profeti, aumenta le forze ai forti, è fonte di sapienza ai legislatori, è armatura a chi combatte. Dal digiuno trasse vita e forza il gran Sansone il quale, finché vi si mantenne fedele vinse da solo migliaia di nemici, tolse e portò via le porte della città, sbranò i leoni. Ma quando cedette alla gola e alla sensualità eccolo preso dai nemici, accecato e fatto zimbello alle burle dei monelli ». « I digiuni, predicava S. Leone, ci rendono più forti contro i peccati, vincono le concupiscenze, respingono le tentazioni, abbassano l’orgoglio, mitigano l’ira, e portano a perfetta maturità di perfezione i buoni desideri e gli affetti del cuore ». Samuele, radunato il popolo in Maspliat, lo fortificò, come osserva S. Gerolamo, con un digiuno da lui intimato e lo rese per ciò vittorioso de’ suoi nemici (In Lib. Reg.). Per poter combattere il nemico, dice S. Leone, ristorarono le forze dell’anima e del corpo con severo digiuno; si astennero dal mangiare e dal bere; e per vincere i loro nemici cominciarono vincere in se stessi gli stimoli della gola (Serm. de Quadrag.). A proposito di Giuditta che, come dice la Scrittura, digiunava tutti i giorni, eccetto il sabato (Iudith VIII, 6), così scrive S. Ambrogio: « Bevevano e si ubriacavano quelli del seguito di Oloferne, ma non beveva Giuditta la quale digiunava tutti i giorni eccetto il sabato; e munita di quest’arma si avanza e mette sossopra tutto l’esercito degli Assiri. Per l’energia, di una risoluzione presa tra i rigori dell’astinenza, essa mozza il capo ad Oloferne, salva il suo pudore, porta vittoria. Giuditta fortificata col digiuno, penetra nelle tende straniere; Oloferne sepolto nel vino non sente nemmeno il colpo che lo ferisce a morte. Così il digiuno di una sola donna sgomina un intero esercito di Assiri e salva il popolo di Dio ». Spinto dall’odio e dalla crudeltà di Amari, il re Assuero ordina lo sterminio dei Giudei che gemevano nella schiavitù. Ester, appena lo sa, spaventata dell’imminente pericolo, ricorre a Dio. Depone gli ornamenti reali, e veste il lutto; in vece dei profumi si copre il capo di cenere e di polvere, affligge il suo corpo col digiuno. E intanto ordina a Mardocheo che raduni quanti Giudei troverà in Susa, e tutti insieme preghino per lei, non mangino né bevano per tre giorni e tre notti; digiunerà, anch’essa con le sue figlie. Dopo di ciò è risoluta, non ostante il divieto della legge, ad entrare non chiamata nella stanza del re, e ad esporsi al pericolo di morte per salvare il popolo (Esther IV, 16). A questo punto dice S. Ambrogio: « Ester divenne col digiuno più bella, perché il Signore accresceva la sua grazia in quell’anima sobria ». E infatti nel punto stesso in cui comparve innanzi al re, Dio, dice la Scrittura, cangiò il cuore di Assuero il quale le si gettò tra le braccia gridando: Che hai tu, Ester? io sono tuo fratello, non temere, tu non morrai (Est. XV, 11, 13). Di questo modo Ester col suo digiuno e con la sua preghiera si prepara un nome immortale, ottiene la libertà del suo popolo, il patibolo per Aman, la giustizia per Assuero, la gloria per Iddio. « Colei che digiuna tre giorni, commenta S. Ambrogio, piace agli occhi del re e ottiene quel che domanda, la salute del popolo, li mentre Aman siede alla mensa del re, paga in mezzo alla sua intemperanza la pena che merita la sua ubbriachezza. E dunque il digiuno, il sacrificio della riconciliazione, l’aumento della virtù, il maestro della continenza, l’istitutore della pudicizia, l’umiltà dello spirito, la flagellazione della carne corrotta, la forma della sobrietà, la norma della virtù, la purificazione dell’anima, la mano della misericordia, la scuola della mansuetudine, lo stimolo della carità, la grazia della vecchiezza, la custodia della gioventù, li sollievo degli infermi, l’alimento dei sani, il viatico, il tesoro di tutta la vita ». « Ester, dice S. Efrem, macerata dal digiuno tiene fronte a innumerevoli agguerrii e squadre, lacera l’inumano decreto e placa il tiranno; depresse l’audacia di Aman e conservò illeso Israele ». Giuda Maccabeo e la sua falange ottengono coi loro digiuni il soccorso del cielo e numerose vittorie sui loro potenti nemici (Machab.). I Niniviti sono condannati dalla giustizia divina ad essere distrutti; digiunano tutti rigorosamente e tosto Iddio loro perdona. Gli apostoli digiunano e pregano, lo Spirito Santo discende sopra di loro, li riempie de’ suoi doni, e ne fa degli eroi… Ambrogio attribuisce tutti i miracoli di Elia a’ suoi digiuni. « La voce di Elia, dice questo padre, uscita dà una bocca santificata dal digiuno, chiuse il cielo al sacrilego popolo giudaico. In virtù del suo digiuno risuscitò il figlio della vedova, fece cadere la pioggia, discendere il fulmine dal cielo; il suo digiuno di quaranta giorni gli meritò di essere portato al cielo su di un carro di fuoco, di essere alla presenza di Dio e di conversare con lui. Infine, più digiuna e più è potente e per mezzo del digiuno arresta le onde del Giordano ». II digiuno è la santità del corpo, dell’anima, della memoria, dell’intelletto. Il digiuno prolunga la vita, preserva da mille infermità precoci e crudeli… Qual è la prima e principale prescrizione di un medico? qual è il rimedio più generale? la dieta, la quale altro non è se non un digiuno e un’astinenza assoluta.
  3. Fallaci pretesti per non digiunare. — Si portano mille vani pretesti per esimersi dalla legge dei digiuno: l’età, la debolezza di stomaco, le occupazioni, la rigidezza della legge, ecc… O cielo! i peccatori non possono digiunare, cioè non hanno la forza di salvarsi e l’hanno per dannarsi! Infatti costa più sforzo andare all’inferno che al paradiso… Ah! il mondo pretende sacrifizi, torture, privazioni; impone ordini e doveri mille volte più penosi di quelli del Vangelo… Così poca energia per il bene e tanta attività per il male!… Quei medesimi i quali si credono troppo deboli per sostenere un digiuno o un’astinenza, sanno poi incontrare privazioni, affrontare pericoli di salute ove si tratti di guadagnare una piccola somma di denaro; per un po’ di onore, o di fango, o d’oro, arrischiano tutto, e intanto per la grazia, per il cielo, per l’acquisto della gloria eterna, alcuni giorni di digiuno paiono loro — poverini che sono tanto deboli! — il peso più insopportabile! Ah! non è già la debolezza della complessione la vera causa della violazione di una legge utile e santa, ma l’indebolimento della fede, l’indifferenza, la gola, l’empietà… Ammettiamo pure che la vostra sanità sia debole, ma non siete forse voi medesimi la causa della perdita della vostra sanità? Non la rovinate voi con l’avarizia, con la dissolutezza, con la crapula, con la collera, coi giuochi, con le veglie, coi bagordi? Ah! bene spesso il disordine della sanità proviene dai disordini delle passioni!… Oh quanti abusano di questa sanità, dono prezioso del Signore!…
  4. Diverse specie di digiuno. — Vi è il digiuno della volontà. Noi abbiamo digiunato, dicono taluni; ora perché non ha Iddio accettato i nostri digiuni? Perchè, risponde Isaia, nei vostri digiuni vi servono di norma i vostri capricci e non la volontà di Dio (Isai. LVIII, 3). E sapete qual è il digiuno gradito a Dio? Uditelo dal medesimo profeta: «Sciogliete le trame degli empi, consolate gli afflitti, liberate i prigionieri; spezzate il vostro pane all’affamato, accogliete in vostra casa il povero; vedendo un nudo vestitelo e non disprezzate i vostri fratelli (Ib. 6-7).

Se ciò farete, la vostra luce risplenderà come l’aurora; Iddio vi renderà la sanità, la vostra giustizia vi farà un nome e la gloria del Signore vi circonderà, tutt’intorno. Allora invocherete Dio ed egli vi esaudirà; al primo vostro grido risponderà: Eccomi» (Ib. 9). Da queste parole del profeta noi rileviamo che, affinché il digiuno dei cristiani sia accetto al Signore, bisogna: 1° che l’anima si astenga dai vizi mentre il corpo si astiene dal cibo, come si esprime S. Gerolamo. Difatti lo scopo del digiuno è di umiliare il corpo ed assoggettarlo all’anima, di sottomettere l’anima alla ragione, la ragione alla virtù e allo spirito, lo spirito a Dio; e se non mirate a questo fine, invano adoperate il rimedio dei digiuni; come appunto, osserva il Crisostomo, inutilmente ingoia la medicina quell’infermo che non sa astenersi dai cibi nocivi. « Il merito dei nostri digiuni, dice S. Leone, non sta tutto nella sola astinenza dal cibo; e poco giova, se si toglie l’alimento al corpo e intanto si lascia che lo spirito s’impingui d’iniquità, la lingua corra sfrenata ai mal nocivi. « Se la bocca sola ha peccato, dice S. Bernardo, basta che essa sola digiuni, ma se peccarono anche tutte le altre membra, perché non saranno anch’esse macerate dal digiuno? Digiuni dunque l’occhio e si trattenga dagli sguardi inutili e da ogni vana curiosità; digiuni I’orecchio tenendosi chiuso alle vane ciarle; digiuni la lingua e si freni dalla mormorazione e dalla maldicenza; digiuni la mano astenendosi dai gesti inutili. Ma digiuni soprattutto l’anima, tenendosi lontana dal peccato, e rinunziando alla propria volontà : poiché ogni altro digiuno, senza questo, non è accetto a Dio ». Bisogna pertanto rendere meritorio il digiuno del corpo accompagnandolo col digiuno dell’anima e con l’astinenza dai peccati. Questo vogliono dire quelle parole di Gioele: Santificate il digiuno (I, 14) e: “Nunc ergo, dicit Dominus, convertimini ad me in toto corde vestro, in jejunio, et in fletu, et in planctu” [Or dunque – parola del Signore – ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti”.] (Joel II. 12). Poiché, santificare il digiuno vuol dire, spiega S. Gregorio, « aggiungere all’offerta che si fa a Dio della mortificazione della carne, ogni sorta di opere buone. Cessi l’ira e la discordia; invano si macera il corpo, so non si mette freno ai cattivi appetiti dell’anima ». « Che vale, dice S. Gerolamo, deprimere il corpo col digiuno, se lo spirito s’innalza con l’orgoglio? Che lode meriterà il pallore del digiuno sul volto di colui che mostra, il livore dell’invidia? Che virtù è non bere vino e ubriacarsi d’ira e di odio? ». 2° Fate parte del vostro pane al povero (Isai. LVX, 7). Ecco la seconda condizione, che Dio esige nel digiuno perché gli sia gradito. « Il digiuno, dice S. Gregorio, dev’essere condito di pietà e di limosina; bisogna dare al povero quello che si sottrae allo stomaco; si offra del cibo all’affamato, si dia alloggio al pellegrino, si vesta il nudo. Quello che togli a te, donalo ad altri, e quel mezzo con cui affliggi la tua carne serva a ristorare le forze, degli altri ». Santificate il digiuno. « Il nostro digiuno, scrive S. Basilio, se vogliamo che penetri i cieli, abbia due ali, la preghiera cioè e la giustizia. Quello che santifica il digiuno è l’intenzione pura e la preghiera fervente, che devono offrire il digiuno alla Maestà divina ».

 

L’ESAME DI COSCIENZA

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L’ESAME DI COSCIENZA

[E. Barbier: “I tesori di Cornelio Alapide]

  1. NECESSITÀ DELL’ESAME DI COSCIENZA. — « Osservate, o fratelli, scriveva Paolo, se vi diportate con prudenza » — Videte, fratres, quomodo caute ambuletis (Eph.V, 15). «Esaminatevi, imparate a conoscervi», dice S. Giovanni — “Videte vosmetipsos” ( II, 8 ). « Io veglierò su me stesso, diceva Abacuc, come una sentinella in vedetta, mediterò quello che mi sarà detto, e quello che avrò da rispondere ai rimproveri del Signore » — “Super custodiam meam stabo, et figam gradum super munitionem, et contemplabor ut videam quod dicatur mihi, et quid respondeam ad arguentem me” (II,1). Noi siamo gli economi di Dio, non dimentichiamo dunque che Egli medesimo, figurandosi nel padrone evangelico, ci assicura che chiederà esatto conto al fattore infedele dell’amministrazione dei suoi averi: — “Redde rationem villicationis tuae” (Luc . XVI, 2). Ora chi potrà rendere questo conto se non chi lo rivede di tratto in tratto? Un economo tiene le sue partite assestate, e le conosce a perfezione… Un negoziante ripassa i suoi debiti, le sue perdite, i suoi guadagni. Così dobbiamo fare noi ogni giorno. « Io sono passato, dice Salomone, per il campo dell’indolente, e per la vigna dello stolto, e ho trovato tutto ingombro di ortiche, la cinta era sfasciata, le spine ne coprivano la superficie » — “Per agrum hominis pigri transivi, et per vineam viri stulti; et ecce totum repleverant urticae, et operuerunt superficiem eius spinae, et maceria lapidum destructa erat(Prov. XXIV, 30-31). Ecco la misera condizione a cui si riduce a poco a poco un’anima la quale rifugge dall’entrare in se medesima per esaminarsi seriamente… il loglio sopra il buon grano » — “Cum dormirent homines, venit inimicus eius, et superseminavit zizania in medio tritici” (Matth. XIII, 26 ) . La Scrittura, i santi padri, i maestri di spirito, tutti caldamente raccomandano l’esame di coscienza… È una delle cose più importanti della religione… Nessuna occupazione ce ne deve dispensare… Sono due le principali ragioni che ce ne confermano la necessità: 1) Questo esame è necessario per conoscere i nostri trascorsi e concepirne pentimento. 2) E necessario per non più peccare. Questo esame è tutt’insieme una penitenza ed un rimedio preventivo…
  2. TEMPO E MODO DI FARE L’ESAME DI COSCIENZA. — Tra le Sentenze auree di Pitagora, S. Gerolamo cita la seguente: « Bisogna principalmente mattina e sera, esaminare quel che faremo e quel che abbiamo fatto » (Lib. III, Apol. contra Rufin. c. X ); e il poeta diceva: « Non lasciare che i tuoi occhi si chiudano al sonno, prima che tu abbia esaminato le azioni della giornata ». Nell’opera di Galeno Su la Conoscenza e sui Rimedi delle malattie dell’anima, leggiamo: « Richiamatevi ogni giorno alla mente quello che avete detto e fatto. Spesso lungo il giorno, ma principalmente la sera e la mattina, applicatevi a questo esame». Bonaventura, trattando della purità della vita, raccomanda come mezzo molto acconcio a conservarla, l’esaminare sette volte ogni giorno la propria vita, considerando attentamente e indagando in qual modo abbiamo passato le nostre ore innanzi a Dio (Epist. XXV, memor. 24). Anche S. Doroteo consigliava di osservare alla mattina come fosse trascorsa la notte, e alla sera come si fosse impiegata la giornata, per emendarsi e fare penitenza (Serm. II ). Sant’Ignazio di Loyola costumava esaminarsi in ciascun’ora, paragonando ora con ora, giorno con giorno, settimana con settimana, mese con mese, per vedere in che cosa avesse progredito e in che cosa fosse indietreggiato (In Vita). « Nessuno, diceva S. Bernardo a’ suoi religiosi, vi ama più di voi medesimi, e nemmeno nessuno vi giudicherà più fedelmente di voi medesimi. Fate dunque il mattino una rivista della notte, e stabilite i mezzi più adatti per bene impiegare il giorno che comincia; la sera poi chiedetevi conto del giorno trascorso, e risolvete di passare santamente la notte. Con questo mezzo voi diventerete quasi impeccabili» (Ad fratres de monte Dei). « Entrate nel vostro cuore, dice Ugo da S. Vittore, e scrutatelo con tutta diligenza; considerate donde venite, dove andate, che fate, in qual modo vivete, che cosa perdete, che cosa guadagnate, se progresso o regresso sia il vostro vivere giornaliero, quali pensieri vi occupino, quali affetti vi dominino, da qual parte più frequentemente e più fortemente il nemico vostro vi assalga; e quando voi conoscerete lo stato vostro interiore ed esteriore, non solamente quel che siete, ma quello che dovreste essere, allora da questa conoscenza di voi medesimi v’innalzerete alla contemplazione di Dio». (De Anima, lib. III). Dice ancora S. Bernardo: « Deve anzitutto l’uomo che intende alla sapienza, considerare quello ch’egli è; quello che vi è dentro di lui, e quel che vi è fuori, quel che sopra, quel che contro, quel che prima, e quel che poi. Questa considerazione ben fatta ha per frutto il conoscimento della propria fiacchezza, la carità del prossimo, il disprezzo del mondo, l’amor di Dio. Impari a regnare sopra se medesimo, a regolare la sua vita e i suoi costumi, ad accusare se medesimo al proprio tribunale, a condannarsi sovente, a non rimandarsi mai impunito. Segga la giustizia che condanna; e le si presenti, in atto di rea, la coscienza che accusa e rimorde (De conscient.) ». La stessa cosa consiglia l’Ecclesiastico: « Discuti te stesso, prima di essere chiamato in giudizio, e troverai compatimento innanzi a Dio » — Ante iudicium interroga te ipsum, et in conspectu Dei invenies propitiationem (XVIII, 20). « Esaminiamo e discutiamo le nostre strade », diceva Geremia — “Scrutemus vias nostras et quaeramus” (Lament. III, 40); quindi il re Ezechia esclamava a Dio: « Io ripenserò innanzi a voi tutti i miei anni, nell’amarezza dell’anima mia ». — “Recogitabo tibi omnes annos meos, in amaritudine animae meae” (Isaia XXXVIII, 15). « Innalzi, scrive il Crisostomo, dentro di te il tuo spirito un tribunale, sul quale assiso il tuo pensiero faccia da giudice dell’anima e della coscienza tua; fa venire davanti a te tutte le tue mancanze, chiama a rassegna quel che interiormente hai commesso di male, e ad ogni colpa assegna il dovuto castigo. Di’ teco medesimo frequentissimamente: “Perché ho fatto questa quell’altra cosa? Perché ho osato commettere questa o quella colpa?” Che se la tua coscienza rifugge da quello che fai tu e poi, curiosa, indaga i fatti altrui, dille: Io non ebbi incarico di giudicare gli altri nè ho citato te in giudizio perché tu difendessi gli altri; e richiamala spesso a questo dovere di esaminarsi. Se poi non vuole chiamarsi in colpa e non può difendersi dalle accuse ma ammutolisce, tu battila di santa ragione, come serva altera e viziosa, perché queste busse non la uccideranno, ma la salveranno dalla morte (Homil. XLIII in Matth. ) ». Scrutiamo, dice S. Bernardo, tastiamo e cerchiamo tutti i labirinti, i più reconditi meati, le azioni tutte della nostra vita, i segreti più chiusi della nostra coscienza. Esaminiamo i fatti e le tendenze nostre, e non crediamo di aver fatto profitto nel bene quando avremo scoperto delle colpe, ma bensì quando avremo condannato queste colpe scovate con l’esame. Può dire di non essersi esaminato invano, chi riconosce di aver bisogno di ripetere sovente questo esame. Quando nel cercare abbiamo veduto la necessità di cercare ancora, noi abbiamo cercato bene. E se noi scrutiamo il cuore e la coscienza nostra ogni volta che ne avremo bisogno, noi lo faremo del continuo; perché noi siamo mai liberi di nemici e di ferite» (Serm. LVIII in Cant.). Esaminiamoci con sincerità; esaminiamo sottilmente e a fondo il nostro cuore, e non sarà cosa rara trovarvi appiattata qualche passione, qualche difetto che macchia tutte le nostre azioni, che spiace a Dio, e tien da noi lontani i suoi doni. Schiantate e gettate via questo vizio segreto, questo vizio famigliare se amate la benedizione di Dio, la dolce rugiada dei celesti favori …. Bisogna esaminarsi su ciò che si è fatto, e nel modo con cui si è fatto … Di qual difetto mi sono emendato quest’oggi? a qual peccato ho resistito? sono io migliore? Bisogna fare con se medesimo le parti di testimonio, di accusatore, di giudice, di esecutore… Bisogna non istancarsi nè scoraggiarsi mai, ma perseverare in questo esame, imitando il coltivarore, il giardiniere, il viaggiatore, ecc… Figuriamoci che ogni giorno il Signore dica a noi, come a Geremia: « Io ti ho messo oggi perché schianti e distrugga e perda e dissipi e edifichi e pianti — “Ecce constitui te hodie ut evellas, et destruas, et disperdas, et dissipes, et aedifices, et plantes” (Jerem. I, 10) .
  3. ECCELLENZA DELL’ESAME DI COSCIENZA. — Non c’è cosa più utile, più lodevole, più santa che il penetrare in sé medesimi… Dopo un sottile e diligente esame, le colpe vengono all’aperto e ne segue il pentimento, le lacrime, i proponimenti, il cambiamento di vita …. L’essenziale di un esame di coscienza è che si risolva nel dolore e nel proponimento: ora un esame serio ed assiduo procura l’uno e l’altro. Infatti l’angelo mandato a rassicurare Daniele, gli dice: « Non temere; perché fino dal primo giorno in cui proponesti di mortificarti innanzi a Dio, la tua preghiera fu esaudita, ed io sono venuto » — “Noli metuere, Daniel; quia ex die primo quo posuisti cor tuum ad intelligendum ut te affligeres in conspectu Dei tui exaudita sunt verba tua, et ego veni” ( Dan. X, 12 ) . Quando mai Giuseppe si fece conoscere a’ suoi fratelli, li abbracciò al suo seno, pianse con loro, e li ricolmò di favori? solamente dopo che ebbero narrato schiettamente i loro torti, e palesati i loro salutari rimorsi (Gen. XLIV, 12 ). Così fa Dio con quelli che dopo un severo esame di se stessi si chiamano in colpa. « Il conoscere se stesso è la massima e la più eccellente istruzione, dice Clemente Alessandrino; perché chi conosce se stesso, conosce Dio (Stromat. Lib. I) ». Perciò S. Agostino esclamava: « O Dio, che non cangiate, datemi ch’io conosca voi e conosca me (Soliloq. C. I) ». Iddio, scrive lo stesso santo dottore, verrà, si mostrerà, esaminerà e convincerà quando il mutamento del cuore non sarà più possibile. Io vi porrò in faccia a voi medesimi, dice Iddio. Fate dunque subito voi medesimo quello che più tardi farà Dio. Cessate dal gettarvi dietro le spalle i vostri peccati per non vederli, ma poneteveli sotto gli occhi. Salite al tribunale della vostra mente e siate vostro giudice: il timore vi castighi, la confessione delle vostre miserie si faccia largo attraverso le nubi dell’amor proprio, e gridate al vostro Dio: Io conosco la mia iniquità, e la mia colpa mi sta del continuo innanzi allo sguardo. Mettete dinanzi a voi quello che prima tenevate dietro di voi, per timore che più tardi il divin Giudice non vi ponga Egli medesimo in faccia vostra, e non possiate più sfuggirgli; affinché la sua giustizia non vi abbranchi come leone, senza che nessuno possa scamparvi (in Psalm XLIX ). Ambrogio insegna che la conoscenza di se medesimo devo precedere quella di Dio e che alla conoscenza di Dio non si arriva se non con la conoscenza di se stesso, e per mezzo delle buone opere (Offic. lib. I ). È sentenza di Socrate che « chi non conosce se stesso non è capace né a governar sé, né a reggere gli altri» (Anton. in Meliss.). Ora dove mai l’uomo impara a conoscersi, se non nell’esame di coscienza?… Quindi S. Bernardo dice: « Applicati a conoscere te stesso, poiché sarai molto più buono e più lodevole se conoscerai te stesso che se, ignorando te stesso, tu fossi istruito del corso degli astri, della virtù delle erbe, della natura degli uomini e degli animali, e di tutte le cose celesti e terrestri. Ritorna dunque, e restituisci te a te stesso (De consider.) ». Udite come esclamava S. Francesco d’Assisi: « Chi sei tu, o Signore, e chi sono io? Tu l’abisso dell’essere, del bene, della sapienza, della virtù, della perfezione, della gloria; io il baratro del niente, del male, dell’ignoranza, dei vizi, delle miserie e di ogni abbiezione (In vita) ».
  4.  DUE SORTA DI ESAME. — Vi sono due sorta di esame: il particolare e il generale: quello riguarda un solo punto; questo invece tutto quello che si è pensato, desiderato, fatto od omesso lungo il giorno… L’esame particolare devo mirare principalmente a ciò che più ci sta su l’anima…; alla passione dominante…, alla tentazione che più ci travaglia, alla virtù di cui abbiamo più difetto, ecc.. Caduto il comandante, tutto l’esercito è sgominato; così pure, estirpato il vizio dominante, tutti gli altri vengono facilmente sradicati. Chi va ad uccidere un serpente, non colpisce su tutta la lunghezza del suo corpo, ma mira alla testa perché, schiacciata questa, tutto è finito. Così è delle passioni; colpite il capo, e voi avrete colto e sterminato tutto il rimanente… Davide va di filato a Golia… Quel che preme a un medico è accertarsi della sede della malattia; così quello che più deve importare a voi si è di conoscere dove si annidi la vostra principale malattia. Perché una cattiva erba non cresca, bisogna estirparla dalle radici. L’esame di coscienza molte volte non approda a nulla di buono perché non si volge a indagare e discutere quello che è di maggiore importanza. Intanto però è bene che all’esame particolare si aggiunga il generale.

