ORDINARIO DELLA MESSA

L’ORDINARIO DELLA MESSA

LA SPIEGAZIONE DELLE CERIMONIE

[L. GOFFINÉ: Manuale per la santificazione delle Domeniche e delle feste. Ed. Besançon, trad. p. Mauro Ricci delle Scuole Pie; Firenze, 1869]

Andando in chiesa meditiamo questi pensieri:

Noi entreremo nel tempio del Signore, l’adoreremo nel luogo che Egli ha scelto per sua dimora; santo e terribile è questo luogo: è la casa di Dio e la porta del cielo.

Nel prendere l’acqua benedetta si dica:

Voi mi laverete da’ miei peccati, o Signore, ed io sarò purificato; mi bagnerete del vostro sangue e diverrò più candido della neve. Create in me un cuor puro, o mio Dio! e rinnovate nell’intimo dell’anima mia lo spirito di rettitudine e di giustizia. – O potenze dell’anima mia! o affetti del mio cuore! Venite, adoriamo Gesù Cristo nell’augusto Sacramento; prostriamoci dinanzi a Lui, perché Egli è il Signore Dio nostro.

All’aspersione dell’acqua benedetta.

Nell’anno.

La Chiesa, con la cerimonia dell’aspersione vuol dirci che dobbiamo sempre assistere al sacrificio della nuova legge con somma purezza di cuore.

Asperges me, Domine,

hyssopo, et mundabor;

lavais me, et super nivem

dealbabor

Miserere mei, Domine,

secundum magnam

misericordiam tuam;

Gloria Patri, etc.

V.: Ostende nobis, Domine, misericordiam tuam;

R. : Et salutare tuum da nobis.

V.: Domine exaudi Orationem meam.

R.: Et clamor meus ad te veniat.

V.: Dominus vobiscum,

R.: Et cum spiritu tuo.

Oremus.

Exaudi nos. Domine Sancte, Pater omnipotens, aeterne Deus, et mittere digneris sanctum Angelus tuum de cœlis, qui custodiat, foveat, protegat, visitet et defendat omnes habitantes in hoc habitaculo; per Christum Dominum nostrum. Amen.

[Voi mi aspergerete con l’issopo, o Signore, ed io sarò purificato; Voi mi laverete, ed io vincerò la neve in candore.

Pietà di me, o Signore, secondo la grande vostra misericordia.

Gloria al Padre etc.

V.: Mostrateci, Signore, la vostra misericordia;

R.: E concedete a noi la grazia di salvarci.

V.: Signore, esaudite la mia preghiera.

R.: E la mia voce salga sino a Voi.

V.: Il Signore, sia con voi.

R.: E con lo spirito vostro.

Orazione. Esauditeci, o santo Iddio, Padre onnipotente, e degnatevi d’inviar dal cielo il santo Angelo vostro perché custodisca, difenda tutti coloro che sono qui radunati: vi domandiamo questa grazia per Gesù Cristo Signor Nostro. Così sia.]

Nel tempo pasquale.

Vidi aquam egredieutem de tempio a latere dextero, alleluia; et omnes ad  quos pervenit aqua ista,salvi  facti sunt, et dicent: Alleluia, alleluia.

Confitemini Domino, quoniam bonus; quoniam in sæculum misericordia ejus;

[Vidi un’acqua che usciva dal santuario al destro lato, alleluia; e tutti quelli che furono abbeverati di quest’acqua saranno salvi e canteranno: alleluia, alleluia.

Lodate il Signore, perché è buono, e la sua misericordia si estende a tutti i secoli dei secoli. Così sia.]

Gloria Patri, et Filio,  et Spiritui Sancto: sicut erat in principio, et nunc  et semper, et in sæcula sæculorum. Amen

[Gloria al Padre, al Figliuolo e allo Spirito Santo, oggi e sempre, come fia dal principio ed in tutti i secoli dei secoli. Così sia.]

Dicasi il V. Ostende etc. Allelúia e l’orazione che sopra.

Prima della Messa.

Mi presento innanzi all’altare, o mio Signore, per assistere al vostro divin Sacrifizio. Preparate voi stesso il mio cuore ai dolci effetti della vostra grazia; fermate i miei sensi, reggete il mio spirito; cancellate col prezioso vostro sangue tutti i peccati dei quali mi vedete colpevole: io li detesto per vostro amore, ed umilmente ve ne domando perdono. Fate, o dolce Gesù, che unendo le mie intenzioni alle vostre, io mi consacri interamente alla vostra gloria, come Voi vi sacrificate per la mia salvezza. Così sia.

Il Sacerdote a pie’ dell’altare.

L’umile posizione del Sacerdote denota l’abbassamento del Verbo eterno nel mistero della Redenzione. Rechiamoci alla mente l’orto degli ulivi, dove Gesù Cristo si portò accompagnato dai suoi Discepoli: e dopo essersi un poco allontanato da loro, pregò col viso prostrato a terra ed accettò il doloroso calice della passione. Con questa ricordanza dobbiamo recitare le seguenti preghiere (Ps. XLII):

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

[Nel nome del Padre ✠ e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.]

V.: Introíbo ad altáre Dei.
R.: Ad Deum, qui lætíficat iuventútem meam.
V.: Iúdica me, Deus, et discérne causam meam de gente non sancta: ab hómine iníquo et dolóso érue me.
R.: Quia tu es, Deus, fortitudo mea: quare me reppulísti, et quare tristis incédo, dum afflígit me inimícus?
V.: Emítte lucem tuam et veritátem tuam: ipsa me deduxérunt, et adduxérunt in montem sanctum tuum et in tabernácula tua.
R.:  Et introíbo ad altáre Dei: ad Deum, qui lætíficat iuventútem meam.
V.: Confitébor tibi in cíthara, Deus, Deus meus: quare tristis es, ánima mea, et quare contúrbas me?
R.: Spera in Deo, quóniam adhuc confitébor illi: salutáre vultus mei, et Deus meus.
V.: Glória Patri, et Fílio, et Spirítui Sancto.
R.: Sicut erat in princípio, et nunc, et semper: et in saecula sæculórum. Amen.
V.: Introíbo ad altáre Dei.
R.: Ad Deum, qui lætíficat iuventútem meam.

[V. Mi appresserò all’altare di Dio.
R. A Dio che dà letizia alla mia giovinezza.
V. Siate mio giudice, o mio Dio, e prendete la mia difesa contro gli empi e liberatemi dall’uomo iniquo e ingannatore.
R. Voi siete, o Dio il mio sostegno; perché dunque mi avete respinto? e perché mi lasciate nel duolo e nella tristezza sotto l’oppressione dei miei nemici?
V. Fate risplendere su me la vostra luce e verità: esse mi guideranno al vostro santo monte e mi introdurranno al vostro santuario.

R. Mi appresserò all’altare di Dio; e mi presenterò davanti a Dio, che riempie l’anima mia d’una gioia sempre nuova.
V. Canterò sull’arpa le vostre lodi, mio Signore e mio Dio:  anima mia, perché dunque stai sì afflitta? Perché sei tu inquieta?

R. Spera in Dio, perché io celebrerò ancora le sue misericordie: Egli sarà di nuovo il mio Salvatore ed il mio Dio.
V. Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo.
R. Come era in principio, e ora, e sempre, e nei secoli dei secoli. Amen.
V. Mi appresserò all’altare di Dio;

R. Io mi presenterò davanti a Dio, che riempie l’anima mia d’una gioia sempre nuova].

Dalla Domenica di Passione fino al Giovedì Santo, e alle Messe dei Morti, si dice così:

V. Introíbo ad altáre Dei.
R. Ad Deum, qui lætíficat iuventútem meam.
[V. Mi appresserò all’altare di Dio.
R. A Dio che dà letizia alla mia giovinezza.]


V. Adjutorium nostrum in nomine Domini

R. Qui fecit cælum et terram.

[V. Il nostro soccorso è nel nome del Signore:

R.. Il quale ha fatto il cielo e la terra.]

Dopo il Confiteor del Sacerdote il servente risponde:

V. Misereátur tui omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis tuis, perdúcat te ad vitam ætérnam.

R. Amen.

[M. Dio onnipotente, abbia pietà di te, e, perdonati i tuoi peccati, ti conduca alla vita eterna.
S. Amen.]

 Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Ioánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et tibi, pater: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et opere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Ioánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et te, pater, orare pro me ad Dóminum, Deum nostrum.

[Confesso a Dio onnipotente, alla beata sempre Vergine Maria, al beato Michele Arcangelo, al beato Giovanni Battista, ai Santi Apostoli Pietro e Paolo, a tutti i Santi e a te, o padre, di aver molto peccato, in pensieri, parole ed opere: per mia colpa, per mia colpa, per mia grandissima colpa. E perciò supplico la beata sempre Vergine Maria, il beato Michele Arcangelo, il beato Giovanni Battista, i Santi Apostoli Pietro e Paolo, tutti i Santi, e te, o padre, di pregare per me il Signore Dio nostro.]

Il Sacerdote prega per gli astanti e per sé medesimo:

S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutionem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

[S. Dio onnipotente abbia pietà di noi e, rimessi i nostri peccati, ci conduca alla vita eterna.
R. Amen.

S. Il Signore onnipotente e misericordioso ✠ ci accordi l’indulgenza,  l’assoluzione e la remissione dei nostri peccati.  R. Amen.]

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

[V. Volgendovi a noi, o Dio, ci darete una vita nuova.
R. E il vostro popolo si rallegrerà in Voi.
V. Mostrateci, o Signore, la vostra misericordia.
R. E concedeteci la vostra salvezza.
V. O Signore, esaudite la mia preghiera.
R. E il mio grido si innalzi fino a fino a Voi.
V. Il Signore sia con voi.
R. E con lo spirito tuo.]

Il Sacerdote sale all’altare; ma è compreso da spavento a misura che egli s’inoltra: sente che quella terra e santa, e trema sotto i passi di un peccatore.

Orémus,
Aufer a nobis, quœsumus, Dómine, iniquitátes nostras: ut ad Sancta sanctorum puris mereámur méntibus introíre. Per Christum, Dóminum nostrum. Amen.
[Preghiamo:

Togli da noi, o Signore, le nostre iniquità: affinché con ànimo puro possiamo entrare nel Santo dei Santi. Per Cristo nostro Signore. Amen.]

Orámus te, Dómine, per mérita Sanctórum tuórum, quorum relíquiæ hic sunt, et ómnium Sanctórum: ut indulgére dignéris ómnia peccáta mea. Amen.

[Preghiamo: Ti preghiamo, o Signore, per i mériti dei tuoi Santi dei quali son qui le relíquie, e di tutti i tuoi Santi: affinché ti degni di perdonare tutti i miei peccati. Amen.]

All’Introito.

Introito significa entrata: si canta mentre il Sacerdote si dispone a venire all’altare; e le parole di cui è composto esprimono il desiderio che ci siano applicati i meriti della Redenzione. Onoriamo l’arrivo di Gesù Cristo al Calvario per consumare il suo sacrificio; apriamogli i nostri cuori e consacriamoli a servirlo.

Preparati, anima mia, ad andare dinanzi al tuo Dio; la sua giustizia e la sua misericordia si uniscono insieme a tuo favore nel tempo del sacrificio; attestagli la riconoscenza dovuta; offri a lui quell’impero che Egli merita sul tuo cuore, da lui stesso creato, e riscattato e ricolmo ogni giorno di benefizi.

Oramus te, Domine, per merita sanctorum tuorum,quorum reliquiae hic sunt, et omnium Sanctorum ut indulgere digneris omnia peccata mea. Amen.

 « Ho gridato verso di voi, Signore, dall’abisso della mia miseria. Ah! se voi esaminaste con rigore le mie iniquità, non potrei sostenere la vostra presenza. Venite a togliermi dal peccato, ed a mostrarmi la via che conduce a voi. Gloria al Padre etc. »

Al Kyrie.

Il Kyrie è un’espressione di dolore misto a confidenza nella misericordia di Dio; le prime tre invocazioni sono dirette al Padre, le seconde al Figlio, le ultime tre allo Spirito Santo: si ripete questa medesima preghiera per onorare l’unità di natura in Dio. Son distinte le invocazioni per riconoscere la distinzione delle Persone; e si fanno in ugual numero per manifestare come ciascuna Persona ha tutte le perfezioni divine. Adoriamo l’augusta Trinità, supplicandola a perdonare tutti i nostri peccati.

V.  Kyrie, eleison.

R. Kyrie, eleison.

V.. Kyrie, eleison.

R. Kriste, eleison.

V. Kriste, eleison.

R. Christe, eleison.

V. Christe, eleison.

R. Christe, eleison.

V. Kyrie, eleison.

R. Kyrie, eleison.

V. Kyrie, eleison.

[V. Signore, pietà di noi.

R. Signore, pietà di noi.

V. Signore, pietà di noi.

R. Gesù, pietà di noi.

V. Gesù, pietà di noi.

R. Gesù, pietà di noi.

V. Signore, pietà di noi.

 R. Signore, pietà di noi.

V. Signore, pietà di noi.]

Inno degli Angeli.

Le prime parole del Gloria vennero dal cielo alla nascita del Signore; le rimanenti sono come lo sviluppo di questo solenne esordio: rendiamo a Dio la gloria che a Lui è dovuta, domandiamogli la pace che il mondo non può dare e che gli Angeli annunziarono alla terra.

Gloria
Gloria in excelsis Deo, et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex coeléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Iesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Iesu Christe. Cum Sancto Spíritu in glória Dei Patris. Amen.

 [Gloria a Dio nell’alto dei cieli. E pace in terra agli uomini di buona volontà. Noi Ti lodiamo. Ti benediciamo. Ti adoriamo. Ti glorifichiamo. Ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa. Signore Iddio, Re del cielo, Dio Padre onnipotente. Signore, Figlio unigenito, Gesù Cristo. Signore Iddio, Agnello di Dio, Figlio del Padre. Tu che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi. Tu che togli i peccati del mondo, accogli la nostra supplica. Tu che siedi alla destra del Padre, abbi pietà di noi. Poiché Tu solo il Santo. Tu solo il Signore. Tu solo l’Altissimo, Gesù Cristo. Con lo Spirito Santo ✠ nella gloria di Dio Padre. Amen.]

Alla Collètta.

Si dice Collètta, perché è una preghiera fatta in nome dei Fedeli riuniti, ed è il compendio di tutte le loro domande; si chiude nel nome di Gesù Cristo, per mostrare che non abbiamo accesso a Dio, se non per Colui che si è aggravato del peso delle nostre iniquità. Raccomandiamo alla s. Vergine ed ai Santi la particolare intenzione, onde venimmo all’altare, dicendo: Concedetemi, Signore, per l’intercessione della s. Vergine e degli altri Santi, che la Chiesa onora in questo giorno, tutte le grazie che il vostro ministro a voi domanda: riempite il cuor mio di amore per voi, di riconoscenza per i vostri benefizi, di avversione ai miei mancamenti, e di carità per il mio prossimo: la stessa preghiera io vi fo per le persone per le quali sono obbligato di pregare. Non merito d’essere esaudito, o mio Dio; ma vi domando queste grazie per i meriti di Gesù Cristo, vostro Figlio. Così sia.

V. Dominus vobiscum;

R. Et cum spiritu tuo.

All’Epistola

La prima lezione della Messa è chiamata Epistola, perché il più delle volte è tratta dalle lettere canoniche degli Apostoli; sebbene ritenga questo nome anche nelle Messe ove è tratta dagli altri libri della s. Scrittura. Ascoltiamola come se fosse stata diretta a noi stessi da uno dei Profeti, o da uno degli Apostoli.

Parlate, o Signore, il vostro servo vi ascolta; dite al suo cuore qualche parola di quelle che diceste ai Profeti ed agli Apostoli vostri. Ecco, anima mia, quanto il Signore ci dice per le loro labbra: « Lasciate il male, appigliatevi al bene; il regno di Dio non lo possederanno i cattivi. Abbiate per regola della vita la fede, la pietà, la giustizia, la carità; faticate a riportar la corona celeste; amatevi gli uni gli altri: non v’intiepidite nel servizio di Dio; abbiate il fervore dello spirito; siate pazienti nelle afflizioni; pregate di continuo; onorate coloro che fanno le veci del Signore: amate i vostri fratelli, beneficate i persecutori. »

Il Graduale. Il salmo che segue alla lettura dell’ Epistola si chiama Graduale, perché  si cantava sui gradini del luogo donde si leggevano le sante Scritture.

Alleluja è un’espressione di felicità che si ode continuamente nel cielo, dice l’Apostolo s. Giovanni; perciò la Chiesa lo pone in principio dei sentimenti di gioia, che essa fa udire alla vista del santo Vangelo.

La Prosa è un’esposizione della festa, che la Chiesa celebra.

Il Tratto, nei giorni dedicati alla tristezza e al pentimento, tien luogo dell’Alleluja e della Prosa, ed è un’espressione di dolore e di penitenza.

Chi pone la sua fiducia nell’Altissimo riposa in pace sotto la protezione del reggitor dell’universo; egli dirà al Signore: « Voi siete il mio protettore e il mio rifugio, Voi il mio Dio, in cui ripongo tutta la mia speranza; voi mi librerete dalle insidie del nemico e dai mali a me sovrastanti. Sì, il Signore mi coprirà della sua ombra, ed io riposerò sotto le sue ali: la sua tenerezza mi coprirà come di un elmo; né io avrò a temere il terror della notte, né i dardi che percuotono nel giorno. Il Signore mi ha affidato alla custodia dei suoi Angeli, perché mi custodiscano in tutti i miei passi. Egli ha sperato in me, dice il Signore, ed io lo libererò, sarò il suo difensore, perché ha conosciuto il mio nome: esclamerà verso di me, ed io l’esaudirò; sarò con lui nelle tribolazioni, lo libererò, e lo incoronerò di gloria. »

Il Sacerdote si curva in mezzo all’altare con le mani giunte, e dice:

Munda cor meum, ac labia mea, omnípotens Deus, qui labia Isaíæ Prophétæ cálculo mundásti igníto: ita me tua grata miseratióne dignáre mundáre, ut sanctum Evangélium tuum digne váleam nuntiáre. Per Christum, Dóminum nostrum. Amen.
 [Purificate il mio cuore e le mie labbra, o Dio onnipotente, come purificaste le labbra del vostro profeta Isaia con un carbone acceso; purificatemi in guisa che io possa annunziare degnamente il vostro santo Vangelo. Per il Cristo nostro Signore. Amen.]

Jube, Dómine, benedícere. Dóminus sit in corde meo et in lábiis meis: ut digne et competénter annúntiem Evangélium suum. Amen.
[Signore, datemi la vostra benedizione. Il Signore mi sia nel mio cuore e sulle mie labbra: affinché io degnamente io annunzi la sua santa parola. Così sia.]

Al Vangelo

Qui non più i Profeti e gli Apostoli c’istruiscono, ma parla il Signore medesimo: sorgiamo in piedi sicché la nostra compostezza esprima rispetto e docilità; e faccia conoscere che siamo pronti a seguire Gesù Cristo, a servirlo e a combattere per Lui: segniamoci la fronte, le labbra e il cuore col sacro segno della Croce; questo segno armi la nostra fronte contro il rispetto umano; santifichi le nostre labbra, ponendo sovr’esse la saggezza e la verità; purifichi il nostro cuore, e lo avvalori contro le seduzioni del mondo e dell’inferno.

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
[
V. Il Signore sia con voi.
R. E con il tuo spirito.]

Initium vel sequéntia +︎ sancti Evangélii, etc.

R. Gloria tibi, Domine!


[Il principio o seguito del Santo Vangelo, etc.

R. Sia Gloria a voi, o Signore!]

Gesù disse ai suoi discepoli; « Se alcuno vuol venire dietro di me, rinunzi a sé medesimo, si carichi della sua croce, e mi segua. Amate Dio con tutto il vostro cuore, con tutta l’anima vostra, con tutte le vostre forze: amate il prossimo vostro come voi medesimi. Sforzatevi di entrare per la porta stretta che conduce alla vita; pochi sono che ne trovano l’entrata. Cercate sopra tutto il regno di Dio e la sua giustizia. Non giudicate, e non sarete giudicati; perdonate, e vi sarà perdonato. Vegliate e pregate, e non soccomberete nella tentazione. Chi persevererà sino alla fine, costui sarà salvo. »

Felici, o mio Salvatore, quelli che pongono in pratica la vostra legge! Concedetemi la grazia di meditare spesso la vostra santa parola, e di farla fruttare con la rinunzia a me stesso, con l’esercizio della carità, e la perseveranza nel vostro amore.

Simbolo di Nicea.

Il Credo si compone di tre distinte parti: la prima riguarda il Padre e le opere della creazione; la seconda il Figlio e le opere della Redenzione, la terza lo Spirito Santo e le opere della santificazione. La Chiesa, facendolo recitare alla fine del santo Vangelo, vuol che facciamo professione di credere tutto quanto esso racchiude, e che ci prepariamo all’immolazione della vittima senza macchia, aderendo di spirito e di cuore alle verità da Dio rivelate.

Credo

Credo in unum Deum, Patrem omnipoténtem, factórem cœli et terræ, visibílium ómnium et in visibílium. Et in unum Dóminum Jesum Christum, Fílium Dei unigénitum. Et ex Patre natum ante ómnia sæcula. Deum de Deo, lumen de lúmine, Deum verum de Deo vero. Génitum, non factum, consubstantiálem Patri: per quem ómnia facta sunt. Qui propter nos hómines et propter nostram salútem descéndit de coelis. Et incarnátus est de Spíritu Sancto ex María Vírgine: Et homo factus est. Crucifíxus étiam pro nobis: sub Póntio Piláto passus, et sepúltus est. Et resurréxit tértia die, secúndum Scriptúras. Et ascéndit in coelum: sedet ad déxteram Patris. Et íterum ventúrus est cum glória judicáre vivos et mórtuos: cujus regni non erit finis. Et in Spíritum Sanctum, Dóminum et vivificántem: qui ex Patre Filióque procédit. Qui cum Patre et Fílio simul adorátur et conglorificátur: qui locútus est per Prophétas. Et unam sanctam cathólicam et apostólicam Ecclésiam. Confíteor unum baptísma in remissiónem peccatórum. Et exspécto resurrectiónem mortuórum. Et vitam ventúri sæculi. Amen.

[Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili ed invisibili; e nel solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figliuolo di Dio; nato dal Padre prima di tutti i secoli. Dio da Dio, lume da lume, Dio vero da Dio vero. Generato, non creato, della stessa consustanziale al Padre: per cui sono state fatte tutte le cose. Il quale per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo. E s’incarnò per opera dello Spirito Santo nel seno di Maria Vergine: e si fece uomo. Fu ancora per noi crocifisso sotto Ponzio Pilato, patì e fu sepolto. E risorse il terzo giorno, secondo le Scritture; ed ascese al cielo ove siede alla destra del Padre. E di nuovo ha da  venire con gloria a giudicare i vivi e i morti: e il regno di Lui non avrà fine. E nello Spirito Santo, Signore e vivificante, che procede dal Padre e dal Figliuolo, che con il Padre e il Figliuolo si adora, insieme si glorifica e ha parlato per mezzo dei Profeti. Credo la Chiesa: Una, Santa, Cattolica e Apostolica. Confesso un solo battesimo in remissione dei peccati; ed aspetto la risurrezione dei morti. E la vita ✠ del secolo avvenire. Amen.]

All’ Offertorio.

L’antifona dell’Offertorio talvolta è una preghiera, tal altra una parola di lode. Sovente è un’istruzione che rammenta l’antica usanza dei Cristiani che portavano la loro offerta all’altare. Il pane benedetto che si offre la Domenica alla Messa parrocchiale è un segno di carità tra i fedeli che assistono alla Santa Messa; e fa le veci delle agape celebrate nei primi tempi del Cristianesimo, in memoria della cena che Gesù Cristo fece coi suoi Discepoli prima dell’istituzione dell’Eucarìstia.

Mi consacro tutto a voi, o mio Dio, nella semplicità dell’anima mia; conservatemi sino alla fine questo spirito di sacrifizio. Unisco il mio cuore contrito ed umiliato alla vittima santa che il sacerdote vi offre: lasciatevi placare o Signore, dai nostri voti e dalla nostra offerta.

Offerta dell’Ostia a Dio Padre.

L’offerta più gradevole che possiamo presentare al Signore è quella dei nostri cuori contriti od umiliati. Offriamoli coll’ Ostia che è per divenire il Corpo ed il Sangue di Gesù Cristo; e possano le nostre affezioni terrene essere consumate dal Fuoco dell’olocausto, e le colpe esserci cancellate per i meriti della vittima senza macchia.

Suscipe, sancte Pater, omnipotens ætérne Deus, hanc immaculátam hóstiam, quam ego indígnus fámulus tuus óffero tibi Deo meo vivo et vero, pro innumerabílibus peccátis, et offensiónibus, et neglegéntiis meis, et pro ómnibus circumstántibus, sed et pro ómnibus fidélibus christiánis vivis atque defúnctis: ut mihi, et illis profíciat ad salútem in vitam ætérnam. Amen.

[Ricevete, o Padre santo, onnipotente ed eterno Iddio, questa ostia immacolata, che io, indegno servo vostro, offro a Voi, mio vero Dio vivente, per i miei peccati, offese e negligenze senza numero, per tutti i presenti, e per tutti i fedeli Cristiani vivi e defunti, affinché essa giovi ad essi, ed a me per la salute della vita eterna. Amen.]

Il Sacerdote pone il vino e l’acqua nel calice.

Deus, qui humánæ substántiæ dignitátem mirabíliter condidísti, et mirabílius reformásti: da nobis per hujus aquæ et vini mystérium, ejus divinitátis esse consórtes, qui humanitátis nostræ fíeri dignátus est párticeps, Jesus Christus, Fílius tuus, Dóminus noster: Qui tecum vivit et regnat in unitáte Spíritus Sancti Deus: per ómnia saecula sæculórum. Amen.

[O Dio, che avete ammirabilmente formato l’uomo di una natura sì nobile, e più ammirabilmente lo avete ristabilito, fate che per il mistero di quest’acqua e di questo vino, siamo fatti partecipi della divinità del vostro Figliuolo, Gesù-Cristo, Signor nostro, che ha voluto partecipare della nostra umanità, Egli che con Dio vive e regna con Voi, nell’unione dello Spirito Santo in tutti i secoli dei secoli. Amen.]

All’Offerta del calice.

All’offerta del pane il Sacerdote non ha parlato che in suo nome: Io vi offro; ma all’offrire del calice, parla ancora a nome del popolo, raffigurato dall’acqua mischiata col vino: domandiamo che il prezzo del nostro riscatto presso a venire nel calice, sia applicato a noi ed a quelli per i quali dobbiamo pregare.

Offérimus tibi, Dómine, cálicem salutáris, tuam deprecántes cleméntiam: ut in conspéctu divínæ majestátis tuæ, pro nostra et totíus mundi salute, cum odóre suavitátis ascéndat. Amen.
[Ti offriamo, o Signore, questo calice di salvezza, e scongiuriamo la tua clemenza, affinché esso salga come odore soave al cospetto della tua divina maestà, per la salvezza nostra e del mondo intero. Amen.]

Veni, sanctificátor omnípotens ætérne Deus: et bene dic hoc sacrifícium, tuo sancto nómini præparátum.

[Ti offriamo, o Signore, questo calice di salvezza, e scongiuriamo la tua clemenza, affinché esso salga come odore soave al cospetto della tua divina maestà, per la salvezza nostra e del mondo intero. Amen.
Vieni, Dio eterno, onnipotente, santificatore, e ✠ benedici questo sacrificio preparato nel tuo santo nome.]

Offerta dei Fedeli.

Il Sacerdote ha operato fin qui come sacrificatore; segue ora unendosi coi peccatori; inchina la persona che prima teneva dritta per offrire come pontefice, congiunge le mani, innanzi elevate da lui al cielo come mediatore; ed in questa supplichevole posizione fa l’offerta del suo spirito, e del suo cuore, dello spirito e del cuore dei Fedeli, dicendo:

In spíritu humilitátis et in ánimo contríto suscipiámur a te, Dómine: et sic fiat sacrifícium nostrum in conspéctu tuo hódie, ut pláceat tibi, Dómine Deus.

[Con spirito di umiltà e con animo contrito, possiamo noi, o Signore, esserti accetti, e il nostro sacrificio si compia oggi alla tua presenza in modo da piacere a Te, o Signore Dio].

Invocazione allo Spirito Santo,

Tutto è pronto per il sacrifizio; ma la trasformazione non può eseguirsi se non per l’opera dello Spirito santificatore; che siccome formò il corpo di Lui nel seno di Maria, così deve produr Gesù Cristo sull’altare, e consumar la sostanza del pane e del vino con la sua onnipotenza. Noi preghiamolo a distrugger col fuoco del suo amore quanto vi ha di terreno e di colpevole nei nostri cuori.

Veni, sanctificátor omnípotens ætérne Deus: et bene dic hoc sacrifícium, tuo sancto nómini præparátum.

[Vieni, Dio eterno, onnipotente, santificatore, e ✠ benedici questo sacrificio preparato nel tuo santo nome.]

Al lavabo

Tal misteriosa cerimonia dimostra che la vita e le nostre opere debbono esser purissime, se vogliamo avvicinarci degnamente al Signore. Perché meglio la comprendiamo, il Sacerdote l’accompagna con la recita dei versetti seguenti del Salmo XXV.

Lavábo inter innocéntes manus meas: et circúmdabo altáre tuum. Dómine: Ut áudiam vocem laudis, et enárrem univérsa mirabília tua. Dómine, diléxi decórem domus tuæ et locum habitatiónis glóriæ tuæ. Ne perdas cum ímpiis, Deus, ánimam meam, et cum viris sánguinum vitam meam: In quorum mánibus iniquitátes sunt: déxtera eórum repléta est munéribus. Ego autem in innocéntia mea ingréssus sum: rédime me et miserére mei. Pes meus stetit in dirécto: in ecclésiis benedícam te, Dómine.
V.: Glória Patri, et Fílio, et Spirítui Sancto.

R.: Sicut erat in princípio, et nunc, et semper, et in saecula saeculórum. Amen

[Laverò fra gli innocenti le mie mani: ed andrò attorno al tuo altare, o Signore: Per udire voci di lode, e per narrare tutte quante le tue meraviglie. O Signore, ho amato lo splendore della tua casa, e il luogo ove abita la tua gloria. Non perdere insieme con gli empi, o Dio, l’anima mia, né la mia vita con gli uomini sanguinari: Nelle cui mani stanno le iniquità: e la cui destra è piena di regali. Io invece ho camminato nella mia innocenza: riscàttami e abbi pietà di me. Il mio piede è rimasto sul retto sentiero: ti benedirò nelle adunanze, o Signore.
V.: Gloria al Padre, e al Figlio, e allo Spirito Santo.
R.: Come era nel principio è ora e sempre nei secoli dei secoli. Amen.]

Al Suscipe, Sancta Trinitas,

Il Sacerdote ha offerto separatamente il pane, il vino e il cuore dei Fedeli; offre ora il tutto in generale; giunge lo mani sull’altare in segno di unione con Gesù Cristo; fa l’offerta in particolare a Dio Padre ed allo Spirito Santo, invocando ora l’augusta Trinità.

Súscipe, sancta Trinitas, hanc oblatiónem, quam tibi offérimus ob memóriam passiónis, resurrectiónis, et ascensiónis Jesu Christi, Dómini nostri: et in honórem beátæ Maríæ semper Vírginis, et beáti Joannis Baptistæ, et sanctórum Apostolórum Petri et Pauli, et istórum et ómnium Sanctórum: ut illis profíciat ad honórem, nobis autem ad salútem: et illi pro nobis intercédere dignéntur in coelis, quorum memóriam ágimus in terris. Per eúndem Christum, Dóminum nostrum. Amen.

[Santissima Trinità, ricevete questa offerta che vi facciamo in memoria della Passione, Risurrezione e dell’Ascensione di Gesù Cristo Signore nostro, e in onor della Beata sempre Vergine Maria, di san Giovanni Battista, dei santi Apostoli Pietro e Paolo, di questi [martiri le cui reliquie sono nell’Altare], e di tutti i Santi, affinché ella torni a loro onore ed a nostra salvezza; e quelli la cui memoria celebriamo in terra, si degnino d’intercedere per noi in Cielo, per i meriti di Gesù Cristo nostro Signore. Amen.]

All’Orate, Fratres.

Il Sacerdote bacia l’altare, figura di Gesù Cristo, per attingervi le sante disposizioni, delle quali sente più e più la necessità. Per comunicarle ai Fedeli, si volta a loro, stende le mani e le ricongiunge; insiste col gesto e con la parola raccomandando di raddoppiare il fervore, come se dicesse: io vi lascio, e mi ritiro all’ombra della virtù dell’Altissimo; voi dal vostro canto pregate, e domandate di nuovo al Signore di gradire il sacrifizio che offriamo insieme.

V. Oráte, fratres: ut meum ac vestrum sacrifícium acceptábile fiat apud Deum Patrem omnipoténtem.

R. Suscípiat Dóminus sacrifícium de mánibus tuis ad laudem et glóriam nominis sui, ad utilitátem quoque nostram, totiúsque Ecclésiæ suæ sanctæ.
S. Amen.

[V.: Pregate, fratelli, affinché il mio sacrifizio, il quale è ancor vostro, sia benignamente accettato da Dio Padre onnipotente.
R.: Il Signore riceva dalle tue mani questo sacrificio, a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua Santa Chiesa.
S. Amen.]

Secreta

Deus, qui nos, per hujus sacrifícii veneránda commércia, uníus summæ divinitátis partícipes effecísti: præsta, quǽsumus; ut, sicut tuam cognóscimus veritátem, sic eam dignis móribus assequámur.
Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia saecula saeculorum.
R. Amen.

All’Orazione segreta.

L’orazione segreta è la preghiera che il Sacerdote dice a voce sommessa, esponendo al Signore le necessità proprie e degli astanti: gli domanda di accettare benignamente i doni posti sull’altare e di riceverci tutti insieme come un’ostia degna di essergli offerta.

Deh! Signore, la virtù di questo sacrifizio faccia discendere sopra di noi la pienezza delle vostre benedizioni, affinché noi riceviamo le grazie che vi domandiamo contriti ed umiliati. Esaudite i gemiti e le preghiere della vostra Chiesa, acciocché dopo aver pianto la morte spirituale d’un gran numero di suoi figli, abbia la consolazione di vederli resuscitati alla grazia; per Gesù Cristo vostro Figliuolo e Signor nostro, che vive e regna con Voi nell’unità dello Spirito Santo.

Al Prefazio.

Gli apparecchi del sacrifizio son finiti; il mistero della Fede è per compiersi; il Sacerdote alza la voce per avvertire i Fedeli di sollevare a Dio i loro cuori, poiché il momento in cui il Signore è per comparire in mezzo di loro è vicino. Allontaniamo ogni creata cosa dallo spirito e dal cuor nostro, innalziamoli al cielo, per meglio penetrare nei sentimenti degli Angeli, e poter cantare con essi il Cantico eterno.

…per omnia sæcula sæculorum.
R. Amen.

[… per tutti i secoli dei secoli.
R. Amen.]

Præfatio


V.: Dóminus vobíscum.
R.: Et cum spíritu tuo.
V.: Sursum corda.
R.: Habémus ad Dóminum.
V.: Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R.: Dignum et justum est.

[V. Il Signore sia con voi.
R. E con il spirito vostro.
V. Innalzate i vostri cuori.
R. Noi li teniamo innalzati al Signore.
V. Rendiamo grazie al Signore Dio nostro.
R. Ben è giusto e ragionevole.]

