DOMENICA VII DOPO PENTECOSTE (2023)

DOMENICA VII dopo PENTECOSTE (2023)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. – Paramenti verdi.

In questa settimana non si poteva scegliere una lettura migliore nel Breviario,  del doppio racconto degli ultimi giorni di David — poiché, dice S. Girolamo, « tutte le energie del corpo si indeboliscono nei vecchi, mentre solo la sapienza aumenta in essi » (2° nott.) — e della storia di suo figlio Salomone, che fu celebre fra tutti i re per la sapienza. – David, sentendo avvicinarsi il momento della morte, designò come suo successore, fra i suoi figli, Salomone, il diletto da Dio. E Natan profeta, condusse Salomone a Gihon, ove il sacerdote Sadoc prese dal tabernacolo l’ampolla d’olio ed unse Salomone; si suonò la tromba e tutto il popolo disse: « Viva il Re Salomone! ». David disse a suo figlio: « Sarai tu a innalzare il tempio del Signore. Mostrati forte e sii uomo! Osserva fedelmente i comandamenti del Signore, affinché si compia la parola che pronunciò su me: « Il tuo nome si è affermato e i tuoi discendenti regneranno per sempre! Tu agirai secondo la tua sapienza, poiché sei un uomo saggio ». E David s’addormentò coi suoi padri e fu sepolto nella città che porta il suo nome dopo aver regnato sette anni a Ebron e trentatré anni a Gerusalemme, la fortezza inespugnabile che egli aveva preso ai Filistei. E Salomone si assise sul trono di suo padre, ed il suo regno fu ben sicuro. Era un giovane di diciassette anni, amava il Signore e gli offriva olocausti. – Iddio apparve in sogno a Salomone e gli disse. « Chiedi tutto quello che vuoi e io te lo darò ». Salomone gli rispose: « Signore, io non sono che un fanciullo per regnare al posto di David, mio padre; accordami la sapienza affinché io possa discernere il bene dal male e conduca il tuo popolo sulle tue vie ». E Dio aggiunse: « Ecco io ti dono un cuore saggio e intelligente, tale che tu supererai tutti i sapienti che furono e quelli che verranno, e ciò che tu non mi hai chiesto (lunga vita, ricchezza, trionfi) te lo darò in più ». Secondo la promessa del Signore, Salomone non solo fu il più sapiente, ma il più splendido e possente re d’Israele. Tutti i re gli apportavano i loro doni e tutte le nazioni che fino allora avevano disprezzato Israele, ne ricercavano l’alleanza. La regina di Saba venne a consultarlo e rimase piena di ammirazione per tutto quello che vide e intese da lui. Il Faraone, re d’Egitto, gli dette la figlia in isposa; Hiram, re di Tiro, fece con lui alleanza e un trattato, pel quale, in compenso del grano, dell’orzo, del vino, dell’olio, che le campagne della Palestina producevano abbondantemente, gli forniva legni preziosi delle foreste del Libano, e operai per la costruzione del tempio. Salomone insegnò al popolo il timor di Dio e questi lo protesse in tutte le imprese e lo aiutò quando il suo fratello maggiore avrebbe voluto regnare in sua vece. Così si realizzarono le parole che Salomone medesimo pronunciò e che S. Girolamo ci ricorda nell’ufficio di oggi: « Non disprezzare la sapienza e questa ti difenderà. Mettiti in possesso delia sapienza e acquista la prudenza; impadronisciti di essa ed essa ti esalterà, tu sarai glorificato da essa e, quando l’avrai abbracciata, ti metterà sul capo splendori di grazia e ti coprirà di una gloriosa corona ». « Infatti colui che giorno e notte, commenta S. Girolamo, medita la legge del Signore, diventa più docile con gli anni, più gentile, più saggio col progresso del tempo e negli ultimi giorni raccoglie i più dolci frutti dei suoi lavori d’altri tempi » (2° Nott.). – Laddove, « Quale frutto, chiede l’Apostolo, avete tratto dal peccato, se non la vergogna e la morte eterna? », mentre « ricevendo Dio voi producete frutti di santità e guadagnate la vita eterna » (Ep.). E nostro Signore dice nel Vangelo: « Si riconosce l’albero dai suoi frutti. Ogni albero buono porta frutti buoni e ogni albero cattivo porta frutti cattivi ». E aggiunge: « Non sono già quelli che mi dicono: Signore, Signore, che entreranno nel regno dei cieli, ma quelli che fan la volontà del Padre mio che è nei cieli • Cosi, commentando l’Introito di questo giorno, S. Agostino dice « È necessario che le mani e la lingua siano d’accordo: che l’una glorifichi Dio e che le altre agiscano ». La vera sapienza non consiste solamente nell’intendere le parole di Dio, ma nel realizzarle; né pregare Dio, ma anche nel mostrargli con le opere che lo amiamo ». « Il Vangelo – dice S. Ilario – ci avverte che le parole dolci e gli atteggiamenti mansueti debbono essere valutati dai frutti delle opere e che bisogna apprezzare qualcuno non secondo quello che egli si mostra a parole, ma secondo quello che si mostra ai fatti, perché spesso la veste dell’agnello serve a nascondere la ferocità dei lupi. Dunque, attraverso la nostra maniera di vivere noi dobbiamo meritare la beatitudine eterna, di modo che noi dobbiamo volere il bene, evitare il male e obbedire di tutto cuore ai precetti divini per essere gli amici di Dio mediante il compimento di questi propositi » (3° Nott.). – Salomone, il re pacifico, non è che una figura del Cristo: il suo segno che tutti acclamano (Intr., Alt.) annuncia quello del Messia che è il vero Re della pace; Salomone, il più saggio dei re, presagisce il Figlio di Dio del quale il Padre disse sul Tabor: « Ascoltatelo » (Grad.). Egli presagisce la Sapienza incarnata che ci insegnerà il timor di Dio (id.) e il modo per distinguere il bene dal male (Vang.). Gli olocausti, fatti al tempo della consacrazione del Tempio di Salomone (Off.) sono, come quello di Abele (Secr.), ombra dell’unico Sacrificio cruento, che Cristo offrì sul Calvario; che coronò in cielo, ove entrò dopo aver ottenuta la vittoria su tutti i suoi nemici. Questo dichiara il Salmo XLVI (Intr.), nel quale i Padri hanno visto, sotto il simbolo dell’Arca dell’alleanza che il popolo di Dio fa passare, in mezzo alle acclamazioni, dai campi di battaglia sulla montagna di Sion, una figura dell’Ascensione di Gesù nel regno celeste.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Ps XLVI:2.  Omnes gentes, pláudite mánibus: jubiláte Deo in voce exsultatiónis.

[O popoli tutti, applaudite: lodate Iddio con voce di giubilo.]

Ps XLVI: 3 Quóniam Dóminus excélsus, terríbilis: Rex magnus super omnem terram.

[Poiché il Signore è l’Altissimo, il Terribile, il sommo Re, potente su tutta la terra.]

Omnes gentes, pláudite mánibus: jubiláte Deo in voce exsultatiónis.

[O popoli tutti, applaudite: lodate Iddio con voce di giubilo.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.

Deus, cujus providéntia in sui dispositióne non fállitur: te súpplices exorámus; ut nóxia cuncta submóveas, et ómnia nobis profutúra concédas.

[O Dio, la cui provvidenza non fallisce mai nelle sue disposizioni, Ti supplichiamo di allontanare da noi quanto ci nuoce, e di concederci quanto ci giova.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános. Rom VI: 19-23

“Fratres: Humánum dico, propter infirmitátem carnis vestræ: sicut enim exhibuístis membra vestra servíre immundítiæ et iniquitáti ad iniquitátem, ita nunc exhibéte membra vestra servíre justítiæ in sanctificatiónem. Cum enim servi essétis peccáti, líberi fuístis justítiæ. Quem ergo fructum habuístis tunc in illis, in quibus nunc erubéscitis? Nam finis illórum mors est. Nunc vero liberáti a peccáto, servi autem facti Deo, habétis fructum vestrum in sanctificatiónem, finem vero vitam ætérnam. Stipéndia enim peccáti mors. Grátia autem Dei vita ætérna, in Christo Jesu, Dómino nostro”.

“Fratelli: Parlo in modo umano, a motivo della debolezza della vostra carne. Come deste le vostre membra al servizio dell’immondezza e dell’iniquità per commettere l’iniquità; così ora date le vostre membra al servizio della giustizia per la santificazione. Perché quando eravate servi del peccato, eravate liberi rispetto alla giustizia. Ma qual frutto aveste allora da quelle cose, delle quali adesso arrossite? Giacché il loro termine è la morte. Ma adesso, affrancati dal peccato e fatti servi di Dio, avete per vostro frutto la santificazione e per termine la vita eterna. Perché la paga del peccato è la morte, ma il dono grazioso di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore…” (Rom. VI, 19-23).

DUE LIBERTA’.

C’è un giudice nel vocabolario. Il vocabolario nostro dispone di una sola parola, per la realtà vera e per il suo surrogato: così ad esempio, ci si chiama caffè tanto il moca o il portorico, caffè vero e proprio, come il caffè maltus miserabile surrogato. Monete si chiamano le vere e le false. E libertà si chiama la falsa e la vera, la libertà liberale e la libertà cristiana. San Paolo con una genialità stupenda definisce nel brano della lettera sua ai Romani che oggi si legge alla S. Messa, la libertà falsa, la pagana d’allora, la liberale d’adesso, che è poi la libertà pagana rediviva. Una volta dice ai Cristiani, alludendo ai giorni ormai passati e superati del loro paganesimo, una volta (quando non eravate ancora Cristiani, ma pagani), voi eravate « liberi dalla giustizia e servi del peccato ». Parole testuali d’un sapore evidentemente ironico nella prima parte ai Romani: « Eravate liberi dalla giustizia ». Bella libertà! La libertà di uno spiantato che dicesse: eccomi qua, mi sono liberato dai danari: la libertà di un malato che dicesse anche lui con una falsa soddisfazione: mi sono liberato dalla salute. Liberazione equivoca, o, piuttosto, uso equivoco della parola « liberazione », la quale suona uno svincolarsi da un peso, da una disgrazia, non da una fortuna o di una grazia. – Ebbene, è proprio sullo stesso equivoco che giuocano i liberali vecchi e nuovi, quando parlano di libertà, e intendono con tal parola il liberarsi, l’affrancarsi dalla legge, l’esserne emancipati. Si gloriano i liberali della loro libertà, come di una cosa bella, buona, onorifica, gloriosa; ma la loro libertà non è altro che emancipazione dalla legge. I pagani antichi, quelli di cui San Paolo parla direttamente, erano fuori dalla legge, liberi da essa, perché non la conoscevano o la conoscevano poco; i moderni liberali, perché l’hanno calpestata e dimenticata. Paolo però nota subito molto bene l’equivoco di quella libertà, osservando che i fautori, i glorificatori di essa, erano perciò stesso schiavi del peccato: del male! Ed è proprio così. Automaticamente chi si sottrae alla luce, entra nel regno delle tenebre. Automaticamente chi si sottrae alla legge del bene, cade sotto il giogo della legge del male. E qui è proprio il caso di parlare di giogo. Giogo pesante, obbrobrioso quello del male, del peccato. Catena del peccatore il peccato, vischio in cui rimane impigliato chi una volta ci casca dentro. « Qui facit peccatum servus est peccati: » servo del vino l’ubriacone, servo della donna, schiavo di essa l’uomo corrotto. – A questa pseudo libertà di quando erano ancora pagani, S. Paolo contrappone il quadro della libertà di cui veramente godono ora che sono Cristiani. – I termini sono letteralmente invertiti. Allora liberi (per modo di dire; anzi per antifrasi liberi) dall’onestà, dal bene e schiavi del male, oggi liberi dal peccato, dal male e schiavi della giustizia. Ah, questa è libertà vera! La libertà del male, da malvagi istinti, dalle ree consuetudini, e questa è servitù nobile e degna; la servitù del bene, della giustizia, della legge. Sì, perché — e lo dice equivalentemente S. Paolo — servire alla giustizia; alla verità, alla bontà, significa ed importa servire a Dio. S. Paolo, l’Apostolo, sente la grandezza, la poesia di tale servizio divino. Un servizio, nel quale c’è un segreto di vita e di gioia e di gloria, mentre nel servizio del male c’è un segreto opposto d’ignominia e di morte. Il male uccide. « Stipendium peccati mors: » uccide in tutti i sensi, perché  uccide in senso pieno. E potremmo dire che: « Stipendium legis vita, » vita del tempo, vita nell’eternità.

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps XXXIII: 12; XXXIII: 6

Veníte, fílii, audíte me: timórem Dómini docébo vos. – V. Accédite ad eum, et illuminámini: et fácies vestræ non confundéntur.

[Venite, o figli, e ascoltatemi: vi insegnerò il timore di Dio. V. Accostatevi a Lui e sarete illuminati: e le vostre facce non saranno confuse.]

Alleluja

Allelúja, allelúja

Ps XLVI: 2 Omnes gentes, pláudite mánibus: jubiláte Deo in voce exsultatiónis.

[O popoli tutti, applaudite: lodate Iddio con voce di giubilo. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Matthæum.

Matt VII: 15-21

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Atténdite a falsis prophétis, qui véniunt ad vos in vestiméntis óvium, intrínsecus autem sunt lupi rapáces: a frúctibus eórum cognoscétis eos. Numquid cólligunt de spinis uvas, aut de tríbulis ficus? Sic omnis arbor bona fructus bonos facit: mala autem arbor malos fructus facit. Non potest arbor bona malos fructus fácere: neque arbor mala bonos fructus fácere. Omnis arbor, quæ non facit fructum bonum, excidétur et in ignem mittétur. Igitur ex frúctibus eórum cognoscétis eos. Non omnis, qui dicit mihi, Dómine, Dómine, intrábit in regnum coelórum: sed qui facit voluntátem Patris mei, qui in cœlis est, ipse intrábit in regnum cœlórum.”

[“In quel tempo disse Gesù a’ suoi discepoli: Guardatevi dai falsi profeti, che vengono da voi vestiti da pecore, ma al di dentro son lupi rapaci: li riconoscerete dai loro frutti. Si coglie forse uva dalle spine, o fichi dai triboli? Così ogni buon albero porta buoni frutti; e ogni albero cattivo fa frutti cattivi. Non può un buon albero far frutti cattivi; né un albero cattivo far dei frutti buoni. Qualunque pianta che non porti buon frutto, si taglia, e si getta nel fuoco. Voi li riconoscerete adunque dai frutti loro. Non tutti quelli che a me dicono: Signore, Signore, entreranno nel regno de’ cieli; ma colui che fa la volontà del Padre mio che è ne’ cieli, questi entrerà nel regno de’ cieli”]

Omelia

G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956).

I FALSI PROFETI.

Iddio, che fin dal principio del mondo ha separato la luce dalle tenebre, il giorno dalla notte, l’acqua dalla terra, solo alla fine del mondo separerà i buoni dai cattivi, i veri profeti dai falsi. Intanto noi siamo costretti a vivere in una promiscuità insidiosa e a trovarci, talvolta, con compagni, maestri, superiori, che ci attirano a perdizione. All’erta! « Guardatevi dai falsi profeti, — raccomandò Gesù — che vengono vicino con lane d’agnelli, con belati di pecore: ma invece sono lupi rapaci ». Quando il Maestro disse queste parole la prima volta era sulla montagna, e i discepoli tutti come se il lupo travestito dovesse sopraggiungere allora, si strinsero alla sua persona persuasi che solo da Lui potesse l’insidia venire sventata. « Come faremo noi, poveri ingenui, a riconoscerli? » — sembravano dire. « Come fate — li rincuorò Gesù — a distinguere le piante buone e le cattive? Dai frutti: pianta buona dà frutto buono, pianta cattiva dà frutto cattivo. Certo voi non coglierete mai un grappolo d’uva dallo spineto, né un fico dal roveto. Così è degli uomini: non guardate alle loro parole, perché non quelli che diranno « Signore! Signore! » entreranno in paradiso; ma guardate alle loro azioni. « Uomo buono fa buone azioni, uomo cattivo fa cattive azioni ». L’immagine di Gesù che si strinse d’attorno i suoi Apostoli per salvaguardarli dai falsi profeti deve aver molto impressionato i Cristiani dei primi tempi, se dall’inizio del secolo III essa è ricordata nelle pitture delle catacombe. Su di una volta del cimitero di Pretestato è dipinto il Pastore buono che stende la mano destra a proteggere sette agnelli. Ma questi alzano il muso e gli occhi pieni di spavento come se un pericolo grave li minacciasse. Difatti dalla parte sinistra s’avanzano due animali per far nocumento: l’asino e il porco. Ma già il Pastore buono ha levato contro di essi il suo lungo vincastro e li tiene lontani (WILPERT, Le pitture delle catacombe, vol. I, tav. 51). Questa ingenua rappresentazione che ha rallegrato gli occhi di molti martiri non simboleggia forse la storia perenne della Chiesa lungo tutti i secoli? Sempre il gregge del Signore è minacciato da due sorta di falsi profeti: gli uni, rappresentati dall’asino, sono quelli che tentano con errori di corrompere il sacro deposito della fede: gli altri, rappresentati bene dal porco, sono quelli che tentano di corrompere i buoni costumi e la purezza della vita cristiana. Intanto la interessante pittura delle catacombe, senza ch’io me ne fossi accorto, mi ha diviso la predica in due punti: I falsi profeti della fede; I falsi profeti dei costumi. – 1. I FALSI PROFETI DELLA FEDE. Ritornava da Betel, dove Dio l’aveva mandato per un’importante ambasciata un uomo giusto. Quand’ecco, sulla strada, incontra un falso profeta che gli dice « Vieni con me, a casa mia, e prenderemo insieme un po’ di cibo ». L’uomo giusto gli rispose: « Non posso venire con te, né mangiare, né bere, con chiunque sia: me l’ha proibito il Signore ». E l’altro con lusinghevole voce cominciò a scalzare il suo proposito: « Anch’io sono profeta simile a te; e se a te il Signore ha fatto questa proibizione, a me è comparso un Angelo e mi ha ingiunto: — conducilo a casa tua e confortalo con una cenetta ». L’ingenuo credette alle parole dell’astuto e gli andò dietro e mangiò il pane e bevve l’acqua del falso profeta. Ma alla sera, alcuni uomini che transitavano per un sentiero solitario, videro disteso un cadavere e accanto un leone: era il cadavere dell’infelice ingannato. Esterrefatti ritornarono in città e divulgarono la cosa (III Re, XIII). Questo fatto della Storia Sacra c’insegna assai chiaramente la fine che faranno le anime che, dimentiche degli avvisi di Gesù e de’ suoi ordini, si avvicineranno ai falsi profeti della fede: finiranno preda del leone infernale. E mi è piaciuto ricordare lo spaventoso episodio perché specialmente in questi tempi i Protestanti in ogni città e in ogni paese d’Italia hanno organizzato una lotta accanita per strappare molti dalla vera fede cattolica. Per essi s’addice bene la figura del falso profeta, descritto dal Vangelo, che s’avvicina in veste di pecora, ma che nell’intrinseco è belva rapace. Infatti, essi hanno sulle labbra parole pie, si dicono evangelici e anche Cattolici, predicano del Signore e della salvezza dell’anima, danno elemosine, diffondono libri e bibbie a pochissimo prezzo. Ma strappate a loro queste lane d’agnelli e sentirete che essi non vogliono né la Madonna Madre di Dio, né il Papa capo infallibile della Chiesa. A nome di Cristo, dal suo altare, io alzo il grido d’allarme. Attendite a falsis prophetis. Ma non è solo dai Protestanti e dagli altri eretici definiti che vi dovete guardare. Guardatevi specialmente da tutti quelli che non amano il Papa. « Sono cristiano anch’io — vi diranno forse — sono Cattolico anch’io al pari di te, ma non sento bisogno di ubbidire ad ogni comando del Papa, di rispettare ogni sua parola, di pregare per il suo trionfo… ». Chi non è col Pontefice, non è con la Chiesa di Cristo e quindi è un profeta dell’errore. E se anche un Angelo vi annunciasse una dottrina diversa da quella che la Chiesa e il Papa insegnano, non credetegli perché  quell’Angelo è un demonio trasfigurato. Se poi desiderate una norma pratica che vi salvi da ogni astuzia dei falsi profeti della fede, seguite questi due consigli: 1) Istruitevi nella Dottrina Cristiana. Gesù è venuto dal Cielo sulla terra per insegnarci queste sublimi verità, e voi le trascurate? Come oserete sperare salvezza? Dottrina cristiana! Dottrina cristiana! 2) Fuggite la compagnia di chi non ama il Papa o la Madonna e disprezza la santa Eucaristia: tutte le eresie si riducono a questi tre punti. Ricordate quello che di S. Giovanni Apostolo narra S. Ireneo. Era, una volta, entrato in un casa, ma come s’accorse che v’era dentro l’eretico Cerinto, non un minuto volle indugiarvi e fuggì gridando: « Indietro, indietro! Temo che il tetto di questa casa mi rovini addosso per la presenza di un simile uomo ». E di S. Policarpo si racconta che in Roma, dov’era appena venuto, s’incontrò con Marcione che era un eresiarca. « Policarpo! — gli disse; — non mi conosci? io sono Marcione ». « Oh se ti conosco! — gli rispose il santo. — Tu sei il primogenito del demonio ». Agnosco diaboli primogenitum. – 2. I FALSI PROFETI DEI COSTUMI. Fra tutti i vizi che contaminano il mondo moderno, non ve n’ha uno più diffuso del vizio impuro. Sembra quasi che in questo secolo il porco sferri l’assalto più furioso al gregge di Cristo. Ha invaso tutte le età, tutte le condizioni, tutti i luoghi. Nolite proiicere margaritas vestras ante porcos. (Mt., VII, 6). E i profeti falsi che sorgono a difenderlo non sono pochi. « Non è un peccato, dicono, — è un bisogno della natura. L’uomo può fare quello che vuole, purché ne’ uccida, né rubi. Quelli che dicono di essere puri, sono impostori più corrotti degli altri ». Le letture, le amicizie, i divertimenti sono le armi più terribili e più infiorate che i falsi profeti dei costumi maneggiano a distruzione delle anime. Le letture. — Ancor oggi, come all’inizio dei tempi, l’uomo è collocato alla presenza di due alberi che producono frutti diversi: l’albero della stampa del bene, l’albero della stampa del male. Il primo dà illustrazioni pudiche e belle, giornali utili e seri, libri buoni e di sincero godimento; l’altro dà frutti di peste e di morte. Ed ancora si ripete la scena del paradiso terrestre. Dall’albero delle stampe cattive ci parla il falso profeta, con la voce carezzevole del serpente antico: « Perché i preti vi proibiscono queste illustrazioni, questi romanzi? Hanno paura che diventiate più bravi di loro e non restiate più sottomessi alla loro parola. Non dovete forse sapere quello di cui parla tutto il mondo? Voi solo non guarderete né leggerete quello che si vede e si legge ora da per tutto? Ah! che nel giorno in cui li leggerete, diverrete altrettanti dei ». Ed ecco tanti giovani e tante fanciulle anche, ecco tanti uomini di ogni età e condizione, cedere al falso profeta, accoglierlo in casa magari segretamente e poi… e poi… lasciare la propria innocenza a brano a brano nella bocca della bestia feroce « Galeotto fu il libro e chi lo scrisse! », ci grida Dante dalla sua « Commedia ». Le amicizie. — Talvolta il falso profeta sì presenta sotto i sembianti d’un amico, specialmente di sesso diverso. Non vi getterà, no, tutto d’un colpo al fondo dell’abisso: ma vi spingerà lentamente ed un po’ alla volta. Comincerà ad adescarvi con la sua bella figura, coi modi gentili, con il carattere gioviale, con qualche biglietto: in principio si ascolta volentieri, poi si sorride, poi si risponde, poi si cede. Certo è che una volta che vi siete dati in mano a un tal falso profeta, non siete più liberi, divenite cosa sua, la sua preda. « Coraggio, che facciamo di male? », vi dirà. Intanto divorerà la vostra anima e vi trasformerà in un essere abbietto come lui. Questa trasformazione mi pare che bene la raffiguri Dante nell’« Inferno ». Nell’ottavo girone, egli vide arrivare di furia un serpente di sei piedi, e avventarsi addosso a un’anima dannata e stringersela membro a membro come un’edera s’abbarbica ad un tronco, fino a formare con esso un sol corpo mostruoso che si allontanò lentamente. Alcuni che pure assistevano alla paurosa scena, esclamavano: « Ohimè Agnel, come ti muti! » (Inf., XXV, 67). Quante volte si potrebbe ripetere accanto ad anime rovinate dalle cattive amicizie il grido straziante « O Agnel, tu che ti dai in braccio a quell’amico perverso, come cambi! Già incomincia la metamorfosi e presto striscerai con lui nella melma. Ohimè, Agnel! ». I divertimenti. — Di certe sale, di certi divertimenti, non voglio dire che una parola, una sola: ed è quella che S. Agostino dice del suo amico Alipio che s’era recato a teatro con tutti i più feroci propositi di non peccare. « Levatesi per certa avventura d’un gladiatore alte grida, aprì gli occhi e guardò. Guardò: da quel momento non fu più Alipio » (Conf. libr. VI, cap. 8). – Se S. Paolo fosse vivo ancora, udite, Cristiani, che così vi scriverebbe in questa mattina: « Io vi prego, o fratelli, che abbiate gli occhi addosso a quelli che pongono inciampi e errori contro la dottrina che voi avete imparato, e ritiratevi da loro. Perché questi tali non servono il Cristo Signore nostro, ma il loro ventre… » (Rom. XVI, 17 s.). « Vi sono ancora molti chiacchieroni e seduttori, che mettono a soqquadro tutte le famiglie, insegnando cose che non convengono. Ma la mente e la coscienza dì essi è immonda… » (Tit., I, 10 S.). Se alle mie parole non volete ubbidire, ubbidite almeno a queste, che sono di S. Paolo. — LE OPERE BUONE. Dante descrivendo nel suo poema immortale il paradiso, dice d’avere sentito parole come queste: senza la fede in Cristo crocifisso, nessuno può salvarsi. Ma la fede non basta, occorrono le opere. Perciò nel giorno del giudizio, molti pur avendo avuto la fede e sentito molte prediche e Messe, si vedranno dalla parte dei dannati perché non fecero le opere della loro fede; mentre certi poveri e ignoranti Etiopi saranno dalla parte degli eletti e tenderanno le mani a condannare quelli che vissero mel centro della cristianità. … molti gridan: « Cristo Cristo!» / che saranno in giudizio assai men prope a Lui, che tal che non conosce Cristo. (XIX, 106-108). Questa persuasione Dante se l’è fatta meditando sul Vangelo di questa domenica. Dice infatti il Maestro divino: « Non tutti coloro che dicono: Signore, Signore, entreranno nel Regno dei Cieli, ma quelli che avranno fatto la volontà del Padre mio, ubbidendo ai suoi comandamenti ». Non tutti coloro che dicono Signore, Signore, entreranno nel Regno de’ Cieli! non tutti coloro che pronunciano qualche preghiera e rendono qualche omaggio a Dio, otterranno la vita eterna. Non omnis qui dicit mihi: Domine, Domine intrabit in regnum cœlorum; sed qui facit voluntatem Patris mei qui in coelis est, ipse intrabit in regnum cœlorum Mt., VII, 21). Tutta la vita nostra quaggiù dev’essere spesa a meritarci il Regno de’ Cieli. Per giungere ad esso non c’è altro mezzo che fare la volontà del Padre, compiere opere buone. Vediamo la necessità delle opere e quali opere noi dobbiamo fare. – 1. NECESSITÀ DELLE OPERE BUONE. Un uomo aveva nella sua vigna un albero di fico che coltivava con ogni cura. D’inverno lo rivestiva di paglia e ne copriva le radici perché fossero difese dai rigori del freddo. Quando il tiepido aprile svegliava le prime gemme, lo bagnava mattino e sera, ed a suo tempo lo tagliava opportunamente per dargli maggior vigoria. A tempo opportuno venne per cercarvi dei frutti, ma non trovò che foglie verdi, abbondanti. Allora disse al vignaiuolo: « Ecco sono tre anni che vengo a cercare frutto da questo fico e non ne trovo. Troncalo dunque e fanne legna da ardere. Perché deve occupare inutilmente il terreno? » Ma quegli rispose: « Signore, lascialo stare ancora per quest’anno, finché io gli abbia scavato tutto intorno una fossa e vi metta del letame: e se darà frutto, bene; se no, lo taglierai » (Lc. XIII, 6-9). Noi siamo gli alberi che Dio ha piantato nella sua vigna, circondandoci di mille premure. È Lui che ci ha chiamato alla vita, a preferenza di tanti esseri rimasti nel numero delle cose soltanto possibili. Se i nostri occhi possono contemplare le bellezze del creato, lo dobbiamo soltanto a Dio. Se le nostre labbra pronunciano il dolce nome del padre e della mamma, se possono esprimere i pensieri ed i sentimenti più cari, è tutto per la bontà del Signore. Ma Egli ci ha dato un dono ancora più grande, che supera i doni materiali quanto il Cielo è superiore alla terra, quanto Dio sta sopra l’uomo: il dono della grazia che ci divinizza. L’albero dell’umanità, in principio, era puro e bello; ma, per la disobbedienza dei progenitori, da albero di vita divenne albero di morte. Allora Dio in un eccesso d’amore per l’uomo mandò il suo Figlio Unigenito perché bagnasse col sangue divino l’albero inselvatichito dell’umanità, e quel sangue prezioso rinnovasse le sue linfe e le rendesse feconde di frutti preziosi e degni del Cielo. Ha forse l’agricoltore trascurato qualche cosa perché possa la pianta scusare di essere sterile? Nulla; non ha proprio trascurato nulla. Dopo ciò, se appressandosi ad essa troverà foglie e nient’altro che foglie, il Padrone sarà costretto a dire: « Perché mai ingombra il terreno? Sia sradicata e gettata nel fuoco ». Cristiani, se la nostra vita non è ripiena di opere buone, se l’amore che diciamo di avere per Iddio non è fattivo, noi ingombriamo il terreno. Nella chiesa di Dio siamo degli esseri inutili che sciupano il tempo e sprecano una linfa fertilissima che per nostra colpa diventa sterile. Ed allora nessuna meraviglia se ci incombe una sentenza terribile. Excidatur et in ignem mittatur. Ma io — dirà qualcuno — non faccio nulla di male! Non importa; non sei un dannoso ma sei inutile, perché non fai nulla di bene. Excidatur. Venga tagliato come un albero secco, non ostante che sia ancor verde gli sia tolta qualunque comunicazione col sangue di Cristo, sia cioè staccato per sempre da Cristo che per lui si è incarnato ed è morto inutilmente. Rendere Cristo inutile! È la massima sventura che possa toccare ad un Cristiano. In ignem mittatur. Sia gettato nell’inferno colui che era fatto per il paradiso. Arda per sempre nelle fiamme divoratrici colui che avrebbe dovuto essere abbeverato dal torrente delle grazie di Dio. Il Signore però ci vuol bene, e quantunque forse da più di tre anni siam piante sterili, vuol lasciarci ancora un anno — altro tempo di prova. Continuerà le sue cure amorose, anzi… farà di più, ci darà maggiori grazie, ma poi non ci sarà misericordia. Per le piante ostinatamente sterili non c’è altra sorte che il taglio ed il fuoco. – 2. QUALI OPERE NOI DOBBIAMO FARE. A 43 anni S. Filippo svolgeva in Roma il suo ministero sacerdotale. I giovani, i ragazzi lo conoscevano tutti e dovunque lo trovassero gli facevano festa, gli si stringevano attorno affascinati dal suo celestiale sorriso. Quante anime rubava al demonio e conduceva nelle vie del Signore! Gli afflitti avevano da lui parole dolci che scendevano fino al cuore; i dubbiosi trovavano in S. Filippo la guida esperta e sicura, i tentati la forza ed il coraggio per le lotte più aspre. Le personalità più distinte per virtù e sapere, perfino principi e prelati ricorrevano a lui per lumi e consigli. Ma un giorno la visione di un apostolato più vasto, in terre lontane, cominciò a rapirlo ed acceso di giovanile entusiasmo sognava le Indie. Venti dei suoi Sacerdoti eran già pronti a seguirlo per salpare dal porto, quand’ecco incontra un santo religioso dell’ordine Cistercense. Ispirato da Dio: « No! — esclama— No! Padre Filippo, ritorni indietro, le sue Indie sono là, a Roma ». E Padre Filippo ubbidiente, allegro ritorna a Roma a far amare il Signore nella letizia del cuore. – Molte volte noi… sogniamo ad occhi aperti ed andiamo dicendo: se mi trovassi in altre condizioni, tra persone migliori, con meno faccende, se fossi in luogo più adatto, quanto bene farei, come lo amerei il Signore, che bella vita sarebbe la mia. Questa è un’illusione. A ciascuno di noi il Signore ha segnato una strada da battere e tutti, nessuno escluso, dobbiamo guadagnarci il Cielo nello stato e nella condizione in cui ci ha posti. – Due sposi Cristiani servono Iddio nel vicendevole affetto che han giurato dinanzi all’altare. Se poi il Signore dà ad essi dei figli, non li devono, no, rifiutare quasi fossero insopportabili pesi, ma li accolgano come pegni preziosi da educare alla vita cristiana. Una mamma che pensasse, pentita, al convento, cui non era chiamata, perché strillano i bimbi di giorno e di notte bisogna continuamente curarli, sbaglierebbe certamente. « Le tue Indie sono là vicino alla cuna della tua creatura! » Un padre che rimpiangesse una vocazione … che non ha mai avuto, solo perché i figliuoli devono mangiare ed è il suo sudore che li dovrà mantenere, perderebbe ogni merito. « Le tue Indie sono lì, in quel campo che devi dissodare, vicino  all’incudine su cui devi battere, in quell’officina che ogni giorno ti accoglie ». « Sia che mangiate, sia che beviate o facciate qualunque altra cosa, fate tutto alla gloria di Dio »? Non è dunque necessario stare tutto il giorno in ginocchio! Anche nelle officine, nei campi, nelle banche, per le vie, noi possiam fare tante opere sante. L’osservanza della legge di Dio, i doveri del nostro stato: ecco le opere che il Signore vuole da noi. In paradiso, accanto ai Pontefici, ai Dottori, ai Sacerdoti, ai Martiri, ci saranno, risplendenti di gloria, anche gli umili figli del popolo che forse conoscevano appena le preghiere essenziali, ma sapevano molto bene fare ogni giorno fare la volontà di Dio. – Una leggenda narra così. Uscì dal suo corpo un’anima umile umile, tanto che tutti l’avevano trascurata: l’Angelo suo custode la guidò nel cammino dell’altra vita. Quando fu sopra le stelle e il sole fulgente e la luna argentea, ella cominciò a tremare sbigottita di tanta altezza e luce. « Non temere, — disse l’Angelo a lei, — tu stai per entrare nel Regno dei Cieli ». Ma i Santi, quando la videro, bisbigliarono: « Com’è piccina! Non ha la stola bianca delle Vergini, non ha la tunica rossa dei Martiri, non la divisa degli Ordini religiosi… Chi sarà? Giunta davanti al trono di Dio, l’Angelo aprì il libro della sua vita. Disse poi: « Qui son notate due cose: nell’anima sua sorrise sempre la grazia, nel suo cuore ci fu sempre una giaculatoria: sia fatta la volontà di Dio. Nient’altro. Qual è il suo posto in cielo? ». « Basta, rispose il buon Dio, basta così, per avere il primo posto in cielo ». Non vuole di più da noi il Signore, non opere straordinarie, non grandi digiuni o lunghe penitenze, non miracoli: no; ma la vita semplice, con le sue croci quotidiane, con l’adempimento esatto del proprio dovere; e in tutto vuole si faccia la sua volontà. Così si può arrivare fino ai primi posti del paradiso!

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/12/il-credo/

Offertorium

Orémus

Dan III: 40

“Sicut in holocáustis aríetum et taurórum, et sicut in mílibus agnórum pínguium: sic fiat sacrifícium nostrum in conspéctu tuo hódie, ut pláceat tibi: quia non est confúsio confidéntibus in te, Dómine”.

[Il nostro sacrificio, o Signore, Ti torni oggi gradito come l’olocausto di arieti, di tori e di migliaia di pingui agnelli; perché non vi è confusione per quelli che confidano in Te.]

Secreta

Deus, qui legálium differéntiam hostiárum unius sacrifícii perfectione sanxísti: accipe sacrifícium a devótis tibi fámulis, et pari benedictióne, sicut múnera Abel, sanctífica; ut, quod sínguli obtulérunt ad majestátis tuæ honórem, cunctis profíciat ad salútem.

[O Dio, che hai perfezionato i molti sacrifici dell’antica legge con l’istituzione del solo sacrificio, gradisci l’offerta dei tuoi servi devoti e benedicila non meno che i doni di Abele; affinché, ciò che i singoli offrono in tuo onore, a tutti giovi a salvezza.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.
de Spiritu Sancto
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: per Christum, Dóminum nostrum. Qui, ascéndens super omnes cælos sedénsque ad déxteram tuam, promíssum Spíritum Sanctum hodierna die in fílios adoptiónis effúdit. Quaprópter profúsis gáudiis totus in orbe terrárum mundus exsúltat. Sed et supérnæ Virtútes atque angélicæ Potestátes hymnum glóriæ tuæ cóncinunt, sine fine dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: per Cristo nostro Signore. Che, salito sopra tutti cieli e assiso alla tua destra effonde sui figli di adozione lo Spirito Santo promesso. Per la qual cosa, aperto il varco della gioia, tutto il mondo esulta. Cosí come le superne Virtú e le angeliche Potestà cantano l’inno della tua gloria, dicendo senza fine:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps XXX: 3. Inclína aurem tuam, accélera, ut erípias me.

[Porgi a me il tuo orecchio, e affrettati a liberarmi.]

Postcommunio

Orémus. Tua nos, Dómine, medicinális operátio, et a nostris perversitátibus cleménter expédiat, et ad ea, quæ sunt recta, perdúcat.

[O Signore, l’opera medicinale (del tuo sacramento), ci liberi misericordiosamente dalle nostre perversità e ci conduca a tutto ciò che è retto.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (260)

LO SCUDO DELLA FEDE (260)

P. Secondo FRANCO, D.C.D.G.,

Risposte popolari alle OBIEZIONI PIU’ COMUNI contro la RELIGIONE (3)

4° Ediz., ROMA coi tipi della CIVILTA’ CATTOLICA, 1864

CAPO III.

SCIENZA, PICEDESTINAZIONi E BONTÀ DIVINA

I. Iddio sa se mi salverò. II. Mi salverò se sono predestinato. III. Iddio è buono. IV. Iddio non si vendica.

I. Oltre la giustizia, traggono alcuni in campo anche la scienza divina, per confondere sè ed altri. Si lasciano muovere soprattutto da quel sofisma che Iddio certamente ha già veduto se essi saranno salvi, oppure se andranno dannati: che accade dunque che si affatichino per salvarsi? Ad ogni modo quello che Dio ha veduto tanto accadrà. – Prima di rispondere direttamente a questo sofisma, io farò una domanda simile al mio lettore. Iddio certamente già sa se quest’oggi voi troverete imbandito il desinare, oppure se nol troverete: che accade adunque che spendiate denari, che diate ordini, che impieghiate il cuoco per ammannirlo? Similmente Iddio certamente vede se voi mai giungerete a raccozzare insieme qualche denaro, oppure se sempre sarete al verde: a che adunque struggervi in brighe e contratti e negozii per accumulare? Non sarà mai più di quello che Dio vede. Che cosa rispondereste a chi vi facesse un tal discorso? Sebbene non aveste in pronto la risposta, tuttavia né licenziereste il cuoco, né smettereste perciò il commercio. Or perché non fate altrettanto nel negozio di vostra salute? Perché non ve ne occupate con ogni serietà, come se al tutto dipendesse da voi? – Del resto sappiate che il veder di Dio le cose con la sua infinita sapienza, non fa che esse non siano ancora pienamente dipendenti dalla nostra libera volontà. Vel dichiarerò con una somiglianza. – Se vi trovaste a rimirare da un balcone una piazza tutta gremita di popolo, ché cosa vedreste? Altri, vendere le loro merci, altri comprarle, e cavalli che impennano, e donne che si bisticciano, e fanciulli che ruzzano, e sciagurati che bestemmiano, e così via via. Ora voi vedete certamente tutto quello che accade, ma ne siete voi la cagione? Forse perché voi lo vedete, essi non sono più liberi a proseguire od intrammettere le loro faccende? Nulla meno. Il vostro vedere nulla influisce sulla loro libertà. Ora, osservate, Iddio per la sua infinita sapienza ha un occhio, a cui sta presente tutto il passato, tutto Il presente e l’avvenire, e tutto con le sue circostanze più mirate e particolari. Che però? Sarà Egli la causa di quello che facciamo o diciamo? Niente affatto. Egli ci lascia fare e dire secondo quella libertà che ci ha dato, e non perché d ama, e solo perché Egli vede le cose, ma perché noi facciamo le cose, Egli le vede. – Di che venendo in nostro particolare, io vi dirò, la visione che Dio ha di quello che noi liberamente faremo in ordine alla nostra salute, non impedisce in nessun modo la nostra operazione. Se io osservo la divina legge, se io non pecco, oppur se fo penitenza dei miei peccati, Iddio vede che io mi salvo. Se io pecco, se io la duro nel peccato fino alla morte, Iddio vede che io mi danno. La sapienza di Dio è a guisa d’un tersissimo specchio, dove tutto quello che io fo e farò si trova rappresentato: ma a chi appartiene il fare che sia rappresentata più una cosa che un’altra? Egli è rimesso alla mia libertà. Similmente l’uomo in questa vita è a guisa di un attore sopra di un palco che dà una rappresentazione: che cosa vede il pubblico? Quel solo e quel tanto che l’attore finge: e, sebbene Iddio per la sua infinita sapienza la vegga anche prima che sia alzato il sipario, tuttavia la rappresentazione mai non sarà altra da quella che l’uomo, che è l’attore, la farà.

II. E con questo è spianata la via a sciogliere anche la difficoltà che si trae dalla predestinazione. Se sono predestinato, dicono alcuni, mi salverò; se non sono, qualunque cosa mi faccia, al tutto mi dannerò. Falso, falsissimo, Imperocché che cosa risulta dalla predestinazione? Che Dio ha veduto che voi, valendovi del vostro libero arbitrio ed usando le grazie che ci vi ha concedute, foste per continuare fino alla fine in un tenore di vita santo; e che foste conseguentemente per andar salvo. Se ha veduto per il contrario che voi foste per fare il male e farlo fino alla, morte, abusando della vostra libertà e delle sue grazie, ed Egli allora si è risoluto a lasciarvi perire : ma a quel modo che il veder Lui le cose avvenire non fa che le cose succedano, ed anzi perché succedono Egli le vede, come abbiam dichiarato sopra; così la determinazione divina non è cagione che voi facciate necessariamente il bene od il male, e che così acquistiate o perdiate il cielo. – Né niuno dica che non sa capire come dunque i decreti divini siano infallibili, mentre sta in nostra mano il far tuttavia che sortiscano il loro effetto o non lo sortiscano; perocché una tal difficoltà non ha special forza nella salute dell’anima, più che nella ricuperazione della sanità, nella conservazione della vita, nel conseguimento delle vittorie ed in tutti gli altri eventi da Dio previsti intorno alla nostra persona, ma previsti di modo che ancor dipendano dal nostro libero arbitrio. Or in tutti questi eventi naturali, benché scritti in cielo, noi crediamo che essi ancor dipendano dai nostri sforzi; e perciò per guarire pigliamo la medicina, per vivere usiamo il cibo, per vincere combattiamo; così nell’ordine soprannaturale, benchè sia scritta in cielo la nostra salvezza, tuttavia noi dobbiamo credere che ancora dipenda dalla nostra opera, e dobbiamo perciò orare, vigilare, osservare le divine leggi. E siccome niuno vi sarebbe che ragionevolmente non attribuisse la perdita della sanità, della vita, della vittoria a colui che non si fosse adoperato per conseguirla; sul pretesto che l’esito di essa già stava scritto in cielo; così la perdita della salute sarebbe al tutto da recarsi a colpa di chi sul pretesto medesimo avesse trascurati i mezzi della salute. E la ragione ultima di tutto ciò è che come Iddio, quando ha decretato di renderci la sanità, ha decretato di renderceli a modo debito, cioè con quei medicamenti che sono i proporzionati; così avendo decretato di darci l’eterna vita, non l’ha fatto se non a modo debito, cioè con tutti mezzi che noi avremmo praticati, per ottenere sì alto scopo. – Che se tutte queste ragioni non bastassero per ventura a quietarvi in proposito, e voi prendete quest’altra via, che sarà di richiamare alla mente alcune saldissime verità, dalle quali potrete trarre pieno conforto: 1.° Checché ne sia della divina predestinazione, riman sempre certo che Dio ha una volontà sincerissima di salvarvi, e questa sua volontà ci ha manifestata con ogni chiarezza, mentre è morto non solo per tutti in comune, ma per ciascuno di noi in particolare. Il perché qualunque cosa vi suggerisca la vostra immaginazione, voi e potete e dovete dire quel dell’Apostolo, che Gesù Cristo è morto per voi e per la vostra salute; Propter me et propter meam salutem. 2.° Gesù, per ragione di quella volontà sincerissima che ha di salvarvi, vi ha fornito con abbondanza di tutti quei mezzi che si richiedono per ottenere quell’alto scopo. Vi ha dato grazie interiori, alle quali acconsentendo voi, come potete, sarete salvo. 3.° Tutto il mistero della predestinazione, benché non l’intendiate, non vi toglie per verun modo la libertà che Dio vi ha data per fare il bene e fuggire il male. Così ve ne assicurano le sante Scritture, così le definizioni di santa Chiesa, così lo stesso buon senso, il quale vi fa sapere che sarebbe assurdo infligger castigo a chi ha commesso un male, che non poteva non commettere, come rimunerare con premio chi ha fatto un bene, che non poteva non operare. Finalmente, finché siete in vita, sempre potete col divino aiuto salvare l’anima vostra, mentre durandovi fino alla morte di credere, di sperare, di amare Iddio sopra tutte le cose, forza è il dire, che fino alla morte dovete avere la possibilità di soddisfare quest’obbligo: se già alcuno non volesse affermare stolidamente che si potesse senza colpa né credere, né sperare, né amare Iddio, come avverrebbe in chi non ne avesse la grazia necessaria. Questi principii essendo indubitati presso i Cattolici, son bastevoli a quietare qualunque turbazione dei fedeli più timidi, a chiudere al tutto la bocca ai libertini più impudenti.

III. Finalmente vi è un altro attribuito divino che somministra a non pochi cagion d’errore, e, chi lo crederebbe? questo è la stessa dolcissima divina bontà. Come i ragni cavano il veleno da quei fiori medesimi, dai quali le api suggono il miele, così alcuni iniqui si valgono di stimolo, a peccare più francamente, di quella bontà medesima, che ne allontana sì efficacemente i buoni. Non conviene, dicono essi perversamente, non conviene a quella immensa misericordia di condannare veruno; Iddio non si offende di nostre colpe; Iddio non si vendica; Iddio compatisce perché conosce la nostra fragilità. Nè si valgono già di questi pensieri per eccitarsi a pentimento di loro colpe, per risolversi a non più commetterle: tutto all’opposto; se ne valgono per rimuovere il timor dell’inferno che contrista, per adagiarsi più tranquillamente nel peccato, per attutire ogni rimorso. Il perché vuolsi fare un poco di esame a questi panegirici della divina bontà, che suonano sì alto sulle bocche dei peccatori. Iddio è buono sì, ma è forse solamente buono? Sarebbe non solo un’eresia il pensarlo, ma perfino una stolidità. Iddio è giusto, anzi la stessa giustizia; è santo, anzi la stessa santità; è puro, anzi la stessa purezza; ed i suoi occhi non possono vedere l’ingiustizia ed il suo cuore non può patirla, ed è obbligato dalle sue infinite perfezioni ad odiarla con tutto sè stesso. Il perché se non punisce subito il peccatore, se non istermina tosto il peccato dal mondo con tutte le sue folgori, il fa solo perché aspetta che vi rimedii con la penitenza chi sventuratamente l’ha ricettato nel cuore. Se non fosse così, Iddio non sarebbe buono, sarebbe stupido, sarebbe complice delle umane iniquità. Volete vederlo? Orsù: udite l’ elogio che io ho da farvi di un padre: Ha questi parecchi figliuoli, i quali sono disobbedienti, indisciplinati, protervi. Non danno retta al padre, si beffano della madre, fan mille dispetti ai vicini, sono lo scandalo di tutta la contrada. Il padre però è tanto buono, che non ha cuore di riprenderli e di castigarli; si contenta solo di avvertirli sempre amorevole, di pregarli, di supplicarli, ma poi tolga Iddio che metta mai mano al castigo, benché non si arrendano ai suoi avvisi. Similmente vi ha un giudice, il quale amministra la giustizia ad una città. Or in questa tutto è pieno di ladri, di omicidi, di sanguinarii, di malfattori, e però tutto è stragi ed ammazzamenti. Il giudice lo sa; che anzi gli vengono condotti dinanzi i rei, ma che volete? il giudice è così buono, che non sa indursi mai a castigarne veruno. Al più al più lo avvisa amorevolmente, e poi lo manda in pace rimettendolo in libertà. Ora che dite voi della bontà di questo giudice e di quel padre? Chiunque non abbia perduto il senno dirà certo che quel padre è uno stupido, è uno stolido, che quel giudice è complice di tutte le iniquità che si commettono per cagion sua. Bene sta; ma non è questo mai l’elogio che alcuni fanno a Dio? Se la sua bontà mai non castigasse, se le sue minacce fossero vane parole, se la sua folgore fosse solo un vano strepito per l’aria, dite, vi sarebbe più alcun motivo di temerlo? Quelli che gli fanno un tale elogio non l’onorano, ma l’insultano orribilmente. E poi se Dio è tanto buono, che non gl’importa di quel che facciamo, perché dunque ha dato una legge, perché ha fatto tante prescrizioni? È il colmo del ridicolo e dell’assurdo tanto raccomandare, tanto inculcare quello che non ha nessuna importanza. Più, perché aggiungervi tante minacce di sì severi castighi? O Iddio sarà diventato un vano parlatore, come noi vermi, che tanto parliamo più alto quanto ci sentiamo più impotenti a mantenere le nostre parole? – Il concetto che le sante Scritture ci danno della bontà divina, non va mai disgiunto da quello della sua infinità giustizia: Dulcis et rectus Dominus. Il Signore è buono, à dolce sì, ma è anche giusto, è anche retto. È buono, e perché è tale ha operata l’Incarnazione ed è morto per noi sulla croce; è buono, e perciò ci somministra grazie innumerabili per la salute; è buono, e perciò ci aspetta anche dopo la colpa al perdono; è buono, e perciò, se l’ameremo, ci tien preparato un premio eterno: tutto ciò è verissimo, ma la sua bontà non lo accieca, nol fa stupido, non lo rende complice delle nostre iniquità. È buono, e tuttavia ha creato un inferno a bella posta per migliaia d’angeli prevaricatori, e ve li ha subissati entro. È buono, ma distrugge quando i loro peccati sono giunti al colmo, e popoli e Nazioni. E buono, e tuttavia avventa sulla terra i suoi castighi privati e pubblici. È buono, e colpisce spesso il peccatore in mezzo alla colpa; è buono, ma non lascia per questo di precipitare nell’inferno tutti quelli che prima di morire non hanno placata la sua giustizia. Come il numero grande dei peccatori nol fa traballare sul suo soglio, così non lo smuovono lodi ipocrite, che gli empii tributano alla sua bontà, per rassicurarsi all’ombra di quella della sua tremenda giustizia.

IV. Ma allora, ripigliano certi sciocchi, Iddio si vendicherebbe; e non conviene alla sua infinita eccellenza il vendicarsi. Davvero conviene a noi vermi vili insultarlo, provocarlo ad ogni momento con ogni sorta di offese, e non conviene a Dio farsi portar rispetto! – Avvertite di grazia a quel che dite, quando parlate di vendette, e quando l’attribuite a Dio. A noi miseri mortali è proibita la vendetta privata per molte ragioni: perché mai non possiamo conoscere pienamente il grado di colpa che può avere il nostro prossimo, consistendo essa principalmente nel cuore veduto dal solo Dio. Ci è vietata, perché essa involge un atto di autorità che il privato non può esercitare sopra un altro privato, perché non la possiede. Ci è proibita, perché le passioni, a cui andiamo soggetti, ci travolgono pur troppo il giudizio in causa propria; ci è proibita, perché Iddio vuole per nostra perfezione che imitiamo la mansuetudine, la carità del nostro Gesù, e per altre ragioni gravissime che qui non è luogo di enumerare. Per tutte queste ragioni in noi la vendetta privata è colpa, è mancamento. Ma non avviene già lo stesso nell’altissimo Iddio. La colpa è un disordine gravissimo, perché viola la legge eterna di Dio, e deve essere riparata. Ogni qualvolta l’uomo non la ripara coll’espiazione volontaria, e non la ritratta, deve essere riparata con una pena forzata, e Dio, come autore d’ogni ordine, è obbligato a porvi mano. In Lui è piena cognizione della colpa e delle circostanze di essa, e quindi il può fare con infinita rettitudine; in Lui è suprema autorità, quindi non fa che esercitare il suo diritto; in Lui non cade, né può cadere torbido di passione, epperò giudica con somma tranquillità; punisce la colpa, perché così lo richiede la deformità d’essa e la sua infinita giustizia. – Niuno dunque s’illuda con questo pretesto, che Dio sia solamente buono, perché questo lo esporrebbe al pericolo di trovarlo solamente giusto. Ed a ciò sarebbe bene che ponessero mente soprattutto due sorti di peccatori. Quelli che fanno di ogni erba un fascio sulla fiducia smisurata che hanno nella divina bontà. Iddio dalla sua stessa misericordia è obbligato a colpire questi iniqui, affinché non si venga a stabilire nel mondo un principio così orribile, qual è quello, che sia lecito ornai d’insultare tanto più audacemente il Signore, quanto esso è più buono. L’altra classe è di quelli che guerreggiano ostinatamente i buoni, che li deprimono, che li conculcano, che li spogliano, che li sterminano dalla faccia della terra, perché essi prendono in pazienza tutti gli strapazzi che lor si fanno. Adesso sì i buoni non possono, non debbono vendicarsi: ma giorno verrà in cui, liberi dalle umane passioni, e per puro amore della giustizia, leveranno le mani al cielo e grideranno a Dio: Vindica sanguinem nostrum; e Dio che ha riserbata a sé la vendetta, ascolterà quelle voci e le esaudirà, e farà comprendere ad ognuno che né la sua bontà gli vieta di castigare la colpa, come pretendono gli iniqui, né alla sua giustizia disdice il vendicare le offese, che ne’ suoi servi a Lui sono state fatte.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (41): “PIO XII, 1944-1958”.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (41)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

(PIO XII, 1944-1958)

Decreto del Sant’Uffizio, 29 marzo (1° aprile) 1944.

I fini del matrimonio.

3838. Domanda: (In alcuni scritti si afferma) che il fine primario del matrimonio non sia quello di procreare figli, o che i fini secondari non siano subordinati al fine primario. ma sono indipendenti da esso. Il fine primario è indicato in vari modi dai vari autori, ad esempio la realizzazione e il perfezionamento personale degli sposi attraverso una completa comunità di vita e di azione; l’amore reciproco degli sposi da promuovere e realizzare attraverso il dono psichico e corporale della propria persona, ed altre cose simili. In questi stessi scritti, alle parole usate nei documenti della Chiesa (come fine primario o fine secondario) viene talvolta attribuito un significato che non corrisponde a quello che questi concetti hanno secondo l’uso comune dei teologi. Domanda: Possiamo accettare l’opinione di alcuni moderni che negano che il fine primario del matrimonio sia la procreazione e l’educazione dei figli, oppure insegnano che i fini secondari non siano essenzialmente subordinati al fine primario, ma siano anche principali e indipendenti?

Risposta (confermata dal Sommo Pontefice il 30 marzo): No.

Decreto del Sant’Uffizio del 19 (21) luglio 1944.

Millenarismo.

3839. Domanda: Che cosa si deve pensare del sistema del millenarismo misto che insegna che prima dell’ultimo giudizio, preceduto o meno dalla risurrezione di molti giusti, Cristo nostro Signore verrà visibilmente sulla nostra terra per regnarvi? (confermata dal Sommo Pontefice il 20 luglio): Il sistema del millenarismo misto non può essere insegnato con certezza.

Lett. Encycl. “Mediator Dei, 20 nov. 1947.

La presenza di Cristo nei misteri della Chiesa.

3840. [Dz 2297] In ogni atto liturgico è presente, insieme alla Chiesa, il suo divino Fondatore; Cristo è presente nell’augusto Sacrificio dell’altare, non solo nella persona del suo ministro, ma soprattutto nelle specie dell’Eucaristia; è presente nei Sacramenti attraverso la sua potenza che trasfonde in essi come strumenti di santità; infine, è presente nelle lodi e nelle suppliche rivolte a Dio, secondo queste parole: “Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono Ko in mezzo a loro” (Mt XVIII,20). . . .

3855. Pertanto, l’Anno Liturgico, che la pietà della Chiesa promuove e segue, non è una fredda ed indifferente rappresentazione di quelle cose che appartengono a tempi passati, od un semplice e scarno ricordo di cose di un’epoca precedente. È piuttosto Cristo stesso che persevera nella sua Chiesa e che persegue la via della sua grande misericordia; infatti, quando si è incamminato per questa vita mortale facendo del bene, vi è entrato con questo scopo, che i suoi misteri penetrassero nelle menti degli uomini e che attraverso di essi potessero in qualche modo vivere; e questi misteri sono certamente presenti e operano continuamente non in quel modo incerto ed oscuro di cui blaterano certi scrittori più recenti, ma nel modo che ci viene insegnato dalla Chiesa; poiché, secondo l’opinione dei Dottori della Chiesa, gli esempi di perfezione cristiana sono preminenti, e le fonti della grazia divina, a causa dei meriti e delle deprecazioni di Cristo e per il loro effetto perdurano in noi, sebbene esistano individualmente a modo loro secondo il carattere di ciascuno per la nostra salvezza.

La nozione completa di liturgia.

[Dalla stessa EnciclicaMediator Dei“, 20 novembre 1947].

3841. [Dz 2298] La sacra Liturgia, dunque, costituisce il culto pubblico che il nostro Redentore, Capo della Chiesa, ha manifestato al Padre celeste; e che la società dei fedeli in Cristo attribuisce al proprio Fondatore, e per mezzo di Lui all’eterno Padre; e, per riassumere brevemente, costituisce il culto pubblico del Corpo mistico di Gesù Cristo, cioè del Capo e delle sue membra.

3843. Pertanto, si allontanano completamente dalla vera e piena nozione e comprensione della Sacra Liturgia coloro che la considerano solo come una parte esterna del culto divino, e presentata ai sensi, o come una sorta di apparato di proprietà cerimoniali; e non meno errati sono coloro che la considerano come un mero compendio di leggi e precetti, con cui la Gerarchia ecclesiastica ordina e dispone i riti sacri.

Il rapporto tra la vita ascetica e la pietà della liturgia.

[Dalla stessa Enciclica, “Mediator Dei“, 30 novembre 1947].

3846. [Dz 2299] Perciò nella vita spirituale non ci può essere differenza né conflitto tra l’azione divina che infonde la grazia nelle anime per perpetuare la nostra redenzione, ed il lavoro affine e laborioso dell’uomo che non deve rendere vano il dono di Dio; e così pure tra l’efficacia del rito esterno dei Sacramenti, che nasce ex opere operato (compiuto dall’opera stessa), ed un atto ben meritevole da parte di coloro che partecipano e accettano i Sacramenti. E allo stesso modo tra le suppliche pubbliche e le preghiere private; tra il giusto modo di agire e la contemplazione delle cose superne; tra la vita ascetica e la pietà della Liturgia; e, infine, tra la giurisdizione della Gerarchia ecclesiastica e quel legittimo Magistero e quel potere che sono propriamente chiamati sacerdotali e che sono esercitati nel sacro ministero. – Per questo motivo la Chiesa esorta coloro che servono l’altare come compito affidato, o che sono entrati in un istituto di vita religiosa, a dedicarsi in tempi stabiliti alla pia meditazione, all’autoesame ed alla critica diligenti, e ad altri esercizi spirituali, poiché essi sono preposti in modo speciale alle funzioni liturgiche di celebrare regolarmente il Sacrificio e di offrire le dovute lodi. Senza dubbio la preghiera liturgica, essendo la supplica pubblica dell’illustre Sposa di Gesù Cristo, si distingue con maggiore eccellenza rispetto alle preghiere private. Ma questa maggiore eccellenza non indica affatto che questi due tipi di preghiera siano diversi ed in contrasto tra loro. Infatti, poiché sono animati da un unico e medesimo zelo, si uniscono e sono uniti secondo queste parole: “Cristo è tutto e in tutti” (Col III,11), e si adoperano per gli stessi scopi, affinché Cristo sia formato in noi.

La partecipazione dei fedeli al Sacerdozio di Cristo.

[Dalla stessa Enciclica, “Mediator Dei“, 20 novembre 1947].

3849. [Dz 2300] È opportuno che tutti i fedeli in Cristo comprendano che è loro supremo dovere e dignità partecipare al Sacrificio eucaristico. . . . – Tuttavia, poiché i fedeli in Cristo partecipano al Sacrificio eucaristico, non per questo godono del potere sacerdotale. È anzi necessario che lo teniate ben presente agli occhi del vostro gregge.

3850. Ci sono infatti coloro … che oggi riprendono errori già condannati da tempo ed insegnano che nel Nuovo Testamento il nome “sacerdozio” comprenda tutti coloro che sono stati purificati dall’acqua del Battesimo; e anche che quel precetto con cui Gesù Cristo nell’ultima cena affidò agli Apostoli il compimento di ciò che Egli stesso aveva fatto, si riferivsse direttamente a tutta la Chiesa dei fedeli in Cristo; e che da qui, e solo da qui, è sorto il sacerdozio gerarchico. Pertanto, essi immaginano che il popolo goda del vero potere sacerdotale, ma che il Sacerdote agisca solo in virtù di un ufficio delegato dalla comunità. Perciò ritengono che il Sacrificio eucaristico sia veramente chiamato “concelebrazione” e pensano che sia più opportuno che i Sacerdoti, stando insieme al popolo, “concelebrino” piuttosto che offrire il Sacrificio privatamente in assenza del popolo. – È superfluo spiegare come errori capziosi di questo tipo contraddicano le verità che abbiamo esposto sopra, trattando del rango che il Sacerdote gode nel Corpo mistico di Cristo. Tuttavia, riteniamo di dover ricordare che il Sacerdote agisca al posto del popolo solo per questo motivo, che egli faccia la parte di nostro Signore, Gesù Cristo, in quanto è il Capo di tutte le membra e si offre per loro, e che per questo motivo si accosti all’altare come ministro di Cristo, inferiore a Cristo, ma superiore al popolo. Il popolo, invece, in quanto non fa in alcun modo la parte del Redentore divino e non è conciliatore tra sé e Dio, non può assolutamente godere del diritto sacerdotale. – Tutto questo, infatti, è stabilito dalla certezza della fede; tuttavia, si può dire che anche i fedeli in Cristo offrano la Vittima divina, ma in modo diverso.

3851. Ora, alcuni dei Nostri predecessori e Dottori della Chiesa lo hanno dichiarato molto chiaramente. “Non solo”, dice Innocenzo III di immortale memoria, “i Sacerdoti offrono il Sacrificio, ma anche tutti i fedeli; infatti, ciò che si compie in modo particolare con il ministero dei Sacerdoti, si compie collettivamente con le preghiere dei fedeli”. Ed è piacevole riportare su questo argomento almeno una delle tante affermazioni di San Roberto Bellarmino: “Il Sacrificio – dice – è offerto principalmente nella persona di Cristo. E così l’oblazione che segue la Consacrazione è una sorta di attestazione che tutta la Chiesa acconsenta all’oblazione fatta da Cristo, e la offra contemporaneamente a lui”. – Il rito e le preghiere del Sacrificio eucaristico evidenziano e mostrano non meno chiaramente che l’oblazione della vittima sia compiuta dai Sacerdoti insieme al popolo… . . – Non è sorprendente che i fedeli di Cristo siano elevati a tale dignità. Infatti, con le acque del Battesimo, con il titolo generale di Cristiano essi sono resi membri del Corpo mistico di Cristo, il Sacerdote, e con il “carattere”, per così dire, impresso nelle loro anime, sono assegnati al culto divino; e così partecipano al Sacerdozio di Cristo stesso secondo la loro condizione. . .

3852. Ma c’è anche una ragione molto profonda per cui si dice che tutti i Cristiani, specialmente quelli che sono presenti all’altare, offrano il Sacrificio. – In questo argomento molto importante, per evitare che sorgano errori insidiosi, dobbiamo limitare la parola “offrire” con termini di significato esatto. Infatti, quell’immolazione incruenta, con la quale, quando si pronunciano le parole della Consacrazione, Cristo è reso presente sull’altare nello stato di vittima, è compiuta dal solo Sacerdote, perché ha il ruolo di Cristo, e non perché svolga il ruolo di fedele in Cristo. E così, poiché il Sacerdote pone la vittima sull’altare, offre a Dio Padre la stessa vittima con cui offre un’oblazione per la gloria della Santissima Trinità e per il bene di tutta la Chiesa. Ma i fedeli in Cristo partecipano a questa oblazione in senso ristretto, a modo loro, e in modo duplice, cioè perché offrono il Sacrificio non solo attraverso le mani del Sacerdote, ma anche, in un certo senso, insieme a lui; infatti, a causa di questa partecipazione, anche l’oblazione del popolo è riferita al culto liturgico. – Inoltre, è chiaro che i fedeli in Cristo offrono il Sacrificio attraverso le mani del Sacerdote da questo, che il ministro all’altare fa la parte di Cristo, come del Capo, facendo la sua offerta a nome di tutte le sue membra, per cui in effetti accade che tutta la Chiesa sia giustamente detta offrire l’oblazione della Vittima attraverso Cristo. Ma che il popolo insieme al Sacerdote stesso offra il Sacrificio non è stabilito per questo, perché i membri della Chiesa, proprio come il Sacerdote stesso, compiono un rito liturgico visibile, che appartiene solo al ministro divinamente assegnato a questo; ma perché essi uniscono la loro preghiera di lode, di impetrazione, di espiazione e di ringraziamento alla preghiera o all’intenzione del Sacerdote, persino dello stesso Sommo Sacerdote, affinché nella stessa oblazione della Vittima, sempre secondo un rito esterno del Sacerdote, siano presentati a Dio, il Padre. Infatti, il rito esterno deve per sua natura manifestare il culto interno; ma il Sacrificio della Nuova Legge significa quella suprema fedeltà per mezzo della quale l’Offerente principale stesso, che è Cristo, e insieme a Lui e per mezzo di Lui tutte le sue membra mistiche frequentano e venerano Dio con il dovuto onore.

3853. Erroneamente in questo caso si fa appello alla indole sociale del Sacrificio Eucaristico. Ogni volta, difatti, che il sacerdote ripete ciò che fece il Divin Redentore nell’ultima cena, il sacrificio è realmente consumato, ed esso ha sempre e dovunque, necessariamente e per la sua intrinseca natura, una funzione pubblica e sociale, in quanto l’offerente agisce a nome di Cristo e dei cristiani, dei quali il Divin Redentore è Capo, e l’offre a Dio per la Santa Chiesa Cattolica e per i vivi e i defunti.

3854. L’augusto Sacrificio dell’altare si conclude con la Comunione del divino convito. Ma, come tutti sanno, per avere l’integrità dello stesso Sacrificio, si richiede soltanto che il Sacerdote si nutra del cibo celeste, non che anche il popolo – cosa, del resto, sommamente desiderabile – acceda alla santa Comunione…. Si deve, difatti, ancora una volta notare che il Sacrificio Eucaristico consista essenzialmente nella immolazione incruenta della Vittima divina, immolazione che è misticamente manifestata dalla separazione delle sacre specie e dalla loro oblazione fatta all’Eterno Padre. La santa Comunione appartiene alla integrità del Sacrificio, e alla partecipazione ad esso per mezzo della Comunione dell’Augusto Sacramento; e mentre è assolutamente necessaria al ministro sacrificatore, ai fedeli è soltanto da raccomandarsi vivamente.

