LO SCUDO DELLA FEDE (118)

Paolo SEGNERI S. J.:

L’INCREDULO SENZA SCUSA

Tipogr. e libr. Salesiana, TORINO, 1884

PARTE PRIMA

CAPO XXX.

Che non si può negare l’immortalità, dell’anima umana, senza accusare la natura dì stolta.

I. L’arte del giardiniere non consiste nel fornire il terreno di quelle piante che son più elette; consiste in fornirlo di quelle che son più atte ad appigliarsi nel suolo a lui dato in cura. Non vi nego io però, che le ragioni fisiche dianzi addotte non sieno di natura loro le più gagliarde a manifestare, che l’anima non perisca insieme col corpo: ma perché la mente di molti non n’è capace, giusto è ricorrere ad altre, che forse più facilmente vi alligneranno: e tali son le morali. Eccomi pertanto a provar tre proposizioni, che bene intese guadagneranno la causa, se l’anima non fosse immortale, la natura sarebbe stolta; la virtù sarebbe vizio; il vizio sarebbe virtù.

Vada alle altre innanzi la prima.

I.

II. Due insanie distinguono i più intendenti (Ibid.). L’una, che si oppone alla mansuetudine, ed è crudele: l’altra, che si oppone alla ragione, ed è sciocca: ed ambedue queste insanie dovrebbonsi confessare nella natura, se ella avesse soggettata l’anima umana a leggi di tempo.

III. Sarebbe in prima stata ella verso dell’uomo insanamente spietata. Conciossiachè, se l’uomo morendo morisse tutto, ne seguirebbe, che egli solo fra tutti gli altri viventi

fosse un lavoro imperfetto, e si rimanesse quasi una bozza, bella al certo, ma difettosa; né mai fosse un’opra condotta a fine. Considerate i più sordidi animaluzzi: quei che appena distinguonsi da quel fango, onde sono schiusi, quei, dico, stessi furono pur tanto amati dalla natura, che non volle questa in cuor loro accendere alcuna brama, benché lievissima, senza dare loro anche il modo di soddisfarla. Ma forse avrebbe verso l’uomo osservato nel caso nostro un riguardo simile? Tutto il contrario: perché anzi lo avrebbe formato in guisa, che non potesse mai sperare di giungere dove aspira con ardor sommo.

IV. La capacità dell’intendimento umano è sì vasta, che a riempirla non sono bastevoli tutte le cose che sono, mentre vi sopravanza luogo quasi infinito alla cognizione di quelle ancor che non sono, ma posson essere. E la sfera del volere umano è sì ampia, che non basterebbero a renderla giammai paga neppure quegli innumerabili mondi, a cui sospirava Alessandro, quando ben tutti avessero un esser vero, e non puramente fantastico nel cervello di un delirante. Ora, se l’uomo morendo, morisse tutto, quando mai verrebbe a saziarsi in lui questa fame sì prodigiosa di tutto il vero, non ancora a lui noto, e di tutto il buono? Sicuramente non potrebbe essere ciò nella vita presente, dove egli non possiede né tempo, né mezzi, né modo, né forze a tanto. Adunque converrebbe , che in lui si venisse a trovare questo gran vacuo, sì abborrito per altro dalla natura, e che si vedesse un appetito veemente non solamente non pago, ma inappagabile, contra il costume onninamente serbato dalla medesima ne’ suoi parti, di non farvi mai nulla invano.

V. Più beneficati dunque sarebbero in tale evento quelli i quali mai non uscissero a veder luce: o se non tanto, più fortunate sarebbero almen le bestie, cui non s’intorbida giammai punto il sereno del ben presente dalla sollecitudine del futuro, non ancor posseduto, né giammai dal rammarico del trascorso: non le punge l’invidia dell’altrui sorte, non le stimola l’ambizione, non le strugge l’avarizia; ma contente del loro stato, passano i dì quietamente, provvedute le più con piccolo studio di quanto si ricerca ad alimentarle.

VI. Che se pure anche alle bestie convien morire, quanto è per loro meno amaro un tal calice: mentre lo bevono, per così dire, ad un fiato, senza averlo prima dovuto quasi ricevere a sorso a sorso nel pensier della loro mortalità: e mentre ancora lo bevono, dopo aver bene spesso gustato della vita più lungamente che non fa l’uomo! L’uomo vive poco: e in quel poco è comunemente soggetto a mille cure angosciose, a timori, a tedi, a gelosie, a pentimenti, a pianti, a querele; incontentabile nei prosperi avvenimenti, inconsolabile negli avversi: sempre al giogo di quella servitù, che ugualmente è propria della bassa fortuna e della eminente. In ogni caso le fraudi, i fallimenti, le morti de’ più congiunti, le calunnie, i contrasti, le liti, le infamie, le insolenze, le soverchierie che ricevonsi dai potenti, le necessità di vestirsi, di trafficare di trattare, di spendere, son tutti aggravi, de’ quali, quanto è più caricata la vita umana, tanto è più sgombra la vita universale de’ bruti. Onde, se l’uomo sortisse in fine una morte, qual e la loro, non. vi sarebbe tra’ viventi verun di lui più misero, mentre essendo egli per altro superiore d’infiniti gradì nel conoscimento a quello de’ bruti, conviene, a soddisfarsi, che egli abbia pascoli infinitamente ancora più sostanziosi e più soprabbondanti di tutti i loro.

VII. Oltre a che, quel medesimo vivere così corto che gli è prescritto dalla natura, come potrebbe salvare da crudeltà cosi strana madre? Excellens in arte non debet mori, gridavan da per tutto le leggi (L. ad Best. ff. de pœn.). Però, se la natura ha queste leggi dettate ai legislatori, come ella nelle sue opere le disprezza? anzi non le disprezza no , ma le adempie fedelissimamente con tutte l’altre sostanze, fuorché coll’uomo? Veggiamo pure, che tra le sostanze inanimate, quelle che son le più nobili, sono esenti da corruzione, come i cieli, i pianeti, le stelle. E perché dunque tra le viventi non va così, ma invece di vedere l’anima umana adorna di sì bella prerogativa, vederla, non pur morire, ma morir tosto, sicché talora dalla culla alla tomba non sia per lei quasi altro che un breve passo? Non vi pare una cosa stravagantissima, che potendo la natura esentare dalla falce del tempo la miglior parte dell’uomo, ve la sottoponesse sì crudamente, che si dovesse da noi portare invidia ai corvi, alle cornacchie, ed ai cervi del loro lungo durare sopra la terra, e fino alle serpi del loro ringiovanirsi? Io so che ad un uomo grande (Card. Sforza Pallavicini) facea gran forza a tenere per evidente l’immortalità dell’anima umana, mirar quanti erano quei che morivano in fasce.

VIII. Aggiungete, che la natura, non solamente sarebbe stata crudele con tutti gli uomini, se avesse fatte mortali l’anime nostre, ma crudele anche più coi più virtuosi. Quanto l’uomo è più scienziato e più saggio, tanto più conosce egli il pregio dei beni eterni, e più vi sospira, come a sua limpida fonte. Qual dubbio dunque, che tanto più dovrebbe allora egli vivere sempre afflitto, veggendosi ad ora ad ora cader sul capo quella spada fatale, che invece de’ beni eterni, gli ha da recare un sempiterno esterminio?

IX. Anzi da ciò seguirebbe, che crescendo ne’ buoni ogni giorno il merito di vivere lungamente per la loro virtù, e diminuendosi dall’altro canto la vita, verrebbesi dunque sempre a diminuire quel capitale di premio che loro avanza: onde non solamente dovrebbero militare, già veterani, alle spese proprie, senza speranza più di retribuzione, ma vi dovrebbero rimettere ancora tanto, che mai non divenissero più infelici, che quando avessero già finito di vincere: mercecchè per trionfo darebbesj allor ad essi il gastigo sommo, che è il rimanere privi in eterno di ogni essere, tuttoché tanto bene speso.

X. Per lo contrario, se la natura usasse con alcun uomo, in tale presupposizione di cose, alcuna pietà, guardate a chi l’userebbe: l’userebbe solo cogli empi.

XI. E non è pietà grande a un reo condannato, ingannarlo tanto, che non si accorga diavvicinarsi al patibolo? Questa pietà usa la natura co’ bruti, a cui, come non discuopre alcun bene eterno, per l’incapacità la qual hanno di conseguirlo, così tien loro ascosto l’eterno disfacimento, per non affliggere coll’aspettazione del mal futuro chi non può godere altro bene che il ben presente. Ora, una pietà somigliante verrebbe la natura ad usar cogli empi, cioè con quei che, benché uomini, menano vita da bruti: perché, quantunque non asconderebbe loro del tutto l’ultimo fato, né anche molto con esso gli inquieterebbe, mentre eglino, inebriati da’ loro piaceri, si studiano di tener lontano da sé qualsisia, benché lieve, pensier di morte: vittime, è vero, destinate al macello, ma vittime ben pasciute per ogni prato di trastullo corporeo. Così la prudenza e la pietà sarebbero allora i carnefici più crudeli dell’uman genere, e l’inconsiderazione e l’intemperanza sarebbero i suoi maggiori benefattori: onde pur troppo in tal caso si avvererebbero quei sentimenti di Plinio così stravolti, di riconoscere la natura cogli uomini per matrigna più che per madre, mentre ne’ migliori di loro avrebb’egli infuso, più che in altri, un intimo desiderio di beni eterni, quando al tempo stesso voleva, che fosse loro impossibile il conseguirli.

II.

XII. Senonchè con questo io sono disceso parimente a mostrare nella natura l’altra maniera d’insania, la quale, come sciocca, opponendosi alla ragione, consiste singolarmente in non sapere adattare ad un fine degno i mezzi proporzionati. La natura vuole in primo luogo, che l’uomo sia virtuoso, cioè, che egli serbi nel vivere quelle leggi ch’ella gli ha scolpite nel cuore. Ma quali mezzi avrebbe ella adoperati nel caso nostro a conseguir tanto fine? Mezzi impropri ed inefficaci: mentre la malvagità appena avrebbe di che temere, e la bontà di che consolarsi.

XIII. Io so, che il vizio è pena di se medesimo, per lo tormento che dà la mala coscienza: Prima est hæc ultio, quod, se indice, nemo nocem absoìvitur (Iuvenal.). E così pure premio di se medesima è la virtù, per la tranquillità della mente che reca seco. Ma ciò non può essere né tutto il premio delle operazioni rette, né tutto il castigo delle malvagie. Convenne per necessità, che la maggior parte del bene e del male meritato si riserbasse al tempo futuro, come dimostrano ad evidenza que’ due notabili affetti, la speranza e il timore: la speranza propria de’ buoni, e il timor degli empi (Suar. de an. 1. I c. 10. n. 30).

XIV. È per verità, chi non vede, che il buon governo così ricerca? L’agitamento della mala coscienza non è propriamente pena di essa, è natura. La pena convien che sia qualche male distinto dal male innato, che sempre è nella colpa. Altrimenti, che savio legislatore sarebbe mai quello il quale non stabilisse altro supplizio più terribile ai ladri, agli adulteri, agli assassini, di quel che porta nel loro cuore il rubare, l’adulterare, l’assassinare? I più perversi fra i ribaldi sarebbero i men puniti. E dovremo noi figurarci nella natura quella politica insana che non si tollererebbe in un infimo governante? Anzi dobbiamo confessare, che agli empi riserbi questa una pena, non solo contraddistinta da’ loro eccessi, ma ancor perpetua: conciossiaehè tutto quel male che finisce col tempo, può disprezzarsi, senza imprudenza notabile, come quello che non è male assolutamente, ma è male con eccezione, cioè male a tempo: onde l’uomo non sarebbe stato dalla natura intimorito bastantemente a fuggire i vizi, se non dovesse mai temerne altra multa di quella che può ricevere nella sua vita breve sopra la terra. Quid potest grande esse, quod habet finem? dice un Girolamo (In Ps. 89).

XV. Il somigliarne dite altresì del premio dovuto sempre alle opere virtuose: massimamente che la natura. come ricchissima, non poteva essere men cortese di quello che tra noi sieno i principi dominanti. i quali, con tutta la miseria del loro erario, propongono giornalmente ai popoli loro ricompense distinte da quel bene che porta seco il vivere onesto. Anzi conveniva, che la natura procedesse in ciò maggiormente da pari sua, non assegnando premi corti e caduchi, come fanno i principi nostri, ma premi eterni: altrimenti non avrebbe ella a sufficienza allettato il genere umano a calcare animosamente i sentieri spinosi dell’onestà, a fronte ancora di tutti quei prati ameni, da cui lo lusinga a sé la dissolutezza.

XVI. Tanto più che il genere umano, pur ora detto, per altre ragioni ancora non si può reggere senza questa persuasione, che l’anima sia immortale. Questa credenza, che nacque al nascere del mondo, è stata sempre comune a tutte le genti, come argomentò Cicerone (1. Tusc.) dall’alta stima che tutte le genti fecero de’ sepolcri, nulla stimabili, se dopo morte nessuno v’è, né può esservi, che li curi. Che se qualche ingegno stravolto ha tentato di ripugnare al sentimento concorde di tutti i popoli come già fece Epicuro, è stato giudicato un bruto che parli. Ond’è, che contra Epicuro si sollevarono a gara tanti migliori filosofi d’alto grido (Cic. de senect. I. ult.). Ora quale stoltezza maggiore potrebbe figurarsi nella natura, che l’aver lei scritto di sua mano in tutti i cuori un errore di tanto peso, quale sarebbe questo, se fosse errore, che l’anime ragionevoli siano eterne?

XVII. Direte forse, che il buon governo degli uomini così porta: che questi si persuadano di esser tutti immortali nella miglior parte di sé. Sia come dite. Ma se il buon governo degli uomini porta che si persuadano di esser tali, dunque porta ancora che siano. La natura non ha da reggere l’universo per via d’inganni. E qual ragione aveva ella di non far gli uomini quali era meglio che fossero? Miriamo che ella non ha mancato a veruno degli animali in ciò che era necessario a viver da bestie corrispondenti alle spezie loro: e come dunque avrà ella mancato agli uomini in ciò che è necessario a vivere da sensati?

XVIII. E tuttavia quanto si è divisato fin qui, riguarda solamente il bene dell’uomo. Rimane quello che riguarda anche il bene, se pur vogliamo intitolarlo così, della natura medesima.

XIX. E per qual cagione formò già ella questo mondo sì bello, con tanta varietà di lavori, i più artifiziosi che possano immaginarsi? Non lo formò per fare in esso campeggiare la gloria della sua sapienza inaudita? Ora quali hanno ad essere quegli spettatori che lo vagheggino? Non già i bruti, perché non sono abili a tanto. Hanno ad esser gli uomini. Ma dite a me: Come mai potrebbero gli uomini ciò eseguire, se durassero solo quel poco tratto che albergano in su la terra? Nella loro vita mortale è sì leggera la cognizione che hanno essi di quanto per loro fece il loro Creatore, e sì ristretta e sì rozza e sì grossolana, che appena trapassa la superficie, dirò così, delle cose, senza penetrar sino all’intimo, dove è il meglio. Conviene adunque, che tal contezza riservisi ad altro tempo. Altrimenti questa manifattura dell’universo potrebbe quasi dirsi un lavoro gettato, mentre essa, da chi si deve, non sarebbe mai conosciuta perfettamente. E quale dipintor giudizioso sarebbe quello il quale formasse un quadro di beltà somma, in grazia d’una chiesa, o di una città, e di poi glielo desso con legge tale che non si dovesse finir giammai di rimoverne quella tela che lo ricopre? Eppure non altrimenti avrebbe la natura operato nel caso nostro.

XX. Né state a dirmi, che bastavano gli angeli a vagheggiare sì degna tavola non velabile agli occhi loro. Prima, perché gli Angeli non hanno punto bisogno di argomentare da questo mondo corporeo la vasta mente di quell’artefice sommo che lo formò: la sanno in sé molto bene conoscere da se stessi. Poi, perché questo mondo corporeo di cui si parla, non fu prodotto in grazia di alcun di loro: fu prodotto in grazia’ dell’uomo, il qual, siccome da tante opere belle, soggette a’ sensi, doveva sicuramente ricevere il maggior prò, così era giusto, che con modo ancora speziale le conoscesse, affine di potere indi rendere al fattor d’esse quell’omaggio di lodi e di ammirazione, di amore e di gradimento, che gli doveva per un dono tanto magnifico.

XXI. Non è almen certo, troppo essere conveniente, che l’uomo conosca sé, le sue potenze, le sue passioni, i suoi atti, e quanto in sé racchiude di più stimabile, per tenersi da quel ch’egli è? Ma dov’è che qui possa farlo bastantemente? Lascio dunque a voi giudicare, se sia probabile, che in grazia dell’uomo, sia stato fabbricato, oltre al mondo grande, pieno di tanto creature, anche il mondo piccolo, cioè l’uomo stesso, colmo di tante eccellenze; e poi non abbia l’uomo a finir mai di conoscere tutto ciò che per lui è fatto, ma dopo una occhiata datagli di passaggio, abbia da mancare, e da mancare per sempre, senza avere intesa di tante cose, che pur a lui si appartengono, una millesima parte, e questa parte stessa, più indovinando ancora, che argomentando, e più sognandola, dirò così, che sapendola. Tanto apparato di fiumi, di mari, di monti, di animali e di cieli sì riguardevoli; un corpo umano, organizzato con immenso artifizio: un’anima dotata di tanti pregi, che è uno stupore a pensarvi anche grossamente; per nulla più che per un vivere corto, che appena si sa discernere dal perire? Folle dunque natura, che intende un fine dell’anima ragionevole, e poi non le dà neppur agio da conseguirlo! Ma folle al certo la natura non è: folle è chi la finge tale, negando all’anima l’immortalità, tanto propria di ogni sostanza intellettuale.

XXII. Concludiamo dunque così. Se nella natura non si può fingere insania di alcuna razza, né insania di crudeltà, né insania di balordaggine; conviene adunque che tali abbia fatti gli uomini, quali doveva farli una formatrice pietosa insieme e prudente nel suo operare, cioè capaci di una vita anche eterna

SACRO CUORE DI GESÙ (32): IL SACRO CUORE DI GESÙ E LA SUA MORTE

[A. Carmignola: Il sacro Cuore di Gesù; S. E. I. Torino, 1929]

DISCORSO XXXII.

Il Sacro Cuore di Gesù e la sua morte.

Vi ha una specie di morte, che il mondo grandemente ammira e per la quale non di raro nutre sentimenti di invidia: è la morte dell’eroe. Oh sì! il soldato, che ha compreso il gran dovere di esporre, se è necessario, la propria vita per la salvezza della patria, il soldato che nel dì della battaglia, nel furor della mischia, dopo di avere strenuamente combattuto, atterrando un gran numero di nemici, alfine cade ancor egli colpito da una palla improvvisa è un eroe, che muore di una morte degna di ammirazione e di gloria. Tuttavia vi ha un’altra specie di morte, che le Sacre Scritture apprezzano anche maggiormente e dichiarano preziosa, non già al cospetto del mondo soltanto, ma al cospetto dello stesso Dio: è la morte dei santi Pretiosa in conspectu Domini mors Sanctorum eius. (Ps. CXV) E ben a ragione! Perciocché la morte dei santi non è solamente un atto isolato di eroismo, ispirato dall’amore della patria terrena, ma è il coronamento finale di una serie lunghissima di atti eroici, compiuti nell’esercizio delle più eroiche virtù, ed inspirato dall’amore stesso di Dio e della patria celeste. Ma pure nella storia del mondo vi ha una morte, infinitamente superiore, non solo a quella degli eroi, ma anche a quella dei santi, ed è la morte di un Dio. Sì o miei cari, se tutte le morti degli uomini, per quanto belle e preziose, rivelano l’umanità, la morte di Gesù Cristo rivela la divinità; la rivela nella sua sapienza, e nella sua potenza, giacché è solo la sapienza di un Dio che poteva scegliere una morte così ignominiosa, ed è solo la sua potenza che poteva accompagnarla con tanti e sì strepitosi miracoli: ma la rivela soprattutto nella sua carità, perché è solamente l’amore di un Dio per gli uomini, che poteva spingere Gesù Cristo a sacrificarsi in tal guisa per essi. Amore, amore di Dio per l’uomo, ecco il carattere supremo, che manifesta la morte di Gesù Cristo morte di un Dio, e che la pone al disopra delle morti anche più sublimi e più ammirande di tutti gli eroi e di tutti i santi: Christus dilexit nos et tradidit semetipsum prò nobis! Che anzi essendo giunto ormai per Gesù Cristo quel tempo funestissimo, che Egli aveva chiamato « l’ora sua » e stando per consumare del tutto il grande mistero della sua umiliazione, come lo chiama S. Paolo, quando dice che « Gesù Cristo si è umiliato sino alla morte e morte di croce; » la sua carità infinita per noi si dava a conoscere nella sua massima vivezza, nella sua estrema tenerezza, nella sua somma ed immensa generosità: Cum dilexisset suos, in finem, dilexit eos. E d in vero se, come già abbiamo considerato ieri, Gesù Cristo, confitto sopra della croce, in mezzo a due ladroni, attorniato da un popolaccio, che lo insulta e lo bestemmia, affogato in un mar di tormenti, dimentica del tutto se stesso per non pensare che a noi e darci prove supreme del suo amore; e in quelle tre sue parole, che abbiamo ricordate, egli ha implorato perdono per i poveri peccatori, ha assicurato il paradiso ai veri penitenti ed ha animato tutti a non mai abbandonarlo, nelle tre ultime parole che ha pronunziato prima di esalare l’ultimo respiro, e che considereremo oggi, Egli mostrando una sete ardente della nostra salute, ci ha animati a compierne la grande opera.

I. — Sembrava che ornai al Divin Redentore e Maestro più nulla rimanesse a dire, più nulla a fare per noi. Già ci aveva assicurato il perdono dei nostri peccati, ci avea promesso il paradiso, ci aveva donata per madre la sua Madre istessa Maria e ci aveva animati a non mai abbandonarlo: che altro dunque gli restava a dire? che altro gli restava a fare? Lo stesso S. Giovanni osserva, che Gesù Cristo dopo di avere pronunziate le sue prime quattro parole vide che tutte le profezie a suo riguardo erano state compiute; Sciens Iesus quia omnia consummata sunt. (Io. XXI, 28) Tuttavia intorno alla sua morte vi era ancora una piccola circostanza, che i profeti pur avevan predetto e che ancora non si era compiuta; la circostanza cioè che egli avrebbe avuto sete e che allora lo avrebbero abbeverato di aceto: In siti mea potaverunt me aceto. (Ps. LXVIII) E nemmeno questa circostanza, per quanto possa parere da poco, doveva lasciare di avverarsi; anche qui la divina Scrittura doveva avere il suo compimento: Ut consummaretur Scriptum. (Io. XIX, 28) E lo ebbe. Il benedetto Gesù, condotto da questo a quel tribunale, orribilmente flagellato, coronato di spine, obbligato a portare sopra le sue spalle la croce, e sopra di essa inchiodato, si trovava mai colle vene vuote di sangue, sommamente affaticato e con un’arsura sì terribile, che secondo la profezia, il suo vigore era inaridito come un vaso di creta esposto al fuoco, e la sua lingua stava attaccata alle fauci: Aruit tamquam testa virtus mea, adhæsit lingua mea faucibus meis. (Ps. XXI) Chi può dunque immaginare la sete che aveva il divin Redentore ed il travaglio acerbissimo che perciò ne provava? Lo spasimo della sete è senza dubbio uno dei più crudeli tormenti, a cui possa essere assoggettata la nostra natura. La povera Agar vedendo che ella e il suo Ismaele stavano per venir meno dalla sete, dava nelle smanie più affannose. Sansone, dopo di aver ucciso mille Filistei, travagliato dalla sete gridava: Io muoio, io muoio. Un intero esercito, come narra Quinto Curzio, anziché sopportare più a lungo le agonie della sete; preferì di bere nel deserto delle acque avvelenate dal nemico e morire. Il ricco Epulone, sepolto nell’inferno, secondo la divina parabola, non d’altra cosa supplicava il padre Abramo che di mandare laggiù Lazzaro, il quale intinta nell’acqua la punta del dito gliene lasciasse cadere una goccia sola sulle aride labbra. Tale adunque essendo il tormento della sete, e da questo tormento essendo pur assalito Gesù Cristo, affinché quelle sole parti del corpo che non erano state ferite, non lasciassero tuttavia di avere il loro martirio, gridò ancora dall’alto della croce: Sitio! (Io. XIX, 28): ho sete! Ah! che a questo grido avrebbe dovuto commuoversi il cielo, ed esso che versa copiosamente piogge e rugiade per fecondare la terra, per dar vita alle piante ed ai fiori, per rinverdire i prati e i campi, avrebbe pur dovuto lasciar cadere alcune stille d’acqua sulle labbra di Gesù Cristo! A questo grido avrebbe pur dovuto commuoversi la terra, ed essa che si aperse nella solitudine di Bersabea per ristorare il giovanetto Ismaele; che si spaccò nel deserto per soccorrere il popolo giudeo, che tante volte lasciò sgorgare delle fonti prodigiose per la salute degli uomini, avrebbe pur dovuto aprirsi per farne uscir fuori una fonte di refrigerio all’assetato Gesù! A questo grido avrebbero dovuto commuoversi quegli stessi Giudei che stavano attorno alla croce, e ponendo fine agli oltraggi ed ai martirii, che usavano contro di lui, per non essere più feroci di una tigre avrebbero dovuto porgergli tosto un poco di acqua per dissetarlo. Ma no ! né il cielo né la terra, né gli uomini si commuovono a questo grido di Gesù Cristo; che anzi i suoi nemici ne pigliano argomento per incrudelire contro di Lui ancor una volta. Ed in vero uno de’ suoi più barbari crocifissori, all’udire che Egli era tormentato dalla sete, prende in fretta una spugna, la infonde in un vaso pieno di aceto,, che secondo l’uso, ma più ancora per disposizione divina, là si trovava, ed impregnatala ben bene di quell’aspro umore, la colloca sulla punta di una canna insieme con un po’ d’erba di amarissimo isopo, gliel’avvicina alla bocca. Oh crudeltà inaudita! oh barbarie senza esempio! A questo caro Gesù, cui non resta più altro che esalare l’estremo fiato nel martirio terribile della croce, non solo si nega un po’ di acqua, ma a tormentarlo maggiormente gli si dà a bere dell’asprissimo aceto? Eppure Gesù stende a quella spugna le arse sue labbra e succhia e prende di quell’aceto, che gli viene offerto: Curri accepisset acetum. (Io. XIX, 30) E così si adempiva alla lettera la sovradetta profezia: Et in siti mea potaverunt me aceto. Ma prendendo di quell’aceto il nostro divin Redentore non lo fece unicamente per adempiere una profezia e per ristorare l’arsura della sua lingua, ma lo fece altresì per compiere in nostro vantaggio un mistero di amore. Non potendo egli prendere realmente sopra di sé l’agrezza delle nostre impazienze, dei nostri astii, dei nostri rancori, la prese nel simbolo dell’aceto e si dispose in quella vece a trasfondere nel cuor nostro la dolcezza della sua grazia. E quello che dice S. Ambrogio: Bibit Christus amaritudinem meam, ut mihi refunderet suavitatem gratiæ suæ!(Cristo ha bevuto la mia amarezza per darmi la soavità della sua grazia). Tuttavia, o miei cari, coll’avere Gesù manifestata la sua sete non ha voluto soltanto darci questa prova di amore, ma ha voluto darcene un’altra assai più grande, manifestando altresì e più di tutto la sete ardente di nostra salute. Un giorno, durante le sue pellegrinazioni nella Palestina, Gesù, stanco dal viaggio, si fermava presso ad un pozzo di Sichar. Egli che nulla faceva a caso, ma tutto dirigeva a nobilissimo fine, stava là attendendo che venisse ad attingere acqua una povera peccatrice. E la Samaritana venne, e s’intese a dire da Gesù: Donna, dammi un po’ da bere: Mulier, da mihi bibere. (Io. IV, 7) Ma non è già, osserva S. Agostino, che con quella domanda ricercasse da quella povera donna dell’acqua, ma bensì la sua fede e la conversione dell’anima sua. Or bene, la stessa sete, che Gesù manifestò alla Samaritana, è pur quella sete, che come Dio avendo avuto da tutta l’eternità, e come uomo avendo. cominciato a provare fino dal primo istante del suo concepimento, per somma convenienza di tempo e di luogo manifestò morente su della croce; è pur quella sete, che tuttora sul trono della sua gloria, tra gli splendori dei santi, nella sua felicità infinita continua a sentire per tutti gli uomini. – Sì, anche ora dall’alto dei cieli continua a ripetere: « Sitio: ho sete. Ho sete delle vostre anime, o poveri popoli, che ancor giacete nelle tenebre e nelle ombre di morte: deh! Arrendetevi alla predicazione del Vangelo, che vi vanno facendo i miei Apostoli, abbracciate la mia fede, seguite la mia legge e salvatevi. Sitio: ho sete. Ho sete delle vostre anime, o scismatici ed eretici, che vi siete staccati dalla mia Chiesa e vivete negli errori: deh! aprite una buona volta gli occhi vostri alla luce di verità, che vado facendovi balenare dinnanzi, rientrate nel mio ovile a far parte del mio gregge, sotto la guida del vero Pastore, e salvatevi. Sitio: ho sete. Ho sete delle vostre anime, o Cristiani Cattolici, che, pur professando di nome la mia fede e la mia legge, non la professate tuttavia di fatto, vivendo nell’indifferenza, nella colpa e persino nella incredulità: deh! ascoltate la voce de’ miei ministri, che vi invitano alla penitenza, assecondate quelle ispirazioni, che vi mando al cuore, togliete dal vostro animo quei timori, quelle pene, quei disgusti, onde vado amareggiando la vostra colpevole felicità, spegnete del tutto quei rimorsi, che fo sentire alla vostra coscienza, ritornate pentiti al mio seno, e salvatevi. » È a queste voci amorose, con cui Gesù Cristo continua a manifestare tuttora la sete della nostra salute, qual è la risposta, che si dà dagli uomini? Ahimè, che molti tra i gentili si ostinano nel loro culto a satana, e proseguono tuttavia a rifiutarsi di abbracciare la fede di Gesù Cristo e coll’odio ai missionari, colle persecuzioni atroci con cui si scagliano contro di essi, col sangue che ne vanno spargendo-costringono lo stesso Gesù a ripetere: In siti mea potaverunt me aceto: nella mia sete non mi diedero altro che asprissimo aceto. Ahimè che molti tra gli eretici e tra gli scismatici stanno fermi nella loro avversione alla vera Chiesa e negli errori che professano non ostante gli esempi ammirabili di tanti loro confratelli, che nella loro patria, nella loro stessa famiglia si convertono, e continuando a vivere nella loro superbia e diserzione costringono essi pture Gesù a ripetere: In siti mea potaverunt me aceto: nella mia sete non mi diedero altro che asprissimo aceto. Ahimè ancora, che molti Cristiani Cattolici perseverando nella loro indifferenza, nelle loro colpe e nella loro incredulità, e molti altri non danno altro a Dio che qualche preghiera fatta con distrazione, qualche atto di religione compiuto per ipocrisia, qualche elemosina distribuita per vanità, qualche messa ascoltata per costumanza, qualche confessione fatta senza dolore, qualche comunione ricevuta per umani interessi, e pur mantenendo nel cuore l’affetto al peccato, ai piaceri disonesti, ai vizi, alle turpitudini, e l’odio e le inimicizie col prossimo, e l’attacco al denaro e la bramosia degli onori, costringono ancor essi Gesù a ripetere: In siti mea potaverunt me aceto: nella mia sete non mi diedero altro che aceto. E noi, o miei cari, che faremo, che risponderemo a Gesù che ci dice: Sitio: ho sete? Ahi mio amato Gesù, mio Salvatore e mio Dio, se io mi incontrassi in un uomo che non conosco, e che stando per morire mi chiedesse da bere, mi rifiuterei forse di dargliene? Ed avrò ancora l’ardire di negar da bere a voi? No, no, o Gesù amantissimo. Per estinguere la sete misteriosa che vi tormenta, voi volete l’anima mia; prendetela, è cosa vostra. Io sono pieno di commozione e di angoscia nel vedervi soffrir tanto nel vostro sì prolungato supplizio, e san certo che questo popolo che mi circonda divide con me gli stessi sentimenti. Prendete adunque tutte le anime nostre, dacché ne avete sete; fatele entrare nel vostro Cuore adorabile e dateci persino la grazia di potere ancor noi, sul vostro esempio, sentir sete delle anime. Sì, che tutti e ciascuno .di noi andiamo ripetendo efficacemente: Sitio, ho sete dell’anima di mio padre e di mia madre; ho sete dell’anima dello sposo; ho sete dall’anima dei figliuoli; ho sete dell’anima dei fratelli; ho sete dell’anima degli amici; ho sete dell’anima dei poveri peccatori: ho sete, ho sete, ho sete : Sitio, sitio, sitio!