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: per Christum Dominum nostrum; per quem Majestatem tuam laudant Angeli, adorant Dominationem, tremunt Potestates; Cœli cœlorum Virtutes ac Beata Seraphim socia exultatione concelebrant. Cum quibus et nostras voces, utadmitti jubeas deprecamur, supplici confessione dicentes:

[Si, è giusto e ragionevole, è cosa retta e salutare, o Padre onnipotente, Dio eterno, il rendervi grazie in tutti i tempi e luoghi, per Gesù Cristo Signor nostro, per cui gli Angeli lodano, le Dominazioni adorano, le Potestà riveriscono la vostra Maestà; le Virtù dei Cieli e i beati Serafini celebrano la vostra gloria nel fervore d’una santa esultanza; ai cori loro gloriosi permetteteci di unire le nostre deboli voci; prostrati davanti a Voi ripetendo con essi l’inno che risonerà eternamente nella santa Sionne:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt coeli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

[Santo, Santo, Santo il Signore Dio degli esérciti; la vostra gloria riempie i cieli e la terra: gloria nel più alto dei cieli; sia benedetto Colui che viene nel nome del Signore. Gloria a Lui nel più alto dei cieli.]

Per mostrare un più profondo rispetto recitando il Sanctus, il Sacerdote congiunge le mani e sta inclinato. Si suona un campanello ad avvertire i presenti che il Sacerdote è per cominciare la gran preghiera del Canone, che deve operar la consacrazione del Corpo di Gesù Cristo. Il Sacerdote si drizza, e fa sull’ostia il segno della croce, perché in virtù della croce noi partecipiamo alle benedizioni che Gesù Cristo è venuto a spargere sulla terra: alza gli occhi c le mani al cielo per imitare il Salvatore, che prima di operare i suoi miracoli si indirizzava al Padre che regna nei cieli. Ma tosto abbassa gli occhi, congiunge le mani e s’inchina per prendere l’atteggiamento d’un supplichevole. Quindi bacia l’altare che rappresenta Gesù Cristo, per esprimergli suo amore e il suo rispetto, e gli domanda che alla sua preghiera dia potenza sul cuore di Dio.

Il Canone.

Il Canone è la regola invariabile delle preghiere e delle cerimonie che precedono e seguono la Consacrazione. Ciò che Gesù Cristo ha fatto una volta sul Calvario, esso lo continua lutti i giorni sul nostro altare, ove si fa presente a noi. Ciò che questo divin Redentore ha fatto, prendendo del pane, benedicendolo e rendendo grazie, lo fa come Egli, per Lui e con Lui il Sacerdote. Destiamo dunque l’attenzione, seguiamo il Sacerdote che parla per noi: domandiamo le grazie di cui abbiamo bisogno. Dio che ci dà il suo Figlio, può egli ricusarci niente, se le nostre preghiere son fervorose?

Canon
Te igitur, clementíssime Pater, per Jesum Christum, Fílium tuum, Dóminum nostrum, súpplices rogámus, ac pétimus, uti accepta habeas et benedícas, hæc dona, hæc múnera, hæc sancta sacrifícia illibáta, in primis, quæ tibi offérimus pro Ecclésia tua sancta cathólica: quam pacificáre, custodíre, adunáre et régere dignéris toto orbe terrárum: una cum fámulo tuo Papa nostro [Gregorio], et Antístite nostro et ómnibus orthodóxis, atque cathólicæ et apostólicae fídei cultóribus

[Te dunque, o clementissimo Padre, vi scongiuriamo per Gesù Cristo vostro Figlio e nostro Signore, ad accettare e benedire questi ✠ doni, queste ✠ offerte, questo ✠ sacrifizio santo e senza macchia, che noi offriamo in prima per la vostra Chiesa Cattolica, affinché vi degnate darle la pace, conservarla, mantenerla nell’unione e reggerla su tutta la terra, e con essa il vostro servo e nostro Pontefice Gr. XVIII, e il nostro Vescovo N., ed il nostro re N., e tutti gli ortodossi, che professano la cattolica ed apostolica fede.]

Al Memento dei vivi

Venite presso a quest’altare, figli della Chiesa, venite ad essere inondati dal Sangue divino che è per ispargersi. Il Sacerdote alla vista delle vostre necessità, pieno di sollecitudine le enumera particolarmente: e voi riceverete secondo le disposizioni che vi animeranno.

Meménto, Dómine, famulórum famularúmque tuarum N. et N. et ómnium circumstántium, quorum tibi fides cógnita est et nota devótio, pro quibus tibi offérimus: vel qui tibi ófferunt hoc sacrifícium laudis, pro se suísque ómnibus: pro redemptióne animárum suárum, pro spe salútis et incolumitátis suæ: tibíque reddunt vota sua ætérno Deo, vivo et vero.

[Ricordatevi, o Signore, dei servi e delle vostre serve N. e N. (qui il sacerdote si ferma per designarle) e di tutti i presenti, la cui fede e devozione voi conoscete, per i quali noi vi offriamo o che vi offrono meco questo sacrificio di lode, a vantaggio proprio e di tutti gli attinenti, per la redenzione delle loro anime, per la speranza della salute e della loro conservazione; e rendono i loro voti a voi, Dio eterno vivo e vero.]

In mezzo all’azione o al Communicantes

Communicántes, et memóriam venerántes, in primis gloriósæ semper Vírginis Maríæ, Genetrícis Dei et Dómini nostri Jesu Christi: sed et beatórum Apostolórum ac Mártyrum tuórum, Petri et Pauli, Andréæ, Jacóbi, Joánnis, Thomæ, Jacóbi, Philíppi, Bartholomaei, Matthaei, Simónis et Thaddaei: Lini, Cleti, Cleméntis, Xysti, Cornélii, Cypriáni, Lauréntii, Chrysógoni, Joánnis et Pauli, Cosmæ et Damiáni: et ómnium Sanctórum tuórum; quorum méritis precibúsque concédas, ut in ómnibus protectiónis tuæ muniámur auxílio. Per eúndem Christum, Dóminum nostrum. Amen.

[Uniti in una stessa comunione veneriamo anzitutto la memoria della gloriosa sempre Vergine Maria, Madre del nostro Dio e Signore Gesù Cristo: e di quella dei tuoi beati Apostoli e Martiri: Pietro e Paolo, Andrea, Giacomo, Giovanni, Tommaso, Giacomo, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Simone e Taddeo, Lino, Cleto, Clemente, Sisto, Cornelio, Cipriano, Lorenzo, Crisógono, Giovanni e Paolo, Cosma e Damiano, e di tutti i tuoi Santi; per i meriti e per le preghiere dei quali concedi che in ogni cosa siamo assistiti dall’aiuto della tua protezione. Per il medesimo Cristo nostro Signore. Amen.]

Il Sacerdote stende le mani sull’Ostia e sul Calice.

Questa cerimonia ci rammenta che abbiamo meritata la morte, e solo per la misericordia divina sostituiamo in nostra vece la Persona del Salvatore. Domandiamo con confidenza la remissione dei nostri peccati e la vita eterna; diamoci tutti al servizio del Signore, come Egli si dà tutto per la nostra salvezza.

Hanc igitur oblatiónem servitutis nostræ, sed et cunctae famíliæ tuæ, quaesumus, Dómine, ut placátus accípias: diésque nostros in tua pace dispónas, atque ab ætérna damnatióne nos éripi, et in electórum tuórum júbeas grege numerári. Per Christum, Dóminum nostrum. Amen.

[Ti preghiamo, dunque, o Signore, a ricevere benignamente questa offerta della nostra servitù e di tutta la nostra famiglia; a stabilire i nostri giorni nella vostra pace, a preservarci dall’eterna dannazione, ed a metterci nel numero dei vostri eletti; per il nostro Signore Gesù Cristo. Amen.]

Si avvicina il momento in cui sta per aprirsi il cielo, gli Angeli si dispongono intorno all’altare; il Sacerdote benedice le offerte e rende grazie sul pane e sul vino, che stanno per cangiarsi nel Corpo e nel Sangue di Gesù Cristo. Rendiamone grazie umiliandoci profondamente.

La Consacrazione e l’Elevazione.

Quam oblatiónem tu, Deus, in ómnibus, quaesumus, bene díctam, adscríp tam, ra tam, rationábilem, acceptabilémque fácere dignéris: ut nobis Cor pus, et San guis fiat dilectíssimi Fílii tui, Dómini nostri Jesu Christi.

[Deh! Ve ne preghiamo, o Dio, degnatevi di fare che questa offerta sia in tutto benedetta, ratificata, convenevole e gradita, perché ci diventi il Cor ✠ po e il San ✠ gue del vostro dilettissimo Figliuolo e Signor nostro Gesù Cristo.]

Qui prídie quam paterétur, accépit panem in sanctas ac venerábiles manus suas, elevátis óculis in cœlum ad te Deum, Patrem suum omnipoténtem, tibi grátias agens, bene dixit, fregit, dedítque discípulis suis, dicens: Accípite, et manducáte ex hoc omnes.

[Egli la vigilia della sua passione, prese del pane nelle sue sante e venerabili mani e, avendo levati gli occhi al cielo, a voi Dio, Padre suo onnipotente, rendendoti grazie, lo bene ✠ disse, lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli, dicendo: Prendete, mangiatene tutti: ché questo è il mio Corpo.]

HOC EST ENIM CORPUS MEUM.

[QUESTO È IL MIO CORPO]

Símili modo postquam coenátum est, accípiens et hunc præclárum Cálicem in sanctas ac venerábiles manus suas: item tibi grátias agens, bene dixit, dedítque discípulis suis, dicens: Accípite, et bíbite ex eo omnes.

HIC EST ENIM CALIX SANGUINIS MEI, NOVI ET ÆTERNI TESTAMENTI: MYSTERIUM FIDEI: QUI PRO VOBIS ET PRO MULTIS EFFUNDETUR IN REMISSIONEM PECCATORUM.

Hæc quotiescúmque fecéritis, in mei memóriam faciétis.

 [In simil guisa, dopo aver cenato, prendendo ancora questo prezioso calice nelle sue sante e venerabili mani, e parimente rendendovi grazie, lo bene ✠  disse e lo dette ai suoi discepoli dicendo: Prendete e bevetele tutti: poiché questo è il Calice del mio Sangue, il Sangue del nuovo ed eterno Testamento (Mistero di fede), che sarà sparso per voi e per molti in remissione dei peccati. Ogni qual volta questo, lo farete in memoria di me.]

Dopo l’Elevazione

Sopra l’altare, come sulla croce, tutto è consumato: le altezze dei cieli si sono abbassate, il Giusto è disceso dalle nubi, la terra ha germogliato il suo Salvatore, il Signore è con noi, è per colmarci di grazie; contempliamolo affettuosamente sull’altare, e meditiamo i misteri che Egli vi opera.

Unde et mémores, Dómine, nos servi tui, sed et plebs tua sancta, ejusdem Christi Fílii tui, Dómini nostri, tam beátæ passiónis, nec non et ab ínferis resurrectiónis, sed et in coelos gloriósæ ascensiónis: offérimus præcláræ majestáti tuæ de tuis donis ac datis, hóstiam puram, hóstiam sanctam, hóstiam immaculátam, Panem sanctum vitæ ætérnæ, et Calicem salútis perpétuæ.

[Per questo, o Signore, noi che siamo vostri servi, e con noi il vostro popolo santo, in memoria della beatissima Passione di Gesù Cristo nostro Signore, e della sua Risurrezione dagli inferi e la sua gloriosa Ascensione in cielo: offriamo alla vostra incomparabile Maestà, dei dono e della vostra beneficenza, l’Ostia ✠ pura, l’Ostia ✠ santa, l’Ostia ✠ immacolata, il Pane ✠ santo della vita eterna e il Calice ✠ della perpetua salvezza.]

Così noi facciamo parte nel sacrifizio con con Gesù Cristo, che morendo ha distrutto l’impero della morte su noi: facciamo parte con Gesù Cristo risuscitato, la cui Resurrezione è il principio ed il modello della nostra: facciamo parte con Gesù Cristo salito in cielo, e per ciò in un certo modo vi ascendiamo con Lui; onde fin d’ora ci possiamo riguardare come cittadini del cielo. È possibile il ricordare i vari frutti di tali misteri, e conservar sì ostinatamente l’amore alle cose mondane?

Supra quæ propítio ac seréno vultu respícere dignéris: et accépta habére, sicúti accépta habére dignátus es múnera púeri tui justi Abel, et sacrifícium Patriárchæ nostri Abrahæ: et quod tibi óbtulit summus sacérdos tuus Melchísedech, sanctum sacrifícium, immaculátam hóstiam.

[v. Degnatevi di riguardare con benigno e prpizio occhio l’offerta che vi facciamo di questo santo sacrifizio, di questa immacolata Ostia, come vi piacque di gradire i doni del giusto Abele, vostro servo, il sacrificio di Abramo, vostro patriarca, e l’offerta del sommo vostro sacerdote Melchisedeck]

Súpplices te rogámus, omnípotens Deus: jube hæc perférri per manus sancti Angeli tui in sublíme altáre tuum, in conspéctu divínæ majestátis tuæ: ut, quotquot ex hac altáris participatióne sacrosánctum Fílii tui Cor pus, et Sán guinem sumpsérimus, omni benedictióne coelésti et grátia repleámur. Per eúndem Christum, Dóminum nostrum. Amen.

[Ti supplichiamo, o Dio onnipotente, a comandar che questi doni, siano portati dalle mani degli Angeli santi, sul vostro sublime altare, dinanzi alla divina Maestà vostra, affinché tutti noi che, partecipando di questa mensa, avremo ricevuto il Cor ✠ po e il San ✠ gue sacrosanto del vostro Figlio, siamo ricolmi di tutte le benedizioni e le  grazie celesti; Per lo stesso Gesù Cristo nostro Signore. Amen.]

Al Memento dei Morti.

È giustissimo che i Fedeli della terra, unitisi nel sacrifizio ai Santi del cielo, si uniscano ancora alle anime del Purgatorio, perché tutta quanta la famiglia dei figli di Dio, che trionfano, combattono, e soffrono, conviene all’altare, e raccoglie i meriti del sangue dell’Agnello riscattatore del mondo.

Meménto étiam, Dómine, famulórum famularúmque tuárum N. et N., qui nos præcessérunt cum signo fídei, et dórmiunt in somno pacis. Ipsis, Dómine, et ómnibus in Christo quiescéntibus locum refrigérii, lucis pacis ut indúlgeas, deprecámur. Per eúndem Christum, Dóminum nostrum. Amen.

[Ricordatevi ancora, o Signore, dei servi e delle vostre serve N. e N. che ci hanno preceduto col segno della fede e dormono ora nel sonno di pace. Deh! o Signore, concedete per la vostra misericordia a loro e a tutti ed a tutti quelli che riposano in Gesù Cristo, il luogo del refrigerio, della luce e della pace. Per il medesimo Cristo nostro Signore. Amen.]

Al Nobis quoque peccatoribus.

Il Sacerdote alza un poco la voce sul principio, ad avvertire gli astanti di unirsi in modo del tutto speciale alla preghiera che loro si spetta. Tosto si ripone nel misterioso silenzio del Canone, e si percuote il petto, indicando così, come il Pubblicano che egli confessa le miserie e l’indegnità nostra. Eccitiamo il fervore per ottenere un maggior frutto del santo sacrifizio.

Nobis quoque peccatóribus fámulis tuis, de multitúdine miseratiónum tuárum sperántibus, partem áliquam et societátem donáre dignéris, cum tuis sanctis Apóstolis et Martýribus: cum Joánne, Stéphano, Matthía, Bárnaba, Ignátio, Alexándro, Marcellíno, Petro, Felicitáte, Perpétua, Agatha, Lúcia, Agnéte, Cæcília, Anastásia, et ómnibus Sanctis tuis: intra quorum nos consórtium, non æstimátor mériti, sed véniæ, quaesumus, largítor admítte. Per Christum, Dóminum nostrum.

[E anche a noi peccatori servi vostri, che speriamo nella vostra immensa misericordia, dégnatevi far partedella celeste eredità, e di ammettervci con i vostri santi Apostoli e Martiri, con Giovanni, Stefano, Mattia, Bárnaba, Ignazio, Alessandro, Marcellino, Pietro, Felícita, Perpetua, Ágata, Lucia, Agnese, Cecilia, Anastasia, e con tutti i vostri Santi; nella cui società vi preghiamo di riceverci, non in considerazione dei nostri meriti, ma usandoci grazia; per Gesù Cristo nostro Signore …]

Per quem hæc ómnia, Dómine, semper bona creas, sancti ficas, viví ficas, bene dícis et præstas nobis.

[… create sempre tutti questi beni, li santi ✠  ficate, e bene  ✠  ficate, gli bene ✠ dite ed a noi li porgete.]

Per ip sum, et cum ip so, et in ip so, est tibi Deo Patri omnipotenti, in unitáte Spíritus Sancti, omnis honor, et glória.
Per omnia saecula saecolorum.
R. Amen.

[Per mezzo di ✠ Lui e con ✠ Lui e in ✠ Lui, a Voi si perviene, Dio Padre ✠ onnipotente, nell’unità dello Spirito ✠ Santo
ogni onore e gloria.
Per tutti i secoli dei secoli.
R. Amen.]

Al Pater noster.

Nulla è più adatto a disporre le anime nostre alla partecipazione dei santi misteri che la preghiera del Signore ben meditata e detta con fervore. Poniamoci ai piedi del Signore con la più tenera compassione ai patimenti di Lui, come la Maddalena; con un fedele amore, come s. Giovanni, piangendo i nostri peccati, come s. Pietro.

Orémus:

Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutione formati audemus dicere:

Pater noster, qui es in caelis, Sanctificetur nomen tuum. Adveniat regnum tuum. Fiat voluntas tua, sicut in coelo et in terra. Panem nostrum quotidianum da nobis hodie. Et dimitte nobis debita nostra, sicut et nos dimittimus debitoribus nostris. Et ne nos inducas in tentationem:
R. Sed libera nos a malo.
S. Amen

[Orazione:  Ammoniti dal salutare comando di Gesù Cristo, e secondo la divina istruzione data da Lui,  osiamo dire:
Padre nostro, che siete nei cieli, sia santificato il vostro nome Venga a noi il vostro regno, Sia fatta la vostra volontà, siccome in cielo così in terra. Dateci oggi il nostro pane quotidiano; perdonateci le nostre offese come noi le perdoniamo ai nostri offensori; né permettete che soccombiamo alla tentazione;

R. Ma liberaci dal male.
S. Amen.]

Al libera nos, quœsumus.

Il Sacerdote insiste con fervore sull’ultima domanda dell’orazione domenicale, continuando a domandare a Dio di farci liberi da tutti i mali, e la pace, che è la conseguenza di questa libertà.

La patena, destinata a ricevere il Corpo di Gesù Cristo è il segno della pace; il Sacerdote la tiene con una mano, l’appoggia sull’altare, ed in questa attitudine di confidenza dice:

Líbera nos, quœsumus, Dómine, ab ómnibus malis, prætéritis, præséntibus et futúris: et intercedénte beáta et gloriósa semper Vírgine Dei Genetríce María, cum beátis Apóstolis tuis Petro et Paulo, atque Andréa, et ómnibus Sanctis, da propítius pacem in diébus nostris: ut, ope misericórdiæ tuæ adjúti, et a peccáto simus semper líberi et ab omni perturbatióne secúri.
Per eúndem Dóminum nostrum Jesum Christum, Fílium tuum.
Qui tecum vivit et regnat in unitáte Spíritus Sancti Deus.
V. Per omnia sæcula sæculorum.
R. Amen.
Pax Domini sit semper vobiscum.
R. Et cum spiritu tuo.

[Liberaci, te ne preghiamo, o Signore, da tutti i mali passati, presenti e futuri: e per intercessione della beata e gloriosa sempre Vergine Maria, Madre di Dio, e dei tuoi beati Apostoli Pietro e Paolo, e Andrea, e di tutti i Santi concedi benigno la pace nei nostri giorni : affinché, sostenuti dalla tua misericordia, noi siamo sempre liberi dal peccato e sicuri da ogni turbamento.
Per il medesimo Gesù Cristo nostro Signore, tuo Figlio che è Dio e vive e regna con Te, nell’unità dello Spirito Santo
V. Per tutti i secoli dei secoli.
R. Amen.
La pace ✠ del Signore sia ✠ sempre con ✠ voi.
R. E con il tuo spirito.]

Il Sacerdote frange l’Ostia,

Il Sacerdote imita Gesù Cristo, che spezzò il pane consacrato prima di distribuirlo ai Discepoli nell’ ultima cena, e ricorda ancora la separazione del Corpo e del Sangue di Lui. Ecco il nostro Dio sta per discendere dall’altare per esser deposto nel cuore e sepolto nelle anime dei suoi figli. Ci rammenta con ciò, che Egli è morto sulla croce, ed ha versato il suo Sangue per liberarci dalla servitù del peccato e per segnare la nostra riconciliazione col cielo.

Haec commíxtio, et consecrátio Córporis et Sánguinis Dómini nostri Jesu Christi, fiat accipiéntibus nobis in vitam ætérnam. Amen.

[Questa mescolanza e consacrazione del Corpo e del Sangue di Gesú Cristo giovi che stiamo per ricevere, ci acquisti la vita eterna. Amen.]

All’Agnus Dei.

Dio, sì glorioso in cielo, sì potente sulla terra, così terribile nello inferno, non è qui che un agnello tutto dolcezza e bontà; e viene per cancellare i peccati del mondo, e singolarmente i nostri. Oh quale argomento di consolazione per noi!

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

[Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, abbiate pietà di noi.
Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, abbiate pietà di noi.
Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, donate noi la pace.]

Per domandare la Pace.

Quando tutti i Fedeli erano un corpo ed un’anima sola, prima di partecipare ai santi Misteri, gli uomini tra loro e parimente le femmine si davano a vicenda il bacio di pace. « Le vostre labbra, diceva s. Agostino, si accostino a quelle del vostro fratello, per rammentarvi che il cuor vostro deve tenersi unito al cuore di lui. »

Dómine Jesu Christe, qui dixísti Apóstolis tuis: Pacem relínquo vobis, pacem meam do vobis: ne respícias peccáta mea, sed fidem Ecclésiæ tuæ; eámque secúndum voluntátem tuam pacificáre et coadunáre dignéris: Qui vivis et regnas Deus per ómnia sæcula sæculórum. Amen.

[Signore Gesù Cristo, che dicesti ai tuoi Apostoli: Io vi lascio la pace, vi do la mia pace, non vogliate guardare ai miei peccati, ma alla fede della vostra Chiesa, e degnatevi di pacificarla e di riunirla secondo la vostra volontà, o Dio e vivete e regnate per tutti i secoli dei secoli. Amen.]

Avanti la Comunione.

I Fedeli che si dispongono a comunicarsi, nulla di meglio potranno fare che entrar nello spirito delle seguenti orazioni, e ben penetrarsi dei sentimenti ivi espressi: come il Sacerdote, troveranno anch’essi in quell’espressioni tanto pure e commoventi, ciò che debbono dire al Signore, già pronto a farsi padrone dei loro cuori.

Dómine Jesu Christe, Fili Dei vivi, qui ex voluntáte Patris, cooperánte Spíritu Sancto, per mortem tuam mundum vivificásti: líbera me per hoc sacrosánctum Corpus et Sánguinem tuum ab ómnibus iniquitátibus meis, et univérsis malis: et fac me tuis semper inhærére mandátis, et a te numquam separári permíttas: Qui cum eódem Deo Patre et Spíritu Sancto vivis et regnas Deus in saecula sæculórum. Amen.

[Signore Gesù  Cristo, Figlio del Dio vivente, che per la volontà del Padre, con la cooperazione dello Spirito Santo, avete dato con la vostra morte la vita al mondo, liberatemi, per il vostro sacro Corpo e Sangue prezioso qui presente, da tutti i miei peccati, e da tutti gli altri mali: e fate sì che sempre io aderisca  alla vostra legge né permettete che io mai mi separi da Voi, che vivete e regnate con lo stesso Dio Padre e con lo Spirito Santo in tutti i secoli dei secoli. Amen.]

Percéptio Córporis tui, Dómine Jesu Christe, quod ego indígnus súmere præsúmo, non mihi provéniat in judícium et condemnatiónem: sed pro tua pietáte prosit mihi ad tutaméntum mentis et córporis, et ad medélam percipiéndam: Qui vivis et regnas cum Deo Patre in unitáte Spíritus Sancti Deus, per ómnia saecula sæculórum. Amen.

[Signore Gesù Cristo, la partecipazione del vostro Corpo, ch’io indegno ardisco ricevere, non si converta in mio giudizio e condanna; ma per la vostra bontà mi giovi a difesa e salutare medicina dell’anima e del corpo: degnati di concedermi queste grazie, o Dio, che vivete e regnate col Padre e con lo Spirito Santo, in tutti i secoli dei secoli. Amen.]

Panem cœlestem accipiam, et nomen Domini invocabo.

[Prenderò il pane celeste, ed invocherò il nome del Signore]

Al Domine, non sum dignus.

Misero il Cristiano che sentisse disgusto alla vista di sì preziosa mensa e d’un pane che contiene ogni soavità! Ma poiché noi non possiamo meditare il bisogno di unirci a Dio, senza misurar subito la distanza infinita che separa il Creatore dalla creatura; al desiderio nostro deve succedere l’umiltà; dobbiamo inchinarci percotendoci il petto, ed esclamare tre volte:

Domine, non sum dignus ut intres sub tectum meum, sed tantum dic verbo, et sanabitur anima mea.

[Signore, non son degno che voi entriate nella mia casa, ma dite una sola parola, e l’anima mia sarà sanata.]

Se non ci comunichiamo, invece della preghiera che fa il Sacerdote, possiamo far questa:

Comunione spirituale.

Qual felicità, mio buon Gesù, e qual bene sarà per me l’unirmi a Voi, e nutrirmi realmente del vostro Corpo e del vostro Sangue prezioso! L’amore che voi mi portate vi fa bramare di abitar continuamente nel mio cuore, e di comunicarmi intimamente i meriti del vostro sacrifizio. Perché non posso io, o Pane di vita, ricevervi in questo momento con pura coscienza, profonda umiltà, viva fede, ferma speranza, acceso amore, e partecipare della santa gioia dei vostri figli, di cui siete sì sovente la delizia! Venite, almeno, Signore Gesù, venite spiritualmente a un’anima che vi sospira e sente il peso della sua miseria: soccorretela, fortificatela, traetela a voi con quelle potenti attrattive che trionfano dei più insensibili cuori. Sia io tutto di Voi, e nulla mi separi qui in terra da Dio, che non mi ha creato se non per sé, e vuol fare l’eterna mia felicità.

Il Sacerdote dice prendendo il Corpo del Signore:

Corpus Dómini nostri Jesu Christi custódiat ánimam meam in vitam ætérnam. Amen.

[Il Corpo di nostro Signore Gesú Cristo custodisca l’anima mia per la vita eterna. Amen.]

Dopo aver ricevuto il Corpo del nostro Signore:

Quid retríbuam Dómino pro ómnibus, quæ retríbuit mihi? Cálicem salutáris accípiam, et nomen Dómini invocábo. Laudans invocábo Dóminum, et ab inimícis meis salvus ero.
[Che renderò io al Signore per tutte le cose che ha dato a me? Prenderò il Calice della salute e invocherò il nome del Signore. Lodandolo invocherò il Signore e sarò salvo dai miei nemici.]

Nel prendere il prezioso Sangue dice:

Sanguis Dómini nostri Jesu Christi custódiat ánimam meam in vitam ætérnam. Amen.

Nel far le abluzioni.

Quod ore súmpsimus, Dómine, pura mente capiámus: et de munere temporáli fiat nobis remédium sempitérnum.

[Ciò Fate o Signore, che noi conserviamo in un cuor puro il sacramento che la nostra bocca ha ricevuto, e questo dono temporale sia ristoro per noi sempiterno.]

Corpus tuum, Dómine, quod sumpsi, et Sanguis, quem potávi, adhaereat viscéribus meis: et præsta; ut in me non remáneat scélerum mácula, quem pura et sancta refecérunt sacraménta: Qui vivis et regnas in saecula sæculórum. Amen

[O Signore, il vostro Corpo che ho ricevuto e il vostro Sangue che ho bevuto, aderiscano al mio seno; sicché in me nutrito da sacramenti sì puri e sì santi, non resti macchia di peccato, o Dio, che vivete e regnate in tutti i secoli dei secoli.]

Il Sacerdote legge la Communione.

La preghiera detta Communione è riguardata come un inno di ringraziamento, una maniera di nutrire i sentimenti che la presenza di Gesù Cristo deve eccitare nelle anime nostre: le parole di questa preghiera sono vive e penetranti; e soavissimo è il meditarle ad un cuore innamorato di Dio.

« Che posso desiderare di più in cielo e sulla terra?… Ho trovato Colui che il mio cuore ama; io non me ne separerò giammai. »

« Mi amate voi più degli altri, voi ai quali ho concessi tutti i miei favori ? »

« Signore, voi conoscete ogni cosa, voi sapete che io vi amo. »

V.: Dóminus vobíscum.
R.: Et cum spíritu tuo.

V. Il Signore sia con voi.

R. E con lo spirito vostro.

Al Post-Communio.

Offriamo al Signore sacrifizio per sacrifizio; poiché Egli si è immolato per noi, noi diventiamo la vittima del suo amore immolando a lui tutte le ricercatezze dell’amor proprio, tutte le inclinazioni e le repugnanze che si oppongono all’adempimento dei nostri doveri. Dateci, o Signore, in virtù del sacrifizio a voi offerto, la remissione dei nostri peccati, il desiderio di espiarli, e la grazia di non cadervi mai più. Concedeteci un fervente amore a Voi, un gran timor di spiacervi e l’applicazione ai nostri doveri; fate che conduciamo una vita tutta fervore, e che troviamo in voi misericordia nell’ultimo giorno di nostra vita; per il nostro Signore Gesù Cristo, vostro Figlio, che vive e regna con voi nell’ unione dello Spirito Santo in tutti i secoli dei secoli. Così sia.

V.: Dominus vobiscum.

R.: Et cum spiritu tuo.

[V. Il Signore sia con voi.

R. E con lo spirito vostro.]

V.: Ite Missa est.

[V.. Andate, la Messa è compiuta.]

R. Deo gratias.

R. :Sieno grazie a Dio.

Quando il Sacerdote non ha detto il Gloria in excelsis, dice:

V.: Benedicamus Domino,

[V.: Benediciamo il Signore.]

R.: Deo gratias

[R.: Sieno grazie a Dio].

Alle Messe da morto dice:

V.: Requiescant in pace.

V.: Riposino in pace,

R.: Amen.

[R.: Amen]

La preghiera Placeat è quasi un riepilogo di tutto l’avvenuto, ed una nuova istanza per domandare a Dio la conservazione dei frutti di un sì gran mistero

Pláceat tibi, sancta Trínitas, obséquium servitútis meæ: et præsta; ut sacrifícium, quod óculis tuæ majestátis indígnus óbtuli, tibi sit acceptábile, mihíque et ómnibus, pro quibus illud óbtuli, sit, te miseránte, propitiábile. Per Christum, Dóminum nostrum. Amen.

[Ricevete benignamente, o santa Trinità, l’omaggio della mia perfetta soggezione, e degnatevi accettare il sacrifizio da me offerto, sebbene indegnamente, alla vostra divina Maestà: fate per vostra misericordia, che riesca propiziatorio a me ed a tutti quelli a pro dei quali l’ho offerto; per il nostro Signore Gesù Cristo. Amen.]

Il Sacerdote benedice gli astanti, fuorché alle Messe da morto.

 Il Sacerdote bacia l’altare come per raccogliere il tesoro delle grazie che è per augurare ai Fedeli; leva gli occhi e le mani al cielo per chiamare le benedizioni dal sublime altare, ove l’Agnello sacrificale è riasceso; congiunge le mani a mostrare che egli tiene le grazie celesti, saluta la la croce, sorgente di tanti beni che è per ispandere, e rivoltosi ai Fedeli, fa sovr’essi il segno della Redenzione, dicendo:

V.: Benedicat vos omnipotens Deus, Pater et Filius, Et Spiritus Sanctus.

R.: Amen

[V.: L’ Onnipotente Dio, Padre, Figliuolo e Spirito Santo vi benedica.

R.: Così sia.]

All’ultimo Vangelo,

Una volta i Cristiani portavan sul cuore il principio del Vangelo di San Giovanni; volevano che si deponesse col loro corpo nella tomba: lo recitavano nei pericoli, ne chiedevano la lettura nelle malattie. Poiché tal devozione gli mosse a farlo recitare tutti i giorni dopo la Messa, un sì lodevol costume presto divenne legge; e la Chiesa ordinò che si recitasse prima di lasciar l’altare. Meditiamo attentamente gli ineffabili misteri in esso racchiusi.

V.: Dominus vobiscum.

R.: Et cum spiritu tuo.

V. Initium sancti Evangeli secundum Joannem.

R. Gloria tibi, Domine.

In princípio erat Verbum, et Verbum erat apud Deum, et Deus erat Verbum. Hoc erat in princípio apud Deum. Omnia per ipsum facta sunt: et sine ipso factum est nihil, quod factum est: in ipso vita erat, et vita erat lux hóminum: et lux in ténebris lucet, et ténebræ eam non comprehendérunt.
Fuit homo missus a Deo, cui nomen erat Joánnes. Hic venit in testimónium, ut testimónium perhibéret de lúmine, ut omnes créderent per illum. Non erat ille lux, sed ut testimónium perhibéret de lúmine.
Erat lux vera, quæ illúminat omnem hóminem veniéntem in hunc mundum.
In mundo erat, et mundus per ipsum factus est, et mundus eum non cognóvit. In própria venit, et sui eum non recepérunt. Quotquot autem recepérunt eum, dedit eis potestátem fílios Dei fíeri, his, qui credunt in nómine ejus: qui non ex sanguínibus, neque ex voluntáte carnis, neque ex voluntáte viri, sed ex Deo nati sunt. (Genuflectit dicens): Et Verbum caro factum est, (Et surgens prosequitur): et habitávit in nobis: et vídimus glóriam ejus, glóriam quasi Unigéniti a Patre, plenum grátiæ et veritatis.

R.: Deo gratias.

[In principio era il Verbo, e il Verbo era appresso Dio, e il Verbo era Dio. Egli era in principio appresso Dio. Per mezzo di Lui furono fatte tutte le cose, e senza di Lui nulla fu fatto di ciò che è stato fatto; in Lui era la vita, e la vita era la luce degli uomini. e la luce splende tra le tenebre, e le tenebre non l’hanno ammessa. Vi fu un uomo mandato da Dio, il cui nome era Giovanni. Questi venne qual testimonio, affine di rendere testimonianza alla luce, perché per mezzo di Lui tutti credessero; ei non era egli la luce, ma era per rendere testimonianza alla luce. Quegli era la luce vera, che illumina ogni uomo che viene in questo mondo. Egli era nel mondo, e il mondo per Lui fu fatto, ma il mondo non lo conobbe. Venne in sua propria casa e i suoi non lo ricevettero. Diede potere di diventare figliuoli di Dio a quelli che credono nel suo nome: i quali non per via di sangue, né per volontà di carne, né per volontà d’uomo, ma da Dio sono nati. ci inginocchiamo E il Verbo si fece carne ci alziamo e abitò fra noi; e abbiamo veduto la sua gloria: gloria come dell’Unigenito del dal Padre, pieno di grazia e di verità.
R. Grazie a Dio.]

Oratio Leonis XIII

S. Ave Maria, gratia plena, Dominus tecum, benedicta tu in mulieribus et benedictus fructus ventris tui, Jesus.
O. Sancta Maria, Mater Dei, ora pro nobis peccatoribus, nunc et in hora mortis nostræ. Amen.
S. Ave Maria, gratia plena, Dominus tecum, benedicta tu in mulieribus et benedictus fructus ventris tui, Jesus.
O. Sancta Maria, Mater Dei, ora pro nobis peccatoribus, nunc et in hora mortis nostræ. Amen.
S. Ave Maria, gratia plena, Dominus tecum, benedicta tu in mulieribus et benedictus fructus ventris tui, Jesus.
O. Sancta Maria, Mater Dei, ora pro nobis peccatoribus, nunc et in hora mortis nostræ. Amen.

