SUL CALVARIO

SUL CALVARIO

(OTTO HOPHAN, MARIA; Marietti ed. Torino, 1953)

Ah! adesso dobbiamo riflettere sullo sconfinato dolore, che Maria, l’augusta Signora, soffrì nella raccapricciante tragedia del Calvario. E la Provvidenza ha disposto che proprio in queste settimane, nelle quali scrivevo della abissale passione della Benedetta, giungesse anche per me un Calvario: la morte della mia cara e buona madre. Qual intenso dolore quando muore una buona mamma! in queste lunghe, trepide settimane, quando la speranza che sprofonda lotta con la paura che sale! Poi la sentenza che atterra: finita! nulla da fare! E finalmente il giorno, la notte, quando la poveretta, la cara giacque morente. Quelle mani inoperose, che avevan compiuti miracoli di lavoro, e adesso s’alzavano stanche e pesanti per l’ultima benedizione; quella bocca silenziosa, che durante la vita era prodiga di parole d’amore e di sollecitudine, e adesso non poteva dir nient’altro che « sì, sì! », quando le si parlava della santa volontà di Dio, e « oh, oh » — questo lieto e stupito « oh! » — ai nostri ultimi saluti per l’aldi là, al padre defunto e al gran Signore e alla cara e augusta Signora. E poi quegli occhi, quegli occhi espressivi e caldi, che già vedevano lo splendore dell’eternità, ma, al nostro richiamo, si volgevano a noi ancora una volta sereni, tranquilli, e che poi si spensero come stelle d’oro al loro tramonto. Ah, com’era doloroso e com’era bello! E poi il vuoto, il vuoto stridente! La mamma non è più qua! Potremmo percorrere anche l’intero mondo, ella non è più in nessun luogo, non è proprio più. Siamo abbandonati soli al grande dolore e alla grande e lontana speranza. Sì, quest’è cosa dolorosa, che a un figlio muoia una mamma così buona. Cosa ancor più dura è quando un buon figlio deve precedere nella morte la mamma sua, quando la vita e l’amore d’una mamma, sbocciati al sole come fiore di maggio, avvizziscono anzi tempo, quando la mamma resta solitaria come un albero privato delle sue foglie. La morte d’un figlio colpisce il cuore d’una madre nel suo punto più sensibile, e il suo cuore è tanto delicato e tanto profondo. Il dolore di milioni di mamme accanto alla bara dei loro figli defunti è un dolore straziante, anto straziante che Nostro Signore stesso, scosso dalla compassione, si accostò un giorno a una mamma oppressa da tale dolore con la parola consolante: « Non piangere! » e con il vittorioso miracolo: « Giovanetto, io te lo dico, sorgi! » . Ma fra tutte le povere mamme, che han perduto i loro figli, nessuna ha sofferto così terribilmente come Maria presso la croce del Figlio suo. Non fu solamente l’atrocità dell’esecuzione e dell’odio, dell’odio d’un popolo intero, del proprio popolo, che rese a Maria la morte di Gesù più raccapricciante che la morte dei figli di tutte le altre mamme; ci possono essere state ed esserci ancora delle mamme, anche se non molte, degne d’ogni compassione, che in questo non sono seconde a Maria. Maria però, sola fra tutte le madri del mondo, scorse nella morte del Figlio suo il tetro abisso, gli ultimi motivi che menano alla morte, Ella vide sin giù nel mistero della più nera fra le morti; il mistero più profondo  della morte, « della morte il pungiglione è il peccato ». Gesù, il Figlio suo morente, era l’Agnello di Dio, che doveva togliere i peccati del mondo. La Chiesa applica alla Madre dolorosa la parola delle Lamentazioni: « O voi tutti che passate per la via, vedete e guardate se vi sia un dolore grande come il mio », una parola biblica che l’animo del popolo pio ha volto in versi: « Non v’è figlio sì caro, non v’è dolore sì forte: Gesù in grembo a Maria nel sonno della morte ». Voglia la più misera di tutte le madri, Maria, ritta accanto alla croce del Figlio suo, ottenerci con la sua materna preghiera di scrivere con ardore e profondità del suo stragrande dolore. « O preclara Vergine delle Vergini, non mi respingere: fammi piangere con Te. Fa ch’io senta la morte di Cristo, fammi partecipe della sua passione e memore delle sue piaghe come il tuo materno cuore ». Il pauroso Venerdì Santo non piombò su Maria come un lampo a ciel sereno. Ella era a conoscenza dell’imminente tragedia, che pendeva sopra il Figlio suo e sopra il cuore di Lei; l’aveva visto avanzarsi il Calvario. Già il vecchio Simeone aveva gettata nella sua gioia di giovane madre la terribile parola della spada, che avrebbe trapassata la sua anima. Spesso Ella indagava nelle Sacre Scritture del suo popolo che cosa significasse la sentenza di quel vecchio uomo; sedeva china sui venerandi rotoli della Scrittura e leggeva e trovava nella profezia di Isaia, mista al regale splendore del futuro Messia, la sbalorditiva predizione: Non v’è in lui figura né bellezza. Disprezzato è egli come l’ultimo degli uomini. Un uomo del dolore, avvezzo al patire. Egli ha portato i nostri dolori, le nostre sofferenze si è caricato. Fu colpito per i nostri peccati, per i nostri delitti piagato. Come un agnello, ch’è condotto al macello, come la pecora muta sotto i suoi tosatori, Egli ha chiusa la bocca » . Maria allora sospirava profondamente e il cuore Le si stringeva. Ma forse si aggrappava alla leggera speranza che il Profeta con queste gravi parole non pensasse al Messia, ché anche dopo la morte e la risurrezione di Gesù l’ufficiale etiopico, battezzato dal diacono Filippo, non conosceva chiaramente proprio questo testo, perché interrogò: « Di chi il Profeta dice questo, di se stesso o di un altro? » Allora Maria rifletteva e leggeva di nuovo, ma con suo terrore anche dai cantici del libro dei Salmi Le giungeva lo stesso grave suono e lo stesso lamento: « Mio Dio, perché mi hai abbandonato? Io sono un verme e non un uomo. Si sono disgiunte tutte le mie ossa. Il mio cuore è divenuto come cera, si strugge dentro il mio petto. È asciutto qual terracotta il mio palato, la lingua mi resta attaccata alle fauci. Mi hanno trafitto mani e piedi. Si dividono tra di loro i miei panni e sul mio vestito gettano le sorti ». Allora gli occhi dell’augusta Signora si riempivano di terrore e di lacrime; atterrita e rassegnata, piegava la sua fronte come una spiga tremante dinanzi alla tempesta che infuria. Lo stesso suo Figlio durante la vita pubblica, a cominciare da Cana, già anzi qual Dodicenne nel Tempio, Le aveva dette parole dure. Ella comprese sempre più chiaramente che Egli così voleva educarLa alle difficoltà, come un amante che si presenta duro perché l’amata non si trovi impreparata alla parte più dura. Negli ultimi mesi Egli aveva detto apertamente ai discepoli: « Noi adesso ascendiamo a Gerusalemme, e il Figliuolo dell’uomo sarà dato in mano dei gran sacerdoti e degli scribi, e lo condanneranno a morte, e lo daranno in mano ai gentili, perché lo scherniscano, flagellino e crocefiggano ». Queste parole erano giunte anche all’orecchio e al cuore di Maria. I discepoli allontanarono dal loro pensiero questa insostenibile predizione, certamente supponendo che un’ora di oppressione e di delusione del loro Maestro stesse dietro a quell’espressione; Maria invece era abbastanza credente e d’udito distinto per scoprire la paurosa realtà futura in essa contenuta. Qual madre, sa esattamente che il Figlio suo non inganna e non può Egli stesso essere ingannato; quello che Egli dice, come Egli lo dice, così avverrà, così terribilmente e così crudelmente. Nelle lunghe e fortunose settimane che precedettero il Venerdì Santo Ella fu tanto angustiata, oh quanto angustiata! Tutto, a cominciare da quella lontana e dura parola del vecchio Simeone, attraverso le profezie sulla Passione del Vecchio Testamento sino agli annunzi recentissimi di essa detti dal Figlio suo, tutto si raccoglieva nella sua anima come una grande e chiara sinfonia d’un inaudito patire. E tuttavia Ella andò incontro alle ore raccapriccianti con spirito sveglio, senza nulla rimuovere da sé e senza lusingarsi, seguendo l’esempio del Figlio suo, e si tenne interiormente preparata alla futura catastrofe. L’ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme e il giubilo fremente dell’intera città non poterono quindi togliere alla sua anima il doloroso peso. I discepoli si immaginavano d’essere in quel giorno festoso al termine lungamente agognato dei loro desideri; Maria invece sentiva, nel suo intuito femminile e materno, che quel giubilante Osanna sarebbe terminato malamente; la selva delle palme non poté occultarLe la croce sempre più vicina. Solo un giorno prima dell’omaggio del popolo nella Domenica delle Palme, in occasione dell’unzione prodiga a Betania, non aveva detto suo Figlio stesso ad alcuni discepoli gretti che la disapprovavano l’oscura parola: « Lasciatela stare questa donna (Maria di Betania); ha dato al mio corpo anticipata unzione per… la sepoltura ». Per la sepoltura! La Madre del Signore aveva accolta in sé anche questa parola di Gesù, che Le annunciava la vicinanza dell’ora grave. Quale angoscia mortale dovette opprimere Maria in quei giorni precedenti il Venerdì Santo! E adesso il Venerdì Santo, questo giorno di tutti il più raccapricciante nella vita del Figlio e nella sua, era ormai giunto. Ella era a conoscenza già prima di questo giorno; di tanti dolori veniamo a conoscenza anche noi prima che giungano; ma quando il Venerdì Santo, qual monte altissimo e oscuro, si elevò dinanzi alla Benedetta, apparve che la sua realtà era più terribile di tutte le profezie e immagini. Poiché quali altezze e quali profondità non comprende l’unica e breve proposizione del racconto evangelico: « Presso la croce di Gesù stava sua Madre ». –

« Presso la croce di Gesù ».

Nella relazione evangelica della Passione noi vediamo Maria soltanto sul Calvario, sulla vetta più spaventosa della Passione di Gesù Cristo. Senza dubbio però la povera Madre aveva sofferto nel suo cuore anche i terribili precedenti di quell’ultima crudelissima atrocità. Una inquietudine sinistra colse la Benedetta già la sera del Giovedì Santo, quando il Figlio suo lottò nell’agonia mortale sul Monte degli Olivi. Noi stessi, di sentimenti e di animo così ottusi, abbiamo spesso sentore e tormento d’una grande tribolazione di gente lontana e cara, come fosse avvenuta una misteriosa trasmissione. Molto di più l’anima delicata della Benedetta, che stava in profonda comunanza d’amore e più ancora di grazia con il Figlio suo, dovette intercettare quel suo gemito straziante emesso quando fu sprofondato nell’affanno, dovette sentirlo, ascoltarlo: « Padre, passi da me questo calice! ». I discepoli sul Monte degli Olivi dormivano il loro sonno sano e profondo; Maria non dormì; le cento volte si levò dal giaciglio; tormentata dall’inquietudine, andava qua e là e tendeva l’orecchio nella tranquilla notte illuminata dalla luna piena. Ella forse aveva trovato alloggio presso le buone sorelle di Betania, Maria e Marta, o forse presso quell’altra Maria, madre di Marco, che aveva concessa la sua sala per l’ultima Cena. Le buone donne dicevan parole di consolazione alla Madre inconsolabile e sconcertata. Maria però sentiva chiaramente il gemere del Figlio suo e il sordo temporale dell’inferno, che s’abbatteva sopra il suo Gesù: non poteva dare aiuto a Lui, non poteva difender sé, Ella doveva soffrirlo in tutta la sua crudele gravità come lo soffrì anche il Figlio suo. Compresse le mani sul suo povero cuore è come una volta all’angelo Gabriele prima dell’incarnazione disse: « Fiat — sia fatto! ». Ed ecco, in quel momento un altro Angelo, l’Angelo della redenzione, raccolse quel “Fiat” e lo portò nel calice della consolazione al di là, sul Monte degli Olivi. Quivi il Figlio aveva già pronunciato il suo “Fiat” onnipotente, che tutta mutava la sua e la nostra situazione: « Non come voglio Io. ma come vuoi Tu! ». E allora rumoreggiarono tutti e due i “ Fiat”, quello infinito del Figlio e quello umano della Madre, in un unico torrente, e le onde della nostra salvezza, zampillanti dal “Fiat” del Figlio e dal “Fiat” della Madre, presero a fluire. Quando, nel primo mattino del Venerdì Santo, Giovanni cercò della Madre di Gesù, Maria sul volto sconcertato del discepolo dell’amore lesse tutto con un unico sguardo: la cattura, lo scherno e l’impossibilità d’ogni liberazione. Nessuna forza al mondo avrebbe potuto trattener oltre Maria perché non si spingesse sino al Figlio suo. Ella Lo vide per la prima volta durante la sua passione nel grande « luogo lastricato, detto in ebraico Gabbatha », dove Pilato soleva tenere il tribunale. Ci rallegriamo con la povera Madre che sino a questo momento non abbia visto il Figlio suo che da lontano; fu spaventoso abbastanza anche vederLo di lontano. « Gesù uscì portando la corona di spine e il manto di porpora », e avvolto, dal momento della flagellazione, nel rosso abito del suo sangue, immagine perfetta del dolore, tanto che Pilato stesso, commosso ed eccitato, lanciò contro ai Giudei: « Ecce homo — ecco l’uomo! ». In quel momento un tremito passò in Maria, le sue labbra tremarono e gemette derelitta. Quando poi Pilato propose la mostruosa opzione fra Gesù e Barabba: « Chi volete ch’io vi rilasci: Barabba, o Gesù, detto Cristo? », Maria e il discepolo fedele gridarono e scongiurarono nell’angoscia e nell’amore: « Gesù, Gesù! ». Ma le loro due voci furono come due uccelli isolati e svolazzanti, inghiottite dalle grida della braccheria: «Lasciaci libero Barabba! Gesù alla croce!». Gesù aveva sentito in quel tempestoso vociare le voci dell’amore; volse il suo capo coronato di spine in quella direzione, si piegò, e una lagrima sgorgò dai suoi occhi. La Madre dovette ascoltare la sentenza di morte a carico del Figlio e anche l’imprecazione del proprio popolo contro se stesso: « Ricada il suo sangue su di noi e sopra i nostri figliuoli! ». Ah, povera Donna! Nella stessa ora perdette il Figlio suo e a motivo del Figlio anche il suo popolo. Un’antica informazione dice di un incontro di Gesù con la Madre sua sulla via della Croce. – Una pianta della città di Gerusalemme dell’anno 1308 indica l’antica chiesa di Giovanni Battista col titolo: « Lo spasimo di Maria ». Nelle « Viæ Crucis », che furono erette dovunque in Europa dai Crociati rimpatriati sul tipo della « Via Crucis » originale di Gerusalemme, si trova sempre sin dal secolo XV anche una Stazione detta «lo spasimo di Maria ». Nelle usuali quattordici Stazioni della « Via Crucis » di oggi la quarta Stazione è consacrata a quel doloroso incontro fra Figlio e Madre sulla via della Croce. Quell’antica notizia non è certamente senza contenuto storico, anche se il Vangelo a proposito serba silenzio; del resto anch’esso riferisce di donne, che sulla via della Croce « piangevano e facevan lamenti » su di Gesù; fra tutte le donne dovevan soprattutto le mamme spingersi sino al figlio sofferente. Non pochi si scandalizzano a questa espressione: «Lo spasimo di Maria », e ci richiamano rigorosi alla parola dell’Evangelista nella sua notizia del Calvario: « Stava accanto alla croce di Gesù la Madre ». Ella stava! Sul Calvario Maria fu, di fronte a tutto il mondo, un soccorso affettuoso, una coofferente col Figlio suo sofferente; ed Ella precisamente in questa azione ufficiale e solenne stava. Questo però non esclude che all’incontro sulla via della Croce l’enormità del dolore non si impossessasse di Lei; Gesù stesso sul Monte degli Olivi « cadde bocconi ». Maria era donna e madre dal cuore e dal sentimento ricchissimi; povertà e rintuzzamento del cuore non sono virtù e tanto meno santità, come talvolta le leggende dei Santi fan capire, quando, per esempio, vien riferito a titolo di lode che un Santo stette accanto alla madre sua morente « siccis oculis — ad occhi asciutti ». Gesù e Maria il Venerdì Santo stettero di fronte l’uno all’altra non « siccis oculis »; « la Madre di Cristo stette presso la Croce addolorata e pianse di cuore quando l’amato suo Figlio pendette da essa ». E può essere ben accaduto che nella quarta Stazione, in quel primo e immediato incontro viso a viso, il cuore materno della Benedetta sospendesse alcuni battiti, sicché Ella vacillasse e cadesse. Lo spasimo di Maria! Fu una scena troppo raccapricciante: il Figlio s’avanzò verso la Madre con il corpo lacerato, l’anima martoriata, carico della croce, avvolto dall’urlo della plebaglia, e poi proseguì oltre, fisso l’occhio all’ultima sua meta, il Calvario, dove Lo chiamava la volontà del Padre; sarà loro concesso di stare insieme solamente sul Calvario. E adesso Figlio e Madre si sono incontrati accanto alla croce sul Calvario; se straziante quanto era preceduto, più straziante la scena imminente. La crocefissione era una pena capitale così raccapricciante che persino i Romani di solito la usavano solamente per gli schiavi rei dei delitti più gravi. Cicerone la chiama « la pena più crudele e più ignominiosa, la punizione estrema degli schiavi ». Il diritto ebraico non conosceva questo genere tanto crudele di esecuzione; e per il fatto che dal romano Pilato pretesero nei riguardi di Gesù non una morte qualsiasi, ma la morte di croce, i Giudei diedero prova dell’odio più nero contro di Lui. Gli Evangelisti sorvolano sulla scena raccapricciante con una notizia rapida e breve: « Lo crocefissero », quasi per non rivangare di nuovo il dolore e l’ignominia della esecuzione di Gesù. La lagrimevole Vittima prima della crocefissione fu spogliata: Maria sul Calvario, ancor più povera d’un giorno a Betlemme, non aveva nessun panno da offrire al Figlio suo. Poi il Condannato fu gettato all’indietro, sulla trave trasversale giacente dietro di Lui, e fu inchiodato alle due mani; ogni colpo di martello colpiva la Madre nell’intimo del cuore. Poi quel sanguinante peso umano mediante funi fu elevato sulla trave conficcata al suolo, la trave longitudinale — di qui le espressioni: « Ascendere sulla croce », « essere alzato in croce» ? —, sulla quale furono inchiodati i due piedi. Avremmo sostenuto noi d’essere spettatori della crocefissione del Signore? Ah, Maria sul Calvario, Lei, la Madre, precisamente la Madre, dovette vedere, vivere e patire con il Figlio questo raccapricciante spettacolo. O povera donna, o povera, povera donna! – Tommaso d’Aquino sostiene, nel suo capolavoro teologico, ove tratta della passione di Cristo, la sentenza che nostro Signore ha sofferto tutto. anche le pene più orribili, di modo che nessun uomo poté mai patir di più ?!. Un’affermazione ardita, se si confronti col mare dell’umano dolore, eppure è una terribile realtà. L’intero corpo di Gesù fu tutto un dolore: il capo regale fu traforato da un intreccio di spine quanto straziante altrettanto ridicolo; le sue mani e i suoi piedi furon traforati dai raccapriccianti chiodi; il volto, nel quale gli Angeli desiderano guardare, era gonfio e sfigurato per i pugni e il lordume sputatogli addosso; e tutto il corpo fu sanguinosamente arato dalla orrenda flagellazione. Ancor più insopportabile e indicibile fu la passione dell’anima del Signore. I condottieri L’avevano ripudiato; il popolo aveva defezionato; gli amici Lo avevan abbandonato; persino Giacomo, che s’era fatto bello di poter bere con Lui il calice amaro, persino Pietro, che ancor ieri Gli aveva giurato fedeltà sino alla morte. Il suo nome e il suo onore furono calpestati dalla denigrazione e dallo scherno; la sua attività appariva un fiasco lagrimevole e ridicolo. Fu derubato di quanto aveva sino alle vesti, sulle quali i soldati ai piedi della croce gettarono le sorti. Avesse dovuto dare solamente le vesti! Sulla croce Egli dovette rinunciare anche al suo amico, anzi anche alla propria Madre e persino al Padre suo celeste, che fu il fatto più doloroso e misterioso insieme. Il numero dei sofferenti come Giobbe ascende a legioni, a milioni; ma quale fra loro può misurarsi con quest’Uomo dei dolori? Gesù stette immerso nel pantano, nel più profondo pantano della tristezza, dell’angoscia e della nausea, di queste tre condizioni che sono alla base dell’umana esistenza dai giorni del peccato. E tutta questa esterna ed interna sofferenza del Figlio Maria la sentì e la patì con Lui sino nelle più delicate fibre del suo spirito. Che cosa non soffrì mai la povera Donna, la povera Madre! Si deve inoltre riflettere che il corpo e l’anima di Gesù erano d’una perfezione unica. L’uomo Gesù, infatti, era stato creato nel seno della Vergine con la propria sublime mano dallo stesso Spirito Santo; per questo il suo corpo e la sua anima sentirono ogni dolore in piena e ininterrotta acerbità, in nessun modo mitigata come per noi, che per le sofferenze che durano da millenni nell’umanità siam divenuti ottusi. Quest’Uomo delicatissimo e sensibilissimo fra tutti si trovò nel tormento più profondo della terra per togliere i peccati del mondo, soddisfacendo per noi tutti! Veramente una goccia del suo Sangue prezioso sarebbe bastata per l’espiazione dei peccati di mille mondi; però la sua espiazione dovette conservare anche una conveniente proporzione sensibile. Quale eccesso di tormenti dovette così il Redentore prender su di Sé, poiché i peccati dell’umanità sono pesanti come i monti e innumerevoli come l’arena del mare! Ora nessuno sa meglio d’una madre quanto un dolore penetri nel figlio, quanto un dolore gli faccia male; che cosa dunque non dovette sentire Maria, ch’era mamma, quando vide il suo caro e delicato Figlio scendere nelle profondità d’una passione talmente raccapricciante, sin giù nel sottosuolo, alle radici di tutto l’umano dolore, sin giù al peccato del mondo? O povera Donna, o povera Madre! Gli Evangelisti hanno notato di quelle tre ore, nelle quali il Signore pendette sulla croce, sette parole, le cosiddette « ultime sette parole di Gesù in croce ». Le ultime parole d’una persona cara restano nel cuore profondamente come un sacramentale, un incancellabile ricordo; quello che ha detto un figlio morente, una madre morente, è testamento indimenticabile, irrevocabile, santo, eterna obbligazione. Già la prima di quelle sette parole del Signore fu amore, un amore addirittura incomprensibile e inaudito. I suoi nemici, i sommi sacerdoti, gli scribi, i seniori circondavano la sua croce come già aveva predetto in una amara profezia il Salmista: « Mi hanno attorniato grossi tori, i gagliardi di Basan mi hanno accerchiato; hanno spalancato contro di me la loro bocca, come leone che sbrana e ruggisce ». Nell’ultima ora tuttavia possiamo attenderci dai nemici del Signore tanto di riguardo e di delicatezza, che il loro odio e il loro scherno adesso almeno facciano silenzio. La solennità della morte è vicina e la Madre del Crocefisso è là presente; sono circostanze che impongono silenzio anche ad animi inselvatichiti. E invece proprio in quell’ora dolorosamente solenne i brutali vuotarono le ultime bestemmie contro la loro povera Vittima: « Oh, tu che distruggi il tempio e in tre giorni lo riedifichi, salva te stesso scendendo giù dalla croce!… Ha salvato altri; non può salvare se stesso » . Anche Maria sentì tali malvagità, ed è difficile dire se esse colpirono più profondamente il Figlio o la Madre. Nella tragedia « Ecuba » del poeta greco Euripide, Ecuba la madre, umiliata e tormentata, alla quale erano stati uccisi il marito e i figli, si prese una inumana vendetta contro il suo nemico. Questo nemico, Polimnestore, il quale le aveva ucciso il figlio più giovane, l’unico che ancor restava, per vergognosa avidità e con ignominioso disprezzo dell’ospitalità, viene accecato dalla madre divenuta una furia; dopo di che ella uccide tutti e due i ragazzi di Polimnestore, poi schernisce l’accecato, rallegrandosi nel sentimento della vendetta soddisfatta: « Mai più rimetterai la chiara stella dinanzi agli occhi, mai più vedrai, sebben vivente, i tuoi figli. Ti duole! E mio figlio? Credi tu che a me non faccia male? Sì, mi rallegro d’essermi presa vendetta di te ». E Maria? Questi uomini uccidono il suo unico e caro Figlio e per di più Lo dileggiano: ha Ella almeno dato di mano alle maledizioni contenute nei Salmi del suo popolo: « Sfoga su di essi il tuo sdegno, o Dio, e li colga l’accesa tua collera… Siano cancellati dal registro dei vivi, e non siano iscritti insieme con i giusti » (Ps. LXVIII). Gesù, fra il silenzio e il tormento della crocefissione, in risposta a quelle maledizioni, aprì la sua bocca per la prima parola e disse… non una maledizione ma la preghiera: « Padre, perdona loro, perché non sanno quel che fanno! ». In quel momento anche Maria congiunse le sue mani tremanti e ripeté balbettando questa preghiera del Figlio, fra tutte la più difficile: « Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno! ». In quell’istante avvenne la consacrazione di Maria a Madre della misericordia; in quell’ora Ella pregò insieme con il Figlio per i peccatori, e veramente non soltanto per i peccatori che cadono per infermità, ma piuttosto per i peccatori dalla cosciente malizia e dalla voluta cecità. Quella prima parola del Signore sulla croce e la sua eco nel cuore della Madre è adesso una consolante promessa anche per il peggior peccatore; essa però è certamente anche un obbligo di cercare il perdono e persino di… accordarlo. La seconda parola del morente Signore fu quella rivolta al ladrone. Dapprima anch’egli aveva schernito il Signore; quanto più però guardava a questo singolare vicino, che non si comportava affatto come un malfattore, tanto più gli scemavano in cuore le proteste e le stizze, finché alla fine prese decisamente partito per Gesù e gridò al compagno dei suoi misfatti, che stava dall’altra parte: « Nemmeno tu temi Dio, che subisci la stessa condanna? Pure noi ci stiamo con ragione, perché riceviamo quel che meritavano le nostre azioni; ma questi nulla ha commesso di scorretto ». Maria allora alzò il suo capo oppresso dal dolore e con uno sguardo d’amore ringraziò il delinquente, che, unico fra tutti sul Calvario, aveva detto, aveva osato dire una parola buona per Gesù. E il ladrone guardò in basso alla buona Donna, e nel suo spirito passò qualche cosa di mai provato: pensò alla propria madre e all’innocenza della sua infanzia. Una significativa leggenda direbbe che Maria un dì, durante la fuga in Egitto, aveva incontrata quella madre e quel figlio e aveva guarito questi dalla cecità. Incoraggiato dalla preghiera del Signore persino a favore dei suoi peggiori nemici e confortato dallo sguardo della buona Signora, il ladrone ebbe l’animo di rivolgersi a Gesù stesso con la preghiera: « Gesù, ricordati di me, quando verrai nell’aureola del tuo regno! ». Una parola tutta eroismo di fede e di confidenza: un peccatore morente implora aiuto per l’al di là da un morente compagno di croce. Allora il Signore aprì la sua bocca per la seconda volta e rispose al ladrone: « Davvero tel dico: oggi sarai con me in Paradiso ». Presto il Signore parlerà anche alla Madre sua, sarà la terza parola; essa è così ricca che noi ne scriveremo più diffusamente in altro luogo; ma già le due prime parole di Gesù, quella per i peccatori cattivi, i farisei, e quella al buon peccatore, il ladrone, nascondono un’istruzione anche per Maria. Quant’è sollecito il Figlio suo per i peccatori! Egli se ne ricorda persino in croce, se ne ricorda ancor prima di sua Madre. E così anche Maria rinchiuse nel profondo del suo cuore i peccatori, così profondamente che d’or’innanzi Ella sarà « il rifugio dei peccatori »; sul Calvario Ella accolse il primo peccatore nella persona del ladrone. Potremmo qui ripensare alla parola di Luca dopo la risurrezione del defunto giovanetto di Naim: « E Gesù lo diede a sua madre ». Dopo la parola del tenero amore filiale verso la Madre: « Donna, ecco tuo figlio! Figlio, ecco tua madre! », il Signore fece sentire, gridò una parola, la quarta, anche al Padre suo: « Eloi, Eloi, lama sabachthani? », che tradotta significa: « Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato? ». A questo grido tanto misterioso dell’unigenito Figlio di Dio persino i cieli si oscurarono. Le tenebre, che « dominarono su tutta la terra dall’ora sesta sino all’ora nona », riflettevano con il loro oscuramento la sinistra oscurità dell’anima di Gesù, ne erano l’immagine e il simbolo. Sino a questo momento l’anima di Gesù, anche in mezzo a ogni tormento, si spingeva in alto, sino a toccare la felicità divina, come le cime d’alto monte svettano nella luce, anche se il monte stesso se ne stia nel grigiore e nell’orrore d’un temporale. L’anima del Signore anche in quell’ora terribile era unita con Dio e con la sua beatitudine, poiché il suo vertice, l’Io del Signore, stava in persona nel cuore della Divinità; tuttavia il Figlio soffrì il tormento dell’abbandono divino, perché il Padre l’abbandonò alla passione e alla morte senza nessun aiuto; le fitte nubi, ch’avevan oscurate le forze inferiori dell’anima di Gesù, si spinsero, si rotolarono in su sino alle cime illuminate dalla luce. Il Redentore volle metter piede nella notte di questo supremo orrore per portare, pastore veramente buono, anche gli abbandonati da Dio, anche i prodighi di Lui dalle terre lontane nella regione della luce. Maria fu scossa da quel grido del Figlio sino nelle ultime fibre del suo essere. Sin dall’Annunciazione era stata ferma nella fede, aveva perseverato, sebbene le vicende del Figlio suo si fossero svolte ben diverse da quelle che le parole dell’angelo Gabriele apparentemente avevano annunziato. I principi, il popolo, persino gli amici avevano abbandonato il suo Gesù; Lei, la madre, perseverava presso di Lui; ma adesso, quasi sprofondando, Egli grida che persino Iddio Lo ha abbandonato; allora anche su Maria dovette crollare l’ultimo cielo. Se pure Iddio Lo abbandona, chi ancora Gli resta se non la sua povera Madre? Lei non Lo abbandonerà; ma che cosa può essere Lei, la Madre, per Lui, senza il Padre? L’anima di Lei era come schiacciata; non poteva dir niente, niente per consolare: non poteva nemmeno più piangere. Come il Figlio suo, anch’Ella se ne stette là e si lasciò inondare da quell’altissimo e selvaggio maroso, ferma nella fede. Quel grido del Signore sulla croce era il primo versetto del Salmo 21. È possibile che Gesù abbia continuato a pregare sommessamente con le parole del Salmo, ch’Egli aveva intonato con un grido così forte. Il Salmo delinea in visione la passione futura del Messia; alcuni passi sono stati già addotti in queste pagine: « Io sono un verme e non un uomo… Mi hanno attorniato grossi tori… si sono disgiunte tutte le mie ossa… la lingua mi resta attaccata alle fauci… sul mio vestito gettano le sorti ». Adducendo però proprio questo Salmo, il Signore alludeva alle profezie che ora si compivano in Lui: proprio ora, durante il suo abbandono da parte di Dio, in questa suprema desolazione, Egli avanza le pretese alla dignità messianica, poiché precisamente adesso si adempie quanto di Lui stava scritto da secoli. Quanto più Maria si inoltrava nel Salmo, che aveva cominciato così pauroso, tanto più si dileguavano dalla sua anima le fitte nubi, e la sua pura fede riceveva nuova forza anche dal grido dell’abbandono divino di suo Figlio. Meno paurosa, e però non meno dolorosa, fu per la Madre di Gesù la quinta parola del Signore sulla croce: « Dopo ciò, sapendo Gesù che tutto già si era compiuto, affinché si adempisse la Scrittura, disse: Ho sete. Soltanto con la quarta e con la quinta parola Nostro Signore sofferente pensò anche a Se stesso, con la quarta alla sua suprema sofferenza spirituale, con la quinta alla più insopportabile sofferenza corporale. E anche queste parole non furon dette soltanto per la realtà che riflettevano, ma anche come richiamo a profezie adempiute, come Giovanni testifica espressamente della quinta: « Questo disse, affinché si adempisse la Scrittura ». La sete! Per molti morenti è la pena più dura. Quale doloroso conforto fu per me poter porgere alla mamma mia morente ora un sorsettino di vino, ora un sorsettino d’acqua. Ah, era così poco, era così un niente, ma era però un tenue lenimento! Presso la croce di Gesù fu negato a Maria persino questo piccolo servizio. Il Figlio suo lamenta la sete: quanto dev’essere terribile questa sete, se Egli se ne lamenta! A Betlemme un dì Ella Gli aveva porto il petto, a Nazaret Gli aveva attinto mille volte dalla fonte, a Cana Lei stessa L’aveva pregato del vino; qui sul Calvario non ha latte né acqua né vaso per attingere. Che cosa può capitare di più duro a una mamma, dinanzi al proprio figlio sofferente, che l’impossibilità d’aiutarlo? Maria dovette guardarsi intorno desolata; un soldato, in cui non s’era spenta ogni sensibilità, capì quello sguardo, « corse, imbevette d’aceto una spugna e postala su una canna gliela appressò alla bocca ». Gesù succhiò dalla spugna questa mistura di acqua e di aceto, che i soldati romani s’eran preparata in mancanza di bevanda migliore, e la Madre, che non poteva soccorrere il Figlio neppure con la punta di un dito, osservò il gesto con dolorosa soddisfazione. – Le ultime due parole di Gesù sulla croce si spingono già oltre i confini della passione e annunciano la fine e la vittoria. « Quando Gesù ebbe assaporato l’aceto disse: “Tutto è compiuto” ed esclamando a gran voce disse: “ Padre, nelle tue mani rimetto il mio spirito” ». Anche Matteo e Marco e Paolo pure nella lettera agli Ebrei, rilevano con forza singolare che Gesù spirò con un « grande grido ». È il grido del vincitore dopo la vinta battaglia, è il grido dello scalatore dopo conquistata la cima. Ora ogni difficoltà è passata, ogni ripidezza è ora superata; dinanzi all’umanità di Gesù si stendono infinite le incantevoli regioni dell’eterna felicità. Come tutte le parole di Gesù, anche questo grido ebbe in Maria la sua risonanza. Ora tutto è passato, è passato! Ogni amante si rallegra immensamente quando la persona amata ha superato le ultime e tormentose ore. La morte infatti è amara; lo deve essere anche perché la separazione avvenga più facilmente. In quelle ultime durissime ore si supplica la temuta morte, perché venga e liberi; e finalmente essa viene e mette fine al rantolo, e in quel momento si ha la prima sensazione d’un potente alleggerimento. Passato! Dopo la morte di Gesù anche Maria emise un sospiro di profonda liberazione: ha compiuto tutto! L’opera difficile, che il Padre Gli ha affidata, è compiuta! Adesso l’anima sua va al Padre, cui Egli nell’ultimo grido s’era rivolto giubilante. Ora Egli è liberato. Ma ora Egli è anche… morto. Al sollievo, infatti, segue immediatamente il dolore lancinante: è morto, è morto, è morto! Quegli occhi restano chiusi, non si aprono più a nessuna chiamata; quella bocca saggia resta muta, tutti i baci non la fan più parlare; quelle fredde mani restano inerti, son come esaurite, non operano più nessun miracolo: è morto, è morto, è morto! Maria era così stanca, così paralizzata, che non poteva nemmeno più piangere, tanto meno lamentarsi. Discese su di Lei come una sorda disperazione, come un impietrimento. « La terra tremò, e le rocce si spaccarono » la Madre dolorosa se ne accorse appena. Poi sulla Benedetta passò come uno scuotimento, che manifestava come la morte del Figlio suo aveva colpito Maria alla radice dell’anima: l’enorme dolore non lasciò cadere che alcune prime grosse lagrime, come un temporale talmente aggrovigliato che non si scarica se non con fatica. Vennero dei soldati, e uno di loro trapassò con la lancia il Cuore del Signore, donde fluirono sangue e acqua. Maria osservò la scena quasi attraverso un fitto velo e poi gemette come persona ferita a morte. Non è abbastanza che abbiano ucciso il Figlio suo, perché debba essere trafitto anche il suo Cuore spezzato? « Dopo che il tuo Gesù aveva emesso lo spirito, la lancia crudele che aprì il suo fianco non trapassò in alcun modo la sua anima, ma bensì la tua trapassò; perché la sua anima non era più là, ma ben la tua non poteva in nessun modo essere di là strappata ». – Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo vennero e con tutte le cautele dell’amore liberarono il corpo di Gesù dai chiodi. Maria allora con l’istintivo atteggiamento materno aprì le braccia al Figlio che stava per venire; ma, ahimè, Egli non venne, bensì scivolò verso di Lei giù dalla croce. Adesso Gesù era di nuovo nel suo grembo: lungo tempo era passato da quando aveva potuto profondere le sue cure verso di Lui; Egli se n’era andato da Lei così presto, già dodicenne, e poi fu sempre in cammino sulle difficili vie del Padre suo. Adesso che è morto Egli è ritornato di nuovo in grembo della Madre, dove aveva vissuti i felici giorni della sua infanzia; ma dal grembo della Madre lo portan via, al di là, nel seno della madre terra, che un giorno accoglierà per l’ultimo riposo noi tutti. Poi quegli uomini rotolarono una grossa pietra dinanzi e se andarono. Quella pietra pesava immensamente sul cuore della Madre: ora non aveva più il Figlio. Sulla croce aveva un Figlio morente, nel suo grembo un Figlio morto; adesso Ella è del tutto senza Figlio, del tutto sola. Tutto questo e ancor più immensamente di quanto queste povere pagine han tentato di descrivere — per quanto diffusamente abbiano descritto — ha sofferto Maria sul Calvario: non doveva essere schiacciata da questa montagna di dolori?