II. — Ma l’ultimo istante si avvicina. Maria, sorretta da S. Giovanni, ha gli occhi fissi sul figlio morente; Maddalena disfacendosi in lacrime se ne sta inginocchiata ed abbracciata alla croce, e Gesù benedetto ha tutto il suo corpo adorabile inondato di un freddo sudore. Ma sebbene vicino a trarre l’ultimo respiro, la sua mente è placida e serena. E con tale placidezza e serenità percorrendo tutti i secoli passati e futuri, vede che tutto è compiuto per gli uni e per gli altri, che il suo sacrifizio è ormai giunto alla perfezione e la sua grande opera di salute è terminata. Ora, non vi ha alcuno, che giunto al termine di difficile e gravosa impresa non n’esprima in qualche modo la soddisfazione e la compiacenza, come non v’ha alcuno che giunto al termine delle sue pene non tragga un sospiro di consolazione e di gioia. Il capitano che ha sconfitto il nemico, nel rimettere entro il fodero la spada sanguinosa, dice esultante in suo cuore: Ho vinto, ho compiuto il mio trionfo. Il pellegrino, che tocca le soglie della patria amata, ripete giulivo: Son giunto, ecco la mèta del mio cammino. L’artefice, che ha dato l’ultimo tocco al suo lavoro, esclama: Ho finito, ecco condotto a perfezione la mia opera. Il carcerato che sente spezzarsi i suoi ceppi e vede aprirsi la porta della sua prigione per riavere la libertà; la vittima infelice della calunnia, che, riconosciuta alfine innocente, riacquista il suo onore ed i suoi beni, respirano dalle subite oppressioni, ed esclamano ancor essi: È finita quella vita sventurata! Non altrimenti fece il divin Redentore, e poiché, dice S. Giovanni, ebbe preso l’aceto che gli fu offerto, gridò: Tutto è consumato: Cum accepisset acetum, dixit: « Consummatum est. » Sì, per Gesù tutto èveramente, interamente, perfettamente consumato. Consummatum est, è consumata, adempiuta la volontà del Divin Padre, che volle la sua Incarnazione, la sua vita di trentatrè anni passata nel lavoro, nell’oscurità, nei travagli e nelle persecuzioni ed il termine di essa con una morte ignominiosa e crudele. Questo comando, benché ampio e difficile, è stato eseguito esattamente, in tutte le parti più minute: Omnis consummationis vidi finem; latum mandatum tuum nimis. (Ps. CXVIII). – L’umiliazione richiesta a cagion del peccato è giunta sino al suo profondo abisso: ed ora é compiuta: Consummatum est! Tutto è consumato, vale a dire tutto quello che è stato scritto e figurato del Messia ha ricevuto il suo compimento: tatto quello che è stato predetto dai Profeti, rappresentato dai grandi personaggi, simboleggiato dai segni, tutto si è ormai realizzato. Il figlio della donna ha schiacciato la testa dell’infernale serpente; il Desiderato delle genti è venuto quando lo scettro era caduto dalle Mani di Giuda; il vero Piglio di Davide è comparso a rialzare l’onore della sua casa; la Sapienza divina si è incarnata ed è stata veramente l’Emanuele, Dio con noi; il profeta e il taumaturgo più grande di Mosè ha fatto udire fra le genti la sua celeste dottrina e l’ha confermata coi più strepitosi miracoli; il vero Davide ha sostenuto gl’insulti e le calunnie de’ suoi più fieri nemici, il vero Giuseppe è stato tradito e venduto per trenta danari, il vero Isacco ha portato Egli stesso il legno del sacrifizio sulla cima del monte, il vero Agnello senza macchia, caricato dei peccati di tutti gli uomini è stato condotto all’uccisione, il vero serpente di bronzo, sola medicina al piagato Israele è stato innalzato sull’albero della croce, il vero Abele sta per cadere estinto, il vero Sansone sta per morire trionfando de’ suoi nemici: Consummatum est. – Tutto è compiuto, vale a dire il sacrifizio della nuova legge, che da solo doveva bastare a riparare tutti i mali, ed apportare tutti i beni, a convertire tutti i peccatori, a santificare tutti i giusti, è fatto; la sentenza di dannazione fu cancellata e così appesa alla croce; la legge di grazia fu sostituita alla legge di terrore, l’uomo fu riconciliato con Dio, fu chiuso l’inferno, fu aperto il cielo, furono vinti i demoni, fu meritata la grazia agli uomini, la Religione cristiana fu fondata, la gran casa di Dio, la Chiesa Cattolica, fu innalzata sopra incrollabile base, la terra fu fecondata e resa atta a produrre fiori eletti di virtù; qui da queste fonti già partono i sacramenti, come fiumi di sangue divino a fertilizzare il mondo e a farlo germinare in ogni luogo e in ogni tempo degli Apostoli, dei Martiri, dei Vergini, dei penitenti, dei Santi, a medicare le piaghe della povera umanità, a recar loro la benedizione e la vita:

Consummatum est. Tutto è compiuto, vale a dire ancora, ogni cosa fu condotta alla sua ultima perfezione, per modo che più nulla, veramente più nulla rimane da fare a Gesù Cristo prima di morire; più nulla gli rimane da patire, le sue acerbissime pene devono aver fine, quanto prima deve cominciare la sua vita di gioia, di gloria, di trionfo immortale, consummatum est! E dove il tutto si è compiuto? Sulla croco, che di infame patibolo diventerà d’ora innanzi strumento di potenza, simbolo di fortezza, vessillo di vittoria: sulla croce, che, inalberata un giorno dal gran Costantino sulle alture di Roma, manderà in polvere gl’idoli infami, farà crollare i templi pagani, porrà termine a bestiali costumi, romperà le catene degli schiavi, mostrerà l’eguaglianza, la fratellanza, la vera libertà; sulla croce che farà sante le nozze, mitigherà la podestà dei mariti e dei padri, apprenderà a tutti l’utilità, la necessità e l’eroismo del patire, sulla croce che divenuta stendardo e speranza dei popoli o sulle spiagge dei mari, o nel cuore delle foreste, o sulle porte delle metropoli arretrerà le barbarie, dileguerà le superstizioni, sfavillerà la luce del vero; sulla croce dinanzi alla quale ogni popolo, ogni regno, ogni nazione, ogni età, ogni stato, ogni sesso, ogni condizione: re e sudditi, nobili e abbietti ricchi e poveri, padroni e servi, dotti e idioti chineranno rispettosa la. fronte; sulla croce divenuta conforto del debole e dell’afflitto, rifugio dell’oppresso e del languente, consolazione della vedova e dell’orfano, refrigerio dell’infermo e del morente, ombra tutelare delle spoglie dei trapassati! Sulla croce, sì, sulla croce… tutto è compiuto, consummatum est. Ma ahi pensiero funesto! ahi vergognosa contraddizione! Perciocché a che giova, o miei cari, che Gesù Cristo abbia per parte sua compiuto tutto ciò che era necessario alla nostra eterna salute, se noi forse da parte nostra non l’abbiamo neppur cominciato? I migliori anni della nostra vita sono trascorsi: noi abbiamo faticato tanto per procacciarci anche non troppo onestamente delle ricchezze, abbiamo tanto sudato per farci un nome grande e riempirci di fumo, abbiamo logorato la sanità per accontentare le nostre passioni, abbiamo gittate insomma la nostra vita per perderci, e nulla, forse meno che nulla abbiamo fatto per salvarci. E quando facciamo conto di pronunziare una volta la gran parola: Nunc cœpi? Ora comincio? Quando ci risolveremo davvero di por fine ad una vita di peccato per cominciare una vita di santificazione? Ci lusinghiamo forse di dover campare cent’anni? E non ci può cogliere da un momento all’altro quella notte di sterili desideri, di inutili rimpianti, in cui più nessuno può operare? E quando pure avessimo a vivere la vita dei più longevi patriarchi, vorremmo continuare così scientemente a disprezzare Iddio, Gesù Cristo, il suo sacrifizio, la sua grazia! E pretenderemmo al termine di una vita scellerata, nel momento stesso cita sta per cominciare l’eternità, aborrire il vizio, praticare la virtù, riparare gli scandali, rifare le confessioni mal fatte, correggere le ingiustizie, troncare gli attacchi, far tutto insomma ciò che appena si può fare in molti anni di vita? Ah! ciò che più facilmente potrebbe accaderci allora sarebbe di gettare lo sguardo sopra la nostra vita passata del tutto nella colpa e coll’accento del rammarico, e Dio non voglia, con quello della disperazione, andar anche noi ripetendo: Consummatum est! Consummatum est! Ahimè, che tutto è finito. Son finiti i piaceri, gli onori, le ricchezze, i divertimenti, i balli, i teatri, i conviti, il lusso, tutto è finito. E che mi resta di tutto ciò? Nient’altro che il rimorso. Ah miserabile che fui! non mi sono attaccato che ai beni del corpo e del tempo, ma ora il tempo è passato, il corpo si dissolve e non mi rimane che l’anima e l’eternità! Dio mio! Dio mio! Tutto è finito! Tutto è finito! Consummatum est! Ah! miei cari, se non vogliamo andar incontro ad una fine così spaventosa, cominciamo senz’altro ad operare il bene. E poiché il buon Gesù nulla tralasciò di fare da parte sua per condurci a salvezza, deh mettiamoci anche noi a compiere la parte nostra per ottenere davvero quel regno che egli a sì caro prezzo ci ha ricomprato. Rammentiamoci bene, che questo regno patisce forza, e che i violenti soli lo rapiscono. Sia dunque fine alla nostra freddezza, alla nostra indifferenza, alla nostra codardia. Convertiamoci tosto e diamoci subito a vivere da veri Cristiani, combattendo da forti ogni difficoltà che a ciò si frapponga; vinciamo ogni umano riguardo, confessiamo e pratichiamo coraggiosamente la nostra fede e la nostra legge dinanzi a tutti e à costo di qualunque sfregio; ed allora potremo ancor noi al punto estremo della vita ripetere con vera soddisfazione, con vera gioia: Consummatum est: tutto è compiuto: ho consumato il mio corso, ho serbata la mia fede, altro non mi rimane che ricevere la corona di giustizia, quella corona che Iddio giusto giudice mi darà nel gran giorno per l’eternità: Cursum consummavi, fidem servavi, in reliquo reposita est mihi corona iustitiæ, quam reddet mihi Dominus in illa die iustus iudex. (II Tim, IV, 7).

III. — Ma ecco che Gesù è giunto all’estremo sfinimento. Già cominciano a mancare le forze ; già il sangue non esce più dalle ferite che a stilla a stilla, già si avanza silenziosa la morte, già è pronta per dargli l’ultimo colpo. Ma sebbene Gesù nella sua carne sia arrivato a questo estremo di debolezza, nel suo spirito conserva tutta la gagliardia e la forza, della quale valendosi manda un nuovo altissimo grido, che lo manifesta Dio, perciocché mentre noi uomini in sul morire perdiamo la voce, Egli che è Dio, sul punto stesso di morire la conserva e la innalza come gli piace. E che esprime egli mai con questo grido? Padre, dice Egli, nelle tue mani raccomando il mio spirto: Pater, in manus tuas commendo spiritum meum. (Lue. XXIII, 40) Oh tenere parole! Oh parole sublimi! Oh parole preziosissime! Con queste parole, che Gesù pronuncia colla testa sollevata e cogli occhi rivolti al cielo, chiamando Dio non più col nome augusto e terribile di Dio, come aveva fatto poco innanzi, ina col nome dolcissimo di Padre, si dichiara sino all’ultimo per suo divin Figliuolo; e rimettendo nelle mani di Lui il suo spirito rivela la pienezza di confidenza, la uguaglianza di potere, la infinità di amore, che tra di loro esiste. Padre, voleva dire, quando senza lasciar la tua destra, Io discesi in terra e presi questa vita mortale, di pieno accordo fra noi si stabiliva che Io la dessi per la salute del mondo; ed essendo giunto l’istante di adempire questo nostro accordo divino, Io lascio che la morte venga a togliermi la vita separando lo spirito dal mio corpo; e poiché il mio corpo su questa croce, già tutto te l’ho offerto, a rendere perfetto il sacrificio ti offro ancora il mio spirito e lo depongo nelle tue mani: Pater, in manus tua commendo spiritum meum. – Ma certamente non è questo solo che Gesù Cristo ha voluto significare con questa così bella parola. Come in tutte le altre precedenti ha voluto darci sempre altrettante prove di amore, così ha voluto fare in questa. Epperò, siccome nella penultima parola ci ha efficacemente animati a consumare l’opera della nostra santificazione, con questa ultima ha voluto metterci chiaramente d’innanzi il premio che a tal fine ci riserba, una morte cioè in cui il nostro spirito sarà consegnato nelle mani di Dio. Perciocché, dice S. Atanasio, raccomandando Egli il suo spirito al suo Divin Padre, intese particolarmente di raccomandargli al punto di morte tutti gli uomini che per la bontà della vita avrebbero appartenuto non solo al suo Corpo, ma eziandio al suo Spirito. – Animo adunque, o veri Cristiani, che col vero amore di Gesù Cristo, colla imitazione fedele delle sue virtù, coll’esecuzione costante de’ suoi precetti ed insegnamenti, formate con Lui uno stesso spirito. Giungerà pure per voi l’estremo istante della vita; ma all’avvicinarsi di quel momento, da cui dipende la eternità, di quel momento in cui il demonio, sapendo che gli rimane poco tempo, discenderà con grande ira a darvi l’ultimo assalto, di quel momento in cui dovrete separarvi da tutto e non vi resterà più nelle mani che un santo Crocifisso, voi non avrete a temere, perché colla sua estrema preghiera siete stati raccomandati da Gesù Cristo al suo divin Padre, siete stati deposti nelle sue braccia, siete stati affidati al suo amore. Ei fu lo stesso come se avesse detto: Padre, rimetto nelle tue mani lo spirito dei giusti, essi mi appartengono, sono miei veri fratelli, hanno vissuto della mia vita, hanno formato con me una cosa sola; voglio adunque o Padre che dove sono Io, ivi siano i miei servi, i miei ministri fedeli: Volo, pater, ut ubi ego gum, illic sii et minister meus. (Io. XII, 26) Deh! Accogli il loro spirito, abbraccialo, serralo al tuo cuore come lo spirito mio: Pater, in manus tuas commendo spiritum meum. Oh bontà, oh amore di Gesù Cristo per noi! Ma avremo noi, o miei cari, avremo noi la bella sorte di essere nel novero di questi giusti che muoiono placidamente addormentando il loro spirito nelle mani del Signore? Certamente nessuno degli uomini conosce la fine della sua vita: Nescit homo finem suum (Eccl. IX, 12) Ma è pur vero tuttavia che per mezzo delle buone opere possiamo rendere sicura la nostra vocazione ed elezione al cielo. Su, adunque, uniamoci del tutto a nostro Signor Gesù Cristo, uniamoci nei pensieri, negli affetti, nei sentimenti, nelle parole, nelle opere, aderiamo a Lui interamente, e giacché colui che aderisce a Dio diviene di un solo spirito con Lui: qui adhæret Deo unius spiritus est, (I Cor. VI) potremo così avere certa fiducia di pronunciare anche noi al termine della vita, non solo con Gesù Cristo e in Gesù Cristo, ma per la bocca istessa di Gesù Cristo: Pater, in manus tuas commendo spiritum meum. Ben cara adunque, ben preziosa, ben consolante è quest’ultima parola pronunciata sulla croce dal divin Redentore. Con essa non ha posto termine soltanto alla sua mortal carriera, ma nel suo infinito amore per noi ha messo ancora a noi innanzi il magnifico premio, la dolcissima morte che coronerà una santa vita! Ma poiché Egli l’ebbe pronunziata, con un estremo atto che l’indicava padrone supremo della vita e della morte, chinò dolcemente sul petto il suo divin capo. Et inclinato capite. (Io. XIX, 30) Oh misterioso chinar del capo! Ancor una volta con esso esprime la sua totale ubbidienza al suo divin Padre, la intera sommissione alla sua volontà; obediens usque ad mortem, mortem autem crucis; (Philipp, II, 8) ancor una volta con esso dimostra a noi quanto brami che a Lui ci appressiamo, chiamandoci, invitandoci, attirandoci a gettarci tra le sue braccia, al suo seno, nel suo amorosissimo Cuore. Ancor una volta con esso chiama la morte; che ritrosa non osava di avvicinarsi, e la incoraggia, e la provoca a venire, e a quest’ultima chiamata la morte viene e mena il colpo fatale. Ahi! che il cielo si fa più oscuro, la terra trema, le rocce si spezzano, le tombe si aprono, le pallide ombre ne escono gemendo, il velo del tempio si squarcia in due parti, gli angeli della pace piangono amaramente, le sante donne svengono, la moltitudine tremante e pentita si picchia il petto, Giovanni dà in iscoppio di pianto, Maria rimane come impietrita! Che è accaduto? Ah, l’ultima fiamma d’amore, che doveva consumar Gesù Cristo, è divampata. Gesù è impallidito, ha chiuso gli occhi, ha versato ancor una lagrima, ha dato ancor un sospiro di carità ed è morto: Et inclinato capite tradidit spiritum. (Io. XIX, 9). Gesù adunque è morto, ed è la carità infinita del Cuor suo che l’ha ucciso! In hoc apparuit charitas Dei in nobis. (Io. iv, 9) E chi mai al mondo, o padre, o sviscerato amico, è giunto a farsi uccidere per amor del figlio o dell’amico? Se mai vi fosso stato, per attestazione medesima di Gesù, egli avrebbe dato prova del più grande amore: Maiorem dilectionem nemo habet, ut animam suam ponat quis prò amicis suis. (Io. XV, 13) Ma Gesù Cristo è morto per amore di noi, che non eravamo suoi amici, ma suoi nemici a cagione del peccato. Oh carità infinita! oh amore senza pari e senza misura! Ben avevano ragione Mosè ed Elia discorrendone con Lui sul monte Tabor di chiamarlo un amore eccessivo: Dicebant excessum eius. (S. Luc. IX, 31). E dinnanzi a tanto eccesso di carità potremo noi, o miei cari, mostrarci indifferenti, insensibili? Gli stessi feroci crocifissori del divin Nazareno al funereo spettacolo della morte di Gesù, conobbero alla fine il loro gravissimo errore, e discendendo dal monte insanguinato si percuotevano il petto ed esclamavano: Vere Filius Dei erat iste! E noi avremmo assistito a quest’Agonia e Morte acerbissima senza aver provato nell’animo un sentimento di commozione, senza aver concepito un pensiero di piangere le nostre colpe e di riformare la nostra vita? Oseremmo forse noi di credere di non aver avuto parte alla morte di Gesù? Oseremmo, stendendo la mano sopra l’affranto suo cadavere, oseremmo giurare che noi non siamo colpevoli? Ah! no che noi possiamo! Quella testa insanguinata dalle spine, quella fronte imperlata di freddo sudore, quel volto impallidito e pendente, quelle labbra violacee e stirate, quelle mani e quei piedi traforati dai chiodi, quel corpo ignudo, straziato, inanimato è l’opera nostra, è il nostro delitto. E dunque resteremo noi col cuore di sasso? Ah no! che tanta non è la nostra durezza. Eccoci, o caro Gesù ai vostri piedi, umiliati e piangenti. Vi adoriamo umilmente come nostro Dio e nostro redentore. Ammiriamo l’infinita vostra carità e misericordia, che vi ha spinto a morire per noi miserabili peccatori fra i più atroci tormenti, e vi ringraziamo senza fine di un beneficio così immenso! Ah! che queste pene e questa morte è a noi che erano dovute. E poiché voi le voleste subire in vece nostra, dateci ora altresì la grazia di pentirci dei maledetti peccati che ve l’hanno cagionate. Sì, perdono, o Gesù, perdono e pietà! Perdono e pietà di coloro tra di noi, che finora non vi hanno creduto, e che per eccesso di malvagità vi hanno combattuto e bestemmiato, perdono. Perdono e pietà di coloro tra di noi, che interessati unicamente delle cose del mondo, del denaro, dell’onore e del piacere vi hanno dimenticato e messo da parte, perdono! Perdono e pietà di coloro tra di noi, che sposi e genitori vi hanno disprezzato colle loro infedeltà e cogli scandali che hanno dato ai loro figli, perdono! Perdono e pietà di coloro tra di noi, che nel fiore della gioventù vi hanno insultato col darsi in preda alle turpi passioni e col seguire ciecamente le più ree dottrine, perdono! Perdono e pietà di coloro tra di noi, che maestri, professori e scrittori, vi hanno ferito nella pupilla degli occhi, corrompendo la povera gioventù coi loro abbietti insegnamenti e coi sarcasmi sacrileghi contro la vostra fede, perdono! Perdono e pietà di coloro tra di noi, che ricchi, potenti e magistrati vi hanno conculcato colle ingiustizie, coi furti, colle oppressioni, colle persecuzioni, cogli oltraggi alla cristiana libertà, perdono! Perdono e pietà di coloro tra di noi, che sacerdoti e religiosi vi hanno disonorato con una vita indegna della loro grandezza e colla loro negligenza hanno rattenuto l’impeto della vostra misericordia sopra gli uomini, perdono! Gesù, Crocifisso nostro bene, noi ci rifugiamo nel vostro Cuore Sacratissimo, e d’ora innanzi non ce ne dipartiremo più mai. Ma voi usateci pietà, dateci il perdono. Perdono e pietà! pietà e perdono!

DA S. PIETRO A PIO XII (2)

DA SAN PIETRO A PIO XII (2)

CATECHISMO DI STORIA DELLA CHIESA

[G. Sbuttoni: Da Pietro a Pio XII, Edit. A. B. E. S. Bologna, 1953; nihil ob. et imprim. Dic. 1952]

CAPO II.

IL CRISTIANESIMO NEL MONDO GRECO-ROMANO

PREAMBOLO

San Paolo verso Roma

Ad Atene

Mezzo secolo dopo la nascita di Gesù, S. Paolo toccò l’Europa nel fianco della penisola Macedone. Scese poi lungo la costa frastagliata della Grecia e giunse finalmente ad Atene. – Atene, la città della civetta sapiente, di Minerva, accolse S. Paolo freddamente. Nella più famosa città della Grecia, ormai rattratta e loquace come una vecchia signora di gran nome, gli Dei pagani un giorno lontano avevano avuto le fattezze da Fidia e Prassitele. I templi, non grandi, non sfarzosi, erano miracoli di armonia e di grazia. L’Acropoli era il diadema della città, sulla collina. I retori insegnavano ai giovani la fiorita parola, i filosofi insegnavano agli uomini l’arte dei bei pensieri. Tra quei marmi lievemente ingialliti, tra quei parlatori ingegnosi e oziosi… che cosa poteva fare e dire quell’Israelita deforme, incolto, cattivo parlatore? – S. Paolo s’aggirava avvilito nella città elegante e scema di sé, quando s’imbatté in una solitaria pietra d’altare che portava questa scritta: « Al Dio Ignoto ».

Dunque anche gli Ateniesi avevano sentito che i loro Dei bellissimi non vincevano il mistero dell’universo e dell’uomo? Dunque neppure i filosofi s’appagavano della loro industria, neppure gli artisti erano quieti della loro arte? Sopra le fantasie dei poeti, sopra le arditezze dei filosofi, sopra le istituzioni dei savi, s’alzava, come sull’orlo delle cose si alza lo spazio e il cielo, un margine infinito per un Dio ignoto e presente, sconosciuto e operante, un Dio non di pietra, non d’avorio, non d’oro, ma un Dio vivente nelle anime e nei Cieli: Gesù. – S. Paolo in nome di questo Dio osò parlare anche ad Atene. Lungo le strade e attorno alle piazze correvano i portici: l’agorà era un mercato di parole e di notizie. S. Paolo cominciò a parlarvi arditamente. – Quel piccolo uomo, dalla barba ispida, gli occhi rossi e il naso lungo, quel Giudeo che parlava greco con l’accento del litorale asiatico, destò la curiosità divertita degli Ateniesi. Ne avevano visti e sentiti di tipi buffi. Ascoltarono anche lui.

— « Che cosa vorrà questo giramondo? » — si chiedevano. Ed intanto facevano circolo attorno a lui. Aspettavano che a un tratto cavasse fuori dal suo misero mantello qualche specifico da vendere. Ma l’omiciattolo invece si accalorava sempre di più in discorsi religiosi. Gli Ateniesi trovarono la cosa abbastanza allegra e… invitarono lo strano oratore nell’Areopago Paolo lassù cominciò col dire che egli era il messo del Dio Ignoto Quando cominciò a parlare della Morte e della Resurrezione…. « Ti ascolteremo un’altra volta », dissero. E se ne andarono, lasciandolo piccolo e scuro tra la solitudine dei marmi scoperti e accecanti. Non tutti però s’allontanarono da lui: una donna, Damaris, gli chiese di essere battezzata, e un areopagita, Dionigi, che cercava una religione che gli desse la vita e gli nutrisse l’anima, s’inginocchiò dinanzi all’Apostolo, e con lui l’anima greca si faceva cristiana.

A Roma

Nella primavera del 53 S. Paolo si rimise in viaggio; toccò il centro dell’Asia Minore, poi ripiegò verso Efeso, dove turbò i buoni guadagni che gli orefici della città ritraevano dal culto della Dea Artemide, chiamata la Diana degli Efesini. Dopo due anni la Chiesa cristiana, fondata da Paolo, si era così dilatata che gli argentieri della città temettero non avesse a sparire il culto della Dea Artemide. Perciò si levarono contro l’Apostolo, che dovette fuggire. Navigò verso la Palestina e risalì a Gerusalemme. Qui venne preso dai Giudei nel Tempio e fu incatenato. – Fu chiesto che fosse subito condannato a morte. S. Paolo era cittadino romano; fece valere questo suo diritto, e i cittadini romani non potevano esser ne flagellati, ne giudicati dal Sinedrio. – Fu condotto incatenato a Cesarea, presso il Procuratore Romano. Vi restò due anni. Finalmente si appellò a Cesare, chiese cioè di essere giudicato a Roma. Fu allora imbarcato con buona scorta di soldati. Era l’autunno del 59…. Dopo lunga odissea, finalmente approdava in quella che sarebbe stata, dopo Romolo e Cesare, la città di Pietro e sua, di Cristo e degli uomini salvati.

* * *

1. – GESÙ E IL MONDO GRECO-ROMANO

D. Gesù aveva trovato simpatizzanti tra persone del mondo grecoromano ?

— Sì. Ad es. il centurione romano di Cafarnao, a cui guarì il servo; l’altro centurione romano con i soldati, pur romani, che assistettero alla morte di Gesù sul Calvario e che ne discesero, dicendo: « Veramente costui era figlio di Dio » (Mt. XXVII, 54).

D. Come mai questi ed altri divennero simpatizzanti di Gesù?

— Per i contatti avuti con lui, da quando, divenuto il paese di Gesù provincia dell’Impero Romano, vennero a presidiarlo soldati e impiegati.

2. – CORNELIO IL CENTURIONE

D. Chi fu il primo pagano ad entrare ufficialmente nella Chiesa di Cristo?

— Il centurione Cornelio, che apparteneva alla legione italica di Cesarea.

D. Che uomo era ?

— Uomo pio e timorato di Dio, come tutta la famiglia, e generoso di elemosine con il popolo.

D. Come fu chiamato ad entrare nella Chiesa?

— Un giorno gli apparve un Angelo, che lo invitò ad inviare qualcuno a Joppe, l’odierna Giaffa, a chiamare Pietro e a stare agli ordini di Pietro.

D. Che avvenne intanto a Pietro?

— Una visione particolare gli fece sapere che anche: i gentili (= pagani) potevano, anzi dovevano, venir accettati nella Chiesa di Cristo, quando fossero ben disposti, perché il Signore non fa distinzione tra pagani e giudei.

D. Che fece Pietro appena arrivati i messi dei centurione?

— Si recò con altri fratelli nella fede a Cesarea, dove l’attendeva Cornelio con parenti ed amici, li istruì, nella fede, li battezzò, e lo Spirito Santo scese sopra di loro, primizie del mondo romano per la Chiesa di Cristo.

D. Avvenne altrettanto altrove?

Sì, per opera di fedeli dispersi.

D. Come si chiamarono ad Antiochia i segnaci di Cristo?

— « Cristiani ».

3. – GLI APOSTOLI FRA LE GENTI IDOLATRE

D. Chi lavorò alla conversione dei popoli?

— Ogni Apostolo, benché gli « ATTI degli APOSTOLI » parlino diffusamente solo della prima attività di Pietro e Paolo e diano solo qualche cenno di Giacomo e Giovanni. Ne tratta la Tradizione dei primi secoli.

D. Che sappiamo dalla Tradizione Cristiana dei primi secoli?

— Sappiamo che Pietro, dopo sette anni di permanenza ad Antiochia, nel 42, sotto Claudio imperatore, venne a Roma, dove fondò la prima Chiesa cristiana, che resse fino alla morte nel 67. Nel 51 fu a Gerusalemme al primo Concilio, dove quale Capo della Chiesa e Vicario di Cristo decise che i gentili ricevessero il Battesimo senza prima entrare nel giudaismo, né osservare le pratiche giudaiche.

D. Pietro ritornò a Roma?

— Sì, dopo aver predicato in Grecia e nell’Asia Minore. Da Roma anzi inviò alle Chiese dell’Asia Minore due lettere.

D. Che gli avvenne nella persecuzione di Nerone?

— Fu crocifisso con il capo in giù. Era il 29 giugno dell’anno 67. Fu Sepolto presso il circo neroniano, dove ora sorge la Basilica di S. Pietro. I recentissimi scavi, ordinati dal S. Padre Pio XII, hanno pienamente confermato la tante volte secolare tradizione, facendo ritrovare il sepolcro di Pietro.

D. E gli altri Apostoli?

— Morirono anch’essi tutti martiri, tranne Giovanni.

D. Qual è l’apostolo che emerge su tutti?

— S. Paolo, detto l’Apostolo delle genti.

4. – L’APOSTOLO DELLE GENTI

D. Che fece Paolo dopo la conversione?

— Estese il suo lavoro di evangelizzazione a quasi tutte le nazioni mediterranee, che visitò nei suoi tre viaggi apostolici.

D. Fu sempre bene accolto?

— Subì varie congiure da parte di fanatici Giudei, che lo volevano uccidere. Ma appellatosi a Cesare, venne condotto sotto scorta a Roma; dove dal suo domicilio coatto continuava a predicare. Assolto dall’imperatore, si spinse fino alle coste della Spagna. Ma nel 67, rientrato a Roma, fu decapitato il 29 giugno.

D. E la sua predicazione?

— Anche dopo la morte si può dire che continuò attraverso il Vangelo di S. Luca, che era stato suo segretario e che ne aveva registrato la predicazione, e attraverso le sue 14 lettere, che contengono interi trattati di Teologia.

5. – L’ULTIMO DEGLI APOSTOLI

D. Chi, degli Apostoli, sopravvisse a tutti gli altri?

— S. Giovanni, che visse con Maria SS.ma, poi passò ad Efeso. Novantenne, tradotto a Roma, fu condannato ad essere immerso in una caldaia di olio bollente. Uscitone illeso, fu relegato nell’isola di Patmos, dove scrisse l’Apocalisse. Amnistiato, morì ad Efeso.

D. Che cosa si chiuse con la morte di Giovanni?

— Si chiuse la divina Rivelazione. La Chiesa da quel giorno non fece che conservare il deposito della Fede lasciato dagli Apostoli.

NOTA. – PETRINISMO e PAOLINISMO

La scuola protestante e razionalista di Tubinga verso la fine del secolo XVIII si compiacque, tra le altre novità, sfruttare la divergenza di vedute tra S. Pietro e S. Paolo circa l’osservanza di alcune pratiche giudaiche, ben composta e liquidata nel primo Concilio di Gerusalemme, e trarne ad ogni costo la teoria della divergenza assoluta ed inconciliabile tra Cristianesimo di Pietro e quello di Paolo. – Amenità polemiche le quali hanno la loro smentita non solo nella critica biblica e storica e teologica, ma nella vita stessa della Chiesa e nella solennità bimillenaria della liturgia, che è il respiro del popolo cristiano.

https://www.exsurgatdeus.org/2020/07/07/da-san-pietro-a-pio-xii-3/

FESTA DEL PREZIOSISSIMO SANGUE DI N. S. GESÙ CRISTO (2020)

FESTA DEL PREZIOSISSIMO SANGUE DI N. S. GESÙ CRISTO (2020)

Doppio di 1^ classe. • Paramenti rossi.

La liturgia, ammirabile riassunto della storia della Chiesa, ci ricorda ogni anno che in questo giorno fu vinta, nel 1849, l a Rivoluzione che aveva cacciato il Papa da  Roma. A perpetuare il ricordo di questo trionfo e mostrare che era dovuto ai meriti del Salvatore, Pio IX, allora rifugiato a Gaeta, istituì la festa del Preziosissimo Sangue. Essa ci ricorda tutte le circostanze in cui fu versato. Questo sangue adorabile il Cuore di Gesù lo ha fatto circolare nelle sue membra; perciò, come nella festa del Sacro Cuore, anche oggi il Vangelo ci fa assistere al colpo di lancia che trafisse il costato del divino Crocifisso e ne fece colare sangue e acqua. Circondiamo di omaggi il Sangue prezioso del nostro Redentore, che il sacerdote offre a Dio sull’altare.

Il gran Sacerdote, attraversando il Tempio, entrava una volta all’anno nel Santo dei Santi col sangue delle incoscienti e forzate vittime, immolate sull’altare degli olocausti. Questo sangue dava soltanto una purezza legale ed esteriore. Il Cristo, è salito fino al vero Santo dei Santi, che è il cielo ed ha presentato al Padre il suo sangue, spontaneamente e liberamente versato sulla croce. Gesù  è dunque il mediatore del Nuovo Testamento, e il suo sangue espia i peccati dapprima degli Israeliti, e poi di tutti gli uomini.

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen

Introitus

Apoc V, 9-10
Redemísti nos, Dómine, in sánguine tuo, ex omni tribu et lingua et pópulo et natióne: et fecísti nos Deo nostro regnum.

[Ci hai redento, Signore, col tuo sangue, da ogni tribù e lingua e popolo e nazione: hai fatto di noi il regno per il nostro Dio.]
Ps LXXXVIII: 2

Misericórdias Dómini in ætérnum cantábo: in generatiónem et generatiónem annuntiábo veritátem tuam in ore meo.

[L’amore del Signore per sempre io canterò con la mia bocca: la tua fedeltà io voglio mostrare di generazione in generazione.]
Redemísti nos, Dómine, in sánguine tuo, ex omni tribu et lingua et pópulo et natióne: et fecísti nos Deo nostro regnum.

[Ci hai redento, Signore, col tuo sangue, da ogni tribù e lingua e popolo e nazione: hai fatto di noi il regno per il nostro Dio.

Oratio

Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, qui unigénitum Fílium tuum mundi Redemptórem constituísti, ac ejus Sánguine placári voluísti: concéde, quǽsumus, salútis nostræ prétium sollémni cultu ita venerári, atque a præséntis vitæ malis ejus virtúte deféndi in terris; ut fructu perpétuo lætémur in cœlis.

