IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXI)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXI)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

SECONDA PARTE DEL CATECHISMO:

MORALE (12).

2. DOVERI VERSO LA VITA DEL NOSTRO PROSSIMO.

Siamo obbligati a evitare tutto ciò che possa rovinare la salute o la vita del nostro prossimo.

1. PECCHIAMO, QUINDI QUANDO ODIAMO IL NOSTRO PROSSIMO, SI DANNEGGIA LA SUA SALUTE, SI SFIDA A DUELLO, O ACCETTIAMO UNA SUA PROVOCAZIONE O LO UCCIDIAMO INGIUSTAMENTE ED INTENZIONALMENTE.

1. Odiare il prossimo significa, per così dire, ucciderlo nella sua volontà.

L’odio porta spesso all’omicidio. Odiare è pianificare la vendetta: vediamo questo desiderio di uccidere in Esaù verso Giacobbe, dei figli di Giacobbe verso Giuseppe, di Saul verso Davide. “Non c’è differenza – dice Salviano – tra chi uccide e chi odia, perché davanti a Dio l’intenzione è considerata come un atto; da qui le parole di San Giovanni (I, cap. III, 15): “Chi odia il proprio fratello è un omicida”. Nel sermone sul Monte, Gesù aveva già equiparato l’odio all’omicidio (S. Matth. V, 22). L’odio riflesso è di solito un peccato grave, perché è raro che una persona desideri per il suo prossimo un danno di poca importanza. – Odiare i difetti o le azioni malvagie di qualcuno, non è ancora odio, perché questa avversione può essere conciliata con l’amore per la persona.

2. Si danneggia la salute del prossimo con litigi e risse, adulterazione di alimenti, scherzi pericolosi e imprudenza dolosa.

I litigi eccitano i nostri vicini e li privano della calma interiore e dell’appagamento necessario per una buona salute. Le dispute spesso portano a spargimenti di sangue (Ecclesiastico XXVIII, 13). – Le risse di solito causano ferite, come si può vedere in molti casi giudiziari. – L’adulterazione dei prodotti alimentari è un peccato molto diffuso al giorno d’oggi. Le sostanze nocive vengono mescolate alla farina, al burro, al latte, alle spezie, al caffè, vino, birra, miele, ecc. oppure si vendono per denaro prodotti artificiali privi di valore nutrizionale per prodotti naturali. Questi truffatori sono fondamentalmente omicidi, e meritano la severità del codice: nel Medioevo venivano talvolta bruciati o sepolti vivi con i loro prodotti alimentari adulterati (Cronistoria di Norimberga 1456). – Alcuni scherzi pericolosi sono molto colpevoli,.come rompere le gambe, essere tirati giù da una sedia, ecc. Ci sono anche delle imprudenze che causano la morte del prossimo o almeno gravi incidenti: lanciare sassi a caso, andare in auto o su un velocipede a velocità troppo elevata.su strade o vie trafficate, sparare a caso durante la caccia, lasciare bambini piccoli incustoditi, scoprire i tetti senza un segnale che avverta i passanti, lasciare le auto sulle strade di notte senza illuminarle, ecc.

3. Un duello non è altro che un omicidio, punibile dalla Chiesa con la pena della scomunica e del rifiuto della sepoltura ecclesiastica (Conc. Tr. 25 ,19 ). –

La sfida così come l’accettazione sono anch’esse soggette a questa pena. È ugualmente vietato collaborare in qualsiasi modo o assistere come testimone (Pio IX, 12 ottobre 1869). Dire che l’avversario concede il permesso di ucciderlo è una scusa insana, perché nessuno può concedere un diritto che egli stesso non possiede. Tutti i Cattolici sono quindi obbligati a rifiutare il duello, anche a rischio di apparire vili, secondo le regole militari o del mondo, o di perdere anche un’alta posizione.(Benedetto XIV). Il duello è di solito provocato per ripristinare il proprio onore mediante il ferimento o la morte dell’avversario, e si concordano il luogo, il giorno e l’ora del duello e le armi da usare. Il duellante è doppiamente omicida, perché intende uccidere il suo avversario e si espone al pericolo di essere ucciso. Il duello è una sciocchezza, perché con il pretesto di salvare il proprio onore, lo si perde agli occhi delle persone veramente oneste, dalle quali si viene giustamente visti come schiavi delle passioni più basse: orgoglio, odio e crudeltà. Inoltre, l’onore non ha alcun rapporto con la forza fisica e l’abilità nel maneggiare le armi, altrimenti il più forte ed il più abile sarebbe sempre il più onorevole. Nei paesi civilizzati ci sono tribunali per vendicare l’onore dei cittadini; è da questi che bisogna farsi rendere giustizia. Questo è ancora solo il punto di vista della ragione, ma se dal punto di vista cristiano, vogliamo acquisire meriti davanti a Dio, non dobbiamo, secondo gli insegnamenti e l’esempio di Gesù, vendicarci, ma soffrire pazientemente l’ingiustizia. – Questo è l’eroismo più sublime che si possa immaginare. I più grandi uomini di guerra hanno sempre vietato il duello nel modo più rigoroso. Gustavo-Adolfo una volta permise a due ufficiali di battersi: all’ora convenuta.si presentò con un picchetto di soldati e disse: “Combattete se volete, ma guai a voi se qualcuno di voi cade, farò decapitare immediatamente il superstite” È facile immaginare il risultato di questo intervento.

4. Uccidere il prossimo premeditatamente e ingiustamente è un peccato che grida vendetta a Dio; si chiama assassinio.

Caino era un assassino, e Dio stesso dichiarò che il sangue di Abele gridava vendetta contro il cielo. (Gen. IV). L’assassino deruba l’uomo del suo bene terreno più prezioso; lo priva della possibilità di acquisire meriti e di prepararsi alla morte. – Chi provoca la morte del prossimo senza premeditazione non è colpevole di omicidio, ma raramente sarà esente dal grave peccato di omicidio per imprudenza. – Il boia che giustizia un condannato a morte in nome dell’autorità, non commette omicidio, perché non agisce ingiustamente.

2. SI COMMETTE UN PECCATO PIÙ GRAVE DELL’OMICIDIO QUANDO SI ROVINALA VITA DELLANIMA DEL PROSSIMO, SIA PER SEDUZIONE O PER SCANDALO.

Tu sei l’assassino di colui che le tue parole portano al male; lo scandalo è un omicidio (S. Aug.) ancora più grave di quello corporale, perché la vita dell’anima è più preziosa di quella del corpo. L’omicidio più orribile è quello dell’anima. Se si uccidessero mille corpi, il male non sarebbe così grande come la caduta all’inferno di un’anima. E se il sangue di Abele gridò così violentemente a Dio per la vendetta contro suo fratello, tanto più violento sarà il grido del sangue di un’anima contro colui che lo avrà portato alla morte eterna, tanto più terribile sarà la sua maledizione contro colui che lo avrà piombato in questa disgrazia. (S. Thom. Villan.). Anche la seduzione e lo scandalo sono un peccato così grande, perché il vizio si trasmette agli altri come un fiume in piena perché chi è stato sedotto sedurrà ancora altri. L’anima ingannata sedurrà altri, così come l’uccello preso dall’uccellatore ed il pesce preso dal pescatore servono da esca per nuove catture. (S. Efr.). La seduzione assomiglia ad una valanga, all’inizio piccola, poi sempre più grande, che alla fine trasporta enormi masse di neve nell’abisso. Lo scandalo è come un fermento che penetra gradualmente in tutta la pasta.

La seduzione è il tentativo di indurre qualcuno al peccato.

Eva sedusse Adamo. Il seduttore assomiglia al diavolo, le cui astuzie hanno indotto i nostri primi genitori nel paradiso alla disobbedienza contro Dio. (Si vedano, ad esempio, gli Atti di San Policarpo (187) e la storia di San Giovanni Nepomuceno: Re Venceslao fece di tutto per fargli violare il segreto della confessione; gli offrì una sede episcopale, lo fece rinchiudere in una prigione, lo torturò con un ferro rovente e infine minacciò di gettarlo nella Moldava). L’ingannatore agisce con la stessa astuzia di un cacciatore o di un pescatore che usa colla e trappole. (S. Efr.). I persecutori cercavano quasi tutti con le loro carezze, minacce o torture di indurre i martiri all’apostasia, alla trasgressione della volontà di Dio. – Il peccato di seduzione si commette anche con l’allontanare qualcuno dal bene, ad esempio da una vocazione religiosa, dall’adempimento di un dovere o dalla generosità. – Le seduzioni più comuni sono quelle all’immoralità o alla ribellione: un’opera diabolica, anche se il diavolo non si mostra, perché se lo facesse gli uomini aborrirebbero il male. Egli fa compiere quest’opera ai suoi scagnozzi, e così gli è più facile raggiungere i suoi scopi (Origene). Oggi, soprattutto le giovani donne devono stare molto attente quando cercano un lavoro nelle grandi città o all’estero. Ci sono delle vere agenzie che promettono di offrire loro un futuro radioso per poi farle precipitare in un abisso di vergogna e di miseria.

Lo scandalo consiste in parole, azioni od omissioni che offendono il prossimo e possono indurlo al peccato. –

Per esempio, diamo scandalo apparendo in pubblico in stato di ubriachezza, proferendo parole sconvenienti o blasfeme, mostrando immagini disoneste, mettendo in scena spettacoli leggeri, mangiando carne in pubblico il venerdì, lavorare la domenica, mancare di rispetto al luogo sacro, pubblicare libri cattivi, deridere nei giornali le verità della fede ed i ministri della Chiesa, ecc. Questo dà ai nostri vicini l’opportunità di fare lo stesso. Questo vale in particolare per i bambini, che imitano facilmente il male che vedono fare ai genitori o ad uomini grandi. Dare scandalo è come scavare una fossa in cui il prossimo può facilmente cadere, a suo danno come una casa che crolla e fa crollare le case vicine. La persona scandalosa è più cattiva del diavolo, perché fa dannare i suoi fratelli, cosa che il diavolo non fa. Lo scandalo è il più grande peccato contro la carità del prossimo. – Ci sono però uomini malvagi che si scandalizzano per le azioni più nobili; gli ebrei si offesero per le azioni di Gesù. In questi casi, si tratta di uno scandalo ricevuto e non dato, e il peccato è dalla parte di chi si offende. Gesù diceva ai suoi Apostoli che non dovevano preoccuparsi di loro: lasciateli essi sono ciechi che guidano altri ciechi (S. Matteo XV, 14). – Gesù ci insegna la gravità dello scandalo con queste parole: “… sarebbe meglio che gli venisse legata al collo una macina da mulino e venisse gettato in mare (ib. XVIII); Egli annuncia anche che nell’ultimo giorno farà radunare dai suoi Angeli quelli che hanno dato scandalo, per gettarli nella fornace dove ci sarà pianto e stridore di denti (Ib. XIII). – Lo scandalo può essere, in via eccezionale, solo veniale quando il cattivo esempio si riferisce solo a cose leggere o quando non potevamo prevedere il male nell’anima del nostro prossimo.

PRR EVITARE IL PIÙ POSSIBILE LO SCANDALO, DOBBIAMO OSSERVARE LE SEGUENTI REGOLE:

1. Si devono omettere le azioni consentite, anche quelle buone azioni che sono solo consigliate, se offendono il nostro prossimo. Se qualcuno avesse il permesso, per un motivo legittimo, di mangiare carne nei giorni di magro e sapesse che gli altri si scandalizzerebbero nel vederlo usare questa dispensa, non dovrebbe mangiare di fronte a loro; se non potesse astenersi dal farlo, dovrebbe almeno dare loro una spiegazione. Dopo di che non sarebbe più responsabile dello scandalo che gli altri potrebbero averne. Così diceva S. Paolo: “Se ciò che mangio arreca offesa al mio fratello, preferisco non mangiare mai carne per tutta la vita, per non offendere il mio fratello. (1. Cor. VIII, 13). Eleazar preferì morire piuttosto che mangiare le carni non consentite, lasciando credere di aver mangiato carne di maiale: non voleva essere colpevole di scandalo. (II Macch. VI, 18).

2. Le azioni comandate da Dio non devono giammai essere omesse, perché gli altri se ne formalizzerebbero; tuttavia, queste anime deboli devono essere istruite per evitare lo scandalo.

Una buona azione non può mai essere un vero scandalo, ma al contrario un soggetto di edificazione. È colui che si scandalizza che commette un peccato, perché si deve essere viziosi per scandalizzarsi del bene (Terr.). È meglio permettere questo scandalo che tradire la verità. (Id.). Gesù sapeva che i Giudei si sarebbero scandalizzati per le sue guarigioni di sabato. Non ha omesso le guarigioni in giorno di sabato per questo motivo, ma li ha istruiti dicendo loro: “Se qualcuno di voi ha una pecora che cade in una fossa di sabato, non la prenderà e non la tirerà fuori? Non è migliore un uomo e più eccellente di una pecora? È dunque lecito fare del bene nei giorni di sabato (S. Matth. XII, 10). – Si potrebbe, in caso di necessità, omettere una o l’altra delle azioni comandate dalla legge umana, anche da quella ecclesiastica (ad esempio, la partecipazione alla Messa), se fosse necessario per evitare uno scandalo; ma sarebbe poi necessario illuminare la falsa coscienza di questi deboli. – Come regola generale, le leggi umane non obbligano fino al punto di costringere a subire un danno grave, perché Gesù dice che il suo giogo è dolce ed il suo fardello leggero (S. Matth. XI). La cosa migliore sarebbe agire immediatamente dopo essersi spiegato: un’azione energica spesso abbrevia tutte le lamentele.

3. È lecito ferire o addirittura uccidere il prossimo, quando un malfattore minaccia la nostra vita o un oggetto che è assolutamente essenziale per la vita e non possiamo difenderci altrimenti. Questo si chiama diritto alla legittima difesa.

Un atto commesso in questo caso non è colposo, perché il suo scopo non è la morte del nostro prossimo, ma la conservazione della nostra vita; e le azioni derivano dal loro valore morale dal loro scopo diretto e non da una conseguenza non voluta. (S. Th.). Ma deve trattarsi di un atto di difesa, non di vendetta; se possiamo fuggire, dobbiamo ricorrere a questo, e se è sufficiente ferire l’aggressore, non è permesso ucciderlo. Il fatto che l’aggressore sia pazzo non cambia la legge. Le donne, in particolare, possono usarlo contro chi attenterebbe alla loro purezza (S. Ant.). Questo diritto può anche essere usato per proteggere il prossimo, come fece Mosè quando uccise un egiziano per salvare un ebreo dai suoi attacchi. (Es. II). Possiamo uccidere qualcuno che attacca la nostra proprietà solo quando è assolutamente necessario per la nostra vita, perché in quel caso è la sua vita che stiamo difendendo. Non potremmo, ad esempio, uccidere un ladro che ci sottrae un indumento (Innoc. XI). Non è più legittima difesa quando si è semplicemente insultati (Id.). Il potere civile ha anche il diritto di condannare a morte i criminali ed i soldati possono uccidere i nemici in caso di guerra. Il potere civile detiene la spada come rappresentante di Dio; S. Paolo dice che il potere civile ha il diritto di uccidere i nemici in caso di guerra. Paolo dice che non la tiene invano, ma per punire coloro che fanno il male. (Rom, XIII, 14). L’autorità della società è quella di Dio stesso; è Lui e non essa che esegue, così come non è la spada che colpisce, ma la mano che la impugna. (S. Aug.). Ovviamente la pena di morte non deve essere pronunciata arbitrariamente, ma solo quando sia assolutamente necessario per mantenere l’ordine nella società. La pena di morte non è altro che l’esercizio del diritto della società alla legittima difesa. Si può tagliare un arto per salvare il corpo, così come si può eliminare un criminale dalla società per salvarla. (S. Th. Aq.). Va da sé che il crimine deve essere provato, perché è meglio lasciare il crimine impunito che punire un innocente (Trajan). Naturalmente, lo scopo della pena di morte non è quello di emendare il il colpevole, né come obiettivo diretto l’ispirazione di un terrore salutare, poiché ci sarebbero altri mezzi per farlo. È un errore credere che la Chiesa sostenga la legittimità della pena di morte attraverso l’attaccamento alla pena di ritorsione: Occhio per occhio per occhio, ecc. Questa massima è ebraica, non cristiana; la Chiesa ha sempre aborrito lo spargimento di sangue e desidera che ogni peccatore abbia il maggior tempo possibile per prepararsi alla morte; Essa insegna solo che la pena di morte non è contraria alla legge divina. – La carriera militare non è proibita da Dio, perché in nessun punto il Vangelo si ordina o consiglia ai soldati di lasciare il servizio; dice solo di accontentarsi della paga e di non fare violenza a nessuno. Lo stato militare non è condannato da Dio, perché molti soldati erano a lui favorevoli: Davide, il centurione Cornelio al quale Dio mandò S. Pietro a Cesarea, Abramo che fu benedetto nel nome del Signore da Melchisedech dopo una spedizione bellica. (Gen. XIV). Il soldato non deve essere crudele contro coloro che sono fuori dal combattimento, il che sarebbe un crimine contro il diritto delle nazioni. La Chiesa proibisce ai suoi ministri di portare le armi, perché la guerra è incompatibile con le loro sublimi funzioni; così tutte le nazioni civilizzate esonerano i Sacerdoti dal servizio militare.

4. CHIUNQUE DANNEGGI INGIUSTAMENTE LA VITA CORPOREA O SPIRITUALE DEL SUO PROSSIMO, È RIIGOROSAMENTE TENUTO A RIPARARE PER QUANTO POSSIBILE IL DANNO CAUSATO.

Se ha ferito il prossimo è tenuto a pagare l’onorario del medico, il danno causato al suo patrimonio; se lo ha ucciso, è obbligato a risarcire i suoi beneficiari. Se lo ha sedotto o scandalizzato, è obbligato a riparare le conseguenze negative con il buon esempio, la preghiera, i buoni consigli, ecc. Se rifiuta o trascura questa riparazione, il peccato non sarà mai perdonato, nonostante tutte le assoluzioni. – Nella maggior parte dei casi, ahimè, è impossibile riparare completamente all’omicidio di corpi ed anime. Aveva ragione l’eretico Berengario quando sul letto di morte disse: “Presto comparirò davanti al tribunale di Dio; spero di essere perdonato per i miei peccati, ma per i peccati di coloro che ho sedotto, temo di essere perduto, perché non vedo il modo di riparare al male che ho fatto. – Lo stato di peccato mortale è un crimine irreparabile, come lo scandalo che ha fatto precipitare un’anima all’inferno. Non dobbiamo quindi stupirci che Dio abbia definito l’omicidio un crimine che grida vendetta contro di Lui, e che Gesù ha detto: Guai a colui per cui avviene scandali (S. Luca XVII, 1).

Dei motivi che ci devono dissuadere dal togliere la vita a noi stessi ed al prossimo.

1 . Attentare alla propria vita (vita e salute) significa attirarsi gravi malori ed un gran castigo da parte di Dio.

Ogni giorno la stampa riporta incidenti – con feriti o morti – accaduti a persone che hanno incautamente messo a rischio la propria vita: addestratori di animali, turisti sciocchi, fantini alle corse, toreri, ecc. – Sappiamo anche quali terribili malattie suscitano la maggior parte dei vizi. – Anche Santi come San Gregorio Magno e San Bernardo espiavano dolorosamente l’imprudenza delle loro mortificazioni. Quanti suicidi non muoiono subito, ma vivono per qualche tempo tra atroci sofferenze.

2. I tentativi di attentato alla vita del prossimo provocano orribili rimorsi, sono spesso puniti in questa vita da una morte violenta e nell’eternità dall’inferno.

Dopo l’omicidio di Abele, Caino non trovò pace sulla terra (Gen. IV, 16) e questo è il destino di molti assassini. La maggior parte di loro muore di morte violenta, o sul patibolo, per suicidio o per assassinio. Chiunque abbia versato il sangue dell’uomo sarà punito con lo spargimento del suo stesso sangue (Gen. IX, 6): chi usa la spada perirà di spada (Gesù a Pietro). In effetti a Dio piace talvolta applicare la pena della ritorsione; Aman, il favorito del re di Persia, Assuero, aveva ottenuto il permesso di uccidere in un solo giorno tutti i Giudei del regno: egli stesso fu impiccato sulla forca che aveva preparato per Mardocheo (Esth. III). Saul, che aveva più volte attentato alla vita di Davide e aveva ingiustamente giustiziato il sommo sacerdote con altri 80 sacerdoti, si suicidò (I. Re XXII-XXXI). Il Faraone aveva fatto annegare nel Nilo tutti i bambini maschi degli Ebrei, e lui stesso con tutti i suoi combattenti fu sommerso dal mare Rosso. (Es. XIV). La morte di Gesù fu terribilmente vendicata in Giuda, in Pilato e tutto il popolo ebraico all’assedio di Gerusalemme, dove perirono quasi un milione di ebrei. Tutti i persecutori della Chiesa morirono di morte violenta: Nerone si suicidò, Giuliano l’Apostata cadde in battaglia, ecc.; Antioco, che aveva martirizzato Eleazar e i fratelli Maccabei, fu divorato vivo dai vermi. I due ladroni al Calvario ebbero le ossa spezzate, come avevano fatto nei loro omicidi. Gli omicidi non entreranno nel regno di Dio (Gal. V, 19), avranno la loro parte nel lago pieno di zolfo ardente (Apoc. XXI, 8). – Gli stessi castighi hanno spesso raggiunto gli assassini di anime, uomini che hanno privato le anime della vita della fede con i loro discorsi o i loro scritti. Ario è morto durante una processione, e J.-J. Rousseau è morto improvvisamente.

3. Chi odia il prossimo perde il riposo dell’anima e la grazia di Dio. Le sue preghiere non vengono esaudite e rischia di essere dannato.

Chi è animato dallo spirito di odio e di vendetta non ha riposo; la sua anima è come un punto di ebollizione e sembra che un boia la scortichi continuamente (S. G. Cris.). – L’odio porta alla perdita della grazia di Dio. “Non si può essere in unione con Cristo ed in discordia col proprio fratello. Se gli operatori di pace sono figli di Dio, quelli che seminano discordia sono certamente figli di satana (S. Gregge. Naz.). Il fuoco dell’odio è inestinguibile come quello dell’inferno, in cui bruciano, e provano che sono figli dell’inferno (S. Lor. Giust.). Come una ferita è incurabile finché l’arma non sia lontana da essa, allo stesso modo la preghiera è riprovata da Dio, finché il dardo dell’odio sia fisso nel suo cuore (S. Aug). Per questo Gesù ha detto: “Se, quando presentate la vostra offerta all’altare, ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia il tuo dono davanti all’altare e va’ a riconciliarti prima con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono” (S. Matth. V, 23). – Gesù ha detto: “Chiunque si adira con il proprio fratello merita di essere condannato al Giudizio. (Ib. 22). – I sentimenti di odio devono essere soppressi immediatamente, il sole non deve tramontare sulla nostra rabbia (Efes. IV, 26). Quando una lussazione è rimessa immediatamente, l’arto torna facilmente nella sua posizione normale: se, al contrario, il trattamento viene trascurato, rischia di rimanere nella sua falsa posizione. Lo stesso si può dire dell’inimicizia: la riconciliazione immediata costa poca fatica, ma qualche tempo dopo, accecati dall’ira, non siamo così sereni da concedere il perdono: dobbiamo quindi affrettarci a placarla. (S. G. Cris.). Se sapessimo che la nostra casa è infestata da serpenti, ci affretteremmo a liberarla; ma l’odio e l’inimicizia non sono non sono che serpenti, e noi non li cacceremmo dal nostro cuore, che è il tempio di Dio (S. Aug.).

– 302 –

3. LA MANIERA DI TRATTARE GLI ANIMALI.

Dio ha creato gli animali per la sua gloria e per il nostro servizio. Con la loro varietà, le loro attitudini, la loro utilità, gli animali proclamano l’onnipotenza e la saggezza del Creatore. Essi ci servono, fornendoci ciò che è utile per il nostro sostentamento: cibo, vestiti, medicine, aiutandoci nel nostro lavoro, ci deliziano con la loro gentilezza, i loro canti, i loro colori, ecc.; altri ci danno l’esempio di ciò che è buono: le api e le formiche ci esortano a lavorare, le cicogne ad amare i nostri figli, le pecore ad essere pazienti, i galli alla vigilanza, ecc.

La provvidenza di Dio si estende agli animali.

Dio ha organizzato il regno animale in modo mirabile. La struttura corporea di ogni animale corrisponde al ruolo che deve svolgere, come la talpa, il riccio, il cammello e così via. Dio ha dato a ciascuno di loro alcune attitudini naturali che servono a preservarli. Ognuno di loro sa come trovare il cibo, costruire il nido, accudire i suoi piccoli, attaccare la parte più debole dei suoi nemici, ecc. Ciascuno è dotato delle armi necessarie alla sua difesa: il bue è armato con le corna, il cavallo con gli zoccoli, l’elefante con la proboscide, il cane con l’olfatto, il riccio con le punte, la lepre con l’udito e la velocità. Alcuni animali come la lepre, la pernice e l’allodola sono protetti perché hanno il colore del terreno; i piccioni viaggiatori e gli uccelli migratori trovano con meravigliosa facilità la direzione da prendere ed i loro nidi, che spesso si trovano a centinaia di leghe di distanza. Molti mammiferi indossano in inverno un mantello più caldo, più adatto al clima. Queste cure della Provvidenza hanno portato Gesù a dire: “Nessun passero cade a terra senza la volontà del Padre che è nei cieli (S. Matth. X, 29). Così l’uomo, come re della creazione, deve prendersi cura degli animali e non abusare della sua superiorità su di loro. –

L’uomo è obbligato a prendersi cura degli animali, ad astenersi dalla crudeltà, a non uccidere alcun animale utile senza motivo, ma anche a non mostrare esagerata tenerezza nei loro confronti.

Noi siamo obbligati a prenderci cura degli animali. “Il giusto – dicono i Proverbi (XII, 20) – si prende cura dei suoi animali, ma il cuore dell’ingiusto è crudele. Chi ha animali deve dare loro il cibo adeguato, mantenerli puliti ed evitare tutto ciò che potrebbe danneggiarli. (In estate, non dare loro l’acqua al momento sbagliato; in inverno, non permettere che vengano parcheggiati senza motivo sulle strade, (ad esempio davanti alle locande). È una cosa nobile pensare ai piccoli uccelli in inverno e dare loro del cibo, preparare per loro delle cassette sugli alberi per l’estate onde nidificare. Questa sensibilità verso gli animali nobilita il cuore umano, come l’esperienza ha dimostrato con i bambini crudeli e i prigionieri. – Non è lecito tormentare gli animali e trattarli come esseri che non provino dolore. È così che spesso vediamo contadini e dei vetturini sovraccaricare i loro animali, poi si arrabbiano e li picchiano senza senso; altri non danno loro nemmeno un po’ di cibo sufficiente o li tengono in stalle sporche. – Alcuni cocchieri tormentano i loro animali facendoli correre troppo, senza nemmeno dare loro, secondo la legge di Mosè (Es. XX 8-11) un giorno di riposo alla settimana. I macellai ed i ricercatori, quando nell’esercizio della loro professione, nei loro esperimenti (vivisezione) prolungano o aumentano inutilmente il dolore degli animali; i bambini quando maltrattano uccelli o trafiggono gli insetti senza prima ucciderli; i cacciatori che inseguono le prede con alcuni segugi, nel tiro al piccione come praticato in alcune città d’acqua; i cavalieri nelle cosiddette incursioni forzate… Mai tormentare una bestia, essa è sensibile come noi. – È vietato uccidere gli animali utili, perché sono manodopera gratuita per l’uomo: una sola coppia di uccelli ed i loro piccoli divorano migliaia di insetti all’anno che noi non potremmo mai distruggere con le nostre mani. E pensare che in Alto Adige e in Italia, le rondini ed altri uccelli viaggiatori vengono uccisi in massa con inaudita crudeltà. Ci sono uccellatori che uccidono diverse centinaia di chilogrammi di uccelli da richiamo.

centinaia di chilogrammi di uccelli canori al giorno, per venderli ai fabbricanti di cappelli per signora, che ne impiegano milioni: 25 milioni solo in Inghilterra. Si dice addirittura che la crudeltà si spinga fino a scuoiare vivi i colibrì per preservare la brillantezza dei loro colori. Ciò vale anche per gli insetti dannosi per l’agricoltura, vigneti e foreste. Senza dubbio è lecito distruggere gli animali dannosi, ma è sempre vietato torturarli o addirittura ucciderli quando sono di proprietà altrui. (Oltre agli uccelli canori, altri animali utili sono i pipistrelli, le api, le talpe, le rane, i rospi e i serpenti). -D’altra parte, non dobbiamo avere un eccesso di tenerezza per gli animali che li faccia preferire all’uomo, considerandoli come idoli a cui dedicare tutti i nostri pensieri e le nostre cure, seguendo l’esempio degli egiziani che adoravano i gatti, i buoi, ecc. Un uomo religioso una volta disse ad una signora che amava così tanto gli animali, quanto sarebbe più utile per te se amassi il tuo Dio con lo stesso affetto con cui ami gli animali!

Chi è crudele o troppo tenero con gli animali, diventa facilmente duro e crudele con i loro simili.

I bambini che tormentano le bestie sono molto disposti a tormentare gli uomini. La maggior parte dei tiranni sono stati tormentatori di animali in gioventù. – Un criminale che stava per essere giustiziato si rivolse ancora una volta al popolo e disse: “Fin dalla mia giovinezza ho provato piacere nel torturare gli animali. Da giovane mi sono divertito a torturare le bestie, poi ho aggredito gli uomini, ecco perché sto morendo sul patibolo. – Un giorno una signora stava passeggiando con il suo bambino e il suo cagnolino; quando giunse ad un ponte prese il cane in braccio e lasciò il bambino a se stesso: “Donna senza cuore “, disse qualcuno che la incontrò, “non ti vergogni di lasciar correre il tuo bambino e di portare la tua bestia, quando invece dovresti fare il contrario” Guardiamoci dall’eccessiva tenerezza per gli animali: ci renderebbe crudeli.

La crudeltà e l’eccessiva tenerezza verso gli animali sono solitamente puniti da Dio.

Torturare gli animali significa distruggere il progetto della creazione, abusare del potere che ci è stato affidato, ed è quindi un’offesa al Creatore. Dio considera questi uomini crudeli come carnefici ai quali applicherà la pena della ritorsione. Un contadino era solito colpire i suoi cavalli ai piedi con un frustino; lui stesso, in seguito, si ammalò di gotta, rimase paralizzato alle gambe e soffrì di dolori atroci: sul letto di morte confessò e pianse la sua colpa. Il figlio di un contadino si divertiva a catturare uccelli e li scuoiava vivi, poi strappava loro le zampe. Più tardi cadde nel calderone bollente di una birreria, si scottò e dovette subire l’amputazione delle gambe: visse ancora per qualche anno da zoppo, rimase per tutta la vita un terribile esempio della vendetta di Dio e non smise mai di esortare gli altri ad essere gentili con gli animali. L’Areopago di Atene condannò a morte un bambino che aveva cavato gli occhi alle quaglie e poi le aveva lasciate volare via; questo tribunale pensava che un bambino con tali istinti malvagi non potesse che diventare un uomo perverso (Quintiliano in: Istituzioni V, 9). – La stampa riporta spesso che la tal persona sia morta di avvelenamento del sangue per aver baciato dei cani o che lo stesso disordine abbia introdotto nel corpo parassiti mortali.