« Presso la croce di Gesù stava ».

Possiamo chiederci se a Maria sul Calvario non sia stato domandato troppo. Non fu ivi posto sulle spalle d’una donna delicata, d’una povera Madre una tale enormità, ch’Ella sotto tanto peso doveva crollare, fisicamente e ancor più spiritualmente? Per Maria l’impotenza sarebbe stata benefica, perché avrebbe occultata al suo spirito l’ora della scena più straziante. Ma il suo spirito sul Calvario restò sveglio; era come un lago turchino, sul quale il sole cocente bruciava senza misericordia. Quali insopportabili strazi dovette Maria sostenere sul Calvario! Se persino il Figlio suo gridò nell’abisso del suo strazio le parole: « Mio Dio, mio Dio, perché mi hai tu abbandonato? », che cosa non dovette passare anche nel cuore della Madre sua? Tempeste di chiarezza infuriavano sull’anima di Lei; i flutti del suo cuore non La cacceranno sulle bianche spiagge, sicché spumeggino e s’impennino nella disperazione e nella ribellione? Qual minaccia non costituisce per la fede un grande patire, anzi già il semplice patire! Come si presenta pericolosa vicino al sofferente l’audace domanda: ma v’è Iddio? ma v’è proprio un Dio? Può esserci un Dio, se accade il fatto più raccapricciante, l’uccisione… dell’Uomo-Dio? E se L’hanno ucciso, Iddio dunque è morto! Questo fatto enorme, pazzesco, folle non si oppone anche al minimo d’intelligenza? Le orribili sofferenze e i delitti del nostro tempo hanno bruciata la fede in Dio in esseri innumerevoli precisamente con queste fiaccole infuocate. Ma se tuttavia Iddio è — ed Egli è! —, non è Egli un Dio totalmente diverso da quello che Gesù aveva annunziato, un essere oscuro, indifferente, sublimissimo, che troneggia nelle lontane e gelide altezze? Maria sul Calvario ricordò forse con dolore la predicazione del Figlio suo circa il Padre, il Padre che veste i gigli del campo, che nutre gli uccelli del cielo, e si prende cura d’ogni capello del nostro capo. Ov’è adesso Egli, questo Padre provvido, questo Padre amante? Ma v’è anzi quaggiù anche solamente il governo d’un Dio giusto? il Figlio suo lacerato non è una palpabile confutazione, un sanguinoso sprezzo della consolante predica intorno a un Dio paterno? Quanto dev’esser crudele quest’essere sublimissimo, che procura al più nobile, al più santo di tutti gli uomini e alla Madre sua innocente tanto tormento o anche permette che lo si procuri, mentre noi stessi non lo arrecheremmo al peggiore dei nostri nemici! La bestemmia contro Dio sta vicina al credente più di quello che non si possa sospettare. L’incredulo conclude presto: nega semplicemente Iddio, e con questa misera soluzione si « spiega » gli enigmi della vita; il credente invece sa troppo bene dell’esistenza di un Essere supremo; i problemi della vita e del mondo lo disorientano non quanto all’esistenza, ma quanto al modo d’essere di Dio, quanto alla provvidenza, alla bontà e alla giustizia di Dio. E ora il Vangelo dà netto risalto all’atteggiamento della Vergine: « Stava accanto alla croce di Gesù sua Madre ». Ella stava sommersa nell’uragano che su di Lei muggiva. La terra tremò e le rocce si spaccarono: Maria stava. Il velo del Tempio si stracciò dall’alto al basso, e il Figlio suo rese il suo spirito con un forte grido: Maria stava. Ritta, solitaria stava là, come un albero principesco, attorno al quale un’intera selva giace abbattuta. Nelle Litanie lauretane noi esaltiamo Maria quale « Torre eburnea »: « eburnea » fu accanto alla croce per il pallore; ma Ella fu anche « torre », che resistette agli assalti paurosi del dubbio e della disperazione intrepida e invitta. Maria non è solamente la Madre amabile, quale spesso ci viene mostrata; ancor meno Ella è la figurina graziosa, quasi leziosa d’una merce fuori d’uso; Maria è la donna forte, che, degna del Figlio suo, va innanzi con Lui all’esercito dei martiri di sangue asperso qual Regina, la Regina dei martiri. Maria sul Calvario non disse alcuna parola. Non si lamentò, non dubitò, non maledisse, nemmeno interrogò più. Al Dodicenne chiese in dolorosa sorpresa: « Fanciullo, perché ci hai fatto tu così? »; anche alle nozze di Cana Gli presentò la sommessa preghiera: « Non hanno più vino »; sul Calvario Ella non è altro che silenzio. C’è un silenzio anche per alterigia o per impietrimento, come secondo l’antica leggenda greca fu il silenzio di Niobe, cui la saetta di Apollo aveva ucciso tutti i figli; Maria sopravvanza in grandezza d’animo le povere madri sofferenti degli antichi pagani, Niobe ed Ecuba, per l’infinita perfezione cristiana. Il suo silenzio non è protesta, ma silenziosa adesione. A dir il vero, le sue labbra sono sigillate dal dolore, sicché non può più gridare, come nell’ora felice dell’Annunciazione laggiù a Nazaret, il suo “Fiat”. Anche nella nostra vita giungono momenti, nei quali non possiamo più parlare, non più pregare, nemmeno più gemere; in quei momenti. non resta che il linguaggio dell’atteggiamento. Maria sul Calvario disse il suo Sì nella lingua commovente dell’atteggiamento: « Ella stava presso la Croce ». Questo stare era più che un discorso; con questa resistenza e perseveranza Ella espresse tutto quello che quassù sul Calvario aveva da dire. – L’informazione evangelica dice certamente: « Stavano presso la croce di Gesù la madre sua e la sorella di sua madre, Maria di Cleofa e Maria Maddalena », e anche il discepolo che Gesù amava stava lì. Maria dunque stava presso la croce di Gesù non da sola; anche le altre stavano, e di questo dovrebbe tener conto anche l’arte, la quale preferisce rappresentare Maria Maddalena svenuta ai piedi della Croce, sopraffatta dal dolore. L’atteggiamento eretto della coraggiosa Madre di Gesù fu però più eroico che quello delle altre: le altre attinsero energia in quell’atteggiamento della Madre per non abbandonarsi senza ritegno al dolore; la fortezza d’animo della Madre tenne ritte presso la croce anche le altre: se accanto alla croce sta ritta persino la Mamma, neppure le altre devono ivi cadere, non devono di là fuggire. Il racconto evangelico sottolinea intelligente questa posizione eretta; non scrive cioè: « Quando Gesù vide sua Madre e il suo discepolo che Egli amava presso la croce », ma: « Quand’Egli vide ch’Ella stava ritta »; non la presenza di Maria sul Calvario fu il grande fatto, ma la sua posizione eretta. E qui sta nascosto qualche cosa di ancor più profondo. Lo stare di Maria accanto alla croce del Figlio manifestava non solamente la sua magnanimità, ma anche il suo consenso, che voleva dire ben di più. Maria non stava soltanto presso la croce, Ella stava per la croce, l’approvava. Ella sul Calvario era di nuovo posta, come un tempo laggiù a Nazaret, dinanzi a una decisione, stavolta dinanzi a una « decisione sanguinante » nel senso più terribile della parola: a Nazaret Ella dovette decidersi se accogliere il Figlio suo, sul Calvario dovette decidere se darLo. Sul Calvario avrebbe potuto richiamarsi a buon diritto alla splendida profezia di Gabriele in occasione dell’Annunciazione, la quale diceva che Iddio « avrebbe dato il trono di suo padre David al Figlio di Lei »; adesso ne eravamo così lontani, che Gesù pendeva dalla croce fra due delinquenti. La raccapricciante realtà del Calvario non era una stridente offesa di quella lontana promessa? non era Maria una povera donna ingannata, cui le promesse fatte non erano state mantenute? Molti sul Calvario si sarebbero querelati e stizziti con simili amarezze, sarebbero stati per il Figlio, non però per la sua croce. Maria invece non stette solamente per il Figlio, ma anche per la croce di suo Figlio. Col Sì di Nazaret Ella aveva data a Dio carta bianca per tutta la sua vita; quanto Iddio scriveva sulle bianche pagine della sua vita, è già in precedenza ratificato e sottoscritto dal “Fiat” di Lei; quando quella sublimissima mano cominciò a scrivere con scrittura di sangue, col sangue del Figlio suo, Maria non disdisse il suo Sì di Nazaret, ma lo completò col Sì del Calvario. Non si lamentò dicendo: « Oh, adesso basta! adesso è troppo! »; neppure come preghiera e supplica raccolse la parola risuonataLe vicina, che i nemici avevan scagliata contro la croce a dileggio di Gesù e quasi a tentazione per Lei: « Figlio mio, discendi dalla croce! hai aiutato gli altri, aiuta anche te stesso! »; Ella Lo lasciò sulla croce. Non mosse un dito, non mosse labbro per liberarLo dall’abbraccio della morte. Ella, come la magnanima madre dei Maccabei il figlio suo più giovane e ancor più eroica di quella, incoraggiava con la sua silenziosa presenza il Figlio morente: «Figlio mio, abbi pietà di me! sostieni la morte! ». Sul Calvario quindi Maria stette sulla cima del sacrificio che tutto comprende. Niente, niente affatto Ella ritenne per sé; donò, per compiere la volontà di Dio e per la nostra salvezza, persino il Figlio suo, persino il suo… Dio. La parola, che del Padre celeste Gesù aveva detta e che scrisse il discepolo allora presente con Maria presso la croce, valeva anche per Lei: « Tanto la Madre ha amato il mondo che ha dato il suo Figlio unigenito, affinché chiunque in Lui crede non perisca, ma abbia la vita eterna ». Maria sapeva della donazione generosa del Figlio voluta dal Padre per la salvezza del mondo, e, sostenuta dalla solida base di questa parola, scorse il segreto delle paurose vicende del Calvario: quivi si compiva la salvezza dell’umanità; la redenzione, la redenzione per amore; il Figlio suo, con le mani lacerate dai chiodi, portava di nuovo in alto, su, su, alla casa del Padre l’umanità allontanatasi da Dio. Quivi era in questione la misericordia, la misericordia sconfinata, non la crudeltà. E in realtà in nessun’opera la divina misericordia e la divina giustizia si son così strettamente abbracciate come… nell’inchiodamento del Figlio di Dio sulla croce, e in nessun luogo arde l’amore di Dio più caldo che nel suo Sangue, che fu « versato per molti in espiazione dei peccati ». L’umanità sofferente del Signore ricevette senza dubbio forza e conforto dalla coraggiosa presenza della Madre accanto alla croce. Durante la sua ineffabile tristezza sul Monte degli Olivi il Signore aveva cercato conforto nei discepoli; ma questi non stavano, essi dormivano; e allora Iddio benigno per incoraggiare il Figlio suo sofferente Gli inviò un Angelo dal Cielo; sulla vetta del Calvario non volò nessun Angelo, ma ivi stava la Madre; una madre è l’angelo più consolatore di tutti. Ella baciava quei piedi inchiodati, e le sue labbra pallide divennero rosse di sangue; a Lui pendente dalla croce sussurrava tutti i nomi dell’amore, nomi così soavi quali dall’infanzia non aveva più osato dirGli. Ella stava là, vicina alla croce, e intercettava gli sguardi dei suoi occhi, perché non dovessero andar vaganti nella notte e fra le bestemmie, ma trovassero difesa e riposo negli occhi della Madre sua. Il Padre suo L’aveva abbandonato, ma la Madre era là, e nella Madre era vicino anche il Padre, perché una madre è la garanzia più soave e più sensibile dell’invisibile ed eterno amore di Dio. Senza dubbio la presenza della Madre presso la sua croce fu per il Signore anche una indicibile sofferenza. Che cosa non doveva soffrire a causa sua la Poveretta, la buona Donna! Tommaso d’Aquino scrive commosso che anche gli occhi di Gesù, come gli altri suoi sensi, dovettero soffrire sulla croce una pena propria: essi scorsero la Madre e il discepolo dell’amore piangenti ai piedi della croce. A questo penoso dolore però andava unito un grande conforto, quello di possedere una Madre dall’amore talmente invincibile e d’una fortezza insuperabile. Pietro ieri sera Gli aveva giurato: « Anche se tutti pigliassero scandalo di te, io, io non lo piglierò giammai ». Dov’era Pietro? Sua Madre non si scandalizzò di Lui; Ella stava presso di Lui anche nella defezione di tutti, anche in mezzo al più compassionevole fallimento, anche sommersa in un inferno di tormenti. Proprio la Madre, la Madre sua buona e cara, la migliore e la più santa di tutti gli uomini, proprio Lei resse accanto a Lui, l’impalato, il crocefisso. E da questa Madre s’apriva dinanzi allo sguardo del Signore una via luminosa perdentesi nell’infinito. Questa Donna solitaria accanto alla sua croce è la prima redenta, la redenta perfettamente. Sin dal momento della sua concezione rumoreggia in Lei la grazia della redenzione talmente ricca e possente, che sarebbe valsa la pena di soffrire e di morire già solamente per Lei; era pure grazia di redenzione ch’Ella ora se ne stesse nella bufera del Calvario. Maria però non è sola, Ella accanto alla croce è la rappresentante di tutti i redenti; in Lei si inginocchia la Chiesa dell’avvenire; in Lei le schiere, che nessuno può contare, dicono grazie al l’Agnello, perché le loro vesti son divenute bianche nel suo Sangue. In Maria il Padre presenta al Figlio che muore l’umanità redenta; in Maria il Figlio scorge come in un modello e in un simbolo l’infinito valore della sua passione. Era come se dalla Madre accanto alla croce ascendesse verso l’infuriar dei tormenti e verso il fremito del Sangue del Figlio morente un canto lontano e bello: « Degno è l’Agnello, che fu ucciso, di ricevere potenza e regno e sapienza e fortezza e onore e gloria e lode ». In quel momento un sorriso sfiorò il volto sfigurato del Figlio e un raggio penetrò anche negli occhi della Madre. Da tutto questo appare chiaramente che alla Madre del Signore spetta una parte importante anche per la nostra redenzione. Maria sul Calvario non fu semplicemente la mamma amante e sofferente d’un figlio morente: milioni di povere madri hanno assistito i figli morenti; Maria stette sul Calvario quale « Madre del Redentore »: « Pro peccatis suæ gentis vidit Jesum in tormentis — ah! Ella vide Gesù sopportare martiriiper i peccati dei suoi fratelli, flagelli, spine. derisioni e scherni». A questa redenzione dell’umanità per mezzo del Sangue e della mortedel Figlio suo Maria disse il suo Sì stando accanto alla croce; per questo il suo amore e il suo dolore materno si elevavano immensamente più in alto che quelli di qualunque altra povera madre sofferente, si portarono su, nell’altipiano del mistero della redenzione, furono un contributo per la salvezza del mondo. Il Vangelo stesso allude a questo posto ufficiale di Maria accanto allacroce del Figlio: esso ha sempre taciuto di Lei durante tutto il lungoperiodo della vita nascosta di Gesù a Nazaret come della sua attivitàpubblica; accanto alla croce di Gesù invece Ella riappare nuovamentenella relazione evangelica grande, in una luce singolare; qui dunque civien segnalato che la presenza di Maria presso il Figlio morente non fusoltanto l’esigenza d’un commovente affetto materno; quivi si trattò d’unatto solenne e addirittura ufficiale.Questo spettacolo commovente della Madre presso la croce è comeuna solenne ed edificante Liturgia. Questa Donna regale sta ritta, nonassopita dal dolore, non sprofondata nella disperazione, ma, come osaaffermare con parola ardita San Bonaventura, « intenerita per la gioiache il suo Unigenito debba essere offerto in vittima per la salvezza delmondo ».Maria accanto alla croce prega col Sommo Sacerdote dell’umanità,offre con Lui, soffre con Lui. « Ella sul Calvario, quale nuova Eva, Lo offrì all’Eterno Padre per tutti i figli di Adamo con sacrificio totale dei suoi diritti materni e del suo materno amore ». Per questo già dal tempo di Alberto Magno, Maria è chiamata con senso profondo « aiutante » della redenzione, a somiglianza di Eva che era stata « aiutante di Adamo »; Ella è la « inserviente » della redenzione, la « diaconessa » della redenzione *. Il diacono porta all’altare le offerte del pane e del vino per la Messa solenne, egli le prepara; egli assiste il sacerdote offerente, è pure a lui unito con intima comunione e sentimento sacrificale. Maria sul Calvario fece così: Ella preparò l’Offerta santa, il Corpo del Figlio suo, nell’Incarnazione e lo fece grande a Nazaret; Ella presentò questa preziosissima Proprietà per il sacrificio, Ella entrò in perfettissima comunanza d’amore e di dolore col Sacerdote offerente, che era nello Stesso tempo la Vittima offerta.

[* Sarebbe ovvio adoperare qui il termine “ Corredemptrix — Corredentrice ”. Ci sia concesso di farne a meno in questo libro, perché questo titolo, che compare qua e là nella produzione teologica dal secolo XVI, può fornire occasione a fraintendimenti e d’altro canto anche teologicamente non è ancora univoco e ancor meno definitivamente acquisito. A questo proposito il grande mariologo tedesco Scheeben scrive saggiamente: « Questa espressione — Corredentrice —, sebbene ammetta un senso giusto e anzi molto bello, che non è possibile esprimere con eguale brevità e precisione con un altro termine, presa da sé sola, invece di sottolineare la subordinazione ministeriale e la dipendenza di Maria, ha l’apparenza di accentuare così forte una coordinazione con Cristo e rispettivamente un completamento della sua potenza, che non si potrebbe affatto usarla se non con l’esplicita restrizione: In certo senso meno capziosa e in sé più rispondente alla verità e anzi conforme alla Scrittura stessa è l’espressione che ricorre ripetutamente, la prima volta in Alberto Magno: “Adjutrix Redemptoris in redemptione — aiuto del Redentore nella redenzione ”, purché non si intenda qui “aiuto” un sostegno nel senso comune, quasi cioè un rinforzo d’una potenza in sé insufficiente per mezzo d’un’altra, ma nel senso più comune e solo accettabile, quando si tratta di creature di fronte a Dio, d’un servizio giovevole al raggiungimento d’uno scopo e d’una cooperazione che serve efficacemente a modo suo; adiutrice dunque Maria precisamente nel senso d’una compagna che coopera » (Dogmatik, 3, pagg. 594-595). Neppure i Pontefici degli ultimi cento anni han mai fatto uso del termine “Corredemptrix” in scritti dalla forma solenne di un’Enciclica (cfr. le Encicliche mariane dei Papi negli ultimi cento anni). A ragione sorprende che il Papa Pio XII attualmente regnante, anche in altri documenti pontifici ufficiali non approfitta di esso, neppure in quelle occasioni, nelle quali ce lo saremmo aspettato: nell’epilogo dell’Enciclica “Mystici Corporis Christi”, che pure tratta espressamente della Beatissima Vergine, e nella Bolla della definizione dogmatica dell’Assunzione corporea di Maria in Cielo del 1° novembre 1950. Il fatto stesso che Maria abbia cooperato alla nostra salvezza sta scritto nelle Sacre Scritture ed è patrimonio comune della Tradizione e della Teologia. Ireneo, Origene, Tertulliano, Agostino, Anselmo, Alberto, Tommaso, Bonaventura, tutti questi conoscono e insegnano questa cooperazione di Maria nell’opera della redenzione. Essi non limitano certamente questa collaborazione della Benedetta solamente al sacrificio della Croce, ma l’estendono oltre, dall’Incarnazione sino alla Redenzione (collaborazione oggettiva all’acquisto della nostra salvezza) e dalla Redenzione sino alla mediazione di Maria (applicazione salvifica soggettiva dei frutti della redenzione). San Bonaventura offre un prospetto completo della cooperazione di Maria alla salvezza umana con le geniali espressioni: « Pretium Redemptionis… est ex ea sumptum, per eam solutum et ab ea possessum — il prezzo dell’opera della redenzione fu da Lei formato, per mezzo di Lei pagato e per mezzo di Lei preso in proprietà. Da Lei fu fondato nell’incarnazione del Verbo; per mezzo di Lei fu pagato nella redenzione della stirpe umana (sul Calvario); da Lei fu preso in proprietà all’ingresso della gloria del paradiso (applicando Ella anoi, per mezzo della sua intercessione qual Regina del Cielo, la grazia della redenzione) » (Collationes de Donis Spiritus Sancti, Tom. 5, pag. 484). I Pontefici dell’ultimo secolo con crescente energia richiamano a questa cooperazione di Maria alla salvezza della stirpe umana. Non è ancor teologicamente chiarito il modo di questa cooperazione. Questo problema fu proposto in tempo recente. Stanno anzitutto di fronte due opinioni. L’una ammette soltanto una cooperazione di Maria nell’opera della redenzione impropria e mediata, l’altra invece una cooperazione propria e immediata. I sostenitori di una corredenzione propria di Maria nel senso stretto della parola (Bittremieux, Dillenschneider, Friethoff, Hitz, Seiler, ed altri) affermano « una partecipazione immediata della Madre di Dio all’opera oggettiva della redenzione, alla vera e propria acquisizione della salvezza » (Hitz, Schweizerische Kirchenzeitung, 1946, nr. 12 ss.). « Maria ha coofferto il sacrificio della Croce non solamente in funzione di ministra, come il diacono, ma veramente in funzione sacerdotale… Maria non è (quindi) soltanto la Madre del Sacerdote e la Madre dell’Agnello immolato; il suo sacerdozio rispetto al sacerdozio di Cristo è veramente un qualche cosa di analogo…; in conseguenza è soltanto partecipazione piena e completa al sommo sacerdozio di Cristo; è però un vero e proprio sacerdozio, cui conviene la definizione, d’essere cioè una mediazione stabilita da Dio fra il Signore e gli uomini peccatori con la facoltà di cooffrire col Redentore il sacrificio della riconciliazione. Nell’esercizio quindi il suo sacerdozio non è come strumento subordinato al sacerdozio di Cristo…, ma in un certo senso coordinato (coordinatio imperfecta) » (Seiler, Corredemptrix, Roma 1939, pagg. 34. 135. 136). Secondo quest’opinione Maria avrebbe meritato per conto proprio i frutti della redenzione, di modo che le sue azioni sarebbero state in se stesse salvifiche per gli uomini e Iddio ha voluto e accolto il sacrificio di Cristo per la salvezza del mondo soltanto in quanto esso era accompagnato dalla cooblazione di Maria. – Questo libro preferirebbe non far proprie conclusioni così spinte. Le espressioni dei Pontefici da Pio X sino a Pio XII mettono certamente in risalto la cooperazione tutta propria di Maria nell’opera della redenzione, però non sono in nessun modo così univocamente determinate, che da esse risulti una sentenza dottrinale chiaramente delimitata circa il modo di questa sua cooperazione. A ragione K. Rahner rileva: « Qui (nell’insegnamento d’una “corredenzione” di Maria in senso proprio) ci troviamo in un campo teologico, dove tutto ancor oggi è fluttuante e dove le opinioni stanno fra di loro in forte contrasto; ci troviamo quindi anche sul terreno di quella cristiana libertà di discussione, della quale noi tutti, compresi i laici, possiamo usare senza intralci, anche se con riverenza e per veri motivi » (“Noch ein neues Dogma? ”, in Orientierung, 1949, nr. 4, pagg. 4l ss.). Il P. Lennerz, professore nella Pontificia Università Gregoriana di Roma, alla lettera apostolica di Benedetto XV « Inter Sodalicia » del 22 marzo 1918, che viene specialmente citata dai difensori di una corredenzione propria di Maria, osserva: « Bisognerebbe dimostrare positivamente che Benedetto voleva che questa espressione (Corredemptrix) fosse intesa proprio nel senso dei difensori… Quanto dice Benedetto in realtà non va oltre a quello che insegnarono comunemente i Dottori della Chiesa; non siamo quindi costretti in alcun modo a farcene un’idea diversa » (De Beata Virgine, 1939, pag. 231). Si ha anzi l’impressione che nelle sfere ecclesiastiche ufficiali piuttosto ci si allontani dall’interpretazione spinta della cooperazione di Maria nell’opera della redenzione. In una conversazione del Maggio 1947 con P. Cordovani, Maestro dei Sacri Palazzi, poi defunto, questi chiamava l’opinione d’una corredenzione di Maria vera e immediata “saltatio verbi”. Del resto conduce a respingere una esposizione troppo spinta anche la proibizione ripetutamente rinnovata del Sant’Ufficio di onorare o rappresentare Maria come “Virgo Sacerdos — Vergine sacerdote ’’ (1913, 1916, 1927). L’aurea via di mezzo nella questione circa il modo della cooperazione di Maria nell’opera della redenzione è indicata dal Papa Pio XII nell’epilogo dell’Enciclica “Mystici Corporis Christi”: « Maria, sopportando con animo forte e fiducioso i suoi ineffabili dolori, più che tutti i fedeli cristiani insieme, da vera Regina dei martiri, compì quello che manca dei patimenti di Cristo… a vantaggio del Corpo di Lui, che è la Chiesa” ». Il Pontefice qui accenna alla profonda parola di Paolo nella lettera ai Colossesi 1,24: « Io (Paolo) godo nei patimenti in pro vostro, e in contraccambio compio le deficienze delle tribolazioni del Cristo nella mia carne in pro del Corpo di Lui, che è la Chiesa ». Nessuno alla pari di Paolo martellò negli animi dei credenti così profondamente che soltanto Cristo è il Redentore: « Un solo mediatore di Dio e di uomini, l’uomo Cristo Gesù » (1 Tim. 2, 5). Paolo tuttavia conosce anche una “corredenzione” degli uniti con Cristo: ogni sofferenza e azione delle singole membra e dei credenti uniti nel misterioso organismo del Corpo di Cristo può e deve, grazie all’unità in Cristo, il Capo, tornare di espiazione e di benedizione anche agli altri. In questa unione dev’esser messa anche la cooperazione di Maria all’opera della redenzione. Essa si distanzia dalla “corredenzione” delle altre membra non secondo il modo, bensì secondo la misura e il grado immensamente superiore, mentre oltrepassa ed eccelle in misura impensabile tutte le oblazioni degli altri credenti in Cristo e diviene quindi anche per tutti benedizione inesauribile.] *.

Questo confronto « sacerdote-diacono » ci richiama però anche alla differenza essenziale fra l’oblazione di Gesù e quella di sua Madre. Il diacono non raggiunge l’indipendenza del Sacerdote offerente; egli non pregiudica la sufficienza del sacrificio sacerdotale; egli piuttosto compie il suo ufficio in piena dipendenza dal Sacerdote, come conviene al suo posto di sott’ordine quale diacono. Maria ebbe parte in questo modo alla nostra redenzione: il sacrificio sulla croce del nostro Eterno e Sommo Sacerdote, che mediante il suo Sangue penetrò i Cieli e aprì a noi peccatori la via al trono della grazia, tanto che adesso ci è concesso di accostarci con fiducia dinanzi alla terribile maestà di Dio e ivi conseguire grazia per l’aiuto opportuno, è d’una sufficienza e d’una sovrabbondanza talmente infinita, che non ha bisogno d’alcun umano completamento e sostegno. La cooperazione di Maria non fu un contributo necessariamente richiesto per la redenzione operata dal nostro unico e solo Signore e mediatore Gesù Cristo; Ella non poté portare nessun completamento a quello che in sé era già perfetto; ora l’azione di Cristo fu sufficiente per la redenzione di mille mondi. Però « l’opera della salvezza doveva in questa cooblazione della nuova Eva ornarsi di bellezza in ogni parte ed essere del tutto completa anche in linea dell’essere e dell’operare semplicemente creato » (Feckes). E così l’augusta Signora sul Calvario, accanto alla croce del Figlio suo, presentò anche il dolore e la riconoscenza del suo cuore materno e la indigenza e la povera buona volontà della stirpe umana, che Ella fu chiamata a rappresentare. Ella ornò il calice traboccante del Sangue di Cristo con le pietre preziose delle sue lagrime e col ramo di mirra della sua pena amara, che sopportò per noi peccatori. E chi potrebbe dubitare che questo materno dolore, unito al sacrificio del Figlio suo, divenisse benedizione per il mondo intero, se già la preghiera e il sacrificio delle nostre povere madri torna a noi di salvezza? Persino Paolo, l’inesorabile predicatore dell’unico e solo redentore Gesù Cristo, scrive e per di più di se stesso le misteriose parole: « Io godo nei patimenti in pro vostro, e in contraccambio compio le deficienze delle tribolazioni del Cristo nella mia carne in pro del Corpo di Lui, che è la Chiesa ». Se così, il tremendo patire della Madre accanto alla Croce potrebbe essere rimasto privo d’una efficacia tutta particolare per la vita della Chiesa? La passione infinita di Cristo non abbisogna affatto in sé d’un « compimento », però a tutte le membra del mistico Corpo di Gesù Cristo spetta anche una determinata misura di sofferenza; se il Capo, Cristo, soffre, con Lui soffriamo noi tutti, suoi membri. In questo misterioso Corpo di Cristo ogni membro, soffrendo e offrendo, deve giovare alla salvezza anche degli altri, ciascuno in proporzione del suo posto e dell’importanza in questo « Corpo », questi solamente per pochi, quell’altro per molti, Maria, la Madre del Redentore, per tutti quanti furono redenti dal Sangue del Figlio suo. Non v’è « dunque affatto nessuno (fra tutti i membri dell’organismo mistico di Cristo) che abbia contribuito o che abbia potuto mai contribuire alla riconciliazione di Dio con gli uomini quanto vi contribuì Maria ».  –  Ti siano rese grazie, o augusta e amata e povera Signora, per le lacrime, che tu, ai piedi della Croce hai pianto e che si mescolarono col Sangue del Figlio tuo in salvezza per noi! E onore e gloria sia al Figlio tuo, unico nostro Salvatore e Redentore, Gesù Cristo!

« Presso la Croce di Gesù stava sua Madre ».

