IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XVIII)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXVIII)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

SECONDA PARTE DEL CATECHISMO:

MORALE (9).

IL IV° COMANDAMENTO DI DIO.

Nel 4° Comandamento Dio ci ordina di onorare i suoi rappresentanti sulla terra, i genitori, e le autorità ecclesiastiche e civili.

I. DOVERI VERSO I GENITORI.

1. DOBBIAMO ONORARE I NOSTRI GENITORI COME RAPPRESENTANTI DI DIO ED I NOSTRI PIÙ GRANDI BENEFATTORI.

In senso stretto, siamo figli solo del Padre celeste. “Non dovete chiamare padre nessuno sulla terra; avete un solo Padre, che è nei cieli. (S. Matth. XXIII, 9). Ma il Padre celeste ci fa nutrire e crescere dai nostri genitori, che sono quindi, i rappresentanti di Dio Creatore nel darci la vita. Dobbiamo quindi onorarli come onoriamo Dio, proprio come il rappresentante di un Capo di Stato con il rispetto dovuto a quel sovrano. Il disprezzo per i genitori si riflette su Dio. Agostino esclamò dopo la sua conversione: “Mio Dio, disprezzando la madre che Voi mi avete dato, ho disprezzato Voi stesso! – I nostri genitori sono i nostri più grandi benefattori. “Quante sofferenze – dice sant’Ambrogio – quante sofferenze ha sopportato tua madre per te! Quante notti insonni, quante privazioni di cibo! Che angoscia quando eri in pericolo! Quali dolori e quali fatiche e lavori ha sopportato tuo padre per guadagnarsi il tuo sostentamento e i tuoi vestiti! E se i tuoi genitori hanno sofferto tanto per te, come potresti essere ingrato nei loro confronti?”. – Lo stesso Figlio di Dio ha onorato sua madre e il suo padre adottivo. “Onorate dunque i vostri genitori – dice Sant’Ambrogio -poiché il Figlio di Dio ha onorato i suoi, ai quali, secondo il Vangelo, era sottomesso. Se Dio ha onorato le sue umili creature, che cosa non dovete voi ai vostri genitori? N.S. era sottomesso ai suoi genitori: amava e onorava sua madre, di cui era il creatore, amava e onorava il suo padre nutrizio, che Lui stesso nutriva. (S. Ger.).

2. NOI DOBBIAMO ONORARE I NOSTRI GENITORI MOSTRANDO LORO RISPETTO, AMORE E SOTTOMISSIONE.

L’onore prescritto da Dio include necessariamente l’obbedienza e l’amore, perché sono inseparabili dall’onore. – L’amore che dobbiamo ai nostri genitori è un amore di gratitudine. “Il primo dovere di un Cristiano è quello di riconoscere i sacrifici dei genitori e la propria preoccupazione per la loro educazione”. (S. Cirillo di Gerus.), – Il rispetto e l’obbedienza sono dovuti alla loro dignità di rappresentanti di Dio. – Il dovere del rispetto e dell’amore dura quanto la vita; quello dell’obbedienza cessa in un determinato momento e in determinate circostanze; i motivi del rispetto e dell’amore restano ma non quelli dell’obbedienza.

Il rispetto per i genitori consiste nel venerarli nel nostro cuore come rappresentanti di Dio, ed esprimere questa venerazione nelle nostre parole e nelle azioni. –

Il rispetto deve essere prima di tutto interiore, perché senza di esso, il rispetto esteriore sarebbe solo ipocrisia. Gesù diede a sua Madre un segno di rispetto alle nozze di Cana; pur dicendole che non era ancora giunto il momento in cui sarebbe apparso come operatore di miracoli, esaudì la sua preghiera, per non gettarle discredito davanti agli invitati. (S. G. Cris.). Coriolano, che aveva giurato la rovina di Roma e le cui suppliche dei senatori e dei pontefici, né l’offerta dei più ricchi doni, avevano avuto successo, alle preghiere di sua madre, vi si prostrò davanti e disse: “Madre! Hai salvato Roma, ma hai perso tuo figlio!”. Levò l’assedio e fu ucciso dai Volsci (491 a.C.). Tuttavia, siamo tenuti a rispettare i nostri genitori, anche se sono poveri e in una posizione inferiore. Giuseppe in Egitto onorò suo padre, anche se era un semplice pastore, presentandolo al Faraone (Gen. XLVII, 7). In presenza di sua madre, che era di bassa estrazione, Salomone si alzò dal trono, la salutò e la fece sedere alla sua destra (III Re XI, 19). Benedetto XI (1303) non permise che la madre gli si presentasse in abiti sontuosi, ella che era una semplice lavandaia; le fece indossare la sua veste di donna comune, e poi la ricevette con rispetto. Anche se i genitori non dovessero condurre una vita edificante, dobbiamo loro rispetto a causa della loro autorità su di noi. Una statua rozza di Gesù non è meno degna di venerazione. Dobbiamo coprire i difetti dei nostri genitori con il manto della carità, cioè sopportarli in silenzio e comportarci come Shem e Japhet nei confronti di Noè, che trovarono in una situazione imbarazzante (Gen. IX, 23). “Loda tuo padre – dice la Sapienza (III, 9) – con parole, azioni e con pazienza!

L’amore dei genitori consiste nella benevolenza e nella beneficenza.

Prima di tutto, dobbiamo amare i nostri genitori perché sono i nostri prossimi (l’immagine di Dio). Ma la carità comune non è sufficiente, abbiamo bisogno di un amore speciale, e questo perché ci amano in modo straordinario (chi ha intenzioni migliori di loro nei nostri confronti?) e ci hanno fatto dono di innumerevoli benefici. L’amore consiste nel volere e fare il bene. Giuseppe in Egitto mostrò gentilezza (tenerezza) al vecchio padre Giacobbe gettandosi al suo collo, baciandolo, piangendo (Gen. XLVI, 29). Ma la tenerezza da sola non è di grande aiuto per i genitori. I genitori si devono amare non solo con le labbra e le parole, ma anche nella verità. (I. S. Giovanni III, 18). Dobbiamo quindi aiutare i genitori nelle loro necessità, nelle loro malattie e pregare per loro. Tommaso Moro, Cancelliere d’Inghilterra, essendo stato giustiziato per la sua fede, per ordine di Enrico VIII, nessuno osò seppellirlo per paura del re. Sua figlia Margherita si assunse questo compito ed il tiranno, toccato da questa pietà filiale, non osò mostrare la sua ira. Troviamo persino negli animali una sorta di affetto per i loro genitori; secondo Plutarco i giovani leoni portano le loro prede ai vecchi leoni decrepiti, e secondo Sant’Ambrogio le giovani cicogne scaldano, scaldano le vecchie, le nutrono e le aiutano a volare. “Figlio mio – dice il Saggio (Sap. III, 14) – prenditi cura di tuo padre nella sua vecchiaia”. Dobbiamo vedere del resto Gesù che, morendo, raccomanda sua madre alle cure di San Giovanni (S. Giovanni XIX, 26).

L’obbedienza ai genitori consiste nell’eseguire i loro ordini legittimi, finché siamo loro soggetti.

“Figlioli, dice San Paolo, obbedite in tutto ai vostri genitori”. (Col. III, 20). Infatti, essendo loro dovere educare i figli, hanno anche il diritto di essere obbediti, così come nello Stato ci sono governanti e governati; non c’è senza ciò, alcun ordine e felicità domestica. I vecchi sono obbligati a possedere la perfezione morale, i giovani sono obbligati a sottomettersi e ad obbedire. (S. Bern.). I bambini, invece, sono obbligati a fare solo ciò che sia loro permesso: se per qualche disgrazia gli ordini dei genitori fossero contrari ad un comandamento di Dio, si dovrebbe applicare la massima degli apostoli: “è giusto obbedire a Dio piuttosto che agli uomini.” – Il re visigoto Leovigilde fece rinchiudere il figlio S. Ermenegildo in una prigione a Siviglia, per aver abbracciato la fede cattolica, e poi inviò un messaggero a S. Ermenegildo per offrirgli il perdono se fosse tornato all’arianesimo. “Dite a mio padre – rispose il giovane principe – che rinuncio al suo perdono, alla corona, persino alla mia vita, piuttosto che rinnegare la mia fede”; e fu giustiziato (586). La stessa storia è raccontata per Santa Barbara, di Santa Perpetua, del giovane S. Vito, ecc. ecc. Se l’obbedienza al nostro padre terreno ci separasse dal Padre celeste, non potremmo prestarla (S. Ambr.). I genitori che ordinano cose illecite minano la loro autorità; tagliano, per così dire, il ramo che li sostiene. Una volta un padre ordinò al figlio di lavorare la domenica, con il pretesto che ciò fosse buono solo per i bambini. “Allora -rispose il figlio – io non sono obbligato ad obbedire nemmeno a te”, il 4° Comandamento vale solo per i bambini piccoli.” – Tuttavia, i genitori non sono più obbligati a dare ai loro figli ordini, quando non sono più sotto il loro potere, e l’obbedienza si estende solo a quelle cose che i genitori hanno il diritto di comandare. (S. Th. Aq.), ma non alla vocazione; essa viene da Dio e non dai genitori, comprende tutta la vita, e quindi lungo un tempo che non cade più sotto l’autorità paterna. San Francesco d’Assisi non permise al padre di costringerlo a intraprendere la carriera del commercio, né Santa Rosa da Lima di entrare nel matrimonio. Questo non significa che i figli non debbano chiedere consiglio ai genitori che hanno più esperienza di vita e sono portati dall’affetto a dare i consigli più sinceri e vantaggiosi. “Figli miei – dice il libro dei Proverbi (1, 8), ascoltate gli insegnamenti di vostro padre! È soprattutto per la vocazione, per la scelta di uno stato di vita.

3. NOI ABBIAMO DOVERI SIMILI NEI CONFRONTI DEI RAPPRESENTANTI DEI NOSTRI GENITORI, I NOSTRI INSEGNANTI, I NOSTRI SUPERIORI, VERSO GLI ANZIANI.

Dobbiamo rispettare gli anziani: alzarci davanti a loro (Lev. XIX, 32), lasciarli parlare per prima (Sap. XXXII, 4). Gli Spartani tenevano in grande onore i vecchi: un vecchio venne un giorno ad assistere ai giochi olimpici e nessuno si alzò al suo passaggio, tranne gli spartani, che si alzarono tutti per fargli posto. Di Alessandro Magno si dice anche che un giorno, mentre era seduto al fuoco del bivacco, vide un vecchio soldato che tremava per il freddo; si alzò, andò a prenderlo e lo mise in modo che potesse riscaldarsi. Il consiglio di un vecchio è degno di nota; da lui impariamo la saggezza e la prudenza. (Sap. VIII, 9). La gioventù è sconsiderata ma la vecchiaia è prudente ed esperta. Gli anziani consigliarono a Roboamo, figlio di Salomone, di cedere ai desideri del popolo; egli preferì ascoltare gli stolti consigli dei suoi giovani compagni e disse al popolo: “Mio padre vi ha picchiato con le verghe, io vi flagellerò con punte di ferro”. Il risultato fu che 10 tribù si separarono da lui(III Re, XII). Dio stesso aveva istituito tra gli Israeliti un consiglio di 70 anziani (Num. IV, 29); i Romani erano governati dal senato (dal latino senex, vecchio); i Lacedemoni dai Gerontes (vecchio). – Non disprezziamo mai la vecchiaia, perché anche noi vogliamo raggiungerla (Sap. VIII, 9). – I bambini che si burlavano del profeta Eliseo a causa della sua testa calva vennero lacerati dagli orsi. (IV. Re IV). Si deve essere indulgenti verso le debolezze degli anziani, non dire mai una parola dura nei loro confronti, ma parlare loro come ad un padre. (1. Tim. V, 1).

4. DIO HA PROMESSO AI FIGLI CHE RISPETTANO I GENITORI, UNA LUNGA VITA, LA FELICITÀ E LA SUA BENEDIZIONE QUAGGIÙ.

Al Sinai, Dio promise come ricompensa per l’osservanza del 4° comandamento una vita lunga (Es. XX, 12) e S. Paolo assicura la felicità sulla terra a coloro che onorano i loro genitori. (Ef. VI, 3). Giuseppe era molto sottomesso a Giacobbe, che lo preferiva ai suoi fratelli; divenne padrone dell’Egitto e raggiunse l’età di 110 anni (Gen, 4). Se noi amiamo coloro che ci hanno dato la vita, saremo ricompensati con una lunga vita. Un soldato che ha ricevuto un feudo dal suo sovrano merita di mantenerlo finché continua a servire; ma la vita è come il feudo dei nostri genitori, quindi meritiamo di mantenerlo finché li onoriamo. (S. Th. Aq.). Onorare i propri genitori significa onorare la propria età. Dio proporziona la ricompensa al buon lavoro: concede ai figli rispettosi la vecchiaia, che è una vera felicità, perché è l’occasione per accumulare grandi meriti per l’eternità. Nell’Antico Testamento, una lunga vita era una ricompensa tanto più desiderabile perché accorciava il tempo di attesa nel limbo. – Nel Nuovo Testamento, una morte prematura ma santa non è una deroga alla parola di Dio, al contrario, perché questa morte ci porta alla vita eterna. (Ger.) Inoltre, una vita innocente è già una vita lunga, secondo le parole della Scrittura: “una vita senza macchia è una vecchiaia” (Sap. IV, 9), e Dio spesso prende un figlio buono in gioventù, affinché la malvagità del mondo non perverta il suo cuore. (Id. 11). – La benedizione dei genitori sui figli ha effetti salutari; lo vediamo nella benedizione di Noè sui suoi figli Shem e Giafet, il primo dei quali era un antenato del Messia ed il secondo, il ceppo degli europei, la razza cristiana e civilizzata; da quella di Tobia sul figlio prima del suo viaggio. Onora tuo padre perché ti benedica; questa benedizione è il fondamento della casa dei figli (Eccli. III, 10). Chi onora la madre raccoglie tesori per sé (id. 5) ed il bene fatto al padre non sarà mai dimenticato (Id. 15). Molti figli rispettosi raggiungono la fortuna, gli onori (Giuseppe in Egitto) o almeno la vera felicità interiore, perché è meglio essere beati e felici che essere ricchi. (S. Ambr.). – Coloro che onorano i propri genitori hanno “essi stessi figli ben educati che sono la loro felicità. (Eccli. III, 6 e S. P. Dam.),

Peccati contro il 4° comandamento di Dio.

1. SI PECCA CONTRO QUESTO COMANDAMENTO QUANDO SI MANCA AI GENITORI DI RISPETTO, AFFETTO, OD OBBEDIENZA.

Disprezziamo i nostri genitori quando siamo scortesi con loro, quando rispondiamo loro male, arrossiamo di loro, ecc. Cham rise di suo padre Noè, quando quest’ultimo, sorpreso dal vino che non conosceva, si addormentò nella sua tenda senza vestiti sufficienti (Gen. IX.; Noè maledisse lui e i suoi discendenti, che oggi popolano l’Africa e languono nel paganesimo più barbaro. – Si manca di affetto verso i propri genitori quando li si odia, li si trascura nel momento del bisogno, li si deruba, ecc. I figli di Giacobbe rattristarono il loro padre vendendo Giuseppe e lo ingannarono (Gen. XXVII). Assalonne cospirò contro suo padre sotto la porta del palazzo, lo ingannò quando si ritirò ad Ebron e si ribellò a lui (II. Re XV-XVIII). – I figli di Eli peccarono contro di lui per disobbedienza. (I Re II).

2. DIO MINACCIA I FIGLI CATTIVI DI DISGRAZIE E DISONORE QUI SULLA TERRA, UNA MORTE INFELICE E LA DANNAZIONE ETERNA.

La punizione è molto severa, perché è un grande crimine essere ingrato verso i più degni benefattori. S. Agostino racconta che a Cesarea in Cappadocia i due figli di una vedova che avevano insultato e maltrattato la loro madre furono immediatamente colpiti con un tremito di tutte le membra, e che vagarono per il mondo finché non furono guariti a Ippona, sua città episcopale, dalle reliquie di S. Stefano. (Città di Dio, XXII, 8). Chi dimentica il proprio padre e la propria madre sarà dimenticato Dio e sarà consegnato al disonore. (Eccli. XXIII, 19). Come un albero che non porta frutto, così il giovane che è stato disobbediente sarà senza onore nella sua vecchiaia (S. Cipr.). – I cattivi figli spesso muoiono di una morte miserabile come i figli di Héli, che perirono in battaglia (I. Re IV, 11); perfido Assalonne, che combatté contro il padre, fu sconfitto e rimase nella disfatta appeso per i capelli a un albero, dove fu trafitto da Joab con tre giavellotti (II. Re XVIII). – Dio punisce eternamente i figli cattivi. Se si dimostra rigoroso verso coloro che avranno mancato di carità verso i semplici estranei, tanto più sarà terribile per coloro che hanno mancato di affetto verso i loro genitori. (S. Bernardino). Chi non obbedisce ai genitori, dice San Paolo (Rm 1,30), è degni di morte. Sia maledetto colui che non onora il padre e la madre (Es. XXI, lô) e l’occhio di chi li disprezza sia strappato dal corvo e divorato dall’aquila (Prov. XXX, 14). Il popolo, diceva un comando formale di Dio a Mosè, lapiderà un figlio disobbediente e recalcitrante alle ingiunzioni di suo padre e di sua madre affinché tutto Israele loconosca e sia pieno di timore. (Deut. XXI, 18-21). – Per un giusto castigo della Provvidenza, i figli malvagi spesso hanno a loro volta figli malvagi che li maltrattano; questo è un fatto di esperienza. Siamo puniti dove uno ha peccato (Sap. XI, 17). Cham si era preso gioco di suo padre, e dei suoi discendenti, divennero così empi che Dio ordinò la loro distruzione. (Gen. IX).

CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XIX)

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO_ S.S. PIO XII – “IN MULTIPLICIBUS CURIS”

La questione palestinese è stata da tempo problematica, come tragicamente vediamo oggi, ed il Santo Padre – padre amorevole di ogni uomo – aveva cercato, con questa lettera Enciclica, di porvi argine con il suo pensiero cristiano, sollecitando preghiere e buona volontà da parte di tutti. Tutto è risultato inutile per chi ascolta solo la voce del demone dell’odio che oggi trionfa incontrastato, anzi incoraggiato anche da chi dovrebbe allontanarlo dal gregge di Cristo, dai finti ed apostati chierici in balia delle sollecitazioni dei fumi dell’inferno ove precipitano tutti i loro incauti fedeli. Quanto male e sofferenze inaudite lontano dalla grazia divina, da Cristo, dalla sua vera Chiesa e dal suo unico e vero Vicario. Tutto permette però il Signore a nostro castigo e correzione e soprattutto perché dal male Egli sa trarre maggior bene da godere nella vita eterna nella sua Beatitudine, la visione intuitiva di Dio. Che il Signore la conceda, per intercessione della SS. Vergine, a tutti coloro che Lo amano con cuore sincero e fede indomita, al pusillus grex che soffre ed offre le proprie sofferenze e la propria croce per la salvezza dell’umanità.

PIO XII

LETTERA ENCICLICA

IN MULTIPLICIBUS CURIS

NUOVE PUBBLICHE PREGHIERE
PER LA PACIFICAZIONE DELLA PALESTINA

Tra le molteplici preoccupazioni che Ci assillano in questo periodo di tempo tanto pieno di conseguenze decisive per la vita della grande famiglia umana e che Ci fanno sentire così grave il peso del supremo Pontificato, occupa un posto particolare quella che Ci è causata dalla guerra che sconvolge la Palestina. In piena verità possiamo dirvi, venerabili fratelli, che né lieta né triste vicenda riesce ad attenuare il dolore mantenuto vivo nel Nostro animo dal pensiero che sulla terra su cui il Signore nostro Gesù Cristo versò il suo sangue per apportare a tutta quanta l’umanità la redenzione e la salvezza, continua a scorrere il sangue degli uomini; che sotto i cieli nei quali echeggiò nella fatidica notte l’evangelico annunzio di pace si continua a combattere, si accresce la miseria dei miseri e il terrore degli atterriti, mentre migliaia di profughi, smarriti e incalzati, vagano lontano dalla patria in cerca di un ricovero e di un pane.

A rendere più cocente questo Nostro dolore contribuiscono non solo le notizie che continuamente Ci giungono di distruzioni e di danni causati agli edifici sacri e di beneficenza sorti attorno ai luoghi santi, ma anche il timore ch’esse Ci ispirano per la sorte di questi stessi luoghi, disseminati in tutta la Palestina e in maggior numero sul suolo della città santa, che furono santificati dalla nascita, dalla vita e dalla morte del Salvatore. Non è necessario assicurarvi, venerabili fratelli, che posti in mezzo allo spettacolo di tanti mali e alla previsione di mali maggiori, Noi non Ci siamo rinchiusi nel Nostro dolore, ma abbiamo fatto quanto era in Nostro potere per cercare di apportarvi rimedio. – Parlando, prima ancora che il conflitto armato avesse inizio, ad una delegazione di notabili arabi venuta a renderCi omaggio, manifestammo la Nostra viva sollecitudine per la pace in Palestina e, condannando ogni ricorso ad atti violenti, dichiarammo che essa non poteva realizzarsi se non nella verità e nella giustizia, cioè nel rispetto dei diritti di ognuno, delle tradizioni acquisite, specialmente nel campo religioso, come pure nello stretto adempimento dei doveri e degli obblighi di ciascun gruppo di abitanti. Dichiarata la guerra, senza discostarCi dall’attitudine di imparzialità impostaCi dal Nostro ministero apostolico che Ci colloca al di sopra dei conflitti dai quali è agitata la società umana, non mancammo di adoperarci, nella misura che dipendeva da Noi e secondo le possibilità che si sono offerte, per il trionfo della giustizia e della pace in Palestina e per il rispetto e la tutela dei luoghi santi. Nel tempo stesso, sollecitati dai numerosi e urgenti appelli quotidianamente rivolti a questa sede apostolica, abbiamo cercato di venire per quanto possibile in soccorso delle infelici vittime della guerra, inviando a tal fine ai Nostri rappresentanti in Palestina, nel Libano e in Egitto i mezzi a Nostra disposizione, e incoraggiando il sorgere e l’affermarsi, tra i Cattolici nei vari paesi, di iniziative tendenti allo stesso scopo. Convinti, peraltro, della insufficienza dei mezzi umani per l’adeguata soluzione di una questione di cui tutti possono vedere l’eccezionale complessità, abbiamo soprattutto fatto costantemente ricorso al grande mezzo della preghiera, e nella Nostra recente lettera enciclica Auspicia quaedam vi invitammo, venerabili fratelli, a pregare e a far pregare i fedeli affidati alla vostra sollecitudine pastorale, affinché, sotto gli auspici della Vergine santissima, «conciliate le cose nella giustizia, ritornassero felicemente in Palestina la concordia e la pace». – Sappiamo che il Nostro invito non vi è stato rivolto invano. Né ignoriamo che, mentre con le Nostre suppliche e con la Nostra opera Ci adoperavamo in unione con il mondo cattolico per la pace in Palestina, uomini di buona volontà hanno moltiplicato nello stesso intento, senza badare a pericoli e sacrifici, nobili sforzi ai quali Ci è grato rendere omaggio. Tuttavia, il perdurare del conflitto e l’accrescersi ininterrotto delle rovine morali e materiali che inesorabilmente lo accompagnano, Ci inducono a rinnovarvi, venerabili fratelli, con accresciuta insistenza il Nostro invito, nella speranza che esso venga accolto non solo da voi, ma anche da tutto il mondo cristiano. – Come dichiarammo il 2 giugno scorso ai membri del sacro collegio dei Cardinali, mettendoli a parte delle Nostre ansietà per la Palestina, Noi non crediamo che il mondo cristiano potrebbe contemplare indifferente o in una sterile indignazione quella terra sacra, alla quale ognuno si accostava col più profondo rispetto per baciarla col più ardente amore, calpestata ancora da truppe in guerra e colpita da bombardamenti aerei; non crediamo che esso potrebbe lasciar consumare la devastazione dei luoghi santi, sconvolgere il sepolcro di Gesù Cristo. Siamo pieni di fiducia che le fervide suppliche che si innalzano a Dio onnipotente e misericordioso dai Cristiani sparsi nel vasto mondo, insieme con le aspirazioni di tanti nobili cuori ardentemente solleciti del vero e del bene, possano rendere meno arduo agli uomini che reggono i destini dei popoli il compito di far sì che la giustizia e la pace in Palestina divengano una benefica realtà e, con l’efficace cooperazione di tutti gli interessati, si crei un ordine che garantisca a ciascuna delle parti al presente in conflitto, la sicurezza dell’esistenza e insieme condizioni fisiche e morali di vita capaci di fondare normalmente uno stato di benessere spirituale e materiale. – Siamo pieni di fiducia che queste suppliche e queste aspirazioni indice del valore che ai luoghi santi annette così gran parte della famiglia umana, rafforzino negli alti consessi, nei quali si discutono i problemi della pace, la persuasione dell’opportunità di dare a Gerusalemme e dintorni, ove si trovano tanti e così preziosi ricordi della vita e della morte del Salvatore, un carattere internazionale che, nelle presenti circostanze, sembra meglio garantire la tutela dei santuari. Così pure occorrerà assicurare con garanzie internazionali sia il libero accesso ai luoghi santi disseminati nella Palestina, sia la libertà di culto e il rispetto dei costumi e delle tradizioni religiose. – E possa così sorgere presto il giorno in cui gli uomini abbiano di nuovo la possibilità di accorrere in pio pellegrinaggio ai luoghi santi per ritrovare svelato in quei monumenti viventi dell’Amore, che si sublima nel sacrificio della vita per i fratelli, il grande segreto della pacifica convivenza umana. Con questa fiducia, Noi impartiamo di cuore a voi, venerabili fratelli, ai vostri fedeli e a tutti coloro che accoglieranno con animo volonteroso questo Nostro appello, in auspicio dei divini favori e come pegno della Nostra benevolenza, l’apostolica benedizione.

Castel Gandolfo, presso Roma, 24 ottobre 1948, anno X del Nostro pontificato.

PIO PP. XII

DOMENICA XXIII DOPO PENTECOSTE (2023)

DOMENICA XXIII DOPO PENTECOSTE (2023)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. – Paramenti verdi.

Questa Domenica negli anni in cui la Pasqua cade il 24, o il 25 Aprile si anticipa al Sabato (rispettiv. 19, 20 Nov.) con tutti i privilegi della Domenica occorrente, cioè Gloria, Credo, Prefazi della Trinità e Ite Missa est per lasciar luogo rispettivamente nei giorni 20, 21 Novembre alla Domenica ultima dopo Pentecoste. Il tempo dopo Pentecoste è simbolo del lungo pellegrinaggio della Chiesa verso il cielo; le ultime Domeniche ne descrivono profeticamente le ultime tappe. In quest’epoca si leggono nel Breviario gli scritti dei grandi e dei piccoli Profeti, che annunziano quello che accadrà alla fine del mondo. Quando i Caldei ebbero condotti gli Israeliti in cattività a Babilonia, Geremia percorse le rovine di Gerusalemme, ripetendo le sue Lamentazioni « Guarda, Signore, poiché è caduta nella desolazione la città che una volta era piena di ricchezza, la padrona delle nazioni è assisa nella tristezza. Essa amaramente piange durante la notte e le sue lagrime scorrono sulle sue gote » (3° Responsorio, 1a Dom. Nov.; Antit. del Magnificat, 2a Dom.). E profetizzò il doppio avvento del Messia che restaurerà tutte le cose. « Il Signore ha riscattato il suo popolo e lo ha liberato; e verranno ed esulteranno sul monte Sion e si rallegreranno dei beni del Signore » (1° Responsorio, lunedì 2a settimana). Fra i prigionieri condotti a Babilonia si trovava un sacerdote detto Ezechiele. Egli aveva annunziato la cattività che stava per ricadere su Israele: « Ora la fine è su di te e manderò contro di te il mio furore; e ti giudicherò secondo la tua vita e non avrò pietà » (1a Lezione, Mercoledì, 1a settimana). E nell’esilio egli profetizzò: « Le nostre iniquità e i nostri peccati sono sopra di noi; come dunque possiamo vivere? Ma il Signore ha detto: Non voglio la morte dell’empio, ma che egli si tolga dalla cattiva strada e viva. – Distoglietevi dalle vostre male vie e non morrete » (3a lezione, Lunedì 2a settimana). Dio mostrò al profeta in una visione, il futuro su di un’alta montagna e gli indicò il culto perfetto che Egli attendeva dal suo popolo quando lo condurrebbe verso i colli eterni di Sionne (7a lezione Venerdì 2a settimana). Daniele, che era pure tra i prigionieri di Babilonia, spiegò il sogno di Nabucodonosor, dicendo che la piccola pietra che, dopo aver fatto cadere la statua d’oro, d’argento, di ferro e di argilla, diventò una grande montagna, è figura di Cristo, il regno del quale, consumerà tutti gli altri regni e sussisterà eternamente (Lunedì 3° settimana). – Le guarigioni e le risurrezioni corporali, compiute dal Signore, sono la figura della nostra liberazione e della nostra risurrezione futura: Da tutte le parti ricondurrò i prigionieri » dice Geremia nell’Introito « Tu hai fatto cessare la cattività di Giacobbe » aggiunge il Versetto dell’Introito « Signore, tu ci hai liberato da coloro che ci odiavano » continua il Graduale: « Dal fondo dell’esilio le nazioni hanno infatti gridato verso il Signore, supplicandolo di ascoltare la loro preghiera » spiegano l’Alleluia e l’Offertorio e, come in Dio vi è un’abbondante redenzione, egli riscatterà il suo popolo da tutte le sue iniquità » (stesso Salmo, vers. 7 e 8). Preghiamo dunque con fiducia, poiché se Gesù risuscitò la figlia di Giairo e guarì l’emorroissa, ciò fu fatto secondo la parola del Signore: « Tutto quello che domanderete, lo riceverete ». Quale terrore quando il Giudice verrà ad esaminare rigorosamente ognuno!… dice la Sequenza dei Defunti. La tromba squillerà fra le tombe e convocherà tutti gli uomini davanti al Cristo. La morte e la natura resteranno interdette quando la creatura risorgerà per rispondere al giudizio divino. Allorché l’eterno Giudice siederà sul suo seggio, tutto quello che è nascosto sarà palesato e nulla resterà impunito. Giusto Giudice, nella tua clemenza accordami grazia e perdono prima del giorno del rendiconto ». Nelle ultime parole dell’Epistola odierna, l’Apostolo allude al libro di vita ove sono scritti i nomi dei Cristiani che la loro condotta esemplare rende degni della vita eterna. Gesù resuscita la figlia di Giairo con la stessa facilità con la quale noi svegliamo una persona che dorme. Così la sua divin virtù resusciterà i nostri corpi l’ultimo giorno.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum ✠ in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, ✠ absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Jer XXIX: 11; 12; 14
Dicit Dóminus: Ego cógito cogitatiónes pacis, et non afflictiónis: invocábitis me, et ego exáudiam vos: et redúcam captivitátem vestram de cunctis locis.

[Dice il Signore: Io ho pensieri di pace e non di afflizione: mi invocherete e io vi esaudirò: vi ricondurrò da tutti i luoghi in cui siete stati condotti.]

Ps LXXXIV: 2
Benedixísti, Dómine, terram tuam: avertísti captivitátem Jacob.

[Hai benedetta la tua terra, o Signore: hai distrutta la schiavitú di Giacobbe.]

Dicit Dóminus: Ego cógito cogitatiónes pacis, et non afflictiónis: invocábitis me, et ego exáudiam vos: et redúcam captivitátem vestram de cunctis locis.

[Dice il Signore: Io ho pensieri di pace e non di afflizione: mi invocherete e io vi esaudirò: vi ricondurrò da tutti i luoghi in cui siete stati condotti.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Absólve, quǽsumus, Dómine, tuórum delícta populórum: ut a peccatórum néxibus, quæ pro nostra fraglitáte contráximus, tua benignitáte liberémur.

[Perdona, o Signore, Te ne preghiamo, i delitti del tuo popolo: affinché dai vincoli del peccato, contratti per lo nostra fragilità, siamo liberati per la tua misericordia.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Philippénses.
Phil III: 17-21; IV: 1-3

Fratres: Imitatóres mei estóte, et observáte eos, qui ita ámbulant, sicut habétis formam nostram. Multi enim ámbulant, quos sæpe dicébam vobis – nunc autem et flens dico – inimícos Crucis Christi: quorum finis intéritus: quorum Deus venter est: et glória in confusióne ipsórum, qui terréna sápiunt. Nostra autem conversátio in cœlis est: unde etiam Salvatórem exspectámus, Dóminum nostrum Jesum Christum, qui reformábit corpus humilitátis nostræ, configurátum córpori claritátis suæ, secúndum operatiónem, qua étiam possit subjícere sibi ómnia. Itaque, fratres mei caríssimi et desideratíssimi, gáudium meum et coróna mea: sic state in Dómino, caríssimi. Evódiam rogo et Sýntychen déprecor idípsum sápere in Dómino. Etiam rogo et te, germáne compar, ádjuva illas, quæ mecum laboravérunt in Evangélio cum Cleménte et céteris adjutóribus meis, quorum nómina sunt in libro vitæ.

(“Fratelli: Siate miei imitatori, e ponete mente a coloro che si diportano secondo il modello che avete in noi. Poiché ci sono molti dei quali spesse volte vi ho parlato; e adesso vene parlo con lacrime, i quali si diportano da nemici della croce di Cristo: la loro fine è la perdizione; il loro Dio è il ventre: si vantano in ciò che forma la loro confusione, e non han gusto che per le cose terrene. Noi, invece, siamo cittadini del cielo, da dove pure aspettiamo, come Salvatore, il nostro Signor Gesù Cristo, il quale trasformerà il nostro miserabile corpo, rendendolo conforme al suo corpo glorioso; per quella potenza che ha di poter anche assoggettare a sé ogni cosa. Pertanto, miei fratelli carissimi e desideratissimi, mio gaudio e mia corona, continuate a star così fermi nel Signore, o amatissimi. Prego Evodia ed esorto Sintiche ad avere gli stessi sentimenti nel Signore. E prego anche te, fedel compagno, di venir loro in aiuto: esse hanno combattuto con me per il Vangelo, insieme con Clemente e con gli altri miei collaboratori, i cui nomi sono nel libro della vita”.).

LA NUOVA IDOLATRIA.

Ecco: voi siete convinti, credo tutti, che l’idolatria abbia fatto il suo tempo; il Cristianesimo l’ha seppellita. E se io vi dicessi che v’è ancora, che vive, forse vi scandalizzereste e, scandalizzati, mi dareste su la voce. E invece ecco qua San Paolo che ci parla di una idolatria diversa da quella che adorava Giove, Saturno… ma non meno verace idolatria di quella. E ce la presenta come l’abisso nel quale precipitano i nemici della Croce di Gesù Cristo. Questi nemici sono due; singolarmente due passioni, due stati d’animo: due gruppi di persone in questi stati d’animo: il piacere e l’orgoglio. L’orgoglio odia la Croce di Gesù Cristo, perché essa è simbolo e personificazione di umiltà. « Umiliò se stesso alla obbedienza della Croce » dice San Paolo, parlando di N. S. Gesù Cristo. Ma per ciò gli orgogliosi non lo tollerano, par loro un’ignominia, un avvilimento. Parlano con sdegno della servitù o schiavitù della Croce… Abbiamo ancora nell’orecchio le frasi blasfeme del poeta pagano. Gesù, egli il pagano poeta, lo vede nell’atto di gettare una Croce sulle spalle di Roma, dicendole, intimandole: portala e servi. E coll’orgoglio fa comunella contro la Croce il piacere, contro la Croce che canta l’inno austero del dolore, che gronda lagrime, lagrime amare. C’è un mondo che vuol divertirsi, che intuisce la vita come voluttà, come piacere. La Croce a questo mondo di uomini sensuali fa paura. Non la vogliono, le si ribellano, la respingono. Ma le passioni che li allontanano dalla Croce diventano il loro castigo, la divina nemesi della loro apostasia. La sensualità vince gli uomini del piacere, che, del piacere, diventano schiavi. E allora il loro Dio, il loro padrone, colui al quale tutto sacrificano e che non sacrificherebbero mai, in nulla e per nulla, il loro Dio è il ventre. Si riducono a vivere per mangiare, invece di mangiare per vivere e vivere per Dio. O se il loro Dio, il loro tiranno, il loro ideale non è il cibo con la bevanda relativa, è l’abito, la vanità nel vestire, o la casa comoda, sfarzosa, sempre la materia. Alla quale servono proni, supinamente proni, invece di servirsene. Il loro Dio è il ventre, dice San Paolo, che ha poche nebbie al suo pensiero e pochi peli sulla lingua quando il suo pensiero nitido si tratta di esprimerlo: « quorum Deus venter est ». Bella divinità! Valeva la pena di ribellarsi a Gesù Cristo, alla sua Croce, per cadere così in basso? Per gli orgogliosi c’è un altro destino, un altro castigo. L’orgoglioso diventa lo schiavo di se stesso, rimane solo in balìa di sé, delle sue esaltazioni tumide. Il suo Dio è il suo io, l’ipertrofia del suo io. L’umanità è bella, buona, ma a posto suo, come, del resto, ogni cosa di questo mondo. Fuor di posto, messa al posto di Dio, fa pessima figura e si guasta. La domestica sta bene al posto suo proprio, la serva-padrona è ridicola e funesta a sé e agli altri. È la sorte della umanità divinizzata, e la divinizzazione dell’umanità è la logica della superbia, dell’orgoglio nemico della umile Croce di Gesù Cristo. Il confusionismo è poi la risultante di questo orgoglio, confusionismo di idee e confusionismo di opere. – E quando si contemplano i due abissi a cui mettono capo l’orgoglio e la sensualità dei nemici del Cristianesimo, viene voglia non solo di prostrarsi con rinnovato fervore di adorazione davanti alla Croce, ma di abbracciarla e baciarla ripetendo: «O Crux, ave spes unica! »

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939. (Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch. Mediolani, 1-3-1938)

 Graduale

Ps XLIII: 8-9
Liberásti nos, Dómine, ex affligéntibus nos: et eos, qui nos odérunt, confudísti.

[Ci liberasti da coloro che ci affliggevano, o Signore, e confondesti quelli che ci odiavano.]


In Deo laudábimur tota die, et in nómine tuo confitébimur in saecula. Allelúja, allelúja.

[In Dio ci glorieremo tutto il giorno e celebreremo il suo nome in eterno..]

Alleluja

Allelúia, allelúia

Ps CXXIX: 1-2
De profúndis clamávi ad te, Dómine: Dómine, exáudi oratiónem meam. Allelúja.