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXII)

UBI PAPA, IBI ECCLESIA (1) “IL PAPA E L’ANTICRISTO: LA GRANDE APOSTASIA ANNUNCIATA”

Il Papa e l’Anticristo: La grande apostasia annunciata

Mentre tutti noi soffriamo in questi tempi angosciosi in cui la confusione e il caos regnano tra tutti coloro che cercano di essere genuinamente Cattolici, membri dell’unica vera Religione stabilita da Dio, è utile e importante riflettere sul fatto che la situazione in cui ci troviamo oggi – nessun Papa valido (conosciuto) dal 1958 e poi dal 1989, e nessun Vescovo cattolico apparentemente rimasto con giurisdizione ordinaria, mentre un’istituzione contraffatta si maschera da Chiesa Cattolica, diffondendo eresie, immoralità ed empietà – è stata predetta nelle Sacre Scritture. Come la Passione, la Morte e la Resurrezione di nostro Signore hanno colto (quasi) tutti di sorpresa, come se non fossero state profetizzate in anticipo, così sembra che la passione e la morte apparente della Chiesa abbiano colto tutti di sorpresa, anche se la Sacra Scrittura, la Tradizione, i Padri della Chiesa e diversi teologi testimoniano che il Corpo Mistico di Cristo dovrà affrontare le sue prove più grandi prima della fine del mondo. – Se è chiaro che, nel corso della storia della Chiesa, il Papa è sempre stato un bersaglio dei suoi nemici, in quanto vero Vicario di Gesù Cristo in terra e capo visibile della Chiesa, non sorprende che negli ultimi giorni il diavolo galvanizzi e concentri tutte le sue forze per compiere un ultimo, potentissimo tentativo di conquistare il Papa e la Chiesa. Una simile battaglia satanica finale contro il Regno di Dio sulla terra sarebbe virtualmente senza precedenti per la sua natura, la sua estensione, la sua furia, il suo potere, il suo orrore e la sua astuzia. Ma … eravamo stati avvertiti per tempo: Un grande inganno per distruggere la Chiesa. Nei decenni che precedettero la creazione della setta modernista del Vaticano II, i Papi misero in guardia con urgenza e forza contro i complotti escogitati dalle società segrete, che avevano come obiettivo dichiarato l’infiltrazione e la distruzione finale della Chiesa cattolica e della dottrina cattolica. Conosciamo vari estratti di documenti papali precedenti al conciliabolo Vaticano II a cominciare dalla bolla Execrabilis di SS. Pio II, Ex apostolatus Officio di Paolo IV, fino a Leone XIII a Pio IX, a Pio XII che richiamano l’attenzione sulla persecuzione tramata e portata avanti contro la Chiesa dai suoi nemici più perniciosi. – Alcuni sprovveduti cercano di liquidare queste prove con la pronta ed spocchiosa replica che “La Chiesa non può essere distrutta e le porte dell’inferno non possono prevalere”, che, per quanto vera, fraintende la realtà della situazione: anche gli stessi Papi, ovviamente, sapevano che la Chiesa cattolica non può essere distrutta, essendo opera di Dio e avendo la promessa di Cristo di durare fino alla fine dei tempi senza alcuna alterazione sostanziale. Perché, allora, i ripetuti avvertimenti papali? Perché il senso di urgenza e di allarme nei confronti di ciò che i nemici della Chiesa stavano tentando di fare? La risposta è semplice: Anche se la Chiesa non fallirà mai, ma resisterà fino alla fine dei tempi, tuttavia la persecuzione da parte dei suoi nemici provoca un danno immenso alle anime, e le anime vanno davvero all’inferno se ne sono vittime, anche se la Chiesa resiste. Quando la Fede è sotto attacco, quando le anime rischiano il fuoco dell’inferno, quando l’eresia minaccia di soffocare la Fede innocente e pura dei suoi figli, non basta sottolineare che la Chiesa non può fallire. Non può fallire, anzi, ma il numero dei suoi membri può ridursi, cioè i suoi figli possono allontanarsi, abbandonare la Fede, diventare apatici, peccare mortalmente, morire di fame spirituale per la confusione e la mancanza di conoscenza, e andare all’inferno per l’eternità. Che il Regno di Dio sulla terra perda membri e li trasferisca di nuovo nel regno del diavolo, addirittura alla rinfusa, è motivo di grande preoccupazione e di angoscia; questo è proprio il contrario di ciò che la Chiesa è stata incaricata di fare! La Chiesa è stata fondata per condurre le anime al cielo, non per vederle condannate all’inferno. È per questo motivo che una risposta sprezzante del tipo “Ma le porte dell’inferno non prevarranno” di fronte alla persecuzione della Chiesa è completamente errata. Il nostro Beato Signore Gesù Cristo, il Buon Pastore delle nostre anime (cfr. Giovanni X: 14), ci ha avvertito che prima della Sua gloriosa Seconda Venuta, ci sarebbe stato un allontanamento dalla Fede reso possibile da un grande inganno, un inganno così convincente che anche gli stessi eletti ci sarebbero caduti se non fossero stati appositamente prevenuti da Dio. E mentre era seduto sul monte Oliveto, i discepoli vennero da Lui in privato e gli dissero: “Dicci quando avverranno queste cose? E quale sarà il segno della tua venuta e della consumazione del mondo? E Gesù, rispondendo, disse loro: Badate che nessuno vi seduca, perché molti verranno nel mio nome dicendo: “Io sono il Cristo”, e sedurranno molti. E sentirete parlare di guerre e di voci di guerre. Guardate di non essere turbati. Perché queste cose devono avvenire, ma la fine non è ancora arrivata. Poiché la nazione insorgerà contro la nazione e il regno contro il regno, e vi saranno pestilenze, carestie e terremoti nei luoghi: E tutti questi sono gli inizi dei dolori. Allora vi consegneranno per essere afflitti e vi metteranno a morte; e sarete odiati da tutte le nazioni a causa del mio nome. E allora molti si scandalizzeranno, si tradiranno a vicenda e si odieranno a vicenda. Sorgeranno molti falsi profeti che sedurranno molti. E poiché l’iniquità ha abbondato, la carità di molti si raffredderà. Ma chi persevererà fino alla fine, sarà salvato. E questo vangelo del regno sarà predicato in tutto il mondo, come testimonianza a tutte le nazioni, e allora verrà la consumazione. Quando dunque vedrete l’abominio della desolazione, di cui parlò il profeta Daniele, in piedi nel luogo santo, chi legge capisca. Allora quelli che sono in Giudea fuggano sui monti; e chi è sulla cima della casa non scenda a prendere nulla dalla sua casa; e chi è nei campi non torni indietro a prendere il suo mantello. E guai a chi è incinta e partorisce in quei giorni. Ma pregate che la vostra fuga non avvenga in inverno o in giorno di sabato. Perché allora ci sarà una grande tribolazione, come non c’è stata dall’inizio del mondo fino ad oggi e come non ci sarà mai. E se quei giorni non fossero stati abbreviati, nessuno si sarebbe salvato; ma per gli eletti quei giorni saranno abbreviati. Allora se qualcuno vi dirà: Ecco qui il Cristo, o là, non credetegli. Perché sorgeranno falsi cristi e falsi profeti, e faranno grandi segni e prodigi, tanto da ingannare (se possibile) anche gli eletti. (Matteo XXIV: 3-25).

Un inganno così grande da ingannare – quasi – anche gli eletti, dovrà essere davvero ingegnoso. Di sicuro, dovrà ingannare le masse cattoliche; dovrà essere un inganno che abbia il potere di prendere quel gran numero di fedeli Cattolici e renderli senza fede. Quale modo migliore per farlo se non istituire una falsa chiesa al posto della Chiesa cattolica, dal suo interno, una setta che mantenga l’aspetto esteriore della Chiesa cattolica cambiando però le dottrine della fede, i sacramenti e la pietà cattolica? Se c’è una persona sulla terra che i Cattolici seguono, questa è il Papa; quindi, l’apostasia dovrà essere imposta dall’alto. L’obiettivo, quindi, sarà il Papa – il Papato deve essere usurpato, in un modo o nell’altro, perché i nemici della Chiesa possano realizzare il loro sogno malvagio di pervertire la fede cattolica di milioni di persone con il fine ultimo desiderato di stabilire il regno dell’uomo al posto del regno di Cristo. Nel XIX secolo, il piano della loggia massonica Alta Vendita fu esposto nella sua “Istruzione permanente” segreta, un documento che, per la provvidenza di Dio Onnipotente, fu scoperto durante il regno di Papa Gregorio XVI (1831-1846) e fatto pubblicare dai Papi Pio IX e Leone XIII: « Non intendiamo conquistare i Papi alla nostra causa, renderli neofiti dei nostri principi e propagatori delle nostre idee. Sarebbe un sogno ridicolo, qualunque sia la piega che prenderanno gli eventi. Se cardinali o prelati, per esempio, dovessero entrare, volontariamente o di sorpresa, in qualche modo, in una parte dei nostri segreti, non sarebbe affatto un motivo per desiderare la loro elevazione alla Sede di Pietro. Tale elevazione ci distruggerebbe. La sola ambizione li porterebbe all’apostasia da noi. Le esigenze di potere li costringerebbero a immolarci. Quello che dovremmo chiedere, quello che dovremmo cercare e aspettarci, come gli ebrei si aspettavano il Messia, è un Papa secondo i nostri desideri…. Ora dunque, per assicurarci un Papa nel modo richiesto, è necessario creare per quel Papa una generazione degna del regno che sogniamo […] Cercate il Papa di cui vi diamo il ritratto. Volete stabilire il regno degli eletti sul trono della prostituta di Babilonia? Lasciate che il clero marci sotto il vostro vessillo con la convinzione di marciare sempre sotto il vessillo delle Chiavi Apostoliche. Volete far scomparire le ultime vestigia della tirannia e dell’oppressione? Stendete le vostre reti come Simon Barjona (San Pietro). Stendetele nelle profondità delle sacrestie, dei seminari e dei conventi, piuttosto che negli abissi del mare, e se non precipiterete nulla vi regalerete una pesca più miracolosa della sua. Il pescatore di pesci diventerà un pescatore di uomini. Vi porterete come amici intorno alla Cattedra apostolica. Avrete pescato una Rivoluzione in Tiara e Cappa, marciando con Croce e stendardo – una Rivoluzione che ha solo bisogno di essere spronata un po’ per incendiare le quattro quarti del mondo. (Istruzione permanente dell’Alta Vendita). Anche se sembra che gli eventi reali siano andati un po’ diversamente da quanto previsto in questo documento – ci sono prove che Angelo Roncalli, che divenne il primo Antipapa della falsa Chiesa del Vaticano II nel 1958, fosse in realtà un massone rosacroce, o addirittura un 33° livello – l’elemento chiave di un inganno “cattolico all’esterno ma eretico all’interno” è lo stesso: “Lasciate che il clero marci sotto il vostro stendardo nella convinzione di marciare sempre sotto lo stendardo delle Chiavi Apostoliche… Vi porterete come amici intorno alla Cattedra Apostolica. Avrete pescato una Rivoluzione in Tiara e Cappa, marciando con Croce e Stendardo….”. (vedi “Discorso sopra il segreto della  massoneria” in ExsurgatDeus. Org). Certamente, tutti i falsi “Papi” dal 1958 in poi hanno predicato la dottrina modernista-massonica, che è stata ufficialmente enunciata per la prima volta nell'”enciclica” Pacem in terris di Giovanni XXIII del 1963 e nel Concilio Vaticano II: Gli ideali massonici di libertà, uguaglianza e fraternità sono diventati le dottrine del Vaticano II di libertà religiosa, collegialità ed ecumenismo, che costituiscono il fondamento della religione del Novus Ordo. Tuttavia, dei sei papi impostori finora, quello che più apertamente professa e insegna le eresie massoniche è l’attuale, Jorge Bergoglio, meglio conosciuto come “Papa Francesco”. Ciò che rende ancora più forte e tragica la terribile persecuzione della Chiesa da parte degli infiltrati massoni e della loro progenie spirituale è che spesso le persone che vengono irretite da questi falsi insegnamenti e li promuovono sono comunque di buona volontà, pie e cercano sinceramente di servire Dio – in altre parole, molti di coloro che spingono avanti l’apostasia non sono deliberatamente ingannatori, ma piuttosto vittime dell’inganno. In un sermone tenuto la domenica di Pentecoste del 1861, il famoso p. Frederick Faber avvertì che era proprio questo che avrebbe fatto cadere tante persone nell’inganno: « Dobbiamo ricordare che se tutti gli uomini palesemente buoni fossero da una parte e tutti gli uomini palesemente cattivi dall’altra, non ci sarebbe pericolo che nessuno, tanto meno gli eletti, venga ingannato da prodigi bugiardi. Sono gli uomini buoni, buoni una volta, dobbiamo sperare ancora buoni, a compiere l’opera dell’anticristo e a crocifiggere così tristemente il Signore di nuovo…. Tenete presente questa caratteristica degli ultimi giorni, che l’inganno deriva dal fatto che gli uomini buoni sono dalla parte sbagliata ». (P. Frederick Faber, Sermone per la domenica di Pentecoste, 1861; qtd. in P. Denis Fahey, The Mystical Body of Christ in the Modern World). L’importanza di questo punto non sarà mai sottolineata abbastanza, perché molte persone si lasciano influenzare dall’aspetto esteriore e dalla sincerità (reale o apparente) degli altri. Ciò che p. Faber ci insegna è che anche coloro che sono buoni e sinceri possono ancora, inconsapevolmente, fare l’opera dell’Anticristo: la loro sincerità non significa che non siano di fatto agenti del diavolo; la loro buona volontà non impedisce loro di essere usati come strumenti per compiere l’opera di Satana. Il Cardinale Manning se l’aspettava… Durante la Pasqua del 1861, il celebre cardinale Henry Edward Manning (1808-92), convertitosi dall’anglicanesimo, pubblicò un opuscolo contenente quattro conferenze che spiegavano gli eventi che precedono e circondano l’avvento dell’Anticristo, incentrate sulle parole di San Paolo in 2 Tessalonicesi II:3-11, che avverte anch’esso di quel grande inganno ma anche di una rivolta, di un “uomo del peccato” e di una forza che lo trattiene temporaneamente: Nessuno vi inganni in alcun modo, perché se prima non avverrà una rivolta e non si manifesterà l’uomo del peccato, il figlio della perdizione, che si oppone e si innalza al di sopra di tutto ciò che è chiamato Dio o che è adorato, tanto da sedere nel tempio di Dio, facendo finta di essere Dio. Non vi ricordate che quando ero ancora con voi vi ho detto queste cose? E ora sapete che cosa trattiene, affinché sia rivelato a suo tempo. Perché il mistero dell’iniquità già opera; solo che chi ora trattiene, trattiene finché non sia tolto di mezzo. E allora sarà rivelato quel malvagio che il Signore Gesù ucciderà con lo spirito della sua bocca e distruggerà con lo splendore della sua venuta, colui la cui venuta è secondo l’opera di Satana, con ogni potenza, segni e prodigi bugiardi e con ogni seduzione dell’iniquità a coloro che periscono, perché non hanno ricevuto l’amore della verità per essere salvati. Perciò Dio manderà loro l’operazione dell’errore, perché credano alla menzogna: affinché siano giudicati tutti coloro che non hanno creduto alla verità, ma hanno acconsentito all’iniquità. » (2 Tessalonicesi 2:3-11). Il libretto del cardinale Manning era intitolato The Present Crisis of the Holy See Tested by Prophecy (L’attuale crisi della Santa Sede messa alla prova dalla profezia vedi “La crisi attuale della Santa Sede” 1-4 ExsurgatDeus.org). Se da un lato bisogna sempre mettere in guardia da un’eccessiva attenzione alle cose che riguardano i “tempi finali”, come purtroppo molti sono soliti fare, dall’altro non è saggio ignorare semplicemente tutta la rivelazione relativa a questi argomenti, poiché ovviamente Dio Onnipotente non ci ha rivelato le verità perché le ignorassimo. In questa opera, il Cardinale Manning delinea e spiega in dettaglio i quattro punti centrali menzionati da San Paolo nella pericope citata. Essi sono: 1. Una “rivolta” contro la vera Chiesa 2. la manifestazione del “malvagio” – l’Anticristo. 3. Una forza di contenimento che “trattiene” per un po’ di tempo 4.Il periodo di potere durante il quale l’Anticristo perseguita i fedeli. Il Cardinale si affretta a precisare che le delucidazioni che fornisce non sono frutto di sue congetture, ma si basano invece su autorità teologiche cattoliche approvate: “Nel trattare questo argomento, non mi avventurerò in congetture mie, ma darò semplicemente ciò che trovo o nei Padri della Chiesa, o nei teologi che la Chiesa ha riconosciuto, cioè [San Roberto] Bellarmino, Lessius, Malvenda, Viegas, Suarez, Ribera e altri”. I paragrafi che seguono sono costituiti da vari punti salienti dell’eccellente e istruttiva monografia del Cardinale Manning.  I seguenti estratti da Il Papa e l’Anticristo, sono divisi in sezioni per corrispondere alle quattro conferenze separate del Cardinale Manning che costituiscono il contenuto del libro. Mentre leggete questi passaggi, tenete presente che il Cardinale scriveva nel 1861, oltre 150 anni prima del nostro tempo, prima delle due terribili guerre mondiali, prima della creazione dello Stato di Israele e poco dopo che il Regno d’Italia aveva annesso con la forza la maggior parte dello Stato Pontificio, di cui il Papa era il sovrano temporale. Chi volesse leggere l’opera completa in italiano può farlo consultando il blog ExsurgatDeus.org).

Lezione I: La grande apostasia.

Abbiamo qui una profezia di quattro grandi fatti: primo, di una rivolta, che precederà la seconda venuta di nostro Signore; secondo, della manifestazione di colui che è chiamato “il malvagio”; terzo, di un ostacolo che frena la sua manifestazione; e infine, del periodo di potere e di persecuzione, di cui sarà l’autore… – Innanzitutto, che cos’è la rivolta? Nell’originale è chiamata apostasia e nella Vulgata discessio, cioè allontanamento. Ora, una rivolta implica un distacco sedizioso da qualche autorità e una conseguente opposizione ad essa…. Ora, nel mondo ci sono solo due autorità ultime, quella civile e quella spirituale, e questa rivolta deve essere o una sedizione o uno scisma…. Che questa rivolta o apostasia sia una separazione non dall’ordine e dall’autorità civile, ma da quella spirituale, sembra avere bisogno di poche prove; infatti, gli scrittori sacri parlano ripetutamente di questa separazione spirituale e in un luogo San Paolo sembra dichiarare espressamente il significato di questa parola. Egli avverte San Timoteo che negli ultimi tempi “alcuni si allontaneranno o apostateranno dalla fede“; e sembra evidente che lo stesso allontanamento spirituale è inteso dall’apostasia [a cui si fa riferimento] in questo luogo. L’autorità, dunque, da cui deve avvenire la rivolta è quella del regno di Dio sulla terra…, in altre parole, la Chiesa unica ed universale, fondata dal nostro Signore divino e diffusa dai suoi apostoli in tutto il mondo. In questo unico regno soprannaturale è stato depositato il vero e puro teismo, o conoscenza di Dio, e la vera e unica fede di Dio incarnato, con le dottrine e le leggi della grazia. Questa, dunque, è l’autorità da cui ci si deve ribellare, sia come sia. Essendo questa l’autorità contro la quale ci si rivolge, non può essere difficile accertarne il carattere. Gli scrittori ispirati ne descrivono espressamente le note. – La prima è lo scisma, come riportato da San Giovanni: “È l’ultima ora; e come avete udito che viene l’Anticristo, anche ora sono diventati molti Anticristi; per questo sappiamo che è l’ultima ora. Essi sono usciti da noi, ma non erano dei nostri perché, se fossero stati dei nostri, sarebbero senza dubbio rimasti con noi.” – La seconda nota è il rifiuto dell’ufficio e della presenza dello Spirito Santo. San Giuda dice: “Questi sono coloro che si separano, uomini sensuali” (uomini animali o semplicemente razionali e naturali) “che non hanno lo Spirito”. [Questo implica necessariamente il principio eretico dell’opinione umana contrapposta alla fede divina; dello spirito privato contrapposto alla voce infallibile dello Spirito Santo, che parla attraverso la Chiesa di Dio. – La terza nota è la negazione dell’Incarnazione. San Giovanni scrive: “Ogni spirito che confessa che Gesù Cristo sia venuto nella carne è da Dio; e ogni spirito che dissolve Gesù” (cioè negando il mistero dell’Incarnazione, o la vera divinità, o la vera umanità, o l’unità o la divinità della Persona del Figlio incarnato) “non è da Dio, e questo è l’Anticristo, di cui avete sentito dire che viene, ed è già nel mondo.” Ed ancora: “Molti seduttori sono usciti nel mondo e non confessano che Gesù Cristo è venuto nella carne; questo è un seduttore e un anticristo.” Questi sono i segni dai quali si può distinguere la rivolta anticristiana o l’apostasia, poiché la Chiesa deve essere conosciuta dalle sue note. … Tutte le eresie, fin dall’inizio, non sono altro che il continuo sviluppo ed espansione del “mistero dell’iniquità”, che era già all’opera…. È evidente che questo movimento [di apostasia] ha accumulato i suoi risultati di epoca in epoca, e che in questo momento è più maturo ed ha una statura più elevata ed un potere più grande ed un antagonismo più formale alla Chiesa e alla fede che mai…. – Sembra inevitabile che l’inimicizia di tutte le nazioni separate dall’unità cattolica… si concentri sulla persona che è il Vicario e il Rappresentante di Gesù, e sul Corpo che testimonia da solo dell’Incarnazione e di tutti i suoi misteri di verità e di grazia. Tale è l’unica Santa Chiesa Cattolica e Romana, e tale è il Sommo Pontefice, suo Capo visibile tranne che – ovviamente – se impedito. Tali sono, secondo le parole della Sacra Scrittura, i due misteri della pietà e dell’iniquità. Tutte le cose stanno mettendo in luce e in evidenza le due potenze ultime, che dividono i destini degli uomini. Il conflitto è un semplice antagonismo tra Cristo e l’Anticristo; i due schieramenti si stanno disponendo in ordine sparso e gli uomini stanno scegliendo i loro principi o gli eventi stanno scegliendo per loro e stanno andando inconsciamente alla deriva in correnti di cui non sono consapevoli….

Lezione II: L’Anticristo

È vero, infatti, che l’Anticristo ha avuto, e può ancora avere, molti precursori, come lo stesso Cristo: come Isacco, Mosè, Giosuè, Davide, Geremia, erano tipi dell’uno, così Antioco, Giuliano, Ario, Maometto e molti altri, sono tipi dell’altro; perché le persone tipizzano le persone. Così, ancora, come Cristo è il Capo ed il Rappresentante in cui l’intero mistero della pietà è stato riassunto e ricapitolato, così anche l’intero mistero dell’empietà troverà la sua espressione e il suo capo nella persona dell’Anticristo. Egli può incarnare uno spirito e rappresentare un sistema, ma non è meno, quindi, una persona…. – Poi, i Padri [della Chiesa] ritengono che l’Anticristo sarà di razza ebraica…. E questo apparirà probabile, se consideriamo che l’Anticristo verrà per ingannare i Giudei, in accordo con la profezia di nostro Signore “Io vengo nel nome del Padre mio e voi non mi accogliete: Un altro verrà nel suo nome e voi lo accoglierete”… La probabilità di ciò apparirà anche se consideriamo, inoltre, che un falso Cristo verrebbe meno alla prima condizione di successo se non fosse della casa di Davide; che i Giudei stanno ancora aspettando la sua venuta; che si sono preparati all’inganno crocifiggendo il vero Messia; ed è per questo che i Padri interpretano del vero Messia e del falso le parole di San Paolo ai Tessalonicesi: “Poiché non hanno ricevuto l’amore della verità per essere salvati, Dio manderà loro l’operazione dell’errore per credere alla menzogna” [2 Tess 2,10-11]…. Da ciò si evince un terzo carattere dell’Anticristo, ossia che non sarà semplicemente l’antagonista, ma il sostituto o il soppiantatore del vero Messia: E questo è reso ancora più probabile dal fatto che il Messia atteso dai Giudei è sempre stato un liberatore temporale, il restauratore del loro ordine temporale; o, in altre parole, un principe politico e militare. È ovvio, inoltre, che chiunque in futuro li inganni con il preteso personaggio del loro Messia, deve negare l’Incarnazione, qualunque pretesa di carattere soprannaturale possa avanzare per se stesso. Nella sua persona, egli sarà la negazione completa di tutta la fede e la Chiesa cristiana, perché se egli è il vero Messia, il Cristo dei Cristiani deve essere falso…. – Ma le profezie assegnano alla persona dell’Anticristo un carattere più preternaturale. È descritto come un operatore di falsi miracoli. Si dice che la sua venuta sarà “secondo l’opera di Satana, con ogni potenza, segni e prodigi menzogneri e con ogni seduzione dell’iniquità per quelli che periscono” [2 Tess II: 9-10]…. L’epoca è matura per un’illusione. Non crederà ai miracoli dei santi, ma berrà copiosamente i fenomeni dello spiritismo…. – L’ultima caratteristica di cui parlerò è forse più difficile da concepire. San Paolo dice dell'”uomo del peccato”, “il figlio della perdizione, che si oppone e si innalza al di sopra di tutto ciò che è chiamato Dio o che è adorato, tanto da sedere nel tempio di Dio, mostrandosi come se fosse Dio” [2 Tess II, 4]. Queste parole sono interpretate dai Padri per significare che egli rivendicherà gli onori divini, e che nel tempio di Gerusalemme…. [Come si credeva che Cristo alla sua venuta fosse un falegname, così l’Anticristo potrebbe essere visibilmente nient’altro che un avventuriero di successo. Anche il suo carattere preternaturale, vero o falso che sia, può passare per scintille di follia, o per le assurdità dei suoi partigiani, o per le illusioni dei suoi adulatori. Così il mondo acceca i propri occhi con i fumi del proprio orgoglio intellettuale.

Lezione III: Chi o cosa frena la manifestazione dell’Anticristo?

Come c’è un perpetuo operare di questo mistero di iniquità, così c’è un perpetuo ostacolo o barriera alla sua piena manifestazione, che continuerà finché non sarà rimosso; e c’è un tempo fisso in cui sarà tolto di mezzo…. Ora, poiché questo malvagio sarà un’entità senza legge, che introdurrà disordine, sedizione, tumulto e rivoluzione, sia nell’ordine temporale che in quello spirituale del mondo, ciò che ostacolerà il suo sviluppo e sarà il suo diretto antagonista dopo la sua manifestazione, dovrà necessariamente essere il principio dell’ordine, la legge della sottomissione, l’autorità della verità e del diritto…. – Ora siamo quasi giunti alla soluzione di ciò che è stato affermato all’inizio, ossia come mai la potenza che ostacola la rivelazione dell’impotente non è solo una persona ma un sistema, e non solo un sistema ma una persona. In una parola, è la cristianità e il suo capo; e, quindi, nella persona del Vicario di Gesù Cristo e nella duplice autorità di cui, per divina Provvidenza, è stato investito, vediamo l’antagonista diretto del principio del disordine…. – Fin dalla fondazione dell’Europa cristiana, l’ordine politico del mondo si è basato sull’Incarnazione di nostro Signore Gesù Cristo; per questo motivo tutti gli atti pubblici dell’autorità, e persino il calendario con cui datiamo i nostri giorni, sono calcolati a partire dall’anno della salvezza, o dall'”anno del Signore”. …. [Nel giorno in cui ammettete coloro che negano l’Incarnazione ad un’uguaglianza di privilegi, togliete la vita sociale e l’ordine in cui vivete dall’Incarnazione alla base della mera natura: e questo è precisamente ciò che è stato predetto del periodo anticristiano…. ,]. Se la barriera che ha impedito lo sviluppo del principio del disordine anticristiano è stata la potenza divina di Gesù Cristo nostro Signore, incorporata nella Chiesa e guidata dal suo Vicario, allora nessuna mano è abbastanza potente e nessuna volontà è abbastanza sovrana per toglierla di mezzo, ma solo la mano e la volontà dello stesso Figlio di Dio incarnato…. La storia della Chiesa e la storia di nostro Signore sulla terra corrono per così dire in parallelo. Per tre anni e trenta il Figlio di Dio incarnato è stato nel mondo e nessuno ha potuto mettergli le mani addosso. Nessuno poteva prenderlo, perché la sua “ora non era ancora giunta“. C’era un’ora prestabilita in cui il Figlio di Dio sarebbe stato consegnato nelle mani dei peccatori. Egli la conosceva e l’aveva preannunciata. La teneva in pugno, perché aveva circondato la sua Persona con un cerchio della sua potenza divina. Nessun uomo poteva sfondare quel cerchio di onnipotenza finché non giunse l’ora in cui, per sua volontà, aprì la strada alle potenze del male….  Allo stesso modo con la Sua Chiesa. Finché non verrà l’ora in cui la barriera sarà tolta di mezzo per volontà divina, nessuno avrà il potere di mettervi mano. Le porte dell’inferno possono farle la guerra, possono lottare, come ora lottano con il Vicario di nostro Signore, ma nessuno ha il potere di smuoverlo di un passo, finché non verrà l’ora in cui il Figlio di Dio permetterà, per un certo tempo, alle potenze del male di prevalere. Che Egli lo permetterà per un certo tempo è scritto nel libro delle profezie…. Dobbiamo quindi stare in guardia. Succederà ancora una volta con alcuni, come quando il Figlio di Dio era nella sua Passione: lo videro tradito, legato, portato via, flagellato, bendato e flagellato; lo videro portare la sua croce sul Calvario, poi inchiodato su di essa e innalzato al disprezzo del mondo; e dissero: “Se è il re d’Israele, scenda ora dalla croce e gli crederemo” [Mt XXVII, 42]. Così, allo stesso modo, dicono ora: “Vedete questa Chiesa cattolica, questa Chiesa di Dio, debole e fiacca, rifiutata persino dalle stesse nazioni chiamate cattoliche. C’è la Francia cattolica, la Germania cattolica, la Sicilia cattolica e l’Italia cattolica, che rinunciano a questa esplosione del potere temporale del Vicario di Gesù Cristo”. E così, poiché la Chiesa sembra debole e il Vicario del Figlio di Dio sta rinnovando la Passione del suo Maestro sulla terra, ci scandalizziamo e voltiamo le spalle a Lui. A quando la nostra fede? Ma il Figlio di Dio aveva preannunciato queste cose quando disse: “E ora ve l’ho detto prima che avvenga, perché quando avverrà, crediate” [Gv XIV,29].

