GNOSI, TEOLOGIA DI sATANA (74): DEMOCRAZIA CRISTIANA= DEMONIOCRAZIA ANTICRISTIANA? (6)

LA DEMOCRAZIA CRISTIANA = DEMONIOCRAZIA ANTICRISTIANA? (6)

J. DELASSUS

L’ENCICLICA PASCENDI DOMINICI GREGIS e la DEMOCRAZIA

Alla Vergine Immacolata

GAUDE, MARIA VIRGO, CUNCTAS HÆRESES SOLA INTEREMISTI IN UNIVERSO MUNDO.

NIHIL OBSTAT: Insulis, die 26 decembris 1907.
H.QUILLIET, S. Th. Dr. Librorum Censor.
IMPRIMATUR: Cameraci, die 27 decembris 1907.
t FRANCISCUS, Arch.-Coadj. Cameracen

Société St. Augustin. “Desclée, De Brouwer et Cie

LILLE, 41, rue du Metz, 41.

Nella sua lettera a Temps sul tema dell’Enciclica Pascendi, M. Fonsegrive afferma di trovare in essa una conferma di ciò che aveva pensato di vedere nell’Enciclica ai Vescovi italiani: l’ingiunzione fatta da Pio X ai laici di tacere nella Chiesa: “Taceat mulier in Ecclesia“, si diceva già; taceat laicus, pronunzia Pio X. Nel pensiero di Pio X – aggiunge M. Fonsegrive dopo aver messo crudamente questa sentenza sulle labbra del nostro Santo Padre il Papa -.affinché la Chiesa sia ben ordinata è necessario che il clero sia imbevuto di sane dottrine, e questo è sufficiente. Il laico non avrebbe altro ruolo che quello dell’ascolto e dell’obbedienza. Chiunque sia e si proclami Cattolico, chiunque agisca in quanto tale, deve agire solo sotto l’impulso della Gerarchia o almeno sotto la sua direzione. E a questo proposito, nell’Enciclica c’è persino una frase molto rimarchevole che chiama una dottrina perniciosa, quella che “vuol fare dei laici nella Chiesa un fattore di progresso”. – Per dimostrare che M. Fonsegrive fa dire all’Enciclica dice ciò che essa non dice, è sufficiente sostituire la sua frase su cui egli impianta le sue lamentele, per non dire le sue recriminazioni. Questa frase si trova nel capitolo che tratta dell’evoluzione. Il Bulletin de la Semaine, il cui principale redattore è M. Fonsegrive, è il suo principale redattore, nell’analisi col quale fa precedere il testo dell’Enciclica, ha addirittura spostato questa frase. Egli l’ha data come appartenente alla seconda parte dell’Enciclica, quella che tratta delle cause del modernismo. In questa parte esa causa ancora più stupore di qui, nell’isolamento in cui si presenta. Così viene introdotta la frase incriminata. Pio X mostra come i modernisti concepiscano e presentino l’evoluzione del dogma. Essa risulta – essi dicono – da un conflitto tra due forze, una delle quali spinge verso il progresso mentre l’altra tende alla sua conservazione. La forza conservatrice è condivisa dalla Chiesa. La forza progressista è nelle coscienze individuali e soprattutto in coloro che sono a contatto più intimo con la vita. Voi vedete apparire Venerabili Fratelli -disse Pio X allora – questa dottrina perniciosa che vuole fare della laicità nella Chiesa un fattore di progresso”, o di evoluzione dogmatica. Questo progresso di cui certi laici vogliono fare dei fattori autorizzati, sarà quindi il risultato di una transizione tra la forza conservatrice, che è nella Chiesa docente, e la forza progressista che si trova nella massa dei fedeli. Quest’ultima farebbe pressione sui depositari dell’autorità fino a quando non arrivino a modificare i dogmi in loro custodia come richiesto dalle esigenze dello spirito dei tempi. Pio X non riconosce affatto questo diritto ai laici, che egli stesso non possiede, nessuno può sorprendersi, se non il modernista che vede con difficoltà ribattere delle pretese che nessuno al mondo può arrogarsi. – È quindi ingiusto affermare che Pio X rifiuti il laico e lo condanni al silenzio, o che imponga rudemente il silenzio nella Chiesa (La Chiesa non sarà mai laica. come vorrebbe la legge delle associazioni culturali, come vorrebbero i modernisti ed i democratici – Essa può incoraggiare le iniziative generose di uomini di fede e di cuore che formino con la loro luce, attraverso la loro devozione ed il loro valore, il baluardo più saldo del sacerdozio; essa può farne dei battaglioni di élite o soldati di avanguardia per le lotte di parole e di scritti; può glorificare la natura eroica dei loro sforzi. Anche questa sbornia di democrazia da cui è travagliata la nostra età, impura contraffazione dell’ideale evangelico, ha potuto, malgrado le sue illusioni ed il potere dissolvente di cui dispone, prolungare i suoi trastulli sotto lo sguardo indulgente della Chiesa, senza incorrere nei suoi anatemi. Ma il giorno in cui minacciò di invadere l’ordine spirituale, questo contagio secolare divenne un pericolo per la Chiesa e la Chiesa stessa dovette rompere il suo silenzio. Essa può tollerare per un certo tempo certi eccessi dello spirito secolare; ma laicizzarsi essa stessa non può. – Studi. Ademar D’ALES). Oggi, come ieri, il laico è ammesso alla collaborazione attiva nell’esporre e propagandare la verità religiosa. Ma questa verità, non è a lui che spetta creare, e neanche di farla evolvere; questo non appartiene a nessuno. Essa è ciò che è. Lo Spirito Santo l’ha posta all’interno della Chiesa. È lì nella sua interezza dal giorno della Pentecoste. Spetta al Magistero attingere a questo tesoro e presentarne le ricchezze. È questa l’opera del Dottore. – Nella Chiesa c’è un Dottore sovrano ed infallibile: il Papa. Il suo Magistero si esercita in forma positiva nelle Costituzioni Apostoliche, o in forma negativa con la condanna.degli errori. Le sue decisioni sull’una o sull’altra di queste due direzioni, non richiedono solo il rispetto esteriore, ma anche l’assenso interiore dello spirito. C’è poi la magisteto del Vescovo nella sua diocesi. Esso non è così assoluto, perché il Vescovo non gode dell’infallibilità ma, tuttavia, egli non può convenire sul fatto che un Cattolico possa muovere in pubblico critiche alla dottrina del suo Vescovo. È a Roma che deve portare, se necessario, le sue rimostranze e questo perché il Vescovo è, per diritto divino, Dottore nella diocesi a lui assegnata. Egli non è solo un Dottore di sorveglianza, per cui i Sacerdoti e di laici possano essere, accanto a lui, altri Dottori sui quali egli debba solo esercitare la sua vigilanza. I Sacerdoti e, a maggior ragione, i laici, non hanno ricevuto immediatamente da Dio, come il Vescovo, l’incarico di insegnare al popolo cristiano; essi non sono, come il Vescovo, i rappresentanti ufficiali e garanti della tradizione cattolica. La loro scienza, le loro funzioni conferiscono loro solo un diritto di ordine secondario. Ed è per questo che non li si debba accettare come guide e luci se non quando rimangano dipendenti dal loro Vescovo, egli stesso soggetto alla suprema autorità del Papa. Da ciò non consegue che i laici e, più forzatamente, i Sacerdoti nella Chiesa non possano collaborare all’esposizione della dottrina e persino contribuire allo sviluppo delle scienze sacre. Il lavoro dell’intelligenza, sui dati della rivelazione, costituisce la scienza teologica nelle sue varie branche. -Questa scienza si è sviluppata di epoca in epoca e può essere sempre migliorata. Non è monopolio di nessuno, e la Chiesa plaude volentieri a tutti gli sforzi che si fanno per comprendere meglio la verità, per manifestarla più chiaramente e per diffonderla più ampiamente: sia che questi sforzi siano fatti da Vescovi, Sacerdoti o da laici. Maa laici e Sacerdoti hanno, nell’episcopato e soprattutto nel Pontificato, giudici supremi dell’ortodossia della loro scienza a cui devono sottomettersi. Non hanno nulla da temere finché le loro investigazioni continueranno nella direzione impressa segnata dall’insieme della tradizione dottrinale del Cattolicesimo. Questa disciplina, se finalmente praticata correttamente dai Vescovi e dai loro greggi, attenuerebbe gradualmente queste deplorevoli differenze tra i Cattolici sui punti della dottrina che costituiscono la base della nostra vita religiosa e sociale. Produrrebbe questa concentrazione di menti nella verità essenziale della nostra salvezza. – È auspicabile che il voto che abbiamo formulato all’inizio di queste pagine si realizzi grazie alle misure adottate dal nostro Santo Padre il Papa nella sua Enciclica, in cui la fermezza della sua volontà è così ben combinata con la lucidità dell’intelligenza. – Dopo aver esposto il male che affligge molte menti in tutta la sua profondità e in tutta la sua estensione. Pio X ricorda come fossero state recepite le parole e le azioni di Leone XIII per opporvisi: ” Con aria affettata di sottomissione e di rispetto, presero le parole piegandole ai loro intenti; gli atti li applicatono a tutt’altro che a sé stessi”; poi, perché non si riproducendo un tale disordine Sua Santità dice: “Noi siamo giunti alla decisione di prendere, senza ulteriori ritardi, misure più efficaci. La prima di queste misure riguarda gli studi. Come Leone XIII, Pio X voleva ed ordinava che la filosofia scolastica, cioè la filosofia del buon senso, la filosofia dell’uomo del popolo, allo stesso tempo quella dell’uomo di genio, fosse alla base delle scienze sacre e che su questa base si elevarsi solidamente l’edificio teologico. La seconda riguarda i maestri: che ci sia escluso senza salvezza della posizione di direttore o di professore, chiunque, in un modo o nell’altro, che si dimostri imbevuto di modernismo, impedirne le pubblicazioni e se già edite, impedirne la lettura. Proibizione di seguirne i corsi nelle università civili. – La terza, i libri ed i giornali.. Per i libri, è dovere dei Vescovi, per quanto riguarda gli scritti modernisti, impedire la loro pubblicazione, e, se pubblicati ostacolarne la lettura. Che essi ricorrano per questo, se necessario, ad una proibizione solenne, anche se il libro può avere ottenuto l’imprimatur per mancanza di un esame sufficientemente accurato. È un precetto rigoroso stabilire in tutte le curie episcopali, censori, d’ifficio, incaricati di esaminare le opere da pubblicare. – Per quanto riguarda i giornali, ai membri del clero secolare o regolare è vietato assumere l’incarico di di giornali o riviste senza il permesso degli Ordinari; che a ogni giornale venga assegnato, per quanto possibile, un censore, il cui compito sarà quello di esaminare in tempo utile ogni numero pubblicato e, se c’è qualche idea pericolosa, di imporne la ritrattazione il più presto possibile. – Il quarto i congressi. Che i Vescovi non permettano più, o solo molto raramente, dei congressi sacerdotali. In questo caso, i Sacerdoti delle diocesi straniere non potranno intervenirvi senza un permesso scritto del loro Ordinario. Affinché queste misure possano avere effetto, il Nostro Santo Padre il Papa decreta che in ogni diocesi venga istituito senza indugio un Consiglio di Vigilanza che si riunisca ogni due mesi, in un giorno prestabilito, sotto la presidenza del Vescovo responsabile di sorvegliare, molto attentamente e tutti i segni e le tracce del modernismo, sia nelle pubblicazioni che nell’insegnamento e di prendere, per preservare il clero e i giovani, prudenti ma tempestivi ed efficaci provvedimenti. In particolare, dovrà avere l’occhio assiduamente e diligentemente aperto sulle istituzioni sociali e sugli scritti che trattano di questioni sociali (“Infine, raccomandiamo che il Consiglio di Vigilanza abbia assiduamente e diligentemente aperti gli occhi su tutte le istituzioni sociali e soprattutto sugli scritti che trattino di questioni sociali, al fine di vedere se ci sia qualche modernismo che si insinui, e se tutto sia in linea con le opinioni dei Sovrani Pontefici” – Enciclica Pascedi.). Infine, affinché queste prescrizioni non vengano a cadere nell’oblio, il Santo Padre desidera ed ordina che tutti gli Ordinari diocesani, un anno dopo la pubblicazione dell’Enciclica, e poi ogni tre anni, inviino alla Santa Sede una fedele e corroborata dal giuramento sull’esecuzione delle Ordinanze in essa contenute, nonché sulle dottrine correnti nel clero, e specialmente nei seminari e nelle altre istituzioni cattoliche. – Se un tale insieme di prescrizioni rimanesse senza l’efficacia desiderata, si dovrebbe disperare per sempre di vedere il ristabilirsi di un’unione di spiriti nella verità, e concludere con l’impossibilità di opporre un esercito cattolico, compatto e risoluto, all’armata infernale che ha giurato di distruggere la Chiesa fino alle sue ultime fondamenta. Avremmo ritenuto del tutto inutile scrivere e pubblicare queste pagine, se I capi della Democrazia Cristiana avessero accolto con favore l’Enciclica del Sovrano Pontefice con il rispetto e la sottomissione dovutigli. Purtroppo abbiamo visto che non è così. Vogliono mantenere i loro seguaci alla loro scuola, come dicono loro.. Questi discepoli devono sapere questo: ciò che questa scuola insegna, in molti e troppo spesso, si rivela essere ciò che è condannato dalla Santa Sede come eretico o che porta a tutte le eresie. È giusto che alla vigilia delle ultime battaglie che l’inferno si prepara a combattere contro di noi tutti debbano sapere a chi appartengono. In presenza dell’esercito del male, l’esercito del bene deve mostrarsi compatto. Come diceva recentemente l’Abate Dabry: “Da tanto tempo gli uomini sono separsti da differenze tanto profonde ed inconciliabili quanto quelle che oppongono l’uno all’altro il partito conservatore e lo spirito democratico, e sarebbe una perdita di tempo il voler associare ed unificare le energie”. (Vie catholique, n. 17 agosto 1907). – La sua conclusione è che tutti coloro che hanno uno spirito tradizionale debbano essere eliminati dal blocco che egli vuole formare. “Noi fonderemo alfine questo partito repubblicano-democratico, con l’unione democratica, il comitato radical-socialista ed i socialisti, che aiuterà la Repubblica a rompere, alle prossime elezioni, il nuovo sforzo della reazione”. (n. del 2 nov. 1907). Spetta ai democratici cristiani vedere se questo blocco arrida loro. Ma devono riconoscere con l’Abate Dabry, che è una perdita di tempo tentare di associare ed unificare le energie se l’associazione e l’unificazione non si facciano prima di tutto negli spiriti. L’Enciclica segna il radicamento di tutti i veri Cattolici nell’aderire alle verità di ieri e di domani. Che ognuno si schieri dalla sua parte. Chi si sente più democratico che Cristiano e che vuole rimanere tale, segua l’abate Dabry nel campo dei socialisti e dei modernisti di ogni denominazione. E chi è Cristiano prima di tutto e soprattutto vada dal Vicario di Nostro Signore Gesù Cristo e gli dica: “Da chi andremo se non da te? Tu solo hai parole di vita eterna!

GNOSI TEOLOGIA DI sATANA (69): DEMOCRAZIA CRISTIANA = DEMONIOCRAZIA ANTICRISTIANA? (1)

GNOSI, TEOLOGIA DI sATANA (73): DEMOCRAZIA CRISTIANA = DEMONIOCRAZIA ANTICRISTIANA ? (5)

LA DEMOCRAZIA CRISTIANA = DEMONIOCRAZIA ANTICRISTIANA? (5)

J. DELASSUS

L’ENCICLICA PASCENDI DOMINICI GREGIS e la DEMOCRAZIA

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LILLE, 41, rue du Metz, 41, LILLE

All’indomani della pubblicazione dell’Enciclica, la Revue pratique d’Apologétique ha posto questa domanda: “La Chiesa sta scrivendo ai suoi figli. Qual è il loro atteggiamento nei confronti di questo messaggio?” Essa rispondeva: “I figli sottomessi della Chiesa, che non sono stati toccati dal fermento pernicioso, da cui alcune anime erano visibilmente afflitte, hanno ricevuto con gioia inesprimibile la parola così salda della loro Madre.

(La Revue pratique d’Apologétique avrebbe potuto aggiungere che il testo è stato accolto con ammirazione anche dai liberi pensatori. Ecco, ad esempio, cosa ne pensasse M. Georges Guy-Grand, negli Annales de la Jeunesse LAIQUE (ottobre 1907): “Questa ultima Enciclica è veramente un documento magistrale. Le menti logiche e gli uomini d’ordine devono sentire una vera gratitudine per il suo autore” – “Non si può fare a meno di ammirarla. C’è, in questa attitudine di assoluta intransigenza, un rigore razionale, un istinto di autoconservazione, un gusto per l’eroico che testimoniano una buona santità e soddisfano l’estetica geometrica…”. “Ecco degli insegnamenti che temprano i caratteri … Noi assistiamo in questo momento, in mezzo alla confusione spirituale ed alla dissoluzione morale, in cui stiamo lottando con veri e propri sforzi per ristabilire l’ordine nelle società e la chiarezza nelle menti. menti. Diffidiamo del sentimentalismo in tutte le sue forme: filosofia dell’ “azione”, filantropia, pietismo, carità; si vogliono qui ripristinare le categorie logiche, il sentimento del diritto ed il rispetto dall’autorità legittime. È il prolungamento delle Soyers Durs di Nietzsche. E senza dubbio i promotori di questo rinascimento razionale e sociale sostengono tesi radicalmente opposte, ma in fondo hanno le stesse affinità. M. Maurras, M. Soury, M. Sorel, i redattori dell’Enciclica, hanno uguale avversione per i Loisy, i Sangnier, i Buisson, i Jaurès e gli altri complessi. Loisy, ed altre menti complesse che nuotano nel torbido … Ammiriamo i personaggi, gli spiriti unilaterali, sono il sale di una società.” Non tutto quello che c’è scritto in questo articolo è da prendere sul serio. Ma quello che abbiamo qui è certamente degno di nota. – M. Paul Sabatier (protestante e librale protestante) ha scritto nel Times,un articolo in cui parla di Pio X come segue: “Il San Pietro vive nell’assoluto. Come il celebrante che, il giorno della processione del Corpus Domini, portando il sole dorato, dimentica tutto e vede solo l’ostia, va per la sua strada, ignaro di tutto, attento solo al dialogo che ha intrapreso con il suo Dio glorificato – così Pio X si muove verso il futuro, con una sicurezza forse unica negli annali del Papato”. Già ai tempi di San Paolo, tale condotta era una follia per alcuni, uno scandalo per altri. Noi sappiamo che ess è sapienza di Dio e potenza di Dio. Ce lo dice l’Apostolo, la storia conferma la sua parola. Sono passati diciannove secoli per dimostrare la veridicità di questa parola di San Giovanni: Haec est victoria qui rincit mundum, fides nostra. Ciò che ci fa trionfare sul mondo è la nostra Fede. In essa c’è la vittoria.).

Ma ci sono Cattolici per i quali la sottomissione è dolorosa. In generale, essi non fanno dichiarazioni pubbliche (Quando queste righe sono state scritte è comparso il Italia il Programma dei Modernisti.~. Sappiamo con quanta rapidità e vigore questo tentativo sia stato represso). Tuttavia, non sono completamente in silenzio; li si sente esprimere delle insoddisfazioni contro le quali vogliamo mettere in guardia i nostri lettori. – La Revue pratique d’Apologétique omette una terza categoria, quella dei pubblicisti, ai quali particolarmente incombeva il dovere di mettere l’atto pontificio sotto gli occhi dei loto lettori. Essi avevano professato nelle loro riviste, nei loro giornali, dottrine che il Santo Padre riteneva necessario condannare; la semplice lealtà li obbligava a mettere in guardia da ciò che essi avevano insegnato rispetto agli insegnamenti del Maestro della dottrina. Essi non hanno fatto altro, così facendo, che riprodurre ciò che avevano praticato al tempo di Leone XIII, all’epoca dell’Enciclica sull’America e di quella sulla Democrazia Cristiana. Sua Santità ha osservato che questo è anche il modo in cui essi trattano i seguaci dell’ortodossia in questo modo: Abbiamo a che fare con un avversario la cui erudizione e il cui vigore mentale lo rendono formidabile: essi cercano di di ridurlo all’impotenza, organizzando intorno a lui la congiura del silenzio.” – Altri hanno parlato. Noi ci fermeremo solo su colui la cui voce ha avuto maggiore risonanza su di noi, intendiamo il direttore della defunta La Quinzaine che aveva pubblicato uno dei manifesti più audaci e più clamorosi manifesti dei modernisti: Cos’è un dogma? L’audacia, per usare un eufemismo, della tesi esposta, non aveva potuto staccare i democratici cristiani da colui che considerano uno dei loro primi dottori. C’è motivo di temere che i loro occhi, offuscati dal pregiudizio, non abbiano visto, nell’articolo da lui pubblicato su il Temps, tutto quello che conteneva. Il 28 settembre egli scrisse in una lettera che il principale organo dei protestanti, pubblicò. Questa lettera sollevava osservazioni di diverso genere. Il signor Fonsegrive si è discolpato, dicendo: “Io non avevo da inquietarmi dell’opinione di Croix di ogni tipo e dei Nouvellistes di ogni genere, perché non mi rivolgevo ai loro lettori. Ho mostrato ad un pubblico di liberi pensatori le ragioni profonde dell’atto di Pio X. Ho creduto di fare ed ho fatto, nei confronti di questo pubblico, il lavoro di un apologeta. Rileggete il mio articolo da questo punto di vista. ” Quindi cosa sta dicendo, direttamente ai liberi pensatori, indirettamente ai Cattolici? Era urgente chiarire i contorni della fuggente dottrina i cui aspetti molteplici e vaghi esercitavano sulle menti la loro potente seduzione. Sembrava ovvio, nonostante l’apparente divergenza dei sistemi e delle posizioni anche tra i loro autori, che tutti erano l’espressione della stessa mente; e nel passare dall’uno all’altro, nonostante la diversità dell’opposizione tra le formule, ci si sentiva in una simile atmosfera come in una patria intellettuale comune. Ci deve essere stato, all’insaputa degli stessi autori, un asse comune che racchiudeva i loro diversi pensieri.; una volta scoperto questo asse, sarebbe stato possibile mettere a nudo le relazioni segrete dei vari sistemi e quindi dimostrare che tutti derivavano dagli stessi principi e che tutti conducevano alle stesse conseguenze anticristiane. Ecco ciò che è esatto e perfetto. Questo è ciò che abbiamo cercato, nelle pagine precedenti, di dimostrare, anche per i democratici cristiani. Ecco cosa lo è meno. Se gli autori modernisti sono stati reprensibili, tuttavia non tutto di loro è sembrato riprovevole; se, tra le loro formule, diverse ripugnavano al senso cattolico, diverse altre, ben comprese, non sembravano alterare la sostanza della fede e sembravano, al contrario, aprire prospettive eccitanti e grandiose; e infine, e soprattutto, il problema che si cercava di risolvere RIMANE IRRISOLTO. – E più avanti: Il Modernismo è stato uno sforzo per porre e risolvere prima di tutto il problema religioso. I modernisti sono condannati. Il Papa dichiara così, con la sua indiscutibile e indiscussa autorità che i modernisti non hanno trovato la soluzione al problema, ma IL PROBLEMA SUSSISTE. E l’Enciclica Pascendi non lo risolve, o meglio lo risolve solo in parte, dichiarando false soluzioni alle proposte. No, per il Cattolico sincero il problema non resta posto, il problema non rimane più in quanto problema, è risolto Roma locuta est, causa finita est. Ha ragione ancora il signor Fonsegrive quando dice: Era diventato necessario agire. Nessuno di coloro che conoscono lo stato d’animo dei seminari, degli studenti ecclesiaslici in Italia e in Francia, può negare all’Enciclica e il suo carattere di opportunità. Egli ha compiuto un’opera irreprensibile quando ha suggerito questi studi nei seguenti termini: “Tuttavia, tutto il clero, e attraverso la stessa Enciclica, saranno resi consapevoli delle dottrine moderniste, delle difficoltà che pretendevano di risolvere., le soluzioni che proponevano. I giovani studenti, in particolare, non potranno evitare di riflettere su queste questioni serie e vitali. Non importa quanto spesse siano i divisori che speriamo di stabilire, per quanto rigorose siano le misure di conservazione e per quanto Pio X possa essere obbediente, alcuni sottili soffi dell’atmosfera esterna non possono non penetrare negli istituti, nei seminari. I problemi che hanno dato origine al modernismo, anche nell’età della pace e del raccoglimento in cui stiamo per entrare, continueranno a sorgere, e nel leggere le proposte di condanna contenute nell’Enciclica, probabilmente a più di uno di questi giovani, certamente a più di uno dei loro insegnanti, anche tra I più umili ed i meno curiosi, forse era sufficiente sottoporre le formule ed apportare qualche correzione, o di introdurre qualche chiarimento, per perché diventassero ineccepibili… Gli autori modernisti trovano nelle loro dottrine qualcosa di cui sperare in un cambiamento delle idee sull’autorità in futuro. poiché, secondo loro, tutto è costantemente sulla via della variazione. Pertanto, i loro principi sono così plastici, che essi non li pongono solo per un momento in uno stato di inferiorità per poi far loro riacquistare immediatamente i loro vantaggi”. – Il signor Fonsegrive è in circolazione da molto tempo, insegnante in una scuola secondaria statale, sostiene di dirigere seminaristi e giovani ecclesiastici, cosa dico, curati, Vescovi ed Arcivescovi verso percorsi che condurrebbero l’uno all’altro, la Chiesa e il mondo, e che li porti a dare al volto dei secoli il bacio di Lamourette. Conosciamo i suoi libri: Lettere d’un Curato di campagna, Lettere di un Vescovo, ecc. ecc. Un anno fa, l’Enciclica ai Vescovi italiani lo fece uscire da un sogno: egli vide, con suo grande stupore che non competeva a lui indrottinare la Chiesa. Egli testimonia questo stato d’animo nel Diario dell’Abate Garnier (Peuple français, 6 settembre 1906). – Il Vaticano, sacro deposito dell’autorità, ha ricordato ai Vescovi italiani che ogni organixzaxione, ogni iniziativa che si proponga e che si definisca cattolica, deve essere coordinata, comandata e diretta dalla Gerarchia, dai Vescovi prima, dal Papa in seguito; che è solo a questa condizione che la dottrina sarà preservata da ogni alterazione e la condotta da ogni deviazione. La moltitudine dei fedeli costituisce il gregge cristiano, e sono solo i Vescovi ad avere la missione di condurre il gregge verso pascoli sani ed abbeverarlo alle acque pure della dottrina. – Leggendo questi gravi ammonimenti, molti di noi hanno provato una certa emozione. Sembrava che si disconoscesse la loro buona volontà e tutto ciò che era stato fecondo nei loro sforzi…. Se alcuni si sentono incapaci di ripetere senza mescolarvi qualcosa della propria anima, gli insegnamenti trasmessi, prima di lasciarsi trasportare dallo zelo che li spinge ad andare avanti, dovranno riflettere sulla grave sui gravi pericoli che possano derivare da un’audacia intempestiva, da originalità disordinata, da iniziative senza lo stato di grazia. E se, ricadendo su se stessi le loro ali sembrano loro pesanti, che si sentono di non poterne più, si diranno che l’insieme dell’azione complessiva non richiede che ogni attore abbia il primo ruolo, ma che ognuno svolga bene il suo ruolo; che il ruolo del laico è un ruolo umile, limitato alle proprie funzioni di figlio, padre e cittadino, e che l’apostolato più adatto a questo ruolo è quello di mostrare a tutti che, in silenzio, il ruolo consiste nel mostrare a tutti che il Cristiano è l’uomo che merita il rispetto del mondo per la nobiltà e bellezza della sua vita. – Queste parole non sono senza esagerazioni. L’Enciclica che le ha suscitate è stata datata 28 luglio. Nei primi giorni di giugno, il “Peuple Francais” si era appena riorganizzato ed aveva inserito nella sua lista dei redattori Ives Le Querdec (M. Fonsegrive) in compagnia dei signori Broeglin, Blondel, Bosseboef, Pierre Dabry, Paul Fesch, Felix Klein, Laberthonnière, Lemire, Naudet, Marc Sangnier, Sertillanges, ecc. ecc… Qualche mese prima, cominciava ad apparire il Bulletin de la Semaine, al quale M. Fonsegrive non è estraneo. Egli da anni dirigeva La Quinzaine. I suoi libri, le sue conferenze nei seminari mostrano senza dubbio che M. Fonsegrive desiderava esercitare un apostolato. Ma che tipo di apostolato? Un’eminente religioso, Dom Besse, ha detto di lui: “Egli è mirabilmente dotato per la capacità di esercitare sugli spiriti un’influenza profonda. Un uomo del suo valore avrebbe potuto servire per avvicinare i liberi pensatori alla Chiesa allontanati da essa dal pregiudizio e dall’ignoranza. Egli era, per così dire, ai margini del Cattolicesimo, e si trovava al posto giusto per invitare coloro che venivano dall’esterno ad entrarvi. Non era necessario più alcun apostolato. Per quanto riguarda la leggibilità del Cattolicesimo, M. Fonsegrive ha ben fatto dei segni; alcuni erano rivolti a persone esterne; ma i più numerosi ed i più più energici sono stati rivolti a uomini che, grazie alla loro fede e alla loro l’educazione, sono nel cuore della Chiesa. I giovani Sacerdoti, gli studenti del Seminario ed i Cattolici avevano tutte le sue preferenze.” Egli divenne un dirigente scolastico molto ascoltato. “Gli eccessi a cui molti dei suoi seguaci e dei suoi discepoli e sostenitori hanno dato luogo hanno fatto nascere delle inquietudini. La laicizzazione del clero, ed il suo metodo di insegnamento teologico e di apostolato, a cui hanno lavorato, è di natura tale da preoccupare nonostante lo sfarzo del decoro scientifico e sociale con cui lo si avvolge. Quando sono cominciarono ad emerse queste inquietudini, Fonsegrive si è mostrato indignato. Ecco, ad esempio, il modo in cui ha rimproverato i Sacerdoti che rifiutavano M. Loisy: “Sono sicofanti senza ingegno, senza talento, senza altra autorità se non se non quella che la loro vanità attribuisce a se stessi. Si percepisce, nel leggere certi articoli, la gioia che darebbe a certi uomini la caduta, l’eresia dichiarata di alcuni Cattolici, Sacerdoti, o laici, che a loro non piacciono. Simili a quegli uccelli che volano intorno alle case dove la morte sta per atterrare, urlano di piacere mentre aspettano il cadavere. Uccelli neri, uccelli immondi, non ne avremo abbastanza per la loro ingrata natura, pietà per la loro miseria, tristezza per la loro cecità (Mai si troverà, tra i difensori della verità un linguaggio così oltraggioso. Potremmo fare altre citazioni dallo stesso tipo, molto violente, una delle quali è rivolta al Fautore dell’Americanismo e la congiura anticristiana che mai aveva parlato di lui). Il signor Houtin ha semplicemente preso atto di un fatto che è ben noto a che osservano le idee e gli uomini del giorno, quando ha detto: :”M. Fonsegrive è uno dei leader più prudenti e più influenti del movimento per la riforma del Cattolicesimo. (Questioni bibliche al XXe siècle p. 79.). Inoltre, quale propaganda è stata fatta intorno al suo nome ed alla sua opera! Pio X, nella sua ultima Enciclica, ha sottolineato molto bene come i modernisti eccellano nel fare e disfare le reputazioni. Quando uno di loro apre le labbra, gli altri lo applaudono, invocando il progresso& della scienza.; se qualcuno ha la ventura di gridare… per le loro novità, per quanto mostruose possano essere, essi si abbattono a ranghi serrati su di lui; chi lo nega è chiamato ignorante, chi lo abbraccia e lo difende è invece esaltato. Abusati da essa, molti vanno da loro, che se si rendessero conto di ciò che sta accadendo si ritrarrebbero inorriditi. – Grazie all’audacia di alcuni, alla leggerezza ed all’imprudenza di altri, si è formata un’atmosfera pestilenziale che raggiunge ogni cosa, permea tutto e diffonde il contagio.

GNOSI, TEOLOGIA DI sATANA (74): DEMOCRAZIA CRISTIANA= DEMONIOCRAZIA ANTICRISTIANA? (6)

18 GIUGNO 1968: FONDAZIONE DELLA GERARCHIA DELLA SINAGOGA DI sATANA (3)

  18 giugno 1968: Fondazione della gerarchia nella sinagoga di satana. (3)

(Studio redazionale dal comitato internazionale “Rore sanctifica”)

Continuiamo a discutere con le idee un po’ più chiare, circa l’Invalidità intrinseca del rito del “Pontificalis Romani”, per quanto concerne la consacrazione episcopale. Ricordiamo in quali termini San Tommaso d’Aquino pone la questione: “Dio è il solo a realizzare l’effetto interno al Sacramento? Risposta: « Ci sono due modi di realizzare un effetto: in qualità di agente principale o in qualità di strumento. Secondo la prima maniera, è Dio solo che realizza l’effetto del Sacramento. Ecco perché Dio solo penetra nelle anime ove risiede l’effetto del Sacramento, e un essere non può agire direttamente là dove Egli non c’è. Anche perché appartiene solo a Dio il produrre la “grazia”, che è l’effetto interiore del Sacramento (Sum. Theol. I-II, Q.112, a. 1). Inoltre, il carattere, effetto interiore di certi Sacramenti, è una virtù strumentale derivante dall’Agente principale, che è qui Dio. Ma, nella seconda maniera, cioè agendo in qualità di ministro, l’uomo può realizzare l’effetto interiore del Sacramento; perché il ministro e lo strumento hanno la stessa definizione: l’azione dell’uno conduce ad un effetto interiore sotto la mozione dell’Agente principale che è Dio. » (Summa theologiæ III, Q.64, 1). In poche parole, l’uomo non è che il ministro, lo strumento dell’azione di Dio in un Sacramento. E qui sorge la domanda: “Chi è che ci assicura in modo assolutamente certo che Dio agisca al meglio in un rito creato nel 1968”?

Seguiamo ancora San Tommaso, che si chiede: “L’istituzione dei Sacramenti ha solo Dio per Autore? – « È a titolo di strumento, lo si è visto, che i Sacramenti realizzino degli effetti spirituali. Ora lo strumento trae la sua virtù dall’Agente principale. Vi sono due agenti, nel caso di un Sacramento: Colui che lo istituisce, e colui che usa del Sacramento già instituito applicandolo quanto a produrre il suo effetto. Ma la virtù del Sacramento non può venire da colui che non fa che usarne, perché non si tratta così se non al modo di un ministro. Rimane dunque che la virtù del Sacramento gli viene da Colui che l’ha instituito. La virtù del Sacramento non venendo che da Dio, ne risulta che Dio solo abbia istituito i Sacramenti. » Summa theologiæ (III, Q.64, 1). Dio solo ha istituito i Sacramenti, e allora, ripetiamo la domanda: Chi ci assicura in modo assolutamente certo che un rito creato nel 1968 trasmetta la “virtù” di un Sacramento che ha solo Dio come autore? – “Gli elementi necessari istituiti dal Cristo secondo San Tommaso d’Aquino: L’istituzione dei sacramenti ha Dio solo per autore?« Obiezione n°1: Non sembra, perché è la Santa Scrittura che ci fa conoscere le istituzioni divine. Ma ci sono alcuni elementi dei riti sacramentali che non si ritrovano menzionati nella Santa Scrittura, come la santa Cresima, con la quale si da’ la confermazione, e l’olio con cui si ungono i Sacerdoti, e certe altre parole e gesti che sono in uso nei Sacramenti. Risposta all’obiezione n° 1: Gli elementi del rito sacramentale che sono d’istituzione umana non sono necessari al Sacramento, ma contribuiscono alla solennità di cui lo si circonda per eccitare devozione e rispetto in quelli che lo ricevono. Quanto agli elementi necessari ai Sacramenti, essi sono stati istituiti dal Cristo stesso, che è nello stesso tempo Dio ed uomo; e se essi non ci sono tutti rivelati nelle Scritture, la Chiesa comunque li ha ricevuti dall’insegnamento ordinario degli Apostoli [la tradizione – ndr. – ]; è così che San Paolo scrive (1 Co XI, 34) : « Per gli altri punti, io li regolerò alla mia venuta ». (Summa theologiæ III, Q.64, 1). Se gli elementi del rito “necessari” al Sacramento sono stati istituiti dal Cristo stesso, ci domandiamo ancora più perplessi, chi è che ci assicura in modo assolutamente certo che gli elementi del rito creato  (… nientemeno che da dom B. Botte su commissione di Buan 1365/75!?!) nel 1968 contengano effettivamente gli elementi necessari al Sacramento istituito dallo stesso N.S. Gesù Cristo? Ricordando, al proposito, il giudizio di San Pio X « … allorché si sappia bene che la Chiesa non ha il diritto di innovare nulla che tocchi la sostanza del Sacramento » [San Pio X, 26 dicembre 1910, “Ex quo nono”]. Quindi veniamo alle “1+3” condizioni di validità del Sacramento di consacrazione: 1) Perché una consacrazione episcopale sia valida, si richiede innanzitutto che il consacratore abbia egli stesso il potere d’ordine, cioè che egli sia validamente (ed ontologicamente) Vescovo. Successivamente, sono necessarie 3 condizioni all’esistenza del Sacramento della consacrazione episcopale (vale a dire alla sua validità) : • la materia e la forma: « I Sacramenti della nuova legge devono significare la grazia che essi producono e produrre la grazia che essi significano. Questo significato deve ritrovarsi … in tutto il rito essenziale, e cioè nella materia e nella forma; ma esso appartiene particolarmente alla “forma”, perché la materia è una forma indeterminata per se stessa, ed è la “forma che la determina” ». [Leone XIII, Apostolicae Curae, 1896]. • l’intenzione del consacratore: « la forma e l’intenzione sono egualmente necessarie all’esistenza del Sacramento », «Il pensiero o l’intenzione, dal momento che è una cosa interiore, non cade sotto il giudizio della Chiesa; ma Essa deve giudicarne la manifestazione esteriore » [Leone XIII, Apostolicae Curae, 1896]. E il Santo Padre Pio XII sottolinea efficacemente la questione alla Conclusione dei lavori del 1° congresso internazionale della liturgia pastorale d’Assisi, il 22 settembre 1956: «Ricordiamo a questo proposito ciò che Noi diciamo nella Nostra Constituzione Apostolica “Episcopalis Consecrationisdel 30 novembre 1944 (Acta Ap. Sedis, a. 37, 1945, p. 131-132). Noi vi determiniamo che nella consacrazione episcopale i due Vescovi che accompagnano il Consacratore, debbano avere l’intenzione di consacrare l’Eletto, e che essi debbano per conseguenza compiere i gesti esteriori e pronunciare le parole, per mezzo delle quali il potere e la grazia da trasmettere siano significate e trasmesse. Non è dunque sufficiente che essi uniscano la loro volontà a quella del Consacratore principale e dichiarino che essi fanno proprie le sue parole e le sue azioni. Essi stessi devono compiere quelle azioni e pronunziare le parole essenziali. »! E allora, quali sono state le modifiche o le soppressioni “sospette” (per usare un eufemismo) del rito montiniano. Ecco cosa è stato soppresso: – 1) Il giuramento del futuro Vescovo che promette a Dio « di promuovere i diritti, gli onori, i privilegi dell’autorità della santa Chiesa romana… d’osservare con tutte le sue forze, e di farle osservare agli altri, le leggi dei santi Padri, i decreti, le ordinanze, le consegne ed i mandati apostolici … di combattere e di perseguire secondo il suo potere gli eretici [una delle principali funzioni del Vescovo!!!], gli scismatici ed i ribelli verso il nostro San Pietro: il Papa ed i suoi successori ». – 2) L’esame attento del candidato sulla sua fede, comprendente la domanda di confermare ciascuno degli articoli del credo. – 3) L’istruzione del Vescovo: « Un Vescovo deve giudicare, interpretare, consacrare, ordinare, offrire il sacrificio, battezzare e confermare ». In nessuna parte quindi, il nuovo rito menziona che la funzione del Vescovo sia quella di ordinare, di confermare e di giudicare (di slegare e legare). -.4) La preghiera che precisa le funzioni del Vescovo, dopo la preghiera consacratoria. Nel Pontificalis Romani, si definisce quindi una forma essenziale insufficiente. Per Pio XII, la forma deve significare in modo univoco l’intenzione del rito di fare un Vescovo per ordinare dei preti: « allo stesso modo, la sola forma sono le parole che determinano l’applicazione di questa materia, parole che significano in un modo univoco gli effetti sacramentali, cioè il potere di ordine e la grazia dello Spirito-Santo, parole che la Chiesa accetta ed impiega come tali» [Pio XII, Sacramentum Ordinis, 1947]. –

[la vera formula consacratoria di sempre in uso nella Chiesa Cattolica]

La forma designata come “essenziale” da Paolo VI non indica né il potere d’ordine, né la grazia dello Spirito-Santo come grazia del Sacramento:

« La forma consiste nelle parole di questa preghiera consacratoria; tra di esse, ecco quelle che appartengono alla natura “essenziale”, sicché sono quelle esatte perché l’azione sia valida:

« Et nunc effunde super hunc electum eam virtutem, quæ a te est, Spiritum principalem, quem dedisti dilecto Filio Tuo Jesu Christo, quem ipse donavit sanctis apostolis, qui constituerunt Ecclesiam per singula loca, ut sanctuarium tuum, in gloriam et laudem indeficientem nominis tui »

[ed ora effondi su questo eletto quella virtù che viene da Te, lo Spirito “principale”, che desti al Figlio tuo diletto, e che Egli donò ai suoi Apostoli, perché si costituisse la Chiesa come tuo santuario a gloria e lode del tuo Nome …]. (Inoltre non è specificato di quale spirito si tratti! “Principalem”, in latino, significa pure: “del principe” [si consulti un normale vocabolario della lingua latina]… quindi non è per caso che ci si riferisca, viste le referenze degli autori, allo … spirito del “principe … di questo mondo”?) – (Paolo VI, Pontificalis Romani, 1968.]. I termini supposti per definire il Vescovo figurano in un’altra parte del prefazio: «ut distribuát múnera secúndum præcéptum tuum » [Paolo VI, Pontificalis Romani, 1968). Alla maniera degli anglicani, i difensori del rito montiniano devono allora invocare l’“unità morale” del rito. Nel Pontificalis Romani, la forma essenziale è senza dubbio, insufficiente. Il Sacramento (ex opere operato) non può operare ciò che esso non significa!!! « La sola forma sono le parole che determinano l’applicazione di questa materia, parole che significano in modo univoco gli effetti sacramentali, cioè il potere d’ordine e la grazia dello Spirito-Santo, parole che la Chiesa accetta ed impiega come tale». [Pio XII, Sacramentum ordinis, 1947]. Le parole del prefazio del Pontificalis romani “non” significano affatto il potere d’ordine: “Ut distribuant munera secundum praeceptum tuum”. [Che essi distribuiscano dei “doni” (!?! forse come santa Claus o la befana !?) secondo il tuo comandamento]. Il termine adottato “distribuant munera” è equivoco, esso esprime dei doni, dei carichi, delle funzioni (vedere il diz. Gaffiot per “munus”), si tratta di un termine profano che non esprime nemmeno lontanamente il potere d’ordine. Dom Botte traduce il greco κλήρους (Klerous) con ‘carichi’ (La Tradition apostolique, Ed. Sources chrétiennes, maggio 1968). Ora un “carico” ecclesiastico non è un ordine. Un anglicano può accettare l’espressione di distribuzione di carichi, un luterano ugualmente. Questa ambiguità è voluta … siamo ben lontani dalle parole essenziali del rito latino (comple sacerdote tuo). Queste parole esprimono in modo univoco il potere d’ordine (Episcopum oportet … ordinare – il Vescovo deve ordinare!). Il sacramento (ex opere operato) non può operare ciò che esso non significhi e quindi la forma è da considerarsi “difettosaA questo punto, a differenza di tutti i riti precedentemente adottati, è patente la “contro-intenzione” del rito, quella di “non” significare il potere di ordinazione dei Sacerdoti, e quindi la volontà di non ordinare! Si mette dunque in evidenza una contro-intenzione a livello della forma del rito, contro-intenzione che appare in un contesto ecumenico-modernista che fornisce la “chiave” per la comprensione della posa in atto di questo rito. Non a caso Jean Guitton, scriveva: « Questa Chiesa ha cessato di chiamarsi cattolica per chiamarsi ecumenica », ed il massone Bugnini (col nome d’arte BUAN, sempre lui, quello della messa del baphomet “signore dell’universo”!) dichiarava sull’Osservatore Romano del 19 marzo del 1965: Noi dobbiamo spogliare le nostre preghiere Cattoliche e la liturgia Cattolica da tutto ciò che potrebbe rappresentare l’ombra di una pietra d’inciampo per i nostri “fratelli” separati (quelli che la “vera” Chiesa ha sempre chiamato “eretici” e “scismatici”, vale a dire i Protestanti.”).