3855. Perciò l’anno liturgico, che la pietà della Chiesa alimenta e accompagna, non è una fredda e inerte rappresentazione di fatti che appartengono al passato, o una semplice e nuda rievocazione di realtà d’altri tempi. Esso è, piuttosto, Cristo stesso, che vive sempre nella sua Chiesa e che prosegue il cammino di immensa misericordia da Lui iniziato con pietoso consiglio in questa vita mortale, quando passò beneficando allo scopo di mettere le anime umane al contatto dei suoi misteri, e farle vivere per essi; misteri che sono perennemente presenti ed operanti, non nel modo incerto e nebuloso nel quale parlano alcuni recenti scrittori, ma perché, come ci insegna la dottrina cattolica e secondo la sentenza dei Dottori della Chiesa, sono esempi illustri di perfezione cristiana, e fonte di grazia divina per i meriti e l’intercessione del Redentore, e perché perdurano in noi col loro effetto, essendo ognuno di essi, nel modo consentaneo alla propria indole, la causa della nostra salvezza.

Costit. Apost. “Sacramentum Ordinis” 30 nov. 1947.

La materia e la forma del Sacramento dell’Ordine.

3857. [Dz 2301 1]. Il Sacramento dell’Ordine istituito da Cristo Signore, con il quale si trasmette il potere spirituale e si conferisce la grazia di adempiere correttamente ai doveri ecclesiastici, la fede cattolica lo professa come uno ed unico per la Chiesa universale. . . . E a questi Sacramenti istituiti da Cristo Signore nel corso dei secoli la Chiesa non ha, né potrebbe sostituire altri sacramenti, poiché, come insegna il Concilio di Trento, i sette Sacramenti della Nuova Legge sono stati tutti istituiti da Gesù Cristo, nostro Signore, e la Chiesa non ha alcun potere sulla “sostanza dei Sacramenti”, cioè su quelle cose che, con le fonti della rivelazione divina come testimoni, Cristo Signore stesso ha decretato di conservare in un segno sacramentale. . . .

3858. 3. È stabilito, inoltre, tra tutti che i Sacramenti della Nuova Legge, in quanto segni sensibili ed efficaci della grazia invisibile, devono e significano la grazia che attuano, ed attuano la grazia che significano. Infatti, gli effetti che dovrebbero essere prodotti e così significati dalla sacra Ordinazione del diaconato, del presbiterato e dell’episcopato, cioè il potere e la grazia, si trovano sufficientemente significati in tutti i riti della Chiesa universale di diversi tempi e regioni dall’imposizione delle mani e dalle parole che la determinano. Inoltre, non c’è nessuno che non sappia che la Chiesa romana abbia sempre considerato valide le Ordinazioni conferite in rito greco, senza la consegna degli strumenti, tanto che nel Concilio di Firenze, in cui si realizzò l’unione dei Greci con la Chiesa di Roma, non fu imposto ai Greci di cambiare il rito di Ordinazione, né di inserirvi la tradizione degli strumenti; anzi, la Chiesa volle che nella stessa Città (Roma) i Greci fossero ordinati secondo il loro rito. Da tutto ciò si deduce che secondo il pensiero del Concilio di Firenze la tradizione degli strumenti non sia richiesta per la sostanza e la validità di questo Sacramento, secondo la volontà di nostro Signore Gesù Cristo stesso. Ma se, secondo la volontà e la prescrizione della Chiesa, un giorno la stessa dovesse essere ritenuta necessaria anche per la validità, tutti saprebbero che la Chiesa sia in grado anche di cambiare e abrogare ciò che ha stabilito.

3859. 4. Poiché le cose stanno così, invocando la luce divina con la Nostra suprema Autorità Apostolica e la Nostra conoscenza certa, dichiariamo e, secondo la necessità, decretiamo e stabiliamo che la materia degli Ordini sacri del Diaconato, del Sacerdozio e dell’Episcopato, e solo questa, sia l’imposizione delle mani; ma che la forma, e anch’essa soltanto, sia costituita dalle parole che determinano l’applicazione di questa materia, con le quali gli effetti sacramentali sono significati con un solo significato, cioè il potere degli Ordini e la grazia dello Spirito Santo, e che come tali sono accettati e applicati dalla Chiesa. Ne consegue che, al fine di eliminare ogni controversia e di precludere la via alle inquietudini di coscienza, con la Nostra Autorità Apostolica dichiariamo e, se mai è stato altrimenti legittimamente disposto, decidiamo che la tradizione degli strumenti, almeno per il futuro, non sia necessaria per la validità dei sacri Ordini del diaconato, del Sacerdozio e dell’Episcopato.

3860. 5. Ma per quanto riguarda la materia e la forma nel conferimento di ogni Ordine, con la Nostra stessa suprema Autorità Apostolica decretiamo e stabiliamo quanto segue: Nell’ordinazione dei Diaconi la materia è l’unica imposizione della mano del Vescovo, che avviene nel rito di tale ordinazione. Ma la forma consiste nelle parole del “Prefazio“, di cui le seguenti sono essenziali e quindi richieste per la validità: “Manda su di lui, ti preghiamo, o Signore, lo Spirito Santo, con il quale per l’opera di adempiere fedelmente il tuo ministero sia rafforzato dal dono della tua septiforme grazia”. Nell’ordinazione dei Sacerdoti si tratta della prima imposizione delle mani del Vescovo che venga fatta in silenzio, ma non c’è la continuazione della stessa imposizione con l’estensione della mano destra, né l’ultima a cui sono unite queste parole: “Ricevi lo Spirito Santo: a chi rimetterai i peccati, ecc.”. Ma la forma consiste nelle parole del “prefazio“, di cui le seguenti sono essenziali e quindi richieste per la validità: “Concedi, ti preghiamo, Padre onnipotente, a questo tuo servo la dignità del Sacerdozio; rinnova nelle sue viscere lo spirito di santità, affinché ottenga il dono del buon merito gradito a Te, o Dio, e possa con l’esempio della sua conversazione introdurre il rigido giudizio dei costumi”. Infine, nell’ordinazione o consacrazione Episcopale si tratta dell’imposizione delle mani da parte del Vescovo consacrante. Ma la forma consiste nelle parole del “Prefazio“, di cui le seguenti sono essenziali e quindi richieste per la validità: “Adempi nel Tuo sacerdote il compimento del Tuo ministero, e adornato con gli ornamenti di ogni glorificazione santificalo con la rugiada dell’unguento celeste“. . . .

3861. 6. Affinché non vi sia occasione di dubbio, ordiniamo che in ogni conferimento di Ordini l’imposizione delle mani sia fatta toccando fisicamente il capo di colui che debba essere ordinato, sebbene anche il tocco morale sia sufficiente per compiere validamente un Sacramento. . . . La disposizione di questa Nostra Costituzione non ha valore retroattivo.

Lettera del segretario della Commissione Biblica all’Arcivescovo di Parigi.

Questioni critiche sul Pentateuco.

3862. La Pontificia Commissione Biblica… desidera corrispondere (al sentimento di fiducia sussidiaria) con uno sforzo sincero per promuovere gli studi biblici assicurando loro, nei limiti dell’insegnamento tradizionale della Chiesa, la più piena libertà. Questa libertà è stata affermata in termini espliciti dall’Enciclica (di Pio XII)… Divino afflante Spiritu in questi termini: “L’esegeta cattolico… (il testo (3831>3831) è citato in francese)” … Si prega di comprendere e interpretare, alla luce di questa raccomandazione del Sommo Pontefice, le tre risposte ufficiali date in passato dalla Commissione Biblica sulle questioni sopra citate, e cioè il 23 giugno 1905 sui racconti che sarebbero storici solo in apparenza nei libri storici della Sacra Scrittura (cf. 3373), 27 giugno 1906 sull’autenticità mosaica del Pentateuco (cf. 3394-3397), e 30 giugno 1909 sul carattere storico dei primi tre capitoli della Genesi (cf. 3512-3519), e si ammetterà che esse non precludano affatto un successivo esame veramente scientifico di questi problemi sulla base dei risultati acquisiti negli ultimi quarant’anni. Di conseguenza, la Commissione Biblica non ritiene necessario promulgare, almeno per il momento, nuovi decreti su queste questioni.

3863. Per quanto riguarda la composizione del Pentateuco, nel già citato decreto del 27 giugno 1906 la Commissione Biblica riconosceva già che si poteva affermare che Mosè, “nel comporre la sua opera, si sia servito di documenti scritti o di tradizioni orali” e ammetteva anche modifiche e aggiunte successive a Mosè (cf. 3396 ss.). Nessuno oggi dubita dell’esistenza di queste fonti e non ammette un progressivo aumento delle leggi mosaiche a causa delle condizioni sociali e religiose dei tempi successivi, una progressione che si riscontra anche nei racconti storici. Tuttavia, anche nel campo degli esegeti non Cattolici si professano oggi opinioni molto divergenti circa la natura ed il numero di questi documenti, la loro denominazione e la loro datazione. Non mancano autori in diversi Paesi che, per ragioni puramente critiche e storiche, senza alcun intento apologetico, rifiutino risolutamente le teorie finora più in voga e cerchino la spiegazione di certe peculiarità redazionali del Pentateuco, non tanto nella diversità dei presunti documenti, quanto nella speciale psicologia, nei particolari processi, oggi meglio conosciuti, del pensiero e dell’espressione degli antichi orientali, o ancora nel diverso genere letterario postulato dalla diversità dei soggetti. Per questo invitiamo gli studiosi cattolici a studiare questi problemi senza pregiudizi, alla luce di una sana critica e dei risultati di altre scienze interessate a questi argomenti, e tale studio stabilirà senza dubbio la grande parte e la profonda influenza di Mosè come autore e legislatore.

3864. La questione delle forme letterarie dei primi undici capitoli della Genesi è molto più oscura e complessa. Queste forme letterarie non corrispondono a nessuna delle nostre categorie classiche e non possono essere giudicate alla luce dei generi letterari greco-latini o moderni. Non possiamo quindi né negare né affermare la storicità in blocco, senza applicare indebitamente ad essi gli standard di un genere letterario sotto il quale non possano essere classificati. Se siamo d’accordo che questi capitoli non siano storia in senso classico o moderno, dobbiamo anche ammettere che i dati scientifici attuali non ci permettono di dare una soluzione positiva a tutti i problemi che pongono. Il primo dovere dell’esegesi scientifica consiste qui nello studio attento di tutti i problemi letterari, scientifici, storici, culturali e religiosi connessi a questi capitoli; sarebbe poi necessario esaminare da vicino i procedimenti letterari degli antichi popoli orientali, la loro psicologia, il loro modo di esprimersi e la loro stessa nozione di verità storica; in una parola, sarebbe necessario riunire, senza pregiudizi, tutto il materiale delle scienze paleontologiche, storiche, epigrafiche e letterarie. Solo così potremo sperare di vedere più chiaramente la vera natura di alcuni racconti dei primi capitoli della Genesi. – Dichiarare a priori che le loro narrazioni non contengano storia nel senso moderno del termine implicherebbe facilmente che non ne contengano in alcun senso, mentre raccontano in un linguaggio semplice e figurativo, adatto alle intelligenze di un’umanità meno sviluppata, le verità fondamentali presupposte nell’economia della salvezza, nonché la descrizione popolare delle origini della razza umana e del popolo eletto.

Decreto del Sant’Uffizio, 28 giugno (1 luglio) 1949.

Decreto contro il Comunismo.

3865. Domande: 1. È lecito aderire al partito comunista o favorirlo in qualche modo (cf. 3930)?

2. È permesso pubblicare, distribuire o leggere libri, riviste, giornali od opuscoli che sostengano la dottrina o l’azione dei comunisti, o scrivere in essi?

3. I fedeli cristiani che hanno consapevolmente e liberamente commesso gli atti di cui ai punti 1 e 2 possono essere ammessi ai Sacramenti?

(4) I fedeli cristiani che professano la dottrina materialista ed anticristiana dei comunisti, e soprattutto coloro che la difendono o la propagano, incorrono per questo stesso fatto, come apostati dalla fede cattolica, nella scomunica appositamente riservata alla Sede Apostolica?

Risposta (confermata dal Sommo Pontefice il 30 giugno): Per 1. no: il comunismo è effettivamente materialista ed anticristiano; sebbene i leader comunisti dichiarino talvolta a parole di non attaccare la Religione, essi dimostrano nei fatti, sia con la dottrina che con le azioni, di essere ostili a Dio, alla vera Religione e alla Chiesa di Cristo. Per 2. No: sono di fatto proibiti dalla legge (cf. CJC 1399). Per 3. No, secondo i principi ordinari che riguardano il rifiuto dei Sacramenti a coloro che non hanno la disposizione richiesta. Per 4. Sì.

Lettera del Sant’Uffizio all’Arcivescovo di Boston, 8 agosto 1949.

Necessità della Chiesa per la salvezza.

3866. … Ora, tra le cose che la Chiesa ha sempre predicato e non cesserà mai di predicare c’è anche questa affermazione infallibile che ci insegna che “fuori della Chiesa non c’è salvezza”. Questo dogma deve però essere inteso nel senso in cui lo intende la Chiesa stessa. Infatti, non è al giudizio privato che il nostro Salvatore ha affidato la spiegazione delle cose contenute nel deposito della fede, ma al Magistero della Chiesa.

3867. In primo luogo, la Chiesa insegna che in questa materia si tratta di un comando molto severo di Gesù Cristo. Egli, infatti, ha espressamente ordinato ai suoi Apostoli di insegnare a tutte le Nazioni ad osservare tutto ciò che ha comandato. Non ultimo dei comandamenti di Cristo è quello di essere incorporati con il Battesimo al Corpo Mistico di Cristo, che è la Chiesa, e di rimanere uniti a Cristo ed al suo Vicario, attraverso il quale Egli stesso governa visibilmente la sua Chiesa sulla terra. Per questo motivo, nessuno si salverà se, sapendo che la Chiesa sia stata divinamente istituita da Cristo, non accetterà tuttavia la sottomissione alla Chiesa o rifiuterà l’obbedienza al Romano Pontefice, Vicario di Cristo sulla terra.

3868. Ora il Salvatore non solo ha disposto che tutti i popoli entrino nella Chiesa, ma ha anche deciso che la Chiesa sia il mezzo di salvezza, senza il quale nessuno può entrare nel Regno della gloria celeste.

3869. Nella sua infinita misericordia, Dio ha voluto che gli effetti, necessari per essere salvati, di questi mezzi di salvezza che sono ordinati al fine ultimo dell’uomo non per necessità intrinseca, ma solo per istituzione divina, possano essere ottenuti anche in determinate circostanze, quando questi mezzi siano messi in atto solo per desiderio o volontà. Lo vediamo chiaramente affermato nel santo Concilio di Trento a proposito sia del Sacramento della rigenerazione sia del Sacramento della penitenza ( cf. 1524, 1543).

3870. Ora lo stesso si deve dire, nel suo proprio grado, della Chiesa in quanto mezzo generale di salvezza. Infatti, perché qualcuno ottenga la salvezza eterna, non sempre si richiede che sia effettivamente incorporato alla Chiesa come membro, ma si richiede almeno che sia unito ad essa con il desiderio e la volontà. Tuttavia, non è sempre necessario che questo voto sia esplicito, come nel caso dei catecumeni, ma, quando l’uomo è vittima di un’ignoranza invincibile, Dio accetta anche un voto implicito, così chiamato perché è incluso nella buona disposizione d’animo con cui l’uomo desidera conformare la sua volontà alla volontà di Dio.

3871. Questo è il chiaro insegnamento dell’Enciclica di Pio XII… sul Corpo Mistico di Gesù Cristo. In essa il Sommo Pontefice fa una chiara distinzione tra coloro che siano realmente incorporati nella Chiesa come suoi membri e coloro che siano uniti alla Chiesa solo per voto. … “Ma sono veramente membri della Chiesa solo coloro che hanno ricevuto il Battesimo di rigenerazione e professano la vera fede, e che, d’altra parte, non sono, per propria disgrazia, separati da tutto il Corpo, o non ne sono stati tagliati fuori per colpe molto gravi dalla legittima autorità” (cf. 3802). Verso la fine di questa stessa Enciclica, però, invitando molto affettuosamente all’unità coloro che non appartengono al corpo della Chiesa Cattolica, cita “coloro che, per un certo desiderio e per una volontà inconscia, si trovano ordinati al Corpo mistico del Redentore”, che non esclude affatto dalla salvezza eterna, ma di cui – dice – che tuttavia si trovino in uno stato “in cui nessuno può essere sicuro della sua salvezza eterna. … poiché sono privi di tanti e così grandi aiuti e favori celesti, che possono essere goduti solo nella Chiesa Cattolica” (cf. 3821).

3872. Con queste sagge parole, egli condanna sia coloro che escludono dalla salvezza eterna tutti gli uomini che siano uniti alla Chiesa solo da un voto implicito, sia coloro che affermano falsamente che gli uomini possano salvarsi anche in qualsiasi religione (cf. 2865). – Non dobbiamo nemmeno pensare che un qualsiasi desiderio di unirsi alla Chiesa sia sufficiente per essere salvati. È infatti necessario che il voto che ordini qualcuno alla Chiesa sia animato da una perfetta carità. Il voto implicito può avere effetto solo se la persona anbia una fede soprannaturale. (Eb XI,6; Concilio di Trento, 6ª sessione – cf. 2008. Cap. 8).

3873. (Questo numero 3873 comprende una seconda parte riguardante la fecondazione artificiale; vv. 3323 e 3873 A).

Da quanto detto, quindi, è chiaro che ciò che venga proposto nel commentario “From the hausetops” [Dalle cime dei tetti], fasc. III, come autentica dottrina della Chiesa Cattolica ,sia molto lontano da essa, e che sia molto dannoso sia per chi è dentro che per chi è fuori. Per questo è difficile capire come l’ “Istituto San Benedetto” sia coerente con se stesso, dal momento che, pur definendosi una scuola cattolica e volendo essere considerato tale, in realtà non si conforma alle prescrizioni del CJC. (1381 e 1382) e vi si trovi una fonte di discordia e di ribellione all’Autorità ecclesiastica che è causa di problemi per molte coscienze. Né si capisce come un religioso, cioè p. Feeney, possa presentarsi come “difensore della fede” ed allo stesso tempo non esiti ad opporsi all’istruzione catechistica proposta dalle legittime Autorità…

Allocuzione al 4° Congresso dei Medici cattolici, 29 settembre. 1949. (Cf. 3323)

Fecondazione artificiale.

3873– A

1. La pratica della fecondazione artificiale, per quanto riguarda l’uomo, non può essere considerata esclusivamente, o addirittura principalmente, dal punto di vista biologico e medico, tralasciando quello della morale e del diritto. 2. La fecondazione artificiale al di fuori del matrimonio è da condannare puramente e semplicemente come immorale. La legge naturale e la legge divina positiva stabiliscono che la procreazione di una nuova vita può essere solo il frutto del Matrimonio. Solo il Matrimonio salvaguarda la dignità dei coniugi (principalmente la donna in questo caso), il loro bene personale. Solo esso provvede al bene e all’educazione del bambino. Di conseguenza, quando si tratta di condannare la fecondazione artificiale al di fuori dell’unione coniugale, non c’è spazio per il disaccordo tra i cattolici. Un bambino concepito in queste condizioni sarebbe, per questo stesso fatto, illegittimo.

2. La fecondazione artificiale all’interno del Matrimonio, ma prodotta dall’elemento attivo di una terza parte, è immorale e, come tale, da condannare in toto.

3. Solo i coniugi hanno il diritto reciproco di generare una nuova vita, un diritto esclusivo, non trasferibile e inalienabile. E questo deve avvenire nel rispetto del bambino. A chiunque dia vita a un piccolo essere, la natura impone, in virtù di questo stesso legame, l’onere della sua conservazione ed educazione. Ma tra il coniuge legittimo e il figlio, frutto dell’elemento attivo di un terzo (anche se il coniuge acconsente), non c’è il vincolo originario, il vincolo morale e giuridico della procreazione coniugale.

4. Per quanto riguarda la liceità della fecondazione artificiale nel matrimonio, ci basterà, per il momento, ricordare questi principi di diritto naturale: il semplice fatto che il risultato ricercato sia raggiunto con questo mezzo non giustifica l’uso del mezzo stesso; né il desiderio, di per sé legittimo, dei coniugi di avere un figlio è sufficiente a provare la legittimità del ricorso alla fecondazione artificiale, che realizzerebbe questo desiderio. Sarebbe sbagliato pensare che la possibilità di ricorrere a questo mezzo possa rendere valido un matrimonio tra persone incapaci di contrarlo a causa dell’impendimentum impotentiae.- D’altra parte, è superfluo osservare che l’elemento attivo non possa mai essere lecitamente procurato con atti innaturali. Sebbene i nuovi metodi non possano essere esclusi a priori per il solo fatto di essere nuovi, tuttavia, per quanto riguarda la fecondazione artificiale, non solo c’è motivo di essere estremamente riservati, ma deve essere assolutamente esclusa. Parlando in questo modo, non stiamo necessariamente proibendo l’uso di alcuni mezzi artificiali destinati unicamente a facilitare l’atto naturale o ad aiutare l’atto naturale normalmente compiuto a raggiungere il suo fine.

Risposta del Sant’Uffizio, 28 dicembre 1949.

L’intenzione del ministro del Sacramento

3874. Domanda: Ai fini del giudizio sulle cause di Matrimonio, il Battesimo conferito nelle sette dei Discepoli di Cristo, dei Presbiteriani, dei Congregazionalisti, dei Battisti, dei Metodisti – presupponendo la materia e la forma necessarie – può essere considerato invalido perché il ministro non ha l’intenzione di fare ciò che la Chiesa faccia o ciò che Cristo abbia istituito, o al contrario debba essere considerato valido quando nel caso particolare non sia dimostrato il contrario? Risposta: No per il primo punto, sì per il secondo.

Lett. Encycl. “Humani generis” 12 ag. 1950.

Alcune false opinioni che minacciano di minare i fondamenti della dottrina cattolica *

[Dall’Enciclica “Humani generis“, 12 agosto 1950]

3875. [Dz 2305] La discordia e l’allontanamento dalla verità da parte del genere umano nelle questioni religiose e morali sono sempre stati fonte e causa di dolorosissimo dolore per tutti gli uomini buoni, e specialmente per i figli fedeli e sinceri della Chiesa, e più che mai oggi, quando vediamo offesi da ogni parte i principii stessi della cultura cristiana. – Non c’è da stupirsi, infatti, che tali discordie e vagabondaggi siano sempre fioriti al di fuori dell’ovile di Cristo. Infatti, anche se la ragione umana, parlando semplicemente, con i suoi poteri naturali e la sua luce possa arrivare alla conoscenza vera e certa di un Dio personale che nella sua provvidenza custodisce e dirige il mondo, e anche della legge naturale infusa nelle nostre anime dal Creatore, tuttavia non pochi ostacoli impediscono alla ragione dell’uomo di usare efficacemente e fruttuosamente questa facoltà naturale che possiede. Infatti, le questioni che riguardano Dio e che hanno a che fare con le relazioni tra gli uomini e Dio, sono verità che trascendono completamente l’ordine delle cose sensibili e, quando vengono introdotte nell’azione della vita e la modellano, richiedono dedizione di sé e abnegazione. L’intelletto umano, inoltre, nell’acquisire tali verità fatica a causa non solo dell’impulso dei sensi depravati e dell’immaginazione, ma anche dei desideri che hanno la loro fonte nel peccato originale. Perciò accade che gli uomini, in questioni di questo tipo, si convincano facilmente che ciò che non vogliono sia vero, sia falso o almeno dubbio.

3876. Per questo motivo la “rivelazione” divina deve essere considerata moralmente necessaria, affinché quelle verità, che nell’ambito della Religione e della morale non sono di per sé al di fuori della portata della ragione, ma nella condizione attuale del genere umano, possano essere prontamente afferrate da tutti con forte certezza e senza alcuna commistione di errori*. – D’altra parte, però, la mente umana può talvolta incontrare difficoltà nel formarsi un giudizio certo “di credibilità” sulla fede cattolica, sebbene siano stati disposti da Dio tanti meravigliosi segni esteriori, attraverso i quali, anche alla sola luce naturale della ragione, si possa dimostrare con certezza l’origine divina della Religione cristiana. Infatti, l’uomo, sia indotto da opinioni preconcette sia istigato da desideri e volontà malvagie, può rifiutare e resistere non solo all’evidenza dei segni esterni, che è preminente, ma anche alle ispirazioni superne che Dio porta nei nostri cuori. Chiunque osservi coloro che siano al di fuori dell’ovile di Cristo, può facilmente vedere le principali vie in cui sono entrati molti uomini dotti.

3877. C’è chi sostiene che il cosiddetto sistema dell’evoluzione, non ancora dimostrato in modo irrefutabile nell’ambito delle scienze naturali, e ammesso in modo imprudente e indiscreto, si estenda all’origine di tutte le cose, e chi sostiene con coraggio la teoria monistica e panteistica che tutto il mondo sia soggetto ad una continua evoluzione. In effetti, i sostenitori del comunismo si avvalgono volentieri di questa teoria, per far emergere e difendere più efficacemente il loro “materialismo dialettico”, scacciando ogni nozione di Dio.

3878. [Dz 2306] Queste finzioni dell’evoluzione, con le quali si ripudia tutto ciò che sia assoluto, fermo ed immutabile, hanno aperto la strada ad una nuova filosofia errata che, in opposizione all'”idealismo”, all'”immanenza” e al “pragmatismo”, ha ottenuto il nome di “esistenzialismo”, poiché si preoccupa solo dell'”esistenza” delle cose individuali e trascura l’essenza immutabile delle cose. – C’è anche una sorta di falso “storicismo”, che si occupa solo degli eventi della vita umana, e che demolisce le fondamenta di ogni verità e legge assoluta, non solo per quanto riguarda le questioni filosofiche, ma anche per gli insegnamenti cristiani.

[Dz 2307] In una grande confusione di opinioni come questa, ci dà un po’ di conforto notare coloro che non raramente oggi desiderano tornare dai principi del “realismo”, in cui erano stati istruiti un tempo, alle sorgenti della verità rivelate da Dio, e riconoscere e professare la parola di Dio conservata nella Sacra Scrittura. Allo stesso tempo, però, dobbiamo constatare con rammarico che non pochi di loro, quanto più si aggrappano alla Parola di Dio, tanto più sminuiscono la ragione umana; e quanto più esaltano l’autorità di Dio che rivela, tanto più disprezzano il Magistero della Chiesa, istituito da Cristo Signore per custodire ed interpretare le verità rivelate da Dio. Questo infatti non solo è in aperta contraddizione con le Sacre Scritture, ma è dimostrato falso dall’esperienza concreta. Spesso proprio coloro che sono in disaccordo con la vera Chiesa si lamentano apertamente della propria discordia in materia di dogmi, così da confessare a malincuore la necessità del Magistero vivente.

3879. [Dz 2308] In effetti, i teologi ed i filosofi cattolici, sui quali ricade il grave dovere di proteggere la verità divina ed umana e di inculcarla nelle menti degli uomini, non possono ignorare o trascurare queste opinioni che si allontanano più o meno dalla retta via. Inoltre, dovrebbero esaminare a fondo queste opinioni, perché le malattie non possono essere curate se non sono state diagnosticate correttamente; anche perché a volte nelle false invenzioni si nasconde qualcosa di vero; infine, perché queste teorie spingono la mente a scrutare e soppesare meglio certe verità, filosofiche o teologiche. – Ma se i nostri filosofi e teologi si sforzassero di raccogliere solo tali frutti da queste dottrine, dopo un cauto esame, non ci sarebbe motivo per l’intervento del Magistero della Chiesa. Tuttavia, anche se abbiamo constatato che i dottori cattolici in generale stanno in guardia contro questi errori, è assodato che non mancano, oggi come nei tempi apostolici, coloro che, nel loro estremo zelo per le novità e anche nel timore di essere ritenuti ignoranti su quelle questioni che la scienza di un’epoca progredita ha introdotto, si sforzano di allontanarsi dalla temperanza del sacro Magistero; e così vengono coinvolti nel pericolo di allontanarsi gradualmente e impercettibilmente dalla verità rivelata da Dio, e di condurre altri nell’errore insieme a loro stessi. – In realtà, si osserva anche un altro pericolo, più grave, perché più nascosto sotto l’apparenza della virtù. Ci sono molti che, deplorando la discordia del genere umano e la confusione delle menti, e spinti da un imprudente zelo per le anime, sono mossi da una sorta di impulso ed ardono di un veemente desiderio di abbattere le barriere da cui gli uomini buoni e onesti sono reciprocamente separati, abbracciando un tale irenismo che, dimenticando le questioni che separano gli uomini, non solo cercano di confutare l’ateismo distruttivo con la forza comune, ma persino di riconciliare le idee opposte in materia dogmatica.

3880. E come un tempo c’era chi si chiedeva se lo studio tradizionale dell’apologetica costituisse un ostacolo piuttosto che un aiuto alla conquista delle anime per Cristo, così oggi non manca chi osa procedere fino a sollevare seriamente la questione se la teologia e il suo metodo, come fioriscono nelle scuole con l’approvazione dell’Autorità ecclesiastica, debbano non solo essere perfezionati, ma addirittura riformati del tutto, in modo da propagare più efficacemente il regno di Cristo in tutta la terra, tra uomini di ogni cultura e di ogni opinione religiosa. Se questi uomini non mirassero ad altro che ad un migliore adattamento della scienza ecclesiastica e del suo metodo alle condizioni e alle esigenze attuali, introducendo una sorta di nuovo piano, ci sarebbe poco da temere; Ma, con un irenismo imprudente, alcuni sembrano considerare come ostacoli alla restaurazione dell’unità fraterna le questioni che poggiano sulle stesse leggi e principi dati da Cristo e sulle istituzioni da Lui fondate, o che siano i baluardi ed i pilastri dell’integrità della fede, dal cui crollo tutte le cose sono unite, certo, ma solo in rovina. . . .

3881. [Dz 2309] Per quanto riguarda la teologia, alcuni propongono di diminuire il più possibile il significato dei dogmi, e di liberare il dogma stesso dal modo di parlare a lungo accettato nella Chiesa, e dalle nozioni filosofiche che sono comuni tra i maestri cattolici; in modo che nella spiegazione della dottrina cattolica ci sia un ritorno al modo di parlare della Sacra Scrittura e dei Santi Padri. Essi sperano che arrivi il momento in cui il dogma, spogliato degli elementi che, secondo loro, siano estranei alla rivelazione divina, possa essere confrontato proficuamente con le opinioni dogmatiche di coloro che sono separati dall’unità della Chiesa; in questo modo si raggiungerà gradualmente una reciproca assimilazione tra il dogma cattolico ed i principi dei dissidenti.

3882. [Dz 2310] Inoltre, quando la dottrina cattolica è stata ridotta a questa condizione, pensano che sia aperta la strada per soddisfare le esigenze attuali, esprimendo il dogma nei termini della filosofia contemporanea, sia dell'”immanenza” o dell'”idealismo” o dell'”esistenzialismo” o di qualsiasi altro sistema. Alcune persone più audaci sostengono che ciò possa e debba essere fatto per questo motivo, perché sostengono che i misteri della fede non possano mai essere espressi da nozioni adeguatamente vere, ma solo da nozioni cosiddette “approssimative”, sempre mutevoli, con le quali la verità sia indicata in una certa misura, ma sia anche necessariamente deformata. Perciò pensano che non sia assurdo, ma del tutto necessario che la teologia, al posto delle varie filosofie di cui si è servita come strumenti nel corso del tempo, sostituisca nuove nozioni a quelle vecchie, in modo da rendere in modi diversi, e anche in qualche misura opposti, ma con lo stesso valore, come dicono, le stesse verità divine in modo umano. Aggiungono anche che la storia dei dogmi consiste nel presentare le varie forme successive con cui la verità rivelata si siarivestita, secondo le diverse dottrine e opinioni sorte nel corso dei secoli.

3883. [Dz 231] Ma è chiaro da quanto abbiamo detto che tali sforzi non solo conducano al “relativismo” dogmatico, come viene chiamato, ma di fatto lo contengano; infatti, il disprezzo per la dottrina così come viene comunemente tramandata e per la fraseologia con cui la stessa viene espressa, lo dimostrano più che sufficientemente. Non c’è nessuno che non veda che la fraseologia di tali nozioni, non solo come impiegata nelle scuole ma anche dal Magistero della Chiesa stessa, possa essere perfezionata e lucidata; e, inoltre, si nota che la Chiesa non sia stata sempre costante nell’impiegare le stesse parole. È anche evidente che la Chiesa non possa essere vincolata a nessun sistema filosofico che fiorisca per un breve periodo di tempo; infatti, ciò che è stato messo a punto nel corso di molti secoli dal consenso comune dei Maestri cattolici, al fine di raggiungere una certa comprensione del dogma, senza dubbio non poggia su un fondamento così deperibile. Piuttosto si basano su principi e nozioni derivati da una vera conoscenza delle cose create; e sicuramente nel derivare questa conoscenza, la verità divinamente rivelata abbia illuminato la mente come una stella attraverso la Chiesa. Non c’è quindi da meravigliarsi se alcune di queste nozioni siano state non solo impiegate dai Concili Ecumenici, ma anche sancite a tal punto che non sia giusto discostarsene.

[Dz 2312] Pertanto, trascurare, o respingere, o privare del loro valore tante grandi cose, che in molti casi siano state concepite, espresse e perfezionate dopo un lungo lavoro, da uomini di ingegno e santità non comuni, sotto l’occhio vigile del santo Magistero, e non senza la luce e la guida dello Spirito Santo per esprimere sempre più accuratamente le verità di fede, per cui al loro posto si possono sostituire nozioni congetturali e certe espressioni instabili e vaghe di una nuova filosofia, che come un fiore di campo esiste oggi e morirà domani, non solo è la massima imprudenza, ma rende il dogma stesso come una canna scossa dal vento. Inoltre, il disprezzo per le parole e le idee che i teologi scolastici usano abitualmente, tende ad indebolire la cosiddetta filosofia speculativa, che essi ritengono priva di vera certezza, poiché poggia su un ragionamento teologico.

3884. [Dz 2313] Certamente è deplorevole che coloro che sono avidi di novità passino facilmente dal disprezzo per la teologia scolastica alla negligenza e persino alla mancanza di rispetto per il Magistero della Chiesa, che sostiene tale teologia con la sua autorità. Infatti, questo Magistero è considerato da loro come un ostacolo al progresso ed alla scienza; anzi, da alcuni non Cattolici è visto come un’ingiusta costrizione che impedisce ad alcuni dotti teologi di perseguire la loro scienza. E, sebbene questo sacro Magistero, in materia di fede e di morale, debba essere la norma di fede prossima e universale per qualsiasi teologo, in quanto Cristo Signore gli ha affidato l’intero deposito della fede, cioè le Sacre Scritture e la “tradizione” divina, perché lo custodisca, lo conservi e lo interpreti; eppure il suo ufficio, in base al quale i fedeli sono tenuti a fuggire gli errori che tendono più o meno all’eresia, e così pure “ad osservare le sue costituzioni e i suoi decreti, con i quali tali opinioni perverse sono proscritte e proibite”, viene talvolta ignorato come se non esistesse. Vi sono alcuni che trascurano costantemente di consultare quanto esposto nelle Lettere Encicliche dei Romani Pontefici sul carattere e la costituzione della Chiesa, per il motivo che prevale una certa nozione vaga tratta dagli antichi Padri, soprattutto greci. I Papi, infatti, come ripetutamente affermano, non vogliono giudicare le questioni che sono oggetto di controversia tra i teologi, per cui è necessario un ritorno alle fonti antiche, e le costituzioni e di decreti più recenti del Magistero devono essere spiegati dagli scritti degli antichi. – Anche se queste cose sembrano essere state dette con saggezza, tuttavia non sono prive di errori. È vero che, in generale, i Pontefici concedono libertà ai teologi in quelle questioni che sono contestate con opinioni diverse, ma la storia insegna che molte cose, che prima erano soggette a libera discussione, in seguito non possono più essere discusse.

3885. Non si deve pensare che quanto stabilito nelle Lettere Encicliche non richieda di per sé un assenso, perché in questo i Papi non esercitano il potere supremo del loro Magistero. Infatti, questi argomenti sono insegnati dal Magistero ordinario, a proposito del quale è pertinente quanto segue: “Chi ascolta voi, ascolta me”. (Lc X,16); e di solito ciò che viene esposto ed inculcato nelle Lettere Encicliche, appartiene già alla dottrina cattolica. Ma se i Sommi Pontefici nei loro atti, dopo la dovuta considerazione, esprimono un parere su una questione finora controversa, è chiaro a tutti che tale questione, secondo la mente e la volontà degli stessi Pontefici, non possa più essere considerata una questione di libera discussione tra i teologi.

3886. [Dz 2314] È anche vero che i teologi devono sempre ricorrere alle fonti della rivelazione divina; infatti è loro dovere indicare come ciò che venga insegnato dal Magistero vivente si trovi, esplicitamente o implicitamente, nella Sacra Scrittura e nella “tradizione” divina. Inoltre, entrambe le fonti della dottrina, divinamente rivelate, contengono così tanti e così grandi tesori di verità che di fatto non siano mai esauriti. Pertanto, le discipline sacre rimangono sempre vigorose grazie allo studio delle fonti sacre, mentre, al contrario, la speculazione, che trascura l’approfondimento del deposito sacro, come sappiamo per esperienza, diventa sterile. Ma per questo motivo anche la teologia positiva, come viene chiamata, non può essere messa sullo stesso piano della scienza meramente storica. Infatti, insieme a queste fonti sacre, Dio ha dato un Magistero vivo alla sua Chiesa, per illuminare e chiarire ciò che è contenuto nei depositi della fede in modo oscuro ed implicito. Infatti, il divino Redentore ha affidato questo deposito non ai singoli Cristiani, né ai teologi perché lo interpretino autenticamente, ma al solo Magistero della Chiesa. Inoltre, se la Chiesa esercita questo suo dovere, come è stato fatto più e più volte nel corso dei secoli, sia con l’esercizio ordinario che con quello straordinario di questa funzione, è chiaro che il metodo per cui le cose chiare vengano spiegate da quelle oscure sia del tutto falso; ma piuttosto tutto dovrebbe seguire l’ordine opposto. Perciò il Nostro predecessore di immortale memoria, Pio IX, insegnando che la funzione più nobile della teologia sia quella di mostrare come una dottrina definita dalla Chiesa sia contenuta nelle fonti, aggiunse queste parole, non senza una grave ragione: “Per quel senso stesso con cui è definita”. . . .

3887. [Dz 2315] Ma per tornare alle nuove opinioni di cui abbiamo parlato sopra, molte cose vengono proposte o inculcate nella mente (dei fedeli) a scapito dell’autorità divina della Sacra Scrittura. Alcuni travisano audacemente il significato della definizione del Concilio Vaticano, riguardo a Dio come autore della Sacra Scrittura; e fanno rivivere l’opinione, più volte smentita, secondo cui l’immunità delle Sacre Scritture dall’errore si estende solo a quelle questioni che vengono tramandate riguardo a Dio ed a temi morali e religiosi. Inoltre, parlano falsamente del senso umano dei Libri Sacri, sotto il quale si nasconde il senso divino, che essi dichiarano essere l’unico infallibile. Nell’interpretazione della Sacra Scrittura vogliono che non si tenga conto dell’analogia della fede e della “tradizione” della Chiesa, in modo che l’insegnamento dei santi Padri e del santo Magistero sia riferito, per così dire, alla norma della Sacra Scrittura spiegata da esegeti in modo meramente umano, piuttosto che la Sacra Scrittura sia interpretata secondo la mente della Chiesa, che è stata istituita da Cristo Signore come custode ed interprete dell’intero deposito della verità rivelata da Dio.

3888. [Dz 2316] Inoltre, il senso letterale della Sacra Scrittura e la sua esposizione, così come sono stati elaborati da tanti grandi esegeti sotto l’occhio vigile della Chiesa, secondo le loro false opinioni, dovrebbero cedere alla nuova esegesi che essi chiamano simbolica e spirituale; con la quale i Libri Sacri dell’Antico Testamento, che oggi sono come una fonte chiusa nella Chiesa, potrebbero essere aperti a tutti. Essi dichiarano che con questo metodo spariscono tutte le difficoltà, da cui sono incatenati solo coloro che si aggrappano al senso letterale della Scrittura.

3899. Certamente, tutti vedranno quanto tutto ciò sia estraneo ai principii ed alle norme di interpretazione giustamente stabiliti dai Nostri predecessori di felice memoria: Leone XIII nella Lettera Enciclica “Providentissimus“, Benedetto XV nella Lettera Enciclica “Spiritus Paraclitus” e anche da Noi nella Lettera Enciclica “Divino afflante Spiritu“.

3890. [Dz 2317] E non è strano che tali innovazioni, per quanto riguarda quasi tutti i rami della teologia, abbiano già prodotto frutti velenosi. Si dubita che la ragione umana, senza l’aiuto della “rivelazione” divina e della grazia divina, possa dimostrare l’esistenza di un Dio personale con argomenti dedotti dalle cose create; si nega che il mondo abbia avuto un inizio e si contesta che la creazione del mondo sia stata necessaria, poiché procede dalla necessaria liberalità dell’amore divino; si nega a Dio anche la prescienza eterna e infallibile delle azioni libere degli uomini; tutto ciò, in effetti, si oppone alle dichiarazioni del Concilio Vaticano.

3891. [Dz 2318] Alcuni si chiedono anche se gli Angeli siano creature personali e se la materia differisca essenzialmente dallo spirito. Altri distruggono la vera “gratuità” dell’ordine soprannaturale, poiché pensano che Dio non possa produrre esseri dotati di intelletto senza ordinarli e chiamarli alla visione beatifica. Non solo: viene pervertita la nozione di peccato originale, senza tener conto delle definizioni del Concilio di Trento, e allo stesso tempo la nozione di peccato in generale come offesa a Dio, ed anche il concetto di soddisfazione fatta da Cristo per noi. E c’è chi sostiene che la dottrina della transustanziazione, in quanto fondata su un’antiquata presenza filosofica di Cristo nella Santissima Eucaristia, si riduca ad una sorta di simbolismo, per cui le specie consacrate non siano altro che segni efficaci della presenza spirituale di Cristo e della sua intima unione con le membra fedeli nel Corpo mistico.

[Dz 2319] Alcuni pensano di non essere vincolati dalla dottrina proposta qualche anno fa nella Nostra Lettera Enciclica, relativa alle fonti della “rivelazione“, che insegna che il Corpo mistico di Cristo e la Chiesa siano una cosa sola. Alcuni riducono a qualsiasi formula vuota la necessità di appartenere alla vera Chiesa per ottenere la salvezza eterna. Altri, infine, ledono la natura ragionevole della “credibilità” della fede cristiana.

3892. [Dz 2320] È ben noto quanto la Chiesa apprezzi la ragione umana, in ciò che riguarda la dimostrazione definitiva dell’esistenza di un unico Dio personale; ed anche la prova irrefutabile dei segni divini sui fondamenti della stessa fede cristiana; ed, allo stesso modo, l’espressione corretta della legge che il Creatore abbia posto nelle anime degli uomini; e infine, il raggiungimento di una certa comprensione, e di una comprensione molto fruttuosa, dei misteri. Ma la ragione sarà in grado di svolgere questa funzione solo quando sarà stata addestrata nel modo richiesto, cioè quando si sarà imbevuta di quella sana filosofia che si è a lungo distinta come patrimonio tramandato dalle prime epoche cristiane, e che possiede quindi un’autorità di ordine ancora più elevato, perché il Magistero della Chiesa ha soppesato attentamente i suoi principii e le sue affermazioni principali, che sono stati gradualmente chiariti e definiti da uomini di grande ingegno, alla prova della stessa “rivelazione” divina. Infatti, questa filosofia, riconosciuta e accettata all’interno della Chiesa, protegge il valore vero e sincero della comprensione umana, ed i principii metafisici costanti – cioè la ragione sufficiente, la causalità e la finalità – ed, infine, l’acquisizione di una verità certa e immutabile.

3893. [Dz 2321] Certo, in questa filosofia si trattano molte cose che non riguardano né direttamente né indirettamente la fede e la morale e che, pertanto, la Chiesa affida alla libera discussione dei dotti; ma per quanto riguarda altre questioni, in particolare i principii e le affermazioni principali che abbiamo menzionato sopra, la stessa libertà non è concessa. In tali questioni essenziali, si può sì rivestire la filosofia con un abito più adatto e più ricco, fortificarla con parole più efficaci, liberarla da certi sostegni di studiosi che non sono adatti, e anche arricchirla cautamente con certi elementi sani dello studio umano progressivo; ma non è mai giusto sovvertirla, o contaminarla con principi falsi, o considerarla un grande ma obsoleto monumento. Perché la verità e la sua dichiarazione filosofica non possono essere cambiate di giorno in giorno, soprattutto quando si tratta di principii noti alla mente umana in sé, o di quelle opinioni che poggiano sia sulla saggezza dei secoli, sia sul consenso e sul sostegno della rivelazione divina. Qualunque verità che la mente umana, nella sua onesta ricerca, sarà in grado di scoprire, non potrà certo opporsi a verità già acquisite, poiché Dio, la Verità suprema, ha creato e dirige l’intelletto umano non perché possa opporre quotidianamente nuove verità a quelle giustamente acquisite, ma perché, rimuovendo gli errori che eventualmente si siano insinuati, possa costruire verità su verità nello stesso ordine e nella stessa struttura con cui si percepisce essere stata costituita la natura stessa delle cose, da cui la verità è tratta. Perciò il Cristiano, sia esso filosofo o teologo, non adotta frettolosamente e facilmente ogni novità che gli venga in mente di giorno in giorno, ma con la massima attenzione la mette nella bilancia della giustizia e la soppesa, per non perdere o corrompere la verità già acquisita, con grave pericolo e danno per la fede stessa.

3894. [Dz 2322] Se si esaminano a fondo questi argomenti, sarà evidente perché la Chiesa esiga che i futuri Sacerdoti siano istruiti nelle discipline filosofiche “secondo il modo, la dottrina ed i principi del Dottore Angelico”, poiché sa bene, per esperienza di molti secoli, che il metodo ed il sistema dell’Aquinate, sia per la formazione dei principianti che per l’indagine della verità nascosta, spiccano con particolare evidenza; inoltre, che la sua dottrina è in armonia, come in una sorta di sinfonia, con la “rivelazione” divina, ed è efficacissima per gettare basi sicure della fede, ed anche per raccogliere in modo utile e sicuro i frutti di un sano progresso.

[Dz 2323] Per questo motivo è estremamente deplorevole che la filosofia accettata e riconosciuta all’interno della Chiesa sia oggi disprezzata da alcuni, tanto da essere impudentemente rinnegata come antiquata nella forma e razionalistica, come dicono, nel suo processo di pensiero. Infatti, essi insistono sul fatto che questa nostra filosofia difenda la falsa opinione che possa esistere una metafisica assolutamente vera, mentre, d’altra parte, affermano che le cose, soprattutto il trascendente, non possano essere espresse in modo più adeguato che con dottrine diverse, che si completano a vicenda, anche se, in un certo senso, si oppongono l’una all’altra. Quindi, ammettono che la filosofia delle nostre scuole, con la sua chiara descrizione e soluzione delle questioni, con la sua accurata demarcazione delle nozioni e le sue chiare distinzioni, possa sì essere utile per una formazione alla teologia scolastica, ben adattata alle menti degli uomini del Medioevo, ma non offra un sistema di filosofare che corrisponda alla nostra cultura moderna ed alle sue esigenze. Poi sollevano l’obiezione che una filosofia immutabile non sia altro che una filosofia delle essenze immutabili, mentre la mente moderna debba guardare all'”esistenza” dei singoli oggetti ed alla vita, che è sempre in movimento. Mentre disprezzano questa filosofia, ne esaltano altre, antiche o moderne, dei popoli d’Oriente o d’Occidente, tanto che sembrano insinuare che qualsiasi filosofia o credenza, con alcune aggiunte, se necessario, come correzioni od integrazioni, possa essere conciliata con il dogma cattolico. Nessun Cattolico può dubitare che ciò sia del tutto falso, tanto più che si tratta di quelle finzioni che chiamano “immanenza”, o “idealismo”, o “materialismo”, sia storico che dialettico, o anche “esistenzialismo”, sia che professino l’ateismo, o almeno che rifiutino il valore del ragionamento metafisico.

[Dz 2324] E, infine, trovano questo difetto nella filosofia tradizionale delle nostre Scuole, cioè che nel processo di cognizione si occupi solo dell’intelletto e trascuri la funzione della volontà e degli affetti della mente. Questo non è certamente vero. Infatti, la filosofia cristiana non ha mai negato l’utilità e l’efficacia delle buone disposizioni di tutta la mente per comprendere e abbracciare pienamente le verità religiose e morali; al contrario, ha sempre insegnato che la mancanza di tali disposizioni possa essere la causa del fatto che l’intelletto sia affetto da desideri disordinati e da una volontà malvagia, e che sia così oscurato da non vedere bene. D’altra parte, il Dottore comune ritiene che l’intelletto possa in qualche modo percepire i beni superiori che appartengono all’ordine morale, siano essi naturali o soprannaturali, poiché sperimenta nella mente una sorta di “relazione” appassionata con questi beni, siano essi naturali o aggiunti dal dono della grazia; ed è evidente quanto anche una comprensione così oscura possa essere un aiuto alle indagini della ragione. Tuttavia, una cosa è riconoscere la forza della volontà per la disposizione degli affetti nell’aiutare la ragione ad acquisire una comprensione più certa e più solida delle questioni morali; ma questi innovatori fanno una pretesa diversa, cioè assegnano alle facoltà di desiderare e bramare una sorta di intuizione, e che l’uomo, quando non possa, attraverso il processo della ragione decidere con certezza ciò che debba essere accettato come vero, si rivolge alla volontà, con la quale decide liberamente e sceglie tra opinioni opposte, confondendo così stupidamente l’atto della cognizione e della volontà.

[Dz 2325] Non è strano che a causa di queste nuove opinioni siano in pericolo due branche della filosofia, che per loro natura sono strettamente connesse con la dottrina della fede, cioè la teodicea e l’etica. Alcuni ritengono infatti che la funzione di queste discipline non sia quella di dimostrare qualcosa di certo su Dio o su qualsiasi altro essere trascendentale, ma piuttosto di mostrare che ciò che la fede insegni su un Dio personale e sui suoi precetti sia in perfetta armonia con le esigenze della vita, e quindi dovrebbe essere abbracciato da tutti, in modo da evitare la disperazione e raggiungere la salvezza eterna. Poiché tutte queste opinioni si oppongono apertamente agli insegnamenti dei Nostri predecessori, Leone XIII e Pio X, non possono essere conciliate con i decreti del Concilio Vaticano. Certo, sarebbe superfluo deplorare questi allontanamenti dalla verità, se tutti, anche in materia filosofica, accettassero con la dovuta riverenza il Magistero della Chiesa, il cui compito è certamente non solo quello di custodire ed interpretare il deposito della verità rivelato da Dio, ma anche di vigilare su queste discipline filosofiche, affinché il dogma cattolico non subisca alcun danno da opinioni errate.

3895. [Dz 2326] Ci resta da dire qualcosa sulle questioni che, pur avendo a che fare con le discipline abitualmente chiamate “positive”, siano più o meno legate alle verità della fede cristiana. Non pochi chiedono con insistenza che la Religione Cattolica tenga il più possibile conto di queste discipline. Certamente ciò è lodevole quando si tratta di fatti effettivamente provati, ma bisogna essere cauti quando la questione riguarda “ipotesi“, anche se in qualche modo basate sulla conoscenza umana, nelle quali ipotesi si discute di dottrine contenute nelle Sacre Scritture o nella “tradizione“. Quando tali opinioni congetturali si oppongano direttamente o indirettamente alla dottrina rivelata da Dio, allora la loro richiesta non può essere ammessa in alcun modo.

3896. [Dz 2327] Pertanto, il Magistero della Chiesa non vieta che l’insegnamento dell'”evoluzione” sia trattato in accordo con lo stato attuale delle discipline umane e della teologia, mediante indagini e dispute da parte di uomini dotti in entrambi i campi; nella misura in cui, naturalmente, l’indagine riguarda l’origine del corpo umano derivante da materia già esistente e vivente; ed in modo tale che i ragionamenti di entrambe le teorie, cioè di coloro che sono a favore e di coloro che sono contrari, siano soppesati e giudicati con la dovuta serietà, moderazione e temperanza; e purché tutti siano pronti a cedere al giudizio della Chiesa, alla quale Cristo ha affidato il compito di interpretare autenticamente le Sacre Scritture e di conservare i dogmi della fede. Tuttavia, alcuni con audacia trasgrediscono questa libertà di discussione, agendo come se l’origine del corpo umano da materia vivente già esistente fosse già certa e dimostrata da alcuni indizi già scoperti e dedotti con il ragionamento, e come se non ci fosse nulla nelle fonti della rivelazione divina che richieda la massima moderazione e cautela in questo pensiero.

3897. [Dz 2328] Quando si tratta di un’altra opinione congetturale, cioè del cosiddetto poligenismo, allora i figli della Chiesa non godono affatto di tale libertà. I fedeli in Cristo, infatti, non possono accettare questa opinione, secondo la quale o dopo Adamo siano esistiti uomini su questa terra, che non hanno ricevuto la loro origine per generazione naturale da lui, primo genitore di tutti, o che Adamo significhi una sorta di moltitudine di primi genitori; perché non è affatto evidente come una tale opinione possa essere conciliata con ciò che le fonti della verità rivelata e gli atti del Magistero della Chiesa insegnino a proposito del peccato originale, che deriva da un peccato realmente commesso da un solo Adamo, e che si trasmetta a tutti per generazione, ed esistea in ciascuno come proprio.

3898. [Dz 2329] Come nelle scienze biologiche e antropologiche, così anche in quelle storiche c’è chi trasgredisce audacemente i limiti e le precauzioni stabilite dalla Chiesa. E, in particolare, deploriamo un certo modo del tutto troppo liberale di interpretare i libri storici dell’Antico Testamento, i cui sostenitori difendono la loro causa facendo riferimento, senza alcuna giustificazione, ad una lettera data non molto tempo fa dal Pontificio Consiglio per gli Affari Biblici all’Arcivescovo di Parigi. Questa Lettera avverte chiaramente che gli undici primi capitoli della Genesi, sebbene non siano propriamente conformi ai metodi di composizione storica che gli illustri scrittori greci e latini di eventi passati, o i dotti della nostra epoca hanno usato, tuttavia in un certo senso, che deve essere esaminato e determinato in modo più completo dagli esegeti, sono veramente una sorta di storia; e che gli stessi capitoli, con un linguaggio semplice e figurato adatto alla mentalità di un popolo di scarsa cultura, raccontino sia le principali verità da cui dipende il raggiungimento della nostra salvezza eterna, sia la descrizione popolare dell’origine del genere umano e del popolo eletto. Ma se gli antichi scrittori sacri hanno tratto qualcosa dalle narrazioni popolari (cosa che si può ammettere), non bisogna mai dimenticare che lo hanno fatto assistiti dall’impulso dell’ispirazione divina, che li ha preservati da ogni errore nella selezione e nel giudizio di quei documenti.

3899. [Dz 2330] Inoltre, questi argomenti che sono stati accolti nella Letteratura Sacra dalle narrazioni popolari non sono assolutamente da identificare con mitologie o altre cose del genere, che procedano da un’immaginazione indebita piuttosto che da quello zelo per la verità e la semplicità che risplende così tanto nei Libri Sacri dell’Antico Testamento che i nostri scrittori sacri devono evidentemente essere considerati superiori agli antichi scrittori profani.

Costituzione apostolica “Munificentissimus Deus“, 1° novembre 1950.

Definizione dell’Assunzione di Maria in cielo.

3900. Tutte queste argomentazioni e considerazioni dei santi Padri e dei teologi poggiano sulla Scrittura come loro ultimo fondamento; la Scrittura infatti ci mostra in qualche modo l’augusta Madre di Dio molto intimamente unita al suo Figlio divino e sempre partecipe della sua sorte. Sembra quindi impossibile vedere Colei che ha concepito Cristo, l’ha partorito, l’ha nutrito con il suo latte, l’ha tenuto in braccio e l’ha stretto al suo seno, separarsi da Lui dopo questa vita terrena, se non nell’anima, almeno nel corpo. Poiché il nostro Redentore è il Figlio di Maria, Egli, così perfettamente sottomesso alla Legge divina, non poteva non rendere onore non solo all’eterno Padre ma anche alla sua amata Madre. Potendo quindi farle questo grande onore di preservarla dalla corruzione della morte, dobbiamo credere che l’abbia fatto davvero.

3901. Soprattutto, bisogna ricordare che, fin dal secondo secolo, la Vergine Maria sia stata presentata dai santi Padri come la nuova Eva, soggetta senza dubbio al secondo Adamo, ma intimamente unita a Lui, nella lotta contro il nemico infernale, lotta che, come prefigurato nel Vangelo (Gn III,15), doveva portare alla vittoria totale sul peccato e sulla morte, sempre uniti insieme negli scritti dell’Apostolo delle genti (Rm V-6; 1 Cor XV,21-26 1 Cor XV,54-57). – Di conseguenza, come la gloriosa risurrezione di Cristo era parte essenziale ed ultimo trofeo di questa vittoria, così era necessario che il combattimento condotto dalla Vergine Maria unita al Figlio terminasse con la “glorificazione” del suo corpo verginale; lo stesso Apostolo non dice forse: “Quando… questo corpo mortale avrà indossato l’immortalità, allora si compirà la parola della Scrittura: la morte è stata inghiottita nella vittoria” (1 Cor 15,54).

3902. Per questo l’augusta Madre di Dio, … unita da tutta l’eternità a Gesù Cristo in modo misterioso “in un unico e medesimo decreto” di predestinazione Immacolata nel suo concepimento, … Vergine purissima nella sua Maternità divina, … . generosa compagna del divino Redentore che ha ottenuto un trionfo totale sul peccato e sulle sue conseguenze, ottenendo infine, come supremo coronamento dei suoi privilegi, di essere preservata dalla corruzione del sepolcro e, come suo Figlio, avendo vinto la morte, di essere innalzata in anima e corpo alla gloria nell’alto dei cieli, per risplendere lì come una Regina alla destra di suo Figlio, l’immortale Re dei secoli (1Tm 1,17) .

3903 .. Per la gloria di Dio onnipotente, che ha fatto piovere sulla Vergine Maria la generosità di una benevolenza specialissima, per l’onore del suo Figlio, immortale Re dei secoli e vincitore del peccato e della morte, per la maggior gloria della sua augusta Madre e per la gioia e l’esultanza di tutta la Chiesa, per l’autorità di nostro Signore Gesù Cristo, dei beati Apostoli Pietro e Paolo e per la nostra propria autorità, Noi affermiamo, dichiariamo e definiamo come un dogma divinamente rivelato che : l’Immacolata Madre di Dio, Maria sempre vergine, dopo aver completato il corso della sua vita terrena, è stata elevata in anima e corpo alla gloria celeste.

3904. Pertanto, se qualcuno, Dio non voglia, osi deliberatamente dubitare di ciò che sia stato da Noi definito, sappia che ha totalmente abbandonato la fede divina e cattolica.

Enciclica “Sempiternus Rex“, 8 settembre 1951.

L’umanità di Cristo.

3905. Sebbene non vi sia alcuna ragione per cui l’umanità di Cristo non debba essere approfondita – anche secondo i principii e i metodi della psicologia – vi sono tuttavia alcuni che, in una delicata ricerca di questo tipo, abbandonano più del ragionevole ciò che sia vecchio per costruire ciò che sia nuovo, e che abusano dell’autorità e della definizione del Concilio di Calcedonia per sostenere ciò che hanno concepito. Essi enfatizzano a tal punto lo stato e la condizione della natura umana di Cristo da farla sembrare un soggetto sui juris, come se non sussistesse nella persona del Verbo stesso. Ma il Concilio di Calcedonia, in pieno accordo con il Concilio di Efeso, afferma chiaramente che l’una e l’altra natura del nostro Redentore sono unite “in una sola Persona e sussistenza”, e vieta di ammettere due individui in Cristo, in modo che accanto al Verbo sia posto un homo assumptus che gode di completa autonomia.

Monitum del Sant’Uffizio, 30 giugno 1952.

Rapporti sessuali che evitano l’orgasmo.

3907. È con viva preoccupazione che la Sede Apostolica constata che un certo numero di autori, trattando della vita matrimoniale, siano arrivati qua e là a trattarla pubblicamente e senza pudore fino ai dettagli, e che alcuni addirittura descrivano, approvino e consiglino un certo atto chiamato “abbraccio riservato”. In una materia così importante, che riguarda la santità del Matrimonio e la salvezza delle anime,… la Congregazione del Sant’Uffizio, per non venir meno al suo dovere e per espresso mandato… di Pio XII, ammonisce severamente tutti gli autori a rinunciare a questo modo di fare… Quanto ai Sacerdoti, nel ministero delle anime e nella guida delle coscienze, non si avventurino mai, né di propria iniziativa né interrogati, a parlare in modo da far intendere che non ci sia nulla da obiettare da parte della legge cristiana all'”abbraccio riservato”.

Enciclica “Fulgens corona“, 8 settembre 1953.

La redenzione di Maria.

3908. Se consideriamo l’amore ardentissimo e soave che Dio ha indubbiamente avuto per la Madre del suo unico Figlio, come possiamo anche solo immaginare che Ella sia stata, anche solo per un momento, soggetta al peccato e priva della grazia divina? Dio poteva certamente, in considerazione dei meriti del Redentore, farle dono di un privilegio così eccezionale; non possiamo nemmeno immaginare che non l’abbia fatto. Era infatti opportuno che la Madre del Redentore fosse il più possibile degna di Lui; ma non lo sarebbe stata se la macchia del peccato l’avesse raggiunta, anche solo nel primo momento del suo concepimento, sottoponendola così all’esecrabile dominio di satana.

3909. Né si può dire che per tutto ciò la Redenzione sarebbe diminuita, come se non si estendesse più a tutti i discendenti di Adamo, e che persino qualcosa sarebbe sottratto all’opera ed alla dignità del Redentore stesso. In realtà, se consideriamo la questione in modo approfondito e attento, possiamo facilmente vedere che Cristo, il Signore, ha realmente redento sua Madre nel modo più perfetto, anche se, in considerazione dei suoi meriti, era stata preservata intatta da Dio da ogni macchia ereditaria di peccato. Ecco perché l’infinita dignità di Gesù Cristo e la sua opera di redenzione universale non vengono né sminuite né attenuate da questo capitolo della dottrina, ma anzi esaltate al massimo grado.

3910. Non c’è quindi motivo che molti acattolici e innovatori accusino o riprovino la nostra devozione alla Vergine Madre di Dio, come se sottraessimo qualcosa al culto dovuto all’unico Dio e a Gesù Cristo; mentre, al contrario, ogni onore e venerazione accordati alla nostra Madre celeste accresce senza dubbio la gloria del suo Figlio divino, non solo perché da lui scaturiscono, come da una prima fonte, tutte le grazie e i doni, ma anche perché “la gloria dei figli è dei padri” (Pr XVII,6).

Enciclica “Ad caeli Reginam“, 11 ottobre 1954.

La dignità regale di Maria.

3913. La ragione principale della dignità regale di Maria è senza dubbio la sua divina Maternità. Quando nelle Scritture leggiamo del Figlio che la Vergine concepirà: “Sarà chiamato Figlio dell’Altissimo ed il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà nella casa di Giacobbe per sempre ed il suo regno non avrà fine” (Lc 1,32 s.), e che d’altra parte Maria è proclamata “Madre del Signore” (Lc 1,43), è facile vedere che Lei stessa è Regina, poiché ha dato alla luce un Figlio che fin dal suo concepimento, a causa dell’unione ipostatica della natura umana con il Verbo, era come uomo anche Re e Signore di tutte le cose. San Giovanni Damasceno poteva quindi giustamente scrivere: “Ella è diventata veramente la Sovrana di ogni creatura, poiché è diventata la Madre del Creatore”; e allo stesso modo si può affermare che il primo ad annunciare con bocca celeste la dignità regale di Maria fu proprio l’Arcangelo Gabriele.

3914. Tuttavia, non è solo per la sua divina Maternità che la Beata Vergine Maria deve essere chiamata Regina, ma anche perché per volontà di Dio ha avuto una partecipazione eccezionale all’opera della nostra salvezza eterna. “Cosa c’è di più delizioso e dolce per i nostri pensieri… (che sapere) che Cristo regni su di noi non solo per diritto nativo, ma anche per diritto acquisito, cioè perché ci ha redenti?”. (cf. 3676). Ora, nel compimento di quest’opera di redenzione, la beatissima Vergine Maria fu in verità intimamente associata a Cristo… Infatti, “come Cristo, avendoci redenti, è in questo modo particolare il nostro Signore e il nostro Dio, così anche la Beata Vergine, per il modo unico in cui ha dato il suo contributo alla nostra redenzione, mettendo a disposizione ciò che è, e offrendo volontariamente (Cristo) per noi, desiderando, chiedendo e procurando la nostra salvezza in modo del tutto particolare”.

3915. Da queste considerazioni segue la seguente argomentazione: Se, nell’opera che ha procurato la salvezza spirituale, per volontà di Dio, Maria è stata associata a Gesù Cristo, il principio stesso della salvezza, e ciò in modo simile a quello in cui Eva è stata associata ad Adamo, il principio della morte, cosicché si può dire che l’opera della nostra Redenzione si è compiuta secondo una certa “ricapitolazione” in virtù della quale il genere umano, così come è stato sottoposto alla morte da una vergine, è stato parimenti salvato da una Vergine; se, inoltre, si può dire allo stesso modo che questa gloriosissima Sovrana fu scelta come Madre di Cristo proprio “per essere associata a lui nella Redenzione del genere umano”, e se veramente “fu Lei che, libera da ogni colpa personale o ereditaria, sempre strettamente unita al Figlio, lo offrì sul Golgota all’eterno Padre, insieme all’olocausto dei suoi diritti e del suo amore materno, come nuova Eva”, per tutti i figli di Adamo sfigurati dalla sciagurata caduta”, allora è possibile concludere senza alcun dubbio che, come Cristo, il nuovo Adamo, debba essere Re non solo perché è Figlio di Dio, ma anche perché è il nostro Redentore, così, in una sorta di analogia, la beatissima Vergine è Regina non solo perché è la Madre di Dio, ma anche perché è stata associata come nuova Eva al nuovo Adamo.

3916. Indubbiamente, in senso pieno e assoluto, solo Gesù Cristo, Dio e uomo, è Re; tuttavia, anche se in modo limitato e per analogia, in quanto Madre di Cristo Dio, associata all’opera del divino Redentore, alla sua lotta contro i nemici e alla vittoria che Egli ha riportato su tutti, anche Maria partecipa alla dignità regale. Grazie a questa unione con Cristo Re, ottiene uno splendore e un’eminenza che la rendono superiore all’eccellenza di tutte le cose. – Da questa congiunzione con Cristo scaturisce la facoltà regale che le dà il potere di dispensare i tesori del Regno del divino Redentore; da questa congiunzione con Cristo deriva l’inesauribile efficacia del suo patrocinio materno del Figlio e del Padre.

3917 (Questo numero ha una suddivisione)

Non c’è dunque dubbio che Maria Santissima superi in dignità tutte le realtà create, e che allo stesso modo abbia un primato su tutte dopo il suo Figlio…. … Per comprendere il grado di dignità così eminente che la Madre di Dio ottenne al di sopra di tutte le creature, è bene considerare che fin dal primo momento in cui fu concepita, la santa Madre di Dio fu ricolma di una tale abbondanza di grazie da superare la grazia di tutti i Santi. … Inoltre, la Beata Vergine non solo ottenne il grado supremo, dopo Cristo, di eccellenza e perfezione, ma anche una certa partecipazione a quell’efficacia per cui si dice giustamente che suo Figlio e nostro Redentore regni sulle menti e sulle volontà degli uomini.