O. Salve Regina, Mater misericordiæ, vita, dulcedo, et spes nostra, salve. Ad te clamamus, exsules filii Evae. Ad te suspiramus gementes et flentes in hac lacrymarum valle. Eia ergo, Advocata nostra, illos tuos misericordes oculos ad nos converte. Et Jesum, benedictum fructum ventris tui, nobis, post hoc exilium, ostende. O clemens, o pia, o dulcis Virgo Maria.
S. Ora pro nobis, sancta Dei Genitrix.
O. Ut digni efficiamur promissionibus Christi.

S. Orémus. Deus, refúgium nostrum et virtus, populum ad te clamantem propitius respice; et intercedente gloriosa, et immaculata Virgine Dei Genitrice Maria, cum beato Joseph, ejus Sponso, ac beatis Apostolis tuis Petro et Paulo, et omnibus Sanctis, quas pro conversione peccatorum, pro libertate et exaltatione sanctae Matris Ecclesiae, preces effundimus, misericors et benignus exaudi. Per eundem Christum Dominum nostrum. Amen.

O. Sancte Michaël Archangele, defende nos in prœlio; contra nequitiam et insidias diaboli esto præsidium. Imperet illi Deus, supplices deprecamur: tuque, Princeps militiæ Cælestis, satanam aliosque spiritus malignos, qui ad perditionem animarum pervagantur in mundo, divina virtute in infernum detrude. Amen.

S. Cor Jesu sacratissimum.
O. Miserere nobis.
S. Cor Jesu sacratissimum.
O. Miserere nobis.
S. Cor Jesu sacratissimum.
O. Miserere nobis.

Dopo la Messa.

lo sono per lasciare, o mio Salvatore, questo luogo di benedizione che voi avete scelto per vostra dimora; ma se io non sono qui col corpo, sarò con i miei affetti, e ci ritornerò con gioia, poiché la mia delizia è di stare davanti ai vostri tabernacoli. Non permettete che io vi dimentichi nelle mie occupazioni: tutte le mie opere io voglio samntificare. Possano esse riuscirvi aggradevoli! Venite in mio soccorso, o Gesù; vi prometto di compierle tutte con lo scopo di piacervi e in unione con Voi: concedetemi la grazia di esser fedele a questa risoluzione.

Maria, mia tenera Madre, spiriti celestiali, e voi tutti, o elettidi Dio, intercedete per me, e ottenetemi la grazia di essere un giorno ammesso alla vostra felicità.

Non usciamo di chiesa senza aver dimostralo a Dio la nostra riconoscenzaper tutte le grazie a noi largite nel tempo del sacrifizio; conserviamone preziosamente i frutti, e facciamo in modo che ognuno vedendoci si convinca, che siamo stati tocchi dall’amore infinito che Gesù Cristo ha avuto per noi.

Questa è l’unica, vera Messa Cattolica, apice del culto che Dio vuole e gradisce.

S. S. PIO V: QUO PRIMUM: … Nulli ergo omnino hominum liceat han paginam nostrae permissionibus, statuti, ordinationis, mandati, praecepti, concessionis, indulti, declarationis, voluntatis, decreti, et inhibitionis infrangere, vel ei ausu temerario contraire.

SI QUIS AUTEM HOC ATTENTARE PRAESUMPSCRIT, INDIGNATIONEM OMNIPOTENS DEI, AC BEATORUM PETRI ET PAULI APOSTOLORUM EJUS, SE NOVERIT INCURSUM. (Roma 15 luglio 1570)

ATTENZIONE!!!

Chi offre un culto diverso da questo, cadrà nella indignazione di DIO e dei Beati Apostoli Pietro e Paolo. Non ci sono discussioni che tengano … la bolla citata è parte del Magistero infallibile ed irreformabile – in perpetuo – (chi disubbidisce si pone fuori dalla Chiesa Cattolica peccando di Carità contro DIO, e senza la carità, ci assicura San Paolo (I Cor. XIII), non si è nessuno, e non si può ottenere la vita eterna in alcun modo!

… e ai sapientoni che dicono essere possibile modificare le disposizioni e decreti della Sede Apostolica, ricordiamo: ” …È evidente che il giudizio della Sede Apostolica, che detiene la più alta autorità, non può essere rimesso in questione da alcuno né sottoposto ad esame da parte di chicchessia [Ep. Nicolai I ad Michaelem Imperatorem] …

… Se qualcuno quindi avrà la presunzione di opporsi a questa Nostra definizione, Dio non voglia!: sia anatema. [Cost. Ap. Pastor Aeternus, Conc. Vatic. 18, luglio, 1870].

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO IX – QUOD NUNQUAM

In questa breve lettera, il Santo Padre, denuncia abusi e violenze che furono perpetrati nei confronti del clero prussiano, vessato da leggI ingiuste e crudeli che impedivano l’esercizio delle loro funzioni e dei compiti sacri, oltre che impedire ai fedeli l’esercizio del culto cattolico. È uno dei tanti episodi che hanno coinvolto l’Europa ed il mondo Cristiano nella lotta senza quartiere che il demonio scatenato cominciava  a portare con veemenza contro la Chiesa di Cristo, servendosi delle logge e conventicole massoniche e di loschi e facinorosi individui legati ai culti satanici. È la medesima lotta che ha raggiunto oggi apici inauditi, lotta condotta frontalmente, ed ancor più dall’interno dei sacri palazzi, in mano ad apostati e spesso fasulli chierici corrotti, che hanno in pratica usurpato tutti i luoghi sacri della cristianità mondiale, lasciando alla Chiesa Cattolica caverne, anfratti, sotterranei, catacombe moderne, ove esercitare “eclissati” i santi Misteri cristiani. I poteri civili, forti o deboli che siano, finanziari, politici, economici, pseudoreligiosi, sono tutti ben coesi in questa lotta portata contro il Cristo e la sua Chiesa, esattamente come il salmo II la descriveva con largo anticipo già millenni orsono … Astiterunt reges terrae, et principes convenerunt in unum adversus Dominum, et adversus Christum ejus. Dirumpamus vincula eorum, et projiciamus a nobis jugum ipsorum. – Ma se il Signore lo permette, come pure scrive il Santo Padre qui, darà anche la possibilità ai pochi suoi residui seguaci, il pusillus grex, di resistere, perseverare ed infine trionfare con Dio stesso che avrà un giorno non lontano pieno potere su questi ribaldi e temerari falsi adoratori e fedeli paganizzati autoproclamantesi cattolici modernizzati (leggi: satanizzati). Ancora lo stesso salmo ci incoraggia a non temere perchè Iddio si riderà di questi nemici accaniti, indomiti, corrotti e dominati da passioni sozze che già furono bruciate in un attimo a Sodoma e a Gomorra … Qui habitat in cælis irridebit eos, et Dominus subsannabit eos, Tunc loquetur ad eos in ira sua, et in furore suo conturbabit eos. Con animo di fedeli pronti al martirio, pur di difendere la causa del Signore nostro Gesù Cristo, leggiamo questo breve documento ed ampliandolo negli effetti nefasti che già coinvolgono il Corpo mistico e visibile (se pur oggi sotterraneo) di Cristo; facciamolo nostro nella preghiera perché il Signore voglia abbreviare il tempo che ci separerà dalla sua seconda venuta, per distruggere, con il soffio della sua bocca, l’anticristo con l’esercito  dei suoi adepti. E come allora il Santo Padre ci ammoniva, temano i pseudochierici – di destra (fallibilisti lefebvriani e cani sciolti della galassia sedevacantista) e di sinistra (i settari del novus ordo e della chiesa dell’uomo) – ed i loro colpevoli fedeli, le parole di Pio IX: “… Anzi dichiariamo che codesti uomini insani e quanti altri in avvenire si inserissero con tale atto criminoso nel governo della Chiesa, sono incorsi e incorrono nella scomunica maggiore di diritto e di fatto, a norma dei sacri canoni; esortiamo i devoti fedeli a non partecipare ai loro riti, a non ricevere da loro i Sacramenti e ad astenersi saggiamente dall’entrare in rapporto con essi, affinché il malvagio fermento non corrompa le masse incontaminate”. Et IPSA conteret caput tuum … ed alla fine il mio Cuore Immacolato trionferà!

Pio IX
Quod nunquam

Quello che ritenevano non sarebbe mai successo, considerando ciò che nel 1821 era stato stabilito con decisione comune tra questa Sede Apostolica e il supremo potere di Prussia a favore dell’incolumità e del bene della cattolicità, purtroppo abbiamo visto accadere in questi tempi in codeste vostre regioni, o Venerabili Fratelli, dove alla tranquillità di cui godeva la Chiesa è subentrata una crudele e inattesa tempesta. Infatti, alle leggi che non molto tempo fa furono promulgate contro i diritti della Chiesa e che colpirono molti ecclesiastici e molti fedeli rigorosi nell’adempiere al loro dovere, ne sono state aggiunte altre che sovvertono radicalmente la divina costituzione della Chiesa e violano i sacri diritti dei Vescovi. – Invero con queste leggi si concede ai giudici laici il potere di privare della loro dignità e della loro funzione i Vescovi e l’altro clero preposto alla cura delle anime; vengono frapposti molti e gravi intralci a coloro che dovrebbero esercitare la legittima giurisdizione in sostituzione dei Pastori assenti; si ordina ai Capitoli Cattedrali di designare i Vicari quando la sede vescovile, secondo i canoni, non è ancora vacante; infine, per dirla in breve, è concessa facoltà ai prefetti delle province di nominare individui, anche acattolici che sostituiscano i Vescovi e che in loro vece e con pari diritto presiedano, nelle Diocesi, all’amministrazione dei beni temporali, siano questi destinati a persone sacre o ad uso ecclesiastico. Voi ben sapete, Venerabili Fratelli, quali danni e vessazioni siano derivati da tutte queste leggi e dalla loro severa applicazione. Di proposito tralasciamo tutto ciò per non accrescere il comune dolore con luttuosi ricordi; ma non possiamo tacere la tragedia delle Diocesi di Gnesna, di Posnania e di Paderborn: tradotti in carcere i Venerabili Fratelli Miecislao, Arcivescovo di Gnesna e Posnania, e Corrado, Vescovo di Paderborn; emessa contro di loro una sentenza che con somma ingiuria li dichiara decaduti dalla loro sede vescovile e dalla loro autorità; le suddette Diocesi, private del sostegno dei loro eminenti pastori, sono state miseramente travolte da un cumulo di gravi difficoltà e di sventure. – I predetti Venerabili Fratelli non Ci sembrano da compiangere, ma da ammirare e da colmare di gratitudine perché memori della divina parola: “Sarete beati quando gli uomini vi odieranno, vi segregheranno e vi ripudieranno e rifiuteranno il vostro nome come un abominio, a causa del Figlio dell’Uomo” (Lc. VI,22), non solo non si sono lasciati atterrire dall’incombente pericolo, e dalle sanzioni legali, nel custodire i diritti e le disposizioni della Chiesa in ossequio alla importanza del loro ministero; ma anzi ritennero motivo di onore e di gloria (come pure altri degnissimi Vescovi di codesta regione) l’aver subito per la giustizia una immeritata condanna e le pene riservate ai malfattori, dimostrando una eccelsa virtù che ricade a edificazione di tutta la Chiesa. Ma sebbene ad essi sia dovuto l’onore di una lode piuttosto che le lacrime della commiserazione, tuttavia il disprezzo della dignità vescovile, la violazione della libertà e dei diritti della Chiesa, le vessazioni che affliggono non solo le diocesi suddette ma anche le altre del Regno di Prussia, esigono che Noi, in virtù dell’ufficio apostolico che Dio Ci ha affidato sebbene immeritevoli, eleviamo le Nostre proteste contro quelle leggi da cui derivano tanti mali (e ne paventiamo altri ancora) e rivendichiamo la libertà della Chiesa, calpestata con iniqua violenza, ricorrendo a tutta la forza della ragione e alla santa autorità del diritto divino. Quindi con questa lettera intendiamo adempiere al Nostro dovere rendendo aperta testimonianza a tutti coloro che sono coinvolti in tale vicenda e a tutto il mondo cattolico che quelle leggi sono nulle in quanto si oppongono radicalmente alla divina costituzione della Chiesa. Infatti il Signore non ha messo a capo dei sacerdoti i potenti di questo secolo, per quanto riguarda il Sacro Ministero, ma il beato Pietro, al quale diede l’incarico di pascolare non solo i suoi agnelli ma anche le pecore (Gv XVI, 16-17); ; perciò nessun potere mondano, per quanto eccelso, può privare della potestà episcopale coloro “che lo Spirito Santo ha posto come Vescovi al governo della Chiesa di Dio” (At XX, 29). – A ciò si aggiunga un fatto del tutto indegno di gente civile, e che come tale crediamo sarà riconosciuto anche dagli acattolici che non siano faziosi; il fatto cioè che quelle leggi, irte di severe sanzioni che comminano aspre condanne a coloro che non le rispettano, e che dispongono di una forza militare per farle eseguire, pongono pacifici e inermi cittadini (giustamente contrari ad esse per un imperativo della loro coscienza: circostanza che gli stessi legislatori non potevano né ignorare né disprezzare) nella condizione di uomini miseri e afflitti, premuti e oppressi da una forza maggiore contro la quale non c’è difesa. Perciò quelle leggi non sembrano rivolte ad ottenere un ragionevole ossequio da liberi cittadini, ma quasi imposte a schiavi, per estorcere con la forza del terrore una obbedienza coatta. Tuttavia non vogliamo che la Nostra parola sia interpretata come giustificazione di coloro che per paura preferirono ubbidire agli uomini piuttosto che a Dio: e ancor meno che possano impunemente sottrarsi al giudizio divino quei malvagi, se ve ne sono, che, sorretti dal consenso della sola autorità civile, sfrontatamente occuparono le Chiese parrocchiali e in esse osarono esercitare le sacre funzioni. Anzi dichiariamo che codesti uomini insani e quanti altri in avvenire si inserissero con tale atto criminoso nel governo della Chiesa, sono incorsi e incorrono nella scomunica maggiore di diritto e di fatto, a norma dei sacri canoni; esortiamo i devoti fedeli a non partecipare ai loro riti, a non ricevere da loro i Sacramenti e ad astenersi saggiamente dall’entrare in rapporto con essi, affinché il malvagio fermento non corrompa le masse incontaminate. – In mezzo a queste calamità, valsero a lenire il nostro dolore il coraggio e la tenacia vostra che senza dubbio, Venerabili Fratelli, nel sostenere l’aspra battaglia trascorsa, furono emulati a gara dal resto del Clero e dai fedeli, i quali dimostrarono tanta forza d’animo nell’adempiere i doveri cattolici, tanto lodevolmente si comportarono da attirare su di sé gli sguardi e l’ammirazione di tutti, anche dei più lontani. Né poteva accadere diversamente; infatti “quanto è dannosa la caduta di chi precede nel provocare la caduta di chi segue, altrettanto invece è utile e salutare che il Vescovo si offra ai fratelli come esempio da imitare per fermezza di fede” (At V, 29). – Volesse il cielo che fossimo in grado di recarvi qualche conforto fra tante angustie! Ferma restando nel frattempo questa Nostra protesta finché tutto ciò si opporrà alla divina costituzione della Chiesa e alle sue leggi e finché durerà la violenza che ingiustamente vi è inflitta, non vi faremo mancare certamente i nostri consigli e gli opportuni ammonimenti, secondo le circostanze. – Sappiano poi, coloro che Vi sono ostili, che se Voi rifiutate di dare a Cesare ciò che appartiene a Dio, non recherete nessuna offesa all’autorità regia e nulla toglierete ad essa, poiché sta scritto: “È doveroso ubbidire a Dio piuttosto che agli uomini” (Ap II,3). E sappiano anche che ognuno di Voi è pronto a dare a Cesare il tributo e l’ossequio che sono dovuti al potere e all’autorità civile (non in seguito a minacce, ma per legge di coscienza). – Pertanto, compiendo con zelo l’uno e l’altro dovere, e obbedendo ai decreti di Dio, siate alacri d’animo e proseguite come avete cominciato. Infatti avete fatto un guadagno non piccolo se avete pazienza e se avete sopportato ogni prova in nome di Gesù e non avete disertato . Alzate lo sguardo a Colui che Vi ha preceduto soffrendo tormenti più gravi: “andò incontro a pena di morte ignominiosa, affinché le sue membra imparassero a fuggire le ambizioni mondane, a non temere affatto i terrori, ad amare le avversità in nome della verità, a rifiutare con spavento la prosperità” . Colui che Vi ha sospinti in questa battaglia, Vi darà forze adeguate ad essa. “In Lui è la speranza, a Lui sottomettiamoci e chiediamo misericordia” . Già vedete che è accaduto ciò che Egli aveva profetizzato: dunque abbiate fiducia che senza dubbio Egli manterrà la sua promessa. Egli disse: “Nel mondo sarete oppressi, ma abbiate fiducia: Io ho vinto il mondo” (Gv XVI, 33). – Pertanto, fiduciosi in questa vittoria, imploriamo supplichevoli la pace e la grazia dallo Spirito Santo e come testimonianza del Nostro particolare affetto, a Voi, a tutto il Clero e ai Fedeli affidati alla Vostra vigilanza impartiamo con amore l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 5 febbraio 1875, anno ventinovesimo del Nostro Pontificato.

DOMENICA IV DOPO PASQUA (2019)

DOMENICA QUARTA dopo PASQUA [2019]

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus Ps CXVII: 1-2

Cantáte Dómino cánticum novum, allelúja: quia mirabília fecit Dóminus, allelúja: ante conspéctum géntium revelávit justítiam suam, allelúja, allelúja, allelúja. [Cantate al Signore un cantico nuovo, allelúia: perché il Signore ha fatto meraviglie, allelúia: ha rivelato la sua giustizia agli occhi delle genti, allelúia, allelúia, allelúia.]

Salvávit sibi déxtera ejus: et bráchium sanctum ejus. [Gli diedero la vittoria la sua destra e il suo santo braccio.]

Cantáte Dómino cánticum novum, allelúja: quia mirabília fecit Dóminus, allelúja: ante conspéctum géntium revelávit justítiam suam, allelúja, allelúja, allelúja. [Cantate al Signore un cantico nuovo, allelúia: perché il Signore ha fatto meraviglie, allelúia: ha rivelato la sua giustizia agli occhi delle genti, allelúia, allelúia, allelúia.]

Oratio

Orémus.

Deus, qui fidélium mentes uníus éfficis voluntátis: da pópulis tuis id amáre quod praecipis, id desideráre quod promíttis; ut inter mundánas varietátes ibi nostra fixa sint corda, ubi vera sunt gáudia. [O Dio, che rendi di un sol volere gli animi dei fedeli: concedi ai tuoi popoli di amare ciò che comandi e desiderare ciò che prometti; affinché, in mezzo al fluttuare delle umane vicende, i nostri cuori siano fissi laddove sono le vere gioie.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Jacóbi Apóstoli. Jac. I: 17-21.

“Caríssimi: Omne datum óptimum, et omne donum perféctum desúrsum est, descéndens a Patre lúminum, apud quem non est transmutátio nec vicissitúdinis obumbrátio. Voluntárie enim génuit nos verbo veritátis, ut simus inítium áliquod creatúræ ejus. Scitis, fratres mei dilectíssimi. Sit autem omnis homo velox ad audiéndum: tardus autem ad loquéndum et tardus ad iram. Ira enim viri justítiam Dei non operátur. Propter quod abjiciéntes omnem immundítiam et abundántiam malítiæ, in mansuetúdine suscípite ínsitum verbum, quod potest salváre ánimas vestras.

OMELIA I

[A. Castellazzi: Alla Scuola degli Apostoli; Sc. Tip. Artigianelli, Pavia, 1929]

LA MANSUETUDINE

“Carissimi: Ogni grazia eccellente e ogni dono perfetto vien dall’alto dal Padre dei lumi, nel quale non è variazione, né ombra di mutamento. Egli ci ha generati per mezzo della parola di verità, ché siamo quali primizie delle sue creature. Voi lo sapete, fratelli miei dilettissimi. Che ogni uomo sia pronto ad ascoltare, lento a parlare, lento all’ira: poiché l’ira dell’uomo non opera ciò che è giusto davanti a Dio. Perciò rigettando ogni sozzura e sovrabbondanza di malizia, accogliete docilmente la parola inserita in voi, la quale può salvare le anime vostre”. (Giac. 1, 17-21).

L’Apostolo S. Giacomo, detto il Minore, era venuto a conoscere che tra i Cristiani convertiti dal Giudaismo e disseminati fuori della Palestina serpeggiavano gravi errori, nell’interpretazione della dottrina loro insegnata, specialmente rispetto alla necessità delle buone opere. Inoltre, in mezzo alle tribolazioni cui andavano soggetti, c’era pericolo che riuscissero a farsi strada le vecchie abitudini. Per premunire contro l’errore questi suoi connazionali dispersi, e per richiamarli a una vita più austera, S. Giacomo scrive loro una lettera. In essa si insiste sulla necessità che alla fede vadano congiunte le buone opere. Si danno, poi, varie norme, perché  tanto nella vita privata, quanto nelle relazioni sociali siano guidati da uno spirito veramente cristiano; e vengono confortati nelle loro tribolazioni. L’Epistola è tolta dal cap. 1 di questa lettera. Da Dio deriva ogni bene. Da Lui abbiamo avuto il dono inestimabile della vita della grazia, per mezzo della predicazione del Vangelo, parola di verità. Questa parola di verità ciascuno deve accogliere con prontezza, con semplicità, con spirito di mansuetudine. Parliamo appunto quest’oggi della mansuetudine, la quale

1. È l’opposto del falso zelo,

2. Non ha a che fare con l’ignavia.

3. È un apostolato efficace.

1.

Che ogni uomo sia pronto ad ascoltare, lento al parlare, lento all’ira. Nelle dispute e nelle discussioni è molto facile l’accalorarsi, il risentirsi e, infine, l’ira. Coloro, ai quali si rivolge S. Giacomo, potevano dire che, trattandosi di discussioni sulla parola di Dio ad essi predicata, la loro ira era frutto di zelo. Non è difficile osservare che la loro ira, invece di edificare, distruggeva, perché contrariava le eventuali buone disposizioni dell’altra parte. Nessuna cosa è più raccomandabile dello zelo. Basterebbe ricordare la consolantissima promessa che leggiamo, un po’ più avanti, nella lettera di S. Giacomo: « Fratelli miei, se alcuno di voi abbia deviato dalla verità, e un altrove lo riconduce, sappia che egli ha ricondotto un peccatore dall’errore della sua via salverà l’anima sua dalla morte, e coprirà la moltitudine dei suoi peccati » (Giac. V, 20.). Ma non è encomiabile uno zelo incomposto, a base di sentimenti e di invettive fuori di luogo. Noi ammiriamo la grandezza dello zelo di S. Paolo. Restiamo come sbalorditi, considerando quanto egli ha operato per la gloria di Dio e per la salvezza delle anime. Sentiamo, però, da lui stesso di che sorta era il suo zelo: «Mi son fatto debole coi deboli: mi faccio tutto a tutti, per fare a ogni costo alcuni salvi» (1 Cor. IX, 22). Non vuol imporsi senza necessità; non fa valere, senza bisogno, la sua superiorità, ma si adatta a tutti, pur di poter trarre anime a Dio. Anche il medico, quando può ottenere la guarigione con mezzi blandi, non ricorre ai mezzi forti. Questi li riserva per il caso di inutilità degli altri mezzi. Gesù ci ha detto tutta la grandezza del suo zelo in quelle parole: «Sono venuto a portar fuoco sulla terra, e che cosa desidero, se non che si accenda?» (Luc. XII, 49). Ma il suo zelo si esercita nella più perfetta mansuetudine. Il Profeta, parlando di Lui, aveva detto: «Egli non griderà e non sarà accettator di persone, né si udrà di fuori la sua voce. Egli non spezzerà la canna fessa, e non spegnerà il lucignolo che fuma…» (Is. XLII, 2-3). Ed infatti, egli mostra sempre e in tutto una mansuetudine inarrivabile. Con grande pazienza e carità avvicina i deboli, i vacillanti, e ravviva in loro la vita dello spirito, che sta per spegnersi. La sua mansuetudine risalta nelle contraddizioni, nelle derisioni, nelle contumelie, nelle insolenze, nelle minacce, nell’abbandono, nella negazione, nel tradimento. « Egli maledetto, non rispondeva con maledizioni, e, maltrattato, non minacciava ». Per non sbagliare quando esercitiamo lo zelo facciamoci questa domanda: Come farebbe Gesù Cristo, se fosse al mio posto?

2.

S. Giacomo dà la ragione del perché l’uomo deve lasciarsi dominare non dall’ira, ma dallo spirito di mansuetudine: poiché l’ira dell’uomo non opera ciò che è giusto davanti a Dio. Chi si lascia prendere dall’ira non può operare virtuosamente; anzi si metterebbe nella circostanza di trasgredire su molti punti la legge di Dio. Con l’animo tranquillo e sereno, invece, si è nella miglior disposizione per accogliere la parola di Dio, farla fruttificare e progredire così, di virtù in virtù. Stiamo attenti, però, a non scambiare la mansuetudine con l’ignavia, pericolo molto facile e assai comune, «Bisogna far attenzione — osserva in proposito il Crisostomo — che uno, avendo un vizio, non creda di possedere una virtù… che cosa è dunque la mansuetudine, che cosa è l’ignavia? Quando tacciamo, invece di prender le difese, se altri sono maltrattati, è ignavia; quando, al contrario, essendo maltrattati noi, sopportiamo, è mansuetudine » ( In Act. Ap. Hom. 48, 3). Quando p. e. si commette il male alla nostra presenza, e noi, intervenendo, potremmo impedirlo, il tacere non è mansuetudine, ma ignavia. Un bel tacer non fu mai scritto, diciamo per scusarci. Verissimo; ma a suo tempo e a suo luogo, non qui. Quando i genitori, i superiori, i padroni chiudono gli occhi sulle mancanze dei figli e dei dipendenti; non cercano di porre un freno al loro malfare, non sono dei mansueti, ma dei cani muti. E spesso, la loro creduta mansuetudine è una vera cooperazione al male degli altri. La scusa non manca mai. Io ho un cuore troppo buono, ho un carattere mite. Ci sono di quelli che hanno un carattere austero e pensano di dover trattare con austerità: io, invece, preferisco vivere e lasciar vivere. Scuse che, ridotte al loro vero valore, vogliono dire: Non voglio noie; ho paura a fare il mio dovere; ci tengo ai privilegi del mio stato, ma non ne voglio i pesi. Costoro scambiano un atto di debolezza con una virtù che richiede dell’eroismo. «La mansuetudine — dice ancora il Crisostomo — è indizio di grande fortezza; essa richiede un animo generoso e virile». Di fatti, si tratta di vincere noi stessi, cosa assai più difficile che vincere gli altri. I genitori non devono provocare i figli all’ira, trattandoli con durezza o con soverchio rigore; sarebbe uno sbaglio. Ma sarebbe uno sbaglio ancor peggiore non ammonirli, e, quando è il caso, non castigarli. I superiori devono trattare con benevolenza i loro dipendenti e soggetti; ma quando si tratta di preservare i buoni dal contagio e dallo scandalo, è santo e lodevole il rigore, è giusta la punizione. Nessuno oserebbe condannare il pastore che percuote il lupo per salvare le pecore. Quando si tratta di por fine all’ingiustizia degli uni, e di mettere al riparo dai soprusi gli altri, nessun superiore sarà criticato, se prende delle misure severe; e, nessuno potrebbe, ragionevolmente, fargli appunto di mancanza di mansuetudine. L’Apostolo che era tanto mansueto da poter dire: « Maledetti, noi benediciamo; perseguitati, sopportiamo: ingiuriati, supplichiamo» (1 Cor. IV, 12-13); quando a Corinto un Cristiano dà un gravissimo scandalo pubblico, non solo, per mezzo della scomunica, separa il peccatore dalla Chiesa; ma lo sottopone al dominio di satana, perché lo tormenti nel corpo con malattie e dolori, che servano ad indurlo al pentimento. Gesù Cristo, che si presenta a noi come modello di mansuetudine; non ha mancato di usare parole roventi contro gli scandalosi, contro i Farisei, contro i profanatori del tempio. In certi casi è nostro dovere usare del rigore, e allora, «beato chi sa unire insieme la severità e la mansuetudine» (S. Ambrogio. Epist. 74, 10).

3.

Accogliete docilmente la parola inserita in voi, la quale può salvare le anime vostre. Come la superbia è di ostacolo a ricevere con frutto la parola di Dio, similmente, come abbiamo già osservato, la mansuetudine è condizione favorevole ad accoglierla e a farla fruttificare. Ora vogliamo far notare che non solo la mansuetudine cristiana è ottima disposizione ad accogliere e a far fruttificare per la vita eterna la parola di Dio in noi; ma è un’ottima condizione a farla ricevere con frutto dagli altri. Generalmente, l’uomo che non si inquieta per un affronto, che non si scoraggia per una ripulsa, che non si turba per un’ingiuria, esercita molta forza sopra i suoi oppositori. Se è costante, riesce a vincerli e a dominarli. E questo avviene nel mondo, dove il comportamento mansueto è effetto di temperamento, più spesso di calcolo, non raramente di propositi malvagi. Più efficace deve, necessariamente, riuscire un contegno mansueto, quando è ispirato dalla fede. Chi è assuefatto a dominare il proprio cuore con la vittoria sulle passioni, trova la via a dominare il cuore degli altri. Gli Apostoli, cresciuti alla scuola di Gesù Cristo, compivano la missione loro affidata tra numerosi contrasti e difficoltà; ma senza che si potesse scorgere in essi un’ombra di amarezza, di risentimento, di collera. I loro successori, che vanno a portar la luce del Vangelo tra le nazioni che vivono nell’ignoranza e nell’errore, cominciano a guadagnar gli animi, magari dopo anni e anni, quando hanno dato una prova costante del loro animo mite e mansueto. Accolti male, osservati con diffidenza, importunati, angariati in mille modi, si mostrano sempre uguali a se stessi. Non parole aspre, non inquietudini, non ripicchi. A questo modo si comincia a vincere la diffidenza degli abitanti e le loro prevenzioni, e si finisce con edificarli mediante l’esercizio delle altre virtù. Allora la via delle conversioni è aperta. Gesù Cristo ha detto: «Beati i mansueti, perché essi possederanno la terra (Matt. V, 4). I banditori del Vangelo son riusciti a farlo trionfare in tutte le parti della terra, con l’arma della mansuetudine. Anche nella nostra vita quotidiana, nel piccolo cerchio dei parenti, degli amici, dei compagni, in circostanze diverse, possiamo esercitare un apostolato salutare con un contegno mansueto. Un giovanotto si reca un giorno, a Milano, dalla Venerabile Maddalena di Canossa a chiederle, con minacce, ove si trovava una giovane, che, per sfuggire alle sue insidie, si era rifugiata presso la santa fondatrice. Maddalena risponde che dal suo labbro non l’avrebbe saputo mai. Allora il giovanotto, estratta una pistola, l’accosta alle tempia di Maddalena. Ma essa, con tranquillo sorriso, gli disse: «Oh, povero giovane! Quanto mi fate pietà!… Orsù, date a me quell’arma, ed io ne farò assai miglior uso». Il giovane, commosso e meravigliato della calma imperturbabile della Madre, piega il capo e le consegna l’arma, e s’avvia confuso alla porta. Maddalena lo accompagna, e gli dà una medaglietta d’argento come pegno di gratitudine per la visita che le aveva fatto. Qualche tempo dopo, un rispettabile Sacerdote viene dalla Madre a raccontarle il pentimento del giovane. La fondatrice le consegna l’arma pregandolo di appenderla a un Santuario dell’Addolorata (L’angelo di Canossa. Pavia 1922, p. 60-62). Proprio vero che « nulla è più forte della mansuetudine » (S. Giov. Crisostomo. In Gen. Hom. 58, 5). Quante volte abbiamo lasciato passare la circostanza di far del bene a qualche anima con la nostra dolcezza, e forse di ricondurla a Dio! Quel che non abbiam fatto per il passato, lo faremo per l’avvenire. Vogliamo usare del rigore? Usiamolo con noi. «Poiché, che cosa v’ha di più giusto, che ciascuno si adiri dei propri peccati, anziché dei peccati degli altri?» (S. Agostino. En. in Ps. IV, 7).

Alleluja

Allelúja, allelúja

Ps CXVII: 16. Déxtera Dómini fecit virtútem: déxtera Dómini exaltávit me. Allelúja [La destra del Signore operò grandi cose: la destra del Signore mi ha esaltato. Allelúia.]

Rom VI:9 Christus resúrgens ex mórtuis jam non móritur: mors illi ultra non dominábitur. Allelúja. [Cristo, risorto da morte, non muore più: la morte non ha più potere su di Lui. Allelúia]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Joánnem.

Joannes XVI: 5-14

In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Vado ad eum, qui misit me: et nemo ex vobis intérrogat me: Quo vadis? Sed quia hæc locútus sum vobis, tristítia implévit cor vestrum. Sed ego veritátem dico vobis: expédit vobis, ut ego vadam: si enim non abíero, Paráclitus non véniet ad vos: si autem abíero, mittam eum ad vos. Et cum vénerit ille, árguet mundum de peccáto et de justítia et de judício. De peccáto quidem, quia non credidérunt in me: de justítia vero, quia ad Patrem vado, et jam non vidébitis me: de judício autem, quia princeps hujus mundi jam judicátus est. Adhuc multa hábeo vobis dícere: sed non potéstis portáre modo. Cum autem vénerit ille Spíritus veritátis, docébit vos omnem veritátem. Non enim loquétur a semetípso: sed quæcúmque áudiet, loquétur, et quæ ventúra sunt, annuntiábit vobis. Ille me clarificábit: quia de meo accípiet et annuntiábit vobis.

Omelia II

[A. Carmignola, Spiegazione dei Vangeli domenicali, S. E. I. Ed. Torino,  1921]

SPIEGAZIONE XXV.

“In quel tempo disse Gesù ai suoi discepoli: Ora vo a Colui che mi ha mandato; e nissun di voi mi domanda: Dove vai tu? Ma perché vi ho dette queste cose, la tristezza ha ripieno il vostro cuore. Ma io vi dico il vero: È spediente per voi che io men vada : perché, se io non me ne vo, non verrà a voi il Paracleto; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò. E venuto ch’egli sia, sarà convinto il mondo riguardo al peccato, riguardo alla giustizia, perché io vo al Padre, e già non mi vedrete: riguardo al giudizio poi, perché il principe di questo mondo è già stato giudicato. Molte cose ho ancora da dirvi: ma non ne siete capaci adesso. Ma venuto che sia quello Spirito di verità, v’insegnerà tutte le verità: imperocché non vi parlerà da se stesso, ma dirà tutto quello che avrà udito, e vi annunzierà quello che ha da essere. Egli mi glorificherà, perché riceverà del mio, e ve lo annunzierà. Tutto quello che ha il Padre, è mio. Per questo ho detto che egli riceverà del mio, e ve lo annunzierà” (Jo. XVI, 5-15).

Un padre affettuoso, che si accorga di essere ormai al termine della sua vita, non può far a meno di raccogliere d’intorno a sé i suoi amati figliuoli per discorrere con essi un’ultima volta, per dar loro gli ultimi ammonimenti, per fare ai medesimi le ultime manifestazioni del suo amore. Così appunto fece il divin Redentore co’ suoi cari discepoli. Essendo Egli vicino alla sua passione e ascensione al Cielo, raccolse i suoi discepoli nel cenacolo d’intorno a sé e compiuta con essi la cena legale, lavati loro i piedi, data ai medesimi la estrema prova di amore con l’istituzione ammirabile della SS. Eucaristia, si pose ad intrattenersi ancora con essi con un discorso ripieno dei più sublimi ed importanti ammaestramenti. Ed è appunto un tratto di questo discorso, che la Chiesa nel Vangelo di questa domenica richiama alla nostra considerazione.

1. In quel tempo disse Gesù ai suoi discepoli: Ora vado a chi mi ha mandato; e nessuno di voi mi domanda: Dove vai tu? Ma perché vi ho dette queste cose, la tristezza ha ripieno il vostro cuore.