Un caso simile, a proposito delle false ordinazioni anglicane, fu inesorabilmente ed infallibilmente stroncato da un Papa “vero”, Leone XIII nella sua famosa lettera Enciclica del 1896 (oggi occultata con ogni mezzo dagli apostati modernisti conciliari!), la già più volte citata “Apostolicæ curæ” nella quale si dimostravano 4 punti: –

1) La forma del Sacramento è stata rimpiazzata da una forma ambigua che non significa precisamente la grazia che produce il Sacramento [appunto come l’attuale -ndr. -]. –

2) Il rito anglicano è stato composto e pubblicato in circostanze di odio del Cattolicesimo ed in uno spirito settario ed eterodosso (come quello ecumenico e neoterico della setta modernista, ampiamente scomunicato da Papi di felice memoria, uno tra tutti: Pio II in Execrabilis– ndr, – ); –

3) Le espressioni del rito anglicano non possono avere un senso cattolico (esattamente come quello esaminato –ndr. – ).–

4) L’intenzione del rito anglicano è contraria a ciò che fa la Chiesa • Una conclusione infallibile e senza appello!!!.

Tale conclusione, viste le premesse, può essere tranquillamente e serenamente applicata, con identica fermezza, a quella del rito di Montini e del “trio blasfemo”. Si tratta come si vede, di una ulteriore impostura sacrilega a-canonica ed a-cattolica introdotta a devastazione della Gerarchia cattolica, e la formazione di una nuova gerarchia farlocca, completata di li a poco (1972) dall’abolizione indebita della tonsura ecclesiastica, e che ha “confezionato”, come vedremo, dei laici mai consacrati, dei prelati-zombi, ridicoli travestiti ed usurpanti ignobilmente titoli e giurisdizioni!

.- Continuiamo a parlare di questa cosa gravissima, della quale pochi sono a conoscenza, e chi sa e la conosce, si guarda ovviamente bene dal farne parola, e cioè della INVALIDITA’ formale e materiale della consacrazione episcopale del “Pontificalis Romani”, che sta producendo in apparenza, l’estinzione dell’Ordine sacerdotale cattolico e di conseguenza di tutti i Sacramenti: quella che oggi appare essere la Chiesa Cattolica, è costituita in realtà da un esercito di “zombi” spirituali, da “finti” e presunti sacerdoti e vescovi che stanno lentamente ma inesorabilmente soppiantando i pochi veri “residui” Vescovi e Sacerdoti, oramai solo ultraottantenni, e cioè i Vescovi ordinati con il “rito Cattolico” di sempre contenuto nel Magistero irreformabile ed eterno, o i Sacerdoti ordinati da “veri” Vescovi a loro volta ordinati prima del fatidico 18 giugno 1968. – L’Apostolicità della Chiesa Cattolica, prosegue nelle “catacombe” in cui è relegato il vero Pontefice Romano, successore di S.S. Gregorio XVII, Giuseppe Siri, che anche se con estrema difficoltà e prudenza ordina e garantisce l’operato dei Vescovi da lui nominati.

Adesso discorreremo addirittura delle ERESIE contenute nella formula del rito del “Pontificalis Romani”!! Effettivamente costateremo nella “forma” essenziale: 1) un‘eresia monofisita, 2) un’eresia anti-filioque, 3) un’eresia anti-Trinitaria, tali da configurare una forma essenziale “kabbalista e gnostica” (la Gnosi in generale, e quella talmudica-cabbalista in particolare, è propriamente la “teologia” di lucifero), e creare quindi un perfetto “eletto manicheo”. Una forma quindi, che non solo rende invalida ed illecita ogni presunta consacrazione, ma ne inverte i valori spirituali, consacrando cioè un “servo di lucifero”. E allora ci chiediamo: ma se è così come sembra, e come ci accingiamo a dimostrare, cosa pensare del prossimo “santo” G.B. Montini, Paolo VI? Possiamo affermare, con piglio categorico, sicuro e senza … peli sulla lingua: il “dannato subito” della “sinagoga di satana”, infiltrata lentamente fraudolentemente nella Chiesa Cattolica, è da ritenersi come il più grande eresiarca della storia di tutti i tempi, al cui confronto Lutero, Calvino, Fozio, Ario, Krenmer, Soncino e compagnia cantando, sono dilettanti di serie Z, di ultima categoria!”.

PORTRAIT DE CALVIN

gli eretici dilettanti e…

… Il più grande eresiarca di tutti i tempi!

C’è chi ha attaccato la Chiesa dal tetto, chi dalle mura esterne, chi dal portone e dalle finestre, ma Montini “la ruspa” L’ha praticamente rasa al suolo (si fieri potest), scardinandone i pilastri portanti: la Santa Messa, la Consacrazione episcopale, la tonsura abolita e quindi Sacerdozio cattolico abolito, con la conseguente invalidità di tutti i Sacramenti e di ogni rito! Ma torniamo alla invalida ed illecita consacrazione episcopale, alla blasfema formula di ispirazione fanta-copto-etiopica, come dimostrato in precedenza: « Et nunc effunde super hunc electum eam virtutem, quæ a te est, Spiritum principalem, quem dedisti dilecto Filio Tuo Jesu Christo » [Pontificalis Romani, 1968 (forma essenziale)]. Qui è palese l’affermazione dell’eresia monofisita, l’eresia dei monofisiti etiopici [che negano cioè la natura divina di Cristo]. Queste due righe citati infatti si ritrovano tal quali nel loro rito abissino di consacrazione episcopale. Questa eresia consiste nel considerare che il Cristo abbia bisogno di ricevere dal Padre lo Spirito-Santo per divenire ’Figlio di Dio’, e per poter comunicare a sua volta, lo Spirito-Santo ai suoi Apostoli. Il Figlio riceve lo Spirito ad un dato momento (al battesimo secondo gli Etiopi), cosa quindi che nega la natura del “Fiat” della Santissima Vergine Maria, “Fiat” che permette nello stesso momento la sua verginale Concezione, realizzando così il Mistero centrale della Fede Cattolica: l’Incarnazione di Nostro Signore Gesù-Cristo, vero Uomo e vero Dio per mezzo dello Spirito-Santo). Quindi: negazione totale della verità cattolica dell’Incarnazione del Verbo! Ma nella “forma essenziale” c’è anche spazio per l’eresia anti-Filioque [l’eresia di Fozio e dei sedicenti “Ortodossi”, che negano il procedere dello Spirito-Santo dal Padre “e” dal Figlio]. In questa forma, infatti, si afferma l’eresia anti-Filioque etiopica, secondo la quale “Non è più il Figlio che spira, con il Padre, lo Spirito-Santo (cf. il “Filioque” del Simbolo di Nicea), ma è il Figlio che riceve dal Padre lo Spirito-Santo. Si tratta di un’inversione (secondo un tipico costume satanico), delle relazioni nella Santa Trinità tra il Figlio e lo Spirito-Santo. Incredibile! Pensare che al Credo della Messa “di sempre” la Chiesa ci fa cantare a proposito dello Spirito-Santo « qui ex Patre Filioque procedit »! Questa formula esprime la fede della Chiesa nello Spirito Santo come terza Persona della Santa Trinità. Lo Spirito-Santo procede dal Padre e dal Figlio come da un solo Principio e possiede, con il Padre ed il Figlio, gli stessi attributi di onnipotenza, di eternità, di santità; Esso è uguale al Padre ed al Figlio a causa della divinità che è Loro propria. L’utilizzazione del termine Puer Jesus Christus nella “forma”, in Ippolito, «modello» del rito della consacrazione dei Vescovi riformato da Montini (il sedicente marrano Paolo VI), è rimpiazzato da: “dilectus Filius” = tuo Figlio diletto, Gesù Cristo. Malgrado tutto, questa correzione indica ancora e sempre una inferiorità del Figlio poiché il Cristo è designato anche, come nei Greci scismatici, come canale transitorio dello Spirito-Santo. Manca dunque allo Spirito-Santo la relazione essenziale in seno alla Santa Trinità come Persona emanante dal Padre e dal Figlio dall’eternità. Un errore grossolano, fondamentale, che rende, una volta di più, la forma dell’ordinazione intrinsecamente inoperante e dunque assolutamente invalida! Ed anche se la rettitudine della fede del Vescovo consacrante fosse certa, questa non potrebbe “sopperire” né correggerebbe la forma e l’intenzione che è normalmente veicolata dal rito.

Ma non è ancora finita: la “forma” inventata da B. Botte per Bugnini, su richiesta di Montini, proclama anche una eresia anti-Trinitaria! Ed infatti il « Signore » che è: Dio, il Padre; il Figlio Gesù-Cristo, consustanziale al Padre; e « lo Spirito che fa i capi (!?!) e che Tu hai dato al tuo Figlio diletto, Gesù-Cristo » non costituiscono affatto una designazione teologicamente corretta delle tre Persone divine nell’unità della sostanza e distinte per le loro Relazioni proprie! Qui il discorso è sottile e non alla portata di ogni mente non abituata (e dove sono più oramai?) al “tomismo” (la teologia di S. Tommaso), ma è palese il voler rinnegare la formulazione di San Tommaso quando dice: Pater et Filius et Spiritus Sanctus dicuntur “unum” et non unus. (Quodl. 6,1+2) [si dicono un “unico” e non uno]. Di conseguenza la nuova formula di consacrazione episcopale è egualmente invalida a causa di questa eresia antitrinitaria.

Ma c’è ancora dell’altro: questa “forma” sembra a ragione, provenire addirittura da un sistema gnostico e kabbalista! Riportiamo ancora la formula: « Et nunc effunde super hunc electum eam virtutem, quæ a te est, Spiritum principalem, quem dedisti dilecto Filio Tuo Jesu Christo» Con la modifica di “Spiritus principalis” in “Spiritum principalem”: cioè un genitivo che diviene un accusativo, l’essere dello Spirito è assimilato ad una qualità (forza), lo Spirito diviene cioè una sorta d’ “energia”, e non più una “Persona”. Questo concetto eretico deriva da un sistema “gnostico” immanentista panteista (il discorso sui concetti della “gnosi spuria” e di kabbala “spuria”, richiederebbe un’opera monumentale). La messa in equivalenza mediante un accusativo, proprio della “fabbricazione” di Dom Botte (“originalità” luciferina che non si ritrova né presso gli etiopi, né nella sinossi della ’Tradizione apostolica’ e neppure nelle Costituzioni apostoliche), tra la “forza” (virtus) che viene dal Padre e lo Spiritus principalis, fa nuovamente assimilare la Persona dello Spirito-Santo ad una semplice “qualità” proveniente da Dio, ma senza essere Dio. Questo è nuovamente un negare lo Spirito-Santo come Persona divina e quindi la sua consustanzialità divina. Ma addirittura in certe traduzioni “diocesane” lo Spirito vi appare con una minuscola, ed egualmente il ’Figlio’ vi appare con una minuscola: “Signore, spandi su Colui che tu hai scelto la tua forza, lo spirito sovrano che tu hai dato a tuo figlio”. Facendo il legame di questi elementi con la concezione kabbalista di Elia Benamozegh (cf. le sue opere in proposito), si arriva alla riduzione dello Spirito e del Figlio a due “eoni” inviati da Dio, ma che non sono Dio, bensì degli “éoni” [coppia di entità che Dio manderebbe ogni tanto per illuminare gli uomini], come nel sistema dell’eretico gnostico Valentino (o della neognosi massonica attuale), o delle forze semplici, “virtù” o energie spirituali. Questo riduce la Santa Trinità ad un concetto puramente simbolico, espressione di un sistema gnostico sotto le apparenze monoteiste (monoteismo appunto del “signore dell’universo”: lucifero, cosa di cui ci ha informato il sig. Margiotta, massone ex 33° del palladismo di Pike e Mazzini). Questo lascia trasparire la profonda conoscenza che il “marrano” Patriarca degli Illuminati di Baviera dell’epoca, Montini [la cui famiglia materna era giudaica] aveva della kabbala e della gnosi spuria che egli ha travasato nel Cattolicesimo facendola apparire “cristiana” agli “ignari” fiduciosi della sua (finta) infallibilità! A chi ne volesse sapere di più, si consiglia : “Dell’Origine dei Dogmi Cristiani”, di Elia Bénamozegh. Cap. III. Caratteri dello Spirito-Santo, pag. 271, e, sempre dello stesso rabbino, gli: Atti del convegno di Livorno (settembre 2000) Alessandro Guetta (ed.), Edizioni Thalassa de Paz, Milano, coop srl. – Dicembre 2001 Via Maddalena, 1 – 20122 Milano. Quindi la SS. Trinità è intesa seconda la “gnosi spuria”: « Non è più la Trinità di Persone nell’unità della sostanza, ma è l’Infinito, l’Assoluto, l’Eternità, l’Immensità incomprensibile, inintelligibile, vuota e senza alcuna forma, l’“ensof” in cui le tre Persone non sono più che delle emanazioni temporali (…). Secondo il paganesimo, l’Essere primordiale, che è nello stesso tempo il Non-essere, si differenzia e si rivela solamente dopo un certo tempo, facendo emanare dal suo vuoto interiore le tre divinità che i pagani hanno adorato. Così si elimina la S.S. Trinità in vista della religione noachide. E qui il discorso si allargherebbe a dismisura esulando dalle intenzioni di questo scritto. Ricordiamo solo che la negazione dell’eternità della Trinità divina è la negazione della creazione “ex nihilo”, è la negazione della differenza essenziale tra Dio e l’universo; è l’abbassamento del Creatore al livello della sua creatura o la deificazione della creatura, in particolare dell’uomo… è il panteismo» In verità questa è stata sempre la costante del “falso” pontificato di Montini: sostituire l’uomo a Dio, sostituire alla Redenzione di Gesù-Cristo, la redenzione gnostico-cabalista della triplice e blasfema trinità massonica.

Oltre a queste chiare eresie e l’intento noachide, la “forma” montiniana, nasconde un’ulteriore intenzione “occulta”, quella di designare un « Eletto » manicheo, aggiungendo l’espressione: “super hunc Electum”. “Electus” ha due sensi (cristiani) secondo il Gaffiot (termine electus) • scelto da Dio per la salvezza: VULG. Luc. XVIII,7 • scelto per ricevere il Battesimo: AMBR. Hel. 10, 34. Poi il Gaffiot aggiunge un ultimo senso: • membro d’élite della setta dei manichei, [eretici gnostici, seguaci di Mani]: MINUC. 11,6. Ora, essendo gnostica la natura del sistema dal quale deriva questa formula, questo è il vero senso, e cioè l’intenzione del rito d’ordinazione episcopale di sua satanità Paolo VI è un rito che conferisce dei poteri ad un eletto manicheo! A questo punto abbiamo bisogno di respirare aria pura, non ne possiamo più di tutti questi inganni! Certo, non vorremmo ritrovarci nei panni “infuocati” di un vescovo (falsamente) consacrato dopo il 1968, cioè un “eletto manicheo” anti-Cristo! Alla prossima per ricapitolare il tutto!

Quali sono le origini del Pontificalis Romani, da dove proviene questa formula dell’antipapa Paolo VI? Le Ragioni addotte da Paolo VI nel Pontificalis Romani per promulgare questa riforma ufficialmente sono: – « … Si è giudicato bene di ricorrere, tra le fonti antiche, alla preghiera consacratoria che si trova nella “Tradizione apostolica di Ippolito di Roma”, documento dell’inizio del terzo secolo, e che, in una grande parte, è ancora osservata nella liturgia dell’ordinazione presso i Copti ed i Siriaci occidentali. In tal modo, si rende testimonianza, nell’atto stesso dell’ordinazione, dell’accordo tra la tradizione orientale ed occidentale sul carico apostolico dei Vescovi » Paolo VI (Pontificalis Romani,1968). L’inganno è palese, poiché è provato (come vedremo più avanti) che: – La pretesa (*) Tradizione apostolica attribuita ad Ippolito di Roma, o ad altri autori, è un tentativo di ricostituzione fatto da Dom Botte dopo il 1946, ed « in modo costruttivo », secondo l’espressione di R.P. Hanssens, nel 1959. – La Tradizione apostolica d’Ippolito suscita dal 1992 un dibattito tra specialisti che la qualificano come di « pretesa Tradizione apostolica », quindi quantomeno dubbia, se non fantomatica! Questa controversia divenne oggetto di un seminario nel 2004 nel quale si concluse che: –1) La preghiera di consacrazione di Paolo VI si ispira, ma non s’identifica, con la pretesa Tradizione apostolica attribuita ad Ippolito; essa rappresenta una creazione “artificiale” di Dom Botte nel 1968. 2) La preghiera consacratoria di Paolo VI, la cui forma essenziale è ispirata alla pretesa (*) Tradizione Apostolica d’Ippolito, presenta delle similitudini con i riti Abissini, riti di eretici “monofisiti”, i quali non costituiscono dei riti validi, ma piuttosto dei riti risultanti da dibattiti teologici nati alla fine del XVII secolo. 3) I riti copto e siriaco non utilizzano affatto la formula detta d’Ippolito, (dello stesso avviso è perfino Dom Botte!). inoltre i riti utilizzati dal siriaco al copto, ai quali ci si è falsamente ispirati, venivano utilizzati per insediare un Patriarca già consacrato Vescovo, e quindi non conferivano in alcun caso il Sacramento dell’Ordine!  – 4) La formula di Paolo VI non manifesta alcun « accordo tre le tradizioni orientale ed occidentale», ma viene recuperata piuttosto da una pretesa (*) ‘Tradizione apostolica d’Ippolito’, testo che secondo alcuni proviene invece da ambiti egiziano-alessandrini, nei quali i riti traducono, secondo Burton Scott Easton, le influenze della sinagoga (The Apostolic Tradition of Hippolytus, Burton Easton, 1934, pag. 67 ed. del 1962, Archon Books).

(*) [Noi abbiamo preferito scrivere, in accordo con il comitato internazionale “rore sanctifica”: La ‘pretesa’ Tradizione apostolica a proposito di questo documento denominato “la Tradizione apostolica attribuita ad Ippolito” (o a diversi autori “Ippoliti”), conformandoci così alla denominazione dei lavori Scientifici ed universitari che si è imposta da un paio di decenni nel mondo degli specialisti che trattano di questo soggetto.]

In sostanza, la “contestazione d’Ippolito”, conosciuta dagli specialisti già dal 1946, ossia ben 22 anni prima del Pontificalis Romani, continua nel 1990 ed oltre, anche da parte dei Bollandisti (Gesuiti seguaci di Bolland, particolarmente eruditi nelle documentazioni ecclesiastico-liturgiche). Sarebbe troppo lungo e noioso riportare tutti i documenti, veri o presunti, ed i dibattiti successivi sul tema, ma a quanti, incuriositi, volessero delle indicazioni precise, consigliamo di consultare il sito del comitato “Rore Sanctifica” o i diversi Tomi di “Démontration et bibliographie” editi da ESR. In conclusione, la preghiera consacratoria di Paolo VI s’ispira, ma non riproduce affatto neppure quella della pretesa (*) “Tradizione Apostolica d’Ippolito’ che è stata quindi solo un po’ di “fumo negli occhi”, un “bluff” per prendere tempo in attesa di tempi migliori e … di nuove invenzioni, e costituisce pertanto una creazione artificiale di Dom Botte nel 1968. L’inganno verrà meglio compreso successivamente, quando qualche “topo di biblioteca”, un inopportuno ed inatteso “figlio di topa….” va a scovare le formule ed i riti orientali nelle lingue originali, fraudolentemente addotti essere un modello di ispirazione onde fondere le consuetudini liturgiche occidentali ed orientali, sicuri che nessuno mai andasse a verificarle, fidandosi della perizia dei falsi e ben oleati “sapienti” incaricati. Per il momento ci fermiamo qui, ma le sorprese continuano: “Esse ci fanno capire la volontà sottile con la quale si sia perpetrato l’inganno tra l’indifferenza, l’insipienza e, non voglia Iddio, la connivenza di tanti presunti “conoscitori di cose divine”, mollemente adagiati nei loro dorati e comodi giacigli, magari in compagnia di qualche “amichetto”.. Tremate, il giudizio arriverà anche per voi … come un ladro, quanto meno lo aspettate … e lì sarà pianto e stridor di denti!

     Concludiamo con una certa tensione il nostro esame circa la totalmente invalida e blasfema consacrazione episcopale la cui “forma” è contenuta nel (falso) pontificalis romani del 1968, forma progettata, redatta e confezionata ad arte dal trio massonico-modernista BBM [Botte, Buan 1365/75, Montini], esame che ci ha messo a conoscenza di cose sconvolgenti e scrupolosamente celate da chi “sa”, cose che descrivono una realtà totalmente artefatta ed ingannevole. A riguardo degli attuali falsi-vescovi vaticano-secondisti (compreso quelli “sedicenti” di Roma), è bene rileggere le parole, oggi tragicamente attuali, contenute in una lettera famosa che reca le firme delle più belle ed appropriate penne del Cattolicesimo, ossia di trentatré Vescovi, tra i più insigni dell’epoca della peste giudaico-ariana abbattutasi sulla Cristianità, tra i quali Melezio di Antiochia, primo presidente del Concilio Ecumenico di Costantinopoli, di S. Gregorio Nazianzeno, grande Padre della Chiesa, che presiedette il suddetto Concilio Ecumenico alla morte di Melezio, San Basilio, anch’esso Padre della Chiesa, S. Giovanni Crisostomo, ed altre personalità insigni per fama e santità. La lettera famosa riporta quanto segue: “… si getta lo scompiglio nei dogmi della Religione, si confondono le leggi della Chiesa. L’ambizione di coloro che non temono il Signore li spinge a scavalcare le autorità e ad attribuirsi l’Episcopato quale premio alla più sfacciata empietà, di modo che colui che proferisce le più gravi bestemmie venga ritenuto il più adatto per reggere il popolo come Vescovo. È scomparsa la serietà episcopale. Mancano pastori che pascolino con coscienza il gregge del Signore. I beni dei poveri sono costantemente impiegati dagli ambiziosi per proprio tornaconto e regalati senza riguardo. Il fedele compimento dei canoni si è oscurato (….) Per tutto questo gli increduli ridono, i deboli vacillano nella fede, la fede stessa è dubbiosa, l’ignoranza si distende sulle anime, quindi assumono aspetto credibile coloro che insozzano la divina parola con loro malizia, visto anche che la bocca dei più osserva il silenzio” [Opere di S. Giovanni Crisostomo. Bibliot. di Autori Cristiani. La Editorial Catolica S. A., introd. Pag. 7 -grassetto e sottolineatura redaz.-]. Nulla è cambiato oggi rispetto alla quella tragica situazione, anzi oggi è ancora peggio, perché abbiamo da un lato 1°- finti vescovi non-consacrati dell’ecumenico-modernismo, setta oggi padrona illegittima usurpante nella Chiesa; dall’altro altrettanto 2° – finti non-vescovi mai consacrati, a cominciare dal cavaliere kadosh A. Lienart, massone 30° già quattro anni prima della sua sacrilega ed invalida consacrazione, invalida poiché un Sacramento non può operare in un pluriscomunica scomunicato “latæ sententiæ” od imprimere il sigillo del sacerdozio anche ordinario in uno che grida alzando un pugnale al cielo: “Adonay nokem” [Adonai vendetta], nei brindisi inneggianti a lucifero delle agapi massoniche. (Inutile e falso dire che anche Giuda fosse stato costituito Vescovo da Gesù-Cristo, malgrado le sue intenzioni nefaste, ma il Salvatore ha lasciato fare, perché sapeva già a quale fine il reprobo traditore andasse incontro … da lì a poco). Invalida quindi la sua consacrazione, invalide tutte quelle da lui operate e quelle operate dai suoi falsi consacrati, a cominciare dal “santo” “Marcello” Giuda-Lefebvre, ben consapevole della cosa, e che oltretutto poi, senza alcun mandato, contravvenendo a tutte le regole ed ai Canoni della Chiesa, ed in dispregio a qualunque autorità, anche alle false, ha sacrilegamente ed invalidamente “finto” di consacrare, con cognizione di causa, altri poveri disgraziati peggiori di lui, destinati anch’essi alla fine di Giuda, che continuano il turpe ed infame costume di perdizione delle anime incaute. Delle pittoresche balorde consacrazioni di mons. Thuc, ai limiti della patologia psichiatrica, che in preda ad enfasi misticheggianti, ha consacrato cani e p…., senza mandato apostolico e giurisdizione, avallando scismatici ed eretici movimenti sedevacantisti pseudo-tradizionalisti, non è neppure il caso di accennare. E qui non abbiamo Santi come il Crisostomo, Basilio, Gregorio Nazianzeno. Ci resta solo la Santissima Vergine e la potentissima arma del Rosario… Ella ce l’ha promesso … “Ma alla fine il mio Cuore Immacolato trionferà!!!” [Messaggio di Fatima].

Ricordiamo pure come il grande autore cattolico francese Dom Guéranger (quando in Francia c’erano ancora Sacerdoti cattolici! … bei tempi …) nelle “Instituzioni Liturgiche”, presenta in 12 punti fondamentali la «Marcia dei pretesi riformatori del cristianesimo» : – Egli dimostra che l’eresiarca antiliturgista odia la Tradizione, rimpiazza le formule liturgiche con i testi della Scrittura Santa per interpretarli a suo modo, introduce delle formule «perfide», rivendica i diritti dell’antichità di cui si fa beffe cambiandone il rito, sopprime tutto ciò che esprime i misteri della fede cattolica, rivendica l’uso della lingua volgare, sopprime le genuflessioni ed altri atti di pietà della liturgia cattolica, odia la Potenza Pontificia Romana, organizza la distruzione dell’episcopato, rigetta l’autorità di Roma per gettarsi nelle braccia del principe temporale. Alla luce delle considerazioni di dom Guéranger, della cui retta dottrina c’è da essere assolutamente certi, siamo quindi alla presenza di eresie antiliturgiste, e del maggiore eresiarca antiliturgista mai comparso sulla faccia della terra: G. B. Montini, il marrano sedicente Paolo VI, “giustamente” pseudo-canonizzato, “santo” della attuale “sinagoga di satana” [si legga: “dannato” della chiesa Cattolica] che oggi domina la Sede di Pietro ed i Sacri palazzi dell’urbe e dell’orbe così come da visione “purtroppo” profetica del Santo Padre S. S. Leone XIII! – Ma torniamo al nostro argomento, facendo un po’ di riepilogo. Ci pare di aver capito, nella nostra grossolana ignoranza, che il rito Romano, soppresso il 18 giugno del 1968, sia un rito antico, invariabile nella sua forma essenziale da più di 17 secoli, ed infatti tutti i Vescovi cattolici di rito latino (tra i quali Santi straordinari, tipo S. Francesco di Sales o S. Alfonso Maria de’ Liguori, tanto per citarne qualcuno), sono stati consacrati con questo rito. Che cosa ha questo nuovo Rito che non va? Ecco la risposta pronta: “ Il rito di Pontificalis Romani è stato creato nel 1968 e non è MAI stato utilizzato nella Chiesa. Nessun Vescovo cattolico è mai stato consacrato in questo rito. Questo rito non possiede gli «elementi necessari», secondo la teologia sacramentale. (v. San Tommaso): Esso è INTRINSECAMENTE invalido. Questo non è un rito cattolico!!! A tal proposito cerchiamo, prima di un riepilogo dettagliato sulla questione, di comprendere meglio cosa si intendesse, accennando all’“eletto manicheo”, che sarebbe in realtà l’unico titolo che il rito, o meglio questa “pantomima”, spacciata per consacrazione episcopale, conferirebbe! Gli “eletti” manichei, o “i perfetti”, costituivano, nell’ambito del Manicheismo, una “religione” di carattere gnostico che annoverava influssi disparati derivanti da tradizioni giudaiche, iraniane, ed afro-orientali, in un “minestrone” ecumenico comprendente elementi di buddismo, cristianesimo, zoroastrismo, tradizioni iraniche, giudaismo talmudico e paganesimo variegato, il tutto ben cementato dalla cosmogonia e teogonia gnostica, in un sistema codificato secondo presunte “rivelazioni” spirituali di un “paracleto”, il presunto “spirito gemello” di Mani (da cui Manicheismo, definire compiutamente il quale richiederebbe tempo e spazio), nobile personaggio vissuto nel III secolo d.C. In Persia: gli “eletti”, erano un gruppo ristretto di religiosi osservanti rigorose norme morali e comportamentali, che libererebbero le “fiammelle” divine imprigionate nei corpi materiali creati da un “demiurgo” malefico, il Dio dei Cristiani [sempre la stessa “solfa” gnostica]: agli “eletti” si contrapponevano gli “auditores” che erano i collaboratori degli “eletti”, verso i quali avevano doveri servili (elemosine), che non li avrebbero però liberati dalla materia, continuando così essi, poverini, ad essere obbligati a trasmigrare in corpi diversi (metempsicosi gnostica e teosofica!). L’obiettivo inconfessato della sceneggiata della “falsa” consacrazione cattolica episcopalele, non è altro quindi che la blasfema “istituzione” di eletti manichei (vescovi della chiesa gnostica) nell’ambito della dottrina gnostica, “gnosticismo” del quale è infarcito il talmudismo “spurio” giudaico, al quale si “abbeverava”, per tradizione familiare, l’apostata Montini. – Chiudiamo allora con il riepilogo succinto di quanto abbiamo cercato di esporre in questa serie di scritti dedicati alle “false consacrazioni episcopali” iniziate il 18 giugno del 1968. I fatti e gli argomenti precedentemente riportati hanno dimostrato quanto segue, per il rito di consacrazione episcopale promulgato dal falso Papa, l’antipapa Giovan Battista Montini, sedicente Paolo VI, il 18 giugno 1968 a Roma, nel Pontificalis Romani:

1) Questo rito non è antico, ma è stato creato nel maggio 1968 da diversi materiali.

2) Questo rito rivendica una origine oggi contestata dagli specialisti (veri) della questione

3) Questo rito non riproduce affatto quello della pretesa (*) “Tradizione apostolica” attribuita ad Ippolito.

4) Questo rito non è, e non lo è mai stato, praticato in Oriente, presso i copti ed i siriaci occidentali.

5) Questo rito si rivela, dall’inchiesta, non essere null’altro che una “costruzione” puramente umana di Dom Botte.

6) Questo rito possiede una “forma” essenziale insufficiente.

7) Questo rito non esprime l’intenzione di conferire il potere di ordinare dei sacerdoti cattolici.

8) Questo rito subisce le condanne che Leone XIII infallibilmente indirizzò (in “æa Trinità.

9) Questo rito nega l’unione ipostatica delle due nature nella Persona di N.S. Gesù Cristo.

10) Questo rito nega la “spirazione” dello Spirito dal Figlio, nega cioè il “Filioque”.

11) Questo rito veicola una concezione kabbalista e gnostica dello Spirito-Santo.

12) Questo rito rilancia, nel 1968, l’attacco contro lo Spirito-Santo sviluppato mezzo secolo prima dal rabbino di Livorno, Elia Benamozegh (1828-1900).

13) Questo rito serve a creare, in modo sacrilego e blasfemo, gli “eletti” Manichei, e quindi vescovi gnostici!

   Ne risulta da ciò che precede, così come dai testi infallibili di Leone XIII, di Pio XII e del Magistero tutto della Chiesa di sempre, che sia assolutamente IMPOSSIBILE considerare un rito tale come INTRINSECAMENTE VALIDO e capace di consacrare dei veri Vescovi cattolici, veri successori degli Apostoli di Nostro Signore Gesù-Cristo. In tal modo quindi, come da copione scritto nelle retro logge giudaico-massoniche, e recitato dai pupazzi della “quinta colonna” ecclesiastica infiltrata, si è cercato di distruggere l’Apostolicità della Chiesa Cattolica Romana, almeno spiritualmente, lasciando poi che si distruggesse materialmente, con opportune guerre inventate per i più futili motivi, anche l’Apostolicità delle chiese orientali greco-Cattoliche, ad esempio in Ucraina, Libano, Siria, Egitto, etc., che non hanno modificato il loro rito antichissimo, così come la Messa di S. Basilio e S. Giovanni Crisostomo degli uniati.

L’Apostolicità è unicamente conservata solo nella Chiesa d’occidente, la Chiesa Cattolica Romana, dalla Gerarchia in esilio, che da Gregorio XVII, Cardinal Siri, Papa “impedito”, in poi è rimasta l’unico filo conduttore che da San Pietro in poi giunga ai nostri giorni e continuerà la serie ininterrotta dei Papi, come da Magistero solenne (v. C. A. Pastor Æternus in Conc. Vaticano), e da promessa del divin Salvatore Gesù-Cristo. A Lui sia onore e gloria, a Lui che vive e regna, con il Padre e lo Spirito Santo, per tutti secoli dei secoli.

Christus vincit, Christus regnat, Christus imperat!

18 GIUGNO 1968: FONDAZIONE DELLA GERARCHIA NELLA SINAGOGA DI sATANA (2)

18 giugno 1968: Fondazione della gerarchia nella sinagoga di satana. (2)

(Studio redazionale dal comitato internazionale “Rore sanctifica”)

   Cerchiamo di esaminare più da vicino la questione riguardante la formula di Consacrazione dei Vescovi. Intanto ci cominciamo a chiedere chi ne siano stati gli autori. Guarda caso, ci troviamo a che fare con personaggi già noti, fortemente compromessi con istituzioni massoniche e ferocemente anticristiane, al centro delle apparenti stravaganze già note della cosiddetta “nuova messa”, un rito di ispirazione vagamente anglicano-protestante, osannante il massonico e gnostico “dio signore dell’universo”, e fuorviando totalmente dal contesto teologico tridentino, pertanto carico di anatemi imperituri, in particolare per chi ne ha o ne dovrebbe avere consapevolezza. Non paghi dello “scoop” sacrilego anticattolico ed antiliturgico, di per se stesso già gravissimo, e mirando a radere al suolo totalmente la Gerarchia cattolica, e quindi la Chiesa stessa (si fieri potest …), avviano questa nuova “pratica” che confondendo tradizioni apostoliche inesistenti, costruite in biblioteca per attribuirsi un’aureola di sapienza (un “baro” da falsi sapienti), e mescolando riti orientali, siriaci ed africani, di difficile controllo documentale, ed oltretutto già rigettati nel passato perché eretici e blasfemi, creano questo nuovo rito gettando fumo negli occhi con ignobili menzogne e contraffazioni. E allora, chi sono gli autori del Pontificale Romano? Eccoli: 1) Giovanni Battista Montini, detto Paolo VI, figura arcinota, il cui ruolo, decisivo nella contro-Chiesa, è riconosciuto ormai da tutti come determinante. Non ci dilungheremo affatto su tale figuro, e così rinviamo i lettori al trittico di Don Luigi Villa che lo ha “degnamente” e compiutamente descritto con dovizia di particolari ed abbondante documentazione.

L’altro degno losco figuro, già noto ai lettori attenti del blog, è il mons. (?) 2) Annibale Bugnini, il tristemente noto BUAN 1365/75 (nome in codice di appartenenza alla “loggia”) il “grande prestigiatore” che ebbe la “sfortuna”, poverino!, … di dimenticare ad una conferenza in Vaticano, su una sedia, una borsa che malauguratamente fu rinvenuta da un giornalista che ne rivelò il contenuto (oh, questi giornalisti non si fanno mai i fatti propri!): erano documenti segreti della loggia di appartenenza alla conventicola dell’incauto “figlio della vedova”. Così “sgamato”, fu inviato come nunzio apostolico in Iran, per chiudere ingloriosamente la sua turpe carriera.

Ma l’incarico più “tecnico” fu assunto da un oscuro benedettino, 3) dom. Bernard Botte, OSB, di cui nessuno aveva mai saputo nulla, e che qualche anno prima del nuovo pontificale, pubblicava un libro in cui illustrava una strana e fino ad allora oscura, presunta “tradizione di Ippolito”, un Ippolito che non si capisce chi fosse stato, o forse “Ippoliti”, visto che se ne contano due o tre (!?!), la stessa “tradizione” già implicata fraudolentemente nella stesura della “messa di BUAN” (l’attuale rito rosa+croce spacciato per Messa cattolica dalla setta modernista, attualmente usurpante il Soglio di Pietro).

Nell’immagine si vede l’antipapa marrano che, per tranquillizzare i suoi “sostenitori” indossava l’efod, paramento che indossava il sommo sacerdote della sinagoga quando condannò a morte Gesù …

Il “Pontificalis Romani” (nuovo Sacramento dell’Ordine) è stato promulgato dal “beato” marrano kazaro Giovanni Battista Montini, l’anti-papa, sedicente Paolo VI, il 18 giugno 1968. – Montini nomina Annibale Bugnini, che fu quindi l’artefice dei due documenti liturgici essenziali del suo “ruspante” falso pontificato demolitore: 1) il Pontificalis Romani, promulgato il 18 giugno 1968 e 2): in Cena Domini, promulgato il 03 Aprile 1969. Il 07 gennaio 1972, Montini ha poi egli stesso premiato Bugnini, ordinandolo” all’Episcopato (ovviamente in modo invalido e sacrilego!!), e nominandolo poi, il 15 gennaio 1976, Arcivescovo titolare di Dioclentiana. Ma davanti allo scandalo della sua nota e divulgata appartenenza massonica fin dal 23 aprile del 1963 sotto il nome in codice di ’Buan 1365/75’, lo “esilia” come pro-Nunzio apostolico a Teheran … oramai il burattino logoro e “sgamato” si poteva mettere da parte, con un bel calcio nel fondo schiena!

Dom Bernard Botte, benedettino dell’abbazia del Mont-César (Belgio) fu, sotto l’autorità di Bugnini, il principale artigiano del testo, inventando la rocambolesca ricostruzione di un fantomatico rito, da una pretesa tradizione apostolica di Ippolito (ma non sa nemmeno lui di quale Ippolito si tratti!), nota evidentemente a lui solo.., e di cui non si era mai sentito parlare in precedenza nella Chiesa se non come frammento storico da decifrare … una favola partorita dalla fervida fantasia di questo strano benedettino, e subito fatta propria da chi intendeva distruggere la Gerarchia, il Sacerdozio ed i Sacramenti cattolici.

 Siamo così vicini a dipanare una “matassa” complicata, ma della quale si iniziano ad scorgere le terminazioni del filo, lasciando intravedere una trama interessante e che suscita curiosità anche per gli “indifferenti”, soprattutto per coloro che amano i thriller spionistici, nei quali appunto gli inganni si intrecciano vorticosamente. Ci siamo lasciati sulla vicenda della “pretesa costituzione apostolica di Ippolito”, che stava per scoppiare come una bolla di sapone vuota e fragile mostrandosi chiaramente come una “bufala” inventata da uno strano benedettino, un certo Dom Bernard Botte, su commissione di un personaggio ormai noto ai nostri lettori: il frammassone Annibale Bugnini, il famigerato BUAN 136575, intimo amico e fratello di loggia, anche se di più basso livello, dell’illuminato G.B. Montini. Ma il “nostro” trio cerca di ricorrere ai ripari con altre invenzioni, ancora peggiori come si vedrà, per giustificare una formula assurda nonché eretica e blasfema, gettando così ancora fumo negli occhi dei poveri Cattolici, ignari del “piattino” che si stava loro preparando. La nuova “trovata” è questa: la nuova formula si ispira ai riti antichi orientali, il siriaco, l’egiziano e l’etiopico, ed addirittura abissino! [si vede che avevano acquistato un nuovo atlante geografico]. Osservando la giustapposizione dei riti succitati, ne esce una grande similitudine, anche se confusa, tra il rito di Montini e “l’ordinanza ecclesiastica” nella sua recensione etiopica ed i riti abissini, e la preghiera consacratoria, la cui formula essenziale era inizialmente considerata essere parte della pretesa’Tradizione apostolica d’Ippolito’, è similare ai riti abissini! Ma questo “archeologismo storico-geografico” è manifestamente essere una eresia monofisita e quindi antitrinitaria! Infatti i riti abissini devono essere letti nel contesto del “monofisismo: Nunc autem effunde desuper virtutem Spiritus principalis, quem dedisti dilecto Filio tuo Jesu Christo [… allora dunque effondi dall’alto la virtù dello Spirito principale, che hai dato al Figlio tuo diletto Gesù Cristo]. Ciò vale ugualmente per la forma dell’Ordinanza ecclesiastica di recensione etiopica: … Et nunc effunde eam quae a te est virtutem principalis spiritus, quem dedisti dilecto puero tuo Iesu Christo … [… ed ora effondi quella che da te è la virtù dello Spirito principale …]. Perché questa formula afro-orientale, è sostanzialmente eretica, anzi blasfema, applicata ad una Consacrazione vescovile. L’enigma che si pone nella formula, riguarda lo “spiritus principalis”, che designerebbe lo Spririto-Santo, il quale viene trasmesso al Figlio, e questo significherebbe quindi, nel contesto etiope-abissino, che Gesu-Cristo diviene Figlio di Dio per mezzo di questa “operazione” che è per essi dunque una unzione divinizzante o meglio una “adozione” seguita da una “unione deificante”, quindi una “sola” natura sussistente, ciò che corrisponde appunto al “monofisismo”, eresia condannata dal Concilio di Calcedonia nel 451, che “riconosceva” al Cristo la sola natura divina, negando che la natura umana di Cristo fosse sostanzialmente la nostra, fatto che quindi impedirebbe la nostra Redenzione attraverso di Lui. [Si tratta della solita teologia gnostico-satanica, quella della “G” massonica, che fa capolino, come un serpente biforcuto, a firmare l’impresa]. Esso ancora oggi è praticato dalle chiese orientali copte di Egitto ed Etiopia e dalle maronite della Siria occidentale.  – Queste concezioni alle quali si è accennato, debordano inoltre dal quadro della Cristologia per estendersi alla Teologia trinitaria, poiché secondo questa formula così malamente manipolata, lo Spirito-Santo non sarebbe consustanziale al Figlio. L’affermazione è pertanto “anti-trinitaria” ed “anti-filioque”. In parole povere c’è una aberrante similitudine tra il rito dell’antipapa Montini ed i riti appartenenti agli eretici monofisiti! – Questi riti di consacrazione, ai quali si richiama il Montini, appartengono nei fatti a “chiese” eretiche che adottano principi già condannati abbondantemente dal Magistero cattolico, principi antitrinitari e cristologicamente a-cattolici. – Senza volerci addentrare ulteriormente in questioni molto “specialistiche”, alle quali rimandiamo i più interessati, possiamo sintetizzare dicendo che alla fin fine il rito del trio Botte-Bugnini-Montini, non è né copto, né maronita occidentale, essendo essi confusamente sovrapposti tra loro ma non coincidenti, e quel che più è evidente, è che la preghiera consacratoria (la forma del Sacramento) non riprende nemmeno quella della pretesa “tradizione apostolica” del fantomatico Ippolito; dissimili sono pure il rito nestoriano ed armeno. Un vero pastrocchio al quale però tutti, ancora oggi, ricorrono per rivestirsi sacrilegamente di una carica usurpata ai legittimi pretendenti! (A proposito del trio, ben si confa’ la profezia del re-Profeta: “1 – Ecce parturiit injustitiam; 2- concepit dolorem, et 3 – peperit iniquitatem” … che subito dopo aggiunge: “Lacum aperuit, et effodit eum; et incidit in foveam quam fecit” (Ps. VII, 15-16) e più in là completa: “Dominus autem irridebit eum, quoniam prospicit quod veniet dies ejus” – Ps. XXXVI, 13!)