Decreto del Sant’Uffizio, 2 aprile 1955.

Contraccezione.

3917 A

La Sacra Congregazione alza la voce con particolare insistenza per condannare e respingere come intrinsecamente malvagio l’uso dei pessari (IUD, diaframma) da parte delle coppie sposate nell’esercizio dei loro diritti coniugali. Inoltre, gli Ordinari non devono permettere che ai fedeli venga detto o insegnato che non si possa fare alcuna obiezione seria secondo i principi della legge cristiana se un marito collabora solo materialmente con la moglie che usi tale mezzo. I confessori ed i direttori spirituali che sostengono il contrario, e che in tal modo guidano le coscienze dei fedeli, si allontanano dai sentieri della verità e della rettitudine morale.

Istruzione del Sant’Uffizio, 2 febbraio 1956.

Morale situazionale.

3918. Contro la dottrina morale tradizionale della Chiesa Cattolica e la sua applicazione, ha cominciato a diffondersi in molte regioni, anche tra i Cattolici, un sistema di morale che viene generalmente chiamato “morale situazionale“… Gli autori che sostengono questo sistema affermano che la regola decisiva e ultima dell’azione non sia il bene oggettivo determinato dalla legge di natura e conosciuto con certezza da questa legge, ma un certo giudizio ed una certa luce interiore della mente di ogni individuo che gli fanno sapere cosa debba fare nella situazione in cui si trova. Pertanto, secondo loro, la decisione ultima dell’uomo non è l’applicazione della legge oggettiva ad un caso particolare, come insegna la morale oggettiva tramandata da eminenti autori, tenendo conto e soppesando, secondo le regole della prudenza, le condizioni particolari della “situazione“, ma direttamente questa luce interiore e questo giudizio. Questo giudizio, almeno in molti casi, per quanto riguarda la rettitudine e la verità oggettiva, in ultima analisi non deve e non può essere misurato secondo alcuna regola oggettiva stabilita al di fuori dell’uomo e indipendente dalla sua convinzione soggettiva, ma è pienamente sufficiente a se stesso.

3919. Secondo questi autori, il concetto tradizionale di “natura umana” non è sufficiente, ma è necessario ricorrere ad un concetto di natura umana “esistente” che, nella maggior parte dei casi, non ha un valore oggettivo assoluto, ma solo relativo e, di conseguenza, mutevole, con la possibile eccezione dei pochi elementi e principi relativi alla natura umana metafisica (assoluti ed immutabili). Lo stesso valore solo relativo è attribuito al concetto tradizionale di “legge naturale“. Gran parte di ciò che oggi viene presentato come postulato assoluto della legge naturale poggia, secondo la loro opinione e dottrina, sul suddetto concetto di natura esistente, e quindi non può che essere relativo e mutevole, e può sempre essere adattato a qualsiasi situazione.

3920. Questi principi, adottati e applicati, dicono ed insegnano che gli uomini, giudicando ciascuno secondo la propria coscienza ciò che deve fare nella situazione presente, non principalmente secondo leggi oggettive, ma secondo la propria intuizione personale per mezzo di questa luce individuale interna, siano preservati o facilmente liberati da molti conflitti morali che altrimenti sarebbero insolubili.

3921. Molte cose di questo sistema di “morale situazionale” sono contrarie alla verità oggettiva ed alle esigenze della sana ragione, appaiono come vestigia del relativismo e del modernismo e sono lontane dalla dottrina cattolica tramandata nei secoli (segue il divieto di sostenere questa dottrina).

Enciclica “Haurietis aquas“, 15 maggio 1956.

Venerazione del Cuore di Gesù.

3922. (È noto che) il motivo per cui la Chiesa accorda un culto di latria al Cuore del divino Redentore… sia duplice. Il primo, che vale anche per le altre sante membra del Corpo di Gesù Cristo, si basa sul principio per cui sappiamo che il suo Cuore, come parte più nobile della sua natura umana, è unito ipostaticamente alla Persona del Verbo divino; ed è per questo che dobbiamo attribuirgli lo stesso culto di adorazione con cui la Chiesa onora la Persona stessa del Figlio di Dio incarnato… . La seconda ragione che si riferisce in modo particolare al Cuore del divino Redentore e che, per un motivo altrettanto particolare, richiede che gli si renda un culto di latria, deriva dal fatto che il suo Cuore, più di ogni altro membro del suo corpo, è un segno o simbolo naturale della sua immensa carità verso il genere umano. “C’è nel Sacro Cuore… il simbolo e l’immagine espressa dell’amore infinito di Gesù Cristo, un amore che ci spinge ad amarci gli uni gli altri”. …

3923. (Cristo) ha veramente unito alla sua Persona divina una natura umana individuale, completa e perfetta, che è stata concepita nel seno purissimo della Vergine Maria per opera dello Spirito Santo. A questa natura umana unita al Verbo di Dio non mancava dunque nulla; Rgli stesso l’assunse, in verità, senza alcuna diminuzione o cambiamento, sia per quanto riguarda il corpo che per quanto riguarda lo spirito: dotato cioè di intelligenza e di volontà, e di tutte le facoltà di conoscenza interna ed esterna, delle facoltà sensitive dell’affetto e di tutte le passioni naturali. (cf. 293 ; 301 ; 355). Perciò, come non c’è dubbio alcuno che Gesù Cristo abbia assunto un vero corpo che gode di tutti i sentimenti che gli sono propri, e tra i quali l’amore supera tutti gli altri, così non c’è dubbio che sia stato dotato di un cuore fisico simile al nostro; poiché, senza questa parte eccelsa del corpo, non ci può essere vita umana, nemmeno per quanto riguarda gli affetti….

3924. È a ragione, quindi, che il Cuore del Verbo incarnato sia considerato il segno ed il simbolo principale di questo triplice amore con cui il Redentore divino ama e continua ad amare il suo Padre eterno e tutti gli uomini. È il simbolo, infatti, di quell’amore divino che Egli condivide con il Padre e lo Spirito Santo, ma che tuttavia, solo in Lui, come Verbo fatto carne, si manifesta a noi attraverso il suo corpo umano deperibile e fragile… È anche il simbolo di quell’amore ardentissimo che, riversato nella sua anima, arricchisce la volontà di Cristo, e le cui azioni sono illuminate e dirette da una duplice conoscenza perfettissima, quella benedetta e quella infusa. Infine, è anche – e questo in modo più naturale e diretto – il simbolo del suo amore sensibile, perché il corpo di Gesù Cristo, formato dallo Spirito Santo nel grembo della Vergine Maria, gode di un potere di sentire e percepire molto perfetto, più, certamente, di tutti gli altri corpi umani. …

3925. …Pertanto, da questa cosa corporea che è il Cuore di Gesù Cristo, e dal suo significato naturale, ci è permesso… di salire non solo alla contemplazione del suo amore, che è percepito dai sensi, ma, ancora più in alto, alla contemplazione ed all’adorazione del suo supremo amore infuso; e infine… alla meditazione e all’adorazione dell’amore divino del Verbo incarnato. Alla luce, dunque, della fede con cui crediamo che le due nature, umana e divina, siano unite nella Persona di Cristo, possiamo concepire gli strettissimi legami che esistono tra l’amore sensibile del Cuore fisico di Gesù e il suo doppio amore spirituale, umano e divino. Di questi amori non dobbiamo dire solo che esistano insieme nella Persona adorabile del divino Redentore, ma che siano legati da un vincolo naturale, essendo l’amore umano e sensibile subordinato all’amore divino e riflettendo in sé la somiglianza analogica di quest’ultimo. Non pretendiamo che si debba pensare che nel Cuore di Gesù si debba vedere ed adorare la cosiddetta immagine formale, cioè il segno assoluto e perfetto del suo amore divino, poiché non è possibile rappresentarne l’intima essenza in modo adeguato con alcuna immagine creata; ma i fedeli, nel rendere culto al Cuore di Gesù, adorano con la Chiesa un segno e come un memoriale dell’amore divino. … È dunque necessario, in questo capitolo della dottrina così importante e così delicato, che tutti tengano sempre presente che la verità del simbolo naturale in virtù del quale il cuore fisico di Gesù è attaccato alla Persona del Verbo, poggi interamente sulla verità fondamentale dell’unione ipostatica; se qualcuno lo nega, rinnova gli errori più volte condannati dalla Chiesa, perché contrari all’unità della Persona in Cristo e alla distinzione ed integrità delle due nature.

La maternità di Maria.

3926. …I fedeli devono avere cura di associare strettamente (la venerazione del Cuore di Gesù) al culto del Cuore Immacolato di Maria. Poiché, per volontà di Dio, la Beata Maria è stata indissolubilmente unita a Cristo nell’opera della redenzione umana, affinché la nostra salvezza derivi dall’amore di Gesù Cristo e dalle sue sofferenze intimamente unite all’amore ed alle sofferenze di sua Madre, è perfettamente opportuno che il popolo cristiano, che ha ricevuto la vita divina di Cristo per mezzo di Maria, dopo aver reso la venerazione dovuta al sacratissimo Cuore di Gesù, renda anche al Cuore amabilissimo della sua Madre celeste un analogo omaggio di pietà, amore, gratitudine e riparazione.

Decr. Del S. Officio, 8 marz. (23 mag.1957.

La Concelebrazione valida.

3928. Domanda: Più Sacerdoti concelebrano validamente il Sacrificio della Messa quando uno di loro non lo fa?

Solo uno di loro pronuncia le parole: “Questo è il mio corpo” e “Questo è il mio sangue” sul pane e sul vino, e gli altri non pronunciano le parole del Signore, ma, con la consapevolezza ed il consenso del celebrante, intendono compiere le sue parole e i suoi gesti e mostrarlo? Risposta (confermata dal Sommo Pontefice il 18 marzo): No; perché, secondo l’istituzione di Cristo, celebra validamente solo chi pronuncia le parole consacratorie.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (42): “INDICE DEGLI ARGOMENTI” -I.-

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA (2)

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA (2)

FRANCESCO OLGIATI,

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA.

Soc. ed. Vita e Pensiero, XIV ed., Milano – 1956.

Imprim. In curia Arch. Med. Dic. 1956- + J. Schiavini Vic. Gen.

INTRODUZIONE (2)

3. — Finalmente anche i buoni, anche coloro che si proclamano Cristiani, spesso presentano una impressionante incoerenza tra la morale che predicano e la morale che praticano. Per non disturbare l’ombra del vecchio Padre Zappata, soggiungeremo che i buoni troppo sovente rassomigliano ai candidi cigni domestici, cari al Moro, e che i soldati di Luigi XII, di passaggio per Milano, facevan bersaglio delle loro frecce. Alcuni cigni, spaventati e colpiti, nuotavano ancora, dondolandosi sull’acqua insanguinata; altri emettevano flebili lamenti, allungavano il collo in un tremito convulso e tentavano ancora una volta, prima di morire, di sollevarsi sulle povere ali ferite. È il simbolo spesso di coloro, che dovrebbero insegnare a fatti cosa sia la morale cristiana e che, invece, si lasciano colpire dalla freccia della colpa. – Si potrà osservare, non a giustificazione, ma a spiegazione di questo fatto, che tutti noi nasciamo col peccato originale, che mille cattive tendenze cercano di trascinarci al male, che la vita morale è una perpetua battaglia senza un istante di tregua. Tutto questo è da ammettersi come un’innegabile verità. Ma subito bisogna soggiungere che le infrazioni continue alla legge morale creano un ambiente sociale dove le insidie ed i pericoli si incontrano ad ogni passo, formano un’atmosfera dove si cerca di attutire le proteste silenziose delle coscienze col pretesto che tutti cascano fatalmente e che bisogna seguire l’andazzo comune, riempiono il mondo delle anime di stonature disastrose. L’etica cristiana è simile ad una musica splendida ed armoniosa; perché tutti la imparino, la apprezzino, ne rimangano estasiati ed uniscano la loro voce, è necessario che vi sia un coro numeroso, educato e possente, che canti; in questo caso, anche chi non conoscesse le note e non sapesse leggere una pagina di musica intenderebbe ed apprenderebbe. Non per nulla i migliori maestri di morale sono i Santi, che costringono anche gli avversari del Cristianesimo ad ammirare ed a plaudire. Dinanzi a un Vincenzo de’ Paoli o a un Giovanni Bosco, è impossibile rifiutare il consenso entusiastico, anche se si vive sull’opposta sponda. Al contrario, perché oggi non sempre si riesce a trascinare gli spiriti contemporanei alla morale del Vangelo? Perché i valenti maestri di musica, capaci di cantare con la vita loro l’etica nostra, sono piuttosto rari, mentre innumerevoli sono i maestri ed i cantori stonati. Anzi, per uno strano pervertimento di idee, si ritiene dai più che i Santi sian da lasciarsi alla devozione della minuscola schiera dei pii e degli asceti, o, per continuare il paragone, siano soltanto maestri di musica sacra, adatta per le chiese; fuori del tempio, ci vuole un’altra musica, un altro tono, un’altra morale! È vero. Di fronte alle deficenze descritte, per rialzare il livello morale che va sempre più abbassandosi, sono intervenuti i filosofi coi loro sistemi. La filosofia aspirerebbe ad essere il surrogato della Religione nel campo dell’etica e, come tutti i surrogati, per parecchio tempo è riuscita ad illudere l’ingenuità e l’imbecillismo umano. Ma oggi, c’è forse qualcuno ancora, che ritiene, proprio sul serio, di poter sostituire alla morale di Cristo il sistema d’un pensatore? Siete proprio convinti di formare un giovane alla virtù ed all’eroismo con le teorie pullulanti e necessario nel mondo filosofico?… Io vi invito a pensare alla moltitudo che canti; dine di dottrine morali contraddicentisi, che sono sorte nel

e non sa- secolo XIX ed in tutta la prima metà del secolo XX! Gli utilitaristi hanno sostenuto che la morale si fonda sull’utiile; Kant ha insistito sul pensiero che, dove c’è la preoccupazione dell’utile, non c’è la morale e che quest’ultima dev’essere basata sul dovere; Nietzsche ha disprezzato l’etica comune ed ha sognato la morale del superuomo; Marx ha tentato la riduzione della morale all’economia, facendo anche del dovere una questione di stomaco; Ruskin vi ha esaltato la morale della bellezza; Comte ed il positivismo vogliono la morale dei fatti, la morale scientifica; alcuni negano il libero arbitrio e col Taine dichiarano che la virtù è un prodotto necessario come il vetriolo e lo zucchero; Freud deride la morale, perché ogni nostra attività per lui non è se non un prodotto della sessualità. Parecchi amarono rifugiarsi fra le braccia degli antichi stoici ed invocarono Epitteto, Marco Aurelio e Seneca; altri si diedero in braccio al pessimismo o allo scetticismo morale; altri pensarono di portare fra noi le dottrine di Buddha; James ed il pragmatismo anglo-americano vollero fondare il pensiero sulla morale, mentre l’idealismo eresse l’etica sul pensiero ed arrivò ad asserire che, per salvare la morale, bisogna cominciare ad ammettere che tutto è Spirito, tutto anzi è atto di pensiero, dal Monte Bianco all’America… Insomma, questi filosofi moralisti assomigliano ad un gruppo di medici, in stridente contrasto tra loro, che discutono intorno al letto dell’agonizzante. Ed oggi, in tutto il mondo, non c’è più nemmeno un sistema che regga; è il crollo delle ideologie filosofiche, è la confusione babelica delle menti e delle lingue; e se qualcuno dovesse sul serio affermare che la salvezza della morale sarà dovuta, ad esempio, alle correnti esistenzialistiche, problematicistiche, irrazionalistiche e vitalistiche recenti, tutti scoppieranno in una sonora risata allegra. – Con la spudoratezza più sfacciata gli stessi creatori dei recenti sistemi ce lo dichiarano apertamente. Forse nulla di più esplicito c’è, a tale proposito, d’una pagina di Sartre, che nel suo volumetto: “L’existentialisme est un humanisme”;scrive: « Quando verso il 1880 alcuni professori francesi tentarono di costituire una morale laica, essi dissero press’a poco questo: Dio è un’ipotesi inutile e dispendiosa; noi la sopprimiamo; tuttavia è necessario, perché vi sia una morale, una società, un mondo civile, che certi valori siano presi sul serio e considerati come esistenti a priori: è necessario che sia obbligatorio a priori di essere onesti, di non mentire, di non picchiare la propria moglie, di far dei figli ecc. Noi, dunque, faremo un piccolo lavoro che permetterà di mostrare come questi valori esistano egualmente, scritti in un cielo intelligibile, quantunque d’altra parte Dio non esista… Nulla sarà mutato se non esiste Dio: noi ritroveremo le stesse norme di onestà, di progresso, di umanesimo; e noi avremo fatto di Dio un’ipotesi superata, che morrà tranquillamente da se stessa.

« L’esistenzialismo al contrario — prosegue il difensore dell’esistenzialismo ateo francese — pensa che con Dio scompare ogni possibilità di trovare dei valori in un cielo intelligibile. Non vi può essere un bene a priori., perché non v’è coscienza perfetta ed infinita per pensarlo. Non è scritto in nessuna parte che il bene esista, che bisogna essere onesti, che non bisogna mentire, perchè precisamente noi siamo su un piano ove vi sono soltanto degli uomini. Dostojevski aveva scritto: — Se Dio non esistesse, tutto sarebbe permesso. — Ecco il punto di partenza dell’esistenzialismo ». Ed insieme con Sartre, romanzieri francesi, inglesi e di ogni parte del mondo abbandonano la morale alle « anime belle ». Il peggio è che questi edifici filosofici, se da un lato sono impotenti a formare una coscienza, dall’altro, quando crollano, sollevano un nugolo di polvere densissima, che rovina gli occhi, cosicché dinanzi alla morale cristiana vi sono ciechi, presbiti, miopi ed orbi in quantità, divenuti tali per colpa dei sistemi. I filosofi hanno inoculato in tutti un numero immenso di pregiudizi, di idee balorde, di asserzioni infondate a proposito dell’etica cristiana, tanto che non è lieve il compito di far brillare quest’ultima alla mente ed al cuore dei nostri contemporanei. Senza paura di sbagliare, io sono convinto che il presente Sillabario rivelerà un mondo nuovo ad alcuni studiosi moderni. Essi conoscono così poco la morale cristiana, che la ritengono fondata unicamente sul premio o sul castigo, sul paradiso o sull’inferno; e perciò ad essa preferiscono le forme molto più nobili della morale disinteressata! Persino i grandi pensatori, da Emanuele Kant agli idealisti italiani recenti, non vi offrono prove troppo consolanti di conoscenza della morale nostra. Mi voglio limitare ad un esempio. – Prendo fra le mani la Filosofia della pratica di Benedetto Croce e leggo: « L’affermazione che l’atto morale è amore e volizione dello Spirito in universale si trova nell’Etica religiosa e cristiana, nell’Etica dell’amore e della ricerca ansiosa della presenza divina. questo il carattere fondamentale dell’Etica religiosa, la quale ai volgari razionalisti e intellettualisti, ai così detti liberi pensatori, ai frequentatori delle logge massoniche, per angusta passione di parte o per manco di finezza mentale, rimane ignota. Non c’è quasi verità dell’Etica.., che non si possa esprimere con le parole, che abbiamo apprese da bambini, della Religione tradizionale, e che spontanee ci salgono alle labbra come le più elevate, le più appropriate, le più belle; parole, di certo, impregnate ancora di mitologia, ma, insieme, gravi di contenuto filosofico ». Dinanzi a queste espressioni, voi quasi sospettate che il Croce sia un propugnatore dei principi della morale cristiana. Ma no, abbiate pazienza, volgete qualche pagina e leggerete ancora: « Il divorzio (può essere) altamente morale o profondamente immorale, secondo i tempi e i luoghi: e solamente l’angustia mentale o l’ignoranza può mettere fuori dell’umanità, o credere viventi e persistenti nell’immoralità, popoli che praticano il divorzio o il matrimonio indissolubile… Immorale, irrazionale e innaturale non è neppure la poligamia o il libero concubito, una volta che è stata istituzione considerata legittima in certi tempi e luoghi; e neppure, staremmo per dire (per quanto ripugni al nostro cuore, e al nostro stomaco, di europei inciviliti) l’antropofagia, perché, anche tra gli antropofagi, c’erano (speriamo si vorrà convenire) uomini che si sentivano nella più limpida coscienza di sè medesimi, onestissimi, e che, ciò nonostante, mangiavano il loro simile con la stessa tranquillità con cui noi mangiamo un pollo arrosto, senza odio per il pollo, ma sapendo di non poter fare, almeno per ora, altrimenti! ». E si noti: Benedetto Croce, nello stesso volume, non dubita di riconoscere che « dopo il Cristianesimo, a nessuno che non sia parolaio o stravagante, è dato di non essere Cristiano! ». Ahimè! Il Cristianesimo vero sta a questo Cristianesimo crociano, che ammette in certi casi la moralità del divorzio, del libero concubito e dell’antropofagia, come pressappoco l’Amore cristiano sta al libero amore del dissoluto. Ed ancora una volta noi ci domandiamo: è possibile che da simili teorie moderne, che giustificano ogni oscenità ed ogni delitto, possa venire la soluzione del problema morale? A rendere ancora più malagevole il compito di esporre la morale cristiana, si aggiunge finalmente la scarsa conoscenza della morale di Cristo, fra gli stessi credenti. Molti ignorano persino alcuni precetti della morale; moltissimi ignorano il motivo dei precetti. Comandi e divieti della legge etica ad alcuni appaiono cervellotici e non so quanti saprebbero giustificare gli stessi atti buoni che compiono. Ecco, ad esempio, le signore dei giorni nostri, che si stupiscono della lotta del Papa e dei Vescovi contro la moda sguaiata ed i balli immorali; ecco le domande di chi vorrebbe sapere il « perché » della purezza negli anni giovanili ed il « perché » la famiglia non debba essere profanata da vizi obbrobriosi; ecco parecchi Cristiani che mangiano di magro al venerdì, ma non conoscono affatto la ragione per cui la Chiesa impone l’astinenza ed i digiuni; ecco le deliziose pretese di chi crede che la morale cristiana abbia diritto di esistere solo fra le pareti del tempio, mentre fuori, nella vita sociale, nell’economia, nella politica, nella scuola e nell’arte, deve regnare un’altra morale, tutta differente e magari opposta alla prima. Purtroppo, se è immensa l’ignoranza dei dogmi, più vastane più profonda ancora è l’ignoranza della morale; ed il peggio è che tutti si stimano sufficientemente istruiti in materia! Almeno, per ciò che si riferisce al contenuto dogmatico della rivelazione, il credente, ignaro di teologia, rifugge dal dissertare intorno al mistero della Trinità, o alla processione dello Spirito Santo dal Padre e dal Figlio; ma, in morale, tutti si giudicano competenti e scambiano l’amore soprannaturale di Dio e del prossimo con l’amore che per Dio e per il prossimo avremmo avuto in un puro ordine di natura. – La vita pagana che ci circonda, le nubi causate dai sistemi filosofici, l’ignoranza di molti Cristiani in fatto di morale creano mille ostacoli a chi vuol esporre ed inculcare la morale cristiana, tanto più se non vuol racchiuderla in quattro tesi, esattamente formulate, ma necessariamente fredde, o se non vuole spaziare in quel commento dei singoli comandamenti di Dio e dei precetti della Chiesa, che ci dànno i nostri grandi trattatisti di teologia morale, guidati da un santo geniale, sant’Alfonso de’ Liguori, commento necessario, che però presuppone la conoscenza dell’idea-madre della morale di Cristo.

2. – Norme metodiche.

Poche parole riassumono il mio criterio direttivo: questo Sillabario vuol essere soltanto una semplice esposizione sistematica dei principi informatori della morale cristiana. Vi sono molti manuali nostri; vi sono opere egregie (basterà nche accenni alle migliori, quelle del Cathrein e del Tillmannn sulla filosofia morale, tradotte in parecchie lingue ed anche in italiano), dove si può trovare la descrizione dei singoli sistemi di etica, la loro confutazione ed il confronto fra essi e l’etica cristiana; altri volumi sono utilissimi, ma non rispondono alle finalità che io mi sono prefisso. La realtà è che molti ai giorni nostri conoscono a fondo la Critica della ragion pratica di Kant, i Ricordi di Marco Aurelio, il Manuale di Epitteto, le Lettere a Lucilio di Seneca: conoscono Epicuro e Hegel, Giove e Maometto; ma non hanno mai avuto la preoccupazione di esaminare da vicino la morale di Cristo. Un’esposizione semplice ed esatta, senza preoccupazioni d’indole filosofica, e che riguardo ai vari sistemi di etica si limiti ad accenni indispensabili per lumeggiare meglio con qualche raffronto il pensiero cristiano, può essere per loro provvidenziale. Soprattutto, però, io mi indirizzo ai credenti, a coloro che frequentano la Chiesa, ascoltano prediche, si accostano ai Sacramenti; e dico loro: « Questo Sillabario è per voi; meditatelo; forse vi rivelerà per la prima volta non i precetti e le leggi della morale cristiana, ma il loro spirito vivificatore. Forse la morale di Cristo voi la conoscete come un amico, col quale parlate, trattate, discutete, ma che solo avete potuto considerare alla superficie, e non mai avete colto in quell’intimità profonda del suo io e del suo carattere, la quale vi spiegherebbe ogni suo gesto, ogni atteggiamento, ogni sorriso ed ogni frase. Credete a me, che vi parlo in nome dell’esperienza: anche nel campo nostro, spesso si ignora ciò che sarebbe doveroso sapere per vivere cristianamente. E quando si vuol curare una simile piaga, si ricorre non di rado ad un rimedio stranissimo (che risponde al metodo dell’apologia per chi non sa nulla di dogma): si fa, cioè, l’esposizione e la critica di tutti gli altri sistemi di morale! Quale insulsaggine e quale pericolo! Sarebbe come se io avessi bisogno di nutrirmi e morissi di fame, e venisse uno che, invece di darmi subito del cibo buono, cominciasse a farmi gustare e sputare a terra tutti i veleni conosciuti, tanto per dimostrarmi che non sono pane nutriente. A questo modo, mi rovinerebbe il palato, ed io minaccerei di morire per denutrizione! ». Preferisco quindi un altro criterio. E mi spiego. La dottrina morale nostra è il cibo necessario per agire soprannaturalmente bene e per risolvere cristianamente il problema della vita. Invece di ammannire i diversi sistemi errati, ritengo sia indispensabile offrire il pane sicuro. Cominciamo ad avvicinarci a Cristo e ad apprendere da Lui l’insegnamento vitale: in venti secoli ha certamente plasmato più anime e suscitato più energie spirituali il Vangelo, che non tutti gli altri filosofi messi insieme. Non vi pare che io abbia ragione? Anzi, dirò sii più. Una segreta speranza mi sorride nel cuore. Quando avremo ben afferrato l’anima dell’etica cristiana e ne sentiremo il palpito e la coglieremo nella sua forza interiore e nel suo dinamismo, ognuno potrà dare uno sguardo, per conto proprio, ai diversi sistemi morali: ed un fenomeno impreveduto colpirà la nostra gente e ci canterà la verità: l’errore non sussisterebbe senza questo nucleo di vero, che lo rende affascinante e che seduce per un poco lo studioso. Tutte queste particelle di verità esagerate e deformate nei singoli sistemi, la morale cristiana le ha in sè sintetizzate in un mirabile organismo e le integra, le coordina e le vivifica. Se giungeremo a questa conclusione, quale prova intrinseca non avremo mai raggiunto della verità della dottrina nostra! Ad una esposizione soltanto, dunque, io miro con tutti i miei sforzi; ma — soggiungo — ad una esposizione sistematica, che ci faccia intendere la morale cristiana nella sua unità organica. – Tre, di conseguenza, sono gli intenti che mi sono prefisso:

a) La morale cristiana è una pianta, che ha come radice il dogma. Chi volesse capire quella, prescindendo da questo, è un superficiale. E di superficiali, che del Vangelo vorrebbero ritenere i precetti dell’Amore, sacrificando la loro base dogmatica, è pieno il mondo. Il sentimentalismo, imperante anche là dove meno lo si penserebbe, ha messo in voga l’ammirazione per il Sermone della montagna, ma non per la Trinità, per l’incarnazione, per il Calvario, e per l’inferno. « Dalle regioni dell’idea e dei principi — osserva energicamente il P. Giuseppe Tissot nella sua classica operetta La vita interiore semplificata e richiamata al suo fondamento — si è discesi al basso livello delle emozioni e dei sensi. Nella vita pubblica come nella privata, nella vita intellettuale come nella vita morale, nella vita spirituale stessa si cercano troppo sovente le emozioni, si vive troppo facilmente dei sensi. La vita tende ad animalizzarsi e a non essere più che una serie di sensazioni ». Le lacrimucce dei cuoricini teneri tentano di sostituire il soprannaturale; la sdolcinatezza ingannatrice illude molte anime e le persuade di essere seguaci della austera severità della Croce, quando non sono se non le vittime inconsce dei fumi del sentimento. Dobbiamo, a questo punto, confessare la verità dura, insieme con questo uomo di Dio non sospetto, quale è il Tissot. – La colpa del male è « di quei libri di pietà, che pullulano da ogni parte, e la cui scienza consiste nel muover la sensibilità. Guarir l’anima con emozioni, allorché il male è nell’intelligenza!… Veramente è voler guarire una malattia di petto con un po’ d’unguento sul piede! È tutto lì il valore di quei libri. Chi ci ridarà la parte teologica delle grandi età di fede?… È davvero il caso di domandarsi se il fiore, ahimè!, troppo fecondo, della letteratura sentimentale in fatto di pietà, non sia un flagello altrettanto disastroso, quanto la letteratura immonda, che ci insozza coi suoi successi osceni. Poiché, alla fin fine, il libro immondo non si rivolge che alle anime che gracidano nelle paludi. Ma i libri di pietà si rivolgono a quelle anime superiori, a cui Dio ha affidato la missione di attirare in alto e di sollevare i popoli. Forse che non portano un contraccolpo più esteso, più terribile alla società questi libri che sminuiscono e fanno intristire le anime, le quali non potranno più sollevare, perché esse medesime non si elevano?… Sono i dogmi che fanno i popoli, scrisse il De Bonald; ed è questa una delle più profonde sentenze del profondo pensatore. Se essi fanno i popoli, fanno pure gli individui. « Io non cesserò di dirlo come di crederlo — nota il De Maistre, altro gran pensatore —; l’uomo non vale se non per quello che crede. È l’indebolimento della verità, che porta in mezzo agli uomini la scomparsa della santità ». – Bisogna avere anche il coraggio di aggiungere che talvolta, persino nelle nostre chiese, si incontra qualche predicatore che casca nell’identico difetto. Talvolta non si riesce a distinguere certe prediche cristiane dai discorsi di un filosofo sulla bontà, sul dovere, sulle virtù. Spiegano ed illustrano ottime cose, che però uno stoico antico e moderno potrebbe ripetere; sembrano gli araldi non di una morale cristiana, ma puramente d’una morale umana. Il dogma, il soprannaturale esula da questi sermoni, che potrebbero definirsi conferenze quasi filosofiche per gli stomachi deboli, rese brillanti da voli oratori e da scene sentimentali. Tali metodi bisogna lasciarli alle varie Unions pour raction morale, spuntate in Francia ed altrove e che col Desjardins e col Séailles rivolgevano a tutti l’invito di stringersi intorno ad un programma esclusivamente morale. Il Cattolico ed il protestante, colui che crede alla divinità di Cristo e colui che non crede, gli ammiratori di Buddha e di Confucio, gli adoratori di un Dio e l’ateo persuaso che il cielo sia vuoto, i propugnatori dell’immortalità dell’anima ed il positivista, dovrebbero allearsi, d’accordo tutti in un unico proposito: il dovere di riformare se stessi, di educare la propria coscienza, di sacrificarsi con abnegazione al bene degli altri uomini. – Dopo la prima grande guerra, la corrente capitanata dall’arcivescovo luterano di Upsala, il dott. Siiderblom, col grido: « For Life and Work, per la vita e per l’azione», raccolse a Stoccolma la Conferenza per l’Unione delle Chiese. Anche là la stessa illusione d’una morale non fondata sul dogma, che divenisse la piattaforma per riunire le varie sette protestanti, regnò nelle discussioni, coronate dal discorso del Principe ereditario di Svezia, che fra gli applausi dichiarò: « Questa Conferenza di cristianesimo pratico ha dimostrato nel modo più esauriente che l’unità delle credenze non è affatto necessaria per creare uno spirito di reciproca comprensione fra gli uomini». Noi a simili organizzazioni per l’azione morale ed a simile Cristianesimo pratico, non poggiati sulla verità e sul dogma, non crediamo; sono « nubi senz’acqua »; sono piante, ripeto, che possono apparire attraenti, ma prive di radici; sono scimmiottature grossolane. Nulla hanno a che fare con l’etica del Vangelo, la quale si innalza sul dogma ed è ispirata da esso.

b) Unita al dogma, la morale cristiana è da ripensarsi altresì nell’unità dei suoi comandamenti. Come in un albero molti sono i rami, le foglie, i fior ed i frutti, ma unico è l’albero ed unico è il soffio vitale che spiega la molteplicità delle sue manifestazioni, così nella morale nostra vi sono bensì molte leggi, dai comandamenti di Dio ai precetti della Chiesa; e non mancano utilissime illustrazioni e spiegazioni di ognuno di essi. Noi, però, in questo Sillabario non vogliamo fermarci al momento della molteplicità; vogliamo piuttosto risalire all’unità, che è la ragione ultima dei diversi imperativi categorici e dei consigli della morale di Cristo. Al termine di questo libro, dobbiamo vedere, ad es., con chiarezza, perché il furto è proibito, perché anche il pensiero disonesto è da condannarsi, perché dobbiamo evitare lo scandalo e fare elemosina al povero e via dicendo; ed ognuna di queste cose ci apparirà nell’organicità sistematica d’un tutto, dove si comprende il « perché » d’una proibizione, ovvero d’un comando o d’un consiglio. Non si confonda, quindi, lo scopo nostro col programma di altri lavori, lodevolissimi ed indispensabili, che fanno passare in ogni punto ed in ogni parola le tavole della legge di Mosè, le prescrizioni della Chiesa e così via. Noi non vogliamo scrutare, magari col microscopio, ramo per ramo, foglia per foglia, fiore per fiore, frutto per frutto; vogliamo invece penetrare nell’unità dell’organismo, per assistere al suo sviluppo ed alla sua perenne rinnovazione, nella conservazione del suo principio vitale.

c) Finalmente, un’altra esigenza di unità è richiesta da questo Sillabario. Quando nelle scuole del catecumenato dei primi secoli si preparava alla conversione un pagano e lo si orientava alla rigenerazione, non solo al catecumeno veniva insegnata, col dogma, la dottrina morale di Cristo, ma gliela si faceva praticare. Nel tempo che precedeva il Battesimo, il futuro Cristiano cominciava a vivere la nuova vita e metteva in atto la legge etica, che adagio adagio gli veniva spiegata. Era, questa, la miglior disposizione alla conversione è la dimostrazione più chiara della bellezza della fede. – Come oggi per la fisica e per la chimica, io entro in un laboratorio, faccio un esperimento, e, se l’esperimento riesce, resto sicuro d’una legge che regola la natura materiale, così per la morale, io entro nel laboratorio della vita, applico le norme dell’etica cristiana ed ho la prova sperimentale della sua bontà. In altre parole, per capir bene la morale cristiana bisogna viverla; e non senza grande sapienza il santo Curato d’Ars ai peccatori, che accorrevano a lui per proporgli dei dubbi contro la Religione, indicava l’inginocchiatoio e l’invitava dapprima a confessarsi. Purificati dalle loro colpe, venivano subito attratti dal fascino della morale e del Credo; e, vivendo secondo il nuovo programma, non dubitavano più. Non basta l’unità di dogma e di morale; non basta neppure l’unità organica delle varie parti della morale fra loro; occorre l’unità della dottrina morale con la vita vissuta: soltanto con questo metodo si può affrontare con sicurezza il problema che interessa ciascuno di noi, le famiglie, la scuola, la vita sociale, la patria, la Religione, la nostra eternità.

3. – Conclusione.

Il giovane israelita imparava gli elementi della sua lingua nazionale ed i grandi principi regolatori della sua condotta dal salmo 118. È il salmo acrostico od alfabetico, che venne definito l’abbecedario dei figli d’Israele e che, sotto svariate forme, svolgeva un solo pensiero: l’osservanza delle leggi divine. –

Felici gli uomini di condotta integra, che procedono secondo la legge del Signore. Felici quelli che ne osservano le istruzioni e con tutto il cuore cercano Lui, né punto commettono iniquità, ma camminano sulla via di Lui. . . . Osserverò sempre la tua legge, costantemente, fino all’ultimo, e riporrò le mie delizie nei tuoi comandamenti. da me tanto amati… Bramo da Te la salute, o Signore… I tuoi comandi non li ho dimenticati.

(Trad. di P. Vac.)

Noi vorremmo oggi che le coscienze giovanili e le anime tutte intonassero un altro salmo, il salmo della vita cristiana, la cui eco sarebbe più possente delle voci degli antichi leviti e dello squillo delle trombe d’argento, che ne accompagnavano i canti nel tempio di Gerusalemme. Questo Sillabario è un appello fraterno, perché l’inno si elevi.e si diffonda ovunque.

Riepilogo

Molti, oggi, fra i credenti e gli stessi increduli, sentono vivo il bisogno di conoscere e di approfondire la morale cristiana. L’esposizione di essa, però, presenta varie difficoltà, che solo si possono superare, seguendo un metodo opportuno.

1. Le difficoltà attuali che si incontrano nello studio della morale cristiana sono specialmente tre:

a) La morale viene facilmente compresa, quando è cantata dalla vita vissuta, non quando la si medita solo sulle pagine fredde d’un libro. Oggi, invece, la vita che ci circonda non ci ripete l’inno dell’etica cristiana, poiché: 1° alcuni vivono paganamente, senza neppure un soffio di idealità cristiana; 2° altri nella loro vita uniscono in un miscuglio obbrobrioso Cristianesimo e paganesimo; 3° spesso, anche nei buoni, si nota una impressionante incoerenza tra la morale che predicano e la vita che conducono.

b) La filosofia ha cercato di sostituire alla morale cristiana i surrogati dei suoi vari e variopinti sistemi; i quali, non solo sono praticamente inefficaci o dannosi, ma hanno anche diffuso un mondo di pregiudizi a proposito della morale cattolica. Simili pregiudizi, osannando le menti, hanno reso arduo il compito di mostrare ad esse, nella aia vera natura, la morale di Cristo.

c) Finalmente l’ignoranza della morale cristiana è quanto mai grave. Alcuni non ne conoscono i precetti; altri, e moltissimi, non ne sanno Io spirito vivificatore. E tutti credono di averne una nozione esatta e precisa.

2. Per rimediare a queste difficoltà, il presente Sillabario seguirà le norme metodiche seguenti:

a) non esporrà i singoli sistemi filosofici di etica;

b) non commenterà comandamento per comandamento la legge morale nostra.

a) si limiterà ad una esposizione della morale cristiana;

b) procurerà di offrire una esposizione sistematica di essa, tale cioè che appaia chiaramente:

1) l’unità fra la morale ed il dogma, come fra la pianta e le radici;

2) l’unità fra i vari comandamenti e precetti della morale, come fra i rami d’un albero;

3) l’unità che ci deve essere fra la dottrina morale e la vita nostra.

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA (3)

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (40): “Da BENEDETTO XV a PIO XII, 1914-1944”

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (41)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

(da BENEDETTO XV, a Pio XII, 1914-1944)

BENEDETTO XV: 3 settembre 1914 22 gennaio 1922.

Lett. Encycl. “Ad beatissimi Apostolorum”, 1 nov. 1914.

L’ambito della libera disputa teologica.

3625. Quindi, qualora la legittima autorità impartisca qualche ordine, a nessuno sia lecito trasgredirlo, perché non gli piace; ma ciascuno sottometta la propria opinione all’autorità di colui al quale è soggetto, ed a lui obbedisca per debito di coscienza. Parimenti nessun privato, o col pubblicare libri o giornali, ovvero con tenere pubblici discorsi, si comporti nella Chiesa da maestro. Sanno tutti a chi sia stato affidato da Dio il magistero della Chiesa; a lui dunque si lasci libero il campo, affinché parli quando e come crederà opportuno. È dovere degli altri prestare a lui, quando parla, ossequio devoto, ed ubbidire alla sua parola. – Riguardo poi a quelle cose delle quali — non avendo la Sede Apostolica pronunziato il proprio giudizio — si possa, salva la fede e la disciplina, discutere pro e contro, è certamente lecito ad ognuno di dire la propria opinione e di sostenerla. Ma in simili discussioni rifuggasi da ogni eccesso di parole, potendone derivare gravi offese alla carità; ognuno liberamente difenda la sua opinione, ma lo faccia con garbo, né creda di poter accusare altri di sospetta fede o di mancata disciplina per la semplice ragione che la pensa diversamente da lui.

3626. Nè soltanto desideriamo che i Cattolici rifuggano dagli errori dei Modernisti, ma anche dalle tendenze dei medesimi, e dal cosiddetto spirito modernistico; dal quale chi rimane infetto, subito respinge con nausea tutto ciò che sappia di antico, e si fa avido ricercatore di novità in ogni singola cosa, nel modo di parlare delle cose divine, nella celebrazione del sacro culto, nelle istituzioni cattoliche e perfino nell’esercizio privato della pietà. Vogliamo adunque che rimanga intatta la nota antica legge: «Nulla si innovi, se non ciò che è stato tramandato»; la quale legge, mentre da una parte deve inviolabilmente osservarsi nelle cose di Fede, deve dall’altra servire di norma anche in tutto ciò che va soggetto a mutamento, benché anche in questo valga generalmente la regola: «Non cose nuove, ma in modo nuovo».

Risposta della Commissione Biblica, 18 giugno 1915.

La seconda venuta di Cristo nelle Rpistole paoline.

3628. Domanda 1: Per risolvere le difficoltà incontrate nelle epistole di san Paolo e degli altri apostoli dove si parla della “Parousia“, come viene chiamata, o della seconda venuta di Nostro Signore Gesù Cristo, è lecito per l’esegeta cattolico affermare che gli Apostoli, pur non insegnando alcun errore sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, esprimano tuttavia sentimenti umani personali nei quali può insinuarsi l’errore o l’illusione? Risposta: no.

3629. Domanda 2: Data l’esatta nozione dell’ufficio apostolico, l’indubbia fedeltà di San Paolo alla dottrina del Maestro ed il dogma cattolico dell’ispirazione e dell’inerranza delle Sacre Scritture, in virtù del quale tutto ciò che lo scrittore sacro afferma, dichiara e insinua debba essere considerato come affermato, dichiarato ed insinuato dallo Spirito Santo; dopo uno studio attento e diretto dei testi delle Epistole dell’Apostolo, riconosciuti come perfettamente conformi al modo di parlare del Signore stesso, è necessario affermare che l’Apostolo Paolo non ha detto nulla nei suoi scritti che non fosse perfettamente conforme all’ignoranza del tempo della Parusia che Cristo stesso ha dichiarato essere propria degli uomini? Risposta: Sì.

3630. Domanda 3: Se consideriamo attentamente la frase greca “noi che siamo vivi e rimaniamo”, se teniamo conto anche delle spiegazioni dei Padri ed in particolare di Giovanni Crisostomo, così esperto nella conoscenza della sua lingua madre e delle Rpistole di san Paolo, è lecito respingere come troppo lontana e priva di solido fondamento l’interpretazione tradizionale nelle scuole cattoliche (che peraltro gli stessi innovatori cinquecenteschi mantennero) che spiega le parole di san Paolo nel capitolo 4 della prima lettera ai Tessalonicesi, versetti 15-17, (1Ts 4,15-17), senza includervi l’affermazione di una Parusia così vicina che l’Apostolo pone se stesso e i suoi lettori tra i superstiti che andranno incontro a Cristo? Risposta: No.

Decreto del Sant’Uffizio del 29 marzo (8 aprile) 1916.

Rifiuto di immagini raffiguranti Maria con paramenti sacerdotali.

3632. Poiché, soprattutto negli ultimi tempi, sono state dipinte e diffuse immagini raffiguranti la Beata Vergine Maria in paramenti sacerdotali,… i cardinali… hanno deciso il 15 gennaio 1913: l’immagine della Beata Vergine Maria in paramenti sacerdotali deve essere respinta.

Risposta della Sacra Penitenzieria, 3 aprile 1916.

L’uso onanistico del matrimonio.

3634. Domanda: Può una moglie collaborare all’azione del marito che, per abbandonarsi alla voluttà, vuole commettere il crimine di Onan e dei Sodomiti e che la minaccia di morte o di gravi danni se non si adegua? Risposta: a) Se il marito vuole commettere il crimine di Onan nella consuetudine del Matrimonio, spargendo il seme al di fuori del recipiente dopo l’inizio dell’unione, e minaccia la moglie di morte o di gravi pene se non cede alla sua volontà perversa, secondo l’opinione di teologi provati e sperimentati, ella può in questo caso unirsi al marito in questo modo, poiché da parte sua si sta abbandonando ad una cosa e a un’azione lecita, ma permette il peccato del marito per un motivo serio che lo giustifichi; Infatti, l’amore con cui sarebbe tenuta a impedirlo non è vincolante quando è legato ad un tale danno. b) Ma se il marito vuole commettere con lei il crimine dei sodomiti, dato che questa unione sodomitica è un atto innaturale da parte di ciascuno dei coniugi che si uniscono in questo modo, e un atto gravemente malvagio secondo il giudizio di tutti i dottori, la moglie non può in questo caso cedere lecitamente al marito immorale per nessuna ragione, nemmeno per evitare la morte.

Risposta del Sant’Uffizio a vari Ordinari locali, 17 maggio 1916.

Gli ultimi Sacramenti per gli scismatici.

3635. Domanda 1: Si possono conferire questi Sacramenti, senza abiurare i propri errori, agli scismatici materiali che sono in punto di morte e che chiedono in buona fede l’assoluzione o l’estrema unzione? Risposta: No; al contrario, si richiede che rifiutino gli errori nel miglior modo possibile e che facciano una professione di fede.

3636. Domanda 2: L’assoluzione e l’Estrema Unzione possono essere conferite agli scismatici in punto di morte e privi di sensi? Risposta: Sì, condizionatamente, soprattutto se le circostanze permettono di ipotizzare che essi abbiano almeno implicitamente rigettato i loro errori, ma evitando efficacemente ogni scandalo, cioè facendo capire ai presenti che la Chiesa presume che all’ultimo momento essi siano tornati all’unità.

Risposta della Sacra Penitenzieria, 3 giugno 1916.

L’uso onanistico del matrimonio con mezzi artificiali.

3638. Domande: 1. Se il marito vuole usare uno strumento per praticare l’onanismo, la moglie è obbligata a opporsi positivamente?

3639. 2. Se la risposta è negativa per giustificare la resistenza passiva da parte della moglie, sono sufficienti ragioni dello stesso peso dell’onanismo naturale (senza strumento) o sono assolutamente necessarie ragioni di maggior peso?

3640 3. Se l’intero argomento deve essere sviluppato e insegnato in modo più sicuro, l’uomo che fa uso di tali strumenti deve davvero essere equiparato ad uno stupratore, al quale la donna deve quindi opporre la stessa resistenza di una vergine all’intruso? Risposte: Per 1. sì. – Per 2. Trattata al punto 1 – Per il punto 3. Sì.

Risposta del Sant’Uffizio, 24 aprile 1917.

Spiritismo.

3642. Domanda: È lecito assistere a colloqui o manifestazioni spiritiche, con un medium come si dice, o senza medium, con o senza l’uso dell’ipnotismo, anche quando queste sedute presentano un’apparenza di onestà e di pietà, interrogando le anime o gli spiriti, ascoltando la loro risposta, o semplicemente assistendo, anche protestando tacitamente o espressamente di non voler avere rapporti con gli spiriti maligni? Risposta (confermata dal Sommo Pontefice il 26 aprile): No su tutti i punti.

Decreto del Sant’Uffizio, 5 giugno 1918.

La scienza dell’anima di Cristo.

3645. Domanda: Si possono insegnare con certezza le seguenti proposizioni? 1) Non è certo che ci fosse nell’anima di Cristo, mentre viveva tra gli uomini, la conoscenza che i beati possiedono in visione.

3646. (2) Non si può dichiarare certa l’opinione che l’anima di Cristo non conoscesse nulla, ma che fin dall’inizio conoscesse tutte le cose del Verbo, passate, presenti e future, cioè tutto ciò che Dio conosce attraverso la scienza della visione.

3647. (3) La dottrina di alcuni moderni sulla scienza limitata dell’anima di Cristo non è meno accettabile nelle scuole cattoliche dell’opinione degli antichi sulla sua scienza universale.

Risposta (confermata dal Sommo Pontefice il 6 giugno): no.

Risposta del Sant’Uffizio, 16 (18) luglio 1919.

Dottrine teosofiche.

Domanda: Le dottrine che oggi si chiamano teosofiche possono essere messe d’accordo con la dottrina cattolica, ed è quindi lecito appartenere a società teosofiche, essere presenti alle loro riunioni e leggere i loro libri, riviste, giornali e scritti?

Risposta (confermata dal Sommo Pontefice il 17 luglio): no su tutti i punti.

Enciclica “Spiritus Paraclitus“, 15 settembre 1920.

L’ispirazione della Sacra Scrittura.

3650. Infatti, non si troverà pagina negli scritti del grandissimo dottore (Girolamo) da cui non emerga che con tutta la Chiesa Cattolica egli abbia fermamente e costantemente sostenuto che i libri scritti sotto l’ispirazione dello Spirito Santo hanno Dio come autore, e che come tali sono stati trasmessi alla Chiesa stessa (cf. 3006). Egli afferma, infatti, che i libri della Sacra Scrittura siano stati composti sotto l’ispirazione, o la suggestione o l’insinuazione, o addirittura sotto la dettatura dello Spirito Santo; inoltre, che è stato Lui a scriverli e a pubblicarli; e non dubita affatto che i vari autori, ciascuno secondo il proprio carattere ed il proprio ingegno, abbiano liberamente prestato il loro aiuto all’ispirazione divina. Così non solo afferma in modo generale ciò che è comune a tutti gli scrittori sacri, cioè che nello scrivere hanno seguito lo Spirito di Dio, in modo che Dio debba essere ritenuto la causa principale di ogni pensiero e di tutte le affermazioni della Scrittura, ma discerne anche con attenzione ciò che sia particolare per ciascuno. … Girolamo illustra questa comunanza di lavoro tra Dio e l’uomo in vista della realizzazione di una stessa opera paragonandola ad un operaio che, per realizzare un oggetto, si serve di un attrezzo o di uno strumento. …

PIO XI: 6 Febbraio 1922-10 febbraio 1939.

Decreto del Sant’Uffizio, 22 novembre 1922.

L’atto sessuale coitus interrumptus.

3660. Domande: 1 – È lecito che i confessori stessi insegnino la pratica dell’atto sessuale semicompleto e la raccomandino indistintamente a tutti i penitenti che temono di avere troppi figli?

3661. 2 – Deve essere biasimato il confessore che, dopo aver tentato invano tutti i rimedi per allontanare da questo male un penitente che abusa del Matrimonio, gli insegni a praticare l’atto sessuale a metà per evitare qualsiasi peccato mortale?

3662. (3) – Deve essere biasimato il confessore che, nelle circostanze descritte al punto (2), consigli al penitente di praticare l’atto sessuale semicompleto di cui è a conoscenza, o che, alla domanda se questa pratica sia lecita, risponda semplicemente che sia lecita, senza alcuna restrizione o spiegazione? Risposta (confermata dal Sommo Pontefice il 23 novembre): Per 1. no. – Per 2. e 3. Sì.

Enciclica “Studiorum ducem“, 29 giugno 1923.

L’autorità dell’insegnamento di Tommaso d’Aquino.

3665. Da parte Nostra, ordiniamo che le prescrizioni dei Nostri predecessori, in particolare Leone XIII e Pio X, nonché le direttive da Noi impartite l’anno scorso, (cf. 3139; 3601) siano attentamente meditate e scrupolosamente osservate da tutti coloro che occupano specialmente le cattedre più importanti nelle scuole clericali. Siano però convinti di adempiere al loro ufficio e di rispondere alle nostre aspettative se, dopo essersi fatti ferventi discepoli del santo Dottore con uno studio diligente ed approfondito dei suoi scritti, comunichino ai loro alunni il fervore di questo amore commentando il Dottore, e li rendano capaci di suscitare lo stesso zelo negli altri.

3666. Certamente speriamo che tra coloro che venerano San Tommaso – come dovrebbero fare tutti i figli della Chiesa che si dedicano ai migliori studi – ci sia quella nobile emulazione, rispettosa di una giusta libertà, che favorisca il progresso della scienza, ma non la denigrazione, che non giova alla verità e che ha come unico risultato quello di sciogliere i legami della carità. Si attengano dunque tutti fedelmente a quanto prescrive il Codice di Diritto Canonico (CIS 1366 Par. 2), e cioè che “nello studio della filosofia razionale e della teologia, come pure nell’insegnamento di queste scienze agli alunni, i maestri seguano in tutto il metodo, la dottrina e i principi del Dottore Angelico, e si faranno un dovere di coscienza di aderirvi”; e tutti osserveranno questa regola, in modo da poterlo chiamare il loro maestro in tutta verità.

3667. Ma nessuno pretenda da un altro più di quanto la Chiesa, madre e maestra di tutti, pretenda da tutti; e nelle questioni su cui i migliori scrittori delle scuole cattoliche sono soliti disputare secondo opinioni contrarie, nessuno deve essere impedito di seguire l’opinione che gli sembri più probabile.

Lettera apostolica “Infinita Dei misericordia“, 29 maggio 1924.

La rinascita dei meriti e dei doni.

3670. Durante l’anno sabbatico, gli Ebrei recuperavano i beni che avevano alienato e tornavano “alla loro proprietà”; gli schiavi riacquistavano la libertà e tornavano “alla loro famiglia d’origine” (Lv XXV,10); e i debitori ricevevano la remissione del debito: ora tutto questo avviene e si verifica presso di noi in modo ancora più abbondante nell’anno del perdono. Infatti, chi durante il Giubileo si attiene alle prescrizioni della Sede Apostolica con cuore contrito, recupera tutti i meriti e le grazie che il peccato gli ha fatto perdere; e viene liberato dalla crudele tirannia di satana per poter godere nuovamente della libertà “con la quale Cristo ci ha liberati” (Ga IV,31); infine, grazie all’applicazione dei sovrabbondanti meriti di Gesù Cristo, della Beata Vergine Maria e dei Santi, viene pienamente esonerato da tutte le pene subite per le sue colpe e mancanze.

Decreto della Sacra Congregazione del Concilio, 13 giugno 1925.

Quasi-duelli conosciuti come Bestimmungs-Mensuren.

3672. Domanda: Le dichiarazioni della Sacra Congregazione del Concilio del 1890 (9 agosto) e del 1923 (10 febbraio), con le quali i duelli studenteschi in uso nelle università tedesche e chiamati Bestimmungs-Mensuren sono punibili con sanzioni ecclesiastiche, riguardano – secondo l’opinione di alcuni autori recenti – solo i duelli in cui si combatte con il pericolo di ferite molto gravi, o comprendono anche quelli che si svolgono senza pericolo di ferite gravi?

Risposta (approvata dal Sommo Pontefice il 20 giugno): No al primo punto, sì al secondo.

Enciclica “Quas primas“, 11 dicembre 1925.

La dignità ed il potere regale di Cristo uomo.

3675. Che Cristo sia chiamato “Re” in senso metaforico, per quell’alto grado di eccellenza con cui si distingue tra tutte le creature e le supera, è un’usanza che è sempre esistita ed è comune. Così si dice che egli regni sulle menti degli uomini…, e anche sulle volontà degli uomini… . Infine, Cristo è riconosciuto come il Re dei cuori… Tuttavia, per approfondire il nostro argomento, non c’è nessuno che non veda che il nome ed il potere di un re, nel senso proprio del termine, debbano essere attribuiti a Cristo nella sua umanità; infatti, è solo in quanto uomo che si può dire che abbia ricevuto potere e onore dal Padre.., poiché il Verbo di Dio, in quanto della stessa sostanza del Padre, non può non avere tutto in comune con il Padre, e quindi anche la sovranità suprema e più assoluta su tutte le creature. (Si dimostra poi dalle Scritture che Cristo sia Re; si fa riferimento in particolare a Num 24,19 Sal II, Sal XLIV,7; Sal LXXI,7 ss. Is 9,6 Ger XXIII,5 ss. Zac IX,9 Lc 1,32 ss.

3676. Quanto al fondamento di questa dignità e di questo potere, è felicemente indicato da Cirillo di Alessandria: “Per dirla in una parola, la sovranità che Egli possiede su tutte le creature, non l’ha presa con la forza, non l’ha ricevuta da una mano estranea, ma l’ha avuta per la sua essenza e per la sua natura”; la sua preminenza riposa infatti su questa mirabile unione che è chiamata ipostatica. Ne consegue non solo che Cristo debba essere adorato dagli Angeli e dagli uomini in quanto Dio, ma anche che gli Angeli e gli uomini debbano obbedire alla sua autorità ed essergli sottomessi in quanto uomo, perché solo in virtù dell’unione ipostatica Cristo ha potere su tutte le creature. Ma cosa c’è di più delizioso e soave per i nostri pensieri di questo: che Cristo regni su di noi non solo per diritto di nascita, ma anche per diritto acquisito, cioè perché ci ha redenti (cf. 3352)? Che tutti gli uomini smemorati ricordino quale prezzo siamo costati al nostro Salvatore: “Non siete stati infatti riscattati con oro e argento corruttibili… ma con il sangue prezioso di Cristo, come di un agnello senza macchia né difetto” (1P 1,18ss). Non apparteniamo più a noi stessi, poiché Cristo ci ha riscattati “a caro prezzo” (1Co VI:20) ; i nostri corpi stessi “sono membra di Cristo” (1Co IV: 15).

3677. Ma per spiegare brevemente il significato e la natura di questa regalità, è quasi superfluo dire che essa consista in un triplice potere, senza il quale la regalità sarebbe difficile da concepire. … Dobbiamo credere nella fede cattolica che Cristo Gesù sia stato dato agli uomini come il Redentore a cui debbano prestare fede, e allo stesso tempo come il Legislatore a cui debbano obbedire (cf. 1571). I Vangeli, tuttavia, non lo mostrano come Colui che abbia emanato leggi, ma piuttosto come il Legislatore. … – Quanto al potere giudiziario ricevuto dal Padre, Gesù stesso disse ai Giudei che lo accusavano di aver violato il riposo del sabato guarendo miracolosamente un malato: “Il Padre non giudica nessuno, ma ha dato ogni giudizio al Figlio” (Gv V,22). In questo si comprende anche – perché non possa essere separato dal giudizio – che Egli ha il pieno diritto di distribuire premi e castighi agli uomini, anche durante la loro vita. D’altra parte, è necessario attribuire a Cristo anche questo potere che viene chiamato esecutivo, poiché è necessario che tutti obbediscano al suo impero, con le punizioni che si dice saranno inflitte a coloro che si ribellano, e alle quali nessuno potrà sfuggire.

3678. Tuttavia, questo regno è principalmente spirituale e si estende alle realtà spirituali, come dimostrano chiaramente le parole della Scrittura che abbiamo riportato sopra, e come dimostra anche Cristo Signore nel modo in cui agisce. Infatti, non solo in un’occasione, quando i Giudei e persino gli stessi Apostoli pensavano che il Messia avrebbe condotto il popolo alla libertà e restaurato il regno di Israele, egli stesso eliminò e distrusse questa illusione e questa speranza. Quando stava per essere proclamato re dalla folla di ammiratori che lo circondava, rifiutò sia il titolo che l’onore andandosene e nascondendosi; davanti al governatore romano dichiarò di nuovo che il suo regno non fosse “di questo mondo” (Gv XVIII,36). I Vangeli ci presentano questo regno come un regno in cui ci si prepari ad entrare facendo penitenza, ed in cui nessuno possa entrare se non attraverso la fede ed il Battesimo, che, pur essendo un rito esterno, rappresenta e realizza una rigenerazione interiore. Si oppone unicamente al regno di satana ed al potere delle tenebre, ed ai suoi seguaci viene chiesto non solo di staccare il cuore dalle ricchezze e dai beni terreni, di praticare la mitezza e di avere fame e sete di giustizia, ma anche di rinunciare a se stessi e di prendere la propria croce. Ma poiché Cristo, come Redentore, ha acquistato la Chiesa con il suo sangue, e poiché come Dacerdote è offerto e si offre perennemente come vittima per i peccati, chi non vede che la stessa carica regale assuma la natura di questi due uffici e vi partecipi?

3679. Inoltre, sarebbe un errore ignominioso negare a Cristo uomo qualsiasi sovranità sulle società civili, poiché Egli ha dal Padre il diritto più assoluto sulle creature, dato che tutte le cose sono sotto il suo giudizio. Tuttavia, finché è vissuto sulla terra, si è astenuto completamente dall’esercitare questo dominio, e come allora ha disdegnato il possesso e la cura dei beni umani, così oggi li ha permessi e li permette a chi li possiede. Il che è detto nel modo più bello in questo detto: “Non rapisce regni mortali, Colui che dà regni eterni”. Perciò l’impero del nostro Redentore abbraccia l’intera umanità; a questo proposito facciamo volentieri nostre le parole del nostro predecessore di immortale memoria: “Manifestamente il suo impero non si estende solo alle nazioni che portano il nome di cattoliche, o a coloro che, essendo stati battezzati, appartengono alla Chiesa se consideriamo la legge, anche se l’errore delle loro opinioni li porti fuori strada da essa, o se il dissenso li separi dalla carità; ma abbraccia anche tutti coloro che sono considerati fuori dalla fede cristiana, in modo che è in stretta verità l’universalità del genere umano che è soggetto al potere di Gesù Cristo” (cf. 3350). E a questo proposito non c’è bisogno di fare alcuna differenza tra le diverse comunità domestiche o civili, perché gli uomini riuniti in società non sono meno soggetti al potere di Cristo dei singoli individui. Lo stesso Cristo è la fonte della salvezza sia privata che comune: “Non c’è salvezza in nessun altro e non è stato dato agli uomini nessun altro nome sotto il cielo che si debba invocare per essere salvati” (At IV,12).

Istruzione del Sant’Uffizio, 19 giugno 1926.

Cremazione dei corpi.

3680. Poiché vi sono molti, anche tra i Cattolici, che non esitano a celebrare questa barbara usanza che ripugna non solo alla pietà cristiana, ma anche a quella naturale verso i corpi dei defunti, e che la Chiesa, fin dall’inizio, ha costantemente proscritto, come uno dei più lodevoli vantaggi che dobbiamo al progresso civile di oggi, come si dice, e alla conoscenza della protezione della salute,… (i fedeli devono essere avvertiti) che questa cremazione dei cadaveri è lodata e propagata dai nemici del nome cristiano al solo scopo di allontanare gradualmente le menti dalla mediazione della morte, di privarle della speranza nella resurrezione dei morti e di preparare così la strada al materialismo. Di conseguenza, sebbene la cremazione dei cadaveri non sia in sé assolutamente malvagia, e sebbene in alcune circostanze straordinarie, per gravi e consolidate ragioni di interesse pubblico, possa essere autorizzata, e di fatto lo è, non è meno evidente che la sua pratica comune e in qualche modo sistematica, così come la propaganda a suo favore, costituiscono atti empi e scandalosi, e sono quindi gravemente illeciti.

Dichiarazione del Sant’Uffizio, 2 giugno 1927.

Il “Comma Johanneum

3681. Domanda Si può negare o almeno dubitare con certezza dell’autenticità del testo di San Giovanni nella prima epistola, capitolo 5, versetto 7, che dice: “Tre infatti sono i testimoni nei cieli: il Padre, il Verbo e lo Spirito Santo, e questi tre sono uno”? (1Gv V,7) Il 13 gennaio 1897, il Sant’Uffizio ha dato la seguente risposta alla domanda: No. Nella dichiarazione del 2 giugno 1927, il Sant’Uffizio ha affrontato nuovamente la questione:

3682. Questo decreto è stato dato per frenare l’audacia dei dottori privati che si arrogano il diritto o di rifiutare completamente l’autenticità del Comma Johanneum, o almeno di metterlo in dubbio con il loro ultimo giudizio. Tuttavia, non intendeva in alcun modo impedire agli autori cattolici di approfondire la questione e, dopo aver soppesato attentamente le argomentazioni con la misura e con la gravità che la questione richiede, possano propendere per una concezione contraria all’autenticità, purché almeno si riconoscano disposti a conformarsi al giudizio della Chiesa, che ha ricevuto da Cristo il mandato non solo di interpretare la Sacra Scrittura, ma anche di custodirla fedelmente.

Lett.Encycl. “Mortalium animos”. 6 genn. 1928.

3683. … inoltre in materia di fede, non è lecito ricorrere a quella differenza che si volle introdurre tra articoli fondamentali e non fondamentali, quasi che i primi si debbano da tutti ammettere e i secondi invece siano lasciati liberi all’accettazione dei fedeli. La virtù soprannaturale della fede, avendo per causa formale l’autorità di Dio rivelante, non permette tale distinzione. Sicché tutti i cristiani prestano, per esempio, al dogma della Immacolata Concezione la stessa fede che al mistero dell’Augusta Trinità, e credono all’Incarnazione del Verbo non altrimenti che al Magistero infallibile del Romano Pontefice, nel senso, naturalmente, determinato dal Concilio Ecumenico Vaticano. Né per essere state queste verità con solenne decreto della Chiesa definitivamente determinate, quali in un tempo quali in un altro, anche se a noi vicino, sono perciò meno certe e meno credibili? Non le ha tutte rivelate Iddio? Il Magistero della Chiesa — che per divina Provvidenza fu stabilito nel mondo affinché le verità rivelate si conservassero sempre incolumi, e facilmente e con sicurezza giungessero a conoscenza degli uomini, — benché quotidianamente si eserciti dal Romano Pontefice e dai Vescovi in comunione con lui, ha però l’ufficio di procedere opportunamente alla definizione di qualche punto con riti e decreti solenni, se accada di doversi opporre più efficacemente agli errori e agli assalti degli eretici, oppure d’imprimere nelle menti dei fedeli punti di sacra dottrina più chiaramente e profondamente spiegati. Però con questo uso straordinario del Magistero non si introducono invenzioni né si aggiunge alcunché di nuovo al complesso delle dottrine che, almeno implicitamente, sono contenute nel deposito della Rivelazione divinamente affidato alla Chiesa, ma si dichiarano i punti che a parecchi forse ancora potrebbero sembrare oscuri, o si stabiliscono come materia di fede verità che prima da taluno si reputavano controverse.

Decr. del Sant’Uffizio, 24 luglio (2 agosto) 1929.

Masturbazione diretta.

3684. È lecita la masturbazione provocata direttamente per ottenere lo sperma e quindi individuare la malattia contagiosa chiamata “blenorragia” e curarla per quanto possibile? – Risposta (confermata dal Sommo Pontefice il 26 luglio) No.

Let. Encycl. “Divini illius magistri”, 31 dic. 1929.

3685. [Dz 2202]. Poiché ogni metodo di educazione mira a quella formazione dell’uomo che egli deve acquisire in questa vita mortale, per raggiungere il fine ultimo a lui destinato dal Creatore, è evidente che non può chiamarsi veramente tale nessuna educazione che non sia interamente ordinata a questo fine ultimo, nell’ordine attuale delle cose stabilito dalla provvidenza di Dio, cioè dopo che Egli si è rivelato nel suo Unigenito, che solo è “la via, la verità e la vita” (Gv XIV,6), non può esistere un’educazione piena e perfetta se non quella che si chiama cristiana. . . .