[O Dio onnipotente ed eterno, che hai costituito redentore del mondo il tuo unico Figlio, e hai voluto essere placato dal suo sangue, concedi a noi che veneriamo con solenne culto il prezzo della nostra salvezza, di essere liberati per la sua potenza dai mali della vita presente, per godere in cielo del suo premio eterno.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Hebrǽos.
Hebr IX: 11-15
Fratres: Christus assístens Póntifex futurórum bonórum, per ámplius et perféctius tabernáculum non manufáctum, id est, non hujus creatiónis: neque per sánguinem hircórum aut vitulórum, sed per próprium sánguinem introívit semel in Sancta, ætérna redemptióne invénta. Si enim sanguis hircórum et taurórum et cinis vítulæ aspérsus inquinátos sanctíficat ad emundatiónem carnis: quanto magis sanguis Christi, qui per Spíritum Sanctum semetípsum óbtulit immaculátum Deo, emundábit consciéntiam nostram ab opéribus mórtuis, ad serviéndum Deo vivénti? Et ídeo novi Testaménti mediátor est: ut, morte intercedénte, in redemptiónem earum prævaricatiónum, quæ erant sub prióri Testaménto, repromissiónem accípiant, qui vocáti sunt ætérnæ hereditátis, in Christo Jesu, Dómino nostro.

(Fratelli, quando Cristo è venuto come sommo sacerdote dei beni futuri, attraversando una tenda più grande e più perfetta, che non è opera d’uomo – cioè non di questo mondo creato – è entrato una volta per sempre nel santuario: non con il sangue di capri e di vitelli. ma con il proprio sangue, avendoci acquistato una redenzione eterna. Se infatti il sangue di capri e tori, e le ceneri di una giovenca, sparse sopra coloro che sono immondi, li santifica, procurando loro una purificazione della carne; quanto più il sangue di Cristo, che per mezzo di Spirito Santo si offrì senza macchia a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere morte, per servire al Dio vivente? Ed è per questo che egli è mediatore di una nuova alleanza: affinché, essendo intervenuta la sua morte a riscatto delle trasgressioni commesse sotto l’antica alleanza, coloro che sono stati chiamati ricevano l’eredità eterna, oggetto della promessa, in Cristo Gesù nostro Signore.]

Graduale

1 Joann 5:6; 5:7-8
Hic est, qui venit per aquam et sánguinem, Jesus Christus: non in aqua solum, sed in aqua et sánguine.

[Questo è colui che è venuto con acqua e con sangue: Cristo Gesù; non con acqua soltanto, ma con acqua e con sangue.]

1 Joann V: 9
V. Tres sunt, qui testimónium dant in cœlo: Pater, Verbum et Spíritus Sanctus; et hi tres unum sunt. Et tres sunt, qui testimónium dant in terra: Spíritus, aqua et sanguis: et hi tres unum sunt. Allelúja, allelúja.

[V. In cielo, tre sono i testimoni: il Padre, il Verbo, lo Spirito Santo; e i tre sono uno. In terra, tre sono i testimoni: lo Spirito, l’acqua, il sangue; e i tre sono uno. Alleluia, alleluia]

V. Si testimónium hóminum accípimus, testimónium Dei majus est. Allelúja

[V. Se accettiamo i testimoni umani, Dio è testimonio più grande. Alleluia.

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Joánnem.
Joann XIX: 30-35
In illo témpore: Cum accepísset Jesus acétum, dixit: Consummátum est. Et inclináto cápite trádidit spíritum. Judæi ergo – quóniam Parascéve erat -, ut non remanérent in cruce córpora sábbato – erat enim magnus dies ille sábbati -, rogavérunt Pilátum, ut frangeréntur eórum crura et tolleréntur. Venérunt ergo mílites: et primi quidem fregérunt crura et altérius, qui crucifíxus est cum eo. Ad Jesum autem cum venissent, ut vidérunt eum jam mórtuum, non fregérunt ejus crura, sed unus mílitum láncea latus ejus apéruit, et contínuo exívit sanguis et aqua. Et qui vidit, testimónium perhíbuit; et verum est testimónium ejus.

[In quel tempo, quand’ebbe preso l’aceto, Gesù disse: «Tutto è compiuto!». Poi, chinato il capo, rese lo spirito. Allora i Giudei, essendo la Parascève, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era, infatti, un gran giorno quel sabato – chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e portati via. Andarono, dunque, i soldati e spezzarono le gambe al primo, e anche all’altro che era stato crocifisso con lui. Quando vennero a Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe: ma uno dei soldati gli trafisse con la lancia il costato, e subito ne uscì sangue ed acqua. Colui che ha visto ne rende testimonianza, e la sua testimonianza è veritiera.]

OMELIA

[A. Rey: Il preziosissimo Sangue – Pia Unione del Prez. Sangue, Roma, 1949]

Discorso I

Motivi e modi per fare con frutto il Mese del Preziosissimo Sangue.

Gratiam fideiussionis ne obliviscaris (Eccles. XXIX, 20)

Nell’anno 68 dell’Era Volgare, sotto il regno di Galba, Giovanni l’Evangelista – è relegato a Patmos, isoletta rocciosa in faccia all’Asia Minore, all’ovest di Mileto (Act. XX, 15)- una delle Sporadi, ov’erano concentrati, pei duri lavori nelle cave di marmo, i condannati di un certo riguardo. Qui egli ha la spettacolare visione (Apoc. V, 1 segg.) apocalittica « di eventi futuri relativi allo sviluppo ed alla consumazione del Regno di Dio sulla Terra – Vede nella destra di Dio, che siede sul trono, un libro misterioso scritto dentro e fuori, serrato da sette sigilli. Un angelo grida:

– Chi è degno di aprire il libro e di romperne i sigilli? – Ma né in cielo, né in terra, né sotto terra si trovò chi potesse aprirlo. Giovanni, dal cuore reso più tenero al contatto di quello del Maestro, rompe in pianto. Uno dei Seniori, adoranti la divina Maestà, gli si appressa, gli dice: – Non piangere! Ecco il leone della tribù di Giuda, la radice di David ha vinto. A lui è dato il potere di aprire il libro, di scioglierne i sigilli! – E su gli occhi velati da lagrime fulge la incantevole scena: In mezzo al trono, a quattro animali ed a ventiquattro Seniori un Agnello come scannato, balza d’improvviso, pieno di vitalità nova; si avanza dinanzi al trono dell’Onnipotente e riceve da la sua destra il libro misterioso. E non l’ha pur aperto che gli animali ed i Seniori gli si prostrano di fronte, suonano le cetre, offrono coppe colme di profumati aromi. Cantano il cantico nuovo: – Degno tu sei, o Signore, di ricevere il libro e di aprirne i sigilli; poiché sei stato ucciso, e col tuo Sangue hai ricomprati a Dio i popoli, le tribù, le lingue, le nazioni, e ci hai fatti pel nostro Dio re e sacerdoti. Regneremo! – Migliaia e migliaia di spiriti luminosi, roteanti quali astri nel cielo, fanno eco: – E’ degno l’Agnello, che fu sacrificato, di ricevere virtù, divinità, sapienza, fortezza, onore, gloria, benedizione! All’acclamazione angelica rispondono cielo, terra, mare; perfino l’abisso: – A Lui che siede sul trono ed all’Agnello la benedizione, l’onore e la potestà, pei secoli dei secoli! – E la circulata melodia si sigilla in un Amen festoso che fa sussultare il cielo, trasalire la terra. – La visione di Patmos è pur dinanzi ai nostri occhi avidi di luce, fra tanta caligine di male, in questo radioso mese di giugno (luglio – ndr.), dedicato al Redentore. Ci si presenta Egli ancora, dopo venti secoli, col misterioso libro nel quale è scritta, a caratteri purpurei, la storia umana, contesta di Sangue divino, la infinita carità di un Dio, per quella svenato, che, con valido clamore, (Hebr. V, 7) protesta una volta di più l’abissale profondità della sua misericordia: in caritate perpetua dilexi te, ideo attraxi te, miserans tui (Ger. XXXI, 3)! – Il Primogenito dei molti fratelli (Rom. VIII, 29) ci invita a meditare il valore, gli effetti, i benefici del suo Sangue per quem salvati et liberati Sumus (Gal. VI, 14). C’invita per mezzo di un santo moderno, che del culto del Sangue divino fu promotore ardente, del gran dono di Gesù fu adoratore inclito, e del Calice di benedizione s’inebriò pienamente: il Beato Gaspare Del Bufalo. Ci richiama egli ai motivi onde far con frutto il Mese che chiama grande (lett. Vol. 8, p. 487); al « modo onde praticarlo » con frutto, gratiam fidejussionis ne obliviscaris; dedit enim prò te animam suam! Non dimenticar l’alta grazia della redenzione. Gesù per te diede l’anima sua ( Predic. Del fondat., p. 441-442)!

I. – Motivi onde far con frutto il Mese

1. Dare un culto di compenso al Sangue divino. Ecco il motivo basilare, che fulge dell’ineffabile amore di Gesù Cristo! Nello sfondo di luce vivissima accesa dai corruschi bagliori del ministro maggior della natura (Par. X, 28), fra i cori esultanti delle creature balzate al fiat (Gen. I) della onnipotenza, l’uomo, il re del creato, con parole, organate dal cuore gonfio di amor purissimo, canta la gloria di Colui (Par. I, 1) che si è benignato di crearlo a sua immagine e somiglianza (Gen. I, 26). – Gli è accanto, nella laude amorosa, la creatura ch’è carne della sua carne, osso delle sue ossa, rifrazione incantevole della suprema bellezza, Eva (Ge. II, 23). Ad essi Dio ha sorriso; e quel sorriso ha colorite le labbra di arcana letizia. Ad essi Dio ha parlato; e le loro orecchie son colpite dal canto che gli Angeli sciolgono nell’empireo. Essi Dio ha guardato con occhio di compiacenza paterna; l’iride s’è avvivata della diafana luce dei cieli. Dio ha toccato quelle carni; e le carni hanno strappato alla rosa il grazioso colore. Dio ha fatto toccare dalle sue prime creature umane i saporosi frutti degli alberi; ed essi se ne sono cibati con giubilo, che assaporavano l’amore stesso di Dio rinserrato nel grembo della terra feconda. –  Vita intera di amore e di pace è la loro. Sono stati unti del crisma dell’immortalità! Vita di luce intellettuale; che della proteiforme natura conosce i misteri, uno ad uno. Hanno avuto il dono della scienza! – Vita di armonia fra corpo ed anima, che la rende ineffabile, amabile: l’integrità li fa per poco inferiori agli angeli ( Ps. VIII, 6)! Ma sono figli di Dio sopra tutto: vos dii estis et filli Excelsi (Ps. LXXXI).

Egli solo sarà per loro, fatti figli ed eredi di Dio (Rom. VIII, 17), la merces magna nimis (Gen XV, 1)). Sono perciò i Sovrani della natura. Poggiano ipiedi su una terra senza insidie, ed hanno la fronte che sfiora l’angelica sostanza! Tanta grandezza è legata però ad una prova: prova di fede al Padre, al Creatore, al Signore: prova di amore. Dinanzi a un albero deve essere vagliata quella umana libertà – di cui più dell’uomo è geloso Dio stesso – con l’obbedienza volontaria a Lui, col riconoscimento dei suoi diritti su tutte le creature. Solo a questo patto rimarrà quella gloriosa grandezza! Purtroppo l’uomo – sedotto dal superbire del maledetto che osò alzar le ciglia contro l’Onnipotente – attratto dalla lusinga di più altezza, quella stessa di Dio, coglie il frutto vietato, preferendo alla divina volontà il suo libito, e, col frutto, strappa la sua condanna: eterna morte! L’incanto è rotto! La mente offuscata, il cuore avvilito, la volontà infiacchita. I sensi son colpiti: per gli occhi la tenebra, per gli orecchi il pianto, per le labbra l’assenzio, per le nari il fetore, per la carne il dolore, la malattia! Dilegua la scienza, avanza la morte, il corpo si ribella all’anima,la natura al suo re. E l’uomo che volontariamente s’è avulso da Dio – vita eterna – è condannato ad eterna dannazione, e con lui l’umanità intera ch’è in lui virtualmente racchiusa come nel germe l’albero. L’uomo è cacciato dal suo paradiso, gettato in una terra che produrrà triboli e spine (Gen. III, 18). Il cielo s’abbuia del lungo ed amaro pianto di questo infelice che non nacque e che dannando sé, dannò tutta la sua prole! Ma su nel cielo si leva un valido clamore (Hebr. V, 7). Il Figlio di Dio, il Verbo eterno si volge al Padre: – Scendo io a salvarlo questo infelice che non vuol salvarsi. Ecce ego, mitte me (Isa. VII, 8)! Anche se volesse versare il suo sangue per l’immolazione completa a te, o Padre, l’uomo non potrebbe riparare l’offesa, infinita perché lanciata contro di te, Infinito! Io son tuo Figlio, come Te Infinito. Posso riparare l’infinito oltraggio a te fatto dall’uomo. E poiché il delitto fu compito nella umana natura, scendo ad assumerla, perché in essa si operi la riparazione, si compia la redenzione! – Il Padre accetta. Il Verbo exauditus… prò sua reverentia, (Hebr. V, 7) freme d’amore, pago alfine: sacrificium et oblationes noluisti, corpus autem aptasti mihi (sacrificio ed oblazioni non hai voluto, ma mi hai fatto un corpo – Hebr. X, 5)! E, nella pienezza dei tempi, missus est ab arce Patris – Pange lingua) il Verbo, nel quale Egli pone le sue compiacenze (S. Matt. III, 17)); s’incarna nel seno purissimo della Eva novella, destinata a mutarne l’amarezza del nome (Ave maris Stella); e, dopo anni di silenzio e di azione riparatrice, sale l’altare per l’olocausto; col suo sacrificio placa Iddio, nelle cui mani pone il Sangue preziosissimo, prezzo delle anime riscattate; e lo facolare sull’umana natura per mondarla, santificarla, ridonarla all’amplesso del Padre (Hebr. XII, 7).Quale amore! Quanto amore! Amore nel Padre che manda il Figlio: sic Deus dilexit mundum, ut Unigenìtum suum daret (Dio ha tanto  amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito – Joan. III; 16). Amore nel Figlio che si sostituisce al peccatore, pagando per lui l’insolvibile cambiale: servus erat morte dignus, rex luit pœnam optimus (In fest. Pr. Sang. Hymn. ad Mat. Ira justa). Gratiam fideiussionis ne obliviscaris (Eccl. XXIX; 20)! Non dimenticare, o uomo, che Gesù si è fatto per te ostaggio; ha sciolto dai tuoi polsi le catene della servitù per legarle ai suoi; ha sostituito te, impossibilitato a mantenere l’impegno con Dio, con la sua adorabile Persona, capace di sorreggerlo, col suo amore fatto obbediente fino alla morte umiliante della Croce! Dedit prò te animam suam (ivi)! Ha dato per te la sua anima, versando il suo Sangue! Si è fatto mediatore fra te e il Padre per la riconciliazione (1 Thim. II; 5 — Ebr. VIII; 6 — 9; 15 — 12). E tu?… Come l’hai tu compensato ? – L’amore non è riamato! ecco l’alta accusa che ti vien da quel legno sul quale salus mundi pependit (Fer. VI in Parasc.: Ecce lignum Crucis etc.)! Da quel labbro che si lamenta della tua voluta ignoranza, della tua colpevole ed inspiegabile indifferenza, della tua strana apatia. Non v’è per te discolpa alcuna. Né puoi attenderti che la Verità, infissa su quel patibolo infame pel tuo peccato, si sollevi con la voce di un isperato perdono, di una longanime attenuazione del tuo misfatto, come fece sul Calvario per i crocifissori: Pater, dimitte illis, non enim, sciunt quid faciunt (S. Lc. XXIII, 34)! Se non fosse Egli venuto, se non ti avesse parlato, se non avesse pagato di persona il fio del tuo peccato, avresti avuto ragione (S. Joan. XV; 22). Ma tu sai chi si è immolato? Dio! Tu sai perché si è immolato? per salvarti! Sai a qual prezzo ti ha salvato? col suo Sangue! Sai qual sia stato il movente di questa generosità? l’amore! Sai con quale intensità ti ha amato? Per te, Egli, Innocente e Santo, si è fatto peccatore (Ebr. VII; 26 – Sap. IV; 10). Sulle sue spalle ha preso l’ignobile fardello delle tue malvagità: svelere nostra ìpse tuit (Isai. LIII, 4- S. Matt. VIII, 17) sulle spalle del Figlio di Dio. apparso peccatore agli occhi del Padre, si è scaricato il furore dell’ira divina: oh scelus populi mei pentissi eum (Jsaj. LIII; 8). Per questa sostituzione e con l’effusione di tutto il suo Sangue ti ha sanato: cuius livore sanati sumus (ibi, LIII; 5)! L’ignoranza di ciò è un delitto! Hai tu un cuore ? Freme ancora di fronte agli attentati contro la giustizia, contro l’amore? L’ingiustizia provoca il tuo sdegno. L’amore conculcato ti fa ribollire il sangue fino all’ira, all’indignazione. Puoi tu rimanere indifferente di fronte ad un’ingiustizia così palese, qual è quella tua stessa, che osa rimanere fredda ed insensibile dinanzi al sacrificio fatto per te dal Cristo, scritto sulle tue carni e sulla tua anima con le arrovellanti stille del suo Sangue? L’indifferenza ti fa ingiusto anche con te, pensa!… – Hai tu un cuore? Lo credo; dal momento che ti ferve nel petto per il grido d’infelicità comune che sale dalle turbo di penanti, colpite dalla sventura, dal dolore. Apri la tua mano al poverello che ti chiede un pane; le braccia a chi, relitto da tutti, domanda rifugio sul tuo petto; ti affianchi all’estraneo che ti vuol guida nel buio tormentoso del suo spirito. E neghi il tuo amore a chi non ti è estraneo ma Redentore, a chi non ti cerca conforto ma solo corrispondenza in nome di un amore infinito, che a posta della tua libertà, ha messo il suo Sangue; a chi non ti chiede pane – te ne dà ogni giorno nella sua regale generosità! – ma un palpito che dica la tua gratitudine!

La tua indifferenza è infamia!

Sei stato redento da Lui, col Sangue, pensa! Senza il suo provvidenziale, volontario intervento, saresti rimasto fra le tenebre e le ombre di morte (S. Luc. I, 79), sempre. Ti ha strappato dal lago fondo del male (Ps. XXIX; 4), della pena; ti ha riportato al Padre; ti ha riposto sul piedistallo di gloria; ti ha voluto fratello, partecipe dei suoi trionfi. Ed osi rimanere nel gelo, mentre dovresti ardere come ferro divenuto incandescente a contatto del fuoco?

La tua apatia è vergogna!

E giusto il suo lamento: Quæ utilitas in sanguine meo? (Ps. XXIX; 10). Quid ultra debui facere vinæ meæ et non feci (Cosa avrei duvuto far di più alla mia vigna, che non ho fatto? – Fer. VI in Parasc. Improperia)? Ma è ingiusta la tua condotta! Nemmen con Giuda puoi e sai dire: tradidi sanguinem Justum (ho tradito un sangue innocente – S. Mt. XXVII; 4).

2) Di qui il giusto richiamo del Beato nell’altro motivo onde dare un compenso al Redentore per te dissanguato: concepire un odio grande alla colpa! La ragione intima di questa ignoranza, indifferenza, apatia è sempre nella apodittica frase del Profeta: non est qui recogitet corde (Jsaj. LVII; 1.)! Chi può comprendere il delitto di lesa Maestà divina? Delicta quis intelligit (Ps. XVIII; 13)? Chi potrà conoscere appieno l’entità di questa manomissione dei divini diritti? Chi lo sprezzo del divino riscatto? Fu, certo, nostra rovina il peccato: per unum hominem peccatum in hunc mundum intravit, et per peccatum mors (il peccato è entrato nel mondo a causa di un uomo, e attraverso il peccato, la morte –  Rom. V, 12 ). E ne sentiamo il morso proprio nella distruzione del nostro essere corporeo, e ne proviamo ripugnanza per egoismo. Ma si pensa mai all’espressione di Paolo, che non riguarda solo noi, bensì lo stesso Figlio di Dio, contro cui si appuntano gli strali della nostra abbietta volontà, refrattaria anche al più sano degli egoismi: la salvezza dell’anima: rursum crucifìgentes Filium Dei (Hebr. VI, 6). Indulgere al peccato vuol dire render vana l’opera della redenzione col Sangue, calpestare quel divin Sangue! Significa ostacolare al Redentore il possesso delle anime, ricomprate col Sangue sparso con tanto fuoco d’amore (S. Cat. da Siena, passim nelle Lettere), mettere in antinomia Dio ed uomo, Creatore e creatura, annullando i frutti della divina liberazione dell’uomo! Ristabilire il chaos magnum (S. Lc. XVI; 26.) superato dal Cristo con la sua passione che ha pacificato nella sua Croce terra e cielo (Col. 1; 20)

Odiare il peccato. Ecco l’imperativo categorico che salva l’uomo e fa splendere nella sua vera luce il Sangue divino: fuge a facie peccati tanquam a facie colubri (Eccli. XXI, 2) perché  possa dirsi di noi: ipsi vicerunt (draconem) propter Sanguinem Agni (Questi vinsero il dragone con il sangue dell’Agnello – Apoc. XII, 11) Nella legge di Dio,  legge d’amore, niun odio è permesso. – Ogni odio esclude dal Regno di Dio! Un odio solo è permesso, odio logico e necessario: odio al peccato, per non esser nemici di Dio, per esser fratelli di Cristo, per partecipare alla sua Passione, e, di conseguenza, alla sua gloria!

3.) Quest’odio logico e legittimo, è indispensabile, per addivenir « zelanti » anche del bene prossimo.

E l’ultimo motivo che il Beato ci porge per far con frutto il Mese dedicato al prezzo di nostra redenzione, e ci si mostra in due aspetti caratteristici: siam debitori ai nostri fratelli; dobbiamo perciò stesso essere apostoli!

Debitori ai Fratelli. — Nati da uno stesso palpito infinito, plasmati dalla stessa mano, fatti tutti a sembianza d’un solo, siamo pure tutti figli di un solo riscatto. Se essi si son distaccati dal Padre, se han disertata la casa natale, perché non dobbiamo andare loro incontro, per riportarli alla grazia profluente del Sangue di Cristo? Se una solidarietà esiste che ci lega nella gioia e nel dolore, che ci fa lietamente dividere un pane benedetto dal sudore, essa non deve limitarsi ai vincoli del sangue, restringersi nella cerchia del domestico focolare, ma dilatarsi, spandersi, estendersi a quanti ci sono fratelli di fede, per aiutarli a che divengano tamquam civitas firma (Prov. XVIII, 19). Ricordiamoci che Cristo disse a noi oltre che a Pietro: Et tu, aliquando conversus, confirma fratres tuos (S. Luc. XXII, 32)! Di essi dobbiamo curarci, perché, come noi, redenti dallo stesso Sangue. L’opera nostra non deve limitarsi a non dar cattivo esempio, non fuorviar le anime con lo scandalo, appunto per non frustare l’opera della redenzione; ma deve spingersi fino a strapparlo da satana, per farlo tuffare, a rigenerazione, nel Sangue prezioso. Se il Cristo per i fratelli peccatori diede la vita, noi abbiamo il categorico dovere di salvarli. L’amore cristiano non si limita alla parola, alla lingua: non diligàmus verbo (non amiamo a parole…  – 1 Giov. III, 18), ma si estende all’opera, alla verità: sed opere et verìtate (ma con l’opera e verità – ibi). San Giovanni è esplicito al riguardo: In hoc cognovimus caritatem Dei, quoniam ille animata suam prò nobis posuit, et nos débèmus prò frutribus animas ponere (Da questo abbiamo conosciuto l’amore di Dio: Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli. – 1 Giov. III, 16). In quel Sangue c’è un patto di amore che non deve rompersi. Ci sarebbe da rievocare, a giusto sdegno, il monito del poeta: Siam fratelli, siam stretti ad un patto – maledetto colui che l’infrange (Manzoni).

Siamo Apostoli. – Non disse Cristo ai soli Apostoli: – Andate, predicate, diffondete ovunque il Regno di Dio! – A tutti impose l’obbligo perentorio di coadiuvarlo in questa gigantesca opera di ricostruzione morale del mondo, quando invitò a rivolgere al Padre la significativa preghiera: Adveniat regnum tuum (s. Matt. VI, 10)! Debitori ai fratelli di questo verace fondamento (Par. XXIX, 111) dobbiamo ricordare il monito del Maestro: luceat lux vestra coram hominibus, ut videant opera vestra bona et glorificent Patrem vestrum qui in cœlis est (Matth. V, 16 _ 2 Petr. II, 12)! Il nostro apostolato non deve limitarsi alla preghiera, che pure è una gran leva, ma estendersi all’opera, al buon esempio perché i peccatori godano i frutti della redenzione e non sia reso inutile il sacrificio di un Dio. Avrebbe ben ragione di lamentarsi Egli col grido esasperante dell’aspettativa delusa da una ingratitudine senza fine: Quæ utilitas in sanguine meo (Ps. XXIX,10)? – Come intese nella sua vasta portata e nella sua illimitata estensione questo dovere l’umile ma ardente apostola del Sangue la figlia del lanaio di Fontebranda, Caterina da Siena, quando vedendo in ogni anima riflesso il purpureo colore di quel Sangue, ogni anima cercò di avvicinare, per tuffarla ed annegarla in quel mare di infinita misericordia! All’opera dunque, sulle orme della grande Santa, per dare al Sangue divino quel culto di compenso che è la risposta più degna all’immensurabile amore di Dio per le sue creature!

II. – Modo onde praticarlo

In qual modo dobbiamo praticare il pio esercizio del Mese, sacro al ricordo della Redenzione? Su l’altare troneggia, rosseggiante di Sangue, il Dio Crocifisso. Lumi e fiori lo circondano. Occhi ed anime debbono protendersi a Lui, meno indegne certo dei lumi e dei fiori!

1.) Proporsi sott’occhi il Libro della Croce di Gesù Cristo, afferma il Beato Gaspare. Fulget Crucis mysterium (In Vexilla Regis, Vesp. temp. Pasc.)!

La Croce, su cui lampeggia Cristo (Par. XIV, 104) è il libro santo da leggere. Fu scandalo per i Giudei quel condannato all’infame patibolo. Lo dissero maledetto, poiché stava scritto: maledictus qui pendet in ligno (Deut. XXI; 23)! Stoltezza parve ai gentili quella ignobile morte di un essere straordinario che sì nuova ed alta dottrina aveva consegnata all’umanità (1 Cor. I, 23)! – I Giudei, nella loro errata concezione di redenzione, e ligi al programma di un esagerato nazionalismo, dimenticarono che quell’albero di morte, soppiantava quello dell’Eden, il solo letale! Scordarono che questo Adam novus (1 Cor. XV, 45) strappava il chirografo della umana condanna, scrivendo sulle sue stesse carni, col sangue, il decreto della molt’anni lagrimata pace: delens quod adversus nos erat chirographum decreti  (annullando il documento scritto del nostro debito, le cui condizioni ci erano sfavorevoli – Col. II, 14). Non seppero guardare nel Re dei Giudei il Salvatore del mondo che pacificava, con la Croce sua, terra e cielo: pacificans per sanguinem crucis ejus sive quæ in cœlis sive quæ in terris sunt (Colos. 1; 20). – Ai Romani parve stoltezza il morire del Cristo, il morire da schiavo! A noi no. Vediamo sulla croce la giustizia e la bontà di Dio. È un Dio che si offre al Padre per noi: oblatus est (Jsaj. LIII; 7); per riparare l’ingiustizia dall’uomo fatta a Dio. È un Dio che per noi, condannati a. morte eterna, offre in espiazione la sua vita col Sangue per riportarci all’amore divino: cuius livore sanati sumus (Ps. CIII, 5) E se il Cristo exauditus est prò sua reverentia (fu esaudito per la sua pietà – Hebr. V, 7), non dobbiamo dimenticare che Egli ha detto al Padre: respice in faciem Christi tui (mira la faccia del tuo Cristo – Ps. LXXXIII, 10).Nella sua umanità senza macchia c’era la nostra umanità contaminata; ma nella sua Persona divina c’era l’immagine e somiglianza di Dio: imago bonitatis illius (Sap. 7, 26). E con la forza del divino amore il Verbo sana, proprio sulla croce, la carne umana, solleva la umana natura fino al trono di Dio, rifacendo gli uomini suoi figli e suoi eredi: filii Dei, cohæredes autem Christi (Rom. VIII, 17)

2) Fulget Crucis mysterium!

Questo prezioso libro, la Croce, ha per noi tre significative parole: conoscere, amare, imitare il Crocifisso!

Conoscere! – Ignoti nulla cupido, dissero gli antichi. Per amare bisogna conoscere; e noi lo abbiamo conosciuto il nostro Dio. Apparve terribile come giustiziere nell’Antico Patto; tangit montes et Fumigant (Ps. CIII, 32) e la sua parola sul Sinai o presso il vitello d’oro, sorge dal fuoco come sull’Oreb e domina il fragore delle folgori e dei tuoni che atterrisce. Ma nel patto novello noi lo abbiamo visto come lo vedeva Giovanni: agnus, agnello (Joan I; 29), come lo aveva veduto il profeta del suo dolore tamquam agnus ad occisionem ductus (Is. LVII, 7) agnello mansueto e pio. Egli ci si è accostato, si è fatto simile a noi, habitu inventus ut homo (Fil. II, 7); ci ha parlato con tenerezza: in mundo conversatus); ha toccate le membra malate per mondarle dalla lebbra, ha sfiorate le anime bacate per riportarle alla grazia: pertransiit benefaciendo et sanando omnes oppressos a diabulo  (il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo – Act. X, 38)! Su noi ha versato, con l’onda del suo amore, il fiume regale del suo Sangue; questo Sangue ha racchiuso nei Sacramenti per la perenne vitalità dell’anima; l’ha spremuto nel calice porgendolo generosamente a bevanda di eterna resurrezione: Accipite et bibite (S. Matt. XXVI, 26)!  Esige dunque che lo amiamo. Ad amore risponda l’amore e sia, il nostro, per il suo amore sovra modo e sovra misura, (S. Bonav.)! Qual carità maggiore di quella dell’amico che s’immola per l’amico? majorem caritatem nemo habet ut ponat quis animam suam prò amicis suis(Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici – S. Giov. XV, 13). Egli si è immolato per i nemici, in amore: Amor sacerdos immolat (Ad regias Agni, etc.)! I nemici ha chiamato non servi ma amici: jam non dicam vos servos vos dixi amicos (S. Joan. XV, 15). Le sue piaghe, fiammanti come rubini, cantano il poema dell’amore; Christi vulnera, immensi amoris pignora, quibus perennes rivuli – manant rubentis sanguinis (Imn. Salvete etc,). La nostra risposta a lui che ci chiede come a Pietro: Diligis me (Mi ami, tu? – S. Giov. XXI, 16)? la sola possibile dopo averlo conosciuto,è: Domine, tu scis quia amo te (Signore, Tu lo sai che ti amo – ivi, v. 17)! E chi ci separerà piùdalla carità del Cristo: quis nos separabit a caritate Christi (Rom. VIII, 35)? Quel Sangue ha cementata la nostra amicizia con Lui. Né la morte, néla vita, né la spada, né le pene varranno a romperla. Ma l’Apostolo ci avverte che per non infrangerla è necessario vivere la vita del Crocifisso, come l’attestato più grande del nostro amore: omnes qui volunt pie vivere carnem suam crucifixerunt cum vitiis et concupiscentiìs suis(Ora quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la loro carne con le sue passioni e i suoi desideri. – Gal V, 24). A quella carne crocifissa, strappata dai flagelli, tormentata dalle spine, coperta di piaghe a pianta pedis usque ad verticem capiti (dalla pianta dei piedi fino al vertice del capo – Jsaj. LIII, 8)) deve combaciare la nostra carne macerata dalla penitenza, bagnata dal pianto, dalla contrizione: castigo corpus meum (1 Cor. XIX, 27)! I lividori di quel corpo immacolato son frutto dei nostri vizi, delle nostre concupiscenze. Per questi il Padre lo ha percosso: propter scelus populi mei percussi eum (percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per i nostri delitti – Jsaj. LIII, 4)! All’opera dunque, per estirpare le scelleratezze dell’anima, cagione di tanto martirio al Figlio di Dio, al nostro fratello primogenito, Gesù, che per noi lo subì: Vere languores nostros ipse tulit, et dolores nostros ipse portavit(Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori – Jsaj. LIII; 4). L’invito è anche dell’Apostolo: Empii estis pretio magno. Glorificate et portate Deum in corpore vestro (Siamo stati comprati a gran prezzo. Glorificate e portate Dio nel vostro corpo- 1 Cor. VI, 20)! Come Paolo predichiamo Cristo, Cristo Crocifisso, ma nel nostro corpo, perché si plachi l’ira divina, scenda col Sangue la virtù risanatrice, sia mitigata la lunga tortura del Cristo. Ed ascoltiamo l’invito del nostro santo: Adeamus ergo cum fiducia ad thronum gratiæ! (Andiamo dunque con fiducia al trono di grazia).  Andiamo a Lui in questo Mese, per mondarci nel suo Sangue, succhiarne l’amorosa onda che trasforma; unirci al suo sacrificio; ed otterremo misericordia: ut misericordiam consequamur (Hebr. IV, 16)! E leviamo a Lui, devoti e grati, amorosamente, la Lauda che gli rivolge la Sposa purpurata del suo Sangue benedetto:

Pange, lingua, gloriosi

Corporis mysterium

Sanguinisque pretiosi

quem in mundi prætium

fructus ventris generosi

Rex effudit gentium!

(Pange lingua, S. Thom.)