Questi fatti succintamente riferiti, contraddicono quindi la parola del pinocchio-Montini (c.d. Paolo VI, l’antipapa usurpante, rappresentante di satana in carne ed ossa, contrapposto al vero Papa in esilio, Gregorio XVII), secondo la quale: “ … si è ben giudicato di ricorrere, tra le fonti antiche alla preghiera consacratoria che si trova nella tradizione apostolica di Ippolito di Roma, documento dell’inizio del III secolo, e che, per una gran parte è ancora osservata nella liturgia dell’ordinazione presso i Copti e i Siriani occidentali”. No, non è Pinocchio a Bengodi, ma Paolo VI in “Pontificalis Romani”. In realtà sappiamo oggi benissimo, e chiunque può costatarlo, che i riti copto e siriaco occidentale non utilizzino affatto la “prefabbricata” preghiera consacratoria della pretesa “Tradizione apostolica di Ippolito”. Lo stesso Dom Botte, in opere successive, aggiungeva fandonie a menzogne per giustificare il suo strampalato operato chiaramente in malafede. Ad esempio in un’opera del 1957 opponeva la “tradizione apostolica di Ippolito” alla tradizione siriaca autentica. [“La formula di ordinazione – la grazia divina nei riti orientali”; in “l’Oriente siriano”, abst., vol. II, fasc. 3, 3° trim. 1957, Parigi, pag. 285-296]. Si tratta alla fine, di un inaudito abuso, quello perpetrato il 18 giugno 1968 dall’anti-Papa sedicente Paolo VI, [solo un falso papa poteva avallare tali bestialità]: egli ha avuto il “temerario ardimento” di rimpiazzare un rito latino antico invariabile nella sua forma essenziale da oltre 17 secoli, con una creazione artificiale ricavata da una ricostruzione di Dom Botte apparsa negli anni 1950, e poi nel 1990 contestata dagli specialisti (quelli veri!). Il Montini si è giustificato con un sedicente ritorno alle origini, un falso archeologismo, riproducendo il metodo degli anglicani utilizzato in passato e nei confronti del quale Leone XIII scriveva bollandoli severamente: « essi hanno grandemente sfigurato l’insieme della liturgia conformemente alle dottrine erronee dei novatori, con il pretesto di ricondurla alla sua forma primitiva ». (Apostolicae curæ, 1896). Si è preteso giustificarsi con delle menzogne [avendo per padre il diavolo, non poteva essere altrimenti!]; concludendo:

1) la forma citata “non” riproduce affatto la forma della pretesa ’Tradizione apostolica’ attribuita ad Ippolito.

2) la forma citata non è stata “mai” in uso nei riti copto e siriano occidentale.

3) Si è commesso un attentato contro lo Spirito-Santo, avendo avuto, come detto, l’audacia inaudita di rimpiazzare con una creazione puramente umana e mal congegnata, un rito invariabile nella sua forma essenziale e quasi bi-millenaria, di cui lo Spirito-Santo è stato garante della costanza, coronata poi dalla decisione infallibile di Pio XII (Sacramentum ordinis) meno di 21 anni prima dell’atto ignobile del marran Montini, (e quindi irreformabile da parte di un vero Papa – un vero Papa non avrebbe mai apportato, né poteva, una modifica al Magistero definito da un suo predecessore!). Ecco quindi le origini smascherate di un rito aberrante: une creazione puramente umana!

Allen Brent: Hippolytus & the Roman Church in the Third Century, Communities in tension before the Emergence of a Monarch-Bishop, Allen Brent, E.J.Brill, 1995

Stewart-Sykes, Hippolytus: On the Apostolic Tradition:

An English Version with Introduction and Commentary,

(New York: St. Vladimir’s Press 2001.)

J.A. Cerrato, Hippolytus Between East and West: The Commentaries

and the Provenance of the Corpus, (Oxford: U.P. 2002).

Bradshaw, M.E. Johnson, and L.E. Phillips, The

Apostolic Tradition; A Commentary, (Minneapolis

MN: Fortress Press 2002).

Alcuni volumi di specialisti che contestano con fatti evidenti la “pretesa” costituzione apostolica di Ippolito”! Ma anche questi sono superati dalle nuove menzogne … siriache ed abissine!

18 GIUGNO 1968: FONDAZIONE DELLA GERARCHIA DELLA SINAGOGA DI sATANA (3)

18 GIUGNO 1968: FONDAZIONE DELLA GERARCHIA NELLA “SINAGOGA DI sATANA” (1)

18 giugno 1968: Fondazione della gerarchia nella sinagoga di satana. (1)

(Studio redazionale dal comitato internazionale “Rore sanctifica”)

18 giugno del 1968? Che cosa è successo in questa data, vi chiederete? Alla maggior parte delle persone, e soprattutto a coloro che, militando nella anti-chiesa conciliare, infiltrata palesemente dalla sinagoga di satana, si reputano ancora cattolici, nonostante l’evidenza dei fatti dimostri che essi siano modernisti ultra-protestanti e non abbiano più alcuna idea di che cosa significhi essere Cattolici, non conoscendo più il Catechismo, la Tradizione dei Padri, e soprattutto il Magistero della Chiesa, credendo che il tutto si risolva nella frequentazione di un rito paganeggiante, protestantizzato, per certi aspetti demoniaco, blasfemo e sacrilego, che ancora essi osano definire “Messa”, della quale non hanno nemmeno la più pallida idea, o avvezzi a sacramenti canonicamente invalidi e illeciti somministrati da falsi sacerdoti invalidamente ordinati da falsi vescovi. A queste persone – dicevo – questa data non dice alcunché! Molto si dibatte sul “novus ordo missæ”, nuovo vero “mostro conciliare”, dal tenore gnostico-luciferino, schiaffo cruento a tutta la dogmatica cattolica ed ai dettami evangelici, oltre che alla tradizione bi-millenaria della Santa Chiesa Cattolica, rito mutuato dai rosa+croce, 18° livello massonico, che offrono nelle loro agapi sataniche un agnello decollato al “signore dell’universo”, cioè a lucifero, quale sacrificio redentivo … qualche sprovveduto ancora obietta: “ … ma non è stato concesso con il “summorum pontificum” del 2007 di celebrare in “forma straordinaria” la Messa antica?” A parte il fatto che questa è stata un’ennesima “presa per i fondelli” (mi si passi l’espressione rustica), il considerare cioè la “vera” Messa solo un rito straordinario, da celebrare “una tantum” per accontentare gli inguaribili antiquati e trogloditi legati alla tradizione, alla domanda si può rispondere tranquillamente così: “Quando sono oramai scomparsi i Sacerdoti validamente consacrati, ecco che i modernisti apostati hanno permesso la celebrazione della Messa “in latino”. Questo significa che viene permesso il rito cattolico “di sempre”, ma esso è comunque sacrilego, invalido ed illecito, perché celebrato da un falso prete, un laico travestito, mai consacrato, sia perché mai tonsurato, come la Chiesa ha sempre stabilito irreformabilmente nel Concilio di Trento, sia perché ordinato oltretutto da un finto vescovo, a sua volta mai consacrato, per il semplice motivo che il rito di consacrazione dei vescovi è totalmente mutato dal 18 giugno del 1968, dal momento che la formula valida, fissata infallibilmente ed immutabilmente da Pio XII nel 1947, è stata sostituita da una formula assurda, blasfema, eretica, offensiva per le pie orecchie, offensiva verso la Chiesa di Cristo e tuttala Tradizione apostolica pregna di definizioni antitrinitarie, anti-filoque, atta a consacrare un “eletto manicheo”, cioè un servo dell’anticristo, come vedremo più in avanti. In tal modo si è cercato di scardinare la Chiesa ed il Cristianesimo divino tutto, distruggendo la gerarchia cattolica, invalidando – oltretutto – il Sacramento della Cresima, quello che rende veri “soldati” i battezzati in Cristo, motivo principale per cui i giovani attualmente sono assolutamente privi delle manifestazioni dei Doni dello Spirito Santo, quelli che rendono un battezzato un vero Cristiano attivo e pronto a difendere la propria fede ed a comportarsi secondo i dettami della Chiesa Cattolica, l’unica vera Chiesa di Cristo, con i risultati che tutti possiamo osservare. Una “fava” che ha permesso di prendere due “grossi” piccioni: la Gerarchia e la gioventù cattolica, oramai entrambe “quasi” distrutte, materialmente l’una e spiritualmente l’altra. Questa verità sconvolgente purtroppo si è realizzata sotto una sapiente regia, non solo umana, come vedremo, ma anche e soprattutto luciferina!

     Ma procediamo con ordine, trattandosi di un argomento molto delicato, cioè della “consacrazione dei Vescovi”, la cui formula è stata modificata ed applicata appunto per la prima volta, nel fatidico, ormai lontano 18 giugno 1968, formula che costituisce un passaggio fondamentale ed obbligato nella costruzione della Gerarchia cattolica, nonché la base di tutti i Sacramenti. Scardinando con machiavellica lucidità questa “Consacrazione”, con il renderla cioè invalida nella “forma” e nella “intenzione”, tutto l’edificio Cattolico umanamente, crolla inesorabilmente nel giro di pochi decenni, esattamente come è accaduto negli ultimi anni, lasciando veramente la Chiesa Cattolica, come annunziato dalla Vergine alle apparizioni de La Salette, oscurata da una eclissi mostruosa: “… la Chiesa sarà eclissata!” …

L’argomento è della somma importanza in riferimento alla salvezza della nostra anima, che nella maggior parte dei casi è, nel mondo cattolico, affidata (si fa per dire …) a semplici laici travestiti, come da sacrilego carnevale, da vescovi, cardinali o preti (che in verità hanno già “coerentemente” dismesso l’abito sacerdotale, come ognuno può constatare). –  Iniziamo da considerazioni teologiche apparentemente barbose, ma indispensabili per una corretta comprensione dell’argomento. Dalla teologia dei Sacramenti apprendiamo che “L’ordinazione episcopale è fondamentale essendo la “sorgente” di tutti i Sacramenti, sia direttamente, [pensiamo alla Cresima e all’Ordine sacerdotale], sia Indirettamente: [i Sacerdoti ordinati amministrano a loro volta: Eucarestia, Battesimo, Confessione, Matrimonio, Unzione degli infermi].”

Affinché un Sacramento abbia validità, sono necessarie tre cose: “la materia, la forma e l’intenzione”. Ad esempio, per il Battesimo occorre l’acqua (materia), poi è indispensabile la forma (cioè le parole: “io ti battezzo nel Nome della Santissima Trinità … etc.”, ed infine l’intenzione conforme a quella della Chiesa Cattolica. Se nel bagnare la testa al bambino, l’officiante dice: “ io ti lavo la testa …”, pur in una cerimonia in chiesa con tutti gli elementi circostanti abituali validi, il Sacramento non ha alcuna efficacia, e rappresenta al massimo il tentativo di uno shampoo per il battezzando. Allo stesso modo se il celebrante dicesse: “io ti battezzo nel nome di Draghi, Bill Gates e Bergoglio, il Sacramento non sarebbe valido, poiché non conforme alle intenzioni della Chiesa che sono quelle di battezzare nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. A tutti è chiaro, allo stesso modo, che nel Sacramento dell’Eucaristia la “materia” è il pane azzimo e, se per caso si usasse un’ostia di cioccolato bianco, ci sarebbe invalidità del Sacramento anche nel proferire la “vera” formula della Transustanziazione. Nel caso del Sacramento dell’Ordine, la materia è rappresentata dal “contatto” fisico tra l’impositore ed il ricevente l’Ordine, come spiega mirabilmente San Tommaso nella “Summa” e quindi dall’imposizione delle mani. La sostanza di una “forma” sacramentale costituisce una cosa che è indipendentemente dagli accessori o cose accidentali che la circondano (v. tab. 1). Pertanto la “sostanza” di una forma sacramentale è il suo significato. “Il significato deve corrispondere alla grazia prodotta dal Sacramento”. Nel Concilio di Trento si definisce (Denziger 931): «Il concilio dichiara, inoltre, che nella somministrazione dei Sacramenti c’è sempre nella Chiesa il potere di decidere o modificare, lasciando salva la sostanza di questi sacramenti, così come Essa giudichi meglio convenire all’utilità di coloro che li ricevono, e nel rispetto dei Sacramenti stessi, secondo la diversità delle cose, dei tempi e dei luoghi.»

   Veniamo a chiarire già da subito che cosa sia la significatio “ex adjunctis” di un Sacramento, [significato adiuvante] elemento, questo, che costituisce il punto centrale della questione e di cui discuteremo pure ampiamente in seguito. Per il momento ci basti sapere:

• Il valore o l’efficacia dei Sacramenti viene da Cristo, non dalla Chiesa; e il Cristo ha voluto che essi si comportino nella maniera degli agenti naturali, “ex opere operato”.

.- Un ministro indegno o anche eretico amministra validamente i Sacramenti se utilizza “scrupolosamente” la materia e la forma proprie a ciascuno con l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa.

.- L’utilizzazione della materia e della forma del Sacramento, con l’integralità della “significatio ex adjunctis” garantisce che il ministro manifesti l’intenzione della Chiesa.

.- La “significatio ex adjunctis” deve esprimere il significato del Sacramento; se le modifiche introducono una “contraddizione”, il Sacramento non ha efficacia perché manca manifestamente l’intenzione.

.- Se la “significatio ex adjunctis” è tronca, il Sacramento può essere dubbio perché l’intenzione può praticamente mancare. – In questi casi è legittimo ricercare le intenzioni di coloro che hanno modificato il rito per valutare la sua validità (cf. notazione di Leone XIII in Apostolicæ Curæ).

In quel fatidico nefando giorno, il “18 giugno 1968” si è perpetrata l’“Eliminazione radicale” del rito romano antico, consacrato “infallibilmente” da Pio XII nel 1947! [Sacramentum ordinis]. Fortunatamente, con l’aiuto della Provvidenza, si è costituito un “piccolo resto” di consacrati “isolati”, in costante pericolo di vita, Vescovi, Cardinali e Sacerdoti usciti dalla “scuola” e dalle “mani” del Cardinale Siri (eletto per ben 4 volte in Conclave all’unanimità come Gregorio XVII e subito reso inoperante dalla “conventicola” abbondantemente infiltrata nel Conclave), che potranno così perpetuare, ad onta dei marrani-massoni, attuali usurpanti, la Chiesa Cattolica, l’unica Chiesa fondata da Cristo, fuori dalla quale non c’è salvezza eterna (extra Ecclesia nulla salus!), ed adempiere a tutte le promesse di “indefettibilità” (di assistenza continua) che il Signore Gesù ci ha fatto nel Santo Vangelo! Come questo sia potuto succedere, chi siano stati gli infami autori di questo sfregio alla Santa Chiesa Cattolica, e quindi a N.S. Gesù Cristo stesso, a Dio Padre Creatore, ed allo Spirito Santo (con una specifica eresia “anti-filioque” nella formula di non consacrazione), con quali assurdi e per certi aspetti ridicoli pretesti abbiano compiuto questo sacrilego aberrante misfatto, lo considereremo a breve.

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Tab. I

La sostanza di una forma sacramentale:

Sostanza:

– ciò che costituisce una cosa indipendentemente dagli accessori o cose accidentali che la circondano.

– La sostanza di una forma sacramentale è il suo significato.

– Il significato deve corrispondere alla grazia prodotta dal Sacramento-

– Il significato “attiene” particolarmente alla forma – Leone XIII in Apostolicæ curæ.

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Stiamo esaminando una delle questioni più inquietanti che sconvolgono i fedeli attenti della “tradizione” cattolica, che devono prendere atto ancor più, come se non bastassero le quotidiane eresie moderniste della “contro-chiesa” della setta del “va t’inganno”, attraverso i suoi “mediatici” ben oleati rappresentanti, che essi si trovino oramai al cospetto di una contro-religione totalmente “A-cattolica” di impostazione gnostico-luciferina, nella quale è stato reso “invalido” il Rito della Consacrazione episcopale, con la conseguente invalidità di TUTTE le Ordinazioni sacerdotali e di tutti i “Sacramenti”, in modo particolarmente “criminale” la Confermazione, sacramenti falsi, amministrati quindi illecitamente, invalidamente e sacrilegamente da laici, consapevoli o meno, “finti” preti e vescovi da operetta! Persino occupanti recenti ed attuali del “Soglio di Pietro”, non hanno mai ricevuto una Ordinazione sacerdotale e/o vescovile valida! “Si è trattato di un’operazione chirurgica mirata, di un cesello orafo “a sfregio”, della rimozione dell’ingranaggio fondamentale di tutto l’impianto gerarchico-ecclesiastico, strutturato come un perfetto “orologio svizzero”, e di cui l’orologiaio “perfido” conosceva esattamente il meccanismo, tutto incentrato sulla Consacrazione episcopale: rimuovendo la ruotina “cardine”, si è avviata una caduta con effetto “domino” che sta portando inesorabilmente alla distruzione totale della Gerarchia ecclesiastica, con la creazione conseguente di una falsa gerarchia composta da semplici laici, cosa della quale purtroppo non ci si è resi ancora conto in pieno ( … sperando che non ce se ne renda conto solo una volta sprofondati nell’inferno, quando cioè sarebbe troppo tardi!) … per non parlare poi della gioventù attuale, privata del Sacramento della Cresima, che li avrebbe resi “soldati” di Cristo, e che così non potranno mai sviluppare i doni dello Spirito Santo ricevuti al Battesimo, ed ottenerne i “frutti”. Dei frutti “marci” e putridi seminati tra i giovani, siamo tutti oramai tristemente testimoni. Ma veniamo ai fatti!

Già in precedenza abbiamo ricordato sommariamente i capisaldi teologici dei Sacramenti Cattolici, ma brevemente vogliamo ricordarli a noi stessi ed ai “distratti” [repetita juvant], soffermandoci in particolare ancora sul significato dell’“ex adjunctis”, elemento essenziale di un Sacramento. Che cos’è allora la “Significatio ex adjunctis” di un Sacramento (significato delle parole aggiunte)? Cominciamo col fissare alcuni punti essenziali:

.- Il valore o l’efficacia dei Sacramenti viene da Cristo, non dalla Chiesa; e il Cristo ha voluto che essi si comportino nella maniera degli agenti naturali, “ex opere operato” (attuati mediante un’operazione).

.- Un ministro indegno o anche eretico, amministra validamente i Sacramenti se utilizza scrupolosamente la materia e la forma proprie a ciascuno con l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa.

.- L’utilizzazione della materia e della forma del sacramento, con l’integralità della “significatio ex adjunctis” garantisce che il ministro manifesti l’intenzione della Chiesa.

.- La “Significatio ex adjunctis” deve esprimere il “significato del sacramento”; se le modifiche introducono una contraddizione, il Sacramento non ha efficacia perché “manca manifestamente l’intenzione”.

.- Se la significatio ex adjunctis è tronca, il Sacramento può essere dubbio perché l’intenzione può praticamente mancare.

– In questi casi è legittimo ricercare le intenzioni di coloro che hanno modificato il rito per valutare la sua validità (cf. notazione di Leone XIII in Apostolicæ Curæ, un’Enciclica dalla quale attingeremo abbondantemente in seguito, e che costituisce la “chiave” Magisteriale per risolvere l’apparente arcano).

L’antichità del rito tradizionale.

.- Il Padre Jean Morin (1591-1659), sapiente oratore, pubblicava nel 1655 un’opera rimarchevole sul soggetto degli “ordines” latini ed Orientali. Si tratta del: “Commentarius de sacris Ecclesiæ ordinationibus secundum antiquos et recentiores Latinos, Græcos, Syros et Babylonios in tres partes distinctus”, la cui seconda edizione apparve ad Amsterdam nel 1695.

.- Più tardi, un benedettino di Saint-Maur, Dom Martene (1654-1739), pubblicava nel 1700, una sapiente edizione, notevole per rigore, raccogliendo i “Pontificali” di ordinazione della Chiesa Cattolica antecedenti all’anno ‘300 fino alla sua epoca. – Si tratta del ”De antiquis Ecclesi ritibus libri quatuor”. Dom Martene fu discepolo di Dom Martin, e fu diretto per molto tempo da Dom Mabillon. Su queste autorevoli basi, e su una tradizione millenaria, S.S. Papa Pacelli, Pio XII, definì con Magistero solenne, “infallibile” ed “irreformabile” la formula definitiva (formula, si badi bene, che aveva consacrato un elenco lunghissimo di “fior” di Papi, Cardinali e Vescovi, Santi per vita, fede e dottrina, avallati da fatti straordinari e miracoli veri ovviamente!).

La decisione infallibile di Pio XII

.- I lavori scientifici di recensione e di giustapposizione dei riti (Padre Morin, Dom Martène, etc.) hanno permesso di identificare la “forma invariabile, essenziale, nel rito latino, da più di 17 secoli”. • A partire da tali lavori, Pio XII ha designato “infallibilmente” le parole del “prefazio” che costituiscono la “forma” essenziale del Sacramento (in: Costituzione Apostolica “Sacramentum Ordinis”, punto 5, del 30 nov. 1947). Eccole:

   “Comple in Sacerdote tuo ministerii tui summam, et ornamentis totius glorificationis instructum cœlestis unguenti rore sanctifica”. (« Compi nel tuo sacerdozio la pienezza del tuo ministero, e, rivestitolo con le insegne della più alta dignità, santificalo con la rugiada del celeste unguento »).

Pio XII cioè non ha creato o inventato un rito, Egli ha semplicemente designato la forma essenziale del Sacramento in un Rito di tradizione quasi bi-millenaria. Al termine della Costituzione Apostolica citata, chiude con le terribili parole, che dovrebbero far tremare l’inferno (ma non hanno fatto tremare il “santo-dannato” della sinagoga di satana: il marrano e capo degli “Illuminati di Baviera”, G.B. Montini, il sedicente Paolo VI, l’anti-Papa insediato al posto del Cardinale Siri, validamente eletto con il nome di Gregorio XVII, sotto minaccia atomica … ma questa è un’altra storia … l’abbiamo già raccontata in altra sede!): “Nulli igitur homini liceat hanc Constitutionem a Nobis latam infringere vel eidem temerario ausu contraire” (… a nessun uomo pertanto è lecito infrangere questa Costituzione o modificarla con temerario ardimento)…  quindi in realtà Pio XII non ha creato nulla: egli ha semplicemente constatato e quindi definito infallibilmente ed irreformabilmente la “forma essenziale” nel Prefazio del Rito di Consacrazione nel Pontificale (il volume che contiene tutte le cerimonie presiedute dai Vescovi ed Autorità Superiori).

A questo punto, incomprensibilmente, apparentemente senza motivazioni apostoliche, teologiche, liturgiche, il RIBALTONE!!!:

l’illecita “Eliminazione radicale della forma essenziale del rito latino”.

21 anni dopo la promulgazione infallibile di Pio XII della “forma” essenziale, rimasta invariata per oltre 17 secoli, G.B. Montini (il sedicente antipapa Paolo VI) la sopprime totalmente.

Pio XII, nel 1947, in”Sacramentum ordinis” ha designato le parole del prefazio che costituiscono la “forma” essenziale, le riportiamo ancora:Comple in Sacerdote tuo ministerii tui summam, et ornamentis totius glorificationis instructum cœlestis unguenti rore santifica”. Paolo VI, con un ribaltone senza precedenti, naturalmente illecito, sacrilego ed invalido, ha designato nel 1968 nel Pontificalis romani un’altra forma essenziale che non conserva NULLA della forma essenziale fissata “infallibilmente” da Pio XII. Ecco la nuova “assurda” formula: “Et nunc effúnde super hunc Eléctum eam virtútem, quæ a te est, Spíritum principálem, quem dedísti dilécto Fílio tuo Iesu Christo, quem ipse donávit sanctis Apóstolis, qui constituérunt Ecclésiam per síngula loca ut sanctuárium tuum, in glóriam et laudem indeficiéntem nóminis tui”. « Questo è un fatto di portata senza pari!! Non resta una sola parola, una sola sillaba della “forma” che S.S. il Papa Pio XII aveva (nel 1947) definito infallibilmente come essenziale ed assolutamente richiesta per la validità del sacro episcopato!

In breve … « la “forma” essenziale e necessaria alla validità è stata TOTALMENTE soppressa dal nuovo ordinale del “beato” marrano Paolo VI!» (Abbé V.M. Zins, 2005). Questo il fatto nudo e crudo, vedremo prossimamente gli infami autori di tale sfregio sacrilego e le blasfeme e ridicole ragioni addotte a sostegno del ribaltone, che è tra l’altro veicolo sottile di eresie perniciose e gravissime, contro la SS. Trinità, contro l’Incarnazione redentiva del Cristo, e contro lo Spirito Santo, configurando un assurdo gnostico-manicheo, peraltro già intrufolato nell’anglicanesimo e nel giansenismo, un movimento novatore, pre-modernista del 1700, condannato giustamente come eretico, e contro il quale il nostro S. Alfonso Maria de Liguori è stato un martello tenace ed implacabile nella sua denuncia e demolizione. Chi pensa che con questo rito, o partecipando a pseudo-funzioni (o meglio “finzioni”?!?) tenute da laici, falsi consacrati da questo rito, faccia parte della Chiesa Cattolica, è un illuso, poiché pensando di marciare sotto il vessillo di Cristo, in realtà segue lo stendardo fetido di satana. Aprite gli occhi, fratelli, il vostro pensiero costante, l’unico che conti per davvero, sia sempre e solo la conquista della salvezza dell’anima, che si ottiene con laboriosità ininterrotta, mediante la vigilanza, la prudenza, la preghiera incessante e la conoscenza della Tradizione Apostolica, delle Sacre Scritture, rigorosamente e correttamente interpretate ed approvate dalla Chiesa, e del Magistero autentico della Chiesa, Maestra di vita. Non c’è posto per la falsa misericordia che chiude i due occhi sul vizio impuro, l’adulterio amnistiato, la sacrilega peccaminosità, sull’apostasia ecumenista, misericordia che elude il pentimento e la penitenza, e prospettando infine … l’inferno gratis per tutti!!! … venite avanti c’è posto…

18 GIUGNO 1968: FONDAZIONE DELLA GERARCHIA NELLA SINAGOGA DI sATANA (2)

GNOSI TEOLOGIA DI sATANA (72): DEMOCRAZIA CRISTIANA = DEMONIOCRAZIA ANTICRISTIANA? (4)

LA DEMOCRAZIA CRISTIANA = DEMONIOCRAZIA ANTICRISTIANA? (4)

J. DELASSUS

L’ENCICLICA PASCENDI DOMINICI GREGIS e la DEMOCRAZIA

Alla Vergine Immacolata

GAUDE, MARIA VIRGO, CUNCTAS HÆRESES SOLA INTEREMISTI IN UNIVERSO MUNDO.

NIHIL OBSTAT: Insulis, die 26 decembris 1907.
H.QUILLIET, S. Th. Dr. Librorum Censor.
IMPRIMATUR: Cameraci, die 27 decembris 1907.
t FRANCISCUS, Arch.-Coadj. Cameracen

Société St. Augustin. “Desclée, De Brouwer et Cie

LILLE, 41, rue du Metz, 41, LILLE

BOSSUET, nell’orazione funebre della regina d’Inghilterra, trovava già ai suoi tempi che qualcosa di violento si agitasse nelle profondità dei cuori: diceva che “si trattava di un disgustoso disprezzo per ogni autorità ed un prurito di innovare senza fine”. Questo disgusto per tutto ciò che ha autorità è infatti la caratteristica della democrazia; e questo prurito di innovare all’infinito, il segno distintivo del modernismo. del modernismo. Da questa affinità è nata, senza dubbio, la stretta alleanza tra democratici e modernisti. – Su tutti i punti citati da Pio X nella sua Enciclica, li vediamo reclamare le stesse riforme. Senza dubbio, le sfumature sono infinitamente variabili, da chi si accontenta di biasimare particolari devozioni, fino a colui che dice che la Religione, il Cristianesimo stesso sia un prodotto umano spontaneo scaturito dalle coscienze, per soddisfare il loro sentimento religioso. – Modificando una parola che era corrente nel 1848, possiamo dire: è vero che tutti i modernisti si siano dichiarati democratici e che quasi tutti i democratici abbiano tendenze moderniste. Doveva essere stato così, perché tutti gli errori segnalati nell’Enciclica, pur appartenendo a sfere diverse di pensiero, sono solidali l’uno con l’altro, e che chi fa suo uno di esso, è propenso a prestare le sue simpatie a tutti o quasi tutti, come abbiamo visto. Da qui l’esistenza di un blocco modernista, che va dalla democrazia cristiana a quello che, di logica, è, come ha dimostrato Pio X, l’ultima parola del modernismo, … il panteismo. Non ci si può sbagliare. – Per capire come la democrazia possa portare ed anzi conduca effettivamente a volte all’ateismo, bisogna cominciare a vedere cosa essa sia ed esaminarne la parola sganciandola dagli equivoci che l’avvolgono. Leone XII1 non ha mancato di mettere in evidenza l’ambiguità in cui essa fosse coinvolta. Questo era lo scopo primario dell’Enciclica sulla democrazia cristiana, che nasceva dall’abuso che era stato fatto della precedente Enciclica sulla condizione dei lavoratori. La parola democrazia, secondo la sua etimologia, significa sovranità del popolo. È anche il significato che le è stato attribuito da sempre. Questo è ciò che vogliono vedere nell’ordinamento politico e sociale, coloro che hanno l’ambizione di realizzare una vera democrazia. I democratici che aggiungono il titolo di cristiano a quello di democratico hanno lo stesso pensiero e perseguono lo stesso obiettivo; questo è evidente nei loro giornali, riviste, nei libri, riunioni e i congressi, così come nelle loro azioni. Ma poiché la sovranità del popolo si scontra con la sovranità di Dio, Omnis potestas a Deo, quando sono un po’ pressati, dicono: per democrazia noi non intendiamo la sovranità del popolo, ma la devozione alla causa popolare. Qui sta l’equivoco! Che cos’è la causa popolare? Che cosa richiede? Il governo del popolo da sé stesso, dicono di qua, rispondendo a queste domande; il miglioramento del benessere delle classi lavoratrici, dicono di là.

Sono un uccello, vedete le mie ali.

Sono un topo: vivano i topi!

Leone XIII ha detto loro: rinunciate alla prima definizione ed attenetevi al secondo nei vostri discorsi e nelle vostre azioni. Sappiamo cosa hanno fatto di questa raccomandazione. È dunque ai democratici cristiani e ai democratici “tout court” che ora dobbiamo mostrare come la dottrina democratica possa condurre agli ultimi estremi del modernismo, ossia al rovesciamento dell’edificio dottrinale del Cattolicesimo, ed anche all’ateismo o al panteismo. – E, prima di tutto, il rovesciamento dell’edificio dottrinale del Cristianesimo. La sovranità del popolo poggia su un dogma falso, principio generatore della Rivoluzione, che è stato predicato da Jean-Jacques Rousseau, ovvero la bontà del popolo, vale a dire la nativa bontà dell’uomo, in altre parole, la negazione del peccato originale. Ora, l’intero Cristianesimo si basa sull’esistenza del peccato originale, che ha reso necessaria la redenzione. Pio X non ha aspettato di diventare Papa per scoprire questa radice della democrazia. Nel 1896, gli fu offerta a Padova la presidenza d’onore di un congresso democratico-cristiano. Egli l’accettò per farvi intendere queste verità “Sia lodato Gesù Cristo! Questo cancella dal nostro spirito ogni paura delle nostre discussioni. Con questo fondamento, siamo sicuri delle dottrine ortodosse che verranno professate qui. Ammettere Gesù Cristo significa affermare la caduta originale. E, di fatto, Gesù Cristo è venuto in questo mondo per ripararla. Ora, donde vengono tutti gli errori socialisti, tutte le utopie dell’emancipazione della carne, della riabilitazione della natura, dell’uguaglianza delle condizioni, della condivisione dei beni, della sovranità della ragione? Tutte queste mostruosità derivano dal fatto che non si ammetta la caduta dell’uomo e la sua degradazione originaria. È da questa negazione che nascono tutte le applicazioni antisociali che si tentano di fare oggi. È vero che i democratici cristiani non negano l’esistenza del peccato originale, ma quello che dicono può essere compreso solo se non si tenga conto di esso; e quello che vogliono, libertà, uguaglianza, governo popolare, potrebbe essere realizzato solo se l’uomo non fosse decaduto. Da qui, nei loro discorsi e nelle loro azioni, un attacco indiretto ma reale al fondamento stesso del Cristianesimo. La loro dottrina va anche oltre. Il nostro Santo Padre il Papa, nella sua Enciclica, dice dei modernisti: “Essi non rovinano la Religione Cattolica, ma ogni religione”. Ed ecco come. La religione ha Dio come principio e fine. Ora, la dottrina dell’immanenza divina, nel senso modernista, conduce direttamente al panteismo. Pio X stesso ne ha fatto l’osservazione: “Essa professa che tutti i fenomeni della coscienza nascono dall’uomo, in quanto uomo. La conclusione rigorosa, ne è l’identità dell’uomo con Dio, cioè il panteismo”. I democratici non sono, in generale gli estrattori di quintessenze. Tuttavia, l’Associazione Cattolica, che non può essere accusata di alcuna ostilità alla democrazia cristiana, ha ritenuto di dover sottolineare che, anche su questo punto, c’è un’affinità fra affinità tra modernisti e democratici (Ed in effetti, abbiamo notato con difficoltà, in alcuni dei nostri amici, una fiducia illimitata in questo metodo. Spiando quelle che, come i modernisti, essi chiamano le aspirazioni dell’anima moderna, obbedendo a quelle che considerano delle necessità sociali incomprimibili e, sotto l’influenza dei sentimenti generosi sollevati nelle loro anime dalla coscienza di questi bisogni, di affrontare, con la loro sola buona volontà, un compito che si definirà da sé giorno per giorno, questo sembra essere il solido fondamento della scienza sociale. Incessantemente, è la vita che essi esaltano, una vita con una sua verità ed una sua logica, diversa dalla verità e dalla logica razionale, come dicono gli immanentisti. Come per questi la Religione si fonda sul senso del divino, l’azione sociale sarebbe così e il prodotto vitale di un sentimento d’amore, e così come nella Chiesa vediamo solo l’emanazione di una coscienza collettiva dei credenti, è da un sentimentalismo collettivo che si pensa di elevare la città del domani. “Ma l’immanenza religiosa porta inevitabilmente, ci dice l’Enciclica, ad accettare tutte le religioni come vere, così come l’individualismo ha portato il protestantesimo ad accettare tutte le variazioni. E così vediamo quella che potremmo chiamare l’immanenza sociale, porta le sue vittime ad ogni fantasia di pensiero, a tutte le forme di azione successivamente intraprese ed abbandonate, a tutte le stoltezze di un’attività sottratta alla guida della ragione. Ebbene, no. Non c’è bisogno di lasciare che la vita faccia questo. Nella scienza delle relazioni economiche e sociali esistono dei principi primi senza la cui luce erriamo fatalmente. Noi non li troviamo in noi stessi, e non più di quanto l’esperienza religiosa sia in grado di produrre una religione determinata in modo specifico escludendo le altre, l’esperienza sociale stessa e la sola osservazione dei fatti non possono condurci alla determinazione delle forme della vita sociale.”). Questa affinità brilla particolarmente nel Sillon, l’Eveil democratique ecc. Quando parlano di Religione, la rappresentano senza esitazione come una vita immanente che trae da noi stessi il suo principio ed il suo sviluppo. Quando parlano di fede ne pongono il fondamento nell’esperienza personale, dall’efficacia della sua azione. – Apriamo, ad esempio, il Sillon del 10 giugno 1899: “Bisognerebbe soprattutto presentare la Chiesa così com’è ed ancora di più, come essa è in divenire, la sua vita di oggi e la sua vita di domani, l’ora presente in confronto all’ora da venire. E questo studio andrebbe fatto per la vita sociale e per la vita individuale; e soprattutto, infine, per questa vita descritta, i credenti dovrebbero essere in grado di vederlo, di sperimentarlo nelle vite vissute in anime come le loro che si aprissero alle loro indagini benevole o addirittura curiose. Questo esempio dovrebbe incoraggiarli a sperimentare questa crescita, questa divinizzazione dell’uomo. È qui che dovrebbe tendere il “dinamismo” della teologia realista e positiva. Queste righe sono tratte da un articolo in cui Le Sillon si prende la libertà di elaborare un programma di riforma nell’insegnamento dei seminari. A queste parole vanno contrapposte quelle del Sovrano Pontefice: “Ci sia consentito di porre una domanda di sfuggita: se questi esperimenti hanno tanto valore ai loro occhi, perché non riconoscono lo stesso valore a quelle che migliaia e migliaia di Cattolici affermano di aver visto per conto proprio e che li convincono di essere sulla strada sbagliata? Non è che per caso queste ultime esperienze siano le uniche false e fuorvianti? La stragrande maggioranza degli uomini è fermamente convinta e lo sarà sempre che il solo sentimento e l’esperienza sola, senza essere illuminata e guidata dalla ragione, non conducono a Dio. Cosa resta dunque se non l’annientamento di ogni religione e dell’ateismo?” In questo stesso numero il Sillon dice ancora: “Noi parleremo per esortare ancora i nostri fratelli a tranciare queste questioni secondo la luce della propria coscienza, e della loro esperienza e non secondo la parola d’ordine dei chierici, dei Vescovi, ed anche del Santo Padre.” Non è cosa degna di nota ciò che è il cuore della tesi modernista, l’immanenza vitale, passa così dall’ordine religioso nell’ordine sociale tal quale i democratici cristiani lo comprendono e lo vogliono e che in seguito dall’ordine sociale si riporti nell’ordine religioso? Dovendo finire con il panteismo per sé stessa, se avesse perseguito fino in fondo il cammino su cui si era imbarcata, la scuola democratica, in attesa, semina nella massa del popolo idee di ateismo. – Les Etudes (n. del 5 aprile 1907) hanno annunciato la pubblicazione di un libro dal titolo: DIO, L’esperienza in metafisica. Hanno tratto da esso questo capitolo: L’esistenza di un Dio personale. In esso vediamo che alcuni atei sostengono di essere in grado di dimostrare il loro ateismo con il movimento storico, che sposta l’autorità dalle mani dei re a quelle del popolo. Ecco il loro ragionamento: Presto non sarà più il tempo per i re di governare. La Persona divina, concludono, subirà i destini delle persone reali. Dio seguirà i re in esilio. La sovranità6 sarà distribuita alle masse e la divinità tornerà nell’universo. Non ci sarà più un governo personale, né in cielo né in terra. I re perderanno gli ultimi privilegi del loro diritto divino. Dio sarà privato del suo titolo regale. Si comincia a sentire che la devozione allo Stato anonimo superi, in virile dignità, la dedizione alla persona di un capo.; e si ripone più fiducia nella saggezza delle folle che nell’autorità dei conduttori del popolo. È facile capire che l’universo obbedisce ad uno scopo immanente e alle sorde aspirazioni di tutti i suoi elementi, piuttosto che alla volontà di un padrone, e noi rivolgiamo alla divinità diffusa di tutti gli esseri il culto che si rivolgeva ad un singolo Essere. – Dopo l’avvento del suffragio popolare, l’avvento della divinità anonima. Certamente, nel rigore della logica, si ha il diritto di salutare il popolo sovrano e adorando nello stesso tempo il Re dei re. Ma non è forse imprudente da parte di un teista fare il bello e il cattivo tempo con gli avversari e dire loro: la regalità umana è un errore e un male, va bene; ma la regalità divina rimane incrollabile. Questa è imprudenza, non una imprudenza logica ma psicologica. Non si tiene conto della natura delle cose, se pensiamo che lo screditamento dei re terreni non si estenderà al Re del cielo. – Leibnitz esprimeva una legge della nostra intelligenza, forse una legge più generale ancora, quando diceva “che tutto concorre e tutto è solidale”. L’analogia allerta, stimola e dirige il nostro pensiero. Naturalmente noi cerchiamo l’armonia nelle nostre dottrine o opinioni l’armonia tra l’umano e il divino. In effetti, ascoltate il grido d’allarme lanciato oggi da parte di tutti coloro che sono stati indottrinati dalla democrazia:

Né Dio, né padrone!