« Gesù, vedendo sua Madre e vicino ad essa il discepolo, che prediligeva, dice alla madre: “Donna, ecco il tuo figliuolo”. E poi dice al discepolo: “Ecco la Madre tua”. E da quel momento il discepolo se la prese con sé in casa sua ». Questa parola del Signore morente alla Madre sua derelitta è così commovente che vorremmo piangere su di essa. Molto tempo è passato dall’ultima parola che Gesù rivolse pubblicamente alla Madre sua; la disse a Cana, e quella parola fu apparentemente dura; anche adesso, sulla croce ancora, Egli dapprima si ricordò dei suoi nemici e poi del ladrone; la Madre, che accanto alla sua croce piangeva, La lasciò in disparte. Ha così poca importanza per Lui la Madre sua, è così un niente, che persino in quest’ultimo momento Egli parli ancora per gli altri, con gli altri, ma alla propria Madre non dica nemmeno una paroletta? oppure quegli altri hanno bisogno delle sue amorose parole più urgentemente dell’abbandonata Madre piena di grazia? Finalmente, a metà, nel cuore delle sette ultime parole di Gesù in croce, rifulse la parola anche per la Madre sua, ancor prima del grido al Padre. Si sente chiaramente che questa parola si sprigionò da un fortissimo ingorgo d’amore del Figlio per la Madre; essa dà sfogo all’amore di Gesù per la Madre rimasto legato durante la vita pubblica, ne svela la profondità e la delicatezza. Quest’unica ed ultima parola del Signore a sua Madre presso la croce lascia intravvedere quanto in realtà Maria stesse vicina al cuore del Figlio suo; Egli non può morire se non sa che sua Madre versa in migliori condizioni di protezione; Egli stesso in quel momento stava quasi per affogare in un mare di tormenti e la grigia notte dell’abbandono di Dio già Gli si avvicinava: per questo, prima d’entrare nella sua suprema tortura e morte; vuole mettere al sicuro sua Madre quasi da una bufera imminente. In quell’ora ogni parola era per il Signore una pena. Ah, i morenti, anche con lo sforzo dell’ultimo amore, possono appena dire « sì, sì » e « oh, oh »… Il Signore in quel momento raccolse le sue forze, strinse più fortemente le teste dei chiodi e dalle labbra del Figlio, come una stella d’oro nell’oscurità della notte, si librò sulla Madre l’ultima sua parola: « Donna, ecco tuo figlio! », e al discepolo: « Ecco tua Madre! ». « Donna », chiama Gesù in croce Maria, non « Madre ». Come già a Cana infatti e ancor più che a Cana, Maria sul Calvario tiene un posto ufficiale quale aiutante della redenzione del mondo. Ella non è soltanto colma di dolore, è anche adorna di sublimità e di solennità, più regale di Ester, più forte di Giuditta, la Donna del mondo, la rappresentante dell’umanità, l’assistente accanto alla Vittima sanguinante sulla croce. Questa parola è piena di rispetto e di onore, forse anche piena d’un intimo singhiozzar d’amore, come se Gesù in quell’ora non osasse più rivolgersi a Maria con il tenero nome di Madre per non provocare lo straripamento degli umani sentimenti di cui era colmo il loro cuore. La parola del Figlio morente mette la Madre sotto la protezione di Giovanni e Giovanni sotto la benedizione di Maria. Il Signore s’era preoccupato già il giorno precedente di tutti i suoi discepoli, poiché il dolore più acuto d’un nobile morente è l’abbandono e la mancanza di sicurezza di coloro che egli ama. Tutti i discepoli la sera del Giovedì Santo erano stati da Lui affidati allo Spirito Santo: « Non vi lascerò orfani: Io pregherò il Padre ed Egli vi darà un altro confortatore ». Anche Giovanni stava in questa sicurezza dello Spirito Santo e ancor più Maria, a cominciare dall’Incarnazione, anzi già dal primo momento della sua esistenza; ma Maria era anche donna, la quale abbisognava d’una assistenza visibile; e Giovanni era il discepolo dell’amore; il Signore voleva dargli un pegno anche terreno dell’amore dello Spirito Santo in quella Donna, che di Spirito Santo era stata adombrata. Quest’ultimo legato del Signore fece di Giovanni il figlio di Maria, e di Maria la madre di Giovanni; l’uno ora era dato all’altra in dono e a carico. Maria ricevette dal Figlio morente un altro figlio, l’amico di Lui, Giovanni, la persona più cara che Gesù possedesse sulla terra accanto alla Madre sua, quel discepolo dell’amore, che la sera precedente aveva potuto ascoltare, riposando sul cuore di Gesù, il fluttuare del suo amore. Per Maria Giovanni era l’aureo scrigno, entro il quale l’amore di Gesù s’era nascosto prima della morte come in un Sacramento. Giovanni era per Lei il monumento vivente dell’amore di Gesù verso la Madre. Ancor più di Maria in Giovanni aveva ricevuto da Gesù Giovanni in Maria. Fu un onore senza uguali. Un giorno insieme con suo fratello Giacomo Maggiore egli aveva preteso un primo posto nel regno messianico; adesso gli tocca di più. Ieri ebbe per un’ora il suo posto sul cuore del Signore; da oggi in poi il suo posto è a fianco della Madre del Signore per tutta la vita. Il Signore anche nell’estrema povertà della croce poté arricchire di doni i due esseri a Lui più cari, Maria con Giovanni e Giovanni con Maria. Le sue due più care creature! Accanto alla croce v’eran certo anche altri, la sorella di sua Madre, la moglie di Cleofa, e Maria Maddalena; anch’esse avevan dato prova al Signore di tanta bontà, e il Signore era legato in amore anche a loro; esse ricevettero una preziosa benedizione per la fedeltà sino alla sua morte; ma solo a Maria e a Giovanni fece dono della preziosità d’un’ultima parola tutta propria per loro e della preziosità d’una cara persona. Quella parola fu certamente per i due anche un obbligo. Maria doveva adesso essere la madre di Giovanni. Giovanni aveva già una madre, quella nobile Salome, che secondo l’informazione di Matteo era presente anche sul Calvario e « osservava da lontano »; « da lontano », perché lei e le altre « molte donne di Galilea » non furono ammesse dai soldati presso la Croce; essi, ascoltando un sentimento d’umanità, avevan permesso l’accesso soltanto alla Madre e a un esiguo accompagnamento. La parola del Signore a Giovanni: « Ecco tua madre! » non voleva privare Salome dei suoi diritti materni: Maria deve essere per Giovanni madre spirituale. Ella adesso deve donare a Giovanni il suo amore materno privo di Gesù; Ella deve proteggere in questo discepolo dell’amore l’eredità, che Gesù in lui ha deposto; Ella lo deve formare come aveva formata l’anima umana di Gesù; in una parola Ella dev’esserGli « madre ». Giovanni dev’essere figlio di Maria. Egli deve offrirLe e casa e sostegno e patria; deve essere sollecito del sostentamento della Donna a lui affidata; deve rallegrare alla Solitaria le sere e l’età. Quale esempio non aveva dato a Giovanni, il secondo figlio della Vergine, Gesù stesso nella sollecitudine per la Madre! Sino al trentesimo anno di vita, per un tempo così lungo Egli aveva provveduto alla Mamma con la propria augusta mano; probabilmente, per il periodo della sua attività pubblica, aveva pregato d’interessarsi di Maria quanti Gli erano stretti per amicizia. Ed ora, morente, affida la Madre all’amico suo, indicandogli così insieme il motivo e la misura della sollecitudine per la Madre. Per mezzo di Gesù tutti e due, Giovanni e Maria, sono adesso legati l’uno all’Altra come figlio e madre, e per mezzo di Maria anche Gesù e Giovanni si son fatti ancor più vicini, come fratello rispetto a fratello. Giovanni nel Vangelo può tributarsi questa lode modesta: « Da quel momento il discepolo se La prese con sè ». L’espressione greca « eis tà idia — in proprietà » nell’uso corrente del discorso significa « in casa sua ». Può essere frattanto che Giovanni abbia usato questa espressione, che può avere vari sensi, di proposito; la parola si presta a una spiegazione ancor più profonda: «eis tà idia — in proprietà » significa nel suo senso pieno più che « casa » solamente; con essa può essere indicato tutto l’insieme della vita esterna ed intima d’un uomo; Giovanni non accolse Maria soltanto in casa, ma anche nel suo cuore, nel suo sentimento e sollecitudine, nel suo dolore e amore. – Con quale maternità dal canto suo Maria abbia accolto Giovanni « nella sua proprietà », più che non dalle pie descrizioni, risulta con evidenza dagli scritti di Giovanni. Gli scritti di Giovanni, e anzitutto il suo Vangelo, sono percorsi da un mirabile afflato mariano; esso si diffonde dalla possente affermazione del prologo del Vangelo giovanneo: « Il Verbo si fece carne » attraverso Cana sino al Calvario. Da Giovanni e solamente da lui noi veniamo a sapere che il Signore era stretto alla Madre sua anche durante il tempo della sua attività pubblica — Cana! — e nella passione — Calvario! —. Nei lunghi anni di convivenza Maria dischiuse al discepolo dell’amore visioni e connessioni sempre più profonde nel mistero di Gesù. Non solamente Giovanni accolse Maria, anche Maria accolse Giovanni nella « sua proprietà ». La parola di congedo, che il Signore morente rivolse a sua Madre e al suo amico, ha una profondità che la cristianità ha scoperta e scopre soltanto un po’ alla volta lungo il corso dei secoli; poiché anche oggi il mistero di questa parola non è ancora dischiuso in ogni sua parte, il mistero cioè della maternità di Maria rispetto all’intera cristianità. Il sentimento cristiano cominciò a sospettare e capì sempre più chiaramente che Gesù sulla croce aveva costituita Maria Madre non solamente di Giovanni bensì di tutti noi, e che non solamente Giovanni, ma noi tutti siamo figli e figlie di Maria. Giovanni non è che un nostro rappresentante; Maria è la Madre dell’intera umanità raccolta in Cristo; « Giovanni » è quindi… « ognuno di noi ». La parola evangelica, considerata in sé sola, non permette certamente una conclusione così spinta; ivi non si fa parola che di Giovanni, a lui, a lui solo viene trasmesso presso la croce l’onore e il dovere della cura di Maria; e a lui, a lui solo, non a un altro discepolo Maria viene indirizzata come a un figlio, cui da parte sua dev’esser, può essere madre. I Padri della Chiesa, quindi, intesero questo testo sempre e ovunque del rapporto di madre e figlio solamente, che sussistette fra Maria e Giovanni, mentre non hanno una parola per la maternità spirituale della Vergine rispetto a noi tutti. Soltanto presso Origene (f 254) si trova un testo, che estende quella parola del Signore anche ai credenti in Cristo, a quanti Cristo amano. Nondimeno passarono ancora secoli prima che in Occidente, per la prima volta l’abbate Ruperto di Deutz, all’inizio del secolo x, e poi con tutta chiarezza e direttamente Dionisio Cartusiano nel secolo xv mettessero quella parola del Signore in relazione con una maternità spirituale universale di Maria. Ma questa maternità spirituale della Vergine è una realtà; è dottrina sicura, cattolica; essa però non si erige su questa parola, bensì sui fatti che si svolsero sul suo medesimo suolo insanguinato, nelle sue immediate vicinanze, sul Calvario. – Due fatti han creata la maternità spirituale di Maria. L’uno fu il suo assenso all’Incarnazione. Sin d’allora, a quel primo Sì, Ella è divenuta anche Madre spirituale di noi tutti: « Mentre Maria portava in grembo suo il Redentore, portava anche tutti coloro la vita dei quali era rinchiusa nella vita del Redentore. Noi, che siamo incorporati a Cristo, siamo nati dal seno di Maria come Corpo Mistico legato col capo ». Nell’incarnazione Gesù è divenuto nostro fratello, Maria, la Madre di Gesù, è divenuta così anche la Madre di tutti i suoi fratelli. Presso la Croce Maria portò al suo compimento amaro e sanguinoso quel Sì del principio. Ella accanto alla croce patì col Figlio suo, e quanto dolore trova posto nel cuore d’una madre, specialmente nel cuore della Madre di Dio! Ella cooffrì con il Figlio suo, fu internamente d’accordo per la morte di Gesù a nostra salvezza, e quella morte ha dato a noi la vita. Poiché Ella ebbe parte nella morte, ebbe parte anche nella vita; Ella col suo dolore materno ha reso a noi possibile questa nuova vita, che si eleva al di sopra della natura. Quale aiutante di Cristo nell’opera della salvezza, Ella divenne la madre della cristianità. Per questo Pio XII, nella sua Enciclica sul « Corpo Mistico di Cristo », richiama con insistenza a questo vincolo di causalità fra la compassione e la cooblazione di Maria presso la Croce e la sua spirituale maternità: « Ella, che sul Golgota col sacrificio totale dei suoi diritti materni e del suo materno amore, ha offerto all’Eterno Padre il Figlio suo, a motivo di questo nuovo titolo di dolore, già Madre del nostro Capo quanto al Corpo, divenne anche la Madre di tutti i suoi membri quanto allo spirito ». La maternità spirituale di Maria quindi è più che una figura solamente, più che una bella espressione poetica soltanto, essa è una realtà misteriosa che si erige sui due misteri fondamentali della nostra fede, l’Incarnazione e il Sacrificio della croce. – Quest’invisibile realtà diventa visibile, come in un simbolo, in Maria e Giovanni presso la Croce; quivi Maria fu costituita Madre di Giovanni e Giovanni figlio di Maria. Proprio in quell’ora, nella quale essi si unirono dinanzi alla croce del Signore per contrarre un legame dolorosamente bello, proprio nell’ora della redenzione Maria divenne anche la Madre dei redenti, e i redenti divennero tutti figli di Maria. A motivo nostro Ella perdette Gesù, il Figlio suo, a motivo di Gesù noi fummo generati figli suoi. Quanto si svolse dinanzi alla Croce, quasi sul proscenio, ci sospinge a guardare in fondo, al di là di Giovanni: in Giovanni siamo presi in considerazione noi tutti, in Maria è data a tutti noi una Madre. – O Donna, ecco qui dunque il figlio tuo! È vero, noi siamo meno, molto meno degni di Te che non il gentile e nobile Giovanni, il quale Ti fu affidato in figlio dal Figlio sulla croce. Colpito da quello scambio con Giovanni, già S. Bernardo esclama: « Quale scambio! Giovanni Ti vien dato al posto di Gesù, il servo invece del Signore, il discepolo invece del Maestro. il figlio di Zebedeo invece del Figlio di Dio, un puro uomo invece del vero Dio ». E ora Tu devi accogliere addirittura noi invece del Figlio! Le nostre meschinità devono farTi nausea, o regale Signora! Di fronte al tuo nobil animo noi siamo d’una condizione tanto inferiore. o Santissima, o Purissima! Noi siamo piccini, poco buoni, impuri, cenciosi, talvolta anche diavoli camuffati, ripieni di reale malizia. E costoro devon essere i tuoi figli! A costoro Tu devi essere madre! Tu, che sei passata sulla terra come un giglio e in Cielo troneggi sopra gli Angeli. Tu però stesti anche sul Calvario, accanto alla croce del Figlio, sulla quale Egli morì per noi peccatori. Tu udisti com’Egli fece grazia al ladrone, e pregò persino per la malignità ostinata. Il Figlio tuo Ti impegna per noi peccatori. Ma perché scongiuriamo noi con parole retoriche il tuo cuore e spesso in tal modo che si potrebbe pensare che valga a persuaderTi, a costringerTi ad esser buona? Non sei Tu il vertice più tenero dell’eterno amore di Dio verso di noi? Egli ha scelto il tuo cuore materno a simbolo della sua propria bontà sconfinata e della sua immensa misericordia. Iddio cioè non è solamente Padre; in Te e per Te, o Maria, Egli vuol manifestare anche la sua infinita maternità. Se anche una madre qualunque consacra le cure più premurose al più povero dei suoi figli, quanto amore non vi sarà per il peccatore nel tuo cuore, ch’è il riflesso più soave dell’amore di Dio! Madre! Madre della misericordia! « Peccatores non abhorres, sine quibus numquam fores mater tanti Filii — Tu non aborri i peccatori, senza dei quali mai saresti Madre d’un tanto Figlio ». E così, o Signora, guarda a noi tuoi figli! Accogli anche noi « eis tà idia — in tua proprietà ». E questa proprietà tutta a Te propria è Gesù: riempici dei sentimenti di Gesù, che da Te si irradiano luminosissimi! E dopo questa miseria mostraci Gesù, il Frutto benedetto del tuo ventre.

Poi, « o Vergine, Madre di Dio, mentre stai dinanzi al Signore, ricordaTi di dire una buona parola per noi, perché Egli storni da noi il suo sdegno ».

Figlio, ecco pure tua Madre! È una grandissima gioia per un uomo possedere una madre, alla quale egli possa guardare, alla quale possa elevarsi. La sua figura resta viva anche al di là della morte; essa l’accompagna come un angelo. Lungo tutta la vita sino al giorno del lieto arrivederci sui portali dell’eternità. Le nostre ottime madri si son formate in Maria, ed esse, quasi preoccupate per il tempo nel quale non avrebbero più potuto precederci col loro esempio, richiamarono la nostra attenzione a Maria, la Madre eterna. Nessuna madre può come Maria elevare i nostri pensieri e i nostri desideri; Ella è il segno grande nel cielo, ammantata di sole e irradiata di dodici stelle; Ella tiene sveglia la nostra eterna nostalgia. E Maria è il grande segno anche sulla terra, aspersa del sangue del Figlio suo ed elevantesi presso la Croce sul Calvario. Figlio, dalla notte della tua tribolazione, guarda alla Madre tua sul Calvario! Neppure accanto alla croce del Figlio suo Ella si querelò, dubitò, vacillò; Ella stette, forte e ferma. E così « io attacco ogni tedio e il dolore di tutte le notti e ogni nostalgia dell’ultima meta al tuo abito d’argento, o Madre » (Hauser). Maria non ritornò dal Calvario col cuore spezzato; insieme con la tristezza era in Lei una grande ed intima gioia: il mondo adesso era redento; tanto aveva fatto il Figlio suo. E dopo tre giorni Egli risorgerà. Ella sapeva della prossima risurrezione come era stata al corrente della prossima passione. Se ne andò dal sepolcro del Figlio, mentre calava la notte, con la fiaccola della speranza. Questa eterna speranza è l’atteggiamento cristiano più profondo; essa oltrepassa e sopravvanza le tre disposizioni che sono alla radice della esistenza umana puramente naturale, la tristezza, l’angoscia e la nausea. Noi come Maria, al di sopra di tutte le notti, guardiamo a Cristo; Egli non è solamente morto, Egli è anche risorto dai morti, è asceso al Cielo e un giorno Egli ritornerà per giudicare i vivi e i morti. Vi son Calvari, tanti e tetri; ma io credo anche nella risurrezione dei morti e nella vita eterna.

I SETTE DOLORI DELLA B. V. MARIA 15 SETTEMBRE (2022) FESTA DELLA VERGINE ADDOLORATA

FESTA DELLA VERGINE ADDOLORATA 15 SETTEMBRE.

I sette Dolori della B. V. Maria (2022)

Doppio di 2° classe. – Paramenti bianchi.

Maria stava ai piedi della Croce, dalla quale pendeva Gesù (Intr., Grad,. Seq., All., Vangelo) e, come era stato predetto da Simeone (Or.) una spada di dolore trapassò la sua anima(Secr.). Impotente, Ella vede il suo dolce Figlio desolato nelle angosce della morte, e ne raccoglie l’ultimo sospiro » (Seq.). L’affanno che il suo cuore materno provò ai piedi della croce, le ha meritato, pur senza morire, la palma del martirio (Com.). – Queste festa era celebrata con grande solennità dai Serviti nel XVII secolo. Fu estesa da Pio VII, nel 1817, a tutta la Chiesa, per ricordare le sofferenze che la Chiesa stessa aveva appena finito di sopportare nella persona del suo capo esiliato e progioniero, e liberato, grazie alla protezione della Vergine. Come la prima festa dei dolori di Maria, al tempo della Passione, ci mostra la parte che Ella presa al Sacrificio di Gesù, così la seconda, dopo la Pentecoste, ci dice tutta la compassione che prova la Madre del Salvatore verso la Chiesa, sposa di Gesù, che è crocifissa a sua volta nei tempi calamitosi che essa attraversa. Sua Santità Pio X ha elevato nel 1908 questa festa alla dignità di seconda classe.

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
M. Misereátur tui omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostrs, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
S. Amen.
V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Joann XIX:25
Stabant juxta Crucem Jesu Mater ejus, et soror Matris ejus, María Cléophæ, et Salóme et María Magdaléne.

[Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa, e Salome, e Maria Maddalena.]

Joann XIX:26-27
Múlier, ecce fílius tuus: dixit Jesus; ad discípulum autem: Ecce Mater tua.

[Donna, ecco tuo figlio, disse Gesù; e al discepolo: Ecco tua madre]


Stabant juxta Crucem Jesu Mater ejus, et soror Matris ejus, María Cléophæ, et Salóme et María Magdaléne.

[Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa, e Salome, e Maria Maddalena.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Deus, in cujus passióne, secúndum Simeónis prophetíam, dulcíssimam ánimam gloriósæ Vírginis et Matris Maríæ dolóris gladius pertransívit: concéde propítius; ut, qui transfixiónem ejus et passiónem venerándo recólimus, gloriósis méritis et précibus ómnium Sanctórum Cruci fidéliter astántium intercedéntibus, passiónis tuæ efféctum felícem consequámur:

[O Dio, nella tua passione, una spada di dolore ha trafitto, secondo la profezia di Simeone, l’anima dolcissima della gloriosa vergine e madre Maria: concedi a noi, che celebriamo con venerazione i suoi dolori, di ottenere il frutto felice della tua passione:]

Lectio

Léctio libri Judith.
Judith XIII:22;23-25
Benedíxit te Dóminus in virtúte sua, quia per te ad níhilum redégit inimícos nostros. Benedícta es tu, fília, a Dómino, Deo excélso, præ ómnibus muliéribus super terram. Benedíctus Dóminus, qui creávit cœlum et terram: quia hódie nomen tuum ita magnificávit, ut non recédat laus tua de ore hóminum, qui mémores fúerint virtútis Dómini in ætérnum, pro quibus non pepercísti ánimæ tuæ propter angústias et tribulatiónem géneris tui, sed subvenísti ruínæ ante conspéctum Dei nostri.

[Il Signore nella sua potenza ti ha benedetta: per mezzo tuo ha annientato i nostri nemici. Benedetta sei tu, o figlia, dal Signore Dio altissimo più di ogni altra donna sulla terra. Benedetto il Signore, che ha creato il cielo e la terra, perché oggi egli ha tanto esaltato il tuo nome, che la tua lode non cesserà nella bocca degli uomini: essi ricorderanno in eterno la potenza del Signore. Perché tu non hai risparmiato per loro la tua vita davanti alle angustie e alla afflizione della tua gente: ci hai salvato dalla rovina, al cospetto del nostro Dio.]

Graduale

Dolorósa et lacrimábilis es, Virgo María, stans juxta Crucem Dómini Jesu, Fílii tui, Redemptóris.
V. Virgo Dei Génitrix, quem totus non capit orbis, hoc crucis fert supplícium, auctor vitæ factus homo. Allelúja, allelúja.

V. Stabat sancta María, cœli Regína et mundi Dómina, juxta Crucem Dómini nostri Jesu Christi dolorósa.
[Addolorata e piangente, Vergine Maria, ritta stai presso la croce del Signore Gesù Redentore, Figlio tuo.
V. O Vergine Madre di Dio, Colui che il mondo intero non può contenere, l’Autore della vita, fatto uomo, subisce questo supplizio della croce! Alleluia, alleluia.
V. Stava Maria, Regina del cielo e Signora del mondo, addolorata presso la croce del Signore.]

Sequentia

Stabat Mater dolorósa
Juxta Crucem lacrimósa,
Dum pendébat Fílius.

Cujus ánimam geméntem,
Contristátam et doléntem
Pertransívit gládius.

O quam tristis et afflícta
Fuit illa benedícta
Mater Unigéniti!

Quæ mærébat et dolébat,
Pia Mater, dum vidébat
Nati pœnas íncliti.

Quis est homo, qui non fleret,
Matrem Christi si vidéret
In tanto supplício?

Quis non posset contristári,
Christi Matrem contemplári
Doléntem cum Fílio?

Pro peccátis suæ gentis
Vidit Jesum in torméntis
Et flagéllis súbditum.

Vidit suum dulcem
Natum Moriéndo desolátum,
Dum emísit spíritum.

Eja, Mater, fons amóris,
Me sentíre vim dolóris
Fac, ut tecum lúgeam.

Fac, ut árdeat cor meum
In amándo Christum Deum,
Ut sibi compláceam.

Sancta Mater, istud agas,
Crucifixi fige plagas
Cordi meo válida.

Tui Nati vulneráti,
Tam dignáti pro me pati,
Pœnas mecum dívide.

Fac me tecum pie flere,
Crucifíxo condolére,
Donec ego víxero.

Juxta Crucem tecum stare
Et me tibi sociáre
In planctu desídero.

Virgo vírginum præclára.
Mihi jam non sis amára:
Fac me tecum plángere.

Fac, ut portem Christi mortem,
Passiónis fac consórtem
Et plagas recólere.

Fac me plagis vulnerári,
Fac me Cruce inebriári
Et cruóre Fílii.

Flammis ne urar succénsus,
Per te, Virgo, sim defénsus
In die judícii.

Christe, cum sit hinc exíre.
Da per Matrem me veníre
Ad palmam victóriæ.

Quando corpus moriétur,
Fac, ut ánimæ donétur
Paradísi glória.
Amen.


[Sequenza
Stava di dolore piena e di pianto
la Madre presso la croce,
da cui pendeva il Figlio.

L’anima di Lei gemente,
di tristezza e di dolore piena,
una spada trafiggeva.

Oh! quanto triste ed afflitta
fu la benedetta
Madre dell’Unigenito!

S’affliggeva, si doleva
la pia Madre contemplando
le pene del Figlio augusto.

E chi non piangerebbe
mirando la Madre di Cristo
in tanto supplizio?

E chi non s’attristerebbe
vedendo la Madre di Cristo
dolente insieme al Figlio?

Per i peccati del popolo suo
Ella vide Gesù nei tormenti
e ai flagelli sottoposto.

Ella vide il dolce Figlio,
morire desolato,
quando emise lo spirito.

Orsù, Madre fonte d’amore,
a me pure fa’ sentire l’impeto del dolore,
perché teco io pianga.

Fa’ che nell’amar Cristo, mio Dio,
così arda il mio cuore
che a Lui io piaccia.

Santa Madre, deh! tu fa’
che le piaghe del Signore
forte impresse siano nel mio cuore.

Del tuo Figlio straziato,
che tanto per me s’è degnato patire,
con me pure dividi le pene.

Con te fa’ che pio io pianga
e col Crocifisso soffra,
finché avrò vita.

Stare con te accanto alla Croce,
a te associarmi nel piangere
io desidero.

O Vergine, delle vergini la più nobile,
con me non esser dura,
con te fammi piangere.

Fammi della morte di Cristo partecipe,
e della sua passione consorte;
e delle sue piaghe devoto.

Fammi dalle piaghe colpire,
dalla Croce inebriare
e dal Sangue del tuo.

Perché non arda in fiamme
ma da te sia difeso, o Vergine,
nel dì del giudizio

O Cristo, quando dovrò di qui partire,
deh! fa’, per la tua Madre,
che al premio io giunga.

E quando il corpo perirà,
fa’ che all’anima
la gloria del cielo sia data.
Amen.]

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Joánnem.
R. Glória tibi, Dómine.
Joann XIX: 25-27.
In illo témpore: Stabant juxta Crucem Jesu Mater ejus, et soror Matris ejus, María Cléophæ, et María Magdaléne. Cum vidísset ergo Jesus Matrem, et discípulum stantem, quem diligébat, dicit Matri suæ: Múlier, ecce fílius tuus. Deinde dicit discípulo: Ecce Mater tua. Et ex illa hora accépit eam discípulus in sua.

[In quel tempo, stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa, e Maria Maddalena. Gesù, dunque, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che amava, disse a sua madre: « Donna, ecco tuo figlio». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre». E da quell’ora il discepolo la prese con sé.]

OMELIA

(Otto Ophan: Maria; Marietti ed. Torino, 1953)

SUL CALVARIO

« Presso la croce di Gesù stava ».

Possiamo chiederci se a Maria sul Calvario non sia stato domandato troppo. Non fu ivi posto sulle spalle d’una donna delicata, d’una povera Madre una tale enormità, ch’Ella sotto tanto peso doveva crollare, fisicamente e ancor più spiritualmente? Per Maria l’impotenza sarebbe stata benefica, perché avrebbe occultata al suo spirito l’ora della scena più straziante. Ma il suo spirito sul Calvario restò sveglio; era come un lago turchino, sul quale il sole cocente bruciava senza misericordia. Quali insopportabili strazi dovette Maria sostenere sul Calvario! Se persino il Figlio suo gridò nell’abisso del suo strazio le parole: « Mio Dio, mio Dio, perché mi hai tu abbandonato? », che cosa non dovette passare anche nel cuore della Madre sua? Tempeste di chiarezza infuriavano sull’anima di Lei; i flutti del suo cuore non La cacceranno sulle bianche spiagge, sicché spumeggino e s’impennino nella disperazione e nella ribellione? Qual minaccia non costituisce per la fede un grande patire, anzi già il semplice patire! Come si presenta pericolosa vicino al sofferente l’audace domanda: ma v’è Iddio? ma v’è proprio un Dio? Può esserci un Dio, se accade il fatto più raccapricciante, l’uccisione… dell’Uomo-Dio? E se L’hanno ucciso, Iddio dunque è morto! Questo fatto enorme, pazzesco, folle non si oppone anche al minimo d’intelligenza? Le orribili sofferenze e i delitti del nostro tempo hanno bruciata la fede in Dio in esseri innumerevoli precisamente con queste fiaccole infuocate. Ma se tuttavia Iddio è — ed Egli è! —, non è Egli un Dio totalmente diverso da quello che Gesù aveva annunziato, un essere oscuro, indifferente, sublimissimo, che troneggia nelle lontane e gelide altezze? Maria sul Calvario ricordò forse con dolore la predicazione del Figlio suo circa il Padre, il Padre che veste i gigli del campo, che nutre gli uccelli del cielo, e si prende cura d’ogni capello del nostro capo. Ov’è adesso Egli, questo Padre provvido, questo Padre amante? Ma v’è anzi quaggiù anche solamente il governo d’un Dio giusto? il Figlio suo lacerato non è una palpabile confutazione, un sanguinoso sprezzo della consolante predica intorno a un Dio paterno? Quanto dev’esser crudele quest’Essere sublimissimo, che procura al più nobile, al più santo di tutti gli uomini e alla Madre sua innocente tanto tormento o anche permette che lo si procuri, mentre noi stessi non lo arrecheremmo al peggiore dei nostri nemici! La bestemmia contro Dio sta vicina al credente più di quello che non si possa sospettare. L’incredulo conclude presto: nega semplicemente Iddio, e con questa misera soluzione si « spiega » gli enigmi della vita; il credente invece sa troppo bene dell’esistenza di un Essere supremo; i problemi della vita e del mondo lo disorientano non quanto all’esistenza, ma quanto al modo d’essere di Dio, quanto alla provvidenza, alla bontà e alla giustizia di Dio. E ora il Vangelo dà netto risalto all’atteggiamento della Vergine: « Stava accanto alla croce di Gesù sua Madre ». Ella stava sommersa nell’uragano che su di Lei muggiva. La terra tremò e le rocce si spaccarono: Maria stava. Il velo del Tempio si stracciò dall’alto al basso, e il Figlio suo rese il suo spirito con un forte grido: Maria stava. Ritta, solitaria stava là, come un albero principesco, attorno al quale un’intera selva giace abbattuta. Nelle Litanie lauretane noi esaltiamo Maria quale « Torre eburnea »: « eburnea » fu accanto alla croce per il pallore; ma Ella fu anche « torre », che resistette agli assalti paurosi del dubbio e della disperazione intrepida e invitta. Maria non è solamente la Madre amabile, quale spesso ci viene mostrata; ancor meno Ella è la figurina graziosa, quasi leziosa d’una merce fuori d’uso; Maria è la donna forte, che, degna del Figlio suo, va innanzi con Lui all’esercito dei martiri di sangue asperso qual Regina, la Regina dei martiri. Maria sul Calvario non disse alcuna parola. Non si lamentò, non dubitò, non maledisse, nemmeno interrogò più. Al Dodicenne chiese in dolorosa sorpresa: « Fanciullo, perché ci hai fatto tu così? »; anche alle nozze di Cana Gli presentò la sommessa preghiera: « Non hanno più vino »; sul Calvario Ella non è altro che silenzio. C’è un silenzio anche per alterigia o per impietrimento, come secondo l’antica leggenda greca fu il silenzio di Niobe, cui la saetta di Apollo aveva ucciso tutti i figli; Maria sopravvanza in grandezza d’animo le povere madri sofferenti degli antichi pagani, Niobe ed Ecuba, per l’infinita perfezione cristiana. Il suo silenzio non è protesta, ma silenziosa adesione. A dir il vero, le sue labbra sono sigillate dal dolore, sicché non può più gridare, come nell’ora felice dell’Annunciazione laggiù a Nazaret, il suo “Fiat”. Anche nella nostra vita giungono momenti, nei quali non possiamo più parlare, non più pregare, nemmeno più gemere; in quei momenti. non resta che il linguaggio dell’atteggiamento. Maria sul Calvario disse il suo Sì nella lingua commovente dell’atteggiamento: « Ella stava presso la Croce ». Questo stare era più che un discorso; con questa resistenza e perseveranza Ella espresse tutto quello che quassù sul Calvario aveva da dire. – L’informazione evangelica dice certamente: « Stavano presso la croce di Gesù la madre sua e la sorella di sua madre, Maria di Cleofa e Maria Maddalena », e anche il discepolo che Gesù amava stava lì. Maria dunque stava presso la croce di Gesù non da sola; anche le altre stavano, e di questo dovrebbe tener conto anche l’arte, la quale preferisce rappresentare Maria Maddalena svenuta ai piedi della Croce, sopraffatta dal dolore. L’atteggiamento eretto della coraggiosa Madre di Gesù fu però più eroico che quello delle altre: le altre attinsero energia in quell’atteggiamento della Madre per non abbandonarsi senza ritegno al dolore; la fortezza d’animo della Madre tenne ritte presso la croce anche le altre: se accanto alla croce sta ritta persino la Mamma, neppure le altre devono ivi cadere, non devono di là fuggire. Il racconto evangelico sottolinea intelligente questa posizione eretta; non scrive cioè: « Quando Gesù vide sua Madre e il suo discepolo che Egli amava presso la croce », ma: « Quand’Egli vide ch’Ella stava ritta »; non la presenza di Maria sul Calvario fu il grande fatto, ma la sua posizione eretta. E qui sta nascosto qualche cosa di ancor più profondo. Lo stare di Maria accanto alla croce del Figlio manifestava non solamente la sua magnanimità, ma anche il suo consenso, che voleva dire ben di più. Maria non stava soltanto presso la croce, Ella stava per la croce, l’approvava. Ella sul Calvario era di nuovo posta, come un tempo laggiù a Nazaret, dinanzi a una decisione, stavolta dinanzi a una « decisione sanguinante » nel senso più terribile della parola: a Nazaret Ella dovette decidersi se accogliere il Figlio suo, sul Calvario dovette decidere se darLo. Sul Calvario avrebbe potuto richiamarsi a buon diritto alla splendida profezia di Gabriele in occasione dell’Annunciazione, la quale diceva che Iddio « avrebbe dato il trono di suo padre David al Figlio di Lei »; adesso ne eravamo così lontani, che Gesù pendeva dalla croce fra due delinquenti. La raccapricciante realtà del Calvario non era una stridente offesa di quella lontana promessa? non era Maria una povera donna ingannata, cui le promesse fatte non erano state mantenute? Molti sul Calvario si sarebbero querelati e stizziti con simili amarezze, sarebbero stati per il Figlio, non però per la sua croce. Maria invece non stette solamente per il Figlio, ma anche per la croce di suo Figlio. Col sì di Nazaret Ella aveva data a Dio carta bianca per tutta la sua vita; quanto Iddio scriveva sulle bianche pagine della sua vita, è già in precedenza ratificato e sottoscritto dal “Fiat” di Lei; quando quella sublimissima mano cominciò a scrivere con scrittura di sangue, col sangue del Figlio suo, Maria non disdisse il suo si di Nazaret, ma lo completò col Sì del Calvario. Non si lamentò dicendo: « Oh, adesso basta! adesso è troppo! »; neppure come preghiera e supplica raccolse la parola risuonataLe vicina, che i nemici avevan scagliata contro la croce a dileggio di Gesù e quasi a tentazione per Lei: « Figlio mio, discendi dalla croce! hai aiutato gli altri, aiuta anche te stesso! »; Ella Lo lasciò sulla croce. Non mosse un dito, non mosse labbro per liberarLo dall’abbraccio della morte. Ella, come la magnanima madre dei Maccabei il figlio suo più giovane e ancor più eroica di quella, incoraggiava con la sua silenziosa presenza il Figlio morente: «Figlio mio, abbi pietà di me! sostieni la morte! ». Sul Calvario quindi Maria stette sulla cima del sacrificio che tutto comprende. Niente, niente affatto Ella ritenne per sé; donò, per compiere la volontà di Dio e per la nostra salvezza, persino il Figlio suo, persino il suo… Dio. La parola, che del Padre celeste Gesù aveva detta e che scrisse il discepolo allora presente con Maria presso la croce, valeva anche per Lei: « Tanto la Madre ha amato il mondo che ha dato il suo Figlio unigenito, affinché chiunque in Lui crede non perisca, ma abbia la vita eterna ». Maria sapeva della donazione generosa del Figlio voluta dal Padre per la salvezza del mondo, e, sostenuta dalla solida base di questa parola, scorse il segreto delle paurose vicende del Calvario: quivi si compiva la salvezza dell’umanità; la redenzione, la redenzione per amore; il Figlio suo, con le mani lacerate dai chiodi, portava di nuovo in alto, su, su, alla casa del Padre l’umanità allontanatasi da Dio. Quivi era in questione la misericordia, la misericordia sconfinata, non la crudeltà. E in realtà in nessun’opera la divina misericordia e la divina giustizia si son così strettamente abbracciate come… nell’inchiodamento del Figlio di Dio sulla croce, e in nessun luogo arde l’amore di Dio più caldo che nel suo Sangue, che fu « versato per molti in espiazione dei peccati ». L’umanità sofferente del Signore ricevette senza dubbio forza e conforto dalla coraggiosa presenza della Madre accanto alla croce. Durante la sua ineffabile tristezza sul Monte degli Olivi il Signore aveva cercato conforto nei discepoli; ma questi non stavano, essi dormivano; e allora Iddio benigno per incoraggiare il Figlio suo sofferente Gli inviò un Angelo dal Cielo; sulla vetta del Calvario non volò nessun Angelo, ma ivi stava la Madre; una madre è l’Angelo più consolatore di tutti. Ella baciava quei piedi inchiodati, e le sue labbra pallide divennero rosse di sangue; a Lui pendente dalla croce sussurrava tutti i nomi dell’amore, nomi così soavi quali dall’infanzia non aveva più osato dirGli. Ella stava là, vicina alla croce, e intercettava gli sguardi dei suoi occhi, perché non dovessero andar vaganti nella notte e fra le bestemmie, ma trovassero difesa e riposo negli occhi della Madre sua. Il Padre suo L’aveva abbandonato, ma la Madre era là, e nella Madre era vicino anche il Padre, perché una madre è la garanzia più soave e più sensibile dell’invisibile ed eterno amore di Dio. Senza dubbio la presenza della Madre presso la sua croce fu per il Signore anche una indicibile sofferenza. Che cosa non doveva soffrire a causa sua la Poveretta, la buona Donna! Tommaso d’Aquino scrive commosso che anche gli occhi di Gesù, come gli altri suoi sensi, dovettero soffrire sulla croce una pena propria: essi scorsero la Madre e il discepolo dell’amore piangenti ai piedi della croce. A questo penoso dolore però andava unito un grande conforto, quello di possedere una Madre dall’amore talmente invincibile e d’una fortezza insuperabile. Pietro ieri sera Gli aveva giurato: « Anche se tutti pigliassero scandalo di te, io, io non lo piglierò giammai ». Dov’era Pietro? Sua Madre non si scandalizzò di Lui; Ella stava presso di Lui anche nella defezione di tutti, anche in mezzo al più compassionevole fallimento, anche sommersa in un inferno di tormenti. Proprio la Madre, la Madre sua buona e cara, la migliore e la più santa di tutti gli uomini, proprio Lei resse accanto a Lui, l’impalato, il crocefisso. E da questa Madre s’apriva dinanzi allo sguardo del Signore una via luminosa perdentesi nell’infinito. Questa Donna solitaria accanto alla sua croce è la prima redenta, la redenta perfettamente. Sin dal momento della sua concezione rumoreggia in Lei la grazia della redenzione talmente ricca e possente, che sarebbe valsa la pena di soffrire e di morire già solamente per Lei; era pure grazia di redenzione ch’Ella ora se ne stesse nella bufera del Calvario. Maria però non è sola, Ella accanto alla croce è la rappresentante di tutti i redenti; in Lei si inginocchia la Chiesa dell’avvenire; in Lei le schiere, che nessuno può contare, dicono grazie al l’Agnello, perché le loro vesti son divenute bianche nel suo Sangue. In Maria il Padre presenta al Figlio che muore l’umanità redenta; in Maria il Figlio scorge come in un modello e in un simbolo l’infinito valore della sua passione. Era come se dalla Madre accanto alla croce ascendesse verso l’infuriar dei tormenti e verso il fremito del Sangue del Figlio morente un canto lontano e bello: « Degno è l’Agnello, che fu ucciso, di ricevere potenza e regno e sapienza e fortezza e onore e gloria e lode ». In quel momento un sorriso sfiorò il volto sfigurato del Figlio e un raggio penetrò anche negli occhi della Madre. Da tutto questo appare chiaramente che alla Madre del Signore spetta una parte importante anche per la nostra redenzione. Maria sul Calvario non fu semplicemente la mamma amante e sofferente d’un figlio morente: milioni di povere madri hanno assistito i figli morenti; Maria stette sul Calvario quale « Madre del Redentore »: « Pro peccatis suæ gentis vidit Jesum in tormentis — ah! Ella vide Gesù sopportare martiriiper i peccati dei suoi fratelli, flagelli, spine. derisioni e scherni». A questa redenzione dell’umanità per mezzo del Sangue e della mortedel Figlio suo Maria disse il suo Sì stando accanto alla croce; per questo il suo amore e il suo dolore materno si elevavano immensamente più in alto che quelli di qualunque altra povera madre sofferente, si portarono su, nell’altipiano del mistero della redenzione, furono un contributo per la salvezza del mondo.Il Vangelo stesso allude a questo posto ufficiale di Maria accanto alla croce del Figlio: esso ha sempre taciuto di Lei durante tutto il lungoperiodo della vita nascosta di Gesù a Nazaret come della sua attività pubblica; accanto alla croce di Gesù invece Ella riappare nuovamentenella relazione evangelica grande, in una luce singolare; qui dunque ci vien segnalato che la presenza di Maria presso il Figlio morente non fu soltanto l’esigenza d’un commovente affetto materno; quivi si trattò d’un atto solenne e addirittura ufficiale. Questo spettacolo commovente della Madre presso la croce è come una solenne ed edificante Liturgia. Questa Donna regale sta ritta, non assopita dal dolore, non sprofondata nella disperazione, ma, come osaaffermare con parola ardita San Bonaventura, « intenerita per la gioia che il suo Unigenito debba essere offerto in vittima per la salvezza del mondo ».Maria accanto alla croce prega col Sommo Sacerdote dell’umanità, offre con Lui, soffre con Lui. « Ella sul Calvario, quale nuova Eva, Lo offrì all’Eterno Padre per tutti i figli di Adamo con sacrificio totale dei suoi diritti materni e del suo materno amore ». Per questo già dal tempo di Alberto Magno, Maria è chiamata con senso profondo « aiutante » della redenzione, a somiglianza di Eva che era stata « aiutante di Adamo »; Ella è la « inserviente » della redenzione, la « diaconessa » della redenzione. Il diacono porta all’altare le offerte del pane e del vino per la Messa solenne, egli le prepara; egli assiste il sacerdote offerente, è pure a lui unito con intima comunione e sentimento sacrificale. Maria sul Calvario fece così: Ella preparò l’Offerta santa, il Corpo del Figlio suo, nell’Incarnazione e lo fece grande a Nazaret; Ella presentò questa preziosissima Proprietà per il sacrificio, Ella entrò in perfettissima comunanza d’amore e di dolore col Sacerdote offerente, che era nello Stesso tempo la Vittima offerta. Questo confronto « sacerdote-diacono » ci richiama però anche alla differenza essenziale fra l’oblazione di Gesù e quella di sua Madre. Il diacono non raggiunge l’indipendenza del Sacerdote offerente; egli non pregiudica la sufficienza del sacrificio sacerdotale; egli piuttosto compie il suo ufficio in piena dipendenza dal Sacerdote, come conviene al suo posto di sott’ordine quale diacono. Maria ebbe parte in questo modo alla nostra redenzione: il sacrificio sulla croce del nostro Eterno e Sommo Sacerdote, che mediante il suo Sangue penetrò i Cieli e aprì a noi peccatori la via al trono della grazia, tanto che adesso ci è concesso di accostarci con fiducia dinanzi alla terribile maestà di Dio e ivi conseguire grazia per l’aiuto opportuno, è d’una sufficienza e d’una sovrabbondanza talmente infinita, che non ha bisogno d’alcun umano completamento e sostegno. La cooperazione di Maria non fu un contributo necessariamente richiesto per la redenzione operata dal nostro unico e solo Signore e mediatore Gesù Cristo; Ella non poté portare nessun completamento a quello che in sé era già perfetto; ora l’azione di Cristo fu sufficiente per la redenzione di mille mondi. Però « l’opera della salvezza doveva in questa cooblazione della nuova Eva ornarsi di bellezza in ogni parte ed essere del tutto completa anche in linea dell’essere e dell’operare semplicemente creato » (Feckes). E così l’augusta Signora sul Calvario, accanto alla croce del Figlio suo, presentò anche il dolore e la riconoscenza del suo cuore materno e la indigenza e la povera buona volontà della stirpe umana, che Ella fu chiamata a rappresentare. Ella ornò il calice traboccante del Sangue di Cristo con le pietre preziose delle sue lagrime e col ramo di mirra della sua pena amara, che sopportò per noi peccatori. E chi potrebbe dubitare che questo materno dolore, unito al sacrificio del Figlio suo, divenisse benedizione per il mondo intero, se già la preghiera e il sacrificio delle nostre povere madri torna a noi di salvezza? Persino Paolo, l’inesorabile predicatore dell’unico e solo redentore Gesù Cristo, scrive e per di più di se stesso le misteriose parole: « Io godo nei patimenti in pro vostro, e in contraccambio compio le deficienze delle tribolazioni del Cristo nella mia carne in pro del Corpo di Lui, che è la Chiesa ». Se così, il tremendo patire della Madre accanto alla Croce potrebbe essere rimasto privo d’una efficacia tutta particolare per la vita della Chiesa? La passione infinita di Cristo non abbisogna affatto in sé d’un « compimento », però a tutte le membra del mistico Corpo di Gesù Cristo spetta anche una determinata misura di sofferenza; se il Capo, Cristo, soffre, con Lui soffriamo noi tutti, suoi membri. In questo misterioso Corpo di Cristo ogni membro, soffrendo e offrendo, deve giovare alla salvezza anche degli altri, ciascuno in proporzione del suo posto e dell’importanza in questo « Corpo », questi solamente per pochi, quell’altro per molti, Maria, la Madre del Redentore, per tutti quanti furono redenti dal Sangue del Figlio suo. Non v’è « dunque affatto nessuno (fra tutti i membri dell’organismo mistico di Cristo) che abbia contribuito o che abbia potuto mai contribuire alla riconciliazione di Dio con gli uomini quanto vi contribuì Maria ».  –  Ti siano rese grazie, o augusta e amata e povera Signora, per le lacrime, che tu, ai piedi della Croce hai pianto e che si mescolarono col Sangue del Figlio tuo in salvezza per noi! E onore e gloria sia al Figlio tuo, unico nostro Salvatore e Redentore, Gesù Cristo!