ESEMPIO

Nel 1296 dinanzi alla Chiesa di San Vito, patrono di Fiume, Pietro Longarich giocava a carte coi compagni del male. Perdeva in modo insolito, e già negli occhi infiammati brillava, sinistra, l’ira caina. Contrariato dalla fortuna, ruppe in grida oscene ed esecrabili bestemmie, senza curarsi dei passanti che, inorriditi, fuggivano lontano, quasi timorosi che la divina giustizia stesse per scaricarsi su quell’empio. Poi prende da terra un sasso e, con rabbia satanica, lo lancia furiosamente contro un crocifisso di legno ch’era sulla facciata del tempio, colpendolo al lato sinistro del petto. La mano sacrilega è ancor tesa in alto, quasi a maggiore sfregio, mentre il costato del Cristo colpito si squarcia, come fosse viva carne, e dalla ferita fiotta vivo sangue. La terra improvvisamente si apre, ingoia il perverso, di cui lascia al di fuori soltanto l’empia mano, testimonio dell’esecrando delitto! – Il Governatore di Fiume, Barone Rauber, fece bruciar pubblicamente lo empio arto; ed a ricordo del fatto appese ai piedi del simulacro una mano di bronzo. Il sasso col quale fu colpito, ancor oggi si vede, aderente al lato sinistro del Crocifisso e reca al di sotto la leggenda: Hoc lapidis ictu percussus fuit Crucìfixus. La terra bagnata di quel Sangue prodigioso fu portata a Pola, ove. da quel tempo è fatta segno di straordinaria venerazione. Il racconto ci ha fatto rabbrividire, fratelli! Eppur quel sasso lo abbiamo scagliato ancor noi al Crocifisso ogni volta che ci siamo ribellati a Lui con la colpa! – Ripariamo l’insulto sacrilego. Chiediamo perdono a Lui: sorgiamo dalla nostra indifferenza ed apatia; preghiamolo a concederci di soddisfare con l’amore più puro e più grande! E quel sangue cadrà su noi a benedizione!

Preghiera

O Sangue divino, versato per la nostra salute, ci inginocchiamo a te innanzi per adorarti, benedirti, amarti. Per offrirti un culto di compenso, in questo Mese odieremo la colpa e ripareremo il male compiuto col divenire zelanti della salute del prossimo. Ci stringiamo alla Croce con l’amore di Maria Maddalena, in penitenza: benediciamo la tua sovrana bontà! Fa, o Gesù Redentore, che nel tuo sacrificio e nel Tuo Sangue conosciamo sempre più il tuo amore per risponderti con l’amore il più tenero. Concedici di seguirti fin sulla Croce, ove crocifiggeremo la nostra carne con i suoi vizi e le sue concupiscenze. Donaci, col perdono, il tuo Sangue, perché di esso aspersi, possiamo essere forti nella lotta, ed essere accolti, trionfatori per Te, nel Regno che col tuo martirio ci hai acquistato. E canteremo coi quattro animali, coi ventiquattro Seniori, con le schiere degli Angeli e dei Santi l’inno che udiva Giovanni sul Cielo: A Lui che siede sul trono, ed all’Agnello sia benedizione, onore, potestà, per secoli dei secoli. Amen.

Risoluzione

Esser fedele, ogni giorno del Mese, nella recita di qualche orazione o giaculatoria al Preziosissimo Sangue (N. Pagliuca).

Fioretto Spirituale

O Sangue col quale si dissipa ogni timore servile, donaci la tranquillità!

(S. Caterina da Siena)

Giaculatoria

Sangue adorabiledel mio Signore,

di amore fervidom’inebria il core!

Credo

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/12/il-credo/

Offertorium

Orémus
1 Cor X:16
Calix benedictiónis, cui benedícimus, nonne communicátio sánguinis Christi est? et panis, quem frángimus, nonne participátio córporis Dómini est?

[Il calice dell’eucarestia che noi benediciamo non è forse comunione del sangue di Cristo? Il pane che noi spezziamo non è forse comunione col corpo di Cristo?]

Secreta

Per hæc divína mystéria, ad novi, quǽsumus, Testaménti mediatórem Jesum accedámus: et super altária tua, Dómine virtútum, aspersiónem sánguinis mélius loquéntem, quam Abel, innovémus.

[O Dio onnipotente, concedi a noi, per questi divini misteri, di accostarci a Gesù, mediatore della nuova alleanza, e di rinnovare sopra il tuo altare l’effusione del suo sangue, che ha voce più benigna del sangue di Abele.]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/comunione-spirituale/

Communio

Hebr IX: 28
Christus semel oblítus est ad multórum exhauriénda peccáta: secúndo sine peccáto apparébit exspectántibus se in salútem.

[Il Cristo è stato offerto una volta per sempre: fu quando ha tolto i peccati di lutti. Egli apparirà, senza peccato, per la seconda volta: e allora darà la salvezza ad ognuno che lo attende.]

Postcommunio

Orémus.
Ad sacram, Dómine, mensam admíssi, háusimus aquas in gáudio de fóntibus Salvatóris: sanguis ejus fiat nobis, quǽsumus, fons aquæ in vitam ætérnam saliéntis:

[Ammessi, Signore, alla santa mensa abbiamo attinto con gioia le acque dalle sorgenti del Salvatore: il suo sangue sia per noi sorgente di acqua viva per la vita eterna:]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/

https://www.exsurgatdeus.org/2018/09/14/ringraziamento-dopo-la-comunione-2/

https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: LUGLIO 2020

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA DEL MESE DI LUGLIO 2020

Nel 1296 dinanzi alla Chiesa di San Vito, patrono di Fiume, Pietro Longarich giocava a carte coi compagni del male. Perdeva in modo insolito, e già negli occhi infiammati brillava, sinistra, l’ira caina. Contrariato dalla fortuna, ruppe in grida oscene ed esecrabili bestemmie, senza curarsi dei passanti che, inorriditi, fuggivano lontano, quasi timorosi che la divina giustizia stesse per scaricarsi su quell’empio. Poi prende da terra un sasso e, con rabbia satanica, lo lancia furiosamente contro un crocifisso di legno ch’era sulla facciata del tempio, colpendolo al lato sinistro del petto. La mano sacrilega è ancor tesa in alto, quasi a maggiore sfregio, mentre il costato del Cristo colpito si squarcia, come fosse viva carne, e dalla ferita fiotta vivo sangue. La terra improvvisamente si apre, ingoia il perverso, di cui lascia al di fuori soltanto l’empia mano, testimonio dell’esecrando delitto! – Il Governatore di Fiume, Barone Rauber, fece bruciar pubblicamente lo empio arto; ed a ricordo del fatto appese ai piedi del simulacro una mano di bronzo. Il sasso col quale fu colpito, ancor oggi si vede, aderente al lato sinistro del Crocifisso e reca al di sotto la leggenda: Hoc lapidis ictu percussus fuit Crucìfixus. La terra bagnata di quel Sangue prodigioso fu portata a Pola, ove. da quel tempo è fatta segno di straordinaria venerazione. Il racconto ci ha fatto rabbrividire, fratelli! Eppur quel sasso lo abbiamo scagliato ancor noi al Crocifisso ogni volta che ci siamo ribellati aLui con la colpa! – Ripariamo l’insulto sacrilego. Chiediamo perdono a Lui: sorgiamo dalla nostra indifferenza ed apatia; preghiamolo a concederci di soddisfare con l’amore più puro e più grande! E quel sangue cadrà su noi a benedizione!

Preghiera

O Sangue divino, versato per la nostra salute, ci inginocchiamo a te innanzi per adorarti, benedirti, amarti. Per offrirti un culto di compenso, in questo Mese odieremo la colpa e ripareremo il male compiuto col divenire zelanti della salute del prossimo. Ci stringiamo alla Croce con l’amore di Maria Maddalena, in penitenza: benediciamo la tua sovrana bontà! Fa, o Gesù Redentore, che nel tuo sacrificio e nel Tuo Sangue conosciamo sempre più il tuo amore per risponderti con l’amore il più tenero. Concedici di seguirti fin sulla Croce, ove crocifiggeremo la nostra carne con i suoi vizi e le sue concupiscenze. Donaci, col perdono, il tuo Sangue, perché di esso aspersi, possiamo essere forti nella lotta, ed essere accolti, trionfatori per Te, nel Regno che col tuo martirio ci hai acquistato. E canteremo coi quattro animali, coi ventiquattro Seniori, con le schiere degli Angeli e dei Santi l’inno che udiva Giovanni sul Cielo: A Lui che siede sul trono, ed all’Agnello sia benedizione, onore, potestà, per secoli dei secoli. Amen.

Risoluzione

Esser fedele, ogni giorno del Mese, nella recita di qualche orazione o giaculatoria al Preziosissimo Sangue. (N. Pagliuca).

(A. Rey: IL PREZOSISSIMO SANGUE – Roma 1949)

PIUM EXERCITIUM MENSE IULIO

Fidelibus, qui mense iulio pio exercitio, in honorem pretiosissimi Sanguinis D. N. I. C . publice peracto, devote interfuerint, conceditur:

Indulgentia decem annorum quolibet mensis die; Indulgentia plenaria, additis sacramentali confessione, sacra Communione et oratione ad mentem Summi Pontificis, si diebus saltem decem eidem exercitio adstiterint. Iis vero, qui præfato mense preces aliave pietatis obsequia in honorem eiusdem pretiosissimi Sanguinis privatim præstiterint, conceditur: Indulgentia septem annorum semel singulis diebus; Indulgentia plenaria suetis conditionibus, si quotidie per integrum mensem idem pietatis obsequium obtulerint; at ubi pium exercitium publice habetur, huiusmodi indulgentia ab iis tantum acquiri potest, qui legitimo detineantur impedimento, quominus exercitio publico intersint (S. C. Indulg., 4 iun. 1850; S. Paen. Ap., 12 maii 1931).

IV

ORATIONES

218

0 Sangue prezioso di Gesù, prezzo infinito del riscatto dell’umanità peccatrice, bevanda e lavacro delle anime nostre, che proteggete continuamente la causa degli uomini presso il trono della suprema Misericordia, profondamente io vi adoro, e vorrei per quanto mi è possibile compensarvi delle ingiurie e degli strapazzi, che Voi ricevete di continuo dalle umane creature e specialmente da quelle, che ardiscono temerariamente di bestemmiarvi. E chi non benedirà questo Sangue di infinito valore? Chi non si sentirà infiammato d’affetto verso Gesù che lo sparse? Chi sarei io, se non fossi stato ricomprato da questo Sangue divino? Chi l’ha cavato dalle vene del mio Signore fino all’ultima stilla? Ah! questo è stato certamente l’amore. 0 amore immenso, che ci ha donato questo balsamo salutevolissimo! 0 balsamo inestimabile scaturito dalla sorgente di un amore immenso, deh! fa’ che tutti i cuori, tutte le lingue ti possano lodare, encomiare e ringraziare adesso e per sempre. Amen.

Indulgentia quingentorum dierum (Pius VII, 18 oct. 1815; S. Pæn. Ap., 25 iun. 1932).

219

Eterno Padre, io vi offro il Sangue preziosissimo di Gesù Cristo in isconto dei miei peccati, in suffragio delle anime sante del purgatorio e per i bisogni di santa Chiesa.

Indulgentia quingentorum dierum.

Indulgentia trium annorum, si mense vertente iulio oratio recitata fuerit.

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo quotidie per integrum mensem oblationis actus elicitus fuerit (Pius V I I , 22 sept. 1817; S. Paen. Ap., 10 man. 1933 et 3 apr. 1941).

220

I . Eterno Padre, io vi offro i meriti del Sangue preziosissimo di Gesù, vostro diletto Figlio e mio Redentore divino, per la propagazione ed esaltazione della mia cara Madre la santa Chiesa, per la conservazione e prosperità del suo Capo visibile il Sommo Pontefice Romano (Gregorio XVIII), per i Cardinali, Vescovi e Pastori di anime, e per tutti i Ministri del Santuario.

Gloria Patri. Sia sempre benedetto e ringraziato Gesù, che col suo Sangue ci ha salvato.

II. Eterno Padre, io vi offro i meriti del Sangue preziosissimo di Gesù, vostro diletto Figlio e mio Redentore divino, per la pace e concordia dei Re e dei Principi cattolici, per l’umiliazione dei nemici della santa Fede e per la felicità del popolo cristiano.

Gloria Patri. Sia sempre benedetto, ecc.

III. Eterno Padre, io vi offro i meriti del Sangue preziosissimo di Gesù, vostro diletto Figlio e mio Redentore divino, per il ravvedimento degli increduli, per l’estirpazione di tutte le eresie e per la conversione dei peccatori.

Gloria Patri. Sia sempre benedetto, ecc.

IV. Eterno Padre, io vi offro i meriti del Sangue preziosissimo di Gesù, vostro diletto Figlio e mio Redentore divino, per tutti i miei parenti, amici e nemici, per gl ‘indigenti, infermi e tribolati, e per tutti quelli, per cui sapete che io debbo pregare e volete che io preghi.

Gloria Patri. Sia sempre benedetto, ecc.

V. Eterno Padre, io vi offro i meriti del Sangue preziosissimo di Gesù, vostro diletto Figlio e mio Redentore divino, per tutti quelli, che quest’oggi passeranno all’altra vita, affinché li liberiate dalle pene dell’inferno e li ammettiate con la maggior sollecitudine al possesso della vostra gloria.

Gloria Patri. Sia sempre benedetto, ecc.

VI. Eterno Padre, io vi offro i meriti del Sangue preziosissimo di Gesù Cristo, vostro diletto Figlio e mio Redentore divino, per tutti quelli che sono amanti di sì gran tesoro, per quelli che sono uniti con me nell’adorarlo ed onorarlo e per quelli in fine che si adoprano nel propagarne la devozione. –

Gloria Patri. Sia sempre benedetto, ecc.

VII. Eterno Padre, io vi offro i meriti del Sangue preziosissimo di Gesù, vostro diletto Figlio e mio Redentore divino, per tutti i miei bisogni spirituali e temporali, in suffragio delle sante anime del purgatorio, e specialmente di quelle che sono state più devote del prezzo della nostra redenzione e dei dolori e delle pene della nostra cara Madre Maria santissima.

Gloria Patri. Sia sempre benedetto, ecc.

Viva il Sangue di Gesù adesso e sempre e per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Indulgentia trium annorum.

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo oblationis actus per integrum mensem quotidie reiteratus fuerit (Pius V I I , 22 sept. 1817; S. Pæn. Ap., 12 maii 1931).

221

Domine Iesu Christe, qui de cœlis ad terram de sinu Patris descendisti et Sanguinem tuum pretiosum in remissionem peccatorum nostrorum fudisti: te humiliter deprecamur, ut in die iudicii ad dexteram tuam audire mereamur: Venite benedicti. Qui vivis et regnas in sæcula sæculorum. Amen (ex Missali Rom.).

Indulgentia quinque annorum.

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, si quotidiana orationis recitatio in integrum mensem producta fuerit (S. Pæn. Ap., 22 nov. 1934).

222

Omnipotens sempiterne Deus, qui Unigénitum Filium tuum mundi Redemptorem constituisti, ac eius Sanguine placari voluisti: concede quæsumus, salutis nostræ pretium solemni cultu ita venerari, atque a praesentis vitae malis eius virtúte defendi in terris, ut fructu perpetuo laetemur in in cœlis. Per eumdem Christum Dominum nostrum. Amen (ex Missali Rom.).

Indulgentia quinque annorum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, oratione quotidie per integrum mensem devote repetita (S. Pæn. Ap., 15 iul. 1935).

Queste sono le feste del mese di

LUGLIO 2020

1 Luglio Pretiosissimi Sanguinis Domini Nostri Jesu Christi    Duplex I. classis *L1*

2 Luglio In Visitatione B. Mariæ Virginis    Duplex II. classis *L1*

3 Luglio S. Leonis Papæ et Confessoris    Semiduplex

           I Venerdì

4 Luglio Sanctæ Mariæ Sabbato    Simplex

           I Sabato

5 Luglio Dominica V Post Pentecosten    Semiduplex Dominica minor *I*

               S. Antonii Mariæ Zaccaria

Confessoris    Duplex

7 Luglio Ss. Cyrilli et Methodii Pont. et Conf.    Duplex

8 Luglio S. Elisabeth Reg. Portugaliæ Viduæ    Semiduplex

10 Luglio Ss. Septem Fratrum Martyrum, ac Rufinæ et Secundæ Virginum et Martyrum   Semiduplex

11 Luglio S. Pii I Papæ et Martyris    Feria

12 Luglio Dominica VI Post Pentecosten    Semiduplex Dominica minor

                   S. Joannis Gualberti Abbatis    Duplex

13 Luglio S. Anacleti Papæ et Martyris    Semiduplex

14 Luglio S. Bonaventuræ Episcopi Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

15 Luglio S. Henrici Imperatoris Confessoris    Semiduplex

16 Luglio Beatæ Mariæ Virginis de Monte Carmelo    Feria

17 Luglio S. Alexii Confessoris    Feria

18 Luglio S. Camilli de Lellis Confessoris    Duplex

19 Luglio Dominica VII Post Pentecosten    Semiduplex Dominica minor *I*

                  S. Vincentii a Paulo Confessoris    Duplex

20 Luglio S. Hieronymi Æmiliani Confessoris    Duplex

21 Luglio S. Praxedis Virginis    Feria

22 Luglio S. Mariæ Magdalenæ Pœnitentis    Duplex *L1*

23 Luglio S. Apollinaris Episcopi et Martyris    Duplex

24 Luglio S. Christinæ Virginis et Martyris    Feria

25 Luglio S. Jacobi Apostoli    Duplex II. classis

26 Luglio Dominica VIII Post Pentecosten    Semiduplex Dominica minor

                        S. Annæ Matris B.M.V.    Duplex II. classis

27 Luglio S. Pantaleonis Martyris    Feria

28 Luglio Ss. Nazarii et Celsi Martyrum, Victoris I Papæ et Martyris ac Innocentii I Papæ et Confessoris    Duplex

29 Luglio S. Marthæ Virginis    Duplex

30 Luglio S. Abdon et Sennen Martyrum    Feria

31 Luglio S. Ignatii Confessoris    Duplex majus

PREGHIERE ALLO SPIRITO SANTO (2)

PREGHIERE ALLO SPIRITO SANTO (2)

CORONA SPIRITUS SANCTI

286

In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.

Amen.

        Actus contritìonis:

Doleo, mi Deus, me contra te peccasse, quia tam bonus es; gratia tua adiuvante non amplius peccabo.

Hymnus Veni, Creator Spiritus, etc. cum versiculis et

Oremus

I – MYSTERIUM PRIMUM

De Spiritu Sancto ex Maria Virgine Iesus conceptus est

Meditatio. – Spiritus Sanctus superveniet in te, et virtus Altissimi obumbrabit tibi. Ideoque et quod nascetur ex te Sanctum, vocabitur Filius Dei (Luc, I, 35).

Afjectus. – Precare vehementer divini Spiritus auxilium et Mariæ intercessionem ad imitandas virtutes Iesu Christi, qui est exemplar virtutum, ut conformis fias imagini Filii Dei.

Semel Pater et Ave et septies Gloria Patri.

II – MYSTERIUM SECUNDUM

Spiritus Domini requievit super Iesum

Meditatio. Baptizatus autem Iesus, confestim ascendit de aqua, et ecce aperti sunt ei cœli: et vidit Spiritum Dei descendentem sicut columbam, et venientem super se (Matth., III, 16).

Affectus. – In summo pretio habe inæstimabilem gratiam sanctificantem per Spiritum Sanctum in Baptismo cordi tuo infusam. Tene promissa, ad quæ servanda tunc te obstrinxisti. Continua exercitatione auge fidem, spem, caritatem. Semper vive ut decet filios Dei et veræ Dei Ecclesiæ membra, ut post hanc vitam accipias cœli hereditatem.

Semel Pater et Ave et septies Gloria Patri.

III – MYSTERIUM TERTIUM

A Spiritu ductus est Iesus in desertum

Meditatio. – Iesus autem plenus Spiritu Sancto regressus est a lordane: et agebatur a Spiritu in desertum diebus quadraginta, et tentabatur a diabolo (Luc., IV, 1, 2).

Affectus. – Semper esto gratus prò septiformi munere Spiritus Sancti in Confirmatione tibi dato, prò Spiritu sapientiæ et intellectus, consilii et fortitudinis, scientiæ et pietatis, timoris Domini. Fideliter obsequere divino Duci ut in omnibus periculis huius vitae et tentationibus viriliter agas, sicut decet perf ectum christianum et fortem Iesu Christi athletam.

Semel Pater et Ave et septies Gloria Patri.

IV – MYSTERIUM QUARTUM.

Spiritus Sanctus in Ecclesia

Meditatio. – Factus est repente de cælo sonus tamquam advenientis spiritus vehementis, ubi erant sedentes; et repleti sunt omnes Spiritu Sancto loquentes magnalia Dei (Act., II, 2, 4, 11).

Afjectus. – Gratias age Deo quod te fecit Ecclesiæ suæ filium, quam divinus Spiritus, Pentecostes die in mundum missus, semper vivificate et regit. Audi et sequere Summum Pontificem, qui per Spiritum Sanctum infallibiliter docet, atque Ecclesiam quæ est columna et firmamentum veritatis. Dogmata eius tuere, eius partes tene, eius iura defende.

Semel Pater et Ave et septies Gloria Patri.

V – MYSTERIUM QUINTUM

Spiritus Sanctus in anima iusti

Meditatio. – An nescitis quoniam membra vestra templum sunt Spiritus Sancti qui in vobis est? (I Cor., VI, 19).

Spiritum nolite exstinguere (I Thess., V, 19).

Et nolite contristare Spiritum Sanctum Dei, in quo signati estis in diem redemptionis (Eph., IV, 30).

Affectus. – Semper recordare de Spiritu Sancto qui est in te, et puritati animæ et corporis omnem da operam. Fideliter obedi divinis eius inspirationibus, ut facias fructus Spiritus: caritatem, gaudium, pacem, patientiam, benignitatem, bonitatem, longanimitatem, mansuetudinem, fidem, modestiam, continentiam, castitatem.

Semel Pater et Ave et septies Gloria Patri.

In fine dicatur Symbolum Apostolorum Credo inDeum, etc, ut supra pag. 14, n. 43.

Indulgentia septem annorum.

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, corona quotidie per integrum mensem devote repetita (Breve Ap., 24 mart. 1902; S. Pæn. Ap., 18 mart. 1932).

Veni Creator Spiritus,

Mentes tuorum visita,

Imple superna gratia,

Quæ tu creasti pectora.

Qui diceris Paraclitus,

Altissimi donum Dei,

Fons vivus, ignis, caritas,

Et spiritalis unctio.

Tu septiformis munere,

Digitus paternæ dexteræ,

Tu rite promissum Patris,

Sermone ditans guttura.

Accende lumen sensibus:

Infunde amorem cordibus:

Infirma nostri corporis

Virtute firmans perpeti.

Hostem repellas longius,

Pacemque dones protinus:

Ductore sic te prævio

Vitemus omne noxium.

Per te sciamus da Patrem,

Noscamus atque Filium,

Teque utriusque Spiritum

Credamus omni tempore.

Deo Patri sit gloria,

Et Filio, qui a mortuis

Surrexit, ac Paraclito,

In sæculorum sæcula.

Amen.

V. Emitte Spiritum tuum et creabuntur;
R. Et renovabis faciem terrae.

Oremus.

Deus, qui corda fidelium Sancti Spiritus illustratione
docuisti: da nobis in eodem Spiritu recta sapere;  et de eius semper consolatione gaudere. Per Christum Dominum nostrum. Amen (ex Brev. Róm.).
Indulgentìa quinque annorum.
Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo
hymni recitatio, cum versiculo et oratione quotidie peracta,
in integrum mensem producta fuerit (Breve Ap.,
26 man 1706; S. Rituum Congr., 20 iun. 1889; S. Paen.
Ap., 9 febr. 1934).

Sequentia

Veni, Sancte Spíritus,

et emítte cælitus

lucis tuæ rádium.

Veni, pater páuperum;

veni, dator múnerum;

veni, lumen córdium.

Consolátor óptime,

dulcis hospes ánimæ,

dulce refrigérium.

In labóre réquies,

in æstu tempéries,

in fletu solácium.

O lux beatíssima,

reple cordis íntima

tuórum fidélium.

Sine tuo númine

nihil est in hómine,

nihil est innóxium.

Lava quod est sórdidum,

riga quod est áridum,

sana quod est sáucium.

Flecte quod est rígidum,

fove quod est frígidum,

rege quod est dévium.

Da tuis fidélibus,

in te confidéntibus,

sacrum septenárium.

Da virtútis méritum,

da salútis éxitum,

da perénne gáudium.

Amen. Allelúja.

Indulgentia quinque annorum. Indulgentia plenaria s. c. dummodo quotidie per integrum mensem sequentis devote recitata fuerit (Brev Ap. , 26 Maii 1976; Sacr. Pænit. Ap., 15 apr. 1933)

V. Emitte Spiritum tuum, et creabuntur,

R. Et renovabis faciem terræ.

Oremus

Deus, qui caritatis dona per gratiam Sancti Spiritus tuorum cordibus fidelium infudisti, da famulis tuis, pro quibus tuam deprecamur clementiam, salutis mentis et corporis; ut te tota virtute diligent, et quæ tibi placita sunt, tota dilectione perficiant. Per Christum Dominum nostrum. Amen.

Preghiera allo Spirito Santo

Deus in adjutorium etc. Gloria Patri etc.

Divino Paraclito Spirito, che avete create tutte le cose, deh venite a visitare con la vostra grazia l’anima mia creata per Voi; purgatela da ogni macchia, riempitela de’ vostri Doni, e infiammatela del santo Amore: Ve ne supplico per i meriti di Gesù. I meriti di Gesù suppliscano alle mie mancanze. Così sia.

l- O Divino Spirito di bontà, riempite il mio cuore del santo Timor di Dio, ma di quel filiale timore, che ci allontana per amore dall’offendere il nostro buon Padre, che merita di essere infinitamente amato, e glorificato.

Gloria Patri, etc.

2Spirito Santo consolatore, Padre dei Poveri, e refrigerio dei cuori, accordatemi per amor di Gesù quella vera, e perfetta Pietà, che è fondata sulla stabile Pietra angolare delle dottrine, e degli esempi del mio divino Maestro, e Salvatore.

Gloria Patri etc.

3- O Voi, Divino Spirito, comunicatemi il Dono della Scienza, che m’insegni ad amare Dio sommo Bene sopra ogni cosa, e con tutte le forze dell’anima mia.

Gloria Patri, etc.

4- O Spirito Santo, con la vostra virtù onnipotente spezzate le catene che tengono il povero mio cuore immerso nelle misere vanità del mondo; e datemi per amor di Gesù il Dono di Fortezza, onde rompa una volta tutti i lacci degli affetti terreni, e l’anima mia libera s’innalzi a Dio suo Creatore.

Gloria Patri, etc.

5- Sapientissimo Spirito, luce delle nostre menti, direttore del nostro cammino, datemi il celeste Consiglio, onde la mia vita sia tutta santa, e ordinata alla vostra gloria.

Gloria Patri, etc.

6- O Spirito santificatore delle anime, accordatemi il dono dell’Intelletto, onde obbedisca con perfezione alla sacra Legge, e ai consigli del mio Redentore.

Gloria Patri, etc.

7- O Sapienza del Padre, che disponete tutte le cose con fortezza e soavità, venite a insegnarmi la via del Paradiso. O Dio d’infinita carità, arricchite il mio cuore della Sapienza divina, onde ami solo il Bene eterno, e disprezzi i piaceri, le ricchezze, e le vanità fugaci, e bugiarde del mondo. Cosi sia.

Antiph. Charitas Dei diffusa est in cordibus nostris per inhabitantem Spiritum ejus in nobis.

V.- Emitte Spiritum tuum, et creabuntur.

R.- Et renovabis faciem terræ.

Oremus:

Adsit nobis, quæsumus, Domine, Virtus Spiritus Sancti, quæ et corda nostra clementer expurget, et ab omnibus tueatur adversis. Per Christum Dominum nostrum. Amen.

Fidelibus, qui septies doxologiam Gloria Patri … devote recitaverint ad septem dona a Spiritu Sancto impetrans, conceditur: Indulgentia trium annorum(S. C. de Prop. Fide, 12 mart. 1857; S. Pæn. Ap.,  10 iul. 1941).

Altra preghiera

O soffio divino dello Spirito Santo, fateVi sentire nell’anima mia; risvegliatela dall’assopimento in cui si trova; dissipate la languidezza in cui è immersa; portate via la polvere che si attacca, per così dire, a tutto quello che io fo; operate in me tutti i cambiamenti che Voi sapete esservi necessari. O divino Paraclito, datemi una di quelle lingue di lume, di carità, di perfezione che apparvero sopra gli Apostoli, affinché io possa con esse benedire il vostro Nome, confessare i miei peccati, insegnare con amore, riprendere con dolcezza, tacere quando conviene, ed edificare in ogni cosa. E voi, o santi Apostoli, che nel giorno solennissimo di Pentecoste riceveste nella sua pienezza lo Spirito di unità e santità, ottenete anche a noi un dono così segnalato, affinché credendo tutte le verità che avete insegnate, praticando tutte le opere che Voi avete raccomandate, vivendo e morendo nella Chiesa che Voi avete fondata, io giunga con Voi alla ricompensa beata ed eterna che ci avete insegnato a domandare e pregare. Così sia. [Manuale di Filotea, Milano 1888 – Impr.]

Preghiera

O Santo Spirito, Padre dei poveri e Consolatore degli afflitti, venite e scendete sopra di noi. Rischiarateci con la vostra sapienza, santificateci con il vostro amore; animateci con la vostra grazia; sosteneteci con la vostra fortezza, penetrateci con la vostra unzione; adottateci per figli con la vostra carità; pacificateci con la vostra presenza; salvateci con la vostra infinita misericordia; e sollevateci dalla terra al cielo, affinché Vi lodiamo, Vi benediciamo e Vi amiamo per tutta l’eternità. Amen. [Idem].

Preghiera per domandare i Doni

Deus in adjutórium meum intènde.

Dòmine ad adjuvàndum me festina. (Glòria Patri,…) .

Santissimo Spirito Paràclito, io Vi adoro come vero Dio insieme col Padre e col Figlio divino. Vi benedico con le benedizioni degli Angeli e dei Serafini. Vi offro tutto il mio cuore, e vi ringrazio vivamente dei tanti benefici che avete fatto e Sempre fate al mondo. E poiché Voi siete il datore di tutti i beni soprannaturali, e Voi riempiste di immense grazie l’anima della Madre di Dio Maria, Vi prego di venire in me con la vostra grazia e con il vostro amore.

1. O Spirito Santo, concedetemi il dono del santo Timor di Dio, affinché io non tema che il peccato, ami Dio sopra ogni cosa e diffidando di me e fidando in Voi, spenga nel mio cuore ogni ambizione mondana, ogni senso di superbia: salvi l’anima mia. Gloria Patri con una delle giaculatorie riportate sotto.

2. O Spirito Santo, concedetemi il dono della Pietà, affinché io onori Dio con tutto l’affetto del mio cuore, reprima ogni sentimento di invidia; il cuor mio diventi dolce e mansueto come quello di Gesù. Gloria Patri, ecc.

3. O Spirito Santo, concedetemi il dono della Scienza, affinché io conosca sempre più il mio Dio per amarLo, i miei peccati per detestarli, farne la penitenza e ottenerne il perdono. Gloria Patri, ecc.

4. O Spirito Santo, concedetemi il dono della Fortezza, affinché io non tema alcun nemico dell’anima mia, combatta e vinca ogni difficoltà nel divino servizio e diventi sempre più fedele e fervoroso nell’adempimento dei miei doveri. Gloria Patri, etc.

5. O Spirito Santo, concedetemi il dono del Consiglio, affinché la mia mente da esso illuminata, veda il nulla dei beni di questo mondo, scopra ogni inganno del demonio, scacci ogni soverchio affetto alle cose terrene, ed usando misericordia al prossimo, ottenga io pure la misericordia di Dio. Gloria Patri, ecc.

6. O Spirito Santo, concedetemi il dono dell’Intelletto, affinché io impari sempre più ad amare ed apprezzare le verità della fede, e moderando in me ogni affetto mondano, conservi sempre puro il mio cuore e meriti un giorno di contemplare faccia a faccia il mio Creatore e Padre. Gloria Patri, ecc.

7. O Spirito Santo, concedetemi il dono della Sapienza, affinché l’anima mia, gustando le dolcezze della pietà, fugga gli allettamenti del senso, domi ogni passione, e conservando la pace in me stesso, col mio Creatore e Padre e col mio prossimo, meriti di essere chiamato figlio di Dio, e mi trovi sempre pronto a patire ogni persecuzione per conservare un così prezioso tesoro.

Gloria Patri, ecc.

Veni, Sancte Spiritus

 Veni, Sancte Spiritus, reple tuórum corda fidélium, et tui amóris in eis ignem accènde.

V. Emitte spiritum tuum, et creabùntur.

R. Et renovàbis fàciem terræ.

Oremus

Deus, qui corda fidélium Sancti Spiritus illustratióne docuisti, da nobis in eódem Spiritu recta sapere et de éjus semper consolatióne gaudére. Per Christum Dominum nostrum.

Indulgentìa quinque annorum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo quotidiana precum recitatio in integrum mensem producta fuerit (S. C. Indul., 8 maii 1907; S. Pæn.
Ap., 22 dec. 1932).

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Supplica allo Spirito Santo

Santissimo Spirito Paràclito, padre dei poveri, consolator degli afflitti, lume de’ cuori, santificatore delle anime, eccomi prostrato alla vostra presenza; Vi adoro con profondissimo ossequio. Vi benedico per mille volte ed insieme con i Serafini che stanno davanti al vostro trono, ripeto anch’io Sanctus, Sanctus, Sanctus. Credo fermamente che Voi siete eterno, consustanziale al Padre ed al Figlio divino. Spero nella vostra bontà che abbiate a salvare e a santificare quest’anima mia. Vi amo, o divino amore, con tutti gli affetti miei sopra tutte le cose di questo mondo, perché Voi siete infinita bontà, unicamente degna di tutti gli amori. E perché io, ingrato e cieco alle vostre ispirazioni tante volte Vi ho offeso con i miei peccati, Ve ne chiedo con le lacrime agli occhi mille volte perdono, dispiacendomi, più di ogni altro male, per aver disgustato Voi, sommo Bene. Vi offro tutto il mio freddissimo cuore, e Vi prego di ferirlo con un raggio della vostra luce e con una scintilla del vostro fuoco, affinché si dilegui il durissimo ghiaccio delle mie iniquità. Voi, che riempiste d’immense grazie l’anima di Maria santissima, ed infiammaste di santo zelo i cuori degli Apostoli, deh infervorate nel vostro amore anche il mio petto. Voi siete Spirito divino, sostenetemi contro tutti gli spiriti maligni. Siete fuoco: accendetemi del vostro amore. Siete luce: rischiaratemi la mente alla cognizione delle cose eterne. Siete colomba, datemi l’innocenza dei costumi. Siete aura soave, dissipate in me i venti delle mie passioni. Siete lingua: insegnatemi il modo di sempre benedirvi. Siete nuvola: proteggetemi con l’ombra del vostro patrocinio. E se finalmente siete il datore di tutti i doni celesti, deh animatemi, Vi prego, con la vostra grazia, santificatemi con la vostra carità, illuminatemi con la vostra sapienza, adottatemi per figlio con la vostra bontà, e salvatemi con l’infinita vostra misericordia; affinché sempre Vi benedica, Vi lodi e Vi ami, prima in terra nel tempo e poi in cielo per tutta l’eternità. Amen.