Gesù istesso adunque attesta con la sua parola quanto i suoi discepoli si trovassero afflitti nel sapere che era giunto il tempo, in cui si sarebbe separato da loro. E non avevano ragione i discepoli di affliggersi? Gesù li aveva amato tanto, Gesù si era mostrato con essi così indulgente ed affezionato, Gesù era stato il loro amico, il loro maestro, il loro benefattore, il loro padre; ed ora da questo caro Gesù avrebbero dovuto separarsi? Certamente tutte le separazioni sono dolorose, ma chi sa dire quanto fosse dolorosa quella separazione, a cui venivano assoggettati gli Apostoli con la dipartita di Gesù da questa terra! Eppure quella separazione non sarebbe stata che corporale e sensibile. Perciocché quando il Salvatore asceso al cielo avrebbe collocata l’adorabile sua umanità sul trono della gloria, avrebbe dimenticati i suoi discepoli, che aveva scelti per la conquista del mondo? No, certamente. Dall’alto del suo splendore li avrebbe seguiti nella laboriosa loro missione, li avrebbe assistiti nelle fatiche del loro apostolato; sarebbe stato con essi col suo spirito e con la divina sua forza per sempre. Eppure tanto si affliggevano di quella separazione. Or bene, o carissimi, non vedete qui lo strano contrasto tra la condotta degli Apostoli e quella di certi giovani e Cristiani infelici, i quali, avendo commesso il peccato, ed essendosi con esso separati da Dio non ne provano pena alcuna? Quando il figliuol prodigo ebbe ricevuta dal suo buon padre la parte di eredità, che gli aveva chiesta, dice il Vangelo che, messa insieme ogni cosa, se ne andò in lontano paese: profectus est in regionem longinquam (Luc. XV, 15). Ma quando un disgraziato commette una colpa grave, con assai maggior precipizio si separa da Dio, ed assai più lontano è il luogo, dove si trafuga. Mentre son necessari molti giorni, molte settimane, molti mesi e persino molti anni per fare acquisto di un po’ di virtù, al contrario in un istante solo si varca la spaventevole distanza che separa Iddio buonissimo e santissimo dal peccato. Una sola colpa mortale, che non consiste che in un godimento di un minuto, basta anche in un minuto, anzi in un attimo per separare un’anima da Dio, ne è soltanto separarla ma portarla lontano in modo spaventevole. Certamente questa distanza non è materiale, né si può con una misura materiale misurare, con tutto ciò non lascia di essere verissima. E sebbene Iddio, che riempie con la sua immensità gli spazi tutti di tutti i mondi creati, non cessi di essere presente a chi ha commesso il peccato, non è tuttavia men vero, che i peccatori si sono allontanati da Dio, come dice appunto il Signore stesso per bocca di Geremia: Elongaverunt se a me (Ier. XI, 5): e non è men vero, che Iddio resta allontanato dai peccatori: Longe est Dominus ab impiis (Prov. XV. 29). Di fatti che cosa è il peccato? Così appunto lo definisce S. Tommaso: Una separazione da Dio fatta con disprezzo per unirsi invece alle creature: Aversio a Deo et conversio ad creaturas. Chi commette il peccato volta villanamente le spalle e si separa violentemente dal suo Dio, dal suo Padre, dal suo Creatore, dal suo Redentore, dal suo sommo bene per darsi invece alle misere creature di questa terra, ai nefandi piaceri dei sensi. Separarsi da Dio! E si può immaginare una più grande sventura? Ma almeno almeno, quando questa sventura è capitata, si pensasse tosto a ripararla con la pronta risoluzione di ritornare a Dio e di riacquistare la sua unione col domandargli perdono! Ma invece molte volte vi ha chi rimane in questo stato per tanti giorni, per tanti mesi e persino per tanti anni. E quel che è peggio, si è che rinnovando costui le sue colpe sempre più si stordisce, si dissipa, s’ingolfa nell’abisso; ed allora soffoca i rimorsi, impone silenzio alla voce importuna della coscienza, cerca d’ingannarsi e di farsi a credere che è tranquillo e a forza di ripetersi che possiede la pace, giunge financo a persuadersi di realmente possederla. Di fatti è cessato il suo spavento: nell’ora del sonno più non vede i fantasmi, che dapprima lo atterrivano; la calma sembra rientrata del tutto nel suo cuore. Ma ahimè! Quando il malato non sente più il dolore, la è finita, il male è senza rimedio; altro più non resta, che fare gli apparecchi dei funerali. Così quando il peccatore, separato da Dio dall’abisso del peccato mortale, più non sente il dolore di tale separazione, è finita anche per lui; a meno di un miracolo, non ritornerà più a Dio; camminerà a grandi passi verso la separazione, che sarà eterna. Ah miei cari! Noi teniamoci stretti al nostro caro Gesù. Evitiamo diligentemente tutto ciò che potrebbe separarci da lui. Ripetiamo ancor noi Con l’Apostolo Paolo: « Chi ci separerà dalla carità di Cristo? non già la tribolazione, non l’angustia, non la fame, non la nudità, non il pericolo non la persecuzione, non la spada; no, nessuna cosa varrà a staccarci dal nostro Dio » (Rom. VIII, 35). Ma se per isventura ci fossimo da Lui separati, non ritardiamo un istante a ritornare pentiti ai suoi piedi. Ed Egli, che non disprezza un cuor pentito ed umiliato, ci accoglierà con misericordia, anzi con gioia e ci riunirà al suo Cuore divino.

2. Proseguiva il divin Redentore, dicendo: Ma io vi dico il vero: È spediente per voi che io men vada: perché se io non me ne vo, non verrà a voi il Paracleto; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò. Or bene, o carissimi, perché mai, secondo quel che dice ai suoi Apostoli il divin Redentore, perché mai quella visita dello Spirito Santo è ella incompatibile con la presenza di nostro Signore! Eccolo: Gli Apostoli amavano il loro divin Maestro, ma in un modo troppo sensibile e troppo umano. Tale attaccamento di ordine troppo naturale era un ostacolo a ricevere lo Spirito Santo nella sua pienezza. Quando il profeta Eliseo volle moltiplicare l’olio della vedova di Sarepta, chiese dei vasi totalmente vuoti: così quando lo Spirito divino vuol recare ad un cuore gli adorabili suoi Doni, figurati dall’olio miracoloso, esige che quel cuore sia vuoto da ogni affetto, non dirò peccaminoso, ciò s’intende, ma eziandio dagli affetti permessi, quando hanno alcun che di troppo terreno e troppo umano. Gli Apostoli pertanto faranno il loro sacrificio; sarà duro, ma sarà pure molto meritorio; e quando verrà il giorno della Pentecoste, il Salvatore manderà loro il divino suo Spirito, ed essi lo riceveranno con l’abbondanza delle sue grazie; e saranno interamente rivestiti di quella forza divina, che assicurerà il buon esito del loro ministero evangelico e del loro Apostolato. Or dunque, o miei cari, se a ricevere in noi con abbondanza le grazie del Signore, è necessario avere il cuore mondo eziandio da certi attacchi che non sono cattivi, quanta maggior attenzione non si dovrà mettere alfine di preservarlo dalle affezioni e dalle amicizie, che sono realmente cattive, od anche solo pericolose! E qui, o miei cari, dacché mi si presenta l’occasione, lasciate che vi dica qualche parola, secondo gli insegnamenti di S. Francesco di Sales, intorno alle amicizie ed alle affezioni, affinché riconosciate bene quali sono le buone, che potete coltivare e quali sono invece le cattive o pericolose, che dovete assolutamente fuggire. Dice adunque questo Santo che diversa è l’amicizia secondo la diversità del fine a cui tende. Non merita nome di amicizia, quella che brutalmente ha per fine il peccato. Ed in vero come mai dovrei io riguardare come amico colui, che insegnandomi, od eccitandomi a fare del male, tendesse per tal guisa a rovinare l’anima mia? Per certo colui, il quale osasse dirmi certe parole, farmi certe proposte, darmi certi consigli…, sarebbe un perfido traditore, dal quale dovrei guardarmi come da un serpente. E se io sgraziatamente facessi relazione con lui, tutt’altro che avere un’amicizia avrei una relazione diabolica. L’amicizia, poi che ha per mira di compiacere i sensi, che si fonda cioè sulla bellezza esteriore del volto, sulla singolarità della voce, sull’eleganza del vestire, sull’abilità del giuocare e simili, è tutta materiale e indegna pur essa del nome di amicizia. E ciò anzitutto perché quest’amicizia è basata su cose vane e frivole, ma poi eziandio perché un’amicizia siffatta non apporta alcun profitto, né onore, né contentezza. Generalmente queste amicizie sensibili fanno perder il tempo e arrischiar l’onore, senza dar altro gusto, fuorché quello d’un’ansietà di pretendere e di sperare, senza saper ciò che si voglia o pretendasi. Imperciocché gli animi meschini e deboli, che sono presi, credono sempre che negli attestati di reciproco amore, coi quali si corrispondono, rimanga sempre qualche cosa ad aggiungere e questo desiderio insaziabile di affezione va sempre straziando il cuor loro con diffidenze, gelosie ed inquietudini incessanti. Epperò quale danno arrecano all’anima tali amicizie! Esse l’occupano in tal modo, e attraggono con tal forza i suoi movimenti, che ella poi non può più esser valevole per alcuna opera buona; i pensieri dell’amicizia sono frequenti a segno, che dissipano tutto il tempo; e in fine chiamano tante tentazioni, distrazioni, sospetti ed altre conseguenze, che tutto il cuore ne rimane conturbato e guasto; senza dire che talvolta vanno poi a terminare in gravi peccati. Insomma queste amicizie sbandiscono non solo l’amor celeste, ma ancor il timor di Dio, in una parola sono la peste de’ cuori. Se invece voi avete amicizia con taluno e trattate amichevolmente con lui per ragione dì virtù, allora sarà buona e virtuosa l’amicizia vostra. Anzi quanto più squisite saranno le virtù, sulle quali verserà il trattar vostro, tanto più sarà perfetta la vostra amicizia. Quindi se la vostra scambievole e reciproca corrispondenza avrà per oggetto la carità, la divozione, la perfezione cristiana, oh allora sarà assai preziosa la vostra amicizia! Sarà eccellente perché verrà da Dio; eccellente perché tenderà a Dio; eccellente perché il suo vincolo sarà Dio; eccellente perché durerà eternamente in Dio. Che bell’amare in terra, come si ama nel cielo, e apprendere ad aver in questo mondo quella vicendevole tenerezza, che avremo eternamente nell’altro! E non si parla qui del solo amore di carità, dovendosi questo avere per ogni persona; ma si parla dell’amicizia spirituale, pel cui mezzo due o tre, o più anime si comunicano la lor divozione, i loro affetti spirituali, e divengono un solo spirito. Quanto giustamente possono cantare queste felici anime: Oh è pur buona e piacevole cosa, che i fratelli soggiornino insieme! Così è propriamente, perché il soave balsamo della divozione stilla da un cuore nell’altro, mediante una partecipazione continua; talché si può dire, che Dio ha versato su questa amicizia la sua santa benedizione. Ed oh come piacciono al Signore queste sante amicizie. Niuno potrebbe certamente negare, che nostro Signore amasse con una più dolce e più speciale amicizia S. Giovanni, Lazzaro, Marta e Maddalena: perché la Scrittura ce ne fa fede. Sappiamo che S. Pietro aveva un tenero amore per S. Marco e per S. Petronilla, come S. Paolo pel suo Timoteo e per S. Tecla. S. Gregorio Nazianzeno si gloria in più luoghi dell’impareggiabile amicizia che passò tra lui e il grande S. Basilio, e la descrive in tal modo: Sembrava non esser in ambedue noi, se non un’anima sola, che movesse due corpi. Una sola mira avevamo entrambi, di coltivar la virtù e di conformare i disegni della nostra vita alle speranze future, uscendo così dalla terra mortale, prima di lasciarvi la vita. S. Agostino attesta, che S. Ambrogio amava singolarmente Santa Monica per le rare virtù, che scorgeva in lei, e che ella reciprocamente l’aveva caro come un angelo di Dio. S. Girolamo, S. Agostino, S. Gregorio, S. Bernardo e tutti i maggiori servi di Dio ebbero amicizie particolarissime, senza discapito della lor perfezione. S. Paolo, biasimando la depravazione dei gentili, li taccia d’essere stati gente senza affezione; vale a dire, che non aveva alcuna amicizia. E S. Tommaso, come tutti i buoni filosofi, confessa che l’amicizia è una virtù. Non consiste dunque la perfezione in non aver alcuna amicizia; ma in non averne veruna, che non sia buona, non sia santa, che non sia sacra. Ecco, o miei cari, come insegna S. Francesco di Sales intorno alle amicizie. Questi suoi insegnamenti sono molto chiari; tuttavia io vi esorto a procedere sempre assai guardinghi nel contrarre delle amicizie, anzi a non stringerne alcuna senza esservi prima consigliati da chi per ragione della sua esperienza e del suo ufficio può intorno a questo consigliarvi bene. Così facendo non correrete mai rischio di accogliere e nutrire in cuor vostro delle affezioni, che vi impediscano di ricevere e conservare nello stesso i Doni dello Spirito Santo.

3. Da ultimo il divin Maestro parlando agli Apostoli di quel che sarebbe venuto a fare lo Spirito Santo, da lui inviato, tra le altre cose disse loro: Io avrei da dirvi ancora molte cose; ma adesso non ne siete capaci. Tuttavia quando sarà venuto lo Spirito Santo, che è Spirito di verità v’insegnerà tutte le verità, ed Egli che ha la stessa mia scienza, vi annunzierà tutto quello che ha da essere.Con le quali parole, voi lo vedete, Gesù Cristo intese a suscitare negli Apostoli una viva brama di apprendere meglio con l’aiuto dello Spirito Santo le verità della fede, in cui essi dovevano credere e che avrebbero pur dovuto predicare agli altri. E così il divin Redentore fece pure intendere a noi, che se vi è cosa, di cui dobbiamo essere sommamente solleciti è la conoscenza, epperò lo studio della nostra santissima Religione. Che se questo studio e questa conoscenza fu utile e necessaria in ogni tempo, chi può dire quanto necessaria ed utile sia ai tempi nostri, in cui tanti e così gravi errori son diffusi nel mondo contro le verità della Fede Cattolica? Eppure è doloroso a dirsi, ma pur vero, non vi ha studio, che sia più di questo negletto! Una certa classe di giovani e di Cristiani non sa nemmeno più che cosa sia lo studio della Religione, e ciò non ostante essi divorano con avidità tutto quello che si scrive contro la verità delle loro credenze. Si leggono e si ascoltano le obbiezioni e gli errori, e non si ascoltano e non si leggono le risposte. Ma allora, dov’è l’amore della verità, dov’è la buona fede e la sincerità dalla parte di cotesti Cristiani? Eppure tralasciano forse i sacerdoti ai dì nostri di farsi a spiegare nelle istruzioni, nei catechismi e nelle prediche le verità della fede? Anzi, forse non si è mai così abbondantemente dispensata la parola di Dio e in modo così adatto a tutte le intelligenze. Si potrà dire che non vi siano ai dì nostri buoni libri, che trattino della Religione in modo acconcio a tutte le menti? No, senza dubbio. Anche qui, si può dire che tali libri abbondano assai più che pel passato. Eppure molti giovani e molti Cristiani rifuggono volontariamente dalle prediche, dai catechismi e dalle istruzioni religiose e gettano via ben presto, se pur loro capita alle mani, un libro che tratti in buon senso di Religione e dei doveri che essa impone. Se il libro solletica il loro amor proprio, se lusinga le loro passioni, se è cosparso di fiori e di tinte romantiche, e talvolta ben anche se contiene cose lubriche, allora lo leggono sino alla fine ad onta dei rimorsi di coscienza, che si studiano di far tacere. Ma se invece è un libro che miri a far loro del bene, ad illuminare la loro mente, ad accendere di amore per Iddio il loro cuore, oh allora lo respingono come un libro noioso, scritto senza garbo e intorno a cose, che già conoscono abbastanza. Non sia così di alcuno di voi. Riconoscendo che la prima scienza è quella della nostra eterna salute, studiatevi di applicarvi con impegno alla stessa con intervenire mai sempre volentieri ad ascoltare umilmente qui in chiesa la parola di Dio. Non paghi di ciò, rifuggendo dalle letture vane e frivole, amate invece le letture buone e di soda dottrina, soprattutto quelle religiose. Procuratevi di tali libri, leggetene volentieri almeno qualcuno, e leggetelo con una seria attenzione e un desiderio sincero di conoscere la verità, e vedrete che, dopo cotali letture, non tornerà più a voi possibile nutrir de’ dubbi sulla verità e sulla santità delle nostre credenze, ed al caso sarete anche in grado di rispondere a chi osasse parlar male di esse. E per tal modo corrisponderete al desiderio di Gesù Cristo, ben conoscerete la verità della fede, ben conoscendole le amerete e le praticherete, ed amandole e praticandole meriterete il premio eterno del cielo.

Credo …

Offertorium

Orémus Ps LXV: 1-2; LXXXV: 16

Jubiláte Deo, univérsa terra, psalmum dícite nómini ejus: veníte et audíte, et narrábo vobis, omnes qui timétis Deum, quanta fecit Dóminus ánimæ meæ, allelúja. [Acclama a Dio, o terra tutta, canta un inno al suo nome: venite e ascoltate, tutti voi che temete Iddio, e vi narrerò quanto il Signore ha fatto all’anima mia, allelúia.]

Secreta

Deus, qui nos, per hujus sacrificii veneránda commércia, uníus summæ divinitátis partícipes effecísti: præsta, quaesumus; ut, sicut tuam cognóscimus veritátem, sic eam dignis móribus assequámur. [O Dio, che per mezzo degli scambi venerandi di questo sacrificio ci rendesti partecipi dell’unica somma divinità: concedici, Te ne preghiamo, che come conosciamo la tua verità, così la conseguiamo mediante una buona condotta.]

Communio

Joann XVI:8

Cum vénerit Paráclitus Spíritus veritátis, ille árguet mundum de peccáto et de justítia et de judício, allelúja, allelúja. [Quando verrà il Paràclito, Spirito di verità, convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio, allelúia, allelúia.]

Postcommunio

Orémus.

Adésto nobis, Dómine, Deus noster: ut per hæc, quæ fidéliter súmpsimus, et purgémur a vítiis et a perículis ómnibus eruámur. [Concédici, o Signore Dio nostro, che mediante questi misteri fedelmente ricevuti, siamo purificati dai nostri peccati e liberati da ogni pericolo.]

LO SCUDO DELLA FEDE (61)

LO SCUDO DELLA FEDE (61)

[S. Franco: ERRORI DEL PROTESTANTISMO, Tip. Delle Murate, FIRENZE, 1858]

CAPITOLO XII.

SI CONVINCE FALSO IL PROTESTANTISMO PERCHÈ CI TOGLIE LA CONFESSIONE.

Uno dei maggiori benefizi che Gesù Cristo con la sua piissima venuta abbia fatto al mondo, è quello di avere stabilito il Sacramento della Penitenza: perocché come gli uomini sono tanto fragili che sempre peccano, e sempre hanno bisogno di ricevere il perdono: così non vi è grazia maggiore che quella di avercelo agevolato. – Ecco come andò la cosa. Gesù Cristo fattosi presente dopo la sua gloriosa Resurrezione agli Apostoli, soffiò sopra di loro con la sua bocca Divina e comunicò loro lo Spirito Santo; poi conferì ad essi la solenne potestà di perdonare i peccati, dicendo: A chi rimetterete i peccati saranno rimessi, a chi li riterrete saranno ritenuti (Giov. XX, 23). Così ce lo dice il S. Vangelo. Ora come si può mettere ad effetto quest’ordine Divino? Il sacerdote qui è apertamente costituito giudice da Gesù Cristo: non è vero? E come fa dunque un giudice per assolvere o condannare un accusato? L’interroga, sente i testimoni, e poi o lo assolve o lo condanna. Lo stesso deve fare il Sacerdote, con questa differenza, che il Giudice esterno si può valere dei testimoni esterni; il Confessore che è giudice non di atti esterni, ma di peccati che si fanno principalmente col cuore, deve impiegare la testimonianza della stessa persona che vuole essere assoluta: e però è che il peccatore deve da sé medesimo manifestare le sue colpe. In questo solo modo può mettersi in pratica la parola ineffabile di Gesù, con cui ha voluto che gli Apostoli ed i suoi successori legassero o sciogliessero dal peccato. Ed infatti così sempre si è poi praticato nella S. Chiesa di Dio in tutti i secoli. S. Clemente discepolo e successore di S. Pietro, raccomandava caldamente la Confessione. Origene consigliava per questo che si scegliesse il Confessore adattato. S. Cipriano martire esortava a farlo, mentre avevamo tempo, affinché non ci sorprendesse la morte senza Confessione. S. Girolamo avvertiva che il Confessore sa egli quando debba perdonare i peccati o ritenerli. S. Agostino esorta i Fedeli, che non si lascino prendere dalla vergogna e che dicano tutto chiaramente quello che conoscono di aver fatto male, e così andate dicendo di tutti gli antichi Santi. E quello che è anche più, tanto rimase ferma questa obbligazione, che mai nessuno ne fu dispensato: che si confessarono i più gran Santi, gl’Imperatori Cattolici, i Religiosi, i Sacerdoti, gli stessi Sommi Pontefici, riconoscendo tutti l’indispensabile necessità di osservare la parola immutabile di Gesù Cristo. – Ed ora ecco che cosa avviene: dopo sedici secoli in cui tutta la S. Chiesa guidata dallo Spirito Santo ha fatto così, e l’ha fatto sulla parola medesima di Gesù, spuntano i Protestanti e spacciano che non è necessaria la Confessione, che la Confessione è un’invenzione degli uomini, e che basta confessarsi a Dio. Ma non ci vuole una fronte di bronzo a dire tutto ciò? La Confessione è inventata dagli uomini, dicono; ebbene dunque rispondeteci, chi sono stati gl’inventori della Confessione? In quale tempo fu essa trovata? In quale paese fu messa in uso la prima volta? Chi furono i primi a lasciarsi imporre quel giogo mentre prima ne erano esenti? Probabilmente anche in antico, prima di sottomettersi tutti i fedeli ad un tal peso, avrebbero fatta qualche rimostranza, se gli uomini allora non erano pecore. Alcuni che si credono più sapienti rispondono, che fu inventata dal Concilio Lateranense l’anno 1215: ma o non sanno leggere o sono maligni, perché in quel Concilio si prescrive solamente in riguardo ai trascurati (cheve n’erano allora, come ve ne ha al presente) che dovessero farla almeno una volta l’anno e per apparecchio alla S. Pasqua: e tanto non s’inventò per la prima volta la Confessione: che anzi presupposto già che i Cristiani, ne avessero l’obbligo, si prescrisse soltanto il tempo in cui soddisfarvi: come per esempio ad uno che vi dovesse pagare la pigione, voi gli prescrivereste di pagarla per S. Michele o per S. Giovanni. L’altra bella ragione che vi apportano è questa: Basta confessarsi a Dio. Sì eh? Ma se Dio avesse prescritto che ci confessassimo anche ai Sacerdoti basterebbe poi anche allora confessarsi solo a Dio? Ora chi è che ha stabilito questo Sacramento? Non è lo stesso Gesù, come abbiamo veduto sopra? Chi siete dunque voi che venite a dirci che basta confessarsi a Dio? No, non basta, perché Gesù ha voluto diversamente; non basta perché ha significata chiarissima la sua volontà; non basta perché non tocca a voi fare la legge a Dio, ma tocca a Dio il farla a voi; non basta, perché Gesù ha detto che i peccati ritenuti cioè non assoluti dai suoi ministri, saranno ritenuti anche in Cielo. É pure estrema in ciò l’arroganza di questi Signori. Gesù si compiace, invece di mandarci all’Inferno, come meriterebbero i nostri gravi peccati, di perdonarceli purché li detestiamo col cuore e li manifestiamo ad un suo ministro e ne riceviamo l’assoluzione; e noi superbi diciamo a Dio che non ci piace questa sua istituzione e la trascuriamo, e vogliamo invece confessarci a Lui solo. Dite, se per questa nostra arroganza Iddio ci manderà in fondo all’Inferno, non ne avrà tutta la ragione? – Finalmente alcuni dicono che la Confessione è immorale. E perché? Perché dà ansa a commettere più facilmente il peccato. Ah si vede bene che costoro sono stati poco al Catechismo e che però non lo conoscono gran fatto! Che cosa ci vuole perché uno si rimuova dal commettere il peccato? A detta di tutti, ciò non avverrà mai se non se ne concepisce un grand’odio, una grande detestazione, congiunta con una risoluzione molto ferma di non commetterlo più. Ma e non sono questi precisamente gli atti necessari per la confessione? Non è questo quello che raccomandano tutti i Catechisti, tutti i Predicatori, tutti i Missionari, che non si stancano mai di gridare, che se non abbiamo dolore, se non abbiamo proposito, non ci gioverà né punto né poco la Confessione? È dunque chiaro che nella S. Confessione si fanno quegli atti che sono più efficaci a rimuoverci dalla colpa. L’abbaglio di quei che riprendono la Confessione, consiste in ciò che suppongono che noi Cattolici crediamo perdonati i peccati senza odio o detestazione di essi e senza proponimento di più non commetterli: ma ciò è falsissimo. Perché apporci una dottrina assurda, per avere poi il piacere di trovarla falsa? Riconoscano la dottrina quale la rappresenta la S. Chiesa e poi la riprendano se possono. – Né la esperienza vien poi meno a confermare quanto gran bene apporti la Confessione. Parliamo chiaro. Chi sono quelli che più bestemmiano nel paese, che più mormorano, che più frequentano certe case e certe persone, che danno più da dire di sé? Son quelli che si confessano spesso, oppure quelli che si confessano una volta l’anno e cambiano ogni anno Confessore per non essere conosciuti? Se voi aveste da fare un contratto, di chi vi fidereste più? Se aveste da prender moglie, come la vorreste? Se vi sopravviene una necessità, a chi fate ricorso? A quelli che stanno attorno a’ Confessionali, o a certi altri che sapete voi? Eh via lascino stare la S. Confessione che è quella che mantiene viva la pietà nei popoli, che consola le nostre anime, che ristora le nostre perdite spirituali, che ci riconcilia con Gesù, e che in vita ci chiude l’Inferno, ed in morte ci apre il Paradiso. Nella città di Norimberga i Protestanti tanto fecero e dissero che riuscirono di mandare in disuso la Confessione. Ma che? I furti, le rapine, le carnalità, i delitti di ogni fatta inondarono sì fattamente, che i Magistrati mandarono una deputazione all’Imperatore Carlo V perché la rimettesse in piedi, poiché tolta la Confessione dicevano che non si poteva più vivere. Ecco come è immorale la Confessione! – I Protestanti però che non credono alla istituzione divina di questo Sacramento e che però non hanno Sacerdoti che adempiano il comando divino di rimettere o di ritenere i peccati, dimostrano chiaramente che non sono la Chiesa di Gesù, la quale è quella sola che gode questo gran privilegio.

SAN PASQUALE BAYLON

San Pasquale Baylon

(Panegirico recitato il 17 maggio, giorno dell’Ascensione nel 1798 dal p. m. Vincenzo Cassitti In Ariano nella Chiesa dei PP. Riformati – Da: Saggio di Eloquenza Sacra, parte Seconda; Napoli, tipogr. De Cristofaro – 1854]

Videntibus illìs elevatus est, et nubes suscepìt eum,

Negli atti Apostolici capo 1,

Tra i molti e segnalati benefici, che fece Iddio al popol d’Israello, l’ultimo luogo certamente quello non merita col quale per mezzo di una nuvola prodigiosa, che dal tabernacolo usciva, e che su del popolo pellegrino bellamente stendevasi per luoghi aridi, deserti, e scabrosi libero dalle sferze cocenti del sole lo conduceva. Il perché  Davidde in impegno di rinfacciare alla sempre ingrata e rivoltosa gente le sue sconoscenze, quella nube di protezione singolarmente rammenta. Ma poiché quanto nell’antico Testamento avvenne, ombra soltanto fu e figura dei futuri beni, che nella Legge novella doveva a noi toccare con altra più maestosa nube, che pur esce dal Tabernacolo, e che su dei Fedeli tutti distendesi, in questo misero pellegrinaggio ci accompagna e difende. Voi ben lo intendete, accorti Ascoltanti, che dell’augusto Sagramento dell’Altare senzappiù, io intenda parlare, dove velato come da nube sotto gli Eucaristici accidenti lo stesso Dio, Re Signor degli Eserciti adoriamo, che della Chiesa è il refrigerio, il conduttore, il Maestro. Ed oh! veramente tre e quattro volte felici que’ fedeli che da questa nube amorevole non rifuggono, e si fan da quella amorevolmente condurre! Illustrati singolarmente nell’intelletto, accesi prodigiosamente nel cuore s’innalzeranno eglino dal basso tenebrìo della terra, andranno di virtù in virtù, ed in carne fuor di carne vivendo l’amorevole protezione del Sacramentato Iddio potranno sperimentare. E felice, e fortunato voi ben conchiuderò che foste il pria Pastorello, e poi umile Laico, ma infervorato amante ed Apostolo del Sacramento, onor delle Spagne, gioiello illustre dell’Ordine de’ Minori fecondo mai sempre di Eroi, S. Pasquale Baylon, che a cagion di onore nomino io qui per la prima volta solennemente. E chi meglio si fece condurre dall’Eucaristica nube, chi più di lui fu del sacramentato Iddio e nell’intelletto, e nel cuore singolarmente favorito? Or poiché di sì gran Santo a scioglier voto in suo onore già fatto, imprender devesi da me a tesserne serto di lodi, rallegromi meco stesso non poco che abbia a farlo nel dì in cui la memoria rinnova dell’Ascensione prodigiosa di Gesù Cristo nel Cielo. Io veggio non esser ciò senza occulta disposizion di provvidenza accaduto, perché congiunto osservo in modo l’elogio del Santo con le circostanze che, al riferir di S. Luca negli atti Apostolici l’odierno mistero accompagnarono, che ne resto sopraffatto oltremodo e sbalordito. Elevossi di terra il Redentore, così il Sagro Storico, ed una nuvola tutto ingombrollo. Videntibus illis elevatus est, et nubes suscepit eum. Or quel che accadde in quel dì memorando, veramente accadde moralmente nell’anima del Baylon. Una nube, e ben l’udiste, che fu il Sacramento Eucaristico, l’ingombrò tutto, e mente e cuore, innalzò sua mente, elevò suo cuore, cosicché di lui possiam dir altrettanto, benché in moral senso e spirituale; Elevatus est, et nubes suscepit eum. Egli dunque il gran Santo investito da questa nuvola, elevato fu sinpolarmente nella mente: Posuit nubem ascensum tuum. Egli per ajuto, difesa, e virtù di questa mistica nuvola, elevato venne singolarmente nel cuore. Accensiones in corde suo disposuit. Elevatus diciamolo poi in una parola, elevatus est et nubes suscepit eum. Questi saranno i due riflessi, che senza partirmi dall’odierna geminata solennità, e dall’odierno mistero, in onor di S. Pasquale io andrò proponendo, onde convinti esser possiate quanto più dell’antica sia potente a proteggere, a difendere, ad accompagnare la nube che dal nostro Santuario ascende, cioè il Sacramento dell’Altare; e quanto avventurato fu il nostro Santo che si fè da quella amorevolmente condurre, in virtù di cui ad imitazion dell’ascendente Signore elevossi di terra con la mente, e col cuore; Elevatus est; et nubes suscepit eum.

I . Egli è ben certo, o Signori, che l’uomo non peraltro è creato che per lo Cielo, e che là dovrebbero esser fissi i nostri pensieri, e i nostri affetti indirizzati, dove sono, come nell’orazione dell’odierna festività dice la Chiesa, i veri gaudi riposti: Ibi nostra fixa sunt corda, ubi vera sunt gaudia. Questa è la morale riflessione, che dall’augusto mistero dell’Ascensione vuol che i suoi figliuoli ritraggano l’amorevole Madre S. Chiesa. Come fare però, se per funesto retaggio della colpa primiera si sente l’anima a basso tratta così ed inchinata, che difficil troppo sperimenta e malagevole il volar sempre mai all’unico stato beato, eterno principio e fine? Come fare: un occhio a quel Sacramentato Iddio. Egli velato sotto 1’eucaristica nube, laddove l’anima investa, all’alto la rapisce, la conduce, la trasporta. Ed eccone il bellissimo esempio nel gran Santo del Sacramento, S. Pasquale Baylon. – Anche pria di nascer egli nel Villaggio di Torre Formosa in Aragona, rinchiuso ancora nel seno della Madre Isabella dà segno già, che doveva per 1’Eucaristia esser elevato nella mente e nel cuore. E che altro di fatti voglion dire quei salti che dà il portato gentile, emulando quasi la virtù del gran Battista, nel portarsi in sua Casa l’Uomo Dio medesimo dalle Sacramentali specie coperto e velato, approssimandosi per conforto estremo del già vicino agli ultimi aneliti genitor di lui Martino? Voglion dire, che siccome a quella presenza s’intese muovere, e sollevare nel corpo, così doveva poi e con la mente col cuore e corpo dietro la mistica nuvola sollevarsi. Che cresca pure sotto auspici sì fausti Bambinello sì amabile, e con la bocca spruzzolata ancora di latte non parli che degli altissimi Misteri della Religione; s’involi benché muova ancor titubante il picciol piede agli occhi degli uomini, ed o nel più remoto angolo della casa, o nel più ascoso tugurio della vicina selva si asconda, che non farà che additar al Mondo come da superna forza aveva sua mente investita, e come questa era rapita al Cielo dietro la nube Eucaristica. Ponit ut nubem. – Non giunge di fatti se non al primo fiore di sua giovinezza, e già corre veloce nel tempio, e nell’offrirsi a Dio Padre l’adorata incruenta vittima in guisa di celeste ardore si accende, che sembra un nobello Mosè dopo il memorando colloquio sul Sina; e immobile, modesto, con occhi bassi innanzi al Sacramentato Iddio non fa che meditare, che contemplare. Che preme intanto, che destinato egli venga alla custodia del lanuto armento? Egli ancor nelle foreste non fa che volgersi alle più vicine Chiese, e meditare. Bel vederlo , quando in cava spelonca ritrovarsi mentre sicure pascevano le pecorelle, e quivi impennar le ali, e verso il suo Dio nel Sacramento rivolgersi. Bel vederlo svellere dagli alberi i tronchi, il riverito segno della Redenzione formando contemplar il sacrificio, che da quello operato sulla Croce sol perché senza sangue differisce. Oh quante volte conducendo innanzi le pecorelle, ricordavasi del buon Pastore Gesù; oh! quante volte conducendole a pastura, ricordavasi dell’amor del Pastore medesimo Uomo-Dio, che noi sue pecorelle col sangue proprio, e con le carni sue ne pasce! Puro nelle mani, e di cuore innocente in somma si fa scala delle creature a contemplare Iddio e nelle valli, nelle colline, e ne’ monti e negli alberi, e nell’erbe e nelle piante, e nel fiume o nel rio ritrova sempre somiglianze, che lo ricordano dell’Eucaristia, questa sempre medita, sempre questa  contempla. – Or se così dalla misteriosa nuvola era di Pasquale la mente ingombrata e posseduta, se tanto alto ella poggiava per la contemplazione, figuratevi se poteva farsi trattenere dalle basse cose del mondo, dalle pie ricchezze e da Martino Garzia, e da Giovanni Apparizio offertegli. Che anzi spiccando Aquila generosa di grandi ali ardito il suo volo, d’ogni impaccio di secol togliendosi nei Chiostri di S. Francesco sen fugge, che insiem con Chiara ve lo aveva invitato, e propriamente nella sì romita solitudine di S. Pietro d’Alcantara, che inaccessibil si rende all’armento, al pastore, al bifolco, al pellegrino. – Oh! Quì sì che nella Casa ammesso del suo Dio Sacramentato, felice veramente si stima. Le ore, le notti in santa contemplazione dinanzi a lui ne impiega, né ha riposo, né si sazia, né si stanca dal contemplare. Ha ben dunque a designare questa sublime sua elevazione di mente, ha ben destinato il Cielo che ora tra sontuose Basiliche prodigiosamente da invisibil destra innalzate ai tremendi sacrifici assister si vegga: ed ora tra nobil coro di Angeli si osservi dell’Eucaristia cibarsi. Sia dall’obbedienza inviato di porta in porta ad accattar il necessario vitto; sia impiegato in esercizi meccanici, in servigi annosi, e che preme? Eh! che Pasquale ne punto né poco sa discostarsi dalla contemplazione, e dovunque si porti, qualunque cosa ne operi non pensa che al suo Sacramentato Dio. –  Ed or si che intender possiamo donde e come il Baylon, senza studio, senza lettere, passato dallo stato di Pastorello a quello di umile Laico, tanta dottrina abbia imparato quanta ne dimostrò in ogni rincontro. Nella scuola del Sacramento, nella contemplazione, nella meditazione elevata venne in modo sua mente, che non vi son già dubbiosi, che ei non consigli; non ignoranti, che non siano ammaestrali da lui; e quel che reca più stupore, non sono scolastiche difficoltà, non sono nelle sagre pagine oscure antilogie,

sono di mistica acute questioni, che egli il bel Santo non isviluppi, non ispieghi, non decida o scrivendo o parlando dell’ineffabil mistero della Incarnazione del Verbo, della Triade Sacrosanta, dei Divini attributi, dell’Eucaristico pane con tal precisione, con tal profondità di sentimenti, che stupidi fa esclamare i popoli; E donde Pasquale Baylon semplice idiota cotanto sapere apprese? Quomodo hic scit, eum litteras non didicerit? Donde lo apprese tanto sapere? E non lo vedete investito, ripieno lutto nella mente dell’Eucaristica nube, e non lo vedete sempre a contemplare, ad orare? Ecco la sua scuola, ecco l’origine della elevatezza di sua fortunata mente. Elevatus est, et nubes suscepit eum. Posuit nubem ascensum suum. – Ma se è così, che più si aspetta? Spediscasi pure per obbedienza il Laico Baylon in Francia (ed oh! fosse vissuto a dì nostri per andarvi). A che fare? A predicare, a convincere, a confutare Quingliani, Sociniani, Ugonotti, Luterani con la parola, con la dottrina, cogli esempli, coi prodigi? Eccolo intanto accinto al grand’uopo. Egli verso Parigi a pie nudi incamminasi, mal coperto da poveri cenci; passa i monti Pirenei tra i rigor del Verno, perviene ferito, straziato, e giunto finalmente a fronte degli scherni, delle contumelie, delle minacce, de’ sassi, de’ veleni, delle prigioni, delle ferite, dei pugnali, delle lance, qual altro Stefano pieno di fortezza e di grazia, qua difende la real presenza di Gesù Cristo nell’Eucaristia contro i seguaci di Berengario, di Carlo Stadio, di Zuinglio, di Calvino; là convince Pascasio Roberio e i Luterani, l’uno della impanazione, gli altri della consustanziazione nella Eucaristia acerrimi sostenitori. Or di Filippo Melantone gli audaci discepoli rampogna, che nell’ ostia Santissima non esservi sempre il Signore, ma sol quando ai popoli si distribuisce sostengono: ora altri dommi della Religione contro Pietro Vermiglio, e contro Teodoro Beza, e contro gli Ubiquisti, e contro gli Ugonotti tutti, ed altri innumerevoli settari, con tal felice successo, che moltissimi attoniti e confusi i loro errori detestano. – O mente davvero elevata dal Sacramento, o mirabili ascensioni dell’intelletto di Pasquale da quella nuvola mistica condotto, illustrato, sollevato, difeso: Ponit ut nubem ascensum. Io sbalordisco, Signori, io mi confondo, e sol meco stesso non fo che replicare quante volte queste cose contemplo. Ah ! mio Dio! cosi è, mio Dio creator del Cielo e della terra, è, che ai superbi negaste i misteri vostri, e li deste agli umili, agli idioti: Confiteor tibi Pater. Il perché non fidandomi più di tener dietro ai voli spicca il nostro Santo colla mente, miglior partito stimo che sia se mi rivolga a contemplar le ascensioni del suo cuore: Ascensiones in corde suo disposuit, giacché della nube stessa Eucaristica e l’intelletto, e il cuor di lui sono elevati: Elevalus est, et nubes suscepit eum. Ponit nubem ascensum tuum; ascensiones in corde suo disposuit.