3685. [Dz 2203] Il compito di educare non appartiene ai singoli uomini, ma necessariamente alla società. Ora, le società necessarie sono tre, distinte l’una dall’altra, ma armoniosamente combinate per volontà di Dio, alle quali l’uomo è assegnato fin dalla nascita; di queste, due, cioè la famiglia e la società civile, sono di ordine naturale; la terza, la Chiesa, per intenderci, è di ordine soprannaturale. La vita familiare occupa il primo posto e, poiché è stata istituita e preparata da Dio stesso per questo scopo, per prendersi cura della generazione e dell’educazione della prole, per sua natura e per i suoi diritti intrinseci ha la priorità sulla società civile. Tuttavia, la famiglia è una società imperfetta, perché non è dotata di tutte quelle cose con cui può raggiungere perfettamente il suo nobilissimo scopo; ma l’associazione civile, poiché ha in suo potere tutte le cose necessarie per raggiungere il fine a cui è destinata, cioè il bene comune di questa vita terrena, è una società assoluta sotto tutti i punti di vista e perfetta; per questo stesso motivo, quindi, è preminente rispetto alla vita familiare, che in effetti può realizzare il suo scopo in modo sicuro e corretto solo nella società civile. Infine, la terza società, in cui l’uomo con le acque del Battesimo entra in una vita di grazia divina, è la Chiesa, sicuramente una società soprannaturale che abbraccia tutto il genere umano; perfetta in se stessa, poiché tutte le cose sono a sua disposizione per raggiungere il suo fine, cioè la salvezza eterna dell’uomo, e quindi suprema nel suo stesso ordine. – Di conseguenza, l’educazione, che si occupa di tutto l’uomo, dell’uomo individualmente e come membro della società umana, sia essa stabilita nell’ordine della natura o nell’ordine della grazia divina, riguarda queste tre società necessarie, in modo armonioso secondo il fine proprio di ciascuna, in proporzione all’ordine attuale divinamente stabilito.

3686. [Dz 2204]. Ma in primo luogo, in modo più preminente, l’educazione spetta alla Chiesa, cioè per un duplice titolo nell’ordine soprannaturale che Dio ha conferito a lei sola; e quindi con un titolo del tutto più potente e più valido di qualsiasi altro titolo dell’ordine naturale. – La prima ragione di tale diritto risiede nella suprema autorità del Magistero e nella missione che il divino Fondatore della Chiesa le ha conferito con queste parole: “A me è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque ad insegnare… fino alla consumazione del mondo” (Mt XXVIII,18-20). A questo Magistero Cristo Signore ha conferito l’immunità dall’errore, insieme al comando di insegnare a tutti la Sua dottrina; pertanto, la Chiesa “è stata istituita dal suo divino Fondatore come colonna e fondamento della verità, per insegnare a tutti gli uomini la fede divina, per custodire integro e inviolato il deposito che le è stato dato, e per dirigere e modellare gli uomini nelle loro azioni pubbliche e private verso la purezza dei costumi e l’integrità della vita, secondo la norma della dottrina rivelata”. * – La seconda ragione del diritto deriva da quel dovere soprannaturale di madre, con il quale la Chiesa, purissima sposa di Cristo, dona agli uomini una vita di grazia divina, e la nutre e promuove con i suoi Sacramenti e precetti. Degnamente, quindi, Sant’Agostino dice: “Non avrà Dio come padre chi non sarà disposto ad avere la Chiesa come madre”. *

3687. [Dz 2205] Perciò la Chiesa promuove le lettere, le scienze e le arti, nella misura in cui sono necessarie o utili all’educazione cristiana e a tutte le sue attività per la salvezza delle anime, fondando e sostenendo le sue scuole e istituzioni, nelle quali si insegna ogni disciplina e ci si avvicina a tutti i gradi dell’erudizione. E non si deve pensare che la cosiddetta educazione fisica sia estranea al suo Magistero materno, poiché anch’essa ha la capacità di giovare o nuocere all’educazione cristiana. – E questa azione della Chiesa in ogni tipo di cultura della mente, così come è di altissimo beneficio per le famiglie e le nazioni che, allontanate da Cristo, corrono verso la distruzione, – come dice giustamente Ilario: “Cosa può essere così pericoloso per il mondo come non aver accettato Cristo?”. *—La Chiesa, infatti, come madre prudentissima, non impedisce affatto che le sue scuole e le sue istituzioni, in ogni nazione, che educano i laici, si conformino alle leggi prescritte dalle autorità, ma è pronta in ogni modo a collaborare con le autorità e, se per caso dovessero sorgere delle difficoltà, a scioglierle con una reciproca intesa.

3688. Inoltre, è diritto della Chiesa, che non può cedere, e dovere che non può abbandonare, di vigilare su tutta l’educazione che viene impartita ai suoi figli, cioè ai fedeli, sia nelle istituzioni pubbliche che in quelle private, non solo per quanto riguarda la dottrina religiosa che vi viene insegnata, ma anche per quanto riguarda ogni altra disciplina o disposizione di affari, secondo che abbiano qualche relazione con la Religione e i precetti morali. *

3689. [Dz 2206] I diritti della famiglia e dello Stato, persino gli stessi diritti che appartengono ai singoli cittadini in riferimento alla giusta libertà di investigare le cose della scienza e dei metodi della scienza, e di ogni cultura profana della mente, non solo non sono in contrasto con tale diritto speciale della Chiesa, ma sono addirittura in armonia con esso. Infatti, per far conoscere subito la causa e l’origine di tale concordia, l’ordine soprannaturale, da cui dipendono i diritti della Chiesa, lungi dal distruggere e indebolire l’ordine naturale, a cui appartengono gli altri diritti che abbiamo menzionato, piuttosto lo eleva e lo perfeziona; infatti, di questi ordini uno fornisce l’aiuto e, per così dire, il complemento all’altro, coerentemente con la natura e la dignità di ciascuno, poiché entrambi procedono da Dio, che non può essere incoerente con se stesso: “Le opere di Dio sono perfette e tutte le sue vie sono giudizio” (Dt XXXII,4). – In effetti, la questione apparirà più chiara se consideriamo separatamente e più da vicino il dovere di educare, che riguarda la famiglia e lo Stato.

3690. [Dz 2207] E, in primo luogo, il dovere della famiglia concorda meravigliosamente con il dovere della Chiesa, poiché entrambi procedono in modo molto simile da Dio. Infatti Dio comunica direttamente alla famiglia la fecondità, nell’ordine naturale, il principio della vita e quindi il principio dell’educazione alla vita, insieme all’autorità, che è il principio dell’ordine. – A questo proposito il Dottore Angelico, con la consueta chiarezza di pensiero e precisione nel parlare, dice: “Il padre secondo la carne partecipa in modo particolare al metodo del principio che si trova universalmente in Dio. . . Il padre è il principio della generazione e dell’educazione, e di tutte le cose che riguardano la perfezione della vita umana”. La famiglia, dunque, detiene direttamente dal Creatore il dovere ed il diritto di educare la propria prole; e poiché questo diritto non può essere messo da parte, perché è connesso ad un obbligo molto grave, ha la precedenza su qualsiasi diritto della società civile e dello Stato, e per questo nessun potere sulla terra può infrangerlo. . . .

3691. [Dz 2208] Da questo dovere di educare, che appartiene in modo particolare alla Chiesa ed alla famiglia, non solo derivano i maggiori vantaggi, come abbiamo visto, per tutta la società, ma non possono essere lesi i veri e propri diritti dello Stato, per quanto riguarda l’educazione dei cittadini, secondo l’ordine stabilito da Dio. Questi diritti sono assegnati alla società civile dallo stesso Autore della natura, non per diritto di paternità, come per la Chiesa e la famiglia, ma per l’autorità che è in Lui di promuovere il bene comune sulla terra, che è appunto il suo fine.

3692. [Dz 2209] Da ciò consegue che l’educazione non appartiene alla società civile nello stesso modo in cui appartiene alla Chiesa o alla famiglia, ma chiaramente in un altro modo, che corrisponde naturalmente al suo fine proprio. Questo fine, inoltre, cioè il bene comune dell’ordine temporale, consiste nella pace e nella sicurezza, di cui godono le famiglie ed i singoli cittadini esercitando i loro diritti; e allo stesso tempo nella massima abbondanza possibile di cose spirituali e temporali per la vita mortale, abbondanza che deve essere raggiunta con lo sforzo ed il consenso di tutti. Il dovere dell’autorità civile, che è nello Stato, è dunque duplice: custodire e far progredire, ma in nessun modo assorbire la famiglia ed i singoli cittadini o sostituirsi ad essi.

3693. Pertanto, per quanto riguarda l’educazione, è diritto o, per meglio dire, compito dello Stato tutelare con le sue leggi il diritto prioritario della famiglia, come abbiamo detto sopra; cioè, di educare la prole in modo cristiano, e quindi di riconoscere il diritto soprannaturale della Chiesa in tale educazione cristiana. – Lo Stato ha anche il dovere di tutelare questo diritto nel bambino stesso, se in qualsiasi momento le cure dei genitori – a causa della loro inerzia, ignoranza o cattiva condotta – vengano meno fisicamente o moralmente; poiché il loro diritto di educare, come abbiamo detto sopra, non è assoluto e dispotico, ma dipendente dalla legge naturale e divina, e per questo soggetto non solo all’autorità ed al giudizio della Chiesa, ma anche alla vigilanza ed alla cura dello Stato per il bene comune; perché la famiglia non è una società perfetta, che possiede in sé tutto ciò che è necessario per portarsi alla piena e completa perfezione. In questi casi, altrimenti molto rari, lo Stato si mette al posto della famiglia, ma, sempre nel rispetto dei diritti naturali del bambino e dei diritti soprannaturali della Chiesa, considera e provvede alle necessità del momento con un’opportuna assistenza.

3694. [Dz 2210] In generale, è diritto e dovere dello Stato vigilare sull’educazione morale e religiosa della gioventù secondo le norme della retta ragione e della fede, rimuovendo gli impedimenti pubblici che vi si oppongono. Ma è soprattutto dovere dello Stato, come esige il bene comune, promuovere l’educazione e l’istruzione della gioventù in diversi modi; in primo luogo e da solo, favorendo e aiutando l’opera intrapresa dalla Chiesa e dalla famiglia, il cui successo è dimostrato dalla storia e dall’esperienza; laddove quest’opera manca o non è sufficiente, svolgendola in prima persona, anche con la creazione di scuole e istituti; perché lo Stato, più delle altre società, abbonda di risorse che, essendogli state date per i bisogni comuni di tutti, è giusto ed opportuno che le spenda a beneficio di coloro da cui le ha ricevute. Inoltre, lo Stato può prescrivere e poi fare in modo che tutti i cittadini apprendano i doveri civili e politici; anche che vengano istruiti nelle scienze e nell’apprendimento della morale e della cultura fisica, nella misura in cui sia opportuno e il bene comune ai nostri tempi lo richieda. Tuttavia, è chiaro che lo Stato è tenuto a rispettare, pur promuovendo l’istruzione pubblica e privata in tutti questi modi, i diritti intrinseci della Chiesa e della famiglia ad un’educazione cristiana, ma anche ad avere riguardo per la giustizia che attribuisce a ciascuno il proprio. Pertanto, non è lecito che lo Stato riduca a sé l’intero controllo dell’educazione e dell’istruzione, in modo che le famiglie siano costrette fisicamente e moralmente a mandare i loro figli alle scuole dello Stato, contrariamente ai doveri della loro coscienza cristiana od alla loro legittima preferenza.

3695. Tuttavia, ciò non impedisce allo Stato di istituire scuole che possano essere definite preparatorie per i doveri civici, specialmente per il servizio militare, per la corretta amministrazione del governo o per il mantenimento della pace in patria e all’estero; tutte attività che, essendo così necessarie per il bene comune, richiedono una particolare competenza e una speciale preparazione, purché lo Stato si astenga dall’offendere i diritti della Chiesa e della famiglia nelle questioni che li riguardano.

3696. [Dz 2211] Spetta alla società civile fornire, non solo alla gioventù, ma anche a tutte le età e a tutte le classi, un’educazione che si può chiamare civica, e che consiste, in positivo, come si dice, nel fatto che le questioni siano presentate pubblicamente agli uomini che appartengono a tale società, i quali, impregnando le loro menti con la conoscenza e l’immagine delle cose, e con un appello emotivo, spingano le loro volontà verso l’onorevole e le guidano con una sorta di costrizione morale; ma in negativo, nel fatto che essa protegge e ostacola le cose che vi si oppongono. Ora, questa educazione civica, così ampia e complessa da includere quasi l’intera attività dello Stato per il bene comune, deve essere conforme alle leggi della giustizia e non può essere in contrasto con la dottrina della Chiesa, che è la maestra divinamente costituita di queste leggi.

[Dz 2212]. Non bisogna mai dimenticare che nel senso cristiano l’uomo intero deve essere educato, grande com’è, cioè riunito in una sola natura, attraverso lo spirito e il corpo, e istruito in tutte le parti della sua anima e del suo corpo, che procedono dalla natura o la superano, come finalmente lo riconosciamo dalla retta ragione e dalla rivelazione divina, cioè l’uomo che, decaduto dalla sua condizione originaria, Cristo ha redento e restituito a questa dignità soprannaturale, per essere figlio adottivo di Dio, ma senza i privilegi preternaturali grazie ai quali il suo corpo era prima immortale e la sua anima giusta e sana. Per questo motivo, è accaduto che i difetti che sono confluiti nella natura dell’uomo dal peccato di Adamo, in particolare l’infermità della volontà e i desideri sfrenati dell’anima, sopravvivono nell’uomo. – E, certamente, “la follia è legata al cuore del bambino e la verga della correzione la scaccerà” ( Pr XXII,15). Pertanto, fin dall’infanzia l’inclinazione della volontà, se perversa, deve essere frenata; ma se buona, deve essere promossa, e soprattutto le menti dei bambini devono essere impregnate degli insegnamenti che vengono da Dio, e le loro anime rafforzate dagli aiuti della grazia divina; e, se questi venissero a mancare, nessuno potrebbe essere frenato nei suoi desideri né guidato alla completa perfezione dalla formazione e dall’istruzione della Chiesa, che Cristo ha dotato della dottrina celeste e dei divini Sacramenti per essere l’efficace maestra di tutti gli uomini.

[Dz 2213]. Pertanto, ogni forma di insegnamento ai bambini che, limitandosi alle sole forze della natura, rifiuta o trascura le questioni che contribuiscono, con l’aiuto di Dio, alla giusta formazione della vita cristiana, è falsa e piena di errori; ed ogni modo e metodo di educazione della gioventù che non tenga conto, o lo faccia a malapena, della trasmissione del peccato originale dai nostri primi genitori a tutti i posteri, e quindi si affida interamente alle sole forze della natura, si allontana completamente dalla verità. La maggior parte dei sistemi di insegnamento che vengono apertamente proclamati ai nostri giorni tendono a questo obiettivo. Hanno vari nomi, a dire il vero, ma la loro caratteristica principale è quella di basare quasi tutta l’istruzione sul fatto che sia giusto che i bambini si istruiscano da soli, evidentemente con il proprio genio e la propria volontà, ignorando i consigli degli anziani e degli insegnanti e mettendo da parte ogni legge e risorsa umana e persino divina. Tuttavia, se tutti questi aspetti sono così circoscritti dai loro stessi limiti che i nuovi maestri di questo tipo desiderano che anche i giovani prendano parte attiva alla loro istruzione, tanto più correttamente quanto più avanzano negli anni e nella conoscenza delle cose, e allo stesso modo che tutta la forza e la severità, di cui, tuttavia, la giusta correzione non fa assolutamente parte, questo è vero, ma non è affatto nuovo, poiché la Chiesa lo ha insegnato e i maestri cristiani, in modo tramandato dai loro antenati, lo hanno mantenuto, imitando Dio che ha voluto che tutte le cose create e soprattutto tutti gli uomini cooperassero attivamente con Lui secondo la loro natura, poiché la Sapienza divina “giunge da un capo all’altro e ordina tutte le cose con dolcezza” (Sg VIII,1). . . .

3697. [Dz 2214] Ma molto più perniciose sono quelle opinioni e quegli insegnamenti che riguardano il seguire assolutamente la natura come guida. Questi entrano in una certa fase dell’educazione umana che è piena di difficoltà, cioè quella che ha a che fare con l’integrità morale e la castità. Infatti, qua e là molti sostengono e promuovono stoltamente e pericolosamente il metodo di educazione che viene disgustosamente chiamato “sessuale”, poiché pensano stupidamente di poter mettere in guardia i giovani dalla sensualità e dall’eccesso con mezzi puramente naturali, dopo aver scartato ogni aiuto religioso e pio, iniziandoli e istruendoli tutti, senza distinzione di sesso, anche pubblicamente, in dottrine pericolose; e, quel che è peggio, esponendoli prematuramente alle occasioni, affinché le loro menti, abituate, come dicono, si induriscano ai pericoli della pubertà. – Ma in questo sbagliano gravemente, perché non tengono conto della debolezza innata della natura umana e di quella legge piantata nelle nostre membra che, per usare le parole dell’Apostolo Paolo, “combatte contro la legge della mia mente” (Rm VII,23); e inoltre negano avventatamente ciò che abbiamo imparato dall’esperienza quotidiana, ossia che i giovani certamente più degli altri cadono più spesso in azioni disdicevoli, non tanto a causa di una conoscenza imperfetta dell’intelletto, quanto a causa di una volontà esposta alle lusinghe e non sostenuta dall’assistenza divina. – In questa materia estremamente delicata, tutto sommato, se alcuni giovani devono essere consigliati al momento opportuno da coloro ai quali Dio ha affidato il compito, unito alle grazie opportune, di educare i bambini, sicuramente si devono usare quelle precauzioni e abilità che sono ben note agli insegnanti cristiani.

3698. [Dz 2215] Sicuramente, altrettanto falso e dannoso per l’educazione cristiana è quel metodo di istruzione dei giovani che viene comunemente chiamato “coeducazione”. I due sessi sono stati istituiti dalla sapienza di Dio a questo scopo, affinché nella famiglia e nella società si completino a vicenda e si uniscano in ogni cosa; per questo motivo esiste una distinzione del corpo e dell’anima che li differenzia l’uno dall’altro, che di conseguenza deve essere mantenuta nell’educazione e nell’istruzione, o, piuttosto, dovrebbe essere favorita da una giusta distinzione e separazione, in accordo con l’età e le circostanze. Tali precetti, in accordo con quelli della prudenza cristiana, devono essere osservati al momento giusto e in modo opportuno non solo in tutte le scuole, soprattutto durante gli anni inquieti della giovinezza, da cui dipende interamente il modo di vivere per quasi tutta la vita futura, ma anche nei giochi e negli esercizi ginnici, in cui si deve prestare particolare attenzione alla modestia cristiana delle ragazze, in quanto è particolarmente sconveniente per loro esporsi ed esibirsi sotto gli occhi di tutti.

[Dz 2216] Ma per ottenere un’educazione perfetta bisogna fare in modo che tutte le condizioni che circondano i bambini durante la loro formazione corrispondano al fine proposto. – E sicuramente, per necessità di natura, l’ambiente del bambino per la sua corretta formazione deve essere considerato come la sua famiglia, istituita da Dio proprio a questo scopo. Perciò, infine, considereremo giustamente stabile e sicura l’istituzione che si riceve in una famiglia ben ordinata e ben disciplinata; e tanto più efficace e stabile quanto più i genitori e gli altri membri della famiglia si presentano ai figli come esempio di virtù.

[Dz 2217] Inoltre, per le debolezze della natura umana, resa più debole dal peccato ancestrale, Dio nella sua bontà ha fornito gli abbondanti aiuti della sua grazia e quell’abbondante assistenza che la Chiesa possiede per purificare le anime e per condurle alla santità; la Chiesa, diciamo, quella grande famiglia di Cristo, che è l’ambiente educativo più intimamente e armoniosamente connesso con le singole famiglie.

[Dz 2218] Poiché, tuttavia, le nuove generazioni dovevano essere istruite in tutte quelle arti e scienze grazie alle quali la società civile progredisce e fiorisce, e poiché la famiglia da sola non bastava a questo scopo, nacquero le scuole pubbliche; ma all’inizio – si noti bene – attraverso gli sforzi della Chiesa e della famiglia che lavoravano insieme, e solo molto più tardi attraverso gli sforzi dello Stato. Così le sedi e le scuole di apprendimento, se consideriamo la loro origine alla luce della storia, erano per loro natura un aiuto, per così dire, e quasi un complemento sia alla Chiesa che alla famiglia. Ne consegue che le scuole pubbliche non solo non possono essere in opposizione alla famiglia e alla Chiesa, ma devono sempre essere in armonia con entrambe, per quanto le circostanze lo permettano, in modo che questi tre elementi, cioè la scuola, la famiglia e la Chiesa, sembrino realizzare essenzialmente un unico santuario dell’educazione cristiana, a meno che non si voglia che la scuola si allontani dal suo chiaro scopo e si trasformi in una malattia e nella distruzione della gioventù.

[Dz 2219] Da ciò consegue necessariamente che attraverso le scuole dette neutrali o ludiche, l’intero fondamento dell’educazione cristiana viene distrutto e rovesciato, in quanto la Religione è stata completamente rimossa da esse. Ma non si tratta di scuole neutrali se non in apparenza, perché in realtà sono o saranno chiaramente ostili alla Religione. – È un compito lungo e non c’è bisogno di ripetere ciò che hanno dichiarato apertamente i Nostri predecessori, in particolare Pio IX e Leone XIII, durante i cui regni si verificò soprattutto la grave malattia di tale laicismo che invase le scuole pubbliche. Ripetiamo e confermiamo le loro dichiarazioni e anche le prescrizioni dei Sacri Canoni, secondo le quali ai giovani Cattolici è proibito frequentare per qualsiasi motivo le scuole neutre o miste, cioè quelle che Cattolici e non Cattolici frequentano per l’istruzione; ma sarà permesso frequentarle, purché a giudizio di un ordinario prudente, in certe condizioni di luogo e di tempo, si prendano speciali precauzioni. Non si può infatti tollerare una scuola (soprattutto se è l'”unica” scuola e tutti i bambini sono tenuti a frequentarla) in cui, sebbene i precetti della sacra dottrina siano insegnati separatamente ai Cattolici, i maestri non siano Cattolici, e che impartiscano ai bambini cattolici e non cattolici una conoscenza generale delle arti e delle lettere.

[Dz 2220] Perché, poiché l’insegnamento della Religione è impartito in una certa scuola (di solito con troppa parsimonia), tale scuola per questo motivo non soddisfa i diritti della Chiesa e della famiglia; né è così resa adatta alla frequenza degli alunni cattolici; Perché, affinché qualsiasi scuola sia all’altezza di questo, è necessario che tutta l’istruzione e la dottrina, l’intera organizzazione della scuola, cioè i suoi insegnanti, il piano di studi, i libri, in realtà, tutto ciò che riguarda qualsiasi ramo dell’apprendimento, sia così permeato e così forte nello spirito cristiano, sotto la guida e l’eterna vigilanza della Chiesa, che la Religione stessa costituisca sia la base che il fine dell’intero schema di istruzione; e questo non solo nelle scuole in cui si insegnano gli elementi dell’apprendimento, ma anche in quelle di studi superiori. “È necessario”, per usare le parole di Leone XIII, “non solo che la gioventù venga educata alla Religione in determinati momenti, ma che tutto il resto della sua istruzione sia pervaso da un sentimento religioso. Se questo manca, se questa sacra condizione non permea e non stimola le menti degli insegnanti e degli istruiti, si otterrà poco beneficio da qualsiasi apprendimento, e spesso ne seguirà un danno non piccolo “.

[Dz 2221] Inoltre, tutto ciò che viene fatto dai fedeli di Cristo per promuovere e proteggere la scuola cattolica per i loro figli, è senza dubbio un’opera religiosa, e quindi un dovere importantissimo dell'”Azione Cattolica”; di conseguenza, sono molto graditi al Nostro cuore paterno e degni di particolare lode tutti quei sodalizi che in molti luoghi si impegnano in modo speciale e con grande zelo in un’opera così essenziale. – Pertanto, sia proclamato in alto, ben notato e riconosciuto da tutti che i fedeli di Cristo, nel richiedere una scuola cattolica per i loro figli, non sono in nessun luogo del mondo colpevoli di un atto di dissenso politico, ma compiono un dovere religioso che la loro stessa coscienza richiede perentoriamente; e questi Cattolici non intendono sottrarre i loro figli alla formazione e allo spirito dello Stato, ma piuttosto formarli proprio a questo scopo, nel modo più perfetto e più adatto all’utilità della nazione, poiché un vero Cattolico, in effetti, ben istruito nell’insegnamento cattolico, è per questo stesso fatto il miglior cittadino, un sostenitore del suo paese e obbediente con una fede sincera all’autorità pubblica sotto qualsiasi forma legittima di governo.

[Dz 2222] La salutare efficienza delle scuole, inoltre, va attribuita non tanto alle buone leggi, quanto ai buoni insegnanti, che, ben preparati e ciascuno con una buona conoscenza della materia da insegnare agli studenti, veramente adorni delle qualità di mente e di spirito che il loro dovere più importante ovviamente richiede, brillano di un amore puro e divino per i giovani loro affidati, proprio come amano Gesù Cristo e la sua Chiesa, di cui sono i figli più amati, e proprio per questo hanno sinceramente a cuore il vero bene della famiglia e della patria. Perciò ci consoliamo molto e riconosciamo la bontà di Dio con cuore grato, quando vediamo che oltre agli uomini e alle donne delle comunità religiose che si dedicano all’insegnamento dei bambini e dei giovani, ci sono tanti ed eccellenti insegnanti laici di entrambi i sessi, e che questi – per il loro maggiore progresso spirituale si uniscono in associazioni e sodalizi spirituali, che vanno lodati e promossi come un nobile e forte aiuto all'”Azione Cattolica” – incuranti del proprio vantaggio, si dedicano strenuamente e incessantemente a quello che San Gregorio di Nazianzo chiama “il bene”. Gregorio di Nazianzo chiama “l’arte delle arti e la scienza delle scienze”, ossia la direzione e la formazione della gioventù. Tuttavia, poiché le parole del Maestro divino si applicano anche a loro: “La messe è molta, ma gli operai sono pochi” (Mt IX,37), questi insegnanti di educazione cristiana – la cui formazione dovrebbe essere di particolare interesse per i pastori d’anime e i superiori degli Ordini religiosi – esortiamo il Signore della messe con preghiere supplichevoli a fornire tali insegnanti in maggior numero.

[Dz 2223] Inoltre, l’educazione del bambino, in quanto “molle come la cera per essere plasmato nei vizi” in qualsiasi ambiente viva, deve essere diretta e sorvegliata rimuovendo le occasioni di male e fornendo opportunamente occasioni di bene nei momenti di rilassamento della mente e di godimento dei compagni, perché “le cattive comunicazioni corrompono i buoni costumi” (1Cor XV,33). – Tuttavia, la vigilanza e l’attenzione che abbiamo detto dovrebbero essere applicate non richiedono affatto che i giovani siano allontanati dalla frequentazione di uomini con i quali devono vivere la loro vita e che devono consultare per quanto riguarda la salvezza delle loro anime; ma solo che siano fortificati e rafforzati cristianamente – soprattutto oggi – contro gli allettamenti e gli errori del mondo, che, secondo le parole di Giovanni, sono interamente “concupiscenza della carne, concupiscenza degli occhi e orgoglio della vita” (1Gv II,16), in modo che, come scrisse Tertulliano dei primi Cristiani: “I nostri si mantengano come Cristiani che devono essere sempre partecipi del possesso del mondo, non del suo errore”.

[Dz 2224] L’educazione cristiana mira propriamente e immediatamente a fare dell’uomo un vero e perfetto cristiano cooperando con la grazia divina, cioè a plasmare e modellare Cristo stesso in coloro che sono rinati nel battesimo, secondo la chiara affermazione dell’Apostolo: “Figlioli miei, di cui sono di nuovo in travaglio, finché non sia formato Cristo in voi” (Ga IV,19). Infatti, il vero cristiano deve vivere una vita soprannaturale in Cristo: “Cristo è la nostra vita” (Col III,4), e manifestarla in tutte le sue azioni, “affinché la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mortale” (2Cor IV,11). – Per questo motivo, l’educazione cristiana abbraccia la totalità delle azioni umane, perché riguarda il funzionamento dei sensi e dello spirito, dell’intelletto e della morale, degli individui, della società domestica e civile, non per indebolirla, ma per elevarla, regolarla e perfezionarla, secondo l’esempio e l’insegnamento di Gesù Cristo. – Così il vero Cristiano, plasmato dall’educazione cristiana, non è altro che l’uomo soprannaturale che pensa, giudica e agisce costantemente e coerentemente secondo la retta ragione; ispirato soprannaturalmente dagli esempi e dagli insegnamenti di Gesù Cristo; cioè un uomo eccezionale per forza di carattere. Infatti, chi segue la propria inclinazione e agisce ostinatamente, intento ai propri desideri, non è un uomo di carattere forte; ma solo colui che segue i principi eterni della giustizia, come riconosce anche lo stesso ospite pagano quando loda l’uomo “giusto” insieme all'”uomo tenace di propositi”; ma queste idee di giustizia non possono essere pienamente rispettate se non si attribuisce a Dio ciò che gli spetta, come fa il vero Cristiano. – Il vero Cristiano, lungi dal rinunciare alle attività di questa vita e dal sopprimere i suoi talenti naturali, al contrario li promuove e li porta a perfezione, cooperando con la vita soprannaturale in modo tale da abbellire il modo naturale di vivere e da sostenerlo con aiuti più efficaci, che sono in accordo non solo con le cose spirituali ed eterne, ma anche con le necessità della vita naturale stessa.

Lett. Encycl. “Casti connubi”, 31 dic. 1930.

3700. [Dz 2225] In primo luogo, dunque, questo rimanga come base immutabile e inviolabile: il matrimonio non è stato istituito o restaurato dall’uomo, ma da Dio; non dall’uomo, ma dall’autore stesso della natura, Dio; e dal restauratore della stessa natura è stato fortificato, confermato ed elevato attraverso le leggi; e queste leggi, pertanto, non possono essere soggette ad alcuna decisione dell’uomo e nemmeno ad alcun accordo contrario da parte degli sposi stessi. Questa è una dottrina della Sacra Scrittura (Gen 1,27 s.; Gen 2,22 s.; Mt 19,3 s.; Eph V,23 s.); questa è la tradizione continua e unanime della Chiesa; questa è la solenne definizione del sacro Concilio di Trento, che dichiara e conferma [v. 24; cfr. n. 969 s.] che il vincolo perpetuo e indissolubile del matrimonio, l’unità e la stabilità dello stesso emanano da Dio come loro autore.

3701. Ma, sebbene il Matrimonio per sua natura sia stato istituito da Dio, tuttavia la volontà dell’uomo ha il suo ruolo, ed un ruolo nobilissimo in esso; infatti, ogni singolo Matrimonio, in quanto unione coniugale tra un certo uomo e una certa donna, nasce solo dal libero consenso di entrambi gli sposi, ed in effetti questo libero atto della volontà, con cui entrambe le parti si consegnano e accettano i diritti propri del Matrimonio, è così necessario per costituire un vero Matrimonio che non può essere fornito da alcun potere umano. Eppure tale libertà ha solo questo scopo, stabilire che i contraenti desiderano realmente contrarre Matrimonio e desiderano farlo o meno con una certa persona; ma la natura del Matrimonio è del tutto lontana dalla libertà dell’uomo, tanto che non appena l’uomo ha contratto matrimonio è soggetto alle sue leggi divine e alle sue proprietà essenziali. Il Dottore Angelico, infatti, parlando della buona fede nel Matrimonio e della prole, dice: “Queste cose sono talmente realizzate nel Matrimonio dal patto coniugale stesso che se nel consenso che lo costituisce fosse espresso qualcosa di contrario, non sarebbe un vero Matrimonio”. Con il Matrimonio, dunque, le anime sono unite e rese una cosa sola, e le anime sono influenzate prima e più fortemente dei corpi; non da un affetto transitorio dei sensi o dello spirito, ma da una decisione deliberata e ferma della volontà; e da questa unione delle anime, con il decreto di Dio, nasce un legame sacro ed inviolabile. – Questa natura del tutto propria e peculiare di questo contratto lo rende completamente diverso non solo dai legami degli animali eseguiti dal solo cieco istinto della natura, in cui non c’è ragione né libero arbitrio, ma anche da quelle unioni sfrenate degli uomini, che sono ben lontane da ogni vero e onorevole legame di volontà, e prive di qualsiasi diritto alla vita familiare.

3702. [Dz 2226] Da ciò risulta ormai assodato che l’autorità veramente legittima ha il potere per legge e quindi è costretta dal dovere a frenare, impedire e punire i Matrimoni infimi, che sono contrari alla ragione ed alla natura; ma poiché si tratta di una questione che si rifà alla stessa natura umana, non è meno assodato che il Nostro predecessore, Leone XIII, di felice memoria, ha chiaramente insegnato: * “Nella scelta dello stato di vita non c’è dubbio che è in potere e discrezione degli individui preferire una delle due cose: o adottare il consiglio di Gesù Cristo riguardo alla verginità, o legarsi con i vincoli del Matrimonio. Togliere il diritto naturale e primordiale del matrimonio, o in qualsiasi modo circoscrivere lo scopo principale del matrimonio stabilito all’inizio dall’autorità di Dio: “Crescete e moltiplicatevi” (Gen 1,28), non è in potere di alcuna legge dell’uomo”.

3703. [Dz 2227] Ora, mentre ci accingiamo a spiegare quali sono queste benedizioni, concesse da Dio, del vero Matrimonio, e quanto siano grandi, Venerabili Fratelli, ci vengono in mente le parole di quel famosissimo Dottore della Chiesa, che non molto tempo fa abbiamo commemorato nella nostra Lettera Enciclica, Ad Salutem, pubblicata al compimento del XV secolo dopo la sua morte. Sant’Agostino dice: “Tutte queste sono benedizioni, per le quali il Matrimonio è una benedizione: la prole, la fede coniugale e il Sacramento”. Il Santo Dottore mostra chiaramente come questi tre titoli contengano una splendida sintesi di tutta la dottrina sul Matrimonio cristiano: “Per la fede coniugale si fa attenzione che non ci siano rapporti con un altro uomo o un’altra donna al di fuori del vincolo matrimoniale; per la prole, che i figli siano generati nell’amore, nutriti con bontà ed educati religiosamente; per il Sacramento, che il Matrimonio non sia rotto e che l’uomo o la donna separati non abbiano rapporti con un altro uomo o donna nemmeno per la prole. Questa è, per così dire, la legge del Matrimonio, con cui si abbellisce la fecondità della natura e si controlla la depravazione dell’incontinenza”.

3704. [Dz 2228] [1] Così il figlio occupa il primo posto tra le benedizioni del Matrimonio. È chiaro che lo stesso Creatore del genere umano, che per la sua bontà ha voluto usare gli uomini come aiutanti nella propagazione della vita, lo ha insegnato in Paradiso, quando ha istituito il Matrimonio, dicendo ai nostri primi genitori, e attraverso di loro a tutti gli sposi: “Crescete e moltiplicatevi e riempite la terra” (Gen 1,28). Questo pensiero Sant’Agostino lo deduce molto bene dalle parole dell’apostolo Paolo a Timoteo (1Tm V,14), quando dice: “Così l’Apostolo è testimone che il Matrimonio è compiuto per la generazione. Desidero, dice, che le giovani si sposino. E come se qualcuno gli dicesse: perché? Perché? aggiunge subito: Per generare figli, per essere madri di famiglia” (1Tm V,14).

3705. [Dz 2229] In effetti, i genitori cristiani dovrebbero comprendere ulteriormente che non sono destinati solo a propagare e a preservare la razza umana sulla terra, anzi, non ad allevare alcun tipo di adoratori del vero Dio, ma a generare una prole della Chiesa di Cristo; a procreare “concittadini dei santi e membri della casa di Dio” (Ep II,19), affinché il popolo dedito al culto di Dio e del nostro Salvatore aumenti ogni giorno. Infatti, anche se i coniugi cristiani, pur essendo essi stessi santificati, non hanno il potere di trasfondere la santificazione nella loro prole, sicuramente la generazione naturale della vita è diventata una via di morte, attraverso la quale il peccato originale passa nella prole; tuttavia, in qualche modo, partecipano a quel Matrimonio primordiale del Paradiso, poiché è loro privilegio offrire la propria prole alla Chiesa, affinché da questa fecondissima madre dei figli di Dio siano rigenerati attraverso il lavacro del Battesimo fino alla giustizia soprannaturale, e diventino membra vive di Cristo, partecipi della vita immortale e, infine, eredi della gloria eterna che tutti desideriamo con tutto il cuore. . . .

[Dz 2230] Ma la benedizione della prole non si completa con la buona opera della procreazione; occorre aggiungere qualcos’altro che è contenuto nella doverosa educazione della prole. Certo, Dio sapientissimo non avrebbe provveduto a sufficienza per il bambino che nasce, e quindi per l’intero genere umano, se non avesse assegnato anche il diritto e il dovere di educare agli stessi a cui ha dato il potere e il diritto di generare. Infatti, non può sfuggire a nessuno che la prole, non solo per quanto riguarda la vita naturale, ma ancor meno per quella soprannaturale, non può bastare a se stessa o provvedere a se stessa, ma ha bisogno per molti anni dell’assistenza di altri, di cure e di educazione. Ma è certo che, quando la natura e Dio lo richiedano, questo diritto e dovere di educare la prole spetta soprattutto a coloro che hanno iniziato l’opera della natura generando, ed è loro assolutamente vietato esporre quest’opera alla rovina lasciandola incompiuta e imperfetta. Di certo, nel Matrimonio sono state prese le migliori disposizioni possibili per questa necessaria educazione dei figli, nella quale, poiché i genitori sono uniti l’uno all’altro da un vincolo insolubile, c’è sempre a disposizione la cura e l’assistenza reciproca di entrambi. . . . – Né si può tacere che, poiché il dovere affidato ai genitori per il bene della prole è di così grande dignità e importanza, ogni uso onorevole di questa facoltà data da Dio di procreare una nuova vita, per ordine del Creatore stesso e delle leggi della natura, sia diritto e privilegio del solo Matrimonio e deve essere confinato entro i sacri limiti del matrimonio.

3706. [Dz 2231] [2] Un’altra benedizione del matrimonio, di cui abbiamo parlato come menzionata da Agostino, è la benedizione della fede, che è la reciproca fedeltà dei coniugi nell’adempimento del contratto matrimoniale, in modo che ciò che per questo contratto, sancito dalla legge divina, è dovuto solo a un coniuge, non possa essere negato a lui né permesso a nessun altro; né si può concedere al coniuge ciò che non può mai essere concesso, poiché è contrario ai diritti e alle leggi divine e si oppone soprattutto alla fede coniugale. – Così questa fede esige in primo luogo l’unità assoluta del Matrimonio, che il Creatore stesso ha stabilito nel Matrimonio dei nostri primi genitori, quando ha voluto che esistesse solo tra un uomo e una donna. E anche se in seguito Dio, il legislatore supremo, ha un po’ attenuato questa legge primordiale per un certo periodo, tuttavia non c’è dubbio che la Legge evangelica abbia ripristinato interamente quell’unità originaria e perfetta ed ha eliminato tutte le dispense, come mostrano chiaramente le parole di Cristo e il modo uniforme di insegnare o di agire da parte della Chiesa [cfr. nota 969]. . . .

Cristo Signore non ha voluto condannare solo la poligamia e la poliandria, successive o simultanee, come vengono chiamate, o qualsiasi altro atto disonorevole; ma, affinché i sacri legami del Matrimonio siano assolutamente inviolati, ha proibito anche i pensieri e i desideri intenzionali su tutte queste cose: “Ma io vi dico che chi guarda una donna per concupirla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore” (Mt V,28). Queste parole di Cristo Signore non possono essere annullate nemmeno dal consenso di un coniuge, perché esprimono la legge di Dio e della natura, che nessuna volontà dell’uomo potrà mai infrangere o piegare. – Anche i reciproci rapporti familiari tra i coniugi, affinché la benedizione della fede coniugale risplenda con il dovuto splendore, devono essere contraddistinti dal marchio della castità, in modo che marito e moglie si comportino in tutto secondo la legge di Dio e della natura, e si sforzino di seguire sempre la volontà del sapientissimo e santissimo Creatore, con grande riverenza per l’opera di Dio.

3707. [Dz 2232] Inoltre, questa fedeltà coniugale, chiamata molto giustamente da Sant’Agostino * la “fede della castità”, fiorirà più facilmente, e anche molto più piacevolmente, e come nobilitante proveniente da un’altra fonte più eccellente, cioè dall’amore coniugale, che pervade tutti i doveri della vita matrimoniale e detiene una sorta di primato di nobiltà nel matrimonio cristiano. “Inoltre, la fedeltà coniugale esige che marito e moglie siano uniti da un amore particolarmente santo e puro, non come si amano gli adulteri, ma come Cristo ha amato la Chiesa; infatti l’Apostolo ha prescritto questa regola quando ha detto: “Mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la Chiesa” (Ep. 5,25; cfr. Col. 3,19); la quale Chiesa Egli ha certamente abbracciato con immenso amore, non per il proprio vantaggio, ma tenendo davanti a sé solo il bene della sua sposa”. *

Parliamo quindi di un amore che non poggi solo su un’inclinazione carnale che scompare molto presto, né solo su parole piacevoli, ma che è anche fissato nell’affetto più intimo del cuore; e, “poiché la prova dell’amore è una manifestazione di fatti”, * questo è dimostrato da fatti esteriori. Ora, questi atti nella vita domestica non includono solo l’assistenza reciproca, ma dovrebbero estendersi anche a questo, anzi dovrebbero mirare soprattutto a questo, che marito e moglie si aiutino quotidianamente a formare e a perfezionare sempre più l’uomo interiore, in modo che attraverso la loro collaborazione nella vita possano progredire sempre più nelle virtù, e possano crescere soprattutto nel vero amore verso Dio e verso il prossimo, dal quale infatti “dipende tutta la Legge e i Profeti” (Mt 22,40) *.Manifestamente l’esempio più perfetto di tutta la santità posta da Dio davanti agli uomini è Cristo Signore. Tutti, in qualsiasi condizione e in qualsiasi modo onorevole siano entrati nella vita, con l’aiuto di Dio dovrebbero anche arrivare al più alto grado di perfezione cristiana, come dimostrano gli esempi di molti santi.

Questa mutua formazione interiore del marito e della moglie, questo costante zelo per portarsi reciprocamente alla perfezione, in un senso molto vero, come insegna il Catechismo Romano, si può dire che sia la prima ragione e il primo scopo del matrimonio; se, tuttavia, il matrimonio non viene accettato in modo troppo ristretto come istituito per la corretta procreazione ed educazione dei figli, ma in modo più ampio come partecipazione reciproca a tutta la vita, alla compagnia e all’associazione.

Con questo stesso amore devono essere regolati i restanti diritti e doveri del matrimonio, in modo che non solo la legge della giustizia, ma anche la norma dell’amore sia quella dell’Apostolo: “Il marito renda il debito alla moglie e la moglie allo stesso modo al marito” (1Cor 7,3).

3708. Dz 2233 Infine, dopo che la società domestica è stata confermata dal vincolo di questo amore, deve necessariamente fiorire in essa quello che Agostino chiama l’ordine dell’amore. Quest’ordine comprende sia la supremazia del marito sulla moglie e sui figli, sia la sottomissione e l’obbedienza pronta e non riluttante della moglie, che l’Apostolo raccomanda con queste parole: “La donna sia sottomessa al marito come al Signore, perché il marito è il capo della moglie, come Cristo è il capo della Chiesa” (Eph V,22 s.).

3709. Tuttavia questa obbedienza non nega o toglie la libertà che spetta di diritto alla donna, sia per la sua dignità di essere umano, sia per i suoi nobili doveri di moglie, madre e compagna; né esige che essa obbedisca a ogni desiderio del marito, che non sia conforme alla retta ragione o alla sua dignità di moglie; né, infine, significa che la moglie debba essere messa sullo stesso piano di coloro che la legge chiama minori, ai quali non è abitualmente concesso il libero esercizio dei propri diritti per mancanza di giudizio maturo o per inesperienza nelle faccende umane; ma proibisce quella libertà esagerata che non ha alcuna cura per il bene della famiglia; proibisce che in questo corpo della famiglia il cuore sia separato dalla testa, con grande danno di tutto il corpo e con il pericolo prossimo della rovina. Infatti, se l’uomo è la testa, la donna è il cuore, e così come lui detiene il primato nel governare, lei può e deve rivendicare il primato nell’amore per se stessa come proprio. – Inoltre, questa obbedienza della moglie al marito, per quanto riguarda il grado e il modo, può essere diversa, a seconda delle persone, dei luoghi e delle condizioni del tempo; anzi, se il marito viene meno al suo dovere, è responsabilità della moglie sostituirsi a lui nella direzione della famiglia. Ma la struttura stessa della famiglia e la sua legge principale, così come sono state costituite e confermate da Dio, non possono mai e in nessun luogo essere stravolte o contaminate. – Su questo punto del mantenimento dell’ordine tra marito e moglie il nostro predecessore di felice memoria, Leone XIII, ha saggiamente insegnato nella sua Lettera Enciclica sul mondo Matrimonio cristiano che abbiamo citato: “L’uomo è il capo della famiglia e il capo della donna; tuttavia, poiché essa è carne della sua carne e osso del suo osso, sia sottomessa ed obbediente all’uomo, non alla maniera di una serva ma di una compagna, affinché naturalmente non manchi né l’onore né la dignità nell’obbedienza prestata. Ma che la carità divina sia la guida indefettibile del dovere in colui che è a capo e in colei che obbedisce, poiché entrambi portano l’immagine, l’uno di Cristo, l’altra della Chiesa… . . ” *

3710. Dz 2234 [3] Tuttavia, l’insieme di questi grandi benefici è completato e, per così dire, portato a compimento da quella benedizione del Matrimonio cristiano che abbiamo chiamato, con le parole di Agostino, Sacramento, con cui si indica l’indissolubilità del vincolo e l’elevazione e la consacrazione da parte di Cristo del contratto a segno efficace della grazia. – In primo luogo, a dire il vero, Cristo stesso pone l’accento sull’indissolubilità del vincolo nuziale quando dice: “Ciò che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi” (Mt XIX,6); e: “Chiunque abbandona la propria moglie e ne sposa un’altra commette adulterio, e chi sposa colei che è stata allontanata dal marito commette adulterio” (Lc XVI,18). – Inoltre, Sant’Agostino colloca in questa indissolubilità quella che chiama “la benedizione del sacramento”, con queste chiare parole: “Ma nel Sacramento si vuole che il Matrimonio non sia rotto, e che l’uomo o la donna licenziati non si uniscano ad un altro, nemmeno per la prole.

3711. [Dz 2235]. E questa stabilità inviolabile, sebbene non sia della stessa misura perfetta in ogni caso, riguarda tutti i veri Matrimoni; perché quel detto del Signore: “Ciò che Dio ha unito, l’uomo non lo separi”, sebbene, detto del Matrimonio dei nostri primi genitori, sia il prototipo di ogni Matrimonio futuro, deve applicarsi a tutti i veri Matrimoni. Perciò, sebbene prima di Cristo la sublimità e la severità della legge primordiale fossero così mitigate che Mosè permise ai cittadini del popolo di Dio, a causa della durezza del loro cuore, di concedere una legge di divorzio per determinate cause; tuttavia Cristo, in accordo con il suo potere di Legislatore supremo, revocò questo permesso di maggiore licenza e restaurò la legge primordiale nella sua interezza attraverso quelle parole che non devono mai essere dimenticate: “Ciò che Dio ha unito, l’uomo non lo separi”. Così, molto saggiamente, Pio Vl, Nostro predecessore di felice memoria, scrivendo al Vescovo di Agria, disse: “Da ciò risulta chiaramente che il Matrimonio, anche nello stato di natura, e sicuramente molto prima che fosse elevato alla dignità di Sacramento propriamente detto, è stato stabilito da Dio in modo tale da portare con sé un vincolo perpetuo e indissolubile, che, di conseguenza, non può essere sciolto da alcuna legge civile. E così, anche se l’elemento sacramentale può essere separato dal Matrimonio, come è vero in un Matrimonio tra infedeli, tuttavia in tale Matrimonio, in quanto vero Matrimonio, deve rimanere e sicuramente rimane quel legame perpetuo che per diritto divino è così inerente al Matrimonio fin dal suo inizio che non è soggetto ad alcun potere civile. Perciò, qualsiasi Matrimonio si dica che è stato contratto, o è così contratto da essere un vero Matrimonio, e allora avrà quel vincolo perpetuo che è insito per diritto divino in ogni vero Matrimonio, o si suppone che sia stato contratto senza quel vincolo perpetuo, e allora non è un Matrimonio, ma un’unione illecita che ripugna per il suo scopo alla legge divina, e quindi non può essere stipulato o mantenuto.

3712. [Dz 2236] Se questa stabilità sembra soggetta ad eccezioni, per quanto rare, come nel caso di alcuni matrimoni naturali contratti tra infedeli, o se tra fedeli di Cristo, quelli validi ma non consumati, tale eccezione non dipende dalla volontà dell’uomo o da un potere meramente umano, ma dalla legge divina, il cui unico custode e interprete è la Chiesa di Cristo. Tuttavia, nemmeno tale potere potrà mai intaccare per nessuna ragione un Matrimonio cristiano valido e consumato. Infatti, poiché in questo caso il contratto matrimoniale è pienamente compiuto, ne risultano anche l’assoluta stabilità e indissolubilità per volontà di Dio, che non possono essere attenuate da alcuna autorità umana. – Se vogliamo indagare con la dovuta riverenza l’intima ragione di questa volontà divina, la scopriremo facilmente nel significato mistico del Matrimonio cristiano, che si ha pienamente e perfettamente nel Matrimonio consumato tra fedeli. Infatti, come testimonia l’Apostolo nella sua Lettera agli Efesini (Eph V,32) (a cui abbiamo fatto riferimento all’inizio), il Matrimonio dei Cristiani richiama l’unione più perfetta che esiste tra Cristo e la Chiesa: “Questa è un grande sacramento, ma io parlo in Cristo e nella Chiesa”, la cui unione, infatti, finché Cristo vivrà e la Chiesa attraverso di Lui, sicuramente non potrà mai essere sciolta da alcuna separazione. . . .

3713. [Dz 2237]. In questa benedizione del Sacramento, oltre alla sua indissolubile fermezza, sono contenuti anche emolumenti ben più alti, indicati molto opportunamente dalla parola “Sacramento”; Per i Cristiani, infatti, non si tratta di un nome vuoto e vacuo, poiché Cristo Signore, “l’istitutore e il perfezionatore” * dei Sacramenti, elevando il Matrimonio dei suoi fedeli a vero e proprio Sacramento della Nuova Legge, lo ha reso di fatto segno e fonte di quella peculiare grazia interiore con cui perfeziona l’amore naturale, conferma l’unione indissolubile e santifica gli sposi. – E poiché Cristo ha stabilito un valido consenso coniugale tra i fedeli come segno di grazia, la natura del Sacramento è così intimamente legata al Matrimonio cristiano che non può esistere un vero Matrimonio tra battezzati “se non è, per l’appunto, un Sacramento”. – Quando poi i fedeli con animo sincero prestano tale consenso, aprono per sé un tesoro di grazia sacramentale, da cui attingono forza soprannaturale per adempiere ai loro obblighi e doveri con fedeltà, nobiltà e perseveranza fino alla morte.

3714. Questo Sacramento, nel caso di coloro che, come si dice, si pongono sulla sua strada, non solo accresce il principio permanente della vita soprannaturale, cioè la grazia santificante, ma elargisce anche doni particolari, buone disposizioni d’animo e semi di grazia, aumentando e perfezionando le potenze naturali, in modo che gli sposi siano in grado non solo di comprendere con la ragione, ma di conoscere intimamente, di tenere saldamente, di desiderare efficacemente e di compiere, in effetti, tutto ciò che riguarda lo stato matrimoniale, sia i suoi fini che i suoi obblighi; infine, concede loro il diritto di ottenere l’assistenza effettiva della grazia tutte le volte che ne abbiano bisogno per adempiere ai doveri di questo stato.

[Dz 2238]. Tuttavia, poiché è una legge della Provvidenza divina nell’ordine soprannaturale che gli uomini non raccolgano il pieno frutto dei Sacramenti che ricevono dopo aver acquisito l’uso della ragione, a meno che non cooperino con la grazia, la grazia del Matrimonio rimarrà in gran parte un talento inutile nascosto nel campo, a meno che gli sposi non esercitino la forza soprannaturale e coltivino e sviluppino i semi della grazia che hanno ricevuto. Ma se faranno tutto il possibile per rendersi docili alla grazia, saranno in grado di sopportare i pesi del loro stato e di adempiere ai suoi doveri, e saranno rafforzati e santificati e, per così dire, consacrati da un così grande Sacramento. Infatti, come insegna Sant’Agostino, così come con il Battesimo e l’Ordine sacro un uomo viene messo a parte ed assistito sia per condurre la sua vita in modo cristiano, sia per adempiere ai doveri del Sacerdozio, e non è mai privo dell’aiuto sacramentale, quasi allo stesso modo (anche se non con un segno sacramentale) i fedeli che sono stati uniti dal vincolo del Matrimonio non possono mai essere privati dell’assistenza e del legame sacramentale. Anzi, come aggiunge lo stesso Santo Dottore, essi portano con sé quel santo vincolo anche quando possono essere diventati adulteri, anche se non più per la gloria della grazia, ma per il crimine del peccato, “come l’anima apostata, come se si ritirasse dall’unione con Cristo, anche dopo che la fede è stata persa, non perde il sacramento della fede che ha ricevuto dal lavacro della rigenerazione”. – Ma questi stessi sposi, non frenati ma ornati dal vincolo d’oro del Sacramento, non ostacolati ma rafforzati, lottino con tutte le loro forze per questo fine, affinché il loro Matrimonio, non solo per la forza e il significato del Sacramento, ma anche per la loro mentalità ed il loro carattere, sia e rimanga sempre l’immagine vivente di quella fecondissima unione di Cristo con la Chiesa, che certamente è da venerare come il mistero dell’amore più perfetto.

L’abuso del matrimonio.

[Dalla stessa Enciclica, “Casti Connubii”, 31 dicembre 1930].

3716. [Dz 2239] Parliamo della prole, che alcuni hanno l’audacia di chiamare il fastidioso fardello del matrimonio, e che dichiarano debba essere evitata non con l’onorevole continenza (permessa anche nel Matrimonio quando entrambi i coniugi sono d’accordo), ma con la frustrazione dell’atto naturale. In effetti, alcuni si giustificano per questo abuso criminale adducendo il fatto che siano stanchi di figli e desiderino semplicemente soddisfare i loro desideri senza il conseguente “fardello“; altri adducono il fatto che non possono osservare la continenza, o che a causa di difficoltà della madre o di circostanze familiari non possano avere una prole. – Ma di certo nessuna ragione, nemmeno la più grave, può far sì che ciò che sia intrinsecamente contro natura diventi conforme alla natura ed onorevole. Poiché, inoltre, l’atto coniugale per sua natura è destinato alla generazione della prole, coloro che nell’esercitarlo deliberatamente lo privano della sua forza e del suo potere naturale, agiscono contro natura e fanno qualcosa di vergognoso ed intrinsecamente cattivo. – Non c’è quindi da meravigliarsi se la stessa Sacra Scrittura testimoni che la Maestà divina guardi a questo nefasto crimine con il più grande odio, e talvolta lo ha punito con la morte, come racconta Sant’Agostino: “È illecito e vergognoso per uno giacere anche con la moglie legittima, quando è impedito il concepimento della prole. Onan fece questo; per questo Dio lo uccise”.

3717. [Dz 2240]. Poiché, dunque, alcune persone, discostandosi palesemente dalla dottrina cristiana tramandata dall’inizio senza interruzioni, hanno recentemente deciso che si debba predicare un’altra dottrina su questo modo di agire, la Chiesa Cattolica, alla quale Dio stesso ha affidato l’insegnamento e la difesa dell’integrità e della purezza dei costumi, posta in mezzo a questa rovina dei costumi, affinché conservi la castità del contratto matrimoniale immune da questo basso peccato, ed in segno della sua missione divina alza alta la sua voce attraverso la Nostra bocca e proclama nuovamente: Qualsiasi uso dell’atto coniugale, nel cui esercizio esso viene intenzionalmente privato del suo potere naturale di procreare la vita, viola la legge di Dio e della natura, e coloro che hanno commesso un tale atto, si macchiano della colpa di un peccato grave. – Perciò ammoniamo i Sacerdoti che si dedicano all’ascolto delle Confessioni e gli altri che hanno la cura delle anime, in accordo con la Nostra suprema Autorità, a non permettere che i fedeli a loro affidati errino in questa gravissima legge di Dio, e ancor più a mantenersi immuni da false opinioni di questo tipo, e a non conniverci in alcun modo. Se un confessore o un pastore d’anime, cosa che Dio non voglia, conduce egli stesso i fedeli a lui affidati in questi errori, o almeno li conferma con l’approvazione o con il colpevole silenzio, sappia che deve rendere conto a Dio, Giudice supremo, del tradimento della sua fiducia, e consideri le parole di Cristo rivolte a loro: “Essi sono ciechi, e i ciechi li guidano; e se i ciechi guidano i ciechi, entrambi cadono nella fossa” (Mt XV,14).

3718. [Dz 2241] La Santa Chiesa sa bene che non raramente uno dei coniugi pecchi piuttosto che commettere un peccato, quando per un motivo molto grave permette una perversione del giusto ordine, che egli stesso non vuole; e per questo è senza colpa, purché poi si ricordi della legge della carità e non trascuri di impedire e dissuadere l’altro dal peccare. Non si può dire che agiscano contro l’ordine della natura quei coniugi che usano il loro diritto in modo corretto e naturale, anche se per ragioni naturali di tempo o di alcuni difetti non possa nascere una nuova vita. Infatti, nel Matrimonio stesso, come nella pratica del diritto coniugale, si considerano anche i fini secondari, come l’aiuto reciproco, la coltivazione dell’amore reciproco e il placamento della concupiscenza, che i coniugi non sono affatto proibiti di tentare, purché sia preservata la natura intrinseca di quell’atto, e quindi il suo giusto ordinamento sia verso il suo fine primario. . . . – Bisogna fare attenzione che le condizioni calamitose degli affari esterni non diano occasione ad un errore molto più disastroso. Infatti, non possono sorgere difficoltà che annullino l’obbligo dei mandati di Dio che proibiscano atti che sono cattivi per la loro natura interiore; ma in tutte le circostanze collaterali i coniugi, rafforzati dalla grazia di Dio, possono sempre compiere fedelmente il loro dovere e conservare la loro castità nel Matrimonio senza macchie vergognose; perché la verità della fede cristiana è espressa nell’insegnamento del Sinodo di Trento: “Nessuno affermi avventatamente ciò che i Padri del Concilio hanno posto sotto anatema, cioè che vi siano precetti di Dio impossibili da osservare per il giusto. Dio non chiede l’impossibile, ma con i suoi comandi vi istruisce a fare ciò che siete in grado di fare, a pregare per ciò che non siete in grado di fare, e vi assiste affinché siate in grado” [cfr. n. 804]. Questa stessa dottrina fu di nuovo solennemente ripetuta e confermata nella condanna dell’eresia giansenista, che osava pronunciare questa bestemmia contro la bontà di Dio: “Alcuni precetti di Dio sono impossibili da adempiere, anche per gli uomini giusti che vogliono e si sforzano di osservare le leggi secondo le forze che hanno; manca loro anche la grazia che lo renderebbe possibile” [cfr. n. 1092].

L’uccisione del feto.

[Dalla stessa Enciclica, “Casti Connubii”, 31 dicembre 1930].

3719. [Dz 2242]. È da notare anche un altro gravissimo delitto, con il quale si tenta di uccidere la vita della prole nascosta nel grembo della madre. Inoltre, alcuni desiderano che questo sia permesso secondo il piacere della madre o del padre; altri, invece, lo chiamano illecito a meno che non vi siano ragioni molto gravi, che chiamano con il nome di “indicazione” medica, sociale, eugenetica. Poiché questa si riferisce alle leggi penali dello Stato, secondo le quali è vietata la distruzione della prole generata ma non ancora nata, tutti questi chiedono che l'”indicazione”, che difendono individualmente in un modo o nell’altro, sia riconosciuta anche dalle leggi pubbliche e sia dichiarata esente da ogni pena. Anzi, non mancano coloro che chiedono che i magistrati pubblici diano una mano a queste operazioni di morte, cosa che purtroppo sappiamo tutti avvenire con grande frequenza in alcuni luoghi.

3720. [Dz 2243]. Ora, per quanto riguarda l'”indicazione” medica e terapeutica, per usare le loro parole, abbiamo già detto, Venerabili Fratelli, quanto siamo dispiaciuti per la madre, la cui salute e persino la vita sono minacciate da gravi pericoli derivanti dal dovere della natura; ma quale ragione può mai essere abbastanza forte da giustificare in alcun modo l’omicidio diretto di un innocente? Questo è il caso in questione. Che si tratti della madre o della prole, è contrario al precetto di Dio ed alla voce della natura: “Non uccidere!” (Es XX,13). La vita di ogni persona è un bene altrettanto sacro e nessuno potrà mai avere il potere, nemmeno l’autorità pubblica, di distruggerla. Di conseguenza, è molto ingiusto invocare il “diritto di spada” contro l’innocente, poiché questo vale solo contro il colpevole; né esiste in questo caso un diritto di difesa cruenta contro un aggressore ingiusto (perché chi chiamerebbe un bambino innocente un aggressore ingiusto?); né esiste un “diritto di estrema necessità”, come viene chiamato, che possa estendersi anche all’uccisione diretta dell’innocente. Pertanto, i medici onorati ed esperti si sforzano lodevolmente di proteggere e salvare la vita sia della madre che della prole; d’altro canto, si dimostrerebbero indegni del nobile nome di medico e della lode quanti pianificano la morte dell’uno o dell’altro sotto l’apparenza di praticare la medicina o per motivi di falsa pietà. . . .

3721. [Dz 2244] Ora, ciò che viene proposto a favore di un’indicazione sociale ed eugenetica, con mezzi leciti ed onorevoli ed entro i dovuti limiti, può e deve essere ritenuto una soluzione per queste questioni; ma a causa delle necessità su cui poggiano questi problemi, cercare di procurare la morte dell’innocente è improprio e contrario al precetto divino promulgato dalle parole dell’Apostolo: “Non si deve fare il male perché ne venga un bene” (Rm III,8). – Infine, coloro che ricoprono alte cariche tra le Nazioni e promulgano leggi non possono dimenticare che spetta all’autorità pubblica, attraverso leggi e sanzioni appropriate, difendere la vita degli innocenti, tanto più che coloro la cui vita è in pericolo e vengono attaccati sono meno capaci di difendersi da soli, tra i quali sicuramente i bambini nel grembo delle madri occupano il primo posto. Ma se i magistrati pubblici non solo non proteggono questi piccoli, ma con le loro leggi e ordinanze lo permettono, consegnandoli così alle mani di medici ed altri per essere uccisi, ricordino che Dio è il giudice ed il vendicatore del “sangue innocente che grida dalla terra al cielo” (Gen IV,10).

Il diritto al matrimonio e la sterilizzazione.

[Dalla stessa Enciclica, “Casti Connubii“, 31 dicembre 1930]

3722. [Dz 2245]. Infine, si deve condannare quella pratica perniciosa che è strettamente legata al diritto naturale dell’uomo di contrarre Matrimonio, e che riguarda anche in modo reale il bene della prole. Ci sono infatti coloro che, eccessivamente preoccupati per i fini dell’eugenetica, non solo danno alcuni consigli salutari per procurare più sicuramente la salute ed il vigore della futura prole – il che non è certo contrario alla retta ragione – ma antepongono l’eugenetica ad ogni altro fine di ordine superiore; e con l’autorità pubblica vogliono proibire il Matrimonio a tutti coloro dai quali, secondo le norme e le congetture della loro scienza, pensano che verrà generata una prole difettosa e corrotta a causa della trasmissione ereditaria, anche se queste stesse persone sono naturalmente adatte a contrarre Matrimonio. Anzi, vogliono addirittura che queste persone, anche contro la loro volontà, siano private per legge di questa facoltà naturale attraverso l’intervento dei medici; e questo lo propongono non come una pena severa per un crimine commesso, da ricercare da parte dell’autorità pubblica, né per scongiurare futuri crimini della colpa, ma, contrariamente ad ogni diritto e pretesa, arrogando ai magistrati civili questo potere, che non hanno mai avuto e non potranno mai avere legittimamente. – Chi agisce in questo modo dimentica completamente che la famiglia è più sacra dello Stato e che gli uomini sono generati principalmente non per la terra e per il tempo, ma per il cielo e l’eternità. E, certamente, non è giusto che uomini, per altri versi capaci di sposarsi, che secondo le congetture, anche se si applica ogni cura ed diligenza, genereranno solo una prole difettosa, siano per questo motivo gravati da un grave peccato se contraggono Matrimonio, anche se a volte dovrebbero essere dissuasi dal Matrimonio.

3723. [Dz 2246] In effetti, i magistrati pubblici non hanno alcun potere diretto sui corpi dei loro sudditi; pertanto, non possono mai nuocere direttamente o intaccare in alcun modo l’integrità del corpo, se non c’è stato un crimine e se non c’è una causa per una grave punizione, né per motivi di eugenetica, né per qualsiasi altro scopo. San Tommaso d’Aquino ha insegnato lo stesso, quando, chiedendo se i giudici umani abbiano il potere di infliggere qualche male all’uomo per scongiurare i mali futuri, ammette che ciò sia corretto in riferimento ad alcuni altri mali, ma giustamente e degnamente lo nega per quanto riguarda il ferimento del corpo: “Mai nessuno, secondo il giudizio umano, dovrebbe essere punito, quando non è colpevole, con una pena di fustigazione a morte, o di mutilazione, o di percosse”. – La dottrina cristiana ha stabilito questo, ed alla luce della ragione umana è abbastanza chiaro che i privati non hanno altro potere sulle membra del loro corpo, e non possono distruggerle o mutilarle, o in qualsiasi altro modo renderle inadatte alle funzioni naturali, se non quando non si può provvedere altrimenti al bene dell’intero corpo.

L’emancipazione della donna.

[Dalla stessa Enciclica, “Casti Connubii“, 31 dicembre 1930].

[Dz 2247]. Chiunque, poi, offuschi il lustro della fede e della castità coniugale scrivendo e parlando, questi stessi maestri dell’errore minano facilmente l’obbedienza fiduciosa e onorevole della donna all’uomo. Molti di loro blaterano anche che si tratti di una forma indegna di servitù da parte di un coniuge nei confronti dell’altro; che tutti i diritti tra i coniugi siano uguali; e quando questi vengano violati dalla servitù di uno dei due, proclamano con orgoglio che una sorta di emancipazione sia stata o dovrebbe essere realizzata. Questa emancipazione, inoltre, la stabiliscono in un triplice modo: nel governo della società domestica, nell’amministrazione degli affari familiari e nell’impedire o distruggere la vita della prole, che chiamano sociale, economica e fisiologica: fisiologico, in quanto desiderano che la donna si liberi o sia liberata dai doveri di moglie, sia coniugali che materni, per sua libera scelta (ma abbiamo già detto abbastanza che questa non sia emancipazione, ma un miserabile crimine); economiche, naturalmente, in quanto desiderano che la donna, anche all’insaputa o con l’opposizione dell’uomo, possa liberamente possedere, portare avanti e amministrare i propri affari, trascurando i figli, il marito e l’intera famiglia; infine, sociali, in quanto sottraggono alla moglie le cure domestiche, sia dei figli che della famiglia, affinché possa, trascurandole, seguire le proprie inclinazioni e persino dedicarsi agli affari e agli affari pubblici.