Lezione IV: Passione e “morte” della Chiesa

Ora, è contro questa persona [il Papa] in modo eminente ed enfatico, come detto prima, che lo spirito del male e della falsità dirige il suo assalto; perché se la testa del corpo viene colpita, il corpo stesso deve morire. “Colpisci il pastore e le pecore saranno disperse“, era l’antica astuzia del maligno, che colpiva il Figlio di Dio per disperdere il gregge. Ma questa astuzia è stata provata una volta e sventata per sempre; perché nella morte che ha colpito il Pastore, il gregge è stato riscattato; e anche se il pastore che è stato costituito al posto del Figlio è stato colpito, il gregge non può più essere disperso. Per trecento anni il mondo ha cercato di tagliare la linea dei Sovrani Pontefici, ma il gregge non è mai stato disperso: e così sarà fino alla fine. È tuttavia contro la Chiesa di Dio, e soprattutto contro il suo Capo, che tutti gli spiriti del male, in tutte le epoche e, soprattutto, nella presente, dirigono le aste della loro inimicizia…. – Ora, la Chiesa ha già dovuto subire due persecuzioni, una da parte dei Giudei e una anche da parte dei pagani; perciò gli scrittori dei primi secoli, i Padri sia d’Oriente che d’Occidente, hanno predetto che, nell’ultima età del mondo, la Chiesa dovrà subire una terza persecuzione, più aspra, più sanguinosa, più feroce e più infuocata di tutte quelle che ha subito finora, e ciò dalle mani di un mondo infedele che si è ribellato al Verbo incarnato…. – Come gli empi non prevalsero contro di Lui [nostro Signore Gesù Cristo] neppure quando Lo legarono con corde, Lo trascinarono al giudizio, Gli bendarono gli occhi, Lo schernirono come falso Re, Lo colpirono sul capo come falso Profeta, Lo condussero via, Lo crocifissero e, nella padronanza del loro potere, sembrarono avere su di Lui un dominio assoluto, così che Egli giacque a terra e quasi annientato sotto i loro piedi; e come in quel momento, quando era morto e sepolto fuori dalla loro vista, fu vincitore su tutti, e risuscitò il terzo giorno, e ascese al cielo, e fu incoronato, glorificato, investito della sua regalità, e regna supremo, Re dei re e Signore dei signori, così sarà anche per la Sua Chiesa: Anche se per un certo tempo sarà perseguitata e, agli occhi degli uomini, rovesciata e calpestata, detronizzata, spogliata, derisa e schiacciata, in quel momento di trionfo le porte dell’inferno non prevarranno. La Chiesa di Dio ha in serbo una resurrezione e un’ascensione, una regalità ed un dominio, una ricompensa di gloria per tutto ciò che ha sopportato. Come Gesù, essa deve soffrire sulla via della sua corona; ma incoronata sarà con Lui in eterno. Nessuno si scandalizzi, dunque, se la profezia parla di sofferenze future. Ci piace immaginare trionfi e glorie per la Chiesa sulla terra, che il Vangelo sarà predicato a tutte le nazioni, che il mondo sarà convertito, che tutti i nemici saranno sottomessi, e non so che cosa, fino a quando alcune orecchie sono impazienti di sentire che c’è in serbo per la Chiesa un tempo di terribile prova; e così facciamo come i Giudei di un tempo, che cercavano un conquistatore, un re, e la prosperità; e quando il loro Messia venne nell’umiltà e nella passione, non lo conobbero. Così, temo, molti tra noi inebriano la loro mente con visioni di successo e di vittoria, e non riescono a sopportare il pensiero che per la Chiesa di Dio debba ancora venire un tempo di persecuzione….

 Il primo segno di questa prossima persecuzione è l’indifferenza alla verità. Come c’è una calma piatta prima di un turbine, e come le acque di una grande cascata scorrono come vetro, così prima di un’epidemia c’è un periodo di tranquillità. Il primo segno è l’indifferenza. Il segno che più di ogni altro fa presagire lo scoppio di una futura persecuzione è una sorta di sprezzante indifferenza nei confronti della verità o della falsità. L’antica Roma, con la sua potenza e il suo potere, adottò ogni falsa religione da tutte le nazioni conquistate e diede a ciascuna di esse un tempio all’interno delle sue mura. Era sovranamente e sprezzantemente indifferente a tutte le superstizioni della terra. Le incoraggiava, perché ogni nazione aveva la propria superstizione e questa superstizione era un modo per tranquillizzare, governare e tenere sottomesso il popolo che veniva assecondato costruendo un tempio all’interno delle sue porte. Allo stesso modo vediamo le nazioni del mondo cristiano in questo momento adottare gradualmente ogni forma di contraddizione religiosa, cioè darle pieno spazio e, come viene chiamata, perfetta tolleranza; non riconoscere alcuna distinzione di verità o falsità tra una religione e l’altra, ma lasciare che tutte le forme di religione facciano il loro corso….  Qui cresce un odio intenso per quello che viene chiamato dogmatismo, cioè per ogni verità positiva, per ogni cosa definita, per ogni cosa definitiva, per ogni cosa che abbia dei limiti precisi, per ogni forma di credenza che si esprima in definizioni particolari – tutto questo è assolutamente sgradevole per gli uomini che per principio incoraggiano ogni forma di opinione religiosa…. – Il passo successivo è, quindi, la persecuzione della verità…. Nell’antica Roma c’era ogni sorta di confraternite sacre, ordini e società, e non so che altro; ma c’era una società che non poteva esistere, ed era la Chiesa del Dio vivente. In mezzo a questa tolleranza universale, c’era un‘eccezione fatta con la più perentoria esattezza, per escludere la verità e la Chiesa di Dio dal mondo. Ora, questo è ciò che deve inevitabilmente accadere di nuovo, perché la Chiesa di Dio è inflessibile nella missione che le è stata affidata. La Chiesa Cattolica non comprometterà mai una dottrina; non permetterà mai che due dottrine vengano insegnate all’interno del suo ambito; non obbedirà mai al governatore civile che si pronuncia su questioni che sono spirituali. La Chiesa Cattolica è obbligata dalla legge divina a subire il martirio piuttosto che compromettere una dottrina o obbedire alla legge del governatore civile che viola la coscienza; e più ancora, non è solo obbligata a offrire una disobbedienza passiva, che può essere fatta in un angolo, e quindi non individuata, e perché non individuata non punita; ma la Chiesa Cattolica non può tacere, non può zittire; non può smettere di predicare le dottrine della Rivelazione, non solo della Trinità e dell’Incarnazione, ma anche dei Sette Sacramenti, dell’infallibilità della Chiesa di Dio, della necessità dell’unità e della sovranità, sia spirituale che temporale, della Santa Sede; e poiché non tace, non può scendere a compromessi e non obbedisce in questioni che sono di sua prerogativa divina, per questo è sola nel mondo; perché non c’è un’altra Chiesa così chiamata, né alcuna comunità che si professi tale, che non si sottometta, non obbedisca e non taccia quando i governatori civili del mondo comandano… – I santi Padri che hanno scritto sull’argomento dell’Anticristo e delle profezie di Daniele, senza alcuna eccezione, per quanto ne so, e sono Padri sia dell’Oriente che dell’Occidente, della Chiesa greca e di quella latina, tutti all’unanimità, dicono che nell’ultima fine del mondo, durante il regno dell’Anticristo, il santo Sacrificio dell’altare cesserà. Nell’opera sulla fine del mondo, attribuita a Sant’Ippolito, dopo una lunga descrizione delle afflizioni degli ultimi giorni, leggiamo quanto segue: « Le Chiese si lamenteranno con un grande lamento, perché non si offriranno più oblazioni, né incenso, né culto gradito a Dio. Gli edifici sacri delle chiese saranno come tuguri; e il prezioso Corpo e il Sangue di Cristo non si manifesteranno in quei giorni; la liturgia sarà estinta; il canto dei salmi cesserà; la lettura della Sacra Scrittura non si udrà più. Ma ci saranno sugli uomini tenebre, e lutto su lutto, e sventura su sventura ». Allora, la Chiesa sarà dispersa, cacciata nel deserto e sarà per un certo tempo, come all’inizio, invisibile, nascosta in catacombe, in tane, in montagne, in luoghi nascosti; per un certo tempo sarà spazzata, per così dire, dalla faccia della terra. Questa è la testimonianza universale dei Padri dei primi secoli…. – Le società segrete hanno già da tempo minato e ammansito la società cristiana d’Europa, e in questo momento stanno lottando verso Roma, il centro di tutto l’ordine cristiano nel mondo. L’adempimento della profezia deve ancora venire; e ciò che abbiamo visto nelle due ali, lo vedremo anche al centro; e il grande esercito della Chiesa di Dio sarà, per un certo tempo, disperso. Sembrerà, per un po’, essere sconfitto ed il potere dei nemici della fede prevarrà per un po’. Il Sacrificio continuo sarà tolto e il santuario sarà distrutto…. Se volete comprendere questa profezia della desolazione, entrate in una chiesa: un tempo cattolica, dove ora non c’è segno di vita; sta vuota, non occupata, senza altare, senza tabernacolo, senza la presenza di Gesù… – E così arriviamo al terzo segno, l’abbattimento del “Principe della forza“, cioè dell’autorità divina della Chiesa, e in particolare di colui nella cui persona essa è incarnata, il Vicario di Gesù Cristo…. La detronizzazione del Vicario di Cristo è la detronizzazione della gerarchia della Chiesa universale ed il pubblico rifiuto della Presenza e del Regno di Gesù…. – La tendenza diretta di tutti gli eventi che vediamo in questo momento è chiaramente questa: rovesciare il culto cattolico in tutto il mondo. Già vediamo che ogni governo in Europa sta escludendo la religione dai suoi atti pubblici. I poteri civili si stanno dissacrando: il governo è senza religione; e se il governo è senza religione, l’educazione deve essere senza religione. Lo vediamo già in Germania e in Francia. È stato ripetutamente tentato in Inghilterra. Il risultato di tutto ciò non può essere altro che il ristabilimento della mera società naturale; vale a dire, i governi e le potenze del mondo, che per un certo periodo sono stati sottomessi dalla Chiesa di Dio alla fede nel Cristianesimo, all’obbedienza alle leggi di Dio e all’unità della Chiesa, dopo essersi rivoltati da essa e profanati, sono ricaduti nel loro stato naturale…. – Molti cadranno dalla loro fedeltà a Dio. E come avverrà questo? In primoluogo per paura, in parte per inganno, in parte per viltà, in parte perché non possono sostenere la verità impopolare di fronte alla falsità popolare; in parte perché l’opinione pubblica sprezzante, come in un paese come questo e in Francia, sottomette e spaventa a tal punto i Cattolici che non osano dichiarare i loro principi e, infine, non osano mantenerli…. La Parola di Dio ci dice che verso la fine dei tempi il potere di questo mondo diventerà così irresistibile e così trionfante che la Chiesa di Dio affonderà sotto la sua mano – che la Chiesa di Dio non riceverà più aiuto da imperatori, o re, o principi, o legislatori, o nazioni, o popoli, per opporre resistenza al potere e alla potenza del suo antagonista. Sarà privato della sua protezione. Sarà indebolito, sconfitto e prostrato e giacerà sanguinante ai piedi delle potenze di questo mondo. Sembra incredibile? Che cosa vediamo in questo momento? Guardate la Chiesa cattolica e romana in tutto il mondo. Quando mai è stata più simile al suo Capo divino nell’ora in cui è stato legato mani e piedi da coloro che lo hanno tradito? Guardate la Chiesa cattolica, ancora indipendente, fedele alla sua fiducia divina, eppure scacciata dalle nazioni del mondo; il Santo Padre, il Vicario del nostro Divino Signore, in questo momento deriso, disprezzato, tradito, abbandonato, derubato dei suoi, e persino coloro che lo avrebbero difeso uccisi. Quando mai, chiedo, la Chiesa di Dio è stata in una condizione più debole, in uno stato più debole agli occhi degli uomini e in questo ordine naturale, di quanto lo sia ora? E da dove, chiedo, arriverà la liberazione? C’è un potere sulla terra che possa intervenire? C’è qualche re, principe o potentato che abbia il potere di intervenire con la sua volontà o con la sua spada per proteggere la Chiesa? Nessuno; ed è previsto che sia così. Né dobbiamo desiderarlo, perché la volontà di Dio sembra essere diversa.  – Ma c’è una Potenza che distruggerà tutti gli antagonisti; c’è una Persona che abbatterà e ridurrà come la polvere dell’aia estiva tutti i nemici della Chiesa, perché è Lui che consumerà i suoi nemici “con lo Spirito della sua bocca” e li distruggerà “con lo splendore della sua venuta“. Sembra che il Figlio di Dio sia geloso che nessuno rivendichi la sua autorità. Egli ha reclamato la battaglia per sé; ha preso il calibro che gli è stato lanciato contro; e la profezia è chiara ed esplicita che l’ultimo abbattimento del male sarà suo; che non sarà compiuto da nessun uomo, ma dal Figlio di Dio; che tutte le nazioni del mondo sapranno che Lui, e solo Lui, è il Re, e che Lui, e solo Lui, è Dio…. – Gli scrittori della Chiesa ci dicono che negli ultimi giorni la città di Roma probabilmente diventerà apostata dalla Chiesa e dal Vicario di Gesù Cristo; e che Roma sarà nuovamente punita, perché se ne allontanerà; e il giudizio di Dio cadrà sul luogo da cui un tempo regnava sulle nazioni del mondo…. Roma apostaterà dalla fede, scaccerà il Vicario di Cristo e tornerà al suo antico paganesimo…. L’Anticristo e il movimento anticristiano hanno questi segni: primo, lo scisma dalla Chiesa di Dio; secondo, la negazione della sua voce divina e infallibile; terzo, la negazione dell’Incarnazione. È quindi il nemico diretto e mortale dell’unica Santa Chiesa cattolica e romana, l’unità da cui si è formato ogni scisma, l’unico organo della voce divina dello Spirito di Dio, il santuario dell’Incarnazione e del Sacrificio continuo.

[FINE DEGLI ESTRATTI]

Commento conclusivo

Senza dubbio sarete d’accordo che le spiegazioni del Cardinale Manning sulle profezie scritturali che si stavano svolgendo allora e si sono svolte in seguito, sono mozzafiato ed affascinanti, soprattutto perché possiamo riconoscere in esse molte cose che sono accadute in tempi recenti e che stanno effettivamente accadendo oggi. Quello a cui stiamo assistendo è una preparazione sempre più prossima all’avvento dell’Anticristo. – Si noti come il Cardinale Manning parli sempre del Papa, in quanto Vicario di Cristo e capo visibile della Chiesa, come diretto antagonista terreno dell’Anticristo – mai Sua Eminenza accenna all’idea assurda, sostenuta dalla maggior parte di coloro che oggi si definiscono “tradizionalisti cattolici”, che il Papa stesso sarebbe parte del problema, una sorta di “spalla” dell’Anticristo, come chiaramente è Francesco. Vediamo, quindi, ancora una volta, che la posizione popolare ma errata ed eretica della “Resistenza”, che riconosce Francesco come il vero Papa ma poi rifiuta la sua sottomissione e respinge i suoi insegnamenti e le sue leggi, è completamente estranea al pensiero cattolico, alla dottrina cattolica ed alla profezia cattolica. Questa è un’altra prova che i “Papi” del Vaticano II sono ciarlatani, non veri Vicari di Cristo, ma piuttosto strumenti di satana per detronizzare il vero Vicario di Cristo e impedire o “annichilire” il suo governo come è successo per SS. Gregorio XVII, ed oggi per il suo successore. – Quando il Cardinale Manning scrisse la sua monografia nel 1861, il movimento dell’apostasia era ancora agli inizi, relativamente parlando. Da allora, la Grande Apostasia non ha avuto una forza maggiore per avanzare del Concilio Vaticano II (1962-65) della Chiesa modernista. Nulla ha diffuso il naturalismo, l’eresia alla base di tutta la dottrina massonica, in modo più rapido ed efficace della richiesta di libertà religiosa del Concilio, che ha messo fine alle nazioni cattoliche (come la Spagna e la Colombia) e ha effettivamente richiesto la separazione tra Chiesa e Stato e la distruzione delle costituzioni cattoliche di questi Paesi, cosa che l’Antipapa Paolo VI fu fin troppo felice di imporre. Cristo Re, legittimo sovrano degli individui, delle società e delle nazioni, è stato detronizzato dal Vaticano II – un atto che dimostra che Paolo VI non era Pietro, ma Giuda, e che la Chiesa da lui guidata non era la Chiesa cattolica di nostro Signore Gesù Cristo, ma, per così dire, la Sinagoga di Anna e Caifa. – La persecuzione della vera Fede e della vera Chiesa da parte dei modernisti del Vaticano II ha avuto un grande successo, in quanto è stata accelerata non solo da ingannatori malintenzionati, ma anche da molte persone di buona volontà all’interno dei suoi ranghi che sono a loro volta vittime dell’inganno. Come abbiamo detto all’inizio, però, citando P. Faber, questo non fa che aumentare la tragedia e non cambi la natura o diminuisca la gravità del problema. – Nella sua introduzione a Il Papa e l’Anticristo, che consiste in una lettera da lui scritta al dottor John Henry Newman, il Cardinale Manning supplica: “Che Dio ci impedisca di partecipare anche solo con il silenzio alla persecuzione della Sua Chiesa!”. (p. 6). Ahimè, che abbiano buone intenzioni o meno, tutti coloro che riconoscono la Setta del Novus Ordo come Chiesa cattolica e il suo falso clero come legittime autorità cattoliche, e coloro che conoscono la verità ma la tacciono, partecipano alla persecuzione della vera Chiesa! Che tu, caro lettore, non sia uno di loro.

Ciò che abbiamo letto, anche se è davvero terribile, dovrebbe tuttavia darci grande conforto e speranza, e rafforzare la nostra fede. Le spiegazioni del Cardinale Manning sulla Grande Apostasia, la persecuzione, la Passione e l’apparente “Morte” della Chiesa – tutte queste cose confermano ciò di cui siamo testimoni oggi. Ciò significa che ciò che è accaduto dopo la morte di Papa Pio XII, di Gregorio XVII, e ciò che stiamo vivendo ora, non è una contraddizione del Piano divino, così come la crocifissione di nostro Signore non è stata una sconfitta della sua missione. Al contrario: è tutto parte della Volontà Divina, preludio necessario al suo compimento finale e completo. Ciò che stiamo subendo ora, in questo periodo di sconvolgimento e confusione ecclesiastica senza precedenti, non è un segno che le promesse di Dio siano fallite, ma piuttosto che le promesse di Dio si stiano realizzando. La profezia divina si sta realizzando proprio in questo momento. – Quindi, fatevi coraggio: Tutto sta andando, per così dire, secondo il piano – ma questo piano è la Via Crucis, come lo è stato per nostro Signore letteralmente, così ora per la Sua Chiesa misticamente. Non è bella da vedere ed è piena di grandi dolori ed umiliazioni, ma è la via – l’unica via – che ci condurrà alla gloria eterna.

UBI PAPA IBI ECCLESIA (2): “SE sATANA RIUSCISSE AD OSTACOLARE L’ELEZIONE PAPALE, LA CHIESA SOFFRIREBBE UN GRAN TRAVAGLIO”.

UBI PAPA, IBI ECCLESIA (3) “COSA PRENDERA’ L’ANTICRISTO COSI’ INGANNEVOLE”

UBI PAPA, IBI ECCLESIA (4): SANT’AGOSTINO DICE: “LA CHIESA NON APPARIRA’ DURANTE LA GRANDE TRIBOLAZIONE PRIMA DEL RITORNO DI CRISTO”.

UBI PAPA, IBI ECCLESIA (5): FULTON J. SHEEN “satana E LA CONTROCHIESA”

UBI PAPA, IBI ECCLESIA (6): “CONFLITTO TRA LA CHIESA E sATANA”.

UBI PAPA, IBI ECCLESIA (7): satana PERSEGUITERA’ IL PAPATO

“UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: SS. PIO XII – “REDEMPTORIS NOSTRI”

Il Santi Padre Pio XII interviene ancora nella questione palestinese cercando di mediare tra le opposte fazioni che si contendono quella terra ove si svolsero le vicende terrene del Salvatore del genere umano volte a stabilire un nuovo genere di vita umana con l’intervento della grazia divina che trasforma gli esseri umani della terra in esseri divinizzati per il Cielo. Quelle terre ancora oggi sono contese e lacerate sugli emissari del demonio che cercano di cancellare ogni traccia ed ogni testimonianza del passaggio terreno dell’uomo-Dio onde stabilire una condizione di aridità spirituale, anticamera ed ingresso del capo del loro corpo mistico infernale di prossima apparizione. Tutto si svolge nella totale indifferenza di un mondo narcotizzato da un paganesimo aberrante e complice dell’azione nefasta delle forze del male che portano avanti il loro progetto di distruzione di ogni elemento cristiano presente nel mondo, dopo aver stabilito una chiesa-scimmia ed un vicario di satana sul Trono di s. Pietro. Ma ascoltiamo la parola del Santo Padre che esorta alla pace ed alla convivenza di popoli tutti creati da Dio, loro Artefice e Padre in attesa del loro ritorno a Lui per godere di una eterna felicità promessa ai pacifici, ai miti, ai misericordiosi ed ai puri di cuore.

PIO XII

LETTERA

 REDEMPTORIS NOSTRI

ENCICLICA

I LUOGHI SANTI DELLA PALESTINA

La passione del nostro divin Redentore, che nei giorni di questa settimana santa si ripresenta come in una viva scena al nostro sguardo, richiama con intensa commozione la mente dei Cristiani a quella terra che, prescelta per divino consiglio a essere la patria terrena del Verbo incarnato, e testimone della sua vita e della sua morte, fu bagnata del suo sangue preziosissimo. – Ma quest’anno, al pio ricordo di quei luoghi santi, il Nostro animo è profondamente addolorato, per la loro critica ed incerta situazione. – Già nello scorso anno con due Nostre lettere encicliche, vi abbiamo caldamente esortato, venerabili fratelli, a indire pubbliche e solenni preghiere, per affrettare la cessazione del conflitto che insanguinava la terra santa, e ottenere una sua giusta sistemazione, che assicurasse piena libertà ai Cattolici, e la conservazione e tutela di quei sacri luoghi. – Poiché oggi le ostilità sono cessate, o per lo meno sono sospese, in seguito agli armistizi recentemente conclusi, Noi rendiamo ardentissime grazie all’Altissimo ed esprimiamo il Nostro sentito apprezzamento per l’opera di coloro che si sono nobilmente adoperati per la causa della pace. – Ma, con la sospensione delle ostilità, si è ancora lungi dallo stabilire effettivamente in Palestina la tranquillità e l’ordine. Infatti, giungono ancora a Noi i lamenti di chi giustamente deplora danni e profanazione di santuari e di sacre immagini, e distruzione di pacifiche dimore di comunità religiose. Ci giungono ancora le implorazioni di tanti e tanti profughi, di ogni età e condizione, costretti dalla recente guerra a vivere in esilio, sparsi in campi di concentramento, esposti alla fame, alle epidemie e ai pericoli di ogni genere. – Noi non ignoriamo quanto è stato generosamente compiuto da pubblici organismi e da iniziative private per alleviare la sorte di questa provatissima moltitudine; e Noi stessi, continuando l’opera di carità, intrapresa sin dall’inizio del Nostro pontificato, abbiamo fatto e facciamo quanto è possibile per sovvenire ai loro più urgenti bisogni. – Ma la situazione di questi profughi è così incerta e precaria, che non potrebbe protrarsi più a lungo. Mentre perciò esortiamo tutte le persone nobili e generose a soccorrere secondo le loro possibilità questi esuli, sofferenti e privi di tutto, rivolgiamo un caldo appello a coloro cui spetta provvedere, perché sia resa giustizia a quanti, costretti dal turbine della guerra a lasciare le loro case, non bramano che ricostituire in pace la loro vita. – Ciò che più ardentemente desidera il Nostro cuore e quello di tutti i Cattolici, specialmente in questi santi giorni, è che finalmente la pace torni a splendere su quella terra, dove visse e versò il suo sangue Colui che dai profeti fu annunziato come «il Principe della pace» (Is 9, 6) e dall’apostolo Paolo proclamato «la Pace» (cf. Ef 2, 14). – Questa pace, vera e duratura, Noi abbiamo ripetutamente invocato; e, per affrettarla e consolidarla, già dichiarammo nella Nostra lettera enciclica In multiplicibus « essere assai opportuno che per Gerusalemme e per i suoi dintorni – là dove si trovano i venerandi monumenti della vita e della morte del divin Redentore – sia stabilito un regime internazionale, che nelle attuali circostanze sembra il più adatto per la tutela di questi sacri monumenti ». – Ora non possiamo che rinnovare quella Nostra dichiarazione, che vuole essere anche invito ai fedeli di qualsiasi parte del mondo ad adoperarsi con ogni mezzo legale, affinché i loro governanti e tutti coloro ai quali spetta la decisione di così importante problema si persuadano a dare alla città santa e ai suoi dintorni una conveniente situazione giuridica, la cui stabilità, nelle presenti circostanze, può essere assicurata e garantita soltanto da una comune intesa delle nazioni amanti della pace e rispettose dei diritti altrui. Ma è inoltre necessario provvedere alla tutela di tutti i luoghi santi, che si trovano non solo in Gerusalemme e nelle sue vicinanze, ma anche in altre città e villaggi della Palestina. – Poiché non pochi di essi, in seguito alle vicende della recente guerra, sono stati esposti a gravi pericoli e hanno subìto danni notevoli, è necessario che quei luoghi, depositari di così grandi e venerabili memorie, fonte e nutrimento di pietà per ogni Cristiano, siano convenientemente protetti da uno statuto giuridico, garantito da una forma di accordo o di impegno internazionale. – Sappiamo quanto i Nostri figli desiderino di riprendere verso quella terra i tradizionali pellegrinaggi, che i quasi universali sconvolgimenti hanno da lungo tempo sospeso. E il desiderio dei Nostri figli si fa più ardente ora, nell’imminenza dell’anno santo; perché è naturale che in quel tempo i Cristiani sospirino di visitare quella regione, che fu spettatrice dei misteri della divina redenzione. Volesse il cielo che questo ardentissimo desiderio fosse presto esaudito! – Ma perché ciò si verifichi, bisogna che siano adottate tutte quelle misure che rendano possibile ai pellegrini di accedere liberamente ai vari santuari; compiervi senza alcun ostacolo pubbliche manifestazioni di pietà; soggiornarvi senza pericoli e senza preoccupazioni. Né vorremmo che i pellegrini dovessero provare il dolore di vedere quella terra profanata da luoghi di divertimento mondani e peccaminosi: il che recherebbe ingiuria al divin Redentore e offesa al sentimento cristiano. – Anche le molte istituzioni cattoliche, di cui è ricca la Palestina per la beneficenza, l’insegnamento e l’ospitalità dei pellegrini, dovranno, com’è loro diritto, poter continuare a svolgere, senza restrizioni, quella loro attività, con cui in passato si sono acquistate tante benemerenze. – Non possiamo, infine, non far presente la necessità che siano garantiti tutti quei diritti sui luoghi santi, che i cattolici già da molti secoli hanno acquistato, che hanno sempre decisamente e ripetutamente difeso, e che i Nostri predecessori hanno solennemente ed efficacemente affermato. – Queste sono, o venerabili fratelli, le cose sulle quali abbiamo creduto opportuno richiamare la vostra attenzione.  Esortate perciò i vostri fedeli a prendere sempre più a cuore le sorti della Palestina e a far presenti alle Autorità competenti i loro desideri e i loro diritti. Ma specialmente con una insistente preghiera implorino l’aiuto di Colui che guida gli uomini e le nazioni. Dio guardi benigno il mondo intero, ma specialmente quella terra, bagnata dal sangue del divin Redentore, affinché sopra gli odi e i rancori trionfi la carità di Cristo, che sola può essere apportatrice di tranquillità e di pace. – Intanto, in auspicio dei celesti favori e in attestato della Nostra benevolenza, impartiamo di tutto cuore a voi, venerabili fratelli, e ai vostri fedeli l’apostolica benedizione.

Roma, presso San Pietro, il 15 aprile, venerdì santo, dell’anno 1949, XI del Nostro pontificato.

PIO PP. XII

DOMENICA V “quæ superfruit” DOPO EPIFANIA (2023)

DOMENICA V “quæ superfuit” DOPO EPIFANIA – III. Novembris (2023)

Semidoppio. Paramenti verdi.

Nei Vangeli delle precedenti Domeniche dopo l’Epifania la divinità di Gesù Cristo appariva nei suoi miracoli; oggi essa si afferma nella sua dottrina che « riempì di ammirazione » i Giudei di Nazaret (Com.). Gesù è nostro Re (Vers., Intr., All.), perché accoglie nel suo regno non solo i Giudei, ma anche i Gentili. Chiamati per pura misericordia a far parte del Corpo mistico di Cristo, bisogna dunque che anche noi usiamo misericordia al prossimo, perché noi facciamo in Gesù una cosa sola con Lui (Ep.). Perciò bisogna esercitarsi nella pazienza; perché nel regno di Dio, qui sulla terra, ci sono buoni e cattivi, e solo verranno separati per sempre gli uni dagli altri solo quando Gesù verrà per giudicare gli uomini.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Jer XXIX :11; 12; 14

Dicit Dóminus: Ego cógito cogitatiónes pacis, et non afflictiónis: invocábitis me, et ego exáudiam vos: et redúcam captivitátem vestram de cunctis locis.

[Dice il Signore: Io ho pensieri di pace e non di afflizione: mi invocherete e io vi esaudirò: vi ricondurrò da tutti i luoghi in cui siete stati condotti.]


Ps LXXXIV: 2

Benedixísti, Dómine, terram tuam: avertísti captivitátem Jacob.

[Hai benedetta la tua terra, o Signore: hai distrutta la schiavitú di Giacobbe]

Dicit Dóminus: Ego cógito cogitatiónes pacis, et non afflictiónis: invocábitis me, et ego exáudiam vos: et redúcam captivitátem vestram de cunctis locis.

 [Dice il Signore: Io ho pensieri di pace e non di afflizione: mi invocherete e io vi esaudirò: vi ricondurrò da tutti i luoghi in cui siete stati condotti.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Famíliam tuam, quǽsumus, Dómine, contínua pietáte custódi: ut, quæ in sola spe grátiæ cœléstis innítitur, tua semper protectióne muniátur.

 [Custodisci, o Signore, Te ne preghiamo, la tua famiglia con una costante bontà, affinché essa, che si appoggia sull’unica speranza della grazia celeste, sia sempre munita della tua protezione.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Colossénses
Col III: 12-17

Fratres: Indúite vos sicut electi Dei, sancti et dilecti, víscera misericórdiæ, benignitátem, humilitátem, modéstiam, patiéntiam: supportántes ínvicem, et donántes vobismetípsis, si quis advérsus áliquem habet querélam: sicut et Dóminus donávit vobis, ita et vos. Super ómnia autem hæc caritátem habéte, quod est vínculum perfectionis: et pax Christi exsúltet in córdibus vestris, in qua et vocáti estis in uno córpore: et grati estóte. Verbum Christi hábitet in vobis abundánter, in omni sapiéntia, docéntes et commonéntes vosmetípsos psalmis, hymnis et cánticis spirituálibus, in grátia cantántes in córdibus vestris Deo. Omne, quodcúmque fácitis in verbo aut in ópere, ómnia in nómine Dómini Jesu Christi, grátias agéntes Deo et Patri per Jesum Christum, Dóminum nostrum.