I falsi vescovi senza mandato papale

A proposito dei falsi vescovi senza mandato papale, privi di giurisdizione, e dello stato di necessità degli pseudo-tradizionalisti.

Riprendendo l’argomento pretestuoso del cosiddetto “stato di necessità”, ventilato dai settari della sesta “colonnetta” che puntella i marrani usurpanti della “quinta colonna” oramai traballante, proponiamo questo brano di Dom Gueranger a commento del Vangelo di S. Giovanni cap. X, 1-10, al quale si era pure riferito S.S. Pio XII in Principis Apostolorum.

GesùBuonPastore

La fedeltà del vero pastore.

[da: “l’anno liturgico” vol. II, martedì. dopo Pentecoste

[-i grassetti sono redazionali-]

   Proponendo questo brano del vangelo ai neofiti della Pentecoste, la Chiesa voleva premunirli contro un pericolo che poteva presentarsi durante il corso della loro vita. Nel momento in cui siamo, essi sono le pecorelle di Gesù Buon Pastore, e questo divin pastore è rappresentato presso di essi da uomini che egli stesso ha investito della missione di pascere i suoi agnelli. Questi uomini hanno ricevuto da Pietro tale missione, e colui che è con Pietro è con Gesù. Ma spesso è accaduto che nell’ovile si siano introdotti falsi pastori, che il Salvatore qualifica col nome di ladri e di assassini, perché invece di entrare per la porta, hanno scalato il recinto dell’ovile. Ci dice che Egli stesso è la porta dalla quale devono passare coloro che hanno il diritto di pascere le sue pecore. Ogni pastore, per non essere assassino, deve aver ricevuto la missione da Gesù, e questa missione non può venire che da colui che Egli ha stabilito a rappresentarlo fino a che venga lui stesso.

Lo Spirito Santo ha diffuso i suoi doni nelle anime di questi nuovi cristiani; ma le virtù che sono in essi non possono esercitarsi in modo di meritare la vita eterna, che nel seno della vera Chiesa. Se, invece di seguire il pastore legittimo, essi avessero la disgrazia di affidarsi a falsi pastori, tutte quelle virtù diverrebbero sterili.

Essi devono dunque fuggire, quale straniero, colui che non ha ricevuto la sua missione dal solo Maestro che può condurli attraverso i pascoli della vita. Spesso, durante il corso dei secoli, si sono incontrati pastori scismatici; il dovere dei fedeli è di fuggirli, e tutti i figli della Chiesa devono prestare attenzione all’avvertimento che in questo brano dà nostro Signore. La Chiesa che egli ha fondato e che conduce per mezzo dello Spirito, ha il carattere di essere apostolica. La legittimità della missione dei Pastori si manifesta per mezzo della successione; e perché Pietro vive nei suoi successori, il successore di Pietro è la sorgente del potere pastorale. Chi è con Pietro è con Gesù Cristo.

A CHI SI DEVE NEGARE L’ASSOLUZIONE

A CHI SI DEVE NEGARE L’ASSOLUZIONE

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 [Da: I TESORI DI CORNELIO ALAPIDE- vol. 1 S.E.I. Torino – terza ed. 1930]

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I confessori sono tenuti a negare o differire l’assoluzione:

1° a coloro che ignorano i misteri principali della fede, o i comandamenti di Dio e della Chiesa.

2° Ai padri, alle madri, ai padroni, alle padrone che non istruiscono o non fanno istruire o impediscono che s’istruiscano i loro figli, i loro dipendenti, delle cose necessarie alla salute, o che non vigilano la loro condotta.

3° A quelli che esercitano professioni, arti, mestieri cattivi di loro natura, o che non si possono esercitare senza peccato, come quelli d’istrioni, di spiritisti, di scrittori empi od immorali.

4° A chi conserva odio, che rifiuta di perdonare e di riconciliarsi.

5° A chi ha fatto torto o cagionato danno al prossimo, sia nella roba, sia nella fama e non vuole ripararlo secondo il suo potere, né promettere di farlo quando sarà in condizione.

6° A quelli che vivono nell’abito di un peccato mortale, se non si adoperano sinceramente e con ogni potere a svestirsene.

7° A coloro che stanno volontariamente esposti al peccato mortale, se non allontanano l’occasione; come anche a quelli che non vogliono cessare di farsi occasione prossima di peccato.

8° I peccatori pubblici non possono esseri ammessi ai sacramenti sino a tanto che non abbiano riparato, per mezzo di conveniente soddisfazione, lo scandalo dato; una semplice promessa non basta, si richiede una vera riparazione.

L’amore per il Papa

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L’AMORE PER IL PAPA

[Mons. De Ségur da: “Le tre rose”, Tutte le opere vol. 11]

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Perchè tutti I cristiani devono amare il Papa:

Perché è il Vicario, cioè il rappresentante visibile del buon DIO sulla terra!

   Nel suo amore infinito, DIO ha volute discendere ed apparire visibilmente in mezzo a noi; ed è per questo che Egli si è fatto uomo. Lui, il Creatore e il sovrano Signore di tutto ciò che esiste, e si è rivestito della nostra umanità, nella pienezza dei tempi; e da allora, vero DIO e vero uomo insieme, ha preso il nome sacro di GESU’. – Questo è ciò che la Chiesa chiama “il mistero dell’Incarnazione”. Dopo averci riscattati morendo sulla croce per noi, GESU’ CRISTO è risuscitato e salito al cielo, ove ci prepara a tutte le felicità eterne del suo bel Paradiso, se durante la nostra vita, Gli siamo stati fedeli ed osserviamo i suoi comandamenti. Ma, come DIO, invisibile ed eterno in se stesso, ha voluto apparire visibilmente agli uomini nella Persona del suo Figlio unigenito, per porsi alla sua portata e facilitare la Fede, la confidenza e l’amore che attendeva da essi; allo stesso modo, per partecipare a tutti i figli della sua Chiesa la conoscenza precisa della Religione, ha voluto che Essa fosse loro insegnata e spiegata dagli uomini dei quali poteva intendere la parola ed imitarne l’azione. Questi uomini sono i Vescovi ed i Preti. Affinchè i Vescovi ed i Preti non possano sbagliarsi ed ingannare gli uomini insegnando loro l’errore, ha Egli stesso preposto loro un Capo supremo ed unico, un Sommo Sacerdote, un Pontefice sovrano, al quale ha conferito il privilegio divino dell’infallibilità dottrinale, rivestendolo della sua sovrana autorità. Prima di lasciare la terra l’ha incaricato di aver cura nel pascere il suo gregge, cioè di condurre, di insegnare, di dirigere, nel suo nome ed al suo posto, la sua Chiesa tutta intera, tutti i Vescovi, tutti i Preti, tutti i fedeli. – Questo capo supremo ed unico della Chuesa, Dottore e Pastore di tutti i Vescovi, di tutti i Preti e di tutti i cristiani, è il Papa, successore dell’Apostolo San Pietro ed erede di tutti i suoi privilegi. Il Papa è il depositario unico delle grandi promesse fatte da GESU’ CRISTO a San Pietro, per la salvezza ed il bene del popolo cristiano tutto intero; di modo che, riconoscendo nel Papa il Vicario ed il luogotenente visibile di GESU’ CRISTO quaggiù, noi sottomettendoci alla sua autorità, riverendo ed amando i suoi insegnamenti e le sue direttive, noi siamo sicuri di camminare nella via della salvezza, di conoscere e praticare, in tutta la sua purezza, la religione di nostro Signore GESU’ CRISTO. – Il Papa è così, per tutti i fedeli in generale e per ciascuno in particolare, come un altro GESU’ CRISTO senza il Quale noi non potremmo conoscere con certezza ciò che ci interessa conoscere di più quaggiù: le vera Religione, la vera via di salvezza, di servizio di DIO, e di conseguenza, della felicità, prima in questo mondo, e poi nell’altro. Eccoperchè noi dobbiamo amare il Papa, se veramente siamo cristiani. È GESU’ CRISTO che noi riveriamo nella Persona del suo Vicario, ed è all’autorità stessa di GESU’ CRISTO CHE noi ci sottomettiamo, quando ci sottomettiamo sinceramente, totalmente all’autorità del suo Rappresentante sulla terra.

L’autorità del Papa non è altro che l’autorità di GESU’ CRISTO.

È il nostro stesso Signore GESU’ CRISTO che ce lo dice nel suo Vangelo. Ecco i tre celebri passaggi nei quali Egli stabilisce S. PIETRO Capo della sua Chiesa, Dottore infallibile dei suoi fratelli, e Pastore di tutte le sue pecore. «Io stesso te lo dichiaro – gli dice un giorno (al capitolo XVI del Vangelo di San Matteo) – Tu sei Pietro, e su questa pietra IO edificherò la mia Chiesa, e le potenze degli inferi non prevarranno su di Essa, ed è a te che IO darò le chiavi del Regno dei cieli; e tutto ciò che tu legherai sulla terra, sarà legato in cielo; e tutto ciò che scioglierai sulla terra, sarà sciolto nei cieli ».  – Un’altra volta, pochi giorni prima della sua Passione, Egli dice allo stesso San Pietro (al capitolo XXII di san Luca): « Simone, ecco che il demonio ha chiesto di vaglisarvi come si vaglia il frumento; ma IO ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu a tua volta, conferma i tuoi fratelli ».  – Infine, dopo la sua Resurrezione, nel momento in cui stava risalento in cielo, il Salvatore, circondato dai suoi Apostoli, si rivolge un’ultima volta a Colui che doveva diventare il suoi Vicario ed il Capo visibile della sua Chiesa; e gli dice (nell’ultimo capitolo del Vangelo di San Giovanni): « Sii il Pastore dei miei agnelli, dei miei agnelli e delle mie pecore ». Queste sono proprio le parole del Figlio di DIO. Esse mi sono state sufficienti dimostrandole, leggendole e spiegandole con semplicità ad un giovane artista protestante, per aprirgli gli occhi e fargli toccare con mano questa grande e fondamentale verità, che la Chiesa cattolica, che sola ha il Papa come Capo spirituale, è la sola vera Chiesa di GESU’ CRISTO. Abiurando i suoi errori, il degno giovane non esitò così a diventare cattolico. – Vedete in effetti: Nostro Signore, la cui parola è sovrana e divina, dichiara formalmente a San Pietro che bisogna fare di Lui la Pietra fondamentale, la Pietra unica sulla quale Egli farà riposare tutto l’edificio vivente della sua Chiesa, vale a dire della società dei suoi veri discepoli. Non c’è che una Chiesa, Egli non dice “le mie Chiese”, bensì la “MIA CHIESA”. – E qual è questa Chiesa, questa UNICA Chiesa? Egli ce lo dice ancora: è la Chiesa che riposa su San Pietro, sull’autorità di San Pietro, sull’insegnamento di San Pietro, sul governo spirituale di San Pietro, sempre vivente nei suoi Successori, i Vescovi di Roma. E poiché la sua Chiesa sarà da Lui fondata su San Pietro, ed Egli, il Figlio di DIO, governerà e condurrà sempre la sua Chiesa con la santa pietra, e con San Pietro, e a causa di ciò « le potenze dell’inferno » non potranno mai, benché siano, benché facciano, nel diciannovesimo secolo, come nel primo, come in tutti gli altri, prevalere contro di Essa, trionfare su di Essa, distruggerla. La forza di Pietro gli viene da GESU’ CRISTO, e GESU CRISTO è il Figlio di DIO, è DIO fatto uomo.

GESU’ dà al suo Vicario, e a LUI SOLO « le chiavi del Regno dei cieli »; quaggiù, il Regno dei cieli, è la Chiesa di DIO; in cielo è il Paradiso, dove la Chiesa è incaricata di condurci. Nell’antichità le chiavi erano il simbolo della proprietà o almeno dell’intendenza generale dei palazzi; e ai nostri giotni si offrono ancora ai Sovrani le chiavi delle città ove vengono fatti solennemente entrare. Le chiavi della Chiesa date da Nostro Signore a San Pietro sono il simbolo dell’autorità suprema, affidata dal Figlio di DIO al Capo della sua Chiesa.