[Dal profondo Ti invoco, o Signore: o Signore, esaudisci la mia preghiera. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Matthǽum.
Matt IX: XVIII, 18-26
In illo témpore: Loquénte Jesu ad turbas, ecce, princeps unus accéssit et adorábat eum, dicens: Dómine, fília mea modo defúncta est: sed veni, impóne manum tuam super eam, et vivet. Et surgens Jesus sequebátur eum et discípuli ejus. Et ecce múlier, quæ sánguinis fluxum patiebátur duódecim annis, accéssit retro et tétigit fímbriam vestiménti ejus. Dicébat enim intra se: Si tetígero tantum vestiméntum ejus, salva ero. At Jesus convérsus et videns eam, dixit: Confíde, fília, fides tua te salvam fecit. Et salva facta est múlier ex illa hora. Et cum venísset Jesus in domum príncipis, et vidísset tibícines et turbam tumultuántem, dicebat: Recédite: non est enim mórtua puélla, sed dormit. Et deridébant eum. Et cum ejécta esset turba, intrávit et ténuit manum ejus. Et surréxit puélla. Et éxiit fama hæc in univérsam terram illam.

“In quel tempo, mentre Gesù parlava alle turbe, ecco che uno de’ principali se gli accostò, e lo adorava, dicendo: Signore, or ora la mia figliuola è morta; ma vieni, imponi la tua mano sopra di essa, e vivrà. E Gesù alzatosi, gli andò dietro co’ suoi discepoli. Quand’ecco una donna, la quale da dodici anni pativa una perdita di sangue, se gli accostò per di dietro, e toccò il lembo della sua veste. Imperocché diceva dentro di sé: Soltanto che io tocchi la sua veste, sarò guarita. Ma Gesù rivoltosi e miratala, le disse: Sta di buon animo, o figlia; la tua fede ti ha salvata. E da quel punto la donna fu liberata. Ed essendo Gesù arrivato alla casa di quel principale, e avendo veduto i trombetti e una turba di gente, che faceva molto strepito, diceva: Ritiratevi; perché la fanciulla non è morta, ma dorme. Ed essi si burlavano di lui. Quando poi fu messa fuori la gente, egli entrò, e la prese per una mano. E la fanciulla si alzò. E se ne divulgò la fama per tutto quel paese”

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI  ediz. Soc. Ed. Vita e pensiero – Milano).

LA COMUNIONE FREQUENTE (*)

(*) Comunione sacramentale o – per chi non è certo di potere accedere ad un Sacramento valido e lecito – spirituale.

Nella sala del banchetto si fece un silenzio improvviso. Un uomo, ansimando com’uno che arrivi di corsa, entrò: aveva il viso pallido e sconvolto, aveva gli occhi umidi di lacrime, aveva nella voce un singhiozzo che tremava. Era Giairo, il capo della sinagoga: e l’unica figlia dodicenne di cui era padre gli moriva in casa. Dimenticando la sua dignità personale, non pensando ai Farisei che lo potevano spiare, sospinto solo dalla bufera del suo grande dolore, cercava Gesù dovunque si fosse. L’infelice lo guardò trovava ora, a banchetto, nella casa del pubblicano Levi. Lo vide, lo guardò, sì gettò in terra, l’adorò e gli disse. « Signore! La mia bambina muore. Forse è già morta. Te ne supplico: vieni a casa mia, toccala con la tua mano e vivrà ». La fede di quell’uomo che domandava la resurrezione di sua figlia, come fosse la cosa più semplice del mondo, commosse Gesù, che lasciò la mensa e gli andò dietro. Intanto molta gente aveva saputo la cosa ed accorreva per vedere risuscitare un morto. E l’aveva saputo anche una povera donna che da dodici anni soffriva perdite di sangue. Aveva sprecato tutto un patrimonio in medici e medicine senza risultato alcuno; ché anzi il male suo era venuto aggravandosi sempre più. Se Gesù sapeva risuscitare i morti, forse che non avrebbe saputo guarirla dal suo male? Ma come parlargli in faccia a tutti, come fermarlo in quei momenti di ressa? Una gran fede la ispirò. Si gettò in mezzo all’onda fluttuante del popolo e riuscì a giungere vicino al Signore. « Oh, se riuscissi, — pensava — a toccare anche l’estremo lembo del suo mantello, sarei guarita! » Tremando s’accostò, di dietro, e protese la mano fino a sfiorare il suo vestimento. In quest’istante una commozione profonda la sconvolse fibra a fibra e comprese d’essere guarita. Gesù si rivolse e la vide: « Figlia, — le disse — confida che la tua fede, oggi ti ha guarita ». Com’è bella questa pagina di Vangelo, piena di sprazzi di fede come un cielo di marzo è pieno di raggi di sole. Non è sulla persona dell’emoroissa che ci fermeremo a pensare: a noi poco interessa sapere se fosse Marta sorella di Lazzaro come vuole S. Ambrogio, o se fosse la Veronica, quella che asciugherà il volto del Signore, quella che insorgerà nel pretorio di Pilato a difendere Gesù, come appare nei vangeli apocrifi. Non questo c’interessa: ma è il desiderio bruciante che spingeva verso il Maestro le anime di Giairo e della donna che ci deve far riflettere e forse piangere sopra la nostra freddezza. Noi siamo indifferenti verso Gesù forse perché a casa nostra non c’è nessuno che muore; ma dite, non muore l’anima nostra quando commettiamo, peccato? Forse perché noi siamo malati; ma, dite, non sono malattie quelle cattive abitudini in cui ci trasciniamo da anni e anni? E le nostre passioni non sono quei cattivi medici che hanno scialato tutto il nostro patrimonio spirituale di preghiere, di purità, di elemosine? Allora, perché non andiamo frequentemente da Gesù? Gesù si trova nella Comunione. Ci si lamenta che la fede non è più viva come una volta, come al tempo dei martiri e degli eremiti; sapete perché? Perché ai nostri tempi ci si comunica troppo poco. Ci sono due classi di persone che tendono ad allontanarsi dall’Eucaristia per diversi motivi: i buoni per falso rispetto, i cattivi per ingrato dispetto. Ed io, con l’aiuto della Madonna, vorrei convincere tutti che lontani dalla Comunione si muore: quì elongant se a te peribunt (Salmi, LXXII, 27). – 1. I BUONI PER FALSO RISPETTO. Un mattino sereno, due barche si cullavano sulla riva del mar di Genezaret, mentre gli uomini di pesca erano discesi e lavavano le reti nell’acqua. Gesù ne sale una, e prega Simone di remare al largo: e là, in mezzo al lago gli dice di gettar le reti. Fu dapprima un sorriso triste che sfiorò il volto di Simone, come uno che sospetti d’essere scherzato, ma poi si rincorò, e per ubbidienza fece. Ma quando ritirando la rete la sentì schiantarsi per troppo peso, quando s’accorse che i pesci erano così abbondanti da riempir due barche, mandò un grido: « Signore, va via da me che son peccatore » (Lc., V, 8). Un altro giorno, il Maestro, senza volerlo, si trovò circondato da una folla che lo acclamava. S’era a Cafarnao. Gesù non era contento e disse: « Voi mi cercate perché ho moltiplicato, per voi, nel deserto cinque pani e pochi pesci. Non il cibo del corpo, ma il cibo dell’anima io voglio darvi ». E disse loro che cibo dell’anima era Lui, pane vivo disceso dal cielo, e non era lontano il giorno che avrebbe dato a tutti da mangiare la sua carne, e da bere il suo sangue. Molti, anche de’ suoi discepoli, si alzarono a protestare: « Com’è possibile ciò? Le tue parole sono dure, e nessuno le può digerire ». E se ne andarono. Gesù guardò i dodici, e mormorò tristissimamente: «Anche voi volete andarvene? ». Allora Simone, quel Simone che aveva scongiurato il Signore a stargli lontano, saltò su a dire: « Da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna. Noi ti conosciamo » (Giov., VI, 69). Anime buone, che il pensiero. delle vostre miserie passate, della vostra debolezza presente, della vostra indegnità passata presente e futura, vorrebbe tener lontani dal Santo Altare, nei due gridi di Pietro non avete trovato la risoluzione dei vostri timori dubbiosi? Se dovessimo guardare i nostri peccati soltanto, giammai dovremmo comunicarci: neppure una volta. « Exi a me, quia homo peccator sum, Domine! ». Ma che sarebbe poi dell’anima nostra senza il suo Pane vivo? « Ad quem ibimus? verba vitæ aeternæ habes ». « Ma come posso io comunicarmi spesso, dicono certe. anime dubbiose, — se vivo in una casa dove non si rispetta la religione, se passo la giornata fra operai che ne dicono d’ogni colore? », Appunto per questo è necessaria la Comunione frequente: tu vivi in una fornace ardente e se non vuoi bruciare, è necessario che un Angelo ti difenda da quelle fiamme. L’angelo bianco è l’Eucaristia. — Ma io ho tante tentazioni: vi resisto, è vero; ma ritornano sempre. E sono pensieri, e sono immaginazioni… — Appunto per questo è necessaria la Comunione frequente: la vita dell’uomo è una battaglia e tu hai bisogno di armi e di coraggio per vincere. La tua arma e il tuo coraggio è l’Eucaristia. — Ma il mondo mi chiamerà ipocrita, mi accuserà di mangiar Cristo a tradimento, mi rinfaccerà i miei difetti. .. Lascia dir la gente, come Gesù lasciò dire quando mormoravano perché mangiava in casa dei peccatori. E se trovano difetti in te, nonostante la Comunione frequente, ne troverebbero dei maggiori senza di essa. — Ma io non sono mai tranquillo… ho paura. — Giusta e santa è questa paura. Consigliati col tuo confessore e poi serenamente a lui ubbidisci. E, per finire, a queste anime titubanti, ripeterò le parole del Vescovo di Ginevra: « Temete di avvicinarvi a questa adorabile mensa; ma soprattutto temete d’allontanarvene ». – 2. I CATTIVI PER INGRATO DISPETTO. Dopo la burrasca, Gesù toccò terra nel suolo di Gerasa. Nell’uscire dalla tremante barchetta, vide correre in mezzo alle tombe, scavate nei fianchi del colle, un uomo ignudo che urlava selvaggiamente. Un brivido di pietà e di spavento prese gli Apostoli. Quell’infelice era posseduto dallo spirito impuro. Invano erasi tentato di legarlo: rompeva d’un tratto le funi, e ripigliava le sue corse vagabonde fra le tombe, e si percuoteva con le pietre dei colli. Assaliva perfino i passanti sul loro cammino, e non pochi avevano sofferto per lui. Come da lontano scorse venire Gesù, cominciò a gridare: « Che vi è di comune tra me e te, o Gesù figlio dell’Altissimo? Vattene, te ne congiuro; non tormentarmi » (Mc. V, 7). Questo indemoniato mi pare una paurosa figura dell’uomo cattivo che non vuol ricevere Gesù. Era un ossesso, homo in spiritu immundo, e l’uomo che ha peccato, in certo senso, è pure posseduto dal demonio, che in lui abita come in casa sua. Era un ossesso da uno spirito immondo, homo in spiritu immundo, ecco il principale motivo che tiene lontano gli uomini dalla Comunione: chi si ciba di ghiande di porci, non ha più gusto per il pane degli Angeli. V’è di più: l’infelice abitava in mezzo alle tombe tra la corruzione dei cadaveri: qui domicilium habebat in monumentis. Certe sale di divertimento, certi ritrovi sono tombe ove si corrompe non solo il corpo, ma anche l’anima. Chi frequenta questi luoghi non ha più il tempo di ritornare alla Chiesa per la Comunione. L’indemoniato di Gerasa rompeva ogni catena, dirupisset catenas; sono le catene delle leggi di Dio, delle leggi di natura, dei doveri di famiglia che l’uomo impuro spezza, per sprofondarsi nel fango. E non si accontenta della propria rovina ma con gli scandali, trascina nel suo baratro molti incauti. Proprio come l’ossesso: sævus nimis, ita ut nemo posset transire per viam illam (Mt.; VIII, 28). Quand’è così, non fa più meraviglia, se queste persone rifiutano di comunicarsi? È una conseguenza logica della loro vita quel grido: « Che c’è di comune tra me, che grufolo nel pantano, e te, o Gesù purissimo? Vattene; non tormentarmi. Ne me torqueas. Non tormentarmi con i tuoi soavi inviti alla Comunione: io amo il piacere della disonestà e non ho voglia di riceverti. C’è pure un altro peccato che allontana dalla Eucaristia: l’avarizia. Proseguiamo il racconto dell’indemoniato e capiremo. Gesù comandò ai demoni che uscissero da quell’uomo sventurato. C’era in quei dintorni montuosi un branco di porci, e i demoni prima di lasciare quell’uomo dissero a Gesù: « Mandaci là che vogliamo entrare almeno quel gregge immondo ». Il Maestro permise. Gli animali atterriti e percossi come da un uragano improvviso, si slanciarono in gruppo verso la sommità della montagna, donde precipitarono, a picco, in mare. Accorsero i padroni e molta gente dalla città; e come conobbero il disastro pregarono Gesù di andarsene in fretta, perché la sua presenza non li rovinasse maggiormente. Et rogare cœperunt eum ut discenderet de finibus eorum (Mc., V, 19). Che umiliazione per Gesù! Quella gente preferiva, a Lui, un branco di porci. L’uomo avaro preferisce una manata di soldi, un po’ di roba, al supremo bene che è la Comunione. E lo sentirete dire che non ha tempo per comunicarsi: ha tempo solo per gli affari di questo mondo. Eppure Gesù tutti chiama e sforza a sé, come l’uomo che aveva fatto una grande cena. Compelle intrare (Lc., XIV, 23). Resisteremo ancora a questo pressante invito, dispettosamente? Passeranno ancora mesi e mesi senza comunicarci? Con questo non voglio dire che si debba ricevere la Comunione anche senza le dovute disposizioni, perché se sta scritto che chi non mangia la carne del Figlio dell’uomo dovrà morire (Giov., VI, 54), sta scritto pure che chi la mangia indegnamente, ingoia la sua condanna. Ma come ho incoraggiato con la parola di S. Francesco di Sales, a comunicarsi quelli che si astenevano per un vano rispetto, così a costoro che per dispetto non ricevono Gesù, ripeterò l’austera parola del Crisostomo: « O fratelli! se alcuno tra voi capisce d’essersi reso indegno della santa Comunione, io lo scongiuro che si renda degno ». – Torniamo all’emorroissa. Eusebio nella Storia Ecclesiastica racconta che la donna, guarita dal flusso di sangue, era oriunda da Cesarea di Filippo. In riconoscenza volle che in mezzo alla sua città si elevasse un statua a Cristo, proprio con quella veste i cui lembi aveva baciati. Si diceva che sotto a quel monumento crescesse l’erba di nessuna virtù; ma tosto che, cresciuta, toccava i lembi della veste di Gesù, acquistava il potere di sanare ogni male. Cristiani! non in mezzo alla città, ma in mezzo al nostro cuore eleviamo un trono a Gesù e su di esso poniamoci non una statua, ma la sua Persona viva e vera com’è nella santa Comunione. Ogni nostro pensiero, ogni nostro affetto, ogni nostra gioia ed ogni dolore sarà santificato, come quell’erba, dalla sua presenza ed acquisterà valore per la vita eterna. Dice ancora S. Gerolamo che Giuliano l’Apostata aveva tentato una volta di rimuovere quella statua, per sostituirla con una propria immagine. Ma un fulmine dal cielo sminuzzò la sordida figura dell’imperatore sacrilego. Se noi ricevessimo frequentemente Gesù, vi assicuro che appena il demonio tentasse di porre la sua immagine in noi (e l’immagine del demonio è il peccato) Gesù saprebbe frantumarla e ci salverebbe da ogni male. — Allora, ogni quanto tempo ci dovremo comunicare? Il più frequente possibile: ciascuno però si consigli col suo confessore. — Comprendo — direte voi — tutto questo va bene per le donne; ma per gli uomini? Ho parlato anche, e specialmente per gli uomini. Nel Vangelo di oggi non è appena una donna che ha mostrato desiderio di Gesù; fu un uomo, Giairo, che lo scongiurò a venirgli in casa.IL PECCATO VENIALE. « Non è morta — disse Gesù — ma dorme ». Entrò solo nella funebre stanza, prese la giovinetta per mano e la risuscitò. Ecco due donne ed entrambe ammalate: l’una (l’emorroissa) d’un male che tormenta per anni e anni, l’altra d’un male che in poco tempo uccide. Queste donne sono simbolo dell’anima nostra, e le loro malattie sono simbolo delle malattie dell’anima nostra. Non è il peccato mortale quel terribile morbo che in un attimo toglie la vita dell’anima, la rende nemica di Dio, maledetta in vita e nell’eternità? Ma c’è un’altra malattia, che se non l’uccide la indebolisce di volta in volta; che se non la fa nemica di Dio, la rende però a Lui nauseante; che se non la fa maledire, non la fa neppure benedire: il peccato veniale. Tutti facilmente comprendono la nefandità del peccato mortale, ma troppo spesso anche i Cristiani non sentono il dovuto orrore per il peccato veniale. « Che male c’è — dicono — ad accontentare un po’ le nostre passioni? È peccato veniale, è cosa leggera, è roba da poco ». Sì, è vero: il peccato veniale in confronto al peccato mortale, è leggero. Anche la terra intera confrontata con l’immensità del cielo è un pulviscolo, ma per questo nessuno oserà dire che i cinque continenti insieme e l’oceano che li separa siano una quantità trascurabile. Considerate con l’occhio della fede il peccato veniale, consideratelo in se stesso, nelle sue conseguenze, poi anche voi come santa Caterina da Genova esclamerete inorriditi: « Meglio qualsiasi sciagura, ma non il più piccolo peccato veniale ». – 1. IL PECCATO VENIALE È UN MALE GRAVE IN SÉ. Atalarico re dei Goti aveva comandato la strage dei Cristiani. Faceva passare per le contrade un carro con sopra la statua d’un idolo: tutti quelli che non uscivano ad adorarlo, tutti quelli che non mangiavano la carne sacrificata all’idolo, venivano uccisi. Nella regione dove dimorava S. Saba, vi erano dei pagani così affezionati per le sue virtù e per la sua carità a questo servo di Dio, che volevano ad ogni modo conservarlo in vita. Ma poiché sapevano bene che egli non si sarebbe lasciato persuadere in nessun modo ad apostatare, pensarono di recarsi dagli ufficiali imperiali per testificare che nel loro circondario non v’era neppure un Cristiano, e che risparmiassero quindi di venire con il carro e con l’idolo. Appena il Santo conobbe questo pensiero, cominciò a gridare: Sventurati, che cosa state macchinando? Volete dire una bugia per salvarmi? Volete offendere Dio per conservarmi la vita? Che cos’è la mia vita e tutto il mondo perché la si debba anteporre alla gloria del Signore? E quando giunse il carro dell’idolo, egli subito uscì fuori gridando: « Non io adorerò il demonio! Non io mangerò le carni a lui sacrificate! Sono Cristiano vero: uccidetemi » (VOGEL, Vite dei Santi). Aveva ragione di chiamarsi Cristiano Vero, perché non si può essere Cristiani se non quando alla propria vita, al proprio comodo, al proprio capriccio si preferisce la gloria di Dio. Cristiano vero fu S. Giovanni Crisostomo che piuttosto che un peccato veniale avrebbe voluto restar invasato dal demonio per tutta la vita. Cristiano vero fu S. Agostino e S. Anselmo che volentieri si sarebbero precipitati in una fornace ardente, pur di risparmiare la più piccola offesa al Signore. E in verità consideriamo il peccato veniale e riguardo all’anima che lo commette e riguardo a Dio. Riguardo all’anima il peccato veniale significa una diminuzione di bellezza e di splendore. Che direste voi di una principessa reale che indifferentemente comparisse in pubblico con la faccia lorda di fango, con le vesti smunte e sbrandellate? L’anima nostra è appunto questa principessa reale, essa che è figlia di Dio. Ed il peccato veniale è quello che macchia il suo volto e lacera il suo manto e spegne il suo splendore. Riguardo a Dio, poi, significa offesa; ma ogni offesa fatta all’Essere perfettissimo, benché minima, è sempre un male sommo. E subito ce ne convincono i castighi con cui Dio talvolta punisce il peccato veniale. Una donna, contro il divieto del Signore, si volta indietro a guardare una città in fiamme. Fu un attimo: e la moglie di Lot rimase pietrificata. Mosè ed Aronne titubarono un istante della parola di Dio, e dovettero morire senza por piede nella terra promessa, essi che per quarant’anni, sotto il sole e la pioggia, con fame e con sete, avevano guidato il popolo. Un profeta accetta un invito a colazione, e Dio glielo aveva proibito: quando riprende il cammino sbuca un leone che lo rovescia in terra e lo sgozza. Anania e Zaffira, marito e moglie, portando una grossa elemosina a San Pietro dicono una bugia. E subito, in faccia a molti Cristiani raccolti in preghiera, stramazzano ai piedi dell’Apostolo, esanimi. La loro bugia, commentano S. Gerolamo e S. Agostino, era soltanto un peccato veniale e Dio li ha puniti di morte a nostro insegnamento. E noi crediamo che gli unici mali siano le malattie, la morte, la miseria, le liti… Queste cose sono nulla in confronto del peccato: anche del più piccolo peccato veniale. – 2. IL PECCATO VENIALE È GRAVE NELLE CONSEGUENZE. Una madre, da tanto tempo lontana, ritornava alla sua famigliola ove l’aspettavano i suoi bambini e il focolare spento. Lungo la via trova un palazzo: vi entra, beata di riposarsi un poco, ella che aveva dovuto camminare tanto, camminare sempre. Abbagliata dallo splendore di quelle sale, sedotta. dai profumi e dalle vivande che la circondavano, dimenticò i suoi figliuoli che lontano la chiamavano piangendo. Rimase un giorno o un’ora? neppur ella lo seppe. Ma quando fece per andarsene sulla porta di entrata trovò distesa nel sole una ragnatela: fine, leggera, quasi invisibile. Sorrise la madre davanti a questo delicatissimo ostacolo, e con una mano la strappò. Ed ecco, dietro alla prima, una seconda ragnatela; e la seconda ne nascondeva una terza, e la terza una quarta. Strano! ce n’erano cinque, sei… venti. Ella le strappa tutte, ma ce n’è ancora; sempre. Ella continua a strapparle, e le ragnatele continuano a riapparire ancora… ancora. La povera donna è affannata, gronda di sudore, soccombe alla fatica, e si butta per terra disperatamente. Davanti a lei, in alto, luccicava e dondolava nel sole quell’ostacolo da nulla: leggero, e pure vincitore. Da lontano il vento portava il grido dei piccoli figli, che attendevano invano: « Mamma, mamma! ». È cosa da nulla il peccato veniale, è un filo di seta, è una ragnatela: ma dopo il primo ne viene un altro, poi un terzo, poi una catena lunga, non mai spezzata appunto perché si credeva fatta di cose da poco. E intanto si formano le cattive abitudini che ci tengono prigionieri, come quella povera madre, lontano dal nostro dovere. E intanto dalle cose da poco si scivola nelle cose da tanto, senz’accorgersene. Guai, dice S. Paolo, se si comincia a lasciare un posticino al diavolo! « Nolite dare locum diabolo!» (Ef. IV, 27). Da un posticino ne vuole due, tre, quattro… vuole tutto noi e ci porta via. Da lontano piangono i nostri Angeli custodi abbandonati e ci chiamano invano come quei figli piangenti chiamavano invano la loro mamma. Che male c’è stare alla finestra oziando, qualche ora alla sera? Che male c’è fissare, sorridere, parlare scioccamente con persone di sesso diverso? Domandatelo a Davide. Che male c’è, se i fanciulli rubano qualche golosità; se nel far spesa s’imbroglia di qualche lira il ricco negoziante; se il contadino si crede lecito d’allungare la mano nel campo del vicino; se l’operaio si porta via da bottega un asse, un ferro, un pezzo di cuoio? Che male c’è? Domandatelo a Giuda. Che male c’è a chiacchierare in chiesa, conservare poco raccoglimento davanti a Dio presente? Che male c’è dimenticare le orazioni mattino e sera? Che male c’è sciupare il tempo davanti allo specchio, seguire l’ambizione della moda? Oh! Vorrei che venisse a rispondervi un’anima del purgatorio; una di quelle che da anni e anni è consumata in quei tormenti indicibili forse per un solo peccato veniale! E penserete ancora che il peccato veniale sia una cosa da nulla? Cosa da nulla è un sassolino: ma se si distacca dalla montagna e precipita a valle e colpisce la statua colossale nel suo calcagno di creta, in un attimo la rovescia in pezzi. Cosa da nulla è un pugno di neve: ma se si arrotola su altra neve s’ingrossa e diventa una valanga che travolge i paesi nello sfacelo. In un serraglio stava legato con grossa fune un terribile leone. Durante il silenzio della notte uscì un minuscolo topolino e per lunghe ore rosicchiò la fune. All’alba quando il domatore entrò nella gabbia del leone legato, la belva, destandosi, s’allungò verso l’uomo. La corda rosicchiata, a quell’urto, si ruppe; dopo un istante il domatore era disteso con il petto orribilmente squarciato. Il leone son le nostre passioni: il topolino è il peccato veniale. All’erta, perché egli rosicchia la corda, ed al momento opportuno, ci troveremo sopraffatti dalle tentazioni e, abbandonati da Dio, soccomberemo. – Roma cresceva. Dalla sponda africana Cartagine intuiva che solo di là poteva giungere la sua rovina. Perciò in un giorno di festa, davanti alla folla radunata nel tempio, Asdrubale condusse il suo figlioletto Annibale e lo sollevò perché potesse arrivare all’ara fumante degli dei. Il piccolo Annibale, con negli occhi il fosco bagliore del fuoco e del fumo, distese la mano sulla fiamma e gridò nel silenzio: « Odio eterno al nemico! ». Noi pure sappiamo che la nostra rovina ci può venire solamente dal peccato. E bene: oggi, davanti all’altare del Signore vero, gridiamo anche noi con irremovibile volontà: « Odio eterno al peccato: non solo mortale, ma anche veniale ».

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps CXXIX:1-2
De profúndis clamávi ad te, Dómine: Dómine, exáudi oratiónem meam: de profúndis clamávi ad te, Dómine.

[Dal profondo Ti invoco, o Signore: o Signore, esaudisci la mia preghiera: dal profondo Ti invoco, o Signore.]

Secreta

Pro nostræ servitútis augménto sacrifícium tibi, Dómine, laudis offérimus: ut, quod imméritis contulísti, propítius exsequáris.

[Ad incremento del nostro servizio, Ti offriamo, o Signore, questo sacrificio di lode: affinché, ciò che conferisti a noi immeritevoli, Ti degni, propizio, di condurlo a perfezione.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de sanctissima Trinitate


Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in uníus singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua glória, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretiónis sentímus. Ut in confessióne veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, et in esséntia únitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamáre quotídie, una voce dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: che col Figlio tuo unigénito e con lo Spirito Santo, sei un Dio solo ed un solo Signore, non nella singolarità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Cosí che quanto per tua rivelazione crediamo della tua gloria, il medesimo sentiamo, senza distinzione, e di tuo Figlio e dello Spirito Santo. Affinché nella professione della vera e sempiterna Divinità, si adori: e la proprietà nelle persone e l’unità nell’essenza e l’uguaglianza nella maestà. La quale lodano gli Angeli e gli Arcangeli, i Cherubini e i Serafini, che non cessano ogni giorno di acclamare, dicendo ad una voce:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster,

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Marc XI:24
Amen, dico vobis, quidquid orántes pétitis, crédite, quia accipiétis, et fiet vobis.

[In verità vi dico: tutto quello che domandate, credete di ottenerlo e vi sarà dato.]

Postcommunio

Orémus.
Quǽsumus, omnípotens Deus: ut, quos divína tríbuis participatióne gaudére, humánis non sinas subjacére perículis.

(Ti preghiamo, o Dio onnipotente: affinché a coloro ai quali concedi di godere di una divina partecipazione, non permetta di soggiacere agli umani pericoli.)

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (276)

LO SCUDO DELLA FEDE (276)

P. Secondo FRANCO, D.C.D.G.,

Risposte popolari alle OBIEZIONI PIU’ COMUNI contro la RELIGIONE (18)

4° Ediz., ROMA coi tipi della CIVILTA’ CATTOLICA, 1864.

CAPO XIX.

MARTIRI — PROPAGAZIONE DELLA FEDE

1. I Martiri sono in minor numero di quel che si dice. II. Sono opera del fanatismo. III. Ogni causa ha i suoi martiri. IV. L’interesse e le mene dei preti han sostenuto il Cristianesimo.

Una delle glorie più inclite della fede cristiana è la corona dei Martiri, che di ogni età e condizione hanno dato il sangue per Gesù Cristo. Fino ab antico però i persecutori del Cristianesimo che ne vedevano tutta la bellezza e la forza, le portarono invidia, e si brigarono di sottrarre le memorie di essi a’ Cristiani disperdendone i corpi e le ceneri, ed apponendo ai Martiri finti delitti, acciocché non fossero creduti morti per la causa della santa fede. – L’incredulità di questi ultimi tempi ha ritentato con altri argomenti la prova stessa, e si sforza di rapir alla Chiesa di Cristo un’aureola sì gloriosa.

I. Dicono quindi che il numero dei Martiri non è poi sì grande come il narrano le leggende devote; che però non è a farne così gran caso. Questo strale contro del Cristianesimo l’avventò pel primo il protestante Dodwello: ma in mal punto per la sua causa, poiché quel detto aguzzò l’ingegno agli eruditi, per investigar qual ne fosse il numero, e tra gli altri al dotto Ruinart, il quale con documenti di ogni fatta alle mani pose in chiaro siffattamente la sterminata moltitudine che essi sono, che mai nessuno osò più rivocarla in dubbio. Io non starò qui a raccogliere tutte le cifre, ché sarebbe lavoro eccedente affatto lo scopo di questo libretto. Dirò solo che dieci furiosissime persecuzioni si scatenarono ne’ tre pri mi secoli contro la Chiesa, e si sparsero per tutta la vastità dell’Impero romano, che abbracciava le Spagne, le Gallie, l’Africa, 1’Italia, gran parte dell’Asia e quasi tutto il mondo allor conosciuto: che in tutti questi paesi i Cristiani furono messi alla discrezione dei Cesari, de’ proconsoli, de’ pretori, de’ sacerdoti degl’idoli, i quali, per ingraziarsi col popolo che li chiedeva a morte, li dannarono alle scuri, ai capestri, ai roghi, agli anfiteatri, alle saette, alle pietre ed a tutte le carneficine che il furore combinato con la malizia seppero inventare. I soli nomi de’ loro persecutori bastano a farne prova, giacché Nerone, Domiziano, Caligola, Massimiano, Massimino, Caracalla, Eliogabalo, Diocleziano, Licinio, Decio, sono i nomi della crudeltà. – Gli storici ecclesiastici, d’accordo cogli autori profani, ne raccontano a lungo le orride spietatezze e le vittime senza numero; ma senza allegar queste testimonianze, noi abbiamo la confessione degl’increduli stessi, i quali non ricordando che altrove hanno cercato di diminuirne il numero, affermano che nei primi secoli la maggior parte dei Cristiani correva al martirio per una specie di mania epidemica, suscitata dalla predicazione dei Padri della Chiesa. Se dunque la mania aveva soprappreso il maggior numero dei Cristiani, chi potrà enumerare le vittime che essa ha fatto?

II. Il perché passiamo a vedere piuttosto la causa che essi allegano per spiegare come fossero tanti di numero. La mania, di cui favellano, non è altro che il fanatismo, e questo basta, osservano essi, a render ragione di tante vittime, polche chi non sa come si ecciti ed infiammi tra il fuoco delle persecuzioni? Infatti, ogni religione, per quanto assurda, vanta i suoi martiri. Aggiungete l’interesse che i preti trovano nel mantenere le superstizioni, le minacce che essi fanno di eterne pene a chi non accetta i loro dormi, e voi avrete compreso come tanti abbiano profusa la vita per sostenere il Cristianesimo, e come esso si mantenga in piedi fino a’ dì nostri. Ora per rispondere a costoro, chiederemo in primo luogo che cosa sia il fanatismo, il quale ha una virtù così potente sopra la terra? Il definiscano pur come vogliono, dovranno concedere che sia un esaltamento dell’animo accecato da qualche passione, per cui apprende per bene reale un oggetto che non è tale e che lo vuole procacciare a qualunque costo. Or, di grazia, chi furono i primi ad accecarsi e passionarsi così furiosamente per Gesù Cristo? Non furono certamente solo plebe indotta e moltitudine ignorante; v’ebbe anche filosofi chiari e dottori insigni che, dai primi momenti che la nuova religione apparve nel mondo, l’abbracciarono con tutto il cuore. Che anzi in tutti i tempi gli uomini più assennati e più dotti, siccome appare fino al presente dai loro volumi, ne furono i più teneri ed i più appassionati. Singolare cecità d’intelletto, la quale più si apprende a chi più vede! Inoltre, come avvenne un sì subito fanatismo? Gli uomini si andarono a riposare quest’oggi sobri, tranquilli, sani di mente, e la dimane si svegliarono pazzi e farnetici per questa nuova dottrina. E ciò nella Giudea non meno che in Roma, nell’Asia non meno che nell’Africa, in Oriente ed in Occidente, presso i popoli barbari e presso i colti; e quel che è più mirabile, quegli stessi che oggi avevano posto in croce Gesù qual malfattore, pochi giorni dopo a molte migliaia insieme son presi da tanto fanatismo per Lui, che si lasciano scannar mille volte piuttosto che rinnegarlo. Oh che è questo mai? Una febbre che ad un dato punto invade tutto l’uman genere! Avremo almeno qualche gran causa posta in atto per destare tal fanatismo. Sarà comparso qualche filosofo maraviglioso sopra la terra, qualche uomo portentoso, il quale coi fulmini della sua eloquenza, col fascino della sua dottrina, coll’autorità della sua persona e col fulgore di sua maestà avrà rapite, infiammate, travolte, trascinate le moltitudini alla sua sequela, non è vero? Eh appunto. A destare tanto fanatismo furono alcuni pochi uomini, non illustri per sangue, non ragguardevoli per scienza, di professione pescatori, di patria Giudei, senza credito, senza aderenze, senza ricchezze, senza autorità. Ora mentre i filosofi più riveriti, i savi più accreditati, gl’Imperatori più potenti non sono riusciti a destare fanatismo altro che in pochi seguaci ed aderenti, quelli l’hanno eccitato in tutte le parti della terra, fino al punto di far versare il sangue a torrenti, per mantenere quello che essi avevano annunziato. Singolare effetto di un vastissimo incendio di fanatismo, senza che si veda chi lo accenda! Ma forse il segreto di questo fanatismo sarà tutto nelle dottrine di questa nuova religione. Gli uomini corrono facilmente dove le passioni li attirano, e la sperienza mostra che non è difficile sollevar tutti gli animi offrendo oro, libertà, piaceri. Così lo mostrarono un Maometto, un Lutero; e lo mostrarono tuttodì tanti Catilini novelli, i quali fanno correre le turbe sciocche al grido di libertà, benché sempre menzognera. Avran fatto altrettanto anche i banditori dalla dottrina di Gesù Cristo? Ma voi, o lettore, sapete che non solo non offrirono nulla di tutto ciò, ma al contrario mossero la più cruda guerra che mai fosse stata mossa alle passioni del mondo. All’intelletto imponevano che si sottomettesse a credere misteri ardui, difficili, imperscrutabili; al cuore non solo non offrivano appagamenti, ma imponevano dolorosi sacrifizi; non si parlava se non di mortificazione, di abnegazione, di croce non interrotta fino alla morte. La pratica del Cristianesimo è tutt’altro che adatta a destar fanatismo. E per verità qual fanatismo può destarsi a pregare in segreto lungamente? Quale a staccarsi interiormente dai beni di questa terra? Qual fanatismo a digiunare, quale a vincersi, a mortificarsi? Quale ad imprendere seco stesso una lunga lotta per raffrenare i pensieri, per moderare gli affetti per rinnegare l’amor proprio, per vincere gli appetiti segreti dell’avversione, della collera, della lascivia, della superbia, che sempre ci pullulano in cuore? E con tutto ciò fino a qual punto non giunse egli un tal fanatismo? Fino alla perdita delle sostanze, della patria, della vita. Fino all’incontrare tormenti e stragi mille volte peggiori della morte. Or che è egli mai ciò? Non è al tutto straordinario un fanatismo che poté produrre effetti così portentosi? Dov’è dunque, lo ripeto, la causa che ha potuto destarlo? Lettore, conchiudete voi qual sia il grado di fanatismo che ci vuole per ascrivere la propagazione del Cristianesimo al fanatismo.

III. Ogni causa, continuano essi, ha i suoi martiri, e gli idolatri non meno che gli eretici li vantano, e perfino gli stupidi Indiani muoiono per le loro fallaci divinità. Qual prova è dunque questa che serve all’errore non meno che al vero? Chi così replicasse, oltre a molte altre cose, mostrerebbe anche di non aver mai compreso come sia addotta e come provi in favore del Cristianesimo la ragione tratta dai Martiri. Noi adunque non diciamo che sia vero il Cristianesimo, perché altri ha versato il sangue per Gesù Cristo, ma perché altri l’ha versato in un tal complesso di circostanze, che non era moralmente possibile a forza umana il versarlo. Concediamo che possa giungere un impeto di passione a portare un uomo mad infuriare contro sé stesso; può il fanatismo fare che altri si precipiti da una rupe, o che si dia ad infrangere alle ruote di un carro; può un amore stolido di gloria fare che altri s’investa nelle picche o nelle spade di un esercito; può persino un’impazienza portata alla disperazione fare che altri, violento contro sé stesso, si dia la morte: ciò non lo neghiamo, e non è di qua che si trae l’argomento in favore del Cristianesimo. Sono tutte le circostanze che accompagnano il martirio cristiano, che ne formano la prova così gagliarda. Imperocché non può la sola natura far che migliaia e migliaia d’uomini tutti in un punto cospirino a voler dar la vita nel tempo per riceverla nell’eternità, a perdere il presente che godono sull’espettazione di quello che solo sperano, ad incorrere mali certi e presenti, per timore di mali solo creduti e lontani. Non può la sola natura far tutto ciò, quando non vi ha passione alcuna in moto che presti le forze e risvegli, dirò così, il furore. Non può la sola natura somministrar tanto coraggio a uomini non robusti per natura, non audaci per allevamento, come vecchi cadenti, donne imbelli, fanciulle timide e giovani di prima età. Non può la sola natura fare che non solo siano non temuti i più acerbi mali della vita, ma desiderati, ma ambiti, ma cercati, ma abbracciati con tutto l’ardore. Se un impeto momentaneo di furore può precipitare alcuno a darsi una morte celere, una morte furiosa, una morte non possibile a ritrattarsi; non può la sola natura tenere volonterose in mezzo ai tormenti inauditi coteste vittime per giorni interi, settimane ed anni, e tenervele sempre contente, sempre giubilanti di una gioia sì pura e sovrumana che rapisce i carnefici, che confonde i tiranni, che persuade le intere moltitudini a seguitare quel Gesù per cui esse patiscono: mentre potrebbero ad ogni istante con una parola cessarsi le pene, anzi volgersele in delizie, in onori, in cariche che loro sono profferte. Tutto ciò nol può la natura, bisogna che v’intervenga al tutto una virtù soprannaturale che conforti l’umana debolezza. Hanno i miscredenti cercato di accozzare tutti insieme gli esempi che hanno trovato nelle storie, per dimostrare che ogni causa ha i suoi Martiri: ma non era mestieri di tal opera. Mettano in mostra una sola vittima che regga al confronto della nostra Agnese e della nostra Cecilia, e diam loro vinta la causa. E tuttavia accresce la forza di questa ragione la moltitudine dei prodigi, onde il cielo onora questi suoi eletti campioni nell’atto del martirio. Conciossiaché spesse volte le fiere invece di sbranarli si prostrano loro dinanzi con riverenza, i roghi accesi si spengono, i metalli liquefatti non bruciano, le spade perdono il taglio, le punte non feriscono; essi camminano sui carboni accesi come sopra le rose, i templi delle false divinità si diroccano alla loro presenza, gl’idoli cadono da sé infranti, e spesso sono ancora colpiti di cecità, di paralisi, di morte, i tiranni che infuriano contro di loro: e ciò alla presenza d’intere moltitudini che o l’attribuiscono alla magia, oppure si convertono al Cristianesimo. Come, dunque, non è visibile la mano di una causa superiore che li favorisce ed aiuta? Alleghino, se possono, alcun che di somigliante quelli che affermano che ogni causa ha i suoi Martiri, e poi impugnino pure la prova da noi addotta, che siamo disposti a far loro ragione: ma se noi possono fare, si contentino che noi crediamo a testimoni che si fanno scannare in favore delle verità che professano.