Se non dobbiamo più soffrire sulla terra un padrone, perché subiremmo ancora il Padrone del Ciel0; e d’altra parte, se non c’è un Padrone in alto con quale diritto i re, i legislatori, i ministri si dichiarano padroni e vogliono agire da padroni quaggiù? La grande ragione invocata dai democratici cristiani per mettere i loro lettori e ascoltatori su un terreno così pericolosamente scivoloso, è che il movimento democratico si è imposto al mondo, che è universale, che è irrazionale. universale, che è irresistibile. Seguire le correnti, invece di sostenere principi, questo non può essere il nostro ruolo. Il ruolo dei Cattolici nel mondo, il ruolo del clero tra i fedeli è quello di creare correnti intorno a idee vere, senza chiedersi se siano seducenti per le masse. Questo è ciò che hanno fatto gli Apostoli. – Come la democrazia oggi, il paganesimo ha invaso tutto nel periodo successivo al diluvio, a tal punto che è stato necessario un intervento diretto e personale di Dio per difendere dal suo contagio il piccolo popolo ebraico. Se i figli di Abramo erano autorizzati a dire: “Andiamo anche noi ad adorare gli idoli come fa il resto del mondo”. C’è, verso il paganesimo, una corrente che sfugge al potere umano e non può essere provvidenziale; il nostro dovere è quello di abbandonarci alle sue onde con fiducia. Prima di abbandonarsi ad un impulso, per quanto universale, per quanto irresistibile possa sembrare, quello che uomo di buon senso, quello che un Cristiano deve soprattutto considerare non è la sua potenza e la sua estensione, ma il suo carattere, il suo punto di partenza e il fine a cui ci spinge. Ora, il carattere che la democrazia porta in fronte è quello di satana: l’orgoglio, l’orgoglio impaziente di qualsiasi giogo. Il suo punto di partenza è la Rivoluzione, il suo fine è la distruzione delle istituzioni più fondamentali dell’ordine sociale; e nell’ordine religioso è l’ateismo. – La democrazia è innaturale. “L’universo stesso – osserva Carlyle – stimato la più grande mente dopo Shakespeare tra gli inglesi, l’universo stesso è una monarchia ed una gerarchia. Inoltre, dal punto di vista storico, non credo che sia mai esistita una nazione che sia sopravvissuta in uno stato democratico. Abbiamo sentito parlare molto delle antiche repubbliche, del Demos e della repubbliche, il Demos e il Populus. Ma è ormai più o meno ammesso che questo non significhi nulla nella fattispecie. Mai, nell’antichità, si fondò o di tentò di fondare una repubblica a suffragio universale, o una repubblica a suffragio molto ristretto”. Quando la massa della popolazione era costituita da schiavi, e i votanti erano una sorta di re, degli uomini nati per governare sugli altri; quando gli elettori erano dei reali aristocratici, o docili clienti di questi, allora, senza dubbio, il voto, il disordine alla rinfusa degli intrighi poteva – senza la distruzione immediata o senza la necessità di un … Cavaignac che intervenisse con i cannoni per liberare le strade, fare il suo corso. “Ma questa non era la democrazia come la vogliamo oggi: il popolo sovrano nel suo insieme. Questo è l’opposto dell’ordine naturale.” Ora, nulla può prevalere contro la natura delle cose. Perciò, lungi dal dover la democrazia conquistare il mondo, è chiaro e certo che essa fallirà e scomparirà in un cataclisma, in un cataclisma che essa avrà preparato con le cupidigie che avrà scatenato, con l’empietà che essa avrà provocato. – Qual mea culpa dovranno allora fare i democratici che, rivestendo la democrazia con un falso Cristianesimo, l’hanno portata nel cuore di persone che volevano solo andare verso il vero ed il bene!

GNOSI, TEOLOGIA DI sATANA (73): DEMOCRAZIA CRISTIANA = DEMONIOCRAZIA ANTICRISTIANA ? (5)

GNOSI TEOLOGIA DI sATANA (71): DEMOCRAZIA CRISTIANA = DEMONIOCRAZIA ANTICRISTIANA? (3)

LA DEMOCRAZIA CRISTIANA = DEMONIOCRAZIA ANTICRISTIANA? (3)

J. DELASSUS

L’ENCICLICA PASCENDI DOMINICI GREGIS e la DEMOCRAZIA

Alla Vergine Immacolata

GAUDE, MARIA VIRGO, CUNCTAS HÆRESES SOLA INTEREMISTI IN UNIVERSO MUNDO.

NIHIL OBSTAT: Insulis, die 26 decembris 1907.
H.QUILLIET, S. Th. Dr. Librorum Censor.
IMPRIMATUR: Cameraci, die 27 decembris 1907.
t FRANCISCUS, Arch.-Coadj. Cameracen

Société St. Augustin. “Desclée, De Brouwer et Cie

LILLE, 41, rue du Metz, 41, LILLE

Il grande principio dei democratici è che non ci possa essere alcun potere pubblico nella società se non quello che proviene dal popolo, l’unica ed essenziale fonte di sovranità. Questo principio è direttamente opposto a quello proclamato da San Paolo: Non est enim potestas nisi a Deo (Rom. XIII, 1). Non c’è autorità che non provenga da Dio. – Nella Chiesa, Dio Padre, origine e principio del Figlio, ha mandato il Figlio; il Figlio manda i suoi ministri. Colui che li riceve riceve Cristo e chi riceve Cristo, riceve il Padre. Come il Padre mio ha mandato ha mandato me, Io mando voi. Chi riceve voi riceve Me, e chi riceve Me, riceve Colui che mi ha mandato. Dio è il Capo del Cristo, Caput Christi Deus (1 Cor., XI, 3). Gesù Cristo è il Capo della Chiesa, Ipsum dedit caput supra omnem Ecclesiam. Egli (Dio Padre) lo ha dato come Capo a tutta la Chiesa (Ef.I, 22). E Gesù Cristo si è dato un Vicario, anch’esso Capo, in Lui e per mezzo di Lui, della Chiesa universale. Definimus…. ipsum Pontificem Romanum successorem esse beati Petri principis Apostolorum et verum Christi Vicarium totiuque Ecclesiae Caput… existere. “Noi definiamo, ha detto il Concilio di Firenze, che il Romano Pontefice è il vero Vicario di Cristo e, di conseguenza, Capo di tutta la Chiesa.” – L’autorità nella Chiesa viene quindi direttamente da Dio Padre attraverso il Figlio incarnato. Questa eccellenza riflette un’inviolabile immutabilita’. La Chiesa sarà fino alla fine dei tempi come Dio l’ha creata. Le potenze dell’inferno non prevarranno mai su di essa. Il protestantesimo ha voluto cambiare questa costituzione. Nel XVI secolo i rivoltati attribuirono la sovranità all’assemblea dei fedeli, cioè al popolo. Sotto l’influsso delle idee protestanti, il XVIII secolo trasportò questo modo di vedere le cose dalla Chiesa allo Stato. È lo stesso sistema, la stessa teoria. Che differenza c’è tra la Chiesa di Dio concepita dai protestanti, guidata unicamente dalla sua parola, e la Repubblica governata unicamente dalle leggi dai deputati del popolo sovrano? Questa è l’osservazione di J. de Maistre nel libro: Du Pape; e aggiunge: “È la stessa follia, ha solo cambiato epoca e nome.” Questa follia si è aggravata. In mezzo al Cattolicesimo, ci sono uomini e, ahimè, Sacerdoti talmente penetrati dallo spirito della democrazia che lo fanno rifluire dall’ordine politico all’ordine religioso. Questo è ciò che ha detto il nostro Santo Padre il Papa, nel passo della sua Enciclica che abbiamo appena citato. Non è una novità. Al Concilio Vaticano si vede, una manifestazione di questo spirito. Alcuni Vescovi presentarono una consultazione in cui sostenevano di aver ricoperto cariche episcopali nelle più importanti nazioni cattoliche. – Agli occhi dei firmatari, i Pontefici stavano quindi prendendo in prestito parte della loro autorità dalle proprie Chiese. Il loro valore rappresentativo era proporzionale al numero dei loro fedeli o all’importanza della loro diocesi. Questa idea li ha portati a voler escludere dal Concilio quei Sacerdoti che non avevano una diocesi da governare, come i Vescovi titolari, o di diocesi propriamente dette, così come i vicari apostolici. Questo era, come osservava Dom Besse, sminuire il carattere episcopale e spiazzare il principio della propria autorità. Questa autorità non dipende in alcun modo dalla situazione politica o geografica della diocesi e dal numero dei diocesani. Non è da essi che il Vescovo trae la sua qualità di giudice della fede, ma dalla missione che ha ricevuto dall’Alto per il sacro e la preconizzazione. La diocesi non è in grado di consegnare al suo capo nemmeno una particella di un’autorità che non ha. Essa viene da Nostro Signore Gesù Cristo attraverso il Nostro Santo Padre il Papa. Quindi regna una perfetta uguaglianza che i Vescovi formano intorno al Sovrano Pontefice. Il prelato che governa una minuscola diocesi d’Italia non è meno eminente di quello che governa delle vaste diocesi, Parigi, Malines o Cambrai. Parlare come questi Vescovi hanno fatto nella loro memoria era inconsciamente voluto senza dubbio, ma è realmente introdurre la demoocrazia ed il suo principio della sovranità del popolo nella Chiesa. I nostri abati democratici vollero farne un tentativo. Le loro congregazioni ecclesiastiche erano niente meno che un tentativo di democratizzazione della Chiesa. – Quando abbiamo ricevuto il programma del primo di questi congressi nel 1896, abbiamo scritto nella “Semaine religieuse” della diocesi di Cambrai: “Le assemblee del clero hanno le loro regole e a nessuno è permesso innovare in questa materia. Il diritto ecclesiastico conosce i Concili ecumenici, i concili provinciali, i sinodi diocesani. L’assemblea prevista a Reims non è nulla di tutto ciò. È una riunione assolutamente anormale. Chi ha l’autorità di redigere il programma? Chi aveva l’autorità di convocarla? Chi avrà l’autorità di presiedere? Non può essere un semplice Sacerdote. Non può essere un Vescovo e nemmeno un gruppo di Vescovi. Ogni Vescovo potrebbe organizzare, nella sua diocesi, un’assemblea dei suoi Sacerdoti. Questo e il sinodo diocesano. Un Arcivescovo, insieme con i Vescovi della sua provincia, può convocare un concilio provinciale. Essi non possono convocare, né al sinodo né al concilio, i Sacerdoti delle diocesi vicine, senza il consenso del loro Ordinario. Supponendo che tutti i Vescovi della Francia abbiano dato all’abate che invia i suoi inviti, la delega necessaria per convocare un’assemblea generale del clero del secondo ordine, lo stesso richiederebbe comunque lo stesso consenso unanime per la redazione del programma, per la presidenza dell’assemblea e per le regole da imporre alla discussione. Eppure, una tale assemblea sarebbe una novità inaudita nella Chiesa; prima di prendere l’iniziativa, sarebbe di rigore consultare la Santa Sede. La circolare di invito che abbiamo ricevuto dice che “l’assemblea non si occuperà di discussione di dottrina”. È sufficiente aprire il programma per vedere che che in molti punti le questioni da trattare confinano con la dottrina. Ma, in più, la disciplina è anche riservata all’episcopato come il dogma. Non è dato presumere che il Papa trasferirà mai lo studio delle questioni di disciplina ad un’assemblea di semplici Sacerdoti. A maggior ragione, essi non possono arrogarsi questo potere da sé stessi.” M. l’Abate Naudet, che aveva sottoscritto la convocazione con gli Abati Lemire e Dabry, ha risposto nel Monde, di cui era direttore, con qualifiche di “refrattari” o di “persone che aborriscono la libertà e starnazzano come puzzole”. – Ciò di cui abbiamo veramente orrore, era l’introduzione, di fatto, della democrazia nella Chiesa.. A questo, egli obiettava: :In quali capitoli del diritto canonico hanno trovato che un uomo, non appena ricevuto il sacerdozio, abdichi ai suoi diritti e alla sua dignità, non essendo altro che un bambino ancora sotto tutela che non può dire una parola o alzare un dito senza ottenere una speciale autorizzazione per farlo?” Dopo la democrazia in atto, era nella Chiesa la democrazia eretta a dottrina. – Sebbene per lungo tempo non si sia parlato di congressi ecclesiastici nella forma inaugurata dai sigg. Abati Dabry, Naudet e Lemire, Sua Santità Pio X, tuttavia, non ha ritenuto necessario ometterlo nella sua Enciclica. Tra le misure prescritte per opporsi alle invasioni del modernismo, c’è questa:

V. – Abbiamo già parlato di congressi e di assemblee pubbliche, come campo favorevole per i modernisti per seminarvi e far prevalere le loro idee. I Vescovi non permettono più, o permettono solo molto raramente, dei congressi sacerdotali. Che se li permettono sia sempre in base a questa legge, che nessuna questione relativa alla Santa Sede o ai Vescovi vendano trattate, a meno che non vi si emetterà alcuna dichiarazione in tal senso, nessuna proposta né alcun voto di usurpazione dell’autorità ecclesiastica, che non si pronunzino parole che risentano di modernismo, di presbitarismo o di laicismo. – Questo tipo di congressi possono essere tenuti solo con un’autorizzazione scritta del loro Ordinario, concessa a tempo debito, e specificamente per ogni caso; i Sacerdoti delle diocesi straniere non potranno intertenire senza un’autorizzazione altrettanto scritta da parte del loro Ordinario. – Inoltre, nessun Sacerdote dovrebbe perdere di vista la grave raccomandazione di Leone XIII: che l’autorità dei loro pastori sia sacra per i Sacerdoti che diano per scontato che il ministero sacerdotale, se non viene esercitato sotto la guida dei Vescovi, non può essere né santo, né fecondo, né lodevole (Encicl. Nobilissima Gallorum, 10 febb. 1881). -La dottrina della democrazia nella Chiesa è stata abbastanza più esplicita e, per così dire, dottrinale, professata da M. l’Abate Lemire nelle parole che abbiamo già riportato: “Io non riconosco a nessuno il diritto di fare di noi Cattolici i servi di un regime accentratore e dispotico, un regime alla Luigi XIV. La costituzione della Chiesa non è modellata su nessuna delle forme effimere di governo umano. Non è una monarchia. A rigore, è una gerarchia. La Chiesa è governata da una serie di autorità locali, dipendenti le une dalle altre, e controllate da un’autorità centrale e superiore”. La Chiesa non è una monarchia! A Roma non c’è che un’unica autorità di controllo. Sono parole tanto contraddittorie con quelle del Maestro divino, interpretate dai Concili, da ultimo dal Concilio Vaticano. Le parole dell’Uomo-Dio: “Tu sei Pietro, e su questa roccia edificherò la mia Chiesa.nCiò che tu rimetterai in terra sarà rimesso nei cieli. Qualunque cosa tu scioglierai sulla terra sarà sciolta anche in cielo. “Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle”. Queste parole hanno creato un Sovrano nella Chiesa. Questo è di fede. In effetti San Pietro sta alla Chiesa nascente così come oggi il Papa sta alla Chiesa attuale. Gli Atti degli Apostoli ci mostrano Pietro alla guida del collegio apostolico, organizzando, decidendo, agendo, in una parola, come un sovrano, proprio come oggi il Papa governa l’anima, con un’autorità che non dipende in nessun modo da coloro sui quali la esercita. Egli governa e governa in nome del Signore Nostro Gesù Cristo, il cui posto è al vertice della Chiesa. Questa istituzione e questo stato sono l’opposto della domocrazia. Nel vocabolario francese c’è una sola parola per indicare questa forma di governo: monarchia. – Potremmo riportarvi altre parole e atti dei democratici cristiani a sostegno del rimprovero rivolto dal nostro Santo Padre il Papa ai modernisti, di voler riformare il governo ecclesiastico e di volerlo armonizzare con la coscienza che si sta trasformando in democrazia; di volere che una parte del governo della Chiesa sia affidato ai chierici e fin’anche ai laici, e che l’autorità sia decentrata. Non c’è motivo di essere stupefatti da questa aberrazione. Quando una mente si lascia occupare da un’idea che giudica maestra, come l’eccellenza e la perfezione del sistema democratico, si trova traccia di questa persuasione in tutti i giudizi che esprime. “Lo stato democratico è il più perfetto, quindi dobbiamo trovare questo regime nella più perfetta delle società, la Chiesa! La premessa è molto cauta; si può anche sostenere che essa sia una controverità. La monarchia esiste in cielo, così come lo ha sostenuto un giorno il Sillon, che ha voluto vedere la suprema glorificazione della democrazia nella Santissima Trinità. Non c’è che un Dio che regni su tutto l’universo, che governi il cielo e la terra. Dio ha fatto la famiglia e la Chiesa, queste due società principali ad immagine di ciò che è nel più alto dei Cieli: un Padre sovrano ed un Papa sovrano, come un Dio Signore sovrano. Potremmo aggiungere che la storia dimostra, con la più luminosa chiarezza, che le nazioni abbiano prosperato quanto più la loro costituzione fosse più vicina alla mirabile costituzione di cui la Provvidenza aveva dotato la Feancia, e che il sistema democratico le ha sempre ed ovunque precipitate verso la rovina. – Per tornare alla constitutzione monarchica e non democratica della Chiesa, Dom Guéranger, come risposta alle pretese dei Vescovi di minoranza del Concilio Vaticano, ha detto molto bene: “Fondando la sua Chiesa, Nostro Signore Gesù Cristo era sicuramente libero di darle la forma che Egli, nella sua divina saggezza, avrebbe ritenuto più opportuno. Egli non poteva essere legato né dagli dagli antecedenti iumani, né .dalle idee moderne, di cui prevedeva le aberrazioni fin dall’eternità. Sarebbe una bestemmia affermare che Egli si sia dovuto adattare ai capricci della creatura, mentre è dovere della creatura accettare con umiltà tutto ciò che Egli abbia previsto. La costituzione della Chiesa è quindi l’oggetto della fede. Dobbiamo prenderla come Gesù Cristo ci ha indicato. Il potere è stato costituito dall’Uomo-Dio di un modo immutabile, e nessuno potrebbe cambiarne le condizioni (La monarchia pontificale. Sesto pregiudizio. P.5.).

GNOSI TEOLOGIA DI sATANA (72): DEMOCRAZIA CRISTIANA = DEMONIOCRAZIA ANTICRISTIANA? (4)

GNOSI TEOLOGIA DI sATANA (70): DEMOCRAZIA CRISTIANA = DEMONIOCRAZIA ANTICRISTIANA ? (2)

LA DEMOCRAZIA CRISTIANA = DEMONIOCRAZIA ANTICRISTIANA? (3)

J. DELASSUS

L’ENCICLICA PASCENDI DOMINICI GREGIS e la DEMOCRAZIA

Alla Vergine Immacolata

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NIHIL OBSTAT: Insulis, die 26 decembris 1907.
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IMPRIMATUR: Cameraci, die 27 decembris 1907.
t FRANCISCUS, Arch.-Coadj. Cameracen

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LILLE, 41, rue du Metz, 41, LILLE

L’Enciclica Pascendi, lungi dal liberare la democrazia cristiana dall’imputatione di modernismo, mostra l’intima connessione che esista tra questa “eresia dell’eresie” ed il movimento democratico. – Nella parte in cui espone l’idea che i modernisti si fanno della Chiesa e della sua Costituzione, Pio X dice: “Eccoci alla Chiesa, in cui le loro fantasie ci offrono una più ampia materia. La Chiesa è nata da un duplice bisogno: del bisogno avvertito da tutti i fedeli, soprattutto se hanno avuto qualche esperienza originale, di comunicare la loro fede; poi, quando la fede è diventata comunune, o, come si dice, collettiva, dalla necessità di organizzarsi in società, per conservare, accrescere, propagare il tesoro comune. Che cos’è dunque la Chiesa? Il frutto della coscienza collettiva, in altre parole è l’insieme delle coscienze individuali: coscienze che, in virtù della permanenza vitale, derivano da un primo credente – per i Cattolici, da Gesù Cristo -. Ma ogni società ha bisogno di un’autorità dirigente che guidi i suoi membri verso un fine comune, che, allo stesso tempo, attraverso un’azione prudentemente conservatrice, salvaguardi i suoi elementi essenziali, cioè, in una società religiosa, il dogma ed il culto. Da qui, nella Chiesa Cattolica, il triplice potere: disciplinare, dottrinale e liturgico.” Dall’origine di questa autorità deriva la sua natura e, quindi, i suoi diritti ed i suoi doveri. Nei tempi passati era un errore comune che l’autorità venisse alla Chiesa dall’esterno, cioè immediatamente da Dio; a quei tempi poteva essa essere giustamente considerata come autocratica. Ma oggi, a questo punto, si può virare. Così come la Chiesa è un’emanazione vitale della coscienza collettiva, così anche a sua volta, l’autorità è un prodotto vitale della Chiesa. La coscienza religiosa è quindi il principio da cui procede l’autorità proprio come la Chiesa; e se è così, dipende da essa. Dimenticarla o misconoseerla la trasforma in tirannia. Viviamo in un’epoca in cui il sentimento di libertà è in piena fioritura: nell’ordine civile la coscienza pubblica ha creato il regime popolare. Eppure, non ci sono due coscienze nell’uomo né due vite. Se l’autorità ecclesiastica non vuole provocare e fomentare un conflitto nel più intimo delle coscienze, deve rispettare le forme democratiche. D’altronde, se non lo facesse, andrebbe in rovina. Perché sarebbe folle immaginare che il sentimento di libertà al punto in cui è arrivato possa tornare indietro. Costretto e forzato, sarebbe un’esplosione terribile; spazzerebbe via tutto, Chiesa e religione. – Tali sono, in questa materia le idee dei modernisti, la cui grande preoccupazione è trovare un modo per riconciliar l’autorità della Chiesa e la libertà dei credenti.” Più avanti, il Santo Padre ritorna su questa folle pretesa dei modernisti di democratizzare la Chiesa: “Quello che chiedono, dice, è che la Chiesa voglia seguire il loro esempio, senza farsi troppi problemi, seguire le loro direttive ed arrivare finalmente ad armonizzarsi con le forme civili.” Poiché (secondo i modernisti), il Magistero della Chiesa ha la sua prima origine nelle coscienze individuali, e adempie ad un servizio pubblico, è ovvio che essa debba subordinarsi ad esse. Allo stesso modo, deve piegarsi alle forme popolari.” Che il governo ecclesiastico sia riformato, che il suo spirito, che le sue procedure esterne siano messe in armonia con le coscienza che si rivolge alla democrazia. Che una parte dunque sia dato, nel governo della Chiesa, al clero inferiore ed anche ai laici; che l’autorità sia dicentrata.” – Tutti gli uomini che seguono attivamente il movimento delle idee hanno fatto, leggendo l’Enciclica, l’osservazione che tutti gli errori che vi vengono evidenziati siano il più delle volte esposti proprio nei termini che i modernisti hanno usato per propagarli. I voti così formulati dai modernisti-democratici – se mai potessero realizzarsi – sarebbero qui, il completo rovesciamento, fino alle sue stesse fondamenta, della Chiesa come l’ha costituita Nostro Signore Gesù Cristo. Egli ne ha fatto una piramide che scende dal cielo e dalla cima sparge i suoi benefici sui popoli fino alle basi. La democrazia aspira a capovolgere l’edificio e a mettere l’autorità nelle mani della folla. Nei testi sopra citati, il Santo Padre dice come siamo arrivati a questo punto. – I modernisti ragionano come segue: La religione non nasce da una rivelazione esterna proveniente da Dio. Ha il suo principio e la sua fonte nella coscienza di ogni individuo. In altre parole si tratta dell’ “immanenze vitali” Le coscienze individuali hanno comunicato tra loro; da qui l’edistenza di une conscienza collett, ed in quanto conscienza collettiva, essa crea una società, la società religiosa. E come deve essere governata tale società? Da un’autorità che emani da una sorta di suffragio universale, e dipendente dalle coscienze individuali che l’hanno creata. L’autorità religiosa che arriva a dimenticare questa origine e questa origine e questa dipendenza si trasforma in tirannia. Questo è purtroppo ciò che sta accadendo ai giorni nostri. E quindi, se l’autorità ecclesiastica non vuole fomentare questo conflitto, essa deve ricorrere a forme di democrazia”, “essa deve armonizzarsi con le forme civili”, “essa deve piegarsi alle forme popolari”. Bisogna che il suo spirito ed i suoi processi esteriori siano messi in armonia con la coscienza che si muove verso la democrazia”. Bisogna che “una parte sia fatta nrl governo ai chierici inferiori come pure ai laici”. Bisogna che l’ “autorità sia decentralizzata”. Che “se vi si rifiuta è la rovina per essa”; perché sarebbe follia immaginare che il sentimento della libertà al punto inn cui è giunto, possa retrocedere”. – Così parlano i modernisti. Ma i democratici non concludono diversamente, anche se arrivano a questa conclusione per una via diversa. Il loro punto di partenza è l’opposto. Imbevuti dei falsi dogmi di Jean-Jacques Rousseau, essi credono che lo Stato sociale non sia l’opera di Dio, ma dell’uomo, il risultato di un contratto che gli uomini, stanchi di vivere come selvaggi, un bel giorno, conclusero tra loro. Se la società nasce da un contratto tra tutti, se tutti si sono accordati per creare un’autorità per governarli, questa autorità deriva da tutti. Da qui la sovranità del popolo che dà e prende potere, estendendo o restringendo i suoi limiti. In altre parole, di là il suffragio universale, di là il regime democratico, che i nostri democratici, cristiani o i non-cristiani, in accordo con il “falso dogma” che serve loro da principio, dichiarano essere il regime per eccellenza, il solo fondato sulla ragione, il solo legittimo. – Ma se il governo democratico è il governo per eccellenza, deve essere quello della Chiesa oltre che dello Stato. I democratici che vogliono essere Cristiani non ne traggono questa conseguenza apertamente. Non potrebbero farlo senza farsi dichiarare eretici. Ma questa è l’essenza del loro pensiero. Si tirano indietro quando lo si dice. È sufficiente per rispondere, ricordare le loro parole, mettere i loro scritti sotto gli occhi. Non possiamo ovviamente qui farne una dimostrazione completa. Sarà senz’altro sufficiente ricordare le parole di uno dei loro capi, pronunciate in una circostanza molto solenne, e dall’alto di una tribuna più clamoroso di tutte. – Il 15 gennaio 1907, l’Abate Lemire salì sulla tribuna della Camera dei Deputati per far sentire le sue parole: ” Non credo che qualcuno abbia il diritto di fare di noi, cattolici, i servi di un regime centralizzatore, di un regime alla Luigi XIV. La costituzione della Chiesa non è modellata su nessuna delle forme effimere di governo umano. ESSA NON È UNA MONARCHIA. In senso stretto, è. una gerarchia. È molto diverso (!?). La Chiesa è governata da una serie di autorità locali indipendenti lr une dalle altre, e controllate (solo questo?) da un’autorità centrale e superiore.” Queste parole sono così contrarie a ciò che M. Abate Lemire ha imparato dal suo parroco quando si preparava alla prima Comunione, che ci si chiede come tali idee abbiano potuto entrare nella sua testa in età avanzata e occuparlo così completamente da non venirgli più in mente nulla che non corrispondesse ad esse. – La spiegazione di questo fenomeno è facile da dare. Quando i sentimenti democratici si sono impadroniti di un cuore, quando il falso dogma di Jean-Jacques Rousseau ha invaso una mente, questo cuore, questo spirito desiderano vedere, nella società alla quale appartiene l’applicazione delle loro idee, la realizzazione di ciò che i loro sentimenti presentano loro come il migliore, il governo più perfetto, il più desiderabile. È così che i discepoli della scuola democratica cristiana arrivano, senza che lo sospettino, ad uno stato d’animo che rende loro percepibile la situazione della Chiesa e dei suoi fedeli per la costituzione che Nostro Signore Gesù Cristo le ha dato. Per la maggioranza, si tratta solo di una disposizione latente che li rende meno soggetti all’Autorità. Nei “maestri” è un’idea molto chiara, che si manifesta quando se ne presenta l’occasione, come è successo all’Abbate Lemire durante la discussione sulla sulla separazione tra Chiesa e Stato, che la legge, attraverso le sue associazioni culturali, aveva il preciso scopo di DEMOCRATIZZARE la Chiesa. – N. S. il Papa non si è accontentato, nella sua Enciclica, di dire come e perché i modernisti volessero democratizzare la Chiesa, ha anche fatto allusione alle profezie che questi signori formulano e per le quali essi prevedono che se la Chiesa non si conformerà agli inviti che essi le rivolgono di trasformare al più presto la sua costituzione, non potrà più contare che su pochi giorni di vita. “Se l’autorità ecclesiastica non vuole, nel più intimo delle coscienze, provocare e fomentare un conflitto, allora deve piegarsi alle forme democratiche. D’altronde, non farlo significherebbe la rovina, perché sarebbe una follia immaginare che il sentimento della libertà al punto in cui è arrivato, possa fare marcia indietro.” Queste minacce, i democratici cristiani le modulano all’unisono con i modernisti. Inoltre, sono l’antifona intonata tre quarti di secolo fa dal loro padre e maestro Lamennais. Padre e maestro della democrazia chretienne egli lo è sicuramente0. Lo riconoscono come tale e gli offrono il culto della pietà filiale che gli spetta. È stato lui a dire per primo quello che loro non smettono mai di ripetere, cioè di che la Rivoluzione Francese sia uscita è dal Vangelo e che la Chiesa non debba fare altro che da adattarvisi, se vuole proseguire la propria carriera. È lui che, dopo aver esagerato l’ullramontanismo, ha inculcato la sovranità nel popolo, anche da un punto di vista religioso. È stato il primo a formulare le minacce che abbiamo appena sentito contro contro la Chiesa, se non si fosse decisa a prendere l’abito democratico. Egli scriveva a M. de Coux nel 1833, quando, di ritorno da Roma, stava pubblicando le “Parole di un credente”: “La mia intenzione è quella di essere sottomesso nella Chiesa e libero fuori dalla Chiesa” (M. Marc Sangnier, ugualmente di ritorno da Roma, ha tenuto un simile lalingauggio nel Sillon e nel “Risveglio democratico”). Per quanto riguarda quest’ultima, è impossibile non ammettere che subirà importanti riforme, una trasformazione necessaria. L’umanità non ha certamente portato a termine il suo compito, né il Cristianesimo, e il Cristianesimo e l’umanità sono una cosa sola. Il genere umano non può più vivere al di fuori della ragione, della scienza e del diritto sviluppati nel corso dei secoli. … Ho una fede immensa, infinita nella verità e nella giustizia… Poiché credo in una rigenerazione più o meno prossima, mi sento pronto a soffrire qualsiasi cosa, a sacrificare tutto, prr contribuire ad essa…. Ecco la spiegazione del mio libro”. – Sono profondamente convinto che i grandi cambiamenti che si preparano nel mondo, lungi dall’essere operati dalla Chiesa, saranno operati nonostante essa, perché devono realizzare al suo interno la riforma che salverà il Cristianesimo, una riforma che la gerarchia non solo non solo non vuole, ma alla quale resisterà fino allo stremo delle forze. Sempre è certo, per quanto riguarda le questioni pratiche, che chiunque voglia agire, agire in un modo che la ragione e la coscienza ammettono, deve separarsi dal clero. Il minimo contatto con esso intorpidirebbe come un siluro, anche se ti uccide all’improvviso. È nel nostro tempo che dobbiamo ormai cercare le condizioni per ciò che resta da fare. La prima di tutte è l’indipendenza”. Fogazzaro, Riffaux, Naudet, Sangnier ecc. sono in realtà solo delle eco, eco molto fedeli. L’intero libro è stato riassunto così da p. Longhaye: “Io ho mostrato alla Chiesa la sua missione nuova, che è quella di seguire, pur sembrando di guidarla, l’irresistibile della democrazia. Se si rifiuta di farlo, è perduta; ed io segno la sua fine con il genere umano di cui sono l’organo infallibile.” – Quando M. Lemire giunse alla camera dei deputati, un abate suo amico pubblicò una biografia che l’abate-deputato distribuì e fece distribuire dagli organizzatori. distribuì e fece distribuire dagli organizzatori dei suoi congressi e delle sue conferenze. Nella prefazione vi si dice: “Da un secolo la Chiesa di Francia si è tenuta fuori dsi profondi movimenti del pensiero contemporaneo (pensiero modernista). Le voci stesse di Lamennais, Lacordaire e Montalembert dono riusciti appena a farsi sentire, e il più grande di questi riformatori e stato miseramente bruciato per avere voluto troppo presto il movimento che un giorno dovrà salvare il Cristianesimo nel nostro Paese”. Non è forse questo il linguaggio di Lamennais che Pio X rimprovera ai modernisti di usare ancora oggi? – Lamennaisera dunque profeta quando ha scritto a Montalembert alludendo al loro giornale, l’Avvenire: “Noi abbiamo sparso le demenze che un giorno fruttificheranno. Spetta solo al tempo svilupparle e farle maturare.” – Le piante cresciute dai semi di Lamennais sono state coltivate con cura dai modernisti, con qualsiasi nome si siano fatti chiamare: Cattolici liberali, progressisti, democratici cristiani. – Gregorio XVI nella sua Enciclica Mirari vos, Pio IX nell’Enciclica Quanta cura, Leone XII1 nell’Enciclica Testem benevolentiae e Graves de cornmuni, si sono sforzati di sradicarle dal suolo della Chiesa. Dalle radici, che non sono state estirpate sono spuntate altre piante, con un nuovo nome, una fisionomia diversa, ma pur sempre della stessa essenza, e spingono i loro germogli sempre più lontano. L’Enciclica di Pio X abbraccia l’intero campo dell’errore e ne coglie la piantagione. dell’uomo nemico tutta intera, nei suoi germi e nei suoi frutti. Bisogna ch’essa perisca.

GNOSI TEOLOGIA DI sATANA (71): DEMOCRAZIA CRISTIANA = DEMONIOCRAZIA ANTICRISTIANA? (3)

GNOSI TEOLOGIA DI sATANA (69): DEMOCRAZIA CRISTIANA = DEMONIOCRAZIA ANTICRISTIANA ? (1)

GNOSI, TEOLOGIA DI sATANA (69)

LA DEMOCRAZIA CRISTIANA = DEMONIOCRAZIA ACRISTIANA (1)

J. DELASSUS

L’ENCICLICA PASCENDI DOMINICI GREGIS e la DEMOCRAZIA

Alla Vergine Immacolata

GAUDE, MARIA VIRGO, CUNCTAS HÆRESES SOLA INTEREMISTI IN UNIVERSO MUNDO.

NIHIL OBSTAT:
Insulis, die 26 decembris 1907.
H.QUILLIET, S. Th. Dr. Librorum Censor.
IMPRIMATUR:
Cameraci, die 27 decembris 1907.
t FRANCISCUS,
Arch.-Coadj. Cameracen

Société St. Augustin. “Desclée, De Brouwer et Cie

LILLE, 41, rue du Metz, 41, LILLE

Il Cardinale Oreglia di S. Stefano si compiace nel ringraziare mons. Delassus per il suo ultimo scritto della lettera del 19 c. m. (…) Profitto di questa occasione per esprimergli direttamente la mia riconoscenza per le opere che ho il piacere di aver ricevuto direttamente da lui in precedenza. La prego di gradire le felicitazioni più vive e sincere, per il coraggio, la forza e la scienza con le quali egli combatte gli errori moderni ed i loro sostenitori. …

————

Avendomi diversi confratelli espresso il desiderio di vedere riuniti in un’unica pubblicazione gli articoli pubblicati  nella rivista “La Settimana religiosa” sotto il titolo “l’Enciclica Pascendi Dominici gregis e la Democrazia cristiana”, ho creduto essere mio dovere esaudire le loro richieste.

L’ENCICLICA PASCENDI DOMINICI GREGIS E LA DEMOCRAZIA

Fin dall’inizio del nostro Pontificato, abbiamo ritenuto nostro dovere avvertire pubblicamente i Cattolici dei profondi errori nascosti nelle dottrine del socialismo.

L’espressione Democrazia Cristiana colpisce molte persone oneste che vi trovano un significato equivoco e pericoloso.

Ciò che Dio ama è il buono spirito di coloro che, sacrificando le proprie idee personali, ascoltino gli ordini del Capo della Chiesa come ordini di Dio stesso.

LEONE XIII, Enciclica Graves et communi.

Il nostro cuore si stringe nel vedere tanti giovani, che erano la speranza della Chiesa e ai quali si promettevano così buoni servizi, completamente fuorviati.

Pio X, Enciclica Pascendi dominici gregis.