[Dz 2248]. Ma questa non è una vera emancipazione della donna, né una libertà conforme alla ragione, né degna di lei e dovuta all’ufficio di nobile madre e moglie cristiana; è piuttosto una corruzione della natura femminile e della dignità materna, ed una perversione dell’intera famiglia, per cui il marito è privato di una moglie, la prole di una madre, e la casa e l’intera famiglia di un guardiano sempre vigile. Anzi, questa falsa libertà e l’innaturale uguaglianza con l’uomo sono volte alla distruzione della donna stessa; infatti, se la donna scende dal seggio regale a cui è stata innalzata tra le mura domestiche dal Vangelo, sarà presto ridotta all’antica servitù (se non in apparenza, ma di fatto) e diventerà, come lo era tra i pagani, un mero strumento dell’uomo. – Ma quell’uguaglianza di diritti che è così esagerata ed estesa, dovrebbe essere riconosciuta naturalmente tra quelli che sono propri della persona e della dignità umana, e che seguono il contratto nuziale e sono naturali al Matrimonio; e in questi, certamente, entrambi i coniugi godono assolutamente dello stesso diritto e sono tenuti agli stessi obblighi; in altre questioni deve esistere una sorta di disuguaglianza e di giusta proporzione, che il bene della famiglia e la dovuta unità e stabilità della società domestica e dell’ordine richiedono. – Tuttavia, laddove le condizioni sociali ed economiche della donna sposata, a causa dei mutati modi e pratiche della società umana, debbano essere in qualche modo modificate, spetta all’autorità pubblica adattare i diritti civili della donna alle necessità ed ai bisogni di questo tempo, tenendo in debita considerazione ciò che richiedano le diverse disposizioni naturali del sesso femminile, la buona morale ed il bene comune della famiglia; a condizione, inoltre, che rimanga intatto l’ordine essenziale della società domestica, che si fonda su un’autorità ed una saggezza superiori a quelle umane, cioè divine, e che non possano essere modificate dalle leggi pubbliche e dal piacere degli individui.

Divorzi.

[Dalla stessa Enciclica, “Casti Connubii“, 31 dicembre 1930].

3724. [Dz 2249] I sostenitori del neopaganesimo, non avendo imparato nulla dall’attuale triste situazione, continuano ogni giorno ad attaccare più aspramente la sacra indissolubilità del Matrimonio e le leggi che la sostengono, e sostengono che si debba decidere di riconoscere i divorzi, che altre leggi più umane debbano essere sostituite a quelle obsolete. – Essi adducono molte cause diverse per il divorzio, alcune derivanti dalla malvagità o dal peccato delle persone, altre basate sulle circostanze (le prime le chiamano soggettive, le seconde oggettive); infine, tutto ciò che rende più dura e sgradevole la vita matrimoniale individuale. . . . – Quindi si dice che le leggi debbano essere fatte per conformarsi a queste esigenze ed alle mutate condizioni dei tempi, alle opinioni degli uomini, alle istituzioni ed ai costumi civili, che singolarmente, e soprattutto se riunite, testimoniano chiaramente che la possibilità di divorziare debba essere immediatamente concessa per determinate cause. – Altri, proseguendo con notevole impudenza, ritengono che, essendo il Matrimonio un contratto puramente privato, debba essere lasciato direttamente al consenso ed all’opinione privata dei due che lo hanno contratto, come avviene per gli altri contratti privati, e quindi possa essere sciolto per qualsiasi motivo.

[Dz 2250]. Ma a tutte queste farneticazioni si oppone l’unica legge certa di Dio, confermata pienamente da Cristo, che non può essere indebolita da nessun decreto degli uomini o decisione del popolo, da nessuna volontà dei legislatori: “Ciò che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi” (Mt XIX,6); e se un uomo, contrariamente a questa legge, separa, è immediatamente illegale; così giustamente, come abbiamo visto più di una volta, Cristo stesso ha dichiarato: “Chiunque abbandona la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio, e chi sposa la donna che è stata abbandonata, commette adulterio” (Lc XVI,18). E queste parole di Cristo si riferiscono a qualsiasi Matrimonio, anche a quello puramente naturale e legittimo; perché l’indissolubilità è propria di ogni vero Matrimonio, e qualsiasi cosa riguardi l’allentamento del vincolo è completamente sottratta al beneplacito delle parti interessate e ad ogni potere secolare.

Educazione sessuale ed eugenetica.

[Dal Decreto del Sant’Uffizio, 21 marzo 1931]

[Dz 2251 I]. Domanda: Si può approvare il metodo che si chiama “educazione sessuale” o anche “iniziazione sessuale”?

Risposta: Negativamente, e che il metodo debba essere conservato interamente come è stato esposto fino ad oggi dalla Chiesa e dai santi uomini, e raccomandato dal Santissimo Padre nella Lettera Enciclica “Sull’educazione cristiana della gioventù”, data il 31 dicembre 1929 [vedi n. 2214]. Naturalmente, si deve avere cura di impartire alla gioventù di entrambi i sessi un’istruzione religiosa piena e solida, senza interruzioni; in questa istruzione si deve suscitare la considerazione, il desiderio e l’amore per le virtù angeliche; e in particolare si deve inculcare loro di insistere nella preghiera, di essere costanti nei Sacramenti della penitenza e della Santissima Eucaristia, di essere devoti alla Beata Vergine, Madre della santa purezza, con devozione filiale e di affidarsi completamente alla sua protezione; di evitare accuratamente le letture pericolose, i giochi osceni, le frequentazioni con i malvagi e tutte le occasioni di peccato. – Non possiamo quindi assolutamente approvare quanto sia stato scritto e pubblicato in difesa del nuovo metodo soprattutto in questi ultimi tempi, anche da parte di alcuni autori cattolici.

[Dz 2252 II]. Cosa pensare della cosiddetta teoria dell'”eugenetica”, sia essa “positiva” o “negativa”, e dei mezzi da essa indicati per portare la progenie umana ad uno stato migliore, ignorando le leggi naturali o divine o ecclesiastiche che riguardano i diritti dell’individuo al Matrimonio?

Risposta: Che questa teoria sia da disapprovare completamente, e da ritenere falsa e da condannare, come nella Lettera Enciclica sul matrimonio cristiano, “Casti connubii“, del 31 dicembre 1930 [cfr. n. 2245 s.].

Lett. Encycl. “Quadragesimo anno”, 15 mag. 1931.

L’autorità della Chiesa negli affari sociali ed economici.

3725. Dz 2253 Bisogna ribadire il principio che Leone XIII ha chiaramente stabilito molto tempo fa, e cioè che in noi risiede il diritto ed il dovere di giudicare con suprema Autorità questi problemi sociali ed economici . . . Infatti, sebbene gli affari economici e la disciplina morale si avvalgano di principi propri, ciascuno nella propria sfera, tuttavia è falso affermare che l’ordine economico e quello morale siano così distinti ed estranei l’uno all’altro che il primo non dipenda in alcun modo dal secondo.

La proprietà o il diritto di proprietà.

[Dalla stessa Enciclica, “Quadragesimo anno“, 15 maggio 1931]

3726. [Dz 2254]. La sua natura individuale e sociale. In primo luogo, dunque, si consideri riconosciuto e certo che né Leone XIII, né i teologi che hanno insegnato sotto la guida e la direzione della Chiesa hanno mai negato o messo in discussione la duplice natura della proprietà, che si chiama individuale e sociale, a seconda che riguardi i singoli o guardi al bene comune; ma hanno sempre unanimemente affermato che il diritto alla proprietà privata sia stato assegnato agli uomini dalla natura, o dal Creatore stesso, sia perché essi possano provvedere individualmente a se stessi ed alle loro famiglie, sia perché per mezzo di questa istituzione i beni che il Creatore ha destinato all’intera famiglia umana possano realmente servire a questo fine, che non può essere raggiunto se non attraverso il mantenimento di un ordine definito e fisso. . . .

3727. [Dz 2255] Obblighi inerenti alla proprietà. Per porre dei limiti precisi alle controversie che hanno cominciato a sorgere sulla proprietà e sui doveri ad essa inerenti, dobbiamo innanzitutto stabilire il principio fondamentale che Leone XIII ha stabilito, ossia che il diritto di proprietà si distingue dal suo uso. La giustizia detta “commutativa“, infatti, impone agli uomini di mantenere sacra la divisione dei beni e di non ledere i diritti altrui oltrepassando i limiti della proprietà; ma che i proprietari facciano un uso onorevole dei loro beni non è affare di questa giustizia, bensì di altre virtù, i cui doveri “non è giusto ricercare con l’emanazione di una legge”. Pertanto, alcuni dichiarano ingiustamente che la proprietà ed il suo uso onorevole siano delimitati dagli stessi limiti; e, cosa molto più in contrasto con la verità, che a causa del suo abuso o del suo mancato uso il diritto alla proprietà sia distrutto e perso. . . .

3728. [Dz 2256] Qual è il potere dello Stato. Dalla natura stessa della proprietà, che abbiamo chiamato sia individuale che sociale, deriva che gli uomini debbano di fatto tenere conto in questa materia non solo del proprio vantaggio, ma anche del bene comune. Definire questi doveri in dettaglio, quando la necessità lo richieda e la legge naturale non li prescriva, è compito di coloro che sono a capo dello Stato. Pertanto, ciò che è permesso a coloro che possiedono una proprietà in considerazione della vera necessità del bene comune, ciò che è illecito nell’uso dei loro beni l’autorità pubblica può deciderlo più accuratamente, seguendo i dettami della legge naturale e divina. Infatti, Leone XIII insegnava saggiamente che la descrizione dei beni privati è stata affidata da Dio all’industria dell’uomo e alle leggi dei popoli. … Tuttavia è chiaro che lo Stato non può svolgere il suo compito in modo arbitrario. Infatti, il diritto naturale di possedere la proprietà privata e di trasmettere i beni per eredità deve sempre rimanere intatto e non violato, “perché l’uomo è più antico dello Stato” * e inoltre “la casa domestica è anteriore sia nell’idea che nei fatti alla comunità civile”. – Così il sapientissimo Pontefice aveva già dichiarato illegittimo che lo Stato esaurisse i fondi privati con il pesante fardello di tasse e tributi. L’autorità pubblica non può abolire il diritto di proprietà privata, poiché questo non deriva dalla legge dell’uomo ma dalla natura, ma può solo controllarne l’uso e armonizzarlo con il bene comune “*. . .

3729. [Dz 2257] Obblighi relativi ai redditi superflui. I redditi superflui non sono lasciati interamente all’arbitrio dell’uomo, cioè le ricchezze di cui non ha bisogno per sostenere la vita in modo adeguato e decoroso; ma d’altra parte la Sacra Scrittura ed i santi Padri della Chiesa dichiarano continuamente e con parole chiarissime che i ricchi sono tenuti con la massima serietà al precetto di praticare la carità, la beneficenza e la liberalità. L’investimento di redditi piuttosto cospicui affinché abbondino le opportunità di lavoro retribuito, a condizione che questo lavoro sia applicato alla produzione di prodotti veramente utili, deduciamo dallo studio dei principi del Dottore Angelico, è da considerarsi un’azione nobile di magnifica virtù, e particolarmente adatta alle necessità del tempo.

3730. [Dz 2258]. Titoli di acquisto della proprietà. Inoltre, non solo la tradizione di tutti i tempi, ma anche la dottrina del Nostro predecessore, Leone, testimoniano chiaramente che la proprietà in primo luogo si acquista con l’occupazione di una cosa che non appartenga a nessuno, e con l’industria, o specificazione che dir si voglia. Infatti non si arreca alcun danno a nessuno, checché se ne dica, quando si occupa una proprietà che non sia reclamata e che non appartenga a nessuno; ma l’industria che viene esercitata dall’uomo in nome proprio, e con la quale si aggiunge un nuovo tipo o un aumento alla sua proprietà, è l’unica industria che dà al lavoratore un titolo sui suoi frutti”.

Capitale e lavoro.

[Dalla stessa Enciclica, “Quadragesimo anno“, 15 maggio 1931].

3731. [Dz 2259] Ben diversa è la natura del lavoro che viene affittato ad altri e che viene esercitato sul capitale altrui. Questa affermazione è particolarmente in armonia con ciò che Leone XIII dice essere più vero, “che le ricchezze dello Stato sono prodotte solo dal lavoro dell’uomo che lavora”. – Nessuno dei due senza l’altro è in grado di produrre qualcosa. Ne consegue che, a meno che uno non svolga un lavoro sulla propria proprietà, la proprietà dell’uno debba essere associata in qualche modo al lavoro dell’altro; perché nessuno dei due produce nulla senza l’altro. E questo Leone XIII aveva in mente quando scrisse: “Non ci può essere capitale senza lavoro, né lavoro senza capitale”. Pertanto, è del tutto falso attribuire all’uno o all’altro da solo ciò che sia stato ottenuto dallo sforzo congiunto di entrambi; ed è del tutto ingiusto che l’uno neghi l’efficacia dell’altro, e si arroghi il merito di ciò che è stato realizzato. . . .

3732. [Dz 2260]. Il principio direttivo della giusta distribuzione. Senza dubbio, per evitare che con queste false decisioni blocchino l’avvicinamento alla giustizia e alla pace, entrambi avrebbero dovuto essere avvertiti dalle sagge parole del Nostro predecessore: “Anche se divisa tra proprietari privati, la terra non cessa di servire all’utilità di tutti”. Pertanto, la ricchezza che viene continuamente accresciuta grazie al progresso economico e sociale dovrebbe essere distribuita in modo tale da preservare il bene comune di tutta la società. In base a questa legge di giustizia sociale, ad una classe è vietato escludere l’altra dalla partecipazione ai profitti. Tuttavia, la classe ricca viola questa legge di giustizia sociale quando, per così dire, libera da ogni ansia per la sua fortuna, consideri giusto quell’ordine di cose per cui tutto spetta a lei e niente all’operaio; e la classe senza proprietà viola questa legge quando, fortemente incattivita dalla giustizia violata e troppo incline a rivendicare a torto l’unico diritto proprio di cui è consapevole, pretenda tutto per sé, con la motivazione che sia stato fatto dalle proprie mani, e quindi attacchi e si sforzi di abolire la proprietà e il reddito, o i profitti che non siano stati ottenuti con il lavoro, di qualsiasi tipo essi siano, o di qualsiasi natura essi siano nella società umana, per nessun altro motivo se non perché sono tali. E non dobbiamo trascurare il fatto che in questa materia alcuni si appellano, in modo inopportuno ed indegno, all’Apostolo quando dice: “Se uno non vuole lavorare, non lo lasci mangiare” (2Ts III,10); infatti l’Apostolo pronuncia questa affermazione contro coloro che si astengono dal lavoro, anche se possono e devono lavorare; e ci consiglia di fare un uso zelante del tempo e delle forze, sia del corpo che della mente, e di non gravare sugli altri, quando possiamo provvedere a noi stessi. Ma in nessun modo l’Apostolo insegna che il lavoro è l’unico titolo per ricevere un sostentamento e dei profitti (cfr. 2Ts III,8-10). – A ciascuno, dunque, va assegnata la propria parte di proprietà; e si deve fare in modo che la distribuzione dei beni creati sia conforme alle norme del bene comune o della giustizia sociale. . . .

Il giusto salario o stipendio del lavoro.

[Dalla stessa Enciclica]

Consideriamo la questione del salario, che Leone XIII disse “essere di grande importanza”, enunciando e spiegando la dottrina ed i precetti dove necessario.

3733. [Dz 2261] Il contratto di salario non è ingiusto nella sua essenza. In primo luogo, infatti, coloro che dichiarano che il contratto di affitto e di accettazione di manodopera a pagamento sia ingiusto nella sua essenza, e che quindi al suo posto debba essere sostituito un contratto di società, sono completamente in errore, e calunniano gravemente il Nostro predecessore, la cui Lettera Enciclica “Sul salario” non solo ammette un tale contratto, ma lo tratta a lungo secondo i principi della giustizia

3734. [Dz 2262] (Su quale base debba essere stimata una giusta remunerazione). Leone XIII ha già saggiamente dichiarato, con le seguenti parole, che la giusta misura del salario debba essere stimata non in base ad una sola ma a diverse considerazioni: “Affinché si possa stabilire una giusta misura del salario, si devono considerare molte condizioni. . . . “

La natura individuale e sociale del lavoro. Sia per la proprietà che per il lavoro, soprattutto per quello dato in affitto, si deve osservare che, oltre alle preoccupazioni personali o individuali, si deve considerare anche l’aspetto sociale; infatti, se non c’è un corpo veramente sociale ed organico, se l’ordine sociale e giuridico non protegge il lavoro, se i vari mestieri che dipendono l’uno dall’altro, uniti in reciproca armonia, non si completano a vicenda e se, cosa più importante, l’intelletto, il capitale ed il lavoro non si uniscono come in un’unità, gli sforzi dell’uomo non possano produrre i frutti dovuti. Pertanto, gli sforzi dell’uomo non possono essere valutati giustamente né adeguatamente ripagati se si trascura la loro natura sociale e individuale. – Tre questioni fondamentali da considerare. Inoltre, da questo duplice carattere, che è la natura profonda del lavoro umano, derivano le conclusioni più serie in base alle quali i salari dovrebbero essere regolati e determinati.

3735. [Dz 2263]. a) Il sostentamento del lavoratore e della sua famiglia. È giusto, infatti, che il resto della famiglia contribuisca, secondo le proprie capacità, al sostentamento comune di tutti, come si può vedere soprattutto nelle famiglie dei contadini ed anche in molte famiglie di artigiani e piccoli negozianti; ma è sbagliato abusare della tenera età dei bambini e della debolezza delle donne. Soprattutto in casa o nelle questioni che riguardano la casa, lasciate che le madri di famiglia svolgano il loro lavoro occupandosi delle cure domestiche. Ma l’abuso peggiore, che deve essere eliminato con ogni sforzo, è quello delle madri costrette a svolgere un’attività remunerativa lontano da casa, a causa dell’esiguità del salario del padre, trascurando le proprie cure e i propri doveri speciali, e soprattutto l’educazione dei figli. Occorre quindi fare ogni sforzo affinché i padri ricevano un salario sufficientemente ampio da soddisfare adeguatamente le ordinarie esigenze domestiche. Ma se allo stato attuale delle cose questo non può essere sempre realizzato, la giustizia sociale richiede che vengano introdotti al più presto dei cambiamenti che permettano ad ogni lavoratore adulto di essere garantito da un tale salario. Non sarà inutile elogiare tutti coloro che, in modo molto saggio ed utile, hanno tentato vari piani per adeguare il salario del lavoratore agli oneri della famiglia, in modo che quando gli oneri aumentano, il salario venga aumentato; sicuramente, se questo dovesse accadere, si farebbe abbastanza per soddisfare i bisogni straordinari.

3736. [Dz 2264] b) La condizione dell’azienda. Si deve tenere conto anche di un’azienda e del suo proprietario; infatti, ingiustamente verrebbero richiesti salari smisurati, che l’azienda non possa sopportare senza la sua rovina e la conseguente rovina dei lavoratori. Tuttavia, se l’azienda produce meno profitti a causa della diligenza, della pigrizia o della negligenza nei confronti del progresso tecnico ed economico, questo non è da considerarsi una giusta causa per abbassare i salari dei lavoratori. Tuttavia, se ad un’impresa non torna una quantità di denaro sufficiente a pagare agli operai un giusto salario, perché è oppressa da oneri ingiusti o perché è costretta a vendere il suo prodotto a un prezzo inferiore a quello giusto, coloro che vessano un’impresa si rendono colpevoli di un grave reato; perché privano del giusto salario gli operai che, costretti dalla necessità, sono obbligati ad accettare un salario inferiore a quello giusto. . . .

3737. [Dz 2265] c) Le esigenze del bene comune. Infine, la scala dei salari deve essere adeguata al benessere economico del popolo. Abbiamo già mostrato come sia utile al benessere del popolo che gli operai e i funzionari, accantonando la parte del loro salario non utilizzata per le spese necessarie, acquisiscano gradualmente un modesto patrimonio; ma non bisogna trascurare un’altra cosa, di importanza appena minore, e particolarmente necessaria nel nostro tempo, ossia che venga fornita un’opportunità di lavoro a coloro che siano in grado e disposti a lavorare. . . . Un’altra cosa, poi, è contraria alla giustizia sociale, ovvero che, per motivi di guadagno personale e senza alcuna considerazione del benessere comune, si abbassino o si alzino eccessivamente i salari dei lavoratori; questa stessa giustizia esige che con una pianificazione concertata e con la buona volontà, per quanto si possa fare, si regolino i salari in modo tale che il maggior numero possibile di persone possa avere un impiego e ricevere mezzi adeguati per il mantenimento della vita.

Molto opportunamente, è importante anche una ragionevole proporzione tra i salari, con la quale è strettamente connessa la giusta proporzione dei prezzi di vendita dei beni prodotti dai vari gruppi come l’agricoltura, l’industria ed altri. Se tutti questi aspetti sono mantenuti in armonia, le varie competenze si combineranno e si uniranno come in un unico corpo e, come le membra di un corpo, si aiuteranno e si perfezioneranno a vicenda. Allora l’ordine economico e sociale sarà veramente stabilito e raggiungerà i suoi scopi, se verranno forniti a tutti ed a ciascuno tutti quei benefici che possono essere forniti dalle ricchezze e dalle risorse della natura, dalle competenze tecniche e dalla costituzione sociale degli affari economici. Anzi, questi benefici dovrebbero essere tanto numerosi quanto sono necessari per soddisfare le necessità e le convenienze onorevoli della vita, e per elevare gli uomini a quel modo di vivere più felice che, a condizione che sia condotto con prudenza, non solo non è un ostacolo alla virtù, ma un grande aiuto ad essa.

Il giusto ordine sociale.

[Dalla stessa Enciclica, “Quadragesimo anno”, 15 maggio 1931].

3738. [Dz 2266] – [Il dovere dello Stato]. Quando ora parliamo di riforma delle istituzioni, abbiamo in mente soprattutto lo Stato, non come se tutta la salvezza fosse da aspettarsi dalla sua attività, perché a causa del male dell’individualismo, di cui abbiamo parlato, le cose sono arrivate ad un punto tale che la vita sociale altamente sviluppata, che un tempo fioriva compostamente in diverse istituzioni, sia stata abbassata e quasi cancellata; e i singoli uomini e lo Stato sono rimasti quasi soli, con un danno non indifferente per lo Stato che, avendo perso la sua forma di regime sociale ed avendo assunto tutti gli oneri precedentemente sostenuti dalle associazioni ora distrutte, è stato quasi sommerso e sopraffatto da un numero infinito di funzioni e doveri. – Pertanto, l’autorità suprema dello Stato dovrebbe affidare ai gruppi più piccoli l’espletamento di affari e problemi di minore importanza, dai quali altrimenti sarebbe fortemente distratta. In questo modo, tutte le questioni che riguardano lo Stato saranno eseguite in modo più libero, vigoroso ed efficiente, dal momento che esso è l’unico abilitato a svolgerle, dirigendo, sorvegliando, sollecitando e obbligando, a seconda delle circostanze e delle necessità. Pertanto, coloro che sono al potere si convincano che quanto più il principio del dovere del “sussidiario” sia perfettamente rispettato ed un ordine gerarchico graduale fiorisca tra le varie associazioni, tanto più eccezionali saranno l’autorità e l’efficienza sociale, e più felice e prospera la condizione dello Stato.

3739. [Dz 2267]. L’armonia reciproca degliordini“. Inoltre, sia lo Stato che ogni cittadino di spicco, dovrebbero guardare e sforzarsi soprattutto per questo, che con la soppressione dei conflitti tra le classi possa essere suscitata e promossa una piacevole armonia tra gli ordini. . . . – Perciò la politica sociale deve lavorare per il ripristino degli “ordini” …, “ordini”, cioè, in cui gli uomini sono collocati non in base alla posizione che occupano nel mercato del lavoro, ma in base ai diversi ruoli sociali che esercitino individualmente. Infatti, come accade per impulso naturale che coloro che sono uniti dalla vicinanza del luogo fondino dei comuni, così anche coloro che esercitano lo stesso mestiere o la stessa professione – sia essa economica o di altro tipo – formano corporazioni o determinati gruppi (collegia seu corpora quaedam), cosicché questi gruppi, essendo veramente autonomi, siano abitualmente indicati, se non come essenziali alla società civile, almeno come naturali ad essa. . . . – È appena il caso di ricordare che ciò che Leone XIII ha insegnato sulla forma di governo politico sia ugualmente applicabile, con le dovute proporzioni, alle corporazioni od ai gruppi, e cioè che sia lecito agli uomini scegliere la forma che preferiscono, purché si tenga conto delle esigenze della giustizia e del bene comune.

3740. [Dz 2268] [Libertà di associazione]. Ora, come gli abitanti di un comune sono soliti fondare associazioni per scopi molto diversi, alle quali ciascuno ha piena facoltà di aderire o meno, così coloro che esercitano lo stesso mestiere si associano tra loro in modo altrettanto libero per scopi in qualche modo connessi all’esercizio del loro mestiere. Poiché queste libere associazioni sono state spiegate in modo chiaro e lucido dal Nostro predecessore, riteniamo sufficiente sottolineare questo punto: che l’uomo ha piena libertà non solo di formare tali associazioni, che sono di diritto e ordine privato, ma anche di scegliere liberamente all’interno di esse quell’organizzazione e quelle leggi che sono considerate particolarmente favorevoli al fine che è stato proposto”. * La stessa libertà deve essere mantenuta nell’istituire associazioni che si estendono oltre i limiti di un singolo commercio. Inoltre, queste libere associazioni che già fioriscono e godono di frutti salutari, secondo il pensiero della dottrina sociale cristiana, si prefiggano di preparare la strada a quelle corporazioni o “ordini” più importanti di cui abbiamo fatto menzione sopra, e lo realizzino con impegno.

3741. [Dz 2269]. Il principio guida dell’economia da ripristinare. Un’altra questione, strettamente connessa alla prima, deve essere tenuta presente. Come l’unità della società non può poggiare sulla reciproca opposizione delle classi, così il giusto ordinamento degli affari economici non può essere affidato alla libera competizione delle forze. . . Perciò si devono cercare principi più alti e più nobili con cui controllare questo potere in modo fermo e solido: la giustizia sociale e la carità sociale. Pertanto, le istituzioni del popolo, e di tutta la vita sociale, devono essere impregnate di questa giustizia, in modo che sia veramente efficiente, o stabilire un ordine giuridico e sociale, con il quale, per così dire, l’intera economia possa essere modellata. La carità sociale, inoltre, dovrebbe essere l’anima di questo ordine, e un’autorità pubblica attenta dovrebbe mirare a proteggerla e custodirla efficacemente, compito che potrà svolgere con meno difficoltà, se si libererà di quei pesi che abbiamo dichiarato prima non esserle propri. – Inoltre, le varie Nazioni dovrebbero sforzarsi di raggiungere questo obiettivo unendo il loro zelo e le loro fatiche, in modo che, poiché negli affari economici dipendono per la maggior parte l’una dall’altra ed hanno bisogno dell’aiuto reciproco, possano promuovere con saggi patti e istituzioni, una favorevole e felice cooperazione nel mondo dell’economia.

Socialismo.

[Dalla stessa Enciclica, “Quadragesimo anno“, 15 maggio 1931]

3742. [Dz 2270] Dichiariamo quanto segue: Sia che si consideri il socialismo come dottrina, sia che lo si consideri come fatto storico, sia che lo si consideri come “azione”, se veramente rimane socialismo, anche dopo aver ceduto alla verità e alla giustizia nelle questioni che abbiamo menzionato, non può essere conciliato con i dogmi della Chiesa cattolica, poiché concepisce una società umana completamente in contrasto con la verità cristiana.

3743. Il socialismo concepisce una società ed un carattere sociale dell’uomo completamente in contrasto con la verità cristiana. Secondo la dottrina cristiana, l’uomo, dotato di una natura sociale, è posto su questa terra affinché, conducendo una vita in società e sotto un’autorità ordinata da Dio (cfr. Rm XIII,1), possa sviluppare e far evolvere pienamente tutte le sue facoltà a lode e gloria del suo Creatore; e compiendo fedelmente il dovere del suo mestiere, o di qualsiasi altra vocazione, possa acquisire per sé la felicità temporale ed eterna. Il socialismo, invece, ignorando completamente questo fine sublime dell’uomo e della società, e non preoccupandosene, afferma che la società umana sia stata istituita per i soli vantaggi materiali. . . .

3744. Cattolico e socialista hanno significati contraddittori. Ma se il socialismo, come tutti gli errori, contiene in sé qualche verità (che, del resto, i Sovrani Pontefici non hanno mai negato), tuttavia si basa su una dottrina della società umana, peculiare a se stessa, ed in contrasto con il vero Cristianesimo. “Socialismo religioso”, “Socialismo cristiano” hanno significati contraddittori: nessuno può essere allo stesso tempo un buon Cattolico ed un socialista nel vero senso della parola”.

3447. Che se il socialismo, come tutti gli errori, ammette pure qualche parte di vero (il che del resto non fu mai negato dai Sommi Pontefici), esso tuttavia si fonda su una dottrina della società umana, tutta sua propria e discordante dal vero Cristianesimo. Socialismo religioso e socialismo cristiano sono dunque termini contraddittori: nessuno può essere buon Cattolico ad un tempo e vero socialista. 

Risposta della Sacra Penitenzieria, 20 luglio 1932.

Ricorso esclusivo ai periodi sterili.

3748. Domanda: È di per sé lecita la pratica dei coniugi che, poiché per giusti e gravi motivi preferiscono evitare onestamente la prole, si astengano di comune accordo e per onesti motivi dalla consuetudine del Matrimonio se non in quei giorni in cui, secondo le teorie di alcuni autori recenti (Ogino-Knaus), non possa esserci concepimento per motivi naturali? Risposta: Trattata nella risposta della Sacra Penitenzieria del 16 giugno 1880 (cf. 3148.)

La maternità universale della Beata Vergine Maria.

[Dall’Enciclica “Lux veritatis“, 25 dicembre 1931]

[Dz 2271] Ella (a ben vedere), per il fatto di aver portato in grembo il Redentore del genere umano, è in un certo senso la Madre più benigna di tutti noi, che Cristo Signore ha voluto avere come fratelli (cfr. Rm VIII,29). Il nostro predecessore di felice memoria, Leone XIII, così si esprime: “Così ce l’ha mostrata Dio che, per il fatto stesso di averla scelta come Madre del suo Unigenito, l’ha chiaramente dotata di sentimenti materni che non esprimono altro che amore e bontà; così l’ha mostrata Gesù Cristo con il suo stesso atto, quando ha voluto di sua volontà essere sottomesso ed obbediente a Maria, come il figlio alla madre; così l’ha dichiarata dalla Croce quando l’ha affidata, come l’intero genere umano, a Giovanni il discepolo, perché fosse da lui curata e custodita” (Gv XIX,26 s.); così, infine, l’ha mostrata a tutti noi come una madre benigna (cfr. Rm VIII,29). ); tale, infine, si è data Lei stessa, che ha accolto con il suo grande spirito l’eredità di grande lavoro lasciata dal Figlio morente, ed ha iniziato subito a esercitare i suoi doveri materni verso tutti.

Risposta della Commissione Biblica, 1 luglio 1933.

3750. Domanda 1: È lecito per un Cattolico, soprattutto alla luce dell’interpretazione autentica del Principe degli Apostoli (At 2,24-33 At 13,35-37) interpretare le parole del Sal XVI,10-11: “Non lascerai la mia anima nello Sceol, né permetterai che il tuo Santo veda la corruzione; mi hai fatto conoscere i sentieri della vita”, come se l’autore non intendesse parlare della risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo? Risposta: No.

3751. Domanda 2: È lecito affermare che le parole di Gesù Cristo che leggiamo in Mt XVI, 26: “E che giova all’uomo se guadagna il mondo intero e perde la propria anima? O che cosa darà un uomo in cambio della sua anima?”, così come le seguenti, che leggiamo in San Luca: “Che cosa giova ad un uomo guadagnare il mondo intero se poi rovina o perde se stesso? “non riguardano letteralmente la salvezza eterna dell’anima, ma solo la vita temporale dell’uomo, nonostante il contenuto delle parole stesse e il loro contesto, nonché l’unanime interpretazione cattolica?

Risposta: No.

Lett. Encycl. “Ad catholici sacerdotii“, 20 dic. 1935.

3755. Gli effetti dell’Ordine del sacerdozio.

[Dall’Enciclica “Ad catholici sacerdotii“, 20 dicembre 1935]

3755. [Dz 2275] Il ministro di Cristo è il Sacerdote; pertanto, egli è, per così dire, lo strumento del divino Redentore, affinché egli possa continuare nel tempo la sua opera meravigliosa che, con la sua divina efficacia, ha restaurato l’intera società degli uomini e l’ha portata a un più alto perfezionamento. Piuttosto, come siamo soliti dire in modo giusto ed appropriato: “Egli è un altro Cristo”, poiché svolge il suo ruolo secondo queste parole: “Come il Padre ha mandato me, anch’Io mando voi” (Gv XX,21); e allo stesso modo e attraverso la voce degli Angeli il suo Maestro canta: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli” ed esorta alla pace “gli uomini di buona volontà” (cfr. Lc II,14). . . .

3756. Tali poteri, conferiti con lo speciale Sacramento del Sacerdozio, poiché si imprimono nella sua anima con il carattere indelebile per cui, come Colui di cui condivide il Sacerdozio, egli diventa “Sacerdote per sempre” (Sal CIX,4), non sono fugaci e transitori, ma stabili e permanenti. Anche se per la fragilità umana dovesse cadere in errori e disgrazie, non potrà mai cancellare dalla sua anima questo carattere sacerdotale. Inoltre, attraverso il Sacramento dell’Ordine il Sacerdote non solo acquisisce il carattere sacerdotale, non solo gli alti poteri, ma è anche reso più grande da una nuova e speciale grazia e da speciali aiuti, grazie ai quali, se solo si conformerà fedelmente, con la sua libera e personale cooperazione, alla potenza divinamente efficace di questi doni celesti, sicuramente sarà in grado di affrontare degnamente e senza sconforto di spirito gli ardui doveri del suo ministero. . . . – Dai santi ritiri [degli esercizi spirituali] di questo tipo può anche scaturire a volte una tale utilità, che uno, entrato “in sortem Domini” non per chiamata di Cristo stesso ma indotto dai suoi motivi terreni, possa essere in grado di “suscitare la grazia di Dio” (cfr. 2Tm 1); infatti, essendo ormai legato a Cristo ed alla Chiesa da un vincolo eterno, non può far altro che far proprie le parole di San Bernardo: “Per il futuro, fa’ buone le tue vie e le tue ambizioni e santifica il tuo ministero; se la santità della vita non l’ha preceduta, almeno la segua”. La grazia che è comunemente concessa da Dio e che viene data in modo speciale a chi accetta il Sacramento dell’Ordine, lo aiuterà senza dubbio, se lo desidera veramente, non tanto a modificare ciò che all’inizio fosse stato progettato in modo sbagliato da lui, quanto ad eseguire ed a prendersi cura dei doveri del suo ufficio.

Dall’Enciclica “Ad catholici sacerdotii“, 20 dicembre 1935.

3757. [Dz 2276]Infine, anche in questa materia il Sacerdote, compiendo l’opera di Gesù Cristo, che “passò tutta la notte nella preghiera di Dio” (Lc VI,12), e “visse sempre per intercedere per noi” (Heb VII,25), è per ufficio l’intercessore presso Dio per tutti; tra i suoi mandati c’è quello di offrire non solo il vero e proprio Sacrificio dell’altare a nome della Chiesa alla Divinità celeste, ma anche “il Sacrificio di lode” (Sal XLIX,14) e le preghiere comuni; Egli, infatti, con i salmi, le suppliche ed i cantici, mutuati in gran parte dalla Sacra Scrittura, assolve quotidianamente e ripetutamente al dovere dell’adorazione dovuta a Dio, e compie il necessario ufficio di tale adempimento per gli uomini. . . .

3758. Se la supplica privata è così potente a causa delle solenni e grandi promesse fatte da Gesù Cristo (Mt VII,7-11; Mc XI,23 Lc XI,9-13), allora le preghiere, che vengono pronunciate nell’Ufficio a nome della Chiesa, sposa prediletta del Redentore, godono senza dubbio di maggiore forza e virtù.

Risposta del Sant’Uffizio. 11 agosto 1936. Sterilizzazione.

3760. Dichiarazione: … Un’operazione chirurgica che porti alla sterilizzazione non è, ovviamente, un'”azione intrinsecamente malvagia per quanto riguarda la sostanza dell’atto”, e può quindi essere permessa finché è necessaria per procurare una buona salute. Ma se viene eseguita allo scopo di impedire la procreazione di figli, è un'”azione intrinsecamente malvagia per l’assenza di diritto in colui che agisce”, poiché né un uomo privato, né l’autorità pubblica, hanno un potere diretto di disporre delle membra del corpo che si estenda fino a quel punto.

3761. Questa dottrina, esplicitamente presentata dal Sommo Pontefice, deve essere applicata integralmente alla legge sulla sterilizzazione in questione. Il fatto che questa legge, volta a prevenire la prole handicappata, sia stata emanata per motivi puramente eugenetici, ovvero per prevenire danni economici o di altro tipo, non cambia la fattispecie né compensa l’assenza di diritti da parte di chi agisce, ed è per questo che l’operazione di sterilizzazione che viene prescritta debba essere considerata intrinsecamente ingiusta, e di fatto lo è.

3762. Di conseguenza: anche se il fine della legge, che è quello di curare la salute ed il vigore della prole, e di prevenire la prole handicappata, non deve essere riprovato, l’oggetto della legge, cioè i mezzi prescritti per condurre a questo fine, deve tuttavia essere totalmente riprovato. (In conseguenza di ciò, il Sant’Uffizio diede questa risposta il 15 luglio 1936: )

3763. 1) Una sterilizzazione effettuata per questo fine, che è quello di impedire la discendenza, è un’azione intrinsecamente cattiva per l’assenza di un diritto da parte di chi agisce; ed è per questo che è proibita dalla stessa legge naturale, sia che venga effettuata in virtù di un’autorità privata, sia che venga effettuata in virtù di un’autorità pubblica.

3764. 2) … Nella misura in cui prescrive che tale sterilizzazione sia richiesta o che sia effettuata, la “Legge per evitare che la prole soffra di una malattia ereditaria” è contraria al vero bene comune, ingiusta e non può creare un obbligo in coscienza.

3765. 3) Approvare questa legge, raccomandarla o applicarla con sentenza giudiziaria a casi particolari affinché si proceda alla sterilizzazione, così come approvare la sterilizzazione stessa in vista della prevenzione della prole…, significa approvare qualcosa di intrinsecamente malvagio…, ed è per questo immorale ed illecita.

Lett. Encycl. “Divini Redemptoris”, 19 mar. 1937.

3771.Quanto a ciò che la ragione e la fede dicono dell’uomo, Noi abbiamo esposto i punti fondamentali nell’Enciclica sull’educazione cristiana. L’uomo ha un’anima spirituale e immortale; è una persona, dal Creatore ammirabilmente fornita di doni di corpo e di spirito, un vero « microcosmo » come dicevano gli antichi, un piccolo mondo, che vale di gran lunga più di tutto l’immenso mondo inanimato. Egli ha in questa e nell’altra vita solo Dio per ultimo fine; è dalla grazia santificante elevato al grado di figlio di Dio e incorporato al regno di Dio nel mistico Corpo di Cristo. Conseguentemente Dio l’ha dotato di molteplici e svariate prerogative: diritto alla vita, all’integrità del corpo, ai mezzi necessari all’esistenza; diritto di tendere al suo ultimo fine nella via tracciata da Dio; diritto all’associazione, alla proprietà, e all’uso della proprietà.– Come il Matrimonio e il diritto all’uso naturale di esso sono di origine divina, così anche la costituzione e le prerogative fondamentali della famiglia sono state determinate e fissate dal Creatore stesso, non dall’arbitrio umano né da fattori economici. Nell’Enciclica sul Matrimonio cristiano e nell’altra Nostra, sopra accennata, sull’educazione, Ci siamo largamente diffusi su questi argomenti. Dio ha in pari tempo ordinato l’uomo anche alla società civile, richiesta dalla sua stessa natura. Nel piano del Creatore la società è un mezzo naturale, di cui l’uomo possa e debba servirsi per il raggiungimento del suo fine, essendo la società umana per l’uomo, e non viceversa.

3772. Ma Dio ha in pari tempo ordinato l’uomo anche alla società civile, richiesta dalla sua stessa natura. Nel piano del Creatore la società è un mezzo naturale, di cui l’uomo può e deve servirsi per il raggiungimento del suo fine, essendo la società umana per l’uomo, e non viceversa. Ciò non è da intendersi nel senso del liberalismo individualistico, che subordina la società all’uso egoistico dell’individuo; ma solo nel senso che, mediante l’unione organica con la società, sia a tutti resa possibile per la mutua collaborazione l’attuazione della vera felicità terrena; inoltre nel senso che nella società trovano sviluppo tutte le doti individuali e sociali, inserite nella natura umana, le quali sorpassano l’immediato interesse del momento e rispecchiano nella società la perfezione divina: ciò nell’uomo isolato non potrebbe verificarsi. Ma anche quest’ultimo scopo è in ultima analisi in ordine all’uomo, perché riconosca questo riflesso della perfezione divina, e lo rimandi così in lode e adorazione al Creatore. Solo l’uomo, la persona umana, e non una qualsiasi società umana, è dotato di ragione e di volontà moralmente libera.

3773. Pertanto come l’uomo non può esimersi dai doveri voluti da Dio verso la società civile, e i rappresentanti dell’autorità hanno il diritto, quando egli si rifiutasse illegittimamente, di costringerlo al compimento del proprio dovere, così la società non può frodare l’uomo dei diritti personali, che gli sono stati concessi dal Creatore, i più importanti dei quali sono stati da Noi sopra accennati, né di rendergliene impossibile per principio l’uso. È quindi conforme alla ragione e da essa voluto che alla fin fine tutte le cose terrestri siano ordinate alla persona umana, affinché per mezzo suo esse trovino la via verso il Creatore. E si applica all’uomo, alla persona umana, ciò che l’Apostolo delle Genti scrive ai Corinti sull’economia della salvezza cristiana: «Tutto è vostro, voi siete di Cristo, Cristo è di Dio ». Mentre il comunismo impoverisce la persona umana, capovolgendo i termini della relazione dell’uomo e della società, la ragione e la rivelazione la elevano così in alto! – Sull’ordine economico-sociale i princìpi direttivi sono stati esposti nell’Enciclica sociale di Leone XIII sulla questione del lavoro, e nella Nostra sulla ricostruzione dell’ordine sociale sono stati adattati alle esigenze del tempo presente. Poi, insistendo di nuovo sulla dottrina secolare della Chiesa, circa il carattere individuale e sociale della proprietà privata, Noi abbiamo precisato il diritto e la dignità del lavoro, i rapporti di vicendevole appoggio e aiuto che devono esistere tra quelli che detengono il capitale e quelli che lavorano, il salario dovuto per stretta giustizia all’operaio per sé e per la sua famiglia.

Giustizia sociale.

[Dall’Enciclica “Divini Redemptoris“, 19 marzo 1937]

3774. [Dz 2277] In realtà, oltre alla giustizia che si chiama commutativa, si deve promuovere anche la giustizia sociale, che esige doveri dai quali né i lavoratori né i datori di lavoro possano sottrarsi. Ora, è compito della giustizia sociale esigere dall’individuo ciò che sia necessario per il bene comune. Ma come nel caso della struttura di qualsiasi corpo vivente, non c’è alcun riguardo per il bene dell’insieme, se ogni singolo membro non sia dotato di tutte le cose di cui ha bisogno per svolgere il proprio ruolo, così nel caso della costituzione e della composizione della comunità, non ci può essere alcuna disposizione per il bene dell’intera società, se i singoli membri, cioè gli uomini dotati della dignità della personalità, non siano forniti di tutto ciò di cui hanno bisogno per esercitare i loro doveri sociali. Se, dunque, si provvede alla giustizia sociale, i ricchi frutti dello zelo attivo cresceranno dalla vita economica, che maturerà in un ordine di tranquillità, e daranno prova della forza e della solidarietà dello Stato, proprio come la forza del corpo si riconosce dal suo funzionamento indisturbato, completo e fruttuoso. – La giustizia sociale non sarà soddisfatta se gli operai non potranno garantire a se stessi e alle loro famiglie un sostentamento sicuro, basato su un salario accettabile e coerente con la realtà; se non si darà loro l’opportunità di acquisire una modesta fortuna per se stessi, in modo da evitare quella piaga del pauperismo universale, che è così ampiamente diffusa; se non si faranno, infine, piani opportuni per il loro beneficio, in base ai quali gli operai, per mezzo di assicurazioni pubbliche o private, possano avere una qualche copertura per la loro vecchiaia, i periodi di malattia e la disoccupazione. A questo proposito è bene ripetere ciò che abbiamo detto nella Lettera enciclica Quadragesimo anno“: “Solo allora l’ordine economico e sociale sarà ben stabilito, ecc. (cfr. n. 2265).

Enciclica “Firmissimam constantiam” ai Vescovi degli Stati Uniti d’America del Messico, 28 marz. 1937.

3775. Avete insegnato che, anche a costo di gravi inconvenienti per se stessa, la Chiesa sostenga la pace e l’ordine, e che condanni qualsiasi ribellione o violenza ingiusta contro i poteri costituiti. D’altra parte, è stato anche affermato da voi che se si verifica il caso in cui i poteri stessi combattano apertamente la giustizia e la verità a tal punto da distruggere persino le fondamenta dell’autorità, non si capisce perché dovremmo condannare i cittadini che si uniscono per proteggere se stessi e la nazione, quando usano mezzi leciti ed approvati contro coloro che abusano del potere portando alla rovina la vita pubblica comune.

3776. Anche se la soluzione di queste questioni dipenda necessariamente dalle circostanze concrete, è necessario evidenziare alcuni principi: 1. Gli atti di resistenza di questo tipo hanno il carattere di mezzo o di fine relativo, non quello di fine ultimo ed assoluto. 2. In quanto mezzi, devono essere azioni lecite e non intrinsecamente malvagie. 3. Poiché devono essere adeguati e proporzionati al fine, devono tuttavia essere attuati solo nella misura in cui conducano in tutto o in parte al fine perseguito, ma in modo tale che non causino alla comunità ed alla giustizia un danno maggiore di quello che cercano di riparare. 4. L’uso di questi mezzi ed il pieno esercizio dei diritti civili e politici, tuttavia, poiché comprendono anche ciò che è puramente temporale e tecnico o la difesa della forza, non riguardano direttamente il compito dell’Azione Cattolica, anche se essa ha il dovere di istruire gli uomini Cattolici ad esercitare in modo giusto i diritti loro propri e a difenderli con mezzi giusti, secondo quanto richiede il bene comune. 5. Poiché il clero e l’Azione Cattolica sono tenuti, in virtù della missione di pace e di amore che è stata loro affidata, a unire tutti gli uomini “nel vincolo della pace” (Eph IV,3), essi devono contribuire in massimo grado alla prosperità della Nazione, sia promuovendo grandemente l’unione dei cittadini e delle classi, sia sostenendo tutte le iniziative sociali che non siano in contraddizione con la dottrina di Cristo e la legge morale.

PIO XII: 2 marz. 1938- 9 ott.1958

Lett. Encycl.  “Summi pontificatus”, 20 ott. 1939.

La legge naturale.

[Dall’Enciclica “Summi Pontificatus“, 20 ottobre 1939]

3780. [Dz 2279] È assodato che la prima e profonda fonte dei mali da cui è afflitto lo Stato moderno derivi dal fatto che la norma universale della moralità è negata e respinta, non solo nella vita privata degli individui, ma anche nello Stato stesso, e nei rapporti reciproci che esistono tra le razze e le nazioni; cioè, la legge naturale viene annullata dalla detrazione e dalla negligenza. – Questa legge naturale poggia su Dio come fondamento, l’onnipotente Creatore e Autore di tutto, e anche il supremo e più perfetto Legislatore, il più saggio e giusto vendicatore delle azioni umane. Quando la Divinità eterna viene negata in modo avventato, allora il principio di ogni probità vacilla ed oscilla, e la voce della natura tace, o viene gradualmente indebolita, che insegna agli ignoranti e a coloro che non hanno ancora acquisito l’esperienza della civiltà ciò che sia giusto e ciò che non sia giusto; ciò che sia permesso e ciò che non sia permesso, e li avverte che un giorno dovranno rendere conto delle loro azioni buone e cattive davanti al Giudice Supremo.

L’unità naturale del genere umano.

[Dalla stessa Enciclica, “Summi Pontificatus“, 20 ottobre 1939].

[Dz 2280]. [L’errore pernicioso] è contenuto nella dimenticanza di quel rapporto reciproco tra gli uomini e di quell’amore che la comune origine e l’uguaglianza della natura razionale di tutti gli uomini, a qualunque razza appartengano, richiedono. . . . La Bibbia narra che dal primo matrimonio dell’uomo e della donna ebbero origine tutti gli altri uomini, che si divisero in varie tribù e nazioni e si dispersero in varie parti del mondo. . . . (Ac XVII,26): Perciò, grazie ad una meravigliosa intuizione mentale, possiamo vedere e contemplare il genere umano come un’unità, a causa della sua comune origine dal Creatore, secondo queste parole: “Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, per mezzo di tutti e in noi tutti” (Eph IV,6); e allo stesso modo, una sola natura che consiste nella materialità del corpo e nell’anima immortale e spirituale. . ..

Diritto internazionale.

[Dalla stessa Enciclica, “Summi Pontificatus“, 20 ottobre 1939].

3783. [Dz 2281] Venerabili Fratelli, l’opinione che attribuisce un potere quasi infinito allo Stato non solo è un errore fatale per la vita interna delle Nazioni e per la promozione di una maggiore crescita, ma nuoce anche alle relazioni reciproche dei popoli, poiché viola quell’unità con cui tutte le Nazioni dovrebbero essere contenute nei loro rapporti reciproci, spoglia le leggi internazionali della loro forza e della loro potenza e, aprendo la strada alla violazione di altre leggi, rende molto difficile la convivenza in pace e tranquillità.

3784. Il genere umano, infatti, sebbene per la legge dell’ordine naturale stabilita da Dio si disponga in classi di cittadini e, allo stesso modo, in Nazioni e Stati, è tuttavia legato da vincoli reciproci negli affari giuridici e morali, e si riunisce in un’unica grande congregazione di popoli destinati a perseguire il bene comune di tutte le Nazioni, ed è governato da norme speciali che preservino l’unità e li indirizzino quotidianamente verso circostanze più prospere.

3785. Certamente non c’è nessuno che non veda che, se si rivendicano diritti per lo Stato, che è del tutto assoluto e non è responsabile nei confronti di nessuno, ciò si oppone completamente al diritto naturalmente radicato e lo confuta completamente; ed è chiaro, inoltre, che tali diritti mettano a discrezione dei governanti dello Stato i vincoli legalmente concordati con i quali le Nazioni sono unite l’una all’altra; e impediscano un onesto accordo di menti e la reciproca collaborazione per azioni utili. Se, Venerabili Fratelli, le intese tra gli Stati, adeguatamente organizzate e durature, richiedono questo, i legami di amicizia, da cui scaturiscono ricchi frutti, esigono che i popoli riconoscano i principi e le norme della legge naturale con cui le Nazioni sono unite l’una all’altra, e siano obbedienti ad essi. Allo stesso modo, questi stessi principi esigono che ogni Nazione conservi la propria libertà e che a tutti siano assegnati quei diritti grazie ai quali possano vivere e avanzare di giorno in giorno sulla strada del progresso civile verso circostanze più prospere; infine, esigono che i patti stipulati, come previsto e sancito dal diritto internazionale, rimangano intatti e inviolabili. – Non c’è dubbio che solo allora le Nazioni possano convivere pacificamente, solo allora possono essere governate pubblicamente da legami stabiliti, quando esiste tra loro la fiducia reciproca; quando tutti sono convinti che la fiducia accordata sarà preservata da entrambe le parti; infine, quando tutti accettano come certe le parole: “Meglio la saggezza che le armi da guerra” (cfr. Eccles. Qo IX,18); e, inoltre, quando tutti sono disposti ad approfondire e discutere una questione, ma non con la forza e la minaccia di portare ad una situazione critica, se si frappongono ritardi, controversie, difficoltà, cambiamenti di fronte, che in effetti possono nascere non solo dalla malafede, ma anche da un cambiamento di circostanze e da un reciproco scontro di interessi individuali.

3786. Ma allora separare il diritto delle Nazioni dal diritto divino, in modo che dipenda dalle decisioni arbitrarie dei governanti dello Stato come unico fondamento, non è altro che farlo cadere dal suo trono di onore e sicurezza, e consegnarlo ad uno zelo eccessivo e interessato al vantaggio privato e pubblico, che non cerca altro che di affermare i propri diritti e negare quelli degli altri.

[Dz 2282] Certamente, si deve affermare che nel corso del tempo, a causa di gravi cambiamenti nelle circostanze – che, mentre il patto veniva stipulato, non erano previsti, o forse non potevano nemmeno essere previsti -, o interi accordi o alcune parti di questi diventino talvolta ingiusti per una delle parti stipulanti, o potrebbero sembrarlo, o almeno risultare eccessivamente severi, o, infine, diventare tali da non poter essere eseguiti con vantaggio. Se ciò dovesse accadere, il rifugio deve necessariamente essere preso in una discussione sincera ed onesta, al fine di apportare le opportune modifiche al patto o di comporne uno completamente nuovo. Ma, d’altra parte, considerare i patti come cose fluide e fugaci, e attribuirsi il tacito potere, ogni volta che il proprio vantaggio lo richieda, di infrangerli di propria volontà, cioè senza consultare e trascurare l’altra parte del patto, priva certamente gli Stati della dovuta e reciproca fiducia; e così l’ordine della natura è completamente distrutto, e i popoli e le Nazioni sono separati gli uni dagli altri come da precipitosi e profondi abissi.

3786. Ma d’altra parte, staccare il diritto delle genti dall’àncora del diritto divino, per fondarlo sulla volontà autonoma degli stati, significa detronizzare quello stesso diritto e togliergli i titoli più nobili e più validi, abbandonandolo all’infausta dinamica dell’interesse privato e dell’egoismo collettivo tutto intento a far valere i propri diritti e a disconoscere quelli degli altri.

Decreto del Sant’Uffizio, 21 (24) febbraio 1940.

Sterilizzazione.

3788. Domanda: È lecita la sterilizzazione diretta, perpetua o temporanea, di un uomo o di una donna? Risposta (confermata dal Sommo Pontefice il 22 febbraio): No; è proibita dalla legge naturale e, per quanto riguarda la sterilizzazione eugenetica, è già stata riprovata con il decreto del 21 marzo 1931.

Decreto del Sant’Uffizio del 27 novembre (2 dicembre) 1940.

L’uccisione diretta di persone innocenti per ordine dell’autorità.

3790. Domanda: È lecito uccidere direttamente, per ordine delle autorità pubbliche, coloro che, senza aver commesso alcun crimine meritevole di morte, non siano tuttavia più in grado, per carenze mentali o fisiche, di essere utili alla nazione, e che anzi sono considerati un peso per essa ed un ostacolo al suo vigore e alla sua forza?

Risposta (confermata dal Sommo Pontefice il 1° dicembre): No, perché ciò è contrario alla legge naturale e alla legge divina positiva.

Lett. Commissione biblica ai Vescovi italiani. 20 ago. 1942. (Circa il libretto di un Anonimo [don Dolindo Ruotolo]

Il senso letterale e spirituale della Scrittura.

3792. (1) L’autore anonimo, pur facendo un’affermazione a parole sul fatto che il senso letterale sia “la base dell’interpretazione biblica”, in realtà sostiene un’interpretazione totalmente soggettiva ed allegorica… Certo, è un’affermazione di fede, e va tenuta come principio fondamentale, che la Sacra Scrittura contenga, oltre al senso letterale, un senso spirituale o tipico, come insegna la via di nostro Signore e degli Apostoli; tuttavia, non tutte le frasi o tutti i racconti biblici contengono un senso tipico, ed è stato un grande eccesso della scuola alessandrina voler trovare ovunque un senso simbolico, anche a scapito del senso letterale e storico. Il significato spirituale o tipico, oltre a basarsi sul significato letterale, deve essere provato o dall’uso di nostro Signore, degli Apostoli o degli scrittori ispirati, o dall’uso tradizionale dei santi Padri e della Chiesa, specialmente nella sacra Liturgia, perché “la regola della preghiera è la regola della fede (cf. 246). Un’applicazione più ampia dei testi sacri può anche essere giustificata da uno scopo di edificazione nella predicazione e negli scritti ascetici; ma il significato che risulta dalle sistemazioni più fortunate, quando non sia stato approvato come detto sopra, non può dirsi veramente e rigorosamente il significato della Bibbia, né il significato che Dio ha ispirato all’agiografo.

3793. L’autore anonimo, invece, che non fa nessuna di queste elementari distinzioni, vuole imporre i voli della sua immaginazione come significato della Bibbia, come “la vera comunione spirituale della sapienza del Signore”, e ignorando l’importanza capitale del significato letterale, accusa calunniosamente gli esegeti cattolici di considerare “solo il significato letterale” e di considerarlo “in modo umano, prendendolo solo materialmente per quello che le parole significano”…. In questo modo egli rifiuta la regola d’oro dei Dottori della Chiesa, formulata così chiaramente da Tommaso d’Aquino: “Tutti i significati si basano sull’unico significato letterale, e si può argomentare solo a partire da esso”; una regola che i Sommi Pontefici hanno approvato e consacrato quando hanno prescritto, soprattutto, che il significato letterale debba essere ricercato con tutta la cura possibile. Così, ad esempio, Leone XIII… Per questo è necessario soppesare attentamente il valore delle parole stesse, il significato del contesto, la somiglianza dei passi e altre cose simili, e anche associare chiarimenti esterni con una scienza appropriata”… (viene citato anche il precetto 3284 di Agostino) Benedetto XV ha anche detto… “Vogliamo esaminare attentamente le parole stesse della Scrittura, per accertare al di là di ogni dubbio ciò che l’autore sacro abbia scritto; ed egli… raccomanda agli esegeti di “salire con misura e discrezione a interpretazioni più elevate”. – Infine i due Papi… insistono, con le parole stesse di san Girolamo, sul dovere dell’esegeta: “Il dovere del commentatore è di esporre non idee ed intenzioni personali, ma unicamente il pensiero, l’idea dell’autore che commenta”.

3794. (2) … Il Concilio di Trento volle, contro la confusione causata dalle nuove traduzioni in latino e nelle lingue volgari allora diffuse, sancire l’uso pubblico nella Chiesa d’Occidente della versione latina comune, giustificandolo con l’uso secolare che la Chiesa ne faceva, Ma non intendeva con questo sminuire in alcun modo l’autorità delle antiche versioni usate nelle Chiese d’Oriente, in particolare quella dei Settanta usata dagli stessi Apostoli, e ancor meno l’autorità dei testi originali. Si oppose ad alcuni Padri che volevano l’uso esclusivo della Vulgata come unico testo autorevole. L’autore anonimo, invece, ritiene che, in virtù del decreto del Concilio di Trento, abbiamo nella versione latina un testo dichiarato superiore a tutti gli altri; critica gli esegeti per aver voluto interpretare la Vulgata con l’aiuto dei testi originali e delle altre versioni antiche. Per lui, il decreto dà “la certezza del testo sacro”, cosicché la Chiesa non ha bisogno di “cercare di nuovo l’autentica lettera di Dio”, e questo non solo in materia di fede e di morale, ma per tutte le questioni (anche letterarie, geografiche, cronologiche, ecc.)…

3795. Ora, una simile affermazione non solo è contraria al senso comune, che non accetterebbe mai che una versione possa essere superiore al testo originale, ma è anche contraria al pensiero dei Padri del Concilio, come risulta dagli atti ufficiali. Il Concilio era addirittura convinto della necessità di rivedere e correggere la stessa Vulgata, e affidò il compito ai sovrani Pontefici, che lo fecero, così come fecero, secondo i più competenti collaboratori del Concilio stesso, un’edizione corretta della Septuaginta,… e poi ordinarono quella del testo ebraico dell’Antico Testamento e del testo greco del Nuovo Testamento… E contraddice apertamente il precetto dell’enciclica “Providentissimus“: “Non intendiamo però che non si tenga conto delle altre versioni che i Cristiani delle prime epoche hanno usato con lode, e soprattutto dei testi primitivi”.

3796. In breve, il Concilio di Trento dichiarò la Vulgata “autentica” in senso giuridico, cioè per tutto ciò che riguardi “la forza probatoria in materia di fede e di morale”, ma non escluse il fatto di possibili divergenze dal testo originale e dalle versioni antiche…

L’origine corporale dell’uomo.

[Da un discorso di Pio Xll del 30 novembre 1941, all’inizio dell’anno della Pontificia Accademia delle Scienze]

[Dz 2285] Dio ha collocato l’uomo al posto più alto nella scala degli esseri viventi, dotato com’è di un’anima spirituale, il principale ed il più alto di tutto il regno animale. Le numerose indagini nei campi della paleontologia, della biologia e della morfologia su altre questioni riguardanti l’origine dell’uomo non hanno finora prodotto nulla di chiaro e certo in modo positivo. Pertanto, possiamo solo lasciare al futuro la risposta alla domanda se un giorno la scienza illuminata e guidata dalla rivelazione offrirà soluzioni certe e definitive ad una questione così seria.

Lett. Encycl. “Mystici corporis”, 29 giu. 1943.

I Membri della Chiesa

3800. … inoltre, come nella natura delle cose il corpo non è costituito da una qualsiasi congerie di membra, ma dev’essere fornito di organi, ossia di membra che non abbiano tutte il medesimo compito, ma siano debitamente coordinate; così la Chiesa, per questo specialmente deve chiamarsi corpo, perché risulta da una esatta disposizione e coerente unione di membri fra loro diversi. Né altrimenti l’Apostolo descrive la Chiesa, quando dice: “come in un sol corpo abbiamo molte membra, e non tutte le membra hanno la stessa funzione, così  noi molti siamo un corpo in Cristo, e membra gli uni degli altri” (Rom. 12, 4).

3801. Non bisogna però credere che questa organica struttura della Chiesa sia costituita dai soli gradi della gerarchia e ad essi limitata, oppure, come ritiene un’opposta sentenza, consti unicamente di persone carismatiche (benché Cristiani forniti di doni prodigiosi non mancheranno mai alla Chiesa)…

3802. [Dz 2286] In realtà sono da annoverare tra i membri della Chiesa solo coloro che hanno ricevuto il lavacro della rigenerazione e professano la vera fede, e non si siano, per loro disgrazia, separati dalla struttura del Corpo, o per gravissimi peccati non siano stati esclusi da una legittima autorità. “Poiché in un solo spirito”, dice l’Apostolo, “siamo stati tutti battezzati in un solo corpo, sia Giudei che Gentili, sia legati che liberi” (1Cor XII,13). Quindi, come nella vera comunità dei fedeli di Cristo c’è un solo Corpo, un solo Spirito, un solo Signore ed un solo Battesimo, così ci può essere una sola fede (cfr. Eph. IV,5); e così chi rifiuta di ascoltare la Chiesa, come dice il Signore “sia come il pagano ed il pubblicano” (cfr. Mt XVIII,17). Pertanto, coloro che sono divisi gli uni dagli altri nella fede o nel governo non possono vivere nell’unità di tale corpo e nel suo unico spirito divino.

3803. Neppure deve ritenersi che il corpo della Chiesa, appunto perché è fregiato del nome di Cristo, anche nel tempo del terreno pellegrinaggio sia composto soltanto di membri che si distinguono nella santità, o di coloro che sono predestinati da Dio alla felicità eterna. Infatti si deve attribuire all’infinita misericordia del nostro Salvatore il non negare ora un posto nel suo mistico corpo a coloro ai quali già non negò un posto nel convito (cfr. Matth. IX, 11; Marc. XI, 16; Luc. XV, 2). Poiché non ogni delitto commesso, per quanto grave, è tale che di sua natura (come lo scisma, l’eresia, l’apostasia) separi l’uomo dal corpo della Chiesa. Né si estingue ogni vita in quelli che, pur avendo perduto col peccato la carità e la grazia divina sì da non essere più capaci del premio soprannaturale, conservano tuttavia la fede e la speranza cristiana, e, illuminati da luce celeste, da interni consigli ed impulsi dello Spirito Santo, sono spinti a concepire un salutare timore e vengono eccitati a pregare ed a pentirsi dei propri peccati.

La giurisdizione dei Vescovi.

[Dalla stessa Enciclica “Mystici Corporis“, 29 giugno 1943].

3804. [Dz 2287] Perciò i Vescovi dei sacri riti sono da considerarsi i membri più illustri della Chiesa universale non solo perché sono legati al Capo divino di tutto il Corpo da un vincolo specialissimo, e quindi sono giustamente chiamati “parti principali delle membra del Signore “*, ma, per quanto riguarda la propria diocesi, perché come veri pastori nutrono e governano individualmente in nome di Cristo le greggi loro affidate [Conc. Vat, Cost. de Eccl., cap. 3; cfr. n. 1828]; tuttavia, mentre fanno questo, non sono del tutto indipendenti, ma sono posti sotto la debita autorità del Romano Pontefice, pur godendo della potestà ordinaria di giurisdizione ottenuta direttamente dallo stesso Sommo Pontefice. Perciò devono essere venerati dal popolo come successori degli Apostoli divinamente designati [cfr. Cod. Iur. Can., CIS 329, 1); e più che ai governanti del mondo, anche ai più alti, si addicono ai nostri Vescovi quelle parole, in quanto unti con il crisma dello Spirito Santo: “Non toccate il mio unto” (1Ch XVI,22 Sal CIV,15).

La cooperazione dei membri del Corpo mistico con il Capo.

3805. Nè tuttavia bisogna ritenere che Cristo, il Capo, essendo posto in luogo così sublime, non voglia l’aiuto del Corpo. Si deve infatti asserire di questo Corpo mistico ciò che Paolo afferma del composto umano: “Il capo non può dire… ai piedi: voi non mi siete necessari” (1 Cor. XII, 21). Appare chiaramente quindi che i Cristiani hanno assolutamente bisogno dell’aiuto del divin Redentore, poiché Egli stesso ha detto: “Senza di me non potete far nulla” (Io. XV, 5), e, secondo la dottrina dell’Apostolo, ogni accrescimento di questo Corpo mistico per la propria edificazione, dipende dal Capo, Cristo (cfr. Eph. IV, 16; Col. II, 19). Tuttavia bisogna anche por mente, benché a prima vista ciò possa destar meraviglia, che anche Cristo ha bisogno delle sue membra. Anzitutto perché la Persona di Gesù Cristo è rappresentata dal Sommo Pontefice, il quale per non essere aggravato dal peso dell’ufficio pastorale, deve rendere anche altri in molte cose partecipi della sua sollecitudine, e deve essere ogni giorno alleggerito dall’aiuto di tutta la Chiesa supplicante. Inoltre il nostro Salvatore, governando da se stesso la Chiesa in modo invisibile, vuol essere aiutato dalle membra del suo Corpo mistico nell’attuare l’opera della redenzione. Ciò veramente non accade per bisogno o debolezza, ma piuttosto perché Egli stesso così dispose per maggiore onore dell’intemerata sua Sposa. Mentre infatti moriva sulla Croce, donò alla sua Chiesa, senza nessuna cooperazione da parte di essa, l’immenso tesoro della Redenzione; quando invece si tratta di distribuire tale tesoro, Egli non solo partecipa con la sua Sposa incontaminata quest’opera di santificazione, ma vuole che tale attività scaturisca in qualche modo anche dall’azione di essa.

Il modo in cui vive Cristo nella Chiesa.

3806. Tuttavia tale nobilissima denominazione non dev’essere presa come se appartenesse all’intera Chiesa quell’ineffabile vincolo col quale il Figlio di Dio assunse un’individua umana natura; ma consiste in ciò che il nostro Salvatore comunica talmente con la sua Chiesa i beni suoi propri, che questa, secondo tutto il suo modo di vivere, quello visibile e quello invisibile, presenta una perfettissima immagine di Cristo. Poiché, in virtù di quella missione giuridica per la quale il divin Redentore mandò nel mondo gli Apostoli come egli stesso era stato mandato dal Padre (cfr. Io. 17, 18; 20, 21), è proprio lui che battezza, insegna, governa, assolve, lega, offre, sacrifica, per mezzo della Chiesa.