II. Per ammirabile comunicazione non può la volontà e il cuore volere se non quello, che l’intelletto le presenti. Quindi ben persuaso l’intelletto, facil cosa è penetrar per occulte vie nel cuore. Or poiché la mente di Pasquale Baylon fu così ben elevata e sublimata a contemplare il Sacramento, e i misteri, inferir giustamente possiamo, che il cuore suo ancora sia stato tratto dalla mente, poiché l’uno e l’altra furono dall’Eucaristica nube investiti. – Ed oh! se tutti espor vi potessi gli amorosi slanci di quel cuore, i sussulti, i voli, le alterazioni meravigliose! Deh! Quante volte poiché contemplato aveva grandezze del suo Dio e Signore, a se stesso rivolgevasi, ed alto coll’Apostolo sclamava, chi mi spezzerà queste catene? chi mi libererà dai legami di questa morte? Oh! quante volte poi la terra guardando, chiama a gran voce ed invita le creature tutte, le stupide finanche e le insensate ad accompagnar suoi cantici di benedizione e di ringraziamento, ed al risponder degli antri, de’ macigni, degli alberi curvi ed annosi disfogasi in amorosi lamenti! Oh! quante fiate posto in dimenticanza il suo frale, senza moto, senza fiate, e pressocchè senza vita nell’abisso tuffasi della Divina Luce, con esso lei si mischia, si unisce, si confonde in guisa, che già comprensore, e non più viatore comparisce. – Uditelo in grazia, come l’Eucaristico Pane contemplando fuor di se stesso rapito variamente seco stesso favella secondo che vari sono gli affetti, che lo sorprendono: Ahi di me… Il mio Gesù… Dunque per me Sacramentato… Il freddo mio cuore… E dietro a tal voci con occhi ruggiadosi, con volto proprio di Angelo, con pianto non interrotto sospira, geme, grida, si  lamenta. – Qual mirammo noi aerostatico globo per forza di attrazione, e reso specificamente dell’aere più leggiero incamminarsi per le vie del Cielo, tal direi il cuor di Pasquale verso Dio s’indirizza, s’innalza, sen vola, se non conoscessi che scarso pur troppo ei l’è il paragone Pensate voi poi se un cuor così innamorato del Sacramento, non fosse ad imitazion del suo Dio Sacramentato stato amante ancor degli uomini. Si sa bene che, che nella puerile età or il cibo scarso a se destinato riserbava pei poveri, e più grandicello arrivò a togliersi per vestirli il suo pastorale pelliccio. Si sa che egli ora sgrava di pesi i passaggieri, e qual vile giumento sulle sue spalle sacchi interi di frumento, e fasci ben grandi di legna si caricava; ed ora illuminava per carità i ciechi, raddrizzava zoppi, guariva infermi, suscitava defunti, consolava, istruiva – Pensate, se un cuor così innamorato del Sacramento non sapeva umiliarsi ed ubbidire ad imitazione dal suo caro Dio nell’Eucaristia umiliato ed ubbidiente, se il suo stato non fu che di umiltà e di ubbidienza per lo appunto. Ma che dirò della virginea purità, della severa penitenza, della rigida povertà, c del coro delle virtù tutte nelle quali egli andò anzicché profittando, volando a passi di gigante per la contemplazione ed amore del Sacramento? Dirò, che se lingue cento io avessi e cento bocche non potrei fil filo tutto narrare; dirò che tutte queste virtù tutte in eroico grado, sublime egli ebbe; dirò, che il suo cuore infiammato di amore con tutto il treno delle virtù fu elevato dal Sacramento in modo che di pochi si legga altrettanto. Ascensiones in corde suo disposuit. De virtute in virtutem. – Volete convincervene senzappiù, o Signori? Miratelo in grazia disteso sul povero letticciuolo nei giorni di Pentecoste, in quelli appunto nei quali venuto era al mondo, e nei quali è per dipartirsi dal mondo? Penetriamo in quel cuore, esaminiamone i sentimenti. Ah! sono essi un complesso di tulle le virtù dominanti, elevate, condotte dall’amore verso Gesù Sacramentato. Io per me par che lo sento coll’infervorato Davide in quegli ultimi istanti di sua illibatissima vita ripetere: Oh Sacro Altare, o Ciborio, o Tabernacolo del mio Dio, quanto a me siete cari, quanto da me siete amati. Non solo il mio intelletto è rapito in estasi di meraviglia a contemplarvi, ma il cuore altresì s’innammora, ed il corpo sollevasi, s’innalza, esulta per voi: Quam dilecta tabernacula tua. E come non sentirmi rapito, mio Dio, se io penso se anche il passerino sa ritrovarsi una comoda abitazione, un buon nido, voi scegliete ad abitarne mio Dio, mio Re, i Sacri Aliati, e sotto l’umiltà degli Eucaristici accidenti vi nascondete. Ah! beato chi vi sta dappresso sempre, e vi loda in eterno. Ah! beato chi cibato dalle vostre carni, salirà col cuore di virtù in virtù, e malgrado le miserie di questa vita gusterà la felicità dell’altra. Sì, mio Dio, ascoltate le mie preghiere; fate, che dopo di avervi contemplato ed amato Sacramentato in terra venga a contemplarvi ed amarvi in Cielo. Benedetto quel dì che venni nella vostra casa, benedetto quel punto che mi scelsi di star abietto in vostra casa anziché rimanermi nel mondo a mezzo a ricchezze e piaceri, che almen ho speranza così, che voi, che siete tanto pieno di bontà mi darete grazia e gloria, perché sta scritto che arricchirete di beni coloro che camminano nell’innocenza, e beato è l’uomo che in Voi confida: Non privabit bonis, qui ambulant in innocentia. – Queste dovettero esser le voci, e i sentimenti estremi di Pasquale Baylon; queste le tenere espressioni di suo cuore amante. Voli intanto la bell’alma innocente in Cielo, e resti a noi il suo corpo incorrotto per sempre esser testimonio di sua verginità prodigioso. Resti il suo corpo in terra, questo ancora benché senz’anima dimostrerà con inusitato prodigio come fu elevata la mente, il cuor dal Baylon dall’Eucaristica nube, poiché in elevarsi la Sacra Ostia, alza il capo dalla bara più volte, balza, si muove, apre gli occhi prodigiosamente, e li chiude. Resti con noi il suo corpo e sian le sue reliquie, che dimostrano l’amore, ch’ei portò al prossimo, ed ora con festosi rimbombi arrivino le speranze de’ miseri, ora con mesti colpi presagiscano imminenti castighi. Voli al Cielo l’anima e resti il suo corpo con noi, e sia egli in Cielo a vegliare, come dice nel suo antico officio la Chiesa, al ben degli uomini con impegno. Mortalium bono sollicitam vigilantiam. – Ma che vado io più trattenendovi, o Signori, a dimostrare che S. Pasquale Baylon fu elevato nella mente, elevato nel cuore in virtù ed in forza di quella nube Eucaristica che tutto riempillo? La Chiesa stessa che nelle orazioni in onor dei Santi le virtù di essi principali ne addita, non altre ha saputo trovarne infra mille per decorar la memoria e i merito del Baylon, che quella dell’amore verso il Santissimo Sacramento dell’Altare. Gli scultori stessi ed i Pittori in atto di estasi cel rappresentano verso il Sacramento che in mezzo a nuvole un Angelo gli dimostra, quasi per indicar quelle elevazioni di mente, quelle di cuore che dalla nuvola Eucaristica ebbe il Baylon, il caro l’amabile Santo del Sacramento; onde ripeter noi siamo a ragione: Elevatus est, et nubes suscepit eum, cioè quanto veramente avvenne nell’Ascensione del Signore, moralmente nell’anima di S. Pasquale avvenne.  Si elevò colla mente per virtù di quella nuvola benedetta: Posuit nubem ascensum suum, si elevò col cuore; Ascensiones in corde suo disposuit. Elevatus et nubes suscepit eum. – Or che rimane a fare in più di questo vostro qualunque siasi Elogio, o gran Santo, se non pregarvi dall’intimo del cuore, che per le vostre preghiere, per lo vostro merito facciate, che siano i nostri pensieri ancora i nostri desideri al Cielo rivolti, dove l’Autore della solennità odierna ne entra, dove aveste voi rivolta e la mente vostra e i1 cuore. Deh! per quella pinguedine meravigliosa, che voi dall’Eucaristico cibo ricavaste; Deh! per quel meraviglioso amore che portaste al Sacramentato Iddio, fate, o gran Santo, che quella mente, e quell’amore noi abbiamo, onde volar coi pensieri, volar col cuore, dove voi volaste; ut quam ex illo Divino convivio spiritus percepisti pinguedinem, eamdem et nos percipere mereamur; ch’è quanto per i meriti vostri la Chiesa prega in questo giorno il Signore. Ho detto.

Leone XIII, in Mirae caritatis (28 maggio 1902):… di aver curato che i congressi eucaristici fossero numerosi e fruttuosi come conviene; di avere ad essi e ad altre opere simili assegnato per protettore celeste san Pasquale Baylon, che si segnalò nella devozione e nel culto verso il mistero eucaristico.

I SACRI MISTERI (10)

G. De SEGUR: I SANTI MISTERI (10)

[Opere di Mgr. G. De Ségur, Tomo X, 3a Ed. – LIBRAIRIE SAINT- JOSEPH TOLRA, LIBRAIRE-ÉDITEUR, 112, RUE DE RENNES, 112 – 1887 PARIS, impr.]

XXXVI

Il servente Messa

Alla Messa bassa non deve esserci che un solo servente, anche alla Messa del Curato della parrocchia, dell’Arciprete e del gran Vicario (a meno che un secondo ragazzo non accompagni il servente propriamente detto, per imparare a ben servire Messa, cosa che succede nelle campagne). Nelle comunità, alla Messa principale possono esservene due, così come alla Messa bassa prelatrice. Io ho visto buoni curati impiegarne fino a quattro, sempre secondo il famoso principio riportato in precedenza, «… perché questo è più bello,. » Il servente Messa deve essere, potendo, un ecclesiastico: se è un laico, deve, possibilmente, essere vestito da chierico. Seguendo un recente decreto della Congregazione dei Riti, la sottana del servente Messa, deve essere nera e senza coda; non deve essere né rossa, né viola. Deve avere la testa nuda; non calotta rossa, ancor mano beretta rossa (come talvolta ho visto); la calotta o la beretta rossa sono esclusivamente insegne cardinalizie. I fanciulli del coro non devono portare né rocchette a maniche strette, né alba con cintura rossa o blu o bianca, ma unicamente una piccola cotta a maniche larghe. Alle gran Messa e agli altri uffici, devono avere la beretta nera liturgica a tre corni. Ogni altro abbigliamento, rientra nella deplorevole categoria delle invenzioni anti liturgiche, proibite dall’autorità ecclesiastiche. Il Sacerdote deve istruire al meglio possibile il suo servente Messa dei riti e delle funzioni che gli competono all’altare. Egli deve in particolare, imparare a “scampanellare” come si deve e quando si deve, e non più del necessario. Grazie a certi piccoli serventi dall’indole chiassosa, vi sono delle Messe nelle quali non si sente che il campanello, dall’inizio alla fine. Per il campanello, come per tutto il resto delle rubriche della Messa, ciò che non è prescritto, è proibito; è sempre il medesimo grande principio: serventur rubricæ. Niente scampanellii rivoluzionari, non serventi Messa liberali! È alla porta della sacrestia e non ai piedi dell’altare che si deve suonare l’inizio della Messa; e durante la Messa, non si deve suonare che due volte: 1° al Sanctus, ove il servente deve agitare tre volte il campanellino; 2° alla Consacrazione, ove il servente deve scampanellare tre volte a ciascuna delle due Elevazioni. Egli risuona un primo colpo quando il Sacerdote fa la genuflessione davanti all’Ostia santa, un secondo colpo quando la eleva per farla adorare, un terzo quando fa di nuovo la genuflessione. Allo stesso modo fa per la consacrazione e l’elevazione del Calice; tre colpi. Né più, né meno. Dopo le due Elevazioni, può dare qualche piccolo colpo per avvertire che la Consacrazione è finita. È contro le regole suonare, come troppo spesso avviene, qualche istante prima della Consacrazione; la suoneria che annunzia l’avvicinarsi di questo istante solenne, è la suoneria del Sanctus, quando tutti devono mettersi in ginocchio, raccogliersi, prepararsi all’Adorazione. Il piccolo colpo prima della Consacrazione è un’invenzione dei pigri che vogliono aspettare fino all’ultimo momento per inginocchiarsi. Ugualmente è proibito, sia alla gran Messa che alla Messa bassa, suonare e neanche accennare, prima del Pater, alla piccola Elevazione. Il servente Messa non ha il diritto di farlo, e il Sacerdote ha il diritto di impedirglielo. Non ci sono usanze che tengano; il grande compito dei veri Cattolici, è l’obbedienza. Mai ci si comporta contro le rubriche del Messale. Questo assioma di diritto è stato proclamato varie volte dalla Santa Sede, e non concerne solamente i semplici Sacerdoti, ma restringe anche il potere del Vescovo nella sua diocesi. Ogni prescrizione, ogni uso contrario alla rubrica, è illecito di diritto pieno ed interessa la coscienza. Infine, secondo la lettera della legge, non si dovrebbe suonare né scampanellare per la Comunione; essendo prevalso l’uso contrario quasi dappertutto in Francia, la Congregazione dei Riti, ha dichiarato formalmente che questo uso poteva essere conservato, soprattutto nelle chiese grandi, ove potrebbe essere se non necessario, almeno utile. Il servente Messa, chiunque sia, deve obbedire alle prescrizioni della suoneria liturgica. Anche nelle comunità, anche nei Seminari, vi sono ben pochi serventi che compiono il loro ministero senza difetti, e sovente non c’è nessuno che lo riprenda e lo istruisca. Non bisogna temere di essere rigidi su questo punto; non bisogna far passare nulla al piccolo clero. Questa esattezza perfetta, oltre che un dovere di coscienza sia per il servente che per il celebrante; i fanciulli amano le cerimonie; essi amano conoscerle bene e farle bene, ed è talvolta da questo zelo religioso nei riguardi del Santissimo Sacramento, che nasce nel loro cuoricino, il primo germe della loro vocazione ecclesiastica. Io lo ripeto, non bisogna far passare nulla al servente Messa, chierico o laico, ed esigere da lui quello che da se stesso si rende a Nostro Signore: una obbedienza fedelissima e molto minuziosa. Il servente deve essere in ginocchio tutto il tempo della Messa, dal lato opposto al Messale, salvo nel momento in cui il suo dovere lo fa andare e venire. Tutte le volte che passa al centro dell’altare, deve far compiutamente e piamente, la genuflessione fino a terra, sia davanti al Crocifisso, sia davanti al Tabernacolo. La piccola riverenza non è sufficiente; egli deve avere le due mani giunte, come il Sacerdote, tutte le volte che non porta nulla. Egli deve essere compito, ben lavato, ben pettinato. Anche in campagna, non si devono tollerare le ciabatte ai piedi del piccolo chierico durante la Messa. il lasciarsi andare dei fanciulli del coro è proverbiale, e non sempre la colpa è loro. Quando ero laico, ne ho visto uno che, dopo avere borbottato le prime preghiere ed il Confiteor, se ne andava a sedersi su di un banco, lontano dall’altare e là, prendeva dalla sua tasca un gomitolo di spago e durante tutta la Messa, ne legava il capo ad uno dei suoi piedi e intrecciava delle fruste. Si degnava alzarsi per l’Elevazione, suonava, e si rimetteva “piamente” al lavoro, il Curato guardava e non diceva parola. Mi si raccontava di due altri piccoli serventi che durante la Messa, giocavano a biglie sugli scalini dell’altare. Ve ne sono di quelli che chiacchierano, ridono, si battono. Una volta un buon Curato, al Memento dei viventi, scese dall’altare, diede un bel ceffone (senza dubbio alla maniera del Dominus vobiscum), al suo servente troppo discolo e continuò la sua Messa in pace. Bisogna confessare che questo era contro tutte le regole immaginabili, ma il piccolo l’aveva ben meritato; egli restò per tutto il tempo della Messa a testa bassa, l’aria infuriata, un braccio levato per nascondere la sua figura e meglio celare il suo schiaffo. In sagrestia bisogna abituare i fanciulli del coro ad un buon comportamento ed al silenzio, a non avere con essi eccessiva confidenza e non lasciar loro toccare nulla. – Un degno Curato di campagna, aveva creduto di poter affidare al suo piccolo chierico, la cura delle ampolle; dopo tre mesi il povero Sacerdote si accorse che il fanciullo beveva la metà del suo vino, e “battezzava” l’altra metà, di modo che, per tutto questo tempo, la Consacrazione non era stata valida; il Sacrificio non era stato realmente offerto. Dovette ricordarsi di tutto il passato, dal punto di vista degli onorari. Fortunatamente questa infedeltà del servente, non aveva impedito la validità della Consacrazione sotto la specie del pane, e la pietà del Sacerdote e dei fedeli non era stata frustrata, almeno quanto alla Comunione. – È molto importante insegnare al servente Messa, a leggere bene e pronunziare bene il latino, scandire le parole e non mangiarsi metà delle frasi. Su dieci fanciulli del coro presi a caso, non ve ne sono forse che tre in grado di recitare il Confiteor in modo ortodosso. Nulla è più edificante ed amabile del vedere come un fanciullo pio ben raccolto ai piedi dell’altare, ben applicato al suo ufficio, che non giri la testa al primo brusio e comprenda la dignità delle funzioni che egli compie vicino al Sacerdote. Alla Messa, il servente rappresenta tutta la Chiesa; egli deve dunque avere tutta la fede, tutta la Religione.

XXXVII

Il Tabernacolo ove viene riposto il Santo-Sacramento

Il Tabernacolo nel quale si conserva la Santissima Eucaristia deve essere tenuto con una cura ancor più religiosa, se possibile, dello stesso altare e del restante della chiesa. Secondo le regole tracciate dalla Santa Sede, il Tabernacolo deve essere dorato, se non tutto d’oro « Tabernaculum aureum », a meno che non sia un oggetto d’arte preziosa in marmo, pietra, o legno scolpito, o in mosaico, etc. All’interno deve essere tutto dorato e rivestito completamente di seta bianca. Quando il Santissimo Sacramento vi è chiuso, il Tabernacolo deve essere interamente ricoperto da un velo, chiamato conopea, di colore bianco, colore liturgico della santa Eucaristia (Nelle nostre piccole liturgie gallicane, ci si era voluto raffinare e, in vista del sacrificio, si era adottato il colore rosso come colore liturgico dell’Eucaristia. Era questo un doppio errore teologico; era confondere, innanzitutto il Sacramento con il Sacrificio, poi il Sacrificio incruento con il Sacrificio cruento. Non ci si guadagna mai nulla a volere essere più saggi della Chiesa), e che deve essere di una estrema pulizia. Si tollera che la conopea sia del colore del giorno. Anche alle Messe dei morti, essa non deve essere mai di colore nero, ma violaceo. Il Santo Ciborio deve riposare, nel Tabernacolo, su di un Corporale o su una Palla; esso deve essere coperto interamente da un velo di seta bianca, che si cerca di arricchire con bei ricami. La Conopea non è obbligatoria quando il tabernacolo è, come detto, un’opera d’arte veramente preziosa. È rigorosamente proibito lasciare la chiave sulla porta del Tabernacolo, fuori dalla Messa e nel momento in cui si distribuisce la Comunione; questa regola obbliga sotto pena di peccato grave. È pure comandato di conservare la chiave del Tabernacolo in un posto segreto e conveniente, in cui nessuno possa toccarla. La negligenza su questo punto ha dato luogo a lamentevoli sacrilegi. Se la disposizione della chiesa lo permette, l’altare ove si conserva l’adorabile Sacramento, deve essere sormontato da un baldacchino reale, o in stoffa bianca, o in velluto, o scolpito. GESÙ è il Re dei re, il Re degli Angeli, il Re della Chiesa, e questo baldacchino è l’insegna della sua regalità. Se ne è quasi perduto l’uso, ed è gran danno. Questi segni esterni di riverenza e di adorazione servono per lo più per la conservazione dello spirito di fede, non solo delle popolazioni, ma pure per gli stessi Sacerdoti. Lo stesso è per le lampade del santuario, delle quali abbiamo già detto delle parole, la cui negligenza, poco scusata dalla povertà, si era diffusa, dopo la Rivoluzione, in un gran numero di chiese. In Francia soltanto, più di trenta mila lampade sono state riaccese davanti al Santissimo Sacramento, dopo il ritorno della liturgia romana. La liturgia desiderava che sette lampade bruciassero, notte e giorno, davanti agli altari  ove risiede il Santissimo Sacramento. (Sono i “Septem Spiritus qui adstant ante Dominum dei quali abbiamo parlato trattando dei ceri).  In difetto di sette, ne richiede cinque; in difetto di cinque, tre; se non si possono averne tre, essa esige che ve ne sia almeno uno, acceso giorno e notte senza interruzione. L’autorità del Vescovo non è sufficiente a legittimarne la dispensa, il Sovrano Pontefice, rifiutando questa dispensa ad un pio Vescovo, che gliela chiedeva per una chiesa moto povera, ed egli me lo ha riferito, dichiarava che questo non era in suo potere, perché, aggiungeva il Santo Padre, l’illuminazione della chiesa è di istituzione apostolica, per non dire di istituzione divina. » Questo non è in effetti che la più perfetta e santa continuazione dell’illuminazione sacra del Tempio antico, e ciascuno sa che è per ordine stesso del Signore, che Mosè aveva posto davanti al Santo dei Santi e l’Arca dell’Alleanza, il candeliere d’oro a sette braccia, la cui luce non si spegneva mai. Se era così nel culto figurativo, è forse strano che non sia lo stesso nel culto delle divine Realtà? L’olio della lampada liturgica del santuario, dovrebbe essere di olio di ulivo purissimo; nei paesi in cui l’olio di olivo è raro e costa molto caro, occorre almeno l’olio vegetale di buona qualità. La sostanza grassa e maleodorante che si chiama olio di petrolio, è assolutamente proibita dalla Congregazione dei Riti. Oltre che per l’odore, è malsano ed infetto, e l’uso dannoso, il sedicente olio di petrolio non è oltretutto, come l’olio propriamente detto, il simbolo dello Spirito di luce e d’amore che riempì Nostro Signore e che, per mezzo di esso, illumina, anima, infiamma tutti i suoi fedeli. Tutti i santi Dottori hanno in effetti sottolineato le belle analogie delle proprietà dell’olio che simbolizza lo Spirito Santo; come Lui, esso illumina, guarisce, nutre, brucia, accende, fortifica. Non si soddisfa dunque al precetto liturgico facendo bruciare del petrolio davanti al Santo Tabernacolo; è un affare di coscienza, che la considerazione del buon mercato non può modificare. In ogni caso, il Sacerdote è tenuto, sub gravi, a tenere accesa perpetuamente, sia di notte che di giorno, almeno una lampada davanti al Santissimo Sacramento. Questa lampada, che è un oggetto liturgico, deve essere sospeso davanti all’altare, e non star di lato; ancor meno posta sopra una credenza. Entrando un giorno davanti ad una chiesa nella quale sapevo essere la santa “riserva”, mi stupii di non vedere la lampada accesa; dopo la mia adorazione, mi avvicinai all’altare ed intravidi una lampada. Cercavo di indovinare da dove venisse questa lampada: un vecchio fondo di bottiglia rotta, riempito a metà di una sorta di pasta disgustosa, formata dal deposito di vecchi oli, di antichi residui di polvere, di farfalle notturne; là sopra galleggiava una povera vecchio povero piccolo lume, nascosto agli sguardi dalle spesse pareti della bottiglia!!! Era questa la lampada del santuario, l’illuminazione liturgica di questa parrocchia. Se la lampada del santuario simboleggia, come detto, Nostro Signore GESÙ-CRISTO glorificato, luce eterna della sua Chiesa, essa rappresenta ugualmente davanti a GESÙ gli Angeli adoratori, poi i Sacerdoti ed i fedeli di ogni parrocchia; perché Nostro Signore, dopo aver detto Egli stesso: « Io sono la luce del mondo, » ha detto dei suoi Apostoli e dei suoi discepoli che essi erano anche « la luce del mondo: vos estis lux mumndi ». Questa lampada del santuario dà luogo giornalmente a dei fatti di una edificazione ammirevole. Quanti pii Curati, Superiori di comunità, sovraccarichi di lavoro, tengono in onore di illuminare essi stessi la lampada del Santissimo Sacramento, senza voler fare affidamento a nessuno in questa cura? Il venerabile Mons. De Prilly, antico Vescovo di Châlonns morto a quasi novanta anni, andava ogni giorno a fare la sua adorazione nella sua chiesa Cattedrale, in racchetta e camaglia; e là lo si vedeva ogni giorno curare con le sue mani la lampada che lo rappresentava, come la sua diocesi, davanti al suo Maestro e suo DIO. Il Papa Pio IX fa altrettanto. Egli diceva ad una santa persona di mia conoscenza, che vegliava egli stesso alla manutenzione delle lampade della sua cappella privata, al Vaticano. Che esempio per tutti noi che per nostra vocazione siamo tutti specialmente votati al culto della santissima Eucaristia.

XXXVIII

Gli onorari della Messa.

Consacrato al culto di DIO ed alla salvezza dei suoi fratelli, il Prete rinuncia alle carriere, ai lavori che assicurano nel mondo l’esistenza dei laici. È dunque molto normale che egli viva dell’altare. Del resto è una istituzione non solo apostolica, ma evangelica e divina. Il Prete ha diritto di vivere del suo santo Ministero. Tra le funzioni che l’autorità ecclesiastica ha designato essere occasione di un sussidio, la celebrazione della Messa, con questa o quest’altra intenzione particolare, tiene uno dei primi posti. Le calunnie dei protestanti dapprima, dei voltairiani e di tutti i loro discendenti, hanno accreditato questa menzogna blasfema, « che una Messa vale venti soldi, … che i Preti vendono la Messa, etc. » Inutile è rispondere a queste grossolanità. I Sacerdoti non vendono la Messa più di quanto i magistrati non vendano la giustizia, i militari non vendano la loro devozione ed il loro sangue, benché gli uni e gli altri ricevano un compenso dallo Stato. La Messa è una funzione sacra alla quale la Chiesa ha legato una piccola offerta, detta da noi onorario; in Italia si chiama con un nome più toccante ed umile: la limosina, cioè l’elemosina. Queste elemosina, questo onorario, è la cosa più ovvia del mondo. No, i Preti non vendono la Messa; non più dei fedeli non la comprano. Non c’è Giuda che vende il sangue di DIO, e non c’è che Caifa che sia costretto a comperarla. Il tasso dell’onorario della Messa varia a seconda dei Paesi. Di regola è il Vescovo che, nella sollecitudine paterna, veglia simultaneamente sugli interessi dei suoi Sacerdoti e quelli del suo popolo. Non sono dunque i preti o i curati che reclamano personalmente gli onorari delle Messe che si domandano loro; è la Chiesa che li chiede per lui ai fedeli. Occorre dire che, ad onore del clero, sia molto raro incontrare Sacerdoti che esigano rigorosamente tutti i loro diritti su questo articolo così delicato, soprattutto quando sono i poveri che chiedono delle Messe. Il disinteresse è una tal bella cosa ed un dovere fondamentale per il Prete di GESÙ-CRISTO. Bisogna pure diffidare di ogni tendenza contraria. La piaga del denaro è particolarmente crudele nel cuore della Chiesa. Un Seminarista, pieno di talento e di virtù, mi raccontava un giorno la sua indignazione ascoltando due suoi confratelli, due diaconi, parlare con una compiacenza molto poco mascherata della « fortuna » che essi avevano avuto durante le loro ultime vacanze di occupare tale e tal altra funzione ecclesiastica, « … che aveva riempito bene il loro taschino. » Un altro non arrossiva nel dire ad un pio confratello che « … quando sarà ordinato Prete, la sua prima cura sarà quella di assicurarsi un buon posto. Se non avrò delle solide entrate, farò il precettore. »  Grazie a DIO, questa bassezza di sentimento è rara. Bisogna evitare ad ogni prezzo soprattutto in ciò che tocca più da vicino il culto della Santissima Eucaristia. Nella Chiesa, i « buoni posti » sono quelli in cui c’è più da lavorare, da soffrire per Nostro Signore: sono i posti in cui ci sono più anime da accogliere, servire, santificare ed amare. I grandi onorari dei Preti non si corrispondono che in Paradiso. Una parola ancora sul soggetto degli onorari della Messa: noi dobbiamo tenerne un conto esatto; nel dubbio fare più che meno, e non esporre mai i buoni fedeli a vedersi frustrati nelle loro pie intenzioni per le nostre cose. È affare di coscienza, di rigorosa giustizia. Se ne risponde davanti al tribunale di DIO. 

XXXIX

Come i Santi hanno circondato la Messa e la liturgia del loro più profondo rispetto.