Un fatto indiscutibile domina la situazione attuale: la concentrazione anticattolica ed anticristiana che viene tentata in tutti i Paesi “civilizzati”. Noi abbiamo segnalato questo fatto, ne abbiamo dato le prove della sua esistenza del suo ubiquitarismo e della sua potenza dapprima bel libro  “L’Americanismo e la congiura anticristiana”; poi in modo più completo in quest’altro libro “Il problema dell’ora presente”. L’anima di questa cospirazione è la Massoneria e, al di sopra della Massoneria e chi la governa, il potere talmudico che da diciannove secoli lavora per preparare la strada al messia temporale che essa attende: l’Anticristo. Questo potere ha attaccato prima il potere civile; è riuscito a porre la sovranità nel popolo, cioè ad annientare l’autorità. Ora sta attaccando la famiglia, che sta dissolvendo rendendo ogni giorno più facile il divorzio. Già la proprietà è sotto attacco, non solo quella religiosa, ma anche quella civile. Essendo così spezzati tutti i legami che tenevano in ordine gli uomini, la rivoluzione riuscirà a fare della razza umana una polvere di individui docili a tutti i soffi con cui le piacerà agitarla. Di fronte a ciò, la sola Chiesa cattolica rimane in piedi, ancora viva, immortale. Da un secolo la Chiesa non ha mai smesso di esortare i suoi figli, i Cattolici di ogni paese, di ogni razza, di ogni lingua, a unirsi più strettamente, con un cuore più generoso, intorno a Cristo Salvatore. – Finora la Sua voce non è stata ascoltata come si dovrebbe. Ma l’assalto sta diventando così generale e così urgente che deve essere ascoltato se non si vuole che la società crolli. Questa concentrazione deve avvenire da un capo all’altro del mondo, poiché l’empia cospirazione ha come tema l’universo [l’attuale mondialismo – ndr. -]. Ma, per essere universale, deve prima essere organizzata in ogni nazione. Spetta alla Francia dare l’esempio, dare il via al movimento, perché è in Francia che il movimento massonico ha compiuto il suo sforzo più potente. Nulla è più urgente, fra tutte le questioni politiche, sociali, morali, religiose, che agitano il nostro Paese oggi, che quella dell’organizzazione del partito di Dio come la più urgente; da essa dipende la soluzione di tutte le altre. – Anche il Santissimo Padre, il Papa, ci esorta in ogni occasione.: “È con tutta l’anima che dovete difendere la vostra fede. Ma non fatevi ingannare: il lavoro e lo sforzo sarebbero inutili se cercaste di respingere gli assalti che vi verranno portati, senza essere fortemente uniti. Abdicate, quindi, a tutti i semi della discordia, della disarmonia, se ce n’è qualcuno tra voi. E fate ciò che sia necessario affinché, nel pensiero come nell’azione, la vostra unione sia salda come dovrebbe essere tra uomini che lottano per la stessa causa, soprattutto quando questa causa è una causa per il cui trionfo ognuno deve sacrificare volentieri qualcosa delle proprie opinioni.” – Molto prima che queste parole fossero pronunciate, esse erano il cuore di tutti i veri francesi, di tutti i veri Cattolici. Tutti sentivano la necessità di unirsi, tutti vedevano che solo da questa unione potesse venire la salvezza. L’unica cosa che si poteva fare era cercare di di mettere insieme tutte le buone volontà come si è fatto per vent’anni! Niente è riuscito. Saremo più felici ora? Il pericolo, il pericolo supremo, si è manifestato; tutti possono vedere che la cospirazione anticristiana minaccia di travolgere tutti, e non tra un secolo, ma domani. Tutti quindi, proprio in virtù di questa veduta, devono essere pronti ad impegnare le mani, come meglio possibile, per una concentrazione cattolica. Questa concentrazione, per essere efficace, per presentare oggi al nemico un bastione inespugnabile, e domani per permetterci di riprendergli tutto il terreno che ha conquistato, richiede due condizioni, una interna, l’altra esterna: la conformità del pensiero e dell’organizzazione. Per il momento parleremo solo della prima. – Il principio della nostra debolezza di fronte al nemico, la causa di tutti i nostri fallimenti, non è tanto la potenza e la malizia dell’avversario, quanto le nostre divisioni interne. Esse sono tali che, se un colpo di Stato dovesse rovesciare il governo massonico, i Cattolici di Francia sarebbero divisi anche il giorno dopo così come lo sono oggi. È che il principio di queste divisioni non è, checché se ne dica, nella divergenza delle opinioni politiche. Ne è prova il fatto che nella maggior parte  dei francesi, i nostri dissensi tra i Cattolici sono di natura religiosa e per motivazioni religiose, molto più che circa l’ordine politico propriamente detto! Ecco cinque o sei Cattolici riuniti in un salotto. Appartengono tutti allo stesso partito, quello realista, per esempio. Stanno discutendo questioni religiose e sociali tra di loro all’ordine del giorno. Se si scambiano le loro maniere di vedere, non tarderanno a dividersi su quasi tutte le questioni. Questi uomini, che appartengono ad un unico partito politico, non hanno una medesima concezione  della Chiesa Cattolica e dei suoi diritti, della libertà e dell’autorità dei rapporti tra capitale e lavoro, ecc. Pertanto, non considerano allo stesso modo la visione religiosa e sociale. Alcuni di loro saranno considerati come persone regressive, le cui esagerazioni compromettono lo sviluppo della Chiesa e del Paese al momento attuale. E chi giudica così il suo vicino si allontana da quel vicino come un uomo che abbandona inconsapevolmente la difesa delle verità necessarie e la cui intera azione è quindi disastrosa ed insufficiente, per non dire altro. Ne consegue una profonda disunione dei cuori, una sfiducia reciproca ed infine il rifiuto di marciare insieme nella battaglia contro il nemico comune. Infatti, colui che è nemico per l’uno, non lo è per l’altro. Ciò che è sbagliato per alcuni è una verità per gli altri. Il modo di combattere che è considerato necessario da un gruppo di Cattolici è considerato assolutamente inappropriato da un altro gruppo. In queste condizioni, nulla è più certo di ciò che Pio X ci ha avvertito nell’Enciclica Vehementer Nos: tutti i nostri sforzi contro il nemico comune resteranno inefficaci finché non avremo stabilito la conformità di pensiero tra di noi. – Già nei tempi lontani dell’Impero, Louis Veuillot diceva: “Ciò che può risanarci è una dottrina. La Francia è un malato che deve essere riportato alla sua aria nativa. L’aria nativa di Francia è il Cattolicesimo. L’abilità felice o infelice dei politici può darle dei governi; il Cattolicesimo solo le darà un temperamento. Non però un Cattolicesimo contraffatto, come quello dei catechisti liberali, dei democratici e dei modernisti, ma il Cattolicesimo come si è irradiato per diciannove secoli dalla Cattedra di S. Pietro, così come è stato mantenuto tra di noi dalle Encicliche Mirari vos di Gregorio XVI, Quanta cura di Pio IX, de quella sull’Americanismo e quella sulla Democrazia cristiana di Leone XIII, e infine l’Enciclica Pascendi di Pio X. M. Le Play, M. de Saint-Bonnet e altri hanno parlato allo stesso modo ma non sono stati ascoltati. Pio X sarà più felice? Avremo finalmente la saggezza tutti di marciare sotto lo stendardo del modernismo sventolato nell’Enciclica Pascendi? Questa è la questione del giorno e da cui dipende la salvezza della società contemporanea. – In un articolo intitolato: L’esercizio dell’autorità, uno dei principali organi della Democrazia cristiana, il Bulletin de la Semaine, ha rilevato esso stesso la divergenza di opinioni che abbiamo appena sottolineato esistente tra i Cattolici tra di loro.  Su tutti i terreni, filosofico, dottrinale, politico e sociale – ha detto – si manifestano due tendenze. Una di queste tendenze ha ricevuto il nome di modernismo, ora condannato dall’Enciclica Pascendi dominici gregis; l’altra è chiamata conservatrice o reazionaria dai modernisti, ma nessun nome particolare gli si addice, dal momento che si limita alla dottrina cattolica su tutti i punti in cui essa è attaccata dal modernismo. Da questa divergenza di opinioni, il “Bulletin de  la Semaine” traeva la conclusione che un partito cattolico non era fattibile in Francia.  Ma lasciamo la parola partito, discussa e discutibile, e rimpiazziamola  con « unione degli spiriti nella verità ». È davvero impossibile tornarvi? Noi non crediamo. Non si tratta più, oggi, di abbandonare la propria maniera di vedere per prendere quella di persone che si consideravano avversari, ma di accogliere la parola del Papa come se fosse l’oracolo di Dio. – Si è appena essa fatta sentire con una forza ed una chiarezza che non sono da sottovalutare. Lasciamo che  lo spirito di fede si faccia luce nei nostri cuori; il cuore  persuaso aprirà le porte dell’intelligenza, e l’intelligenza convinta sarà in grado di dare alla volontà l’energia necessaria per per rompere le catene che ci siamo lasciati imporre. È tempo, è più che tempo, di lasciare la politica della conciliazione nell’ordine delle idee, così come quella del male minore nell’ordine dell’azione. Entrambe ci hanno portato, e devono necessariamente portarci, all’errore, ad un male sempre più grande. Sappiamo infine collocarci sul terreno dei principi e di mostrarci di essere intransigenti. In una lettera ai Cattolici tedeschi nel 1876, quando si stavano preparando a tenere il loro grande Congresso di Monaco, per far fronte al Kulturkampf, Pio IX indicò loro la condizione indispensabile per il successo: “Che tutti coloro – disse, -che si fregiano del titolo di Cattolici, ci diano apertamente il sostegno delle loro convinzioni e si dimostrino fortemente attaccati ai principii, alla dottrina e ai sentimenti di questa sede di San Pietro. Questa esortazione ci è stata rivolta da Pio X più di dieci volte. Nella sua ultima Enciclica, egli ci ha segnalato i punti da cui partono le divisioni. Di conseguenza, tutti noi dobbiamo darci un incontro là. – Tra questi punti, ce n’è solo uno di cui vogliamo occuparci qui. L’agnosticismo, l’immanenza, il simbolismo, il criticismo, l’evoluzione dogmatica, tutti questi punti non hanno, a loro modo, nella loro forma, che solo un piccolo numero di menti. A questi non abbiamo nulla da dire; l’Enciclica li affronta in modo sufficientemente chiara da sola. Ma c’è una questione che può essere considerata come secondaria, relativamente a quelle. È questa tuttavia questa che spinge nel modernismo un gran numero di persone, spesso senza che se ne rendano conto. Stiamo parlando della democrazia ed anche della democrazia che si definisce cristiana. – Nessuno può negare che l’idea democratica, nelle sue varie ramificazioni sia stata una delle grandi cause della divisione delle menti e degli spiriti e dei problemi di cui soffriamo. Gli storici della democrazia cristiana – non stiamo parlando degli uomini in azione – sostengono che l’Enciclica non li riguardi in alcun modo; avevano detto la stessa cosa pure dopo le Encicliche di Leone XIII sull’Americanismo e la democrazia cristiana. – Dopo la pubblicazione dell’Enciclica di Pio X, M. l’abate Dabry si è affrettato a dire: « È stato un abuso di linguaggio chiamare le persone “democratiche cristiane”, dei modernisti e quindi di gettare un malsano sospetto sulla loro ortodossia. Speriamo che l’Enciclica ci liberi da questo equivoco. Non abbiamo nulla da cambiare nel nostro modo di fare le cose, non abbiamo nulla da ritrattare, non abbiamo altre strade da percorrere. Quando ci siamo proclamati democratici “risolutamente”, sapevamo cosa stavamo dicendo e non credevamo di diminuire il potere delle nostre credenze religiose. Abbiamo avuto mille occasioni per dimostrare che il nostro punto di vista fosse il punto di vista tradizionale e che la condotta della Chiesa Cattolica, nel corso della storia, abbia indicato la nostra strada. Non vogliamo più essere etichettati con l’epiteto di modernisti, non lo siamo mai stati e neppure sappiamo esattamente da ieri ciò a cui corrisponda. » È necessario aver seguito M. l’Abate Dabry dopo quindici anni per anni per dare il giusto peso e per valutare l’audacia di queste affermazioni. M. l’Abate Naudet ha detto a sua volta: « Poiché ora sappiamo cosa sia il modernismo, siamo fieri di constatare e felici di dichiarare che ciò in cui crediamo, professiamo e insegniamo, non abbia alcun legame con quelle dottrine ». Già nel 1899, la rivista che porta il nome preciso di “Democrazia Cristiana”, diceva: « Si vuole mescolare la nostra rivista a tutti i problemi del nostro tempo, al fine di comprometterla un giorno o l’altro. Da diversi anni, menti nobili e a volte avventurose cercano di rinnovare la filosofia ed i metodi filosofici, teologici ed apologetici per meglio adattarli, secondo loro, alle esigenze delle scoperte e delle teorie moderne. Fanno parte troppo grande delle novità sospette e troppo piccola alle tradizioni immutabili? In buona fede, come ci si può aspettare che i democratici cristiani lo dicano? E non è forse ridicolo vederci responsabili delle audacie degli esegeti, delle audacie degli apologeti e dei teologi. Anche in questo caso, protestiamo contro queste procedure di tendenze che si cerca di drammatizzare. » Queste proteste non dovrebbero impedire alla direzione della Democrazia Cristiana di fare, a favore dei modernisti, quello che Sua Santità Pio X ha descritto come segue: « Appare un’opera che traspira novità da tutti i pori, e la accolgono con applausi e grida di ammirazione. » Quando la Quinzaine ha spinto l’audacia oltre ogni limite, si sono levate le più giustificate proteste contro di essa, la direzione della Democrazia Cristiana scriveva in questa rivista: « La Quinzaine rimane dunque uno dei nostri grandi giornali cattolici, degno della stima di tutti. I suoi articoli sono di vero valore; pensa e fa pensare, anche se a volte deve rettificare l’una o l’altra delle sue posizioni, rettifica più di un pregiudizio intorno a noi e presso di noi; essa lavora e fa lavorare lealmente per l’unione di scienza e fede. Noi siamo tra coloro che ritengono che i cattolici abbiano un debito di gratitudine nei confronti del suo direttore, Fonsegrive, e siamo felici di approfittare di questa opportunità di dirlo, a nome dei redattori della rivista “Democrazia Cristiana” ». – Quando “La Quinzaine” dovette scomparire,, la direzione di “Democrazia Cristiana” si è scusata con i suoi lettori per averli indirizzati così male nella falsa direzione? Tutt’altro, ne ha accentuato la sua ammirazione. « La scomparsa di questo grande organo – diceva – ci fornisce una nuova, ma dolorosa occasione per comunicare a M. Fonsegrive la nostra ammirazione per il lavoro prodigioso che ha realizzato a “La Quinzaine” per undici anni. Egli ha diritto, nel complesso, al riconoscimento dei Cattolici che egli ha così spesso illuminato, difeso e incoraggiato. » L’Abate Garnier non si è espresso diversamente nel suo giornale Il “Popolo Francese”: « La pubblicazione che è scomparsa, ha conquistato la stima e la simpatia di tutte le menti liberali per la sua alta levatura intellettuale e per l’indipendente dignità della sua attitudine… » Attitudine verso chi e che cosa? E l’Abate Naudet, in “Giustizia sociale”: « Noi rimaniamo e speriamo di durare ancora a lungo per far sentire le nostre parole libere e necessarie, per dimostrare a tutti, con la nostra stessa esistenza, che i Cattolici non sono schiavi, come alcuni immaginano e come certe apparenze, a detta di alcuni, vorrebbero far credere. » Medesimo padronato era stato concesso a “Demain” che doveva anch’esso scomparire: « “Demain” – diceva la “Democrazia Cristiana” – è una nuova rivista nettamente progressista in tutti i sensi e su tutte le basi, informa alla perfezione sul movimento delle idee e dell’azione che comporta in tutto il mondo e, a questo proposito, è MOLTO PREZIOSA. Nessuno ignora che le dottrine degli “Annali della Filosofia Cristiana” siano state prese di mira dall’Enciclica, non meno di quelle di La Quinzaine. Quando la direzione fu presa da M. l’Abate Laberthonnière, i cui diversi libri erano stati messi all’Indice, la “Démocrutie chrétienne” mancò di fargli questo reclamo: « Noi abbiamo scorso il suo articolo-programma nella sua interezza; ci è sembrato interessante e suggestivo. … Parliamo della rivista ai nostri amici e porgiamo al suo nuovo ed eminente direttore i nostri migliori auguri di successo.» – Non solo i capi del movimento democratico cristiano hanno caldamente raccomandato ai loro lettori i principali organi del modernismo, ma ne hanno composti essi stessi e dal più alto livello. – L’Abate Dabry, quando già il libro di M. Loisy, L’Evangile et l’Eglise, era stato condannato dai Cardinali Richard e Perraud, Arcivescovi di Parigi e Autun, e da NN. SS. gli Arcivescovi di Cambrai, Angers, Bayeux, Belley, di Nancy e di Perpignan, lo proclama nel suo giornale, la Vie catholique, « il più grande esegeta del Cattolicesimo ». M. l’Abate Nadet scriveva nella “Juistice sociale”: « Nè M. Loisy, né i suoi studi evangelici, il “Vangelo e la Chiesa”, assomigliano a nulla delle caricature che ne vengono fatte. In lui saluto uno studioso, ed un sacerdote. » Si potrebbero ricordare altre parole per mostrare quanto sia veritiera questa osservazione dell’Enciclica: « Compare un’opera che traspira novità da tutti i suoi pori, e la accolgono con applausi e grida di ammirazione. » E non si creda che questa ammirazione non sia contagiosa, anche nelle menti che potrebbero evitarla. Le prove di questo contagio abbondano, anche nei seminari; e per questo Pio X, sia nei suoi discorsi sia nelle sue Encicliche, non cessa di raccomandare e comandare di non ordinare coloro che questo contagio ha già raggiunto. – M. Naudet non si è accontentato di esprimere la sua ammirazione per il Sig. M. Loisy e le sue opere. In una serie di articoli pubblicati nel 1904 con il titolo: “La Bible, la, Science et la Foi”, una riproduzione delle sue conferenze al “Collège libre des Sciences sociales”, egli mise le dottrine del diritto alla portata di tutti le dottrine Loisyennesi e ne diede, come conclusioni acquisite, le supposizioni della critica più avanzata. Si spinse a tal punto che molti dei suoi lettori, pur conoscendo bene le sue audacie, si allarmarono. Su quanti altri punti il modernismo è stato abbracciato, acclamato dai leaders della democrazia cristiana! Le prove si possono trarre a piene mani dai loro giornali e dalle loro riviste. Nel suo numero del 3 agosto 1907, La “Vie catholique” diceva in modo generale: “Non si ripeterà mai abbastanza che i Cattolici abbiano un grande lavoro educativo da fare a se stessi ed agli altri, tutto un lavoro di adattamento della loro mentalità ai desideri moderni e di coordinare i loro principii con questi desideri. Ciò qui non impediva di dire nel suo numero del 21 settembre, dopo la pubblicazione dell’Enciclica: « La Vita cattolica si è sempre dimostrata estranea alla polemiche relative alla filosofia, alla storia e alla esegesi. Al massimo abbiamo dato, di tanto in tanto, qualche insegnamento a titolo informativo. Vogliamo sperare che l’apparente severità del Santo Padre non scoraggi nessuno dal lavorare. » – Si può dire che, su tutti i punti evidenziati da S. S. Pio X, abbiamo visto i democristiani rivendicare la stessa riforma dei modernisti: riformare la filosofia, soprattutto nei Seminari: si relega la filosofia scolastica, nella storia della filosofia, tra i sistemi di studio, che si insegni ai giovani la filosofia moderna, l’unica adatta ai nostri tempi. – Riforma della teologia: che la cosiddetta teologia razionale, dovrebbe avere come base la filosofia moderna; la teoria positiva la storia del dogma come suo fondamento. – Per quanto riguarda la storia, che non sia più scritta o insegnata se non con i loro metodi e principii moderni. –

– Che i dogmi e la nozione della loro evoluzione siano armonizzati con la scienza e la storia.

– Che, nei Catechismi, siano inseriti solo quei dogmi che siano stati riformati ed alla portata del volgo. – In ciò che riguarda il culto, che siano diminuite il numero delle devozioni esterne o almeno di fermarne l’aumento. È vero che alcuni, attraverso un bellissimo simbolismo, si dimostrano abbastanza aperti su questa questione di grande importanza. – Che il governo ecclesiastico sia riformato in tutti i suoi rami, specialmente in quello disciplinare e dogmatico. Che il suo spirito, che le sue procedure siano in armonia con la coscienza,  che si rivolgano alla democrazia, e che una parte venga fatta, quindi, nel governo, sia affidato a chierici inferiori ed anche ai laici., che l’autorità sia decentrata. – Riforme delle Congregazioni Generali, in particolare quelle del Sant’Uffizio e dell’Indice. – Che il potere ecclesiastico modifichi la sua condotta in campo sociale e politico, e che assuma un ruolo più attivo nelle organizzazioni politiche e sociali, si adegui comunque ad esse, per penetrarne lo spirito. – In morale, fanno proprio il principio dell’americanismo per cui le virtù attive devono essere anteposte a quelle passive nella stima che se ne fa, come nella pratica. – Al clero viene chiesto di ritornare all’antica umiltà e povertà e, per quanto riguarda i suoi ideali e la sua azione, di regolarli  sui loro principi. – Ci sono alcuni che, facendo eco ai loro maestrii protestanti, desiderano la soppressione del celibato ecclesiastico. – Resta dunque da capire su che cosa, ed in applicazione dei loro loro principi, non chiedono riforrne! Non c’è una di queste riforme che non sia stata proposta negli organi della “Democrazia cristiana“. Quanti articoli sono stati pubblicati per chiedere la riforma dell’insegnamento nei seminari? la riorganizzazione dei catechismi e lo “snellimento” delle devozioni, la democratizzazione del governo ecclesiastico, la riforma delle Congregazioni romane, specialmente quelle del Sant’Uffizio e dell’Indice che temono particolarmente, la sottomissione della Chiesa alle leggi arbitrarie ed ingiuste dello stato, l’americanizzazione del clero, ecc. ecc. La conformità di pensiero, di linguaggio e di volontà su tutti questi punti, tra democratici e modernisti, è così ben documentata, che recentemente M. Bazire, in un articolo divulgativo su l’Univers delle sue precedenti relazioni, ha scritto su questo giornale: « È stata la disgrazia dei Cattolici con buone intenzioni di lasciarsene imporre da una scuola di intellettuali siffatti, e di associare le loro rivendicazioni alle più rischiose affermazioni dottrinali. Cosa aveva in comune la teoria dell’immmenza e la riforma del contratto di lavoro, il giusto salario e l’autenticità di un tale libro mosaico » – E ancora: « Le grandi parole della scienza, della democrazia, del progresso, di cui i principali giirnali fanno uno strano abuso senza comprenderne il senso, il significato né la portata di queste parole di cui i Cattolici confusionari si servono di accompagnamento alla conciliazione della Chiesa con il secolo ed in questo vasto insieme, la riforma sociale cristiana appariva solo come una parte di questo movimento di idee che abbiamo chiamato riformismo cattolico. » Per condividere queste idee e questi valori che, ovviamente, dovevano ripugnare al clero avente lo spirito del proprio stato, i dirigenti del partito si sono imperturbabilmente posti come portavoce della Santa Sede. – Nel 1894, la “Democrazia cristiana” pubblicò, in un primo tempo e poi in forma di pamphlet, una serie di articoli che rispondevano alla domanda: “Da che parte stanno gli incoraggiamenti del Papa?” È il titolo del lavoro svolto per riconciliare la fiducia del clero con lo stato maggiore della Democrazia cristiana. « Non abbiamo avuto che un solo obiettivo – ha detto in conclusione – dimostrare che il Papa ha simpatie e preferenze per i capi, per le dottrine e per le opere di quella scuola che oggi possiamo chiamare la SCUOLA PONTIFICIA ». Chi non sarebbe stato persuaso da una tale assicurazione, tra coloro che non potevano esaminare la cosa da se stessi?

GNOSI TEOLOGIA DI sATANA (70): DEMOCRAZIA CRISTIANA = DEMONIOCRAZIA ANTICRISTIANA ? (2)

GNOSI, TEOLOGIA DI sATANA (68): IL MODERNISMO (2)

GNOSI TEOLOGIA DI sATANA (68)

IL MODERNISMO (2)

DOCUMENTI DI S.S. PIO X CHE DENUNCIANO E CONDANNANO IL MODERNISMO

ENCICLICA “PASCENDI DOMINICI GREGIS”

“SUGLI ERRORI DEL MODERNISMO”

AI VENERABILI FRATELLI, PATRIARCHI, PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI

E AGLI ALTRI ORDINARI AVENTI CON L’APOSTOLICA SEDE PACE E COMUNIONE

PIO PP. X SERVO DEI SERVI DI DIO.

VENERABILI FRATELLI SALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE

L’officio divinamente commessoCi di pascere il gregge del Signore ha, fra i primi doveri imposti da Cristo, quello di custodire con ogni vigilanza il deposito della fede trasmessa ai santi, ripudiando le prone novità di parole e le opposizioni di una scienza di falso nome. La quale provvidenza del Supremo Pastore non vi fu tempo che non fosse necessaria alla Chiesa cattolica: stanteché per opera del nemico dell’umano genere, mai non mancarono “uomini di perverso parlare (Act. X, 30), cianciatori di vanità e seduttori (Tit. I, 10), erranti e consiglieri agli altri di errore (II Tim. III, 13)”. Pur nondimeno gli è da confessare che in questi ultimi tempi, è cresciuto oltre misura il numero dei nemici della croce di Cristo; che, con arti affatto nuove e piene di astuzia, si affaticano di render vana la virtù avvivatrice della Chiesa e scrollare dai fondamenti, se venga lor fatto, lo stesso regno di Gesù Cristo. Per la qual cosa non Ci è oggimai più lecito di tacere, seppur non vogliamo aver vista di mancare al dovere Nostro gravissimo, e che Ci sia apposta a trascuratezza di esso la benignità finora usata nella speranza di più sani consigli. Ed a rompere senza più gl’indugi Ci spinge anzitutto il fatto, che i fautori dell’errore già non sono ormai da ricercarsi fra i nemici dichiarati; ma, ciò che dà somma pena e timore, si celano nel seno stesso della Chiesa, tanto più perniciosi quanto meno sono in vista. Alludiamo, o Venerabili Fratelli, a molti del laicato cattolico e, ciò ch’è più deplorevole, a non pochi dello stesso ceto sacerdotale, i quali, sotto finta di amore per la Chiesa, scevri d’ogni solido presidio di filosofico e teologico sapere, tutti anzi penetrati delle velenose dottrine dei nemici della Chiesa, si dànno, senza ritegno di sorta, per riformatori della Chiesa medesima; e, fatta audacemente schiera, si gettano su quanto vi ha di più santo nell’opera di Cristo, non risparmiando la Persona stessa del Redentore divino, che, con ardimento sacrilego, rimpiccioliscono fino alla condizione di un puro e semplice uomo. Fanno le meraviglie costoro perché Noi li annoveriamo fra i nemici della Chiesa; ma non potrà stupirsene chiunque, poste da parte le intenzioni di cui Dio solo è giudice, si faccia ad esaminare le loro dottrine e la loro maniera di parlare e di operare. Per verità non si allontana dal vero chi li ritenga fra i nemici della Chiesa i più dannosi. Imperocché, come già abbiam detto, i lor consigli di distruzione non li agitano costoro al di fuori della Chiesa, ma dentro di essa; ond’è che il pericolo si appiatta quasi nelle vene stesse e nelle viscere di lei, con rovina tanto più certa, quanto essi la conoscono più addentro. Di più, non pongono già la scure ai rami od ai germogli; ma alla radice medesima, cioè alla fede ed alle fibre di lei più profonde. Intaccata poi questa radice della immortalità, continuano a far correre il veleno per tutto l’albero in guisa, che niuna parte risparmiano della cattolica verità, niuna che non cerchino di contaminare. Inoltre, nell’adoperare le loro mille arti per nuocere, niuno li supera di accortezza e di astuzia: giacché la fanno promiscuamente da razionalisti e da Cattolici, e ciò con sì fina simulazione da trarre agevolmente in inganno ogni incauto; e poiché sono temerari quanto altri mai, non vi è conseguenza da cui rifuggano e che non ispaccino con animo franco ed imperterrito. Si aggiunga di più, e ciò è acconcissimo a confonderle menti, il menar che essi fanno una vita operosissima, un’assidua e forte applicazione ad ogni fatta di studi, e, il più sovente, la fama di una condotta austera. Finalmente, e questo spegne quasi ogni speranza di guarigione, dalle stesse loro dottrine sono formati al disprezzo di ogni autorità e di ogni freno; e, adagiatisi in una falsa coscienza, si persuadono che sia amore di verità ciò che è infatti superbia ed ostinazione. Sì, sperammo a dir vero di riuscire quando che fosse a richiamar costoro a più savi divisamenti; al qual fine li trattammo dapprima come figli con soavità, passammo poi ad un far severo, e finalmente, benché a malincuore, usammo pure i pubblici castighi. Ma voi sapete, o Venerabili Fratelli, come tutto riuscì indarno: sembrarono abbassai la fronte per un istante, ma la rialzarono subito con maggiore alterigia. E potremmo forse tuttora dissimulare se non si trattasse che sol di loro: ma trattasi invece della sicurezza del nome cattolico. Fa dunque mestieri di uscir da un silenzio, che ormai sarebbe colpa, per far conoscere alla Chiesa tutta chi siano infatti costoro che così mal si camuffano. – E poiché è artificio astutissimo dei modernisti (ché con siffatto nome son chiamati costoro a ragione comunemente) presentare le loro dottrine non già coordinate e raccolte quasi in un tutto, ma sparse invece e disgiunte l’una dall’altra, allo scopo di passare essi per dubbiosi e come incerti, mentre di fatto sono fermi e determinati; gioverà innanzi tutto raccogliere qui le dottrine stesse in un sol quadro, per passar poi a ricercar le fonti di tanto traviamento ed a prescrivere le misure per impedirne i danni. E alfin di procedere con ordine in una materia di troppo astrusa, è da notare anzi tutto che ogni modernista sostiene e quasi compendia in sé molteplici personaggi: quelli cioè di filosofo, di credente, di teologo, di storico, di critico, di apologista, di riformatore: e queste parti sono tutte bene da distinguersi una ad una, da chi voglia conoscere a dovere il lor sistema e penetrare i principî e le conseguenze delle loro dottrine. Prendendo adunque le mosse dal filosofo, tutto il fondamento della filosofia religiosa è riposto dai modernisti nella dottrina, che chiamano dell’agnosticismo. Secondo questa, la ragione umana è ristretta interamente entro il campo dei fenomeni, che è quanto dire di quel che apparisce e nel modo in che apparisce: non diritto, non facoltà naturale le concedono di passare più oltre. Per lo che non è dato a lei d’innalzarsi a Dio, né di conoscerne l’esistenza, sia pure per intromessa delle cose visibili. E da ciò si deduce che Dio, riguardo alla scienza, non può affatto esserne oggetto diretto; riguardo alla storia non deve mai riputarsi come soggetto istorico. Poste cotali premesse, ognuno scorge di leggieri quali siano le sorti della teologia naturale, dei motivi di credibilità, dell’esterna rivelazione. Tutto questo i modernisti tolgon via di mezzo, e ne fanno assegno all’intellettualismo, ridicolo sistema, come essi affermano, e tramontato già da gran tempo. Né in ciò ispira loro alcun ritegno il sapere che si enormi errori furono già formalmente condannati dalla Chiesa. Giacché infatti il Concilio Vaticano così ebbe definito: “Se qualcuno dirà, che Dio uno e vero, Creatore e Signor nostro, per mezzo delle cose create, non possa conoscersi con certezza col lume naturale dell’umana ragione, sia anatema“ (De Revel., can. I); e similmente: “Se alcuno dirà non essere possibile, o non convenire che, mediante divina rivelazione, sia l’uomo ammaestrato di Dio e del culto che Gli si deve, sia anatema” (Ibid., can. II); e finalmente: “Se alcuno dirà che la rivelazione divina non possa essere fatta credibile da esterni segni e che perciò gli uomini non debbano esser mossi alla fede se non da interna esperienza o privata ispirazione, sia anatema” (De Fide, can. III). Di qual guisa poi i modernisti dall’agnosticismo, che è puro stato d’ignoranza, passino all’ateismo scientifico e storico, che invece è stato di positiva negazione; e con qual diritto perciò di logica, dal non sapere se Iddio sia intervenuto o no nella storia dell’uman genere si trascorra a spiegar tutto nella storia medesima ponendo Dio interamente da parte come se in realtà non fosse intervenuto, lo assegni chi può. Ma tanto è; per costoro è fisso e determinato che la scienza e la storia debbano esser atee; entro l’àmbito di esse non vi è luogo se non per fenomeni, sbanditone in tutto Iddio e quanto sa di divino. Dalla quale dottrina assurdissima vedremo bentosto che cosa siasi costretti di ammettere intorno alla Persona augusta di Gesù Cristo, intorno ai misteri della Sua vita e della Sua morte, intorno alla Sua Risurrezione ed Ascensione al Cielo. Vero è che l’agnosticismo non costituisce nella dottrina dei modernisti se non la parte negativa; la positiva sta tutta nell’immanenza vitale. Dall’una all’altra ecco con qual discorso procedono. La Religione, sia essa naturale o sopra natura, alla guisa di ogni altro fatto qualsiasi, uopo è che ammetta una spiegazione. Or, tolta di mezzo la naturale teologia, chiuso il cammino alla rivelazione per il rifiuto dei motivi di credibilità, negata anzi qualsivoglia esterna rivelazione, chiaro è che siffatta spiegazione indarno si cerca fuori dell’uomo. Resta dunque che si cerchi nell’uomo stesso; e poiché la religione non è altro infatti che una forma della vita, la spiegazione di essa dovrà ritrovarsi appunto nella vita dell’uomo. Di qui il principio dell’immanenza religiosa. Di più, la prima mossa, per così dire, di ogni fenomeno vitale, quale si è detta essere altresì la religione, è sempre da ascrivere ad un qualche bisogno; i primordi poi, parlando più specialmente della vita, sono da assegnare ad un movimento del cuore, o vogliam dire ad un sentimento. Per queste ragioni, essendo Dio l’oggetto della religione, dobbiamo conchiudere che la fede, inizio e fondamento di ogni religione, debba riporsi in un sentimento che nasca dal bisogno della divinità. Il quale bisogno, non sentendosi dall’uomo se non in determinate ed acconce circostanze, non può di per sé appartenere al campo della coscienza: ma giace da principio al di sotto della coscienza medesima o, come dicono con vocabolo tolto ad imprestito dalla moderna filosofia, nella subcoscienza, ove la sua radice rimane occulta ed incomprensibile. Che se si chieda in qual modo da questo bisogno della divinità, che l’uomo provi in se stesso, si faccia poi trapasso alla religione, i modernisti rispondono così. La scienza e la storia, essi dicono, sono chiuse come fra due termini: l’uno esterno, ed è il mondo visibile; l’altro interno, ed è la coscienza. Toccato che abbiano o l’uno o l’altro di questi termini, non hanno come passare più oltre; al di là si trovano essi a faccia dell’inconoscibile. Dinanzi a questo inconoscibile, o sia esso fuori dell’uomo oltre ogni cosa visibile, o si celi entro l’uomo nelle latebre della subcoscienza, il bisogno del divino, senza verun atto della mente, secondo che vuole il fideismo, fa scattare nell’animo già inclinato a religione un certo particolar sentimento; il quale, sia come oggetto sia come causa interna, ha implicata in sé la realtà del divino e congiunge in certa guisa l’uomo con Dio. A questo sentimento appunto si dà dai modernisti il nome di fede, e lo ritengono quale inizio di religione. Ma non è qui tutto il filosofare, o, a meglio dire, il delirare di costoro. Imperocché in siffatto sentimento essi non riscontrano solamente la fede: ma colla fede e nella fede stessa quale da loro è intesa, sostengono che vi si trovi altresì la Rivelazione. E che infatti può pretendersi di vantaggio per una rivelazione? O non è forse rivelazione, o almeno principio di rivelazione, quel sentimento religioso che si manifesta d’un tratto nella coscienza? Non è rivelazione l’apparire, benché in confuso, che Dio fa agli animi in quello stesso sentimento religioso? Aggiungono anzi di più che, essendo Iddio in pari tempo e l’oggetto e la causa della fede, la detta rivelazione è al tempo stesso di Dio e da Dio: ha cioè insieme Iddio e come rivelante e come rivelato. Di qui, Venerabili Fratelli, quell’assurdissimo effato dei modernisti che ogni religione, secondo il vario aspetto sotto cui si riguardi, debba dirsi egualmente naturale e soprannaturale. Di qui lo scambiar che fanno, come di pari significato, coscienza e rivelazione. Di qui la legge, per cui la coscienza religiosa si dà come regola universale, da porsi in tutto a pari della rivelazione, ed alla quale tutti hanno obbligo di sottostare, non esclusa la stessa autorità suprema della Chiesa, sia che ella insegni, sia che legiferi in materia di culto o di disciplina. Se non che in tutto questo procedimento dal quale, a detta dei modernisti, saltan fuori la fede e la rivelazione, egli è mestieri tener d’occhio un punto, che è di capitale importanza per le conseguenze storico critiche, che essi ne derivano. Quell’inconoscibile, di cui parlano, non si presenta già alla fede come nudo in sé ed isolato; ma si bene congiunto strettamente a un qualche fenomeno, che, quantunque appartenga al campo della scienza e della storia, pure in certa guisa ne trapassa i confini. Tal fenomeno potrà essere un fatto qualsiasi della natura, che in sé racchiude alcun che di misterioso: potrà essere altresì un uomo, il cui carattere, i cui gesti, le cui parole mal si compongano colle leggi ordinarie della storia. Or bene la fede, attirata dall’inconoscibile racchiuso nel fenomeno, s’impadronisce di tutto intero il fenomeno stesso e lo penetra in certo qual modo della sua vita. Da ciò due cose conseguitano. La prima, una tal trasfigurazione del fenomeno, per una, diremmo, quasi elevazione sulle condizioni sue proprie, che lo renda acconcio, come materia, alla forma del divino che la fede v’introdurrà. La seconda, un certo sfiguramento, nato da ciò che avendo la fede tolto il fenomeno ai suoi aggiunti di tempo e di luogo, facilmente gli attribuisce quello che nella realtà delle cose non ha di fatto: il che soprattutto avviene quando si tratti di fenomeni di antica data, e tanto più se sono remoti. Da questi due capi i modernisti traggono per loro due canoni; i quali, uniti a un terzo già dedotto dall’agnosticismo, formano quasi la base della critica storica. Illustriamo il fatto con un esempio, preso dalla persona di Gesù Cristo. Nella persona di Cristo, dicono, la scienza e la storia non trovan nulla al di là dell’uomo. Dunque, in vigore del primo canone dato dall’agnosticismo, dalla storia di essa deve cancellarsi tutto quanto sa di divino. Più oltre, in conformità del. secondo canone, la persona di Cristo è stata trasfigurata dalla fede: dunque fa d’uopo spogliarla di tutto ciò che la innalza sopra le condizioni storiche. Per ultimo, la stessa è stata sfigurata dalla fede, secondo insegna il terzo canone: dunque non da rimuoversi da lei i discorsi, i fatti, tutto quello insomma che non risponde al suo carattere, alla sua condizione ed educazione, al luogo ed al tempo in cui visse. Strano per fermo parrà a noi questo modo di ragionare; ma qui sta la critica dei modernisti. Adunque il sentimento religioso, che per vitale immanenza si sprigiona dai nascondigli della subcoscienza, è il germe di tutta la religione, ed è insieme la ragione di quanto fu o sarà per essere in qualsivoglia religione. Rude dapprima e quasi informe, a poco a poco, sotto l’influsso del misterioso principio che gli diede origine, esso e venuto perfezionandosi, a seconda dei progressi della vita umana. di cui, come si disse, e una forma. Ecco pertanto la nascita di qualsiasi religione, sia pure soprannaturale: esse altro non sono che semplici esplicazioni dell’anzidetto sentimento. Né credasi già che diversa sia la sorte della religione cattolica; anzi in tutto pari alle altre: imperocché non altrimenti essa è nata, che per processo di vitale immanenza nella coscienza di Cristo, uomo di elettissima natura, quale mai altro simile si vide né mai si troverà. Nell’udir tali cose Noi trasecoliamo di fronte ad affermazioni cotanto audaci e sacrileghe! Eppure, Venerabili Fratelli, non sono esse un parlar temerario solamente d’increduli. Sono uomini cattolici, sono anzi sacerdoti non pochi che così la discorrono pubblicamente; e con siffatti delirii si dànno vanto di riformare la Chiesa! Qui, non trattasi più del vecchio errore, che alla natura umana concedeva quasi un diritto all’ordine soprannaturale. Si va assai più lungi; sino cioè ad afferrare che la religione nostra santissima, nell’uomo Cristo del pari che in noi, è frutto interamente spontaneo della natura. Del quale asserto non sappiamo qual sia mezzo più acconcio per sopprimere pgni ordine soprannaturale. Perciò con somma ragione il Concilio Vaticano pronunziò: “Se alcuno dirà, non poter l’uomo essere elevato da Dio a una conoscenza e perfezione che superi la natura, ma potere e dovere di per sé stesso, con un perpetuo progresso, giungere finalmente al possesso di ogni vero e di ogni bene, sia anatema” (De Revel., can. III). Fin qui però, o Venerabili Fratelli, non abbiam visto farsi punto luogo all’azione dell’intelletto. Eppure, secondo le dottrine dei modernisti, ha essa ancora la sua parte nell’atto di fede. E giova osservare in che modo. In quel sentimento, dicono, di cui sovente si è parlato, appunto perché egli è sentimento e non cognizione, Dio si presenta bensì all’uomo, ma in maniera così confusa che nulla o a malapena si distingue dal soggetto credente. Fa dunque d’uopo che sopra quel sentimento si getti un qualche raggio di luce, sì che Dio ne venga fuori per intero e pongasi in contrapposto col soggetto. Ora, è questo il compito dell’intelletto; di cui è proprio il pensare ed analizzare, e per mezzo del quale l’uomo prima traduce in rappresentazioni mentali i fenomeni di vita che sorgono in lui, e poi li significa con verbali espressioni. Di qui il detto volgare dei modernisti, che l’uomo religioso deve pensare la sua fede. L’intelletto adunque, sopravvenendo al sentimento, su di esso si ripiega e vi fa intorno un lavorio somigliante a quello di un pittore che illumina e ravviva il disegno di un quadro svanito per la vecchiaia. Il paragone è di uno dei maestri del modernismo. Doppio poi è l’operar della mente in siffatto negozio; dapprima, con un atto nativo e spontaneo, esprimendo la sua nozione con una proposizione semplice e volgare; indi, con riflessione e più intima penetrazione, o, come dicano, lavorando il suo pensiero, rende ciò che ha pensato con proposizioni secondarie, derivate bensì dalla prima, ma più affinate e distinte. Le quali proposizioni, ove poi ottengano la sanzione del magistero supremo della Chiesa, costituiranno appunto il dogma. – Con ciò, nella dottrina dei modernisti, ci troviamo giunti ad uno dei capi di maggior rilievo, all’origine cioè e alla natura stessa del dogma. Imperocché l’origine del dogma la ripongon essi in quelle primitive formole semplici; le quali, sotto un certo aspetto, devono ritenersi come essenziali alla fede, giacché la rivelazione, perché sia veramente tale, richiede la chiara apparizione di Dio nella coscienza. Il dogma stesso poi, secondo che paiono dire, è costituito propriamente dalle formole secondarie. A conoscere però bene la natura del dogma, è uopo ricercare anzi qual relazione passi fra le formole religiose ed il sentimento religioso. Nel che non troverà punto difficoltà, chi tenga fermo, che il fine di cotali formole altro non è, se non di dar modo al credente di rendersi ragione della propria fede. Per la qual cosa stanno esse formole come di mezzo fra il credente e la fede di lui; per rapporto alla fede, sono espressioni inadeguate del suo oggetto e sono dai modernisti chiamate simboli; per rapporto al credente, si riducono a meri istrumenti. Non è lecito pertanto in niun modo sostenere che esse esprimano una verità assoluta: essendoché, come simboli, sono semplici immagini di verità, e perciò da doversi adattare al sentimento religioso in ordine all’uomo; come istrumenti, sono veicoli di verità, e perciò da acconciarsi a lor volta all’uomo in ordine al sentimento religioso. E poiché questo sentimento, siccome quello che ha per obbietto l’assoluto, porge infiniti aspetti, dei quali oggi l’uno domani l’altro può apparire; e similmente colui che crede può passare per altre ed altre condizioni, ne segue che le formole altresì che noi chiamiamo dogmi debbano sottostare ad uguali vicende ed essere perciò variabili. Così si ha aperto il varco alla intima evoluzione dei dogmi. Infinito cumulo di sofismi che abbatte e distrugge ogni religione! E questa, non pur possibile, ma necessaria evoluzione e mutazione dei dogmi non solo i modernisti l’affermano arditamente ma è conseguenza legittima delle loro sentenze. Infatti fra i capisaldi della loro dottrina vi è ancor questo, tratto dal principio dell’immanenza vitale: che le formole cioè religiose, perché tali siano in verità e non mere speculazioni dell’intelletto, è mestieri che siano vitali e che vivano della stessa vita del sentimento religioso. Il che non è da intendersi quasiché tali formule, specie se puramente immaginative, siano costruite a bella posta pel sentimento religioso; giacché poco monta della loro origine, come altresì del loro numero e della loro qualità; ma cosi, che le stesse, fatte se occorre all’uopo delle modificazioni, vengano vitalmente assimilate dal sentimento religioso. E per dirla in altri termini, fa di mestieri che la formola primitiva sia accettata e sancita dal cuore, e che il susseguente lavorio per la formazione delle formole secondarie sia fatto sotto la direzione del cuore. Di qui procede che siffatte formole, perché siano vitali, debbano essere e mantenersi adatte tanto alla fede quanto al credente. Laonde, se per una ragione qualsiasi cotale adattamento venga meno, perdono elle il primitivo significato e vogliono essere cambiate. Or tale essendo il valore e la sorte mutevole delle formole dogmatiche, non reca stupore che i modernisti le abbiano tanto in dileggio; mentre al contrario non fanno che ricordare ed esaltare il sentimento religioso e la vita religiosa. Perciò pure criticano con somma audacia la Chiesa, accusandola di camminare fuor di strada, né saper distinguere fra il senso materiale delle formole e il loro significato religioso e morale, e attaccandosi con ostinazione, ma vanamente, a formole vuote di senso, lasciar che la religione precipiti a rovina. Oh! Veramente ciechi e conduttori di ciechi, che, gonfi del superbo nome di scienza, vaneggiano fino al segno di pervertire l’eterno concetto di verità e il genuino sentimento religioso: “spacciando un nuovo sistema, col quale, tratti da una sfrontata e sfrenata smania di novità, non cercano la verità ove certamente si trova; e disprezzate le sante ed apostoliche tradizioni, si attaccano a dottrine vuote, futili, incerte, riprovate dalla Chiesa, e con esse, uomini stoltissimi, si credono di puntellare e sostenere la stessa verità” (Gregorio XVI, Lett. Enc.”Singulari Nos“, 25 giugno 1834).