Ci sono due chiavi: la chiave che apre e la chiave che chiude, la chiave che lega e la chiave che scioglie. La chiave che “lega”, è il potere di comandare sovranamente, di insegnare, de definire, giudicare senza appello: «Tutto ciò che tu legherai sulla terra, sarà legato anche nei cieli ». La chiave che scioglie, è il potere, egualmente sovrano, di perdonare, di assolvere e benedire. Non pià che il potere di legare, il potere di sciogliere non ammette limiti né restrizioni: « Tutto ciò che sciogliera sulla terra, sarà sciolto anche nei cieli» . Il Papa, o per meglio dire GESU’ CRISTO, per mezzo del Papa, e con il Papa, è così costituito, fino alla fine del mondo, il Sovrano spirituale di tutta la terra; in ciò che concerne, direttamente o indirettamente, la gloria di DIO e la salvezza delle anime, tutto è sottomesso alla sua divina e suprema autorità; tutto, senza eccezione; i popoli, i principi, i governanti, chiunque essi siano, le leggi, le costituzioni ed istituzioni pubbliche, gli imperi, i reami, le repubblche, tutte le magistrature di questo mondo, le società, le famiglie, gli individui; tutto, senza eccezione, è sottomesso al Vicario di DIO, come a DIO stesso; ed Egli è incaricato di far regnare ovunque Nostro Signore GESU’ CRISTO, di segnalare e combattere dappertutto ciò che è contrario alla legge di DIO: di far conoscere e di far fiorire dappertutto e malgrado tutto, ciò che è santo, ciò che è buono, ciò che è secondo DIO, ciò che conduce la anime alla eeterna felicità. Chiunque si oppone o resiste a questo ministero divino del Vicario di GESU’ CRISTO, diviene perciò stesso l’avversario di GESU’ CRISTO, il nemico di DIO e degli uomini. – Il Papa è incaricato di “pascere le pecore e gli agnelli” da GESU’ CRISTO, su tutta la superficie della terra, per tutti i secoli. Egli è incaricato di propagare daèèertutto e conservare dappertutto la fede, cioè la conoscenza del solo vero DIO vivente, GESU’ CRISTO, e di farLo amare e servire da tutti gli uomini. « Sii il Pastore dei miei agnelli; sii il Pastore delle mie pecore ». Le “pecore” di GESU’ CRISTO sono i Vescovi, successori degli Apostoli (almeno in un senso); gli “agnelli” di GESU’ CRISTO, sono in primo luogo i preti, figli primogeniti e cooperatori dei Vescovi, e quindi tutti i fedeli, tutti i battezzati, a cominciare dai principi di questo mondo e tutti coloro che a qualsiasi titolo si trovano ad essere depositari dell’autorità. Il Papa è, per diritto divino, cioè per volontà di DIO, il loro “Pastore”, a tutti ed ognuno; loro Pastore, cioè loro guida, nelle vie della santità cristiana e della salvezza eterna; egli è loro Dottore supremo ed infallibile, il sovrano Direttore spirituale di tutte le coscienze, il Giudice supremo di tutte le questioni che interessano sia la verità, sia il diritto, e la giustizia, e la morale, ed il bene spirituale dei popoli e dei particolari, in una parola, di tutto ciò che interessa quaggiù la salvezza delle anime. – Per l’onore del suo nome e per la salvezza della Chiesa, GESU’ CRISTO l’assiste così bene in tutto ciò che concerne l’insegnamento della vera dottrina ed il governo spirituale del mondo, che egli non può errare né ingannare gli altri. È l’effetto divino dell’onnipotente preghiera del Figlio di DIO, quando ancora era in questo mondo: “il demonio sta per vagliarvi tutti; ma “IO ho pregato per te”, per te stecialmente, perché a te solo IO affiderò la cura si tutta la moa Chiesa. E qual è la mia preghiera? “Che le tua fede non venga mai a mancare”; la tua fede come Capo della Chiesa, la tua fede come Sovrano Dottore di tutti i Vescovi, di tutti i Preti, di tutti i Cristiani, di tutte le società, di tutti gli uomini. Confermali nel mio Nome, con la mia infallibile autorità, che per partecipazione, diventa la tua. IO ti confermo nell’infallibilità della fede; tu a tua volta conferma i tuoi fratelli”. Tali sono, caro lettore, gli oracoli caduti dalle labbra di DIO stesso. Tali sono le promesse che Egli si è degnato fare per l’amore nostro e per la nostra salvezza, a Colui che Egli costituiva per sempre il Padre di tutti i Cristiani a venire, il Capo supremo della sua Chiesa, il Pastore di tutte le sue greggi. – Non ho allora ragione nel dirvi che l’autorità del Papa, è l’aurorità stessa di GESU’ CRISTO? – Non quanto alla persona, ma quanto all’autorità, quanto alla dignità, il Papa è GESU’ CRISTO che continua in mezzo a noi il suo ministero divino di Padre e di Pastore delle anime, di Dottore, di Giuduce, di Consolatore e di Amico. È GESU’ CRISTO e non l’uomo che bisogna sempre vedere nel Papa. Attraverso l’uomo bisogna sempre risalire fino a GESU’ CRISTO. Di qual santo amore dobbiamo quindi amare il Papa? – Un giorno, nella campagna di Roma, io ragionavo, sul suo catechismo, con un pastorello di tredici o quattordici anni che mi faceva da guida tra le meravigliose montagne del Lazio. Il ragazzo era molto orgoglioso: egli non sapeva forse né leggere né scrivere, ma ciò che sapeva, con una precisione che mi stupiva, era tutto ciò che concerneva la Religione, cioè l’unica cosa necessaria all’uomo quaggiù. Dopo alcune domande, alle quali il piccolo romano aveva ben risposto, ebbi l’idea di interrogarlo sul Papa. « Ditemi un po’, ragazzo, che cos’è il Papa? » A questa parola, il giovane pastore si ferma, si anima e con una sorta di fierezza e di religioso rispetto mi risponde: « Il Papa, è GESU’ CRISTO sulla terra! ». Oh, che bella risposta! Nella sua energica semplicità, aveva riassunto tutta la dottrina sull’autorità suprema ed infallibile del Vicario di GESU’ CRISTO. Si: il Papa è GESU’ CRISTO sulla terra!

Come il Papa sia la regola vivente della vera fede 

La « regola della fede, » è l’autorità docente alla quale si è tenuti a sottomettersi se si vuol sapere, senza rischio di inganno, ciò che è vero e ciò che è falso in materia di religione, ciò che è rivelato da DIO e ciò che non lo è. – La fede è la sottomissione totale dello spirito e del giudizio a tutte le verità rivelate da DIO; e queste verità si trovano consegnate in primis nella Santa Scrittura, poi nella Tradizione degli Apostoli, primi predicatori della religione cristiana. Tutte le verità rivelate, non sono in effetti esplicitamente relate nelle Sante Scritture; e quelle che vi leggiamo hanno bisogno di una spiegazione,di una interpretazione vivente che, dopo mille e novenento anni, gli eretici non hanno fatto altra cosa che appoggiare gli errori si testi mal compresi. È dunque tutto naturale che, nel suo amore per le anime e per l’unità della fede, Nostro Signore istituì, nell’ambito della sua Chiesa, un Giudice supremo, infallibile, sempre vivente e presente, la cui funzione principale sarebbe di conservare intatto il deposito delle verità rivelate agli uomini dall’inizio del mondo. – Questo giudice, divinamente assistito da DIO per interpretare il vero pensiero divino nascosto sotto la scorzadella lettera nella Scrittura Santa, e per non lasciare alterarsi le verità predicate all’origine del Cristianesimo dagli Apostoli, è il Papa, Vicario di Colui che è la Verità, e Capo infallibile della Chiesa di DIO. – La conseguenza evidente di questa verità, che è un articolo di fede, è che per l’autorità divina ed infallibile del suo insegnamento, il Papa è la regola vivente e suprema della vera fede; vale a dire che sul suo insegnamento, e non sull’insegnamento di un altro, che noi dobbiamo regolare la nostra credenza; il Papa, in effetti, sia quando parla singolarmente ex cathedra, sia quando si pronuncia con l’assenso dei Vescovi riuniti in Concilio, ha ricevuto da DIO la missione di dare al mondo, con autorità infallibile, ciò che è vero e ciò che non lo è, ciò che bisogna credere e ciò che bisogna rigettare. Senza dubbio, le parole della Scrittura e gli insegnamenti della Tradizione sono delle verità rivelate, di conseguenza delle rewgole per la fede; ma perché queste verità rivelate divengano di fatto, la regola vivente e definitiva della vera fede, bisogna che siano definita dall’autorità della Chiesa, e principalmente dal suo Capo supremo, dal suo Dottore infallibile, che è il Papa. Solo al Papa, quando parla come Capo supremo della Chiesa, GESU’ CRISTO ha dato la missione e dà continuamente la grazia di interpretare le parole della Santa Scrittura nel loro giusto senso, e di trasmetterci in tutta la sua purezza la verità cattolica, sia scritta, sia tradizionale. A lui solo, nella Persona di Pietro, Egli ha detto: « Tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli. Io ho pregato per te, perché tu non possa fallire. A te ora il confermare i tuoi fratelli. Sii il Pastore dei miei agnelli e delle mie pecore ». Al Papa solo appartiene il dispensare in modo divinamente infallibile le verità religiose. Dunque è egli solo la regola vivente della vera fede. Questo non vuol dire che nella Chiesa cattolica, il Papa faccia tutto, e solo tutto lui. È vero che tuttoi ciò che si fa, si fa sotto la sua alta presidenza, e tutto procede da Lui,, o per meglio dire, da GESU’ CRISTO, che per lui ed in lui, governa, insegna e dirige incessantemente la Chiesa. Come la testa regge e condice tutto il corpo, senza essere per questo tutto il corpo, così il Papa insegna e governa sovranamente la sua Chiesa, senza essere pertanto tuttom nella Chiesa. – Nello Stato, tutto si fa in nome del Sovrano, e tutti i poteri secondari derivano e dipendono realmente dal suo. In questo senso egli fa tutto, governa tutto. Ma egli non fa tutto da se stesso: egli lo fa mediante i suoi ministri, i suoi prefetti, i suoi magistrati, i suoi funzionari di ogni grado, fino al sindaco del più piccolo villaggio, fino all’ultimo dei sergenti e dei caporali, fino al più umile giudice di pace; così, in un senso, è il governo della Chiesa universale da parte del Papa. – L’incarico di vegliare nel contempo sull’insieme e nel dettaglio di una società che abbraccia il mondo intero, sarebbe un’impresa evidentemente impossibile; e la saggezza divina del Salvatore vi ha provvisto dando al Papa, successore di San Pietro, degli ausiliari che sono i Vescovi, successori degli Apostoli. San Pietro non è stato inviato solo per conquistare il mondo a GESU’ CRISTO, ma San Pietro, con i suoi fratelli, gli Apostoli che, con lui, e sotto la sua dipendenza, insegnano, battezzano, fondano le Chiese, evangelizzano i popoli, salvano le anime. – Tale è stato, tale è ancora, tale sarà fino alla fine del mondo, il ministero dei nostri Vescovi. Uniti al Papa, come gli Apostoli erano uniti a San Pietro, essi ricevono da lui l’insegnamento infallibile della fede e le grandi direttive del governo spirituale della frazione del gregge di GESU’ CRISTO che il Papa affida alle loro cure. Inoltre essi insegnano infallibilmente con il Papa; essi giudica le questioni dottrinali con il Papa, ma sempre sotto la sua dipendenza. Essi sono contemporaneamente pecore e pastori: pecore in rapporto al Papa, pastori, in rapporto ai fedeli. E così è con essi e per essi che il Pastore ed il Dottore universale di tutti i cristiani, insegna, governa, evangelizza e salva le anime. – In quanto Vescovo come essi, il Papa è loro fratello e loro uguale; intanto che è Papa, cioè il Vicario di GESU’ CRISTO, egli è loro Padre, loro Pastore e il Vescovo dei Vescovi. Bisogna non di meno osservare che il carattere di Giudice e di Dottore della fede appartengono, ad un grado secondario, ai Vescovi congiuntemente con il Papa, e che i Vescovi cattolici compongono, realmente con lui, la Chiesa insegnante ed infallibile in senso attivo. E questo, di diritto divino, vale a dire in virtù dell’istituzione divina. Inoltre, per aiutare i Vescovi stessi nel loro ministero pastorale, e raggiungere facilmente tutte le anime. Nostro Signore ha donato loro degli ausiliari inferiori, che sono i Preti e i Diaconi. Li si vede apparire, dopo gli Apostoli, all’origine stesso del Cristianesimo. Sotto la direzione del Vescovo in ogni diocesi, i preti predicano la Religione, amministrano il Battesimo e gli altri Sacramenti, celebrano il Santo SACRIFICIO, dirigono il culto divino e le assemblee dei fedeli, perdonano i peccati e fanno in piccolo, in parrocchia, ciò che il Vescovo fa nella diocesi, ciò che il Papa fa nella Chiesa intera. – Con i semplici fedeli, ai quali essi insegnano e che dirigono in nome de loro rispettivi Vescovi, i Preti compongono la Chiesa discente, la quale è infallibile, anch’essa, ma solo nel senso passivo, cioè in quanto aderente alla Chiesa docente. Tale è l’ordine stabilito da GESU’ CRISTO, tale è la semplicissima e potentissima organizzazione della santa CHIESA. Comprendete allora, miei cari lettori, come il Papa faccia tutto nella Chiesa, governi tutto, e come non di meno egli non faccia tutto, tutto da solo. – Uno di questi venerabili successori di San Pietro, il beato Papa Liberio, diede una bella e illuminante risposta all’imperatore Costanzo che, irritato dal suo coraggio apostolico nel difendere la fede, l’aveva citato alla sbarra del suo tribunale. Costanzo si era lasciato sedurre dagli eretici ariani, e proteggeva apertamente la loro fazione contro i Vescovi cattolici. – Il Papa Liberio, incurante delle ire imperiali, veniva a condannare ed a deporre un certo numero di Vescovi ariani, favoriti dal principe: « Chi sei tu dunque per parlare con tanta audacia? – gli domandò Costanzo quando lo interrogò – tu non sei che una parte della Chiesa! – Si, rispose il Santo Pontefice, ma io sono la parte che costituisce il tutto: pars tota »!  – Fedeli di GESU’ CRISTO, noi riceviamo e sempre riceveremo, come sua parola, la parola del suo Vicario, perché il Papa è, attraverso i secoli e fino alla fine dei tempi la “bocca del CRISTO”, come diceva mirabilmente San Giovanni Crisostomo. L’insegnamento del Papa è, di diritto divino, l’insegnamento della pura dottrina cattolica. Egli è la regola vivente ed infallibile della vera fede. Che beatitudine avere così, per guidarci attraverso le tenebre di questo mondo, il fare della vera luce! Quale grazia, quale onore essere CATTOLICO! Perché tante persone blaterano contro il Papa senza nemmeno conoscerlo? Eh mio DIO! Ma è facile da comprendere; è semplicemente perché egli è il rappresentante visibile di Nostro Signore GESU’ CRISTO in mezzo agli uomini, e che la moltitudine di coloro che oltraggiano sia il Vangelo di GESU’ CRISTO che la santità della legge di GESU’ CRISTO, con la paura dei giudizi temibili di GESU’ CRISTO, si trova naturalmente ostile al Vicario di GESU’ CRISTO. – Il Papa ha come nemici giurati tutti gli empi, tutti gli eretici, tutti i franco-massoni, senza contare l’immensa moltitudine dei cattivi cristiani, dei libertini che offusca la Religione, dei lettori dei giornali rivoluzionari di ogni classe e di ogni professione. Egli ancora ha per avversari più o meno dichiarati, più o meno accaniti, tutti i governi le cui costituzioni, leggi e tendenze non sono affatto cattoliche, e di conseguenza sono in opposizione con il regno di Nostro Signore GESU’ CRISTO sulla terra. Ora queste diverse categorie di avversari del Figlio di DIO e della sua Chiesa sono più numerosi che mai, man mano che nel mondo si propagano le libertà deleterie dei figli della rivoluzione. – « Il Papa e la Chiesa sono tuttuno », diceva a ragione San Francesco di Sales, e con altrattanta ragione, si può dire: la Chiesa e GESU’ CRISTO son tuttuno. Il Papa è la personificazione vivente, parlante, agente della Chiesa; e la Chiesa è la personificazione visibile di GESU’ CRISTO e del suo regno in mezzo al mondo. – Come non stupirsi nel vedere i nemici di GESU’ CRISTO attaccare la Chiesa, o almeno vederla di cattivo occhio? E i nemici della Chiesa essere i nemici del Papa, sollevarsi contro il Papa, blaterare contro il Papa, Capo della Chiesa, centro e forza della Chiesa? Quando si vuole uccidere un uomo è alla testa soprattutto che si mira: tutti i nemici di GESU’ CRISTO, che vorrebbero sbarazzarsi della Chiesa, puntano al Papa perché egli è il Capo della Chiesa, il Pastore ed il Dottore della Chiesa, “ pars tota” come diceva energicamente il santo Papa Liberio. La calunnia è l’arma favorita dei nemici della Chiesa e del Papa; è il loro Chassepot (fucile dell’epoca-ndr.-), il loro cannone, la loro mitraglia, che spande da ogni lato gli innumerevoli proiettili di menzogna nei piccoli villaggi, come nelle grandi città: questi sono innanzitutto i cattivi giornali, che sono divenuti la piaga del mondo. Migliaia e migliaia di sfrontati mentitori ripetono tutti i gioni le loro menzogne, le popolarizzano con l’ironia e la caricatura, così che la folla innumerevole degli ignoranti, degli sciocchi e degli storditi finisce per credervi e per considerare verità acquisite, incontestabili, le calunnie più grossoilane, fabbricate a piacere nelle officine del giornalismo; calunnie che si fondano sul nulla, ma che hanno ugualmente l’orribile potere di affievolire la fede nelle anime, e di allontanarle dal rispetto per l’autorità del Sovrano Pontefice, dei Vescovi e del clero. Ai giornalisti anticattolici si aggiungono, per aiutarli alla bisogna, la numerosa folla di istitutori ed istitutrici senza religione che invadono in modo sempre più massivo le nostre scuole primarie, e nei licei, nei collegi, nei pensionati di ogni categoria, i professori di storia, di scienze, di letteratura, che abusano dell’autorità della loro parola per inculcare mille pregiudizi anticattolici nello spirito dei loro allievi; a tal punto che è all’intero insegnamento, e non solo alla storia, che si può applicare oggi la celebre parola del conte de Maistre: « Da trecento anni, la storia è una vasta cospirazione contro la verità ». Si, da molto tempo e particolarmente da un secolo, l’insegnamento pubblico non è che una vasta cospirazione contro la verità, contro la fede, contro la Chiesa. Ed ecco perché c’è tanta gente che scientemente o meno, blatera contro la Chiesa e contro il Papa.