LITANIE DELLO SPIRITO SANTO

Signore, abbiate pietà di noi

Cristo, abbiate pietà di noi

Signore, abbiate pietà di noi.

Cristo ascoltateci,

Cristo, esauditeci.

Padre celeste, che siete Dio, abbiate pietà di noi.

Figlio, Redentore del mondo, che siete Dio, abbiate pietà di noi.

Spirito Santo, che siete Dio, abbiate pietà di noi.

Santa Trinità, che siete un solo Dio, abbiate pietà di noi.

Spirito Santo, che procedete dal Padre e dal Figlio, abbiate pietà di noi [ogni volta].

Spirito Santo, che all’inizio del mondo spiravate sulle acque rendendole feconde …

Spirito Santo, per la cui ispirazione parlarono gli uomini di Dio, …

Spirito Santo, che rendeste testimonianza di Gesù Cristo, …

Spirito Santo, che siete disceso su Maria, …

Spirito Santo, che riempite tutta la terra, …

Spirito Santo, che abitate in noi, …

Spirito di verità, la cui unzione ci insegna tutte le cose, …

Spirito di sapienza e di intelletto, …

Spirito di consiglio e di fortezza, …

Spirito di scienza e di pietà, …

Spirito di santo timor di Dio, …

Spirito di grazia e di misericordia, …

Spirito di forza e di sobrietà, …

Spirito di umiltà e di castità, …

Spirito di dolcezza e di bontà, …

Spirito di pazienza e di modestia, …

Spirito di pace e di preghiera, …

Spirito di compunzione, …

Spirito di adozione dei figli di Dio, …

Spirito di ogni sorta di grazie, …

Spirito Santo che penetrate anche i segreti di Dio, …

Spirito Santo che pregate per noi con gemiti ineffabili, …

Spirito Santo disceso su Gesù sotto forma di colomba, …

Spirito Santo disceso sugli Apostoli sotto forma di lingue di fuoco, …

Spirito Santo di cui gli Apostoli furono ripieni, …

Spirito Santo per cui riceviamo una nuova vita, …

Spirito Santo che riempite i nostri cuori di carità, …

Spirito Santo che distribuite i vostri doni a chi Vi piace, …

Siateci propizio, perdonateci o Signore,

Siateci propizio, esauditeci o Signore,

Da ogni male – liberateci o Signore [ogni volta].

Da ogni peccato, …

Dalle tentazioni e dagli inganni del demonio, …

Dalla presunzione e dalla disperazione, …

Dalla resistenza alla verità conosciuta, …

Dall’ostinazione e dall’impenitenza, …

Da ogni sozzura di corpo e di anima, …

Dallo spirito di impurità, …

Da ogni cattivo spirito, …

Per la vostra eterna processione dal Padre e dal Figlio, …

Per la concezione di Gesù Cristo operatasi per opera vostra, …

Per la vostra divina discesa su Gesù Cristo nel Giordano, …

Per la vostra discesa sugli Apostoli nel cenacolo, …

Nel gran giorno del giudizio, …

Noi poveri peccatori, Ascoltateci, Ve ne preghiamo [ogni volta],

Affinché vivendo per lo spirito, per lo spirito pure operiamo, …

Affinché ricordandoci che siamo tempio dello Spirito Santo, giammai Lo profaniamo, …

Affinché, vivendo secondo lo spirito, non assecondiamo i desideri della carne, …

Affinché non abbiamo a contristare Voi che siete lo Spirito di Dio, …

Affinché possiamo conservare l’unità di spirito nel vincolo della pace, …

Affinché non abbiamo a credere troppo facilmente ad ogni spirito, …

Affinché sappiamo provare se gli spiriti vengono da Dio, …

Affinché ci rinnoviate nello spirito di rettitudine, …

Affinché ci fortifichiate col vostro sovrano Spirito, …

Agnello di Dio che togliete i peccati dal mondo, perdonateci o Signore.

Agnello di Dio che togliete i peccati dal mondo, esauditeci o Signore.

Agnello di Dio che togliete i peccati dal mondo, abbiate pietà di noi.

V. – Manda il tuo Spirito, e crea in noi una nuova creatura.

R. – E rinnoverai la faccia della terra.

Preghiamo

O Dio, che ammaestrasti i cuori dei fedeli con la luce dello Spirito Santo, concedici di gustare nel medesimo Spirito, ciò che è bene, e di godere sempre delle sue consolazioni. Per Cristo nostro Signore. Così sia.

Giaculatorie:

Spiritus Sancte Deus, miserere nobis. (500 g. o.v.)

Spiritus Sancti gratia illumina sensus, et corda nostra. Amen. (500 g. o.v.)

DA SAN PIETRO A PIO XII (1)

DA S. PIETRO A PIO XII

CATECHISMO DI STORIA DELLA CHIESA  (1)

[G. Sbuttoni: Da Pietro a Pio XII, Edit. A. B. E. S. Bologna, 1953; nihil ob. et imprim. Dic. 1952]

PREAMBOLO

— Può essere utile un Catechismo di Storia della Chiesa?

— Si ritiene di sì, specialmente per la gioventù in genere, come la più bisognosa di vedere — e proprio sminuzzato in domande e risposte il succedersi delle vicende vissute nei secoli dalla Chiesa di Gesù Cristo, al fine di riviverle con lei ora, senza esitazione e senza paura, riconoscendola sostenuta dalla mano di Dio e dominata da Colui che ha detto: « Abbiate fiducia. Io ho vinto il mondo! » (Giov. XVI, 33).

L’appartenere senza riserve alla Chiesa può, ai giorni nostri, persino importare il martirio: perché nel mondo attuale l’autentica vita cristiana è eroismo e spesso martirio. Ma che cosa è stata la storia della Chiesa, fin dal suo sorgere, se non proprio eroismo e martirio! – Il trovarsi perciò davanti all’ampio e svariato panorama di tutte le alternative che ha affrontato la divina Istituzione di Gesù, potrà rappresentare un opportunissimo incitamento ai presenti e futuri combattimenti, confermato dal proposito di non esser degeneri dagli eroi dei primi secoli e di tramandare ai posteri, perennemente vivida, la fiaccola della Fede da loro ricevuta, adornata dei più portentosi esempi.

Fu questa fiaccola che, custodita gelosamente nei cuori e passata di generazione in generazione, fece sì che al principio del IV secolo il mondo si svegliasse cristiano.

Quando — e speriamo tra breve — a Dio piacerà di dir: « basta! » alla furia diabolica, che, da tempo, ha preso ad esplodere, raggiungendo ora l’acme dei suoi infernali rigurgiti, allora l’umanità si ritroverà nuovamente ai piedi di Cristo, Maestro e Redentore, e intorno alla cattedra della Chiesa madre e maestra di tutte le genti. E il merito di questa ricristianizzazione sarà di chi s’è mantenuto alla luce della fiaccola divina, contribuendo a riportare l’umanità sotto la guida di Roma cattolica e del Sommo Pontefice, riconosciuto più che mai, non solo « Salus Italiæ », ma « et universi Orbi ». – Per giungere tuttavia a questo nuoto trionfo, superando le odierne durissime difficoltà, giova uno sguardo attento al passato. Esso ci dice che le istituzioni che hanno natura, costituzione e finalità puramente umane finiscono tutte, benché basate sul più violento diritto della forza, in un crollo fatale. La Chiesa invece, nonostante le tempeste furibonde delle persecuzioni, delle eresie, dei tradimenti…, sopravvive, si dilata, si afferma ovunque. Ad onta delle continue minacce di annientarla e degli sforzi inauditi da parte di tanti nemici, bramosi di celebrarne, finalmente, in un’orgia indescrivibile le funebri esequie, finisce sempre per essere essa stessa a comporre nel sepolcro i propri nemici. – Il che garantisce che nella Chiesa « est digitus Dei » e quindi « portæ inferi non prævalebunt ». Non prevalsero quando avanzavano all’ombra dei làbari dell’Impero Romano, non prevalsero quando avanzavano all’ombra della mezza luna turchesca o delle bandiere del Bonaparte o di quelle massoniche; non prevarranno ora nonostante tutte le agguerrite divisioni euro-asiatiche, all’insegna della falce e martello; non prevarranno « mai », [… nemmeno oggi che la sinagoga di satana ha usurpato la sede del trono di Pietro – ndr. ]. – E’ bene che specialmente la gioventù mediti su questo incancellabile « mai! » e riconosca che in realtà la storia dei vari regni, imperi, repubbliche, dittature… è, dopo un breve loro affermarsi, l’esposizione del loro inesorabile sfasciarsi; mentre la storia della Chiesa è sempre immancabilmente, dopo diuturne lotte, la descrizione dei suoi trionfi e la realizzazione dell’« adveniat regnum tuùm ».

PARTE PRIMA

DALLE ORIGINI AL 1000

PREAMBOLO

La Chiesa

Lo Spirito Santo discese, una prima volta, sopra una pura cameretta di Nazareth. E Gesù (si legge nel « La Barca del Pescatore » di Piero Bargellini e d. G. De Luca) prese la natura d’uomo. Tornò a discendere poi sotto forma di colomba, sulle rive del Giordano, mentre Gesù iniziava la vita pubblica. Quando, per la terza volta, in forma di fuoco, discese sopra la testa dei Dodici attorno alla Madonna, Gesù riprese corpo nella Chiesa. La Chiesa infatti era ed è il Corpo Mistico di Gesù: la perenne nascita, la perenne incarnazione di Gesù nel mondo… che continua a santificare, ad ammaestrare, a governare; e cioè a redimere e salvare le anime. – Di questo corpo Gesù è il Capo, lo Spirito Santo è il cuore, noi siamo le membra. Membra ricollegate e unite nella stessa vita dal vincolo della stessa Fede, degli stessi riti, degli stessi Sacramenti, della stessa obbedienza alla stessa Autorità. – La Chiesa è così una perfetta soprannaturale società, non fantastica né astratta, ma reale, come un corpo vivente. E come in un corpo vivente tutte le membra sono necessarie o utili, ma non sono tutte uguali, così la Chiesa è una società ineguale. Vi si distingue subito: la Gerarchia e il popolo di Dio. La Gerarchia, questo sacro principato, non ha soltanto una preminenza d’onore, ma un vero e proprio potere: Potere di giurisdizione ( = cioè di far leggi e farle rispettare), di magistero (= cioè di insegnare), e di ordine ( = cioè di santificazione). – Questo potere non è in tutti, ma nel Clero, suddiviso in tre ordini: Diaconi, Preti, Vescovi; ed è un potere di diritto divino, cioè indipendente, supremo, universale, necessario e perpetuo. – La Chiesa è una società monarchica. Il Re, in cielo, è Gesù, nostro fratello e. nostro sovrano. In terra il Papa, uomo al par di noi, ma in cui soltanto, in tutta la pienezza, risiede l’autorità della Chiesa. Questa società, visibile: una nel tempo e nello spazio; santa nella sua essenza, nel suo fine, nei suoi mezzi, nelle sue membra santificate, seppur qualche volta sozze di peccato; infallibile in ciò che riguarda il divino deposito della Rivelazione; apostolica, cioè dinastìa rimontante, attraverso i Vescovi, per una serie ininterrotta, agli Apostoli; questa Chiesa, Cattolica di diritto e in gran parte di fatto, cioè tale che gli uomini sono tenuti ad entrarvi, se vogliono esser salvi, al di sopra di razze e di confini; questa Chiesa, necessaria più del pane sulla tavola e dell’aria nel petto; indefettibile, che non verrà mai meno, prima che la terra non arda nel firmamento; questa Chiesa era già completa, perfetta e vitale nel Cenacolo, il giorno della Pentecoste, quando lo Spirito Santo la investì. Dalla « sala alta » uscì la nuova barca intravista da Platone, con il timoniere (San Pietro), i marinai (gli Apostoli) e i passeggeri formanti il popolo santo visto da Isaia. Spiegò le vele nel sorriso di Maria che, come aveva assistito l’infanzia di Gesù, assisteva ora l’infanzia della sua incorruttibile Chiesa.

CAPO I.

IL CRISTIANESIMO TRA GLI EBREI

A — L’aurora: « VENGA IL TUO REGNO! ».

D.  Tra le petizioni che Gesù pone sulle labbra degli Apostoli, quale emerge?

 — Questa: « Venga il tuo Regno! ».

D. Che cosa essa significa?

— La missione degli Apostoli (che impersonano la Chiesa di Gesù Cristo) di guadagnare allo stesso Cristo quelli che sono lontani da Lui.

D. Quali limiti assegna Cristo agli Apostoli, e quindi alla Chiesa, nel lavoro di conquista?

— Quanto allo spazio, i confini della terra; quanto al tempo, la fine del mondo.

D. Con quali credenziali Cristo manda nel mondo gli Apostoli.?

— Eccole:

« Sono Io che vi ho prescelti » (Jo. XV, 18).

« Come il Padre ha mandato Me, così Io mando voi » ( ibid. XX, 21).

« Andate, dunque, in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura » (Mc. XVI, 15).

« Io sarò con voi sino alla fine dei tempi » (Mt. XXVIII, 20).

« Chi ascolta voi, ascolta Me: chi disprezza voi, disprezza Me » (Lc. X. 16).

D. La dignità e i poteri degli Apostoli in chi continuano?

— Nei loro successori, il Papa e i Vescovi; la cui dignità e poteri vengono non dagli uomini, ma da Dio.

D. E’ dunque necessario accogliere l’insegnamento dei Pastori della Chiesa!

— Si, difatti: « Fuori della Chiesa non v’è salvezza ».

1. – IO SONO LA VIA, LA VERITÀ, LA VITA

D. Prima che sorgesse la Chiesa, qual era la condizione religiosa e morale delle nazioni del mondo!

— Tutte le nazioni del mondo, abbrutite dal peccato e traviate dal politeismo, erano immerse in una profonda ignoranza religiosa e soggiacevano ad un altrettanto profondo abbassamento morale.

D. E qual era la condizione religiosa e morale del popolo Giudeo?

— Nonostante la Rivelazione, che ebbe dal Signore, anche il popolo Giudeo, trascinato dagli avvenimenti degli ultimi secoli, precedenti la nascita di Cristo, era decaduto religiosamente e moralmente.

D. Da chi poteva venire la salvezza?

— Da GESÙ CRISTO, che aveva ripetuto alle turbe: « Io SONO la VERITÀ, la VIA, la VITA » (Jo. XIV, 6), e tale fu realmente per tutti coloro che accolsero il suo messaggio di redenzione.

D. In che modo Gesù è la VERITÀ?

— In quanto diradò le tenebre dell’ignoranza e dell’errore con il portarci dal cielo la verità del dogma, che sta alla base del suo Vangelo e del suo Credo.

D. In che modo Gesù è la VIA?

— In quanto con la sua dottrina morale sollevò l’umanità dal fango in cui era caduta e divenne la vera via della civiltà e del progresso per l’uomo.

D. In che modo Gesù è la VITA?

— In quanto con il lasciarci i suoi Sacramenti, frutto della sua morte dolorosa, ridonò all’umanità la Grazia Santificante, che è il principio e l’essenza della vita spirituale dell’ uomo.

D. Che manca dunque dove manca Gesù!

— Manca la verità, la civiltà vera, la vita.

2. – ANDATE E ISTRUITE TUTTE LE GENTI

D. A chi era diretta l’opera redentrice di Gesù!

— Non solo alla redenzione del popolo Giudeo, ma di tutti i popoli, di tutte le nazioni, di tutti i paesi, di tutti i secoli.

D. Doveva dunque essa continuare dopo l’ascesa di Gesù al cielo?

— Certamente, e perpetuarsi per tutti i secoli, finché ci fosse un uomo sulla terra.

D. Da chi doveva essere continuata!

— Dalla CHIESA, fondata da Gesù, il quale le diede per capo Pietro, suo Vicario.

D.. In che modo la Chiesa doveva continuare l’opera redentrice di Gesù?

— Eseguendo, per mezzo degli Apostoli guidati da Pietro, l’evangelizzazione del mondo intero.

D. Quando Gesù diede alla Chiesa tale incarico?

— Nel momento di prender congedo dagli Apostoli e discepoli, allorché pronunciò quelle solenni parole, che sono il programma della Chiesa Cattolica: « Andate e istruite tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre e del Figliolo e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto quello che vi ho comandato. Ed ecco che Io sono con voi (sarò cioè al vostro fianco come maestro e difesa), per tutti i giorni sino alla consumazione dei secoli » (Mt. XXVIII, 19-20).

9. – COMINCIANDO DA GERUSALEMME

D. Dove doveva cominciare l’evangelizzazione del mondo!

— Da Gerusalemme, capitale del popolo privilegiato, poi estenderai a tutta la Giudea e la Samaria, per raggiungere sino l’estremità del mondo (Act. I, 8).

D. Era giusto che così fosse!

— Sì. Il Messìa doveva venir predicato prima al popolo cui era stato promesso e che gli diede i natali, poi agli altri.

D. E trovò ascolto il comando di Gesù!

— Pienissimo, sia da parte degli Apostoli, come man mano dai vari convertiti: ciascuno dei quali si fece un dovere di far conoscere alla cerchia dei propri conoscenti il messaggio di Gesti. – Si può dire che la Chiesa nacque missionaria.

NOTA. – Un illustre storico protestante, Adolfo Hurnack, ha descritto con efficacia l’apostolato della Chiesa. Egli scrive: « I missionari più numerosi della Religione cristiana, quelli che fecero anche più copioso frutto, non furono i maestri di professione, ma spesso i più semplici fra i Cristiani con lo spettacolo di fedeltà e di forza che essi davano al mondo. Quanto poco ci giunge agli orecchi dei successi di quelli, quanto, al contrario, dei meravigliosi effetti di questi ultimi! Ogni confessore e martire, sopra tutto era missionario; non solo egli confermava quelli già guadagnati alla fede, ma sempre dei nuovi ne conquistava con la sua testimonianza e con la sua morte. Gli Atti dei Martiri sono pieni di queste conversioni ».

4. – LA PREPARAZIONE A QUESTA MISSIONE DIVINA

D. Che cosa era necessario agli Apostoli per eseguire il compito loro affidato?

— Divenire d’un tratto i teologi, i moralisti, i santificatori delle nazioni.

D. Chi poteva compiere in loro un miracolo di tal fatta!

— Dio onnipotente.

D. Lo promise mai tal miracolo Gesù agli Apostoli!

— Sì, quando disse loro: « Scenderà in voi lo Spirito Santo e vi insegnerà ogni verità. Intanto preparatevi con la preghiera, nel ritiro e nel silenzio del Cenacolo ».

D. Ubbidirono gli APOSTOLI?

— Sì. Scesi infatti dall’Oliveto, dal quale Gesù era salito al cielo, si raccolsero nel cenacolo con i discepoli e i pochi amici di Gesù, in tutto circa 120 persone.

D. Quale fu uno dei primi atti di Pietro, capo della Chiesa!

— La proposta di eleggere uno in luogo di Giuda, il traditore.

D. Chi fu sorteggiato?

— Mattia e fu aggregato agli Undici.

D . Quanto rimasero gli Apostoli nel Cenacolo!

— Dieci giorni.

D. Chi vi era pure con loro?

— Maria, la Madre di Gesù, affidata dal Salvatore alle cure di Giovanni e diventata ormai il centro della vita della nuova Chiesa.

5. – INAUGURAZIONE DELLA CHIESA

D. Quando venne lo Spirito Santo?

— Proprio il giorno in cui i Giudei festeggiavano la loro Pentecoste e ricordavano la promulgazione della legge divina sul Sinai.

D. Dorve è descritto l’avvenimento?

— Nel libro degli « ATTI degli APOSTOLI » di S. Luca, al capo II.

D. Chi vi era a Gerusalemme in quell’epoca?

— Una moltitudine di Giudei, di diverse nazioni, giunti per la festa.

D. Da che cosa furono colpiti.?

— Dal fatto che ciascuno udiva gli Apostoli parlare e li capiva come se avessero parlato nella sua lingua materna; perciò si chiedevano: « Costoro, che parlano, non sono tutti Galilei? E come mai abbiamo udito ognuno di noi il linguaggio nostro nel quale siamo nati? Che cosa è mai questo? »

D. Come si chiama questo fenomeno?

— Glossolalìa.

D. Da chi è stato operato questo prodigio?

— Dallo Spirito Santo.

D. Come è Egli apparso?

— Esternamente in forma di lingue luminosissime di fuoco, internamente con l’illuminare le menti degli Apostoli con una SCIENZA sovrumana, così che da ignoranti pescatori diventarono, d’un tratto solo, i profondi teologi e i filosofi del Cristianesimo: partecipò loro il dono della « glossolalìa », per cui ciascuno degli Apostoli, pur parlando la propria lingua, si faceva capire dagli altri nel rispettivo proprio linguaggio; inoltre riscaldò i loro cuori di un entusiasmo e di un coraggio tale, che diventarono intrepidi banditori del Nome e del Vangelo di Cristo.

D. Che fece Pietro?

— Scese, per la prima volta, sulla pubblica piazza di Gerusalemme, prese la parola, e, rinfacciato ai suoi connazionali il delitto del deicidio: « Sappiate, grida loro, che Colui che voi avete crocifisso e che è risuscitato da morte, è il Cristo ».

D. Che cosa fanno gli uditori?

— Commossi, chiedono a Pietro: « Che dobbiamo fare? » — E Pietro risponde: « Fate penitenza e si battezzi ciascuno di voi nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; e riceverete il dono dello Spirito Santo » (Act. II, 37-39).

D. Quante persone, furono battezzate in quel giorno!

— Circa tremila.

6 . – I MIRACOLI DI PIETRO E DEGLI APOSTOLI

D. Che cosa aveva promesso Gesù agli Apostoli?

— Che avrebbero confermato la loro predicazione con prodigi di ogni genere.

D. E fu veramente così?

— Sì; infatti mentre un giorno Pietro e Giovanni salivano al tempio per pregare, un mendicante, storpio dalla nascita, giacente presso la porta, chiese loro l’elemosina. Pietro gli disse: « Io non ho né argento, né oro: ma quello che ho, te lo dò: Nel Nome di Gesù Cristo Nazareno, alzati e cammina » (Act. III, 6). E s’alzò guarito.

D. Che cosa seguì a questo miracolo?

— Un accorrere straordinario del popolo ammirato.

D. Che fece allora Pietro?

— Parlò così al popolo: Voi rinnegaste il Santo e il Giusto e chiedeste che vi fosse dato per grazia un omicida. Uccideste l’autore della vita che Dio risuscitò da morte, e testimoni siamo noi. Gesù continua a operare prodigi; ora lo vedeste con i vostri occhi, perché nel suo Nome questo infelice ricevette perfetta salute. Ora io so che voi commetteste il deicidio per ignoranza. Fate dunque penitenza, convertitevi perché siano cancellati i vostri peccati ».

D. Come fu accolto il discorso di Pietro?

— Molti credettero alle sue parole e ricevettero il Battesimo.

7. – L’ALBERO CHE CRESCE

D. Fecero altri miracoli gli Apostoli?

— Sì, al punto che l’ombra solo di Pietro risanava tutti gl’infelici ch’essa raggiungeva, così che si portavano i malati fuori nelle piazze lungo tutto il suo passaggio.

D. Qual era la conseguenza di tanti prodigi?

— Un accorrere incalcolabile di gente dalle vicine città e un aumento quotidiano del numero di Cristiani.

D. Che cosa si verificava intanto?

— La predizione di Gesù che il suo Regno, simile al piccolo grano di senape, da umili origini sarebbe presto cresciuto, divenendo un grande albero.

8. – LA VITA DELLA PRIMA CHIESA

D. Come visse la prima chiesa?

— Di vita tutta propria.

D. Il tempio divenne chiesa cristiana?

— Purtroppo no.

D. Non erano parecchie migliaia i Giudei convertiti?

— Sì, ma i più fanatici restavano ostili.

D. Che ne seguì per questo ?

— Il lento staccarsi della nuova Chiesa dalla Sinagoga, per vivere di vita propria.

D. Che cosa aveva infatti di proprio la nuova Chiesa?

— Un CREDO proprio, che aveva per centro la fede nella divinità di Gesù Cristo. Una MORALE propria, quella del Vangelo. Dei RITI propri, di cui il principale era la SS. Eucarestia, chiamata « frazione del pane », perché, imitando Gesù, si consacrava un unico pane, che veniva spezzato tra i fedeli. Un AMORE scambievole veramente straordinario, spinto fino alla comunanza volontaria dei beni, e una concordia tale da presentare l’intera comunità come una sola famiglia.

D. Era grande perciò il suo prestigio?

— Grandissimo e perciò si dilatava per la Giudea e per la vicina Samaria, e il nome Cristiano attraeva sempre nuove anime a Cristo.

9. – LA PRIMA PERSECUZIONE

D. Aveva mai parlato Gesù agli Apostoli delle persecuzioni che li attendevano?

— Sì, specialmente quando disse loro: « Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me ». « Se hanno perseguitato me; perseguiteranno anche voi ». « Vi cacceranno dalle Sinagoghe; anzi verrà tempo che chi vi ucciderà, si crederà di rendere onore a Dio ». (Jo. XV, 18-20; XVI, 2 ) .

D. Quando si scatenò la persecuzione contro la Chiesa nascente!

— Subito nei primi giorni della sua attività.

D. Come si svolse?

— Il Sinedrio, inquieto per la guarigione dello storpio, e impressionato per il numero rilevante dei convertiti, quella stessa sera chiuse in carcere Pietro e Giovanni, e il domani proibì loro di predicare Cristo. Pochi giorni dopo imprigionò anche gli altri Apostoli.

D. Ubbidirono gli Apostoli all’ingiunzione di non predicare Cristo?

— Risposero unanimi: « Bisogna ubbidire a Dio piuttosto che agli uomini ».

D. Che decisero i Sinedristi?

— Di metterli a morte.

D. Chi si oppose a tale sentenza?

— Il saggio Gamaliele, il quale fece riconoscere che non conveniva macchiarsi di altro sangue, perché se la religione che predicavano gli Apostoli non era divina, sarebbe svanita da sé; se invece era realmente da Dio, sarebbe fatica inutile tentare di distruggerla.

D. Che venne fatto agli Apostoli?

— Furono battuti con verghe e fu rinnovato il rigoroso divieto di predicare Gesù.

D. Come uscirono essi dal cospetto del consiglio sinedrista?

— « Contenti per essere stati degni di patito oltraggio per il Nome di Gesù » (Act. V, 41), e continuarono ad evangelizzare Gesù Cristo e nel tempio e per le case.

10. – ELEZIONE DEI DIACONI

D. Che cosa portò l’aumento quotidiano del numero dei fedeli?

— Ad un aumento tale delle varie cure della Chiesa, che gli Apostoli non bastavano più.

D. Che cosa si decise allora?

— L’elezione di sette aiutanti, che furon detti « diaconi ».

D . Quali cure furono loro affidate?

— La cura degli orfani, vedove e bisognosi; aiutavan pure a predicare.

D. Chi si distinse particolarmente fra i diàconi?

— Santo Stefano.

11. – IL PRIMO MARTIRE

D. Che faceva S. Stefano?

— Pieno di grazia e di entusiasmo, operava prodigi grandi tra il popolo e pochi resistevano alla sua predicazione.

D. Piacque tutto questo alla Sinagoga?

— Tutt’altro; per cui concentrò il suo odio contro il giovane evangelizzatore.

D. Che ne seguì?

— Fu citato a rispondere davanti al Sinedrio.

D. Si impressionò Stefano?

— Affatto; anzi comparso là dentro, rimproverò ai Giudei la loro incredulità, dimostrando che Gesù Nazareno era il Messìa promesso ai loro padri. E concluse: « Duri di cervice… voi resistete sempre allo Spirito Santo; come i padri vostri così anche voi; traditori e omicidi, uccideste il Cristo ».

D. Come accolsero il discorso di Stefano ?

— Furenti, lo cacciarono fuori città e lo lapidarono (uccisero con pietre).

D. Come cadde Stefano?

— Da eroe e da santo, gridando ad alta voce: « Signore, non imputar loro questo peccato » (Act. VII).

12. – L’EFFETTO DELLA PERSECUZIONE

D. Che cosa provocò la persecuzione di Stefano?

— Una persecuzione generale contro i Cristiani.

D . Ma con quale effetto?

— Di sbandare i Cristiani in tutte le direzioni, e (ciò che non previdero i persecutori) di farli banditori della nuova fede nelle varie Provincie della Palestina, di là dal Giordano, nella Siria, facendola conoscere non solo ai Giudei, ma anche ai Gentili, cioè agli idolatri dei vari culti orientali ed occidentali.

D. E la Sinagoga di Gerusalemme ne fu soddisfatta?

— Inferocita, per questo dilagare del Cristianesimo, usò tutti i mezzi per soffocarlo; suoi incaricati percorrevano le varie località, rastrellando quanti Cristiani trovavano, per trascinarli a Gerusalemme.

D. Chi si distinse tra i più fanatici persecutori?

— Uno di nome Saulo.

13. – SAULO

D. Chi era costui?

— Un fariseo di Tarso, in Cilicia, nell’Asia Minore. Venuto a Gerusalemme fu alla scuola di Gamaliele, poi passò al servizio del Sinedrio.

D. Aveva egli conosciuto Gesù?

— Personalmente no, ma, istigato dalla sètta dei farisei, ne odiava la dottrina e i seguaci. Quanti oggi, come Saulo, sono vittime della sètta in cui sono incappati!

D. Che cosa fece Saulo?

— Si presentò al sommo sacerdote e gli chiese lettere per le sinagoghe di Damasco, che lo autorizzassero a legare e a condurre prigionieri a Gerusalemme quanti Giudei trovasse, che credevano in Gesù.

14. – LA CONVERSIONE DI SAULO

D. Che gli avvenne sulla via di Damasco?

— Folgorato da un’improvvisa luce, che lo abbagliò, stramazzò a terra, mentre una voce misteriosa gli gridò: « Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? ».

D. Che rispose egli?

— « Chi sei tu, Signore? ».

D. Quale risposta ne ebbe?

— Questa: « Io sono Gesù che tu perseguiti ».

D. Capì Paolo il suo errore?

— Subito e decise di ripararvi, chiedendo a Gesù: « Signore, ora che ti conosco, che vuoi che io faccia? ».

D. Che cosa gli comandò Gesù?

— Levati su, entra in città e lì ti sarà detto quel che tu debba fare ». (Act. IX).

D. E gli sgherri che accompagnavano Saulo?

— Rimasero storditi, perché videro Saulo rovesciato da cavallo, udirono il colloquio, ma senza vedere.

D. Che fece Saulo?

— Alzatosi, s’accorse d’esser diventato cieco; si fece condurre a mano in città, dove rimase tre giorni senza vedere, in assoluto digiuno e preghiera.

D. Da chi fu incontrato a Damasco?

— Da Anania, discepolo del Signore. Anania, saputo, per rivelazione di Gesù, che quel persecutore sarebbe diventato uno dei più zelanti Apostoli, gli fece ricuperare la vista, lo battezzò, e lo ricevette nella comunità cristiana.

D. Come si diportò Saulo entrato in grembo alla Chiesa?

— Per quel carattere fiero, che aveva, non si accontentò di restare fra i semplici gregari, ma passò subito in prima fila tra i missionari, tra i propagandisti del Vangelo, predicando Gesù nelle stesse sinagoghe di Damasco.

D. Come fu accolto dai fanatici Giudei?

— Tentarono di ucciderlo, ma, riuscito a fuggire, ritornò a Gerusalemme e di là a Tarso sua patria, attendendo il momento di iniziare i suoi famosi viaggi di evangelizzazione.

15. – ALTRI AVVENIMENTI DELLA CHIESA FRA GLI EBREI

D. Che fece la chiesa palestinese, cessata la persecuzione?

— Approfittò della pace, per consolidarsi in Giudea, Galilea e Samaria. Pietro visitava le varie comunità, operando prodigi di ogni genere.

D. La sinagoga fece pace con il Cristianesimo?

— Mai. Gli rimase sempre e dovunque ferocemente ostile.

D. La Chiesa godette d’una pace lunga?

— Breve. Divenuto re di Palestina Erode Agrippa, ricominciò la persecuzione, durante la quale fu martirizzato Giacomo il Maggiore, fratello di Giovanni, e gettato in prigione Pietro, per ucciderlo, ma un Angelo lo trasse miracolosamente fuori dal carcere.

D. Dove si portò Pietro?

— Liberato dal carcere, si congedò dagli amici di Gerusalemme, per passare nella Siria ad Antiochia, e da qui a Roma, dove fissò la sua sede.

D. E gli altri Apostoli?

— Si dettero alla predicazione, confermandola con il martirio.

D. Quali le conseguenze del rifiuto dei Giudei di ricevere il Vangelo ?

— Il Vangelo fu accolto dai pagani; Gerusalemme distrutta e dispersi gli Ebrei.

https://www.exsurgatdeus.org/2020/07/02/da-s-pietro-a-pio-xii-2/

NELLA FESTA DI SAN PIETRO (29 GIUGNO 2020)

FESTA DI SAN PIETRO (2020)

I Santi Apostoli Pietro e Paolo.