[Dopo aver esaminato il modernismo dal canto filosofico, il Santo Padre passa ad esaminare il modernismo che coinvolge il credente, e propinato a livello teologico che esclude Scolastica e Tomismo. Sua Santità è particolarmente meticoloso nel sottolineare tutti gli inganni e le astuzie del modernismo nel confondere termini e concetti spesso totalmente ribaltati nei loro significati. Tali inganni in realtà erano già stati condannati dalla Chiesa ed infatti Papa Sarto cita con sapienza Encicliche e Costituzioni apostoliche, ad iniziare da Gregorio IX, passando per il Concilio di Trento, da Pio VI a Pio IX [ il “Syllabus”], fino alla “Dei Filius” del Concilio Vaticano. Ma osservando bene, in realtà il modernismo, non era altro che un nuovo vestito indossato dalla teologia di satana, la “gnosi”, il solito cancro maligno che ha afflitto la Chiesa Cattolica fin dalla sua costituzione. Si ritrovano infatti i soliti artifici del panteismo, dell’immanentismo, dell’evoluzionismo, etc. etc.. La gnosi, come i nostri pochi lettori ben sanno, è come uno “satiro” che, nel periodo di carnevale cambia continuamente costume e maschera, lasciando però intravedere i suoi elementi caratterizzanti come la coda, gli arti zoccoluti, le corna, la lingua biforcuta, i canini sporgenti, la barba caprina. Ad un esame superficiale il satiro sembra avere un aspetto affascinante ed argomenti interessanti, ma man mano che si mostra, che parla, si agita, il cerone comincia a sciogliersi, la maschera a scomporsi, e compare la barba caprina, i canini affilati, e dal cappello mosso da una leggera brezza spuntano le immancabili corna! È la sempre medesima “solfa”, lo sterco ripugnante, che ci viene proposto da Simon mago, dalla scuola neoplatonica alessandrina, dalla cabala spuria, dalle apparentemente strambe filosofie del rinascimento del paganesimo, a Cartesio, all’illuminismo, da Kant ad Hegel, da Marx all’esistenzialismo, da Freud a Darwin ed oggi, in ambito teologico, da personaggi vari, a cominciare dai giansenisti per finire ai supermodernisti postconciliari come gli azzeccagarbugli Ratzinger col suo ventriloquo, il sig. Bergoglio. Leggiamo con calma questa parte di Enciclica e cerchiamo di farla nostra onde comprendere ed evitare le insidie ed i lacci del modernismo, la strada ampia che, a detta del divino Maestro, ci condurrà inevitabilmente ed indubbiamente al fuoco eterno! E se lo dice Lui … – ndr. -]

“E fin qua, o Venerabili Fratelli, del modernista considerato come filosofo. Or, se facendoci oltre a considerarlo nella sua qualità di credente, vogliam conoscere in che modo, nel modernismo, il credente si differenzi dal filosofo, convien osservare che quantunque il filosofo riconosca per oggetto della fede la realtà divina, pure questa realtà non altrove l’incontra che nell’animo del credente, come oggetto di sentimento e di affermazione: che esista poi essa o no in sé medesima fuori di quel sentimento e di quell’affermazione, a lui punto non cale. Per contrario il credente ha come certo ed indubitato che la realtà divina esista di fatto in se stessa, né punto dipenda da chi crede. Che se poi cerchiamo, qual fondamento abbia cotale asserzione del credente, i modernisti rispondono: l’esperienza individuale. Ma nel dir ciò, se costoro si dilungano dai razionalisti, cadono nell’opinione dei protestanti, degli pseudomistici. Così infatti essi discorrono. Nel sentimento religioso, si deve riconoscere quasi una certa intuizione del cuore; la quale mette l’uomo in contatto immediato colla realtà stessa di Dio, e tale gl’infonde una persuasione dell’esistenza di Lui e della Sua azione sì dentro, sì fuori dell’uomo, da sorpassar di gran lunga ogni convincimento scientifico. Asseriscono pertanto una vera esperienza, e tale da vincere qualsivoglia esperienza razionale; la quale se da taluno, come dai razionalisti, è negata, ciò dicono intervenire perché non vogliono porsi costoro nelle morali condizioni, che son richieste per ottenerla. Or questa esperienza, poi che l’abbia alcuno conseguita, è quella che lo costituisce propriamente e veramente credente. Quanto siamo qui lontani dagli insegnamenti cattolici! Simili vaneggiamenti li abbiamo già uditi condannare dal Concilio Vaticano. Vedremo più oltre come, con siffatte teorie, congiunte agli altri errori già mentovati, si spalanchi la via all’ateismo. Qui giova subito notare che, posta questa dottrina dell’esperienza unitamente all’altra del simbolismo, ogni religione, sia pure quella degl’idolatri, debba ritenersi siccome vera. Perché infatti non sarà possibile che tali esperienze s’incontrino in ogni religione? E che si siano di fatto incontrate non pochi lo pretendono. E con qual diritto i modernisti negheranno la verità ad una esperienza affermata da un islamita? con qual diritto rivendicheranno esperienze vere pei soli Cattolici? Ed infatti i modernisti non negano, concedono anzi, altri velatamente altri apertissimamente, che tutte le religioni siano vere. E che non possano sentire altrimenti, è cosa manifesta. Imperocché per qual capo, secondo i loro placiti, potrebbe mai ad una religione, qual che si voglia, attribuirsi la falsità? Senza dubbio per uno di questi due: o per la falsità del sentimento religioso, o per la falsità della formola pronunziata dalla mente. Ora il sentimento religioso, benché possa essere più o meno perfetto, è sempre uno: la formula poi intellettuale, perché sia vera, basta che risponda al sentimento religioso ed al credente, checché ne sia della forza d’ingegno in costui. Tutt’al più, nel conflitto fra diverse religioni, i modernisti potranno sostenere che la cattolica ha più di verità perché più vivente, e merita con più ragione il titolo di cristiana, perché risponde più pienamente alle origini del Cristianesimo. Che dalle premesse date scaturiscano siffatte conseguenze, non può per fermo sembrare assurdo. Assurdissimo è invece che Cattolici e Sacerdoti, i quali, come preferiamo credere, aborrono da tali enormità, si portino in fatto quasi le ammettessero. Giacché tali sono le lodi che tributano ai maestri di siffatti errori, tali gli onori che rendono loro pubblicamente, da dar agevolmente a supporre che essi non onorIno già le persone, forse non prive di un qualche merito, ma piuttosto gli errori che quelle professano apertamente e cercano a tutt’uomo propagare. – Ma, oltre al detto, questa dottrina dell’esperienza è per un altro verso contrarissima alla cattolica verità. Imperocché viene essa estesa ed applicata alla tradizione quale finora fu intesa dalla Chiesa, e la distrugge. Ed infatti dai modernisti è la tradizione così concepita che sia una comunicazione dell’esperienza originale fatta agli altri, mercé la predicazione, per mezzo della formula intellettuale. A questa formola perciò, oltre al valore rappresentativo, attribuiscono una tal quale efficacia di suggestione, che si esplica tanto in colui che crede, per risvegliare il sentimento religioso a caso intorpidito e rinnovar l’esperienza già avuta una volta, quanto in coloro che ancor non credono, per suscitare in essi la prima volta il sentimento religioso e produrvi l’esperienza. Di questa guisa l’esperienza religiosa si viene a propagare fra i popoli; né solo nei presenti per via della predicazione, ma anche fra i venturi sì per mezzo dei libri e sì per la trasmissione orale dagli uni agli altri. Avviene poi che una simile comunicazione dell’esperienza si abbarbichi talora e viva, talora isterilisca subito e muoia. Il vivere è pei modernisti prova di verità; giacché verità e vita sono per essi una medesima cosa. Dal che è dato inferir di nuovo, che tutte le religioni, quante mai ne esistono, sono egualmente vere, poiché se nol fossero non vivrebbero. E tutto questo si spaccia per dare un concetto più elevato e più ampio della religione! Condotte fin qui le cose, o Venerabili Fratelli, abbiamo abbastanza in mano per conoscere qual ordine stabiliscano i modernisti fra la fede e la scienza; con qual nome di scienza intendano essi ancor la storia. E in primo luogo si deve tenere che l’oggetto dell’una è affatto estraneo all’oggetto dell’altra e da questo separato. Imperocché la fede si occupa unicamente di cosa che la scienza professa essere a sé inconoscibile. Quindi diverso il campo ad entrambe assegnato: la scienza è tutta nella realtà dei fenomeni, ove non entra affatto la fede: questa al contrario si occupa della realtà divina che alla scienza è del tutto sconosciuta. Dal che si viene a conchiudere che tra la fede e la scienza non vi possa essere mai dissidio: giacché, se ciascuna tiene il suo campo, non potranno mai incontrarsi, né perciò contraddirsi. Che se a ciò si opponga, nel mondo visibile esservi cose che pure appartengono alla fede, come la vita umana di Cristo; i modernisti rispondono negando. – Perché quantunque tali cose siano nel novero dei fenomeni, pure, in quanto sono vissute dalla fede e, nel modo già indicato, sono state da essa trasfigurate e sfigurate, furono tolte dal mondo sensibile e trasferite ad essere materia del divino. Quindi, qualora più oltre si ricercasse se Cristo abbia fatto veri miracoli e vere profezie, severamente sia risorto ed asceso al Cielo; la scienza agnostica lo negherà, la fede lo affermerà; né perciò vi sarà lotta fra le due. Imperocché lo negherà il filosofo qual filosofo parlando a filosofie considerando unicamente Cristo nella sua realtà storica; l’affermerà il credente come credente parlando a credenti e considerando la vita di Cristo quale è vissuta dalla fede e nella fede. – S’ingannerebbe però a partito chi, date queste teorie, si credesse autorizzato a credere, essere la fede e la scienza indipendenti l’una dall’altra. Si, della scienza ciò è fuori di dubbio; ma è ben altro della fede; la quale, non per uno ma per tre capi, deve andar soggetta alla scienza. Imperocché da riflettersi in primo luogo che in ogni fatto religioso, toltane la realtà divina e l’esperienza che di essa ha chi crede, tutto il rimanente ed in specialità le formole religiose, non escono dal campo dei fenomeni: e cadono quindi sotto il dominio della scienza. Esca pure il credente dal mondo, se gli vien fatto; finché però resterà nel mondo, non potrà mai sottrarsi, lo voglia o no, alle leggi, all’osservazione, ai giudizi della scienza e della storia. Di più, benché sia detto che Dio è oggetto della sola fede, ciò nondimeno debba solo intendersi della realtà divina, non già della idea di Dio. L’idea di Dio è pur essa sottoposta alla scienza; la quale, mentre spazia nell’ordine logico, si solleva fino all’assoluto ed all’ideale. È dunque diritto della filosofia o della scienza sindacare l’idea di Dio, dirigerla nella sua evoluzione, correggerla qualora vi si immischi qualche elemento estraneo: quindi il ripetere che fanno i modernisti che l’evoluzione religiosa debba essere coordinata colla evoluzione morale ed intellettuale; ossia, come insegna uno dei loro maestri, debba essere subordinata. Per ultimo è pur da osservare che l’uomo non soffre in sé dualismo: per la qual cosa il credente prova in se stesso un intimo bisogno di armonizzare siffattamente la fede colla scienza che non si opponga al concetto generale che scientificamente si ha dell’universo. Così dunque si evince essere la scienza affatto libera dalla libera fede; la fede invece, tuttoché si decanti estranea alla scienza, essere a questa sottoposta. Le quali cose tutte, Venerabili Fratelli, sono diametralmente contrarie a ciò che insegnava il Nostro Antecessore Pio IX: “Essere dovere della filosofia, in materia di religione, non dominare ma servire, non prescrivere ciò che si debba credere, ma abbracciarlo con ragionevole ossequio, né scrutar l’altezza dei misteri di Dio, ma piamente ed umilmente venerarla” (Breve al Vescovo di Breslavia, 15 giugno 1857). I modernisti invertono del tutto le parti. Ond’è che ad essi può applicarsi ciò che l’altro Nostro Predecessore Gregorio IX scriveva di taluni teologi del suo tempo: “Alcuni fra voi, gonfi come otri dello spirito di vanità, si sforzano con novità profana di valicare i termini segnati dai Padri; piegando alla dottrina filosofica dei razionali l’intelligenza delle pagine Celesti, non per profitto degli uditori ma per far pompa di scienza… Questi sedotti da dottrine diverse e peregrine, tramutano in coda il capo e costringono la regina a servire all’ancella” (Lettera ai maestri di Teologia di Parigi, 7 luglio 1223). Il che parrà più manifesto dalla condotta stessa dei modernisti, interamente conforme a quel che insegnano. Negli scritti e nei discorsi sembrano essi non rare volte sostenere ora una dottrina ora un’altra, talché si è facilmente indotti a giudicarli vaghi ed incerti. Ma tutto ciò è fatto avvisatamente; per l’opinione cioè che sostengono della mutua separazione della fede e della scienza. Quindi avviene che nei loro libri si incontrino cose che ben direbbe un Cattolico; ma, al voltar della pagina, si trovano altre che si stimerebbero dettate da un razionalista. Di qui, scrivendo storia, non fanno pur menzione della divinità di Cristo; predicando invece nelle chiese, l’affermano con risolutezza. Di qui parimente, nella storia non fanno nessun conto né di Padri né di Concilî; ma se catechizzano il popolo, li citano con rispetto. Di qui, distinguono l’esegesi teologica e pastorale dall’esegesi scientifica e storica. Similmente dal principio che la scienza non ha dipendenza alcuna dalla fede, quando trattano di filosofia, di storia, di critica, non avendo orrore di premere le orme di Lutero (Prop. 29, condannata da Leone X, Bolla. “Exsurge Domine“, 15 maggio 1520: “Ci si è aperta la strada per isnervare l’autorità dei Concilî e contraddire liberamente alle loro deliberazioni, e giudicare i lor decreti e confessare arditamente tutto ciò che ci sembra vero, sia approvato o condannato da qualunque Concilio“), fanno pompa di un certo disprezzo delle dottrine cattoliche, dei santi Padri, dei sinodi ecumenici, del Magistero ecclesiastico: e se vengono di ciò ripresi, gridano alla manomissione della libertà. Da ultimo, posto l’aforisma che la fede debba soggettarsi alla scienza, criticano di continuo e all’aperto la Chiesa, perché con somma ostinatezza rifiuta di sottoporre ed accomodare i suoi dogmi alle opinioni della filosofia: ed essi, da parte loro, messa fra i ciarpami la vecchia teologia, si adoperano di porne in voga una nuova, tutta ligia ai deliramenti dei filosofi. Con che, Venerabili Fratelli, Ci si dà finalmente il passo per osservare i modernisti sull’arena teologica. Difficile compito: ma con poco potremo trarCi d’impaccio. Il fine da ottenere è la conciliazione della fede colla scienza, restando però sempre incolume il primato della scienza sulla fede. In questo affare il teologo modernista si giova degli stessissimi principî che vedemmo usati dalla filosofia, adattandoli al credente; ciò sono i principî dell’immanenza e del simbolismo. Ed ecco con quanta speditezza compie egli il suo lavoro. Ha detto il filosofo: “Il principio della fede è immanente“; il credente ha soggiunto: “Questo principio è Dio“; il teologo dunque conclude: “Dio è immanente nell’uomo“. Di qui l’essere dell’immanenza teologica. Parimente: il filosofo ha ritenuto come certo che le “rappresentazioni dell’oggetto della fede sono semplicemente simboliche“; il credente ha affermato che “l’oggetto della fede è Dio in se stesso“; il teologo adunque pronunzia: “Le rappresentazioni della realtà divina siano simboliche“. Di qui il simbolismo teologico. Errori per verità enormi; i quali quanto siano perniciosi, si vedrà luminosamente nell’osservarne le conseguenze. Infatti, per dir subito del simbolismo, i simboli essendo tali in relazione all’oggetto, ed in relazione al credente non essendo che istrumenti, fa mestieri innanzi tutto, così insegnano i modernisti, che il credente non si attacchi troppo alla formola, ma se ne giovi solo allo scopo di unirsi all’assoluta verità, di cui la formola rivela insieme e nasconde, si sforza cioè di esprimere ma senza mai riuscirvi. Vogliono in secondo luogo che il credente usi di tali formole tanto quanto gli siano utili, poiché sono date per giovamento e non per averne intralcio; salvo, s’intende, il rispetto che, per riguardi sociali, si debba alle formole giudicate acconce dal pubblico magistero ad esprimere la coscienza comune, finché però lo stesso Magistero non stabilisca altrimenti. Quanto poi all’immanenza, non è agevole determinare ciò che per essa intendano i modernisti; giacché diverse sono fra essi le opinioni. Altri la pongono in ciò, che Dio operante sia intimamente presente nell’uomo, più che non sia l’uomo a sé stesso; il che, sanamente inteso, non può riprendersi. Altri pretendono che l’azione divina sia una coll’azione della natura, come di causa prima con quella di causa seconda; e ciò distruggerebbe l’ordine soprannaturale. Altri per ultimo la spiegano in modo da dar sospetto di un senso panteistico; il che, a dir vero, è più coerente col rimanente delle loro dottrine. A questo postulato dell’immanenza un altro poi se ne aggiunge, che si può intitolare dalla permanenza divina: e l’una dall’altra si fa differire quasi a quel modo stesso, che l’esperienza privata differisca dall’esperienza trasmessa per tradizione. Un esempio illustrerà il concetto: e sia l’esempio della Chiesa e dei Sacramenti. La Chiesa, dicono, e i Sacramenti non si devon credere come istituiti da Cristo stesso. Vieta ciò l’agnosticismo, che in Cristo non riconosce nulla più che un uomo, la cui coscienza religiosa, come quella di ogni altro uomo, si è formata a poco a poco; lo vieta la legge dell’immanenza, che non ammette, per dirlo con una loro parola, esterne applicazioni; lo vieta pure la legge dell’evoluzione, che per lo svolgersi dei germi richiede tempo ed una certa serie di circostanze; lo vieta finalmente la storia, che mostra tale di fatto essere stato il corso delle cose. Però è da tenersi che Chiesa e Sacramenti fossero istituiti mediatamente da Cristo. Ma in qual modo? eccolo. Le coscienze tutte cristiane, essi dicono, furono virtualmente inchiuse nella coscienza di Gesù Cristo, come la pianta nel seme. Or poiché i germi vivono la vita del seme, così deve affermarsi che tutti i Cristiani vivano la vita di Cristo. Ma la vita di Cristo, secondo la fede, è divina; dunque anche quella dei Cristiani. Se pertanto questa vita, nel corso dei secoli, diede origine alla Chiesa e ai Sacramenti, con ogni diritto si potrà dire che tale origine è da Cristo ed è divina. Nello stesso modo provano esser divine le Scritture e divini i dogmi. E con ciò la teologia moderna può dirsi compiuta. Esigua cosa a dir vero, ma più che abbondante per chi professa doversi sempre ed in tutto rispettare le conclusioni della scienza. L’applicazione poi di queste teorie agli altri punti che verremo esponendo potrà ognuno farla di per sé stesso. Abbiam parlato finora della origine e della natura della fede. Ma molti essendo i germi di questa, e principali fra essi la Chiesa, il dogma, il culto, i Libri sacri, di questi eziandio è da conoscere ciò che insegnano i modernisti. E per farci dal dogma, l’origine e la natura di esso quale sia, si è già indicato più sopra. Nasce il dogma dal bisogno che prova il credente di lavorare sul suo pensiero religioso, sì da rendere la sua e l’altrui coscienza sempre più chiara. Tale lavorio consiste tutto nell’indagare ed esporre la formola primitiva, non già in se stessa e razionalmente, ma rispetto alle circostanze o, come più astrusamente dicono, vitalmente. Di qui si ha che intorno alla medesima si vadano formando delle formole secondarie, che poi sintetizzate e riunite in un’unica costruzione dottrinale, quando questa sia suggellata dal pubblico magistero come rispondente alla coscienza comune, si chiamerà dogma. Dal dogma son da distinguersi accuratamente le speculazioni teologiche; le quali però, benché non vivano della vita del dogma, pur tuttavia non sono inutili sì per armonizzare la religione colla scienza e togliere fra loro ogni contrasto, sì per lumeggiare esternamente e difendere la religione stessa; e chi sa che forse non giovino altresì per preparar la materia di un dogma futuro. Del culto poi non vi sarebbe gran che da dire, se sotto questo nome non venissero eziandio i Sacramenti, intorno ai quali sono gravissimi gli errori dei modernisti. Il culto vogliono che risulti da un doppio bisogno; giacché, torniamo ad osservarlo, nel loro sistema tutto va attribuito ad intimi bisogni. L’uno è quello di dare alla religione alcunché di sensibile; l’altro è il bisogno di propagarla, il che non potrebbe avvenire senza una qualche forma sensibile e senza atti santificanti, che diconsi Sacramenti. Quanto poi ai Sacramenti, essi pei modernisti si riducono a meri simboli o segni, non però privi di efficacia; efficacia che essi cercano di spiegare coll’esempio di certe cotali parole che volgarmente diconsi aver fatto fortuna, per avere acquistata la forza di diffondere talune idee potenti e che colpiscono grandemente gli animi. Come quelle parole sono ordinate alle dette idee, così i Sacramenti al sentimento religioso: nulla di vantaggio. Parlerebbero certamente più chiaro ove affermassero che i Sacramenti sono istituiti unicamente per nutrir la fede. Ma ciò è condannato dal Concilio di Trento (Sess. VII, de Sacramentis in genere, can. 5): “Se alcuno dirà che questi Sacramenti sono istituiti solo per nutrir la fede, sia anatema“. Della natura ancora e dell’origine dei Libri sacri già si è toccato. Secondo il pensare dei modernisti, si può ben definirli una raccolta di esperienze: non di quelle, che comunemente si hanno da ognuno, ma delle straordinarie e più insigni che siensi avute in una qualche religione. E così essi appunto insegnano a riguardo dei nostri libri del Vecchio e del Nuovo Testamento. A lor comodo però, notano assai scaltramente che, sebbene l’esperienza sia del presente, può tuttavolta prender materia dal passato ed eziandio dal futuro, in quanto che il credente o per la memoria rivive il passato a maniera del presente, o vive già per anticipazione l’avvenire. Ciò giova a dar modo di computare fra i Libri santi anche gli storici e gli apocalittici. Così adunque in questi libri parla bensì Iddio per mezzo del credente; ma, come vuole la teologia modernistica, solo per immanenza e permanenza vitale. Vorrà sapersi, in che consista dopo ciò l’ispirazione? Rispondono che non si distingue, se non forse per una certa maggiore veemenza, dal bisogno che sente il credente di manifestare a voce e per scritto la propria fede. È alcun che di simile a quello che si avvera nella ispirazione poetica; per cui un cotale diceva: È Dio in noi, da Lui agitati noi c’infiammiamo. È questo appunto il modo onde Dio deve dirsi origine della ispirazione dei Libri sacri. Affermano inoltre i modernisti che nulla vi è in questi libri che non sia ispirato. – Nel che potrebbe taluno crederli più ortodossi di certi altri moderni che restringono alquanto la ispirazione, come, a mo’ di esempio, nelle così dette citazioni tacite. Ma queste non sono che lustre e parole. Imperciocché se, secondo l’agnosticismo, riteniamo la Bibbia come un lavoro umano fatto da uomini per servigio di uomini, salvo pure al teologo di chiamarla divina per immanenza, come mai l’ispirazione potrebbe in essa restringersi? Sì, i modernisti affermano un’ispirazione totale: ma, nel senso cattolico, non ne ammettono in fatto veruna. – Più larga materia ci offre ciò che la scuola dei modernisti fantastica a riguardo della Chiesa. È qui da presupporre che la Chiesa secondo essi è frutto di due bisogni: uno nel credente, specie se abbia avuta qualche esperienza originale e singolare, di comunicare ad altri la propria fede; l’altro nella collettività, dopo che la fede si è fatta comune a molti, di aggrupparsi in società e di conservare, accrescere e propagare il bene comune. Che cosa è dunque la Chiesa? un parto della coscienza collettiva, ossia collettività di coscienze individuali; le quali, in forza della permanenza vitale, pendono tutte da un primo credente, cioè pei Cattolici da Cristo. Ora ogni società ha bisogno di un’autorità che la regga: il cui compito sia dirigere gli associati al fine comune, e conservare saggiamente gli elementi di coesione, i quali in una società religiosa sono la dottrina ed il culto. – Perciò nella Chiesa cattolica una triplice autorità: disciplinare, dogmatica, culturale. La natura poi di questa autorità dovrà desumersi dalla sua origine; e dalla natura si dovranno a loro volta dedurre i diritti e i doveri. Fu errore volgare dell’età passata che l’autorità sia venuta alla Chiesa dal di fuori, cioè immediatamente da Dio: e perciò era giustamente ritenuta autocratica. Ma queste sono teorie oggimai passate di moda. Come la Chiesa è emanata dalla collettività delle coscienze, cosi l’autorità emana vitalmente dalla stessa Chiesa. Pertanto l’autorità del pari che la Chiesa nasce dalla coscienza religiosa, e perciò alla medesima resta soggetta: e se venga meno a siffatta soggezione, si volge in tirannide. Nei tempi che corrono il sentimento di libertà è giunto al suo pieno sviluppo. Nello stato civile la pubblica coscienza ha voluto un regime popolare. Ma la coscienza dell’uomo, come la vita, è una sola. Se dunque l’autorità della Chiesa non vuol suscitare e mantenere una guerra intestina nelle coscienze umane, uopo è che si pieghi anch’essa a forme democratiche; tanto più che, a negarvisi, lo sfacelo sarebbe imminente. È da pazzo il credere che possa aversi un regresso nel sentimento di libertà quale domina al presente. Stretto e rinchiuso con violenza strariperà più potente, distruggendo insieme la religione e la Chiesa. Fin qui il ragionare dei modernisti: e la conseguenza è, che sono tutti intesi a trovar modi per conciliare l’autorità della Chiesa colla libertà dei credenti. Se non che non solamente fra le sue stesse pareti trova la Chiesa con chi doversi comporre amichevolmente, ma eziandio fuori. Non è sola essa ad occupare il mondo: l’occupano insieme altre società, colle quali non può aver uso e commercio. Convien dunque determinare quali siano i diritti e i doveri della Chiesa verso le società civili; e ben s’intende che tale determinazione debba esser desunta dalla natura della Chiesa stessa, quale i modernisti l’hanno descritta. Le regole perciò da usarsi son quelle stesse che sopra si adoperarono per la scienza e la fede. Ivi parlavasi di oggetti, qui di fini. Come adunque, per ragione dell’oggetto, si dissero la fede e la scienza vicendevolmente estranee, così lo Stato e la Chiesa sono l’uno all’altra estranei pel fine a cui tendono, temporale per lo Stato, spirituale per la Chiesa. Fu d’altre età il sottomettere il temporale allo spirituale; il parlarsi di questioni miste, nelle quali la Chiesa interveniva quasi signora e regina, perché la Chiesa si stimava istituita immediatamente da Dio, come autore dell’ordine soprannaturale. Ma la filosofia e la storia non più ammettono cotali credenze. Adunque lo Stato deve separarsi dalla Chiesa e per egual ragione il Cattolico dal cittadino. Di qui è, che il Cattolico, perché insieme cittadino, ha diritto e dovere, non curandosi dell’autorità della Chiesa, dei suoi desiderî, consigli e comandi, sprezzate altresì le sue riprensioni, di far quello che giudicherà espediente al bene della patria. Voler imporre al cittadino una linea di condotta sotto qualsiasi pretesto è un vero abuso di potere ecclesiastico da respingersi con ogni sforzo. Le teorie, o Venerabili Fratelli, onde promanano tutti questi errori, son quelle appunto che il Nostro Predecessore Pio VI già condannò solennemente nella Costituzione Apostolica “Auctorem Fidei” (Prop. 2). “La proposizione che stabilisce che la potestà è stata da Dio data alla Chiesa, perché fosse comunicata ai Pastori, che sono ministri di lei per la salute delle anime; così intesa, che la potestà del ministero e regime ecclesiastico si derivi nei Pastori dalla Comunità dei fedeli: eretica“. Prop. 3. “Inoltre quella che stabilisce il Romano Pontefice esser capo ministeriale; così spiegata che il Romano Pontefice, non da Cristo nella persona del Beato Pietro, ma dalla Chiesa abbia avuta la potestà del ministero, di cui come successore di Pietro, vero Vicario di Cristo e capo di tutta la Chiesa, gode nella Chiesa universale: eretica“). – Ma non basta alla scuola dei modernisti che lo Stato sia separato dalla Chiesa. Come la fede, quanto agli elementi fenomenici, deve sottostare alla scienza, così nelle cose temporali la Chiesa ha da soggettarsi allo Stato. Questo forse non l’asseriscono essi peranco apertamente; ma per forza di raziocinio sono costretti ad ammetterlo. Imperocché, concesso che lo Stato abbia assoluta padronanza in tutto ciò che è temporale, se avvenga che il credente, non pago della religione dello spirito, esca in atti esteriori, quali per mo’ di esempio, l’amministrarsi o il ricevere dei Sacramenti, bisognerà che questi cadano sotto il dominio dello Stato. E che sarà dopo ciò dell’autorità ecclesiastica? Siccome questa non si spiegasse non per atti esterni, sarà in tutto e per tutto assoggettata al potere civile. È questa ineluttabile conseguenza che trascina molti fra i protestanti liberali a sbarazzarsi di ogni culto esterno, anzi d’ogni esterna società religiosa, i quali invece si adoprano di porre in voga una religione che chiamano individuale. Che se i modernisti, a luce di sole, non si spingono ancora tant’oltre, insistono intanto perché la Chiesa si pieghi spontaneamente ove essi la voglion trarre e si acconci alle forme civili. Tutto ciò per l’autorità disciplinare. Più gravi assai e perniciose sono le loro affermazioni a riguardo dell’autorità dottrinale e dogmatica. Circa il Magistero ecclesiastico così essi la pensano: la società religiosa non può veramente essere una senza unità di coscienza nei suoi membri e senza unità di formola. Ma questa duplice unità richiede, per così dire, una mente comune, a cui spetti trovare e determinare la formola che meglio risponda alla coscienza comune: alla qual mente fa d’uopo inoltre attribuire un’autorità bastevole, perché possa imporre alla comunanza la formola stabilita. Or nell’unione è quasi fusione della mente designatrice della formola e dell’autorità che la impone, ritrovano i modernisti il concetto del magistero ecclesiastico. Poiché dunque in fin dei conti il Magistero non nasce che dalle coscienze individuali ed a bene delle stesse coscienze ha imposto un pubblico ufficio; ne consegue di necessità che debba dipendere dalle medesime coscienze e debba quindi avviarsi a forme democratiche. Il proibire pertanto alle coscienze degli individui che facciano pubblicamente sentire i loro bisogni; non soffrire che la critica spinga il dogma verso necessarie evoluzioni, non è già uso di potestà, data per pubblico bene, ma abuso. Similmente nell’uso stesso della potestà fa di mestieri serbare modo e misura. Sa di tirannide condannare un libro all’insaputa dell’autore, senza ammettere spiegazioni di sorta né discussione. Adunque qui pure è da ricercarsi una via di mezzo che salvi insieme i diritti dell’autorità e della libertà. Nel frattempo il Cattolico si regolerà in guisa che non lasci pubblicamente di protestarsi rispettosissimo dell’Autorità, continuando però sempre ad operare a suo talento. In generale vogliono ammonita la Chiesa che, poiché il fine della potestà ecclesiastica è tutto spirituale, disdice ogni esterno apparato di magnificenza con che essa si circonda agli occhi delle moltitudini. Nel che non riflettono che se la religione è essenzialmente spirituale non è tuttavia ristretta al solo spirito; e che l’onore tributato all’autorità ridonda su Gesù Cristo che ne fu istitutore. Per compiere tutta questa materia della fede e dei diversi suoi germi, rimane da ultimo, Venerabili Fratelli, che ascoltiamo le teorie dei modernisti circa lo sviluppo dei medesimi, e lor principio generale che in una religione vivente tutto debba essere mutevole e mutarsi di fatto. Di qui fanno passo a quella che è delle principali fra le loro dottrine, vogliam dire all’evoluzione. Dogma, dunque, Chiesa, culto, Libri sacri, anzi la fede stessa, se non devon esser cose morte, fa mestieri che sottostiano alle leggi dell’evoluzione. Siffatto principio non si udrà con istupore da chi rammenti quanto i modernisti siano venuti affermando intorno a ciascuno di questi oggetti. Posta pertanto la legge dell’evoluzione, i modernisti stessi ci descrivono in qual maniera l’evoluzione si effettui. E cominciamo dalla fede. La forma primitiva, essi dicono, della fede fu rudimentaria e comune indistintamente a tutti gli uomini; giacché nasceva dalla natura e dalla vita umana. Il progresso si ebbe per sviluppo vitale; che è quanto dire non per aggiunta di nuove forme apportate dal di fuori, ma per una crescente penetrazione nella coscienza del sentimento religioso. Doppio indi fu il modo di progredire nella fede: prima negativamente, col depurarsi da ogni elemento estraneo, come ad esempio dal sentimento di famiglia o di nazionalità; quindi positivamente, mercè il perfezionarsi intellettuale e morale dell’uomo, per cui l’idea divina si ampliò ed illustrò e il sentimento religioso divenne più squisito. Del progresso della fede non altre cause assegnar si possono che quelle stesse onde già si spiegò la sua origine. Alle quali però fa d’uopo aggiungere quei genii religiosi, che noi chiamiamo profeti e dei quali Cristo fu il sommo; sì perché nella vita o nelle parole ebbero un certo che di misterioso, che la fede attribuiva alla divinità, e sì perché toccaron loro esperienze nuove ed originali in piena armonia coi bisogni del loro tempo. Il progresso del dogma nasce principalmente dal bisogno di superare gli ostacoli della fede, di vincere gli avversari, di ribattere le difficoltà, senza dire dello sforzo continuo di viemeglio penetrare gli arcani della fede. Così, per tacer di altri esempi, è avvenuto di Cristo; in cui, quel più o meno divino, che la fede in esso ammetteva, si venne gradatamente amplificando in modo, che finalmente fu ritenuto per Dio. Lo stimolo precipuo di evoluzione del culto sarà il bisogno di adattarsi agli usi ed alle tradizioni dei popoli; come altresì di usufruire della virtù che certi atti hanno ricevuto dall’usanza. La Chiesa finalmente trova la sua ragione di evolversi nel bisogno di accomodarsi alle condizioni storiche e di accordarsi colle forme di civil governo pubblicamente adottate. Così i modernisti di ciascun capo in particolare. E qui, innanzi di farCi oltre, bramiamo che ben si avverta di nuovo a questa loro dottrina dei bisogni; giacché essa, oltreché di quanto finora abbiam visto, è quasi base e fondamento di quel vantato metodo che chiamano storico. Or, restando tuttavia nella teoria della evoluzione, vuole di più osservarsi che quantunque i bisogni servano di stimolo per la evoluzione, essa nondimeno, regolata unicamente da siffatti stimoli, valicherebbe facilmente i termini della tradizione, e strappata così dal primitivo principio vitale, meglio che a progresso menerebbe a rovina. Quindi studiando più a fondo il pensiero dei modernisti, deve dirsi che l’evoluzione è come il risultato di due forze che si combattono, delle quali una è progressiva, l’altra conservatrice. La forza conservatrice sta nella Chiesa e consiste nella tradizione. L’esercizio di lei è proprio dell’autorità religiosa; e ciò, sia per diritto, giacché sta nella natura di qualsiasi autorità il tenersi fermo il più possibile alla tradizione; sia per fatto, perché sollevata al disopra delle contingenze della vita, poco o nulla sente gli stimoli che spingono a progresso. Per contrario la forza che, rispondendo ai bisogni, trascina a progredire, cova e lavora nelle coscienze individuali, in quelle soprattutto che sono, come dicono, più a contatto della vita. Osservate qui di passaggio, o Venerabili Fratelli, lo spuntar fuori di quella dottrina rovinosissima che introduce il laicato nella Chiesa come fattore di progresso. Da una specie di compromesso fra le due forze di conservazione e di progressione, fra l’autorità cioè e le coscienze individuali, nascono le trasformazioni e i progressi. Le coscienze individuali, o talune di esse, fan pressione sulla coscienza collettiva; e questa a sua volta sull’autorità, e la costringe a capitolare ed a restare ai patti. Ciò ammesso, ben si comprendono le meraviglie che fanno i modernisti, se avvenga che siano biasimati o puniti. Ciò che loro si ascrive a colpa, essi l’hanno per sacrosanto dovere. Niuno meglio di essi conosce i bisogni delle coscienze perché si trovano con queste a più stretto contatto che non si trovi la potestà ecclesiastica. Incarnano quasi in sé quei bisogni tutti: e quindi il dovere per loro di parlare apertamente e di scrivere. Li biasimi pure l’Autorità, la coscienza del dovere li sostiene, e sanno per intima esperienza di non meritare riprensioni ma encomii. Pur troppo essi sanno che i progressi non si hanno senza combattimenti, né combattimenti senza vittime: e bene, saranno essi le vittime, come già i profeti e Cristo. Né perché siano trattati male, odiano l’Autorità: concedono che ella adempia il suo dovere. Solo rimpiangono di non essere ascoltati, perché in tal guisa il progredire degli animi si ritarda: ma verrà senza meno il tempo di rompere gl’indugi, giacché le leggi dell’evoluzione si possono raffrenare, ma non possono affatto spezzarsi. E così continuano il lor cammino, continuano benché ripresi e condannati, celando un’incredibile audacia col velo di un’apparente umiltà. Piegano fintamente il capo: ma la mano e la mente proseguono con più ardimento il loro lavoro. E così essi operano scientemente e volentemente; sì perché è loro regola che l’Autorità debba essere spinta, non rovesciata; si perché hanno bisogno di non uscire dalla cerchia della Chiesa per poter cangiare a poco a poco la coscienza collettiva; il che quando dicono, non si accorgono di confessare che la coscienza collettiva dissente da loro, e che quindi con nessun diritto essi si danno interpreti della medesima. Per detto adunque e per fatto dei modernisti nulla, o Venerabili Fratelli, vi deve essere di stabile, nulla di immutabile nella Chiesa. Nella qual sentenza non mancarono ad essi dei precursori, quelli cioè dei quali il Nostro Predecessore Pio IX già scriveva: “Questi nemici della divina rivelazione, che estollono con altissime lodi l’umano progresso, vorrebbero, con temerario e sacrilego ardimento, introdurlo nella cattolica Religione, quasi che la stessa Religione fosse opera non di Dio ma degli uomini o un qualche ritrovato filosofico che con mezzi umani possa essere perfezionato” (Enc. “Qui pluribus“, 9 nov. 1846). Circa la rivelazione specialmente e circail dogma, la dottrina dei modernisti non ha filo di novità; ma è quella stessa che nel Sillabo di Pio IX ritroviamocondannata, così espressa: “La divina rivelazione è imperfetta e perciò soggetta a continuo ed indefinito progresso, che risponda a quello dell’umana ragione” (Sillabo, Prop. V); più solennemente poi la troviamo riprovatadal Concilio Vaticano in questi termini: “Né la dottrina della fede, che Dio rivelò, è proposta agli umani ingegni da perfezionare come un ritrovato filosofico, ma come un deposito consegnato alla Sposa di Cristo, da custodirsi fedelmente e da dichiararsi infallibilmente. Quindi dei sacri dogmi altresì deve sempre ritenersi quel senso che una volta dichiarò la Santa Madre Chiesa, né mai deve allontanarsi da quel senso sotto pretesto e nome di più alta intelligenza” (Const. Dei Filius, cap. IV). Col che senza dubbio l’esplicazione nelle nostrecognizioni, anche circa la fede, tanto è lungi che venga impedita, che anzi ne è aiutata e promossa. Laondelo stesso Concilio prosegue dicendo: “Cresca dunque e molto e con slancio progredisca l’intelligenza, la scienza, la sapienza così dei singoli come di tutti, così di un sol uomo come di tutta la Chiesa coll’avanzare delle età e dei secoli; ma solo nel suo genere, cioè nello stesso dogma, nello stesso senso e nella stessa sentenza” (Loc. cit.).

[In questa parte dell’Enciclica, il Santo Padre continua a sviscerare gli errori dei modernisti, questa volta sottolineando il metodo operativo degli storici, dei critici della storia, degli apologeti, metodo nel quale è onnipresente la filosofia immanentista, con le teorie evoluzioniste, vitaliste ed agnostiche, … “metodo e dottrine infarciti di errori, atti non ad edificare, ma a distruggere; non a far dei Cattolici, ma a trascinare i Cattolici nella eresia, anzi alla distruzione totale d’ogni religione!”, come si legge nella lettera. L’analisi è lucida e stringente e non lascia spazio a farfugliamenti difensivi vani, ad ermeneutiche da “azzeccagarbugli” e ventriloqui vari in talare rosse o nera o bianca, perché sarebbero pura menzogna. Quel che più interessa oggi, è che chiunque abbia ancora un granello di sale “nella zucca” può constatare come queste immondezze teologiche, storiche, filosofiche, etc. siano di gran moda e siano tutte “cavalli di battaglia” della nuova falsa “chiesa dell’uomo”, quella edificata scaltramente dagli infiltrati della quinta colonna massonica, che detengono oggi nelle loro mani ciò che resta della Chiesa Cattolica apparente! Da queste osservazioni magisteriali contenute nella Pascendi, tutti possono capire con facilità, senza bisogno di altro aggiungere, da che parte è oggi la vera Chiesa, quella fondata da Gesù Cristo il Messia, contro il quale combattono gli avversari di sempre, atei, pagani, Giudei e kazari, infedeli, scismatici, ai quali si aggiungono gli avversari più subdoli attuali, gli gnostici di sempre infiltrati come “cavallo di Troia” nel Tempio santo di Dio, l’abominio della desolazione del “novus ordo”, istallato sugli altari delle chiese un tempo cattoliche, oggi appannaggio e pietre cancrenose della “sinagoga di satana”. Questo abominio della desolazione odierna ha un nome: è il modernismo postconciliare, mostro eruttante tutte le eresie possibili ed immaginabili …, non ultima la cancellazione del peccato contro lo Spirito Santo, quello che il Redentore dichiara non potersi perdonare né in cielo né in terra: il peccato impuro contro natura! Orrore! orrore! … che Dio, con l’ausilio della Santa Vergine e dell’Arcangelo Michele alla guida degli Angeli giustizieri, ci liberi! Ma leggiamo con calma ed intelletto – ndr. -].