Se non si ama il Papa, non si è veramente cristiani.

Non si tratta qui di un amore naturale, di un amore di pura sensibilità. Si tratta di quest’amore di fede, ben più elevato, ben più potente, con cui noi amiamo il buon DIO e la sua santa volontà. È con questo amore che dobbiamo amare ed amiamo il Papa e la Chiesa. Qui non si tratta della persona del Papa, la quale può essere più o meno amabile e simpatica: no, qui parliamo innanzitutto della santa Autorità del Papa, noi parliamo del Papa in quanto Papa, in quanto “GESU’ CRISTO sulla terra”, come diceva il pastorello della campagna di Roma. In questo senso noi dobbiamo al Papa un amore che si fonde con quello che dobbiamo allo stesso GESU’ CRISTO; o per meglio dire è GESU’ CRISTO, l’autorità di GESU’ CRISTO che noi amiamo e veneriamo nel suo Vicario. È allora evidente che tutti noi dobbiamo, se siamo cristiani, amare il Papa con una fede profonda, con questo grande amore religioso, soprannaturale con il quale amiamo il buon DIO. – Per essere veramente cristiani, veramente discepoli di GESU’ CRISTO, non è sufficiente in effetti essere battezzato, fare preghiere, andare a Messa, confessarsi, comunicarsi, etc. ; bisogna inoltre avere lo spirito di GESU’ CRISTO, cioè avere gli stessi sentimenti di GESU’ CRISTO, amare ciò che Egli ama, rigettare quello che Egli rigetta, e avere con Lui un solo cuore ed una sola anima. Ora, quaggiù, ciò che GESU’ CRISTO ama con un amore sovrano, è il suo Vicario, è il Capo della sua Chiesa, mediante il quale insegna, governa, santifica e salva gli uomini. – Membri di GESU CRISTO, noi dobbiamo amare con Lui, come Lui, per l’amore di Lui, il Nostro Santo Padre il Papa. Cosa c’è di più logico? – Non è sufficiente amare la Chiesa in generale facendo, coscientemente o meno, astrazione dal Papa: sarebbe un inganno di colui che vuole ad ogni costo impedire ai fedeli di amare il Vicario di GESU’ CRISTO e di obbedirgli. « La Chiesa e il Papa, sono un tuttuno » ripetiamolo con san Francesco di Sales; e non si può amare la Chiesa se non amando il Papa, che pienamente la personifica. – Dunque nessuna sottigliezza, nessuna capziosa distinzione tra la Chiesa e il Papa; che una fede semplice e pura curvi le nostre intelligenze ed inclini i nostri cuori davanti all’insegnamento del Capo della Chiesa. DIO ci parla con la sua bocca, obbediamo, ringraziamo, marciamo senza timori. Come abbiamo detto in altra parte, lo spirito cattolico, lo spirito di un vero cristiano si riassume in questa duplice parola: l’amore dell’obbedienza e l’obbedienza dell’amore. È l’estremo opposto dello spirito eretico e del suo parente prossimo, lo spirito liberale.

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Come in pratica bisogna amare il Papa nei tempi in cui viviamo.

   Noi non viviamo in tempi ordinari: è tutto sottosopra, nelle teste come nelle società, e siccome la questione del Papa racchiude la soluzione di tutte le grandi questioni che agitano e scuotono il mondo in questo secolo, è principalmente su questo punto che bisogna concentrare le simpatie del nostro cuore così come gli sforzi del nostro spirito. – Per amare il Papa come Nostro Signore GESU’ CRISTO vuole che noi l’amiamo, bisogna innanzitutto, mio caro lettore, amarlo sinceramente, dal profondo del cuore, e non solo con le parole; bisogna amarlo efficacemente, essergli realmente sottomessi, non volerlo contrastare come fa una quantità di spiriti otgogliosi, vanitosi, pieni di sé, convinti ridicolmente che essi vedono più chiaramente dello Spirito Santo, e che San Pietro avrebbe molto da guadagnare nel prendere consiglio dalla loro misera saggezza, non essendo più comune nei nostri giorni che questi perversi di spirito, che vengono dall’ignoranza e dallo spirito di indipendenza. Non ci facciamo illusioni a riguardo: esso altera profondamente nelle anime il santo amore della Chiesa e del Papa. La perfezione della sottomissione in un cattolico è la misura della perfezione del suo amore verso il Vicario di GESU’ CRISTO. – In secondo luogo, bisogna che la “nostra bocca parli dell’abbondanza del nostro cuore” secondo il precetto del Vangelo. Se i buoni cattolici parlano ad alta voce e con fermezza, la buona causa trionferà presto. Perché aver paura di dire apertamente ciò che si pensa su un soggetto così grande, sì capitale, sì nobile, sì degno di un vero cristiano? Non è amare veramente il Papa l’aver paura di mostrare di amarlo. Grazie ai nostri assurdi giornali, che parlano di tutto a torto e al contrario, tutto il mondo parla oggi del Papa, giudica i suoi atti, li critica, etc.: sappiamo allora difenderlo, rispondere ai pappagalli e ai ciarloni, e non dimentichiamo che tutti quanti siamo chiamati, nella misura delle nostre possibilità, a sostenere l’onore e la causa del nostro Padre in DIO. Nessun rispetto umano, nessuna falsa prudenza. – In terzo luogo, al fine di dover riempire questo dovere di amore filiale, di amore cattolico, istruiamoci al meglio in ciò che sostiene la causa del Papa. Diffidiamo estremamente dei giornali cattivi propriamente detti (che un gran numero di fedeli si permettono di leggere), così come di quei fogli poco cattolici, o nei quali c’è una certa onestà e moderazione, che non sono spesso che ancor più pericolosi. Durante il suo immortale Pontificato, il grande e santo Papa Pio IX non ha cessato di segnalare questo danno ai cattolici. Si tratta qui di un affare di coscienza, non meno che di buon senso. Quel che è detto per i giornali accade egualmente nelle riviste, nei libri, nelle biblioteche. – In quarto luogo, un cattolico che ama veramente il Papa, prega pere lui con tutto il suo cuore, per lui e tutte le sue intenzioni, per i bisogni della Santa Sede e di questo immenso governo della Chiesa, che abbraccia il mondo intero ed interessa tutti i popoli, tutte le anime. Santa Maria Maddalena de’ Pazzi, superiora del Carmelo di Firenze alla fine del XVI secolo, diceva apostrofando così una delle sue consorelle che aveva dimenticato la preghiera per il Papa: “O la bella serva di GESU’ CRISTO che non pensa al Vicario di GESU’ CRISTO! O la bella sposa di GESU’ CRISTO che si dimentica di pregare per il Vicario di GESU’ CRISTO!” Ai tanti cristiani che non pregano per il Papa si può allora ben dire: “O il bel discepolo di GESU’ CRISTO, che si dimentica di pregare per il Vicario di GESU’ CRISTO! O il bel servo di GESU’ CRISTO che resta indifferente alla causa del Vicario di GESU’ CRISTO”! – Infine, nei cattivi giorni che attraversiamo, il vero amore per il Papa ci obbliga a fare per lui sacrifici pecuniari, proporzionati ai nostri mezzi e a venirgli materialmente in aiuto. Per questo è istituito presso tutte le diocesi la grande, grandissima opera dell’”obolo di San Pietro”, il ricco con una ricca elemosina, il povero, l’operaio, il bambino con il piccolo obolo. Si calcola che se ogni cattolico facesse solo quattro o cinque volte l’anno un’offerta all’ “obolo di San Pietro, il Papa potrebbe far fronte ai problemi di ogni genere che gli si presentano. Tali sono i doveri dei veri cattolici nei riguardi del Papa; ed ecco, caro lettore, come si può testimoniare l’amore che si ha per lui.

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L’amore del Papa, Vicario di GESU’ CRISTO: tale è dunque il primo fiore, la prima rosa che vi offro, e che vi prego di ben conservare. Il suo profumo, è la fede, è l’umile sottomissione della fede. Essa è pura e senza macchia, perché la fede cattolica, apostolica romana, di cui il Papa è il sovrano depositario e dispensatore attraverso i secoli, è immacolata. Piantiamo bene nel nostro cuore e nel nostro spirito questo fiore magnifico, e che un profondo amore per il Vicario di GESU’ CRISTO, sia il primo carattere della nostra vita cristiana e della nostra pietà. Lo si può affermare senza timore: l’amore per il Papa è un segno manifesto di predestinazione.

Questa “perla cattolica” di mons. De Sègur è veramente illuminante, anche ai nostri giorni.  Ma è chiaro, soprattutto nell’obbligo che abbiano di pregare, il saper ben discernere il Vicario di GESU’ CRISTO, oggi “in esilio” con la Chiesa eclissata, dal vicario dell’anticristo usurpante, della sinagoga di satana, “abominio della desolazione” nel Tempio santo. Che non ci accada di marciare sotto lo stendardo dell’anticristo, pensando che sia il vessillo di GESU’ CRISTO! … DIO  non voglia!

 

IL RITORNO DEL PRINCIPE DI QUESTO MONDO

IL RITORNO DEL PRINCIPE DI QUESTO MONDO

[tit. redaz.]

mons. J. – J. Gaume

“Trattato dello Spirito Santo” vol. I -1887

[capp. XXX, XXXI, XXXII]

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   Cacciato di Roma, il Re della Città del male non perdé mai la speranza di rientrarvi; ond’è che, dopo la toccata disfatta, sempre fu visto girare intorno ai ripari dell’eterna Città, affin di sorprenderla e ritornarla sua capitale: Egli sa che il suo nemico è là; il Verbo-Dio, il Verbo-Re, il Verbo incarnato nella persona del suo Vicario. Finché non ne l’avrà spodestato, il suo trionfo è imperfetto; ma come riuscirvi? Roma è per ampio tratto circondata dall’amore, dalla venerazione, dalla possanza della grande Città del bene; triplice baluardo che rende impossibile il semplice appressarvisi. Non potendo fare suoi sperimenti nel centro, Satana li fa alle frontiere. Fu solamente dopo lunghi secoli di lontane pugne ch’egli giunse una prima volta, a far di Roma la capitale della sua immensa città: sovvenutosene in buon punto, ei torna, spinto dal suo instancabile odio, alle lotte che già aveva provate cosi felici. Infatti ei si sforza d’intaccare la Città del bene, corrompere una parte de’cittadini e tirarli alla sua bandiera mediante le eresie, e scismi, e scandali, e i formidabili assalti della mussulmana barbarie. Il suo maneggiarsi indefesso non riesce altrimenti vano; e già parziali vittorie ottenute qui e colà gli preparano la via alla vittoria compiuta; cionondimeno, la Città del bene, fedele alle sue gloriose tradizioni, sorgeva tuttavia, salda sulle sue fondamenta.

Come Adamo ed Èva, ne’ di della beata innocenza, avevano vissuto, ignorandovi il male, cosi l’Europa, contenta della scienza del bene, di cui andava debitrice allo Spirito Santo, viveva estranea alla scienza del paganesimo, alla scienza cioè del male organizzato. Se pigliava qualche cognizione dell’antichità, punto nol faceva per ammirarla o per lodarla, e meno ancora per imitarla e farla rivivere. E se n’ha la prova in ciò che’ v’ha minor differenza tra il di e la notte, che tra la lingua, le arti e le istituzioni del Medio Evo, e la lingua, le arti e le istituzioni del paganesimo. È questo un fatto che perentoriamente risponde a tutte le ragioni di coloro che pretendono il Risorgimento, niente o quasi niente avere cambiato il sistema d’insegnamento della vecchia Europa.

Intanto, il seduttore “serpente”, non scordatosi punto che Eva restò sedotta dalla lusinghiera bellezza del frutto vietato, et aspectu delectàbile, ad un tratto trasformasi in angelo di luce, e si spaccia per il Dio del bello. Fa luccicare agli occhi dell’Europa le ingannevoli bellezze del suo regno; si dice calunniato dai re e da’sacerdoti, e invita l’Europa, qualora voglia uscire dalla schiavitù e dalla barbarie, a dar retta a lui. A queste parole, l’originale veleno, non mai spento, bolle e fermenta con istrana forza nelle vene dell’imprudente Europa. Nel medesimo tempo, Greci, cacciati d’Oriente, in pena dell’ostinata lor ribellione alla Chiesa, sbarcano in Italia: e, fuggiaschi dalla loro patria, s’arrogano la missione di risuscitare le pretese glorie dell’antichità pagana. La gioventù di Europa tutta s’accalca nelle loro scuole: e per dileggio del Cristianesimo, il di della grande seduzione vien segnato nella storia col nome di Risorgimento. Quel di infatti, divise la vita d’ Europa in due: i secoli antecedenti ebbero nome di Medio Eco; i seguenti, si chiamarono i tempi moderni. D’allora in poi si videro fenomeni non mai, più veduti.

Primo fenomeno. Parte dall’Italia un generale grido di riprovazione contro il Medio Evo, e risuona in tutta Europa. Ingiurie, sarcasmi, calunnie, tutti i vituperi che l’odio e il disprezzo, sanno inventare, piovono sul tempo che, come abbiam veduto, lo Spirito Santo regnò con maggior signoria. Teologia, filosofia, arti, poesia, letteratura, istituzioni sociali, la lingua stessa, diventano zotichezza, ignoranza, superstizione, schiavitù, barbarie.

I figliuoli si sono vergognati de’loro padri e ne rigettarono l’eredità. «Eppure che cos’erano infine le antiche credenze, le antiche creazioni, le antiche aristocrazie, le antiche istituzioni, con tutti i difetti che possono aver avuto, siccome avviene d’ogni còsa umana? Erano l’opera de’nostri antenati: era l’intelligenza, era il genio, era la gloria, l’anima, era la vita, era il cuore de’ nostri padri. Bisogna aggiungere: era il Cristianesimo nella vita de’ nostri padri; e il regno dello Spirito Santo sul mondo.

Secondo fenomeno. Al grido frenetico di riprovazione contro il Medio Evo, succede l’acclamazione non meno frenetica e generale della pagana antichità; e il tempo che Satana fu ad un tempo Dio e re del mondo, diventò là più splendida età del genere umano. Nelle repubbliche di Grecia e d’Italia, vituperevolmente prostrate a’piedi di Giove e di Cesare, splendé in tutta la sua luce il sole della civiltà. Filosofia, arti, poesia, eloquenza, virtù pubbliche e private, caratteri d’uomini, istituzioni sociali, lumi, libertà: in esse tutto era grande, eroico, inimitabile. Ritornare alla loro Scuola e ricevere le loro lezioni come oracoli, era per i popoli battezzati, l’unico mezzo’ d’uscire dalla barbarie, e mettersi nella via del progresso.

Terzo fenomeno. Non tarda a farsi vedere un radical mutamento nella vita dell’Europa. Ricollocato in onore, lo spirito dell’antichità, torna ad essere l’anima delmondo, ch’ei forma a sua immagine; è allora comincia un sozzo diluvio di filosofie pagane, di pitture e sculture pagane, di libri pagani, di teatri pagani, di teorie politiche pagane, di denominazioni pagane, di continui panegirici del paganesimo, de’ suoi uomini e delle opere sue. Questo vasto insegnamento s’incarna ne’fatti. Veggonsi le nazioni cristiane a un tratto rompere le grandi linee della nazionale lor civiltà, per ordinare la loro vita su altro disegno; e, gettando via, quasi cencio ignominioso, il reale manto, di cui la Chiesa lor madre le aveva vestite, azziniarsi de’fallaci e sozzi ornamenti del paganesimo greco romano. Quindi venne quella che si chiama “civiltà moderna”; civiltà fittizia, che non è altrimenti il frutto spontaneo nè della nostra religione, né della nostra storia, né della nostra indole nazionale; civiltà a rovescio, la quale, invece di sempre meglio applicare il cristianesimo, alle arti, alla letteratura, alle leggi, alle istituzioni, alla società, le informa dello spirito pagano e ci fa indietreggiare di ben venti secoli; civiltà corrotta e corrompitrice, che, tutto ordinando al materiale benessere, vale a dire in servigio della carne e di tutte le sue cupidigie, riconduce l’Europa, tra le rovine dell’ordine morale, al culto dell’oro ed agli indescrivibili costumi di que’ tempi nefasti, in cui la vita del mondo, schiavo dello spirito infernale, era tutta in due parole; mangiare e divertirsi ; panem et circenses.

Quarto fenomeno. La prima conseguenza de’ fatti surriferiti doveva essere, e fu, il sempre maggiore oblio dello Spirito Santo. La notte e il di non possono stare insieme; quando vien l’una, l’altro sen va. Quanto più Satana avanza, tanto più lo Spirito Santo ritirasi. Dal Cenacolo al Concilio di Firenze l’insegnamento dello Spirito Santo scorreva, qual pieno fiume, sull’ Europa da lui vivificata; spuntato il Risorgimento, veggonsi le onde del fiume ritirarsi, e il grande insegnamento dello Spirito Santo farsi sempre meno esteso. Chiediamolo alla storia ed a nostri occhi medesimi. Viene il Risorgimento; e la guerra contro il Cristianesimo, che da parecchi. secoli, Vera ridotta a parziali combattimenti, ricomincia, con forza, su tutta la linea. Vent’anni prima di Lutero, le stesse basi della Religione erano battute in breccia .dalle macchine greco-romane. Mille volte la lotta dà occasione a speciali trattati, ordinati a difendere, gli uni dopo gli altri, tutti i domini cristiani: dimostrazioni, conferenze, prediche, dissertazioni, apologie di’ ogni forma, compaiono d’anno in anno, quasi direi di mese in mese. L’esistenza di Dio; la divinità di N. S. Gesù Cristo; l’autenticità, l’integrità, l’ispirazione, la verità storica delle Scritture, l’infallibilità della Chiesa; l’immortalità, la libertà, la spiritualità dell’anima ; ogni Sacramento, ogni istituzione, ogni pratica religiosa; in una parola, ogni verità cristiana venne dimostrata ben venti volte colle lucenti sue prove e splendide attinenze colla natura dell’uomo ed i bisogni della società.

E per lo Spirito Santo, niente. Eppure era Lui che si negava, negando le varie manifestazioni del ministero della grazia, di cui Egli è principio ; era Lui che s’impugnava, oppugnando ogni parte della Città del bene, della quale Egli è difensore e re. Infatti, chi mi può nominare una qualche opera grande, composta dopo il Risorgimento, da grande autore, per far conoscere e ricordare alle adorazioni del mondo la terza Persona della SS. Trinità? Noi non abbiamo potuto trovarne pur una né in Italia, né in Allemagna, né in Inghilterra, né nel Belgio, né in Francia. Bisogna confessarlo con nostro dolore: rispetto allo Spirito Santo, l’insegnamento pubblico s’é visibilmente immiserito.