IV. Resta ora ad esaminare la difficoltà che tolgono dall’interesse che i preti hanno avuto nel mantenere la cristiana superstizione e dell’averla sostenuta colle minacce che hanno fatte ai popolidelle pene eterne; ma questa non è men vana dell’antecedente.Imperocché prima di tutto, come avvenne che alcuni, anzi chetanti volessero essere sacerdoti ai primi tempi del Cristianesimo?Finalmente gli uomini non sono poi tanto stupidi in quello che riguardai loro vantaggi. Ora egli è certo che il sacerdozio alloranon fruttava altro che maggiori fatiche, rischi più gravi e quasisempre la perdita della vita. Scorrete gli annali di quei tempi, etroverete che cominciando dal primo Sacerdote, il romano Pontefice,venendo giù fino all’ultimo chierico, i Sacerdoti ebbero semprela prerogativa di sopportare le più spietate carneficine. Per tresecoli niun Papa la scampò, niun Vescovo illustre ne fu esente, ed i Sacerdoti furono sempre la preda più desiderata e più cerca dai persecutori di nostra fede. Dovevano avere a quei tempi gli uomini un gusto un po’ strano, quando avevano tanta smania di farsi impendere e squartare. Inoltre, il sacerdozio è dignità spirituale non temporale; e sebbene nell’età posteriore non andasse sempre disgiunta da vantaggi anche terreni, pure erano questi allora sì tenui, ed i pesi sì gravi, che è inesplicabile l’essersi trovati tanti che così volonterosi vi si sobbarcassero. Certamente il genere di vita loro prescritto, il distacco dai beni della terra, il finanziamento alle gioie della famiglia, la obbligazione della continenza e la persecuzione continua dei figliuoli del secolo, non dovevano essere motivi che, discorrendo all’umana, ve li confortassero molto.. – Ma su via, poniamo pure che eleggessero quello stato per interesse, come avvenne poi che trovassero tanto credito presso le moltitudini da dover essere così ascoltati e così temuti? Gli uomini allora erano di una tempera diversa dalla nostra? Se venisse da noi un bramino dall’India, un agà turco, od un sacerdote qualunque degl’idoli, sarebbe creduto così fattamente che sulla sua parola gli uomini ne dovessero impallidire? Io credo che per quanto gridassero, minacciassero, strepitassero, commovessero cielo e terra, mai non riporterebbero altro che le nostre beffe e le nostre risate. E che gli antichi Romani non fossero d’altro pensiero dal nostro, voi lo potete raccogliere anche da ciò che sapevano burlarsi benissimo dei Giudei che vivevan fra loro. Or perché ciò? Perché fino a tanto che non sono allegate prove che convincano I’intelletto della verità di una religione, fintantoché non è creduta vera, essa non ha forza ad intimorire co’ suoi dorami e colle sue minacce. Ebbene, questo è che accade nel nostro caso. Quando è che un sacerdote comincia ad essere riverito ed ascoltato dagli uomini? Quando gli uomini hanno creduto alla religione che predica. Fra i Cristiani questo poi è evidentissimo. lmperocché e donde se non dalla fede traiamo che i sacerdoti sono da ascoltare? La fede sola è quella che ci ammaestra di tutto quello che li riguarda, che essi cioè sono scelti da Dio per sì alto ministero, che sono a ciò deputati con special consacrazione, che hanno una tutta propria autorità sopra il comun dei fedeli, che chi ascolta loro ascolta lo stesso Cristo. Se la fede precedendo non ci assicurasse di tutte queste verità, non vi sarebbe ragione per cui né riverirli, né temerli. Dunque, non sono i sacerdoti che rendono augusta e credibile la fede e che la sostengono, come dicono i miscredenti: è tutto il contrario; la fede è quella che dà peso ed autorità ai Sacerdoti presso il popolo cristiano. Volete vederlo ancor più chiaramente? Consultate il buon senso del popolo. Che cosa dice egli quando vede qualche Sacerdote a prevaricare? Non dice no, che non sia perciò buona la santa fede, ma afferma invece che sebben sia riprovevole quel Sacerdote per la sua condotta, pure deve rispettarsi per ragione della sua dignità. Vedete dunque quanto sia vero che non è il Sacerdote che dà credito alla fede, ma la fede invece che dà credito al Sacerdote? – E similmente vuol dirsi del timore e delle minacce, all’ombra di cui si dice stabilito il Cristianesimo. Questa sciocca ragione che fu messa in campo dall’empio Lucrezio contro ogni sorta di religione: Primus in orbe Deos fecit timor; questa ragione, io dico, si scioglie colla stessa osservazione fatta di sopra. Come non vedono costoro che, senza credere prima agli Dei, non è possibile di temerli? Chi avrebbe mai pensato a temere i ladri, la peste, il malanno, se prima non avesse saputo che esistessero il malanno, la peste ed i ladri? Oh una volta gli effetti venivano dopo le cagioni, ora sono le cagioni che vengono dietro agli effetti! E pur mirabile la Religione cristiana quando per impugnarla bisogna rinunziare, non dico alla filosofia, ma pure al senso comune. Né niun dica che un timor panico può soprapprendere le moltitudini, anche senza che vi sia un solido fondamento a temere: siccome accade agl’idolatri, i quali temono divinità che hanno occhi e non vedono, mani e non toccano; perocché questa replica non ha valore. Conciossiaché un timor panico non può incatenare tanti milioni d’uomini e tante generazioni; un timor panico non può aver luogo presso tanti savi e tanti dottori, quanti ne ha contati e ne conta il Cristianesimo; e poi gli uomini che non si rattengono dal fare il male per timore di castighi che credono certi, come si tratterrebbero per un timor panico? – Né vale l’esempio tratto dagl’idolatri, i quali temono inutilmente divinità che sono vane: perocché tanto è lungi che il così temere sia un errore, che è anzi l’unico vero che loro è rimasto. Per lume di natura non pienamente annebbiata dai vizi, e per tradizione loro provenuta dai primi padri, essi comprendono che Dio esiste e che è vindice delle iniquità; che non esercitandosi sulla terra la giustizia, questa debba senza manco veruno aver luogo pienissimo nell’altra vita. Quindi in ciò non s’ingannano. L’errore è solo nell’oggetto da cui aspettano i castighi, o nella qualità della punizione che aspettano, o nel modo che prendono per onorare e placare la divinità; ma questo appunto perché è errore, è tutt’altro che comune; mentre noi vediamo che ogni gente idolatrica si forma un’idea della divinità a proprio modo. Il timore adunque che è comune a tutti gli uomini, dimostra il sentimento che tutti hanno della divina giustizia: il timore poi di questo o quel castigo, che è speciale ad ogni gente idolatria, colla stessa sua varietà condanna il paganesimo. Appar quindi falsissimo che un errore possa impadronirsi delle intere moltitudini e per secoli interi, e quindi che dall’errore si possa ripetere il coraggio dei Martiri, che non può avere altra causa che l’aiuto del cielo.

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXVII)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXVII)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

SECONDA PARTE DEL CATECHISMO:

MORALE (8).

 I COMANDAMENTI DELLA CHIESA

1. I COMANDAMENTI DELLA CHIESA SONO UN COMPLETAMENTO DEL III COMANDAMENTO DI DIO.

Il 1° comandamento prescrive l’osservanza del riposo domenicale in alcuni giorni per ringraziare Dio di grazie speciali;

il 2° prescrive il modo di santificare la domenica e i giorni di riposo supplementari;

il 3° e il 4° prescrivono il modo di santificare la domenica più importante, il giorno di Pasqua;

il 5° e il 6° prescrivono il modo di prepararsi per la santificazione delle domeniche e delle principali feste dell’anno.

2. NOI SIAMO TENUTI, SOTTO PENA DI PECCATO GRAVE AD OSSERVARE I COMANDAMENTI DELLA CHIESA, PERCHÉ LA DISOBBEDIENZA AD ESSA È DISOBBEDIENZA A CRISTO STESSO.

Gesù ha dato alla sua Chiesa gli stessi poteri che ha avuto da suo Padre. (S. Giovanni XX, 21). Se quindi la Chiesa comanda, è come se l’ordine venisse da Cristo stesso: “Tutto ciò che legherete sulla terra sarà legato in cielo” (S. Matth. XVI, 18). – È disobbedire a Cristo quando disobbediamo alla Chiesa: “Chiunque vi disprezza – disse ai suoi Apostoli – disprezza me” (Luca X, 16). – Gesù chiama la sua Chiesa un regno e la paragona ad un ovile, per indicare l’obbedienza dovuta dai fedeli ai superiori ecclesiastici. – Perché, inoltre, la Chiesa non dovrebbe avere ogni diritto di imporre leggi alle quali i suoi membri sono tenuti a sottomettersi?

Quindi trasgredire volontariamente e per negligenza un comandamento della Chiesa è commettere un peccato grave.

Chi – dice Gesù Cristo – non ascolta la Chiesa – deve essere considerato un pagano ed un pubblicano (S. Matth. XVIII, 171). L’Antico Testamento prevedeva la pena di morte per chi resisteva al sommo sacerdote per orgoglio (Deut. XVIII, 12); la legge mosaica considerava quindi un peccato grave la disobbedienza all’autorità sacerdotale.

3. L’AUTORITÀ ECCLESIASTICA PUÒ, PER GRAVI MOTIVI, ESENTARE I FEDELI DALLE LEGGI DA ESSA STABILITE.

Gesù Cristo disse infatti ai suoi apostoli: “Ciò che sciogliete in terra, sarà sciolto in cielo”. (S. Matth. XVIII, 18). In molte diocesi, per esempio, è permesso mangiare carne il venerdì, quando c’è una festa molto solenne; in altre, alcuni giorni festivi vengono trasferiti alla domenica successiva.

Primo comandamento della Chiesa: l’osservanza delle feste.

1. Questo primo comandamento prescrive di osservare:

1° le feste di Nostro Signore, 2° quelle della Vergine Maria, 3° quelle dei Santi, compresa quella del patrono del paese o del luogo.

Già i primi Cristiani celebravano le ricorrenze di alcuni importanti eventi importanti o di benedizioni di Dio. Furono istituite delle feste – dice S. Pietro Crisol. -affinché eventi accaduti una volta rimanessero nella memoria dei Cristiani per sempre nella memoria dei Cristiani. Le feste sono state istituite per ricordare i benefici di Dio, per lodarlo e ringraziarlo. (S. Vinc. Ferr.). “Purtroppo – dice san Girolamo – molti pensano solo a trasformare le feste in giorni di festa e di piaceri, come se il mangiare ed il bere potessero onorare coloro che hanno cercato di piacere a Dio con il digiuno e la mortificazione” (S. Girolamo).

1 . Le feste di N. S. di diritto comune sono: Natale (25 dicembre); la Circoncisione o Capodanno (1° gennaio); Epifania o Re Magi (6 gennaio); Pasqua, Ascensione, Pentecoste, Corpus Domini, Cristo-Re. – Poiché il Natale, la Pasqua e la Pentecoste sono gli eventi principali della Religione, ognuna di queste feste ha una festa aggiuntiva il giorno successivo: Santo Stefano dopo Natale, Lunedì di Pasqua e Lunedì di Pentecoste.

2. Le feste della Vergine Maria sono: Immacolata Concezione (8 dicembre); la Natività (8 settembre); l’Annunciazione (25 marzo); la Purificazione o Candelora (2 febbraio); l’Assunzione (15 agosto). Si celebrano così tante feste della Vergine perché la sua vita è così strettamente legata a quella di N. S. Per gli altri Santi la Chiesa celebra solo il giorno della loro morte, perché è il giorno della loro nascita alla vita eterna. Per Maria (e per S. Giovanni Battista) si celebra anche il giorno della natività, perché Maria era santa fin dalla nascita.

3. Le feste dei Santi sono: S. Stefano (26 dic.); S. Pietro e S. Paolo (29 giugno) e Ognissanti (1° novembre). – I patroni variano a seconda del paese e del luogo.

Tutte queste feste si dividono in fisse e mobili: le prime si celebrano ogni anno nello stesso giorno, le seconde variano di anno in anno.

Le feste fisse sono: l’Immacolata Concezione, il Natale, l’Epifania, la Purificazione, l’Annunciazione, SS. Pietro e Paolo, l’Assunzione, la Natività della Vergine, Ognissanti.

Le feste mobili sono: “Pasqua (celebrata la domenica successiva al plenilunio dopo l’equinozio di primavera), cioè tra il 22 marzo e il 25 aprile), l’Ascensione (40 giorni dopo la Pasqua), Pentecoste (50 giorni dopo Pasqua), Corpus Domini (2° giovedì dopo Pentecoste). – Alcune di queste feste, Pasqua e Pentecoste, ricordano le feste dell’Antico Testamento, figure di quelle del Nuovo Testamento: alcune di esse coincidono con antiche feste pagane: il Natale sostituisce le notti sacre celebrate dai pagani in onore del sole; la Candelora, all’inizio di febbraio, coincide con le feste accompagnate da processioni illuminate da fiaccole per l’alba del giorno. La Chiesa ha fatto questa sostituzione per allontanare i Cristiani dalle solennità idolatriche. Alcune feste come il Santissimo Nome di Gesù, la Trinità e il Nome di Maria sono state spostate alla domenica per non aumentare il numero dei giorni festivi.

2. SIAMO OBBLIIGATI A CELEBRARE LE FESTE COME LA DOMENICA: quindi con l’astenersi dal lavoro servile e col partecipare alle funzioni. – A causa delle circostanze, il Papa ha trasferito in diversi Paesi alcune feste alla domenica successiva. L’esperienza ha dimostrato, inoltre, che la molteplicità a volte vanifica il suo scopo. – Tutte queste feste costituiscono l’Anno Ecclesiastico.

L’anno liturgico.

Oltre al sabato, gli ebrei celebravano già alcuni anniversari di eventi importanti. La Pasqua in ricordo dell’uscita dall’Egitto; 50 giorni dopo, la Pentecoste in ricordo della promulgazione della legge al Sinai; in autunno la Festa dei Tabernacoli in memoria del loro soggiorno nel deserto. Per gli israeliti si trattava di un riassunto della loro storia. Lo stesso vale per le feste cristiane, soprattutto durante la Settimana Santa, che sono un riassunto della storia di Nostro Signore

1. L’ANNO LITURGICO È LA RAPPRESENTAZIONE ANNUALE DELLA VITA DI CRISTO E DEGLI AVVENIMENTI CHE L’HANNO PRECEDUTA O SEGUITA.

La Chiesa ce li rappresenta per farceli ricordare ed imitare. Durante l’Avvento dobbiamo unirci ai patriarchi che sospiravano per il Salvatore; a Natale, ai pastori che si rallegrarono davanti alla sua mangiatoia; in Quaresima, con il digiuno di Gesù Cristo; a Pasqua, con la festa del Signore. – A Pasqua dobbiamo risorgere con Lui; a Pentecoste dobbiamo chiedere lo Spirito Santo con gli Apostoli. Inoltre, la Chiesa ha posto in ogni giorno dell’anno la festa di un Santo. – Le feste dei Santi sono come pianeti brillanti intorno al sole della giustizia; la Chiesa le ha istituite per aiutarci a meditare sulla vita di coloro che con la loro imitazione della vita di Gesù Cristo sono un modello di perfezione cristiana, per spronarci maggiormente a seguire il Maestro divino e a chiedere la loro intercessione per ottenere più facilmente le grazie meritate dal Salvatore. “Pregare con la Chiesa – dice sant’Agostino – è pregare nel modo più perfetto “. – Infine, distribuendo le feste dei Santi lungo tutto l’anno liturgico, la Chiesa sembra dirci che non tutti i giorni sono giorni di riposo, eppure, nonostante le vostre occupazioni terrene, dovete sempre avere l’anima innalzata verso Dio, secondo il precetto dell’Apostolo: “Sia che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi cosa fate tutto per la gloria di Dio”. (I. Cor. X, 31).

2. L’ANNO LITURGICO INIZIA CON LA PRIMA DOMENICA DI AVVENTO, ED È SUDDIVISA IN TRE CICLI PRINCIPALI, DI NATALE, DI PASQUA E PENTECOSTE, che corrispondono ai misteri della nascita, della resurrezione e della missione dello Spirito Santo.

L’anno liturgico è quindi una glorificazione della S. Trinità, che ci ricorda l’amore del Padre che ci ha mandato suo Figlio, l’amore del Figlio che è morto per noi, l’amore dello Spirito Santo Spirito Santo che si comunica a noi: così la Chiesa celebra la prima domenica dopo Pentecoste la festa della Santissima Trinità. Trinità, che riassume i tre cicli. Ognuna delle tre feste principali è preceduta da un tempo di preparazione e viene seguita da altre feste che sono loro correlate.

L’Avvento è il periodo di preparazione al Natale. Quel che segue è costituito dalla Circoncisione, l’Epifania, la Purificazione e le domeniche dopo l’Epifania.

Le quattro settimane di Avvento rappresentano i secoli (spesso si arrotonda a 4000 anni) di attesa del Redentore. La festa dell’Immacolata Concezione (8 dicembre) si inserisce molto bene in questo periodo. Dopo quaranta secoli di tenebre, ignoranza e peccato, sorge dul mondo il sole della giustizia e Maria ne è come l’aurora. (Cant. dei Cant. VI, 9). – Le settimane e le feste che seguono il Natale sono come la figura della giovinezza e della maturità di Cristo fino alla sua entrata nella vita pubblica, e quindi della sua vita nascosta a Nazareth. Ci sono almeno due, e al massimo sei domeniche dopo l’Epifania, a seconda che la Pasqua cada prima o dopo. Il tempo che precede la Pasqua è quello della Settuagesima e i quaranta giorni di Quaresima. – Il ciclo che segue comprende i quaranta giorni che vanno da Pasqua all’Ascensione. I termini Septuagesima (70), Sexagesima (60), Quinquagesima (50) derivano dall’usanza di alcune chiese primitive di iniziare la Quaresima 70, 60 o 50 giorni prima della Pasqua, per espandere ulteriormente i giorni di digiuno. Il mercoledì dopo la Quinquagesima è chiamato Mercoledì delle Ceneri, perché in questo giorno il Sacerdote cosparge di cenere il capo dei fedeli, dicendo: “Ricordati, o uomo, che sei polvere ed in polvere ritornerai”. “Questo mercoledì è il 46° giorno prima di Pasqua e l’inizio della Quaresima, che dura esattamente 40 giorni, poiché non si digiuna la domenica (ce ne sono 6). Durante questo periodo, la Chiesa ci ricorda la vita pubblica del Salvatore, che inizia con il digiuno e termina con la passione. I 40 giorni che seguono la Pasqua sono esattamente quelli che Gesù Cristo trascorse sulla terra dopo la sua risurrezione. La 1ª domenica dopo Pasqua è chiamata in Albis (depositis), perché in questo giorno i neo-battezzati (il Sabato Santo) depongono le loro vesti bianche. I 3 giorni che precedono l’Ascensione sono chiamati “Rogazioni“. (In questi giorni si svolgono le processioni).

La preparazione alla Pentecoste comprende i 10 giorni dopo l’Ascensione: il ciclo successivo comprende di solito da 24 a 28 domeniche. –

I 10 giorni che precedono la Pentecoste rappresentano i 10 giorni durante i quali gli Apostoli hanno atteso lo Spirito Santo0; le settimane che seguono sono l’immagine della storia del mondo fino al Giudizio Universale. Ecco perché l’ultima domenica dopo la Pentecoste leggiamo il Vangelo della seconda venuta del Salvatore. (S. Matth. XXIV, 15-35). Il numero maggiore o minore di domeniche dopo la Pentecoste è dovuto alla mobilità della festa di Pasqua. La fine dell’anno liturgico ci porta le feste di Cristo Re [istituita nel 2925], di tutti i Santi e dei defunti, per ricordarci della nostra comunione con i Santi in cielo e con le anime del Purgatorio ed il nostro destino di unirci a loro un giorno. La Festa dei Morti si inserisce molto bene nella stagione (2 nov.), quando gli alberi spogli ed i campi vuoti sono il simbolo perfetto della morte.

3. QUESTE TRE FESTE PRINCIPALI SONO IN PERFETTA ARMONIA CON LA NATURA.

L’Avvento (nel nostro emisfero settentrionale) è un periodo di buio e di freddo; era lo stato morale dell’umanità prima di Gesù Cristo. Verso la fine di dicembre le giornate si accorciano; con la nascita del Salvatore, la luce divina si diffonde nel mondo. A Pasqua, una nuova vita si manifesta nella natura: tutto torna verde, tutto rifiorisce. La Pasqua è la festa di Cristo risorto. A Pentecoste, gli alberi e la campagna sono in piena fioritura; la venuta dello Spirito Santo produce una nuova fioritura nell’umanità, perché è l’origine della vera civiltà e della vera moralità.

La Chiesa ha collegato le Epistole, i Vangeli ed il canto liturgico a queste feste e a questi periodi.

I Vangeli sono estratti dai quattro libri degli Evangelisti; le Epistole, dagli altri libri della Scrittura. Queste pericopi sono state create da San Girolamo e introdotte in alcuni paesi occidentali da Carlo Magno. (+814).

II. Secondo comandamento della Chiesa: la partecipazione alla Santa Messa.

Il 2° COMANDAMENTO DELLA CHIESA CI ORDINA DI PARTECIPARE DEVOTAMENTE AD UNA MESSA COMPLETA LA DOMENICA E NEI GIORNI FESTIVI.

III e IV Comandamento della Chiesa: confessione annuale e la Comunione pasquale.

Questi comandamenti ordinano a tutti i fedeli di confessarsi una volta all’anno e di ricevere la comunione almeno a Pasqua. Le nostre comunioni non devono essere rare, perché l’Eucaristia è il cibo delle nostre anime; un’anima che rimane a lungo senza questo cibo muore di fame. Se non mangiate – disse Gesù – la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete vita in voi” (S. Giovanni, VI, 56). I fedeli della Chiesa facevano la comunione ogni volta che partecipavano alla Messa, in seguito furono limitati alle tre feste principali, Natale, Pasqua e Pentecoste, e infine, essendo aumentata la tiepidezza, il Concilio Lateranense (1216) prescrisse a tutti i Cristiani che avessero raggiunto l’età del discernimento di confessarsi almeno una volta all’anno e di ricevere la Comunione devotamente almeno una volta all’anno (Can. 21). Il Concilio di Trento ha voluto che la confessione annuale si faccia anche a Pasqua: “È consuetudine generale e salutare di confessarsi durante il tempo santo della Quaresima, che è particolarmente adatto a questa devozione. “Il Concilio approva e accetta questa usanza, che è lodevole e degna di essere conservata”(14 Cap. 5). Va da sé che per coloro che si trovino in stato di peccato mortale la Confessione deve precedere la Comunione pasquale per non riceverla in modo indegno. – Questi comandamenti non sono osservati da una confessione nulla o da una comunione sacrilega: i papi Alessandro VI e Innocenzo Xi hanno condannato le proposte contrarie.

2. IL PERIODO PASQUALE DURA SOLO 15 GIORNI PER IL DIRITTO COMUNE, DALLA DOMENICA DELLE PSLME ALLA DOMENICA IN ALBIS, MA I VESCOVI SONO LIBERI DI PROLUNGARLO SECONDO LE NECESSITÀ DELLA DIOCESI. (Papa Eugenio IV, 1440).

I diocesani sono tenuti a informarsi sulle consuetudini locali: il periodo pasquale è ovunque abbastanza lungo perché non si possa usare la falsa scusa della mancanza del tempo.

3. LA COMUNIONE PASQUALE È STATA IMPOSTA PERCHÉ L’HA ISTITUITA GESÙ CRISTO.

Cristo ha istituito il S. Sacramento nel tempo di Pasqua. È anche il tempo in cui Gesù Cristo è risorto dai morti. È conveniente che anche noi resuscitiamo spiritualmente dalla morte del peccato con una buona confessione. Infatti, “a causa del peccato grave l’anima è in uno stato di morte, e l’assoluzione le restituisce lo Spirito Santo che è la sua vita. – L’Angelo disse alle donne che cercavano Gesù al sepolcro: “Voi cercate un uomo vivo tra i morti; Egli non è più qui” (S. Giovanni). Come Gesù Cristo è risuscitato dai morti, così noi dobbiamo camminare in una nuova vita. (Rom. VI, 4). Molte persone hanno l’abitudine di acquistare abiti nuovi per la Pasqua. Bisogna avere molta cura nel rivestire la propria anima con la grazia santificante.

4. COME REGOLA GENERALE, I FEDELI DOVREBBERO RICEVERE LA COMUNIONE PASQUALE NELLA LORO PARROCCHIA, ma la Chiesa dispensa facilmente da questo precetto. (Ben. XIV).

La Chiesa sa infatti che i peccatori preferiscono aprire la loro coscienza ad un Sacerdote che non li conosce, perché in tal modo sono meno esposti a ricevere i Sacramenti indegnamente. – In passato, i fedeli erano obbligati a confessarsi nella loro parrocchia; lo scopo di questo precetto era quello di ispirare loro il rispetto per il pastore incaricato delle loro anime.

5. CHIUNQUE TRASCURI IL DOVERE PASQUALE E MUOIA SENZA PENTIMENTO, PUÒ ESSERE PRIVATO DELLA SEPOLTURA ECCLESIASTICA. (Conc. Latr. 1215).

La Chiesa pronuncia questa pena quando la trasgressione della legge è pubblica ed il moribondo ha rifiutato il Sacerdote sul letto di morte. – Il parroco, prima di rifiutare la sepoltura ascolta il parere del proprio Vescovo: quando il tempo è troppo breve e c’è dubbio, deciderà a favore del defunto.

Quinto e sesto comandamento della Chiesa: la legge del digiuno e dell’astinenza.

Il digiuno è antico quanto l’umanità stessa; era la legge imposta in Paradiso. Dio allora proibì agli israeliti di mangiare varie carni. (Levit. XI, 2), e nel giorno della riconciliazione furono obbligati a digiunare per 24 ore. (Ibid. XXIII). Gesù Cristo ed Elia digiunarono per 40 giorni, e Giovanni Battista, il precursore, digiunava in modo molto severo. La Chiesa prescriveva il digiuno per motivi molto seri.

In origine, la legge del digiuno era molto rigorosa, ma la legge comune è stata mitigata in molte diocesi in considerazione delle circostanze di luogo e di tempo.

La legge rigorosa proibisce i cibi grassi e più di un pasto al giorno nei 40 giorni di Quaresima, nei giorni delle Quattro Tempora e in alcune vigilie. – L’astinenza senza digiuno.è prescritta ogni venerdì e sabato dell’anno [quella del sabato poi fu abolita – ndr.). – In origine la legge era così severa da proibire uova e latticini e qualsiasi pasto prima del tramonto. La degenerazione del genere umano e la crescente tiepidezza della popolazione costrinsero la Chiesa a mitigare questa legge nel corso dei secoli. In virtù di un indulto pontificio i Vescovi permettono ai loro diocesani di consumare vari piatti proibiti dalla legge generale. All’inizio della Quaresima, l’annuncio quaresimale viene pubblicato in tutte le chiese, indicando queste particolari disposizioni. – Esse non sono uguali in tutte le diocesi. Quando ci si ferma per un certo tempo in una diocesi straniera, ci si deve conformare alle sue usanze, come già raccomandava S. Ambrogio a santa Monica.

Nella legge della Chiesa si deve distinguere tra: 1° astinenza dalle carni, 2° digiuno e 3° combinazione di digiuno ed astinenza.

L’astinenza in senso stretto consiste nel privarsi del cibo grasso, ed è prescritta ogni venerdì dell’anno. Il digiuno, che consiste nell’accontentarsi di un pasto al giorno ed uno spuntino leggero, è prescritto nei giorni di Quaresima, ad eccezione delle domeniche, nei giorni delle Quattro Tempora, nelle vigilie di Natale, Pentecoste, dell’Assunzione (poi sostituita con l’Immacolata Concezione).

Il digiuno ed astinenza insieme sono prescritti nei giorni di Quaresima per i quali non c’è dispensa, nei giorni di Quattro Tempora e nelle vigilie suddette.

Il 5° e il 6° comandamento della Chiesa ci obbligano ad osservare i giorni di astinenza e digiuno.

1. DOBBIAMO OSSERVARE LASTINENZA IL VENERDÌ, PERCHÉ È IL GIORNO DELLA MORTE DEL SALVATORE.

Tutti i cibi grassi sono proibiti; tuttavia, molti Vescovi permettono l’uso di grassi animali. È permesso mangiare animali acquatici, pesci, gamberi, rane, lumache e tartarughe, perché in passato ed in alcuni Paesi, questi erano gli alimenti dei poveri: sono permessi anche uova e latticini.

– La Chiesa prescrive l’astinenza dalla carne, perché Gesù Cristo ha rinunciato al suo corpo per noi, perché la carne è l’alimento meno indispensabile e che la privazione della carne è una mortificazione. L’astinenza deve anche ricordarci che dobbiamo lottare contro la concupiscenza della carne, che è particolarmente eccitata dagli alimenti grassi (S. Th. Aq.). Molte persone, contro l’astensionismo, mettono avanti le parole di Cristo: “Non è ciò che entra nella bocca che contamina l’uomo (Matteo XV, 11). Senza dubbio, ma ha anche detto: “Tutto ciò che esce dal cuore di un uomo lo contamina”. (Ibid. 18). Ora, la disobbedienza contro la Chiesa viene dal cuore e lo contamina. Ovviamente, non è l’alimento materiale che rende impuro l’uomo; “non è il frutto – dice S. Agostino – che ha corrotto Adamo, è stato Adamo a contaminare il frutto”. Non c’è astinenza quando in un giorno festivo – Natale, ad esempio – cade di venerdì, perché Gesù stesso non vuole che digiuniamo quando dovremmo gioire (S. Matth. IX, 15). –

Di diritto comune l’astinenza è anche prescritta il sabato.

Questa legge doveva, nello spirito della Chiesa, assicurare l’abrogazione del sabato, ma è generalmente caduta in disuso. Resta vero, tuttavia, che dobbiamo fare qualche sacrificio per prepararci santamente alla domenica. In particolare, i festeggiamenti del sabato sera non dovrebbero essere prolungati troppo, perché è facile che si perdano le funzioni della domenica.

2. DURANTE LA QUARESIMA DOBBIAMO ACCONTENTARCI DI UN SOLO PASTO AL GIORNO PER IMITARE I 40 GIORNI DI DIGIUNO DI GESÙ E PREPARARCI DEGNAMENTE ALLA PASQUA.

La Quaresima inizia il Mercoledì delle Ceneri e dura fino alla domenica di Pasqua. Le domeniche non dono mai giorno di digiuno.

La Quaresima è di tradizione apostolica (S. Ger.), ed è stata istituita in memoria del digiuno del Salvatore nel deserto. Dovrebbe essere un tempo di penitenza e di espiazione dei nostri peccati. (Il viola, colore liturgico del tempo, è un colore di lutto) (S. Matth. IX, 15). Dovremmo anche meditare sulla Passione di Cristo, soprattutto durante la Settimana Santa. (I sermoni quaresimali di solito si concentrano sulla penitenza e sulla Passione). – Il digiuno e la meditazione delle sofferenze di Gesù sono il modo più semplice per ottenere la grazia della contrizione e del perdono e sono la migliore preparazione alla Confessione ed alla Comunione pasquale. – Nei secoli passati, la Quaresima era molto più dura di quella attuale: i nostri antenati non mangiavano carne per tutta la Quaresima e mangiavano solo la sera. Questa era la disciplina del Medioevo ed il Concilio di Toledo del 653 scomunicava chi la trasgrediva; ai tempi di Carlo Magno era addirittura un reato punibile civilmente. – Oggi la Quaresima è molto semplice. La Chiesa ci chiede solo di accontentarci del pasto di mezzogiorno concedendoci la colazione del mattino e uno spuntino leggero la sera. Una persona abile non può mangiare altro senza infrangere la legge (Alessandro VII, propos. condannata 39). Bere non è proibito, ma è opportuno farlo solo per dissetarsi. È conveniente non assumere bevande troppo nutrienti o troppo abbondanti. Ripetiamo che è necessario attenersi scrupolosamente alle prescrizioni diocesane.

Non si è tenuti a digiunare fino al compimento del 21° anno di età.

3. NOI DOBBIAMO OSSERVARE LE QUATTRO TEMPORA PER CHIEDERE A DIO BUINI SSCERDOTI E RINGRAZIARLO PER LE GRAZIE RICEVUTE DURANTE LA STAGIONE PRECEDENTE.

I giorni delle Quattro Tempora sono il mercoledì, il venerdì ed il sabato all’inizio di ogni stagione; sono i giorni in cui si svolgono le ordinazioni.

Quattro-Tempora deriva dal latino: Quatuor tempora, le 4 stagioni. Esse cadono la terza settimana di Avvento, la seconda settimana di Quaresima, l’ottava di Pentecoste e la terza settimana di settembre. – Questo digiuno era già abituale tra gli israeliti (Zacc. VIII, 19) e Gesù Cristo stesso ci esorta a chiedere a Dio dei buoni sacerdoti: “La messe è molta – Egli ha detto – ma gli operai sono pochi”. Il Signore ha chiesto a Dio di mandare operai nella sua vigna. “(Matteo IX, 37).

4. DOBBIAMO OSSERVARE LE VIGILIE DI ALCUNE FESTIVITÀ PER PREPARARCI A CELEBRARLE DEGNAMENTE.

Le grazie della festa saranno proporzionali alla preparazione. I primi Cristiani si riunivano alla vigilia delle feste, trascorrevano la notte in preghiera e assistevano al santo Sacrificio, seguendo l’esempio di Cristo che spesso trascorreva la notte in preghiera. (S. Luca VI). Quando le persecuzioni cessarono e i Cristiani poterono tenere le loro riunioni durante la giornata, i Papi trasferirono gli uffici notturni alla vigilia della festa. La Messa di mezzanotte a Natale è l’ultima traccia di questa usanza, e delle Veglie rimane solo il digiuno.

Le veglie con digiuno sono quelle di Natale, Pasqua, Pentecoste, l’Assunzione (poi trasferita all’Immacolata Concezione).

5. LA CHIESA NON VUOLE CHE L’ASTINENZA O IL DIGIUNO INFLUISCANO SULLA NOSTRA SALUTE O CHE CI IMPEDISCANO DI SDEMPIERE AI NOSTRI DOVERI DI STATO.

È consentito l’uso della carne nei giorni di astinenza alle persone in cattiva salute,

cioè i malati, i convalescenti, i bambini sotto i 7 anni (poiché non hanno ancora peccato, non devono fare penitenza), gli anziani (oltre i 60 anni) che risentono degli effetti dell’età. In alcune diocesi sono esonerati anche coloro che sono sottoposti a lavori molto faticosi, sia intellettuali che fisici: tuttavia, non è la carriera in sé a dispensare, ma il rapporto tra la forza fisica ed il lavoro da svolgere. – Si può ottenere la dispensa anche per un viaggio faticoso, o quando non si è il proprio padrone, come i servi o i soldati, o quando si è costretti a prendere i pasti in albergo, come gli studenti, i viaggiatori che sono costretti a mangiare di sfuggita ai buffet delle stazioni, gli impiegati delle ferrovie, persone che prendono l’acqua per la loro salute. – I poveri ridotti a chiedere l’elemosina per il loro pane possono, nei giorni di astinenza, mangiare i piatti grassi dati loro in elemosina, altrimenti sarebbero costretti a fare la fame. – Chi è esente dovrà comunque fare uno sforzo in alcuni giorni, come il Mercoledì delle Ceneri, il Venerdì Santo e la Vigilia di Natale. Soprattutto evitare accuratamente di dare scandalo, secondo le parole di S. Paolo: “Fate attenzione che la vostra libertà non diventi una pietra d’inciampo per i deboli (I Cor. VIII, 9) e “se quello che mangio offende il mio fratello, non mangerò più carne per tutta la vita” (Ivi, 13).

2. Sono esentati dal digiuno coloro che non hanno raggiunto l’età di 21 anni, così come coloro che non godono di buona salute e coloro che fanno un pesante lavoro intellettuale o materiale.

Durante il periodo della crescita, c’è bisogno di cibo abbondante. Il digiuno è talvolta consigliabile per imparare l’autocontrollo. – Le persone in cattiva salute sono i malati, i convalescenti e gli anziani (oltre i 60 anni).- Tra le persone che devono svolgere lavori pesanti ci sono coloro che svolgono mansioni di interesse pubblico, come confessori, predicatori, maestri di scuola, gli insegnanti, medici, giudici, infermieri, ecc. che hanno bisogno di un’alimentazione speciale. – Una dispensa generale viene talvolta concessa in tempi di epidemia, in alcune diocesi anche per una fiera. – Il dovere di preservare la vita è di diritto divino, quello del digiuno di diritto ecclesiastico: in caso di conflitto fra i due il diritto umano deve cedere il passo a quello divino. Ma chi è esonerato dal digiuno deve compensare con altre opere buone: i confessori e i parroci sono generalmente autorizzati a fare questa commutazione.

3. Nessuno deve digiunare eccessivamente, perché Dio richiede un servizio ragionevole. (Rom. XII, 1).

Chi digiuna in modo smodato è come un cocchiere che, eccitando i suoi cavalli, esporrebbe la sua carrozza ad un grande pericolo, o come una nave senza zavorra, che diventa il trastullo del vento (S. Efr.). Ci sono santi, come San Bernardo, che sono caduti erroneamente in questo errore e che se ne sono pentiti amaramente, perché la rovina della loro salute impediva loro di lavorare e li esponeva alle tentazioni. È bene quindi non mortificarsi corporalmente senza il consiglio del proprio direttore: il digiuno deve uccidere i peccati della carne, ma non la carne stessa (S. Greg. M.); esso non deve indebolire il corpo al punto di essere incapace di pregare e adempiere ai doveri di stato (S. Ger.). Bisogna trattare il proprio corpo come un bambino, e punirlo solo quando è disobbediente. I digiuni sono un rimedio: se presi in eccesso, essi sono dannosi: bisogna essere severi con se stessi, ma non crudeli; la durezza verso se stessi è difficilmente compatibile con la dolcezza verso gli altri.