“Ma ormai, dopo aver osservato nei seguaci del modernismo il filosofo, il credente, il teologo, resta che osserviamoparimente lo storico, il critico, l’apologista.Taluni dei modernisti, che si dànno a scrivere storia, paiono oltremodo solleciti di non passar per filosofi; cheanzi professano di essere affatto ignari di filosofia. È ciò un tratto di finissima astuzia: affinché nessuno credache essi siano infetti di pregiudizi filosofici e non siano perciò, come dicono, affatto obbiettivi. Ma il vero è, chela loro storia o critica non parla che con la lingua della filosofia; e le conseguenze che traggono, vengono digiusto raziocinio dai loro principî filosofici. Il che, a chi bene riflette, si fa subito manifesto. I primi tre canoni diquesti tali storici o critici sono quegli stessi principî, che sopra riportammo dai filosofi: cioè l’agnosticismo, ilteorema della trasfigurazione delle cose per la fede, e l’altro che Ci parve poter chiamare dello sfiguramento.Osserviamo le conseguenze che da ciascuno di questi si traggono. Dall’agnosticismo si ha che la storia, nonmeno che la scienza, si occupa solo dei fenomeni. Dunque, tanto Dio quanto un intervento qualsiasi divinonelle cose umane deve rimandarsi alla fede come di esclusiva sua pertinenza. Per lo che se trattasi di cosa incui s’incontri un duplice elemento, divino ed umano come Cristo, la Chiesa, i Sacramenti e simili, dovrà dividersie sceverarsi in modo che ciò che è umano si dia alla storia, ciò che è divino alla fede. Quindi quella distinzionecomune fra i modernisti, fra un Cristo storico ed un Cristo della fede, una Chiesa della storia ed unaChiesa della fede, fra Sacramenti della storia e Sacramenti della fede e via dicendo. Dipoi questo stesso elementoumano, che vediamolo storico prendersi per sé quale essa si porge nei monumenti, deve ritenersi sollevatodalla fede per trasfigurazione al di là delle condizioni storiche. Conviene perciò separarne di nuovo tuttele aggiunte fattevi: cosi, trattandosi di Gesù Cristo, tutto quello che passa la condizione dell’uomo sia naturale,quale si dà dalla psicologia, sia risultante dal luogo e dal tempo in che visse. Di più, per terzo principiofilosofico, pur quelle cose che non escono dalla cerchia della storia, le vagliano quasi e ne escludono, rimandandolo parimenti alla fede, tutto ciò che, secondo quanto dicono, non entra nella logica dei fatti o non era adatto alle persone. Di tal modo, vogliono che Cristo non abbia dette le cose che non sembrano essere alla portata del volgo. Quindi dalla storia reale di Lui cancellano e rimettono alla fede tutte le allegorie che incontransi nei suoi discorsi. Si vuol forse sapere con quali regole si compia questa cernita? Con quella del carattere dell’uomo, della condizione che ebbe nella società, della educazione, delle circostanze di ciascun fatto: a dir breve con una norma, se bene intendiamo, che si risolve per ultimo in mero soggettivismo. Si studiano cioé di prendere essi e quasi rivestire la persona di Gesù Cristo; ed a Lui ascrivono senza più quanto in simili circostanze avrebbero fatto essi stessi. Così dunque, per conchiudere, a priori, come suol dirsi, e coi principî di una filosofia, che essi ammettono ma ci asseriscono d’ignorare, nella storia che chiamano reale affermano Cristo non essere Dio né aver fatto nulla di divino; come uomo poi aver Lui fatto e detto quel tanto, che essi, riferendosi al tempo in cui Egli visse, Gli consentono di aver operato e parlato. Come poi la storia riceve dalla filosofia le sue conclusioni, così la critica le ha a sua volta dalla storia. Essendoché il critico seguendo gli indizi dati dallo storico, di tutti i documenti ne fa due parti. Tutto ciò che rimane, dopo il triplice taglio or ora descritto, lo assegna alla storia reale; il restante lo confina alla storia della fede, ossia alla storia interna. Giacché queste due storie distinguono diligentemente i modernisti; e, ciò che e ben da notarsi, alla storia della fede contrappongono la storia reale in quanto è reale. Perciò, come già si è detto, un doppio Cristo; l’uno reale, l’altro che veramente non mai esisté ma appartiene alla fede; l’uno che visse in determinato luogo e tempo, l’altro che solo s’incontra nelle pie meditazioni della fede; tale, per mo’ d’esempio, è il Cristo descrittoci nell’Evangelio giovanneo, il qual Vangelo, affermano, non è che una meditazione. Ma qui non si arresta il dominio della filosofia nella storia. Fatta, come dicemmo, la divisione dei documenti in due parti, si presenta di nuovo il filosofo col suo principio dell’immanenza vitale, e prescrive che tutto quanto è nella storia della Chiesa debba spiegarsi per vitale emanazione. E poiché la causa o condizione di qualsiasi emanazione vitale deve ripetersi da un bisogno, si avrà che ogni avvenimento si dovrà concepire dopo il bisogno, e dovrà storicamente ritenersi posteriore a questo. Che fa allora lo storico? Datosi a studiar di nuovo i documenti, tanto nei Libri sacri quanto ricevuti altronde, va tessendo un catalogo dei singoli bisogni che man mano si presentarono nella Chiesa sia per riguardo al dogma, sia per riguardo al culto od altre materie: e quel catalogo trasmette poscia al critico. E questi mette indi mano ai documenti destinati alla storia della fede e li distribuisce in guisa di età in età, che rispondano al datogli elenco; rammentando sempre il precetto che il fatto è preceduto dal bisogno e la narrazione dal fatto. Potrà ben darsi talora che talune parti della Sacra Scrittura, come le Epistole, siano esse stesse il fatto creato dal bisogno. Checché sia però, deve aversi per regola che l’età di un documento qualsiasi non può determinarsi se non dall’età in cui ciascun bisogno si è manifestato nella Chiesa. – Di più è da distinguere fra l’inizio di un fatto e la sua esplicazione; poiché ciò che può nascere in un giorno, non cresce se non col tempo. E questa è la ragione perché il critico debba nuovamente spartire in due i documenti già disposti per età, sceverando quelli che riguardano le origini di un fatto da quelli che appartengono al suo svolgimento, e questi eziandio ordini secondo il succedersi dei tempi. – Ciò fatto, entra di nuovo in scena il filosofo, ed impone allo storico di compiere i suoi studi a seconda dei precetti e delle leggi dell’evoluzione. E lo storico torna a scrutare i documenti, ricerca sottilmente le circostanze e condizioni nelle quali, col succedersi dei tempi, la Chiesa si è trovata, i bisogni così interni che esterni che l’hanno spinta a progresso, gli ostacoli che incontrò: a dir breve, tutto ciò che giovi a determinare il modo onde furono mantenute le leggi della evoluzione. Compiuto un tal lavoro, egli finalmente tesse nelle sue linee principali la storia dello sviluppo dei fatti. – Segue il critico, che a questo tema storico adatta il restante dei documenti. Si dà mano a stendere la narrazione: la storia è compiuta. Or qui chiediamo, a chi dovrà attribuirsi una simile storia? allo storico forse od al critico? Per fermo né all’uno all’altro, sì bene al filosofo. Tutto il lavoro di essa è un lavoro di apriorismo, e di apriorismo riboccante di eresie. Fanno certamente pietà questi uomini, dei quali l’Apostolo ripeterebbe: “Svanirono nei pensamenti… imperocché vantandosi di essere sapienti, son divenuti stolti” (Rom., I, 21, 22); ma muovono in pari tempo a sdegno, quando poi accusano la Chiesa di manipolare i documenti in guisa da farli servire ai propri vantaggi. Addebitano cioè alla Chiesa ciò che dalla propria coscienza sentono apertamente rimproverarsi. Dall’avere così disgregati i documenti e seminatili lungo le età, segue naturalmente che i Libri sacri non possano di fatto attribuirsi agli autori, dei quali portano il nome. E questo è il motivo perché i modernisti non esitano punto nell’affermare che quei libri, e specialmente il Pentateuco ed i tre primi Vangeli, da una breve narrazione primitiva, son venuti man mano crescendo per aggiunte o interpolazioni, sia a maniera di interpretazioni o teologiche o allegoriche, sia a modo di transizioni che unissero fra sé le parti. A dir più breve e più chiaro vogliono che debba ammettersi la evoluzione vitale dei Libri sacri, nata dalla evoluzione della fede e ad essa corrispondente. Aggiungono di più, che le tracce di cotale evoluzione sono tanto manifeste, da potersene quasi scrivere una storia. La scrivono anzi questa storia, e con tanta sicurezza che si sarebbe tentati a creder aver essi visto coi propri occhi i singoli scrittori che di secolo in secolo stesero la mano all’ampliazione delle sante Scritture. A conferma di che, chiamano in aiuto la critica che dicono testuale; e si adoprano di persuadere che questo o quel fatto, questo o quel discorso non si trovi al suo posto e recano altre ragioni del medesimo stampo. Direbbesi per verità che si sieno prestabiliti certi quasi-tipi di narrazioni o parlate, che servano di criterio certissimo per giudicare ciò che stia al suo posto e ciò che sia fuor di luogo. Con siffatto metodo stimi chi può come costoro debbano essere capaci di giudicare. Eppure, chi li ascolti ad oracolare dei loro studi sulle Scritture, pei quali han potuto scoprirvi si gran numero di incongruenze, è spinto a credere che nessun uomo prima di loro abbia sfogliato quei libri, né che li abbia ricercati per ogni verso una quasi infinita schiera di Dottori, per ingegno, per scienza, per santità di vita più di loro. I quali Dottori sapientissimi, tanto fu lungi che trovassero nulla da riprendere nei Libri santi, che anzi quanto più ringraziavano Iddio, che si fosse così degnato di parlare con gli uomini. Ma purtroppo i Dottori nostri non attesero allo studio delle Scritture con quei mezzi, onde son forniti i modernisti! Cioè non ebbero a maestra e condottiera una filosofia che trae principio dalla negazione di Dio, né fecero a se stessi norma di giudicare. Crediamo adunque che sia ormai posto in luce il metodo storico dei modernisti. Precede il filosofo; segue lo storico; tengon dietro per ordine la critica interna e la testuale. E poiché la prima causa questo ha di proprio che comunica la sua virtù alle seconde, è evidente che siffatta critica non è una critica qualsiasi, ma una critica agnostica, immanentista, evoluzionista; e perciò chi la professa o ne fa uso, professa gli errori in essa racchiusi e si pone in contraddizione colla Dottrina Cattolica. Per la quale cosa non può finirsi di stupire come una critica di tal genere possa oggidì aver tanta voga presso cattolici. Di ciò può assegnarsi una doppia causa: la prima è l’alleanza onde gli storici ed i critici di questa specie sono legati fra loro senza riguardi a diversità di nazioni o di credenze; la seconda è l’audacia indicibile, con cui ogni stranezza che uno di loro proferisca, dagli altri è levata al cielo e decantata qual progresso della scienza; con cui, se taluno voglia da se stesso verificare il nuovo ritrovato, serratisi insieme lo assalgono, se talun lo neghi lo trattano da ignorante, se lo accolga e lo difenda lo ricoprono di encomî. Così non pochi restano ingannati che forse, se meglio vedessero le cose, ne sarebbero inorriditi. Da questo prepotente imporsi dei fuorviati, da questo incauto assentimento di animi leggeri nasce poi un quasi corrompimento di atmosfera che tutto penetra e diffonde per tutto il contagio. – Ma passiamo all’apologista. Costui, nei modernisti, dipende ancor esso doppiamente dal filosofo. Prima indirettamente, pigliando per sua materia la storia scritta, come vedemmo, dietro le norme del filosofo: poi direttamente accettando dal filosofo i principî e i giudizî. Quindi quel comune precetto della scuola del modernismo che la nuova apologia debba dirimere le controversie religiose per via di ricerche storiche e psicologiche. Ond’è che gli apologisti dan capo al loro lavoro coll’ammonire i razionalisti che essi difendono la Religione non coi Libri sacri né con le storie volgarmente usate nella Chiesa e scritte alla vecchia moda; ma con la storia reale composta a seconda dei moderni precetti e con metodo moderno. E ciò dicono, non quasi argomentando ad hominem, ma perché difatti credono che solo in tale storia si trovi la verità. Non si curano poi, nello scrivere, di insistere sulla propria sincerità: sono essi già noti presso i razionalisti, sono già lodati siccome militanti sotto una stessa bandiera; della quale lode, che ad un Cattolico dovrebbe fare ribrezzo, essi si compiacciono o se ne fanno scudo contro le riprensioni della Chiesa. Ma vediamo in pratica come uno di costoro compia la sua apologia. Il fine che si propone è di condurre l’uomo che ancora non crede a provare in sé quella esperienza della Cattolica Religione che, secondo i modernisti, è base della fede. Due vie perciò gli si aprono, l’una oggettiva, l’altra soggettiva. La prima muove dall’agnosticismo; e tende a dimostrare come nella religione e specialmente nella cattolica vi sia tale virtù vitale, da costringere ogni savio psicologo e storico ad ammettere che nella storia di essa si nasconda alcun che di incognito. A tale scopo fa d’uopo provare che la Religione Cattolica qual è al presente, è la stessissima che Gesù Cristo fondò, ossia il progressivo sviluppo del germe recato da Gesù Cristo. Pertanto dovrà dapprima determinarsi quale esso sia questo germe. Pretendono di esprimerlo con la seguente formula: Cristo annunciò la venuta del regno di Dio, il quale regno dovrebbe aver fra breve il suo compimento, ed Egli ne sarebbe il Messia, cioè l’esecutore stabilito da Dio e l’ordinatore. Dopo ciò converrà dimostrare come questo germe, sempre immanente nella Religione Cattolica, di mano in mano e di pari passo con la storia, siasi sviluppato e sia venuto adattandosi alle successive circostanze, da queste vitalmente assimilandosi quanto gli si affacesse di forme dottrinali, culturali, ecclesiastiche; superando nel tempo stesso gli ostacoli, sbaragliando i nemici, e sopravvivendo ad ogni sorta di contraddizioni o di lotte. Dopo che tutto questo, cioè gl’impedimenti, i nemici, le persecuzioni, i combattimenti, come pure la vitalità e fecondità della Chiesa, siansi mostrati tali che, quantunque nella storia della stessa Chiesa si scorgano serbate le leggi della evoluzione, pure queste non bastano a pienamente spiegarla: l’incognito sarà dl fronte e si presenterà da sé stesso. Fin qui i modernisti. I quali, però, in tutto questo discorrere, non pongon mente a una cosa; e cioè, che quella determinazione del germe primitivo è tutto frutto dell’apriorismo del filosofo agnostico ed evoluzionista, e che il germe stesso è così gratuitamente da loro definito pel buon giuoco della loro causa. Mentre però i nuovi apologisti, cogli argomenti arrecati, si studiano di affermare e persuadere la Religione Cattolica, non han riguardo a concedere che in essa molte cose sono che spiacciono. Che anzi, con una mal velata voluttà, van ripetendo pubblicamente che anche in materia dogmatica ritrovano errori e contraddizioni; benché soggiungano, che tali errori e contraddizioni non solo meritano scusa, ma, ciò che è più strano, sono da legittimarsi e giustificarsi. Così pure, secondo essi, nelle sacre Scritture corrono moltissimi sbagli in materia scientifica e storica. Ma, dicono, non sono quelli, libri di scienza o di storia, sì bene di religione e di morale, ove la scienza e la storia sono involucri con cui si coprono le esperienze religiose e morali per meglio propagarsi nel pubblico; il quale pubblico non intendendo altrimenti, una scienza od una storia più perfetta sarebbe gli stata non di vantaggio ma di nocumento. Del resto, aggiungono, i Libri sacri, perché di lor natura religiosi, sono essenzialmente viventi: or la vita ha pur essa la sua verità e la sua logica; diversa certamente dalla verità e logica razionale, anzi di tutt’altro ordine, verità cioè di comparazione e proporzione sia coll’ambiente in cui si vive, sia col fine per cui si vive. Finalmente a tanto estremo essi giungono ad affermare, senza attenuazione di sorta, che tutto ciò che si spiega con la vita è vero e legittimo. – Noi, Venerabili Fratelli, pei quali la verità è una ed unica, e che riteniamo i sacri Libri come quelli che “scritti sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, hanno per autore Iddio” (Conc. Vat., De Rev. c. 2), affermiamo ciò essere il medesimo che attribuire a Dio la menzogna di utilità o officiosa; e con le parole di Sant’Agostino protestiamo che: “Ammessa una volta in così altissima autorità qualche bugia officiosa, nessuna particella di quei libri resterà che, sembrando ad alcuno ardua per costume o incredibile per la fede, con la stessa perniciosissima regola, non si riferisca a consiglio o vantaggio dell’autore menzognero” (Epist. 28). Dal che seguirà quel che lo stesso santo Dottore aggiunge: “In esse – cioè nelle Scritture – ciascuno crederà quel che vuole, quel che non vuole non crederà“. Ma i modernisti apologeti non si dàn pensiero di tanto. Concedono di più trovarsi talora nei Libri santi dei ragionamenti, per sostenere una qualche dottrina, che non si appoggiano a verun ragionevole fondamento, come son quelli che si basano sulle profezie. Vero è che anche questi menan per buoni come artifizî di predicazione legittimati dalla vita. Che più? Concedono, anzi sostengono, che Gesù Cristo stesso errò manifestamente nell’assegnare il tempo della venuta del regno di Dio: ma ciò, secondo essi, non può fare meraviglia, perché Egli ancora era sottoposto alle leggi della vita! Che sarà dopo ciò dei dogmi della Chiesa? Riboccano pur questi di aperte contraddizioni; ma, oltreché sono ammesse dalla logica della vita, non si oppongono alla verità simbolica; giacché si tratta in essi dell’infinito, che ha infiniti rispetti. A far breve, talmente approvano e difendono siffatte teorie, che non si peritano di dichiarare non potersi rendere all’infinito omaggio più nobile, come affermando di esso cose contraddittorie! Ed ammessa così la contraddizione, quale assurdo non si ammetterà? Oltre agli argomenti oggettivi, il non credente può essere disposto alla fede anche con soggettivi. In questo caso gli apologeti modernisti si rifanno sulla dottrina della immanenza. Si adoprano cioè a convincer l’uomo, che in lui stesso e negli intimi recessi della sua natura e della sua vita si cela il desiderio e il bisogno di una religione, né di una religione qualsiasi, ma tale quale è appunto la cattolica; giacché questa, dicono, è postulata onninamente dal perfetto sviluppo della vita. E qui di bel nuovo siam costretti a lamentarCi gravemente che non mancano Cattolici i quali, benché rigettino la dottrina dell’immanenza come dottrina, pure se ne giovano per l’apologetica; e ciò fanno con sì poca cautela, da sembrare ammettere nella natura umana non pure una capacità od una convenienza per l’ordine soprannaturale, ciò che gli apologisti cattolici, con le debite restrizioni, dimostrarono sempre, ma una stretta e vera esigenza. A dir più giusto però, questa esigenza della Religione Cattolica è sostenuta dai modernisti più moderati. Quelli fra costoro che potremmo chiamare integralisti, pretendono che si debba indicare all’uomo, che ancor non crede, latente in lui lo stesso germe che fu nella coscienza di Cristo e da Cristo trasmesso agli uomini. Ed eccovi, o Venerabili Fratelli, descritto per sommi capi il metodo apologetico dei modernisti, in tutto conforme alle loro dottrine: metodo e dottrine infarciti di errori, atti non ad edificare, ma a distruggere; non a far dei cattolici, ma a trascinare i cattolici nella eresia, anzi alla distruzione totale d’ogni religione! – Restano per ultimo a dir poche cose del modernista in quanto la pretende a riformatore. Già le cose esposte finora ci provano abbondantemente da quale smania di innovazione siano rôsi codesti uomini. E tale smania ha per oggetto quanto vi è nel cattolicismo. Vogliono riformata la filosofia specialmente nei Seminarî: sì che relegata la filosofia scolastica alla storia della filosofia in combutta cogli altri sistemi passati di uso, si insegni ai giovani la filosofia moderna, unica, vera e rispondente ai nostri tempi. A riformare la teologia, vogliono che quella, che diciamo teologia razionale, abbia per fondamento la moderna filosofia. Chiedono inoltre che la teologia positiva si basi principalmente sulla storia dei dogmi. Anche la storia chiedono che si scriva e si insegni con metodi loro e precetti nuovi. Dicono che i dogmi e la loro evoluzione debbano accordarsi con la scienza e la storia. Per il catechismo esigono che nei libri catechistici si inseriscano solo quei dogmi, che sieno stati riformati e che sieno a portata dell’intelligenza del volgo. Circa il culto, gridano che si debbano diminuire le devozioni esterne e proibire che si aumentino. Benché a dir vero, altri più favorevoli al simbolismo, si mostrino in questa parte più indulgenti. Strepitano a gran voce perché il regime ecclesiastico debba essere rinnovato per ogni verso, ma specialmente pel disciplinare e il dogmatico. Perciò pretendono che dentro e fuori si debba accordare con la coscienza moderna, che tutta è volta a democrazia; perché dicono doversi nel governo dar la sua parte al clero inferiore e perfino al laicato, e decentrare, Ci si passi la parola, l’autorità troppo riunita e ristretta nel centro. Le Congregazioni romane si devono svecchiare: e, in capo a tutte, quella del Santo Officio e dell’Indice. Deve cambiarsi l’atteggiamento dell’autorità ecclesiastica nelle questioni politiche e sociali, talché si tenga essa estranea dai civili ordinamenti, ma pur vi si acconci per penetrarli del suo spirito. In fatto di morale, danno voga al principio degli americanisti, che le virtù attive debbano anteporsi alle passive, e di quelle promuovere l’esercizio, con prevalenza su queste. Chiedono che il clero ritorni all’antica umiltà e povertà; ma lo vogliono di mente e di opere consenziente coi precetti del modernismo. Finalmente non mancano coloro che, obbedendo volentierissimo ai cenni dei loro maestri protestanti, desiderano soppresso nel sacerdozio lo stesso sacro celibato. Che si lascia dunque d’intatto nella Chiesa, che non si debba da costoro e secondo i lor principî riformare? – In tutta questa esposizione della dottrina dei modernisti vi saremo sembrati, o Venerabili Fratelli, prolissi forse oltre il dovere. Ma è stato ciò necessario, sì per non sentirCi accusare, come suole, di ignorare le loro cose, e sì perché si veda che, quando parlasi di modernismo, non parlasi di vaghe dottrine non unite da alcun nesso, ma di un unico corpo e ben compatto, ove chi una cosa ammetta uopo è che accetti tutto il rimanente. Perciò abbiam voluto altresì far uso di una forma quasi didattica, né abbiamo ricusato il barbaro linguaggio onde i modernisti fanno uso. Ora, se quasi di un solo sguardo abbracciamo l’intero sistema, niuno si stupirà ove Noi lo definiamo, affermando esser esso la sintesi di tutte le eresie. Certo, se taluno si fosse proposto di concentrare quasi il succo ed il sangue di quanti errori circa la fede furono sinora asseriti, non avrebbe mai potuto riuscire a far meglio di quel che han fatto i modernisti. Questi anzi tanto più oltre si spinsero che, come già osservammo, non pure il Cattolicesimo ma ogni qualsiasi religione hanno distrutta. Così si spiegano i plausi dei razionalisti: perciò coloro, che fra i razionalisti parlano più franco ed aperto, si rallegrano di non avere alleati più efficaci dei modernisti. E per fermo, rifacciamoci alquanto, o Venerabili Fratelli, a quella esizialissima dottrina dell’agnosticismo. Con essa, dalla parte dell’intelletto, è chiusa all’uomo ogni via per arrivare a Dio, mentre si pretende di aprirla più acconcia per parte di un certo sentimento e dell’azione. Ma chi non iscorge quanto vanamente ciò si affermi? Il sentimento risponde sempre all’azione di un oggetto, che sia proposto dall’intelletto o dal senso. Togliete di mezzo l’intelletto; l’uomo, già portato a seguire il senso, lo seguirà con più impeto. Di più, le fantasie, quali che esse siano, di un sentimento religioso non possono vincere il senso comune: ora questo insegna che ogni perturbazione od occupazione dell’animo non è di aiuto ma d’impedimento alla ricerca del vero; del vero, diciamo, quale è in se; giacché quell’altro vero soggettivo, frutto del sentimento interno e dell’azione, se è acconcio per giocare di parole, poco interessa l’uomo a cui soprattutto importa di conoscere se siavi o no fuori di lui un Dio, nelle cui mani una volta dovrà cadere. Ricorrono, a vero dire, i modernisti per aiuto all’esperienza. Ma che può aggiungere questa al sentimento? Nulla: solo potrà renderlo più intenso: dalla quale intensità sia proporzionatamente resa più ferma la persuasione della verità dell’oggetto. Ma queste due cose non faranno si che il sentimento lasci di essere sentimento, né ne cangiano la natura sempre soggetta ad inganno, se l’intelletto non lo scorga; anzi la confermano e la rinforzano, giacché il sentimento quanto è più intenso tanto a miglior diritto è sentimento. Trattandosi poi qui di sentimento religioso e di esperienza in esso contenuta, sapete bene, o Venerabili Fratelli, di quanta prudenza sia mestieri in siffatta materia e di quanta scienza che regoli la stessa prudenza. Lo sapete dalla pratica delle anime, di talune, in specialità, in cui domina il sentimento: lo sapete dalla consuetudine dei trattati di ascetica; i quali, quantunque disprezzati da costoro, contengono più solidità di dottrina e più sagacia di osservazione che non ne vantino i modernisti. A Noi per fermo sembra cosa da stolto o almeno da persona al sommo imprudente, ritener per vere, senza esame di sorta, queste intime esperienze quali dai modernisti si spacciano. Perché allora, lo diciamo qui di passata, perché, se queste esperienze hanno si grande forza e certezza, non l’avrà uguale quella esperienza che molte migliaia di cattolici affermano di avere, che i modernisti cioè battono un cammino sbagliato? Sola questa esperienza sarebbe falsa e ingannevole? La massima parte degli uomini ritiene fermamente e sempre riterrà che col solo sentimento e colla sola esperienza senza guida e lume dell’intelletto, mai non si potrà giungere alla conoscenza di Dio. Dunque resta di nuovo o l’ateismo o l’irreligione assoluta. Né i modernisti hanno nulla a sperar di meglio dalla loro dottrina del simbolismo. Imperciocché se tutti gli elementi che dicono intellettuali non sono che puri simboli di Dio, perché non sarà un simbolo il nome stesso di Dio o di personalità divina? E se è cosi, si potrà bene dubitare della stessa divina personalità, ed avremo aperta la via al panteismo. E qua similmente, cioè al puro panteismo, mena l’altra dottrina dell’immanenza divina. Giacché domandiamo: siffatta immanenza distingue o no Iddio dall’uomo? Se lo distingue, in che differisce adunque cotal dottrina dalla cattolica? o perché mai rigetta quella della esterna rivelazione? Se poi non lo distingue, eccoci di bel nuovo col panteismo. Ma difatto l’immanenza dei modernisti vuole ed ammette che ogni fenomeno di coscienza nasca dall’uomo in quanto uomo. Dunque di legittima conseguenza inferiamo che Dio e l’uomo sono la stessa cosa; e perciò il panteismo. Finalmente pari è la conseguenza che si trae dalla loro decantata distinzione fra la scienza e la fede. L’oggetto della scienza lo pongono essi nella realtà del conoscibile; quello della fede nella realtà dell’inconoscibile. Orbene l’inconoscibile è tale per la totale mancanza di proporzione fra l’oggetto e la mente. Ma questa mancanza di proporzione, secondo gli stessi modernisti, non potrà mai esser tolta. Dunque l’inconoscibile resterà sempre inconoscibile tanto pel credente quanto pel filosofo. Dunque se si avrà una religione, questa sarà della realtà dell’inconoscibile. La quale realtà perché poi non possa essere l’anima universale del mondo, come l’ammettono taluni razionalisti, noi nol vediamo. Ma basti sin qui per conoscere per quante vie la dottrina del modernismo conduca all’ateismo e alla distruzione di ogni religione. L’errore dei protestanti dié il primo passo in questo sentiero; il secondo è del modernismo: a breve distanza dovrà seguire l’ateismo. – A più intimamente conoscere il modernismo e a trovare più acconci rimedi a sì grave malore, gioverà ora, o Venerabili Fratelli, ricercare alquanto le cause, onde esso è nato ed è venuto crescendo. Non ha dubbio che la prima causa ed immediata sta nell’aberrazione dell’intelletto. Quali cause remote due Noi ne riconosciamo:la curiosità e la superbia. La curiosità, se non saggiamente frenata, basta di per sé sola a spiegare ogni fatta di errori. Per lo che il Nostro Predecessore Gregorio XVI a buon diritto scriveva (Lett. Enc. “Singulari Nos”, 25 giugno 1834): “È grandemente da piangere nel vedere fin dove si profondino i deliramenti dell’umana ragione, quando taluno corra dietro alle novità, e, contro l’avviso dell’Apostolo, si adoperi di saper più che saper non convenga, e confidando troppo in se stesso, pensi dover cercare la verità fuori della Chiesa cattolica, in cui, senza imbratto di pur lievissimo errore, essa si trova“. Ma ad accecare l’animo e trascinarlo nell’errore assai più di forza ha in sé la superbia: la quale, trovandosi nella dottrina del modernismo quasi in un suo domicilio, da essa trae alimento per ogni verso e riveste tutte le forme. Per la superbia infatti costoro presumono audacemente di se stessi e si ritengono e si spacciano come norma di tutti. Per la superbia si gloriano vanissimamente quasi essi soli possiedano la sapienza, e dicono gonfi e pettoruti: “Noi non siamo come il rimanente degli uomini“; e per non essere di fatto posti a paro degli altri, abbracciano e sognano ogni sorta di novità, le più assurde. Per la superbia ricusano ogni soggezione, e pretendono che l’autorità debba comporsi colla libertà. Per la superbia, dimentichi di se stessi, pensano solo a riformare gli altri, né rispettano in ciò qualsivoglia grado fino alla potestà suprema. No, per giungere al modernismo, non vi è sentiero più breve e spedito della superbia. Se un laico cattolico, se un sacerdote dimentichi il precetto della vita cristiana che c’impone di rinnegare noi stessi se vogliamo seguire Gesù Cristo, né sradichi dal suo cuore la mala pianta della superbia; sì costui è dispostissimo quanto mai a professare gli errori del modernismo! Per lo che, o Venerabili Fratelli, sia questo il primo vostro dovere di resistenza a questi uomini superbi, occuparli negli uffici più umili ed oscuri, affinché siano tanto più depressi quanto più essi s’inalberano, e, posti in basso, abbiano minor campo di nuocere. Inoltre, sia da voi stessi, sia per mezzo dei rettori dei Seminari, cercate con somma diligenza di conoscere i giovani che aspirano ad entrare nel clero; e se alcuno ne troviate di carattere superbo, con ogni risolutezza respingetelo dal sacerdozio. Si fosse cosi operato sempre, colla vigilanza e fortezza che faceva di mestieri! Che se dalle cause morali veniamo a quelle che spettano all’intelletto, la prima da notarsi è l’ignoranza. I modernisti, quanti essi sono, che vogliono apparire e farla da dottori nella Chiesa, esaltando a grandi voci la filosofia moderna e schernendo la scolastica, se hanno abbracciata la prima ingannati dai suoi orpelli, ne devono saper grado alla totale ignoranza in che erano della seconda, e dal mancare perciò di mezzo per riconoscere la confusione delle idee e ribattere i sofismi. Dal connubio poi della falsa filosofia colla fede è sorto il loro sistema, riboccante di tanti e si enormi errori. Alla propagazione del quale portassero almeno un minor zelo ed ardore di quel che fanno! Tanta invece è la loro alacrità, cosi indefesso il lavoro, che da strazio il vedere consumate tante forze a danno della Chiesa, le quali, rettamente usate, le sarebbero di vantaggio grandissimo. A trarre poi in inganno gli animi una doppia tattica essi usano: prima si sbarazzano degli ostacoli, poi cercano con somma cura i mezzi che loro giovino, ed instancabili e pazientissimi li mettono in opera. Degli ostacoli, tre sono i principali che più sentono opposti ai loro conati: il metodo scolastico di ragionare, l’autorità dei Padri con la tradizione, il magistero ecclesiastico. Contro tutto questo la loro lotta è accanita. Deridono perciò continuamente e disprezzano la filosofia e la teologia scolastica. Sia che ciò facciano per ignoranza, sia che il facciano per timore o meglio per l’una cosa insieme e per l’altra; certo si è che la smania di novità va sempre in essi congiunta coll’odio della Scolastica; né vi ha indizio più manifesto che taluno cominci a volgere al modernismo, che quando incominci ad aborrire la Scolastica. Ricordino i modernisti e quanti li favoriscono la condanna che Pio IX inflisse alla proposizione che diceva (Sillabo, Prop. 12): “Il metodo ed i principî, con cui gli antichi Dottori scolastici trattarono la teologia, più non si confanno ai bisogni dei nostri tempi ed ai progressi della scienza“. Sono poi astutissimi nello stravolgere la natura e l’efficacia della Tradizione, alfin di privarla di ogni peso e di ogni autorità. Ma starà sempre per i cattolici l’autorità del secondo Sinodo Niceno, il quale condannò “coloro che osano… secondo gli scellerati eretici, disprezzare le ecclesiastiche tradizioni ed escogitare qualsiasi novità o architettare con malizia ed astuzia di abbattere checché sia delle legittime tradizioni della Chiesa cattolica“. Starà sempre la professione del quarto Sinodo Costantinopolitano: “Noi dunque professiamo di serbare e custodire le regole, che tanto dai santi famosissimi Apostoli, quanto dagli uni versali e locali Concili degli ortodossi o anche da qualunque deiloquo Padre e Maestro della Chiesa, furono date alla santa cattolica ed apostolica Chiesa“. Per lo che i Romani Pontefici Pio IV e Pio IX nella professione di fede vollero aggiunto anche questo: “Io ammetto fermissimamente ed abbraccio le apostoliche ed ecclesiastiche tradizioni, e tutte le altre osservanze e costituzioni della medesima Chiesa“. Né altrimenti che della Tradizione giudicano i modernisti dei santissimi Padri dellaChiesa. Con estrema temerità li spacciano, come degnissimi bensì di ogni venerazione, ma ignorantissimi dicritica e di storia, scusabili solo pei tempi in che vissero. Si studiano infine e si sforzano di attenuare e svilirel’autorità dello stesso Magistero ecclesiastico, sia pervertendo ne sacrilegamente l’origine, la natura, i diritti,sia ricantando liberamente contro di essa le calunnie dei nemici. Del gregge dei modernisti sembra detto ciòche con tanto dolore scriveva il Predecessore Nostro (Motu proprio “Ut mysticam“, 14 marzo 1891): “Per rendere spregiata ed odiosa la mistica Sposa di Cristo, che è la luce vera, i figli delle tenebre furon soliti di opprimerla pubblicamente di una pazza calunnia, e, stravolto il significato e la forza delle cose e delle parole, chiamarla amica di oscurità, mentitrice d’ignoranza, nemica della luce e del progresso delle scienze“. Dopociò, Venerabili Fratelli, qual meraviglia se i cattolici, strenui difensori della Chiesa, son fatti segno dai modernisti di somma malevolenza e di livore? Non vi è specie d’ingiurie con cui non li lacerino: l’accusa più usuale è quella di chiamarli ignoranti ed ostinati. Che se la dottrina e l’efficacia di chi li confuta dà loro timore, ne incidono i nervi colla congiura del silenzio. E questa maniera di fare a riguardo dei cattolici è tanto più odiosa perché nel medesimo tempo e senza modo né misura, con continue lodi esaltano chi sta dalla loro; i libri di costoro riboccanti di novità accolgono ed ammirano con grandi applausi; quanto più alcuno si mostra audace nel distruggere l’antico, nel rigettare la tradizione e il magistero ecclesiastico, tanto più gli dàn vanto di sapiente; e per ultimo, ciò che fa inorridire ogni anima retta, se qualcuno sia con dannato dalla Chiesa non solo pubblicamente e profusamente lo encomiano, ma quasi lo venerano come martire della verità. Da tutto questo strepito di lodi e d’improperi colpiti e turbati gli animi giovanili, da una parte per non passare per ignoranti, dall’altra per parere sapienti spinti internamente dalla curiosità e dalla superbia, si dànno per vinti e passano al modernismo. Ma qui già siamo agli artifici con che i modernisti spacciano la loro merce. Che non tentano essi mai per moltiplicare gli adepti? Nei Seminari e nelle Università cercano di ottenere cattedre da mutare insensibilmente in cattedre di pestilenza. Inculcano le loro dottrine, benché forse velatamente, predicando nelle chiese; le annunciano più aperte nei congressi: le introducono e le magnificano nei sociali istituti. Col nome proprio o di altri pubblicano libri, giornali, periodici. Uno stesso e solo scrittore fa uso talora di molti nomi, perché gli incauti siano tratti in inganno dalla simulata moltitudine degli autori. Insomma coll’azione, colla parola, colla stampa tutto tentano, da sembrar quasi colti da frenesia. E tutto ciò con qual esito? Piangiamo pur troppo gran numero di giovani di speranze egregie e che ottimi servigi renderebbero alla Chiesa, usciti fuori dal retto cammino. Piangiamo moltissimi, che, sebbene non giunti tant’oltre, pure, respirata un’aria corrotta, sogliono pensare, parlare, scrivere più liberamente che non si convenga a cattolici. Si contano costoro fra i laici, si contano fra i sacerdoti; e chi lo crederebbe? si contano altresì nelle stesse famiglie dei Religiosi. Trattano la Scrittura secondo le leggi dei modernisti. Scrivono storia e sotto specie di dir tutta la verità, tutto ciò che sembri gettare ombra sulla Chiesa lo pongono diligentissimamente in luce con voluttà mal repressa. Le pie tradizioni popolari, seguendo un certo apriorismo, cercano a tutta possa di cancellare. Ostentano disprezzo per sacre Reliquie raccomandate dalla loro vetustà. Insomma li punge la vana bramosia che il mondo parli di loro; il che si persuadono che non sarà, se dicono soltanto quello che sempre e da tutti fu detto. Intanto si dànno forse a credere di prestare ossequio a Dio ed alla Chiesa; ma in realtà gravissimamente li offendono, non tanto per quel che fanno, quanto per l’intenzione con cui operano e per l’aiuto che prestano utilissimo agli ardimenti dei modernisti. A questo torrente di gravissimi errori, che di celato e alla scoperta va guadagnando, si adoperò con detti e con fatti di opporsi fortemente Leone XIII Predecessore Nostro di felice ricordanza, specialmente a riguardo delle sante Scritture. Ma i modernisti, lo vedemmo, non si lasciano spaventare facilmente: affettando il maggior rispetto ed una somma umiltà, stravolsero a loro senso le parole del Pontefice, e gli atti di Lui li fecero passare come diretti ad altri. Cosi il male è venuto pigliando forza ogni giorno più. – Abbiamo dunque deciso, o Venerabili Fratelli, di non tergiversare più oltre e di por mano a misure più energiche. Preghiamo perciò e scongiuriamo voi che, in negozio di tanto rilievo, non Ci lasciate minimamente desiderare la vostra vigilanza e diligenza e fortezza. E quel che chiediamo ed aspettiamo da voi, lo chiediamo altresì e lo aspettiamo dagli altri pastori delle anime, dagli educatori e maestri del giovine clero, e specialmente dai Superiori generali degli Ordini religiosi.

I

La prima cosa adunque, per ciò che spetta agli studi, vogliamo e decisamente ordiniamo che a fondamento degli studi sacri si ponga la filosofia scolastica. Bene inteso che, “se dai Dottori scolastici furono agitate questioni troppo sottili o fu alcun che trattato con poca considerazione; se fu detta cosa che mal si affaccia con dottrine accertate dei secoli seguenti, ovvero in qualsivoglia modo non ammissibile; non è nostra intenzione che tutto ciò debba servir d’esempio da imitare anche ai di nostri” (Leone XIII, Enc. “Æterni Patris“). Ciò che conta anzi tutto è che la filosofia scolastica, che Noi ordiniamo di seguire, si debba precipuamente intendere quella di San Tommaso di Aquino: intorno alla quale tutto ciò che il Nostro Predecessore stabilì, intendiamo che rimanga in pieno vigore, e se è bisogno, lo rinnoviamo e confermiamo e severamente ordiniamo che sia da tutti osservato. Se nei Seminari si sia ciò trascurato, toccherà ai Vescovi insistere ed esigere che in avvenire si osservi. Lo stesso comandiamo ai Superiori degli Ordini religiosi. Ammoniamo poi quelli che insegnano, di ben persuadersi, che il discostarsi dall’Aquinate, specialmente in cose metafisiche, non avviene senza grave danno. Posto così il fondamento della filosofia, si innalzi con somma diligenza l’edificio teologico. Venerabili Fratelli, promovete con ogni industria possibile lo studio della teologia, talché i chierici, uscendo dai Seminari, ne portino seco un’alta stima ed un grande amore e l’abbiano sempre carissimo. Imperocché “nella grande e molteplice copia di discipline che si porgono alla mente cupida di verità, a tutti è noto che alla sacra Teologia appartiene talmente il primo luogo, che fu antico detto dei sapienti essere dovere delle altre scienze ed arti di servirla e prestarle mano siccome ancelle” (Leone XIII, Lett. Ap. “In magna“, 10 dicembre 1889). Aggiungiamo qui, sembrarCi altresì degni di lode coloro, che, salvo il rispetto alla Tradizione, ai Padri, al Magistero ecclesiastico, con saggio criterio e con norme cattoliche (ciò che non sempre da tutti si osserva) cercano di illustrare la teologia positiva, attingendo lume dalla storia di vero nome. Certamente che alla teologia positiva deve ora darsi più larga parte che pel passato: ciò nondimeno deve farsi in guisa, che nulla ne venga a perdere la teologia scolastica, e si disapprovino quali fautori del modernismo coloro che tanto innalzino la teologia positiva da sembrar quasi spregiare la Scolastica. – In quanto alle discipline profane basti richiamare quel che il Nostro Predecessore disse con molta sapienza (Allocuz. 7 marzo 1580): “Adoperatevi strenuamente nello studio delle cose naturali: nel qual genere gl’ingegnosi ritrovati e gli utili ardimenti dei nostri tempi, come di ragione sono ammirati dai presenti, cosi dai posteri avranno perpetua lode ed encomio“. Questo però senza danno degli studi sacri: il che ammoniva lo stesso Nostro Predecessore con queste altre gravissime parole (Loc. cit.): “La causa di siffatti errori, chi la ricerchi diligentemente, sta principalmente in ciò che di questi nostri tempi, quanto più fervono gli studi delle scienze naturali, tanto più son venute meno le discipline più severe e più alte: alcune di queste infatti sono quasi poste in dimenticanza; alcune sono trattate stancamente e con leggerezza, e, ciò che è indegno, perduto lo splendore della primitiva dignità, sono deturpate da prave sentenze e da enormi errori“. Con questa legge ordiniamo che si regolino nei Seminari gli studi delle scienze naturali.

II

A questi ordinamenti tanto Nostri che del Nostro Antecessore fa mestieri volgere l’attenzione ognora che si tratti di scegliere i moderatori e maestri così dei Seminari come delle Università cattoliche. Chiunque in alcun modo sia infetto di modernismo, senza riguardi di sorta si tenga lontano dall’ufficio cosi di reggere e cosi d’insegnare: se già si trovi con tale incarico, ne sia rimosso. Parimente si faccia con chiunque o in segreto o apertamente favorisce il modernismo, sia lodando modernisti, sia attenuando la loro colpa, sia criticando la Scolastica, i Padri, il Magistero ecclesiastico, sia ricusando obbedienza alla potestà ecclesiastica, da qualunque persona essa si eserciti; e similmente con chi in materia storica, archeologica e biblica si mostri amante di novità; e finalmente, con quelli altresì che non si curano degli studi sacri o paiono a questi anteporre i profani. In questa parte, o Venerabili Fratelli, e specialmente nella scelta dei maestri, non sarà mai eccessiva la vostra attenzione e fermezza; essendoché sull’esempio dei maestri si formano per lo più i discepoli. Poggiati adunque sul dovere di coscienza, procedete in questa materia con prudenza sì ma con fortezza. Con non minore vigilanza e severità dovrete esaminare e scegliere chi debba essere ammesso al sacerdozio. Lungi, lungi dal clero l’amore di novità: Dio non vede di buon occhio gli animi superbi e contumaci! A niuno in avvenire si conceda la laurea dì teologia o di diritto canonico, che non abbia prima compito per intero il corso stabilito di filosofia scolastica. Se tale laurea ciò non ostante venisse concessa, sia nulla. Le ordinazioni che la Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari emanò nell’anno 1896 pei chierici d’Italia dell’uno e dell’altro clero circa il frequentare le Università, stabiliamo che d’ora innanzi rimangano estese a tutte le nazioni. I chierici e sacerdoti iscritti ad un Istituto o ad una Università cattolica non potranno seguire nelle Università civili quei corsi, di cui vi siano cattedre negli Istituti cattolici ai quali essi appartengono. Se in alcun luogo si è ciò permesso per il passato, ordiniamo che più non si conceda nell’avvenire. I Vescovi che formano il Consiglio direttivo di siffatti cattolici Istituti o cattoliche Università veglino con ogni cura perché questi Nostri comandi vi si osservino costantemente.

III

È parimente officio dei Vescovi impedire che gli scritti infetti di modernismo o ad esso favorevoli si leggano se sono già pubblicati, o, se non sono, proibire che si pubblichino. Qualsivoglia libro o giornale o periodico di tal genere non si dovrà mai permettere o agli alunni dei Seminari o agli uditori delle Università cattoliche: il danno che ne proverrebbe non sarebbe minore di quello delle letture immorali; sarebbe anzi peggiore, perché ne andrebbe viziata la radice stessa del vivere cristiano. Né altrimenti si dovrà giudicare degli scritti di taluni Cattolici, uomini del resto di non malvagie intenzioni, ma che digiuni di studi teologici e imbevuti di filosofia moderna, cercano di accordare questa con la fede e di farla servire, come essi dicono, ai vantaggi della fede stessa. Il nome e la buona fama degli autori fa sì che tali libri siano letti senza verun timore e sono quindi più pericolosi per trarre a poco a poco al modernismo. – Per dar poi, o Venerabili Fratelli, disposizioni più generali in sì grave materia, se nelle vostre diocesi corrono libri perniciosi, adoperatevi con fortezza a sbandirli, facendo anche uso di solenni condanne. Benché questa Sede Apostolica ponga ogni opera nel togliere di mezzo siffatti scritti, tanto oggimai ne è cresciuto il numero, che a condannarli tutti non bastano le forze. Quindi accade che la medicina giunga talora troppo tardi, quando cioè pel troppo attendere il male ha già preso piede. Vogliamo adunque che i Vescovi, deposto ogni timore, messa da parte la prudenza della carne, disprezzando il gridio dei malvagi, soavemente, sì, ma con costanza, adempiano ciascuno le sue parti; memori di quanto prescriveva Leone XIII nella Costituzione Apostolica “Officiorum“: “Gli Ordinari, anche come Delegati della Sede Apostolica, si adoperino di proscrivere e di togliere dalle mani dei fedeli i libri o altri scritti nocivi stampati o diffusi nelle proprie diocesi“. Con queste parole si concede, è vero, un diritto: ma s’impone in pari tempo un dovere. Né stimi veruno di avere adempiuto cotal dovere, se deferisca a Noi l’uno o l’altro libro mentre altri moltissimi si lasciano divulgare e diffondere. Né in ciò vi deve rattenere il sapere che l’autore di qualche libro abbia altrove ottenuto l’Irnprimatur; sì perché tal concessione può essere simulata, sì perché può essere stata fatta per trascuratezza o per troppa benignità e per troppa fiducia nell’autore, il quale ultimo caso può talora avverarsi negli Ordini religiosi. Aggiungasi che, come non ogni cibo si confà a tutti egual mente, cosi un libro che in un luogo sarà indifferente, in un altro, per le circostanze, può tornare nocivo. Se pertanto il Vescovo, udito il parere di persone prudenti, stimerà di dover condannare nella sua diocesi anche qualcuno di siffatti libri, gliene diamo ampia facoltà, anzi glielo rechiamo a dovere. Intendiamo bensì che si serbino in tal fatto i riguardi convenienti, bastando forse che la proibizione si restringa talora soltanto al clero; ma eziandio in tal caso sarà obbligo dei librai cattolici di non porre in vendita i libri condannati dal Vescovo. E poiché Ci cade il discorso, vigilino i Vescovi che i librai per bramosia di lucro non spaccino merce malsana: il certo è che nei cataloghi di taluni di costoro si annunziano di frequente e con lode non piccola i libri dei modernisti. Se essi ricusano di obbedire, non dubitino i Vescovi di privarli del titolo di librai cattolici; similmente e con più ragione, se avranno quello di vescovili; che se avessero titolo di pontifici, si deferiscano alla Sede Apostolica. A tutti finalmente ricordiamo l’articolo XXVI della mentovata Costituzione Apostolica “Officiorum“: “Tutti coloro che abbiano ottenuta facoltà apostolica di leggere e ritenere libri proibiti, non sono perciò autorizzati a leggere libri o giornali proscritti dagli Ordinari locali, se pure nell’indulto apostolico non sia data espressa facoltà di leggere e ritenere libri condannati da chicchessia“.