« Presso la Croce di Gesù stava sua Madre ».

« Gesù, vedendo sua Madre e vicino ad essa il discepolo, che prediligeva, dice alla madre: “Donna, ecco il tuo figliuolo”. E poi dice al discepolo: “Ecco la Madre tua”. E da quel momento il discepolo se la prese con sé in casa sua ». Questa parola del Signore morente alla Madre sua derelitta è così commovente che vorremmo piangere su di essa. Molto tempo è passato dall’ultima parola che Gesù rivolse pubblicamente alla Madre sua; la disse a Cana, e quella parola fu apparentemente dura; anche adesso, sulla croce ancora, Egli dapprima si ricordò dei suoi nemici e poi del ladrone; la Madre, che accanto alla sua croce piangeva, La lasciò in disparte. Ha così poca importanza per Lui la Madre sua, è così un niente, che persino in quest’ultimo momento Egli parli ancora per gli altri, con gli altri, ma alla propria Madre non dica nemmeno una paroletta? oppure quegli altri hanno bisogno delle sue amorose parole più urgentemente dell’abbandonata Madre piena di grazia? Finalmente, a metà, nel cuore delle sette ultime parole di Gesù in croce, rifulse la parola anche per la Madre sua, ancor prima del grido al Padre. Si sente chiaramente che questa parola si sprigionò da un fortissimo ingorgo d’amore del Figlio per la Madre; essa dà sfogo all’amore di Gesù per la Madre rimasto legato durante la vita pubblica, ne svela la profondità e la delicatezza. Quest’unica ed ultima parola del Signore a sua Madre presso la croce lascia intravvedere quanto in realtà Maria stesse vicina al cuore del Figlio suo; Egli non può morire se non sa che sua Madre versa in migliori condizioni di protezione; Egli stesso in quel momento stava quasi per affogare in un mare di tormenti e la grigia notte dell’abbandono di Dio già Gli si avvicinava: per questo, prima d’entrare nella sua suprema tortura e morte; vuole mettere al sicuro sua Madre quasi da una bufera imminente. In quell’ora ogni parola era per il Signore una pena. Ah, i morenti, anche con lo sforzo dell’ultimo amore, possono appena dire « sì, sì » e « oh, oh »… Il Signore in quel momento raccolse le sue forze, strinse più fortemente le teste dei chiodi e dalle labbra del Figlio, come una stella d’oro nell’oscurità della notte, si librò sulla Madre l’ultima sua parola: « Donna, ecco tuo figlio! », e al discepolo: « Ecco tua Madre! ». « Donna », chiama Gesù in croce Maria, non « Madre ». Come già a Cana infatti e ancor più che a Cana, Maria sul Calvario tiene un posto ufficiale quale aiutante della redenzione del mondo. Ella non è soltanto colma di dolore, è anche adorna di sublimità e di solennità, più regale di Ester, più forte di Giuditta, la Donna del mondo, la rappresentante dell’umanità, l’assistente accanto alla Vittima sanguinante sulla croce. Questa parola è piena di rispetto e di onore, forse anche piena d’un intimo singhiozzar d’amore, come se Gesù in quell’ora non osasse più rivolgersi a Maria con il tenero nome di Madre per non provocare lo straripamento degli umani sentimenti di cui era colmo il loro cuore. La parola del Figlio morente mette la Madre sotto la protezione di Giovanni e Giovanni sotto la benedizione di Maria. Il Signore s’era preoccupato già il giorno precedente di tutti i suoi discepoli, poiché il dolore più acuto d’un nobile morente è l’abbandono e la mancanza di sicurezza di coloro che egli ama. Tutti i discepoli la sera del Giovedì Santo erano stati da Lui affidati allo Spirito Santo: « Non vi lascerò orfani: Io pregherò il Padre ed Egli vi darà un altro confortatore ». Anche Giovanni stava in questa sicurezza dello Spirito Santo e ancor più Maria, a cominciare dall’Incarnazione, anzi già dal primo momento della sua esistenza; ma Maria era anche donna, la quale abbisognava d’una assistenza visibile; e Giovanni era il discepolo dell’amore; il Signore voleva dargli un pegno anche terreno dell’amore dello Spirito Santo in quella Donna, che di Spirito Santo era stata adombrata. Quest’ultimo legato del Signore fece di Giovanni il figlio di Maria, e di Maria la madre di Giovanni; l’uno ora era dato all’altra in dono e a carico. Maria ricevette dal Figlio morente un altro figlio, l’amico di Lui, Giovanni, la persona più cara che Gesù possedesse sulla terra accanto alla Madre sua, quel discepolo dell’amore, che la sera precedente aveva potuto ascoltare, riposando sul cuore di Gesù, il fluttuare del suo amore. Per Maria Giovanni era l’aureo scrigno, entro il quale l’amore di Gesù s’era nascosto prima della morte come in un Sacramento. Giovanni era per Lei il monumento vivente dell’amore di Gesù verso la Madre. Ancor più di Maria in Giovanni aveva ricevuto da Gesù Giovanni in Maria. Fu un onore senza uguali. Un giorno insieme con suo fratello Giacomo Maggiore egli aveva preteso un primo posto nel regno messianico; adesso gli tocca di più. Ieri ebbe per un’ora il suo posto sul cuore del Signore; da oggi in poi il suo posto è a fianco della Madre del Signore per tutta la vita. Il Signore anche nell’estrema povertà della croce poté arricchire di doni i due esseri a Lui più cari, Maria con Giovanni e Giovanni con Maria. Le sue due più care creature! Accanto alla croce v’eran certo anche altri, la sorella di sua Madre, la moglie di Cleofa, e Maria Maddalena; anch’esse avevan dato prova al Signore di tanta bontà, e il Signore era legato in amore anche a loro; esse ricevettero una preziosa benedizione per la fedeltà sino alla sua morte; ma solo a Maria e a Giovanni fece dono della preziosità d’un’ultima parola tutta propria per loro e della preziosità d’una cara persona. Quella parola fu certamente per i due anche un obbligo. Maria doveva adesso essere la madre di Giovanni. Giovanni aveva già una madre, quella nobile Salome, che secondo l’informazione di Matteo era presente anche sul Calvario e « osservava da lontano »; « da lontano », perché lei e le altre « molte donne di Galilea » non furono ammesse dai soldati presso la Croce; essi, ascoltando un sentimento d’umanità, avevan permesso l’accesso soltanto alla Madre e a un esiguo accompagnamento. La parola del Signore a Giovanni: « Ecco tua madre! » non voleva privare Salome dei suoi diritti materni: Maria deve essere per Giovanni madre spirituale. Ella adesso deve donare a Giovanni il suo amore materno privo di Gesù; Ella deve proteggere in questo discepolo dell’amore l’eredità, che Gesù in lui ha deposto; Ella lo deve formare come aveva formata l’anima umana di Gesù; in una parola Ella dev’esserGli « madre ». Giovanni dev’essere figlio di Maria. Egli deve offrirLe e casa e sostegno e patria; deve essere sollecito del sostentamento della Donna a lui affidata; deve rallegrare alla Solitaria le sere e l’età. Quale esempio non aveva dato a Giovanni, il secondo figlio della Vergine, Gesù stesso nella sollecitudine per la Madre! Sino al trentesimo anno di vita, per un tempo così lungo Egli aveva provveduto alla Mamma con la propria augusta mano; probabilmente, per il periodo della sua attività pubblica, aveva pregato d’interessarsi di Maria quanti Gli erano stretti per amicizia. Ed ora, morente, affida la Madre all’amico suo, indicandogli così insieme il motivo e la misura della sollecitudine per la Madre. Per mezzo di Gesù tutti e due, Giovanni e Maria, sono adesso legati l’uno all’Altra come figlio e madre, e per mezzo di Maria anche Gesù e Giovanni si son fatti ancor più vicini, come fratello rispetto a fratello. Giovanni nel Vangelo può tributarsi questa lode modesta: « Da quel momento il discepolo se La prese con sé ». L’espressione greca « eis tà idia — in proprietà » nell’uso corrente del discorso significa « in casa sua ». Può essere frattanto che Giovanni abbia usato questa espressione, che può avere vari sensi, di proposito; la parola si presta a una spiegazione ancor più profonda: «eis tà idia — in proprietà » significa nel suo senso pieno più che « casa » solamente; con essa può essere indicato tutto l’insieme della vita esterna ed intima d’un uomo; Giovanni non accolse Maria soltanto in casa, ma anche nel suo cuore, nel suo sentimento e sollecitudine, nel suo dolore e amore. – Con quale maternità dal canto suo Maria abbia accolto Giovanni « nella sua proprietà », più che non dalle pie descrizioni, risulta con evidenza dagli scritti di Giovanni. Gli scritti di Giovanni, e anzitutto il suo Vangelo, sono percorsi da un mirabile afflato mariano; esso si diffonde dalla possente affermazione del prologo del Vangelo giovanneo: « Il Verbo si fece carne » attraverso Cana sino al Calvario. Da Giovanni e solamente da lui noi veniamo a sapere che il Signore era stretto alla Madre sua anche durante il tempo della sua attività pubblica — Cana! — e nella passione — Calvario! —. Nei lunghi anni di convivenza Maria dischiuse al discepolo dell’amore visioni e connessioni sempre più profonde nel mistero di Gesù. Non solamente Giovanni accolse Maria, anche Maria accolse Giovanni nella « sua proprietà ». La parola di congedo, che il Signore morente rivolse a sua Madre e al suo amico, ha una profondità che la cristianità ha scoperta e scopre soltanto un po’ alla volta lungo il corso dei secoli; poiché anche oggi il mistero di questa parola non è ancora dischiuso in ogni sua parte, il mistero cioè della maternità di Maria rispetto all’intera cristianità. Il sentimento cristiano cominciò a sospettare e capì sempre più chiaramente che Gesù sulla croce aveva costituita Maria Madre non solamente di Giovanni bensì di tutti noi, e che non solamente Giovanni, ma noi tutti siamo figli e figlie di Maria. Giovanni non è che un nostro rappresentante; Maria è la Madre dell’intera umanità raccolta in Cristo; « Giovanni » è quindi… « ognuno di noi ». La parola evangelica, considerata in sé sola, non permette certamente una conclusione così spinta; ivi non si fa parola che di Giovanni, a lui, a lui solo viene trasmesso presso la croce l’onore e il dovere della cura di Maria; e a lui, a lui solo, non a un altro discepolo Maria viene indirizzata come a un figlio, cui da parte sua dev’esser, può essere madre. I Padri della Chiesa, quindi, intesero questo testo sempre e ovunque del rapporto di madre e figlio solamente, che sussistette fra Maria e Giovanni, mentre non hanno una parola per la maternità spirituale della Vergine rispetto a noi tutti. Soltanto presso Origene (f 254) si trova un testo, che estende quella parola del Signore anche ai credenti in Cristo, a quanti Cristo amano. Nondimeno passarono ancora secoli prima che in Occidente, per la prima volta l’abbate Ruperto di Deutz, all’inizio del secolo x, e poi con tutta chiarezza e direttamente Dionisio Cartusiano nel secolo xv mettessero quella parola del Signore in relazione con una maternità spirituale universale di Maria. Ma questa maternità spirituale della Vergine è una realtà; è dottrina sicura, cattolica; essa però non si erige su questa parola, bensì sui fatti che si svolsero sul suo medesimo suolo insanguinato, nelle sue immediate vicinanze, sul Calvario. – Due fatti han creata la maternità spirituale di Maria. L’uno fu il suo assenso all’Incarnazione. Sin d’allora, a quel primo Sì, Ella è divenuta anche Madre spirituale di noi tutti: « Mentre Maria portava in grembo suo il Redentore, portava anche tutti coloro la vita dei quali era rinchiusa nella vita del Redentore. Noi, che siamo incorporati a Cristo, siamo nati dal seno di Maria come Corpo Mistico legato col capo ». Nell’incarnazione Gesù è divenuto nostro fratello, Maria, la Madre di Gesù, è divenuta così anche la Madre di tutti i suoi fratelli. Presso la Croce Maria portò al suo compimento amaro e sanguinoso quel Sì del principio. Ella accanto alla croce patì col Figlio suo, e quanto dolore trova posto nel cuore d’una madre, specialmente nel cuore della Madre di Dio! Ella cooffrì con il Figlio suo, fu internamente d’accordo per la morte di Gesù a nostra salvezza, e quella morte ha dato a noi la vita. Poiché Ella ebbe parte nella morte, ebbe parte anche nella vita; Ella col suo dolore materno ha reso a noi possibile questa nuova vita, che si eleva al di sopra della natura. Quale aiutante di Cristo nell’opera della salvezza, Ella divenne la madre della cristianità. Per questo Pio XII, nella sua Enciclica sul « Corpo Mistico di Cristo », richiama con insistenza a questo vincolo di causalità fra la compassione e la cooblazione di Maria presso la Croce e la sua spirituale maternità: « Ella, che sul Golgota col sacrificio totale dei suoi diritti materni e del suo materno amore, ha offerto all’Eterno Padre il Figlio suo, a motivo di questo nuovo titolo di dolore, già Madre del nostro Capo quanto al Corpo, divenne anche la Madre di tutti i suoi membri quanto allo spirito ». La maternità spirituale di Maria quindi è più che una figura solamente, più che una bella espressione poetica soltanto, essa è una realtà misteriosa che si erige sui due misteri fondamentali della nostra fede, l’Incarnazione e il Sacrificio della croce. Quest’invisibile realtà diventa visibile, come in un simbolo, in Maria e Giovanni presso la Croce; quivi Maria fu costituita Madre di Giovanni e Giovanni figlio di Maria. Proprio in quell’ora, nella quale essi si unirono dinanzi alla croce del Signore per contrarre un legame dolorosamente bello, proprio nell’ora della redenzione Maria divenne anche la Madre dei redenti, e i redenti divennero tutti figli di Maria. A motivo nostro Ella perdette Gesù, il Figlio suo, a motivo di Gesù noi fummo generati figli suoi. Quanto si svolse dinanzi alla Croce, quasi sul proscenio, ci sospinge a guardare in fondo, al di là di Giovanni: in Giovanni siamo presi in considerazione noi tutti, in Maria è data a tutti noi una Madre. – O Donna, ecco qui dunque il figlio tuo! È vero, noi siamo meno, molto meno degni di Te che non il gentile e nobile Giovanni, il quale Ti fu affidato in figlio dal Figlio sulla croce. Colpito da quello scambio con Giovanni, già S. Bernardo esclama: « Quale scambio! Giovanni Ti vien dato al posto di Gesù, il servo invece del Signore, il discepolo invece del Maestro. il figlio di Zebedeo invece del Figlio di Dio, un puro uomo invece del vero Dio ». E ora Tu devi accogliere addirittura noi invece del Figlio! Le nostre meschinità devono farTi nausea, o regale Signora! Di fronte al tuo nobil animo noi siamo d’una condizione tanto inferiore. o Santissima, o Purissima! Noi siamo piccini, poco buoni, impuri, cenciosi, talvolta anche diavoli camuffati, ripieni di reale malizia. E costoro devon essere i tuoi figli! A costoro Tu devi essere madre! Tu, che sei passata sulla terra come un giglio e in Cielo troneggi sopra gli Angeli. Tu però stesti anche sul Calvario, accanto alla croce del Figlio, sulla quale Egli morì per noi peccatori. Tu udisti com’Egli fece grazia al ladrone, e pregò persino per la malignità ostinata. Il Figlio tuo Ti impegna per noi peccatori. Ma perché scongiuriamo noi con parole retoriche il tuo cuore e spesso in tal modo che si potrebbe pensare che valga a persuaderTi, a costringerTi ad esser buona? Non sei Tu il vertice più tenero dell’eterno amore di Dio verso di noi? Egli ha scelto il tuo cuore materno a simbolo della sua propria bontà sconfinata e della sua immensa misericordia. Iddio cioè non è solamente Padre; in Te e per Te, o Maria, Egli vuol manifestare anche la sua infinita maternità. Se anche una madre qualunque consacra le cure più premurose al più povero dei suoi figli, quanto amore non vi sarà per il peccatore nel tuo cuore, ch’è il riflesso più soave dell’amore di Dio! Madre! Madre della misericordia! « Peccatores non abhorres, sine quibus numquam fores mater tanti Filii — Tu non aborri i peccatori, senza dei quali mai saresti Madre d’un tanto Figlio ». E così, o Signora, guarda a noi tuoi figli! Accogli anche noi « eis tà idia — in tua proprietà ». E questa proprietà tutta a Te propria è Gesù: riempici dei sentimenti di Gesù, che da Te si irradiano luminosissimi! E dopo questa miseria mostraci Gesù, il Frutto benedetto del tuo ventre. Poi, « o Vergine, Madre di Dio, mentre stai dinanzi al Signore, ricordaTi di dire una buona parola per noi, perché Egli storni da noi il suo sdegno ». – Figlio, ecco pure tua Madre! È una grandissima gioia per un uomo possedere una madre, alla quale egli possa guardare, alla quale possa elevarsi. La sua figura resta viva anche al di là della morte; essa l’accompagna come un angelo. Lungo tutta la vita sino al giorno del lieto arrivederci sui portali dell’eternità. Le nostre ottime madri si son formate in Maria, ed esse, quasi preoccupate per il tempo nel quale non avrebbero più potuto precederci col loro esempio, richiamarono la nostra attenzione a Maria, la Madre eterna. Nessuna madre può come Maria elevare i nostri pensieri e i nostri desideri; Ella è il segno grande nel cielo, ammantata di sole e irradiata di dodici stelle; Ella tiene sveglia la nostra eterna nostalgia. E Maria è il grande segno anche sulla terra, aspersa del sangue del Figlio suo ed elevantesi presso la Croce sul Calvario. Figlio, dalla notte della tua tribolazione, guarda alla Madre tua sul Calvario! Neppure accanto alla croce del Figlio suo Ella si querelò, dubitò, vacillò; Ella stette, forte e ferma. E così « io attacco ogni tedio e il dolore di tutte le notti e ogni nostalgia dell’ultima meta al tuo abito d’argento, o Madre » (Hauser). Maria non ritornò dal Calvario col cuore spezzato; insieme con la tristezza era in Lei una grande ed intima gioia: il mondo adesso era redento; tanto aveva fatto il Figlio suo. E dopo tre giorni Egli risorgerà. Ella sapeva della prossima risurrezione come era stata al corrente della prossima passione. Se ne andò dal sepolcro del Figlio, mentre calava la notte, con la fiaccola della speranza. Questa eterna speranza è l’atteggiamento cristiano più profondo; essa oltrepassa e sopravvanza le tre disposizioni che sono alla radice della esistenza umana puramente naturale, la tristezza, l’angoscia e la nausea. Noi come Maria, al di sopra di tutte le notti, guardiamo a Cristo; Egli non è solamente morto, Egli è anche risorto dai morti, è asceso al Cielo e un giorno Egli ritornerà per giudicare i vivi e i morti. Vi son Calvari, tanti e tetri; ma io credo anche nella risurrezione dei morti e nella vita eterna.

IL CREDO

Offertorium

Orémus.
Jer XVIII:20
Recordáre, Virgo, Mater Dei, dum stéteris in conspéctu Dómini, ut loquáris pro nobis bona, et ut avértat indignatiónem suam a nobis.

[Ricordati, o Vergine Madre di Dio, quando sarai al cospetto del Signore, di intercedere per noi presso Dio, perché distolga da noi la giusta sua collera].

Secreta

Offérimus tibi preces et hóstias, Dómine Jesu Christe, humiliter supplicántes: ut, qui Transfixiónem dulcíssimi spíritus beátæ Maríæ, Matris tuæ, précibus recensémus; suo suorúmque sub Cruce Sanctórum consórtium multiplicáto piíssimo intervéntu, méritis mortis tuæ, méritum cum beátis habeámus:
[Ti offriamo le preghiere e il sacrificio, o Signore Gesù Cristo. supplicandoti umilmente: a noi che celebriamo. in preghiera i dolori che hanno trafitto lo spirito dolcissimo della santissima tua Madre Maria, per i meriti della tua morte e per l’amorosa e continua intercessione di lei e dei santi che le erano accanto ai piedi della croce, concedi a noi di partecipare al premio dei beati:]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de Beata Maria Virgine

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Et te in Transfixióne beátæ Maríæ semper Vírginis collaudáre, benedícere et prædicáre. Quæ et Unigénitum tuum Sancti Spíritus obumbratióne concépit: et, virginitátis glória permanénte, lumen ætérnum mundo effúdit, Jesum Christum, Dóminum nostrum. Per quem majestátem tuam laudant Angeli, adórant Dominatiónes, tremunt Potestátes. Cæli cælorúmque Virtútes ac beáta Séraphim sócia exsultatióne concélebrant. Cum quibus et nostras voces ut admítti jubeas, deprecámur, súpplici confessióne dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: Te, nella Transfissione della Beata sempre Vergine Maria, lodiamo, benediciamo ed esaltiamo. La quale concepí il tuo Unigenito per opera dello Spirito Santo e, conservando la gloria della verginità, generò al mondo la luce eterna, Gesú Cristo nostro Signore. Per mezzo di Lui, la tua maestà lodano gli Angeli, adorano le Dominazioni e tremebonde le Potestà. I Cieli, le Virtú celesti e i beati Serafini la célebrano con unanime esultanza. Ti preghiamo di ammettere con le loro voci anche le nostre, mentre supplici confessiamo dicendo:]

Sanctus,

Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:
Pater noster
Pater noster, qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.

V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Felíces sensus beátæ Maríæ Vírginis, qui sine morte meruérunt martýrii palmam sub Cruce Dómini.

[Beata la Vergine Maria, che senza morire, ha meritato la palma del martirio presso la croce del Signore.]

Postcommunio

Orémus.
Sacrifícia, quæ súmpsimus, Dómine Jesu Christe, Transfixiónem Matris tuæ et Vírginis devóte celebrántes: nobis ímpetrent apud cleméntiam tuam omnis boni salutáris efféctum:
[O Signore Gesù Cristo, il sacrificio al quale abbiamo partecipato celebrando devotamente i dolori che hanno trafitto la vergine tua Madre, ci ottenga dalla tua clemenza il frutto di ogni bene per la salvezza:]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

FESTA DEL SS. NOME DI MARIA (2022)

FESTA DEL SS. NOME DI MARIA (2022)

Doppio magg. – Paramenti bianco

Questa festa fu istituita da Innocenzo XI in ricordo della vittoria riportata contro i Turchi sotto le mura di Vienna il 13 settembre 1683. La Messa esalta la grandezza e la potenza el Nome di Maria, al quale anche i grandi della terra chiedono aiuto e protezione (Intr. – Oraz.). Perfino l’Arcangelo Gabriele pronunziò questio nome con sommo rispetto e venerazione (Vang. – Offert.). Tu pure saluta ed invoca Maria in ogni bisogno della tua vita; parla spesso di Ella che ha promesso la vita eterna a chi illustrerà il suo Nome (Epist.)

[A, Mastrorigo: Messale romano quotidiano. Vicenza – Casa editrice Favero, 1953]

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

 V. Adjutórium nostrum ✠ in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.

Confíteor

… Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
M. Misereátur tui omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
S. Amen.
S. Indulgéntiam, ✠ absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Ps XLIV:13;15-16
Vultum tuum deprecabúntur omnes dívites plebis: adducéntur Regi Vírgines post eam: próximæ ejus adducéntur tibi in lætítia et exsultatióne.

Ps XLIV: 2
Eructávit cor meum verbum bonum: dico ego ópera mea Regi.

V. Glória Patri, et Fílio, et Spirítui Sancto.
R. Sicut erat in princípio, et nunc, et semper, et in sǽcula sæculórum. Amen.

Vultum tuum deprecabúntur omnes dívites plebis: adducéntur Regi Vírgines post eam: próximæ ejus adducéntur tibi in lætítia et exsultatióne.

[I ricchi del popolo implorano il tuo volto. Dal re sono introdotte le vergini con lei: le sue compagne ti sono portate con festevole esultanza.

Vibra nel mio cuore un ispirato pensiero, mentre al Sovrano canto il mio poema.

V. Gloria al Padre, e al Figlio, e allo Spirito Santo.
R. Come era nel principio e ora e sempre nei secoli dei secoli. Amen.

I ricchi del popolo implorano il tuo volto. Dal re sono introdotte le vergini con lei: le sue compagne ti sono portate con festevole esultanza].

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Orémus.

Concéde, quǽsumus, omnípotens Deus: ut fidéles tui, qui sub sanctíssimæ Vírginis Maríæ Nómine et protectióne lætántur; ejus pia intercessióne a cunctis malis liberéntur in terris, et ad gáudia ætérna perveníre mereántur in cœlis.
Per Dóminum nostrum Jesum Christum, Fílium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitáte Spíritus Sancti Deus, per ómnia sǽcula sæculórum.
R. Amen.

[Concedi benigno, o Dio onnipotente, che i tuoi fedeli, che si rallegrano del Nome e della protezione della Vergine Maria, per la sua protezione, siano liberati da ogni male in terra e meritino di pervenire ai gaudi eterni in cielo.]

Lectio

Léctio libri Sapiéntiæ.
Eccli 24:23-31
Ego quasi vitis fructificávi suavitátem odóris: et flores mei fructus honóris et honestátis. Ego mater pulchræ dilectiónis et timóris et agnitiónis et sanctæ spei. In me grátia omnis viæ et veritátis: in me omnis spes vitæ et virtútis. Transíte ad me, omnes qui concupíscitis me, et a generatiónibus meis implémini. Spíritus enim meus super mel dulcis, et heréditas mea super mel et favum. Memória mea in generatiónes sæculórum. Qui edunt me, adhuc esúrient: et qui bibunt me, adhuc sítient. Qui audit me, non confundétur: et qui operántur in me, non peccábunt. Qui elúcidant me, vitam ætérnam habébunt.
R. Deo grátias.

[Come una vite, io produssi pàmpini di odore soave, e i miei fiori diedero frutti di gloria e di ricchezza. Io sono la madre del bell’amore, del timore, della conoscenza e della santa speranza. In me si trova ogni grazia di dottrina e di verità, in me ogni speranza di vita e di virtù. Venite a me, voi tutti che mi desiderate, e dei miei frutti saziatevi. Poiché il mio spirito è più dolce del miele, e la mia eredità più dolce di un favo di miele. Il mio ricordo rimarrà per volger di secoli. Chi mangia di me, avrà ancor fame; chi beve di me, avrà ancor sete. Chi mi ascolta, non patirà vergogna; chi agisce con me, non peccherà; chi mi fa conoscere, avrà la vita eterna].

Graduale

Benedícta et venerábilis es, Virgo María: quæ sine tactu pudóris invénta es Mater Salvatóris.
V. Virgo, Dei Génitrix, quem totus non capit orbis, in tua se clausit víscera factus homo. Allelúja, allelúja.
V. Post partum, Virgo, invioláta permansísti: Dei Génitrix, intercéde pro nobis. Allelúja.

[Tu sei benedetta e venerabile, o Vergine Maria, che senza offesa del pudore sei diventata la Madre del Salvatore.
V. O Vergine Madre di Dio, nel tuo seno, fattosi uomo, si rinchiuse Colui che l’universo non può contenere. Allelúia, allelúia.
V. O Vergine, anche dopo il parto tu rimanesti inviolata; o Madre di Dio, prega per noi. Alleluia].

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Lucam.
R. Glória tibi, Dómine.
Luc 1:26-38
In illo témpore: Missus est Angelus Gábriel a Deo in civitátem Galilææ, cui nomen Názareth, ad Vírginem desponsátam viro, cui nomen erat Joseph, de domo David, et nomen Vírginis María. Et ingréssus Angelus ad eam, dixit: Ave, grátia plena; Dóminus tecum: benedícta tu in muliéribus. Quæ cum audísset, turbáta est in sermóne ejus: et cogitábat, qualis esset ista salutátio. Et ait Angelus ei: Ne tímeas, María, invenísti enim grátiam apud Deum: ecce, concípies in útero et páries fílium, et vocábis nomen ejus Jesum. Hic erit magnus, et Fílius Altíssimi vocábitur, et dabit illi Dóminus Deus sedem David, patris ejus: et regnábit in domo Jacob in ætérnum, et regni ejus non erit finis. Dixit autem María ad Angelum: Quómodo fiet istud, quóniam virum non cognósco? Et respóndens Angelus, dixit ei: Spíritus Sanctus supervéniet in te, et virtus Altíssimi obumbrábit tibi. Ideóque et quod nascétur ex te Sanctum, vocábitur Fílius Dei. Et ecce, Elisabeth, cognáta tua, et ipsa concépit fílium in senectúte sua: et hic mensis sextus est illi, quæ vocátur stérilis: quia non erit impossíbile apud Deum omne verbum. Dixit autem María: Ecce ancílla Dómini, fiat mihi secúndum verbum tuum.