6. IL DIGIUNO E L’ASTINENZA SONO MOLTO UTILI PER IL CORPO E PER L’ANIMA; danno luce alla mente, forza alla volontà, molte virtù, la salute, la remissione dei peccati, il perdono dei peccati, l’esaudimento delle preghiere, grazie straordinarie e la ricompensa celeste.

Il digiuno ha molti benefici spirituali. Daniele, che alla corte di Nabucodonosor, mangiava solo legumi e acqua, prevalse in saggezza su tutti i consiglieri del re. (Dan. I.). Tutti i grandi dottori della Chiesa erano molto mortificati. – Il digiuno rende forte la volontà: doma tutte le inclinazioni malvagie della carne e respinge le tentazioni del diavolo (1. Cor. IX, 27). “La carestia fa capitolare le fortezze, e il digiuno fa capitolare il corpo di fronte alle esigenze della ragione e della volontà” (S. Alberto Magno), doma le passioni come un cavaliere, doma la furia di un cavallo furioso per mezzo delle redini (Rodriguez). – Il diavolo considera il nostro corpo come il suo migliore alleato, perché sa che i nemici dall’interno sono i più pericolosi (S. Bern.); ma con il digiuno leghiamo il nostro corpo in modo che non possa tradirci all’avvicinarsi dei nemici esterni (Rodr.), gli togliamo forze inutili che non può trasformare in armi contro di noi (S. Aug.). Un uccello leggero sfugge più facilmente ad un uccello rapace di uno il cui volo è appesantito da troppo cibo. (S. Bonav.). Gli atleti preparati alla battaglia con l’astinenza (I Cor. IX) otterranno la vittoria e molte alte virtù. Il digiuno ci prepara prima alla preghiera, poi alla dolcezza, alla pazienza ed alla castità. “Mai un’alta perfezione è stata raggiunta senza il digiuno; esso rende gli uomini simili agli Angeli che non mangiano e non bevono (S. Cyp., S. Ath.). L’uomo spirituale cresce nello stesso che l’uomo animale muore, come in una bilancia dove uno dei piatti sale mentre l’altro scende. – Il digiuno fa bene alla salute e allunga la vita, l’astinenza è la madre del vigore. (S. Ger.); i compagni di Daniele mangiavano molto poco, e dopo 10 giorni avevano un aspetto migliore degli altri giovani (Dan. 1.). Gli anacoreti della Tebaide, come Sant’Antonio eremita, San Paolo l’eremita, digiunarono molto e raggiunsero l’età di 100 anni; Sant’Alfonso (+ 1787) digiunava a pane e acqua ogni sabato in onore della Beata Vergine Maria e visse fino a 90 anni. Ippocrate, il padre della medicina, morì più che centenario. Quando gli chiesero perché fosse vissuto così a lungo, rispose: “io non mi sono mai saziato”. I medici in genere prescrivono ai malati una dieta come condizione per la guarigione. Il corpo, come i vestiti, dura più a lungo quando viene risparmiato. “La temperanza – dice la Sapienza (XXXI, 24) – prolunga la vita”. – Il digiuno ottiene il perdono dei peccati. Dio perdonò i Niniviti perché digiunarono. (Giona III); la razza umana è stata perduta a causa dell’ingordigia, sarà salvata dal digiuno. – Il digiuno previene quaggiù le pene del purgatorio. – Dio esaudisce prontamente le preghiere di coloro che digiunano. -Quando Oloferne assediò Betulia, gli abitanti ricorsero al digiuno e alla preghiera, e Dio li liberò miracolosamente per mezzo del braccio di Giuditta (IV). Il digiuno e l’elemosina sono le due ali della preghiera (S. Aug.); l’anima di un corpo mortificato può salire più facilmente a Dio, così come gli uccelli migratori compiono più facilmente il loro viaggio, perché sono alleggeriti dalla privazione del cibo (S. Vinc. F.). – Il digiuno ha sempre ottenuto grazie speciali da Dio. Dopo il digiuno, Mosè ottenne un incontro con Dio sul Sinai ed Elia ebbe una visione sul Monte Horeb (III Re, XIX). La protezione miracolosa dei giovani nella fornace fu certamente la ricompensa per il loro digiuno. Questo esercizio ci spiritualizza e divinizza, per così dire, ed è per questo che a Dio piace entrare in relazione con noi (Rodrig.). – Il digiuno ottiene una ricompensa celeste. Mosè ed Elia apparvero alla trasfigurazione sul Tabor, perché erano stati gli unici tra i patriarchi ad aver digiunato 40 giorni come Gesù (S. Vinc. F.).

7. L’ASTINENZA E IL DIGIUNO SONO GRADITI A DIO SOLTANTO QUANDO CI SFORZIAMO ALLO STESSO TEMPO DI EVITARE IL PECCATO E DI FARE IL BENE.

Il digiuno non è ancora la perfezione. (I. Cor. VIII, 8), ma è un mezzo per arrivarci domando le passioni e facilitandoci il bene. “Dio tiene meno conto dell’astinenza dal cibo che dell’annientamento del peccato”. (S. Antonino). A che cosa serve che un uomo si astenga dalla carne se fa a pezzi il suo prossimo con la calunnia? (S. Aug.) Egli assomiglia allora al sepolcro, imbiancato all’esterno e pieno di putredine all’interno (S. Matth. XXIII, 27), al diavolo che non mangia e non smette di fare il male (S. Onorato). Il digiuno non è in grado di alimentare la preghiera ed è una lampada senza olio, perché dobbiamo digiunare solo per poter pregare meglio. Il digiuno senza elemosina è un è un campo senza seme (S. Pietro Crisol.); non è un digiuno per Dio, ma per se stesso negare ai poveri ciò che si è risparmiato con il digiuno (S. Greg. M.).

V. La legge del tempo proibito.

Il tempo “chiuso” o proibito è il tempo durante il quale la Chiesa proibisce la celebrazione solenne del matrimonio e ne disapprova i festeggiamenti chiassosi.

Tra la 1ª domenica di Avvento e l’Epifania, tra il Mercoledì delle Ceneri e la Domenica di Quasimodo, la Chiesa proibisce la celebrazione del matrimonio e le celebrazioni rumorose.

Questa è una decisione del Concilio di Trento (24, 10). In precedenza, la stagione di “chiusura” comprendeva ancora le tre settimane tra le Rogazioni e la Domenica della Trinità. – Questi periodi sono tempi di penitenza incompatibili con i piaceri; questi tempi sono destinati dalla Chiesa a meditare sui grandi misteri della salvezza: l’Avvento e quello dell’Incarnazione, la Quaresima a quello della Redenzione. Non è opportuno distrarsi da queste grandi verità con i piaceri del mondo. – Anche le grandi feste di Pasqua e di Natale fanno parte del periodo di chiusura. Dobbiamo abbandonare le gioie del mondo e dedicarci esclusivamente alle gioie spirituali. – I Vescovi possono permettere che i matrimoni siano celebrati in tempo chiuso ma non con solennità; solo il papa può concedere, da solo o tramite il Vescovo, la solennità del matrimonio in tempo chiuso. – La pubblicazione dei matrimoni non è proibita in tempo chiuso. – I balli sono altamente riprovevoli, mentre i concerti sono tollerati. Coloro che non rispettano questa legge deve temere la minaccia del Signore: “Trasformerò i vostri giorni di gioia in giorni di lutto” (Amos VIII, 10).

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (10)

OSSIA IL MEZZO PIÙ INDISPENSABILE E NELLO STESSO TEMPO INFALLIBILE PER IMPETRARE DADIO OGNI BENE E SOPRATTUTTO L’ETERNA SALVEZZA. (10)

ISTITUTO MISSIONARIO PIA SOCIETA’ S. PAOLO

N. H., Roma, 15 maggio 1942, Sac. Dott. MUZZARELLI

Imprim., Alba 25 maggio 1942. Cn. P. Gianolio, Vic. Gen.

Tipogr. – Figlie di S,. Paolo. – Alba – giugno – 1942.

16. — Guai a chi non prega!

Possiamo dunque far nostro il sillogismo del P. Von Doss: « Senza il divino aiuto — ei scrive — non v’è per noi salute. Senza la preghiera questo divino aiuto ci manca. Dunque senza la preghiera per noi non v’è salute ». « Chi non prega certamente si danna » (S. Alfonso). Infatti — e va bene il ripeterlo — « i comandamenti di Dio si possono osservare tutti e sempre, anche nelle più forti tentazioni », se non colle nostre forze, ben però « coll’aiuto della grazia, che Dio non nega mai a chi lo invoca di cuore » (Cat. di Pio X, dom. 165). Perciò « chi vuole stare con Dio deve pregare. Ogni qualvolta il peccato minaccia l’anima nostra, ricorriamo alla preghiera se non vogliamo soccombere » (S. Isidoro). Certo « non ha scusa chi cade; poiché se pregava non sarebbe stato vinto dai nemici » (Crisostomo). – La preghiera è dunque a tutti assolutamente necessaria; anzi « fa d’uopo osservare che la preghiera è per noi un mezzo indispensabile e che non può surrogarsi con altri mezzi per raggiungere la perfezione e la salvezza » (P. Meschler S. J.). – Ed anche su questo punto i Ss. Padri e gli uomini che hanno il senso di Dio, son tutti d’accordo. « Noi crediamo – dice S. Agostino – che niuno meriti il divino aiuto, se non chi prega… Senza il cibo non può sostenersi il corpo, e senza la preghiera non può conservarsi la vita dell’anima ». E il P. Meschler : « La preghiera è il minimo che Dio poteva esigere dall’uomo. Chi si rifiuta di farla, si chiude volontariamente la porta delle grazie del cielo… Nessuna cosa si deve sperare, se non per la preghiera. Tutta la fiducia che non sia basata sulla preghiera è vana. Dio nulla ci deve se non mediante la preghiera, poiché è a questa che Egli ha promesso tutto. Ordinariamente Dio non concede alcuna grazia se non Gliela si domanda; e quando la concede è grazia della preghiera ». « Quella della preghiera — scrive il P. Berlatti, Gesuita anche questo — è una strada, mettendoci sulla quale, i più grandi peccatori si salvano, ed uscendo dalla quale i più grandi santi si perdono ». Ma già prima il Crisostomo aveva asserito che « la preghiera è per l’uomo ciò che l’acqua è per il pesce »; e l’A Lapide, raccogliendo il pensiero di tutti, conclude: « la preghiera è per l’anima nostra ciò che il sole è per la natura per vivificarla e fecondarla, ciò che l’aria è pei nostri polmoni, il pane per la vita materiale, l’arma pel soldato, l’anima pel corpo »: tutte cose, come si vede, necessarie e insostituibili. – Riporto qui anche il pensiero del P. Oddone S. J. « La grazia — egli scrive — ci manca qualche volta. Ma questo avviene non perché Dio ce la rifiuti, ma perché noi non gliela domandiamo. Non perché Dio non ci voglia esaudire, ma perché noi siamo negligenti nell’invocarlo. Se noi abbandoniamo Dio, trascurando di ricorrere a Lui e di attirarci, colla preghiera la sua grazia e il suo soccorso, Dio abbandona noi. Ma l’abbandono di Dio, sempre suppone il nostro abbandono o la nostra trascuranza ». Ecco dunque a che punto trascina la trascuranza nella preghiera: nientemeno che all’abbandono di Dio! E questo non si dirà grave, anzi disastroso? – Hanno quindi ragione anche il Crisostomo e l’Aquinate, il primo dei quali dice: « Io penso che appaia a tutti evidente come sia a tutti impossibile vivere virtuosamente senza il sussidio della preghiera »; e l’altro: « Il Signore non vuole concederci le grazie che « ab æterno » ha determinato di donarci, per altro mezzo che per la preghiera ». Questo, si comprende, vale per le grazie efficaci; poiché le grazie comuni (sufficienti) son date a tutti. Anche S. Teresa di Gesù, commentando le evangeliche parole: « Chiunque domanda riceve, chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto » (Luc. XI, 10), così si esprime: « Dunque chi non domanda non riceve, chi non cerca non trova, e a chi non picchia non sarà mai aperta la porta. Dunque, chi lascia la preghiera è simile ad un corpo paralitico che ha mani e piedi e non li può adoperare; dunque il lasciar la preghiera è lo stesso che lasciar la buona strada che guida al cielo e gettarci da noi stessi nell’inferno senza bisogno del demonio che vi ci spinga ». Dopo ciò deve apparire chiaro ciò che — già nella prefazione — scrive S. Alfonso nel suo libretto « Del gran mezzo della preghiera ». « Ben s’inculcano — ei rileva e lamenta — tanti buoni mezzi alle anime per conservarsi in grazia di Dio: la fuga delle occasioni, la frequenza ai Sacramenti, la resistenza alle tentazioni, il sentir la divina parola, il meditar le massime eterne ed altri mezzi, tutti — non si nega — utilissimi. Ma a che servono, io dico, le prediche, le meditazioni e tutti gli altri mezzi che danno i maestri spirituali, senza la preghiera, quando il Signore si è dichiarato che non vuol conceder le grazie se non a chi prega? « Chiedete ed otterrete » (Giov. XVI, 24). Senza la preghiera — parlando secondo la Provvidenza ordinaria — resteranno inutili tutte le meditazioni fatte, tutti i nostri propositi e tutte le nostre promesse. Se non preghiamo, saremo sempre infedeli a tutti i lumi ricevuti da Dio e a tutte le promesse da noi fatte. La ragione si è perché a fare attualmente il bene, a vincere le tentazioni, ad esercitare le virtù, insomma ad osservare i divini precetti, non bastano i lumi da noi ricevuti e le considerazioni e i propositi da noi fatti; ma di più vi bisogna l’attuale aiuto di Dio; e il Signore questo aiuto attuale non lo concede se non a chi prega. I lumi ricevuti, le considerazioni e i buoni propositi concepiti a questo servono, acciocché pei pericoli e tentazioni di trasgredir la divina legge, noi attualmente preghiamo e colla preghiera otteniamo il divino soccorso che ci preservi poi dal peccato; ma se allora non preghiamo, saremo perduti ». Ed altrove, nello stesso libretto, scrive: « Alcune anime devote impiegano gran tempo a leggere e meditare, ma poco attendono a pregare. Nel leggere e meditare (e — si potrebbe aggiungere — nell’ascoltar prediche) noi apprendiamo i nostri obblighi, ma colla preghiera otteniamo la grazia per adempierli. Che serve conoscere ciò che siamo obbligati a fare, e poi non farlo, se non per renderci più colpevoli innanzi a Dio? Leggiamo e meditiamo quanto vogliamo: non soddisferemo mai le nostre obbligazioni, se non chiediamo a Dio l’aiuto per adempierle ». E tutto questo — si noti bene — dice quel S. Alfonso che pur scrisse volumi di meditazioni, di prediche e di esortazioni al bene, e che pur promosse in modo ammirabile la frequenza ai SS. Sacramenti. Qualcuno si sarà meravigliato nel leggere che S. Alfonso (vedi le parole da me sottolineate) neghi, sotto l’aspetto da me trattato, perfino l’efficacia dei SS. Sacramenti. Eh, già! fra « tutti gli altri mezzi che dànno i maestri spirituali », è segnalata anche « la frequenza dei Sacramenti ». Perciò su questo punto convien fare due righe di spiegazione. Potrei spicciarmi dicendo coll’Aertnys che, « come Dio ha stabilito che la grazia santificante ci giunga attraverso i Sacramenti, così ha decretato che le grazie attuali (è il caso nostro) ci giungano per il canale della preghiera di petizione »; ed avrei detto quanto basta. – Ma voglio essere più chiaro ancora. Intanto i Sacramenti, a chi li riceve colle dovute disposizioni, danno od aumentano « ex opere operato », cioè infallibilmente, la grazia santificante. Questa però non è la grazia attuale, della quale qui si tratta. I Sacramenti poi ci danno per giunta la cosiddetta grazia sacramentale, la quale consiste in un diritto a quelle speciali grazie attuali che rispondono al fine proprio di ogni Sacramento. Ora qui si può chiedere: questo diritto è esso valorizzato e le relative grazie attuali riescono esse efficaci senza la nostra preghiera? Giusta quanto è stato detto e sostenuto fin qui, non è forse soltanto la preghiera quel mezzo potentissimo che ci assicura l’efficacia delle grazie attuali? – La S. Comunione poi ci preserva — come dice il Tridentino — dai peccati mortali. Ed è verissimo. Questa però è una grazia preservativa che entra nella serie delle grazie attuali. Dunque essa pure, perché riesca infallibilmente efficace, abbisogna della nostra fervente preghiera. Ed ecco che così si deve per forza dar ragione a S. Alfonso. Senza preghiera, almeno ordinariamente, non si dà grazia efficace. Ed il celebre Teol. De Lugo non lo contraddice. « Dall’esperienza ci consta — ei scrive — che tali aiuti efficaci non son dovuti a chi riceve i Sacramenti » (De Sacram., Disp. 4, sect. 3, 26). E quanto dico è recentemente confermato anche dall’autore di « Vivere in Cristo » (pag. 121). « Nemmeno i Sacramenti — egli scrive — ci assicurano in modo infallibile la corrispondenza alle grazie attuali. Indubbiamente per salvarci dobbiamo frequentare i SS. Sacramenti; ma non basta. Bisogna accompagnarli con molta preghiera. Ciò spiega come qualche volta avvenga che anche chi riceve la S. Comunione frequentemente, ricada spesso in peccato e non riesca a liberarsi da cattive abitudini. La ragione è questa: non prega, (o non prega bene, o non prega abbastanza). Per star vivi non basta soltanto mangiare, ma bisogna anche respirare. Nella vita della grazia la preghiera è il respiro ». E quanto ho scritto non spiegherebbe pure il vero motivo della precarietà di certe conversioni che avvengono realmente nel tempo pasquale e specialmente in occasioni di tridui e missioni? Allora si udì la divina parola, allora si invocò il divino perdono, e lo si ottenne. In seguito però (e quanto presto!) si cessò di pregare, e purtroppo si ritornò al vomito, riducendosi spesso in condizioni peggiori delle precedenti (Matt. XII, 45). Ecco la desolante storia di tante povere anime! È la trascuranza di pregare che le rovina. Lo dice anche S. Alfonso: « Molti peccatori coll’aiuto della grazia giungono a convertirsi a Dio; ma poi, perché lasciano di domandare la perseveranza, tornano a cadere e perdono tutto ». Invece purtroppo « tutto quaggiù tende a farci trascurare la preghiera pur così dolce e per se stessa tanto facile. Il semplice Cristiano che vive nel mondo ne è distolto dagli affari, il religioso ritirato nella solitudine trova troppo spesso ostacoli al compimento di essa nell’attività dello spirito, il Sacerdote ne trova appena il tempo in mezzo alle fatiche e alle distrazioni del ministero. Noi infelici, infelice la Chiesa, se finissimo per cedere davanti a questi ostacoli! » (P. Ramiere). E dunque? Dunque, applichiamo a noi queste gravi parole colle quali il pio e venerabile P. Riccardo Friedl S. J. terminò un corso di esercizi spirituali predicato a degli studenti religiosi: « Dimenticatevi pure di quanto vi ho detto e di quanto vi fu insegnato nei lunghi anni della vostra formazione; ma ricordatevi di una cosa sola: di pregare. Diverrete santi e sarete grandi apostoli. Che, se ricordaste tutto il resto, ma dimenticaste questo solo: che occorre pregare, perdereste l’anima vostra e sareste pur la rovina di altre ». – E questo valga non solo pei religiosi, ma indistintamente per tutti.

17. — O Signore, non c’indurre in tentazione.

Dunque « la preghiera è necessaria perché Dio la comanda, è necessaria per trionfare dei nostri nemici, per uscire dallo stato di peccato, per non ricadervi, per lavorare alla nostra salvezza, per corroborare la nostra fiacchezza, per praticare la virtù, per poter giungere in Paradiso ». Soprattutto, però la preghiera è necessaria quando siamo tentati al male. Ah, sì! allora dobbiamo seguire senza dilazione il consiglio di Gesù, che dice: « Vigilate e pregate per non soccombere alla tentazione (Matt. XVI, 41), ed immediatamente e con tutta fiducia rivolgerci al buon Dio, e dirgli: « Deh, per carità! non permettere ch’io ceda alla tentazione » (Luc. XI, 4). È bensì vero ciò che dice lo Spirito Santo quando chiede: « Che cosa sa mai chi non è tentato? » (Eccli. XXXIV, 9), ed è pur lodato chi esce vittorioso dalle tentazioni: « Beato l’uomo che sostiene la tentazione, poiché quando sarà stato provato, riceverà la corona della vita » (Giac. 1, 12); ma purtroppo spesso, se anche lo spirito è pronto a resistere, la carne invece e assai debole (Matt. XXVI, 41), e cede miseramente. Ed allora son veri guai! Dobbiamo tuttavia ritenere che « Dio è fedele, e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze; ma con la tentazione vi darà anche l’aiuto necessario, affinché possiate sostenerla (I Cor. X, 13). Ora chi nelle tentazioni invoca Dio, Gesù, lo Spirito Santo o Maria Santissima, e coll’anima sua si rifugia in Essi con quello slancio stesso con cui una bambina invoca la mamma e si rifugia di corsa nel suo grembo quando si vede assalita da un cagnaccio, oh, è certissimo di evitare il peccato! Chi fa così non può essere abbandonato dal Signore. – Talvolta le tentazioni sono assai forti e si ripetono con grande frequenza. In simili frangenti « chi siamo noi e qual è la nostra forza per resistere a tante tentazioni? » Ora il Signore, permettendo questo, vuol farci capire che « vedendo noi la nostra debolezza, ricorriamo con tutta umiltà alla sua misericordia » (S. Bernardo). Ne vien di conseguenza che « chi si ritrova combattuto da qualche grave tentazione, senza dubbio pecca gravemente se non ricorre a Dio coll’orazione chiedendo l’aiuto per resistere a quella, vedendo che altrimenti si mette a prossimo, anzi certo pericolo di cadere » (S. Alfonso). Avverto poi che quanto dice qui S. Alfonso è di massima importanza specialmente per la gioventù, che non crede alla propria debolezza morale, che non vede il bisogno di vegliare su se stessa e che quindi non ritiene neppur necessario raccomandarsi a Dio. Con ciò non si vuol dire che chi prega possa sempre liberarsi da tutte le tentazioni. È però certo e sicuro che, colla preghiera ben fatta, ci preserviamo infallibilmente dal soccombere alle medesime. E questo basta. Scrive infatti S. Bernardo a sua sorella: « Tu mi chiedi un rimedio contro le suggestioni del demonio… Raccomandati continuamente a Dio. La preghiera perseverante spunta le frecce dell’infernale nemico ed è l’arma più poderosa contro i suoi assalti ». E S. Alfonso « Molte volte noi cerchiamo da Dio che ci liberi da qualche tentazione pericolosa, e Dio non ci esaudisce, e permette che la tentazione seguiti a molestarci. Intendiamo che anche allora Dio permette ciò pel nostro maggior bene. Non sono le tentazioni e i cattivi pensieri che ci allontanano da Dio, ma i mali consensi (cioè l’acconsentire malamente ad essi). Quando l’anima nella tentazione si raccomanda a Dio e col suo aiuto resiste, oh! com’ella si avanza allora nella perfezione e viene a stringersi con Dio! E perciò il Signore non la esaudisce » per darle modo di crescere in virtù e arricchirsi di meriti. Spesso poi, ma specialmente quando siamo tentati, « dobbiamo aver sempre pronte molte orazioni giaculatorie… con slanci ed elevazioni di cuore, simili a quelle degli antichi penitenti: Io sono vostro, o mio Dio, salvatemi! Abbiate misericordia di me! Siate propizio a me, povero peccatore! e simili » (S. Francesco di Sales). Ora anzi ce n’è un vero arsenale, anche di indulgenziate; e ci conviene apprenderne alcune a memoria per averle pronte nel momento del bisogno. Ma ecco una domanda: Si avrà poi sempre. quando si è tentati, la grazia di raccomandarci a Dio? Rispondo senz’altro di sì; e chi fa la carità di leggermi, lo vedrà chiaramente nel cap. 21, che non è lontano. – Insomma nelle tentazioni e nei pericoli di offender Dio e di cadere in peccato, sia nostro il grido di S. Pietro, quando stava per sommergersi: « O Signore, salvami! »; sia quello degli Apostoli sorpresi dalla tempesta: « Signore, salvaci, se no siam perduti! », e tutto ci andrà bene (Matt. XIV, 30; Luc. VII, 24). Ah, sì! se faremo così il buon Dio interverrà senza fallo in nostro soccorso; e noi ci salveremo certamente dall’acconsentire al male. E non si creda — come ritengono non pochi — che i buoni e i santi vadano esenti da tentazioni. La verità invece è che i buoni son tentati assai più spesso e più violentemente dei cattivi. Non occorre che il demonio tenti i cattivi: essi son già suoi. Egli li tenta e li agita per lo più quando vorrebbero svincolarsi dal suo giogo; ma poi non si preoccupa tanto di loro, e li lascia in relativa tranquillità. Ora perché i buoni resistono a grandi, e frequenti tentazioni, mentre i cattivi cedono vergognosamente su tutta la linea? È presto detto. I buoni invocano allora istantemente il Signore e la Madonna; questi dànno ad essi l’aiuto onnipotente della grazia; ed essi con tale aiuto resistono vittoriosamente ai più forti assalti. I cattivi invece quando son tentati trascurano di raccomandarsi a Dio; non possono quindi pretendere ch’Egli li aiuti in modo particolare, come avrebbero bisogno; ed essi, abbandonati alla loro connaturale debolezza, aggravata dalle loro malvage abitudini, cadono miseramente alla più leggera spinta. – Dopo ciò, che mi resta a fare, se non confessare anch’io con S. Alfonso « Ah, mio Dio! io non sarei mai caduto, se nelle tentazioni fossi a voi ricorso »? Soprattutto però dobbiamo raccomandarci a Dio quando siam tentati di cose impure. Dice infatti S. Gregorio Magno « Quanto maggiormente siamo oppressi dal tumulto delle miserie carnali tanto più ardentemente dobbiamo insistere nella preghiera ». E S. Alfonso « Specialmente avvertasi che niuno può resistere alle tentazioni impure della carne, se non si raccomanda a Dio quando è tentato. Questa nemica è sì terribile che, quando ci combatte, quasi ci toglie ogni luce. Ci fa dimenticare di tutte le meditazioni e buoni propositi fatti e ci fa vilipendere anche le verità della fede, quasi anche perdere il timore dei castighi divini; poiché essa si congiura coll’inclinazione naturale, che con somma violenza ne spinge ai piaceri sensuali. Chi allora non ricorre a Dio è perduto ». Si noti che queste son parole sacrosante! Si comprende troppo bene che di quanto ho qui riferito e detto non possono beneficiare coloro che da se stessi, senz’alcuna ragione plausibile e senza le necessarie precauzioni, si buttano in tutte le compagnie, vogliono guardar ed osservar quanti e quante passano davanti alla porta o sotto le finestre, intervengono a tutte le novità del teatro e del cinematografo, ascoltano tutte le canzonette e tutte le operette della radio, frequentano trattenimenti danzanti, voglion leggere tutti i libri, scorrere tutti i giornali, osservare tutte le illustrazioni, visitare le spiagge marine, i luoghi termali, i paesi di villeggiatura, seguire tutte le mode, ecc. ecc. Per costoro sta invece scritto: « Chi ama il pericolo, in quello perirà » (Eccli. III, 27), poiché sono essi stessi che cercano di essere suggestionati e tentati al male (Sarebbe da dire qualcosa su ognuno di questi pericoli; ma dove andrei a finirla? Tuttavia riporto qui ciò che dice la « Civiltà Cattolica » su certi libri che oggi corrono per le mani di tanti. Questi libri — scrive nel fase. I Nov. 1941 — « in religione ci portano troppo spesso ventate di gelido indifferentismo e di spudorate irriverenze; in morale cercano di distruggere ogni argine di pudore, riguardato ormai come ipocrisia da rigettare tra le ideologie di popoli arretrati e come anticaglie stramorte; e nella famiglia diffondono un veleno che uccide il vero concetto dell’amore, cambia la donna nella repellente volgarità della femmina, getta manate di fango sulla maternità, investe con scettico disprezzo la virtù della purezza, e inocula nel santuario domestico uno spirito di libertinaggio al quale tien dietro solamente la catastrofe ». E il cine?… E le spiagge e le stazioni termali?… E le passeggiate promiscue?… Son cose che fan fremere e vergognare!). – Questi tutt’al più, nei momenti di rimorso (che non possono loro mancare), potranno fare al Signore una o l’altra di queste preghiere: « O buon Dio, liberami dal tirannico fascino delle frivolezze mondane! O Signore buono, fammi vedere quanto son vane, sciocche e fatali all’anima mia le misere cose che seguo e amo! O Dio mio, crea in me un cuor puro e mondo, ed infondi nell’anima mia lo spirito d’una sincera rettitudine! — Se saranno fatte di vero cuore, il Signore certamente illuminerà quelle povere anime, farà loro vedere quanto son lontane dalla buona strada e darà pur loro la forza e la fortuna di ritornare tosto o tardi al dolce ed amoroso amplesso del buon Dio, nel quale soltanto potranno trovare la vera pace e felicità. Non succede infatti la prima volta che anime scervellate, le quali resistettero già a tutte le raccomandazioni d’una buona mamma, si burlarono dei consigli d’un pio e santo Sacerdote e si risero perfino dei richiami di persone autorevoli, colpite infine da una speciale illustrazione o, più spesso, da una provvidenziale sventura, cambiarono sentimenti, mutarono vita e divennero non di rado grandi apostoli nel bene. Ebbero forse qualche guaio in seguito ai loro disordini; ma che importa? In fine trovarono la pace, si confermarono nella virtù, fecero penitenza delle loro leggerezze e delle loro colpe, e si assicurarono il Paradiso. – Ora tutto ciò avvenne certamente in grazia di qualche accorato sospiro a Dio fatto da esse medesime in qualche momento di ansietà e di rimorso, od a qualche fervente supplica rivolta al Signore da qualche persona che voleva loro bene e che, forse, conosceranno soltanto nell’eternità. Nessuno conosce bene la forza e l’efficacia d’una preghiera ben fatta.

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (11)

IL SACRO CUORE (70)

IL SACRO CUORE (70)

P. SECONDO FRANCO

SACRO CUORE DI GESÙ (7)

TORINO – Tipografia di Giulio Speirani e figli – 1875

V° per delegazione di Mons. Arciv. Torino, 1 maggio 1875, Can. Ferdinando Zanotti.

Cuore di Gesù. Cuore di Re.

Il N. S. Gesù Cristo è veramente Re, anzi è Re dei Re, Signore dei dominanti.0 Le divine Scritture si piacciono a descrivere l’ampiezza del suo regno, la durata, la solidità. Il suo regno, dicono è il regno di tutti i secoli, per estensione egli dominerà dal mare al mare e dal fiume sino agli ultimi confini della terra. È regno che non avrà più fine, poiché dopo la consumazione del secolo sarà trasportato nel Cielo, dove ha da durare per sempre. Deve essere adunque regale il suo Cuore. Ora a che si conosce un Cuore veramente di Re? Lasciamo stare quello degli uomini che spesse volte pur troppo non corrisponde a sì alto ufficio: quello di Gesù si conosce I° all’ampiezza, 2°, alla magnificenza, 3° alla degnazione.

I. All’ampiezza. Del gran Re Salomone dice la divina Scrittura che ebbe un cuore smisuratamente largo. Dedit ei latitudinem cordis vasto quanto le arene del mare: sicut arena quæ est in littore maris: ed è certo una gran lode. Ma non presuma di paragonarsi col Cuore del nostro Gesù, il quale accoglie in sé tutti gli uomini, tutte le generazioni, di quante sono le parti abitate della terra. E sebbene egli regni come Re riconosciuto, più particolarmente sopra i popoli che fanno parte della sua Chiesa, tuttavia non sono fuori della sua giurisdizione né i Gentili; né gli Eretici, né gli Scismatici che ricusano di riconoscerlo o nol riconoscono bastevolmente. Sperimentano pia amorosa la sua provvidenza quelli che volonterosi gli stanno sottomessi quali sono i Cattolici che Egli più peculiarmente chiama suo regno. Fecisti nos Deo nostro regnum: ma non sono privi degli influssidel suo Cuore neppure quelli che sonolontani da Lui. Anche questi ricevono grazieproporzionate al loro stato, affinchépossano volendolo accostarsi al suo Regnovisibile che è la Chiesa. Con questo di piùche dove i Monarchi terreni non possonofar altro, per quanto abbiano buon cuore,che stendersi colla loro provvidenza albene comune, ai generosi provvedimentiche riescono sempre scarsi all’uopo deiparticolari, il Cuore del nostro Re divinoha tale ampiezza che coll’universale arrivaeziandio al particolare di ognuno.Gesù ha presenti tutti gli atti minimi,anzi pure i pensieri di ciascheduno e tutti può dirigerli ed ordinarli. Così vedetutti i pericoli, tutte le necessità ed atutto si stende né fa distinzione di persona,ma come pensa al Monarca sul trono,così pensa al povero nel suo tugurio, comealla regina che calpesta il soglio, così allafemminetta che maneggia la spola. Inquella guisa che il sole mentre riscalda  le querce robuste, non dimentica il fiorellino del campo, ma si fa tutto all’une edall’altro, cosi il nostro gran Re mentreordina le vicende degl’imperi e delle Monarchie si stende alle necessità del minimo de’ suoi servi, come avesse solo lui di cui occuparsi. Oh questo sì che è avere un cuore senza confine! Quanto ci sentiremmo più consolati se pensassimo frequentemente al Cuore di questo gran Re e quanto confortati sapendo che in ogni dove Egli stende il suo impero!

II. Alla magnificenza. Molto più che pari all’ampiezza è la magnificenza del suo governo. Virtù regale senza dubbio è la magnificenza nei provvedimenti, nei doni. Pure i Re terreni debbono di cotesta magnificenza, anche allora che la possedono, restringerne l’uso in certi confini. Perocché sono limitate le sostanze di cui possono disporre. Il Cuore del nostro Gesù non è ridotto a queste condizioni. Egli disponendo de’ meriti suoi, del suo amore fa i suoi sudditi degni di favori e di esaltamenti che non sarebbero credibili, se già non fossero di fede. Ad una creatura vilissima comparte doni che hanno un immenso valore, che valgono a comperare un’eternità di regno celeste. I doni della grazia sono in se stessi così eccelsi che chi n’è messo a parte vien trasportato in un ordine affatto sopra la natura sua ed introdotto nell’ordine divino, mercè una partecipazione della natura increata di Dio. Né fa sospirare un tanto bene. A tutti lo conferisce mercè il Battesimo: a quelli che ne han fatto gettito colla colpa il ridona al prezzo di poche lagrime: a chi già il possiede l’aumenta senza misura per ogni anche tenuissima opera buona che faccia. Deh! qual generosità è mai questa! Eppure tutti questi doni li ordina a beni anche maggiori, vo’ dire alla gloria, nella visione chiara di Dio. Tra pochi anni, forse mesi, forse giorni, quella creatura che il mondo non degnava di un guardo, che spregiava, che calpestava, Gesù la chiama a sé e perché gli è stata fedele qualche anno, anzi forse solo qualche giorno, poiché è ritornata a Lui nell’ultima ora, Egli trova nel suo Cuore ragione bastevole per innalzarla ad un trono immenso di gloria accanto a sé. Dabo ei sedere in throno meo, ed ivi la esalta, la pasce d’ineffabili delizie. Né richiede che il premio risponda alla durata del servigio. Una vita anche lunghissima impiegata nella più dura servitù al Signore sarebbe ricompensata bastevolmente con qualche anno di premio. Egli però non fa così. Al tempo del servigio che talora è brevissimo, ma non sarà mai più che lo spazio della vita, Egli fa corrispondere una durazione senza fine. Ad ogni momento di amore corrispondono milioni e milioni di anni di godimento, ad ogni atto anche tenuissimo di servigio divino una corona smisurata di gloria. Oh qual magnificenza più che regale! Bisogna ben che sia il Cuore di un Dio quello che così spande i suoi doni! Ah quand’anche il mio cuore non sapesse muoversi se non in vista de’ propri vantaggi, come non dovrei e servire ed amare un Cuore di sì smisurata magnificenza?

III. Alla degnazione. A tutto ciò si aggiunge la degnazione. La Maestà dei Monarchi non è mai senza un qualche sopracciglio. Quindi gli uomini che desiderano da una parte i favori dei Monarchi, dall’altra temono non poco l’avvicinarli. Gesù non ostante la sua Maestà divina, palesa un Cuore di tanta degnazione che l’avvicinarlo cagiona immensa gioia. S. Teresa ponderò molto bene questo gran vero. Ai Monarchi, osserva la Santa, troppo riesce difficile l’accostarsi. Difficoltà per poter avere una udienza, dovendosi premettere molte anticamere, e lunghissime domande. Difficoltà nel parlar loro, poiché si hanno da misurar le parole sì che non si offendano, sì che non cagionino loro noia. Difficoltà ad ottenere, perché le ragioni ora di stato, ora di poco favorevole volontà fanno si che non si tengano in conto le necessità presentate. Il Cuore dolce e benigno del nostro Re non conosce tutte queste lungaggini e riguardi. Se io voglio accostarmi a Gesù, io so che Egli è sempre contentissimo di ascoltarmi. Non mi manda d’oggi in domani, non mi tiene portiera, non mi fa sorvegliare dalle guardie, ma solo che mi presenti Egli è sempre pronto ad accettarmi e ad ascoltarmi. Quando poi gli parlo non ho punto da studiare le parole. Se queste mi vengono alla bocca le proferisco: altrimenti gli parlo colle occhiate, gli parlo coi gemiti, gli parlo coi sospiri, gli parlo mettendogli anche tacitamente sotto lo sguardo la mia necessità. Egli subito mi capisce. Il suo Cuore comprende, sente i moti del cuor mio, ed è condiscendente, benigno, compassionevole, affettuoso. Si stima onorato perché ho fatto a Lui ricorso, mi vuole più bene perché gli parlo, e mi contenta anche solo per questo che io metto in Lui la mia fiducia. Trovate, anima devota, se vi basta l’animo, un Re siccome questo. Trovatelo così famigliare, cosi domestico, così affettuoso. Ma se noi trovate, contentatevi di seguitar Cristo. Dovete seguitarlo perché è veramente vostro Re ed ha diritto di essere da suoi sudditi seguitato. Potete seguitarlo perché essendo Re di tanta magnificenza vi è ogni vostro vantaggio nel seguitarlo. Ma soprattutto avete da seguitarlo perché ha un Cuore pieno di tanta degnazione che, dove non vi fosse né dovere né utile, il solo amore dovrebbe valervi per ogni ragione.