Lo Spirito Santo come anima della Chiesa.

[Dalla stessa Enciclica “Mystici Corporis“, 29 giugno 1943].

3807. [Dz 2288] Se esaminiamo da vicino questo principio divino di vita e di virtù dato da Cristo, nella misura in cui lo ha stabilito come fonte di ogni dono e di ogni grazia creata, comprendiamo facilmente che esso non è altro che il Paraclito, lo Spirito che procede dal Padre e dal Figlio, e che in modo particolare è chiamato “Spirito di Cristo” o “Spirito del Figlio” (Rm 8,9 2Co 3,17 Ga 4,6). Infatti, con questo soffio di grazia e di verità il Figlio di Dio unse la sua anima nel grembo incontaminato della Vergine; questo Spirito si compiace di abitare nell’anima amata del Redentore come nel suo tempio più amato; questo Spirito Cristo, versando il proprio sangue, ha meritato per noi sulla croce; questo Spirito, infine, quando ha alitato sugli apostoli, ha donato alla Chiesa per la remissione dei peccati (cfr. Gv XX,22); e questo Spirito è chiamato “Spirito di Cristo” o “Spirito del Figlio”. Gv 20,22); e, mentre Cristo solo ha ricevuto questo Spirito senza misura (cfr. Gv III,34), tuttavia alle membra del corpo mistico viene impartito solo secondo la misura della donazione di Cristo, dalla pienezza di Cristo stesso (cfr. Ep 1,8 Ep IV,7). E dopo che Cristo è stato glorificato sulla croce, il suo Spirito viene comunicato alla Chiesa nella più ricca effusione, affinché essa e i suoi singoli membri diventino sempre più quotidianamente simili al nostro Salvatore. È lo Spirito di Cristo che ci ha resi figli adottivi di Dio (cfr. Rm VIII,14-17 Ga IV,6-7), affinché un giorno “tutti noi, contemplando a viso aperto la gloria di Dio, siamo trasformati nella stessa immagine di gloria in gloria” (2Co III,18). –

3808. Inoltre, a questo Spirito di Cristo, come a nessun principio visibile, va attribuito anche il fatto che tutte le parti del Corpo sono unite tra loro come lo sono con il loro capo eccelso; perché Egli è intero nel Capo, intero nel Corpo, intero nelle singole membra, e con queste è presente, e queste le assiste in vari modi, secondo i loro vari compiti e uffici, secondo il maggiore o minore grado di salute spirituale di cui godono. È Lui che, per la sua grazia celeste, deve essere ritenuto il principio di ogni atto vitale e di fatto salutare in tutte le parti del corpo. Egli è colui che, pur essendo presente di per sé in tutte le membra ed essendo divinamente attivo in esse, opera anche nelle membra inferiori attraverso il ministero delle membra superiori; infine, Egli è colui che, mentre produce sempre di giorno in giorno la crescita della Chiesa impartendo la grazia, rifiuta di abitare attraverso la grazia santificante nelle membra completamente tagliate fuori dal Corpo. In effetti, la presenza e l’attività dello Spirito di Gesù Cristo sono sinteticamente e vigorosamente espresse dal Nostro saggissimo predecessore, Leone XIII, di immortale memoria, nell’Enciclica “Divinum illud“, con queste parole: “Basti dire che, come Cristo è il Capo della Chiesa, lo Spirito Santo è la sua anima”.

La natura del Corpo mistico.

3809. Tale denominazione, ch’è in uso presso parecchi antichi scrittori, è comprovata da non pochi documenti dei Sommi Pontefici. Quest’appellativo infatti deve adoperarsi per varie ragioni, poiché per mezzo di esso si può distinguere il Corpo sociale della Chiesa, di cui Cristo è Capo e condottiero, dal corpo fisico dello stesso Cristo, che nato dalla Vergine Madre di Dio, è ora assiso alla destra del Padre in cielo e nascosto in terra sotto i veli eucaristici: e, ciò che maggiormente importa per gli errori moderni, per mezzo di questa determinazione lo si può distinguere da qualunque altro corpo sia fisico sia morale.

3810. Mentre infatti nel corpo naturale il principio della unità congiunge le parti in modo che le singole manchino completamente della propria sussistenza, invece nel Corpo mistico la forza di mutua congiunzione, sebbene intima, unisce le membra tra loro di guisa che le singole godano completamente di una propria personalità. Se poi consideriamo il mutuo rapporto del tutto e delle singole membra, esse in ogni corpo fisico vivente sono in ultima analisi destinate soltanto a profitto di tutto il composto; mentre, in una compagine sociale di uomini, nell’ordine del fine dell’utilità, l’ultimo scopo è il bene di tutti e di ciascun membro, essendo essi persone.

3811. Se poi confrontiamo il Corpo mistico con quello morale, allora bisogna notare tra i due una differenza di somma importanza. Nel corpo morale, il principio di unità non è altro che il fine comune e la comune cooperazione ad un medesimo fine, mediante l’autorità sociale; invece nel Corpo mistico, di cui trattiamo, alla comune tendenza per lo stesso fine va aggiunto un altro principio interno che esiste ed agisce con forza e nell’intera compagine e nelle singole sue parti, ed è di tale eccellenza da superare per se stesso immensamente tutti i vincoli di unità che conglutinano sia un corpo fisico sia un corpo morale. Ciò, come sopra abbiamo detto, non è qualche cosa di ordine naturale, bensì soprannaturale, anzi in se stesso infinito ed increato, cioè lo Spirito divino che, come dice l’Angelico, “uno e identico per numero, riempie ed unisce tutta la Chiesa” (De Veritate, q. 29, a. 4. c.).

Conoscenza dell’anima di Cristo.

[Dalla stessa Enciclica “Mystici Corporis“, 29 giugno 1943].

3812. [Dz 2289] Ma una conoscenza così amorosa come quella che il divino Redentore ci ha donato fin dal primo momento della sua Incarnazione, supera qualsiasi potere zelante della mente umana; poiché attraverso la visione beatifica, di cui ha cominciato a godere quando era appena stato concepito nel grembo della Madre di Dio, ha le membra del suo corpo mistico sempre e costantemente presenti a Lui, e le abbraccia tutte con il suo amore redentore.

Chiesa pienezza di Cristo Cristo.

3813. Da quanto abbiamo detto fin qui, si vede chiaramente, Venerabili Fratelli, perché l’Apostolo Paolo tanto spesso scriva che Cristo è in noi, e noi in Cristo. Il che egli dimostra ancora con una ragione alquanto sottile: Cristo, come sufficientemente abbiamo detto sopra, è in noi per il suo Spirito che ci comunica e per mezzo del quale egli agisce in noi in maniera tale, da doversi dire che qualsiasi cosa divina si operi dallo Spirito Santo in noi, viene operata anche da Cristo (cfr. S. Thom. Comm. in Ep. ad Eph., cap. II, lect. 5).”Se uno non ha lo Spirito di Cristo (dice l’Apostolo), non è dei suoi: se invece Cristo è in voi…, lo spirito vive per effetto della giustificazione” (Rom. VIII, 9-111)

L’inabitazione dello Spirito Santo nelle anime.

[Dalla stessa Enciclica, “Mystici Corporis“, 29 giugno 1943]

3814. [Dz 2290] Certamente non ignoriamo i molti veli che si frappongono alla comprensione e alla spiegazione di questa profonda dottrina, che riguarda la nostra unione con il divino Redentore e l’inabitazione dello Spirito Santo in modo speciale nelle anime; veli dai quali questa profonda dottrina è avvolta come da una specie di nube, a causa della debolezza delle menti di coloro che la studiano. E sappiamo anche che da un’indagine corretta e persistente su questo argomento, e dal conflitto di varie opinioni e dallo scontro di idee, a condizione che l’amore per la verità e la debita obbedienza alla Chiesa dirigano tali indagini, abbonda e viene fuori una luce preziosa, grazie alla quale anche nella scienza sacra si raggiunge un progresso simile a questo. Pertanto, non censuriamo coloro che intraprendono diversi modi e metodi di ragionamento per comprendere e, secondo il loro potere, chiarire il mistero di questa nostra meravigliosa unione con Cristo. Ma sia questa una verità generale ed incrollabile, se non vogliono allontanarsi dalla sana dottrina e dal corretto insegnamento della Chiesa: cioè che ogni tipo di unione mistica, con la quale i fedeli in Cristo superano in qualche modo l’ordine delle cose create ed entrano a torto tra le divine, in modo che anche un solo attributo dell’eterna Divinità possa essere predicato come proprio, è da respingere completamente. Inoltre, si tenga ben presente che tutte le attività in queste materie sono da considerarsi comuni alla Santissima Trinità, in quanto dipendono da Dio come causa efficiente suprema.

3815. Notino inoltre che qui si tratta necessariamente di un mistero nascosto, che in questo esilio terreno, essendo coperto da un velo, non può mai essere guardato o descritto da lingua umana. Infatti, le Persone divine sono dette abitare in quanto, essendo presenti in modo imperscrutabile nelle creature animate dotate di intelletto, sono raggiunte da esse attraverso la conoscenza e l’amore, ma in un modo intimo ed unico che trascende ogni natura. Infatti, per contemplare questo in modo da avvicinarsi almeno un po’ ad esso, non vanno trascurati quel modo e quel metodo che il Sinodo Vaticano [v. 3, Cost. de fid. cath., cap. 4; cfr. n. 1795] ha vivamente raccomandato in questioni di questo tipo; questo metodo, infatti, lottando per ottenere la luce con cui le cose nascoste di Dio possano essere riconosciute almeno un po’, procede così, confrontando questi misteri tra loro e con il fine ultimo a cui sono diretti. Opportunamente, poi, il Nostro saggissimo predecessore, Leone XIII di felice memoria, parlando di questa nostra unione con Cristo e del divino Paraclito che abita in noi, volge lo sguardo a quella visione beatifica con cui un giorno in cielo questa stessa unione mistica otterrà la sua consumazione e perfezione. Egli dice: “Questa meravigliosa unione, che viene chiamata “inabitazione“, differisce solo per il nostro stato creato da quella con cui Dio dà gioia e abbraccia gli abitanti del cielo. In questa visione celeste sarà proprio, in modo del tutto ineffabile, contemplare il Padre, il Figlio e lo Spirito divino con gli occhi della mente accresciuti dalla luce superiore, e assistere per tutta l’eternità alle processioni delle Persone divine, e gioire con una felicità molto simile a quella di cui è felice la santissima ed indivisa Trinità”.

False tendenze della vita spirituale.

3816. Infatti non mancano coloro i quali non considerando abbastanza che l’Apostolo Paolo circa questo argomento parlò metaforicamente e senza distinguere (com’è assolutamente necessario) i significati particolari e propri di corpo fisico, di corpo morale, di corpo mistico, dànno di questa unione una spiegazione alterata. Giacchè fanno unire e fondere in una stessa persona fisica il divin Redentore e le membra della Chiesa: e mentre attribuiscono agli uomini cose divine, fanno Gesù Cristo soggetto ad errori e a debolezze umane. Dalla falsità di questa dottrina ripugnano la fede cattolica e i precetti dei Santi Padri, rifuggono la mente e la dottrina dell’Apostolo delle Genti, il quale, sebbene congiunga tra loro con mirabile fusione Cristo e il Corpo mistico, tuttavia oppone l’uno all’altro come lo Sposo alla Sposa (cfr. Eph. V, 22-23).

Falso «quietismo»

3817. Non meno lontano dalla verità è il pericoloso errore di quelli che dall’arcana unione di noi tutti con Cristo si studiano di dedurre un certo insano quietismo, col quale tutta la vita spirituale dei cristiani e il loro progresso nella virtù vengono attribuiti unicamente all’azione del divino Spirito, escludendo cioè e lasciando da parte la nostra debita cooperazione. Nessuno certamente può negare che il Santo Spirito di Gesù Cristo sia l’unica fonte donde promana nella Chiesa e nelle sue membra ogni forza superna. Infatti, come: dice il Salmista, “il Signore largisce grazie e gloria” (Ps. 83, 12). Ma che gli uomini perseverino costantemente nelle opere di santità, che progrediscano con alacrità nella grazia e nella virtù, che infine non soltanto tendano strenuamente alla vetta della perfezione cristiana, ma incitino secondo le proprie forze anche gli altri a conseguire la medesima perfezione, tutto questo, lo Spirito celeste non vuol compiere, se gli stessi uomini non cooperano ogni giorno con diligenza operosa. “Infatti, come osserva Ambrogio, i benefici divini non vengono trasmessi a chi dorme, ma a chi veglia” (Expos. Evang. sec. Luc., IV, 49; Migne, PL, 15, 1626). Poiché, se nel nostro corpo mortale le membra si corroborano e si sviluppano con ininterrotto esercizio, molto più ciò accade nel Corpo sociale di Gesù Cristo, nel quale le singole membra godono di una propria libertà, coscienza, azione. Perciò colui che disse: “Vivo, non più io, ma vive in me Cristo” (Gal. II, 20), non dubitò di asserire: “la grazia di lui, cioè di Dio, verso di me non fu cosa vana; anzi ho faticato più di tutti loro, non già io, ma la grazia di Dio con me” (I Cor. 15, 10). Quindi è chiarissimo che nelle accennate fallaci dottrine, il mistero di cui trattiamo non sarebbe diretto allo spirituale profitto dei fedeli, ma si volgerebbe miseramente alla loro rovina.

3818. Da tali false asserzioni proviene anche che alcuni affermino non doversi molto inculcare la frequente confessione dei peccati veniali, poiché meglio si adatta quella confessione generale che ogni giorno la Sposa di Cristo coi suoi figli a sé congiunti nel Signore fa per mezzo dei Sacerdoti sul punto di ascendere all’altare di Dio. È vero che in molte e lodevoli maniere, come voi, o Venerabili Fratelli, ben conoscete, possono espiarsi questi peccati, ma per un più spedito progresso nel quotidiano cammino della virtù, raccomandiamo sommamente quel pio uso, introdotto dalla Chiesa per ispirazione dello Spirito Santo, della confessione frequente, mercè la quale si accresce la retta conoscenza di se stesso, si sviluppa la cristiana umiltà, si sradica la perversità dei costumi, si resiste alla negligenza e al torpore spirituale, si purifica la coscienza, si rinvigorisce la volontà, si procura la salutare direzione delle coscienze e si aumenta la grazia in forza dello stesso sacramento.

3819. Vi sono inoltre alcuni i quali o negano alle nostre preghiere ogni vera efficacia d’impetrazione, ovvero si sforzano d’insinuare nelle menti che le suppliche rivolte a Dio in privato bisogna ritenerle di poco valore, mentre piuttosto quelle pubbliche usate nel nome della Chiesa realmente valgono come quelle che partono dal corpo mistico di Gesù Cristo.

3820. Certuni infine dicono che le nostre preghiere non debbano essere dirette alla stessa Persona di Gesù Cristo, ma piuttosto a Dio o all’eterno Padre per mezzo di Cristo, poiché il nostro Salvatore, in quanto Capo del suo Corpo mistico, dov’essere considerato semplicemente “mediatore di Dio e degli uomini” (I Tim. II, 5). Ma ciò non solo si oppone alla mente della Chiesa e alla consuetudine deiCristiani, ma offende anche la verità. Cristo infatti, per parlare con esatto linguaggio, è Capo di tutta la Chiesa (cfr. S. Thom. De Veritate, q. 29, a. 4, c.) secondo l’una e l’altra natura insieme, la divina e l’umana, e del resto Egli stesso asserì solennemente: “Se mi domanderete qualche cosa in mio nome, Io lo farò” (Io. XIVV, 14). E sebbene le preghiere sian rivolte all’eterno Padre per mezzo del suo Unigenito di preferenza nel Sacrificio eucaristico, nel quale Cristo, essendo Egli stesso Sacerdote ed Ostia, compie in modo speciale l’ufficio di conciliatore, tuttavia non poche volte e persino nello stesso santo Sacrificio, si usano preghiere rivolte allo stesso divin Redentore …

La salvezza degli uomini fuori dalla Chiesa visibile.

3821. Anche coloro che non appartengono al visibile organismo della Chiesa, come voi ben sapete, Venerabili Fratelli, fin dal principio del Nostro Pontificato, Noi affidammo alla celeste tutela ed alla celeste direzione, protestando solennemente che, sull’esempio del buon Pastore, nulla Ci stava più a cuore che essi abbiano la vita e l’abbiano in sovrabbondanza (cfr. Lett. Enc. Summi Pontificatus). E quella solenne Nostra affermazione, dopo aver implorate le preghiere di tutta la Chiesa, intendiamo ripetere in questa Lettera Enciclica, con la quale abbiamo celebrato le lodi “del grande e glorioso Corpo di Cristo” (Iren. Adv. Hær., 4, 33, 7; Migne, PG, 7, 1076); con animo riboccante di amore, invitiamo tutti e singoli ad assecondare spontaneamente gli interni impulsi della divina grazia e a far di tutto per sottrarsi a quelle attuali condizioni, sulle quali non possono certo sentirsi sicuri della propria salvezza (Pio IX Jam nos omnes, 13 Sett. 1868: Act. Conc. Vat. C. L., 7, 10), perché, sebbene da un certo inconsapevole desiderio e anelito siano ordinati al mistico Corpo del Redentore, tuttavia sono privi di quei tanti doni ed aiuti celesti che solo nella Chiesa Cattolica è dato di godere. Rientrino perciò nella cattolica unità e tutti uniti a Noi nell’unica compagine del Corpo di Gesù Cristo, si accostino con Noi all’unico Capo nella società di un gloriosissimo amore (cfr. Gelas. I, Epist. 14: Migne, PL, 59, 89). Senza mai interrompere di pregare lo Spirito dell’amore e della verità, Noi li aspettiamo con le braccia aperte, non come estranei, ma quali figli che entrino nella loro stessa casa paterna.

3822. Però mentre desideriamo che una tale preghiera salga ininterrotta a Dio da parte dell’intero Corpo mistico, affinché tutti gli sviati entrino al più presto nell’unico ovile di Gesù Cristo, dichiariamo essere assolutamente necessario che ciò sia fatto di libera e spontanea volontà, non potendo credere se non chi lo vuole (cfr. August., In Io. Ev. tract., 26, 2: Migne, PL, 30, 1607). Onde, se alcuni, non credenti, vengono di fatto forzati ad entrare nell’edificio della Chiesa, ad avvicinarsi all’altare, a ricevere i Sacramenti, costoro, senza alcun dubbio, non diventano veri cristiani, (cfr. August., ibidem), poiché la fede, senza la quale è impossibile piacere a Dio (Hebr. 11, 6), deve esser il libero “ossequio dell’intelletto e della volontà” (Conc. Vat., De Fide cath., cap. 3). Se dunque dovesse talvolta accadere che, in contrasto con la costante dottrina di questa Sede Apostolica (cfr. Leo XIII: Immortale Dei: A.A.S. XXVIII pp.174-175, Cod. Iur. Can. 1351), taluno venga spinto suo malgrado ad abbracciare la Fede cattolica, Noi non possiamo esimerCi, per coscienza del Nostro dovere, dall’esprimere la Nostra riprovazione. E poiché gli uomini godono di libera volontà e possono anche, sotto l’impulso di perturbazioni d’animo e di perverse passioni, abusare della propria libertà, è necessario che vengano attratti con efficacia alla verità del Padre dei lumi per opera dello Spirito del suo diletto Figlio.

Il rapporto tra la B.V.M. e la Chiesa.

[Dalla stessa Enciclica “Mystici Corporis“, 29 giugno 1943].

[Dz 2291] Fu Lei [la Vergine Madre di Dio] che, libera dal peccato personale o originale, sempre strettamente unita al Figlio, lo offrì sul Golgota all’Eterno Padre, insieme all’olocausto dei suoi diritti di Madre e del suo amore di Madre, come nuova Eva, per tutti i figli di Adamo macchiati dalla sua pietosa caduta, in modo che Lei, che nella carne era la Madre del nostro Capo, con il nuovo titolo anche di dolore e di gloria, nello spirito fosse fatta Madre di tutte le sue membra. Fu Lei che con preghiere potentissime fece sì che lo Spirito del divino Redentore, già donato sulla Croce, fosse elargito con doni meravigliosi il giorno di Pentecoste alla Chiesa appena risorta. Infine, Lei stessa, sopportando con animo forte e fiducioso i suoi tremendi dolori, più di tutti i fedeli di Cristo, vera Regina dei Martiri, “ha colmato ciò che manca alle sofferenze di Cristo… per il suo corpo, che è la Chiesa” (Col 1,24); e ha assistito il Corpo mistico di Cristo, nato dal cuore straziato del nostro Salvatore, con la stessa cura materna e lo stesso amore profondo con cui ha custodito e nutrito il Bambino Gesù che allattava nella culla. – Così lei, la Madre santissima di tutte le membra di Cristo, al cui Cuore Immacolato abbiamo fiduciosamente consacrato tutti gli uomini e che ora risplende in cielo nella gloria del corpo e dell’anima e regna insieme al Figlio, chieda ardentemente e si adoperi per ottenere da Lui che copiosi flussi di grazia scorrano dal Capo eccelso su tutte le membra del Corpo mistico senza interruzione.

Lett. Encyclic.Divino afflante Spiritu, 30 sett. 1943.

L’autenticità della Vulgata.

3825. [Dz 2292] Ma che il Sinodo di Trento abbia voluto che la Vulgata fosse la versione latina “che tutti dovrebbero usare come autentica”, vale, come tutti sanno, solo per la Chiesa latina e per l’uso pubblico della Scrittura, e non diminuisce l’autorità e la forza dei testi antichi. Infatti, a quel tempo non si teneva conto dei primi testi, ma delle versioni latine che circolavano in quel periodo, tra le quali il Concilio decretò che era giustamente da preferire quella versione che era stata approvata dal lungo uso di tanti secoli all’interno della Chiesa. Quindi questa eminente autorità della Vulgata, o, come si dice, autenticità, fu stabilita dal Concilio non tanto per motivi critici, quanto piuttosto per il suo uso autorizzato nella Chiesa, continuato nel corso di tanti secoli; e da questo uso si dimostra che questo testo, come la Chiesa ha inteso e intende, in materia di fede e di morale è del tutto esente da errori, cosicché, sulla base della testimonianza e della conferma della Chiesa stessa, nelle discussioni, nelle citazioni e nelle riunioni può essere citato con sicurezza e senza pericolo di errore; e di conseguenza tale autenticità è espressa in primo luogo non con il termine critico ma piuttosto giuridico. Pertanto, l’autorità della Vulgata in materia di dottrina non impedisce affatto, anzi quasi esige, che oggi si ricorra a questa stessa dottrina per ottenere un aiuto che renda quotidianamente più chiaro e meglio spiegato il significato corretto della Sacra Scrittura. E nemmeno questo è proibito dal decreto del Concilio di Trento, cioè che per l’uso e il beneficio dei fedeli in Cristo e per una più facile comprensione delle opere divine si facciano traduzioni nelle lingue comuni; e anche queste, dai primi testi, come sappiamo sono già state fatte lodevolmente con l’approvazione dell’autorità della Chiesa in molte regioni.

Il senso letterale e mistico delle Sacre Scritture.

[Dalla stessa Enciclica “Divino afflante Spiritu“, 30 settembre 1943].

3826. [Dz 2293] Ben equipaggiato con la conoscenza delle lingue antiche e con l’aiuto dell’erudizione critica, l’esegeta cattolico si accosti a quel compito che, tra tutti quelli che gli sono imposti, è il più alto: scoprire ed esporre il vero significato delle Sacre Scritture. In questo lavoro gli interpreti tengano presente che la loro massima attenzione deve essere quella di discernere e definire il cosiddetto senso letterale del linguaggio della Bibbia. Facciano emergere questo significato letterale delle parole con la massima diligenza, attraverso la conoscenza delle lingue, utilizzando l’aiuto del contesto e del confronto con passi simili; infatti, tutti questi elementi sono abitualmente utilizzati per aiutare l’interpretazione anche degli scrittori profani, in modo da rendere chiara la mente dell’autore. Inoltre, gli esegeti delle Sacre Scritture, consapevoli di avere a che fare con la parola divinamente ispirata, tengano conto non meno diligentemente delle spiegazioni e delle dichiarazioni del magistero della Chiesa, così come della spiegazione data dai Santi Padri, e anche dell'”analogia della fede”, come nota molto saggiamente Leone XIII nella lettera enciclica Providentissimus Deus. * Anzi, provvedano a questo con particolare zelo, spiegando non solo le questioni che riguardano la storia, l’archeologia, la filologia e altre discipline simili, come ci duole dire che si fa in certi commentari, ma, dopo aver introdotto opportunamente tali questioni, nella misura in cui possono contribuire all’esegesi, indicano soprattutto qual è la dottrina teologica in materia di fede e di morale nei singoli libri e testi, in modo che questa loro spiegazione possa non solo aiutare i professori di teologia a esporre e confermare i dogmi della fede, ma anche essere di aiuto ai sacerdoti per chiarire la dottrina cristiana al popolo, e infine servire a tutti i fedeli per condurre una vita santa e degna di un cristiano.

3827. Quando hanno dato una tale interpretazione, soprattutto, come abbiamo detto, teologica, facciano effettivamente tacere coloro che affermano che difficilmente si trova qualcosa a titolo di commento biblico per elevare la mente a Dio, nutrire l’anima e promuovere la vita interiore, e dichiarino che si deve ricorrere a una certa interpretazione spirituale e cosiddetta mistica. Quanto ciò sia lontano dal vero lo dimostra l’esperienza di molti che, considerando e meditando frequentemente la Parola di Dio, perfezionano la loro anima e sono mossi da un forte amore verso Dio; e ciò è chiaramente dimostrato dall’eterna istituzione della Chiesa e dagli ammonimenti dei più eminenti dottori.

3828. Certamente, ogni significato spirituale non è escluso dalla Sacra Scrittura. Infatti, ciò che è stato detto e fatto nell’Antico Testamento è stato sapientemente ordinato e disposto da Dio in modo che gli eventi passati presagissero in modo spirituale ciò che sarebbe avvenuto nella nuova alleanza di grazia. Perciò l’esegeta, come deve trovare ed esporre il cosiddetto significato letterale delle parole, che lo scrittore sacro intendeva ed esprimeva, così deve anche trovare il significato spirituale, purché si possa stabilire giustamente che è stato dato da Dio. Perché solo Dio può conoscere questo significato spirituale e rivelarcelo. Infatti, lo stesso Salvatore divino ci indica tale significato nei Santi Vangeli e ce lo insegna; anche gli apostoli, imitando l’esempio del Maestro, parlando e scrivendo lo professano; così pure l’insegnamento tramandato dalla Chiesa; infine, l’antica pratica della liturgia dichiara, ovunque si possa giustamente applicare quel famoso pronunciamento: La legge del pregare è la legge del credere. Dunque, gli esegeti cattolici chiariscano ed espongano questo senso spirituale, voluto e ordinato da Dio stesso, con quella diligenza che la dignità della Parola divina richiede; ma si guardino religiosamente dal proclamare altri significati trasferiti delle cose come il senso genuino della Sacra Scrittura.

Tipi di letteratura nella Sacra Scrittura.

[Dalla stessa Enciclica “Divino afflante Spiritu“, 30 settembre 1943].

3829. [Dz 2294] Perciò l’interprete, con ogni cura e senza trascurare la luce che le indagini più recenti hanno gettato, si sforzi di discernere quale fosse il vero carattere e la condizione di vita dello scrittore sacro; in quale epoca fiorì; quali fonti utilizzò, sia scritte che orali, e quali forme di espressione impiegò. In questo modo sarà in grado di conoscere meglio chi fosse lo scrittore sacro e cosa volesse indicare con i suoi scritti. A nessuno sfugge infatti che la norma più alta dell’interpretazione è quella che permette di percepire e definire ciò che lo scrittore intena dire, come consiglia Sant’Atanasio: “Qui, come è opportuno fare in tutti gli altri passi della Scrittura divina, osserviamo che si debba considerare con precisione e fedeltà in quale occasione l’Apostolo ha parlato; qual è la persona e qual è l’argomento su cui ha scritto, per evitare che chi ignora queste cose, o intenda qualcos’altro al di fuori di esse, o si allontani dal vero significato”.

3830. Ma il senso letterale delle parole e degli scritti degli antichi autori orientali molto spesso non è così chiaro come lo è per gli scrittori della nostra epoca. Infatti, ciò che essi vogliono significare con le parole non è determinato dalle sole leggi della grammatica o della filologia, né dal solo contesto del passo; l’interprete dovrebbe in ogni caso tornare mentalmente, per così dire, a quelle remote epoche dell’Oriente, affinché, giustamente assistito dall’aiuto della storia, dell’archeologia, dell’etnologia e di altre discipline, possa discernere e percepire i cosiddetti generi letterari che gli scrittori di quell’epoca cercavano di impiegare e di fatto impiegavano. Infatti, gli antichi orientali, per esprimere ciò che avevano in mente, non usavano sempre le stesse forme e gli stessi modi di parlare che usiamo noi oggi, ma piuttosto quelli che erano accettati per l’uso tra gli uomini del loro tempo e delle loro località. Quali fossero, l’esegeta non può determinarlo, per così dire, in anticipo, ma solo attraverso un’accurata indagine delle antiche letterature dell’Oriente. Inoltre, tale indagine, portata avanti negli ultimi dieci anni con maggiore cura e diligenza rispetto al passato, ha mostrato con maggiore chiarezza quali forme di linguaggio fossero utilizzate in quei tempi antichi, sia per descrivere questioni in poesia, sia per proporre norme e leggi di vita, sia infine per narrare i fatti e gli eventi della storia. Questa stessa indagine ha anche dimostrato chiaramente che il popolo d’Israele era particolarmente preminente tra le altre nazioni antiche dell’Oriente nello scrivere correttamente la storia, sia per l’antichità che per la fedeltà del racconto degli eventi; il che è sicuramente l’effetto dell’ispirazione divina ed il risultato dello scopo speciale della storia biblica che riguarda la Religione. Infatti, nessuno che abbia una giusta comprensione dell’ispirazione biblica si sorprenda del fatto che tra gli Scrittori Sacri, come tra gli altri antichi, si trovino certi modi precisi di spiegare e di raccontare; certi tipi di idiomi particolarmente appropriati alle lingue semitiche, le cosiddette approssimazioni, e certi metodi iperbolici di parlare, sì, a volte persino paradossi con cui gli eventi si imprimono più saldamente nella mente. Infatti, nessuno di questi modi di parlare è estraneo alle Sacre Scritture, che presso i popoli antichi, specialmente presso gli orientali, il linguaggio umano usava abitualmente per esprimere il proprio pensiero, ma a questa condizione, che il tipo di linguaggio impiegato non sia in contrasto con la santità e la verità di Dio, come con la sua solita perspicacia il Dottore Angelico ha notato nelle seguenti parole: “Nella Scrittura le cose divine ci vengono fatte conoscere nel modo che usiamo abitualmente”. Infatti, come il Verbo sostanziale di Dio è stato reso simile all’uomo in tutto e per tutto “senza peccato”, così anche le parole di Dio, espresse in linguaggio umano, sono state rese in tutto e per tutto simili al linguaggio umano, senza errori, cosa che San Giovanni Crisostomo ha già esaltato con il massimo elogio come la (testo greco cancellato) o condiscendenza di un Dio provvidente; e che ha affermato più e più volte essere il caso delle Sacre Scritture. Pertanto, l’esegeta cattolico, per soddisfare le esigenze attuali delle questioni bibliche, per spiegare la Sacra Scrittura, e per mostrarla e dimostrarla priva di ogni errore, usi prudentemente questo aiuto, per indagare come la forma di espressione ed il tipo di letteratura impiegata dallo scrittore sacro, contribuiscano a un’interpretazione vera e genuina; e si convinca che questa parte del suo ufficio non può essere trascurata senza grande danno per l’esegesi cattolica. Infatti, non di rado – per soffermarsi solo su una cosa – quando alcuni propongono, a mo’ di rimprovero, che gli Autori Sacri si siano allontanati dalla verità storica o non abbiano riportato gli eventi in modo accurato, si scopre che non si tratta d’altro che dei metodi naturali e abituali degli antichi nel parlare e nel narrare, che nei reciproci rapporti tra gli uomini erano regolarmente impiegati, e di fatto erano impiegati in accordo con una pratica ammissibile e comune. Pertanto, l’onestà intellettuale richiede che, quando questi argomenti si trovino nel discorso divino che è espresso per l’uomo con parole umane, non siano caricati di errore più di quando siano pronunciati nell’uso quotidiano della vita. Pertanto, attraverso la conoscenza e la valutazione accurata dei modi e delle abilità di parlare e scrivere degli antichi, sarà possibile risolvere molti problemi sollevati contro la verità e l’attendibilità storica della divina Scrittura; e non meno opportunamente tale studio contribuirà a una comprensione più piena e chiara della mente dello Scrittore Sacro.

Libertà di investigazione scientifica nella questione biblica.

3831. Questo stato di cose non è un motivo perché l’interprete cattolico, animato da forte e attivo amore della sua disciplina e sinceramente attaccato alla Santa Madre Chiesa, si debba mai trattenere dall’affrontare le difficili questioni sino ad oggi non ancora risolte, non solo per ribattere le obbiezioni degli avversari, ma anche per tentare una solida spiegazione che lealmente s’accordi con la dottrina della Chiesa e in ispecie col tradizionale sentimento della immunità della Scrittura Sacra da ogni errore, e dia insieme la conveniente soddisfazione alle conclusioni ben certe delle scienze profane. Si ricordino poi tutti i figli della Chiesa che sono tenuti a giudicare non solo con giustizia, ma ancora con somma carità gli sforzi e le fatiche di questi valorosi operai della vigna del Signore; inoltre tutti devono guardarsi da quel non molto prudente zelo, per cui tutto ciò che sa di novità si crede per ciò stesso doversi impugnare o sospettare. Tengano presente, soprattutto, che nelle norme e leggi date dalla Chiesa si tratta della dottrina riguardante la fede ed i costumi e che tra le tante cose contenute nei Sacri Libri legali, storici, sapienziali e profetici, poche sono quelle di cui la Chiesa con la sua autorità abbia dichiarato il senso, né in maggior numero si contano quelle intorno alle quali si ha l’unanime sentenza dei Padri. Ne restano dunque molte, e di grande importanza, nella cui discussione e spiegazione si può e si deve liberamente esercitare l’ingegno e l’acume degli interpreti cattolici, affinché ognuno per la sua parte rechi il suo contributo a vantaggio di tutti, ad un crescente progresso della sacra dottrina, a difesa ed onore della Chiesa. È la vera libertà dei figliuoli di Dio, che mantiene fedelmente la dottrina della Chiesa e insieme accoglie con animo grato come dono di Dio e mette a profitto i portati delle scienze profane. Questa libertà, secondata e sorretta dalla buona volontà di tutti, è la condizione e la sorgente di ogni verace frutto e di ogni solido progresso nella scienza cattolica, come egregiamente avverte il Nostro Predecessore di felice memoria, Leone XIII, ove dice: “Se non si mantiene la concordia degli animi e non si pongono al sicuro i principi, non si possono dai vari studi, anche di molti, aspettare grandi progressi in quella disciplina” (Lett. Apost. “Vigilantiæ”; Leone XIII, Acta XXII, p. 237; Ench. Bibl. n. 136).

Istruzione della Sacra Penitenzieria, 25 marzo 1944.

Assoluzione generale.

3832. (Per eliminare i dubbi sulla facoltà) di dare in certe circostanze l’assoluzione sacramentale con una formula generale, cioè un’assoluzione sacramentale collettiva, senza che vi sia stata una precedente confessione dei peccati da parte di ciascun fedele, la Sacra Penitenzieria (dichiara):

3833. 1 I Sacerdoti, anche se non sono abilitati ad ascoltare le confessioni sacramentali, hanno la facoltà di assolvere in modo generale, insieme e contemporaneamente: a) come in pericolo di morte, i soldati che combattono o stanno per combattere, quando, o per la moltitudine dei soldati o per la brevità del tempo, non possano essere ascoltati singolarmente. Tuttavia, se le circostanze sono tali che sembra moralmente impossibile o estremamente difficile assolvere i soldati al momento del combattimento o se il combattimento è imminente, allora è lecito dare loro l’assoluzione non appena lo si ritenga necessario. b) Civili e soldati quando c’è un imminente pericolo di morte durante le incursioni nemiche.

3834. 2. A parte i casi di pericolo di morte, non è permesso dare l’assoluzione sacramentale a più fedeli contemporaneamente, né a singoli fedeli che, solo a causa del gran numero di penitenti, come può accadere ad esempio in un grande giorno di festa o a causa di un’indulgenza da conquistare, si siano confessati solo a metà. Ciò sarebbe tuttavia consentito se si aggiungesse un’altra necessità, abbastanza grave ed urgente, e proporzionata alla gravità del precetto divino dell’integrità della Confessione, ad esempio se i penitenti, senza loro colpa, fossero ridotti ad essere privati per lungo tempo della grazia del Sacramento e della santa Comunione. ..

3835. (4) (Tra l’altro, i penitenti devono essere avvertiti che: è necessario che coloro che sono stati assolti in gruppo accusino secondo le regole, fin dalla prima Confessione che fanno, ogni peccato grave commesso e non ancora accusato in precedenza.

3836. 5. Che i Sacerdoti istruiscano chiaramente i fedeli sul fatto che è gravemente proibito, quando si è pienamente consapevoli di aver commesso un peccato mortale, non ancora regolarmente accusato e dato in confessione, eludere di proposito l’obbligo imposto sia dalla legge divina che da quella ecclesiastica, di accusare in Confessione tutti i peccati mortali commessi e ciascuno di essi, in attesa dell’occasione in cui l’assoluzione sacramentale sarà data al gruppo.

3837. (7) Se il tempo lo permette, questa assoluzione deve essere impartita con la formula abituale completa, ma al plurale; altrimenti si può usare la formula seguente più breve: “Vi assolvo da tutte le censure ed i peccati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (41): “PIO XII, 1944-1958”.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (39a.): “Da LEONE XIII A PIO X, 1907”

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (39)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

(LEONE XIII, 1896-PIO X, 1907)

Lett. Enciclica “Identem piumque“, 20 settembre 1896.

Maria mediatrice di grzie.

3320. È certo che il nome e l’ufficio di Conciliatore perfetto non si addicono ad altri che a Cristo, perché solo Lui, uomo e Dio, ha ristabilito l’umanità in grazia con l’Altissimo Padre: “Un solo mediatore tra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù…”. (1 Timoteo 2,5ss). Ma se “nulla impedisce, come insegna il Dottore Angelico, che alcuni altri siano chiamati, sotto un certo aspetto, mediatori tra Dio e gli uomini, in quanto cooperano in modo dispositivo e subordinato ad unire gli uomini a Dio”, tra cui gli Angeli ed i Santi del cielo, i Profeti e i Sacerdoti dei due Testamenti, allora in verità l’ornamento di questa gloria spetta in modo ancora più eminente all’Altissima Vergine.

3321. Infatti, è impossibile immaginare qualcuno che, per riconciliare gli uomini con Dio, abbia mai potuto o potrà mai compiere un’opera come quella di Maria. È stata Lei, infatti, a dare il Salvatore agli uomini che correvano verso la rovina eterna, quando, con il suo mirabile assenso, ha accolto “a nome di tutta la natura umana” l’annuncio del Mistero di pace portato dall’Angelo sulla terra; Lei “da cui è nato Gesù” (Mt 1,16) sua Madre in verità, e per questo degna e bene accetta mediatrice al Mediatore.

Risposta del Sant’Uffizio, 17 marzo 1897.

Fecondazione artificiale.

1. La pratica di questa fecondazione artificiale, fuori dal matrimonio è da condannare puramente e semplicemente come immorale. Tale è infatti la legge naturale e la legge divina positiva, che la procreazione di una nuova vita possa essere frutto solo del matrimonio. Solo il matrimonio tutela la dignità dei coniugi (soprattutto della moglie in questo caso), il loro bene personale. Di per sé, esso provvede alla salute e all’educazione del bambino. 

2. Pertanto, per quanto riguarda la condanna della fecondazione artificiale al di fuori del matrimonio, non è possibile alcuna differenza di opinione tra i Cattolici. Un bambino concepito in queste condizioni sarebbe, per questo stesso fatto, illegittimo.

3. La fecondazione artificiale all’interno del matrimonio, ma prodotta dall’elemento attiva di una terza persona, è anch’essa immorale e, in quanto tale, da condannare senza appello. – Solo i coniugi hanno il diritto reciproco sul proprio corpo di generare una nuova vita, diritto esclusivo, non trasferibile ed inalienabile. E questo deve essere anche inconsiderazione del bambino. A chiunque dia la vita ad un piccolo essere, natura impone, in virtù di questo stesso legame, l’onere della sua conservazione ed educazione. Ma tra il coniuge legittimo ed il figlio, frutto del lavoro attivo di un terzo (il coniuge consenziente), non c’è alcun legame di origine, nessun vincolo morale e giuridico di procreazione coniugale.

4. Per quanto riguarda la liceità della fecondazione artificiale all’interno del matrimonio, ci basta, per il momento, ricordare questi principi di diritto naturale: il solo fatto che il risultato ricercato sia raggiunto con questo mezzo non giustifica l’uso del mezzo stesso; e nemmeno il desiderio, di per sé legittimo, di avere un figlio non è sufficiente a dimostrare la legittimità del ricorso alla fecondazione artificiale, che soddisferebbe questo desiderio. – Sarebbe falso pensare che la possibilità di ricorrere a questo metodo potrebbe rendere valido il matrimonio tra persone che non siano in grado di contrarlo in presenza di impedimentum impotentiæ. – D’altra parte, è superfluo osservare che l’elemento attivo non possa mai essere lecitamente procurato con atti innaturali. Anche se i nuovi metodi non possano essere esclusi a priori, per la sola ragione della loro novità, tuttavia, per quanto riguarda la fecondazione artificiale, non solo c’è motivo di essere estremamente cauti, ma deve essere assolutamente esclusa. Parlando in questo modo, non stiamo necessariamente proscrivendo l’uso di alcuni mezzi artificiali che abbiano il solo scopo di facilitare l’atto naturale, o a far sì che l’atto naturale normalmente compiuto raggiunga il suo fine. (Pii XII Alloc.ad Convenctum intern. IV medicorum catho. 29 sett. 1949). (cf. 3681 s.)

3323. Domanda: Può una donna essere fecondata artificialmente? – Risposta (confermata dal Sommo Pontefice il 26 marzo): Non è permesso.

Lett. Encycl. “Divinum illud munus”, 9 mag. 1897.

3325. E il pericolo [di errare circa la Trinità] sta in ciò che nella fede e nella pietà non si confondano le divine Persone, e non si moltiplichi l’unica natura mentre “la fede cattolica ci insegna a venerare un solo Dio nella Trinità e la Trinità in un solo Dio” [Simbolo “Quicumque”; Denz 75]… Perciò il Nostro predecessore Innocenzo XII respinse le istanze di coloro, che domandavano una festa propria in onore del Padre, e se vi sono dei giorni consacrati ai vari misteri compiuti dal Verbo incarnato, non c’è però una festa speciale per il Verbo, solo in quanto Persona divina; e la Stessa antichissima solennità di Pentecoste non riguarda lo Spirito Santo, come spirato dal Padre e dal Figlio, ma piuttosto ricorda il suo avvento, o esterna missione.

3326. Di qui l’uso nella Chiesa di attribuire al Padre le opere della potenza, al Figlio quelle della sapienza, allo Spirito Santo quelle dell’amore. Non già perché non siano comuni alle divine Persone tutte le perfezioni e tutte le opere esterne; infatti “sono indivise le opere della Trinità come ne è indivisa l’essenza”, poiché, come le tre divine Persone “sono inseparabili, così anche operano insieme”, ma per una certa relazione e quasi affinità che passa fra le opere esterne e il carattere proprio di ciascuna Persona, più all’una che alle altre si attribuiscono o, come dicono, si appropriano: “Come noi – sono parole dell’Angelico – ci serviamo delle creature quasi di segni e di immagini per manifestare le divine Persone, così facciamo degli attributi divini, e tale manifestazione tolta dai divini attributi si dice appropriazione” (Summa theol. I, q. 39, a. 7). In tal modo il Padre, che è “il principio della Trinità”, (S. Agostino, De Trinitate, I. IV, c. 20; PL 42, 906) è anche causa efficiente di tutte le cose, dell’Incarnazione del Verbo, della santificazione delle anime, “da Dio sono tutte le cose”; da lui, a causa del Padre. Il Figlio poi, Verbo e Immagine di Dio, è causa esemplare per cui tutte le cose hanno forma e bellezza, ordine e armonia, egli, come via, verità e vita, ha riconciliato l’uomo con Dio, “per Lui sono tutte le cose”; per Lui, a causa del Figlio. E lo Spirito Santo è di tutto la causa finale, perché come nel suo fine la volontà e ogni cosa trova quiete, così Egli che è la bontà e l’amore del Padre e del Piglio, da’ impulso forte e soave e quasi l’ultima mano all’altissimo lavoro dell’eterna nostra predestinazione, “in lui sono tutte le cose”; in Lui, a causa dello Spirito Santo.

3327. L’incarnazione del Verbo è l’opera più grande che Dio abbia mai compiuto fuori di sé, alla quale concorsero tutti i divini attributi, in modo tale che non è possibile anche solo immaginarne una maggiore, ed è in pari tempo l’opera per noi più salutare. Ora un sì grande prodigio, benché compiuto da tutta la Trinità, tuttavia si ascrive come proprio dello Spirito Santo, onde dice il Vangelo che la concezione di Cristo nel grembo della Vergine fu opera dello Spirito Santo: “Si trovò incinta per opera dello Spirito Santo”, e “Quel che è generato in Lei viene dallo Spirito Santo” (Mt 1,18.20): e a buon diritto, perché lo Spirito Santo è la carità del Padre e del Figlio, e il “grande mistero della divina bontà” (1Tm III,16), che è l’incarnazione, fu causato dal suo immenso amore per l’uomo, come accenna san Giovanni: “Dio ci ha amati a tal segno da darci l’unigenito suo Figlio” (Gv III,16). Si aggiunga che per tal fatto la natura umana fu sollevata alla dignità d’essere unita personalmente al Verbo, non per meriti che avesse, ma per pura grazia, che è dono proprio dello Spirito Santo: “Questa maniera – dice sant’Agostino – con cui Cristo fu concepito per opera dello Spirito Santo ci fa vedere la bontà di Dio, giacché la natura umana senza meriti precedenti nel primissimo istante fu unita alla persona del Verbo così intimamente che il medesimo fosse e figlio di Dio e figlio dell’uomo”. Né solo il concepimento di Cristo, ma anche la santificazione dell’anima sua, o “unzione”, com’è detta nei libri santi (At X,38), fu compiuta dallo Spirito Santo, come pure ogni sua azione “era come sotto l’influsso dello stesso Spirito” che in particolar maniera cooperò al suo sacrificio: “Cristo per mezzo dello Spirito Santo si offrì vittima innocente a Dio” (Eb IX,14). Dopo ciò qual meraviglia che tutti i carismi dello Spirito Santo inondassero l’anima di Cristo? … Dunque l’apparizione sensibile dello Spirito Santo su Cristo e la sua azione invisibile nell’anima di Lui figurano la duplice missione dello Spirito Santo, visibile nella Chiesa e invisibile nell’anima dei giusti.

3328. La Chiesa concepita e uscita già dal cuore del secondo Adamo come addormentato sulla croce, apparve al mondo la prima volta in modo solenne il giorno della pentecoste con quell’ammirabile effusione che era stata vaticinata dal profeta Gioele (cf. II, 28-29), e in quel dì medesimo si iniziava l’azione del divino Paraclito nel mistico corpo di Cristo, “posandosi sugli Apostoli, quasi nuove corone spirituali, formate con lingue di fuoco, sulle loro teste”. E allora gli Apostoli “discesero dal monte – come scrive il Crisostomo – non già portando a somiglianza di Mosè le tavole di pietra nelle mani, ma lo Spirito Santo nell’anima spargendo tesori e rivi di verità e di carismi”. Così si avverava l’ultima promessa fatta da Cristo poco prima di salire al cielo, di mandare cioè di lassù lo Spinto Santo, che negli Apostoli avrebbe compiuto e quasi suggellato il deposito della rivelazione: “Io ho ancora molte cose da dirvi, ma adesso non le intendereste; lo Spirito di verità, che vi manderò Io, vi insegnerà tutto” (Gv XVI,12-13). Lo Spirito Santo infatti, che è spirito di verità, in quanto procede dal Padre, eterno Vero, e dal Figlio, che è verità sostanziale, riceve dall’uno e dall’altro insieme con l’essenza tutta la verità, che poi a vantaggio nostro comunica alla chiesa, assistendola perché non erri mai, e fecondando i germi rivelati, finché, secondo l’opportunità dei tempi, giungano a maturazione. E poiché la chiesa, che è mezzo di salvezza, deve durare sino al tramonto dei secoli, è appunto questo divino Spirito che ne alimenta e accresce la vita; “Io pregherò il Padre ed egli vi manderà lo Spirito di verità, che resterà per sempre con voi” (Gv XIV,16-17). Da Lui infatti sono costituiti i Vescovi, che generano non solo i figli, ma anche i padri, cioè i sacerdoti, a guidarla e nutrirla con quel sangue con cui Cristo la acquistò: “Lo Spirito Santo pose i Vescovi al governo della Chiesa di Dio, redenta col sangue di Lui” (At XX, 28); gli uni e gli altri poi, Vescovi e sacerdoti, per singolare dono dello Spirito Santo hanno la potestà di rimettere i peccati, come disse Cristo agli Apostoli: “Ricevete lo Spirito Santo: saranno perdonati i peccati a quelli, ai quali voi li avrete perdonati e ritenuti a quelli, ai quali voi li avrete ritenuti” (Gv XX, 22-23). E poi l’origine divina della Chiesa appare in tutto il suo splendore nella gloria dei carismi, dei quali si circonda; ma questo serto ella riceve dallo Spirito santo. Per ultimo basti sapere che se Cristo è il capo della Chiesa, lo Spirito Santo ne è come l’anima: “Ciò che è l’anima nel nostro corpo, lo Spirito Santo lo è nella Chiesa, corpo di Cristo”.

3329. È verissimo che anche nei giusti vissuti prima di Cristo vi fu lo Spirito Santo con la grazia, come leggiamo dei profeti, di Zaccaria, del Battista, di Simeone e di Anna, giacché non fu nella pentecoste che lo Spirito Santo “incominciò ad abitare nei Santi la prima volta, in quel dì accrebbe i suoi doni, mostrandosi più ricco, più effuso”. Erano sì figli di Dio anch’essi, ma rimanevano ancora nella condizione di servi, perché anche il figlio “non differisce dal servo, finché è sotto tutela” (Gal IV,1-2); e poi mentre quelli furono giustificati in previsione dei meriti di Cristo, dopo la sua venuta molto più abbondante è stata la diffusione dello Spirito Santo nelle anime, come avviene che la mercé vince in prezzo la caparra e la verità supera immensamente la figura.

3330. La quale rigenerazione o rinnovazione, per ciascuno, s’inizia nel Battesimo, nel qual Sacramento, cacciato dall’anima lo spirito immondo, vi discende per la prima volta lo Spirito Santo, rendendola somigliante a sé, perché “è spirito ciò che nasce dallo Spirito” (Gv III, 7). Con più abbondanza nella Cresima ci viene donato lo stesso Spirito, infondendoci costanza e fortezza per vivere da Cristiani, quello Spirito cioè che vinse nei martiri, trionfò nei vergini sulle illecite passioni. E abbiamo detto che lo Spirito Santo dona se stesso, “diffondendo Dio nei nostri cuori la carità per lo Spirito Santo che ci è dato” (Rm V,5); infatti non solo dà a noi doni divini, essendo Egli degli stessi doni l’Autore, ma per giunta Egli stesso è il primo dono, procedendo dal mutuo amore del Padre e del Figlio, “il dono di Dio altissimo”. – E per capire meglio la natura e gli effetti di questo dono, conviene richiamare ciò che insegnano sulla scorta delle divine Scritture i sacri Dottori, e cioè che Dio si trova in tutte le cose “per la sua potenza, con la sua presenza e con la sua essenza, in quanto Egli tiene tutto a sé soggetto, tutto vede, di tutto è la causa prima”. Ma nella creatura ragionevole Dio si trova in un’altra maniera; cioè in quanto è conosciuto e amato, giacché è anche secondo natura amare il bene, desiderarlo, cercarlo. Da ultimo Dio per mezzo della sua grazia sta nell’anima del giusto, in un modo più intimo e ineffabile, come in un suo tempio, donde deriva quell’amore vicendevole, per cui l’anima è intimamente a Dio presente, è in Lui più che non soglia farsi fra dilettissimi amici e gode di Lui con una piena soavità.

3331. Ora questa unione, che propriamente si chiama “inabitazione”, la quale non nell’essenza, ma solo nel grado differisce da quella che fa i beati in cielo, sebbene si compia per opera di tutta la Trinità, “con la venuta e dimora delle tre Persone nell’anima amante di Dio” (Gv XIV, 23), tuttavia allo Spirito Santo si attribuisce. Giacché anche negli empi il Padre e il Figlio dimostrano la loro potenza e sapienza, ma lo Spirito Santo, il cui carattere personale è la carità, non può dimorare che nel giusto.

Risposta del Sant’Uffizio, 30 marzo 1898.

La fede e l’intenzione richieste per il Battesimo.

3333. Domanda: Può un missionario conferire il Battesimo in punto di morte ad un maomettano adulto che si suppone in buona fede nei suoi errori: 1 – Se ha ancora una piena capacità di attenzione e se si limita a esortarlo all’afflizione (per i suoi peccati) e alla fiducia, senza parlare affatto dei nostri misteri per timore che non creda in essi.

3334. (2) Se, per quanto sia ancora attento, non gli dice nulla, supponendo da un lato che non manchi di contrizione e dall’altro che non sia prudente parlare con lui dei nostri misteri.

3335. 3. se ha già perso l’attenzione e non gli dice nulla.

Risposta (confermata dal Sommo Pontefice il 1° aprile). Per 1 e 2. No, cioè non è permesso amministrare il Battesimo a tali maomettani…, né in modo assoluto né in modo condizionato; e saranno dati i decreti del Sant’Uffizio al Vescovo di Québec del 25 gennaio e del 10 maggio 1703 (cf. 2380-2382), e l’istruzione del Sant’Uffizio al Vicario Apostolico di Tche-Kiang del 1° agosto 1860 (cf. 2835-2839). Per 3. Per quanto riguarda i maomettani moribondi e già privi di sensi, la risposta deve essere quella del decreto del Sant’Uffizio del 18 settembre 1850 al Vescovo di Perth, ossia: “Se in precedenza hanno dato segno di voler essere battezzati, o se allo stato attuale hanno manifestato questa stessa disposizione con un segno o in altro modo, possono essere battezzati condizionatamente, a condizione però che il missionario lo abbia giudicato in base a tutte le circostanze”.

Risposta del Sant’Uffizio al Vescovo di Sinaloa (Messico), 4 maggio 1898.

Diversi modi di estrarre un feto.

3336. Domande: 1. Si può accelerare il parto se è impossibile estrarre il feto perché il bacino della donna è troppo stretto?

3337. 2. E quando la ristrettezza della donna è tale che nemmeno il parto prematuro è considerato possibile, sarà lecito indurre un aborto o eseguire un intervento cesareo al momento opportuno?

3338. 3. È lecita la laparotomia in caso di gravidanza ectopica o di embrioni mal posizionati?

Risposta (confermata dal Papa il 6 maggio): – Per 1. L’accelerazione del parto non è di per sé illecita, purché sia effettuata per giusti motivi, nei tempi e nei modi che garantiscano la vita della madre e del bambino secondo il corso ordinario. Per 2. Per quanto riguarda la prima parte: no, in conformità al decreto del 24 luglio 1895 sul carattere illecito dell’aborto. – Tuttavia, per quanto riguarda la seconda parte, nulla impedisce alla donna in questione di sottoporsi ad un parto cesareo al momento opportuno. Per 3. In caso di necessità impellente, è ammessa la laparotomia per rimuovere dal grembo materno embrioni mal situati, a condizione che, per quanto possibile, si presti una seria e adeguata attenzione alla vita del feto e della madre.

Enciclica “Caritatis studium” ai Vescovi di Scozia, 25 luglio 1898.

Identità del sacrificio della Croce e del sacrificio della Messa.

3339. La natura stessa della Religione implica la necessità del sacrificio… E se i sacrifici vengono eliminati, nessuna religione può esistere o essere pensata. La Legge del Vangelo non è inferiore alla Legge antica; al contrario, è ancora più eminente, poiché ha compiuto in modo più eminente ciò che quest’ultima aveva iniziato. Ora, i sacrifici usati nell’Antico Testamento presagivano già il Sacrificio compiuto sulla croce, molto prima della nascita di Cristo; dopo la sua Ascensione al cielo, questo stesso Sacrificio è continuato dal Sacrificio eucaristico. Per questo chi lo rifiuta si sbaglia di grosso, come se sminuisse la verità e la virtù del Sacrificio compiuto da Cristo, fissato sulla croce; “offerto una volta per tutte per togliere i peccati di molti”, (Eb IX, 28) . – Questa espiazione per i mortali è stata perfetta e assoluta, e non è un altro Sacrificio, ma lo stesso, che è incluso nel Sacrificio eucaristico. Poiché il rito sacrificale doveva essere legato alla Religione per sempre, era intenzione divina del Salvatore che il Sacrificio, consumato una volta per tutte sulla croce, diventasse perpetuo e duraturo. La ragione di questo carattere perpetuo, tuttavia, è insita nella santissima Eucaristia, che non offre una vana similitudine o una mera commemorazione della realtà, ma la realtà stessa, anche se in forma dissimile; ed è per questo che tutta l’efficacia di questo Sacrificio, sia per ottenere che per espiare, deriva interamente dalla morte di Cristo.

Lettera “Testem benevolentiae” all’Arcivescovo di Baltimora, 22 gennaio 1899.

L’errore di adattare le dottrine della fede alla concezione moderna.

3340. Il principio delle nuove opinioni di cui abbiamo parlato è più o meno il seguente: affinché coloro che la pensano diversamente siano più facilmente condotti alla saggezza cattolica, la Chiesa deve avvicinarsi all’umanità di un secolo ormai maturo e, attenuando la sua precedente severità, considerare con benevolenza le aspirazioni e le concezioni espresse dai popoli. Ora, secondo l’opinione di molti, ciò va inteso non solo in termini di modi di vita, ma anche di dottrine in cui è contenuto il deposito della fede. Infatti, essi sostengono che, per conquistare la volontà di coloro che non sono d’accordo, è opportuno omettere alcuni capitoli di dottrina in quanto di minore importanza, o attenuarli al punto da non conservare più lo stesso significato di quello che la Chiesa ha costantemente sostenuto. Non c’è bisogno di un lungo discorso… per mostrare con quale scopo condannabile ciò sia stato concepito; è sufficiente ricordare la natura e l’origine della dottrina trasmessa dalla Chiesa. Il Concilio Vaticano dice a questo proposito: “La dottrina della fede… ulteriore comprensione” (cf. 3020) …

3341. La storia di tutti i tempi passati testimonia che la Sede Apostolica, alla quale è affidato non solo il Magistero ma anche il governo di tutta la Chiesa, è stata costantemente attaccata “alla stessa dottrina, nello stesso senso e con lo stesso pensiero” (cf. 3020), ma che, d’altra parte, è sempre stata solita regolare la disciplina della vita in modo tale che – rimanendo inalterato ciò che sia di diritto divino – non siano mai trascurati i costumi e la morale dei vari popoli che essa abbraccia. Se la salvezza delle anime lo richiedesse, chi può dubitare che non lo farebbe anche ora? Tuttavia, non spetta a ciascun individuo, quasi sempre ingannato dall’apparenza del bene, decidere; spetta alla Chiesa giudicare. …

3342. Ogni Magistero esterno è respinto come superfluo, addirittura come poco utile, da coloro che vogliono tendere alla perfezione cristiana: lo Spirito Santo, dicono, oggi riversa nell’anima dei fedeli doni più estesi e abbondanti che in passato, e li insegna e li guida senza intermediari, per una sorta di misterioso istinto. …

Disprezzo delle virtù soprannaturali e passive.

3343. È soprattutto per la coltivazione delle virtù che sia assolutamente necessario l’aiuto dello Spirito Santo; ma coloro che amano attaccarsi alle novità lodano eccessivamente le virtù naturali, come se fossero più adatte alla morale ed alle esigenze del tempo presente, e come se fosse preferibile possederle perché renderebbero l’uomo più capace di agire e più zelante. È difficile immaginare che chi sia imbevuto di saggezza cristiana possa preferire le virtù naturali a quelle soprannaturali, attribuendo loro una maggiore efficacia e fecondità. …

3344. Strettamente connessa a questa concezione delle virtù naturali è un’altra, che divide l’intero corpo delle virtù in due tipi: le virtù passive, come dicono, e le virtù attive; e aggiungono che le prime erano più adatte ai tempi passati, ma che le seconde corrispondono più strettamente al tempo presente… Ora, che certe virtù cristiane siano più adatte di altre al nostro tempo, lo può affermare solo chi non ricorda le parole dell’Apostolo: “Quelli che ha preconosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo”, Rm VIII,29. Il maestro e il modello di ogni santità è Cristo; è su di Lui che devono basarsi tutti coloro che vogliono trovare un posto tra i beati. Cristo non cambia nel corso dei secoli, ma è “lo stesso ieri, oggi e sempre” (Eb XIII,8). È quindi per gli uomini di tutti i tempi che valgono queste parole: “Imparate da me, perché io sono mite e umile di cuore” (Mt XI,29), e non c’è un tempo in cui Cristo non si mostri a noi come “divenuto obbediente fino alla morte” (Php II,8); e vale per tutti i tempi anche l’affermazione dell’Apostolo: “Quelli che sono di Cristo hanno crocifisso la loro carne con i vizi e le concupiscenze” (Ga V,24) .

3345. Da questo tipo di disprezzo per le virtù evangeliche, erroneamente chiamate passive, è stato facile arrivare a che le anime siano gradualmente invase dal disprezzo per la vita religiosa. E che questo sia comune ai sostenitori delle nuove opinioni, lo deduciamo da alcune loro affermazioni sui voti degli Ordini religiosi. Dicono, infatti, che questi voti siano molto lontani dal genio della nostra epoca, in quanto limitano l’ambito della libertà umana; e che siano più adatti alle anime deboli che a quelle forti, e anche che non contribuiscono al progresso cristiano e al bene della società umana, ma che al contrario lo ostacolano e lo impediscono. …

3346. Da tutto ciò che abbiamo esposto finora, è dunque chiaro… che non possiamo approvare queste opinioni, il cui insieme è designato da molti con il nome di “americanismo“.

Enciclica “Annum sacrum“, 25 maggio 1899.

Il potere regale di Cristo.

3350. Questa testimonianza più ampia e più grande di sottomissione e di amore (cioè l’atto di Consacrazione dell’umanità al Cuore di Gesù) è del tutto appropriata a Gesù Cristo, perché Egli stesso è il principe e il padrone sovrano. È chiaro che il suo impero non si estende solo alle Nazioni che portano il nome di cattoliche, o solo a coloro che, essendo stati battezzati, appartengono alla Chiesa per quanto riguarda la legge, anche se l’errore delle loro opinioni li porti fuori strada, o se il dissenso li separi dalla carità; ma abbraccia anche tutti coloro che sono considerati al di fuori della fede cristiana, in modo che sia in stretta verità l’intero genere umano ad essere soggetto al potere di Gesù Cristo. Infatti, Colui che è il Figlio unigenito di Dio Padre e che ha la sua stessa sostanza, “lo splendore della sua gloria e la somiglianza della sua sostanza”, (Eb 1,3) possiede necessariamente tutto ciò che è in comune con il Padre, e quindi anche il potere sovrano su tutte le cose. Per questo il Figlio di Dio dice di sé nel profeta: “Quanto a me, sono stato costituito re su Sion, il suo monte santo. – Il Signore mi ha detto: “Tu sei mio Figlio, oggi ti ho generato. Chiedi a me e ti darò in eredità le nazioni e farò di te un possesso fino agli estremi confini della terra” (Sal II,6-8). Con ciò, Egli dichiara di aver ricevuto da Dio il potere sia su tutta la Chiesa, rappresentata dal monte Sion, sia sul resto della terra, fino ai suoi confini più remoti. Per quanto riguarda la base di questo potere sovrano, essa è sufficientemente indicata da queste parole: “Tu sei mio Figlio”. Infatti, per il fatto stesso di essere il Figlio del padrone di tutto ciò che è, Egli è l’erede del potere universale; da qui queste parole: “Ti darò le nazioni come tua eredità”. A cui sono simili le parole dell’apostolo Paolo: “Lo ha costituito erede di tutte le cose” (Eb 1,2).

3351. Ma dobbiamo considerare soprattutto ciò che Gesù ha detto sul suo potere… con la sua stessa bocca. Al proconsole romano che gli chiese: “Sei dunque un re?”, egli rispose senza esitazione: “Tu lo dici, io sono un re” (Gv XVIII,37). E la grandezza di questo potere e l’universalità di questo regno sono confermati ancora più chiaramente dalle parole rivolte agli Apostoli: “A me è stata data ogni autorità in cielo e in terra” (Mt XXVIII,18). Se, dunque, ogni potere è stato dato a Cristo, ne consegue necessariamente che il suo potere è sovrano, assoluto, non soggetto alla volontà di nessuno, così che nulla gli è uguale o gli somiglia; e poiché è dato in cielo e in terra, cielo e terra devono essergli soggetti. Egli ha esercitato questo diritto ineguagliabile, che appartiene solo a Lui, quando ha ordinato agli Apostoli di propagare la sua dottrina, di unire gli uomini in un’unica Chiesa attraverso il lavacro della salvezza e, infine, di imporre leggi che nessuno può disattendere senza mettere a repentaglio la propria salvezza eterna.

3352. Ma questo non è tutto. Cristo non esercita il suo potere solo in virtù di un diritto di nascita, perché è l’unigenito Figlio di Dio, ma anche in virtù di un diritto acquisito. Egli stesso “ci ha strappati dal potere delle tenebre” (Col 1,13), e allo stesso modo “ha dato se stesso per la redenzione di tutti” (1 Tim 2,6). Egli è diventato quindi un “popolo di sua proprietà” (1Pt 2,9), non solo i cattolici e tutti coloro che hanno ricevuto regolarmente il battesimo cristiano, ma tutti gli uomini in particolare e tutti gli uomini insieme. … La causa, però, e la ragione per cui gli stessi increduli sono soggetti al potere di Gesù Cristo, San Tommaso la insegna esplicitamente. Infatti, dopo aver esaminato se il suo potere giudiziario si estenda a tutti gli uomini ed aver affermato che “il potere giudiziario deriva dalla dignità regale”, conclude chiaramente: “Tutte le realtà sono soggette a Cristo in ragione del suo potere, anche se non tutto è ancora soggetto a Lui per quanto riguarda la realizzazione di tale potere”. Questo potere di Cristo e questo potere sono esercitati dalla verità, dalla giustizia e soprattutto dalla carità. (III 59,4).

Il santissimo Cuore di Gesù, oggetto di venerazione.

3353. Poiché il santissimo Cuore di Gesù è il simbolo e l’immagine espressa dell’amore infinito di Gesù Cristo, che ci spinge ad amarci gli uni gli altri, è naturale consacrarsi al suo augustissimo Cuore. Questo, però, non è altro che donarsi a Cristo e legarsi a Lui, perché ogni onore, omaggio e pietà tributati al Cuore divino sono in realtà diretti a Cristo stesso.

Risposta del Sant’Uffizio all’Arcivescovo di Utrecht, 21 agosto 1901.

La materia del Battesimo.

3356. Presentazione: Diversi medici hanno l’abitudine, negli ospedali o altrove, in caso di necessità, di battezzare i bambini piccoli, soprattutto nel grembo materno, con acqua mista a cloruro di mercurio. Quest’acqua è composta da circa una parte di cloruro di mercurio per mille parti di acqua, e l’assorbimento di tale soluzione è tossica. Il motivo per cui si usa questa miscela è per evitare che l’utero della madre si ammali.