Essendo il Santo Sacramento realmente e personalmente Colui che è il Sovrano Amore, la vita e l’unico Tesoro dei Santi, è naturale che essi lo abbiano amato, adorato, riverito, servito con tutta la loro anima. Si può dire che nella vita di tutti i santi Preti e di tutti i santi Vescovi, senza eccezione, l’amore ed il culto dell’adorabile Eucaristia tenga il primo posto. San Vincenzo de Paoli diceva Messa con tale raccoglimento, che tutti gli astanti erano pieni di ammirazione. « Mio DIO, diceva un giorno uscendo dalla chiesa della Missione, un signore che era entrato per pregarvi e non conosceva M. Vincenzo: mio DIO! Ecco un Prete che dice bene la Messa. » Si informò del suo nome e corse immediatamente a farsi confessare da lui. Fino alla estrema vecchiaia, san Vincenzo dei Paoli osservava, con una obbedienza ed una pietà da novizio, le minime rubriche della liturgia, ed esigeva pure rigorosamente questa stessa osservanza da parte di tutti i Sacerdoti della Missione. Malgrado le sue gambe inferme, ci teneva a fare la sua genuflessione fino a terra e non credeva in coscienza di dispensarsi dai minimi dettagli. In effetti non c’è nulla di piccolo nel culto di DIO. Lo stesso, e forse ancor di più, era per il santo abate Olier, amico intimo di san Vincenzo de Paoli. Il suo spirito di Religione verso il Santo Sacrificio ed il Santo Sacramento risplendevano in tutto ciò che faceva, diceva, scriveva ed istituiva. Egli era molto ricco, e tutto il suo denaro era dispensato in onore della santa Eucaristia, non meno che per il sollievo dei poveri. La magnifica casula della sua prima Messa era costata trenta mila scudi, e si doleva che essa fosse così indegna del divino mistero al quale era riservata. Il suo Calice di oro massiccio è ancora conservato nel tesoro della pia cappella del Loreto, nel Seminario di Issy. Una delle sue preoccupazioni dominanti era quella di ispirare questo stesso spirito di Religione profonda in tutti gli ecclesiastici del Seminario, e bisogna dire che i Preti di San Sulpizio hanno conservato interamente questa santa eredità del loro fondatore. È impossibile non trattare di cose sante, ed in particolare di tutto ciò che ha rapporto con la Messa con una Religione più seria, più vera, più sentita di quanto non lo si faccia nei Seminari di San Sulpizio. E certamente, questo punto è di una grande importanza nell’opera della santificazione personale del Sacerdote. San Francesco di Sales era ammirevole nella sua devozione e deferenza nei confronti dell’altare durante gli Uffici. Nella deposizione ufficiale che fece san Giovanna de Chantal per la beatificazione e canonizzazione del Santo Vescovo, si trova questa bella testimonianza: « Il nostro beato recitava gli Uffici nella chiesa con una attenzione, riverenza e devozione tutta straordinaria. Non girava quasi mai gli occhi né la testa, se non richiesto, e se ne stava con una gravità umilissima, sempre in piedi, senza mai sedersi, per quanto fosse stanco e debole per tante malattie. Egli ne riceveva gran sentimenti da DIO e delle grandi illuminazioni. Mi scriveva una volta che, durante la celebrazione di una gran festa, gli sembrava di essere tra i cori degli Angeli.  – Egli diceva tutti i giorni Messa senza mai mancare. Essendo questo beato all’altare, era facile vedere che si teneva in uno stato di profonda riverenza ed attenzione davanti a DIO. Aveva gli occhi modestamente abbassati, il suo volto era tutto raccolto, con una dolcezza ed una serenità sì grande, che in vero coloro che lo guardavano con attenzione ne erano toccati e commossi per la devozione. – Soprattutto nella santa Consacrazione e Comunione, si vedeva un candore nel suo volto così pacifico che toccava i cuori. Così questo divino Sacrificio era la sua vera vita e la sua forza, e in questa azione sembrava un uomo trasformato in DIO. – Egli pronunciava la sua Messa con voce mediocre e dolce, grave e posata, senza pressare, qualunque affare fosse. Egli mi dice che, da tanti anni, quando si volta verso il lato dell’altare, non soffre di nessuna distrazione. – Io so di persone che avendolo visto comunicare in questo stato talmente preso da devozione, che non ne hanno mai potuto perderne l’idea. – Il nostro beato possedeva in un grado eminente la virtù della santa Religione Cattolica, Apostolica, Romana; egli aveva in grandissimo rispetto tutto ciò che riguardava il culto divino, del quale faceva le azioni con profonda riverenza, gravità e devozione, avendo davanti agli occhi la grandezza di Colui che serviva. Egli celebrava gli Uffici sacri con una sì profonda attenzione, un sì gran raccoglimento ed una maestà sì umile, che in verità rapiva gli astanti. » Che esempio per noi tutti! Il grande Arcivescovo di Milano, san Carlo Borromeo, che si potrebbe definire l’ecclesiastico per eccellenza, si avvicinava ugualmente ogni giorno al santo altare. Egli si preparava alla Messa, con il Sacramento della Penitenza, che riceveva ogni mattino, e con una lunga preghiera. Egli non voleva che gli si parlasse di alcun affare prima che celebrasse la santa Messa, ed aveva l’abitudine di dire che fosse cosa indegna di un Sacerdote di GESÙ-CRISTO, occupare il proprio spirito con un qualsiasi affare temporale, prima di aver compiuto il suo gran dovere. Salvo che per malattia, nulla era capace di impedirgli di dire Messa, né viaggi, né lavori, né affari; e nelle sue malattie, riceveva la santa Comunione almeno ogni giorno. « Egli riempiva con una santa gioia le sacre funzioni, e le faceva con tanta applicazione, maestosità e buona grazia, riporta un testimone oculare, che parecchi passavano quasi l’intero giorno in chiesa, tanto avevano consolazione nel cederlo officiare. » Lo stesso testimone aggiunge: « Il grande zelo che egli aveva per l’onore delle chiese e dei luoghi consacrati del Signore, veniva da questo gran fondo di Religione da cui era penetrato. Egli proibiva ad ogni sorta di persone di passeggiarvi, muovere, o di fare alcuna cosa indegna della santità di questi luoghi. Egli voleva che tutti vi entrassero modestamente vestiti, specialmente le donne. Voleva che i suoi Curati fossero moto vigilanti al proposito; quando egli stesso ne riprendeva qualcuno che non si comportava con la dovuta riverenza a questi santi luoghi, lo riprendeva sul campo, facendogli una forte correzione. Per rispetto dei santi altari, proibiva a tutti i secolari, qualunque essi fossero, di prender posto nel coro. Egli ingiungeva agli ecclesiastici di rivestirsi di cotta tutte le volte che dovevano avvicinarsi all’altare per prepararlo, per pulirlo e per ornarlo; prendeva cura egli stesso di mostrare ai giovani sacerdoti come bisognava fare la genuflessione e gli inchini passando davanti agli altari. « Egli riformò la musica delle chiese, ordinando che tutti i cantori fossero vestiti di sottana e di cotta quando cantavano nel coro. Escluse totalmente le arie profane e gli strumenti musicali che risentivano di mondanità. Egli attribuì una tale importanza alle sue ordinanze liturgiche che non ne dispensava mai nessuno. » – Fu lui che instituì sotto la forma attuale, o che almeno fece istituire a Roma da suo zio, il santo Papa Pio IV, la Congregazione dei Riti, che ha reso sì grande servizio alla Chiesa intera, e con la quale il Sovrano-Pontefice, primo e fedele guardiano del culto divino nella Chiesa, regola, ordina, difende ciò che è conforme o meno alle vere tradizioni liturgiche. San Carlo Borromeo può essere considerato come un perfetto modello di questo spirito di Religione che deve risplendere in tutta la vita di un Prete e che deve portare soprattutto alla celebrazione dei santi Misteri. Ciò che abbiamo detto per San Carlo, San Francesco di Sales, San Vincenzo de Pauli, del venerabile abate Olier, speriamo poterlo dire con altrettanta giustizia, di tutti i santi Preti; per tutti, la celebrazione della Messa ed il culto del Santo Sacramento sia l’affare principale, il centro, il cuore delle loro giornate. Bisogna leggere gli ammirevoli dettagli che riportano su questi punti gli autori contemporanei della vita di San Filippo Neri, della vita di S. Ignazio, della vita di San Francesco Borgia. Tutti congiungevano ad un ardente amore, un fervore più angelico che umano, il rispetto più assoluto delle sante regole liturgiche, e non permettevano mai di infrangerne alcuna. È tutto semplice; la santità non è la perfezione dell’obbedienza e dell’amore? Nulla è più edificante che vedere un Prete che dice bene la Messa: così prega, parla a DIO più di ogni sermone. È una manifestazione irresistibile della santità della Chiesa, della sublimità del sacerdozio, della presenza adorabile di GESÙ sui nostri altari. Uno dei nostri più dotti Vescovi mi riportava un giorno questa parola infantile, ma profondamente cera e toccante, di una povera donna della sua diocesi: « … che è dunque bello un Prete che prega bene il buon DIO. » Ah! Diamo tutti e sempre questo bello spettacolo, soprattutto quando siamo ai piedi degli altari!

EPILOGO

UN BEL RICORDO  LITURGICO

Uno dei più toccanti ricordi della mia vita (con cui mi si permetta di concludere questo libretto), è quello di Pio IX celebrante Messa e distribuente la Comunione, sul grande altare papale, nella Basilica di San Pietro. Era la festa di San Pietro, io avevo avuto l’onore di assistere all’altare come Suddiacono. La maestosa bellezza del suo viso, sì raccolto, sì profondamente e con semplicità applicato alla preghiera, era rigato da grosse lacrime, lacrime che bagnavano continuamente le sue gote; eravamo tutti commossi, penetrati di venerazione solo guardandolo. Dopo la prima di queste tre magnifiche preghiere che precedono immediatamente la Comunione, il Santo Padre raggiunge il suo trono, lasciando sull’altare, in adorazione ed inginocchiato, l’uno di faccia all’altro, a destra ed a sinistra del santo Sacramento, il Diacono, che è sempre un Cardinale, ed il Suddiacono che è sempre un uditore di Rota. Quando il Papa è sul suo trono, il Suddiacono si alza, fa la genuflessione, e prende, con le mani coperte da un velo di lino, la Patena con l’Ostia santa; egli la fa adorare al Diacono sempre inginocchiato; poi, tenendo il Santo Sacramento con grandissimo rispetto all’altezza dei suoi occhi, avanza con passo grave verso il Papa, che si alza e che adora Colui di cui è il Vicario. Il Suddiacono resta un po’ alla sinistra del Papa girato al coro, tenendo sempre il Santo Sacramento sulla Patena. Allora il Diacono si alza a sua volta, fa la genuflessione in mezzo all’altare, prende il Calice santo ed avanza anch’egli verso il Sovrano-Pontefice, tutto solo, nel silenzio più profondo. Il Papa ed il Suddiacono sono in piedi; tutti gli assistenti, Cardinali, Vescovi, Prelati sono in ginocchio: è un momento incomparabilmente maestoso. Dopo avere un istante adorato il prezioso Sangue, e dopo che il Diacono, tenendo il Calice, si è portato alla destra del Papa, in coro, di fronte al Suddiacono, il Santo Padre recita a mezza voce le due orazioni della Comunione; poi il Suddiacono si dispone davanti a lui, affinché possa comunicarsi. Egli prende solamente la metà della santa Ostia e se ne comunica. Il Diacono si avvicina a sua volta, presenta il prezioso Sangue, di cui il Papa prende una parte per mezzo di un lungo cannello d’oro che resta in seguito nel Calice, immerso nel resto del vino consacrato. Dopo un momento solenne di raccoglimento, il Diacono ed il Suddiacono rimettono il Calice e la Patena ai due Vescovi assistenti, si mettono in piedi, uno di lato all’altro davanti al Vicario di GESÙ-CRISTO, il quale spezza in due parti la seconda metà dell’Ostia santa e comunica in silenzio prima il Diacono poi il Suddiacono, dopo di ché dà ad entrambi il bacio di pace sulla gota. Oh! È in questo memento che ho abbracciato Pio IX con amore! Era Nostro-Signore stesso che mi abbracciava e che io abbracciavo. Ed io ho sentito le sue calde lacrime che hanno bagnato il mio volto. – Dopo qualche istante di raccoglimento, il Cardinal Diacono ha ripreso il Calice con il restante del prezioso Sangue ed il cannello; il Vescovo assistente mi ha riconsegnato la Patena vuota; entrambi siamo tornati sull’altare. Là il Diacono, ripreso il cannello d’oro, si è comunicato egli stesso, aspirando la metà di ciò che restava del vino consacrato; poi mi ha passato il calice; io ho deposto il cannello sopra una Patena d’oro; io ho comunicato a questo stesso Calice ed ho preso la particella, come il Sacerdote fa ordinariamente sull’altare; con del vino puro prima, poi con del vino ed acqua, ho purificato (secondo l’espressione liturgica) il cannello ed il Calice e preso le abluzioni; ed il Sovrano Pontefice ha terminato la Messa cantando il Post-Communio ed impartendo la grande benedizione finale.

Io offro nuovamente ed in modo particolare questo piccolo trattato, alla pietà degli allievi del Santuario, pregandoli di profittare al meglio possibile e di non lasciarsi mai indebolire il cuore nel gusto delle cose sante, il rispetto e lo zelo della liturgia, la perfezione dell’obbedienza ai precetti ed alle direttive della Santa Chiesa Romana, Madre e Maestra di tutte le Chiese. – Queste spiegazioni del Santo Sacrificio serviranno ugualmente, io spero, ai miei venerati fratelli del giovane clero. Io prego Nostro Signore di benedire il mio lavoro e tutti i miei lettori.

I SANTI MISTERI (9)

G. De SEGUR: I SANTI MISTERI (9)

[Opere di Mgr. G. De Ségur, Tomo X, 3a Ed. – LIBRAIRIE SAINT- JOSEPH TOLRA, LIBRAIRE-ÉDITEUR, 112, RUE DE RENNES, 112 – 1887 PARIS, impr.]

XXXI

Dalla Comunione, al termine della Messa.

Dopo la Comunione del popolo, quando il Santo Sacramento è rientrato nel Tabernacolo, il Celebrante prende la prima abluzione, del puro vino, poi la seconda, di vino ed acqua, alfine di far sparire i resti più impercettibile della divina Eucaristia che avrebbero potuto aderire alle pareti interne del Calice o alle dita che lo hanno toccato. Sul soggetto delle abluzioni, ricordo una buona storia, capitata a questo stesso direttore di Seminario che aveva la cattiva abitudine del tono alto ed esclamare durate la Messa, e che interruppe una volta il Canone, come abbiamo già detto. Un giorno che era in “devozione”, e le sue orazioni giaculatorie si moltiplicavano senza misura, alla seconda abluzione, egli aveva, come prescritto, le dita sopra il Calice e di conseguenza, le mani e le braccia sollevate; l’altare, in effetti, era troppo alto per lui, ed il Calice era grande. Il servente Messa, che mi ha raccontato il fatto, ammirava interiormente la devozione del sant’uomo, e versava il vino sulle sue dita. « Signore, mormorava questi, voi mi inondate. » Il servente, intenerito, versava ancora l’acqua, versava sempre. « Voi mi inondate, mio DIO! » ripeteva il buon vecchio. Tutto d’un tratto cambia tono e con aria seccata, dice al servente: « Quando dico che mi inondate!!! Ne ho piene le maniche! » Sorpreso ed imbarazzato, il povero servente si trattenne per non scoppiare a ridere. L’infortunato direttore ne aveva fino al gomito. Dopo le abluzioni, il Sacerdote riprende posto in mezzo all’altare, con i vasi ed i sacri lini, copre il tutto con il velo e recita la breve preghiera chiamata Communio, al lato sinistro dell’altare, nell’angolo dell’Epistola. Come l’introito, il Communio ricorda lo spirito del santo Mistero del giorno. Poi il Sacerdote ritorna al centro, dice il sesto Dominus vobiscum, recita o canta, di nuovo a sinistra, l’orazione chiamata: Post-Communio, chiude il Messale, dà il settimo ed ultimo saluto con il Dominus vobiscum, e congeda l’assemblea annunciando che la Messa è finita: « Ite, Missa est. » Alla Messa solenne, è il Diacono che compie questo ufficio. Tutto il popolo in ginocchio riceve la benedizione che conclude l’adorabile Sacrificio. Mi sembra evidente che il senso liturgico di tutti questi riti si rapporti a quanto detto in precedenza del regno finale di Nostro-Signore e della sua Chiesa, al settimo giorno del mondo, prima della chiusura definitiva dei secoli. In effetti il Sacerdote è pieno di GESÙ, che è disceso in lui ed è corporalmente presente nel suo corpo, come lo sarà nell’ultimo Avvento quando apparirà sulla terra in mezzo alla sua Chiesa glorificata; nello stesso modo in cui ha cominciato il Sacrificio recitando l’Introito, poi il Post-Communio, le quali rappresentano, se non mi sbaglio, la preghiera perfetta, le adorazioni e le azioni di grazie che GESÙ e la Chiesa daranno nel salire, all’epoca della rigenerazione, verso il trono della Maestà divina. Questo sarà il cantico del cielo; questa sarà la santità del cielo sulla terra. Quale darà, in dettaglio, questo stato ultimo della Chiesa? Noi non ne abbiamo alcuna idea; non più dell’idea che abbiamo dello stato della santa umanità del Salvatore resuscitato, tra la Resurrezione e l’Ascensione; non più dell’idea soprannaturale che noi abbiamo dello stato nel quale si trovavano Adamo ed il mondo nel Paradiso terrestre prima della caduta. Non sarà l’uomo solamente, sarà l’umanità intera che regnerà pacificamente su tutti gli elementi e su tutto l’universo; sarà il corpo intero, saranno tutte le membra che, trionfando sulla morte, condurranno sulla terra la vita del cielo, la vita resuscitata, preludio della vita eterna propriamente detta. Noi sappiamo dello stato di beatitudine della Chiesa resuscitata, ed allora « … DIO asciugherà per sempre le lacrime dei suoi eletti; che per essi non ci sarà più morte, più doglia, più gemiti, più dolore; perché il primo stato delle cose sarà sparito: Quia omnia abierunt; perché tutte le cose saranno rinnovate. » È quello che noi sappiamo, ciò che ci ha detto il Signore Nostro medesimo nel Vangelo: « Nel giorno della rigenerazione, quando il Figlio dell’uomo sederà sul trono della sua maestà … nello stato di resurrezione, gli uomini non si mariteranno più, essi saranno come gli Angeli di DIO nel cielo; » essi non saranno degli Angeli, ma « saranno simili agli Angeli: sicut Angeli DEI; » essi non saranno puri spiriti, ma i loro corpi resusciteranno spirituali, spiritualizzati « resurget corpus spirituale », dice S. Paolo. I nostri corpi saranno simili a quello di Nostro-Signore dopo la sua Resurrezione, prima della sua Ascensione. Dopo questa manifestazione terrestre della divinità, della potenza, della gloria, della santità e della bellezza senza macchia di GESÙ-CRISTO e della Chiesa, la grande settimana dell’umanità sarà compiuta; dopo il settimo giorno, dopo il riposo trionfale della settima età della Chiesa, verrà la Domenica eterna, il grande giorno del Signore, il giorno dell’Ottava, dell’accordo perfetto. I riprovati, resuscitati per il giudizio nel momento stesso della fine dei secoli (Nostro-Signore distingue completamente la resurrezione degli eletti dalla resurrezione generale e finale; Egli parla della prima al cap. XXIV, e della seconda al capitolo XXV di San Matteo. Gli eletti della prima resurrezione sono le vergini sagge; i riprovati della seconda, sono le vergini stolte con cui la parabola inizia il cap. XXV; tunc, erit regnum cœlorum), saranno gettati fuori per sempre « con satana ed i suoi angeli, nel fuoco eterno come escrementi della Creazione; « ed essi saranno nel supplizio eterno, mentre i giusti andranno alla vita eterna, » avvolti, come in un vestito immortale, di gloria e di felicità, dalla benedizione suprema del Padre e del Figlio, e dello Spirito-Santo, che Nostro Signore GESÙ-CRISTO darà a tutti i suoi Eletti. È quanto figurano gli ultimi riti della santa Messa. Con quali profondi sentimenti di speranza, con quale gioia non dobbiamo dire queste belle parole finali, ed esprimere a GESÙ il nostro amore! Dapprima Egli ci invita al banchetto nunziale, alle nozze dell’Agnello. « Andate, la Messa è finita; venite, voi tutti, benedetti dal Padre; voi tutti fedeli della mia Chiesa; tutto è consumato; il grande mistero di Cristo, della Chiesa, della creazione, della Redenzione, della grazia è compiuto; voi avete ricevuto il vostro DIO: restate in Lui e Lui in voi! » I fedeli della terra rispondono: DEO gratias, povera e piccola eco anticipata del DEO gratias eterno che nel Paradiso sgorgherà dai loro cuori. Il passaggio dal regno celeste della santa Chiesa sulla terra al suo regno celeste nei cieli, è figurato dal passaggio del Celebrante, del Diacono e del Suddiacono al lato destro dell’altare, dove si recita nel segreto l’ultimo Vangelo. Il Celebrante è allora il Cristo nella sua gloria; il Diacono è la Chiesa degli Angeli; il Suddiacono la Chiesa degli uomini; entrambi in GESÙ-CRISTO e con GESÙ-CRISTO, nella gloria di DIO Padre. Dopo l’Epistola, questo passaggio da un lato all’altro, significava il passaggio dall’antica Alleanza alla nuova, ed il Celebrante si umiliava, si inchinava tra i due; ora questo passaggio, glorioso e gioioso, significa la transizione dal regno della Chiesa sulla terra, al suo Regno nel cielo; dallo stato perfetto della resurrezione, allo stato piuccheperfetto e assolutamente divino dell’Ascensione e dell’Eternità. Così, in mezzo all’altare, il Sacerdote, figura di GESÙ-CRISTO, ribalta le umiliazioni della greppia e del Calvario, con la maestà della pubblica benedizione (Nelle liturgie moderne francesi, il semplice Sacerdote cantava questa benedizione alla fine della Messa solenne e talvolta della Messa bassa (!!!). Si tratta ancora una volta di un’invenzione dell’89, una usurpazione del Prete sul Vescovo). Noi abbiamo già detto che il Dominus vobiscum che segue la comunione è quello che precede la benedizione, e sembra esprimere il Dono dell’Intelletto ed il Dono della Sapienza che Nostro Signore effonderà in quest’ultima età della Chiesa su tutti gli eletti. Oh! Quanti comprenderanno allora e quanti gusteranno le ineffabili beltà, le profondità divine e le eccellenze del mistero di GESÙ-CRISTO! Alla Messa solenne, l’ottavo Dominus vobiscum, si dice a voce bassa, così come il Vangelo della generazione eterna del Verbo, per significare che la beatitudine del Paradiso, cioè l’unione beatifica e la visione intuitiva, appartengono a quest’ordine di parole segrete « … che non è dato all’uomo dire quaggiù; … l’occhio dell’uomo non ha mai visto, né orecchio mai inteso, il suo spirito non può comprendere ciò che DIO ha riservato ai suoi eletti, » sulla terra, ed a maggior ragione nel cielo. Nulla è così toccante come la pia recita di questo bel Vangelo, quando si pensa che il Verbo eterno, il Principe della Vita, la vera Luce è là, sostanzialmente e corporalmente presente in noi, consolandosi con noi ed in noi dell’ingratitudine di coloro che non vogliono riceverlo, e facendo di noi dei figli di DIO! Il Verbo incarnato è in noi, vi è per sempre, pieno di grazia e di verità. – La Messa è finita; il Sacerdote e coloro che lo assistono all’altare rientrano in sacrestia, recitando a voce bassale preghiere dell’azione di grazie. Non è certo che queste preghiere siano obbligatorie, ma è d’uso il non ometterle.

XXXII

Il rispetto dovuto alle sacrestie.

Bisogna rispettare fortemente la Sagrestia delle Chiese, che è un luogo santo, come il suo nome ci indica. La sacrestia fa parte della Chiesa: non vi si deve parlare senza necessità, né ad alta voce, come in una camera ordinaria; ancor meno si deve chiacchierare, scherzare, ridere. Quando è possibile, è preferibile che i cantori e gli impiegati inferiori della chiesa non entrino abitualmente nella sagrestia del clero, propriamente detta. Al Curato ed al Prete sacrestano incombe il dovere, dovere serissimo ed importantissimo, di vegliare sul buon ordine della sagrestia; alle suppellettili più minuziose, non solo dei sacri vasi, dei lini, degli ornamenti, etc. inoltre dei mobili, armadi, tavoli, etc. … vi sono delle sacrestie ove è tutto sottosopra; in cui i teli e gli ornamenti sacri sono riposti alla rinfusa senza ordine negli armadi, a volte con spezzoni di ceri, ampolle con equivoche proprietà, bottiglie vuote, vecchi stracci; le cotte, le sottane dei ragazzi del coro e dei cantori vengono ammassate in un angolo. Tutto questo è sconveniente e poco edificante; un vero Sacerdote non tratta così, in malo modo, le cose del culto di DIO. In più, questo disordine, questo disordine costa caro: così negletti, i paramenti si deteriorano rapidamente; e con una cura maggiore si possono risparmiare centinaia di franchi. Inoltre, le pie dame, i buoni e ricchi donatori vengono pure scoraggiati nella loro generosità verso la Chiesa con la prospettiva della quasi inutilità dei loro sacrifici! « A che pro dare questa casula, questa cotta, questo ornamento d’altare? Si dice: se il nostro curato è così poco accorto, lasciamo perdere tutto questo! Tra pochi mesi, o un anno, non resterà più nulla » Bisogna valutare bene nel non disprezzare il valore di queste cose, per non scoraggiare tanti sacrifici fatti senza profitto. Nulla è più edificante che l’aspetto di una sagrestia ben organizzata e ben tenuta; questo rivela immediatamente l’indole di un Sacerdote pio, zelante della gloria di Nostro-Signore. La povertà non è in causa;  essa può essere propria, ma, grazie al cielo, povertà dignitosa e mala povertà non sono sinonimi.  

XXXIII

 Tempo che conviene consacrare alla celebrazione della Messa

Diciamo una parola sul tempo che bisogna consacrare abitualmente alla celebrazione della Messa. Il Papa Benedetto XIV, dichiara formalmente che la Santa Messa non debba mai durare meno di 20 minuti, anche le Messe da Requiem o le Messe votive, nelle quali le preghiere sono abbreviate. L’esperienza conferma questa decisione dell’Autorità suprema: un Sacerdote che vuole osservare tutte le rubriche e dir Messa con la religione conveniente, a mala pena rientra nei venti minuti. Quasi tutti coloro che dicono la Messa velocemente, a stento vi arrivano, arrampicandosi, preghiera su preghiera, cerimonia su cerimonia; essi terminano le orazioni mettendosi al centro dell’altare; dal corno dell’Epistola iniziano marciando a recitare il Kyrie, il Munda cor meum, e terminano, ancora camminando, con mancamenti simili a regole obbligatorie. Essi “arronzano”, come si dice, questo non è un pregare sacerdotalmente, non è celebrare bene la Messa. Io ho visto una volta un Sacerdote, per altro eccellente e da me conosciuto personalmente come tale, impiegare solo sedici minuti dal segno della croce, in basso all’altare, fino al “Deo gratias” finale. Questa Messa, buona davanti a Dio, senza dubbio, lo era molto poco per gli astanti, tanto che una persona pia mi pregò di avvertire questo buon Prete, che se continuava a dire la Messa “al galoppo”, non vi avrebbe assistito mai più: « … non si sa più ove ci si trova, aggiungeva con assoluta ragione; è un pasticcio, una specie di corsa a cronometro; si direbbe che questo Prete non abbia altra idea che di finirla quanto prima; se non lo conoscessi, gli si potrebbe chiedere se abbia fede! »  I Sacerdoti che prendono la deplorevole abitudine di dire così la Messa, cioè di corsa, hanno certamente la fede, ma io garantisco che essi non hanno al massimo grado lo spirito di fede, il sentimento attuale della fede, la fede viva, efficace, pratica nella divina presenza di Nostro Signore nel suo grande mistero. Mai un uomo penetrato di questa fede viva, ricordando che GESÙ, il bon DIO, il DIO eterno ed onnipotente che sta per scendere nelle sue mani; che è proprio Lui, il Figlio adorabile della Santissima Vergine, il gran Salvatore, il Re degli Angeli, il Santo dei Santi, che è là, nelle sue mani, sotto i suoi occhi, realmente presente e vivente con la sua infinita santità ed il suo amore infinito,… mai, io dico, un uomo, un Sacerdote che penserà a questo, balbetterà le sante preghiere, come spesso accade; mai farà delle genuflessioni tronche o precipitate, non tratterà alla leggera sì grandi cose, non darà la comunione “cotta al vapore”; in una parola, non dirà Messa con una velocità tale da essere in disaccordo con la santità intrinseca del Sacrificio, con il rispetto necessario della liturgia e l’edificazione dovuta al popolo fedele. Quasi sempre si dice la Messa troppo veloce. Quante volta ho sentito i fedeli lamentarsi di questo abuso! Alcuni Sacerdoti, lo so, dicono la Messa troppo lentamente e rischiano così, soprattutto nelle chiese parrocchiali, in cui il pubblico è più disomogeneo, di stancare un certo numero di persone; ma questi abusi, oltre che essere più rari degli altri, si comprendono presto: essi vengono da un raccoglimento più profondo da parte del Sacerdote, da un’osservazione più rigorosa delle rubriche, ed insomma anche se “abuso”, non malefica nessuno, tutt’altro. Per di più non espone il Sacerdote al danno così terribile della routine e della negligenza. – La Messa bassa dovrebbe sempre durare circa una mezz’ora. Questa mi sembra una regola perfetta, tipica; una mezz’ora, più o meno due o tre minuti. È il tempo che impiega ordinariamente il nostro Santo e Santissimo Padre, il Papa Pio IX, che dice la Messa sì mirabilmente come l’abbiamo raccontata adesso. È il tempo che consacrava sempre San Francesco di Sales, il Sacerdote perfetto: una bella e buona mezz’ora.

XXXIV

Come bisogna cantare e recitare le preghiere della Messa.

Alla Messa solenne, bisogna cercare di cantare bene ciò che deve essere cantato; cantare nel modo giusto, se possibile; cantare piamente e semplicemente, senza negligenza, affettazione, rallentamenti. Bisogna cercare di imparare il canto senza nulla aggiungere o alterare del canto liturgico; le fioriture, i gorgheggi, gli svolazzi, sono buoni per il teatro; ma all’altare di DIO, il canto deve essere grave e degno. Nulla è più bello del canto piano (romano) ben cantato. Uno dei più celebri compositori moderni, mi diceva l’altro giorno « il puro cantus planus (canto semplice – vocale a cappella, monodico, gregoriano) non può essere comparato a nessun altra musica, non più di quanto la Chiesa possa essere comparata alle altre società della terra. Il Canto semplice sta alla musica profana, come la preghiera alla conversazione. » I Curati dovrebbero vegliare a che i cantori non “compongano” al leggio; soprattutto nelle campagne, queste composizioni sono disastrose; io vedo ancora un bravo mugnaio, cantore emerito, primo cantore nella sua parrocchia da venti anni, urlante, muggendo un Magnificat impossibile, per non so quale grande festa, in mezzo allo stupore generale, stravolgendo le parole in modo incomprensibile … Magnificat, ficat … fificat … cat ani … cat anima … cat Dominum … ed il “minum” non finiva mai! E l’omaccione rosso come un gallo, con il pollice della mano destra appoggiata sotto il mento per darsi più forza, voltandosi verso l’assistente, occhio brillante e bocca torta, testa alta, alla fine di ogni versetto, come per dire al popolo: « Hei, che ne dite? » Ed il Curato lasciava fare! Quando si canta puramente e semplicemente il canto piano, si ha uno stato di grazia, e non si cade in queste eccentricità. Un altro punto molto importante per il canto delle Messe solenni, ed in generale di tutti gli uffici, è il protrarsi interminabile del canto e nelle grandi città, il suonare all’infinito l’organo; questo rende gli Offici di una lunghezza noiosa. « È edificante, dicono taluni; » no, è noioso e molte persone si lasciano prendere dalla noia. Io ho assistito una volta ad una Messa solenne che è durata, senza predica, quasi due ore e mezza. Più è lunga, più è bella!! Una Messa solenne, senza predica, dovrebbe durare appena un’ora. Tuttavia bisogna prendersi cura di non eccedere nel senso opposto: per guadagnare del tempo, certi buoni Curati, credono di potersi permettere di sopprimere i canti, questa o quella parte del canto liturgico. Vi sono dei paesi in cui non si canta che la metà del Gloria e del Credo; in cui il celebrante, dopo aver recitato a tono basso il Credo, comincia immediatamente l’offertorio tagliando il Credo dal momento che il sacerdote dice l’orate fratres. Alle gran Messe che si cantano durante la settimana, si sopprime il canto del povero Gloria; mai il graduale, mai il Communio cantato. Infine, abuso ancor più strano, nei servizi funebri in cui devono essere celebrate due Gran Messe consecutive, il canto della prima Messa cessa al Sanctus; la Messa cantata diviene subito una Messa bassa; e sempre per guadagnar tempo, la seconda Messa comincia su di un altro altare, immediatamente dopo l’Elevazione della prima, la quale termina come “in segreto”. Tutto questo costituisce una serie di abusi sui quali occorrerebbe richiamare l’attenzione del clero. Il Sacerdote che si permette queste cose, viola delle regole obbligatorie in coscienza; egli deve reagire con tutte le sue forze contro ogni ostacolo. Vi è interessata certamente la sua coscienza sacerdotale. Alla Messa bassa, noi dobbiamo pronunciare distintamente, né troppo alto, né basso, né veloce, né troppo lentamente: ciò che è segnato che debba essere pronunciato basso, sia pronunciato basso, di modo tale che gli assistenti non sentano nulla. Per le parole della Consacrazione, vi si è tenuti sub gravi. Vi sono dei Preti che dicono in tono basso tutte le preghiere; talvolta è per tener più raccolti; tuttavia è un abuso, che solo la stanchezza del torace o del laringe può scusare. In questo, come per tutto il resto, bisogna obbedire alle prescrizioni liturgiche che vogliono che la Messa bassa sia letta con voce intellegibile, distinta e mediocremente elevata. Io ho assistito una volta ad una Messa di un devotissimo abate che “declamava” la sua Messa; era toccante e nello stesso tempo molto ridicolo. Il Vangelo era quello della resurrezione di Lazzaro. Alle parole: « Lazare! Veni foras!!!, Lazzaro, esci dalla tomba! » il buon abate lanciò un vero grido di angoscia, e gli assistenti non poterono trattenersi dal ridere. Il maestro di cerimonia di uno dei nostri Seminari, mi raccontava che durante un viaggio in Italia, aveva ascoltato un Sacerdote dire con voce talmente elevata, stridente, le preghiere della Messa bassa che, entrando in chiesa, aveva creduto che vi si pregasse. Se all’altare, non bisogna parlare troppo forte, bisogna pure evitate con cura il tono di voce languido, biascicato, il tono di voce nasale, o rauco e rude; ci sono Sacerdoti che hanno preso la sgradevole abitudine di dir Messa cavallerescamente, bruscamente; si direbbero piuttosto capitani di dragoni che uomini di preghiera; fanno quasi paura ai bambini. Non è così che parlava Nostro-Signore. Come per il tempo della celebrazione, anche qui c’è un modo giusto da osservare, e bisogna dare al buon DIO, alla Messa, la nostra parola nel modo più perfetto possibile. Nella forma come nel fondo, bisogna rappresentare pienamente GESÙ, il Sacerdote dei Sacerdoti, il Santo dei Santi.  

XXXV

Celebrando la Messa, occorre evitare manie, bizzarrie e singolarità

Si chiamano manie, certe abitudini più o meno singolari che poco a poco si lasciano radicare nella vita di ogni giorno, divenendo quasi un diritto, un nostro modo di fare abituale. Le bizzarre, dappertutto rigettabili, le manie all’altare, sono non solamente proibite, ma assolutamente sconvenienti, inopportune e talvolta anche scandalose. In coscienza, noi non dobbiamo permetterle. Vi sono manie nella posa, nella postura. Io ho conosciuto a Parigi un Sacerdote che, durante tutto il tempo in cui il celebrante resta al centro dell’altare, si teneva su una sola gamba, l’altra ripiegata in aria ed appesa, penso, al polpaccio! Un altro molto anziano, aveva preso l’abitudine bizzarra, tutte le volte che si girava per dire: Dominus vobiscum, di stendere quanto più poteva le braccia a destra ed a sinistra, come un crocifisso, e di salutare profondamente il popolo; inoltre più che dire, cantava: Dominus vobiscum, oremus, etc., con una punta culminante in falsetto su tutti gli “us” e gli “um”. La sua Messa appena si intendeva, anche se si vedeva bene che pregasse di buon cuore. Vi sono dei degni Sacerdoti che prorompono con grande schiamazzo regolarmente in questo tal momento della Messa, né prima né dopo; è sacramentale! Vi sono alcuni che aspirano tabacco, senza mai omettere, alla fine del Credo (cosa che non è notata, che io sappia, nella rubrica; altri più “coscienziosi” aspettano fino all’ultima benedizione; ma giunti qua, si arenano, e la santa tabacchiera, destramente tratta dalla tasca, diviene, sembrerebbe, una sorgente di coraggio e di consolazione spirituale durante l’ultimo Vangelo. C’è poi chi tiene la testa penzoloni o il collo torto; chi dopo aver bevuto il prezioso Sangue, ritiene, per così dire, il Calice a lungo e con strepitio; chi ad un dato momento alza i suoi occhiali sulla fronte, coloro che recitano invariabilmente tali preghiere con un certo tono, ed altri ne impiegano uno diverso; chi durante l’Epistola poggia le mani semplicemente sul Messale o sull’altare, e durante l’ultimo Vangelo, quando devono essere giunte, non si evitano di pulirsi meccanicamente le unghie, etc., etc. Manie nella pronunzia, nel canto, manie nei movimenti; quali esse siano, si evitino queste cattive abitudini con spirito di fede e per amor di obbedienza; e noi celebreremo la Messa più perfettamente ed edificheremo più solidamente i fedeli. Talvolta la mania sfocia in eccentricità, soprattutto negli scrupolosi. Un sant’uomo vivendo in comunità, ebbe un giorno la strana idea di farsi purificare la punta del naso dal servente Messa alla seconda abluzione! Egli credeva che l’Ostia santa gli avesse toccato il naso al momento della Comunione; e, troppo fedele osservatore della rubrica che ordina di purificare con il vino e l’acqua ciò che il Santo Sacramento ha toccato inavvertitamente, mette il suo naso con le quattro dita sopra il Calice, ordinando al povero servente stupito di versargli del vino sulla punta del naso. A sua discolpa, bisogna aggiungere che era un po’ infantile. Dunque evitiamo all’altare ogni singolarità; osserviamo le sante rubriche con esattezza estrema ed una semplicità tutta sacerdotale. 