GIACUL. Cor Jesu, benigni regis, miserere mei.

OSSEQUIO. Chiedete in questo giorno al suo Cuore regale con gran fiducia la grazia che più bramate d’acquistare.

Cuor di Gesù, cuore di padre.

Uno dei titoli più dolci che Gesù dava a quelli cui faceva grazia era il chiamarli figliuoli. E come tali li trattava, come tali li accarezzava, ascoltandone volentieri le necessità e provvedendo loro largamente. Or questo ufficio troppo più ampiamente che non con un piccolo paese doveva esercitar Gesù Cristo. Era annunziato di Lui che sarebbe stato il Padre del secolo futuro. Pater futuri sæculi. E volle significare che tutti i popoli che l’avrebbero riconosciuto, e tutti a ciò sono chiamati, tutti avrebbero costituito quella famiglia che sarebbe stata la sua. Né questa paternità è una vana parola, od una sola espressione di affetto, ma esprime tutte le cure di Padre che Egli veramente esercita con noi. Il perché il suo cuore è veramente cuore paterno e voi convincetevene 1° alla vita che ci dona; 2° alle cure che ci usa; 3. all’amore con cui la ristora.

I. Alla vita che ci dona. È certo che in noi non vive solo il corpo, ma vive altresì l’anima. Il corpo riceve la vita naturale dall’anima che lo informa: l’anima riceve una vita soprannaturale dalla grazia divina che la inabita. E ciò sì fattamente che come il corpo diviene un cadavere senza operazione, senza vita, in preda alla dissoluzione dove l’anima lo abbandoni; così l’anima dove venga a perdere la grazia divina perde la sua vita soprannaturale, diventa oggetto abbominevole agli occhi di Dio, e incorre la morte eterna. Ora perdutasi per la colpa di Adamo la grazia divina, tutta l’umana generazione fu involta in questa morte tanto più spaventosa della corporea, in quanto ché questa è temporanea e quella è eterna. Come dunque tutte queste anime tornarono in vita? In quella maniera che il profeta Eliseo risuscitò alla Sunamitide il figliuolo collo stringerne a sé il cadavere, così Gesù applicando il suo Cuore divino sopra delle anime le ridonò allo stato di vita. Con questo però che al Profeta quel miracolo non costò più che una preghiera ed un adattare la sua persona sopra l’estinto, laddove a Gesù il dare la vita a noi costò tutto il sangue delle sue vene. Imperocché non si contentò di darci la vita in qualunque modo, ma volle darcela abbondante. Ego veni ut vitam habeant et abundantius habeant. Come i genitori terreni dopo ché hanno dato la vita fisica ai figliuoli, dànno loro, mercè l’educazione, una seconda vita morale che è più preziosa della prima perché è vita dell’intelletto, vita del cuore: così il nostro Gesù dopo d’averci dato la vita della grazia, l’accresce di continuo, e la incorona di molti altri doni spirituali finché giunga a quella vita che nella patria non deve avere più termine. Ecco quali sono gl’intenti del Cuore paterno di Gesù. Ei vuole che l’esistenza che col suo amore ci ha dato, sempre si accresca fin che ci rassicuri contro ogni pericolo di morte. Oh perché adunque non chiedo io sempre a quel buon Cuore che m’infonda la vita? perché non domando che sempre in me l’avvalori? Che cosa posso io desiderare di meglio che vivere con Gesù, in Gesù e per Gesù?

II. Alle cure che ci usa. L’amore paterno non è un amore di quiete, di riposo, è un amore d’infinite cure, di continue sollecitudini. Il Padre prevede quel che può accadere al Figliuolo, il sente, e così veglia per procacciare quello che gli sarà utile, per rimuovere quel che gli riuscirebbe dannoso e quindi il suo cuore è sempre in agitazione. Or sarà tale il Cuore del nostro Gesù? Ah chi l’abbia per poco considerato nei santi Evangeli vedrà sino a qual punto esso sia sollecito. Coi suoi Apostoli impiega una cura indefessa per istruirli, per formarli. Se cadono, siccome ancora imperfetti, in qualche mancamento, Egli li riprende amorevolmente e se non intendono, siccome rozzi, gl’insegnamenti che loro porge, Ei li spiega più a lungo e più per minuto adattandosi alla scarsa loro capacità. Con loro non fa da capo, non da sovrano, molto meno da Dio, gli governa come padre, oso dire, come tenerissima madre che li cova sotto le sue ali. Col comune poi degli uomini, il suo Cuore fa altrettanto. Le turbe gli si affollano dintorno perché sentono di essere amate, e che Gesù è tutto per loro. Gesù di rincontro non lascia un istante di occuparsi di essi come di figliuoli amatissimi. Per dirozzarli impiega la intera giornata nel tempio senza risparmio di fatica e disagio della persona: passa da un castello ad un altro, da una città ad un’altra ed è sempre pronto a fare loro del bene. La rozzezza dei loro modi non lo offende; la durezza dei loro cuori non lo stanca, l’inutilità delle sue fatiche non lo ritrae. E come è padre di tutti, così a tutti il suo Cuore volge le cure paterne. Preferisce bene i poverelli ai ricchi, perché quelli sono meglio disposti, ma ai ricchi non si nega e li ammaestra. Antepone bene i semplici ai più sagaci, ma anche a questi si offre pieno di carità. Si occupa degli uomini, ma non trascura le donne, e se accarezza i figliuoli suoi pargoletti non dimentica punto i più adulti. Le giornate intere sono per tutti loro. Ah voi che leggete, se siete padre, se siete madre, avete qui l’esempio della sollecitudine che dovete avere pei vostri figliuoli: ma come certamente siete figliuolo di Gesù, cosi raccoglietene quel che gli dobbiate. Il Cuore suo è al presente quel che era allora. Quel che fece visibilmente, vi mostra quel che fa ogni giorno invisibilmente con voi, ringraziatelo e risolvetevi di mostrargli meglio che a parole la vostra riconoscenza.

III. All’amore con cui ci ristora la vita. Vi è un caso funesto nelle famiglie, e che si ripete ora troppo di frequente, che qualche figliuolo dando a traverso abbandoni la casa paterna. Ma più frequente ancora sperimenta Gesù il somigliante, cioè che i suoi figliuoli gettandosi nel profondo del peccato, gli escano di casa. Quel che allora faccia il suo Cuore paterno, perché noi non l’avremmo creduto, Egli si compiacque di descriverlo colla propria bocca. Egli impiega dapprima tutte le vie per impedire nel suo prodigo figliuolo l’allontanamento dalla casa paterna. Gli rappresenta la soavità della famiglia, le carezze che n’ha ricevute, l’eredità che gli conserva, e cerca di risvegliare in lui la tenerezza figliale. Quando per l’ostinazione di lui riescono inefficaci tutti questi mezzi, ed il misero abbandona la casa e si ravvolge in tutte le turpitudini del suo cuore, Egli non per questo il perde punto di veduta. Lo segue di nascoso, lo sorveglia, ed ora coi rimorsi che gli suscita nel cuore, ora colla ispirazione con cui il visita, quando col disinganno che gli fa trovare in quello che ambisce e persino coi castighi paterni con cui lo flagella, dà opera che ritorni in se stesso. Il raccomanda alla cura de’ suoi ministri, all’affetto della sua sposa la Chiesa, il dà in custodia a’ suoi Angeli, ed a tutti dice quelle parole che David disse parlando del suo figliuolo Assalonne: Servate mihi puerum. Conservatemi il mio figliuolo.Che se il misero non si arrende, alloragli affanni del suo cuore sono inestimabili.Il sudore di sangue nell’orto, e lelagrime sparse sopra la croce ebbero questacagione principalmente. Ma se il prodigofigliuolo si arrende a tanti inviti, se tornada Lui, il suo Cuore non mette più limitialla gioia. Il prodigo è sordido nella persona,ma questo non toglie che ci se lostringa tra le braccia mille volte. Esso èconfuso pei suoi portamenti e vuole chiederneperdono, ma non c’è modo che glilasci pur profferire quella parola. Essoaveva perduto tutti i diritti alla famiglia, ma tutti gli vengono restituiti. La casa si mette in festa, sono chiamati i musici, vien imbandito un convito splendido, s’invitano gli amici a festa perché tutti si rallegrino di sì felice ritorno. Direste che quel Padre ha il cuore contento, il cuore inebriato di giubilo, che pel diletto che prova al presente, tutto dimentica in un istante il passato. È così che Gesù medesimo descriveva il suo Cuore paterno coi poveri peccatori. Ah, lettore, se vi trovaste in peccato, pensate quest’oggi non all’inferno di cui siete reo, non al paradiso cui avete rinunziato, pensate alla consolazione che potreste dare al vostro buon padre Gesù, quando tornaste al suo Cuore. Dopo questi sentimenti che Egli ha manifestato verso dei peccatori, che cosa più vi può trattenere? Se già non vi spaventano i baci, gli abbracciamenti, le tenerezze, le accoglienze di Gesù, non avete più scuse per rifiutarvi.

GIAC. Cor Jesu patris miserere mei.

OSSEQUIO. Esaminatevi se aveste bisogno di far ritorno a Gesù e risolvetevi di farlo: se già siete con Lui giurategli fedeltà eterna.

2 NOVEMBRE: COMMEMORAZIONE DEI DEFUNTI (2023)

MESSA PER I DEFUNTI (2022)

Commemorazione di tutti i Fedeli Defunti.

Doppio. – Paramenti neri.

Alla festa di tutti i Santi è intimamente legato il ricordo delle anime sante che, pur confermate in grazia, sono trattenute temporaneamente in « Purgatorio » per purificarsi dalle colpe veniali ed « espiare » le pene temporali dovute per il peccato. Perciò, dopo aver celebrato nella gioia la gloria dei Santi, che costituiscono la Chiesa trionfante, la Chiesa militante estende le sua materna sollecitudine anche a quel luogo di indicibili tormenti, ove sono prigioniere le anime che costituiscono la Chiesa purgante. Dice il Martirologio Romano: « In questo giorno si fa la commemorazione di tutti i fedeli defunti; nella quale commemorazione la Chiesa, pia Madre comune, dopo essersi adoperata a celebrare con degne lodi tutti i suoi figli che già esultano in cielo, tosto si affretta a sollevare con validi suffragi, presso il Cristo, suo Signore e Sposo, tutti gli altri suoi figli che gemono ancora nel Purgatorio, affinché possano quanto prima pervenire al consorzio dei cittadini beati ». E questo il momento in cui la liturgia della Chiesa afferma vigorosamente la misteriosa unione esistente fra la Chiesa trionfante, militante e purgante, e mai come oggi si adempie in modo tangibile, il duplice dovere di carità e di giustizia che deriva, per ciascun cristiano, dalla sua incorporazione al corpo mistico di Cristo. Per il dogma della « Comunione dei Santi » i meriti e i suffragi acquistati dagli uni possono essere applicati agli altri. In questi modo, senza ledere gli imprescrittibili diritti della divina giustizia, che sono rigorosamente applicati a tutti nella vita futura, la Chiesa può unire la sua preghiera a quella del cielo e supplire a ciò che manca alle anime del Purgatorio, offrendo a Dio per loro, per mezzo della S. Messa, delle indulgenze, delle elemosine e dei sacrifizi dei fedeli, i meriti sovrabbondanti della Passione del Cristo e delle membra del suo mistico corpo. – Con la liturgia che ha il suo centro nel Sacrificio del Calvario, rinnovantesi continuamente sull’altare, è sempre stato il mezzo principale impiegato dalla Chiesa, per applicare ai defunti la grande legge della Carità, che comanda di soccorrere il prossimo nelle sue necessità, così come vorremmo esser soccorsi noi, se ci trovassimo negli stessi bisogni. – Forse la liturgia dei defunti è la più bella e consolante di tutte, ogni giorno, al termine d’ogni ora del Dìvin Ufficio sono raccomandate alla misericordia di Dio le anime dei fedeli defunti. Al Suscipe nella Messa, il sacerdote offre il Sacrificio per i vivi e per i morti; e a uno speciale Memento egli prega il Signore di ricordarsi dei suoi servi e delle sue serve che si sono addormentati nel Cristo e di accordar loro il luogo della consolazione, della luce e della pace. – Già fin dal V secolo si celebrano Messe per i defunti. Ma la Commemorazione generale di tutti i fedeli defunti si deve a S. Odilone, quarto Abate del celebre monastero benedettino di Cluny. Egli l’istituì nel 998 fissandola per il giorno dopo la festa di Ognissanti (In seguito a questa istituzione, la S. Sede accordò un’indulgenza plenaria toties quotìes alle medesime condizioni che per il 2 agosto, applicabile ai fedeli defunti il giorno della Commemorazione dei morti, a’ tutti quelli che visiteranno una Chiesa, dal mezzogiorno di Ognissanti alla mezzanotte del giorno dopo e pregheranno secondo le intenzioni del Sommo Pontefice. — ). L’influenza di questa illustre Congregazione fece sì che si adottasse presto quest’uso da tutta la Chiesa e che questo giorno stesso fosse talvolta considerato come festivo. Nella Spagna e nel Portogallo, come anche nell’America del Sud, che fu un tempo soggetta a questi Stati, per un privilegio accordato da Benedetto XIV in questo giorno i sacerdoti celebravano tre Messe. Un decreto di Benedetto XV del 10 agosto 1915 estese ai sacerdoti del mondo intero questa autorizzazione. Pio XI con decreto 31 ottobre 1934 concesse che durante l’Ottava tutte le Messe celebrate da qualunque Sacerdote siano ritenute come privilegiate per l’anima del defunto per il quale vengono applicate. La Chiesa, in un’Epistola, tratta da S. Paolo, ci ricorda che i morti risusciteranno, e ci invita a sperare, perché in quel giorno tutti ci ritroveremo nel Signore. La Sequenza descrive in modo avvincente il giudizio finale; nel quale i buoni saranno eternamente divisi dai malvagi. – L’Offertorio ci richiama al pensiero S. Michele, che introduce le anime nel Cielo, perché, dicono le preghiere per la raccomandazione dell’anima, egli è il « capo della milizia celeste », nella quale gli uomini sono chiamati ad occupare il posto degli angeli caduti. – « Le anime del purgatorio sono aiutate dai suffragi dei fedeli, e principalmente dal sacrificio della Messa » dice il Concilio di Trento! (Sessione XXII, cap. II). Questo perché nella S. Messa il sacerdote offre ufficialmente a Dio, per il riscatto delle anime, il sangue del Salvatore. Gesù stesso, sotto le specie del pane e del vino, rinnova misticamente il sacrificio del Golgota e prega affinché Dio ne applichi, a queste anime, la virtù espiatrice. Assistiamo in questo giorno al Santo Sacrificio, nel quale la Chiesa implora da Dio, per i defunti, che non possono più meritare, la remissione dei peccati (Or.) e il riposo eterno (Intr., Grad.). Visitiamo i cimiteri, ove i loro corpi riposano, fino al giorno nel quale, alla chiamata di Dio, essi sorgeranno immediatamente per rivestirsi dell’immortalità e riportare, per i meriti di Gesù Cristo, la definitiva vittoria sulla morte (Ep.).

(La parola Cimitero, dal greco, significa dormitorio, nel quale ci si riposa. Chi visita il cimitero durante l’Ottava e prega anche solo mentalmente per i defunti, può acquistare nei singoli giorni, con le consuete condizioni, l’indulgenza Plenaria; negli altri giorni l’indulgenza parziale di sette anni; tanto l’una che l’altra sono applicabili soltanto ai defunti – S. Penit. Ap. 31- X – 1934)

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

4 Esdr II: 34; 2:35
Réquiem ætérnam dona eis, Dómine: et lux perpétua lúceat eis.
Ps LXIV:2-3
Te decet hymnus, Deus, in Sion, et tibi reddétur votum in Jerúsalem: exáudi oratiónem meam, ad te omnis caro véniet.

[In Sion, Signore, ti si addice la lode, in Gerusalemme a te si compia il voto. Ascolta la preghiera del tuo servo, poiché giunge a te ogni vivente].

Réquiem ætérnam dona eis, Dómine: et lux perpétua lúceat eis.

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Fidélium, Deus, ómnium Cónditor et Redémptor: animábus famulórum famularúmque tuárum remissiónem cunctórum tríbue peccatórum; ut indulgéntiam, quam semper optavérunt, piis supplicatiónibus consequántur:

[O Dio, creatore e redentore di tutti i fedeli: concedi alle anime dei tuoi servi e delle tue serve la remissione di tutti i peccati; affinché, per queste nostre pie suppliche, ottengano l’indulgenza che hanno sempre desiderato:]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corínthios.
1 Cor XV: 51-57
Fratres: Ecce, mystérium vobis dico: Omnes quidem resurgámus, sed non omnes immutábimur. In moménto, in ictu óculi, in novíssima tuba: canet enim tuba, et mórtui resúrgent incorrúpti: et nos immutábimur. Opórtet enim corruptíbile hoc induere incorruptiónem: et mortále hoc indúere immortalitátem. Cum autem mortále hoc indúerit immortalitátem, tunc fiet sermo, qui scriptus est: Absórpta est mors in victória. Ubi est, mors, victória tua? Ubi est, mors, stímulus tuus? Stímulus autem mortis peccátum est: virtus vero peccáti lex. Deo autem grátias, qui dedit nobis victóriam per Dóminum nostrum Jesum Christum.

[Fratelli: Ecco, vi dico un mistero: risorgeremo tutti, ma non tutti saremo cambiati. In un momento, in un batter d’occhi, al suono dell’ultima tromba: essa suonerà e i morti risorgeranno incorrotti: e noi saremo trasformati. Bisogna infatti che questo corruttibile rivesta l’incorruttibilità: e questo mortale rivesta l’immortalità. E quando questo mortale rivestirà l’immortalità, allora sarà ciò che è scritto: La morte è stata assorbita dalla vittoria. Dov’è, o morte, la tua vittoria? dov’è, o morte, il tuo pungiglione? Ora, il pungiglione della morte è il peccato: e la forza del peccato è la legge. Ma sia ringraziato Iddio, che ci diede la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo].

Graduale

4 Esdr II: 34 et 35.
Réquiem ætérnam dona eis, Dómine: et lux perpétua lúceat eis.
Ps CXI: 7.
V. In memória ætérna erit justus: ab auditióne mala non timébit.

[Il giusto sarà sempre nel ricordo, non teme il giudizio sfavorevole].

Tractus.
Absólve, Dómine, ánimas ómnium fidélium ab omni vínculo delictórum.
V. Et grátia tua illis succurrénte, mereántur evádere judícium ultiónis.
V. Et lucis ætérnæ beatitúdine pérfrui.

[Libera, Signore, le anime di tutti i fedeli defunti da ogni legame di peccato.
V. Con il soccorso della tua grazia possano evitare la condanna.
V. e godere la gioia della luce eterna].

Sequentia

Dies iræ, dies illa
Solvet sæclum in favílla:
Teste David cum Sibýlla.

Quantus tremor est futúrus,
Quando judex est ventúrus,
Cuncta stricte discussúrus!

Tuba mirum spargens sonum
Per sepúlcra regiónum,
Coget omnes ante thronum.

Mors stupébit et natúra,
Cum resúrget creatúra,
Judicánti responsúra.

Liber scriptus proferétur,
In quo totum continétur,
Unde mundus judicétur.

Judex ergo cum sedébit,
Quidquid latet, apparébit:
Nil multum remanébit.

Quid sum miser tunc dictúrus?
Quem patrónum rogatúrus,
Cum vix justus sit secúrus?

Rex treméndæ majestátis,
Qui salvándos salvas gratis,
Salva me, fons pietátis.

Recordáre, Jesu pie,
Quod sum causa tuæ viæ:
Ne me perdas illa die.

Quærens me, sedísti lassus:
Redemísti Crucem passus:
Tantus labor non sit cassus.

Juste judex ultiónis,
Donum fac remissiónis
Ante diem ratiónis.

Ingemísco, tamquam reus:
Culpa rubet vultus meus:
Supplicánti parce, Deus.

Qui Maríam absolvísti,
Et latrónem exaudísti,
Mihi quoque spem dedísti.

Preces meæ non sunt dignæ:
Sed tu bonus fac benígne,
Ne perénni cremer igne.

Inter oves locum præsta,
Et ab hœdis me sequéstra,
Státuens in parte dextra.

Confutátis maledíctis,
Flammis ácribus addíctis:
Voca me cum benedíctis.

Oro supplex et acclínis,
Cor contrítum quasi cinis:
Gere curam mei finis.

Lacrimósa dies illa,
Qua resúrget ex favílla
Judicándus homo reus.

Huic ergo parce, Deus:
Pie Jesu Dómine,
Dona eis réquiem.
Amen.

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Joánnem.
Joann V: 25-29
In illo témpore: Dixit Jesus turbis Judæórum: Amen, amen, dico vobis, quia venit hora, et nunc est, quando mórtui áudient vocem Fílii Dei: et qui audíerint, vivent. Sicut enim Pater habet vitam in semetípso, sic dedit et Fílio habére vitam in semetípso: et potestátem dedit ei judícium fácere, quia Fílius hóminis est. Nolíte mirári hoc, quia venit hora, in qua omnes, qui in monuméntis sunt, áudient vocem Fílii Dei: et procédent, qui bona fecérunt, in resurrectiónem vitæ: qui vero mala egérunt, in resurrectiónem judícii.

[In quel tempo: Gesù disse alle turbe dei Giudei: In verità, in verità vi dico, viene l’ora, ed è questa, in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio: e chi l’avrà udita, vivrà. Perché come il Padre ha la vita in sé stesso, così diede al Figlio di avere la vita in se stesso: e gli ha dato il potere di giudicare, perché è Figlio dell’uomo. Non vi stupite di questo, perché viene l’ora in cui quanti sono nei sepolcri udranno la voce del Figlio di Dio: e ne usciranno, quelli che fecero il bene per una resurrezione di vita: quelli che fecero il male per una resurrezione di condanna].

OMELIA

[Giov. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle Feste del Signore e dei Santi – Soc. Edit. Vita e Pensiero, Milano, VI ed. 1956]

LE ANIME PURGANTI

Ora che la campagna è spoglia, che i cieli si fanno grigi per le nebbie, che le foglie cadono, la Santa Chiesa con un fine intuito educativo ci richiama al pensiero della morte, al pensiero dei nostri cari morti. La nostra vita sulla terra è rapida come una stagione, poi vengono le nebbie della vecchiezza, il vento autunnale e triste della fine e ci spoglia di ogni terrestre illusione. Debemur morti nos nostraque; e noi e le nostre cose siamo destinati a morire.

Quanti tra quelli stessi che conoscemmo ed amammo già sono morti; compagni di scuola, compagni d’allegria, compagni d’armi, compagni di lavoro, sono già stati innanzi tempo presi dalla morte e condotti nell’eternità. Nella nostra stessa casa forse c’è più d’un vuoto: care persone sparite da anni o solo da mesi, comunque sparite dalla nostra vista. Oggi s’aprono i cancelli e noi pellegriniamo in folla su quella terra che nasconde la loro salma. Portiamo fiori e lumi, ed è questo un atto molto gentile. Ma quei fiori e quei lumi sono uno sterile simbolo se non vi aggiungiamo preghiere, elemosine, suffragi d’opere buone. Noi sappiamo, Cristiani, che se alcuno muore in grazia di Dio, ma con qualche peccato veniale non perdonato, o con qualche debito di paradiso, è ritenuto in purgatorio finché abbia pienamente soddisfatto alla divina giustizia. Non solo, ma noi sappiamo anche un’altra verità che è molto consolante. Siccome noi, vivi o morti formiamo tutti ancora nella Santa Chiesa una famiglia sola, possiamo, noi che camminiamo sulla terra placare Dio anche per loro che più non sono qui.  S. Giovanni Crisostomo rivolgeva queste esortazioni ai fedeli del suo tempo: « Perché piangete, se al defunto si può ottenere grande perdono? Non è questo un bel guadagno, un cospicuo vantaggio? Molti furono: liberati» con un’elemosina fatta per loro da altri; perché l’elemosina ha la virtù di togliere i peccati, se mai il morto è partito di qua con qualche venialità sulla coscienza. Vi assicuro che l’aiuto nostro per le anime non è mai vano: è Dio che vuole che ci soccorriamo l’un l’altro ». Con questa confortante fede chiudeva gli occhi S. Monica, e morendo pregò il figlio Agostino di offrire per lei il Sacrificio della, Messa; E S. Agostino; come narra nelle sue Confessioni subito dopo la morte offerse per lei il sacrificio del nostro riscatto, e per lei pregò: così: « Ascoltami, Dio Onnipotente.; ascoltami, per Gesù Medico delle nostre ferite che pendette dalla croce; e ora alla tua destra supplica per noi. So che ella ha usato soave misericordia ai poveri e ha rimesso i debiti ai suoi debitori. E tu rimetti ora anche a lei i debiti suoi! Condonale anche il peso di quelle miserie di cui s’è caricata nei molti anni che visse dopo il lavacro del Battesimo. Perdonala, o Signore, perdonala; te ne prego, non chiamarla al tuo giudizio ». Ecco il suffragio migliore che un figlio può mandar dietro alla madre diletta: la S. Messa, accompagnata dalla sincera e personale preghiera. È vero che i nostri cari nel Purgatorio non mancano di profonde dolcissime consolazioni, tra cui la più grande è quella d’esser certi che Dio li ama, e che andranno alla fine della loro purificazione a goderlo per sempre; ma è pur vero che fin tanto che dura la loro purificazione le anime soffrono gravissime pene. Soffrono i nostri cari morti! E noi possiamo e dobbiamo aiutarli.

1. I MORTI SOFFRONO

Un giovanetto di nome Giuseppe, un giorno, fu calato in una cisterna, e, sopra, i suoi undici fratelli vi gettarono una pietra con rimbombo, perché non potesse uscire più. Poi vi sedettero sopra mangiando, e bevendo il vino dei loro fiaschi. Comedentes et bibentes vinum in phialis. Giuseppe singhiozzava nel fondo della cisterna, ove non scendeva una boccata d’aria, ove non filtrava un filo di luce: in una cisterna stretta e profonda, umida e muffolente. Singhiozzava; ma i suoi fratelli, sopra, mangiavano e bevevano e non potevano udire il suo grido straziante. Lui moriva, essi se la godevano. Lui in prigione, essi nella libertà delle loro case e dei loro campi. Lui senza pane e senz’acqua, essi pieni di carne e di vino. Comedentes et bibentes vinum in phialis (Amos, VI, 6). Questa scena angosciosa si ripete ogni giorno, anche oggi. Nel carcere del Purgatorio c’è qualche nostro fratello, un amico, forse il babbo, forse la mamma nostra che soffre; e noi non ci ricordiamo mai di loro che sono morti. Noi ci divertiamo, bevendo e mangiando, mentr’essi soffrono tormenti più struggenti della fame e della sete. Ricordiamoli i morti perché soffrono. Che cosa soffrono? Soffrono misteriose pene, più o meno gravi, ma che sono sempre cagione d’acuto dolore. Ma la sofferenza più affliggente è il ritardo che li disgiunge da Dio. Qui sulla terra l’anima che si allontana da Dio, immersa com’è nei sensi, può non penare, può cercare conforto nelle creature. Ma nell’eternità non sarà più così: non solo l’uomo non potrà cercare un surrogato alle creature, ma si accenderà nella sua anima un bisogno, anzi una fame di felicità divina, di congiungimento nella visione col suo Signore. Pensate allora la dolorosa aspirazione nelle anime purganti: sentirsi fatte per Dio, sentirsi ormai giunte al sicuro porto, e vedersi rattenute dall’entrare in patria, impedite dell’abbraccio divino! È la penosa speranza dell’ammalato a cui il medico assicurò la guarigione, ma che intanto deve stare immobile per mesi nel letto. È la tensione acerba dell’assetato che quando crede d’essere giunto alla fonte d’acqua viva, s’accorge ch’essa gli scorre ancora molto lontana. È l’attesa struggente del prigioniero di guerra, che giunto il giorno di rimpatriare e d’abbracciare la vecchia madre e la sposa e i figliuolini, si vede messo in quarantena per una certa sua infezione. « Miseri noi: credevamo d’essere giunti al termine, ed ecco il cammino ci si allunga davanti… ». Così sospirano con pacato dolore le anime sante del Purgatorio.

2. NOI LI POSSIAMO AIUTARE

Uno degli episodi più pietosi delle Sacre Scritture è quello del paralitico sotto i portici della piscina probatica. V’era a Gerusalemme una vasca con cinque portici in giro: ed ogni anno quell’acqua scossa da un Angelo, acquistava una virtù miracolosa, che qualunque malato per primo vi si fosse immerso ne sarebbe riuscito sanato perfettamente. Ed erano già 38 anni che un povero paralitico era là ad aspettare la smorto per tanto soffrire, le carni incadaverite, le vesti luride. Bastava soltanto che qualcuno, appena l’Angelo commoveva l’acqua, gli desse un tuffo. Eppure, dopo 38 anni ch’era là, non uno gli aveva saputo fare quel piacere. E quando Gesù Passò sotto il portico, quel poverino ruppe in singhiozzi « Domine, hominem non habeo! ». O Signore, non ho proprio nessuno! Anche molte anime del Purgatorio ripetono il grido del paralitico: non ho proprio nessuno! nessuno che si ricordi di me, nessuno che preghi, che faccia pregare… ». E son anni e anni che gemono là; e per strapparle dal fuoco non occorre enorme fatica, e neppure grosse somme di denaro: ma basta una preghiera detta col cuore, basta una Comunione fervorosa, una santa Messa ascoltata o fatta celebrare … Ed è un dovere d’amore ricordarsi, è un dovere di giustizia. Chi sono quelle povere anime? Forse i nostri fratelli, le sorelle, le spose, i padri, le mamme … Oh vi ricordate in quel giorno, di quella notte in cui morirono? Là, sul letto, disteso: già i suoi occhi dilatati v’era l’immagine della morte. Ardeva accanto una candela benedetta, quella dell’agonia. Egli non poteva parlare più, già la morte gli sigillava le labbra per sempre; eppure qualche cosa voleva pur dirci, ché tremava tutto: « Ricordati di me, quando sarò morto! » E noi scoppiammo in pianto, e tra i singhiozzi abbiamo giurato, in faccia alla morte, di non scordarlo più. Invece dopo qualche settimana noi ci demmo pace, e chi è morto, giace. « Ricordati di me, tu mi puoi aiutare! ». Non la sentite questa voce alla sera, quando invece di fermarvi in casa a rispondere il Rosario voi uscite a chiacchierare, a giocare? Non la sentite questa voce alla mattina presto, quando suonano le campane della Messa, dell’Ufficio, e voi poltrite nelle piume del letto? Non la sentite questa voce che vi supplica di cambiar vita, di frequentare i Sacramenti, di lasciare quella relazione? Non la sentite questa voce a scongiurarvi che facciate un po’ d’elemosina, che procuriate una S. Messa, un Ufficio di suffragio? Eppure dovreste sentirla: forse, quei campi che voi lavorate, quella casa che voi abitate, quel gruzzolo di danaro che avete alla banca, è il frutto del sudore dei vostri morti. Siete obbligati, per giustizia, a ricordarli!

CONCLUSIONE

Dall’esilio S. Giovanni poteva finalmente rientrare in Efeso. Entrando egli nella sua città incontrò un funerale: portavano a seppellire il corpo di Drusiana, la quale aveva sempre seguiti i suoi ammaestramenti. Come la gente s’accorse della presenza dell’Apostolo, a gran voce diceva: « Benedetto tu che nel nome di Dio ritorni! ». Allora le vedove che Drusiana aveva in vita consolate, i poveri che aveva nutrito, gli orfani a cui aveva fatto da madre, circondarono l’Evangelista, e col pianto nella voce cominciarono a supplicarlo: « O santo Giovanni! vedi che portiamo Drusiana morta a seppellire: ella ci ha confortati, ci ha dato da mangiare, ci ha protetti, ed ora è morta, senza poterti rivedere, che pur lo desiderava tanto ». S. Giovanni fu commosso da quelle preghiere ardenti. Fermò il funerale, fece deporre in terra la bara, e con chiara voce disse davanti a tutti: « Drusiana! Per l’amore che portasti agli orfani, per l’elemosina che facesti ai poveri, per l’aiuto che prodigasti alle vedove, il mio Signor Gesù Cristo ti risusciti ». E subito ella si levò dalla bara, sì che pareva non resuscitata da morte, ma destata da dormire (BATTELLI, Leggende cristiane). Verrà un giorno, e per quanto sia tardi non è lontano, che noi pure porteranno a seppellire. Ma la nostra anima, nuda e sola, convien che vada al tribunale di Cristo. Oh, se durante questa vita ci saremo ricordati dei poveri morti, allora molte anime si faranno intorno a Gesù giudice e a gran voce diranno: « Signore! Ricordati che costui mi ha alleviato il fuoco del Purgatorio con le sue preghiere, con le mortificazioni, con l’elemosina. Signore! Ricordati di quelle Messe e di quegli Uffici che m’ha fatto celebrare, ricordati delle Comunioni, delle elemosine che faceva in mio suffragio ». E Gesù non saprà resistere a queste suppliche e ci dirà: « Per la misericordia che hai avuto dei poveri morti, anch’io ti faccio misericordia: vieni presto in paradiso ».

IL CREDO

Offertorium

Oremus

Dómine Jesu Christe, Rex glóriæ, líbera ánimas ómnium fidélium defunctórum de pœnis inférni et de profúndo lacu: líbera eas de ore leónis, ne absórbeat eas tártarus, ne cadant in obscúrum: sed sígnifer sanctus Míchaël repræséntet eas in lucem sanctam:
* Quam olim Abrahæ promisísti et sémini ejus.
V. Hóstias et preces tibi, Dómine, laudis offérimus: tu súscipe pro animábus illis, quarum hódie memóriam fácimus: fac eas, Dómine, de morte transíre ad vitam.
* Quam olim Abrahæ promisísti et sémini ejus.

[Signore Gesù Cristo, Re della gloria, libera tutti i fedeli defunti dalle pene dell’inferno e dall’abisso. Salvali dalla bocca del leone; che non li afferri l’inferno e non scompaiano nel buio. L’arcangelo san Michele li conduca alla santa luce
* che tu un giorno hai promesso ad Abramo e alla sua discendenza.
V. Noi ti offriamo, Signore, sacrifici e preghiere di lode: accettali per l’anima di quelli di cui oggi facciamo memoria. Fa’ che passino, Signore, dalla morte alla vita,
* che tu un giorno hai promesso ad Abramo e alla sua discendenza].

Secreta

Hóstias, quǽsumus, Dómine, quas tibi pro animábus famulórum famularúmque tuárum offérimus, propitiátus inténde: ut, quibus fídei christiánæ méritum contulísti, dones et præmium. [Guarda propizio, Te ne preghiamo, o Signore, queste ostie che Ti offriamo per le ànime dei tuoi servi e delle tue serve: affinché, a coloro cui concedesti il merito della fede cristiana, ne dia anche il premio].

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

Defunctorum
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: per Christum, Dóminum nostrum. In quo nobis spes beátæ resurrectiónis effúlsit, ut, quos contrístat certa moriéndi condício, eósdem consolétur futúræ immortalitátis promíssio. Tuis enim fidélibus, Dómine, vita mutátur, non tóllitur: et, dissolúta terréstris hujus incolátus domo, ætérna in cælis habitátio comparátur. Et ídeo cum Angelis et Archángelis, cum Thronis et Dominatiónibus cumque omni milítia cœléstis exércitus hymnum glóriæ tuæ cánimus, sine fine dicéntes:

 [È veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e dovunque a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno, per Cristo nostro Signore. In lui rifulse a noi la speranza della beata risurrezione: e se ci rattrista la certezza di dover morire, ci consoli la promessa dell’immortalità futura. Ai tuoi fedeli, o Signore, la vita non è tolta, ma trasformata: e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata un’abitazione eterna nel cielo. E noi, uniti agli Angeli e agli Arcangeli ai Troni e alle Dominazioni e alla moltitudine dei Cori celesti, cantiamo con voce incessante l’inno della tua gloria:]


Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster,

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

4 Esdr II:35; II:34
Lux ætérna lúceat eis, Dómine:
* Cum Sanctis tuis in ætérnum: quia pius es.
V. Requiem ætérnam dona eis, Dómine: et lux perpétua lúceat eis.
* Cum Sanctis tuis in ætérnum: quia pius es.

[Splenda ad essi la luce perpetua,
* insieme ai tuoi santi, in eterno, o Signore, perché tu sei buono.
V. L’eterno riposo dona loro, Signore, e splenda ad essi la luce perpetua.
* Insieme ai tuoi santi, in eterno, Signore, perché tu sei buono].

Postcommunio

Orémus.
Animábus, quǽsumus, Dómine, famulórum famularúmque tuárum orátio profíciat supplicántium: ut eas et a peccátis ómnibus éxuas, et tuæ redemptiónis fácias esse partícipes:

[Ti preghiamo, o Signore, le nostre supplici preghiere giovino alle ànime dei tuoi servi e delle tue serve: affinché Tu le purifichi da ogni colpa e le renda partecipi della tua redenzione:].

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

SECONDA MESSA

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

4 Esdr II:34; II:35
Réquiem ætérnam dona eis, Dómine: et lux perpétua lúceat eis.
Ps LXIV: 2-3
Te decet hymnus, Deus, in Sion, et tibi reddétur votum in Jerúsalem: exáudi oratiónem meam, ad te omnis caro véniet.

[l’eterno riposo dona loro, Signore, e splenda ad essi la luce perpetua.
Ps LXIV: 2-3
[In Sion, Signore, ti si addice la lode, in Gerusalemme a te si compia il voto. Ascolta la preghiera del tuo servo, poiché giunge a te ogni vivente].

Réquiem ætérnam dona eis, Dómine: et lux perpétua lúceat eis [l’eterno riposo dona loro, Signore, e splenda ad essi la luce perpetua].

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Deus, indulgentiárum Dómine: da animábus famulórum famularúmque tuárum refrigérii sedem, quiétis beatitúdinem et lúminis claritátem.
[ O Dio, Signore di misericordia, accorda alle anime dei tuoi servi e delle tue serve la dimora della pace, il riposo delle beatitudine e lo splendore della luce].

Lectio

Léctio libri Machabæórum.
2 Mach XII: 43-46
In diébus illis: Vir fortíssimus Judas, facta collatióne, duódecim mília drachmas argénti misit Jerosólymam, offérri pro peccátis mortuórum sacrifícium, bene et religióse de resurrectióne cógitans, nisi enim eos, qui cecíderant, resurrectúros speráret, supérfluum viderétur et vanum oráre pro mórtuis: et quia considerábat, quod hi, qui cum pietáte dormitiónem accéperant, óptimam habérent repósitam grátiam.
Sancta ergo et salúbris est cogitátio pro defunctis exoráre, ut a peccátis solvántur.