Domande: 1. Un Battesimo amministrato con quest’acqua è valido con certezza o con dubbio?

2. È lecito, per evitare ogni pericolo di malattia, amministrare il battesimo con quest’acqua?

3. È lecito usare quest’acqua anche quando si possa usare acqua pura senza pericolo di malattia?

Risposta (confermata dal Sommo Pontefice il 23 agosto): Per 1. Sarà trattata nel 2. Per 2. È permesso quando c’è un reale pericolo di malattia. Per 3. No.

Risposta del Sant’Uffizio alla Facoltà di Teologia dell’Università di Montreal, 5 agosto 1902.

Diversi modi di estrarre un feto.

3358. Domanda: È talvolta lecito estrarre dal grembo materno feti mal situati quando il sesto mese successivo al concepimento non è ancora stato completato?

Risposta: No, in conformità al decreto del 4 maggio 1898. (cf. 3336- 3338), secondo il quale la vita del feto e della madre deve essere assicurata, per quanto possibile, in modo serio ed appropriato; per quanto riguarda il tempo, il richiedente deve ricordare che non è ammissibile alcuna accelerazione della nascita se non viene effettuata nei tempi e nei modi che assicurano la vita della madre e del bambino nel corso ordinario.

Risposta del Sant’Uffizio alla Facoltà di Teologia dell’Università di Marianopol, 5 mar. 1902

Diversi modi di estrarre un feto

3358. Domanda: È talvolta lecito estrarre dal grembo materno feti mal situati quando il sesto mese successivo al concepimento non è ancora stato completato? Risposta: No, in conformità al decreto del 4 maggio 1898. 3336- 3338, secondo il quale la vita del feto e della madre deve essere assicurata, per quanto possibile, in modo serio e appropriato; per quanto riguarda il tempo, il richiedente deve ricordare che non è ammissibile alcuna accelerazione della nascita se non viene effettuata nei tempi e nei modi che assicurano la vita della madre e del bambino nel corso ordinario.

Lett. Encycl. “Miræ caritatis”, 28 mag. 1902.

Cristo eucaristico, vita degli uomini

3360. Fra questi benefici poi provenienti dall’eucaristia, chi attentamente e religiosamente considera, vedrà primeggiare e risplendere quello che tutti gli altri contiene: dall’eucaristia cioè proviene agli uomini quella vita che è la vera vita; “II pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (Gv 6,52). In più maniere, come abbiamo detto altra volta, Cristo è “vita”. Egli diede per motivo della sua venuta fra gli uomini il voler loro portare una sicura abbondanza di vita più che umana: “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in sovrabbondanza” (Gv 10,10). E infatti appena sulla terra “apparve la benignità e l’amore del Salvatore Dio nostro” (Tt 3,4), nessuno ignora che subito eruppe una certa forza creatrice di un ordine affatto nuovo di cose, e s’infiltrò in tutte le vene della società domestica e civile. Di là nuovi vincoli tra uomo e uomo; nuovi diritti privati e pubblici; nuovi doveri; nuova direzione alle istituzioni, alle discipline, alle arti; e, ciò che più importa, gli animi e le cure degli uomini furono volti alla verità della religione e alla santità dei costumi, e anzi fu comunicata agli uomini una vita del tutto celeste e divina. A ciò infatti si riferiscono quelle espressioni così frequenti nelle divine Scritture: “legno di vita, verbo di vita, libro di vita, corona di vita”, e soprattutto “pane di vita”. Ma poiché questa medesima vita, di cui parliamo, ha una evidente somiglianza con la vita naturale dell’uomo, come l’una si alimenta e vegeta col cibo, così bisogna che anche l’altra, con cibo suo proprio, si sostenti e si accresca. E qui cade a proposito il rammentare in qual tempo e in qual modo abbia Gesù Cristo mosso e indotto gli animi degli uomini a ricevere convenientemente e degnamente il pane vivo che stava per dare. Perché quando si sparse la fama di quel prodigio che egli aveva operato sulla spiaggia di Tiberiade, moltiplicando i pani per saziare la moltitudine, subito molti accorsero a lui, per vedere se per avventura potesse a loro toccare un ugual beneficio. E Gesù, colta l’occasione, come quando, dall’attingere che fece la Samaritana l’acqua del pozzo, prese lo spunto per mettere in lei la sete dell’acqua “che zampillerà in vita eterna” (Gv 4,14), così allora sollevò le menti avide delle moltitudini a bramare anche più avidamente un altro pane “che dura per la vita eterna” (Gv 6, 27). Né già questo pane, insiste ammonendo Gesù, è quella manna celeste che fu apprestata ai padri vostri pellegrinanti per il deserto; e neppure è quello che voi stessi testé avete ricevuto da me con tanta meraviglia; ma io medesimo sono questo pane: “Io sono il pane di vita” (Gv 6,48). – E la stessa cosa va sempre più insinuando a tutti, ora con gli inviti, ora coi precetti: “Chi mangerà di un tal pane, vivrà eternamente; e il pane che io darò è la mia carne per la salute del mondo” (Gv 6,52). Dimostra poi la gravità del precetto asserendo: “In verità, in verità vi dico: Se non mangerete la carne del Figlio dell’uomo, e non berrete il mio sangue, non avrete in voi la vita” (Gv 6,54).

3361. Si corregga perciò quel dannosissimo errore comune, che fa credere che l’uso dell’eucaristia si debba lasciare a quelle persone che, libere da impegni e di animo gretto, amano dedicarsi alla vita devota. Quella cosa, che fra tutte è la più eccellente e salutare, appartiene a tutti, qualunque sia il loro grado e il loro ufficio; appartiene a tutti quelli cioè che vogliono (e ognuno deve volerlo) alimentare in loro la vita della grazia divina, che conduce al conseguimento della vita beata in Dio.

Il nesso dell’Eucarestia con la Chiesa e la Comunione dei Santi

3362. E si noti come anche i segni esteriori di questo sacramento sono opportunissimi incitamenti all’unione. A questo proposito san Cipriano dice: “Infine anche il sacrificio del Signore dichiara l’universale unione dei cristiani fra di loro, e, con ferma e inseparabile carità, uniti a lui. Perché quando il Signore chiama suo corpo il pane, fatto con l’unione di molti grani, significa che il popolo nostro da lui condotto è un popolo riunito insieme, e quando suo sangue chiama il vino, che è spremuto da grappoli e acini moltissimi e fuso in uno, significa similmente che il nostro gregge è composto di una mista moltitudine raccolta insieme”. Così l’angelico dottore, ripetendo un pensiero di Agostino,dice: “II Signore nostro ci lasciò rappresentato il corpo e il sangue suo in quelle cose che da più si raccolgono in uno; perché l’una di esse, cioè il pane, è un tutto formato da più grani, l’altra, cioè il vino, è un tutto composto di più acini: perciò Agostino dice altrove; O sacramento di pietà, o segno di unità, o vincolo di carità!”. Tutte queste cose si confermano con la sentenza del Concilio Tridentino, che insegna “avere Cristo lasciato alla chiesa l’eucaristia come simbolo di quella unità e carità, con la quale volle che i cristiani fossero congiunti e uniti fra loro, … simbolo di quel corpo uno, di cui egli è il capo, e al quale volle che noi, come membra, fossimo uniti con strettissimo vincolo di fede, di speranza e di carità” (1635-1638). E questo aveva detto Paolo: “Siccome vi è un unico pane, noi, pur essendo molti, formiamo un sol corpo, comunicandoci col medesimo pane” (1Cor X, 17).

3363. Inoltre la grazia della mutua carità fra i viventi, che tanta forza e incremento riceve dal sacramento eucaristico, in virtù specialmente del sacrificio, si partecipa a tutti quelli che sono nella comunione dei Santi. Poiché, come tutti sanno, la comunione dei santi non è altro che una scambievole partecipazione di aiuto, di espiazione, di preghiere, di benefici, tra i fedeli, o trionfanti nella celeste patria, o penanti nel fuoco del purgatorio. o ancora pellegrinanti in terra, dai quali risulta una sola città, che ha Cristo per capo, e la carità per forma, Sappiamo poi dalla fede che, sebbene l’augusto sacrificio solo a Dio possa offrirsi, si può pure celebrare in onore dei santi che regnano in cielo con Dio, “che li ha coronati”, al fine di ottenere il loro patrocinio, e anche, come sappiamo dalla tradizione apostolica, per cancellare le macchie dei fratelli, che già morti nel Signore, non siano ancora interamente purificati.

3364. Infine esso è ancora come l’anima della Chiesa, e ad esso la stessa ampiezza della grazia sacerdotale si dirige per i vari gradi degli Ordini. La Chiesa di là attinge ed ha tutta la virtù e gloria sua, tutti gli ornamenti dei divini carismi, infine ogni bene: ed essa perciò pone ogni cura nel preparare e condurre gli animi dei fedeli ad una intima unione con Cristo mediante il sacramento del corpo e sangue suo.

Pio X: 4 agosto 1903-20 agosto 1914.

Enciclica “Ad diem illum“, 2 febbraio 1904.

Maria, mediatrice di grazie.

3370. Per questa comunione di dolore e di volontà tra Maria e Cristo, ella “meritò di diventare nel modo più degno la riparatrice del mondo perduto”, e per questo la dispensatrice di tutti i beni che Gesù ha preparato per noi con la sua morte e il suo sangue. Naturalmente, non neghiamo che la dispensazione di questi beni sia un diritto proprio e particolare di Cristo; anzi, essi sono il frutto esclusivo della sua morte ed egli stesso, in virtù del suo potere, è il mediatore tra Dio e gli uomini. Tuttavia, a causa di questa comunione di dolore e di angoscia tra Maria e il Figlio di cui abbiamo parlato, è stato dato a questa augusta Vergine “di essere davanti al suo unico Figlio la più potente mediatrice e avvocata del mondo intero”. La fonte, dunque, è Cristo, “dalla cui pienezza tutti abbiamo ricevuto” (Gv 1,16); “per mezzo del quale tutto il corpo è unito e reso compatto attraverso tutte le giunture che lo servono… egli opera l’incremento del corpo per la sua edificazione nell’amore” (Ef 4,16). Ma Maria… è l'”acquedotto”, ovvero il collo che collega il corpo alla testa… È quindi chiaro che siamo lontani dall’attribuire alla Madre di Dio il potere di operare la grazia soprannaturale (un potere) che appartiene solo a Dio. Tuttavia, poiché prevale su tutti nella santità e nella sua unione con Cristo, e poiché è stata associata all’opera di salvezza degli uomini, merita per noi de congruo, come si dice, ciò che Cristo ha meritato de condigno, ed è la prima ministra della distribuzione delle grazie.

Risposta della Commissione Biblica, 13 febbraio 1905.

Citazioni implicitenella Scrittura.

3372. Domanda: Per risolvere le difficoltà che sorgono in alcuni testi della Sacra Scrittura che sembrano riferire fatti storici, è lecito per l’esegeta cattolico affermare che in questi passi ci sia una citazione tacita o implicita di un documento scritto da un autore non ispirato, il cui autore ispirato non intenda in alcun modo approvare o far proprie tutte le affermazioni, che, di conseguenza, non possano essere considerate una garanzia contro l’errore?

Risposta (confermata dal Sommo Pontefice il 13 febbraio): No, se non nel caso in cui, rispettando il sentimento ed il giudizio della Chiesa, si dimostri con solidi argomenti 1. che lo scrittore sacro citi realmente parole o documenti di un altro; e 2. che non li approvi o li faccia propri, cosicché si supponga giustamente che non parli a nome proprio.

Risposta della Commissione Biblica, 23 giugno 1905.

Le parti apparentemente solamentee storiche della Scrittura.

3373. Domanda: Possiamo accettare come principio di buona esegesi l’opinione che i libri della Sacra Scrittura considerati storici, in tutto o in parte, a volte non raccontino la storia propriamente detta od oggettivamente vera, ma presentino solo l’apparenza della storia per significare qualcosa che sia estraneo al significato propriamente letterale o storico delle parole?

Risposta (confermata dal Sommo Pontefice): No, salvo il caso, da non ammettere facilmente o con leggerezza, in cui, non essendo il sentimento della Chiesa contrario ed il suo giudizio riservato, si dimostri con solidi argomenti che l’agiografo abbia voluto, non dare una storia vera e propriamente detta, ma sotto l’apparenza e la forma della storia, proporre una parabola, un’allegoria od un significato di qualche tipo diverso dal significato propriamente letterale o storico delle parole.

Decreto “Sacra Tridentina Synodus“, 16 (20) dicembre 1905.

Comunione eucaristica quotidiana.

3375. Ora, il desiderio di Gesù Cristo e della Chiesa che tutti i fedeli si accostino ogni giorno al sacro banchetto è principalmente quello di ricevere da esso, uniti a Dio per mezzo del Sacramento, la forza di reprimere le proprie passioni, di purificarsi dalle colpe leggere che possano verificarsi ogni giorno, e di poter evitare le colpe gravi a cui la fragilità umana è esposta: non è quindi principalmente per dare gloria a Dio, né come una sorta di favore o di premio per le virtù di coloro che vi si accostino. Per questo il Santo Concilio di Trento chiama l’Eucaristia “l’antidoto che ci libera dalle colpe quotidiane e ci preserva dai peccati mortali” ,(cf. 1638)….

3376. Tuttavia, con l’affievolirsi della pietà ed, in seguito, soprattutto con il diffondersi del veleno del giansenismo, si cominciò a discutere sui passi da compiere per avvicinarsi alla Comunione frequente e quotidiana; si trattava di stabilire chi avrebbe sostenuto che erano necessari passi più grandi e più difficili. Il risultato fu che ben poche persone furono ritenute degne di ricevere la Santa Eucaristia ogni giorno e di trarre da questo Sacramento, così benefico, effetti più abbondanti. – Gli altri dovevano accontentarsi di fare la Comunione o una volta all’anno, o ogni mese, o al massimo ogni settimana. Questo era così severo che intere categorie di persone, come i commercianti e gli sposati, erano esclusi dalla sacra mensa.

3377. Altri, invece, erano di parere opposto. Ritenendo che la comunione quotidiana sia un precetto divino e che nessun giorno debba passare senza ricevere la santa Comunione, erano dell’opinione, tra l’altro contraria alla consuetudine della Chiesa, che la santa Eucaristia dovesse essere ricevuta anche il Venerdì Santo, e la distribuivano in quel giorno.

3378. La Santa Sede non è venuta meno al suo dovere su questo punto (cf. 2090- 2095 , 2323)… Tuttavia, il veleno del giansenismo, che si era insinuato anche tra i buoni, con il pretesto dell’onore e della venerazione dovuti all’Eucaristia, non scomparve completamente. Anche dopo le dichiarazioni della Santa Sede, le discussioni sulle disposizioni necessarie per ricevere la Santa Comunione continuarono spesso; accadde che alcuni teologi, anche di buona reputazione, pensassero che la Comunione frequente dovesse essere permessa solo raramente ed a numerose condizioni.

3379. La Congregazione del Concilio… stabilì e decretò quanto segue: 1 – la comunione frequente e quotidiana deve essere resa accessibile a tutti i fedeli di qualsiasi ceto o condizione essi siano, in modo che nessuno, se è in stato di grazia e se si accosta alla sacra mensa con retta intenzione, possa esserne trattenuto.

3380. 2. La retta intenzione consiste nell’accostarsi alla santa mensa non per abitudine o vanità, o per motivi umani, ma per soddisfare la volontà di Dio, per unirsi a Lui più intimamente attraverso la carità e, grazie a questo rimedio divino, combattere i propri difetti e le proprie infermità.

3381. 3. Sebbene sia molto desiderabile che coloro che fanno la Comunione frequente e quotidiana siano esenti da peccati veniali, almeno pienamente intenzionali, e che non siano inclini ad essi, è tuttavia sufficiente che non abbiano alcuna colpa mortale, con la ferma intenzione di non peccare più in futuro. …

3382. 4 … Si abbia cura che la Santa Comunione sia preceduta da una diligente preparazione e seguita da un adeguato ringraziamento, secondo le forze, la condizione ed i doveri di ciascuno.

3383. 5 …. È importante chiedere il consiglio del proprio confessore. I confessori, tuttavia, facciano attenzione a non privare della Comunione frequente e quotidiana una persona che sia in stato di grazia e che vi si accosti con retta intenzione. …

DecretoProvida sapientique cura“, 18 gennaio 1906.

Legislazione tridentina relativa alla conclusione non pubblica del matrimonio.

3385. … I. Sebbene il capitolo Tametsi del Concilio di Trento del (cf.1813-1816) non sia stato ancora pubblicato ed introdotto in molti luoghi, né per espressa pubblicazione né per legittima osservanza, tuttavia esso si applicherà a tutti i Cattolici in tutto l’Impero tedesco a partire dal giorno di Pasqua (cioè il 15 aprile). compresi coloro che fino ad allora non erano vincolati alla forma tridentina, cosicché non potranno celebrare un Matrimonio valido se non davanti al parroco e a due o tre testimoni (cf. 3468-3474).

3386. II. IMatrimoni misti contratti da Caattolici con eretici o scismatici sono e restano gravemente proibiti, a meno che non vi sia un giusto e grave motivo canonico, che le fideiussioni prescritte siano state prestate da entrambe le parti incondizionatamente e secondo la forma, e che la parte cattolica abbia poi regolarmente ottenuto la dispensa dall’impedimento della religione mista. Tuttavia, anche se si è ottenuta la dispensa, questi matrimoni devono in ogni caso essere celebrati davanti alla Chiesa, alla presenza del parroco e di due o tre testimoni, per cui chi contrae davanti ad un ministro acattolico o al solo magistrato civile, o in qualsiasi altro modo clandestino, commette un grave reato. Inoltre, se i Cattolici ricorrono all’intervento di un ministro acattolico per la celebrazione di tali matrimoni, o se lo accettano, commettono un altro reato e incorrono nelle censure canoniche.

3387. Tuttavia, desideriamo anche che in tutte le province e località dell’Impero tedesco, comprese quelle che secondo le decisioni delle Congregazioni romane siano state finora definitivamente soggette all’effetto invalidante del capitolo Tamerssi, i matrimoni misti che siano stati contratti senza l’osservanza della forma tridentina, o (Dio non voglia) che saranno d’ora in poi contratti in tal modo, siano considerati pienamente validi, purché non vi siano altri impedimenti canonici, e purché non vi sia stata prima della festa di Pasqua di quest’anno una sentenza di nullità per impedimento clandestino, e purché l’accordo reciproco degli sposi sia durato fino a questo giorno – e questo lo dichiariamo, definiamo e decretiamo espressamente.

3388. III. Ma affinché i giudici ecclesiastici abbiano una norma sicura, dichiariamo, definiamo e decretiamo la stessa cosa, alle stesse condizioni e con le stesse restrizioni, per quanto riguarda i matrimoni di acattolici, eretici o scismatici, che siano stati contratti finora o che d’ora in poi saranno contratti tra loro nelle stesse regioni al di fuori dell’osservanza della forma tridentina; in modo che se uno o entrambi i coniugi nonCattolici si convertono alla fede cattolica, o se viene presentata una controversia davanti al tribunale ecclesiastico riguardo al matrimonio di due non Cattolici legato alla questione della validità di un matrimonio contratto o da contrarre con un Cattolico, questi matrimoni, a parità di condizioni, devono essere ritenuti ugualmente validi senza restrizioni.

Decreto del Sant’Uffizio, 25 aprile 1906.

Forma necessaria dell’unzione degli infermi.

3391. Poiché è stato richiesto di determinare un’unica breve formula per l’amministrazione dell’estrema unzione in caso di morte imminente, … (gli Inquisitori) hanno decretato: in caso di reale necessità è sufficiente usare la forma: “Per questa santa unzione, il Signore ti perdoni tutto ciò che hai commesso. Amen”.

Risposta della Commissione Biblica, 27 giugno 190.

L’autenticità mosaica del Pentateuco.

3394. Domanda 1: Gli argomenti accumulati dai critici per attaccare l’autenticità mosaica dei libri sacri noti come Pentateuco sono di tale peso che – nonostante le numerosissime testimonianze, considerate nel loro insieme, dei due Testamenti, la costante persuasione del popolo ebraico e l’ininterrotta tradizione della Chiesa, e nonostante le prove interne tratte dal testo stesso – si ha il diritto di affermare che questi libri non abbiao Mosè come autore, ma siano stati composti da elementi per la maggior parte posteriori al tempo di Mosè? Risposta: No.

3395. Domanda n. 2: L’autenticità mosaica del Pentateuco richiede necessariamente che l’intera opera sia stata scritta in modo tale che si debba ritenere certo che Mosè abbia scritto l’intera opera e ciascuna delle sue parti di suo pugno o dettandola a dei segretari? Oppure possiamo accettare l’ipotesi di coloro che ritengono che Mosè, dopo aver concepito personalmente la sua opera sotto l’ispirazione divina, ne abbia affidato la stesura a uno o più segretari che, tuttavia, abbiano reso fedelmente il suo pensiero e non abbiano scritto nulla contro la sua volontà, né abbiano omesso nulla; e che infine quest’opera, così composta e approvata dallo stesso Mosè, autore principale e ispirato, sia stata pubblicata sotto il suo nome? Risposta: No, per la prima parte; sì, per la seconda.

3396. Domanda n. 3: Si può ammettere, senza intaccare l’autenticità mosaica del Pentateuco, che Mosè, per comporre la sua opera, si sia servito di fonti, documenti scritti o tradizioni orali, da cui, secondo il fine particolare che si proponeva e sotto l’ispirazione divina, ha fatto dei prestiti, a volte prendendo le parole stesse e a volte il significato, riassumendo o amplificando, e inserendole nella sua opera? Risposta: Sì.

3397. Domanda n. 4: Possiamo ammettere – salvaguardando l’autenticità mosaica e l’integrità del Pentateuco per quanto riguarda la sostanza – che quest’opera, nel corso di tanti lunghi secoli, abbia subito alcune modifiche, per esempio : aggiunte fatte dopo la morte di Mosè da un autore ispirato; glosse e spiegazioni inserite nel testo; parole ed espressioni obsolete tradotte in un linguaggio più moderno; e infine lezioni difettose attribuibili ad errori di copista, che spetta alla critica esaminare e valutare secondo i suoi principi? Risposta: Sì, fermo restando il giudizio della Chiesa.

Risposta della Commissione Biblica, 29 maggio 1907.

L’autore e la verità storica del quarto Vangelo.

3398. Domanda 1: La tradizione costante, universale e solenne della Chiesa, a partire dal II secolo, come emerge principalmente da: a) le testimonianze e le allusioni dei santi Padri, degli scrittori ecclesiastici e persino degli eretici: testimonianze e allusioni che, potendo derivare solo dai discepoli o dai primi successori degli Apostoli, sono in necessaria connessione con l’origine stessa del libro; b) dall’ammissione in tutti i tempi ed in tutti i luoghi del nome dell’autore del quarto Vangelo nel canone e nei cataloghi dei libri sacri; c) dai più antichi manoscritti di questi stessi libri e dalle loro più antiche versioni in varie lingue; d) l’uso liturgico pubblico universalmente diffuso fin dalle origini della Chiesa; questa tradizione costituisce, al di là della prova teologica, una dimostrazione storica che l’Apostolo Giovanni, e non un altro, debba essere ritenuto l’autore del quarto Vangelo, una dimostrazione sufficientemente solida perché non possa essere in alcun modo invalidata dalle ragioni che i critici adducono contro di essa? Risposta: Sì.

3399. Domanda 2: Le ragioni interne che derivano dal testo del quarto Vangelo considerato separatamente, dalla testimonianza dell’autore e dalla manifesta parentela di questo Vangelo con la prima lettera dell’Apostolo Giovanni, devono essere considerate come una conferma della tradizione che attribuisce indiscutibilmente il quarto Vangelo a questo stesso Apostolo?

Inoltre, le difficoltà che sorgono dal confronto di questo Vangelo con gli altri tre, data la diversità di tempo, di scopo e di pubblico per il quale o contro il quale l’autore ha scritto, possono essere risolte ragionevolmente, come hanno fatto in vari punti i santi Padri e gli esegeti cattolici? Risposta: Sì, su entrambi i punti.

3400. Domanda n. 3: Nonostante la pratica costantemente in vigore, fin dai primi tempi, in tutta la Chiesa, di argomentare dal quarto Vangelo come documento propriamente storico, tuttavia, a causa del carattere particolare di questo Vangelo e della manifesta intenzione dell’autore di mettere in evidenza e difendere la divinità di Cristo per mezzo degli stessi atti e discorsi del Signore, non si può forse affermare che i fatti narrati nel quarto Vangelo siano stati inventati, in tutto o in parte, come allegorie o simboli dottrinali, e che i discorsi del Signore non siano propriamente e realmente quelli del Signore stesso, ma composizioni teologiche dello scrittore, anche se messe in bocca al Signore? Risposta: No.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (39b): “Da BENEDETTO XV a PIO XII, 1949-1944”

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S.S. LEONE XIII – “QUOD VOTIS”

Brevissima è questa lettera di approvazione dell’istituzione di una Università cattolica nell’Impero austriaco. Ma è evidente la soddisfazione del Pontefice Romano, Vicario di Cristo a capo della sua Chiesa, soddisfazione perchè sempre il suo desiderio di scuole cattoliche ha animato tutto il suo Pontificato a testimonianza dell’importanza che egli attribuiva in particolare all’insegnamento dei principii e della dottrina cattolica in particolare, come è ovvio, per gli aspiranti Sacerdoti. Di parere simile sono sempre stati anche i nemici della Chiesa e di Dio, ma in senso opposto. Seminare falsità, empie dottrine e mistificazioni filosofiche o teologiche è stata l’arma di cui si sono serviti per distruggere nella gioventù e nella civiltà umana il Cristianesimo, adducendo il principio della educazione laica e dell’insegnamento scolastico di stato, senza fare mai riferimento a valori che non siano liberisti, “democratici”, bensì tenacemente atei o contaminati da ogni vizio via via sempre più turpe e vergognoso, cominciando dagli insegnanti ignoranti (quelli del 18 politico agli esami  degli anni 70) ed asserviti alle logiche delle “conventicole” che hanno preso il sopravvento in ogni ambito, compreso quello clericale, o meglio, “finto clericale”. Questa lotta culturale fu combattuta con grande energia dai Pontefici degli ultimi secoli che vedevano sfuggire gran parte dei popoli dalla retta e tradizionale sapienza illuminata dalla fede divina, verso una deriva anticristiana ed infine francamente demoniaca. Oggi è palese il vero intento di questa apparente filantropia culturale gratuita dello Stato che ci ha portato alla totale anarchia in ogni ambito, dalla letteratura, alla filosofia, all’arte, alla scienza della morte e perfino alla scienza medica profana ed atea e per questo incapace di comprendere ogni male ed ogni stato patologico, attribuiti a fattori esclusivamente materiali e, per mascherare l’evidente ignoranza, dichiarati sconosciuti o “invisibili”, fattori che scaturiscono ovviamente dalle condizioni deplorevoli dell’anima.

QUOD VOTIS

ENCICLICA DI PAPA LEO XIII

SULLA PROPOSTA DI UNIVERSITÀ CATTOLICA

Ai nostri amati figli Antonio Giuseppe Cardinale Gruscha, Arcivescovo di Vienna, Giorgio Cardinale Kopp, Vescovo di Breslavia, Leone Cardinale De Skrbensky, Arcivescovo di Praga, Giovanni Cardinale Puzyna, Vescovo di Cracovia, e agli altri Venerabili Fratelli Arcivescovi e Vescovi d’Austria.

Amati Figli e Venerabili Fratelli, saluto e benedizione apostolica.

Con grande gioia annunciate ora che l’oggetto dei desideri dei vostri predecessori, a cui si è lavorato per molti anni, sta accelerando verso la sua felice conclusione. Infatti, tutto ciò che è necessario per la fondazione di un’Università Cattolica è quasi a portata di mano; è il vostro consenso che permette di dare gli ultimi ritocchi alla creazione di questa grande Istituzione di apprendimento. Abbiamo dovuto attendere più a lungo di quanto avremmo sperato, ma il suo completamento è giunto al momento giusto ed opportuno. Di conseguenza, diamo liberamente e con piena approvazione il nostro assenso ai vostri progetti, che di per sé sono lodevoli. Desideriamo sottolineare esplicitamente per iscritto la nostra grande gioia per questa notizia, dal momento che incoraggiamo la creazione e l’ampliamento delle scuole sacre ovunque. Inoltre, lo dichiariamo anche per incentivare i vostri fedeli ad affrettare la conclusione di una così grande impresa. Per quanto riguarda i dettagli, ve li confidiamo; non dubitiamo della generosità e dell’approvazione di coloro a vantaggio dei quali nascerà la desiderata Università. Non appena i dettagli relativi a questa istituzione saranno pronti, la Sacra Congregazione degli Studi dovrà comunicarceli: il suo compito, infatti, è quello di informarci su questi affari e di usare il suo potere di fissare le norme per le istituzioni cattoliche di apprendimento secondo le norme dei Sacri Canoni.

2. Nel frattempo testimoniamo a ciascuno di voi i Nostri felici e benevoli sentimenti, e imploriamo il favore divino sull’opera intrapresa, e impartiamo a tutti voi la benedizione apostolica.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 30 aprile 1902, nel 25° anno del Nostro Pontificato.

DOMENICA VI DOPO PENTECOSTE (2023)

DOMENICA VI DOPO PENTECOSTE (2023)

Semidoppio. – Paramenti verdi.

Un solo pensiero domina tutta la liturgia di questo giorno: bisogna distruggere in noi il peccato con profondo pentimento e chiedere a Dio di darci la forza per non ricadervi. Il Battesimo ci ha fatto morire al peccato e l’Eucarestia ci dà la forza divina necessaria per perseverare nel cammino della virtù. La Chiesa, ancora tutta compenetrata del ricordo di questi due Sacramenti che ha conferito a Pasqua e a Pentecoste, ama parlarne anche « nel Tempo dopo Pentecoste ». – Le lezioni del 7° Notturno, quali si leggono nel Breviario, raccontano, sotto la forma di apologo, la gravità della colpa commessa da David. Per quanto pio egli fosse, questo grande Re aveva lasciato entrare il peccato nel suo cuore. Volendo sposare una giovane donna di grande bellezza, di nome Bethsabea, aveva ordinato di mandare il marito di lei Uria, nel più forte del combattimento contro gli Ammoniti, affinché restasse ucciso. Così, sbarazzatosi in questo modo di lui, sposò Bethsabea che da lui già aveva concepito un figlio. Il Signore mandò il profeta Nathan a dirgli: « Vi erano due uomini nella città, uno ricco e l’altro povero. Il ricco aveva pecore e buoi in gran numero, il povero non aveva assolutamente nulla fuori di una piccola pecorella, che aveva acquistata e allevata, e che era cresciuta presso di lui insieme con i suoi figli, mangiando il suo pane, bevendo alla sua coppa e dormendo sul suo seno: essa era per lui come una figlia. Ma essendo venuto un forestiero dal ricco, questi, non volendo sacrificare nemmeno una pecora del suo gregge per imbandire un banchetto al suo ospite, rapì la pecora del povero e la fece servire a tavola ». David sdegnatosi, esclamò: « Come è vero che il Signore è vivo, questo uomo merita la morte ». Allora Nathan disse: « Quest’uomo sei tu, poiché hai preso la moglie di Uria per farla tua sposa, mentre potevi sceglierti una sposa fra le giovani figlie d’Israele. Pertanto, dice il Signore, Io susciterò dalla tua stessa famiglia (Assalonne) una disgrazia contro di te ». David, allora, pentitosi, disse: Nathan: « Ho peccato contro il Signore ». Nathan riprese: « Poiché sei pentito il Signore ti perdona; tu non morrai. Ma ecco il castigo: il figlio che ti è nato, morrà ». Qualche tempo dopo infatti il fanciullo morì. E David umiliato e pentito andò a prostrarsi nella casa del Signore e cantò cantici di penitenza (Com.). « David, questo re cosi grande e potente, dice S. Ambrogio, non può mantenere in sé neppure per breve tempo il peccato che pesa sulla sua coscienza: ma con una pronta confessione, e con immenso rimorso, confessa il suo peccato al Signore. Così il Signore, dinanzi a tanto dolore, gli perdonò. Invece gli uomini, quando i Sacerdoti hanno occasione di rimproverarli, aggravano il loro peccato cercando di negarlo o di scusarlo; e commettono una colpa più grave, proprio là dove avrebbero dovuto rialzarsi. Ma i Santi del Signore, che ardono dal desiderio di continuare il santo combattimento e di terminare santamente la vita, se per caso peccano, più per la fragilità della carne che per deliberazione di peccato, si rialzano più ardenti alla corsa e, stimolati dalla vergogna della caduta, la riparano coi più rudi combattimenti; cosicché la loro caduta invece d’essere stata causa di ritardo non ha fatto altro che spronarli e farli avanzare più celermente» (2° Nott.). Da ciò si comprende la scelta dell’Epistola nella quale S. Paolo parla della nostra morte al peccato. Nel Battesimo siamo stati seppelliti con Cristo, la nostra vecchia umanità è stata crocifissa con Lui perché noi morissimo al peccato. E come Gesù dopo la Risurrezione è uscito dalla tomba, così noi dobbiamo camminare per una nuova via, vivere per Dio in Gesù Cristo (Ep.). E qualora avessimo la disgrazia di ricadere nel peccato, bisogna domandare a Dio la grazia di esserci propizio e di liberarcene (V. dell’Intr., Oraz., All., Secr.), ridonandoci la grazia dello Spirito Santo, poiché da Lui parte ogni dono perfetto (Oraz.). Poi bisogna accostarci all’altare (Com.) per ricevervi l’Eucaristia la cui virtù divina ci fortificherà contro i nostri nemici (Postcom.) e ci manterrà nel fervore della pietà (Oraz.), poiché il Signore è la forza del suo popolo che lo condurrà per sempre (Intr.). Per questo la Chiesa ha scelto per Vangelo la narrazione della moltiplicazione dei pani, figura dell’Eucaristia, che è il nostro viatico. La Comunione, identificandosi con la vittima del Calvario, non solamente perfeziona in noi gli effetti del Battesimo, facendoci morire con Gesù al peccato, ma ci fa trovare a santo banchetto la forza che ci è necessaria per non ricadere nel peccato e per « consolidare i nostri passi nei sentieri del Signore » (Offert.). E in questo senso S. Ambrogio, commenta questo Vangelo. Cristo disse: « Io non voglio rimandarli digiuni per paura che essi muoiano per via. Il Signore pieno di bontà sostiene le forze; se qualcuno soccomberà non sarà per causa del Signore Gesù, ma per causa di se stesso. Il Signore pone in noi elementi fortificanti; il suo alimento è la forza, il suo alimento è il vigore. Così, se per vostra negligenza, avete voi perduta la forza che avete ricevuta, non dovete incolpare gli alimenti celesti che non mancano, ma voi stessi. Infatti Elia, quando stava per soccombere, non camminò per quaranta giorni ancora, avendo ricevuto il cibo da un Angelo? Se voi avete conservato il cibo ricevuto, camminerete per quarant’anni e uscirete dalla terra d’Egitto per giungere alla terra immensa che Dio ha promesso ai nostri Padri.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Ps XXVII: 8-9 Dóminus fortitudo plebis suæ, et protéctor salutárium Christi sui est: salvum fac pópulum tuum, Dómine, et benedic hereditáti tuæ, et rege eos usque in sæculum.

[Il Signore è la forza del suo popolo, e presidio salutare per il suo Unto: salva, o Signore, il tuo popolo, e benedici i tuoi figli, e governali fino alla fine dei secoli.]

Ps XXVII: 1 Ad te, Dómine, clamábo, Deus meus, ne síleas a me: ne quando táceas a me, et assimilábor descendéntibus in lacum.

[O Signore, Te invoco, o mio Dio: non startene muto con me, perché col tuo silenzio io non assomigli a coloro che discendono nella tomba.]

Dóminus fortitudo plebis suæ, et protéctor salutárium Christi sui est: salvum fac pópulum tuum, Dómine, et benedic hereditáti tuæ, et rege eos usque in sæculum.

[Il Signore è la forza del suo popolo, e presidio salutare per il suo Unto: salva, o Signore, il tuo popolo, e benedici i tuoi figli, e govérnali fino alla fine dei secoli.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.

Deus virtútum, cujus est totum quod est óptimum: ínsere pectóribus nostris amórem tui nóminis, et præsta in nobis religiónis augméntum; ut, quæ sunt bona, nútrias, ac pietátis stúdio, quæ sunt nutríta, custódias.

[O Dio onnipotente, cui appartiene tutto quanto è ottimo: infondi nei nostri cuori l’amore del tuo nome, e accresci in noi la virtú della religione; affinché quanto di buono è in noi Tu lo nutra e, con la pratica della pietà, conservi quanto hai nutrito.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános. Rom. VI: 3-11

“Fratres: Quicúmque baptizáti sumus in Christo Jesu, in morte ipsíus baptizáti sumus. Consepúlti enim sumus cum illo per baptísmum in mortem: ut, quómodo Christus surréxit a mórtuis per glóriam Patris, ita et nos in novitáte vitæ ambulémus. Si enim complantáti facti sumus similitúdini mortis ejus: simul et resurrectiónis érimus. Hoc sciéntes, quia vetus homo noster simul crucifíxus est: ut destruátur corpus peccáti, et ultra non serviámus peccáto. Qui enim mórtuus est, justificátus est a peccáto. Si autem mórtui sumus cum Christo: crédimus, quia simul étiam vivémus cum Christo: sciéntes, quod Christus resurgens ex mórtuis, jam non móritur, mors illi ultra non dominábitur. Quod enim mórtuus est peccáto, mórtuus est semel: quod autem vivit, vivit Deo. Ita et vos existimáte, vos mórtuos quidem esse peccáto, vivéntes autem Deo, in Christo Jesu, Dómino nostro”.

[“Fratelli, quanti siamo stati battezzati in Gesù Cristo, siamo stati battezzati nella morte di Lui. Per il Battesimo siamo stati, dunque, sepolti con Lui nella morte; affinché a quel modo che Gesù Cristo risuscitò dalla morte, mediante la gloria del Padre, così, anche noi viviamo una nuova vita. Infatti, se siamo stati innestati a Lui per la somiglianza della sua morte, lo saremo anche per quella della Resurrezione; ben sapendo che il nostro vecchio uomo è stato crocifisso in Lui, affinché il corpo del peccato fosse distrutto, sicché non serviamo più al peccato. Ora, se siamo morti con Cristo crediamo che vivremo pure con Cristo; perché sappiamo che Cristo risuscitato da morte non muore più: la morte non ha più dominio su di Lui. La sua morte fu una morte al peccato una volta per sempre; e la sua vita la vive a Dio. Alla stessa guisa, anche voi consideratevi morti al peccato e viventi a Dio in Cristo Gesù Signor nostro”.]

NOVITÀ MONDANA E NOVITA’ CRISTIANA.

La novità è una delle sollecitudini, potremmo anche dire delle manie del giorno. Dalla donna vana, che cerca la novità della moda, al letterato ambizioso che cerca la novità dell’arte, all’uomo grave che vuole la novità in politica, novità si vuole su tutta la linea. Povere cose vecchie! e come siete screditate oggi! e come diventate vecchie e spregevoli rapidamente! Il Cristianesimo ha l’aria di non assecondare troppo questi fremiti di novità, queste ansie per la novità, il Cristianesimo colla santa immutabilità dei suoi dogmi, il Cristianesimo con la forza delle sue vetuste tradizioni. Qualcuno lo dipinge volentieri per metterlo alla berlina, tutto volto al passato, imbalsamatore di cadaveri. E certo il Cristianesimo non folleggia, come il mondo irrequieto, dietro la novità e le novità. Il mondo ha la mania di correre, muoversi, agitarsi, come un epilettoide: il mondo… il Cristianesimo, pacato senza essere ozioso, ha la preoccupazione ben più sacra di arrivare. Il suo ideale non è il nuovo, è il vero, è il bene. Diversità di temperamenti e di orientazioni. Ma nella epistola di quest’oggi ai Romani troviamo una frase che mostra la unilateralità di quella rappresentazione arcaica, la cui mercè altri vorrebbe far onta al Cristianesimo. « Camminiamo (dice San Paolo ai primi Cristiani) nella novità della vita… morti a ciò che c’è in noi di vecchio e di stantio…» La parola di San Paolo ci riporta per incanto ai giorni in cui il Vangelo apparve e fu una grande novità nel mondo… Novità assoluta, profonda di fronte al mondo pagano, novità, non allo stesso modo e nello stesso senso, ma novità anche di fronte al mondo giudaico. Aria nuova che irrompe in un ambiente chiuso parve il Vangelo ai Giudei, aria nuova in un ambiente chiuso, mefitico, così parve ai pagani il Vangelo. Novità la stessa unità di Dio, nonché è molto più il mistero della Trinità, mistero l’amore della Incarnazione, Redenzione, cose non mai più udite, cose contrarie a quelle che si erano udite fino allora. – E nuovi sentieri tracciava questa novità ideale alla vita della umanità. L’umanità operosa da secoli, colla sua operosità, aveva scavato false strade simili a quelle carreggiate che nel fango della strada mal fatta scavano i veicoli. Erano ormai antichi quei sentieri, infossati. Si chiamavano i sentieri dell’orgoglio, della voluttà, dell’egoismo: roba consolidata dal tempo, staremmo per dire dal tempo consacrata. C’era un tipo d’uomo fatto così, orgoglioso, sensuale, egoista, violento. Il Cristianesimo è venuto a scancellare, a disfare, a seppellire questo tipo in nome ed a vantaggio d’un altro tipo, altro in tutto e per tutto altro, diverso e perciò nuovo. E nuovo perché fresco, perché vivo davvero. Questa vita d’orgoglio, di sensualità, d’egoismo, era una parvenza di vita, una illusione: febbre più che vita vera e propria. Il febbricitante non s’accorge sempre della sua febbre, non se ne accorge subito: ma a poco a poco sì: l’organismo si strugge; si fiacca. Nostro Signore Gesù è venuto ad uccidere e vivificare; uccidere quella vecchia infelicissima incrostazione di cattive consuetudini ch’era la umanità, e far vivere su quelle rovine, di quelle rovine una umanità nuova… nuova di zecca, e nuova per sempre. Noi siamo, noi dobbiamo essere questa umanità, perennemente viva e fresca, perché perennemente buona, vittoriosa del male e sul male. Il Battesimo fa questa morte e questa vita nuova, ma dal battesimo in poi noi non dobbiamo invecchiare, tornando indietro, ringiovanire dobbiamo, andando avanti, andando in su « in novitate vite ambulemus ». E la nostra novità è la nostra giovinezza perenne.

[P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939. – Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Ar.Mediolani, 1-3-1938]

Graduale

Ps LXXXIX: 13; LXXXIX: 1 Convértere, Dómine, aliquántulum, et deprecáre super servos tuos.

V. Dómine, refúgium factus es nobis, a generatióne et progénie. Allelúja, allelúja.

[Vòlgiti un po’ a noi, o Signore, e plàcati con i tuoi servi.

V. Signore, Tu sei il nostro rifugio, di generazione in generazione. Allelúia, allelúia]

Alleluja

Ps XXX: 2-3 In te, Dómine, sperávi, non confúndar in ætérnum: in justítia tua líbera me et éripe me: inclína ad me aurem tuam, accélera, ut erípias me. Allelúja.

[Te, o Signore, ho sperato, ch’io non sia confuso in eterno: nella tua giustizia líberami e allontanami dal male: porgi a me il tuo orecchio, affrettati a liberarmi. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Marcum.

Marc. VIII: 1-9 In illo témpore: Cum turba multa esset cum Jesu, nec haberent, quod manducárent, convocatis discípulis, ait illis: Miséreor super turbam: quia ecce jam tríduo sústinent me, nec habent quod mandúcent: et si dimísero eos jejúnos in domum suam, defícient in via: quidam enim ex eis de longe venérunt. Et respondérunt ei discípuli sui: Unde illos quis póterit hic saturáre pánibus in solitúdine? Et interrogávit eos: Quot panes habétis? Qui dixérunt: Septem. Et præcépit turbæ discúmbere super terram. Et accípiens septem panes, grátias agens fregit, et dabat discípulis suis, ut appónerent, et apposuérunt turbæ. Et habébant piscículos paucos: et ipsos benedíxit, et jussit appóni. Et manducavérunt, et saturáti sunt, et sustulérunt quod superáverat de fragméntis, septem sportas. Erant autem qui manducáverant, quasi quatuor mília: et dimísit eos.

(In quel tempo: Radunatasi molta folla attorno a Gesú, e non avendo da mangiare, egli, chiamati i discepoli, disse loro: Ho compassione di costoro, perché già da tre giorni sono con me e non hanno da mangiare; e se li rimanderò alle loro case digiuni, cadranno lungo la via, perché alcuni di essi sono venuti da lontano. E gli risposero i suoi discepoli: Come potremo saziarli di pane in questo deserto? E chiese loro: Quanti pani avete? E risposero: Sette. E comandò alla folla di sedersi a terra. E presi i sette pani, rese grazie e li spezzò e li diede ai suoi discepoli per distribuirli, ed essi li distribuirono alla folla. Ed avevano alcuni pesciolini, e benedisse anche quelli e comandò di distribuirli. E mangiarono, e si saziarono, e con i resti riempirono sette ceste. Ora, quelli che avevano mangiato erano circa quattro mila: e li congedò).

Omelia

G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956).

LA PROVVIDENZA.

Si studiassero i miracoli di Cristo! Ognuno vi sentirebbe la voce di Dio — dice S. Agostino, — ognuno vi troverebbe un profondo insegnamento per la sua anima. Interrogamus ipsa miracula Christi; habent enim, si intelligantur, linguam suam. Quand’è così, rivolgiamo la nostra attenzione al miracolo che oggi il Vangelo ci ricorda, e raccogliamo la voce e l’insegnamento del Signore, in esso racchiuso. Gesù si trovò circondato da moltitudine grande, che per tre giorni lo seguì bramosa d’udire ogni parola che dicesse, di vedere ogni gesto che facesse. Allora il Signore disse ai discepoli raccolti vicino a Lui: « Sentite: io ho compassione di questo popolo che da tre giorni si trattiene con me, ed ora non ha più da mangiare. Con che cuore posso io rimandarli a casa digiuni, se molti venuti da lontano cadranno sfiniti lungo la strada del ritorno?… ».— « Maestro! — obiettarono i discepoli tristemente. — Siamo nel deserto e son quattro mila bocche… ».Ma Dio non udiva nemmeno questi dubbi umani e piccini. « Ditemi: avete con voi qualcosa? ».« Sette pani e scarsi pesciolini di companatico ». Oh Cristiani, com’è buono il Signore; non ha sopportato nemmeno che stessero in piedi; e come li vide comodamente seduti all’ombra e sulla fresca erbetta, diede a ciascuno pane e pesce a sazietà. A colazione finita, si raccolsero nientemeno chesette ceste di roba avanzata. Ed ora, secondo il consiglio di S. Agostino, interroghiamo il miracolo di Cristo per sentire che insegnamento ci dà. Migliaia d’uomini che per seguire Gesù abbandonano le loro case, senza pensare al vitto e alle altre mondane faccende; un Dio che, mosso a compassione di loro, provvede miracolosamente, sovrabbondantemente alla loro fame: tutto ciò non ci predica ad alta voce che la Provvidenza c’è e che nostro indispensabile obbligo è di confidare in Lei?

1. LA PROVVIDENZA C’È.

Troverete moltissimi Cristiani che, fino a quando tutto va bene, se la spassano allegramente: e non riflettono che ogni loro fortuna è dono della Provvidenza. Perciò non un pensiero mai di gratitudine per il Signore, non uno sforzo di corrispondenza a tante grazie, non un’offerta… Ma lasciate che la miseria bussi alla porte della loro casa; che la disoccupazione inaridisca le fonti d’entrata; che la malattia li costringa in un letto di sofferenze per settimane lunghe, che la morte strappi a loro dintorno qualche persona cara, allora si ricorderanno tosto della Provvidenza, ma per mormorare contro di essa, ma per calunniarla, ma per bestemmiarla, ma per negarla. « La Provvidenza perché non m’aiuta? che cosa ho fatto di male da meritarmi queste tribolazioni? son io solo peccatore su questa terra? O la Provvidenza è ingiusta o non c’è… ». La Provvidenza non c’è!? credono che uno Stato non si possa ben governare senza la saviezza e il consiglio di uno che lo diriga; credono che una casa non possa mantenersi senza la vigilanza ed economia d’un padre di famiglia; credono che una nave non possa navigare l’oceano senza l’attenzione e la perizia del pilota; eppure affermano che il mondo — questo grande stato, questa grande famiglia, questa nave immensa che solca gli spazi — possa andare avanti così, senza Provvidenza alcuna. Ma non è a codesta gente illogica e senza coerenza, che noi andiamo a chiedere se la Provvidenza esista. Ben altri ce ne fanno testimonianza sicura e autorevole. È Giobbe, privato di terra e di casa, senza più danaro né figli, senza nemmeno la salute e l’onore, che a Sofar, uno dei tre amici venuti a trovarlo, così afferma la Provvidenza: interroga le bestie e ti ammaestreranno, gli uccelli dei cieli e te lo mostreranno; parlane alla terra, ed essa ti risponderà e te lo spiegheranno i pesci del mare. Chi non sa che tutte queste cose le ha fatte la mano del Signore? Egli nel cui potere è l’anima d’ogni vivente e lo spirito d’ogni uomo formato di carne. (Giobbe, XII, 7-10). E il santo re Davide che, raccogliendo il suo popolo, diceva: «Son vecchio ormai, e dalla mia giovinezza ne sono passati degli anni!… eppure vi garantisco che un uomo giusto non lo vidi mai abbandonato, né vidi mai un suo figliuolo mendicare un tozzo di pane » (Salmi, XXXVI, 25). L’amabilissimo Gesù riprese l’invito di Giobbe e interrogò le bestie della terra e gli uccelli dell’aria. « Non v’angustiate per il vostro vivere: di quel che mangerete. Né per il vostro corpo: di quel che vestirete. Guardate gli uccelli dell’aria che non seminano, né mietono, né colmano granai, eppure il Padre celeste li nutre. Pensate i gigli come crescono, eppure né lavorano, né filano: or vi dico che nemmeno Salomone, in tutta la sua splendidezza, fu vestito mai come uno di essi… « Considerate i corvi che non hanno campi né granai, e di fame non muoiono, poiché Dio li mantiene… « Del resto cinque passerette non si possono comprare sul mercato con un solo quattrino? eppure neanche una di essa è dimenticata da Dio. Non temete dunque! voi costate assai più d’infiniti passeri… « Ma io vi dico che tanta e tale è la cura della Provvidenza per voi, che i vostri capelli sono contati fino all’ultimo, e non uno vi sarà tolto dal capo senza che Dio lo sappia… ». Dio!… Nessuno ha potuto mai dubitare della sua potenza e della sua sapienza. Ma Gesù ci ha svelato che Egli è misericordiosissimo, Gesù ha voluto che noi levassimo gli occhi e le mani a Lui e lo chiamassimo: — Padre! Padre nostro che sei in cielo…. Si può ancora essere increduli della Provvidenza, se Dio è nostro Padre? C’è un padre che a suo figlio dà uno scorpione, se gli domanda un pesce? a sua figlia dà un sasso, se gli domanda un pezzo di pane? Dunque la Provvidenza c’è. – 2. AFFIDIAMOCI A LEI. Una volta che Santa Caterina era assai tribolata, Gesù le apparì e disse: « Tu pensa a me! Io, sollecito d’ogni tuo cruccio, penserò a te ». Ecco il segreto per metterci nelle mani della Provvidenza. Quando le croci, le disgrazie, le persecuzioni ci fanno pressura d’ogni parte, dimentichiamole per un momento e mettiamoci a pensare seriamente al Signore; a pregarlo, ad onorarlo con opere buone, ad ubbidirlo nelle sue leggi, ed Egli, che tutto può, comincerà a pensare alle nostre croci, alle disgrazie nostre, alle persecuzioni che ci tormentano. Guardate i quattromila Giudei che seguirono il Maestro nel deserto: quando si accorsero d’aver fame e di non aver pane e di essere lontani d’ogni panettiere, forse che incominciarono a temere di morir affamati, e fuggirsene indietro, a bestemmiare contro il Figlio di Dio che li aveva ingannati? No: essi pensarono solo ad ascoltare la parola di Gesù, a imparare i suoi esempi; così furono provveduti di tutto e ne sopravanzò. Se Dio è con noi, chi potrà essere contro di noi? non la fame, non la miseria, non la malattia, non la calunnia, non la morte. Ricordate del resto che alla Provvidenza sapientissima è bastato un filo di ragno per difendere un santo da frotte di omini con lancia e spada. Uditelo l’esempio di S. Felice di Nola, di cui vi gioverà, nei momenti di sfiducia, il ricordarvi! Già da tempo era cercato a morte, ed egli costretto a fuggire da un luogo all’altro, era giunto a ripararsi in un nascondiglio tra le muraglie sfasciate. Era appena entrato che sopraggiunsero i nemici; ma intanto un ragno s’era calato da una crepa e distendeva i primi fili attraverso l’ingresso del rifugio di S. Felice. « Qui è impossibile sia entrato! — esclamarono. — Non vedete come sono intatti i fili del ragno? », E passarono via. E Felice fu salvo una volta ancora. Senza una illimitata fiducia nella Provvidenza, come vi spieghereste le imprese dei Santi, la loro forza, la loro serenità? S. Giovanni Crisostomo viveva abbandonato nelle braccia di Dio, come un bimbo sul seno materno. Si era fatto un motto di questo suo stato d’animo: « sia glorificato Iddio in ogni evento » e lo ripeteva con la stessa pace nei giorni più oscuri e nei più luminosi della vita. « Glorificate Iddio! » disse quando nell’entusiasmo del popolo lo consacrarono Vescovo. « Glorificate Iddio!» disse ancora quando le folle traevano al suo pulpito bramose d’ascoltarlo e gli stilografi raccoglievano velocemente ogni parola che cadesse dalla sua bocca d’oro. « Glorificate Iddio! » ripeté anche quando cacciato in esilio dalla perfida imperatrice Eudossia, volgendosi indietro vide la sua chiesa di S. Sofia, il suo palazzo ruinare in fiamme tra le urla del popolo e dei soldati. E quando, il 14 settembre 407, legato e malmenato mentre lo spingevano verso Pitio sul Mar Nero, fu sorpreso dai dolori di morte, raccolse le ultime forze e disse ancora: « Glorificate Iddio in ogni evento ». – Senza la fiducia nella Provvidenza, come S. Camillo de Lellis, S. Gerolamo Miani, S. Giovanni Bosco, il Cottolengo avrebbero potuto ricoverare e mantenerne migliaia di persone, migliaia di infelici? Leggete le loro storie: giungevano certe sere in cui il danaro mancava, il vestito mancava, la farina mancava: soltanto non mancava la fiducia nella Provvidenza. E la Provvidenza provvedeva farina, vestito, danaro. Considerate infine chi sono quelli che negano la Provvidenza: o sono i disperati incapaci di sopportare il peso della loro vita, incapaci di avere un po’ di coraggio per qualsiasi cosa buona, o sono gente che pone la propria fiducia in altri uomini. Scuotono il giogo di Dio, grande e paterno, per imporsi il giogo di omuncoli, gretti e invidiosi. Maledictus homo qui confidit in homine (Gerem., XVII, 5). –  Ho serbato, in ultimo, la difficoltà più grave: quella che ciascuno di voi aveva sulla punta della lingua e m’avrebbe già rivolto fin dal principio, se l’avesse potuto. « Se la Provvidenza c’è, perché allora mi ha messo in queste angosciose circostanze? Se Dio è padre, perché non m’aiuta? ». Dici bene: Dio è padre. Anzi è madre. Ma qualche volta anche le madri, per addestrare i loro bambini, fingono di abbandonarli, correndo a rimpiattarsi in qualche luogo vicino. E il loro cuore materno freme di gioia udendosi chiamare con tanta forza d’amore dalla loro creatura spaurita, e non tardano a volare ad essa, stringendosela fortemente, levarle dagli occhi con le dita le lagrime grosse. Così, mi pare, Dio fa talvolta con noi. Si nasconde, finge di abbandonarci nella solitudine: ma i nostri gemiti spauriti fanno fremere il suo Cuore misericordiosissimo. Coraggio; noi non lo vediamo: ma ci è vicino, e non tarderà a riabbracciarci più fortemente, a rasciugarci colle sue mani onnipotenti e materne le nostre lagrime grosse. « Oh se io avessi un segno — dirà forse qualcuno di voi, — se io avessi almeno un segno che mi rassicurasse che è proprio così, sentirei la forza necessaria a portare la mia croce, aspettando in tranquillità… ». E il segno l’avete: il Crocifisso. Guardate il Crocifisso. Se il Padre che è nei cieli ha lasciato il suo Unigenito morire inchiodato per nostro amore, forse che non avrà provvidenza di noi? — LA MISERICORDIA DI DIO. La Storia Sacra ci presenta spesso gli uomini stanchi in cammino. Ora sono gli Israeliti per quarant’anni vaganti verso una terra di beatitudine promessa: e Dio li sostentò di manna. Ora è il vecchio Profeta perseguitato che, spossato dalla fuga, si abbandona sulla terra, sotto un albero, aspettando la morte; e Dio lo confortò con pane e con vino. E nel Vangelo, due volte le turbe sono sorprese dalla fame nel deserto: e due volte Gesù le nutre di pane e di pesce. Questa gente in viaggio verso un arduo destino è un simbolo dell’umanità che ascende verso la salute eterna. Ma nessuno vi potrebbe giungere, se Dio non avesse misericordia di noi. Consideriamo le tre espressioni più grandi di questa divina misericordia: la pazienza col peccatore; la Confessione; la Comunione. – 1. LA PAZIENZA DI DIO COL PECCATORE. La vita del Venerabile Queriolet, contemporaneo di S. Vincenzo de’ Paoli, ne è la più bella prova: si direbbe inventata per questo se non fosse veramente testimoniata dai suoi biografi. Fino a 30 anni, quest’anima impetuosa aveva vissuto in una continua alternativa di Confessioni e di peccati. Poi fu preso da un tale odio satanico contro Cristo, che partì verso Costantinopoli per farsi maomettano. Dio l’aspettava sul cammino: in una foresta di Germania fu assalito dagli assassini, che uccisi i due compagni suoi, lui pure volevano finire. Davanti alla morte Queriolet tremò e fece voto alla Vergine di convertirsi se avesse potuto scampare. E scampò. Ma non si convertì: e non avendo potuto farsi maomettano, tornò in Francia e si fece ugonotto. Ma Dio lo rincorreva come il pastore dietro all’agnello che disvia. Una notte oscura di temporale è svegliato da un fragore scrosciante; il fulmine era caduto sulla sua casa ed abbruciava il tetto e il soffitto; pioveva dentro. Queriolet balza come una belva, stringe i pugni e bestemmia. Ma Dio non è sfiduciato, non è stanco di lui, lo persegue anche quando il più umile degli uomini già si sarebbe vendicato almeno col disinteressamento. A Loudun una povera donna sconosciuta lo ferma e gli dice: « Tu hai un voto senza compimento: ti ricordi la foresta di Germania quando ti volevano finire? ». Queriolet trema come in quel giorno tra le mani dei briganti. Come mai quella donna sapeva quello che egli a nessuno aveva svelato? Forse Dio suscitava quella donna per lui? Ma Dio, dunque, aveva ancora misericordia da chiamarlo così? Questo pensiero lo vinse: finalmente. E dopo alcuni anni Queriolet, risorto per non più cadere, meraviglia tutti con le sue virtù. Quel Dio che, agli angeli caduti una sola volta, non diede perdono, ha compassione dell’uomo ogni volta che lo vede traviare. Questo pensiero vinca pure ogni nostra diffidenza: in qualsiasi foresta di peccati ci fossimo smarriti, avessimo incappato anche nel demonio assassino d’anime, torniamo a Dio, Egli ci aspetta. – 2. LA MISERICORDIA DI DIO NELLA CONFESSIONE. I poeti antichi cantavano di una fontana misteriosa che gli dei avevano largito agli uomini: la fontana della giovinezza. I vecchi, quando v’entravano, lasciavano le rughe e gli acciacchi e riuscivano brillanti di giovinezza, cinti del diadema del loro ventesimo anno. Gli ammalati pallidi e stremati riuscivano col colore e col vigore della sanità. Oh, con quanto ardore i vegliardi tremuli si volgevano indietro, dal freddo orlo della tomba, sospirando a questa fontana misteriosa. Quante volte gli inquieti infermi dal loro letto vi sospiravano! Ma invano. Questa fontana zampillava solo nella mente dei poeti e distendeva le sue acque solo nei loro carmi. Quello però che gli dei falsi non avevano saputo dare ai loro amici, il nostro Dio vero l’ha preparato per i suoi nemici. Sì, l’uomo che col peccato, diventando nemico di Dio, diventa pure vecchio, rugoso, brutto e malato, ha nella Confessione una fontana di giovinezza che facendolo amico di Dio, lo rifà giovane e brillante. I Giudei avevano molta superbia per una vasca con cinque portici, a Betsaida. Talvolta lo Spirito scendeva a commuovere lo specchio dell’acqua: chiunque si fosse allora gettato dentro nel bagno, sarebbe stato guarito da qualsiasi male. Ma Dio è stato più misericordioso con noi: ci ha dato una vasca, dove, non appena in certe rare ore, ma sempre, facilmente ci guarisce dal male del peccato: la Confessione. S. Giovanni nella sua prima lettera afferma: « Il sangue di Gesù Cristo ci lava da ogni peccato » e nell’Apocalisse dice: « Ci ha lavati dai nostri peccati nel suo sangue ». Il romanziere francese, Paolo Bourget, prima della sua conversione scriveva « Mio Dio! se ci fosse qualche acqua salutare in cui annegare il ricordo di tutte le febbri malsane!… Ma quest’acqua non esiste ». Sì, sì! esiste. La Confessione – 3. LA MISERICORDIA DI DIO NELLA COMUNIONE. Ci fu una volta un figliuolo, che nonostante fosse idolatrato da suo padre, pure fuggì di casa, e con i suoi amici se ne andò in terra lontana. Fuori dallo sguardo paterno, senza freno e senza ritegno, commise ogni turpitudine, e accontentò il capriccio di ogni passione. Ma in quella terra lontana passò la carestia, e quel figliuolo fu sorpreso senza un soldo e senza un pane. E dovette girare di paese in paese, stracciato, lurido, famelico, cercando un mestiere. E trovò soltanto un uomo che gli fece fare il porcaio. E quel figliuolo fuggito da una ricca casa faceva il porcaio e aveva fame: di soppiatto allungava le mani nel trogolo e rubava le ghiande. Avrebbe desiderato, riempirsi il ventre anche con le ghiande che mangiavano i porci, e nessuno glie ne dava, neppure una manata. – Un giorno che la fame lo martoriava si ricordò che nella casa del suo ricco padre c’era pane bianco: tanto pane bianco. Si ricordò che tutti, perfino i servi ne potevano mangiare a sazietà… Non ne poté più. Buttò il suo bastone in mezzo ai porci che grugnivano e fuggì attraverso i prati lanciando un grido sublime. « Basta, tornerò da mio Padre ». Cristiani! quand’anche noi fossimo fuggiti dalla paterna casa di Dio verso la città dei peccati, quand’anche avessimo riempito la nostra anima col cibo dei porci e avessimo tuffato le nostre mani nel loro trogolo, gridiamo: « Basta! ». Il pensiero del Pane che la misericordia di Dio con tanta abbondanza distribuisce nella sua casa, il pensiero di questo Pane, che solo ci può sfamare, ci spinga a ritornare sopra un via di santità e di purezza. Dio ci aspetta nella Comunione: nella Comunione che è il segno supremo del suo amore. Nella Comunione ha voluto rimanere con noi: « le mie delizie sono tra i figli dell’uomo », Nella Comunione ha voluto sacrificare tutto per noi: la sua gloria divina, la sua maestà umana. E da infinito si fece piccolo come un boccone di pane. Nella Comunione ha voluto darci da mangiare la sua carne e da bere il suo sangue. – Meditando la misericordia di Dio, S. Caterina esclamava: « Oh, s’io potessì salire la vetta più eccelsa e di là gridare a tutto il mondo addormentato nei peccati: — O uomini! l’Amore non è amato! — ». Davvero. L’amore di Dio è troppo spesso un pretesto per abusare. E si abusa della sua pazienza, della Confessione e della Comunione.

IL CREDO

Offertorium

Orémus

Ps XVI: 5; XVI: 6-7 Pérfice gressus meos in sémitis tuis, ut non moveántur vestígia mea: inclína aurem tuam, et exáudi verba mea: mirífica misericórdias tuas, qui salvos facis sperántes in te, Dómine.

[Rendi fermi i miei passi sui tuoi sentieri, affinché i miei piedi non vacillino: porgi l’orecchio ed esaudisci la mia preghiera: fa risplendere le tue misericordie, o Signore, Tu che salvi quelli che sperano in Te.]

Secreta

Propitiáre, Dómine, supplicatiónibus nostris, et has pópuli tui oblatiónes benígnus assúme: et, ut nullíus sit írritum votum, nullíus vácua postulátio, præsta; ut, quod fidéliter pétimus, efficáciter consequámur.

[Sii propizio, o Signore, alle nostre suppliche, e accogli benigno queste oblazioni del tuo popolo; e, affinché di nessuno siano inutili i voti e vane le preghiere, concedi che quanto fiduciosamente domandiamo realmente lo conseguiamo.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.
de Spiritu Sancto
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: per Christum, Dóminum nostrum. Qui, ascéndens super omnes cælos sedénsque ad déxteram tuam, promíssum Spíritum Sanctum hodierna die in fílios adoptiónis effúdit. Quaprópter profúsis gáudiis totus in orbe terrárum mundus exsúltat. Sed et supérnæ Virtútes atque angélicæ Potestátes hymnum glóriæ tuæ cóncinunt, sine fine dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: per Cristo nostro Signore. Che, salito sopra tutti cieli e assiso alla tua destra effonde sui figli di adozione lo Spirito Santo promesso. Per la qual cosa, aperto il varco della gioia, tutto il mondo esulta. Cosí come le superne Virtú e le angeliche Potestà cantano l’inno della tua gloria, dicendo senza fine:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps XXVI: 6 Circuíbo et immolábo in tabernáculo ejus hóstiam jubilatiónis: cantábo et psalmum dicam Dómino.

[Circonderò, e immolerò sul suo tabernacolo un sacrificio di giubilo: canterò e inneggerò al Signore].

Postcommunio

Orémus.

Repléti sumus, Dómine, munéribus tuis: tríbue, quæsumus; ut eórum et mundémur efféctu et muniámur auxílio.

[Colmàti, o Signore, dei tuoi doni, concedici, Te ne preghiamo, che siamo mondati per opera loro e siamo difesi per il loro aiuto.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA.

LO SCUDO DELLA FEDE (259)

LO SCUDO DELLA FEDE (259)

P. Secondo FRANCO, D.C.D.G.,

Risposte popolari alle OBIEZIONI PIU’ COMUNI contro la RELIGIONE (2)

4° Ediz., ROMA coi tipi della CIVILTA’ CATTOLICA, 1864

 CAPO II.

GIUSTIZIA DIVINA.

I. Che colpa hanno tanti bambini morti senza Battesimo per esser condannati all’ inferno?

II. Che colpa tanti Gentili a cui non fu predicata la fede?

III. Che colpa tanti che son nati nell’eresia?

Dopo la provvidenza divina nell’amministrare le cose di quaggiù, viene spesso intaccata la divina giustizia, quasi Dio punisse talvolta chi a loro avviso nol merita. Questa difficoltà vien mossa soprattutto rispetto alla salvezza eterna degli idolatri, degli scismatici, dei Protestanti e di quanti sono separati dalla Chiesa Vattolica. Ed a inuoverla non sono solo gli empii, i quali bestemmiano quel che.non conoscono, ma sono talvolta anche certi buoni, i quali vorrebbero qualche schiarimento per loro conforto e consolazione. – Che colpa hanno, domandasi in primo luogo, tanti Gentili per essere condannati all’inferno, se niuno finora ha loro predicato il Vangelo, oppure se i loro padri, a cui era stato predicato, l’hanno rigettato? Che colpa soprattutto può ritrovarsi nei bambini che muoiono senza Battesimo, perchè debbano essere condannati?