IV

Ma non basta impedire la lettura o la vendita dei libri cattivi; fa d’uopo impedirne altresì la stampa. Quindi i Vescovi non concedano la facoltà di stampa se non con la massima severità. E poiché è grande il numero delle pubblicazioni, che, a seconda della Costituzione “Officiorum“, esigono l’autorizzazione dell’Ordinario, in talune diocesi si sogliono determinare in numero conveniente censori di officio per l’esame degli scritti. Somma lode noi diamo a siffatta istituzione di censura; e non solo esortiamo, ma ordiniamo che si estenda a tutte le diocesi. In tutte adunque le Curie episcopali si stabiliscano Censori per la revisione degli scritti da pubblicarsi; si scelgano questi dall’uno e dall’altro clero, uomini di età, di scienza e di prudenza e che nel giudicare sappiano tenere il giusto mezzo. Spetterà ad essi l’esame di tutto quello che, secondo gli articoli XLI e XLII della detta Costituzione, ha bisogno di permesso per essere pubblicato. Il Censore darà per iscritto la sua sentenza. Se sarà favorevole, il Vescovo concederà la facoltà di stampa con la parola Imprimatur, la quale però sarà preceduta dal Nihil obstat e dal nome del Censore. Anche nella Curia romana non altrimenti che nelle altre, si stabiliranno censori di ufficio. L’elezione dei medesimi, dopo interpellato il Cardinale Vicario e coll’annuenza ed approvazione dello stesso Sommo Pontefice, spetterà al Maestro del sacro Palazzo Apostolico. A questo pure toccherà determinare per ogni singolo scritto il Censore che lo esamini. La facoltà di stampa sarà concessa dallo stesso Maestro ed insieme dal Cardinale Vicario o dal suo Vicegerente, premesso però, come sopra si disse, il Nulla osta col nome del Censore. Solo in circo stanze straordinarie e rarissimamente si potrà, a prudente arbitrio del Vescovo, omettere la menzione del Censore. Agli autori non si farà mai conoscere il nome del Censore, prima che questi abbia dato giudizio favorevole: affinché il Censore stesso non abbia a patir molestia o mentre esamina lo scritto o in caso che ne disapprovi la stampa. Mai non si sceglieranno Censori dagli Ordini religiosi, senza prima averne secretamente il parere del Superiore provinciale, o, se si tratta di Roma, del Generale: questi poi dovranno secondo coscienza attestare dei costumi, della scienza e della integrità della dottrina dell’eligendo. Ammoniamo i Superiori religiosi del gravissimo dovere che essi hanno di mai non permettere che alcun che si pubblici dai loro sudditi senza la previa facoltà loro e dell’Ordinario diocesano. Per ultimo affermiamo e dichiariamo che il titolo di Censore, di cui taluno sia insignito, non ha verun valore né mai si potrà arrecare come argomento per dar credito alle private opinioni del medesimo. Detto ciò generalmente, nominatamente ordiniamo una osservanza più diligente di quanto si prescrive nell’articolo XLII della citata Costituzione “Officiorum“, cioè: “È vietato ai sacerdoti secolari, senza previo permesso dell’Ordinario, prendere la direzione di giornali o di periodici“. Del quale permesso, dopo ammonizione, saràprivato chiunque ne facesse mal uso. Circa quei sacerdoti, che hanno titoli di corrispondenti o collaboratori,poiché avviene non raramente che pubblichino, nei giornali o periodici, scritti infetti di modernismo, vedano iVescovi che ciò non avvenga; e se avvenisse, ammoniscano e diano proibizione di scrivere. Lo stesso conogni autorità ammoniamo che facciano i Superiori degli Ordini religiosi: i quali se si mostrassero in ciò trascurati,provvedano i Vescovi, con autorità delegata dal Sommo Pontefice. I giornali e periodici pubblicati dai Cattoliciabbiano, per quanto sia possibile, un Censore determinato. Sarà obbligo di questo leggere opportunamentei singoli fogli o fascicoli, dopo già pubblicati: se cosa alcuna troverà di pericoloso, ordinerà che sia corretto quanto prima. Lo stesso diritto avrà il Vescovo, anche in caso che il Censore non abbia reclamato.

V

Ricordammo già sopra i congressi e i pubblici convegni come quelli nei quali i modernisti si adoprano di propalare e propagare le loro opinioni. I Vescovi non permetteranno più in avvenire, se non in casi rarissimi, i congressi di Sacerdoti. Se avverrà che li permettano, lo faranno solo a questa condizione: che non vi si trattino cose di pertinenza dei Vescovi o della Sede Apostolica, non vi si facciano proposte o postulati che implichino usurpazione della sacra potestà, non vi si faccia affatto menzione di quanto sa di modernismo, di presbiterianismo, di laicismo. A tali convegni, che dovranno solo permettersi volta per volta e per iscritto o in tempo opportuno, non potrà intervenire Sacerdote alcuno di altra diocesi, se non porti commendatizie del proprio Vescovo. A tutti i Sacerdoti poi non passi mai di mente ciò che Leone XIII raccomandava con parole gravissime (Lett. Enc. “Nobilissima Gallorum“, 10 febbraio 1884): “Sia intangibile presso i sacerdoti l’autorità dei propri Vescovi; si persuadano che il ministero sacerdotale, se non si eserciti sotto la direzione del Vescovo, non sarà né santo, né molto utile, né rispettabile“.

VI

Ma che gioveranno, o Venerabili Fratelli, i Nostri comandi e le Nostre prescrizioni, se non si osservino a dovere e con fermezza? Perché questo si ottenga, Ci è parso espediente estendere a tutte le diocesi ciò che i Vescovi dell’Umbria (Atti del Congr. dei Vescovi dell’Umbria, nov. 1849, tit. II, art. 6), molti anni or sono, con savissimo consiglio stabilirono per le loro: “Ad estirpare – così essi – gli errori già diffusi e ad impedire che più oltre si diffondano o che esistano tuttavia maestri di empietà, pei quali si perpetuino i perniciosi effetti originati da tale diffusione, il sacro Congresso, seguendo gli esempi di San Carlo Borromeo, stabilisce che in ogni diocesi si istituisca un Consiglio di uomini commendevoli dei due cleri, a cui spetti il vigilare se e con quali arti i nuovi errori si dilatino o si propaghino, e farne avvertito il Vescovo perché di concorde avviso prenda rimedi con cui il male si estingua fin dal principio e non si spanda di vantaggio a rovina delle anime, e, ciò che è peggio, si afforzi e cresca“. Stabiliamo adunque che un siffatto Consiglio, che si chiamerà di vigilanza, si istituisca quanto prima in tutte le diocesi. I membri di esso si sceglieranno colle stesse norme già prescritte pei Censori dei libri. Ogni due mesi, in un giorno determinato, si raccoglierà in presenza del Vescovo: le cose trattate o stabilite saranno sottoposte a legge di secreto. I doveri degli appartenenti al Consiglio saranno i seguenti: Scrutino con attenzione gl’indizi di modernismo tanto nei libri che nell’insegnamento; con prudenza, prontezza ed efficacia stabiliscano quanto è d’uopo per la incolumità del clero e della gioventù. Combattano le novità di parole, e rammentino gli ammonimenti di Leone XIII (S. C. AA. EE. SS., 27 gennaio 1901): “Non si potrebbe approvare nelle pubblicazioni cattoliche un linguaggio che ispirandosi a malsana novità sembrasse deridere la pietà dei fedeli ed accennasse a nuovi orientamenti della vita cristiana, a nuove direzioni della Chiesa, a nuove ispirazioni dell’anima moderna, a nuova vocazione del clero, a nuova civiltà cristiana“. Tutto questo non si sopporti così nei libri come dalle cattedre.Non trascurino i libri nei quali si tratti o delle pie tradizioni di ciascun luogo o delle sacre Reliquie. Non permettano che tali questioni si agitino nei giornali o in periodici destinati a fomentare la pietà, né con espressioniche sappiano di ludibrio o di disprezzo né con affermazioni risolute specialmente, come il più delle volte accade,quando ciò che si afferma o non passa i termini della probabilità o si basa su pregiudicate opinioni. Circa le sacreReliquie si abbiano queste norme. Se i Vescovi i quali sono soli giudici in questa materia, conoscano con certezza che una reliquia sia falsa, la toglieranno senz’altro dal culto dei fedeli… Se le autentiche di una Reliquia qualsiasi, o pei civili rivolgimenti o in altra guisa siensi smarrite, non si esponga alla pubblica venerazione, se prima il Vescovo non ne abbia fatta ricognizione. L’argomento di prescrizione o di fondata presunzione allora solo avrà valore quando il culto sia commendevole per antichità: il che risponde al decreto emanato nel 1896 dalla Congregazione delle Indulgenze e sacre Reliquie, in questi termini: “Le Reliquie antiche sono da conservarsi nella venerazione che finora ebbero, se pure in casi particolari non si abbiano argomenti certi che sono false o supposte“. Nel portar poi giudizio delle pie tradizioni si tenga sempre presente, che la Chiesa in questa materia fa uso di tanta prudenza, da non permettere che tali tradizioni si raccontino nei libri, se non con grandi cautele e premessa la dichiarazione prescritta da Urbano VIII: il che pure adempiuto, non perciò ammette la verità del fatto, ma solo non proibisce che si creda, ove a farlo non manchino argomenti umani. Così appunto la sacra Congregazione dei Riti dichiarava fin da trent’anni addietro (Decreto 2 maggio 1877): “Siffatte apparizioni o rivelazioni non furono né approvate né condannate dalla Sede Apostolica, ma solo passate come da piamente credersi con sola fede umana, conforme alla tradizione di cui godono, confermata pure da idonei testimoni e documenti“. Niun timore può ammettere chi a questa regola si tenga. Imperocché il culto di qualsivoglia apparizione, in quanto riguarda il fatto stesso e dicesi relativo, ha sempre implicita la condizione della verità del fatto: in quanto poi è assoluto, si fonda sempre nella verità, giacché si dirige alle persone stesse dei santi che si onorano. Lo stesso vale delle Reliquie. Commettiamo infine al Consiglio di vigilanza, di tener d’occhio assiduamente e diligentemente gl’istituti sociali come pure gli scritti di questioni sociali affinché nulla vi si celi di modernismo, ma ottemperino alle prescrizioni dei Romani Pontefici.

VII

Le cose fin qui stabilite affinché non vadano in dimenticanza, vogliamo ed ordiniamo che i Vescovi di ciascuna diocesi, trascorso un anno dalla pubblicazione delle presenti Lettere, e poscia ogni triennio, con diligente e giurata esposizione riferiscano alla Sede Apostolica intorno a quanto si prescrive in esse, e sulle dottrine che corrono in mezzo al clero e soprattutto nei Seminari ed altri istituti cattolici, non eccettuati quelli che pur sono esenti dall’autorità dell’Ordinario. Lo stesso imponiamo ai Superiori generali degli Ordini religiosi a riguardo dei loro dipendenti. Queste cose, o Venerabili Fratelli, abbiam creduto di scrivervi per salute di ogni credente. I nemici della Chiesa certamente ne abuseranno per ribadire la vecchia accusa, per cui siamo fatti passare come avversi alla scienza ed al progresso della civiltà. A tali accuse, che trovano smentita in ogni pagina della storia della Chiesa, alfine di opporre alcun che di nuovo, è Nostro consiglio di accordare ogni favore e protezione ad un nuovo Istituto, da cui, coll’aiuto di quanti fra i Cattolici sono più insigni per fama di sapienza, ogni fatta di scienza e di erudizione, sotto la guida ed il Magistero della cattolica verità, sia promossa. Assecondi Iddio i Nostri disegni e Ci prestino aiuto quanti di vero amore amano la Chiesa di Gesù Cristo. Ma di ciò in altra opportunità. A Voi intanto, o Venerabili Fratelli, nella cui opera e zelo sommamente confidiamo, imploriamo di tutto cuore la pienezza dei lumi Celesti, affinché in tanto periglio delle anime per gli errori che da ogni banda s’infiltrano, scorgiate quel che far vi convenga; e con ogni ardore e fortezza lo eseguiate. Vi assista colla Sua virtù Gesù Cristo autore e consumatore della nostra fede; vi assista coll’intercessione e coll’aiuto la Vergine Immacolata profligatrice di tutte le eresie. – E Noi, come pegno della Nostra carità e delle divine consolazioni fra tante contrarietà, impartiamo con ogni affetto a voi, al vostro clero ed ai vostri fedeli l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il giorno 8 settembre 1907, nell’anno V del Nostro Pontificato.

“LAMENTABILI SANE EXITU”

“SUL PERICOLO COSTITUITO DA CERTI ESEGETI CHE, CON L’APPARENZA DI INTELLIGENZA E

COL NOME DI CONSIDERAZIONE STORICA, CORROMPONO LA DOTTRINA”

SUPREMA SACRA INQUISIZIONE ROMANA ED UNIVERSALE

Con deplorevoli frutti, l’età nostra, impaziente di freno nell’indagare le somme ragioni delle cose, non di rado segue talmente le novità, che, lasciata da parte, per così dire, l’eredità del genere umano, cade in errori gravissimi. Questi errori sono di gran lunga più pericolosi qualora si tratti della disciplina sacra, dell’interpretazione della Sacra Scrittura, dei principali misteri della Fede. – È da dolersi poi grandemente che, anche fra i cattolici, si trovino non pochi scrittori i quali, trasgredendo i limiti stabiliti dai Padri e dalla Santa Chiesa stessa, sotto le apparenze di più alta intelligenza e col nome di considerazione storica, cercano un progresso dei dogmi che, in realtà, è la corruzione dei medesimi. – Affinché dunque simili errori, che ogni giorno si spargono tra i fedeli, non mettano radici nelle loro anime e corrompano la sincerità della Fede, piacque al Santissimo Signore Nostro Pio per divina Provvidenza Papa X, che per questo officio della Sacra Romana ed Universale Inquisizione si notassero e si riprovassero quelli fra di essi che sono i precipui. Perciò, dopo istituito diligentissimo esame e avuto il voto dei Reverendi Signori Consultori, gli Eminentissimi e Reverendissimi Signori Cardinali Inquisitori generali nelle cose di fede e di costumi, giudicarono che le seguenti proposizioni sono da riprovarsi e da condannarsi, come si riprovano e si condannano con questo generale Decreto:

1. La legge ecclesiastica che prescrive di sottoporre a previa censura i libri concernenti la Sacra Scrittura non si estende ai cultori della critica o dell’esegesi scientifica dei Libri dell’Antico e del Nuovo Testamento.

2. L’interpretazione che la Chiesa dà dei Libri sacri non è da disprezzare, ma soggiace ad un più accurato giudizio e alla correzione degli esegeti.

3. Dai giudizi e dalle censure ecclesiastiche, emanati contro l’esegesi libera e superiore, si può dedurre che la fede proposta dalla Chiesa contraddice la storia, e che i dogmi cattolici in realtà non si possono accordare con le vere origini della religione cristiana.

4. Il magistero della Chiesa non può determinare il genuino senso delle sacre Scritture nemmeno con definizioni dogmatiche.

5. Siccome nel deposito della fede non sono contenute solamente verità rivelate, in nessun modo spetta alla Chiesa giudicare sulle asserzioni delle discipline umane.

6. Nella definizione delle verità, la Chiesa discente e la Chiesa docente collaborano in tale maniera, che alla Chiesa docente non resta altro che ratificare le comuni opinioni di quella discente.

7. La Chiesa, quando condanna gli errori, non può esigere dai fedeli nessun assenso interno che accetti i giudizi da lei dati.

8. Sono da ritenersi esenti da ogni colpa coloro che non tengono in alcun conto delle riprovazioni espresse dalla Sacra Congregazione dell’Indice e da altre Sacre Congregazioni Romane.

9. Coloro che credono che Dio è l’Autore della Sacra Scrittura sono influenzati da eccessiva ingenuità o da ignoranza.

10. L’ispirazione dei Libri dell’Antico Testamento consiste nel fatto che gli Scrittori israeliti tramandarono le dottrine religiose sotto un certo aspetto particolare in parte conosciuto e in parte sconosciuto ai gentili.

11. L’ispirazione divina non si estende a tutta la Sacra Scrittura al punto che tutte e singole le sue parti siano immuni da ogni errore.

12. L’esegeta, qualora voglia affrontare con utilità gli studi biblici, deve, anzitutto, lasciar cadere quel certo qual preconcetto inerente l’origine sovrannaturale della Sacra Scrittura.

13. Gli stessi Evangelisti e i Cristiani della seconda e terza generazione composero le parabole evangeliche in modo artificioso così da spiegare gli esigui frutti della predicazione di Cristo presso i giudei.

14. Gli Evangelisti riferirono in molte narrazioni non tanto ciò che effettivamente accadde, quanto ciò che essi ritennero maggiormente utile ai lettori, ancorché falso.

15. Gli Evangeli furono soggetti a continue aggiunte e correzioni, fino alla definizione e alla costituzione del canone; in essi, pertanto, della dottrina di Cristo, non rimase che un tenue e incerto vestigio.

16. I racconti d Giovanni non sono propriamente storia, ma mistica contemplazione del Vangelo; i discorsi contenuti nel suo Vangelo sono meditazioni teologiche sul Mistero della Salvezza, destituite di verità storica.

17. Il quarto Evangelo esagerò i miracoli, non solo perché apparissero maggiormente straordinari, ma anche affinché fossero più adatti a significare l’opera e la gloria del Verbo Incarnato.

18. Giovanni rivendica a sé il ruolo di testimone di Cristo; in verità egli non è che un eccellente testimone di vita cristiana, ovvero della vita di Cristo alla fine del primo secolo.

19. Gli esegeti eterodossi espresso più fedelmente il vero senso della Scrittura di quanto non abbiano fatto gli esegeti cattolici.

20. La Rivelazione non poté essere altro che la coscienza acquisita dall’uomo circa la sua relazione con Dio.

21. La Rivelazione, che costituisce l’oggetto della Fede cattolica, non si è conclusa con gli Apostoli.

22. I dogmi, che la Chiesa presenta come rivelati, non sono verità cadute dal cielo, ma l’interpretazione di fatti religiosi, che la mente umana si è data con travaglio.

23. Può esistere, ed esiste in realtà, un’opposizione tra i fatti raccontati dalla Sacra Scrittura ed i dogmi della Chiesa fondati sopra di essi; sicché il critico può rigettare come falsi i fatti che la Chiesa crede certissimi.

24. Non dev’essere condannato l’esegeta che pone le premesse, cui segue che i dogmi sono falsi o dubbi, purché non neghi direttamente i dogmi stessi.

25. L’assenso della Fede si appoggia da ultimo su una congerie di probabilità.

26. I dogmi della Fede debbono essere accettati soltanto secondo il loro senso pratico, cioè come norma precettiva riguardante il comportamento, ma non come norma di Fede.

27. La Sacra Scrittura non prova la Divinità di Gesù Cristo; ma è un dogma che la coscienza cristiana deduce dal concetto di Messia.

28. Gesù, durante il suo Ministero, non parlava per insegnare di essere il Messia, né i suoi miracoli miravano a dimostrarlo.

29. Si può ammettere che il Cristo storico sia molto inferiore al Cristo della Fede.

30. In tutti i testi evangelici, il nome “Figlio di Dio” equivale soltanto a nome “Messia” e non significa assolutamente che Cristo è vero e naturale Figlio di Dio.

31. La dottrina su Cristo, tramandata da Paolo, Giovanni e dai Concili Niceno, Efesino e Calcedonense, non è quella insegnato da Gesù, ma che su Gesù concepì la coscienza cristiana.

32. Non è possibile conciliare il senso naturale dei testi evangelici con quello che i nostri teologi insegnano circa la coscienza e la scienza infallibile di Gesù Cristo.

33. È evidente a chiunque non sia influenzato da opinioni preconcette che Gesù ha professato un errore circa il prossimo avvento messianico, o che la maggior parte della sua dottrina, contenuta negli Evangeli sinottici, è priva di autenticità.

34. Il critico non può affermare che la scienza di Cristo non sia circoscritta da alcun limite, se non ponendo ipotesi – non concepibile storicamente e che ripugna al senso morale – secondo la quale Cristo abbia avuto la conoscenza di Dio in quanto uomo e non abbia voluto in alcun modo darne notizia ai discepoli e alla posterità.

35. Cristo non ebbe sempre la coscienza della sua dignità messianica.

36. La Risurrezione del Salvatore non è propriamente un fatto di ordine storico, ma un fatto di ordine meramente sovrannaturale, non dimostrato né dimostrabile, che la coscienza cristiana lentamente trasse dagli altri.

37. La Fede nella Risurrezione di Cristo inizialmente non fu tanto nel fatto stesso della Risurrezione, quanto nella vita immortale di Cristo presso Dio.

38. La dottrina concernente la Morte espiatrice di Cristo non è evangelica, ma solo paolina.

39. Le opinioni sull’origine dei Sacramenti, di cui erano imbevuti i Padri tridentini, e che senza dubbio ebbero un influsso nei loro Canoni dogmatici, sono molto distanti da quelle cui ora gli storici del Cristianesimo dànno credito.

40. I Sacramenti ebbero origine perché gli Apostoli e i loro successori interpretarono una certa idea e intenzione di Cristo, sotto la persuasione e la spinta di circostanze ed eventi.

41. I Sacramenti hanno come unico fine di ricordare alla mente dell’uomo la presenza sempre benefica del Creatore.

42. La comunità cristiana inventò la necessità del Battesimo, adottandolo come rito necessario e annettendo ad esso gli obblighi della professione cristiana.

43. L’uso di conferire il Battesimo ai bambini fu un’evoluzione disciplinare, ragion per cui il Sacramento è diventato due, cioè il Battesimo e la Penitenza.

44. Nulla prova che il rito del Sacramento della Confermazione sia stato istituito dagli Apostoli; la formale distinzione di due Sacramenti, cioè del Battesimo e della Confermazione, non risale alla storia del cristianesimo primitivo.

45. Non tutto ciò che narra Paolo a proposito dell’istituzione dell’Eucaristia [I Cor., 11, 23-25] è da considerarsi fatto storico.

46. Il concetto della riconciliazione del cristiano peccatore, per autorità della Chiesa, non fu presente nella comunità primitiva: fu la Chiesa ad abituarsi lentamente a questo concetto. Per di più, dopo che la Penitenza fu riconosciuta quale istituzione della Chiesa, non veniva chiamata col nome di Sacramento, poiché era considerata come Sacramento vergognoso.

47. Le parole del Signore “Ricevete lo Spirito Santo; a coloro ai quali rimetterete i peccati saranno rimessi e a coloro ai quali non li rimetterete non saranno rimessi” [Joh., 20, 22-23] non si riferiscono al Sacramento dellaPenitenza, anche se i Padri tridentini vollero affermarlo.

48. Giacomo, nella sua epistola [Jac., 5, 14 sqq.], non volle promulgare un Sacramento di Cristo, ma raccomandare una pia pratica e se in ciò riconobbe un certo qual mezzo di Grazia, non lo intese con quel rigore con cui lo intesero i teologi che stabilirono la nozione e il numero dei Sacramenti.

49. Coloro che erano soliti presiedere alla cena cristiana acquisirono il carattere sacerdotale per il fatto che essa progressivamente andava assumendo l’indole di un’azione liturgica.

50. Gli anziani che, nelle adunanze dei Cristiani, esercitavano l’ufficio di vigilanza, furono dagli Apostoli creati preti o Vescovi per provvedere all’ordinamento necessario delle crescenti comunità, e non propriamente per perpetuare la missione e la potestà Apostolica.

51. Il Matrimonio fu riconosciuto dalla Chiesa come Sacramento della nuova Legge solo molto tardi; infatti, perché il Matrimonio fosse considerato Sacramento, era necessario che lo precedesse la piena dottrina della Grazia e la spiegazione teologica del Sacramento.

52. Cristo non volle costituire la Chiesa come società duratura sulla terra, per lunga successione di secoli; anzi, nella mente di Cristo, il regno del Cielo, unitamente alla fine del mondo, doveva essere prossimo.

53. La costituzione organica della Chiesa non è immutabile; ma la società cristiana, non meno della società umana, va soggetta a continua evoluzione.

54. I dogmi, i sacramenti, la gerarchia, sia nel loro concetto come nella loro realtà, non sono che interpretazioni ed evoluzioni dell’intelligenza cristiana, le quali svilupparono e perfezionarono il piccolo germe latente nel Vangelo con esterne aggiunte.

55. Simon Pietro non ha mai sospettato di aver ricevuto da Cristo il primato nella Chiesa.

56. La Chiesa Romana diventò capo di tutte le Chiese non per disposizione della Divina Provvidenza, ma per circostanze puramente politiche.

57. La Chiesa si mostra ostile ai progressi delle scienze naturali e teologiche.

58. La verità non è immutabile più di quanto non lo sia l’uomo stesso, poiché si evolve con lui, in lui e per mezzo di lui.

59. Cristo non insegnò un determinato insieme di dottrine applicabile a tutti i tempi e a tutti gli uomini, ma piuttosto iniziò un certo qual moto religioso adattato e da adattare a diversi tempi e circostanze.

60. La dottrina cristiana fu, nel suo esordio, giudaica; poi divenne, per successive evoluzioni, prima paolina, poi giovannea, infine ellenica e universale.

61. Si può dire senza paradosso che nessun passo della Scrittura, dal primo capitolo della Genesi fino all’ultimo dell’Apocalisse, contiene una dottrina perfettamente identica a quella che la Chiesa insegna sullo stesso argomento, e perciò nessun capitolo della Scrittura ha lo stesso senso per il critico e per il teologo.

62. Gli articoli principali del Simbolo apostolico non avevano per i cristiani dei primi tempi lo stesso significato che hanno per i cristiani del nostro tempo.

63. La Chiesa si dimostra incapace a tutelare efficacemente l’etica evangelica, perché ostinatamente si attacca a dottrine immutabili, inconciliabili con i progressi odierni.

64. Il progresso delle scienze richiede una riforma del concetto che la dottrina cristiana ha di Dio, della Creazione, della Rivelazione, della Persona del Verbo Incarnato e della Redenzione.

65. Il Cattolicesimo odierno non può essere conciliato con la vera scienza, a meno che non si trasformi in un Cristianesimo non dogmatico, cioè in protestantesimo lato e liberale.

Nella seguente Feria V, il giorno 4 dello stesso mese ed anno, fatta di tutte queste cose accurata relazione al Santissimo Signor Nostro Pio Papa X, Sua Santità approvò e confermò il Decreto degli Eminentissimi Padri e diede ordine che tutte e singole le sopra enumerate proposizioni siano considerate da tutti come riprovate e condannate.

Dato a Roma, presso il Palazzo del Sant’Uffizio, il giorno 3 del mese di Luglio dell’Anno 1907

Pietro Palombelli

Notaro della Sacra Inquisizione Romana ed Universale

SACRORUM ANTISTITUM

Motu proprio

che stabilisce alcune leggi per respingere il pericolo del modernismo

Acta Apostolicae Sedis, AAS 02 [1910], pp. 655-669,


Riteniamo che non sia sfuggito a nessuno dei santi Vescovi, che i modernisti, la maliziosissima categoria d’uomini che avevamo smascherato per loro nella Lettera enciclica Pascendi Dominici Gregis, non si sono astenuti dai propositi di turbare la pace della Chiesa.

Infatti hanno continuato ad adescare nuovi seguaci e a farli associare mediante un’alleanza segreta, e con essi ad inoculare nelle vene del cristianesimo il virus delle loro opinioni, pubblicando, anonimamente o sotto pseudonimi, libri ed articoli.

Se, riletta la summenzionata Nostra Lettera, si considera con più attenzione lo sviluppo di quest’audacia, per mezzo della quale Ci è arrecato tanto dolore, apparirà chiaramente che uomini di tale condotta non sono altro che quelli che abbiamo già descritto là, nemici tanto più temibili quanto più sono vicini; i quali abusano del loro ministero per porre sull’amo un’esca avvelenata con cui corrompere gli sprovveduti, divulgando un’apparenza di dottrina, in cui è contenuta la somma di tutti gli errori.

Dato che questa peste si sparge attraverso quella parte del campo del Signore da cui ci si aspetterebbero i frutti più lieti, se da un lato è proprio di tutti i Vescovi spendersi in difesa della fede cattolica, e vigilare con somma diligenza affinché l’integrità del deposito divino non riceva alcun danno, dall’altro lato a Noi è di massima pertinenza fare ciò che ha comandato Cristo Salvatore, il quale a Pietro (il cui principato, seppur indegnamente, Noi abbiamo ricevuto,) disse: Conferma i tuoi fratelli. Appunto per questa causa, cioè, affinché gli animi dei buoni siano confermati nell’affrontare la presente battaglia, abbiamo ritenuto opportuno riportare delle frasi e delle prescrizioni del Nostro suddetto documento, espresse con queste parole:

A queste cose, che chiaramente confermiamo tutte, pena un peso sulla coscienza per coloro che avranno rifiutato di ascoltare quanto detto, ne aggiungiamo altre, che sono specificamente riferite agli aspiranti sacerdoti che vivono nei Seminari e ai novizi degli istituti religiosi.

– Nei Seminari certamente occorre che tutte le parti dell’istituzione tendano al medesimo fine di formare un sacerdote degno di tale nome. Ed infatti non si può ritenere che simili tirocini si estendano solamente o agli studi o alla pietà. L’ammaestramento fonde in un tutto unico entrambi gli aspetti, ed essi sono simili a palestre finalizzate a formare la sacra milizia di Cristo con una preparazione duratura. Dunque affinché da essi esca un esercito ottimamente istruito, sono assolutamente necessarie due cose, la cultura per l’istruzione della mente, la virtù per la perfezione dell’anima. L’una richiede che la gioventù che si prepara al sacerdozio sia massimamente istruita in quelle scienze che hanno un legame più stretto con gli studi delle cose divine; l’altra esige una straordinaria eccellenza di virtù e di costanza. Vedano dunque i rettori quale aspettativa di disciplina e di pietà si possa nutrire riguardo agli allievi, e scrutino quale sia l’indole dei singoli; se seguono il loro istinto più giusto o se sembrano abbracciare delle disposizioni di spirito profane; se sono docili nell’obbedire, inclini alla pietà, umili, osservanti della disciplina; se aspirano alla dignità di sacerdote perché si sono prefissati il giusto obiettivo, o perché spinti da ragioni umane; se, infine, sono adeguatamente ricchi di santità di vita e di cultura; o se, mancando loro qualcosa di queste, si sforzano almeno di acquisirla con animo sincero e pronto. Né l’indagine presenta troppa difficoltà; giacché i doveri religiosi compiuti lamentandosi, e la disciplina osservata a causa del timore e non della voce della coscienza, rivelano immediatamente la mancanza delle virtù che ho elencato. Colui che tiene come principio il timore servile, o si infiacchisce per debolezza di carattere o disprezzo, è quanto mai lontano dalla speranza di poter esercitare santamente il sacerdozio. Infatti difficilmente si può credere che uno che disprezza le discipline domestiche non verrà poi meno alle leggi pubbliche della Chiesa. Se il rettore della scuola avrà individuato qualcuno con questa disposizione d’animo, e se, dopo averlo ammonito più volte, fatta una prova di un anno, avrà capito che quello non desiste dalla sua consuetudine, lo espella, in modo tale che in futuro non possa più essere accettato né da lui né da alcun Vescovo.

Dunque per promuovere i chierici si richiedano assolutamente queste due; l’onestà di vita unita alla sana dottrina: E non sfugga che quei precetti e moniti coi quali i Vescovi si rivolgono a coloro che stanno per ricevere gli ordini sacri, sono rivolti a questi non meno che a coloro che vi aspirano, allorché viene detto: “Si deve fare in modo che quelli scelti per tale compito siano illustri per saggezza spirituale, onestà di costumi e costante rispetto della giustizia … Siano onesti e assennati tanto nella scienza quanto nelle opere … splenda in essi la bellezza della santità nella sua interezza“.

E certamente dell’onestà di vita si sarebbe detto abbastanza, se questa potesse con poco sforzo essere separata dalla cultura e dalle opinioni, che ciascuno si sarà riservato di sostenere. Ma, come è nel Libro dei Proverbi: L’uomo è stimato secondo la sua cultura (Prov. XII, 8)e come insegna l’Apostolo: Chi… non rimane nella dottrina di Cristo, non possiede Dio (II Giov., 9). Quanto impegno sia da dedicare alle molte e varie cose da imparare bene, lo insegna persino la stessa pretesa dell’epoca attuale, la quale proclama che niente è più glorioso della luce dell’umanità che progredisce. Dunque quanti sono nelle file del clero, se vogliono dedicarsi al loro compito conformemente ai tempi;con frutto esortare gli altri nella sana dottrina e convincere quelli che la contraddicono (Tito, I,9); applicare le risorse dell’ingegno a vantaggio della Chiesa, devono necessariamente raggiungere una conoscenza delle cose tutt’altro che di basso livello, e avvicinarsi all’eccellenza nella cultura. Infatti c’è da lottare con nemici tutt’altro che inesperti, i quali aggiungono ai buoni studi un sapere spesso intessuto di trabocchetti, e le cui sentenze belle e vibranti sono proposte con grande abbondanza e rimbombo di parole, affinché in esse sembri risuonare quasi un qualcosa di esotico. Perciò bisogna predisporre opportunamente le armi, cioè, preparare abbondante foraggio di cultura per tutti coloro che, nella vita ritirata della scuola, si stanno accingendo ad assumere incarichi santissimi e difficilissimi.

E’ vero che, poiché la vita dell’uomo è circoscritta da limiti tali per cui da un fonte ricchissimo di conoscenze a stento è dato di assaggiare qualcosa a fior di labbra, bisogna anche temperare la sete di apprendimento e rammentare l’affermazione di Paolo: non è pio sapere tutto quanto necessita sapere, ma sapere in giusta misura (Rom. XII,3). Per cui, dato che ai chierici già sono imposti molti e pesanti studi, sia per quanto riguarda le sacre scritture, i fondamenti della Fede, le consuetudini, la conoscenza delle devozioni e delle celebrazioni, che vanno sotto il nome di ascetica, sia per quanto riguarda la storia della Chiesa, il diritto canonico, la sacra eloquenza; affinché i giovani non perdano tempo nel seguire altre questioni e non vengano distratti dallo studio principale, vietiamo del tutto a costoro la lettura di qualsiasi quotidiano e periodico, anche se ottimo, pena un onere sulla coscienza di quei rettori che non avranno vigilato scrupolosamente per impedirlo.

Inoltre per allontanare il sospetto che qualsiasi modernismo si introduca di nascosto, non solo vogliamo che siano assolutamente rispettate le cose prescritte sopra al n° II, ma comandiamo inoltre che ogni singolo insegnante, prima di cominciare le lezioni all’inizio dell’anno, mostri al suo Vescovo il testo che si propone di insegnare, o le questioni che tratterà, oppure le tesi; quindi che per quell’anno stesso sia tenuto sotto osservazione il metodo d’insegnamento di ciascuno; e se questo sembrerà allontanarsi dalla sana dottrina, sarà causa sufficiente per rimuovere quell’insegnante. Ed infine, che, oltre alla professione di fede, presti giuramento al suo Vescovo, secondo la formula sotto riportata, e firmi.

Questo giuramento, preceduto da una professione di fede nella formula prescritta dal Nostro Predecessore Pio IV, con allegate le definizioni del Concilio Vaticano, lo presteranno dunque davanti al loro Vescovo:

I. I chierici che stanno per ricevere gli ordini maggiori; ad essi singolarmente sia previamente consegnato un esemplare sia della professione di fede, sia della formula del giuramento da emettere, in modo che le conoscano in anticipo accuratamente, essendovi una sanzione, come si vedrà sotto, in caso di violazione del giuramento.

II. I sacerdoti destinati a raccogliere le confessioni, e i sacri predicatori, prima che sia loro concessa facoltà di svolgere tali compiti.

III. I Parroci, i Canonici, i Beneficiari prima di entrare in possesso del beneficio.

IV. Gli ufficiali nelle curie episcopali e nei tribunali ecclesiastici, inclusi il Vicario generale e i giudici.

V. Gli addetti ai sermoni che si tengono nei tempi quaresimali.

VI. Tutti gli ufficiali nelle Congregazioni Romane o nei tribunali, in presenza del Cardinale Prefetto o del Segretario di quella Congregazione o di quel tribunale.

VII. I Superiori e i Docenti delle Famiglie e Congregazioni religiose, prima di assumere l’incarico.

I documenti della professione di fede, di cui abbiamo detto, e dell’avvenuto giuramento siano conservati in appositi registri presso le Curie episcopali, e parimenti presso gli uffici di ciascuna Congregazione Romana. Se poi qualcuno osasse, Dio non voglia, violare qualche giuramento, costui sia deferito al tribunale del Sant’Uffizio.

FORMULA DEL GIURAMENTO

Io … fermamente accetto e credo in tutte e in ciascuna delle verità definite, affermate e dichiarate dal Magistero infallibile della Chiesa, soprattutto quei principi dottrinali che contraddicono direttamente gli errori del tempo presente.

Primo: credo che Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza e può anche essere dimostrato con i lumi della ragione naturale nelle opere da lui compiute (cf Rm 1,20), cioè nelle creature visibili, come causa dai suoi effetti.

Secondo: ammetto e riconosco le prove esteriori della rivelazione, cioè gli interventi divini, e soprattutto i miracoli e le profezie, come segni certissimi dell’origine soprannaturale della religione cristiana, e li ritengo perfettamente adatti a tutti gli uomini di tutti i tempi, compreso quello in cui viviamo.

Terzo: con la stessa fede incrollabile credo che la Chiesa, custode e maestra del verbo rivelato, è stata istituita immediatamente e direttamente da Cristo stesso vero e storico mentre viveva fra noi, e che è stata edificata su Pietro, capo della gerarchia ecclesiastica, e sui suoi successori attraverso i secoli.

Quarto: accolgo sinceramente la dottrina della fede trasmessa a noi dagli apostoli tramite i padri ortodossi, sempre con lo stesso senso e uguale contenuto, e respingo del tutto la fantasiosa eresia dell’evoluzione dei dogmi da un significato all’altro, diverso da quello che prima la Chiesa professava; condanno similmente ogni errore che pretende sostituire il deposito divino, affidato da Cristo alla Chiesa perché lo custodisse fedelmente, con una ipotesi filosofica o una creazione della coscienza che si è andata lentamente formando mediante sforzi umani e continua a perfezionarsi con un progresso indefinito.

Quinto: sono assolutamente convinto e sinceramente dichiaro che la fede non è un cieco sentimento religioso che emerge dall’oscurità del subcosciente per impulso del cuore e inclinazione della volontà moralmente educata, ma un vero assenso dell’intelletto a una verità ricevuta dal di fuori con la predicazione, per il quale, fiduciosi nella sua autorità supremamente verace, noi crediamo tutto quello che il Dio personale, creatore e signore nostro, ha detto, attestato e rivelato.

Mi sottometto anche con il dovuto rispetto e di tutto cuore aderisco a tutte le condanne, dichiarazioni e prescrizioni dell’enciclica Pascendi e del decreto Lamentabili, particolarmente circa la cosiddetta storia dei dogmi.

Riprovo altresì l’errore di chi sostiene che la fede proposta dalla Chiesa può essere contraria alla storia, e che i dogmi cattolici, nel senso che oggi viene loro attribuito, sono inconciliabili con le reali origini della religione cristiana.

Disapprovo pure e respingo l’opinione di chi pensa che l’uomo cristiano più istruito si riveste della doppia personalità del credente e dello storico, come se allo storico fosse lecito difendere tesi che contraddicono alla fede del credente o fissare delle premesse dalle quali si conclude che i dogmi sono falsi o dubbi, purché non siano positivamente negati.

Condanno parimenti quel sistema di giudicare e di interpretare la sacra Scrittura che, disdegnando la tradizione della Chiesa, l’analogia della fede e le norme della Sede apostolica, ricorre al metodo dei razionalisti e con non minore disinvoltura che audacia applica la critica testuale come regola unica e suprema.

Rifiuto inoltre la sentenza di chi ritiene che l’insegnamento di discipline storico-teologiche o chi ne tratta per iscritto deve inizialmente prescindere da ogni idea preconcetta sia sull’origine soprannaturale della tradizione cattolica sia dell’aiuto promesso da Dio per la perenne salvaguardia delle singole verità rivelate, e poi interpretare i testi patristici solo su basi scientifiche, estromettendo ogni autorità religiosa e con la stessa autonomia critica ammessa per l’esame di qualsiasi altro documento profano.

Mi dichiaro infine del tutto estraneo ad ogni errore dei modernisti, secondo cui nella sacra tradizione non c’è niente di divino o peggio ancora lo ammettono ma in senso panteistico, riducendolo ad un evento puro e semplice analogo a quelli ricorrenti nella storia, per cui gli uomini con il proprio impegno, l’abilità e l’ingegno prolungano nelle età posteriori la scuola inaugurata da Cristo e dagli apostoli.

Mantengo pertanto e fino all’ultimo respiro manterrò la fede dei padri nel carisma certo della verità, che è stato, è e sempre sarà nella successione dell’episcopato agli Apostoli (S. Ireneo, Adversus hæreses, 4, 26, 2: PG 7, 1053), non perché si assuma quel che sembra migliore e più consono alla cultura propria e particolare di ogni epoca, ma perché la verità assoluta e immutabile predicata in principio dagli apostoli non sia mai creduta in modo diverso né in altro modo intesa (Tertulliano, De præscriptione hæreticorum, 28: PL 2, 40).

Mi impegno ad osservare tutto questo fedelmente, integralmente e sinceramente e di custodirlo inviolabilmente senza mai discostarmene né nell’insegnamento né in nessun genere di discorsi o di scritti. Così prometto, così giuro, così mi aiutino Dio e questi santi Vangeli di Dio.