[In quei giorni: il più valoroso uomo di Giuda, fatta una colletta, con tanto a testa, per circa duemila dramme d’argento, le inviò a Gerusalemme perché fosse offerto un sacrificio espiatorio, agendo così in modo molto buono e nobile, suggerito dal pensiero della risurrezione. Perché se non avesse avuto ferma fiducia che i caduti sarebbero risuscitati, sarebbe stato superfluo e vano pregare per i morti. Ma se egli considerava la magnifica ricompensa riservata a coloro che si addormentano nella morte con sentimenti di pietà, la sua considerazione era santa e devota. Perciò egli fece offrire il sacrificio espiatorio per i morti, perché fossero assolti dal peccato].

Graduale

4 Esdr 2:34 et 35.
Réquiem ætérnam dona eis, Dómine: et lux perpétua lúceat eis.

[L’eterno riposo dona loro, o Signore, e splenda ad essi la luce perpetua].

Ps 111:7.
V. In memória ætérna erit justus: ab auditióne mala non timébit.

[V. Il giusto sarà sempre nel ricordo, non teme il giudizio sfavorevole].

Tractus.

Absólve, Dómine, ánimas ómnium fidélium ab omni vínculo delictórum.
V. Et grátia tua illis succurrénte, mereántur evádere judícium ultiónis.
V. Et lucis ætérnæ beatitúdine pérfrui.

[Libera, Signore, le anime di tutti i fedeli defunti da ogni legame di peccato.
V. Con il soccorso della tua grazia possano evitare la condanna.
V. e godere la gioia della luce eterna].
Sequentia

Dies Iræ …. [V. sopra]

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Joánnem.
R. Gloria tibi, Domine!
Joann VI: 37-40
In illo témpore: Dixit Jesus turbis Judæórum: Omne, quod dat mihi Pater, ad me véniet: et eum, qui venit ad me, non ejíciam foras: quia descéndi de cælo, non ut fáciam voluntátem meam, sed voluntátem ejus, qui misit me. Hæc est autem volúntas ejus, qui misit me, Patris: ut omne, quod dedit mihi, non perdam ex eo, sed resúscitem illud in novíssimo die. Hæc est autem volúntas Patris mei, qui misit me: ut omnis, qui videt Fílium et credit in eum, hábeat vitam ætérnam, et ego resuscitábo eum in novíssimo die.

[In quel tempo: Gesù disse alla moltitudine degli Ebrei: Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me; colui che viene a me, non lo respingerò, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di colui che mi ha mandato, che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma lo risusciti nell’ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; io lo risusciterò nell’ultimo giorno].

Omelia II.

[A. Carmignola: Il Purgatorio; Libr. Salesiana Ed. Torino, 1904]

Le sante indulgenze e l’atto eroico.

Perdonatemi, se per maggior intelligenza di quello, che intendo di dirvi, io vi invito di fare quest’oggi una brutta supposizione. Supponete adunque, che voi aveste per sventura commesso un qualche grave delitto, pel quale tradotti dinnanzi ai tribunali foste stati condannati ad una gravissima pena, per esempio a passare vent’anni in carcere, e che facendo voi certe determinate preghiere, o compiendo qualche pratica appositamente assegnata, otteneste che vi fosse abbreviata le pena di alcuni anni, o che vi fosse ben anche del tutto rimessa; dite, non vi dareste voi la massima premura di conseguire per mezzo di quelle preghiere e di quelle pratiche una sì grande remissione? Supponete ancora, che i colpevoli condannati a quella pena gravissima non foste voi, ma fossero invece il vostro padre e la vostra madre, e che alla stessa condizione voi li poteste liberare in parte ed anche in tutto dalla loro pena, non lo fareste egualmente colla maggior sollecitudine? Or ecco propriamente quello, che voi potete fare, sia a vostro prò, sia a prò delle anime del purgatorio, per mezzo delle sante indulgenze, annesse a certe preghiere ed a certe pratiche, per iscontare la pena temporale dovuta ai vostri peccati ed ai peccati delle anime del purgatorio. SI, le indulgenze sono uno dei mezzi più efficaci sia per risparmiare a noi il purgatorio, sia per liberarne le sante anime. Importa adunque assai, che noi in quest’oggi prendiamo chiara conoscenza delle sante indulgenze e vediamo come esse, oltre che per noi, possano pure acquistarsi in vantaggio delle anime del purgatorio. Quando noi abbiamo la sventura di commettere un peccato grave, allora non solamente noi rechiamo una grave ingiuria a Dio, ciò che propriamente costituisce la colpa, ma ci rendiamo meritevoli altresì di una grave pena, che è l’eterna dannazione, perciocché quando commettiamo un peccato grave, non solo noi offendiamo grandemente l’infinita maestà di Dio, ma, come nota San Gregorio Magno, noi nell’atto del peccato vorremo sempre vivere per sempre peccare. Ora, avendo poi colla grazia di Dio conosciuto il nostro male, e andandocene a confessare per averne da Dio il perdono, e recando al tribunale di penitenza tutte le necessarie condizioni per conseguirlo, è certo, che ci viene perdonata la colpa tutta quanta, e che coll’esserci perdonata la colpa ci è ridonata la grazia di Dio e insieme colla grazia, che ci rende capaci di far opere meritorie per l’eterna vita, ci sono pur ridonati i meriti, che nel passato ci eravamo acquistati, facendo delle opere buone in istato di grazia; ma in quanto alla pena è verità di fede, che ci viene rimessa la pena eterna, vale a dire l’eterna dannazione, ma che per lo più, eccettuato cioè il caso molto raro della perfetta carità e contrizione, la remissione della pena eterna ci vien fatta con una commutazione di questa stessa pena da eterna in temporale, cioè in una pena, che dobbiamo soddisfare nel tempo che piace a Dio o colla penitenza in questa vita o col purgatorio nella vita futura. Ed è a questa verità per l’appunto, che si appoggia la Chiesa per imporre a coloro che si sono confessati delle penitenze. Se non che le penitenze, che la Chiesa oggidì ordinariamente impone nella Confessione, sono ben lontane dal poter eguagliare la pena temporale dovuta alle nostre colpe. Non bastano certamente quelle poche preghiere, quelle devote pratiche, quelle pie opere per soddisfare pienamente la divina giustizia del debito di penitenza, che abbiamo contratto con lei. Importerebbe adunque, che noi ci assoggettassimo da noi stessi a penitenze molto più gravi e molto più lunghe. Ma siccome pur troppo per debolezza di nostra natura non ostante l’obbligo gravissimo, che ne abbiamo, rifuggiamo dalla penitenza assai facilmente, e pur facendone qualche poco, assai difficilmente ne facciamo quanto basti per scontare tutta la pena temporale dovuta alle colpe nostre, perciò affine di riparare a questo difetto e soccorrere a questa nostra miseria Iddio misericordioso ha accordato alla Chiesa il potere di rimettere in tutto ossia plenariamente, o in parte ossia parzialmente, la pena temporale, che, dopo di aver ottenuto il perdono dei nostri peccati, ci rimane ancora da scontare, o in questa vita colla penitenza o col purgatorio nell’altra. E sono appunto queste pietosissime remissioni, che costituiscono le sante indulgenze, che il Sommo Pontefice dispensa per tutta la Chiesa e non solo parziali, ma anche plenarie, e che i Vescovi dispensano solo parziali nella loro Diocesi. Che Iddio abbia dato alla Chiesa il potere di dispensare le sante indulgenze, non possiamo averne il minimo dubbio. Gesù Cristo disse a San Pietro in particolare e a tutti gli altri Apostoli in generale: Tutto quello che voi legherete sopra di questa terra, sarà pure legato in cielo, e tutto quello che voi scioglierete su questa terra sarà pur sciolto in cielo. Ora se queste parole, così magnifiche e così potenti, si prendono come si devono prendere nella loro ampia e nativa semplicità, è chiaro, che Gesù Cristo per mezzo di esse diede a S. Pietro e subordinatamente anche agli altri apostoli il potere di rimettere i peccati, non solo in quanto alla colpa ed alla pena eterna, ma eziandio in quanto alla pena temporale, ossia in altri termini, ha dato alla Chiesa il potere di concedere qualunque indulgenza, sia plenaria di tutta la pena temporale dovuta ai peccati, sia parziale di una parte di tale pena. Il fatto si è che gli Apostoli compresero a meraviglia di aver ricevuto questo potere e ne abbiamo una prova in un fatto particolare di San Paolo. Uno dei novelli Cristiani aveva commesso un grave peccato contro la purità. S. Paolo preso da santa indignazione, e volendo colpire di spavento i primi convertiti, ordinò in nome di Gesù Cristo alla Chiesa di Corinto, cui quel cristiano apparteneva, di scomunicarlo, di evitarlo e di considerarlo come dato in potere di satana. Tale rigore produsse un salutare effetto. Lo sciagurato comprese la gravità del suo fallo, si pentì, fece penitenza, pianse, e supplichevole domandò di essere riconciliato e ammesso di nuovo nel seno della Chiesa. Ora i Cristiani della Chiesa di Corinto non sembravano troppo disposti a rimettere nella loro comunione un individuo, che aveva dato uno scandalo sì grave, così che il misero per questo rifiuto era caduto in una profonda tristezza e stava per darsi in preda alla disperazione. Allora S. Paolo scrisse un’altra volta ai Corinti ed ecco quanto loro disse: « Già basta per quell’infelice quella grave e pubblica correzione, che ha sofferto. Ora conviene che lo perdoniate e lo consoliate per non opprimerlo con maggior tristezza, imperciocché anch’io nella persona di Gesù Cristo, vale a dire come suo rappresentante, gli ho perdonato » (2 Cor. II, 6 e segg). Dalle quali parole chiaramente si vede, come S. Paolo, forte dell’autorità ricevuta da Gesù Cristo, abbia rimesso a quel cristiano di Corinto il testante della pena temporale, dovuta alla sua colpa, e cioè gli abbia dispensata un’indulgenza. Così per l’appunto intesero questo fatto i Padri e i Dottori della Chiesa ed in particolare Tertulliano, S. Ambrogio, S. Agostino, S. Giovanni Crisostomo, Teofilatto e S. Tommaso, del qual fatto precisamente si servirono per riconoscere che nella Chiesa vi ha il potere di concedere le indulgenze. Questo potere fu pure riconosciuto ed altamente proclamato dai Cristiani, durante le persecuzioni, perciocché, non di rado accadeva, che i Vescovi per le preghiere che a loro venivano inviate dai valorosi confessori della fede già chiusi in carcere e pronti a subire il martirio, condonassero ai peccatori pentiti la pena, che ancora dovevano scontare per le loro colpe. Questo potere fu pure riconosciuto ed attestato da San Cipriano nel suo libro (De lapsis) intorno ai caduti nell’apostasia durante le persecuzioni, giacché dice in esso assai chiaramente, che Iddio per mezzo della Chiesa può concedere a quei miseri l’indulgenza della pena dovuta alle loro colpe. Questo potere fu pure riconosciuto e professato dai Concili generali, compreso il primo di Nicea, e da una quantità di Concili particolari per il corso di dodici secoli, giacché in detti Concili si fecero espressamente dei canoni in riguardo alle condizioni per rimettere la penitenza ai peccatori, ossia per dispensare delle misericordiose indulgenze. Quindi è che ben a ragione quando il protestantesimo nella persona di Lutero, di Calvino e di altri eretici si levò su a combattere le sante indulgenze e a negare alla Chiesa il potere di concederle, chiamando addirittura le indulgenze col nome di frodi ed imposture dei Pontefici, il Concilio di Trento definì chiaramente e solennemente che « Gesù Cristo medesimo ha donato alla Chiesa il potere di conferire le indulgenze  dai tempi più antichi la Chiesa fece uso di tale potere, e che perciò questo uso sommamente salutare al popolo cristiano e confermato dall’autorità dei santi concili, deve essere conservato, e chiunque negasse l’utilità delle sante indulgenze o il potere, che la Chiesa ha di conferirle, sia colpito di anatema » (Sess. XXV). – Ma riconosciuto che cosa sono le indulgenze e che ha la Chiesa di concederle, bisogna ora riconoscere perché le indulgenze abbiano la virtù di rimettere o tutta o in parte la pena temporale dovuta ai nostri peccati. Ponete adunque ben mente: Egli è certo, che Gesù Cristo vero Dio e vero uomo, per il valore infinito di qualsiasi sua più piccola azione avrebbe potuto con una sola goccia del suo sangue riscattare non solo questo mondo, ma mille e mille altri ancora, ciò non bastando al suo amore infinito per noi, volle invece versarlo tutto e soffrendo ogni sorta di dolori e di angosce nella sua passione nella sua morte; volle rendere infinitamente copiosa e sovrabbondante la sua redenzione. Or questi meriti infiniti, e sovrabbondanti di Gesù Cristo, questi meriti che eccedono di gran lunga il prezzo della nostra salute, non sono andati perduti, ma sono rimasti in eredità alla Chiesa. – Non basta. La Santissima Vergine, per essere stata da tutta l’eternità destinata ad essere Madre di Dio, fu fin dal primo istante della sua Immacolata Concezione arricchita da Dio di un tesoro tale di grazia da sorpassare, come dicono i Santi Dottori, tutte le grazie, che Dio diede agli Angeli e ai Santi tutti presi insieme. È certo, che la Vergine corrispose perfettamente alla grazia ricevuta e l’andò smisuratamente moltiplicando, di guisa che, ella pure nella misura, che come a creatura le fu concesso, si acquistò dei meriti copiosi e sovrabbondanti, il cui tesoro è pure rimasto con quello di Gesù Cristo alla Chiesa. Non basta ancora. I santi tutti coi loro patimenti, colla loro vita di sacrifizio e di abnegazione, colle loro penitenze, colle loro virtù, col loro zelo per la gloria di Dio e per la salute delle anime, in una parola colla loro santità, ancora essi hanno fatto in grandissima quantità delle opere di supererogazione, colle quali hanno guadagnato assai più di ciò, che era strettamente necessario per la loro salute e per l’espiazione delle loro colpe, e tutto il merito sovrabbondante, che per tal guisa si sono acquistato è ancor esso rimasto alla Chiesa con quello di Gesù Cristo e di Maria Santissima. – E non basta ancora. Anche dai Cristiani, non dichiarati santi o tuttora viventi nella Chiesa, si praticano grandi virtù, si compiono grandi sacrifizi, si esercitano tante penitenze, si distribuiscono tante elemosine, si fanno tanti atti eroici per la gloria di Dio, per la propagazione del Vangelo, per la salvezza delle anime, e si acquistano perciò tanti meriti, anche qui copiosi e sovrabbondanti al cospetto di Dio. – Ora tutti questi meriti riuniti, quelli di Gesù Cristo, quelli di Maria, quelli dei Santi, quelli di tutte le opere buone, che si fanno nella Chiesa, costituiscono per la Chiesa istessa un tesoro preziosissimo ed immenso. E d è appunto a questo immenso e preziosissimo tesoro, che la Chiesa mette mano per dare alle sante indulgenze col valore di tanti meriti quella virtù di rimettere a noi in modo plenario, o in modo parziale la pena temporale dovuta alle nostre colpe, benché perdonate. – Se non che io sono certo, che molti diranno qui: Noi intendiamo bene che cosa sia indulgenza plenaria, intendiamo cioè che se si acquista tale indulgenza e non se ne perde il merito prima di morire, dopo morte non avremo neppur più un istante da passare in purgatorio e ce ne andremo subito al Paradiso. Ma che cosa vogliono dire le indulgenze parziali di 100 giorni, di 200, di alcuni anni, e di alcune quarantene? Voglion dire forse che acquistando tali indulgenze, si starà tanti giorni, tanti anni, tante quarantene di meno in purgatorio? No,o miei cari, non vuole dir questo. Per comprendere bene la cosa bisogna sapere, che nel principio del Cristianesimo si castigavano certi peccati con delle pubbliche penitenze proporzionate quanto alla qualità e alla durata alla gravità del peccato, penitenze che duravano alle volte un qualche numero di anni, oppure qualche centinaio di giorni, oppure una o più quarantene, ossia una o più volte quaranta giorni. Ora quando la Chiesa concede l’indulgenza, ad esempio di 100 giorni, intende di rimettere la pena temporale, che il Cristiano avrebbe scontato secondo quella primitiva disciplina, esercitandosi nella penitenza per 100 giorni. Epperò acquistando il Cristiano tale indulgenza vuol dire che in purgatorio avrà da penare tanto di meno, come se egli si fosse esercitato nella penitenza per 100 giorni secondo l’antica disciplina della Chiesa. Ad ogni modo voi vedete, che l’acquisto delle indulgenze è uno dei mezzi più efficaci per abbreviare a noi il purgatorio. Ma non solo per abbreviarlo a noi, ma eziandio per abbreviarlo alle sante anime. Perciocché se si tratta di indulgenze, che sono concesse non solo a prò dei vivi, ma ancora a prò dei morti, noi possiamo acquistarle e applicarle poscia colla nostra intenzione alle sante anime del purgatorio. Ed oh! quale soccorso noi rechiamo allora ad esse. Supponiamo di aver fatto penitenze lunghissime, di varie quaresime, di varie centinaia di giorni, di vari anni, oppure anche una, due, più volte la penitenza corrispondente a tutta la pena temporale dovuta ai nostri peccati. Acquistando noi le sante indulgenze o parziali o plenarie, ed applicandole alle anime del purgatorio è precisamente, come se loro applicassimo il merito di tutte quelle penitenze così gravi e così soddisfattone. Notate, però, o miei cari, che sebbene noi nell’applicare a prò delle anime del purgatorio le sante indulgenze intendiamo talora di applicarle ad una o a più determinate anime, ed applicarle in tutto il loro valore, tuttavia non è sempre, che tali indulgenze siano applicate da Dio propriamente in quel modo, che vorremmo noi. È certo che lddio nella sua bontà si degna di accettare a prò delle anime del purgatorio le indulgenze, abbiamo offerto a tal fine, ma in quanto alle anime cui applicarle e alla misura dell’applicazione questo dipende interamente dalla sua sapienza e dalla sua giustizia. E ciò perché se a noi, che siamo sotto l’immediata giurisdizione della Chiesa, essa concede le indulgenze in forma di giudizio e di assoluzione, vale a dire giudicando che mercé determinate opere meritiamo di essere assolti da tutta o da parte della pena temporale, ed assolvendocene di fatto nella misura da lei determinata, alle anime del purgatorio invece, che non sono più sotto al suo governo diretto, ma sotto a quello di Dio, la Chiesa non può più applicare ad esse le indulgenze che pervia di suffragio, ossia offrendole a Dio e pregandolo di accettarle e valersene in loro vantaggio, come a Lui piacerà. Comunque però si regoli Iddio nel valersi delle indulgenze, che noi gli offriremo, a prò delle sante anime, è certo che tali indulgenze non vanno perdute. Se Egli, ad esempio, per punire di più un’anima del purgatorio durante la sua vita fu insensibile per le anime stesse di quel luogo, non le applicherà l’indulgenza, che noi abbiamo guadagnato per lei,  senza dubbio l’applicherà ad altre anime che ne sono più degne, e così noi avremo sempre portata la consolazione in quel luogo di pene. Quanto importa adunque di acquistare tutte le indulgenzepossibili, sia per vantaggio nostro, sia a prò delle anime del purgatorio! A tal fine facciamo tutto ciò che è necessario. Epperò, oltre al compiere esattamente quelle sante pratiche, che hanno annesse delle indulgenze, procuriamo di trovarci in istato di grazia e di mettere l’intenzione di acquistarle: e se si tratta di indulgenze plenarie rigettiamo altresì dal nostro cuore ogni affetto al peccato veniale, essendo tuttociò indispensabile per acquistarle davvero. E nella speranza di averle acquistate, deh! siamo generosi a cederne il vantaggio alle sante anime del purgatorio, perciocché dobbiamo essere ben persuasi, che quella carità che noi avremo usato a loro, Iddio farà in modo, che altri un giorno l’abbiano ad usare a noi. Al qual proposito io non voglio terminare oggi senza esortarvi a compiere a prò di quelle sante anime un atto, che per la sua grandezza e generosità è chiamato atto eroico, e che consiste nell’offrire spontaneamente a Dio tutto il frutto soddisfattorio delle buone opere che facciamo in vita e persino tutti i suffragi, che verranno applicati a noi dopo morte, mettendo tutti questi valori spirituali nelle mani di Maria SS., perché li distribuisca e li dispensi Ella secondo il suo beneplacito a quelle anime, che desidera liberare dalle loro pene ((L’atto eroico di carità venne arricchito dei più preziosi favori.

1. I sacerdoti che l’avranno fatto potranno godere dell’indulto dell’altare privilegiato personale in tutti i giorni dell’anno.

2. I semplici fedeli possono lucrare l’indulgenza plenaria, applicabile solamente ai defunti, in qualunque giorno facciano la santa Comunione, purché visitino una Chiesa e preghino secondo l’intenzione del Sommo Pontefice.

3. Similmente indulgenza plenaria in tutti i lunedì dell’anno, ascoltando la Messa in suffragio delle anime del purgatorio, purché visitino e preghino come sopra.

4. Tutte le indulgenze, anche le non applicabili, potranno da essi applicarsi ai defunti.

5. I fanciulli non ancora ammessi alla Comunione, ed i vecchi e gl’indisposti potranno ottenere dal Confessore, autorizzato a tal uopo dall’Ordinario, la commutazione delle opere per l’acquisto di dette indulgenze.

6. Per coloro, che non potranno ascoltare la Messa il lunedì, sarà valevole quella della Domenica per l’acquisto dell’indulgenza predetta. —  Non è prescritta nessuna formola per questo atto; basta farlo di cuore. Potrebbesi adottare la seguente: O Maria, Madre di misericordia, io faccio tra le vostre mani, in favore delle sante anime del purgatorio, l’intero abbandono delle opere soddisfattorie che farò in vita, e dei suffragi che mi verranno applicati dopo morte, non serbandomi altroche la compassione del vostro materno cuore.). E nel compierlo non temiamo di perdere il merito delle buone opere nostre, che questo rimarrà sempre a noi, e neppure di esporci al pericolo di dovere poscia rimanere noi troppo lungamente in purgatorio. Iddio non si lascerà certo vincere da noi in generosità, e può essere benissimo, che per questa nostra eroica cessione a prò di quelle anime egli inceda ben anche la grazia di una totale esenzione dal purgatorio. Ma quando pure noi dovessimo andare in quel carcere e rimanervi per qualche tempo, pensiamo che coll’aver fatto un tale atto di eroismo noi abbiamo compiuta un’opera sommamente gradita a Gesù Cristo ed alla SS. Vergine, giacché abbiamo dimostrato col fatto di amarli col più grande disinteresse, e nel compiere un’opera sì sacra a Gesù ed a Maria, abbiamo fatto un merito, che certamente in paradiso ci darà un grado di gloria di gran lunga maggiore di quello che conseguiremmo non facendolo. Così assicurò per l’appunto Gesù Cristo a S. Geltrude che aveva fatto tale atto. Ora, è vero, il pensiero delle pene del purgatorio ci fa più impressione che non quello di una gloria maggiore in paradiso, ma nell’altra vita non sarà così senza dubbio, tanto che ci adatteremmo volentieri a restare nel purgatorio sino alla fine del mondo se ciò potessimo fare col piacere di Dio, purché potessimo aggiungere una gemma di più alla nostra immortale corona. Coraggio adunque, o miei cari, non abbiamo nessun timore di essere troppo generosi. Ed animati perciò dalla carità più viva, preghiamo la nostra cara Madre Maria, che si degni di ricevere nelle sue sante mani in favore delle sante anime del purgatorio tutte le nostre indulgenze, che potremo acquistare, tutte le opere soddisfattorie, che faremo in vita, e tutti i suffragi che ci verranno fatti dopo morte, di conservare solo per noi la compassione del suo materno cuore. – Il beato Bertoldo francescano aveva fatto una predica convenientissima sull’elemosina, dopo la quale concesse agli uditori, giusta la facoltà ottenuta dal sommo Pontefice, dieci giorni d’indulgenza; allorché una signora, caduta in basso stato, andò a manifestargli la propria indigenza. Il buon religioso le disse: « Ella ha acquistato dieci giorni d’indulgenza assistendo alla predica; vada dal banchiere tale, che finora non si curò gran fatto di tesori spirituali, e gli offra, in cambio dell’elemosina, il merito da lei acquistato. Tengo per fermo che le darà soccorso ». La buona donna vi si recò. Dio permise che fosse accolta con bontà: il banchiere le chiese che volesse per dieci giorni d’indulgenza. « Ciò che pesano ripose! — Ebbene, riprese il banchiere, ecco una bilancia; scriva su d’una carta i suoi giorni d’indulgenza e la ponga su d’un piatto, ed io porrò sull’altro una moneta ». Oh prodigio! la carta pesa di più. Attonito il banchiere, v’aggiunse un’altra moneta, poi una terza, una decima, una trentesima, insomma, quante la donna abbisognavano; soltanto allora i due piatti si misero in equilibrio. Fu questa lezione issai preziosa pel banchiere, avendo per essa conosciuto il valore degli interessi celestiali. Le povere anime l’intendono ancor meglio; per la minima indulgenza darebbero tutto l’oro del mondo. – Adriana cugina di S. Margherita da Cortona e sua confidente sino dalla sua gioventù, essendo desiderosa di seguire la celebre indulgenza della Porziuncola, portossi in Assisi alla Chiesa della Madonna degli Angeli, ove entrata nel giorno del due di Agosto, fu sì oppressa dalla calca di gente, che in tal giorno vi concorreva, che subitamente dopo il ritorno in Cortona, tormentata da violentissimi dolori di fianchi, morì. Non poté S. Margherita trattenere le lacrime per la morte di sua cugina: e, mentre raccomandava al Signore l’anima di lei, ebbe da Gesù Cristo questa rivelazione: Non pianger più l’anima della tua Adriana, giacché per i meriti grandi dell’indulgenza, conseguiti da lei in Santa Mariadegli Angeli, io l’ho ammessa alla gloria dei Beati. – Santa Maria Maddalena de’ Pazzi aveva assistito con somma carità alla morte di una consorella, a cui le monache non solo furono sollecite di fare i consueti suffragi della religione, ma di applicare ancora le sante indulgenze che correvano in quel giorno. Ne restava tuttora esposto nella chiesa il cadavere; e dalle grate, con affetto di tenerezza e di devozione, lo guardava Maria Maddalena implorando requie e pace alla defunta, quando vide l’anima di lei innalzarsi verso il cielo per ricevervi la corona dell’eterna gloria. Non poté la Santa trattenersi dell’esclamare: Addio sorella, addio anima beata; prima tu, in Cielo che il corpo nel sepolcro. Oh felicità! oh gloria! negli amplessi del divino Sposo ti sovvenga di noi che sospiriamo in terra! Mentre così diceva apparve Gesù per consolarla dichiarandoleche in virtù delle indulgenze quell’anima era statapresto dal Purgatorio e ammessa in Paradiso.Laonde tanto fervore si accese in quel monastero per l’acquisto delle sante indulgenze, che si aveva quasi a scrupoloil lasciarne alcuna. Perché una scintilla di quel santo fervore non si accende nei nostri petti? – Aveva S. Geltrude fatto dono d’ogni opera soddisfattoria alle anime purganti. Venuta a morte fu assalita dal demonio, il quale tentava persuaderla aver ella liberate moltissime anime dal purgatorio per andarne ora a prendere il posto e soffrire per loro. Mentre era così tentata, le apparve nostro Signore che le disse: « Perché, o Geltrude mia, sei così afflitta? » « Ah Signore! rispose ella, mi vedo in procinto di venirvi dinnanzi per essere giudicata, senz’alcun capitale di buone opere che valgano a soddisfare le tante offese che vi ho fatte ». Il Signore allora sorridendole dolcemente, così la consola: « Geltrude, figliuola mia, affinché tu sappia quanto mi siano accette la divozione e la carità che avesti per quelle anime, ti rimetto fin d’ora tutte le pene che ti fossero riserbate; inoltre avendo promesso il cento per uno a chi accende l’amor mio, voglio ricompensarti ancora coll’aumentarti il grado di gloria che ti aspetta lassù. Tutte le anime che hai sollevato a te verranno per mio ordine ad introdurti fra i cantici nella celeste Gerusalemme ». La Santa spirò poco dopo, piena di sicurezza e di esultanza.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Dómine Jesu Christe, Rex glóriæ, líbera ánimas ómnium fidélium defunctórum de pœnis inférni et de profúndo lacu: líbera eas de ore leónis, ne absórbeat eas tártarus, ne cadant in obscúrum: sed sígnifer sanctus Míchaël repræséntet eas in lucem sanctam:
* Quam olim Abrahæ promisísti et sémini ejus.
V. Hóstias et preces tibi, Dómine, laudis offérimus: tu súscipe pro animábus illis, quarum hódie memóriam fácimus: fac eas, Dómine, de morte transíre ad vitam.
* Quam olim Abrahæ promisísti et sémini ejus.

[Signore Gesù Cristo, Re della gloria, libera tutti i fedeli defunti dalle pene dell’inferno e dall’abisso. Salvali dalla bocca del leone; che non li afferri l’inferno e non scompaiano nel buio. L’arcangelo san Michele li conduca alla santa luce
* che tu un giorno hai promesso ad Abramo e alla sua discendenza.
V. Noi ti offriamo, Signore, sacrifici e preghiere di lode: accettali per l’anima di quelli di cui oggi facciamo memoria. Fa’ che passino, Signore, dalla morte alla vita,
* che tu un giorno hai promesso ad Abramo e alla sua discendenza].

Secreta

Propitiáre, Dómine, supplicatiónibus nostris, pro animábus famulórum famularúmque tuárum, pro quibus tibi offérimus sacrifícium laudis; ut eas Sanctórum tuórum consórtio sociáre dignéris.

[Sii propizio, o Signore, alle nostre suppliche in favore delle anime dei tuoi servi e delle tue serve, per le quali Ti offriamo questo sacrificio di lode, affinché Tu le accolga nella società dei tuoi Santi..]

Praefatio
Defunctorum

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: per Christum, Dóminum nostrum. In quo nobis spes beátæ resurrectiónis effúlsit, ut, quos contrístat certa moriéndi condício, eósdem consolétur futúræ immortalitátis promíssio. Tuis enim fidélibus, Dómine, vita mutátur, non tóllitur: et, dissolúta terréstris hujus incolátus domo, ætérna in coelis habitátio comparátur. Et ídeo cum Angelis et Archángelis, cum Thronis et Dominatiónibus cumque omni milítia coeléstis exércitus hymnum glóriæ tuæ cánimus, sine fine dicéntes:

 [È veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e dovunque a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno, per Cristo nostro Signore. In lui rifulse a noi la speranza della beata risurrezione: e se ci rattrista la certezza di dover morire, ci consoli la promessa dell’immortalità futura. Ai tuoi fedeli, o Signore, la vita non è tolta, ma trasformata: e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata un’abitazione eterna nel cielo. E noi, uniti agli Angeli e agli Arcangeli ai Troni e alle Dominazioni e alla moltitudine dei Cori celesti, cantiamo con voce incessante l’inno della tua gloria:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis
Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster,

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

Communio

4 Esdr II:35-34
Lux ætérna lúceat eis, Dómine:
* Cum Sanctis tuis in ætérnum: quia pius es.
V. Requiem ætérnam dona eis, Dómine: et lux perpétua lúceat eis.
* Cum Sanctis tuis in ætérnum: quia pius es.

[Splenda ad essi la luce perpetua,
* insieme ai tuoi santi, in eterno, o Signore, perché tu sei buono.
V. L’eterno riposo dona loro, Signore, e splenda ad essi la luce perpetua.
* Insieme ai tuoi santi, in eterno, Signore, perché tu sei buono].

Postcommunio

Orémus.
Præsta, quǽsumus, Dómine: ut ánimæ famulórum famularúmque tuárum, his purgátæ sacrifíciis, indulgéntiam páriter et réquiem cápiant sempitérnam.
[Fa’, Te ne preghiamo, o Signore, che le anime dei tuoi servi e delle tue serve, purificate da questo sacrificio, ottengano insieme il perdono ed il riposo eterno].

TERZA MESSA

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

4 Esdr 2:34; 2:35
Réquiem ætérnam dona eis, Dómine: et lux perpétua lúceat eis.
[L’eterno riposo dona loro, Signore, e splenda ad essi la luce perpetua.]

Ps LXIV:2-3
Te decet hymnus, Deus, in Sion, et tibi reddétur votum in Jerúsalem: exáudi oratiónem meam, ad te omnis caro véniet.

[In Sion, Signore, ti si addice la lode, in Gerusalemme a te si compia il voto. Ascolta la preghiera del tuo servo, poiché giunge a te ogni vivente.]


Réquiem ætérnam dona eis, Dómine: et lux perpétua lúceat eis.

[L’eterno riposo dona loro, Signore, e splenda ad essi la luce perpetua.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Deus, véniæ largítor et humánæ salútis amátor: quǽsumus cleméntiam tuam; ut nostræ congregatiónis fratres, propínquos et benefactóres, qui ex hoc sǽculo transiérunt, beáta María semper Vírgine intercedénte cum ómnibus Sanctis tuis, ad perpétuæ beatitúdinis consórtium perveníre concédas.

[O Dio, che elargisci il perdono e vuoi la salvezza degli uomini, imploriamo la tua clemenza affinché, per l’intercessione della beata Maria sempre Vergine e di tutti i tuoi Santi, Tu conceda alle anime dei tuoi servi e delle tue serve la grazia di partecipare alla beatitudine eterna..]

Lectio

Léctio libri Apocalýpsis beáti Joánnis Apóstoli
Apoc XIV:13
In diébus illis: Audívi vocem de cœlo, dicéntem mihi: Scribe: Beáti mórtui, qui in Dómino moriúntur. Amodo jam dicit Spíritus, ut requiéscant a labóribus suis: ópera enim illórum sequúntur illos.

[In quei giorni, io intesi una voce dal cielo che mi diceva: «Scrivi: “Beati i morti che muoiono nel Signore”. Sì, fin d’ora – dice lo Spirito – essi riposano dalle loro fatiche, perché le loro opere li accompagnano».]

Graduale

4 Esdr II:34 et 35.
Réquiem ætérnam dona eis, Dómine: et lux perpétua lúceat eis.

[L’eterno riposo dona loro, o Signore, e splenda ad essi la luce perpetua.]
Ps 111:7.
V. In memória ætérna erit justus: ab auditióne mala non timébit.
[Il giusto sarà sempre nel ricordo, non teme il giudizio sfavorevole.]
Tractus.
Absólve, Dómine, ánimas ómnium fidélium ab omni vínculo delictórum.
V. Et grátia tua illis succurrénte, mereántur evádere judícium ultiónis.
V. Et lucis ætérnæ beatitúdine pérfrui.
[L ibera, Signore, le anime di tutti i fedeli defunti da ogni legame di peccato.
V. Con il soccorso della tua grazia possano evitare la condanna.
V. e godere la gioia della luce eterna.]
Sequentia [ut supra]

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Joánnem
Joann VI: 51-55
In illo témpore: Dixit Jesus turbis Judæórum: Ego sum panis vivus, qui de cœlo descéndi. Si quis manducáverit ex hoc pane, vivet in ætérnum: et panis, quem ego dabo, caro mea est pro mundi vita. Litigábant ergo Judæi ad ínvicem, dicéntes: Quómodo potest hic nobis carnem suam dare ad manducándum? Dixit ergo eis Jesus: Amen, amen, dico vobis: nisi manducavéritis carnem Fílii hóminis et bibéritis ejus sánguinem, non habébitis vitam in vobis. Qui mánducat meam carnem et bibit meum sánguinem, habet vitam ætérnam: et ego resuscitábo eum in novíssimo die.

[In quel tempo: Gesù disse alla moltitudine degli Ebrei: «Io sono il pane vivente, che è disceso dal cielo; se uno mangia di questo pane vivrà in eterno; e il pane che io darò per la vita del mondo è la mia carne». I Giudei dunque discutevano tra di loro, dicendo: «Come può costui darci da mangiare la sua carne?» Perciò Gesù disse loro: «In verità, in verità vi dico che se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete vita in voi. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».]

OMELIA

COMMEMORAZIONE DEI FEDELI DEFUNTI.

Venit nox, quando nemo potest operati.

Vien la notte, in cui niuno può lavorare.

(S. GIOVANNI IX, 4).

Tal’è, miei fratelli, la crudele e terribile condizione, in cui si trovano adesso i nostri padri e le nostre madri, i nostri parenti e i nostri amici, che sono usciti da questo mondo senza aver interamente soddisfatto alla giustizia di Dio. Li ha condannati a passare lunghi anni nel carcere tenebroso del purgatorio, ove la sua giustizia rigorosamente s’aggrava su loro, finché le abbiano interamente pagato il loro debito. «Oh! com’è terribile, dice San Paolo, cader nelle mani di Dio vivente! » (Hebr., X, 31) Ma perché, fratelli miei, sono oggi salito in pulpito? Che cosa vi dirò? Ah! vengo da parte di Dio medesimo; vengo da parte de’ vostri poveri parenti, per risvegliare in voi quell’amore di riconoscenza, di cui siete ad essi debitori: vengo a rimettervi sott’occhio tutti i tratti di bontà e tutto l’amore ch’ebbero per voi, quand’erano sulla terra: vengo a dirvi che bruciano tra le fiamme, che piangono, che chiedono ad alte grida il soccorso delle vostre preghiere e delle vostre opere buone. Mi par d’udirli gridare dal fondo di quel mare di fuoco che li tormenta: « Ah! dite ai nostri padri, alle nostre madri, ai nostri figliuoli e a tutti i nostri parenti, quanto sono atroci i mali che soffriamo. Noi ci gettiamo a’ loro piedi per implorare l’aiuto delle loro preghiere. Ah! dite ad essi che da quando ci separammo da loro, siamo qui a bruciar tra le fiamme! Oh ! chi potrà rimaner insensibile al pensiero di tante pene che soffriamo? » Vedete voi, miei fratelli, e udite quella tenera madre, quel buon padre, e tutti quei vostri congiunti che vi tendono le mani? « Amici miei, gridano gemendo, strappateci a questi tormenti, poiché lo potete ». Vediamo dunque, fratelli miei,

1° la grandezza de’ tormenti che soffrono le anime nel purgatorio;

2° quali mezzi abbiamo di sollevarli, cioè le nostre preghiere, le nostre opere buone, e soprattutto il santo Sacrificio della Messa.