[In quel tempo, l’angelo Gabriele fu inviato da Dio in una città della Galilea, di nome Nazareth, ad una vergine sposa di un uomo di nome Giuseppe, della stirpe di Davide; e il nome della vergine era Maria. L’angelo, entrando da lei, disse: «Ave, piena di grazia; il Signore è con te; tu sei benedetta fra le donne». Mentre l’udiva, fu turbata alle sue parole, e si domandava cosa significasse quel saluto. E l’angelo le disse: «Non temere, Maria, poiché hai trovato grazia presso Dio. Ecco, concepirai nel tuo seno e partorirai un figlio, e gli porrai nome Gesù. Egli sarà grande e sarà chiamato Figlio dell’Altissimo, e il Signore Iddio gli darà il trono di Davide, suo padre: e regnerà sulla casa di Giacobbe in eterno, e il suo regno non avrà fine». Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». L ‘angelo le rispose, dicendo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’ Altissimo ti coprirà della sua ombra. Per questo il Santo, che nascerà da te, sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, ha concepito anch’essa un figlio nella sua vecchiaia ed è già al sesto mese, lei che era detta sterile: poiché niente è impossibile a Dio ». Allora Maria disse: « Ecco la serva del Signore: sia fatto a me secondo la tua parola ».

Omelia

(Otto Hophan: MARIA; Trad. G. Scattolon, Imprim.Treviso 1953. Marietti ed. Torino, 1955).

Maria

Una colomba candida dall’eternità di Dio spiccò il suo volo nell’angusta vastità dei terreni millenni, lungo il succedersi delle umane generazioni e sopra le profondità dei cuori umani, la colomba volò e volò e, come quella di Noè, cercò una terra risparmiata dai flutti ed un ramo di olivo verdeggiante; non riposò nel suo volo, finché non li ebbe trovati tutti e due. La candida colomba è lo Spirito Santo di Dio, il ramo di olivo verdeggiante su terra non tocca è Maria. Maria! Il suo nome ci è familiare come il nome di mamma nostra e come le campane della patria e come le candide vette dei nostri monti, che in maestà salutano le sottostanti vallate. Maria! Mille volte abbiam ripetuto questo nome nella preghiera, nel canto, nel pianto, nei giorni lieti e tristi. Mille donne prendono nome dalla Benedetta. Nessun nome fra il popolo cattolico torna più frequente e più amato; esso intesse fili d’oro anche intorno alla più semplice donnetta. Maria! Nell’oscurità della vita e della morte voglio appoggiarmi a questo nome; esso è la promettente aurora, che annunzia il sorgere del sole, Gesù, nel Vangelo e nell’anima. Ti saluto, o Maria! Una folta edera di interpretazioni — sino a settanta! — si è attorcigliata al nome di Maria; quasi tutte però hanno avuto origine più dalla devozione che dalla conoscenza delle lingue. Probabilmente il nome di Maria risale al patrimonio linguistico egiziano: la sorella di Mosè e di Aronne, nata come i due fratelli in Egitto, è l’unica fra tutte le donne ricordate nel Vecchio Testamento che porti il nome Maria. Lo possiamo far derivare dalla radice egiziana “mr = amare” e da “Jam = Jahu (Jahve) ”, così da significare “Mirjam” l’amante di Dio o l’amata da Dio. Quando visse la beatissima Vergine, questo senso originario non era forse più evidente per la cultura del popolo israelitico; in quel tempo era più comodo spiegare “ Maria” con “màròm” = l’augusta, la sublime, interpretazione che corrisponde alle nostre espressioni “Madonna” “Notre Dame”, “Unsere liebe Frau”. «Nomen est omen — ogni denominazione ha la sua importanza », sin dai tempi di Adamo”. Quando i genitori imposero il nome Maria alla piccola Bambina, non sapevano che così esprimevano in modo eccellente la natura e la missione di quella creaturina, poiché non v’è persona che come Maria sia “amata da Dio” e come Lei sia “Donna eccelsa, cara” e Signora dell’umanità. Nel Nuovo Testamento sono ricordate anche altre Marie, ma, a differenza della Madre di Dio, esse non son dette nella versione greca ‘“ Mariam ”, bensì “Maria”, certamente per esplicita intenzione degli Evangelisti, che vollero riservare solo alla Benedetta la forma del nome di Maria, veneranda per antichità, come lo aveva portato la sorella di Mosè. Prevista! Il nome della beatissima Vergine splende nel Vangelo per la primissima volta alla fine di quella lunga serie di generazioni del Vecchio Testamento, che Matteo adduce come “albero genealogico di Gesù Cristo” nel primo capitolo del suo Vangelo: « Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda », e così continua per tre gruppi di quattordici generazioni ciascuno, sino che alla fine rifulge mite il nome di Maria come una luce finale di quella serie di generazioni veterotestamentarie: «…. Giacobbe generò Giuseppe, lo Sposo di Maria, dalla quale nacque Gesù, che è detto il Cristo ». Non è un caso fortuito, ma superiore disposizione che ci si faccia incontro per la prima volta il nome di Maria proprio qui, all’estremo lembo dell’Antico Testamento; i vincoli fra quella storia e Maria sono intimi e vari: quelle generazioni elencate da Matteo, vigorose e principesche alle origini, gravi, stanche, oscurate ed incomprese verso il tramonto, quali vigili che nella notte attendono la prima leggera luce, hanno spiato questa sublime Signora, e questa amata Signora con molte parole e immagini han previsto e predetto. Sino dalle prime pagine della Scrittura risuona Maria quale una canzone da terra lontana. Dopo il primo fallo, quando il Signore Iddio dovette scagliare la prima maledizione contro la sua recente e bella creazione, la maledizione contro il serpente seduttore che aveva tratto in inganno riguardo al paradiso la prima coppia umana, allora, nella tragedia e nel lutto di quell’istante, risuonò pure una prima melodia confortatrice: « Allora il Signore Iddio apostrofò il serpente:… Porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua schiatta e la schiatta di Lei. Essa ti schiaccerà il capo, mentre tu non le ferirai che il calcagno ». La lotta fra l’umanità e il serpente, iniziatasi già nel paradiso, prenderà un giorno una piega favorevole all’umanità, verrà giorno in cui un discendente di quella prima misera donna, che soccombette al serpente, lo vincerà pienamente; non è rivelato ancora chi sarà questo trionfatore del serpente, alla luce però del compimento della profezia sappiamo che è Cristo; Egli stesso infatti disse immediatamente prima della sua passione: « Adesso il principe di questo mondo è cacciato fuori ». Nella passione Cristo ha vinto il demonio e in essa Egli è stato anche “ferito” da quel maligno, e proprio alla lettera, “al calcagno”, ché i suoi piedi sono stati trafitti. Accanto alla Croce sta una donna, Maria; l’inimicizia fra questa “Donna” e il serpente è dura come il diamante, assoluta, implacabile, inestinguibile e non affatto paragonabile con la opposizione compiacente di Eva di fronte al seduttore. Col Figlio suo e grazie al Figlio suo, può anch’Ella affermare: « Il principe di questo mondo non può nulla contro di me »; Lei è la Donna, che è nemica del serpente molto più decisamente che non ogni altra. Giustamente, quindi, i Dottori della Chiesa, sin dai primi tempi, hanno colto in quella antichissima espressione biblica l’intonazione del cantico a Maria. Persino l’antica traduzione latina della Bibbia, la Volgata, legge: « Ella ti schiaccerà la testa »; “Ella” invece di “Egli”, come propriamente si legge nel testo originale; la Chiesa quindi esprime la sua fede nella inesorabile e vittoriosa inimicizia anche di Maria contro il demonio. – Pio IX nella proclamazione della verità dell’Immacolata Concezione riferisce questo testo scritturistico, riguardante Cristo, anche a Maria, scrivendo: « Come Cristo, il mediatore fra Dio e gli uomini… cancellò il chirografo avverso a noi e lo inchiodò alla croce vittoriosamente, così in pari tempo la beatissima Vergine, con Lui e per mezzo di Lui, stritolò con immacolato piede il capo al velenoso serpente, cui La oppone eterna inimicizia, riportandone pieno trionfo ». La prima immagine di Maria delineataci dalla Sacra Scrittura è vigorosa, combattiva: è la Donna in veste di nemica trionfatrice del serpente! Come è consolante per noi questa minaccia contro il nostro più rabbioso nemico! –  Delicata e anche molto più chiara è la seconda immagine di Maria offertaci dal Vecchio Testamento, abbozzata già nell’ottavo secolo prima di Cristo da Isaia, il più grande dei Profeti del popolo eletto: Maria, la Vergine-Madre. « L’Onnipotente stesso vi darà un segno: ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio e gli imporrà il nome di Emmanuele ». Isaia disse queste parole profetiche al re Achaz, che in mentita pietà verso Iddio non voleva nessun “segno” per la sua imminente battaglia con i re nemici, sotto pretesto « di non tentare il Signore »; fu allora che Iddio stesso gli impose un “segno”, un segno inaspettato e singolare: una donna gravida e partoriente che è nello stesso tempo “almàh”, che significa “vergine”. Nel vangelo di Matteo l’Angelo dell’Incarnazione rinvia esplicitamente l’esitante Giuseppe a questo testo profetico di Isaia, che s’adempiva nella sua Sposa: « Giuseppe, figlio di David, non temere di accogliere presso di te Maria, la tua sposa, perché quello che ha concepito è dallo Spirito Santo…”. Tutto questo è avvenuto perché si adempisse quello che era stato detto dal Signore per mezzo del Profeta:  “Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio, e gli si imporrà il nome di Emmanuele, che significa Iddio con noi”».  Maria è la “ha almàh ”, la vergine. Che questo ebraico “ ‘almàh ” risuonasse all’orecchio dell’amabile poeta e monaco Germano lo Zoppo a Reichenau (7 1054), quando diede inizio a un bellissimo Inno in onore di Maria con le parole: « Alma Redemptoris Mater — augusta Madre del Redentore »? Con la profezia di Isaia l’Antico Testamento ha già presagito e predetto di Maria i doni più eccelsi, i suoi due privilegi essenziali, quello più soave e quello più augusto, la verginità e la divina maternità, poiché il Bambinello che Ella partorisce è “Emmanuele — Iddio con noi”. E qualche cos’altro ancora di giocondo si cela nell’aurea profondità di questo vaticinio: quale importanza non avrà Maria per l’umanità, se Iddio stesso, fra tutte le dimostrazioni possibili della sua onnipotenza « nelle profondità o nelle altezze », sceglie qual suo “segno” per l’umanità la Vergine-Madre! Nel Vecchio Testamento ricorre anche una terza parola profetica riferentesi a Maria, un passo del profeta Michea. È breve, eppure corona d’un’ultima aureola l’immagine di Maria delineataci nel Vecchio Testamento. Nella tribolazione del suo popolo Michea grida le profetiche parole: « Ma tu, Betlemme in Efrata, la minima fra i distretti di Giuda, da te Mi uscirà Colui, che sarà il dominatore in Israele. La sua origine è dal principio dei giorni dell’eternità. Per questo Egli li abbandonerà sino al tempo, nel quale la partoriente partorirà. Allora le reliquie de suoi fratelli ritorneranno ai figli di Israele. Egli si stabilirà e dominerà con la potenza del Signore… Abiteranno allora sicuri; Egli starà grande e sarà la salvezza » (Mi. V.,1 seg.). Questo misterioso vaticinio, cui d’intorno aleggia eternità, colloca Maria accanto al Dominatore e Salvatore del mondo; ivi abbiamo un primo sommesso accenno al posto regale di Maria, “la partoriente”, a fianco di Colui che « dominerà con la potenza del Signore ». Nemica del serpente, vergine-madre, genitrice del Dominatore del mondo: con queste poche parole il Vecchio Testamento ha espresso profondi presagi riguardo a Maria. Ma queste tre profezie così parche non dicon tutto quello che l’Antico Testamento annunzia di Lei; dalle venerande torri delle Scritture veterotestamentarie pendono silenti molte campane, che al nome di Maria emettono note soavi. Nel libro dei Proverbi, ad esempio — la Chiesa usa il brano come lettura nella festa della Concezione di Maria e della sua nascita —, leggiamo: « Il Signore mi ebbe con sé dall’inizio delle sue imprese, prima che facesse cosa alcuna, da principio. Ab æterno sono stata costituita, anteriormente alla formazione della terra. Io già era generata e gli oceani non esistevano e le fonti delle acque non scaturivano ancora, né i monti ancora si ergevano sulla loro grave mole; prima dei colli io fui generata… Quando gettava i fondamenti della terra, io Gli ero a fianco plasmatrice… Mi trastullavo dinanzi a Lui continuamente, mi trastullavo nel cerchio della terra, e le mie delizie eran starmene con i figli degli uomini » (VIII, 22-35). Queste parole direttamente convengono al Verbo, alla Sapienza personale di Dio, che fatto uomo pose la sua tenda fra gli uomini; ma frattanto lo Spirito Santo non avrà avuto dinanzi in questo testo, come in un gioco d’amore, anche Maria? – Nella festa della Visitazione di Maria, in questo giorno tutto fragranza e intimità, quando la Benedetta si affrettò a recarsi alla regione montana, il sole sul volto e i fiori e il vento sui capelli inanellati, la Chiesa chiede a prestito al Cantico dei Cantici le parole: « Sorgi, affrettati, amica mia, colomba mia, bella mia, e vieni! Perché, ecco, l’inverno è passato, è cessata la pioggia e se n’è andata; i fiori son riapparsi sulla nostra terra… I vigneti in fiore spandono il loro profumo. Sorgi dunque, amica mia, vieni, bella mia! Colomba nei crepacci della rupe, celata nei dirupi, fammi vedere il tuo viso, fammi sentire la tua voce! Perché soave è la tua voce, delizioso il tuo viso » (II, 8-14). Da capo, si pensa che lo Spirito Santo abbia qui eseguito, secoli prima, una melodia in onore della Beatissima Vergine, anzi tutto il Cantico dei Cantici, infuocata canzone di amore fra fidanzati e sposi, ha avuto il suo sublime compimento in Maria, la Madre e la Sposa dell’eterna Parola. Nella festa della Maternità di Maria la Chiesa coglie la sua lettura nel giardino del libro di Gesù, figlio di Sirach, e noi dobbiamo nuovamente ammirare come queste antiche espressioni adornano in modo tanto appropriato Maria, quasi siano state scelte per Lei già molto tempo prima: « Io uscii dalla bocca dell’Altissimo… Sulle altezze eressi la mia tenda… L’orbita del cielo percorsi io sola… Presso ogni popolo, in ogni tribù cercai una dimora… Allora mi comandò il Creatore di tutte le cose, e Quegli che mi creò mi diede una stabile dimora. Diss’Egli: “Drizza la tua tenda in Giacobbe, in Israele procurati un’eredità”… Come una vite feci sbocciare soavità di profumo e i miei fiori germogliarono vaghi e belli. Io son la madre del bell’amore, del timore e della scienza e della santa speranza. In me è la grazia di ogni via e di ogni verità, in me è tutta la speranza di vita e di virtù. Venite a me, o voi tutti che mi desiderate, e saziatevi de’ miei frutti» (Eccl. XXIV). Questi tratti del Vecchio Testamento e molti altri ancora — incontreremo i significativi versi del Salmo XLIV nell’ultimo capitolo — valgono direttamente per Gesù, che è il sublime termine di tutta la Sacra Scrittura, non per Maria; essi ebbero “ compimento ” in Gesù; non possono quindi queste frasi bibliche essere addotte come prove a se stanti per Maria; pure la loro applicazione alla Vergine non è un pio giochetto soltanto, è invece intimamente fondata. Per questo la Liturgia e i Dottori della Chiesa non hanno esitato ad interpretare molte parole del Vecchio Testamento anche di Maria, il che conferisce ad esse di nuovo un peso particolare. Maria, infatti, sta in stretta armonia col suo Figlio; quando dunque nelle Scritture Sante risuona il potente accordo Gesù, entra nel concerto anche l’arpa deliziosa, Maria. Il Vecchio Testamento quindi, possente preludio del futuro e sublime Redentore, è ricco di segrete armonie mariane, che un cuore amante può ascoltando cogliere facilmente. Possiamo completare la stessa considerazione con un’altra immagine. Vi sono nel Vecchio Testamento numerose pre-figure, tipi, che in santa televisione fan vedere in anticipo persone e avvenimenti. La Sacra Scrittura stessa riguardo a Cristo rinvia ripetutamente ai tipi dell’Antico Testamento; Adamo, Melchisedech, Isacco, il serpente di bronzo, David, Giona e molti altri ancora furono contemplazioni di Cristo da lontano, televisioni di Cristo. – Nel Vecchio Testamento vi son pure televisioni di Maria, che l’attento e pio senso della Chiesa ha percepite per tempo. Maria è il giardino del paradiso, nel quale fiorisce l’albero della vita; Maria è l’arca di Noè, che sta alta sui flutti del diluvio; Maria è la colomba col ramo di olivo, che annunzia al mondo la pace; Maria è la scala di Giacobbe, per la quale Iddio scese in terra; Maria è il roveto ardente, che circondato dal fuoco non brucia; Maria è l’arca dell’alleanza, sulla quale riposa la maestà di Dio; Maria è il santo tabernacolo, nel quale troneggia Iddio stesso; Maria è la suppellettile aurea, sacra unicamente al servizio di Dio; Maria è la città di Sion, fabbricata sul monte santo, Maria è il tempio del Signore, più prezioso di quello di Salomone. Maria è il vello di Gedeone, irrorato dalla grazia, preservato da macchia; Maria è la nuvoletta dal mare, che dissigillò il torrente della misericordia; Maria è il giardino chiuso, nel quale nessuno può metter piede se non il Signore solo; Maria è la torre robusta dalla quale risplendono mille scudi. Quanta parte occupa Maria già nella lontana visione del Vecchio Testamento! – Le Litanie Lauretane riflettono nelle loro invocazioni parecchie di queste figure: « Sede della Sapienza », « Vaso spirituale », «Vaso degno d’onore », « Vaso insigne di devozione », « Rosa mistica », «Torre di David», «Torre d’avorio », « Casa d’oro », « Arca dell’Alleanza », « Porta del Cielo ». – Maria, per seguire un raffronto che è vecchio quanto il Cristianesimo stesso, è la vera Eva, la Madre dei viventi; Maria è la coraggiosa Giuditta, che superò il nemico di Dio; Maria è l’avvenente Ester, che gode sempre dell’accesso al Re. Veramente nel Vecchio Testamento già si avvera quanto canta il pio poeta protestante Novalis: « Ti veggo in mille immagini, Maria, graziosamente espressa e dolce e pura, pur nessuna fra tutte Ti figura qual intender Ti può l’anima mia ». – Preparata! L’annoso albero, fra i cui rami v’è misterioso stormir di Maria, ha fornita alla Vergine anche l’origine. Ella sta alla fine di quelle lunghe generazioni, è il frutto più squisito e regale dell’umanità precristiana. Quelle generazioni giunsero a maturare in Maria, il loro ultimo significato e la loro più intensa aspirazione han trovato compimento in Lei, poiché « da Lei nacque Gesù, che è detto il Cristo ». Maria è emersa dal fiume di sangue, che scorse attraverso Abramo, Giacobbe, Giuda, David, sì che il popolo israelitico non Le ha intessuto soltanto una immagine spirituale, ma anche la veste corporea; sia pure la sua dignità al di sopra del creato, Lei stessa non è una creazione eterea, dal cielo per caso libratasi quaggiù; Ella è sangue da quel sangue, figlia di quel popolo e vincolata in venerazione e fedeltà a quelle generazioni, alle quali deve il suo essere. Maria, secondo l’accenno dell’Evangelista stesso, dev’esser vista insieme con quelle generazioni; Ella non appartiene solo al Nuovo Testamento; è vero, è la prima del Nuovo Testamento, la prima cristiana; però è anche — già nel primo capitolo del Vangelo Ella annunzia la sua comunanza col popolo di Dio prima e dopo Cristo — il frutto più delicato dell’Antico Testamento, la perfetta donna israelita, la figlia di David, di Abramo, di Adamo. Maria… la figlia di David. La genealogia di Matteo presenta direttamente gli antenati di Giuseppe, non quelli di Maria; all’Evangelista infatti stava a cuore di provare subito, sin dall’inizio del Vangelo, ai suoi lettori giudeo-cristiani l’origine davidica di Gesù: solo se Gesù aveva per antenato David i Giudei potevano discutere se in linea di massima Egli fosse il Messia; a David infatti era stata fatta la profezia che un frutto delle sue viscere avrebbe posseduto in eterno il trono di Israele; ora i Giudei potevano ritenere Gesù quale “figlio di David” soltanto se suo “padre” Giuseppe discendeva dalla stirpe di David. Per questo Matteo fu costretto a proporre l’albero genealogico di Giuseppe, padre legale di Gesù, quale prova dell’origine di Lui da David; presso gli Ebrei la parentela e persino la paternità non si fondavano solo sul sangue, ma anche sul titolo giuridico. Non si tessevano genealogie per le donne, almeno dalla Sacra Scrittura non se ne può dedurre nessun esempio; però anche Maria per conto suo era una figlia di David. Paolo infatti sottolinea che Gesù « secondo la carne » — non dunque solo secondo una discendenza legale! — « è figlio di David », ma « secondo la carne » Gesù poteva risalire a David solo per mezzo di Maria, sua Madre fisica, perché Giuseppe non era padre di Gesù « secondo la carne », ma solo secondo la legge; anche Maria quindi doveva essere figlia di David; del resto, almeno sino a David, gli antenati di Giuseppe son pure gli antenati di Maria. « Noi riteniamo che Maria « discenda dalla stirpe di David », scrive Agostino, « perché crediamo alle critture; or due cose dicono le Scritture: che Cristo secondo la carne è del seme di David, e che sua Madre Maria era una vergine, che non ebbe relazioni con nessun uomo ». I Vangeli stessi del resto alludono all’origine davidica di Maria in vari luoghi. Nel racconto, per esempio, dell’Annunciazione si dice: « Nel mese sesto l’Angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine fidanzata a un uomo di nome Giuseppe, della casa di David »; questo inciso « della casa di David » può riferirsi a Giuseppe, ma può ben, e più probabilmente, riferirsi anche a Maria, perché Lei è qui la protagonista del racconto. E questa impressione è confermata dal seguito del discorso angelico: « Il Signore Iddio Gli (a Gesù) darà il trono di David suo padre ». Anche l’altra circostanza notata dall’Evangelista: « Giuseppe ascese dalla Galilea, dalla città di Nazaret, in Giudea, alla città di David, chiamata Betlemme, perché era della casa e della famiglia di David, per farsi iscrivere insieme a Maria », fa pensare che Maria sia stata indotta ad ascendere a Betlemme per il censimento perché Lei pure « discendeva dalla casa e dalla famiglia di David ». A buon diritto quindi già nella prima epoca cristiana il martire Ignazio di Antiochia (f 107), il martire Giustino (f 165) sottolineavano che Maria era una figlia di David. Anzi l’antico profeta Isaia stesso richiamò l’attenzione sull’origine davidica della Vergine nel passo conosciuto: « Uscirà un pollone dalla radice di Jesse e un germoglio ascenderà dalla sua radice »; Jesse era padre di David. « Il Profeta », spiega Agostino, « dicendo “pollone”’ indica Maria la vergine, dicendo “germoglio dalla radice” indica il Figlio della Vergine, il Signore Gesù Cristo ». Perché questo lungo discorso per l’origine davidica di Maria? Perché aveva per Lei stessa una grande importanza. Ella manifesta sin dall’Annunciazione una regale riservatezza, prudenza, chiaroveggenza e magnanimità, e mai e poi mai si scopre traccia in Lei della minima scipitezza e affettazione. Donde in questa modesta fanciulla un portamento così elevato? Certamente dalla grazia; ma la grazia anche in Maria costruisce sopra la natura. Scorreva nelle sue vene sangue regale; per quanto la stirpe di David fosse divenuta nel corso dei secoli e povera e insignificante, in quella semplice fanciulla s’era conservata la regale nobiltà dei suoi lontani antenati. Quella fanciulla di stirpe regale fu scelta da Dio a Regina del Cielo e della terra: anche nel regno della grazia non si deve stimare da poco l’origine di una persona da una tribù e casa piuttosto che da un’altra. – Il nostro tempo crea e vuole e assiste il “proletario”, non l’aristocratico, e così il livello dello spirito e del cuore si è abbassato, in qualche luogo sino alla barbarie. Forse il compito sociale più importante consiste oggi nel risvegliare nuovamente nel così detto “proletario” l’elemento aristocratico, la sua nobiltà interiore, e dalle banalità o anche dalle volgarità elevarlo di nuovo alla regalità, alla coscienza cioè della sua dignità e del suo valore. Abramo fu scelto a capostipite del popolo di Dio, e per questo la Scrittura lo dice « principe di Dio», « amico di Dio », « prediletto di Dio », «servo di Dio ». A lui fu fatta la promessa: « Nel tuo seme saranno benedette tutte le genti della terra » . Maria è Colei, che partorì al mondo questa Benedizione. Ella, quindi, non è una qualunque fra le molte figlie di Abramo, ma di quell’eletto è la più eletta, il preziosissimo nocciolo di quel venerando guscio. Il Vangelo ci mette dinanzi quanto questa Figlia eletta sia stata degna di quell’eletto padre. Abramo fu l’uomo della fede eroica e di una tale dedizione a Dio, che fu pronto a offrire in sacrificio al Signore persino il suo unico figlio Isacco, sul quale riposava tutta la divina promessa. Ancor più grande di suo padre Abramo nella fede e nel sacrificio fu la sua figlia Maria: Lei pure, sostenuta dalla fede, accompagnò al luogo del sacrificio il suo Unigenito; ma a Lei non venne in aiuto nessun Angelo, che impedisse col suo comando l’uccisione: Ella dovette condurre a termine il sacrificio nella persona del suo unico e amato Figlio. Il quadro sarebbe degno d’un artista: Abramo e Maria, il canuto Patriarca con la sua benedetta Figlia; Abramo dovrebbe imporre le sue vecchie mani su questa Fanciulla per significare che le promesse a lui fatte si son adempiute in Lei; poi dovrebbe lentamente inginocchiarsi dinanzi a Maria e adorare in Lei, ostensorio vivente di Gesù, quel Sublime, che, come vero Melchisedech, offre a Dio pane santo e vino consacrato. Ancor più commovente, ancor più profondo è l’ultimo quadro: Maria… la figlia di Adamo. Le chiarissime parole del libro veterotestamentario della Sapienza riguardanti l’umana esistenza valgono anche per Maria: «Sono anch’io un uomo mortale al pari di tutti, e rampollo di colui che primo fu plasmato di terra. Nel seno di mia madre fui formato uomo, nello spazio di dieci mesi coagulato in sangue per virtù di uomo, secondo il piacere sensibile. Anch’io, nato che fui, respirai l’aria comune, e caddi sulla medesima terra di tutti gli altri, e la prima voce emessa, come quella di tutti, fu un vagito. Fui nutrito in fasce e con grandi cure. Nessun re ebbe altro principio del suo essere, ma tutti hanno lo stesso ingresso alla vita come anche uguale l’uscita ». Maria non fu una fanciulla favolosa, deposta su questa terra da un altro mondo; la sua origine umana è uguale alla nostra: non fu generata dai suoi genitori in modo miracoloso o addirittura senza uso del matrimonio, come van favoleggiando graziose leggende; il Mistero del suo immacolato concepimento e anche quello della virginale concezione di Gesù non han nulla da che vedere con questo fatto umano, come talora pensano delle anime pie. Maria, come ne fan cenno Matteo e Luca nelle genealogie, sta nella stessa fila con noi, anche Lei è un membro di quella lunga catena, che comincia col primo uomo; Adamo è suo padre e la povera Eva è sua madre. Maria è così perfettamente figlia di Adamo, che il Figlio di Dio per mezzo di Lei e solo per mezzo di Lei divenne pure Figlio dell’uomo; solo per mezzo di Lei la seconda Persona divina fece ingresso nella stirpe umana, per mezzo di Maria soltanto. Il Verbo eterno di Dio non ebbe nessun padre umano che Lo potesse congiungere con Adamo; anello di congiunzione col nostro progenitore fu per il Verbo Maria; Ella introdusse quell’augusto divino Germoglio nella nostra stirpe; senza Maria Gesù non sarebbe affatto in relazione con Adamo, non sarebbe uno di noi, sarebbe al di fuori della nostra schiatta. D’altra parte, questo collegamento con Adamo fu per la redenzione del genere umano estremamente significativo e prezioso: il Figlio di Dio assunse la natura umana per strapparla al peccato e ricondurla alla grazia; come il medico deve entrare dagli ammalati, così e ancor più volle il Redentore entrare, penetrare nella discendenza ammalata di Adamo per poterla risanare sin dalla sua radice. Nessuna minaccia per Lui stesso, nessuna infezione rendeva pericoloso questo suo ingresso; Gesù è il Santo, il Figlio di Dio per natura; Egli, qual nuova creazione, fu miracolosamente plasmato in Maria dallo Spirito Santo. Ma come van le cose per Lei? Ella infatti è una figlia di Adamo, sangue del suo sangue, e lo dovette essere proprio a motivo di Gesù stesso; ora il torrente di questo sangue, cui Lei deve la sua origine, è avvelenato nella Sua stessa sorgente, in Adamo ed Eva: potrà mai essere che non venga travolta in questo vortice intorbidato? Quanto il peccato abbia reso pesante il torrente del sangue umano da Adamo in poi lo prova, e non senza sconcertare, quella genealogia, che sfocia ansiosa nei sublimi nomi di Maria e di Gesù. Perché veramente in quei gruppi di generazioni non sfilano soltanto venerandi Patriarchi, nobili re e santi sacerdoti; non v’è anzi vizio, non v’è crimine, che non abbia insudiciato quel succedersi di generazioni. Persino i più eletti fra quei personaggi — Abramo, Giacobbe, Giuda, David — pagarono un grosso contributo al peccato; e questo vale in modo speciale per le donne che quell’albero genealogico ricorda; rimase sorpreso lo stesso Girolamo, così competente in campo biblico, che la tavola genealogica di Matteo non nomini nessuna delle nobili donne d’Israele — non Sara, non Rebecca, non Rachele —, e invece ricordi Tamar, che commise incesto col proprio suocero Giuda; Rahab, che era una nota meretrice; Ruth, che non apparteneva al popolo eletto; la moglie di Uria, come Matteo stesso scrive con pudica riservatezza a causa del delitto che perpetrò David commettendo adulterio con Betsabea, il cui sposo egli fece poi vilmente uccidere. Che vi è mai in Maria di comune con questa società, perché il suo nome quale astro errante risplenda su quelle torbide generazioni? Noi solleveremmo dei gravi dubbi per un uomo, che ereditariamente fosse gravato di così triste carico. Maria discende da questo sangue curvo sotto la maledizione; David, Giuda, Giacobbe sono i suoi progenitori; Tamar, Rahab, Ruth, Betsabea son le sue progenitrici. Eva, l’infelice madre, abbraccia piangente la più eletta delle sue creature e le confessa la propria colpa; e Adamo tace e piange, perché non può trasmettere alla più nobile delle sue figlie se non un’eredità macchiata. Maria è intrecciata alla generazione di Adamo; come potrà sfuggire al suo destino? La radice è malata: avvizziranno anche i rami; la sorgente è inquinata: tutte le acque saran contaminate… A questo punto però avvenne qualche cosa; proprio qui, alle origini di Maria, capitò qualche cosa: all’oscura ombra della sua genealogia sbocciò un giglio; a questo primo e importante capitolo del Vangelo si appoggia il suo primo soave Mistero, siccome un delicato fiore a una frana, che s’è arrestata improvvisamente dinanzi ad esso: un fiore tutto bianco, un fiore tutto miracolo, il fiore della sua Immacolata Concezione.

IL CREDO

Offertorium

Orémus.
Luc 1:28; 1:42
Ave, María, grátia plena; Dóminus tecum: benedícta tu in muliéribus, et benedíctus fructus ventris tui.

Secreta

Tua, Dómine, propitiatióne, et beátæ Maríæ semper Vírginis intercessióne, ad perpétuam atque præséntem hæc oblátio nobis profíciat prosperitátem et pacem.
[Per la tua clemenza, Signore, e per l’intercessione della beata vergine Maria, l’offerta di questo sacrificio giovi alla nostra prosperità e pace nella vita presente e nella futura].

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de Beata Maria Virgine

…. Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Et te in Festivitáte beátæ Maríæ semper Vírginis collaudáre, benedícere et prædicáre. Quæ et Unigénitum tuum Sancti Spíritus obumbratióne concépit: et, virginitátis glória permanénte, lumen ætérnum mundo effúdit, Jesum Christum, Dóminum nostrum. Per quem majestátem tuam laudant Angeli, adórant Dominatiónes, tremunt Potestátes. Cæli cælorúmque Virtútes ac beáta Séraphim sócia exsultatióne concélebrant. Cum quibus et nostras voces ut admítti jubeas, deprecámur, súpplici confessióne dicéntes:
[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: Te, nella Festività della Beata sempre Vergine Maria, lodiamo, benediciamo ed esaltiamo. La quale concepí il tuo Unigenito per opera dello Spirito Santo e, conservando la gloria della verginità, generò al mondo la luce eterna, Gesú Cristo nostro Signore. Per mezzo di Lui, la tua maestà lodano gli Angeli, adorano le Dominazioni e tremebonde le Potestà. I Cieli, le Virtú celesti e i beati Serafini la célebrano con unanime esultanza. Ti preghiamo di ammettere con le loro voci anche le nostre, mentre supplici confessiamo dicendo:]


Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus:

Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster, qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei,

 qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Beáta víscera Maríæ Vírginis, quæ portavérunt ætérni Patris Fílium.

[Beato il seno della Vergine Maria, che portò il Figlio dell’eterno Padre].

Postcommunio

Orémus.
Sumptis, Dómine, salútis nostræ subsídiis: da, quǽsumus, beátæ Maríæ semper Vírginis patrocíniis nos úbique protegi; in cujus veneratióne hæc tuæ obtúlimus majestáti.
[Ricevuti i misteri della nostra salvezza, ti preghiamo, o Signore, di essere ovunque protetti dalla beata sempre vergine Maria, ad onore della quale abbiamo presentato alla tua maestà questo sacrificio].

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

8 Settembre (2022) FESTA DELLA NATIVITA’ DI MARIA SS.

(Giulio Monetti: la Sapienza cristiana, vol. II, U. T. E. T. Torino, 1949)

8 Settembre.

La festa della Natività di Maria SS. — Che sorriso di festa quello di Maria Bambina! — Che soavità di affetti non deve suscitare in tutti noi, ai quali questa Eletta di Dio divenne Madre — Provvidenza inesausta — Tenerezza consolatrice — Rifugio di tutte l’ore!

Maria Bambina, delizia degli uomini… — Prima nel seno di sua famiglia: — S. Gioachino e S. Anna l’attendevano da tanto tempo! — E quando alla fine se la videro in grembo sorridere vezzosa. gustarono momenti di Paradiso! — E dovette appresso sorridere altrettanto celestialmente anche alle sue compagne ed educatrici nel Tempio — a S. Giuseppe, suo Sposo immacolato alle pie donne seguaci di Gesù — agli Apostoli venienti a Lei per consiglio e soccorso e consolazione — ai fedeli della Chiesa primitiva, che ricorrevano a Lei come a Madre…

Maria Bambina, delizia degli Angeli. — La videro sino dal suo primo istante bella nell’anima oltre ogni altra creata bellezza — pura e santa oltre ogni loro comprendere:— come non amarla? — Come non deliziarsene? — Fu poi loro rivelato che era destinata a loro Regina — siccome Madre di Gesù, Divin Verbo Incarnato: — e le porsero giubilando i loro omaggi — offrendole tutti i loro servizi. — Davvero quella è una Natività annunziatrice di gioia a tutto il mondo — come canta l’odierna Liturgìa!

Maria Bambina, delizia dell’Altissimo… — Finalmente Iddio vedeva in Maria Bambina l’immagine propria scolpita nell’umana natura, non sfregiata dalla colpa! —La vedeva anzi sfavillare di sovrannaturale bellezza fino allora non raggiunta mai dalle creature — per l’immensità dei doni di grazia a lei partecipati — e per la sua corrispondenza ai medesimi pronta — e piena. — E la salutò Aurora del Sole di giustizia, che da Lei doveva nascere — Iride vaga di pace, che doveva inarcarsi tra Cielo e terra — Mediatrice agli uomini redenti di tutte le grazie!