E n’ è prova il mondo attuale: talora almeno si parla di quello che si conosce, di ciò che, in qualunque grado, occupa la nostra mente: la lingua batte dove il dente duole, e spesso s’invoca colui del quale altri si crede aver bisogno. Ma il nome dello Spirito Santo, che posto tiene nel moderno linguaggio? Nel naufragio delle credenze, restarono salvi parecchi nomi;’ Dio, Cristo, la Provvidenza, odonsi di quando in quando suonar sulle labbra dell’oratore, o veggonsi cadere dalla penna dello scrittore. Avviene egli lo stesso dello Spirito Santo? Quando avete voi sentito pronunziare il suo nome? Chi l’invoca da senno? Avete voi memoria di averlo letto Ne’ libri di storia, di scienza, di letteratura, di legislazione, o ne’discorsi ufficiali, da cento e più anni in qua? Or quando il nome sen va, l’idea sparisce ancor essa. Pur troppo, nel mondo presente lo Spirito Santo non conta più. I palazzi, i saloni, le accademie, la politica, l’industria, la filosofia, l’istruzione pubblica, sono vuoti di lui; e’ par ridotto alla condizione di elemento sociale ignoto o vièto. Fra gli stessi cattolici, è egli bene spesso altro che mero oggetto di credenza metafisica? Dov’è il culto speciale, fervente, costante in suo onore? Si davvero; la terza persona della SS. Trinità nell’ordine nominale, é l’ultima nella nostra memoria e ne’ nostri omaggi.

Due volte sole, l’uman genere giacque in questa profonda ignoranza, in questa generale indifferenza. La prima, nel mondo pagano, innanzi la predicazione del Vangelo; la seconda, a’tempi nostri, diciotto secoli dopo lo stabilimento del Cristianesimo. Per gli antichi pagani lo Spirito’ Santo era come se non fosse: il suo nome non si trova in alcuna delle loro lingue. La ragione ne è chiara; nel mondo antico lo Spirito Santo non contava nulla, perché lo Spirito maligno era tutto. Or di che cosa é segno quest’ignoranza e indifferenza del mondo presente rispetto allo Spirito Santo, se non che Satana ricupera il campo perduto e torna a formare la sua Città? Ecco IL VERO MISTERO DEI TEMPI MODERNI. Così è: e chi noi vede né intende, è uomo che non vede né intende il mondo in cui vive.

Quinto fenomeno. Satana rientrato nella Città del bene, comincia dallo scuoterne la base. L’unità di fede, la sociale potenza della Chiesa, il diritto cristiano, la cristiana costituzione della famiglia, erano, siccome abbiamo veduto, le quattro pietre angolari dell’edifizio religioso e sociale de’padri nostri: che diventarono esse? Dov’è, a’ tempi nostri, l’unità di fede? Il simbolo cattolico è fatto in pezzi qual vetro. Metà d’Europa non è più cattolica; l’altra metà l’é a mala pena a mezzo. Dov’è la sociale potenza della Chiesa? dove la sua proprietà? Il suo scettro è una canna, e la madre de’popoli non ha più dove posare il capo.

Dov’è il diritto cristiano? Vituperato, calpestato; è detronizzato dal diritto nuovo, o, a dir meglio, dal diritto antico, dal diritto di Cesare, dal diritto della forza, del capriccio e del tornaconto. Dov’é la cristiana costituzione della famiglia? Il divorzio é tornato ad infettare i codici di Europa; ed altrove regna il concubinato legale sotto il nome di matrimonio civile. La patria potestà scade dovunque; e la famiglia, destituita della sua perpetuità, s’è fatta istituzione passeggera. Or chi è l’autore di queste grandi rovine, che ne suppongono e cagionarono tante altre? È chiaro che, non essendo lo spirito del bene, lo è lo spirito del male.

Eppure, affascinare e distruggere non è che la prima parte della satanica opera; l’usurpatore s’affretta a piantare il suo trono sulle fatte ruine. Chi non resterebbe sgomento al vedere, nel decimonono secolo dell’Era cristiana, il regno del demonio manifestarsi nel centro medesimo della Città del bene, con tutti i contrassegni che aveva nella pagana antichità ? Que’ contrassegni furono, non s’è punto dimenticato, il razionalismo, il sensualismo, il cesarismo, l’odio del Cristianesimo. Or quale di questi contrassegni ci manca?

Il Razionalismo, ossia l’emancipazione della ragione da ogni autorità divina in materia di credenze, può ella essere più completa? L’autorità divina insegna per org’ano della Chiesa; qual si è adesso il governò che l’ascolti? Sotto il nome di libertà di coscienza, le religioni tutte non sono esse forse, politicamente e a parere di molti, egualmente vere, egualmente buone e degne d’egual protezione? Che cos’è questo, se non lo spirito di menzogna che dà, come nell’antica Roma, il diritto di cittadinanza a tutti i culti, e ammette tutti gli dei nel medesimo Pantheon?

E fra i privati stessi, son essi molti che regolino la loro fede secondo la parola della Chiesa? Gli uomini, i libri, i libercoli, i giornali anticristiani, non son essi gli oracoli della moltitudine? E poi la fede si conosce dalle opere come l’albero da’frutti. Or, interrogate i sacerdoti: chiedetelo a ragguagli del mulinale; guardate intorno a voi. E se tanto ancora non basta per dirvi in quale stato si trovi la potenza della fede sul mondo presente e mostrarvi fin dove domina, pigliate in mano un mappamondo, e giudicatene co’vostri occhi!

Il Sensualismo, ossia l’emancipazione della carne da ogni autorità divina in materia di costumi, non cammina egli forse di pari passo col Razionalismo? Eh! che in questa parte il mondo presente corre difilato agli antipodi del Cristianesimo! La vita cristiana venne già definita dal Concilio di Trento, una continua penitenza, perpetua poenitentia; e i nostri tempi che sono? un continuo godere il più largo e con tutti i mezzi che si possa, L’uomo diventa carne. E su questo contrassegno del regno Satanico non occorre dir altro; attesoché è cosa che impaurisce tutti gli animi assennati.

Il Cesarismo, ossia l’emancipazione della società dall’autorità divina in materia governativa, per mezzo del concentramento di tutti i poteri spirituali e temporali nella mano d’un uomo, imperatore e pontefice, dipendente da niun’altro che da sé stesso. Che cosa si ved’égli di questo nuovo contrassegno? mirate; meta dei re d’Europa si sono fatti papi; l’altra metà aspira a farsi. Calpestare le immunità della Chiesa, usurpare i diritti della Chiesa, insultare, spogliare, incatenare la Chiesa, non è forse stata la bell’impresa, direttamente o indirettamente, di tutti governi europei, dal Risorgimento in poi? Non lo è forse tuttavia? Se questo non è il Cesarismo, più non intendiamo il senso delle parole.

L‘odio del Cristianesimo. L’antico paganesimo odiava il cristianesimo d’odio implacabile, universale; di guisa ché di ogni e qualunque mezzo si valeva per insultare, distruggere il suo avversario. L’odiava in Dio, ne’suoi ministri, ne’suoi discepoli, ne’ suoi dommi, nella sua morale, nelle sue pubbliche manifestazioni. Il suo nome era diventato sinonimo di tutti i delitti. A lui si dava la colpa delle pubbliche calamità: il carcere, l’esilio, la morte fra le torture, erano meritato castigo d’una sètta; dica Tacito, rea dell’odio del genere umano. Satana è sempre Satana: il suo odio del cristianesimo è cosi fresco, universale, implacabile adesso come in antico. Egli odia Dio ne’cristiani; da un secolo in qua specialmente, quali bestemmie restano ancora a proferirsi contro il Verbo incarnato? citatemi un solo de’suoi misteri che non sia stato mille volte impugnato, un solo de’ suoi diritti mille volte negato e calpestato.

L’odia ne’suoi ministri. Nel furor della sua rabbia non ha egli detto, che vorrebbe strangolare l’ultimo prete con le budella dell’ultimo reo. E in quanto il potè, non l’ha egli fatto? Havvi egli pur un paese in Europa, dove, dopò il Risorgimento, i vescovi, i preti, i religiosi non siano stati spogliati, cacciati via, inseguiti come belve, oltraggiati, massacrati? Lo stesso Vicario del Figliuolo di Dio, il padre del mondo cristiano, Pietro, almeno Pietro, sarà stato rispettato. Sii guardate come l’hanno trattato nella persona di Pio VI e di Pio VII; guardate come ancora lo trattano nella persona di Pio IX. E che è la moderna Europa se non una famiglia ribellata contro al suo Padre? Non sentesi egli, oggi dì, da nove anni, il grido deicida di milioni di voci: Non vogliamo più ch’egli regni su noi? Assediato da cento scomunicati, il pontificato non è egli diventato un Calvario? Giuda che vende; Caifasso che compra; Erode che schernisce; Pilato codardo, il soldato spogliatore e carnefice, non ricompariscono essi li sulla scena? L’odia ne’suoi discepoli. I veri cattolici sono trattati come i lor Sacerdoti. Tutte le ingiurie fatte da’pagani antichi a’ loro padri, son fatte ad essi da’pagani moderni. Sono tenuti per inetti o per sospetti: vengono esclusi, il più che si può, dalle pubbliche cariche; son detti retrogradi, nemici del progresso, della libertà, delle istituzioni moderne, gente d’un’altra età, che vorrebbe ricondurre il mondo alla schiavitù ed alla barbarie. Sono oppressi nella lor libertà, coll’annullare le donazioni da loro fatte alla Chiesa lor madre, od a’ poveri loro fratelli; col sopprimere le associazioni di carità, cui non si ha onta di mettere al disotto delle società scomunicate. Sono oppressi nel loro diritto di proprietà; si pigliano i loro conventi per farne caserme; le loro chiese, per farne stalle; le loro campane, per farne cannoni; i loro vasi sacri, per farne denaro od oggetti di lusso, in servigio de’loro nemici.

Si può vederne la nomenclatura nel Mamacìti, Antiquitates et Origines christianae, ecc. Questo fatto mostra meglio d’ogni ragionamento, la medesimezza dello Spirito dominatore delle due epoche. Ma questa non è semplice storia, né pura filosofia della storia: è piuttosto, ci si passi la frase, una esatta fotografia del nostro secolo. E si noti ché quando l’autore scriveva queste pagine, molti di questi fatti non erano che cominciati: non ancora Satana, rappresentato dalla massoneria trionfante, aveva posto le sue tende presso al Vaticano, non ancora nella Città stessa del bene si eran potuti innalzare templi eretici, non ancora era stato pronunziato il grido famoso « Il Clericalismo (ossia il Cristianesimo): ecco il nemico! »

Però come satana ispirando Lutero, promosse contro sua volontà, la riforma effettuata dal Concilio di Trento, così ora, in tal modo disponendo Iddio, con l’abuso della vittoria ha attirato gli sguardi di tutto il mondo al Vaticano; i buoni crescono in fervore, la zizzania si separa dal buon grano, e i soldati della Città del bene crescono di animo e di valore. Le vittorie dello Spirito malo non riescono finalmente che a render più gloriosi i trionfi dello Spirito Santo! Sono oppressi nella coscienza, con imporre ad essi lavori vietati: insultando, tuttodì, sotto i loro ocelli tutto quanto è ad essi più caro, più venerando, più adorabile. E acciocché nulla manchi, né al loro martirio, né all’odio, a cui sono fatti segno, in tutta Europa, dopo il Risorgimento, vennero appesi per la gola, arsi vivi, decollati. Ed anche adesso, in Italia, son fucilati; in Polonia, impiccati; in Irlanda, fatti morire di fame. Se Dio non sorge, se ne faranno macelli ; e migliaia di voci grideranno: Loro ben sta! Reus est mortis.

L’odia ne’suoi domini. Da quattro secoli in qua, nella battezzata Europa, si è sciupato, per demolire l’edifiziò della verità’» cristiana, più inchiostro, più carta, più denaro, che forse non ci vorrebbe per convertire il mondo: l’empia guerra non cessò mai. Per non dire de’libri, de’teatri, de’ discorsi anticristiani; che fanno quelli avvelenati fogli che, ogni sera, partono da tutte le capitali d’Europa, per piovere poi, il dì appresso, a guisa di velenose locuste, sulle città e le campagne, e sparger dovunque il disprezzo e fodip della religione, lo scetticismo e l’incredulità?

L’odia nella sua morale. Ridiventato quel ch’era a’ dì della satanica signoria, il mondo presente sembra organizzato per la corruzion de’ costumi : Totus in maligno positus. Se non ve ne son chiaro indizio il dolore e lo sgomento di quanti serbano ancora in petto cuore cristiano, considerate voi stessi. La febbre degli affari; la sete dell’oro e del piacere; l’industria che mette milioni d’anime nella morale impossibilità di adempiere gli essenziali doveri del Cristianesimo; il babilonico lusso, che dà in istranezze sempre peggiori; le mode disoneste; le danze oscene; cinquecentomila caffè o ridotti,1 spalancate voragini in cui 1 Solamente in Francia. vanno a perdersi l’amor del lavoro, il pudore, la sanità, lo spirito di famiglia, il rispetto a sé stesso e ad ogni autorità; in tutte le classi della società, effeminate abitudini, snervatrici degli animi: scandali clamorosi che addomesticano col male e spengono la coscienza; il disprezzo delle leggi ordinate a domare la carne; la profanazione della domenica; la santificazione del lunedi; l’abbandono della preghiera e de’ Sacramenti; che cos’è, dico, che cos’è tutto questo, se non odio della morale cristiana, odio infernale, tendente a soffocare il Cristianesimo nel fango? L’odia nelle sue manifestazioni pubbliche e private. Là, proibisce il suono delle campane e condanna il sacerdote che porti, in pubblico, il suo abito ecclesiastico; costà, abbatte tutte le croci. Qui vieta al Figliuolo di Dio d’uscir da’ suoi templi per ricevere gli omaggi dei suoi figli; e, sotto pena di venir oltraggiato, gli tocca celarsi ben bene quando va a visitarli sul letto del dolore. Tutte cose che avvengono in società che si chiamano cristiane! E avviene ben altro. In segno di vittoria, satana ha ricollocato le sue statue ne’ giardini, su passeggi, sulle piazze delle grandi città, per tutta Europa: e, ficcatosi fin ne’ domestici penetrali delle famiglie, ne ha bandite le immagini del Verbo incarnato e sostituite le sue.

« Non v’è Cristo in casa, esclamava testé un eloquente predicatore; non v’è più Cristo pendente dalla parete; non v’è più Cristo manifestantesi ne’ costumi. E che! voi avete sott’occhio i ritratti de’ vostri grandi uomini; le vostre case s’adornano di statue e quadri profani! Che dico? voi tenete esposti alla vista de’vostri figliuoli ed all’ammirazione della gente di casa gli Amori del paganesimo, le Veneri, gli Apollini dèi paganesimo; si, tutti i vituperi del paganesimo trovano posto nella casa de’cristiani; e, sotto quel tetto che accoglie tanti umani eroi e pagane divinità, non v’ha più un cantuccio per l’immagine di Gesù Cristo, che lo stesso Tiberio non ricusava d’ammettere coi suoi dèi nel Pantheon di Roma. »

Si, è vero, è vero non solo in Francia, dove insegna l’Università, ma vero in Europa dove insegnano gli ordini religiosi, vero molto prima dell’Università e della Rivoluzione francese; nelle case de’ moderni cristiani letterati, Cristo non ha più luogo. Ma ve l’aveva a’ tempi degli ignoranti nostri padri del Medio Evo. Or come ne venne cacciato? Come ha dovuto cedere il posto agli dèi del paganesimo, vale a dire a Satana stesso sotto le molteplici sue forme; “omnes dii gentium daemonia”?

In che tempo s’è ella fatta questa sacrilega sostituzione? Chi ha formate le generazioni che se ne fanno colpevoli? In quali luoghi, e in quali libri hann’esse imparato ad appassionarsi per le cose, per gli uomini, per le idee e le arti del paganesimo? Qual fu lo Spirito che ha dettata la dottrina che produce tal frutti? Lo Spirito del Cenacolo, o quel dell’Olimpo? O l’uno, o l’altro. Havvi infine un ultimo fenomeno che va ogni di più manifestandosi; ed. è il doppio movimento, che mena il mondo presente; movimento d’unificazione materiale, e movimento di dissoluzione morale. Lo Spirito del secolo diciannovesimo spinge con tutte le sue forze alla materiale unificazione de’ popoli; battelli a vapore, strade ferrate, telegrafi elettrici, leghe doganali, trattati di commercio, libero scambio, moltiplicazione delle poste, ribasso di tassa sugli stampati e sulle lettere; non vi è mezzo di comunicazione che non venga accelerato o inventato.

Assorbisce intanto le piccole nazionalità, sopprime la famiglia, il comune, la provincia, la corporazione, ogni specie di franchigia ed autonomia; risuscita gli eserciti permanenti del mondo antico, riedifica le sue grandi capitali, e sul collo dei popoli, fatti liberi dal Cristianesimo, ribadisce le catene della cesarea, cosi detta, centralizzazione. A questo movimento di unificazione materiale corrisponde, fuori del Cattolicismo, un movimento non meno rapido di dissoluzione morale. In materia di dottrine religiose, sociali, politiche, che resta egli più in piedi? Il gran dissolvente d’ogni specie di fede, il Razionalismo, non è egli forse il dio della moltitudine? Dove son esse le convinzioni profonde, le professioni chiare ed aperte, tanto da resistere alle seduzioni dell’interesse, per isfidare le minaccie, o, peggio, la dimenticanza in che vi lascia il governo, per mantenersi immobilmente saldo fra i sofismi dell’empietà e la forza de’cattivi esempi? Qual può essere Punita morale d’un mondo che ha fatto in pezzi il simbolo cattolico, che sta lì a sentire, e sopporta, e lascia passare tutte le negazioni, compresa quella di Dio stesso?  Somigliante spettacolo, solo una volta già ebbe a vedersi; e fu al tempo che il romano impero declinava alla sua rovina. Formata dal continuo assorbimento del debole dal forte, del popolo per via del popolo, l’unità materiale giunse fino al dispotismo d’un solo uomo. Satana aveva raggiunto il suo scopo. Roma era il mondo, e Cesare era Roma; e Cesare era imperatore e sommo sacerdote di Satana. Allora fu che l’uman genere, privo di forza di resistenza perché senza fede, e senz’altro desiderio che di materiali piaceri, “panem et circenses”, altro più non era che un gregge, bastonato, venduto, sgozzato, a volontà del padrone. Eserciti permanenti, grandi capitali, celerità di comunicazioni, centralizzazione universale, unificazione materiale de’popoli, spinta con febbrile ardore; dissoluzione morale, giunta fino allo spezzamento indefinito d’ogni simbolo e d’ogni fede: chi oserebbe sostenere che tale doppio fenomeno non sia precursore della più immane tirannia? Sia forse l’addentellato, dirò cosi, del regno anticristiano, predetto, degli ultimi tempi ? A parer nostro, è Cesare a cavallo, con Lucifero in groppa.