I . — Non voglio trattenermi a dimostrarvi l’esistenza del Purgatorio: sarebbe tempo perduto. Niuno di voi ha su questo punto alcun dubbio. La Chiesa, a cui Gesù Cristo ha promesso l’assistenza del suo Santo Spirito, e che non può quindi né ingannarsi né ingannare, ce l’insegna in modo ben chiaro ed evidente. È certo e certissimo che v’è un luogo ove le anime dei giusti finiscono d’espiare i loro peccati prima d’essere ammesse alla gloria del paradiso per esse sicura. Sì, miei fratelli, ed è articolo di fede: se non abbiam fatto penitenza proporzionata alla gravezza e all’enormità de’ nostri peccati, sebben perdonati nel santo tribunale della penitenza, saremo condannati ad espiarli nelle fiamme del purgatorio. Se Dio, essenziale giustizia, non lascia senza premio un buon pensiero, un buon desiderio e la minima buona azione, neppur lascerà impunita una colpa, per quanto leggera; e noi dovremo andare a patire in Purgatorio, onde finir di purificarci, per tutto il tempo che esigerà la divina giustizia. Gran numero di passi della santa Scrittura ci mostrano che, quantunque i nostri peccati ci siano stati perdonati, pure Iddio c’impone anche l’obbligo di patire in questo mondo per mezzo di pene temporali, o nell’altro tra le fiamme del Purgatorio. Vedete che cosa accadde ad Adamo: essendosi pentito dopo il suo peccato. Dio l’assicurò che gli aveva perdonato, e tuttavia lo condannò a far penitenza per oltre 900 anni (Gen. III, 17-19); penitenza che sorpassa quanto può immaginarsi. Osservate ancora (II Re, XXIV): David, contro il beneplacito di Dio, ordina il novero de’ suoi sudditi; ma, spinto dai rimorsi della sua coscienza, riconosce il suo peccato, si getta con la faccia per terra e prega il Signore a perdonargli. E Dio, impietosito pel suo pentimento, gli perdona di fatto; ma tuttavia gli manda Gad che gli dica: « Principe, scegli uno de’ tre flagelli, che Dio ti ha apparecchiato in pena del tuo peccato: la peste, la guerra e la fame ». David risponde: «Meglio è cadere nelle mani del Signore, di cui tante volte ho sperimentato la misericordia, che in quelle degli uomini ». Scegli quindi la peste che durò tre giorni e gli tolse 70000 sudditi: e se il Signore non avesse fermato la mano dell’Angelo, già stesa sulla città, tutta Gerusalemme sarebbe rimasta Spopolata. David, vedendo tanti mali cagionati dal suo peccato, chiese in grazia a Dio che punisse lui solo, e risparmiasse il suo popolo ch’era innocente. Ohimè! miei fratelli, per quanti anni dovremo soffrire nel purgatorio noi che abbiam commesso tanti peccati: e che, col pretesto d’averli confessati non facciamo penitenza alcuna e non li piangiamo? Quanti anni di patimenti ci aspettano nell’altra vita! Ma come potrò io farvi il quadro straziante delle pene che soffrono quelle povere anime, poiché i SS. Padri ci dicono che i mali cui esse son condannate in quel carcere, sembrano pari ai dolori che Gesù Cristo ha sofferto nel tempo della sua passione? E tuttavia è certo che se il minimo dei dolori che ha patito Gesù Cristo fosse stato diviso tra tutti gli uomini, sarebbero tutti morti per la violenza del dolore. Il fuoco del Purgatorio è il fuoco medesimo dell’inferno, con la sola differenza che non è eterno. Oh! bisognerebbe che Dio. nella sua misericordia permettesse ad una di quelle povere anime, che ardono tra quelle fiamme, di comparir qui a luogo mio, circondata dal fuoco che la divora, e farvi essa il racconto delle pene che soffre. Bisognerebbe, fratelli miei, ch’essa facesse risuonar questa chiesa delle sue grida e de’ suoi singhiozzi; forse ciò riuscirebbe alfine ad intenerire i vostri cuori. « Oh! quanto soffriamo, ci gridano quelle anime; o nostri fratelli, liberateci da questi tormenti: voi lo potete! Ah! se sentiste il dolore d’essere separate da Dio! » Crudele separazione! Ardere in un fuoco acceso dalla giustizia d’un Dio! Soffrir dolori che uomo mortale non può comprendere! Esser divorato dal rammarico, sapendo che potevamo si agevolmente sfuggirli! «Oh! miei figliuoli, gridan quei padri e quelle madri, potete abbandonarci? Abbandonar noi che vi abbiam tanto amato? Potete coricarvi su un soffice letto e lasciar noi stesi sopra un letto di fuoco? Avrete il coraggio di darvi in braccio ai piaceri e alla gioia, mentre noi notte e giorno siam qui a patire ed a piangere? Possedete pure i nostri beni e le nostre case, godete il frutto delle nostre fatiche, e ci abbandonate in questo luogo di tormenti, ove da tanti anni soffriamo pene si atroci?… E non un’elemosina, non una Messa che ci aiuti a liberarci!… Potete alleviar le nostre pene, aprir la nostra prigione e ci abbandonate! Oh! son pur crudeli i nostri patimenti! » Si, miei fratelli, in mezzo alle fiamme si giudica ben altrimenti di tutte codeste colpe leggere, seppure si può chiamar leggero ciò che fa tollerare sì rigorosi dolori. « O mio Dio, esclamava il Re-profeta, guai all’uomo, anche più giusto, se lo giudicate senza misericordia! » (Ps. CXLII, 2). « Se avete trovato macchie nel sole e malizia negli Angeli, che sarà dell’uomo peccatore? » (I Piet. IV, 18). E per noi che abbiam commesso tanti peccati mortali, e non abbiamo ancor fatto quasi nulla per soddisfare alla giustizia divina, quanti anni di purgatorio!… – « Mio Dio, diceva S. Teresa, qual anima sarà tanto pura da entrare in cielo senza passare per le fiamme vendicatrici? » Nella sua ultima malattia essa ad un tratto esclamò: «O giustizia e potenza del mio Dio, siete pur terribile! » Durante la sua agonia Dio le fece vedere la sua santità, quale la vedono in cielo gli Angeli e i Santi, il che le cagionò sì vivo terrore, che le sue suore, vedendola tutta tremante e in preda ad una straordinaria agitazione, gridarono piangendo: « Ah! madre nostra, che cosa mai vi è accaduto? Temete; ancora la morte dopo tante penitenze, e lacrime sì copiose ed amare? » — « No, mie figliuole, rispose S. Teresa, non temo la morte; anzi la desidero per unirmi eternamente al mio Dio ». — « Vi spaventano dunque i vostri peccati dopo tante macerazioni? » — « Sì, mie figliuole, rispose, temo i miei peccati, ma temo più ancora qualche altra cosa ». — « Forse il giudizio? » — « Sì, rabbrividisco alla vista del conto che dovrò rendere a Dio, il quale in quel momento sarà senza misericordia; ma vi è oltre a questo una cosa il cui solo pensiero mi fa morire di spavento ». Quelle povere suore grandemente si angustiavano. « Ohimè! Sarebbe mai l’inferno? » — « No, disse la santa, l’inferno, per grazia di Dio, non è per me: Oh! sorelle mie, è la santità di Dio! Mio Dio. abbiate pietà di ine! La mia vita dev’essere confrontata con quella di Gesù Cristo medesimo! Guai a me, se ho la minima macchia, il minimo neo! Guai a me, se ho pur l’ombra del peccato! ». — « Ohimè! esclamarono quelle povere religiose, qual sarà dunque la nostra sorte?…  E di noi che sarà, fratelli miei, di noi che forse con tutte le nostre penitenze ed opere buone non abbiamo ancor soddisfatto per un solo peccato perdonatoci nel tribunale della penitenza? Ah! quanti anni e quanti secoli di tormenti per punirci!… Pagheremo pur cari tutti quei falli che riguardiamo come un nulla, come quelle bugie dette per divertimento, le piccole maldicenze, la non curanza delle grazie che Dio ci fa ad ogni momento, quelle piccole mormorazioni nelle tribolazioni ch’Egli ci manda! No, miei fratelli, non avremmo il coraggio di commettere il minimo peccato, se potessimo intendere quale offesa fa a Dio, e come merita d’esser punito rigorosamente anche in questo mondo. – Leggiamo nella santa Scrittura (III Re, XII) che il Signore disse un giorno ad uno de’ suoi profeti: « Va a mio nome da Geroboamo per rimproverargli l’orribilità della sua idolatria: ma ti proibisco di prendere alcun nutrimento né in casa sua, né per via ». Il profeta obbedì tosto, e s’espose anche a sicuro pericolo di morte. Si presentò dinanzi al re, e gli rimproverò il suo delitto, come gli aveva detto il Signore. Il re, montato in furore perché il profeta aveva avuto ardire di riprenderlo, stende la mano e comanda che sia arrestato. La mano del re rimase tosto disseccata. Geroboamo, vedendosi punito, rientrò in se stesso; e Dio, mosso dal suo pentimento, gli perdonò il suo peccato e gli restituì sana la mano. Questo benefizio mutò il cuore del re, che invitò il profeta a mangiare con lui. « No, rispose il profeta, il Signore me l’ha proibito: quando pure mi donaste metà del vostro regno, non lo farò ». Mentre tornava indietro, trovò un falso profeta, che si diceva mandato da Dio, il quale l’invitò a mangiar seco. Si lasciò ingannare da quel discorso, e prese un poco di nutrimento. Ma, uscendo dalla casa del falso profeta, incontrò un leone d’enorme grossezza, che si gettò su lui e lo sbranò. Or se chiedete allo Spirito Santo, quale sia stata la cagione di quella morte, vi risponderà che la disobbedienza del profeta gli meritò tal castigo. Vedete pure Mosè, che era sì caro a Dio: per aver dubitato un momento della sua potenza, battendo due volte una rupe per farne zampillar l’acqua, il Signore gli disse: « Aveva promesso di farti entrare nella terra promessa, ove latte e miele scorrono a rivi; ma per punirti d’aver battuto due volte la rupe, come se una sola non fosse stata bastante, andrai fino in vista di quella terra di benedizione, e morrai prima d’entrarvi » (Num. XX, 11, 12). Se Dio, miei fratelli, punì così rigorosamente peccati così leggeri, che cosa sarà d’una distrazione nella preghiera, del girare il capo in chiesa, ecc.?.. Oh! siam pur ciechi! Quanti anni e quanti secoli di Purgatorio ci prepariamo per tutte queste colpe che riguardiam come cose da nulla! … Come muteremo linguaggio, quando saremo tra quelle fiamme ove la giustizia di Dio si fa sentire così rigorosamente!… Dio è giusto, fratelli miei, giusto in tutto quello che fa. Quando ci ricompensa della minima buona azione, lo fa oltre i confini di ciò che possiamo desiderare; un buon pensiero, un buon desiderio, cioè il desiderar di fare qualche opera buona, quand’anche non si potesse fare, Ei non lascia senza ricompensa; ma anche quando si tratta di punirci, lo fa con rigore, e quando pur fossimo rei d’una sola colpa leggera, saremmo gettati nel Purgatorio. Quest’è verissimo, perché leggiamo nelle vite de’ Santi che parecchi sono giunti al cielo sol dopo esser passati per le fiamme del Purgatorio. S. Pier Damiani racconta che sua sorella stette parecchi anni nel purgatorio per avere ascoltato una canzone cattiva con qualche po’ di piacere. – Si narra che due religiosi si promisero l’un l’altro che, chi morisse pel primo, verrebbe a dire al superstite in quale stato si trovasse; infatti Dio permise al primo che morì di comparire all’amico, egli disse ch’era stato quindici giorni al purgatorio per aver amato troppo di far la propria volontà. E siccome l’amico si rallegrava con lui perché vi fosse stato sì poco: « Avrei voluto piuttosto, gli disse il defunto, esser scorticato vivo per diecimila anni continui; perché un simile tormento non avrebbe potuto ancora paragonarsi a ciò che ho patito tra quelle fiamme ». Un prete disse ad uno de’ suoi amici che Dio l’aveva condannato a più mesi di purgatorio per aver tardato ad eseguire un testamento in cui si disponeva per opere buone. Ohimè! miei fratelli, quanti tra quei che mi ascoltano debbono rimproverarsi un simile fatto! Quanti forse da otto o dieci anni ebbero da’ loro parenti od amici l’incarico di far celebrar Messe, distribuir limosine, e han trascurato tutto! Quanti, per timore di trovar l’incarico di far qualche opera buona, non si vogliono dar la briga neppur di guardare il testamento fatto a favor loro da parenti o da amici! Ohimè! quelle povere anime son prigioniere tra quelle fiamme, perché non si vogliono compiere le loro ultime volontà! Poveri padri e povere madri, vi siete sacrificati per mettere in miglior condizione i vostri figli o i vostri eredi; avete forse trascurato la vostra salute per accrescere la loro fortuna: vi siete fidati sulle opere buone, che avreste lasciate per testamento! Poveri parenti! Foste pur ciechi a dimenticare voi stessi! – Forse mi direte: « I nostri parenti son vissuti bene, erano molto buoni ». Ah! quanto poco ci vuole per cader tra quelle fiamme! Udite ciò che disse su questo proposito Alberto Magno, le cui virtù splendettero in modo straordinario: rivelò un giorno ad un amico che Dio l’aveva fatto andare al purgatorio, perché aveva avuto un lieve pensiero di compiacenza pel suo sapere. Aggiungete (cosa che desta anche maggior meraviglia) che vi son Santi canonizzati, i quali dovettero passare pel purgatorio. S. Severino, Arcivescovo di Colonia, apparve ad uno, de’ suoi amici molto tempo dopo la sua morte, e gli disse ch’era stato al Purgatorio per aver rimandato alla sera certe preghiere che doveva dire al mattino. Oh! quanti anni di purgatorio per quei Cristiani, che senza difficoltà differiscono ad altro tempo le loro preghiere, perché han lavoro pressante! Se desiderassimo sinceramente la felicità di possedere Iddio, eviteremmo le piccole colpe, come le grandi, poiché la separazione da Dio è tormento sì orribile a quelle povere anime! – I santi Padri ci dicono che il Purgatorio è un luogo vicino all’inferno; il che si capisce agevolmente, perché il peccato veniale è vicino al peccato mortale; ma credono che non tutte le anime per soddisfare alla giustizia divina sian chiuse in quel carcere, e che molte patiscano sul luogo stesso ove hanno peccato. Infatti, S. Gregorio Papa ce ne dà una prova manifesta. Riferisce che un santo prete infermo andava ogni giorno, per ordine del medico, a prender bagni in un luogo appartato; e ogni giorno vi trovava un personaggio sconosciuto, che l’aiutava a scalzarsi e, fatto il bagno, gli presentava un panno per asciugarsi. Il santo prete mosso da riconoscenza, tornando un giorno da celebrare la santa Messa, presentò allo sconosciuto un pezzo di pane benedetto. « Padre mio, gli rispose egli, voi m’offrite cosa, di cui non posso far uso, quantunque mi vediate rivestito d’un corpo. Sono il Signore di questo luogo, che faccio qui il mio purgatorio». E scomparve dicendo: «Ministro del Signore, abbiate pietà di me! Oh! quanto soffro! Voi potete liberarmi; offrite, ve ne prego, per me il santo Sacrifizio della Messa, offrite le vostre preghiere e le vostre infermità. Il Signore mi libererà ». Se fossimo ben convinti di questo, potremmo sì facilmente dimenticare i nostri parenti, che ci stanno forse continuamente d’intorno? Se Dio permettesse loro di mostrarsi visibilmente, li vedremmo gettarsi a’ nostri piedi. « Ah! figli miei, direbbero quelle povere anime, abbiate pietà di noi! Deh! non ci abbandonate! ». Sì, miei fratelli, la sera andando al riposo, vedremmo i nostri padri e le madri nostre richiedere il soccorso delle nostre preghiere; li vedremmo nelle nostre case, nei nostri campi. Quelle povere anime ci seguono dappertutto; ma, ohimè! son poveri mendicanti dietro a cattivi ricchi. Han bell’esporre ad essi le loro necessità e i loro tormenti; quei cattivi ricchi sgraziatamente non se ne commuovono punto. « Amici miei, ci gridano, un Patere un Ave! una Messa! » Ecché? Saremo ingrati a segno da negare ad un padre, ad una madre una parte sì piccola dei beni che ci hanno acquistato o conservato con tanti stenti? Ditemi, se vostro padre, vostra madre o uno de’ vostri figliuoli fossero caduti nel fuoco, e vi tendessero le mani per pregarvi a liberarli, avreste coraggio di mostrarvi insensibili, e lasciarli ardere sotto i vostri occhi? Or la fede c’insegna che quelle povere anime soffrono tali pene cui nessun uomo mortale sarà mai capace di intendere Se vogliamo assicurarci il cielo, fratelli miei, abbiamo gran divozione a pregar per le anime del Purgatorio. Può ben dirsi che questa divozione è segno quasi certo di predestinazione, ed efficace motivo di salute. La santa Scrittura nella storia di Gionata ci mette sott’occhio un mirabile paragone (1 Re XIV). Saul, padre di Gionata, aveva proibito a tutti i soldati, sotto pena di morte, di prendere alcun nutrimento prima che i Filistei fossero stati interamente disfatti. Gionata, che non aveva udito quella proibizione, sfinito com’era dalla fatica, intinse in un favo di miele la punta del suo bastone e ne gustò. Saul consultò il Signore per sapere, se alcuno aveva violato la proibizione. Saputo che l’aveva violata suo figlio, comandò che mettessero le mani su Gionata, dicendo: « Mi punisca il Signore, se oggi non morrai ». Gionata. vedendosi dal padre condannato a morte, per aver violato una proibizione che non aveva udita, volse lo sguardo al popolo, e, piangendo, pareva rammentare tutti i servigi che gli aveva reso, tutta la benevolenza che aveva loro usata, il popolo si gettò subito ai piedi di Saul: « Ecché? Farai morir Gionata, che ha poc’anzi salvato Israele?Gionata che ci ha liberati dalle inani de’ nostri nemici? No, no: non cadrà dal suo capo un capello: troppo ci sta a cuore conservarlo: troppo bene ci ha fatto, e non è possibile dimenticarlo sì presto ». Ecco l’immagine sensibile di ciò che avviene all’ora della morte. Se, per nostra buona ventura, avremo pregato per le anime del purgatorio, quando compariremo d’innanzi al tribunale di Gesù Cristo per rendergli conto di tutte le nostre azioni, quelle anime si getteranno ai piedi del Salvatore dicendo: «Signore, grazia per questa anima! Grazia, misericordia per essa! Abbiate pietà, mio Dio, di quest’anima così caritatevole, che ci ha liberate dalle fiamme, e h a soddisfatto per noi alla vostra giustizia! Mio Dio, mio Dio, dimenticate, ve ne preghiamo le sue colpe, com’essa vi ha fatto dimenticare le nostre! » Oh! quanto efficaci son questi motivi per ispirarvi una tenera compassione verso quelle povere anime sofferenti! Ohimè! esse ben presto sono dimenticate! Si ha pur ragione di dire che il ricordo de’ morti svanisce insieme col suono delle campane. Soffrite, povere anime, piangete in quel fuoco acceso dalla giustizia divina; ciò non giova a nulla; nessuno vi ascolta; nessuno vi porge sollievo!… Ecco dunque, fratelli miei, la ricompensa di tanta bontà e di tanta carità ch’ebbero per noi mentre ancora vivevano. No, non siamo nel numero di questi ingrati; poiché lavorando alla loro liberazione, lavoreremo alla nostra salute.

II. — Ma, direte forse, come possiamo sollevarle e condurle al cielo! Se desiderate prestar loro soccorso, fratelli miei, vi farò vedere che è cosa facile il farlo; 1° per mezzo della preghiera e dell’elemosina; 2° per mezzo delle indulgenze; 3° soprattutto col santo sacrificio della Messa.

Dico primieramente per mezzo della preghiera.

Quando facciamo una preghiera per le anime del purgatorio, cediamo loro ciò che Dio ci concederebbe se la facessimo per noi; ma ohimè! quanto poca cosa sono le nostre preghiere, poiché è pur sempre un peccatore che prega per un colpevole! Mio Dio. Deve esser pur grande la vostra misericordia! … Possiamo ogni mattina offrire tutte le azioni della nostra giornata e tutte le nostre preghiere pel sollievo di quelle povere anime sofferenti. È ben poca cosa, certamente; ma ecco: facciamo ad esse come ad una persona, che abbia le mani legate e sia carica d’ un pesante fardello, a cui si venga di tratto in tratto a togliere qualche po’ di quel peso; a poco a poco si troverà libera del tutto. L’istesso accade alle povere anime del purgatorio, quando facciamo per esse qualche cosa: una volta abbrevieremo le loro pene di un’ora, un’altra volta d’un quarto d’ora, sicché ogni giorno avviciniamo al cielo.

Diciamo in secondo luogo che possiamo liberare le anime del purgatorio con le indulgenze, le quali a gran passi le conducono verso il paradiso. Il bene che loro comunichiamo è di prezzo infinito perché applichiamo ad essi i meriti del Sangue adorabile di Gesù Cristo, delle virtù della SS. Vergine e dei Santi, i quali han fatto maggiori penitenze che non richiedessero i loro peccati. Ah! se volessimo, quanto presto avremmo vuotato il purgatorio, applicando a queste anime sofferenti tutte le indulgenze che possiamo guadagnare!… Vedete, fratelli miei, facendo la Via Crucis, si possono guadagnare quattordici indulgenze plenarie (C. d. Ind. 1742). E si fa in più modi … (Nota del Santo andata persa – nota degli edit. francesi) . Oh! siete pur colpevoli per aver lasciato tra quelle fiamme i vostri parenti, mentre potevate così bene e facilmente liberarli!

Il mezzo più efficace per affrettare la loro felicità è la santa Messa, poiché in essa non è più un peccatore che prega per un peccatore, ma un Dio eguale al Padre, che non saprà mai negargli nulla. Gesù Cristo ce ne assicura nel Vangelo; dicendo; « Padre, ti rendo grazie perché mi ascolti sempre ! » (Joan. XI, 41-42). Per meglio persuadercene, vi citerò un esempio dei più commoventi, da cui intenderete quanto grande efficacia abbia la santa Messa. È riferito nella storia ecclesiastica che, poco dopo la morte dell’imperator Carlo (Carlo il Calvo), un sant’uomo della diocesi di Reims, per nome Bernold, essendo caduto infermo e avendo ricevuto gli ultimi Sacramenti stette quasi un giorno senza parlare, e appena appena si poteva riconoscere che ancor vivesse; finalmente aprì gli occhi, e comandò a chi lo assisteva di far venir al più presto il suo confessore. Il prete venne tosto, e trovò il malato tutto in lacrime, il quale gli disse: «Sono stato trasportato all’altro mondo, e mi son trovato in un luogo ove ho veduto il Vescovo Pardula di Laon, che pareva vestito di cenci sudici e neri, e pativa orribilmente tra le fiamme; ei m’ha parlato così: « Poiché avete la buona sorte di tornare in terra, vi prego d’aiutarmi e darmi sollievo; potete anzi liberarmi, e assicurarmi la grande felicità di vedere Iddio ». — « Ma, gli ho risposto, come potrò procurarvi tale felicità? ». — « Andate da quelli che nel corso della mia vita ho beneficato, e dite loro che in ricambio preghino per me, e Dio mi userà misericordia ». Dopo fatto ciò che mi aveva comandato l’ho riveduto bello come un sole: non pareva più che soffrisse, e, nella sua gioia mi ringraziò dicendo: « Vedete quanti beni e quante felicità mi han procurato le preghiere e la santa Messa » . Poco più in là ho veduto re Carlo, che mi parlò così: « Amico mio, quanto soffro! Va dal Vescovo Iucmaro, e digli che son nei tormenti per non aver seguito i suoi consigli; ma faccio assegnamento su lui perché m’aiuti ad uscire da questo luogo di patimenti; raccomanda pure a tutti quelli i quali ho beneficato nel corso della mia vita che preghino per me, ed offrano il santo Sacrificio della Messa, e sarò liberato ». Andai dal Vescovo che si apparecchiava a dir Messa, e che, con tutto il suo popolo, si mise a pregare con tale intenzione. Rividi poi il re, rivestito dei suoi abiti regali, e tutto splendente di gloria: « Vedi, mi disse, qual gloria m’hai procurata: ormai eccomi felice per sempre » . In quell’istante sentii la fragranza d’uno squisito profumo, che veniva dal soggiorno de’ beati. « Mi ci accostai, dice il P. Bernold, e vidi bellezze e delizie, che lingua umana non è capace di esprimere » (V. Fleury T. VII, anno 877). Ciò dimostra quanto siano efficaci le nostre preghiere e le nostre opere buone, e specialmente la S. Messa, per liberar dai loro tormenti quelle povere anime. Ma eccone un altro esempio tratto anche questo dalla storia della Chiesa: è anche più meraviglioso. Un prete, informato della morte d’un suo amico, che amava solo per Iddio, non trovò mezzo più potente per liberarlo che andar tosto ad offrire il santo Sacrificio della Messa. Lo cominciò con tutto il possibile fervore e col dolore più vivo. Dopo aver consacrato il Corpo adorabile di Gesù Cristo, lo prese tra mano, e levando al cielo le mani e gli occhi, disse: « Eterno Padre, io vi offro il Corpo e l’Anima del vostro carissimo Figliuolo. Eterno Padre! Rendetemi l’anima dell’amico mio, che soffre tra le fiamme del Purgatorio! Sì, mio Dio, io son libero d’offrirvi o no il vostro Figliuolo, voi potete accordarmi ciò che vi domando! Mio Dio facciamo il cambio; liberate l’amico mio e vi darò il vostro Figliuolo: ciò che vi offro val molto più di ciò che vi domando ». Questa preghiera fu fatta con fede sì viva, che nel punto stesso vide l’anima dell’amico uscir dal purgatorio e salire al cielo. Si narra pure che, mentre un prete diceva la S. Messa per un’anima del Purgatorio, si vide venire in forma di colomba e volare al cielo. S. Perpetua raccomanda assai vivamente di pregare le anime del purgatorio. Dio le fece vedere in visione suo fratello che ardeva tra le fiamme, e che pure era morto di soli sette anni, dopo aver sofferto per quasi tutta la vita d’un cancro che lo faceva gridar giorno e notte. Essa fece molte preghiere e molte penitenze per la sua liberazione e lo vide salire al cielo splendente come un Angelo. Oh! son pur beati, fratelli miei, quelli che hanno di tali amici! A mano a mano che quelle povere anime s’avvicinano al cielo, par che soffrano anche di più. Sono come Assalonne: dopo essere stato qualche tempo in esilio torna a Gerusalemme, ma col divieto di veder suo padre che l’amava teneramente. Quando gli si annunziò che rimarrebbe vicino a suo padre, ma non potrebbe vederlo, esclamò: « Ah! vedrò dunque le finestre e i giardini di mio padre e non lui? Ditegli che voglio piuttosto morire, anziché rimaner qui, e non aver la consolazione di vederlo. Ditegli che non mi basta aver ottenuto il suo perdono. ma è ancor necessario che mi conceda la sorte felice di rivederlo » [II Re, XIV — Veramente le parole qui citate furon dette da Assalonne, non quando udì la sentenza del Re, ma due anni dopo. (Nota del Traduttore)]. Così quelle povere anime, vedendosi tanto vicine a uscire dal loro esilio, sentono accendersi così vivamente il loro amor verso Dio, e il desiderio di possederlo, che pare non possano più resistervi. « Signore, gridano esse, rimirateci con gli occhi della vostra misericordia: eccoci al fine delle nostre pene ». — « Oh! siete pur felici, gridano a noi di mezzo alle fiamme che le tormentano, voi che potete ancora sfuggire questi patimenti! … ». Mi pare anche d’udir quelle povere anime, che non han né parenti, né amici: Ah! se vi resta ancora un poco di carità, abbiate pietà di noi, che da tanti anni siamo abbandonate in queste fiamme accese dalla giustizia divina! Oh! se poteste comprendere la grandezza de’ nostri patimenti, non ci abbandonereste come fate! Mio Dio! Nessuno dunque avrà pietà di noi? È certo, miei fratelli, che quelle povere anime non possono nulla per sé; possono però molto per noi. E prova di questa verità è che nessuno ha invocate le anime del purgatorio senza aver ottenuta la grazia che domandava. E ciò s’intende agevolmente: se i Santi, che sono in cielo e non han bisogno di noi, si danno pensiero della nostra salute, quanto più le anime del purgatorio che ricevono i nostri benefìci spirituali a proporzione della nostra santità. « Non ricusate, o Signore, (dicono) questa grazia a quei Cristiani che si adoperano con ogni cura a trarci da queste fiamme! » Una madre potrà forse far a meno di chiedere a Dio qualche grazia per figli, che ha tanto amato e che pregano per la sua liberazione? Un pastore, che in tutto il corso della sua vita ebbe tanto zelo per la salute de’ suoi parrocchiani, potrà non chieder per essi, anche dal purgatorio, le grazie, di cui hanno bisogno per salvarsi? Sì, miei fratelli, quando avremo da domandar qualche grazia, rivolgiamoci con fiducia a quelle anime sante e saremo sicuri d’ottenerla. Qual buona ventura per noi avere, nella divozione alle anime del purgatorio, un mezzo così eccellente per assicurarci il cielo! Vogliamo chiedere a Dio il perdono de’ nostri peccati? Rivolgiamoci a quelle anime che da tanti anni piangono tra le fiamme le colpe da loro commesse. Vogliamo domandare a Dio il dono della perseveranza? Invochiamole, fratelli miei, che esse ne sentono tutto il pregio; poiché solo quei che perseverano vedranno Iddio. Nelle nostre malattie, nei nostri dolori volgiamo le nostre preghiere verso il Purgatorio, ed otterranno il loro frutto. Che cosa concluder, miei fratelli, da tutto questo? Eccolo. È certo molto scarso il numero degli eletti, che sfuggono interamente le pene del purgatorio; e i patimenti a cui quelle anime sono condannate, son molto superiori a quanto potremo intenderne. È certo pure che sta in nostra mano quanto può dar sollievo alle anime del Purgatorio, cioè le nostre preghiere, le nostre penitenze, le nostre elemosine e soprattutto la santa Messa. Finalmente siam certi che quelle anime, così piene di carità, ci otterranno mille volte più di quello che loro daremo. Se un giorno saremo nel Purgatorio, quelle anime non lasceranno di chiedere a Dio l’istessa grazia che avremo ad esse ottenuto; poiché han pur sentito quanto si soffre in quel luogo di dolori e quanto è crudele la separazione da Dio. Nel corso di quest’ottava consacriamo qualche momento ad opera sì bene spesa. Quante anime andranno in paradiso pel merito della santa Messa e delle nostre preghiere!… Ognun di noi pensi a’ suoi parenti, e a tutte le povere anime da lunghi anni abbandonate! Sì, fratelli miei, offriamo in loro sollievo tutte le nostre azioni. Cosi piaceremo a Dio che ne desidera tanto la liberazione, e ad esse procureremo la felicità del godimento di Dio. Il che io vi desidero.

IL CREDO

Offertorium

Orémus.
Dómine Jesu Christe, Rex glóriæ, líbera ánimas ómnium fidélium defunctórum de pœnis inférni et de profúndo lacu: líbera eas de ore leónis, ne absórbeat eas tártarus, ne cadant in obscúrum: sed sígnifer sanctus Míchaël repræséntet eas in lucem sanctam:
* Quam olim Abrahæ promisísti et sémini ejus.
V. Hóstias et preces tibi, Dómine, laudis offérimus: tu súscipe pro animábus illis, quarum hódie memóriam fácimus: fac eas, Dómine, de morte transíre ad vitam.
* Quam olim Abrahæ promisísti et sémini ejus.

[Signore Gesù Cristo, Re della gloria, libera tutti i fedeli defunti dalle pene dell’inferno e dall’abisso. Salvali dalla bocca del leone; che non li afferri l’inferno e non scompaiano nel buio. L’arcangelo san Michele li conduca alla santa luce
* che tu un giorno hai promesso ad Abramo e alla sua discendenza.
V. Noi ti offriamo, Signore, sacrifici e preghiere di lode: accettali per l’anima di quelli di cui oggi facciamo memoria. Fa’ che passino, Signore, dalla morte alla vita,
* che tu un giorno hai promesso ad Abramo e alla sua discendenza.]

Secreta
Deus, cujus misericórdiæ non est númerus, súscipe propítius preces humilitátis nostræ: et animábus fratrum, propinquórum et benefactórum nostrórum, quibus tui nóminis dedísti confessiónem, per hæc sacraménta salútis nostræ, cunctórum remissiónem tríbue peccatórum.

[Dio, la cui misericordia è infinita, accogli propizio le nostre umili preghiere, e in grazia di questo sacramento della nostra salvezza, concedi la remissione di ogni peccato a tutti i fedeli defunti a cui hai accordato di dar testimonianza al tuo nome.]

Præfatio
Defunctorum

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: per Christum, Dóminum nostrum. In quo nobis spes beátæ resurrectiónis effúlsit, ut, quos contrístat certa moriéndi condício, eósdem consolétur futúræ immortalitátis promíssio. Tuis enim fidélibus, Dómine, vita mutátur, non tóllitur: et, dissolúta terréstris hujus incolátus domo, ætérna in cælis habitátio comparátur. Et ídeo cum Angelis et Archángelis, cum Thronis et Dominatiónibus cumque omni milítia cœléstis exércitus hymnum glóriæ tuæ cánimus, sine fine dicéntes:

[È veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e dovunque a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno, per Cristo nostro Signore. In lui rifulse a noi la speranza della beata risurrezione: e se ci rattrista la certezza di dover morire, ci consoli la promessa dell’immortalità futura. Ai tuoi fedeli, o Signore, la vita non è tolta, ma trasformata: e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata un’abitazione eterna nel cielo. E noi, uniti agli Angeli e agli Arcangeli ai Troni e alle Dominazioni e alla moltitudine dei Cori celesti, cantiamo con voce incessante l’inno della tua gloria:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis
Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster,

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

4 Esdr II:35; 34
Lux ætérna lúceat eis, Dómine:
* Cum Sanctis tuis in ætérnum: quia pius es.
V. Requiem ætérnam dona eis, Dómine: et lux perpétua lúceat eis.
* Cum Sanctis tuis in ætérnum: quia pius es.

[Splenda ad essi la luce perpetua,
* insieme ai tuoi santi, in eterno, o Signore, perché tu sei buono.
V. L’eterno riposo dona loro, Signore, e splenda ad essi la luce perpetua.
* Insieme ai tuoi santi, in eterno, Signore, perché tu sei buono.]

Postcommunio

Orémus.
Præsta, quǽsumus, omnípotens et miséricors Deus: ut ánimæ fratrum, propinquórum et benefactórum nostrórum, pro quibus hoc sacrifícium laudis tuæ obtúlimus majestáti; per hujus virtútem sacraménti a peccátis ómnibus expiátæ, lucis perpétuæ, te miseránte, recípiant beatitúdinem.

[Fa’, o Dio onnipotente e misericordioso, che le anime dei tuoi servi e delle tue serve, per le quali abbiamo offerto alla tua maestà questo sacrificio di lode, purificate da tutti i peccati per l’efficacia di questo sacramento, ricevano per tua misericordia la felicità dell’eterna luce.]

1 NOVEMBRE: FESTA DI TUTTI I SANTI (2023)

FESTA DI TUTTI I SANTI (2023)

1° NOVEMBRE

Doppio di 1a classe con Ottava comune. – Paramenti bianchi.

Il tempio romano di Agrippa fu dedicato, sotto Augusto, a tutti i dei pagani, perciò fu detto Pantheon. Al tempo dell’imperatore Foca, tra il 608 e il 610, Bonifacio IV Papa, vi trasportò molte ossa di martiri tolte dalle catacombe. Il 13 maggio 610 egli dedicò questa nuova basilica cristiana a « S . Maria e ai Martiri ». Più tardi la festa di questa dedicazione fu solennemente celebrata e si consacrò il tempio a « Santa Maria » e a « Tutti i Santi «. E siccome esisteva in precedenza una festa per la commemorazione di tutti i Santi, celebrata in tempi diversi dalle varie chiese e poi stabilita da Gregorio IV (827-844) il 1° novembre, papa Gregorio VII traportò in questo giorno l’anniversario della dedicazione del Panteon. La festa di Ognissanti ci ricorda il trionfo che Cristo riportò sulle antiche divinità pagane. Nel Pantheon si tiene la Stazione nel venerdì nell’Ottava di Pasqua. – I Santi che la Chiesa onorò nei primi tre secoli erano tutti Martiri, e il Pantheon fu dapprima ad essi destinato: per questo la Messa di oggi è tolta dalla liturgia dei Martiri. l’Introito è quello della Messa di S. Agata, più tardi usato anche per altre feste; il Vang., l’Off., e il Com., sono tratti dal Comune dei Martiri. La Chiesa oggi ci presenta la mirabile visione del Cielo, nel quale con S. Giovanni ci mostra il trionfo dei dodicimila eletti (dodici è considerato come un numero perfetto) per ogni tribù di Israele ed una grande, innumerevole folla di ogni nazione, di ogni tribù, di ogni popolo e di ogni lingua prostrata dinanzi al trono ed all’Agnello, rivestiti di bianche stole e con palme fra le mani (Ep.). Intorno al Cristo, la Vergine, gli Angeli divisi in nove cori, gli Apostoli e i Profeti, i Martiri, imporporati del loro sangue, i Confessori, rivestiti di bianchi abiti e il coro delle caste Vergini formano, canta l’Inno dei Vespri, questo maestoso corteo. Esso si compone di tutti coloro che, qui, hanno distaccato i loro cuori dai beni della terra, miti, afflitti, giusti, misericordiosi, puri, pacifici, di fronte alle persecuzioni, per il nome di Gesù. « Rallegratevi dunque perché la vostra ricompensa sarà grande nei Cieli » dice Gesù (Vang., Com.). Fra questi milioni di giusti, che sono stati discepoli fedeli di Gesù sulla terra, si trovano numerosi nostri parenti, amici, comparrocchiani, che adorano il Signore, Re dei re e corona dei Santi (invit. del Matt.) e ci ottengono l’implorata abbondanza delle sue misericordie (Or.). Il sacerdozio che Gesù esercita invisibilmente sui nostri altari, dove Egli si offre a Dio, si identifica con quello che Egli esercita visibilmente in Cielo. – Gli altari della terra, sui quali si trova «l’Agnello di Dio», e quello del Cielo, ov’è l’«Agnello immolato », sono un solo altare: perciò la Messa ci richiama continuamente alla patria celeste. Il Prefazio unisce i nostri canti alle lodi degli Angeli, e il Communicantes ci unisce strettamente alla Vergine e ai Santi.

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Gaudeámus omnes in Dómino, diem festum celebrántes sub honóre Sanctórum ómnium: de quorum sollemnitáte gaudent Angeli et colláudant Fílium Dei.

[Godiamo tutti nel Signore, celebrando questa festa in onore di tutti i Santi, della cui solennità godono gli Angeli e lodano il Figlio di Dio.]

Ps XXXII:1.
Exsultáte, justi, in Dómino: rectos decet collaudáti
.

[Esultate nel Signore, o giusti: ai retti si addice il lodarLo.]

Gaudeámus omnes in Dómino, diem festum celebrántes sub honóre Sanctórum ómnium: de quorum sollemnitáte gaudent Angeli et colláudant Fílium Dei

 [Godiamo tutti nel Signore, celebrando questa festa in onore di tutti i Santi, della cui solennità godono gli Angeli e lodano il Figlio di Dio.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, qui nos ómnium Sanctórum tuórum mérita sub una tribuísti celebritáte venerári: quǽsumus; ut desiderátam nobis tuæ propitiatiónis abundántiam, multiplicátis intercessóribus, largiáris.

[O Dio onnipotente ed eterno, che ci hai concesso di celebrare con unica solennità i meriti di tutti i tuoi Santi, Ti preghiamo di elargirci la bramata abbondanza della tua propiziazione, in grazia di tanti intercessori.]