6 Settembre (2022): inizio della NOVENA PER LA FESTA DEI DOLORI DELLA SS. VERGINE MARIA

6 Settembre, inizio della

NOVENA PER LA FESTA DEI DOLORI

(Venerdì di Passione e 15 Settembre)

(Giuseppe Riva: Manuale di Filotea, XXX Edizione, 1888, Milano- libr. edit. Serafino Majocchi)

La partecipazione di Maria alla passione di Cristo per cooperare con Lui all’universale Redenzione insinuò sempre come doverosissima una speciale devozione ai dolori per noi sofferti da questa divina Madre che Cristo medesimo dichiarò Madre nostra. Questa devozione però notabilmente aumentossi tra i fedeli dopo che i sette Beati Fondatori dell’Ordine dei Serviti, cioè Servi di Maria, fecero oggetto speciale del loro Ordine la propagazione del culto a Maria Addolorata, il che avvenne nel 1233. Quindi la Chiesa ne istituì una festa speciale nel Venerdì di Passione  e nella III Domenica di Settembre (poi 15 Settembre). La predilezione poi spiegata da Pio VII per questa devozione servì non poco a renderla sempre più cara a tutti i veri fedeli, siccome quella per la cui intercessione il Papa, dopo cinque anni d’esilio riuscì a tornare trionfante nella sua Roma, mentre il suo prepotente nemico Napoleone I era condannato  ad esiglio perpetuo in una lontanissima isola dell’Oceano, cioè S. Elena, il cui più vicino continente è distante non meno di 600 miglia, dove morì il 5 maggio 1821, mentre Pio VII continuò a regnare pacifico nella sua sede fino al 1823, dopo 23 anni e mezzi di gloriosissimo Pontificato.

[Il Pusillus grex cattolico è chiamato a sostenere oggi, con l’ausilio di questa novena ed invocando l’intervento e l’intercessione della Vergine, l’esilio del Sommo Pontefice S.S. Gregorio XVIII – ndr.].

I. Per quel sommo dolore che provaste, o gran Vergine, quando udiste l’amarissimo presagio che del vostro Figlio vi fece il santo vecchio Simeone, ottenete anche a noi di ricevere con ogni rassegnazione qualunque ancor e più triste annunzio, tutto riconoscendo da Dio a nostro maggior bene, e di consolare il vostro cuore coll’essere sempre non vostri persecutori, ma seguaci e adoratori fedeli del vostro Figlio Gesù. Ave

II. Per quel gran dolore che l’anima vi trafisse, o Maria, quando doveste fuggire in Egitto per sottrarre il vostro Figlio alla persecuzione di Erode, impetrate a noi pure di difendere e salvare l’onore dello stesso vostro Figlio, allorché lo vedessimo dai peccatori insultato e di vivere in mezzo alla gente non santa ed agli uomini iniqui, tra i quali ci trovassimo, con quella prudenza, esemplarità e religione con la quale anche Voi dimoraste tra gli Egiziani. Ave

III. Per quel dolore acerbissimo da cui foste travagliata, o Vergine santa, allorché al tempo della Pasqua, perdeste vostro Figlio, otteneteci di non perdere giammai, né col peccato, né colla tiepida vita, il divin vostro Bene che è pure il nostro; e se mai, per misera sorte lo perdessimo, di ricercarlo con quelle sante cure, vigilie e lacrime con cui lo cercaste Voi stessa, e così, a vostra imitazione, ci venga fatto di ritrovarlo. Ave

IV. Per quell’intenso dolore che il cuore vi oppresse, o Vergine pietosissima, nel presentarvi al vostro Figlio, quando, carico del doloroso legno, s’incamminava a morir sul Calvario, ottenete anche a noi di presentarci con viva fede, quando Egli a sé ci invita al grande memoriale di sua Passione, l’Eucaristia, e di usargli tutti quegli atti di tenerezza e di amor santo che Voi, in ogni circostanza usaste verso di Lui. Ave

V. Per quell’immenso dolore che il cuore vi inondò, o Regina dei Martiri, allorché vedeste tra mille spasimi e tormenti morir sulla croce in mezzo a due ladri il vostro dilettissimo Figlio, a noi pure impetrate di santamente affliggerci a sì tragico spettacolo, e di morire al peccato, per poter vivere una vita tutta nascosta e santa con Cristo in Dio. Ave

VI. Per quell’inesplicabil dolore che l’anima vi ferì ed impiagò mortalmente, o Vergine desolatissima, quando dalla croce vi fu deposto in seno l’esangue spoglia del vostro Unigenito, e conosceste quanti strazi e quante pene aveva Egli sofferto, a noi ancora ottenete di fermare spesso i nostri pensieri sul piagato e morto nostro divin Mediatore per poterci eccitare al più vivo dolore dei nostri peccati e al più acceso amore verso di Lui. Ave

VII. Per quel dolore amarissimo che quasi all’agonia vi ridusse, o Vergine inconsolabile, allorché doveste rendere a Nicodemo l’unico oggetto dei vostri amori, onde venisse imbalsamato e sepolto, fate che anche noi onoriamo continuamente il caro vostro Figlio coi preziosi aromi della penitenza e della mortificazione, e che, morti e consepolti con Gesù Cristo, risorgiamo con esso Lui a nuova vita di grazia per poter poi con Esso risorgere alla gloria immortale del Paradiso. Ave

Orazione

Æterne omnipotens Pater, qui Unigeniti Filii tui passioni dilectissima ejus Mater adstare voluisti, preces populorom tuorum popitiatus exaudi, et quos ad ipsius beatæ Mariæ virginis transfixionem devote recolendam evocasti, ejusdem gaudorium tribuas esse consortes, per eundem Dom…etc.

[Padre onnipotente ed eterno, che volesti sostenere la passione del tuo Figlio unigenito e della sua amata Madre, esaudisci propizio le preghiere del tuo popolo, e a coloro che hai chiamato a ricordare devotamente la trasfissione della beata Vergine Maria, concedi di poter condividere le stesse gioie. Per lo stesso nostro Signore … etc.]

NOVENA PER LA NATIVITÀ DI MARIA

NOVENA PER LA NATIVITÀ DI MARIA

(Inizio 30 agosto, festa l’8 settembre).

(Manuale di Filotea, XXX Ed. – Milano, 1888)

La festa fu ordinata da Sergio I nel 688 per ottenere, come ottenne, coll’intercessione di Maria:

1) di essere liberato dalle inique vessazioni dell’imperatore Giustiniano II, il quale voleva sostenere come ecumenico il Concilio Trullano o Quinisesto, tenuto dai Greci in Costantinopoli, malgrado la costante disapprovazione del Papa, il quale perciò né vi spedì i propri legati, né volle mai approvarne i canoni;

2) di riconciliare con la Chiesa romana il Patriarcato di Aquileia in Istria, che si ostinava a non riconoscere come legittimo il V Concilio Ecumenico, in cui si erano condannati e tre eretici libri di Teodoreto, Teodoro di Mopouesta ed Iba, denominati i Tre Capitoli.

I. Vergine singolarissima, che, nascendo a questa vita, la pace annunciaste agli afflitti mortali, ottenete la vera pace ai nostri cuori, alla Chiesa e a tutto il mondo. Ave

II. Vergine invitta, che sin dal vostro nascimento cominciaste ad abbattere il regno del demonio, impetrate anche a noi tutti di distruggere in noi le opere sue e di resistergli sempre con viva fede, affinché possa in noie con noi regnare Gesù Cristo. Ave

III. Vergine intatta, che nasceste e viveste sempre più pura de’ cieli e degli Angeli, fate che anche noi da qui in avanti conduciamo sempre una vita tutta illibata e propria del Cristiano. Ave

IV. Vergine celestiale, che veniste al mondo non per essere del mondo, ma per trionfarne compitamente: impetrate anche a noi di viverne affatto staccati, conformandoci sempre alle massime del sacrosanto Vangelo. Ave …

V. Vergine gloriosa, che nasceste per essere trionfatrice di tutte le eresie che fossero insorte nel mondo, dissipate col vostro potere tutti gli errori contrari alla nostra SS. Religione, e conservate viva in noi quella fede che opera per mezzo della carità. Ave

VI. Vergine Santissima, che non altro appariste al mondo che per essere specchio tersissimo d’ogni virtù, , fate che a Voi teniamo sempre rivolti gli occhi nostri per poter imitare le virtuose vostre operazioni, e divenire santi ancora noi. Ave

VII. Vergine felicissima, cui Dio fece nascere al solo fine di diventare la nostra Corredentrice, dando alla luce il comune Riparatore, fate che per esso siamo salvati da ogni male, e conseguiamo con sicurezza la nostra eterna salute. Ave … Gloria

Oremus

Adjuvet nos quæsumus Domine, sanctæ Mariæ intercessio veneranda; cujus etiam diem quo mundo exorta est annua festivitate celebramus. Per Dominum ….

(Aiutaci a Signore, te ne preghiamo, per la veneranda intercessione di Santa Maria, di cui pure celebriamo, con festività annuale, il giorno in cui Ella è apparsa al mondo. … Per il Signore Nostro … etc.).

FESTA DELLA B. V. MARIA ASSUNTA IN CIELO – 15 AGOSTO 2022

FESTA DELLA B. V. MARIA ASSUNTA IN CIELO

15 AGOSTO (2022)

[D. G. LEFEBVRE O. S. B.: Messale romano – L.I.C.E. –R. BERRUTI, TORINO 1936]

Doppio di I classe con Ottava Comune – Paramenti bianchi.

In questa festa, la più antica e la più solenne del Ciclo Mariano (VI secolo), la Chiesa invita tutti i suoi figli sparsi nel mondo a unire la loro gioia (Intr.), la loro riconoscenza (Pref.) a quella degli Angeli che lodano il Figlio di Dio, perché sua Madre è entrata in questo giorno, con il corpo e con l’anima, nel cielo (All.). Nella Basilica di Santa Maria Maggiore si celebra a Natale il Mistero, che è il punto di partenza di tutte le glorie della Vergine ed ancora si celebra oggi l’Assunzione, che ne è l’ultimo. Maria, porta in sé l’umanità di Gesù al momento dell’incarnazione del Verbo; oggi è Gesù, che riceve a sua volta il corpo di Maria in cielo. Ammessa a godere le delizie della contemplazione eterna, la Madre ha scelto ai piedi del suo divin Figlio la miglior parte, che non le sarà giammai tolta (Vang., Com.).

In altri tempi si leggeva il Vangelo della Vigilia, dopo quello del giorno, a fine di dimostrare che la Madre di Gesù è la più fortunata tra tutte, perché meglio d’ogni altra, « Ella ascoltò la parola di Dio ». Questa Parola, questo Verbo, questa Sapienza divina che stabilisce, sotto l’Antica Legge, la sua dimora nel popolo d’Israele (Ep.), è discesa sotto la Nuova Legge in Maria. Il Verbo si è incarnato nel seno della Vergine e ora negli splendori della celeste Sion Egli l’ha colmata delle delizie della visione beatifica. Come Marta, la Chiesa sulla terra si dedica alle sollecitudini delle quali necessita la vita presente ed ancora come Marta, la Chiesa reclama l’aiuto di Maria (Or., Secr., Postc). Una processione fu sempre fatta nel giorno della festa dell’Assunzione. A Gerusalemme era formata dai numerosi pellegrini che andavano a pregare sulla tomba della Vergine e contribuirono così all’istituzione di questa solennità. Il clero di Costantinopoli faceva anch’esso nel giorno della festa dell’Assunzione di Maria una processione. A Roma, dal VII al XVI secolo, il corteo papale, al quale prendevano parte le rappresentanze del Senato e del popolo, andava in quel giorno dalla chiesa di San Giovanni in Laterano a quella di Santa Maria Maggiore. Questo si chiamava fare la Litania.

Assunzione della Beata Maria Vergine.

[Appendice al Messale ut supra]

Doppio di I classe con Ottava Comune. – Paramenti bianchi.

La credenza nell’Assunzione corporea di Maria SS. era già radicata da secoli nel cuore dei fedeli, profondamente persuasi che la Vergine, sin dal momento del suo transito da questa terra al Cielo, era stata glorificata da Dio anche nel corpo, senza che dovesse attendere che questo risorgesse, insieme con quello di tutti gli altri, alla fine del mondo. Cosi la festa dell’Assunzione, celebrata già verso il 500 in Oriente, costituì la più antica e la maggiore solennità dell’anno in onore di Maria SS. Tuttavia la realtà dell’Assunzione corporea di Maria in Cielo non fu oggetto di una solenne definizione da parte del Papa se non il 1° novembre 1950. In tale giorno, il Sommo Pontefice Pio XII proclamò dogma di fede che « Maria, terminata la carriera della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste quanto all’anima e quanto al corpo. – Questa definizione, maturata lentamente, ma incessantemente nei diciannove secoli che seguirono al beato transito di Maria da questa terra, ha ed avrà un’eco incalcolabile nella dottrina come nella vita cristiana. – Una delle sue conseguenze pratiche sarà quella di attirare vieppiù l’attenzione dei fedeli sulla futura glorificazione nostra non solo quanto all’anima, ma anche quanto al corpo. Come Adamo ci rovinò nell’una e nell’altro, così Gesù ci redense non solo quanto all’anima, ma anche quanto al corpo, cosicché l’anima del giusto è destinata ad una beatitudine immensa mediante la visione beatifica di Dio, ed il corpo alla sua volta verrà risuscitato, trasformato e configurato a quello glorioso del Cristo. Per Maria SS. la glorificazione corporea avvenne alla fine della sua carriera mortale; per gli altri giusti non avverrà che alla fine del mondo; ma se devono attenderla, non possono però dubitarne; la loro redenzione è certissima e sarà completa e perfetta (Rom. VIII, 23; Ef. IV, 30). Avendo già realizzato pienamente in se stessa il disegno divino della nostra redenzione, Maria SS. è per noi, colla sua Assunzione corporea, un altro modello, oltre quello di Gesù, della divinizzazione dell’anima mediante la visione beatifica e della glorificazione del corpo cui tutti siamo chiamati e che tutti dobbiamo meritare con le buone opere e con le sofferenze di questa vita cristianamente sopportate. Come del Cristo, così saremo coeredi di Maria SS., se soffriremo con Lei e come Lei (Rom. VIII, 17). – D’altra parte, l’Assunta non soltanto ci ricorda quale sia la nostra meta soprannaturale e la via per raggiungerla, ma ci presta anche il suo validissimo aiuto. A quel modo che una buona mamma mira sempre a rendere partecipi della sua felicità tutti i suoi figli, così la Madre nostra celeste regna in Paradiso sempre sollecita della salvezza di tutti gli uomini. S. Paolo ci rappresenta Gesù che vive alla destra del Padre, sempre pregando per noi (Rom. VIII, 34; Ebr. VII, 25); la Chiesa, alla sua volta, ci dice che la Vergine è stata assunta in cielo, affinché fiduciosamente s’interponga presso Dio per noi peccatori (Segreta della Vigilia). – Affine di perpetuare anche nella Liturgia il ricordo della definizione del dogma dell’Assunzione di Maria SS., la Santa Sede ha pubblicato una nuova Messa in onore dell’Assunta, ordinando di inserirla nel Messale il giorno 15 d’agosto, in luogo di quella antica (A. A. S. 1950, pag. 703-5).

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

V. Adjutórium nostrum ✠ in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.

Confiteor

Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
M. Misereátur nobis omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
S. Amen.


S. Indulgéntiam,
absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

Introitus

Ap XII:1
Signum magnum appáruit in cœlo: múlier amicta sole, et luna sub pédibus ejus, et in cápite ejus coróna stellárum duódecim

[Un gran segno apparve nel cielo: una Donna rivestita di sole, con la luna sotto i piedi, ed in capo una corona di dodici stelle].

Ps XCVII:1
Cantáte Dómino cánticum novum: quóniam mirabília fecit.

[Cantate al Signore un càntico nuovo: perché ha fatto meraviglie].


Signum magnum appáruit in coelo: múlier amicta sole, et luna sub pédibus ejus, et in cápite ejus coróna stellárum duódecim

[Un gran segno apparve nel cielo: una donna rivestita di sole, con la luna sotto i piedi, ed in capo una corona di dodici stelle].

Oratio

Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, qui Immaculátam Vírginem Maríam, Fílii tui genitrícem, córpore et ánima ad coeléstem glóriam assumpsísti: concéde, quǽsumus; ut, ad superna semper inténti, ipsíus glóriæ mereámur esse consórtes.

[Onnipotente sempiterno Iddio, che hai assunto in corpo ed ànima alla gloria celeste l’Immacolata Vergine Maria, Madre del tuo Figlio: concédici, Te ne preghiamo, che sempre intenti alle cose soprannaturali, possiamo divenire partecipi della sua gloria].

Lectio

Léctio libri Judith.
Judith XIII, 22-25; XV:10

Benedíxit te Dóminus in virtúte sua, quia per te ad níhilum redégit inimícos nostros. Benedícta es tu, fília, a Dómino Deo excelso, præ ómnibus muliéribus super terram. Benedíctus Dóminus, qui creávit coelum et terram, qui te direxit in vúlnera cápitis príncipis inimicórum nostrórum; quia hódie nomen tuum ita magnificávit, ut non recédat laus tua de ore hóminum, qui mémores fúerint virtútis Dómini in ætérnum, pro quibus non pepercísti ánimæ tuæ propter angústias et tribulatiónem géneris tui, sed subvenísti ruínæ ante conspéctum Dei nostri. Tu glória Jerúsalem, tu lætítia Israël, tu honorificéntia pópuli nostri.

[Il Signore ti ha benedetta nella sua potenza, perché per mezzo tuo annientò i nostri nemici. Tu, o figlia, sei benedetta dall’Altissimo piú che tutte le donne della terra. Sia benedetto Iddio, creatore del cielo e della terra, che ha guidato la tua mano per troncare il capo al nostro maggior nemico. Oggi ha reso cosí glorioso il tuo nome, che la tua lode non si partirà mai dalla bocca degli uomini che in ogni tempo ricordino la potenza del Signore; a pro di loro, infatti, tu non ti sei risparmiata, vedendo le angustie e le tribolazioni del tuo popolo, che hai salvato dalla rovina procedendo rettamente alla presenza del nostro Dio. Tu sei la gloria di Gerusalemme, tu la gloria di Israele, tu l’onore del nostro popolo!]

Graduale

Ps XLIV:11-12; 14.
Audi, fília, et vide, et inclína aurem tuam, et concupíscit rex decórem tuum.

[Ascolta, o figlia; guarda e inclina il tuo orecchio, e s’appassionerà il re della tua bellezza.]

V. Omnis glória ejus fíliæ Regis ab intus, in fímbriis áureis circumamícta varietátibus. Allelúja, allelúja.

[V. Tutta bella entra la figlia del Re; tessute d’oro sono le sue vesti. Allelúia, allelúia].


V. Assumpta est María in cælum: gaudet exércitus Angelórum. Allelúja.  

[Maria è assunta in cielo: ne giúbila l’esercito degli Angeli. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam.
Luc 1:41-50
“In illo témpore: Repléta est Spíritu Sancto Elisabeth et exclamávit voce magna, et dixit: Benedícta tu inter mulíeres, et benedíctus fructus ventris tui. Et unde hoc mihi ut véniat mater Dómini mei ad me? Ecce enim ut facta est vox salutatiónis tuæ in áuribus meis, exsultávit in gáudio infans in útero meo. Et beáta, quæ credidísti, quóniam perficiéntur ea, quæ dicta sunt tibi a Dómino. Et ait María: Magníficat ánima mea Dóminum; et exsultávit spíritus meus in Deo salutári meo; quia respéxit humilitátem ancíllæ suæ, ecce enim ex hoc beátam me dicent omnes generatiónes. Quia fecit mihi magna qui potens est, et sanctum nomen ejus, et misericórdia ejus a progénie in progénies timéntibus eum.”

[In quel tempo: Elisabetta fu ripiena di Spirito Santo, e ad alta voce esclamò: Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo seno! Donde a me questo onore che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, infatti, che appena il tuo saluto è giunto alle mie orecchie, il bimbo ha trasalito nel mio seno. Beata te, che hai creduto che si compirebbero le cose che ti furono dette dal Signore! E Maria rispose: L’ànima mia magnifica il Signore, e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore, perché ha guardato all’umiltà della sua serva; ed ecco che da ora tutte le generazioni mi diranno beata. Perché grandi cose mi ha fatto colui che è potente, e santo è il suo nome, e la sua misericordia si estende di generazione in generazione su chi lo teme.]

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI  ediz. Soc. Ed. Vita e pensiero – Milano)

L’ASSUNTA

Le realtà più grandi, le consolazioni più vere quaggiù non si possono vedere, né sperimentare. Dobbiamo crederle con la fede, dobbiamo aspettarle con la pazienza. Potessimo vedere e godere quello che oggi si celebra in cielo! Di tutti i miliardi di corpi umani che ebbero il soffio della vita sulla terra, due soli non conobbero il disfacimento e la corruzione del sepolcro, e sono già lassù, gloriosi: il corpo di Cristo e il corpo di Maria; quello della Madre Vergine e quello di suo Figlio nato da lei per opera dello Spirito Santo, Madre e Figlio non mai disgiunti nell’anima, non potevano essere disgiunti col corpo. E in giro a Maria, radiosa col suo corpo virgineo, tutto il paradiso converge e si fa più bello e più lieto. Gli Angeli a ghirlande infinite volandole intorno ripetono il saluto dolcissimo che fu trovato per primo da uno di loro: « Ave, o piena di grazia! ». I Patriarchi, i Profeti dell’Antico Testamento non si saziano di guardare in quel volto, in quegli occhi misericordiosi, e le dicono: .« Salve Regina! quanto t’abbiamo aspettato senza poterti vedere: e morendo il nostro sguardo estremo si volgeva ad oriente, sospirando che tu sorgessi, mistica aurora che porti il Sole di giustizia e di salvezza, Gesù! ». E gli Apostoli vanno ricordando con Lei i giorni trepidi della vita terrena: quand’Ella premurosa e delicata veniva a trovare Gesù stanco e addolorato. Quando stette quasi sola sotto la croce, quando lo videro risorto, quando discese lo Spirito divino su tutti raccolti in giro a Lei nel cenacolo. E i Martiri avvolti nella fiammante porpora del suo sangue, e i Vergini vestiti di gigli eterni, e tutti i Santi, con tenerissimo amore si svolgono a Lei, perché ciascuno vede che per Lei ha meritato lo gloria che ha, e per Lei è entrato in paradiso. Ella è la mediatrice d’ogni grazia. Ella è la porta del cielo. Ma la parola più soave e più profonda non le può essere detta che dal suo Gesù. L’eterno Figlio di Dio si piega su Lei e le dice: « Mamma! », I trionfi eterni cogli Angeli e coi Santi non fanno però a Maria dimenticare gli altri suoi figliuoli, pellegrini ancora sulle strade dell’esilio. E noi della terra dobbiamo unirci ora con quei del cielo e glorificare il mistero della sua Assunzione. Meditando: come avvenne; qual segno di gloria sia per Lei; qual pegno di misericordia per noi.

1. COME AVVENNE

Delle persone amate noi desideriamo sapere tante notizie, ed anche le più particolareggiate ci sono più preziose e care. E quando non riusciamo ad averne di sicure, cerchiamo con insistenza almeno le più probabili. E quando non ne riceviamo delle nuove, andiamo tra noi ripassando quelle vecchie. Ogni buon Cristiano con questa affettuosa volontà parla o ascolta di Maria, la sua dolcissima e celeste Madre. L’ultima volta che nella Sacra Scrittura si parla della Madonna è negli « Atti degli Apostoli », ove si dice che dopo l’Ascensione in cielo del suo Figlio diletto, Ella tornò con gli Apostoli in Gerusalemme, e si ritirò insieme con loro nel Cenacolo. Essi preferivano stare al piano superiore per darsi con maggiore entusiasmo e con meno disturbo alla preghiera, mentre aspettavano, com’era stato loro promesso, la discesa dello Spirito Santo. Ci possiamo domandare: « Perché mai Gesù Cristo, allorché salì al cielo non si condusse dietro la sua Madre? Lui che la volle insieme sul Calvario, perché non la portò insieme nell’Ascensione; perché gli piacque di prolungarle i giorni della vita terrena, giorni che non potevano essere che sbiaditi per Lei dopo che il suo Gesù non era più sulla terra? ». È che gli Apostoli e i Discepoli avevano bisogno proprio di Lei, del suo incoraggiamento, del suo compatimento materno, del suo consiglio. Infatti, la Madonna mise su casa insieme a S. Giovanni, e, con tutta probabilità, almeno nei primi tempi abitò in Gerusalemme. Troppi ricordi, dolorosi e soavi, la tenevano legata alla città di Davide. E poi Gerusalemme era un centro donde gli Apostoli partivano per le loro prime esperienze evangelizzatrici e dove si davano di quando in quando appuntamento. Così Ella poteva essere presente ad ogni loro partenza, ad ogni ritorno. Così essi potevano raccogliersi intorno a Lei, raccontarle i primi risultati, ed anche gli insuccessi, forse lasciavano curare da Lei le ferite ricevute dagli ingrati uomini. E la Madonna li ascoltava con tenerissima comprensione materna, benediceva affettuosamente quegli evangelizzatori gagliardi e pronti alla morte, e sapeva dir loro una parola piena di forza e di soavità, parola in cui sensibilmente tremava l’eco della voce di Gesù. – Ma poi i viaggi degli Apostoli si fecero sempre più lunghi, i loro ritorni sempre giù rari. Qualcuno non ritornava più: l’avevano ucciso. Sicché la sua missione di attrice e di madre amorosa verso la Chiesa nascente era ormai finita; l’altissima santità, nella quale Ella doveva risplendere nei secoli eterni, era ormai raggiunta. Perciò, prima che gli Apostoli si disperdessero per l’ultima volta e per sempre per le strade del mondo, Ella, avendoli quasi tutti intorno a sé, li salutò, poi chiuse gli occhi come se dormisse dolcemente. Ma era morta. Quanti anni aveva la Madonna quando morì? secondo la tradizione e il calcolo più probabile, doveva aver superato la sessantina, ma di poco. Di che male morì la Madonna? Tutta una tradizione santa è concorde nell’assicurare che l’Immacolata non morì se non d’amore, avverando così alla lettera le parole della Sacra Scrittura: « Dicite Dilecto meo, quia amore langueo ». (Cant. V, 8). A noi, così materiali e rudi di cuore, può recar meraviglia che si possa morire consunti da una fiamma d’amore divino. Ma pensate che anche un amore semplicemente umano può consumare ed estenuare la vita. Quanto più lo potrà un amore divino, incomparabilmente più ardente e forte! S. Filippo Neri conobbe un monaco d’Aracoeli che continuamente stava a letto tutto languido, e s’andava spegnendo a poco a poco, senza aver altra infermità che d’amore. E lui stesso, S. Filippo Neri, per un impeto d’amore divino sentì gonfiarsi talmente il petto, che due costole gli si incurvarono grandemente. E la cosa fu documentata da medici valenti, tra cui quell’Andrea Cesalpino, che fu tra i primi a scoprire e a indagare la circolazione del sangue. E S. Teresa d’Avila, non ebbe il cuore ferito sensibilmente da un trafittura d’amore divino? Ora se queste cose sono potute avvenire nei Santi, che cosa fu di Maria, il cui amore da solo superava quello di tutti i Santi messi assieme? Se Dio non avesse impedito che il suo amore soprannaturale ridondasse nel corpo, una vampa immensa l’avrebbe consunta fin dai primi anni di sua vita, perché fin dal principio Ella era colma d’amore divino. Orbene, quando a Dio piacque, quando nei suoi disegni eterni giunse il tempo di liberarla dall’esilio, l’eterno immenso amore non più impedito comunicò una scintilla al cuore di Maria. Fu abbastanza per metterla in una dolcissima consumazione d’ardore febbrile e santo. Sempre più irresistibile le risonava nell’anima una voce che la chiamava incessantemente: « Vieni, levati, o unica prediletta! Passato è l’inverno, dileguate son le nebbie gelide: sono apparsi i fiori nella nostra contrada, i fiori della tua corona. Levati, e vieni: sarai incoronata ». Veni coronaberis! Di comunione in comunione, (ed era probabilmente S. Giovanni che a Lei porgeva suo Figlio sotto il velo eucaristico), crescendo sempre a dismisura gli assalti d’amore, finirono per vincere la sua fibra. Le membra virginee si sciolsero, e spirò. Ma quel corpo, dal quale era nato il Salvatore del mondo, non doveva corrompersi nella sepoltura. – Un racconto antichissimo che già passava sulla bocca dei cristiani del V secolo, ed anche prima, così narra: « Come gli Apostoli, che le stavano intorno, la videro addormentarsi nel sonno della dolce morte, pieni di riverenza portarono il corpo ad un sepolcro già preparato e ve lo chiusero. Intanto s’udiva per l’aria un canto soavissimo, una melodia celestiale, che durò per tre giorni. Al terzo giorno, arrivò S. Tommaso. Dolente di non esser giunto a tempo per dare l’estremo saluto alla Vergine morente, bramò di vedere ancora una volta la sacra spoglia della Madre di Gesù. Andarono tutti insieme al sepolcro e lo discopersero: invece della salma videro fiori. Allora s’accorsero che la Vergine Madre era giaciuta nella tomba quanto era durata l’angelica melodia: tre giorni come il suo Figlio divino. Poi era risorta e salita al cielo. Perciò resero con gaudio ineffabile gloria a Colui che chiamava in paradiso quel corpo dal quale s’era degnato di nascere ». Dunque per virtù e grazia divina la Madonna risuscitò, e viva in anima e corpo trionfa lassù, al fianco del suo Unigenito. La terra non possiede più nulla di Lei, ma da tutti i cieli piove incessantemente la sua misericordia e la sua consolazione sulla nostra valle del pianto.

2. SEGNO DI GLORIA PER MARIA

Nel mistero che oggi celebriamo sono da considerarsi particolarmente tre aspetti come quelli che ci rivelano tre glorificazioni della virtù di Maria.

a) Maria risuscita. La risurrezione fu il trionfo del suo immacolato concepimento, e della sua verginità perpetua. Noi sappiamo come la morte e la conseguente corruzione del sepolcro siano un castigo dovuto al peccato. Orbene Maria è senza peccato: senza la più lieve ombra d’imperfezione trascorse i suoi giorni sulla terra; e perfino dal peccato originale che tutti i discendenti d’Adamo contraggono necessariamente, Ella fu esente per sommo privilegio. Era giusto dunque che la corruzione della morte non toccasse quel santo suo corpo. Anche tutti gli altri corpi degli uomini peccatori risusciteranno alla fine del mondo, quando le tremende trombe angeliche squilleranno. Ma questo corpo verginale e castissimo di Maria meritava d’essere svegliato molto tempo prima, e in più dolce maniera. Il suo diletto Figlio non la lasciò a lungo preda della morte, ma dopo tre giorni soltanto andò a destarla: « Svegliati, t’affretta: l’eterna primavera per te è già venuta ». Infine, scrive S. Giovanni Damasceno, conveniva che questa oliva sempre verdeggiante, simbolo della pace tra cielo e terra, mai non si sfrondasse e fosse trapiantata intatta dalla triste riva del mondo alla sponda del fiume d’eternale dolcezza che irriga la santa città del paradiso.

b) Maria sale in alto. L’ascesa fu il trionfo della sua umiltà. Non si era Ella chiamata la serva del Signore, quando un Arcangelo stesso si chinava a riverire la sua altissima elezione e santità? Non visse, la Regina del cielo, povera e ignota a tutti, nella casa d’un fabbro, ubbidendogli, servendolo, accudendo alle quotidiane umili faccende domestiche? E Lei che non si lasciò vedere nelle poche ore di trionfo durante l’ingresso in Gerusalemme, rimase sotto la croce segnata a dito e derisa forse come la madre d’un falso profeta, d’un preteso re, d’un seduttore di folle. Era giusto dunque che quel Dio, che dà la sua grazia agli umili e la ritoglie ai superbi, esaltasse la Vergine umilissima sopra tutti i cori degli Angeli e dei Santi.

c) Maria entra in cielo. Quest’ingresso in paradiso col suo corpo è il trionfo della sua maternità divina. Che cosa può mai essere la gioia d’una madre terrena nel riabbracciare dopo dieci o quindici anni un figlio carissimo, confrontata con l’abbraccio eterno di Maria col suo Gesù? Poté rivedere quel volto che tante volte aveva accarezzato, quegli occhi amorosissimi e profondi in cui tante volte aveva spiato le divine volontà, quelle mani che ella aveva, adorando, baciate… Tutto lo strazio subìto durante la settimana di passione le veniva incomparabilmente ricompensato e per tutta l’eternità. Sempre vicino al suo Figlio e al suo Dio, beata della sua infinita beatitudine. Tutto il cielo ora la segnava a dito: « Ecco, ecco la gran Madre di Dio! ».

3. PEGNO DI MISERICORDIA PER NOI

In una terribile siccità, dalla terra arida e screpolata, Elia vide levarsi una nuvoletta, che sull’orizzonte dapprima non pareva più vasta d’un piede d’uomo. Ma ecco quella nuvoletta dilatarsi meravigliosamente, occupare tutto il cielo e poi disfarsi in pioggia fresca, ristoratrice, benefica. Simile a quella nuvoletta saliente è la Madonna Assunta. Ella, andando in cielo non ha dimenticato i suoi figliuoli rimasti sulla terra, ma su tutti fa piovere un’onda incessante di grazie. Perciò il mistero dell’Assunzione è per noi un pegno di misericordia: è un aiuto, una speranza, un conforto.

.a) È un aiuto nei bisogni. Ora infatti abbiamo presso: Dio la Vergine, la Vergine ch’è potente, ch’è Madre. Se ella; al banchetto delle nozze di Cana potè piegare la volontà di Gesù a favore di due sposi, oggi seduta al banchetto del cielo, collocata nell’atto del suo grande ufficio di mediatrice, può ottenerci ogni bene che noi le chiediamo. Ella ha ricevuto tutti i poteri per donarci grazie, e solo desidera di esercitarli. Infelici quelli che non sanno chiedere a Maria! I cuori che non la pregano mattina e sera, che non l’invocano nell’ora del pericolo, che hanno dimenticato le sue novene e feste, non sanno che cosa può Maria.

b) È una speranza di santificazione e di salvezza. La Vergine è stata portata in alto perché tutti abbiano a rispecchiarsi in Lei, ad imitarla. Leviamo gli occhi nostri alla sua eccelsa perfezione e poi abbassiamoli sulla nostra miseria. Se confrontassimo la sua fede ardente con la nostra incredulità, la sua umiltà col nostro egoistico orgoglio, e specialmente confrontassimo il suo candore liliale e perenne con la nostra sensualità, quanto dovremmo arrossire! Almeno oggi, da codesto confronto, s’accenda in noi un desiderio veemente e uno sforzo costante d’imitare le sue virtù. Se abbiamo veramente un tale desiderio e facciamo un tale sforzo, non c’è che da nutrire la più grande speranza di santificazione e di salvezza. Maria è la Madre nostra ed è più desiderosa Lei d’accorrere in aiuto della nostra debolezza e insufficienza, di quanto lo possiamo essere noi. Diciamole dunque frequentemente: « Sancta Domina Dei Genîtrix, sanctificationes tuas transmitte nobis ».

c) È un conforto. Perché la Vergine fu assunta nel più eccelso gaudio del paradiso anche col corpo? Perché ebbe forza e generosità d’accettare i dolori più profondi. Il suo esempio e il suo aiuto ci conforti a portare ogni giorno, con cristiana serenità e fiducia, la nostra parte di dolore. Il premio che accanto a Lei ci è riserbato illumini le nostre ore di oscurità e di abbattimento. Non ci sia cruccio nel cuor nostro che la Madonna ignori: a lei tutto come a una mamma bisogna confidare. Confidiamole specialmente le angustie e le lotte spirituali dell’anima nostra: Ella che ha vinto il male in ogni parte, che ha schiacciato sotto il suo calcagno il capo del serpente, non può lasciare inesaudita l’implorazione di certi trepidi istanti. – Ma l’istante in cui soprattutto avremo bisogno del suo conforto è quello estremo dell’agonia. Istante d’abbandono straziante, d’angoscia indicibile, di tremori. Nessuno di questo mondo ci potrà confortare in quell’istante da cui dipende il nostro eterno destino. Nessuno, ma la Madonna lo potrà. E lo farà. Con una vita pura e devota meritiamo che la Madonna ci assista, e ci stringa al suo seno nel momento dell’estremo passaggio. Sul cuore di Maria, nessun timore. Poggiati su un cuore risorto scenderemo nella tomba con la certezza di rivivere. Poggiati al cuore di Lei che è morta d’amore, sarà concesso anche a noi almeno di morire nell’amore di Dio, cioè nella sua grazia. È ben questa la preghiera che ogni giorno, che più volte al giorno, i figli rivolgono alla Madre: « Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi: ora, e nell’ora della nostra morte, Così sia ». — O DOLCE VERGINE MARIA ASSUNTA. Dal domma dell’Assunzione sgorga una preziosissima grazia, che fa dolce il nostro vivere e fa dolce il nostro morire.