Farsi adorare in luogo del Verbo incarnato; tale fu sempre, e sarà, lo scopo dell’angelo ribelle: egli non ne conosce altri; la storia è pronta a narrare a chiunque voglia sentire, l’esito che n’ebbe negli antichi popoli pagani e fra i moderni idolatri. Dopo aver procurato, mediante il razionalismo, il sensualismo, il cesarismo e l’anticristianesimo, il divorzio dell’uomo da Dio, il più che sia possibile completo, e’ si presenta a riannodare il vincolo da lui spezzato: e certo, attesoché è fondato sulla natura delle cose, tranne un miracolo , l’esito sarà infallibile. Il mondo inferiore, checché si faccia, non può sottrarsi all’influenza del mondo superiore; se rompe fede al Re della Città del bene, cade per forza sotto la signoria del Re della Città del male. 0 Dio, o il diavolo: non si dà via di mezzo.

Il demonio stabilisce, tra l’uomo, suo schiavo e zimbello, e sé stesso, suo seduttore e tiranno, molte comunicazioni dirette e palpabili, che sono una contraffazione permanente delle comunicazioni del Verbo coll’uomo. E’si fa, in mille modi da lui stesso indicati,, adorare per Dio, rispettare da padrone, amare come benefattore, consultare come oracolo, invocare come protettore, chiamare per medico, ricevere come amico, trattar come un essere innocuo. Su questo complesso di fatti permanenti, universali, sta l’idolatria antica e moderna; o piuttosto è l’idolatria stessa. Ora, noi ripetiamo, satana non cambia né invecchia; sarà oggi, domani, sempre quello eh’ era ieri. Perpetua scimmia di Dio, implacabile nemico del Verbo incarnato, egli sempre mirerà a gettarlo giù dal trono, per mettersi al suo posto. Se dunque è lui che il Risorgimento ricondusse trionfante in mezzo all’ Europa cristiana; se i grandi contrassegni de’tempi nostri sono il razionalismo, il sensualismo, il cesarismo e l’anticristianesimo, non vi sarà poi molto da stupire se vedremo anche una volta il demonio sforzarsi di materialmente sostituirsi al vero Dio, ed opporre il sovrannaturale satanico al sovrannaturale divino, finché questi ne resti soppiantato. Per mettere nell’uomo moderno gli stessi sentimenti che già mise nell’antico, e’ ci dee comparire intorniato di tutto il cortèo di consultazioni, d’oracoli, di prestigi, di pratiche misteriose, ond’era composto il suo culto, e assicuratoci suo dominio sull’antichità pagana; vediamo se la storia confermi tale induzione.

Fino al Risorgimento ed alla Riforma, che del Risorgimento fu figliuola primogenita, la duplice autorità delle leggi canoniche e delle leggi civili, seguitava a tenere stretto in catene il padre della menzogna, il vinto del Calvario. Se si vide esercitare la tenebrosa sua arte fra i popoli cristiani del Medio Evo, si fu per mera eccezione, e in piccola misura. Richiamato dal Risorgimento sotto la forma di Dìo del bello, e dalla Riforma sotto il nome di Dio della libertà, e’ripiglia assai presto antica indipendenza del suo procedere. In Italia, in Allemagna, in Francia, risorgenti in gran numero, imitatori de’ letterati di Roma e della Grecia, si danno con passione allo studio ed alla pratica delle scienze occulte.

I principali capi del Protestantismo si vantano de’ loro colloqui con Satana. Tornano a comparire, sotto forme leggermente modificate, tutte le superstizioni dell’antico paganesimo ; consultamene, evocazioni, manifestazioni, oracoli, prestigi, adorazioni, vanno moltiplicandosi in un colle negazioni del Vangelo. Questo culto di Satana invadeva l’Europa con tale celerità, che la Chiesa se n’ebbe a commuovere; e per organo di Sisto V, gran niente al certo, segnalò al mondo sgomentato cotesta epidemia della risorgente idolatria, e la colpì di solenne condanna.

Nella famosa bolla “Coeli et terrae Creator” sono enumerate, come ricomparse al gran sole del Cristianesimo, la maggior parte delle pratiche diaboliche usitate nella pagana antichità, e di cui Porfirio ci ha lasciata la lunga filatessa de’nomi. L’immortale pontefice nomina: l5 astrologia, la geomanzia, la chiromanzia, la negromanzia, i sortilegi, gli auguri, gli auspizi, la divinazione co’dadi, co’grani di frumento, e le fave; i patti col diavolo, coll’intento di saper l’avvenire, o sfogar le passioni; i carmi; gli oracoli o evocazioni degli spiriti, interrogati, e rispondenti; l’oblazione d’incenso, di sacrifizi, di preghiere; le genuflessioni, le prostrazioni, le cerimonie del culto; l’anello e lo specchio magico; i vasi ordinati a fissare gli spiriti e ad ottenerne risposte; le donne simpatiche (noi diciamo sonnambule e magnetizzate), che, messe in relazione col diavolo, ne ottengono il conoscimento di cose occulte, passate o future, l’idromanzia co’ vasi pieni d’acqua, in cui uomini, e più spesso donne, fanno apparire figure che danno oracoli. Bisogna aggiungere la piromanzia, la pedomanzia, l’ornitomanzia, l’oniromanzia, ossia l’oracolismo per mezzo de’ sogni, ed altrettali pratiche, « fetidi avanzi, dice il Pontefice, dell’antica idolatria vinta dalla croce. [“Quas pristinae et antiquatae, ac per crucis victoriam prostratae idolatriae reliquias fetinentes, quibus dam auguriis, auspiciis, similibus siguis et vanis observatiouibus ad futurorum divinationem intendunt. – Constit. “Coeli et terrae, etc.” A.D. 1586]

Notisi di passaggio, che il Vicario di Gesù Cristo segnala la donna come prediletto strumento del demonio. Superfluo rammentare che tal preferenza fatta alla donna, si trova dappertutto nell’antico paganesimo, sì come nella moderna idolatria, nell’Africa, nell’Oceania e altrove. Alle ragioni da noi arrecatene, san Tommaso aggiunge questa: « I demoni rispondono anche più facilmente, chiamati da vergini zittelle, a fine di meglio ingannare, col dar ad intendere con tale lustra, ch’essi amino la purità.» Checché ne sia, le donne lo piglino per salutare avviso, che per esse maggiore è il pericolo. Intenderanno perciò la necessità grande che hanno di star vigilanti, e sovratutto di guardarsi ben bene dal prender parte a veruna pratica sospetta, che potrebbe dare appiglio all’implacabile loro nemico di tirarle al suo servigio.

XIR212502 Pope Sixtus V (1520-90) (oil on canvas) by Italian School, (16th century) oil on canvas Chateau de Versailles, France Lauros / Giraudon Italian, out of copyright

Dalla bolla di Sisto V risultano due fatti. Da un lato, la molteplicità delle pratiche diaboliche; la si direbbe un generale sobbollimento dell’Europa, figlia del Risorgimento, al soffio dello spirito satanico; dall’altro, la durata di questi vituperosi fenomeni. « A malgrado di tutti gli sforzi della Chiesa, soggiunge il Pontefice, non s’è potuto ottenere l’estirpamento di queste superstizioni, di questi delitti, di questi abusi. Dì per dì si viene a conoscere che n’é piena ogni cosa; omnia piena esse. » È dunque un fatto interamente storico, che: un secolo dopo il Risorgimento, le comunicazioni di satana coll’uomo s’erano di bel nuovo fatte, come nell’antico paganesimo, generali, permanenti, indistruttibili, e che la possanza del demonio stendevasi, nella Città del bene, a limiti non conosciuti: omnia piena esse in dies detegantnr. Nè i pontificali divieti punto valsero a fermare il male. Il Bearnese, Loudun, Louviers, il paese del Nord, le Cevennes, il cimitero di san Medardo a Parigi ed altri luoghi, col diventare un dopo l’altro teatro di clamorose manifestazioni, mostravano che Satana restava padrone di larga parte del campo. Per gl’ingegni volgari, questi fenomeni erano ciurmerie e non altro, cose da contare a veglia: e la diabolica loro indole, affermata da qualcheduno, fu ostinatamente negata da tutta la setta degl’increduli. Nel secolo di Voltaire, negaronsi non che quelli, ma tutti gli altri fatti di tale natura. Divinazioni, evocazioni, patti, magia, possessioni, stregonerie, malefizi; si stabilì per principio ch’erano tutti sogni. Questa temeraria negazione della storia universale produsse generale indebolimento della credenza nel demonio, nelle sue pratiche ed influenza. Per non mettersi in contraddizione col Vangelo e la dottrina della Chiesa, i più cattolici dicevano che, per verità, quelle eran cose avvenute ne’tempi antichi, ma ne’ tempi moderni non ce n’era più esempio; « Difatto, soggiungeva la filosofia volteriana, il demonio, mercè il progresso de’lumi, altro non è più che un essere inoperoso e disarmato. Anzi si dà per certo che i più dei fatti a lui imputati dalla santa Scrittura, son mero effetto delle leggi naturali: calunniato a talento dal medio evo, ignorante e credulo, è ridotto oggimai ad essere semplice spauracchio delle vecchiarelle e de’fanciulli.» Cosi faceva molto bene il demonio le sue faccende, e s andava avvicinando allo scopo precipuo de’ suoi sforzi. Qual è ? togliere, dal cuore dell’ uomo la paura di lui; rendersi famigliare, a fine di far disprezzare le dottrine della Chiesa, e gettar via le armi antidiaboliche, di cui ella aveva provveduto i suoi figli. Ci è riuscito? interroghiamone la storia contemporanea.

   Rendersi famigliare. Avviene sotto i nostri occhi un fatto inaudito da’ popoli cristiani: fatto poco notato, ma tale che a noi par degno di essere anzi notato ben bene; attesoché forma uno de’più rilevati contrassegni dei tempi presenti. I secoli passati avevano paura del demonio. Il vero suo nome, il nome di Diavolo, non si pronunzia se non di rado, con certa quale esitazione, ed anche scrupolo. E anche adesso vi sono popolazioni, a grande loro ventura preservate dallo spìrito moderno, che nol pronunziano mai. Volendo parlare di Satana, dicono: la ‘brutta bestia. Tranne quest’eccezione, che va facendosi ogni di più rara, il nome di diavolo corre sulle labbra di tutti. Lo si pronunzia come quello della cosa più indifferente. Se non condisce le’ arguzie; se ne rinforza il giurare; serve di titolo ai libri alla moda, e d’invito alle rappresentazioni teatrali. I mercanti medesimi lo trovano buono per l’insegna delle loro botteghe. Si direbbe che il mezzo di tirare i lettori, o adescar gli avventori, sta nell’uso d’una parola, che faceva orrore a’nostri padri. Ci si permetta, a mo’di termometro di cotesto strano progresso, citare alcuni esempi, i più antichi de’quali non passano di molto un quarto di secolo. Roberto il diavolo – Programma di Roberto il diavolo – Canzone di Roberto il diavolo – Leggenda di Roberto il diavolo- Al più maligno di tutti i diavoli-Al buon diavolo- Al diavolo galante – Al diavolo a quattro – Ai diavoletti – Al diavolo verde – Dio e Diavolo – Angeli e diavoli- Un angelo ed un diavolo – Andate al diavolo – Il diavolo del mondo – Tormenta diavolo – Signor Belzebub – Signor Satanasso – Il diavolo e le elezioni – Il diavolo a scuola – Il diavolo nella pila dell’acqua benedetta- Il diavolo d’argento- Il diavolo dell’epoca- Al diavolo la franchigia-Diavolo o donna.

Il tic-tac del mulino del diavolo – L’ uomo del diavolo – Il diavolo in viaggio -Il diavolo a Parigi – Il diavolo a Lione – Il diavolo in provincia – Il diavolo pei campi- Il diavolo al molino – Il diavolo negli spogliatoi delle signore – Il diavolo ficcato dappertutto – Satana-Satanasso – Il diavolo – I cinquecento diavoli – Il diavolo verde – Il diavolo rosso – I poveri diavoli – I diavoli rosei – Il diavolo giallo-I diavoli neri -Il buon diavoletto – Il diavolo zoppo – Il diavolo a cavallo – Il diavolo medico – Il diavolo amoroso – Il diavolo ingannato -I diavoli di Parigi -I diavoli dei Pirenei – I diavoli dolci.- Frà diavolo – Giovanni diavolo – Confessione di Fra diavolo – Almanacco del diavolo – Gli amori del diavolo – Memorie del diavolo – Memorie di una diavolessa – La scienza del diavolo – 1 secreti del diavolo – Le avventure di un diavoletto – Il secreto del diavolo – Le astuzie del diavolo- La malizia del diavolo – La palude del diavolo – Il cerchio del diavolo-La parte del diavolo – Le pillole del diavolo-La casa del diavolo – Il castello del diavolo- I sette castelli del diavolo – La taverna del diavolo – Il pozzo del diavolo – I nomi del diavolo – Il gatto del diavolo – Il cavallo del diavolo – Il cane del diavolo – La cornamusa del diavolo – Il valletto del diavolo – La cantatrice del diavolo – Il danaro del diavolo I – soldi del diavolo – Il cassettino del diavolo – Lo schiaffo del diavolo – I trastulli del diavolo – Il figlio del diavolo – La figlia del diavolo – L’erede del diavolo – La stella del diavolo – Il viaggio del diavolo – La caccia del diavolo – La ronda del diavolo – 1 tre peccati del diavolo – 1 tre baci del diavolo – La cena del diavolo – Una lacrima del diavolo –L’orecchio del diavolo – La mano del diavolo – La coda del diavolo – Ritratto del diavolo – Fisiologia del diavolo. Ecco, con altri assai, i titoli di opere, di cui il secolo XIX va, da vent’anni in poi, fregiando le colonne del Journal de la libratine française. Ecco le insegne, con ritratto, che grandi e piccoli commercianti mettono sui muri delle nostre città; un nuovo patronato alla moda, sotto cui si pongono gli splendidi magazzini di lusso come le botteguccie de’ mercanti di zolfanelli. Non accade illudersi; questo nuovo fatto ha il suo significato. « La rivoluzione delle cose, dice un vecchio autore, non è punto più grande di quella delle parole. ” La popolarità d’una parola è segno della popolarità dell’idea. La facilità, la leggerezza, l’indifferenza con cui vedesi a’nostri dì adoperato un nome fino allora sempre abborrito, è dunque indizio dell’ imprudente dimestichezza del mondo presente, col suo più pericoloso nemico: sì come é indizio che le nostre idee sono, ma di molto, lontane da quelle de’nostri padri. Con tutto ciò rendersi famigliare non è che il primo grado del favore ambìto da satana: farsi negare, in sé stesso e nelle molteplici sue opere, é il secondo. Farsi rimettere in onore, è il terzo. Farsi rammentar come principe, è il quarto. Farsi adorar come Dio, è il quinto. E seguitiamolo in queste varie fermate del suo cammino, il cui termine finale si é il ristabilimento, sotto una od altra forma, dell’antico paganesimo.

Farsi negare. In altri tempi si credeva nel demonio, qual ci é fatto conoscere dalla rivelazione, e se n’aveva paura. Pei nostri avi, Satana non era altrimenti un essere immaginario, un’allegoria, un mito; ma sì un essere reale e personale come l’anima nostra. Non era altrimenti un essere innocuo, impotente; ma un essere essenzialmente malefico, causa della nostra rovina, sempre in azione dì e notte a tenderci insidie, e fornito di tremenda possanza sull’uomo e sulle creature. Difatti, la prima paura del fanciullo si ‘come l’ultimo terror del vegliardo, era il demonio. Quindi l’uso universale e religiosamente osservato, delle difensive insegnate dalla Chiesa contro le sue insidie e i suoi colpi. Quindi ancora la pena di morte, prescritta in tutti ì codici d’Europa, contro chiunque fosse convinto d’aver avuto commercio con questo nemico del genere umano. Adesso saltano fuori disposizioni affatto contrarie, cosicché è uno sgomento vedere, in mezzo alle genti cristiane, molte persone, la cui credenza nel demonio non é più cattolica. Gli uni l’hanno per un mito, e la sua apparizione nel paradiso terrestre sotto la forma di serpente, per una allegoria; altri, benché ne ammettano l’esistenza personale, ricusano di credere alla sua azione sull’uomo é sul mondo. Havvi di quelli che restringono cotale azione in certi limiti segnati dalla loro ragione; e non vogliono saper altro. Molti ancora non l’accettano che con benefizio d’inventario e, a malgrado di migliaia di testimoni, negano intrepidamente quello che non hanno veduto co’ loro occhi. Eccetto alcuni cattolici d’antica data, niuno v’ha che usi fedelmente le armi fornite dalla Chiesa, per tener lontano il principe delle tenebre. A’ fanciulli non se ne parla più, o se ne parla loro leggermente, e se ne dice quel po’ che ne dà la memoria, e come d’un essere antiquato. L’uomo adulto ed il vecchio, non avendo alcuna paura di lui, sogghignano, se voi manifestate d’averne. Agli occhi della legge, il commercio col demonio, o non ha mai esistito, o non esiste più, o non è un delitto. Quindi, ciò che vediamo oggidì, l’interpretazione razionalista di tutti i fatti diabolici dell’Antico e del Nuovo Testamento, la negazione della storia universale, e il disprezzo della dottrina della Chiesa intorno all’ angelo decaduto. Per ispingere quest’opera eh’è appunto la sua, il demonio si travisa sotto tutte le forme, fa tutti i mestieri, s’affibbia tutti i nomi. Sa darla ad intendere fin nelle manifestazioni medesime, che rivelano con la maggior evidenza, la orrenda sua personalità. Or sotto il nome di fluido nervoso, di fluido magnetico, di fluido spettrico, si spaccia per un agente meramente naturale. Or si chiama seconda vista; e non è che una semplice facoltà dell’anima. Qui, si fa passare per un angelo buono e dà pii consigli. Là è uno spirito arguto, che celia, che sghignazza, che vuol essere trattato come un trastullo o come un vano spauracchio. Altre volte si spaccia per l’anima d’un morto ammirato od amato, e ruba la confidenza. La qual ultima trasformazione, assai più pericolosa delle altre, è altresì la più comune; e si sa che è la base dello Spiritismo.

Qual è, per il padre della menzogna il benefizio di tutte codeste trasformazioni? Quello di eseguire il suo disegno senza patente d’autore; in altri termini, farsi negare. Ed è una grande scaltrezza la sua! Infatti, chiunque nega satana, nega il Cristianesimo. Chiunque snatura satana, snatura il Cristianesimo. Chiunque si burla di satana, si burla della Chiesa, le cui antidiaboliche prescrizioni, altro non riescono più che superstizioni da donnicciuole. Chiunque nega la malefica azione di Satana sull’uomo e sulle creature, accusa il genere umano di pazzia, sessanta volte secolare; e, stracciando una dopo l’altra tutte le pagine della storia, finisce nel dubbio universale. Con tutti i fatti summentovati, satana dice al mondo presente: Non aver paura di me. Vedremo adesso che il mondo presente risponde: No, non ho paura di te!