Lectio

Léctio libri Apocalýpsis beáti Joánnis Apóstoli.
Apoc VII:2-12
In diébus illis: Ecce, ego Joánnes vidi álterum Angelum ascendéntem ab ortu solis, habéntem signum Dei vivi: et clamávit voce magna quátuor Angelis, quibus datum est nocére terræ et mari, dicens: Nolíte nocére terræ et mari neque arbóribus, quoadúsque signémus servos Dei nostri in fróntibus eórum. Et audívi númerum signatórum, centum quadragínta quátuor mília signáti, ex omni tribu filiórum Israël, Ex tribu Juda duódecim mília signáti. Ex tribu Ruben duódecim mília signáti. Ex tribu Gad duódecim mília signati. Ex tribu Aser duódecim mília signáti. Ex tribu Néphthali duódecim mília signáti. Ex tribu Manásse duódecim mília signáti. Ex tribu Símeon duódecim mília signáti. Ex tribu Levi duódecim mília signáti. Ex tribu Issachar duódecim mília signati. Ex tribu Zábulon duódecim mília signáti. Ex tribu Joseph duódecim mília signati. Ex tribu Bénjamin duódecim mília signáti. Post hæc vidi turbam magnam, quam dinumeráre nemo póterat, ex ómnibus géntibus et tríbubus et pópulis et linguis: stantes ante thronum et in conspéctu Agni, amícti stolis albis, et palmæ in mánibus eórum: et clamábant voce magna, dicéntes: Salus Deo nostro, qui sedet super thronum, et Agno. Et omnes Angeli stabant in circúitu throni et seniórum et quátuor animálium: et cecidérunt in conspéctu throni in fácies suas et adoravérunt Deum, dicéntes: Amen. Benedíctio et cláritas et sapiéntia et gratiárum áctio, honor et virtus et fortitúdo Deo nostro in sǽcula sæculórum. Amen. – 

[In quei giorni: Ecco che io, Giovanni, vidi un altro Angelo salire dall’Oriente, recante il sigillo del Dio vivente: egli gridò ad alta voce ai quattro Angeli, cui era affidato l’incarico di nuocere alla terra e al mare, dicendo: Non nuocete alla terra e al mare, e alle piante, sino a che abbiamo segnato sulla fronte i servi del nostro Dio. Ed intesi che il numero dei segnati era di centoquarantaquattromila, appartenenti a tutte le tribú di Israele: della tribú di Giuda dodicimila segnati, della tribú di Ruben dodicimila segnati, della tribú di Gad dodicimila segnati, della tribú di Aser dodicimila segnati, della tribú di Nèftali dodicimila segnati, della tribú di Manasse dodicimila segnati, della tribú di Simeone dodicimila segnati, della tribú di Levi dodicimila segnati, della tribú di Issacar dodicimila segnati, della tribú di Zàbulon dodicimila segnati, della tribú di Giuseppe dodicimila segnati, della tribú di Beniamino dodicimila segnati. Dopo di questo vidi una grande moltitudine, che nessuno poteva contare, uomini di tutte le genti e tribú e popoli e lingue, che stavano davanti al trono e al cospetto dell’Agnello, vestiti con abiti bianchi e con nelle mani delle palme, che gridavano al alta voce: Salute al nostro Dio, che siede sul trono, e all’Agnello. E tutti gli Angeli che stavano intorno al trono e agli anziani e ai quattro animali, si prostrarono bocconi innanzi al trono ed adorarono Dio, dicendo: Amen. Benedizione e gloria e sapienza e rendimento di grazie, e onore e potenza e fortezza al nostro Dio per tutti i secoli dei secoli.]

Graduale

Ps XXXIII: 10; 11
Timéte Dóminum, omnes Sancti ejus: quóniam nihil deest timéntibus eum.
V. Inquiréntes autem Dóminum, non defícient omni bono.

[Temete il Signore, o voi tutti suoi Santi: perché nulla manca a quelli che lo temono.
V. Quelli che cercano il Signore non saranno privi di alcun bene.]

Alleluja

(Matt. XI: 28)
Allelúja, allelúja – Veníte ad me, omnes, qui laborátis et oneráti estis: et ego refíciam vos. Allelúja.

[Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi: e io vi ristorerò. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Matthǽum.
Matt V: 1-12
“In illo témpore: Videns Jesus turbas, ascéndit in montem, et cum sedísset, accessérunt ad eum discípuli ejus, et apériens os suum, docébat eos, dicens: Beáti páuperes spíritu: quóniam ipsórum est regnum cœlórum. Beáti mites: quóniam ipsi possidébunt terram. Beáti, qui lugent: quóniam ipsi consolabúntur. Beáti, qui esúriunt et sítiunt justítiam: quóniam ipsi saturabúntur. Beáti misericórdes: quóniam ipsi misericórdiam consequéntur. Beáti mundo corde: quóniam ipsi Deum vidébunt. Beáti pacífici: quóniam fílii Dei vocabúntur. Beáti, qui persecutiónem patiúntur propter justítiam: quóniam ipsórum est regnum cælórum. Beáti estis, cum maledíxerint vobis, et persecúti vos fúerint, et díxerint omne malum advérsum vos, mentiéntes, propter me: gaudéte et exsultáte, quóniam merces vestra copiósa est in cœli
.

[In quel tempo: Gesù, vedendo le turbe, salì sul monte, e postosi a sedere, gli si accostarono i suoi discepoli, ed Egli, aperta la bocca, gli ammaestrava dicendo: « Beati i poveri di spirito, perché loro è il regno de’ cieli. Beati i mansueti, perché essi possederanno la terra. Beati coloro, che piangono, perché essi saranno consolati. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché  anch’essi troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati i pacifici, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati quelli che sono perseguitati per cagione della giustizia, perché di loro è il regno dei cieli. Beati voi quando vi avranno vituperati e perseguitati e, mentendo, avranno detto ogni male di voi, per cagione mia. Rallegratevi e giubilate, perché grande è la mercede vostra in cielo ».]

Omelia

Mirabilis Deus in Sanctis suis.

(Ps. LXVII, 36)

[A. Carmignola: Stelle Fulgide; SEI. –Torino, 1904]

La Chiesa celebra oggi la solennità di tutti i Santi, solennità, che trae origine dalla Consacrazione, che si fece qui in Roma del Panteon, ad onore di tutti i Santi. Questo stupendo edificio innalzato da Menenio Agrippa, genero dell’imperatore Augusto, era stato dedicato a tutti gli dèi falsi e bugiardi del paganesimo. Ma sul principiare del secolo VII essendo stato ceduto dall’imperatore Foca al sommo pontefice S. Bonifacio IV, questi lo purificò ed aperse al culto cristiano, consacrandolo alla SS. Vergine e a tutti i SS. Martiri, ordinando che se ne facesse la festa al 13 di maggio. Ma Gregorio IV nell’anno 834 estese questa festa a tutti i Santi e Sante del cielo, da celebrarsi non solo in Roma, come erasi fatto sino allora, ma per tutto il mondo cristiano, assegnandole il 1° novembre. E ben a ragione, perciocché essendo il numero dei Santi pressoché infinito, e non potendosi nel corso di un anno celebrare la festa di ciascun Santo in particolare, era conveniente con una solennità ad onore di tutti celebrare anche quelli che nel corso dell’anno sono in certa guisa forzatamente negletti. E tanto più perché una tale solennità servendo efficacemente a fermare il nostro pensiero sulla grande meraviglia divina, che sono i Santi, ci avrebbe indotti altresì a lodare e ringraziare il Signore d’aver santificati i suoi servi in terra e d’averli coronati di gloria in cielo, a riconoscere la loro grandezza e la loro potenza e ad onorarli ed invocarli, a ricordare gli splendidi e salutari esempi, che essi ci hanno dato in ogni età, in ogni sesso e in ogni condizione, e ad imitarli colla memoria della grande ricompensa, che ora essi godono in paradiso. – Perciocché se Iddio è veramente ammirabile in tutte le sue opere, lo è senza dubbio in modo particolare nei suoi Santi: Mirabilis Deus in sanctis suis. Egli è ammirabile nella loro predestinazione, ammirabile nella loro vocazione, ammirabile in tutta l’economia della loro salute, ammirabile nella loro gloria e nella loro beatitudine, ma ammirabile sopra tutto, come nota S. Leone Magno, per averci dato in essi dei protettori e degli esemplari: Mirabilis Deus in sanctis suis, in quibus et præsidium nobis constituit et exemplum. – Entriamo dunque oggi nelle mire sapienti della Chiesa e, fissando lo sguardo sopra i Santi tutti del cielo, animiamoci a compiere i tre principali doveri che abbiamo verso di essi. – E voi, o Vergine Santissima, amabile S. Giuseppe, Angeli e Santi tutti del Paradiso, con la intercessione vostra presso Dio rendete fruttuose le nostre considerazioni: Omnes sancti et sanctæ Dei, intercedete prò nobis. – L’Apostolo S. Giovanni nella sua divina Apocalisse vide una moltitudine di Santi di ogni nazione, di ogni popolo e di ogni lingua, rivestiti di candide stole e recanti nelle loro mani delle palme, simbolo della vittoria da loro riportata sopra il demonio, sul mondo e sulla carne. Questi Santi tutti stavano dinnanzi al trono dell’Altissimo, e pieni di gioia benedicevano, glorificavano e ringraziavano il Signore e l’Agnello, cioè Gesù Cristo, riconoscendo, come osserva S. Agostino, che nel mondo essi vinsero la prova delle tribolazioni, onde furono assaliti, non già per propria virtù, ma coll’aiuto di Dio, e che nel Cielo essi posseggono quella gloria ineffabile per i meriti dello stesso Signore Gesù Cristo. Epperò lo stesso Apostolo S. Giovanni vide ancora che i Santi deponevano le loro corone a pie’ del trono di Dio e si gettavano colla faccia per terra innanzi all’Agnello, adorando Lui che vive per tutti i secoli. Eziandio gli Angeli come custodi ed amici dei Santi prendevano parte alla loro allegrezza, ed intorno al medesimo trono di Dio facevano eco alle loro voci dicendo: « Sempre e per tutti i secoli sia benedizione, gloria, lode, onore e rendimento di grazie a Dio nostro Signore ». – Ecco adunque il primo nostro dovere nella presente solennità, e in tutte le feste dei Santi: unire le nostre voci a quelle degli Angeli e Santi medesimi, e lodare, glorificare e ringraziare Iddio, perché con la sua gratuita misericordia li ha eternamente eletti e predestinati a quella gloria, che ora godono in Cielo; perché nel tempo della loro vita mortale li ha chiamati al suo santo servizio e li ha giustificati in virtù dei meriti di Gesù Cristo, Agnello immacolato, ricolmandoli delle grazie e dei doni dello Spirito Santo, e finalmente li ha coronati di onore e di gloria nel suo celeste regno in Paradiso. Uniamo adunque le nostri voci con quelle degli Angeli e degli Arcangeli, dei Troni e delle Dominazioni e di tutta la corte celeste, e cantiamo anche noi l’inno della gloria di Dio, dicendo: Santo, Santo, Santo è il Dio di Sabaoth. Pieni sono della tua gloria i cieli e la terra: osanna nel più alto dei cieli. Benedetto tu, che sei venuto sulla terra, e vi vieni ancora ogni giorno a renderla feconda di Santi: osanna, osanna nel più alto dei cieli! – Il secondo dovere, che noi dobbiamo compiere verso i Santi, si è quello di onorarli ed invocarli nei nostri bisogni, rendendo in tal guisa ad essi il culto loro dovuto. Vi hanno di coloro, i quali nel culto, che la Chiesa Cattolica ordina per i Santi, vogliono vedere una specie di idolatria. Ma che cosa è l’idolatria? Essa è un rendere a chi non è Dio il culto supremo di adorazione dovuto a Lui solo. Ora è questo forse il culto, che noi rendiamo ai Santi? No certamente. Il culto supremo di onore e di gloria è a Dio solo che lo rendiamo, e i Santi li veneriamo soltanto, non già riconoscendo in essi altrettanti Dei, ma unicamente degli uomini sommamente di noi benemeriti e da Dio stesso grandemente amati e glorificati. E qual cosa più naturale di questa? Forseché si agisca diversamente nella civile società? Allora che in essa si tratta di uomini, che ben meritarono pei servigi resi alla patria o nel governo dei popoli, o nelle vittorie sui nemici, o nelle benefiche istituzioni, o nell’arte letteraria od in qualsiasi altra, non si sogliono essi onorare del culto civile? Non è la loro fronte, che si cinge di corona? Non è il loro petto, che si orna di medaglie? Non è per essi, che si fanno splendide sepolture, che si intessono orazioni di lode, che si adornano i sepolcri? E qual secolo andrà più famoso del nostro per la manìa d’innalzar monumenti, di apporre lapidi e di deporre corone? E quello che si fa e si sente di dover fare nella società civile, sarà idolatria il farlo nella società religiosa della Chiesa Cattolica? Se le fibre del cuor umano mostrano di fremere dinanzi agli eroi, non dico del valore e dell’ingegno, ma dell’audacia e dell’impostura, non dovranno esaltarsi davanti agli eroi della virtù? – Ma vedete strana logica di certa gente. Essa per le onoranze ai suoi grandi toglie persino ad imprestito il linguaggio della Chiesa, e parla ancor essa di martiri, di are sacrosante, di commemorazioni, di pellegrinaggi, di santificazione e simili; e poi grida la croce addosso a noi e ci chiama idolatri o fanatici, perché veneriamo i Santi! … quei Santi, che hanno reso a Dio il più umile e rispettoso servigio, che dalla creatura si possa rendere al creatore! Quei Santi, che servendo a Dio hanno pur tanto beneficato la società e la beneficano tuttora con gli esempi che ci hanno lasciati! quei Santi, che possedettero la scienza più sublime e dispiegarono il valore più eroico! E oltre ai grandi meriti, che i Santi acquistarono durante la loro vita, non sono ora per eccellenza gli amici di Dio? E chi potrà penetrare le tenerezze, che Dio ha per loro! I giusti sono per Iddio oggetto d’ineffabile predilezione fin da questa vita, nella quale vanno ancor soggetti a tante miserie e colpe veniali, sì che Egli posa sopra di loro con compiacenza i suoi occhi: Oculi mei super iustos (Ps. XXXIII, 14); e non li chiama più servi, ma amici: jam non dicam vos servos, sed amicos (Ioann., XV, 15). Or che sarà adesso, che al tempo della prova è succeduto quello della ricompensa? Adesso, che dopo aver richiesto da loro obbedienza, generosità, sacrifici, ed aver tutto ottenuto, è giunto il tempo di ricambiar tutto ciò? Ah! mirate prove di amore che Iddio dà ora ai suoi Santi ! Ei li vuole con sé: Volo ut ubi ego sum, illic sit et minister meus (Ioann. XII, 26); vuole essere Egli stesso la loro mercede; ergo ero merces tua (Gen. XV, 1); vuole che siano inebriati della medesima felicità, di cui Egli gode: torrente voluptatis tuæ potabis eos (Ps. XXXV, 9). E noi potremmo amare ed onorare Iddio senza amare ed onorare codesti suoi figli prediletti? Ma alla fin fine, quando un re ama ed onora egli stesso il suo suddito, vuole forse che dagli altri sia disprezzato o per lo meno tenuto in nessun conto? Allora che Faraone costituiva Giuseppe secondo nel suo regno per avere con la spiegazione dei suoi sogni procacciata la salvezza dell’Egitto, intendeva forse di riconoscerlo per tale egli solo? E quando Assuero volle onorar Mardocheo per avergli salvata la vita, si contentò egli di onorarlo nelle chiuse stanze della sua reggia? E quando Baldassarre ebbe spiegato da Daniele l’enigma di quella scritta tremenda: Mane, Thecel, Fares, fu egli pago di dargli collane ed anelli preziosi? La storia ben diversamente ci attesta che quei sovrani non paghi di onorare essi medesimi questi uomini grandi, vollero eziandio che fossero onorati da tutti i loro sudditi, epperò mandandoli in trionfo per le città dei loro regni, li facevano precedere da un banditore che ad alta voce doveva gridare: « Così si onori colui, che il re vuol onorare! » E noi dunque non dovremo onorare i Santi, che Dio stesso tanto onora e glorifica? – Ma, soggiungono i protestanti, voi altri Cattolici non ci potrete negare che nella Bibbia non si trova alcuna traccia di questo culto. E per ciò? Risponderemo noi, dovremo astenerci dall’onorare i Santi? Sappiamo bene che voi pretendete che nulla debbasi fare, che non sia prescritto nella Bibbia; ma sappiamo pure che oltre al falsificare la Bibbia stessa, voi non fate poi quanto essa prescrive di fare. La Bibbia ad esempio nel Vangelo di S. Matteo al capo XVIII, versicolo decimosettimo, dice che « se alcuno non ascolta la Chiesa, ha da essere considerato come un gentile ed un pubblicano ». Or bene, quale ascolto date voi alla Chiesa? Se foste docili ai suoi santi insegnamenti, riterreste che non è la Bibbia sola, che deve formare la norma dei nostri insegnamenti, ma che oltre alla parola di Dio scritta, vi ha pure la parola di Dio venutaci per Tradizione, la quale ha la stessa autorità, perché tutta è parola dello stesso Iddio. Ed allora dalla Tradizione imparereste, che il culto dei Santi da noi rimonta sino ai tempi apostolici; che non solo ne hanno articoli espressi il Concilio Tridentino e Niceno II, ma che la pratica di questo culto si trova ancora nei cimiteri, nelle catacombe, negli oratori, nei monumenti, che innalzavansi a celebrare la memoria dei martiri, e presso dei quali recavansi per pregare i fedeli; udreste dirvi da S. Agostino, da S. Giovanni Crisostomo e ripetutamente da S. Cipriano e da Tertulliano che nei giorni anniversarii della morte dei martiri offrivasi a Dio il Santo Sacrificio in loro onore; vedreste gli onori speciali tributati dalle loro Chiese a S. Pionio, a S. Policarpo, a S. Ignazio, discepoli questi ultimi degli stessi Apostoli; leggereste nelle Costituzioni Apostoliche i giorni, in cui devesi far festa per onorare gli Apostoli ed i martiri, e finalmente ricavereste l’uso di questo culto dagli stessi eretici Manichei, che nel terzo e quarto secolo ne facevano come voi, rimprovero alla Chiesa Cattolica. – Del resto è vero che nella Bibbia non vi è traccia del culto dei Santi? Io l’apro nel libro del Genesi (XVIII, 2 — XIX, I) e vi leggo che Abramo e Lot s’inchinarono d’innanzi agli Angeli loro inviati da Dio: io l’apro nel libro dell’Esodo (XXIII, 20) e vi leggo che così parla Iddio al suo popolo: « Ecco, io manderò il mio Angelo, che ti preceda nel cammino; onoralo, ascolta la sua voce e guardati dal disprezzarlo; imperciocché il mio Nome è con lui ». Io l’apro nel libro di Giosuè (V, 15) e vi leggo che egli si incurva dinnanzi all’Angelo, che gli è apparso, e che ei riceve l’ordine dall’Angelo stesso di togliersi i calzari, perché il luogo dove sta è santo; io l’apro nel libro IV dei Re (I, 10-13) e vi leggo il castigo terribile, con cui Iddio punì i due capitani, che mancarono di rispetto al profeta Elia, e l’atto di venerazione usato al medesimo da un terzo capitano. Nello stesso (II, 24) leggo l’aspra vendetta, che Dio fece dei fanciulli schernitori di Eliseo, e (IV, 37) l’onore che allo stesso profeta rese la Sunamitide, dopo ché ebbe da lui il figlio risuscitato. Come dunque si osa dire che nella Bibbia, non vi è traccia del culto dei Santi? Né è una difficoltà il dire che il culto, di cui si parla nella Bibbia, trovasi tributato a santi ancor viventi: perché se Iddio e con la parola e col fatto approvò l’onore, che fu reso agli uomini santi, mentre ancor vivevano quaggiù soggetti alle umane imperfezioni, si potrà forse dubitare ch’Egli non si compiaccia dell’onore, che rendiamo ai Santi, quando già uscirono da questo mondo, e la Chiesa col suo giudizio ci assicura che sono beati in cielo? Non solo adunque non siamo idolatri nell’onorare i Santi, ma neppure novatori, come pretenderebbero i protestanti. Onorando i Santi non facciamo né più né meno di quel che si fece per testimonianza della Bibbia nell’antica legge, e né più né meno di quello che per testimonianza della Tradizione sempre si fece nella legge nuova. – Ma passiamo ora a dir brevemente del terzo dovere, che noi dobbiamo compiere verso dei Santi, che è quello d’imitarli. Stava per morire l’illustre Matatia, quel generoso principe de’ Maccabei, e chiamati a sé dappresso i suoi figliuoli così disse loro : « Figli, zelate la legge di Dio e ricordate soprattutto gli esempi gloriosi dei padri vostri, ed anche voi vi acquisterete una gloria ed un nome immortale. Ricordate la fedeltà di Àbramo, la sofferenza di Giuseppe, l’obbedienza di Giosuè, la moderazione di Davide, lo zelo di Elia, la integrità di Daniele e ricopiate nell’animo vostro così belle virtù e così operando di generazione in generazione toccherete con mano che non v’ha cosa più onorata e sicura quanto quella di servire a Dio ». Così parlò quel venerando vegliardo, che S. Giovanni chiama uomo evangelico prima ancor dell’Evangelio. E così parla a noi il Signore del continuo. «Ricordate le virtù dei Santi, Egli dice, considerate i loro esempi e seguiteli: anche per questo fine Io li ho suscitati. Ecco gli eroi della vostra fede, ecco gli uomini di cui il mondo non era degno, e che disprezzati dal mondo si resero degni di me. Contemplateli, paragonateli con voi e scoprendo l’infinita distanza, che vi separa, studiatevi di avvicinarvi. Invece di affettare virtù mondane, che non hanno né verità né sodezza, invece della prudenza della carne, che vi danneggia e vi fa nemici di Dio, invece di quella sconsigliata politica, che vi violenta la coscienza e vi getta in un abisso di colpa, invece di quella scienza mondana, che tanto vi gonfia e niente vi giova, abbracciate quelle virtù che hanno praticato i Santi, e se pur volete uno sfogo alla vostra ambizione, cercatelo nell’emulare i loro esempi: Æmulamini charismata meliora » (1 Cor. 1,12). – Ecco, o fratelli, quel che vi dice Cristo, quel che vi dice soprattutto in questo giorno sacro a tutti i Santi. – Ma io so bene che a sottrarsi all’adempimento di questo precetto non mancano i pretesti. E primo è quello di figurarci difficile e quasi impossibile la santità. Ma come, esclama S. Bernardo, difficile la santità? Se Dio richiedesse da voi la possanza dei miracoli, la predizione delle cose future, la grazia delle guarigioni, il discernimento degli spiriti, la sublimità delle visioni, la grandezza delle rivelazioni, allora capirei esser difficile il farsi Santi: ma è questo forse che richiede da noi? No per certo. Ei si contenta che noi siamo umili, pazienti, caritatevoli, temperanti, casti, misericordiosi; questo gli basta per averci in conto di Santi e questo forse sarà difficile? Mirate i Santi, ci dice l’Apostolo, essi provarono gli scherni e le battiture, furono lapidati, furono segati, furono tentati, perirono sotto la spada, andarono raminghi, coperti di pelli di pecora e di capra, mendichi, angustiati, afflitti, errando per le solitudini, e per le montagne, e nelle spelonche e caverne della terra; e se questi e quelli, soggiunge S. Agostino, con l’aiuto di Dio hanno potuto tanto, perché non potrò anch’io assai meno? Si isti et illi cur non ego? Perché non potrò essere casto anch’io? Perché non potrò essere umile anch’io? Perché non potrò perdonare anch’io? Perché non potrò anch’io essere paziente? – Ma i Santi, si dice, ed ecco il secondo pretesto, erano uomini diversi da noi, né soggetti alle stesse miserie. Oh quale inganno! I Santi erano uomini e donne deboli come siamo noi, erano composti della stessa fragile creta; essi ancora, dice S. Bernardo, provarono le molestie di questo esilio, le afflizioni di questo misero pellegrinaggio, essi ancora sentirono il peso di questo corpo mortale e gli stimoli della ribelle concupiscenza. Essi pure furono esposti alle tentazioni, ai tumulti delle passioni, alle contraddizioni ed agli scandali del mondo. Anzi molti furono peccatori come noi, e forse più di noi, e sperimentarono gravissime difficoltà e ripugnanze al bene; pure confidati nella grazia di Dio vinsero e tentazioni e passioni e scandali e riuscirono a santificarsi. Oh! abbandoniamoci anche noi nelle braccia del Signore, ed il Signore ricco nella sua misericordia ci sosterrà nella lotta coi nostri nemici e ce ne darà come ai Santi la vittoria. Finalmente, si dice ancora, come è possibile farci Santi nello stato nostro? Com’è? nello stato vostro è impossibile farvi santo? Ma quale stato è il vostro? Siete giovani? ecco dei Santi giovani. Siete vecchi? ecco dei Santi vecchi. Siete nobili? ecco dei Santi nobili. Siete di bassa condizione? ecco dei Santi plebei. Siete dotti? ecco dei Santi dotti. Siete idioti? ecco dei Santi idioti. Siete vergini? ecco dei Santi vergini. Siete coniugati? ecco dei Santi coniugati. Siete preti? ecco dei Santi preti. Siete soldati? Ecco dei Santi soldati. Siete sovrani? Ecco dei Santi sovrani. Siete ricchi? ecco dei Santi ricchi. Siete poveri? ecco dei Santi poveri. Ah! non vi è stato, no non v’è stato alcuno, che non abbia i suoi Santi e non v’è stato alcuno, in cui non sia dato di farsi santo. Anche l’accattone che va elemosinando il pane di porta in porta, o che chiede la carità alla porta delle nostre chiese, anch’esso sempre che il voglia può farsi santo. – Non lo credete? Intorno alla metà del secolo XVIII nasceva in Piccardia, provincia di Francia, un figlioletto. Nel 1770 gli balenava alla mente una divina ispirazione e si trasformava in tale figura da metter compassione negli uomini di buon cuore e da destar il riso negli uomini mondani. – Vestito di logora veste, cinto di una fune, nudo il capo, e con scarpe sdruscite nei piedi pellegrinava nei più celebri santuari della Germania, della Svizzera, della Francia, della Spagna e dell’Italia; e nel 1777 poneva da ultimo sua stanza in Roma. Al bisogno del cibo soddisfaceva con frusti di pane e con erbe gittate per la via, al bisogno della sete con l’acqua, e se riceveva elemosina sollevava gli altri poverelli. Macilento com’era e squallido, se talvolta veniva fastidiosamente rigettato o schernito dalla procace plebaglia, non solo non risentivasi punto, ma lieto anzi e tranquillo riceveva ogni ludibrio ed ingiuria. Passava la massima parte della giornata nelle chiese dinanzi l’immagine di Maria e dinanzi a Gesù in Sacramento. Finalmente una volta dopo passate molte ore in preghiera nella chiesa di S. Maria dei monti cadeva in deliquio, e trasportato nella vicina casa di un uomo benefico, dopo avere inutilmente chiamato di venire disteso sulla nuda terra, spirava l’anima nel bacio del Signore il 16 aprile del 1783. Era l’ora in cui suonavano tutte le campane di Roma per la recita di tre Salve Regina ordinata da Pio VI pei bisogni della Chiesa, e quasi che quel suono fosse voce celeste pareva rivelare la morte di quel povero agli innocenti fanciulli, i quali andavano gridando per le vie della città: È morto il santo: è morto il santo! Ed un santo davvero era morto! S. Giuseppe Benedetto Labre! – Oh come è vero, o fratelli, che Dio è mirabile ne’ suoi santi: mirabilis Deus in sanctis suis! e che tutti, se il vogliono, possono farsi Santi! Mettiamoci adunque di buona volontà; affidiamoci alla grazia di Dio; interponiamo la mediazione dei Santi, di quelli particolarmente, di cui portiamo il nome e che abbiamo scelti a protettori, e non dubitiamo che o poco o tanto ci faremo Santi anche noi, e non indarno avremo rivolta a Dio questa grande preghiera: Aeterna fac cum Sanctis tuis in Gloria numerari!

IL CREDO 

Offertorium

Orémus
Sap III:1; 2; 3
Justórum ánimæ in manu Dei sunt, et non tanget illos torméntum malítiæ: visi sunt óculis insipiéntium mori: illi autem sunt in pace,
alleluia.

[I giusti sono nelle mani di Dio e nessuna pena li tocca: parvero morire agli occhi degli stolti, ma invece essi sono nella pace.]

Secreta

Múnera tibi, Dómine, nostræ devotiónis offérimus: quæ et pro cunctórum tibi grata sint honóre Justórum, et nobis salutária, te miseránte, reddántur.

[Ti offriamo, o Signore, i doni della nostra devozione: Ti siano graditi in onore di tutti i Santi e tornino a noi salutari per tua misericordia.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

Communis

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: per Christum, Dóminum nostrum. Per quem majestátem tuam laudant Angeli, adórant Dominatiónes, tremunt Potestátes. Cæli cælorúmque Virtútes ac beáta Séraphim sócia exsultatióne concélebrant. Cum quibus et nostras voces ut admítti jubeas, deprecámur, súpplici confessione dicéntes:

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis
Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster,

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Matt V: 8-10
Beáti mundo corde, quóniam ipsi Deum vidébunt; beáti pacífici, quóniam filii Dei vocabúntur: beáti, qui persecutiónem patiúntur propter justítiam, quóniam ipsórum est regnum cœlórum.

[Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio: beati i pacifici, perché saranno chiamati figli di Dio: beati i perseguitati per amore della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.]

Postcommunio

Orémus.
Da, quǽsumus, Dómine, fidélibus pópulis ómnium Sanctórum semper veneratióne lætári: et eórum perpétua supplicatióne munír

[Concedi ai tuoi popoli, Te ne preghiamo, o Signore, di allietarsi sempre nel culto di tutti Santi: e di essere muniti della loro incessante intercessione.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: NOVEMBRE 2023.

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: NOVEMBRE 2023

NOVEMBRE È IL MESE CHE LA CHIESA CATTOLICA DEDICA ALLE ANIME PURGANTI

ATTO EROICO DI CARITÀ VERSO I MORTI

OSSIA OFFERTA A MODO DI VOTO

Il padre teatino Gaspare Oliden di Alcalà, infiammato da zelo straordinario pel suffragio Di tutto il merito delle proprie buone opere in suffragi delle anime del Purgatorio, insinuò colla voce e colla stampa una pratica antica in sostanza, ma nuova nella forma, quella cioè di fare una spontanea oblazione di tutte le opere soddisfattorie che si fanno in vita e dei suffragi che si possono avere in morte, affinché la Santissima Vergine ne disponga a pro di quelle Anime sante che vuole liberare dal Purgatorio. Benedetto XIII, con suo Breve 23 agosto 1728 pubblicato in Madrid per mezzo del Nunzio Apostolico Alessandro Aldobrandini il 14 gennajo 1729, approvo solennemente tal pratica, e la arricchì dei tre privilegi che qui sotto si riferiscono. Pio VI confermò tali concessioni il 12 dicembre 1788; e Pio IX, con decreto Urbis et Orbis, del 30 settembre (1852, dichiarò solennemente la utilità e la eccellenza di questa divozione, confermando tutti i favori perciò concessi dai surriferiti suoi Predecessori. – Questo atto di carità si è detto che non è nuovo nella sostanza. Difatti, prima che fosse tanto inculcato dal Padre Oliden, fu praticato e raccomandato da due celebri Gesuiti, il P. Moncado, ed il P. Ribadeneira, non che dal P. Maestro Fr. Giacomo Baron, da S.Geltrude,da S. Liduina, da S. Caterina da Siena, da S. Teresa, dal Venerabile Ximenes, e più specialmente da S. Brigida, la quale, in punto di morte, fu dal celeste suo Sposo assicurata ché per la carità da lei usata alle Anime Purganti le erano perdonate tutte le pene che avria dovuto soffrire nel Purgatorio, e le sarebbe di molto aumentata la corona di gloria nel Paradiso .

I tre summenzionati Privilegi sono:

1. I Sacerdoti che hanno emesso tal voto godono l’indulto dell’altare Privilegiato personale per tutti i giorni dell’anno; 2. Tutti i fedeli che avranno fatto questo voto possono lucrare Indulgenza Plenaria applicabile solamente ai defunti in qualunque giorno si accostino alla SS . Comunione, purché visitino una qualche chiesa o pubblico oratorio e vi preghino secondo la mente di Sua Santità; 3. Similmente possono lucrare la Plenaria Indulgenza in tutti i lunedì dell’anno ascoltando la Santa Messa in suffragio delle anime Purganti ed adempiendo le altre suaccennate condizioni.

Formula dell’offerta a modo di voto.

Per vostra maggior gloria, o mio Dio, uno nell’essenza e trino nelle Persone, per imitare più dappresso il dolcissimo Redentore mio G. C. , e per mostrare la sincera servitù mia verso la madre della misericordia Maria santissima, che è Madre anche delle povere anime del Purgatorio, io mi propongo di cooperare alla redenzione e libertà di quelle anime prigioniere debitrici ancora verso la divina giustizia delle pene dovute ai loro peccati; e nel modo che posso lecitamente, senza però obbligarmi sotto peccato alcuno vi prometto di buon cuore, e vi offro il mio spontaneo voto di voler liberar dal Purgatorio tutte le anime che Maria Santissima vuol liberare; e però nelle mani di questa Madre piissima pongo tutte le mie opere soddisfattorie e quelle da altri a me applicate sì in vita che in morte, e dopo il mio passaggio alla eternità. – Vi prego, o mio Dio, a volere accettare e confermare questa mia offerta, siccome io ve la rinnovo e confermo ad onor vostro ed a salute dell’anima mia. Che se per avventura le mie opere soddisfattorie non bastassero a pagare tutti i debiti di quelle anime cui la Vergine Santissima vuol liberare, non che i miei propri per le mie colpe, che odio e detesto di vero cuore, mi offro, o Signore, a pagarvi, se a Voi così piacerà, nelle pene del Purgatorio quello che manca, abbandonandomi del resto fra le braccia della vostra misericordia e tra quelle della dolcissima mia madre Maria. Di questa mia offerta e protesta voglio testimonj tutti i Beati del Cielo e la Chiesa tutta cosi militante qui in terra, come penante nel Purgatorio. Cosi sia.

Osservazioni su detto voto.

Giova avvertire: 1.Che per fare questo voto non è necessario pronunziare la suindicata formola, sebbene basta averne la volontà ed emetterlo col cuore; 2. Che esso non obbliga sotto pena di peccato; 3. Che per esso alle Purganti non si cede se non il frutto speciale e personale di ciascuno, il che punto non impedisce che i Sacerdoti possano applicare la Santa Messa all’intenzione di quelli che loro diedero la elemosina; 4. Che per esso voto tutte le Indulgenze che sono concesse o si concederanno in avvenire possono applicarsi alle Purganti; 5. Finalmente, che per concessione di Pio IX, 20 novembre 1854, coloro che non possono ascoltare la S. Messa nel lunedì, possono far valere quella che ascoltano nella domenica, e che pei giovanetti che ancora non sono alla comunione, e per coloro che sono impediti di farla, è rimesso all’arbitrio dei rispettivi Ordinarj di autorizzare i Confessori per la commutazione.

(G. Riva: Manuale di Filotea, XXX Ed. Milano, 1888).

589

Fidelibus, qui mense novembri preces aliave pietatis exercitia in suffragium fidelium defunctorum præstiterint, conceditur:

Indulgentia trium annorum semel quolibet mensis die;

Indulgentia plenaria, suetis conditionibus, si quotidie per integrum mensem idem pietatis opus compleverint. Iis vero, qui præfato mense piis exercitiis in suffragium fidelium defunctorum in ecclesiis vel publicis oratoriis devote interfuerint, conceditur:

Indulgentia septem annorum quolibet mensis die;

Indulgentia plenaria, si memoratis exercitiis saltem per quindecim dies vacaverint, additis sacramentali confessione, sacra Communione et oratione ad mentem Summi Pontificis.

[Per i fedeli che nel mese di novembre compiranno esercizi di pietà in suffragio dei fedeli defunti, si concede: indulgenza di tre anni in qualunque giorno – sette anni se compiuto in chiesa o in pubblico oratorio – Indulgenza plenaria se praticato per l’intero mese. Se praticato per almeno 15 giorni con confessione sacramentale e sacra Comunione: Indulgenza plenaria.]

(S. C. Indulg., 17 ian. 1888; S. Pæn. Ap., 30 oct. 1932).

Queste sono le feste del mese di Novembre 2023

1 Novembre Omnium Sanctorum    Duplex I. classis *L1*

2 Novembre In Commemoratione Omnium Fidelium Defunctorum  Duplex

4 Novembre S. Caroli Episcopi et Confessoris  Duplex

5 Novembre Dominica XXIII Post Pentecosten II. Nov.  Semid. Dom. minor

8 Novembre In Octava Omnium Sanctorum  Duplex majus

         Commemoratio: Ss. Mart. Quatuor Coronatorum

9 Novembre In Dedicatione Basilicæ Ss. Salvatoris  Duplex II. classis *L1*

           Commemoratio: S. Theodori Martyris

10 Novembre S. Andreæ Avellini Confessoris  Duplex

            Commemoratio: Ss. Tryphonis et Sociorum Mártyrum

11 Novembre S. Martini Episcopi et Confessoris  Duplex *L1*

             Commemoratio: S. Mennæ Mártyris

12 Novembre Dominica V Post Epiphaniam III. Nov.  Semid. Dominica minor *I*

               Commemoratio: S. Martini Papæ et Martyris

13 Novembre S. Didaci Confessoris  Semiduplex m.t.v.

14 Novembre S. Josaphat Episcopi et Martyris  Duplex

15 Novembre S. Alberti Magni Episcopi Confessoris et Ecclesiæ Doctoris  Duplex

16 Novembre S. Gertrudis Virginis  Duplex

17 Novembre S. Gregorii Thaumaturgi Episcopi et Confessoris  Semiduplex

18 Novembre In Dedicatione Basilicarum Ss. Apostolorum Petri et Pauli  Dup. M.

19 Novembre Dominica VI Post Epiphaniam IV. Nov. Semiduplex Dominica minor

                Commemoratio: S. Elisabeth Viduæ

20 Novembre S. Felicis de Valois Confessoris  Duplex m.t.v.

21 Novembre In Præsentatione Beatæ Mariæ Virginis  Duplex majus

22 Novembre S. Cæciliæ Virginis et Martyris  Duplex *L1*

23 Novembre S. Clementis I Papæ et Martyris  Duplex

24 Novembre S. Joannis a Cruce Confessoris et Ecclesiæ Doctoris  Duplex m.t.v

25 Novembre S. Catharinæ Virginis et Martyris  Duplex

26 Novembre Dominica XXIV et Ultima Post Pentecosten V. Nov.  Semid. Dom. m.

29 Novembre In Vigilia S. Andreæ Apostoli  Simplex

30 Novembre S. Andreæ Apostoli  Duplex II. classis *L1*