1. FA DOLCE IL NOSTRO VIVERE.

.a) Per noi che abbiamo una natura sensibile, riesce molto duro pensare a persone intensamente amate senza poter dare loro un volto e una figura. Ora, se pensando alla cara e santa Madonna le diamo un volto per sorriderci, mani per prenderci per mano o carezzarci maternamente, e pupille lucenti per vederci, questo non è un’illusione fantastica del sentimento, ma è la consolante realtà assicurataci incrollabilmente dalla definizione dommatica del 1° novembre 1950. Riflettete. Quel volto che ha sorriso sulla povera culla del piccolo Verbo Incarnato provocandone il primo sorriso, quel dolce volto c’è ancora. E sorride anche a noi ogni volta che riportiamo vittoria sui nostr duri egoismi, sulle nostre sensibilità torbide. Col suo sorriso ci infonde il desiderio della castità, ci provoca a compiere atti di fede, di speranza e di carità, ci sprona ad essere ogni giorno più buoni e più generosi. Quelle mani che si posarono tante volte sulla testa del Figlio di Dio, il Quale le cresceva in casa, che diligenti e puntuali gli preparavano la parca mensa e gli rammendavano le umili vesti, quelle mani ci sono ancora. E sono vive: vanno in cerca della nostra testa per disperdervi con la loro carezza ogni ombra di malinconia che non è secondo Dio; vanno in cerca delle nostre mani per renderle pure, pronte al gesto di carità, agili nelle opere buone. Quegli occhi che contemplarono le ferite e gli squarci che i peccati di ciascuno di noi hanno fatto nel corpo liliale del suo Unigenito, quando le giaceva disteso sulle ginocchia, esanime e insanguinato, quegli occhi ci sono ancora. E ci guardano, ci seguono dappertutto, dolenti, amorosissimi, supplichevoli. Ci supplicano di non rendere inutili le atroci piaghe che il suo Gesù ha sopportato per noi.

b) Un secondo pensiero ci aiuta a sentire la dolcezza che dall’Assunta piove sul nostro vivere. La Madonna tutta viva, anima e corpo, è in cielo. Che fa in cielo? Gode la visione beatifica di Dio. Nella luce di questa visione, Ella partecipa della scienza infinita del Signore. Perciò conosce tutti e ciascuno di viso, di nome, personalmente. Di ciascuno di noi sa il passato, il presente e l’avvenire: ogni momento del nostro vivere è davanti a Lei con una chiarezza maggiore della nostra. Ci sono quaggiù ore di gioia o di angoscia, di successo o di accasciamento in cui ogni uomo dice tra i sospiri: « Lo sapesse la mia mamma! » Nessuna gioia nostra è piena, nessun dolore è consolato, se la nostra mamma è assente e ignora. Orbene, che dolcezza il domma dell’Assunzione corporea di Maria ci infonde, dandoci di poter dire con verità in quelle ore trepide: « La Madonna lo sa. Il suo materno cuore di carne palpita di gaudio o di dolore all’unisono col mio inquieto cuore di figlio ». La Madonna è in cielo, tutta viva, anima e corpo. Che fa in cielo? Quello che ci ha detto che Gesù, risorto e asceso, sta davanti al divin Padre semper vivens ad interpellandum pro nobis (Hebr., VII, 25). E la Madonna, risorta e assunta, sta davanti al divin Figlio similmente semper vivens ad interpellandum pro nobis. La grande orante! Prega per la Chiesa universale, militante e purgante; prega per l’umanità intera, santa e peccatrice; prega per il Papa, per i Vescovi e i sacerdoti; prega per i poveri, per gli ammalati, per i tribulati, per i tentati, per gli infermi, per gli abbandonati, per i disoccupati… Prega per ciascuno di noi, non già con una preghiera generica e confusa, ma precisa e specifica, perché Ella sa ad uno ad uno i nostri bisogni, anche i più segreti. c) La Madonna, assunta in cielo, ci è sempre vicina. Occorre liberarci da un’illusione fantastica che potrebbe diminuire assai la dolcezza del domma dell’Assunzione: quella di pensare il cielo come una regione remota; stupenda, sì, ma lontana da noi, in alto, oltre le nuvole, oltre le stelle. No, non è così. Il cielo è dove è Dio, e Dio è dappertutto. Nella Sacra Scrittura il cielo appare vicino, vicinissimo all’uomo. Forse l’uomo ci vive in mezzo senza poterlo vedere, sentire, gustare. Giacobbe è nel deserto: e il cielo si spalanca al suo fianco in guisa di scala che dalla terra sale a Dio. Dei pastori vegliano sui monti a custodia del gregge: il cielo si chiude su quei pascoli con l’annuncio del Natale. Giuseppe dorme nel suo povero letto: la porta del cielo s’apre proprio in quella cameretta per lasciar uscire un Angelo a comunicargli un avvertimento divino. Saulo cammina verso Damasco: il cielo gli attraversa con irruenza la strada e lo rovescia a terra. La Madonna è stata assunta in cielo, ma ciò non le può togliere di stare accanto ai suoi figliuoli. Non c’è solitudine, non c’è lontananza di oceani o di deserti, non ostacolo di monti, di muraglie o di porte sbarrate che possa impedire all’Assunta di starci vicini tutta viva com’è, in anima e corpo. Quando il sangue ribolle per fermenti di corruzione, quando il corpo coi ribelli istinti appesantisce il volo dell’anima, Ella ci è vicina e dalla incorrotta carne, dal suo virgineo sangue emana una virtù che placa i sensi, spegnendo gli impuri ardori. Quando le creature ci incantano colle fosforescenze della loro opaca bellezza, colle promesse fallaci d’arcane felicità, Ella ci è vicina e dai suoi occhi purissimi emana una luce che rende persone e cose trasparenti come un velo, dietro al quale appare Dio: Dio solo e la sua gloria congiunta alla nostra vera felicità. – 2. FA DOLCE IL NOSTRO MORIRE. La singolare nobiltà e tragicità dell’uomo è di essere l’unico vivente che sa di dover morire. Pensate a quello che fu la cupa tristezza di tutti i secoli antichi di fronte alla morte. La sopravvivenza dell’anima era generalmente conosciuta, ma era immaginata come un’esistenza umbratile, squallida, senza nessuna delle intense vibrazioni di cui è ricca questa vita, un’esistenza colma soltanto di struggenti rimpianti verso i beni terrestri perduti per sempre. E non soltanto nei popoli pagani, ma in quel popolo stesso che era il detentore della vera religione nell’Antico Testamento il pensiero della tomba diffondeva un tragico orrore, di cui abbiamo ripetute e chiare testimonianze nei libri ispirati. «Lascia, — gemeva Giobbe (X, 2-5) — che io un poco mi rassereni ancora, prima che vada, per non più ritornare, nella regione delle tenebre e delle ombre funeree, regione buia e nebulosa ove è cupa confusione e fosco bagliore ». E l’Ecclesiaste constata amaramente che la vita anche più diseredata sulla terra è sempre preferibile allo squallore d’oltre tomba. « A ognuno che vive resta almeno qualche speranza, perciò val meglio un cane vivo che un leone morto… I morti non sanno niente, né più attendono ricompensa, essendo dimenticata la loro memoria » (IX, 5). Ed è ancora Giobbe che sente d’invidiare la sorte delle piante che, tagliate alla radice, rimettono i polloni nella carezza dell’aria azzurra e del tiepido sole. « L’uomo invece, morendo, è finito… una volta coricatosi, più non si alza finché durino i cieli, né dal suo sonno più nessuno lo sveglia » (XIV, 7-12). Ma dopo che Gesù è venuto e ci ha parlato, dopo che è morto per noi e per noi è risorto, la morte è tutt’altra cosa. Per il Cristiano, nel confronto tra la vita di là e la vita di qua, è questa che ci scapita, tanto quella è intensa di gioia, di luce e di bene. Noi sappiamo che val meglio un attimo di là che cento anni in questa valle d’esilio. Noi non invidiamo le piante che, una volta tagliate, ripullulano con virgulti dalle radici, perché, falciati dalla morte, siamo certi di ripullulare incomparabilmente più vivi e più integri. S. Paolo sospirava: « Potessi disciogliermi da qui e stare con Cristo, quanto sarebbe meglio! Tuttavia, se è per il vostro bene, mi rassegno a stare quaggiù » (Fil., 1, 23-24). – Il vecchio Vescovo d’Antiochia, S. Ignazio, supplicava i Romani a non brigare per evitargli la condanna e il martirio. « Una cosa sola concedetemi: lasciate che io sia immolato a Dio! È bello tramontare al mondo per risorgere in Dio… lasciate che io raggiunga la pura luce! Un’acqua viva mormora dentro di me e mi dice: vieni al Padre » (Lettera ai Romani, passim.). – S. Teresa d’Avila esclamava: « O morte, o morte, in te è la vita, e io non so come ti possa temere » (Opere, Milano, 1932, pag. 1632). S. Teresa di Lisieux rispondeva a chi la voleva confortare nell’agonia: « Ci vuol coraggio per vivere, e non per morire » (Autobiografia, c. XII). – E ora il domma dell’Assunta è stato definito per renderci più chiare, più presenti, più sensibili queste cristiane e consolantissime certezze. La morte non esiste più, esiste unicamente la vita eterna. Già Una che era in tutto simile a noi, tranne che nel peccato, è stata risuscitata e assunta in cielo per la virtù del suo Figliuolo. Con Lei la nostra risurrezione è incominciata. Tra poco risorgeremo anche noi; risorgeranno tutti. È solo questione di un po’ di tempo: e i millenni, visti dall’eternità, sono brevi come un giorno già trascorso. Sicut hesterna dies quæ prateriit. È indubitabile che questa Madre risuscitata e assunta ci sarà vicina nel momento della morte. Migliaia di volte l’abbiamo invitata per quell’ora … et in hora mortis nostræ. Non sarebbe Madre, non sarebbe Lei se mancasse all’appello che le fu ripetuto innumerevoli volte. Dunque l’Assunta verrà, non mancherà in quell’ora. E con le sue labbra risorte bacerà la nostra fronte sudata e gelida, con le sue mani risorte ci prenderà le mani stanche e inerti. Dolce morire di noi risorgendi fra Gesù e Maria risorti! – Per un figlio non c’è gioia più grande di quella di sapere sua madre felice. Se vogliamo bene alla Madonna come a madre, se per lei alberghiamo in cuore tenerezza di figli, sopra le dolcezze che la sua Assunzione può dare al nostro vivere e al nostro morire, dobbiamo sentire che ve n’è un’altra più grande: quella di sapere con assoluta certezza che Maria nostra Madre è felice, già tutta felice, anima e corpo. Dalla pienezza della sua felicità questa nostra dolcissima Mamma pensa a noi e trepida per noi. Ci vuole vicino a Lei, nella sua gioia, per sempre. Perciò ci supplica: « Fuggite il peccato, vivete in grazia, Salvate l’anima se volete salvare anche il corpo, e trasfigurarlo come il mio nella beata Assunzione al cielo ».

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Gen III:15
Inimicítias ponam inter te et mulíerem, et semen tuum et semen illíus.

[Porrò inimicizia tra te e la Donna: fra il tuo seme e il Seme suo.]

Secreta

Ascéndat ad te, Dómine, nostræ devotiónis oblátio, et, beatíssima Vírgine María in coelum assumpta intercedénte, corda nostra, caritátis igne succénsa, ad te júgiter ádspirent.


[Salga fino a Te, o Signore, l’omaggio della nostra devozione, e, per intercessione della beatissima Vergine Maria assunta in cielo, i nostri cuori, accesi di carità, aspirino sempre verso di Te.]

Præfatio  …

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

… de Beata Maria Virgine

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Et te in Assumptione beátæ Maríæ semper Vírginis collaudáre, benedícere et prædicáre. Quæ et Unigénitum tuum Sancti Spíritus obumbratióne concépit: et, virginitátis glória permanénte, lumen ætérnum mundo effúdit, Jesum Christum, Dóminum nostrum. Per quem majestátem tuam laudant Angeli, adórant Dominatiónes, tremunt Potestátes. Cæli cælorúmque Virtútes ac beáta Séraphim sócia exsultatióne concélebrant. Cum quibus et nostras voces ut admítti jubeas, deprecámur, súpplici confessióne dicéntes:

Sanctus,

Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis


Orémus:

Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Luc 1:48-49
Beátam me dicent omnes generatiónes, quia fecit mihi magna qui potens est.

[Tutte le generazioni mi diranno beata, perché grandi cose mi ha fatto colui che è potente.]

Postcommunio

Orémus.
Sumptis, Dómine, salutáribus sacraméntis: da, quǽsumus; ut, méritis et intercessióne beátæ Vírginis Maríæ in coelum assúmptæ, ad resurrectiónis glóriam perducámur.


[Ricevuto, o Signore, il salutare sacramento, fa, Te ne preghiamo, che, per i meriti e l’intercessione della beata Vergine Maria Assunta in cielo, siamo elevati alla gloriosa resurrezione.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

LE GRANDI VERITÀ CRISTIANE (11)

ADOLFO TANQUEREY

LE GRANDI VERITÀ CRISTIANE CHE GENERANO NELL’ANIMA LA PIETÀ (11)

Vers. ital. di FILIPPO TRUCCO, Prete delle MissioniROMA DESCLÉE & C. EDIT. PONTIF. – 1930

NIHIL OBSTAT – Sarzanæ, 8 Maji 1930 J. Fiammengo, Rev. Eccl.

IMPRIMATUR Spediæ, 8 Maji 1930 Can, P. Chiappani, Del. Generalis.

PARTE PRIMA

Gesù vivente in noi per comunicarci la sua vita

CAPITOLO IV.

Maria Madre nostra e nostra Mediatrice.

ART. III. — LA NOSTRA DIVOZIONE A MARIA.

La divozione che dobbiamo avere verso Maria discende logicamente dai gloriosi privilegi che abbiamo esposti. La parola divozione, che viene dal verbo latino devovere, significa dedizione, consacrazione, e inchiude quindi il dono di se stesso. Onde noi siamo veramente devoti di Maria se ci diamo interamente a Lei; se le diamo il nostro intelletto colla più profonda venerazione; il nostro cuore col più filiale amore; la nostra volontà colla più assoluta confidenza; tutti noi stessi colla più perfetta imitazione delle sue virtù. Spiegheremo dunque in primo luogo questi atti essenziali che costituiscono la dEvozione a Maria; e poi mostreremo che si trovano tutti compendiati in un atto di consacrazione totale a questa buona Madre.

1° Gli atti essenziali della divozione a Maria.

Questi atti derivano dai gloriosi privilegi che Dio le ha compartiti: Madre di Dio, Maria è la più eccellente delle creature, e ha diritto a tutta la nostra venerazione; Madre degli uomini, ha diritto al nostro amore filiale: il suo ufficio di Mediatrice ci induce a invocarla con assoluta confidenza; e poiché Maria è, dopo Gesù, il più perfetto modello di tutte le virtù, noi dobbiamo pure imitarla il più perfettamente possibile.

.A) La venerazione più profonda è il primo dei nostri doveri verso Maria. Dio solo ha diritto alla nostra adorazione, perché Egli solo è il nostro Creatore e il nostro supremo Padrone. Le creature, che traggono tutto il loro essere da Dio debbono essere stimate e venerate secondo il loro grado di partecipazione alle divine perfezioni e specialmente alla sua santità. Ora Maria, appunto perché madre di Dio, è la più eccellente delle creature, quella che più si accosta a Dio, onde partecipa in grado più perfetto alle sue perfezioni, come abbiamo già dimostrato. Ed è pure la più santa; perché Dio, che proporziona le grazie alla dignità di una persona e alla grandezza della missione che le affida, compartì alla Vergine santissima, fin dal primo istante della sua esistenza, più grazie che a qualsiasi altra creatura. Lo afferma Pio IX nella Bolla Ineffabilis, con cui ne definisce l’Immacolata Concezione: « Dio colmò Maria dei copiosi suoi doni celesti molto più che tutti gli Spiriti angelici e molto più che tutti i Santi ». Ora, avendo sempre perfettamente corrisposto alla grazia della sua vocazione, Maria, in ogni giorno e ad ogni istante del giorno, non fece che accrescere il grado di santità che Dio le aveva concessa. Era già piena di grazia, gratia plena, quando l’Angelo venne ad annunciarle che doveva diventar Madre di Dio. Ma di quanto non crebbe questa pienezza colla discesa e colla dimora nel virgineo suo seno di Colui che è l’Autore di ogni santità! Un torrente di grazie inondò allora l’anima di Maria, che venne poi crescendo in proporzioni che Dio solo conosce: tanto la sua docilità ai moti dello Spirito Santo, la purità delle sue intenzioni, la sua carità erano perfette! Quindi, quando in un ultimo impeto di amore rese l’anima a Dio, Maria, come affermano i più eminenti teologi, possedeva una pienezza di grazia superiore a quella di tutti gli Angeli e di tutti gli uomini presi insieme. « O Vergine, voi siete senza pari, dice sant’Andrea Cretese (Sermo de morte Deipar ); o santa più santa dei santi, tesoro santissimo di ogni santità! ». E san Pier Damiani (Sermo de Nativitate): « Tutto ciò che c’è di più grande è inferiore a Maria: non vi è che il Creatore che superi questa creatura ». Maria dunque, per la sua grande dignità e per la sua eminente santità, è, dopo Gesù Cristo, la più perfetta immagine delle divine perfezioni. Dobbiamo quindi stimarla e venerarla sopra tutti gli Angeli e sopra tutti i Santi. Il culto che le porgeremo sarà culto di dulia, che è molto inferiore a quello di latria o di adorazione appartenente a Dio solo, ma che è molto superiore a quello che si porge agli Angeli e ai Santi; onde viene detto culto di iperdulia. – Venerandola a questo modo, non facciamo che imitare le tre divine Persone. Il Padre la tratta col massimo rispetto inviandole un Angelo che la saluta piena di grazia e la richiede del suo consenso all’opera dell’Incarnazione in cui se la vuole associare come collaboratrice. Il Figlio la venera e l’ama come sua madre. Lo Spirito Santo scende in Lei e in Lei trova le sue compiacenze. Potremo mai venerar troppo Colei a cui Dio stesso dà tante prove di stima? Con qual fervore non dobbiamo dunque recitare l’Ave Maria che esprime così bene tutte le grandezze di Maria: il rispettoso saluto che 1’Angelo le rivolge in nome della santissima Trinità e gli ossequi che la Chiesa continuamente le porge, proclamandola con Elisabetta la benedetta fra tutte le donne e Madre di Dio! Questa preghiera le fa balzare il cuore di gioia rammentandole il mistero dell’Annunciazione e il momento benedetto in cui il Verbo s’incarnò nel suo seno e divenne per sempre suo Figlio. Ma deve far balzare il cuore di gioia anche a noi, perché pure in quel giorno ella divenne nostra Madre. Con qual devozione non dobbiamo recitare l’Angelus, preghiera così semplice e così bella, che ci presenta viva, come in un piccolo dramma, tutta la scena dell’Annunciazione: l’umile ubbidienza di Maria, l’Incarnazione del Verbo nel virgineo suo seno, e il suo potere d’intercessione sul cuore del Figlio!

B) Maria, come nostra Madre, ha diritto al filiale nostro amore, amore pieno di candore, di semplicità, di tenerezza, di generosità. Se amiamo con santo ardore le nostre madri terrene, quale non dovrà essere il nostro amore verso la più amabile e la più amante delle madri?

a) Maria è certamente la più amabile delle madri, perché Dio, avendola destinata a essere madre di suo Figlio, le diede tutte le doti che fanno amabile una persona: la tenerezza, la delicatezza, la finezza, la bontà, la premura di una madre e di una Madre di Dio.

b) Ed è la più amante, perché il suo cuore fu espressamente creato per amare un Figlio-Dio e amarlo il più perfettamente possibile. Ora l’amore che aveva per il Figlio Maria lo riversa su noi che siamo di questo Figlio divino le membra viventi, la sua estensione e il suo compimento. Risplende quest’amore nel mistero della Visitazione, in cui corre a portare alla cugina Elisabetta quel Gesù che nasconde nel seno e che con la sola sua presenza santifica tutta la casa. Risplende alle nozze di Cana, attenta a tutto l’andamento delle cose, interviene presso il Figlio onde risparmiare ai giovani sposi una penosa umiliazione. Risplende sul Calvario, dove acconsente a sacrificare ciò che ha di più caro per salvarci. Risplende nel Cenacolo, dove esercita il Suo potere d’intercessione per ottenere agli Apostoli una maggior copia dei doni dello Spirito Santo.

c) Se Maria è la più amabile e la più amante delle madri, dev’essere pure la più amata. È questo, infatti, uno dei suoi più gloriosi privilegi: dovunque è conosciuto e amato Gesù, ivi pure è conosciuta e amata Maria; non si separa la Madre dal Figlio, e, pur tenendo conto della differenza che corre tra l’uno e l’altra, vengono amati collo stesso affetto, sebbene in grado diverso: al Figlio si porge l’amore che è dovuto a Dio; a Maria quello che è dovuto alla Madre di un Dio,amore tenero, generoso e devoto, ma subordinato a quello di Dio. È un amore di compiacenza, che gode delle grandezze, delle virtù e dei privilegi di Maria, riandandoli spesso nella mente, ammirandoli, compiacendosene, e congratulandosi con Lei che sia così perfetta. Ma è anche un amore di benevolenza, che brama sinceramente che il nome di Maria sia sempre più conosciuto ed amato, che prega perché si estenda la sua efficacia sulle anime, e che alla preghiera associa la parola e l’azione. È un amore filiale pieno di abbandono e di semplicità, di tenerezza e di premura, e persino di quella rispettosa intimità che la madre permette al figlio. Ma è specialmente un amore di conformità, che si studia in tutte le cose di operare secondo la volontà di Maria, o, ciò che è lo stesso, secondo il beneplacito di Dio. Infatti, se le chiediamo che cosa desideri da noi, ci risponderà ciò che disse ai servi di Cana: « Fate tutto quello che mio Figlio vi dirà » (S. Giov. II, 5). Riflettiamo dunque un istante prima di operare: chiediamoci che cosa piace a Dio, che cosa piace a Maria; facciamolo generosamente; e potremo allora aver piena confidenza in Maria.

C) Questa confidenza è richiesta dal suo titolo di Mediatrice di grazia. Maria, come abbiamo già dimostrato, è, per volere di Dio, la Mediatrice presso il Mediatore, la distributrice di tutti i favori celesti. Lo è per la sua intercessione; perché Dio non può rifiutar nulla alla Madre di suo Figlio, a Colei che così bene collaborò con Lui alla salute degli uomini. Il suo potere è sì grande, dice san Bernardo, che ell’è onnipotente; non per natura ma per le sue suppliche: ommnipotentia supplex. E poi ci ama tanto Maria che non ci sa negar nulla: riversa su di noi, che siamo le membradi Gesù, l’amore che ha per suo Figlio, e lacosa che brama di più è di renderci, quanto più èpossibile, simili a questo divino modello. Ondela nostra confidenza in Lei sarà incrollabile e universale.

a) Sarà incrollabile, nonostante i nostri peccati, le nostre miserie, i nostri innumerevoli difetti. Maria, infatti, è madre e Madre di misericordia, mater misericordiæ, e, come tale, non ha da pensare alle regole della giustizia, ma fu scelta per esercitar soprattutto la compassione, la bontà, la condiscendenza; sapendo che siamo esposti agli assalti della concupiscenza, del mondo e del demonio, sente pietà di noi che non cessiamo di esser suoi figli anche quando cadiamo in peccato. Quindi, appena mostriamo la minima buona volontà, il desiderio di tornare a Dio, Ella ci accoglie con bontà materna; anzi spesso è Lei che, prevenendo questi buoni moti, ci ottiene le grazie che ce li eccitano nell’anima. La Chiesa intese così bene questa verità che, in certe diocesi, istituì una festa dal titolo, a prima vista alquanto strano ma che in sostanza è perfettamente giusto, di Cuore Immacolato di Maria rifugio dei peccatori; appunto perché Immacolata e perché non commise mai neppure il più piccolo peccato, sente anche maggior compassione dei poveri suoi figli, che sono purtroppo soggetti agli incessanti assalti della triplice concupiscenza. Se dunque, oppressi dal peso dei nostri peccati, non abbiamo animo di presentarci dinanzi al Dio di ogni giustizia; gettiamoci pur fiduciosamente ai piedi della madre delle misericordie: Maria perorerà la nostra causa con tanta eloquenza che, per quanto possa parer disperata, finirà col guadagnarla.

b) Sarà universale, vale a dire che si estenderà a tutte le grazie di cui abbiamo bisogno: grazie di conversione, di progresso spirituale, di perseveranza finale; grazie di preservazione in mezzo ai pericoli, alle angustie, a tutte le più gravi difficoltà che si possono mai presentare. È appunto una cosiffatta confidenza quella che viene così calorosamente raccomandata da san Bernardo (Homil. II, de laud. Virg. matris, n. 17): « Se sorgono le tempeste delle tentazioni, se ti trovi in mezzo agli scogli delle tribolazioni, volgi lo sguardo alla stella del mare, chiama: in tuo aiuto Maria. Se sei agitato dalle onde della superbia, dell’ambizione, della maldicenza, della gelosia, guarda la stella, invoca Maria. Se l’ira, l’avarizia, i diletti del senso ti scuotono la navicella dell’anima, guarda la stella, invoca Maria. Se, sgomento dalla grandezza dei tuoi delitti, confuso per il misero stato della tua coscienza, còlto da orrore al pensiero del giudizio di Dio, cominci ad affondare nell’abisso della tristezza e della disperazione, ripensa a Maria. In mezzo ai pericoli, alle angustie, alle incertezze, rivolgiti a Maria, invoca Maria. Il pensiero di Lei non abbandoni mai il tuo cuore, né  la sua invocazione muoia mai sulle tue labbra; e a ottener più sicuramente il soccorso delle sue preghiere, studiati di imitarne gli esempi. Seguendo lei, non andrai fuor di via; supplicandola, non potrai disperare… Finché ella ti tien per mano, non puoi cadere; sotto la sua protezione non hai da temer nulla; sotto la sua guida, nessuna stanchezza; e col suo favore si giunge sicuramente alla mèta ». Avendo noi sempre bisogno di grazie per vincere i nostri nemici e progredire nella virtù, dobbiamo rivolgerci spesso a Colei che viene così bene chiamata Nostra Signora del perpetuo soccorso. Né dobbiamo invocarla soltanto per noi, ma per tutti i membri della Chiesa, per gli eretici, per gli infedeli, per tutti coloro che furono riscattati da suo Figlio e la cui salute a Lei preme. Quanto più universale sarà la nostra preghiera tanto più verrà esaudita, perché ispirata da più pura e più disinteressata carità. A maggiormente avvalorare la nostra preghiera, ci studieremo di imitare le virtù di Maria.

D) Infatti, l’imitazione è l’ossequio più delicato che le possiamo porgere; perché è un dirle che la consideriamo come il modello più compito che, dopo Gesù, si possa da noi imitare.

a) E tale, infatti, è Maria: lo Spirito Santo che, in virtù dei meriti di suo Figlio, viveva in Lei, ne fece una copia vivente di questo Figlio. Ella non commise mai il più piccolo peccato, non fece mai la minima resistenza alla grazia, e pose letteralmente in pratica ciò che aveva detto il dì dell’Incarnazione: « Ecco la serva del Signore: Si faccia a me secondo la tua parola » (S.Luc. I, 38). Quindi i Padri, specialmente sant’Ambrogio e il papa san Liberio, la presentano come compìto modello di tutte le virtù: « caritatevole e cortese verso tutte le compagne, sempre pronta a render loro servigio, nulla mai facendo o dicendo che potesse cagionare il minimo dispiacere, amandole tutte, da tutte riamata ». (V. Bainvel, Le Saint Coeur de Marie, p. 313-314). – Ci basti richiamar qui quelle virtù di Maria che vengono rilevate anche dal Vangelo. 1) La fede viva e profonda, che le fa credere senza alcuna esitazione le mirabili cose annunziatele dall’Angelo da parte di Dio; fede di cui santa Elisabetta, ispirata dallo Spirito Santo, le fa le congratulazioni (S. Luc. II, 45). — 2) La verginità, che appare dalla sua risposta all’Angelo, risposta che dice la sua ferma volontà di restar vergine, anche se avesse dovuto sacrificare la dignità di Madre del Messia. — 3) L’umiltà, che risplende nel turbamento cagionatole dagli elogi dell’Angelo; nella sua dichiarazione di voler essere sempre l’ancella del Signore in quell’istante medesimo che viene proclamata Madre di Dio; nel cantico Magnificat anima mea Dominum, che è giustamente detto l’estasi della sua umiltà; nell’amore che dimostra per la vita nascosta, mentre per la dignità di madre di Dio avrebbe avuto diritto a tutti gli onori. — 4) Il raccoglimento interiore, che le fa raccogliere e silenziosamente meditare tutto ciò che si riferisce al divino suo Figlio (S. Luc. II, 51). —

5) L’amore per Dio e per gli uomini, che le fa generosamente accettare tutte le prove di una lunga vita, l’immolazione del Figlio sul Calvario, e la lunga separazione da questo Figlio diletto dal giorno dell’Ascensione fino al momento della morte. – Questo modello così perfetto è nello stesso tempo pieno di attrattiva: Maria è una semplice creatura come noi, è una sorella, è una madre che ci sentiamo tratti ad imitare, se non altro per attestarle la nostra riconoscenza, la nostra venerazione, il nostro amore. Ma poi è modello facile ad imitare, almeno sotto questo aspetto che Maria si santificò nella vita comune, nell’adempimento dei doveri di giovanetta e di madre, nelle umili cure domestiche, nella vita nascosta, nelle gioie e nelle tristezze, nell’esaltazione e nelle più profonde umiliazioni. Siamo dunque certi di essere per via molto sicura quando imitiamo Maria; ed è pure il mezzo migliore per imitare Colui che, essendo fonte di ogni santità, trasfuse nel cuore e nella vita di Lei i suoi più intimi sentimenti e le sue virtù.

b) Per accostarci a quest’ideale, non è necessario far cose straordinarie: basta adempiere i doveri di buoni Cristiani e quelli del nostro stato in unione con Maria e colla maggior fedeltà possibile, imitando le intenzioni e il fervore di questa buona Madre. Offriamo fin dal mattino per mezzo suo le nostre azioni a Gesù; rinnoviamo spesso nel corso del giorno quest’offerta con uno sguardo affettuoso alle disposizioni e alle virtù di Maria. Giungeremo così a fare ognuna delle nostre azioni per Maria, con Maria e in Maria. Operare per Maria vuol dire chiedere per mezzo di Lei le grazie di cui abbiamo bisogno per adempiere bene i nostri doveri, e seguir poi l’impulso di queste grazie; vuol dire passare per Lei per andare a Gesù e unirci a Lui; vuol dire offrire le nostre azioni per le mani di Lei. Operare con Maria vuol dire considerarla come modello e come collaboratrice, e chiederci spesso: che cosa farebbe questa buona Madre se fosse al mio posto? Vuol pure dire starsene sotto lo sguardo e la protezione di Lei in tutto il corso dell’opera nostra. Operare in Maria vuol dire operare sotto la sua dipendenza, non facendo nulla se non per suo ordine; operare nel suo spirito, colle sue intenzioni, in unione con Lei, cosicché il suo spirito pervada il nostro né abbiamo come Lei altro fine che di glorificare Dio: L’anima mia glorifica il Signore. È chiaro che a questo modo veniamo a poco a poco ad acquistare le sue disposizioni interiori, le sue virtù, la sua carità, la sua modestia, la sua purità. « Regolate dunque la vostra condotta su questo modello, aggiungerò con Bossuet (Sermoni, Seconda Domenica di Avvento, sulla festa della Concezione). Siate umili, siate pudici, siate modesti; disprezzate le mondane vanità e tutte le mode nemiche dell’onestà. Le vesti, ossequenti al pudore, nascondano veramente ciò che il pudore non vuol che si veda: se con ciò piacerete meno al mondo, piacerete di più a Colui a cui siamo obbligati a piacere. La faccia poi, la sola che deve rimanere scoperta, perché vi riluce l’immagine di Dio, abbia anch’essa la conveniente sua copertura e quasi un velo divino colla semplicità e colla modestia. Maria confesserà che l’onorate quando ne imiterete le virtù ». A questo modo ci prepareremo all’atto di totale consacrazione a Maria che compendia e compie tutti gli altri.

2° L’atto di totale consacrazione a Maria.

Le anime fervorose, che bramano unificar la propria vita semplificandola, si sentono tratte a compendiare tutti gli atti che abbiamo descritti in un atto solo che tutti li contiene e li perfeziona: un atto di totale consacrazione a Maria (Il Beato GRIGNION DE MONTFORT, che si era formato alla devozione a Maria nel Seminario di S. Sulpizio, ha molto efficacemente spiegato questa pratica nel Trattato della vera divozione a Maria e nel Segreto di Maria; cfr. A. Lhoumeau, La Vie spirituelle à l’école du Bienheureux Grignion, p. 140-427). Quest’atto comprende due cose: un atto di consacrazione da rinnovarsi ogni tanto; e uno stato abituale che ci fa vivere e operare sotto la dipendenza di Maria. L’atto di consacrazione, dice il Beato Grignion di Montfort, « consiste nel darsi interamente per schiavi a Maria e per Lei a Gesù ». Nessuno si scandalizzi di questa parola schiavo, che qui non ha nessun senso sfavorevole e tanto meno idea di coazione: quest’atto, non solo  non inchiude coazione, ma è espressione del più puro amore; vi si deve quindi intendere soltanto ciò che è di positivamente buono nella parola schiavo, come viene spiegato dal Beato. Un semplice servo riceve il salario e rimane libero di lasciare il padrone; dà il suo lavoro, ma non la sua persona né i suoi diritti personali, né i suoi beni. Lo schiavo invece acconsente liberamente a lavorar senza salario, e, fidandosi tutto nel padrone che gli provvede vitto e alloggio, gli si dà per sempre, con tutte le sue capacità, con la sua persona e coi suoi diritti, per vivere nella piena sua dipendenza. Con questa spiegazione ci verrà fatto di intendere l’estensione e l’eccellenza di quest’atto.

A) Il perfetto servo di Maria dà a Lei, e per Lei a Gesù, tutto ciò che gli appartiene:

a) Il corpo con tutti i suoi sensi, non serbandosene se non l’uso e promettendo di non servirsene se non secondo il beneplacito della Vergine o di suo Figlio; accetta anticipatamente tutte le disposizioni provvidenziali rispetto alla santità e alla malattia, alla vita e alla morte.

b) Tutti i beni di fortuna, non usandone se non sotto la sua dipendenza, per la gloria sua e per quella di Dio.

c) L’anima con tutte le sue facoltà, consacrandole al servizio di Dio e delle anime, sotto la guida di Maria, e rinunziando a tutto ciò che potrebbe compromettere la propria salute e la propria santificazione.

d) Tutti i beni interiori e spirituali, i meriti, le soddisfazioni, il valore impetratorio delle opere buone, per quel tanto che questi beni sono alienabili. Spieghiamo meglio questo ultimo punto.

1) I nostri meriti propriamente detti, con cui meritiamo a noi stessi un aumento di grazia e di gloria, sono inalienabili; se quindi li diamo a Maria è perché ce li conservi e ce li aumenti, non perché li applichi ad altri. Ma di quegli altri meriti che si dicono de congruo o di semplice convenienza, potendo essi essere offerti per gli altri, lasciamo a Maria la libera disposizione.