[“Come eletti di Dio, santi e bene amati, vestite viscere di misericordia, benignità, umiltà, mitezza, pazienza, sopportandovi gli uni gli altri e perdonando, se alcuno ha querela contro di un altro; come il Signore ha perdonato a voi, voi pure così. Ma più di tutto vestite la carità, che è il vincolo della perfezione. E la pace di Cristo, alla quale foste chiamati in un sol corpo, regni nei vostri cuori e siate riconoscenti. La  parola di Cristo abiti riccamente in voi con ogni sapienza, istruendovi ed ammonendovi tra voi con salmi ed inni e cantici spirituali, cantando con la grazia nei cuori vostri a Dio. Quanto fate in parole ed opere, tutto fate nel nome del Signore Gesù Cristo, rendendo grazie a Dio Padre per lui „].

I SEGRETI DELLA CARITA’.

È uno dei tasti, questo della carità, che San Paolo batte più spesso e più volentieri. Nel che egli imita e persegue la tattica del Maestro divino Gesù. Pel Maestro la carità riassume la lettera della Legge e lo spirito dei Profeti: per il discepolo la carità è l’intreccio delle perfezioni. E la carità reciproca, pel discepolo come pel Maestro, deve spingersi, per essere carità fino al perdono. Se non arriva lì, se deliberatamente si ferma più in qua, non è carità: è un surrogato, una imitazione, una contraffazione, forse non è carità cristiana, carità vera. Sopportarci a vicenda dobbiamo, dice con grande senso della realtà vera, quotidiana della vita; sopportarci dobbiamo se vogliamo essere caritatevoli. La sopportazione concerne i nostri difetti, grazie ai quali ci si urta l’un l’altro. È una forma di pazienza necessaria, perché gli urti nella vita sono facili, anche indipendentemente dalla nostra volontà. Pensate che per uno può diventare difetto ciò che per un altro è pregio. La calma del flemmatico è di fastidio alla vivacità del temperamento impulsivo. Bisogna sopportarci per amare. La carità è viva a prezzo di pazienza. Perciò altrove San Paolo enumerando le qualità che la carità deve avere, pone in alto, in prima linea la pazienza: « Charitas patiens est ». – Ma non basta essere tolleranti dei difetti altrui, la carità esige da noi il perdono, la condonazione. Qui non si tratta più di difetti del prossimo, cioè di qualità altrui che spiacciono a noi. Non ci sono solo le vivacità che offendono la mia flemma, ci sono gli sgarbi veri e proprî che irritano la mia coscienza; umiliazioni che offendono la mia dignità, male parole che so di non meritare. Ci sono le offese meditate, calcolate, volute, gratuite, dannose. Provocano lo sdegno. L’istinto grida vendetta. E all’istinto fa eco un certo senso molto egoistico di giustizia. Vendetta? No, dice il Vangelo; no, dice Paolo in nome della carità, il programma nuovo del Cristianesimo: bisogna perdonare, condonare: « Sopportatevi l’un l’altro (sono le parole testuali dell’Apostolo nell’odierna Epistola) e condonatevi l’un l’altro, se avete motivo di lagnarvi ». Ma l’Apostolo dice anche il perché di questo precetto nuovo: ci insegna il segreto, la molla di questa virtù eroica. « Come Dio ha condonato a voi, così voi reciprocamente ». Terribile motivo, travolgente. Ogni giorno abbiamo bisogno del perdono di Dio, ogni giorno facciamo appello alla Sua misericordia, per ottenerla. «Perdonaci » gridiamo nella preghiera. « Dimitte nobis debita nostra ». Ma allora bisogna essere logici: non negare agli altri, ciò che si vuole, quasi si pretende per se stessi. E la preghiera quotidiana continua implacata ed implacabile: « Sicut et nos dimittimus debitoribus nostris ». Come anche noi perdoniamo, condoniamo a chi si è fatto, si è reso nostro debitore offendendoci iniquamente. Atto eroico, atto difficilissimo questo del perdono ai nostri offensori, meno difficile quando se ne considera la misteriosa e reale giustizia e, sempre sulla scorta di San Paolo, un frutto prezioso e provvidenziale la pace. La pace è il sospiro dell’anima umana; la pace è l’atmosfera normale della vita: la pace è l’atmosfera normale della vita e della gioia. La guerra stessa, che ha i suoi fanatici non vale se non in quanto serve alla pace. Non si fa la guerra per la guerra, si fa la guerra per la vittoriosa pace, la pace nella vittoria. Ma la pace, non è, non sarà mai l’epilogo della vendetta. La vendetta ha un meccanismo fatto a catena. Una violenza, una ingiustizia produce l’altra: « Abjssum invocat … ».Il tuo schiaffo genera, in linea vendicativa, il mio pugno, il mio pugno il tuo bastone, il tuo bastone la mia rivoltella e così fino all’infinito. Dove e quando la vendetta fu costume e legge, la pace fu un mito astratto, un desiderio pio, una invocazione vana. Questa catena maledetta ed infinita di rappresaglie la tronca il perdono. È un punto fermo, è un cambiamento di registro, e l’intimazione efficace di un basta colle lagrime e col sangue. Alle anime veramente caritatevoli, perché caritatevoli fino al perdono, Paolo annuncia, come ricompensa la pace di Cristo, pace lieta tripudiante. « Et pax Christi exultet in cordibus vestris. » Perché, fratelli se vogliamo la pace sappiamo come e dove procurarcela: Col perdono imparato alla scuola di Gesù Cristo. Carità, perdono, pace sono tre fili di una sola, magnifica, infrangibile corda.

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps XLIII:8-9
Liberásti nos, Dómine, ex affligéntibus nos: et eos, qui nos odérunt, confudísti.

[Ci liberasti da coloro che ci affliggevano, o Signore, e confondesti quelli che ci odiavano.]

V. In Deo laudábimur tota die, et in nómine tuo confitébimur in saecula. Allelúja, allelúja
.

[In Dio ci glorieremo tutto il giorno e celebreremo il suo nome in eterno. Allelúia, allelúia.]

Ps: CXXIX: 1-2
De profúndis clamávi ad te, Dómine: Dómine, exáudi oratiónem meam. Allelúja.

[Dal profondo Ti invoco, o Signore: o Signore, esaudisci la mia preghiera. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthǽum.
Matt XIII: 24-30

In illo témpore: Dixit Jesus turbis parábolam hanc: Símile factum est regnum cœlórum hómini, qui seminávit bonum semen in agro suo. Cum autem dormírent hómines, venit inimícus ejus, et superseminávit zizánia in médio trítici, et ábiit. Cum autem crevísset herba et fructum fecísset, tunc apparuérunt et zizánia. Accedéntes autem servi patrisfamílias, dixérunt ei: Dómine, nonne bonum semen seminásti in agro tuo? Unde ergo habet zizánia? Et ait illis: Inimícus homo hoc fecit. Servi autem dixérunt ei: Vis, imus, et collígimus ea? Et ait: Non: ne forte colligéntes zizánia eradicétis simul cum eis et tríticum. Sínite utráque créscere usque ad messem, et in témpore messis dicam messóribus: Collígite primum zizáania, et alligáte ea in fascículos ad comburéndum, tríticum autem congregáta in hórreum meum.

[“Gesù disse questa parabola: Il regno dei cieli è simile ad un uomo, che seminò seme buono nel suo campo. Ma mentre gli uomini dormivano, venne il suo nemico e soprasseminò zizzania nel mezzo del grano e se ne andò. E quando l’erba fu nata ed ebbe fatto frutto, apparvero anche le zizzanie. E i servi del padre di famiglia vennero a lui e gli dissero: Padrone, non seminasti tu buona semenza nel campo? Donde adunque le zizzanie? Ed egli disse loro: Un qualche nemico ha fatto ciò. Ed essi a lui: Vuoi dunque che andiamo a raccoglierla? Ma egli disse: No! perché talora, raccogliendo le zizzanie, insieme con esse non abbiate a svellere anche il grano. Lasciate crescere insieme le une e l’altro fino alla mietitura, e allora dirò ai mietitori: Raccogliete prima le zizzanie e legatele in fasci per bruciarle: il grano poi riponete nel mio granaio „ ].

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

LA ZIZZANIA NELLA VITA CRISTIANA

Aveva rivoltata in ogni senso la sua terra, l’aveva fatta passare con la zappa lotto per lotto scrutando i fili gialli della gramigna, l’aveva adeguata come un letto, e l’aveva seminata con la semente migliore. Ma poi, a primavera, quando il grano cominciò a ondeggiare sui solchi, si vide i servi tornare sbigottiti. « Padrone, il nostro campo è tutto una zizzania! non avevate sparso buon seme? ». Il Padrone comprese e gettò un lamento pieno d’amarezza: « È stato il mio nemico a rovinarmi! ». Mentre i suoi uomini dormivano placidi sonni, sognando abbondanti raccolti, l’uomo maligno era passato sopra i solchi, silenzioso e rapido come un uccello notturno, lasciando cadere a larghe manate la trista semente. « Aspettate! — aggiunse poi il Padrone — non ora è il tempo di strappare la zizzania, poiché svellereste anche il grano. Verrà la mietitura e allora sterperete tutta la zizzania e a fasci la getterete sul fuoco. Solo il buon grano troverà posto nel mio granaio ». – Tutto ciò che quel contadino aveva fatto per la sua terra, e molto più ancora, Dio ha fatto per l’anima nostra. L’ha creata bella della sua bellezza, splendida del suo splendore; l’ha irrigata col suo sangue preziosissimo; l’ha rinfrescata con la rugiada dei Sacramenti; l’ha seminata con un seme che dà frutti per la vita eterna. Se noi potessimo comprendere il valore d’un’anima in grazia! Se potessimo comprendere come anche le più piccole azioni, anche un bicchier d’acqua offerto all’ultimo povero, per la Grazia acquista un valore grandissimo! Certo non dormiremmo come quei contadini, ma giorno e notte staremmo vigili in mezzo al campo, perché l’uomo malefico non passi a gettare zizzania. Invece son troppi i Cristiani che sonnecchiano, che lasciano cadere invano il monito evangelico della vigilanza: il demonio passa e contamina ogni buon frutto con la sua zizzania. – Virgilio, grande poeta romano, ha descritto una favolosa scena, non priva di significato per noi. Un manipolo di eroi scampati dalla rovina della patria distrutta con fuoco e con ferro e con frode, dopo un doloroso viaggio, tocca le isole Strofadi. Lieti di poggiar piede su terra ferma, imbandiscono le mense: come tutto è preparato, ecco dalle rupi circostanti piombare a volo le Arpie, mostri schifosi e bavosi, a contaminare ogni vivanda ed ogni bevanda. Tutto è rovinato dal fetore e dal veleno. Gli eroi perseguitati devono fuggire altrove. Ma anche altrove, quando già le cosce dei capri e le coste dei buoi, rosolate allo spiedo, erano pronte per la loro fame, ecco il trepidare di ali terribili, improvvise, come folgori nere, le Arpie sono giù, con la bocca immonda deturpano ogni cibo; poi, lanciando grida malaugurose, spariscono nella convessa serenità del cielo. Invano quei profughi valorosi tenteranno la resistenza; dovranno tagliare le corde, levare le ancore, risolcare il dorso dell’acqua verso una terra fatale. – Proprio come le Arpie, così fanno i demoni, se appena possono, con i Cristiani. Vengono e cercano di rovinare ogni opera buona con la loro bava e la loro zizzania. E di zizzania contaminano la mente, il cuore, l’anima, tutte le azioni della giornata, così da renderle inservibili per la vita eterna. Le azioni che ogni uomo compie nel giro di un giorno sono, presso a poco, queste: la preghiera, il lavoro, il nutrimento, il riposo. Ora osserviamo come il nemico infernale faccia sopra questi campi la sua grama seminagione. – 1. NELLA PREGHIERA. Caino coltivava la terra, e soleva abbruciare in omaggio al Signore alcuni frutti de’ suoi campi. Ebbene, si legge che più d’una volta il fumo di quei sacrifici, invece d’elevarsi al cielo, cadeva subito pesantemente a terra in segno di riprovazione. Quel fumo è un’immagine della preghiera di molti Cristiani che gli Angeli non vogliono trasportare davanti al trono dell’Altissimo perché contaminata dalla zizzania diabolica. –  Zizzania del sonno. Ecco una famiglia buona che sta recitando il santo Rosario o la preghiera della sera. In un cantuccio c’è il padre che dorme, qualche figliuolo è già scappato a letto e la mamma è così stanca da non sapere a che mistero è giunta. Se invece della preghiera, ci fosse stato da chiacchierare con un amico, si tirava la mezzanotte e senza sonno. Oh com’è furbo il demonio! – Zizzania della distrazione. Ecco, quella buona persona è in Chiesa ad ascoltare la S. Messa; ma non è tutta in Chiesa: la sua mente è rimasta a casa in mezzo alle faccende, il suo cuore è lontano con quella persona. Ogni tanto s’accorge d’essere distratta, ma non si sforza di attendere al sublime mistero che si svolge all’altare. Le sue labbra si muovono a mormorare preghiere, ma la sua mente non sa quel che si dice. – Zizzania della sfiducia. Gesù passa vicino a molte anime e vi lascia cadere il seme di buone ispirazioni: « Prega di più, che ne hai bisogno ». Quelle anime si mettono a pregare. Ma poi passa il demonio e vi semina mille dubbi cattivi. « Che cosa hai guadagnato a pregare fin qui? guarda il tale come è felice, come si fa ricco, e non prega mai! Credi tu che Iddio abbia il buon tempo d’ascoltarti? se davvero ti sentisse, riceveresti delle grazie, invece non ne hai avuto nemmeno una ». E le anime ingannate diminuiscono le loro orazioni e si lasciano invadere dalla zizzania. Vigilate, Cristiani, perché il nemico non dorme. – 2. NEL LAVORO. S. Ignazio, passando accanto a una casa in costruzione, osservò un giovane muratore che lavorava con lena e lietamente: di quando in quando poi levava gli occhî in cielo e mormorava una giaculatoria senza che nessuno se n’accorgesse. « Vedete quel muratore? — disse il Santo ad alcuni suoi compagni — ad ogni mattone che immura aggiunge una gemma alla corona di gloria che l’aspetta in Paradiso ». Veramente non solo quell’operaio, ma tutti i lavoratori di qualsiasi lavoro dovrebbero con la loro fatica aumentare i loro meriti per il Cielo. Invece spesso si lasciano sorprendere dal demonio che anche in quest’ora semina la sua malvagia zizzania. Zizzania del demonio sono le bestemmie con cui tanti sciagurati operai condiscono la loro produzione. Zizzania del demonio sono gli inganni e le frodi con cui gli operai cercano di sfruttare i padroni, ed i padroni cercano di sfruttare gli operai; con cui compratori e venditori cercano di rovinarsi a vicenda. Zizzania del demonio è la cattiva intenzione con cui molti uomini lavorano: essi non accettano le fatiche dalle mani di Dio, ma dopo aver imprecato contro i ricchi che mangiano senza sudare, acconsentono a lavorare solo per arricchire. Quando giungeranno al letto di morte, infelici, che cosa avanzeranno di tanti sudori? Nulla o quasi, perché gli Angeli getteranno al fuoco troppe delle loro fatiche come zizzania in fascio. – 3. NEL NUTRIMENTO. Un Cristiano dei primi secoli ci ha descritto il modo con cui i fedeli compivano il dovere di sostentare col cibo la vita. « Nei nostri pasti non vi è nessun istinto di golosità; non ci si mette a tavola senza prima aver innalzato a Dio una preghiera; non si mangia più di quanto sia necessario per placare la fame; non si beve più di quanto convenga ad una persona che vuol vivere casta; si parla lietamente come uno che sa d’essere ascoltato da Dio. E dopo che tutti han finito, si accendono le lucerne e si cantano le lodi del Signore. Il pasto incominciato con la preghiera, con la preghiera finisce. Si esce dall’agape pieni della propria anima come allora che si era entrati: con modestia, con delicatezza. Par quasi d’essere stati a una scuola di virtù e non alla refezione » (TERTULLIANO). Dall’esempio offertoci da quei veri Cristiani, subito risaltano ai nostri occhi i difetti con cui il demonio contamina i nostri pasti. E se anche a nessuno di noi si potesse ripetere la minaccia del profeta Amos: « Guai a te che cerchi le vivande squisite e rare, e i vini deliziosi in abbondanza, e non ti curi di un popolo in miseria che muore di fame! »; tuttavia quant’altra zizzania il demonio semina furtivamente sulla mostra mensa! – E innanzi tutto, c’è una piccola preghiera prima e dopo i pasti? Siamo dunque tornati pagani? Abbiamo insegnato ai nostri figliuoli a farsi il segno della croce prima e dopo il nutrimento o lasciamo che mangino come le bestie? Anzi ci sono taluni che fan peggio delle bestie. Nessun animale privo di ragione mangia quando non ha fame e beve quando non ha sete; solo l’uomo si sforza di riempire un ventre già sazio, e di bere oltre ogni saturità fino a sentirsi male. Se poi si dovesse esaminare i discorsi che si fanno, mangiando o bevendo, specialmente negli alberghi e nelle osterie, risulterebbe che in questo campo ogni buon grano è inaridito e sola domina la zizzania del demonio. – 4. NEL RIPOSO. Anche il riposo è sacro e ce lo insegna il grande Operaio che dopo aver creato il mondo, al settimo giorno riposò. Tutto è sacro nella vita del Cristiano, ed ogni azione, anche umile e indifferente, se fatta bene fa guadagnare il Paradiso. E il demonio questo lo sa e perciò anche il riposo vuol contaminare. E ci riesce. Quante donne si lasciano guastare le ore di sollievo dalla mormorazione maligna, dalla calunnia.  Quante fanciulle sciupano le ore di sollievo nell’ozio, stando sulla pubblica via quasi in attesa delle tentazioni. Del resto, badate come si passa la Domenica, giorno di riposo, e vi accorgerete quanta zizzania il demonio vi ha buttato. Passeggiate al monte o al lago senza la Messa; partite di sport senza la dottrina; lunghe sere consumate a spettacoli scandalosi ed a balli impudichi; discorsi troppo liberi e spesso osceni, promiscuità delle persone di diverso sesso. « Inimicus homo fecit hoc! ». È il nemico eterno che, come una Arpia immonda, è calato giù a insozzare di peccati tutta la nostra vita. – Per quarant’anni, nel lume incerto della mattina, la gloria di Dio si manifestava agli ebrei peregrinanti nel deserto. Sopra i loro attendamenti nuvole bianche fluttuavano e coprivano la terra di un cibo misterioso simile a cosa pestata nel mortaio, o a brina sull’erba del prato. Tutti ne raccoglievano poiché era dolcissimo come il fior della farina impastato di miele. Era la manna.  Ma se qualcuno indugiava nella raccolta e si lasciava sorprendere dal calare del sole, ecco la manna brulicava di vermi e si squagliava. – Ogni giorno anche per noi il Signore fa piovere dal cielo abbondantissime grazie, le quali ci aiutano a compiere le opere buone che sono il cibo della vita eterna. Operamini non cibum qui perit sed qui permanet in vitam æternam (Giov., VI, 27). Ma  se le nostre opere, — la preghiera, il lavoro; il nutrimento, il riposo — le lasciamo contaminare dal calore del demonio, dal suo fuoco infernale, subito brulicheranno di vermi, e si squaglieranno. E noi avanzeremo, come il contadino della parabola, di aver lavorato e sudato tutta la vita per raccogliere fasci di amara zizzania. — UOMO NEMICO È LO SCANDALOSO. Forse, in tutto il Vecchio Testamento, non c’è un grido straziante come quello del patriarca Giacobbe quando gli riportarono a casa la tunica insanguinata del suo figliuolo Giuseppe. Egli, sbarrati gli occhi, la prese, la guardò, la riconobbe: « È la tunica. di mio figlio: una bestia feroce l’ha divorato » (Gen., XXXVII, 33). Questo è pure il grido che Gesù ripete davanti a tanti Cristiani: « Una bestia feroce l’ha divorato ». Vi è un uomo nemico che, come una bestia feroce, s’aggira a far strage di anime: l’uomo scandaloso. Che cosa è lo scandalo? Qualsiasi parola, qualsiasi azione che può indurre al peccato. Ed è anche contro lo scandalo che si può applicare la parabola che il Signore oggi ripete. Non quelli che uccidono il corpo bisogna temere, ma quelli che uccidono l’anima. Questi sono i veri nemici. È un assassino: Gioab, un ex-capo dell’esercito di Davide, era invidioso della crescente fortuna di Amasa presso il re. Si era vicino al paese di Gabaon e Amasa vedendo venire Gioab con alcuni soldati gli mosse incontro. Ma questi che vestiva una stretta tunica, nascondeva nella cintura una spada, fatta in modo che potesse, con un rapido movimento, uscir fuori dal fodero e colpire. Come furono vicini, Gioab esclamò: « Salute, o fratel mio! » E con la mano destra prese Amasa sotto il mento come per baciarlo. Amasa ingenuamente si lasciò baciare, e non fece attenzione alla spada che, in baleno Gioab estrasse e gli cacciò nel fianco. Alcuni uomini che sopraggiungevano trovarono in mezzo alla strada un cadavere con un fianco squarciato da cui usciva sangue e intestini (II Re, XX, 9-11). – Così; perfidi come Gioab sono gli uomini dello scandalo, si avvicinano col volto e col saluto di un amico, di un compagno, ma sotto gli abiti hanno l’arma fatale per massacrare l’anima. Triplice è la spada dello scandaloso: il cattivo esempio, la cattiva parola, il disprezzo del bene. a) Il mal esempio della moda, quante giovani ha trascinato verso l’abisso del male! Exempla trahunt. Soprattutto è disastroso il cattivo esempio dato da quelli che per età, per natura, per ufficio sono collocati più in alto. Se un padrone in bottega bestemmia, tutti gli operai diventano bestemmiatori. Se un adulto si permette una parola, un gesto; un’azione oscena, tra giovani, questi fatalmente si sentiranno attratti nel fango. E se il mal esempio è tra le mura domestiche, come si salverà la famiglia? Quando i figliuoli imparano dai genitori a non pregare, a mangiar di grasso nei giorni d’astinenza, a rubare, a litigare, a ubriacarsi, chi potrà poi richiamarli sulla strada buona? Exempla trahunt. b) Non solo l’esempio cattivo è uno scandalo, ma anche la parola cattiva, che scende nel profondo del cuore e vi si inficca come un dardo avvelenato. Eppure, nelle strade, sui treni, nelle osterie, nelle case, nell’officine specialmente, quante parole cattive! È l’uomo nemico che a larghe manate passa a seminare sul campo buono la zizzania della sua bocca. — « È inutile far tanta fatica: i peccati disonesti sono il minor male che può fare l’uomo e il Signore li compatisce volentieri. Forse che il paradiso è fatto per i Turchi? si salveranno egualmente; o tutti o nessuno ». –  « L’inferno è una favola che hanno inventato i nostri vecchi quando si pativa la fame, e i preti fanno il loro mestiere: son pagati per gridare ». « Non ho mai visto gente più fortunata di quella che sta alla larga dalla Chiesa: si fa come si vuole e si è più rispettati ». c) Tuttavia, più che con altro, si scandalizza il prossimo col disprezzo satanico della virtù. Quando il povero Giobbe, immiserito senza più figli che l’aiutassero, ammalato senza più un letto in cui adagiarsi, pregava continuamente e trovava conforto nella rassegnazione al volere di Dio, quella maligna di sua moglie, che non l’aveva nemmeno tollerato in casa, andava là a schernirlo: « Benedici Iddio, ma intanto crepa! » Benedic Deo et morere! (Iob., II, 9). Con la stessa malignità, gli scandalosi cercano di disprezzare la virtù del prossimo. Ora è un compagno che sibila all’orecchio d’un giovane buono: « Non hai vergogna d’andare ancora all’Oratorio alla tua età? ». Ora è una compagna d’ufficio o d’officina che istiga le altre a ridere del vestito decente e del contegno serio di una pia fanciulla: « Sembra già una monacuzza inacidita! Altre volte si deride un uomo per la sua giustizia: « Fatti scrupolo del quattrino, che gli altri, senza sudare, fanno affari d’oro! ». E quante volte non si arriva fino a deridere la donna in ciò che ha di più glorioso, mettendola alla berlina perché Dio le ha concesso una numerosa figliolanza! Peccati di scandalo sono questi, o Cristiani! Né vale dire che si ha riguardo per non farsi vedere né sentire dai piccoli: quasi che quelli degli adulti non fossero peccati. E neppure vale la scusa di certuni: « io non intendevo rovinare gli altri, ma solo divertirmi ». Non importa: voi siete scandalosi, voi siete assassini delle anime. Meglio per voi se non foste nati mai! Meglio per voi, se appesa al collo una macina da mulino, foste precipitati in fondo al mare! – 2. È UN DEMONIO. Gesù ascendeva a Gerusalemme tristemente, parlando della sua passione vicina, della sua morte in croce. S. Pietro allora cominciò a sgridare il Maestro, dicendo: Questo non avverrà mail! Gesù allora voltandosi all’Apostolo gli disse una terribile parola: « Sta via da me, satana: tu mi sei di scandalo » (Mt., XVI, 23). S. Pietro non voleva indurre Gesù a peccato, ma solo ritrarlo dal bene che agli uomini sarebbe derivato dalla passione, eppure Gesù lo chiama satana. Non è dunque un’esagerazione dire che lo scandaloso è un demonio. – Il demonio odia Iddio e vuole la rovina eterna delle anime: ma egli è uno spirito e non può parlare: e non può agire visibilmente, ed allora al suo fine perverso si serve degli scandalosi come di istrumenti del suo mestiere. – Sansone adirato contro i Filistei ricorse ad uno stratagemma. Si era ai giorni della mietitura: le biade pallide e le spighe d’oro riempivano i campi, e qua e là già si rizzava qualche buca. Sansone prese trecento volpi, le legò a due a due per la coda e nel mezzo vi mise una torcia. Poi diede il fuoco, e sfrenò le bestie ardenti nei campi di biada e di frumento. Subito per la regione dei Filistei si destò un incendio immenso: ardeva tutta la terra con la paglia non ancora falciata e con quella già ammassata (Giudici, XV, 4-5). – Il demonio fa come Sansone: egli vuole far strage fra i Cristiani. E prende gli scandalosi e li incendia del suo fuoco infernale e poi li lancia, come volpi, ad abbruciare con le passioni ed il male le anime dei buoni. L’uomo che dà scandalo è dunque una volpe che già brucia. E forse era questa immagine che aveva in mente Gesù quando disse che lo scandaloso Erode era una volpe. Ite et dicite vulpi illi (Luc., XIII, 32). Ma guai all’uomo da cui venne lo scandalo! Quando Caino ebbe ucciso Abele, dalla terra insanguinata cominciò a salire al cielo un grido di vendetta (Gen., IV, 10). Ebbene, ogni volta che viene rovinata un’anima, il medesimo grido riprende a risuonare in cielo. E lo udrà anche lo scandaloso quando comparirà al tribunale di Dio per essere giudicato. Vox sanguinis fratris tui clamavi ad me de terra. Sarà la voce dell’anima discesa in inferno per colpa sua. Saranno le voci di tutte quelle anime a cui a poco a poco si è propagato il suo scandalo sulla terra. Sarà la voce della Vergine, la voce dei Santi, la voce degli Angeli. Sarà infine la voce stessa di Cristo che griderà: « Io ho dato tutta la vita e tutto il sangue per le anime e tu me le hai rovinate. Va via da me, o demonio! ». Vade post me, satana. Mosè fuggiasco arrivò alla regione di Madian, e ansimando sedette accanto ad un pozzo. Ed ecco vennero le sette figlie del sacerdote di Madian ad attingere acqua. Poi che ebbero riempito i canali per abbeverar il gregge, sopraggiunsero dei pastori che volevano scacciarle e fare ingiuria a loro. Mosè si rizzò, ed energicamente difese le figlie di Iethro, sacerdote di Madian. Quando le fanciulle giunsero a casa raccontarono tutto al padre, che disse: « Dov’è quell’uomo? Perché lo avete lasciato partire? Chiamatelo in casa, che mangi il nostro pane ». – Le anime; le figliuole di Cristo eterno sacerdote, sono nel mondo ingiuriate e minacciate dagli scandalosi. Insorgiamo anche noi, come Mosè, a difenderle. Difendiamo gli innocenti dalle bestemmie, dai cinematografi osceni, dal malo esempio! Difendiamo la gioventù dalla moda invereconda; dalle letture e dalle illustrazioni pornografiche, dai balli! Non dobbiamo avere nessun rispetto umano a protestare, ad impedire il male: è nostro dovere. Quando le anime da noi salvate entreranno in Paradiso, Iddio anche di noi dirà: « Dov’è quell’uomo? Perché lo avete lasciato partire? Aprite a lui la porta del cielo, ch’egli entri e goda del nostro godimento ».

IL CREDO

Offertorium

Ps CXXIX: 1-2

De profúndis clamávi ad te, Dómine: Dómine, exáudi oratiónem meam: de profúndis clamávi ad te, Dómine.

[Dal profondo Ti invoco, o Signore: o Signore, esaudisci la mia preghiera: dal profondo Ti invoco, o Signore.]

Secreta

Hóstias tibi, Dómine, placatiónis offérimus: ut et delícta nostra miserátus absólvas, et nutántia corda tu dírigas.

[Ti offriamo, o Signore, ostie di propiziazione, affinché, mosso a pietà, perdoni i nostri peccati e diriga i nostri incerti cuori.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de sanctissima Trinitate
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in uníus singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua glória, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretiónis sentímus. Ut in confessióne veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, et in esséntia únitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamáre quotídie, una voce dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: che col Figlio tuo unigénito e con lo Spirito Santo, sei un Dio solo ed un solo Signore, non nella singolarità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Cosí che quanto per tua rivelazione crediamo della tua gloria, il medesimo sentiamo, senza distinzione, e di tuo Figlio e dello Spirito Santo. Affinché nella professione della vera e sempiterna Divinità, si adori: e la proprietà nelle persone e l’unità nell’essenza e l’uguaglianza nella maestà. La quale lodano gli Angeli e gli Arcangeli, i Cherubini e i Serafini, che non cessano ogni giorno di acclamare, dicendo ad una voce:]

Sanctus,

Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis
Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.

V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio


Marc XI:24

Amen, dico vobis, quidquid orántes pétitis, crédite, quia accipiétis, et fiet vobis.

[In verità vi dico: tutto quello che domandate, credete di ottenerlo e vi sarà dato.]

Postcommunio

Quǽsumus, omnípotens Deus: ut illíus salutáris capiámus efféctum, cujus per hæc mystéria pignus accépimus.

[Ti preghiamo, onnipotente Iddio: affinché otteniamo l’effetto di quella salvezza, della quale, per mezzo di questi misteri, abbiamo ricevuto il pegno.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (277)

LO SCUDO DELLA FEDE (277)

P. Secondo FRANCO, D.C.D.G.,

Risposte popolari alle OBIEZIONI PIU’ COMUNI contro la RELIGIONE (19)

4° Ediz., ROMA coi tipi della CIVILTA’ CATTOLICA, 1864.