Doppio di I classe con Ottava comune – Paramenti rossi

Tutta la Chiesa è in festa, perché « Dio ha consacrato questo giorno col martirio degli Apostoli Pietro e Paolo » (Or.) Nelle due grandiose basiliche erette a Roma sulle tombe « di questi Principi che hanno conquistato con la croce e la spada il loro posto nel senato eterno (Inno ai Vespri), come in Catacumbas sulla via Appia, il Papa celebrava oggi solennemente la Messa stazionale. Più tardi, a causa della gran distanza che separa queste due chiese, si divise questa festa, onorando più particolarmente San Pietro il 29 giugno, e San Paolo il 30 giugno. – 1° San Pietro, Vescovo di Roma, è il Vicario, luogotenente, sostituto visibile del Cristo. Come mostrano il Prefazio, l’Alleluia, il Vangelo, l’Offertorio e l’Antifona della Comunione, gli Ebrei avevano respinto Gesù, e fecero lo stesso verso il suo successore (Ep.). Spostando allora il centro religioso del mondo, Pietro lasciò Gerusalemme per Roma, che divenne la città eterna e la sede di tutti i Papi. — 2° San Pietro, primo Papa, « parla a nome del Cristo » che gli ha comunicato la sua infallibilità dottrinale. Quindi non la carne e il sangue lo guidano, ma il Padre celeste, che non permette che le porte dell’Inferno prevalgano contro la Chiesa, di cui egli è il fondamento ( Vang.). — 3° San Pietro ricevendo le chiavi è preposto al « regno dei cieli » sulla terra, cioè alla Chiesa, « e regna in nome del Cristo», che lo ha investito della sua potenza e della sua autorità suprema ( Vang.). I nomi di San Pietro e di S. Paolo aprono la lista degli Apostoli nel Canone della Messa. — Con la Chiesa, che non cessava di rivolgere preghiere a Dio per Pietro (Ep.), preghiamo per il suo successore, « il servo di Dio, il nostro Santo Padre, il Papa [Gregorio XVIII – ndr.] » (Canone della Messa)

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Acts XII: 11
Nunc scio vere, quia misit Dóminus Angelum suum: et erípuit me de manu Heródis et de omni exspectatióne plebis Judæórum.

[Adesso riconosco veramente che il Signore ha mandato il suo Angelo: e mi ha liberato dalle mani di Erode e da ogni attesa dei Giudei.]


Ps 138:1-2
Dómine; probásti me et cognovísti me: tu cognovísti sessiónem meam et resurrectiónem meam.

[Signore, tu mi scruti e mi conosci: conosci il mio riposo e il mio cammino.]


Nunc scio vere, quia misit Dóminus Angelum suum: et erípuit me de manu Heródis et de omni exspectatióne plebis Judæórum.

[Adesso riconosco veramente che il Signore ha mandato il suo Angelo: e mi ha liberato dalle mani di Erode e da ogni attesa dei Giudei.]

Oratio

Orémus.
Deus, qui hodiérnam diem Apostolórum tuórum Petri et Pauli martýrio consecrásti: da Ecclésiæ tuæ, eórum in ómnibus sequi præcéptum; per quos religiónis sumpsit exórdium.

[O Dio, che consacrasti questo giorno col martirio dei tuoi Apostoli Pietro e Paolo: concedi alla tua Chiesa di seguire in ogni cosa i precetti di coloro, per mezzo dei quali ebbe principio la religione.]

Lectio

Léctio Actuum Apostolórum.
Act 12:1-11
In diébus illis: Misit Heródes rex manus, ut afflígeret quosdam de ecclésia. Occidit autem Jacóbum fratrem Joánnis gládio. Videns autem, quia placeret Judæis, appósuit, ut apprehénderet et Petrum. Erant autem dies azymórum. Quem cum apprehendísset, misit in cárcerem, tradens quátuor quaterniónibus mílitum custodiéndum, volens post Pascha prodúcere eum pópulo. Et Petrus quidem servabátur in cárcere. Orátio autem fiébat sine intermissióne ab ecclésia ad Deum pro eo. Cum autem productúrus eum esset Heródes, in ipsa nocte erat Petrus dórmiens inter duos mílites, vinctus caténis duábus: et custódes ante óstium custodiébant cárcerem. Et ecce, Angelus Dómini ástitit: et lumen refúlsit in habitáculo: percussóque látere Petri, excitávit eum, dicens: Surge velóciter. Et cecidérunt caténæ de mánibus ejus. Dixit autem Angelus ad eum: Præcíngere, et cálcea te cáligas tuas. Et fecit sic. Et dixit illi: Circúmda tibi vestiméntum tuum, et séquere me. Et éxiens sequebátur eum, et nesciébat quia verum est, quod fiébat per Angelum: existimábat autem se visum vidére. Transeúntes autem primam et secundam custódiam, venérunt ad portam férream, quæ ducit ad civitátem: quæ ultro apérta est eis. Et exeúntes processérunt vicum unum: et contínuo discéssit Angelus ab eo. Et Petrus ad se revérsus, dixit: Nunc scio vere, quia misit Dóminus Angelum suum, et erípuit me de manu Heródis et de omni exspectatióne plebis Judæórum.

[In quei giorni: Il re Erode mise le mani su alcuni membri della Chiesa per maltrattarli. Uccise di spada Giacomo, fratello di Giovanni. E, vedendo che ciò piaceva ai Giudei, fece arrestare anche Pietro. Erano allora i giorni degli azzimi. Arrestatolo, lo mise in prigione, dandolo in custodia a quattro squadre di quattro soldati ciascuna, volendo farlo comparire davanti al popolo dopo la Pasqua. Pietro, dunque, era custodito nella prigione; ma la Chiesa faceva continua orazione a Dio per lui. Ora, la notte precedente al giorno che Erode aveva stabilito per farlo comparire innanzi al popolo, Pietro, legato da due catene, dormiva fra due soldati, e le sentinelle alla porta custodivano la prigione. Ed ecco apparire un Angelo del Signore e una gran luce splendere nella cella. Toccando Pietro al fianco, lo riscosse, dicendo: Alzati in fretta. E gli caddero le catene dalle mani. L’Angelo gli disse: Mettiti la cintura e infílati i sandali. Pietro obbedí. E l’Angelo: Buttati addosso il mantello e séguimi. Ed egli uscí e lo seguí, senza rendersi conto di quel che l’Angelo gli faceva fare, parendogli un sogno. Oltrepassata la prima e la seconda guardia, giunsero alla porta di ferro che mette in città, ed essa si aprí da sé davanti a loro. E usciti, si avviarono per una strada, e improvvisamente l’Angelo partí da lui. Pietro, allora, tornato in sé, disse: Adesso riconosco davvero che il Signore ha mandato il suo Angelo e mi ha liberato dalle mani di Erode, e da ogni attesa dei Giudei.]

Graduale

Ps XLIV: 17-18
Constítues eos príncipes super omnem terram: mémores erunt nóminis tui, Dómine.
V. Pro pátribus tuis nati sunt tibi fílii: proptérea pópuli confitebúntur tibi. Allelúja, allelúja.

[Li costituirai príncipi sopra tutta la terra: essi ricorderanno il tuo nome, o Signore.
V. Ai padri succederanno i figli; perciò i popoli Ti loderanno. Alleluia, alleluia.]


Matt XVI: 18
Tu es Petrus, et super hanc petram ædificábo Ecclésiam meam. Allelúja.

[Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Matthǽum.
Matt XVI:13-19
In illo témpore: Venit Jesus in partes Cæsaréæ Philippi, et interrogábat discípulos suos, dicens: Quem dicunt hómines esse Fílium hóminis?
At illi dixérunt: Alii Joánnem Baptístam, alii autem Elíam, álii vero Jeremíam aut unum ex Prophétis. Dicit illis Jesus: Vos autem quem me esse dícitis? Respóndens Simon Petrus, dixit: Tu es Christus, Fílius Dei vivi. Respóndens autem Jesus, dixit ei: Beátus es, Simon Bar Jona: quia caro et sanguis non revelávit tibi, sed Pater meus, qui in cœlis est. Et ego dico tibi, quia tu es Petrus, et super hanc petram ædificábo Ecclésiam meam, et portæ ínferi non prævalébunt advérsus eam. Et tibi dabo claves regni cœlórum. Et quodcúmque ligáveris super terram, erit ligátum et in cœlis: et quodcúmque sólveris super terram, erit solútum et in cœlis.

[In quel tempo: Gesú, venuto nei dintorni di Cesarea di Filippo, cosí interrogò i suoi discepoli: Gli uomini chi dicono che sia il Figlio dell’uomo? Essi risposero: Alcuni dicono che è Giovanni Battista, altri Elia, altri ancora Geremia o qualche altro profeta. Disse loro Gesú: E voi, chi dite che io sia? Simone Pietro rispose: Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio vivente. E Gesú: Beato sei tu, Simone figlio di Giona, perché non la carne o il sangue ti hanno rivelato questo, ma il Padre mio che è nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro, e su questa pietra io edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa. Io darò a te le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra, sarà legato anche nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra, sarà sciolto anche nei cieli.]

OMELIA

[Mons. G. Bonomelli, Il Papa; Libr. Vismara, Monza]

[Disc. tenuti nella Chiesa di S, Pietro a Cremona negli ultimi anni del 1800)

Nihil obstat

Mediolani,  29 Nov. 1944 sac. Joseph Arienti c. e.

Imprimatur

 In Curia Arciv. Mediolani, 30, XI, 1944 Can. Bernareggi.

ISTITUZIONE DIVINA DEL PRIMATO DI S. PIETRO

Alle nostre spalle scorre tacito il Tevere, chiuso nelle anguste sue sponde: a destra torreggia la mole adriana, e di fronte ecco il primo tempio del mondo, S. Pietro in Vaticano. Studiamo il passo, ed avviciniamoci a quell’incomparabile monumento del genio e della fede. Ai due lati s’aprono verso di noi le due braccia dello stupendo porticato di Bernini colle sue quattrocento massiccie colonne e centosessantatrè statue, che incoronano la vastissima piazza, che entro vi gira. Due magnifiche fontane lanciano altissime e perenni due colonne d’acqua limpidissima, le quali, ripiegandosi sovra se stesse a guisa di fiori o di salici piangenti, riflettono vagamente tutti i colori dell’iride. Nel centro della gran piazza, in mezzo alle due fontane, giganteggia il primo obelisco del mondo. L’imperatore Nerone lo fe’ venire dall’Egitto, lo trasse su pel Tevere e lo drizzò, qui, dove spaziava allora il suo circo, e gittavano fresche ombre e spargevano soavi profumi i suoi giardini. Le mani dei barbari lo rovesciavano e qui giaceva sul suolo « in sua lenta mole » da mille anni. Un pontefice dal genio audace. Sisto V, lo sollevò e l’ebbe collocato sull’alto piedestallo, dal quale or spinge verso il cielo la fronte sormontata dalla Croce sfavillante alla luce del sole. Alla nostra destra, sovra il portico, ci si affaccia in tutta l’austera sua maestà il palazzo Vaticano. Consigli inscrutabili della sapienza di Dio. che scherza nel mondo! L’obelisco di Nerone porta la Croce di Cristo e sorge presso la tomba di Pietro: di quel Pietro, che Nerone lì presso sul Gianicolo, faceva porre in croce! Il circo, i giardini di Nerone sono scomparsi, e su quell’area ecco la Piazza di S. Pietro e l’atrio del suo tempio! La storia stupefatta guarda e tace. La miscredenza moderna mediti su questi trionfi di Cristo e del suo primo Vicario! Passiamo a lato di quel gigante degli obelischi e in passando leggiamo le parole, che il gran papa Sisto V, vi fece scolpire, vere allora, vere oggi, vere sempre:

Christus vincit, Christus regnat, Christus imperat, Christus triumphat.

Montiamo la gradinata che mette al tempio: quinci e quindi stanno le due statue colossali di Pietro e Paolo, quasi due sentinelle veglianti sulle porte del tempio, in cui riposano i mortali avanzi del Principe degli Apostoli. Siamo nell’atrio: a destra e a sinistra vedete le statue equestri di Costantino e di Carlo Magno, i due sommi protettori della Chiesa e del suo capo. La storia imparziale concesse ad entrambi il titolo di grandi, e lo furono.Valichiamo le soglie del tempio, di questo miracolo del genio e dell’arte. Non badiamo all’ampiezza, alla bellezza dei marmi, ai mosaici, alle colonne, agli archi, ai monumenti, ond’è ripieno, alla ricchezza e alla squisitezza dei lavori: noi non siamo curiosi, ma pii visitatori. Nel centro del tempio cento lumi ardono perennemente dinnanzi al maggior altare: sotto giace il sepolcro del pescatore di Galilea e dinnanzi ad esso lo scalpello di Canova scolpiva, com’egli sapeva scolpire, il VI Pio inginocchiato, con le mani giunte e devotamente orante. Inginocchiamoci noi pure e veneriamo le spoglie del figliuolo di Giovanni, di colui che l’Uomo Dio scelse a suo primo Vicario. Leviamo la fronte: nuove meraviglie! Sovra di noi si stende un ampio baldacchino di bronzo, sostenuto da quattro colonne egualmente di bronzo a forma spirale: esse sono alte come il più bello dei palazzi di Roma; al disopra del baldacchino vaneggia la cupola, quel prodigio unico dell’architettura moderna. — Il genio pagano creò il Panteon, e il genio cristiano, per opera di Michelangelo, portò il Panteon in aria, e, quasi fosse una leggera corona, lo tiene sospeso sul capo del povero battelliere di Galilea. Bramante, Raffaello, Michelangelo, Maderno, Bernini, per tacer d’altri, parvero suscitati da Dio. L’un dopo l’altro per compiere questo monumento, che non ha né avrà l’uguale, sulla tomba di Simon Pietro. Perché tante meraviglie? Perché questo tempio, il più vasto e il più bello, che vegga il sole? Perché questi marmi, questi bronzi, questi tesori di natura e di arte? – Girate lo sguardo intorno alla cupola e sotto al maggior capitello di tutto il tempio. Che vedete voi? Una scritta. A destra entrando è nella lingua di Omero: a sinistra, in quella di Virgilio. Leggete:

TU ES PETRUS ET SUPER HANC PETRAM ÆDIFICABO ECCLESIAM MEAM ETC. ET TIBI DABO CLAVES REGNI COELORUM  ET QUODCUMQUE LIGAVERIS SUPER TERRAM ERIT LIGATUM ET IN CÆLIS ET QUODCUMQUE SOLVERIS SUPER TERRAM ERIT SOLUTUM ET IN CÆLIS. EGO ROGAVI PRO TE UT NON. DEFICIAT FIDES TUA ET TU ALIQUANDO CONVERSUS CONFIRMA FRATRES TUOS. PASCE AGNOS MEOS PASCE OVES MEAS.

Queste parole un di caddero dalle labbra di un uomo, che era anche Dio, e furono rivolte a quel Pietro, del quale qui riposano le ceneri. Quelle parole dicono la grandezza, la dignità, le prerogative tutte di Pietro e de’ suoi successori e spiegano questo tempio e tutte le sue meraviglie. Là in quella scritta è il secreto dei secoli, il compendio di tutta la storia, l’autorità e la forza indistruttibile del pontificato, che da Pietro giunse a Leone XIII (e da Leone XIII, fino a Gregorio XVIII – ndr.), riempie il mondo di sé e delle opere sue, passando sui ruderi di cento monarchie e repubbliche l’una dopo l’altra cadute nella polvere. Oggi io non farò che il semplicissimo commento di quei tre oracoli, e vi mostrerò come in essi si racchiudano tutte le prerogative divine, onde il Pontificato Romano si adorna e va glorioso.

« Gesù Cristo un giorno (MATTEO XVI, 13-19) domandò ai suoi discepoli: Chi dicono gli uomini che io sono, Figliuol dell’uomo? Ed essi risposero: alcuni Giovanni Battista, altri Elia, altri Geremia, od uno dei profeti. Ed egli disse loro: E voi chi dite ch’io sia? E Simon Pietro, rispondendo, disse: Tu sei Cristo, il Figlio di Dio vivo. E Gesù, rispondendo, gli disse: Tu se’ beato, o Simone figliuol di Giovanni, perché la carne ed il sangue non ti hanno rivelato questo, ma il padre mio, che è ne’ cieli. Ed io altresì ti dico, che tu sei Pietro e che sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno non la potranno vincere. Ed Io ti darò le chiavi del regno de’ cieli; e tutto ciò che avrai legato in terra, sarà legato nei cieli; e tutto ciò che avrai sciolto in terra, sarà sciolto ne’ cieli ». In queste parole voi avete esattamente voltate nella nostra favella il testo evangelico. Studiamoci, o carissimi, di afferrarne il senso, che è piano e manifesto a tutti quelli, che con semplicità ed amore cercano il vero. E primieramente, chi è quegli che parla? È Gesù Cristo, il Figlio di Dio, l’eterna Sapienza: dunque in queste sentenze non vi può essere una parola, non un accento solo, che non sia perfettamente conforme alla verità, o che sia anche soltanto incerto, fuor di luogo od esagerato. È Gesù Cristo quegli che parla, l’infinita potenza, per la quale il Padre trasse dal nulla tutte le cose: dunque Egli può e deve fare tutto ciò che dice e promette, e neppur una delle sue parole cadrà mai inutilmente. A chi parla Egli Gesù Cristo? A principio Egli parla a tutti gli Apostoli, che gli fanno corona (v. 13). Rispondono tutti insieme, uno dopo l’altro, od alcuni per tutti, assentendo gli altri, e riferiscono le voci, che del Maestro correano nel popolo (v. 15). Gesù Cristo li interroga ancora e domanda, non ciò che di sé diceano gli uomini, ma ciò che essi, suoi Apostoli, pensavano di lui. Qui non tutti, ma un solo risponde e dice : « Tu sei Cristo, il Figlio di Dio » . Chi è questi? È Simon Pietro, quel medesimo, al quale Gesù fin dalla prima volta che lo vide, riguardatolo in faccia disse: Tu sei Simone figliuol di Giovanni; tu ti chiamerai Cefa, ossia Pietra » (Gio. I, 42). Allora Gesù, rivolto a Pietro, gli disse : « Tu sei beato, o Simone, figliuolo di Giovannii, ecc. » (v. 17). Poi continua e pronuncia le due sentenze, sulle quali dobbiamo fermare tutta la nostra attenzione. Queste son dette da Gesù Cristo a Pietro, al solo Pietro, e vi prego di scolpirvi ben addentro nell’animo questa verità, perché ne scaturisce la gravissima conseguenza, che le alte promesse e la somma potestà in quelle racchiuse, spettano a Pietro e al solo Pietro. – Che cosa adunque Gesù Cristo promette a Pietro con queste due sentenze? Esaminiamole alla luce dell’insegnamento della Chiesa, che qui si confonde con quello del più comune buon senso. « Felice te, o Pietro, che hai conosciuta la mia origine divina! Questo conoscimento ti viene, non dalla ragione, non dagli uomini, ma dal Padre mio. Ed Io dico a te, che tu sei veramente Pietro e meriti quel nome, che Io ti ho imposto e quella dignità, che a suo tempo ti darò. Tu hai riconosciuta divina la mia persona e mi hai confessato Figlio di Dio alla presenza de’ tuoi fratelli; te ne rendo la mercede e fin d’ora anch’Io ti fo conoscere i disegni che sopra di teho formato e ti manifesto la dignità, alla quale sarai sollevato. Io ti mutai il nome di Simone in quello di Pietro (3); e veramente tu sei pietra e sopra di questa pietra io edificherò la mia Chiesa ».  È questo il linguaggio che Gesù Cristo tiene con Pietro, presenti tutti gli altri Apostoli, e nel quale evidentemente gli promette un premio, che in qualche modo risponda al merito della splendida sua confessione. Qual è, o dilettissimi, questo premio? Gesù Cristo parla della sua Chiesa, la fondazione della quale è il motivo della sua missione sulla terra. Come rappresenta Egli la Chiesa, che è venuto a fondare? la rappresenta sotto la bella immagine d’un edificio o gran casa, e di qui la sentenza: « Tu sei Pietro o pietra, e sopra di questa pietra edificherò la mia Chiesa » . Gesù Cristo adunque promette di edificare la Chiesa; ma due cose principalmente si domandano per costruire un edificio,  l’architetto, che costruisce e il fondamento, su cui deve poggiare l’edificio. L’architetto e costruttore è Gesù Cristo stesso, che dice: « Io edificherò la mia Chiesa: Ædificabo Ecclesiam meam ». E chi è il fondamento? Chi la pietra principale, su cui Gesù Cristo vuol collocare l’edificio della sua Chiesa? Udite: « Tu sei Pietro o pietra, e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa ». Queste parole di Gesù Cristo chiaramente stabiliscono, che Pietro ha verso la Chiesa quei rapporti stessi che il fondamento ha verso l’edificio. Ora, è proprio del fondamento sostenere sempre, ad ogni istante, tutto l’edificio e le singole sue parti, e tenerle tra di loro congiunte, tanto che l’intero edificio con tutta verità deve la sua esistenza e conservazione al fondamento, e perciò da esso necessariamente dipende. Pietro adunque, fondamento della Chiesa per volontà di Gesù Cristo, sempre, ad ogni istante, sostiene e conserva l’edificio della Chiesa, e la Chiesa tutta, e sempre e necessariamente, dipende da lui. È cosa pertanto più che manifesta, che Pietro è la base, il centro, il principio conservatore di tutta la Chiesa, perché tale è la volontà di Cristo: « Super hanc petram ædificabo Ecclesiam meam ». E di qual Chiesa favella Gesù Cristo? Per fermo non di questa o quella particolare, ma sì di tutta la Chiesa, della Chiesa universale, perché Gesù Cristo la designa con quella parola, che non ammette dubbio: « la mia Chiesa: Ecclesiam meam » . E fino a quando durerà in Pietro l’eccelsa prerogativa di fondamento della Chiesa di Cristo? Fino a quando durerà la Chiesa, cioè, sino consumazione dei tempi; perocché come non è possibile l’esistenza della Chiesa senza di Pietro, così senza della Chiesa e la sua perpetuità, giusta le parole di Cristo, derivano dalla saldezza di Pietro; e le potenze dell’inferno non vinceranno la Chiesa » , appunto perché fondata sovra Pietro, fatto da Cristo pietra incrollabile: « Et portæ inferi non prævalebunt adversus eam ». Che se Pietro, perché uomo, deve cedere alla natura e scendere nel sepolcro, non per questo verrà meno il suo potere, ma passerà ne’ suoi successori d’uno in altro sino al termine dei secoli. – Questa spiegazione, che sgorga limpidissima dalle parole di Cristo, si conferma e di nuova luce si rischiara nella sentenza di Cristo, e che vuolsi considerare come il più ampio svolgimento di quella, che ora abbiamo messo in sodo: « Ed Io ti darò le chiavi del regno dei cieli, ecc. ». –  La Chiesa è un edificio, una gran casa, com’è chiamata da S. Paolo (II. TIM. 2 – 20): questa immagine come richiama quella di architetto, di costruttore e di fonte, così naturalmente sveglia l’altra immagine delle chiavi e del padrone, che le tiene. Presso gli ebrei, e indistintamente presso tutti i popoli, le chiavi simboleggiano il potere sulle città, se trattasi di città, della case, se trattasi della casa. Gesù Cristo, Signore assoluto dell’edificio o della casa, che innalzerà, ne tiene le chiavi che è  quanto dire ha sopra della Chiesa piena, illimitata, inalienabile potestà: ond’egli apre e nessuno chiude, chiude e nessuno apre (APOCAL. III 7). Come Dio Creatore ha sovrana balìa su tutto il creato, perché è opera sua, così Gesù Cristo l’ha sulla Chiesa, perché è lavoro delle sue mani, frutto e conquista del suo sangue. Ora, Gesù Cristo dice a Pietro: « Darò a te le chiavi di questo edificio o regno dei cieli; onde come Io ne sono il padrone naturale ed assoluto, tu ne sarai il mio rappresentante, il mio depositario, e chiuderai ed aprirai con la mia stessa autorità, non a capriccio, ma a norma del mio Vangelo. L’amministratore rende conto dell’opera sua al solo padrone, e tu pure, o Pietro, la renderai soltanto a me, non ad altri, chiunque egli sia. In questa casa, della quale Io ti affido le chiavi,  ho deposto tutti i miei tesori, tesori di verità, tesori di grazie, tesori di autorità: son tutti nelle tue mani: Quodcumque ligaveris quadcumque solveris »; Tutto ciò che tu farai qui sulla terra, qual mio Vicario, qual capo di questa casa e famiglia, che ti commetto, Io, che tutto conosco e tutto posso, lo ratificherò in Cielo. Le tue parole, le tue leggi, le tue sanzioni, le tue dispense, come Capo della mia Chiesa, riceveranno il mio suggello, e chi ascolterà te, ascolterà me; chi sprezzerà te, sprezzerà me. Quand’Io salirò al Cielo, il mio potere sarà trasfuso in te, tutto nella sua pienezza in te, entro i limiti del Vangelo e della mia parola, eterno ed inviolabile statuto da me promulgato ». Carissimi, vi domando: Gesù Cristo poteva usare parole più chiare, più precise, immagini più vive per apprenderci la dignità e il supremo potere, che volle conferire a Pietro e al solo Pietro? Egli è il fondamento dell’edificio; egli è il clavigero o depositario delle chiavi, il sommo reggitore di questa casa, il padre di questa grande famiglia, non ad altri soggetto, fuorché all’Uomo-Dio, che tanto potere gli ha dato. – È  tempo di passare al secondo oracolo, che sta scolpito sotto gli archi di S. Pietro in Vaticano e che leggiamo nel Vangelo di S. Luca (XXII, 21-32). Gesù avea celebrato l’ultima cena e dato se stesso in cibo ed in bevanda a’ suoi diletti discepoli: ancora tre o quattro ore, ed Egli si darà in mano a’ suoi giurati nemici. Quali momenti solenni! In quelle crudeli distrette (parrebbe incredibile!) gli Apostoli contendevan tra loro chi fosse il maggiore. L’amabile Gesù, dopo aver sopito quel puerile contrasto coll’ammirabile sentenza, che solo dalla sua bocca poteva uscire: « Il maggiore tra voi si faccia come il minore » (Ib. v.. 26), rivolto a Pietro, con aria piena di maestà, dice: « Simone, Simone, ecco satana ha richiesto di vagliarvi come si vaglia il grano; ma Io ho pregato per te, acciocché la tua fede non venga meno; e tu quando un giorno sarai convertito, conferma i fratelli tuoi ». Vi piaccia, o dilettissimi, con tutta l’attenzione e con la massima riverenza ponderare queste parole pronunciate dal Salvatore, che ben lo meritano. Esse sono indirizzate a Pietro, unicamente a Pietro, che è chiamato col suo nome antico, quasi per ricordargli la sua povera origine; e questo nome è ripetuto due volte, cosa insolita nelle Sante Scritture, ed usata solo in condizioni straordinarie, per eccitare l’attenzione e quasi avvertire che cose di altissima importanza sono per dirsi. E che dice Gesù Cristo? « Simone, Simone! Sappi che satana, l’antico avversario mio, e vostro e di tutti gli uomini, sta per mettervi a durissima prova: egli si apparecchia a vagliarvi come si vaglia il grano ». Qui, fratelli miei, non vi sfugga una cosa degnissima di considerazione: Gesù parla al solo Pietro, predice una fierissima battaglia, che satana sta per muovere, non al solo Pietro, ma a tutti gli Apostoli, e per conseguenza a tutta la Chiesa: « Simon, Simon: ecce satana expetivit vos » . Amorosissimo Gesù! Voi annunziate una prova terribile, che sovrasta a tutti gli Apostoli: una prova che non ha limiti di sorta, né di tempo, né di luogo, né di modo: come provvederete voi ai vostri cari? Quali difese, quali armi loro fornirete per combattere e vincere nell’aspra pugna? Una sola difesa, un’arma sola, ma validissima e bastevole: « Ego rogavi prò te. ut non deficiat fides tua » . Gesù Cristo protesta d’aver pregato il Divin Padre pel suo Pietro: « Rogavi prò te » . Qual è lo scopo di questa specialissima preghiera innalzata da Gesù Cristo al Padre per il solo Pietro? Unicamente quella di ottenergli una fede invincibile, che non soccomba in qualsivoglia più fiera battaglia che satana s’appresta a dargli: « Ut fides tua non deficiat » . Ma questa fede Gesù Cristo l’ha Egli ottenuta al suo Pietro? E, ottenutala debb’essa considerarsi come un dono fatto a Pietro e unicamente a suo vantaggio, o a vantaggio d’altri? Non vi è dubbio, che Gesù Cristo abbia ottenuto a Pietro questa fede perenne ed incrollabile, sia perché chi prega  è l’Uomo Dio e dal Padre è sempre esaudito a ragione della sua maestà: « Exauditus est prò sua reverentia  (Hebr. v. 7) »; sia perché il favore ottenuto a Pietro non riguarda lui personalmente, sebbene tutta la Chiesa. Ascoltate, o carissimi, e meditate queste parole memorabili: « E tu, o Pietro, rivolgendoti ai tuoi confratelli, o meglio dopo che ti sarai convertito, li conferma: « Confirma fratres tuos » . E in che cosa Pietro confermare i suoi fratelli, gli Apostoli, e per conseguenza tutta la Chiesa? Li deve confermare in quella fede, che in lui non deve vacillare giammai: « Rogavi prò te, ut non deficiat fides tua ». Pietro adunque per la preghiera di Gesù Cristo è siffattamente stabilito nella fede, che può, anzi deve raffermare eziandio quella dei suoi fratelli Apostoli, ogni qualvolta il bisogno lo chiegga, e raffermarla per comando di Colui, che ne è l’autore e consumatore. Gesù Cristo dunque nella guerra implacabile che ferve continuamente tra satana e i suoi seguaci da una parte, la Chiesa e i suoi figli dall’altra, ha provveduto alla difesa ed al trionfo de’ suoi mercè la fede e l’opera di Pietro : « Confirma fratres tuos ». Gesù prega, dice a meraviglia S. Leone, per la fede di Pietro, perché se il capo non è vinto, è certissima la vittoria dei soldati, e in Pietro sono avvalorati tutti i credenti per guisa che da lui, come capo, si trasfonde in tutte le membra e in tutto il corpo l’aiuto celeste: « In suos quoque (Petrus) soliditas illa transfuditur hæredes… Pro fide Petri proprie supplicatur, tamquam aliorum status certior sit futurus, si mens principis vieta non fuerit. In Petro ergo omnium fortitudo munitur, et divinæ gratiæ ita ordinatur auxilium, ut firmitas, quæ per Christum Petro tribuitur, per Petrum apostolis conferatur ». (Serm. 2 et 3). – Ora, se Pietro per volontà espressa di Gesù Cristo, deve rassodare nella fede non solo la Chiesa, ma gli Apostoli stessi, dove n’avessero avuto bisogno; se Pietro in altri termini, nelle cose della fede, deve ammaestrare, guidare e raffermare tutta quanta la Chiesa: « confirma fratres tuos », ne conseguita ch’egli sempre per volontà di Cristo, ne è il Capo supremo, il sommo ed infallibile Maestro. Diteci, o carissimi: vi può essere verità che scaturisca dalle S. Scritture più limpida e più spontanea di questa? – Resta a spiegare, o dilettissimi, il terzo ed ultimo oracolo che sta scolpito sotto le volte di S. Pietro in Vaticano, che comporta ed illustra gli altri due e che insieme con essi forma la vera e incancellabile epigrafe che. dettata da Gesù Cristo medesimo, doveva essere collocata sulla tomba dell’Apostolo. – Eran trascorsi pochi giorni dopo la risurrezione di Gesù Cristo e Pietro con altri sei Apostoli, dopo la pesca prodigiosa, sedeva sulla riva del lago di Galilea ai piedi di Gesù. « Dopo aver pigliato il cibo, che Gesù die loro di sua mano, tosto questi disse a Simon Pietro: – Simon di Giovanni, mi ami tu più di costoro? – Egli disse: Veramente, Signore, tu sai ch’io t’amo. Gesù gli disse: – Pasci i miei agnelli, ecc. ». È questa una delle narrazioni più care e più commoventi, che si incontrano nel Vangelo, e tante esso ne contiene! Tre volte Pietro aveva negato il Divin Maestro e qui tre volte domanda a Pietro se lo ama, volendo che colla triplice affermazione dell’amore, scrive S. Agostino, cancellasse la triplice negazione. Gesù, chiamando Pietro col suo nome primitivo, presenti i suoi fratelli, gli domanda se lo ama, e, avutane risposta che sì, ne esige la prova, dicendogli: « Pasci adunque i miei agnelli pasci le mie agnelle ». Chi è desso Gesù Cristo? Egli è il buon Pastore, il buon Pastore che mette la sua vita per le agnelle; il buon Pastore che conosce, che le raccoglie in modo che vi sia un sol greggie e un sol pastore (Giov. X, 11, 14, 15, 16). Dinanzi a questo Pastore supremo tutti i credenti, semplici fedeli e pastori sono agnelli. Questo Pastore supremo sta per lasciar la terra, e agli agnelli, che si governano coi sensi, deve  lasciare in sua vece un pastore, che in modo sensibile li regga. E chi sceglie? Non molti, ma un solo, come un solo è il suo gregge ed un solo il Pastor supremo che è per dipartirsi. Sceglie Pietro e gli dice: « Pasci i miei agnelli, pasci le mie agnelle: vale a dire, sii pastore in mio luogo e colla mia autorità. Come io sono il Pastor supremo di questo ovile, così lo devi esser tu pure » . Che importa, o carissimi, essere pastore? Importa pascere con la parola e coi Sacramenti gli agnelli, importa reggerli e governarli; importa guidarli ai pascoli della vita e allontanarli dai pascoli di morte; importa, per dir tutto in breve, governare il gregge, esserne capo e moderatore supremo. Gesù Cristo non vi appone limite, alcuno di tempo, di luogo, di persone; nulla affatto. Pietro è pastore supremo e del suo governo non deve rendere ragione che a Quegli, il qual lo ha eletto e preposto all’ovile. In altre parole: Gesù Cristo in questo celebre oracolo adempie le promesse già fatte al suo Pietro e le adempie nei termini più chiari: gli aveva promesso di costituirlo pietra fondamentale della Chiesa e affidargliene le chiavi: « Super hanc petram ædificabo Ecclesiam meam. – Tibi dabo claves regni cœlorum »: gli aveva promesso di ottenergli una fede immobile, onde in essa potesse confermare i suoi fratelli, e con essi e per essi tutti i credenti: « Rogavi prò te, ut non deficiat fides tua… Confirma fratres tuos » . Qui lo costituisce maestro e pastore del suo ovile. Quella prima promessa fu fatta a Pietro in vista della sua fede: qui si adempie in ricompensa della sua carità: la promessa ripete l’origine dalla fede di Pietro, dalla fede radice d’ogni virtù; l’adempimento viene per la carità, nella quale ogni virtù si consuma. Pietro è fondamento della Chiesa di Gesù Cristo: Pietro ne stringe le chiavi; Pietro è il sostegno della fede nei fratelli: Pietro è il gran pastore di tutto l’ovile di Cristo; tutti gli altri apostoli, discepoli, semplici fedeli, tutti insieme ad uno ad uno, sempre ed in ogni luogo, dipendono come pietre dal fondamento, come figli di famiglia dal capo, come discepoli dal maestro, che li conferma, come agnelli e agnelle dal pastore, che le guida. Sotto forme alquanto diverse brilla sempre la stessa idea, si stabilisce sempre lo stesso ufficio; le idee di edificio, di casa, di fratelli da confermarsi, di agnelli e di agnelle da pascersi, si legano tra di loro, significano in sostanza la stessa cosa, e importano la dipendenza dal fondamento, dal capo di famiglia, dal maestro, dal pastore. Gesù Cristo nel commettere a Pietro l’ufficio, e il diritto di fondamento rapporto all’edificio, di reggitore rapporto alla famiglia, di confermatore rapporto ai confermati, di pastore rapporto alle agnelle, necessariamente impone alle pietre dell’edificio, ai figli di famiglia, ai fratelli da confermarsi, alle agnelle e agli agnelli, l’ufficio e il dovere dell’obbedienza, non potendosi concepire il diritto di reggere e governare senza il relativo dovere d’essere retti e governati. Figliuoli amatissimi! Se le parole di Gesù Cristo per noi sono legge immutabile; se ciò che ho detto sgorga a tutta evidenza dalle parole di Lui, pel quale dire è fare, « Ipse dixit, et facta sunt » , ne conseguita che Pietro e i suoi successori nell’apostolato si debbono riverire come fondamento, clavigeri, maestri e pastori sommi di tutta la Chiesa. Pietro, o miei cari, è il fondamento dell’edificio: io, voi, ciascuno di voi siam le pietre, che la provvidenza divina ha collocato sovra di questo inconcusso fondamento: se non vogliam cadere, e cessar d’appartenere a questo benedetto edificio, teniamoci sempre saldamente congiunti alla pietra immobile, che è la nostra forza, il nostro sostegno. Pietro ha ricevuto da Cristo le chiavi di questo edificio, apre e chiude, regge e governa questa gran Casa di Dio; noi tutti siamo in essa figli di famiglia: obbediamo adunque al capo datoci da Gesù Cristo medesimo. Pietro ha una fede che non può essere vinta dalle superbe potenze dell’inferno: Pietro con essa e per essa conferma tutti i suoi fratelli maggiori e minori, vescovi e preti e semplici fedeli. Lasciamoci adunque confermare da lui, e con lui e per lui noi pure usciremo vincitori dalla tremenda e incessante lotta. Pietro è il pastore di tutto l’ovile di Cristo: siamo in esso agnelli e agnelle: lasciamoci adunque guidare dal massimo Pastore, e non cadremo giammai tra le unghie dei lupi rapaci, che c’insidiano. – Carissimi! V’ho dato il commento legittimo dei grandi oracoli in tre diverse occasioni pronunciati in modo solenne dal nostro divin Maestro e Salvatore; vi ho dato il legittimo commento di que’ tre oracoli, che formano la gran carta, il vero ed immutabile statuto sul quale poggia il dogma fondamentale del primato di Pietro e de’ suoi successori, e che noi entrando nel massimo tempio della terra leggemmo intorno alla sua cupola. Questo commento rimanga scolpito nei vostri cuori più che sui marmi di S. Pietro in Vaticano, e sia la tessera della vostra fede, il simbolo della vostra speranza, e vi conduca là, dove un giorno, cessando la fede e la speranza nell’immediata visione e nel beato possesso di Dio, regna la sola carità (Ad Corinth. XIII, 13).