Farsi riabilitare. La dimestichezza del tempo presente col demonio, e, per conseguenza, la generale diminuzione della paura che deve incutere, è un fatto; ma questo fatto non è altro che il primo grado della satanica invasione: havvene un altro più incomprensibile, non meno vero, la redintegrazione dell’angelo decaduto. Il vero, dice un poeta, può talora non essere verosimile; é proprio il caso d’applicar questo detto al fatto che vogliamo segnalare. In fatti, non è ella cosa in credibilissima che, dopo diciotto secoli di Cristianesimo, nel bel mezzo del regno cristianissimo, si trovino uomini battezzati che si mettano da senno, e con ostinato proposito a rimettere in onore satana, il gran dragone, il grande omicida, l’impenitente autore di ogni male, giustamente fulminato dalla divina giustizia? Eppure bisogna crederla, perché vera. Dopo il Vangelo, il demonio aveva sempre ispirato alle genti cristiane un orrore ed abborrimento universale; e di questo duplice sentimento, erano chiaro segno le forme, gli atteggiamenti, il posto medesimo che artisti e letterati davano, nell’opere loro, all’implacabile nemico di Dio e dell’uomo. Adesso invece di metterlo alla gogna dello scherno e dell’obbrobrio come si merita, lo si lascia da parte, oppur lo si presenta sotto le forme men brutte, e si applaude agli sforzi di chi si prova a rappresentarlo quasi bello, in modo che tali sforzi hanno vanto di progresso sociale. Quella che si chiama la grande critica dà, in questo senso, certe sue sentenze regolatrici dell’opinione. Essa scrive: « Bello come tutte le creature nobili, più infelice che malvagio, il satana del sig. Scheffer, segna l’estremo sforzo dell’arte, per romperla una volta col dualismo, e attribuire il male alla medesima fonte che il bene, al cuore dell’uomo…. Egli ha perduto le sue corna e gli artigli; non ha conservato che le sue ali, sola giunta che ancora lo unisca al mondo sovrannaturale….

Si lasci al Medio Evo, che viveva continuamente in presenza del male, forte, armato, presidiato, di portargli’ quell’ implacabile odio, che l’arte rappresentava con cupa energia. « Noi oggidì siamo tenuti a meno rigore.. Siam biasimati di non esser più severi col male. Ma in realtà l’è questa una delicatezza di coscienza; si è per amore del bene e del bello che noi siamo talvolta sì timidi, sì deboli ne’nostri giudizi morali… Noi esitiamo a pronunziare sentenze esclusive, per tema ch’abbiamo d’avvolgere nella nostra condanna qualche atomo di beltà ». Quale si è questo nuovo obbligo imposto a chi, parla del demonio, di doverlo trattar con riguardo? Onde viene quest’obbligo strano; e che significa egli, imperocché qualche cosa significa? queste sacrileghe moine sono il termometro del progresso.

“Schiacciamo l’infame”, fu la parola d’ordine dello spirito infernale nel secolo passato: ed era nel suo periodo di distruzione.

“Adoriamo Satana”, è la parola d’ordine del medesimo spirito nel tempo presente: ed è nel suo periodo di ricostruzione. La medesima lega che combatteva per distruggere, combatte per edificare. Sulle rovine del Cristianesimo, che, a detta di lei, ha fatto il suo tempo, ella vuole ristabilire il regno, a suo avviso, troppo a lungo calunniato, dell’ angelo decaduto. A tal’uopo, mettono mano a riesaminare il processo di Satana, a farlo sorgere dal suo decadimento, ed a rimetterlo in onore dinanzi al mondo.

Meschinissimo ripetitore de’razionalisti tedeschi, il sig. Renan ha dunque petto di scrivere: « Fra tutti gli esseri già maledetti, per la tolleranza del nostro secolo risorti dal loro anatema, satana è senza alcun dubbio quello che ci ha più guadagnato nel progresso de’lumi e dell’universale incivilimento. Egli s’è raddolcito a poco a poco nel suo lungo viaggio, dalla Persia a noi; egli s’è spogliato di tutta la malvagità d’Arimane. Il Medio Evo, intollerantissimo, lo fece a suo senno brutto, malvagio, torturato e, per colmo di disgrazia, ridicolo.

« Milton finalmente intese il povero calunniato, e cominciò la metamorfosi che l’alta imparzialità del nostro tempo doveva compiere. Un secolo così fecondo come il nostro in ogni guisa di redintegramenti, non poteva mancar di ragioni per iscusare un rivoluzionario sventurato, spinto dal bisogno di metter mano ad arrischiate imprese. E si potrebbero far valere, per attenuar la sua colpa, molte altre ragioni, contro le quali noi non avremmo diritto di esser severi. »

Un de’ maestri del Renan, lo Schelling, va più in là; egli di satana fa addirittura un dio, attesoché Dio doveva avere un antagonista degno di Lui. Il Michelet, nel suo Corso di filosofia della storia, predice il ritorno del regno satanico; e nella Strega e’ si fa suo storico, narrando con amore ì trionfi di satana sovra Cristo. Il Quinet, che vuole soffocare il Cristianesimo nel fango, trova in satana nientemeno che il Principe, che ha dà riunir tutti i cuori. Il Proudhon desidera di sostituire satana; il diletto dell’anima sua, all’inconseguente riformatore che si fe crocifìggere. I Giornali rinomati pigliano la sua difesa e chiedono la sua completa riabilitazione. « Noi crediamo, dice l’Opinion Nationale, che questo Satana, cosi violentemente assalito dagli ultramontani, questo satana, del quale portiamo in fronte il segno, valga più della riputazione che si vorrebbe fargli. Molto a torto lo si dà per fondatore e per protettore del cesarismo, questo satana così calunniato. satana s’incaricherà nel compiere l’opera sua, di provare ai signori vescovi che non vi è bisogno del potere religioso per correggere il cesarismo. » E il “temp” esprime il dispiacere che gli cagiona la parte monotona di satana nel teatro : « È sempre, egli dice, lo stesso mistificatore mistificato. Gli si danno sempre i primi posti per togliergli crudelmente anche gli ultimi, e l’inevitabile voragine col suo zolfo, da lungo tempo scavata dall’industria, riceve sempre allo scioglimento, questo cornuto monarca, col mantello rosso, la cui missione, a quanto pare, è di arrabbiarsi senza riuscita, per la dannazione di alcune povere animuccie di contadini e di contadine. Che un uomo di spirito voglia ben darci una rappresentanza, una incantagione nella quale il diavolo, completamente riabilitato, assisterà nella serenità della sua gloria, alle vane imprese tentate per farlo discendere; sarà lui che nello scioglimento congederà gli angeli e ritirerà loro la direzione delle anime, per affidare ad essi quella dei palloni. Liberato dalle maledizioni secolari, non maledirà nessuno ; riconcilierà pure il Dio nero col Dio bianco, e proclamerà come coronamento della piramide luminosa, la libertà. »

Se questi ed altri non meno empi scrittori avessero, con queste loro enormità, destata una generale riprovazione, potrebbe dirsi che e’ son pazzi ed empi, senz’altro. Ma l’accoglienza fatta a tali inaudite bestemmie; ma il numero de’ lettori e degli encomiatori de’ libri che le contengono, non sono forse tal fatto che dà molto da pensare? Si può egli non vederci un contrassegno de’ tempi nostri ? La pubblicazione di quelle mostruose empietà non ha punto scemata, agli occhi dell’opinion dominante, la gloria de’ Renan, de’ Proudhon e lor simili. Punto non s’è chiusa in faccia loro la porta delle sale né delle accademie. Essi hanno larghe relazioni sociali; si siede a mensa, si conversa con essi, e si trovano amabili. I distributori della nomèa letteraria proclamano ad alta voce il loro ingegno; e le opere loro, tradotte nelle principali lingue, contano, rispetto a’libri cristiani, cento lettori per uno. Tali sono le bestemmie, ignote nella storia, che si stampano a’ tempi che corrono, non solo in Francia, ma anche in Allemagna, e che sono lette nell’antico e nel nuovo mondo. Ciononostante fino a questi ultimi anni, la redintegrazione, l’apologia di Satana non era passata fuori di certi libri ignorati dalla moltitudine. Per spingere avanti l’ opera infernale, restava da infettare il mondo de’ saputelli, gli sfaccendati e le donne. Ed ecco, dopo i filosofi ed i letterati delle accademie, venir fuori i romanzieri ed i comici, che si sono incaricati di renderlo popolare. La è la stessa’ tattica che satana adoperava, or fanno sedici secoli, per conservare il suo’ regno e impedire quello dello Spirito Santo; dopo Celso sofista, comparve Genesio istrione.

Nel 1861 venne fuori un romanzo, nel quale satana, trasformato in bellimbusto, è cosa tutta vaga e leggiadra. Contegno irreprensibile, maniere signorili; parla con eleganza, sorride con garbo, è spiritoso. Fuma, giuoca, danza a maraviglia; non si può dare maggiore amabilità. C’è egli a stupire se l’uomo, sotto tale metamorfosi empia e sacrilega, s’avvezza a guardare in faccia, a stringer la mano al suo eterno nemico? Il terrore che pur testé ispirava passa per vana paura; la malvagità, ond’è accusato, per calunnia nata dall’ignoranza e dalla superstizione. Qual mezzo di propaganda, il romanzo tiene un posto di mezzo tra il libro dotto ed il teatro. Da’ gabinetti di lettura, o dalla casa del rivenditore a minuto, il romanzo entra ne’ saloni del ricco, nella casa del borghese, nella capanna del povero. Coglie più o meno lettori; ma non parla agli occhi e non corrompe se non alla spicciolata.

Altra cosa è il teatro. Il quale col barbaglio delle decorazioni, còlla realtà de’personaggi, coll’arte degli attori s’impadronisce dei sensi tutti, e profondamente v’ imprime quel che vuole insegnare. Inoltre e’piglia addirittura la moltitudine. La commedia ottiene ella favore da venirne in voga? State sicuri che dopo venti rappresentazioni, gli scherzi, i lazzi, le massime, i biasimi, gli elogi eh’ essa contiene, diventeranno purtroppo sentenze in bocca a molte e poi molte persone d’ogni educazione e grado. Ond’è che il vero mezzo di mettere in derisione l’uomo più venerando, o la cosa più sacra, si è di farli comparir su’ teatri; Il demonio l’ha intesa meglio di chiunque. All’uopo di rendere popolare la sua redintegrazione, facendo mettere in derisione i dommi cristiani che concernono lui, s’è reso padrone d’un importante teatro della capitale de’ lumi; e vi fa rappresentare questo, che ora diremo. In una dell’ultime giornate d’agosto del 1861, sulle mima di Parigi vedevasi un cartellone azzurro, con entravi stampato a grandi caratteri : La beltà del diavolo, commedia fantastica in tre atti’. Della quale ecco qui un cenno: ci si presenta dinanzi uno spazzo riccamente decorato; gli è un appartamento dell’inferno; la camera da letto di Monsieur Satan. Vedesi, attraverso le bianche cortine d’un letto voluttuoso, la testa d’un giovane elegante, il quale chiede che lo si venga a vestire. Ed ecco tavole e tavolini coprirsi di cosmetici, di ampolle, di ferri da parrucchiere, portati da certi diavoletti, famigli di satana. Il quale, uscito di letto,, si fa vestire e azziniare; in modo ch’egli stesso s’ammira, e si fa ammirare dagli altri. Ebbro di sua bellezza, .s’impromette di far molto bene i suoi fatti, e annunzia un ballo per la sera. Sei ballerine dell’ Opera cascano, proprio allora, nell’inferno: e al suono de’ musicali strumenti si danza allegramente. satana dà di mano alle ballerine giunte testé e, ballando, si permette con esse certi detti e certi gesti, che però non hanno l’esito ch’ei ne vorrebbe. Infuriatone, domanda a tutti i demoni s’e’non è sempre il re della bellezza: e gli si risponde con qualche esitanza. Allora satana dà affatto ne’lumi e vuol sapere che sia avvenuto della sua bellezza. Un dannato, di professione magnetizzatore, si offre di svelargli 1’arcano. E viene in scena Madama Satan; la quale, magnetizzata, é interrogata, che sia avvenuto della bellezza di suo marito. Madama Satan non risponde, ma s’agita grandemente sulla sua seggiola. Si torna a magnetizzarla, cosicché, carica di fluido, s’addormenta profondamente. Interrogata di nuovo, dice; son io che ho tolta la bellezza a mio marito. — Perché? — Perché ne abusava! — Che ne hai tu fatto ? — L’ho data ad una giovinetta di Normandia, — Di qual villaggio ? (lo nomina.) — Quando gliela hai data? — Quel di medesimo che l’ho tolta a mio marito; quella giovinetta è nata quel dì. satana non chiede altro. Manda pel suo cocchiere, fa allestire la sua vettura alla Daumont e, trasformato in ispettore delle scuole primarie, parte, col dannato magnetizzatore, in cerca della sua bellezza. Giunto nel villaggio, entra nella scuola, esamina le giovinette e ne chiede l’età. Le n’ha otto nate lo stesso dì: quale è quella che possiede la bellezza di satana? Impossibile saperlo. Quel ch’ è certo si è che satana ricupererà la sua bellezza, quando quella giovinetta l’avrà perduta. Per consiglio del magnetizzatore, si decide che si piglieranno tutte otto le giovinette, e le si meneranno a Parigi. Affascinate, innamorate pazze, partono per la capitale in compagnia di satana e del suo pedissequo. La loro virtù non tarda a fare naufragio, nella via di Boemia, della quale si dà una particolareggiata descrizione, discretamente sozza e prolissa. Vituperata l’ultima, torna la sua beltà a Satana che, pavoneggiandosi, ritorna a farsi ammirar nell’inferno, dopo aver promessa fedeltà a sua moglie. Tale si è quest’ignobile farsa, in cui non v’ha né arte, né gusto, né lingua francese, ma, in loro vece, lussuria ed empietà fetente. .satana trasformato in ganimede, fashnonable; l’inferno cambiato in sontuoso albergo, a cui s’arriva colla valigia da viaggio; una casa di tolleranza, dove si beve, si giuoca, si balla, si diserte e se n’esce in calesse in cerca di avventure. Oh! che cosa è mai tale commedia se non un lungo scherno de’ dommi cristiani, una cinica profanazione de’ più tremendi misteri dell’ eternità? Chi è che, dopo aver veduto, applaudito, assorbito questa sacrilega beffa, ancora serbi il menomo orror del demonio,’ il menomo timor dell’inferno? diciamolo pure a nostra vergogna: nel mondo cristiano non s’era veduto mai e poi mai tale scandalo. Eppure v’ha uno scandalo peggiore ancor della sozza commedia, ed è la voga ch’ell’ebbe. Chi crederebbe mai che somigliante mostruosità fosse rappresentata sessantatre volte di seguito? e in uno de’teatri più frequentati di Parigi, il teatro del Palais-Royal! C’è egli più a stupire se, quel medesimo anno, alla presenza d’immensa turba, si è potuto fare e freneticamente applaudire: “un brindisi alla morte del Papa, ed alla salute del diavolo”?

Ecco a che punto ci troviamo nel XIX secolo dell’era cristiana. Per sintomo, noi non conosciamo altra cosa più grave di tale commedia. [certo mons. Gaume sarebbe impallidito trasecolando davanti agli spettacoli blasfemi moderni, pieni di volgarità, bestemmie, sconcezze innominabili, mottetti stercoracei spacciati per artistiche forme di libera di espressione, oramai presenti in modo più o meno velato e spudorato in quasi tutti gli spettacoli teatrali, nonché televisivi, da tutti visibili – bambini compresi – a qualsiasi ora del giorno – n.d.r. -] Cosi la pensa anche un valente scrittore, del quale ci piace allegare questa pagina : « Il demonio, ei dice, aveva sempre avuta finora una sua forma incontrovertibile, una specie di forma classica, che i maestroni in letteratura, fino allo Scribe medesimo, adoperavano a lor senno senza alterarla se non il men che potessero. Il demonio faceva sempre una brutta parte e senza ambagi. Adesso l’ideale del demonio s’è fatto color di rosa. La sua personalità tutta leggiadra sembra l’eroe della canzone di Béranger: « Ella appare, Spirito, Fata o Bea, ma giovane e bella, col sorriso sulle labbra. ». « Per esempio, nella Bellezza del diavolo, non può essere a meno che sua signoria il demonio, non renda tutta cara ed amabile la infernale personalità. Le sue malizie sono benefiche, le sue gherminelle son tratti d’un buon genio della Boemia parigina. Ecco dunque all’ideale cattolico del demonio, ideale stupendamente vero, che esprime o rappresenta il sensualismo al suo più alto grado, l’uomo bestia, opposto un ideale tutto contrario. « La è pure una grande stranezza! che neghino le verità del Cristianesimo coloro, che dalla forza delle cose furono tenuti fuori della loro luce, s’intende: ma osare ammettere, mentre tutto il resto si nega, la personalità infernale, e riconoscerla per glorificarla, redintegrarla, farla amare! gli è un fatto, incomprensibile; incomprensibile e gravissimo, attesoché fa contro una verità tutt’insieme religiosa e razionale, per distruggerla à sangue freddo e senza alcun prò. Qui non è più solo il caso di manifestazione d’amore del sovrannaturale; ma d’occulta influenza dello Spirito del male. »

Farsi chiamar re. Quando il razionalista del secolo XIX non riduce il satana biblico ad un essere meramente immaginario, egli ne fa un essere degno di compassione. Non é altro che un rivoluzionario sventurato; e chi, più o meno, non l’è, a’ tempi nostri? In esso, personificazione vivente del male e della sozzura morale, 1’artista sa trovare un tipo non privo di nobiltà né di bellezza. Il romanziere ve lo trasforma in damerino del Jockey-Club, dalle eleganti maniere. Il comico ve lo rappresenta per l’allegro padrone di casa dell’inferno, e l’inferno per un luogo di diletto, dove si trovano riuniti piaceri d’ ogni sorta. E con tutto ciò il proteggere, scolpare, far bello satana e chiedere, in nome del progrèsso, che gli si dia diritto di cittadinanza nelle cristiane società, non basta altrimenti; si vuole che diventi, come già in altri tempi, principe e Dio del mondo. Ed egli stesso aspira, come a sua ultima mèta, nientemeno che a questa duplice supremazia, cui pretende di riacquistare. Ed invero, la rivoluzione è, a’ tempi che corrono, la più formidabile potenza, e, tranne il caso d’inauditi miracoli, sarà la regina del mondo. E che altro è la rivoluzione se non l’abbassamento di Dio, e l ‘esaltamento di satana? Or bene, la rivoluzione diceva testé, per bocca d’un de’ suoi figli, a’ fratelli sparsi per tutta la terra : « Lucifero è il capo della piramide sociale. E lui il primo operaio, il primo martire, il primo ribelle, il primo rivoluzionario. Noi rivoluzionari; democratici, socialisti, dobbiamo per rispetto e gratitudine portare sulla nostra bandiera, la cara immagine dell’ eroico insorto, che primo osò rivoltarsi contro la tirannide di Dio.1 » [Discorso di un rifugiato di Londra pronunziato alla taverna de’Frammassoni, 1862.]