CAPO XX.

VITA AVVENIRE

I. Morti noi, è finito tutto. II. Non è mai venuto nessuno dall’altro mondo.

A rovesciare tutta la religione, anzi pure tutte le virtù umane, nulla è così orribilmente efficace come l’indebolimento della fede intorno alla vita avvenire. Imperocché la speranza del premio anima ed accende soprattutto le anime generose, e poco men che loro non mette le ali al fianco, ed il timore di un gastigo, per ogni canto formidabilissimo, non può non raffrenare l’audacia di chi vuole commettere il male. Gli è perciò, che quelli, che al tutto vogliono gittarsi in braccio alle loro passioni, hanno trovato certi assimili, che loro vengano in aiuto.

I. Morti noi, è finito tutto: ecco il primo di essi. Ora che cos’è a rispondere? Io prego il lettore cortese a porvi ben mente. Se noi non fossimo per gran mercè divina fatti cristiani, ed ancora giacessimo nelle ombre della morte, siccome erano i nostri padri gentili e tuttora sono tanti poveri selvaggi nell’Oceania o nelle Indie, se fossimo ancora, dico, in questa condizione, tuttavia sarebbe un errore intollerabile. Imperocché, delle tante sette ed errori, e religioni false e bugiarde, che vi furono e che vi sono al mondo, se voi ne eccettuate alcuni pochi epicurei, niuna, per quanto stupida ed abbrutita, mai vi fu che non tenesse come indubitata una vita avvenire, nella quale le anime avessero un premio od una pena, proporzionata al modo che avevano tenuto o buono o reo nell’operare. Voi potete raccogliere questa verità dalle storie, le quali tutte vi fan sapere che ogni popolo ha ammesso un inferno ed un paradiso: poniamo pure che immersi in errori folli fingessero un paradiso di voluttà non convenevoli, un inferno di pene arbitrarie. I poeti più celebri dell’antichità, i filosofi più assennati, in ciò convengono coi codici religiosi di tutte le nazioni. Virgilio, tuttoché gentile, descriveva in mezzo a Roma pagana l’inferno, lo descrivevano gli Indiani, i Cinesi, i Persiani, gli Egizii, e quante sono le nazioni della terra, e tutti partono da questo principio, e tutti in questo risolvono la gran quistione della vita. Ora, in qual modo hanno fatto tutti i popoli a formare questo giudizio? Vi basterebbe l’animo di condannare tutti gli uomini, e grandi e piccoli, e dotti ed ignoranti, piuttostoché condannare alcuni pochi interessati nella gran causa di negare una vita futura,.per non doverla temere infelice? Se si dovesse risolvere questa causa a ragione di testimonianze e quanto al numero e quanto alla qualità, ognun vede che morti noi, è finito tutto sarebbe presto sentenziato. Eppure, oh con quanta efficacia il mondo intero ha testificato il suo sentimento intorno alla vita futura! Niuno dirà, che gli uomini vogliono burlare e ridere anche presso le tombe. Il dolore di chi perde i suoi cari, lo stato pieno di miserie a cui si riducono i nostri corpi, ne toglie perfino l’ombra della possibilità. Ora, cosa fanno gli uomini coi loro defunti, presso tutte le nazioni? La riverenza in che li tengono, le espiazioni che fanno per le anime, i riti, le cerimonie e perfino le superstizioni che si praticano a loro riguardo, tutte dimostrano che si crede che esse non solo abbiano un’altra vita, ma che perfino possano ritrarre vantaggio da quello che noi facciamo per loro. Sarebbe lungo l’esporre tutte ed anche inutile, poichè niuno, che abbia anche un poco sfiorate le storie, può dubitarne. Il perchè è a dire o che tutte le nazioni sono in errore, o che morti noi, non è finito tutto. – Sebbene senza cercarne ragioni fuori di noi, in noi stessi abbiamo le prove che non finisce tutto finiti noi. Imperocché che cosa è quel desiderio in fondo a tutti i cuori di una immortalità beata? Al vedere che è sì universale, sì costante, non possiamo non riconoscere che ci è stampato nell’animo per mano di natura. Ora, che è altro la man di natura, se non la mano di Dio? E la mano di Dio, il quale poteva non scolpircelo, ce l’avrà scolpito appunto per ingannarci, anzi per illudere tutte le umane generazioni? No, non può essere. Una sapienza infinita non opera a caso, non imprime un desiderio che non debba avere effetto. Non è dunque un vano sentimento quello dell’immortalità. Similmente il timore delle pene dell’altra vita chi l’ha scolpito nel cuore degli uomini? Perché temono i peccatori all’appressarsi della morte? Perché questo palpito ancora nei Gentili, se non perché tutti sentono che non tanto si approssimano alla morte, quanto alla sentenza di un Giudice, il quale chiederà conto di quello che si è operato in vita? Al sentimento universale di natura si aggiunge quello che si ritrae dallo stesso Dio per confermarlo. Chiunque riconosce che Dio esiste, non può non riconoscere anche che Dio sia giusto, che Dio sia buono, che Dio sia provvido, che sia misericordioso. Un Dio che non fosse tale, non sarebbe più Dio; e se già altri non giunge alla forsennatezza di negare l’esistenza divina, bisogna che ammetta la giustizia, la provvidenza, la bontà, la misericordia nella divinità: ma ciò è lo stesso che riconoscere l’esistenza della vita futura. Imperocché chi non vede che qui sulla terra Iddio pei suoi altissimi fini, e soprattutto per esperimentare la nostra fedeltà, non vuole dare ai buoni il meritato compenso, né ai cattivi il meritato castigo? Se ne lagnano talora perfino i Santi, che l’empio sopraffà il buono, che il prepotente opprime il debole, che il ricco divora il povero, che l’iniquo prospera colle sue macchinazioni, colle sue trame, colle sue iniquità: ed al contrario che il giusto soccombe, che se ne giace tra le lagrime ed il dolore, vittima di chi l’opprime, lo diserta, lo schianta. Ora tutto ciò perché è tollerato da Dio? Unicamente perché quale oppressione debba valere a prova di fedeltà, ad esercizio di virtù momentaneo, e a discernere i buoni dai cattivi: ma poi un Dio buono non può non compensare con larga retribuzione i buoni, non può non punire con giusta severità i cattivi. Il perché debbe esservi un’altra vita, dove tutto ciò si faccia e si faccia con ogni santità, giustizia, misericordia, bontà. Quanto sono necessarie in Dio le divine perfezioni, altrettanto è necessaria la vita avvenire, ed altrettanto è falso che morti noi, è finito tutto. E di qui anzi si trae un’altra ragione efficacissima contro quell’empio assioma. Se non vi fosse un’altra vita, in cui si rendesse giustizia, avrebbero ragione tutti quelli, i quali vivono più perdutamente, che sfiorano tutte le delizie della terra, tutti i piaceri della carne, e che cogli empii, di cui si parla nella Sapienza, non pensano ad altro che a coronarsi di rose, ad inebriarsi di vini, a profumarsi di unguenti, a tuffare il labbro nel calice di tutti i diletti. Avrebbero ragione eziandio quelli, i quali colla prepotenza, coi soprusi, colle soperchierie e perfino colle violenze, colle rapine, cogli ammazzamenti si procacciano i beni del mondo: imperocché come il mondo è per lo più di quelli, i quali se lo usurpano, se non vi ha nulla da temere nella vita avvenire, nulla a sperare, perché non godere almeno qui sulla terra quello che si può godere, e goderlo a qualunque costo? Anche il nome di virtù e di vizio scompare dalla terra se non vi è vita avvenire. Imperocché la virtù costa grandi travagli, il vizio al contrario è sommamente consentaneo alla nostra guasta natura. Se tutto il nostro vivere si limita qui alla terra, se la virtù non porta immensi e preziosissimi frutti per l’eternità, ed al contrario se il vizio non produce lagrime inconsolabili nell’altra vita, qual motivo di praticare quella e di guardarsi da questo con tanta fatica e con tanta inutilità? Il perché se morti noi, è finito tutto, bisogna dire che Dio abbia creati gli uomini non pel bene ma solo pel male; che in loro non abbia posto ordine di alcuna sorta, ma lasciatili in balia del caso; che a Lui non importi né di vizio nè di virtù; che sia lo stesso ai suoi occhi chi immola tutta la sua vita nei più eroici sacrifizii e chi la logora nei più immani delitti: bisogna dire che Dio non sia provvido, né giusto, né buono: in una parola, che non sia Dio: ed ecco in che ricade finalmente quel mostruoso assioma che morti noi, è finito tutto. E con tutto ciò fin qui voi l’avete considerato anche prescindendo dalla fede cristiana; ma se voi lo ponete sul labbro di un Cattolico, quel detto vi comparirà in una orridezza, se è possibile, anco maggiore; poiché è una formale negazione di tutto il Cristianesimo. Di grazia, non tacciate di esagerata questa proposizione prima di averla intesa. Che cosa è il Cristianesimo? È una religione che, non ammessa la vita avvenire, non è più altro che un ammasso di assurdi, di sciocchezze, di falsità. I beni che ci promette sono beni spirituali da non potersi conseguire in questa vita. Un regno di beatitudine, gaudii smisurati, possessione beatifica di Dio, cose grandi in eccesso, ma tutte per la vita avvenire, tutte per l’eternità. Se morti noi, è finito tutto, che cosa addivengono quelle promesse che sono il grande scopo della Religione cristiana? I castighi minacciati dalla legge cristiana sono principalmente, per non dire quasi unicamente, le pene smisurate del fuoco, dello stridore dei denti, del verme delle coscienze e della privazione di Dio in fondo all’inferno: ma tutto ciò è nella vita avvenire. Se non vi è vita avvenire, non vi è più castigo di sorta; e che cosa si debbono stimare tutte quelle minacce? Il Cristianesimo nei dogmi che propone a credere, nella vita che obbliga a condurre, è tutto stabilito sulla fede nella vita avvenire. Cardine e fondamento di tutta la nostra fede, come a lungo discorre san Paolo, è la risurrezione di Gesù e la vita che egli mena gloriosa in cielo, esemplare della nostra futura risurrezione e della vita che meneremo un giorno con Lui.. E perciò ci propone la nostra fede a credere esplicitamente la vita eterna. Se morti noi, è finito tutto, dov’è l’eternità della vita, se non vi è pure la vita? La perfezione che il Cristianesimo apportò sulla terra, consiste in ciò principalmente, che, in vista dei beni futuri, noi dispregiamo i presenti, in vista dello spirituale ed eterno noi non curiamo il sensibile ed il temporale: ma senza la vita eterna ognun vede che tutte le speranze che la fede ci dà, altro non sono che illusioni ed inganni. – Tutte le virtù cristiane ci portano o a disprezzare i beni esteriori, od a contrastare le lusinghe del senso, od a frenare le esorbitanze del nostro spirito: ma tutto ciò senza il compenso della vita eterna non ha punto significato. Imperocché, che cosa direste voi di chi vi togliesse tutto quello che avete qui tra mano, la casa, l’argento, le suppellettili, le sostanze, sulla promessa che egli vi porrà in un paese amenissimo, in un palagio riccamente fornito; se poi né questo paese, né questo palagío esistessero? Sarebbe costui un traditore, che vi ha levato il presente che possedevate, in vista di quello, che non può darvi. Lo stesso potreste dire di Gesù, il quale con le virtù che vi comanda, vi spoglierebbe dei beni esterni, dei diletti del corpo, delle soddisfazioni dello spirito, promettendovi gran soprabbondanza di beni nell’altra vita, senza tuttavia potervi mantenere nulla di quello che vi promette, perché, nel supposto di costoro, non vi sarebbe neppure altra vita. – Inoltre, tutta la certezza della santa fede dove andrebbe a finire? Noi non crediamo alla fede senza motivi saldissimi e potentissime ragioni che a ciò ci spingono. Le abbiamo in altro luogo accennate, e sono prove storiche di fatto, prove di ragione, prove di esperienza. Concorrono a raffermarci nella fede le voci di Dio, colle profezie, coi miracoli e i martirii e colla propagazione e col mantenimento prodigioso della Religione. Vi concorrono i pii grandi uomini della terra col loro consenso ed autorità e profondi ragionamenti. Vi concorre perfino l’inferno col suo furore e col riconoscere visibilmente la potenza del Cristianesimo. Tantoché fu ben detto nella Scrittura, che le testimonianze, che Dio ci ha dato in tal proposito, non solo sono bastevoli, ma sono perfino soverchie: Testimonia tua credibilia facta sunt nimis. Ma tutte queste testimonianze ché mettono fuori di ogni dubbio la nostra fede, che cosa testificano principalmente? La vita avvenire; poiché la vita avvenire nel cielo è quella che ci propongono ad acquistare. Per la vita avvenire è fondata la santa Chiesa, la quale combatte in questa terra solo per trionfare nella Gerusalemme celeste. I Sacramenti sono tutti stabiliti, come altrettanti mezzi per giungere alla vita avvenire. – Nell’orazione principalmente chiediamo la vita avvenire. Ora se morti noi, è finito tutto, come dicono gli empii, bisogna dunque rinnegare tutta la fede, la Chiesa, i Sacramenti, le preghiere, tutto il Cristianesimo, e condannare i Martiri, i Profeti, gli Apostoli ed i Dottori, come quelli che, d’accordo tutti insieme, ci hanno ingannato. Io non dubito che ad un lettore assennato, non dico Cattolico, farà qualche orrore il gettarsi in sì grande abisso: eppure vi si precipita chiunque dice da senno quell’empia parola. – Del resto, l’hanno creduta vera poi almeno quelli che l’hanno inventata? Nulla meno. Lo stesso Voltaire, il quale tanto faceva per persuadersi che non vi era né paradiso, né inferno, per non essere obbligato a sperar quello, od a temere questo, mai non vi pervenne. Imperocché scrivendogli una volta uno dei suoi amici scellerati, che finalmente eragli riuscito di levarsi la paura dell’inferno, egli, con quel sarcasmo suo consueto, per mostrargli che non gliel credeva, “voi, gli rispose, siete più fortunato di me, perché a me non è ancora riuscito.” E quello che disse in vita, lo disse in morte, quando mandò cercando il confessore, sebbene, per giusto giudizio di Dio, noi potesse avere. E similmente operarono molti di quei più famosi increduli, i quali, presso alla morte, tanto credettero all’eterna vita, che vollero per questo riconciliarsi con Dio. Un solo mezzo vi ha per poter morire freddamente senza timore dell’avvenire: aver congiunto ad un’estrema malizia un’ignoranza estrema, per tutto il corso della vita, di tutto quello che è, non dico Cristianesimo, ma pure sentimento religioso. Vegga, dunque, ognuno quello che dice, quando ripete quella mostruosa parola.

II. L’altro assioma è: Ma non è venuto niuno dall’altro mondo a dirci come colà vadano le cose. Chi ha inteso quello che abbiamo detto di sopra, non ha più bisogno di risposta speciale a questo nuovo detto; tuttavia, facciamoci sopra qualche osservazione. Niuno è mai venuto dall’altro mondo. Sia pure. E dunque non avremo più modo di sapere le cose, se non venga qualcuno dall’altro mondo a dircele? E che? Non abbiamo noi che siamo in questo mondo la ragione, la quale ci discopre molte cose che non cadono sotto i sensi, e che non ci sono testificate da altri uomini? – Se non volete credere ad altro che agli occhi vostri corporei, vi converrà rinunziare a tutte le verità che si deducono per raziocinio. Poffare! Si è studiata tanta filosofia ai nostri tempi, che ci fanno da filosofi fino i putti che frequentano la metodica, e poi si discrede a quello che si deduce per raziocinio! Perché dunque credete che due e due fanno quattro, e che dieci aggiunti a dieci fan venti? Chi è venuto dall’altro mondo a dirvelo? Oh per questo basta il raziocinio. Sì. E non basta il raziocinio per capire che Dio è giusto, e che se è giusto bisogna che punisca i malvagi e premii i buoni? Che non facendolo in questa vita, l’ha da fare in un’altra? Non basta il raziocinio per dedurre che se vi ha un Dio, vi vuole una religione; che se un Dio l’ha rivelata, bisogna crederla; che se ha operato miracoli di ogni fatta in favore del Cristianesimo, questo dev’esser vero, ed andate dicendo, di altre innumerabili verità? Che se si tratta di quelle verità, le quali sorpassano il raziocinio e che appartengono alla santa fede, è egli vero Che niuno sia venuto dall’altro mondo a dircele? I Profeti non ci hanno prenunziato l’avvenire, ispirati da chi era all’altro mondo? Il Figliuolo di Dio non era forse in tutta l’eternità in seno del Padre, e fattosi uomo, non è venuto ad annunciarci quello che Egli ivi aveva appreso? Gli Apostoli nun l’hanno inteso dalla bocca di Lui? Non ha parlato con loro e prima e dopo la risurrezione? I santi Vangeli non sono forse la parola di chi è venuto a bella posta dall’altro mondo per ammaestrarci? Il maestro adunque vi è, ed è autorevole, ed è efficace, ed è un Dio: e la ragione bene impiegata basta a convincerne che esso è tale: che senso adunque hanno quelle parole: Niuno è venuto dall’altro mondo? Inoltre, se quel detto diventasse la regola dell’operare umano, basterebbe a piombare un uomo nel baratro della più mostruosa ignoranza e del più stupido abbrutinamento, che mai siasi potuto immaginare. Imperocchè che cosa sonerebbe in pratica? Che tutto quello che riguarda la religione è tutto incerto, e tutto si può trascurare senza alcun danno. Per niun altro fine si adopera quel detto, almeno da chi l’intende. Ora che cosa è questo se non proclamare che non vi ha verità religiosa, e quindi non vi ha verità morale? Se la verità religiosa è dubbia, è come se non fosse. Gli uomini già ricalcitrano, già si ribellano alle leggi certe, alle leggi anche solennemente promulgate e con rigor mantenute: pensate se sarebbero disposti a sottoporsi a leggi dubbiose ed a leggi incerte. – Le verità religiose poi, le cristiane soprattutto, impongono pesi all’inferma nostra natura non così agevoli a sostenersi; il perché coll’interesse che hanno le passioni a scuoterle, dove esse fossero già dubbie in sé medesime, non ne rimarrebbe più nulla in piedi. Quindi è che il proclamare che nessuno è venuto dall’altro mondo torna in pratica a dire: che siamo sciolti da ogni legge umana e divina, che ognun faccia quel che meglio gli piace, e che, vissuti questi pochi giorni e goduto il più che si possa il mondo, ritorneremo nel nulla donde fummo cavati. Gran che! Iddio ha innalzati gli uomini fino a renderli di poco inferiori agli Angeli; eppure ve n’ha di quelli che troverebbero ogni lor delizia nell’essere pari ai ciacchi! Convien dire che chi aspira ad un vanto sì nobile, ne riconosca in sè le qualità: ma voi, lettore assennato, sapendo che le verità che noi crediamo sono state pubblicate da Colui che era in seno del Padre, non vi commovete a queste voci di aspide e di serpente.

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XX)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XX)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

SECONDA PARTE DEL CATECHISMO:

MORALE (11).

V. COMANDAMENTO DI DIO.

Il 5° comandamento di Dio ci proibisce di attaccare la nostra vita e quella dei nostri prossimi, e la crudeltà verso gli animali.

I. I NOSTRI DOVERI VERSO LA NOSTRA VITA.

Il corpo è l’oggetto delle più belle cerimonie della Chiesa nell’amministrazione dei Sacramenti, con cui la Chiesa vuole ispirarci un grande rispetto per il nostro corpo e farci capire il suo valore e la sua dignità.

1. LA SALUTE E LA VITA DEL CORPO SONO DI GRANDE VALORE PER LA VITA DELL’ANIMA E DELLA ETERNA SALVEZZA.

Il corpo è la dimora creata da Dio per l’anima immortale; lo stato del corpo dipende spesso da quello dell’anima.

Il corpo fatto di limo era all’inizio una dimora disabitata: Dio ha creato allora l’anima per farla abitare. S. Paolo chiamava il suo corpo una tenda che presto sarebbe stato costretto a lasciare. L’anima è dunque l’abitante del corpo e, come una casa malsana fa ammalare il corpo, così un corpo malsano fa ammalare l’anima. E così è per noi come di un uovo; se il guscio è liso, il pulcino che esso contiene sarà in sofferenza, allo stesso modo, una ferita al corpo si ripercuote sull’anima che lo abita. Gli antichi dicevano: Un’anima sana in un corpo sano, mens sana in corpore sano. – Il corpo non è una nostra proprietà, ma di Dio (I. Cor. VI, 13), e non solo perché Dio l’ha creato, ma anche perché è una proprietà di Dio e Gesù Cristo l’ha riscattato a costo del suo sangue prezioso (ibidem. 9); e noi siamo tenuti a rispettare la proprietà altrui. Noi siamo solo inquilini della dimora in cui Dio ha posto la nostra anima e non abbiamo il diritto di danneggiarla o distruggerla, possiamo solo usarla come useremmo una proprietà altrui (S. Bern.); di conseguenza non possiamo fare del nostro corpo ciò che “vogliamo”, ma ciò che vuole Dio (Galura).

Il nostro corpo è anche lo strumento dell’anima, che ci è stata affidata da Dio affinché possiamo accumulare meriti per la vita eterna.

Il corpo può essere abusato come qualsiasi altro strumento, per questo San Paolo invitava i suoi fedeli a non fare delle loro membra strumenti di iniquità (Rm IV, 13).

Il corpo è uno di quei talenti di cui un giorno Dio ci chiederà conto. (S. Matth. XXV, 19). “Renderemo conto – dice il famoso curato Kneipp – del modo in cui abbiamo trattato il nostro corpo, che è la dimora dell’anima immortale e lo strumento per mezzo del quale abbiamo dovuto compiere i nostri doveri di stato”. A Santa Gertrude, Gesù stesso ha fatto questa rivelazione: “Alla risurrezione dei morti i corpi riceveranno una ricompensa speciale, una gloria più grande ed una maggiore perfezione per la cura che gli è stata data in vista del mio servizio”.

2. SIAMO QUINDI TENUTI A PRESERVARE LA NOSTRA SALUTE E LA NOSTRA VITA, ATTRAVERSO L’ORDINE, LA TEMPERANZA, LA PULIZIA E L’USO DEI RIMEDI NECESSARI IN CASO DI MALATTIA.

La salute è più preziosa di immense ricchezze (Ecclesiastico, XXX, 16), perché quanto meglio preserviamo la nostra salute e la nostra vita, tanto più saremo in grado di accumulare questi tesori che né la ruggine né le tarme possono divorare, che i ladri non possono dissotterrare né portare via (S. Matth. VI, 20). Abbreviando la nostra vita per negligenza accorciamo il tempo di semina della vita eterna. Se risparmiamo i nostri vestiti per farli durare più a lungo, quanto più dobbiamo risparmiare il corpo, che è l’abito dell’anima. L’aquila difende il suo nido non per l’uovo in sé, ma per l’aquilotto che contiene; così dobbiamo difendere il nostro corpo, che è l’involucro della nostra anima. La pulizia è quindi un dovere rigoroso: pulizia del corpo stesso, della biancheria, degli abiti, dell’abitazione, del letto, pulizia dell’aria degli appartamenti, che non può essere arieggiata che troppo spesso. L’igiene è metà della salute. – Poi c’è la temperanza nel bere e nel bere e mangiare; essa è uno dei modi migliori per mantenere la salute e prolungare la vita. Dopo dieci giorni di vita frugale, Daniele e i suoi compagni, alla corte di Nabucodonosor, avevano un aspetto migliore degli altri giovani. (Dan. I). Molti uomini illustri, come S. Paolo, S. Gregorio Magno e S. Basilio, hanno vissuto in modo frugale. Essi avevano una salute robusta; la temperanza sviluppò la loro forza fino a renderli capaci di attività straordinarie. – Inoltre, l’ordine è necessario nel mangiare, nell’alzarsi e nell’andare a letto, nel lavorare, ecc. Mantenete l’ordine e l’ordine vi manterrà. (S. Aug.) Non siate mai oziosi; il lavoro non serve solo a guadagnare il pane quotidiano ma conserva anche la salute favorendo il regolare funzionamento dell’organismo, stimolando l’appetito, ecc. Il sangue si corrompe con l’ozio come l’acqua dall’immobilità. Tuttavia, il lavoro non deve eccedere le nostre forze: un fiore moderatamente annaffiato crescerà bene, ma se viene annegato nell’acqua, perirà. Allo stesso modo, un lavoro moderato mantiene la salute, un lavoro eccessivo la rovina (Plutarco). – Il lavoro domenicale senza una seria necessità è quindi un peccato non solo contro il 3°, ma anche contro il 5° comandamento. Infine, in caso di malattia dobbiamo utilizzare i rimedi necessari; di conseguenza, dobbiamo consultare il medico e seguire le sue prescrizioni. “Onora il medico – dice la Scrittura – per la necessità, perché l’Onnipotente lo ha creato (Ecclesiastico XXXVIII, 1); l’Altissimo ha fatto germogliare i rimedi della terra e l’uomo saggio non li rifiuta.(1b. 4). Si è esentati dal ricorrere al medico per mancanza di risorse o quando sia necessario sottoporsi ad un’operazione incerta ed insolita. Tuttavia, la preoccupazione per la nostra salute e per la nostra vita non deve giungere fino al punto da dimenticare la nostra salvezza.

I beni temporali, e quindi anche la vita e la salute, vanno perseguiti non per se stessi, come obiettivo, ma come mezzo per raggiungere un fine, ma solo in relazione alla vita eterna. – “Non amate il vostro corpo – dice San Bernardo – in modo tale da far credere che siete diventati tutta di carne. Amalo, ma ama ancora di più la tua anima. Lo spirito di Dio non rimane in un uomo che è diventato tutto carne (Gen. VI, 3), cioè che ha solo sentimenti carnali”. L’amore per le cose della carne è una morte … è nemico di Dio (Rom. VIII, 6, 7). Più il corpo viene adulato ed abbellito, più l’anima viene trascurata e rovinata (S. Aug.). Perciò Cristo ci esorta a non esagerare le nostre preoccupazioni per il cibo ed il vestiario, perché ” … il Padre celeste sa che ne abbiamo bisogno e si prenderà cura di noi uomini molto meglio di quanto faccia con i fiori del campo e degli uccelli del cielo, che Egli nutre anche se non lavorano.” (S. Matth. VI, 25).

3. SIAMO OBBLIIGATI AD EVITARE TUTTO CIÒ CHE POTREBBE DANNEGGIARE LA NOSTRA SALUTE O TOGLIERCI LA VITA.

Pecchiamo, quindi, esponendoci presuntuosamente al pericolo di morte, danneggiando la nostra salute o la nostra vita con l’ucciderci.

1. Coloro che si espongono criminalmente al pericolo di morte, che fanno spettacoli pericolosi o che sono imprudenti.

I danzatori di corda, i cavalieri del circo, i domatori di bestie feroci – a meno che non prendano precauzioni straordinarie – vivono in uno stato di peccato. Queste professioni sono quindi immorali e riprovevoli. La maggior parte di questi uomini di spettacolo non sono molto religiosi e molti di loro hanno già pagato con la vita la loro imprudenza. – L’imprudenza può essere un peccato grave nella ginnastica e nello sport. Troppi audaci escursionisti e aeronauti hanno avuto incidenti mortali. Le corride, che sono il piacere nazionale e dovrebbero piuttosto essere chiamate il vizio nazionale della Spagna, sono già costate la vita a migliaia di persone. – Anche l’imprudenza è un peccato. Molte persone sono state investite da un treno ferroviario, perché, nonostante il suo avvicinarsi, volevano ancora attraversare la strada; altre sono state colpite da un fulmine, perché durante un temporale si sono rifugiate sotto un albero o si sono messi alla finestra aperta, nonostante gli avvertimenti dell’esperienza e della scienza. In tempi di epidemie, non si devono visitare i malati senza aver preso precauzioni o senza essere stati chiamati a farlo come i Ssacerdoti, medici, infermieri, ecc. che possono contare su una speciale protezione da parte della Provvidenza di Dio. Siamo anche colpevoli di trascurare alcune regole e precauzioni, ad esempio facendo bagni troppo freddi, bevendo bevande troppo fredde, anche ghiacciate, maneggiando armi da fuoco, saltando da treni in movimento, o lavorare su torri o edifici, ecc. pulire le finestre ai piani superiori, toccare le condutture elettriche. Ci sono bambini maleducati che si aggrappano ai sedili posteriori delle auto e spesso pagano con la vita questa cattiva e peccaminosa abitudine. È una follia e un crimine scommettere che si ingurgiterà questa o quella notevole quantità di cibo o di bevande. – Dobbiamo quindi essere attenti e ponderati, e non rischiare mai la nostra vita in modo avventato.

2. Danneggiamo la nostra salute in modo colpevole con i piaceri eccessivi, per certi abusi nell’abbigliamento, dall’uso smodato di cibi e bevande insalubri.

I piaceri eccessivi includono il ballo, il gioco d’azzardo prolungato, tto di notte, l’abuso di tabacco ed il bere in grandi quantità; l’intemperanza ha causato la morte di molti uomini”(Ecclesiastico XXXVII, 34). – Le mode colpevoli nell’abbigliamento come, ad esempio, quella del corsetto; questa insensata costrizione della vita impedisce lo sviluppo ed il funzionamento del corpo, e provoca disturbi organici molto gravi, che spesso hanno portato alla morte improvvisa (Curato Kneipp, Dr. Virchow). Anche la stampa ha spesso riportato incidenti o lesioni causati da scarpe troppo strette: flebiti, vele varicose, infiammazioni del piede che hanno richiesto perfino amputazioni. È la punizione della vanità. – Tra le bevande pericolose e dannose se usate troppo frequentemente, ricordiamo l’alcol, seguito dal caffè e dal tè. Queste sostanze non contengono nutrienti, ma sostanze eccitanti che producono solo una momentanea eccitazione: farne un uso frequente significa rischiare di perdere forza e deperirsi. (L’abitudine di bere caffè è dannosa soprattutto per i bambini, ai quali succede quello che succede ad una casa costruita con materiali scadenti, che crolla prima del tempo. Il Vescovo Kneipp ha detto: “Se avessi abbastanza soldi, comprerei tutto il caffè esistente in modo che non venga più piantato, per salvare i giovani”). Il caffè, il cui uso è diventato così diffuso negli ultimi tempi, è in gran parte responsabile del nervosismo della generazione di oggi. Lo stesso vale per il tè, ma è soprattutto l’alcol a provocare i danni più terribili al corpo e all’anima.

3. Il suicidio è generalmente commesso da uomini in miseria o peccato, che disperano dell’aiuto e della misericordia di Dio: spesso viene commesso anche da persone irresponsabili e quindi innocenti.