Credo

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Offertorium

Orémus
Ps XLIV: 17-18
Constítues eos príncipes super omnem terram: mémores erunt nóminis tui, Dómine, in omni progénie et generatióne.

[Li costituirai príncipi su tutta la terra: essi ricorderanno il tuo nome, o Signore, di generazione in generazione.]

Secreta

Hóstias, Dómine, quas nómini tuo sacrándas offérimus, apostólica prosequátur orátio: per quam nos expiári tríbuas et deféndi

[Le offerte, o Signore, che Ti presentiamo, affinché siano consacrate al tuo nome, vengano accompagnate dalla preghiera degli Apostoli, mediante la quale Tu ci conceda perdono e protezione.]

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Communio

Matt XVI: 18
Tu es Petrus, ei super hanc petram ædificabo Ecclésiam meam.

[Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa.]

Postcommunio

Orémus.
Quos cœlésti, Dómine, aliménto satiásti: apostólicis intercessiónibus ab omni adversitáte custódi.

[Quelli, o Signore, che Tu saziasti di un alimento celeste, per intercessione degli Apostoli, proteggili contro ogni avversità.]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-

leonine-dopo-la-messa/

https://www.exsurgatdeus.org/2018/09/13/ringraziamento-dopo-la-comunione-1/

https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/

https://www.exsurgatdeus.org/2020/04/13/tutta-la-messa-cattolica-momento-per-momento-1/

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. CLEMENTE XIII – “QUAM GRAVITER”

Si tratta di una brevissima lettera Enciclica che il Santo Padre scriveva all’indomani di editti governativi francesi altamente lesivi degli interessi non solo materiali, ma soprattutto spirituali della Chiesa Cattolica tutta, dei religiosi e dei fedeli laici. La persecuzione contro la Chiesa Cattolica è stata sempre una costante della lotta del demonio per riprendere il suo potere (la cabalistica Corona) sull’umanità, onde poterla trascinare nell’eterna dannazione, ora frontalmente con le armi e le macchinazioni belliche, ora dottrinalmente, con eresie, scismi ed errori dottrinali, il demonio non ha risparmiato mezzi ed escogitato inganni per affossare la Chiesa fondata da Cristo a salvezza e redenzione dell’umanità. Qui toccava alla Francia, infettata già di gallicanesimo, giansenismo, umanesimo ateo, razionalismo gnostico-filosofico cartesiano, sperimentare la persecuzione fisica, violenta dei sostenitori del demonio operante dalla e con la massoneria allora costituita già in numerosissime logge, il cui unico “pallino”, come oggi, era minare alle fondamenta il Cristianesimo per sostituirlo con un paganesimo sfrenato ed un culto satanico più o meno mascherato. Non era ancora giunta l’ora della resa dei conti che preludeva ai tempi ultimi dell’Apocalisse, ma se ne sperimentavano già i prodromi funesti che sfociarono poi nel giacobinismo, la rivoluzione e la ribellione alle autorità legittime, a Dio ed alla sua Chiesa. La Chiesa dopo aver subito numerose e dolorose ferite riuscì a salvarsi dalla minaccia mortale, con l’azione di santi e sante martiri, dal cui sangue si riedificò il monumento ecclesiastico, come già successo nei millenni precedenti e nei secoli successivi (ad esempio, Messico, Polonia, Ucraina e via di seguito) . Ma il serpente maledetto trasse una lezione ancor più profonda che lo ha portato non ad affrontare “de visu” la Chiesa, ma a corromperla dall’interno infiltrandola con i suoi adepti [i massoni delle logge ecclesiastiche, oggi numerose e frastagliate nelle diverse obbedienze] che, fingendo santità e devozione, hanno servito e servono esclusivamente la “bestia della terra” e la causa di lucifero che hanno da tempo posto sugli altari col nome ingannevole di “signore dell’universo”, l’abominio della desolazione da cui metteva in guardia, prima ancor del divin Maestro, già il Profeta Daniele. Ci aspetta quindi l’undicesima persecuzione, la più terribile fra tutte anche se secondo le profezie sarà breve. Chiediamo quindi la grazia della perseveranza finale che ci porti in particolare a rigettare il marchio della bestia e l’adorazione della sua statua, oltre che l’osservanza della legge antica mosaica che sarà a breve imposta su tutto il pianeta, come S. Giovanni vide nelle sue visioni di Patmos. Prendiamo esempio dai fedeli francesi che si fecero ghigliottinare piuttosto che adorare i falsi culti satanici della dea ragione, o il falso culto imposto da leggi statali inique. Ricordiamo che lo scopo principale dell’uomo è la salvezza dell’anima. Il resto non conta.

Clemente XIII
Quam graviter

1. Quanto gravemente siamo stati colpiti, allorché abbiamo letto i tre Decreti (Arrêts, come li chiamano) dello scorso 24 maggio, pubblicati dal Regio Consiglio del Re Cristianissimo, vi sarà facile comprendere; come li ricevemmo, fummo al contempo colpiti e sconcertati. Infatti, che sarà in seguito del divino potere della Chiesa se, quando le occorrerà praticare e valersi del suo diritto, e vorrà richiamare i fedeli all’obbedienza, dovrà soggiacere totalmente al cenno della laica potestà e non potrà esigere dai fedeli obbedienza maggiore di quella che torna a vantaggio del potere secolare? Quale linea di demarcazione stabiliremo, al fine di riconoscere i limiti di entrambi i poteri, se è nelle mani e nell’arbitrio del potere laico la facoltà di annullare qualunque decreto della Chiesa circa la Fede o la disciplina o le norme di comportamento? Voi vedete, Venerabili Fratelli, quanto la Chiesa sia oppressa in questa sorta di servaggio, e da quale grave iattura finirà per essere funestata la vigna del Signore.

Inoltre non sfuggirà alla vostra perspicacia quale flagello si debba paventare, posto che il potere secolare rivendica a sé il diritto di riesaminare le Costituzioni degli Ordini Regolari e di affrontarne la riforma, senza consultare questa Santa Sede del beato Pietro, alla quale nessuno nega che occorra rivolgersi, trattandosi di siffatte questioni, come testimoniano gli esempi, non così rari, in codesto Regno.

2. Per altro siamo convintissimi che al Re Cristianissimo non è stato prospettato quanti gravi abusi possono aver origine da quegli editti contro la Chiesa; e non dubitiamo che la sua grande rettitudine e il suo singolare rispetto verso la Chiesa provano ripugnanza per tali abusi. Pertanto a voi compete il dovere di sottoporre alla vista di quella Maestà Regia la prova evidente di quegli abusi, descritta a vivaci colori, e voi dovete compiere tale atto con particolare sollecitudine in quanto lo stesso Re Cristianissimo ha espressamente dichiarato di voler porgere benevolo e indulgente ascolto alle vostre eventuali recriminazioni, se vorrete rivolgervi a lui. Affinché Voi possiate più agevolmente essere ammessi al suo cospetto, Venerabili Fratelli, Noi scriviamo a quella Maestà Reale rivelandogli il profondo dolore che Ci provenne da quegli editti e Lo richiamiamo al suo sentimento religioso perché Vi ascolti con animo sereno, quando solleciterete il suo reale soccorso in modo che si rivelino alla Chiesa la sua forza operante e il potere che egli ebbe da Cristo Signore. E a Voi, Venerabili Fratelli, di cui non loderemo mai abbastanza l’ardentissimo zelo e l’amore verso Dio e la Sposa di Gesù Cristo, impartiamo l’Apostolica Benedizione con tutto l’affetto del Nostro animo.

Dato a Roma, il 25 giugno 1766, ottavo anno nel Nostro Pontificato.

DOMENICA IV DOPO PENTECOSTE (2020)

DOMENICA IV DOPO PENTECOSTE (2020)

Semidoppio. – Paramenti verdi.

Il pensiero che domina tutta la liturgia di questo giorno è la fiducia in Dio in mezzo alle lotte e alle sofferenze di questa vita. Essa appare nella lettura della storia di David nel Breviario e da un episodio della vita di S. Pietro, di cui è prossima la festa. Quando Dio scacciò Saul per il suo orgoglio, disse a Samuele di ungere come re il più giovane dei figli di Jesse, che era ancora fanciullo. E Samuele l’unse, e da quel momento lo Spirito di Dio di ritirò da Saul e venne su David. Allora i Filistei che volevano ricominciare la guerra, riunirono le loro armate sul versante di una montagna; Saul collocò il suo esercito sul versante di un altra montagna in modo che essi erano separati da una valle ove scorreva un torrente. E usci dal campo dei Filistei un gigante, che si chiamava Golia. Esso portava un elmo di bronzo, una corazza a squame, un gambiere di bronzo e uno scudo di bronzo che gli copriva le spalle;aveva un giavellotto nella bandoliera e brandiva una lancia il cui ferro pesava seicento sicli. E sfidando Israele: «Schiavi di Saul, gridò, scegliete un campione che venga a misurarsi con me! Se mi vince, saremo vostri schiavi, se lo vinco io, voi sarete nostri schiavi » – Saul e con lui tutti i figli d’Israele furono allora presi da spavento. Per un po’ di giorni il Filisteo si avanzò mattina e sera, rinnovando la sua sfida senza che nessuno osasse andargli incontro. Frattanto giunse al campo di Saul il giovane David, che veniva a trovare i suoi fratelli, e quando udì Golia e vide il terrore d’Israele, pieno di fede gridò: «Chi è dunque questo Filisteo, questo pagano che insulta l’esercito di Dio vivo? Nessuno d’Israele tema: io combatterò contro il gigante ». « Va, gli disse Saul, e che Dio sia con te! » David prese il suo bastone e la sua fionda, attraverso’ il letto del torrente, vi scelse cinque ciottoli rotondi e si avanzò arditamente verso il Filisteo. Golia vedendo quel fanciullo, lo disprezzò: « Sono forse un cane, che vieni contro di me col bastone? » E lo maledisse per tutti i suoi dèi. David gli rispose: « Io vengo contro di te in nome del Dio d’Israele, che tu hai insultato: oggi stesso tutto il mondo saprà che non è né per mezzo della spada, né per mezzo della lancia, che Dio si difende: Egli è il Signore e concede la vittoria a chi gli piace ». Allora il gigante si precipitò contro David: questi mise una pietra entro la sua fionda e dopo averla fatta girare la lanciò contro la fronte del gigante, che cadde di colpo a terra. David piombò su di lui e tratta dal fodero la spada di Golia, Io uccise tagliandogli la testa che innalzò per mostrarla ai Filistei. A questa vista i Filistei fuggirono e l’esercito di Israele innalzato il grido di guerra li insegui’ e li massacrò. « I figli d’Israele, commenta S. Agostino, si trovavano da quaranta giorni di fronte al nemico. Questi quaranta giorni per le quattro stagioni e per le quattro parti del mondo, significano la vita presente durante la quale il popolo cristiano non cessa mai dal combattere Golia e il suo esercito, cioè satana e i suoi diavoli. Tuttavia questo popolo non avrebbe potuto vincere se non fosse venuto il vero David, Cristo col suo bastone, cioè col mistero della croce. David, infatti, che era la figura di Cristo, usci dalle file, prese in mano il bastone e marciò contro il gigante: si vide allora rappresentata nella sua persona ciò che più tardi si compi in N. S. Gesù Cristo. Cristo, infatti, il vero David, venuto per combattere il Golia spirituale, cioè il demonio, ha portato da sé la sua croce. Considerate, o fratelli, in qual luogo David ha colpito Golia: in fronte ove non c’era il segno della croce; cosicché mentre il bastone significava la croce, cosi pure quella pietra con la quale colpì Golia rappresentava Cristo Signore. » (2° Notturno). Israele è la Chiesa, che soffre le umiliazioni, che le impongono i nemici. Essa geme attendendo la sua liberazione (Ep.), invoca il Signore, che è la fortezza per i perseguitati (All.), «Il Signore che è un rifugio e un liberatore » (Com.), affinché le venga in aiuto « per paura che il nemico gridi: Io l’ho vinta » (Off.). E con fiducia essa dice: « Vieni in mio aiuto, o Signore, per la gloria del tuo nome, e liberami » (Grati.). « Il Signore è la mia salvezza, chi potrò temere? Il Signore è il baluardo della mia vita, chi mi farà tremare? Quando io vedrò schierato contro di me un esercito intero il mio cuore sarà senza paura. Sono i miei persecutori e i miei nemici che vacillano e cadono » (Intr.). Cosi sotto la guida della divina Provvidenza, la Chiesa serve Dio con gioia in una santa pace (Or.); il che ci viene mostrato dal Vangelo scelto in ragione della prossimità della festa del 29 giugno. Un evangeliario di Wurzbourg chiama questa domenica, Dominica ante natalem Apostolorum. Infatti è la barca di Pietro che Gesù sceglie per predicare, è a Simone che Gesù ordina di andare al largo, ed è infine Simone, che, dietro l’ordine del Maestro, getta le reti, che si riempiono in modo da rompersi; infine è Pietro che, al colmo dello stupore e dello spavento, adora il Maestro ed è scelto da Lui come pescatore d’uomini. « Questa barca, commenta S. Ambrogio, ci viene rappresentata da S. Matteo battuta dai flutti, da S. Luca ripiena di pesci; il che significa il periodo di lotta che la Chiesa ebbe al suo sorgere e la prodigiosa fecondità successiva. La barca che porta la sapienza e voga al soffio della fede non corre alcun pericolo: e che cosa potrebbe temere avendo per pilota Quegli che è la sicurezza della Chiesa? Il pericolo s’incontra ove è poca fede; ma qui è sicurezza poiché l’amore è perfetto » (3° Nott.). Commentando il brano di Vangelo molto simile a questo (vedi mercoledì di Pasqua) ove S. Giovanni racconta una pesca miracolosa, che ebbe luogo dopo la Resurrezione del Salvatore, S. Gregorio scrive: « che cosa significa il mare se non l’età presente nella quale le lassitudini e le agitazioni della vita corruttibile assomigliano a flutti che senza tregua si urtano e si spezzano? Che cosa rappresenta la terra ferma della riva, se non la eternità del riposo d’oltre tomba? Ma poiché i discepoli si trovavano ancora in mezzo ai flutti della vita mortale, si affaticano sul mare, mentre il Signore, che si era spogliato della corruttibilità della carne, dopo la Risurrezione era sulla riva » (3° Notturno del mercoledì di Pasqua). In S. Matteo il Signore paragona « il regno dei cieli a una rete gettata in mare che raccoglie ogni sorta di pesci. E quando è piena, i pescatori la tirano a riva e prendono i buoni e rigettano i cattivi ». Orsù, coraggio: mettiamo tutta la nostra confidenza in Gesù. Egli ci salverà, mediante la Chiesa, dagli attacchi del demonio, come salvò per mezzo di David l’esercito d’Israele che temeva il gigante Golia.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XXVI: 1; 2 Dóminus illuminátio mea et salus mea, quem timebo? Dóminus defensor vitæ meæ, a quo trepidábo? qui tríbulant me inimíci mei, ipsi infirmáti sunt, et cecidérunt.

[Il Signore è mia luce e mia salvezza, chi temerò? Il Signore è baluardo della mia vita, cosa temerò? Questi miei nemici che mi perséguitano, essi stessi vacillano e stramazzano.] Ps XXVI: 3

Si consístant advérsum me castra: non timébit cor meum.

[Se anche un esercito si schierasse contro di me: non temerà il mio cuore.]

Dóminus illuminátio mea et salus mea, quem timebo? Dóminus defensor vitæ meæ, a quo trepidábo? qui tríbulant me inimíci mei, ipsi infirmáti sunt, et cecidérunt.

[Il Signore è mia luce e mia salvezza, chi temerò? Il Signore è baluardo della mia vita, cosa temerò? Questi miei nemici che mi perséguitano, essi stessi vacillano e stramazzano.]

Oratio

Orémus.

Da nobis, quæsumus, Dómine: ut et mundi cursus pacífice nobis tuo órdine dirigátur; et Ecclésia tua tranquílla devotióne lætétur.

[Concedici, Te ne preghiamo, o Signore, che le vicende del mondo, per tua disposizione, si svolgano per noi pacificamente, e la tua Chiesa possa allietarsi d’una tranquilla devozione.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános.

Rom VIII: 18-23.

“Fratres: Exístimo, quod non sunt condígnæ passiónes hujus témporis ad futúram glóriam, quæ revelábitur in nobis. Nam exspectátio creatúræ revelatiónem filiórum Dei exspéctat. Vanitáti enim creatúra subjécta est, non volens, sed propter eum, qui subjécit eam in spe: quia et ipsa creatúra liberábitur a servitúte corruptiónis, in libertátem glóriæ filiórum Dei. Scimus enim, quod omnis creatúra ingemíscit et párturit usque adhuc. Non solum autem illa, sed et nos ipsi primítias spíritus habéntes: et ipsi intra nos gémimus, adoptiónem filiórum Dei exspectántes, redemptiónem córporis nostri: in Christo Jesu, Dómino nostro”.

Omelia I

[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia, 1929]

LA VITA FUTURA

“Fratelli: Ritengo che i patimenti del tempo presente non hanno proporzione con la gloria futura, che deve manifestarsi in noi. Infatti il creato attende con viva ansia la manifestazione dei figli di Dio. Poiché il creato è stato assoggettato alla vanità non di volontà sua; ma di colui che ve l’ha assoggettato con la speranza che anch’esso creato sarà liberato dalla schiavitù della corruzione per partecipare alla libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo, invero, che tutta quanta la creazione fino ad ora geme e soffre le doglie del parto. E non solo essa, ma anche noi stessi, che abbiamo le primizie dello Spirito, anche noi gemiamo in noi stessi attendendo l’adozione dei figliuoli di Dio, cioè la redenzione del nostro corpo” (Rom. VIII, 18-23).

L’epistola è un brano della lettera ai Romani. San Paolo aveva affermato nei versetti precedenti che saremo glorificati con Cristo se avremo patito con Lui. Perché nessuno rimanga scoraggiato da questo condizione, fa conoscere la grandezza della gloria futura. La manifestazione della gloria dei figli di Dio è tanto grande che è aspettata ardentemente anche dal mondo sensibile, che vi prenderà parte in qualche modo con la sua rinnovazione. Assieme con la creazione è aspettata pure da noi che, possedendo già lo Spirito Santo come primizia e pegno della celeste eredità, ne sospiriamo il compimento, mediante la glorificazione del nostro essere intero, anima e corpo. Rivolgiamo oggi il pensiero a questa vita della gloria, a questa vita futura, Essa:

1. È il luogo della nostra abitazione eterna,

2. È il compimento delle nostre aspirazioni,

3. È il sommo godimento nel possesso di Dio.

1.

Fratelli: Ritengo che i patimenti del tempo presente non hanno proporzione con la gloria futura, che deve manifestarsi in noi. Innanzi tutto, la vita futura, la vita della gloria, è il luogo della nostra dimora alla quale siamo avviati, non avendo quaggiù dimora permanente. – Una delle più gravi preoccupazioni, quaggiù, è quella di cercarsi una dimora conveniente e poter dire: ho trovato il mio posto; finalmente sono tranquillo. Ma un bel giorno, o per una motivo o per un altro, viene l’ordine di sfratto, e bisogna lasciare quel luogo, a cui si era cominciato a portar affezione. È sogno di tanti procurarsi un’abitazione propria, anche modesta, per passarvi tutta la vita: ma quando si incomincia a goderla, bisogna uscire.  Se non sono i padroni che ci danno lo sfratto quando siamo ancor vivi, sono gli eredi che, volendo liberar la casa, ce ne portano fuori cadaveri. – Ma se noi arriveremo a entrare nella dimora futura, nessuna forza, nessun succedersi di eventi ce ne potrà allontanare. È un posto preparato appositamente per noi; e non da mano d’uomo, ma dalla mano del sommo Artefice, il quale unicamente ha diritto di disporre. « Demolita la casa di questa dimora terrena, si acquista nel cielo una abitazione eterna » (Prefazio dei defunti). – Una grande preoccupazione è sempre il pensiero di poter perdere i beni che si posseggono. Guardate chi vive negli affari. L’idea che una sosta nel commercio, un concorrente, un amministratore infedele, un cambiamento della situazione che possano rovinare gli affari, ora bene avviati, non lo lascia in pace. Guardate quelli che vivono col frutto dei propri beni. Vedono pericoli dappertutto, ladri dappertutto; sono sempre in attesa che la terra manchi loro sotto i piedi. Per gli uni e per gli altri, poi, c’è sempre quell’importuna che si chiama morte, che s’avanza senza sosta. Aver dei beni, e non poterli godere che per brevissimo tempo, è un tormento piuttosto che un beneficio. « O morte, quanto è amaro il tuo ricordo per un uomo che vive in pace tra le sue ricchezze » (Eccli. XLI, 1). Quando, come premio delle nostre opere buone, riceveremo la corona di gloria in paradiso, non saremo turbati dal timore che alcuno ce la possa togliere. Non lavorio nascosto o violenza aperta potrà privarcene; e il tempo non potrà far appassire uno solo dei fiori che la compongono: essa sarà «una corona immarcescibile» (1 Piet. V, 4). – Il corso dei secoli abbatte inesorabilmente tutti i regni della terra. Degli uni restano solo ruderi; degli altri non restano che ricordi. E più presto ancora dei regni, passano i regnanti. Oggi sul trono, domani in esilio; oggi la gloria del trionfo, domani l’amarezza della fuga. Ben diversa sarà la sorte dei beati quando Dio dirà loro: «Venite, possedete il regno che v’è stato preparato fin dalla fondazione del mondo» (Matth. XXV, 34). Quello è un regno che non avrà fine, e i beati «regneranno pei secoli dei secoli » (Apoc. XXII, 5). Nessuna congiura, nessuna rivoluzione muterà le sorti di quel regno, o detronizzerà i servi di Dio.

2.

Il creato è stato assoggettato alla vanità, non di volontà sua, ma di colui che ve l’ha assoggettato con la speranza che anch’esso creato sarà liberato dalla schiavitù della corruzione. Il creato nella speranza di essere affrancato dalla schiavitù a cui lo riduce il peccatore, che lo fa servire al male e alla corruzione, attende, con viva ansia, il giorno della glorificazione dei figli di Dio, perché quel giorno sarà pure il giorno della sua libertà gloriosa. Se tutte le creature che servono all’uomo, cielo, terra, elementi, desiderano ardentemente la gloria futura, noi non dobbiamo lasciarci indietro in questo desiderio. In fondo, la vita futura è il compimento delle nostre aspirazioni.La guerra, quando si prolunga troppo, snerva e stanca anche i più volenterosi. Viene il momento in cui anche il guerriero sente il bisogno di sospendere le armi e di godere i benefici della pace. La vita dell’uomo su questa terra è una battaglia continua. Non tutti hanno da combattere con armi materiali contro nemici forniti di armi materiali; ma tutti hanno da combattere contro nemici spirituali che cercano di sottrarci al dominio di Dio; contro difficoltà d’ogni genere che sono d’ostacolo ai nostri doveri; contro la carne che insorge a far guerra allo spirito, senza un momento di tregua, senza che possiamo esser sicuri della vittoria finale, anche dopo tante battaglie vinte, in modo che tante volte ci facciamo la domanda angosciosa: «Quando finirà questa lotta?» — Quando saremo passati da questa vita alla vita futura. «La morte dei giusti— dice S. Efrem — è fine al combattimento delle passioni carnali; dal quale gli atleti escono vincitori a ricevere la corona della vittoria» (Inno fun. 1).Lo schiavo cerca di togliersi il giogo della tirannia; nessuno vuol adattarsi a sopportare un giogo, tanto più se è pesante. Eppure la nostra vita è un continuo giogo, e giogo pesante: « Un grande travaglio è assegnato a ogni uomo; e un giogo pesante grava sui figli degli uomini dal giorno che uno esce dal seno materno, fino al giorno che è sepolto nel seno della madre comune » (Eccli XLI, 1). Quando ci sottrarremo a questo giogo? Quando passeremo da questa vita al cielo. Là «non vi sarà più morte, né lutto, né strida, né vi sarà più dolore, perché le prime cose sono passate » (Apoc. XXI, 4). Là sarà la fine delle nostre pene, delle nostre lagrime, della nostra servitù. Bello è il mare visto dalla sponda! Sia che nella sua calma ci parli della maestà di Dio; sia che nella tempesta ci parli della sua potenza e della sua giustizia. Quanti, contemplando il mare, sognano di aver la fortuna di attraversarlo un giorno. Ma, se vi riescono, si annoiano ben presto, e si ricordano del proverbio: Loda il mare e tieniti a terra. E quando il viaggio è terminato, confessano candidamente che il giorno più bello fu il giorno dell’arrivo. Così avviene del mare della vita. Negli anni della fanciullezza ci si presenta molto affascinante; ma con l’andare del tempo il fascino sparisce; e a mano a mano che si procede, crescono, ogni giorno più, la noia, le disillusioni, lo sconforto. Quando ne saremo liberi? Quando arriveremo alla vita beata. Quello sarà il più bel giorno del nostro viaggio attraverso il mar tempestoso di questa vita. – All’arrivo di un piroscafo di passeggeri è gran festa, fra chi arriva, e tra i parenti e gli amici che stanno ad aspettare. « Nell’altra vita sta ad aspettarci un gran numero di nostri cari: ci desidera una folta e numerosa turba di genitori, di fratelli, di figli, già sicuri della loro vita immortale, e ancor solleciti dalla nostra salvezza » (S. Cipriano – De Mortal. 26). Essi affrettano, coi loro voti, il nostro arrivo, la festa dell’incontro, che ci riunirà per sempre. Durante la persecuzione scatenata nel Tonchino nel 1838, un bambino si rivolge al mandarino: «Grand’uomo, dammi un colpo di sciabola, perché possa andare nella mia patria. — «Dov’è la tua patria?» — « In cielo ». — « Dove sono i tuoi genitori? » — « Sono in cielo: voglio andar da loro; dammi un colpo di sciabola per farmi partire» (A. Larniay. Mons. Pietro Retort e il Tonchino Cattolico, Milano, 1927, p. 142-43). Andando in Paradiso andiamo a riunirci ai nostri cari nella nostra vera patria.

3.

S. Paolo dice che gemìamo in noi stessi, attendendo l’adozione dei figliuoli di Dio. Non siamo già figli adottivi di Dio? Qui siamo figli adottivi di Dio per mezzo della grazia. La nostra adozione piena e perfetta l’avremo nella seconda vita, ove saremo glorificati quanto all’anima e quanto al corpo. È là, dove i figli di Dio desiderano trovarsi con il loro Padre, contemplarlo nella gloria. Davide, perseguitato ingiustamente dai nemici, circondato da pericoli, prega il Signore che lo soccorra, lo protegga, affinché, dopo una vita innocente, possa al risvegliarsi dalla morte, andare a bearsi nelle sembianze di Dio. « Nella mia integrità comparirò al tuo cospetto, e mi sazierò all’apparire della tua gloria » (Ps. XVI, 15). S. Paolo sente quanto sia meglio goder la vista di Dio. e vivere con Lui nella gloria, che vivere su questa terra di miserie e di affanni. « Bramo di sciogliermi e di essere con Cristo » (Filipp. I, 23), scrive ai Filippesi. E S. Ignazio di Antiochia scrive ai Romani: « Nessuna cosa creata, visibile o invisibile, deve fare impressione su l’animo mio, affinché io possa giungere a Cristo. Fuoco, croce, branchi di fiere, lacerazioni, scorticamenti, slogamenti delle ossa, trituramento di tutto il corpo, tutti i terrori e i tormenti del demonio si rovescino sopra di me, purché possa pervenire a Gesù Cristo » (Ad Rom. 5, 3). E chi è che, pensando seriamente al godimento che ci procura la vista di Dio, non desidererebbe d’essere con Lui? – In paradiso vedremo Dio a faccia a faccia; e nella sua visione beatifica, come in un mare di luce, vedremo tutto. Vedremo il creato con tutte le sue meraviglie, con i suoi segreti, con la sua mirabile armonia. In Dio conosceremo tutte le verità di ordine naturale, senza bisogno di alcun sforzo di mente, di studi, come fanno i filosofi, i quali, dopo tanto affaticarsi, non riescono a conoscerle che in parte, e non sempre senza mescolanza di errori. Conosceremo le verità di ordine soprannaturale, che qui crediamo per la fede. Vedremo Dio com’è; vedremo le sue perfezioni, e la nostra mente, nutrendosi in questa conoscenza, troverà la sua piena felicità. « La vita eterna — dice Gesù Cristo rivolto al Padre — consiste nel conoscere Te » (Giov. XVII, 3). – Nella piena conoscenza di Dio il cuore troverà ciò che può accontentare pienamente i suoi desideri. In Dio troverà infinitamente più di ciò che può desiderare e sperare: Godimenti e delizie senza misura e senza durata. « Tu — dice il Salmista — mi darai pienezza di gioie con la tua presenza; le delizie perpetue della tua destra » (Ps. XV, 11). Se Dio, qui su la terra fa generosamente partecipi dei suoi beni gli uomini, di quanta felicità non farà partecipi i beati nel regno della patria? Possiam ben ripetere ancora col Salmista: « Saranno inebriati dall’abbondanza della tua casa, e li disseterai al torrente di tue delizie » (Ps. XXXV, 9). – Anche noi potremo un giorno godere dell’abbondanza della casa del Padre celeste. Se vogliamo arrivarvi dobbiamo pensarci spesso. Dobbiam confrontare il nulla dei beni fugaci di quaggiù coi beni imperituri e immensi del paradiso, i quali solo possono appagarci pienamente. « Adunque, fratelli carissimi — ci esorta S. Gregorio M. — se desiderate esser ricchi, amate le vere ricchezze. Se cercate la sublimità del vero onore, sforzatevi di pervenire al regno celeste. Se amate la gloria della dignità, affrettatevi a esser inscritti a quella suprema corte degli Angeli » (Hom. XV, 1) A nessuno è negato di entrarvi; anzi, la grazia di Dio porge l’aiuto a tutti.