Dopo aver approvato l’odio di Dio, con iscrivere: Dio è il male; un altro bestemmiatore, ben noto, dà il suo cuore a satana, e l’invoca con tutte le sue forze. Chi dedica la sua penna, gli consacra la sua vita e invita tutta quanta, l’Europa a seguire il suo esempio. « Vieni, dice, vieni, o satana, il calunniato dai sacerdoti e dai re; vieni ch’io t’abbracci e ti stringa al mio seno! È «già gran tempo che ti conosco, e tu conosci me. Le tue opere, o benedetto dell’anima mia, non sempre sono belle né buone; ma esse sole danno un senso all’ universo egl’impediscono d’essere assurdo. che cosa sarebbe, senza te, la giustizia? un istinto. La ragione? una consuetudine. L’uomo? una bestia. Tu solo animi e fecondi il lavoro; tu fai nobile la ricchezza; tu servi di scusa all’autorità: tu metti il suggello alla virtù. Spera, si spera ancora, o proscritto…. » Il resto la nostra mano non osa più trascriverlo. Il Proudhon non è se non un consequenziario. Da quel di che suonò alle orecchie de’ giovani europei il detto, diventato assioma dell’insegnamento pubblico: « Il Cristianesimo è vero, ma non è bello: non è bello né in letteratura, né in poesia, né in eloquenza, né in pittura, né in scultura; per avere il bello, bisogna cercarlo nel paganesimo. È là ancora, è là soltanto, che si trovano le grandi civiltà, i grandi uomini, le forti istituzioni, la vera sapienza e la vera libertà: » da quel dì, dico, satana si mise in cammino per rientrare nel mondo cristiano, e formarvi di nuovo la sua città. E l’imprudente Europa gli faceva un ponte d’oro: vediamo se egli ha saputo valersene.

Qual è il re della moderna Europa, considerata nei generali suoi contrassegni? Re dell’Europa moderna è colui che là governa nell’ordine dell’idee e nell’ordine de’ fatti. Ora, sette grandi fatti intellettuali e materiali, religiosi e sociali costituiscono l’Europa moderna. Il Risorgimento, il Razionalismo, il Protestantismo, il Cesarismo, il Volterianismo, la Rivoluzione francese, e la Rivoluzione, propriamente detta, le danno una sua impronta, le imprimono certe sue tendenze: e colui che le ha prodotte, che le fa durare, che si sforza di applicarle, fin nelle ultime loro conseguenze, questi è il vero re dell’Europa moderna: è egli lo Spirito Santo? E venendo a’ particolari, chi è che forma l’opinione pubblica? Le inaudite bestemmie summentovate sarebbero state impossibili nel Medio Evo; non ne sarebbe pur venuto il pensiero in veruna testa. E se alcuno avesse osato proferirle, l’Europa di Carlo Magno e di san Luigi si sarebbe turate le orecchie per non udirle, e il bestemmiatore avrebbe espiata la sua sacrilega audacia col supplizio. Or come vuole essere chiamato lo Spirito che regge una società, nella quale si può impunemente, pronunziarle, che se ne mostra indifferente, ne ride, le accetta? Forse do Spirito Santo?

Quale Spirito regna sulla stampa in generale, sulle arti, sui teatri, nelle accademie’, sui romanzi, ne’ giornali, sugli scrittori più in voga, di ogni nome e colore, innumerevole turba sparsa per tutta Europa e che semina a piene mani la menzogna e la corruzione, come l’agricoltore sparge il seme nel suo campo? Forse lo Spirito Santo? Qual si è il legislatore che ha fatto mettere ne’ codici dell’Europa moderna il divorzio, distruggitore della famiglia cristiana; il matrimonio civile, concubinato legale; la libertà de’culti, ufficiale diploma dato a tutti i falsificatori della verità, negazione autentica di ogni religion positiva ; sacrilega ironia, in virtù di cui i sudori de’ popoli servono a mantenere in piedi il cattolicismo che afferma, il protestantesimo che nega, il giudaismo che si ride dell’uno e dell’altro? Forse lo Spirito Santo?

   E non vediamo noi autorizzato, sotto i nostri occhi nella Capitale del regno cristianissimo, il pubblico culto di Maometto? Fra tutte le città cristiane, Parigi, anima delle crociate, la città di san Luigi, doveva, pare, essere l’ultima ad avere una moschea : ed è la prima. È egli lo stesso Spirito che regna sulla Parigi del Medio Evo e quella del secolo XIX? Questo fatto, del quale han certo dovuto fremere nelle lor tombe le ossa de’ nostri padri, non segna per altro ancora l’ultimo grado della supremazia che noi andiam qui segnalando : quell’ultimo grado sta nel trionfale cantico che la parigina moschea ispira agli organi dell’opinion pubblica. « Musulmani, e’ dicono, faranno lor vita in Parigi, nella città di Clodoveo e di san Luigi, frammisti a’ nostri soldati e collo stesso ordine e disciplina. Basta questa parola per segnare l’ importanza d’ un fatto che non sarebbe modesto se non in forza del prodigioso cambiamento che si fece nelle nostre idee e ne’ sentimenti da un secolo in poi. Si, è questo uno degli avvenimenti caratteristici della storia dell’ incivilimento Europeo…. Il filosofo medita e ammira. E si pensi un poco alle tante lotte che questo semplice incidente rammenta sostenute contro i pregiudizi di razza, ed alle vittorie ottenute sul fanatismo. » Cosi, ad essere la più religiosa delle cinque parti del mondo, altro più non manca all’ Europa moderna se non i templi de’ Mormoni, i templi di Budda, le pagode di Confucio, i santuari di tutti gli dèi dell’Africa e dell’Oceania. Se non è questo un chiamare al trono il padre della menzogna, e vagheggiare i bei dì dell’antico suo regno, qual più lo sarà? Da ultimo, da chi vuolsi dire ispirata la politica d’un mondo che si dice cristiano, e che spinge con babilonico furore a tutti i materiali piaceri, come se l’uomo si rigenerasse ingrassandolo; che sotto il nome di diritto nuovo, inaugura il diritto della forza: diritto antico, abolito col regno di satana; che sotto le parolone di “progresso” e di “libertà” cela la secolarizzazione delle società e la loro emancipazione sempre maggiore dall’autorità del Cristianesimo; che fa, incoraggia, o lascia fare la guerra al Papa; che lo insulta, lo calunnia, chiede ad alte grida che questo padre universale de’ credenti venga spogliato dell’ ultimo lembo di terra indipendente, in cui possa posare là sua testa ? Forse dallo Spirito Santo fondatore della Chiesa? Addormentatori e addormentati, voi negate l’esistenza del demonio e la sua azione sull’uomo; diteci dunque quale Spirito governi il mondo presente, considerato in generale?

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[Mons. Gaume certo immaginava che questo fosse solo l’inizio, ma probabilmente non avrebbe mai pensato che il “principe” avrebbe addirittura preso dimora nel Tempio Sacro, come da terzo segreto di Fatima:

“effettivamente satana riuscirà ad introdursi fino alla sommità della Chiesa” !

Cosa dovremo aspettarci ancora?

 

Pentecoste ebraica e Pentecoste cristiana

Ascensione

Pentecoste ebraica e Pentecoste cristiana

[Dom. P. Gueranger: – L’anno liturgico-vol. II: Tempo pasquale, pag. 261.]

La Pentecoste ebraica.

Già durante il regno delle figure il Signore marcò la gloria futura del cinquantesimo giorno. Israele aveva compiuto, sotto gli auspici dell’Agnello Pasquale, il suo passaggio attraverso le acque del mar Rosso. Sette settimane erano trascorse nel deserto che doveva condurre nella terra promessa, ed il giorno che le seguì, fu quello in cui si suggellò l’alleanza tra Dio e il suo popolo. La Pentecoste (il cinquantesimo giorno) fu segnata dalla promulgazione dei Dieci Comandamenti della Legge divina, e questo grande ricordo restò in Israele, insieme alla commemorazione annuale di tale avvenimento. Ma, come la Pasqua, la Pentecoste era profetica: vi doveva essere una seconda Pentecoste, per tutti i popoli, come vi fu una seconda Pasqua per il riscatto del genere umano. Al Figlio di Dio, vincitore della morte, la Pasqua con tutti i suoi trionfi; allo Spirito Santo la Pentecoste, che Lo vede entrare come legislatore nel mondo, posto ormai sotto la sua legge.

La Pentecoste cristiana.

   Ma quale differenza tra le due Pentecoste! La prima, sulle rocce selvagge dell’Arabia, in mezzo a fulmini e tuoni, ordinando una legge impressa su tavole di pietra; la seconda, a Gerusalemme, sulla quale la maledizione non è ancora piombata, perché, fino ad allora, ella possiede le primizie del nuovo popolo sul quale dovrà esercitarsi l’impero dello Spirito d’amore. In questa seconda Pentecoste, il Cielo non si oscura, non si ode il fragore del fulmine; i cuori degli uomini non sono agghiacciati dallo spavento, come intorno al Sinai. Ma battono sotto l’impressione del pentimento e della riconoscenza. Un fuoco divino si è impadronito di essi, un fuoco che divamperà su tutta la terra. Gesù aveva detto: « Fuoco sono venuto a gettare sulla terra, e che desidero se non che divampi? » (Lc. XII, 49). L’ora è venuta, e Colui che, in Dio, è l’Amore, la fiamma eterna ed increata, discende dal Cielo per adempiere gli intenti misericordiosi dell’Emmanuele. In questo momento, in cui il raccoglimento domina il Cenacolo, Gerusalemme è piena di pellegrini, accorsi da tutte le regioni della gentilità, e qualche cosa di segreto si muove in fondo al cuore degli uomini. Sono Ebrei venuti per la festa di Pasqua e della Pentecoste, da tutti i luoghi dove Israele è andato a costruire le sue Sinagoghe. L’Asia, l’Africa, Roma stessa, hanno fornito il loro contingente. Confusi con Ebrei di razza pura, si scorgono anche dei pagani che un movimento di pietà ha portato ad abbracciare le legge di Mosè e le sue pratiche: li chiamano i Proseliti. Questa popolazione mobile, che dovrà disperdersi fra pochi giorni, e che si è riunita a Gerusalemme per il solo desiderio di compiere la legge, rappresenta, per la diversità delle lingue, la confusione di Babele; ma coloro che la compongono sono meno influenzati dall’orgoglio e dai pregiudizi di quanto lo siano gli abitanti della Giudea. Arrivati solamente ieri, essi non hanno conosciuto e ripudiato il Messia, come questi ultimi, né bestemmiato le sue opere che rendevano testimonianza di Lui. Se hanno gridato davanti a Pilato, insieme agli altri Ebrei, per domandare che il Giusto fosse crocifisso, è stato perché essi furono trascinati dall’ascendente dei sacerdoti e dei magistrati di quella Gerusalemme, verso la quale la loro pietà e la loro docilità alla legge li aveva condotti.

L’Altare cattolico e l’altare “privilegiato”

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Gli altari e l’altare privilegiato

(da: “I santi misteri” vol. 10 delle opere di Mons.De Ségur)

Cosa rappresenta l’altare sul quale si celebra la Messa?

   L’altare deve essere di pietra. Se fosse di legno o di bronzo, o anche di argento ed oro, occorrerebbe comunque che lo spazio sul quale si offre il Sacrificio, sia di pietra; questa pietra si chiama appunto “pietra d’altare”. L’altare (o “pietra d’altare”, che è la stessa cosa, almeno in pratica) è consacrata dal Vescovo, che lo marchia con cinque croci, in onore delle cinque piaghe che Gesù-Cristo conserva in eterno nel suo Corpo glorificato; questa consacrazione si fa con il santo Crisma, che è il più sacro degli oli santi, e dopo le unzioni il Vescovo brucia un grano di incenso purissimo in ciascuna delle croci che sono incise nella pietra.

Così consacrato l’altare, in effetti, significa: Nostro Signore GESU’ CRISTO, al di fuori del Quale, il Padre Celeste non gradisce alcun omaggio religioso, alcuna adorazione, nessun sacrificio. GESU’ CRISTO è quindi il centro ed il fondamento vivente dell’unica vera Religione, la quale è iniziata con gli Angeli e con Adamo, fin dall’origine del mondo, e non finirà neppure con la fine del mondo, perché Essa durerà nel cielo, per tutta l’eternità. GESU’ è la pietra consacrata, la pietra angolare che supporta tutto l’edificio della Religione degli Angeli e degli uomini, ed è per questo che è assolutamente vietato celebrare la Messa fuori dall’altare consacrato, o almeno una pietra d’altare consacrata.

L’altare significa allora GESU’ CRISTO, fondamento divino della Religione e del Sacrificio. Ognuno può comprendere allora quale sia la santità dei nostri Altari, e perché è proibito non solo di farlo servire per alcun uso profano, ma anche di non posarvi sopra nulla di estraneo al Culto divino. Ci sono dei preti che non si curano di posare sull’altare i loro occhiali, il loro berretto, la loro tabacchiera. Io ho visto sacrestani posarvi tranquillamente sopra la loro penna, la spazzola, etc. Il santo abate Olièr, uno degli uomini che hanno usato il massimo rispetto per il Santo Sacrificio ed il Santo Sacramento, era al riguardo di una severità straordinaria: una volta un giovane chierico del seminario di San Sulpizio, di cui Olièr era il Superiore, era stato scelto da lui per servir Messa per la sua grande pietà. Un giorno il pio giovane posò sbadatamente la sua piccola calotta sul cono dell’altare. M. Olièr lo riprese severamente, come per una mancanza di rispetto verso l’adorabile Eucaristia, e lo privò per otto giorni dell’onore di servire Messa. Non si è mai troppo delicati in ciò che concerne le testimonianze della fede e dell’adorazione nei riguardi dei santi Misteri e di tutto ciò che ha rapporto con il Santissimo Sacramento.

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Gli “altari privilegiati”

Il Papa accorda talvolta la grazia dell’Indulgenza plenaria per le anime del Purgatorio, ai Sacerdoti che celebrano la Messa su certi altari. Questo privilegio sì prezioso ha fatto attribuire a questi altari il nome di “altari privilegiati”. Talvolta un altare è privilegiato una sola volta a settimana, altre volte il privilegio dell’Indulgenza si estende a due, tre, quattro giorni della settimana; più raramente è quotidiano. Questo dipende unicamente dalla concessione pontificale. L’indulgenza degli altari privilegiati è riservata esclusivamente alle anime del Purgatorio. A meno che il contrario non sia specificato nella concessione, queste indulgenze possono essere lucrate solo celebrando la Messa su un altare “fisso”. Per “altare fisso” si intende un altare immobile, che non possa essere cioè trasportato da un luogo ad un altro. Poco importa che sia consacrato interamente, o che ne sia consacrata solo la pietra, l’importante è che sia sigillato sia al muro, sia al suolo.

Peccato contro lo Spirito Santo

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« Ogni peccato ed ogni bestemmia sarà perdonata agli uomini, dice Gesù Cristo in S. Matteo, ma la bestemmia contro lo Spirito Santo non sarà rimessa. Chiunque sparlerà del Figliuolo dell’uomo otterrà perdono; ma chi avrà sparlato dello Spirito Santo non ne avrà remissione, né in questo secolo, né nel futuro » — “Omne peccatum, et blasphemia non remittetur hominibus: Spiritus autem blasphemia non remittetur. Et quicumque dixerit verbum contra Filium hominis, remittetur ei; qui autem dixerit contra Spiritum Sanctum, non remittetur ei neque in hoc saeculo neque in futuro” ( MATTH . XII, 31 – 32 ). Qual è questo peccato che non sarà rimesso né nel tempo, né nell’eternità?

1° Parecchi dottori intendono l’eresia d’Eunomio, la quale negava che lo Spirito Santo fosse Dio. – 2° S. Ilario stima che il peccato contro lo Spirito Santo consista nella negazione della divinità di Gesù Cristo (De Peccat.), – 3 ° S. Ambrogio lo classifica tra lo scisma e la simonia; perché Simone volle comprare col denaro il potere di fare miracoli concesso dallo Spirito Santo agli Apostoli (De Poenìt. lib. II ). – 4 ° Papa Gelasio considera come colpevoli di questo peccato coloro che, colpiti d’anatema, ossia scomunicati, restano e vogliono restare peccatori, e che per conseguenza non sono assolti né quaggiù né nell’altra vita (Stor. eccles.).  – 5° S. Cipriano vede questo peccato nella negazione della fede in tempo di persecuzione ( Lib . Ili , Ep. XIV ) . – 6 ° Riccardo da S. Vittore lo colloca tra l’odio ed il disprezzo formale di Dio (De Blasphem. in Spiritu S.). – 7° Finalmente S. Tommaso scrive che ogni peccato di malizia è contro lo Spirito Santo: Omne peccatum ex malitia, est contra Spiritum Sanctum (De Peccat.).

I teologi contano sei delitti contro lo Spirito Santo:

1° presumere di salvarsi senza merito . . . ; 2° abbandonarsi alla disperazione…; 3° combattere la verità conosciuta…; 4° rompere per gelosia la carità fraterna . . . ; 5° ostinarsi nella via del male…; 6 ° rimanere nell’impenitenza… Questi peccati sono infatti direttamente e maliziosamente contro la bontà di Dio, che è attribuita allo Spirito Santo.

Nel testo sopra citato, Gesù Cristo non parla di ogni peccato contro lo Spirito Santo, ma solamente della bestemmia contro questa Persona dell’adorabile Trinità; bestemmia che consiste nel calunniare le opere evidentemente divine e miracolose, pie e sante, che Dio opera per la salute degli uomini e per mezzo delle quali conferma la loro fede, e appoggia la verità della sua parola; quali sono, cacciare i demoni, e simili; queste tali opere appartenenza dello Spirito Santo. Questa è la spiegazione che ne danno i Santi Atanasio, Ambrogio, Gerolamo, Giovanni Crisostomo.

Il peccato contro lo Spirito Santo non sarà rimesso: — “non remittetur”;— cioè difficilmente e raramente sarà perdonato. Ma Dio che è la volontà e la potenza per natura, può rimettere e infatti rimette ogni sorta di peccato a chi sinceramente se ne pente… Questo peccato non sarà perdonato nel secolo futuro: “Neque in futuro”; perché chiunque muore in istato di colpa grave va all’inferno e non ha più speranza di uscirne…

[E. Barbier: I Tesori di Cornelio A Lapide. Vol. III – Torino 1930]