Fu spinto dall’estremo del pericolo che Saul, ferito e circondato da nemici, si gettò sulla punta della sua spada (I Re XXXI). Il carceriere di S. Paolo a Filippi, vedendo le porte della prigione aperte, si disperò e voleva uccidersi con la spada (Atti Ap. XVI, 27). Giuda si disperò per la gravità del suo crimine e si impiccò. (S. Matt. XXVII). La stampa riporta troppo spesso il suicidio di persone che hanno perso la loro fortuna in qualche bisca, come quella di Monaco, che sono state coinvolte in un amore colpevole, o che hanno commesso colpe per le quali temono una severa punizione. Nel nostro tempo, persone sfortunate si suicidano per sciocchezze. È vero che molti suicidi sono causati dalla follia, dalla pazzia e dalla nevrosi, da malattie nervose che tolgono la responsabilità. Bisogna quindi guardarsi dal giudicare temerariamente le tristi vittime del suicidio. Tuttavia, la causa principale e più frequente di questo crimine è la mancanza di religione, la mancanza di fede nella vita futura, in un Dio che aiuta gli sfortunati e perdona i peccatori pentiti. – L’aumento del numero di suicidi è proporzionale alla diminuzione delle convinzioni religiose; questo è un dato di fatto. – Già gli antichi consideravano questo crimine come disonorevole: tagliavano la mano con cui il suicida si era ucciso e la seppellivano separatamente (S. Isid.). La Chiesa ha rifiutato la sepoltura ecclesiastica, tranne che per coloro le cui facoltà mentali erano compromesse; ma anche questi sono sepolti con la minore solennità possibile. Questo rifiuto non è un’affermazione di dannazione, è solo un’espressione di orrore per questo fatto ed un mezzo per distogliere gli altri da esso. – L’uomo non è il proprietario ma solo il beneficiario della sua vita; solo Dio ne è il padrone, la dà e la toglie quando Egli vuole (Deut. XXXII, 39). Il suicidio è quindi un attacco impudente ai diritti di Dio, un disprezzo per Dio attraverso il rifiuto sprezzante del più prezioso dei suoi doni. Il suicidio è un furto ai danni di tutto il genere umano, al quale il criminale dovrebbe prima restituire tutto ciò che ha ricevuto da esso (Mons. Gaume); è anche un’ingiustizia nei confronti della famiglia, che viene gettata nel disonore e spesso nella miseria, una crudeltà inaudita verso se stessi ed un orribile scandalo. Il suicidio, dice Lattanzio, è un crimine più orribile dell’omicidio, che può almeno essere punito dalla società. Il suicidio non è quindi un atto di eroismo; al contrario, è un atto di viltà, come la diserzione di fronte al nemico nel sopportare le difficoltà della vita. Ogni Cristiano dovrebbe anche capire che il suicidio non porta alla felicità, né libera dai mali, ma che precipita nella vera miseria dell’inferno che è l’inferno. – La stampa mondana spesso giustifica il suicidio dicendo: X ha espiato la sua colpa con la morte: una massima empia, perché il suicidio non espia nulla, anzi, è solo un’altra colpa che si aggiunge alle altre!

4. È lecito, persino meritorio, sacrificare la propria salute o la propria vita, quando ciò è necessario per ottenere la vita eterna o per salvare la vita dell’anima o del corpo di un altro essere umano.

Piuttosto che peccare, i martiri hanno tutti preferito sacrificare la propria vita terrena per assicurarsi la vita eterna, come ha detto il Salvatore: “Chi conserva la propria vita la perderà, e chi perderà la sua vita per causa mia la troverà ” (Matteo X, 39). È secondo questa massima che Eleazar agì nell’Antico Testamento, come i 7 fratelli Maccabei; nel Nuovo Testamento hanno agito secondo questa massima San Lorenzo, San Maurizio, ecc. I missionari nei Paesi pagani vivono in perpetuo pericolo di morte e quasi tutti hanno la salute rovinata dal clima e dal lavoro: San Francesco Saverio, l’Apostolo delle Indie, era spesso così stanco per la predicazione e l’amministrazione del Battesimo che la sera non riusciva a parlare né a muovere le braccia. Tuttavia, i missionari al contrario, accumulano grandi meriti; lo stesso vale per i Sacerdoti, i medici e infermieri che visitano e curano persone con malattie contagiose. S. Luigi Gonzaga e S. Carlo Borromeo morirono di peste, che avevano contratto curando gli appestati. È consentito anche esporsi alla morte per un atto di soccorso, in caso di incendio, caduta in acqua, ecc.; per difendere il proprio Paese in caso di guerra. Gesù Cristo stesso ci ha dato l’esempio sacrificandosi sulla croce per la salvezza del mondo. – Un’anima ha un valore così grande che per salvarla è necessario sacrificare non solo i beni terreni, ma anche la propria vita (S. Vinc. de P.) Naturalmente, bisogna avere l’intenzione di compiere la buona azione e non approfittarne per suicidarsi, il che sarebbe un crimine: la morte non è voluta direttamente, è ammessa solo come conseguenza.

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (12)

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (12)

P- B. LAR – RUCHE

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (12)

OSSIA IL MEZZO Più INDISPENSABILOE E NELLO STESSO TEMPO INFALLIBILE PER IMPETRARE DA DIO OGNI BENE E SOPRATTUTTO L’ETERNA SALVEZZA.

ISTITUTO MISSIONARIO PIA SOCIETA’ S. PAOLO

N. H., Roma, 15 maggio 1942, Sac. Dott. MUZZARELLI

Imprim., Alba 25 maggio 1942. Cn. P. Gianolio, Vic. Gen.

Tipogr. – Figlie di S. Paolo. – Alba – giugno – 1942.

20. – Sono con Lui nella tribolazione.

Ho già detto che spesso le sventure sono grandi miniere di grazie; e ritengo che esse siano tali anche quando ci piombano addosso in seguito a colpe e stravizi. Pare anzi che proprio di esse si serva il Signore per farci rientrare in noi stessi e richiamarci a Sè. Ed oh! quanti si son fatti santi in seguito a tali sventure! Che si debba quindi pensare che le afflizioni, come pure le disgrazie di questo mondo, siano spesso segni della divina benevolenza verso coloro che ne sono colpiti? È ben vero che « per causa del peccato entrò nel mondo la morte » ed ogni altra tribolazione (Rom. V, 12), e che il più delle volte « le avversità ci piombano addosso per causa dei peccati ». Ma anche in questo caso « era necessario che tu fossi provato dalla sventura, perché eri benvoluto da Dio » (Tob. XII, 13). Infatti — dice il Signore — « io rimprovero e castigo coloro a cui voglio bene » (Apoc. III, 19). Perciò « non deve dispiacerti di essere da Lui castigato, poiché Dio castiga colui che ama… come un padre » (Prov. III, 11-12). – Come vedi, andiamo di sorpresa in sorpresa riguardo all’economia delle sventure umane. Riflettendo però bene, non si potrà fare a meno di convenire che anche il Signore può fare ciò che qualsiasi padre può fare e fa con un figlio sul quale ha delle mire speciali. Lo corregge e, al bisogno, anche lo castiga, affinché, emendandosi dei suoi difetti, corrisponda al disegno paterno, tutto favorevole al figlio. Spesso si suol dare la colpa delle nostre sventure a questo o a quello, a questa o a quella cosa, a questo o quell’avvenimento. Non è detto bene. È Iddio che quaggiù « arriva da un’estremità all’altra con la forza e dispone tutte le cose con soavità » (Sap. VIII, 1). A noi quindi, anche quando siam colpiti da disgrazie, convien dire con Eli: « È Lui il Signore. Faccia pure ciò che è bene ai suoi occhi » (I Re, III, 18), o con Giobbe: « Il Signore m’ha dato, il Signore m’ha tolto. Fu fatto precisamente come piacque a Lui. Sia benedetto il Nome del Signore… Se abbiamo ricevuto dalla mano di Dio i beni, perché non riceveremo anche i mali? » (Giob. 1, 21 e II, 10). Giobbe avrebbe potuto dar la colpa ai Sabei, ai Caldei, al fulmine, al vento impetuoso. No, fu il Signore a servirsi di essi: quindi « sia benedetto il Signore! » Le avversità quindi — per chi sa intenderle — hanno pur quest’altra benemerenza (se così si può chiamarla), che è di richiamarci a Dio e di farci pregare. Se ne accorse anche il Salmista, il quale, colpito da diverse sventure, ebbe a dire « M’incolse la tribolazione e il dolore; ed io invocai il nome del Signore »: Sì, « mentre io era tribolato, gridai al Signore » (Salm. CXIV, 3; CXIX, 1). Oh davvero! la sventura ci fa ricorrere a Dio, il ricorrere a Dio è preghiera, la preghiera ci salva. Dunque le avversità, sia che si prendano come divine paterne correzioni, sia che si considerino come penitenze delle nostre colpe, sia che ci richiamino a Dio, sia che ci muovano a pregare, son cose per noi assai buone, come confessò pur Davide, dopo averle sostenute: « Ci siam rallegrati pei giorni in cui ci umiliasti e per gli anni in cui provammo il male. Ah, sì: è cosa buona che tu ci abbia umiliati! » (Salm. LXXXIX, 15; CVIII, 71). (Udii una volta un Missionario dire queste testuali parole: « Le prediche più efficaci non son quelle che facciamo noi missionari: le prediche più efficaci son le guerre, le carestie, i terremoti, le pestilenze! Si sa! per chi non vede altro che i mali temporali, queste parole son per lo meno scandalose. Ma di fatto è proprio così. Per far rientrare certuni in se stessi, tutte le prediche di tutti i preti non servono a nulla. Ed allora il Signore ricorre ai mezzi suddetti.) – E se il buon Dio ci fa soffrire pur dopo aver fatto penitenza delle nostre colpe (del resto sappiamo noi quanta ne dobbiamo fare per espiare la pena temporale dei nostri peccati?) anche allora non possiamo avercela a male; ma dobbiamo essergli invece riconoscentissimi per averci Egli associati al suo divin Figliuolo nell’opera dell’umana redenzione. Ah, sì! allora noi abbiamo il sublime dolore cristiano, abbiamo le misteriose sofferenze delle anime giuste, le quali soltanto controbilanciano davanti alla divina giustizia i godimenti illeciti e peccaminosi dei mondani, dei peccatori. – Il Signore però sa che noi stentiamo a sopportare il dolore, sia fisico che morale; ed allora, come la mamma sta presso il figlioletto sofferente a cui bisogna porgere medicine amare o compiere un’operazione dolorosa, e non permette che il frutto del suo seno abbia a soffrire più di quanto è necessario perché egli possa guarire dal suo male; così anche il Signore « sta presso coloro che hanno il cuore amareggiato », e « non permette che siate provati oltre le vostre forze; ma darà, colla prova, anche la forza per poterla sostenere » (Salm. XXXIII, 19; I Cor. X, 13). – Dunque il buon Dio è con noi quando siamo addolorati. Lo dice Egli stesso: « Io sono con lui nella tribolazione » (Salm. XC, 15). Ma perché? — Per esaudire le nostre suppliche, per sostenerci nella prova, per alleviare le nostre sofferenze. Spessissimo il buon Dio esaudisce le preghiere di coloro che soffrono. Noi sappiamo infatti che « la preghiera del misero penetrerà le nubi e non si darà quiete finché non abbia raggiunto Iddio, nè s’allontanerà affatto finché l’Altissimo non l’abbia esaudita; e il Signore non metterà indugio » (Eccli. XXXV, 21-22). Ed anche l’Arcangelo Raffaele poté dire a Tobia: « Quando tu pregavi con lacrime.., io offrii la tua preghiera al Signore» (Tob. XII, 12); e noi sappiamo che quella preghiera fu esaudita. – Ma non è Dio stesso che, quando siamo nel dolore, c’invita ad invocarlo e promette di esaudirci? Egli infatti dice: « Invocami nel giorno della tribolazione, ed Io ti libererò ». Ed altra volta: « Figlio mio, non avvilirti quando sei ammalato; ma prega il Signore, ed Egli ti guarirà » (Salmo XLIX, 15; Eccli. XXXVIII, 9). Ah! quando siamo sotto il torchio del dolore, la nostra preghiera è più sincera, più attenta, più umile ed anche più insistente; è quindi anche più facile che essa sia esaudita. In ogni caso però essa ci apporta non poca consolazione, mantiene il nostro cuore nella fiducia in Dio, e ci attira dal cielo quella pazienza e quella rassegnazione che ci son necessarie per elevare a merito le nostre sofferenze. Infatti non sempre né a tutti i tribolati il Signore concede quanto essi domandano; e ciò per il loro meglio. « Oh! quanti se fossero infermi e poveri non cadrebbero nei peccati in cui cadono essendo sani e ricchi! E perciò il Signore a taluni che gli domandano la sanità del corpo e i beni di fortuna, loro li nega, perché li ama, vedendo che quelli sarebbero loro occasione di perder la sua grazia od almeno d’intiepidirsi nella vita spirituale » (S. Alfonso). E così il buon Dio, pur non esaudendoli, usa verso di essi una gran misericordia; ciò che assai ben comprese S. Camillo de’ Lellis, il quale era solito chiamare « misericordie di Dio » le orrende piaghe delle sue gambe e gli altri mali che martoriavano il suo corpo. Ed infatti non sarebbe forse una gran misericordia se il Signore colpisse con una lunga malattia, con una grave e diuturna tribolazione o con un solenne rovescio di fortuna tanti stolti ed insensati uomini e donne, che sciupano forze, salute, bellezza, ingegno, prestigio, onore, autorità, soldi, ogni bene ed ogni attività nel fare il male, abbrutendo così se stessi nelle pratiche e nei vizi più infami, e trascinando pur altri a spirituale, morale ed anche materiale rovina? Ah! Che gran misericordia sarebbe questa per quei folli!… Ma chi capisce quanto dico? Infatti, che succede assai spesso? Ah! purtroppo tanti, allorquando piomba sopra di loro la sventura, non comprendono la mira che ha Dio nel mandare sopra di essi il dolore; e quindi, invece di accoglierla almeno con rassegnazione in penitenza delle proprie colpe, prorompono in orrende bestemmie contro Dio e la divina Provvidenza, divengono rabbiosi e crudeli contro quanti ritengono autori dei loro mali e intrattabili con tutti; e — se le cose durano un po’ a lungo — incapaci di sostenere più oltre la prova, si disperano fino a perder la testa e — non di rado — terminano una vita di colpe e di disordini con un obbrobrioso suicidio, che getta nel lutto e nel disonore tutti i congiunti. Quanto sono imperscrutabili e tremendi i giudizi di Dio!… Oh, quante rovine causano certe tempeste di cuori!… E la conclusione? — Questa: Impegniamoci a pregare per quanti soffrono in questa, che — a dispetto degli innumerevoli utopisti — è e sarà sempre una misera ‹ valle di lagrime »; ma anche procuriamo di alleviare, in quanto c’è possibile, le loro sofferenze, esercitandoci per amore di Dio in quelle opere di misericordia, le quali ci prepareranno un giudizio favorevole nell’ora del gran rendiconto (Matt. XXV, 21-46). Preghiamo soprattutto per coloro che stentano a sostener la prova delle tribolazioni, ed in modo particolare per quei poveri peccatori che stanno sostenendo l’ultima grande prova sul letto della loro morte (Non credo tanto fuori posto, riferire qui ciò che dice S. Roberto Bellarmino per coloro che assistono gli ammalati gravi. « Imparino coloro che assistono i moribondi — ei scrive — non tanto a parlare con loro, quanto a pregare ardentemente Iddio per loro, e a non permettere che persone d’ogni fatta visitino l’infermo, giunto agli estremi; ma solo quelle pie e probe che con le loro orazioni possono molto presso Dio; poiché l’orazione assidua e fervente del giusto vale moltissimo. E siccome il demonio ha poco tempo, fa ogni sforzo in quel momento che gli rimane; così ancora e molto più amici fedeli devono aiutare con preghiere e lagrime i loro fratelli che stanno per partire da questo mondo » (Dall’arte di ben morire, II, 13), affinché il Signore non solo li illumini sul vero scopo che Egli ha nel farli soffrire (il che non basta); ma ch’Egli dia pur loro la forza di sostenere con merito la paterna ma pur dolorosa prova, che è foriera di immense grazie e caparra di eterna felicissima vita nel Paradiso.

21. — Per chi dice: Non posso pregare.

Ho già scritto assai sulla necessità e soprattutto sull’efficacia della preghiera. Ma tutta la mia opera sarebbe quasi inutile se poi non si avesse da tutti e sempre la grazia di pregare. Mi pare quindi d’udire più di uno, che mi dice: Sia pur vero, come hai sostenuto e provato, che il Signore concede le sue grazie efficaci a chi Gliele domanda nella preghiera. Ma non è una grazia anche quella di poter pregare? E questa grazia di poter effettivamente pregare, il Signore ce la concede indipendentemente da altre grazie? E la concede sempre? la concede a tutti? anche ai più grandi peccatori? Vedi anche tu che la chiave della questione sta tutta qui! » E mi sembra di poter rispondere affermativamente a tutte le suddette domande. È sintomatico, in proposito, ciò che ci fa sapere il grande finanziere americano John Moody, entrato nella Chiesa Cattolica nel 1931. « Vi sono dei momenti — egli scrive — oppure delle ore che arrivano una volta per tutti, per quanto uno possa essere indurito e mondano. Lo afferra il tremendo mistero della vita, il quale lo sorprende e lo richiama anche alla preghiera, risveglia in lui qualcosa che sonnecchiava, e spinge l’anima sua ad implorare luce, guida, aiuto. – Qui sembra che il Moody parli d’una grazia rara e quindi straordinaria. Noi invece con Sant’Alfonso dobbiamo ritenere che il poter pregare è una grazia comune ed ordinaria, che Dio dà sempre e a tutti; dimodoché chi non prega, non vi manca per deficienza della grazia, ma solo perché si rifiuta o trascura di pregare. S. Alfonso infatti scrive: « Supposta dunque, com’è certa, la necessità di pregare per conseguir la salute, dobbiamo conseguentemente supporre anche per certo che ognuno abbia l’aiuto divino a poter attualmente pregare, senza bisogno d’altra grazia speciale; e colla preghiera ad ottenere poi tutte le altre grazie necessarie per osservare perseverantemente i precetti, e così acquistar la vita eterna; sicché niuno che si perde può aver mai alcuna scusa d’essersi perduto per mancanza degli aiuti necessari per salvarsi ». Egli quindi ritiene che « siccome Iddio nell’ordine naturale ha disposto che l’uomo nasca nudo e bisognoso di più cose per vivere, ma poi gli ha dato mani e mente con cui può vestirsi e provvedere a tutti gli altri suoi bisogni; così nell’ordine soprannaturale l’uomo nasce impotente ad ottenere colle sue forze l’eterna salute, ma il Signore concede per sua bontà ad ognuno la grazia della preghiera, colla quale può poi impetrare tutte le altre grazie che gli bisognano per osservare i precetti e salvarsi.». – E non può essere diversamente. Infatti se il Signore ci vuole veramente salvi (e dopo quanto ho scritto nei primi capitoli, non si può metterlo in dubbio), Egli deve pur concederci i mezzi necessari all’uopo; poiché « è della divina Provvidenza dare a ciascuno ciò che gli è necessario per salvarsi » (S. Tommaso d’Aquino). Ora noi già sappiamo che colle sole nostre forze e coi mezzi puramente naturali che abbiamo a disposizione, non riusciamo — pur essendo in grazia di Dio — a preservarci a lungo da colpe mortali e quindi dal pericolo di dannarci, senza quell’aiuto soprannaturale di Dio che si chiama grazia attuale. Sappiamo pure che, quantunque il Signore dia a tutti indistintamente le sue grazie attuali sufficienti, tuttavia di fatto Egli non dà ordinariamente grazie efficaci a salvarci dal peccato mortale e dall’inferno, se non a chi si fa premura di dimandargliele, cioè a chi prega. Per conseguenza la grazia di pregare, Dio é obbligalo a concederla sempre e a tutti. E quindi, la grazia di pregare, è una grazia comune ed ordinaria che non manca mai ad alcuno. Ed infatti chi oserà dire che un uomo qualsiasi, anche il più infelice e scellerato, che abbia l’uso della ragione, non possa di fatto, ogni qualvolta davvero voglia, aver di fronte al Creatore e Signore supremo di tutte le cose, quel contegno di umile, fiduciosa e cordiale supplica, che un bambino — per quanto rozzo e selvaggio – ha di fronte al babbo e alla mamma che sono i suoi naturali provveditori, od un poveretto davanti ad un ricco signore che potrebbe aiutarlo nella sua miseria? Ah! lo stender la mano e l’invocar soccorso è naturale in un mendicante. E noi non siamo forse « i mendicanti di Dio »? (S. Agostino). E qual è l’occupazione tutta propria e spontanea d’un bambino di fronte ai suoi genitori, se non quella di chiedere, domandare e supplicare? E qual è il grido che spontaneamente esce dalle labbra di chi si trova in pericolo, se non questo: « Aiuto! aiuto! aiuto! »? – Ora che impedisce che possa fare altrettanto ognuno di noi di fronte a quel grande Signore, che « attraverso le cose visibili da Lui create è noto ad ogni uomo che viene in questo mondo?” (Sap. XIII, 1; Rom. 1,20). Eh, lo so! Non di rado la prima grazia che si dovrà chiedere, sarà una maggior fede in Dio: « O Signore, vieni in sostegno della mia scarsa fede! » (Luc. XVII, 5; Marc. IX, 23); altre volte si dovrà domandare la grazia di conoscere meglio la nostra condizione di fronte a Lui, con un:.« Signore, ch’io veda! » (Luc. XVIII, 41); altra una miglior disposizione d’animo di fronte a quel Grande, col dirgli: « O Signore, crea in me un cuor puro, ed infondi nell’anima mia lo spirito della rettitudine » (Salmo 50, 12); e così via dicendo. – Ma non esageriamo: la grazia di pregare in un modo o nell’altro è sempre data a tutti. Ed ecco appunto qui, una dopo l’altra, le limpide conclusioni alle quali, nel suo faticoso ma pur tanto salutare studio, arrivò il gran Dottore della preghiera S. Alfonso de’ Liguori, nel suo piccolo ma pur tanto prezioso libro « Del gran mezzo della preghiera »: conclusioni che dicono tutte la stessa cosa, ma che pur conviene meditare una per una: « La grazia comune dà ad ognuno il pregare attualmente, senza nuova grazia preveniente che fisicamente a moralmente determini la volontà dell’uomo a porre in atto la preghiera ». « Ognuno ha la grazia necessaria a pregare, dalla quale — se ben si giova — riceve la grazia a fare ciò che prima non poteva immediatamente fare. A tutti è data la grazia di pregare, e col pregare di ottenere la grazia abbondante che ci fa osservare i precetti. Dio dona a tutti la grazia di pregare, acciocché pregando possiamo poi ottenere tutti gli aiuti, anche abbondanti, per osservare la divina legge e perseverare sino alla morte. E se non ci salveremo, tutta la colpa sarà nostra, per non aver pregato » (Dunque non ragionano bene coloro che dicono: « Pregare ed altro ben non fare, a ca’ del diavolo non si fa a meno di andare ». Infatti, chi prega bene, certamente ottiene da Dio la grazia di fare il bene e di farlo bene. Si capisce! per pregar bene, non basta solo menar le labbra!). – « Dio non nega mai ad alcuno la grazia della preghiera, colla quale si ottiene da Dio l’aiuto a vincere ogni concupiscenza e ogni tentazione. Vien tolta ogni scusa a quei peccatori che dicono di non aver la forza di superar le tentazioni, poiché se essi pregassero secondo la grazia ordinaria che ad ognuno è già donata, otterrebbero questa forza e si salverebbero. Se mai per il passato vi trovaste aggravata la coscienza da molti peccati, intendete che questa ne è stata la cagione: la trascuranza (non l’impossibilità) pregare o di domandar a Dio l’aiuto per resistere alle tentazioni che vi hanno assalito ». – « Intendiamo (quindi) che se non preghiamo, per noi non c’è scusa, poiché la grazia di pregare è data a tutti. Anzi vedi ciò che arriva a scrivere S. Alfonso: « Se non fossimo certi — ei scrive — che Dio dona a lutti la grazia di poter attualmente pregare senza bisogno di altra grazia particolare e non comune a tutti, niuno senza special rivelazione potrebbe sperare, come si deve, la salute » eterna. Ora dire che il Signore ci voglia far vivere in questo mondo da disperati, cioè senza la speranza di poterci salvare, non è forse esprimere il massimo degli spropositi e la più nefasta delle eresie? Ah! sia lungi da noi un tal pensiero. Certamente « può avvenire in realtà che tu non abbia ancora la grazia di osservare questo o quel comandamento, ma ben hai la grazia per chiedere tal grazia. Per cui vedrai che Dio non ti comanda nulla d’impossibile; poiché o ti concede direttamente la grazia per osservarli, o per lo meno ti concede la preghiera con cui tu puoi impetrare la grazia di osservarli » (P. Meschler). – Dobbiamo quindi fermamente ritenere che la grazia di pregare vien sempre da Dio concessa a tutti, e che perciò il servirci di questa grazia che apre l’adito a tutte le altre, dipende unicamente dalla nostra volontà. Per legittima conseguenza, se veramente vogliamo, per mezzo della preghiera ben fatta noi otterremo effettivamente e con tutta certezza da Dio la grazia di risorgere dal peccato, di preservarci dalla colpa, di correggerci dei nostri difetti, di compiere opere a Dio gradite e per noi meritorie, e di perseverare nel bene fino alla morte (Quindi non credo che sia tanto conveniente inveire molto contro i peccatori, né fare grandi sforzi per convincerli del male che fanno; poiché essi stessi — se non davanti ad altri — ben! però di fronte a se stessi, son convintissimi di essere fuori di strada, soprattutto quando vanno contro la legge naturale; e dànno spesso a se medesimi, in segreto, i nomignoli più disonoranti). Si tenga bene a mente che quanto ho scritto qui è della massima importanza pratica.

L’IDOLATRIA, I POVERI E IL “DIO DELLE SORPRESE”.

L’idolatria, i poveri e il Dio delle sorprese (???)

Uno sguardo critico all’omelia di M. J. Bergoglio, l’antipapa sedicente Francesco, che ha chiuso il Sinodo 2023.

L’edizione 2023 del Sinodo sulla sinodalità (cioè il sinodo della negazione del Cristianesimo) si è conclusa, ed il presunto “Papa” Francesco non ha mancato di tenere un’omelia carica di ideologia per la finta “Messa” di chiusura nella Basilica di San Pietro. Il tema dell’omelia, basata sul Vangelo del giorno (Mt XXII, 34-40), era l’amore di Dio e del prossimo. È uno degli argomenti preferiti dal sig. Bergoglio perché è così facile da manipolare e dirottare a favore della sua agenda apostatica. – Vediamone alcuni esempi, a partire dalla preoccupazione espressa dal sedicente Francesco per l’idolatria: « Nell’adorare Dio, riscopriamo di essere liberi. Ecco perché le Scritture associano spesso l’amore per il Signore alla lotta contro ogni forma di idolatria. Chi adora Dio rifiuta gli idoli perché mentre Dio libera, gli idoli schiavizzano. Gli idoli ci ingannano e non realizzano mai ciò che promettono, perché sono “opera di mani d’uomo” (Sal 115,4). La Scrittura è inflessibile nei confronti dell’idolatria, perché gli idoli sono fatti e manipolati dagli uomini, mentre Dio, il Dio vivente, è presente e trascendente; è colui “che non è come lo immagino, che non dipende da ciò che mi aspetto da lui e che può quindi sconvolgere le mie aspettative, proprio perché è vivo”. La prova che non sempre abbiamo l’idea giusta di Dio è che a volte siamo delusi: Pensiamo: “Mi aspettavo una cosa, immaginavo che Dio si sarebbe comportato così, e invece mi sono sbagliato. Ma in questo modo torniamo sulla strada dell’idolatria, volendo che il Signore agisca secondo l’immagine che abbiamo di lui. Rischiamo sempre di pensare di poter “controllare Dio”, di poter limitare il suo amore ai nostri programmi. Invece, il suo modo di agire è sempre imprevedibile, trascende il nostro pensiero, e il modo di agire di Dio richiede di conseguenza stupore e adorazione. Lo stupore è molto importante! Dobbiamo lottare costantemente contro tutti i tipi di idolatria; non solo quella mondana, che spesso deriva dalla vanagloria, come la brama di successo, l’egocentrismo, l’avidità di denaro – non dimentichiamo che il diavolo entra “dalle tasche” – le lusinghe del carrierismo; ma anche quelle forme di idolatria mascherate da spiritualità – la mia spiritualità: le mie idee religiose, le mie capacità pastorali… Vigiliamo, per non scoprire che stiamo mettendo al centro noi stessi anziché Lui. » Questo è un vecchio cavallo di battaglia bergogliano: la denuncia dell'”idolatria”. Naturalmente sta parlando di idolatria in senso figurato – e solo in senso figurato. Sebbene affermi di opporsi a “tutti i tipi di idolatria”, si noti che omette di menzionare il tipo più importante, quello delle persone che adorano letteralmente una creatura – “opera di mani d’uomo”! – come fanno i pagani politeisti. Questo, ironia della sorte, è l’unico tipo di idolatria con cui Bergoglio non ha problemi, (Pachamama docet!). Anzi, approva tutte le religioni, soprattutto le false invenzioni umane senza supporto di rivelazioni,  come semplici “modi diversi di arrivare a Dio” e un “arricchimento” per l’umanità: « Se in passato le nostre differenze ci mettevano in contrasto, oggi vediamo in esse la ricchezza di diversi modi di arrivare a Dio e di educare i giovani alla convivenza pacifica nel rispetto reciproco. Per questo motivo, l’educazione ci impegna a non usare mai il nome di Dio per giustificare la violenza e l’odio verso altre tradizioni religiose, a condannare ogni forma di fanatismo e di fondamentalismo e a difendere il diritto di ogni individuo a scegliere e ad agire secondo la propria coscienza. » (Antipapa Francesco, Discorso ai partecipanti all’incontro “Religioni ed educazione: Verso un patto globale sull’educazione”, Vatican.va, 5 ottobre 2021). “Diverse vie per arrivare a Dio“! Quanto di più anticristico ci può essere? “Gesù gli disse: Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Gv 1XIV,6); “E non c’è salvezza in nessun altro. Non c’è infatti altro Nome sotto il cielo dato agli uomini, nel quale possiamo essere salvati” (At IV, 12). Inoltre, non dobbiamo dimenticare che con la firma e l’attuazione della dichiarazione di Abu Dhabi sulla fraternità umana nel 2019, Francesco ha dichiarato che l’idolatria è addirittura voluta da Dio! Tuttavia, il trasformista Francesco non si limita ad appoggiare il paganesimo in teoria, ma partecipa anche a cerimonie idolatriche se l’occasione lo suggerisce: Per “accedere al Sacro Cerchio degli Spiriti”: Francesco partecipa alla cerimonia dello smudge dei nativi americani … Francesco dice di non andare dal dottore, ma dalla “strega”. Ecco altre risorse sull’idolatria avallata da Francesco o sotto il suo controllo: Francesco: Le diverse religioni sono un “arricchimento” per l’umanità. – Ecoattivista indù: L’Enciclica Laudato Si’ di Francesco è come un testo sacro dell’Induismo. – Tempo di Diwali: Il Vaticano promuove l’idolatria nel messaggio agli indù. – Dare a Gaia ciò che è di Gaia? Il Vaticano emette una moneta “Madre Terra”! – Francesco difende i diritti della tradizione – della tradizione pagana, naturalmente! Alla faccia della sua preoccupazione che “gli idoli schiavizzano”! Ma anche per quanto riguarda l’idolatria figurativa, Francesco dovrebbe seguire il suo stesso consiglio, perché “adora” i rifugiati, i migranti, i poveri, i malati e gli emarginati – oltre che la coscienza soggettiva. Abbiamo visto da tempo che Francesco è un manipolatore straordinario. Dirà o insegnerà tutto ciò che “funziona” in una particolare circostanza, cioè ciò che è più utile alla sua agenda in quel particolare momento. Nel sermone in questione, il suo obiettivo è quello di preparare le persone ad accettare le novità come volontà di Dio, quindi le sta condizionando ad abbandonare la rivelazione divina con il pretesto di liberarsi delle proprie errate aspettative umane su Dio, che vengono definite “idoli“. Naturalmente si tratta di un’assurdità assoluta. Il “dio delle sorprese” che Francesco predica è il falso dio del capriccio dottrinale. Ieri Dio può aver condannato la sodomia e l’adulterio, ma domani potrebbe essere tutto diverso, quindi attenzione ai “segni dei tempi”! Dopotutto, non vorremmo confinare Dio nella stretta scatola delle nostre idee e dei nostri pregiudizi, no? – Ciò che Bergoglio offre qui è semplicemente un’operazione retorica e isterica al suo meglio. Il suo obiettivo è confondere le persone e farle dubitare della stessa rivelazione divina. Ma i dogmi sono verità cadute dal cielo, per così dire; sono perennemente validi: “Io sono il Signore e non cambio” (Malachia III, 6); “Gesù Cristo, ieri e oggi, e lo stesso per sempre. Non lasciatevi trascinare da dottrine diverse e strane” (Eb XIII, 8-9).