2) Il valore soddisfattorio dei nostri atti, comprese le indulgenze, è alienabile e noi ne lasciamo l’applicazione alla Vergine santissima.

3) Il valore impetratorio, cioè il potere che le nostre preghiere e le nostre opere buone hanno di ottenere ciò che chiediamo, le può essere ceduto anch’esso. Una volta ceduti, noi non possiamo più disporre di questi beni senza il permesso di Maria; ma si può e talora si deve pregarla che si degni di disporne, in quella misura che le parrà bene, a favore delle persone verso cui si hanno obblighi particolari. Il mezzo di conciliar bene tutte le cose è di offrire nello stesso tempo a Maria, non solo la nostra persona e i nostri beni, ma tutte le persone che ci sono care; così la Vergine Santissima attingerà nei nostri beni, ma specialmente nei tesori suoi e in quelli di suo Figlio, ciò che è necessario per venire in aiuto a queste persone: non ci perderanno nulla.

B) Questo atto di santo abbandono, già ottimo in se stesso, contiene pure gli atti delle più belle virtù:

1) Un atto di religione profonda verso Dio, verso Gesù e verso Maria: con esso infatti riconosciamo il supremo dominio di Dio e il nostro nulla; e proclamiamo di gran cuore i diritti che Dio ha dato a Maria su di noi. Ond’è che glorifichiamo Dio in Maria nel modo più perfetto, poiché gli diamo tutto ciò che siamo e tutto ciò che abbiamo, senza riserve e per sempre; e facciamo questo nel modo a Lui più gradito, secondo l’ordine stabilito dalla sua sapienza, ritornando a Lui per quella via che Egli tenne per venire a noi.

2) Un atto di umiltà, con cui, riconoscendo il nostro nulla e la nostra impotenza, ci spogliamo di tutto ciò che Dio ci diede restituendoglielo per le mani di Maria, dalla quale, dopo di Lui e per Lui, abbiamo ricevuto ogni cosa.

3) Un atto di amore confidente, giacché l’amore è dono di sé, ora per donarsi ci vuole perfetta confidenza e fede viva. Si può dunque dire che quest’atto di consacrazione, se è fatto lealmente, spesso rinnovato di cuore e messo in pratica, è anche più eccellente dell’atto eroico, col quale si cede soltanto il valore soddisfattorio dei propri atti e le indulgenze che si guadagnano.

4) È quindi un atto efficacissimo a santificarci. Maria, vedendo che le cediamo la nostra persona e i nostri beni, ci otterrà copiosissime grazie per aumentare i nostri piccoli tesori spirituali che sono suoi, per conservarli e farli fruttificare fino al momento della morte. E adopererà a tal fine la grande sua autorità sul cuore di Dio e la sovrabbondanza dei suoi meriti e delle sue soddisfazioni. – Finalmente ci guadagnerà pure la santificazione del prossimo, perché, lasciando che Maria distribuisca i nostri meriti e le nostre soddisfazioni secondo il suo beneplacito, sappiamo che tutto verrà impiegato nel modo più savio e più sicuro; Maria è più prudente, più previdente, più premurosa di noi; conosce bene i bisogni spirituali nostri e quelli delle persone che ci sono care; onde i nostri parenti ed amici non possono che guadagnarvi. Ci si obbietterà senza dubbio che a questo modo noi alieniamo tutta la nostra ricchezza spirituale, specialmente le nostre soddisfazioni, le indulgenze e i suffragi che altri potrebbe offrire per noi; onde potrebbe essere che restassimo poi lunghi anni in purgatorio. In sé questo è vero, ma si tratta di fiducia: abbiamo, o non abbiamo, più fiducia in Maria che in noi stessi o nei nostri amici? Se l’abbiamo, non temiamo nulla, perché essa si prenderà cura dell’anima nostra e dei nostri interessi meglio che non potremmo far noi. Se non l’abbiamo, lasciamo quest’atto di consacrazione totale, di cui potremmo poi pentirci. – Ad ogni modo, tale atto non si deve fare se non dopo matura riflessione e d’accordo col proprio direttore spirituale. Beate le anime che appartengono in tal guisa, corpo ed anima, a Maria! Ella le condurrà prontamente e sicuramente a Gesù, e così praticheranno la divozione a Gesù vivente in Maria.

LE GRANDI VERITÀ CRISTIANE (10)

ADOLFO TANQUEREY

LE GRANDI VERITÀ CRISTIANE CHE GENERANO NELL’ANIMA LA PIETÀ (10)

Vers. ital. di FILIPPO TRUCCO, Prete delle Missioni

ROMA DESCLÉE & C. EDIT. PONTIF. – 1930

NIHIL OBSTAT – Sarzanæ, 8 Maji 1930 J. Fiammengo, Rev. Eccl.

IMPRIMATUR Spediæ, 8 Maji 1930 Can, P. Chiappani, Del. Generalis.

PARTE PRIMA

Gesù vivente in noi per comunicarci la sua vita

CAPITOLO IV.

Maria Madre nostra e nostra Mediatrice.

ART. II. — MARIA MEDIATRICE UNIVERSALE DI GRAZIA.

Come Madre di Dio e Madre degli uomini, Maria era naturalmente designata a nostra mediatrice presso il Figlio. – Nel divino disegno vi è un solo mediatore necessario, il Verbo incarnato, che, essendo vero Dio e vero uomo, ha tutta l’autorità per riconciliare l’uomo con Dio e per unire intimamente gli uomini suoi fratelli col suo Padre celeste.

« Poiché – dice san Paolo – unico è Dio, unico pure è il mediatore di Dio e degli uomini, Cristo Gesù uomo, che diede se stesso a riscatto per tutti ». Ma da quanto abbiamo detto sulle relazioni tra Gesù e Maria, abbiamo già potuto capire che la Vergine benedetta prese tal parte all’opera della nostra redenzione, che deve pure avere un ufficio importante nella distribuzione delle grazie meritate dal Figlio. Tuttavia, essendo stata secondaria la parte che Ella ebbe nella redenzione secondaria pure ne sarà la mediazione: Gesù sarà sempre il mediatore principale, e Maria la nostra mediatrice presso di lui: mediatrix ad mediatorem; per lei andremo al Figlio, e per Lei il Figlio ci distribuirà le sue grazie. A capir bene questa dottrina, vediamo:

I° quali ne sono i fondamenti nel Vangelo;

2° quali dichiarazioni vi aggiunge la Tradizione;

3° la consacrazione che le fu conferita dalla festa di Maria Mediatrice universale di grazia.

1° I fondamenti evangelici della mediazione di Maria, sorge dal racconto evangelico l’idea che Maria ha nell’ordine della nostra salute lo stesso posto che ebbe Eva in quello della nostra spirituale rovina; come Eva cooperò con Adamo alla nostra rovina, così Maria coopera con Gesù alla nostra redenzione: come Gesù è il nuovo Adamo, così Maria è l’Eva novella.

a) Richiamiamo le parole dell’angelo a Maria.

Che cosa le propone in nome di Dio? Non di divenir madre di Gesù persona privata, ma Madre di Gesù Salvatore e Redentore del genere umano. Infatti, come ben nota il P. Bainvel (Marie, Mère de gréce, Paris, 1921, p. 73.75). « l’angelo non parla soltanto delle grandezze personali di Gesù; ma propone a Maria di divenir Madre del Salvatore, dell’aspettato Messia, dell’eterno Re dell’umanità rigenerata. Le viene quindi proposto di cooperare alla salute dell’umanità, all’opera messianica, alla fondazione dell’annunciato regno di Dio. A questo scopo Ella è la piena di grazia e la benedetta fra tutte le donne ». E non essendo l’Incarnazione se non l’inizio della Redenzione, il cooperare all’Incarnazione è un cooperare alla Redenzione e alla nostra salute. Tutta quindi l’opera redentrice sta sospesa al Fiat di Maria. La Vergine ne ha piena coscienza; sa quel che Dio le propone; e a ciò che Dio le chiede, acconsente senza alcuna restrizione o condizione: il suo Fiat corrisponde all’ampiezza delle divine proposte e si estende a tutta l’opera redentrice ». Maria è dunque la Madre del Redentore, e, come tale, associata all’opera sua riparatrice; unita al Figlio, merita con Lui per tutti gli uomini, ma solo in modo secondario e con merito di convenienza, ciò che Gesù merita come causa principale e in tutta giustizia. Maria, quindi, sarà in modo secondario anche la distributrice delle grazie largite alle anime in virtù della Redenzione. Avendo dato al Salvatore quell’umanità che lo fece atto a meritare, Ella ha un certo diritto sui meriti del Figlio; e questi è ben lieto di esprimere alla Madre la sua gratitudine affidandole una larga parte nella distribuzione delle grazie.

b) Ed è ciò che vediamo il dì della Visitazione. Ricevuto Gesù, Maria corre a far parte del suo tesoro alla cugina Elisabetta che abitava in una piccola città della Giudea. Al primo entrarle in casa, il bambino da costei concepito, che si chiamerà Giovanni Battista, le balza di gaudio nel seno e viene mondato dal peccato originale. Anche Elisabetta è ripiena di Spirito Santo e si mette a profetare: « Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo seno. E donde a me questo, che venga la Madre del mio Signore da me? Ecco che appena il suono del tuo saluto mi colpì le orecchie, il bambino balzò di giubilo nel mio seno » (S. Luc. I, 42-44). Sempre così avverrà nel corso dei secoli: ogni volta che la Madre di Gesù si avvicinerà a un’anima, sarà per recarle suo Figlio e le grazie da Lui meritateci, grazie che Lei pure ci meritò con Lui e per Lui.

c) Alle nozze di Cana, ove Maria fu invitata col Figlio, appare anche più direttamente il potere d’intercessione dell’umile Vergine. Sulla fine del convito, Maria si accorge che sta per mancare il vino; e per risparmiare agli ospiti una scena dolorosa, dice semplicemente a Gesù: « Non hanno più vino ». E Gesù ne calma l’ansietà rispondendo: « non è ancor venuto per me il momento di operare ». Maria capì che il Figlio avrebbe a suo tempo rimediato alla penuria di vino, quindi dice ai servi: « Fate tutto ciò che vi dirà ». Venuto dunque il mal punto, Gesù disse ai servi di riempir d’acqua le sei urne che avevano servito alle abluzioni; e appena furono piene, l’acqua si cangiò in vino squisito, che allietò il cuore dei convitati. Tenera scena che ben ci mostra la delicatezza del cuore di Maria e la sua efficacia sul cuore di Gesù, il quale non sa rifiutar nulla a una Madre piena di tanta bontà.

d) Questo potere d’intercessione ci pare confermato dal racconto degli Atti che narrano il ritiro fatto dagli Apostoli nel Cenacolo per prepararsi alla venuta dello Spirito Santo. « Tutti costoro, scrive S. Luca (act. I, 14), perseveravano concordi nell’orazione insieme colle donne e con Maria, Madre di Gesù ». Se lo scrittore sacro menziona in modo così esplicito la preghiera di Maria, rilevandone la qualità di Madre di Gesù, non è forse per insinuare che questa preghiera ebbe speciale efficacia a far discendere lo Spirito Santo sui primi discepoli? Noi, dunque, troviamo già nei Vangeli e negli Atti il fondamento della mediazione di Maria e del suo potere di intercessione; la Tradizione lo verrà sempre più dichiarando.

2° Le dichiarazioni della Tradizione sulla mediazione di Maria.

Già fin dai primi secoli i Padri parlano dell’ufficio di mediatrice in Maria, e questa dottrina si viene poi sempre più esplicando.

a) Nel secondo e nel terzo secolo, san Giustino, sant’Ireneo, Tertulliano, insistono sul parallelo tra Eva e Maria, e mostrano che se la prima concorse alla nostra caduta, la seconda cooperò alla nostra redenzione. Ecco, ad esempio, ciò che scrive sant’Ireneo, la cui autorità è tanto maggiore in quanto che rappresenta le Chiese dell’Asia ove era stato educato, la Chiesa di Roma ove aveva dimorato, e la Chiesa delle Gallie ove insegnava difendendo la dottrina cattolica contro gli eretici. « In quel modo che Eva, sedotta dal discorso dell’Angelo ribelle, si allontanò da Dio e ne tradì la parola, così Maria intese dall’Angelo la buona novella della verità, e portò Dio nel suo seno per aver obbedito alla sua parola… Il genere umano, posto da una vergine in catene, è da una vergine liberato… la prudenza del serpente cede alla semplicità della colomba; i vincoli che ci incatenavano nella morte vengono disciolti! » (Advers. hæres., V, 19, I).

b) Molte conclusioni trarranno i Padri da questo parallelo. Sant’Efrem, gloria della Chiesa sira, ne conclude che Maria, dopo Gesù, il mediatore per eccellenza, è la mediatrice di tutto il mondo e che tutti i beni spirituali noi otteniamo per mezzo di lei (È testo citato nella quarta lezione dell’Ufficio di Maria mediatrice della grazia). – Sant’Agostino dice che, se è venuta per una donna la morte, per un’altra donna è venuta la vita; ed aggiunge: « A ingannare il primo uomo, fu dalla donna presentato il veleno; a riscattar l’uomo, fu invece dalla donna data la salute » (Serm. II, n. 4). – Ma i Padri Greci vanno anche più oltre e, con san Germano di Costantinopoli, affermano che nessuno riceve grazie se non per mezzo di Maria: « Nessuno riceve i doni di Dio se non per voi, o purissima; a nessuno si concede la divina grazia se non per Voi, o veneratissima? » (Homil. in S. M. Jonam, n. 5. Un testo simile è citato nella quinta lezione dell’Ufficio di Maria mediatrice).

c) Quindi, quando san Bernardo proclama in modo più esplicito questa medesima verità, non fa che commentare la dottrina dei Padri greci e latini. Con quale eloquenza insiste sulla mediazione di Maria e sul suo ufficio di dispensatrice della grazia! Per Lei Dio venne a noi, per Lei dobbiamo noi andare a Lui: « Per voi abbiamo accesso al vostro Figlio, o fortunata ritrovatrice della grazia, o Madre della vita, o Madre della salute, onde per Voi veniamo accolti da Colui che ci venne dato per Voi… O nostra mediatrice, o nostra avvocata, riconciliateci con vostro Figlio, raccomandateci a vostro Figlio, presentateci a vostro Figlio » (Secondo serm. In Adventu, 5). Per Maria riceviamo pure tutte le grazie: la fonte ne è certamente Gesù, ma Maria è il canale, è l’acquedotto per cui queste grazie giungono a noi; giacchè « è volontà di Dio che riceviamo ogni cosa per Maria, sic est voluntas ejus qui totum nos habere voluit per Mariam » (Nativ. B.V.M, 7). Dio ha posto in Lei tutto il prezzo della nostra redenzione, che è Cristo; fece di Leiil serbatoio della grazia, e lo riempì in guisa dafarlo traboccare, cosicché il soverchio si riversi sudi noi : « plena sibi, superplena nobis » (Serm. II sull’Ass., n. 2). – Ed è mediatrice tanto più amabile in quanto che ha ricevuto lo scettro non della giustizia ma della bontà; e che, non dovendo far l’ufficio di giudice, è tutta piena di tenerezza, di mansuetudine, di misericordia. Mediatrice tanto più possente in quanto che suo Figlio non le sa negar nulla. « Potrà mai il Figlio respingerla o tollerare che sia respinta? No, davvero, perché Ella ha trovato grazia dinanzi a Dio » (Serm. sulla Nat., n, 7).

d) Ormai la dottrina è fissata; e Bossuet non avrà più che a formularla da teologo e insieme da oratore, appoggiandola a una ragione profonda tratta dall’unità del disegno divino (Sermoni, Avv. di S. Germano, festa della Cone., edit. Leq, t. V, p. 609)., « Ed è che avendoci Dio voluto una volta dare Gesù Cristo per mezzo della Vergine, i doni di Dio sono senza pentimento e quest’ordine non cambia più. È vero e resterà sempre vero che, avendo ricevuto per la carità di Lei il principio universale della grazia, ne riceviamo pure per mezzo di Lei le molteplici applicazioni nei vari stati che costituiscono la vita cristiana. Avendo la materna sua carità tanto contribuito alla nostra salute nel mistero della Incarnazione, che è il principio universale della grazia, continuerà eternamente a contribuirvi in tutte le altre operazioni che non sono se non dipendenze ». In altre parole, essendoci stato dato per mezzo di Lei Gesù, che è la causa meritoria di tutte le grazie, per Lei pure riceveremo le grazie particolari che nel corso dei secoli ci saranno concesse.

e) Concludiamo dunque compendiando, col Bainvel (Marie, mère de grace, p. 66)., questa dottrina in forma di tesi teotogica: « Maria ha la sua parte nell’opera della nostra redenzione e della nostra salute, parte secondaria e pienamente subordinata a quella di Gesù, ma non meno estesa ed universale; cosicché anche di Maria si può dire che non c’è né salute, né santificazione, né grazia alcuna nel mondo umano in cui non sia intervenuta e continuamente non intervenga accanto a Gesù. Tale è il senso e l’estensione dei suoi titoli di Mediatrice e di Madre ».

1) Non c’è dunque, secondo l’insegnamento tradizionale, una sola grazia concessa agli uomini che non venga immediatamente da Maria, vale a dire senza il suo intervento; s’intende sempre di mediazione subordinata a quella di Gesù. Questa reazione è nettamente esposta dal P. de la Broise (Marie, mère de gréce, p, 23-24): « Il presente ordine dei decreti divini vuole che ogni beneficio spirituale concesso al mondo sia concesso col concorso di tre volontà e che nessuno lo sia altrimenti. Innanzitutto la volontà di Dio, che conferisce tutte le grazie; poi la volontà di Gesù Mediatore primario, che le merita da se stesso e le ottiene in tutta giustizia; finalmente la volontà di Maria, Mediatrice secondaria, che per mezzo di Gesù le merita e le ottiene con merito di piena convenienza » (De congruo). La mediazione di Maria è immediata nel senso che, per ogni grazia concessa da Dio, Maria interviene coi suoi meriti passati o con le sue preghiere presenti; ma non è peraltro necessario che chi riceve queste grazie debba chiederle per mezzo di Maria; la Vergine santissima può intervenire, e lo fa in molte occasioni, senza che ne venga richiesta: una madre non aspetta sempre la preghiera del figlio per porgergli aiuto. Tuttavia, di regola generale, Maria interverrà con efficacia tanto più grande quanto più filiale sarà stata la confidenza con cui avremo ricorso alla sua protezione.

2) La mediazione di Maria è universale come quella di Gesù; si estende a tutte le grazie largite agli uomini dopo la caduta di Adamo: grazie di conversione, di progresso spirituale, di perseveranza finale; quindi noi la supplichiamo di pregare per noi « adesso e nell’ora della nostra morte ».

3) Ma è mediazione subordinata alla mediazione di Gesù, nel senso che Maria non può né meritare né ottenere né distribuire grazie se non dipendentemente da suo Figlio. Onde la mediazione di Maria e il suo potere di intercessione non solo non derogano alla gloria e all’onore di Gesù, ma fanno anzi spiccar meglio il valore e la fecondità della mediazione sua, che è la sola veramente necessaria. È questo un punto ben rilevato nella festa di Maria Mediatrice.

3° Consacrazione di questa dottrina coll’istituzione della festa di Maria Mediatrice.

Spetta al Belgio l’iniziativa di questa festa, e a Benedetto XV l’onore della sua canonica istituzione. Nel 1913, Sue Eminenza  il Cardinal Mercier (togliamo questi particolari da una lettera diretta dal Mercier, ai Vescovi della cattolicità nell’aprile del 1921) e il clero della diocesi di Malines, i provinciali di tutte le Congregazioni religiose residenti nel Belgio, la Facoltà teologica dell’Università di Lovanio, e tutto l’Episcopato belga porgevano una supplica al Sommo Pontefice per ottenere il riconoscimento dogmatico della mediazione universale di Maria. Sopravvenne sventuratamente la guerra e sospese l’esame di questa importante questione- Ma, il dimani dell’armistizio, l’eroico Belgio pregava la Sacra Congregazione dei Riti che approvasse una Messa e un Ufficio propri di Maria mediatrice e ne presentasse il testo a Sua Santità. Benedetto XV si degnò di rivedere egli stesso quell’Ufficio e quella Messa facendovi di propria mano parecchie modificazioni. Il testo così riveduto e approvato fu rinviato al Card. Mercier il 12 febbraio 1921. La festa venne fissata al 31 Maggio, giorno di chiusura del mese di Maria e vigilia del mese del Sacro Cuore; era concessa a tutto il Belgio; ma il Papa diceva che si concederebbe pure a tutti i Vescovi che ne facessero domanda alla Congregazione dei Riti. Molti l’hanno già ottenuta, fra gli altri l’Episcopato della cattolica Spagna. È da sperare quindi che verrà presto stabilita anche in Francia ed in Italia.

b) Ora la Messa e l’Ufficio contengono una chiarissima affermazione della dottrina da noi esposta. L’Invitatorio del Mattutino ci fa adorare il Cristo Redentore che tutti i beni volle concederci per Maria ». L’inno che segue contiene questa strofa molto espressiva: « Tutti i doni che il Redentore ci meritò, Maria sua Madre ce li distribuisce. Gode il Figlio di concederli ad istanza della Madre ». Le lezioni del secondo e del terzo notturno riferiscono le più aperte dichiarazioni dei Padri su questa mediazione universale, specialmente quelle di sant’Efrem, di san Germano, di san Bernardo, di san Bernardino da Siena, i quali unanimemente affermano che tutte le grazie ci vengono per mezzo di Maria. Il versetto che precede il Benedictus ci fa invocar Maria come mediatrice nostra potentissima; e l’orazione, che esprime lo spirito della festa, rammenta che, implorando Colei che fu costituita nostra Mediatrice, avremo la gioia di veder esaudite tutte le suppliche che le porgiamo. Lo stesso è delle preghiere della Messa. L’Introito ci invita ad accostarci con fiducia a Colei che è detta, dopo suo Figlio, trono della grazia, per averne appoggio e misericordia con tutti gli aiuti di cui abbiamo bisogno. Trovasi infatti in Lei, aggiunge il Graduale, la grazia, la verità, la virtù, la vita, giacché Ella partecipa alle doti della divina Sapienza. E il Vangelo ci ricorda che, essendo nostra Madre, Maria ci tratta da figli diletti e che la sua mediazione deriva dalla sua maternità. L’istituzione di questa festa non è una definizione dogmatica ma ne prepara la via, come la festa dell’Immacolata Concezione preluse alla definizione del dogma. Intanto è nostro diritto e nostro dovere di invocare con confidenza la nostra Madre e la nostra Mediatrice. Le diremo quindi con san Bernardo: « O Madre della vita, o Madre della salute, deh! Siamo per voi accolti da Colui che ci fu dato per Voi. La vostra purità ci giustifichi presso di Lui della nostra corruzione, e l’umiltà vostra, così accetta a Dio, ci ottenga il perdono della nostra superbia. L’ampia vostra carità copra la moltitudine dei nostri peccati e la gloriosa vostra fecondità ci acquisti fecondità di meriti. O nostra. Regina! O nostra Mediatrice! riconciliateci col vostro Figlio… fate che Colui il quale per mezzo vostro si degnò di prender parte alla nostra debolezza e alla nostra miseria, ci faccia pure per la vostra intercessione partecipi della sua gloria e della sua beatitudine! »

LE GRANDI VERITÀ CRISTIANE (11)

31 MAGGIO (2022): FESTA DI MARIA REGINA

31 MAGGIO (2022)

FESTA DI MARIA REGINA

(B. Baur O.S.B. :  I Santi dell’Anno Liturgico, Herder ed., Roma, 1958)

.1. – Nel pomeriggio del 31 ottobre 1954 a Roma l’immagine miracolosa della « Salus populi Romani » fu solennemente trasportata in lunga processione dal suo trono in S. Maria Maggiore a S. Pietro. 480 stendardi mariani dei più noti santuari del mondo e 280 stendardi mariani d’Italia accompagnarono l’immagine miracolosa. Già il 24 ottobre era cominciato a Roma il congresso mariologico internazionale che trovò il suo vertice e la sua conclusione nella proclamazione della nuova festa di Maria Regina e nell’incoronazione dell’immagine romana. Il Santo Padre Pio XII fissò come giorno per la celebrazione della nuova festa della Regalità di Maria il 31 maggio. – In tale giorno deve anche essere rinnovata la consacrazione dell’umanità a Maria. Alla proclamazione della festa della Regalità di Maria il Santo Padre unì l’incoronazione dell’immagine miracolosa. Incoronando l’immagine di Cristo egli pregò: « Come noi ti incoroniamo con le nostre mani sulla terra, così si possa noi esser fatti degni di venir coronati da Te in cielo con onore e gloria »; incoronando l’immagine di Maria con un diadema di dodici stelle: « Come noi t’incoroniamo con le nostre mani, così si possa noi esser da te fatti degni di venir coronati da Gesù, tuo Figlio, in cielo con onore e gloria ».

2. – Già da lunghi secoli la Chiesa confessa la propria fede nella regalità di Maria in varie preghiere e forme, specialmente nel Rosario e nelle litanie lauretane. Nel Rosario lodiamo Maria come colei che è stata dal Signore assunta in cielo e ivi coronata Regina. Nelle litanie lauretane l’invochiamo co Regina degli Angeli, dei Patriarchi, dei Profeti, gli Apostoli, dei Martiri, dei Confessori, delle Vergini e di tutti i Santi, come Regina concepita senza macchia di peccato originale, come Regina assunta in cielo, come Regina del santo Rosario e Regina della pace. Tanto è viva in noi la fede nella regalità di Maria. Da ben mille anni salutiamo Maria, nell’Ufficio della Chiesa come nella nostra preghiera personale, col « Salve Regina, vita dolcezza e speranza nostra, salve ». Con la Chiesa cantiamo in tutte le feste mariane il salmo 44, il canto profetico sul misterioso sposalizio di Cristo, lo sposo regale, con Maria sua sposa. « Effonde il mio cuore una soave parola, canto i miei versi al re » a Cristo, il Signore.  Il tuo trono, o Dio sta per i secoli dei secoli. Figlie di re ti vengono incontro, alla destra sta la regina ornata d’oro di Ofir. Ascolta figlia, guarda e porgi il tuo orecchio; il re si è invaghito della tua bellezza. Egli è il tuo Signore a Lui t’inchina. La gente di Tiro viene con doni, i più ricchi del popolo cercano il tuo favore. La figlia del re fa il suo ingresso in ornamenti smaglianti. Il suo abito è intessuto d’oro. In vesti variopinte è condotta al re. Vergini la seguono. Sono condotte con gioia ed esultanza, entrano nel palazzo del re » (Ps. XLIV) – Maria la sposa del re. Ella, la nuova Eva, sta al fianco del secondo Adamo, di Cristo, del re, nella gloria di sublime e incomparabile Regina. « Salve, Santa Madre, che hai generato il Re il quale regge nei secoli dei secoli il cielo e la terra » (Introito di molte feste mariane). Il Santo Padre ha dunque ragione di dire che con la festa della Regalità di Maria non introduce niente di nuovo se « nelle presenti circostanze confessa e corona dinanzi al mondo una verità che può aiutarci a superare il male del mondo e a proteggere i Cristiani ». – La dignità regale di Maria e il suo potere regale riposano sul suo stretto legame con Cristo. Fondamentale in proposito è il fatto che all’annuncio dell’Angelo Ella pronunciò il suo « fiat » divenendo la Madre del Figlio di Dio, di quel Re e Signore al quale « è dato ogni potere in cielo e sulla terra (Matt. XXVIII, 18). Ella è la Madre del Re divino e prende quindi parte, anche se in maniera più limitata e subordinata, alla dignità regale del Figlio suo. Essendo poi Cristo nostro Re perché, come nuovo Adamo, è nostro Redentore, allora anche Maria è, a suo modo, Regina. Poiché Ella fu associata da Dio, come nuova Eva a Cristo Redentore nella sua opera di redenzione e a quest’opera doveva cooperare tanto che a buon diritto vien detta « corredentrice », così è confacente che le sia data dal Signore una certa signoria sui redenti. Cristo è Re per natura per la sua dedizione nella morte redentrice. Maria è Regina per grazia, per Cristo e in Cristo, In virtù del suo Stretto legame con Lui, Ella Possiede una dignità e un’elevazione Su ‘tutti gli esseri creati, insieme al potere. di trasmettere a noi uomini i tesori che Cristo ci ha meritati e di ottenerci, in virtù di una intercessione materna che a Lei sola compete, grazia e aiuto da Dio.

3. – Il potere di Maria Regina è un potere sul  cuore: di Cristo Re: amandola Egli si inchina a Lei ed esaudisce le Preghiere che Ella il compito ed il potere di Presentargli a nome nostro per la salute delle nostre anime. Il potere di Maria è un Potere sugli uomini da Lei accolti come figli e che Ella desidera ardentemente di guidare e plasmare affinché Cristo prenda forma in noi e si possa così entrare nel beato regno del Figlio suo. Un potere sulla nostra volontà perché Segua il bene: un Potere sui nostri occhi perché  cerchino ed amino quello che Dio vuole. – Il potere regale di Maria è un potere e una signoria su tutto il creato, principalmente sull’umanità, su tutti e su ogni singolo, sia esso in cammino verso Dio, sia esso caduto in errore. Per tutti le è concessa dal Signore una potestà materna per collaborare efficacemente affinché raggiungano la loro eterna salvezza, per ottener loro perdono, grazia, luce e forza. – Il Potere regale di Maria è un potere e una signoria sugli spiriti maligni e sulle potenze dell’inferno, del peccato e di satana. Già nel Paradiso terrestre Ella fu indicata come Colei che avrebbe calpestato il Capo al serpente (Gen. III, 15). – Il potere regale di Maria è il potere d’intervenire in modo miracoloso nel corso del mondo e nelle leggi della natura, di guarire malattie ed impedire d d’impedire disgrazie. Ne sono testimonianze Lourdes, Fatima, Loreto, Alttoetting, i molti santuari e luoghi di pellegrinaggio mariani con le loro migliaia e migliaia di ex-voto, di gruccie ecc.: Maria ha dovunque soccorso! Chiare prove del potere regale di Maria! Il potere regale di Maria è un potere materno e una signoria sulla santa Chiesa, sulle diocesi, sulle parrocchie, le famiglie, gli ordini religiosi e i chiostri, come ben dimostra la storia della Chiesa, delle famiglie, degli ordini e dei monasteri come anche quella degli stati e dei paesi cristiani. « Vincitrice in tutte le battaglie di Dio » contro i pagani (guerre contro i Turchi!) e contro le eresie di tutti i tempi. – Quanto dobbiamo stimarci felici che il Signore ci abbia dato Maria come nostra Regina e ci abbia sottoposti al suo potere regale e alla sua signoria. Con quanta fiducia dobbiamo rivolgerci a Lei, noi suoi diletti figliuoli, dicendo con san Bernardo : « Ricordati, piissima Vergine Maria, non essersi udito al mondo che qualcuno ricorrendo alla tua protezione sia rimasto abbandonato ». Pio IX nella sua Bolla sull’Immacolata Concezione ci dice inoltre: « In ogni bisogno, angustia, pericolo dobbiamo ricorrere a Lei, avvicinarci a Lei fiduciosi. Stabilita dal Signore Regina del cielo e della terra, Ella sta alla destra del Figlio suo e lo assedia con le sue materne preghiere. Ciò che Maria desidera ottenere da Lui trova esaudimento, il suo richiedere non è mai vano ».

Preghiera

O Maria, Madre di Dio e Madre nostra, tu sei la Regina del cielo e della terra. Con grande fiducia poniamo noi stessi, con tutta quello che siamo ed abbiamo, sotto la tua particolare protezione. Sii tu Signora e Regina sulle nostre anime e il nostro corpo, sul nostro cuore e il nostro spirito, sulla nostra famiglia e la nostra casa. Tutto sia a te consacrato, ti appartenga ed esperimenti la tua materna benedizione. Amen.

Omelia di s. Bonaventura vescovo
Sermone sulla regia dignità della Beata Maria Vergine

La beata vergine Maria è diventata madre del sommo Re mediante una maternità del tutto singolare, secondo quanto si sentì dire dall’angelo: «Ecco, concepirai e darai alla luce un figlio»; e inoltre: «Il Signore gli darà il trono di David suo padre, e regnerà sulla casa di Giacobbe in eterno e il suo regno non avrà fine». È come se dicesse apertamente: Concepirai e darai alla luce un figlio che è re, che eternamente abita sul suo trono regale, e per questo tu regnerai come madre del Re, e come Regina siederai tu pure sul trono regale. Se infatti è giusto che il figlio onori la madre, è altrettanto giusto che partecipi ad essa il trono regale; per questo, per il fatto cioè che la vergine Maria ha concepito colui che porta scritto sul suo femore «Re dei re e Signore dei dominanti», nell’istante stesso in cui concepì il Figlio di Dio, divenne Regina non soltanto della terra, ma anche del cielo. E questo era stato preannunciato nell’Apocalisse dove si dice : «Un grande prodigio apparve nel cielo: una donna vestita di sole, e la luna sotto i suoi piedi, e sul suo capo una corona di dodici stelle».

Anche riguardo alla sua gloria, Maria è Regina illustre. Il Profeta esprime ciò in modo adeguato in quel salmo, che si riferisce in modo particolare a Cristo e alla vergine Maria. In esso si afferma in un primo luogo di Cristo: «Il tuo trono, o Dio, è eterno». Poco dopo si dice della Vergine: «Alla tua destra è assisa la Regina». Ciò si riferisce alle qualità più elevate, e perciò viene attribuito alla gloria del cuore. Poi il testo prosegue: «Vestita in laminato d’oro»: qui si intende il vestito di quella gloriosa immortalità che Maria acquistò con l’assunzione. Non si può credere che il vestito che aveva circondato il Cristo e che sulla terra era stato santificato totalmente dal Verbo incarnato, fosse distrutto dalla corruzione. Come fu opportuno che Cristo donasse a sua Madre la grazia totale quando ella fu concepita, così fu pure opportuno che donasse la gloria completa con l’assunzione di sua Madre. Ne consegue che è da ritenere vero il fatto che la Vergine, entrata nella gloria con l’anima e con il corpo, sia assisa accanto al Figlio.

Maria è Regina e distributrice di grazie: ciò fu. intuito nel libro di Ester, dove è scritto: «La fonte crebbe diventando fiume, e poi si trasformò in luce e in sole». La vergine Maria, raffigurata nella persona di Ester, è paragonata al dilatarsi dell’acqua e della luce, proprio perché diffonde la grazia che aiuta l’azione e la contemplazione. La stessa grazia di Dio che curò l’umanità, fu comunicata a noi attraverso Maria, come attraverso un acquedotto: è un compito della Vergine distribuire la grazia, non perché sia creatrice di grazia, ma perché ce la guadagna con i suoi meriti. Giustamente, quindi, la vergine Maria è regina nobile di fronte al suo popolo, proprio perché ci ottiene il perdono, vince le difficoltà, distribuisce la grazia e finalmente, introduce nella gloria.

Dalla Lettera Enciclica del Papa Pio XII
Enciclica Ad cæli Reginam, 11 Ottobre1954


Dai monumenti dell’antichità cristiana, dalle preghiere liturgiche, dall’innata devozione del popolo cristiano, dalle opere d’arte, da ogni parte abbiamo potuto raccogliere espressioni ed accenti, secondo i quali la vergine Madre di Dio consta primeggiare per la sua dignità regale; ed abbiamo anche provato come le ragioni che la sacra teologia ha dedotto dal tesoro della fede, confermino pienamente questa verità. Di tali testimonianze riportate si forma un concerto, la cui eco risuona larghissimamente per celebrare il sommo fastigio della regale dignità della Madre di Dio e degli uomini, che è al di sopra di ogni cosa creata, e che è stata «innalzata sopra i cori degli angeli, ai regni celesti». Essendoci poi fatta la convinzione, dopo mature e ponderate riflessioni, che verranno grandi vantaggi alla Chiesa, se questa verità, solidamente dimostrata, risplenderà più evidente davanti a tutti – quasi lucerna più luminosa posta sul suo candelabro – con la nostra autorità apostolica, decretiamo e istituiamo la festa di Maria Regina, da celebrarsi in tutto il mondo il giorno 31 maggio di ogni anno.