Graduale

Ps LXXVIII: 9; 10 Propítius esto, Dómine, peccátis nostris: ne quando dicant gentes: Ubi est Deus eórum?

V. Adjuva nos, Deus, salutáris noster: et propter honórem nóminis tui, Dómine, líbera nos. [Sii indulgente, o Signore, con i nostri peccati, affinché i popoli non dicano: Dov’è il loro Dio? V. Aiutaci, o Dio, nostra salvezza, e liberaci, o Signore, per la gloria del tuo nome.]

Allelúja

Alleluja, allelúja Ps IX: 5; 10 Deus, qui sedes super thronum, et júdicas æquitátem: esto refúgium páuperum in tribulatióne. Allelúja

[Dio, che siedi sul trono, e giudichi con equità: sii il rifugio dei miseri nelle tribolazioni. Allelúia.

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Lucam. Luc. V: 1-11

In illo témpore: Cum turbæ irrúerent in Jesum, ut audírent verbum Dei, et ipse stabat secus stagnum Genésareth. Et vidit duas naves stantes secus stagnum: piscatóres autem descénderant et lavábant rétia. Ascéndens autem in unam navim, quæ erat Simónis, rogávit eum a terra redúcere pusíllum. Et sedens docébat de navícula turbas. Ut cessávit autem loqui, dixit ad Simónem: Duc in altum, et laxáte rétia vestra in captúram. Et respóndens Simon, dixit illi: Præcéptor, per totam noctem laborántes, nihil cépimus: in verbo autem tuo laxábo rete. Et cum hoc fecíssent, conclusérunt píscium multitúdinem copiósam: rumpebátur autem rete eórum. Et annuérunt sóciis, qui erant in ália navi, ut venírent et adjuvárent eos. Et venérunt, et implevérunt ambas navículas, ita ut pæne mergeréntur. Quod cum vidéret Simon Petrus, prócidit ad génua Jesu, dicens: Exi a me, quia homo peccátor sum, Dómine. Stupor enim circumdéderat eum et omnes, qui cum illo erant, in captúra píscium, quam céperant: simíliter autem Jacóbum et Joánnem, fílios Zebedaei, qui erant sócii Simónis. Et ait ad Simónem Jesus: Noli timére: ex hoc jam hómines eris cápiens. Et subdúctis ad terram návibus, relictis ómnibus, secuti sunt eum”.

(“In quel tempo mentre intorno a Gesù si affollavano le turbe per udire la parola di Dio, Egli se ne stava presso il lago di Genesaret. E vide due barche ferme a riva del lago; e ne erano usciti i pescatori, e lavavano le reti. Ed entrato in una barca, che era quella di Simone, richiese di allontanarsi alquanto da terra. E stando a sedere, insegnava dalla barca alle turbe. E finito che ebbe di parlare, disse a Simone: Avanzati in alto e gettate le vostre reti per la pesca. E Simone gli rispose, e disse: Maestro, essendoci noi affaticati per tutta la notte, non abbiamo preso nulla; nondimeno sulla tua parola getterò la rete. E fatto che ebbero questo, chiusero gran quantità di pesci: e si rompeva la loro rete. E fecero segno ai compagni, che erano in altra barca, che andassero ad aiutarli E andarono, ed empirono ambedue le barchette, di modo che quasi si affondavano. Veduto ciò Simon Pietro, si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: Partiti da me, Signore, perché io son uomo peccatore. Imperocché ed egli, e quanti si trovavano con Lui, erano restati stupefatti della pesca che avevano fatto di pesci. E lo stesso era di Giacomo e di Giovanni, figliuoli di Zebedeo: compagni di Simone. E Gesù disse a Simone: Non temere, da ora innanzi prenderai degli uomini. E tirate a riva le barche, abbandonata ogni cosa, lo seguitarono”).

OMELIA II

[Mons. J. Billot; Discorsi Parrocchiali – Cioffi ed. Napoli, 1840]

Sopra il lavoro.

Præceptor, per totam noctem laborantes nihil cœpimus.

Luc. V.

Quanto è mai rincrescevole, fratelli miei, dopo aver molto lavorato, non ricavare alcun profitto dal proprio lavoro! Tale fu la situazione degli Apostoli, che avevano pescato tutta la notte senza aver preso cosa alcuna. Questa disgrazia veniva senza dubbio dal non aver Gesù Cristo con essi; quindi da che Egli ebbe loro comandato di gettare le reti, presero una sì grande quantità di pesci che le reti si rompevano, e furono obbligati di chiamare gli altri in loro soccorso per tirarle; tanto è vero che quando si lavora per comando di Dio e nella sua divina presenza, il lavoro ha sicuramente buona riuscita! Che ci rappresenta dunque, fratelli miei, questa pesca faticosa ed infruttuosa che fecero gli Apostoli in assenza di Gesù Cristo? Essa ci rappresenta non solo i lavori dei peccatori, che si stancano e si affaticano nelle iniquità ove le passioni li conducono, che camminano nelle tenebre del peccato, e che dopo essersi molto affaticati vedranno la loro fatica terminare in una disgrazia eterna; essa ci rappresenta ancora lo stato in cui si troveranno al fine della vita molti Cristiani che avranno faticato in lavori anche permessi, ma che non avranno santificato il loro lavoro col desiderio di piacergli e che non ne riceveranno alcuna ricompensa. Si lavora molto in tutte le condizioni del mondo, e si può dire che non è l’ozio che perde e che condanna la maggior parte degli uomini. – Ma un gran numero di coloro che lavorano non è meno colpevole avanti a Dio di coloro che sono oziosi perché non lavorano come conviensi. Egli è dunque molto importante, fratelli miei, d’insegnarvi a santificare il vostro lavoro, poiché la vita della maggior parte di voi è una vita laboriosa e penosa. Quanto mi stimerei fortunato se potessi apprendervi questo segreto! Siccome nulladimeno si ritrovano alcuni che non amano il lavoro, che passano una buona parte del loro tempo nell’ozio, bisogna anche istruirli dell’obbligo in cui sono di lavorare. A quelli adunque che non lavorano e a coloro che lavorano indirizzo io in quest’oggi la parola. A quelli che non lavorano farò vedere l’obbligo in cui sono di lavorare: primo punto. A coloro che lavorano insegnerò il modo di santificare i loro lavori: secondo punto. In due parole: si deve lavorare, come si debba lavorare, si è tutto il mio disegno.

I. Punto. Da qualunque parte si osservi la condizione dell’uomo, sia che si consideri ciò ch’egli è per sua natura, sia che si riguardi come peccatore tutto cospira a fargli sentire l’obbligo ch’egli ha di lavorare. Che cosa è l’uomo considerato in se stesso? Egli è un composto di corpo e di anima il più perfetto degli esseri che abitano sopra la terra. Il suo corpo ha membra suscettibili di movimento, la sua anima ha potenze a ciascheduna delle quali Dio ha data una funzione particolare. Ora Dio, che nulla fa invano avrebbe Egli dato all’uomo membra capaci di muoversi, mani per agire, piedi per camminare, gli avrebbe dato uno spirito capace delle più sublimi operazioni, per lasciare l’una e l’altro nel riposo? L’inclinazione dell’uomo sarebbe un disordine alla natura, e quindi sarebbe interamente contraria al disegno del sommo Creatore. – Ed in vero non vediamo noi forse che le creature anche insensibili sono in movimento e lavorano ciascuna nel modo che il loro Autore ha disposto? Il sole si leva ogni giorno per illuminare l’universo, la terra produce dei frutti; gli animali che Dio ha sottomessi all’uomo lavorano per i bisogni di lui; gli Angeli, quelle sublimi intelligenze che si accostano il più da vicino alla divinità, sono in un’azione continua: incessantemente occupati a fare la volontà di Dio, essi adempiono ognuno il ministero ch’Egli ha loro commesso con un’attività che la Scrittura ci presenta sotto il simbolo di quella del fuoco. Facis angelos tuos spiritus, et ministros tuos ignem urentem (Ps. CIII). Solo dunque l’uomo sarà esente dalla legge imposta a tutte le creature? Egli che tiene il mezzo tra quelle che sono materiali e quelle che sono puramente spirituali; egli che è innalzato al di sopra di tutti gli esseri creati che sono sulla terra, e si accosta per il suo spirito il più da vicino agli Angeli che sono nel cielo? No, no, fratelli miei, questo non è stato il disegno di Dio: allorché Egli formò il primo uomo nello stato d’innocenza, lo collocò, dice la Scrittura, nel paradiso terrestre per lavorarvi: Posuit eum in paradiso , ut operaretur (Gen. II). Il suo lavoro non era veramente un lavoro penoso, come quello cui egli è stato condannato dopo il suo peccato, ma un’occupazione che Dio gli aveva dato per compiere i disegni che la sua provvidenza aveva avuti cavandolo dal nulla. Laonde; quand’anche il primo uomo non avesse peccato, egli e i suoi discendenti sarebbero sempre stati soggetti alla legge del lavoro. – L’uomo entra nel mondo per lavorare siccome l’uccello per volare, dice la Scrittura: Homo nascit ad laborem, et avis ad volatum (Job. 5). Chi non lavora è un mostro della natura. Uomo pigro ed ozioso, gli si deve dire con lo Spirito Santo, va alla scuola della formica per istruirti: Vade ad formicam o piger (Prov. 6). Mira come quel piccolo animale lavora durante l’estate per accumulare di che vivere durante l’inverno.. Se anche tu non lavori, non meriti di vivere, non meriti che la terra produca frutti per nutrirti, sei indegno che gli uomini ti soffrano nella loro società, essendo come un membro inutile. – Ciascheduno ha le sue occupazioni nella vita e nei differenti stati che Dio ha stabiliti sopra la terra. Gli uni hanno le fatiche dello spirito nel maneggio degli affari, nello studio, nei tribunali. Gli altri quelle del corpo nel coltivare la terra; chi una professione penosa, chi nel negozio; in una parola, ciascuno deve lavorare nel suo stato; e tu o codardo, non vorresti far cosa alcuna, mentre quell’uomo di toga si priva d’un riposo anche legittimo per mettersi in istato di riempiere degnamente la sua carica? Mentre quell’agricoltore, quel vignaiuolo portano il peso del freddo e del caldo, innaffiano la terra coi loro sudori e si consumano nelle fatiche, tu pretendi menar una vita dolce e tranquilla, passar i tuoi giorni in un languido riposo? Ah! tu sei indegno della società degli uomini, insopportabile a Dio, agli uomini e molto sovente a te stesso per le noie da cui sei oppresso. Andiamo avanti. Voi siete non solamente obbligati al lavoro perché siete uomini, ma ancora perché siete peccatori, ed in questa qualità voi avete dei peccati da espiare, dei peccati da evitare. Ora il lavoro serve mirabilmente all’uno e all’altro di questi fini. Egli è una soddisfazione che espia i peccati passati, è un rimedio ed un preservativo per lo peccato avvenire; l’uomo peccatore deve dunque sottomettervisi per spirito di penitenza. Se l’uomo non avesse giammai peccato, la sua vita non sarebbe soggetta ai lavori penosi che ne dividono a vicenda i momenti. Egli avrebbe per verità lavorato nel modo che Dio aveva prescritto all’uomo innocente; ma il suo lavoro non sarebbe stato che un’occupazione facile, un esercizio comodo ed anche dilettevole, esente dagli stenti e dalle fatiche che opprimono presentemente il suo spirito ed il suo corpo: ma dacché l’uomo si ribellò contro il suo Dio, egli fu condannato a penoso lavoro: la terra divenne per lui sterile e percossa di maledizione; essa non produsse che triboli e spine; e l’uomo non ne poté trarre il proprio sostentamento, che a forza di sudore … Tu mangerai, disse il Signore, … il tuo pane nel sudore della tua fronte: In  In sudore vultus tui visceris pane tuo (Gen. III). Infelici figliuoli d’un padre prevaricatore, noi abbiamo partecipato al suo peccato; noi dobbiamo altresì partecipare alla sua pena e sottometterci agli stenti che accompagnano la misera condizione dei mortali; non solamente perché siamo eredi della sua disubbidienza, ma perché commettiamo ancora ogni giorno dei peccati di cui dobbiamo far penitenza per calmare l’ira di Dio. Or qual penitenza avete voi fatto sino al presente, fratelli miei, per espiare tanti peccati di cui vi siete renduti colpevoli? Qual penitenza, qual soddisfazione avete presentata a Dio per tanti sacrilegi, bestemmie, profanazioni dei santi giorni di festa: per tanti odi, inimicizie, per tante impurità, intemperanze, cui vi siete abbandonati? Non è forse giusto che voi sopportiate i travagli e disagi annessi al vostro stato, giacché Dio vi ha ad essi condannati, e vuol pure accettarli in soddisfazione dei vostri peccati? Questa soddisfazione è di sua scelta, per conseguenza migliore d’ogni altra. – Invano dunque mi direte voi che siete d’una nascita, d’una condizione che non vi permettono di lavorare; .che avete dei beni per vivere senza far nulla; che il lavoro è veramente necessario a quelli che hanno bisogno di guadagnarsi il vitto, ma che voi non mancate di cosa alcuna; che il vostro stato è uno stato di riposo e di dolcezza, e che volete vivere con i vostri comodi. – Si deve dunque dire, secondo voi che il lavoro non è che per i poveri e che le ricchezze e la nascita debbono autorizzare l’ozio. Ma benché ricchi benché distinti siate nel mondo, voi siete peccatori, e forse più colpevoli di coloro che sono nella miseria, perché i vostri beni sono per voi una continua occasione di peccare. Voi avete dunque un eguale, anzi un maggior bisogno che gli altri di far penitenza, di soddisfare a Dio per li vostri peccati. Tocca dunque a voi, ricchi, come a voi, poveri; a voi, nobili, come a voi plebei, sottomettervi alla pena del peccato, comune a tutti i peccatori, cioè al lavoro. In laboribus comedes ex ea cunctis diebus vitæ tuæ (Gen. III). Egli è vero che il lavoro cui la giustizia di Dio ha condannato tutti gli uomini peccatori non è lo stesso per tutte le condizioni della vita; ma non evvi alcuno, in qualunque stato sia, che non debba occuparsi in qualche lavoro dello spirito o del corpo, perché non evvi alcuno che non abbia peccato e che non debba per conseguenza portar la pena del peccato, e quand’anche l’uomo non avesse alcun peccato ad espiare, il lavoro gli è sempre necessario per evitare i mancamenti che potrebbe commettere. Egli è un oracolo pronunziato dallo Spirito Santo, che l’ozio è l’origine di molti vizi: Multum malitiam docuit otiositas [Ecclì. XXXIII); oracolo che una funesta esperienza non ha che troppo sovente verificato e verifica ancora tutti i giorni! Fu nell’ozio che gli abitanti di Sodoma si abbandonarono ai mostruosi eccessi che attirarono su di essi le vendette del cielo: Hæc fuit iniquitas Sodomæ … otium ipsius et fìliaram eius (Ezech. XVI). Mentre Davide fu occupato negli esercizi della guerra, egli si mantenne fedele al suo Dio, ma le dolcezze del riposo lo fecero cadere nell’adulterio e nell’omicidio; e senza citare esempi stranieri, di quanti disordini l’ozio non è ancora l’origine fra i Cristiani? Un’anima aggravata e istupidita dal riposo non ha alcun gusto per le cose di Dio; ella è insensibile alle verità della salute; l’orazione, i sacramenti, gli esercizi di pietà le sono insipidi: ella si disanima per la minima difficoltà; non sa che cosa sia farsi violenza per la pratica della virtù; trascura i suoi doveri o non li adempie che con negligenza: quindi quella facilità a soccombere alle tentazioni che sono più frequenti e più violente in quello stato. Le persone disoccupate sono tentate da più d’un demonio; si riuniscono essi in legioni per entrare in un’anima oziosa, di cui s’impadroniscono così facilmente come un’armata s’impadronisce d’una città senza difesa ed aperta da tutti i lati al nemico: mentre tale è lo sfato d un’anima infingarda; ella è una piazza tanto più facile a prendere perché cede da se stessa senza sostenere alcun assalto; il suo spirito è occupato sol di pensieri inutili, la sua immaginazione ripiena d’idee bizzarre e stravaganti, la sua volontà strascinata da desideri peccaminosi è simile a quelle acque stagnanti dove si generano gl’insetti e i più vili animali, e donde escono vapori che infettano coloro che vi si avvicinano. Quest’anima, sterile in buone opere, è feconda solo in frutti d’iniquità; ella si è abbandonata a tutti i vizi, alla superbia, alla crapula, alla dissolutezza, all’impurità: tali sono, dice il profeta, i rampolli funesti che nascono da questo ceppo guasto e corrotto: In laborem hominum non sunt: ideo tenuit eos superbia, aperti sunt iniquitate, et impietate sua. Le persone oziose non cercano che di contentare i loro malvagi desideri ora nei lauti banchetti, ora nei piaceri brutali, cui si abbandonano senza vergogna: Prodiit quasi ex adipe iniquitas eorum ( Ps. LXXII). Pensano e parlano male del loro prossimo, trascorrono in parole oscene, in canzoni lascive; Locuti sunt nequitiam. Portano anche la temerità sino a bestemmiare contro Dio e deridere le cose sante, a combattere la Religione con l’empietà dei loro discorsi: Posuerunt in cœlum os suum.- Che cosa è che ha perduto quel giovane, quella donzella che per i loro disordini sono divenuti lo scandalo di una parrocchia? L’ozio, in cui genitori troppo indolenti li hanno lasciati vivere. Quel giovane ha imparato in quella scuola l’intemperanza, il segreto di commettere latrocini; quella fanciulla, la maldicenza, la vanità, la maniera di formare e mantenere intrighi peccaminosi. Quell’uomo che nulla ha a fare, cercherà compagni di dissolutezza per andar a passare il suo tempo al giuoco, all’osteria. Quella donna sfaccendata andrà di casa in casa a censurare con le sue maldicenze la condotta degli uni e degli altri. Ne chiamo qui in testimonio, fratelli miei, la vostra esperienza. – Non è forse nei giorni di riposo che voi avete commessi più peccati? Poiché bisogna necessariamente che lo spirito dell’uomo si occupi in qualche cosa, se non pensa al bene, pensa al male; nessun mezzo tra l’uno e l’altro. Convien dunque lavorare per evitare il male. Questo è l’esempio che tutti i Santi ci hanno dato; testimoni gl’illustri solitari che, dopo aver passata una parte del loro tempo nell’orazione, si occupavano in opere manuali, a fine, dicevano essi, che quando il demonio li venisse ad assalire, li ritrovasse sempre sulle difese. Seguite questa massima, ed il nemico della salute non avrà alcuna forza su di voi. Se non potete sopportar le fatiche d’un lavoro penoso, o se la vostra condizione ve ne esenta, occupatevi in qualche lavoro di spirito o di corpo convenevole al vostro stato. Voi, donne, applicatevi all’educazione dei vostri figliuoli, insegnate loro a lavorare, prendete il fuso, all’esempio della donna forte di cui lo Spirito Santo fa l’elogio; fate alcuni lavori di mano per voi, per gli altri, ed ancor meglio per i poveri. Con il lavoro voi eviterete il peccato ed espierete quelli che avete commessi. Ma come bisogna lavorare?

II. Punto. Un Cristiano si perde e si danna nel lavoro, come nell’ozio, quando il lavoro non è secondo Dio. Non basta dunque lavorare, né anche lavorar molto; bisogna lavorare da uomo ragionevole, da uomo Cristiano; lavorare da uomo ragionevole si è occuparsi in un lavoro onesto e moderato: lavorare da uomo Cristiano, si è riferire il suo lavoro a Dio con una retta intenzione di piacergli; due condizioni necessarie per santificare il lavoro. Il lavoro, per esser santo, deve esser onesto di sua natura, cioè subordinato alla legge di Dio: deve essere moderato, vale a dire, proporzionato alle forze dell’uomo e al tempo ch’egli deve dare a Dio. In una parola, non si deve lavorare in cose che Dio proibisce o che distolgono dal suo servizio. Chi commette ingiustizie, dice l’Apostolo, lavori con le sue mani a far del bene; ciascuno adempia i doveri dello stato in cui si trova impegnato. Ogni lavoro che non è secondo Dio, è una infrazione della legge di Dio, inutile e dannosa a chi vi si occupa. Non è lavorare per il cielo, ma per l’inferno, il far cose che Dio proibisce; in tal guisa lavorano i peccatori, che faticano molto, si stancano e si consumano nelle vie dell’iniquità per appagare le passioni malvagie di cui sono schiavi. Oimè! che non fanno gli uni per soddisfare la loro ambizione, gli altri la loro avarizia; questi la lussuria, quelli la vendetta? Così è: quell’uomo di toga lavora dalla mattina sino alla sera in una lite ingiusta, moltiplica scritture per aggravare di spese i suoi clienti; quell’agricoltore si fatica col peso del freddo e del caldo ad ingrandire la sua eredità in pregiudizio dei suoi vicini, ad accumulare dove non ha seminato; quel mercante, tutto applicato al suo negozio, vi commette frodi, ingiustizie; quell’artefice impiega male il suo tempo o fa un cattivo lavoro per chi l’impiega; quel litigante fa molti viaggi e molti passi per guadagnare una lite ingiusta; quell’altro esercita una professione, un’arte incompatibile con la sua salute, perché è per lui occasione di peccato. Ecco molte occupazioni, molte fatiche; ma sono fatiche, sono occupazioni vietate dalla legge di Dio: quale ne sarà il frutto, quale la ricompensa? Quem fructum habuistis? dice s. Paolo; qual profitto si può ricavare da cose che debbono coprire di confusione coloro che le fanno? Quem fructum habuistis in his in quibus erubescitis (Rom. V)? Dove andranno a finire tutti gli empi modi di procedere dei peccatori? Ad una riprovazione eterna. Tale è la sorte di coloro che sono presentemente nell’inferno, perché non hanno lavorato che per il mondo, perché non hanno cercato che di soddisfare le loro passioni. Ah! invano e per nostra disgrazia, dicono essi, ci siamo stancati nelle vie dell’iniquità. Era forse necessario sopportare tante pene, camminare per sentieri così difficili, per cadere in un orribile precipizio? Lassati sumus in via iniquitatis; ambulavimus vias difficiles (Sap. 5). Quanto è egli doloroso d’aver a sopportare cotante fatiche per rendersi infelici! Ah! non sia cosi di voi, fratelli mici nulla fate nel vostro lavoro che sia contro la volontà di Dio. Se la professione in cui siete impegnati è incompatibile con la salute, convien lasciarla; se non tale, voi dovete in essa seguire tutte le regole della saviezza e dell’equità. Lavorate, come dice l’Apostolo, mangiando il vostro pane, vale a dire un pane che sia il frutto d’un lavoro onesto e non già dell’ingiustizia; un pane che non sia la sostanza della vedova e del pupillo, ma guadagnato col sudore della fronte, con saggia industria. Sia il lavoro ancora moderato, affinché non vi distolga da ciò che dovete a voi medesimi. Imperciocché egli è un mancamento assai comune tra coloro che si occupano in un lavoro, anche legittimo, di abbandonarvisi talmente che dimentichino il grand’affare che deve unicamente occuparli. Premurosi soltanto di guadagnare un pane materiale che perisce, non pensano a far provvisione d’un pane che si conserva sino nella vita eterna. Sempre piegati verso la terra, dove non sono che per un tempo, non alzano mai gli occhi verso il cielo, dove regnar debbono eternamente: invece di mettere in Dio la loro confidenza, per i bisogni della vita, sembrano diffidare della sua provvidenza; non contano che sopra la loro industria,  si caricano di lavori e ne aggravano quelli che sono al loro servizio. I giorni non sono lunghi abbastanza per terminare tutto ciò che intraprendono: l’affare della salute non vi ritrova alcun momento; non ne impiegano neppure la minima parte a rendere a Dio ciò che gli debbono; prenderanno anche i giorni destinati al suo servizio per attendere ai loro affari, al loro negozio; essi lavorano in questi giorni sotto vani pretesti di necessità che la brama del guadagno fa pur troppo sempre ritrovare. Ah! non è questo fratelli miei, lavorare secondo Dio; ogni lavoro che vi allontana dal suo servizio, che v’impedisce di operare la vostra salute, benché lucroso sia pel tempo, egli è dannoso per l’eternità. Lavorate pure nella professione in cui siete, ma lavorate moderatamente; contate più sulla provvidenza di Dio che sul vostro lavoro; contentatevi d’una certa fortuna convenevole al vostro stato; non desiderate che quanto vi è necessario per mantenervi con la vostra famiglia; non seguite i movimenti di una cieca avidità, d’una fortuna cui non dovete aspirare; ricordatevi che la migliore che possiate fare si è quella della eternità; a questa voi dovete le vostre prime sollecitudini, a questa tutti debbono riferirsi i vostri passi: poiché dovete lavorare non solo da uomo ragionevole, ma ancora da Cristiano; e perciò bisogna riferire il vostro lavoro a Dio con la retta intenzione di piacergli: Tale è il nobil fine che nel lavoro vi deve animare. O sia che beviate o sia che mangiate o che facciate qualunque altra cosa, dice l’Apostolo s. Paolo, fate tutto per la gloria di Dio: Sive manducatis, sive bìbitis, sive aliquid facitis omnia in gloriam Dei facite (I. Cor. X). Nulla più necessario, fratelli miei, né nulla più utile, e si può anche aggiungere più facile, che questa pratica per santificarvi nelle vostre occupazioni. Voi siete per la maggior parte obbligati a lavorare per adempiere ai doveri d’una professione, in cui siete avviati, per soccorrere ai bisogni della vita, per guadagnare il pane per voi, e per i vostri figliuoli. Sì lavorate; Dio ve lo comanda, il vostro proprio interesse a questo vi obbliga. Ma volete voi sapere un segreto per divenir santi senza lasciare il vostro stato ed il vostro lavoro, senza che ve ne costi molta fatica? – Offrite a Dio per piacergli ed in soddisfazione dei vostri peccati tutto quanto evvi di penoso nei vostri lavori; senza nulla perdere del profitto temporale che potete fare, voi farete gran profitto per l’eternità. – Questa buona intenzione non accrescerà le vostre pene né le vostre fatiche; essa al contrario le addolcirà, le santificherà. Ecco il segreto ammirabile di cui si sono serviti, per guadagnare il cielo, tanti e tanti giusti che vissero nel medesimo stato che voi, che fecero le medesime cose che ogni giorno voi fate; ma con questa differenza che essi han lavorato per Dio, mentre voi non lavorate che per questo misero mondo. Ecco ciò ancora che voi potete e dovete fare per santificarvi. Poveri che lavorate molto, non è necessario per diventar santi che voi facciate cose straordinarie, che andiate, come gli Apostoli, ad annunziare il Vangelo, che diate per sua difesa la vita, come i martiri, che vi ritiriate nei deserti come gli anacoreti, che affliggiate il corpo con digiuni, cilici, discipline ed altre penitenze; lavorate per Dio, fate ogni cosa con la mira di piacergli; e i vostri lavori avranno il medesimo merito che le penitenze e i digiuni dei religiosi che sono attualmente nella solitudine: cosi il lavoro che vi è imposto come castigo del peccato, sarà per voi un mezzo di soddisfazione ed una strada che vi conduca alla vera felicità. – Quando compiango io dunque per questo motivo la sorte d’un gran numero di Cristiani che lavorano molto nei diversi stati in cui li veggo impegnati; ma che non si propongono un fine degno della Religione che professano! Menano essi una vita laboriosa, gli uni nel maneggio degli affari, nell’esercizio d’una carica, in uno studio che attedia, in cure che li accompagnano alla mensa, al riposo, senza aver alcun tempo per sollevarsi; gli altri si affaticano nei lavori del corpo, nella coltura della terra che bagnano con i loro sudori, nei penosi esercizi d’un’arte che hanno appresa per guadagnare il pane. Ma oimè! la maggior parte non ha altro scopo che una fortuna temporale, non pensa che ad arricchirsi, a cavarsi d’impaccio; ma qual profitto avranno questi al fine della loro vita? Nessuno; avranno molto seminato, e nulla raccoglieranno: Seminastis multum, et intulistis parum (Agg. 1). Si vedranno nel medesimo stato che gli Apostoli, i quali avevano faticato tutta la notte a pescare, e non avevano preso cosa alcuna: Per totam noctem laborantes nihil cœpimus. Avranno essi lavorato per gli altri, avranno arricchiti figliuoli, eredi; ma a che servirà loro ciò che avranno posseduto e che lasceranno agli altri, se nulla avranno fatto per sé medesimi? A che servirà loro una fortuna temporale che avrà logorata la loro sanità, accelerata loro la morte, se avranno trascurato il principale affare per cui Dio li aveva creati? Qual materia d’affanno, qual motivo di penitenza l’aver perduta la sua anima negl’imbarazzi d’una vita penosa come quelli che l’hanno perduta nell’oziosità! Pensatevi, fratelli miei, e procurate di evitare questa disgrazia mentre è ancor tempo. Sin adesso voi avete lavorato, voi vi siete affaticati, voi avete menata una vita stentata per fare una fortuna transitoria; se aveste fatto tutto questo per Dio, se aveste sofferto per gli altri, voi avreste accumulati tesori immensi per il cielo: profittate dunque del tempo per riparare le perdite che avete fatto per il passato. Dio non vi comanda di abbandonare la cura dei vostri affari temporali; Egli vuole che lavoriate, ma che il vostro primo pensiero, lavorando, sia di piacergli e di santificarvi: Egli vuole che nel vostro lavoro cerchiate l’adempimento della sua volontà.

Pratiche. Abbiate dunque cura di riferire tutte le vostre azioni alla sua gloria: offritegli ogni mattina nella preghiera tutte le vostre fatiche del giorno; pregatelo di sparger su esse la sua santa benedizione; rendetegli, se potete, una visita nel suo santo tempio prima di andare al lavoro; rinnovate di tempo in tempo quest’offerta, richiamandovi la sua santa presenza, indirizzandogli qualche orazione giaculatoria. Per voi, o mio Dio, dovete dire, ho cominciato il mio lavoro, per voi lo continuo; io vi offro tutto ciò che vi è di penoso in soddisfazione dei miei peccati. Servendovi di queste pratiche fratelli miei, voi eviterete i peccati che si sogliono commettere lavorando, le bestemmie, le imprecazioni, le collere cui si abbandonano coloro ai quali non tutto riesce come vorrebbero, i quali trasportare si lasciano per la minima cosa. Se voi avete cura di offrire il vostro lavoro a Dio, se vi richiamate di tempo in tempo la sua santa presenza, vi asterrete dalle parole oscene, dalle canzoni profane che si odono dalla maggior parte di coloro che lavorano e che attirano la maledizione di Dio sopra i loro lavori. Invece di quelle parole oscene, al giorno d’oggi sì frequenti tra gli operai e che i padroni non debbono in alcun modo tollerare, voi v’intratterrete in sante conversazioni, in cantici spirituali, come facevano altre volte i primitivi Cristiani. Voi potete, durante il lavoro, occuparvi in santi pensieri: esercitando una professione, rappresentarvi Gesù Cristo che ha lavorato Egli medesimo per i bisogni della vita, unire le vostre alle sue fatiche e a tutto ciò ch’Egli ha fatto sopra la terra: svellendo i triboli, le spine, le cattive erbe dai vostri campi pregatelo di svellere dai vostri cuori i semi del peccato, di correggerne le inclinazioni perverse, lavorando o coltivando la terra, pregatelo di aprire i vostri cuori per ricevere la rugiada celeste della sua grazia e renderli fertili in virtù ed in buone opere. Quando aveste a sopportare calori eccessivi, pensate al fuoco eterno dell’inferno che i vostri peccati han meritato. Se il caldo di quaggiù è si difficile a sopportare, come, dovrete voi dire, potrò io soffrire gli ardori eterni, di cui questo non è che la figura? Soffrite gl’incomodi delle stagioni e tutti gl’altri disagi annessi al vostro faticare in vista della ricompensa eterna che Dio vi apparecchia nel cielo, ricordandovi di ciò che dice s. Paolo nell’epistola di questo giorno, che le tribolazioni di quaggiù non hanno alcuna proporzione con la gloria del cielo: Non sunt condignæ passiones huius temporis ad futuram gloriam (Rom. VIII). Mentre il vostro corpo soffre sopra la terra, il vostro cuore sospiri incessantemente verso il cielo, dove, liberi dalla schiavitù di questo corpo mortale, voi godrete dell’eredità promessa ai figliuoli adottivi che avranno faticato per meritarla: Adoptionem fìliorum expectantes, redentionem corporis nostri. Dopo il vostro lavoro, ringraziate Dio dei favori compartitivi, fategli ancora, se il tempo ve lo permette, una visita nel suo santo tempio; andate poscia a prendere qualche sollievo per riparare le vostre forze: con questo mezzo, fratelli miei, vi santificherete nel vostro lavoro, lo renderete utile e meritorio pel cielo, e dopo aver lavorato sopra la terra vi riposerete nell’eternità beata. Così sia.

 Credo…

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/12/il-credo/

 Offertorium

Orémus Ps XII: 4-5 Illúmina óculos meos, ne umquam obdórmiam in morte: ne quando dicat inimícus meus: Præválui advérsus eum.

[Illumina i miei occhi, affinché non mi addormenti nella morte: e il mio nemico non dica: ho prevalso su di lui.]

Secreta

Oblatiónibus nostris, quæsumus, Dómine, placáre suscéptis: et ad te nostras étiam rebélles compélle propítius voluntátes.

[Dalle nostre oblazioni, o Signore, Te ne preghiamo, sii placato: e, propizio, attira a Te le nostre ribelli volontà.]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/comunione-spirituale/

Communio

Ps XVII: 3 Dóminus firmaméntum meum, et refúgium meum, et liberátor meus: Deus meus, adjútor meus.

[Il Signore è la mia forza, il mio rifugio, il mio liberatore: mio Dio, mio aiuto.]

Postcommunio

Orémus.

Mystéria nos, Dómine, quæsumus, sumpta puríficent: et suo múnere tueántur. Per …

[Ci purifichino, o Signore, Te ne preghiamo, i misteri che abbiamo ricevuti e ci difendano con loro efficacia.]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/

https://www.exsurgatdeus.org/2018/09/14/ringraziamento-dopo-la-comunione-2/

https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/