Con il suo nuovo Motu Proprio Ad Theologiam Promovendam, pubblicato il 1° novembre 2023, il falso Papa sta dando un ulteriore impulso alla rivoluzione neomodernista. Approvando i nuovi statuti della Pontificia Accademia di Teologia, Francesco porta gli errori del Vaticano II ad un livello superiore: Aprendosi al mondo e all’umanità, “con i suoi problemi, le sue ferite, le sue sfide, le sue potenzialità”, la riflessione teologica deve fare spazio a “un ripensamento epistemologico e metodologico”, ed è quindi chiamata ad “una coraggiosa rivoluzione culturale“. -È necessaria “una teologia fondamentalmente contestuale”, scrive l’antipapa, “capace di leggere e interpretare il Vangelo nelle condizioni in cui gli uomini e le donne vivono quotidianamente, nei diversi ambienti geografici, sociali e culturali”. Nel decreto Lamentabile di S. Pio X ci sono due proposizioni che condannano i modernisti di ogni tempo (modernismo è la somma di tutte le eresie, affermava S. Pio X): ai numeri 53 e 54 del decreto troviamo due anatemi (scomuniche) per quelli che affermano – Dio non voglia – : 53. La costituzione organica della Chiesa non è immutabile; ma la società cristiana, non meno della società umana, va soggetta a continua evoluzione. 54. I dogmi, i sacramenti, la gerarchia, sia nel loro concetto come nella loro realtà, non sono che interpretazioni ed evoluzioni dell’intelligenza cristiana, le quali svilupparono e perfezionarono il piccolo germe latente nel Vangelo con esterne aggiunte… e ce ne sono ancora altre che sarebbe lungo riportare (63, 64 ecc. ecc.), ma … le sopra enumerate proposizioni siano considerate da tutti come riprovate e condannate.

    Quando i modernisti come il “Ciccio pasticcio” usurpante condannato e riprovato da Pio X usano la parola “coraggioso”, attenzione! Non è la virtù del coraggio che ha in mente, né il dono della fortezza. È semplicemente un modo ingannevole per esaltare l’orgogliosa e avventata passione modernista per la novità! La sua candida e spensierata ammissione che il suo obiettivo è niente meno che una “rivoluzione” serve solo a sottolineare che ” … Lontano, lontano dal clero l’amore per la novità! Dio odia la mente orgogliosa e ostinata”, ci avvertiva ancora Papa San Pio X nella Pascendi Dominici, n. 49. I dogmi che Francesco cerca di rovesciare – non tanto attaccandoli direttamente, ma cambiando la teologia sottostante in modo modernista, in modo che tutte le verità diventino soggette ad un cambiamento perpetuo – sono creduti fermamente dai cattolici perché il Dio onni-buono e onnisciente li ha rivelati. Qualsiasi “aspettativa” nei confronti di Dio, che segue con necessità logica da questi dogmi, non solo è permessa, ma è obbligatoria. È il falso Papa, Francesco, che cerca di rompere la certezza generata dalla Fede, facendo dubitare della rivelazione di Dio e delle sue implicazioni, con il falso pretesto che non è la verità di Dio ad essere decostruita, ma solo la nostra visione autocostruita e idolatrica di Dio. Ciò che Francesco propone assomiglia molto all’errore n. 22 del Sillabo degli errori modernisti di Papa San Pio X: I dogmi che la Chiesa professa come rivelati non sono verità cadute dal cielo, ma sono una sorta di interpretazione di fatti religiosi, che la mente umana ha preparato da sé con un laborioso sforzo … (Papa Pio X, Decreto Lamentabili Sane, n. 22; Denz. 2022). – Francesco sta cercando di neutralizzare la verità oggettiva della rivelazione divina riducendo il dogma (o almeno alcuni dogmi chiave) a mere idee autoprodotte che le persone hanno su Dio. Ironia della sorte, la sua arma principale in questa lotta sono le idee che ha su Dio, non l’effettiva rivelazione di Dio. In altre parole, Francesco si inventa cose su Dio che contraddicono la Fede ricevuta, e poi accusa le persone di aggrapparsi rigidamente a concezioni idolatriche ed artificiali di Dio invece di abbracciare la sua “sorprendologia” bergogliana. Un’inversione così diabolica richiede un tipo speciale di ispirazione, e non è di quelle buone!

      Passiamo quindi alla seconda parte del sermone del riprovato apostata Francesco, in cui parla dell’amore come servizio al prossimo: « Amare è servire. Nel grande comandamento, Cristo lega Dio e il prossimo in modo che non siano mai separati. Non può esistere una vera esperienza religiosa che sia sorda al grido del mondo. Non c’è amore per Dio senza attenzione e preoccupazione per il prossimo, altrimenti rischiamo di diventare farisaici. Possiamo avere tante buone idee su come riformare la Chiesa, ma ricordiamoci: adorare Dio e amare i nostri fratelli e sorelle con il suo amore, questa è la grande e perenne riforma. Essere una Chiesa di culto e una Chiesa di servizio, che lava i piedi all’umanità ferita, che accompagna coloro che sono fragili, deboli e messi da parte, che va incontro con amore ai poveri. Abbiamo sentito nella prima lettura come Dio abbia comandato questo. » Si noti, innanzitutto, che l’usurpante parla di (non) avere una “vera esperienza religiosa“, segnalando ancora una volta il suo modernismo. L’uso di questo termine nel contesto dato è molto fuori luogo. Avrebbe potuto, e dovuto, dire semplicemente che un Cattolico non deve essere ignaro dei bisogni dei poveri. Invece, ha parlato di “esperienza religiosa”, e ancora una volta ha fatto una metafora parlando di “sordità” a un “grido”.

     Che cosa significa avere una vera esperienza religiosa, rispetto ad una falsa? E chi è lui per giudicare quali sono quelle “vere” e quali quelle “false”? Se almeno avesse detto che non ci può essere vera esperienza religiosa se non c’è la vera Religione, ma naturalmente questa è la cosa più lontana dalla sua mente! Papa San Pio X ha evidenziato il problema del concetto modernista di esperienza religiosa: « Cosa impedisce che tali esperienze si trovino in qualsiasi religione? In effetti, non pochi sostengono che lo siano. Su quali basi i modernisti possono negare la verità di un’esperienza affermata da un seguace dell’Islam? Rivendicheranno il monopolio delle esperienze vere solo per i Cattolici? In realtà, i modernisti non negano, ma anzi sostengono, alcuni in modo confuso, altri con franchezza, che tutte le religioni sono vere.» (Papa San Pio X, Enciclica Pascendi Dominici, n. 14). Non sorprende quindi che “pap’occhio” Francesco abbia affermato nel 2016 che: “… le vere religioni [sic] sono lo sviluppo della capacità che l’umanità ha di trascendersi verso l’assoluto”. Capito? – In secondo luogo, notiamo che nella sua omelia, come di consueto, Bergoglio riduce tutto il servizio al prossimo alle opere di misericordia corporale, cioè all’assistenza al prossimo nelle sue necessità temporali – al punto da omettere, o almeno sminuire notevolmente, le opere spirituali. Non si pensa a ciò che, in ultima analisi, è molto più utile per il prossimo del suo benessere corporeo, e cioè, naturalmente, il suo benessere spirituale. Infatti, mentre la vita temporale termina con la morte, alla quale nessuno può sfuggire, l’eternità non avrà mai fine: “Che gioverà infatti ad un uomo se guadagnerà il mondo intero e perderà la sua anima?”. (Mc VIII,36).

Francesco si preoccupa solo dei corpi, della terra, del clima, di questa vita presente, perché è lì che si concentra praticamente tutta la sua attenzione. Per questo è estremamente popolare tra i secolaristi, che non si preoccupano nemmeno della vita soprannaturale dell’anima: “Essi sono del mondo; perciò parlano del mondo e il mondo li ascolta” (1 Gv IV, 5). Lo sguardo del Cattolico, invece, è rivolto alle cose celesti: “Non badate alle cose di lassù, ma a quelle della terra” (Coloss. III,2).

       L’autore spirituale irlandese P. Edward Leen (1885-1944) ha spiegato quanto siano inutili gli sforzi di coloro che vorrebbero “salvare il mondo”, ma poi alla fine periscono con esso: « I riflessivi della terra, contemplando la scena presentata da un’attività umana che cambia continuamente il suo scopo ed è impotente ad assegnarsi uno scopo che la ragione umana non può mettere immediatamente in discussione, devono sentire il pathos di molti sforzi umanitari e ben intenzionati. Viene dimostrata una grande generosità ed una vera gentilezza nei lodevoli tentativi di arrestare le devastazioni della mortalità, soprattutto tra i giovani. “Salvate i bambini” è un appello che trova una pronta risposta nei cuori delle persone umane e gentili. Non con cinismo, ma con vera simpatia, ci si può chiedere: “Salvarli per cosa?”. Per la vita adulta che si affanna nel vano tentativo di darsi un’adeguata ragione di vita? Vale la pena di preservare i bambini per ciò che, a rigor di logica, qualsiasi persona riconoscerebbe non valere? [Nota: si tratta solo di coloro che non hanno la visione degli scopi e degli oggetti della vita fornita dalla vera fede o anche dalla sana filosofia]. Questa carità del cuore gentile è dettata dalla speranza che in qualche modo la vita di questi bambini possa rivelarsi diversa da quella che è stata per coloro che hanno cercato di salvarli dalla morte e dalla malattia? C’è motivo di sperare che i piccoli, una volta raggiunta l’età adulta, possano trovare per caso una soluzione al problema dell’esistenza che è sfuggita ai loro benefattori adulti? A cosa serve donare la salute se non si può dare con essa la chiave per un uso della vita che porti alla felicità? La vita è un dono prezioso quando è accompagnata dalla conoscenza di come vivere correttamente e dai mezzi per esercitare questa vita corretta. […]. La morte non è una rottura, ma un trampolino di lancio per passare da uno stadio all’altro della stessa esistenza. Ma l’uomo si sforzerà perversamente e ciecamente di operare una scissione in questa linea e di persuadersi che il bene della vita umana che precede la morte possa essere diverso dal bene della vita umana che segue la morte. Il risultato è che si trova necessariamente in contrasto con Dio. Non è sorprendente che la creatura, cercando di ottenere il fine della vita – cioè la felicità – attraverso un uso dei poteri e delle energie della vita in contrasto con il disegno del Creatore, sia continuamente frustrata nel suo obiettivo principale, non goda di pace, sia coinvolta nella contraddizione e diventi preda di una perpetua insoddisfazione. Qual è la via d’uscita da questa impasse? La via d’uscita è una comprensione approfondita della Religione del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo e una pratica basata su tale comprensione. » (Rev. Edward Leen, Why the Cross? [London: Sheed & Ward, 1938], pp. 23-24,35-36). Cristo Gesù è l’ultimo servitore dell’umanità: “Come il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti” (Mt XX, 28; cfr. Mt XXIII,11). Tuttavia, il suo servizio all’umanità non si è limitato a curare i malati o a fare l’elemosina ai poveri. In realtà, il miglioramento delle condizioni temporali delle persone non era nemmeno l’obiettivo principale del suo ministero. I passi [del Vangelo] che rivelano Gesù nell’esercizio delle opere di misericordia, nella guarigione delle malattie, nella consolazione del dolore e nel superamento della morte, ricevono un’enfasi eccessiva [dai naturalisti]. In questo modo viene oscurata la verità centrale, ossia che il conflitto del Redentore era principalmente con il male spirituale e solo incidentalmente con il male fisico. Il suo scopo era quello di bandire dalla terra i mali che appaiono a Dio come tali, non quelli che appaiono tali alla natura dolorosa dell’uomo… Il Vangelo non è il resoconto di una missione filantropica più o meno riuscita. Per i Cristiani che si ostinano a pensare che la funzione del Cristianesimo sia quella di fornire agli uomini cose buone e di bandire dalla loro vita le cose cattive – intendendo per bene e male ciò che appare tale alla natura umana decaduta – la vita si rivelerà presto incomprensibile. Per gli uomini con una simile visione il mistero del dolore diventa insolubile. Di fronte alla dura realtà dell’esistenza, le loro convinzioni sono condannate. Non hanno una risposta da dare alla domanda sempre ricorrente: se Dio è buono e gentile e tenero nei confronti della sofferenza umana, perché la sofferenza continua ad esserci non solo per quelli che la meritano, ma anche per quelli che non la meritano? Il fatto che Gesù, nella sua potenza e bontà, non abbia posto fine a tutte le sofferenze umane dimostra che, ai suoi occhi, la sofferenza non è la vera fonte dell’infelicità umana. (Leen, Why the Cross?, pp. 54-56). Il vero Vangelo si occupa principalmente del soprannaturale/spirituale e solo secondariamente del naturale/fisico. È interessante notare che l’osservazione di p. Leen secondo cui i naturalisti “non hanno una risposta da dare alla domanda sempre ricorrente: se Dio è gentile, buono e tenero nei confronti della sofferenza umana, perché la sofferenza continua ad esserci non solo per coloro che la meritano, ma anche per coloro che non la meritano?” è verificata nientemeno che da Jorge Bergoglio, che ha dichiarato più di una volta di non avere una risposta sul perché Dio permetta ai bambini di soffrire. Peggio ancora, nella sua omelia del 31 dicembre 2021, l’apostata di Buenos Aires ha esplicitamente ripudiato l’idea che ci sia uno scopo soprannaturale nella sofferenza dei mali temporali. L’antipapa Francesco non vuole solo andare all’inferno, ma vuole portare con sé il maggior numero possibile di persone, per il momento ci sta riuscendo molto bene. Preghiamo perchè la Vergine SS. lo fermi!

CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XIX)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XIX)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

SECONDA PARTE DEL CATECHISMO:

MORALE (10).

2. I DOVERI VERSO I SUPERIORI.

1. PER IL GOVERNO DELLA SOCIETÀ UMANA, DIO HA ISTITUITO DUE POTERI, QUELLO SPIRITUALE ED IL POTERE TEMPORALE. AL POTERE SPIRITUALE HA SOTTOPOSTO LE ANIME, AL POTERE SECOLARE HA AFFIDATO IL MANTENIMENTO DELLA PACE E DELL’ORDINE MATERIALE.

In tutta la creazione vediamo la subordinazione di alcuni esseri ad altri: il regno minerale alimenta il regno vegetale, quest’ultimo il regno animale, e tutto è a disposizione dell’uomo. C’è una subordinazione anche tra gli animali: le api hanno una regina, e certi uccelli, certe bestie selvatiche, alcune specie di pesci hanno dei capi che li comandano militarmente; nel nostro stesso corpo ci sono membri soggetti uni agli altri. E lo stesso fenomeno si riscontra nel mondo degli spiriti, dove ci sono diversi ordini di Angeli. Dio ha voluto anche che nella società umana ci fossero inferiori e superiori, subordinati e superiori, e questa subordinazione è diventata addirittura necessaria; infatti, senza autorità, la società sarebbe come un esercito senza capi, (S. G. Cris.). Ciò che la struttura è per l’edificio, l’autorità è per lo Stato. Senza l’ossatura le mura crollano, così come la società senza un governo che mantenga l’unione dei suoi membri (Id.). Proprio come gli uomini dopo il peccato originale si volgevano l’un contro l’altro come bestie selvagge, fino al punto in cui un fratello uccideva il fratello, Dio fu costretto a dare dei capi a questi selvaggi per frenare le loro passioni. (S. Remi). Dobbiamo essere grati alla Provvidenza di aver istituito delle autorità affinché non siamo sballottati come le onde del mare (S. Isid.). Le autorità sono un’immagine del potere e della provvidenza divina sugli uomini (Leone XIII). – Come nel firmamento ci sono il giorno e la notte, così ci sono due poteri: il potere spirituale e il potere temporale. Il primo, come il sole, è superiore all’altro, perché conduce l’uomo al suo fine celeste ed eterno, mentre il potere dello Stato ha in vista solo il bene terreno e transitorio dei suoi cittadini. “Il regno di Cristo, come il sole, illumina il giorno del mondo delle anime; il potere secolare, come la luna, illumina la notte delle cose temporali. (Innoc. III.). Gli interessi terreni sono affidati all’impero, gli interessi del cielo al sacerdozio (S. G. Cris.). Pur avendo domini distinti, i due poteri si completano a vicenda, sono come i due cherubini che coprivano l’arca con le loro ali.

2. DIO HA AFFIDATO LA SUPREMA AUTORITÀ SPIRITUALE AL PAPA, LA SOVRANITÀ TEMPORALE AL CAPO DI STATO, CHE NELLA MAGGIOR PARTE DEI PAESI CONDIVIDE LA SUA AUTORITÀ CON IL POPOLO.

È un errore credere che le autorità derivino il loro potere dal popolo. Al contrario, tutte le autorità derivano il loro potere da Dio. È stato Gesù a dire a Pietro: “Pasci i miei agnelli, le mie pecore” (S. Giovanni XXI, 17). È dunque da Gesù che Pietro è stato costituito principe degli Apostoli e capo visibile di tutta la Chiesa militante (Concilio Vaticano 4,1), con un primato ed una supremazia di giurisdizione che per diritto divino sono perpetuati nel Vescovo di Roma (Id. 4, 2). – L’origine divina del potere secolare è dimostrata dalle parole di Gesù a Pilato: “Non avresti alcun potere su di me se non fosse ti fosse stato dato dall’alto”. (S. Giovanni XIX, 11). È attraverso Dio che i re regnano e che i legislatori decretano la giustizia (Eccli. VIII, 15). – Principi, è il Signore che vi ha dato la vostra autorità, è l’Altissimo che vi ha dato il vostro potere (Sap. VI, 4). Ogni potere viene da Dio, e quelli sono stabiliti da Dio (Rom. XIII, 1). È su questa base che i capi di Stato possono dire di esserlo per grazia di Dio. Nella maggior parte degli Stati il sovrano è solo costituzionale, cioè è obbligato a tenere in considerazione dei rappresentanti del popolo; in Europa i sovrani di Russia e Turchia sono assoluti. Ma il popolo deve ricordare che nel condividere il potere ne condividono anche la responsabilità.

3. ABBIAMO NEI CONFRONTI DEL PAPA E DEL CAPO DELLO STATO, DOVERI ANALOGHI A QUELLI CHE ABBIAMO NEI CONFRONTI DI DIO, PERCHÉ SONO I SUOI RAPPRESENTANTI.

I rappresentanti di Dio, siano essi Sacerdoti o laici, sono spesso chiamati servi di Dio (Sap. VI, 6), unti del Signore (Re XXIV, 7; XXVI, o) e persino dèi (Es. XXI, 6; XXII, 28), così come il rappresentante di un re è chiamato viceré. Il Papa è chiamato il servo dei servi di Dio. – A Dio dobbiamo adorazione e fedeltà (1° comm.), rispetto (2° comm.), servizio (3° comm.), così dobbiamo ai suoi rappresentanti obbedienza, fedeltà, rispetto e servizio. E dobbiamo adempiere a questi doveri con tanta più buona volontà in quanto il Papa e il Capo dello Stato hanno gravi e molteplici preoccupazioni nel loro governo, contrariamente all’opinione di coloro che ritengono la loro vita comoda e facile. Mentre i passeggeri chiacchierano e si divertono, il pilota si preoccupa e lavora costantemente. Ad ogni istante ha l’occhio puntato sull’orizzonte e sulla bussola, è esposto a tutti i tipi di condizioni atmosferiche e spesso privato del sonno. Lo stesso vale per i superiori. – A molti sembra che le autorità non abbiano altro che doveri ed i subordinati solo diritti.

I doveri verso il Papa sono i seguenti: obbedirgli in materia religiosa, essergli fedele, rispettarlo e sostenerlo nel suo difficile compito con le nostre preghiere e le nostre elemosine.

Il Papa deve essere obbedito nelle questioni religiose. “I fedeli di ogni rito e di ogni grado sono soggetti al Papa e tenuti alla sincera obbedienza nei suoi confronti” (Conc. Vatic. IV, 3). Il Papa è per il Corpo Mistico di Cristo, per la Chiesa (1. Cor. XII, 27) ciò che il capo è per il corpo umano: il capo governa tutte le membra, il Papa tutti i fedeli. Essendo il Vicario di Cristo, è attraverso di lui che impariamo la volontà di Dio; nessuno meglio del Papa può applicare a se stesso le parole di S. Paolo: … Noi siamo ambasciatori di Cristo, ed è Dio che vi esorta per mezzo di noi (II. Cor. V, 20). In materia civile non siamo sudditi del Papa ma dello Stato. – Dobbiamo rimanere fedelmente attaccati al Papa, perché egli è capo della Chiesa e la roccia su cui essa è costruita (S. Matth. XVI, 18); separarsi dal Papa, come fecero i greci (1053), è separarsi da Dio. Possiamo applicare ai poveri scismatici le lamentele di Dio a Samuele: “Non hanno risposto a te, ma a me, perché Io non perché non regni su di loro”. (I Re VIII, 7). – Dobbiamo rispettare il Papa, secondo il comando di Cristo che disse ai suoi Apostoli: “Chi disprezza voi disprezza me, e chi disprezza me disprezza il Padre mio che mi ha mandato” (S. Luc. X, 16). Ora, poiché il Papa è il primo tra i rappresentanti di Gesù Cristo, è a lui che si deve il più profondo rispetto. È a causa della sua dignità che lo chiamiamo Sua Santità. – Infine, dobbiamo sostenere il Papa con la preghiera e l’elemosina. I primi Cristiani pregavano già per Pietro in cattività (Atti degli Apostoli XII). I Papi non sono mai stati completamente esenti da persecuzioni. Bisogna quindi imitare l’esempio della Chiesa primitiva. Chi non prega per i propri genitori è un cattivo figlio, e chi non prega per il Papa è un cattivo Cristiano” (B. Clem. Hofbauer), perché è gradito a Dio che preghiamo per le autorità. (I. Tim. Il, 3). – Il Papa è tenuto a provvedere alle molteplici necessità della Chiesa e alla propagazione della fede tra gli infedeli, e a molte istituzioni e stabilimenti. L’elemosina gli è tanto più necessaria in quanto è stato privato dei suoi beni temporali. Queste elemosine sono chiamate denari di San Pietro. Se ogni Cattolico donasse questo semplice denaro, un centesimo! che milioni raccoglieremmo. Ma ci sono di quelli che trascurano questo dovere. – I nemici della Chiesa chiamano i Cattolici fedeli al Papa ultramontani, perché il Papa abita al di là delle montagne, oltre le Alpi; con questo appellativo pretendono di denunciarli come cattivi patrioti. Al contrario, i Cattolici sono cittadini tanto più devoti al loro Paese quanto più sono fedeli alla loro Religione. “Quanto più grande è il timore di Dio -diceva Origene – maggiori sono i servizi che un cittadino rende a Cesare. – I doveri verso il Papa sono la regola dei nostri doveri verso i nostri pastori. I fedeli sono anche obbligati a provvedere al loro sostentamento. Gesù ha ordinato che “chi predica il Vangelo vive del Vangelo” (I. Cor. IX, 14) e “l’operaio è degno del suo salario” (I. Tim. V, 18).

I doveri verso il Capo dello Stato (e lo Stato) consistono nell’obbedire alle leggi giuste che promulga, essergli fedeli, rispettarlo e nel pagare i contributi e l’imposta del sangue.

Le leggi dello Stato devono essere rispettate, perché gli ordini delle autorità sono ordini di Dio (Rm. XIII, 2), non solo per timore, ma per amore di Dio (id. 5), seguendo l’esempio di Maria e Giuseppe che si recarono a Betlemme per sottomettersi alla legge del censimento. (S. Luc. II). Ma quando le leggi prescrivono qualcosa di contrario alla volontà di Dio, dobbiamo agire secondo la regola degli Apostoli: è meglio obbedire a Dio che obbedire agli uomini“, una massima che già avevano messo in pratica i tre giovani nella fornace, i 7 fratelli Maccabei, e poi seguita da S. Maurizio e la Legione Tebana. Bisogna rimanere fedeli al proprio Paese, soprattutto durante la guerra e questo è ciò a cui ci impegna il giuramento alla bandiera. Non è mai permesso ribellarsi, perché resistere all’autorità (al di fuori della legge) significa resistere all’ordine di Dio (Rm. XIII, 1); per amore del bene generale, dobbiamo sottometterci non solo ai buoni padroni, ma anche a quelli sgradevoli (1 S. Pietro, II, 18). Poiché i cattivi governanti sono generalmente una punizione di Dio per i peccati del popolo (S. Aug.), le nazioni mal governate devono prima convertirsi e poi pregare per la conversione dei loro governanti. (S. Th. Aq.). – Siamo tenuti a rispettare il Capo dello Stato. Temete Dio, dice San Pietro, e onorate il re. (I e III, 17). Davide ci ha dato un bell’esempio di questo, risparmiando Saul che lo perseguitava, perché era lontano dal Signore, anche se ebbe due volte l’opportunità di ucciderlo. (I Re XXIV). È per rispetto al Capo dello Stato che l’inno nazionale viene suonato in sua presenza, che le case vengano pavimentate e illuminate, ecc. – Dobbiamo anche pregare per il sovrano, perché questa preghiera è gradita a Dio (I Tim. 11,3). Pregando per lui preghiamo per noi stessi, perché gli otteniamo la grazia di governarci utilmente. – Cristo ha approvato il pagamento delle tasse dicendo: “Date a Cesare ciò che è di Cesare” (S. Matth. XXII, 21) ed Egli stesso le pagò per se stesso e per Pietro, con la moneta portata in bocca dal pesce che Gesù aveva ordinato a Pietro di pescare (S. Matth. XVII, 26). È giusto che coloro che godono dei benefici della società contribuiscano alle spese per il mantenimento del buon ordine e della prosperità del Paese. Proprio come lo stomaco rimanda alle membra la forza del cibo, così il governo utilizza i proventi delle tasse per il bene pubblico: la costruzione di scuole, strade e ferrovie, ospedali, per il mantenimento dell’esercito e dei dipendenti pubblici. Questa apologia dello stomaco era l’argomento di Menenio Agrippa quando i plebei si erano ritirati sull’Aventino. L’evasione fiscale è quindi un atto colpevole (Rom. XIII, 6). Chiamano l’imposta del sangue il servizio militare che deve essere prestato da cittadini abili in tempo di pace, e di guerra, ed il cui scopo è quello di mantenere la pace e difendere la patria; sacrificare la propria vita, soprattutto in guerra, per il bene dei propri connazionali è un’azione molto meritoria davanti a Dio. Abbiamo un bell’esempio dello spirito di sacrificio patriottico nel re di Sparta, Leonida, e nei suoi trecento soldati che difesero le Termopili contro le immense forze dei Persiani, e che, traditi alla fine da Efialte morì eroicamente (481 a.C.). Le nazioni civilizzate esentano i Sacerdoti cattolici dal servizio militare, perché lo spargimento di sangue è incompatibile con il loro stato. – I doveri nei confronti del Capo dello Stato devono essere trasferiti proporzionalmente sui funzionari pubblici. “Siate soggetti sia al sovrano, perché ha il potere supremo, sia ai magistrati da lui nominati, perché questa è la volontà di Dio”. (I. S. Pietro II, 14).

I cittadini devono sostenere il Capo dello Stato anche inviando deputati capaci e di sentimenti cristiani in tutti gli organi elettivi.

Il sovrano costituzionale promulga solo le leggi deliberate e fatte dai deputati del popolo. Per questo la responsabilità di fronte a Dio è immensa per i parlamentari che fanno le leggi e per i cittadini che eleggono i deputati. Il vescovo di Annecy diceva questo agli elettori che hanno eletto deputati anticattolici: “Io, elettore cattolico, sono la causa di tutte le disgrazie e le persecuzioni della Chiesa in Francia. Io sono la causa della soppressione del Catechismo nelle scuole, della pratica della religione per i dipendenti pubblici, della morte dei malati senza i sacramenti, della messa al bando degli Ordini religiosi e di tutte le oppressioni della Chiesa”. – I cittadini sono vincolati dalla volontà del loro Dio e Signore, anche nell’esercizio dei loro diritti civici, cioè il diritto di voto, e renderà conto al tribunale di Dio del modo in cui lo ha esercitato. (Mons. Schobel di Leitmeritz). In tutte le relazioni umane dobbiamo essere guidati dalle verità cristiane. Perciò non si deve dire che la politica non abbia nulla a che fare con la religione. (Circolare dell’episcopato austriaco, 1 febbraio 1891). Ministri, funzionari, senatori, deputati, membri di qualsiasi consiglio, tutti, senza eccezione, dovranno un giorno rendere conto di tutte le parole che hanno pronunciato, di tutti i voti che hanno espresso, tutti, senza eccezioni, renderanno conto davanti a Dio di tutto ciò che hanno fatto ed ogni elettore, dei rappresentanti che ha eletto. (Vesc. d’Annecy). – Gli elettori sono quindi obbligati a votare per uomini esperti che conoscano le esigenze dei loro elettori, che abbiano le conoscenze ed i talenti necessari per il loro mandato; per uomini con convinzioni cristiane, perché quelli senza tali convinzioni sono raramente di carattere coscienzioso. Un membro del Parlamento che non sia fedele a Dio è raramente fedele ai suoi elettori. Inoltre, dal momento che i parlamenti spesso trattano gli interessi più diretti della religione e della Chiesa, i Cattolici sono particolarmente obbligati a mandare solo deputati che abbiano familiarità con le questioni religiose e siano sinceramente devoti alla Chiesa (Circ. de l’episc. austr. 1891).

Un cittadino che dà il suo voto ad un nemico della Religione o che lo favorisca astenendosi, si assume una grave responsabilità.