I SANTI MISTERI (8)

G. De SEGUR: I SANTI MISTERI (8)

[Opere di Mgr. G. De Ségur, Tomo X, 3a Ed. – LIBRAIRIE SAINT- JOSEPH TOLRA, LIBRAIRE-ÉDITEUR, 112, RUE DE RENNES, 112 – 1887 PARIS, impr.]

XXIX

Il seguito del PATER, fino all’AGNUS DEI.

Il Sacerdote traccia su se stesso un gran segno di Croce con la Patena, dicendo le parole della preghiera “secreta” che segue immediatamente il Pater: « degnatevi di accordare la pace ai giorni in cui viviamo; » e bacia la Patena che fa scivolare tra l’Ostia santa ed il Corporale, di modo tale che il Santo Sacramento riposi su di essa, ed essa sul Corporale. Egli prende poi l’Ostia, la spezza a mezzo in due parti uguali, al di sopra del Calice; tenendo con una mano sul Calice la metà dell’Ostia, depone l’altra metà sulla Patena; poi stacca dalla prima metà dell’Ostia un frammento che tiene con la mano destra, mentre riporta sulla Patena il restante della santa Ostia che vi si ricompone tutta intera, salvo la particella sospesa sopra il divin Sangue. Con questa particella il Sacerdote forma tre segni di Croce all’interno del Calice dicendo: « La pace del Signore sia sempre con voi! » e lascia cadere la particella nel Calice. Egli recita poi i tre Agnus Dei, terminando i due primi con: Miserere nobis, ed il terzo con: Dona nobis pacem. Questa pace, frutto della liberazione, è il seguito naturale e lo sviluppo del: Libera nos a malo. Con la bocca del Sacerdote, la Chiesa domanda, a nome di GESÙ-CRISTO, che la pace di DIO le venga accordata, e che sia da ora liberata dai suoi nemici interni ed esterni, per quanto lo permetta la sua condizione militante. Essa chiede anche che la grande, sovrana pace del trionfo, arrivi il più presto possibile. Essa chiama con tutte le sue voci il glorioso Avvento del suo Re e Liberatore. Ma prima bisogna che Essa soffra la grande tribolazione che le ha predetto GESÙ stesso nel Vangelo, la suprema persecuzione dell’anticristo; questa prova spaventosa sarà la Passione della Chiesa, la Passione dei membri, complemento della Passione del Capo. Secondo l’Apostolo san Giovanni, essa deve durare quarantadue mesi (Et civitatem sanctam calcabunt mensibus quadraginta duobus. – Apoc. XI, 2. – Et data est ei (bestiæ, id est, autichristo) potestas facere menses quadraginta duos. – ibid., XIII, 5), tre anni e mezzo ed accompagnerà o seguirà da vicino la conversione di Israele. – Secondo ogni apparenza, essa è significata dal gran segno di Croce che traccia su di sé il Sacerdote, cioè la Chiesa, nel momento in cui bacia la Patena; nel momento in cui l’antica Alleanza, oramai riconciliata con la nuova, ritroverà infine GESÙ-CRISTO; la Patena in effetti, come noi abbiamo visto più in alto, simbolizza all’altare la Chiesa giudaica. Allora la Santa Vergine sarà la Regina d’Israele convertito; il Corporale porta la Patena che a sua volta sostiene la Santa Ostia. Questo frazionamento della santa Chiesa, all’epoca della grande tribolazione, è ancora espressa dalla frazione dell’Ostia; e la particella che il Sacerdote lascia cadere nel Calice, simbolizza ciò che san Giovanni chiamava la “prima resurrezione” resurrectio prima, cioè la resurrezione degli Eletti, che seguirà immediatamente alla distruzione dell’anticristo e all’apparizione gloriosa del Signore GESÙ; « il Figlio dell’uomo, dice espressamente il Vangelo, radunerà allora i suoi eletti dai quattro angoli della terra. (Et congregabit electos suos a quatuor ventis. (Ev. Marc, XIII, 27; Matth. XXIV, 31; Luc. XXII). » Sottolineiamolo, Nostro Signore non parla che dei suoi Eletti: « electos suos ». Non è ancora in questione la resurrezione dei riprovati. Il Sacerdote, unendo anche al prezioso Sangue un frammento dell’Ostia, fa all’interno del Calice tre segni di croce con la santa particella, che rappresenta qui tutti gli Eletti del triplice trionfo. Egli desidera che i suoi astanti facciano parte di questa beato gregge dicendo: « La pace del Signore sia con voi! » Nostro Signore, presente sulla Patena come Ostia fratturata, e nel Calice con la mescolanza delle due specie sacramentali, ci viene mostrato come Crocifisso e Resuscitato con tutti i membri mistici, con tutti gli Eletti. La frazione significa la morte sia del Capo che dei suoi membri; la riunione del Corpo e del Sangue, della santa particella al vino consacrato, simbolizza la Resurrezione gloriosa. Ed è la grazia di questo mistero di morte e di resurrezione, di cui noi stiamo per appropriarci a breve, ricevendolo in noi con la Comunione, la Vittima del Sacrificio. Il Corpo di Nostro Signore si trova dunque nello stesso tempo sulla Patena e nel Calice. Questa prescrizione liturgica non significherebbe forse ancora ciò che già abbiamo indicato, cioè che la Chiesa resuscitata e glorificata regnerà, trionferà simultaneamente sulla terra e nel cielo e prima di entrare per l’eternità nel seno del Padre (ciò che viene espresso dalla Comunione), la sua gloria sulla terra avrà una eclatante manifestazione? Per quanto mi riguarda, pur riconoscendo che si tratti di una semplice opinione, io lo credo fermamente, e mi rallegro già nel Signore Nostro, per questo regno pacifico ed universale del vero Salomone. San Giovanni sembra insegnarlo in maniera formale. Nel ventiquattresimo capitolo dell’Apocalisse, egli dice che l’Avvento del Re di gloria, satana sarà legato per mille anni. I martiri di Gesù e coloro che non avranno voluto ricevere il segno dell’anticristo resusciteranno e regneranno con il Cristo per mille anni. Gli altri morti non resusciteranno prima del compiersi di questi mille anni. È questa la prima Resurrezione. Felici e santi tutti coloro che avranno parte alla prima Resurrezione! La seconda morte (cioè la morte eterna) non avrà più presa su di essi; che invece saranno i Sacerdoti di DIO e del suo Cristo, e regneranno con Lui per mille anni  (Et apprehendit draconem, serpentem antiquum, qui est diabolus, Satanas, et ligavit eum per annos mille… et vidi animas decollatorum propter testimonium JESU… et qui non adoraverunt bestiam, neque imaginem ejus, nec acceperunt characterem ejus in frontibus, aut in manibus suis, et vixerunt, et regnaverunt cum Christo mille annis, Cœteri mortuorum non vixerunt, donec con-summentur mille anni. Hæc est resurrectio prima. Beatus et sanctus qui habet partem in resurrectione prima; in his secunda mors non habet potestatem, sed erunt sacerdotes Dei et Christi, et regnabunt cum illo mille annis). – Sembra che il rito della Messa che abbiamo ricordato abbia per oggetto l’esprimere questo bel trionfo, questo riposo, « questo sabbat » della grande settimana della Chiesa. Quel che è certo è che questo rito, che fa parte della liturgia fin dalle origini, copre e raffigura un Mistero di grande importanza. È superfluo, penso, sottolineare che la spiegazione che noi esponiamo non abbia nulla in comune con la grossolana ed assurda eresia del millenarismo o del semi-millenarismo; si tratta qui di un regno spirituale e divino, e non di questa amalgama impuro, sensuale, impossibile, sognato già dagli gnostici, più giudeo che cristiano. San Girolamo attesta che al suo tempo « molti Cattolici credevano alla manifestazione terrestre della regalità e della sua Chiesa alla fine dei tempi, prima del giudizio universale. Sant’Agostino dichiara che tale era ugualmente la credenza e che non ne era stato allontanato se non dagli eccessi dei millenaristi. Ragione ben più perentoria; perché gli abusi che si sono fatti di una dottrina non distruggono in alcun modo né il fondo né la verità di questa dottrina. In tal guisa non si potrebbe leggere la Sacra-Scrittura solo perché i protestanti ne abusano. Un sapiente ecclesiastico, che ha studiato a fondo la questione, mi diceva un giorno che tra i Padri ed i dottori dei primi tre secoli, ne aveva trovato più di diciotto apertamente favorevoli a questo regno terrestre, spirituale e trionfale di GESÙ-CRISTO e della sua Chiesa. Il grande e dotto Ireneo, tra gli altri, erede quasi immediato delle tradizioni apostoliche, espone in lungo e largo questo sentimento, e lo appoggia su numerosi testi che parlano del regno terrestre del Cristo e dei suoi Santi come di un fatto incontestabile ed incontestato. – (Dopo aver riportato diversi passaggi delle sacre Scritture, san Ireneo aggiunge – Adv. Hæres., lib. V, cap. XXXV e XXXVI – « Hæc enim et alia universa in resurrectionem justorum sine controversia dicta sunt, qure fit post adventum Antichristi, et perditionern omnium gentium sub eo existentium, in qua regnabunt justi in terra, orescontes ex visione Domini, et per ipsum assuescent capere gloriam DEI Patris, et cum sanctis Angelis conversationem et communionem et unitatem spiritalium in regno capient. – San Ireneo dice che ciò che i Profeti e gli Apostoli hanno scritto di questo regno del Cristo, non deve intendersi in senso allegorico: Et nihil allegorizari potest, sed omnia firma et vera, et substantiam habentia. » – « Diligenter ergo Joannes prævidit primam justorem resurrectionem, et in regno terræ hæreditatem: consonanter autem et Prophètes prophetaverunt, de ea. Hæc enim et Dominus docuit, mistionem calicis novam in regno cum discipulis habiturum se pollicitus. Et Apostolus libérant futuram creaturam a servi tu te corruptelæ in libertatem gloriæ filiorum DEI, confessus est. » Bisogna leggere nella loro interezza i due importanti capitoli in cui San Ireneo espone, con tutta l’autorità dell’insegnamento teologale, cioè di tradizione puramente apostolica, il bel punto di dottrina che qui ricordiamo). – Questo riposo, questo regno di Cristo e della sua Chiesa non avrà fine; esso passerà dalla terra al cielo, senza interruzione. Cornelius, commentando il bel testo di Daniele: « Magnitudo regni, quæ est subter omne cœlum, detur populum sanctorum, » scarta all’inizio il millenarismo ed aggiunge: «  Certo è che questo regno del Cristo e dei suoi Santi sarà non solo un regno spirituale come quello che ha luogo ora sulla terra in mezzo alle lotte ed alle persecuzioni, ma anche un regno corporale e glorioso, « Corporale e glorioso, » in cui i Santi resuscitati regneranno corporalmente con il Cristo nel cielo, per l’eternità. Ma questo regno, il Cristo ed i Santi, lo cominceranno sulla terra, « inchoabunt in terra, », immediatamente dopo la morte dell’anticristo. Allora la Chiesa regnerà nell’universo intero, e Giudei e Gentili non formeranno che “ … un solo gregge ed un solo Pastore”. In seguito questo regno sarà confermato e glorificato per tutta l’eternità« Confirmabitur et glorificabitur in omnem æternitatem» . Questo punto di dottrina così grande, così consolante e così poco meditato ai nostri giorni, mi sembra essere la chiave delle misteriose cerimonie del punto della Messa di cui ci occupiamo. Il secondo Avvento di Nostro-Signore, che occupa un posto così importante nelle Profezie e nelle Epistole degli Apostoli, dovrebbe essere l’oggetto principale dei nostri studi, così com’è l’oggetto delle nostre speranze più care.  

XXX

Dall’AGNUS DEI al dopo Comunione.

Ai tre Agnus DEI, il Sacerdote, e con lui tutta la Chiesa, riconoscono che con il suo Sacrificio, GESÙ solo, l’Anello di DIO, immolato per i peccati di tutti, è l’Autore della salvezza e della futura beatitudine di tutti i fedeli, da Adamo fino all’ultimo Cristiano della Chiesa militante. I due Miserere, sono i due giorni di lotta che separano i due avvenimenti. Il « dona nobis pacem, » è il giorno del riposo, il gran giorno del Paradiso terrestre dell’umanità. Poi vengono le tre orazioni “secrete” che preparano il Sacerdote alla Comunione. La prima, che non si dice alle Messe dei morti, domanda nuovamente a nostro Signore di realizzare la promessa che Egli si è degnato di fare alla sua Chiesa, di questo regno di pace e di unità, dove non ci sarà sulla terra che un “solo gregge ed un solo Pastore”. Le due altre sono un mirabile atto di contrizione, di umiltà e di amore. Prima di comunicarsi, il celebrante proclama tre volte a voce alta, a nome suo e di tutti i Cristiani, che egli non è degno che GESÙ entri in lui; egli nondimeno lo riceve con umile e dolce confidenza, esprimendo il voto che il Corpo ed il Sangue del suo Salvatore glorificato custodiranno la sua anima per la vita eterna. In effetti, l’unione a GESÙ eucaristico è il pegno dell’unione a GESÙ, Re di gloria. – Il Sacerdote, ricevendo in lui il Corpo ed il Sangue del Signore, ricorda dapprima GESÙ-CRISTO comunicantesi Egli stesso nel Cenacolo, e profetizzante con ciò che la sua Chiesa entrerà un giorno in Lui, tutta deificata e tutta gloriosa, per vivere eternamente con Lui ed in Lui, della vita di suo Padre. Egli rappresenta GESÙ, Re del Paradiso, cielo dei cieli, facente entrare per sempre nella gioia del Signore la Chiesa, sua Sposa, suo Corpo mistico e vivente, formato da tutti gli eletti. In GESÙ, Re di gloria, essi verranno e possederanno eternamente il Padre ed il Figlio e lo Spirito Santo. Poi viene la Comunione del popolo, preceduta dal Confiteor, ultima purificazione dei peccati veniali e delle imperfezioni che respingerebbero la santità di GESÙ. La Santa Comunione è il frutto dell’albero di vita; è un frutto, un rimedio di immortalità che ci preserva dal peccato mortale e ci purifica dalle nostre colpe quotidiane, come recita il Concilio di Trento. Non è una ricompensa della virtù acquisita, come voleva la scuola giansenista; è un mezzo per fortificare l’anima, sviluppare i germi seri di buona volontà, un mezzo per diventare santo. Ecco perché il Sacerdote deve essere misericordioso in quel che riguarda la Comunione, e spingervi le anime con uno zelo infaticabile. I fedeli non saprebbero avvicinarvisi con troppo amore e fiducia da una parte, e dall’altra con troppa riverenza e fervore. Dare GESÙ alle anime, è la grande missione del Sacerdote, « dispensatore dei Misteri di DIO; » questa è la grande consolazione, la gioia suprema del suo ministero. Insegnar loro a ben comunicarsi e spesso, questo deve essere il grande officio, nei Catechismi, al confessionale, dappertutto. Che lo si sappia bene, la Comunione frequente è la rigenerazione di una parrocchia, di una diocesi, di un intero Paese (Si veda il mio libricino sulla Santissima Comunione, in cui ho riassunto e confutato le numerose obiezioni alla Comunione confidente e frequente). Il Sacerdote deve infondere una profonda pietà in questo sublime ministero della distribuzione della Comunione ai fedeli; egli deve dare la Comunione con amore piacevole e gioioso, senza forzature, e sempre unito a GESÙ, che attraverso di lui si dona alle anime con tanta bontà. Egli deve fare il segno della Croce con ogni Ostia, stare molto attento alle particelle che minacciano di staccarsi, e pronunciare, ad ogni Comunione, la formula intera ordinata dalla Chiesa. – Io ho conosciuto un eccellente curato che, per andare più velocemente, dava tre o quattro Comunioni mentre recitava, devotamente e gravemente la formula: Corpus – una Comunione – Domini nostro – un’altra Comunione – JESU-CHRISTI – un’altra Comunione – custodiat animam – … una quarta – tuam in vitam æternam – … una quinta – Amen, cominciava la sesta. A volte ci sono coloro che apostrofano i fedeli quando non tengono la testa come si deve. Si deve fare attenzione a rispettare Nostro Signore, che è là presente e che vuole che siamo docili e pazienti come Lui, anche per non danneggiare nessuno. È bene istruirsi su tutto ciò che concerne la santa Comunione. L’ignoranza, o quanto meno l’oblio delle regole, può far cadere in strani eccessi. Pochi anni orsono, un curato di una grande città francese, distribuiva la Comunione pasquale ad una numerosa assemblea di operai la Domenica di Quasimodo, alla chiusura di un ritiro; egli non era forte in materia liturgica né in diritto canonico; e per disgrazia, il Diacono che l’assisteva non era migliore di lui. In seguito a non so qual malinteso, il numero di Ostie consacrate si dimostrò insufficiente; il buon curato, desolato da questo contrattempo, consulta il suo Diacono: se consacro un ciborio per questa povera gente? Diceva esitante … Credete che possa farlo? « Mi sembra di sì » risponde senza cipiglio l’illustre Diacono. E ciò che fu detto, fu fatto. Era questa un’enormità e senza alcun dubbio, se il Vescovo ne fosse venuto a conoscenza, avrebbe rimandato questo troppo caritatevole curato e senza altro consiglio, al Seminario per studiare il trattato dell’Eucaristia e le rubriche del Messale. Avrebbero meritato di essere citati entrambi ex æquo davanti al Santo-Officio. Altra importante osservazione: è permesso, e perfettamente regolare comunicare fuori dalla Messa. Le Domeniche ed i giorni di festa, quando le Comunioni sono numerose, è più prudente distribuire la santa Comunione prima e dopo la Messa. altrimenti si espongono tante povere persone, domestiche, operai, che hanno giusto il tempo di ascoltare la Messa, a vedersi obbligati a lasciare la Chiesa durante la Comunione. Ci sono buoni Sacerdoti che non ci sentono da questo orecchio e che giungono perfino a rifiutare la Comunione fuori dalla Messa. Ce n’è di quelli che non consentono a darla, se non a condizione che si ascolti la Messa. Tutto questo è un abuso in violazione delle regole. Due o tre persone molto pie, abituate a comunicarsi quasi ogni giorno, avevano trovato in campagna due curati che rifiutavano loro la Comunione quando essi non si recavano ad ascoltare la Messa (il cui orario non coincideva sempre con i loro doveri familiari), consultarono Roma e fu loro risposto che solo in caso di pubblico scandalo previsto dal Rituale romano, era assolutamente proibito ai Sacerdoti rifiutare a chiunque e sotto qualsiasi pretesto, la Comunione prima, durante o dopo la Messa. « Vi è per il Sacerdote un obbligo, sotto pena di peccato mortale, » aggiungeva il Consultore. La Comunione è, in realtà, affatto indipendente dal Sacrificio. Il Sacramento è il frutto del Sacrificio, il Tabernacolo è la riserva in cui questo frutto divino è deposto per l’uso dei figli di DIO. Quando si distribuisce la Comunione fuori dalla Messa, occorre che ci sia almeno un cero illuminato sull’altare e che il Sacerdote sia rivestito della cotta (non di rocchetto) e con la stola. Il rocchetto non è in effetti un abito sacerdotale; è una insegna ecclesiastica, un’insegna prelatizia, come la sottana color violetto; i Canonici stessi non portano il rocchetto se non da dopo la Rivoluzione: è un abuso introdotto dai preti costituzionali (1) e sul quale la Chiesa ha creduto di dover chiudere gli occhi. Il semplice Sacerdote non ha mai diritto al rocchetto, e mai se ne deve servire nell’amministrare i Sacramenti.

(1) A quest’epoca disastrosa risalgono la maggior parte degli abusi liturgici francesi; tra gli altri l’uso del rocchetto, come detto, la sottana a coda, il portare la stola per cantare i Vespri e le altre ore canoniche; il canto alla benedizione con il Santissimo Sacramento – È una regola generale in liturgia che la benedizione data ai fedeli con un oggetto sacro qualunque, si dia sempre in silenzio; ed è molto logico, venendo la benedizione dall’oggetto sacro con cui si benedice, (una reliquia, una particella della vera Croce, etc.); a fortiori ciò è vero per il Santissimo Sacramento. In realtà è il Corpo di Nostro Signore che benedice direttamente il popolo fedele. La preghiera benedicat vos, etc., che si era introdotta in Francia, è un vero controsenso; non è il Padre, il Figlio e lo Spirito-Santo che benedicono l’assemblea, ma il Corpo del Signore, e Lui solo. Inoltre non è un desiderio: “benedicat”, bensì un fatto; occorrerebbe almeno: “Benedicit”. Per essere logico e ragionevole, bisognerebbe dire: « Benedicit vos Corpus Domini Nostri JESU-CHRISTI »; e francamente a chi dirlo?

I SANTI MISTERI (7)

G. De SEGUR: I SANTI MISTERI (7 )

[Opere di Mgr. G. De Ségur, Tomo X, 3a Ed. – LIBRAIRIE SAINT- JOSEPH TOLRA, LIBRAIRE-ÉDITEUR, 112, RUE DE RENNES, 112 – 1887 PARIS, impr.]

XXV

Bella manifestazione della presenza reale del Salvatore.

La storia della Chiesa e la vita dei Santi sono piene di manifestazioni miracolose della presenza reale di GESÙ tra le mani dei Sacerdoti. (Si veda un riassunto di questi bei miracoli eucaristici nel mio trattato “Sulla presenza reale”. Io ho composto questo opuscolo per illuminare e fortificare la fede di tanti buoni Cristiani che sono poco istruiti nella Religione e che praticherebbero con maggiore zelo se vedessero più chiaramente la verità della loro fede, ed in particolare la verità del gran Mistero della pietà cristiana, cioè della Presenza reale di Nostro-Signore nel Santo Sacramento dell’altare – A questo titolo ne oso raccomandare la lettura innanzitutto, poi la diffusione a tutti coloro che amano GESÙ e che amano le anime). Ognuno sa come il nostro incomparabile San Luigi rifiutò un giorno, per squisita delicatezza di fede, di presentarsi alla santa Cappella dove il Divin Salvatore degnava di mostrarsi a tutti i fedeli sotto forma di un mirabile bambino. « E voi, disse il santo re, andateci e rallegratevi nel vederlo. Quanto a me mi è sufficiente la fede della santa Chiesa, e non ho alcun bisogno di vedere per credere. » Queste manifestazioni miracolose della presenza reale sono state senza dubbio accordate da Nostro-Signore, sia per ricompensare la fedeltà di alcune anime perfette, sia per raffermare la fede dei deboli. Tra mille altre, eccone una molto recente e la cui storia sembra proprio adatta a nutrire la pietà dei Sacerdoti e dei fedeli. Suor Marie Lataste, morta in odore di eminente santità al Sacré-Coeur di Rennes nel 1847, fu favorita dall’infanzia di meravigliose grazie. Per due anni consecutivi, dal 1840 al 1842, quando non era ancora che una povera ragazza di campagna, i veli dell’Eucarestia non esistevano per lei, e dopo la Consacrazione, GESÙ si mostrava ad ella pieno di grazia e di maestà. Ecco come elle stessa racconta due di queste sacre manifestazioni: « Al momento dell’Elevazione, allorché il Sacerdote faceva la genuflessione, dopo aver pronunciato le parole della Consacrazione, io vedevo un immenso chiarore diffondersi nel santuario e GESÙ apparire sull’altare, ove restava fino alla Comunione. Il suo viso era ordinariamente pieno di bontà e di dolcezza, ma talvolta pure serio e sembrava irritato. Il suo splendore oltrepassava quello del sole. La sua maestà non aveva nulla di paragonabile sulla terra. Il suo trono era d’oro brillante. La sua veste non era di stoffa, neanche la più fine; oppure, se stoffa era, io non ne ho mai visto una simile; sembrava tutta trasparente e gettava fuoco come un diamante o una pietra preziosa (Si tratta dei bei vestiti ed ornamenti celesti formati di luce, che si ritrovano sempre nei racconti che ne hanno lasciato i Santi in occasione delle apparizioni del Salvatore, della Santa Vergine o dei Beati). Egli era seduto su di un trono; la sua mano sinistra poggiava sul suo cuore, e la destra poggiava dolcemente sulle ginocchia. I suoi occhi erano d’ordinario fissati sul popolo; in certi momenti, ad esempio durante il Pater o l’Agnus Dei, sempre sul Sacerdote (Œuvres de Marie Lataste, 1° édit., t, III, lettera XII). »  Dopo la Comunione, ciò che aveva visto sull’altare, lo vedeva trasportato nel suo cuore; e nel suo santuario vivente, che ella soleva chiamare « il tabernacolo mirabile », restava con il suo Salvatore, lo adorava, lo ascoltava, e per suo amore, dimenticava ogni cosa. « Un giorno dell’ottava dell’Epifania – dice ancora – ero già venuta a rendere i miei doveri di adorazione a GESÙ nel Sacramento dell’altare. Assistevo alla santa Messa. All’Elevazione il Salvatore GESÙ mi apparve sull’altare. L’altare divenne simile ad un trono immenso di oro massiccio e tutto brillante di pietre preziose. In mezzo si trovava una sedia guarnita da una stoffa simile a del velluto bianco. Questo velluto non era intessuto; non saprei dire come fosse, e non posso meglio farmi comprendere che affermando che apparisse ai miei occhi come foglie di rose bianche saldate l’una all’altra, conservando inalterate la loro freschezza e la loro bellezza anche quando ci si sedeva sopra. Il Salvatore era su questa sedia che non poggiava sull’altare, ma era sospesa in aria dalle mani degli Angeli che circondavano GESÙ. La grande croce dell’altare mi sembrava tre volte più grande, come mai l’avevo vista in precedenza. Essa era tra le mani di GESÙ. Infine una magnifica corona cingeva la fronte di GESÙ; era una corona di spine, e queste spine somigliavano a del cristallo nel quale erano concentrati i raggi del sole. Io guardai per lungo tempo il Salvatore GESÙ; mi sembrava che stesse per parlarmi. Io lo desideravo molto, ma nondimeno rinunciai volentieri alla soddisfazione di questo desiderio e dissi a GESÙ:  Mio dolce Salvatore, sia fatta la vostra volontà e non la mia. » (Œuvres de Marie Lataste, I° édit,, t. II. libro II). » Sarebbe ben dolce e desiderabile ricevere da DIO dell’altare dei simili favori; ma oltre al fatto che il miracolo è essenzialmente una eccezione che non viene accordata che per motivi impenetrabili alla nostra piccola mente, bisogna, come San Luigi, preferire l’ordinario allo straordinario, la fede ai miracoli e fare così di necessità virtù. Dopo la consacrazione, adoriamo GESÙ eucaristico con una fede più fervida che se lo vedessimo con gli occhi, lo ascoltassimo con i nostri occhi e lo toccassimo con le nostre mani. Non dimentichiamo che attraverso il velo della sante specie, Egli ci osserva tutti, guarda ognuno di noi come lo vedeva Suor Marie Lataste. Noi altri Sacerdoti, in particolare, ricordiamoci dello sguardo di GESÙ al Pater e all’Agnus DEI. Guardiamolo come Egli ci guarda, e rendiamo amore per amore. Oh come diremmo bene la Messa, come l’ascolteremmo bene se non perdessimo mai di vista questo sguardo scrutatore, questo sguardo misericordioso, questo sguardo fecondante del nostro Salvatore. 

XXVI

Le sante cerimonie che seguono alla Consacrazione.

A partire dalla consacrazione, quello che si può chiamare il dramma liturgico della Messa, cambia di aspetto completamente; non è più la preparazione, non sono più i rapporti dell’antica e della nuova Alleanza; è il primo ed il secondo Avvento del Figlio di DIO, che sono l’anima, il segreto delle mistiche cerimonie compiute sull’altare. Già questo duplice avvenimento, che forma il mistero completo dell’Incarnazione e della Redenzione, è simbolizzato dalla duplice Consacrazione dell’Ostia e del Calice. GESÙ-CRISTO è interamente nell’Ostia santa, e tuttavia il Mistero eucaristico non è completo se non dopo la consacrazione del calice; questa seconda consacrazione è anche talmente indispensabile al Sacrificio, che senza di essa c’è il Santo Sacramento, ma non c’è Sacrificio: il Sacrificio dell’Eucarestia consiste essenzialmente nella consacrazione del pane e del vino. Questo perché? Perché la consacrazione del Calie è essenziale al Sacrificio? Innanzitutto perché Nostro-Signore ha unito le due consacrazioni, il Giovedì santo, al Cenacolo; poi, poiché il rito del Sacrificio eucaristico è la rappresentazione fedele del grande Mistero di GESÙ-CRISTO, cominciato solamente nel primo Avvento e consumato con il secondo. Fino al secondo Avvento, GESÙ, che non è che uno con la sua Chiesa, combatte con Essa ed in Essa; e la sua opera di salvezza non è che abbozzata. In secondo luogo, Egli raccoglierà pienamente e la sua Chiesa raccoglierà con Lui il frutto dei suoi lavori, delle sue sofferenze, del suo sacrificio. I due Avventi del Salvatore sono anche distinti e dipendenti l’uno dall’altro, come lo sono sull’altare la consacrazione dell’Ostia e quella del santo Calice. Il disegno di DIO  resta sospeso se lo si divide. Questa unione delle due Consacrazioni è talmente indivisibile che la liturgia (la liturgia romana, che sola fu autorizzata in maniera assoluta) ordina che se, in seguito ad un qualsiasi incidente, si fosse obbligati a consacrare di nuovo il Calice, dopo la Comunione, si consacra una nuova Ostia prima di consacrare il Calice, benché la Consacrazione della prima Ostia sia stata certamente valida – (Questo può succedere quando, per errore, si versa all’Offertorio, l’acqua a posto del vino. Questo incidente è da temere quando si dice la Messa prima del giorno, o quando ci si serve di ampolline di metallo – privilegio riservato ai Prelati).- Noi abbiamo notato che nella prima parte del Santo Sacrificio, destinato a ricordare i rapporti e l’unione dell’antica Alleanza e della nuova, il pane restava al coperto sotto il Corporale, mentre il vino era nascosto nel Calice dalla Palla; dopo la Consacrazione lo stesso rito continua, ma ne cambia il significato: l’Ostia santa, posta sul Corporale e visibile allo sguardo del celebrante, significa il mistero del primo Avvento che la Chiesa conosce, vede ed adora; mentre il vino consacrato, velato agli sguardi dalla Palla, significa il secondo Avvento al quale noi crediamo ma non vediamo ancora. Per GESÙ-CRISTO, questo secondo Avvento è già consumato nel mondo celeste ed eterno; ma per noi è ancora da venire. Subito dopo la Consacrazione, il Sacerdote ricorda che il Mistero che si sta per compiere è, sotto forma di Sacramento, lo stesso mistero, lo stesso sacrificio che si è già consumato nella Passione, nella Resurrezione e nell’Ascensione dello stesso Signore GESÙ presente sull’altare; e per significarlo al meglio, egli traccia tre segni di Croce sull’Ostia ed il Calice, sul Corpo ed il Sangue di questo stesso Redentore che è stato sulla Croce: « Ostia pura »; alla sua Resurrezione « Ostia santa »; all’Ascensione al cielo « Ostia immacolata »; e che è ormai nell’Eucaristia, « il pane sacro della vita eterna ed il Calice della eterna salvezza. » Dicendo queste due ultime parole, il Sacerdote fa un segno di Croce prima sull’Ostia santa, poi sul Calice, per mostrare come l’Eucaristia, che riassume il Mistero intero di GESÙ-CRISTO, con i suoi combattimenti e il suo trionfo, sia il legame che unisce insieme il primo con il secondo Avvento del Salvatore. Questa triplice benedizione rinnova, dopo la Consacrazione, la benedizione del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, diffusa sulle oblazioni per prepararle immediatamente alla Santissima Consacrazione. Ora, questa benedizione che ha prodotto il suo effetto quanto al Capo, si applica direttamente a tutti i membri di questo Capo divino, a tutti i fedeli che, con la loro unione a GESÙ-CRISTO e con la Comunione Sacramentale del suo Corpo e del suo Sangue, sono chiamati a divenire, come dice San Paolo, « il corpo del Cristo: Corpus ejus, quod est Ecclesia. » Che cos’è in effetti la Chiesa se non l’umanità incorporata a GESÙ-CRISTO, vivente della sua vita divina, santificata, soprannaturalizzata, deificata, ed un giorno glorificata dallo Spirito-Santo che il divino Capo effonde in essa, come il suo sangue, come la sua vita? Ciascuno di noi deve lasciarsi trasformare e transustanziare spiritualmente in GESÙ-CRISTO, e divenire, per Lui, con Lui ed in Lui, un’Ostia, cioè una vittima pura, santa ed immacolata. È questo lo scopo de Sacrificio  e della Comunione e di tutta la Religione Cristiana. Il Sacerdote si inchina profondamente, scongiura GESÙ-CRISTO, l’Angelo del gran Consiglio, di supplire alla sua indegnità e presentare Egli stesso alla divina Maestà, nell’alto dei cieli, il Sacrificio che per le sue mani la Chiesa offre in questo momento sull’altare della terra, e degnarsi di riempire di tutte le benedizioni celesti tutti coloro che, i fedeli alla grazia del primo Avvento, trionferanno un giorno nella gloria del secondo. Come per spingere in GESÙ crocifisso dapprima e poi GESÙ glorificato, questa benedizione, egli traccia un segno di Croce sull’Ostia santa, poi sul Calice, poi infine su se stesso che rappresenta là tutti gli eletti. Egli prega poi per tutti coloro tra questi Eletti che soffrono le espiazioni del Purgatorio prima di entrare in cielo, supplicando la misericordia divina « di accordare loro il luogo del refrigerio, della luce e della pace a tutti coloro che riposano nel Cristo, » in questo medesimo Cristo, di cui il Corpo ed il Sangue sono la vittima del Sacrificio di propiziazione che egli celebra. E così si completa intorno a GESÙ, Re della grazia e della gloria, il grande Mistero della Comunione dei Santi, così poco meditato, compreso in questo secolo di naturalismo. La « Comunione dei Santi » è l’unione della Chiesa trionfante, della Chiesa militante e della Chiesa purificante in GESÙ-CRISTO. al Santissimo Sacrificio, questa mirabile comunione, di cui lo Spirito-Santo è l’anima, è manifestata con le invocazioni del Prefazio, del Sanctus e del Communicantes, prima della Consacrazione e, dopo la Consacrazione, con la commemorazione esplicita dei fedeli trapassati. Il Sacerdote, ministro e rappresentante della Chiesa militante, offre un Sacrificio in unione con la Beata Vergine, Regina del cielo, e con la Chiesa angelica, con la Chiesa trionfante dei Santi; ed egli l’offre per i fedeli che riposano « nel sonno della pace, » affinché essi entrino, senza ritardo alcuno, « nel luogo del refrigerio  e della luce. » La preghiera degli Angeli e dei Santi, unita all’altare, a quella del Sacerdote, ottiene alla Chiesa militante e alla Chiesa purgante una effusione sovrabbondante di grazie, di pace e di benedizione. Tutto questo è di insegnamento ed istituzione apostolica. – In mezzo al silenzio delle lunghe preghiere del Canone, il Sacerdote alza solo una volta la voce: è per proclamarsi peccatore ed umiliarsi con tutti i suoi fratelli nella santa presenza di DIO, dell’Eucaristia: « Nobis quoque peccatoribus, » dice battendosi il petto, come il buon pubblicano del Vangelo, come il buon ladrone del Calvario; « e anche a noi peccatori che speriamo nella moltitudine delle sue misericordie, degnatevi di accordare, Signore, un piccolo posto nella società dei vostri Santi e dei vostri Martiri. » Egli ne nomina pure alcuni, tutti dei primi secoli, ma non più, questa volta, tutti martiri a Roma. In questa seconda enumerazione di Santi, si trovano citate diverse Vergini martiri: Agata, Lucia, Agnese e Cecilia, Anastasia, ricordano graziosamente le Vergini sagge della parabola, figure di tutti le anime predestinate.