I. Per cominciare da quest’ultima difficoltà, essa nasce tutta dal modo, onde apprendono costoro le dottrine di santa Chiesa, rispetto ai bambini morti senza Battesimo. Or dunqùe, in che consiste la loro dannazione? Forse sono gettati in mezzo al fuoco, in mezzo ai tormenti? La santa Chiesa non ci ha mai obbligati ad ammettere una cotale dottrina, osserva il Balmes. Essa c’insegna che non saranno ammessi alla beatitudine, che consiste nella visione beatifica del Signore, ma poi è ben lontana dal sottoporli ai tormenti. Che anzi alcuni Teologi riprendono i parziali della contraria sentenza, ed insegnano invece che essi, sebbene privi della visione beatifica, pure saranno in uno stato di vita sì lieto, sì avventurato, che molto meglio per loro è l’aver l’esistenza in quel modo che non averla. – Quello che fa ad alcuni difficoltà è il sentir a dire che essi non avranno la visione beatifica, e par loro molto duro che i pargoli, incapaci come sono di peccato attuale, abbiano ad essere esclusi dalla gloria, sol perchè non fu cancellato in loro il peccato originale: ma a togliere in gran modo questa difficoltà e molte altre che sí potrebbero muovere in altri punti non dissomiglianti, giova richiamare alla mente alcune verità. Che cosa è la beatitudine eterna? Secondo la fede cattolica, essa è la visione intuitiva di Dio, la possessione beatificante di Dio. È questo uno stato naturale all’uomo? Non mai: esso è uno stato affatto soprannaturale, ai quale non si può pervenire senza un aiuto al tutto soprannatusale. Ora farebbe mai Iddio un torto ad una sua creatura, quando non l’elevasse a quello stato? Non gliel farebbe in eterno. Fa Iddio forse ma torto alle pietre, col non date loro, a cagion d’esempio, il non vivere come alle piante il sentire come dà agli animali? Certo no. Quando da ad un essere tutto quello che gli appartiene, secondo l’ordine in cui lo ha collocato, Iddio ha fatto abbastanza. Ma secondo questo ragionare, qual sarebbe la beatitudine che sarebbe conveniente all’uomo, se non fosse elevato ad uno stato soprannaturale? Sarebbe una beatitudine puramente naturale, proporzionata cioè a’ suoi sensi ed alla sua ragione, e questa sarebbe un ampio compenso di tutto quello che gli uomini avessero fatto per Iddio. Nè in ciò vi sarebbe alcuna durezza, alcuna ingiustizia, perché Iddio darebbe loro un premio proporzionato al loro merito. Un principe, a cagione di esempio, vuole premiare due suoi servi fedeli; che cosa fa? Uno il premia in modo al tutto straordinario, e perciò lo fa a sè collega nell’imperio. Un altro lo premia solo proporzionatamente ai suoi meriti, e gli dà dei feudi, delle onorificenze. Ora commette forse qualche ingiustizia verso questo secondo, a cui dà tutto quello che gli perviene, perchè a quel primo profonde doni più ampli? Niuno oserà affermarlo. Ora questo è quel che in qualche modo interviene nel nostro caso. Quelli che sono stati innalzati, mediante il Battesimo, ad uno stato soprannaturale, li premia in un modo al tutto straordinario, cioè colla sua visione beatifica: ai bambini morti senza Battesimo lascia una semplice partecipazione di beni naturali ed una naturale cognizione ed amor di Dio: Sibi (Deo) coniungentur per participationem naturalium bonorum et ita etiam de ipso gaudere poterunt naturali cognitione et dilectione 1.(1 S. Thom. in II S. D. S. 33, 9, 2 a. 2.). – Ma essi, dirà taluno, soffriranno per ciò che conosceranno di qual bene siano privi. Neppure questo, vi risponderà S. Tommaso, neppur questo ha luogo: poichè sebbene essi sapranno in genere che cosa sia beatitudine, non conosceranno punto quello che sia la beatitudine della visione beatifica: Cognoscunt quidem, beatitudinem in generali secundum communem rationem, non autem in speciali; e perciò non si dorranno della privazione di essa: Ideo de eius amissione non dolent. – Ma fino a qual punto si estenderà questa loro beatitudine? Questo è quello che nè io, nè altri vi saprà dire, poiché Dio non si compiacque di rivelarcelo. S. Tommaso, che è si cauto nel sentenziare, afferma che questi fanciulli potranno avere cognizione ed amor di Dio nell’ordine puramente naturale, e che potranno godere di questi beni che loro ha conceduto il Signore, ma non lo spiega più lungamente. Altri gravissimi Teologi, giovandosi della libertà che lascia la santa Chiesa in tal quistione, con maggiore o minore probabilità vanno discutendo qual esser possa; ed altri col Pighio, col Catarino, col Molina, col Salmerone pensano che abiteranno la terra già tutta purificata ed abbellita. Altri insegnano con S. Bonaventura, col Bellarmino, che saranno esenti da ogni dolore; altri collo Sfondrato, che meneranno vita felice e tranquilla in un naturale amore di Dio: naturali dilectione. Checché però ne sia di tutto ciò, certo è che la santa Chiesa non ci ha mai obbligati a tenere che essi provassero pene di senso. Che se è così, ché torto fa loro Iddio nel non cumularli di beni maggiori? È un bene sì fattamente gratuito la visione beatifica, che se Dio mai non lo avesse proposto ad alcuno, gli uomini, non che pretenderlo, non l’avrebbero neppur conosciuto. Qual diritto vi hanno adunque? E se non vi possono aver diritto, che torto fa loro Iddio quando loro lo dinega? Fingete che un principe avesse conceduto ad un povero popolano di desinare nel suo palazzo, avrebbe questi buon garbo a lagnarsi perché non è stato collocato alla mensa del principe stesso? Se già non diventa un obbligo la liberalità, se non diventa un’ingiustizia il beneficare dentro certi limiti, mai non si potrà riprendere la divina condotta.

II. E gl’idolatri? Cogl’idolatri eziandio il Signore non commette ingiustizia di alcuna sorta. Richiamate pertanto a mente alcune verità di gran rilievo. Prima di tutto non è da credere che tutti quei popoli, che vennero designati sotto nome di Gentili, fossero composti di soli idolatri: perocchè, sebbene questi fossero pur troppo molti, molti anche erano che ritenevano ancora la cognizione del vero Iddio. Prima del diluvio, secondo S. Tommaso ed i più gravi Teologi; non vi ebbe idolatria di sorta. E se dopo fa introdotta sventuratamente nel mondo, molti se ne preservarono. Ne abbiamo la prova nella persona del santo Giobbe e de’ suoi amici, e nel Centurione del Vangelo; ed è al tutto verisimile che, come essi credevano nel vero Iddio, così vi credessero molti altri, i quali od avevano conservate le tradizioni primitive, od avevano appreso a conoscere la verità dai Giudici sparsi in tanta parte di mondo, oppure, servendosi rettamente della ragione, dalle cose visibili avevano raggiunto le invisibili come parlano le sante Scritture. – In secondo luogo anche quelli che sono nati nell’idolatria, sono forse stati abbandonati da Dio, sì che non abbiano avuti i mezzi necessari per la salvezza? Nulla meno. Altra cosa è che non li abbiano avuto in quell’abbondanza che li ebbero alcuni popoli, altra cosa è che siano mancati loro quelli che al tutto erano necessarii. Niuno vi ebbe mai neppur tra loro che si sia dannato senza sua colpa. I Gentili ebbero in primo luogo la grazia necessaria per conoscere il vero Dio, e l’ebbero in tal misura che al tutto bastasse, perché conoscendolo il potessero glorificare. Il perché dove gl’idolatri sian fedeli alle grazie che Iddio lor fornisce, Iddio deve non al loro merito, ma alla sua fedeltà, il non privarli di quei mezzi ulteriori che si richiedono alla salvezza. Continua Egli pertanto ad illuminarli colle sue cognizioni, a fortificarli colle sue grazie, affinché sempre più progrediscano sino ad amarlo sopra ogni cosa, fino a pentirsi salutarmente dei loro peccati. Sappiamo però, soggiungono essi, che è necessario il Battesimo e la fede nel mediatore divino Gesù Cristo per giungere a salvamento. E questa come l’hanno? Non vi sgomenti neppur questa replica, perocchè essa non chiude per nulla la via della salute a chi voglia risolutamente salvarsi. – Imperocchè i sacri Dottori osservano all’uopo, che quanto alla cognizione del Mediatore, Iddio a molti l’ha rivelata espressamente, siccome fece col santo Giobbe che diceva: Io so che vive il mio Redentore. Che se non lo rivelò loro, ebbero pure del divin Mediatore, se non una fede esplicita, almeno una fede implicita nella divina Provvidenza, in quanto credevano Iddio essere liberatore degli uomini, secondo que modi che a lui sarebbon piaciuti (S. Thom.2. 2. q.2, a. 7.). Quanto al Battesimo poi, sebbene questo sia necessario, non è però necessario che sia ricevuto nel fatto, bastando che sia nel desiderio; e dove invincibilmente sia ignorata la necessità di esso, come avviene nei Gentili, si trova racchiuso un tal desiderio nell’atto per cui amano Dio sopra ogni cosa. il peichè è verissimo che anche i Gentili, sebbene non abbiano quei mezzi più abbondevoli di salute che abbiamo noi, non sono però privi di essi in modo che, mantenendosi fedeli a quelli che hanno, non possano giungere a salvamento. In una parola, Iddio in tutti i tempi. provvide agli uomini per siffatta guisa, che essi il potessero conoscere, conoscendolo glorificarlo: e quando essi dal canto loro facciano quel che possono, Iddio, che vuole sinceramente la salvezza di tutti, aggiunge loro quel che non possono.

III. Intorno ai protestanti ed agli scismatici è ancora più facile la risposta. Imperocchè è egli vero che la santa Chiesa insegni, come suppongono alcuni, che sieno tutti irreparabilmente dannati? Nulla meno. La santa Chiesa insegna bensì che fuori della vera Chiesa non vi ha salute: ma in un senso ben diverso da quello che essi credono. In due maniere può uno trovarsi fuori della cattolica Chiesa: può trovarvisi perché è nato nell’eresia e nello scisma senza. sua colpa; può trovarvisi perché da sè medesimo ha abbracciata l’eresia o lo scisma. Chi è nato sventuratamente in seno dell’errore non è colpevole finchè dura in esso con buona fede, cioè finchè non ha un dubbio serio, un dubbio grave intorno alle dottrine che egli ammette. Fino a tanto che è in buona fede, la santa Chiesa non lo considera come separato da sè altro che materialmente, e non insegna che per questo sia fuori della via della salute. Può e deve in questo caso il protestante e lo scismatico fare almeno quel tanto che in buona fede crede doversi fare; e siccome è entrato per la porta legittima del Battesimo, siccome ha una notizia almeno delle cose principalissime della santa fede, e siccome solo per ignoranza invincibile rifiuta le altre verità rivelate, così con quei mezzi che ha, dove se ne valga, potrà ancor esso giungere alla salute. È vero che questi mezzi sono per loro meno copiosi che pel Cattolico; è vero che il protestante non ha soprattutto il sacramento della Penitenza e la divina Eucaristia, coi quali si ottengono tanto più facilmente la giustificazione e le grazie divine: tuttavolta quando ne ignora invincibilmente la necessità, può supplirvi a quel modo con cui vi suppliscono anche i Cattolici, nel caso estremo di mancanza di confessore, coli’eccitarsi alla contrizione dei proprii peccati ed al perfetto amore di Dio sopra ogni cosa, e così impetrare il perdono e la salute. Che anzi, fondati sopra queste dottrine, noi Cattolici abbiamo fiducia che molti dei nostri cari fratelli, sventuratamente da noi divisi, convertendosi debbano un giorno riunirsi a noi nella patria, poichè la loro divisione da noi non è altro che materiale. Ma per fare questo avranno poi la grazia necessaria all’uopo? Indubitatamente l’hanno; poichè, siccome ognuno ha l’obbligo di sperare e di amare il Signore finché è in vita, e siccome ha l’obbligo di farlo quando giunge la saa ultima ora, il che non si può senza la grazia divina, così forza è che abbiano anche la grazia necessaria a quegli atti. Altrimenti ne seguirebbe, che si potrebbe commettere una colpa, mentre non si ha in propria mano il poterla evitare; il che sarebbe un assurdo tutto insieme ed una bestemmia contro la divina bontà. – Che se lo scismatico ed il protestante hanno con piena cognizione di causa abbracciato da sè l’eresia e lo scisma, oppure se dimorano in essa con mala fede, che è quanto dire con dubbii gravi e certi di essere nell’errore, che torto fa loro Iddio se li condanna, quando essi rigettano la verità conosciuta, oppure non la cercano quando si avveggono di non possederla? Allora essi chiudono gli occhi in faccia al lume onde Iddio li rischiara; allora si ribellano ai rimorsi che la coscienza in loro risveglia; allora non curano verità di somma importanza, quali sono le rivelate da Dio, e si rendono colpevoli di un gravissimo eccesso, e non è da maravigliare se Dio li condanni come infedeli e gravissimi peccatori. – Da ciò s’intende come debba esser presa quella sentenza, per cui si afferma non esservi salute fuor della Chiesa. Si vuol significare che non vi è salate per quelli che stanno fuor della Chiesa sapendo di esserne fuori o almen dubitandone; laddove non si considerano come fuori ogni qualvolta sono fuori solo materialmente. Se queste verità così semplici fossero note, cesserebbero tutte insieme le maggiori bestemmie che si avventino contro Dio, e le più nere calunnie onde si diffami la santa Chiesa. – Ne’ segue da questo che noi dobbiamo esser meno grati al Signore del benefizio inestimabile di essere stati collocati in seno alla Cattolica Chiesa. Imperocchè sebbene sia vero che chi tra gli eterodossi si trovi in buona fede, come abbiamo spiegato, sia in istato di potersi salvare, non può negarsi tuttavia che non sia in condizione molto pericolosa. Da una parte i tanti libri che si scrivono di religione, le relazioni che si hanno sì frequenti coi Cattolici, la luce che diffonde la romana Chiesa, gli errori sempre più gravi in che precipitano i protestanti, risvegliano facilmente dubbii e sospetti non leggeri negli animi, e così tolgono la buona fede: dall’altra parte l’arrendersi a questa luce e fare le opportune ricerche ed abbracciar poi la verità conosciuta, costa sempre una vittoria difficile sopra il rispetto umano, costa il rinnegare l’amor proprio in materia gravissima, costa il vincere mille timori del mondo, ed esige una fedeltà al Signore che pur troppo non è comune: ondechè le passioni umane impediscono molte volte -l’abbracciare col fatto quello che si è conosciuto esser vero. Laddove noi, senza dover superare nessun contrasto, ci troviamo in possesso, per una ineffabile misericordia divina, della verità, e possiamo con molta facilità giungere al termine avventurato dell’eterna salvezza. Di che, chi potrà mai ringraziare bastevolmente l’amorosa provvidenza del Signore, che di tanto ci ha senza nessun merito gratificati? – Inoltre sebbene sia vero che quegli tra gli eterodossi che sono in buona fede possano salvarsi per quanto appartiene alle credenze; tuttavia per giungere alla salute si richiede ancora la bontà della vita, che è quanto dire la fuga dal peccato grave o la contrizione di essi e la divina carità. Ora tutto ciò non riesce neppur sì agevole a noi Cattolici: eppur abbiamo troppo maggiori aiuti che essi non hanno: l’istruzione accurata del modo di pentirci, l’obbligo di esercitarci nella fede, nella speranza e nella carità; abbiamo il grande Sacrifizio dell’altare che ci impetra doni così eccellenti; abbiamo la facilità di ricuperare la grazia nel Sacramento di Penitenza; abbiamo l’aiuto pronto della Vergine benedetta e dei Santi da noi invocati; abbiamo tutte le grazie che la santa Chiesa ottiene a tutti quelli che partecipano i suoi riti, le sue cerimonie, le sue preghiere; abbiamo finalmente la fonte stessa di tutti i beni nella divina Eucaristia, alla quale unendoci noi, ci troviamo confortati a combattere le nostre passioni, animati a1 bene, alla virtù, alla vita soprannaturale della grazia. Ora se anche noi così aiutati sperimentiamo ancora sì difficile alla nostra debolezza il viver

bene, fate ragion di quel che sarà pei protestanti che non hanno tanti mezzi. Quanto dunque non è facile che chi non si perde per mancanza della fede, venga poi a perdersi per mancanza della vita cristiana! – E ciò per non dir nulla ancora di quei, protestanti più infelici (eppur son tanti) i quali, allontanandosi sempre più da Gesù Cristo e dalla Chiesa, sono caduti nel profondo di ogni male, nel rinnegar cioè con orribile razionalismo la divinità di nostro Signor Gesù Cristo e tutta la rivelazione; i quali sono protestanti di nome, ma nel fatto sono pagani al tutto: e non può sovrastare loro altra sorte che quella che spetta ai felloni che hanno rinnegato l’Autor della vita. Di che vede ognuno se sia o da rallentare lo zelo nel trarre alla verità quei meschini, o da essere meno riconoscenti a quel Dio sì buono, che per sua ineffabile misericordia ci ha posti in grembo alla Madre Chiesa. – Da tutto ciò nondimeno, dirà taluno, si ritrae sempre che Dio è aceettatore di persone, mentre con alcuni almeno è più liberale di grazie che non con altri. Ebbene qual risposta darò io a questa replica? Se chiamate accettatore di persone Iddio, perchè dispensa in copia i suoi doni ad uno più che ad un altro, io vi concederò che appunto è così. Sì, Iddio con alcuni è più liberale di grazie che non con altri. E che? Vorreste voi togliere a Dio creatore di tutti gli esseri, padrone supremo, quella libertà che pretendete voi, verme vilissimo della terra? E voi non pretendete di aver diritto di beneficare più un povero che un altro? Più una classe di persone che un’altra? Non siete voi accettator di persone, quando tra molti che vi sollecitano, scegliete di preferenza un servitore, un artigiano, un mercatante, un maestro di casa? Quando non fate agli altri Lui torto positivo, voi non credete di far loro ingiuria, solo perchè preferite quelli che vi danno più nel genio. E Dio, il quale è padrone in ben altro modo che non siete voi, supremo, assoluto, universale, indipendente, e, che più monta, d’infinita santità e sapienza, non potrà collocare maggiori doni in uno che in un altro, amare gli uni di preferenza agli altri? Che stranezza e che stravaganza è mai cotesta? – Inoltre se tra noi l’accettazione di persone è quasi sempre congiunta con qualche difetto, non è già così nel Signore. Quando noi anteponiamo gli uni agli altri nostri prossimi, il facciamo il più delle volte mossi da ragioni umane o di un amore disordinato o di un’avversione viziosa; spesse volte il facciamo in pregiudizio di chi avrebbe maggiori diritti sopra di noi, o per altri motivi suggeriti più dalla passione che dalla ragione. Ma in Dio infinitamente giusto e santo non possono cadere tali imperfezioni. Se Egli antepone gli uni agli altri, il fa con infinita sapienza, il fa con rettitudine infinita. Egli ha nella sua onnipotenza il diritto di farlo, nella sua sapienza il fine per cui farlo, nella sua bontà il modo di farlo convenientemmite. Mancherebbe ancora questa che l’uomo riducesse Dio alle sue norme e lo misurasse colla sua stregua!

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (38): “LEONE XIII, 1887-1896”

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (38)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

(LEONE XIII, 1887- 1896)

Decreto del Sant’Uffizio “Post obitum”, 14 dicembre 1887.

Errori di Antonio ROSMINI-SERBATI

3201. 1 – Nell’ordine delle cose create si manifesta immediatamente all’intelligenza umana qualcosa che sia divino in sé, in quanto appartiene alla natura divina.

3202. 2 – Quando parliamo del divino in natura, con questa parola “divino” non intendiamo un effetto non divino di una causa divina; e non è nostra intenzione parlare di qualcosa che sarebbe divino per partecipazione.

3203. 3 – Nella natura dell’universo, dunque, cioè nelle intelligenze che vi si trovano, c’è qualcosa a cui si addica la denominazione di divino, non in senso figurato, ma in senso letterale. – È una realtà che non si distingue dal resto della realtà divina.

3204. 4 – L’essere indeterminato, che è indubbiamente noto a tutte le intelligenze, è quel divino che si manifesta all’uomo nella natura.

3205. 5 – L’essere, oggetto dell’intuizione umana, è necessariamente qualcosa dell’essere necessario ed eterno, della causa creatrice, determinante e finale di tutti gli esseri contingenti, e questo è Dio.

3206. 6 – Nell’essere che prescinde dalle creature e da Dio, cioè l’essere indeterminato, e in Dio, l’essere che non è indeterminato ma assoluto, l’essenza è la stessa.

3207. 7 – L’essere indeterminato dell’intuizione, l’essere iniziale, è qualcosa del Verbo, che l’intelligenza del Padre distingue dal Verbo non realmente, ma secondo ragione.

3208. 8 – Gli esseri finiti di cui è composto il mondo risultano da due elementi, cioè dal termine finito reale e dall’essere iniziale che conferisce a questo termine la forma dell’essere.

3209. 9 – L’essere che è oggetto di intuizione è l’atto iniziale di tutti gli esseri. – L’essere iniziale è l’inizio sia di ciò che sia conoscibile, sia di ciò che sia sussistente: è anche l’inizio di Dio, come è concepito da noi, e delle creature.

3210. 10 – L’essere virtuale e illimitato è il primo e il più semplice di tutti gli enti, così che ogni altro ente ne è composto, e l’essere virtuale è sempre e necessariamente uno dei suoi componenti. – (L’essere iniziale) è la parte essenziale di tutti gli enti senza eccezione, per quanto possano essere divisi dal pensiero.

3211. 11 – La quiddità (ciò che una cosa è) dell’essere finito non è costituita da ciò che è positivo in esso, ma dai suoi limiti. La quiddità dell’essere infinito è costituita dall’ente, ed è positiva; la quiddità dell’essere finito, invece, è costituita dai limiti dell’ente, ed è negativa.

3212. 12 – La realtà finita non è, ma Dio la fa essere aggiungendo la limitazione alla realtà infinita. – L’essere iniziale diventa l’essenza di tutto l’essere reale. – L’essere che agisce le nature finite, essendo congiunto con esse, è preso da Dio.

3213. 13 – La differenza tra l’essere assoluto e l’essere relativo non è la differenza tra una sostanza e l’altra, ma una differenza molto più grande: l’una è assolutamente l’essere, l’altra assolutamente il non-essere. Ma quest’altro è relativo. Per questo l’essere assoluto e l’essere relativo non sono un’unica sostanza, ma un unico essere; e in questo senso non c’è diversità di essere, ma unità di essere.

3214. 14 – L’essere iniziale, il primo elemento degli esseri finiti, è prodotto dall’astrazione divina; ma la realtà finita, o tutte le realtà di cui è fatto il mondo, è prodotta dall’immaginazione divina.

3215. 15 – La terza operazione dell’essere assoluto nel creare il mondo è la sintesi divina, cioè l’unione dei due elementi, l’essere iniziale, il principio comune di tutti gli esseri finiti, e la realtà finita, o meglio: le varie realtà finite, i diversi termini dello stesso essere iniziale. È attraverso questa unione che si creano gli esseri finiti.

3216. 16 – L’essere iniziale, messo in relazione dall’intelligenza mediante la sintesi divina, non come intelligibile ma come pura essenza, con i termini finiti reali, fa sì che gli esseri finiti esistano soggettivamente e realmente.

3217. 17 – Tutto ciò che Dio fa nel creare è porre l’intero atto dell’esistenza delle creature; questo atto non è quindi propriamente fatto, ma posto.

3218. 18. – L’amore con cui Dio ama se stesso anche nelle creature, e che è la ragione per cui decide di creare, costituisce una necessità morale che, nell’essere più perfetto, produce sempre il suo effetto.

3219. 19 – Il Verbo è quella materia invisibile da cui, come dice Sap 11,18, sono state create tutte le cose dell’universo.

3220. 20 – Non è ripugnante che l’anima si moltiplichi per generazione, in modo da essere concepita come un progresso dall’imperfetto, cioè dal grado sensoriale, al perfetto, cioè al grado intellettivo.

3221. 21 – Quando un essere diventa oggetto di intuizione per il principio sensitivo, per questo solo contatto, per questa sola unione, questo principio, che prima sentiva soltanto e che ora comprende, viene elevato a uno stato più nobile, cambia natura e diventa intelligente, sussistente e immortale.

3222. 22. – Non è impossibile concepire che per potenza divina sia possibile che l’anima intellettiva si separi dal corpo animato e che quest’ultimo continui ad essere animale, perché il principio animale, che prima era in esso come appendice, rimarrebbe in esso come base dell’animale puro.

3223. 23 – Allo stato naturale, l’anima del defunto esiste come se non esistesse; poiché non può riflettere su se stessa, né essere cosciente di sé, si può dire che la sua condizione è simile allo stato di tenebra perpetua e di sonno eterno.

3224. 24 – La forma sostanziale del corpo è piuttosto l’effetto dell’anima e il termine interno della sua operazione: per questo la forma sostanziale del corpo non è l’anima stessa. – L’unione dell’anima e del corpo consiste propriamente nella percezione immediata con cui il soggetto che ha l’intuizione di un’idea afferma il sensibile dopo aver avuto l’intuizione dell’essenza in esso.

3225. 25 – Una volta rivelato il mistero della Trinità, la sua esistenza può essere dimostrata con argomenti puramente speculativi, certo negativi e indiretti, ma comunque tali che con essi questa verità viene ricondotta alle discipline filosofiche e diventa una proposizione scientifica come le altre: perché se fosse negata, la dottrina filosofica della pura ragione non solo rimarrebbe incompleta, ma sarebbe annientata dalle oscurità che sorgerebbero da ogni parte.

3226. 26 – Le tre forme supreme dell’essere, cioè la soggettività, l’oggettività e la santità, o la realtà, l’idealità e la moralità, se le trasferiamo all’essere assoluto, non possono essere concepite altrimenti che come persone sussistenti e viventi, – Il Verbo, come oggetto amato e non come Verbo, cioè oggetto sussistente in sé conosciuto da sé, è la persona dello Spirito Santo.

3227. 27 – Nell’umanità di Cristo, la volontà umana fu talmente rapita dallo Spirito Santo ad aderire all’essere oggettivo, cioè al Verbo, che gli cedette interamente il governo dell’uomo, e che il Verbo assunse questo governo in modo personale unendosi così alla natura umana. Con ciò, la volontà umana ha cessato di essere personale nell’uomo, e mentre è persona negli altri uomini, rimane natura in Cristo.

3228. 28 – Secondo la dottrina cristiana, il Verbo, il carattere e il volto di Dio, è impresso nell’anima di chi riceve con fede il battesimo di Cristo. – Il Verbo, cioè il carattere impresso nell’anima, secondo la dottrina cristiana è l’essere reale (infinito) che si manifesta da sé, e che quindi riconosciamo essere la seconda persona della santissima Trinità.

3229. 29. – Non ci sembra una congettura estranea alla dottrina cattolica, che sola è verità, affermare che nel Sacramento eucaristico la sostanza del pane e del vino diventi la vera carne e il vero sangue di Cristo quando Cristo la fa diventare il termine del suo principio sensibile e la vivifica con la sua vita, quasi nel modo in cui il pane ed il vino sono transustanziati nella nostra carne e nel nostro sangue poiché diventano il termine del nostro principio sensibile.

3230. 30 – Una volta completata la transustanziazione, possiamo pensare che una parte del Corpo glorioso di Cristo sia incorporata a Lui, non separata da Lui e ugualmente gloriosa.

3231. 31 – Nel Sacramento dell’Eucaristia, in virtù delle parole, il Corpo ed il Sangue di Cristo sono presenti solo nella misura che corrisponde alla quantità (a quel tanto) della sostanza del pane e del vino che viene transustanziata: il resto del Corpo di Cristo vi è presente per concomitanza.

3232. 32 – Poiché chi “non mangia la carne del Figlio dell’uomo e non beve il suo sangue non ha vita in sé” (Gv VI,54), e tuttavia chi muore con il Battesimo di acqua, di sangue o di desiderio ottiene con certezza la vita eterna, si deve dire che a chi in questa vita non ha mangiato il corpo di Cristo, questo cibo celeste viene somministrato nella vita futura, nell’istante stesso della morte. – Per questo motivo, quando è sceso agli inferi, Cristo ha potuto comunicarsi anche sotto forma di corpo di Cristo. Pertanto anche i santi dell’Antico Testamento ha comunicato con le specie del pane e del vino per renderli idonei alla visione di Dio.

3233. 33 – Quando i demoni si impossessarono del frutto, pensarono di entrare nell’uomo se ne avessero mangiato; essendo il cibo mutato nel corpo animato dell’uomo, potevano liberamente entrare nell’animalità, cioè nella vita soggettiva di questo essere, e quindi disporne come si erano proposti.

3234. 34. – Per preservare la beata Vergine Maria dal peccato originale, era sufficiente che un minuscolo seme di uomo, forse trascurato dal diavolo, rimanesse incorrotto, e che da questo seme incorrotto, trasmesso di generazione in generazione, nascesse a suo tempo la Vergine Maria.

3235. 35 – Quanto più si presta attenzione all’ordine della giustificazione nell’uomo, tanto più preciso appare il linguaggio della Scrittura secondo cui Dio copre o meno certi peccati. – Secondo il Salmista, (Salmo XXXI,1), c’è differenza tra le iniquità che vengono perdonate e i peccati che vengono coperti: le prime sono colpe presenti e libere; i secondi, invece, sono i peccati non liberi di coloro che appartengono al popolo di Dio e che quindi non ricevono alcun danno.

3236. 36. – L’ordine soprannaturale è costituito dalla manifestazione dell’Essere nella pienezza della sua forma reale; l’effetto della sua comunicazione, o manifestazione, è il sentimento deformato che, a partire da questa vita, costituisce la luce della fede e della grazia, e che, completato nell’altra vita, costituisce la luce della gloria.

3237. 37 – La prima luce che rende l’anima intelligente è l’essere ideale; la seconda prima luce è anch’essa l’essere, non solo ideale, ma sussistente e vivente: questo nasconde la sua personalità e mostra solo la sua oggettività; ma chi vede la seconda (che è il Verbo), anche se come in uno specchio e in un enigma, vede Dio.

3238. 38 – Dio è oggetto della visione beatifica in quanto autore di opere ad extra.

3239. 39 – Le tracce di sapienza e di bontà che risplendono nelle creature sono necessarie a coloro che contemplano (il Cielo); riunite nell’esemplare eterno, sono quella parte di Lui che può essere vista da loro (che è loro accessibile), e costituiscono il soggetto delle lodi che i beati cantano a Dio per tutta l’eternità.

3240. 40 – Dal momento che Dio non può, neppure con la luce della gloria, comunicarsi completamente agli esseri, può solo rivelare e comunicare la sua essenza a coloro che contemplano (in cielo) secondo il modo che è appropriato alle intelligenze finite, cioè Dio si manifesta loro nella misura in cui sia in relazione con loro come loro Creatore, loro Provvidenza, loro Redentore e loro Santificatore.

3241. (Censura confermata dal Sommo Pontefice: (il Sant’Uffizio) ha giudicato che le proposizioni… sono da proscrivere e riprovare nel senso dell’autore, e con questo decreto generale le riprova, le condanna e le proscrive…

Lettera Enciclica “Libertas præstantissimus”, 20 Giu. 1888

Dignità dell’uomo in quanto libero.

3245. La libertà, nobilissimo dono di natura, proprio unicamente di creature dotate d’intelletto e di ragione, attribuisce all’uomo la dignità di essere “in mano del proprio arbitrio” e di essere padrone delle proprie azioni. Tuttavia è molto importante stabilire in che modo tale dignità debba manifestarsi, poiché dall’uso della libertà possono derivare grandi vantaggi ma anche grandi mali. Infatti è facoltà dell’uomo ubbidire alla ragione, seguire il bene morale, tendere direttamente al suo fine ultimo. Ma egli può anche deviare verso tutt’altri scopi e, perseguendo false immagini del bene, può turbare l’ordine prestabilito e precipitare in volontaria rovina.

3246. Nessuno predica più altamente né con più costanza asserisce la Chiesa che tiene per dogma. Né solo questo, ma contraddicendo agli eretici, la Chiesa recepisce il patrocinio della libertà e la rivendica per l’uomo come un grande bene da difendere.

La legge naturale.

3247. Perciò la causa prima della necessità della legge va ricercata, come in radice, nello stesso libero arbitrio dell’uomo, ossia nel fatto che le nostre volontà non siano in disaccordo con la retta ragione. Nulla si potrebbe dire o pensare di più perverso e assurdo che il considerare l’uomo esente da legge in quanto libero per natura: se così fosse, ne conseguirebbe che per essere libero dovrebbe sottrarsi alla ragione; invece è assai evidente che deve sottostare alla legge proprio perché libero per natura. Dunque la legge è guida all’uomo nell’azione, e con premi e castighi lo induce al ben fare e lo allontana dal peccato. Sovrana su tutto: tale è la legge naturale, scritta e scolpita nell’anima di ogni uomo, poiché essa non è altro che l’umana ragione che ci ordina di agire rettamente e ci vieta di peccare. Invero questa norma della ragione umana non può avere forza di legge se non perché è voce ed interprete di una ragione più alta, a cui devono essere soggette la nostra mente e la nostra libertà. La forza della legge infatti consiste nell’imporre doveri e nel sancire diritti; perciò si fonda tutta sull’autorità, ossia sul potere di stabilire i doveri e di fissare i diritti, nonché di sanzionare tali disposizioni con premi e castighi; è chiaro che tutto ciò non potrebbe esistere nell’uomo, se, legislatore sommo di se stesso, prescrivesse a sé la norma delle proprie azioni. Dunque ne consegue che la legge di natura sia la stessa legge eterna, insita in coloro che hanno uso di ragione, e che per essa inclinano all’azione e al fine dovuto: essa è la medesima eterna ragione di Dio creatore e reggitore dell’intero universo.

La legge umana.

3248. Quanto si è detto circa la libertà dei singoli uomini può essere facilmente riferito agli uomini tra loro uniti in civile consorzio. Infatti, ciò che la ragione e la legge naturale operano nei singoli uomini, del pari agisce nella società la legge umana promulgata per il bene comune dei cittadini. Tra le leggi degli uomini alcune riguardano ciò che per natura è bene o male; esse, corredate dalla debita sanzione, insegnano a seguire l’uno e a fuggire l’altro. Ma siffatte disposizioni non traggono origine dalla società umana, poiché come la stessa società non ha generato la natura umana, così del pari non crea il bene che conviene alla natura, né il male che ripugna alla natura; piuttosto precorrono la stessa società civile e sono assolutamente da ricondurre alla legge naturale e perciò alla legge eterna. Dunque i precetti di diritto naturale contenuti nelle leggi umane, non hanno solo la forza di legge umana ma soprattutto comprendono quell’autorità molto più alta e molto più augusta che proviene dalla stessa legge di natura e dalla legge eterna. In questo genere di leggi, il dovere del legislatore civile è comunemente quello di condurre all’obbedienza i cittadini, dopo aver adottato una comune disciplina, reprimendo i malvagi inclini ai vizi, affinché, distolti dal male, perseguano la rettitudine o almeno non siano d’impedimento e danno alla società.  – Invero, altre ordinanze del potere civile non derivano subito e direttamente dal diritto naturale, ma da più lontano e in modo obliquo, e definiscono varie questioni che la natura non ha definito se non in generale e in modo indeterminato. Così la natura comanda che i cittadini contribuiscano alla tranquillità e alla prosperità pubblica: ma quanto, come, in quali occasioni non è stabilito da natura, bensì dalla saggezza degli uomini. Ora, in queste particolari regole di vita suggerite dalla prudenza della ragione e introdotte dal legittimo potere, consiste la legge umana propriamente detta. Questa legge impone a tutti i cittadini di concorrere al fine indicato dalla società e vieta di abbandonarlo; la stessa legge, finché segue dolcemente e consenziente i dettami di natura, conduce alla rettitudine e distoglie dal male. Da quanto detto si comprende che sono tutte riposte nella eterna legge di Dio la norma e la regola della libertà dei singoli individui, non solo, ma anche della comunità e delle relazioni umane.

3249. Dunque nella società umana la libertà nel vero senso della parola, non è riposta nel fare ciò che piace, nel qual caso subentrerebbe il maggior disordine che si risolverebbe nella oppressione della cittadinanza, ma consiste nel vivere agevolmente in virtù di leggi civili ispirate ai dettami della legge eterna. D’altra parte la libertà di coloro che governano non risiede nel poter comandare in modo sconsiderato e capriccioso, il che sarebbe parimenti dannoso e deleterio per lo Stato: per contro, la forza delle leggi umane deve derivare dalla legge eterna e non deve sancire alcuna norma che sia estranea ad essa, fonte del diritto universale.

Libertà di coscienza e tolleranza.

3250. Inoltre si predica assiduamente quella che viene chiamata libertà di coscienza; la quale, se interpretata nel senso che a ciascuno è giustamente lecito, a piacer suo, di venerare o di non onorare Dio, trova la sua smentita negli argomenti svolti in precedenza. Ma può avere anche questo significato: all’uomo è lecito, nel civile consorzio, seguire la volontà e i comandamenti di Dio secondo coscienza e senza impedimento alcuno. Questa vera libertà, degna dei figli di Dio, che assai giustamente tutela la dignità della persona umana, è più forte di qualunque violenza e offesa, ed è sempre desiderata e soprattutto amata dalla Chiesa. Con costanza, gli Apostoli rivendicarono per sé una siffatta libertà…

3251. Tuttavia la Chiesa, con intelligenza materna, considera il grave peso della umana fragilità e non ignora quale sia il corso degli animi e delle vicende da cui è trascinata la nostra età. Per queste ragioni, senza attribuire diritti se non alla verità e alla rettitudine, la Chiesa non vieta che il pubblico potere tolleri qualcosa non conforme alla verità e alla giustizia, o per evitare un male maggiore o per conseguire e preservare un bene. Dio stesso provvidentissimo, infinitamente buono e potente, consentì tuttavia che nel mondo esistesse il male, in parte perché non siano esclusi beni più rilevanti, in parte perché non si conseguano mali maggiori. Nel governo delle nazioni è giusto imitare il Reggitore del mondo: anzi, non potendo l’umana autorità impedire ogni male, deve “concedere e lasciare impunite molte cose che invece sono punite giustamente dalla divina Provvidenza” . Tuttavia, come complemento a quanto detto, se a causa del bene comune e soltanto per questo motivo la legge degli uomini può o anche deve tollerare il male, non può né deve approvarlo o volerlo in quanto tale: infatti il male, essendo di per sé privazione di bene, ripugna al bene comune che il legislatore, per quanto gli è possibile, deve volere e tutelare. E anche in questo caso è necessario che la legge umana si proponga di imitare Dio il quale, nel consentire che il male esista nel mondo “non vuole che il male si faccia, né vuole che il male non si faccia, ma vuole permettere che il male si faccia, e questo è bene” . Questa affermazione del dottore Angelico contiene in sintesi tutta la dottrina sulla tolleranza del male.

3252. Da quanto si è detto consegue che non è assolutamente lecito invocare, difendere, concedere una ibrida libertà di pensiero, di stampa, di parola, d’insegnamento o di culto, come fossero altrettanti diritti che la natura ha attribuito all’uomo. Infatti, se veramente la natura li avesse concessi, sarebbe lecito ricusare il dominio di Dio, e la libertà umana non potrebbe essere limitata da alcuna legge. Ne consegue del pari che queste varie libertà possono essere tollerate se vi sia un giusto motivo, ma entro certi limiti di moderazione, in modo che non degenerino nell’arbitrio e nell’arroganza.

3253. Dove la tirannide opprima o sovrasti in modo tale da sottomettere la cittadinanza con iniqua violenza, o costringa la Chiesa ad essere priva della dovuta libertà, è lecito chiedere una diversa organizzazione dello Stato, in cui siaconcesso agire liberamente; i n questo caso non si rivendica quella smodata e colpevole libertà, ma qualche sollievo a vantaggio di tutti e si agisce così solamente perché non sia impedita la facoltà di comportarsi onestamente là dove si concede licenza al malaffare.

3254. Inoltre, non è vietato preferire un tipo di Stato regolato dalla partecipazione popolare, fatta salva la dottrina cattolica circa l’origine e l’esercizio del pubblico potere. Tra i vari tipi di Stato, purché siano di per se stessi in grado di provvedere al benessere dei cittadini, nessuno è riprovato dalla Chiesa; essa pretende tuttavia ciò che anche la natura comanda: che i singoli Stati si reggano senza recare danno ad alcuno, e soprattutto rispettino i diritti della Chiesa.

3255. La Chiesa non condanna una nazione che voglia essere indipendente dallo straniero o da un tiranno, purché sia salva la giustizia. Infine non rimprovera neppure coloro che propugnano uno Stato retto da proprie leggi, e una cittadinanza dotata della più ampia facoltà di accrescere il proprio benessere.

Res. S. Officio all’Arcivescovo di Cambrai, 14 (19) Ago., 1889.

Craniotomia.

3258. Le scuole cattoliche non possono insegnare con certezza che l’operazione chirurgica chiamata “craniotomia” sia lecita, come è stato dichiarato il 28 maggio 1884, così come qualsiasi altra operazione chirurgica che uccida direttamente il feto o la madre incinta.

Enciclica “Quamquam pluries“, 15 agosto 1889.

Il posto di San Giuseppe nell’economia della salvezza.

3260. Le ragioni e i motivi particolari per cui il Beato Giuseppe è comunemente ritenuto patrono della Chiesa, e che fanno sì che la Chiesa, da parte sua, si aspetti molto dalla sua protezione e dal suo patrocinio, sono il fatto che egli era lo sposo di Maria ed era ritenuto il padre di Gesù Cristo. Da questo derivavano tutta la sua dignità, la sua grazia, la sua santità ed il suo onore. Naturalmente, la dignità della Madre di Dio è così alta che nulla potrebbe essere più grande. Ma poiché tra Giuseppe e la Beata Vergine esisteva il vincolo del matrimonio, non c’è dubbio che più di ogni altro egli si avvicinasse a quella dignità suprema con cui la Madre di Dio supera di gran lunga tutte le nature create. Il Matrimonio è infatti la società e la relazione più intima di tutte, che per sua natura include la reciproca comunità dei beni. Perciò, dando Giuseppe alla Vergine come suo sposo, Dio non le ha certo dato solo un compagno per la vita, un testimone della sua verginità ed un custode del suo onore, ma anche, in virtù del patto matrimoniale stesso, una partecipazione alla sua eminente dignità. Allo stesso modo, egli è eminente tra tutti gli uomini per la sua altissima dignità perché è stato, per volontà divina, il custode del Figlio di Dio, considerato dagli uomini come il padre. Ne consegue che il Verbo di Dio era modestamente sottomesso a Giuseppe, che Egli obbediva alla sua parola e che gli tributava l’onore che i figli debbano tributare ai genitori.

3261. Ma da questa doppia dignità derivavano i doveri che la natura impone ai padri di famiglia, cosicché Giuseppe era il custode oltre che l’amministratore ed il legittimo e naturale difensore della casa divina di cui era il capo. Egli esercitò certamente questi uffici e funzioni per tutta la sua vita mortale. …

3262. Ora, la casa divina, che Giuseppe governava come con l’autorità del padre, conteneva le primizie della Chiesa nascente. Come la Vergine santissima è colei che ha dato alla luce Gesù Cristo, così è la Madre di tutti i Cristiani, che ha partorito sul monte del Calvario in mezzo alle supreme sofferenze del Redentore; e allo stesso modo Gesù Cristo è come il primogenito dei Cristiani, che per adozione e redenzione sono suoi fratelli.

3263. Queste sono le ragioni per cui il beato Patriarca considera particolarmente affidata a lui la moltitudine dei Cristiani di cui si compone la Chiesa, cioè questa immensa famiglia diffusa su tutta la terra sulla quale, in quanto sposo di Maria e padre di Gesù Cristo, possiede per così dire un’autorità paterna. È quindi molto naturale e degno del Beato Giuseppe che, come un tempo provvedeva a tutte le necessità della famiglia di Nazareth e la circondava con la sua protezione, ora copra e protegga la Chiesa di Cristo con il suo celeste patrocinio.

Risposta del Sant’Uffizio al Vescovo di Marsiglia, 30 luglio 1890.

Vino da Messa.

3264. In molte parti della Francia, specialmente nel Sud, il vino bianco usato per il Sacrificio incruento è così debole e senza forza che non può essere conservato a lungo, a meno che non vi si mescoli una certa quantità di spirito di vino (all).

Domande: 1. È consentita tale mistura? 2. E se sì, quanta di questa sostanza esterna può essere aggiunta al vino? 3. Se sì, deve essere spirito estratto dal vino puro o dal frutto della vite?

Risposta (confermata dal Sommo Pontefice il 31 luglio):

A condizione che l’acquavite (alcool) sia estratta dal prodotto della vite, e che la quantità di alcool aggiunta a quella contenuta per natura nel vino in questione non superi la proporzione del dodici per cento, e che la miscela sia fatta quando il vino è ancora giovane, non c’è nulla che impedisca di usare questo vino nel Sacrificio della Messa.

Lettera “pastoralis officii” ai Vescovi della Germania e dell’Austria. – 12 settembre 1890.

Duello.

3272. Le due leggi divine, sia quella che è stata proclamata dalla luce della ragione naturale, sia quella che è stata proclamata dalle Scritture composte sotto l’ispirazione divina, proibiscono formalmente che qualcuno, se non per una causa pubblica, ferisca o uccida un uomo, a meno che non sia costretto a farlo dalla necessità di difendere la propria vita. Ma chi chiede un combattimento privato o, se gli viene offerto, lo accetta, lo fa con lo scopo ed il tentativo, senza essere costretto da alcuna necessità, di strappare la vita all’avversario o almeno di ferirlo. Le due leggi divine vietano anche di esporre sconsideratamente la propria vita di fronte ad un pericolo grave e manifesto, quando nessun motivo di dovere o di carità magnanima inviti a farlo; e questa cieca temerarietà, con disprezzo per la vita, è chiaramente nella natura del duello. Ecco perché non può essere oscurità o dubbio per nessuno che chi si impegna privatamente in un combattimento singolo incorra nel crimine del sangue altrui ed esponga volontariamente la propria vita. Infine, non c’è flagello più contrario alla disciplina della vita sociale e più distruttivo dell’ordine pubblico di questa licenza concessa ai cittadini di farsi, di propria autorità e con le proprie mani, difensori del proprio diritto e vendicatori dell’onore che ritengono offeso.

3273. Anche per coloro che accettano un combattimento che viene loro offerto, la paura non è una scusa sufficiente, quando temono che se si rifiutano di combattere saranno comunemente considerati dei vigliacchi. Infatti, se i doveri degli uomini dovessero essere misurati in base alle false opinioni della folla, e non in base al criterio eterno di ciò che sia giusto e corretto, non ci sarebbe alcuna differenza naturale e genuina tra le azioni oneste e le azioni vergognose. Gli stessi saggi pagani sapevano e insegnavano che l’uomo forte e coraggioso dovrebbe disprezzare i giudizi fuorvianti della folla. Al contrario, è un giusto e santo timore che allontana l’uomo dall’omicidio iniquo, che lo spinge a preoccuparsi della propria vita e di quella dei suoi fratelli. Inoltre, colui che disprezza i vani giudizi della folla, che preferisce subire il colpo dell’insulto piuttosto che essere mai infedele al suo dovere, quest’uomo possiede chiaramente un’anima più grande e più elevata dell’altro che corre alle armi spinto dall’insulto. Per di più, se giudicato correttamente, egli è anche l’unico in cui risplende un solido coraggio, questo coraggio, dico, che è giustamente chiamato virtù, e che è accompagnato da una gloria che non è né fallace né ingannevole. Perché la virtù consiste nel fare il bene secondo ragione, e se non è basata sull’approvazione di Dio, ogni gloria è stolta.

EnciclicaOctobri mense“, 22 settembre 1891.

Maria mediatrice di grazie.

3274. Quando il Figlio eterno di Dio volle, per la redenzione e l’onore dell’uomo, assumere una natura umana ed a tal fine realizzare, per così dire, un’unione mistica con l’intero genere umano, non lo fece prima che la Madre prescelta avesse dato il suo libero consenso; Ella agiva, per così dire, nella persona del genere umano stesso, secondo la famosissima e verissima opinione dell’Aquinate: “Attraverso l’Annunciazione si attendeva il consenso della Vergine in nome dell’intera natura umana”. Per questo è lecito affermare con non minore verità e precisione che nulla di questo immenso tesoro di ogni grazia portato dal Signore – poiché “la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo” (Gv 1,17) – viene distribuito a noi, per volontà di Dio, se non attraverso Maria, così che, come nessuno possa giungere al Padre se non attraverso il Figlio, così, per così dire, nessuno possa giungere a Cristo se non attraverso la Madre….

3275. Dio ce l’ha donata come Colei alla quale, scegliendola come Madre di suo Figlio, abbia ispirato sentimenti veramente materni che non sono altro che amore e perdono; Gesù Cristo ce l’ha mostrata con la sua azione, volendo liberamente essere sottomesso a Maria e obbedirle come un figlio a sua madre. Così l’ha proclamata sulla croce, quando ha affidato l’intero genere umano alle sue cure e alla sua protezione nella persona del discepolo Giovanni (Gv XIX, 26ss; e così si è presentata, quando ha accettato con tutto il cuore l’eredità dell’immenso lavoro lasciato dal Figlio morente, e si è messa subito all’opera per compiere il suo dovere materno verso tutti.

Risposta del Sant’Uffizio all’Arcivescovo di Friburgo, 27 luglio 1892.

Cremazione dei cadaveri.

3276. Domande: 1. È lecito amministrare gli ultimi Sacramenti a fedeli che certamente non appartengano alla setta massonica e non siano guidati dai suoi principi, ma che, mossi da altri motivi, abbiano ordinato che i loro corpi siano bruciati dopo la loro morte, se non vogliono ritirare questo ordine?

3277. 2 È lecito offrire pubblicamente il Sacrificio della Messa, o anche applicarlo privatamente, per i fedeli che senza colpa siano stati bruciati, e anche accettare fondazioni a questo scopo?

3278. 3 È lecito collaborare alla cremazione dei corpi, sia dando ordini o consigli, sia assistendovi, come nel caso di medici, funzionari od operai che prestano il loro servizio in un crematorio? O questo è lecito almeno se viene fatto in caso di necessità e per evitare un grave pericolo?

4. È lecito dare i Sacramenti a coloro che collaborano in questo modo se non vogliono cessare la loro collaborazione o se dichiarino di non poterlo fare?

3279. Risposte: Per 1: Se dopo l’ammonizione rifiutano: no. Per stabilire se ci debba essere o meno un’ammonizione, si devono osservare le regole tramandate da autori collaudati, facendo attenzione soprattutto ad evitare lo scandalo.

Per 2. Per quanto riguarda l’applicazione pubblica della Messa: no. Per quanto riguarda l’applicazione privata: sì.

Per 3. non è mai permesso collaborare formalmente con un ordine od un consiglio. Tuttavia, la cooperazione materiale può essere tollerata di tanto in tanto, purché – 1. la cremazione non sia considerata come un segno di espressione della setta massonica, – 2. non vi sia contenuto nulla che esprima direttamente e unicamente il rifiuto della dottrina cattolica e l’approvazione della setta, e – 3. non sia stabilito che i funzionari e gli operai cattolici siano richiesti o chiamati a questo lavoro per disprezzare la Religione Cattolica. Anche se in questi casi devono essere considerati in buona fede, devono comunque essere sempre esortati a non cercare di collaborare alla cremazione. Per 4 – È stato chiarito in precedenza. E daremo il decreto del 15/12/1886.

Enciclica “Providentissimus Deus“, 18 novembre 1893.

Autorità per l’interpretazione della Sacra Scrittura.

3280. (Nel suo insegnamento, l’insegnante) farà riferimento alla traduzione della Vulgata, a proposito della quale il Concilio di Trento ha decretato che “nelle lezioni pubbliche, nelle discussioni, nella predicazione e nelle spiegazioni” debba essere ritenuta “autentica” (cf. 1506), e che sia raccomandata anche dalla prassi quotidiana della Chiesa. Tuttavia, si terranno in debito conto anche altre traduzioni che l’antichità cristiana abbia riconosciuto ed utilizzato, in particolare i primi manoscritti. Infatti, se il modo in cui la Vulgata esprime il fatto principale rivela chiaramente il significato ebraico e greco, quando qualcosa sia espresso in modo ambiguo, o meno preciso, sarà utile, come consiglia Agostino, “considerare le lingue precedenti”.

3281. .. Il Concilio Vaticano ha ripreso la dottrina dei Padri quando ha rinnovato il decreto del Concilio di Trento sull’interpretazione della Parola divina scritta e ha dichiarato che la sua volontà è che “nelle questioni di fede e di morale che riguardino lo sviluppo della dottrina cristiana, il vero significato della Sacra Scrittura debba essere assunto come quello che è stato ed è tenuto dalla nostra Madre, la Santa Chiesa, il cui compito è quello di giudicare il vero significato e l’interpretazione della Sacra Scrittura …”; e che, di conseguenza, a nessuno sia permesso di interpretare la Sacra Scrittura in modo contrario a questo significato, né all’unanime consenso dei Padri” (cf. 1507, 3007).

3282. Con questa saggia legge, la Chiesa non ostacola od intralcia in alcun modo l’erudizione biblica; al contrario, la protegge dall’errore e contribuisce potentemente al suo vero progresso. Infatti, ogni dottore privato vede aperto davanti a sé un vasto campo in cui, seguendo una direzione sicura, potrà, nel suo lavoro di interpretazione, lottare in modo notevole e con profitto per la Chiesa. Nei passi della Sacra Scrittura che attendono ancora una spiegazione certa e ben definita, può accadere, grazie ad un benevolo disegno della Divina Provvidenza, che il giudizio della Chiesa venga maturato, per così dire, da uno studio preparatorio; ma per i passi già definiti, il dottore privato potrà svolgere un ruolo altrettanto utile, sia spiegandoli in modo più chiaro alla folla dei fedeli o in modo più ingegnoso ai dotti, sia difendendoli con più forza contro gli avversari. …

3283. In altre materie si seguirà l’analogia della fede e si assumerà come norma suprema la Dottrina cattolica ricevuta dall’Autorità della Chiesa. …

3284 I santi Padri, che “dopo gli Apostoli hanno piantato, irrigato, edificato, nutrito e alimentato la santa Chiesa, che attraverso di loro si è sviluppata”, hanno la massima autorità ogni volta che tutti spieghino, in un modo, un testo della Bibbia riguardante la dottrina della fede e dei costumi: il loro accordo infatti sottolinea chiaramente che si tratti di una tradizione proveniente dagli Apostoli, secondo la fede cattolica. … (L’esegeta) non deve però pensare che la strada gli sia preclusa e che non possa, in presenza di una giusta causa, andare oltre nella sua ricerca e nelle sue spiegazioni, purché segua religiosamente il saggio precetto dato da Agostino di non discostarsi in alcun modo dal significato letterale ed evidente, a meno che non vi sia qualche motivo che gli impedisca di aderirvi o che renda necessario abbandonarlo. …

Risposta del Sant’Uffizio al Vescovo di Srinagar (India), 18 luglio 1894.

Battesimo dei figli di genitori infedeli.

3296. Domande (28 agosto 1886): 1 . I figli di infedeli possono essere battezzati se sono in pericolo (di morte), ma non in punto di morte?

2 . Si possono almeno battezzare questi bambini se non ci sia speranza di rivederli?

3. Se si può prudentemente ipotizzare di battezzare i figli di infedeli. E se si può prudentemente supporre che non sopravviveranno ad una malattia di cui sono attualmente affetti e che moriranno prima dell’età della discrezione?

4 . Possiamo battezzare i figli di non credenti che siano in pericolo (di morte) o in punto di morte, di cui dubitiamo che abbiano raggiunto l’età della discrezione e che non ci sia la possibilità di istruirli nelle realtà della fede?

Risposta: Per 1-3: sì; per 4: i missionari cercheranno di istruirli nel miglior modo possibile, altrimenti devono essere battezzati condizionatamente.

Risposta del Sant’Uffizio all’Arcivescovo di Cambrai, 24 luglio 1895.

Aborto.

3298. Spiegazione: Quando il medico Tizio fu chiamato da una donna incinta che versava in gravi condizioni, scoprì che la malattia che la metteva in pericolo di vita non avesse altra causa che la gravidanza stessa, cioè la presenza del feto nell’utero. Gli venne subito in mente che il modo per salvare la madre da una morte certa era quello di indurre un aborto, cioè di rimuovere il feto dall’utero. Questa era la strada che seguiva abitualmente, utilizzando mezzi e operazioni che non erano di per sé direttamente finalizzati all’uccisione del feto nel grembo materno, ma solo a far sì che, se possibile, il feto venisse al mondo vivo, anche se dovesse morire subito perché ancora totalmente immaturo. Ma dopo aver letto ciò che la Santa Sede ha risposto il 19 agosto 1988 all’Arcivescovo di Cambrai, “e cioè che non si possa insegnare con certezza” che un’operazione che uccide direttamente il feto sia lecita, anche se fosse necessaria per salvare la madre, Tizio ha dei dubbi sulla liceità delle operazioni chirurgiche con cui egli stesso ha talvolta indotto un aborto per salvare donne incinte gravemente malate. Domanda: Tizio chiede se possa tranquillamente eseguire di nuovo le suddette operazioni se si ripetono le circostanze di cui sopra.

Risposta (confermata dal Sommo Pontefice il 25 luglio): No, in base ad altri decreti, cioè quelli del 28 maggio 1884 e del 19 agosto 1889.

Risposta del Sant’Uffizio ad un Vescovo del Brasile, 5 agosto 1896.

Vino da messa.

3312. Presentazione … In questa regione l’uva è così debole e acquosa che per ottenere un vino passabile è necessario mescolare al mosto un po’ di zucchero preso da una pianta chiamata nella lingua locale canna de assugar (canna da zucchero). … Avendo letto… la risposta della Santa Romana e Universale Inquisizione del 25 giugno 1891, mi sono sorti alcuni dubbi:

Domanda: Il vino così prodotto può essere usato con sicurezza per il Santo Sacrificio della Messa?

Risposta (confermata dal Sommo Pontefice il 7 agosto): Al posto dello zucchero estratto dalla canna da zucchero, detta in lingua locale canna de assugar, si può aggiungere l’alcool, purché sia tratto dal frutto della vite e la sua quantità, aggiunta a quella che il vino in questione contiene naturalmente, non superi la proporzione del dodici per cento; questa miscela, tuttavia, deve essere fatta quando la cosiddetta fermentazione tumultuosa abbia cominciato a calmarsi.

Risposta del Sant’Uffizio all’Arcivescovo di Tarragona, 5 agosto 1896.

Vino da Messa.

3313. Domanda: 1. Il vino (da esportare), e in particolare il vino dolce, può essere conservato con l’aggiunta di acquavite di vino o di alcool, senza per questo cessare di essere un materiale adatto al Santo Sacrificio della Messa? 2. È lecito, per celebrare il Santo Sacrificio della Messa, usare vino ricavato da mosto che, prima della fermentazione del vino, sia stato concentrato mediante evaporazione sul fuoco?

Risposta (confermata dal Sommo Pontefice il 7 agosto): 1. purché… l’acquavite di vino sia stata estratta dal frutto della vite, e la quantità di alcool da aggiungere, insieme a quella che il vino in questione contiene naturalmente, non superi la proporzione del diciassette o diciotto per cento, e quando la miscela venga fatta quando la cosiddetta fermentazione tumultuosa abbia cominciato a placarsi, nulla impedisce che questo vino venga usato nel Sacrificio della Messa. Per 2. Questo è permesso a condizione che tale decozione non escluda la fermentazione alcolica e che la fermentazione stessa possa essere e sia ottenuta naturalmente.

Lettera “Apostolicae curae et caritatis“, 13 settembre 1896.

Ordinazioni anglicane.

3315. Nel rito di creazione e amministrazione di ogni Sacramento si distingue giustamente tra la parte cerimoniale e la parte essenziale, che siamo soliti chiamare materia e forma. Tutti sanno che i Sacramenti della Nuova Legge, in quanto segni sensibili ed efficaci di una grazia invisibile, devono significare la grazia che producono e produrre la grazia che significano (cf. 1310; 1606). Anche se questo significato deve essere trovato in tutto il rito essenziale, cioè nella materia e nella forma, esso attiene in particolare alla forma, poiché la materia è in parte indeterminata da sé, ed è la forma che la determina. E questo è ancora più evidente nel Sacramento dell’Ordine, dove, quando viene conferito, la materia, come appare in quel luogo, è l’imposizione delle mani; questa, naturalmente, non significa di per sé nulla di definito, ed è usata per alcuni ordini come per la Cresima.

3316. Ora, le parole che vengono usate ancora oggi dagli anglicani come forma propria dell’ordinazione presbiterale, cioè “Ricevi lo Spirito Santo”, sono ben lontane dal significare in modo definito l’ordinazione al sacerdozio o la sua grazia, e il potere che è principalmente il potere di “consacrare e offrire il vero corpo e sangue del Signore” (cf. 1771) in questo Sacrificio, che non è “la semplice commemorazione del sacrificio fatto sulla croce” (cf. 1753). È vero che a questa forma sisno state aggiunte in seguito le parole “per l’ufficio e la carica di presbitero”; ma ciò suggerisce piuttosto che gli anglicani stessi si siano accorti che questa forma precedente fosse difettosa e non adatta alla materia. Ma questa stessa aggiunta, supponendo che potesse dare alla forma il significato richiesto, fu introdotta troppo tardi, poiché era già passato un secolo dall’adozione dell’Ordinale Eduardianum, in quanto, essendosi estinta la gerarchia, non c’era più alcun potere di ordinare. …

3317. (Questo numero è suddiviso in 3 parti: 3317, 3317a, 3317b).

Lo stesso vale per la consacrazione episcopale. Non solo la formula “Ricevi lo Spirito Santo” è stata completata troppo tardi con le parole “per l’ufficio e la carica di vescovo”, ma, come diremo tra poco, anche queste parole devono essere intese diversamente dal rito cattolico. E non ha senso ricorrere alla preghiera del Prefazio Dio Onnipotente, poiché anche da essa sono state tolte le parole che designano il supremo sacerdozio. Naturalmente, non ha senso indagare qui se l’episcopato sia un complemento del sacerdozio o un ordine distinto da esso, o se quando venga conferito per saltum, cioè a un uomo che non è un sacerdote, abbia o meno un effetto. Ma è indubbio, come appare dalla stessa istituzione di Cristo, che (l’episcopato) è veramente parte del Sacramento dell’Ordine, e che è un sacerdozio in grado eminente; infatti, sia nel linguaggio dei Santi Padri che nel nostro uso liturgico, è chiamato il Supremo Sacerdozio, il vertice del sacro ministero. Ne consegue che poiché il Sacramento dell’Ordine e il vero Sacerdozio di Cristo sono stati completamente banditi dal rito anglicano, e di conseguenza nella consacrazione episcopale di quel rito il sacerdozio non venga in alcun modo conferito, nemmeno l’episcopato possa essere in alcun modo realmente e legittimamente conferito, tanto più che tra le funzioni primarie dell’episcopato c’è quella di ordinare i ministri per la Santa Eucaristia e il Sacrificio.

3317a. Per un giusto e pieno apprezzamento dell’Ordinale anglicano, al di là di ciò che sia stato criticato di alcuni suoi passaggi, non c’è nulla di più importante che considerare adeguatamente le circostanze in cui è stato composto e messo pubblicamente in vigore. Sarebbe troppo lungo passarle in rassegna tutte, né è necessario farlo: la storia di quel periodo mostra abbastanza chiaramente quale spirito animasse gli autori dell’Ordinario nei confronti della Chiesa Cattolica, quale sostegno cercassero dalle sette eterodosse e quale obiettivo perseguissero. Conoscendo bene il necessario legame tra fede e culto, tra la regola della fede e la regola della preghiera, essi distorsero in molti modi l’Ordinale della Liturgia in direzione degli errori dei novatori, con il pretesto di ripristinare la sua forma primitiva. Così, in tutto l’Ordinario, non solo non si parla espressamente di Sacrificio, di Consacrazione, di Sacerdozio, di potere di consacrare e di offrire sacrifici; ma anche le minime tracce di queste realtà, che ancora sussistevano nelle preghiere del rito cattolico non del tutto rigettate, sono state soppresse e cancellate con la cura di cui abbiamo parlato sopra.

3317b. Il carattere e lo spirito originario dell’Ordinario, come si dice, appaiono così di loro iniziativa. Ma poiché esso aveva compreso questo difetto fin dall’inizio, e non poteva in alcun modo essere valido per l’ordinazione, non poteva esserlo nemmeno nei tempi successivi, poiché rimaneva com’era. Invano hanno agito coloro che dal tempo di Carlo I si sono sforzati di ammettere qualcosa del Sacrificio e del Sacerdozio, ed hanno fatto un’aggiunta all’Ordinale; e altrettanto invano si sono sforzati alcuni anglicani che si sono riuniti ultimamente, e che pensano che lo stesso Ordinale possa essere giustamente compreso e ricondotto ad esso. Questi sforzi, diciamo, sono stati e sono vani, e anche per quest’altra ragione, che se nell’Ordinario anglicano, così com’è ora, certe espressioni contengono un doppio significato, non possono ancora assumere il significato che hanno nel Rito cattolico. Infatti, quando si adotta un Rito in cui, come abbiamo visto, il Sacramento dell’Ordine sia stato negato o distorto, e in cui sia stato ripudiato ogni riferimento alla Consacrazione e al Sacrificio, la formula “Ricevi lo Spirito Santo”, cioè lo Spirito che, con la grazia del Sacramento, viene infuso nell’anima, non ha più alcuna consistenza; e allo stesso modo le espressioni “per l’ufficio e la responsabilità di presbitero” o “di vescovo” e altre espressioni simili, non hanno più alcuna consistenza e rimangono come parole senza la realtà che Cristo ha istituito.

3318. A questo profondissimo difetto di forma è collegato un difetto di intenzione, anch’esso richiesto in modo necessario perché ci sia un Sacramento. La Chiesa non giudica il pensiero o l’intenzione, poiché si tratta di qualcosa di intrinsecamente interiore; ma nella misura in cui viene espressa, deve giudicarla. Quando, quindi, qualcuno, per conferire o amministrare un Sacramento, fa un uso serio e regolare del materiale e della forma richiesti, si ritiene, per questo stesso fatto, che abbia chiaramente inteso fare ciò che la Chiesa fa. È su questo principio che si basa la dottrina secondo cui si tratti di un vero Sacramento, anche quando sia stato conferito dal ministero di un eretico o di un non battezzato, purché sia stato conferito secondo il rito cattolico. Quando invece il rito viene modificato con l’intenzione nefasta di introdurne un altro non ricevuto dalla Chiesa, e di rifiutare ciò che la Chiesa fa e che, per istituzione di Cristo, fa parte della natura del Sacramento, allora è chiaro non solo che manca l’intenzione necessaria per il Sacramento, ma anche che ci sia qui un’intenzione contraria ed opposta al Sacramento.

3319. … (I consultori del Sant’Uffizio) furono unanimi nel riconoscere che la causa proposta era stata da tempo pienamente istruita e giudicata dalla Sede Apostolica… (Ma a Noi è sembrato bene) che ciò fosse nuovamente dichiarato in virtù della nostra Autorità… Perciò,… confermando e rinnovando (i decreti dei Pontefici nostri predecessori), pronunciamo e dichiariamo con la Nostra autorità, d’ufficio e con conoscenza certa, che le ordinazioni conferite secondo il rito anglicano sono state e sono assolutamente vane e del tutto nulle”.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (39a.): “Da LEONE XIII A PIO X, 1907”