I Cattolici, dice il Vescovo già citato, non possono mai in coscienza eleggere un uomo che sia cattolico solo di nome, che disprezza le leggi della Chiesa, che non frequenti mai le funzioni religiose, che trascuri il dovere pasquale, che si abboni alla stampa antireligiosa senza essere obbligato a farlo dalla sua situazione personale, che forse si fa beffe anche delle istituzioni religiose; essi sono tenuti ad impedire l’elezione di un tale candidato con tutti i mezzi legittimi. Ne consegue che i Cattolici sono obbligati di dare al candidato un preavviso formale per spiegare la sua professione di Fede sulle scuole cristiane, sul matrimonio, sul riposo domenicale, ecc. Se le sue affermazioni sono insoddisfacenti o se dà solo risposte evasive, deve essere combattuto per evitare la responsabilità davanti al tribunale di Dio. – L’esercizio del diritto elettorale è obbligatorio davanti a Dio quando, facendolo, si può impedire il male e procurare il bene, soprattutto il bene morale. Che nessuno dica: “La mia voce non servirà a nulla! Perché spesso un voto è decisivo, e anche se non emerge il candidato giusto, anche se non dovesse emergere il candidato giusto, il nostro voto contribuirebbe ad accrescere il prestigio e l’influenza della minoranza. L’esperienza dimostra inoltre che l’astensionismo sia contagioso e che esso faciliti il trionfo del candidato sbagliato. – Al momento delle elezioni le stesse persone che non godono del diritto di voto non devono rimanere inattivi; devono pregare che le elezioni vadano a favore del bene dei singoli, della famiglia, del Paese e della Religione. Per questo motivo, molti Vescovi prescrivono preghiere pubbliche prima delle elezioni o delle sedute dei parlamenti.

4. CHIUNQUE DISOBBEDISCA GRAVEMENTE ALLE AUTORITÀ RELIGIOSE O CIVILI, SI ESPONE A GRAVI PUNIZIONI E ALLA DANNAZIONE ETERNA.

Coré e i suoi complici, che si erano ribellati ad Aronne, furono inghiottiti dalla terra davanti a tutto il popolo per dare loro un esempio salutare (Numeri XVI), ed è impossibile immaginare una fine più triste di quella di Assalonne che si era ribellato a suo padre e suo re (II Re XVIII). Semei aveva lanciato pietre a Davide quando era fuggito oltre il torrente di Ceron; Salomone gli vietò sotto pena di morte, di non passarlo mai: egli trasgredì questo divieto e fu giustiziato. (III. Re II, 16). I tribunali sono ancora oggi severi per i reati gravi. – Chi resiste alle potenze resiste all’ordine di Dio e si rende degno della dannazione eterna. (Rom. XIII, 2).

3. I DOVERI DELL’AUTORITÀ.

.1. UN CRISTIANO NON DEVE ASPIRARE AD UN UFFICIO PER IL QUALE NON ABBIA LE CAPACITÀ NECESSARIE. (Eccli. VII, 6).

In questo, Mosè deve essere il nostro modello: non si è arrogato l’incarico di guidare gli israeliti; lo accettò solo per ordine divino, dopo aver pregato Dio di dispensarlo da tale incarico a causa della sua debolezza; e spesso, appesantito dal peso della sua dignità, implorava il Signore di liberarlo. Gregorio Magno fuggì nel deserto per evitare di essere eletto Papa (590), seguendo l’esempio di Sant’Ambrogio e di S. Agostino, che accettarono la dignità episcopale solo contro la loro volontà. Eppure tutti questi grandi uomini avevano indubbiamente le capacità richieste per queste alte cariche. È quindi una presunzione colpevole cercare una dignità senza averne la forza e la capacità necessarie, senza essere chiamati ad essa da Dio (Card. Bona); è come cercare di governare una nave senza aver mai toccato un timone (S. Vinc. Ferr.), o portare un fardello troppo pesante (S. Ambr.). In queste condizioni non si compiono i doveri di stato e si assomiglia ad un grande candelabro non acceso: si è, come disse Gesù, il ladro che entra nell’ovile dalla finestra (San Giovanni X.). – Chiunque abbia le competenze necessarie per un lavoro e sia sicuro di fare del bene in esso, può desiderarlo: è, ad esempio, perfettamente legittimo per un Cattolico convinto, dotato di conoscenza e del dono della parola, candidarsi ad un seggio parlamentare od a qualsiasi altra carica. È anche permesso desiderare il Sacerdozio (1 Tim. III, 1).

2. CHI È STATO CHIAMATO DA DIO AD ESERCITARE UN’AUTORITÀ NON DEVE ESSERNE ORGOGLIOSO, MA CONDIDERARE LA PROPRIA RESPONSABILITÀ.

Si può essere sicuri di essere stati chiamati da Dio quando non si è fatto nulla per ottenere una dignità; un serio appello da parte del popolo o dei superiori equivale ad una chiamata di Dio. Quando San Gregorio si vide inseguito dal popolo nella foresta selvaggia dove si era ritirato, non esitò più a salire sul trono pontificio, poiché vide in questo la volontà di Dio. S. Alfonso accettò la sede vescovile di S. Agata (vicino a Napoli) quando fu costretto a farlo da Papa Clemente XIII (1762). Quando il padrone ordina al suo servo di salire, quest’ultimo non deve opporre resistenza. (S. Aug.). Le dignità sembrano essere conferite dagli uomini, ma in realtà vengono da Dio, da cui solo provengono i talenti. (S. Matth. XXV). Un giardiniere dirige l’acqua della sua fontana spesso su un albero molto piccolo, così Dio dirige spesso il favore di principi e grandi uomini su coloro che ha destinato agli onori ed alle dignità: il cuore del re è nella mano di Dio, che lo dirige come un ruscello la dove vuole. (Prov. XXI, 1). – È una follia essere orgogliosi di una carica, perché una carica non rende un uomo migliore agli occhi di Dio, solo la virtù lo rende veramente grande; poiché le dignità terrene sono effimere ed assomigliano al fumo e al sogno, che appaiono e scompaiono in un istante (S. Thom. Aq.), mentre l’onore della virtù è eterno. Molti di coloro che erano primi saranno ultimi e viceversa. (S. Matth. XIX, 30). Erode era un re, Maria e Giuseppe erano solo poveri; loro erano pii ed amati da Dio, l’altro era empio: essi oggi sono elevati alle più alte dignità del Cielo, ed Erode?! Il legno marcio brilla nelle nell’oscurità, ma alla luce si vede il suo stato miserabile; così anche molti di coloro che nell’ombra di questa vita appaiono nello splendore delle dignità, avranno il loro marcio al momento del giudizio, quando Dio scoprirà tutto ciò che è nascosto e rivelerà i sentimenti di tutti (S. Bonav.). – Coloro che sono costituiti in dignità subiranno un giudizio severo (Sap. VI, 6); più alta è la dignità, più grande è la responsabilità: questo pensiero dovrebbe ispirare i grandi della terra all’umiltà, coscienza e preoccupazione. – Dio chiede a coloro che detengono una carica, di adempierla come se non la possedessero, cioè di usarla come se si trattasse di una cosa affidata loro solo per un giorno o un’ora, a che essi sono pronti a rinunciare in qualsiasi momento (S. Gertrude).

3. CHI RICOPRE UN INCARICO DEVE FARE TUTTO CIÒ CHE È IN SUO POTERE PER IL BENE DEI SUOI SUBORDINATI, ESSERE GIUSTO ED IMPARZIALE.

Le autorità sono un riflesso del potere divino; devono quindi prendere a modello Dio (Leone XIII), soprattutto perché sono suoi rappresentanti. Quando un sovrano invia un ambasciatore, quest’ultimo può agire solo secondo le sue istruzioni. Se agisce di propria iniziativa, viene rimproverato: così è per i superiori. – I superiori devono essere buoni e preoccuparsi solo del bene dei loro inferiori, perché questo è l’unico scopo del loro ufficio. I vili adulatori persuadono i grandi che il popolo esiste solo per servirli; è vero il contrario: i grandi esistono solo per il bene del popolo. I principi sono ministri di Dio per il bene dell’umanità. (Rm XIII, 4), non devono favorire gli interessi di uno o più singoli, perché sono istituiti per il bene generale (Leone X III); è addirittura opportuno che sacrifichino i propri vantaggi all’interesse generale, come Cristo che ha dato la vita per le sue pecore (S. Giovanni X, 11). Il pastore è esposto a mille pericoli per gli animali destinati al macello, quanto più noi dobbiamo sacrificarci per le anime immortali, chiamate alla vita eterna, che Gesù ha redento con il suo sangue e per il quale un giorno renderemo conto (S. Giovanni Crisostomo.). – I superiori devono essere imparziali e trattare tutti con bontà, anche i poveri, ricordando che Dio non fa distinzione tra le persone (II. Paral. XIX; Rom. II, 11), che Dio è il Creatore, il Provveditore, l’aiutante dei grandi come dei piccoli e di coloro che sono nel bisogno, che è vicino a coloro i cui cuori sono nella tribolazione (Sal. XXXIII, 19), che quanto più un’anima è priva di consolazioni umane, più può contare sulla misericordia divina. – “Imparate a fare il bene – dice Geremia (I, 17) – cercate ciò che è giusto, aiutate gli oppressi, rendete giustizia all’orfano, difendete la vedova.” Purtroppo i potenti spesso abusano del loro potere, e prendono il loro potere come misura del loro diritto (S. Greg. M.); al contrario, dovrebbero stare molto attenti a far sentire il peso della loro autorità oltre lo stretto necessario. – I superbi considerano la benevolenza fraterna verso i loro inferiori come una mancanza di dignità; pensano di perdere il loro onore e sono altezzosi; ma la dignità si perde solo con la vanità e il vizio. – Le autorità devono essere giuste, cioè non devono lasciarsi corrompere (Es. XXIII, 8), né lasciarsi accecare dal fascino della ricchezza e della grandezza, fino al punto da commettere iniquità (Lev X, 15), come Pilato che, per paura di essere denunciato a Cesare, condannò Gesù, nonostante fosse convinto della sua innocenza, e che tuttavia cadde nell’onta che temeva: fu infatti accusato dai Giudei davanti all’imperatore che lo bandì a Vienne in Francia. Dio maledice i giudici ingiusti. (Deut. XXVII, 19). “Se il mio amato padre – disse Tommaso Moro – venisse al mio tribunale a perorare la causa di satana, che io odio con tutto il cuore, e satana avesse ragione, io giudicherei in suo favore”. – I superiori non devono mai condannare un inferiore senza averlo ascoltato. La leggenda narra di un sovrano che, quando qualcuno veniva accusato, si tappò un orecchio e disse: “Presto solo un orecchio all’accusatore, l’altro è per il difensore dell’accusato. Dio stesso ha condannato Adamo solo dopo averlo convinto per sua stessa ammissione.

4. I SUPERIORI SONO TENUTI A DARE IL BUON ESEMPIO.

L’obbligo di dare il buon esempio ha due ragioni. In primo luogo, tutti hanno un occhio aperto per coloro che sono costituiti in dignità: essi sono la città sul monte che non può essere nascosta (S. Matth. V, 14); tutti si regolano come essi: tali i superiori, tali gli inferiori (Ecclesiastico X, 2), e quelli daranno conto della loro condotta. Anche gli esempi dei grandi uomini hanno più influenza delle loro parole, che arrivano al cuore meno dei fatti. (S. Greg. M.). – I superiori sono anche obbligati a pregare per i loro inferiori: come il vignaiolo nel Vangelo, devono pregare il padrone della vigna di non tagliare e bruciare il fico sterile, ma di dargli del concime ed aspettare un altro anno per vedere se porta frutto. (S. Greg. Naz.). Il diritto ecclesiastico impone espressamente questo dovere ai pastori d’anime, che sono tenuti tutte le domeniche e feste, ad offrire il Santo Sacrificio per i loro parrocchiani vivi e defunti.

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (11)

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (11)

P- B. LAR – RUCHE

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (11)

OSSIA IL MEZZO Più INDISPENSABILOE E NELLO STESSO TEMPO INFALLIBILE PER IMPETRARE DA DIO OGNI BENE E SOPRATTUTTO L’ETERNA SALVEZZA.

ISTITUTO MISSIONARIO PIA SOCIETA’ S. PAOLO

N. H., Roma, 15 maggio 1942, Sac. Dott. MUZZARELLI

Imprim., Alba 25 maggio 1942. Cn. P. Gianolio, Vic. Gen.

Tipogr. – Figlie di S. Paolo. – Alba – giugno – 1942.

18. — Via da me, che son peccatore?

Esistono degli uomini che, simili a Simone il fariseo (Luc. V, 8), guardano i peccatori con disprezzo. Male! Chi si diporta così coi peccatori non sa ancora che, se egli non è caduto così in basso com’essi, questa non è minor grazia né più scarsa misericordia di quella che il buon Dio è disposto a concedere ai peccatori per sollevarli dallo stato di peccato. Oh davvero! È tutta misericordia ed immensa misericordia di Dio, se noi non siamo come loro ed anche peggiori. Quindi il meglio che si possa fare pei peccatori è di pregare per essi, ad imitazione di Gesù: « Padre, perdona loro, perché non sanno ciò che fanno! » (Luc. XXIII, 34), e zelare in tutti i modi e con tutti i mezzi possibili la loro sincera conversione a Dio. – Tuttavia, la condizione dei peccatori è oltre ogni dire miserabile e pericolosa, e suscita ribrezzo e commiserazione. Essi invece, od almeno gran parte di essi, sembrano del tutto inconsci di questa loro tristissima condizione; e se la passano quaggiù, dappresso a noi, ridendo scherzano e scialandosela allegramente, e talvolta perfino dandosi l’aria di essere essi soli i veri savi a questo mondo: neppur lontanamente sospettando che — se non avranno la fortunata grazia di convertirsi a tempo — essi dovranno, immediatamente dopo la morte e poi per tutta l’eternità, confessare angosciosamente: Ahimè! per la nostra insipienza « la luce della giustizia non rifulse ai nostri occhi, e il sole dell’intelligenza non si levò sopra di noi. Ci stancammo sulla via dell’iniquità e della perdizione, battemmo strade disastrose e non conoscemmo i sentieri che conducevano al Signore! Che ci apportò la superbia? e a che ci giovò l’ostentazione orgogliosa delle nostre ricchezze? Dunque abbiamo sbagliato e noi siamo stati dei grandi insensati » (Sap. V). – Ora però, finché sono ancora in vita e godono dell’uso della ragione, è sempre possibile che essi si convertano. È ben vero che essi, per le loro colpe, si trovano assai lontani da Dio, « in una regione longinqua » (Luc. XV, 13). Pure, se essi vogliono, coll’aiuto della divina grazia, che il Signore non lascia mai mancare a chi sinceramente la ricerca, ben potranno ritornare nell’amoroso amplesso del buon Dio. Basta che essi riconoscano il male fatto ed invochino il divino perdono, per subito ricongiungersi al Signore. Infatti chi di vero cuore dice al suo Dio: « O Signore, abbi pietà di me! Guarisci la povera anima mia, perchè ho peccato contro di Te » (Salm. XL, 5), è pur disposto a fare tutto ciò che Dio esige da lui per concedergli il perdono; e quindi lo avrà infallibilmente. Ed ecco così rilevata un’altra volta la mirabile efficacia della preghiera ben fatta. – Ma si decideranno essi a pregare? Ecco il punto! — Tanti purtroppo sentono per la preghiera un’avversione che si può dire diabolica; e sarà assai difficile che essi si pieghino a questa più che giusta esigenza di Dio. Però, volendo, essi possono vincere quest’avversione; poiché — come vedremo — « la grazia di pregare è data a tutti » (S. Alfonso). – Sonvi tuttavia dei peccatori, i quali — ancorché preghino — non saranno esauditi fino a quando non muteranno i propri sentimenti. Il Crisostomo, per esempio, avverte che « nessuno può essere così audace da accostarsi a Dio colla preghiera, finché cova l’odio e la vendetta nel suo cuore ». Ed ha ragione, poiché Dio non perdona i peccati a coloro che non perdonano ai nemici i torti da essi ricevuti (Matt. XVIII, 23-25, Marc. XI, 25-26), e se noi non ci manterremo nell’amore del nostro prossimo, Gesù non ci può riconoscere per suoi discepoli (Giov. XIII, 35). Altri poi (ed oggi son legioni) passano la vita dimentichi di Dio, in continuo peccato abituale, aggravato ogni giorno da nuove colpe attuali che commettono con massima disinvoltura come se fossero in pieno diritto di farlo; e ciononostante si lusingano, con folle persuasione, di potersi riconciliare con Dio al termine della loro vita spensieratamente delittuosa. Di costoro il beato Claudio De la Colombiere — pur tanto inclinato a pietà pei peccatori — scrive: « Bisogna confessare che questa fiducia dei peccatori è ancor più grande di quella d’Abramo. Abramo sperò contro la speranza, ma questi sperano contro la fede. Proprio sembra che questi vogliano dannarsi a bella posta, poiché è contrario al Vangelo che Dio loro perdoni in quell’ultimo punto ». Infatti non è proprio per essi il ben noto effetto: « Maledetto l’uomo che pecca nella speranza del perdono »? E si oserà ritenere che sia sicura la sorte eterna di questi tali, che pensano di darsi a Dio, sol quando avranno — come si dice — l’acqua alla gola?… Ah! Sordi come sono alle ispirazioni di Dio ed ai richiami dei buoni, saranno invece per loro queste tremende parole dello Spirito Santo: « Io vi chiamai, e voi ricusaste di seguirmi. Ebbene anch’io mi riderò di voi e vi schernirò nell’ora della vostra rovina! » (Prov. 1, 24-26). – Ma — torno a chiedere — pregano essi? — S. Alfonso prospetta il caso, e dice; « Vi sono alcuni infelici che amano le catene colle quali il demonio li tiene legati da schiavi. Le preghiere di costoro non sono esaudite da Dio, perchè son preghiere temerarie ed abbominevoli ». Ed anche il Salviano ritiene non essere « nessuna meraviglia che Dio non ci ascolti, se noi ci rifiutiamo di ascoltare Lui ». – Però in prevalenza essi non pregano, poiché ben intuiscono che la loro preghiera è inutile fino a quando non si decideranno seriamente ad abbandonare la loro vita di peccati e di disordini ed a ritornare a Dio. Essi capiscono assai bene che un continuo voler avere, senza essere pur disposti a dar qualcosa anch’essi, è una cosa che non va, è un controsenso. Oppure — se pregano — domandano a Dio e, più frequentemente, alla Madonna od a qualche Santo o Santa, quella ch’essi chiamano « la fortuna »: fortuna negli affari, nelle aziende, nei negozi, negli studi, nella stalla, in campagna, e specialmente la salute corporale; e non di rado il Signore li esaudisce per poterli premiare in questo mondo per quel po’ di bene che ancor essi compiono nel corso della loro vita. In fine poi, quando vuole Dio e non già quando si ripromettono essi, piomba sopra di loro quella morte subitanea ed improvvisa che il mondo chiama bella perchè non preceduta da lunghi disturbi, da grosse spese e da gravi sofferenze; ed essi piombano nel mondo di là carichi dei gravi peccati d’una lunga vita, senz’aver potuto esprimere sopra di essi neppure il minimo atto di pentimento. – Ah, quanti, quanti sono i casi identici a questo, od assai assomiglianti! E, dopo ciò, quel che segue: in questo mondo un funerale di primissima classe e la reposizione del corpo in un’artistica tomba o sotto una classica lapide laudatoria; e nel mondo di là una misera anima già giudicata e messa al suo posto per tutta l’eternità!.— Dove? — Non oso dirlo. Dio solo ha il dominio sull’eternità e su quanto avviene in essa. – Ed è pur verissimo che fra l’ultimo gemito d’un moribondo e l’inferno, c’è ancora l’oceano della divina misericordia. Ciononostante io non oso chiedere né a Dio, né ad alcun Santo, che « la mia fine sia somigliante a quella di costoro ».(Num. XXIII, 10). Ah, no! Prego invece, ed invito quanti mi leggono ad unirsi a me, affinché il Signore usi verso questa sorte di peccatori — che è la più bisognosa — non solo la sua grande, ma senz’altro la sua massima misericordia. Essi infatti, se pur intuiscono che li attende qualcosa di grosso nel mondo di là, pure non sospettano neanche lontanamente quanto « sia orrendo cadere nelle mani del Dio vivente » (Ebr. X, 31). Sì, sarebbe assai spaventosa la condizione di un uomo che si vedesse sospeso per un sottilissimo filo sopra un campo di baionette o sopra un serraglio di bestie feroci ed affamate; ma è mille volte più orribile la condizione del peccatore, il quale pel tenue filo della sua vita, che può spezzarsi ad ogni istante, è sospeso sopra le orrende fauci dell’inferno. Eppure questi disgraziati, anziché pensar di rimediare a sì spaventosa loro condizione, pensano solo — come già dissi — a far roba, a far denari, a godersela a più non posso, a ridere, a divertirsi. Ora si può essere più pazzi ed insensati di così? Quindi torno a dire: Preghiamo pei peccatori. « Le anime veramente innamorate di Dio dice S. Alfonso — non cessano di pregare per i poveri peccatori. E com’è possibile che un’anima che ama Dio, vedendo l’amore che porta alle anime e quel che ha fatto e patito Gesù Cristo per la loro salvezza e il desiderio che ha questo Salvatore che noi preghiamo pei peccatori, com’è possibile — dico — che possa poi vedere con indifferenza tante povere anime che vivono senza Dio, schiave dell’inferno, e non muoversi ed affaticarsi a pregare frequentemente il Signore a dar luce e forza a quelle infelici perché possano uscire dallo stato miserabile in cui dormono ,e vivono perdute »? — Sì, via il gretto egoismo! Pensiamo bene che « Dio comandò a ciascuno di aver pensiero del suo prossimo » (Eccli. XVII, 12). E ciò è anche nel nostro interesse; poiché a chi ritrae un peccatore dall’errore della sua cattiva via, salverà la di lui anima dalla morte eterna e coprirà una moltitudine di peccati propri » (Giac. V, 20). Sì, preghiamo per i poveri peccatori!

19. Signore, sii propizio a me peccatore!

Non però tutti i peccatori, per grazia di Dio, si trovano nelle tristi condizioni da me rilevate nel precedente capitolo. Ce ne sono tanti che « peccano per fragilità o per impeto di qualche gran passione, e gemono sotto il giogo del nemico, e desiderano di rompere quelle catene di morte ed uscire da quella misera schiavitù; e perciò domandano aiuto a Dio ». Orbene « l’orazione di costoro, s’ella è costante, ben sarà esaudita dal Signore, il quale dice che ognuno che domanda riceve, e chi cerca la grazia la ritrova. – Ognuno — spiega un autore — sia egli giusto, o sia peccatore » (S. Alfonso). Sta scritto infatti: « O Dio, tu non disprezzi un cuor contrito ed umiliato », e « tu, o Signore, rimetti i peccati di coloro che t’invocano » (Salm..50, 19; Tob. 3, 1 . E dopo aver Dio nella S. Scrittura in mille modi invitato i peccatori a rientrare in se stessi e a ritornare con tutta confidenza a Lui per poter dare loro il bacio del perdono e l’abbraccio dell’amore, Egli rivolge a ciascuno di essi queste paterne parole: « Se tu pregherai sarai sciolto dai peccati » (Eccli. XXVIII,.2). « Si, alzi le sue grida anche il peccatore; e la sua preghiera giungerà fino a Dio » (S. Gregorio M.). Ed invero « la preghiera in bocca al peccatore, sebbene non sia bella perché non accompagnata dalla carità, nondimeno è utile e fruttuosa per uscire dal peccato; poiché, come insegna S. Tommaso, la preghiera del peccatore è bensì senza merito, ma è ben atta ad impetrar la grazia del perdono, mentre la virtù d’impetrare è fondata non già sul merito di chi prega, ma sulla divina bontà e sui meriti e sulle promesse di Gesù Cristo » (S. Alfonso). Quindi « benchè sia desiderabile che chi prega si trovi in istato di grazia, tuttavia il peccatore… deve pregare anch’egli, e pregare molto, e più del giusto, per impetrare il perdono de’ suoi peccati e riconciliarsi con Dio » (A Lapide), poiché il Signore stesso mette in bocca a Davide queste parole che sembrano paradossali « Tu, o Dio, perdonerai al mio peccato, poichè esso è grande » (Salm. XXIV, 11). E qui osserva. Questa commossa supplica del Salmista non ha forse qualche somiglianza coll’accorata invocazione che il bambino ammalato o ferito rivolge alla mamma nei momenti di maggior sofferenza, dicendole: « O mamma, soffro tanto! Aiutami! »? E che non fa la mamma per alleviare i dolori del figlio, ancorché egli si fosse procurato il male colla sua sventatezza o per non averla voluta obbedire?… Orbene ascolta ciò che ti dice ora il Signore: « Potrà forse una donna — Ei dice — dimenticare il suo figliuolo in modo da non sentir più compassione del frutto delle sue viscere? Oh! se anche questa lo potesse dimenticare, Io invece non mi dimenticherò mai di te! » (Is. XLIX, 15). Anzi guarda fino a qual segno.arriva il buon Dio! « Se uno ripudia la moglie, e questa, allontanatasi da lui, prende un altro marito, il primo ritornerà forse nuovamente da lei?… Ma tu hai peccato con molti amanti! Tuttavia ritorna a me, ed io ti riceverò… Almeno ora dimmi: Padre mio, sei tu la guida della mia virtù! » (Ger. III, 1-3). E il peccatore avrà riguardo di mostrare al Signore le piaghe dell’anima sua, e di dirgli: « Sono stato uno sventato! non ho voluto obbedirti e sono stato molto cattivo verso di te! Ma tu, infinitamente buono, abbi pietà di me, rimedia ai guai da me stesso in me provocati, e guarisci la povera anima mia! » E il Signore non esaudirà una tal supplica? Ma allora a chi concederà Egli la sua misericordia, se non la concede ai miseri? Ah! « se Dio non esaudisce i peccatori — dice S. Agostino — indarno il Pubblicano avrebbe domandato il perdono. Ma il Vangelo ci attesta che il Pubblicano, col pregare, ben ottenne il perdono » (S. Alfonso). Ed invero « quando l’anima gli dice: Signore, io non cerco beni di questa terra, ricchezze, piaceri, onori; ma solo vi domando la grazia vostra: liberatemi dal peccato, datemi una buona morte, datemi il paradiso, datemi il santo amor vostro, datemi rassegnazione alla vostra volontà, com’è possibile che Dio non voglia esaudirla? E quali domande mai — dice S. Agostino esaudirete voi, o Dio, se non esaudite queste che son tutte secondo il vostro cuore? » (S. Alfonso). – Molto opportunamente perciò S. Alfonso mette in bocca a Gesù questa patetica esortazione ai peccatori: « Orsù, peccatori, non vi disanimate; non fate che i vostri peccati vi trattengano dal ricorrere al mio Padre e dallo sperare da Esso la vostra salute se la desiderate. Voi non avete già i meriti per ottenere le grazie che chiedete, ma avete solo i demeriti per riceverne castighi. Fate dunque così: Andate da mio Padre in nome mio, e per i meriti miei cercate le grazie che volete; ed Io vi prometto e vi giuro: In verità, in verità vi dico, che quanto domanderete, il Padre ve lo concederà. Dunque è colla preghiera che i peccatori possono impetrare il perdono delle proprie colpe, è colla preghiera ch’essi riescono a chiamare sopra di sé quell’umiltà e quel coraggio che è loro necessario per farne una fruttuosa Confessione sacramentale, ed è ancora colla preghiera che essi possono ottenere da Dio l’aiuto per conservarsi a Lui fedeli in seguito. Infatti, per mantenersi saldi nei loro buoni propositi, essi non devono mai tralasciare la preghiera, ma servirsene sempre con tutto il fervore possibile, specialmente in tempo di tentazioni. Quindi « non basta — dice il Bellarmino — chieder la grazia della perseveranza una volta o poche volte: dobbiamo domandarla sempre, ogni giorno, sino alla morte, se vogliamo ottenerla. Chi la cerca un giorno, per quel giorno l’otterrà; ma chi non la chiede anche domani, domani cadrà ». — Così S. Alfonso, il quale in un altro luogo ha pur queste parole: « Tante povere anime perdono la divina grazia, e seguono a vivere in peccato, e in fine si perdono perché non pregano e non ricorrono a Dio per aiuto ». — Purtroppo è così! E l’esperienza lo conferma. Io stesso ho spesso veduto che chi, dopo una Missione o un Triduo di predicazione continuò a pregare, si mantenne pur saldo nel bene, anzi divenne sempre migliore; e chi invece abbandonò la preghiera intrapresa, ricadde miseramente, anzi divenne peggiore di prima. E non son solo ad averlo notato. S. Alfonso assai prima di me scrisse: « Troppo lo dimostra l’esperienza, che chi ricorre a Dio nelle tentazioni non cade, e chi non ricorre cade ». – Attenti però ad una specialità (passi la parola). Per liberarsi dai peccati impuri e per preservarsi da essi, talvolta la sola preghiera non è sufficiente: ci vuole, in più, quello che Gesù chiama « il digiuno ». Infatti « questo genere di demoni non si scaccia se non colla preghiera e col digiuno » (Marc. IX, 28); e precisamente digiuno dello stomaco, degli occhi, dell’udito, della gola; e freno alla lingua, alla fantasia e soprattutto alla volontà, l’ufficio della quale è di regolare secondo la legge di Dio tutte le potenze dell’anima e di moderare i sensi e le membra del corpo, comprese le mani e i piedi. Poco può sperar di spegnere colla preghiera la lussuria chi poi volontariamente continua a darle esca da tutti i sensi, resi ancor più fini da una delicata nutrizione. Infatti, la purezza senza la cristiana mortificazione (anche questa però può essere impetrata dalla fervente e continuata preghiera) è impossibile. Invece « frena la gola, e più facilmente frenerai le inclinazioni della carne » (Imit. di Cristo). – Che ci resta dunque a fare dopo queste considerazioni? Due cose. Anzitutto dobbiamo sforzarci di scoprire ai poveri peccatori il grande tesoro della preghiera e di metterlo a loro disposizione, affinché se ne innamorino e ne approfittino. Se ne assumeranno sinceramente, cordialmente e stabilmente la pratica, essi si redimeranno e si salveranno. — E poi,… e poi — come già raccomadai nel precedente capitolo — pregare spesso e molto per essi. Ricordiamo che anche la Vergine Immacolata, che apparve a Lourdes, s’interessò in modo tutto particolare di essi, raccomandando vivamente a S. Bernardetta e — pel tramite di essa — a quanti erano presenti, di pregare per essi. « Pregate — disse — pei peccatori! )) E noi lasceremo cadere nel vuoto questo pio, amoroso ed accorato grido della nostra buona Madre Celeste? Essa, da quello speco benedetto non fece molte parole. Dobbiamo quindi ritenere che, se la dolce ed amabile nostra Signora credette opportuno farci questa raccomandazione in favore dei peccatori, il pregare per essi non solo dev’essere una grande opera di carità, ma anche di somma utilità per noi. Assecondiamo il suo desiderio, e saremo contenti.

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (12)