XXVII

I segni di Croce e le altre misteriose cerimonie che concludono il Canone.

Verso la fine delle preghiere del Canone, il Sacerdote congiunge le mani nel nome di GESÙ-CRISTO perché dice al Padre celeste, « Voi create, Signore, santificate, vivificate, benedite e ci date tutti questi beni. » – « Per Lui, con Lui ed in Lui, vi arriva ogni gloria ed onore, a Voi, DIO, Padre onnipotente, nell’unita dello Spirito-Santo, nei secoli dei secoli. » E dicendo: « Santificate, vivificate, benedite, » il Sacerdote traccia tre segni di croce sull’Ostia ed il Calice uniti; queste non sono benedizioni propriamente dette, ma dei segni destinati ad esprimere dei Misteri. Poi con la santa Ostia che egli tiene con la mano destra, mentre la sinistra mantiene il Calice, egli traccia tre altri segni di Croce all’interno del Calice, sopra il prezioso Sangue; poi due altri segni di Croce, sempre con l’Ostia santa, tra il suo petto ed il Calice; e riportando l’Ostia sopra del calice sul quale egli appoggia le sue due dita, eleva in poco sia il Calice che l’Ostia sul Corporale, ricopre il Calice e fa la genuflessione. È così che terminano le grandi, ineffabili preghiere del Canone. – Ecco in poche parole ciò che richiamano alla nostra fede questi riti pieni di misteri: innanzitutto ed essenzialmente essi ci ricordano la benedizione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, discesa, come diciamo subito in virtù del Sacrificio di GESÙ-CRISTO, su tutti gli Eletti, membri viventi di questo divino Capo, per consacrarli e renderli capaci di glorificare degnamente il Padre celeste, con GESÙ e come GESÙ, in tutti i secoli dei secoli. – Ogni benedizione, ogni vita, ogni santità arrivano alle creature da GESÙ, unico Mediatore di DIO e degli uomini; e GESÙ, Autore della natura, della grazia e della gloria, è là, sotto i veli del pane e del vino, con tutte le benedizioni, tutti i tesori di vita e di santità che, dopo il primo momento della creazione deli Angeli e degli uomini, sono stati diffusi nel mondo dal Padre celeste. Dopo aver richiamato questa grande verità con i tre primi segni di croce, il Sacerdote ne esprime un’altra, ancora più profonda. GESÙ-CRISTO, Capo della Chiesa e degli Eletti, compie la sua opera in tre combattimenti, nei quali trionfa di satana e dei peccatori; Egli trionfa dapprima al diluvio con l’acqua; poi sul Calvario con il Sangue; poi infine, Egli trionferà definitivamente ed eternamente quando, scendendo di nuovo sulla terra alla fine della sesta era del mondo, rinnoverà l’universo intero con il fuoco e lo Spirito-Santo. Questi tre trionfi del Cristo non ne fanno che uno, e compongono l’insieme del grande mistero della gloria di DIO e della salvezza delle creature. È questo il senso della parola di San Giovanni, nella sua prima epistola: « Tre sono quelli che rendono testimonianza sulla terra: lo Spirito, l’acqua ed il Sangue, e questi tre sono una sola cosa. » Gli esemplari antichi aggiungevano: « Nel Cristo GESÙ, nostro Signore. » I tre segni di croce che il Sacerdote forma con il Corpo del Signore all’interno del Calice, sul Sangue prezioso, esprimono il triplice trionfo del Figlio di DIO vivente nei suoi Eletti: da Adamo fino al diluvio, poi dal diluvio fino al Calvario, poi dal Calvario fino al secondo Avvento del Redentore. Il Calice rappresenta qui GESÙ trionfante nella gloria del cielo; l’Ostia santa, che contiene lo stesso GESÙ del GESÙ del Calice, lo rappresenta vivente e combattente quaggiù nella sua Chiesa militante, in questa Chiesa che San Paolo chiama « il Corpo del Cristo. » C’è unione intima tra la Chiesa militante e la Chiesa trionfante, tra il combattimento del Cristo ed il trionfo del Cristo, tra il primo Avvento, in cui il Capo della Chiesa universale, immolato sulla Croce, risuscita e sale al cielo, ed il secondo, in cui questo stesso Capo, Re di gloria eterna, chiama a sé, per la resurrezione, tutti i suoi membri umiliati con Lui e li rende partecipi del trionfo, dopo averli resi partecipi delle sue prove. Il doppio segno di Croce che di seguito il Sacerdote traccia con il Corpo sacro di GESÙ, tra il suo petto ed il Calice, raffigura la Chiesa cristiana, combattente in GESÙ-CRISTO, con GESÙ-CRISTO, durante le due ultime età del mondo che devono intercorrere tre il primo ed il secondo Avvento. Quando i tempi saranno compiuti, la Chiesa cesserà di combattere; essa entrerà nella gloria celeste di GESÙ resuscitato; ed allora per GESÙ, con GESÙ, ed in GESÙ, vivendo e trionfando nella sua Chiesa tutta intera, ogni onore e gloria saranno resi a Dio Padre, nell’unità dello Spirito-Santo. Ora il Sacrificio dell’Eucaristia, contiene tutti i misteri di Nostro Signore, quelli che ancora sono da venire e quelli che sono già passati, e ne risulta che la Messa dà a DIO questa gloria in anticipo. Quale Mistero divino è il ministero sacerdotale! E quanto il Sacerdote deve essere santo per toccare, contemplare così da vicino e per compiere Misteri così terrificanti! San Giovanni Crisostomo chiamava le mani consacrate del Sacerdote, « le portanti il Cristo “bajulans Christi”! Egli diceva che esse sono « più splendide dei raggi del sole: solari radio splendidiores », e Tertulliano proclamava che, se mai il peccato viene a profanarle, esse dovrebbero essere con mille ragioni in più, delle mani criminali che scandalizzano gli uomini; perché, queste « scandalizzano il Corpo stesso di Dio:  « O prœcidendæ manus quibus Corpus DEI scandalizatur! »

XXVIII

Il PATER

Il Sacerdote dice ad alta voce, e nella Messa solenne canta l’ultima parola del Canone: « Per omnia sæcula sæculorum » Ciò che ha fatto, durante il lungo silenzio del Canone della Messa, non è altro in effetti, che la rappresentazione sacramentale del Mistero del Re dell’eternità. Il popolo fedele risponde: Amen! … Aderendo così con tutto il cuore a tutto ciò che il Sacerdote ha appena fatto e detto sull’altare. Amen è un atto di fede, di speranza e di adorazione. Il Sacerdote recita il Pater, con gli occhi fissi sull’Ostia santa, non sul Calice; tiene le due mani sollevate ed estese, come al Prefatio (salvo l’indice ed il pollice che devono restare uniti, dopo che hanno toccato il Santo Sacramento). Il Sacerdote stendendo il braccio ricorda innanzitutto che questo è lo stesso Sacrificio, la stessa Vittima del Calvario; ed egli recita, a nome di GESÙ, e GESÙ recita per lui, la preghiera per eccellenza: l’Orazione domenicale, di cui tutte le parole sono un mondo di misteri. Le due mani del Sacerdote richiamano ancora, lo abbiamo detto, i due Serafini di oro puro che si stavano in adorazione a destra ed a sinistra dell’Arca dell’alleanza, ed in generale, tutta la Chiesa angelica che dall’inizio fino alla fine dei tempi, adora con GESÙ-CRISTO, il suo ed il nostro DIO. Esse esprimono anche la fede, la Religione, l’amore dell’Antico e del Nuovo Testamento verso il Figlio di DIO e di MARIA, presente sotto le specie del pane sul Corporale. Alla quarta domanda  del Pater: « Dacci oggi il nostro pane quotidiano, » il Suddiacono alla Messa solenne, risale all’altare, dà la Patena al Diacono che, alla fine della sesta domanda: « Non lasciateci soccombere nella tentazione, » fa la genuflessione e presenta la Patena al Sacerdote; questi, abbassando le due mani, la prende con la mano destra. Alla Messa bassa, la Patena, nascosta dopo l’Offertorio sotto il Purificatoio ed il Corporale, è estratta di là dal Sacerdote, in questo momento del Pater, al termine della sesta domanda, né prima né dopo. Il senso di tutta questa cerimonia è manifesto e molto bello. Le sei domande sacre della preghiera, corrispondono alle sei Età della Chiesa militante: nella quarta età, il Pane vivente è disceso dal cielo; ma il suo popolo non lo ha ricevuto; risalito al cielo, nel giorno della sua Ascensione, ne ridiscenderà alla fine della sesta età, e troverà Israele convertito; il Sacerdote vede oramai il Suddiacono a lato del Diacono sull’altare, ed entrambi lo servono fino alla fine della Messa. la tentazione, di cui è detto alla sesta domanda, è senza dubbio, in maniera generale, la guerra incessante ed accanita che ci porta satana; ma è soprattutto la tentazione suprema che riassume tutte le altre e che coronerà la lotta sacrilega di satana e del mondo contro il Cristo e la Chiesa: l’apparizione dell’anticristo. Nel Vangelo, GESÙ ci predice che « … questa tribolazione sarà tale che non ce ne è stata una simile dall’inizio della creazione; » (Erit enim tunc tribulatio magna, qualis non fuit ab initio mundi, usque modo, neque fiet. – Ev. Matth., XXIV) e ci spinge a chiedere di non vivere in quei tempi. Egli ci fa dire nel Pater: « Ne nos inducas in tentationem », cioè “non conduceteci alla grande tentazione; non permettete che abbiamo ad attraversare questa prova”.  Il Sacerdote abbassando le due mani dopo questa sesta domanda, rappresenta alla nostra fede, alla nostra speranza ed al nostro amore, il Redentore discendente dai cieli, facendo cessare la lotta con il suo secondo Avvento. La settima domanda del Pater: « … Ma liberaci dal male », si riferisce al riposo della Chiesa dopo il lavoro delle sei Età, dopo la sua lotta di seimila anni contro satana ed il mondo. Nella creazione soprannaturale, che è la Chiesa, ci sono, come nella creazione naturale, sei giorni di lavoro, seguiti da un giorno di riposo. Il settimo giorno deve essere diverso dagli altri: questo è espresso dalla parola “sed”, che indica un cambiamento, una opposizione. Questa sarà la pace opposta alla guerra; il riposo, dopo il lavoro della lotta. Allora la Chiesa, resuscitata e glorificata con il suo Capo regnerà eternamente con Lui. – La questione è quella di sapere se questo regno sarà immediatamente la beatitudine eterna assoluta, oppure se, prima del cielo propriamente detto, ci sarà, per GESÙ-CRISTO e per la Chiesa, un’epoca di trionfo e di gloria sulla terra, un regno visibile benché tutto spirituale, di GESÙ-CRISTO e di tutti i suoi Eletti, una manifestazione terrena e temporale del loro trionfo celeste e della loro gloria eterna. In altri termini, la questione è di sapere se il secondo Avvento del Figlio di DIO non sarà un’epoca, come lo è stata la prima, e se, dopo la Resurrezione degli Eletti, non ci sarà per essi, fino alla loro Ascensione definitiva al cielo, un’età, un’epoca di trionfo, corrispondente ai quaranta giorni trascorsi tra la Resurrezione e l’Ascensione di GESÙ. Comunque sia, la settima domanda del Pater, che la Chiesa mette sulla bocca del servente, cioè il popolo cristiano è una preghiera di liberazione. È come se i fedeli dicessero al Signore: « Liberaci dal male, cioè da satana, dal peccato, dalle conseguenze del peccato e dall’inferno, per i meriti di Figlio vostro GESÙ, immolato su questo altare a gloria vostra e per la salvezza del mondo. » Amen, così sia, è il coronamento del Pater e della settima domanda; così come la beatitudine nel Paradiso sarà il coronamento e la consumazione del riposo trionfale della Chiesa. Il numero otto è, nel simbolismo cristiano, il numero della beatitudine e l’ottava è la perfezione, il fine ultimo raggiunto.

I SANTI MISTERI (6)

G. De SEGUR: I SANTI MISTERI (6)

[Opere di Mgr. G. De Ségur, Tomo X, 3a Ed. – LIBRAIRIE SAINT- JOSEPH TOLRA, LIBRAIRE-ÉDITEUR, 112, RUE DE RENNES, 112 – 1887 PARIS, impr.]

XXII

Dalle oblazioni fino al Canone della Messa

In vista dei gradi misteri figurati da tutto ciò che precede, la Chiesa vuole che il Sacerdote si ricordi che egli non è dopotutto che un uomo ed un peccatore, indegno di offrire un sì augusto Sacrificio: egli si inchina dunque profondamente, rinnova l’espressione della contrizione per i suoi peccati e l’umiliazione che ne prova; poi si rialza, leva gli occhi e le mani verso il Crocifisso e fa un gran segno della Croce sull’Ostia e sul Calice, per ricordare ancora che il Sacrificio che sta per offrire è lo stesso di quello della Croce, e per sottolineare l’unità di fede e di Religione tra la Legge antica, che rappresenta più direttamente la Patena e l’Ostia, e la Legge della grazia, che rappresenta il santo Calice. Bisogna osservare, in effetti, che il calice è coperto da un velo, che si chiama Palla, e che il vino benedetto è così sottratto allo sguardo del Celebrante, mentre il pane resta visibile e scoperto. Questo significa che il Sacrificio della nuova Alleanza era ancora nascosto agli occhi dell’antico sacerdote, mentre gli era dato di vedere e toccare i sacrifici figurativi e le vittime del culto mosaico. – La Palla, non era un tempo che il Corporale ripiegato sul Calice; per maggiore comodità, si sono fatti del Corporale e della Palla dei veli sacri separati. Questa comunità di origine e di destinazione è la ragione per la quale le Palle devono essere, come il Corporale, di semplice lino bianco, senza ricami; lo si appesantisce un poco per facilitarne l’uso. Il Sacerdote si porta poi al lato dell’Epistola, e là si lava le mani. È un ricordo degli usi antichi: già al momento dell’Offertorio, i fedeli portano all’altare, ed in quantità spesso considerevole, il pane ed il vino del sacrificio, così come dell’olio e della cera per i bisogni del culto divino. Nel nome di Nostro-Signore, il celebrante riceve egli stesso queste offerte; il Diacono, ed il Suddiacono riservano ciò che è attualmente necessario per la Messa; il resto era destinato a nutrire il clero ed i poveri. Il Sacerdote andava dunque naturalmente a lavarsi le mani dopo l’offerta. La Chiesa ha voluto conservare questo lavaggio di mani, per ricordare innanzitutto ai suoi ministri l’estrema purezza di coscienza con la quale essi dovevano servire DIO all’altare. – Il costume di presentare il pane benedetto in questo momento della Messa è un residuo di questa pratica dei tempi antichi. – Tornato in mezzo all’altare, il celebrante si inclina, richiama l’intenzione generale dell’oblazione del Santo-Sacrificio a gloria della Santissima Trinità ed in onore della Santa Vergine, dei santi Apostoli Pietro e Paolo e di tutti i Santi; poi bacia l’altare, si volge verso il popolo e gli domanda di raddoppiare le preghiere, perché il gran momento si avvicina. Egli recita la “Secreta”, orazione così chiamata perché non si recita né ad alta voce né con il canto; essa è simbolo della preghiera interiore e sconosciuta degli uomini, infusa da Nostro-Signore nel cuore dei suoi fedeli. – All’altare, il Sacerdote è tutto in GESÙ-CRISTO; a misura che egli va avanti nella Messa, è sempre più nei cieli e nel Cristo, « in cœlestibus, in Christo; » come dice San Paolo.  È là che alza la voce per fare intendere la parola dell’eternità: Per omnia sæcula sæculorum. Egli raccomanda a tutti gli assistenti di elevare con lui i loro spiriti ed il loro cuore ed applicarli al Signore GESÙ; egli rende grazie al buon DIO di tutte le sue misericordie, ricorda il mistero del giorno, si unisce agli Angeli ed agli Arcangeli, alle Virtù dei cieli, alle Potenze, ai Principati, ai Troni, ai Cherubini ed ai Serafini, per GESÙ-CRISTO Nostro Signore, loro e nostro Re; per GESÙ-CRISTO, la Vittima celeste, che si appresta a discendere sull’altare, scortato da tutti i suoi Angeli. Poi abbassando e giungendo le mani, egli si inchina per dire con essi sulla terra, ciò che essi dicono eternamente nel cielo: « Santo, Santo, Santo, è il Signore, DIO degli eserciti. » La Santa Chiesa fonde qui il cantico dei Serafini, con l’Osanna trionfale del popolo di DIO, acclamante il Cristo alla sua entrata in Gerusalemme: « Benedictus qui venit in nomine Domini, Hosanna in excelsis. » La Chiesa angelica e tutta la Chiesa della terra vanno ad unirsi, a raggrupparsi intorno al loro unico Signore GESÙ, nel momento in cui rientra di nuovo, attraverso la mistica porta dell’Eucaristia, nella sua cara Gerusalemme, in mezzo alla sua Chiesa, che è il suo cielo terrestre, al fine di esservi di nuovo offerto in Sacrificio per la salvezza del suo popolo. Ed è così, piuttosto nel cielo che sulla terra, che comincia la parte più venerabile, sublime della Messa, conosciuta con il nome greco di Canone, cioè “regola”, perché le preghiere e le cerimonie che la compongono non variano mai, qualunque sia la Messa che si celebra. – La maggior parte delle preghiere del Canone della Messa, sono di origine apostolica, e sono state affidate alla Chiesa dall’Apostolo San Pietro e dai suoi primi successori. Esse sono così sacre, che sarebbe un errore grave ometterne volontariamente anche la minima parte. A partire del quarto secolo, le preghiere del canone della Messa non hanno ricevuto altra modifica che con l’aggiunta di due parole (Diesque nostros in tua pace disponas, — sanctum sacrificium, immaculatum hostiam.). Il Papa San Gregorio Magno ne è l’autore, e negli Atti del suo Pontificato, si riporta questo fatto come un vero avvenimento, tanto è sacro alla Chiesa stessa il carattere tradizionale delle preghiere del Santo Sacrificio. Se è rigorosamente proibito ai Sacerdoti interrompere le preghiere liturgiche della Messa con delle preghiere personali, a maggior ragione è proibito ogni esclamazione di devozione, durante il Canone. – Io ho una volta sentito in un seminario, un buon uomo affetto da reumatismi, che dall’inizio alla fine della Messa, alzava al cielo tante devote orazioni giaculatorie, a volta pianti e gemiti pii. Si sentiva, ogni tanto, anche durante il Canone, esclamare: « Ah! Signore, io vi amo! Mai sono stato così malato … mio DIO, suscipe spiritum meum!… Mio GESÙ! Miserere! Mio DIO, Santa-Verine, io ve l’offro … Oh! la, là! » etc., etc. – Un giorno, l’autorità diocesana aveva ordinato delle pubbliche preghiere il cui carattere politico spiaceva a quest’uomo, e cominciò la Messa brontolando e senza aver voluto recitare dapprima le preghiere indicate. Nel bel mezzo del Canone ecco che un rimorso lo prese; egli si arresta, riflette; e poi, voltandosi verso il suo servente, gli dice con voce cavernosa e con aria contrita: « Credo che ci sia dell’antipatia, » e scende dall’altare, si mette in ginocchio ed invita tutti alle lunghe preghiere ordinate dal Vescovo (!!!); poi continuò tranquillamente il Canone. Ecco come le persone più sante si espongono a delle cose che materialmente sarebbero dei peccati mortali, a degli inconvenienti realmente ridicoli, per questo solo fatto che non tengono conto che ci siano delle regole austere ed obbligatorie della liturgia. Noi non sapremmo mai insistere tanto su questa obbedienza alla lettera. Al di fuori di questo, non c’è che liberalismo liturgico.

XXIII

Dal Canone della Messa fino alla Consacrazione

Il Sacerdote comincia queste sante preghiere, profondamente inchinato in mezzo all’altare che egli in seguito bacia, attingendo da GESÙ, nel seno del Padre, la benedizione che effonde con un triplice segno di Croce sul pane ed il vino del Sacrificio già tante volte benedetti e santificati. Li chiama anche non più solamente doni, offerte, ma ancora: « sacrifici santi e senza macchia. » La triplice benedizione significa il DIO unico, Padre, Figlio e Spirito Santo, che benedice e santifica le oblazioni con la Croce del Redentore. Tre nomi vengono qui dati a queste oblazioni che stanno per diventare il Corpo ed il Sangue di GESÙ: “dona” , perché è il dono gratuito e misericordioso del Padre; “munera”, perché è il tributo della Religione, di adorazione, di azione di grazie, di preghiere ed espiazione, che il Verbo incarnato ha pagato alla sovrana maestà di DIO; “sancta sacrificia”, perché il tributo non è stato pagato se non con il sacrificio, ed il Sacrificio non è stato offerto da GESÙ che nell’ardore dello Spirito Santo, il quale è stato il fuoco dell’olocausto, in cui « GESÙ si è offerto al Padre come un agnello immacolato. » Queste parole dona, munera, sacrificia, sono al plurale e non al singolare; perché benché il sacrificio di GESÙ-CRISTO, che sta per essere rinnovato sull’altare, sia unico, si presenta nondimeno accompagnato da numerosi sacrifici dei membri del Salvatore, che sono tutti i suoi fedeli, e che formano con Lui una sola Persona morale, « Christus totus, il Cristo intero, » come dice Sant’Agostino. Le oblazioni cambiate in Corpo e Sangue del Salvatore, hanno come scopo finale, di passare, con la Comunione, nei fedeli, e consumare questo mistero di unione, questa unità di Sacrificio. – Il Sacerdote prega nominativamente per il Papa, per il Vescovo e la diocesi e per tutti i fedeli che egli presenta a Dio come facente uno con Lui nella carità. (In Francia ed in qualche altro Paese, si aggiunge, per espressa concessione della Santa Sede, il nome del Sovrano, dopo quello del Vescovo. Ma occorre notare qui una importante osservazione. Un tempo, quando la società era costituita regolarmente e cattolicamente, il Re Cristiano faceva ufficialmente parte della Chiesa a titolo di « Vescovo di fuori, » braccio destro, difensore e figlio primogenito della Chiesa nel suo regno! A causa di ciò si doveva dire: « Una cum Papa nostro N. et Antistite nostro N. e rege (o imperatore) nostro N. et omnibus catholicæ et apostolicæ fidei cultoribus. ». Ora che l’ordine provvidenziale della società è scompaginato, il Sovrano non fa più parte ufficiale della Chiesa che a titolo di semplice battezzato e non più a titolo gerarchico, soprattutto quando non è per nulla consacrato. Così nella concessione Apostolica si è stabilito di aggiungere davanti al nome del Sovrano una parola che sembra insignificante a prima vista, ma che esprime perfettamente il cambiamento della situazione che veniamo a segnalare. Si deve dire « et PRO Rege (o imperatore) N … ». questo “pro” è sufficiente a separare il nome del Sovrano moderno dal nome del Papa e del Vescovo, oramai soli, gerarchi o capi ecclesiastici, ed il povero Sovrano decaduto dal suo antico e sublime privilegio, non è più considerato ufficialmente dalla Chiesa che come un semplice Cristiano, per il quale non è espediente pregare nominativamente, a causa dell’immensa influenza che può egli avere per il bene come per il male negli affari della Chiesa. In questo punto del Canone quindi, si è stabilito di dire: « Una cum Papa nostro N. et Antistite nostro N. et pro imperatore o rege nostro N., et omnibus, etc. » Questa formula è obbligatoria; è stata decretata dalla Congregazione dei Riti). – A questa commemorazione della Chiesa militante, si aggiunge immediatamente la commemorazione della Chiesa trionfante. Con le mani unite e stese, si fa memoria solenne della Santissima Vergine, Madre di DIO, di tutti gli Apostoli, dei primi Papi e dei principali Martiri della Chiesa di Roma, Madre e Maestra di tutte le Chiese. Egli entra in comunione intima con tutta la corte celeste, tutti i beati abitanti si inchinano davanti a noi in GESÙ-CRISTO, realmente e corporalmente presente sui nostri altari. Il Sacerdote congiunge le mani in segno di questa unione religiosa della Chiesa del cielo e della Chiesa della terra. Successivamente, stendendo le mani, con i due pollici sempre incrociati (il destro sul sinistro, perché la Croce è il punto di unione dei due Testamenti, il punto di unione del cielo e della terra), egli copre per così dire l’Ostia ed il Calice, caricandosi prima di tutti i peccati che si è degnato di espiare sulla Croce, l’Adorabile Vittima del Sacrificio. Già il Sommo Sacerdote di Israele stendeva allo stesso modo le mani su due capri, caricandone uno di tutti i peccati del popolo, e per questa ragione lo votava alla morte, e liberando l’altro, facendolo condurre nel deserto, dopo averlo ornato con strisce rosse, segno del sangue sparso per la redenzione del popolo. Secondo San Cirillo di Gerusalemme, san Dionigi l’Aeropagita ed altri antichi Padri, questi due capri, l’uno sacrificato, e l’altro mandato vivente nel deserto, profetizzavano e simbolizzavano il divino Redentore, immolato per i peccati del suo popolo e resuscitato per comunicare ai suoi fedeli la vita nuova, la grazia, la salvezza nello Spirito-Santo. Il deserto è il mondo privo di DIO, a causa del peccato. Ma l’imposizione delle mani sull’Ostia ed il Calice, cela un mistero ancora più profondo, vale a dire l’incubazione dello Spirito Santo, Creatore e Santificatore di queste oblazioni che, con la sua virtù onnipotente, vengono transustanziate nel Corpo e Sangue di GESÙ. Le antiche liturgie greche ritornano spesso su questa misteriosa incubazione dello Spirito-Santo, nel momento del Mistero eucaristico. E così, il prete, dopo aver convocato tutta la Chiesa degli Angeli e dei Beati al divino Sacrificio, fa scendere sulle oblazioni lo Spirito-Santo stesso, lo Spirito di GESÙ, lo spirito di vita eterno che è la vita, la gioia e la beatitudine degli Angeli e dei Santi, affinché si degni di operare con le sue mani consacrate l’ineffabile miracolo e mistero della transustanziazione. Il Sacerdote si raccoglie e porta davanti al petto le sue mani giunte; il momento solenne si avvicina. Egli traccia dapprima tre grandi segni di Croce sia sull’Ostia che sul Calice, poi un altro segno di croce separatamente sull’Ostia ed un altro sul Calice, pregando il Signore che si degni di fare di queste sante oblazioni il Corpo ed il Sangue del suo unico Figlio, GESÙ-CRISTO. I tre grandi segni di Croce che il Sacerdote ha tracciato sulle due oblazioni unite ricordano che il mistero di GESÙ-CRISTO, riassunto e contenuto interamente nel Sacrificio dell’Eucaristia, è stato, fin dalle origini, la benedizione del mondo, il quale è stato creato in vista del Cristo avvenire; che questo mistero è stato realizzato, nel mezzo dei tempi, dal primo Avvento del divino Salvatore; ed infine che sarà consumato dal secondo Avvento, quando GESÙ e la sua Chiesa trionferanno per sempre. Per la virtù onnipotente della Santissima Trinità e per il segno della Croce, il Sacerdote domanda che la sua oblazione sia benedetta dapprima « benedictam» dal Cristo che la realizza in Sé medesimo, perché la sua incarnazione redentrice è sostanzialmente il decreto eterno del Padre, e GESÙ è in Persona il libro della vita nel quale saremo tutti iscritti; infine, che l’oblazione eucaristica sia ratificata, consumata «ratam» dalla virtù dello Spirito-Santo che coprendola, avvolgendola con la sua ombra, la transustanzia in maniera ineffabile. Tracciando poi il segno della Croce sull’Ostia dapprima, poi sul Calice, il Sacerdote chiede che il pane diventi il Corpo, e che il vino diventi il Sangue di GESÙ-CRISTO.Dopo di questo non gli resta che far memoria della Cena del Signore, e consacrare, come GESÙ, con GESÙ ed in GESÙ. Dopo il Sanctus, il servente Messa ha dovuto accendere un cero all’esterno dell’altare, dal lato dell’Epistola, in segno della fede viva del popolo Cristiano nei santi misteri che si stanno operando. Alla Messa bassa pontificale, come alla Messa solenne, si accendono due ceri, uno a destra, l’altro a sinistra (Benché questa rubrica sia in pieno vigore per i due ceri o torce della Messa bassa pontificale, essa è decaduta quasi dappertutto e desueta; ed anche a Roma si accenda raramente, alle Messe dei Sacerdoti semplici, il cero del Sanctus. Io credo che sia meglio osservare questo uso; ma è certo che non sia più obbligatorio). Tutti i preparativi sono terminati; il momento santissimo della Consacrazione è venuto; il silenzio più assoluto deve regnare in tutta la chiesa; tutti devono inchinarsi profondamente attendendo la venuta del Re degli Angeli, del Signore del cielo e della terra. 

XXIV

La Consacrazione e l’Elevazione.

Solo in piedi tra il popolo prosternato, il Sacerdote, unendosi più che mai al Sacerdote eterno, che abita e che opera in lui, prende l’Ostia tra il pollice e l’indice di ciascuna delle sue mani consacrate; egli ricorda che GESÙ, prima di cambiare nel cenacolo, il pane nel suo Corpo, alzò gli occhi verso il cielo, benedisse il pane e proferì le parole della Consacrazione: egli fa lo stesso, o piuttosto non è lui, ma è GESÙ che fa tutto questo per lui, con lui ed in lui. Dopo un’ultima benedizione, un ultimo segno di croce dato a questo pane predestinato, egli si inclina sull’altare e con la sua bocca, il Figlio di DIO pronunzia le parole divine, onnipotenti, che cambiano la sostanza del pane nella sostanza stessa del Corpo vivente e celeste di GESÙ-CRISTO. Subito il Sacerdote fa la genuflessione, lentamente, con profonda religione, con gli occhi sempre fissati sull’Ostia adorabile. Poi, rialzatosi e tenendo la santa Ostia con le due mani, la eleva, con gran rispetto, per mostrarla al popolo e fargliela adorare. Come è grande! Come è bello! Ecco l’antico ed il nuovo Testamento uniti nella stessa fede, nella stessa adorazione, mostrando il loro unico Signore, il loro CRISTO prediletto, il Mediatore della loro Religione, la Vittima della loro salvezza, il loro Creatore, il loro DIO. È il primo avvento di GESÙ. Ecco la Chiesa degli Angeli adorante, in unione con la Chiesa della terra, il suo Signore, il suo Re, il suo DIO, corporalmente presente sotto le specie eucaristiche, presente con esse sulla terra, e nondimeno sempre immutabile in cielo nella sua gloria! Ecco la realizzazione dell’antica visione del Profeta Ezechiele, in cui il Cristo venturo gli fu mostrato in mezzo al fuoco dello Spirito Santo, portato dai quattro grandi Serafini che presiedono all’organizzazione del mondo materiale in generale, ed in modo sovreminente, alla santissima umanità del Salvatore, simbolizzata e profetizzata dalla creazione del sole al quarto giorno. GESÙ, nel Santo Sacramento dell’altare, è il sole del firmamento della Chiesa; il suo sacro Corpo, adorabile e deificato, è il riepilogo delle meraviglie del mondo della materia: in cielo Egli è sostenuto ed adorato dai quattro Serafini della visione; sulla terra, sull’altare è sostenuto dalle quattro dita consacrate del Sacerdote, ministro terrestre del suo grande Sacrificio e del suo grande Sacramento. Il Sacerdote deposita con grande rispetto il Santo Sacramento sul Corporale e lo adora una seconda volta con una genuflessione. Poi, rialzandosi, prende il Calice con le sue due mani riunite, come GESÙ l’ha preso nel Cenacolo, lo benedice con Lui e per Lui, si inclina sull’altare e proferisce a voce bassa le parole con le quali GESÙ ha consacrato per primo, e continua a consacrare con i suoi Sacerdoti, il vino nel suo prezioso Sangue. Da questo momento, la sostanza del vino, benché conservi il suo colore, il suo gusto, le sue proprietà e le sue apparenze naturali, si trova cambiato, per l’onnipotente virtù del Signore, nella sostanza stessa del suo Sangue divino. E come dopo la resurrezione, questo Sangue è inseparabile dal Corpo, dall’Anima e dalla divinità di GESÙ, GESÙ intero, GESÙ vivente, GESÙ glorificato, è là presente nel Calice, sotto le apparenze del vino, ed in ciascuna delle gocce che lo compongono. Naturalmente è lo stesso per la santa Ostia e le sue minime particelle: ognuna di esse contiene il Verbo incarnato tutto intero, vivente e glorioso. Il Sacerdote, durante la consacrazione del Calice, lo tiene con la mano destra e con la mano sinistra solo lo sostiene in basso: alla nuova Alleanza appartiene in effetti direttamente il Sacrificio dell’Eucarestia, consumato dalla consacrazione della seconda specie sacramentale; l’antica Alleanza ha avuto, come principale missione, quella di prepararlo. Gli appartiene, è vero, ma a titolo meno immediato. Queste due mani ricordano ancora, amiamo ripeterlo, l’unione degli Angeli e degli uomini, della Chiesa del cielo e della Chiesa della terra, nella Religione che riassume il Sacrificio eucaristico del Figlio di DIO. La mano superiore esprime la Chiesa del cielo; l’altra la Chiesa della terra, ancora militante e soggetta all’infermità. – Il Sacerdote fa con il Calice ciò che ha fatto con la santa Ostia; egli l’adora; lo eleva e lo presenta all’adorazione dei fedeli; dopo averlo ricoperto, stende le braccia e le mani, come in precedenza, e continua sempre, con tono basso, le preghiere del Canone. Al Sacerdote è proibito, tanto sante sono le parole della Consacrazione, lasciare che si intendano intorno. Si dice generalmente che sarebbe peccato grave pronunziare queste parole a voce alta perché le possano ascoltare a tre o quattro passi. Non c’è nulla di più sacro, di più formidabile, di più ineffabile nella lingua umana; queste sono le stesse parole del Verbo incarnato, pronunciate dalle labbra dell’uomo: nessun uomo deve ascoltarle! – Io assistevo un giorno alla Messa di un Sacerdote, del resto molto rispettabile e di molto zelo per le anime; io sentivo, con meraviglia e pena, pronunziare forti le parole della Consacrazione, tanto che sembrava pregasse. Io non mi sono potuto esimere, dopo la Messa, dal seguirlo in sacrestia e richiamare, con ogni riguardo possibile, la sua attenzione su una così grave violazione. « Io vi ringrazio, mi rispose con una strana bonomia; ma io do poca importanza a queste cose! » Non è stupefacente? E, lo ripeto, era un uomo molto degno. Soltanto, occorre riconoscerlo, egli aveva, in fatto di obbedienza e di scienza liturgica, o una negligenza o una ignoranza imperdonabile! E c’è un altro abuso che si presenta molto spesso: temendo di non pronunciare sufficientemente le parole sacramentali, certi Sacerdoti fanno, nel pronunziarle, degli sforzi di gola molto penosi da sentire e veramente molto sconvenienti. Per quanto incomparabilmente sante che esse siano, queste parole devono essere dette dal Sacerdote assai semplicemente, soavemente come quelle del Figlio di DIO alla santa Cena; noi dobbiamo proferirle con grande amore per GESÙ e per le anime. Mi si è parlato di un povero Curato molto scrupoloso che restava talvolta (è un fatto storico!) tre quarti d’ora a sudare sangue ed acqua, e a riprendersi fino a dieci, dodici, quindici volte; lo si sentiva, anche questi, fino al centro della chiesa; egli si eccitava, si incoraggiava da sé, interrompendo le divine parole del Sacramento con interiezioni assolutamente proibite, come queste: « Andiamo! … Bene! … è così! … Si! » etc. – La semplicità nella pietà e nell’obbedienza liturgica è dunque una buona cosa! Consacriamo come GESÙ, con GESÙ, in GESÙ.